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TERRY GOODKIND SCONTRO FINALE (Confessor, 2007) Al mio buon amico Mark Masters, uomo di eccezionale creatività, determinazione e successo. Egli è la prova vivente di tutto ciò che scrivo: che un uomo, tramite il suo gioioso amore per la vita, il valore del decoro e la tranquilla grazia della forza priva di odio, può ispirare tutti coloro che lo conoscono con la nobiltà dello spirito umano. 1
Per la seconda volta quel giorno una donna accoltellò Richard. Riscosso bruscamente dal sonno e dallo shock del dolore, le afferrò all'istante il polso ossuto, impedendole di squarciargli la coscia. Un abito sudicio, abbottonato fino alla gola, copriva la sua scarna figura. Nella fioca luce dei fuochi da campo in lontananza, Richard vide che il quadrato di stoffa drappeggiato sulla sua testa e annodato sotto la sua mascella spigolosa era fatto di un logoro frammento di tela di sacco. Nonostante la sua corporatura fragile, le guance infossate, la schiena curva, aveva lo sguardo di un predatore. La donna che lo aveva pugnalato prima, quella notte, era stata più grossa e più forte. Pure i suoi occhi bruciavano d'odio. Anche l'esile lama che questa donna brandiva era più piccola. Per quanto la ferita fosse una puntura dolorosa, sarebbe stato molto peggio se lei fosse riuscita a tagliare il muscolo della coscia, ciò che a quanto pare aveva avuto intenzione di fare, a giudicare dal modo in cui reggeva il coltello. L'esercito dell'Ordine Imperiale non si prendeva la briga di curare schiavi con ferite menomanti: l'avrebbero semplicemente messo a morte. Probabilmente era stato il suo piano fin dall'inizio. Digrignando i denti con ridestato furore mentre stringeva in una morsa il polso della donna che continuava a dibattersi, Richard le torse il braccio e
le sollevò il pugno serrato per tirar via la lama dalla sua gamba. Una goccia di sangue colò dalla punta. Con la forza la ridusse facilmente all'impotenza. Non era il formidabile assassino che da principio aveva temuto. Il suo desiderio, la sua decisione, la sua brama, comunque, erano tanto malevoli quanto quelli di ogni membro dell'orda di invasori che seguiva. Mentre grugniva di dolore, il vapore saliva nella fredda aria notturna a ogni ansante respiro. Richard sapeva che, se avesse usato delicatezza, le avrebbe soltanto dato un'altra possibilità di terminare il lavoro. La sorpresa le aveva fruttato un'opportunità; lui non gliene avrebbe scioccamente offerto una seconda. Afferrandole ancora con fermezza il polso, strappò via il coltello dalla sua stretta. Non allentò la presa finché non fu entrato in possesso della lama. Le avrebbe potuto rompere il braccio, e l'avrebbe di certo meritato, ma non lo fece: non era questo il tempo né il luogo per creare disordini. Voleva soltanto che si staccasse da lui. Una volta che l'ebbe disarmata, la spinse via. Lei arretrò incespicando e si fermò, poi gli sputò addosso. «Non batterete mai la squadra del grande e glorioso imperatore Jagang. Siete dei cani... tutti voi! Tutti voi qui nel Nuovo Mondo siete degli sporchi pagani!» Richard le rivolse uno sguardo torvo, osservandola per assicurarsi che non estraesse un altro coltello per attaccarlo di nuovo. Si guardò intorno in cerca di un complice. Sebbene ci fossero dei soldati non molto lontano, poco oltre il piccolo cerchio dei carri dei rifornimenti, erano intenti nei loro affari. Non sembrava esserci nessuno con la donna. Quando cominciò a sputargli nuovamente addosso, Richard balzò in avanti verso di lei. La donna annaspò dalla paura mentre indietreggiava. Avendo perso il coraggio di accoltellare un uomo sveglio in grado di difendersi, gli lanciò un'occhiata carica d'odio, poi si voltò e fuggì nella notte. Richard sapeva che la lunghezza della pesante catena assicurata al collare attorno alla sua gola non gli avrebbe consentito di prenderla, ma lei no, perciò la minaccia era stata sufficiente a farla fuggire per lo spavento. Il vasto accampamento dell'esercito in cui lei era svanita, perfino nel cuore della notte era indaffarato senza posa. La inghiottì come una grossa, turbolenta bestia. Anche se molti dei soldati stavano dormendo, altri sembravano sempre al lavoro: per riparare l'attrezzatura, costruire armi, cucinare, mangiare, o impegnati a bere e raccontare cupe storie attorno ai fuochi, passando il tempo in attesa della prossima opportunità per uccidere, violentare e sac-
cheggiare. Tutta la notte, sembrava, c'erano uomini che si sfidavano in prove di forza, talvolta coi muscoli, talvolta coi coltelli. Piccole folle si radunavano di tanto in tanto per osservare questi combattimenti e scommettere sul risultato. Guardie di pattuglia in cerca di segni di problemi seri, soldati in cerca di divertimento e civili al seguito in cerca di elemosina si aggiravano per l'accampamento nel corso della notte. Ogni tanto degli uomini si avvicinavano per valutare Richard e i suoi compagni di prigionia. Tra gli spazi fra i vagoni, Richard poteva vedere alcuni dei civili al seguito, che speravano di procurarsi del cibo o anche una monetina, andare di gruppo in gruppo offrendosi per suonare un flauto e cantare. Altri si offrivano di radere i soldati, lavare e rammendare i vestiti o fare tatuaggi. Un gran numero di queste figure indistinte, dopo brevi trattative, scompariva nelle tende con gli uomini. Altri si aggiravano per il campo cercando qualcosa da rubare. E di notte alcuni andavano in giro con l'intento di uccidere. Al centro di tutto ciò, in una prigione isolata formata da un anello di carri di rifornimenti, Richard se ne stava incatenato con altri prigionieri messi lì per giocare nel torneo di Ja'La dh Jin. La maggior parte della sua squadra era composta da truppe regolari dell'Ordine Imperiale, ma in quel momento stavano dormendo nelle proprie tende. Era difficile che una città governata dall'Ordine non avesse una squadra di Ja'La. Questi soldati vi avevano giocato quasi da quando avevano imparato a camminare. Tutti si aspettavano, dopo che la guerra fosse finita, di continuare a giocare a Ja'La. Per molti dei soldati dell'Ordine, lo stesso Ja'La dh Jin, il gioco della vita, era di per sé una questione di vita o di morte, quasi equivalente alla causa dell'Ordine. Perfino per una vecchia emaciata che seguiva il suo imperatore in guerra e viveva delle briciole delle sue conquiste, l'omicidio era un metodo accettabile di aiutare la sua squadra preferita a vincere. Avere una squadra vincente di Ja'La costituiva una fonte di enorme orgoglio per qualunque divisione dell'esercito, proprio come lo era per qualsiasi città. Anche il comandante Karg, l'ufficiale responsabile della squadra di Richard, era intenzionato a vincere. Una squadra vittoriosa poteva portare a coloro che vi erano direttamente coinvolti benefici più tangibili della mera gloria. Quelli che gestivano le squadre al vertice diventavano uomini potenti. I campioni di Ja'La divenivano eroi ed erano ricompensati con ricchezze di ogni genere, incluse legioni di donne desiderose di stare con loro. Di notte Richard era incatenato ai carri che contenevano le gabbie che
avevano trasportato lui e gli altri prigionieri, ma nelle partite che avevano giocato lungo la strada lui era la punta della loro squadra, incaricato di portare al successo le ambizioni del comandante Karg nel torneo che aveva luogo nell'accampamento principale dell'imperatore Jagang. La vita di Richard dipendeva da quanto bene svolgeva il suo compito. Finora era stato ricompensato dalla fiducia che il comandante Karg riponeva in lui. Fin dall'inizio, la scelta di Richard era stata unirsi al tentativo del comandante Karg o essere giustiziato nella maniera più cruenta possibile. Richard, però, aveva avuto altre ragioni per 'offrirsi volontario'. Queste ragioni erano per lui di gran lunga più importanti di qualsiasi altra cosa. Lanciò un'occhiata e vide che John la roccia, incatenato allo stesso carro da trasporto, giaceva sulla schiena, profondamente addormentato. L'uomo, in origine un mugnaio, aveva la corporatura di una quercia. A differenza delle punte delle altre squadre, Richard insisteva su un incessante allenamento quando non erano in movimento. Nella sua squadra questo non piaceva a tutti, ma seguivano le sue istruzioni. Perfino nella loro gabbia, mentre avevano viaggiato verso il reparto principale dell'Ordine Imperiale, Richard e John la roccia analizzavano come avrebbero potuto far meglio, ideavano e memorizzavano codici per il gioco e facevano di continuo flessioni e altri esercizi per aumentare la propria forza. A quanto pareva, lo sfinimento aveva avuto la meglio sul rumore e sulla confusione dell'accampamento, e John la roccia stava dormendo pacifico come un bambino, ignaro che la loro reputazione aveva attratto nella notte persone che si aggiravano per porre fine alle possibilità di vittoria della loro squadra prima di raggiungere il torneo. Pur essendo stanco, Richard sonnecchiava solo di tanto in tanto. Aveva scoperto di avere difficoltà a dormire. C'era qualcosa di sbagliato, in realtà per niente collegato alla miriade di guai che gli mulinavano attorno. Non si trattava neanche di qualcosa che avesse a che fare con i normali pericoli immediati propri dell'essere un prigioniero. Era qualcosa di diverso, che stava dentro di lui, giù in profondità. In un certo senso, gli ricordava un po' quando si era ammalato di febbre, ma in realtà non era neanche quello. Non importa quanto attentamente cercasse di analizzarla, la natura della sensazione continuava a sfuggirgli. Era così confuso dall'inspiegabile sentore, che non gli rimaneva nulla di più di una dolente impressione di un inquieto presagio. A parte questo, era troppo occupato a pensare a Kahlan per riuscire a dormire. Tenuta prigioniera dallo stesso imperatore Jagang, non si trovava
poi così lontano. Talvolta, quando era rimasto solo con Nicci, a notte fonda, seduti davanti al fuoco, lei aveva fissato quelle fiamme e gli aveva confidato come Jagang l'avesse violentata. Quelle storie rodevano le viscere di Richard. Non riusciva a vedere il complesso dell'imperatore, ma quando, in precedenza quello stesso giorno, avevano attraversato l'agglomerato dell'accampamento, aveva visto le impressionanti tende di comando. Ritrovarsi a guardare gli occhi verdi di Kahlan dopo tutto quel tempo, anche se soltanto per un fuggevole momento, lo aveva riempito di gioia e sollievo. Alla fine l'aveva ritrovata, ed era viva. Doveva escogitare un modo per farla fuggire. Ragionevolmente certo che l'ultima donna che lo aveva accoltellato non fosse più appostata nelle ombre per un nuovo tentativo, Richard ritrasse infine la mano per ispezionare il taglio. Non era tanto profonda quanto avrebbe potuto essere. Se fosse stato addormentato della grossa, come John la roccia, poteva andare molto peggio. Suppose che forse la strana sensazione che l'aveva tenuto sveglio in realtà gli era stata utile. Per quanto la ferita alla gamba bruciasse, non era seria. L'averla coperta saldamente con la mano aveva fermato l'emorragia. Anche quella che aveva ricevuto prima, nel corso della notte, era dolorosa, ma anch'essa non era tanto seria quanto sarebbe potuta essere. La sua scapola aveva intercettato la punta del coltello della donna, ostacolando il tentativo di ucciderlo. La morte gli aveva fatto visita due volte quella notte e se n'era andata a mani vuote. Richard ricordò il vecchio detto secondo cui non c'è due senza tre. Sperava di non dover imbattersi nella terza visita. Si era appena rotolato sul fianco per provare ancora a dormire un poco, quando vide un'ombra che scivolava fra i carri. La sua andatura pareva ponderata, però, piuttosto che furtiva. Richard si mise a sedere mentre il comandate Karg si fermava sopra di lui. Nella fioca luce, Richard poteva vedere chiaramente le scaglie tatuate che ricoprivano il lato destro del volto dell'uomo. Senza le spalline e i pettorali di cuoio che il comandante indossava di solito, e senza nemmeno una camicia, Richard poté scorgere che il motivo di scaglie gli correva giù lungo la spalla fino a ricoprirgli parte del petto. Il tatuaggio lo faceva sembrare simile a un rettile. Fra loro, Richard e John la roccia si riferivano al comandante chiamandolo 'faccia di serpente'. Il nome calzava in più di un senso. «Cosa stai pensando di fare, Ruben?»
Ruben Rybnik era il nome con cui John la roccia e tutti gli altri nella squadra conoscevano Richard. Era il nome che lui aveva dato quando era stato preso prigioniero. Se ci fosse stato un posto in cui la sua vera identità gli avrebbe senza dubbio fruttato la morte, Richard ora vi sedeva proprio nel mezzo. «Cerco di farmi una dormita.» «Non hai alcun diritto di costringere una donna a giacere con te.» Il comandante Karg puntò un dito accusatore. «È venuta da me e mi ha raccontato tutto quanto hai cercato di farle.» Richard sollevò un sopracciglio. «Ma davvero.» «Te l'ho detto prima: se batterete la squadra dell'imperatore - se tu li batterai - allora potrai sceglierti una donna. Ma nel frattempo non riceverai alcun favore. Non tollererò che nessuno disobbedisca ai miei ordini... meno che mai uno come te.» «Non so cosa lei ti abbia raccontato, comandante, ma è venuta qui con l'intento di uccidermi. Voleva assicurarsi che la squadra dell'imperatore non perdesse contro di noi.» Il comandante si accucciò, appoggiando il suo avambraccio sul ginocchio mentre fissava attentamente la punta della sua squadra di Ja'La. Sembrava proprio pronto a uccidere Richard. «Una mediocre menzogna, Ruben.» Il coltello che solo poco prima aveva strappato dalla donna era nella mano di Richard, premuto contro l'interno del suo polso. A questa distanza, avrebbe potuto sbudellare il comandante prima che l'uomo potesse accorgersi di cos'era accaduto. Ma questo non era né il tempo né il luogo. Non avrebbe aiutato Richard a riottenere Kahlan. Senza distogliere lo sguardo dagli occhi di Karg, Richard fece roteare il coltello fra le sue dita e afferrò la punta fra l'indice e il pollice. Era una bella sensazione avere una lama in mano, una qualunque, perfino una così piccola. Volgeva l'impugnatura del coltello verso il comandante. «Questo è il motivo per cui la mia gamba stava sanguinando. Lei mi ha accoltellato con questo. Dove altro pensi che possa aver preso un coltello?» La rilevanza, nonché il pericolo del fatto che Richard avesse un coltello in suo possesso non passò inosservata al comandante. Lanciò un'occhiata alla ferita sulla coscia del prigioniero, poi prese il coltello. «Se vuoi che vinciamo questo torneo,» disse Richard con calcolata at-
tenzione «allora ho bisogno di un po' di riposo. Potrei dormire molto più facilmente se ci fossero delle guardie appostate. Se una vecchia ossuta, che probabilmente ha scommesso sulla squadra dell'imperatore, mi uccidesse mentre sono addormentato, allora la tua squadra rimarrebbe senza una punta e senza alcuna possibilità di vittoria.» «Hai una grossa opinione di te stesso, non è vero, Ruben?» «Tu hai una grossa opinione di me, comandante, o mi avresti ucciso tempo fa a Tamarang dopo che avevo fatto fuori dozzine dei tuoi uomini.» Con le sue scaglie tatuate, fiocamente illuminate dai fuochi da campo, il comandante appariva come un serpente che stesse contemplando il proprio pasto. «Sembrerebbe che essere una punta sia pericoloso non solo sul campo di Ja'La.» Alla fine si alzò torreggiando su Richard. «Metterò una guardia. Ma tieni a mente che molte persone non pensano che tu sia così bravo... dopo tutto ci hai già fatto perdere una partita.» Avevano perso quella partita perché Richard aveva cercato di proteggere uno dei suoi uomini, un prigioniero di nome York, la cui gamba era stata rotta appena la squadra avversaria aveva fatto convergere una carica su di lui. Era un uomo prezioso, un buon giocatore, e pertanto era stato preso come bersaglio. Stando a come l'Ordine giocava a Ja'La, le regole permettevano azioni del genere. Con una gamba rotta malamente, York all'improvviso era diventato inutile come giocatore e come schiavo. Dopo essere stato portato via dal campo, il comandante Karg gli aveva tagliato la gola senza tante cerimonie. Per aver protetto il giocatore atterrato piuttosto che continuare a giocare e portare il broc verso la porta avversaria, l'arbitro aveva penalizzato la loro squadra espellendo Richard per il resto della partita. Alla fine avevano perso. «Ho sentito dire che anche la squadra dell'imperatore ha perso una partita» disse Richard. «Sua Eccellenza ha fatto giustiziare quella squadra. La sua nuova formazione è stata creata con gli uomini migliori di tutto il Vecchio Mondo.» Richard scrollò le spalle. «Anche noi perdiamo giocatori per vari motivi, e vengono rimpiazzati. Molti sono stati feriti e sono quindi impossibilitati a giocare. Non molto tempo fa, uno dei nostri uomini si è rotto una gamba. Tu non ti sei comportato diversamente rispetto a ciò che ha fatto l'imperatore coi suoi perdenti. «Per come la vedo io, i dettagli di chi era nella sua squadra non importa-
no poi tanto. Abbiamo perso una partita ciascuno. Quindi siamo pari. Questo è tutto ciò che conta. Arriviamo a questa competizione a pari merito. Loro non sono meglio di noi.» Il comandante sollevò un sopracciglio. «Pensi di essere al loro livello?» Richard non si ritrasse dallo sguardo truce dell'uomo. «Vinceremo e avremo l'opportunità di giocare contro la squadra dell'imperatore, comandante, e poi vedremo cosa succede.» Un sorriso scaltro incurvò le scaglie. «Speri di poterti scegliere una donna, Ruben?» Richard annuì senza ricambiare il sorriso. «In effetti è così.» Il comandante Karg non aveva idea che Richard sapesse già quale donna voleva. Voleva Kahlan. La desiderava più della vita stessa. Aveva intenzione di fare qualunque cosa fosse necessaria per sottrarre sua moglie all'incubo della prigionia di Jagang e delle sue Sorelle dell'Oscurità. Con lo sguardo fisso in basso su Richard, il comandante infine cedette con un sospiro. «Dirò alle guardie che le loro vite dipendono dal fatto che nessuno possa avvicinarsi ai miei giocatori mentre dormono.» Dopo che Karg fu svanito nella notte, Richard si sdraiò, lasciando finalmente che i suoi muscoli doloranti si rilassassero. Osservò le guardie che in lontananza si affrettavano a predisporre un solido perimetro attorno ai membri della squadra prigionieri. La consapevolezza di ciò che avrebbe potuto perdere a causa di un semplice civile connivente aveva spronato il comandante Karg all'azione. In fin dei conti l'attacco aveva fatto sì che Richard potesse riposarsi per il tempo che gli serviva. Non era facile dormire quando chiunque avesse voluto poteva avvicinarsi di soppiatto e tagliargli la gola. Ora, almeno, era temporaneamente al sicuro, anche se aveva dovuto consegnare il coltello. Ne nascondeva un altro, però, quello che aveva preso alla prima donna. Era infilato nel suo stivale. Richard si raggomitolò sul terreno nudo, nel tentativo di rimanere caldo mentre cercava di addormentarsi. Il suolo aveva perso già da molto tempo tutto il calore del giorno precedente. Senza un giaciglio o una coperta, fu costretto ad ammonticchiare la catena per farne una sorta di cuscino. Non mancava molto all'alba successiva. Fuori nella piana di Azrith la temperatura non si sarebbe riscaldata per un bel po'. L'aurora avrebbe portato il primo giorno d'inverno. Il brusio del campo continuava. Era così stanco. Pensando a Kahlan, alla prima volta che l'aveva incontrata, a come il suo cuore si era sentito solle-
vato quando alla fine aveva visto che era ancora viva, a quanto lo rendeva felice guardare quei suoi stupendi occhi verdi, finalmente permise al sonno di acquietare con gentilezza la sua mente e portarlo con sé. 2 Fu un suono attutito, sovrannaturale, come una porta che si apre sul mondo dei morti, a svegliare Richard da un sonno profondo. Guardò in alto e vide una figura in un mantello con cappuccio che incombeva sopra di lui. Qualcosa nel suo portamento, nella sua stessa presenza, gli fece rizzare i peli delle braccia. Non si trattava di una donnetta timida e fragile. Qualcosa nel suo atteggiamento gli disse che non era nemmeno un assalitore armato di coltello. Era qualcosa di molto peggio. Richard seppe senz'ombra di dubbio che dopo il due era arrivato il momento del tre. Si mise a sedere e sgattaiolò un poco all'indietro, guadagnando distanza preziosa. In qualche modo, le guardie del comandante Karg non erano riuscite a fermare l'intruso. Lanciò un'occhiata nella loro direzione e le vide continuare incuranti la ronda. Con gli spazi così ristretti in cui si muovevano, Richard non capiva come qualcuno potesse aver superato il loro perimetro, ciò nonostante quest'ultimo visitatore c'era riuscito. La figura incappucciata scivolò più vicino. La purificazione è cominciata. Allarmato, Richard sbatté le palpebre. La lugubre voce riecheggiava nella sua mente, ma lui non era del tutto sicuro di averla effettivamente udita. Sembrava che le parole fossero semplicemente lì, nella sua testa. Con cautela fece scivolare due dita giù nel suo stivale, cercando a tentoni l'impugnatura di legno del coltello. Quando la trovò, cominciò a estrarlo. La purificazione è cominciata, disse di nuovo la figura. Non era come una voce reale. Non era né maschile né femminile. La parole non sembravano essere state pronunciate ad alta voce: piuttosto suonavano come mille sussurri insieme. Sembravano provenire da un altro mondo. Richard non riusciva a immaginare come qualcosa di morto potesse parlare, ma erano suoni che non sembravano provenire da qualcosa di vivo. Temeva di immaginare cosa potesse essere ciò che gli stava davanti.
«Chi sei?» chiese, cercando di prendere tempo mentre valutava la situazione. Una veloce occhiata intorno rivelò che non c'era nessun altro nei paraggi; a quanto pareva, il visitatore era venuto da solo. Le guardie erano girate dall'altra parte. Stavano controllando che nessuno cercasse di avvicinarsi ai prigionieri addormentati; non stavano guardando all'interno del cerchio di carri in cerca di guai. La figura sembrò d'improvviso ancora più vicina, soltanto a un braccio di distanza. Richard non sapeva come gli si fosse avvicinata così tanto. Non l'aveva vista muoversi. Non avrebbe permesso che si accostasse così tanto se l'avesse notata spostarsi verso di lui. E, ciò nonostante, l'aveva fatto. Avere una catena legata al suo collare non gli lasciava molto spazio di manovra se avesse dovuto rispondere a un attacco. Con le dita raccolse con cautela gli anelli della catena nella sua mano libera. Se avesse dovuto combattere, avrebbe avvolto la catena e l'avrebbe usata come un cappio. Con l'altra mano stava ancora tirando fuori di nascosto il coltello. Il tuo tempo comincia oggi, Richard Rahl. Le dita che Richard teneva sul coltello esitarono. Aveva pronunciato il suo vero nome. Nessuno nel campo conosceva la sua verità identità. Il cuore di Richard gli martellò in petto. Per via dell'oscurità e del cappuccio, il volto all'interno era nascosto alla vista. Richard poteva vedere solo il buio, come la morte stessa, che lo fissava. Gli passò per la mente che potesse trattarsi proprio di lei. Ricordò a sé stesso di non lasciarsi trasportare dall'immaginazione. Fece appello al suo coraggio. «Cos'hai detto?» Un braccio sotto lo scuro mantello si sollevò verso di lui. Non poteva vedere la mano, solo il drappo di stoffa che la ricopriva. Il tuo tempo comincia oggi, Richard Rahl, il primo giorno d'inverno. Hai un anno per completare la purificazione. Una sconvolgente immagine di qualcosa fin troppo familiare gli balenò in mente: le scatole dell'Orden. Come se gli leggesse la mente, un migliaio di sussurri dei morti parlarono. Sei il nuovo responsabile, Richard Rahl. Per questo motivo, il tempo dell'attivazione ora viene ripristinato. Ricomincia da capo oggi, il primo
giorno d'inverno. Fino a poco più di tre anni prima, Richard aveva condotto una vita pacifica nelle Terre Occidentali. L'intera catena di eventi era cominciata quando il suo vero padre, Darken Rahl, aveva finalmente messo le mani sulle scatole dell'Orden e le aveva messe in campo per primo. Questo era accaduto il primo giorno d'inverno di quattro anni fa. Per distinguere le tre scatole dell'Orden e per sapere quale fosse quella giusta da aprire, la chiave era Il libro delle ombre importanti. Richard aveva memorizzato quel libro da giovane. Dato che aveva perso il legame col suo dono, non riusciva più a ricordare le parole del libro: la magia era il requisito per essere in grado di leggere o ricordare libri magici. Ma per quanto non rammentasse le parole, conosceva grazie al ricordo delle sue stesse azioni alcuni dei principi di base esposti nel libro. Uno degli elementi più importanti per utilizzare Il libro delle ombre importanti era verificare se le parole che Richard aveva memorizzato fossero pronunciate in modo veritiero, verificare se il componente chiave per l'apertura delle scatole dell'Orden fosse genuino. Il libro stesso stabiliva il metodo di verifica. Il metodo di verifica era l'uso di una Depositaria. Kahlan era l'ultima Depositaria ancora in vita. Richard fece appello alla sua voce soltanto con estrema difficoltà. «Ciò che dici è impossibile. Non ho messo nulla in campo.» Tu sei stato nominato responsabile. «Nominato? Nominato da chi?» Ciò che importa è che tu sia stato nominato nuovo responsabile. Sei preavvisato che hai un anno da oggi, e non un giorno di più, per completare la purificazione. Usa bene il tuo tempo, Richard Rahl. La tua vita sarà il prezzo, se fallirai. Ogni vita sarà il prezzo, se fallirai. «Ma è impossibile!» urlò Richard balzando in avanti, serrando entrambe le mani attorno alla gola della figura. Il mantello cadde a terra. Dentro non c'era nulla. Lui udì un piccolo, debole suono, come una porta sul mondo dei morti che si richiude. Poteva vedere il vapore del suo respiro ansante che si sollevava nella nera notte invernale. Dopo quella che sembrò una vuota eternità, Richard tornò infine a sdraiarsi, usando il mantello per coprire il suo corpo tremante, ma non riu-
scì a costringersi a chiudere gli occhi. Verso ovest dei fulmini lontani guizzavano all'orizzonte. Verso est l'alba del primo giorno d'inverno si avvicinava rapida. Fra i fulmini e l'alba, in mezzo a un nemico che si contava a milioni, Richard Rahl, condottiero dell'impero del D'Hara, giaceva incatenato a un carro, pensando a sua moglie prigioniera e alla terza visita. 3 Kahlan giaceva sul pavimento nell'oscurità quasi totale, incapace di dormire. Poteva udire il respiro regolare di Jagang nel letto sopra di lei. Su una cassapanca di legno finemente intagliata addossata contro la parete opposta, una lampada a olio, con lo stoppino consumato, emetteva un fioco bagliore attraverso le tenebre della stanza privata dell'imperatore. L'olio che bruciava aiutava, per quanto in lieve misura, a mascherare il lezzo dell'accampamento: gli odori di fuliggine di fuochi, sudore fetido, immondizia rancida, latrine, cavalli e altri animali, insieme al letame, tutti mischiati in un fetore onnipresente. In modo molto simile a come la terrificante memoria di tutti i cadaveri infestati dai vermi e in decomposizione che aveva visto durante il viaggio le ricordava inevitabilmente l'indimenticabile, inconfondibile e vomitevole puzzo di morte, era impossibile contemplare l'accampamento dell'Ordine Imperiale senza richiamare alla mente il suo singolare, invasivo fetore, una cosa disgustosa quanto l'Ordine stesso. Da quando era arrivata lì, era sempre stata riluttante a respirare troppo profondamente. Il lezzo sarebbe sempre stato collegato nella sua mente alle sofferenze, alla miseria e alla morte che i soldati dell'Ordine Imperiale portavano ovunque andassero. Per come la vedeva Kahlan, la gente che credeva, sosteneva e combatteva per le convinzioni dell'Ordine Imperiale non apparteneva al mondo di coloro che apprezzavano la vita. Attraverso la stoffa a rete che copriva i fori di aerazione sulla sommità della tenda, Kahlan poteva vedere i furiosi lampi dei fulmini a ovest illuminare il cielo sovrastante con l'annuncio di imminenti tempeste. La tenda dell'imperatore, coi suoi drappeggi, tappeti e pareti imbottite era relativamente silenziosa, considerato il costante baccano dell'accampamento che si estendeva tutt'intorno, perciò era difficile udire il tuono, ma di tanto in tanto se ne potevano avvertire le vibrazioni nel terreno. Con l'approssimarsi della stagione fredda, la pioggia avrebbe reso tutto
ancora più deprimente. Per quanto fosse stanca, Kahlan non riusciva a smettere di pensare all'uomo che prima, quel giorno, aveva guardato fuori da quella gabbia mentre procedeva attraverso il campo, l'uomo con gli occhi grigi, l'uomo che l'aveva vista, l'aveva davvero vista, e aveva urlato il suo nome. Era stato un momento eccitante per lei. Che qualcuno potesse vederla rasentava il miracoloso. Kahlan era invisibile quasi per tutti. 'Invisibile' non era la parola esatta, però, poiché in realtà le persone la vedevano. Semplicemente si dimenticavano subito dopo di averla vista, si scordavano di essere stati consci della sua presenza solo un istante prima. Perciò, per quanto non fosse davvero invisibile, era come se lo fosse. Kahlan conosceva il gelido tocco dell'oblio. Lo stesso incantesimo che costringeva le persone a dimenticarla non appena l'avevano vista le aveva anche cancellato ogni ricordo del suo passato. Qualunque fosse la sua vita prima delle Sorelle dell'Oscurità, per lei era perduta. Fra i milioni di truppe sparpagliate per la piana vasta e spoglia, i suoi carcerieri avevano trovato solo una manciata di soldati che potevano vederla: quarantatré, per essere precisi. Questi quarantatré erano uomini che, come il collare attorno alla sua gola, le Sorelle e lo stesso Jagang, si frapponevano fra lei e la libertà. Kahlan si era presa la briga di conoscere ognuno di questi uomini, apprendere i loro punti di forza, le loro debolezze. Li studiava in silenzio, prendendo annotazioni mentali su ciascuno di loro. Ognuno aveva abitudini, modi di camminare, di osservare ciò che accadeva attorno a sé, di prestare o meno attenzione, di fare il proprio lavoro. Aveva appreso tutto ciò che aveva potuto sulle loro caratteristiche individuali. La Sorelle credevano che il fatto che una manciata di persone potesse accorgersi di Kahlan fosse dovuto a un'anomalia nell'incantesimo che avevano usato. Era possibile che fra il vasto esercito dell'Ordine ci fossero altri che potevano vederla e ricordarsi di lei, ma Jagang finora non ne aveva scoperti di più. I quarantatré soldati erano quindi i soli uomini in grado di prestare servizio come sue guardie. Jagang, ovviamente, poteva vederla, così come le Sorelle che avevano usato l'incantesimo. Con grande loro raccapriccio, anch'esse erano state catturate da Jagang e, allo stesso modo, erano finite con Kahlan nello squallido accampamento dell'Ordine Imperiale. Tranne le Sorelle e Jagang, nessuno di quei pochi che potevano vederla la conosceva per davvero, la
conosceva dal suo passato dimenticato, un passato di cui nemmeno Kahlan si ricordava. Ma quell'uomo nella gabbia era diverso. Lui l'aveva riconosciuta. Dato che lei non si ricordava di averlo mai visto in precedenza, questo poteva solo significare che era qualcuno che la conosceva dal suo passato. Jagang le aveva promesso che quando avesse finalmente riavuto indietro il suo passato, quando si fosse ricordata tutto, allora per lei sarebbe cominciato il vero terrore. Godeva nello spiegarle con vividi dettagli ciò che intendeva farle con esattezza, come avrebbe reso la sua vita un eterno tormento. Dato che non ricordava il proprio passato, le sue promesse di punizione non significavano per lei quanto a lui sarebbe piaciuto. Tuttavia, le cose che lui le aveva assicurato erano abbastanza terrificanti in sé. Quando Jagang prometteva una tale vendetta, Kahlan gli restituiva solo uno sguardo vacuo. Era un modo per sbarrargli l'accesso alle sue emozioni. Non voleva dargli la soddisfazione di mostrare il suo turbamento, la sua paura. Nonostante quello che avrebbe significato per lei, Kahlan era orgogliosa di essersi guadagnata il disprezzo di un uomo tanto disgustoso. Le dava la sicurezza che qualunque cosa avesse fatto nel suo passato, le sue convinzioni potessero solo averla posta in diretta opposizione ai voleri dell'Ordine. Per via degli spaventosi moniti di Jagang, Kahlan temeva molto di ricordarsi del suo passato; ciò nonostante, dopo aver visto la genuina emozione negli occhi del prigioniero, desiderava sapere tutto su sé stessa. La gioiosa reazione di lui nel vederla risaltava in netto contrasto rispetto a tutti coloro che, attorno a lei, la disprezzavano e la insultavano. Doveva sapere chi era lei, chi era la donna che poteva essere tenuta in tale considerazione da quell'uomo. Desiderò di averlo potuto guardare per più di quella breve occhiata che aveva carpito. Aveva dovuto voltarsi. Se fosse stata scoperta a mostrare interesse per un prigioniero, Jagang l'avrebbe di sicuro ucciso. Kahlan provava la sensazione di voler proteggere l'uomo. Non voleva involontariamente causare guai a qualcuno che la conosceva, qualcuno sopraffatto in modo così ovvio dalla sua vista. Ma di nuovo Kahlan cercò di mettere a tacere la sua mente frenetica. Sbadigliò mentre osservava i fulmini balenare nella piccola porzione di cielo scuro. Non mancava molto all'alba e lei aveva bisogno di dormire. Quell'aurora, però, avrebbe portato con sé il primo giorno d'inverno. Non sapeva perché, ma l'idea stessa del primo giorno d'inverno la metteva
a disagio. Non riusciva a immaginarne il motivo. Qualcosa riguardo il primo giorno d'inverno sembrava annodarle le viscere nell'ansia. Sembrava che, sotto la superficie della sua capacità di ricordare, si annidassero pericoli che non riusciva nemmeno a immaginare. La sua testa si sollevò al suono di qualcosa che cadeva. Il suono era venuto dall'altra stanza, quella fuori dalla camera da letto di Jagang. Kahlan si sollevò appoggiandosi su un gomito, ma non osò alzarsi dal suo posto sul pavimento accanto al letto dell'imperatore. Sapeva bene cosa voleva dire disobbedire ai suoi ordini. Dover sopportare il dolore che le poteva infliggere attraverso il collare attorno alla gola, aveva senso in relazione a qualcosa di più che muoversi dal tappeto. Nel buio Kahlan udì Jagang mettersi a sedere, proprio sul letto sopra di lei. Improvvisi pianti e gemiti vennero dall'altra parte delle pareti imbottite della camera da letto. Sembrava che potesse essere Sorella Ulicia. Da quando era stata catturata da Jagang, Kahlan aveva sentito in parecchie occasioni Sorella Ulicia singhiozzare e piangere. La stessa Kahlan era stata spesso portata alle lacrime, tutto a causa di quelle Sorelle dell'Oscurità, ma in special modo di Sorella Ulicia. Jagang scostò via le coperte. «Cosa sta succedendo là fuori?» Kahlan sapeva che, per il crimine di aver disturbato l'imperatore Jagang, Sorella Ulicia avrebbe presto avuto ulteriori ragioni per gemere. Jagang posò i piedi sul pavimento, a gambe divaricate sopra Kahlan sul tappeto accanto al suo letto. Guardò in basso di proposito, assicurandosi che, nella fioca luce della lanterna accesa sopra la cassapanca, lei lo vedesse nudo e in mostra sopra di lei. Soddisfatto della propria silenziosa, implicita minaccia, lui recuperò i suoi pantaloni da una sedia vicina. Saltellando da un piede all'altro, se li tirò su mentre andava verso la porta. Non si curò di indossare nient'altro. Si fermò davanti allo spesso tendaggio che copriva la porta e si voltò, piegando un dito verso Kahlan. Voleva tenerla d'occhio. Mentre lei si alzava in piedi, Jagang scostò il pesante telo che copriva la porta. Kahlan lanciò un'occhiata di lato e vide la più recente prigioniera, portata lì come premio per l'imperatore, rannicchiarsi nel letto, le coperte strette nei pugni sotto il suo mento. Come quasi tutti, la donna non vedeva Kahlan e la sera prima era stata già confusa e spaventata, quando Jagang aveva parlato al fantasma nella stanza con lui. Anche se quello era stato il minor motivo di paura per la donna, quella notte.
Kahlan avvertì una fitta di dolore percorrerle i nervi delle spalle e delle braccia, il sollecito di Jagang a non esitare a fare ciò che le veniva detto. Senza lasciargli vedere quanto faceva male, si affrettò a seguirlo. La vista che le si presentò nella stanza esterna la turbò. Sorella Ulicia si stava rotolando sul pavimento, le braccia che si dimenavano mentre biascicava parole incoerenti fra pianti e gemiti. Sorella Armina, curvata sopra la donna ai suoi piedi, si strascicava avanti e indietro, seguendo Sorella Ulicia che si contorceva sul pavimento, timorosa di toccare la donna, timorosa di non toccarla, timorosa di quale potesse essere il problema. Sembrava che volesse raccogliere Sorella Ulicia fra le braccia e calmarla, affinché non creasse uno scompiglio tale che avrebbe attirato l'attenzione dell'imperatore. Non si era resa conto che era ormai troppo tardi. Di solito, quando una delle due era in qualche sorta di agonia, si trattava di dolore inflitto da Jagang attraverso il suo controllo delle loro menti, ma in quel caso anch'egli se ne stava lì a osservare la strana scena, all'apparenza incerto di quale potesse essere la causa di un tale comportamento. Sorella Armina, già china sopra la donna che si dibatteva sul pavimento, improvvisamente notò l'imperatore Jagang e fece un inchino ancor più profondo. «Eccellenza, non so cosa ci sia che non va in lei. Sono spiacente che abbia disturbato il vostro sonno. Cercherò di farla tacere.» Jagang, come tiranno dei sogni, non aveva bisogno di parlare a coloro le cui menti erano suo dominio. La sua consapevolezza vagava a piacere fra i loro pensieri più intimi. Sorella Ulicia si agitava tutt'intorno e, dimenando selvaggiamente un braccio, ribaltò una sedia. Le guardie, che erano state selezionate appositamente perché erano le sole persone che potevano vedere e ricordare Kahlan, erano indietreggiate in un cerchio attorno alla donna che si contorceva. Erano state incaricate di accertarsi che Kahlan non si allontanasse senza Jagang. Le Sorelle non erano sotto la loro responsabilità. Altre guardie, l'elite personale di Jagang, enormi bruti tutti ricoperti di tatuaggi e borchie di metallo che perforavano la loro carne, se ne stavano ritti come statue sulla soglia della tenda. Il compito della guardia d'elite era far sì che nessuno entrasse senza essere stato invitato. Sembravano a malapena curiosi di quello che stava accadendo lì dentro. Rintanati negli angoli più scuri della vasta tenda, schiavi attendevano nelle ombre, sempre in silenzio, pronti a eseguire i voleri dell'imperatore. Anch'essi non avrebbero mostrato alcuna reazione, qualsiasi cosa fosse accaduta di fronte ai loro occhi. Erano lì per esaudire i capricci dell'imperato-
re e niente più. Era rischioso per chiunque di loro distinguersi in qualche maniera che attirasse attenzione. Le Sorelle, tutte incantatrici, erano le armi personali di Jagang, sua proprietà e contrassegnate come tali da anelli che attraversavano il labbro inferiore. Non erano responsabilità di nessuna delle guardie, a meno che non ricevessero ordini in proposito. Jagang avrebbe potuto tagliare la gola di Sorella Ulicia, o violentarla, o invitarla a prendere un tè, e la sua guardia d'elite non avrebbe battuto ciglio. Se l'imperatore avesse voluto del tè, gli schiavi sarebbero andati a prenderlo con deferenza. Se un sanguinoso assassinio fosse stato commesso proprio davanti ai loro occhi, avrebbero aspettato che avesse termine e poi, senza proferire parola, avrebbero rimesso a posto il disordine. Quando Sorella Ulicia urlò di nuovo, Kahlan si rese conto che non sembrava che la donna stesse soffrendo, come aveva pensato all'inizio. Sembrava più come se fosse... posseduta. Lo sguardo da incubo di Jagang passò in rassegna la dozzina di guardie. «Ha detto qualcosa?» «No, Eccellenza» disse una delle guardie speciali. Il resto dei soldati, quelli che potevano vedere Kahlan, scossero il capo in segno di accordo. La guardia d'elite dell'imperatore non si curava di uomini inferiori. «Cos'ha che non va?» chiese Jagang alla Sorella, che sembrava pronta a gettarsi a terra e strisciare ai suoi piedi. Sorella Armina trasalì alla rabbia nella sua voce. «Non ne ho proprio idea, Eccellenza, lo giuro.» Fece un gesto verso il lato opposto della stanza. «Stavo dormendo, in attesa di poter essere utile. Anche Sorella Ulicia era addormentata. Mi sono svegliata quando ho udito la sua voce. Pensavo che stesse parlando con me. «Cosa stava dicendo?» chiese Jagang. «Non sono riuscita a capirla, Eccellenza.» Kahlan si rese conto, allora, che Jagang non sapeva cosa aveva detto Sorella Ulicia. Lui sapeva sempre cosa le Sorelle dicevano, cosa pensavano, cosa stavano progettando. Era un tiranno dei sogni. Si aggirava nello scenario delle loro menti. Era sempre al corrente di tutto. E, nonostante ciò, non era al corrente di questo. O, suppose Kahlan, forse non voleva dire ad alta voce ciò che già sapeva. Gli piaceva mettere alla prova le persone in quel modo, ponendo domande di cui già conosceva la risposta. Era assai contrariato quando coglieva qualcuno in fallo. Solo il giorno prima era scoppiato in un impeto
d'ira e aveva strangolato a morte un nuovo schiavo che gli aveva mentito sul fatto di aver mangiato un boccone dal vassoio della cena per l'imperatore. Jagang, di corporatura molto muscolosa come qualunque membro della sua guardia d'onore, era riuscito a farlo con una sola potente mano attorno all'esile gola dell'uomo. Gli altri schiavi avevano atteso pazientemente finché l'imperatore non aveva terminato il tremendo assassinio e poi avevano trascinato via il corpo. Jagang allungò una mano e, chiudendola in un grosso pugno, tirò in piedi la Sorella per i capelli. «Cosa vuol dire tutto questo, Ulicia?» Gli occhi della donna rotearono, le sue labbra si mossero e la sua lingua vagò senza meta nella bocca aperta. Jagang la afferrò per le spalle e la scosse con violenza. La testa di Sorella Ulicia ballonzolò avanti e indietro. Kahlan pensò che le avrebbe potuto davvero rompere il collo. Sperava che l'avrebbe fatto: in quel modo lei avrebbe avuto una Sorella di meno di cui preoccuparsi. «Eccellenza,» disse Sorella Armina in tono confidenziale da discreto consiglio «ne abbiamo bisogno.» Quando l'imperatore le lanciò uno sguardo torvo, aggiunse: «Lei è la responsabile.» Jagang meditò sulle parole di Sorella Armina, non sembrava affatto contento, ma senza neanche controbattere. «Il primo giorno...» gemette Sorella Ulicia. Jagang la tirò più vicino a sé. «Il primo giorno cosa?» «Inverno... inverno... inverno» farfugliò Sorella Ulicia. Jagang si guardò attorno, lanciando uno sguardo minaccioso a coloro che si trovavano nella stanza, come chiedendo loro spiegazioni. Uno dei soldati sollevò un braccio, indicando la porta che conduceva fuori dall'imponente tenda. «È proprio l'alba, Eccellenza.» Jagang lo fissò con aria furiosa. «Cosa?» «Eccellenza, è proprio l'alba del primo giorno d'inverno.» Jagang lasciò andare Sorella Ulicia. Lei ricadde pesantemente sui tappeti che ricoprivano il pavimento. Lui fissò la porta. «È così.» Fuori, attraverso la sottile fenditura che si apriva da un lato della pesante copertura che pendeva sopra la porta, Kahlan riuscì a vedere le prime tracce di colore nel cielo. Poté vedere anche altri dell'onnipresente guardia d'elite che circondava sempre Jagang. Nessuno di loro poteva vedere Kahlan; erano del tutto ignari della sua presenza. Le guardie speciali dentro la tenda, quelle che erano sempre vicine, potevano vederla senza problemi, però.
Il loro compito era assicurarsi che lei non uscisse mai dalla tenda da sola. Sul pavimento Sorella Ulicia, come in trance, farfugliava: «Un anno, un anno, un anno.» «Un anno cosa?» urlò Jagang. Molte delle guardie più vicine indietreggiarono. Sorella Ulicia si mise a sedere. Cominciò a dondolarsi avanti e indietro. «Ricomincia. L'anno ricomincia. Ricomincia. Un anno. Deve ricominciare.» Jagang alzò lo sguardo verso l'altra Sorella. «Cosa va farneticando?» Sorella Armina allargò le mani. «Non sono sicura, Eccellenza.» Lo sguardo dell'imperatore si incupì. «Questa è una menzogna, Armina.» Sorella Armina, il suo viso che impallidiva, si umettò le labbra. «Quello che intendevo, Eccellenza, è che l'unica cosa che posso supporre è che si stia riferendo alle scatole. Lei è la responsabile, dopo tutto.» La bocca di Jagang si distorse per l'impazienza. «Ma sappiamo già che abbiamo un anno dal momento in cui Ulicia le ha messe in campo,» fece un rapido gesto della mano in direzione dell'altopiano sovrastante «proprio dopo che Kahlan le ha prese dal palazzo lassù.» «Nuovo responsabile!» urlò Sorella Ulicia, gli occhi chiusi, come per correggerlo. «Nuovo responsabile! L'anno ricomincia!» Alle sue parole Jagang sembrò sorpreso in modo autentico. Kahlan si chiese come il tiranno dei sogni potesse sorprendersi per una cosa del genere. Per qualche ragione, però, non sembrava in grado, almeno per il momento, di usare la sua capacità su Sorella Ulicia. A meno che non fosse semplicemente uno stratagemma. Jagang non rivelava sempre con esattezza cosa sapeva e cosa non sapeva. Kahlan non aveva mai provato la sensazione che potesse leggerle la mente, ma rimaneva sempre cauta, dato che poteva essere proprio ciò che lui voleva che pensasse. E se tutto il tempo lui avesse letto ogni suo pensiero? Tuttavia, lei non credeva che fosse così. Non riusciva a indicare esattamente cosa le faceva pensare che non fosse in grado di usare la sua capacità di tiranno dei sogni su di lei, ma era piuttosto un'impressione basata su molte piccole prove che si erano andate accumulando. «Com'è possibile che ci sia un nuovo responsabile?» chiese Jagang in un tono che fece impercettibilmente tremare Sorella Armina. Dovette deglutire due volte prima di essere in grado di parlare. «Eccellenza, non abbiamo... tutte e tre le scatole. Ne abbiamo solo due. C'è la ter-
za scatola, dopo tutto, quella che aveva Tovi.» «Intendi la scatola che è stata rubata perché voi, stupide cagne, avete inviato Tovi da sola piuttosto che lasciare che restasse con voi.» Era una collerica accusa, non una domanda. Sorella Armina, sull'orlo del panico, puntò un dito verso Kahlan. «È stata colpa sua! Se avesse fatto come le avevamo ordinato e avesse portato fuori le scatole tutte e tre assieme, saremmo state tutte unite e le avremmo tutte. Ma lei non le ha portate fuori tutte insieme. È colpa sua!» Sorella Ulicia aveva detto a Kahlan di nasconderle nel suo zaino e portarle fuori. Tutte non c'entravano, perciò lei prima ne aveva portato fuori una, con l'intenzione di tornare poi a prendere le altre. Sorella Ulicia non ne era stata contenta, per usare un eufemismo. Aveva percosso Kahlan a sangue fin quasi a ucciderla perché non era riuscita in qualche modo a fare l'impossibile e far entrare tutte e tre le scatole in uno zaino non abbastanza grande. Kahlan non si preoccupò di parlare in propria difesa. Rifiutò di abbassarsi per provare a ragionare con persone che non ascoltavano spiegazioni. Jagang si voltò appena a guardare Kahlan. Lei incontrò il suo sguardo con la sua totale compostezza. Lui tornò a girarsi verso Sorella Armina. «E dunque? Sorella Ulicia mette le scatole in campo. Questo rende lei la responsabile.» «Un altro responsabile!» gridò Sorella Ulicia dal pavimento, in mezzo a loro. «Due responsabili adesso! L'anno ricomincia! È impossibile!» Sorella Ulicia balzò in avanti. «Impossibile!» Non c'era nulla lì e le sue braccia afferrarono soltanto l'aria. Tornò a sedere pesantemente sul pavimento, respirando in modo affannoso. Si coprì la faccia con mani tremanti, come sopraffatta da ciò che era appena accaduto. Jagang si voltò, mentre rimuginava perso nei suoi pensieri. Può essere che siano in due ad avere entrambe le scatole in campo allo stesso tempo?, si chiese fra sé e sé. Gli occhi di Sorella Armina guizzarono attorno. Non sapeva se doveva provare a rispondere. Alla fine rimase in silenzio. Sorella Ulicia si sfregò gli occhi. «È svanito!» Jagang la guardò accigliato. «Chi è svanito?» «Non sono riuscita a vedere il suo volto.» Fece un gesto vago. «Era proprio lì a dirmelo, ma è svanito. Non so chi fosse, Eccellenza.» La donna sembrava turbata nel profondo.
«Cos'hai visto?» chiese Jagang. Come scossa da un improvviso colpo inatteso, scattò in piedi. I suoi occhi erano strabuzzati per il dolore. Del sangue colava da un orecchio. «Cos'hai visto?» ripeté Jagang. Kahlan lo aveva visto infliggere dolore alle Sorelle, in passato. Se fosse stato in grado o meno di essere nella mente di Sorella Ulicia prima, era chiaro che ora non aveva difficoltà a far sentire la sua presenza. «Era qualcuno...» disse Sorella Ulicia con un rantolo. «Qualcuno che si trovava proprio qui nella tenda, Eccellenza. Mi ha detto che c'era un nuovo responsabile, e per questo motivo l'anno doveva ricominciare.» Le sopracciglia di Jagang erano contratte all'ingiù in uno stretto nodo. «Un nuovo responsabile per il potere dell'Orden?» Sorella Ulicia annuì, come se temesse di ammetterlo. «Sì, Eccellenza. Anche qualcun altro ha messo in campo le scatole dell'Orden. Siamo stati avvisati che l'anno deve ricominciare. Ora abbiamo un anno da oggi, il primo giorno d'inverno.» Apparentemente perso nei suoi pensieri, Jagang si diresse verso la porta. Due membri della guardia d'elite scostarono i doppi tendaggi, permettendo all'imperatore di passare attraverso l'apertura senza fermarsi. Kahlan, sapendo che, se non fosse stata a breve distanza, avrebbe sentito istantaneamente una fitta di dolore, lo seguì prima che lui glielo ricordasse. Dietro di lei, Ulicia e Armina si affrettarono a mantenere il passo. Gli omoni della guardia d'elite fuori dalla tenda si fecero indietro con disinvoltura, lasciando passare l'imperatore. Gli altri soldati, la guardia speciale di Kahlan, marciarono a poca distanza da loro. In piedi subito dietro Jagang nella fredda aurora, Kahlan si sfregò le braccia, cercando di riscaldarsi un poco. Un muro di nubi scure incombeva a ovest. Perfino nel lezzo dell'accampamento poteva percepire l'odore che la pioggia portava nell'aria umida. Le nuvolette che volavano verso est erano macchiate di rosso sangue nell'alba del primo giorno d'inverno. Jagang se ne stava ritto in silenzio, esaminando l'immenso altopiano in lontananza. In cima a quell'elevato tavoliere c'era il Palazzo del Popolo. Per quanto fosse di certo un palazzo, era incredibilmente vasto. Era anche una città, in effetti, una città dove aveva sede il potere di tutto il D'Hara. Quella città si ergeva come l'ultimo residuo di resistenza alla brama dell'Ordine Imperiale di dominare il mondo e imporre le loro credenze sull'umanità. L'esercito dell'Ordine si era sparso come un velenoso mare nero da una parte all'altra della piana di Azrith attorno all'altopiano, la-
sciandola isolata da ogni speranza di soccorso o salvezza. I primi di raggi di luce stavano appena toccando il palazzo in lontananza, facendo rifulgere nell'alba le mura, le colonne e le torri di marmo di una luce dorata. Era una vista talmente bella da mozzare il fiato. In tutte queste persone dell'Ordine, però, la vista del palazzo, tanto bello ma non toccato dalle loro mani lascive, ispirava soltanto gelosia e odio. Bramavano la distruzione del palazzo, desideravano spazzar via del tutto tale grandiosità, per assicurare che l'uomo non aspirasse mai più a tale valore. Kahlan era stata in quel palazzo, il palazzo di lord Rahl, quando le quattro Sorelle l'avevano costretta a farle rubare le scatole dal Giardino della Vita. Lo splendore di quel posto era maestoso. Kahlan aveva odiato sottrarre quelle scatole dal giardino di lord Rahl. Non appartenevano alle Sorelle e, peggio ancora, queste erano guidate da un intento malvagio. Su quell'altare dove erano posate, Kahlan aveva lasciato il suo oggetto più prezioso al loro posto. Si trattava di una statuetta di donna, la testa gettata all'indietro, i pugni sui fianchi, la schiena inarcata come se si stesse opponendo a una forza che cercava di soggiogarla. Kahlan non riusciva a immaginare dove potesse aver preso una cosa tanto bella. Era affranta per aver lasciato lì quella statuetta, ma aveva dovuto farlo affinché le ultime due scatole entrassero nel suo zaino. Se non l'avesse fatto, Sorella Ulicia l'avrebbe uccisa. Per quanto amasse quella statuetta, teneva di più alla sua vita. Sperava che lord Rahl, quando l'avesse vista, avrebbe in qualche modo capito che le spiaceva aver preso ciò che era suo. Poi Jagang aveva catturato le Sorelle ed era entrato in possesso delle sinistre scatole nere. Due di esse, perlomeno. Sorella Tovi era andata avanti con la prima delle tre scatole. Era morta e la scatola che aveva era stata perduta. Kahlan aveva ucciso Sorella Cecilia. Perciò delle sue quattro carceriere originarie rimanevano Ulicia e Armina. Di certo, Jagang aveva altre Sorelle sotto il proprio controllo. «Chi potrebbe mettere in campo una scatola?» chiese Jagang, lo sguardo fisso in lontananza verso il palazzo in cima all'altopiano. Non era del tutto chiaro se stesse ponendo una domanda alle Sorelle o se stesse semplicemente pensando ad alta voce. Le Sorelle si scambiarono un'occhiata. Le guardie dell'elite erano ritte come sentinelle di pietra. Le guardie speciali marciavano lentamente avanti e indietro, quella più vicina che controllava Kahlan, rivolgendole un'occhiata compiaciuta, di superiorità, ogni volta che si voltava per marciare nella direzione opposta. Kahlan conosceva quell'uomo, conosceva le sue
abitudini. Era una delle guardie meno intelligenti, in cui l'arroganza rimpiazzava la competenza. «Be',» disse infine Sorella Ulicia nello scomodo silenzio «ci vorrebbe qualcuno con entrambi gli aspetti del dono: Magia sia Aggiuntiva sia Detrattiva.» «A parte le Sorelle dell'Oscurità che avete qui, Eccellenza» aggiunse Sorella Armina «non so chi potrebbe realizzare una tale impresa.» Jagang lanciò uno sguardo voltandosi appena. Il soldato non era l'unico che nutriva uno sciocco atteggiamento di arrogante superiorità. Jagang era molto più intelligente di Sorella Armina; era lei a non essere abbastanza acuta da saperlo. Era, però, abbastanza accorta da riconoscere lo sguardo negli occhi di Jagang, quello sguardo che diceva di sapere che lei stava mentendo. Si fece piccola per la paura, momentaneamente ridotta al silenzio dall'occhiata furiosa dell'imperatore. Sorella Ulicia, anche lei di gran lunga più intelligente di Sorella Armina, si rese conto rapidamente del pericolo di quella situazione e parlò. «Potrebbe trattarsi solo di un paio di persone, Eccellenza.» «Dev'essere stato Richard Rahl» Sorella Armina si affrettò a inserirsi, desiderosa di redimersi. «Richard Rahl» ripeté Jagang in un piatto tono di freddo odio. Non sembrava neanche minimamente sorpreso dall'ipotesi della Sorella. Sorella Ulicia si schiarì la gola. «O Sorella Nicci. È l'unica Sorella non in vostro potere che sia in grado di adoperare la Magia Detrattiva.» Lo sguardo irato di Jagang rimase fisso su di lei per un momento, prima di tornare infine a esaminare il Palazzo del Popolo, ora illuminato dal sole tanto da risplendere come un faro sopra la piana scura. «Sorella Nicci sa tutto ciò che voi stupide cagne sapete» dichiarò infine. Sorella Armina sbatté le palpebre per la sorpresa. Non poté fare a meno di parlare. «Com'è possibile, Eccellenza?» Jagang serrò le grosse mani dietro le proprie spalle. La schiena e il collo, così muscolosi, sembravano più quelli di un toro piuttosto che quelli di un uomo. Peli scuri e ricci non facevano altro che confermare quell'impressione. La sua testa rasata lo faceva sembrare ancora più minaccioso. «Nicci era con Tovi quando è morta,» disse Jagang «dopo essere stata accoltellata e derubata della scatola. Era da moltissimo tempo che non incontravo Nicci. Fui sorpreso di vederla comparire così all'improvviso. Io ero lì, nella mente di Tovi, a osservare tutto quanto. Tovi non sapeva della mia presenza, però, allo stesso modo in cui voi due non lo sapevate, nem-
meno Nicci sapeva che ero lì. «Nicci interrogò Tovi, utilizzando l'atroce ferita della donna per spingerla a rivelare il tuo piano, Ulicia. Raccontò a Tovi una storiella su come desiderava che potesse sfuggire al mio controllo e con quella menzogna si guadagnò la sua fiducia. Tovi le disse tutto: l'incantesimo della Catena di fuoco che avevate attivato, le scatole che avevate rubato con l'aiuto di Kahlan, come quelle siano predisposte a operare in congiunzione con l'incantesimo della Catena di fuoco... tutto quanto.» Sorella Ulicia sembrava più pallida ogni attimo che passava. «Allora potrebbe davvero essere stata Nicci a far questo. Dev'essere l'uno o l'altra.» «Oppure Nicci e Richard Rahl assieme» suggerì Sorella Armina. Jagang non disse nulla mentre fissava il palazzo. Sorella Ulicia si piegò in avanti lievemente. «Se posso chiedere, Eccellenza, come mai non siete in grado di... be', perché Nicci non è qui, con voi?» Gli occhi completamente neri di Jagang si voltarono verso la donna. Forme nebulose mutavano in quegli occhi neri come l'inchiostro, come una tempesta che si addensa. «Lei era con me. Se n'è andata. A differenza del vostro goffo e ipocrita tentativo di schermare le vostre menti da me grazie al legame con lord Rahl, per Nicci ha funzionato. Per ragioni che non riesco minimamente a comprendere, lei era sincera, perciò ha funzionato. Ha abbandonato ogni cosa per cui aveva lavorato nella sua intera vita: ha sacrificato il suo dovere morale!» Roteò le spalle, riavvolgendosi di nuovo attorno il manto di calma autorità. «Il legame ha funzionato per Nicci. Non posso più entrare nella sua mente.» Sorella Armina rimase immobile, con qualcosa di più che semplice timore di quell'uomo: era sconcertata da ciò che aveva appena udito. Sorella Ulicia annuì fra sé, rievocando i propri ricordi, «Immagino che, ripensandoci, non sia una sorpresa. Suppongo di aver sempre saputo che amava Richard. Non ha mai detto una parola a noi, naturalmente, alle altre Sorelle dell'Oscurità, ma quando eravamo al Palazzo dei Profeti ha sacrificato molto, cose che non avrei mai immaginato che sacrificasse, solo affinché la nominassi una delle sue sei insegnanti. «Il prezzo che pagò per quell'opportunità mi rese sospettosa delle sue motivazioni. Un paio delle altre erano spinte dalla cupidigia. Volevano semplicemente assorbire il dono da quell'uomo, averlo per sé stesse. Ma
non Nicci. Non era quello a cui mirava. Così la tenni d'occhio. «Non lo diede mai a vedere - dolci spiriti, non penso che lei stessa ne fosse consapevole, allora - ma c'era una luce nei suoi occhi. Era innamorata di lui. Non lo compresi mai per davvero, allora, probabilmente perché sembrava così sicura del suo odio verso quell'uomo e tutto ciò che rappresentava, ma era innamorata di Richard Rahl. Anche allora, ne era innamorata.» Jagang si era fatto cremisi. Persa nei suoi ricordi, Sorella Ulicia non si era accorta della sua rabbia muta. Armina toccò di nascosto il braccio della donna per avvertirla. Ulicia alzò gli occhi, quando vide lo sguardo sul volto dell'imperatore, sbiancò e cambiò immediatamente argomento. «Come dicevo, non affermò mai nulla del genere, perciò forse me lo sto solo immaginando. In realtà, ora che ci penso, ne sono sicura. Odiava quell'uomo. Lo voleva morto. Odiava ogni cosa che lui rappresentava. Lo odiava. Chiaro come il sole. Lo odiava.» Sorella Ulicia chiuse la bocca, costringendosi visibilmente a smettere di farneticare. «Le ho dato tutto.» La voce di Jagang rombò come un tuono represso. «L'ho trattata come una regina. Come Jagang il Giusto, le ho conferito l'autorità di essere il braccio della Fratellanza dell'Ordine. Coloro che si opponevano alla retta via dell'Ordine, arrivavano a conoscerla come l'Amante della Morte. Fu in grado di realizzare quella virtuosa vocazione solo grazie alla mia generosità. Sono stato sciocco a darle così tanta libertà. Mi ha tradito. Mi ha tradito per lui.» Kahlan non pensava che avrebbe mai visto Jagang in preda a una tale, rovente gelosia, ma era ciò che stava accadendo in quel momento. Era un uomo che prendeva ciò che voleva. Non era abituato a vedersi negare qualcosa. A quanto pareva, non poteva avere questa Nicci. A quanto pareva, il cuore di lei apparteneva a Richard Rahl. Kahlan ricacciò indietro i suoi stessi confusi sentimenti su Richard Rahl, un uomo che non aveva mai incontrato, e fissò le sue guardie che marciavano avanti e indietro. «Ma la avrò ancora.» Jagang sollevò un pugno. Muscolosi legamenti risaltarono sul suo braccio mentre il pugno si stringeva. Le vene sulle sue tempie si gonfiarono. «Presto o tardi schiaccerò l'immorale resistenza offerta da Richard Rahl e poi mi occuperò di Nicci. Pagherà per le sue azioni peccaminose.» Kahlan e questa Nicci avevano qualcosa in comune. Se Jagang avesse
mai messo le mani su Nicci, Kahlan sapeva che avrebbe terribilmente torturato anche lei. «E le scatole dell'Orden, Eccellenza?» chiese Sorella Ulicia. Il braccio ricadde. Lui le rivolse un sorriso sinistro. «Mia cara, non importa se uno di loro è riuscito in qualche modo a mettere le scatole dell'Orden in campo. Non servirà a nulla.» Indicò Kahlan. «Io ho lei. Ho ciò di cui abbiamo bisogno per mettere il potere dell'Orden a disposizione della causa della Fratellanza dell'Ordine. «Abbiamo la giustizia dalla nostra parte. Il Creatore è al nostro fianco. Quando libereremo il potere dell'Orden, spazzeremo via la blasfemia della magia dal mondo. Faremo inchinare tutti gli uomini davanti agli insegnamenti dell'Ordine. Tutti quanti si sottometteranno alla giustizia divina e osserveranno un'unica fede. «Sarà una nuova alba per l'umanità, l'alba dell'era degli uomini non corrotti dalla magia. Tutti quanti si rallegreranno di essere parte della gloria che è la causa dell'Ordine. In quel nuovo mondo degli uomini, tutti saranno uguali. Tutti potranno dedicarsi al servizio dei propri fratelli, come vuole il Creatore.» «Sì, Eccellenza» disse Sorella Armina, desiderosa di trovare un varco attraverso il quale strisciare di nuovo nelle sue grazie. «Eccellenza,» azzardò Sorella Ulicia «come ho spiegato prima, nonostante abbiamo molti degli elementi richiesti, come avete correttamente rilevato, dobbiamo ancora entrare in possesso di tutte e tre le scatole se vogliamo riuscire nell'intento di accedere al potere dell'Orden per la causa della Fratellanza dell'Ordine. Abbiamo ancora bisogno di quella terza scatola.» Il sinistro ghigno dell'uomo ritornò. «Come ti ho detto, ero lì nella mente di Tovi. Potrei avere un'idea su chi sia il responsabile del furto.» Ulicia e Armina sembrarono non solo sorprese, ma curiose. «Davvero, Eccellenza?» chiese Sorella Armina. Lui annuì. «Il mio consigliere spirituale, Fratello Narev, aveva un'amica con cui faceva affari di tanto in tanto. Sospetto che possa essere coinvolta.» Sorella Ulicia parve scettica. «Pensate che un'amica della Fratellanza dell'Ordine possa essere coinvolta?» «No, non ho detto un'amica della Fratellanza. Ho detto un'amica di Fratello Narev. Una donna con cui anch'io ho trattato in alcune occasioni in passato, per conto di Fratello Narev. Penso che possiate aver sentito parla-
re di lei.» Jagang inarcò un sopracciglio verso la donna. «Si fa chiamare Sei.» Sorella Armina rimase senza fiato e si fece rigida. Sorella Ulicia spalancò gli occhi e restò a bocca aperta. «Sei... Eccellenza, di certo non intendete Sei, la strega?» Jagang parve compiaciuto dalla reazione. «Ah, dunque la conoscete.» «Le nostre strade si sono incrociate, una volta. Abbiamo parlato, per così dire. Non è stata quella che definirei una piacevole conversazione. Eccellenza, nessuno può trattare con quella donna.» «Be', vedi Ulicia, questo è solo un altro campo in cui io e te differiamo. Tu non hai nulla di valore da offrirle, tranne la tua smidollata carcassa da dare in pasto alle belve che lei tiene nella sua tana: hanno una predilezione per la carne umana. Io, d'altro canto, sono in possesso di ciò di cui quella donna ha bisogno e che desidera. Sono nella posizione di concederle il tipo di soddisfazioni che cerca. A differenza di te, Ulicia, io posso trattare con lei.» «Ma se Richard Rahl o Nicci hanno messo in campo la scatola, questo può solo voler dire che ora ne sono in possesso» disse Sorella Ulicia. «Perciò, anche se Sei ha davvero avuto la scatola dopo Tovi, ora è fuori dalla sua portata.» «Dunque pensi che una tale donna possa abbandonare i suoi cocenti desideri? Tutto ciò cui aspira?» Jagang scosse la testa. «No, non si addice a Sei che i suoi piani vengano... interrotti. Sei è una donna che non accetta rifiuti. Non tratta molto gentilmente chiunque gli metta i bastoni fra le ruote. Dico bene, Ulicia?» Sorella Ulicia deglutì prima di annuire. «Mi aspetto che una donna col suo oscuro talento e la sua incontenibile determinazione non si darà pace finché non avrà corretto l'ingiustizia, e allora dovrà fare i conti con l'Ordine. Dunque, vedete, ho tutto quanto sotto controllo. Che uno di quei due criminali, Nicci o Richard Rahl, abbia messo in campo quella scatola, non significherà nulla, alla fine. L'Ordine prevarrà.» Sorella Ulicia, le sue dita intrecciate strette per impedire che tremassero fin dal primo momento in cui aveva udito il nome Sei, chinò il capo. «Sì, Eccellenza. Sono convinta che abbiate davvero tutto quanto sotto controllo.» Jagang, vedendo il suo atteggiamento sconfitto, schioccò le dita rivolgendo la sua attenzione verso uno degli schiavi a torso nudo che stavano
dietro, accanto all'ingresso della tenda reale. «Ho fame. Il torneo di Ja'La comincia oggi. Voglio un pasto sostanzioso prima di andare ad assistere alle partite.» L'uomo s'inchinò profondamente fino alla cintola. «Sì, Eccellenza. Provvederò subito.» Dopo che questi fu corso via per provvedere al compito, Jagang fece spaziare lo sguardo sul mare di uomini. «Per ora i nostri valorosi guerrieri hanno bisogno di un diversivo dalla loro difficile attività. Una delle squadre là fuori vincerà un'opportunità di giocare contro i miei uomini. Speriamo che quella che otterrà questo diritto sia abbastanza brava da obbligare la mia squadra a fare una sudata prima di batterla. «Sì, Eccellenza» dissero le Sorelle assieme. Jagang, all'apparenza annoiato dal loro servilismo, fece un gesto verso una delle guardie speciali mentre l'uomo gli marciava accanto. «Lei ti ucciderà per primo.» L'uomo rimase immobile, il panico nei suoi occhi. «Eccellenza?» Jagang inclinò la testa per indicare Kahlan appena dietro di lui e alla sua destra. «Lei ti ucciderà per primo, e te lo meriti.» L'uomo reclinò la testa in atteggiamento deferente. «Non capisco, Eccellenza.» «Certo che no: sei stupido. Lei conta i tuoi passi. Fai ogni volta lo stesso numero di passi prima di voltarti a marciare nella direzione opposta. Ogni volta che ti giri, la guardi per controllarla, poi marci via. «Lei ha contato i tuoi passi. Quando sarà il momento di voltarti, lei non avrà bisogno di guardare nella tua direzione poiché sa esattamente quando ti girerai. Sa che, proprio prima di voltarti, la controllerai e la vedrai guardare nell'altra direzione. Questo ti metterà a tuo agio. «Quando marci verso di noi da destra e ti giri, fai perno sullo stesso lato ogni volta: sulla tua destra. Ogni volta che ti giri, il coltello alla tua cintura sopra la tua anca destra è sul fianco più vicino a lei.» L'uomo abbassò lo sguardo verso il coltello alla sua cintura. Lo coprì con una mano con fare protettivo. «Ma, Eccellenza, io non le lascerei prendere il mio coltello. Lo giuro. La fermerei.» «Fermarla?» Jagang sbottò in una breve risata. «Lei sa di essere a solo due falcate dal punto in cui ti giri, due falcate dallo strappare il tuo coltello dal fodero.» Schioccò le dita. «In un attimo, avrà il tuo coltello. Probabilmente non te ne renderai neanche conto, prima di morire.» «Ma io...»
«Tu guarderai per controllarla, la vedrai guardare in un'altra direzione, poi ti volterai. Per quando avrai fatto il tuo terzo passo, lei avrà il tuo coltello. Allora ci vorrà solo un istante prima che lei conficchi la lama in tutta la sua lunghezza nel tuo tenero rene destro. Sarai morto prima di sapere cosa ti ha colpito.» Nonostante il freddo, il sudore imperlava la fronte dell'uomo. Jagang lanciò un'occhiata all'indietro verso Kahlan. Lei gli rivolse solo un'espressione vuota, priva di qualsiasi emozione. Jagang aveva torto. L'uomo sarebbe morto per secondo. Era stupido, proprio come Jagang aveva detto. Gli uomini stupidi erano facili da uccidere. Era più difficile uccidere uomini accorti, sempre in allerta. Kahlan conosceva ognuna delle sue guardie speciali. Si era presa la briga di imparare tutto ciò che poteva su ognuno di loro. L'altro uomo che marciava davanti alla tenda era uno dei più svegli. Dovunque fosse, lei analizzava sempre la situazione e visualizzava come avrebbe potuto mettere in pratica un tentativo di fuga. Non era né il tempo né il luogo, ma ci aveva pensato comunque. Non avrebbe ucciso quello stupido per primo, ma avrebbe preso il suo coltello, proprio come aveva detto Jagang. Poi si sarebbe rivolta verso quello sveglio poiché era più guardingo e la sua reazione di gran lunga più rapida. Il compito delle guardie speciali era impedire che lei fuggisse: non erano autorizzati a usare una forza letale contro di lei. Quando quello sveglio si fosse diretto nella sua direzione per affrontarla, lei avrebbe già avuto il coltello e avrebbe utilizzato lo slancio del loro avvicinamento per piroettare verso di lui e squarciargli la gola. Poi avrebbe scansato il suo peso morto con un passo alla sinistra di lui, si sarebbe girata su sé stessa e avrebbe conficcato il coltello nel rene di quello stupido, proprio come Jagang aveva ipotizzato. «Ci avete proprio visto giusto» disse Kahlan all'imperatore in tono piatto. «Ben fatto.» L'occhio sinistro di lui si contrasse in modo quasi impercettibile. Non sapeva se lei stesse dicendo la verità o se stesse mentendo. 4 «Sai cosa accade se spezzi il sigillo su quelle porte?» chiese Cara. Zedd lanciò uno sguardo verso la donna, voltandosi appena. «Devo forse ricordarti che sono il Primo Mago?»
Cara gli restituì lo stesso sguardo torvo. «Be', scusami. Sapete cosa accadrà se spezzerete il sigillo su quelle porte, Primo Mago Zorander?» Zedd si raddrizzò. «Non è quello che intendevo.» La donna lo stava ancora guardando storto. «Non hai risposto alla mia domanda.» Se c'era una costante nelle Mord-Sith è che non gradivano fare domande e ricevere risposte evasive. Non lo gradivano per niente. Le rendeva scontrose. Di norma, Zedd reputava saggio non dar motivo alle Mord-Sith di essere scontrose, ma d'altro canto a lui non piaceva essere importunato quando stava facendo qualcosa d'importante. Questo lo rendeva scontroso. «Perché Richard ti sopporta?» Lo sguardo di Cara si fece solo più arcigno. «Non ho mai dato scelta a lord Rahl. Ora, rispondi alla mia domanda. Sai cosa accade se spezzi il sigillo su quelle porte?» Zedd piantò i pugni contro i fianchi. «Non ritieni che io conosca una cosa o due sulla magia?» «Lo pensavo, ma sto cominciando ad avere i miei dubbi.» «Oh, dunque pensi di saperne più di me?» «So che la magia è fonte di guai. Sembra che in questo caso ne sappia decisamente più di te. So che non è il caso di forzare un sigillo di questo tipo. Nicci avrebbe schermato questa porta solo per una buona ragione. Non credo che sia terribilmente saggio, Primo Mago, forzare il suo schermo senza sapere perché si trova lì.» «Be', penso di sapere una cosa o due su sigilli, schermi e cose del genere.» Cara sollevò un sopracciglio. «Zedd, Nicci può adoperare la Magia Detrattiva.» Zedd lanciò un'occhiata alla porta, poi tornò a guardare Cara. Dal modo in cui era piegata sopra di lui, pensava che, se avesse deciso che era il caso di farlo, avrebbe potuto proprio afferrarlo per il colletto e trascinarlo via dalle porte rivestite di ottone. «Suppongo che quello che dici abbia un senso.» Lui sollevò un dito. «Ma d'altro canto posso avvertire che sta accadendo qualcosa di serio lì dentro... qualcosa di decisamente sinistro.» Cara sospirò e i suoi occhi azzurri abbandonarono lo sguardo torvo da Mord-Sith. Lei si raddrizzò, facendo scorrere la sua lunga treccia bionda nel pugno allentato mentre controllava il corridoio da entrambi i lati. Si gettò la treccia di nuovo sulla spalla. «Non so, Zedd. Se fossi una
stanza e avessi chiuso a chiave la porta, l'avrei fatto per una buona ragione e non mi piacerebbe che tu forzassi la serratura. Nicci non mi ha permesso di stare con lei... e non mi ha mai chiesto prima di lasciarla sola in tal modo. Non volevo lasciarla entrare là dentro senza di me, ma lei ha insistito. «Era in uno di quei suoi atteggiamenti taciturni e paurosi. Le è accaduto spesso, di recente.» Zedd sospirò. «Proprio così. Ma non senza una buona ragione. Dolci spiriti, Cara, siamo tutti di cattivo umore, ultimamente, e abbiamo tutti delle buone ragioni.» Cara annuì. «Nicci ha detto che aveva bisogno di star sola. Le ho risposto che non mi importava e che avevo intenzione di rimanere con lei. «Non so cosa ci sia in lei, ma alle volte, quando dice di fare qualcosa, d'improvviso ti ritrovi a farla. Con lord Rahl è lo stesso. Non presto spesso molta attenzione ai suoi ordini - dopo tutto, so meglio di lui come proteggerlo - ma talvolta dice qualcosa in quel modo e ti ritrovi a fare proprio come ha chiesto. Non ho mai capito come ci riesca. Con Nicci è lo stesso. Hanno entrambi la strana capacità di farti fare quello che desiderano, e non alzano nemmeno la voce. «Nicci ha detto che aveva a che fare con la magia, con un tono che rendeva chiaro che voleva star sola. La cosa successiva che ricordo è di averle detto che avrei aspettato qui fuori, in caso le servisse qualcosa.» Zedd inclinò la testa verso la donna, rivolgendole uno sguardo da sotto le sopracciglia cespugliose. «Credo che questo abbia qualcosa a che fare con Richard.» Il suo sguardo arcigno da Mord-Sith tornò in un istante. Zedd poteva vedere i suoi muscoli contrarsi sotto il suo cuoio rosso. «Cosa vuoi dire?» «Come hai detto, si stava comportando in modo piuttosto strano. Mi ha chiesto se affiderei a Richard la vita di tutti.» Cara lo fissò per un momento. «A me ha chiesto esattamente la stessa cosa.» «Questo mi ha roso come un tarlo, e ho rimuginato su cosa volesse dire.» Zedd agitò un lungo dito verso la porta. «Cara, è lì dentro con quella cosa... con quella scatola dell'Orden. Posso sentirlo.» Cara annuì. «Be', su questo hai ragione. L'ho vista lì dentro proprio prima che chiudesse la porta.» Zedd scostò via dal volto un ciuffo ribelle di capelli bianchi. «In parte è per questo che penso che ciò abbia qualcosa a che fare con Richard. Cara,
non attraverso a cuor leggero questo genere di sigilli, ma ritengo che sia importante.» Cara sospirò per la rassegnazione. «D'accordo.» La sua bocca si contorse per il malcontento di acconsentire al suo piano. «Se ti stacca la testa a morsi suppongo di potertela ricucire.» Zedd sorrise mentre si arrotolava le maniche. Inspirando profondamente, si chinò nuovamente per cercare di sciogliere il sigillo che Nicci aveva intrecciato con la magia attorno alla leva. Le immense porte rivestite d'ottone erano coperte di simboli scolpiti, specifici per il campo di contenimento in quella parte del Mastio. Un posto del genere era già rafforzato contro le manomissioni e schermato contro ingressi accidentali, ma lui era cresciuto nel Mastio e sapeva come funzionavano i vari elementi di quel posto. Conosceva anche la maggior parte dei trucchi associati a tali elementi. Questo particolare schermo era infido poiché, essendo un campo di contenimento per ciò che si trovava all'interno, aveva due strati. Fece scivolare gentilmente le prime tre dita della sua mano sinistra sopra l'area di convergenza. Ciò fece formicolare il nervo nel suo braccio sinistro fino al gomito... non un buon segno. Nicci aveva aggiunto qualcosa al campo, personalizzando uno schermo che avrebbe dovuto essere generico. Zedd stava cominciando a pensare che Cara sapesse più di quanto gli avesse dato a intendere. Questo era uno schermo che sembrava rispondere in un modo particolare all'applicazione di una forza. Si soffermò per un momento a riflettere. Avrebbe dovuto ottenere ciò che voleva senza applicare una forza che scatenasse quella reazione. Fece scivolare con cautela un sottile filamento di innocente nulla attraverso l'intreccio. Con la mano destra, allentò l'ingarbugliata delimitazione di potere, in modo che l'intero groviglio cominciasse a sciogliersi. Sapeva fin troppo bene che non sarebbe stato di alcuna utilità cercare di spezzare semplicemente il sigillo, poiché il campo di contenimento era costruito in modo tale che quella forza l'avrebbe solo serrato in modo più saldo. Nicci, a quanto pareva, aveva aggiunto un effetto moltiplicativo a quella particolarità. Se avesse applicato troppa forza, lo schermo si sarebbe semplicemente rafforzato, come tirare i capi di una corda annodata. Se fosse accaduto, non sarebbe più riuscito a disfarlo. In aggiunta a questo, Cara aveva ragione: Nicci disponeva di Magia Detrattiva e nessuno poteva dire quali elementi di tale sinistra facoltà potesse
aver intrecciato nella trama per impedire che il sigillo interno venisse incrinato. Zedd non gradiva l'idea di infilare a forza la mano nella serratura, per così dire, solo per scoprire che l'aveva immersa proprio dentro a un calderone di piombo fuso. Era molto meno rischioso cercare di disfare il nodo di magia che cercare di farlo a pezzi. Tali difficoltà resero soltanto Zedd ancor più determinato nell'intenzione di trovare un modo per passare. Era un suo tratto distintivo che nel lontano passato aveva reso suo padre irritabile, specialmente se si trattava di uno schermo che aveva costruito specificamente per tenere alla larga quell'impiccione di suo figlio. La lingua di Zedd spuntò dall'angolo sinistro della sua bocca mentre lavorava per farsi strada attraverso la struttura dello schermo. Era già arrivato più avanti di dove si era aspettato di giungere nei tempi previsti. Protese l'invisibile sonda di potere attraverso i filamenti interni per poterlo controllare dall'interno. E poi, anche se era stato attento oltre misura, l'intreccio dello schermo si rinsaldò, rompendo con un colpo secco l'intrusione della magia. Era come se l'avesse indirizzato in una trappola. Zedd rimase incurvato davanti alle porte rivestite d'ottone, sorpreso che uno schermo potesse reagire a quel modo. Dopo tutto lui non stava ancora cercando di incrinarlo, ma solo sondando i suoi filamenti interni... dando un'occhiata nella toppa, in un certo senso. Aveva fatto questo genere di cose un'infinità di volte prima. Aveva sempre funzionato. Avrebbe dovuto farlo anche stavolta. Era lo schermo più complesso che avesse mai incontrato. Era ancora chinato sopra la leva, ponderando la sua prossima mossa, quando la porta si aprì verso l'interno. Zedd roteò un poco il capo, rivolgendo uno sguardo in alto. Nicci, una mano sopra la leva interna, l'altra sul fianco, torreggiava sopra di lui. «Hai mai pensato di bussare?» chiese. Zedd si raddrizzò, sospettando di essere arrossito, anche se sperava che non fosse così. «Be', in realtà, l'avevo preso in considerazione, ma poi ho scartato l'idea. Pensavo che forse avevi lavorato fino a tardi su quel libro e potevi già dormire. Non volevo disturbarti.» I suoi capelli biondi le ricadevano sopra le spalle sulla veste nera, un abito che si stringeva contro ogni curva delle sue forme perfette. Anche se pareva che non avesse dormito nemmeno un attimo in tutta la notte, i suoi occhi azzurri erano penetranti quanto quelli di ogni incantatrice che aveva
incontrato. La combinazione di affascinante bellezza, distaccato contegno e acuto intelletto, per non parlare del fatto che possedeva abbastanza potere da ridurre pressoché chiunque in cenere, la rendeva allo stesso tempo disarmante e intimidatoria. «Se fossi stata addormentata,» disse Nicci nella sua voce calma e morbida «come avrei potuto non essere svegliata da un tentativo di effrazione attraverso un campo di contenimento protetto da uno schermo evocato da istruzioni di un libro di tremila anni e munito di controsigilli Detrattivi?» Il livello di preoccupazione di Zedd crebbe. Tali schermi non venivano creati alla leggera, non certo per fare un sonnellino. Allargò le mani. «Volevo solo dare un'occhiata per controllare che stessi bene.» Il suo sguardo freddo lo stava facendo cominciare a sudare. «Ho passato moltissimo tempo al Palazzo dei Profeti a insegnare a maghi in erba come comportarsi e come esercitare i propri poteri. So fare schermi che non possono essere scassinati. Come Sorella dell'Oscurità, è qualcosa su cui ho fatto molta pratica.» «Davvero? Mi interesserebbe davvero apprendere di questi schermi arcani... da un punto di vista strettamente professionale, s'intende. Queste cose sono una sorta di mio... passatempo.» Lei aveva ancora una mano sulla maniglia della porta. «Cos'è che vuoi, Zedd?» Zedd si schiarì la gola. «Be', a essere sincero, Nicci, ero preoccupato di ciò che succedeva lì dentro con quella scatola.» Nicci finalmente sorrise appena un poco. «Ah. Per qualche motivo non pensavo che sperassi di trovarmi a saltellare in giro nuda.» Fece un passo indietro nella biblioteca, un implicito permesso di entrare. Era una stanza immensa, con vetrate alte due piani che correvano lungo l'intera parete opposta. Pesanti drappeggi verde scuro con una frangia dorata si ergevano con colonne di mogano lucidato alte due piani fra ciascuna delle finestre, ognuna di queste fatta di centinaia di spessi quadrati di vetro. Perfino la luce dell'aurora che si riversava attraverso quelle finestre non era sufficiente a scacciare la cupa atmosfera dalla stanza. Alcune delle lastre di vetro refrattario che componevano le finestre, che erano parte del campo di contenimento in questa sezione del Mastio, erano state rotte nel corso di un'inattesa battaglia quando Richard era stato lì. Nicci aveva invocato il fulmine attraverso quelle finestre per obliterare la bestia del mondo sotterraneo che aveva attaccato Richard. Quando le avevano chiesto come era stata in grado di persuadere il fulmine a compiere il
suo volere, lei aveva scrollato le spalle e aveva detto semplicemente che aveva creato un vuoto che il fulmine doveva riempire, perciò era stato costretto a farlo. Zedd comprendeva il principio, ma non riusciva a immaginare come potesse essere realizzato. Seppur grato che lei avesse salvato la vita di Richard, Zedd non era stato lieto che un vetro tanto prezioso e insostituibile fosse stato distrutto, lasciando una breccia nel campo di contenimento. Nicci si era offerta di aiutare con le riparazioni. Zedd stesso non sapeva come fare una cosa del genere. Non pensava che ci fosse nessuno al mondo che sapesse come piegare delle forze nel modo in cui lei aveva fatto, o che avesse il potere che ciò richiedeva. Chi avrebbe mai pensato che esistesse qualcuno in grado di ricreare il vetro di quelle finestre? E nonostante ciò, lei l'aveva fatto. Zedd, vedendola, aveva pensato a una regina scesa nelle cucine reali per dimostrare con perizia come fare pane eccellente con una ricetta da tempo dimenticata. Per quanto Zedd avesse conosciuto alcune incantatrici molto potenti, non aveva mai incontrato nessuna che fosse come Nicci. Alcune delle cose che lei poteva fare con apparente semplicità erano così sconcertanti da lasciarlo senza parole. Naturalmente, Nicci era molto più di una semplice incantatrice. Era una Sorella dell'Oscurità e sapeva come comandare la Magia Detrattiva. Come tale, aveva preso il potere da un mago e l'aveva aggiunto al suo, creando una miscela del tutto unica... qualcosa a cui a lui non piaceva pensare. In qualche modo lo spaventava. Se Richard non le avesse mostrato il valore della sua stessa vita, sarebbe stata ancora devota alla causa dell'Ordine. Poiché così tanto della sua vita era un mistero per lui, a causa di tutto ciò che aveva fatto ma di cui non aveva mai parlato, per tutto quello di cui una volta era stata parte, Zedd non era proprio sicuro di quanto potesse fidarsi di lei. Richard si fidava lei, però... si fidava al punto da affidarle la sua stessa vita. Lei si era dimostrata degna di quella fiducia in numerose occasioni. A parte sé stesso e Cara, Zedd non conosceva nessun altro tanto fieramente devoto a Richard quanto Nicci. Nicci sarebbe andata perfino nel mondo sotterraneo senza alcuna esitazione o ripensamento, se fosse stato necessario a salvarlo. Richard aveva strappato questa donna straordinaria dalle profondità del male, proprio come aveva fatto con Cara e le altre Mord-Sith. Chi se non lui poteva riuscire in una tale impresa? Chi se non lui poteva perfino pen-
sare di fare una cosa del genere? Quanto mancava a Zedd quel ragazzo. Nicci scivolò di nuovo nella biblioteca e Zedd vide, allora, cosa c'era sul tavolo. Le sue capacità gli avevano detto che si trovava lì, ma non gli avevano rivelato cos'altro questo potesse comportare. Dietro di lui, Cara emise un basso fischio. Zedd condivideva il suo parere. La scatola dell'Orden, poggiata su uno dei massicci tavoli della biblioteca, senza il rivestimento decorativo che una volta l'aveva contenuta, era di un nero ammaliante che sembrava quasi assorbire la luce dall'alba, un nero così nero che la scatola stessa appariva come nient'altro che un vuoto nel mondo della vita. Fissandola si aveva la stessa sgradevole sensazione di guardare proprio dentro il mondo sotterraneo, il mondo dei morti. Ma era l'incantesimo di contenimento disegnato tutt'intorno alla scatola che l'aveva allarmato. Era stato scritto col sangue. C'erano altre formule, altri incantesimi, disegnati sulla superficie del tavolo, e anch'essi erano tracciati col sangue. Zedd riconobbe alcuni degli elementi dei diagrammi. Non sapeva di nessuno al mondo che potesse disegnare quegli incantamenti. Queste cose non erano del tutto stabili, il che le rendeva pericolose oltre ogni aspettativa. Esistevano molti incantesimi che potevano uccidere in un istante se eseguiti in modo non appropriato. Quelle formule, scritte nientemeno che col sangue, erano fra le più pericolose che esistessero. Lo stesso Zedd, con una vita di conoscenza, addestramento e pratica, non avrebbe mai preso in considerazione l'ipotesi di tentare di utilizzarle con successo. Zedd aveva visto incantesimi tanto terribili disegnati solo una volta prima. Erano stati tracciati da Darken Rahl, il padre di Richard, mentre completava l'evocazione richiesta per aprire le scatole dell'Orden. Aprirne una gli era costato la vita. Attorno alla scatola stessa, a mezz'aria, linee di luce verde e ambra tracciavano ulteriori incantesimi attraverso lo spazio. Rievocavano in qualche modo le linee di luce verde della tela di verifica che in quella stessa stanza erano state generate per l'incantesimo della Catena di fuoco, ma questa struttura di formule tridimensionali era sostanzialmente differente. E queste linee luminose pulsavano come fossero vive. Suppose che avesse un senso. Il potere dell'Orden era il potere della vita stessa. Altre linee, connesse a intersezioni delle luci verdi e, in alcuni punti, di quelle ambra, erano nere come la scatola. Scrutarle era come guardare attraverso delle fenditure nella morte stessa. La Magia Detrattiva era stata
mischiata con quella Aggiuntiva per creare un rete di potere di un genere tale che Zedd non aveva mai immaginato di vedere nel corso della sua vita. L'intera tela di luce e buio era sospesa nello spazio. La scatola dell'Orden stessa sedeva al centro di quella tela, come un corpulento ragno nero. Il libro della vita giaceva aperto accanto. «Nicci,» riuscì a dire Zedd solo con estrema difficoltà «nel nome della Creazione, cos'hai fatto?» Quando raggiunse il tavolo, Nicci si voltò e lo fissò per un momento fastidiosamente lungo. «Non ho fatto nulla nel nome della Creazione. L'ho fatto nel nome di Richard Rahl.» Zedd distolse lo sguardo dalla terribile cosa all'interno delle linee lucenti per fissarla. Gli risultava difficile inspirare. «Nicci, cos'hai fatto?» «L'unica cosa che potevo fare. Ciò che era necessario. Ciò che solo io potevo fare.» La confluenza di entrambi gli aspetti del dono che conteneva la scatola dell'Orden all'interno della sua tela lucente era oltre ogni immaginazione. Era una cosa da incubo. Zedd scelse le parole con cautela. «Intendi dire che credi di poter mettere in campo quella scatola?» Il modo in cui lei scosse lentamente il capo lo fece irrigidire per il terrore. Lo sguardo di lei, coi suoi occhi azzurri, lo inchiodò dov'era. «L'ho già messa in campo.» Zedd si sentì come se il pavimento si stesse spalancando sotto di lui e non potesse mai smettere di cadere. Si chiese solo per un istante se qualcosa di questo fosse reale. L'intera stanza sembrava mulinargli intorno. Sentiva le gambe cedere. La mano di Cara spuntò sotto il suo braccio per sostenerlo. «Sei fuori di testa» fece, la sua voce che si accalorava mentre le gambe gli si irrigidivano. «Zedd...» Fece un passo in avanti. «Ho dovuto farlo.» Lui non riusciva neanche a sbattere le palpebre. «Hai dovuto farlo? Hai dovuto?» «Sì. Ho dovuto. È l'unico modo.» «L'unico modo per cosa? L'unico modo per far finire il mondo? L'unico modo per distruggere la vita stessa?»
«No. L'unico modo per darci una possibilità di sopravvivere. Sai a cosa sta arrivando il mondo. Sai cos'ha intenzione di fare l'Ordine Imperiale. Il mondo è sull'orlo della rovina. L'umanità ha di fronte a sé un migliaio di anni di oscurità nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore, potrebbe non riemergere mai più alla luce. «Sai che ci stiamo avvicinando a dei sentieri nella profezia oltre i quali ogni cosa si fa buia. Nathan ti ha detto di quelle diramazioni che conducono a un Grande Vuoto oltre il quale non c'è nulla. Noi siamo lì, a guardare nel vuoto.» «E hai mai pensato che ciò che hai appena fatto potrebbe esserne proprio la causa, quella stessa cosa che porta via l'umanità, ogni vita, in quel vuoto di estinzione?» «Sorella Ulicia ha già messo in campo le scatole dell'Orden. Pensi che lei e le Sorelle dell'Oscurità si curino della vita? Esse lavorano per liberare il Guardiano del mondo sotterraneo. Se avrà successo, il mondo della vita sarà condannato. Tu sai cosa sono le scatole, conosci il loro potere, sai cosa accadrà se sarà lei a controllare il potere dell'Orden.» «Ma questo non significa...» «Non abbiamo scelta.» Lo sguardo di lei non vacillò. «Ho dovuto farlo.» «E hai qualche idea su come invocare l'Orden? Su come comandare le scatole? Come riconoscere la scatola giusta?» «No, non ancora» ammise lei. «Non hai nemmeno le altre due!» «Abbiamo un anno per ottenerle» disse lei con calma determinazione. «Abbiamo un anno dal primo giorno d'inverno. Un anno da oggi.» Zedd sollevò le mani per l'ira e la frustrazione. «Anche se potessimo trovarle, pensi che saresti in qualche modo in grado di comandare il potere dell'Orden? Pensi di poterlo adoperare?» «Non io» disse lei quasi in un sussurro. Zedd drizzò il capo, perplesso per le parole appena sentite. Il suo sospetto avvampò in un rovente terrore. «Cosa vuol dire 'non io'? Hai appena detto di aver messo in campo le scatole.» Nicci gli si avvicinò. Appoggiò una mano con gentilezza sul suo avambraccio. «Quando ho aperto il cancello, mi è stato chiesto di nominare il responsabile. Io ho nominato Richard. Ho messo in campo le scatole dell'Ordine per conto di Richard.»
Zedd rimase sbigottito. Voleva percuoterla a morte. Voleva strangolarla. Voleva farla a pezzi. «Tu hai nominato Richard?» Lei annuì. «Era l'unico modo.» Zedd fece scorrere le dita di entrambe le mani fra la sua ribelle chioma bianca e ondulata, tenendosi la testa per timore che potesse frantumarsi. «L'unico modo? Balle, donna! Sei fuori di testa?» «Zedd, calmati. So che è una sorpresa, ma questo non è certo un capriccio. Ci ho pensato a fondo. Credimi, ho pensato a tutte le possibilità. Se vogliamo sopravvivere, se tutti coloro che tengono alla vita vogliono sopravvivere, se esiste una possibilità per la vita, se può esserci un'opportunità per il futuro, allora questo è l'unico modo.» Zedd ricadde pesantemente su una delle sedie intorno al tavolo. Prima di fare qualcosa di irreparabile, prima di reagire in preda alla furia cieca, si disse che doveva mantenere il sangue freddo. Cercò di rievocare tutto ciò che sapeva sulle scatole e su ciò che stava succedendo, cercò di ricordare a sé stesso tutte le cose disperate che aveva dovuto fare nel corso della sua vita. Cercò di vederlo dalla prospettiva di Nicci. Non ci riuscì. «Nicci, Richard non sa come usare il suo dono.» «Dovrà trovare un modo.» «Non sa nulla sulle scatole dell'Orden.» «Dovremo istruirlo.» «Non sappiamo abbastanza sulle scatole dell'Orden. Non sappiamo per certo quale sia Il libro delle ombre importanti corretto. Solo il libro giusto funge da chiave per le scatole!» «Dovremo trovare una soluzione.» «Dolci spiriti, Nicci, non sappiamo nemmeno dove sia Richard!» «Sappiamo che la strega ha cercato di catturarlo nella sliph e ha fallito. Sappiamo da ciò che ci ha detto Rachel che a quanto pare Sei ha separato Richard dal suo dono disegnando incantesimi nelle caverne sacre di Tamarang. Rachel dice che Sei l'ha perduto quando è stato catturato dall'Ordine Imperiale. Per quanto ne sappiamo, per ora potrebbe essere sfuggito anche a loro ed essere diretto qui. Altrimenti, dovremo trovarlo.» Zedd non sembrava in grado di escogitare un modo per farle vedere e capire tutto ciò che li avrebbe ostacolati. «Quanto suggerisci è impossibile!»
Allora lei sorrise, tristemente. «Un mago che conosco e rispetto, un mago che ha insegnato a Richard a essere l'uomo che è, gli ha anche insegnato a pensare alla soluzione, non al problema. Un tale consiglio gli è sempre stato utile.» Zedd non voleva sentire nulla di tutto questo. Balzò in piedi. «Non avevi il diritto di fare una cosa del genere, Nicci. Non avevi alcun diritto di decidere questo per la sua vita. Non avevi alcun diritto di nominare Richard per questo!» Il sorriso di lei svanì. «Conosco Richard. So come combatte per la vita. So cosa significa per lui. So che non c'è nulla che non farebbe per preservare il valore della vita. Se lui sapesse tutto ciò che io so, avrebbe voluto che facessi ciò che ho fatto.» «Nicci, tu non...» «Zedd,» disse lei in un tono di voce imperioso che lo interruppe «ti ho chiesto se avresti affidato a Richard la tua vita, la vita di tutti. Tu hai detto di sì. Quelle parole significano qualcosa. Non hai risposto in modo evasivo, restringendo i limiti della tua fiducia. Affidare a qualcuno la tua vita è inequivocabile come solo la fiducia può essere. «Richard è l'unico che può guidarci nello scontro finale. Per quanto Jagang e l'Ordine possano esserne parte, la lotta per il potere dell'Orden è lo scontro finale. Le Sorelle dell'Oscurità che controllano quelle scatole faranno in modo che sia così. In un modo o nell'altro, se ne assicureranno. Richard può guidarci solo mettendo in campo le scatole. In tale modo, sarà davvero la realizzazione della profezia: fuer grissa ost drauka... il portatore di morte. «Ma questo è più della profezia. La profezia esprime soltanto ciò che noi sappiamo già, che Richard è colui che ci ha guidato nella difesa dei valori a cui teniamo, i valori che propugnano la vita. «Richard stesso ha esposto i termini dell'impegno quando ha parlato alle truppe del D'Hara. Come lord Rahl, condottiero dell'impero del D'Hara, ha detto a quegli uomini come combattere la guerra d'ora in poi: tutto o nulla. «Questo non può essere diverso. Richard è sincero fino al midollo e non si aspetterebbe che qualcun altro compisse ciò che lui non farebbe. Lui è il cuore di tutto ciò in cui crediamo. Non ci tradirebbe. «Ora ci siamo dentro fino in fondo. È davvero tutto o nulla.» Zedd sollevò le braccia al cielo. «Ma nominare Richard come responsabile non è l'unico modo di condurre questa battaglia, non è l'unico modo per avere successo... ma potrebbe invece essere proprio la causa del suo fallimento.
Ciò che hai fatto potrebbe portarci tutti alla rovina.» Gli occhi azzurri di Nicci si riempirono di quel tipo di convinzione, risolutezza e rabbia che gli dicevano che avrebbe potuto ridurlo in cenere se si fosse messo sulla strada di ciò che lei credeva fosse necessario. Per la prima volta stava contemplando l'Amante della Morte come coloro che le si frapponevano, si trovava davanti alla sua massima furia, la vedeva. «L'amore per tuo nipote ti sta accecando. Lui è qualcosa di più di tuo nipote.» «Il mio amore per lui non...» Nicci distese un braccio per indicare verso est, verso D'Hara. «Quelle Sorelle dell'Oscurità hanno innescato la Catena di fuoco! La Catena di fuoco sta bruciando incontrollata fra tutti i nostri ricordi. Un tale evento significa molto di più che perdere semplicemente il nostro ricordo di Kahlan. «Chi siamo, cosa siamo, cosa possiamo essere... tutto si sta disintegrando istante dopo istante. Non riguarda solo dimenticare Kahlan. Il vortice di quell'incantesimo cresce di giorno in giorno. Il danno si va via via moltiplicando. Non siamo del tutto consci di quanto abbiamo già perso mentre poco a poco perdiamo ancora di più. Le nostre stesse menti, o la capacità di pensare, di ragionare, vengono erose da quell'ignobile incantesimo. «Peggio ancora, la magia della Catena di fuoco è contaminata. Richard stesso ce l'ha mostrato. La contaminazione dei rintocchi è sepolta in profondità dentro l'incantesimo della Catena di fuoco che si è trasmesso a tutti quanti. La contaminazione portata dalla Catena di fuoco si sta facendo strada bruciando attraverso il mondo della vita. Oltre a distruggere la natura di chi e cosa siamo, sta demolendo la struttura della magia stessa. Senza Richard non ne saremmo neanche a conoscenza. «Il mondo non si trova solo sull'orlo della rovina a causa di Jagang e dell'Ordine Imperiale, ma viene distrutto dalla silenziosa, invisibile opera dell'incantesimo della Catena di fuoco e dalla contaminazione al suo interno. Nicci piantò un dito sulla sua tempia. «La contaminazione ha già demolito la tua capacità di vedere cosa c'è in gioco? Si è già presa la tua capacità di pensare? «L'unica contromisura per la Catena di fuoco sono le scatole dell'Orden. Questa è la ragione per cui furono create, specificamente come unica via di scampo nel caso in cui la Catena di fuoco fosse stata accesa. «Le Sorelle hanno innescato la Catena di fuoco. Per peggiorare ciò che
hanno fatto, per renderlo irreversibile, esse stesse hanno messo in campo le scatole, hanno messo in campo la contromisura, nominandosi come responsabili. Credono che nessuno ora abbia modo di fermarle. Potrebbero avere ragione. Io ho letto Il libro della vita, le istruzioni su come funziona l'Orden. Non offre alcun modo per fermare il processo una volta iniziato. Non possiamo estinguere la Catena di fuoco. Non possiamo fermare il processo dell'Orden. Il mondo della vita sta per andare fuori controllo, proprio come vogliono loro. «Per cosa sta lottando Richard? Per cosa stiamo lottando tutti quanti? Dovremmo semplicemente arrenderci, dire che è troppo difficile, troppo rischioso cercare di prevenire il nostro totale annientamento? Dovremmo rifuggire l'unica possibilità che abbiamo? Rinunciare a ogni cosa che ha importanza? Lasciare che Jagang massacri tutti coloro che desiderano essere liberi? Lasciare che la Fratellanza dell'Ordine assoggetti il mondo? Permettere che la Catena di fuoco si diffonda senza controllo e distrugga il nostro ricordo di tutto ciò che c'è di buono? Lasciare che la contaminazione all'interno di quell'incantesimo spazzi via dal mondo la magia assieme a tutto quello che da essa dipende per vivere? Ce ne staremo semplicemente seduti e ci arrenderemo? Faremo finire il mondo nelle mani di persone che lo distruggerebbero completamente? «Sorella Ulicia ha aperto il cancello per il potere dell'Ordine. Lei ha messo in campo le scatole. Cosa dovrebbe fare Richard? Deve avere le armi di cui ha bisogno per combattere questa battaglia. Io gli ho solo dato ciò che gli serve. «La lotta ora è davvero equilibrata. Le due fazioni di questa battaglia sono pienamente impegnate nella lotta decisiva. «Dobbiamo affidarci a Richard in questa lotta. «C'è stato un tempo, alcuni anni fa, in cui tu hai dovuto affrontare decisioni simili. Conoscevi le tue opzioni, le tue responsabilità, i rischi e le conseguenze letali dell'inazione. Tu hai nominato Richard il Cercatore di Verità.» Zedd annuì, a malapena in grado di raccogliere la propria voce. «Sì, l'ho fatto davvero.» «E lui è stato all'altezza di tutto ciò per cui credevi in lui e ancora di più, non è vero?» Lui non riusciva a smettere di tremare. «Sì, il ragazzo ha fatto tutto ciò che mi aspettavo e altro.» «Adesso non è diverso, Zedd. Le Sorelle dell'Oscurità non hanno più
l'accesso esclusivo al potere dell'Orden.» Lei sollevò un braccio e richiuse la mano a pugno. «Ho dato a Richard un'opportunità... ho dato a tutti noi un'opportunità. In un certo senso, ho appena messo in campo Richard, dandogli ciò di cui deve disporre per vincere questa lotta.» Sul punto di piangere, Zedd la fissò negli occhi. Oltre alla risolutezza, alla furia, alla determinazione, c'era qualcos'altro. Nei suoi occhi azzurri lui vide un'ombra di dolore. «E...?» Lei si ritrasse. «E cosa?» «Per quanto il tuo fondamento logico sia coerente, c'è qualcos'altro, qualcosa che non hai detto.» Nicci si voltò dall'altra parte, facendo scorrere le dita di una mano lungo la superficie del tavolo, sfiorando incantesimi iscritti nel suo stesso sangue, incantesimi che aveva invocato al rischio della sua stessa vita. Dandogli le spalle, la dama fece un gesto vago, un timido scatto della mano, un semplice movimento che con grazia tradiva un inconcepibile tormento. «Hai ragione» disse con una voce spezzata che riusciva a malapena a controllare. «Ho dato a Richard un'altra cosa.» Zedd rimase immobile per un momento, guardando attentamente la donna che gli voltava le spalle. «E cosa sarebbe?» Lei si voltò. Una lacrima si faceva strada lenta lungo la sua guancia. «Gli ho appena dato l'unica possibilità di riavere la donna che ama. Le scatole dell'Orden sono l'unica contromisura per l'incantesimo della Catena di fuoco che gli ha portato via Kahlan. Le scatole dell'Orden sono l'unico modo di cui dispone per averla indietro. «Gli ho dato l'unica opportunità di riavere ciò che ama di più nella vita.» Zedd affondò all'indietro nella sedia e si nascose il volto fra le mani. 5 Nicci stava in piedi, la schiena rigida e dritta, mentre Zedd, crollato nella sedia di fronte a lei, piangeva nascondendo il volto. Aveva irrigidito le ginocchia per paura che le sue gambe cedessero. Si disse che non avrebbe permesso neanche a una lacrima di sfuggire al suo controllo. Ce l'aveva quasi fatta. Quando aveva invocato il potere dell'Orden, mettendo in campo la scato-
la per conto di Richard, quel potere le aveva fatto qualcosa. Aveva, in una certa misura, neutralizzato il danno dell'incantesimo della Catena di fuoco che la infettava. Quando Nicci aveva nominato Richard come responsabile, completando i legami al potere che aveva invocato, all'improvviso aveva conosciuto Kahlan. Non era una ricostruzione della sua perduta memoria di Kahlan: quella era ormai svanita; piuttosto era una semplice riconnessione alla consapevolezza della realtà dell'esistenza di Kahlan, qui e ora. Sembrava passato così tanto tempo da quando Nicci aveva pensato che Richard si ingannasse nella sua convinzione dell'esistenza di una donna che soltanto lui ricordava. Anche più tardi, quando lui aveva trovato il libro La Catena di fuoco e aveva provato loro ciò che era veramente successo, Nicci gli aveva infine creduto, ma aveva basato quella convinzione solo sulla sua fiducia in Richard e sui fatti che lui aveva scoperto. Era un convincimento intellettuale basato su prove indirette. Quel convincimento non aveva basi nelle sue stesse memorie o percezioni. Non aveva alcun ricordo personale di Kahlan, solo la memoria di Richard su cui fare affidamento, la sua parola e le prove a disposizione. In quella maniera di seconda mano, lei credeva all'esistenza di questa donna, Kahlan, perché credeva a Richard. Ma ora Nicci sapeva, sapeva davvero, che Kahlan era reale. Nicci ancora non aveva ricordi di nulla che riguardasse la donna, ma percepiva in maniera viscerale che Kahlan esisteva. Non aveva più bisogno di dipendere dalla parola di Richard per saperlo. Era evidente come se lo percepisse direttamente. Era come ricordare di aver incontrato qualcuno nel passato ma non essere in grado di rammentarne la faccia. Per quanto il volto non venisse rievocato, l'esistenza della persona in questione non era in dubbio. Nicci sapeva che da quel momento in poi, per via della connessione al potere dell'Orden, a causa di ciò che aveva fatto dentro di lei, Kahlan non sarebbe più sembrata invisibile. Nicci sarebbe stata in grado di vederla proprio come chiunque altro. L'incantesimo della Catena di fuoco risiedeva ancora dentro Nicci, ma l'Orden l'aveva neutralizzato almeno in parte, aveva fermato il danno progressivo e le avesse permesso di essere consapevole della verità. La sua memoria di Kahlan non era ancora viva, ma Kahlan lo era. Nicci aveva quindi capito che l'amore di Richard era reale. Provò una
gioia dolorosa per il cuore di lui, anche se il suo era spezzato. Cara le andò accanto e fece qualcosa che Nicci non avrebbe mai immaginato da parte di una Mord-Sith: mise un braccio con gentilezza attorno alla sua vita, attirandola a sé. Perlomeno, era qualcosa che nessuna Mord-Sith avrebbe fatto prima dell'arrivo di Richard. Lui aveva cambiato tutto. Cara, come Nicci, era stata strappata dall'orlo della follia grazie alla passione di Richard per la vita. Entrambe condividevano una comprensione straordinaria di Richard, un legame speciale, una prospettiva che Nicci dubitava che chiunque altro, perfino Zedd, potesse davvero apprezzare. Inoltre, nessuno tranne Cara poteva capire tutto ciò a cui Nicci aveva appena rinunciato. «Hai fatto bene, Nicci» sussurrò Cara. Zedd si alzò. «Sì, è così. Sono spiacente, mia cara, se sono stato ingiustamente duro con te. Ora capisco che ci hai davvero pensato a fondo. Hai fatto ciò che ritenevi giusto. Devo ammetterlo, date le circostanze, hai fatto l'unica cosa che avesse senso. «Mi scuso per essere saltato a sciocche conclusioni. Ho avuto modo di conoscere molti degli immensi pericoli che circondano l'uso del potere dell'Orden... probabilmente ne so più di chiunque altro al mondo. Ho visto la magia dell'Orden invocata da Darken Rahl. Per questo motivo, ho un punto di vista un po' differente da quello che hai presentato. «Sebbene non sia necessario essere completamente d'accordo con te, ciò che hai fatto è stato un atto di grande intelletto e coraggio, per non dire di disperazione. Anch'io ho familiarità con atti di disperazione e capisco che alle volte sono necessari. «Spero che tu abbia ragione su ciò che hai fatto. Anche se significherebbe che ho torto, preferirei che fossi tu ad avere ragione. «Ma non ha importanza, ora. Quel che è fatto è fatto. Hai messo in campo le scatole dell'Orden e nominato Richard come responsabile. Malgrado ciò che posso credere, siamo tutti uniti nella nostra causa. Ormai è fatta, e dobbiamo impegnarci affinché funzioni. Avremo tutti bisogno di dare il massimo per aiutare Richard. Se lui fallisce, tutti falliremo. Tutto ciò che vive fallirà.» Nicci non poté fare a meno di provare una certa dose di sollievo. «Grazie, Zedd. Col tuo aiuto, faremo in modo che funzioni.» Lui scosse la testa tristemente. «Il mio aiuto? Forse sono soltanto un ostacolo. Vorrei solo che mi avessi consultato prima.»
«L'ho fatto» disse Nicci. «Ti ho chiesto se avresti affidato a Richard la tua vita, la vita di tutti. Quale miglior consulto di questo?» Zedd sorrise, attraverso la tristezza che indugiava sul suo volto. «Immagino che tu abbia ragione. Potrebbe darsi che la combinazione dell'incantesimo della Catena di fuoco e la contaminazione dei rintocchi abbia già eroso la mia capacità di pensare.» «Non ci credo neanche per un istante, Zedd. Io penso che tu ami Richard e sia preoccupato per lui. Non avrei cercato il tuo consiglio se non l'avessi ritenuto importante. Tu mi hai detto ciò che avevo bisogno di sapere.» «Se ti confondi di nuovo,» gli disse Cara «te lo farò capire io.» Zedd le rivolse uno sguardo corrucciato. «Davvero rassicurante.» «Be', Nicci l'ha tirata lunga,» disse Cara «ma non è poi così complicato. Chiunque dovrebbe essere in grado di capirlo..: anche tu, Zedd.» Zedd si accigliò. «Cosa vuoi dire?» Cara scrollò le spalle. «Noi siamo l'acciaio contro l'acciaio. Lord Rahl è la magia contro la magia.» Per Cara, le cose non stavano così. Nicci si domandò se la Mord-Sith non si rendesse davvero conto che stava solo scalfendo la superficie, o se avesse compreso l'intero concetto meglio di chiunque altro. Forse aveva ragione lei. Zedd appoggiò delicatamente una mano sulla spalla di Nicci. Le ricordò il tocco gentile di Richard. «Be', malgrado ciò che dice Cara, questo potrebbe significare la morte di tutti noi. Se vogliamo che abbia una possibilità di riuscita, però, c'è molto lavoro da fare. Richard avrà bisogno del nostro aiuto. Tu e io conosciamo molto sulla magia. Richard non sa quasi nulla.» Nicci sorrise fra sé. «Ne sa più di quanto tu non pensi. È stato Richard a decifrare la contaminazione nell'incantesimo della Catena di fuoco. Nessuno di noi aveva capito tutta quella faccenda sul linguaggio dei simboli, ma Richard l'ha scoperto da sé. Da solo ha imparato a comprendere antichi disegni, schemi ed emblemi. «Non gli ho mai potuto insegnare nulla sul suo dono, ma spesso mi ha sorpreso andando oltre la tradizionale comprensione della magia. Mi ha insegnato cose che non avrei mai immaginato.» Zedd stava annuendo. «Fa diventar matto anche me.» Rikka, l'altra Mord-Sith che viveva al Mastio del Mago, fece capolino dalla porta. «Zedd, ho pensato che dovresti sapere una cosa.» Puntò un dito verso l'alto. «Ero alcuni piani sopra e ci dev'essere una finestra rotta o
qualcosa del genere. Il vento fa uno strano rumore.» Zedd si accigliò. «Che tipo di rumore?» Rikka si mise la mani sulle anche e fissò il pavimento, pensandoci a fondo. «Non so.» Alzò di nuovo lo sguardo. «È difficile da descrivere. Dà l'idea che soffi in un'intercapedine, in una fessura.» «Un suono ululante?» chiese Zedd. Rikka scosse il capo. «No. Più come quando risuona fuori sui bastioni, quando l'aria passa attraverso la merlatura.» Nicci lanciò un'occhiata verso le finestre. «È appena l'alba. Ho lanciato delle tele. Il vento non si è ancora alzato.» Rikka scrollò le spalle. «Allora non so di cosa potesse trattarsi.» «Il Mastio talvolta emette dei rumori quando respira.» Rikka arricciò il naso. «Respira?» «Sì» disse il mago. «Quando cambia la temperatura, come adesso che le notti si fanno più fredde, l'aria che si trova nelle migliaia di stanze in basso si sposta. Costretta a passare nei restringimenti dei corridoi, talvolta geme fra le sale del Mastio quando fuori non c'è vento.» «Be', non sono stata qui così a lungo da aver sperimentato una cosa del genere, ma dev'essere così, allora. Sarà il Mastio che respira.» Rikka fece per andarsene. «Rikka» chiamò Zedd, aspettando che lei si fermasse. «Cosa stavi facendo lassù in quella zona, comunque?» «Chase sta cercando Rachel» disse Rikka voltandosi appena. «Lo stavo solo aiutando. Voi non l'avete vista, vero?» Zedd scosse la testa. «Non stamattina. L'ho vista la scorsa notte prima che andasse a letto.» «Va bene, lo dirò a Chase.» Rikka diede un'occhiata nella stanza per un momento, poi appoggiò una mano contro la porta. «Che c'è sul tavolo? Cosa state combinando voi tre?» «Guai» disse Cara. Rikka annuì con aria scaltra. «Magia.» «Hai indovinato» disse Cara. Rikka diede dei colpetti col palmo della mano contro la cornice della porta. «Be', sarà meglio che trovi Rachel prima che la scovi Chase e le faccia una ramanzina... per essere andata a fare un giro di esplorazione in un posto del genere.» «Quella bambina è nel suo elemento.» Zedd sospirò. «Talvolta penso che conosca il Mastio tanto quanto me.»
«Lo so.» disse Rikka. «Sono stata di pattuglia e l'ho incrociata in posti dove non avrei mai immaginato di trovarla. Una volta ero sicura che si fosse persa. Ha insistito che non era così. Mi sono fatta guidare da lei perché me lo dimostrasse. È tornata dritta verso la sua stanza senza neanche una svolta sbagliata, poi mi ha sorriso e mi ha detto 'Visto?'» Sorridendo, Zedd si grattò la tempia. «Ho avuto un'esperienza simile con lei. I bambini apprendono in fretta questo genere di cose. Chase la incoraggia a impararle, a sapere dove si trova, in modo da non perdersi così facilmente. Immagino, dato che sono cresciuto qui, che sia questo il motivo per cui non mi perdo in questo posto.» Rikka si voltò verso il corridoio, ma poi si girò di nuovo quando Zedd la chiamò. «Il rumore del vento?» Agitò un dito verso il soffitto. «Hai detto che era lassù?» Rikka annuì. «Intendi il corridoio screziato che si estende dopo la fila di biblioteche? Il posto con le aree di lettura disposte a intervalli nell'atrio fuori dalle sale?» «Proprio quello. Stavo controllando le biblioteche in cerca di Rachel. Le piace scartabellare. Come hai detto, dev'essere il Mastio che respira.» «L'unico problema è che si tratta di una delle varie zone in cui il Mastio in genere non fa alcun suono quando respira. Gli sbocchi ciechi di quell'atrio deviano il movimento dell'aria altrove, impedendo che attraverso quella zona si muova abbastanza velocemente da fare un qualche rumore.» «Può darsi che provenisse da qualche posto più distante e io abbia solo pensato che fosse in quei corridoi.» Zedd piantò un pugno su un'anca ossuta mentre rifletteva. «E dici che era simile a un gemito?» «Be', ora che mi ci fai pensare, sembrava più un ringhio.» La fronte di Zedd si corrugò. «Un ringhio?» Attraversò lo spesso tappeto e fece capolino fuori dalla porta, in ascolto. «Be', non un ringhio come un animale» disse Rikka. «Più come un brontolio cupo. Come ho detto, mi ha ricordato il suono che fa il vento quando passa fra la merlatura. Sai, un suono rimbombante, come un frullio d'ali.» «Non sento nulla» borbottò Zedd. Rikka fece una smorfia. «Be', non puoi sentirlo da quaggiù.» Nicci li raggiunse sulla porta. «Allora perché sento qualcosa vibrarmi al centro del petto?»
Zedd fissò Nicci per un momento. «Forse qualcosa che ha a che fare con l'evocazione legata alla scatola?» Nicci scrollò le spalle. «Può darsi, suppongo. Non ho mai avuto a che fare con alcuni di quegli elementi, prima. Buona parte mi era nuova. Non si può dire quali effetti secondari ci possano essere.» «Ti ricordi quando Friedrich ha fatto accidentalmente scattare quell'allarme?» chiese, voltandosi verso Rikka. Lei annuì. «Era un suono simile a quello?» Rikka scosse il capo con aria risoluta. «No, a meno che tu non metta l'allarme sott'acqua.» «Gli allarmi sono costrutti magici.» Zedd si sfregò il mento pensieroso. «Non si possono mettere sott'acqua.» Cara fece roteare la sua Agiel e la impugnò. «Basta parlare.» Si insinuò fra loro, spintonandoli via per uscire dalla porta. «Io dico di dare un'occhiata.» Zedd e Rikka la seguirono. Nicci no. Fece un gesto verso la scatola dell'Orden poggiata sul tavolo all'interno della splendente tela di luce. «Sarà meglio che rimanga qui.» Oltre a sorvegliare la scatola, aveva bisogno di studiare più a fondo Il libro della vita, assieme ad altri volumi. C'erano ancora parti della teoria dell'Orden che non era stata in grado di comprendere appieno. Era turbata da molte domande senza risposta. Per essere davvero di aiuto a Richard, avrebbe avuto bisogno di conoscere le risposte a tali quesiti. Ciò che la preoccupava di più era una questione al centro della teoria dell'Orden che aveva a che fare con le connessioni fra l'Orden e il soggetto della Catena di fuoco: Kahlan. Nicci doveva capire meglio la natura dei requisiti per connessioni basate su fondamenta primarie. Aveva bisogno di afferrare appieno come queste fondamenta erano state stabilite. Era turbata dai vincoli su predeterminati protocolli, il loro bisogno di un campo incolto per poter ricreare la memoria. Aveva anche bisogno di apprendere di più sulle precise condizioni in cui le forze dovevano essere applicate. Al centro di tutto ciò, però, c'era l'ammonimento del requisito di un campo incolto. Doveva comprendere la natura precisa del campo incolto che l'Orden richiedeva e, più importante, perché i protocolli dell'Orden lo richiedevano. «Ho alzato tutti gli schermi» le disse Zedd. «Gli accessi al Mastio sono sigillati. Se qualcuno fosse entrato senza permesso, gli allarmi sarebbero scattati dappertutto. Ci staremmo tappando le orecchie nell'attesa di trovare la causa.»
«Ci sono persone dotate del dono che conoscono tali cose» gli ricordò Nicci. Zedd non ebbe bisogno di rifletterci a lungo. «Hai ragione. Tenendo conto di tutto ciò che sta succedendo, e di ciò che non sappiamo ancora, non possiamo essere mai abbastanza attenti. Non sarebbe una cattiva idea che tu tenessi d'occhio la scatola.» Nicci annuì mentre li seguiva fuori dalla porta. «Fatemi sapere quando tutto è a posto.» L'altissimo atrio al di fuori, pur non essendo più ampio di una dozzina di piedi, si elevava all'insù quasi fuori dalla vista. Il passaggio formava una fenditura stretta e lunga nel profondo della montagna fin giù nella parte inferiore del Mastio. Dal lato sinistro si ergeva una parete di roccia naturale che era stata ricavata dal granito della montagna stessa. Anche migliaia di anni più tardi erano ancora visibili i segni lasciati dagli attrezzi da intaglio. La parete dal lato delle stanze era fatta di enormi blocchi di pietra che combaciavano saldamente. Formavano il muro opposto al granito intagliato, sollevandosi assieme per sessanta piedi o più. Quella fenditura apparentemente infinita nella montagna costituiva parte del confine del campo di contenimento. Le stanze all'interno della zona racchiusa erano tutte allineate contro il limite esterno del Mastio che si innalzava fuori dalla montagna stessa. Nicci seguì gli altri solo per un breve tratto attraverso l'atrio apparentemente infinito, osservandoli finché non raggiunsero la prima intersezione. «Non c'è tempo di essere sentimentali o indulgenti» gridò loro dietro. «C'è troppo in gioco.» Zedd accettò il suo avvertimento con un cenno del capo. «Saremo di ritorno dopo che avrò controllato.» Cara lanciò a Nicci un'occhiata voltandosi appena. «Non preoccuparti: io sarò lì e non sono dell'umore di essere indulgente. In effetti, non sarò più di buon umore finché non vedrò lord Rahl vivo e al sicuro.» «Sei mai di buon umore?» chiese Zedd mentre si affrettavano ad allontanarsi. Cara gli lanciò un'occhiataccia. «Sono spesso allegra e affabile. Stai insinuando che non è così?» Zedd alzò le mani in un gesto di resa. «No, no. 'Allegra' ti descrive alla perfezione.» «Bene, dunque.» «In effetti, per come la vedo io 'allegra' ti si addice di più di 'assetata di
sangue'.» «A pensarci bene, 'assetata di sangue' mi piace di più.» Nicci non riusciva a condividere lo spirito del loro scherzo. Non era brava a far ridere la gente. Spesso rimaneva perplessa per il modo in cui Zedd e altri riuscivano ad allentare la tensione con tali scambi di battute. Nicci conosceva fin troppo bene la natura della gente che stava cercando di ucciderli. Una volta era stata una di quelle persone dell'Ordine. Spietata e letale. Non aveva visto neanche una volta l'imperatore Jagang comportarsi in modo gioviale o allegro. Non era certo un uomo a cui piacessero le battute. Aveva passato molto tempo con lui, ed era sempre stato spietato. La sua causa per lui era mortalmente seria e vi si dedicava con fanatismo. Conoscendo il tipo di gente che stava dando loro la caccia, persone come era stata una volta lei, e comprendendo la loro natura implacabile, Nicci non sentiva di poter essere meno seria di loro. Guardò Zedd, Cara e Rikka che si affrettavano verso il primo corridoio sulla destra, diretti alle scale. Mentre cominciavano a salire, Nicci capì all'improvviso il suono, la vibrazione che aveva avvertito. Era una specie di allarme. Sapeva perché Rikka non l'aveva riconosciuto. Aprì la bocca per lanciare un grido agli altri proprio mentre il mondo sembrava fermarsi con uno stridore. Una nuvola scura si riversò giù dalla tromba delle scale. Erano come un milione di punti che formavano a mezz'aria l'immagine di un serpente, che si rotolava, voltava, contorceva, assottigliava, ingrossava mentre scendeva ruggendo per la tromba delle scale. Il rombo che risuonava e frullava era assordante. Migliaia di pipistrelli si riversarono da dietro l'angolo, un grosso serpente che fluttuava, una cosa viva formata da innumerevoli piccole creature. La vista di quella specie di unica forma semovente era paralizzante. Il baccano riverberava sulle pareti, riempiendo la fenditura nella montagna con un enorme frastuono. I pipistrelli sembravano volare in preda al panico, la loro forma fusa che svoltava l'angolo in un impeto mentre fuggivano da qualcosa. Zedd, Cara e Rikka parevano immobilizzati dove avevano cominciato a salire le scale. E poi i pipistrelli in fuga sparirono, spinti via da un qualche terrore che
stava giungendo attraverso il Mastio dietro di loro. Il sommesso frullio che si erano lasciati alle spalle riecheggiava del suo tacito allarme nell'atrio mentre i pipistrelli fuggivano nel buio più profondo. Il suono distante era ciò che Rikka aveva sentito ma non compreso. Fissando le scale da cui i pipistrelli erano venuti, Nicci si sentì come congelata e immobile per un silenzioso istante carico d'attesa, aspettando di respirare, aspettando qualcosa di inimmaginabile. Con un crescente senso di panico, si rese conto che in effetti non poteva proprio muoversi. E poi una forma scura venne giù con impeto dalle scale come un vento avverso. Tuttavia, allo stesso tempo, pareva inspiegabilmente sospesa e immobile. Sembrava composta da nere forme turbinanti e ombre che fluivano, creando un mulinello di oscurità del colore dell'inchiostro. La sua forma vorticante, le correnti di tenebre che si intrecciavano, suggerivano un movimento che in realtà non aveva. Nicci sbatté le palpebre e la cosa scomparve. Quindi rinnovò con urgenza lo sforzo di muoversi, ma si sentiva come sospesa nella cera calda. Poteva respirare un poco e avanzare un minimo, ma solo in maniera oltremodo lenta. Ogni piccolo spostamento richiedeva uno sforzo enorme e pareva durare un'eternità. Il mondo era diventato incredibilmente denso mentre tutto rallentava fino a fermarsi. Nel passaggio, proprio dietro gli altri nell'atrio ai piedi delle scale, la forma apparve di nuovo, sospesa a mezz'aria sopra il pavimento di pietra. Aveva l'aspetto di una donna che, avvolta in un fluente abito nero, fluttuava sott'acqua. Perfino in preda a un crescente terrore, Nicci trovò quella vista esotica stranamente affascinante. Gli altri, già superati dall'intruso, stavano salendo le scale e si trovavano a metà strada, immobili come fossero ritratti in un quadro. Gli ispidi capelli neri della donna si sollevavano pigramente tutt'intorno al suo volto esangue. Il morbido tessuto dell'abito nero ondeggiava come ricreando dei mulinelli d'acqua. All'interno del lento turbinio di stoffa e capelli neri, la donna stessa pareva quasi ferma. Sembrava quasi come stesse fluttuando sotto acque tenebrose. Poi la figura svanì di nuovo. No, non sott'acqua, comprese Nicci. Nella sliph. Anche Nicci aveva provato una sensazione simile. Era quel genere di strana, sovrannaturale, sospesa impressione di andare alla deriva. Era lenta
in modo impossibile e allo stesso tempo veloce in maniera accecante. La figura all'improvviso apparve di nuovo, questa volta più vicino. Nicci cercò di lanciare un grido, ma non ci riuscì. Cercò di lanciare una tela, ma si spostava troppo lentamente. Pensò che le ci sarebbe voluto un giorno intero solo per sollevare il braccio. Frammenti scintillanti di luce baluginarono e lampeggiarono nell'aria fra Nicci e gli altri. Magia, lo sapeva, lanciata dal mago. Mancò di molto l'intruso. Anche se la breve quantità di potere sfrigolò senza alcun effetto, Nicci fu sbalordita che Zedd fosse riuscito ad accenderla del tutto. Lei aveva tentato più o meno la stessa cosa senza alcun risultato. Scure tracce di tessuto scivolavano, sbattendo in modo fluido per il corridoio. Forme e ombre serpeggianti si avvolgevano attorno muovendosi lenti come non mai. La figura non stava camminando o correndo. Scivolava, galleggiava, fluiva, quasi immobile nel tessuto turbinante dell'abito. Poi svanì di nuovo. In un batter d'occhio riapparve, ancora più vicino. La pelle spettrale era distesa su una faccia ossuta, come se non fosse mai stata toccata dalla luce del sole. Grovigli di capelli neri senza peso si levavano assieme a filamenti del fluente abito nero. Era lo spettacolo più contorto che Nicci avesse mai visto. Si sentiva come se stesse affogando. Il panico montò in lei quando ebbe l'impressione di non essere in grado di respirare abbastanza velocemente da cercare di inalare l'aria di cui aveva bisogno. I suoi polmoni roventi funzionavano lentamente quanto il resto del suo corpo. Quando Nicci mise a fuoco il suo sguardo, la figura della donna era sparita. Le venne in mente che anche i suoi occhi erano troppo lenti. Il corridoio era di nuovo vuoto. Sembrava che non riuscissero a stare al passo col movimento. Nicci pensò che forse era una sorta di allucinazione causata " dagli incantesimi che aveva lanciato, dal potere dell'Orden a cui aveva attinto. Si chiese se potesse trattarsi di un effetto secondario dell'incantesimo. Forse era l'Orden stesso venuto a reclamarla per essersi immischiata con tali poteri proibiti. Doveva essere questo: qualcosa che aveva a che fare con tutte le cose pericolose che aveva evocato. La donna comparve di nuovo, come galleggiando sulle profondità tenebrose, emergendo all'improvviso alla vista dallo scuro abisso. Nicci poté vedere con chiarezza la fisionomia austera e angolosa della
donna. Lividi occhi azzurri si fissarono su di lei come se al mondo non esistesse nient'altro. Quell'espressione indagatrice toccò l'anima di Nicci con gelido terrore. Lo sguardo della donna era così pallido da sembrare cieco, ma Nicci sapeva che lei poteva vedere benissimo, non solo nella luce, ma anche nella caverna più nera o sotto una roccia mai illuminata dal sole. La donna esibì il sorriso più malvagio che Nicci avesse mai visto. Era il sorriso di qualcuno che non aveva paura ma godeva nel provocarla, una donna che sapeva di avere tutto sotto il proprio controllo. Era un sorriso che fece fremere Nicci. E poi scomparve. In lontananza, un'altra magia di Zedd scintillò e sfrigolò brevemente prima di estinguersi. Nicci lottò per muoversi, ma il mondo era troppo denso, come talvolta in quei terribili sogni che faceva, sogni in cui si sforzava di muoversi ma non ci riusciva, al di là di quanto duramente ci provasse. Era il sogno in cui cercava di fuggire da Jagang. Lui era sempre vicino, la inseguiva, cercava di afferrarla. Era come la morte stessa, intento alla più inimmaginabile crudeltà, mentre veniva verso di lei. In quei sogni lei voleva disperatamente fuggire ma, malgrado i suoi sforzi eccezionali, le sue gambe non si muovevano abbastanza velocemente. Questi sogni le instillavano sempre un senso di tremante panico. Era un incubo che faceva apparire la morte così reale da poterne assaporare il terrore. Aveva fatto quel sogno una volta al campo. Richard era stato lì. L'aveva svegliata, chiedendole cosa non andasse. Lei aveva ricacciato indietro le lacrime mentre glielo raccontava. Lui le aveva preso il volto fra le mani e le aveva detto che era soltanto un sogno e che andava tutto bene. Avrebbe dato di tutto perché lui la tenesse fra le sue braccia e le dicesse che era al sicuro, ma non lo fece. Tuttavia, le mani di lui sul viso, che lei coprì con le sue, e le gentili parole e la sua empatia erano stati un conforto che aveva calmato il suo terrore. Ma questo non era un sogno. Nicci cercò affannosamente di respirare e di chiamare a gran voce Zedd, ma non poté fare nessuna delle due cose. Cercò di richiamare il suo Han, il suo dono, ma non riusciva a entrarvi in contatto. Era come se il suo dono fosse oltremodo veloce e lei oltremodo lenta. Le due cose non si combinavano.
La donna, l'incarnato pallido di chi è morto di recente, i suoi capelli e l'abito neri come il mondo sotterraneo, all'improvviso fu lì, proprio accanto a Nicci. Il braccio della donna fluttuò all'infuori, estendendosi attraverso il turbinante tessuto nero. La carne disseccata tesa sulle sue nocche enfatizzava le ossa. Le sue dita ossute sfiorarono la parte inferiore della mascella di Nicci. Era un tocco altezzoso, un arrogante atto di trionfo. Nicci sentì la vibrazione nel suo petto quasi capace di squarciarla. La donna emise una vuota, lenta risata gorgogliante, che riecheggiò dolorosamente fra le sale di pietra del Mastio. Nicci seppe senza ombra di dubbio cosa voleva, per cosa era venuta. Tentò disperatamente di far avvampare il suo potere, di afferrare la donna, di gettarsi in avanti, qualunque cosa pur di fermarla, ma non riuscì a fare nulla. Il suo potere sembrava incredibilmente distante, crepitava talmente lontano che avrebbe impiegato un'eternità per raggiungerlo. Mentre il dito sfiorava la mascella di Nicci in tutta la sua lunghezza, la donna scomparve di nuovo, svanendo ancora, con grazia, nelle profondità oscure. Quando apparve la volta successiva, era di nuovo presso le porte aperte placcate d'ottone che conducevano nella stanza con la scatola. La donna scivolò attraverso la porta, i suoi piedi che non toccavano mai il suolo, il suo abito che si trascinava lieve attorno a lei. Di nuovo svanì dallo sguardo di Nicci. Quando comparve nuovamente, era fra la stanza e Nicci. Aveva la scatola dell'Orden sotto un braccio. Mentre quella terribile risata riecheggiava nella mente di Nicci, il mondo sfumò nell'oscurità. 6 Rachel non sapeva a chi appartenesse il cavallo e non gliene importava. Lo voleva. Aveva corso tutta la notte ed era esausta. Non si era mai fermata per riflettere sul perché stesse correndo. In un certo senso non sembrava importante. Importava solo che continuasse ad avanzare. Doveva affrettarsi. Doveva continuare ad andare. Procedere più veloce. Avere il cavallo.
Era certa della direzione in cui procedere. Non sapeva perché si sentiva così sicura al riguardo. Non aveva dedicato alla faccenda alcuna seria riflessione. Nel profondo della sua mente rimaneva solo una questione da qualche parte che non era mai affiorata in una preoccupazione interamente consapevole. Accovacciandosi nel secco, fragile sottobosco, cercò di rimanere ferma come un'ombra mentre decideva il da farsi. Era difficile rimanere immobile perché aveva molto freddo. Cercò di non tremare per paura di rivelare la sua presenza. Voleva sfregarsi le braccia, ma sapeva di non doverlo fare poiché ogni movimento avrebbe potuto attirare l'attenzione. Per quanto avesse freddo, il pensiero che più la assillava era prendere il cavallo. Chiunque possedesse l'animale non sembrava essere nei paraggi, al momento. Perlomeno, se lo era, lei non riusciva a vederlo. Può darsi che stesse dormendo fra la lunga erba marrone e fosse troppo in basso perché lei lo scorgesse. Poteva essere via in esplorazione. O forse era in attesa, in guardia per lei, forse con una freccia incoccata e in allerta, cosicché, non appena fosse schizzata fuori dal suo nascondiglio, avrebbe potuto mirare e trafiggerla. Per quanto questo pensiero fosse spaventoso, la sua paura non era paragonabile al suo bisogno di continuare a procedere, di affrettarsi. Rachel controllò il sole attraverso la spessa macchia d'alberi, verificando la sua posizione, accertandosi di conoscere la direzione in cui doveva andare. Considerò le possibili vie di fuga. C'era un largo sentiero, non proprio una strada, che sarebbe andato bene se fosse dovuto fuggire rapidamente. C'era anche un torrente poco profondo, dal letto ghiaioso, che scorreva. Sull'altra sponda, il ruscello si congiungeva con la strada e vi scorreva accanto, facendosi strada verso sudest attraverso gli alberi. Il sole, basso, enorme e rosso, era sospeso poco sopra l'orizzonte. Il colore era uguale a quello dei graffi che si era procurato sulle braccia per aver attraversato correndo la boscaglia. Prima che Rachel se ne rendesse conto, prima che avesse finito di pensare a tutte le possibilità, le sue gambe si stavano muovendo. Sembravano quasi avere una vita propria. Solo pochi passi fuori dal sottobosco correva già, schizzata fuori sul terreno aperto verso il cavallo. Con la coda dell'occhio, Rachel avvistò l'uomo che si rizzava a sedere d'improvviso nell'erba alta. Proprio come aveva sospettato, stava dormendo. Con il suo corpetto di cuoio e le cinghie borchiate per tenere i coltelli, sembrava uno degli uomini dell'Ordine Imperiale. Pareva solo. Probabil-
mente in missione esplorativa. Era ciò che Chase le aveva insegnato. Un soldato dell'Ordine Imperiale in giro da solo era con tutta probabilità un esploratore. In realtà non le importava chi fosse. Voleva il cavallo. Pensava che forse avrebbe dovuto aver paura dell'uomo, ma non era così. Temeva solo di non riuscire a prendere il cavallo, di non fare abbastanza in fretta. L'uomo gettò da un lato la sua coperta e intanto balzava in piedi. Scattò in una folle corsa. Avanzava rapidamente, ma le gambe di Rachel erano cresciute nel corso dell'estate e lei correva veloce. Il soldato le urlò contro. Lei non gli prestò la minima attenzione mentre si precipitava verso il baio. L'uomo le scagliò contro qualcosa. Lei lo vide saettare sopra la sua spalla sinistra. Era un coltello. A una tale distanza, sapeva che era stato un lancio folle... un lancia-e-prega, come lo chiamava Chase. Lui le aveva insegnato a puntare, a mirare. Le aveva insegnato molto sui coltelli. Lei sapeva anche che un bersaglio in corsa era difficile da colpire con un coltello. Aveva ragione. Il coltello la mancò di un bel po'. Con un tonfo sordo si conficcò in un ceppo che giaceva in terra fra lei e il cavallo. Liberò il coltello con uno strattone dal ceppo marcio mentre vi correva accanto e se lo infilò alla cintura rallentando. Il coltello era suo, ora. Chase le aveva insegnato a prendere le armi del nemico ogni qualvolta fosse possibile ed essere preparata a usarle, specialmente se erano migliori di quelle che aveva. Le aveva insegnato che per sopravvivere doveva usare qualunque cosa avesse a disposizione. Prendendo una grossa boccata d'aria, corse sotto il muso del cavallo, ghermendo le estremità delle redini che ricadevano, e scoprendo che erano legate a un ramo del ceppo caduto. Le sue dita lavorarono freneticamente per disfare lo stretto nodo, ma erano intirizzite dal freddo. Scivolarono sul cuoio mentre lei lo graffiava. Voleva urlare per la frustrazione, ma continuò a dare strattoni per districare il nodo. Sembrò impiegare un'eternità per slegarlo. Non appena le redini furono libere, le raccolse assieme in una mano. Fu allora che notò che la sella non era molto distante. Lanciò un'occhiata verso l'uomo che urlò ancora, lanciandole un improperio. Si stava avvicinando in fretta. Non aveva abbastanza tempo nemmeno per pensare a sellare il cavallo. Le bisacce, probabilmente piene di provviste, erano poggiate contro la sella. Fece passare un braccio sotto il pezzo di cuoio che teneva unite le due bisacce e si tuffò sotto il collo del cavallo spaventato.
Aggirandolo dal lato opposto, afferrò con un pugno la criniera e la tenne stretta per aiutarsi a saltare sulla schiena nuda dell'animale. Le bisacce erano pesanti e quasi le lasciò cadere, ma le strinse forte e le tirò su dietro di sé. Anche se il cavallo non era stato sellato, almeno aveva le sue briglie. Da qualche parte negli oscuri recessi della sua mente, Rachel gradì il calore dell'animale. Posò i pesanti sacchi di traverso al garrese del cavallo, di fronte alle proprie gambe. Ci sarebbero stati cibo e acqua, dentro. Avrebbe avuto bisogno di entrambi, per essere in grado di proseguire a lungo. Presupponeva che sarebbe stato un lungo viaggio. Il cavallo sbuffò, agitando la testa. Rachel non perse tempo a calmare l'animale, come Chase le aveva insegnato. Allentò le redini mentre percuoteva i fianchi del cavallo coi talloni. L'animale saltellò di lato, non sicuro del suo nuovo cavaliere. Rachel lanciò uno sguardo di traverso e vide che l'uomo l'aveva quasi raggiunta. Tenendo stretta la criniera in una mano e le redini nell'altra, Rachel si chinò in avanti e di nuovo batté i talloni nei fianchi del cavallo, più indietro. L'animale schizzò in una corsa sfrenata. L'uomo, imprecando, si lanciò in un tuffo per afferrare le briglie. Rachel strattonò le redini di lato e il cavallo ubbidì. Il soldato volò e cadde rovinosamente in avanti, lamentandosi per il colpo. Vedendo all'improvviso gli zoccoli tonanti così vicino, lanciò un urlo, e la paura prendeva il posto della rabbia mentre si sbrigava a rotolare via: evitò di essere calpestato per un soffio. Rachel non provò alcun senso di trionfo. Sentiva solo l'impulso di sbrigarsi, di correre verso sudest. Il cavallo si adeguò. Lei guidò il puledro in corsa verso il torrente dal lato opposto dello spiazzo erboso. Gli alberi si chiusero attorno a loro che correvano lungo l'ampia striscia d'acqua poco profonda, l'uomo che spariva in lontananza. L'acqua schizzava al passaggio del cavallo. Il letto ghiaioso sembrava adatto alla sua andatura. Chase le aveva insegnato come usare l'acqua per nascondere le sue tracce. Ogni falcata al galoppo era un passo avanti, e questo era tutto ciò che contava. 7 Quando il soldato che passava fra i carri lanciò le uova sode, Richard af-
ferrò quelle che riuscì a prendere. Dopo aver raccolto il resto da terra, se le mise tutte nell'incavo del braccio e tornò strisciando sotto il carro per ripararsi dalla pioggia. Era un freddo, squallido surrogato di un rifugio, ma era comunque meglio che sedere sott'acqua. Dopo aver raccolto il proprio bottino di uova, John la roccia, tirando la catena dietro di sé, si affrettò a tornare dall'altro lato del carro. «Ancora uova» disse John la roccia disgustato. «È tutto quello che ci danno. Uova!» «Potrebbe andare peggio» gli disse Richard. «Come?» domandò John la roccia, non troppo contento della sua dieta. Richard pulì le uova sui suoi pantaloni, cercando di togliere il fango dai gusci. «Potrebbero darci da mangiare, York.» John la roccia lanciò uno sguardo corrucciato a Richard. «York?» «Il tuo compagno di squadra che si è rotto la gamba» disse Richard mentre cominciava a sgusciare una delle sue uova. «Quello che Faccia di serpente ha ucciso.» «Oh. Quello York.» John la roccia rifletté per un momento. «Pensi davvero che questi soldati mangino la gente?» Richard gli rivolse uno sguardo. «Se terminano il cibo, cominceranno a mangiare i morti. Se sono abbastanza affamati e finiscono i morti, mieteranno un nuovo raccolto.» «Pensi che termineranno il cibo?» Richard sapeva che sarebbe accaduto, ma non voleva dirlo. Aveva dato ordine alle forze del D'Hara non solo di distruggere qualunque convoglio di rifornimenti dal Vecchio Mondo, ma di distruggere la capacità del Vecchio Mondo di provvedere alla loro massiccia forza di invasione al nord. «Sto solo dicendo che potrebbe andar peggio delle uova.» John la roccia guardò le sue in una nuova luce, brontolando infine il suo assenso. Mentre cominciava a sgusciarne una, cambiò argomento. «Pensi che ci faranno giocare a Ja'La sotto la pioggia?» Richard inghiottì un boccone prima di rispondere. «Probabilmente. Ma preferirei giocare una partita e riscaldarmi piuttosto che sedere qui a gelare tutto il giorno.» «Può darsi» disse John la roccia. «Inoltre,» Richard continuò «prima cominciamo a sconfiggere squadre venute per il torneo, prima saliamo di posizione e giochiamo contro la squadra dell'imperatore.» John la roccia sorrise a quella prospettiva.
Richard stava morendo di fame, ma si costrinse a rallentare e assaporare il pasto. Mentre sgusciavano le uova e mangiavano in silenzio, lui teneva d'occhio l'attività in lontananza. Perfino sotto la pioggia, gli uomini erano affaccendati in ogni genere di occupazione. Il rumore di martelli alle fucine risuonava attraverso lo scroscio della pioggia e il clamore di conversazioni, urla, litigi, risate e ordini sbraitati. Il vasto accampamento si estendeva per la piana di Azrith fin dove Richard poteva vedere l'orizzonte. Stando seduto per terra, era difficile vedere molto più dell'ampio campo al di là. Poteva scorgere carri e un po' più lontano le tende più grandi. I cavalli passavano veloci mentre carri trainati da muli procedevano attraverso le masse vaganti. Uomini a piedi, dall'aspetto penoso, stavano in fila ad attendere il cibo presso le tende dei cuochi. In lontananza il Palazzo del Popolo, seduto su un elevato altopiano, torreggiava su ogni cosa. Anche nel buio del giorno grigio, le grandiose mura di pietra, le imponenti torri e i tetti piastrellati del palazzo si stagliavano sopra il sudicio esercito venuto a distruggerlo. Col fumigante vapore che si sollevava dall'accampamento dell'Ordine Imperiale, assieme alla pioggia e al cielo coperto, l'altopiano e il palazzo sulla sua cima sembravano un'apparizione nobile e remota. Cerano volte in cui le nubi e la nebbia si chiudevano come tende e l'intero altopiano svaniva nel grigiore, come se ne avesse abbastanza dell'orda infuriata venuta a profanarlo. Per un nemico non esisteva un modo semplice di attaccare il palazzo sulla cima dell'altopiano. La strada che risaliva il fianco del dirupo era troppo stretta per qualunque assalto degno di questo nome. Oltre a ciò, c'era un ponte levatoio che Richard era sicuro fosse stato già sollevato e, anche senza questo, c'erano mura massicce, formidabili già di per sé e che lasciavano poco spazio al di fuori per ammassare una considerevole forza d'attacco. Tranne in tempi di guerra, il Palazzo del Popolo era il fulcro dei commerci da tutto il D'Hara. Venivano costantemente portate risorse per tutte le persone che ci vivevano. Poiché era un centro di commerci, grandi quantità di persone venivano al palazzo per comprare e vendere beni. Per tutte quelle persone, la via principale per accedere al palazzo-città era attraverso l'interno dell'altopiano stesso. Scale e passaggi servivano il gran numero di visitatori e venditori. C'erano anche larghe rampe per cavalli e carri. Poiché così tanta gente viaggiava all'interno dell'altopiano, c'erano negozi e banchetti lungo tutto il tragitto. Molte persone venivano per quel-
le bancarelle e non arrivavano mai fin su nella città. Tutto l'interno dell'altopiano era punteggiato come un alveare di stanze di ogni tipo. Alcuni degli spazi interni erano pubblici, ma altri no. C'era un gran numero di soldati della Prima Fila, la guardia di palazzo, alloggiati lì. Il problema, dal punto di vista dell'Ordine Imperiale, era che le grandi porte per quelle aree di accesso interno erano chiuse. Costruite per resistere a ogni tipo d'attacco, dietro quelle porte erano immagazzinate provviste sufficienti per un lungo assedio. Fuori, la piana di Azrith non era un posto affatto ospitale per delle forze riunite in un assedio. Mentre profondi pozzi all'interno dell'altopiano fornivano acqua agli abitanti, fuori sulla piana di Azrith non c'era una riserva idrica costante nei paraggi, tranne la sporadica pioggia, e non c'era alcuna vicina riserva di legna da ardere. Inoltre, il tempo sulla piana era inclemente. Tra le file dell'Ordine Imperiale, in molti erano dotati del dono, ma non potevano essere di grande aiuto a far breccia nelle difese del palazzo. La sua stessa struttura era a forma di un incantesimo di protezione che amplificava il potere del lord Rahl in carica mentre allo stesso tempo ostacolava il potere altrui. All'interno di quell'altopiano e nella città sulla sua sommità, le capacità di ogni persona col dono che non fosse un Rahl erano seriamente smorzate da quell'incantesimo. Dato che era un Rahl, di norma un incantesimo del genere sarebbe stato un vantaggio per Richard, se non fosse stato per il fatto che era stato in qualche modo privato del dono. Aveva un'idea piuttosto precisa di come fosse stato fatto. Incatenato a un carro, nel mezzo di una forza nemica che si contava a milioni, però, non poteva farci molto. A parte l'altopiano e il palazzo che vi sorgeva, la cosa che si stagliava più in alto in tutta la piana di Azrith era la rampa che l'Ordine Imperiale stava costruendo. Non essendoci un modo semplice per attaccare la sede di potere dell'impero del D'Hara, l'ultimo ostacolo che si frapponeva al totale dominio del Nuovo Mondo, Jagang aveva elaborato un piano: costruire un'enorme rampa per far salire sulla sommità dell'altopiano forze sufficienti ad aprire un varco nelle mura. Non progettava semplicemente di assediare il Palazzo del Popolo, ma di assaltarlo. Da principio Richard aveva pensato che una tale impresa fosse impossibile, però man mano che studiava ciò che l'esercito stava facendo, presto si era demoralizzato nel rendersi conto che avrebbe potuto funzionare. Se pure l'altopiano si trovava a un'altezza considerevole, torreggiando sopra la
piana di Azrith, l'Ordine Imperiale che lo circondava aveva milioni di uomini impegnati in quell'impresa. Dal punto di vista di Jagang, questo era il suo ultimo obiettivo, l'ultimo posto che doveva schiacciare per poter stabilire l'incontrastato dominio dell'Ordine Imperiale. Agli occhi dell'imperatore, non c'erano altre battaglie da combattere, altri eserciti da distruggere, altre città da conquistare. La città in cima all'altopiano era tutto ciò che stava sulla loro strada. L'Ordine Imperiale, coi bruti che imponevano la fede richiesta dalla Fratellanza, non poteva permettere che le persone del Nuovo Mondo vivessero fuori dal suo controllo, perché ciò costituiva una falsità secondo i dettami dei loro capi spirituali. I Fratelli dell'Ordine insegnavano che la libertà di scelta individuale era immorale perché nociva per l'umanità. L'esistenza stessa di una popolazione prospera, indipendente e libera era in netto contrasto con le dottrine fondanti dell'Ordine. Quest'ultimo aveva condannato la gente del Nuovo Mondo come egoista e malvagia, ed esigeva che si convertissero alla loro fede o che morissero. Il fatto che milioni di soldati non avessero nulla da fare mentre attendevano di imporre le credenze dell'Ordine era senza dubbio preoccupante. Jagang aveva trovato un compito per tenerli occupati, un sacrificio per la causa: si dedicavano tutti a lavorare a turno ogni ora del giorno e della notte per costruire la rampa. Anche se Richard non poteva vedere gli uomini più in basso, sapeva che stavano scavando terra e pietra. Man mano che questi scavi diventavano più grandi, altri uomini portavano la terra dove sorgeva la rampa. Con così tante unità che lavoravano senza sosta, erano impegnati in un'impresa davvero imponente. Richard non era nell'accampamento da molto, ma immaginava che sarebbe stato presto in grado di vedere la rampa inclinata crescere inesorabilmente verso la sommità dell'altopiano. «Come morirai?» chiese John la roccia. Richard non ne poteva più di osservare la rampa in lontananza, di contemplare il futuro cupo e barbaro che l'Ordine avrebbe imposto a tutti quanti. La domanda di John la roccia, però, non era esattamente un raggio di sole nelle tenebre. Richard si incurvò all'indietro contro l'interno della ruota dalla parte opposta del carro mentre mangiava le uova. «Pensi che abbia scelta?» chiese infine. «Una voce in capitolo?» Richard si appoggiò sul ginocchio, gesticolando con l'uovo in mano. «Noi facciamo scelte su come vivere, John la roccia. Non penso che abbiamo grandi possibilità di farne su come morire.»
John la roccia parve sorpreso dalla risposta. «Pensi che possiamo scegliere come vivere? Ruben, noi non abbiamo alternative.» «Le abbiamo» disse Richard senza ulteriori spiegazioni. Si mise in bocca quel che restava dell'uovo. John la roccia sollevò la catena attaccata al suo collare. «Come posso fare una qualche scelta?» Fece un gesto rivolto all'accampamento. «Loro sono i nostri padroni.» «Padroni? Loro hanno scelto di non pensare per sé stessi e vivere invece secondo i dettami dell'Ordine. Nel far ciò, non sono padroni nemmeno delle proprie vite.» John la roccia scosse il capo sbalordito. «Alle volte, Ruben, dici cose talmente strane. Io sono uno schiavo. Sono io quello senza alternative, non loro.» «Ci sono catene più forti di quelle attaccate al collare attorno alla tua gola, John la roccia. Io tengo in enorme conto la mia vita. Ma la offrirei per salvare quella di qualcuno che mi è caro, qualcuno che stimo. «Quegli uomini là fuori hanno scelto di sacrificare la loro esistenza per una causa insensata che provoca solo sofferenza: hanno già ceduto le loro vite e non hanno ottenuto nulla di valore in cambio. Questo significa scegliere di vivere? Non credo. Portano catene che si sono messi al collo da soli, catene di diverso tipo, ma pur sempre catene.» «Io ho combattuto quando sono venuti a prendermi. L'Ordine Imperiale ha vinto. Ora sono incatenato qui. Quegli uomini vivono, mentre noi, se cercheremo di liberarci, moriremo.» Richard ripulì un uovo dagli ultimi frammenti di guscio. «Tutti dobbiamo morire, John... tutti quanti. È come scegliamo di vivere che importa. Dopo tutto, questa è l'unica vita che ognuno di noi avrà, perciò come viviamo è di importanza fondamentale.» John la roccia masticò per un po' mentre ci pensava. Infine, con un sorriso, sembrò accantonare l'intera questione. «Be', se dovessi scegliere come morire, vorrei che fosse fra l'esultanza delle folle per come ho giocato bene la partita.» Lanciò un'occhiata a Richard. «E tu, Ruben? Se dovessi scegliere?» Richard aveva altre cose per la mente, pensieri importanti. «Spero di non doverlo decidere oggi.» John la roccia emise un pesante sospiro. Le uova sembravano minuscole nelle grosse mani dell'uomo. «Forse non oggi, ma penso che siamo giunti alla fine dei giochi... Penso che presto perderemo le nostre vite.»
Richard non rispose, perciò John la roccia parlò ancora nello scroscio dell'acquazzone. «Sono serio.» Si accigliò. «Ruben, stai sentendo o stai ancora sognando quella donna che pensi di aver visto quando siamo arrivati all'accampamento ieri?» Richard si rese conto che era così e che stava sorridendo. Malgrado tutto, stava sorridendo. Malgrado le parole di John la roccia fossero vere - che molto probabilmente sarebbero morti in quel posto - stava sorridendo. Tuttavia, non voleva parlare di Kahlan con lui. «Ho visto molte cose quando siamo entrati in questo accampamento.» «Molto presto, dopo le partite,» disse John la roccia «e se giochiamo bene, ci saranno donne a sufficienza. Faccia di serpente ce l'ha promesso. Ma ora ci sono solo soldati e ancora soldati. Devi aver visto dei fantasmi, ieri.» Richard fissò il nulla, annuendo. «Suppongo che tu non sia certo il primo a pensare che lei è un fantasma.» John la roccia scostò un pezzo di catena e sgattaiolò più vicino a Richard. «Ruben, farai meglio a non distrarti o finiremo uccisi prima ancora di avere un'opportunità di giocare contro la squadra dell'imperatore.» Richard alzò gli occhi. «Pensavo che tu fossi pronto a morire.» «Non voglio morire. Non oggi, comunque.» «Ecco qua, John la roccia, hai fatto una scelta. Perfino incatenato, hai fatto una scelta sulla tua vita.» John la roccia agitò un grosso dito verso Richard. «Guarda, Ruben, se finisco ucciso giocando a Ja'La, non voglio che sia perché hai la testa fra le nuvole, sognando delle donne.» «Solo una donna, John.» L'omone si chinò all'indietro e spazzolò via i gusci d'uovo dalle proprie dita. «Mi ricordo. Hai detto di aver visto la donna che vuoi che sia tua moglie.» Richard non lo corresse. «Io voglio solo giocare bene e vincere tutte le nostre partite in modo da avere la possibilità di affrontare la squadra dell'imperatore.» Il sorriso di John la roccia tornò. «Pensi davvero che possiamo battere la squadra dell'imperatore, Ruben? Pensi che possiamo sopravvivere a una tale partita contro quegli uomini?» Richard ruppe il guscio di un altro uovo sul suo tallone. «Sei tu quello che vuole morire fra l'esultanza delle folle per come ha giocato bene.» John la roccia rivolse a Richard un'occhiata di traverso. «Forse farò come dici e sceglierò di vivere libero, eh?»
Richard sorrise prima di mangiare metà dell'uovo. Non molto tempo dopo che i due ebbero terminato il loro pasto, apparve il comandante Karg, i suoi stivali che sguazzavano mentre marciava verso di loro nel fango. «Venite fuori! Tutti quanti!» Richard e John la roccia strisciarono fuori da sotto il carro nella pioggerellina. Altri prigionieri si alzarono in piedi, in attesa di sentire cosa voleva il comandante. I soldati che erano nella squadra si riunirono vicino. «Stiamo per avere visite» annunciò il comandante Karg. «Che genere di visite?» chiese uno dei soldati. «L'imperatore sta facendo il giro delle squadre giunte per il torneo. L'imperatore Jagang e io ci conosciamo da molto tempo. Mi aspetto che gli dimostriate che ho fatto un buon lavoro nel selezionare una squadra valida. Ogni uomo che non mi farà ben figurare o che non mostrerà il dovuto rispetto per il nostro imperatore, non mi sarà di alcuna utilità.» Senza aggiungere altro, il comandante si affrettò ad allontanarsi. Richard si dondolò da un piede all'altro mentre il cuore gli martellava in petto. Si chiese se Kahlan sarebbe stata con Jagang, come il giorno prima. Per quanto volesse disperatamente vederla di nuovo, odiava pensare che potesse trovarsi vicino a quell'uomo. A tale proposito, odiava pensare che potesse trovarsi vicina a chiunque di quegli uomini. Nel corso dell'inverno, quando Nicci aveva catturato Richard e l'aveva portato giù nel Vecchio Mondo, Kahlan aveva condotto le forze del D'Hara in sua vece. Era lei che aveva il merito di aver impedito a Jagang la vittoria che altrimenti avrebbe ottenuto quella volta. Grazie a lei i ranghi dei soldati dell'Ordine erano stati ridotti, anche se gli incessanti rifornimenti dal Vecchio Mondo avevano incluso rinforzi che avevano più che rimpiazzato gli uomini persi. Kahlan non aveva solo ritardato gli invasori, ma si era anche guadagnata eterno odio per tutto il dolore che aveva inflitto loro. Se non fosse stato per lei, l'Ordine avrebbe probabilmente raggiunto l'esercito del D'Hara e l'avrebbe massacrato. Lei aveva tenuto i soldati un passo avanti rispetto a Jagang e fuori dalla sua portata. Cercando di sembrare calmo, Richard si appoggiò contro il carro e incrociò le braccia in attesa. Non passò molto tempo prima che avvistasse un corteo sulla sinistra, diretto verso l'accampamento. Stava procedendo a intervalli regolari lungo la strada, fermandosi per dare un'occhiata più da vicino alle varie squadre. A giudicare dal tipo di soldati che componevano il gruppo, da ciò che
Richard poteva vedere, non potevano che scortare l'imperatore. Riconobbe la guardia reale del giorno precedente, quando aveva attraversato l'accampamento proprio davanti a Jagang. Era stato quando aveva intravisto Kahlan per un breve istante. Le guardie dell'imperatore avevano un aspetto intimidatorio con la loro corazza di maglia e cuoio e le loro armi di buona fattura, ma erano la loro stazza e i loro muscoli rigonfi, lucidi per la pioggia, a essere davvero spaventosi. Questi erano uomini che incutevano timore perfino a un qualsiasi bruto dell'Ordine. Quelle truppe regolari scomparivano a paragone della guardia reale. Richard immaginava che tali uomini non tollerassero nulla che rappresentasse anche solo una potenziale una minaccia per l'imperatore. John la roccia fece un passo avanti per unirsi agli altri in attesa su una linea, pronti perché l'imperatore li passasse in rassegna. Fu quando Richard vide la testa rasata al centro delle schiere di guardie muscolose che all'improvviso se ne rese conto: Jagang l'avrebbe riconosciuto. Jagang, come tiranno dei sogni, era stato nelle menti di diverse persone e aveva visto Richard attraverso i loro occhi. Richard riusciva a malapena a credere quanto fosse stato incauto a non considerare che, quando avesse giocato contro la squadra dell'imperatore per arrivare abbastanza vicino a Kahlan, Jagang sarebbe stato lì e l'avrebbe riconosciuto. Distratto dal pensiero di arrivare a Kahlan, non aveva preso in considerazione quella possibilità. Poi Richard notò qualcos'altro: una Sorella. Sembrava Sorella Ulicia, ma in tal caso era invecchiata molto dal loro ultimo incontro. Era ancora più lontana, in coda alle guardie che seguivano Jagang, ma Richard poteva comunque vedere le profonde rughe sul suo volto. L'ultima volta che l'aveva vista, era una donna attraente, anche se Richard aveva difficoltà a scindere in un individuo l'aspetto dalla personalità, e Sorella Ulicia era una donna sinistra. A prescindere da quanto una persona fosse attraente in superficie, un'indole crudele ne contaminava l'immagine agli occhi di Richard. Un carattere corrotto distorceva la sua valutazione di una persona a un punto tale che non poteva prescindere dalla sua natura maligna e lasciarsi affascinare. Questa era anche una delle ragioni per cui Kahlan per lui era così bella: non era soltanto favolosamente attraente, ma esemplare sotto ogni punto di vista. La sua intelligenza e la sua perspicacia erano eguagliate dalla sua passione per la vita. Era come se il suo aspetto affascinante riflettesse alla
perfezione ogni altra cosa di lei. Sorella Ulicia, malgrado una volta fosse stata fisicamente attraente, ora pareva riflettere soltanto il marcio che aveva in sé. Richard si rese conto non solo che Jagang e Sorella Ulicia l'avrebbero riconosciuto, ma che nel campo ci sarebbero state altre Sorelle che lo conoscevano. All'improvviso si sentì oltremodo vulnerabile. Ciascuna di quelle Sorelle poteva capitargli accanto in qualsiasi momento. Non poteva nascondersi da nessuna parte. Quando fosse stato abbastanza vicino, Jagang non avrebbe potuto non vedere che lord Rahl, lo stesso uomo che stava cercando, era proprio lì in mezzo. Incatenato, senza la capacità di usare il proprio Han, per quanto gli fosse stato difficile fare appello al suo dono quando vi aveva accesso, Richard sarebbe stato alla mercé di Jagang. Gli balenò in mente una nauseante visione che Shota la strega gli aveva trasmesso. Era stata una visione della sua esecuzione. Pioveva, proprio come stava piovendo in quel momento. Kahlan era lì. Fra lacrime di terrore, lo osservava mentre i polsi gli venivano legati dietro la schiena e veniva costretto a inginocchiarsi nel fango. Mentre era carponi, con Kahlan che urlava il suo nome, un enorme soldato era comparso dietro di lui, promettendogli che avrebbe preso Kahlan per sé e intanto faceva scorrere un lungo coltello davanti al volto di Richard e poi, con un colpo possente, gli tagliava la gola. Richard si rese conto che si stava toccando la gola, come per coprire la ferita aperta. Stava ansimando dal panico. Sentì una calda ondata di nausea montare dentro di lui. Si trattava della visione di Shota che prendeva vita? Era questo ciò da cui lei l'aveva messo in guardia? Era quello il giorno in cui sarebbe morto? Stava accadendo tutto troppo in fretta. Non era pronto. Ma cosa avrebbe potuto fare per prepararsi? «Ruben!» urlò il comandate Karg. «Vieni avanti!» Richard si sforzò di controllare le sue emozioni. Inspirò profondamente e cercò di calmarsi mentre iniziava a muoversi, sapendo che se non l'avesse fatto le cose sarebbero peggiorate ancora più rapidamente. Non lontano, il capannello di uomini si era fermato presso la squadra successiva nella linea. Richard poteva sentire solo il mormorio delle conversazioni sovrapporsi al suono della pioggia. La sua mente ragionò velocemente, cercando di pensare a cosa fare prima che Jagang lo riconoscesse. Sapeva di non potersi nascondere dietro gli
altri uomini. Era la punta. Jagang avrebbe voluto vedere la punta della squadra. E poi colse al volo un'occhiata di Kahlan. Richard si mosse come in sogno. L'intero gruppo di uomini attorno all'imperatore e a Kahlan si stava voltando in direzione di Richard e della sua squadra. Sapendo di doversi allineare con gli altri, Richard fece un passo sopra la catena attaccata al collare di John la roccia. Proprio allora ebbe un'idea. Si precipitò in avanti e lasciò intenzionalmente che il suo piede restasse intrappolato nella catena. Cadde a faccia in giù nel fango. Il comandante Karg si fece rosso dalla rabbia. «Ruben, maldestro idiota! In piedi!» Richard balzò in piedi mentre le guardie di Jagang cominciavano a separarsi per far passare l'imperatore. Richard si sollevò accanto a John la roccia. Con un dito si ripulì gli occhi dal fango. Sbatté le palpebre per vedere meglio. Fu allora che notò Kahlan. Stava camminando proprio dietro Jagang. Il cappuccio del suo mantello, tirato su per proteggerla dalla pioggia, le nascondeva parzialmente il viso. Richard riconobbe ogni movimento del suo corpo. Nessuno si muoveva come lei. I loro occhi si incontrarono. Pensò che il suo cuore potesse fermarsi. Si ricordò della prima volta che l'aveva vista. Aveva un aspetto così nobile in quell'abito bianco. Si ricordò il modo in cui lei l'aveva osservato senza parlare, uno sguardo che era stato interrogativo e allo stesso tempo guardingo, uno sguardo che all'istante e in modo chiaro trasmetteva la sua intelligenza. Non aveva mai visto nessuno prima di quel momento che sembrasse così... valoroso. Pensò che probabilmente si era innamorato di lei fin da quel primo istante, fin da quella prima occhiata nei suoi bellissimi occhi verdi. Nel primo sguardo in quegli occhi era sicuro di aver visto la sua anima. In quel momento nella sua espressione c'era tutto questo, insieme a una punta di confusa preoccupazione. Dal modo in cui il suo sguardo era fisso su di lei e la seguiva, era sicura che lui potesse vederla. Essendo vittima dell'incantesimo della Catena di fuoco, non ricordava chi fosse lui o, addirittura, chi fosse lei stessa. A parte Richard e le Sorelle che l'avevano presa prigioniera e attivato l'incantesimo della Catena di fuoco, nessuno riusciva a ricordarla. Ovviamente, Jagang non era influenzato dall'incantesimo. Richard suppose che avesse probabilmente qualcosa a che fare con un legame con le Sorelle. Ma Kahlan era invisibile per chiunque altro.
Lei si rese conto, però, che Richard poteva vederla. Nell'isolamento imposto dall'incantesimo, questo rappresentava per lei qualcosa di profondamente importante e significativo. In effetti, dallo sguardo sul suo viso, lui poteva vedere che era così. Prima che Jagang potesse avvicinarsi abbastanza da esaminare la squadra, un uomo chiamò a gran voce mentre correva verso il gruppo. L'imperatore gli fece cenno di venire avanti in un modo che lasciava intendere che lo conosceva bene. Le guardie si separarono per lasciarlo passare mentre entrava nel cerchio interno di protezione. Dato che portava solo armi insignificanti - un paio di coltelli - Richard dedusse che probabilmente era un messaggero. Era senza fiato ma sembrava avere una gran fretta. Quando ebbe raggiunto l'imperatore, l'uomo si chinò in avanti, parlando in tono concitato a bassa voce. A un certo punto del suo rapporto, fece un gesto per l'accampamento verso la zona dove aveva luogo la costruzione della rampa. Kahlan, distogliendo lo sguardo da Richard, lanciò un'occhiata all'uomo che stava parlando con Jagang. Richard studiò un drappello di altre guardie, più vicine, che la circondavano. Non erano la guardia reale, e in effetti stavano attenti a stare alla larga dall'imponente scorta dell'imperatore. Questi uomini erano più simili a normali soldati del campo. Le loro armi non erano di buona fattura. Non avevano cotta di maglia né corazza. I loro vestiti sembravano un insieme di tutto ciò che avessero trovato e che assomigliasse a quello del resto dell'esercito. Erano degli omoni, giovani e forti, ma non potevano eguagliare le guardie dell'imperatore. Sembravano dei bruti comuni. Richard si rese conto, allora, che evidentemente stavano solo sorvegliando Kahlan. A differenza delle guardie di Jagang, che sembravano incuranti della sua presenza, questi uomini lanciavano frequenti occhiate alla donna, controllando ogni sua mossa. Poteva solo significare che questi uomini potevano vederla. Le guardie di Jagang non guardavano mai Kahlan, ma questi sì. In qualche modo, erano in grado di vederla. In qualche modo, per sorvegliarla, Jagang aveva trovato degli uomini che non erano influenzati dall'incantesimo. Pur dubitando da principio se fosse vero che potevano vederla e confuso da come una cosa del genere fosse possibile, Richard infine si rese conto che aveva davvero senso. L'incantesimo della Catena di fuoco, come lo stesso mondo della magia, era stato contaminato dai rintocchi. La conta-
minazione aveva eroso la capacità della magia di funzionare. L'intero scopo dei rintocchi era distruggere la magia. Per via dell'alterazione lasciata dalla loro presenza nel mondo della vita, la stessa composizione dell'incantesimo della Catena di fuoco era stata guastata. Quando Zedd e Nicci avevano attivato la tela di verifica, Richard aveva scoperto il danno alla struttura dell'incantesimo stesso. A causa della contaminazione al suo interno, l'incantesimo della Catena di fuoco non funzionava come previsto. Era imperfetto. Aveva senso che una tale imperfezione consentisse a poche persone di sfuggire ai suoi effetti. Richard si ricordava come la pestilenza, che si era propagata fra la popolazione come un incendio, non avesse colpito tutti. C'erano poche persone, anche alcuni di quelli che curavano gli infetti e i morenti, che non avevano mai contratto la malattia. Doveva essere qualcosa del genere. Dovevano esserci poche persone che non erano influenzate dalla Catena di fuoco e pertanto erano in grado di vedere Kahlan. Avrebbe certamente spiegato perché c'era chi poteva vederla. Mentre quelle guardie speciali, distratte dall'uomo che parlava con Jagang con tale urgenza, si voltavano per vedere meglio cosa stava accadendo con l'imperatore, Kahlan fece una piccola mossa per voltarsi assieme a loro. Sembrava perfettamente naturale; Richard sapeva che non lo era affatto. Mentre si girava, Kahlan si aggiustò il cappuccio del suo mantello contro la pioggia e, mentre la sua mano tornava giù, passò vicino a una delle guardie. Richard vide che il fodero alla cintura dell'uomo era vuoto. Mentre la mano di Kahlan scompariva sotto il mantello, Richard colse un breve scintillio riflettersi sulla lama. Voleva ridere fragorosamente, esultare, ma non osava muovere un muscolo. Kahlan lo sorprese a guardarla e si rese conto che doveva aver visto quello che lei aveva appena fatto. Lo osservò per un momento per vedere se l'avrebbe tradita. Stava usando il cappuccio del suo mantello per nascondere il volto da coloro che la sorvegliavano, per impedire che vedessero che stava guardando di sbieco Richard. Quando lui non si mosse, lei si girò e assieme alle guardie osservò ciò che stava accadendo fra il messaggero e l'imperatore. All'improvviso Jagang girò i tacchi e si allontanò, tornando da dove era venuto, con il messaggero alle calcagna. Kahlan lanciò un breve sguardo voltandosi appena per afferrare un'ultima occhiata di Richard prima che le guardie potessero serrarsi attorno all'imperatore e alla sua prigioniera.
Mentre lo faceva, il cappuccio del suo mantello si mosse quel tanto che bastava perché Richard vedesse lo scuro livido sulla sua guancia sinistra. Una rabbia rovente avvampò in lui. Ogni fibra del suo essere voleva fare qualcosa, agire, strapparla a Jagang, portarla via da quell'accampamento. La sua mente cercò in maniera febbrile di escogitare qualcosa, qualunque cosa, ma, così incatenato, non c'era nulla che potesse fare. Non era né il tempo né il luogo per agire. Ancora peggio, sapeva che se non avesse fatto nulla i maltrattamenti di Jagang su di lei sarebbero solo continuati. Se non avesse fatto nulla, e Kahlan avesse sofferto ancora di più, Richard sapeva che non avrebbe mai potuto perdonarsi. Malgrado la disperazione con cui voleva fare qualcosa, non poteva agire. Rimase silenzioso e immobile, sopportando la rabbia che divampava in lui, un'ira che era la gemella della Spada della Verità, la spada che aveva ceduto per poter trovare Kahlan. Kahlan, l'imperatore e tutte le guardie svanirono di nuovo nel turbolento sudiciume dell'accampamento. Cortine di nebbia parvero richiudersi dietro di loro. Richard rimase lì tremante, in preda ad amara frustrazione. Nemmeno la pioggia fredda poteva smorzare la sua rabbia repressa. Perfino mentre la sua mente passava in rassegna ogni possibile azione, sapeva che non c'era nulla da fare. Non in quel momento, comunque. Allo stesso tempo il suo cuore doleva per Kahlan. L'agonia per ciò che lei stava affrontando per mano di un tale uomo gli annodava le viscere. Le ginocchia gli cedevano dalla paura. Dovette rinsaldare la sua determinazione per impedirsi di cadere per terra in lacrime. Se solo avesse potuto mettere le mani su Jagang. Se solo... Il comandante Karg arrivò a grandi falcate davanti a Richard. «Sei fortunato» ringhiò. «L'imperatore evidentemente ha cose più importanti da fare che passare in rassegna la mia squadra e la mia maldestra punta.» «Mi serve della vernice» disse Richard. Il comandante Karg sbatté le palpebre dalla sorpresa. «Cosa?» «Vernice. Ne ho bisogno.» «Ti aspetti che vada a prenderti della vernice?» «Sì. Te l'ho detto, mi serve.» «Per cosa?» Richard agitò un dito verso l'uomo, resistendo energicamente all'impulso di far passare un pezzo di catena attorno al collo del comandante e strango-
larlo a morte. «Perché hai quei tatuaggi?» Confuso, il comandante Karg esitò per un momento, riflettendo sulla domanda come se nascondesse delle insidie. «Per sembrare più spietato al nemico» disse infine. «Un tale aspetto mi dà potere. Quando i nemici vedono i nostri uomini, vedono dei feroci guerrieri. Infonde il terrore nei loro cuori. Quando si immobilizzano un momento per la paura, noi trionfiamo.» «Ecco perché voglio la vernice» disse Richard. «Voglio dipingere le facce della nostra squadra per infondere paura nei cuori dei nostri avversari. Ci aiuterà a sconfiggerli. Aiuterà la tua squadra a trionfare.» Il comandante Karg studiò gli occhi di Richard per un momento, come per valutare se fosse serio o stesse architettando qualcosa. «Ho un'idea migliore» disse il comandante. «Farò venire degli artisti per tatuare la mia intera squadra.» Diede dei colpetti con un dito alle scaglie che gli coprivano parte della faccia. «Vi farò tatuare tutti quanti con scaglie e altri disegni in volto. Vi farà apparire come miei uomini. Quando avrete tutti tatuaggi come il mio, sembrerete la mia squadra. Tutti sapranno che appartenete a me.» Il comandante rivolse a Richard un sorriso torvo, compiaciuto della propria idea. «Vi farò anche fare dei buchi. Avrete tutti tatuaggi e borchie di metallo in faccia. Avrete tutti l'aspetto di animali inumani.» Richard attese finché l'uomo non ebbe terminato, poi scosse il capo. «No. Non va. Non è abbastanza.» Il comandante Karg piantò i pugni sulle anche. «Cosa vuol dire che non è abbastanza?» «Be',» disse Richard «questo tipo di tatuaggi non si può vedere da lontano. Sono sicuro che funzionano bene in battaglia, quando si è in un confronto faccia a faccia col nemico, ma non è così nelle partite di Ja'La. Tatuaggi del genere sfuggono facilmente.» «Spesso si è tanto vicini sul campo di Ja'La quanto in battaglia» disse il comandante Karg. «Forse,» ammise Richard «ma io voglio che ci distinguiamo non solo agli occhi dei nostri avversari del momento, non solo per gli uomini sul campo, ma anche per le altre squadre che staranno a guardare, per chiunque sarà nel pubblico. Voglio che tutti vedano le nostre facce dipinte e ci riconoscano all'istante. Voglio un aspetto che instilli paura nelle menti delle altre squadre. Voglio che si ricordino di noi e che si preoccupino.» Il comandante Karg incrociò le braccia muscolose. «Voglio che siate ta-
tuati per apparire come la mia squadra. Cosicché tutti sappiano che è la squadra del comandante Karg.» «E se perdiamo? Se perdiamo in modo umiliante?» Il comandante si sporse un poco in avanti lanciandogli un'occhiata arcigna. «Allora verrete quantomeno frustati, e nella peggiore delle ipotesi non mi sarete più di alcuna utilità. Penso che a quest'ora tu sappia cosa ne è dei prigionieri che non sono utili.» «Se ciò accade,» disse Richard «tutti si ricorderanno che la squadra che hai messo a morte perché inferiore era tutta tatuata proprio come te. Se falliamo, ricorderanno il disegno di serpente del tuo tatuaggio su tutti noi. Collegherebbe noi a te, ma anche te a noi. Se perdiamo, sarai bollato da quel tatuaggio. Se saremo sconfitti, ogni volta che vedranno la tua faccia tatuata ti rideranno dietro. «Se per qualche motivo dovessimo perdere, la vernice può essere lavata via prima che siamo frustati o peggio.» Il comandante Karg stava cominciando ad afferrare ciò che intendeva Richard. Si calmò visibilmente, e intanto si grattava la mascella. «Vedrò se riesco a procurarmi della vernice.» «Che sia rossa.» «Rossa? Perché?» «Il rosso spicca. Se ne rammenteranno. Il rosso inoltre ricorda alla gente il sangue. Voglio che ci vedano e prima di qualunque altra cosa si chiedano perché vogliamo apparire come dipinti di sangue. Voglio che le altre squadre se ne preoccupino la notte, prima di una partita. Voglio che sudino e perdano il sonno a pensarci. Quando infine verranno a giocare contro di noi, saranno stanchi e noi li faremo sanguinare.» Un sorriso si distese lentamente sul volto del comandante Karg. «Sai, Ruben, se tu fossi nato dal lato giusto di questa guerra, come me, penso che saremmo stati buoni amici.» Richard dubitò che l'uomo comprendesse davvero il concetto di amicizia o potesse addirittura apprezzare tale valore. «Mi servirà vernice sufficiente per tutti gli uomini» disse Richard. Il comandante Karg annuì e fece per andarsene. «L'avrai.» 8 Kahlan si affrettò per restare vicino a Jagang mentre marciava attraverso il campo, per timore che lui le inviasse una violenta scossa di dolore attra-
verso il collare. Ovviamente, come aveva dimostrato diverse volte, non aveva bisogno di scuse. Lei sapeva, però, che in quel momento faceva meglio a non dargli neanche il minimo pretesto, poiché andava di fretta per via delle strane notizie che il messaggero aveva recato. Non le importava molto di quelle notizie, comunque. La sua mente era concentrata sull'uomo che aveva finalmente rivisto, il prigioniero che era stato portato lì il giorno prima. Mentre si muoveva attraverso l'accampamento, pensando a lui, osservava non soltanto le sue guardie ma anche i comuni soldati del campo, cercando reazioni che potessero indicare che riuscivano a vederla, provando a sentire qualche commento osceno che li avrebbe traditi. Tutt'intorno, uomini spaventati fissavano il gruppo pesantemente armato che procedeva nel mezzo della loro vita quotidiana, ma non vide nessuno guardarla direttamente o mostrare un qualche altro segno di riconoscimento. Malgrado fossero parte di un esercito guidato dall'imperatore in persona, questi uomini probabilmente non avevano mai visto prima Jagang così da vicino. L'esercito, tutto in uno stesso posto, formava una popolazione più vasta di ogni altra città. Se i soldati avevano visto l'imperatore prima, era verosimile che l'avessero fatto solo a grande distanza. Ora, mentre passava così vicino, lo fissavano con aperto stupore. Kahlan prese nota della loro reazione e dell'atteggiamento di Jagang nei loro confronti, una contraddizione ai dettami dell'Ordine di eguaglianza assoluta fra tutti gli uomini. Dal canto suo, Jagang non aveva mai dimostrato alcuna propensione a condividere la vita dei suoi soldati, una quotidiana esistenza nella sporcizia e nel fango. Vivevano in un campo che era virtualmente senza legge, coinvolti in crimini di ogni genere coi loro indisciplinati compagni, mentre Jagang godeva sempre della protezione di coloro che, in linea teorica, erano uguali a lui in ogni senso. Kahlan suppose che, se c'era una cosa che condividevano, era che essi, come il loro imperatore, conducevano l'esistenza sotto il segno della violenza irrazionale e quasi costante e della completa indifferenza verso la vita umana. Kahlan, invisibile ai soldati tutt'intorno, camminava attentamente fra pozzanghere e letame. Strinse forte il coltello in un pugno sotto il mantello, ancora incerta su come l'avrebbe utilizzato. L'opportunità di prendere il coltello si era presentata all'improvviso e lei aveva agito. In un ambiente tanto violento, avere un'arma la faceva sentire meglio. L'accampamento era un luogo spaventoso, per quanto lei fosse invisibile quasi a tutti. Anche se sapeva di non avere alcuna speranza di poter usare il
coltello per sfuggire a Jagang, a tutte le sue guardie speciali e alle Sorelle, possederlo la faceva sentire bene. Le dava un minimo di controllo, un modo per difendersi, almeno fino a un certo punto. Ma, ancor di più, un'arma simboleggiava quanto valore desse alla sua vita. Era una dichiarazione a sé stessa che non aveva, e non avrebbe, ceduto. Se ne avesse avuto l'opportunità, Kahlan avrebbe usato il coltello per cercare di uccidere Jagang. Sapeva che se fosse davvero riuscita in tale impresa, questo avrebbe significato anche la sua morte. L'Ordine non avrebbe vacillato per via della perdita di quell'uomo. Erano come formiche. Calpestarne una non avrebbe causato la ritirata della colonia. Tuttavia, sapeva che presto o tardi sarebbe stata messa a morte, e probabilmente prima di allora avrebbe sofferto molto per mano dello stesso Jagang. Lo aveva già visto torturare diverse persone per un piccolo o nessun pretesto, perciò ucciderlo sarebbe almeno servito a soddisfare il suo senso di giustizia. Per Kahlan, il ricordo della propria vita passata era perduto. La sua unica consapevolezza, da quando le Sorelle avevano preso quella memoria, era che il mondo fosse impazzito. Poteva non essere in grado di risanarlo, ma se fosse riuscita a uccidere Jagang, avrebbe portato giustizia almeno in una sua piccola parte. Non sarebbe stato facile, però. Jagang non solo era forte fisicamente e abile nel combattimento; era un individuo molto astuto. Talvolta Kahlan aveva pensato che potesse davvero leggerle la mente. Oppure, dato che Jagang era un guerriero ed era spesso in grado di anticipare le sue prossime mosse, Kahlan pensava che, in quel passato che non riusciva a ricordare, forse anche lei era stata una guerriera. Risvegliati dai sussurri concitati dei loro amici, gli uomini nel campo tutt'intorno uscirono dalle tende, si sfregarono il sonno dagli occhi e stettero sotto la pioggerellina a fissare la celere processione in mezzo a loro. Altri uomini si voltarono a controllare gli animali di cui si stavano occupando. I cavalieri trattennero i propri cavalli finché l'imperatore non fu passato. I carri si fermarono con un sordo brontolio. In qualunque punto del campo lei fosse, c'era fetore, ma fra gli uomini era ancora peggio. I fuochi delle cucine aggiungevano fuliggine untuosa alla puzza delle latrine. Non pensava che queste, scavate in tutta fretta, sarebbero state adeguate a durare a lungo. Dal sudicio aspetto dei rivoletti d'acqua che serpeggiavano attraverso il campo, stavano già traboccando. La puzza rivelava che aveva ragione. Non riusciva a immaginare quanto la situazione sarebbe peggiorata nei successivi mesi di assedio.
Pur col lezzo e lo spettacolo ributtante di ciò che avveniva nel campo, Kahlan registrò tutto questo solo in modo vago in un angolo della sua mente. I suoi pensieri erano concentrati su altre cose. O meglio, su una cosa: l'uomo dagli occhi grigi. Non aveva capito in quale squadra militasse. Quando aveva visto il suo volto il giorno prima, era in una gabbia su un carro da trasporto. Sapeva solo, dai frammenti delle conversazioni di Jagang con gli ufficiali, che aveva afferrato che le gabbie contenevano alcuni degli uomini delle squadre che giocavano nel torneo. Jagang fremeva all'idea di passare in rassegna le squadre prima che le partite cominciassero. Mentre andavano da una all'altra, lei aveva cercato quell'uomo. Dapprima non si era nemmeno resa conto di farlo. Mentre Jagang ispezionava i giocatori, gli si era ritrovata accanto, in modo da poterli vedere. Lui sapeva molte cose su alcune delle squadre. Faceva commenti alle sue guardie su ciò che si aspettava di vedere prima di raggiungere ogni nuova compagine. Quando arrivava a un nuovo gruppo, chiedeva di vedere la punta, assieme alle ali. Diverse volte volle dare un'occhiata agli uomini della linea di difesa. A Kahlan faceva pensare a una massaia al mercato che esamini i tagli di carne. Kahlan aveva cercato fra tutte le facce che vedeva, guardando ogni uomo. Non valutava altezza, peso e muscolatura, come faceva Jagang. Si era ritrovata a guardare i loro volti, cercando di individuare l'uomo che aveva visto nella gabbia il giorno prima. Stava cominciando a perdere la speranza, pensando che non fosse tra le squadre. Aveva iniziato a credere che forse era stato mandato a lavorare come schiavo di fatica presso la rampa assieme a molti altri prigionieri. E poi, quando finalmente l'aveva individuato, lui aveva fatto una cosa stranissima: era caduto a faccia in giù nel fango. Erano ancora un po' distanti e nessuno tranne Kahlan gli aveva rivolto un'occhiata. Tutti gli altri pensavano che l'uomo fosse solo casualmente inciampato sulla catena che si trovava lì per terra. Mentre si avvicinavano alla squadra, alcune delle guardie avevano riso, mormorando fra loro che un uomo del genere si sarebbe presto rotto l'osso del collo sul campo di Ja'La. Ma Kahlan non l'aveva trovato divertente. Lei sola stava guardando l'uomo e si era accorta che non era inciampato accidentalmente. Sapeva che l'aveva fatto apposta. La caduta era sembrata abbastanza verosimile. Nessun altro immaginava
che fosse stata inscenata. Kahlan aveva capito che era così. Sapeva cosa volesse dire essere prigionieri e dover cogliere l'occasione di fare qualcosa, non importa quanto rischiosa, perché non si ha altra scelta. Solo non riusciva a immaginare perché l'avesse fatto. Quale poteva essere lo scopo di una tale azione? Quale pericolo stava cercando di evitare? In alcune circostanze le persone facevano cose del genere per suscitare ilarità - e alcune guardie avevano riso - ma non era questo l'intento che aveva spinto il prigioniero. Per come sembrava a Kahlan, non era stato fatto solo apposta, ma di fretta, come se ci avesse pensato solo un secondo prima e non ci fosse tempo per escogitare qualcosa di meglio. Era stato un atto di disperazione. Ma perché? Perché cadere a faccia in giù nel fango? Cosa poteva ottenere? All'improvviso ci arrivò. Era simile in un certo senso a ciò che aveva fatto lei: usare il cappuccio del suo mantello per nascondere ciò che stava facendo, dove stava guardando, chi stava fissando. Doveva aver desiderato coprirsi la faccia. Probabilmente perché qualcuno l'avrebbe riconosciuto. Forse l'uomo aveva temuto che Jagang stesso lo riconoscesse. O forse Sorella Ulicia. Comunque, la ragione era che stava cercando di impedire che qualcuno lo identificasse. Pensò che avesse senso. Dopo tutto, si trattava di un prigioniero. Solo i nemici dell'Ordine potevano essere prigionieri. Si chiese se fosse un ufficiale di alto rango o qualcosa del genere. E aveva conosciuto Kahlan. Dal primo istante in cui i loro occhi si erano incontrati il giorno prima, quando era stato in quella gabbia, lei aveva capito che l'aveva riconosciuta. Mentre si era avvicinata alla sua squadra con Jagang, lei e l'uomo si erano scambiati un'occhiata. In quello sguardo, lei aveva visto che entrambi conoscevano la condizione in cui l'altro si trovava, ed entrambi non avevano fatto nulla per tradire l'altro, come se avessero stipulato un patto silenzioso. L'animo di Kahlan si sollevò nel sapere che, fra tutti quegli uomini sanguinari, ce n'era uno che non era un nemico. Almeno, lei pensava che non lo fosse. Rammentò a sé stessa di non sostituire la sua immaginazione alla verità. Senza i suoi ricordi, non aveva un modo certo di sapere se fosse un nemico o no. Ipotizzò che potesse essere qualcuno che le aveva dato la caccia. Si domandò se fosse possibile che lui, come Jagang, avesse qualche motivo per voler vederla soffrire. Il fatto che fosse prigioniero dell'imperatore non significava automaticamente che
fosse dalla sua parte. Dopo tutto, non si poteva dire che le Sorelle fossero dalla parte di Jagang. Ma se stava cercando di nascondere la propria faccia per impedire di essere riconosciuto, cosa sarebbe accaduto una volta iniziate le partite di Ja'La? Poteva rimanere imbrattato di melma per un giorno o due ma, una volta che avesse smesso di piovere, il fango si sarebbe seccato. Si chiese cosa avrebbe fatto allora. Non poteva fare a meno di avvertire una punta di preoccupazione per lui. Al termine della rassegna delle squadre, mentre se ne andavano per vedere ciò che il messaggero doveva mostrare a Jagang, lei aveva visto un'altra cosa negli occhi dell'uomo: rabbia. Quando si era voltata per un ultimo rapido sguardo, il cappuccio del suo mantello si era ritirato all'indietro e lui aveva visto il livido nero che Jagang aveva lasciato sul suo volto. Kahlan aveva pensato che sembrava volesse strappare a mani nude la catena che lo tratteneva. Almeno fu sollevata che fosse abbastanza sveglio da non tentare nulla. Il comandante Karg l'avrebbe ucciso in un batter d'occhio. A giudicare dalle conversazioni fra Jagang e il comandante mentre l'imperatore aveva iniziato la sua ispezione delle squadre, i due erano vecchie conoscenze. Avevano menzionato battaglie combattute insieme. In quella breve conversazione lei aveva potuto giudicare il comandante. Come lo stesso Jagang, non era un uomo da sottovalutare. Un uomo del genere non avrebbe voluto essere messo in imbarazzo di fronte al suo imperatore e avrebbe ucciso la sua punta senza esitazione se avesse fatto superare i limiti alla sua rabbia. Immaginò che si trattasse di quello, della rabbia, rendendosi conto di ciò che Jagang le aveva fatto, spingendola a credere che il prigioniero non potesse essere suo nemico. Ma era anche un uomo pericoloso. Il modo in cui stava ritto, in cui appoggiava il suo peso, in cui si muoveva, rivelava molto su di lui. Poteva vedere chiaramente l'intelligenza nel suo sguardo magnetico. Nel modo misurato in cui si muoveva, vide anche che era un individuo da non sottovalutare. Avrebbe saputo per certo se era nel giusto una volta che le partite fossero cominciate, ma un uomo come il comandante Karg non avrebbe avuto un prigioniero come sua punta senza una valida ragione. Kahlan l'avrebbe saputo presto quando avesse visto l'uomo giocare: a lei sembrava che lui provasse una furia repressa e sapesse come lasciarla andare. «Da questa parte, Eccellenza» disse il messaggero mentre indicava in
lontananza attraverso la pioggerella grigia. Lo seguirono, lasciando l'oscuro mare dell'accampamento, emergendo nel campo aperto della piana di Azrith. Kahlan era stata così occupata a pensare all'uomo dagli occhi grigi che non aveva nemmeno notato che si stavano avvicinando al luogo della costruzione. La rampa si ergeva alta sopra le loro teste. Al di là, l'altopiano torreggiava sopra di loro. Da lì, era davvero imponente. Da così vicino, si poteva vedere molto meno del magnifico palazzo sulla sua sommità. Quando aveva cominciato a piovere, lei aveva sperato che forse ciò avrebbe provocato il crollo della rampa ma, ora che le erano accanto, poteva vedere che non solo era stata rinforzata, ma si andava compattando man mano che veniva aggiunto materiale. Gruppi di uomini con grossi pesi comprimevano la terra e la roccia quando venivano posizionate. Non era una realizzazione casuale. Mentre i soldati nell'accampamento quelli che la sorvegliavano - erano poco più di bruti ignoranti stupidamente devoti a una causa insensata, c'erano nell'Ordine Imperiale alcuni uomini intelligenti. Erano quelli che supervisionavano la costruzione; gli altri si occupavano solo dei lavori manuali. Per quanto la maggior parte dei soldati fosse ignorante e inconsapevole, Jagang si circondava di uomini competenti. Le sue guardie personali, per quanto grosse e forti, non erano certo degli idioti. Allo stesso modo, coloro che sovrintendevano alla costruzione della rampa erano persone intelligenti. Gli uomini che supervisionavano il progetto sapevano cosa stavano facendo ed erano abbastanza sicuri di sé da contraddire Jagang quando proponeva qualcosa che non avrebbe funzionato. L'imperatore inizialmente aveva voluto costruire la base della rampa più stretta, in modo da poterla innalzare più facilmente. Pur con toni rispettosi, essi non avevano avuto paura di dirgli che non avrebbe funzionato e perché. Lui aveva ascoltato con attenzione e, una volta convinto che fossero nel giusto, li aveva lasciati procedere coi loro progetti anche se questi erano contrari al suo desiderio iniziale. Quando Jagang pensava di avere ragione, però, era determinato come un toro nel voler fare a modo suo. Numerose file di uomini, ognuna di dodici o quindici unità, si organizzavano lungo la colossale rampa. Alcuni passavano canestri pieni di terra e roccia, altri passavano indietro canestri vuoti. Altri ancora portavano dei carretti pieni di roccia. Dei muli trainavano convogli di carri che trasportavano rocce più grandi. Il progetto era imponente quasi oltre ogni immagi-
nazione, ma con così tanti uomini che vi contribuivano, la rampa cresceva in modo costante. Kahlan stette al passo mentre l'imperatore si affrettava, seguendo il messaggero che continuava a indicare la strada nella confusione dell'attività. Le file di uomini si aprivano al passaggio della processione reale, poi si ricomponevano. Mentre si facevano strada attraverso torme di lavoratori, Kahlan vide infine le fosse dove gli uomini, in numero impressionante, scavavano materiale per la rampa. Sembravano esserci innumerevoli ampie buche nel terreno, ognuna con un'estremità in pendenza da dove gli uomini trasportavano fuori il materiale mentre altri portavano di nuovo giù canestri, carretti e carri perché fossero caricati. Le fosse si estendevano fin dove lei poteva vedere attraverso quella pioggerella grigia. Jagang e la sua comitiva si fecero strada fra gli ampi solchi e le buche disposte come una griglia per la piana. Quelle strade lì in mezzo erano abbastanza ampie da ospitare carri che andavano in direzioni opposte. «Quaggiù, Eccellenza. Questo è il posto.» Jagang fece una sosta, scrutando giù per la lunga rampa inclinata dentro la fossa. Sembrava essere l'unico scavo deserto. Si guardò attorno verso le altre buche nei paraggi. «Sgombrate anche questa qui» disse, facendo un gesto verso la fossa successiva in direzione dell'altopiano. «E non cominciate nessun nuovo scavo nella stessa direzione.» Alcuni dei supervisori che si erano radunati si affrettarono a eseguire le sue istruzioni. «Andiamo» disse Jagang. «Voglio vedere se è davvero qualcosa di importante o no.» «Sono sicuro che lo troverete come l'ho descritto, Eccellenza.» Jagang ignorò l'ossuto messaggero mentre cominciava a scendere lungo il percorso inclinato nella fossa. Kahlan rimase vicino. Uno sguardo indietro rivelò Sorella Ulicia a meno di una dozzina di passi di distanza. La Sorella, senza un cappuccio e coi capelli bagnati incollati alla testa, non sembrava affatto contenta di stare sotto la pioggia. Kahlan si voltò di nuovo per stare attenta ai suoi passi sullo scivoloso declivio fangoso. Il fondo della fossa era una confusione irregolare dove migliaia di uomini avevano sgobbato per scavare e caricare. Dato che delle zone di terra erano più morbide e facili da scavare, alcuni punti erano più profondi. In altri, dove era più rocciosa e difficile da scavare, c'erano monticelli alti due
volte Kahlan che dovevano ancora essere ridotti. Seguendo il messaggero attraverso il disordine, Jagang scese in una delle aree più profonde. Kahlan li seguì giù nella melma, le sue guardie attorno a lei. Voleva stare accanto a Jagang nel caso in cui fosse stato distratto da qualunque cosa si trovasse nella fossa. Se ne avesse avuto l'opportunità, senza curarsi del rischio, avrebbe tentato di ucciderlo. Quando si fermarono, il messaggero si accovacciò. «È questo, Eccellenza.» Indicò qualcosa che fuoriusciva appena dal terreno. Kahlan si accigliò, guardando assieme a tutti gli altri la piatta distesa che era stata additata. Il messaggero aveva ragione, decisamente non sembrava naturale. Poteva vedere qualcosa che assomigliava a delle giunture. Sembrava una struttura sepolta in profondità nel terreno. «Ripulitelo» disse Jagang ad alcuni dei capisquadra del progetto che erano scesi nella fossa. A quanto pareva, come da ordini vigenti, quando la struttura era stata scoperta, i lavori erano stati sospesi e i manovali si erano allontanati finché Jagang non avesse potuto ispezionare di persona il ritrovamento. La sagoma era leggermente arrotondata, come se avessero scoperto proprio la sommità di una forma massiccia, lunga e circolare. Mentre gli uomini lavoravano con pale e scope, con Jagang che indicava loro dove scavare, presto divenne chiaro che il rapporto del messaggero era stato accurato: sembrava come l'esterno di un soffitto con la volta a botte. Mentre gli uomini lo ripulivano, Kahlan poteva vedere che la struttura era fatta di grosse pietre tagliate in fogge precise per formare la curva dell'arco. Le ricordò proprio un edificio sotterrato, tranne per il fatto che non c'era alcun tetto, solo l'intelaiatura esterna esposta di una volta interna. Kahlan non riusciva a immaginare cosa ci facesse una cosa del genere sepolta lì nella piana di Azrith. Non c'era modo di capire da quante centinaia o perfino migliaia di anni era stato interrato qualunque edificio ci fosse lì dentro. Quando ebbero tolto abbastanza terra e detriti, Jagang si accovacciò e fece scorrere la mano sulla pietra umida. Le sue dita seguirono alcune delle giunture. Erano così aderenti che nemmeno la sottile lama di un coltello ci sarebbe scivolata attraverso. «Portate degli attrezzi quaggiù... piedi di porco e cose del genere» disse. «Voglio che venga aperto. Voglio sapere cosa c'è qui dentro.»
«Subito, Eccellenza» disse uno dei direttori dei lavori. «Usate i vostri assistenti invece degli operai.» Jagang si alzò in piedi, abbracciando con un gesto del braccio tutta l'area. «Voglio che tutto questo posto venga isolato. Non voglio che nessun soldato regolare vi si avvicini. Metterò alcune delle mie guardie di stanza qui per sorvegliare il sito in ogni momento. In questa zona l'accesso dev'essere limitato come alla mia tenda.» Kahlan sapeva che se alcuni dei soldati fossero penetrati in una tomba o qualunque cosa fosse ciò che avevano trovato - avrebbero saccheggiato ogni cosa di valore. Gli anelli depredati che indossava testimoniavano che Jagang lo sapeva bene. La donna lanciò un'occhiata in alto quando notò alcune delle guardie di Jagang che si precipitavano giù del pendio nella fossa. Si fecero strada a spintoni attraverso i capireparto dei lavori e altre guardie per arrivare vicino all'imperatore. «L'abbiamo presa» riferì uno degli uomini, ansante. Jagang esibì un lento ghigno malvagio. «Dov'è?» L'uomo indicò. «Proprio lassù, Eccellenza.» Jagang lanciò una breve occhiata a Kahlan. Non sapeva cosa stesse architettando, ma lo sguardo che le rivolse le fece scorrere un brivido lungo la schiena. «Portatela quaggiù, ora» disse Jagang all'uomo. Quello e un'altra delle guardie si affrettarono su per il pendio per andare a prendere chiunque avessero catturato. Kahlan non riusciva a immaginare di chi stessero parlando quegli uomini e perché ciò fosse per Jagang motivo di tale soddisfazione. Mentre aspettavano, i supervisori dei lavori continuavano a portare alla luce altre parti della struttura sepolta. In breve tempo, un tratto di pietra lungo quasi cinquanta piedi era stato dissotterrato. Tutto ciò che avevano scoperto correva in una linea retta, l'arco uniforme lungo l'intera estensione. Altri uomini lavoravano per ampliare lo scavo attorno alla liscia struttura di pietra. Quanto più ne scoprivano, tanto più la forma e le dimensioni diventavano visibili. Non era una struttura piccola. Se la pietra era veramente un soffitto di qualcosa al di sotto, allora quella camera, o tomba, sarebbe dovuta essere di quasi venti piedi in larghezza. Dato che non mostrava segno di terminare, non si poteva dire quanto fosse lunga. Da ciò che lei poteva vedere, sembrava qualcosa di simile a un atrio sepolto. Al suono di pianti sommessi e di uno strascichio, Kahlan alzò lo sguardo. Le grosse guardie stavano portando un'esile figura che si dibatteva giù per il pendio fangoso.
Kahlan spalancò gli occhi. Le sue ginocchia si fecero deboli. Ognuno degli uomini reggeva un lungo, esile braccio di una ragazza alta neanche la metà di loro. Era Jillian, la ragazza delle antiche rovine nella città di Caska, la fanciulla che Kahlan aveva aiutato a fuggire. Kahlan aveva ucciso due delle guardie di Jagang e Sorella Cecilia perché Jillian potesse scappare. Mentre le guardie portavano avanti la ragazza impotente, i suoi occhi color rame finalmente fecero caso a Kahlan. Gli occhi si riempirono di lacrime al pensiero di tutto ciò che aveva perduto, per il suo insuccesso nell'eludere gli uomini dell'Ordine. Le guardie la portarono più vicino e la tennero in piedi di fronte all'imperatore. «Bene, bene,» disse Jagang con una bassa risatina roca «guarda cos'abbiamo qui.» «Mi spiace» sussurrò la ragazza a Kahlan. Jagang lanciò un'occhiata alla donna. «Ho mandato degli uomini in cerca della tua amichetta. Hai orchestrato una fuga piuttosto teatrale per lei.» Jagang mise le mani a coppa sul mento di Jillian, le sue grosse dita che le stringevano le guance. «Peccato che sia stato tutto inutile.» Kahlan pensò che non era stato inutile. Almeno aveva ucciso due delle sue guardie e Sorella Cecilia. Almeno aveva fatto del suo meglio per ottenere la libertà per Jillian. Aveva cercato di fare del suo meglio. I suoi sforzi le erano costati cari, ma l'avrebbe fatto di nuovo. Jagang afferrò l'esile braccio della ragazza nella sua grossa mano e la tirò avanti. Di nuovo sogghignò a Kahlan. «Sai cosa abbiamo qui?» Kahlan non rispose. Non avrebbe partecipato a quel gioco. «Quello che abbiamo qui» disse lui in risposta alla sua stessa domanda «è qualcuno che può aiutarti a comportarti bene.» Lei gli rivolse un'occhiata vuota e non fece domande. Jagang indicò inaspettatamente la cintola di una delle guardie speciali di Kahlan, quello che stava proprio alla sua destra. «Dov'è il tuo coltello?» L'uomo abbassò lo sguardo verso la sua cintura come se temesse che un serpente stesse per affondare i suoi denti dentro di lui. Risollevò lo sguardo dal fodero vuoto. «Eccellenza... io... io devo averlo perso.» Il gelido sguardo di Jagang fece impallidire il volto dell'uomo. «Ma certo, l'hai perso.» Jagang si girò e affibbiò a Jillian un manrovescio così forte da farle fare
un volo. Lei atterrò nel fango, urlando per lo shock e per il dolore. La pozzanghera attorno alla sua faccia si colorò di rosso. Jagang si voltò di nuovo verso Kahlan e protese la mano. «Dammi il coltello.» I suoi occhi completamente neri avevano uno sguardo così letale che Kahlan pensò di aver fatto un passo indietro per la semplice paura. Jagang agitò la mano. «Se dovrò chiederlo di nuovo, le farò saltare i denti con un calcio.» In un lampo Kahlan passò in rassegna tutto ciò a cui riusciva a pensare. Si sentì come doveva essersi sentito l'uomo dagli occhi grigi quando era caduto deliberatamente a faccia in giù nel fango. Anche lei non aveva scelta. Kahlan appoggiò il coltello nel palmo proteso di Jagang. Lui sogghignò trionfante. «Be', grazie, cara.» Senza esitare si voltò, come spingendo il pugno in un poderoso colpo, e conficcò il coltello nel mezzo della faccia dell'uomo a cui apparteneva. L'aria umida risuonò con un fragoroso schianto mentre l'osso si frantumava. L'uomo cadde morto nel fango. Il flusso di sangue era scioccante nella luce grigia. L'uomo non ebbe neanche il tempo di gridare prima di morire. «Eccoti indietro il tuo coltello» urlò Jagang al cadavere. La sua attenzione si concentrò sulle facce sbalordite delle guardie speciali di Kahlan. «Vi suggerisco di stare più attenti alle vostre armi di quanto ha fatto lui. Se lei prende un'arma da chiunque di voi e non vi uccide con essa, lo farò io. È abbastanza semplice da capire per voi?» All'unisono risposero: «Sì, Eccellenza.» Jagang si chinò e con uno strattone tirò in piedi la singhiozzante Jillian. La tenne su senza sforzo, cosicché soltanto le punte dei suoi piedi toccavano il suolo. «Sai quante ossa ci sono nel corpo umano?» Kahlan soffocò le lacrime. «No.» Lui scrollò le spalle. «Nemmeno io. Ma ho un modo per scoprirlo. Possiamo cominciare a rompere le sue ossa, una alla volta, contandole man mano che si spezzano.» «Per favore...» implorò Kahlan, cercando energicamente di contenere i singhiozzi. Jagang spinse la ragazza verso Kahlan come se le stesse dando una bambola a grandezza naturale. «Ora sei responsabile della sua vita. Ogni volta che mi darai motivo di
essere contrariato, romperò una delle sue ossa. Non conosco il numero esatto di ossa nel suo fragile corpicino, ma sono sicuro che sono moltissime.» Sollevò un sopracciglio. «E mi accade spesso di essere contrariato. Se farai qualcosa di più che semplicemente contrariarmi, la farò torturare davanti ai tuoi occhi. Ho uomini esperti nella nobile arte della tortura.» Le tempeste di forme grigie mutavano nei suoi occhi color dell'inchiostro. «Sono molto bravi a tenere vive le persone per lungo tempo mentre sopportano un'agonia inimmaginabile, ma se per caso dovesse morire sotto tortura, poi dovrò farli cominciare con te.» Kahlan tenne stretta la testa sanguinante della povera ragazza contro il suo petto. Jillian fra singhiozzi sommessi ripeté a Kahlan quanto le dispiaceva di essere stata catturata. Lei la calmò con gentilezza. «Hai capito?» domandò Jagang con una voce di una calma mortale. Kahlan deglutì. «Sì.» Lui afferrò i capelli di Jillian nel suo grosso pugno e cominciò a strattonarla all'indietro. Jillian urlò con rinnovato terrore. «Sì, Eccellenza!» gridò Kahlan. Jagang sorrise mentre lasciava andare i capelli della ragazza. «Così va meglio.» Kahlan voleva più di ogni altra cosa che questo incubo finisse, ma sapeva che era soltanto all'inizio. 9 «Smettila di fare il bambinone e stai fermo» disse Richard. John la roccia sbatté freneticamente le palpebre. «Non mettermela negli occhi.» «Non ho intenzione di mettertela negli occhi.» John la roccia trasse un respiro ansioso. «Perché devo essere io il primo?» «Perché sei la mia ala destra.» John la roccia non replicò immediatamente. Ritrasse il mento dalla stretta di Richard. «Pensi davvero che ci aiuterà a vincere?» «Lo farà» disse Richard mentre si raddrizzava «se lo accompagniamo col resto. La vernice da sola non vincerà le partite per noi, ma aggiungerà qualcosa di importante, qualcosa che la semplice vittoria non otterrebbe: ci aiuterà a crearci una reputazione. Quella reputazione turberà coloro che dovranno affrontarci dopo.»
«Andiamo, John la roccia» disse uno degli altri uomini, incrociando con impazienza le braccia. Il resto della squadra radunata a guardare annuì il proprio assenso. Nessuno di loro avrebbe voluto essere primo. Molti di loro, ma non tutti, erano stati infine convinti dalla spiegazione di Richard su cosa la vernice avrebbe fatto per loro. John la roccia, guardandosi attorno verso tutti gli uomini in attesa, alla fine fece una smorfia. «Va bene, procedi.» Richard lanciò un'occhiata oltre la sua ala verso le guardie con le frecce incoccate e in allerta. Dal momento che le catene erano state tolte ai prigionieri, le guardie tenevano sott'occhio ogni segno di guai mentre attendevano di portare la squadra al suo primo incontro. Il comandante Karg disponeva sempre una pesante sorveglianza ogni volta che Richard e gli altri prigionieri non erano incatenati. Richard notò, però, che molte delle frecce erano puntate nella sua direzione. Concentrandosi ancora su John la roccia, afferrò la sommità della testa dell'uomo per tenerlo fermo. Richard si era preoccupato di cosa avrebbe dipinto sulle facce della squadra. Dapprima, quando aveva avuto l'idea, aveva pensato che forse avrebbe semplicemente lasciato che ognuno dipingesse la propria faccia in qualunque modo volesse. Dopo una breve riflessione, si rese conto che non poteva lasciarlo decidere agli uomini. C'era troppo in gioco. In aggiunta a ciò, tutti volevano che fosse Richard a farlo. Lui era la punta. Era stata una sua idea. Riteneva che la maggior parte di loro fosse titubante poiché credevano che sarebbero stati presi in giro, perciò avevano voluto che venisse fatto dalla sua mano piuttosto che dalla loro. Richard intinse il dito nel secchiello di vernice rossa. Aveva deciso di non usare il pennello che il comandante Karg aveva portato assieme alla vernice. Richard voleva compiere senza filtri il gesto di disegnare. Nel poco tempo che aveva avuto, aveva pensato molto a cosa avrebbe dipinto. Sapeva che avrebbe dovuto realizzare ciò che aveva voluto fin dall'inizio. Per fare in modo che funzionasse nel modo che aveva descritto, doveva disegnare qualcosa che conosceva. Doveva disegnare la danza con la morte. La danza con la morte, dopo tutto, era in definitiva incentrata sulla vita; ciò nonostante il suo significato non era soltanto l'esclusivo concetto della
sopravvivenza. Lo scopo delle forme era di essere in grado di incontrare il male e distruggerlo, permettendo in tal modo a qualcuno di preservare la vita, perfino la propria. Era una distinzione sottile, ma importante: richiedeva che si riconoscesse l'esistenza del male per poter essere in grado di combattere per la vita. Mentre la necessità vitale di riconoscere l'esistenza del male era ovvia per Richard, era chiaramente un concetto che molte persone si rifiutavano con ostinazione di affrontare. Sceglievano di essere ciechi, di vivere in un mondo immaginario. La danza con la morte non permetteva queste fantasie letali. La sopravvivenza richiedeva il chiaro e consapevole riconoscimento della realtà; quindi la danza con la morte richiedeva che ci si rendesse conto della verità. Era tutto parte di un insieme e non avrebbe avuto successo se delle parti fossero state ignorate o tralasciate. Gli elementi della danza con la morte, le loro forme, erano di base i componenti di ogni genere di conflitto, da un dibattito, a un gioco, a un combattimento a morte. Disegnati in un linguaggio di simboli, quei componenti formavano i concetti che costituivano la danza. Usare quei concetti comportava capire cosa stava davvero succedendo, in parte e nel complesso, con lo scopo di contrastarlo. Lo scopo finale era vincere la vita. La traduzione di Ja'La dh Jin era il 'Gioco della Vita'. Tutto ciò che era proprio di un mago guerriero giocava un ruolo nella danza con la morte. In un certo senso un mago guerriero era votato alla vita. Fra gli altri oggetti, i simboli sull'amuleto che Richard aveva indossato erano una rappresentazione, uno schema riassuntivo che formava il concetto centrale della danza. Conosceva quei movimenti per aver combattuto con la Spada della Verità. Anche se non la possedeva più, comprendeva la totalità di ciò che era implicato nel significato della danza con la morte, e per questo la conoscenza che aveva ottenuto usando la spada rimaneva con lui, che la avesse o meno. Come Zedd gli aveva spesso ricordato al principio, la spada era solo uno strumento: era la mente dietro l'arma che contava. Nel corso del tempo, da quando Zedd aveva dato a Richard la spada, lui aveva cominciato a comprendere il linguaggio dei simboli. Conosceva il loro significato. Essi gli parlavano. Riconosceva quelli che appartenevano a un mago guerriero e capiva cosa volevano dire. Usando il dito, Richard cominciò a tracciare quelle linee sulla faccia di John la roccia. Le righe indicavano le parti della danza, le forme usate per andare incontro al nemico. Ogni combinazione di linee formava un ele-
mento che aveva un significato. Taglio, schivata laterale, affondo, giro, piroetta, fendente, altro fendente, tecniche per amministrare una morte rapida mentre ti preparavi ad andare incontro al bersaglio successivo. Le linee che segnò sulla guancia destra di John la roccia erano moniti di prestare attenzione a tutto ciò che ti stava attaccando, senza focalizzarsi in maniera troppo ristretta. Oltre agli elementi della danza, Richard si ritrovò a disegnare parti degli incantesimi che aveva visto. Dapprima non si rese conto che lo stava facendo. All'inizio, mentre disegnava quei componenti, aveva problemi a ricordare dove li avesse visti prima. Poi si ricordò che facevano parte degli incantesimi che Darken Rahl aveva tracciato nella sabbia magica nel Giardino della Vita quando aveva invocato la magia necessaria per aprire le scatole dell'Orden. Richard si rese conto solo allora che la visita da parte della strana figura spettrale la notte precedente ancora pesava forte sulla sua mente. La voce gli aveva detto che era stato nominato come responsabile. Era il primo giorno d'inverno. Aveva un anno per aprire la scatola dell'Orden giusta. Richard era esausto, ma non era riuscito a pensare a molto altro dopo quell'incontro. Non era stato in grado di dormire granché. Il dolore della ferita alla gamba e di quella alla schiena gli aveva impedito di dedicare tutti i suoi pensieri a trovare una spiegazione. Il primo giorno d'inverno aveva portato con sé l'ispezione di Jagang. Con l'improvvisa preoccupazione di come evitare di essere riconosciuto da Jagang e da tutte le Sorelle nell'accampamento dell'Ordine, Richard non era stato in grado di riflettere su come fosse possibile che lui fosse un responsabile per le scatole dell'Orden. Si domandò se potesse essere una sorta di errore, un esito sbagliato della magia causato dalla contaminazione dei rintocchi. Anche se ne avesse avuto la conoscenza, che non aveva, era stato privato del suo dono dalla strega, Sei, perciò non capiva come avesse potuto involontariamente mettere le scatole in gioco. Non riusciva a immaginare come sarebbe potuto riuscire ad aprire la scatola giusta senza il suo dono. Si domandò se Sei potesse essere al centro di tutto, se questo potesse essere parte di un piano che ancora non comprendeva. Al tempo in cui Darken Rahl aveva tracciato quegli incantesimi proprio prima di aprire una delle scatole, Richard non aveva capito nulla sulla loro composizione. Zedd gli aveva detto che disegnare tali incantesimi era estremamente pericoloso e che una linea fuori posto, tracciata dalla persona
giusta, nelle giuste circostanze, nella sostanza giusta, avrebbe potuto causare un disastro. Allora tutti i disegni gli erano sembrati motivi arcani realizzati con elementi misteriosi parte di qualche complessa lingua straniera. Man mano che Richard aveva appreso di più su schemi e simboli magici, era arrivato a comprendere il significato dietro alcuni dei loro elementi, più o meno allo stesso modo in cui all'inizio aveva imparato l'antica lingua del D'Hariano Alto, riconoscendo le singole parole. Col crescere della sua comprensione delle parole, era diventato in grado di capire le idee che le parole esprimevano. Più o meno allo stesso modo, era arrivato ad apprendere che alcune parti degli incantesimi che Darken Rahl aveva tracciato per aprire le scatole dell'Orden erano anche parti della danza con la morte. Per certi versi aveva senso. Zedd una volta gli aveva detto che il potere dell'Orden era il potere della vita stessa. La danza con la morte riguardava in realtà la preservazione della vita, e lo stesso Orden era incentrato sulla vita e sulla sua salvaguardia dall'incantesimo della Catena di fuoco che imperversava. Richard inzuppò di nuovo il dito nella vernice rossa e tracciò una linea curva lungo la fronte di John la roccia, poi la sostenne con righe che creavano un simbolo per focalizzare la forza. Stava usando elementi che comprendeva, ma combinandoli in nuovi modi per alterarli. Non voleva che una Sorella vedesse i disegni e ne riconoscesse il diretto significato. Per quanto i motivi che stava dipingendo fossero composti di elementi che conosceva, erano originali. Gli uomini che si erano radunati tutt'intorno si sporsero un poco, incantati non solo dal procedimento, ma dal disegno stesso. C'era una sorta di poesia. Sebbene non comprendessero il significato delle linee, ne vedevano la totalità come espressiva di uno scopo significativo, importante ed esplicativa di ciò che erano: una minaccia. «Sai cosa mi ricorda tutta questa cosa, questo disegno?» chiese uno degli uomini. «Cosa?» mormorò Richard mentre aggiungeva dettagli al simbolo di un colpo poderoso da sferrare per spezzare la forza dell'avversario. «In un certo senso mi ricorda il modo di giocare. Non so perché, ma le linee assomigliano ai movimenti di certi attacchi di Ja'La.» Sorpreso che l'uomo - un altro prigioniero - potesse cogliere un tratto così significativo dal disegno, Richard aggrottò le sopracciglia verso l'uomo con aria interrogativa.
«Quando ero un maniscalco,» spiegò l'uomo «dovevo capire i cavalli per poterli ferrare. Non puoi chiedere a un cavallo cosa gli dà fastidio, ma se fai attenzione puoi imparare a cogliere dei dettagli, come il modo in cui il cavallo si muove, e dopo un po' di tempo cominci a comprendere il significato dietro a un certo linguaggio del corpo. Se fai attenzione a quei piccoli movimenti puoi evitare che scalci o ti morda.» «È proprio così» disse Richard. «È simile a quello che sto facendo. Voglio dare a ognuno di voi una sorta di raffigurazione visiva di potere.» «E come fai a sapere così tanto su come tracciare simboli di potere?» chiese uno degli uomini, Bruce, in tono sospettoso. Era uno dei soldati dell'Ordine nella squadra, uno degli uomini che dormiva nella propria tenda e non gradiva dover seguire le indicazioni di una punta: un pagano non convertito, un uomo che veniva tenuto incatenato di notte come un animale. «Voi gente di quassù date molto credito a dottrine sorpassate su magia e cose del genere, piuttosto che votare le vostre menti ad argomenti appropriati, alle questioni del Creatore, alle vostre responsabilità e ai vostri doveri nei confronti degli altri uomini.» Richard scrollò le spalle. «Ciò che intendevo dire è che si tratta della mia visione, della mia idea dei simboli di potere. La mia intenzione è disegnare su ognuno di voi ciò che penso possa farlo sembrare più potente, tutto qua.» Bruce non parve soddisfatto dalla risposta. Fece un gesto verso John la roccia. «Cosa ti fa pensare che tutte quelle linee svolazzanti possano dare un'impressione di potere?» «Be', non lo so,» disse Richard, cercando di escogitare qualcosa che facesse smettere all'uomo di fare domande senza dover effettivamente rivelare nulla di importante «è solo che la forma delle linee mi dà un senso di forza.» «Che sciocchezza» disse Bruce. «I disegni non significano nulla.» Alcuni dei soldati della squadra osservavano Bruce e attendevano la risposta di Richard come se la considerassero una ribellione contro la loro punta. Richard sorrise. «Se la pensi così, Bruce, se sei convinto che queste linee non significhino nulla, allora che ne dici se ti disegno un fiore sulla fronte?» Tutti gli uomini risero, anche i soldati. Bruce, che all'improvviso sembrava meno sicuro di sé mentre il suo sguardo guizzava intorno fra i suoi compagni di squadra che sogghignava-
no, si schiarì la gola. «Suppongo, ora che la metti così, di riuscire a capire ciò che vuoi dire. Penso che anch'io gradirei avere uno dei tuoi disegni di potere.» Si batté il petto con un pugno. «Voglio che le altre squadre mi temano.» Richard annuì. «Lo faranno, se tutti mi obbedirete. Tenete a mente che prima della partita iniziale gli uomini delle altre squadre vedranno probabilmente la vernice rossa sulle nostre facce e penseranno che sia sciocca. Dovete essere preparati a questo. Quando li sentirete ridervi dietro, lasciate che quella risata vi mandi in collera. Lasciate che riempia i vostri cuori col desiderio di ricacciargliela in gola. «In quei primi momenti, quando entreremo in campo, l'altra squadra, così come buona parte del pubblico, probabilmente non si limiterà a ridere ma ci lancerà degli insulti. Lasciateli fare. Noi lo vogliamo. Lasciate che ci sottovalutino. Quando lo faranno, quando rideranno di voi o vi insulteranno, voglio che conserviate la collera che proverete. Che riempiate i vostri cuori con essa.» Richard incontrò lo sguardo di ogni uomo. «Tenete a mente che siamo qui per essere vittoriosi nei tornei. Siamo qui per vincere l'opportunità di giocare contro la squadra dell'imperatore. Noi soli siamo degni di tale opportunità. Quegli uomini che vi ridono dietro sono la spregevole feccia dei giocatori di Ja'La. Dobbiamo spazzarli via per poter arrivare alla squadra dell'imperatore. Gli uomini nelle prime partite sono un intralcio sulla nostra strada. Sono un intralcio sulla nostra strada e stanno ridendo di noi. «Quando entrate in campo, lasciate che la loro risata risuoni nelle vostre orecchie. Assimilatela, ma rimanete in silenzio. Non lasciate trasparire alcuna emozione. Trattenetela fino al momento giusto. «Lasciate che pensino che siamo degli sciocchi. Lasciate che siano sviati dal credere che saremo bersagli facili, piuttosto che si concentrino su come giocare contro di noi. Lasciate che abbassino la guardia. «Poi, nel momento in cui il gioco comincerà, in modo concentrato e coordinato, date sfogo alla vostra collera contro coloro che vi hanno riso dietro. Dobbiamo colpirli con tutta la nostra forza. Dobbiamo schiacciarli. Dobbiamo considerare questa partita importante come se stessimo giocando contro la squadra dell'imperatore. «Non possiamo vincere semplicemente questa prima partita per un punto o due come accade di solito. Non è sufficiente. Non possiamo accontentarci di questo tipo di vittoria trascurabile. Dobbiamo essere inarrestabili. Dobbiamo annientarli. Dobbiamo inchiodarli al suolo.
«Dobbiamo batterli di almeno dieci punti.» Le bocche degli uomini si spalancarono. Le sopracciglia si alzarono. Questo tipo di eclatanti vittorie si verificavano solo in partite squilibrate fra bambini. Una squadra di Ja'La a questo livello che vincesse per più di quattro o cinque punti era virtualmente senza precedenti. «Ogni membro della squadra perdente riceve una frustata per ogni punto per cui perdono» disse Richard. «Voglio che quella sanguinosa fustigazione sia sulla lingua di ogni altra squadra in questo accampamento. «Da quel momento in poi, nessuno riderà. Invece, ogni squadra che dovrà affrontarci si preoccuperà. Quando gli uomini si preoccupano, commettono errori. Ogni volta che lo faranno, noi saremo pronti a piombare loro addosso. Faranno bene a preoccuparsi. Daremo vita alle loro peggiori paure. Proveremo loro che ogni momento insonne di sudore era stato giustificato. «Batteremo la seconda squadra di dodici punti. «E poi, la squadra seguente ci temerà ancora di più.» Richard agitò il suo dito intinto di rosso nella direzione dei suoi soldati. «Voi conoscete l'efficacia di una tattica del genere. Avete schiacciato ogni città che vi si opponeva in modo che quelle ancora da conquistare tremassero per la paura mentre aspettavano che giungeste. Chi conosceva la vostra reputazione, temeva fortemente il vostro arrivo. La loro paura vi ha permesso di conquistare quelle città più facilmente.» I soldati sogghignarono. Avevano alla fine inquadrato il piano di Richard in uno schema di riferimento che comprendevano. «Vogliamo fare in modo che tutte le altre squadre temano quella con le facce dipinte di rosso.» Richard strinse a pugno la mano libera. «Poi le schiacceremo una dopo l'altra.» Nell'improvviso silenzio, tutti gli uomini chiusero la mano a pugno come lui e si batterono il petto giurando che l'avrebbero fatto. Tutti volevano vincere, ognuno per la propria ragione. Nessuna delle loro motivazioni era in alcun modo simile a quella di Richard. Sperava di non dover mai giocare contro la squadra dell'imperatore, sperava di avere la sua occasione molto prima, ma doveva essere pronto a spingersi così avanti, se fosse stato necessario. Sapeva che una buona occasione poteva non presentarsi prima di allora. In tal caso, doveva assicurarsi che arrivassero alla finale del torneo, quando era più fiducioso di ottenere l'opportunità di cui aveva bisogno.
Richard infine tornò a occuparsi di John la roccia e in breve tempo completò il disegno con alcuni simboli che rappresentavano il peso massiccio dietro un attacco, tracciandoli su ognuna delle sue braccia muscolose. «Fai me dopo, eh, Ruben?» chiese uno degli uomini. «Poi me» disse a gran voce un altro. «Uno alla volta» disse Richard. «Ora, mentre sto lavorando, dobbiamo ripassare la nostra strategia. Voglio che ognuno di voi partecipi a questa partita sapendo esattamente cosa fare. Dobbiamo tutti conoscere il piano per poterlo seguire. Dobbiamo conoscere i segnali. Voglio che siamo pronti a scagliarci contro l'avversario fin dal primo istante. Voglio lasciarli senza fiato mentre stanno ancora ridendo.» Ogni soldato a turno si sedette sul secchio rovesciato e lasciò che Richard gli dipingesse la faccia. Richard si accostò a ciascun uomo come se il disegno fosse una questione di vita o di morte. In un certo senso, lo era. Tutti erano stati trascinati dal lucido discorso del loro capo. Un atteggiamento solenne scese su di loro mentre sedevano in silenzio a osservare la loro punta tracciare disegni che solo Richard sapeva essere i concetti più mortali che sapeva creare. Anche se non comprendevano la lingua dietro quei simboli, capivano il significato alla base di ciò che lui stava facendo. Potevano vedere che ognuno aveva un aspetto terrificante. Man mano che i disegni venivano ultimati, Richard si rese conto che era come guardare una raccolta quasi completa degli schemi che componevano la danza con la morte, con elementi delle scatole dell'Orden aggiunti come bilanciamento. Gli unici simboli che aveva tralasciato erano quelli che stava conservando per sé, gli elementi della danza che evocavano i tagli più letali, quelli che penetravano fin nell'anima del nemico. Uno dei soldati della sua squadra offrì a Richard un pezzo di metallo lucidato in modo che potesse vedersi mentre cominciava a tracciare gli elementi della danza con la morte sul suo viso. Inzuppò il dito nella vernice rossa, immaginando che fosse sangue. Tutti gli uomini guardarono con attenzione rapita. Era il loro condottiero in battaglia, colui che seguivano nel Ja'La dh Jin. Questa era la sua nuova faccia ed erano tutti impegnati a osservarla. Come elemento finale, Richard aggiunse i fulmini del Con Dar, i simboli che rappresentavano un potere che Kahlan aveva evocato quando loro due avevano cercato di impedire a Darken Rahl di aprire le scatole dell'Orden e
lei pensava che Richard fosse stato ucciso. Era un potere pensato per la vendetta. Pensare a Kahlan, ai suoi ricordi perduti, alla sua identità strappata alla mercé di Jagang e dei malvagi dettami dell'Ordine, e raffigurarsela nella mente con quell'orrendo livido sul suo volto, gli fece ribollire il sangue per la rabbia. Con Dar voleva dire 'Furia del Sangue'. 10 Kahlan teneva un braccio attorno a Jillian con fare protettivo mentre seguivano da vicino Jagang. Il seguito dell'imperatore si fece strada attraverso l'agglomerato dell'accampamento nella muta meraviglia di alcuni e fra l'esultanza di molti. Alcuni inneggiavano al nome di Jagang mentre passava, con urla che incitavano la sua guida nella loro lotta per sterminare l'opposizione all'Ordine Imperiale, mentre molti altri lo celebravano come 'Jagang il Giusto'. Il fatto che così tanti potessero vedere lui o la stessa Fratellanza dell'Ordine come i custodi della giustizia non mancava mai di scoraggiarla. Di tanto in tanto i fiduciosi occhi color rame di Jillian osservavano Kahlan pieni di gratitudine per la sua protezione. Kahlan si vergognava alquanto per la sua finta capacità di difenderla quando sapeva che in realtà non le poteva offrire alcuna sicurezza. Ancora peggio, Kahlan poteva decisamente finire per essere la causa di qualunque tormento venisse inflitto a Jillian. No. Rammentò a sé stessa che lei non sarebbe stata la causa di quel male, se ci fosse stato. Jagang, in qualità di sostenitore dei corrotti dettami della Fratellanza dell'Ordine e di campione di ingiusta giustizia, sarebbe stato la causa. Il distorto credo dell'Ordine giustificava, nelle loro mentì, ogni ingiustizia compiuta per i loro fini. Kahlan non era responsabile, in parte o nel complesso, per il male commesso da altri. Erano loro a dover rispondere delle proprie azioni. Si disse che non doveva permettere a sé stessa di far ricadere la colpa dall'aguzzino alla vittima. Una delle caratteristiche delle persone che seguivano dettami malvagi era dar sempre la colpa alla vittima. Era il loro gioco e lei non avrebbe acconsentito a parteciparvi. Ciò nonostante, il fatto che Jillian fosse ancora una volta prigioniera di quei bruti spezzava il cuore di Kahlan. Questa gente del Vecchio Mondo
che faceva del male a persone innocenti nel nome di un bene superiore tradiva il concetto stesso di bene. Non erano capaci di sentimenti di sincero cordoglio perché non tenevano in alcun conto il bene: lo disprezzavano. Invece della ricerca di valori, quella che guidava le loro azioni era piuttosto un'invidia corrosiva. L'unica vera soddisfazione di Kahlan da quando Jagang l'aveva catturata era stata essere riuscita ad architettare la fuga di Jillian. Ora perfino quello era perduto. Mentre marciavano attraverso il campo, il braccio di Jillian circondò saldamente la vita di Kahlan, le sue dita le afferrarono la camicia. Era ovvio che, mentre l'aspetto sinistro dei soldati tutt'intorno a loro la spaventava, era più terrorizzata dalle guardie personali di Jagang. Erano stati uomini come quelli che le avevano dato la caccia. Era riuscita a sfuggir loro per un bel po' ma, malgrado conoscesse bene le rovine deserte dell'antica città di Caska, era ancora una bambina e non poteva avere la meglio in una ricerca condotta da uomini tanto esperti e determinati. Ora che Jillian era una prigioniera nell'agglomerato dell'accampamento, Kahlan sapeva di avere poche possibilità di aiutare di nuovo la ragazza a sfuggire alle grinfie degli uomini dell'Ordine. Mentre camminavano attraverso il fango e i rifiuti, zigzagando attorno al disordine di tende, carri e pile di arnesi e vettovaglie, Kahlan sollevò il volto di Jillian e vide che perlomeno il taglio aveva smesso di sanguinare. Uno degli anelli frutto di saccheggi che Jagang indossava era stato responsabile dello sfregio irregolare sopra uno degli zigomi di Jillian. Se solo fosse stata questa la sua maggior preoccupazione. Kahlan diede una carezza sulla testa della ragazza in risposta a un suo coraggioso sorriso. Jagang momentaneamente era stato piuttosto compiaciuto di avere di nuovo una ragazza che aveva osato fuggire da lui - e avere così un altro mezzo per tormentare e controllare Kahlan - ma era stato più interessato nell'apprendere il più possibile sulla scoperta in fondo alla fossa. A Kahlan sembrava che lui sapesse qualcosa di più di quanto non rivelasse su ciò che si trovava lì sepolto. Tanto per cominciare, non era stato tanto sorpreso dal ritrovamento quanto lei si sarebbe aspettata. Sembrava prendere la scoperta sotto gamba. Una volta assicuratosi che l'area fosse stata isolata e sgombrata dai soldati regolari, diede precise istruzioni agli ufficiali di andarlo immediatamente a cercare una volta che avessero fatto breccia nelle mura di pietra e fossero entrati in ciò che si nascondeva così in profondità nella piana di
Azrith, qualunque cosa fosse. Una volta convinto che tutti avessero capito con esattezza ciò che andava fatto e che ciascuno stesse lavorando con diligenza a tale scopo, aveva deciso in fretta di assistere per un po' alle partite di apertura del torneo. Non vedeva l'ora di analizzare alcuni dei possibili sfidanti della sua squadra. Kahlan era stata costretta ad andare con lui alle partite di Ja'La prima di allora. Non aveva alcuna voglia di andarci di nuovo, prima di tutto perché l'eccitazione e la violenza in campo le mettevano addosso un umore burrascoso unito a selvaggi desideri carnali. Di solito quell'uomo era già abbastanza terrificante, capace di violenza istantanea e brutale, ma quando era così eccitato dopo una giornata alle partite di Ja'La era ancora più intrattabile e ostinato. Dopo la prima volta che erano andati a vedere le partite, l'oggetto della sua lussuria depravata era stato Kahlan, Lei aveva combattuto il panico, arrivando infine ad accettare che lui avrebbe fatto quello che voleva e per lei non ci sarebbe stato alcun modo per fermarlo. Alla fine era diventata insensibile al terrore di essere sotto di lui, rassegnandosi all'inevitabile. Aveva distolto gli occhi dal suo sguardo libidinoso e aveva lasciato che la sua mente vagasse in un altro posto, dicendo a sé stessa che avrebbe conservato la sua rabbia rovente finché non fosse venuto il momento, fino a quando non sarebbe stata utile a uno scopo. Ma poi lui si era fermato di colpo. «Voglio che tu sappia chi sei quando faccio questo» le aveva detto. «Voglio che tu sappia quello che significa per te quando faccio questo. Voglio che tu lo detesti più di quanto tu abbia mai odiato qualsiasi cosa nella tua intera vita. «Ma devi ricordarti chi sei, devi sapere tutto, se questo dev'essere un vero stupro... e io voglio fare in modo che sia il peggior stupro che tu possa subire, uno stupro che ti darà un figlio che lui vedrà come un promemoria, come un mostro.» Kahlan non sapeva chi fosse quel 'lui'. «Affinché sia tutto questo,» le aveva detto Jagang «devi essere pienamente conscia di chi sei e di tutto ciò che questo significherà per te, tutto ciò che toccherà, tutto ciò che danneggerà, tutto ciò che corromperà per sempre.» L'idea di quanto una tale violazione sarebbe stata peggiore per lei era dunque più importante ai suoi occhi del saziare i suoi bassi istinti. Soltanto questo la diceva lunga sulla brama di vendetta di quell'uomo e su quanto
lei aveva provocato il desiderio di lui per questo. La pazienza era una qualità che rendeva Jagang ancor più pericoloso. Poteva facilmente agire in modo impulsivo, ma era un errore pensare che potesse essere trascinato fino a diventare sconsiderato. Sentendo il bisogno di farle comprendere il suo scopo superiore, Jagang le aveva spiegato che era più o meno lo stesso modo in cui puniva coloro che lo facevano adirare. Se avesse ucciso quelle persone, fece notare, sarebbero morte senza soffrire, ma se le avesse sottoposte a una lenta agonia, allora avrebbero desiderato la morte e lui avrebbe potuto negargliela. Assistendo all'interminabile tormento, poteva essere sicuro del loro estremo pentimento per i propri crimini, del loro insopportabile dolore per tutto ciò che avevano perduto. Questo, le aveva detto, era ciò che aveva in serbo per lei: la tortura di pentimento e perdita assoluta. La sua mancanza di memoria la rendeva insensibile a quelle cose, perciò avrebbe atteso fino al momento opportuno. Avendo trattenuto i suoi istinti immediati in favore di ambizioni superiori quando lei avesse finalmente ricordato tutto, aveva riempito il letto con un assortimento di altre prigioniere. Kahlan sperava che Jillian fosse troppo giovane per i suoi gusti. Ma sapeva che non lo sarebbe stata, se lei avesse fatto qualcosa per dargliene motivo. Mentre si muovevano fra le folle di soldati che applaudivano per una partita già cominciata, le guardie reali spostavano con la forza dalla strada chiunque reputassero troppo vicino all'imperatore. Diversi uomini che non vollero muoversi o non lo fecero abbastanza in fretta, ricevettero una gomitata che quasi frantumò loro il cranio. Un corpulento ubriaco dai modi stizziti, che non intendeva essere spinto via per nessuno, nemmeno per un imperatore, si rivoltò contro le guardie reali che avanzavano. Mentre il soldato se ne stava lì in mezzo, borbottando sfrontate minacce, venne sventrato con una rapida pugnalata di un coltello ricurvo. L'incidente non rallentò il corteo reale nemmeno di un passo. Kahlan coprì gli occhi di Jillian dalla vista delle interiora dell'uomo riversate sul loro cammino. Dato che aveva smesso di piovere, la donna si tolse il cappuccio del mantello. Nere nuvole si muovevano basse sopra la piana di Azrith, aumentando la sensazione soffocante di essere circondata. Le spesse nubi scure lasciavano intendere che il primo freddo e umido giorno d'inverno non avrebbe offerto alcuna possibilità di luce solare. Sembrava che il mondo intero stesse gradualmente piombando in una fredda, perpetua o-
scurità. Quando raggiunsero il bordo del campo di Ja'La, Kahlan si alzò in punta di piedi, guardando sopra o dietro le spalle delle guardie, cercando di vedere le facce degli uomini che erano già nel pieno del gioco. Quando si rese conto che si stava allungando per poter vedere la partite, subito si abbassò di nuovo. L'ultima cosa che voleva era che Jagang le chiedesse perché all'improvviso le interessava così tanto il Ja'La. Non era in effetti interessata alla partita, ma a vedere se riusciva a individuare l'uomo dagli occhi grigi, l'uomo che era inciampato di proposito ed era caduto nel fango per nascondere la sua faccia dall'imperatore, o forse da Sorella Ulicia. Se la pioggia non fosse tornata, presto sarebbe stato difficile per lui mantenere il viso coperto di fango per nascondere la sua identità. Anche con la pioggia e la mota, Jagang si sarebbe presto insospettito se la punta della squadra del comandante Karg fosse andata in giro tutto il tempo con il volto coperto di fango. Allora l'uomo avrebbe scoperto che il fango, invece di nasconderlo, non faceva che attrarre i sospetti di Jagang. Kahlan era preoccupata di ciò che sarebbe accaduto allora. Molti degli uomini che osservavano la partita esultarono e lanciarono urla d'incoraggiamento quando la punta di una delle due squadre riuscì ad arrivare nell'area avversaria. I placcatori si precipitarono a impedirgli di guadagnare altro terreno. Gli spettatori tuonarono quando i giocatori ruzzolarono l'uno sull'altro mentre altri uomini si affannavano a proteggere la propria area. Il Ja'La era un gioco in cui tutti gli uomini correvano, schivavano e si scartavano, o bloccavano o inseguivano l'uomo col broc, una pesante palla coperta di cuoio poco più piccola della testa di un uomo, cercando di catturarla o usarla per attaccare o per segnare. I giocatori spesso cadevano o erano scaraventati a terra. Rotolandosi sul terreno senza camicia, molti presto si coprivano non solo di sudore, ma anche di sangue. I campi quadrati di Ja'La erano delimitati da una griglia. In ogni angolo c'era una rete, due per ogni squadra. L'unico uomo che poteva segnare, e solo quand'era il turno della propria squadra, era la punta, e perfino lui doveva farlo da un'apposita sezione della griglia nella parte avversaria del campo. Da quell'area di tiro, una zona che correva lungo tutta l'ampiezza del campo, poteva lanciare il broc verso ciascuna delle reti avversarie. Non era facile segnare. Era un tiro da una certa distanza e le reti non erano ampie.
A rendere tutto più difficile, gli avversari potevano bloccare il lancio del pesante broc. Potevano anche sbattere fuori la punta dalla zona di tiro, o perfino placcarlo, mentre cercava di segnare. Il broc poteva anche essere usato come una specie di arma per scaraventare via i giocatori che si frapponevano. La squadra della punta poteva cercare di sgombrare l'area di fronte a una rete dagli avversari, oppure poteva proteggere il lanciatore dai placcatori in modo che potesse trovare un'apertura verso una delle reti e tentare un tiro, oppure poteva dividersi e cercare di fare entrambe le cose. Ogni strategia aveva vantaggi e svantaggi per ogni squadra. C'era anche una linea molto più arretrata rispetto alla normale zona di tiro da cui la punta poteva tentare di segnare. Se un tale lancio entrava, la sua squadra otteneva due punti invece di uno come al solito, ma di rado si tentavano tiri da tale distanza, dato che era molto più probabile che fossero intercettati e allo stesso tempo la possibilità che andassero a buon fine era quasi nulla. Tali tentativi di solito venivano fatti solo per disperazione, come sforzo dell'ultimo momento da parte di chi era in svantaggio e cercava di segnare prima che scadesse il tempo. Se la squadra avversaria placcava la punta, allora, e solo allora, alle sue ali era consentito raccogliere il broc e tentare di segnare. Se un tentativo mancava la rete e il broc andava fuori, allora la squadra in attacco lo riprendeva ma veniva riconsegnato dalla parte opposta del campo. Da lì dovevano ricominciare da capo la loro corsa per attaccare. Nel mentre il tempo del loro turno col broc continuava a scorrere. Su alcuni quadrati del campo la punta attaccante era al sicuro dalla minaccia che la placcassero e le togliessero il broc. Quei quadrati, però, potevano facilmente diventare isole pericolose in cui rimaneva in trappola e incapace di avanzare. Poteva, però, passare il broc a un'ala e riprenderlo durante la carica. Sul resto dei quadrati e nella normale area di tiro, la squadra in difesa poteva intercettare o rubare il broc per poter impedire alla squadra in attacco di segnare. Se la squadra in difesa si impadroniva del broc, però, non poteva usarlo per andare in porta finché la clessidra non decretava il suo turno d'attacco, ma poteva cercare di tenerlo in proprio possesso per non dare alla squadra di turno la possibilità di far punto. La squadra in attacco doveva riprenderlo se voleva segnare. Le lotte per il possesso della palla potevano diventare cruente. Una clessidra misurava il turno di gioco di ogni squadra, il tempo che ogni parte aveva per segnare. Se non era disponibile una clessidra, si pote-
vano usare altri mezzi per misurare il tempo, come un secchio d'acqua con un buco in fondo. Le regole del gioco potevano in certi casi essere piuttosto complicate, ma in generale erano molto flessibili. Spesso a Kahlan sembrava che non ce ne fossero, tranne quella principale secondo cui una squadra poteva segnare solo durante il proprio turno. La regola del gioco a tempo impediva che una sola squadra dominasse il possesso del broc e manteneva la partita movimentata. Era un gioco frenetico ed estenuante, con un costante andirivieni e nessun attimo per riposare. Dato che era così difficile fare punto, di rado le squadre ne segnavano più di tre o quattro per partita. A questo livello di gioco, il divario conclusivo nel punteggio finale era solitamente di un punto o due. Il tempo ufficiale del gioco era costituito da un numero prestabilito di turni della clessidra per ogni parte, ma se le squadre erano pari alla fine di quei turni, allora la partita continuava, non importa quanti altri ne servissero, finché qualcuno non segnava un altro punto. Quando questo accadeva, l'altra squadra aveva soltanto un turno della clessidra per cercare di pareggiare. Se non ci riusciva, il gioco terminava. Se faceva il punto, l'altra squadra otteneva un altro turno. Il gioco prolungato andava avanti a quel modo finché una squadra non segnava senza che l'altra rispondesse secondo la regola del turno successivo. Per tale ragione, nessuna partita di Ja'La dh Jin poteva mai terminare con un pareggio. C'era sempre un vincitore, sempre un perdente. Con o senza i tempi supplementari, quando la partita era terminata, la squadra perdente veniva disposta sul campo e ogni uomo veniva fustigato. Una terribile frusta fatta di un intreccio di corde di cuoio annodate, legate assieme dalla parte del manico, veniva usata per amministrare la punizione. Ognuna di quelle corde di cuoio aveva sulla punta una pesante pietruzza di metallo. Gli uomini ricevevano una frustata per ogni punto di distacco dai vincitori. La folla contava a gran voce con entusiasmo ogni sferzata per ogni uomo della squadra perdente, inginocchiata al centro. I vincitori spesso saltellavano attorno al perimetro del campo, pavoneggiandosi per la folla, mentre i perdenti, a capo chino, ricevevano le loro frustate. Per via dell'aspra rivalità tra le squadre, la fustigazione finiva sempre per essere un macabro spettacolo. I giocatori, dopo tutto, erano stati selezionati specificamente per la loro bellicosa brutalità, non soltanto per la loro abilità nel gioco. Le folle che assistevano alle partite di Ja'La si aspettavano incontri
cruenti. Fra i civili al seguito dell'esercito che osservavano dalle gradinate laterali, le donne non erano per niente nauseate dal sangue. Anzi, le rendeva più desiderose di attirare l'attenzione dei propri giocatori preferiti. Per la gente del Vecchio Mondo, sangue e sesso erano indissolubilmente legati, che si trattasse di un incontro di Ja'La o del saccheggio di una città. Se non c'era molto sangue durante la partita, la folla poteva indispettirsi, ritenendo che le squadre non si stessero impegnando abbastanza. Kahlan una volta aveva visto Jagang condannare a morte una squadra perché pensava che non avessero combattuto con sufficiente violenza. Le squadre che avevano giocato sul campo insanguinato dopo le esecuzioni si erano gettate a capofitto nell'incontro. Quanto più brutali erano i giocatori, dal punto di vista della folla, tanto meglio. Gambe e braccia si rompevano di frequente, così come le teste. Coloro che in precedenza avevano ucciso un avversario in un incontro di Ja'La erano ben noti e assai acclamati. Tali uomini venivano idolatrati ed entravano in campo all'inizio delle partite fra gli applausi sfrenati degli spettatori. Le donne che cercavano di stare coi giocatori dopo un incontro preferivano quelli noti per queste ragioni. Per l'Ordine Imperiale, il Gioco della Vita era uno sport di sangue. Kahlan si mosse dietro Jagang, vicino a dove si trovava presso il bordo del campo. La partita era già cominciata da un pezzo, mentre erano al luogo del ritrovamento. Le guardie reali fiancheggiavano Jagang e gli guardavano le spalle. Le guardie speciali di Kahlan la circondavano da vicino per assicurarsi che non tentasse di allontanarsi. Lei sospettava che le accalorate emozioni dei tifosi, accompagnate dal bere, racchiudessero il potenziale per qualcosa di più di qualche piccolo problema. Tuttavia Jagang, malgrado la dimostrazione di forza delle sue guardie, era un uomo che non temeva i guai. Aveva guadagnato il dominio con la forza bruta; lo deteneva grazie all'efferatezza più assoluta. Erano in pochi, anche fra i più corpulenti della sua guardia, a eguagliarlo per la semplice forza fisica, per non parlare della sua abilità ed esperienza come guerriero. Kahlan sospettava che potesse facilmente schiacciare il teschio di un uomo a mani nude. Per di più, era un tiranno dei sogni. Probabilmente avrebbe potuto passeggiare da solo fra i soldati ubriachi più pericolosi e non avere nulla da temere. Sul campo, le squadre cozzarono in un grosso scontro di ossa e muscoli. Kahlan osservò la punta mentre perdeva il broc, colpita da entrambi i lati
allo stesso tempo. Appoggiandosi con una mano su un ginocchio, con l'altra si tenne le costole mentre ansimava, cercando di riprendere fiato. Non era l'uomo che stava cercando. Il corno risuonò, decretando la fine di quel turno di gioco. I tifosi dell'altra squadra esultarono in modo sfrenato dato che gli avversari non erano riusciti a segnare. L'arbitro portò il broc dall'altro lato del campo e lo diede alla punta dell'altra squadra. Kahlan emise un silenzioso sospiro. Non era neanche lui. Mentre la clessidra veniva girata, il corno suonò di nuovo. La punta e la sua squadra cominciarono la loro corsa lungo il campo. La squadra avversaria cominciò la propria corsa per difendere le reti. Lo scontro delle due falangi fu terrificante. Uno dei giocatori urlò per il dolore. Jillian, pur dietro il muro di guardie e incapace di vedere molto di ciò che stava accadendo sul campo, si ritrasse comunque dal suono delle grida. Si strinse ancora più forte contro Kahlan. Il gioco continuò anche mentre l'uomo a terra veniva trascinato via dal campo dagli assistenti dell'arbitro. Jagang, avendo visto abbastanza, si voltò e si diresse verso il successivo campo di Ja'La. Gli uomini nella folla, che si spintonavano e si urtavano per cercare di vedere la partita, si separarono per lasciar passare l'imperatore. La folla era enorme, anche se in un tale accampamento costituiva solo una piccola parte dei soldati. La costruzione della rampa continuava nonostante i giochi. La maggior parte di coloro che vi lavorava avrebbe avuto tempo in abbondanza, una volta terminato il proprio turno, per vedere altre partite che sarebbero durate tutto il giorno e la sera. Da ciò che Kahlan poté desumere da frammenti di conversazione, c'erano molte squadre che si contendevano il diritto di giocare infine contro quella dell'imperatore. Il torneo costituiva una gradita distrazione per uomini che non avevano altro da fare che sopportare incessanti giornate di lavoro e l'interminabile assedio del Palazzo del Popolo. Impiegarono un bel po' a farsi strada, fra applausi, urla e fischi degli spettatori della partita da cui l'imperatore si stava allontanando. Attraversando l'accampamento melmoso, sudicio e puzzolente, arrivarono infine al campo di Ja'La successivo. Un'area per l'imperatore e il suo seguito di guardie era stata delimitata con delle corde. Jagang e alcuni ufficiali che si erano uniti a lui parlarono a lungo delle squadre che stavano per giocare. A quanto pareva, la partita che si erano lasciati alle spalle era fra squadre che occupavano una bassa posizione in classifica. Si supponeva, però, che questa partita fosse fra uomini che per qualche motivo ci si aspettava offrisse-
ro uno spettacolo migliore. Le due punte stavano proprio arrivando a centrocampo per estrarre le pagliuzze e determinare quale squadra avrebbe ottenuto la scelta del primo turno. Un silenzio ricadde sulla folla in attesa. Entrambe le punte estrassero una pagliuzza da un mazzo che l'arbitro teneva nel pugno. I due uomini sollevarono in alto le proprie pagliuzze. L'uomo con quella corta imprecò. La punta che aveva vinto tenne in alto la pagliuzza mentre urlava trionfante. I suoi compagni di squadra e i loro tifosi lanciarono un fragoroso grido di esultanza. La pagliuzza lunga gli dava la possibilità di prendere il broc al primo turno o di darlo all'uomo che aveva estratto quella corta. Ovviamente, nessuna squadra aveva mai ceduto l'opportunità di essere la prima a segnare un punto. Segnare per primi era un buon augurio in vista della vittoria. Da ciò che Kahlan aveva origliato dai soldati e dalle guardie attorno a lei, molti credevano che il Gioco della Vita venisse vinto o perso grazie a quella prima estrazione. Quella pagliuzza, ritenevano, rivelava quello che il destino aveva in serbo. Nessuna delle punte era quella che Kahlan stava cercando. Non appena il gioco iniziò, divenne ovvio che questi uomini erano più bravi di quelli che giocavano nell'altra partita. I placcaggi erano furibondi. I soldati facevano balzi nel vuoto in disperati tentativi di colpire qualcuno, o per togliere di mezzo la punta o per proteggerla. La punta, oltre a correre col broc, usò il suo peso per aiutarsi a scaraventare un uomo via dalla sua strada. Quando un altro gli si avvicinò, gli scagliò il broc con tutta la sua forza a distanza ravvicinata. Il placcatore grugnì all'impatto del broc e cadde. I tifosi esultarono e fischiarono. Una delle ali raccolse il broc e lo lanciò alla punta mentre caricavano lungo il campo. «Mi spiace» sussurrò Jillian a Kahlan mentre tutti, guardie, ufficiali e Jagang, assistevano alla partita, qualcuno che faceva commenti sui giocatori. «Non è stata colpa tua, Jillian. Hai fatto del tuo meglio.» «Ma tu hai fatto così tanto. Vorrei essere brava come te e poi...» «Zitta, ora. Anch'io sono prigioniera. Noi due non possiamo competere con questi uomini.» Allora, Jillian sorrise appena un poco. «Almeno sono contenta di essere con te.» Kahlan le restituì il sorriso. Diede un'occhiata alle sue guardie. Erano intente a osservare con attenzione il gioco.
«Cercherò di pensare a un modo per farci uscire di qui» sussurrò. Di tanto in tanto Jillian gettava uno sguardo in mezzo agli omoni per cercare di vedere cosa stava accadendo sul campo. Quando Kahlan si accorse che Jillian si stava sfregando le braccia nude e stava cominciando a tremare per il freddo, avvolse il suo mantello con fare protettivo attorno alle spalle della ragazza, condividendone il calore con lei. Col passare del tempo, ogni squadra aveva segnato un punto. Con la partita in pareggio, il tempo quasi terminato ed entrambe le squadre incapaci di ottenere un vantaggio rilevante, Kahlan sapeva che i tempi supplementari sarebbero potuti durare un bel po' prima di decretare un vincitore. Non ci volle tanto quanto aveva pensato, né ci fu bisogno di arrivare ai supplementari. La punta di una delle squadre venne placcata bassa da dietro mentre allo stesso tempo un altro giocatore, in un attacco coordinato, gli balzò contro da davanti, colpendolo dritto nel petto con la spalla abbassata. La punta si afflosciò e colpì duramente il terreno. Sembrava che il placcaggio potesse aver decisamente rotto la schiena dell'uomo. La folla andò in delirio. Kahlan girò la faccia di Jillian dall'altra parte e la tenne premuta contro di sé. «Non guardare.» Jillian, sull'orlo delle lacrime, annuì. «Non so perché gli piacciano dei giochi così crudeli.» «Perché è gente crudele» mormorò Kahlan. Un altro uomo fu designato come punta mentre il capitano caduto veniva portato via fra un assordante ruggito di soddisfazione da una parte e urla adirate dall'altra. Le due fazioni di spettatori sembravano sul punto di venire alle mani, ma quando il gioco velocemente ricominciò, vennero subito catturati dall'azione frenetica. La squadra che aveva perso la punta lottò disperatamente, ma presto divenne chiaro che stavano combattendo una battaglia persa. La nuova punta non era all'altezza dell'uomo che avevano perso. Quando il tempo di gioco regolare della clessidra terminò, avevano perso per due punti, una vittoria strepitosa per l'altra squadra. Un tale divario di punti, assieme all'eliminazione della punta avversaria in un modo tanto brutale, avrebbe contribuito molto alla reputazione della squadra vincente. Jagang e gli ufficiali sembravano compiaciuti dall'esito della partita. Aveva dato prova di tutti gli elementi di brutalità, sangue e spietato trionfo che credevano che il Ja'La dh Jin dovesse avere. Le guardie, inebriate dalla ferocia omicida del gioco, sussurrarono fra loro, rievocando ciò che ave-
vano apprezzato di più di alcuni dei contrasti più violenti. La folla, già eccitata dalla partita, lo fu ancora di più per le fustigazioni che seguirono. Erano infiammati, pregustando ardentemente la partita successiva. Mentre aspettavano, intonarono un canto ritmico, incitando con impazienza le prossime squadre a uscire in campo. Battevano le mani a tempo con le loro urla monotone chiedendo azione. Una delle squadre comparve fra la folla dal lato opposto del campo sulla destra. Dal modo in cui esultava, la folla probabilmente aveva riconosciuto una delle sue squadre preferite. Tutti i giocatori sollevarono un pugno in alto sopra la testa mentre avanzavano impettiti in un cerchio attorno al campo, pavoneggiandosi per i loro tifosi. Gli uomini nel pubblico, così come le donne che facevano parte dei civili al seguito, acclamarono la squadra che conoscevano e sostenevano. Una delle guardie di Jagang che stava non lontano davanti a Kahlan disse all'uomo accanto a lui che quella squadra era più che semplicemente brava e si aspettava che avrebbero malmenato di brutto i loro avversari. Dalle urla della folla, molti sembravano pensarla allo stesso modo. A quanto pareva, era una squadra con quella reputazione ostile che gli uomini dell'Ordine Imperiale apprezzavano e ricordavano. Dopo la partita precedente, i soldati erano eccitati e desiderosi di sangue. Ogni spettatore si drizzò, allungando il proprio collo per vedere l'altra squadra mentre finalmente si faceva strada fra la folla sulla sinistra. Emersero in fila per uno, senza pugni alzati, senza gesti di spacconeria. Kahlan li fissò sorpresa come ogni altro. Un silenzio ricadde sulla folla. Nessuno applaudì. Erano tutti troppo meravigliati per esultare. 11 Gli uomini, tutti a torso nudo, marciarono in fila uno dietro all'altro scortati da uno spesso capannello di guardie arcigne, tutte con le frecce incoccate. Ogni soldato nella colonna che si faceva strada verso il centro del campo era dipinto con strani simboli rossi. Linee, spirali, cerchi e archi coprivano loro faccia, petto, spalle e braccia. Sembrava che fossero stati contrassegnati col sangue dallo stesso Guardiano del mondo sotterraneo. Kahlan notò che l'uomo che li guidava portava dei disegni che, per quanto simili, erano leggermente differenti. Inoltre, solo lui aveva fulmini ge-
melli in faccia. Cominciando dalla tempia di ogni lato, in un'immagine speculare l'uno dell'altro, la parte superiore di ogni fulmine zigzagava sul sopracciglio, poi passava sopra la palpebra, mentre la parte inferiore tagliava gli zigomi per terminare infine in una punta nell'incavo di ciascuna guancia. Kahlan reputò l'effetto davvero spaventoso. A brillare al centro di quei fulmini gemelli c'era lo sguardo magnetico di due penetranti occhi grigi. Era difficile distinguere l'aspetto dell'uomo sotto l'intrico delle linee. Gli strani simboli, specialmente i fulmini, confondevano le fattezze. Kahlan all'improvviso si rese conto che lui aveva trovato un modo per nascondere la sua identità senza ricorrere al fango. Non lasciò che neanche un sorriso sfuggisse sul suo volto. Pur sollevata, allo stesso tempo desiderò poter vedere la sua faccia, vederla davvero, vedere il suo aspetto. Non era grosso come alcuni degli altri imponenti giocatori, ma era comunque grande, alto e muscoloso, ma non allo stesso modo di alcuni dei tozzi, pesanti uomini simili a tori. Aveva una corporatura proporzionata. Mente lo fissava, Kahlan all'improvviso temette che qualcuno potesse vederla ammaliata da lui. Sentì il suo volto avvampare. Tuttavia, continuò a fissarlo. Non riusciva a farne a meno. Era la prima volta che riusciva a guardarlo attentamente. Aveva esattamente l'aspetto che in qualche modo lei sapeva che avrebbe avuto. O forse era solo l'aspetto che lei aveva sognato. Il primo freddo giorno d'inverno all'improvviso le sembrò mite. Si chiese chi fosse costui per lei. Si costrinse a tenere a freno la propria immaginazione. Non osava fantasticare su cose che sapeva potevano non diventare realtà. Mentre l'altra punta rideva, l'uomo dagli occhi grigi attendeva di fronte all'arbitro, il suo sguardo tagliente fisso sull'avversario. Lei aveva saputo fin dall'istante in cui aveva visto i disegni dipinti che sarebbero stati reputati da quei soldati una vuota spacconeria. Erano il genere di dichiarazione visiva che, se non supportata da un uomo con le giuste caratteristiche, in tali circostanze sarebbe stata una provocazione tanto arrogante da procurargli un trattamento brutale, se non letale. Nascondere il proprio volto era una cosa, ma questo era completamente diverso. Lui stava mettendo sé stesso e la sua squadra in serio pericolo con questa dichiarazione con la vernice. Sembrava quasi che i fulmini avessero lo scopo di garantire che tutti vedessero che era la punta, come per attirare
la concentrazione e l'attenzione dell'altra squadra su di sé. Non riusciva a immaginare perché volesse fare una cosa del genere. Seguendo l'esempio della loro punta, gli uomini della squadra che non era pitturata cominciarono a ridere. Anche la folla si era unita a loro, ridendo, fischiando e lanciando insulti agli uomini dipinti, in particolare alla punta coi fulmini. Kahlan seppe senz'ombra di dubbio che non c'era errore più pericoloso che ridere di quell'uomo. La squadra dipinta rimase immobile come la roccia, in attesa mentre la folla piombava in un tumulto di risa e scherno. L'altra squadra urlava insulti e beffe. Alcune delle donne tirarono piccoli oggetti: ossi di pollo, cibo marcio e anche terra quando non riuscivano a trovare nient'altro. Gli avversari urlavano all'uomo coi fulmini degli insulti tali che di riflesso fecero coprire a Kahlan l'orecchio di Jillian con una mano, premendole la testa contro il petto. Avviluppò il mantello attorno alla ragazza. Non sapeva cosa sarebbe accaduto, ma di certo che quella partita non sarebbe stata uno spettacolo adatto a una ragazza. La punta coi fulmini gemelli rimase lì con uno sguardo privo di espressione che non mostrava nulla di ciò che probabilmente provava. Ricordò a Kahlan sé stessa quando assumeva l'espressione vuota di quando doveva affrontare certe minacce terribili, uno sguardo vacuo che non tradiva nulla di ciò che le ribolliva dentro. E nonostante tutto, nel calmo atteggiamento di quell'uomo, Kahlan vide una furia compressa. Lui non guardò mai nella sua direzione - il suo sguardo era fisso sull'avversario - ma solo la sua vista, la vista del suo volto, pur coperto da linee dipinte, del suo portamento, il fatto di guardarlo a lungo senza dover distogliere velocemente lo sguardo, fece diventare deboli le ginocchia di Kahlan. Il comandante Karg si fece strada a gomitate nel muro di guardie per raggiungere l'imperatore Jagang sul ciglio del campo. Incrociò le braccia muscolose, all'apparenza per niente preoccupato dal baccano che la sua squadra stava provocando. Kahlan notò che Jagang non stava ridendo assieme a tutti gli altri. Non stava nemmeno sorridendo. Il comandante e l'imperatore inclinarono le teste l'una vicino all'altra e pronunciarono parole che Kahlan non riuscì a sentire sopra le beffe, le risa e gli insulti volgari urlati dalla folla. Mentre Jagang e il comandante Karg continuavano a parlare, l'altra
squadra iniziò a ballare attorno al campo, con le braccia in alto, destinatari della stima della folla anche se dovevano ancora segnare un punto. Erano diventati eroi senza aver fatto nulla. Quei soldati, devoti a credenze dogmatiche, erano motivati dall'odio. Vedevano la calma sicurezza di sé di ogni individuo come arroganza, la sua abilità come ingiusta, e tale ineguaglianza come un'oppressione. Kahlan ricordò le parole di Jagang: «La Fratellanza dell'Ordine ci insegna che essere meglio di qualcuno significa essere peggio di tutti.» Gli spettatori credevano in quel dogma e per questo odiavano chi sembrava dichiarare con la vernice di essere migliore. Allo stesso tempo, erano lì per vedere una squadra trionfare, per vedere uomini avere la meglio su altri uomini. Era inevitabile che dettami irrazionali come quelli insegnati dalla Fratellanza dell'Ordine causassero infiniti grovigli di contraddizioni, desideri ed emozioni. Difetti resi evidenti perfino dal più comune buon senso erano tamponati con un'interpretazione estesa della fede. Chiunque mettesse in discussione materie di fede era considerato un peccatore. Questi uomini erano lì nel Nuovo Mondo per eliminare i peccatori. Infine l'ordine fu ristabilito dall'arbitro che urlò alla folla di calmarsi in modo che la partita potesse cominciare. Mentre gli spettatori si acquietavano, almeno un po', l'uomo dagli occhi grigi fece un gesto verso il pugno di pagliuzze dell'arbitro, invitando il suo avversario a estrarre per primo. L'uomo ne prese una, sorridendo della sua scelta quando sembrò che ne avesse preso una lunga abbastanza per vincere. L'uomo con gli occhi grigi estrasse una pagliuzza più lunga. Mentre la folla fischiava la propria disapprovazione, l'arbitro diede il broc alla punta con la faccia dipinta. Invece di andare dal proprio lato del campo per cominciare la carica, lui attese un momento finché la folla non si fu calmata un poco e poi cortesemente porse il broc all'altra punta, cedendo il primo turno. A una tale inattesa svolta degli eventi, la folla proruppe in un riso incontrollato. Pensavano chiaramente che quell'uomo fosse uno sciocco che aveva appena consegnato la vittoria all'altra squadra. Esultarono come se i loro beniamini avessero appena vinto. Nessuno della squadra dipinta mostrò alcuna reazione a quello che la punta aveva appena fatto. Invece, si mossero in maniera ordinata, prendendo i propri posti dal lato sinistro del campo, pronti alla difesa contro il primo attacco. Quando la clessidra fu girata e il corno suonò, la squadra in attacco non
perse tempo. Desiderosi di segnare in fretta, la loro carica fu istantanea. Urlarono tutti grida di guerra mentre si precipitavano lungo il campo. La squadra dipinta corse verso il centro per incontrare la carica. Il boato della folla era assordante. I muscoli di Kahlan si tesero nell'anticipazione di un terribile urto di carne e ossa. Non accadde nel modo che si aspettava. La squadra dipinta, o squadra rossa come le guardie avevano già cominciato a chiamarla, deviò dalla direzione in cui stava caricando, dividendosi in due e aggirando da ambo i lati i placcatori e puntando invece verso la retroguardia. Un errore talmente inaspettato e da dilettanti era un colpo di fortuna per la squadra che stava cercando di segnare. Seguendo i placcatori e le ali, la punta col broc passò attraverso l'apertura lasciata dalla squadra rossa, correndo diritto per il campo. In un istante, entrambe le ali della squadra rossa girarono su sé stesse e l'apertura si richiuse con uno scatto come delle enormi mascelle, facendo ruzzolare i placcatori in carica verso l'interno. La punta rossa caricò proprio nel mezzo, verso i placcatori centrali che venivano verso di lui. Proprio mentre stavano per placcarlo, scartò di lato un uomo e roteò intorno, scivolando fra altri due. Kahlan sbatté le palpebre incredula per ciò che aveva appena visto. Sembrava fosse schizzato come un seme di melone proprio fra mezza dozzina di uomini che convergevano su di lui. Uno degli uomini più grossi della squadra rossa, probabilmente una delle ali, si mosse verso la punta col broc che stava caricando. Proprio prima di raggiungerla, però, ci si tuffò contro anticipandola, cosicché il suo blocco in affondo fu troppo basso. L'uomo col broc lo superò con un balzo. La folla esultò per la destrezza con cui il loro giocatore aveva appena evitato un placcaggio. Ma anche la punta con i fulmini gemelli fece un balzo, librandosi sopra la sua ala atterrata, usando la sua schiena come uno scalino per lanciarsi. Incontrò l'altra punta in volo, agganciandola con un braccio e rovesciandola a mezz'aria. Il capovolgimento di direzione fu tanto forte da far saltar via il broc. Mentre si schiantava al suolo, l'uomo dagli occhi grigi afferrò il broc mentre era ancora in aria. Il suo piede si poggiò sulla nuca della punta caduta, spingendo la sua faccia nel fango. Kahlan seppe senz'ombra di dubbio che avrebbe potuto rompergli il collo con facilità, ma aveva evitato di proposito di farlo.
Placcatori da ogni direzione si tuffarono verso l'uomo dipinto che ora aveva il loro broc. Lui ruotò su sé stesso, cambiando direzione. Essi atterrarono nel punto in cui si trovava, ma lui se n'era già andato. Invece precipitarono sopra la loro stessa punta. La squadra rossa era adesso in possesso del broc. Anche se non potevano segnare finché non fosse stato il loro turno, potevano impedire all'altra squadra di fare punto. Per qualche ragione, però, l'uomo con gli occhi grigi calciò attraverso il campo, fiancheggiato dalle sue due ali e metà dei suoi placcatori. Erano in una perfetta formazione a cuspide mentre attraversavano il campo. Quando l'uomo dipinto raggiunse l'area di tiro dalla parte opposta del campo, la punta scagliò il broc in una delle reti, anche se non era il loro turno e il punto non avrebbe contato. Lui seguì il broc, lo riprese dalla rete e poi, invece di tenerlo in proprio possesso per negare all'altra squadra l'opportunità di segnare, trotterellò su per il campo e, con un semplice lancio dal basso in alto, lanciò il broc alla punta che era ancora in ginocchio a sputare fango. La folla rimase senza fiato in preda a un confuso stupore. Ciò che Kahlan aveva appena visto confermò quello che aveva creduto fin dal primo momento in cui aveva guardato nei suoi occhi magnetici: quello era l'uomo più pericoloso al mondo. Più pericoloso di Jagang... in una maniera diversa, ma più di Jagang. Più pericoloso di chiunque. Era un uomo troppo pericoloso per permettergli di vivere. Una volta che Jagang si fosse reso conto di ciò che lei già sapeva - se non l'aveva già capito - avrebbe potuto plausibilmente decidere di metterlo a morte. La squadra che aveva il primo turno riportò il broc al proprio punto di partenza sulla destra e, nel furore di riscattarsi e segnare un punto valido, caricò lungo il campo. Sorprendentemente, la squadra rossa attese invece di correre a fermare l'avanzata il più lontano possibile dalla meta. Un errore, poteva sembrare, ma Kahlan non la pensava così. Quando gli attaccanti raggiunsero la squadra rossa, si gettarono contro i difensori. La squadra rossa schizzò bruscamente in ogni direzione, schivando i placcatoli troppo sicuri di sé. Mentre correvano, gli uomini della squadra rossa girarono attorno e i loro placcatori si disposero in una formazione a mezzaluna. Correndo lungo il campo, falciarono le ali e i placcatori avversari, assieme alla punta. La grossa ala dipinta gli strappò il broc, poi lo lanciò in aria più in alto che poteva. L'uomo coi fulmini, che aveva scartato, era guizzato in avanti e si era fatto strada tra la linea di uomini in carica, li aveva sorpassati correndo a perdifiato, e aveva afferrato il
broc prima che toccasse terra. Da solo aveva superato tutti gli uomini dell'altra squadra che lo inseguivano. Quando raggiunse l'altra estremità del campo, scagliò il broc nella rete dall'angolo opposto a quello dove l'aveva gettato la prima volta. I placcatori si tuffarono verso di lui, ma senza alcuno sforzo li scansò da un lato ed essi si schiantarono al suolo in un mucchio accanto a lui. Trotterellò verso la rete e recuperò il broc. «Chi è quell'uomo?» chiese Jagang a bassa voce. Kahlan sapeva che Jagang si riferiva alla punta coi fulmini dipinti sulla faccia, l'uomo dagli occhi grigi. «Il suo nome è Ruben» disse il comandante Karg. Era una menzogna. Kahlan sapeva che non era quello il nome dell'uomo. Non aveva alcuna idea su quale fosse quello vero, ma non era Ruben. Ruben era una maschera, proprio come lo era stato il fango, proprio come lo era adesso la vernice rossa. Ruben non era il suo vero nome. All'improvviso si domandò come faceva a pensare una cosa simile. Sapeva, dal modo in cui l'aveva guardata quella prima volta, che i loro occhi si erano incontrati il giorno prima, che lui la conosceva. Questo significava probabilmente che doveva trattarsi di qualcuno che proveniva dal suo passato. Lei non se lo ricordava e non conosceva la vera identità, ma sapeva che non era Ruben. Quel nome semplicemente non gli si addiceva. Il corno risuonò, decretando la fine del primo turno. La clessidra venne girata e il corno suonò di nuovo. La squadra rossa era già nella propria estremità del campo, arretrata rispetto alla propria zona di partenza. Non si preoccuparono di prendersi il vantaggio di dirigersi verso le sezioni della griglia da cui era consentito cominciare il loro attacco. Invece, l'uomo che il comandante Karg aveva chiamato Ruben, già in possesso del broc, diede un piccolo segnale con la mano ai suoi uomini. Le sopracciglia di Kahlan si corrugarono mentre osservava attentamente. Non aveva mai visto una punta utilizzare quel genere di cenni della mano. Gli uomini che giocavano a Ja'La di solito funzionavano come una folla scarsamente coordinata, attuando il compito designato dalla propria posizione: placcatori o ali o portieri, come meglio pareva a ciascuno in ogni circostanza che si presentava. L'opinione prevalente era che se ogni uomo agiva come meglio riteneva, allora la squadra poteva aspettarsi di fronteggiare le inattese variazioni che capitavano durante il gioco. In un certo senso, ognuno di loro reagiva a ciò che il fato gli aveva riservato.
La squadra di Ruben era diversa. Al completamento del segnale, ruotarono e caricarono davanti a lui in formazione in modo coordinato. Non stavano agendo come una folla scarsamente organizzata: si stavano comportando come un esercito ben addestrato che andava in battaglia. Gli uomini dell'altra squadra, a quel punto infuriati, spinti dal desiderio di vendetta, si precipitarono a intercettare la squadra col broc. Passato il centrocampo, la squadra rossa girò come un sol uomo, diretta verso la rete alla propria destra. I difensori si avventarono su di loro come orsi imbestialiti. I placcatori sapevano che il loro compito era placcare, e questo significava fermare l'avanzata della squadra rossa prima che potesse raggiungere l'area di tiro. Ma Ruben non seguì i suoi uomini. Scartò a sinistra all'ultimo momento. Tutto da solo, senza neanche le sue ali a proteggerlo, andò in diagonale dall'altra parte del campo, diretto verso la rete a sinistra. Il grosso delle due squadre cozzò in un enorme mucchio, alcuni dei difensori non si erano neanche resi conto che l'uomo che stavano inseguendo non era lì sotto. Solo un portiere era rimasto indietro, aveva visto cosa stava facendo Ruben ed era riuscito a girare in tempo per bloccarlo. Ruben abbassò una spalla e colpì il portiere dritto nel petto, lasciandolo senza fiato e mandandolo gambe all'aria. Senza esitare nel raggiungere l'area di tiro del campo, Ruben scagliò il broc in rete. La squadra rossa scattò all'indietro nel proprio lato del campo, mettendosi in formazione per un secondo attacco mentre avevano ancora del tempo rimanente. Mentre aspettavano che l'arbitro trotterellasse col broc lungo il campo, guardarono tutti il loro capitano ansimante in attesa del cenno della sua mano. Era rapido e semplice, un segnale che, per Kahlan, non sembrava voler dire nulla. Quando l'arbitro lanciò a Ruben il broc, lui immediatamente si mise a correre a perdifiato. La sua squadra era pronta e scattò in avanti per aprirsi a ventaglio in una corta, stretta linea davanti a lui. Quando il rabbioso e disordinato gruppo di uomini dell'altra compagine fu quasi sopra di loro, la squadra rossa ruotò a sinistra, facendo perdere efficacia alla carica dei placcatori, deviando il suo impeto a sinistra. Ruben, poco più indietro della sua linea di uomini, scartò a destra e corse da solo in campo aperto. Prima che qualcuno dei placcatori potesse raggiungerlo, lui urlò per lo sforzo di scagliare il broc da una posizione molto più arretrata rispetto alla normale area di tiro. Era estremamente difficile centrare un colpo da così lontano. Tirato da lì, un colpo che fosse entrato in rete sa-
rebbe valso due punti invece di uno. Il broc descrisse un arco attraverso l'area sopra le teste dei portieri che saltarono in maniera scomposta per prenderlo. Confusi dalla strana carica a fila singola, non si erano aspettati un tale tentativo di segnare dalla lunga distanza e non erano preparati. Il broc si infilò nella rete. Il corno risuonò, decretando la fine del turno di gioco della squadra rossa. La folla era sbalordita, le bocche aperte. Nel primo turno di gioco, la squadra rossa aveva totalizzato tre punti... per non parlare dei due che Ruben aveva segnato ma che non valevano. Un silenzio ricadde sul campo mentre l'altra squadra si accalcava in una discussione riservata su cosa fare per l'improvvisa piega degli eventi. La loro punta fece quella che sembrò una proposta violenta. Tutti i suoi uomini, sogghignando al suo suggerimento, annuirono e poi si separarono per cominciare il loro turno col broc. Vedendo che avevano evidentemente improvvisato un piano, la folla cominciò di nuovo a lanciare urla d'incoraggiamento. Sopra le acclamazioni, la punta ringhiò ordini ai suoi uomini. Due dei suoi portieri annuirono con parole che Kahlan non riuscì a udire. Al suo grido, caricarono lungo il campo, radunandosi in uno stretto capannello di muscoli e furia. Invece di dirigersi verso l'area di tiro, la punta deviò bruscamente a destra, conducendo stranamente la carica fuori dal suo percorso. Ruben e i suoi difensori cambiarono direzione per incontrare la carica, ma non furono in grado di concentrare il loro pieno peso in tempo. Fu un impatto brutale. L'attacco aveva avuto come bersaglio specifico l'ala sinistra di Ruben, escludendo tutti gli altri uomini, senza neanche la parvenza di un tentativo di segnare e col preciso scopo di causare delle lesioni a un uomo da solo per danneggiare la capacità della squadra rossa di giocare con efficacia. Mentre la folla esultava pregustando lo scorrere del sangue, gli uomini si rialzarono, uno alla volta. I giocatori dipinti di rosso strattonarono via gli avversari, cercando di raggiungere gli uomini in fondo al mucchio. L'ala sinistra della squadra rossa fu l'unica che non si rialzò. Mentre la squadra col broc correva indietro per preparare un'altra carica, Ruben si inginocchiò accanto all'uomo a terra, esaminandolo. Era ovvio dalla sua mancanza di insistenza che non c'era nulla da fare. La sua ala sinistra era morta. La folla esultò mentre il giocatore caduto veniva trascinato via, lasciando una spessa scia di sangue lungo il campo. Lo sguardo magnetico di Ruben passò in rassegna i lati del campo. Ka-
hlan riconobbe quella valutazione. Poteva quasi sentire ciò che lui stava pensando poiché anche lei valutava gli avversari e soppesava le possibilità. Le guardie con le frecce incoccate tesero i loro archi mentre Ruben si alzava. «Cosa sta succedendo?» sussurrò Jillian facendo capolino da sotto il mantello di Kahlan. «Non riesco a vedere oltre a tutte le guardie di Jagang.» «Un uomo è rimasto ferito» disse Kahlan. «Rimani al caldo, non c'è nulla da vedere.» Jillian annuì e rimase rannicchiata sotto il braccio protettivo di Kahlan e il calore del suo mantello. Il gioco del Ja'La non si fermava per alcun motivo, nemmeno per una morte sul campo. Kahlan provò un'enorme tristezza per il fatto che la morte di un uomo facesse parte del gioco e venisse acclamata dagli spettatori. Gli arcieri disposti attorno al campo, che sorvegliavano i prigionieri che giocavano nella squadra rossa, sembravano puntare le proprie frecce incoccate verso un solo uomo. Lei e la punta coi fulmini dipinti sul volto avevano qualcosa in comune: ognuno di loro aveva le proprie guardie speciali. Mentre la folla chiedeva a gran voce il gioco, Kahlan avvertì uno strano, inquieto presagio nell'aria. Il broc venne restituito alla squadra che aveva ancora tempo per il proprio turno. Mentre si riunivano in formazione, lei seppe che il momento era passato. Kahlan vide un arcigno Ruben dare ai compagni un segnale di nascosto. Ognuno dei suoi rispose con un lieve cenno del capo. Poi, appena sufficiente perché loro ne cogliessero il significato, Ruben mostrò furtivamente tre dita. Tutti si disposero all'istante in una strana formazione. Aspettarono un poco mentre l'altra squadra cominciava a correre a perdifiato lungo il campo, urlando grida di battaglia suscitate dalla loro brutale impresa. Credevano di avere adesso un vantaggio tattico che dava loro il predominio. Erano fiduciosi di poter dettare il corso del gioco. Mentre la compagine col broc caricava lungo il campo, la squadra rossa si divise in tre cuspidi separate. Ruben guidava la cuspide centrale più piccola, diretto verso la punta col broc. Le sue due ali, la sua grossa ala destra e quella sinistra appena designata, guidarono la maggior parte dei placcatori nelle due cuspidi laterali. Alcuni degli uomini nella squadra col broc si mossero da ogni lato mentre caricavano in avanti per bloccare la strana
formazione nel caso le parti laterali cercassero di piegare all'interno verso la loro punta. L'anomala tattica difensiva attirò il disprezzo delle guardie di Jagang. Dai commenti che Kahlan poteva udire, erano convinti che la squadra rossa, dividendosi in tre gruppi, non avrebbe avuto il peso sufficiente di placcatori al centro per fermare la punta col broc e ancor meno per resistere a tutti gli uomini che le si stavano avventando contro. Le guardie pensavano che una difesa tanto inefficace avrebbe fruttato agli attaccanti un facile punto e probabilmente sarebbe costata la vita di un altro membro della squadra rossa nel gruppo centrale, con tutta probabilità la punta stessa, dato che era praticamente privo di protezione. Le due cuspidi esterne della squadra rossa sferzarono i lati della carica, non bloccando come ci si attendeva. Le gambe degli uomini della squadra attaccante si rovesciarono per aria mentre gli uomini capitombolavano in modo violento. La cuspide centrale di Ruben cozzò contro il gruppo principale di placcatori che difendeva la punta col broc. Questi tenne il broc stretto contro lo stomaco e, seguendo alcuni dei suoi portieri, saltò sopra il groviglio di uomini che ruzzolavano. Ruben, nella retroguardia della cuspide centrale, correndo a tutta velocità, schivò con destrezza la linea di guardie attaccanti e balzò sopra la pila dei suoi placcatori. Mentre saltava, si diede lo slancio con un piede, piroettando mentre si staccava dal suolo in modo da roteare durante il salto. A mezz'aria, mentre si incontravano, Ruben agganciò il suo braccio destro attorno alla testa dell'altra punta, come per placcarlo, ma lo slancio della sua rotazione torse all'improvviso e con violenza la testa dell'avversario. Kahlan poté udire il sonoro schiocco del collo della punta che si rompeva. Precipitarono entrambi al suolo, Ruben sopra, il suo braccio ancora attorno al collo dell'altro uomo. Quando gli uomini di entrambe le squadre si alzarono faticosamente in piedi, due della squadra attaccante erano a terra, uno da ciascun lato del campo. Entrambi gli uomini si rotolavano dal dolore con gli arti rotti. Ruben si alzò sopra la punta che giaceva morta al centro del campo. La testa dell'uomo era reclinata all'indietro in una posa raccapricciante. Ruben raccolse il broc dal suolo, trotterellò attraverso i giocatori confusi e storditi e tirò un punto che non contava. Il significato di ciò che aveva appena fatto era chiaro: se un'altra squadra giocava specificamente per far del male a qualcuno della sua squadra, lui li avrebbe ripagati con la stessa moneta con una risposta fulminante. Li stava
informando che, con le loro azioni, stavano scegliendo quello che sarebbe accaduto loro. Kahlan ora sapeva senz'ombra di dubbio che la vernice rossa di Ruben non era una vuota messinscena. Gli uomini dell'altra squadra erano vivi solo perché lui lo consentiva. Circondato da un numero quasi incommensurabile di carcerieri, con dozzine di frecce puntate contro di lui, quest'uomo da solo aveva stabilito le proprie leggi, leggi che non potevano essere evitate o ignorate. Aveva appena detto ai suoi avversari come giocare contro di lui e la squadra. Era un chiaro messaggio che, tramite le loro azioni, gli avversari di Ruben avevano scelto il loro stesso fato. Kahlan dovette dominare la propria espressione e impedire a sé stessa di sorridere, di urlare di gioia per ciò che lui aveva appena compiuto, essendo l'unica nella folla ad acclamare quell'uomo. Desiderò che lui la guardasse, ma non lo fece. Con la loro punta morta e altri due uomini fuori gioco - quelli che erano responsabili in primo luogo per quello che poteva essere descritto solo come l'omicidio dell'ala sinistra della squadra rossa - sembrava che la squadra favorita fosse sull'orlo di una sconfitta senza precedenti. Kahlan si chiese di quanti punti la squadra rossa avrebbe vinto. Prevedeva che sarebbe stata una disfatta. Proprio allora, con la coda dell'occhio, notò il messaggero che accorreva, agitando un braccio per attirare l'attenzione dell'imperatore mentre si faceva largo a spintoni fra le grosse guardie. «Eccellenza,» disse l'uomo eccitato quasi senza fiato «gli uomini sono riusciti a entrare. Le Sorelle lì sul posto hanno chiesto che veniate subito.» Jagang non fece domande e non perse tempo. Mentre il gioco sul campo ricominciava, si allontanò. Kahlan lanciò un'altra occhiata appena in tempo per vedere Ruben placcare la nuova punta avversaria così forte da fargli sbattere i denti. Tutte le grosse guardie sciamarono attorno all'imperatore, sgombrando il percorso di fronte a lui. Kahlan sapeva che non era il caso di attirare la sua attenzione non seguendolo da vicino. «Ce ne andiamo» disse a Jillian, ancora rannicchiata al caldo sotto il suo mantello. Tenendosi per mano per non essere separate, si voltarono per seguire Jagang. Kahlan lanciò uno sguardo voltandosi appena. Per un breve momento, i loro occhi si incontrarono. In quel fuggevole istante, Kahlan si rese conto che, anche se lui non aveva guardato nella sua
direzione neanche una volta nel corso della partita, aveva saputo dove lei si trovava per tutto il tempo. 12 Gli occhi di Nicci si aprirono di scatto. Ansimò dal panico. Sagome confuse si libravano nella sua visuale. Non riusciva a dare un senso alle forme indistinte che vedeva. Sforzandosi di capire dove si trovava, la sua mente si aggrappò a ricordi di ogni genere, cercando freneticamente fra la loro mutevole essenza, provando a trovare quelli che sembravano rilevanti, quelli che corrispondevano. Il grande deposito di tutti i suoi pensieri sembrava tanto in disordine quanto una biblioteca piena di libri sparpagliati dai venti turbinanti di una tempesta. Nulla sembrava avere senso per lei. Non riusciva a capire dove fosse. «Nicci, sono io, Cara. Sei al sicuro. Calmati.» Una voce diversa nella lontananza buia e indistinta disse: «Vado a prendere Zedd.» Nicci vide la sagoma scura muoversi e poi svanire in un'oscurità ancora maggiore. Si rese conto che doveva essere la persona che aveva appena parlato, che usciva da una porta. Era l'unica cosa che avesse un senso. Pensò di essere sul punto di piangere dal sollievo per essere stata finalmente in grado, fra tutte le sagome e le ombre, di afferrare il semplice concetto di una porta e il concetto assai più complesso di una persona. «Nicci, calmati» ripeté Cara. Solo allora lei si rese conto che si stava dibattendo vigorosamente, cercando di muovere le braccia, e che la stavano tenendo ferma. Era come se la sua mente e il suo corpo fossero raffazzonati assieme e tentassero di funzionare fra l'agitazione e la confusione, cercando di trovare un appiglio a qualcosa di solido. Ma ora stava cominciando a dare un senso alle cose. «Sei» disse con grande sforzo. «Sei.» Il nero ricordo incombette nella sua mente come se l'avesse evocato e fosse tornato per finirla. Si concentrò sul significato di quella parola, quel nome, quella forma oscura che fluttuava nella sua mente. Estrapolò frammenti a caso, appoggiandoveli attorno. Quando un ricordo corrispose - quello del corridoio con Rikka, Zedd e Cara più in alto, immobilizzati sulle scale - proseguì col successivo e si sforzò di aggiungere un altro pezzo.
Solo grazie alla forza di volontà, cominciò a tornare l'ordine. I suoi pensieri si fusero in un insieme coerente. I suoi ricordi iniziarono a prendere forma. «Sei al sicuro» disse Cara, tenendo ancora le braccia di Nicci. «Sta' ferma, ora.» Nicci non era al sicuro. Nessuno di loro era al sicuro. Doveva fare qualcosa. «Sei è qui» riuscì a dire a denti stretti mentre si dibatteva per spingere via Cara. «Devo fermarla. Ha la scatola.» «Se n'è andata, Nicci. Ora calmati.» Nicci sbatté le palpebre, ancora cercando di schiarirsi la vista, ancora tentando di riprendere fiato. «Andata?» «Sì. Siamo al sicuro per adesso.» «Andata?» Nicci afferrò nel pugno la veste di cuoio rosso, tirando la Mord-Sith più vicina a sé. «Andata? Se n'è andata? Da quanto se n'è andata?» «Da ieri.» Il ricordo della buia figura sembrò allontanarsi, fuori portata. «Ieri» sussurrò Nicci affondando all'indietro contro il cuscino. «Dolci spiriti.» Cara infine si raddrizzò. A Nicci non importava più alzarsi. Era stato tutto per niente. Pensava che non si sarebbe voluta alzare mai più. Fissò il nulla. «Qualcun altro è stato ferito?» «No. Solo tu.» «Solo io» ripeté Nicci in un tono piatto. «Avrebbe dovuto uccidermi.» Cara si accigliò. «Cosa?» «Sei avrebbe dovuto uccidermi.» «Be', sono sicura che probabilmente le sarebbe piaciuto, ma non c'è riuscita. Sei al sicuro.» Cara non aveva capito ciò che intendeva Nicci. «Tutto per niente» Nicci borbottò fra sé. Tutto era perduto. Tutto il lavoro era stato inutile. Quanto Nicci aveva realizzato si era dissolto, sciogliendosi in una riecheggiante risata di un'ombra scura. Lo studio, la raccolta dei pezzi, lo sforzo monumentale per capire infine come ogni cosa funzionava, il lavoro per invocare un tale potere, per controllarlo, per indirizzarlo... tutto era stato vano. Era stata una delle cose più difficili che avesse mai fatto... e non era ri-
masta che cenere. Cara inzuppò un panno in una bacinella d'acqua che era su un comodino. L'acqua sgocciolò mentre lo strizzava. Il suono di ogni goccia che ricadeva nella bacinella era netto, penetrante, doloroso. Piuttosto che una visione indistinta di forme e ombra, com'era stato appena si era svegliata, in quel momento tutto era a fuoco con cruda nitidezza. I colori vividi, quasi accecanti, i suoni stridenti. Dodici candele brillavano come dodici piccoli soli. Cara premette il panno umido sulla fronte di Nicci. Il colore rosso dell'uniforme di cuoio della Mord-Sith le feriva gli occhi, perciò li chiuse. Il panno sembrava una siepe spinosa pigiata contro la sua tenera carne. «Ci sono altri problemi» disse Cara con una voce calma, confidenziale. Nicci aprì gli occhi. «Altri problemi?» Cara annuì mentre le tamponava il collo con il panno. «Problemi col Mastio.» Nicci lanciò un'occhiata oltre i piedi del letto verso i pesanti drappeggi blu scuro e oro davanti alla stretta finestra. Le tende erano chiuse, ma non filtrava alcuna luce, perciò si rese conto che doveva essere notte. Tornando a guardare Cara, Nicci si accigliò, anche se il solo corrugare la fronte le procurava dolore. «Cosa vuoi dire, problemi col Mastio? Che genere di problemi?» Cara apri la bocca per parlare, ma poi si voltò al suono di un trambusto che veniva da dietro di lei dall'altra parte della stanza. Zedd si precipitò dentro senza bussare, i gomiti che si muovevano in alto e all'infuori a tempo con ogni lunga falcata, le sue semplici vesti che si gonfiavano dietro di lui come se fosse il sovrano di quel posto venuto a occuparsi di affari reali. Nicci pensò che, in un certo senso, lo era. «È sveglia?» domandò a Cara ancor prima di essere arrivato a fianco del letto. La sua chioma bianca ondulata sembrava particolarmente scarmigliata. «Sono sveglia» rispose Nicci. Zedd si fermò di botto, incombendo su di lei. Si sporse in avanti, corrucciato, dando un'occhiata da sé come se non si fidasse della sua parola. Le premette la punta delle sue lunghe dita ossute sulla fronte. «La febbre ti è passata» annunciò. «Ho avuto la febbre?» «Di un certo tipo.» «Cosa vuoi dire, di un certo tipo? La febbre è febbre.»
«Non sempre. La febbre che hai avuto tu è stata provocata da un esercizio di forze, piuttosto che da una malattia. In questo caso, per essere preciso, dalle tue stesse forze. La febbre è stata la reazione del tuo corpo a quello sforzo. Piuttosto simile al modo in cui un pezzo di metallo si riscalda quando lo pieghi avanti e indietro.» Nicci si alzò sui gomiti. «Intendi dire che ho avuto una febbre causata da ciò che mi ha fatto Sei?» Zedd si lisciò le vesti sulle sue spalle spigolose. «In un certo senso. L'ansia di esercitare una forza contro tutte le stregonerie che lei ti stava lanciando, ha gettato il tuo corpo in uno stato febbricitante.» Nicci spostò lo sguardo dall'uno all'altra. «Perché tu non sei stato influenzato? O Cara?» Zedd si batté con impazienza la tempia. «Perché io sono stato abbastanza sveglio da lanciare una tela. Ha protetto Cara e me, ma tu eri troppo lontana. A quella distanza, le sue proprietà difensive non erano sufficienti per impedire che lei ti nuocesse, ma non osavo tentare di più. Anche se non era abbastanza per proteggerti da tutti i danni, è stato sufficiente almeno a salvarti la vita.» «Il tuo incantesimo mi ha protetto?» Zedd agitò un dito come se lei si fosse comportata male. «Di certo tu non stavi facendo nulla per difenderti.» Nicci sbatté le palpebre dalla sorpresa. «Zedd, stavo cercando. Non penso di aver mai tentato così duramente di usare il mio Han. Ho cercato con tutte le mie forze di liberare il mio potere, lo giuro. Non funzionava e basta.» «Certo che no.» Lui alzò le braccia dall'esasperazione. «Era proprio questo il tuo problema.» «Qual era il mio problema?» «Stavi provando con troppa forza!» Nicci si mise a sedere. Il mondo cominciò a girare all'improvviso. Dovette coprirsi gli occhi con una mano. La rotazione le stava dando la nausea. «Di cosa stai parlando?» Sollevò la sua mano quel che bastava per sbirciare verso di lui nella luce delle candele. «Cosa vuol dire che stavo provando con troppa forza?» Pensò di essere sul punto di vomitare. Come infastidito dalla distrazione, Zedd si rimboccò le maniche e allungò le mani, premendole gli indici sui lati opposti della fronte. Nicci riconobbe la sensazione formicolante della
Magia Aggiuntiva strisciare sotto la pelle. Sembrava un po' strano non sentire nessuna parte Detrattiva come aspetto del suo potere, ma lui non disponeva quel tipo di magia. La sensazione di nausea passò. «Meglio?» chiese lui in un tono che lasciava intendere che pensava che lei avesse tutta la colpa. Nicci voltò la testa da una parte e dall'altra, stirando i muscoli del collo, saggiando il proprio equilibrio. Cercò di percepire la nausea, temendo che potesse sgorgare all'improvviso, ma non accadde. «Sì, penso di sì.» Zedd sorrise per quel piccolo successo. «Bene.» «Cosa vuol dire che stavo provando con troppa forza?» «Non puoi combattere una strega nel modo in cui stavi provando tu, in particolar modo non una strega potente come quella. Stavi spingendo troppo forte!» «Spingendo troppo forte?» Si sentì a disagio come quando era una novizia e non era in grado di capire una lezione impartitale da una Sorella impaziente. «Cosa vuoi dire?» Zedd fece qualche gesto. «Quando usi la tua forza per cercare di spingere contro ciò che lei sta facendo, lei la rivolta semplicemente contro di te. Non puoi raggiungerla col tuo potere perché la forza che usi non ha ancora stabilito un legame basilare fra voi due, fra mandante e ricevente: è ancora nel suo stadio fluttuante, in formazione.» Nicci comprese cosa le stava spiegando, in teoria; solo non sapeva se si adattasse a quel caso. «Stai cercando di dire che è come il fulmine che ha bisogno di trovare un albero, o qualcosa di alto per ancorare la sua connessione a terra in modo da potersi scaricare? Che se non c'è alcun punto nel suo raggio d'azione a cui collegarsi, balza semplicemente indietro e si scarica all'interno della nuvola? Si rivolge contro sé stesso?» «Non ci ho mai pensato in questi termini, ma immagino tu possa definirlo come qualcosa del genere. Potresti dire che il tuo potere ti si è rivoltato contro, come il fulmine torna all'interno di una nuvola quando non riesce a raggiungere il suolo. Una strega è una delle poche persone a comprendere d'istinto la precisa natura dell'esercizio della forza, la complessità del suo bisogno di connessioni e i modi in cui incantesimi specifici si collegano a entrambi i capi.» «Intendi dire che lei sa come funziona il fulmine» disse Cara «e ha strat-
tonato il tappeto da sotto i piedi di Nicci.» Zedd lanciò alla donna un'occhiata stupefatta. «Non sai proprio nulla sulla magia, vero? O su un significato simbolico implicito in un'espressione.» L'espressione di Cara si rabbuiò. «Se tiro via quel tappeto da sotto i tuoi piedi, penso che lo capirai per bene.» Zedd roteò gli occhi. «Be', è una semplificazione esagerata, ma immagino che tu possa metterla in questo modo... in un certo senso» aggiunse sottovoce. Nicci non stava davvero ascoltando: la sua mente era altrove. Si ricordò che lei stessa aveva fatto qualcosa che comprendeva quelle stesse relazioni di potere e connessioni, quando la bestia aveva attaccato Richard nella parte schermata del Mastio. Aveva creato uno snodo di collegamento ma gli aveva negato l'energia per completarlo. L'aspettativa, pur non adempiuta, aveva attirato l'energia più vicina - il fulmine - verso la bestia, eliminandola per il momento. Poiché la bestia non era davvero viva, però, non poteva essere realmente distrutta, nello stesso modo in cui un cadavere, essendo già morto, non poteva essere ucciso o reso ancor più morto. Ma questo era diverso. Andava ben oltre ciò che Nicci aveva fatto con la bestia. Questo, in un certo senso, era l'opposto. «Zedd, non capisco come sia possibile una cosa del genere. È come lanciare una pietra: una volta scagliata, la traiettoria è definita. La pietra la seguirà fino al punto conclusivo.» «Lei ti ha colpito in testa con la tua stessa pietra prima ancora che tu la lanciassi» disse Cara. Zedd la fissò con uno sguardo omicida, come se fosse uno studente impulsivo che aveva appena parlato in modo inopportuno. La bocca di Cara si deformò con ostinazione, ma la tenne chiusa. Nicci ignorò l'interruzione e andò avanti. «Avrebbe dovuto agire su un potere specifico mentre veniva generato, prima che fosse pienamente formato... mentre cominciava ad avvampare. È il momento in cui si forma anche lo snodo fondamentale. A quel punto, la piena natura e il potere dell'incantesimo non sono ancora venuti in essere.» Zedd rivolse a Cara un'occhiata di sottecchi per assicurarsi che intendesse star zitta. Quando lei incrociò le braccia e rimase muta, Zedd si rivolse di nuovo a Nicci. «È precisamente ciò che lei fa» disse. Non avendo mai davvero incontrato una strega prima, gli specifici mec-
canismi che usava per Nicci erano un mistero. «Come?» «Una strega cavalca mulinelli di tempo. Vede il flusso degli eventi nel futuro. La sua capacità è in molti sensi è una forma derivata di profezia. Ciò significa che è pronta per l'incantesimo prima che tu lo lanci. Sa cosa userai. La sua stessa capacità, il suo dono, le permette di agire contro di te prima che tu possa completare ciò che le stai facendo. «Per lei è naturale, come sollevare un braccio quando qualcuno ti tira un pugno. La sua difesa è già lì mentre la tua tela si forma, mentre cominci a caricare il pugno. Ti nega il legame fondamentale, sicché la tua tela non può nemmeno cominciare a formarsi. Come ho detto, ha l'abilità di rivolgerla contro di te prima che il collegamento fra mandante e ricevente venga stabilito. Il tuo potere ricade su sé stesso... su di te. «A lei non richiede molta energia. La sua forza è la tua forza. Con quanta più energia provi a fare qualcosa, tanto più difficile diventa. Lei non aumenta il suo sforzo: nega semplicemente il tuo per completare uno snodo. Quanto più spingi forte, tanta più energia ti si rivolta contro dal suo blocco. «Una strega ti usa. Quella forza, la tua forza, si ripiega su di te, ancora e ancora, mentre tu provi più forte che puoi. In maniera molto simile a come piegare un pezzo di metallo avanti e indietro lo riscalda, la tua stessa forza ripiegata su di te, ancora e ancora, mentre cercavi di evocare la tua capacità per avere la meglio su di lei, ti ha causato la febbre.» «Zedd, non può essere. Tu hai usato la magia. Ti ho visto, ho visto la tela che hai lanciato e non ti ha danneggiato. Ha fatto solo uno sfrigolio.» Il vecchio mago sorrise. «No, non ha fatto un sfrigolio. Era uno sfrigolio fin dall'inizio. Stavo usando così poco potere in modo che non potesse trarne forza. Dato che non poteva prendere l'energia da esso, non poteva bloccarlo o rivolgermelo contro. Non aveva un appiglio sufficiente.» «Che genere di incantesimo può fare una cosa simile?» «Ho lanciato una tela di protezione all'interno di un semplice incantesimo di tranquillità. Tu avresti dovuto fare lo stesso.» Nicci si sfregò una mano sul volto. «Zedd, sono un'incantatrice da molto tempo. Non ho mai sentito di un incantesimo di tranquillità.» Lui scrollò le spalle. «Be', immagino che tu non conosca proprio tutto, vero? Ho usato un incantesimo di tranquillità come involucro perché, se mi fossi sbagliato, se l'avessi fatto un po' troppo forte e lei me l'avesse rivolto contro, be', mi avrebbe semplicemente reso più tranquillo. Essere ancora più calmo mi avrebbe aiutato. In tal caso avrei saputo di aver superato la
soglia e sarei stato più tranquillo per provare di nuovo, con una maggior probabilità di successo la seconda volta.» Nicci scosse il capo sbalordita. «Di certo non sapevo abbastanza per affrontare qualcuno come Sei. Ciò che tu hai fatto può non essere stato in grado di raggiungermi, ma almeno è stato sufficiente per impedirle di uccidermi.» Zedd sorrise. Nicci alzò lo sguardo verso di lui. «Dove hai imparato un trucco simile?» Lui scrollò le spalle. «Brutte esperienze. Ho avuto a che fare con streghe prima, perciò sapevo che era l'unico espediente possibile.» «Intendi Shota?» «In parte» disse lui. «Quando le ho preso la Spada della Verità ho passato un mucchio di noie. Quella donna è astuta, intelligente, e dietro occhi luccicanti e uno scaltro sorriso, nasconde solo guai. Ho scoperto che fare le cose nel solito modo semplicemente non funzionava. Lei trovava i miei sforzi divertenti. Più forza usavo, più rendevo le cose difficili e più ampio si faceva il suo sorriso.» Lui stesso sorrise chinandosi un poco. «Fu questo il suo errore: sorridere.» Sollevò un dito per sottolinearlo. «Il suo sorriso mi suggerì che ciò che facevo era la mia stessa disfatta. In quell'istante mi resi conto che l'energia che usavo le stava dando il potere di cui aveva bisogno.» «Quindi non hai utilizzato energia.» Allargò le mani come se lei avesse finalmente afferrato la lezione. «Talvolta fare ciò che è più plausibile può rivelarsi la cosa peggiore. Talvolta per raggiungere quello che vuoi alla fine, devi trattenerti all'inizio.» Mentre il concetto da lui espresso attecchiva, altri dei suoi disordinati ricordi, pezzi confusi di un enorme rompicapo che prima non combaciavano, ora liberi dagli oscuri recessi della sua mente in cui languivano, andarono al loro posto. Era come vedere tutto in una nuova luce. Le improvvise implicazioni furono sconvolgenti. Spalancò la bocca. Strabuzzò gli occhi. «Ora capisco. So cosa voleva dire. Dolci spiriti, capisco. Conosco lo scopo del campo incolto.» 13 «Campo incolto?» Le bianche sopracciglia cespugliose di Zedd si inar-
carono. «Di cosa stai parlando?» Nicci premette la punta delle dita contro la fronte mentre rifletteva su tutto quanto. Quasi non riusciva a capire come mai non se n'era resa conto prima. Alzò lo sguardo verso il mago. «È richiesto un complesso ordine di eventi perché il potere dell'Orden possa funzionare. Come hai detto, devono essere stabilite connessioni basate su fondamenta primarie, come in ogni magia. Del resto, è opera di maghi e non potevano che basare qualcosa di loro creazione su ciò che sapevano della natura delle cose che stavano manipolando. «Per la maggior parte, nel suo nucleo, l'Orden è un costrutto complesso. Come ogni costrutto magico, nelle giuste condizioni viene attivato da una specifica serie di eventi. Poi agisce secondo i suoi protocolli predeterminati. Ciò nonostante, non importa quanto sia complesso, una volta iniziato, funziona comunque secondo i suoi principi di base.» «E il sole sorge a est» borbottò Zedd. «A cosa vuoi arrivare?» «È tutto correlato» mormorò fissando il nulla per un momento. Bruscamente tornò a rivolgere l'attenzione al mago. «Il libro della vita spiega come mettere in campo il potere dell'Orden. Descrive i protocolli. È in pratica un manuale d'istruzioni; non spiega la teoria alla base dell'Orden, non è il suo scopo. Per comprendere tutto quanto bisogna guardare altrove. «Sebbene quel potere, come tutte le forme di potere, possa essere acquisito indebitamente e utilizzato per un intento di dominio, è stato creato per uno scopo specifico: per neutralizzare la Catena di fuoco. Gli elementi centrali dell'Orden sono un costrutto magico, perciò, un volta attivato, agisce secondo la prassi stabilita. Tale prassi, a sua volta, richiede condizioni specifiche, come il corretto uso della chiave: Il libro delle ombre importanti.» La sua mente stava ancora vagliando tutti i nuovi collegamenti mentre faceva combaciare pezzi da differenti fonti che prima non aveva mai messo in relazione. «Sì, sì» disse Zedd agitando la mano con impazienza. «Le scatole dell'Orden sono state create col preciso scopo di neutralizzare la Catena di fuoco. Questo lo sappiamo già. Inoltre, è evidente che bisogna soddisfare certe condizioni e poi il potere funzionerà in una data maniera. È tutto estremamente ovvio.» Nicci scostò via le coperte e si alzò di scatto, sentendo di non aver più bisogno di stare a letto. Abbassò lo sguardo e vide che indossava una camicia da notte rosa. Lei odiava il rosa. Perché finivano sempre per metterle
una camicia da notte rosa? Immaginò che non dovevano aver avuto altro a portata di mano. Accese un sottilissimo flusso di Magia Detrattiva quasi senza pensarci e lo diresse all'ingiù attraverso il tessuto della camicia da notte. Con quel potere si insinuò attraverso la stoffa stessa, consentendo al flusso Detrattivo di cercare solo gli elementi della tintura ed eliminarli. Il colore nella camicia da notte, a partire dalla scollatura, sbiadì in un'onda che passò lungo tutto l'indumento. L'eliminazione del colore rosa lasciò alla stoffa un semplice colore biancastro. Incredulo, Zedd fissò la camicia da notte. «Hai appena usato la Magia Detrattiva, il potere del mondo sotterraneo, della morte stessa, per scolorire quella cosa?» «Sì. Molto meglio, non pensi?» In realtà non stava prestando molta attenzione alla faccenda, dato che la sua mente era occupata da altri pensieri. Zedd sollevò una mano per protestare. «Be', non penso che sia una buona idea...» «Qual è lo scopo di tutto ciò?» chiese Nicci, interrompendo l'obiezione che non aveva udito e oltretutto le importava. La mano di Zedd si bloccò. Cominciava a sembrare esasperato. «Questo è lo scopo. Neutralizzare la Catena di fuoco.» «No, no. Voglio dire, qual è la funzione specifica di neutralizzare l'incantesimo?» La sua impazienza verso quello che sembrava troppo ovvio si stava trasformando in fastidio. «Per far ricordare a tutti noi il bersaglio dell'incantesimo.» I suoi occhi balenarono per l'agitazione. «In questo caso, sarebbe Kahlan.» «Sì, in un certo senso; ma questa è una semplificazione eccessiva, un'espressione dell'obiettivo finale.» Nicci sollevò un dito: a quel punto non era più la studentessa, ma l'insegnante. «Per poter fare ciò che hai appena detto, deve ripristinare quello che è stato distrutto in noi. Deve ricreare i nostri ricordi. «Il potere dell'Orden non deve farci ricordare cose che abbiamo dimenticato, quanto piuttosto ha bisogno di ricostruire quello che non c'è più. «Quei ricordi perduti non ci sono più. Non è come se avessimo dimenticato delle cose e non potessimo rievocare persone e avvenimenti. Non c'è nulla nelle nostre menti da rievocare, perché quei ricordi non esistono proprio, non sono stati soltanto dimenticati. Sono stati erosi e distrutti dalla Catena di fuoco. Non si tratta solo di non poter ricordare le cose. La realtà
è che quella parte delle nostre menti, dei nostri ricordi, è stata distrutta. «Ricreare dal nulla ciò che non c'è più è del tutto diverso da aiutarci a ricordare. È la differenza fra una persona addormentata e una morta. All'apparenza può sembrare lo stesso, ma l'unica cosa che hanno un comune sono gli occhi chiusi. «L'obiettivo finale potrebbe essere lo stesso in entrambi i casi, ma sia il problema sia i mezzi per risolverlo non hanno nulla in comune. Affinché l'Orden possa neutralizzare la Catena di fuoco e ripristinarci come eravamo prima, deve incarnare nelle nostre menti la conoscenza, la consapevolezza di ciò che è accaduto in passato. Deve creare nuove memorie per rimpiazzare quelle che sono state distrutte. Deve riportare in vita i nostri ricordi.» Mentre Zedd rifletteva su quelle parole, la sua impazienza venne sostituita dalla tensione. Il suo sguardo la seguiva mentre lei andava avanti e indietro. «Be', sì, in qualche modo deve ristabilire avvenimenti reali dal passato.» Si grattò la tempia mentre la guardava di traverso. «Stai dicendo che pensi di essere riuscita a comprendere come funziona una cosa del genere?» Nicci camminava e i suoi piedi emettevano un suono ovattato sui tappeti. «Dai frammenti che ho letto e ricomposto, gli stessi creatori delle scatole dell'Orden pur volendo che fossero un modo per neutralizzare la Catena di fuoco, non erano convinti che una cosa del genere potesse essere fatta per davvero.» Nicci si fermò per guardarlo. «Puoi soltanto immaginare di che monumentale complessità possa essere un'impresa simile? Quanto sia arduo ricostruire e ripristinare i ricordi in ognuno? Quanto sia contorto? «Voglio dire, quei maghi di allora devono essere diventati matti per determinare come si potesse ricostruire qualcosa che non aveva più una forma. Come può sapere l'Orden ciò che si suppone che tu ricordi? O Cara? O io? Quel che è peggio, la gente crede sempre di rammentare le cose in maniera corretta, ma spesso i loro ricordi sono erronei. Come può l'Orden ricostruire memorie che una volta esistevano ma non ci sono più, quando quegli stessi ricordi, quando li avevamo, non erano sempre veri o accurati? «Da ciò che ho letto nei libri sulla teoria dell'Orden, perfino i maghi che crearono quell'incantesimo non erano certi che avrebbe funzionato.» Cominciò di nuovo a camminare avanti e indietro mentre continuava a parlare. «E non dimentichiamoci che non potevano sperimentarlo contro una vera Catena di fuoco. Neanche la stessa Catena di fuoco fu mai sperimentata - nessuno osò farlo - perciò, pur essendo certi del loro ragiona-
mento logico, non potevano essere completamente sicuri di come l'Orden avrebbe funzionato nel mondo reale. Dato che non potevano osservare lo svolgimento di una vera Catena di fuoco, non potevano avere la certezza che la loro contromisura avrebbe funzionato come previsto, perfino se tutti i complicati elementi operavano perfettamente e secondo i piani... e ci potevano essere dei dubbi anche su questo. «Inoltre, c'è un aspetto ancora più importante dei protocolli che avevano stabilito, un requisito per neutralizzare l'incantesimo della Catena di fuoco sul soggetto, ossia Kahlan. Il soggetto è il vortice di tutto quanto, il fulcro dell'intera Catena di fuoco. Lei è al centro di un'equazione di complessità immensa. «Perciò, la contromisura dell'intero avvenimento deve essere ancorata lì, a lei. L'elemento del costrutto magico nell'elaborato sistema dell'Orden deve accendersi in lei.» «Lei è il legame fondamentale...» disse Zedd, quasi a sé stesso, mentre fissava il vuoto seguendo il ragionamento di Nicci. «Esatto» disse Nicci. «E affinché l'Orden possa fare una cosa del genere, per poter riparare il danno partendo dal centro di quella tempesta, il requisito è che questo legame fondamentale sia un campo incolto.» «Un campo incolto?» chiese Zedd, sempre corrucciato, mentre ascoltava con attenzione. «L'hai menzionato prima.» Nicci annuì. «È un elemento vago col quale i maghi si sono cimentati lungo tutto il processo di creazione dell'Orden per neutralizzare la Catena di fuoco. Prima non ne avevo compreso il valore, non avevo afferrato l'importanza della questione con cui erano alle prese, non capivo perché li preoccupasse in tal modo, ma ciò che tu hai spiegato sulle capacità di una strega mi ha consentito infine di afferrare il concetto al centro della teoria dell'Orden.» Zedd piantò i pugni sulle anche ossute. «Non avevi capito parte della teoria dell'Orden? E nonostante ciò l'hai messa in campo, in nome di Richard? Perfino senza averla compresa?» Nicci ignorò il tono accalorato della domanda. «Solo la parte sul campo incolto. Ora mi rendo conto che è molto simile a quello che hai spiegato su come avessi bisogno di un legame quando ho lanciato un incantesimo contro Sei, ma lei mi abbia impedito di trovare un appiglio per ancorare la magia. L'Orden deve imitarla in un modo simile. Anch'esso, come ogni magia, richiede una connessione. Quella connessione è Kahlan. Ma serve che il bersaglio della connessione sia una lavagna vuota.»
«Una lavagna vuota?» Zedd inclinò la testa verso di lei. «Nicci, devo forse ricordarti che quella persona è una lavagna vuota? L'incantesimo della Catena di fuoco cancella ogni cosa dal suo passato. La rende appunto vuota, per così dire. Di conseguenza l'Orden ha ciò che gli serve.» Nicci scosse il capo con insistenza. «No. Devi considerare tutto quanto nel contesto del libro La Catena di fuoco, de Il libro della vita e di quegli oscuri tomi che mi hai procurato sulla teoria dell'Orden. Devi guardarlo nel complesso, nel quadro più ampio, per vederlo.» «Vedere cosa?» brontolò Zedd esasperato. «Il soggetto dev'essere emotivamente vuoto, o l'intero processo è contaminato.» «Emotivamente vuoto?» chiese Cara quando Zedd si mise a borbottare fra sé mentre si passava una mano sulla faccia. «Cosa significa?» «Significa che la conoscenza della sua precedente condizione emotiva contaminerebbe lo sforzo di ripristinare ciò che c'era dentro di lei. Deve rimanere emotivamente vuota affinché l'Orden sia in grado di fare il suo lavoro. Il soggetto dev'essere tenuto vuoto. Bisogna stare attenti a non introdurre legami emotivi.» «Nicci, tu sei una donna brillante,» disse Zedd, cercando di rimanere calmo «ma stavolta hai condotto il carro giù dal ponte e dentro il fiume.» Lui stesso cominciò a camminare avanti e indietro. «Ciò che dici non ha alcun senso. Come si può impedire al soggetto di scoprire una qualunque cosa sul suo passato? I maghi che crearono le scatole dell'Orden devono essersi resi conto che con tutta probabilità il soggetto avrebbe scoperto un gran numero di informazioni sul proprio passato prima che l'Orden potesse essere attivato. Non potevano aspettarsi che la persona venisse rinchiusa in una stanza buia finché l'Orden non potesse essere adoperato.» «Non è quello che intendo. Non capisci quello che voglio dire. I dettagli non importano: in effetti, dettagli appresi da qualcuno che abbia perso i ricordi sono d'aiuto, poiché, sono come linee guida su cui adattare il modello del processo di ripristino dell'Orden. Ma importanti esperienze emotive all'interno del soggetto della Catena di fuoco importano e come. Le emozioni sono le somme create dai dettagli, che questi siano veri o no.» Cara sembrava concentrata a cercare di capire ciò che Nicci stava dicendo. «Come possono dei falsi dettagli creare emozioni?» «Prendete me, per esempio» disse Nicci. «Le cose che mi sono state insegnate dalla Fratellanza dell'Ordine hanno fatto sì che io odiassi chiunque resisteva ai suoi dettami, che detestassi chiunque riuscisse in qualcosa. Io
credevo a ciò che mi era stato insegnato, che costoro fossero dei pagani egoisti a cui non importava degli altri uomini. «Mi fu insegnato ad avere una reazione emotiva di odio verso tutti coloro che non condividevano le mie credenze. Mi fu insegnato a odiare voi e tutto ciò che avete fatto senza sapere realmente nulla. Nutrivo un odio emotivo, viscerale per il valore della vita stessa. Avrei ucciso Richard sulla base di quegli impulsi emotivi. I miei sentimenti erano basati su menzogne e indottrinamento, non su qualcosa di vero.» Cara sospirò. «Capisco cosa intendi. A te e a me sono state insegnate cose simili e ci hanno fatto provare emozioni simili, e quei sentimenti erano del tutto sbagliati.» «Ma le emozioni, quando si basano su elementi validi, possono essere una fedele e consistente somma di verità.» «Elementi validi?» chiese Cara. «Ma certo» disse Nicci. «Come valori positivi. L'amore, quello vero, è una risposta agli elementi che apprezziamo negli altri. È una risposta emotiva alla vita, che afferma valori posseduti da un'altra persona. Apprezziamo la bontà d'animo di quella persona. In quei casi, l'emozione è una parte centrale e importante della nostra umanità.» Zedd, che stava ancora camminando, si bloccò con aria impaziente. «E cos'ha a che fare con tutto quanto?» Nicci allargò le mani. «Tieni a mente che la teoria dell'Orden non è altro che una teoria, appunto, perciò non posso dire di saperlo per certo, poiché perfino quelli che l'hanno creata non ne erano sicuri, ma tutto combacia. Pur essendo convinti di avere ragione, non avevano alcuna esperienza effettiva sul fatto che la preconoscenza corrompesse la magia; non potevano corroborare la loro teoria, ma penso che non si stessero sbagliando.» Zedd si incurvò, scrutandola con un occhio solo. «Che intendi dire, esattamente?» «Le emozioni inserite nel soggetto senza un fondamento corrompono la neutralizzazione dell'incantesimo della Catena di fuoco.» Cara si accigliò. «Non ti seguo.» «Erano convinti che conoscere in anticipo un certo stato emotivo avrebbe contaminato la magia che stavano usando, avrebbe contaminato l'Orden.» Lo sguardo di Nicci si spostò dagli inquieti occhi nocciola di Zedd a Cara. «Significa che se Kahlan dovesse apprendere la verità sulle sue emozioni, quelle dominanti, prima che la scatola dell'Orden giusta venisse aperta, l'Orden non sarebbe in grado di ripristinare quelle emozioni. Il cam-
po su cui l'Orden deve attivarsi sarebbe contaminato da quella preconoscenza. Kahlan sarebbe persa nel groviglio dell'incantesimo.» Cara si mise le mani sulle anche. «Di cosa stai parlando?» «Be', mettiamo, per esempio, che Richard trovasse Kahlan e le dicesse di loro due, del loro legame emotivo, del loro amore l'uno per l'altra. In tal caso, ciò impedirebbe all'Orden di funzionare.» Il volto del mago si era fatto indecifrabile. «Perché?» chiese in un tono che le fece scorrere un brivido lungo la schiena. «È piuttosto simile alla ragione per cui i miei incantesimi non hanno funzionato contro Sei: perché la forza del mio potere prima doveva stabilire delle ancore, delle fondamenta, affinché potesse svolgere il suo compito.» «Intendi dire che se Richard dovesse mai avere l'opportunità di aprire una delle scatole dell'Orden,» chiese Zedd «dovrebbe farlo mentre il soggetto è del tutto all'oscuro dei suoi legami con lui?» Nicci annuì. «I suoi legami emotivi più profondi, comunque. Dobbiamo assicurarci che Richard comprenda che se troviamo Kahlan prima che lui abbia l'opportunità di aprire la scatola dell'Orden giusta, non può instillarle alcuna emozione ingiustificata, altrimenti contaminerà il campo.» «Emozione ingiustificata?» Il naso di Cara di arricciò. «Stai cercando di dire che lord Rahl non può dire a Kahlan che lei lo ama?» «Esatto» disse Nicci. «Ma perché?» «Perché per ora lei non lo ama» replicò Nicci. «Ciò che l'ha fatta innamorare di lui non è più dentro di lei. Le fondamenta del suo amore - il ricordo delle cose che sono successe, di ciò che ha fatto con lui, le ragioni per cui si è innamorata - non si trovano più in lei. La Catena di fuoco ha distrutto quei ricordi. In questo momento, è come se non l'avesse mai incontrato prima. Lei non lo ama. Non ha motivo di amarlo. È come una lavagna vuota.» Zedd infilò un lungo dito esile nella sua folta chioma ondulata e si grattò la testa. «Nicci, credo che la febbre abbia fatto più danni di quanto pensavo. Ciò che dici non ha senso. Il problema di Kahlan è che la Catena di fuoco le ha fatto dimenticare il suo passato. L'Orden è stato creato per neutralizzare la Catena di fuoco. Non c'è nulla di così potente quanto l'Orden. È il potere della vita stessa. Rivelare a Kahlan qualcosa di semplice come il suo amore per Richard non provocherà alcuna confusione nel ripristino.»
«Oh, sì che lo farà.» Nicci fece pochi passi e tornò a stare di fronte a lui. «Zedd, con tutto il tuo potere di Primo Mago, perché non sei riuscito a fermare una semplice strega?» «Perché lei rivolge il tuo potere contro di te.» «È questa la chiave» disse Nicci. «È questa la parte che mi mancava, il motivo per cui sono riuscita infine a mettere assieme tutto ciò che ho letto in quei libri. Finalmente sono stata in grado di capire cosa intendevano per 'campo incolto' i maghi che crearono l'Orden. La forza delle emozioni si rivolterà contro il potere usato sulla persona. «È qualcosa di simile al fatto che, quando cerchi di convincere qualcuno che crede negli insegnamenti dell'Ordine di essere in errore nei propri sentimenti, questo non fa che rafforzare tali sensazioni, rendendolo ancor più resistente a lasciar perdere quelle false credenze. Se gli dici che l'Ordine è malvagio, quello odierà te ancor di più, non l'Ordine. La sua fede ne risulta rinsaldata, non rotta.» «E allora?» disse Cara. «Non sarebbe una contraddizione per Kahlan, come nel tuo esempio. Se lord Rahl dicesse a Kahlan che lei lo ama, sarebbe la stessa cosa che la magia dell'Orden farebbe comunque, quindi in realtà non sarebbe un problema.» «Oh, sì che lo sarebbe» disse Nicci, agitando un dito. «Un problema molto grosso. Tutto andrebbe al contrario. Ci sarebbe l'effetto senza la causa. Le emozioni sono il risultato finale, la somma di ciò che apprendiamo. Inserire per prime le emozioni sarebbe come costruire un edificio a due piani partendo dal tetto e procedere all'ingiù verso le fondamenta. O, come me, cercare di spingere un potente incantesimo contro una strega. «Le emozioni che l'Orden altrimenti metterebbe al posto giusto verrebbero invece scacciate dalle emozioni messe lì dalla preconoscenza. La preconoscenza interferirebbe coi protocolli.» «È quello che intendo» insistette Cara. «Kahlan saprebbe già di amare lord Rahl, quindi non importerebbe nulla.» «E invece sì. Vedi, quella preconoscenza sarebbe vuota. Le emozioni rivelate prima del tempo non hanno significato, non hanno sostanza. Non sono reali. Se le venisse rivelato il suo amore per Richard, allora l'Orden non sarebbe in grado di ripristinare le sue vere emozioni d'amore.» Cara parve sul punto di strapparsi i capelli dall'esasperazione. «Ma lord Rahl deve averglielo già detto, perciò la differenza sarebbe la stessa. Lei lo saprebbe. Saprebbe già di amarlo.» «No. Non dimenticare, ora lei non lo ama. Le vere emozioni che l'Orden
cercherebbe di costruire sarebbero già state rimpiazzate da qualcosa che non è reale, sentimenti senza causa. Quelle emozioni sarebbero vuote e false. Mancherebbero le ragioni per cui lei lo ama, perciò se anche la preconoscenza del suo amore fosse presente, si tratterebbe di una consapevolezza vuota. Sarebbe un amore vacuo, basato sul niente. Senza nulla a sostenerlo, sarebbe un amore privo di significato.» Cara sollevò le braccia, poi le lasciò ricadere lungo i fianchi. «Non ci arrivo.» Nicci smise di camminare e si voltò verso Cara. «Immagina che io porti in questa stanza un uomo che non hai mai visto prima e ti dica che tu lo ami. Lo ameresti per via di ciò che ti ho detto io? No, perché non si possono instillare emozioni di quel tipo senza nulla che le sostenga. «Questo è ciò che fa l'Orden: costruisce un supporto per emozioni reali dalla conoscenza degli avvenimenti passati che ripristina. Stabilisce le cause. Mettere prima le emozioni, il risultato finale degli avvenimenti trascorsi, corrompe quel processo. Stando ai maghi che crearono l'Orden, la sua preconoscenza dell'amore per lui contaminerebbe il campo, le corromperebbe la mente, cosicché l'incarnazione degli avvenimenti reali, ossia le ragioni del suo amore, non potrebbe essere generata dentro di lei. Verrebbe bloccata, allo stesso modo in cui la strega bloccava i miei incantesimi. Rimarrebbe con nient'altro che la vuota informazione. Non potrebbe recuperare il suo passato. Rimarrebbe perduto.» Zedd si grattò la mascella. Alzò gli occhi. «Ma, come dici, è solo teoria.» «I maghi che hanno ideato la teoria dell'Orden per neutralizzare la Catena di fuoco, e da questa hanno creato le scatole, arrivarono alla conclusione di essere nel giusto. Anch'io credo che le loro deduzioni siano corrette.» «Cosa succederebbe se, se... non so,» disse Cara «se lord Kahlan prima dicesse a Kahlan che lo amava ed era sua moglie e poi, più tardi, fosse infine in grado di ottenere le scatole dell'Orden, riacquistare il suo potere e apprendere le informazioni necessarie per aprire la scatola giusta, invocando la contromisura per la Catena di fuoco? Il contro-incantesimo funzionerebbe ancora?» «Sì, il contro-incantesimo funzionerebbe ancora.» Cara sembrava davvero confusa. «Allora qual è il problema?» «Si tratta di un costrutto magico, perciò i protocolli agirebbero lo stesso. Se la teoria è solida, e io penso che lo sia, tutte le altre componenti dell'Orden funzionerebbero comunque. L'incantesimo della Catena di fuo-
co verrebbe neutralizzato e i ricordi di tutti sarebbero ripristinati... con un'unica eccezione. L'Orden non sarebbe in grado di ricostruire il passato di Kahlan. Quell'elemento dell'incantesimo verrebbe bloccato. Colei che sta al centro della tempesta vi si perderebbe. «Le memorie di tutti noi verrebbero ripristinate a ciò che erano una volta, ci ricorderemmo tutti di Kahlan, ma Kahlan sarebbe per sempre senza il suo passato. Si potrebbe paragonare a un soldato ferito in battaglia che, a causa di un colpo alla testa, non è più quello di prima. Potrebbe solo procedere dalla sua vita dopo che la Catena di fuoco le aveva strappato la sua identità. Sarebbe consapevole solo di quel che accade da quel punto in poi. Sarebbe una persona diversa, una persona che dovrebbe ricostruirsi una nuova vita. «E nel frattempo saprebbe di aver amato questa persona, Richard, che non conosce e per la quale non prova alcun vero sentimento.» «Perciò in tal caso lei sarebbe l'unica vittima» disse Cara. «La memoria di tutti noi sarebbe ripristinata.» Nicci sospirò. «Be', questo è ciò che ritengo dalla mia interpretazione della teoria.» Zedd parve di nuovo diffidente. «Ma c'è una possibilità alternativa?» Nicci annuì. «Non una che mi piaccia contemplare. Una delle linee di pensiero nei libri della teoria dell'Orden postula che, in assenza dell'ancora in un campo incolto come richiesto, il contro-incantesimo non sarebbe in grado di gestire i suoi protocolli e crollerebbe su sé stesso. Quella linea di pensiero prospetta che, in una tale circostanza, la contromisura fallirebbe e la Catena di fuoco continuerebbe a bruciare fuori controllo. La vita come la conosciamo sarebbe perduta. La nostra capacità di ragionare si sbriciolerebbe mentre l'inferno della Catena di fuoco continuerebbe ad avvampare, finché le nostre menti non sarebbero incapaci di sostenere la nostra stessa esistenza. Alcune persone sopravvivrebbero per un po' in condizioni brutali, ma l'esito inevitabile sarebbe l'estinzione dell'umanità. «Penso che tu possa capire perché i maghi che crearono l'Orden fossero così preoccupati di preservare il campo incolto.» Zedd si accigliò al pensiero. «Ma la teoria predominante è che se qualcosa andasse storto e lei acquisisse tale preconoscenza prima dell'attivazione dell'Orden, rimarrebbe per sempre vittima della Catena di fuoco ma non interferirebbe davvero con la sua neutralizzazione per gli altri.» «Esatto. In un certo senso, nonostante quanto Kahlan significa per Richard, temo che in questo momento sia diventata secondaria rispetto alla
Catena di fuoco. Può essere iniziata con lei, ma ora ognuno è infetto. Se quell'evento non viene fermato, è tutto perduto. Neutralizzare la Catena di fuoco è diventato più importante dell'amore fra Richard e Kahlan. Sarebbe meraviglioso se il suo amore per lui potesse essere ripristinato, ma non è necessario per neutralizzare la Catena di fuoco. «Malgrado quanto significa per quest'unica persona, Kahlan, o quello che vuol dire per Richard a livello personale, il potere dell'Orden dev'essere evocato per contrastare la Catena di fuoco e debellare l'infezione da tutti gli altri. «C'è un'altra teoria alternativa, oltre a quella secondo cui tutto quanto non funzionerebbe se il campo è corrotto. Alcuni maghi credevano che la teoria dell'Orden potesse indicare che riversare un tale potere in un soggetto della Catena di fuoco che fosse un campo non incolto, ovvero contaminato da preconoscenza, avrebbe ucciso la persona.» «E cosa accadrebbe a tutti gli altri nel caso di una tale disgrazia?» chiese Zedd. «Prima che lei cada a terra morta, l'attivazione di quella parte del costrutto dell'Orden sarebbe già iniziata e il resto dell'incantesimo agirebbe secondo i suoi protocolli. L'Orden si propagherebbe dal centro verso l'esterno e svolgerebbe il suo compito. «In tal caso, se Kahlan morisse nel tentativo, sarebbe una terribile perdita personale per Richard, ma non significherebbe altro per noi. L'introduzione dell'Orden distruggerebbe la contaminazione della Catena di fuoco e ripristinerebbe tutti gli altri.» Zedd le rivolse un'occhiata dura. «Noi possiamo non ricordare Kahlan, ma nessuno di noi ha dubbi su cosa significhi per Richard. Ci ha già dimostrato che sarebbe disposto ad andare fin nel mondo sotterraneo se pensasse che ciò potrebbe salvarle la vita. Se sapesse che aprire una delle scatole e liberare il potere dell'Orden la ucciderebbe...» Nicci non si ritrasse dal suo sguardo o da ciò che sottintendeva. «Richard deve aprire la scatola dell'Orden giusta e dare il via al costrutto magico che neutralizzerà la Catena di fuoco... anche se significa uccidere Kahlan. È semplice.» Nella stanza regnò il silenzio per un momento. Zedd si sfregò un dito avanti e indietro sul mento, lo sguardo fisso nelle ombre. «Sembrerebbe saggio, tenuto conto di tali pericoli, reali o meno, fare in modo che, nel caso in cui trovassimo Kahlan, venisse tenuta all'oscuro dei suoi passati sentimenti per Richard. Meglio che sia l'Orden a ri-
pristinare le sue emozioni.» «Anche secondo me è la cosa più sensata» disse Nicci. «Quando riporteremo indietro Richard, dovremo convincerlo che, nel caso in cui la trovasse, non deve rivelarle la verità.» Zedd serrò le mani dietro la schiena e scosse il capo. «Considerando tutto ciò che c'è in gioco, sono d'accordo: è saggio, e dovrebbe essere il nostro piano, ma non sono sicuro di credere davvero alla possibilità che la semplice preconoscenza possa causare una tale tragedia. Non so se riesco a credere che qualcosa di così banale possa provocare tali enormi danni.» «Se ti è di qualche consolazione, c'erano maghi coinvolti nella creazione delle scatole dell'Orden che la pensavano allo stesso modo. Ma d'altro canto a me sembrava impossibile che usare il potere contro una strega mi avrebbe danneggiato.» Zedd fissò il vuoto con aria assente mentre rifletteva.«Quello che dici ha senso. Le migliori intenzioni possono generare i danni più grandi. «Quando troveremo il ragazzo, potremo dirgli tutto. Ma siamo tremendamente lontani dal momento in cui accadrà. Non abbiamo nemmeno una delle scatole dell'Orden.» Nicci sospirò. «Vero. Quello che mi preoccupa di più, però, è convincere Richard di questo.» Nicci si schiarì la gola. «Quando lo troveremo, ritengo sia meglio che sia tu a dirglielo, Zedd. Potrebbe prenderla meglio. Potrebbe essere più propenso ad ascoltare.» Zedd lanciò un'occhiata nella sua direzione prima di riprendere a camminare avanti e indietro. «Capisco.» Si fermò e si voltò verso Nicci. «Ma non sono ancora sicuro di digerire l'intera teoria di come la preconoscenza delle emozioni possa corrompere...» A metà frase, la bocca di Zedd si richiuse con un'espressione sbigottita. «Cosa?» chiese Nicci. «Ti è venuto in mente qualcosa?» Zedd crollò a sedere su bordo del letto. «Sì, è proprio così.» L'energia, il fuoco, lo aveva abbandonato. «Dolci spiriti» sussurrò, come se il peso degli anni si fosse appena posato sulle sue spalle incurvate. Nicci si chinò e gli toccò il braccio. «Zedd, cos'è che non va?» Lui alzò gli occhi verso di lei con sguardo spiritato. «La preconoscenza può influire sul funzionamento della magia. Non è una teoria. È vero.» «Sei sicuro? Come lo sai?» «Io non ricordo Kahlan, o nulla che la riguardi. Quando Richard era qui, però, me ne ha parlato. Ha colmato i miei ricordi mancanti su come era
giunto ad amarla e su come lei si era innamorata di lui. «Kahlan è una Depositaria. Il dono di una Depositaria distrugge la mente della persona che tocca col suo potere. Le Depositarie lasciano libero il proprio potere per utilizzarlo. Il resto del tempo lo devono tenere sotto stretto controllo.» «Lo so, ho udito delle loro capacità» disse Nicci. «Ma cos'ha a che fare col loro amore?» «Una Depositaria sceglie sempre il suo compagno fra coloro di cui non si cura davvero, poiché se si ritrovasse nell'intimità con un uomo che ama, perderebbe inavvertitamente il controllo di quel potere. Così rilasciato, il suo potere si impadronirebbe dell'uomo. Non avrebbe alcuna possibilità. Non sarebbe più colui che era prima. Sarebbe perduto, la sua mente distrutta. Rimarrebbe un involucro, pieno solo di cieca, irrazionale devozione per la Depositaria. Lei lo possiederebbe, avrebbe il suo amore e la sua devozione, ma si tratterebbe di un amore vuoto, senza senso. «Per questa ragione le Depositarie scelgono sempre un uomo di cui non si curano e se ne impadroniscono col loro potere. Scelgono un compagno per le sue doti di padre, per la figlia a cui potrebbe dar frutto, ma non scelgono mai un uomo che amano. Gli uomini temono una Depositaria nubile in cerca di un compagno, temono di essere scelti, temono di perdere la loro identità di fronte al suo potere.» «Ma è ovvio che ci dev'essere un modo per superarlo» disse Nicci. «Come c'è riuscito Richard?» Zedd alzò gli occhi. «C'è un solo modo. Non posso dirti quale. Non potei dirlo neanche a Richard. Non potei neanche dirgli che esisteva un modo.» «Perché no?» chiese lei. «Perché la preconoscenza lo avrebbe corrotto e la sua magia, la prima volta che la liberò su di lui senza volere, si sarebbe impadronita di lui. Doveva essere del tutto ignaro della soluzione o perfino che la soluzione esistesse, altrimenti non avrebbe funzionato.» Zedd fissò il pavimento. «Non è una teoria. La preconoscenza può contaminare un campo incolto, come hai detto tu. Richard stesso è la dimostrazione del quesito centrale della teoria dell'Orden: la preconoscenza può influenzare il funzionamento della magia.» Nicci camminò a piedi nudi sul tappeto per andare a mettersi di fronte a lui. Con aria corrucciata guardò il vecchio mago. «Tu lo sapevi in anticipo, prima che Richard e Kahlan si sposassero? Sapevi che la preconoscenza della soluzione avrebbe impedito che funzionasse per Richard?»
«Lo sapevo. Ma non osavo rivelargli l'esistenza di una soluzione che gli avrebbe consentito di stare con la sua amata. Anche quella semplice preconoscenza avrebbe vanificato la possibilità che funzionasse.» «Come ne eri a conoscenza?» Zedd sollevò una mano e poi la lasciò ricadere in grembo. «Successe esattamente la stessa cosa alla prima Depositaria, Magda Searus, e all'uomo che l'amava, Merritt. Anche loro finirono per innamorarsi e sposarsi. Da allora, Richard è stato il primo a risolvere di nuovo il problema. Quando Magda Searus fu la prima Depositaria, nessuno sapeva che c'era una soluzione; perciò non c'era ancora nessuna preconoscenza a corrompere Merritt. Senza tale preconoscenza, fu in grado di sciogliere il paradosso di amare una Depositaria senza che il suo potere lo distruggesse.» Nicci giocava con una ciocca di capelli biondi e intanto rifletteva. «Allora è vero che la sola preconoscènza è in grado di corrompere la magia.» Abbassò lo sguardo accigliato verso Zedd. «Ma i maghi che crearono l'Orden non sapevano di alcun esempio di preconoscenza che potesse corrompere un incantesimo. Per loro era solo una teoria.» Zedd scrollò le spalle. «Questo significa probabilmente che le Depositarie furono create dopo l'Orden. Il Primo Mago Merritt dimostrò il concetto, perciò forse accadde dopo che l'Orden era già stato stabilito.» Nicci sospirò. «Suppongo che possa essere la risposta.» Fece vaghi gesti mentre proseguiva su altri fatti. «Cara prima ha detto qualcosa su un problema. Un problema col Mastio.» Zedd alzò infine lo sguardo dai suoi pensieri personali e si alzò in piedi. Le rughe sul suo volto si contrassero in un'espressione seria. «Sì, ci sono problemi.» «Che genere di problemi?» chiese Nicci. Lui si avviò verso la porta. «Vieni con me e ti mostrerò.» 14 Zedd condusse Nicci e Cara verso una zona del Mastio che Nicci sapeva essere un labirinto di corridoi e sale pesantemente difesi da strati di schermi. Sfere di vetro su sostegni di ferro si accendevano a turno mentre loro si avvicinavano a ciascuna di esse, poi si affievolivano e si spegnevano dopo che erano passati. A Nicci il Mastio sembrava un enorme posto silenzioso e cupo. Non solo era smisurato, ma immensamente complicato, e lei non riusciva a immaginare quali potessero essere i problemi che tanto preoccu-
pavano Zedd. Prima che fossero andati troppo avanti, Rikka, Tom - il grosso D'Hariano biondo della guardia d'elite di lord Rahl - e Friedrich, il vecchio orafo, emersero da una stanza di lettura per unirsi alla silenziosa processione. Nicci suppose che fossero stati lì ad aspettare che lei si svegliasse dal suo incontro con Sei. Il fatto che, con tutta probabilità, era stato Zedd a chiedere loro di tenersi pronti e attendere il risveglio di Nicci non fece che acuire il suo crescente senso di preoccupazione. «Hai un aspetto decisamente migliore della scorsa notte» disse Rikka mentre procedevano attraverso una stanza accogliente con centinaia di dipinti di ogni dimensione appesi alle pareti. I quadri, ognuno in una cornice con foglie dorate, tappezzavano le pareti. «Grazie. Sto bene ora.» Nicci notò che i dipinti appesi nella stanza erano tutti ritraiti, anche se gli stili variavano molto. In alcuni, i soggetti, abbigliati con vesti cerimoniali, sedevano in pose formali; in altri le persone se ne stavano con naturalezza in bellissimi giardini, si incontravano per conversare fra imponenti colonne o si rilassavano su panche nei cortili. Vide che, in molti dei ritratti, il Mastio, o parte di esso, era visibile sullo sfondo. In qualche modo era strabiliante e triste pensare che tutte queste persone una volta probabilmente avevano vissuto lì, un posto brulicante di vita. Adesso faceva sembrare la fortezza ancora più deserta e vuota. Rikka lanciò un'occhiata di sbieco a Nicci, squadrandola da capo a piedi. «Quella camicia da notte era rosa, prima.» «Odio il rosa» disse Nicci. Rikka parve delusa. «Davvero? Quando Cara e io te l'abbiamo messa, ho pensato che ti facesse sembrare ancora più carina.» Dapprima sbalordita da una tale affermazione da parte di una Mord-Sith, all'improvviso Nicci afferrò l'intero significato della camicia da notte rosa. Aveva davanti una donna che cercava di trovare una via d'uscita dagli oscuri deserti della pazzia. Stava tentando di scrollarsi di dosso le catene delle emozioni che erano state instillate dentro di lei da quando era una ragazza. Tutto nella sua vita, nel suo mondo, era stato orribile e violento. La camicia da notte rosa rappresentava qualcosa di innocente e grazioso, il genere di cose proibito a una Mord-Sith. Apprezzando qualcosa di tanto semplice su Nicci, stava saggiando la possibilità di provare gioia per qualcosa di incantevole e innocuo... stava saggiando i sogni. Era molto simile a una ragazzina che faceva un vestitino per una bambola. Era una prova
ponderata di estetica e, ancor di più, un tentativo di fantasticare. «Grazie» disse Nicci. Dopo un momento di riflessione aggiunse: «È una graziosa camicia da notte, solo è del colore sbagliato per me, è tutto. Che ne dici se, dopo essermi vestita, le restituisco il colore e te la do?» L'espressione di Rikka si fece diffidente. «A me? Non so se...» «Ti starebbe benissimo. Sul serio. Il rosa si intonerebbe col colorito della tua pelle.» Rikka pareva un po' confusa e incerta. «Davvero?» Nicci annuì. «Sarebbe perfetta per te. Mi piacerebbe che l'avessi tu.» Rikka esitò per un momento. «Be', ci penserò» disse infine. «La laverò e mi accerterò che abbia la tonalità di rosa giusta per te.» Rikka sorrise. «Grazie.» Nicci desiderò che Richard fosse lì per vedere il piccolo sorriso che per una Mord-Sith costituiva un così grosso rischio. Lui avrebbe capito che un passo all'apparenza tanto esitante era in realtà un enorme salto nel vuoto per una donna del genere. Anche Nicci si rese conto che le riscaldava il cuore vedere un ritorno tanto positivo, seppur minuscolo, alle semplici gioie della vita. Nel vedere il sorriso di Rikka, capì come Richard doveva sentirsi in tali occasioni. Mentre una consapevolezza ancora maggiore si faceva strada in lei, quasi si mise a ridere a gran voce. Richard non avrebbe soltanto apprezzato la crescita di Rikka: avrebbe anche visto Nicci, l'Amante della Morte, imparare da sé come riconciliare un'altra persona con le gioie della vita, per quanto in misura ridotta. Non si era nemmeno resa conto che lei e Rikka avevano fatto un passo assieme. Nicci non riusciva a immaginare come dovesse essersi sentito Richard quando l'aveva sottratta alla buia esistenza che aveva sperimentato nella sua intera vita. Per un solo istante ebbe una visione, un'immagine della vita attraverso gli occhi di Richard. Era una prospettiva incredibilmente gioiosa, una concezione dì come le scelte di ogni persona potessero migliorarne la vita. Era una visione del possibile, di come le cose potevano e dovevano essere. Come le mancava. In quel momento avrebbe dato tutto soltanto per vedere il suo sorriso, quel sorriso che pareva riflettere tutto ciò che c'era di buono e giusto. Le mancava così tanto che pensò di essere sul punto di scoppiare in lacrime. Rikka lanciò a Nicci uno sguardo di traverso. «Va tutto bene? La strega non ti ha fatto alcun danno permanente, vero? Sembri un poco, non so...
afflitta.» Nicci respinse la sua preoccupazione con uno scatto della mano e cambiò argomento. «Hai trovato Rachel?» Mentre uscivano da una stanza di pietra fiancheggiata da arazzi di scene campestri ed entravano in un'ampia sala dalle pareti a pannelli di legno, la Mord-Sith rivolse a Nicci uno sguardo indecifrabile. «No. Stamattina presto Chase è tornato e ci ha detto di aver trovato le sue tracce fuori dal Mastio. È andato a cercarla.» Rachel per Rikka era un altro di quei legami con le semplici gioie della vita. Nicci sapeva che lei era piuttosto affezionata alla ragazza, anche se non era mai riuscita ad ammetterlo. «Non so cosa accidenti le sia preso» disse Zedd da sopra la spalla mentre li guidava dietro un angolo e in un corridoio più stretto. «Non è da lei scappar via.» «Pensi che possa avere qualcosa a che fare con il fatto che Sei è qui?» Nicci suggerì. «Forse è lei la responsabile.» Rikka scosse il capo. «Chase ha detto che le tracce di Rachel indicano che è da sola. Dice di non aver visto nessuna traccia di Sei.» «Stai pensando quello che sto pensando io?» chiese Cara a Nicci. «Intendi sulla lezione che ci ha fatto Richard una volta sulle tracce?» Cara annuì. «Ha parlato di come la magia possa nascondere le tracce.» «Piuttosto vero» asserì Zedd. «Ma Rachel è sparita prima che Sei comparisse. Se Sei stava cercando di nascondere le sue tracce con qualche genere di magia, quale sarebbe lo scopo di celare le proprie e non anche quelle di Rachel?» Nicci si fermò di colpo. Si voltò all'indietro verso l'apertura che avevano appena superato. Due pilastri dorati si ergevano ai lati del piccolo portale nel corridoio. I pilastri sostenevano una solida trave con sei simboli scolpiti. Lei li guardò accigliata. «Non c'era uno schermo lì, prima?» Lo sguardo cupo di Zedd le disse che aveva ragione. Mentre lui riprendeva a camminare, tutti si affrettarono a seguirlo. Alla fine del corridoio, svoltò in un corto passaggio a destra che conduceva a una scala a chiocciola. Rispetto ad alcune delle maestose scalinate del Mastio, la scala a chiocciola era piccola, ma notevole. Era abbastanza ampia perché due persone potessero camminare fianco a fianco al centro del gradino, dove girava in modo agevole e con un giusto dislivello. La scala, però, era così larga che
l'estremità esterna di ogni gradino a spicchio obbligava una persona a fare diversi passi prima di raggiungerne il margine. Inoltre procedeva con una strana torsione, avvolgendosi all'ingiù come un cavatappi oblungo. L'intera struttura faceva perdere l'orientamento e Nicci dovette fare attenzione per non inciampare e cadere. Mentre scendevano, infine fu in grado capire che la scala era disegnata in modo da girare e poi procedere sotto una formazione di roccia con venature di minerali luccicanti. In fondo, un corto passaggio si riversava nella familiare fenditura della montagna che separava le stanze del campo di contenimento dal basamento della montagna stessa. Era proprio vicino al posto dove la strega li aveva colti di sorpresa. Nicci pensò che le sale sembravano particolarmente silenziose dopo che la strega le aveva violate aggirandosi indisturbata fra esse. Stando a tutte le sue conoscenze sugli schermi, non pensava che una cosa del genere fosse possibile. I maghi che avevano creato quel posto e le sue difese, avevano di certo predisposto protezioni contro ogni forma di magia, inclusa quella di una strega. «Ecco» annunciò Zedd fermandosi. «È qui che è apparso la prima volta.» Fece un gesto verso l'alto ai blocchi di pietra del muro che combaciavano alla perfezione, in contrasto con il grezzo muro di granito naturale intagliato nella montagna stessa. Nicci osservò il muro in tutta la sua lunghezza e notò delle macchie scure che non parevano naturali. Esaminò il rilievo roccioso per dozzine di piedi, distinguendo qua e là le stesse macchie scure. Sembrava che qualcosa stesse trasudando dalla pietra stessa. «Cos'è?» chiese lei. Zedd graffiò con un dito una delle aree scure. Tenne il dito in alto davanti a lei. «Sangue.» Nicci sbatté le palpebre. Fissò la densa e umida sostanza rossa sul suo dito. Tornò a guardare il mago negli occhi. «Sangue?» Lui annuì con serietà. «Sangue.» «Vero sangue?» «Vero sangue» confermò lui. «Sangue di qualche tipo di animale?» Nicci si ricordò di tutti i pipistrelli che erano scappati attraverso queste stesse sale, in fuga dalla strega. «Forse i pipistrelli?»
«Sangue umano» disse il mago. Nicci rimase ammutolita per un momento. Guardò Cara. «Sì, siamo sicuri» disse la Mord-Sith in risposta alla sua tacita domanda. «Mi arrendo» disse infine Nicci. «Perché del sangue umano colerebbe dalla pietra di questa parete?» «Non solo dalla parete in questo corridoio» disse Zedd. «Sta fuoriuscendo dalla pietra in diversi punti della fortezza. Non sembra esserci un collegamento fra i luoghi in cui appare.» Nicci guardò di nuovo alcune delle dense gocce di sangue che scorrevano giù per il muro. Non voleva toccarlo. «Be',» disse infine «questo di certo si può considerare un problema. Ma non so di che tipo.» Tornò a rivolgere la sua attenzione a Zedd. «Hai qualche idea di cosa significhi?» «Significa che il Mastio stesso sta sanguinando, in un certo senso. Significa che sta morendo.» Nicci poté solo sbattere le palpebre a ciò che aveva appena udito. «Morendo?» Con lo sguardo torvo, Zedd annuì. «Sai quello schermo di cui hai chiesto prima? Si è mantenuto in quel corridoio per migliaia di anni. Ora non c'è più. Gli schermi in tutto il Mastio si stanno indebolendo. La stessa struttura del Mastio è in serio pericolo. «Sei, per quanto capace, in un altro momento non sarebbe stata in grado di penetrare qui senza far scattare gli allarmi, ma non è andata così. Gli allarmi non si sono attivati. Ecco perché non abbiamo saputo che era nel Mastio. Ecco come ci ha colto di sorpresa. «Se il Mastio fosse stato bene, perfino se gli allarmi non fossero scattati per qualche motivo o fossero stati superati in qualche modo, gli schermi le avrebbero impedito non solo di muoversi liberamente, ma di arrivare così all'interno del Mastio. Questa è un'area protetta. Semplicemente non sarebbe potuta attivare quaggiù, ma è stata in grado di trovare il modo di aggirare gli scudi funzionanti per andare dove voleva. «È solo a causa di questa malattia» sollevò una mano verso le pareti sanguinanti «che è stata in grado di penetrare nel Mastio senza che gli allarmi suonassero e gli schermi la fermassero. Il Mastio era troppo malato per impedirle di entrare o fermarla una volta dentro. «A quanto ne so, una violazione di questo genere non è mai avvenuta prima. Delle persone sono entrate nel Mastio in passato, ma non perché il Mastio stesso abbia fallito il suo compito. Quegli accessi ebbero successo
perché l'intruso era astuto, o di enorme talento, o perché aveva ricevuto aiuto dall'interno. Sei è piombata qui facendo tutto da sé senza che gli allarmi suonassero o le difese la bloccassero. Ha solo dovuto fare qualche deviazione per aggirare gli schermi ancora attivi.» «I rintocchi...» sussurrò Nicci, comprendendo all'improvviso. Zedd assentì con un cenno del capo. «Richard aveva ragione.» «Non si può fare nulla?» «Sì» disse Zedd. «Se riusciamo a trovare Richard, possiamo fare in modo che apra la scatola dell'Orden giusta. Anche l'incantesimo della Catena di fuoco è stato contaminato. Questo conferma che la contaminazione lasciata dai rintocchi sta corrompendo tutta la magia - non solo la Catena di fuoco - proprio come ci aveva detto Richard. Deve scatenare l'Orden e sperare che il suo potere sia in grado di depurare il mondo non solo dalla Catena di fuoco, ma dalla corruzione lasciata dai rintocchi liberi nel mondo della vita.» Nicci drizzò la testa. «Zedd, l'Orden è stato creato per uno scopo specifico: neutralizzare la Catena di fuoco. L'Orden non andrà a cercare altre magie che ci perseguitano per debellare anche quelle. Non è progettato per farlo.» Zedd si lisciò alcuni ciuffi ribelli di capelli bianchi mentre sceglieva con cautela le parole. «Tu stessa hai parlato di come il potere dell'Orden, come ogni potere, può essere usato per scopi diversi dal suo limitato intento. Richard deve usare il potere dell'Orden non solo per mondarci dalla corruzione della Catena del fuoco, ma in maniera più ampia per eliminare la contaminazione lasciata dai rintocchi.» Nicci non sapeva se una linea d'azione di tale portata fosse del tutto saggia, o perlomeno possibile, ma non credeva che fosse il luogo né il posto per discuterne. C'era ancora molto da fare prima che Richard potesse tentare una cosa del genere. Per iniziare dovevano trovare Richard, prima di considerare qualunque altra cosa. Dopo, affinché Richard aprisse una scatola dell'Orden ci sarebbero state delle difficoltà che Nicci non aveva nemmeno iniziato a rivelare a Zedd perché non voleva preoccuparlo più del necessario. Dopo tutto, c'erano abbastanza problemi immediati da risolvere. «Nel frattempo» disse Zedd «dobbiamo evacuare il Mastio.» Nicci fu colta alla sprovvista. «Ma se il Mastio è indebolito, dobbiamo fare proprio il contrario: dobbiamo difenderlo. Qui sono custodite cose inestimabili che non possiamo lasciare che cadano nelle mani sbagliate.
Non possiamo rischiare che Jagang e le Sorelle prendano possesso dei potenti oggetti magici che ci sono qui... quelli che funzionano, perlomeno; per non parlare delle biblioteche.» «È precisamente il motivo per cui dobbiamo andarcene» insistette Zedd. «Se ce ne andiamo, posso mettere l'intero Mastio in uno stato che terrà fuori chiunque. È una misura che, a quanto ne so, non è mai stata attivata prima, ma non vedo altra soluzione.» Nicci alzò lo sguardo verso il sangue che macchiava la parete di roccia. «Be', se il Mastio è malato e la sua magia si sta indebolendo, come pensi di poter fare una cosa del genere e aspettarti che funzioni?» «Gli antichi libri che spiegavano il piano di difesa del castello parlavano delle pareti sanguinanti. Un avviso di sangue, per macabro che sia, indica quant'è serio il problema del Mastio stesso. A quanto ne so, una cosa del genere non è mai accaduta prima. Questa è la prima volta che un avvertimento così drastico si è reso necessario. È solo una delle cose di questo posto che dovetti imparare quando divenni Primo Mago.
«Quelle stesse fonti descrivevano anche delle procedure di emergenza nel caso in cui accadesse un evento del genere. C'è un modo per sigillare il Mastio con un elevato livello di energia non ancora guasta.» Nicci trovò questo pensiero preoccupante. «Elevato livello di energia?» «Era immagazzinata... mi ci è voluto quasi tutto il giorno per trovarla.» «Cos'era?» Zedd fece un gesto verso le vicine porte d'ottone dove era stata la scatola dell'Orden finché Sei non l'aveva rubata. «Una scatola d'osso. È lì dentro. È all'incirca delle dimensioni di una delle scatole dell'Orden. Ma è d'osso. Non so da quale bestia sia stata ricavata. Lungo tutta la parte esterna sono incisi dei simboli antichi. «Contiene un costrutto magico che si dice sia sintonizzato con la natura del Mastio. Fu fabbricato dagli stessi maghi che installarono nella fortezza così tante difese. Si potrebbe paragonarlo a un pezzetto dell'impasto iniziale che viene messo da parte in modo da poter avere sempre un po' dell'originale per fare lo stesso tipo di pane. Questo incantesimo contiene elementi della magia originale del Mastio. Davvero straordinario, se ci pensate.» «Per quanto tempo durerà un tale costrutto magico, una volta attivato, prima che la corruzione dei rintocchi cominci a guastare anche quello?» Zedd fece una smorfia e scosse il capo. «Non ne ho idea. Da ciò che ho
letto e in base agli esperimenti che ho condotto, credo che questo stato durerà per un bel po', ma non c'è modo per saperlo di sicuro. Tutto ciò che possiamo fare è provare.» «E se fosse già stato corrotto dai rintocchi?» chiese Friedrich. «Dopo tutto, se il Mastio è infetto e questo incantesimo fa parte della sua energia originale, chi ci dice che non sia corrotto anch'esso?» Friedrich, pur non avendo il dono, sapeva un bel po' sulla magia, essendo stato sposato con un'incantatrice per buona parte della sua vita. «Ho provato ad attivare delle tele di verifica su alcuni degli aspetti corrotti del Mastio, come gli allarmi. La contaminazione ha impedito che la verifica funzionasse. Quella sull'incantesimo nella scatola d'osso è riuscita senza alcuna difficoltà. Dai miei esperimenti risulta ancora attiva.» «Perché non possiamo rimanere qui e mettere il Mastio nel suo stato protettivo?» chiese Cara. «È troppo pericoloso» le disse Zedd. «La procedura di emergenza non è mai stata utilizzata prima. Non sono sicuro della sua precisa natura o del suo esatto funzionamento, ma le informazioni che ho esaminato affermano che un tale stato impedirà a chiunque di entrare. Posso solo ipotizzare che una tale condizione di emergenza, necessariamente, tratti duramente qualunque intruso. Sembra che sia una forma di incantesimo di luce. Da quel poco che so sulle condizioni dell'interno del Mastio in un tale stato, sarebbe molto pericoloso per chiunque rimanervi. «Dopo tutto, come possiamo sapere che non ci sono intrusi proprio ora?» Cara si raddrizzò. «Ora?» «Sì. Se le difese del Mastio sono indebolite e gli allarmi non funzionano, in che modo sapremmo se ci sono degli intrusi che si aggirano qui attorno? Per quel che ne sappiamo, Sei potrebbe ancora essere qui in agguato. Chase ha detto di non aver trovato tracce che indichino che se ne sia andata. Potrebbero essersi intrufolate anche delle Sorelle dell'Oscurità. Non abbiamo più un modo affidabile per saperlo. «Ancora più preoccupante è che i nemici potrebbero entrare attraverso la sliph. Richard è il solo che possa rimetterla a dormire; noi non possiamo. La sliph non è progettata per negare i suoi servizi a chi glieli chieda e disponga del potere adeguato. Jagang potrebbe far entrare delle Sorelle dell'Oscurità tramite la sliph. Noi non bastiamo per sorvegliarla tutto il
tempo, perlomeno non ci sono abbastanza di noi con potere sufficiente per riuscire a difenderla da un attacco delle Sorelle dell'Oscurità. «Senza la capacità di rimettere a dormire la sliph e senza allarmi e schermi a proteggere il Mastio, questo è vulnerabile a intrusioni di ogni genere. Si suppone che un incantesimo di questo tipo, per sua stessa natura, elimini chiunque nel Mastio. Dato che si tratta di una misura da usare come ultima risorsa, dobbiamo presumere che per noi possa rivelarsi fatale essere qui, come per qualunque intruso. «Perciò dobbiamo andarcene e poi attivare lo stato difensivo.» «Come rientreremo?» chiese Cara. «Dovrò spegnerlo del tutto. Conosco la sequenza necessaria per disattivare l'incantesimo. Una volta spento, però, non credo che possa essere attivato di nuovo: per questo faremmo meglio a non spegnerlo, a meno che non sia assolutamente necessario per qualche motivo, o finché la contaminazione dei rintocchi non possa essere eliminata dal mondo della vita.» Nicci lanciò un sospiro. «Non riesco a trovare nulla da dire contro questo piano. Per ora sembra l'unico modo per salvaguardare il Mastio.» «Inoltre,» disse Zedd «non possiamo starcene qui e basta.» «No,» disse Nicci «suppongo di no.» Lei stava già pensando a cosa fare. C'erano moltissimi posti in cui doveva andare. «Mi sembra» disse Zedd mentre si guardava intorno verso coloro che aspettavano la sua decisione «che la prima cosa da fare sia tentare di far riottenere a Richard il suo potere. Se fosse di nuovo connesso col suo dono, forse gli sarebbe d'aiuto. «Abbiamo ragione di credere ne sia stato privato a causa di un incantesimo disegnato nelle caverne sacre di Tamarang. A meno che qualcuno non abbia un'idea migliore, propongo di andare a Tamarang e aiutare Richard a eliminare ciò che blocca il suo dono.» Entrambe le Mord-Sith annuirono. «Se è d'aiuto a lord Rahl, io dico di andare» disse Cara. «Sono d'accordo» assentì Tom. «Temo che io vi rallenterei» disse Friedrich. «Non sono giovane come un tempo. Forse sarebbe meglio che rimanessi nella zona in caso comparisse Richard. Gli servirà sapere cosa sta succedendo. Posso restare nelle vicinanze, sorvegliare il Mastio dall'esterno.» «Mi sembra sensato» disse Zedd all'uomo. «Penso che per me sia meglio andare al Palazzo del Popolo» disse Nicci.
Zedd si accigliò. «Perché?» «Be', io posso usare la sliph. Dal Palazzo del Popolo posso portarla nella zona di Tamarang e incontrarvi lì. La sliph è molto più veloce, perciò avrò tempo di controllare alcune cose a palazzo.» «Quali cose?» chiese Zedd. «Be', con Richard assente e privato del suo potere, Nathan ne sta facendo le veci come lord Rahl. Quel legame è tutto ciò che si frappone tra noi e il tiranno dei sogni, impedendo che possa entrare nelle nostre menti. Voglio vedere come sta.» Zedd annuì pensieroso. «Nel palazzo ci sono delle difese alimentate dalla magia, come qui al Mastio» proseguì Nicci. «Bisogna che Ann e Nathan sappiano che i rintocchi stanno corrompendo quella magia. Devono rimanere al corrente di ciò che è accaduto qui per essere preparati nel caso succedesse anche lì e non essere presi alla sprovvista come noi. «Ma innanzitutto dobbiamo riprendere la scatola dell'Orden. Sei proveniva dal Vecchio Mondo. Ann e Nathan hanno vissuto lì a lungo. Hanno detto di non sapere nulla su Sei, ma forse ora è tornato loro in mente qualcosa e possono darmi un indizio. Sei agiva di nascosto quando viveva laggiù nel Vecchio Mondo, ma forse qualcuno sa qualcosa di lei. Ann e Nathan possono essere in grado di indicarmi una persona del genere. Per ora, non sappiamo quasi nulla sulla strega. Ci servono informazioni. «Sono a corto di idee su dove cercare Sei. Perlomeno quello è un posto dove cominciare a far domande.» Zedd sospirò. «Mi pare sensato. Ma se scopri qualcosa, vieni subito a Tamarang, da me, prima di pensare di inseguirla da sola. Potremmo avere bisogno del tuo aiuto per ciò che sta accadendo laggiù, e di certo tu avrai bisogno del mio per escogitare un modo per affrontare Sei. Ha già dimostrato quanto sia pericolosa. Non potrai certo avvicinarti a lei di soppiatto e sottrarle la scatola. Se otteniamo una pista su dove potrebbe essere, dobbiamo discuterne assieme e architettare un piano.» «D'accordo» disse Nicci. «E per la sliph? Dopo che me ne sarò andata, intendo. Qualcuno potrà intrufolarsi nel Mastio?» «L'incantesimo di protezione prende speciali precauzioni per i punti d'ingresso. La sliph attirerà ramificazioni dell'incantesimo, rafforzando quel punto d'accesso proprio come ogni altro. Una volta che te ne sarai andata attraverso la sliph, attiverò l'incantesimo.» «Vengo con te» disse Cara a Nicci. Non era una richiesta.
«Io andrò con Zedd, allora» disse Rikka. «Avrà bisogno che una di noi badi a lui.» Zedd le lanciò un'occhiataccia ma non disse nulla. Cara gettò indietro la lunga treccia bionda. «Mi sembra sensato. Allora è deciso.» Era come se entrambe stessero stabilendo come condurre l'operazione. Nicci stava cominciando a rendersi conto dell'eccezionale pazienza di Richard. «Prepariamo le nostre cose» disse Zedd. «Presto farà giorno.» Nicci prese Rikka per un gomito e la tirò di lato. «Non appena mi sarò cambiata, ti sistemerò la camicia da notte, così potrai metterla fra le tue cose.» Rikka sorrise. «D'accordo.» A Nicci parve che la donna sembrasse silenziosamente eccitata dalla prospettiva di avere qualcosa di grazioso, qualcosa che non aveva nulla a che fare con l'uniforme di una Mord-Sith. Nicci si concentrò su quel pensiero felice, piuttosto che sul suo nervosismo all'idea di viaggiare di nuovo nella sliph. Stavolta, Richard non sarebbe stato con lei ad aiutarla. 15 «Cosa c'è?» sussurrò Jennsen alla giovane donna davanti a lei mentre strisciavano entrambe fra l'alta erba secca. «Ssh» fu l'unica risposta di Laurie. Laurie e suo marito erano andati in quel posto desolato per una tardiva raccolta di fichi selvatici che crescevano fra le basse colline. Nel corso del loro lavoro, mentre li raccoglievano spostandosi sempre più lontano, si erano separati. Quando il pomeriggio stava giungendo al termine, Laurie aveva pensato di tornare in città ma non era riuscita a trovare suo marito. Sembrava scomparso. Sempre più turbata, infine era tornata di corsa nella cittadina di Hawton a cercare l'aiuto di Jennsen. Per sbrigarsi, Jennsen aveva deciso di lasciare la sua capretta, Betty, nel suo recinto. Betty non ne era stata contenta, ma Jennsen era più preoccupata di trovare il marito di Laurie. Quando erano tornati con una piccola squadra di ricerca, il sole era tramontato da molto. Quando Owen, sua moglie Marilee, Anson e Jennsen si erano sparpagliati fra le basse colline per cercare il disperso, Laurie aveva trovato qual-
cosa di inaspettato. Era chiaro che l'aveva scossa. Non aveva detto di cosa si trattava; voleva solo che Jennsen si sbrigasse per vederlo coi suoi occhi e non rivelasse nulla al riguardo. Con cautela Laurie sollevò la testa quel tanto che bastava per guardare lontano nella notte. Indicò e allo stesso tempo tornò a chinarsi in modo che Jennsen potesse udire il suo sussurro. «Lì.» Ormai contagiata dall'ovvia sensazione di timore di Laurie, Jennsen allungò cautamente il collo per scrutare nell'oscurità. La tomba era aperta. Il grande monumento di granito a Nathan Rahl era stato fatto scivolare di lato. Un bagliore brillava da sottoterra, creando un faro di luce soffusa nel buio cuore della notte stellata. Jennsen sapeva, naturalmente, che quella non era davvero la tomba di Nathan Rahl. Laurie non lo sapeva, però. Al tempo in cui Nathan e Ann avevano alloggiato presso di loro, lui aveva trovato la tomba col suo nome sopra. Aveva scoperto anche che quella che sembrava una tomba piuttosto stravagante nell'antico cimitero era in realtà un accesso a delle stanze sotterranee segrete colme di libri. Lui e Ann avevano detto a Jennsen che la collezione aveva migliaia di anni e per tutto quel tempo era stata protetta dalla magia. Jennsen non lo sapeva; lei non aveva alcuna magia. Era nata priva del dono: un buco nel mondo, come veniva definita talvolta, poiché coloro che disponevano di magia non erano in grado di usare il loro dono per percepire quelli come Jennsen. Era una creatura non comune: un pilastro della creazione. Lei e tutte le persone di Bandakar erano pilastri della creazione. In tempi antichi si era appreso che quando coloro che erano nati senza dono si univano con le persone normali, che possedevano tutte quante almeno una piccola scintilla del dono, ogni figlio frutto di tale unione ne sarebbe stato privo. Girovagando liberi per il mondo, portavano con sé per sempre il potenziale di cancellare il dono dall'umanità. Nell'antichità la soluzione al numero sempre crescente dei nati senza dono era stata di radunarli tutti assieme ed esiliarli. La peculiarità di nascere senza dono aveva avuto origine nella stirpe di lord Rahl. Nascite di bambini senza dono erano estremamente rare, ma una volta che coloro che erano dotati di quella caratteristica diventavano adulti, l'anomalia si diffondeva sempre più. Dopo che gli antenati della gente del
Bandakar erano stati esiliati, ogni figlio di un Rahl veniva sottoposto a una prova. Se veniva accertato che era nato senza dono, un bambino veniva immediatamente messo a morte per far sì che quel tratto non continuasse a propagarsi mai più fra la popolazione. Jennsen, il frutto di uno stupro di Darken Rahl, era riuscita a sfidare la sorte e a evitare di essere scoperta. Dato che in quel momento il titolo di lord Rahl era di Richard, eliminare un tale difetto nella sua progenie era un compito che ricadeva su di lui. Ma Richard aveva trovato aberrante anche il solo pensiero e non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Reputava che Jennsen e quelli come lei avessero tanto diritto di vivere quanto lui. In effetti era stato felice nello scoprire di avere una sorellastra, priva del dono o no. L'aveva accolta a braccia aperte invece che con intenti omicidi, come lei si era aspettata all'inizio. Richard aveva spezzato l'esilio e liberato quella gente perché potesse vivere la propria vita. Da quando era diventato lord Rahl, non erano più esiliati ma ben accolti nel mondo, come Jennsen. Malgrado ciò che avrebbe comportato infine per l'esistenza della magia nell'umanità, lui aveva distrutto la barricata che separava quelle persone dal resto del mondo. Da quanto la barriera era stata abbattuta, molte delle persone del Bandakar erano state catturate dall'Ordine Imperiale e portate via per essere usate per riprodursi e accelerare la fine della magia. Dopo che l'Ordine Imperiale era stato cacciato dal Bandakar, quasi tutti coloro che erano rimasti avevano scelto di restare per il momento nella loro antica patria. Volevano prendere un po' di tempo per imparare qualcosa del mondo esterno prima di decidere cosa fare. Jennsen sentiva un'affinità verso quelle persone. Avendo passato tutta la sua vita a nascondersi per timore di essere giustiziata per il crimine di essere nata, in un certo senso aveva patito una sua forma di esilio. Era voluta restare mentre imparavano a esser parte del loro nuovo mondo più ampio. Quel nuovo inizio, l'eccitazione di costruirsi una nuova vita piena di possibilità, era un'emozione condivisa da tutti. Laurie ovviamente provava un senso di terrore al pensiero che il loro mondo venisse minacciato di nuovo. Ma con l'Ordine Imperiale in marcia, l'esistenza di chiunque era in pericolo. In quel senso non c'era nulla di così straordinario nei nati senza dono. Jennsen non era sicura di chi ci fosse ora nella tomba. Ritenne che potessero essere Nathan e Ann tornati per recuperare dei libri di cui avevano
bisogno dalla biblioteca sotterranea a lungo dimenticata. Anche quei libri erano stati esiliati in quel luogo nascosto dietro barriere che nessuno era stato in grado di attraversare finché non era arrivato Richard. Jennsen pensò anche che potesse esserci Richard. Nathan e Ann erano partiti da molto assieme a Tom per andare a cercarlo. Se l'avevano trovato, gli avevano detto della biblioteca sotterranea. Forse era tornato per vederla con i suoi occhi, o forse in cerca di qualcosa di specifico. A Jennsen sarebbe davvero piaciuto incontrare di nuovo suo fratello. L'idea stessa le diede un guizzo d'eccitazione. Si rese conto, però, che poteva essere qualcun altro, qualcuno che avrebbe potuto far del male a tutti loro. Era quel pensiero che la tratteneva dal precipitarsi giù nella tomba. Malgrado quanto volesse andare a vedere se era Richard, la vita di Jennsen, passata in fuga con sua madre, le aveva conferito un affinato senso di cautela, così si acquattò immobile, cercando qualche segnale su chi potesse esserci giù nella tomba. Uccelli mimi in lontananza ripetevano i richiami nell'immota oscurità, cercando di superarsi a vicenda in una sorta di infinito alterco notturno. Ascoltando distrattamente i versi striduli, Jennsen sapeva che era meglio rimanere nascosti e aspettare che chiunque fosse dentro la tomba comparisse, ma era preoccupata che gli altri potessero tornare dalla loro ricerca e rivelassero senza volere la loro presenza, quindi decise che sarebbe stato meglio mandare Laurie a cercare gli altri e avvisarli di quegli ignoti intrusi, mentre lei avrebbe continuato a tener d'occhio la tomba. Prima che Jennsen potesse avvicinarsi a Laurie e sussurrarle le istruzioni, la giovane donna all'improvviso cominciò a strisciare in avanti. A quanto pareva, aveva deciso che potesse esserci suo marito giù nella tomba. Jennsen balzò in avanti, cercando di afferrare la caviglia della donna, ma era fuori portata. «Laurie!» bisbigliò Jennsen. «Fermati!» Laurie ignorò l'ordine e si affrettò invece fra l'erba secca. Immediatamente Jennsen strisciò dietro di lei, scartando antiche lapidi mentre procedeva sul terreno irregolare. L'erba secca faceva fin troppo rumore per Jennsen. Laurie non era particolarmente accorta o silenziosa. Jennsen era stata addestrata alla furtività e alla fuga da sua madre. Laurie non conosceva tali pratiche. Un po' più avanti nell'oscurità, Laurie rantolò per la paura. Jennsen sollevò la testa quanto bastava per provare a vedere se ci fosse
qualcuno nei paraggi, ma al buio era troppo difficile capirlo. Per quanto ne sapeva, potevano esserci una dozzina di uomini sparsi attorno a loro. Se fossero rimasti immobili, sarebbe stato difficile, se non impossibile, vederli. All'improvviso Laurie si alzò sulle ginocchia e si fece sfuggire un grido di terrore che fece venire la pelle d'oca a Jennsen. L'urlo mandò in frantumi il silenzio della notte. Gli uccelli mimi si zittirono. Nel cuore della notte, un tale urlo sarebbe stato udito anche molto lontano. Non dovendosi più preoccupare di essere scoperta, Jennsen scattò in piedi e si precipitò a coprire la distanza che la separava dalla donna. Sopraffatta da un atroce tormento, Laurie cominciò a strapparsi i capelli e gettò la testa all'indietro, piangendo dalla disperazione. Il corpo di un uomo giaceva scomposto nell'erba davanti a lei. Anche se era troppo buio perché Jennsen ne distinguesse il volto, era fin troppo ovvio di chi doveva trattarsi. Jennsen estrasse il coltello col manico d'argento dal fodero che portava alla cintura. Mentre lo faceva, la scura sagoma di un grosso uomo con la spada in mano, apparve dall'oscurità incombendo su di loro. Doveva trattarsi con tutta probabilità di colui che aveva ucciso il marito di Laurie. Dopo averlo fatto, di sicuro si era accucciato da qualche parte lì vicino per controllare chi altri si fosse avvicinato alla tomba aperta. Appena Jennsen ebbe raggiunto Laurie, ma prima che potesse spingere via la giovane donna, l'uomo vibrò il fendente. La scura forma indistinta della lama squarciò la gola di Laurie, quasi decapitandola. Spruzzi di sangue caldo schizzarono sul volto di Jennsen. Il suo terrore fu scacciato all'istante dall'ira. Poteva aspettarsi terrore, paura o perfino panico, ma fu un flusso di rabbia rovente ad avvampare dentro di lei. Era una collera come quella causata per la prima volta da altri: coloro che, molto tempo prima, erano spuntati dal nulla e avevano brutalmente assassinato sua madre. Ancora prima che la spada avesse affondato il fendente omicida, Jennsen stava già balzando verso l'uomo. Saltò fuori dall'oscurità, colpendolo in pieno petto col suo coltello. Prima ancora che lui potesse ritrarsi dalla sorpresa, lei strattonò all'indietro il coltello e, tenendolo stretto nel pugno, glielo conficcò nel collo tre volte in rapida successione. Lo spinse a terra, stando sopra di lui mentre ancora lo pugnalava con furia. Solo quando il suo respiro gorgogliò fino a interrom-
persi, lei si fermò. Nell'improvvisa quiete, ansimò riprendendo fiato. Si sforzò per non permettersi di restare paralizzata dallo shock di quello che era appena accaduto. Se c'era una sentinella, probabilmente ce ne sarebbero state altre. Sapeva con certezza che c'era qualcuno giù nella tomba. Doveva allontanarsi dal punto in cui Laurie aveva urlato. Jennsen disse a sé stessa di muoversi. La mobilità era la sua miglior difesa, in quel momento. Era la vita. Accucciandosi, cominciò a scivolare via di lato, tenendo d'occhio tutto il tempo il fascio di luce che si innalzava dalla tomba, controllando se fosse emerso qualcuno per indagare sul rumore e avesse scoperto i corpi. Un secondo uomo parve materializzarsi all'improvviso dalla notte nera, sollevandosi dall'erba di fronte a lei. Jennsen fece roteare il coltello nella sua mano, impugnandolo per combattere e non per uccidere come aveva fatto quando aveva abbattuto l'altro uomo. Il cuore le batteva all'impazzata mentre si guardava attorno in cerca di altre minacce. Ignorò l'ordine dell'uomo di fermarsi e fece invece una rapida finta a sinistra. Mentre lui balzava in quella direzione, cercando di afferrarla, Jennsen rotolò invece sulla destra. Un altro uomo apparve dall'oscurità, rispondendo alle urla del primo, bloccando ogni via di fuga da quella parte. La luce proveniente dalla tomba scintillò fioca sugli anelli della cotta di maglia che ricopriva l'ampio torace dell'uomo e sull'ascia stretta in un grosso pugno. Lunghe ciocche di capelli unti gli ricadevano sulle spalle. Lei prese nota mentalmente della sua cotta di maglia in caso avesse dovuto confrontarsi con lui. Il suo coltello non sarebbe stato molto efficace contro un'armatura del genere. Avrebbe dovuto trovare dei punti vulnerabili. Si rese conto di essere stata fortunata: l'uomo che aveva pugnalato, quello che aveva ucciso Laurie, non indossava una cotta. L'istinto frenetico di Jennsen era di voltarsi e fuggire in preda a un cieco panico, ma sapeva che correre sarebbe stato uno sbaglio. Correre suscitava l'istinto all'inseguimento. Se le fossero corsi dietro, quell'istinto avrebbe preso il sopravvento e uomini del genere non si sarebbero fermati prima di averla uccisa. Entrambi si aspettavano che lei corresse nella direzione che pareva sgombra, quella alla sua sinistra. Invece, lei scattò verso di loro, con l'intenzione di sgusciare proprio in mezzo, evitando la loro trappola prima che
potessero accerchiarla. L'uomo più vicino, quello con la cotta di maglia, aveva pronta la sua ascia. Prima che potesse sollevarla e colpire, lei squarciò la parte interna del suo braccio priva di protezione. Il suo coltello affilato come un rasoio affondò nella carne della parte posteriore del suo avambraccio, proprio sopra il polso. Poté udire lo schiocco smorzato dei tendini in tensione che si spezzavano. L'uomo lanciò un urlo. Incapace di reggere la sua ascia, la lasciò cadere al suolo. Jennsen la afferrò mentre si chinava di colpo per evitare il secondo uomo tuffatosi per prenderla. Roteando su sé stessa gli conficcò con violenza l'arma nella schiena mentre lo superava saltando. Jennsen cercò di togliersi di torno mentre uno degli uomini si teneva il braccio destro, gravemente ferito, e l'altro si voltava verso di lei con un manico d'ascia che gli spuntava dalla schiena. Fece pochi passi barcollando verso di lei, prima di cadere su un ginocchio annaspando. Dal suono gorgogliante del suo respiro, sapeva di avergli almeno perforato un polmone. Era chiaro che non era in condizioni di combattere, perciò lei rivolse la sua attenzione altrove. Se aveva intenzione di fuggire, quello era il momento opportuno. Senza esitare, ne approfittò. Quasi immediatamente una muraglia umana si erse di fronte a lei. Jennsen si fermò con una scivolata. Apparvero uomini tutt'intorno. Con la coda dell'occhio vide delle ombre che si contorcevano nel raggio di luce: delle figure stavano salendo da dentro la tomba. «Se vuoi,» disse l'uomo di fronte a lei con voce roca «saremo lieti di ucciderti. Altrimenti, ti suggerisco di consegnarmi quel coltello.» Jennsen rimase immobile, riflettendo sulle opzioni. La sua mente non sembrava voler funzionare. In lontananza poteva vedere delle sagome in controluce che si precipitavano verso di lei dalla tomba. L'uomo tese una mano. «Il coltello» ribadì in tono minaccioso. Jennsen roteò il braccio e gli trafisse il palmo della mano. Mentre lui faceva un balzo indietro e Jennsen dava uno strattone dalla sua parte allo stesso tempo, la lama gli divise in due la mano fra medio e anulare. L'aria notturna risuonò di furenti bestemmie. Jennsen colse l'opportunità per schizzare fra il varco più grosso nella muraglia di uomini verso l'oscurità dietro di loro. Prima che avesse fatto tre passi, un braccio la accalappiò alla cintola. La strattonò all'indietro con tanta violenza da farle mancare il fiato. Il soldato
la sbatacchiò contro la sua armatura di cuoio. Jennsen respirò a fatica. Prima che lui fosse in grado di contenere le sue braccia che si dibattevano, lei gli piantò il coltello nella coscia. La punta colpì l'osso e vi rimase conficcata. Imprecando, lui riuscì finalmente ad afferrarle le braccia, bloccandogliele contro i fianchi. Lacrime di terrore e frustrazione le bruciavano gli occhi. Stava per morire lì nel mezzo di un cimitero senza poter più vedere Tom. In quel momento, lui era tutto ciò che le sembrava importante, tutto ciò che voleva. Non avrebbe mai saputo cosa le era successo. Lei non avrebbe potuto dirgli un'ultima volta quanto lo amava. Il soldato si strappò via il coltello dalla gamba. Lei trattenne un singhiozzo per tutto quello che aveva perduto per mano di quella gente. Prima che gli uomini potessero farla a pezzi come lei si aspettava, apparve qualcuno con una lanterna. Era una donna. Aveva qualcos'altro nella stessa mano con cui reggeva la lanterna. Si fermò davanti a Jennsen con sguardo corrucciato mentre prendeva il controllo della situazione. «Sta' zitto» disse la donna all'uomo che imprecava ancora mentre si teneva la mano insanguinata. «Quella cagna mi ha pugnalato la mano!» «E a me la gamba!» aggiunse l'uomo che la teneva ferma. La donna lanciò un'occhiata ai corpi che giacevano attorno. «Sembra che ve la siate cavata con poco.» «Suppongo di sì» borbottò infine l'uomo che bloccava Jennsen, chiaramente a disagio sotto lo sguardo implacabile della donna. Le porse il coltello che si era strappato dalla gamba. «Mi ha quasi tagliato la mano in due!» interruppe l'altro, non accettando ancora l'indifferenza della donna al loro dolore. «La deve pagare!» La donna gli rivolse un'occhiata fulminante. «Il tuo unico scopo è servire i fini dell'Ordine. Come pensi di poterlo servire come si deve se sei mutilato? Ora chiudi la bocca o non ci penserò nemmeno a curarti.» Quando infine abbassò il capo in tacito consenso, la donna distolse infine lo sguardo e rivolse la sua attenzione a Jennsen. Sollevando la lanterna, si sporse in avanti per guardare meglio il suo volto. Lei vide che nell'altra mano la donna teneva un libro assieme alla lanterna. Probabilmente lo aveva rubato dalla collezione sottoterra. «Sbalorditivo» disse, come se parlasse fra sé mentre studiava gli occhi di Jennsen. «Sei proprio qui di fronte a me e, nonostante questo, il mio dono dice che non lo sei.»
Jennsen si rese conto che la donna doveva essere un'incantatrice, probabilmente una delle Sorelle di Jagang. A Jennsen i poteri di una donna del genere, o di chiunque disponesse di magia, non potevano recare danno, ma, date le circostanze, questo non significava certo che non fosse una minaccia. Dopo tutto non aveva bisogno della magia per ordinare ai soldati di metterla a morte. La donna protese il coltello, osservando con attenzione quello che c'era sull'impugnatura. Aggrottò le sopracciglia quando colse il significato dell'ornata lettera R, simbolo della casata dei Rahl, incisa sul manico d'argento. I suoi occhi si rialzarono verso Jennsen, stavolta colmi di una sorta di bieco riconoscimento. Inaspettatamente, lasciò cadere il coltello. Questo si conficcò nel terreno ai suoi piedi mentre lei si metteva una mano contro la fronte, trasalendo come in preda al dolore. I soldati in silenzio si scambiarono occhiate inquiete. Quando alzò di nuovo lo sguardo, il volto della donna si era fatto inespressivo. «Bene, bene, bene. Guarda chi si vede, Jennsen Rahl.» La sua voce aveva un suono diverso. Era più profonda e conteneva un minaccioso tono mascolino. Stavolta fu Jennsen ad accigliarsi. «Mi conosci?» «Oh, sì, mia cara, ti conosco» disse la donna con una voce fattasi profonda e roca. «Mi sembra di ricordare che tu mi abbia giurato di uccidere Richard Rahl.» Allora Jennsen capì. Era l'imperatore Jagang che vedeva attraverso gli occhi di quella donna. Jagang era un tiranno dei sogni. Poteva fare questo genere di cose in apparenza impossibili. «E che ne è stato della tua promessa?» chiese la donna con una voce che non era del tutto sua. I suoi movimenti erano simili a quelli di una marionetta e sembravano causarle dolore. Jennsen non sapeva se stava rispondendo alla donna o a Jagang. «Ho fallito.» Il labbro della donna si arricciò con aria di derisione. «Hai fallito.» «Proprio così. Ho fallito.» «E cos'è accaduto a Sebastian?» Jennsen deglutì. «È morto.» «È morto» disse lei in tono canzonatorio. Fece un passo più vicino, scrutandola con un occhio adirato. «E come è morto, mia cara?» «Per sua stessa mano.»
«E perché un uomo come Sebastian si toglierebbe la vita?» Jennsen avrebbe fatto un passo indietro se non fosse già stata premuta contro il torace del soldato grande e grosso. «Immagino sia stato il suo modo di dire che non voleva più essere uno stratega per l'imperatore dell'Ordine Imperiale. Forse si è reso conto di aver sprecato la sua vita, che era stato tutto inutile.» La donna le lanciò un'occhiataccia ma non disse nulla. Allora Jennsen vide un fioco bagliore dorato provenire dal libro che la donna reggeva nella stessa mano della lanterna. Jennsen riuscì a malapena a distinguere il titolo nelle sbiadite e consunte lettere dorate. Diceva Il libro delle ombre importanti. A quel trambusto, tutti si voltarono. Altri uomini ancora stavano trascinando nuovi prigionieri più vicino. Quando raggiunsero la luce, Jennsen ebbe un tuffo al cuore. I grossi soldati sorreggevano Anson, Owen e la moglie di Owen, Marilee. Tutti e tre erano scarmigliati e coperti di sangue. La donna si chinò e raccolse il coltello di Jennsen ai suoi piedi. «Sua Eccellenza ha deciso che queste persone potrebbero essergli utili» disse la donna raddrizzandosi. Fece un gesto col coltello di Jennsen. «Le porteremo con noi.» 16 Nicci si fermò e si voltò quando sentì chiamare il suo nome dietro di lei. Era Nathan. Ann lo seguiva da presso. Per ognuna delle lunghe falcate di Nathan, Ann doveva farne tre. I loro passi riecheggiavano sul pavimento di marmo color giallo oro e marrone del corridoio vuoto. Quel salone piuttosto semplice faceva parte del complesso privato all'interno dal castello, utilizzato da lord Rahl, il personale, gli ufficiali e, naturalmente, le Mord-Sith. Era un passaggio disadorno, senza alcuna pretesa di grandiosità. Nella sua modesta veste grigia abbottonata fino alla gola, Ann sembrava allo sguardo di Nicci la stessa di quando era bambina. Bassa e compatta, come una densa nube temporalesca che guizza lungo l'orizzonte, sembrava sempre sul punto di lanciar fulmini. La donna aveva rappresentato una figura imponente nella mente di Nicci da quando era stata mandata al Palazzo dei Profeti per diventare una giovane novizia. Annalina Aldurren era sempre stata il tipo di donna in grado di strappare una balbettante confessione senza nient'altro che uno sguardo duro come la
pietra. Incuteva terrore nelle novizie, paura nei giovani maghi e trepidazione nella maggior parte delle Sorelle. Come novizia, Nicci aveva sospettato che il Creatore stesso, in presenza dell'austera Priora, ci sarebbe andato coi piedi di piombo e avrebbe cercato di comportarsi bene. «Siamo stati informati del tuo recente arrivo dal Mastio» disse l'alto profeta con voce profonda e potente mentre insieme ad Ann raggiungeva Nicci e Cara. Nonostante avesse quasi mille anni, i lineamenti marcati di Nathan lo rendevano ancora piacente. Aveva in comune con Richard le caratteristiche dei Rahl, incluse le sopracciglia da falco. I suoi occhi, però, erano di uno stupendo colore azzurro, mentre quelli di Richard erano grigi. Malgrado la sua età, il profeta procedeva con un incedere vigoroso e risoluto. La sua età, come quella di Nicci, era relativa solo a coloro che in quel tempo avevano vissuto fuori dall'incantesimo del Palazzo dei Profeti. Quelli all'interno del palazzo invecchiavano come chiunque altro, ma a un ritmo più lento rispetto a quello di coloro che vivevano al di fuori dell'incantesimo. Il tempo si muoveva in modo diverso lì dentro. Ora che il palazzo, che era stato la residenza delle Sorelle della Luce per migliaia di anni, era stato distrutto, Nathan, Ann, Nicci e tutti coloro che una volta avevano chiamato casa quel posto sarebbero invecchiati allo stesso ritmo di chiunque altro. Da quel che ricordava Nicci, il profeta aveva sempre indossato delle lunghe vesti quando viveva come prigioniero nei suoi appartamenti nel Palazzo dei Profeti. Come Sorella della Luce, le era stato richiesto di fargli visita per trascrivere tutto ciò che lui affermava essere una profezia. Nicci non aveva mai fatto per davvero delle considerazioni su quel compito; era solo uno fra i tanti che le venivano richiesti. Però c'erano Sorelle che non volevano andare da sole negli appartamenti di Nathan. Ora lui indossava pantaloni marroni e una camicia bianca di merletto sotto un gilet verde scuro. Il bordo della sua mantellina marrone si librava appena sopra il pavimento, turbinando attorno ai suoi stivali neri non appena si fu fermato. Così vestito, faceva una figura imponente. Nicci non riusciva a immaginare perché, ma al fianco portava una spada inguainata in un elegante fodero. Di rado i maghi avevano bisogno di spade. Essendo stato l'unico profeta conosciuto a palazzo nei secoli recenti, aveva sempre avuto un carattere imperscrutabile. Molte delle Sorelle erano solite credere che Nathan fosse pazzo. Molte lo temevano. Non era tanto Nathan a fornire loro una causa per le loro pau-
re, quanto la loro immaginazione che elaborava terrori coloriti che il solo vederlo sembrava confermare. Nicci non sapeva se molte delle Sorelle ora la pensassero diversamente, ma credeva che molte di loro fossero assai preoccupate dal fatto che non fosse più rinchiuso dietro potenti schermi. Per quanto alcune pensassero che era pressoché innocuo, seppure un po' strambo, molte delle Sorelle lo consideravano come l'uomo più pericoloso al mondo. Nicci era giunta a vederlo in modo diverso. Inoltre, in quel momento era lui il lord Rahl, in sostituzione di Richard. «Dov'è Verna?» chiese Nicci. «Ho bisogno di parlare anche con lei.» Fermandosi accanto a Nathan, Ann inclinò la testa indicando il vuoto corridoio dietro di sé. «Lei e Adie sono andate a un incontro col generale Trimack su questioni di sicurezza. Dato che si sta facendo tardi, ho detto a Berdine di far sapere loro che tu e Cara siete appena arrivate dal Mastio e che a breve ci riuniremo con loro nella sala da pranzo privata.» Nicci annuì. «Sembra una buona idea.» «Nel frattempo,» sollecitò Nathan «che notizie ci sono?» Nicci era ancora disorientata dal viaggio nella sliph. Era un'esperienza sconvolgente in cui il tempo sembrava perdere significato. Inoltre, essere nel Palazzo del Popolo non faceva che accrescere il suo disagio. L'intero palazzo esisteva all'interno di un incantesimo che amplificava il potere del lord Rahl. Allo stesso tempo, l'incantesimo diminuiva il potere di ogni altra persona dotata del dono. Nicci non era abituata a quella sensazione. La rendeva inquieta e nervosa. Anche essere nella sliph le ricordava Richard. Tutto le faceva pensare a lui. Sembrava che i suoi nervi fossero sempre tesi per la preoccupazione nei suoi confronti. Nicci impiegò un po' per concentrare la sua attenzione sulla questione mentre si sforzava di mettere da parte i suoi pensieri per Richard. Per quanto sembrasse improbabile, quest'uomo, non Richard, era il lord Rahl. Ann, l'ex priora, la sua ex carceriera, gli stava accanto in attesa di sentire la risposta alla sua domanda. «Temo che le notizie non siano molto buone» ammise Nicci. «Intendi riguardo a Richard?» chiese Ann. Nicci scosse la testa. «Non abbiamo ancora notizie su di lui.» Le sopracciglia di Nathan si incurvarono in un fare ancor più sospettoso. «Allora di quali notizie stai parlando?» Nicci trasse un profondo respiro. Le dava ancora una strana sensazione respirare aria dopo essere stata nella sliph. Malgrado avesse viaggiato nella
strana creatura prima, non pensava che si sarebbe mai abituata a inalare nei suoi polmoni la liquida essenza argentea che costituiva la sliph. Radunando mentalmente i suoi pensieri, guardò fuori, oltre la corta sezione del parapetto della balconata. Quella specifica parte del corridoio in cui erano formava un ponte su un complesso di vaste sale sottostanti. Al di sopra, attraverso l'apertura con la balconata, la luce del giorno avanzato inondava il palazzo attraverso i lucernari in alto. La corta balconata, fra partì piuttosto scure di corridoio che si estendevano in entrambe le direzioni, era quasi come una finestra per guardare dentro il Palazzo del Popolo. Nicci immaginò che, trattandosi di un'apertura piuttosto piccola, probabilmente serviva a fornire un punto di osservazione nascosto sulle sale sottostanti. Più in basso, le persone che riempivano i vari corridoi si affrettavano in ogni direzione. I loro movimenti sembravano decisi. Quasi tutte le panche erano vuote. Nicci non vedeva gente riunita a scambiare quattro chiacchiere come in passato. Era tempo di guerra: il Palazzo del Popolo era sotto assedio. La preoccupazione era la costante compagna di ognuno. Le guardie erano di pattuglia, controllando non solo ogni persona, ma ogni ombra. Cercando di decidere come riassumere le preoccupanti notizie, Nicci si fece passare le dita fra i capelli, scostandoli via dal volto. «Ricordate ciò che ci ha detto Richard su come la corruzione dei rintocchi, dovuta alla loro permanenza nel mondo della vita, stava causando il venir meno della magia?» Ann agitò la mano in un gesto come per allontanare la questione ed emise un sospiro, a quanto pare infastidita dal rivangare un vecchio argomento. «Ricordiamo. Ma non ritengo davvero che sia il nostro problema più urgente.» «Forse no,» disse Nicci «ma ha cominciato a causare guai davvero seri.» Nathan sollevò una mano, la punta delle sue dita che toccava la spalla di Ann, come per pregarla di lasciargli gestire la questione. «E come mai?» «Siamo stati costretti ad abbandonare il Mastio del Mago» gli disse Nicci. «Per il momento, almeno.» Le sopracciglia di Nathan si sollevarono. Mentre inclinava la testa verso di lei, alcune delle ciocche bianche ricaddero in avanti sulle sue ampie spalle. «Perché? Cos'è accaduto?» Nicci si lisciò la veste nera sui fianchi. «La magia del Mastio sta cominciando a indebolirsi.» «Come puoi dirlo?» domandò Ann.
«La strega, Sei, è penetrata nel Mastio» disse Nicci. «Gli allarmi non ci hanno avvertito. Molti degli schermi sono inattivi. È stata in grado di andare dove voleva senza che la fermassero.» Ann infilò di nuovo una ciocca sciolta di capelli grigi nella crocchia sulla sua nuca mentre rifletteva sulle parole di Nicci. «Non è necessariamente una prova sufficiente che la magia del Mastio si stia indebolendo,» disse infine «o che sia corrotta dai rintocchi e stia venendo meno. Non è facile dire a che punto possa giungere il talento di una donna come Sei. Solo perché c'è qualche genere di problema col Mastio, non c'è modo di saperne la causa, men che meno di attribuirla ai rintocchi. Con un posto tanto complicato quanto quello, è difficile sapere con certezza se la situazione è davvero così seria. Potrebbe essere semplicemente un temporaneo...» «Fuoriesce del sangue dalle mura di pietra del Mastio» la interruppe Nicci con un tono dal quale era chiaro che non voleva discuterne. Non le piaceva essere trattata come una novizia che aveva paura delle ombre la prima notte lontano da casa. Doveva procedere con altri argomenti. «Va ancora peggio nelle aree inferiori, nelle fondamenta.» Ann e Nathan si raddrizzarono. Ann aprì la bocca per dire qualcosa, ma Cara parlò per prima, apparentemente non avendo alcuna voglia di dibattere la questione come Nicci. «Il sangue che trasuda dalla pietra in vari punti del Mastio è tutto sangue umano.» Di nuovo, sia il profeta sia l'ex priora si fecero muti per la sorpresa. «Be'» disse infine Nathan grattandosi la mascella con un dito «questo di certo è serio.» Fece un gesto su per il corridoio. «Dove siete dirette?» «Cara e io dobbiamo uscire per vedere come sta progredendo la rampa di Jagang. Voglio anche dare un'occhiata all'esercito dell'Ordine e vedere se riesco a capire in che condizioni è. Spero che il piano di Richard funzioni e che le truppe del D'Hara mandate nel Vecchio Mondo saranno in grado di tagliare le linee di rifornimento. Se ci riescono, Jagang avrà un problema. Se tutti quegli uomini laggiù non ricevono approvvigionamenti, non possono starsene a sedere lì per tutto l'inverno. Moriranno di fame. Penso che possa diventare una corsa contro il tempo fra il completamento della rampa e l'esaurimento delle scorte.» Nathan annuì mentre superava Nicci e Cara. «Andiamo, allora. Verremo con voi e potrete raccontarci del vostro incontro con questa strega.» Nicci rimase ferma e non seguì il profeta. «Ha preso la scatola dell'Or-
den.» Nathan si voltò e la fissò. «Cosa?» «Ha rubato la scatola dell'Orden in nostro possesso. Quella che il compagno della strega, Samuel, aveva sottratto a Sorella Tovi e di cui Rachel era in seguito riuscita a impadronirsi per poi portarcela. Pensavamo che fosse al sicuro nel Mastio. Non è stato così.» «Non c'è più?» Ann afferrò la manica di Nicci. «Avete qualche idea su dove l'abbia portata?» «Temo di no» disse Nicci. «Speravo che voi due poteste darci qualche traccia sulla strega. Dobbiamo trovarla. Tutto ciò che potete dirmi su di lei, non importa quanto insignificante, potrebbe essere d'aiuto. Dobbiamo riprendere quella scatola.» «Almeno Nicci è riuscita a mettere in campo il potere dell'Orden prima che la scatola venisse rubata» disse Cara. Nathan e Ann non avrebbero potuto sembrare più sbalorditi. «Lei ha fatto cosa?» sussurrò Nathan, in apparenza incapace di distogliere lo sguardo da Cara, come se sperasse di aver sentito male o, in caso contrario, che lei potesse ripensare a ciò che aveva detto e ritirare l'affermazione. «Nicci ha messo in campo il potere dell'Orden» ripeté Cara. A Nicci parve che la Mord-Sith suonasse un po' orgogliosa dell'impresa, orgogliosa di Nicci. «Sei impazzita!» tuonò Ann girandosi verso Nicci, il suo volto che si faceva scarlatto. «Hai nominato te stessa come responsabile del potere dell'Orden!» «No, non è andata proprio così» disse Cara, attirando ancora una volta l'attenzione del profeta e della ex priora. «Hai nominato Richard come responsabile.» Cara sorrise appena un poco, come lieta di dimostrare che Nicci era migliore di quanto Nathan e Ann sembravano pensare. Da parte loro, Nathan e Ann rimasero sbigottiti. Per quanto fosse stata davvero un'impresa, Nicci non provava alcun orgoglio per aver fatto una cosa del genere: vi era stata spinta dalla disperazione. Lì in piedi nel corridoio del vasto complesso del Palazzo del Popolo, gravemente conscia degli strati di problemi interdipendenti che stavano affrontando, Nicci all'improvviso si sentì spossata in modo opprimente e fu come se il suo potere venisse risucchiato dall'incantesimo attorno al Palaz-
zo del Popolo. Oltre ai recenti avvenimenti, la spossatezza stava cominciando a farsi sentire. C'era così tanto da fare e così poco tempo. Peggio ancora, solo lei aveva le conoscenze o le capacità necessarie per affrontare molti dei problemi che avevano di fronte. Chi se non lei aveva la possibilità di insegnare a Richard l'uso della Magia Detrattiva che era necessaria per aprire le scatole dell'Orden? Non c'era nessun altro. Nicci sentì il terribile onere di quella responsabilità. C'erano momenti in cui l'enormità delle battaglie che stavano affrontando si stagliava davanti a lei con nitida chiarezza. Talvolta, quando ciò accadeva, il suo coraggio vacillava. Alle volte temeva di star solo illudendo sé stessa di poter davvero risolvere i problemi colossali che si paravano loro davanti. Si ricordò di come, ancora ragazzina, sua madre l'aveva costretta a uscire con del pane per nutrire i poveri e, più tardi, di come Fratello Narev della Fratellanza dell'Ordine aveva preteso che lavorasse senza posa per servire le interminabili necessità della gente. A dispetto di quanto si sforzasse di risolvere i problemi di tutti i bisognosi, le difficoltà non sembravano che crescere, superando la sua capacità di soddisfarle, legandola in modo ancora più stretto al servizio delle crescenti schiere di indigenti. Le era stato insegnato che, dato che ne aveva la capacità, era suo dovere ignorare le proprie esigenze e necessità, e sacrificare la vita per le esigenze e necessità degli altri. La loro incapacità o la loro riluttanza li rendeva i suoi padroni. In quei momenti, quando pensava che i suoi problemi attuali fossero insormontabili, si sentiva ancora come da bambina, come una schiava delle richieste altrui. In quei momenti bui in cui dubitava di sé stessa, si chiedeva se sarebbe mai riuscita a scrollarsi di dosso il manto che lo stesso Jagang le aveva posto sulle spalle quando l'aveva nominata Schiava Regina. Non aveva avuto idea di quanto fosse appropriato quel titolo. In un certo sento, era come si sentiva talvolta in quella lotta. Pur sapendo che la causa era giusta, sembrava tuttavia disperato pensare che potessero vincere superando tanti ostacoli che cercavano di spazzarli via. Alle volte, di fronte a ciò che pareva insostenibile, Nicci non voleva fare altro che sedersi e arrendersi. In occasione di alcune confidenze in passato, Richard aveva confessato di aver avuto i suoi stessi dubbi interiori, tuttavia lei aveva visto quanto questo l'aveva rafforzato ad andare avanti. Quando Nicci si sentiva scoraggiata, pensava a Richard, alla sua ostinazione, e ancora una volta si rialzava in piedi per la sola ragione di renderlo fiero di lei.
Credeva e combatteva per la loro causa, ma Richard ne era l'incarnazione. Avevano bisogno di lui. Non sapeva come potevano trovarlo o, se ci fossero riusciti, come potevano riportarlo indietro. Sempre che fosse ancora vivo. Ma la possibilità che Richard fosse morto era un pensiero che rifiutava di contemplare, perciò scartò immediatamente l'idea stessa. Ann afferrò il braccio di Nicci in una presa solida, distogliendola dai suoi oscuri pensieri. «Hai messo in campo le scatole dell'Ordine e hai nominato Richard come responsabile?» Nicci non era dell'umore di affrontare la denuncia contenuta nella domanda retorica, di ripetere la stessa discussione che aveva avuto con Zedd. «Proprio così. Non avevo scelta. All'inizio Zedd ha avuto la vostra stessa reazione quando gli ho spiegato tutto quanto, perché dovevo fare ciò che ho fatto, e una volta calmato, è giunto a capire che non c'era davvero altro modo.» «E chi sei tu per decidere una cosa del genere?» domandò Ann. Nicci scelse di non alzare la voce a quell'insulto e invece la mantenne su un tono che, pur non deferente, era perlomeno civile. «Tu stessa hai detto che Richard è colui che deve guidarci in questa battaglia. Tu e Nathan avete atteso quasi cinquecento anni che Richard nascesse e avete operato in modo da assicurarvi che ci potesse guidare. Voi stessi avete fatto in modo che avesse Il libro delle ombre importanti per poter combattere questa battaglia. Sembra che voi abbiate deciso un bel po' di cose per lui prima che arrivassi io. «Le Sorelle dell'Oscurità hanno già messo l'Orden in campo. Non c'è bisogno che vi dica qual è il loro obiettivo. Ciò rende questo lo scontro finale, la battaglia per la vita stessa. Richard è colui che deve guidarci. Per farcela deve avere la capacità di combatterle. Voi gli avete dato un semplice libro. Io gli ho dato il potere, l'arma di cui ha bisogno per vincere.» Nathan posò una grossa mano sulla spalla di Ann. «Forse Nicci ha ragione.» Ann alzò lo sguardo verso il profeta. Si calmò visibilmente mentre rifletteva sulle sue parole. Quando viveva al Palazzo dei Profeti, Nicci non si sarebbe mai aspettata che proprio il profeta, fra tutti, potesse riportare alla ragione l'ex priora. Pochi a palazzo pensavano che Nathan avesse la capacità di ragionare. «Be', quel che fatto è fatto» disse Ann, la sua voce notevolmente più
calma. «Dobbiamo riflettere sulle prossime mosse.» «E Zedd?» chiese Nathan. «Ha qualche idea per aiutare Richard?» Nicci cercò di impedire alla sua voce e alla sua espressione di tradire il suo grado di preoccupazione. «Dato che Zedd crede che degli incantesimi lanciati nelle caverne sacre di Tamarang siano la causa che impedisce a Richard di usare il suo dono, lui, Tom e Rikka sono diretti lì. Sperano di poter aiutare Richard trovando un modo per eliminare l'incantesimo che lo sta privando del suo dono.» «Da come lo dici suona semplice» disse Nathan mentre rifletteva sul problema. «Una cosa del genere sarà tutt'altro che facile.» Nicci sollevò un sopracciglio. «Dubito che starsene lì a sperare in una soluzione possa funzionare di più.» Nathan grugnì in assenso. «E il Mastio?» Nicci si voltò e rivolse lo sguardo giù per il corridoio, parlandogli senza guardarlo. «Dopo che Cara e io ci siamo allontanate nella sliph, prima di partire per Tamarang, Zedd aveva intenzione di usare un incantesimo per chiudere il Mastio.» «E gli altri? Chase, Rachel e Jebra?» chiese Nathan. «Jebra è scomparsa un po' di tempo fa. Zedd pensa che sia possibile che abbia ripreso conoscenza e, per via di tutto ciò che ha passato, sia semplicemente scappata.» «Oppure la strega sta ancora influenzando la sua mente» ipotizzò Nathan. Nicci ribatté: «Anche questo è possibile. Non lo sappiamo e basta. Anche Rachel è scomparsa, proprio l'altra notte, quella prima che Sei arrivasse. Chase è andato a cercarla.» Nathan scosse il capo per la frustrazione. «Odio essere bloccato qui con tutto quello che sta succedendo.» «Zedd voleva che voi due sapeste del problema con la magia del Mastio» proseguì Nicci. «Ha detto che le difese che proteggono il Palazzo del Popolo potrebbero essere simili a quelle del Mastio, perciò voleva che foste al corrente del problema. Non si può dire come la contaminazione dei rintocchi influisca sulla magia, se ostacoli tutti i poteri simili o se agisca in funzione del posto, nel caso la corruzione possa essere confinata a una zona specifica.» «Dopo che avremo finito qui,» si inserì Cara «Nicci e io viaggeremo nella sliph, giù verso la zona di Tamarang, per aiutare Zedd a far sì che
lord Rahl riacquisti i poteri. Poi andremo in cerca di lui.» Nathan non obiettò che al momento era lui a detenere il titolo di lord Rahl. Lui più di tutti sapeva che Richard era colui che la profezia aveva designato per guidarli. Dopo tutto era stato Nathan che in origine aveva rivelato che la profezia diceva che avevano una possibilità contro la tempesta in arrivo solo se Richard li avesse guidati. Il piano di Cara di andare 'in cerca di lord Rahl' era una novità per Nicci. Se avessero saputo dov'era Richard, Nicci si sarebbe già diretta lì. Mentre Nicci continuava a rispondere al costante flusso di domande di Ann, Nathan li condusse attraverso vari corridoi piuttosto disadorni finché non giunsero a uno con al termine una pesante porta di quercia. Mentre Nathan apriva loro la porta, entrò dell'aria fredda. Un cielo rosso come il sangue accolse Nicci mentre usciva su una piattaforma molto in alto sul bastione esterno. «Dolci spiriti» sussurrò fra sé. «Ogni volta che la vedo è uno shock tremendo.» Nathan si intrufolò accanto a lei. C'era spazio solo per due persone su quella che all'apparenza era una piattaforma di osservazione. Ann e Cara guardarono dall'interno della porta. L'altezza era tale da dare le vertigini. Nicci afferrò la ringhiera di ferro mentre si sporgeva un poco, scrutando oltre il bordo. Poteva vedere oltre il margine del muro esterno e dell'altopiano stesso, fin giù per la piana di Azrith. Il terreno immediatamente attorno all'altopiano era deserto. L'Ordine Imperiale si era accampato a una certa distanza, senza dubbio per non attirare alcuna sgradevole attenzione da parte delle persone dotate del dono nel palazzo prima che fosse assolutamente necessario. Anche se L'Ordine Imperiale aveva le Sorelle e anche diversi giovani maghi che potevano schermarli da qualunque magia provenisse dall'alto, Jagang voleva tenerli come riserva, in salute, forti e vivi finché non avesse cominciato il suo attacco finale. Dense nubi rosse incombevano sulla piana distante, resa nera dall'esercito invasore. Si estendeva fino all'orizzonte in ogni direzione. Nicci si sfregò le spalle per il freddo che sentiva dentro. Anche se a questa distanza era difficile distinguere molti dettagli, lei sapeva com'era stare fra uomini del genere. Lo sapeva fin troppo bene. Sapeva fin troppo bene com'erano gli ufficiali. E anche com'era il loro condottiero. Pensare di essere fra quegli uomini faceva accapponare la pelle a Nicci. Quando aveva servito con quell'esercito, non si era soffermata molto a
considerare quanto fosse squallido non solo fisicamente ma anche spiritualmente. Come Schiava Regina lo aveva ignorato di proposito. Aveva creduto che bruti come Jagang e i suoi uomini fossero necessari per imporre ideali superiori all'umanità. Benevolenza applicata tramite la brutalità. Ripensandoci, quasi non riusciva a credere a quanto fossero contraddittorie quelle convinzioni e al fatto che lei le aveva accettate senza alcun dubbio. Non solo accettate, ma aiutato a imporle. Era stata così efficace nel far applicare il volere dell'Ordine che era divenuta nota come l'Amante della Morte. Non riusciva a credere come Richard avesse potuto tollerarla. Ovviamente, lei non gli aveva dato molta scelta. Sentì le lacrime agli occhi al ricordo di quando aveva cercato di costringere Richard a unirsi a lei al servizio della loro spregevole causa e a come, invece, lui le aveva mostrato qualcosa di nobile. Represse un singhiozzo al pensiero di quanto le mancava lui e la luce nei suoi occhi. La vista sottostante fece sembrare il silenzio sulla piattaforma ancora più tetro. Quegli individui, milioni di uomini sparsi per la piana, erano tutti lì per un unico scopo: uccidere chiunque nel Palazzo del Popolo, chiunque si opponesse al dominio dell'Ordine. Era l'ultimo ostacolo all'imposizione dei loro dettami su tutta l'umanità. Nicci fissò la rampa che si innalzava in lontananza. Era più grande dell'ultima volta che l'aveva vista. Oltre la rampa poteva appena distinguere squarci nel terreno dove veniva estratto il materiale per la rampa. Il pendio in cima mirava in linea retta alla sommità dell'altopiano. Anche se si stava facendo buio, c'erano file serpeggianti di uomini che portavano terra e roccia sul sito della costruzione. Se qualcuno le avesse descritto una tale impresa, dubitava che l'avrebbe reputata possibile, ma vederla era diverso. Osservarla la riempiva di terrore. Era solo questione di tempo prima che la rampa venisse completata e il nero mare dell'Ordine Imperiale si riversasse lassù per assaltare il palazzo. Stando sul bordo della piattaforma, si strinse nelle spalle, sapeva che stava guardando qualcosa di più di un tenebroso esercito. Nicci si rendeva conto di star contemplando un migliaio d'anni di oscurità. Essendo stata una Sorella dell'Oscurità ed essendo stata cresciuta secondo gli insegnamenti della Fratellanza dell'Ordine, sapeva, forse meglio di chiunque altro, quanto la minaccia fosse reale. Sapeva con quanta veemenza i seguaci dell'Ordine credevano nella loro causa. La loro fede li definiva. Erano anche disposti a morire per essa. Dopo tutto, la morte era il loro
obiettivo: gli era stata promessa la gloria nell'aldilà. Credevano che questa vita fosse solo una prova, un mezzo per ottenere l'accesso alla vita eterna. Se l'Ordine chiedeva loro di morire, allora sarebbero morti. Se l'Ordine chiedeva loro di uccidere i miscredenti, allora avrebbero fatto del mondo un mare di sangue. Nicci comprendeva con precisione cosa avrebbe significato per tutti se l'Ordine avesse vinto quella guerra. Non era l'esercito che avrebbe portato quei mille anni di oscurità, ma le idee che lo avevano generato. Quelle idee avrebbero gettato il mondo in un incubo vivente. «Nicci, c'è qualcosa che devi sapere» disse Nathan, rompendo lo scomodo silenzio. Lei incrociò le braccia e lanciò un'occhiata al profeta. «Di cosa si tratta, Nathan?» «Abbiamo studiato libri di profezie qui al Palazzo del Popolo. Proprio come tutti i libri di profezie ovunque, l'incantesimo della Catena di fuoco ha provocato la sparizione di parti di quei libri, pezzi che a quanto pare riguardavano Kahlan. Ma ci sono ancora informazioni utili che non sono ancora state toccate dalla Catena di fuoco. Alcuni di quei libri mi sono nuovi. Mi hanno aiutato a mettere in relazione cose di cui avevo letto in passato. Adesso riesco a vedere il quadro più ampio.» Poiché l'incantesimo della Catena di fuoco aveva cancellato buona parte dei loro ricordi, lei non sapeva come il profeta potesse essere consapevole di star vedendo davvero il quadro più ampio - o se lo stava vedendo lei. Invece di dirlo, Nicci attese in silenzio, il vento freddo che le scompigliava i capelli, osservando Nathan guardare lontano per fissare le forze sparse per la piana di Azrith sotto di loro. «C'è un punto nelle profezie, una radice focale che conduce a una biforcazione determinante» disse lui infine. «Oltre quella biforcazione, lungo una delle sue diramazioni, c'è un punto che le profezie chiamano il Grande Vuoto.» Nicci si accigliò, persa nei suoi pensieri. C'era sempre stato un gran numero di congetture riguardanti quella parte di profezie. «Ne ho sentito parlare. Sai finalmente cosa significa?» «Una delle due diramazioni dopo quella biforcazione cruciale conduce ad aree che hanno ancora altri rami, propaggini e diramazioni più avanti.» Nathan fece un movimento sbrigativo col polso, come a indicare cose invisibili a tutti tranne a lui. «Ci sono alcuni libri di profezie che, per quanto sono riuscito ad accertare, riguardano questioni posizionate più avanti su
quella diramazione. Sono sicuro che una ricerca intensiva ne potrebbe rivelare altre. Perciò si può dire che lungo quella biforcazione si trova il mondo come lo conosciamo.» Diede dei colpetti col palmo di una mano sulla ringhiera mentre raccoglieva i suoi pensieri. «Sull'altra diramazione di quella radice profetica si trova solo il Grande Vuoto. Non ci sono libri di profezie per ciò che viene dopo. Questa è la ragione per cui viene chiamato il Grande Vuoto. Si può dire che non ci sia nulla da vedere su quella diramazione della profezia: nessuna magia, nessun mondo come lo conosciamo e perciò nessuna profezia a mostrarcelo!» Le lanciò una breve occhiata. «Questo è il mondo che l'Ordine Imperiale vuole. Se ci portano lungo quella diramazione, l'umanità precipiterà per sempre nell'ignoto del Grande Vuoto, un posto senza magia e pertanto senza profezia. «Alcuni dei miei predecessori hanno ipotizzato che, non essendoci alcuna profezia per ciò che c'è dopo, può solo significare che il Grande Vuoto predice la fine di tutto, la fine di ogni vita.» Nicci non riusciva a trovare le parole. Non pensava che ci sarebbe stato niente di diverso dall'oscurità se l'Ordine avesse vinto, perciò quelle notizie per lei non erano poi così sorprendenti. «Dai libri che ho studiato, dalle informazioni che mi hanno dato e dagli ultimi eventi, sono stato in grado di stabilire la nostra posizione sulla cronologia di questa radice profetica.» Lo sguardo di Nicci guizzò verso il mago. «Ne sei sicuro?» Nathan indicò l'esercito sottostante. «Il fatto che l'esercito di Jagang sia qui e ci circondi è il primo di una serie di eventi che mi conferma che siamo sulla radice focale che ci porta verso quella fatidica biforcazione. «È da secoli che so dell'esistenza del Grande Vuoto nelle profezie, ma non sapevo se fosse rilevante, perché non ero mai stato certo di dove si situasse di preciso nella cronologia delle profezie. Per quanto ne sapevo, era sempre possibile che potessimo finire su un ramo del tutto diverso dell'albero della profezia e non mettere mai piedi nell'area che conteneva quella particolare radice focale col Grande Vuoto. «C'era sempre la possibilità che il Grande Vuoto si rivelasse situato da qualche parte oltre una qualsiasi delle centinaia di false biforcazioni, lungo un ramo morto dell'albero della profezia. Molto tempo fa, appena cominciai a studiarlo, mi era sembrato che si sarebbe dimostrato nient'altro che una falsa profezia, che sarebbe infine rimasta a prendere polvere assieme a
tanti altri rami morti dei possibili eventi che non si sarebbero mai verificati. «Lentamente, però, gli avvenimenti ci hanno portato in maniera inesorabile verso dove ci troviamo oggi. Ora sono sicuro che siamo su quella linea principale della profezia, su quel particolare ramo, su quella radice focale, in procinto di incontrare la biforcazione determinante. «Tu» disse Nathan a Nicci «ci hai posto irrevocabilmente qui mettendo in campo il potere dell'Orden in nome di Richard. Le scatole dell'Orden erano lo snodo finale nella radice profetica. «L'umanità non ha altra possibilità se non affrontare quella biforcazione.» 17 Cara cacciò la testa fuori dalla porta quanto bastava perché il vento che saliva su per le mura del palazzo le facesse svolazzare la treccia bionda. «Intendi dire che se Richard ci porta lungo una di quelle due diramazioni sopravviveremo, ma se non lo fa e noi prendiamo l'altra...» «C'è solo il Grande Vuoto» terminò Nathan per lei. Si voltò di nuovo verso Nicci, appoggiandole una mano sulla spalla. «Capisci l'importanza di quello che ti sto dicendo?» «Nathan, posso non sapere tutto quello che la profezia ha detto al riguardo, ma di certo so cosa c'è in gioco. Dopo tutto le scatole dell'Orden erano state messe in campo dalle Sorelle dell'Oscurità. Nel caso vincessero loro, non vedo alcun esito tranne la fine di tutto ciò che c'è di buono. Per come la vedo io, Richard è l'unico che ha una possibilità di impedire che questo accada.» «Proprio così» disse Nathan con un sospiro. «Ecco perché Ann e io abbiamo atteso cinquecento anni che Richard venisse al mondo. Era il predestinato a superare le biforcazioni che ci avrebbero condotto attraverso un pericoloso groviglio di snodi celati all'interno della profezia. Se ci fosse riuscito, come finora ha fatto, allora sarebbe stato lui a doverci guidare in questo scontro finale. È da lungo tempo che non abbiamo notizie.» Nathan si sfregò un dito lungo la tempia. «Abbiamo sempre ritenuto che le scatole dell'Orden fossero lo snodo finale sul quale questa radice focale si biforca.» Nicci si accigliò mentre le sue parole attecchivano. All'improvviso comprese.
«Ecco dove avevate commesso l'errore, prima» disse, quasi a sé stessa. Ann si sporse dalla porta un poco, stringendo gli occhi. «Cosa?» «Stavate seguendo la radice sbagliata nella profezia» disse Nicci, mentre parti dell'enigma stavano ancora combaciando nella sua mente. «Eravate consci dell'importanza delle scatole dell'Orden, ma la vostra cronologia era confusa e, come risultato, avete finito per seguire una falsa biforcazione. Avete pensato erroneamente che fosse stato Darken Rahl, usando le scatole dell'Orden, ad aver creato lo snodo terminale. Pensavate che sarebbe stato Darken Rahl a condurci nel Grande Vuoto.» Comprendendo la gravità dell'errore, Nicci si voltò per fissare l'ex priora. «Pensavate di dover preparare Richard per affrontare quella minaccia, credendo che si trattasse di questa biforcazione della profezia, quella davanti a cui ci ritroviamo ora, perciò avete rubato Il libro delle ombre importanti e l'avete dato a George Cypher, affinché Richard lo ottenesse una volta cresciuto. Pensavate che Darken Rahl fosse lo scontro finale, la radice terminale nella profezia. Volevate che Richard combattesse Darken Rahl. Pensavate di dargli gli strumenti che gli servivano per combattere lo scontro finale. «Ma avete preso per errore una svolta sbagliata: siete finiti su un ramo morto della profezia e non ve ne siete resi conto. Lo stavate preparando per la battaglia sbagliata. Pensavate di aiutarlo, ma avete frainteso e alla fine il vostro errore di giudizio ha solo finito per far sì che Richard provocasse l'abbattimento della grande barriera, il che ha permesso a Jagang di diventare la minaccia preannunciata fin dall'inizio. Per causa vostra, le Sorelle dell'Oscurità sono state infine in grado di mettere le mani sulle scatole dell'Orden. Per causa vostra, il Guardiano del mondo sotterraneo fa compiere loro i suoi voleri. Senza ciò che avete fatto, nulla di questo sarebbe stato possibile.» Nicci guardò di sottecchi l'ex priora mentre realizzavano la portata delle loro azioni. Quella comprensione le fece accapponare la pelle. «Voi avete involontariamente provocato tutto questo. Avete provato a usare la profezia per sventare un disastro e invece siete serviti solo a far sì che si realizzasse. La vostra decisione di interferire è ciò che ha reso possibile il disastro.» Il volto di Ann si contorse in un'espressione amara. «Anche se può sembrare che...» «Tutto quel lavoro, quella pianificazione, quell'attesa per secoli, e avete mandato all'aria tutto.» Nicci si scostò dal volto i capelli sferzati dal vento.
«A quanto pare, ero io quella di cui la profezia aveva bisogno, per via di ciò che avete fatto.» Nathan si schiarì la voce. «Be', questa è una semplificazione piuttosto esagerata e per certi versi fuorviante, ma devo ammettere che non è del tutto inesatta.» All'improvviso Nicci vide la Priora, una donna che aveva sempre reputato quasi infallibile, una donna sempre pronta ad additare gli errori più minuscoli commessi da altri, sotto una nuova luce. «Avete fatto un errore. Avete sbagliato tutto. «Mentre lavoravate per assicurare che Richard potesse ricoprire il suo ruolo come elemento cardine in grado di salvarci, avete finito per essere il fattore chiave che potrebbe potenzialmente condurci tutti alla distruzione.» «Se non avessimo...» «Sì, abbiamo fatto degli errori» disse Nathan, interrompendo Ann prima ancora che potesse cominciare. «Ma a me sembra che tutti li commettano. Dopo tutto, eccoti qui, una donna che ha combattuto tutta la propria vita per gli ideali dell'Ordine, per poi giungere a diventare una Sorella dell'Oscurità. Dovrei forse non tenere in alcun conto tutto ciò che fai e dici ora solo perché hai commesso degli errori in passato? Vuoi confutare tutto ciò che abbiamo appreso e siamo stati in grado di realizzare sulla base del fatto che ci sono state delle volte in cui abbiamo fatto degli sbagli? «Potrebbe anche darsi che i nostri errori non fossero veri errori, quanto piuttosto uno strumento della profezia, una parte di un disegno più ampio, poiché per tutto il tempo tu eri quella predestinata a stare vicino a Richard per aiutarlo. Forse è stato ciò che abbiamo fatto a consentirti di avvicinarti abbastanza a lui da rivestire un ruolo tanto vitale, un ruolo che solo tu saresti stata in grado di ricoprire. «Il libero arbitrio è una variabile nella profezia» disse Ann. «Senza di esso, senza tutto ciò che è accaduto per via degli avvenimenti che Richard ha fatto andare al loro posto, dove saresti tu? Cosa saresti se non avessimo agito quando l'abbiamo fatto? Dove saresti se non avessi mai incontrato Richard?» Nicci non voleva considerare una possibilità del genere. «Quanti altri come te potrebbero venire salvati, alla fine, perché gli eventi si sono svolti in questo modo,» aggiunse la Priora «piuttosto che se questo non fosse mai accaduto?» «Potrebbe anche darsi» disse Nathan «che, se non avessimo fatto ciò che abbiamo fatto, per ragioni giuste o sbagliate, la profezia avrebbe sempli-
cemente trovato un altro modo per ottenere proprio gli stessi risultati. È possibile, dal modo in cui questi snodi si intrecciano, che quello che sta accadendo ora, in un modo o nell'altro, dovesse comunque accadere.» «Come l'acqua che si infiltra?» chiese Cara. «Precisamente» disse Nathan, sorridendo orgoglioso dell'efficacia del suo paragone. «La profezia può ricomporsi fino a un certo punto. Possiamo pensare di comprendere i dettagli, ma in realtà possiamo non essere in grado di vedere la totalità degli eventi su larga scala, cosicché quando ci prendiamo l'onere di interferire, la profezia deve trovare altre radici per nutrire l'albero, per non morire. «Per certi versi, dato che la profezia può ricomporsi, ogni tentativo di influenzare gli eventi in definitiva è inutile. E nonostante ciò, allo stesso tempo, la profezia è fatta per essere usata, per spronare all'azione, altrimenti quale sarebbe il suo scopo? Ogni interferenza negli eventi, però, è pericolosa. Il trucco è sapere quando e dove agire. È una disciplina imprecisa, perfino per un profeta.» «Forse perché siamo così dolorosamente consci dei nostri stessi errori dettati da buone intenzioni,» disse Ann «puoi capire il nostro turbamento per il fatto che tu ti sia sobbarcata l'onere di compiere una scelta del genere per Richard, una figura centrale nella profezia, tanto da nominarlo responsabile del potere dell'Orden... Noi conosciamo la portata del danno che può risultare dall'interferenza con questioni anche relativamente meno importanti nella profezia. Le scatole dell'Orden sono uno snodo determinante: è proprio l'opposto di un elemento minore all'interno della profezia.» Non era quella l'intenzione di Nicci. Non aveva mai pensato a sé stessa come infallibile: in realtà era il contrario. Per tutta la sua vita si era sentita inferiore, se non del tutto malvagia. Sua madre, Fratello Narev e, più tardi, l'imperatore Jagang, gliel'avevano sempre detto, inculcandole costantemente un senso di inadeguatezza. È solo che era stato sorprendente apprendere che la Priora poteva essere così... umana. Nicci abbassò lo sguardo. «Non intendevo metterla in questo modo. È solo che non avevo mai pensato che poteste commettere degli errori. «Per quanto non sia d'accordo sulla tua descrizione di eventi che hanno abbracciato cinque secoli e innumerevoli anni di lavoro e fatica,» disse Ann «temo che tutti commettiamo degli sbagli. Una delle cose che definiscono il nostro carattere è il modo in cui affrontiamo i nostri errori. Se neghiamo di aver commesso uno sbaglio, non può essere corretto e può peggiorare. D'altro canto, se ci arrendiamo solo per aver fatto un errore, per
quanto grosso, nessuno di noi andrebbe lontano nella vita. «Stando alla tua versione della nostra interazione con la profezia, ci sono molti fattori di cui non hai tenuto conto, per non parlare di quegli elementi di cui non sei a conoscenza. Tu stai mettendo in relazione avvenimenti in modi che sono semplicistici, se non del tutto inaccurati. Le congetture fatte sulla base di quelle relazioni saltano a piè pari le circostanze di intervento.» Mentre Nathan si schiariva la gola, Ann proseguì: «Questo non significa, comunque, che a volte non abbiamo compiuto valutazioni erronee. Abbiamo commesso degli sbagli. Alcuni comprendono eventi che tu hai appena indicato. Stiamo cercando di correggerli.» «Dunque,» chiese Cara, in modo piuttosto impaziente «questa profezia di nessuna profezia, il Grande Vuoto? Voi affermate che dobbiamo assicurarci che lord Rahl combatta lo scontro finale perché la profezia dice che deve; ciò nonostante, allo stesso tempo parte dice che quella stessa profezia non esiste? Questo non ha senso: per ammissione della stessa profezia, una sua parte è mancante.» Ann fece una smorfia. «Ora perfino le Mord-Sith sono diventate esperte di tale argomento?» Nathan lanciò uno sguardo di sbieco verso Cara. «Non è così facile comprendere il contesto di come gli eventi si relazionano alla profezia. Profezia e libero arbitrio, vedi, esistono in tensione, in contrapposizione. Tuttavia interagiscono. La profezia è magia e tutta la magia ha bisogno di equilibrio. L'equilibrio per la profezia, quello che le consente di esistere, è il libero arbitrio.» «Oh, questo sì che ha molto senso» criticò Cara dalla porta. «Se ciò che dici è vero, questo significa che si cancellerebbero a vicenda.» Il profeta sollevò un dito. «Ah, ma non è così. Sono interdipendenti e tuttavia antitetici. Proprio come la Magia Aggiuntiva e Detrattiva sono forze opposte, esistono entrambi. Servono a equilibrarsi a vicenda. Creazione e distruzione, vita e morte. La magia deve avere l'equilibrio per funzionare. Lo stesso vale per la magia della profezia. Funziona grazie alla presenza del suo contraltare: il libero arbitrio. Questa è una delle maggiori difficoltà che abbiamo incontrato in tutta la questione: comprendere l'interazione fra profezia e libero arbitrio.» Il naso di Cara si arricciò. «Sei un profeta e credi nel libero arbitrio? Questo sì che non ha senso.» «La morte invalida forse la vita? No, la definisce, e nel fare ciò ne crea il
valore.» Cara non sembrava molto convinta. «Non capisco come il libero arbitrio possa perfino esistere all'interno della profezia.» Nathan scrollò le spalle. «Richard ne è l'esempio perfetto. Ignora la profezia e la riequilibra allo stesso tempo.» «Ignora anche me, e quando lo fa si caccia sempre nei guai.» «Abbiamo qualcosa in comune» disse Ann. Cara emise un sospiro. «Comunque sia, Nicci ha capito bene. E io non penso che sia stata la profezia, ma il suo libero arbitrio che l'ha portata a ragionare e fare la cosa giusta. Ecco perché lord Rahl si fida di lei.» «Non sono in disaccordo» disse Nathan con una scrollata di spalle. «Per quanto ciò mi renda nervoso, a volte dobbiamo lasciare che Richard faccia ciò che ritiene sia opportuno. Forse in definitiva è ciò che ha fatto Nicci: gli ha dato gli strumenti per poter esercitare davvero il suo libero arbitrio.» Nicci in realtà non stava più ascoltando. La sua mente era altrove. Si voltò all'improvviso verso Nathan. «Devo vedere la tomba di Panis Rahl. Penso di sapere perché sta fondendo.» In lontananza, il rombo di un ruggito giunse dal centro dell'oscurità, attirando la loro attenzione. Cara allungò il collo per vedere. «Che succede?» Nicci fece spaziare lo sguardo sul mare di uomini. «Stanno esultando per una partita di Ja'La. Jagang usa il Ja'La dh Jin come una distrazione, sia per la gente nel Vecchio Mondo, sia per il suo esercito. Le regole usate nelle partite per l'esercito sono un po' più brutali, però. Appaga la sete di sangue dei suoi soldati.» Nicci si ricordò della passione di Jagang per il Ja'La. Era un uomo che capiva come controllare e indirizzare le emozioni della sua gente. Li distraeva dal quotidiano squallore delle loro vite incolpando di ogni loro banale problema coloro che rifiutavano di aver fede nell'Ordine, ultimi dei quali erano i pagani del nord. Quella distrazione impediva che le persone mettessero in discussione gli insegnamenti dell'Ordine, dato che attribuivano a coloro che ne dubitavano la colpa di tutti i loro problemi. Nicci lo sapeva perché era la stessa cosa che aveva fatto lei come Amante della Morte. Ogni sofferenza veniva attribuita agli egoisti. Chiunque metteva in discussione questo veniva bollato come egoista. Jagang aveva ottenuto un diffuso trasporto per la guerra facendo crescere l'odio per un immaginario oppressore colpevole di causare ogni proble-
ma con cui la gente doveva convivere ogni giorno. La responsabilità personale veniva abbandonata in favore della pratica di attribuire ad altri la colpa per tutte le sofferenze, e di queste venivano accusati gli avidi, che non facevano la loro parte. In tal modo, le loro difficoltà quotidiane erano un costante promemoria del nemico che credevano causasse quei problemi. Le richieste che venivano fatte a Jagang di distruggere i pagani, che la gente del Vecchio Mondo riteneva causa di tutti i loro guai, giovavano ai suoi fini. Inoltre aveva anche bisogno di distruggere un popolo libero e prospero, poiché la sua stessa esistenza smentiva i dettami e gli insegnamenti dell'Ordine. Era la verità che rischiava di minacciare il suo dominio. La distrazione di incolpare altri per la sofferenza della gente costituiva un circolo chiuso, dandogli i mezzi per distogliere la loro attenzione e far sì che il popolo stesso gli chiedesse di andare a combattere quella battaglia contro il male. Chi poteva lamentarsi dei costi e dei sacrifici di una guerra che essi stessi avevano richiesto? Anche il Ja'La era una distrazione che serviva ai suoi scopi. Nelle città, le partite, per certi versi più civilizzate, erano un punto focale che incanalava le emozioni e l'energia della popolazione in eventi quasi senza senso. Aiutava a dare alla gente una causa comune attorno a cui radunarsi, per cui esultare, promuovendo una mentalità che impregnava le menti del concetto di unirsi per contrapporsi agli altri. Nel suo esercito, il Ja'La serviva a distrarre gli uomini dallo squallore del servizio militare. Dato che il pubblico dei soldati era composto di giovani uomini aggressivi, quelle partite venivano giocate con regole più brutali. La violenza di tali incontri dava a quegli uomini frustrati, ostili, combattivi, uno sfogo per le loro passioni represse. Senza il Ja'La, Jagang capiva che non sarebbe stato in grado di mantenere la disciplina e il controllo su una forza tanto vasta e indomita. Senza quel gioco avrebbero potuto rivolgere all'interno la loro ostilità soffocata, fra loro stessi. Jagang aveva una sua squadra, che serviva a dimostrare l'indomabile supremazia dell'imperatore. Erano un'estensione del suo potere e della sua forza, una fonte di soggezione. Riflettevano quella soggezione sull'imperatore. La sua squadra di Ja'La associava l'imperatore ai suoi uomini, lo rendeva come loro, accentuando allo stesso tempo la sua superiorità. Avendo passato così tanto tempo con lui, come sua Schiava Regina, Nicci sapeva che, malgrado tutti quei fattori calcolati, Jagang, come i suoi uomini, si era in effetti appassionato al gioco. Per l'imperatore, il combattimento era il gioco definitivo.
Il Ja'La dh Jin era un tipo di combattimento che poteva apprezzare quando non era impegnato in quello vero. Manteneva in movimento i suoi istinti aggressivi. Da quando aveva assemblato la sua nuova squadra di uomini imbattibili, che tutti temevano, era giunto a credere di essere lui in persona il signore del Ja'La dh Jin. Per Jagang era diventato più di un gioco. Era diventato un'estensione della sua persona. Nicci distolse lo sguardo dalle forze dell'Ordine Imperiale radunate lì sotto. Non poteva più sopportare la vista o il pensiero di quei giochi sanguinosi che tanto odiava. I ruggiti soffocati si riversarono su di lei, una crescente sete di sangue che infine sarebbe dilagato sul Palazzo del Popolo. Non appena fu di nuovo dentro, Nicci attese finché Nathan non ebbe richiuso la pesante porta contro la fredda notte che scendeva sul mondo esterno. «Devo scendere a vedere la tomba di Panis Rahl.» Lui la guardò voltandosi appena mentre rimetteva a posto il chiavistello. «Così hai detto. Andiamo, allora.» Mentre cominciavano ad avviarsi, Ann esitò. «So quanto odi scendere in quella tomba» disse a Nathan afferrandogli il braccio, costringendolo a fermarsi. «Verna e Adie staranno aspettando. Forse puoi occupartene mentre io porto Nicci laggiù.» Nathan le lanciò un'occhiata diffidente. Stava per dire qualcosa quando fu Ann a lanciargli uno sguardo d'intesa a sua volta. Lui sembrò afferrare ciò che gli voleva dire. «Sì, mia cara, è una buona idea. Io e Cara andremo a parlare con Verna e Adie.» Il cuoio dell'uniforme di Cara crepitò mentre incrociava le braccia. «Io rimarrò con Nicci. In assenza di lord Rahl, è mio compito proteggerla.» «Penso proprio che a Berdine e Nyda piacerebbe parlare con te di alcune questioni riguardanti la sicurezza del palazzo» disse Ann. Quando Cara non parve affatto incline ad acconsentire alla proposta, Ann si affrettò ad aggiungere: «Per quando tornerà Richard. Vogliono essere certe che venga fatto tutto il possibile per garantire la sua sicurezza quando sarà di nuovo a palazzo.» Nicci pensò che c'erano poche persone caute quanto le Mord-Sith. Sembravano essere costantemente diffidenti e pensare il peggio. Nicci aveva capito che Ann voleva soltanto parlarle da sola. Non sapeva perché non
l'avesse semplicemente detto a Cara. Immaginò che Ann con tutta probabilità non era convinta che un tale approccio avrebbe funzionato. Nicci mise una mano sulle reni di Cara e si chinò verso di lei. «È tutto a posto, Cara. Va' con Nathan e io vi raggiungerò a breve.» Cara spostò lo sguardo dagli occhi di Nicci a quelli di Ann. «Dove?» «Conosci la sala da pranzo fra gli alloggi delle Mord-Sith e la piazza delle devozioni accanto al piccolo raggruppamento di alberi?» «Ma certo.» «È lì che dobbiamo incontrarci con Verna e Adie. Vi raggiungeremo non appena Nicci avrà dato un'occhiata alla tomba.» Solo quando Nicci annuì col capo a Cara, lei infine acconsentì. 18 Mentre si allontanavano, Nicci colse uno sguardo d'addio che Ann rivolse a Nathan. Era un'occhiata intima, ravvivata da un sorriso fanciullesco, uno sguardo di reciproca comprensione e affetto. Nicci si sentì quasi imbarazzata di essere testimone di un momento tanto privato. Allo stesso tempo, rivelava una qualità di Ann e Nathan che lei reputò affascinante. Era il tipo di sentimento semplice che chiunque avesse visto avrebbe capito e apprezzato. Quella rapida intrusione nella loro intimità diede a Nicci un senso di benessere e di pace. Questa non era soltanto la Priora che lei aveva temuto per buona parte della sua vita, ma una donna che condivideva gli stessi sentimenti, desideri e valori di chiunque. Mentre si dirigevano lungo il corridoio e nel frattempo Nathan e Cara svanivano giù per una scala, Nicci lanciò un'occhiata ad Ann. «Lo ami, vero?» Ann sorrise. «Sì.» Nicci la fissò, incapace di pensare a cosa dire. «Sorpresa che io lo ammetta?» chiese Ann. «Sì» confessò Nicci. Ann ridacchiò. «Be', suppongo che una volta ne sarei rimasta sorpresa anch'io.» Nicci intrecciò le dita. «Quando è successo tutto questo?» Lo sguardo di Ann si perse nei ricordi. «Probabilmente secoli fa. Ero troppo sciocca, troppo impegnata a essere la Priora, per rendermi conto di quello che avevo proprio di fronte a me. Forse ritenevo che il mio dovere
venisse prima. Ma penso che fosse solo una scusa per essere una sciocca.» Nicci ammutolì di fronte a un'ammissione tanto franca da parte di quella donna. Ann non riuscì a trattenere uno sguardo divertito quando vide l'espressione sul volto di Nicci. «Stupita di scoprirmi umana?» Nicci sorrise. «Non è un modo molto lusinghiero di metterla, ma immagino che in fin dei conti sia così.» Svoltarono verso una lunga rampa di scale con pianerottoli a intervalli regolari che scendeva attraverso il palazzo. Il corrimano che arrivava fino in fondo era di ferro battuto simile a una vite, sorretto da ferro lavorato magistralmente che imitava dei rami frondosi. «Be',» sospirò Ann «immagino di essermi stupita anch'io di scoprirmi umana. Allo stesso tempo, almeno al principio, mi ha reso piuttosto triste.» «Triste?» Nicci si accigliò. «Perché?» «Perché dovetti ammettere a me stessa di aver gettato via buona parte della mia vita. Sono stata benedetta dal Creatore con un'esistenza molto lunga, ma mi sono resa conto solo avvicinandomi alla fine di averla vissuta molto poco.» Alzò lo sguardo verso Nicci mentre raggiungevano un pianerottolo. «Non ti fa provare rimorso renderti conto di quanta vita hai sprecato senza neanche comprendere quello che la rendeva davvero importante?» Nicci represse una fitta di rammarico mentre raggiungevano il bordo di un pianerottolo e cominciavano a scendere la rampa successiva. «È qualcosa che abbiamo in comune.» Insieme ascoltarono in silenzio il rumore dei loro passi mentre percorrevano il resto delle scale. Quando infine raggiunsero il fondo, presero un largo corridoio che conduceva dritto avanti piuttosto che uno dei passaggi che si diramavano ai lati. Il corridoio aveva l'aroma speziato delle lampade a olio sistemate a intervalli regolari. Pannelli di legno di ciliegio ricoprivano le pareti da ogni lato, ognuno separato da tendaggi color paglia posizionati a intervalli uniformi. Ogni serie di drappeggi era adornata con un cordone dorato che terminava con nappe color nero e oro. Lampade riflettenti pendevano ogni due aperture fra i tendaggi e diffondevano un caldo bagliore nel corridoio. Ogni due pannelli era appeso un dipinto. Molti avevano una cornice riccamente ornata, come se fossero opere d'arte esse stesse molto apprezzate. Ogni dipinto era incassato in un riquadro. Anche se i soggetti differivano molto, da un tardo pomeriggio presso un lago montano alla scena di un'aia, a un'altissima cascata, tutto quello che
tutti i dipinti avevano in comune era un uso estremamente sapiente della luce. Il lago montano sedeva fra cime svettanti con la luce che filtrava da oltre i picchi nebbiosi facendo breccia fra ondeggianti nubi dorate. Un raggio di quel meraviglioso sole si riversava sulla riva. La foresta tutt'intorno era ammantata in un'intima oscurità, mentre al centro la coppia in lontananza su una sporgenza rocciosa era inondata dal calore del raggio di luce. Nella scena agreste, i polli razzolavano nel cortile cosparso di paglia e illuminato da un'invisibile fonte di luce soffusa che, senza il tocco brusco della luce solare diretta, rendeva l'intero dipinto ancora più vivo. Nicci non aveva mai pensato che un'aia potesse avere in sé tanta bellezza, ma questo artista l'aveva colta e l'aveva fatta trasparire. Nel primo piano del dipinto con l'altissima cascata che si riversava da una lontana, elevata sporgenza, l'arco di un ponte di pietra naturale compariva dai boschi oscuri da entrambi i lati. Due persone si osservavano a vicenda su quel ponte, illuminate da dietro dal sole al tramonto, che aveva tinto le maestose montagne di un profondo viola. In quella luce, la coppia aveva in sé una nobiltà tale da rimanere sbalorditi. Nicci trovò interessante notare che così tanto del Palazzo del Popolo era dedicato alla bellezza. Dal disegno degli interni, alla varietà di pietre usate per pavimenti, scale e pilastri, alle statue e altre opere d'arte, quel posto sembrava colmo di una celebrazione della bellezza della vita. Tutto, dalla struttura del palazzo stesso a ciò che conteneva, sembrava volto a mostrare il talento più sublime dell'uomo. Era quasi un ambiente dedicato a un amore per l'arte come fonte di stimolo. Ciò che forse era ancora più curioso era che quei capolavori venivano visti da poche persone. Quello era un corridoio privato, giù nelle profondità del palazzo sul tragitto per le tombe dei condottieri del passato. Era accessibile quasi esclusivamente al lord Rahl. Alcuni potevano reputarlo come un'esibizione di cupidigia, una mostra privata di beni, ma sarebbe stato un errore derivato dal cinismo. Nicci sapeva che diversi tipi di uomini avevano ricoperto il ruolo di lord Rahl. Lo stesso padre di Richard era stato un tiranno brutale. I suoi antenati, molto tempo prima, erano stati proprio l'opposto. L'intento originario veniva spesso travisato e corrotto dalle generazioni successive, proprio come l'intento originario di quelle opere d'arte era probabilmente andato perduto, deformandosi e diventando esclusivo appannaggio dell'elite. A capi illuminati spesso subentravano degli sciocchi che gettavano via tutto ciò che i loro antenati avevano ottenuto. Nicci suppose che tutto quello in
cui si poteva sperare era che ogni generazione venisse educata a essere tanto ragionevole da imparare dal passato, non perdere di vista le cose importanti e capire perché avevano importanza. Tuttavia, ogni persona doveva fare le proprie scelte. Coloro che perdevano di vista i valori per cui si era combattuto e vinto nel passato, di solito arrivavano a perderli del tutto, lasciando alle generazioni successive l'incombenza di combattere per riacquisirli, solo perché un giorno gli eredi potessero dissiparli senza aver fatto neanche la fatica di guadagnarli. Nicci vide i dipinti nel corso di quella lunga camminata in visita ai morti come messaggi dalle passate generazioni, con lo scopo di ricordare a ogni nuovo lord Rahl il valore della vita. Mentre andava a visitare le tombe dei trapassati, quel corridoio aveva lo scopo di ricordarle a cosa doveva rivolgere la sua attenzione. In un certo senso, era il promemoria del lord Rahl al suo giusto dovere: alla vita. Molti di coloro che avevano fatto quel percorso lo avevano perso di vista, e a causa di questo generazioni intere avevano smarrito ciò di cui avevano goduto i loro antenati e che loro avevano avuto in eredità. Questo era il motivo per cui l'intero palazzo era creato nella forma di un incantesimo che desse maggior potere alla casata dei Rahl e il motivo per cui quel posto era così pieno di bellezza: ricordare al lord Rahl che cosa era importante e dargli il potere di conservarlo per il suo popolo. Ma niente di tutto ciò, per quanto fosse stupendo, era tanto bello per Nicci quanto la statua che Richard aveva scolpito ad Altur'Rang. Quella statua era stata riempita tanto efficacemente con la vivacità della vita da toccare l'anima di Nicci e cambiarla per sempre. Richard era un lord Rahl che portava dentro di sé quel senso della vita. Sapeva cosa poteva andare perduto. «Lo ami, vero?» Nicci sbatté le palpebre. Osservò Ann mentre marciavano lungo il corridoio. «Cosa?» «Tu ami Richard.» Nicci volse di nuovo lo sguardo davanti a sé. «Tutti amiamo Richard.» «Non è quello che intendo e tu lo sai.» Nicci mantenne la sua compostezza. All'esterno, perlomeno. «Ann, Richard è sposato. Non solo sposato, ma a una donna che ama. Non semplice amore, ma un sentimento che va oltre la vita stessa.» Ann non disse nulla.
«Inoltre,» aggiunse Nicci nell'imbarazzante silenzio «avrei potuto rovinare la sua vita, la vita di noi tutti, quando lo portai giù nel Vecchio Mondo. Fui sul punto di farlo. Avrebbe avuto tutto il diritto di uccidermi.» «Forse,» disse Ann «ma allora era diverso.» «Cosa intendi?» Lei scrollò le spalle mentre svoltavano a un'intersezione verso un'altra rampa di scale che le avrebbe condotte giù al livello delle tombe. «Be', immagino che Nathan avesse ogni ragione di odiarmi, in modo molto simile a come Richard aveva ogni ragione di odiare te. Come accade, le cose non sono andate in quel modo. «Come ho detto poco fa, tutti commettiamo degli sbagli. Nathan è stato in grado di perdonare i miei. Dato che sei ancora viva, è ovvio che Richard ha perdonato i tuoi. Deve tenere a te.» «Te l'ho detto, Richard è sposato con la donna che ama.» «Una donna che potrebbe anche non esistere.» «Ho messo l'Orden in campo. Credimi, ora so che esiste.» «Non è esattamente quello che intendevo.» Nicci rallentò. «Ovvero?» «Guarda, Nicci...» Ann esitò, come confusa. «Hai idea di quanto sia difficile per me non chiamarti 'Sorella' Nicci?» «Stai cambiando argomento.» Un breve sorriso guizzò sul volto di Ann. «In parte. Quello che intendo è che si tratta di una faccenda che riguarda molto più di un solo uomo.» «Cosa?» Ann alzò le braccia. «Tutto questo. Questa intera guerra, il fatto che lui sia lord Rahl, il suo dono, la guerra con l'Ordine Imperiale, i problemi con la magia causati dai rintocchi, l'incantesimo della Catena di fuoco, le scatole dell'Orden... tutto quanto. Chissà in quali guai si trova adesso. Guarda tutto ciò che affronta. È soltanto un uomo. Un uomo solo. Un uomo senza nessuno che lo aiuti.» «Non posso negare la verità delle tue affermazioni» disse Nicci. «Richard è come un ciottolo in uno stagno: un individuo al centro di così tanti eventi. Tocca così tante cose. Si è rivelato un elemento centrale in tutte le nostre vite. Tutto ruota attorno alle sue azioni, alle decisioni che prende. Se fa un passo falso, noi tutti cadiamo. «E guarda quel povero ragazzo, il primo in tremila anni nato con la Magia Detrattiva, cresciuto senza imparare a usare il suo dono. Nato come un mago guerriero senza nemmeno sapere come sfruttare le sue stesse capaci-
tà.» «Suppongo. E dunque?» «Nicci, non riesci neanche a immaginare come dev'essere per lui? Riesci a pensare quanto si debba sentire sotto pressione? È cresciuto nelle Terre Occidentali in un piccolo centro ed è diventato una guida. È cresciuto senza sapere nulla della magia. Riesci a pensare come debba essere avere così tanta responsabilità sulle tue spalle senza neanche essere in grado di fare appello al tuo dono? E come se non bastasse, ora è responsabile del potere dell'Orden. «Quando scoprirà che il potere dell'Orden è in campo, in suo nome, una cosa del genere lo terrorizzerà. Non sa nemmeno come entrare in contatto col suo Han e ora ci si aspetta che azioni quello che è forse il più complesso congegno magico mai concepito da mente umana.» «È questo il mio ruolo» disse Nicci, riprendendo a camminare lungo il corridoio. «Io gli insegnerò. Sarò la sua guida.» «Questo è ciò che intendevo. Lui ha bisogno di te.» «Ma lui ha me. Io farei qualunque cosa per lui.» «Sei sicura?» Nicci si accigliò di fronte allo sguardo indecifrabile dell'ex priora. «Cosa intendi con questo?» «Faresti qualunque cosa? Diventeresti la persona di cui più a bisogno?» «E quale sarebbe?» «La sua compagna.» L'espressione di Nicci si corrucciò. «Compagna?» «La sua compagna nella vita.» «Lui ha una compagna. Ha...» «Lei può usare la magia?» «È la Madre Depositaria.» «Sì, ma può usare la magia? Può invocare il suo Han nel modo in cui puoi farlo tu?» «Be', io non...» «Può usare la Magia Detrattiva? Tu puoi. Richard è nato col dono della Magia Detrattiva. Tu sai come adoperare tale potere. Io no, ma tu sì. Tu sei l'unica di noi che la conosce. Hai mai pensato di essere finita dalla sua parte per una ragione?» «Una ragione?» «Ma certo. Lui non può fare questo da solo. Tu sei forse l'unica persona al mondo che può essere ciò di cui Richard ha bisogno: una persona che lo
ami, sia in grado di insegnargli a usare il suo dono e guidarlo, e possa essere la compagna adatta.» «La compagna adatta?» Nicci quasi non credeva alle proprie orecchie. «Dolci spiriti, Ann, lui ama Kahlan. Di cosa stai parlando, 'la compagna adatta'?» «La compagna adatta.» Fece un gesto vago con una mano. «Sua pari. Sua pari in senso femminile, comunque. Chi meglio di te può essere ciò di cui Richard ha bisogno? Ciò di cui noi abbiamo davvero bisogno?» «Guarda, io conosco Richard» disse Nicci sollevando una mano per interrompere la conversazione prima che andasse troppo oltre. «So che se lui ama Kahlan, allora deve trattarsi di una persona notevole. Deve essere sua pari. Si ama ciò che si ammira. L'Ordine fa proprio l'opposto, dicendo che bisogna amare ciò che disgusta. «Lei può non essere in grado di usare la magia al mio stesso modo, ma dev'essere qualcuno che lui ammira, che lo completa e gli è complementare. Non le sarebbe così devoto se non lo fosse. Richard non amerebbe qualcuno che fosse da meno. «La stai sminuendo senza la possibilità di ricordare nulla di lei. Noi non ricordiamo Kahlan, ma basta conoscere Richard per capire che donna eccezionale debba essere. «Inoltre, è la Madre Depositaria, una donna molto potente. Può non essere in grado col suo potere di fare le stesse cose di un'incantatrice, ma una Depositaria può fare cose impensabili per una di noi. «Prima che i confini e le barriere venissero abbattuti, la Madre Depositaria sovrintendeva le Terre Centrali. Re e regine si inchinavano a lei. Noi possiamo fare una cosa del genere? Tu governavi un palazzo. Io non sono che la Schiava Regina. Kahlan è una vera governante, da cui la sua gente dipendeva, che combatteva per loro, per la loro libertà. Una donna che, secondo Richard, attraversò il confine, passando attraverso il mondo sotterraneo, per cercare aiuto per il suo popolo. Mentre io tenevo Richard giù nel Vecchio Mondo, lei l'ha sostituito. Ha guidato le forze del D'Hara e combattuto con loro, rallentando l'avanzata di Jagang per guadagnare tempo e provare a trovare un modo per fermarlo. «Richard ama Kahlan. Questo dice tutto, tutto quanto.» Nicci quasi non riusciva a credere a ciò che si trovava costretta a discutere. «Sì, tutto quel che dici può essere vero. Può darsi che lui ami davvero questa donna, questa Kahlan, ma chi sa se è viva? Conosci molto meglio di
me l'ignobile natura delle Sorelle che l'hanno catturata. Nessuno può dire se Richard la rivedrà mai più.» «Se conosco Richard, ci riuscirà.» Ann la interruppe con un gesto. «E se ci riesce, poi cosa accade? Cosa ne potrà mai venire?» A Nicci venne la pelle d'oca. «Cosa intendi?» «Ho letto il libro La Catena di fuoco. So come funziona l'incantesimo. Accettalo: la donna che Kahlan è stata non esiste più. La Catena di fuoco ha annientato tutto questo. Essa non fa semplicemente dimenticare alla gente il proprio passato: distrugge quei ricordi, la loro vita precedente. Sotto tutti gli aspetti pratici, la Kahlan che c'era una volta non esiste più.» «Ma lei...» «Tu ami Richard. Pensa a lui innanzitutto. Pensa alle sue necessità. Kahlan se n'è andata... la sua mente, almeno. Tutto ciò che dici su quanto significava per lui, quanto meravigliosa doveva essere, può senz'altro essere vero, ma quella donna, colei che Richard amava, non esiste più. Anche se Richard la trovasse, si tratterebbe solo del corpo della donna che amava, un involucro vuoto. Non c'è più niente al suo interno che lui possa amare. «La mente che la rendeva Kahlan è stata distrutta. Richard è forse il genere di uomo che la amerebbe solo per la sua forma, che la vorrebbe soltanto per il suo corpo? No di certo. È la mente che rende una persona ciò che è, ed è quella che Richard amava, ma quella mente è sparita. «Vuoi forse gettar via la tua vita come io ho fatto con la mia? Ho perso gran parte di ciò che avrei potuto avere con Nathan, un uomo che amavo, se non fossi stata così votata a un senso di responsabilità. Non gettar via anche tu la tua vita, Nicci. Non lasciare in alcun modo che anche la felicità di Richard gli sfugga via.» Nicci intrecciò strette le sue dita tremanti. «Dimentichi con chi stai parlando? Ti rendi conto che stai cercando di spingere una Sorella dell'Oscurità verso Richard, l'uomo che a quel che dici è la speranza per il futuro di tutti quanti?» «Ann» la schernì. «Tu non sei una Sorella dell'Oscurità. Tu sei diversa dalle altre. Loro erano vere Sorelle dell'Oscurità. Tu no.» Diede un colpetto sul torace di Nicci. «Qui dentro, non lo sei. «Loro sono diventate Sorelle dell'Oscurità perché erano avide. Volevano quello che non erano in grado di guadagnarsi. Volevano il potere e desideravano vedere esaudite oscure promesse. «Tu eri diversa. Sei diventata una Sorella dell'Oscurità non perché fossi
avida, ma per la ragione opposta. Pensavi di non essere degna della tua stessa vita.» Era vero. Nicci era l'unica Sorella dell'Oscurità che non si era convertita per ottenere potere o promesse di ricompense per sé stessa, ma piuttosto per la sensazione di non essere degna di nulla di buono. Odiava dover essere altruista, dover sacrificare sé stessa per le esigenze e le necessità di tutti gli altri, non poter disporre della propria vita. Pensava che quelle sensazioni la rendessero egoista, facessero di lei una persona malvagia. A differenza delle altre Sorelle dell'Oscurità, non pensava davvero di meritare altro se non una perpetua punizione. Quella motivazione di colpa, invece che di cupidigia, metteva in difficoltà le altre Sorelle dell'Oscurità. Non si fidavano di Nicci. Non era davvero una di loro. «Dolci spiriti» sussurrò Nicci, a malapena in grado di credere che una donna che aveva visto in poche occasioni, per quelli che, quando vivevano al Palazzo dei Profeti, erano sembrati decenni, potesse capire così chiaramente come erano andate le cose. «Non sapevo di essere così trasparente.» «È sempre stata fonte di tristezza per me» disse Ann a bassa voce «che una creatura così bella e di talento come te si sminuisse in tal modo.» Nicci deglutì. «Perché non hai mai cercato di dirmelo?» «Mi avresti creduto?» Nicci si fermò in cima alle scale, appoggiando una mano sul pilastrino di marmo bianco della ringhiera. «Immagino di no. C'è voluto Richard per farmelo capire.» Ann sospirò. «Forse avrei dovuto prenderti in disparte e cercare di farti migliorare la tua opinione di te stessa, ma ho sempre avuto paura di apparire troppo gentile e che un approccio familiare avrebbe sminuito la mia autorità. Temevo anche che dire alle novizie ciò che pensavo davvero di loro avrebbe potuto farle diventare troppo piene di sé. Ma tu non eri così trasparente come potresti pensare. Non mi sono mai resa conto della profondità dei tuoi sentimenti. Pensavo che quella che in te mi sembrava modestia ti sarebbe stata utile nel diventare una donna. Mi sbagliavo anche su quello.» «Non l'ho mai capito» disse Nicci, i suoi pensieri in apparenza persi in quel tempo lontano. «Non pensare che si trattasse solo di te, però. Ho trattato altre anche peggio, poiché mi aspettavo così tanto da loro. Mi fidavo di Verna più di
chiunque altra. A lei non l'ho mai detto. Invece, l'ho inviata in una ricerca alla cieca per vent'anni, poiché era l'unica persona a cui osavo dare fiducia in una missione del genere. Faceva tutto parte del mio coinvolgimento con vari eventi della profezia.» Ann scosse la testa. «Quanto mi ha odiata per quei venti anni frustranti.» «Ti riferisci al suo viaggio in cerca di Richard?» «Sì.» Ann sorrise fra sé. «Fu un viaggio nel quale trovò anche sé stessa.» Dopo essersi per un momento perduta fra i ricordi, sorrise a Nicci. «Rammenti quando Verna lo portò infine a palazzo? Rammenti quel primo giorno, nella sala grande, quando tutte le Sorelle erano radunate per salutare il nuovo fanciullo che Verna aveva portato, e si trattava di Richard, già uomo?» «Sì» disse Nicci, e anche lei sorrise al ricordo. «Dubito che avresti creduto a tutto ciò che ebbe origine quel giorno. Quando lo vidi, quel primo giorno, giurai a me stessa che sarei diventata una delle sue insegnanti.» Lei era diventata la sua insegnante, e alla fine Richard era diventato il suo. «Richard ha bisogno di te adesso, Nicci. Gli serve qualcuno che sia al suo fianco, ora. In questa battaglia gli occorre una compagna. È un fardello troppo grande per un uomo solo. Ha bisogno di una donna che lo ami. Kahlan non c'è più. Se è viva, è soltanto un involucro di colei che era stata un tempo. Non si ricorda di Richard e non lo ama: per lei è un estraneo. Il lato triste della vicenda è che Richard l'ha persa a causa di questa guerra. Gli serve una persona, ora, che sia la sua compagna per la vita. «Richard ha bisogno di te, Nicci, a sussurrargli nell'orecchio di notte ciò che deve sentire. Che lui lo sappia o no, ha bisogno di te più di ogni altra cosa.» Nicci era sul punto di scoppiare in singhiozzi. Ritrovarsi a discutere e a negare la cosa per cui avrebbe dato la vita la stava dilaniando dentro. Non c'era nulla che lei volesse più di Richard. Ma proprio perché l'amava, non poteva fare come voleva Ann. Nicci abbassò lo sguardo verso la tromba delle scale e cambiò argomento. «Devo vedere la tomba e poi parlare con Verna e Adie. Non ho tempo da perdere. Devo raggiungere Tamarang per aiutare Zedd a togliere l'incantesimo della strega da Richard. In questo momento è quello di cui Richard ha più bisogno. «Per aiutarmi in questo, devo sapere tutto su Sei. Puoi non aver conosciuto quella donna, ma avevi una rete di spie sparsa per tutto il Vecchio
Mondo.» «Sapevi delle spie?» chiese Ann, seguendo Nicci giù per le scale. «Lo sospettavo. Una donna come te non mantiene il potere per tutto quel tempo senza aiuto. Quando lo governavi, il Palazzo dei Profeti era un'isola di stabilità e calma in un mondo in subbuglio, un mondo che stava ricadendo sotto il richiamo della Fratellanza dell'Ordine. Dovevi avere la tua rete di spie sparsa in lungo e in largo per tenerti al corrente su tutto ciò che accadeva nel mondo esterno, per essere preparata contro ogni potenziale minaccia. Dopo tutto, hai mantenuto il palazzo al sicuro e libero di fare il proprio lavoro per centinaia d'anni.» Ann sollevò un sopracciglio. «Non sono stata brava come pensi, mia cara. Altrimenti, le Sorelle dell'Oscurità non si sarebbero stabilite proprio sotto il mio naso.» «Ma tu lo sospettavi, e hai preso delle precauzioni.» «Non abbastanza, stando a quanto è accaduto.» «Nessuno può essere perfetto, e nessuno è invincibile. Rimane il fatto che hai fatto un ottimo lavoro per moltissimo tempo nel tenerle a bada. Avevi una rete di informatori che ti aiutavano a rimanere aggiornata su cosa stava accadendo nel mondo esterno. So che le Sorelle dell'Oscurità si guardavano sempre le spalle. Ti temevano. «Col genere di rete che solo la Priora può tessere, devi aver sentito qualcosa su Sei nel corso degli anni.» «Non so, Nicci. Nel corso degli anni sono accadute moltissime cose importanti. Delle dicerie su una strega non mi interessavano granché. C'erano problemi più urgenti. Per quanto riguarda Sei, non ho udito davvero nulla degno di nota.» «Non ho intenzione di farti rivelare dei segreti, Ann. Sono solo interessata a qualunque cosa tu possa sapere su di lei. Per qualche ragione ha preso la scatola dell'Orden. Devo riprenderla per Richard. Qualunque frammento di informazione potrebbe aiutarmi a farlo.» «Semplicemente non ho sentito nulla su di lei dalle mie fonti.» Ann infine annuì, quasi fra sé. «Ma la conosco, e so anche che non può mettere in campo la scatola dell'Orden.» «Allora perché l'avrebbe presa?» «Per quanto non sappia nulla di specifico su di lei, a parte ciò che ci ha detto Shota, so che il desiderio di distruggere ciò che c'è di buono nella vita è quello che definisce alcune persone. Le particolari credenze distorte che adottano sono soltanto la propria giustificazione interiore per il loro
odio che non tiene in alcun conto il bene. Quell'impulso profondo dà loro un'affinità con altri che condividono l'obiettivo di distruggere chiunque viva libero e cerchi di migliorare sé stesso. È quella forza distruttiva che le infiamma e le appassiona. «In definitiva, è la vita che odiano. Si sentono inadeguati nell'affrontare le sue sfide. Detestano l'ineluttabilità di affrontare il mondo per ciò che è, perciò si aggrappano alle scorciatoie dell'esistenza. Invece di lavorare sodo, scelgono di distruggere chi lo fa. Invece di creare qualcosa di valido, vogliono rubare ciò che qualcun altro ha creato.» «Perciò,» suggerì Nicci «stai dicendo che, pur non sapendo nulla di specifico su Sei, pensi che, per via della sua natura, lei cercherà altri spinti dall'odio.» «Esattamente» disse Ann. «E questo cosa significa?» Mentre raggiungevano il fondo delle scale, Nicci si fermò, appoggiando un polso sul pilastrino della ringhiera, tamburellando con un'unghia sul marmo bianco con lo sguardo fisso mentre rifletteva. «Significa che, in definitiva, cercherà un'alleanza con coloro che hanno le altre due scatole: le Sorelle dell'Oscurità. Possono credere in valori differenti, ma sono sorelle nell'odio.» Ann sorrise fra sé. «Molto bene, figliola.» «Non può usare la scatola da sola» disse infine Nicci, pensando ad alta voce. «Ciò significa che la deve aver presa come un mezzo di scambio. La voleva per ottenere potere per sé stessa. Quando la grande barriera fu abbattuta, lei vide il Nuovo Mondo come vulnerabile. Ha tramato e infine ha rubato ciò che Shota aveva creato quassù nel Nuovo Mondo, ma non è abbastanza per lei. Intende ottenere il potere in cambio della scatola che ora possiede.» Ann stava annuendo. «Si sta assicurando di essere inclusa quando l'Orden verrà liberato. È attratta dal potenziale della distruzione di massa di tutto ciò che è buono. Può pure volere il potere per sé stessa, ma penso che il suo vero scopo sia essere parte della demolizione dei valori e dell'ordine.» «Però in questo c'è una cosa che non ha senso.» Nicci scosse la testa mentre faceva vagare lo sguardo per il lungo corridoio. «È improbabile che le Sorelle dell'Oscurità vogliano avere a che fare con la strega. La temono.» «Temono di più il Guardiano. Devono avere la scatola per liberare l'Orden. Non dimenticare che, ora che hanno messo le scatole in campo, perde-
ranno le loro vite se non aprono quella giusta. Saranno costrette a trattare con Sei.» «Suppongo di sì» disse Nicci. Sembrava mancare qualcosa, ma non riusciva a capire cosa. Sembrava che ci fosse qualcos'altro al riguardo. 19 La mano di Nicci scivolò dal pilastrino della ringhiera e le ricadde sul fianco mentre riprendevano a camminare. Pavimenti, pareti e soffitto del silenzioso corridoio, che proseguiva fino in lontananza, erano fatti interamente di lastre levigate di marmo bianco. Tenui filamenti di venature grigie e oro serpeggiavano attraverso il marmo, dando all'intero corridoio di pietra un aspetto vagamente fumoso. Torce in sostegni di ferro, disposte a intervalli regolari lungo le pareti, gettavano una luce tremolante sull'austero corridoio. L'aria immota era impregnata del forte odore di pece e di una pallida caligine di fumo acre. In vari punti lungo il passaggio c'erano altri corridoi che conducevano alle tombe. «Stiamo vivendo in un tempo pericoloso» disse Ann, il suono dei suoi passi che riecheggiava sulla roccia. «Ci avviciniamo al punto più pericoloso delle profezie che io conosca. Ci avviciniamo a ciò che può determinare la nostra fine.» Nicci lanciò un'occhiata all'anziana ex priora. «Ecco perché devo aiutare Zedd e poi trovare Richard. Allo stesso tempo, Sei dev'essere fermata prima che possa riunire tutte e tre le scatole. Mi ha già dimostrato quant'è pericolosa, ma, se riusciamo a trovarla, Zedd potrebbe essere in grado di occuparsi della strega. «Penso che per me sia più importante mettere le mani sulle Sorelle, Ulicia e Armina. Hanno le altre due scatole. Se le riuniscono tutte e tre, non penso che le Sorelle dell'Oscurità intendano lasciare che Richard abbia fino al primo giorno d'inverno del prossimo anno per aprire una di esse. Sicuramente cercheranno di aprirle non appena ne entreranno in possesso. Ho la sensazione inquietante che potrebbe non rimanerci molto tempo.» «Sono d'accordo» disse Ann mentre superavano una torcia sfrigolante. «Ecco perché è così importante che tu sia lì per Richard, che tu lo aiuti.» «Io intendo aiutarlo.» Ann alzò lo sguardo verso Nicci. «A un uomo occorre una donna che in-
dirizzi le sue scelte, in special modo quanto tali scelte possono cambiare il corso della vita stessa.» Nicci osservò le ombre ruotare attorno a loro mentre superavano un'altra torcia. «Non sono sicura di capire di cosa tu stia parlando.» «Solo una donna che lo ama, che sta al suo fianco, di cui si fida in maniera incondizionata, può esercitare un'influenza positiva.» «Io lo amo e sarò al suo fianco.» «Devi fare di più che stare al suo fianco, Nicci, per essere la donna che ha l'influenza necessaria.» Nicci lanciò uno sguardo con la coda dell'occhio. «E quale influenza, con esattezza, pensi che sia necessaria?» «A un bambino occorrono sia la forza di un padre, sia le cure di una madre.» Tenne sollevate dal suo pugno due dita strette assieme. «Maschio e femmina che lavorano assieme ci formano, ci definiscono, ci guidano. In questo non c'è differenza. A un uomo serve l'elemento femminile nella vita per diventare un governatore che possa guidare la crescita dell'umanità. «Un potente generale senza una donna può combattere battaglie e vincere guerre. Jagang può annientare chi gli si frappone, ma non può fare nulla più di questo... nulla che abbia valore, perlomeno. «La nostra parte, la nostra causa, è differente. Ci vuole altro, non solo per vincere una guerra come quella che stiamo affrontando, ma per il futuro che noi auspichiamo come risultato. A Richard non serve semplicemente qualcuno che lo ami, ma qualcuno che lui possa amare. Vivere solo per la guerra non è sufficiente. Deve dedicarsi anche alle sue emozioni. Ha bisogno sia di dare amore, sia di riceverlo.» Nicci non voleva tornare di nuovo su quell'argomento. «Non sono io quella donna.» «Puoi esserlo» insistette Ann con voce benevola. «Sono sicura che Kahlan è una donna che merita l'amore di Richard. Io no. Ho fatto cose terribili, azioni che non posso annullare. Ho percorso un sentiero molto oscuro. Tutto ciò che posso fare è combattere per fermare le idee malvagie per le quali una volta lottavo. Se potrò fare questo, allora potrò guadagnare la redenzione nel mio animo. Ma non potrei mai meritare l'amore di Richard. Kahlan è quel genere di donna. Non io.» «Nicci, Kahlan non è un'alternativa per noi. È inutile considerarla come una scelta fra te e Kahlan come se lei fosse lì per lui; lei non può più rivestire quel ruolo. La Catena di fuoco si è presa quella donna. Solo tu puoi ricoprire quel ruolo, ora. Devi sposare Richard e dedicarti a lui.»
«Sposarlo!» Nicci emise una breve risata amara mentre scuoteva la testa. «Richard non mi ama. Non avrebbe motivo per volermi sposare.» «Non hai imparato nulla al Palazzo dei Profeti?» Ann schioccò la lingua con impazienza. «Come hai fatto a diventare una Sorella?» Nicci gettò in alto le mani. «Ora di cosa stai parlando?» «Gli uomini hanno delle esigenze.» Ann agitò un dito verso Nicci. «Soddisfale con tutto il tuo talento di donna, bellissima come il Creatore ti ha fatto, e lui vorrà di più. Ti sposerà per ottenerlo.» Nicci avrebbe voluto schiaffeggiarla. Invece disse: «Richard non è così. Lui capisce che l'amore è ciò che dà un senso alla passione fra un uomo e una donna.» «Alla fine questo è ciò che avrà. Tu aiuterai semplicemente quella significativa passione a nascere. Il cuore di un uomo seguirà le sue esigenze. Sei così ingenua da pensare che tutte le coppie si sposino per amore? La saggezza dei vecchi spesso crea una coppia migliore. In assenza di Kahlan, è questo ciò che dobbiamo fare. «È tuo compito spingerlo nel tuo letto e mostrargli ciò che puoi fare per lui, quello che gli manca, quello di cui ha bisogno. Se soddisfi le sue passioni, il suo cuore sarà tuo e, alla fine, quella passione acquisterà significato.» Nicci poteva sentire il suo volto farsi scarlatto. Non riusciva a credere che stessero avendo quella conversazione. Doveva cambiare argomento, ma non sembrava in grado di trovare la voce. Nicci sapeva di avere l'amicizia e la fiducia di Richard. Fare come suggeriva Ann avrebbe violato quell'amicizia e reso vuota quella fiducia. Richard era certo della sua amicizia. La sincerità e il sostegno di Nicci in un certo senso la rendevano adatta al suo amore, ma fare come proponeva Ann avrebbe compromesso la fiducia reciproca e in tal modo l'avrebbe esclusa dall'esserne mai più davvero degna. «Non devi lasciare che quest'occasione ti sfugga, figliola... che sfugga a tutti noi.» Nicci afferrò il braccio di Ann e la fece fermare. «Sfuggire a tutti noi?» Ann assentì. «Tu sei il nostro legame con Richard.» Nicci strinse gli occhi. «Che legame?» Il volto di Ann si contrasse, sempre più simile alla Priora che Nicci ricordava. «Il legame che quelle di noi che istruiscono i giovani maghi devono avere con loro.» «Richard è la nostra guida, non per nascita, ma per la sua capacità e la
sua forza di volontà di superare questa situazione. Può non essersi prefisso di diventare il lord Rahl, il nostro condottiero in questa guerra, ma nel corso del tempo è giunto ad assumere quel ruolo. Ha deciso che la vita per lui significava tanto da combattere per il diritto di viverla come credeva meglio. Ha ispirato altri che la pensano allo stesso modo. È solo grazie a questo che siamo giunti fin qui. «Non è un ragazzo al Palazzo dei Profeti con un Rada'Han attorno al collo. È un uomo completo.» «Lo è davvero? Fai un passo indietro, figliola, e osserva il quadro più ampio. Sì, Richard è la nostra guida - e lo dico sinceramente - ma è anche un uomo dotato del dono che però non ne sa nulla. Inoltre, è un mago con entrambi gli aspetti del dono. Quell'uomo è come un fulmine in una bottiglia. Qual è lo scopo di una Sorella della Luce se non insegnare a uomini del genere come controllare le loro capacità e...» «Io non sono una Sorella della Luce.» Ann agitò la mano per scacciare la questione. «Semantica. Giochi di parole. Negarlo non cambierà la situazione.» «Io non sono...» «Lo sei.» Ann piantò un dito insistente nel centro del petto di Nicci. «Lì dentro, tu lo sei. Sei una persona che, qualunque sia la strada che ha seguito, ha abbracciato la vita. Questa è la vocazione del Creatore. Chiamati come vuoi, Sorella della Luce o semplicemente Nicci. Non importa; non cambia nulla. Tu combatti per la nostra causa, la causa del Creatore per la vita stessa. Sei una Sorella, un'incantatrice, che può guidare un uomo in ciò che deve fare.» «Non sono una prostituta, né per te, né per nessuno.» Ann roteò gli occhi. «Ti ho chiesto di andare a letto con un uomo che non ami? No. Ti ho chiesto di ingannarlo su qualcosa? No. Ti ho chiesto di andare da un uomo che ami, di dargli il tuo amore ed essere la donna di cui lui ha un bisogno così disperato, essere la donna che può ricevere il suo amore. Ecco di cosa ha bisogno: di una donna che faccia da collegamento al suo bisogno d'amore. Questo è l'elemento per completare la sua umanità.» Nicci la guardò furiosa. «Un'emissaria del Palazzo dei Profeti, ecco cosa vuoi davvero che sia.» Ann, rivolta al soffitto, mormorò una preghiera per farsi forza. «Figliola,» disse, abbassando lo sguardo per fissare Nicci «ti sto solo chiedendo di non sprecare nient'altro della tua vita. Non afferri appieno ciò che non rie-
sci a vedere. Puoi pensare che questo riguardi l'amore, ma tu non conosci davvero l'amore, dico bene? Tu conosci solo il suo inizio: il desiderio. «Le circostanze possono non essere quelle che ti aspetteresti in un mondo perfetto, ma questa è l'occasione che il Creatore ti ha dato per avere la più grande gioia possibile per noi in questa vita: l'amore. Amore totale. Il tuo amore ora ha una sola faccia, è incompleto, mancante. È soltanto un dolce desiderio e una felicità immaginata. Non puoi sapere cos'è davvero a meno che quei sentimenti dentro il tuo cuore non vengano ricambiati alla stessa maniera e vengano liberati. Solo allora si tratta di vero amore, amore totale. Solo allora il cuore può davvero librarsi. Non conosci ancora la gioia della più umana delle emozioni.» Nicci era stata baciata da bruti eccitati. Non c'era gioia in cose del genere. Ann aveva ragione. Nicci non pensava di poter davvero capire com'era venire baciata da un uomo che lei amava, amava davvero, un uomo che contraccambiava il suo amore e nel suo cuore la considerava sopra ogni altra cosa. Poteva solo immaginare una tale beatitudine. Che peccato per coloro che non conoscevano la differenza. Ann aprì una mano in un gesto di supplica. «Se in quella gioia di amore totale, puoi aiutare a guidare l'uomo che ami a fare scelte che non sono altro che quelle giuste, cosa c'è di male?» Lasciò ricadere la mano. «Non ti sto chiedendo di indurlo a fare qualcosa di sbagliato, ma di giusto, di fare ciò che lui stesso vorrebbe. Ti sto solo chiedendo di salvarlo dal tipo di dolore che rischia di fargli commettere un errore, uno sbaglio che ci porterà giù tutti con lui.» Nicci avvertì ancora un brivido lungo la schiena. «Di cosa stai parlando?» «Nicci, quando eri con l'Ordine, quando eri conosciuta come l'Amante della Morte, come ti sentivi?» «Come mi sentivo?» Nicci cercò di trovare nella sua mente la risposta a quella domanda inattesa. «Non lo so. Non capisco cosa intendi. Immagino che odiassi me stessa, che odiassi la vita.» «E in quell'odio di te stessa, ti importava se Jagang ti avesse ucciso?» «Non proprio.» «Agiresti allo stesso modo oggi? Agiresti disinteressandoti dì te stessa, del futuro?» «Certo che no. Allora non mi importava ciò che mi accadeva. Che futuro poteva esserci? Non pensavo di meritare alcuna felicità, non pensavo che avrei mai potuto averne; perciò nulla mi importava davvero, nemmeno la
mia stessa vita. Pensavo che niente contasse.» «Che niente contasse» ripeté Ann. Bofonchiò fra sé per la preoccupazione prima di continuare col suo teatrale sbigottimento per ciò che Nicci aveva detto. «Non ritenevi di poter ottenere alcuna felicità, quindi pensavi che niente contasse.» Sollevò un dito per mettere in chiaro una cosa. «Allora non prendevi lo stesso tipo di decisioni che prenderesti oggi perché non ti importava di te stessa. Non è così?» Nicci sospettava di avvicinarsi alle invisibili ganasce di una trappola. «È così.» «E come ritieni che un uomo come Richard si sentirà quando infine si renderà conto di aver perso Kahlan, quando capirà davvero e nel suo intimo che ciò è definitivo? Penserà che la vita è degna di essere vissuta? Pensi che proverà lo stesso legame per noi, lo stesso senso di importanza della vita, se è perduto, solo, afflitto, scoraggiato... senza speranza? Se pensa che non potrà più avere alcuna felicità, credi che gli importerà ancora cosa gli accade? Sai cosa si prova, figliola. Dimmelo tu.» A Nicci venne la pelle d'oca. Aveva paura di rispondere alla domanda. Ann agitò un dito. «Se non ha nessuno, nessun amore, pensi che gli importerà ancora se vive o muore?» Nicci deglutì, costringendo sé stessa ad affrontare la verità. «Suppongo che sia possibile che non gli importi.» «E se non ha speranza per sé stesso, farà le scelte giuste per noi? O semplicemente si arrenderà?» «Non penso che Richard possa arrendersi.» «Tu non lo pensi.» Ann si sporse più vicino. «Vuoi fare la prova? Vuoi sottoporre a questa prova le nostre vite, il nostro mondo, l'esistenza stessa?» L'intensità dell'espressione di Ann sembrava aver immobilizzato Nicci dove si trovava. «Figliola, se perdiamo Richard, siamo tutti perduti.» Continuò con voce calma, dando a Nicci l'impressione che la trappola si stesse infine chiudendo su di lei. «Tu stessa conosci la sua fondamentale importanza: è questo il motivo per cui hai messo in campo le scatole dell'Orden in suo nome. Sai che è l'unico che può guidarci in questa battaglia. Sai che senza di lui le Sorelle dell'Oscurità libereranno il Guardiano del mondo sotterraneo. Senza Richard a fermarle, libereranno la morte contro la vita stessa. Metteranno fine al mondo della vita. Ci porteranno nel Grande Vuoto. «Senza Richard siamo tutti perduti» disse di nuovo, come martellando
l'ultimo chiodo in una bara. Nicci ricacciò indietro il groppo che aveva alla gola. «Richard non ci abbandonerebbe mai.» «Forse non intenzionalmente. Ma combatte questa battaglia da solo, avendo perso amore e speranza, può prendere il tipo di decisione che non sceglierebbe se dovesse badare a una donna che ama. Quell'amore può essere ciò che tiene assieme tutto quanto, tiene assieme lui stesso. «Quel genere di amore può essere la sola, l'unica cosa, che impedisce a un uomo di arrendersi quando non ha la forza di andare avanti.» «Tutto questo può essere vero, tuttavia non ti dà il diritto di decidere i suoi sentimenti.» «Nicci, io non penso...» «Per cosa stiamo combattendo, se non per la sacralità della vita?» «Io sto combattendo per la sacralità della vita.» «Ah sì? Ma davvero? La tua intera esistenza è stata votata a modellare altri ai tuoi voleri, non ai loro. Per quanto non derivi da un odio per il bene, di certo non ti sei curata di come gli altri dovessero vivere, e per cosa dovessero vivere. Hai modellato novizie in Sorelle in modo che potessero svolgere i compiti da te assegnati. Hai usato Sorelle per modellare dei giovani in maghi che allo stesso modo avrebbero seguito quelli che tu credi siano i voleri del Creatore. «Tutti coloro su cui esercitavi il controllo sono stati costretti a seguire il tuo progetto su come vivere le proprie vite e quali credenze seguire. Di rado hai lasciato che le persone facessero delle scelte ponderate per sé stesse. Spesso non consentivi loro di apprendere dalla vita; invece stabilivi quali erano gli aspetti importanti e come viverla. L'unica parziale eccezione di cui sono a conoscenza è Verna, quando la mandasti via per vent'anni. «Hai pianificato la vita di Richard per centinaia d'anni prima ancora che nascesse. Hai impostato i tuoi progetti per come dovesse condurre la sua esistenza, la sua unica vita. Tu, Annalina Aldurren, basandoti sulla tua personale interpretazione di ciò che hai letto nelle profezie, hai deciso come Richard avrebbe passato la sua esistenza nel mondo. Ora stai pianificando le sue emozioni per lui. Probabilmente hai già preparato il suo posto nel mondo degli spiriti. «Hai imprigionato Nathan per quasi tutta la sua vita, anche se ha passato secoli ad aiutarti per i tuoi fini. Anche se sei giunta ad amarlo, lo hai condannato a una vita di prigionia per il crimine che temevi potesse compiere. «Ann, per cosa stiamo combattendo, se non per la capacità di vivere le
nostre stesse vite? Non puoi semplicemente decidere cosa gli altri faranno o non faranno. Non puoi erigerti a una versione buona di Jagang, l'altro risvolto della stessa medaglia.» Ann sbatté le palpebre, sinceramente sorpresa. «È questo che pensi che faccia?» «Non è così? Stai decidendo la vita di Richard per lui allo stesso modo in cui l'hai fatto ancor prima che nascesse. È la sua vita. Lui ama Kahlan. Che valore avrebbe la vita per lui se non potesse avere il controllo sui suoi stessi sentimenti, se dovesse fare come dici tu? Chi sei tu per decidere che deve abbandonare ciò che desidera di più e amare me invece? «Come potrei essere il tipo di donna che potrebbe davvero amare, se lo manipolassi nel modo in cui vuoi tu? Se facessi ciò che chiedi, annullerei automaticamente ogni emozione che ho creato in lui, rendendo fasulli tali sentimenti.» Ann pareva scoraggiata. «Ma non voglio che tu lo ami contro la tua volontà. Voglio solo ciò che è meglio anche per te.» «Darei qualunque cosa per poter usare il tuo incitamento come scusa per fare questo, ma non avrei più alcun rispetto per me stessa. Richard ama Kahlan. Non sta a me rimpiazzare quell'amore con qualcos'altro. È perché lo amo che non potrei mai tradire il suo cuore.» «Ma io non penso...» «Saresti contenta di avere l'amore di Nathan come premio per un inganno calcolato? Questo ti soddisferebbe? Ti recherebbe felicità?» Ann distolse lo sguardo, le lacrime che cominciavano a riempirle gli occhi. «No, non lo farebbe.» «Allora come pensi che potrei essere contenta di sedurre Richard al prezzo del mio rispetto per me stessa? L'amore, il vero amore, è qualcosa che meriti per ciò che sei; non è un premio per le tue prestazioni a letto.» Lo sguardo di Ann vagava attorno senza posa. «Ma io intendevo solo...» «Quando portai Richard giù nel Vecchio Mondo, quando lo presi prigioniero, volevo costringerlo ad accettare i dettami dell'Ordine. Ma volevo anche far sì che mi amasse. A quello scopo pensai di fare qualcosa di molto simile a ciò che mi stai chiedendo ora. Richard rifiutò. «Questa è una delle ragioni per cui lo rispetto tanto. Era diverso da qualunque uomo avessi conosciuto che mi voleva semplicemente nel suo letto. Pensavo di poterlo avere con gli stessi mezzi. Lui dimostrò che era la sua mente a guidarlo. Non era un animale come gli altri, che si lasciavano dominare dagli istinti. Lui è un uomo guidato dalla ragione. Ecco perché è la
nostra guida, e non, come tu sembri pensare, perché hai tirato le giuste corde. «Se si fosse concesso a me, non l'avrei mai rispettato come ora. Come potrei amarlo se avesse dimostrato una tale debolezza di carattere? Anche se io acconsentissi al tuo piano, Richard non lo farebbe. Rimarrebbe lo stesso Richard, ora come allora. Tutto quello che accadrebbe è che perderebbe il suo rispetto per me. Alla fine il piano fallirebbe. Fallirebbe perché, in definitiva, neanche tu lo hai rispettato. «Ma vorresti davvero che funzionasse? Vorresti davvero che un uomo dominato dalla passione e non dalla ragione fosse la nostra guida? Vuoi soltanto insediare il fantoccio dei tuoi desideri?» «No, suppongo di no.» «Neanch'io.» Allora Ann sorrise e prese il braccio di Nicci, conducendola per il corridoio di marmo bianco. «Odio ammetterlo, ma capisco il tuo punto di vista. Immagino di aver avuto la colpa di lasciarmi trasportare dalla mia passione nel compiere l'opera del Creatore, fino a credere che io da sola potevo decidere come andasse realizzata e come gli altri dovessero vivere.» Camminarono in silenzio per un po', accompagnate dalla luce tremolante e dal lieve sibilo delle torce. «Mi spiace, Nicci. Nonostante me, ti sei rivelata una donna di vero carattere.» Nicci tenne lo sguardo fisso in lontananza. «Sembra destinato a essere un sentiero solitario.» «Richard sarebbe saggio ad amarti per chi sei, per come sei.» Nicci deglutì, incapace di proferire parola. «Immagino, con tutta questa urgenza, di aver cominciato a dimenticare buona parte della stessa lezione che avevo già imparato da Nathan.» «Forse tutto questo non è davvero colpa tua» concesse Nicci. «Forse ha più a che fare con la Catena di fuoco e quanto abbiamo perduto di ciò che sapevamo.» Ann sospirò. «Non sono sicura di poter dare la responsabilità delle mie azioni di una vita a un incantesimo accaduto solo di recente.» Nicci lanciò un'occhiata all'ex priora. «Di che lezione di Nathan stai parlando?» «Un giorno lui mi convinse più o meno delle stesse cose che tu hai appena riportato alla mia attenzione. In effetti, usò quasi lo stesso tuo ragio-
namento. Ho giudicato male Nathan, proprio come ho fatto con te, Nicci. Hai le mie scuse, figliola, non solo per questo, ma per tanto altro che ti ho sottratto.» Nicci scosse il capo. «No, non scusarti per la mia vita. Ho fatto le mie scelte. Ognuno, in una certa misura, deve affrontare le prove della vita. Ci saranno sempre coloro che cercheranno di influenzarci o anche di dominarci. Non possiamo permettere che tali cose siano una scusa per compiere le scelte sbagliate. In definitiva, ognuno di noi vive la propria vita e ne è responsabile.» Ann assentì. «Gli sbagli di cui abbiamo parlato prima.» Posò una mano con tenerezza sulla schiena di Nicci. «Ma tu hai fatto ammenda per i tuoi, figliola. Sei giunta a essere responsabile per te stessa. Hai agito bene.» «Per quanto abbia riconosciuto i deplorevoli errori nelle mie convinzioni e abbia cercato di correggere i miei sbagli, non penso che questo conti come scusa, ma ti prometto, Ann: qualunque cosa occorra a Richard, da me l'avrà. Questo è ciò che farebbe una vera amica.» Ann sorrise. «Suppongo che tu sia davvero sua amica, Sorella.» «Nicci.» Ann ridacchiò. «E Nicci sia.» Camminarono in silenzio, superando una dozzina di torce. Nicci fu sollevata che Ann avesse infine compreso. Pensò che non si è mai troppo vecchi per capire cose nuove. Sperava che Ann avesse davvero capito e che non si trattasse soltanto di un'altra strategia, un altro modo per esercitare la sua influenza sugli eventi. Forse Nathan l'aveva davvero cambiata, come Ann aveva lasciato intendere. A Nicci pareva sincera. Le sembrava anche di aver atteso tutta la vita questa conversazione con Ann. «Il che mi ricorda qualcosa» disse Ann «che riguarda Nathan e il terribile destino che avevo progettato per lui prima che mi aiutasse a riacquistare il buon senso. C'è qualcosa di importante che ho lasciato giù nei sotterranei.» Nicci lanciò un'occhiata alla sua tarchiata compagna. «E cosa sarebbe?» «Intendevo...» «Bene, bene, bene» disse una voce. Nicci si immobilizzò dov'era, alzando gli occhi giusto in tempo per vedere tre donne uscire da un corridoio più avanti sulla sinistra. Ann le fissò confusa. «Sorella Armina?» Sorella Armina esibì un sorriso altezzoso. «Ma tu guarda, la defunta Pri-
ora... ancora viva, sembrerebbe.» Sollevò un sopracciglio. «Credo che possiamo rimediare a questo problema.» Ann usò il suo peso per tirare Nicci dietro di sé. «Corri, figliola. Ora sta a te proteggerlo.» Nicci non aveva dubbi su chi intendesse Ann. 20 Avendo partecipato a innumerevoli scontri mortali, Nicci sapeva che correre via in quel momento sarebbe stato un errore fatale. Invece si affidò all'istinto e sollevò una mano sopra la spalla di Ann, facendo appello a ogni frammento di potere oscuro che possedeva. Si impegnava con tutta sé stessa a richiamare una violenza senza freni sulle tre donne giù per il corridoio. Nello stesso sconcertante attimo in cui avvertì l'insuccesso di quella connessione dinamica e non accadde nulla, si rese conto che, all'interno del Palazzo del Popolo, il suo potere era per la maggior parte inutile. Il peso morto del terrore scese su di lei. Dal fondo del corridoio sfrigolò un fulmine. L'improvviso rumore fra i confini del corridoio fu assordante. La sua luce sfavillante mentre rimbalzava attraverso il bianco passaggio quasi la accecò. Scuri filamenti neri come l'inchiostro erano aggrovigliati nel chiarore del fulmine, creando un miscuglio confuso che sfrigolava e scoppiettava. Volarono scintille. L'aria avvampò. L'elemento Detrattivo era talmente nero che sembrava come un vuoto nell'esistenza. In effetti lo era. Il marmo che ricopriva pavimento, soffitto e pareti si squarciò in fenditure seghettate al contatto. Schegge di pietra vennero sparate per il corridoio, rimbalzando dappertutto. Ondate di polvere di marmo si levarono mentre l'aria stessa era sconvolta dalla violenza della scarica di energia. L'impatto spense la luce di diverse torce vicine. Malgrado il suo potere fosse talmente ridotto da vanificare la forza da lei impiegata, nell'istante in cui aveva toccato il proprio Han, Nicci riusciva ancora a sentire il familiare mutamento nella sua percezione del tempo. Le sue braccia e gambe sembravano di piombo. Il mondo all'interno della sua visuale sembrò quasi fermarsi. Poteva vedere ogni frammento di pietra rotolare mentre volava verso di lei attraverso il fumoso corridoio. Avrebbe avuto tempo più che sufficiente per contarli tutti mentre erano sospesi a mezz'aria. Poteva vedere ogni pez-
zetto, scheggia e granello roteare mentre volava. Nel frattempo il fulmine colpiva in modo violento, sferzando l'aria in modo lentissimo avanti e indietro, lasciando una traccia di bagliore accecante nello sguardo di Nicci. Il fulmine faceva esplodere la pietra ovunque la toccava. Mentre il mondo rallentava, la sua mente accelerava, cercando di pensare a un modo per fermare quello che stava inesorabilmente arrivando verso di loro. Ma non c'era nulla che potesse evocare per fermare Magia Aggiuntiva e Detrattiva intrecciate assieme in un miscuglio tanto violento. Il suo potere penetrava la roccia fino in profondità. L'aria stessa sfrigolava. Mentre il filamento di luce liquida si contorceva incontrollato lungo il corridoio, Ann si tuffò di fronte a Nicci. Nicci sapeva fin troppo bene cosa sarebbe accaduto. Conosceva la natura delle tre donne che stavano affrontando. Sapeva che genere di potere letale avevano invocato. Non avendo il tempo di urlarle un ordine, Nicci allungò invece un braccio per afferrare l'ex priora e gettarla a terra fuori pericolo. Agguantò il suo abito grigio. Le sue dita cominciarono a chiudersi in modo lentissimo. Era una corsa fra l'ottenere una presa salda e il fulmine guizzante che sembrava imperversare fuori controllo. Ma Nicci sapeva che non lo era per davvero. La crepitante scarica di energia balzò di lato e colpì in pieno con violenza la donna bassa. Il bagliore accecante la squarciò completamente, uscendole dalla schiena. L'impatto fu talmente potente da strappar via l'ex priora dalla presa incerta di Nicci. Il tozzo corpo di Ann si schiantò contro la parete con tanta forza da incrinare la lastra di marmo. Un impatto del genere aveva di certo rotto quasi ogni osso del suo corpo. Nicci capì, però, che Annalina Aldurren era morta ancor prima di colpire il muro. Il fulmine si spense all'improvviso. Lo schiocco del tuono lasciò un ronzio nelle orecchie di Nicci. Il bagliore residuo bruciò nel suo campo visivo. Ann, i suoi occhi fissi senza vita, scivolò sul pavimento e cadde a faccia in giù. Una pozza di sangue si spandette sotto di lei, inondando il marmo bianco. Le tre donne lungo il corridoio, come tre avvoltoi appollaiati su un ramo secco, stavano spalla a spalla a osservare Nicci. Nicci sapeva come avevano appena realizzato ciò che lei non era riuscita a fare: avevano congiunto i propri poteri. Lei stessa, quando erano state catturate da Jagang, aveva congiunto le sue capacità con le Sorelle dell'O-
scurità. Avevano agito tutte e tre come una e in tal modo erano appena riuscite a usare il loro potere all'interno del palazzo. Ciò che Nicci non sapeva era come fossero entrate. Si aspettava che da un secondo all'altro il fulmine divampasse di nuovo e che lei subisse la stessa sorte di Ann. C'era stato un tempo in cui non le sarebbe importato nulla di morire. Ora le importava. Le importava molto. Si rammaricò di non avere l'opportunità di contrattaccare prima della fine. Almeno sarebbe stata rapida. Sorella Armina le sorrise con aria perfida. «Nicci, cara. Com'è bello rivederti.» «Frequenti cattive compagnie» disse Sorella Julia, vicina a Sorella Armina, alla sua destra. La tarchiata Sorella Greta, alla sua sinistra, la guardava torva. Tutte e tre erano Sorelle dell'Oscurità. Sorella Armina si era liberata da Jagang, assieme a Ulicia, Cecilia e Tovi. Per conto proprio, quelle quattro avevano attivato la Catena di fuoco, catturato Kahlan e messo le scatole dell'Orden in campo. Ma le Sorelle Julia e Greta, anche loro ben note a Nicci, erano state a lungo prigioniere di Jagang. Il fatto che Sorella Armina fosse con le altre due non aveva senso. Non avendo tempo di riflettere sulle implicazioni, Nicci decise che, se stava per morire, almeno avrebbe cercato di combattere. Arcuò bruscamente il braccio, lanciando lo schermo più forte che poteva evocare, sapendo quanto sarebbe stato debole ma con la speranza che reggesse abbastanza a lungo. Schizzò nella direzione opposta: indietro, verso le scale. Non aveva fatto tre passi che una corda di aria compatta sferzò attorno a lei, facendola cadere di peso sul pavimento. Il suo schermo si era rivelato inutile contro il potere congiunto di quelle tre. Per certi versi era sbalordita che non avessero adoperato lo stesso tipo di potere mortale che avevano usato su Ann. Senza aspettare di capire il perché o ipotizzare ciò che sarebbe seguito, Nicci rotolò sulla sinistra, poi balzò in piedi. Si tuffò attraverso un'apertura in un altro corridoio. Dietro di lei, poteva sentire le tre Sorelle che le correvano dietro. In quei corridoi semplici e vuoti, fatti di marmo liscio, non c'era posto per nascondersi. Nicci sapeva che, se avesse corso, avrebbero semplicemente scagliato un dardo di energia per abbatterla. Non aveva alcuna possibilità di seminarle e fuggire fuori dalla portata del loro potere. Ma, dato che la stavano già inseguendo, con tutta probabilità si aspettavano che cor-
resse anche lei; Nicci premette invece la schiena contro la parete appena voltato l'angolo della successiva intersezione, sul lato più vicino alle tre che la inseguivano. Boccheggiò, riprendendo fiato, cercando di restare il più silenziosa possibile. Dal punto in cui era, non riusciva a vedere il corpo di Ann, ma poteva scorgere la vivida macchia di sangue che fluiva sul bianco pavimento di marmo. Era difficile credere che Ann fosse morta. Lei era stata testimone dell'ascesa e della caduta di regni e del passare di innumerevoli generazioni per un vasto arco di tempo. Sembrava che fosse viva da sempre. Era impensabile immaginare un mondo senza Annalina Aldurren. Sebbene Nicci non avesse apprezzato la Priora, provò tuttavia una fitta di dolore per lei. Alla fine quella donna aveva riconosciuto alcuni dei propri errori. Dopo tutto quel tempo, dopo una vita tanto lunga, alla fine era riuscita a trovare il vero amore. Sentendo i passi avvicinarsi di corsa, Nicci raccolse le idee. Non c'era tempo per rattristarsi. Nicci non era certo estranea alla violenza e alla morte, ma non era affatto abituata a quel genere di combattimento. Come Amante della Morte, era stata testimone di migliaia di decessi e aveva ucciso più persone di quante potesse contare o ricordare, ma non l'aveva mai fatto a mani nude. Ora, senza il suo potere, quella era la sua unica alternativa. Cercò di pensare a come avrebbe agito Richard. Quando le tre Sorelle voltarono di corsa l'angolo, Nicci usò tutta la sua forza per piantare il gomito in faccia alla più vicina. Udì i denti rompersi. Il suo cuore stava battendo così veloce che non sentì nemmeno il colpo nel suo gomito. Sorella Julia venne scaraventata a terra sulla schiena. Senza esitare, proprio mentre Sorella Julia stava ancora slittando sul pavimento, Nicci si lanciò su Sorella Armina, afferrandola per i capelli. Usò lo slancio in avanti della donna spingerla dall'altro lato del corridoio e sbatterle la testa contro la parete. Il suo cranio emise un nauseante schianto contro la pietra. Nicci sperava almeno di far perdere i sensi alla donna, se non di ucciderla. Se fosse rimasta in piedi solo una Sorella, non sarebbe stata in grado di usare il suo potere meglio di Nicci. Ma Sorella Armina era ancora abbastanza cosciente. Lanciò delle imprecazioni mentre lottava per liberarsi. Nicci la strattonò indietro, mentre era ancora in posizione di vantaggio, sollevandola per i capelli per prendere un altro slancio e sbatterle la faccia contro la parete.
Prima che potesse riuscire a farlo, la tarchiata Sorella Greta si avventò contro la cintola di Nicci, scaraventandola da un lato, lontano da Sorella Armina. Il peso della Sorella scagliatasi contro di lei fece schiantare Nicci contro la parete con tale forza da lasciarla senza fiato. Cercò di afferrare alla cieca la donna che la tratteneva, tentando di scrollarsela di dosso. Sorella Greta, avvinghiata attorno alla vita di Nicci, roteò di lato, gettandola con facilità a terra a faccia in giù. Nicci si girò su sé stessa per scalciarla via. Sorella Armina, il sangue che le scorreva giù per il volto, piantò uno stivale sul petto di Nicci. Sorella Greta si alzò in piedi accanto a lei, riprendendo fiato. Prima che Nicci potesse dibattersi per alzarsi, una scossa di dolore le bruciò in tutto il corpo, esplodendo alla base del cranio. Lo shock le tolse l'aria dai polmoni. Due di loro, unendo il loro dono, erano sufficienti a soggiogarla. «Non è un modo molto cortese di salutare le tue Sorelle» disse Sorella Greta. Nicci cercò di ignorare il dolore. Le sue braccia si divincolarono mentre tentava di alzarsi, ma Sorella Armina mise più peso sul piede e allo stesso tempo estese gli aguzzi aculei di dolore. La vista di Nicci si sfocò fino a un puntino al centro di un buio cunicolo di oscurità, la sua schiena si inarcò mentre i muscoli si annodavano in preda alle convulsioni. Le sue dita rasparono il pavimento. Pensò che avrebbe fatto qualunque cosa affinché si fermasse. «Ti suggerisco di stare dove sei,» disse Sorella Armina «o, se preferisci, ti ricorderemo quanta altra agonia possiamo infliggere.» Sollevò un sopracciglio verso Nicci. «Mmm?» Nicci non riusciva a parlare. Con lacrime di sofferenza che le sgorgavano dagli occhi, poté solo annuire. Sorella Julia arrancò lì vicino, tenendosi entrambe le mani sulla bocca mentre urlava dal dolore e dalla rabbia. Il sangue le colava a rivoletti dal mento, ricopriva il davanti del suo sbiadito abito blu e le gocciolava dai gomiti. Sorella Armina, col piede ancora sul petto di Nicci, si chinò in avanti, appoggiando un braccio sul ginocchio. Con una voce che era solo in parte la sua disse: «Sei ritornata finalmente da noi, mia cara?» Il sangue di Nicci le si gelò nelle vene.
Si rese conto che era Jagang a fissarla. Se non fosse stata in preda a un tale dolore, se avesse potuto fare altro oltre che respirare, di sicuro avrebbe corso, anche se avrebbe significato morte certa. Una morte rapida sarebbe stata preferibile. Incapace di scappar via, si immaginò invece di cavare gli occhi - la finestra di Jagang - a Sorella Armina. «Ti farò ingoiare i denti per questo!» disse Sorella Julia con voce soffocata da dietro la mani serrate sulla sua bocca. «Ti farò...» «Zitta,» disse Sorella Armina con quella terribile voce che era sua solo per metà «o non lascerò che ti guariscano.» Il terrore balenò negli occhi di Sorella Julia quando riconobbe Jagang che la stava apostrofando. Si zittì. Sorella Armina le tese una mano. «Dammelo.» Sorella Julia fece scivolare le dita insanguinate in una tasca e ne trasse qualcosa di inatteso, qualcosa che fece trattenere il fiato a Nicci dallo spavento. Sorella Julia lo porse a Sorella Armina. Sorella Armina tolse il piede e si abbassò su un ginocchio, chinandosi su Nicci stesa a terra. Nicci sapeva cosa stava per accadere. Lottò con tutta la sua forza, tutto il suo panico, ma non riuscì a ottenere risposta dal corpo. I suoi muscoli erano serrati, rigidi per il potere formicolante che le intorpidiva i nervi. Sorella Armina si piegò in avanti e mise a forza il collare macchiato di sangue attorno alla gola di Nicci. Nicci avvertì il Rada'Han chiudersi di scatto. Nello stesso istante, perse il contatto col suo Han. Lei era nata col dono. Spesso non ci pensava neanche. Ora era privata completamente della sua capacità. Come la vista o l'udito, era sempre stato lì, qualcosa che aveva usato ogni volta senza pensarci. In quel momento c'era solo un vuoto inconsueto e terrificante. Una separazione tanto brusca dal suo dono la lasciò intontita. Esserne privata era come essere senza una parte di lei, senza l'essenza stessa di chi era, di cos'era. «In piedi» disse Sorella Armina. Quando il dolore si alleviò, Nicci si afflosciò sul pavimento con tutto il corpo. Non sapeva se i muscoli le avrebbero funzionato o se avrebbe avuto la forza di alzarsi, ma conosceva Sorella Armina abbastanza bene da non esitare. Si rigirò e cercò di tirarsi su. Quando non si movette abbastanza veloce per Sorella Armina, una scarica di dolore lancinante la colpì con vi-
olenza alle reni. Ricacciò indietro un urlo. Le braccia e le gambe si stesero dritte involontariamente mentre cadeva di piatto sul pavimento. Sorella Greta ridacchiò. «Alzati,» disse Sorella Armina «o ti mostrerò un po' di vero dolore.» Nicci si tirò su di nuovo sulle mani inginocchiandosi. Boccheggiò, riprendendo fiato. Delle lacrime gocciolarono sul pavimento polveroso. Sapendo che era meglio non attardarsi, si rialzò in piedi. Le gambe le tremavano, ma riuscì a stare eretta. «Uccidimi e basta» disse Nicci. «Non ho intenzione di cooperare, non importa quanto dolore tu mi infligga.» Sorella Armina drizzò la testa, scrutando Nicci da vicino con un occhio solo. «Oh, mia cara, penso che su questo tu sia in errore.» Era di nuovo la voce di Jagang a parlare. Un accecante scintillio di agonia, trasmesso dal collare attorno alla gola, si diffuse con impeto fin nel profondo di Nicci. Il dolore fu così lancinante che la fece cadere in ginocchio. Aveva sopportato dolore da Jagang prima di allora, quando era stato in grado di entrare nella sua mente, prima che apprendesse come fermarlo. Era la sua devozione a Richard, il legame, che aveva protetto lei proprio come tutti i D'Hariani e coloro che seguivano il lord Rahl. Ma prima di allora, quando era stato in grado di entrare nella sua mente, proprio come in quella di queste Sorelle, era stato capace di far sembrare che stesse conficcando chiodi di ferro nelle orecchie di Nicci per poi mandare il dolore a lacerarle le interiora. Questo era peggio. Fissò il pavimento, aspettandosi senza dubbio che le sgorgasse sangue dalle orecchie e dal naso e cominciasse a imbrattare la pietra. Sbatté le palpebre e ansimò in completa agonia, ma non vide sangue. Avrebbe preferito di sì. Se avesse sanguinato abbastanza, sarebbe morta. Ma conosceva Jagang a sufficienza da sapere che non le avrebbe permesso di morire. Non ancora, comunque. Al tiranno dei sogni non piaceva impartire una morte rapida alle persone che lo facevano infuriare. Nicci sapeva che probabilmente non c'era nessuno che Jagang volesse far soffrire più di lei. Alla fine l'avrebbe uccisa, certo, ma prima avrebbe ottenuto la sua vendetta. Senza dubbio l'avrebbe concessa ai suoi uomini per un po', solo per umiliarla, poi l'avrebbe mandata alle tende della tortura. Quella parte, lei lo sapeva, sarebbe durata molto a lungo. Quando alla fine lui si fosse stancato delle sue sofferenze, lei a-
vrebbe passato i suoi ultimi giorni con gli intestini che le venivano estratti lentamente da un foro nella pancia. Lui avrebbe voluto star lì a vederla finalmente morire, per assicurarsi che l'ultima cosa che vedeva prima della fine fosse il suo sorriso dì trionfo. L'unica cosa che rimpiangeva in quel momento, mentre si rendeva conto del destino che la attendeva, era che non avrebbe più rivisto Richard. Pensò che se avesse potuto vederlo solo un'altra volta, avrebbe potuto sopportare ciò che sarebbe accaduto. Sorella Armina fece un passo in avanti, abbastanza vicina da essere sicura che Nicci potesse vedere il suo sorriso di superiorità. Era lei ad avere il controllo del collare attorno alla gola di Nicci. Anche Jagang poteva dominarla attraverso quella connessione. Il Rada'Han era fatto per controllare giovani maghi. Agiva sul dono. Anche se il Palazzo del Popolo smorzava il suo dono, impedendo la proiezione del potere, non avrebbe ostacolato il collare, poiché il Rada'Han funzionava internamente. Il congegno poteva causare un dolore inimmaginabile, sufficiente perché un ragazzo facesse qualunque cosa affinché smettesse. Nicci, in ginocchio, tremò mentre boccheggiava agonizzante. La sua vista si fece sempre più scura finché quasi non fu in grado di vedere nulla. Le orecchie le ronzavano. «Ora capisci cosa accadrà se ci disobbedirai?» le chiese Sorella Armina. Nicci non riuscì a rispondere. Non aveva voce. Fece un lieve cenno col capo. Sorella Armina si chinò. Il sangue aveva smesso di colarle dalla testa. «Allora in piedi, Sorella.» Il dolore si placò abbastanza perché Nicci fosse in grado di alzarsi. Non voleva stare in piedi. Voleva che la uccidessero. Ma Jagang non l'avrebbe permesso. Jagang voleva mettere le mani su di lei. Mentre la sua vista cominciava a schiarirsi, vide che Sorella Greta era tornata nel corridoio per frugare fra le tasche di Ann. Tirò fuori qualcosa da una tasca nascosta sotto la cintura della Priora. La ispezionò e poi la mostrò. «Indovinate cos'ho trovato» disse, agitando l'oggetto perché le altre due lo vedessero. «Lo prendiamo?» «Sì,» disse Sorella Armina «ma fa' in fretta.» Sorella Greta ficcò il piccolo oggetto nella sua tasca e tornò dalle altre due. «Non ha nient'altro.» Sorella Armina annuì. «Faremo meglio a sbrigarci.»
Le tre stettero spalla a spalla, voltandosi di nuovo in direzione del corridoio verso Ann. Nicci riuscì a capire che, anche se unite, avevano ancora difficoltà a usare il loro potere. Senza l'incantesimo del Palazzo del Popolo a prosciugare il loro Han, ciascuna di loro, da sola, avrebbe potuto facilmente brandire il genere di potere che aveva ucciso Ann. L'aria sfrigolò per l'accensione della Magia Detrattiva. I corridoi si scurirono quando molte altre torce vennero spente dalla scarica. Un'oscurità nera come l'inchiostro fluttuò attraverso il passaggio, verso la Priora, avviluppando infine la donna morta. Il ronzio del potere fece di nuovo perdere la vista a Nicci momentaneamente sotto l'opprimente coltre di tenebre. Quando ritornò, Ann non c'era più. Tutto il suo sangue era sparito. Ogni traccia della sua esistenza era stata spazzata via dalla Magia Detrattiva. Sembrava impossibile che quasi mille anni di vita potessero essere svaniti in un istante. Nessuno avrebbe mai saputo cosa le era successo. Mentre il cadavere e il sangue erano stati eliminati, il marmo frantumato non si poteva riparare così facilmente. Alle Sorelle pareva non importare. A Nicci sembrò come se ogni cosa, perfino la speranza, fosse morta. Sorella Armina afferrò Nicci per un braccio e la spinse lungo il corridoio. Nicci incespicò ma riacquistò l'equilibrio prima di cadere. Camminò in modo rigido davanti alle tre, pungolata a continuare a muoversi da acuti solleciti che il collare inviava nelle sue tenere reni. Non erano andate molto lontano prima che a Nicci venisse ordinato di svoltare per un corridoio sulla sinistra. Lei seguì i loro ordini in maniera meccanica, girando e prendendo diversi passaggi più piccoli quando le veniva detto, finché alla fine di un corridoio non giunsero all'entrata di una tomba. C'erano delle porte chiuse piuttosto semplici, rivestite d'ottone. Non erano tanto massicce o finemente decorate come alcune delle altre che aveva visto quando aveva visitato la tomba del nonno di Richard, Panis Rahl, situata in una zona distante. A Nicci sembrò strano andare in una tomba. Si domandò se le Sorelle intendessero nascondersi finché non fossero riuscite a escogitare un modo per fuggire dal palazzo strettamente sorvegliato. Dato che era notte, forse progettavano di aspettare fino a un momento del giorno di maggior confusione, quando non sarebbero state notate così facilmente. Nicci non riusciva a immaginare come fossero entrate. Su ogni porta era sbalzato un semplice simbolo di un cerchio dentro un cerchio. Sorella Greta tirò una maniglia, aprendo un battente, e fece entrare
le altre, Nicci in testa. All'interno, le Sorelle usarono una scintilla di energia per accendere un'unica torcia. Una bara finemente decorata era poggiata su un pavimento rialzato al centro della stanzetta. Le pareti sopra l'altezza della bara erano ricoperte di pietra a volute di color marrone chiaro e scuro. Granito nero, che scintillava con scaglie d'ottone alla luce della torcia, ricopriva la parte inferiore delle pareti. Era una strana disposizione, che faceva quasi sembrare la porzione superiore, sopra la bara, come il mondo della vita, mentre quella sottostante ricoperta di pietra nera rievocava il mondo sotterraneo. Intagliate nella pietra più chiara al di sopra c'erano le preghiere più comuni in D'Hariano Alto. Correvano a gruppi tutt'intorno alla stanza. Nicci esaminò le scritte, che sembravano appelli piuttosto comuni ai buoni spiriti affinché accogliessero questo lord Rahl fra i loro ranghi assieme agli altri che erano giunti prima di lui. Parlava della vita di quell'uomo e delle cose che aveva fatto per il suo popolo. Per Nicci in quelle scritte non spiccava nulla di particolare. Sembrava la tomba di un lord Rahl di un lontano passato che aveva servito il suo popolo governando nel corso di un'epoca piuttosto pacifica nella storia del D'Hara. Le parole lo definivano un tempo di 'transizione'. Iscritto nel granito nero che ricopriva le pareti inferiori c'era un ammonimento piuttosto strano di ricordare le fondamenta che rendevano possibile tutto ciò che stava sopra di esse. Quelle fondamenta, diceva, erano state poste da innumerevoli anime da lungo tempo dimenticate. La bara stessa, fatta di pietra liscia e di forma semplice, era coperta di iscrizioni che consigliavano alle persone in vista di tenere a mente tutti coloro che avevano lasciato questa vita per quella successiva. Sorella Armina, in modo sorprendente, premette il suo peso contro un'estremità della bara. Con un grugnito per lo sforzo, spinse, e la bara si mosse di pochi pollici, rivelando una leva. Lei allungò una mano nella stretta fessura, afferrò la leva e la tirò finché non tornò a posto con uno scatto. La bara ruotò su sé stessa, emettendo solo un lieve rumore. Una volta che fu rigirata, Nicci fu sorpresa di vedere un'apertura buia. Non era una tomba. Era un ingresso segreto per ciò che si trovava al di sotto. Quando Sorella Julia la spintonò, Nicci fece un passo avanti sulla piattaforma rialzata finché non vide delle scale rozzamente intagliate nella roccia che scendevano nell'oscurità.
Sorella Greta scese nell'apertura. Accese una torcia fra una dozzina di quelle conficcate in una fila di buchi nel rozzo muro di pietra e poi la prese con sé mentre cominciava a scendere. Poi venne Sorella Julia, anche lei dopo aver preso una torcia. «Be',» disse Sorella Armina «cosa stai aspettando? Muoviti.» 21 Sollevando le gonne del suo abito nero, Nicci superò il bordo rialzato del piedistallo su cui si trovava la bara. Si aggrappò all'orlo dell'apertura per reggersi mentre scendeva per la ripida rampa di scale. Le prime due Sorelle stavano già avanzando più in giù. Il bagliore tremolante delle loro torce non mostrava che un tratto di scalini quasi verticale. Non appena Sorella Armina si fu introdotta dopo Nicci, tirò un'altra leva all'interno del muro, poi prese una torcia per sé. In alto, la bara ruotò nuovamente al suo posto, sigillandole dentro. A Nicci sembrava che stessero per scendere nel mondo sotterraneo stesso. Le scale svoltavano all'ingiù a casaccio. La rampa era larga a sufficienza per una sola persona alla volta. Scendendo con un'angolazione ripida, gli scalini divennero piccoli pianerottoli solo per continuare a scendere in profondità in quelle che sembravano direzioni casuali. Le scale stesse sembravano rozzamente intagliate: erano irregolari e di dimensioni diverse, rendendo insidiosa la discesa. Sembrava che chiunque le avesse scolpite, avesse seguito vene più morbide nella roccia dovunque fossero disponibili. Il risultato era una strada tortuosa e serpeggiante. Le scale digradavano così di colpo che Nicci si ritrovò a respirare il fumo delle due torce portate dalle Sorelle subito sotto di lei. Mentre la sua mente si affannava a vagliare le alternative, prese brevemente in considerazione di gettarsi giù dalla rampa scoscesa nella speranza di potersi rompere l'osso del collo, forse perfino portando con sé le due sotto di lei, ma dato che l'apertura era così stretta si aspettava con tutta probabilità di incunearsi fino a fermarsi prima di arrivare in fondo alla rampa. Anche i pianerottoli erano numerosi, perciò le scale, pur essendo ripide, si fermavano di frequente per fare delle curve. Probabilmente si sarebbe rotta un braccio, non il collo. Le percorsero verso il basso per quelle che a Nicci sembrarono ore. Scesero a un angolo così ripido che le cosce le bruciavano. Dal modo in cui
faticavano a respirare, anche le tre Sorelle pativano la fatica. Chiaramente non erano abituate a quello sforzo estenuante e si stavano stancando. Per quanto anche Nicci si stesse affaticando, non aveva gli stessi problemi delle altre. Le Sorelle dovettero fermarsi un gran numero di volte per delle brevi soste. Quando si fermavano, sedevano su un gradino, appoggiandosi contro il muro, ansimando mentre riprendevano fiato. Nicci veniva costretta a stare in piedi. A nessuna delle tre piaceva Nicci. Come aveva detto ad Ann, lei era diversa dal resto delle Sorelle dell'Oscurità. Loro avevano sempre pensato di meritare ricompense eterne. Nicci aveva sempre pensato di meritare una punizione senza fine. Era una macabra ironia che, solo dopo aver compreso il valore della sua vita, avrebbe ottenuto quella punizione che aveva ritenuto di meritare: Jagang se ne sarebbe assicurato. Quando sembrava che non sarebbe riuscita a percorrere un'altra rampa, arrivarono a uno spazio piatto. Dapprima Nicci pensò che potesse trattarsi solo di un altro pianerottolo, ma si rivelò un corridoio. La strada davanti a loro scavava un percorso tortuoso in modo molto simile a quello delle scale, tranne che era piatto. In alcune parti, lo stretto cunicolo era così basso che dovevano camminare carponi. I muri erano stati intagliati da quella stessa roccia ed erano irregolari, facendolo sembrare non molto diverso da una caverna. Alcuni punti erano tanto stretti da attraversare che vi si dovevano intrufolare a forza. Nelle strettoie, il fumo asfissiante delle torce faceva bruciare gli occhi di Nicci. L'angusto cunicolo si allargò di colpo in un vero e proprio corridoio, tanto ampio che due persone potevano camminarvi fianco a fianco. Le pareti, invece di essere intagliate dalla roccia, erano fatte di blocchi di pietra. Il soffitto, formato da enormi lastre ampie quanto il passaggio, era annerito dalla fuliggine delle torce e basso, ma non tanto da costringere Nicci a piegarsi. In breve cominciarono a incontrare intersezioni e corridoi ai lati. Presto divenne chiaro che c'era un labirinto di passaggi che si diramavano in ogni direzione. Mentre superavano intersezioni che si biforcavano, la luce delle torce illuminava brevemente lunghi corridoi bui. In alcune delle aperture laterali, però, Nicci vidi delle stanze con basse nicchie intagliate ai lati delle pareti. La curiosità ebbe la meglio su di lei. Lanciò uno sguardo voltandosi appena verso Sorella Armina. «Cos'è questo posto?»
«Catacombe.» Nicci non sapeva che esistessero delle catacombe sotto il Palazzo del Popolo. Si domandò se qualcuno di quelli lassù - Nathan, Ann, Verna, le Mord-Sith - ne fosse a conoscenza. Appena formulata la domanda nella sua mente, seppe la risposta. Nessuno lo sapeva. «Be', cosa ci facciamo quaggiù?» Sorella Julia si voltò per rivolgere a Nicci un sanguinoso sorriso senza denti. «Lo scoprirai molto presto.» Ora che sapeva cos'era quel posto, Nicci si rese conto che quelli che aveva visto ammassati in alcune delle stanze laterali erano corpi, cadaveri a migliaia, avvolti in sudari funebri e ricoperti di polvere nel corso dei secoli bui, immobili, silenziosi. Mentre superavano altre camere a brevi intervalli, cominciò a vedere delle rientranze nelle pareti che non ospitavano resti di individui ma cumuli d'ossa. Queste erano ammassate in mucchi sconcertanti, tutte inserite con cura nelle nicchie, riempiendole completamente. Mentre la luce delle torce ricadeva nelle stanze da ciascun lato, Nicci vide teschi impilati assieme dal pavimento al soffitto. Le file ordinate di crani si estendevano fin dove la luce si addentrava. Non si poteva dire quanto si estendessero nell'oscurità quelle camere piene di teschi accatastati con ordine. Nicci trovò terrificante contemplare tutti quegli individui. Una volta erano stati gente viva che era nata, cresciuta e aveva vissuto delle esistenze piene probabilmente di famiglia e amore. Adesso c'erano soltanto delle ossa a testimoniare che erano esistiti. Nicci deglutì allo spaventoso pensiero che presto sarebbe finita come un altro teschio anonimo che un giorno qualcuno avrebbe visto per poi chiedersi di chi fosse stato. Proprio come lei non sapeva nulla di quegli individui, di ciò che sognavano, quello in cui credevano, ciò che amavano o perfino che aspetto avevano avuto in vita, lei si sarebbe tramutata in ossa senza nome che si sarebbero sbriciolate lentamente. Solo poco tempo prima era stata fra la bellezza del palazzo, fra il colore e la vita. Ora si trovava in mezzo a nient'altro che polvere e terra e morte, diretta alla propria. Le due Sorelle davanti facevano da guida attraverso una contorta serie di intersezioni. Alcuni dei passaggi che prendevano si inclinavano all'ingiù. In diversi punti dovettero scendere altre rampe di scale verso corridoi ancora più in profondità nella terra. Ovunque c'erano stanze piene d'ossa, alcune con teschi, altre con ossa
diverse ammassate con ordine in ogni spazio disponibile, tutte testimonianza silenziosa di vite un tempo vissute. Alcuni dei corridoi attraverso cui passarono erano costruiti con mattoni, ma la maggior parte erano fatti di roccia. Dalle dimensioni delle pietre e dagli stili di costruzione variabili, sembrava che stessero passando da un'era all'altra, ogni epoca che preferiva un diverso metodo per ampliare le catacombe in costante crescita per i propri morti. La svolta successiva le condusse oltre una stanza con un diverso tipo di ingresso. Spesse lastre di pietra che avevano sigillato la caverna al di là erano state fatte scivolare di lato. Nicci fu sorpresa di vedere un'altra Sorella che montava la guardia. Più oltre, all'interno nelle ombre, c'erano grosse guardie dell'Ordine Imperiale. A giudicare dalla loro taglia, dal tipo di cotta di maglia che indossavano, le cinghie di cuoio che si incrociavano sul loro petto, assieme ai tatuaggi sulle loro teste rasate, questi erano alcuni dei soldati più fidati e abili di Jagang. Dietro di loro, Nicci vide che la stanza bassa era stipata di scaffali contenenti innumerevoli libri. Più in là, oltre le file, in vari punti la luce delle lampade rivelò che c'erano persone intente a scartabellare i volumi. Jagang aveva squadre di studiosi dedicati a rovistare cumuli di libri per lui. Erano addestrati in modo specifico e sapevano il genere di cose che Jagang stava cercando. Quel posto ricordò molto da vicino a Nicci le catacombe giù a Caska. Era lì che, con l'aiuto di Jillian, Richard aveva scoperto il libro La Catena di fuoco. Nicci si rese conto che anche in quelle catacombe era probabile che ci fossero diverse stanze piene di libri. «Tu,» intimò Sorella Armina a una delle guardie «vieni qui.» Quando l'uomo si fu fermato nella sala lì fuori e si fu appoggiato alla sua lancia, lei gli fece un gesto indicando la via da cui era venuto. «Prendi alcuni operai e...» «Che tipo di operai?» la interruppe l'uomo. Uomini del genere non si lasciavano intimidire dalle Sorelle dell'Oscurità, semplici prigioniere, schiave dell'imperatore. «Uomini che sappiano come lavorare con la roccia» disse «con lastre di marmo. Sorella Greta verrà con voi e vi mostrerà quel che bisogna fare. Sua Eccellenza non vuole che nessuno sappia che abbiamo scoperto un accesso al palazzo.» Poiché Jagang era un tiranno dei sogni, entrava di frequente nelle menti delle Sorelle. Al soldato appariva sempre più ovvio che Sorella Armina
stava operando sotto la guida dell'imperatore stesso, perciò annuì senza obiezioni mentre lei proseguiva. «C'è un posto lassù, proprio vicino a dove siamo entrate, dove la pietra è stata danneggiata. È una piccola rete secondaria di corridoi. Dovrete staccare le lastre integre dalle pareti di quella zona danneggiata e usarle per bloccare quella diramazione di passaggi. Dall'altro lato deve sembrare parte del muro del corridoio principale. Deve ingannare chiunque scenda per quel corridoio in modo che pensi che non possa esserci un'apertura lì. Dev'essere fatto immediatamente.» Inclinò la testa verso Nicci. «Prima che chiunque venga a cercarla scopra il danno.» «Quelli che conoscono il posto non si renderanno conto che un'intersezione è stata ostruita?» «No, se sembra continua, se pare che sia sempre stata così. È la zona funeraria del palazzo. Il lord Rahl la usa per visitare i suoi antenati, ma solo nelle rare occasioni in cui desidera farlo. È altamente improbabile che qualcun altro vi scenda, perciò nessuno dovrebbe notare che manca un'intersezione... almeno, non finché non sarà troppo tardi.» L'uomo scoccò un'occhiata minacciosa a Nicci. «Allora cosa ci fa lei quaggiù?» Quando Sorella Armina le rivolse uno sguardo interrogativo, Nicci avvertì un'improvvisa scarica di dolore causata dal collare. Sorella Armina sollevò un sopracciglio. «Be'? Rispondi alla sua domanda.» Nicci trasse un brusco respiro nonostante l'acuto dolore che le scorreva giù per la schiena e le gambe. «Stavo solo facendo una passeggiata... per una conversazione privata... dove nessuno ci disturbasse» riuscì a dire fra rantoli di agonia. La Sorella parve indifferente alla spiegazione di Nicci. Si voltò di nuovo verso il soldato. «Vedi? È una zona quasi inutilizzata. Ma dev'esser fatto prima che qualcuno scenda lì a cercare lei e la donna che abbiamo ucciso. Lavorate più in fretta possibile.» L'uomo si passò una mano sulla calva testa tatuata. «D'accordo. Ma sembra un lavoro eccessivo per nascondere un piccolo danno.» Scrollò le spalle. «Dopo tutto, se lo vedono, non sapranno perché è danneggiato. Probabilmente penseranno che risale a prima. Ci sono state battaglie all'interno del palazzo nel recente passato.» Sorella Armina non sembrava compiaciuta che l'uomo la stesse mettendo in discussione. «Sua Eccellenza non vuole che nessuno lassù sappia che
abbiamo trovato un accesso. Questo per lui è di capitale importanza. Vorresti che io gli dicessi che secondo te il lavoro non vale lo sforzo e semplicemente non dovrebbe preoccuparsi?» L'uomo si schiarì la gola. «No, certo che no.» «Inoltre, ci fornirà un posto per radunarci e prepararci senza che nessuno sappia che siamo proprio lì, dall'altra parte di una sottile maschera di marmo.» Lui chinò il capo. «Me ne occuperò subito, Sorella.» Nicci provò nausea. Una volta che l'apertura fosse stata ricoperta con una lastra di marmo, l'Ordine sarebbe stato in grado di ammassare una considerevole forza di attacco di nascosto da coloro che si trovavano nel palazzo. Nessuno avrebbe saputo che il nemico aveva trovato un accesso. Si aspettavano che l'Ordine dovesse completare la rampa prima di poter attaccare. Le forze di difesa all'interno del palazzo sarebbero state prese alla sprovvista. Una fitta di dolore costrinse Nicci a muoversi di nuovo. Sorella Armina la guidava con quel dolore, piuttosto che dirle semplicemente dove girare. Camminarono per lunghissimi corridoi, tutti fatti di blocchi di pietra e col soffitto a botte, che sembravano unire gruppi di stanze e reti di passaggi. Mentre svoltavano un angolo, Nicci vide in lontananza un capannello di persone illuminate da torce. Mentre si avvicinavano, vide una scala che saliva nell'oscurità. Aveva capito da un pezzo dove si trovavano e dove stavano andando. Guardie reali erano ammassate attorno a un punto in cui il soffitto a botte era aperto. Questi uomini erano dell'elite. Sapevano il fatto loro. Al pensiero di cosa c'era lì in cima, Nicci temette che le gambe potessero cederle. Una delle guardie reali, che aveva ovviamente riconosciuto Nicci, fece un passo di lato, non togliendole mai gli occhi di dosso. «Comincia a salire» disse Sorella Armina. 22 Nicci sbucò in quella che sembrava una vasta fossa scavata nel terreno della piana di Azrith. Non riusciva a scorgere cosa c'era oltre la terra e le pareti di roccia, ma non aveva bisogno di vederlo per sapere cosa c'era lassù. Fuori si trovava, oltre l'orlo della fossa, l'imponente rampa, illuminata
dalle torce, si innalzava nel freddo cielo notturno. In lontananza l'ombra scura dell'altopiano su cui si ergeva il Palazzo del Popolo, come toccata dalle stelle stesse, torreggiava sopra la rampa di terra e ghiaia. Il pavimento della fossa era un complesso labirinto di varie altezze, a quanto pareva il risultato di differenti manipoli di operai che lavoravano per scavare materiale per la rampa. Quei lavoratori non si vedevano da nessuna parte. Doveva essere che, mentre stavano scavando nella zona dove lei si trovava, avevano scoperto le catacombe. Anche se gli operai potevano essersene andati da molto tempo, ora c'erano soldati dappertutto. Non erano le regolari truppe dell'Ordine Imperiale, che erano poco più di una folla organizzata di malviventi. Erano soldati professionisti, gli uomini competenti più vicini a Jagang. Si trattava del fidato nucleo di uomini che avevano combattuto con lui in varie campagne nel corso degli anni. Poiché erano uomini da sempre vicini all'imperatore, Nicci riconobbe molti di loro. Anche se non vedeva individui che conosceva per nome, distingueva molte delle facce che la osservavano. Anche loro la riconobbero. Una donna come Nicci, con la sua cascata di capelli biondi e la sua figura aggraziata, non passava certo inosservata nell'accampamento dell'Ordine Imperiale. Per di più, poi, ognuno di loro la riconosceva come l'Amante della Morte. La conoscevano con quel nome perché in passato aveva comandato molti di loro. La temevano. Aveva ucciso alcuni dei loro camerati che non avevano eseguito i suoi ordini nel modo in cui lei si era aspettata. La fede nell'Ordine richiedeva un altruistico sacrificio per il bene superiore, il sacrificio di questa vita per l'aldilà; ciò nonostante, quando aveva imposto loro quel giusto sacrificio, indirizzandoli nel loro agognato aldilà, il cuore stesso dei dettami per cui combattevano, l'avevano odiata per questo. Ognuno di quegli uomini sapeva anche che lei era la donna di Jagang. In un movimento dedicato al bene superiore al di sopra dei diritti individuali, votato a ideali di assoluta eguaglianza per tutti, lui si era divertito a mettere in chiaro che lei era una sua proprietà personale. Come i comuni soldati, nemmeno uno di quei soldati aveva mai osato toccarla. In passato, comunque, Jagang l'aveva concessa come un favore ad alcuni dei suoi ufficiali più fidati, uomini come il comandante Kadar Kardeef. Molti di costoro erano stati presenti il giorno in cui Nicci aveva ordinato di bruciare vivo Kardeef. Alcuni di loro, a un suo ordine, l'avevano aiutata
a legare il proprio comandante a un palo e a dargli fuoco. Malgrado la loro riluttanza, non osavano contraddire i suoi ordini. Lei tenne a mente il suo precedente ruolo mentre se ne stava nella gelida notte con tutti gli occhi su di lei. Come un manto protettivo, avviluppò di nuovo quella passata personalità attorno a sé. Quell'immagine di lei era la sua unica protezione. Tenne la testa eretta, la schiena dritta. Era l'Amante della Morte e voleva che tutti lo sapessero. Piuttosto che attendere che Sorella Armina la guidasse, Nicci cominciò a salire la rampa. Aveva esaminato l'accampamento dall'alto della piattaforma di osservazione a palazzo e ne conosceva la disposizione. Sapeva dov'erano le tende dei comandanti. Non avrebbe avuto problemi a trovare la strada per la tenda di Jagang. Dal momento che Jagang probabilmente la stava osservando attraverso gli occhi di Sorella Armina, la donna non obiettò al fatto che Nicci si avviasse per conto suo. Era inutile farsi trascinare scalciando e urlando ai piedi dell'imperatore. Non avrebbe cambiato nulla. Tanto meglio andare incontro al suo destino di sua spontanea volontà e a testa alta. Per di più, poi, Nicci voleva che Jagang la vedesse nel modo in cui l'aveva sempre vista. Voleva che la vedesse come la conosceva, come la stessa persona, anche se non lo era. Anche se sospettava che potesse in qualche modo essere diversa, voleva presentarsi a lui in modo familiare. In passato la sua salvezza aveva risieduto nell'indifferenza di ciò che lui avrebbe potuto farle. Quel disinteresse rendeva Jagang incerto. Lo faceva infuriare, lo frustrava e lo affascinava. Lei aveva combattuto dalla sua parte, per i suoi ideali, e nonostante questo era una persona che lui poteva avere solo con la forza. Pur non avendo il controllo del suo potere, lei aveva il controllo della propria mente, ed era quella a renderla potente: questo era ciò che Richard le aveva insegnato. Con o senza il suo dono, poteva comunque essere indifferente a quello che Jagang poteva farle. Quel disinteresse le conferiva potere. Una volta in cima e fuori dalla fossa, superato il perimetro di guardie pesantemente armate, cominciò a incontrare file e file di lavoratori che trasportavano terra e roccia da altre fosse. Centinaia di muli, che trainavano ogni tipo di carro, arrancavano in lunghe linee attraverso l'oscurità. Delle torce mostravano alle file di uomini la via verso la rampa. Gli uomini, normali soldati dell'Ordine Imperiale, giovani, forti, onore del Vecchio Mondo, erano diventati comuni lavoranti. Non proprio la gloria per la qua-
le erano partiti per combattere. Nicci prestò poca attenzione a quell'attività. Non le importava più quello che stavano facendo con la rampa: si trattava solo di una distrazione. Si sentì male al pensiero dei bruti sparsi per il campo che entravano nel palazzo. Doveva pensare a un modo per fermarli. Per un breve istante, il pensiero stesso di poterli fermare le parve un'assurdità. Cosa poteva fare per impedirglielo? Rinsaldò la sua determinazione, e raddrizzò la schiena. Li avrebbe combattuti fino all'ultimo respiro, se fosse stato necessario. Armina e Julia la seguivano da presso mentre Nicci marciava attraverso l'accampamento. Sorella Armina si sarebbe soltanto dimostrata sciocca se si fosse fatta largo davanti, ora. Avanzando in prima posizione, Nicci aveva già ripreso il suo posto come Schiava Regina. I vecchi schemi erano duri a spezzarsi. Ora che stavano entrando nel campo, nessuna Sorella voleva sfidare ciò che Nicci stava facendo, almeno non per il momento. Dopo tutto, stava procedendo verso dove l'avrebbero portata comunque. Non avevano modo di sapere per certo se Jagang fosse nella sua mente o no. Sapevano, allo stesso modo dei soldati, che era la donna di Jagang. Questo le conferiva una tacita autorità su di loro. Anche quand'erano al Palazzo dei Profeti, lei era sempre stata un mistero. Erano sempre risentite e gelose nei suoi confronti, e questo voleva dire che la temevano. Per quanto ne sapevano, era possibile che l'imperatore le avesse semplicemente mandate per riportargli la sua testarda e insolente regina. Jagang, che senza dubbio osservava Nicci attraverso i loro occhi, non sembrava fare alcuno sforzo per cambiare quell'idea nella loro mente. Poteva anche darsi che Jagang la pensasse davvero a quel modo, che reputasse realmente di poterla riavere. Lei notò ma non diede segno di vedere il grosso contingente di guardie che si era formato in un corteo dietro di lei. Una regina non mostrava di notare i suoi servitori. Erano suoi sottoposti. Fortunatamente non potevano sentire il suo cuore martellare. Mentre entravano nell'accampamento vero e proprio, dove i soldati regolari avevano montato le loro tende in squallidi capannelli, gli uomini ammutolirono, come mendicanti che osservano una processione reale sfilare di fronte a loro. Altri si precipitarono fuori dall'oscurità per vedere cosa stava accadendo. Bisbigli sommessi attraversarono la folla; dopo una lunga
attesa l'Amante della Morte era tornata. Per molti di loro, anche se la temevano, lei era un'eroina dell'Ordine, una potente arma al loro fianco. L'avevano vista far riversare la morte su coloro che si opponevano agli insegnamenti della Fratellanza dell'Ordine. Anche se le sembrava strano essere tornata, l'accampamento stesso non era diverso da come se lo ricordava. Era il solito ammasso di uomini, tende, animali ed equipaggiamento. L'unica differenza era che, essendo rimasto immobile per così tanto tempo, stava cominciando ad assumere l'aspetto di marcio e decadenza. La legna da ardere sulla piana di Azrith praticamente non esisteva, così i fuochi erano pochi e piccoli, lasciando l'intero posto in una morsa simile a una macabra malinconia. Trascurati cumuli di immondizia, che spuntavano dappertutto fra le tende, attiravano nugoli di mosche. Con così tanti animali e uomini nello stesso posto per così tanto tempo si era trasformata in un insopportabile fetore. La ressa di soldati trasandati che si affollavano tutt'intorno, a cui non aveva mai prestato molta attenzione in passato, era snervante. Sembravano a malapena umani. In molti sensi non lo erano. In passato, incurante di ciò che poteva accaderle, Nicci era stata indifferente a quei bruti. Ora, dato che teneva alla propria vita, era diverso. Per di più, poi, in passato aveva sempre saputo di avere a disposizione il suo potere se la paura di lei, per qualche ragione, non li avesse tenuti a bada. Ora poteva contare solo su quel loro timore, per tenerli a distanza. Doveva percorrere un lungo cammino attraverso centinaia di migliaia di uomini per raggiungere la sua destinazione, ma dato che il campo era lì da tanto tempo, si erano formati dei tracciati. In alcuni punti quei sentieri si erano allargati in strade che gradualmente avevano spinto via tende e recinti. Mentre Nicci percorreva quelle strade, scortata dal suo seguito, i soldati erano allineati a osservarla con occhi spalancati. Oltre all'immediato silenzio di coloro che stavano lì vicino a fissarla mentre passava, l'accampamento era un posto rumoroso, anche a quell'ora della notte. Dietro di lei c'era il suono del lavoro sulla rampa: l'incedere dei carri, la roccia che veniva raschiata e ruzzolava e uomini che urlavano all'unisono mentre tiravano pesanti funi. Nel campo tutt'intorno le voci di soldati che ridevano, parlavano e litigavano venivano trasportate dalla fredda aria notturna. Udiva ordini sbraitati sopra il ritmico suono del riverbero dei martelli. Poteva anche sentire il ruggito distante di folle che esultavano per partite di Ja'La che continuavano anche a tarda ora. Talvolta fischi collettivi di di-
sapprovazione si levavano nell'aria notturna, solo per essere soffocati da sfrenate grida di supporto. Durante le volate col broc, gli uomini alle volte gridavano per incitare la propria squadra a segnare. Mentre superava un recinto contenente enormi cavalli da guerra, poi una fila di carri di rifornimento vuoti, le tende di comando apparvero alla vista. Sotto un cielo stellato, le bandiere in cima svolazzavano nella fredda brezza. La vista della tenda più ampia, quella dell'imperatore, minacciò di prosciugare il suo coraggio. Voleva fuggire, ma non sarebbe stata in grado di correre mai più. Quello era il posto dove si sarebbe decisa l'intera vita di Nicci. Quello era il posto dove tutto terminava. Piuttosto che cercare di evitare l'inevitabile, marciò deliberatamente verso di esso. Non rallentò al primo dei punti di controllo nell'anello esterno di protezione attorno alla zona di comando. Gli omoni che montavano la guardia la scrutarono mentre sì avvicinava. I loro sguardi presero in considerazione il contingente della guardia personale dell'imperatore che marciava dietro di lei. Era lieta di indossare per caso un abito nero, poiché era così che era stata sempre vestita quando questi uomini l'avevano vista in passato. Voleva che la riconoscessero. Una breve occhiataccia fece in modo che nessuno le si accostasse. Ogni successivo gruppo di uomini, man mano che si avvicinava al centro del complesso, era più fidato. Ogni anello attorno alle tende di comando aveva propri metodi, unità, equipaggiamento. Ognuno voleva avere il merito di impedire che venisse recato alcun male al loro imperatore. Avevano ciascuno differenti protocolli per accedere alla loro zona di responsabilità. Nicci ignorò quei protocolli. Era l'Amante della Morte, la Schiava Regina dell'imperatore. Non si fermò per nessuno. Nessuno la mise in discussione. La tenda di Jagang era collocata in un raggruppamento di tende più grandi ma, a differenza delle altre nell'accampamento, aveva un ampio spazio attorno. Le Sorelle che pattugliavano la zona si accorsero di Nicci, così come gli uomini col dono che incontrò, ma distolsero i loro sguardi quando lei li fissò con occhi torvi. Anche le guardie le lanciarono occhiate, ma cercarono di farlo in modo più discreto. Nicci fu incoraggiata dal vedere che nessuna di queste persone la vedeva in modo diverso dall'ultima volta che era stata in mezzo a loro. Poi le apparve uno strano spettacolo. Accanto a un drappello di guardie
personali di Jagang che fiancheggiavano entrambi i lati del drappeggio che ricopriva l'apertura per la sua tenda, c'erano anche altri soldati, militari normali. Passeggiando avanti e indietro, anche loro sembravano sorvegliare la tenda. Non riusciva a immaginare per quale ragione al mondo dei soldati regolari si trovassero all'interno del complesso dell'imperatore, men che mai sorvegliassero la sua tenda. Questi uomini non erano mai stati ammessi prima nella zona di comando. Ignorando quella strana presenza, Nicci si diresse dritta verso il pesante drappeggio che pendeva sopra l'apertura della tenda di Jagang. Le due Sorelle, che già arrancavano dietro di lei, seguirono riluttanti Nicci verso la tenda dell'imperatore. Il colore defluì dai loro volti. Nessuno, men che mai una donna, desiderava entrare nel rifugio personale di Jagang. Sebbene alle volte fosse cordiale con alcuni dei suoi fidati ufficiali, non trattava gli altri con indulgenza. Due omoni, ciascuno con in mano un picca, le loro facce tatuate con disegni animaleschi, scostarono il drappeggio. I dischetti d'argento attaccati alla pelle di pecora emisero deboli tintinnii metallici, annunciando all'imperatore che qualcuno stava entrando nella sua tenda. Riconobbe entrambi gli uomini che tenevano scostato il drappeggio ma non mostrò di notarli mentre si sollevava le gonne per oltrepassare la soglia ed entrare nel buio al di là. All'interno, degli schiavi erano indaffarati a sparecchiare piatti e posate dal tavolo dell'imperatore. L'aroma del cibo ricordò a Nicci che non aveva mangiato. Il nodo di ansia dentro di lei mascherò la sua fame. Dozzine di candele davano a quel posto un calore intimo, fiocamente illuminato. Spessi tappeti ricoprivano il pavimento, in modo che gli schiavi che andavano in giro per fare il proprio lavoro non disturbassero l'imperatore. Alcuni dei servi, tutti col capo chino, erano nuovi. Di qualcuno si ricordava. Jagang sembrava aver già terminato il suo pasto e non era nelle zone esterne. Le due Sorelle, entrate dopo di lei, si addentrarono nelle ombre verso le pareti opposte della tenda. A quanto pareva non si sarebbero spinte più in là, e anche dentro la stanza esterna volevano essere il più distante possibile. Sapendo dove sarebbe stato Jagang, Nicci attraversò la stanza. Gli schiavi si affrettarono a togliersi dalla sua strada. Davanti al drappeggio sopra l'apertura per la camera da letto, scostò la copertura e vi si infilò. Finalmente Nicci vide l'imperatore. Era seduto, dandole le spalle, dall'al-
tro lato del lussuoso letto coperto di seta dorata. Le fonti di luce provenienti da candele e lampade a olio si riflettevano sulla sua testa rasata. Il suo collo taurino si allargava in ampie spalle poderose. Indossava un giustacuore di lana d'agnello e le sue braccia massicce erano nude. Era impegnato a sfogliare un libro, assorto ad analizzare il testo. Pur concedendosi facilmente alla violenza, Jagang era, in certi campi, un uomo intelligente che teneva in gran conto la conoscenza che trovava nei libri o setacciava dalle menti che occupava. Passionalmente convinto della sincerità delle sue credenze, non si era mai preoccupato di sottoporle al vaglio della ragione. In effetti, considerava eresia una tale messa in discussione. Invece, i suoi sforzi si concentravano nel raccogliere informazioni in campi ristretti. Sapeva che il giusto tipo di conoscenza poteva rivelarsi un'utile arma. Era un uomo a cui piaceva essere ben equipaggiato, con ogni forma di arma. Qualcosa catturò l'attenzione di Nicci. Guardò alla sua sinistra. Fu allora che la vide, seduta sul pavimento, che riposava su un fianco con la testa appoggiata su un braccio. Era la creatura dalla bellezza più sublime che Nicci avesse mai visto. Seppe senza alcun dubbio chi era quella donna. Era Kahlan, la moglie di Richard. I loro occhi si incontrarono. L'intelligenza, la nobiltà, la vita in quegli occhi verdi erano affascinanti. Quella donna era pari a Richard. Ann si sbagliava. Era l'unica donna che poteva stare di diritto al suo fianco. 23 Nicci vide che c'era un Rada'Han attorno al collo di Kahlan. Questo spiegava perché sembrava riversa sul tappeto di uno sbiadito blu e beige. I suoi occhi non si mossero dal collare che Nicci indossava. Nicci pensò che a quello sguardo non sarebbe sfuggito nulla. Un'espressione titubante infestava i verdi occhi di Kahlan mentre si fissavano a vicenda. Era un fantasma di cauto incoraggiamento determinato dalla consapevolezza che Nicci poteva davvero vederla. Furono sorelle sul momento per più di una ragione, poiché condividevano qualcosa di più di un semplice collare attorno alla gola. Quanto doveva essere solitaria e infelice un'esistenza invisibile e dimen-
ticata al centro di un incantesimo tanto malvagio. Invisibile, comunque, a chiunque tranne alle Sorelle dell'Oscurità e, a quanto pareva, a Jagang. Doveva essere un motivo di speranza che un'altra persona, pur estranea, potesse vederla. Guardandola, Nicci quasi non riusciva a credere di aver potuto dimenticarla, perfino con l'incantesimo della Catena di fuoco. Poteva capire con chiarezza come mai Richard non aveva smesso per un istante di cercarla. Quella donna, anche senza considerare la sua stupenda bellezza, aveva in sé un carisma, un'istintiva consapevolezza che Nicci riconobbe all'istante dalla statua che Richard aveva scolpito. Quella statua, chiamata Spirito, non era stata fatta per avere l'aspetto di Kahlan, ma per rappresentare la sua costante forza, il suo coraggio interiore. Era tale che la vista dell'originale quasi mozzò il fiato a Nicci. Stava cominciando a capire come mai, pur alla sua relativamente giovane età, Kahlan fosse stata nominata Madre Depositaria. Ora, però, non c'erano altre Depositarie. Lei era l'ultima. Dapprima sorpresa di trovare lì Kahlan, Nicci si rese conto che aveva perfettamente senso. Sorella Armina era stata una delle Sorelle che avevano catturato Kahlan e attivato l'incantesimo della Catena di fuoco. Sorella Tovi aveva detto a Nicci che erano riuscite a sfuggire a Jagang usando il legame con Richard. Anche se supponeva che Jagang fosse riuscito in qualche modo a superare quel legame, Nicci pensò che fosse ancora più sensato che questo non le avesse mai protette fin dall'inizio. Se Jagang aveva catturato Sorella Armina, avrebbe avuto anche Ulicia e Cecilia. Doveva essere il motivo per cui Kahlan si trovava lì: era tenuta prigioniera da quelle Sorelle, perciò anche lei era stata intrappolata nella rete di Jagang. Nicci vide lì anche Jillian. Gli occhi color rame della ragazza si sgranarono dalla sorpresa di vedere Nicci in piedi lì davanti a lei. Mentre aveva senso che Kahlan fosse lì, Nicci non riusciva a capire perché ci fosse Jillian. Jillian si chinò vicino a Kahlan, mise una mano a coppa contro il suo orecchio e bisbigliò qualcosa, senza dubbio il nome di Nicci. Kahlan rispose solo con un lieve cenno del capo, ma i suoi occhi rivelarono molto di più. Aveva sentito quel nome prima. Quando Jagang lanciò il libro che stava studiando su un comodino, Nicci, fissando Kahlan, sollevò rapidamente un dito per fare il segno di una croce sulle sue labbra, esortandola al silenzio. Non voleva che Jagang sa-
pesse che poteva vedere Kahlan o anche che conosceva Jillian. Meno cose lui sapeva, più al sicuro quelle due sarebbero state, sempre che essere prigioniere dell'imperatore Jagang potesse essere definito sicuro. Senza aspettare una conferma, Nicci distolse lo sguardo da Kahlan e Jillian per fronteggiare Jagang. Quando lui si voltò, fissandola coi suoi occhi neri, Nicci pensò di poter svenire. Una cosa era ricordarlo, un'altra star lì davanti a lui. Trovarsi di nuovo sotto l'esame di quegli occhi da incubo mandò in frantumi il suo coraggio. Sapeva cosa l'aspettava. «Bene bene» disse Jagang mentre girava attorno al letto, il suo sguardo fisso su di lei. «Guarda chi è tornato finalmente.» Fece un ampio sorriso. «Sei bella come in ogni sogno che ho fatto su di te da quando sei stata qui con me l'ultima volta.» Nicci non era sorpresa dall'approccio dell'imperatore, né questo indicava niente di significativo. Non sapere come poteva reagire teneva quelli attorno a lui in uno stato di costante terrore. La sua rabbia poteva esplodere in ogni momento per la ragione più insignificante, o anche per niente. Nicci l'aveva visto strangolare a morte uno schiavo per aver fatto cadere un vassoio per il pane, tuttavia in un'altra occasione l'aveva visto raccogliere un piatto caduto e ridarlo distrattamente al servo che l'aveva lasciato cadere senza perdere una battuta della conversazione. In senso lato, quella capricciosa qualità dell'imperatore rifletteva solo lo stesso comportamento irrazionale, imprevedibile e incomprensibile dell'Ordine stesso. La virtù, la stessa adeguatezza del sacrificio di sé per la causa veniva giudicata secondo criteri invisibili, imperscrutabili, inconoscibili. La fortuna o la sfortuna sembravano sempre appese a un capriccio. Per una popolazione, quel perpetuo dubbio che li rodeva era debilitante. Il peso della tensione costante faceva sì che le persone fossero pronte ad accusare chiunque di sedizione, perfino amici o familiari, se solo serviva a tenere a bada gli artigli del fato. Come molti altri uomini, anche Jagang pensava di poter conquistare l'affetto di Nicci con un po' di vuota adulazione. Le piaceva immaginare di poter essere affascinante. La forma che aveva assunto il suo complimento, però, rivelava che dava più importanza a sé stesso che a lei. Nicci non s'inchinò. Era profondamente conscia del collare di metallo attorno alla sua gola che le impediva di usare il suo dono. Pur non avendo difese contro quell'uomo, non aveva intenzione di fingere rispetto inchi-
nandosi, né sarebbe stata adulata dalla sua lussuria abilmente dissimulata. In passato, malgrado la sua capacità di usare il proprio Han, la sua vera salvezza era stata nell'indifferenza a quello che lui poteva farle. In quelle occasioni, quando era stato in grado di entrare nella sua mente e lei non aveva alcun collare attorno alla gola, le sue capacità di incantatrice non le erano state d'aiuto, proprio come le altre Sorelle prigioniere erano inermi nonostante nessuna di loro indossasse un collare. La sua protezione aveva sempre risieduto nel suo atteggiamento, non nel dono. Prima, a Nicci semplicemente non era importato se le faceva del male o perfino se a un certo punto avesse deciso di ucciderla. Pensava di meritare ogni sofferenza che lui le infliggeva e non le importava di morire. Questo la lasciava indifferente all'onnipresente possibilità che potesse essere colto dal capriccio dell'omicidio. Anche se tutto ciò era mutato grazie a Richard, non poteva permettere a Jagang di sapere quanto era cambiato. La sua unica possibilità, la sua unica difesa era fargli pensare che il suo atteggiamento era rimasto identico, che in quel momento non le importava cosa le sarebbe successo più di quanto non le fosse importato in passato. L'Amante della Morte non si sarebbe preoccupata di poter usare o meno il proprio potere. Per l'Amante della Morte, un collare non voleva dire nulla. Jagang si accarezzò con noncuranza il pizzetto. Il suo sguardo la squadrò da capo a piedi. Emise un profondo respiro, come riflettendo su cosa fare con lei innanzitutto. Nicci non dovette attendere a lungo. Lui le affibbiò un brusco manrovescio così forte da farla volar via. Quando atterrò, la sua testa colpì il pavimento ma, fortunatamente, gli spessi tappeti attutirono l'impatto. Le parve come se i muscoli della mascella si lacerassero e l'osso andasse in frantumi. Lo shock del colpo la tramortì. Anche se la stanza sembrava roteare e ondeggiare, era determinata a rimettersi in piedi. L'Amante della Morte non si rannicchiava. L'Amante della Morte affrontava la morte con indifferenza. Appena rimessa in ginocchio, si deterse il sangue dall'angolo della bocca con l'interno di un polso mentre cercava di ritrovare l'equilibrio. La sua mascella, malgrado il dolore, sembrava intatta. A fatica cercò di rimettersi in piedi.
Prima che ci riuscisse, Jillian si frappose tra Nicci e Jagang. «Lasciala stare!» Mentre Jagang si piantava i pugni sui fianchi, guardando torvo la ragazza, Nicci lanciò un'occhiata furtiva a Kahlan. Riconobbe una patina di dolore negli occhi della donna. Dal modo in cui le dita le tremavano, Nicci sapeva esattamente a che genere di sofferenza Jagang la sottoponeva tramite il collare. Tale agonia preventiva aveva lo scopo di mantenerla dov'era, di impedirle di interferire. Nicci la reputò, dal punto di vista di Jagang, una decisione saggia. A quanto poteva ricordare, Nicci era stata in grado di valutare le persone e farlo in fretta. Era diventata una capacità utilissima, dato che la sopravvivenza in violenti conflitti spesso era dipesa dall'accurata stima di coloro che affrontava. Nicci poté capire con una sola occhiata che Kahlan era una donna pericolosa, una donna abituata a interferire. Jagang ghermì Jillian per la collottola e la sollevò come un gattino fastidioso. Lei squittì, più di paura che di dolore, mentre lui la portava in alto e la trascinava per tutta la stanza. Lei artigliò le sue manone senza alcun risultato. I suoi piedi scalciavano l'aria. Jagang sollevò la pesante copertura di lana imbottita appesa sopra l'apertura per la sua camera da letto e gettò fuori Jillian. «Armina! Sorveglia la mocciosa. Voglio restare solo con la mia regina.» Nicci riuscì appena a vedere Sorella Armina cingere Jillian fra le braccia e tirarla con sé nell'oscurità. Un rapido sguardo rivelò che Kahlan era ancora allo stesso posto sul tappeto, il suo corpo che tremava leggermente. Una lacrima di angoscia le rigò la guancia. Nicci si domandò se Jagang fosse minimamente conscio di quanto dolore stava infliggendo a Kahlan. Non conosceva la sua stessa forza, in un certo senso. La sua rabbia incontrollata tendeva a essere universale, comprendendo non solo i muscoli, ma anche le sue capacità mentali. In passato aveva percosso Nicci di frequente in modo più severo di quanto volesse o, in preda a una furia cieca, aveva usato le sue capacità di tiranno dei sogni per infliggere una dose di dolore che poteva facilmente rivelarsi letale. Più tardi, dopo essersi reso conto di quanto era andato vicino a ucciderla, si scusava ma alla fine terminava dicendo che era stata colpa sua che lo aveva fatto arrabbiare tanto. Mentre Jagang lasciava ricadere il drappeggio, richiudendo la sua camera da letto, i muscoli tesi di Kahlan all'improvviso si allentarono. Si afflosciò, ansimando dal sollievo, e sembrò a malapena in grado di muoversi
dopo quel silenzioso tormento. «Allora,» disse Jagang voltandosi di nuovo verso Nicci «lo ami?» Nicci sbatté le palpebre. «Cosa?» Il volto di lui si fece rosso dalla rabbia mentre le si avvicinava. «Che vuol dire 'cosa?' Mi hai sentito!» Afferrò un ciuffo dei suoi capelli mentre si chinava a pochi pollici da lei. «Non cercare di far finta di non avermi capito o ti strapperò la testa!» Nicci sorrise, sollevando il mento quanto meglio poteva, mettendo in mostra la gola. «Ti prego, fallo. Risparmierà a entrambi un bel po' di seccature.» Lui la guardò torvo prima di lasciare i suoi capelli. Li lisciò, rimettendoli a posto, prima di voltarsi e allontanarsi di qualche passo. «È questo che vuoi? Morire?» Si girò di nuovo. «Abbandonare il tuo dovere verso il Creatore e l'Ordine? Abbandonare il tuo dovere verso di me?» Nicci scrollò le spalle con indifferenza. «Quello che voglio non importa granché, o sbaglio?» «E questo cosa significa?» «Sai benissimo cosa significa. Da quand'è che ti importa minimamente quello che voglio? Tu farai ciò che vuoi, nonostante quello che posso dire al riguardo. Dopo tutto, io sono solo un suddito dell'Ordine, no? Direi che quello che desideri è ciò che hai sempre voluto: uccidermi, finalmente.» «Ucciderti? Dimmelo tu.» Allargò le braccia. «Cosa ti fa pensare che io voglia ucciderti?» «Le azioni che compi a tuo vantaggio.» «A mio vantaggio?» Le lanciò un'occhiata di traverso. «Non faccio certo cose a mio vantaggio. Io sono Jagang il Giusto.» «Ti stai dimenticando che sono stata io a attribuirti quel titolo? L'ho fatto non perché riflettesse una qualche verità, ma per contrastarla, per creare un'immagine che fosse utile agli scopi dell'Ordine. Sono colei che ha creato quell'immagine per te, sapendo che la gente ottusa ci avrebbe creduto semplicemente perché noi lo affermavamo. Tu non sapresti ricoprire quel ruolo se la tua vita dipendesse da esso.» Le forme nebulose nei suoi occhi si mossero in un'oscurità nera come l'inchiostro che le ricordò la scatola dell'Orden, nera come il mondo sotterraneo, che aveva messo in campo in nome di Richard. «Non so come tu possa dire certe cose, Nicci. Sono sempre stato più che giusto con te. Ti ho donato cose che non avrei mai dato ad altri. Perché l'a-
vrei fatto se avessi voluto ucciderti?» Nicci sospirò con impazienza. «Di' soltanto quello che vuoi dire, o fracassami il cranio, o mandami alle tende di tortura. Non sono affatto interessata a partecipare a questo gioco con te. Credi ciò che vuoi credere, a dispetto della realtà. Tu e io sappiamo che qualunque cosa io possa dire su qualsiasi argomento non farà davvero alcuna differenza.» «Quello che dici ha sempre fatto la differenza.» Sollevò una mano verso di lei mentre anche la sua voce si faceva più accalorata. «Guarda cos'hai appena detto sul nominarmi Jagang il Giusto. È stata una tua idea. Io l'ho ascoltata e utilizzata perché era una buona idea. È stata utile ai nostri scopi. Hai agito bene. Ti ho detto altre volte che, quando questa guerra sarà vinta, tu siederai al mio fianco.» Nicci non gli rispose. Lui serrò le mani dietro la schiena e si allontanò di qualche passo. «Lo ami?» Nicci lanciò uno sguardo furtivo di lato. Kahlan sedeva sul tappeto e la osservava. Sul suo volto era delineata la preoccupazione per l'atmosfera minacciosa nell'aria. Sembrava come se volesse dire a Nicci di smettere di provocare quell'uomo. Tuttavia, pur sembrando preoccupata per ciò che Jagang stava per fare, pareva anche interessata alla risposta alla domanda dell'imperatore. A Nicci girò la testa mentre cercava di pensare a come rispondere, non per la preoccupazione di quello che avrebbe potuto pensare della risposta Jagang, ma Kahlan. C'era l'incantesimo della Catena di fuoco da considerare, la necessità di un campo incolto che Nicci doveva tenere in mente. Allo stato attuale delle cose, sarebbe stata probabilmente morta per allora, ma se Richard fosse riuscito in qualche modo a ottenere una possibilità di usare l'Orden per annullare la Catena di fuoco, Kahlan doveva rimanere un campo incolto affinché lui potesse avere l'opportunità di farla tornare com'era un tempo. «Lo ami?» ripeté Jagang senza voltarsi a guardarla. Nicci infine concluse che, ai fini di mantenere un campo incolto, non avrebbe fatto alcuna differenza come avesse risposto alla domanda. Non avrebbe introdotto alcun preconcetto emotivo in Kahlan. Ciò che importava era la connessione emotiva di Kahlan con Richard, non quella di Nicci. «Non ti è mai importato prima dei miei sentimenti» disse infine Nicci, irritata. «Che differenza può fare per te?» Lui si voltò per fissarla. «Che differenza? Come puoi chiedere una cosa
del genere? Io ti ho praticamente resa la mia regina. Tu mi hai chiesto di fidarmi di te e permetterti di andare a eliminare lord Rahl. Volevo che rimanessi qui e invece ti ho lasciata andare. Mi sono fidato di te.» «Questo è ciò che dici tu. Se avessi avuto davvero fiducia in me, non mi interrogheresti. Sembra che tu abbia difficoltà a capire cosa vuol dire veramente fiducia. «Questo è accaduto un anno e mezzo fa. Non ti vedo da allora. Non ho ricevuto notizie.» «Mi hai vista con Tovi.» Lui annuì. «Ho visto molte cose attraverso gli occhi di Tovi, attraverso gli occhi di tutte queste quattro donne.» «Pensavano di essere tanto scaltre da usare il legame con lord Rahl.» Nicci esibì un lieve sorriso. «Ma tu le osservavi tutto il tempo. Sapevi ogni cosa.» Sorrise anche lui. «Tu sei sempre stata più scaltra di Ulicia e di tutte loro.» Inarcò un sopracciglio. «Mi sono fidato di te quando hai detto di andare a uccidere Richard Rahl. Invece, finisci per non avere problemi a far funzionare il legame per te. Com'è possibile, mia cara? Un tale legame funzionerebbe solo se tu gli fossi devota. Vorresti spiegarmelo?» Nicci incrociò le braccia. «Non riesco a capire come possa essere tanto difficile da afferrare. Tu distruggi; lui crea. Tu offri un'esistenza votata alla morte; lui offre la vita. Non sono parole vuote, da nessuno di voi due. Lui non mi ha mai percossa a sangue, o stuprata.» La faccia di Jagang e la sua testa rasata si fecero scarlatte dalla rabbia. «Stuprata? Se avessi voluto stuprarti l'avrei fatto - e ne avrei avuto il diritto - ma questo non è stupro. Tu lo volevi. Sei solo troppo testarda per ammetterlo. Tu nascondi i tuoi desideri lascivi per me dietro un risentimento simulato.» Le braccia di Nicci le scivolarono lungo i fianchi mentre si sporgeva verso di lui e gli parlava in preda alla rabbia. «Puoi inventarti quante storie vuoi per giustificare le tue azioni, ma questo non le rende vere.» Con un'espressione omicida che gli distorceva i lineamenti, lui si voltò per distogliere lo sguardo da lei. Nicci era del tutto convinta che l'avrebbe aggredita e l'avrebbe colpita tanto forte da spaccarle il cranio. Voleva che lo facesse. Una fine rapida era di gran lunga preferibile a una tortura prolungata fino a una lenta morte. La miriade di suoni stridenti nella notte tutt'intorno erano attutiti dalle pareti della tenda pesantemente imbottite. Essere lontani dal costante
chiasso dall'accampamento era un lusso. Fuori, la terra era infestata da parassiti. Dentro la tenda dell'imperatore c'erano schiavi impegnati di continuo a eliminare gli scarafaggi. Anche gli oli profumati coprivano parte del fetore che ammorbava l'aria. In un certo senso, la tenda dell'imperatore poteva sembrare un rifugio pacifico, ma non lo era. In realtà era uno dei posti più pericolosi dell'intero campo. L'imperatore deteneva potere assoluto di vita e di morte. Qualunque cosa Jagang scegliesse di fare, non veniva mai messo in discussione. «Allora,» disse infine Jagang, dandole ancora le spalle, «rispondi alla mia domanda. Lo ami?» Nicci si passò una mano stanca sulla fronte. «Da quando in qua ti importa quali sono i miei sentimenti? Non ha mai interferito con la tua capacità di stuprarmi.» «Perché queste sciocchezze sullo stupro così all'improvviso?» ruggì mentre tornava verso di lei con una lunga falcata. «Tu sai quello che provo per te! E io so che tu provi lo stesso per me!» Nicci non si curò di rispondere. Lui aveva ragione nel dire che non gli aveva mai rivolto tali obiezioni prima. Non sapeva come opporsi. In passato aveva creduto che la vita non le appartenesse. Come poteva obiettare al fatto che l'Ordine la usasse per i suoi fini? E poi, come poteva opporsi al fatto che il capo dell'Ordine la utilizzasse per i propri scopi? Grazie a Richard era arrivata a comprendere che la sua vita le apparteneva. Questo includeva anche il suo corpo, e non doveva darlo a nessuno, se non voleva. «So cosa stai facendo, Nicci.» Le sue mani si chiusero di nuovo a pugno. «Lo stai solo usando per cercare di ingelosirmi. Stai usando le tue arti femminili per indurmi a gettarti su quel letto e strapparti i vestiti: è questo a cui miri davvero e lo sappiamo entrambi! Lo stai usando come un modo per adescarmi. In realtà è me che vuoi, ma nascondi le tue vere passioni dietro proteste di stupro.» Nicci valutò con freddezza la sua espressione accalorata. «Stai ricevendo cattivi consigli dai tuoi testicoli.» Lui caricò un pugno. Lei rimase dov'era, guardando torva le forme nebulose che mutavano sullo sfondo notturno dei suoi occhi. Infine la sua mano gli ricadde sul fianco. «Ti ho proposto ciò che non ho offerto a nessun'altra: di essere la mia regina, sopra tutti gli altri. Richard Rahl non può offrirti nulla. Solo io posso garantirti tutto ciò che un imperatore può offrire. Solo io posso darti un ruolo all'interno del potere che
dominerà il mondo.» Nicci abbracciò con un gesto la tenda reale. «Ah, il fascino di sposare la causa del male. Tutto mio se solo abbandono il mio raziocinio e dichiaro che la completa ingiustizia è una virtù.» «Ti ho offerto il potere di governare con me!» Nicci gli scoccò una fredda occhiataccia mentre lasciava ricadere il braccio. «No, mi hai offerto il compito di essere la tua puttana e l'incarico di uccidere chi non si piega al tuo dominio.» «È la regola dell'Ordine! Questa guerra non ha lo scopo di portare gloria a me e tu lo sai! Questo conflitto è per la causa del Creatore: la salvezza dell'umanità. Noi portiamo la vera volontà del Creatore ai pagani. Portiamo i dettami dell'Ordine a coloro che agognano un significato e uno scopo nelle proprie vite.» Nicci rimase ammutolita. Lui aveva ragione. Poteva provare grande piacere nel lusso del potere, ma lei sapeva che l'imperatore credeva sinceramente di essere solo il campione di un bene superiore, un guerriero che serviva i veri desideri del Creatore imponendo gli insegnamenti dell'Ordine in questa vita in modo che l'umanità potesse continuare nella gloria in quella successiva. Nicci sapeva molto bene cosa significava credere. Jagang credeva. Le apparve quasi risibile, però, come l'ideologia che lei stessa una volta aveva propugnato ora sembrasse tanto sciocca. Diversamente da Jagang e da molte persone che seguivano i dettami dell'Ordine, Nicci li aveva accettati perché pensava di doverlo fare, che fosse l'unico modo in cui poteva conquistare una vita retta. Aveva sopportato il giogo della servitù ad altri, odiandosi nel frattempo perché non ne era felice. Le Sorelle della Luce non avevano fatto di meglio, offrendole solo una diversa sfumatura della stessa altruistica chiamata al dovere, perciò rimase nella confusa morsa della Fratellanza dell'Ordine. Come intontita suddita dell'Ordine, essere usata da Jagang era uno dei tanti sacrifici che aveva ritenuto necessari per poter essere una persona buona e retta. E poi tutto questo era cambiato. Come le mancava Richard. «Tutto ciò che porterai all'umanità sarà un millennio di tenebre» disse, stanca di dibattere la verità con un vero credente il cui costrutto teologico era basato su ciò che predicava l'Ordine, non sulla realtà. «Tutto ciò che farai sarà gettare il mondo in una lunga epoca oscura e selvaggia.» Lui la fissò torvo per un momento. «Non sei tu a parlare, Nicci. So che
non lo sei. Stai dicendo certe cose solo perché lord Rahl declama un tale disprezzo per i suoi simili. Lo stai ripetendo per farmi pensare che lo ami.» «Forse è così.» Lui sogghignò. «No.» Scosse la testa. «No, tu vuoi soltanto usarlo per farti beffe di me. È così che agiscono le donne: cercando di manipolare e sfruttare gli uomini.» Piuttosto che lasciarlo continuare lungo la discussione sui suoi veri sentimenti per Richard, Nicci cambiò argomento. «I tuoi piani di dominio, i tuoi progetti che l'Ordine possa portare le sue idee in tutto il mondo, non funzioneranno. Ti servono tutte e tre le scatole dell'Orden. Io ero lì quando Sorella Tovi morì. Aveva lei la terza scatola, ma le fu rubata.» «Ah, sì: il coraggioso Cercatore, che brandiva la Spada della Verità,» fece la parodia di un affondo di spada «che interviene per recuperare una scatola dell'Orden da una malvagia Sorella dell'Oscurità.» Le rivolse un'occhiata aspra. «Io ero lì, a guardare attraverso i suoi occhi, dopo tutto.» Aveva osservato anche Nicci attraverso gli occhi di Tovi. «Rimane il fatto che le Sorelle avevano tutte e tre le scatole. Ora tu puoi avere quelle Sorelle, ma hai solo due scatole.» Un sorriso scaltro prese il posto del suo fastidio. «Oh, non penso che sarà un grosso problema come pensi tu. E non avrà importanza che tu abbia messo in campo quella scatola. Ho dei modi per superare queste insignificanti difficoltà.» Nicci fu piuttosto allarmata di apprendere che lui sapeva che aveva messo in campo la scatola, ma cercò di non lasciarlo trasparire. «Che modi?» Il sorriso si allargò ancor di più. «Che genere di imperatore sarei se non avessi piani per ogni eventualità? Non preoccuparti, mia cara, ho tutto sotto controllo. Tutto ciò che importa è che alla fine farò in modo di riunire tutte e tre le scatole. Non appena saranno di nuovo insieme, allora userò il potere dell'Orden per porre fine a ogni resistenza al dominio dell'Ordine.» «Se sopravvivrai tanto a lungo.» Il suo fastidio tornò mentre studiava la vuota espressione di lei. «E questo cosa significa?» Lei fece un gesto distaccato. «Richard Rahl ha liberato i lupi contro il tuo amato gregge.» «Che vorresti dire?» Lei inarcò un sopracciglio. «L'esercito che hai inseguito fin quassù è
sparito. Non sei stato in grado di distruggerlo, vero? Indovina dove si trova ora.» «Sono in rotta per timore delle proprie vite.» Nicci sorrise al suo sguardo minaccioso. «Non esattamente. L'esercito del D'Hara è stato incaricato di muovere guerra a coloro che nel Vecchio Mondo provvedono ai rifornimenti, a quelli che danno vita all'aggressività coi loro insegnamenti e la rivolgono contro gli innocenti. Quelle persone stanno per affrontare le conseguenze del fatto di aver inviato a nord soldati che non sono altro che assassini. Costoro, non meno di voi, hanno le mani imbrattate del sangue di gente innocente. Pensano che la distanza li renda immuni, ma essere lontani dal male che causano direttamente non li assolve dai loro crimini. Ne pagheranno il prezzo.» «Sono al corrente dei recenti peccati di lord Rahl.» I muscoli della mascella di Jagang si flessero mentre digrignava i denti. «Richard Rahl è un codardo che dà la caccia a donne e bambini perché non è in grado di affrontare dei veri uomini.» «Questa sarebbe la peggior specie di testarda ignoranza, se tu ci credessi davvero, ma non è così. Tu vuoi che gli altri ci credano, in modo da poter estrapolare delle mezze verità attentamente selezionate fuori dal contesto della realtà e ammantare la tua causa di una pseudo-moralità. Cerchi di creare una scusa per l'ingiustificabile. Per così dire, ti nascondi dietro le sottane delle donne mentre scagli frecce, così, quando saranno altri a lanciartele, potrai far finta di essere offeso per una tale atrocità. «Il tuo vero scopo, però, è privare del diritto assoluto di legittima difesa coloro che desideri distruggere. «Richard è un uomo che capisce la realtà della minaccia rappresentata dai dettami dell'Ordine. Non è sviato da questioni allestite ad arte per oscurare la verità. Lui sa che per sopravvivere deve essere abbastanza forte da eliminare la minaccia, non importa quale forma assuma, anche se si tratta di distruggere i campi che producono il cibo che dà ai tuoi uomini la forza di tagliare la gola a gente che vive pacificamente la propria vita. Chiunque difenda quei campi è complice di omicidio. «Richard conosce la semplice verità che, senza vittoria, il nostro popolo non sopravviverà.» «Quelle persone attirano su di sé la sofferenza resistendo ai giusti insegnamenti dell'Ordine» disse Jagang. I muscoli delle sue braccia si contrassero assieme ai suoi pugni mentre camminava avanti e indietro, apparentemente sull'orlo della violenza. Non
gli piaceva quando qualcuno discuteva le sue affermazioni, perciò girò attorno a Nicci e le ripeté con maggior forza come se alzare la voce e darle un tono minaccioso sistemasse la questione. «Richard Rahl dà prova della sua depravazione e dell'immoralità di coloro che comanda inviando i suoi uomini a uccidere donne e bambini innocenti del Vecchio Mondo, invece di restare a combattere i nostri soldati. Le sue atrocità contro donne e bambini provano che razza di codardo criminale egli sia. Noi abbiamo l'obbligo di liberare il mondo da peccatori del genere.» Nicci incrociò le braccia mentre lo fissava con quel tipo di sguardo torvo che una volta riservava a coloro che non si inchinavano al volere dell'Ordine. Era un'occhiata che spesso aveva preceduto le azioni che le avevano fruttato il titolo di Amante della Morte. Era uno sguardo che faceva esitare perfino l'imperatore. «Tutte le persone del Nuovo Mondo sono innocenti» disse lei. «Non hanno mosso guerra all'Ordine: è stato l'Ordine a muovere guerra a loro. È vero che della gente nel Vecchio Mondo verrà ferita o uccisa nella lotta, bambini inclusi. Ma che scelta hanno queste persone? Continuare a essere massacrati e schiavizzati per paura di far del male a qualcuno di innocente? Loro sono tutti innocenti. I loro bambini sono innocenti. È a loro che viene fatto del male, ora. «Essendo stato nella mente di Sorella Ulicia, tu conosci la tattica del legame con Richard che pensava l'avrebbe condotta alla salvezza e avrebbe protetto la sua mente da te. Sorella Ulicia sapeva che per Richard la vita ha un valore supremo, perciò ha ordito il piano che prevedeva che, quando avesse usato il potere dell'Orden per liberare il Guardiano del mondo sotterraneo dalla sua prigione nel mondo dei morti, avrebbe conferito a Richard Rahl la vita eterna. Il fatto che Richard non ritenesse possibile un tale patto, men che mai lo accettasse, era irrilevante nella mente di Ulicia. Pensava che, finché l'offerta non fosse stata fatta e rifiutata, le sue intenzioni di conferirgli la vita eterna le garantissero l'immunità dalle tue capacità come tiranno dei sogni. «Ma tu ti eri già inserito in segreto nella mente di Ulicia. È così che hai appreso quello che per Richard ha più importanza, il suo valore supremo: la vita. «Per te è un concetto estraneo. La vita non è un valore per l'Ordine. Insegnano che le nostre vite sono uno stato transitorio senza senso sul nostro cammino verso un eterno aldilà. Credono che questa vita sia un mero invo-
lucro, un guscio che contiene la nostra anima finché non raggiungerà un'esistenza superiore. L'Ordine insegna che la gloria nell'aldilà è il nostro calore più grande, e che quella gloria si guadagna tramite il sacrificio di questa vita alla loro causa. Perciò l'Ordine apprezza la morte. «Tu vedi coloro che apprezzano la vita come inferiori. Non riesci a capire cosa significa la vita, ogni vita per qualcuno come Richard, ma sai come usare quanto hai appreso. «Usi quel valore per cercare di intimorire Richard dall'affrontare la sfida più vasta di difendere ogni forma di vita. Portando avanti la propaganda che è un assassino di uomini e bambini, tu pensi di poter intimidire il suo coraggio, costringerlo a non attaccare per la paura di uccidere dei civili e dunque a difendersi soltanto. «Da guerriero esperto quale sei, sai bene che le guerre non si vincono difendendosi. Senza il totale impegno della forza necessaria a sbaragliare le maligne credenze di un aggressore, non puoi mai sperare di vincere una guerra poiché sono proprio quelle credenze a dare origine al conflitto. «Anche Richard sa che le guerre non si vincono difendendosi, che per terminare un conflitto più rapidamente possibile e con minime perdite di vite umane, l'unico modo è fermare la capacità dell'aggressore di recare danno e schiacciare la loro devozione in quelle credenze che l'hanno spinto ad attaccare. «Il tuo obiettivo, con queste accuse a cui dai eccessivo risalto contro un uomo che apprezza a tal punto la vita, è screditarlo e disonorarlo per fargli temere di agire come dovrebbe per vincere. «Crei un diversivo con mezze verità in modo da distogliere tutti gli occhi dalle vere implicazioni delle tue credenze e ottenere delle conversioni alla perversa ideologia dell'Ordine. Tu accusi altri delle tue stesse colpe, sapendo che questo susciterà in loro commozione. «Ma, alla fine, queste drammatiche accuse non sono che una copertura, un tentativo di aggrapparsi a una scusa per legittimare le tue abituali stragi di un numero inimmaginabile di persone. «Tu e io conosciamo la verità sugli innumerevoli cadaveri di donne e bambini che l'Ordine lascia sulla sua scia, ma quelli vengono ignorati nel tuo artificioso sdegno morale. La tua brutalità, ferocia e crudeltà contro coloro che non hanno fatto nulla alla gente nel Vecchio Mondo racchiudono la vera natura delle tue credenze. L'enormità della tua depravazione è perfino aggravata dall'incolpare la vittima dei crimini che tu perpetri sulla sua gente, allo stesso modo in cui incolpi me per il mio stesso stupro.
«Io ero lì il giorno in cui Richard ha assegnato gli ordini a quelle truppe. Conosco la verità. «La verità è che le menti della maggior parte delle persone del Vecchio Mondo sono state irrevocabilmente oscurate dalla loro fanatica devozione a idee che si risolvono solo in sofferenza e morte. È impossibile redimere costoro tramite la ragione. Richard sa che l'unico modo per affrontare il male, per spezzare il legame di un popolo con esso, è far sì che sia intollerabile aggrapparsi a tali credenze. «L'Ordine stesso ha reso questa una guerra all'ultimo sangue. Richard sa che la sua gente non può sopravvivere cercando di coesistere con una tale malvagità o giustificando coloro che la alimentano. «L'Ordine cerca di eliminare la libertà. Il coltello che l'Ordine sta cercando di conficcargli nel cuore è spinto dalla devozione nei suoi corrotti dettami. Richard comprende che deve eliminare la fonte di tali credenze o dappertutto la gente che pensa liberamente morirà, assassinata da uomini incoraggiati e nutriti dalle persone del Vecchio Mondo. «La guerra è una faccenda terribile. Prima termina, meno sofferenza e morte ci saranno. Questo è l'obiettivo di Richard. Uno sciocco si tirerebbe indietro da ciò che dev'essere fatto per paura di essere criticato dai maligni. Richard non verrà certo dissuaso dalle parole di ipocriti e perfidi. «La verità è che i suoi ordini sono stati che, ove possibile, i suoi soldati evitassero di far del male alla gente, ma far terminare la guerra è il loro obiettivo principale. Per ottenere questo, devono distruggere la capacità dell'Ordine di muovere guerra. Come soldati, è questa la responsabilità che Richard Rahl ha affidato loro: stanno difendendo il diritto del proprio popolo a esistere. Lui ha detto loro che qualunque altra cosa significherebbe solo piangere sulle loro tombe. «Questa guerra non è che la prosecuzione del grande conflitto che ha imperversato molto tempo fa, ma non si è mai davvero concluso. Il Vecchio Mondo è di nuovo caduto preda dei malvagi ideali dell'Ordine. Quante vite sono state sprecate a causa di quelle credenze? Quante lo saranno ancora? «L'ultima volta, coloro che si difendevano contro tali insegnamenti non ebbero il coraggio di ridurli a ceneri fredde e senza vita e, come risultato, l'antica guerra si è riaccesa ancora per mano della Fratellanza dell'Ordine. Proprio come allora, è stata scatenata da quelle stesse idee insensate che ognuno debba condividere le loro credenze o morire. «Richard comprende che questa volta deve terminare, una volta per tut-
te, che il mondo della vita dev'essere liberato dal veleno dell'Ordine. Lui ha il coraggio di farlo. Non verrà dissuaso dalle tue maldicenze. Non gli importa cosa pensa l'altra gente di lui. Gli interessa solo che non possano più far del male a lui e a coloro a cui tiene. «Per esserne sicuro, coloro dell'Ordine che predicano l'odio saranno perseguitati e uccisi. «L'esercito del D'Hara può non essere lontanamente vasto come quello dell'Ordine Imperiale, ma vi soffocherà. Bruceranno messi e frutteti, distruggeranno mulini e stalle, romperanno dighe e canali. Chiunque si frapponga ai loro sforzi di bloccare la capacità del Vecchio Mondo di muovere guerra verrà eliminato. «Più importante, quei soldati taglieranno le linee di rifornimento dirette a nord. Porre fine alla tua capacità di uccidere queste persone è l'unico obiettivo di Richard. A differenza di te, non deve insegnare a nessuno una lezione sul predominio, ma metterà termine al tuo. «Non ci sarà nessuna battaglia a decidere tutto, come hai progettato. A Richard non importa come i tuoi uomini vengono fermati, solo che questo venga fatto, una volta per tutte. «Senza rifornimenti, il tuo esercito si indebolirà e morirà su questa spoglia pianura. Questa sarà una vittoria sufficiente.» Jagang sorrise in modo tale che Nicci si interruppe. «Mia cara, il Vecchio Mondo è grande. Sprecano le loro energie ad attaccare i raccolti. Non possono essere dappertutto.» «Non è necessario.» Lui scrollò le spalle. «Può darsi che attacchino convogli di rifornimenti qua e là, ma non è che il sacrificio della nostra gente per portare avanti la causa. Le vittime, non importa quante, sono il costo del raggiungimento di scopi morali. «Poiché comprendo il prezzo da pagare per condurci alla vittoria finale, ho già ordinato un esorbitante aumento nel numero delle risorse da inviare al nord alle nostre valorose truppe. Possiamo mandare più uomini e rifornimenti di quanti Richard Rahl possa sperare di fermarne. «Il Vecchio Mondo sacrificherà ciò che è necessario per continuare la guerra. Il prezzo è aumentato, ma la nostra gente sarà lieta di pagarlo. Mi aspetto che tu abbia ragione, che molti dei nostri convogli di rifornimenti saranno distrutti, ma le forze del D'Hara non hanno uomini sufficienti a fermarli tutti.» Le budella di Nicci si contrassero. «Un'audace vanteria.»
«Se non mi credi, puoi giudicare da te se sto dicendo la verità. Un nuovo convoglio arriverà presto, così lungo che dovrai star ferma in un posto per due giorni solo per vederlo passare tutto davanti ai tuoi occhi. Non preoccuparti, i nostri coraggiosi uomini avranno abbastanza rifornimenti per proseguire questa guerra fino alla sua conclusione.» Nicci scosse il capo. «Non stai vedendo il quadro completo. Se non riesci ad agguantare e sconfiggere le forze del D'Hara, non puoi vincere. Ci sono persone nel Vecchio Mondo, proprio come da ogni altra parte, che vogliono vivere le proprie vite come desiderano. L'Ordine può accecare tanti coi suoi insegnamenti, ma ci sono individui dappertutto che pensano con la propria testa e comprendono la verità della vita. Ci sono persone del genere in tutto il Vecchio Mondo che si ribelleranno contro l'Ordine. «Ti basti pensare ad Altur'Rang. Io ero lì quando cadde. Era stato un posto colmo di sofferenza sotto il dominio dell'Ordine Imperiale. Ora che si è liberato da quelle catene, la gente lì prospera. Altre persone noteranno un tale cambiamento e saranno incoraggiate a condurre la stessa vita. Anche loro vorranno prosperare.» Jagang parve oltraggiato da quelle parole. «Prosperare? Sono soltanto dei pagani che danzano sulla terra che sarà la loro tomba. Saranno annientati. Questo è ciò che la gente vedrà: che l'Ordine punisce giustamente coloro che si allontanano dal loro dovere verso gli altri uomini. La punizione che subiranno per il loro egoismo verrà ricordata per il prossimo millennio.» «E le forze del D'Hara? I lupi liberati sulle tue greggi? Non saranno eliminate così facilmente. Continueranno a compromettere l'autorità dell'Ordine. Continueranno a dare la caccia a coloro che hanno inviato la guerra al nord, indebolendo il nucleo stesso della Fratellanza dell'Ordine. Jagang sogghignò. «Oh, mia cara, come ti sbagli su questo. Ti dimentichi delle scatole dell'Orden.» «Ne hai solo due.» «Per ora, ma le avrò presto tutte e tre. E quando accadrà, allora libererò il potere dell'Orden per il nostro volere. Col potere dell'Orden sotto il mio controllo, ogni resistenza verrà spazzata via nella tempesta infuocata della nostra giusta causa. Lo userò per bruciare la carne di ogni membro delle truppe del D'Hara e lasciar perire tutti di una morte lenta e agonizzante. Inseguiti dal potere dell'Orden, non avranno alcun posto dove nascondersi. Le loro urla saranno il suono della dolce giustizia per la nostra gente che ora soffre sotto la loro brutalità. Farò anche soffrire ognuno di quei tradito-
ri pagani di Altur'Rang per aver disatteso i nostri insegnamenti. «Il potere dell'Orden servirà la causa della Fratellanza dell'Ordine e alla fine abbatterà i D'Hariani ovunque si trovino. «Ridurrò in polvere le ossa di Richard Rahl. È un uomo morto, solo che ancora non lo sa.» Il torvo sorriso di Jagang fece venire a Nicci la pelle d'oca. «Ma prima,» aggiunse con evidente piacere «voglio che viva abbastanza a lungo da vedere tutto quanto, da soffrire davvero. Sai quanto mi piace che coloro che mi si sono opposti vivano in modo da poter subire il dolore della vera sofferenza.» La sua voce si abbassò a un brontolio. «A questo scopo, ho qualcosa di molto, molto caro per Richard Rahl. Quando libererò il potere dell'Orden, sarò infine in grado di causargli un dolore che non può neanche immaginare. Gli procurerò il genere di tormento emotivo che distruggerà il suo spirito, frantumerà la sua stessa anima, prima che io faccia a pezzi il suo corpo terreno.» Nicci capì che Jagang stava parlando di Kahlan, ma non osava lasciargli intendere che lo sapeva. Ci volle tutta la sua forza di volontà per impedirsi di guardarla, per non rivelare ciò di cui era a conoscenza. «Noi prevarremo» disse lui. «Ti offro l'opportunità di tornare al mio fianco, quello dell'Ordine. Alla fine, non avrai altra scelta al riguardo se non accettare la volontà del Creatore. È tempo che accetti la tua responsabilità morale per gli uomini tuoi simili.» Lei aveva capito dal momento in cui era entrata nell'accampamento di non avere alcuna possibilità di sfuggire all'inevitabile. Non avrebbe più rivisto Richard, o la libertà. Jagang fece un gesto sbrigativo. «Non puoi ottenere nulla col tuo infantile affetto per Richard Rahl.» Nicci sapeva cosa sarebbe accaduto se non si fosse sottomessa alla sua autorità e non avesse accettato la sua offerta. Se non avesse acconsentito, lui avrebbe reso tutto quanto un tormento ancora maggiore per lei. Ma la sua vita le apparteneva e non l'avrebbe gettata via di proposito. «Se hai intenzione di ridurre in polvere Richard Rahl,» disse lei nel suo tono più condiscendente «se non è altro che un problema insignificante per te, allora perché ti preoccupa tanto?» Inarcò un sopracciglio. «E per di più, perché ne sei così geloso?» Col volto che avvampava, rosso di rabbia, Jagang l'afferrò per la gola. Con un ruggito, la scagliò sul letto. Lei trasse un brusco respiro appena
prima che lui le atterrasse addosso. Le sedette sopra a cavalcioni, poi si chinò da un lato per prendere qualcosa. Bloccata dal suo peso, lei poteva a malapena respirare. Una grossa mano le afferrò la faccia per tenerle ferma la testa anche se lei non faceva alcuno sforzo per resistere. Con l'altra mano le tirò il labbro inferiore all'infuori. Quando lasciò la presa, lei vide che stava reggendo un punteruolo affilato. Lo conficcò attraverso il suo labbro inferiore, rigirandolo e perforandolo. Lacrime di dolore le bruciavano gli occhi. Non osava muoversi per timore che le strappasse il labbro. Dopo aver estratto il punteruolo, le infilò un anello d'oro attraverso il labbro appena bucato. Piegandosi in avanti, usò i denti per richiuderlo. La sua corta barba le grattò contro la guancia mentre le si premeva contro e le sussurrava in un orecchio. «Tu sei mia. Fino al giorno in cui deciderò che devi morire, la tua vita appartiene a me. Puoi anche dimenticarti di pensare a Richard Rahl. Quando avrò finito con te, ti prenderà il Guardiano per avermi tradito.» Mentre si rialzava, la schiaffeggiò. La potente percossa le fece sbattere i denti. «Hai finito di essere la puttana di Richard Rahl. Presto pregherai di ammettere che stavi solo cercando di ingelosirmi e che è il mio letto il posto in cui saresti sempre voluta essere. Non è così?» Nicci alzò lo sguardo su di lui senza mostrare alcuna emozione o dire nulla. Lui le colpì il volto con un pugno chiuso. «Ammettilo!» Con tutta la sua forza, Nicci tenne ferma la voce. «Non puoi fare sì che qualcuno ti ami con le percosse.» «Tu mi costringi a colpirti! È colpa tua! Dici cose che sai che mi faranno adirare. Non ti colpirei se non mi spingessi di continuo a farlo. Te la cerchi.» Come per dimostrare di essere nel giusto, le assestò due forti colpi in faccia. Lei fece del suo meglio per ignorare il dolore. Sapeva che era solo l'inizio. Nicci lo fissò. Non disse nulla. Era stata sotto di lui tante volte da sapere con certezza cosa sarebbe seguito. Si stava già rifugiando in quel posto lontano nella sua mente. Non si concentrò più sull'uomo sopra di lei che la picchiava. Il suo sguardo vagò verso il soffitto della tenda.
I pugni la martellavano, ma lei li sentiva appena. Era solo il suo corpo, lontano da qualche parte, che doleva. Doveva respirare attraverso un gorgoglio di sangue. Sapeva che lui le stava strappando il vestito, sapeva che le sue grosse mani la stavano tastando, ma ignorò anche quello. Invece - mentre Jagang la percuoteva, la palpeggiava, le saliva addosso, le divaricava a forza le gambe - lei pensava a Richard, a come l'avesse sempre trattata con rispetto. Mentre l'incubo iniziava, lei sognava altre cose. 24 Col dorso della mano, Rachel si deterse il sudore dalla fronte. Sapeva che non appena avesse terminato di lavorare avrebbe avuto freddo, ma per il momento stava sudando. Era difficile smettere, perché andava di fretta. Sapeva che non avrebbe potuto proseguire una volta scesa la notte, ma sentiva comunque l'impulso ad affrettarsi, perciò continuò a costruire il suo riparo. Non le piaceva pensare a cosa sarebbe accaduto se non si fosse spicciata. I rami di pino che aveva tagliato e appoggiato contro la bassa parete di roccia avrebbero aiutato a bloccare il vento freddo. Li rinforzò puntellandoli con ramoscelli secchi di cedro che aveva trovato nelle vicinanze. Tagliare rami di pino freschi con un coltello non era facile. Chase le aveva insegnato come costruire un riparo. Questo probabilmente non gli sarebbe sembrato un granché, ma senza neanche un'accetta era il meglio che potesse fare. Quantomeno, era il meglio che si sentisse di fare. Tutto ciò che voleva era sbrigarsi. Legò il cavallo vicino, dopo averlo fatto abbeverare a sufficienza da un vicino ruscello. Era stata attenta a lasciargli abbastanza corda da poter brucare i ciuffi d'erba che crescevano lungo la riva. Usando l'acciarino preso dalle bisacce, accese un fuoco all'interno della protezione dal vento che aveva costruito. Era terrificante stare sola nella campagna di notte. Potevano esserci orsi, o leoni di montagna, o lupi. Un fuoco la aiutava a sentirsi al sicuro mentre dormiva un poco in attesa della prima luce. Aveva bisogno che fosse giorno per ripartire. Doveva andare. Doveva sbrigarsi. Quando cominciò a sentir freddo, Rachel mise un altro ciocco della legna che aveva raccolto sul fuoco e poi sedette sulla piccola coperta che a-
veva appoggiato sopra i rami di pino. Chase le aveva insegnato che un fresco cuscino di rami di pino o d'abete le avrebbe consentito di non dormire per terra e di restare calda. Appoggiò la schiena alla parete di pietra in modo che nulla potesse arrivarle di soppiatto alle spalle. L'oscurità si addensava e lei si sentiva spaventata. Piuttosto che pensare alla propria paura, tirò più vicino le bisacce e prese un pezzo di carne secca. Ne strappò un piccolo morso coi denti e lo succhiò per un po', lasciando che il sapore cominciasse ad appagare la fame che la torturava. Non le rimaneva molto cibo, perciò stava tentando di conservare quello che aveva. Non passò molto, però, prima che cominciasse a masticare e inghiottire. Spezzò una parte di biscotto secco e, tenendolo nel palmo, vi versò un po' d'acqua dall'otre per ammorbidirlo un po' prima di provare a masticarlo. I biscotti erano duri come pietre. La carne secca era più facile da masticare dei biscotti, ma di quelli ne aveva di più. Cercava delle bacche mentre cavalcava, ma la stagione era troppo avanzata perché ne fossero rimaste. Un giorno aveva notato un melo selvatico. Anche se erano raggrinzite, le mele avevano l'aria di fornire un buon pasto, ma sapeva di non dover mangiare frutti rossi. I frutti rossi erano velenosi. Per quanto avesse voglia di mangiare altro rispetto a carne essiccata e biscotti secchi, non voleva essere avvelenata. Rachel sedette in silenzio per un po', masticando la carne dura mentre fissava il fuoco. Rimase in ascolto per ciò che poteva annidarsi nel buio oltre il fuoco. Non voleva essere sorpresa da un animale affamato che poteva considerarla un buon pasto. Quando alzò lo sguardo, c'era una donna in piedi davanti a lei, dal lato opposto del fuoco. Rachel rimase senza fiato. Cercò di indietreggiare, ma la parete di roccia era proprio dietro di lei. Pensò che poteva scivolar via di lato, se fosse stato necessario. Afferrò il suo coltello. «Ti prego, non aver paura.» Rachel pensò che fosse la voce più suadente, gentile e amabile che avesse mai udito. Tuttavia, non era così sciocca da lasciarsi abbindolare da parole gentili. Fissò la donna, provando a pensare cosa fare, mentre lei la guardava. Non sembrava minacciosa. Non faceva nulla che sembrasse ostile. Però era comparsa nel mezzo del nulla. C'era qualcosa in lei che sembrava vagamente familiare. La sua voce
gradevole risuonava ancora nella mente di Rachel. Era piuttosto graziosa, con lisci capelli biondi tagliati corti. Le sue braccia pendevano mollemente, le mani giunte davanti a lei, le dita intrecciate assieme. Indossava semplici vesti di lino che arrivavano fino a terra. Lo scialle attorno alle spalle sembrava essere tinto di henné. Il suo abito modesto la faceva apparire come una popolana, non certo una donna di rango nobiliare. Avendo vissuto a palazzo a Tamarang, Rachel sapeva molto sulle nobildonne. Queste ultime di solito rappresentavano guai per quelle come Rachel. «Ti prego, posso sedere e condividere il tuo fuoco?» chiese la donna con quella voce che faceva pendere Rachel dalle sue labbra a ogni parola. «No.» «No?» «No. Non ti conosco. Stai indietro.» La donna sorrise un poco. «Sei sicura di non conoscermi, Rachel?» Rachel deglutì. La pelle d'oca formicolò su per le sue braccia. «Come sai il mio nome?» Il sorriso si allargò un poco, non in modo scaltro, ma dolce e gentile. Anche gli occhi della donna avevano in essi una tenerezza che faceva sembrare che non avesse cattive intenzioni. Tuttavia, questo non servì a diminuire la cautela di Rachel. Era stata ingannata da signore dall'aspetto gentile in passato. «Ti piacerebbe qualcosa da mangiare che non siano razioni da viaggio?» «No. Sono a posto» disse Rachel. «Voglio dire, apprezzò la tua offerta, è molto gentile da parte tua, ma sto bene, grazie.» La donna si piegò e raccolse qualcosa che si trovava per terra dietro di lei. Quando si alzò di nuovo, Rachel vide che si trattava di una filza di piccole trote. Le tenne in alto. «Andrebbe bene se usassi soltanto il tuo fuoco per cucinarmi queste, allora?» Rachel aveva problemi a pensare. Doveva sbrigarsi. Questo era tutto ciò su cui pareva in grado di concentrarsi, doveva sbrigarsi. Ma non poteva avere fretta quando era accampata. Non poteva andarsene finché non fosse stato giorno. «Suppongo che andrebbe bene se cucinassi i tuoi pesci sul fuoco.» La donna sorrise ancora. Era un sorriso che, per qualche ragione, sollevò l'animo di Rachel. «Grazie. Non ti darò alcun fastidio.»
In un batter d'occhio, si voltò e sparì nella notte. Rachel non aveva idea su dove fosse andata o perché. La filza di pesci era ancora poggiata lì vicino. Rachel sedette ad ascoltare l'oscurità mentre il fuoco sibilava e scoppiettava. Strinse forte il suo coltello nel pugno mentre si sforzava di udire nel buio qualche segno che la donna potesse avere con sé altra gente. Quando tornò, la donna aveva una pila di grosse foglie di acero riccio, molte delle quali ricoperte da uno spesso strato di fango. Non disse nulla mentre si accovacciava e cominciava a preparare i pesci. Arrotolò ogni pesce in una foglia d'acero pulita, poi li allineò tutti nel fango, li ricoprì con un altro strato di mota e infine avvolse tutto quanto nelle foglie. Quando ebbe finito di preparare quel forno arrotolato, lo mise con attenzione sul fuoco. Per tutto il tempo, Rachel la osservò. Era difficile non farlo. In effetti, non riusciva a distogliere gli occhi dalla donna. C'era qualcosa in lei che faceva dolere Rachel per il desiderio di starle più vicino. Tuttavia, la sua prudenza non glielo consentiva. Inoltre, andava di fretta. La donna indietreggiò di alcuni passi, apparentemente per non spaventare Rachel, e si sedette per terra, incrociando le gambe sotto di sé, aspettando che il pesce cuocesse. Le fiamme danzavano nella fredda aria notturna e delle scintille turbinavano all'insù ogni volta che la legna scoppiettava. Di tanto in tanto la donna si riscaldava le mani al fuoco. A Rachel risultava difficile non pensare al pesce. Aveva un odore delizioso. Riusciva a immaginare quanto potesse essere squisito. Ma aveva detto di non volerne. A quel punto si rese conto di aver fatto una domanda prima e non aver ottenuto una risposta. «Come sai il mio nome?» La donna scrollò le spalle. «Gli spiriti buoni devono avermelo sussurrato all'orecchio.» Rachel pensò che fosse la cosa più sciocca che aveva mai sentito. Non poté fare evitare un risolino, però. «A dire il vero,» disse la donna, con un'espressione più seria «mi ricordo di te.» La pelle d'oca tornò. «Al castello di Tamarang?» La donna scosse la testa. «No. Da prima.» Rachel si accigliò. «Dall'orfanotrofio?» La donna emise un lieve suono di conferma. All'improvviso sembrò tri-
ste. Assieme osservarono le fiamme tremolare, danzare e gettar luce contro la parete di roccia e il riparo di rami di pino. In lontananza dei coyote lanciarono lunghi ululati solitari. Quando i coyote cominciavano a ululare, Rachel era contenta di avere un fuoco. Sarebbe stata facile preda di lupi e simili, se non fosse stato per il fuoco. I moscerini attorno frinivano e ronzavano, mentre le falene volavano in cerchio attraverso la luce. Scintille turbinanti salivano nel cielo notturno, come desiderose di raggiungere le stelle. Tutto ciò rendeva Rachel assonnata. «Scommetto che il pesce è pronto» disse la donna con voce allegra. Sgattaiolò in avanti e usò un bastoncino per far rotolare il piccolo forno di fango fuori dal fuoco. Aprendo le foglie sul terreno, rivelò infine i pesci all'interno. Erano bollenti e croccanti. Ne strappò un pezzo e lo assaggiò, poi emise un gemito di piacere per il sapore squisito. Mise il resto della piccola trota su una foglia d'acero riccio e la offrì a Rachel. Rachel rimase seduta a fissare la mano. Aveva detto di non volere alcun pesce della donna. «Grazie, ma ho il mio cibo. Dovresti mangiare i tuoi pesci.» «Sciocchezze, ce n'è più che a sufficienza. Ti prego, non me mangeresti un po' con me? Solo un po'? Dopo tutto, ho usato il fuoco che tu hai faticato per preparare, quindi è il minimo che possa fare.» Rachel fissò il pesce dall'aspetto delizioso sulla foglia nel palmo di mano della donna. «Be', se non ti dispiace, allora, ne prenderò uno.» La donna sorrise e all'improvviso il mondo sembrò un posto migliore. Rachel pensò che doveva essere simile al sorriso di una madre, pieno di semplice piacere per la meraviglia della vita. Cercò di non divorare il pesce. Il fatto che fosse bollente la aiutò a contenersi. Quello, e le piccole lische. Era così bello mangiare cibo caldo che quasi pianse di gioia. Quando ebbe finito il primo, la donna gliene porse un altro. Rachel lo prese senza esitazione. Aveva così bisogno di mangiare. Si disse che le serviva essere in forze per potersi sbrigare. Il pesce tenero mitigò il morso della fame che albergava nel profondo del suo stomaco, dissipando il dolore. Rachel ne mangiò altri quattro prima di essere sazia. «Non spronare il tuo cavallo così forte, domani» disse la donna. «Se lo farai, morirà.»
Rachel sbatté le palpebre. «Come lo sai?» «Ho fatto la conoscenza del tuo animale quando mi sono imbattuta nel tuo campo. Il tuo cavallo è in cattive condizioni.» Rachel era spiacente per il cavallo, ma doveva sbrigarsi. Non poteva rallentare per alcun motivo. Doveva sbrigarsi. «Se vado più lenta, mi prenderanno.» La donna inclinò il capo. «Chi ti prenderà?» «I folletti spettrali.» «Ah, capisco.» «I folletti spettrali mi inseguono. Quando rallento, cominciano ad avvicinarsi.» Lacrime bruciavano gli occhi di Rachel. «Non voglio che i folletti spettrali mi prendano.» Allora la donna fu lì, proprio accanto a lei, cingendola con un braccio, fornendole riparo. Era una sensazione tanto bella che Rachel cominciò a piangere nel conforto di quella protezione. Doveva sbrigarsi. Aveva tanta paura. «Se uccidi il cavallo,» disse la donna con voce bassa e gentile «allora i folletti spettrali ti prenderanno, no? Vai solo un po' più lenta. Hai tempo.» Rachel si rannicchiò nell'incavo del braccio della donna. «Sei sicura?» «Sono sicura. Devi lasciare che il cavallo riprenda le forze. Non ti servirà a nulla uccidere quell'animale. Fidati di me, non vuoi ritrovarti nella campagna disabitata senza un cavallo.» «Perché poi i folletti spettrali mi prenderanno?» La donna annuì. «Perché poi i folletti spettrali ti prenderanno.» Quando un brivido percorse la schiena di Rachel, la donna la strinse forte finché non fu passato. Rachel si rese conto che aveva l'orlo del suo vestito in bocca, proprio come era solita fare quand'era piccola. «Porgimi la mano» disse la donna con tono rassicurante. «Ho qualcosa per te.» «Cos'è?» «Porgimi la mano.» Quando Rachel le porse la mano, la donna vi appoggiò qualcosa di piccolo. Rachel lo avvicinò a sé, cercando di vederlo meglio. Era corto e dritto. «Mettilo in tasca.» Rachel alzò lo sguardo verso il volto gentile che la stava osservando. «Perché?» «Per quando ti servirà.»
«Mi servirà? Per cosa?» «Lo saprai a tempo debito. Lo saprai quando ti servirà. Quando accadrà, ricordati che è lì, nella tua tasca.» «Ma cos'è?» La donna esibì quel suo stupendo sorriso. «È ciò di cui hai bisogno, Rachel.» Confusa com'era, Rachel non riusciva a pensare a come risolvere l'enigma. Fece scivolare il piccolo oggetto in tasca. «È magico?» chiese Rachel. «No» disse la donna. «Non è magico. Ma è quello che ti servirà.» «Mi salverà?» «Devo andare ora.» Rachel avvertì un groppo in gola. «Non puoi sederti un po' accanto al fuoco?» La donna la osservò con occhi accorti e gentili. «Suppongo di sì.» Rachel sentì di nuovo la pelle d'oca formicolarle su per le sue braccia. Sapeva chi era la donna. «Sei mia madre, vero?» La donna carezzò i capelli di Rachel. Aveva un sorriso triste. Una lacrima le rigò la guancia. Rachel sapeva che sua madre era morta, o, almeno, così le era stato detto. Forse questo era lo spirito buono di sua madre. Rachel aprì la bocca per parlare di nuovo, ma la madre la zittì con gentilezza, poi inclinò la testa di Rachel contro la sua. «Hai bisogno di riposo. Veglierò io su di te. Dormi. Sei al sicuro con me.» Rachel era così stanca. Ascoltò il meraviglioso suono del battito del cuore di sua madre. La abbracciò e si rannicchiò contro di lei... Rachel aveva mille domande, ma non pensava di poter far sì che una sola parola superasse il groppo che aveva in gola. Inoltre, non voleva proprio parlare. Voleva solo restare al riparo fra le braccia di sua madre. Per quanto amasse Chase, quella era una sensazione tanto speciale che le sembrava ingiusto paragonarla a qualunque altra cosa. Amava fortemente Chase. Questo era meraviglioso a suo modo. Erano come due metà che formavano un intero. Rachel si rese conto di aver dormito solo perché quando aprì gli occhi si era appena fatto giorno. Nuvole viola scuro sembravano cercare di nascondere la luce che affiorava nel cielo a oriente.
Si sedette bruscamente. Tutto ciò che rimaneva del fuoco erano ceneri fredde. Era sola. Prima che potesse pensare ad altro, prima di aver tempo di essere triste, seppe di doversi sbrigare. Con uno sforzo frenetico raccolse in fretta le sue poche cose - la coperta, esca e acciarino, l'otre - infilandole nelle bisacce. Vide il cavallo poco distante, che la osservava. Doveva assicurarsi di non farlo correre troppo forte. Se spronava il cavallo e quello moriva, poi Rachel sarebbe rimasta a piedi. E allora i folletti spettrali l'avrebbero presa. 25 Kahlan richiuse delicatamente entrambe le mani attorno al pugno molle e tremante di Nicci. Sperava che attraverso quel contatto, quel semplice gesto, la donna ricoperta di sangue che giaceva nel letto di Jagang potesse ottenere un piccolo sollievo. Per quanto Kahlan soffrisse con lei, non poteva offrire un grosso aiuto. Era stata una notte spaventosa, terrificante. Jagang portava spesso delle prigioniere nel suo letto. Spesso faceva loro del male, o perché non si rendeva conto della sua stessa forza, o perché aveva intenzione di ferirle quando non volevano cooperare. Quella volta era stato diverso. Con Nicci aveva dato sfogo a rovente gelosia. Non aveva mai fatto del male a quelle altre donne allo stesso modo di Nicci. Nella sua mente, Kahlan lo sapeva, si stava vendicando, stava pareggiando un conto, facendo pagare a Nicci il prezzo di essergli stata infedele. Ma, per certi versi, Jagang stava anche mostrando a Kahlan che tipo di trattamento poteva aspettarsi una volta che la sua memoria fosse stata infine ripristinata. Kahlan cercò di togliersi dalla mente quello che aveva visto e udito per non star male. Invece si concentrò sul presente e sul futuro. Lasciò andare una mano e si voltò per raccogliere un otre che giaceva sul pavimento lì vicino. Nicci afferrò lievemente l'altra mano, a quanto pareva temendo di perdere l'umana pietà in quel contatto. «Ecco» disse Kahlan con poco più che un sussurro mentre sollevava l'otre alle labbra di Nicci. Spruzzi di sangue secco le imbrattavano la faccia e
i capelli. Oltre ad aggrapparsi mollemente alla mano di Kahlan, Nicci non rispose. «Bevi» la esortò Kahlan. «È acqua.» Nicci non fece alcun tentativo di bere, perciò Kahlan fece gocciolare un po' d'acqua sulle labbra spaccate della donna e nella sua bocca. Lei inghiottì, poi voltò la testa lontano dall'otre con un gemito di dolore, «Ssh» le raccomandò Kahlan. «So che fa male, ma cerca di rimanere in silenzio. Devi provare a bere un sorso. Hai bisogno d'acqua. Quando sei ferita, al tuo corpo serve acqua per ristabilirsi.» Da quanto le aveva stretto le mani intorno al collo mentre era in preda alla furia, era un miracolo che Jagang non avesse frantumato la trachea di Nicci. Le aveva lasciato orrendi lividi, però, e non solo sul collo. Gli occhi azzurri di Nicci si aprirono lentamente, mettendo a fuoco il viso di Kahlan: era lì sotto, seduta sul pavimento accanto al letto. Piegata vicino a lei, cercava di tenere la voce bassa in modo da non raggiungere coloro che si trovavano fuori dalla camera da letto. Kahlan non voleva che la sentissero parlare con Nicci. Quest'ultima a sua volta non aveva voluto che Jagang sapesse che poteva vederla. Kahlan reputava saggio non lasciar sapere a un nemico nulla più di quanto fosse assolutamente necessario. A quanto pareva, la pensavano allo stesso modo. Per quanto fosse impacciata nel piegarsi oltre il bordo del letto, Kahlan non osava alzarsi dal tappeto. Conosceva le conseguenze della disobbedienza a Jagang, che le aveva detto di rimanere sul pavimento. Una ferita all'attaccatura dei capelli di Nicci sul lato destro della fronte sanguinava ancora. Un rapido colpo del pugno inanellato di Jagang le aveva strappato un lembo di cuoio capelluto. Kahlan afferrò un pezzo di stoffa, lo piegò e lo premette con gentilezza contro la ferita sulla fronte di Nicci, rimettendo al loro posto i pezzi di carne che pendevano mentre esercitava pressione per fermare l'emorragia. In pochi istanti il panno era zuppo di sangue. Per quanto volesse aiutarla, c'era poco altro che potesse pensare di fare oltre a fermarle alcune emorragie e offrirle un sorso d'acqua. La ferita causata dall'anello d'oro che aveva perforato il labbro inferiore di Nicci era ancora aperta, e lasciava fuoriuscire un rivoletto di sangue giù per la mascella e il collo, ma non era seria come quella sulla fronte, perciò su questa Kahlan non tentò di intervenire. Con cautela scostò una ciocca di capelli biondi dal volto di Nicci. «Mi spiace così tanto per quello che ti ha fatto.» Nicci annuì lievemente, la sua mascella tremava mentre tratteneva le la-
crime. «Avrei tanto voluto fermarlo» disse Kahlan. Con un dito Nicci fermò la lacrima che colava giù per la guancia di Kahlan. «Non c'era nulla che tu potessi fare» riuscì a dirle. «Nulla.» La sua voce era debole ma, malgrado ciò, aveva in sé la stessa grazia serica di prima. Era una voce che si adattava alla perfezione a lei. Kahlan non avrebbe mai immaginato che una voce tanto incantevole potesse avere in sé l'onesto disprezzo che aveva mostrato a Jagang. «Nessuno di noi avrebbe potuto fare nulla,» sussurrò Nicci mentre le palpebre le si richiudevano «Tranne Richard, forse.» Kahlan studiò gli occhi azzurri della donna per un momento. «Pensi davvero che Richard Rahl possa fare qualcosa?» Nicci sorrise fra sé. «Mi spiace. Non mi sono resa conto di averlo detto ad alta voce. Dov'è Jagang?» Kahlan controllò e vide che la ferita sotto il panno che aveva premuto sulla testa di Nicci almeno aveva smesso di sanguinare. «Non l'hai sentito andarsene?» chiese mentre metteva da parte la stoffa intrisa di sangue. Nicci fece dondolare la testa da un lato all'altro per dire di no. Kahlan sollevò l'otre con fare interrogativo. Nicci annuì. Trasalì mentre inghiottiva, ma bevve. «Be',» disse Kahlan quando vide che Nicci aveva finito di bere «è venuto qualcuno a chiamarlo. È andato alla porta e un uomo gli ha parlato a bassa voce. Non ho potuto sentire tutto, ma sembrava come se avessero trovato qualcosa. Jagang è ritornato e si è rivestito. Dalla velocità con cui l'ha fatto, era chiaramente ansioso di dare un'occhiata alla scoperta. Mi ha detto di rimanere dov'ero. «Poi ha messo un ginocchio sul letto, si è chinato su di te e ti ha sussurrato che gli dispiaceva.» Nicci sbuffò una risata, ma si interruppe quando sobbalzò per il dolore. «Non è in grado di provare dispiacere per nessuno tranne che per sé stesso.» «Non sarò certo io a contraddirti» disse Kahlan. «Comunque, ha promesso di portare una Sorella a guarirti. Ti ha passato una mano sulla faccia e ha detto di nuovo che gli dispiaceva. Poi ha indugiato, guardandoti con aria preoccupata. Si è chinato un po' più vicino a te e ha detto: 'Per favore, non morire, Nicci'. Dopodiché si è precipitato via, ripetendomi di restare
sul pavimento. «Non so da quanto tempo se ne sia andato, ma immagino che una Sorella possa arrivare in qualunque momento.» Nicci annuì, sembrava non le importasse davvero se veniva guarita o no. Kahlan poteva comprendere, in un certo senso, che Nicci potesse preferire lasciarsi scivolare nelle tenebre eterne della morte piuttosto che affrontare quello che sarebbe stata la sua vita da quel momento in poi. «Sono terribilmente spiacente che tu sia stata catturata da lui, ma non sai quanto sia bello essere con un'altra persona in grado di vedermi, qualcuno che non faccia parte di loro.» «Posso immaginarlo» disse Nicci. «Jillian ha detto di averti vista prima. Con Richard Rahl. Mi ha parlato un poco di te. Sei tanto bella come ti ha descritta.» «Mia madre era solita dirmi che essere belle è utile solo alle prostitute. Forse aveva ragione.» «Forse era solo gelosa di te. O solo una sciocca.» Nicci fece un sorriso tanto largo che sembrava potesse ridere. «Odiava la vita.» Lo sguardo di Kahlan scivolò via da Nicci mentre afferrava un filo sciolto del copriletto. «Allora tu conosci Richard Rahl piuttosto bene, no?» «Piuttosto bene» disse Nicci. «Ne sei innamorata?» Nicci la studiò, fissando gli occhi di Kahlan per un lungo momento. «La questione è più complicata. Io ho delle responsabilità.» Kahlan accennò un sorriso. «Capisco.» Era lieta che Nicci non avesse cercato di mentire negandolo. «Hai una voce stupenda, Kahlan Amnell» sussurrò Nicci mentre fissava Kahlan. «Davvero.» «Grazie, ma a me non sembra stupenda. Talvolta penso di sembrare una rana.» Nicci sorrise. «Per niente.» Kahlan si accigliò. «Mi conosci, allora?» «Non proprio.» «Ma sai il mio nome. Sai qualcosa su di me? Sul mio passato? Su chi sono veramente?» Gli occhi azzurri di Nicci la osservarono con fare curioso. «Solo ciò che ho sentito.»
«E cos'hai sentito?» «Che tu sei la Madre Depositaria.» Kahlan agganciò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «L'ho sentito anch'io.» Controllò di nuovo la porta e, vedendo che il drappeggio era ancora al suo posto e non sentendo voci vicine, tornò a voltarsi verso Nicci. «Temo di non sapere cosa significa. Non so molto su me stessa. Come puoi immaginare, è piuttosto frustrante. Talvolta mi sento tanto scoraggiata di non essere in grado di ricordare nulla...» La voce di Kahlan si spense mentre gli occhi di Nicci si chiudevano per una fitta di dolore. Faceva fatica a respirare. Kahlan poggiò una mano sulla spalla della donna. «Resisti, Nicci. Ti prego, resisti. Una Sorella sarà qui a momenti per guarirti. Mi hanno fatto del male prima d'ora, terribilmente male, e mi hanno guarito, quindi so che possono farlo. Starai bene quando arriveranno.» Nicci annuì lievemente ma non aprì gli occhi. Kahlan desiderò che una delle Sorelle si sbrigasse. Non potendo fare altro, diede a Nicci un altro sorso d'acqua, poi inumidì ancora il pezzo di stoffa e le deterse gentilmente la fronte. Kahlan era combattuta fra il rimanere dove le era stato detto di restare e precipitarsi attraverso l'apertura fuori dalla camera da letto per chiedere che qualcuno andasse a prendere una Sorella. Sapeva, però, che il collare che indossava attorno alla gola l'avrebbe fatta cadere a terra prima che potesse fare due passi. Fu alquanto sorpresa che non ci fosse già una Sorella lì fuori. Di solito ce n'era almeno una a disposizione. «Non ho mai visto nessuno tenere testa a Jagang come hai fatto tu» disse Kahlan. «Non aveva alcuna importanza che lo facessi o no.» Nicci fece una pausa per riprendere fiato. «Avrebbe fatto comunque ciò che voleva. Ma non avevo intenzione di assecondarlo.» Kahlan sorrise allo spirito battagliero di Nicci. «Jagang era già adirato con te prima che arrivassi. Sorella Ulicia gli ha detto di come tu ami Richard. Non la smetteva di parlarne.» Gli occhi di Nicci erano aperti, ma non disse nulla mentre fissava il soffitto. «Ecco perché Jagang ti stava interrogando: per via di quello che Sorella Ulicia gli ha detto. Era geloso.» «Non ha motivo di essere geloso. Dovrebbe essere più preoccupato del
fatto che un giorno lo ucciderò.» A questa risposta, Kahlan sorrise. Poi si chiese se Nicci intendeva dire che Jagang non aveva motivo di essere geloso perché non c'era nulla fra lei e Richard, o perché c'era ma l'imperatore non aveva alcun diritto di avanzare pretese sul suo cuore. «Pensi che avrai mai l'opportunità di ucciderlo?» Frustrata, Nicci sollevò una mano appena un poco, poi la lasciò ricadere lungo il fianco. «Probabilmente no. Penso che sarò io a essere uccisa.» «Forse possiamo escogitare qualcosa prima che accada» disse Kahlan. «Com'è riuscito a catturarti, comunque?» «Ero nel palazzo.» «Hanno trovato un modo per entrare?» «Sì. Attraverso catacombe dimenticate che si estendono sotto la piana di Azrith e l'altopiano. Le camere e i cunicoli sotterranei sembrano essere stati abbandonati millenni fa. «Penso che sia stata una spedizione esplorativa a catturarmi. Non hanno ancora cominciato a invadere il palazzo, ma non appena avranno piazzato ciò di cui hanno bisogno, sono sicura che lo faranno.» Kahlan si rese conto che si trattava di ciò che avevano scoperto sepolto nella fossa. Con un accesso, era solo questione di tempo prima che prendessero d'assalto il palazzo e massacrassero tutti gli occupanti. Sapeva che, quando fosse accaduto, ogni speranza sarebbe stata perduta. Jagang avrebbe sconfitto l'ultimo baluardo contro l'Ordine Imperiale. Avrebbe dominato il mondo. Perlomeno, lo avrebbe fatto se fosse riuscito a mettere le mani sulla terza scatola dell'Orden. Kahlan non metteva in dubbio la sua parola, avrebbe presto realizzato anche quella missione. Sembrava che non si stesse esaurendo solo il tempo per Richard Rahl, ma anche ogni speranza di libertà. Nicci, il mento che le tremava, osservò Kahlan. «Per favore, puoi coprirmi?» «Mi spiace» disse Kahlan. «Avrei dovuto pensarci.» In effetti l'aveva fatto, ma aveva pensato che forse sarebbe stato peggio se avesse coperto Nicci e il lenzuolo si fosse appiccicato alle ferite. Di certo poteva capire, però, perché Nicci voleva essere coperta. Kahlan si distese, afferrò l'orlo del copriletto dorato e lo tirò su. Badando sempre al collare, fece attenzione a non alzarsi dal pavimento. «Grazie» disse Nicci quando fu infine in grado di tirare da sola il resto del lenzuolo di seta.
«Non vergognarti» disse Kahlan. Nicci si accigliò un poco. «Cosa vuoi dire?» «Non devi mai vergognarti di essere una vittima. Non è accaduto per colpa tua. L'unica cosa che devi provare è rabbia per una tale violenza. Tu non hai fatto nulla per incoraggiarla. Si è trattato di stupro, proprio come hai detto tu.» Nicci accennò un sorriso mentre toccava la guancia di Kahlan. «Grazie.» Kahlan trasse un profondo respiro. «Jagang ha promesso di fare a me lo stesso che ha fatto a te.» La mano di Nicci si serrò su quella di Kahlan, offrendole conforto a sua volta. Kahlan esitò, ma poi proseguì. «L'unica ragione per cui non l'ha ancora fatto è perché vuole che sia peggio di come sarebbe se lo facesse ora. Mi ha detto che vuole aspettare finché non saprò chi sono. Dice che quando ricorderò il mio passato e la mia identità, sarà ancora peggio. Dice che vuole che 'lui' lo veda. Jagang dice che vuole distruggere entrambi in quel modo, che vuole distruggere tutto.» Nicci chiuse gli occhi, coprendoli con una mano come se non fosse in grado di sopportarne il pensiero. «Sembra piuttosto ovvio che parli di qualcuno dei mio passato. Sai chi è questo 'lui'?» Nicci attese a lungo prima di rispondere. «Mi spiace, ma non mi ricordo di te o del tuo passato. Tutto ciò che so è quello che sentito, come il tuo nome e il fatto che tu sia la Madre Depositaria.» Kahlan annuì. Non credeva che fosse tutta la verità. Era piuttosto certa che Nicci sapesse più di quanto non ammetteva. Kahlan, però, pensò che fosse meglio non insistere sull'argomento. In quel momento, costringerla a fare qualcosa che non voleva sembrava troppo crudele. Forse aveva le sue ragioni per non voler dire di più. Forse quelle ragioni erano strettamente personali e non erano affari di Kahlan. Sorrise, decisa ad allontanarsi dalla tristezza di un argomento tanto cupo. «Mi piace tutto ciò che hai detto su Richard Rahl. Questo Richard sembra il mio tipo.» Nicci sorrise appena. «Siete entrambi brave persone.» Kahlan lisciò con le dita l'orlo del copriletto. «Com'è? Continuo a sentir parlare di lui. Ogni volta che mi volto, in effetti, è come se il fantasma di Richard Rahl stesse in qualche modo ossessionando la mia vita.» Kahlan alzò gli occhi. «Com'è veramente?»
«Non so. È solo... Richard. È un uomo che ha molta cura di coloro che ama.» «Da quello che hai detto a Jagang, sembra che tu sappia come la pensa su un bel po' di cose. Sembra che tu abbia passato molto tempo al suo fianco. Pare che abbia gran cura di te.» Nicci accantonò l'allusione con un gesto della mano. Osservò Kahlan. «Ci sono soldati regolari fuori dalla tenda di Jagang. Sai perché?» Il brusco cambio di argomento rivelò a Kahlan che si stava addentrando in questioni di cui Nicci non voleva parlare. Kahlan sì chiese il perché. Rivolse la sua attenzione alla domanda di Nicci. «I soldati sono lì perché riescono a vedermi. Pochissime persone possono. Sorella Ulicia ha detto a Jagang che pensa che sia solo un'anomalia. Dopo che ho ucciso due delle sue guardie e Sorella Cecilia.» Con espressione assorta, Nicci sollevò un poco la testa. «Hai ucciso Sorella Cecilia?» «Sì.» «Come sei riuscita a uccidere una Sorella dell'Oscurità?» «È successo a Caska, il posto dove tu e Richard avete visto Jillian.» «Chi te l'ha detto?» «Jillian.» Nicci lasciò ricadere la testa. «Oh.» «Jillian ha detto di aver aiutato Richard a trovare il libro La Catena di fuoco che lui stava cercando nelle catacombe di Caska. È sempre lì che Jagang ha catturato le Sorelle Ulicia, Armina e Cecilia. Pensavano di incontrarsi con Sorella Tovi quando giunsero lì. Come si è scoperto, Tovi era già morta e c'era Jagang lì ad attenderle. Erano piuttosto sorprese.» «Ci scommetto» disse Nicci. «Come quasi tutti gli altri, le guardie di Jagang non potevano vedermi, quindi mentre il tiranno dei sogni era occupato con le Sorelle a discutere di un libro, tirai fuori i coltelli delle guardie dai loro foderi. Dato che non potevano vedermi, non si resero conto del pericolo che correvano. Mentre se ne stavano in silenzio a sorvegliare il loro imperatore, io usai le loro stesse armi per ucciderli. «Prima ancora che colpissero il pavimento, spinsi via Jillian davanti a me nel labirinto di cunicoli. Mentre tutti accorrevano verso la porta dietro di noi, lanciai un coltello. Speravo di colpire Jagang, ma fu Sorella Cecilia a passare per prima. Poi mi catturarono, ma nel frattempo avevo permesso a Jillian di fuggire.»
Kahlan si lasciò sfuggire un profondo sospiro. «Alla fine non è servito a nulla. Jagang è tornato all'accampamento con le altre due Sorelle e me, ma ha inviato degli uomini in cerca di Jillian. L'hanno trovata e riportata indietro. «Jagang si serve di lei per costringermi a obbedire ai suoi voleri. Mi ha promesso che se lo faccio adirare non agendo come mi viene detto, le farà cose orribili.» «È un uomo spietato.» Kahlan annuì. «Dopo ciò che ho fatto, però, Jagang si è reso conto che gli servivano delle guardie che potessero vedermi, così ha passato in rassegna il campo in cerca di uomini che potessero farlo. Ne ha trovati un bel po'. Ne rimangono trentotto.» Nicci lanciò un'occhiata a Kahlan. «Vuoi dire che all'inizio ce n'erano di più?» «Sì.» «Allora cos'è accaduto agli altri?» Kahlan fissò Nicci negli occhi con aria risoluta. «Quando ne ho la possibilità, li uccido.» Nicci fece un ampio sorriso. «Brava ragazza.» Kahlan sorrise con lei, ma poi la sua espressione si incupì. «Ora, se ne uccido altri, farà torturare Jillian.» Lo sguardo di Nicci rifletté la sua preoccupazione per Jillian. «Non dubitare di lui. Lo farà senza esitazione.» «Lo so. Hai qualche idea sul perché ci siano alcune persone che possono vedermi quando quasi nessuno può? Sai se è davvero un'anomalia, come dice Sorella Ulicia?» «Le Sorelle hanno usato un incantesimo di Catena di fuoco su di te. Ha fatto sì che tutti ti dimenticassero. Richard ha scoperto che c'è un'imperfezione nell'incantesimo e...» «Capisci ciò che intendo? Ancora Richard, legato alla mia vita.» Scosse il capo. «Talvolta non capisco se sia una cosa buona o no.» Quando Nicci non disse nulla, lei insistette per farla proseguire. «Allora, come è riuscito a scoprire l'imperfezione?» «È una lunga storia. In pratica, stavamo cercando un modo per annullare l'incantesimo della Catena di fuoco.» «Stavate cercando di aiutarmi? Ma hai detto che non vi ricordate di me. Perché fare una cosa del genere se nessuno si ricorda di me?» Quando Nicci dovette sdraiarsi, facendo fatica a respirare, Kahlan disse:
«Mi spiace. So che faccio un sacco di domande, è solo che...» «Stiamo cercando di fermare il danno che è stato fatto a tutti» riuscì alla fine a dire Nicci dopo aver sopportato un tremito di dolore. «L'intero problema è più vasto del semplice fatto che la gente ti ha dimenticato. L'incantesimo della Catena di fuoco ci ha avviluppato tutti. Se lo lasciamo libero potrebbe causare la fine della vita stessa.» Kahlan si rimproverò in silenzio per aver perfino fantasticato che Richard Rahl avesse davvero tentato di salvarla, che forse la conoscesse e lei significasse qualcosa per lui. «Stavo usando una tela di verifica» proseguì Nicci. «Richard ha visto nell'incantesimo degli indizi, motivi particolari, che gli hanno rivelato che era contaminato. È stato molto esplicativo. Dobbiamo annullare l'incantesimo della Catena di fuoco perché, nel farti dimenticare da ciascuno, causa problemi più vasti.» «Che tipo di problemi più vasti?» Nicci fece una pausa per trarre alcuni respiri rantolanti, trasalendo per il dolore, prima di proseguire. «Dato che è contaminato, gli effetti nocivi dell'incantesimo si sono estesi in modi inaspettati. Temiamo che, senza controllo, distruggerà le menti di coloro che ha contagiato. Credo che la contaminazione possa essere responsabile del malfunzionamento dell'incantesimo. Come risultato, ci sono stati pochi isolati esempi di persone che in apparenza non ne sono colpite.» «Perché io sono il centro di tutto questo?» Nel silenzio Kahlan poté udire il leggero sibilo di una lampada a olio. I suoni dell'accampamento fuori dalla tenda sembravano essere in un mondo del tutto diverso. «Le Sorelle hanno usato l'incantesimo su di te per poterti mandare nel palazzo, non vista, per rubare le scatole dell'Orden per loro. La chiave delle scatole è un libro intitolato Il libro delle ombre importanti. Hanno bisogno di una Depositaria che confermi loro che il libro che stanno usando è la vera chiave per le scatole.» «Ho visto il libro» disse Kahlan. Sapeva che Nicci stava dicendo la verità su quella parte, poiché Jagang le aveva già chiesto di stabilire se il libro era una copia vera o un falso. Lei l'aveva dichiarata una copia falsa. Sapeva che doveva esserci altro a proposito, ma per qualche ragione Nicci si stava muovendo con cautela con quei segreti. Kahlan tirò un filo del copriletto. «Magari potessi parlare con Richard Rahl. Mi chiedo se avrebbe delle risposte per me.»
«Vorrei che tu potessi incontrarlo. Ma ora sembra improbabile che accada.» Kahlan voleva chiedere se era stato davvero possibile prima dei recenti avvenimenti. Pensò che forse Nicci aveva rivelato più di quanto pensasse o avesse voluto. «Odio dirlo, ma penso che tu e io non saremo mai in grado di vedere l'esito di questa lotta. Pensi davvero che Richard Rahl sarà in grado di fermare questa follia? Per l'altra gente, intendo.» «Non so, Kahlan. Ma posso dirti che è l'unico che può farlo.» Kahlan prese di nuovo la mano di Nicci. «Be', se può, spero che riesca a salvarti. Tu dovresti essere con lui. Tu lo ami.» Nicci strinse gli occhi. Girò la faccia dall'altra parte mentre una lacrima le rigava il viso tracciando un lento percorso attraverso le chiazze di sangue secco. «Mi spiace» disse Kahlan. «Non avrei dovuto dire nulla. Deve mancarti oltre ogni limite.» «No,» riuscì a dire Nicci mentre dondolava la testa «non è questo. È solo il dolore per quello che mi ha fatto Jagang, tutto qua. Ho problemi a respirare. Credo di avere le costole rotte.» «Lo sono» disse Kahlan. «Alcune sul lato destro, almeno. Le ho sentite spezzarsi quando ti ha colpito lì. Se avessi avuto un coltello, avrei castrato quel bastardo.» Nicci sorrise. «Credo che tu possa farlo, Kahlan Amnell. È troppo tardi per me, ma se ne hai l'opportunità, fallo prima che cominci con te.» «Nicci, non disperare.» «Non ho molti motivi di speranza.» «Sì, ne hai. Finché c'è vita, esiste il potenziale di cambiare le cose in meglio. Dopo tutto, tu e Richard non avete messo in campo le scatole dell'Orden?» «L'ho fatto io» disse Nicci. «In nome di Richard.» «Cosa sono queste scatole, comunque? Perché esiste un potere magico con l'unico scopo di... di... non so, di sgominare qualunque avversario e dominare il mondo?» «Non è questo il loro scopo. Sono state create come contromisura per l'incantesimo della Catena di fuoco.» Kahlan si rese conto allora che Richard Rahl doveva aver cercato di aiutarla. Anche se ora stava cercando di salvare altri dagli effetti dell'incantesimo, aveva scoperto il difetto che stava causando quel danno solo quando
stava già cercando di scoprire come ripristinare la memoria di Kahlan. Avendo difficoltà a respirare, Nicci ebbe un accesso di tosse che evidentemente la tormentava di dolore. Cominciò a boccheggiare. Kahlan poteva sentire il fluido nei suoi polmoni. Nicci iniziava a essere in preda al panico perché non riusciva a respirare. Strinse il copriletto nei pugni e la sua schiena si inarcò mentre cercava disperatamente di inalare aria. Kahlan ritrasse in fretta il copriletto e mise una mano direttamente sulla parte superiore dell'addome di Nicci. «Nicci, ascoltami. Respira seguendo il ritmo della mia mano. Lentamente.» Gli occhi confusi di Nicci cercarono quelli di Kahlan, ma non riusciva a parlare fra i rantoli. Le lacrime cominciarono a scorrerle. Kahlan strofinò con gentilezza la sua mano in piccoli cerchi, parlandole con quanta più calma poteva. «Piano, Nicci. Concentrati sulla mia mano. Senti dove si trova. Fai un respiro lento e uniforme. Starai bene. Stai cercando di respirare troppo veloce, ecco tutto. «Non sei sola. Andrà tutto bene. Te lo prometto. Prendi fiato lentamente e potrai respirare benissimo. Segui il ritmo della mia mano.» Kahlan poteva sentire il cuore di Nicci galoppare sotto la sua mano. Continuò a strofinare lentamente e a parlare in tono rassicurante. «Va tutto bene. Puoi avere tanta aria se solo rallenti e inspiri.» Nicci guardò Kahlan come se pendesse dalle sue labbra. «Stai andando bene. Va meglio. Non ti lascerò morire. Pensa solo alla mia mano. Lascia che il tuo respiro rallenti. Più lenta. Più lenta. Ecco, calma... calma. Ecco. Stai andando bene. Pensa solo alla mia mano e continua a respirare lentamente.» Il respiro di Nicci rallentò. Sembrava che stesse finalmente prendendo l'aria che le serviva tanto disperatamente. Kahlan continuò a strofinare con delicatezza l'addome di Nicci proprio sotto le costole e a esortarla a rallentare. Per tutto il tempo Nicci tenne stretta l'altra mano di Kahlan. Dopo poco la crisi passò e Nicci stava prendendo fiato più agevolmente. Però le occorreva più aiuto di quello che Kahlan poteva offrirle. Desiderò che arrivasse una Sorella. «Ascolta, Nicci, potremmo non avere un'altra opportunità di parlare, ma non cedere. Qui c'è un uomo che credo abbia intenzione di fare qualcosa.» Nicci deglutì e recuperò l'equilibrio. «Di cosa stai parlando? Che uomo?» «È un giocatore di Ja'La. È la punta di una squadra che appartiene al comandante Karg.»
«Karg» disse lei con disgusto. «Lo conosco. Perpetra nei confronti delle donne atti più ignobili di quelli di Jagang. Karg è uno schifoso bastardo. Sta' lontana da lui.» Kahlan inarcò un sopracciglio. «Stai dicendo che al prossimo ballo di gala, se mi chiede un ballo, devo declinare l'invito?» Nicci sorrise appena. «Sarebbe meglio.» «Comunque, c'è qualcosa in questa punta della squadra del comandante Karg. Mi conosce. Posso leggerglielo negli occhi. Dovresti vederlo giocare a Ja'La.» «Odio il Ja'La.» «Non è quello che intendo. Quest'uomo è diverso. E... pericoloso.» Nicci guardò accigliata Kahlan. «Pericoloso? In che modo?» «Penso che stia architettando qualcosa.» «Di che tipo?» «Non so. Non vuole che nessuno nell'accampamento lo riconosca.» «Come fai a saperlo?» «È una lunga storia, ma ha trovato un modo per non farsi riconoscere. Si è dipinto la faccia con disegni selvaggi, con della vernice rossa... la sua e quelle di tutti gli uomini della sua squadra.» Kahlan si sporse più vicino. «Forse è un assassino o qualcosa del genere. Può darsi che intenda uccidere Jagang.» Nicci chiuse di nuovo gli occhi, perdendo interesse. «Io non mi confiderei in una cosa del genere, se fossi in te.» «Lo faresti, se vedessi gli occhi di quest'uomo.» Kahlan voleva porre a Nicci mille domande, ma udì delle voci fuori dalla porta che si avvicinavano. Poi sentì una donna congedare un servo. «Penso che la Sorella stia arrivando.» Kahlan strinse stretta la mano di Nicci. «Sii forte.» «Non penso che...» «Sii forte per Richard.» Nicci la fissò, incapace di parlare. Kahlan sgattaiolò in fretta via dal letto. La copertura sopra la porta si scostò ed entrò Sorella Armina, trascinando Jillian dietro di sé. 26 «Be', cosa ti aspetti che faccia?» chiese Verna mentre superavano una torcia fumante su un supporto di ferro. «Che faccia comparire Nicci dal
nulla?» «Mi aspetto che tu scopra dove sono andate lei e Ann» disse Cara. «Ecco cosa mi aspetto.» Malgrado le insinuazioni della Mord-Sith, Verna voleva trovare Nicci quanto Cara. Era solo che non lo diceva con tanta insistenza. L'uniforme di cuoio che Cara indossava si stagliava come sangue contro il puro bianco delle pareti di marmo. L'umore della Mord-Sith, che sembrava adeguato al colore della sua divisa, era peggiorato col passare del giorno e con l'infruttuosa ricerca. Diverse altre Mord-Sith seguivano a qualche distanza, assieme a un contingente della Prima Fila, le Guardie del Palazzo. Adie era poco dietro mentre Nathan camminava in testa da solo. Verna comprendeva i sentimenti di Cara e ne era allietata in uno strano modo. Nicci era più dell'incarico di Cara, più di una donna che Richard le aveva ordinato di proteggere. Nicci era amica di Cara. Non che l'avrebbe ammesso apertamente, ma era abbastanza evidente dalla sua rabbia bruciante. Nicci, come Cara stessa, era stata devota per molto tempo a un fine oscuro. Entrambe ne erano uscite perché Richard aveva dato loro non solo l'occasione di cambiare, ma anche un motivo per farlo. Verna si allarmava non tanto quando una Mord-Sith urlava e strepitava, ma quando le sue domande si facevano calme e concise. Era questo che le faceva venire la pelle d'oca: quando era evidente che riguardava i loro compiti... e i compiti delle Mord-Sith non erano affatto piacevoli. Era meglio non ritrovarsi sulla strada di una Mord-Sith quando voleva ottenere delle risposte. Verna desiderava tanto averne. Capiva la frustrazione di Cara. Lei non era meno preoccupata e perplessa per ciò che poteva essere accaduto a Nicci e Ann. Sapeva, però, che ripetere con insistenza le stesse domande non serviva a trovare nessuna ulteriore risposta sulle due donne disperse. Immaginò che le Mord-Sith si affidassero al loro allenamento quando non vedevano altra soluzione. Cara si fermò, le mani sui fianchi, e si voltò a guardare lungo il corridoio di marmo. Dietro di loro alcune centinaia di uomini della Prima Fila rallentarono fino a fermarsi in modo da non superare quelli davanti. L'eco degli stivali su pietra scemò lentamente in un sussurro. Molti dei soldati avevano le balestre cariche con frecce con penne rosse. Quelle frecce fecero sudare Verna. Voleva quasi che Nathan non le avesse mai trovate. Quasi. Il labirinto in apparenza infinito di corridoi dietro i soldati pesantemente armati era vuoto e silenzioso a eccezione delle torce sibilanti. Cara si acci-
gliò pensierosa per un momento, poi riprese a camminare. Era la quarta volta che lo faceva da quando Ann e Nicci erano sparite la notte prima quando erano scese nei corridoi che conducevano alle tombe. Verna non riusciva neanche a immaginare cosa stesse cercando di cogliere la MordSith. Corridoi vuoti erano corridoi vuoti. Era improbabile che le due donne disperse spuntassero dalle pareti di pietra. «Devono essere andate da qualche altra parte» disse infine Verna, anche se nessuno le aveva viste. Cara si voltò. «E dove?» Verna sollevò le braccia, poi le lasciò ricadere lungo i fianchi. «Non lo so.» «Essere un grande palazzo» disse Adie. La luce delle torce dava agli occhi completamente bianchi dell'incantatrice un'allarmante sfumatura traslucida. Verna fece un gesto verso il corridoio silenzioso. «Cara, abbiamo passato ore ad andare su e giù per questi corridoi, ed è evidente, adesso come l'ultima volta che siamo state qui - o perfino come la prima - che sono vuoti. Nicci e Ann devono essere da qualche parte su nel palazzo. Stiamo sprecando il nostro tempo quaggiù. Sono d'accordo che bisogna trovarle, ma dobbiamo cercare altrove.» Gli occhi di Cara sembravano un fuoco azzurro. «Erano quaggiù.» «Sì, sono certa che hai ragione. Ma 'erano' è la parola chiave in ciò che hai detto. Vedi qualche traccia di loro? Io no. Senza dubbio hai ragione dicendo che erano qui. Dopo saranno andate da qualche altra parte.» Verna sospirò con impazienza. «Stiamo sprecando tempo prezioso per percorrere su e giù dei corridoi vuoti.» Mentre tutti stavano lì in attesa, Cara camminò avanti e indietro per un po'. Quando tornò, piantò di nuovo i pugni sulle anche. «C'è qualcosa di sbagliato quaggiù.» Nathan, da solo di fronte agli altri e in silenzio, le fissò con curiosità per la prima volta. «Sbagliato? Cosa intendi per... sbagliato?» «Non so» ammise Cara. «Non riesco a dirlo con certezza, ma c'è qualcosa qui che non mi suona giusto.» Verna allargò le mani, cercando di capire. «Vuoi dire qualche sorta di... essenza magica o cose del genere?» «No» disse Cara, accantonando con un gesto il concetto stesso. «Non intendo nulla di simile.» Rimise la mano sulla sua anca avvolta nel cuoio rosso. «È soltanto che mi sembra ci sia qualcosa di sbagliato... non so cosa,
ma c'è.» Verna si guardò attorno. «Pensi che manchi qualcosa?» Fece in gesto in alto, verso il corridoio vuoto. «Decorazioni, mobilio, qualcosa del genere?» «No. A quanto ricordo non ci sono mai state decorazioni giù in queste stanze. Ma non sono stata qui molto tempo, nessuno c'è stato. «Darken Rahl visitava la tomba del padre, di tanto in tanto, ma a quanto ne so non aveva alcun interesse a visitare le altre. La zona con le tombe è privata e lui ne aveva interdetto l'accesso. Quando andava a visitare la tomba del padre, di solito portava le sue guardie del corpo, non le Mord-Sith, perciò questo posto non mi è affatto familiare.» «Forse è tutto qua,» suggerì Verna «una sensazione di disagio causata dalla mancanza di familiarità.» «Può darsi» disse Cara, la bocca che si contorceva per l'irritazione di dover ammettere che era una possibilità. Tutti rimasero in silenzio, valutando se fare qualcosa ed eventualmente cosa. Era sempre possibile dopo tutto, che le due donne disperse comparissero in ogni momento chiedendosi il perché di quel trambusto. «Voi avere detto che Ann e Nicci volere stare sole per una conversazione privata» disse Adie. «Forse essere andate in un posto privato.» «Tutta la notte?» chiese Verna. «Non riesco a immaginarlo. Non avevano molto in comune. Non erano amiche. Dolce Creatore, non penso che neanche si piacessero. Non riesco a immaginarle a chiacchierare per tutta la notte.» «Io nemmeno» disse Cara. Verna guardò verso il profeta. «Hai qualche idea su quello di cui Ann voleva parlare a Nicci?» I lunghi capelli bianchi di Nathan gli sfiorarono le spalle quando scosse il capo. «Ann naturalmente disapprovava Nicci per essersi unita alle Sorelle dell'Oscurità. So che la cosa l'ha sempre infastidita, e per un buon motivo. Era più di un tradimento verso la causa delle Luce: era un tradimento personale e del palazzo. Ann potrebbe aver voluto parlare da sola con Nicci per consigliarla sul suo ritorno alla causa del Creatore.» «Sarebbe stata una conversazione breve» disse Cara. «Immagino di sì» ammise Nathan. Si grattò la gobba del naso mentre rifletteva. «Be', conoscendo Ann, avrebbe potuto trattarsi di qualcosa riguardo a Richard.» Gli occhi azzurri di Cara si restrinsero mentre ruotavano verso il profeta.
«Cosa riguardo a Richard?» Nathan scrollò le spalle. «Non lo so per certo.» Cara corrugò la fronte. «Non ho detto che doveva essere per certo.» Nathan sembrò piuttosto riluttante a parlarne, ma alla fine lo fece. «Ann talvolta ha accennato a come pensava che Nicci potesse essere in grado di guidarlo.» Verna si accigliò come Cara. «Guidarlo? E come?» «Conosci Ann.» Nathan lisciò il davanti della sua camicia bianca. «Pensa sempre di dover mettere lo zampino nel guidare tutto. Spesso mi ha accennato a quanto la metta a disagio avere una connessione tanto esile con Richard.» «Perché pensa che le serva una 'connessione' a lord Rahl?» chiese Cara, ignorando il fatto che in quel momento era Nathan il lord Rahl, e non Richard. Verna non poteva dire di essere più a suo agio di Cara al pensiero che Nathan fosse il lord Rahl. «Ha sempre pensato di dover controllare quello che Richard poteva fare» disse Nathan. «Sta sempre a fare piani e valutazioni. Non le è mai piaciuto lasciare nulla al caso.» «Vero» disse Verna. «Quella donna ha sempre avuto una rete di spie che l'aiutava ad assicurarsi che il mondo stesse girando come doveva. Aveva contatti nei posti più remoti per poter esercitare influenza su quella che vedeva come la causa della sua vita. Non le è mai piaciuto lasciare qualcosa di importante ad altri, tanto meno al caso.» Nathan emise un profondo sospiro. «Ann è una donna determinata. Crede che Nicci, avendo rinunciato alle Sorelle dell'Oscurità, ora non abbia altra scelta se non ritornare alla sua dedizione per la causa delle Sorelle della Luce.» «Quale causa? Perché pensa che Nicci debba votarsi alle Sorelle della Luce?» chiese Cara. Nathan si sporse un poco verso la Mord-Sith. «Pensa che a noi maghi occorra una Sorella della Luce per guidarci in ogni pensiero e azione. Ha sempre creduto che non ci dovesse essere concesso di pensare per conto nostro.» Lo sguardo di Verna vagò per il corridoio vuoto. «Immagino che anch'io credessi più o meno la stessa cosa. Ma questo era prima di Richard.» «Tieni a mente, però, che tu hai passato molto più tempo con Richard di Ann.» Nathan scosse il capo tristemente. «Anche se è arrivata a capire co-
me la maggior parte di noi che Richard deve agire da solo, di recente sembra tornata alle sue vecchie abitudini, alle sue vecchie convinzioni. Forse l'incantesimo della Catena di fuoco ha spazzato via quei cambiamenti in lei, ha cancellato ciò che aveva imparato.» Verna aveva lo stesso sospetto. «Dobbiamo lasciar parlare Ann per sé, ma penso che sia chiaro che l'incantesimo della Catena di fuoco ha influenzato tutti noi. Sappiamo che, senza controllo, continuerà a diffondersi velocemente nelle nostre menti e con tutta probabilità distruggerà la nostra capacità di ragionare. Il problema è che nessuno di noi si rende conto di come sta cambiando. Tutti ci sentiamo gli stessi di sempre. Dubito che sia così. Non si può dire quanto ognuno di noi sia cambiato. Chiunque potrebbe far sviare la nostra causa involontariamente.» «Potrai discutere di tutto questo con Ann quando l'avremo trovata» disse Cara, impaziente di tornare alla questione in ballo. «Non sono quaggiù. Dobbiamo ampliare la ricerca.» «Forse non hanno finito di dirsi ciò di cui dovevano parlare» ipotizzò Nathan. «Forse Ann non vuole essere trovata finché non avrà terminato di convincere Nicci di ciò che deve fare.» «È una possibilità» convenne Verna. Nathan giocherellò con l'orlo del suo mantello. «Sarebbe da lei nascondersi con Nicci, per poter rimanere sola con lei e convincerla del suo modo di pensare.» Cara fece un gesto con la mano per accantonare l'ipotesi. «Nicci è votata ad aiutare Richard, non Ann. Non si lascerebbe convincere e Ann non potrebbe costringerla: dopo tutto, Nicci dispone della Magia Detrattiva.» «Sono d'accordo» disse Verna. «Non riesco a immaginarle andarsene in giro per tutto questo tempo senza farci sapere dove sono.» Adie si rivolse a Verna. «Perché non chiedere lei dove essere?» Verna guardò corrucciata l'anziana incantatrice. «Intendi usare il libro di viaggio?» Adie fece un risoluto cenno d'assenso. «Sì. Chiedere lei.» Verna era scettica. «Essendo nel palazzo è improbabile che cerchi nel suo libro di viaggio un messaggio da parte mia.» «Forse non essere nel palazzo» disse Adie. «Forse loro due dover essere partite per alcune ragioni improvvise e importanti e lei ti avere già mandato un messaggio nel libro di viaggio.» «Come accidenti potrebbero aver lasciato il palazzo?» chiese Verna. «Siamo circondati dall'esercito dell'Ordine Imperiale.»
Adie scrollò le spalle. «Non essere impossibile. Io potere vedere col mio dono, non coi miei occhi. Essere buio la scorsa notte. Forse nell'oscurità essersela svignata per qualche ragione. Forse essere importante e non avere avuto tempo per dircelo.» «Tu potresti farlo?» chiese Cara. «Potresti andare fuori al buio e superare il nemico?» «Ma certo.» Verna stava già sfogliando il suo libro di viaggio. Come si aspettava, era completamente vuoto. «Non c'è nessun messaggio.» Infilò di nuovo il libretto dietro la cintura. «Proverò il tuo suggerimento, comunque, e scriverò un messaggio ad Ann. Forse guarderà nel suo libro di viaggio e risponderà.» Con uno svolazzo del suo mantello, Nathan riprese a camminare. «Prima che andiamo a cercare altrove, voglio controllare ancora la tomba.» «Mettete una guardia qui» urlò Cara ai soldati. «Gli altri con noi.» Quando già avevano percorso parte del corridoio, Nathan svoltò per una scalinata. Gli altri lo seguirono, i loro passi che riecheggiavano mentre si affrettavano per stargli dietro. Nathan, Cara, Adie, Verna e i soldati in retroguardia scesero al piano di sotto. Le pareti del livello inferiore erano fatte di blocchi di pietra, non di marmo. In alcuni punti erano macchiate da secoli di infiltrazioni d'acqua. Queste si erano lasciate dietro delle formazioni giallastre che davano l'impressione che la pietra stesse fondendo. Presto arrivarono alla roccia davvero fusa. Nathan si fermò prima del varco per la tomba di Panis Rahl. L'alto profeta, il volto torvo e teso, fissò oltre la roccia fusa dentro la tomba. Era la quarta volta che tornava a guardarla, e questa volta non sembrava diversa dalle visite precedenti. Verna era preoccupata per quell'uomo. Per quanto lui fosse turbato e volesse trovare delle risposte, c'era una sorta di rabbia che ribolliva proprio sotto la superficie. Non l'aveva mai visto così prima. L'unica persona che ricordava avere quello stesso genere di furia calma e compressa che le faceva battere il cuore all'impazzata era Richard. Tale rabbia concentrata doveva essere, pensò, una caratteristica dei Rahl. Le porte che una volta proteggevano la cripta erano state rimpiazzate con una specie di pietra bianca fatta per sigillare l'ampia tomba. Sembrava essere stata costruita di fretta, ma non era riuscita a fermare le strane condizioni che avevano sopraffatto la tomba di Panis Rahl.
All'interno, cinquantasette torce spente riposavano in ornati supporti d'oro. Nathan protese una mano, usando la magia per accendere alcune di esse. Non appena avvamparono, le pareti della cripta si ravvivarono di una luce tremolante che si rifletteva sul levigato granito rosa della stanza a volta. Sotto ognuna delle torce c'era un vaso fatto per contenere fiori. Per via dei cinquantasette vasi e torce, Verna suppose che Panis Rahl doveva essere morto a cinquantasette anni. Un corto pilastro al centro dell'enorme stanza sosteneva la bara stessa, facendo sembrare come se levitasse sul pavimento di marmo bianco. Il feretro decorato d'oro luccicava leggermente nella tiepida luce tremolante delle quattro torce. Dal modo in cui le pareti erano coperte di levigato granito cristallino che si estendeva fino alla volta, Verna immaginò che, quando tutte le torce nella stanza erano accese, la bara doveva risplendere di gloria dorata galleggiando al centro della stanza. Parole incise nell'antica lingua del D'Hariano Alto ricoprivano i lati della cassa. Intagliato nel granito sotto le torce e i vasi dorati, un nastro senza fine di parole nella stessa lingua dimenticata circondava la stanza. Le lettere incise in profondità luccicavano alla luce delle torce, facendole quasi sembrare illuminate dall'interno. Qualunque cosa avesse causato la fusione della pietra bianca che una volta aveva impedito l'accesso alla tomba, ora stava cominciando ad agire sulla stanza stessa, anche se non con tale portata. Verna sospettò che la pietra bianca usata per sbarrare l'ingresso fosse un tappabuchi, una materiale sacrificabile selezionato apposta per attirare e assorbire la forza responsabile del problema. Ora che la pietra bianca era quasi del tutto fusa, quella forza stava cominciando ad attaccare la tomba stessa. Le lastre di pietra delle pareti e del pavimento non si erano fuse o spaccate, ma stavano appena cominciando a deformarsi, come soggette a grande calore o pressione. Verna poteva vedere che le giunture fra il soffitto e i muri nel corridoio si stavano aprendo sotto la pressione della deformazione proveniente dall'interno della stanza. Qualunque fosse la causa di tale evento, era evidente che non si trattava di un difetto di costruzione, ma piuttosto di qualche genere di forza esterna. Nicci aveva detto che voleva vedere la tomba perché pensava di sapere il motivo per cui stava fondendo. Sfortunatamente, non aveva rivelato la natura della sua ipotesi. Non c'era segno che lei e Ann avessero visitato la tomba. Verna era impaziente di trovare le due donne in modo da poter risolvere
tutto quel mistero. Non riusciva a immaginare quale problema potesse rappresentare la tomba del nonno di Richard, o quanto la situazione potesse ancora peggiorare, ma pensava che non si trattasse di nulla di buono. Né pensava che rimanesse molto tempo per risolvere l'enigma, anche solo in parte. «Lord Rahl» chiamò una voce. Tutti si voltarono. Un messaggero si fermò a poca distanza. Tutti i messaggeri indossavano vesti bianche ricamate attorno al collo e sul davanti con un disegno di viticci viola intrecciati. «Cosa c'è?» chiese Nathan. Verna pensava che non le sarebbe bastata una vita per abituarsi a sentir chiamare Nathan 'lord Rahl'. L'uomo fece un breve inchino. «C'è una delegazione dell'Ordine Imperiale che vi aspetta dall'altro lato del ponte levatoio.» Nathan sbatté le palpebre dalla sorpresa. «Cosa vogliono?» «Vogliono parlare a lord Rahl.» Nathan lanciò un'occhiata a Cara e poi a Verna. Entrambe erano sorprese quanto lui. «Potere essere un tranello» disse Adie. «O una trappola» aggiunse Cara. Il volto di Nathan si piegò in un'espressione amara. «Qualunque cosa sia, farò meglio ad andare a vedere.» «Vengo anch'io» intervenne Cara. «Anch'io» aggiunse Verna. «Andremo tutti» disse Nathan cominciando a camminare. Verna e un piccolo drappello di persone seguirono Nathan fuori dal maestoso ingresso del Palazzo del Popolo nel lucente sole del tardo pomeriggio. Lunghe ombre proiettate dalle colonne torreggianti si riversavano sul pendio a scale davanti a loro. In lontananza, oltre la distesa di terreni, l'enorme muro esterno si ergeva al limitare dell'altopiano. Degli uomini pattugliavano un camminamento fra bastioni merlati lungo la sommità del muro massiccio. Avevano percorso un lungo tragitto dalle tombe nelle profondità del palazzo ed erano tutti senza fiato. Verna si schermò gli occhi con una mano mentre scendevano l'imponente scalinata al seguito del profeta dalle lunghe gambe. Guardie appostate su ciascuno degli ampi pianerottoli salutarono il lord Rahl con un pugno sul cuore. C'erano molti altri soldati in lontananza, a pattugliare l'ampia distesa che portava al muro di cinta.
Le scale terminavano in una vasta zona di pietra azzurra che li portò a una strada che svoltava dal lato dove si trovavano le stalle e le carrozze. Alti cipressi erano allineati lungo la breve via che conduceva alle mura di cinta. Oltre i cancelli, la strada era meno imponente e seguiva all'ingiù le lisce pareti dell'altopiano in una serie di tornanti. Ogni svolta portava la silenziosa compagnia di una vista non ostruita dell'Ordine Imperiale sparpagliato lì sotto. Il ponte levatoio era sorvegliato da centinaia di truppe della Prima Fila. Erano tutti soldati ben allenati e pesantemente armati, il cui compito era di assicurarsi che nessuno salisse per quella strada ad assalire il Palazzo del Popolo. Era piuttosto improbabile, però. La strada era troppo stretta per consentire un attacco significativo. Entro confini così angusti, poche dozzine di uomini abili avrebbero potuto tener testa a un intero esercito. Inoltre, il ponte levatoio era alzato. Lo strapiombo dava le vertigini. Era troppo ampio per scale d'assedio o corde con rampini. Senza il ponte abbassato, nessuno poteva superare il baratro e avvicinarsi al palazzo. Oltre il ponte levatoio, una piccola delegazione era in attesa. Dai loro abiti semplici, sembravano messaggeri. Verna vide poche dozzine di soldati con equipaggiamento leggero, ma rimanevano a buona distanza dai messaggeri per non apparire una minaccia. Nathan, col mantello mezzo sbottonato anche se era una giornata fredda, si fermò sul bordo del baratro, a gambe divaricate, pugni sui fianchi, con un'aria imponente e autorevole. «Sono lord Rahl» annunciò al gruppetto oltre lo strapiombo. «Cosa volete?» Uno degli uomini, un tipo snello con una tunica di semplice stoffa tinta di scuro, scambiò un'occhiata con i suoi compagni, poi si avvicinò maggiormente all'orlo del precipizio. «Sua Eccellenza, l'imperatore Jagang, ha un messaggio da riferire alla gente del D'Hara.» Nathan lanciò un'occhiata agli altri dietro di lui. «Be', io sono lord Rahl, perciò parlo per la gente del D'Hara. Qual è il messaggio?» Verna si rilassò accanto al profeta. Il messaggero sembrava più seccato. «Voi non siete lord Rahl.» Nathan squadrò l'uomo con un'occhiataccia alla Rahl. «Vorresti che evocassi una folata di vento e ti soffiassi giù da quella strada? Questo basterebbe a soddisfarti?» Gli uomini dall'altro lato lanciarono rapide occhiate allo strapiombo. «È solo che ci aspettavamo qualcun altro» disse il messaggero.
«Be', io sono lord Rahl, quindi sono io quello con cui trattare. Se hai qualcosa da dire, dilla, altrimenti vado via, abbiamo altri impegni. Dobbiamo presenziare a un banchetto.» L'uomo infine fece un leggero inchino. «L'imperatore Jagang è pronto a fare una generosa offerta a coloro che si trovano nel Palazzo del Popolo.» «Che genere di offerta?» «Sua Eccellenza non desidera distruggere il palazzo o i suoi abitanti. Arrendetevi pacificamente e vi sarà permesso di vivere. Non arrendetevi e ognuno di voi patirà una morte lenta e dolorosa. I vostri corpi verranno gettati giù dalle mura sulla pianura, dove saranno cibo per gli avvoltoi.» «Fuoco magico» disse Cara sottovoce. Nathan si accigliò. «Cosa?» «Il tuo potere funziona qui. Il loro, se hanno il dono, non funzionerà tanto bene quassù perciò i loro schermi saranno meno efficaci. Puoi incenerirli tutti quanti da qui.» Nathan agitò il braccio in un ampio gesto a quelli dall'altra parte. «Vuoi scusarmi per un momento?» L'uomo chinò la testa con fare condiscendente. Nathan guidò Cara e Verna di nuovo su per la strada dove attendevano Adie, diverse altre Mord-Sith e la scorta di soldati. «Sono d'accordo con Cara» affermò Verna prima che il profeta potesse dire qualcosa. «Da' loro la nostra risposta nell'unico modo che l'Ordine comprende.» Le sopracciglia cespugliose di Nathan si contrassero sopra i suoi occhi azzurri. «Non penso che sia una buona idea.» Cara incrociò le braccia. «Perché no?» «Jagang probabilmente sta osservando la nostra reazione attraverso gli occhi di quegli uomini» disse Verna. «Sono d'accordo con Cara. Dobbiamo mostrargli forza.» Nathan si accigliò. «Sono sorpreso di te, Verna.» Sorrise educatamente a Cara. «Non sono sorpreso di te, comunque, mia cara.» «Perché sei così stupito?» chiese Verna. «Perché sarebbe la cosa sbagliata da fare. Di solito non dai consigli tanto mediocri.» Verna si trattenne. Non era il momento di lanciarsi in una predica accalorata, specialmente non di fronte agli occhi di Jagang. Ricordò anche in maniera fin troppo vivida che per la maggior parte della sua vita aveva pensato che il profeta fosse pazzo. Non era ancora del tutto sicura che la
sua valutazione fosse stata sbagliata. Sapeva anche da passate esperienze che fare la predica a Nathan era come cercare di dire al sole di non tramontare. «Non puoi seriamente considerare la resa» disse a bassa voce in modo che quelli dall'altra parte non udissero. Nathan assunse un'espressione amara. «Certo che no. Ma questo non significa che dobbiamo ucciderli per averlo chiesto.» «Perché no?» Cara rigirò la sua Agiel nel pugno mentre si chinava verso il profeta. «Io, per esempio, penso che ucciderli sia un'ottima idea.» «Be', io no» sbuffò Nathan. «Se li incenerisco, questo dirà a Jagang che non abbiamo intenzione di considerare la sua offerta.» Verna frenò la propria furia. «Be', effettivamente è così.» Nathan le rivolse uno sguardo intenso. «Se diciamo loro che non abbiamo intenzione di considerare l'offerta, allora i negoziati termineranno.» «Noi non negozieremo» osservò Verna con crescente impazienza. «Ma non c'è bisogno di dirglielo» spiegò Nathan con esagerata cautela. Verna si drizzò e si mise a giocherellare coi capelli, sospirando profondamente. «Quale sarebbe lo scopo di non dir loro che non abbiamo intenzione di considerare seriamente la loro offerta?» «Guadagnare tempo» disse Nathan. «Se li spazzo via da quella strada, Jagang avrà la sua risposta, no? Ma se prendo in considerazione l'offerta, possiamo allungare i negoziati.» «Non possono esserci negoziati» disse Verna a denti stretti. «A che scopo?» chiese Cara, ignorando Verna. «Perché dovremmo fare una cosa del genere?» Nathan scrollò le spalle come se fosse che ovvio che erano tutti idioti a non capirlo. «Ritardo. Sanno quanto sarà difficile conquistare il palazzo. Per ogni piede di cui la innalzano, quella loro rampa diventa esponenzialmente più difficile da costruire. Ci potrebbe volere tutto l'inverno, e forse ancora di più, per completarla. Jagang non può permettersi di lasciare un esercito tanto imponente seduto qui fuori sulla piana di Azrith per l'intero inverno. Sono molto lontani da casa e dai rifornimenti. L'intero esercito potrebbe morire di fame o di un'epidemia, e poi cosa farebbe? «Se pensano che potremmo considerare la resa, magari dedicheranno pensieri e fatica a ottenere il palazzo in quel modo. La nostra resa risolverebbe il loro problema. Ma se pensano che non ci sia altro modo se non metterci in rotta dal palazzo, allora profonderanno tutti i loro sforzi in quella direzione. Perché spingerli a farlo?»
La bocca di Verna si contorse. «Suppongo che abbia un senso.» Quando Nathan sorrise per quel piccolo trionfo, lei aggiunse: «Non molto, ma un po'.» «Non sono sicura che sia così» disse Cara. Nathan allargò le braccia. «Perché rifiutare? Non c'è nulla da guadagnare in questo. Dobbiamo lasciarli nell'incertezza, fare in modo che si chiedano se stiamo considerando di cedere senza lottare. Abbastanza città si sono arrese perché sembri ragionevole che noi possiamo fare lo stesso. Se pensano che potremmo arrenderci, allora quella speranza li distoglierà dall'impegnarsi appieno a completare la loro rampa e farla finita sconfiggendo il palazzo.» «Devo ammettere» disse Cara «che c'è qualcosa di sensato nel tenere sulle spine le persone affinché attendano una risposta che desiderano davvero.» Verna fece infine un cenno di assenso. «Immagino che per ora non ci sia niente di male a lasciarli nel dubbio.» Essendo riuscito a convincerle, Nathan si sfregò le mani. «Dirò loro che prenderemo in considerazione la loro offerta.» Verna si domandò se Nathan avesse un altro motivo per voler dire che avrebbe considerato l'offerta. Si chiese se stesse davvero contemplando l'idea di cedere il palazzo. Mentre Verna non si faceva illusioni che Jagang mantenesse la sua parola di non fare del male alla gente nel palazzo se si fossero arresi, si domandò se Nathan stesse pensando di predisporre in segreto un patto di resa, un accordo che l'avrebbe reso stabilmente il lord Rahl di un D'Hara sconfitto sotto l'autorità dell'Ordine Imperiale. Dopo tutto, una volta terminata la guerra, Jagang avrebbe avuto bisogno di gente per governare le lontane terre da lui conquistate. Si domandò se Nathan fosse capace di un tale tradimento. Si domandò quanto risentimento avesse maturato in quasi una vita di prigionia nel Palazzo dei Profeti, senza aver commesso alcun crimine se non quello di cui le Sorelle della Luce lo ritenevano capace. Si domandò se stesse meditando vendetta. Si domandò se le Sorelle della Luce, con il loro trattamento benintenzionato nei confronti di un uomo che non aveva fatto loro alcun male, potessero aver gettato i semi della distruzione. Mentre Verna osservava un sorridente lord Rahl che marciava di nuovo verso l'orlo del baratro, si domandò se il profeta stava progettando di gettarli tutti in pasto ai lupi.
27 Richard era sempre più preoccupato. Aveva creduto di poter ottenere la sua opportunità durante una delle partite. Ma dopo che Jagang e Kahlan erano venuti a quel primo incontro di Ja'La una dozzina di giorni prima, l'imperatore non era più andato a guardare una partita. Richard fremeva di preoccupazione chiedendosi la ragione. Cercava di non pensare a quello che Jagang poteva aver fatto a Kahlan, e nonostante ciò non riusciva a impedirsi di immaginare il peggio. Seduto incatenato al carro, circondato da un anello di guardie, non c'era molto che Richard potesse fare al riguardo. Malgrado volesse disperatamente agire, doveva usare la testa e cercare il momento adatto. Esisteva sempre il rischio che una buona opportunità non si presentasse e lui alla fine fosse costretto ad agire; ma facendo qualcosa dettato solo dalla frustrazione non avrebbe probabilmente ottenuto nulla: avrebbe solo sprecato la possibilità che arrivasse prima o poi il momento giusto. Tuttavia, l'attesa lo stava facendo impazzire. Dolorante per l'incontro di Ja'La di quel giorno, desiderava stendersi e riposare un poco. Sapeva, però, che l'ansia gli avrebbe impedito di dormire molto, proprio come nei giorni precedenti. Aveva bisogno di sonno, però, poiché il giorno dopo ci sarebbe stata la partita più importante, quella che sperava gli avrebbe fruttato l'opportunità che cercava. Alzò lo sguardo quando udì il soldato che veniva a portare il pasto serale. Dalla fame che aveva, perfino le solite uova sode gli sarebbero parse buone. Il soldato si fece strada attraverso l'anello di sentinelle attorno ai prigionieri membri della squadra di Richard, tirando il carretto che usava di solito per trasportare il loro cibo. Le guardie rivolsero all'uomo solo una rapida occhiata. Le ruote del carretto cigolarono con un ritmo familiare mentre il soldato arrancava sul terreno accidentato. Si fermò di fronte a Richard. «Allunga le mani» disse, prendendo un coltello e cominciando a tagliare qualcosa. Richard fece come gli era stato detto. L'uomo sollevò qualcosa dal carretto e lo tirò a Richard. Con suo stupore, era una generosa fetta di prosciutto. «Cos'è questo? Un ultimo pasto nutriente prima della partita decisiva di domani?»
L'uomo sollevò le stanghe del suo carretto. «Sono arrivati i rifornimenti. Tutti mangiano.» Richard fissò la schiena del soldato mentre proseguiva per dar da mangiare agli altri uomini in fila. Non molto distante, John la roccia, il volto e il corpo dipinti con la rete di linee di vernice rossa, fischiettava dalla soddisfazione di trovarsi finalmente a ricevere qualcosa di diverso dalle uova. Era la prima volta da quando erano all'accampamento che veniva dato loro un bel po' di carne. Finora di solito erano stati nutriti con uova. Talvolta gli veniva dato dello stufato con pochi preziosi pezzi d'agnello. Una volta si era trattato di stufato di manzo. Richard si domandò come avessero fatto i rifornimenti a giungere all'accampamento. L'esercito del D'Hara era stato incaricato di impedire che qualunque convoglio raggiungesse l'esercito dell'Ordine. Affamare gli uomini di Jagang era la loro unica possibilità di fermarli. Come se Richard non fosse stato già abbastanza impensierito, la grossa fetta di prosciutto nella sua mano rappresentava una nuova grave preoccupazione. Suppose che fosse possibile che un convoglio occasionale riuscisse a passare. Col cibo che scarseggiava, questo rifornimento era arrivato al momento giusto. Il Vecchio Mondo era grande. Richard sapeva che non c'era modo per l'esercito del D'Hara di coprire l'intera campagna. D'altra parte, si domandò se il prosciutto che teneva in mano potesse essere un segnale che le cose non stavano andando così bene per il generale Meiffert e gli uomini che aveva portato a sud. John la roccia sgattaiolò più vicino, trascinandosi dietro la sua catena. «Ruben! Ci danno prosciutto! Non è meraviglioso?» «Essere liberi sarebbe meraviglioso. Mangiar bene da schiavo non corrisponde alla mia idea di meraviglioso.» La faccia di John la roccia si intristì un poco, poi si ravvivò. «Ma essere uno schiavo che mangia prosciutto è meglio che essere uno schiavo che mangia uova, non credi?» Richard non era dell'umore di discutere. «Suppongo che tu abbia ragione.» John la roccia sogghignò. «Lo penso anch'io.» Nell'oscurità del crepuscolo che si addensava, mangiarono in silenzio. Assaporando il prosciutto, Richard dovette ammettere fra sé che John la roccia aveva davvero ragione. Si era quasi dimenticato quanto potesse essere buono qualcosa di diverso dalle uova. Anche questo avrebbe contri-
buito a dar forza a lui e alla sua squadra. Ne avrebbero avuto bisogno. John la roccia, masticando un grosso boccone di prosciutto, sgattaiolò un po' più vicino. Deglutì e poi si leccò il grasso dalle dita. «Ehi, Ruben, qualcosa non va?» Richard osservò la sua ala destra. «Cosa vuoi dire?» John la roccia strappò via una striscia di carne. «Be', non hai giocato così bene oggi.» «Abbiamo vinto di cinque punti.» John la roccia alzò lo sguardo da sotto le sue folte sopracciglia. «Ma di solito vincevamo con più margine.» «La competizione sta diventando più dura.» John la roccia scrollò le spalle. «Se lo dici tu, Ruben.» Ci pensò su per un momento, chiaramente non soddisfatto. «Ma abbiamo vinto di più punti contro quello squadrone... alcuni giorni fa. Ti ricordi? Quelli che ci lanciavano insulti e hanno cominciato a combattere con Bruce ancora prima che la partita iniziasse.» Richard si ricordava di quella squadra. Bruce era la nuova ala sinistra, avendo rimpiazzato quella originale, che era stata uccisa durante la partita a cui avevano assistito Jagang e Kahlan. Richard dapprima si era preoccupato che un soldato regolare dell'Ordine Imperiale non avrebbe risposto bene nel prendere ordini da un prigioniero come punta, ma Bruce si era rivelato all'altezza della situazione. Il giorno di cui John la roccia stava parlando, l'ala dell'altra squadra aveva urlato insulti ai soldati regolari di quella di Richard poiché prendevano ordini da un prigioniero. Bruce aveva riposto agli insulti camminando con calma verso di lui e rompendogli il braccio. Ne era seguito un brutto combattimento, presto interrotto dall'arbitro. «Mi ricordo. Che vuoi dire?» «Penso che fossero più forti della squadra di oggi, e li abbiamo battuti di undici punti.» «Abbiamo vinto l'incontro di oggi. Questo è l'importante.» «Ma tu ci hai detto che dobbiamo sbaragliare tutti gli avversari se vogliamo giocare contro la squadra dell'imperatore.» Richard trasse un profondo respiro. «Avete giocato tutti bene, John. Immagino di avervi deluso.» «No, Ruben, non ci hai deluso.» John la roccia grugnì una risata e colpì il lato della spalla di Richard col dorso della sua manona. «Come hai detto, abbiamo vinto. Se vinciamo domani, giocheremo contro la squadra
dell'imperatore.» Se non altro, Richard contava che Jagang si mostrasse per vedere la propria squadra giocare per il campionato dell'accampamento. Di certo non avrebbe mai perso quella partita. Il comandante Karg aveva detto a Richard che l'imperatore era ben consapevole della crescente reputazione della loro squadra. Richard era preoccupato per il fatto che Jagang non era venuto a vedere di persona. Pensava che quell'uomo volesse valutare i probabili sfidanti della sua squadra e avrebbe quindi assistito alle ultime partite prima della finale. «Non preoccuparti, John. Batteremo la squadra di domani e poi giocheremo contro quella dell'imperatore.» John la roccia scoccò a Richard un'occhiata di traverso. «E poi, quando avremo vinto, potremo sceglierci una donna. Faccia di serpente ce l'ha promesso.» Richard masticò il prosciutto mentre osservava l'uomo ricoperto di disegni fatti per accrescere forza e potere intrecciati con simboli di aggressione e conquista. «Ci sono cose più importanti di questa.» «Può darsi, ma quali altre ricompense ci sono per noi nella vita?» Il ghigno di John la roccia tornò. «Se vinciamo contro la squadra dell'imperatore, otteniamo una donna.» «Hai mai pensato che la tua ricompensa potrebbe significare un incubo terrificante per la donna che scegli?» John la roccia si accigliò, fissando Richard per un momento. In silenzio, tornò a mangiare il prosciutto. «Perché dici questo?» chiese infine John la roccia, incapace di trattenere la sua irritazione. «Io non farei mai del male a una donna.» Richard osservò l'espressione amara dell'uomo. «Che ne pensi delle civili al seguito?» «Le civili al seguito?» John la roccia, sorpreso dalla domanda, si grattò la spalla mentre rifletteva. «Molte di loro sono delle orribili vecchie megere.» «Be', se non sei interessato a loro, non rimangono che le prigioniere, donne strappate alle proprie case, famiglie, mariti, figli e tutto ciò che amavano. Quelle costrette a servire da prostitute per soldati che molto probabilmente sono gli stessi che hanno massacrato quei padri, mariti e figli.» «Be', io...» «Le donne che sentiamo spesso urlare la notte. Quelle che udiamo pian-
gere.» John la roccia abbassò lo sguardo. Spiluccò il suo pezzo di prosciutto. «Talvolta sentire i singhiozzi di quelle donne mi tiene sveglio.» Richard guardò fuori, fra i carri e le guardie, verso il campo. In lontananza il lavoro sulla rampa continuava. Immaginò che la gente su nel Palazzo del Popolo, l'ultimo baluardo contro l'Ordine Imperiale, non potesse far altro che attendere l'arrivo dell'orda. Non c'era nulla che potessero fare. Non avevano alcun posto sicuro dove andare. Le credenze che guidavano l'Ordine Imperiale stavano inghiottendo tutta l'umanità. Giù nell'accampamento, capannelli di uomini erano radunati attorno ai fuochi delle cucine. Fra le ombre e l'oscurità, Richard poté vedere una donna che veniva trascinata verso una tenda. Una volta doveva aver avuto i suoi sogni e speranza per il futuro; ora che l'Ordine stava imponendo la propria visione all'umanità, lei non era altro che un oggetto. Fuori c'erano già uomini che facevano la fila, i vincitori in attesa della loro ricompensa in cambio del servizio all'Ordine Imperiale. In definitiva, malgrado tutte le solenni apparenze, si trattava solo di questo: la brama di alcuni di dominare tutti gli altri, imporre la propria volontà, la presunzione di una licenza morale che credevano desse loro il diritto di prendere, con ogni mezzo, ciò che volevano. In altri punti Richard poté notare alcuni uomini radunati a bere e giocare d'azzardo. Il convoglio dei rifornimenti doveva aver portato del liquore. Sarebbe stata una notte chiassosa. Kahlan era da qualche parte in quel mare di uomini. «Bene dunque,» disse Richard «a meno che tu non voglia essere parte nell'abuso di quelle donne, rimangono le civili al seguito, che sono consenzienti.» John la roccia pensò in silenzio per un po', mordicchiando il suo prosciutto. Se la rabbia silenziosa avesse potuto tagliare l'acciaio, Richard si sarebbe tolto il collare e avrebbe fatto qualcosa per portar via Kahlan da quel posto e metterla al sicuro, per quanto si poteva essere al sicuro in un mondo impazzito per un ideale. «Sai, Ruben, hai la capacità di rovinare le cose.» Richard lanciò un'occhiata all'uomo. «Preferiresti che mentissi? Che inventassi qualcosa solo per tranquillizzare la tua coscienza?» John la roccia sospirò. «No. Tuttavia...» Richard si rese conto che avrebbe fatto meglio a non scoraggiare la sua ala destra, altrimenti non avrebbe giocato al meglio. Se avessero perso la
partita successiva, non avrebbero avuto l'opportunità di giocare contro la squadra dell'imperatore e Richard non avrebbe ottenuto la possibilità di rivedere Kahlan. «Be', stai diventando piuttosto famoso, John la roccia. Gli uomini cominciano a esultare quando ti vedono entrare in campo. Può darsi che ci siano molte belle donne desiderose di stare con la grossa e piacente ala della squadra campione.» John la roccia finalmente sorrise. «È vero. Ci stiamo accattivando molti soldati. Gli uomini cominciano a esultare per noi.» Agitò il suo prosciutto verso Richard. «Tu sei la punta. Avrai un sacco di belle donne che vorranno stare con te.» «Ce n'è solo una che voglio.» «E tu pensi che lei sarà disposta? E se non vuole avere niente a che fare con te?» Richard aprì la bocca, ma poi la richiuse. Kahlan non lo conosceva. Se avesse avuto l'opportunità di farla fuggire da Jagang, cosa avrebbe fatto se lei lo avesse considerato soltanto un altro estraneo che cercava di catturarla? Dopo tutto, perché non avrebbe dovuto? E se non fosse stata disposta ad andare con lui? Se avesse fatto resistenza? Di certo non ci sarebbe stato il tempo di darle spiegazioni. Richard sospirò. Ora aveva un altro motivo di preoccupazione a tenerlo sveglio. 28 Kahlan sedeva in silenzio nelle ombre da un lato della stanza esterna in una bassa sedia di cuoio, le mani raccolte in grembo. Jillian sedeva a gambe incrociate sul pavimento lì accanto. Di tanto in tanto Kahlan lanciava occhiate a Ulicia e Armina mentre lavoravano al compito loro assegnato di confrontare i libri che costituivano la chiave per aprire le scatole dell'Orden. Stavano analizzando ogni volume parola per parola, in cerca di qualunque discrepanza. Alcune delle altre Sorelle prigioniere di Jagang avevano trovato un terzo libro giù nelle catacombe sotto il Palazzo dei Profeti, quindi Ulicia e Armina ora avevano una copia in più da comparare con gli altri due libri che avevano già: quello del Palazzo dei Profeti, in possesso di Jagang da lungo tempo, e quello che lui aveva trovato nelle catacombe a Caska, dove aveva catturato Ulicia, Armina e Cecilia, assieme a Kahlan.
Si pensava che quelle fossero copie de Il libro delle ombre importanti. I titoli sulle coste degli ultimi due, tuttavia, non dicevano delle ombre importanti, ma dell'ombra importante. Fra Ulicia e Armina c'era disaccordo se questo fosse significativo o meno. Da ciò che Kahlan aveva messo insieme da frammenti e pezzi che aveva udito di nascosto, c'era una copia de Il libro delle ombre importanti vera e quattro false. Jagang era ora in possesso di tre di quelle cinque copie. Mettere le mani su tutte le copie era la priorità principale. Da quello che Kahlan aveva potuto apprendere, c'erano persone le cui vite erano dedicate unicamente a quel compito. Il mistero si era infittito quando avevano accertato che il libro ritrovato nelle catacombe scoperte di recente sotto il Palazzo del Popolo diceva ombre sulla costa, come si presumeva. Il titolo da solo suggeriva che le prime due fossero false copie, come aveva detto Kahlan, e quest'ultima potesse essere quella vera. Finora, però, non avevano modo di provarlo. Kahlan era preoccupata su cosa fare se Jagang le avesse richiesto di determinare se l'ultima scoperta era una copia vera o no. Da ciò che le Sorelle avevano fatto notare a Jagang, i libri stessi dicevano che occorreva un Depositaria per verificare che il volume fosse o meno una versione originale. Kahlan aveva udito di nascosto che lei era questa persona, una Depositaria, ma, assieme al resto del suo passato dimenticato, non sapeva di cosa si trattasse. Non aveva idea di come potesse essere in grado di identificare la vera copia. A Jagang non importava se conosceva il modo o no: si aspettava semplicemente che lo facesse. Con i primi due il titolo sbagliato le aveva dato un motivo plausibile per dichiararli falsi. Con quell'ultima edizione, però, non avrebbe avuto nulla su cui basarsi, dato che il titolo era corretto e il testo stesso non le poteva offrire alcun aiuto poiché la magia le impediva di vederlo. Con l'attenzione concentrata su Nicci, Jagang non aveva richiesto l'accertamento di Kahlan sulla validità dell'ultimo volume. Se l'avesse fatto e Kahlan non gli avesse dato una risposta soddisfacente, sarebbe stata Jillian a pagarne il prezzo. Finora le Sorelle non erano state in grado di trovare alcuna discrepanza fra le tre copie. Ovviamente, come avevano fatto rilevare con esitazione all'imperatore, delle discrepanze non avrebbero provato nulla. Tutte e tre potevano essere diverse ed essere comunque copie false. Come facevano a saperlo? Non c'era nulla che dicesse che il nuovo libro, anche se si fosse rivelato diverso dagli altri due, era una copia autentica. Essendo diverso di
per sé non avrebbe provato nulla. Per come la vedeva Kahlan, l'unico vero modo di identificare l'unica copia autentica sarebbe stato avere l'originale e tutte e cinque le copie. Malgrado le sue sfuriate e le sue pretese, Jagang doveva sapere anche quello. Senza dubbio era la ragione per cui aveva affidato a delle persone il compito di trovare gli altri libri. A ogni modo, Jagang voleva che i libri venissero controllati per ogni discrepanza, quindi le Sorelle li stavano analizzando una parola alla volta. Jagang aveva concesso loro molto tempo per esaminare i libri. Pur essendo molto interessato a scoprire quale fosse Il libro delle ombre importanti originale, al momento era più interessato a Nicci. Da quando era stata catturata, era stato ossessionato da lei. Non aveva portato altre donne nel suo letto e aveva persino rinunciato agli incontri di Ja'La. A Kahlan sembrava che lui ritenesse che, se fosse riuscito a dimostrare in modo soddisfacente a Nicci quanto era profondo il suo desiderio per lei, allora si sarebbe convinta dei suoi veri sentimenti e il suo disprezzo sarebbe svanito. Dal canto suo, Nicci era diventata solo più distaccata. Il suo atteggiamento impassibile e distante aveva stranamente attratto Jagang, ma il suo disprezzo lo spingeva alla violenza e peggiorava il suo tormento. Kahlan immaginava che anche lei non sarebbe stata altro che sprezzante, quando fosse arrivato il suo turno. Diverse volte, dopo un accesso di rabbia selvaggia, la furia di Jagang si era placata quando si era reso conto all'improvviso che forse era andato troppo oltre. In quelle occasioni, erano state fatte venire di corsa le Sorelle per rianimare Nicci. Mentre lavoravano disperatamente per salvarle la vita e guarirla, Jagang passeggiava avanti e indietro per tutto il tempo con sguardo preoccupato e colpevole. Più tardi, dopo che era stata guarita, riacquistava la sua indignazione e incolpava Nicci di averlo spinto a tanta violenza. Alle volte, come la notte prima, lasciava Kahlan e Jillian nella stanza esterna mentre portava Nicci dentro per star solo con lei per la notte. Kahlan immaginava che quella solitudine fosse la sua idea di tenero romanticismo. Mentre Nicci veniva condotta nella camera da letto, aveva scambiato un breve sguardo furtivo con Kahlan. Era stata un'occhiata di mutua comprensione dell'assoluta follia in cui era stretto il mondo. Jagang era stato così distratto da quando aveva riavuto Nicci che aveva ignorato quasi tutto il resto, da Il libro delle ombre importanti agli incontri
di Ja'La. A Kahlan non piacevano le partite, ma voleva disperatamente vedere l'uomo che tutti chiamavano Ruben. Sapeva dai resoconti giornalieri che si scambiavano le guardie che la squadra del comandante Karg finora aveva vinto tutti i propri incontri, ma Kahlan voleva vedere la punta con i disegni selvaggi dipinti sul volto, l'uomo dagli occhi grigi, l'uomo che la conosceva. «Guarda qui» disse Sorella Ulicia, picchiettando la pagina di uno dei libri. «Questa formula è diversa dagli altri due.» Kahlan le osservò di schiena, mentre si curvavano sul tavolo, confrontando i libri aperti davanti a loro. Due grosse guardie del corpo di Jagang in piedi nella stanza, vicino all'entrata della tenda, tenevano d'occhio anche le Sorelle. Due soldati regolari - le guardie speciali di Kahlan - non sembravano interessati a loro: stavano sorvegliando Kahlan. Lei, arrossendo quando si rese conto di cosa stavano guardando, tirò una spessa ciocca di capelli sopra il panorama offerto dal bottone mancante della sua camicia. «Sì...» disse Sorella Armina con voce strascicata «la costellazione è differente. Non è strano?» «Di certo rende le differenze difficili da scorgere. Non solo questo: guarda qui. Gli angoli azimutali sono diversi.» Sorella Ulicia tirò più vicino una delle lampade a olio. «Sono differenti in tutte e tre le copie.» Sorella Armina stava annuendo mentre confrontava i libri. «Non l'abbiamo notato prima negli altri due libri. Avevo sempre pensato che fossero uguali, ma non lo sono.» «Essendo un particolare tanto piccolo, è facile capire perché ci sia sfuggito.» Sorella Ulicia fece un gesto verso i libri. «Questo li rende tutti e tre diversi.» «Cosa pensi che significhi?» Sorella Ulicia incrociò le braccia. «Può solo significare che almeno due devono essere false copie, ma in realtà, a quanto ne sappiamo, potrebbero esserlo tutte e tre.» Sorella Armina emise un sospiro di insoddisfazione. «Quindi ora sappiamo qualcosa di nuovo, ma in realtà non ci dice nulla di utile.» Sorella Ulicia lanciò all'altra donna un sguardo di traverso. Sua Eccellenza ha l'abitudine di imbattersi in cose che non mi aspetterei mai che trovasse. Forse scoprirà le altre copie e avremo finalmente un modo per poter svelare qualcosa di certo.» La copertura della porta si sollevò bruscamente di lato. Jagang spinse Nicci attraverso l'apertura. Lei inciampò e cadde ai piedi di Kahlan. Gli
occhi della donna si rivolsero brevemente verso l'alto, ma fece finta di non vedere Kahlan proprio lì di fronte a lei. Era un inganno che non era cambiato da quando Jagang l'aveva catturata. Kahlan poteva vedere la rabbia negli occhi di Nicci. Poteva vedervi anche il dolore. E poteva vedervi l'estrema disperazione. Avrebbe voluto abbracciarla, confortarla, dirle che sarebbe andato tutto bene. Ma non poteva fare niente del genere. E certo non poteva dirle che sarebbe andato tutto bene. «Cosa avete scoperto?» chiese Jagang alle due Sorelle avvicinandosi alle loro spalle. Sorella Ulicia diede dei colpetti a uno dei libri. Lui si piegò sopra la sua spalla, osservando dove gli indicava. «Proprio qui, Eccellenza. Sono tutti e tre diversi proprio in questo punto.» «Quale di questi è giusto?» Entrambe le Sorelle si ritrassero un poco. «Eccellenza» disse Sorella Ulicia con voce esitante «è ancora troppo presto per dirlo.» «Dobbiamo avere le altre copie per saperlo con certezza» rivelò Sorella Armina. Jagang spostò lo sguardo su di lei per un momento, poi, a differenza del solito, grugnì semplicemente con indifferenza. Diede un'occhiata attorno, controllando che Kahlan fosse ancora sulla sedia dove le aveva detto di restare. Vide anche che Jillian era sul pavimento e le guardie stavano sorvegliando tutte loro. «Continuate a studiare i libri» disse Jagang alle due Sorelle. «Vado alle partite di Ja'La. Sorvegliate la ragazzina.» Spinse Nicci davanti a lui, poi schioccò le dita a Kahlan, indicando che si aspettava che anche lei andasse con lui e gli rimanesse vicino. Kahlan prese il suo mantello e lo seguì. Almeno era lieta che Jillian non dovesse star vicina alle folle di soldati o all'imperatore. Naturalmente, Jagang poteva esercitare il suo controllo attraverso le Sorelle e far così male a Jillian in qualunque modo voleva, dove voleva e quando voleva. Dopo essersi gettata il mantello sulle spalle, Kahlan rivolse alla preoccupata Jillian un gesto con la mano per esortarla a starsene buona. Gli occhi color rame della ragazza fissarono Kahlan e le rispose con un cenno del capo. Aveva paura di essere lasciata sola. Kahlan la capiva, ma non poteva garantirle nessuna vera protezione anche se Jillian era con lei.
Fuori dalla tenda, alcune centinaia di guardie ben armate si disposero in fretta in ranghi, pronte a scortare l'imperatore. Quegli omoni, con cotte di maglia e armi scintillanti, erano una presenza intimidatoria. Mezza dozzina delle guardie speciali di Kahlan, dall'aspetto un po' meno intimidatorio ma comunque brutale, si raccolsero attorno a lei. La grossa mano di Jagang afferrò l'esile braccio bianco di Nicci, indirizzandola attraverso gli spazi che si aprivano fra le schiere di soldati. Molti di loro rivolsero a Nicci lunghi sguardi. Poteva pur essere la donna di Jagang, ma volevano comunque guardarla. Erano attenti, però, a far sì che l'imperatore non cogliesse le loro occhiate lascive. Notando quelle attenzioni, Kahlan fu sollevata dal fatto che molti non potessero vederla. Anche se il cielo era coperto, le nuvole non sembravano tanto dense da minacciare pioggia. Era da un po' che non pioveva e il terreno si era tramutato in una crosta polverosa. Nella piatta luce grigia, l'accampamento dell'esercito sembrava molto più scuro, molto più cupo. Il fumo dei fuochi delle cucine era sospeso nell'aria, mascherando un poco il fetore. Mentre marciavano attraverso infiniti capannelli rumorosi di uomini ed equipaggiamento, Jagang chiese a una delle sue guardie personali più fidate delle partite di Ja'La. L'uomo diede informazioni all'imperatore sui vari incontri che si erano disputati dall'ultimo resoconto, fornendo a Jagang una breve analisi di ognuna delle squadre quando lui glielo chiedeva. «La squadra di Karg?» chiese Jagang. «Come s'è comportata?» La guardia annuì. «Imbattuta, finora. Il loro margine di vittoria ieri non è stato largo come al solito, però.» Il duro sorriso di Jagang era freddo come il cielo. «Spero che vincano oggi. Di tutte le squadre venute a sfidarmi, spero che siano loro a essere annientati dalla mia.» La guardia fece un gesto verso sinistra. «Giocano oggi, da quella parte. È l'ultima partita per loro. Dal modo in cui gli incontri sono andati finora, se vincono oggi saranno da soli in testa alla classifica e il vostro desiderio verrà esaudito, Eccellenza. Altrimenti, ci dovranno essere delle eliminatorie. Ma la vostra squadra giocherà con loro se saranno i vincitori di questo incontro.» Mentre camminavano e Jagang conversava con la sua guardia, Nicci lanciò una breve occhiata voltandosi appena, verso Kahlan. Sapeva che Nicci stava pensando all'uomo di cui le aveva parlato e provò un tremito d'ansia. Mentre seguivano un percorso attraverso il caos dell'accampamento nel-
la direzione indicata dalla guardia, facendosi strada a spintoni attraverso la compatta calca di uomini premuti assieme e avvicinandosi al campo di Ja'La, Kahlan poteva sentire in lontananza i soldati che esultavano e urlavano incitazioni alla loro squadra preferita. Anche da così lontano, senza poter vedere l'azione, gli uomini attendevano che gli venisse trasmessa voce del punteggio. C'erano molti più spettatori di quanti Kahlan ne aveva visti alle partite precedenti. Si trattava ovviamente di un incontro importante e poteva vedere l'eccitazione della folla. Quando si sollevò all'improvviso un boato assordante, seppe che una delle squadre aveva segnato. Gli uomini si strinsero più vicini, spintonandosi a vicenda, desiderosi di sapere cosa fosse accaduto. Mentre le guardie brontolavano ordini o spingevano via degli uomini, i soldati di quella calca compatta si guardarono alle spalle e poi si separarono con riluttanza per consentire il passaggio del corteo dell'imperatore. Con una cuspide di grosse guardie che apriva un sentiero, riuscirono infine a raggiungere una zona accanto al campo recintata e riservata all'imperatore. Altre guardie di Jagang che erano andate avanti avevano già formato un muro da ogni lato per tenere a distanza la folla. Attraverso la muraglia di spettatori, Kahlan colse sprazzi di uomini che correvano per il campo. Le urla e le grida della folla le rendevano difficile udire i suoi stessi pensieri. Colse brevi guizzi di vernice rossa. Con la ressa di soldati che osservavano la partita, il muro di guardie reali da ogni lato, per non parlare del taurino imperatore di fronte a lei fiancheggiato dalle sue enormi guardie personali, era difficile vedere molto più di brevi frammenti dell'azione sul campo. Un altro urlo selvaggio si sollevò dalla folla quando una squadra segnò. Il ruggito scosse la terra sotto i piedi di Kahlan. Attraverso i piccoli varchi fra le guardie, notò qualcosa di diverso in quella partita. Tutt'intorno al bordo del campo, di fronte agli spettatori, a intervalli regolari erano disposti degli uomini, gambe divaricate, mani serrate dietro la schiena. Nessuno di loro indossava la camicia, apparentemente per mettere in mostra il loro fisico possente. Kahlan di rado aveva visto uomini del genere. Ognuno era un esemplare enorme. Sembravano tutti statue, come se fossero stati fusi dallo stesso minerale di ferro e forgiati da lingotti d'acciaio incandescente. Mentre Jagang si spostava sul davanti, verso il bordo del campo, per vedere cosa stava accadendo, Nicci si sporse più vicino, notando gli uomini
arcigni che Kahlan stava fissando. «La squadra di Jagang» disse sottovoce. Allora Kahlan comprese cosa stavano facendo. I vincitori di quell'incontro avrebbero giocato contro la squadra dell'imperatore. Quegli uomini non erano lì solo per osservare le tattiche della squadra che avrebbero affrontato. Erano lì per intimidire gli avversari, quelli che avrebbero vinto l'opportunità di sfidarli. Era un'aperta minaccia del dolore che avrebbero inflitto. Il comandante Karg notò l'imperatore appena arrivato e si fece strada a forza attraverso il muro di guardie. Kahlan aveva imparato a riconoscere quell'uomo dal caratteristico disegno del tatuaggio a scaglie di serpente. Lui e Jagang si scambiarono convenevoli mentre acclamazioni di incoraggiamento si sollevavano per un'altra azione sul campo. «Sembra che la tua squadra si stia comportando bene» disse Jagang quando le grida si smorzarono un poco. Il comandante Karg lanciò un'occhiata sopra la spalla verso Nicci, come un serpente che sta studiando la sua preda. Lei gli stava già scoccando uno sguardo torvo. Lui la fissò con aria scaltra da capo a piedi prima di riportare la sua attenzione su Jagang. «Be', Eccellenza, malgrado la mia squadra sia abile, sono ben conscio che la vostra non è solo abile, ma imbattuta. Sono i migliori, naturalmente.» La parte posteriore della testa rasata e del collo taurino di Jagang si increspò mentre annuiva. «Anche la tua squadra è imbattuta, ma non è mai stata sottoposta a una vera competizione. I miei uomini la sconfiggeranno facilmente. Non ho alcun dubbio.» Il comandante Karg incrociò le braccia, osservando il gioco per un po'. La folla urlò per l'eccitazione quando un gruppetto di uomini le corse davanti, solo per gemere dal disappunto quando apparentemente non riuscirono a segnare. Karg si voltò ancora una volta verso l'imperatore. «Me se vince contro la vostra squadra...» «Se vince» interruppe Jagang. Karg sorrise chinando il capo. «Se vince, sarà una grande impresa per un umile sfidante quale io sono.» Jagang scrutò il suo comandante con divertito sospetto. «Una grande impresa degna di una grande ricompensa?» Karg fece un gesto verso gli uomini in campo. «Be', Eccellenza, se i miei uomini dovessero vincere, ognuno di loro riceverebbe una ricompensa. Ciascuno potrebbe scegliersi una donna.» Serrò le mani dietro la schiena e scrollò le spalle. «Sarebbe giusto che, essendo l'uomo che ha scelto
ogni giocatore e che gestisce una squadra tanto valida, io ricevessi una ricompensa simile.» Il profondo sogghigno di Jagang fu così osceno che diede un brivido a Kahlan. «Suppongo che tu abbia ragione» disse Jagang. «Dimmi di chi si tratta e, se vincerai, sarà tua.» Karg si dondolò sui talloni per un momento, come se stesse riflettendo sulle sue alternative. «Eccellenza, se la mia squadra vince,» il comandante Karg rivolse un astuto sorriso voltandosi appena «vorrei avere Nicci nel mio letto.» Il freddo sguardo minaccioso di Nicci avrebbe potuto tagliare l'acciaio. Col divertimento che veniva meno, Jagang lanciò un'occhiata oltre la sua spalla verso la donna che di recente aveva avuto la sua completa attenzione. «Nicci non è disponibile.» Il comandante annuì mentre tornava a osservare la partita per un po'. Dopo che l'esultanza per un'altra azione sul campo si fu smorzata, guardò Jagang di sottecchi. «Dato che siete sicuro di vincere, Eccellenza, è solo l'insignificante promessa di una ricompensa, una vuota scommessa. Se credete davvero che la vostra squadra trionferà di certo, allora non avrei mai il piacere di riscuotere una tale ricompensa.» «Allora non ci sarebbe ragione di scommettere.» Karg fece un gesto verso il campo di Ja'La. «Siete certo del successo della vostra squadra, vero, Eccellenza? O avete dei dubbi?» «D'accordo, Karg» disse infine Jagang. «Se vincerai, sarà tua per un po'. Ma solo per un po'.» Il comandante si inchinò di nuovo. «Certo, Eccellenza. Ma, come sappiamo, non dovete davvero temere che la vostra squadra perda.» «No, certo che no.» I neri occhi di Jagang si rivolsero a Nicci. «Non ti spiace di questa piccola scommessa, vero, mia cara?» Il suo ghigno tornò. «Dopo tutto, è puramente ipotetica, dato che la mia squadra non perde.» Nicci inarcò un sopracciglio. «Come ti ho detto appena arrivata, quello che voglio non importa granché, o sbaglio?» Jagang la osservò per un momento senza smettere di sorridere. Un sorriso che sembrava nascondere l'intento di ucciderla in modo cruento per la sua insolenza in pubblico. Mentre l'azione sul campo cresceva di intensità, la folla tutt'intorno co-
minciò a premere in avanti per cercare di ottenere una visuale migliore. Le guardie di Jagang reagirono ricacciando indietro gli uomini, dando all'imperatore ancora più spazio. Volevano essere sicuri di avere lo spazio che occorreva per proteggerlo. Gli spettatori, notando il cattivo stato d'animo delle guardie, si mossero all'indietro con riluttanza. Mentre Jagang e il comandante Karg osservavano la partita, sempre più assorbiti dall'azione sul campo, Kahlan controllò le sue guardie speciali e vide che anche loro erano concentrati sulla partita. Si stiravano di continuo verso l'alto, un poco alla volta, allungando il collo per cercare una visuale migliore. Kahlan si sporse più vicino a Nicci. Mentre le guardie reali usavano i muscoli nel tentativo di spostare indietro gli spettatori, ciò diede a Kahlan e Nicci un angolo visivo più ampio, cosicché potevano vedere il campo e i giocatori. «La squadra con la vernice rossa è guidata dall'uomo di cui ti ho parlato» sussurrò Kahlan. «Credo che abbia dipinto sé stesso e tutti gli uomini con la vernice rossa per non essere riconosciuto.» Mentre i giocatori correvano davanti a loro, riuscirono a vedere chiaramente per la prima volta i disegni selvaggi su tutti gli uomini della squadra rossa. Quando Nicci li vide, parve sbigottita. «Dolci spiriti...» Fece un passo avanti per vedere meglio. Kahlan, preoccupata dal brusco cambio di atteggiamento ed evidente timore di Nicci, andò con lei. Fu allora che Kahlan scorse l'uomo che tutti chiamavano Ruben. Stava correndo da sinistra col broc tenuto stretto contro il torace mentre schivava uomini che si tuffavano per placcarlo. Kahlan si piegò più vicino a Nicci e fece un gesto verso sinistra, attirando la sua attenzione sull'uomo di nome Ruben. «È lui» disse Kahlan. Nicci si sporse un poco per guardare dove indicava Kahlan. Quando lo vide, il sangue le defluì dal volto. Kahlan non aveva mai visto nessuno sbiancare così rapidamente. «Richard...» Nell'istante in cui Kahlan udì quel nome, seppe che era quello giusto. Era un nome che si addiceva a quell'uomo. Non sapeva perché, ma gli calzava a pennello. Non aveva dubbi che Nicci avesse ragione. Il suo nome non era Ruben, era Richard. Avvertì uno strano senso di sollievo nel conoscere il suo no-
me, il suo vero nome. Kahlan, temendo che Nicci potesse svenire, le appoggiò una mano sulla schiena per sostenerla. Sotto quella mano poteva sentire il corpo di Nicci che tremava tutto. Schivando gli uomini mentre correva a capofitto lungo il campo, le sue ali da ciascun lato, l'uomo che ora sapeva chiamarsi Richard vide Jagang con la coda dell'occhio. Mentre correva, il suo sguardo passò oltre l'imperatore e incontrò quello di Kahlan. Quel contatto, quel riconoscimento nei suoi occhi, le sollevò il cuore. Quando Richard notò Nicci accanto a lei, sbagliò un passo. Quell'istante di esitazione diede un'opportunità agli uomini che lo inseguivano. Gli si scagliarono addosso, scaraventandolo al suolo. L'impatto fu così violento che il broc volò via. L'ala destra di Richard si lanciò sugli avversari con la spalla, scaraventandosi contro di loro e mandandoli a gambe all'aria. Richard giaceva a faccia in giù, immobile. A Kahlan sembrò che il cuore le balzasse in gola. Appena in tempo, l'altra ala colpì con un gomito la testa di un uomo che stava per schiantarsi contro Richard. Mentre l'avversario crollava a terra da un lato, Richard cominciò infine a muoversi. Vedendo gli altri giocatori che volavano sopra di lui, rotolò via dalla mischia mentre riprendeva fiato. In un attimo fu in piedi, anche se piuttosto traballante all'inizio. Era il primo errore che Kahlan gli aveva mai visto fare. Il labbro inferiore di Nicci tremò mentre se ne stava immobile a fissare Richard. Dai suoi occhi azzurri scaturivano lacrime. D'improvviso Kahlan si domandò se fosse vero. Scartò quella possibilità. Era semplicemente impossibile. 29 Seduto nella luce che svaniva, ginocchia tirate contro il petto, in ascolto degli incessanti suoni dell'accampamento oltre l'anello di carri e guardie, Richard emise uno scoraggiato sospiro. Si passò le dita di una mano fra i capelli. Quasi non riusciva a credere che Jagang avesse in qualche modo catturato Nicci. Non riusciva a immaginare come potesse essere accaduta una cosa del genere. Vederla con un Rada'Han attorno alla gola l'aveva fatto star male.
A Richard sembrava che il mondo stesse cadendo a pezzi. Per quanto temesse anche solo di prendere in considerazione l'idea, l'Ordine Imperiale sembrava inarrestabile. Coloro che volevano decidere da sé come vivere le proprie vite venivano sistematicamente soggiogati dagli innumerevoli seguaci dell'Ordine, gente votata in maniera fanatica a credenze illusorie, desiderosa di imporre la propria fede su chiunque altro. Un tale concetto violava la natura stessa di fede, ma questo non importava ai veri credenti: tutti dovevano inchinarsi e seguire i loro dettami, o morire. Coloro che credevano negli insegnamenti dell'Ordine andavano dove e quando volevano, massacrando chiunque trovavano sulla loro strada. A quel punto controllavano la maggior parte del Nuovo Mondo, oltre a tutto il Vecchio Mondo. Si erano perfino infiltrati nelle lontane Terre Occidentali, dove lui era cresciuto. A Richard sembrava che il mondo intero fosse impazzito. Ancor peggio, Jagang era anche in possesso di almeno due scatole dell'Orden. Sembrava sempre avere tutto in perfetto controllo. Ora aveva anche Nicci. Ma se a Richard aveva spezzato il cuore vedere Nicci con l'anello d'oro da schiava sul labbro inferiore, di nuovo prigioniera di un uomo che aveva abusato di lei in modo così terribile in passato, gli faceva ribollire il sangue vedere che Kahlan era prigioniera di quello stesso uomo. Richard era anche profondamente abbattuto dal fatto che Kahlan non si ricordava di lui. Per lui, lei era più importante di qualunque cosa al mondo... lei era il suo mondo. Ma ora non si ricordava neanche il suo nome. La sua forza, il suo coraggio, la sua compassione, la sua intelligenza, la sua arguzia, il sorriso speciale che lei non mostrava a nessuno tranne a lui, erano sempre nei suoi pensieri e nel suo cuore, e così sarebbe stato fino al giorno della sua morte. Si ricordava del giorno in cui si erano sposati, di quanto lei lo amava ed era stata felice semplicemente di stare fra le sue braccia. Ma ora lei non si rammentava nulla di tutto ciò. Lui avrebbe fatto di tutto per salvarla, per farla ritornare colei che era realmente, per restituirle la sua vita - e riavere la propria. Ma la sua identità non era più dentro di lei. La Catena di fuoco aveva sottratto tutto a entrambi. Non importava sul serio quanto volesse vivere la propria vita con Kahlan o quanto desiderasse che le altre persone potessero vivere le loro. La gente dell'Ordine Imperiale aveva i suoi progetti per l'umanità. In quel momento, Richard poteva vedere solo un avvenire squallido.
Con la coda dell'occhio scorse John la roccia che sgattaiolava verso di lui. La pesante catena sferragliò mente l'uomo la tirava contro il duro terreno roccioso. «Ruben, devi mangiare.» «Ho mangiato.» John la roccia fece un gesto verso il pezzo sbocconcellato di prosciutto in bilico sul ginocchio di Richard. «Solo metà. Ti occorre essere forte per la partita di domani. Dovresti mangiare.» Pensare a cosa sarebbe accaduto il giorno dopo serviva solo a serrare lo stomaco di Richard dall'ansia. Raccolse il grosso pezzo di prosciutto e lo porse a John la roccia per offrirglielo. «Ho mangiato a sufficienza. Se vuoi puoi avere il resto.» John la roccia sorrise per la sua fortuna inattesa. La sua mano si bloccò, il sorriso titubante. Guardò Richard negli occhi. «Sei sicuro, Ruben?» Richard annuì. John la roccia prese infine il prosciutto e strappò un grosso morso coi denti. Dopo aver inghiottito, diede di gomito a Richard. «Stai bene, Ruben?» Richard sospirò. «Sono un prigioniero, John. Come potrei star bene?» John la roccia sogghignò, pensando che il compagno stesse solo scherzando. Quando Richard non sorrise, John la roccia tornò serio. «Ti sei preso una bella botta in testa, oggi.» Si piegò un po' più vicino, sollevando un sopracciglio guardando Richard. «Non è stato troppo furbo da parte tua.» Richard lanciò un'occhiata all'uomo. «E questo cosa significa?» «Abbiamo quasi perso oggi.» «Quasi non vuol dire nulla. Non si pareggia, a Ja'La. Si vince o si perde. Noi abbiamo vinto. Questo è l'importante.» John la roccia indietreggiò un po' al tono di Richard. «Se lo dici tu, Ruben. Ma, se posso chiedertelo, cos'è successo?» «Ho commesso un errore.» Richard raccolse una piccola pietra semisepolta nel terreno duro e secco. John la roccia masticò mentre ci pensava su. «Non ti ho mai visto fare un errore del genere prima.» «Succede.» Richard era arrabbiato con sé stesso per aver commesso uno sbaglio del genere e aver perso la concentrazione in quel modo. Non avrebbe dovuto farlo. Avrebbe dovuto reagire meglio. «Se tutto va bene,
non farò errori domani. E quello il giorno importante, quello che conta. Spero di non fare errori domani.» «Anch'io lo spero. Abbiamo fatto tanta strada.» John la roccia agitò il tozzo pezzo di prosciutto verso Richard per aggiungere enfasi alla sua argomentazione. «Non vinciamo solo partite, ma conquistiamo anche tifosi. Un sacco di uomini fanno il tifo per noi ora. Un'altra vittoria e saremo campioni. Allora tutta la folla esulterà per la nostra squadra.» Richard lanciò un'occhiata alla sua ala. «Hai visto quanto sono grossi gli uomini della squadra di Jagang?» «Non devi aver paura.» John la roccia fece guizzare un mezzo sorriso. «Anch'io sono grosso. Ti proteggerò io, Ruben.» Richard non riuscì a trattenersi dal sorridere insieme al suo compagno. «Grazie, John la roccia. So che lo farai. Lo fai sempre.» «Anche Bruce.» Richard sospettò che fosse proprio così. Quell'uomo era un soldato dell'Ordine Imperiale, ma era anche un membro di una squadra forte con una grossa reputazione - la squadra di Ruben, come molti dei suoi uomini la chiamavano. Non la chiamavano così di fronte al comandante Karg, però. Gli spettatori li chiamavano la squadra rossa e il comandante Karg la definiva la sua squadra, ma fra i giocatori era 'la squadra di Ruben'. Lui era la loro punta. Erano giunti a fidarsi di lui. Bruce, come altri dei soldati tra loro, all'inizio era stato riluttante a portare i simboli di vernice rossa, ma ora li mostrava con orgoglio. Gli altri soldati lo acclamavano quando entrava in campo. «La partita di domani sarà... pericolosa, John.» John la roccia annuì con aria scaltra. «Intendo fare in modo che lo sia.» Richard sorrise ancora. «Guardati le spalle, d'accordo?» «Il mio compito è guardare le spalle a te.» Richard rigirò la piccola pietra che aveva estratto dal terreno nel suo pugno lento mentre sceglieva con attenzione le parole. «Arriva un tempo in cui un uomo deve guardarsi le spalle da solo. Ci sono delle volte in cui...» «Arriva Faccia di serpente.» Richard si interruppe a quell'avvertimento a bassa voce. Alzò lo sguardo e vide il comandate Karg che marciava attraverso la fila di guardie. Non sembrava contento. Richard gettò via la pietra e si appoggiò all'indietro sulle mani mentre il comandante Karg si fermava proprio sopra di lui. Della polvere si sollevò
attorno agli stivali dell'uomo. Lanciò un'occhiataccia a Richard mentre piantava i pugni sulle anche. «Cos'è accaduto oggi, Ruben?» Richard scrutò i tatuaggi delle scaglie di serpente, appena visibili nella luce che svaniva. «Non hai apprezzato la nostra vittoria?» Invece di rispondere, il comandante rivolse la sua occhiataccia a John la roccia. John la roccia ricevette il messaggio e sgattaiolò via, oltre il lato opposto del carro, finché non iniziò a tirare la sua catena e non poté andare oltre. Il comandante si accovacciò di fronte a Richard. I tatuaggi delle scaglie si mossero in modo tale da sembrare a Richard una vera pelle di serpente. «Sai cosa intendo. Cos'era quella sciocchezza?» «Mi hanno sbatacchiato. È quello che l'altra squadra cerca sempre di fare. Di tanto in tanto deve accadere.» «Ti ho visto fare del tuo meglio e non riuscire a segnare solo per poco, oppure fare ogni sforzo possibile per schivare una carica di placcatori e non riuscire a evitarli del tutto, ma non ti ho mai visto commettere uno stupido errore.» «Mi spiace» disse Richard. Non riusciva a capire il motivo di quella discussione. «Voglio sapere perché.» Richard scrollò le spalle. «Come hai detto, si è trattato di uno stupido errore.» Richard era più adirato con sé stesso di quanto il comandante potesse comprendere. Non avrebbe potuto permettersi un errore del genere il giorno successivo. «Abbiamo vinto, però, quindi ciò significa che giocheremo contro la squadra dell'imperatore. È quello che ti ho promesso: che avrei portato la tua squadra a un incontro con quella dell'imperatore.» Il comandante alzò gli occhi, osservando le prime stelle della notte per un momento, prima di parlare. «Ti ricordi quando sei stato catturato, vero?» «Mi ricordo.» Abbassò di nuovo gli occhi per guardare fisso Richard. «Allora ti ricordi che di regola avresti dovuto essere ucciso quel giorno. Ti ho lasciato vivere a condizione che facessi del tuo meglio per far vincere alla mia squadra questo torneo. Oggi, quello non era il tuo meglio. Hai quasi gettato via l'opportunità che la mia squadra vincesse con una stupida mossa.» Richard non si ritrasse dallo sguardo dell'uomo. «Non preoccuparti, comandante. Domani farò del mio meglio. Lo prometto.»
«Bene.» Faccia di serpente finalmente sorrise, anche se era solo una fredda increspatura della bocca. «Bene. Vinci domani, Ruben, e otterrai la tua donna.» «Lo so.» Il sorriso si fece scaltro. «Vinci domani e io otterrò la mia donna.» Richard non era davvero interessato. «Ma davvero?» Il comandante Karg annuì. «Se vinciamo, quella bionda formosa con l'imperatore Jagang sarà mia.» Richard alzò lo sguardo con un cupo cipiglio. «Di cosa stai parlando? Jagang non ti permetterà di avere una persona del genere, una donna che considera sua.» «Ho fatto una piccola scommessa con l'imperatore. È talmente fiducioso che la sua squadra vincerà che gli ho fatto scommettere sul risultato la donna che apprezza di più. Il suo nome è Nicci. Lui la chiama la sua Schiava Regina. Jagang non vuole che io gliela vinca: è una sorta di... ossessione per lui. Ma penso che tu possa vincerla per me.» I suoi occhi si concentrarono nei suoi intimi pensieri lussuriosi. «Mi piacerebbe molto... ma suppongo che non piacerebbe altrettanto a Jagang.» Ritornò all'argomento in questione e agitò un dito verso il volto di Richard. «Farai meglio a vincere anche per te stesso.» «Per poter scegliere anch'io una donna?» «Per poter vivere. Perdi domani e avrai quella morte che avrei dovuto darti dopo che hai ucciso tutti quei miei uomini.» Lo scaltro sorriso del comandante Karg ritornò. «Ma se vinci, potrai sceglierti una donna, come promesso.» Richard incontrò gli occhi dell'uomo con uno sguardo torvo. «Ho già promesso che farò del mio meglio domani. Io mantengo sempre le mie promesse.» Il comandante annuì. «Bene. Vinci domani, Ruben, e saremo tutti felici.» Ridacchiò. «Be', Jagang non sarà felice... neanche un po'. Ripensandoci, penso che neanche Nicci ne sarà troppo felice, ma la cosa non mi importa proprio.» «E l'imperatore? Non pensi che a lui importerà?» «Oh, ma certo che gli importerà.» Karg ridacchiò. «Jagang impazzirà quando dovrà lasciarmi Nicci. Ho alcuni conti da regolare con quella donna. Intendo spassarmela.» Richard riuscì a rimanere in silenzio e sembrare calmo, malgrado il fatto che avrebbe voluto avvolgere la catena attorno al collo dell'uomo e stran-
golarlo. Il comandante Karg si alzò. «Vinci quella partita, Ruben.» Richard guardò furioso la schiena dell'uomo mentre lo osservava allontanarsi a grandi passi. Non appena fu sicuro che il comandante se ne fosse andato, John la roccia srotolò un bel pezzo di catena per impedire che tirasse il collare attorno alla sua gola e sgattaiolò di nuovo vicino a Richard. «Cos'ha detto, Ruben?» «Vuole che vinciamo.» John la roccia sbuffò una risata. «Ci scommetto. Come padrone della squadra campione può avere tutto ciò che vuole.» «È questo ciò che mi spaventa.» «Cosa?» «Riposati, John. Domani sarà una giornata movimentata.» 30 Richard si svegliò bruscamente da un sonno leggero. Perfino nel profondo della notte, l'accampamento era brulicante di suoni e attività. Dappertutto, sembrava, c'erano uomini che urlavano, ridevano e imprecavano. Il metallo tintinnava, i cavalli nitrivano e i muli ragliavano. In lontananza, Richard poteva vedere la rampa, assieme alle file di uomini e vagoni, illuminate dalle torce. Perfino nel mezzo della notte la costruzione continuava senza posa. Ma non era stato nulla di tutto questo a svegliarlo. Qualcosa di più vicino aveva destato la sua attenzione. Vide delle ombre che scivolavano attraverso l'anello di guardie e il cerchio di bassi carri di rifornimenti che delimitavano la sua prigione. Contò quattro delle scure figure che si muovevano di soppiatto e in silenzio nell'oscurità. Un veloce controllo ai lati ne rivelò un'altra sulla destra. Si domandò se si fossero davvero introdotte non viste o se le guardie le avessero lasciate passare. Dalle dimensioni, Richard sapeva di chi si trattava. Dopo che il comandante Karg gli aveva detto della sua scommessa con Jagang, Richard si era aspettato delle visite. Era l'ultima cosa di cui aveva bisogno, ma non è che avesse molta voce in capitolo. Quello che lo preoccupava davvero era che, incatenato al carro, le sue opzioni erano limitate. Poteva a stento nascondersi. Di certo non poteva
fuggire. Combattere contro cinque uomini, forse più, non era qualcosa che voleva dover fare prima della partita il giorno dopo. Non poteva permettersi di venire ferito, tanto meno ora. Lanciò un'occhiata di lato e vide che John la roccia non era vicino. L'omone giaceva su un fianco, voltato dall'altra parte, dormiva della grossa. Chiamare ad alta voce la sua ala addormentata sarebbe costato a Richard l'unico elemento a suo favore: la sorpresa. Quegli uomini pensavano che fosse addormentato. A quanto ne sapeva Richard, se avesse svegliato John la roccia, i cinque sarebbero potuti andare a tagliargli la gola come prima cosa, in modo da potersi poi lavorare Richard senza temere altre interruzioni. I cinque grossi uomini scivolarono più vicino, formando un semicerchio. Era evidente che sapevano che la sua catena gli avrebbe impedito di scappare, e accerchiarlo gli avrebbe tolto spazio di manovra. Da quanto erano silenziosi, sembrava che pensassero che stava ancora dormendo. Uno di loro, le braccia protese in fuori per stare in equilibrio, fece un lungo passo e lanciò un calcio verso la testa di Richard come se stesse calciando via il broc per allontanarlo da un avversario. Richard era pronto. Rotolò di lato poi sferzò il pezzo di catena attorno alla caviglie dell'uomo. Con tutta la sua forza, strattonò indietro la catena. Mandò l'uomo gambe all'aria. Quello atterrò sulla schiena con un tonfo sordo, battendo la testa sul terreno. «In piedi» grugnì uno degli altri ora che sapeva che Richard era sveglio. Richard afferrò un pezzo piegato di catena sul terreno davanti a lui, tenendolo nascosto, ma non si alzò. «Oppure?» chiese. «Oppure ti prendiamo a calci in testa dove ti trovi. Scegli tu: seduto o in piedi, ti faremo male lo stesso.» «E così avete davvero paura, proprio come dicono tutti.» L'uomo esitò per un momento. «Di cosa stai parlando?» «Avete paura di perdere contro di noi domani» disse Richard. «Non abbiamo paura di nulla» disse un'altra delle figure nell'ombra. «Non sareste qui se non aveste paura.» «Non ha nulla a che fare con l'aver paura o altro» insisté il primo uomo. «Stiamo solo eseguendo gli ordini di Sua Eccellenza.» «Ah» disse Richard. «Allora è Jagang che teme che vi battiamo. Questo la dice lunga. Dovrebbe dirla lunga anche a voi, che siamo meglio di voi e non potete vincere in un incontro equo. Anche Jagang lo sa: ecco perché vi
ha mandato, perché non siete abbastanza bravi per batterci a Ja'La.» Quando un altro uomo, imprecando sottovoce per il contrattempo, si allungò per afferrarlo, Richard roteò la sezione avvolta di catena da dietro la schiena più forte che poteva. Colpì l'uomo in pieno volto. Quello cadde a terra, urlando per l'improvvisa scarica di dolore. Mentre un terzo uomo lo attaccava, Richard si lasciò cadere all'indietro sulle spalle. Con tutte le sue forze, scalciò in alto al centro dello stomaco dell'uomo, usando il peso dell'uomo che cadeva contro di lui. Il colpo lo scagliò via e allo stesso tempo gli tolse l'aria dai polmoni. Il primo uomo era già di nuovo in piedi. Quello che si era preso la catena in faccia si stava ancora contorcendo al suolo. L'altro, tenendosi un braccio attorno all'addome, rotolò in piedi, riprendendo fiato, avido di vendetta. Il quarto e il quinto arrivarono da lati opposti. Due degli uomini atterrati erano in piedi, desiderosi di unirsi di nuovo al combattimento. In quattro, caricarono tutti assieme. C'erano troppe mani che cercavano assieme di prendere la catena perché Richard potesse impedir loro di afferrarla. Mentre cercava di tirarla fuori dalla loro portata, uno di questi balzò in avanti e riuscì ad afferrare i pesanti anelli con entrambe le mani. Richard fece roteare la gamba, mandando a gambe all'aria uno degli uomini rimanenti. Atterrò pesantemente su una spalla. Gli altri due afferrarono la catena e poi grugnirono per il pesante sforzo di strattonarla via. Il gioco della catena si tese con uno schiocco. L'improvviso scossone sembrò quasi tagliar via la testa di Richard mentre lo mandava lungo disteso a pancia in giù. Il soffocante dolore alla gola era così violento che per un secondo pensò che il collare di ferro gli avesse sfondato la trachea. Mentre Richard era momentaneamente stordito e lottava contro il crescente senso di panico, uno degli uomini gli diede un calcio nelle costole. Dall'intensità del colpo una parve spezzarsi. Richard cercò di rotolare via, ma quelli strattonarono di nuovo la catena dall'altra direzione, facendo girare il collare di ferro attorno alla sua gola e facendolo cadere all'indietro. Il ferro bruciava mentre gli mordeva la carne. Le guardie in lontananza rimasero dov'erano, a osservare. Non desideravano alcun coinvolgimento. Dopo tutto, quelli erano uomini della squadra dell'imperatore. Richard, rialzandosi in ginocchio, afferrò la catena, tenendola stretta per cercare di impedire loro di usare catena e collare per spezzargli il collo. In tre tirarono con forza. Riuscirono a strattonare Richard fino a fargli perde-
re l'equilibrio e farlo cadere sulla schiena. Uno stivale scese verso la sua faccia. Richard girò la testa di lato appena in tempo. Polvere e terra vorticarono. Pugni e stivali si abbattevano da ogni direzione. Tenendo la catena con una mano, Richard usò l'altra per sbattere indietro un uomo. Bloccò il pugno di un altro e diede a un terzo una gomitata nella coscia, facendolo momentaneamente cadere in ginocchio. Tuttavia, per quanto in fretta poteva bloccare o schivare i loro colpi, altri gli piovevano addosso. Con gli uomini che tenevano la catena tesa, non aveva possibilità di manovra e non osava lasciarla andare del tutto. Richard si accucciò in una posizione difensiva, proteggendo il torso, offrendo un bersaglio più piccolo possibile, afferrando più catena che poteva. Uno sollevò un braccio e scagliò un pugno. Richard lasciò andare la catena e usò l'avambraccio sinistro per deflettere il colpo. Allo stesso tempo, balzò all'interno delle difese dell'uomo e conficcò un gomito nella mascella dell'attaccante con tanta forza da spezzare l'osso. L'uomo barcollò all'indietro. Ora che aveva un po' più di gioco per la catena, Richard si chinò per schivare un pugno e diede un calcio laterale sul ginocchio dell'uomo. Il colpo causò abbastanza danno da cavare un grido di dolore e costringere l'uomo a zoppicare via per mettersi fuori pericolo, ma Richard sfruttò immediatamente l'opportunità per sferrargli un altro calcio sull'altro ginocchio, facendogli piegare le gambe. Mentre rovinava al suolo, Richard gli diede un ginocchiata in faccia. Quando giunse un altro pugno, Richard scartò sulla sinistra e afferrò il polso dell'uomo. Tenendolo in una stretta di ferro, sbatté la sua mano destra di taglio contro il gomito dell'uomo. La giuntura fece uno schiocco. L'uomo urlò mentre tirava via il braccio slogato. Arrivò un altro pugno. Richard lo deviò; poi, mentre l'uomo tentava di assestargliene rapidamente un altro ancora, Richard si spostò, le braccia del bestione si incrociarono impedendogli la fuga, e lui fece leva sul gomito per scagliarlo via. Anche se finora ce l'aveva fatta, era difficile ricacciare indietro quegli uomini, poiché la catena attorno al collo gli impediva di muoversi liberamente. Sapeva, però, che malgrado la difficoltà non poteva far altro che concentrarsi su ciò che era possibile fare. Era difficile combattere quegli uomini perché Richard non osava utilizzare il genere di colpi che avrebbe preferito. Se avesse ucciso qualcuno dei
giocatori dell'imperatore, con tutta probabilità Jagang avrebbe usato la cosa come scusa per accusarlo di omicidio e metterlo a morte. Jagang non aveva certo bisogno di scuse per giustiziare qualcuno, ma la squadra di Richard stava diventando molto popolare, e se lui fosse stato messo a morte, i soldati nell'accampamento si sarebbero insospettiti perché l'imperatore sapeva che la sua squadra non avrebbe potuto battere quella di Richard. Lui a sua volta dubitava che a Jagang importasse l'opinione di qualcuno, ma la scusa dell'omicidio gli avrebbe di certo dato una giustificazione. Con la punta del comandante Karg morta, Jagang non si sarebbe dovuto preoccupare di perdere Nicci. La squadra di Jagang era formidabile e aveva buone possibilità di vittoria, senza Richard come punta non c'erano dubbi che avrebbe vinto. Allo stesso tempo, poteva darsi che Jagang non si preoccupasse di uccidere Richard. Sembrava che i suoi uomini stessero cercando di realizzare quel compito per conto proprio. Non sarebbero stati puniti se avessero ucciso Richard in un combattimento. Quale autorità l'avrebbe mai saputo, tranne il comandante Karg? E Richard pensava che nemmeno Karg avrebbe osato fare un caso di un prigioniero morto in una rissa. Capitava molto spesso che gli uomini nell'accampamento morissero durante le zuffe. Tali risse erano piuttosto diffuse e, per quanto ne sapeva Richard, solo di rado venivano punite. Questa sarebbe stata spacciata per una lite finita male. Peggio ancora, se Richard fosse stato ucciso, Kahlan non avrebbe avuto alcuna possibilità. Sarebbe rimasta per sempre in balia dell'incantesimo della Catena di fuoco, un fantasma vivente della sua passata identità. Quel solo pensiero spinse Richard a lottare con furia, anche se doveva stare attento a colpire con l'intento di fermare e non di uccidere. Trattenere i colpi non era affatto facile nella foga di un combattimento per la sua stessa vita, e Richard ne stava prendendo tante quante ne stava dando. Quando uno degli uomini gli tirò di nuovo un pugno, Richard gli afferrò il braccio. Grugnendo per lo sforzo, si chinò sotto il braccio teso, glielo torse e fece crollare l'uomo al suolo. Quando anche Richard venne sbattuto a terra, raccolse un pezzo di catena e la fece roteare, sferzando la faccia di uno dei suoi avversari. Il suono dell'acciaio contro carne e ossa fu disgustoso. Un altro uomo assestò a Richard un calcio tanto forte da togliergli l'aria dai polmoni. I colpi che Richard stava subendo lo stavano spossando. Anche se il combattimento era cominciato solo pochi momenti prima, sembravano ore. Lo sforzo furibondo di difendersi lo stava stremando.
Proprio quando un altro uomo gli stava balzando addosso, questi venne strattonato indietro all'improvviso. John la roccia aveva tirato un cappio con la sua catena attorno al collo dell'uomo. Mentre quello cercava di afferrare la catena, dibattendosi per respirare, John la roccia lo tirò via da Richard. In una furia di pugni, calci e colpi di catena, John la roccia aiutò Richard a respingere gli uomini. Qualcun altro, urlando minacce infuriate, apparve nell'oscurità, accorrendo attraverso l'anello di guardie. Richard era così occupato a ricacciare indietro gli aggressori, cercando di deviare una gragnuola di pugni, che non riuscì a capire chi fosse. Tutt'a un tratto, il nuovo venuto afferrò uno di loro per i capelli e lo gettò all'indietro. Alla luce delle torce vicine, Richard vide le scaglie tatuate. Il comandante Karg urlò ai cinque uomini che erano dei codardi e li minacciò di farli decapitare. Li prese a calci mentre ordinava loro di andarsene dagli alloggi della sua squadra. Tutti e cinque si rialzarono faticosamente in piedi e svanirono in modo repentino nella notte. All'improvviso era tutto finito. Richard giacque nel fango, non cercando neanche di alzarsi. Il comandante Karg puntò con rabbia un dito verso le guardie. «Se lasciate passare qualcun altro, vi farò scuoiare vivi! Capito?» Le guardie che si trovavano presso l'anello di carri, con aria imbarazzata e preoccupata, risposero che avevano capito. Giurarono che nessun altro si sarebbe introdotto. Mentre se ne stava steso ad ansimare per il dolore, cercando di riprendere fiato, Richard non udì quasi le urla del comandante. Il combattimento era stato breve, ma i colpi sferrati dai vigorosi uomini della squadra di Jagang gli avevano arrecato danno. John la roccia si inginocchiò, aiutando Richard a spostarsi sulla schiena. «Ruben, va tutto bene?» Richard mosse con cautela le braccia, sollevò le ginocchia e ruotò il piede con circospezione, saggiando la sua caviglia pulsante, valutando gli arti per vedere se tutti funzionavano e se poteva muovere tutto quanto. Gli faceva male dappertutto. Era piuttosto certo di non essere azzoppato, ma non cercò ancora di alzarsi. Non pensava che in quel momento ci sarebbe riuscito. «Penso di sì» disse. «Tutto questo per cosa?» John la roccia pretese di sapere da Faccia di serpente.
Il comandante Karg scrollò le spalle. «Ja'La dh Jin.» A quella risposta, John la roccia esitò per la sorpresa. «Ja'La dh Jin?» «È il Gioco della Vita. Cosa ti aspetti?» Dal suo sguardo profondamente accigliato, a quanto pareva John la roccia non aveva capito. Richard sì. Il Gioco della Vita comprendeva molto più di quello che accadeva in campo. Includeva tutto ciò che circondava la partita: ciò che veniva prima e ciò che veniva dopo. Prima era strategia e intimidazione, gioco in campo, e poi ciò che derivava dal risultato di quella partita. Per via delle ricompense dopo la partita, ciò che accadeva prima diventava parte del gioco stesso. Il Ja'La dh Jin non era soltanto l'incontro sul campo: racchiudeva tutto quanto. La vita consisteva nella sopravvivenza. Vivere, morire... tutto dipendeva da ciò che facevi. Tutto ciò che importava era sopravvivere. Questo rendeva tutto quanto parte del gioco, proprio come tutto quanto nella vita importava. Una delle civili al seguito che accoltellava un giocatore della squadra avversaria in modo che la sua potesse vincere, dipingere gli uomini con la vernice rossa oppure spaccare la testa della punta dell'altra squadra nel mezzo della notte... tutto faceva parte del gioco. Se volevi vivere, dovevi lottare. Era semplice. Quello era il Gioco della Vita. Vita e morte erano la realtà che contava, non il seguire un insieme di regole prestabilite. Se morivi perché non riuscivi a difenderti, non potevi chiamare il fallo dopo essere morto. Dovevi combattere per la tua stessa vita, lottare per vincere, a prescindere dalle circostanze. Il comandante Karg si alzò. «Riposate un po', tutti e due. Domandi si deciderà se vivrete o morirete.» L'uomo si diresse verso l'anello di guardie, sbraitando contro di loro mentre passava. «Grazie, John» disse Richard dopo che il comandante se ne fu andato. «Sei apparso giusto in tempo.» «Te l'ho detto che ti avrei guardato le spalle.» «Ti sei comportato bene, John la roccia.» John la roccia sorrise. «Tu pensa a comportati bene domani. Eh, Ruben?» Richard annuì riprendendo fiato. «Lo prometto.» 31
Verna alzò lo sguardo quando la Mord-Sith fece il giro della piccola scrivania e si fermò. «Cosa c'è, Cara?» «Nessuna novità nel libro di viaggio?» Verna fece un profondo sospiro e poggiò i rapporti di sorveglianza che stava esaminando. Indicavano che c'era una crescente attività intorno agli incontri di Ja'La nell'accampamento dell'Ordine. Verna si ricordò di quella che sembrava una vita fa, al Palazzo dei Profeti, quando per la prima volta Warren le aveva raccontato tutto sul Giorno del Ja'La, su come l'imperatore Jagang stesse diffondendo il Ja'La dh Jin in tutto il Vecchio Mondo. Warren aveva studiato quel gioco e ne sapeva un bel po' al riguardo. Si rese conto che non stava tanto leggendo i rapporti ma pensando a Warren. Come le mancava. Come le mancavano così tante persone perse in quella guerra. «No, temo di no» disse Verna. «Ho lasciato un messaggio nel libro di viaggio, nel caso in cui Ann dia un'occhiata al suo, ma non ha ancora risposto.» Cara picchiettò un dito insistente sulla scrivania. «È evidente che è successo qualcosa a Nicci e Ann.» «Non posso che concordare.» Verna allargò le braccia. «Ma non possiamo farci niente se non sappiamo nemmeno cosa è accaduto. Cosa possiamo fare? Dove possiamo cercare? Abbiamo perlustrato il palazzo ma è tanto vasto che non si può dire quanti posti potremmo aver tralasciato.» L'espressione di Cara era in parte di rabbia, in parte di impazienza. Aggiungendo anche che Richard non si trovava da nessuna parte, Verna comprendeva fin troppo bene come si sentiva la donna. «Le tue Sorelle non hanno trovato nulla di inconsueto?» Verna scosse il capo. «Le altre Mord-Sith?» «Nulla» disse Cara sottovoce tornando a camminare su e giù. Rimuginò sulla situazione per un momento, poi si voltò di nuovo verso Verna. «Penso ancora che, qualunque cosa sia accaduta, dev'essere successa la notte che sono andate giù nella tomba.» «Non dico che tu abbia torto, Cara, ma non siamo nemmeno sicure che siano arrivate fino alle tombe. E se avessero cambiato idea per qualche motivo e fossero andate prima da qualche altra parte? E se qualcuno avesse portato ad Ann un messaggio o qualcosa del genere e si fossero precipitate altrove? E se fosse successo qualcosa prima ancora che arrivassero alla tomba?»
«Non penso» disse Cara incrociando le braccia e continuando a camminare. «Penso ancora che ci sia qualcosa di sbagliato laggiù. Qualcosa nelle tombe non mi torna.» Verna non chiese cosa potesse essere 'sbagliato'. L'aveva già fatto senza risultato. Cara non sapeva cosa c'era di sbagliato. Aveva semplicemente la vaga sensazione che giù nelle tombe ci fosse qualcosa che non andava. «La tua sensazione non ci dà molto da cui procedere. Forse se fosse qualcosa di un po' più specifico.» «Credi che non abbia provato a pensare quale possa esserne la causa?» Verna osservò Cara camminare lentamente. «Be', se non sai cosa ti dà questa sensazione su quel luogo, forse c'è qualcun altro che potrebbe sapere perché pensi che ci sia qualcosa di sbagliato laggiù.» «Una persona del genere potrebbe essere lord Rahl. Dice sempre di pensare alla soluzione, non al problema.» Cara sospirò. «Ma laggiù non va mai nes...» Girò su sé stessa e schioccò le dita. «Ma certo!» Verna si accigliò con aria diffidente. «Che cosa?» «Qualcuno che conosce il posto.» «Chi?» Cara poggiò entrambe le mani sulla scrivania e si sporse con un sorriso scaltro. «Il personale della cripta. Darken Rahl aveva incaricato delle persone di prendersi cura delle tombe, di quella di suo padre, perlomeno.» «Cosa stai dicendo sulle tombe?» chiese Berdine entrando nella stanza. Nyda, un'alta Mord-Sith bionda con gli occhi azzurri era con lei. Verna vide Adie dietro di loro. «Mi è appena venuto in mente che il personale della cripta conosce le tombe» disse Cara. Berdine annuì. «Probabilmente hai ragione. Alcune delle scritte giù nelle tombe sono in D'Hariano Alto, perciò Darken Rahl mi portava spesso lì con lui per aiutarlo con passi che aveva difficoltà a tradurre. «Darken Rahl era piuttosto pignolo su come ci si dovesse occupare della tomba di suo padre. Fece giustiziare delle persone per non essersi prese adeguatamente cura di quel luogo. Della tomba di suo padre, perlomeno.» «Sono solo cripte di pietra.» Verna era incredula. «Non c'è nulla laggiù: né mobili, né arazzi, né tappeti. Su cosa si può essere pignoli?» Berdine appoggiò un'anca contro la scrivania mentre incrociava le braccia e si chinava come se avesse pettegolezzi in abbondanza. «Be', per dirne una, insisteva che ci fossero sempre rose bianche fresche nei vasi. Dovevano essere di un bianco puro. Esigeva anche che le torce
rimanessero sempre accese. Il personale della cripta non doveva permettere che un petalo di rosa rimanesse sul pavimento o che una torcia si spegnesse fino a raffreddarsi prima di rimpiazzarla con una nuova accesa. «Se Darken Rahl visitava la cripta di suo padre e vedeva un petalo di rosa sul pavimento o una delle torce spente, andava su tutte le furie. Membri del personale della cripta vennero decapitati per questo genere di infrazioni, perciò, come potete immaginare, erano piuttosto scrupolosi sui propri compiti laggiù. Devono avere familiarità con quel posto.» «Allora dobbiamo andare a fare una chiacchierata col personale della cripta» disse Verna. «Puoi provarci,» fece Berdine «ma non penso che avranno molto da dire.» Verna si alzò. «Perché no?» «Darken Rahl temeva che potessero parlar male del suo defunto padre mentre erano nella cripta,» Berdine con due dita fece un movimento come di forbici «così ha fatto tagliar loro la lingua.» «Dolce Creatore» bisbigliò Verna toccandosi la fronte con le dita. «Quell'uomo era un mostro.» «Darken Rahl è morto da molto,» disse Cara «ma gli inservienti della cripta devono essere ancora in giro. Di certo conoscono quel posto meglio di chiunque.» Si diresse verso la porta. «Andiamo a vedere cosa riusciamo a scoprire.» «Penso che tu abbia ragione» concordò Verna aggirando la scrivania. «Se siamo in grado di ottenere qualche informazione da loro, almeno risolverà la questione. Se c'è davvero qualcosa di sbagliato laggiù, allora ci occorre saperlo. Altrimenti, dovremo dirigere i nostri sforzi altrove.» Adie prese il braccio di Verna. «Essere venuta solo per dire te che io partire.» Verna sbatté le palpebre dalla sorpresa. «Partire? Perché?» «Preoccupare me che nessuno essere al Mastio del Mago. «E se Richard andare lì per cercare il nostro aiuto? Dovere sapere cosa stare accadendo. Dovere sapere che Mastio essere stato chiuso. Dovere sapere cosa avere fatto Nicci nel mettere in campo scatole in suo nome. Dovere sapere che Ann e Nicci essere sparite. Potere perfino avere bisogno di qualcuno con dono. Dover essere lì qualcuno se lui comparire al Mastio.» Verna fece un gesto verso ovest prima di fissare gli occhi completamente bianchi di Adie. «Ma il castello è sigillato. Dove alloggerai?» Il largo sorriso di Adie ricacciò indietro una rete di rughe fini. «Aydin-
dril essere deserta. Palazzo delle Depositarie essere vuoto. Non mi mancare di certo un tetto. Inoltre, io essere a casa nei boschi, non in questo» agitò un dito verso ciò che la circondava «questo posto. Indebolire mio dono proprio come altre persone con dono tranne un Rahl. Io avere difficoltà a usare il mio dono qui per poter vedere. Io essere a disagio qui. Io preferire fare qualcosa che stare qui, inutile nelle tenebre che questo posto causare.» «Non sei certo inutile» obiettò Verna. «Sei stata d'aiuto con molte cose che abbiamo trovato nei libri.» Adie sollevò una mano per farla tacere. «Tu potere aver scoperto senza di me. Io essere inutile qui. Essere una vecchia d'impaccio.» «Questo non è affatto vero, Adie. Tutte le Sorelle stimano la tua conoscenza. Me l'hanno detto.» «Forse, ma io stare meglio se avere uno scopo invece di girovagare per questo, questo» di nuovo fece un gesto vago attorno a sé «grande labirinto di pietra.» Verna si lasciò convincere mestamente. «Capisco.» «Mi mancherai» disse Berdine. Adie annuì. «Vero. E anche tu e conversazioni con te mancare me, figliola.» Cara scoccò un'occhiata sospettosa a Berdine ma non disse nulla. Adie allungò un braccio e afferrò la spalla di Nyda. «Nyda essere qui per te.» «Non preoccuparti, le terrò compagnia io» disse Nyda fissando Berdine. «Non lascerò che si intristisca.» Berdine sorrise con gratitudine a Nyda e annuì verso Adie. «Siamo circondati da più nemici delle stelle nel cielo» disse Cara. «Come vi aspettate che una donna cieca possa passare in mezzo a tutti loro?» Adie serrò le labbra raccogliendo le idee. «Richard Rahl essere un uomo sveglio, mmm?» Cara parve sorpresa dalla domanda, ma rispose comunque. «Sì.» Incrociò le braccia. «Talvolta fin troppo per il suo stesso bene.» Adie sorrise a quest'ultima affermazione. «Lui essere sveglio, quindi tu seguire sempre i suoi ordini?» Cara sbuffò una breve risata. «Certo che no.» Le sopracciglia di Adie si sollevarono in un finto stupore. «No? Perché no? Essere tuo capo. Tu appena detto che lui essere un uomo sveglio.» «Sveglio, sì. Ma non vede sempre il pericolo attorno a lui.» «Ma tu sì?»
Cara annuì. «Io vedo i pericoli che lui non può vedere.» «Ah. Quindi tu potere vedere pericoli che suoi occhi con vista non potere?» Cara sorrise. «Talvolta lord Rahl è cieco come un pipistrello.» «Anche pipistrelli vedere nel buio, no?» Cara sospirò tristemente. «Suppongo di sì.» Tornò all'argomento in discussione. «Ma lord Rahl ha bisogno di me per vedere quei pericoli attorno a lui che non può vedere.» Con un lungo, esile dito, Adie picchiettò la tempia di Cara. «Tu vedere con questo, sì? Vedere pericoli per lui?» Adie inarcò un sopracciglio. «Vedere pericoli che solo occhi vedere? Talvolta non avere occhi permettere me di vedere di più.» Cara si accigliò. «Questo è vero e può andar bene, tuttavia come pensi di poter superare l'esercito dell'Ordine? Di certo non puoi pensare di provare a camminare attraverso il loro campo.» «Essere esattamente quello che dovere fare.» Adie sventolò un dito verso il soffitto. «Essere nuvoloso oggi. Stanotte essere notte buia. Con nuvole spesse, appena sole tramontare e prima che luna sorgere, essere nero come pece. In una notte del genere, quelli con occhi non potere vedere, ma io riuscire a vedere al buio come loro non potere. Io essere in grado di camminare fra loro e loro non vedere me. Se io stare in silenzio e lontano da quelli svegli e vigili, io essere nulla più di un'ombra fra le ombre. Nessuno prestare me attenzione.» «Hanno dei fuochi» fece notare Berdine. «Il fuoco accecare i loro occhi a quello che essere nel buio. Quando ci essere fuoco, uomini guardare quello che essere nella luce, non quello che essere nel buio.» «E se per caso qualcuno di quei soldati ti vede, o ti sente, o qualcos'altro?» chiese Cara. «Allora cosa?» Adie sorrise appena mentre si sporgeva verso la Mord-Sith. «Tu non volere incontrare un'incantatrice nel buio, figliola.» Cara parve abbastanza preoccupata dalla risposta da non obiettare. «Non so, Adie» disse Verna. «Preferirei davvero che tu fossi qui, al sicuro.» «Lasciala andare» disse Cara. Quando tutti la guardarono sorpresi, lei proseguì. «E se ha ragione? E se lord Rahl compare al Mastio? Avrà bisogno di sapere tutto quello che è accaduto. Avrà bisogno di sapere di non entrare nel Mastio o potrebbe es-
sere ucciso dalle trappole che ha predisposto Zedd. «E se a lord Rahl serve il suo aiuto? Se lei pensa di potergli essere utile, allora dovrebbe essere lì per lui. Io non vorrei che qualcuno mi impedisse di aiutarlo.» «Inoltre,» disse Berdine scambiando un'occhiata con l'anziana incantatrice «non c'è nulla di sicuro in questo posto. Probabilmente sarà più al sicuro di ognuno di noi qui. Quando quell'esercito laggiù riuscirà infine a entrare a palazzo, qui sarà tutto fuorché sicuro. Sarà un lungo, sanguinoso incubo.» Adie sorrise allungando la mano per toccare la guancia di Berdine. «I buoni spiriti vegliare su di te, figliola, e su tutti quelli qui.» Verna desiderò poterci credere. Si chiese come poteva essere la Priora delle Sorelle della Luce se non ci riusciva. 32 Mentre finiva gli ultimi ritocchi alle loro rosse pitture da battaglia, Richard cercò di non lasciar vedere agli uomini quant'erano dolorose le sue ferite. Non voleva che nulla li distraesse dal compito che li attendeva. La sua caviglia pulsava, la spalla sinistra gli faceva male e i colpi che aveva ricevuto in testa gli avevano lasciato i muscoli del collo doloranti. Dopo il breve ma furibondo combattimento, non era riuscito a dormire molto. Per quello che poteva capire, però, non aveva nulla di rotto. Mentalmente mise da parte il dolore e la spossatezza. Non importava se fosse ferito o stanco. Aveva un lavoro da compiere. Importava solo farlo, riuscirci. Se avesse fallito, avrebbe avuto l'eternità per dormire. «Oggi abbiamo la nostra occasione di gloria» disse John la roccia. Richard, reggendo il mento di John la roccia, voltò la testa dell'uomo un poco da un lato in modo da poter vedere meglio nella luce del tramonto. Non disse nulla. Si chinò da un lato e inzuppò il dito nel secchio di vernice rossa, poi aggiunse un simbolo di vigilanza sopra quello di potenza che era già lì. Desiderò conoscere un simbolo per il buon senso, in modo da poterlo pitturare su tutto il cranio di John la roccia. «Non pensi, Ruben?» John la roccia incalzò. «Oggi non abbiamo la nostra occasione di gloria?» Il resto degli uomini ascoltò in silenzio cosa aveva da dire Richard.
«Sai che non è così, John la roccia. Togliti questi pensieri dalla testa.» Richard interruppe il suo lavoro e fece scorrere un dito, ricoperto di fresca vernice rossa, verso tutti gli occhi che lo osservavano. «Tutti voi sapete che non è così, o almeno dovreste. Dimenticatevi della gloria. Quegli uomini della squadra dell'imperatore non stanno pensando alla gloria, ora: stanno pensando di uccidervi. Lo capite? Vogliono uccidervi. «Questo è un giorno in cui dobbiamo combattere per sopravvivere. Questa è la gloria che voglio: la vita. Questa è la gloria che voglio per tutti voi. Voglio che viviate.» La faccia di John la roccia si contrasse dall'incredulità. «Ma, Ruben, dopo che quegli uomini hanno cercato di fracassarti la testa la scorsa notte, devi voler regolare i conti.» Tutti gli uomini sapevano dell'aggressione. John la roccia gli aveva raccontato tutto al riguardo, e come la loro punta aveva ricacciato indietro cinque di quegli energumeni tutto da solo. Richard non aveva discusso la faccenda, ma non voleva svelare quanto gli faceva male. Voleva che si preoccupassero della propria pelle, non che si chiedessero se lui poteva essere all'altezza del suo compito. «Sì, io voglio vincere,» disse Richard «ma non per la gloria o per regolare un conto. Io sono un prigioniero. Sono stato portato qui per giocare. Se vinciamo io vivo, è semplice. Questo è tutto ciò che importa davvero: vivere. I giocatori di Ja'La, prigionieri e soldati, muoiono durante le partite tutte le volte; in quel senso siamo uguali. L'unica vera gloria nel vincere queste partite consiste nel vivere.» Alcuni degli altri prigionieri annuirono il loro assenso. «Non sei nemmeno un po' preoccupato di sconfiggere la squadra dell'imperatore?» chiese Bruce, la sua ala sinistra. «Battere la squadra dell'imperatore potrebbe non essere la cosa giusta da fare. Dopo tutto, rappresentano il potere dell'Ordine Imperiale e l'imperatore. Batterli potrebbe essere visto come superbo e arrogante, perfino sacrilego.» Tutti gli occhi si voltarono verso Richard. Richard incontrò lo sguardo dell'uomo. «Pensavo che secondo gli insegnamenti dell'Ordine tutti fossero uguali.» Bruce lo fissò a sua volta per un momento. Infine un sorriso si allargò sul suo volto. «Su questo hai ragione, Ruben. Sono solo uomini, come noi. Suppongo che dovremmo vincere, allora.» «Suppongo di sì» disse Richard.
A queste parole, proprio come Richard gli aveva insegnato, tutti, come un sol uomo, emisero un rombo collettivo di approvazione, un breve, profondo fragore di spirito di squadra. Era una piccola cosa, ma serviva a legare gli uomini, a far loro sentire che, pur essendo tutti individui molto diversi, avevano un obiettivo comune. «Ora,» proseguì Richard «non abbiamo visto la squadra dell'imperatore giocare, quindi non conosciamo le loro tattiche, ma loro ci hanno osservato. A quanto ho potuto capire, le squadre di solito non cambiano il loro modo di giocare, quindi si aspetteranno le stesse mosse che ci hanno visto fare in passato. Questo sarà uno dei nostri vantaggi. «Ricordatevi dei nuovi schemi che abbiamo stabilito per ogni segnale. Non ritornate ai vecchi schemi per un segnale o sarà la nostra rovina. Le nuove tattiche sono la nostra miglior occasione per prenderli alla sprovvista. Concentratevi nel fare la vostra parte in ognuna di queste manovre. È questo che ci farà ottenere punti. «Ricordatevi anche che questi uomini, oltre a voler vincere, cercheranno di farci male. Le squadre contro cui abbiamo giocato sapevano che, di quante ce ne davano, ne avrebbero prese il doppio. Questi uomini sono diversi. Sanno che se perderanno verranno messi a morte, proprio come l'ultima squadra dell'imperatore quando ha perso. Non hanno incentivi a giocare pulito. Hanno tutti gli incentivi a cercare di strapparci la testa. «Non ho alcun dubbio che cercheranno di uccidere i nostri giocatori, perciò state pronti.» «Tu sei quello che cercheranno di uccidere» fece notare Bruce. «Tu sei la punta. Sei tu quello che devono fermare. Hanno perfino tentato di eliminarti la scorsa notte in modo che non raggiungessi il campo di Ja'La.» «Questo è vero, ma come punta ho almeno te e John la roccia a proteggermi. Molti di voi non hanno alcuna protezione tranne il proprio buon senso e abilità. Penso anche che possano prendere come bersaglio qualcuno di voi, prima, perciò non abbassate la guardia neanche per un secondo. Tenetevi d'occhio a vicenda e intervenite, se necessario.» In lontananza Richard poteva udire la ritmica cantilena di innumerevoli soldati desiderosi che l'incontro cominciasse. Sembrava che il clamore provenisse dall'intero accampamento. Richard sospettò che ogni uomo non costretto a lavorare sulla rampa, pur non in grado di vedere l'incontro, probabilmente sarebbe stato in attesa che le notizie gli venissero riferite. Più spettatori del solito avrebbero potuto vedere quella partita perché
l'imperatore aveva ordinato alle squadre di lavoro, che avevano comunque bisogno di materiale per la rampa, di scavare terra da una vasta area per creare un incavo nella piana di Azrith. Il nuovo campo di Ja'La, con i suoi lati in gentile pendenza, avrebbe permesso a molti più uomini di prima di assistere alle partite. Richard aveva pensato che il loro incontro con la squadra dell'imperatore si sarebbe tenuto quel pomeriggio, che a quell'ora avrebbe dovuto essere già finito, ma il giorno era trascorso mentre altre squadre giocavano partite per arrivare all'incontro per il campionato. Dopo tutto, le partite erano uno spettacolo per i soldati. Il nuovo campo di Ja'La, proprio sotto il Palazzo del Popolo, era l'affermazione dell'imperatore che l'Ordine era lì per rimanere e ora possedeva quel luogo. Richard alzò lo sguardo verso il plumbeo cielo coperto. Gli ultimi leggeri bagliori violetti del tramonto erano svaniti. Sarebbe stata una notte buia. Richard non aveva calcolato che la partita sarebbe cominciata così tardi, ma la notte gli andava benissimo. In effetti, era un inatteso colpo di fortuna di fronte ai monumentali ostacoli di fronte a lui. Era abituato al buio. Come guida dei boschi, aveva spesso camminato per i sentieri con solo la luna e le stelle a illuminargli la strada. Alle volte c'erano solo le stelle. Richard era a suo agio nell'oscurità. Si poteva vedere di più che non usando solo i propri occhi. Mentre per certi versi quei momenti nel bosco sembravano solo giorni addietro, per altri sembrava un'eternità fa, quasi un'altra vita. Era molto distante dalla sua foresta di Hartland. Molto distante dalla pace e dalla sicurezza che conosceva. Molto distante dal tenere la donna che amava fra le sue braccia. Quando Richard stava finendo di dipingere il volto di John la roccia, notò il comandante Karg che si faceva strada attraverso l'anello di guardie. Dopo la loro complicità nel tradimento della notte prima, gli uomini coinvolti se ne stavano bene alla larga dall'ufficiale accigliato. C'erano alcune facce nuove fra le guardie, senza dubbio sentinelle più fidate. Il comandante Karg guidava un reparto di scorta, uomini col compito di sorvegliare i giocatori prigionieri per assicurarsi che giocassero a Ja'La e non facessero altro. Per la maggior parte, però, i soldati erano lì per sorvegliare Richard. Erano le sue guardie speciali. Ultimo a essere liberato dalle sue catene, Richard poté infine massaggiarsi il collo dolorante dopo che il comandante Karg aprì finalmente il suo
collare di ferro. Senza la pesante catena ad affaticarlo, Richard si sentiva leggero, quasi come se potesse svolazzare in aria. Gli dava una sensazione di non avere peso ed essere incredibilmente veloce. Abbracciò quella sensazione, rendendola parte di lui. La cantilena dei soldati in lontananza aveva in sé qualcosa di primordiale. Non lo faceva solo rabbrividire. Faceva venire a Richard la pelle d'oca. Gli spettatori esigevano sangue. Quella notte, avrebbero visti esauditi i loro desideri. Mentre seguivano il comandante Karg che guidava la sua squadra verso il campo di Ja'La, Richard scacciò il rumore crescente dalla sua testa. Trovò un centro silenzioso su cui concentrarsi. Mentre si muovevano nell'accampamento fra passaggi fiancheggiati da torme di soldati, delle mani si allungavano tutt'intorno, cercando di toccare i membri della squadra mentre passavano. Alcuni degli uomini della compagine di Richard sorridevano, salutavano e toccavano le mani tese dei soldati. John la roccia, essendo l'uomo più grosso e più facile da notare, era il centro di buona parte dell'attenzione. Sorrideva, salutava, stringeva mani e si beava di tutto questo mentre marciava. A Richard sembrava che John la roccia non avesse mai voluto altro che l'adorazione della folla. Amava soddisfarla. Parole sia di incoraggiamento sia di odio li investivano da tutte le parti. Richard tenne gli occhi fissi davanti a sé, ignorando i soldati e le grida mentre passava. «Sei nervoso, Ruben?» chiese il comandante Karg voltandosi appena. «Sì.» Karg gli rivolse un sorriso condiscendente. «Passerà quando comincia.» «Lo so» disse Richard guardandolo torvo da sotto le sopracciglia. La vasta depressione del campo di Ja'La era un calderone di rumore, gli spettatori una schiuma di facce sopra un turbolento mare nero. La folla oltre il fitto anello di torce guizzanti all'estremità del campo cantilenava, non parole ma un grugnito gutturale che voleva esprimere non solo incitamento per i giocatori ma per lo spettacolo stesso. A tempo con la cantilena, la folla pestò un piede. Il profondo rumore primordiale poteva non solo essere udito, ma percepito nella terra sotto i piedi di Richard, quasi come un rombo di tuono. L'effetto era assordante e, in un certo senso, inebriante. Era un primitivo richiamo alla violenza. Richard era già perso in quelle sensazioni. Lasciò che quei suoni rozzi e
selvaggi alimentassero quelle passioni che aveva già liberato dentro di sé. Mentre si faceva strada fra le ribollenti masse umane, era nel suo mondo personale, perso nei suoi impulsi interiori. Il comandante Karg fece fermare la squadra a una delle estremità del campo proprio prima delle torce. Richard vide degli arcieri, con le frecce incoccate, posizionati tutt'intorno al campo. Vicino a centrocampo, alla sua destra, notò l'area riservata all'imperatore. Jagang non era lì. Le interiora di Richard si serrarono in un nodo di panico. Aveva pensato che di certo Jagang avrebbe presenziato a quella partita, che Kahlan sarebbe stata accanto a lui. Ma la sezione delimitata era vacante. Richard tenne a freno le sue emozioni, accantonando il proprio disappunto. Jagang non avrebbe perso quella partita. Prima o poi sarebbe comparso. Quando la squadra dell'imperatore apparve a grandi passi dal lato opposto del campo, la folla proruppe in un tonante ruggito. Quegli uomini erano il meglio che l'Ordine avesse da offrire: degli eroi per innumerevoli migliaia di spettatori. Capaci di sbaragliare chiunque di fronte a loro, erano giocatori che schiacciavano tutti gli avversari, campioni che più di ogni altro meritavano la vittoria. Molti li vedevano come una rappresentazione tangibile della loro potenza e virilità. Mentre Richard e i suoi attendevano oltre le torce, i membri dell'altra squadra, che sembrava non solo determinata ma pericolosa, camminarono impettiti attorno al perimetro del campo, prendendo atto del ruggito della folla con nient'altro che occhiate assetate di sangue. La folla amava quell'espressione di odio e minaccia, di ciò che sarebbe seguito. Quando la squadra dell'imperatore ebbe terminato il giro del campo e si fu infine radunata dall'altro lato per attendere gli sfidanti, gli arcieri e le altre guardie incaricate si separarono. Il comandante Karg fece cenno a Richard e alla sua squadra di procedere attraverso lo spazio nella fila. Mentre Richard passava, il comandante gli sussurrò che avrebbe fatto meglio a vincere. Richard entrò in campo. La preoccupazione per il suo piano si placò quando le strepitose acclamazioni della folla per la sua squadra furono assordanti quasi quanto quelle per la squadra dell'imperatore. Nelle molte partite giocate da quando erano arrivati all'accampamento dell'Ordine Imperiale, la squadra di Richard aveva vinto ogni incontro e nel fare ciò si era
guadagnata il rispetto di molti. Non guastava che Richard fosse ben noto per aver ucciso una punta avversaria. Probabilmente più di quello, però, valeva la vista della squadra ricoperta di terrificanti disegni in vernice rossa. Era la teatralità che si addiceva alle partite. Richard contava su quel sostegno. Quando infine poté dare una bella occhiata a tutti i suoi avversari, ebbe un tremito di preoccupazione. Erano alcuni degli uomini più grossi che Richard avesse mai visto. Gli ricordavano Egan e Ulic, le guardie personali del lord Rahl. A Richard venne in mente che Egan e Ulic gli sarebbero stati utili in quel momento. Lasciando i suoi compagni radunati all'estremità del campo, Richard attraversò da solo lo spazio vuoto fino all'arbitro con la manciata di pagliuzze a centrocampo. La punta della squadra dell'imperatore che aspettava accanto all'arbitro sembrava alta quasi un piede più di Richard. Il collo gli partiva dalle orecchie e diventava sempre più ampio fino a raggiungere spalle larghe due volte quelle di Richard. Una chiara fila di segni rossi e gonfi che gli correvano diagonalmente lungo il lato della faccia ricordava dove gli anelli della catena l'avevano colpito. Mentre Richard aspettava, l'altissima punta, fissandolo con sguardo torvo per tutto il tempo, estrasse per prima una pagliuzza. Quando fu il turno di Richard, ne tirò fuori una più corta. Gli spettatori ruggirono la loro approvazione per il fatto che la squadra dell'imperatore avesse la prima opportunità di segnare. L'uomo lanciò a Richard un sorrisetto compiaciuto prima di prendere il broc e dirigersi dal suo lato del campo. Mentre Richard tornava dai suoi giocatori che aspettavano dalla loro estremità, il suo sguardo spaziò sulle infinite masse di uomini, i pugni alzati per la selvaggia eccitazione, tutti in attesa di sangue da una parte o dall'altra. Uomini con frecce incoccate osservarono la camminata solitaria di Richard verso la sua squadra. Poteva sentire le febbrili emozioni di centinaia di migliaia di uomini che premevano in avanti, cercando dì vedere ciò che sarebbe successo, gente che era arrivata a quel punto calpestando innumerevoli cadaveri di uomini, donne e bambini che volevano solo vivere le proprie vite, migliorare le proprie condizioni e quelle delle loro famiglie. Richard si sentì intrappolato in un mondo impazzito. Il suo sguardo indugiò sullo spazio vuoto dove l'imperatore sarebbe dovuto essere. Dove Kahlan sarebbe dovuta essere. Senza Kahlan, perfino una Kahlan che non lo conosceva, il mondo era un posto vuoto e freddo.
In quel momento, Richard si sentì molto piccolo e solo. In uno stato piuttosto confuso, prese il suo posto in fila coi suoi uomini. Quando il corno suonò e il nemico, raggruppato in una formazione serrata, cominciò ad arrivare, essere nell'incavo del campo di Ja'La sembrò come stare in una valle a osservare una valanga che gli piombava addosso. Proprio allora, in quel momento di desolazione, Richard non seppe cosa fare. La collisione fu brutale. Stringendo i denti per lo sforzo, cercò di deviare gli uomini che proteggevano la loro punta, ma gli avversari si fecero largo ugualmente. Senza tante cerimonie, la loro punta raggiunse l'area di tiro e lanciò il broc. Difensori dipinti con simboli rossi balzarono per cercare di deflettere il tiro, ma gli attaccanti rotolarono addosso a loro. Il broc atterrò in rete in pieno, segnando il primo punto. La folla proruppe in un assordante ruggito di approvazione. Richard aveva appena imparato qualcosa. La squadra dell'imperatore sembrava affidarsi alla propria superiorità di taglia e peso per farsi strada attraverso la difesa dell'avversario. Non avevano un reale bisogno di sottigliezze. Rivolse ai suoi uomini un furtivo segnale con la mano mentre l'altra squadra si metteva in formazione per la seconda carica. Quando arrivarono, tutti i membri della squadra di Richard si curvarono a uncino lungo la linea di difesa, usando placcaggi bassi per mandare a gambe all'aria gli uomini al centro. Non era elegante, ma raggiunse lo scopo di aprire un varco. Prima che potesse richiudersi, Richard vi passò in mezzo. La punta non cambiò strada, fiduciosa nella propria stazza per scaraventare Richard via dalla sua strada. Richard roteò su sé stesso, andando bruscamente incontro all'uomo e spazzando le sue caviglie con una gamba. Mentre l'uomo non riusciva a mantenere l'equilibrio, Richard gli prese il broc dalle mani quando allentò la presa reagendo alla caduta a faccia in giù. Richard si fece strada schivando e scartando attraverso una linea scomposta di giocatori. Mentre altri convergevano su di lui, lanciò il broc a John la roccia, già posizionato dietro la fila di giocatori. Fra le selvagge grida d'esultanza dei suoi sostenitori, John la roccia tenne brevemente in alto il broc mentre fuggiva da un manipolo di inseguitori. John la roccia, godendosi quel momento, si girò all'indietro mentre correva per poter ridere in faccia agli uomini che gli davano la caccia, poi lanciò il broc sopra le loro teste a Richard. Gli avversari si tuffarono in ogni direzione mentre Richard afferrava il
broc. Aggirò un uomo, ne schivò un altro e ne spinse via un terzo, cambiando direzione a casaccio in un tentativo di sfuggire alle grinfie degli energumeni. Malgrado i suoi giocatori placcassero o bloccassero quelli che si avvicinavano a Richard, la squadra di Jagang lo circondò. Mentre Richard cercava di evitare un uomo, un altro lo prese per le spalle e, come se fosse un bambino, lo scaraventò al suolo. Richard sapeva che non sarebbe riuscito a trattenere il broc a lungo, e non voleva che gli si gettassero tutti addosso e gli rompessero le ossa, perciò non appena colpì il suolo scagliò via il broc. Bruce stava correndo nel posto giusto al momento giusto. Afferrò il broc ma poi venne placcato. Il corno suonò, decretando la fine del tempo di gioco per la squadra dell'imperatore. Avevano segnato un punto e Richard era stato fortunato ed era riuscito a impedire loro di segnarne due. Mentre trotterellava verso il suo lato del campo, si rimproverò per essersi lasciato dominare delle emozioni. Non stava prestando abbastanza attenzione. Non stava mettendo la testa in ciò che stava facendo. Si sarebbe fatto uccidere. Non poteva far nulla per aiutare Kahlan a meno che non si fosse dato da fare. I suoi uomini stavano ansimando; molti di loro riposavano con le mani appoggiate sulle ginocchia. Apparivano scoraggiati. «D'accordo,» disse Richard raggiungendoli «abbiamo lasciato che avessero il loro momento di gloria. Ora diamogli il fatto loro.» Questo suscitò dei sorrisetti tutt'attorno. I compagni si rallegrarono alle sue parole. Quando Richard afferrò il broc lanciatogli dall'arbitro, rivolse un'occhiata intorno verso i suoi uomini. «Facciamogli vedere con chi hanno a che fare. Schema uno-tre poi l'inverso.» Mostrò loro velocemente un dito, poi tre, in caso non riuscissero a sentirlo sopra a tutto il trambusto. «Via.» Come un sol uomo, si lanciarono in una folle corsa, raggruppandosi immediatamente in un crocchio attorno a Richard. Nessun placcatore andò in avanti, nessuna ala ai lati. Invece, tutti gli uomini si compattarono assieme nella formazione più serrata possibile che consentisse di correre a tutta velocità. L'altra squadra parve compiaciuta dalla tattica. Era il loro tipo di gioco: forza bruta. Con l'esultanza dei loro tifosi a sostenerli, corsero a capofitto verso il gruppo della squadra rossa. Tutti gli uomini di Richard osservarono la squadra di Jagang, aspettando
fino a che non ebbero raggiunto il riquadro prestabilito. A pochi istanti dall'impatto, mentre i difensori raggiungevano quel punto, l'intera squadra rossa si infranse in tutte le direzioni allo stesso tempo. Fu una mossa tanto sconcertante che gli altri giocatori esitarono, voltandosi da una parte e poi dall'altra, incerti su cosa fare dato che gli avversari che stavano per colpire erano inaspettatamente schizzati da ogni altra parte. Ognuno dei giocatori di Richard corse in un folle zigzag senza alcun senso o schema apparente. Gli uomini della squadra di Jagang non sapevano chi afferrare, chi inseguire o dove andare. In un attimo, la massiccia carica concentrata si era sparpagliata come uno sciame di lucciole. La folla ruggì con una risata divertita. Richard correva in modo incontrollato proprio come gli altri, solo che stringeva fra le mani il broc. Prima che l'altra squadra potesse rendersene conto, aveva aggirato già molti di loro ed era in pieno territorio nemico. Quando due placcatori si misero a inseguirlo, corse più veloce che poteva. Quando raggiunse l'area di tiro, scagliò il broc. Non appena lasciò le sue dita, lui venne colpito da dietro, ma era troppo tardi per fermare il tiro. Il broc si infilò in rete. Richard colpì il terreno e un uomo gli cadde addosso. Fu fortunato che l'avversario stesse correndo a tutta velocità perché il suo slancio lo fece ruzzolare oltre la schiena di Richard. Richard si rimise in piedi e si diresse verso il suo lato del campo fra le eccitate acclamazioni della folla. Il punteggio era pari, ma a lui non interessava un pareggio. Doveva insistere per il vantaggio. Lo schema che aveva escogitato non era ancora finito. Doveva completarlo. I suoi uomini, tutti sorridenti, si radunarono il più in fretta possibile. A Richard non occorreva dar loro un segnale: aveva già stabilito l'intero schema la prima volta. Quando l'arbitro gli lanciò il broc, tutti si lanciarono immediatamente in una corsa. Di nuovo, si radunarono in una formazione serrata mentre caricavano lungo il campo. Questa volta, però, la squadra di Jagang, mentre correva loro incontro, si sparpagliò all'ultimo minuto, pronta stavolta a intercettare tutti gli uomini mentre cercavano di svignarsela in ogni direzione. La folla esultò e urlò la propria approvazione. Invece di disperdersi, però, la squadra di Richard rimase stretta assieme mentre caricava proprio nel mezzo del campo. I pochi giocatori sparpagliati rimasti a distanza utile per intercettare vennero falciati dal peso totale della squadra. La minima opposizione dei primi due, seguiti da un terzo difensore, non rallentò affatto gli uomini di Richard. L'altra squadra, resasi
conto all'improvviso di cosa stava accadendo, partì all'inseguimento. Erano troppo in ritardo. Richard fece virare i suoi uomini verso la rete di destra. Una volta raggiunta l'area di tiro, i suoi compagni ripiegarono in uno scudo protettivo e Richard tirò il broc. Lo osservò alla luce delle torce mentre descriveva un arco nell'aria notturna e poi entrava. La folla proruppe in acclamazioni. Il corno suonò, decretando la fine del tempo di gioco. L'arbitro a centrocampo annunciò il punteggio, uno per i campioni - la squadra di Jagang - e due per gli sfidanti. Ma poi, quando l'arbitro ebbe terminato con l'annuncio e la clessidra fu capovolta, Richard lo vide voltarsi verso qualcosa sulle linee laterali. Era Jagang. Si trovava nell'area che era stata delimitata per lui. Nicci era al suo fianco. Kahlan era in piedi lì dietro a poca distanza. Jillian era con lei. Mentre tutti attendevano, l'arbitro andò verso la linea laterale e ascoltò l'imperatore per un momento. Annuì e ritornò a centrocampo, dove annunciò che era stato decretato che il secondo punto era entrato dopo il suono del corno e pertanto non contava. Il punteggio, dichiarò l'arbitro a gran voce, era pari. Parte della folla urlò di rabbia, mentre altri gridarono dalla gioia per la loro fortuna. Gli uomini di Richard cominciarono a strillare adirate obiezioni, mettendo in discussione la decisione. Richard con grandi falcate si mise di fronte a loro. Il frastuono della folla era tanto fragoroso che temeva che i suoi uomini non riuscissero a sentirlo, perciò fece un gesto col pollice sulla gola, troncando le loro obiezioni. «Non potete cambiarlo!» gli urlò. «Calmatevi! Concentratevi!» Quelli smisero di protestare ma non erano contenti. Nemmeno Richard lo era, ma sapeva che non poteva farci niente. Dopo tutto era stato un ordine dell'imperatore che aveva annullato la loro rete. Richard doveva cambiare i suoi piani. «Dobbiamo fermare questi uomini» disse camminando avanti e indietro di fronte alla sua squadra. «Quando sarà di nuovo il nostro turno, passate allo schema due-cinque.» Mostrò prima due dita, poi cinque. Gli uomini annuirono. «Non potete fermare quello che è appena accaduto, ma potete impedire loro di segnare. Poi potremo avviare il nostro schema e riprenderci ciò che ci è stato tolto ingiustamente. Smettetela di concentrarvi su quel che è fatto e concluso e pensate a quello che dobbiamo fare.» I suoi uomini annuirono tutti mentre si mettevano in formazione, preparandosi per l'attacco dell'altra squadra. Erano ancora arrabbiati, ma pronti a
dirigere quella rabbia sull'altra compagine. La carica della squadra dell'imperatore fu approssimativa. Erano ancora presi dall'esultanza per il capovolgimento della sorte. In un impatto tale da fracassare le ossa, la loro punta fu sbattuta da un blocco coordinato. Richard fu orgoglioso dei suoi uomini per il modo in cui avevano ribaltato la propria collera e l'avevano usata. Nella furibonda lotta dopo la collisione, John la roccia riuscì a prendere il broc. Lo tirò a Bruce quando gli uomini che lo inseguivano furono vicini. Bruce a sua volta passò il broc a Richard. Richard corse su per il campo e, per la gioia della folla, usò tutta la sua forza per tirare dalla linea dei due punti. Il broc entrò. Non contava, naturalmente, ma la folla ruggì come se così non fosse. Le acclamazioni scossero il terreno. Era una rivendicazione per la rete rubata. Per Richard, era quanto di più simile a un'umiliazione per Jagang. I loro sostenitori nella folla cominciarono a intonare: «Quattro a uno! Quattro a uno! Quattro a uno!» Il punteggio era ancora ufficialmente di uno a uno, ma agli occhi di coloro che stavano esultando era a quel punto di quattro a uno. Nella carica successiva, quando la punta della squadra dell'imperatore corse nell'area di tiro e lanciò il broc, uno degli uomini di Richard balzò in alto e riuscì a deviare il broc appena quanto bastava perché andasse largo e mancasse la rete. Quando il corno suonò, il punteggio rimaneva sull'uno a uno. Nella loro prima azione, Richard era quasi nell'area di tiro quando venne placcato. L'uomo gli afferrò le gambe in una presa simile a una morsa. Mentre Richard colpiva il terreno, lanciò il broc in direzione di John la roccia. John la roccia lo raccolse proprio prima che un uomo dell'altra squadra potesse afferrarlo. John la roccia raggiunse l'area di tiro e lanciò. Da terra, Richard guardò il broc entrare in rete, segnando un punto. John la roccia, pieno di gioia, agitò entrambe le mani in aria mentre saltava su e giù come un bambino. La folla impazzì. Richard non riuscì a evitare di sorridere mentre si districava da quello che l'aveva placcato, il quale gli assestò un doloroso pugno nella schiena proprio prima di allontanarsi. Richard non raccolse la provocazione. Sapeva che non era il caso di farsi coinvolgere in una rissa quando il broc non era in gioco. Raggiungendo John la roccia, mentre correvano assieme verso la zona di inizio per la loro prossima azione, Richard gli diede una pacca sulla spalla.
«Hai agito bene, John la roccia» urlò Richard sopra le acclamazioni. «Per la gloria!» Richard non riuscì a trattenersi dal ridere. «Gloria» convenne, dandogli un'altra pacca sulla spalla. «E un punto che conta.» Mentre si riunivano in formazione in attesa che l'arbitro consegnasse il broc, tutti gli uomini urlarono le loro congratulazioni a un raggiante John la roccia. Lui strinse il pugno, suscitando un poderoso urlo di squadra, prima di prendere il suo solito posto alla destra di Richard. Bruce si mise alla sua sinistra. I placcatori formarono una cuspide molto più appesantita davanti a John la roccia. Lo schema era fatto per attirare i difensori dal lato in cui la resistenza era più debole. Mentre caricavano su per il campo, la squadra dell'imperatore cominciò a dirigersi verso la sinistra di Richard, dove lui voleva, ma all'ultimo momento deviarono e cozzarono contro il centro della parte più pesante della cuspide. Una tattica del genere non avrebbe fermato Richard né avrebbe fatto ottenere loro il broc. Avevano in mente qualcosa d'altro. Richard seppe che ci sarebbero stati dei guai quando i placcatori saltarono oltre la fila di fronte. «John!» urlò Richard. «Taglia a destra!» John la roccia, invece, abbassò la sua grossa spalla nella morsa dell'attacco. Tre placcatori si tuffarono bassi. Il quarto agganciò un braccio attorno al collo di John la roccia. Un quinto uomo, correndo a tutta velocità, lo colpì da un lato, usando il collo di John la roccia come fulcro per applicare la forza. A Richard sembrò di essere in un sogno e di non riuscire a muovere le gambe abbastanza in fretta. Perfino mentre stava correndo con tutte le sue forze, poté udire l'osso spezzarsi. 33 Col cuore pesante, Kahlan osservò Richard inginocchiarsi accanto alla sua ala destra caduta. Il corno suonò. Gli uomini della squadra di Jagang lasciarono in fretta la loro vittima crollata su un fianco per tornare dalla loro estremità del campo ed essere pronti a difendere. «È morto?» chiese Jillian. Kahlan circondò con un braccio le spalle della ragazza premuta contro il suo fianco sinistro. «Temo di sì».
«Perché avrebbero fatto una cosa del genere di proposito?» «È il modo in cui l'Ordine gioca a Ja'La dh Jin. Uccidere è il mezzo per ottenere ciò che vogliono.» Kahlan poteva vedere le lacrime negli occhi di Richard mentre i suoi uomini lo afferravano per le braccia e lo trascinavano via dal corpo. Se non fosse tornato a giocare immediatamente, sarebbe stato espulso per aver rallentato il gioco. Gli assistenti dell'arbitro si misero velocemente al lavoro per trascinare la forma senza vita dell'omone fuori dal campo. Kahlan poteva sentire Jagang, mezza dozzina di passi davanti a lei, ridacchiare. Nicci, al suo fianco, le lanciò una breve occhiata voltandosi appena. Kahlan non sapeva come interpretare lo sguardo liquido nei suoi occhi azzurri. Sembrava in parte tristezza per Richard, in parte rabbia repressa e, in qualche modo, in parte un avvertimento per Kahlan. Kahlan non era stata in grado di parlare di nuovo a Nicci dalla notte in cui era stata ferita tanto orribilmente. Da quando Jagang aveva fatto la sua scommessa col comandante Karg, era stato di cattivo umore e irascibile. La sera precedente, mentre Nicci attendeva nella camera da letto e Kahlan nella stanza esterna della sua tenda, si era incontrato fuori con alcuni membri della sua squadra. Kahlan non aveva udito nulla, ma era sembrato come se avesse dato loro ordine di fare in modo che la punta della squadra di Karg non desse loro alcun fastidio. Kahlan non aveva dormito quella notte, preoccupata che Richard non potesse vivere tanto da vedere il mattino. Qualunque cosa avessero pianificato, aveva lasciato Jagang in preda a un'agitazione erotica verso Nicci. A Kahlan e Jillian era stato ordinato di rimanere dove si trovavano sul pavimento della stanza esterna. Lui voleva restare da solo con la sua Schiava Regina, come la chiamava. Kahlan non sapeva cosa le avesse fatto Jagang. Non importa cosa le facesse, Nicci non urlava mai. Nel suo letto sembrava che divenisse semplicemente insensibile, fissando il nulla senza batter ciglio mentre lui faceva i suoi comodi. Kahlan comprendeva quello che stava facendo Nicci. Era l'unica difesa che aveva. Chiudendosi in sé stessa, la sua indifferenza esteriore proteggeva la sua sanità mentale. Non le sarebbe servito a nulla prestare attenzione a quanto quel bruto le faceva. D'altro canto, la sua indifferenza faceva infuriare Jagang, spesso provocandogli esplosioni di violenza. Kahlan si domandò se, quando avesse cominciato con lei, avrebbe avuto la stessa forza di Nicci.
Quella mattina, Kahlan si era chiesta anche se ci sarebbe stato ancora bisogno di chiamare le Sorelle per salvare Nicci, o almeno per guarirla. Quando Jagang era uscito dalla camera da letto, però, trascinava Nicci per i capelli. La lanciò sul pavimento di fronte a lui, con aria di autocompiacimento per la sua impotenza. Kahlan aveva constatato con sollievo che, pur sembrando un po' pesta e livida, almeno non pareva ferita in modo doloroso. Fuori, sul campo, la squadra di Richard si stava radunando, preparandosi per l'azione successiva. Kahlan lanciò un'occhiata alle legioni di uomini che ancora esultavano di soddisfazione per la morte dell'uomo. Altri, però, urlavano di rabbia, agitando i pugni contro la squadra dell'imperatore. L'aria crepitava letteralmente dalla tensione. Mentre il gioco riprendeva velocemente, la folla cominciò a calmarsi, almeno un po'. Kahlan poteva percepire, però, che l'umore degli spettatori era cambiato. Quella che era stata un'approvazione generale dell'incontro in corso si era mutata in inquietudine che da alcune parti cominciava perfino a sembrare malcontento. La situazione era cominciata a cambiare quando Jagang era intervenuto sull'ultimo punto segnato da Richard. Jagang aveva prevalso sugli arbitri, dicendo che la rete era stata realizzata dopo il suono del corno. Gli arbitri avevano acconsentito e annullato il punto, ma tutti sapevano che il broc era andato dentro chiaramente prima del corno. Nulla di questo importava, però. Era stata una decisione dell'imperatore. I membri della squadra rossa sembrava determinati a continuare a giocare come se non avessero perso il loro uomo più grosso. Sul campo si fecero strada a forza attraverso una linea di difensori. Richard scansò abilmente diversi tentativi di intrappolarlo. Altri uomini, però, si stavano avvicinando. Richard si fermò bruscamente su un riquadro sicuro, una zona che veniva usata di rado, per impedire all'uomo che stava per placcarlo di farlo. Era quello che aveva rotto il collo della sua ala. Kahlan non riusciva a immaginare cosa avesse in mente Richard. Stare su quel riquadro gli impediva di essere attaccato finché ci rimaneva, ma lo intrappolava anche in un'isola che stava venendo velocemente circondata da avversari. Per quanto temporaneamente al sicuro, non poteva segnare da quel punto. Alla fine si sarebbe dovuto muovere, ma ogni momento che passava il terreno tutt'intorno a lui diventava sempre più pericoloso. Mentre l'uomo si girava per controllare i suoi compagni di squadra che si stavano avvicinando in fretta, Richard urlò qualcosa per richiamare la sua
attenzione. L'uomo si voltò. Richard, col broc premuto contro il petto, reggendone i lati con entrambe le mani, lo lasciò all'improvviso con un tiro esplosivo. Il pesante broc fu scaraventato dritto in faccia all'uomo con tanta violenza che rimbalzò in mano a Richard. Il colpo era stato abbastanza potente da sfondare in parte la faccia dell'uomo. Col naso completamente ritratto nel cranio, l'uomo si afflosciò e cadde a terra come un sacco. La folla restò senza fiato per l'inattesa piega degli eventi. In preda alla rabbia, un altro uomo balzò alla destra di Richard, anche se si trovava sul riquadro sicuro. L'arbitro non sembrava aver intenzione di intromettersi per chiamare un fallo. Richard fece rotolare il broc sotto il suo braccio sinistro e scartò da quel lato. Nel frattempo si voltò per continuare a fronteggiare l'attacco e ruotò il braccio destro. Il duro osso del suo avambraccio si abbatté sulla trachea dell'uomo. Quello si afferrò la gola mentre incespicava e crollava all'indietro. Una gamba lanciò un calcio di riflesso mentre boccheggiava disperatamente in cerca d'aria. Con la trachea apparentemente fracassata, la sua faccia si fece da rossa a blu. Senza sosta, un altro uomo altissimo caricò da sinistra con un pugno alzato. Richard piroettò verso di lui, scansandolo e vanificando le sue difese, e si aiutò col suo slancio per scagliarsi contro di lui alla velocità del fulmine. Il poderoso colpo, la forza concentrata nella parte inferiore della sua mano, raggiunse l'uomo proprio sopra il cuore. L'impatto fu tale da farlo barcollare all'indietro. L'omone si afferrò il petto, con aria stupefatta e confusa, poi, roteando gli occhi all'indietro, crollò al suolo. Senza alcun aiuto, Richard aveva messo fuori gioco tre uomini di dimensioni notevolmente maggiori delle sue. Kahlan poteva capire facilmente perché attorno al campo ci fossero così tante frecce puntate su di lui in ogni momento. Non riusciva a immaginare cosa sarebbe successo se Richard fosse riuscito a mettere le mani su una lama. Richard non perse tempo. Schizzò verso il varco che aveva appena creato, diretto verso le reti. I suoi uomini sembravano essere preparati per quella mossa. Erano già posizionati lungo il suo percorso, pronti a bloccare i placcatori che lo inseguivano. In tutto il campo gli uomini si schiantavano l'uno contro l'altro. Kahlan poteva vedere tutte le facce sull'intero lato della collina dall'altra parte del campo voltarsi all'unisono per osservare Richard che correva ver-
so le reti avversarie, schivando alcuni uomini mentre altri venivano bloccati dai suoi. Richard, senza nessuno tanto vicino da gettarlo a terra, si precipitò nell'area di tiro. Libero, scagliò il broc in rete, segnando un altro punto. La loro squadra era di nuovo in vantaggio. La folla venne trascinata nella frenesia dell'azione concitata. Perfino Jagang aveva fatto un passo avanti, più vicino al bordo del campo, per osservare, con una mano stretta a pugno contro il fianco per l'ansia. Anche le sue guardie si sporgevano per guardare la squadra di Richard che, ancora con del tempo a disposizione, prendeva il broc dall'arbitro e cominciava un'altra carica. Mentre raggiungevano la zona avversaria, Richard scartò a sinistra, solo per venire placcato. Kahlan pensò che sembrava quasi intenzionale. Le ricordò il modo in cui era caduto nel fango cosicché nessuno potesse riconoscerlo quella prima volta che erano andati a vedere la sua squadra. Quando Richard colpì il suolo, il broc schizzò dalle sue braccia. Anche questo non le sembrò affatto naturale. Ciò che la stupiva era che sembrava parte di un piano. La sua ala sinistra, che stava correndo su per il campo, per caso si trovava nel posto giusto al momento giusto. Si abbassò e raccolse il broc mentre gli rotolava davanti. In un attimo fu nell'area di tiro e tentò il lancio. Con Richard a terra, era previsto dal regolamento che un'ala provasse a segnare. Il broc entrò in rete e fece esplodere acclamazioni fragorose. L'ala alzò le braccia dalla gioia di aver segnato. Era qualcosa che lei ali avevano occasione di tentare di rado, ed era ancor più raro che ci riuscissero. Anche se Kahlan sapeva che era permesso, non l'aveva mai visto fare prima. Quando il corno suonò, decretando la fine del turno, Richard raggiunse la sua ala sinistra e, con un sorriso orgoglioso, le diede una pacca sulle spalle. Dal modo in cui l'ala lo guardava, Kahlan pensò che per quell'uomo il riconoscimento da parte di Richard contava quanto la rete. L'ala era un soldato dell'Ordine Imperiale, non un prigioniero come altri membri della squadra di Richard. Si domandò perché Richard fosse così affabile con un soldato dell'Ordine. Ogni volta che cominciava a nutrire una speranzosa fiducia nei confronti di quell'uomo, accadeva qualcosa che la faceva tornare cauta. Dall'ultima partita a cui avevano assistito, quella in cui Nicci aveva visto l'uomo chiamato Ruben e aveva pronunciato il nome Richard, Kahlan sa-
peva che quello era il suo vero nome. Non era stata in grado di dire una parola a Nicci da allora, però, quindi non aveva potuto chiederglielo, ma sospettava che quel Richard fosse in realtà Richard Rahl, lord Rahl. Non sapeva se era vero, ma di certo avrebbe spiegato perché l'uomo era caduto nel fango quel primo giorno, perché si era dipinto il volto con disegni selvaggi con lo scopo di nascondere le sue sembianze e perché aveva detto alla gente di chiamarsi Ruben. Sembrava davvero impossibile, però, che lord Rahl in persona fosse prigioniero dell'Ordine Imperiale e giocasse in una squadra di Ja'La contro quella dell'imperatore. Quello che la turbava davvero, però, era che lui la conosceva. Aveva urlato il suo nome quel primo giorno in cui era in una gabbia su un carro nel convoglio di rifornimenti che entrava nell'accampamento. Riteneva che fosse possibile che l'Ordine l'avesse catturato senza rendersi conto della sua identità. Tutte quelle coincidenze, però, le parevano fin troppo inverosimili. Ma sapeva che era probabile che ci fosse dietro più di quanto comprendeva. Forse Richard si era fatto catturare, in qualche modo, per potersi a avvicinare a lei. Per salvarla. Ora sì che era davvero sciocca, si disse. Tuttavia, si domandava perché lei si trovasse al centro di così tanti eventi. Desiderò poter avere un'opportunità di parlare ancora con Nicci per poterle chiedere se si trattava davvero di Richard Rahl. D'altra parte, per via della reazione di Nicci, delle sue lacrime al vederlo, Kahlan non aveva bisogno di chiedere. Poteva vederglielo scritto in faccia. Era l'uomo che Nicci amava. Con la coda dell'occhio, Kahlan seguì le mosse delle sue guardie speciali mentre facevano correre lo sguardo da lei al campo di Ja'La. Quando la folla ruggiva, serrando i pugni in aria con eccitazione carica di attesa, le sue guardie si sporgevano da una parte e dall'altra per guardare fra la guardia reale verso il campo, mentre la squadra dell'imperatore prendeva il broc per il proprio turno di gioco. I tre avversari che Richard aveva fatto fuori, trascinati sulle linee laterali, erano stati rimpiazzati da sostituti. Dal modo in cui erano stati abbandonati fuori dal campo, Kahlan sapeva che tutti e tre erano morti. Richard aveva ucciso tre uomini in un batter d'occhio senza alcun aiuto. E lei non pensava che sarebbero stati gli ultimi. La squadra dell'imperatore sembrava in preda a una furia cieca nel co-
minciare la propria carica. Raggruppati assieme, avanzarono in pieno centro, determinati a falciar via chiunque si frapponesse. La squadra di Richard si divise davanti a loro, poi si mosse alle loro spalle da entrambi i lati e attaccò da dietro, afferrando le gambe degli uomini. Placcati a quella maniera, caddero a faccia in giù nella direzione in cui stavano correndo, rendendo l'impatto ancora più forte. Uno dei placcaggi fu tanto violento da rompere le caviglie di uno degli uomini della squadra dell'imperatore. Quello urlò dal dolore. La punta, sentendo quel grido, fu distratta per una frazione di secondo. Bastò perché due uomini lo colpissero dai lati. Venne scaraventato a terra con tanta violenza da rimanere senza fiato e sbattere i denti. Scoppiò una rissa per il possesso del broc. Quando la squadra dell'imperatore si riprese, scagliarono via gli avversari e riuscirono a mantenere il possesso del broc. Di nuovo in piedi, lottarono per superare i difensori. Diversi uomini della squadra di Richard rimasero a terra, rotolandosi dal dolore. La folla urlò frenetici incoraggiamenti alla squadra dell'imperatore. La loro punta schivò da una parte e dall'altra, aggirando alcuni uomini, scaraventando altri di lato. Le guardie di Kahlan, udendo il fanatico incitamento, si spostarono ancora un po' più avanti per cercare di vedere cosa stava accadendo. Questo lasciò ancora più spazio vuoto nella linea laterale, dove si trovava Kahlan. La calca di spettatori allineati sul pendio retrostante, che premevano in avanti con tutto il loro peso, giù verso il campo, stava schiacciando l'area riservata all'imperatore da entrambi i lati. Sul davanti, dove si trovava Jagang, le guardie reali tenevano indietro le folle da ogni parte, ma anch'essi erano assorbiti dalla frenetica lotta sul campo di Ja'La; non stavano prestando molta attenzione dietro, dove lo spazio si andava lentamente restringendo. Kahlan cinse il suo braccio sinistro con fare protettivo attorno a Jillian, tenendola vicino, mentre le guardie speciali, disponendo di sèmpre meno spazio, cominciarono a spostarsi di poco in avanti dove ce n'era di più e si trovavano più vicine all'azione. Quelli che erano dietro premettero a loro volta, pigiandosi mentre si muovevano in modo lento e costante in avanti. Nicci, dimenticata dall'imperatore che era completamente rapito dall'azione, fece un passo indietro, fuori dalla loro strada. Questo fece sì che lo spazio delle guardie di Kahlan si spostasse in avanti. Sembrò naturale, come se stesse soltanto cercando di non interferire con quello che volevano loro.
Jagang, come tutti gli altri, esultava, brontolava, imprecava e urlava rivolto alle squadre in campo. L'oscurità era scesa da molto tempo, conferendo all'evento un tono sovrannaturale. Le torce allineate lungo il bordo del campo gettavano una luce tremolante nella porzione di terreno aperto circondato da un mare nero. Fra molte delle torce, degli arcieri osservavano con le frecce incoccate. Ma anche loro erano presi dalle emozioni del gioco, osservando l'azione più di quanto sembrassero osservare i prigionieri. Kahlan si sentiva come al centro di un ribollente, turbolento, convulso rituale dedicato alla violenza. La folla non solo urlava ed esultava, ma cominciò a cantilenare, pestando i piedi al ritmo di quei canti mentre la propria squadra correva lungo il campo. La terra tremava sotto quelle centinaia di migliaia di stivali che battevano tutti per terra assieme. La notte, scura e nuvolosa, sembrava risuonare di un continuo tuono rimbombante. Quell'umore era ammaliante. Riuscì perfino ad avviluppare Kahlan. A lei, come agli spettatori, pareva di essere là fuori, sul campo, a correre con i giocatori. Il suo cuore le martellava in petto mentre osservava Richard schivare placcaggi, tuffarsi sotto un braccio teso e scivolare fra uomini che si gettavano su di lui. Trasaliva, quasi distogliendo lo sguardo, quando qualcuno veniva colpito. Molti degli spettatori gemevano come se fossero stati loro stessi a subire il colpo. Man mano che la clessidra scandiva i turni, il punteggio cambiava di continuo. Mentre guardava, però, Kahlan vide Richard mancare dei tiri che era sicura sarebbero potuti entrare in rete. Sembrava rallentare quanto bastava perché un avversario potesse raggiungerlo e placcarlo. Una volta lanciò e mancò. Stava cadendo nel fango di nuovo, per così dire. Questa volta, lei non capiva perché. Man mano che la partita procedeva, le apparve sempre più chiaro che lui stava manipolando il punteggio, mantenendolo serrato. Quando la squadra dell'imperatore segnava, non passava molto tempo prima che lui rispondesse per rimanere in pareggio, ma poi non riusciva a realizzare un altro punto... finché la squadra dell'imperatore non segnava di nuovo. Un turno della clessidra dopo l'altro non ci fu alcun punto. Erano entrambe a sette. Lei riusciva a capire dal modo in cui si muoveva che lui non stava solo trattenendosi per qualche ragione, ma stava anche risparmiando le sue energie. L'altra squadra si stava stancando. Richard faceva quanto bastava, ma nulla più.
Un incontro così serrato non faceva che infiammare le emozioni degli spettatori sui fianchi della collina in febbrili aspettative. Molti di loro esultavano, applaudivano, fischiavano e urlavano per la loro squadra preferita, mentre altri agitavano i pugni e lanciavano imprecazioni verso quella avversaria. Qua e là scoppiarono delle risse fra gli spettatori. Finirono per durare poco dato che tutti volevano guardare la partita. Kahlan, avendo osservato i lenti movimenti di Nicci, vide che era riuscita ad allontanarsi di mezza dozzina di passi dietro Jagang. Nessuno le stava prestando attenzione. Jagang aveva lanciato uno sguardo dietro due volte, solo di sfuggita, soddisfatto che fosse entro la sua portata. Kahlan poteva vedere delle donne civili, vicino al bordo del campo, eccitate in modo tanto selvaggio quanto il resto della vasta folla, che cominciavano a denudare i propri seni mentre gli uomini correvano loro davanti. Mentre il terreno vicino alle linee laterali era molto ambito e spesso conteso, alle donne che assistevano agli incontri veniva garantito libero accesso fino al bordo del campo. Moltitudini di uomini, sapendo quanto le donne erano eccitate e desiderose di attirare l'attenzione dei giocatori, le spingevano avanti. Le donne sembravano bramare quell'attenzione. Sopra il rumore assordante della folla, Kahlan poteva udire alcune delle donne presso le vicine linee laterali urlare lascive promesse ai vincitori mentre i giocatori correvano lì accanto. Di norma, donne che si comportavano in tale maniera fra gli uomini dell'Ordine non rimanevano sole a lungo, ma i soldati erano molto più interessati alla partita in corso. La condotta delle donne non faceva che contribuire a quell'atmosfera depravata. Faceva tutto parte del Ja'La dh Jin. Quando Nicci scivolò abbastanza vicino, Jillian si sporse e le toccò la mano. «Stai bene?» le sussurrò con voce sufficiente per essere udita sopra il rumore della folla. «Eravamo così preoccupate per te.» Appoggiandole una mano sulla guancia, Nicci sorrise brevemente mentre annuiva in risposta. «Ha in mente qualcosa» disse Nicci sottovoce sporgendosi un po' più vicino a Kahlan. «Lo so.» «Questa potrebbe essere la tua occasione per scappare. Farò tutto ciò che posso per aiutarti. Stai pronta.» Col collare attorno alla sua gola, Kahlan non sapeva quale possibilità aveva di fuggire. Era rincuorata da quel sentimento, però, anche se pensava che fosse del tutto irrealistico. Anche se Kahlan non credeva di poter
avere una vera opportunità per fuggire, poteva essere un'occasione per qualcosa di diverso, qualcosa che poteva salvare altri. Quando Nicci le lanciò un'altra occhiata, Kahlan sollevò la mano solo un poco, svelando quel che nascondeva. «Ecco. Prendi questo.» Quando Nicci aggrottò le sopracciglia, Kahlan rigirò brevemente la mano, quanto bastava perché Nicci vedesse il manico del coltello. La lama era premuta contro il polso di Kahlan, sotto la manica della sua camicia. «Tienilo» disse Nicci. «Potrebbe servirti.» «Io ne ho altri due.» Nicci la fissò per un momento sorpresa, poi inclinò la testa, indicando a Kahlan di dare il coltello a Jillian. La ragazza aprì il mantello quanto bastava per mostrare a Nicci il coltello che Kahlan le aveva già dato. Nicci alzò lo sguardo verso Kahlan. «Non sono abile coi coltelli.» «Non è difficile» disse Kahlan premendo il manico nella mano di Nicci. «Al momento giusto, pensa solo a conficcare l'estremità appuntita in una parte importante di qualcuno che proprio non ti piace.» Gli occhi azzurri di Nicci scoccarono un'occhiata furtiva a Jagang. «Questo penso di poterlo fare.» Kahlan pensò che Nicci, lì in piedi nella soffusa luce delle torce, i suoi capelli biondi che le ricadevano sulle forti spalle, era probabilmente la donna più bella che avesse mai visto. Non era soltanto bella, però. Malgrado ciò che Jagang le aveva fatto, rimaneva impavida. C'era una forza interiore in lei, una nobiltà. «È Richard Rahl?» chiese Kahlan. Gli occhi azzurri di Nicci tornarono verso Kahlan e la fissarono per un momento. «Sì.» «Cosa ci fa qui?» La bocca di Nicci si increspò in un sorriso appena percettibile. «È Richard Rahl.» «Sai cos'ha in mente?» Nicci scosse il capo appena un po' mentre il suo sguardo spaziava su tutte le guardie, controllando per assicurarsi che nessuno stesse prestando attenzione a loro. Attraverso dei varchi poterono vedere correre lì davanti uomini dipinti con selvaggi disegni rossi. «È davvero Richard quello laggiù?» chiese Jillian. Nicci annuì.
«Come puoi dirlo? Voglio dire, con tutta quella vernice addosso, come puoi esserne sicura? Io conosco Richard e non riesco a capirlo.» Nicci lanciò un'occhiata a Jillian. «È lui.» Aveva un tono di tale calma sicurezza che non lasciava spazio a dubbi. Kahlan pensò che Nicci sarebbe stata probabilmente in grado di riconoscerlo al buio completo. «Come fa a conoscermi?» chiese. Nicci fissò ancora Kahlan negli occhi per un lungo momento. «Questo non è il posto adatto per una conversazione. Stai pronta e basta.» «Per cosa?» chiese Kahlan. «Cosa pensi che abbia intenzione di fare? Cosa pensi che possa fare?» «Se conosco Richard, mi aspetto che stia per scatenare una guerra.» Kahlan sbatté le palpebre dalla sorpresa. «Tutto da solo?» «Se deve.» Sul campo, la squadra dell'imperatore segnò un punto proprio prima che il corno suonasse, decretando la fine del loro turno. La folla impazzì. Kahlan trasalì al ruggito. Il livello del rumore era assordante. La squadra di Richard in quel momento era indietro di un punto. In attesa che gli uomini prendessero posizione e il corno suonasse l'inizio del turno della squadra di Richard, l'intera folla cominciò a cantilenare un grugnito profondo, aspro, ritmico. L'orda batteva un piede fra ognuno di quei grugniti. Uh-ah. Tonfo. Uh-ah. Tonfo. Uh-ah. Tonfo. Sembrava che il mondo intero si muovesse con ognuno di quegli Uh-ah. La terra tremava a ogni tonfo. Perfino Jagang e le sue guardie reali si unirono. Conferiva alla notte una sensazione paurosa, selvaggia, primordiale, come se tutto ciò che era civilizzato fosse stato abbandonato in favore di uno spettacolo di cruda brutalità. I sostenitori della squadra dell'imperatore volevano che gli uomini facessero a pezzi gli sfidanti piuttosto che lasciarli segnare. I tifosi della squadra di Richard volevano che i loro uomini annientassero quelli che cercavano di fermarli. La cantilena era una richiesta di sangue. Con solo un turno a disposizione, la squadra di Richard doveva segnare durante quel tempo di gioco o avrebbe perso. Se avessero segnato solo un punto durante il loro turno, però, la partita sarebbe stata in pareggio e sarebbero andati ai tempi supplementari. Kahlan colse delle occhiate di Richard, che non mostrava emozioni men-
tre si consultava con i suoi uomini. Rivolse loro un breve segnale con la mano di nascosto. Mentre si voltava, il suo sguardo spaziò attorno. Per un istante, i loro occhi si incontrarono. Il potere in quella connessione fece battere il cuore a Kahlan e le fece tremare le ginocchia. Tanto veloce quanto era arrivato, lo sguardo di Richard si spostò oltre. Nessuno tranne Kahlan poteva sapere che l'aveva guardata direttamente o, se l'avevano notato, non avrebbero capito il perché. Kahlan capiva. Stava controllando dove lei si trovava. Era il momento per cui si era dipinto addosso quegli strani simboli. Era il momento per il quale aveva tenuto i punti in pareggio. Aveva annientato ogni altra squadra contro cui aveva giocato per assicurarsi di essere lì, in quel posto, in quel momento. Non riusciva a immaginare perché, ma era per quel momento. All'improvviso lanciò un urlo di battaglia e cominciò la carica. Vedendolo coperto con quegli spaventosi simboli rossi, i suoi muscoli tesi, il suo sguardo magnetico, la sua potenza concentrata, i suoi movimenti fluidi... Kahlan pensò che il cuore che le martellava in petto potesse davvero esplodere. 34 Tutti gli occhi erano puntati su Richard mentre correva col broc infilato sotto il braccio sinistro. Anche Kahlan, avendo fatto un passo avanti, era pietrificata. Tutta la folla, in ansiosa attesa, trattenne il respiro. La squadra di Jagang, dall'altra estremità del campo, cominciò la propria volata in campo aperto per fermare la carica. Se avessero impedito che la squadra di Richard segnasse, avrebbero vinto il torneo. Erano giocatori esperti, che sapevano di avere la vittoria a portata di mano, e non avevano intenzione di far sì che nulla cambiasse. Richard, schermato dai suoi difensori e dalla sua ala rimasta, tagliò a destra. Procedette lungo il limite destro del campo mentre correva a rotta di collo. Le fiamme delle torce sibilarono e si agitarono mentre correva lì accanto. Le donne allungarono le braccia per provare a toccarlo mentre urlavano assieme a tutti gli altri. All'improvviso Richard fu lì, proprio di fronte a loro, che correva davanti all'imperatore. Sembrava che Jagang volesse placcare Richard di persona
mentre gli passava vicino. Kahlan si aspettava che Richard si fermasse, si girasse verso l'imperatore e lo uccidesse con la stessa efficienza con cui aveva ucciso altri, ma non lo fece. Non lanciò nemmeno uno sguardo di lato mentre schizzava via. Richard aveva avuto la sua opportunità di assassinarlo e non l'aveva colta. Kahlan non riusciva a immaginare perché, se, come Nicci pensava, aveva davvero intenzione di scatenare la guerra. Forse era solo una pia illusione da parte di Nicci... e di Kahlan. In un istante Richard e i suoi uomini erano ormai passati e caricavano su per il campo. Gli uomini della squadra di Jagang, che li osservavano arrivare e vedevano che erano relativamente vicini nella loro folle corsa, invece di sparpagliarsi per tutto il campo come talvolta avevano fatto, conversero per formare un muro impenetrabile di ossa e muscoli, sicuri di fermare la loro avanzata. In alcuni interi turni precedenti, la squadra dell'imperatore aveva impedito a quella di Richard di segnare. Sapevano che avrebbero vinto se avessero solo contenuto gli avversari, non consentendo loro di mettere in rete il broc durante quel turno. Sembrava che volessero di più, però. Non volevano semplicemente vincere: volevano punire gli sfidanti. Sembravano ferocemente determinati a finirla nella maniera più brutale possibile. Mentre correvano, gli uomini di Richard, invece di sparpagliarsi o muoversi in posizioni fatte per provare a contrastare la formazione di difensori, all'improvviso e senza motivo si raggrupparono assieme. Ancora più sorprendente, si fusero in un'unica colonna. Mentre gli uomini correvano, si ammassarono molto vicini, con l'uomo più grosso in testa. Allo stesso tempo, ognuno allungò un braccio e assicurò una mano sulla spalla dì quello di fronte a lui, serrando assieme l'intera colonna. Le loro lunghe falcate a rotta di collo si mossero all'unisono. In un istante, l'intera squadra di Richard si era unita assieme in un solido ariete umano. Quella colonna, con Richard quasi in fondo, non si muoveva tanto rapidamente quanto avrebbero potuto fare gli uomini da soli, ma non avevano bisogno di essere veloci, e quel che poco che perdevano in velocità era più che compensato dall'enorme peso collettivo che dava loro uno slancio incredibile. Anche se i singoli energumeni della squadra di Jagang si erano preparati
all'impatto, la fila di uomini in corsa li sbaragliò come un tronco d'albero attraverso la porta di una bicocca. Gli uomini di Jagang erano abituati a utilizzare la loro stazza a proprio vantaggio ma, malgrado le loro dimensioni, non potevano competere col peso prodigioso dell'intera squadra di Richard che sbatteva contro di loro in modo tanto concentrato. Con tale peso schiacciante, la colonna li sopraffece senza rallentare, trasferendo la forza dell'impatto ai difensori, mandandoli gambe all'aria. Alcuni degli uomini di Richard sul davanti vennero staccati dalla violenza del contatto, ma per ognuno che veniva scagliato via, un nuovo uomo prendeva la guida, cosicché la fila stessa rimaneva intatta mentre si tuffava attraverso il muro dei difensori. Una volta nel loro territorio, alla prima linea per segnare, molto prima di raggiungere la normale area di tiro, la colonna di uomini si schiuse e questi si scontrarono contro i difensori che convergevano su di loro. Per un istante, si aprì in una sacca di sicurezza per Richard. Lui lanciò il broc da quella linea arretrata. Era molto distante dalla rete. Mentre il broc descriveva un arco attraverso l'aria notturna, illuminata dalle torce, la folla si sporse in avanti come un sol uomo, tutti che trattenevano il respiro, gli occhi fissi. Con un tonfo, il broc atterrò in rete in pieno, segnando due punti. La folla esplose in un fragoroso ruggito che fece tremare l'aria e vibrare il suolo. La squadra di Richard in quel momento era avanti di un punto. La squadra dell'imperatore non aveva più turni di clessidra: non avevano modo di vincere. Anche se la squadra di Richard aveva ancora tempo per giocare, non ne aveva bisogno. La partita era bella che vinta, anche se non era ancora finita e la sabbia nella clessidra continuava a scendere. L'imperatore Jagang era impietrito. Le sue guardie, con aria torva, usarono il loro peso per trattenere le folle eccitate da ciascun lato mentre le acclamazioni continuavano senza posa. Infine Jagang sollevò in alto un braccio. Lo sfrenato festeggiamento cominciò a smorzarsi mentre l'attenzione veniva rivolta a quello che l'imperatore avrebbe fatto. Jagang fece segno all'arbitro di avvicinarsi. Kahlan scambiò una breve occhiata con Nicci. Non riuscivano a sentire mentre gli uomini conferivano, testa contro testa. L'arbitro, con l'aria piuttosto pallida, fece un cenno col capo all'imperatore, poi corse verso il centro del campo, sollevando una mano per indicare
una decisione. «Lo sfidante è andato fuori dai limiti mentre correva lungo la linea laterale» gridò l'arbitro nell'immobile aria notturna. «I punti non contano. La squadra di sua eccellenza conduce ancora di uno. Il gioco deve ricominciare finché non si esaurisce il tempo.» Se la folla si era scomposta quando Richard aveva segnato, adesso era furibonda. L'intero esercito che assisteva alla partita era in subbuglio. Richard, però, non sembrava turbato dalla decisione. In effetti, era già dalla sua estremità del campo coi suoi uomini, come se se lo fosse aspettato. Neanche i suoi uomini, concentrati sul gioco, sembravano scoraggiati. Quando l'arbitro tirò loro il broc, erano pronti. Nel Ja'La, il gioco non poteva essere interrotto. La squadra di Jagang, tuttavia, stava celebrando l'improvviso capovolgimento di sorte e non era ancora in formazione per difendere le reti. La squadra di Richard, avendo poco tempo a disposizione, non ne perse e cominciò la propria carica immediatamente. Mentre correvano su per il campo, stavolta andarono alla loro sinistra, dal lato opposto del campo rispetto a dove si trovava Kahlan. Di nuovo, si misero in formazione nella stessa serrata colonna, la mano di ogni uomo poggiata sulla spalla di quello di fronte a lui. Stavano correndo secondo lo stesso schema, ma speculare. L'altra differenza era che stavolta si tenevano ben distanti dalla linea laterale, tanto lontani che chiunque, specialmente la folla da quel lato del campo, poteva vedere che non erano affatto accanto al limite. La squadra di Jagang li vide arrivare ma non aveva ancora organizzato una difesa per bloccare la formazione che si stava scagliando su di loro. Si resero conto del pericolo e corsero ad arrestare l'avanzata degli avversari. Quando la squadra di Richard si fece largo attraverso la rada rete di difensori e raggiunse la stessa linea per segnare di prima, più indietro rispetto alla normale area di tiro, gli uomini si sparpagliarono di nuovo per creare una tasca a protezione della loro punta. In quell'istante, libero da difensori, Richard scagliò il broc. Quello si librò sopra le braccia tese della squadra di Jagang e si infilò in rete per due punti. La folla proruppe in incontrollate acclamazioni. Il corno suonò, a malapena udibile sopra il fragoroso ruggito. La partita era finita. La squadra di Richard aveva vinto il torneo, e più di una volta. Jagang, con la faccia rossa di rabbia, fece un lungo passo indietro, allun-
gò una mano, afferrò il braccio di Nicci e la strattonò in avanti al suo fianco. Sollevò l'altro suo braccio in aria per bloccare gli avvenimenti. L'arbitro e i suoi assistenti rimasero immobili a guardare l'imperatore. L'esultanza si affievolì e la folla sgomenta piombò lentamente nel silenzio. «La loro punta ha superato la linea esterna!» tuonò Jagang nella fredda aria notturna. «Ha corso fuori dai limiti!» Quando aveva corso nell'azione precedente, dato che era stato così vicino, Kahlan aveva potuto vedere che non era andato oltre la linea esterna. In effetti, la gente che si trovava lungo il limite, aveva allungato le mani cercando di toccarlo e lui era risultato fuori dalla loro portata. Questa volta, anche se Richard avesse davvero corso oltre la linea esterna, Jagang non poteva aver avuto modo di vederlo dall'altro lato del campo. «L'azione non era valida!» urlò Jagang. «Nessun punto! La partita è finita! La squadra reale vince il torneo!» Gli uomini sui lati della collina lo fissarono increduli. «Jagang il Giusto ha parlato!» urlò Nicci alla folla, sbeffeggiando la decisione di Jagang. Richard aveva appena costretto Jagang il Giusto a dimostrare a tutti che la giustizia dell'Ordine non era altro che un insensato motto. E Nicci aveva rigirato il coltello nella piaga per lui. Jagang le affibbiò un rovescio tanto violento da scagliarla a terra ai piedi di Kahlan. I sostenitori della squadra dell'imperatore impazzirono dalla gioia. Gli uomini saltellarono su e giù gridando ed esultando come se fossero stati loro a ottenere la vittoria. I tifosi della squadra di Richard impazzirono dalla rabbia. Kahlan, trattenendo il respiro, afferrò saldamente il coltello nel pugno, controllando la posizione delle sue guardie mentre Jillian si chinava ad aiutare la donna che sanguinava per terra ai loro piedi. I sostenitori della squadra di Jagang gridarono invettive a uomini che a loro volta urlarono che la loro era una squadra di imbroglioni e che avevano perso. Gli uomini cominciarono a spintonarsi a vicenda. Iniziarono a volare pugni. Dappertutto gli spettatori si schieravano con un gruppo o con l'altro e venivano estratte le armi. In un istante, l'intero accampamento era in rivolta. I fianchi della collina sembrarono rompersi, poi all'improvviso scesero come una valanga verso il campo di Ja'La. In una frenetica mischia, sem-
brava che l'intero esercito fosse coinvolto in modo inatteso in una battaglia campale. Kahlan non l'aveva creduto possibile, ma Nicci aveva ragione. Richard aveva appena scatenato una guerra. 35 La guardia reale di Jagang si tese, frapponendo le spalle nello sforzo di contenere la folla da ogni lato. Un adirato imperatore osservava mentre una feroce battaglia prorompeva tutt'intorno a lui. Non fece alcun movimento per mettersi in salvo. Semmai, sembrava che non volesse altro che unirsi alla battaglia. Le sue guardie fecero del loro meglio per tenere quella lotta il più lontano possibile da lui. Kahlan notò Richard dall'altro lato del campo. Alla luce delle torce, la sua vernice rossa risaltava come un avvertimento che il mondo sotterraneo stesso stava per aprirsi e ingoiarli tutti. Dietro di lui e gli uomini della sua squadra, l'intero fianco della collina era in piena rivolta. Ebbra furia, odio incontrollato e sete di sangue correvano senza freni. Kahlan cominciò a preoccuparsi che la vernice rossa che Richard aveva addosso l'avrebbe identificato come facile bersaglio per tutti i tifosi della squadra dell'imperatore. Tutti quegli spettatori sapevano bene chi era e cosa aveva appena fatto. Era oggetto sia di adorazione, sia di odio. Temeva che quello che all'inizio era stato un modo per nasconderlo avrebbe finito per rappresentare un modo per farlo individuare con facilità da coloro che volevano ucciderlo. Valutando la mezza dozzina delle sue guardie speciali presenti e vedendo che al momento erano più preoccupate di proteggere la vita dell'imperatore che di sorvegliare lei, Kahlan si accovacciò rapidamente accanto a Jillian. Strisce di sangue striavano il volto di Nicci. Una linea di segni causati dagli anelli di Jagang le correva lungo il lato della guancia. Era stordita, ma pareva che si stesse riprendendo. «Nicci,» sussurrò Kahlan mentre sollevava gentilmente la testa e le spalle della donna «sei ferita in modo grave?» Gli occhi azzurri di Nicci si aprirono lentamente, cercando di distinguere il volto di Kahlan. «Cosa?» «Sei ferita in modo grave?» Con un dito, Kahlan scostò alcune ciocche di capelli biondi dagli occhi di Nicci. «Hai qualcosa di rotto?» Nicci allungò una mano per tastarsi il volto. Mosse la mascella da un la-
to all'altro, controllando se funzionava. «Penso di star bene.» «Devi alzarti. Non penso che potremo star qui a lungo. Richard ha scatenato la sua guerra.» Nonostante l'evidente dolore, Nicci sorrise. Non aveva mai dubitato che l'avrebbe fatto. Kahlan si alzò, aiutando Jillian a mettere in piedi una Nicci ancora malferma. Jillian mise il braccio attorno alla vita di Nicci, sostenendola. Nicci circondò con un braccio le spalle della ragazza come appoggio. Jagang, lanciando un'occhiata indietro verso Kahlan, la vide aiutare Nicci ad alzarsi. Puntò verso Kahlan con una mano mentre con l'altra afferrava la camicia di una delle guardie speciali. Spinse l'uomo in direzione di Kahlan. «Tenetela d'occhio» ringhiò. «Tutti voi!» Gli uomini, gli unici che potevano vederla, oltre a Jagang e Richard, smisero di aiutare a trattenere le torme di soldati che si azzuffavano e si precipitarono a eseguire gli ordini dell'imperatore. Nella confusione e nel caos, le guardie regolari di Jagang, assieme a un contingente delle sue onnipresenti guardie del corpo, stavano furiosamente respingendo le turbolente folle urlanti in lotta intorno a loro. Le guardie di Jagang erano tutti uomini grossi e muscolosi, tuttavia l'unica cosa che potevano fare era cercare di trattenere i soldati regolari. Poco a poco, però, stavano cominciando a perdere terreno. Quei soldati regolari non erano davvero interessati a combattere contro le guardie di Jagang - erano del tutto occupati a combattersi fra loro, persi nell'impeto di una zuffa tra ubriachi - ma quel combattimento premeva comunque senza soluzione di continuità contro Jagang. Jagang, adirato, urlò alle sue guardie di non essere troppo indulgenti con uomini che chiaramente non stavano dando retta agli ordini. Comandò alle guardie di sbudellare i soldati se non avessero indietreggiato. Kahlan non pensava che l'imperatore fosse preoccupato della sua stessa incolumità. Era più una questione di indignazione alla mancanza di venerazione per la sua autorità. Le guardie non esitarono. Grossi uomini esperti che erano stati impegnati a respingere indietro i soldati passarono invece a uccidere quelli che premevano verso di loro. Jagang afferrò una spada corta quando una delle sue guardie del corpo gliela offrì, preoccupata che si potesse arrivare al punto in cui avrebbe dovuto difendersi da sé. Jagang diede sfogo alla sua
rabbia menando fendenti agli uomini da entrambi i lati. Sopra il fragore del combattimento, le loro urla si udirono a malapena. Il problema non era tanto che i soldati vicini coinvolti nel tumulto stessero disobbedendo di proposito agli ordini di indietreggiare: la realtà era che non avevano scelta. Il peso dell'intero fianco della collina stracolmo di uomini li spingeva a fluire verso il basso. Mentre l'intera folla era completamente in preda alla battaglia, la gente sul fondo vicino al campo di Ja'La era intrappolata in quella calca diretta verso il basso e non poteva far altro che essere trasportata incontro alle lame letali delle guardie di Jagang. Kahlan lanciò uno sguardo al tumulto sul campo di Ja'La. Sbatté le palpebre a quello spettacolo. Richard aveva un arco. Aveva già una freccia incoccata. Una seconda era pronta fra i suoi denti. Jagang era ritto al centro delle sue guardie, con una spada corta insanguinata serrata in un pugno contro il fianco mentre urlava ordini. Lanciava sguardi torvi con gli occhi neri ai soldati lì attorno, molti dei quali aggressivamente ubriachi, mentre combattevano e morivano per il risultato di una partita di Ja'La dh Jin. Jagang indicò con la mano libera, gridando ordini alle sue guardie, indirizzando degli individui in spazi vuoti nel tentativo di trattenere la folla. Kahlan guardò al di là e vide Richard con la corda tesa fino alla guancia. In un batter d'occhio, la freccia era stata scagliata. Lei trattenne il respiro mentre osservava l'affilata freccia con la punta d'acciaio volare. Veloce quasi quanto la prima, un'altra seguì. Quando ancora la prima non aveva colpito il bersaglio, una delle guardie di Jagang si voltò per rispondere a urgenti richieste d'aiuto da altre guardie che stavano cercando di ricacciare indietro un gruppetto di soldati che avevano fatto breccia attraverso le loro linee dall'altro lato. Lo slancio dell'uomo lo portò di fronte all'imperatore. Mentre gli correva davanti, venne trafitto dalla prima freccia destinata a Jagang. Fu colpito sotto il braccio destro, fra la placca anteriore e quella posteriore della spessa armatura di cuoio. La freccia penetrò tanto a fondo da raggiungere il cuore. A giudicare dal modo in cui l'uomo crollò a terra, l'aveva trafitto. Per la sorpresa, Jagang si voltò di poco, facendo un mezzo passo indietro quando l'uomo rantolò e cadde. Quel minimo spostamento si rivelò sufficiente a salvargli la vita, poiché la seconda freccia colpì Jagang dal lato destro del petto. Se non si fosse mosso quando l'altro uomo era stato trafitto, avrebbe ricevuto la seconda freccia proprio nel cuore.
Kahlan non riusciva a credere che, con tanto clamore, disordine, confusione, lotta furiosa, rabbia, dolore e morte tutt'intorno, a Richard fosse riuscito un tale tiro. Allo stesso tempo, non riusciva a immaginare che lui potesse fallire. Con una freccia conficcata in profondità nel petto, Jagang barcollò all'indietro. Quando cadde in ginocchio, le sue guardie accorsero freneticamente per circondarlo e formare un muro che lo proteggesse dalla possibilità che altre frecce lo colpissero. Kahlan perse di vista l'imperatore dietro il compatto schermo di guardie del corpo. Si avvalse del momento di agghiacciante shock sulle facce delle sue guardie speciali per piantare il coltello che aveva in una mano nel rene destro di una di queste, che stava osservando quale sarebbe stato il destino di Jagang. Contemporaneamente conficcò un'altra lama nelle budella di un uomo alla sua sinistra mentre questi si voltava verso di lei. Tirò il coltello verso l'alto, aprendogli uno squarcio. Una terza guardia si allontanò dall'imperatore e caricò verso di lei. Jillian lo fece inciampare e Kahlan intercettò la sua gola col coltello quindi mentre cadeva, lo decapitò. Si voltò e vide Richard dall'altra parte del campo. Aveva una spada. Quando un'altra guardia si avvicinò, le mani protese per disarmarla, Nicci gli piantò il coltello nella schiena. Lui si girò su sé stesso, urlando dal dolore mentre cercava di raggiungere la ferita alla spalla. Lei lo pugnalò due volte nel petto con colpi rapidi e violenti. Lui inciampò e cadde, cercando di gettarle le braccia attorno per reggersi, ma non ci riuscì e ruzzolò al suolo. Per non essere esperta nell'usare i coltelli, Nicci sembrava aver imparato. Un quinto uomo afferrò Jillian, con l'intento di usarla come scudo mentre si avvicinava a Kahlan. Lei squarciò l'avambraccio avvolto attorno al collo di Jillian, incidendo muscoli e tendini fino all'osso. Quando quello sussultò con un urlo di dolore, Jillian si allontanò rapidamente da lui. Mentre il soldato balzava verso Kahlan, lei usò il suo slancio in avanti per impalarlo sul coltello che aveva nell'altra mano. Spinse la lama verso l'alto finché non raggiunse le costole. L'uomo strabuzzò gli occhi dalla sorpresa. Lei fece un passo di lato mentre ricadeva in avanti, i suoi intestini che fuoriuscivano quando colpì il terreno freddo e duro. In tutta la confusione, non aveva visto la sesta guardia speciale, ma sapeva che c'era. La massa di uomini sul pendio dietro Richard continuava a scivolare verso il basso, riversandosi nell'incavo che ospitava il campo di Ja'La.
Gruppi di soldati, combattendo, sciamarono sul campo piatto. Molti degli uomini armati di archi erano già stati investiti dalla folla in tumulto. Dato che anche coloro che reggevano le torce erano stati travolti dalla battaglia scesa su di loro, si stava facendo buio. Diventava sempre più difficile vedere. Il campo di Ja'La stava venendo inondato da persone in lotta. Alcuni uomini combattevano per le proprie vite mentre altri combattevano per strapparle. Altri ancora, ubriachi dopo un giorno di festeggiamenti agli incontri di Ja'La, combattevano solo per il gusto di farlo. Uomini feriti gravemente erano sparsi sul terreno. Dappertutto quelli che erano stati colpiti urlavano di dolore. Nessuno li aiutava. Ben presto erano così tanti ad avere le facce coperte di rosso che stava diventando difficile scorgere Richard. Quello che solo poco tempo prima lo faceva risaltare, ora serviva a nasconderlo. Solo pochi momenti prima era ben visibile; ora era un fantasma in mezzo al caos. Nessuno dei soldati sembrava calmarsi o trattenersi. Erano infuriati e avrebbero ucciso chiunque. Chi faceva roteare asce, chi staccava braccia, chi fracassava crani e spaccava toraci, chi infilzava spade nei corpi. Malgrado fosse sempre più difficile, Kahlan non perse di vista Richard mentre i soldati lo attaccavano. Era bersaglio dell'ira di molti. Era responsabile della blasfemia contro l'Ordine Imperiale. Era colui che aveva osato pensare di poter sconfiggere la squadra dell'imperatore. Aveva realizzato l'impensabile. Lo odiavano per questo. Lo odiavano per quella che consideravano arroganza. Kahlan ritenne che credessero che avrebbe dovuto fallire, anche di proposito magari, e tutto sarebbe andato bene. Il fallimento era un talismano, per uomini del genere, un rancore che portavano addosso. Faceva uscire il loro odio quando qualcuno riusciva in qualcosa, qualunque cosa. Il successo doveva essere schiacciato. Erano i bruti dell'Ordine, ciecamente fedeli ai suoi insegnamenti, proprio in quanto bruti. Ai dettami dell'Ordine, dopo tutto, occorreva gente del genere per far osservare la fede. Mentre Richard attraversava il campo con passo sicuro, venendo verso Kahlan, gli uomini lo attaccavano di continuo. Lui li falciava con sbrigativa compostezza. Era metodico nel modo in cui si faceva strada. Quelli che cercavano di fermarlo morivano. «Cosa dovremmo fare?» chiese Jillian spaventata. Kahlan si guardò intorno. Non c'era alcun posto dove fuggire. L'esercito dell'Ordine Imperiale era tutto intorno a loro Non c'era alcuna via di scam-
po. Kahlan, essendo invisibile per la maggior parte di loro, poteva scappare per conto suo, ma non aveva intenzione di lasciare Jillian e Nicci a difendersi da sole fra quei bruti. Anche se avesse voluto, però, c'era la faccenda del collare attorno alla sua gola. «Dobbiamo rimanere qui» disse Nicci. Kahlan, pur sapendo che per loro non c'era alcun modo di fuggire, guardò la donna con aria perplessa. «Perché?» «Perché Richard avrà difficoltà a trovarci se ci allontaniamo.» Kahlan non pensava davvero che ci fosse nulla che lui poteva fare. Dopo tutto, lei e Nicci avevano i collari attorno alle loro gole. Jagang poteva essere stato ferito, ma era ancora cosciente. Se avessero tentato di fuggire, con quei collari le avrebbe fermate... o peggio. Era disposta a tentare, ma non finché non avesse visto un'opportunità utile. Era sempre possibile che Richard fosse in grado di uccidere Jagang. Allora avrebbero avuto una possibilità, sempre che Ulicia e Armina non fossero comparse nel frattempo. Jagang era un tiranno dei sogni. Per quanto ne sapeva Kahlan, avrebbe potuto controllare le loro menti per farle correre in suo aiuto. Tenendo vicina Jillian, Kahlan si guardò intorno. Nicci proteggeva la ragazza sull'altro fianco. In ogni direzione, gli uomini erano in preda alla smania di uccidere. Kahlan annuì. «Per il momento siamo più al sicuro qui, protetti dalle guardie di Jagang. Da come vanno le cose, però, potrebbe non durare molto.» Tutt'intorno gli uomini continuavano a combattere. Jagang era in ginocchio, al centro delle sue guardie, tenendosi il petto. Alcuni soldati si erano inginocchiati accanto a lui per sostenerlo nel caso l'avessero dovuto far rialzare e avanzare combattendo. Altri uomini urlarono ordini urgenti di portare una Sorella. Altre guardie reali sferzavano selvaggiamente i soldati che giungevano a tiro, cercando di tenere indietro la folla. Il terreno tutt'intorno all'area di osservazione dell'imperatore stava diventando scivoloso di sangue rappreso. Kahlan osservava Richard, paralizzata. Uomini da ogni parte si avventavano su di lui, cercando di ucciderlo. Lui si muoveva fra di loro come se fosse davvero un fantasma. In modo molto simile a come aveva schivato i difensori, si tuffava di lato quando le lame venivano vibrate verso di lui, scansava gli affondi quando doveva, scivolando fra coloro che tentavano di circondarlo. Quando attaccava con la
spada era rapido e sicuro, e chi gli si opponeva, moriva. Era la personificazione dell'economia di movimento, non muovendosi mai più del necessario mentre si faceva strada combattendo attraverso il campo di Ja'La. Tutt'intorno, decine di migliaia di uomini lottavano in una rumorosa e turbolenta battaglia. Richard era un'isola di serenità nel mare di caos. La sua spada guizzava e gli aggressori cadevano. Non si preoccupava nemmeno di ucciderne molti: semplicemente li spingeva via dalla sua strada dopo che quelli vibravano le loro spade in affondi o fendenti contro di lui. Quando un uomo caricò con un coltello, Richard cambiò posizione e con un colpo fulmineo staccò di netto la testa dell'assalitore. Kahlan osservava ammaliata. Comprendeva il modo in cui lui utilizzava una lama. Era del tutto diverso da come faceva chiunque attorno a lui. Era, in un certo senso, come guardare sé stessa nel pieno della battaglia. Perfino se i soldati venivano colti di sorpresa, spesso lei sapeva cosa Richard stava per fare prima che si muovesse. Per certi versi, lui combatteva in maniera diversa da lei, ma in molti sensi c'era parecchio in comune col modo in cui lei usava una lama. Lui era più robusto, perciò usava la sua forza quando gli tornava utile, ciò nonostante aveva più in comune con lei di chiunque altro Kahlan avesse mai visto. Ovviamente, lei non poteva ricordare nulla prima di quando le Sorelle l'avevano catturata e avevano usato su di lei l'incantesimo della Catena di fuoco, perciò supponeva di aver imparato da qualcuno, e quel qualcuno combatteva come Richard. Anche se lui era robusto, conservava la sua forza usandone solo lo stretto indispensabile. Non andava verso gli altri. Aspettava che fossero loro a venire da lui. Non effettuava movimenti ampi, ma respingeva invece il loro impeto contro loro stessi, mettendo la sua lama in modo che, quando sopraggiungevano, ci si infilzassero da soli. Sembrava sapere cosa stavano per fare e dove si sarebbero trovati prima che loro lo sapessero, e si avvaleva di quella conoscenza. Perfino mentre si faceva strada combattendo nella mischia il suo sguardo non si allontanava mai da lei. Malgrado continuasse a respingere gli aggressori avanzando con costanza attraverso il campo, però, era soltanto un uomo e, allo stesso modo in cui aveva utilizzato il peso della sua squadra per sbaragliare avversari più
forti e vincere la partita, la pressione dell'esercito attorno a lui non era qualcosa che potesse essere sopraffatta tanto facilmente. Per quanto combattesse con valore, il peso di quell'esercito di uomini stava turbinando attorno a lui, inondandolo. Un momento dopo Kahlan non riuscì più a vederlo. «Cosa facciamo?» chiese Jillian. Kahlan vide Jagang sputare sangue e respirare a fatica. «Penso che dovremmo cominciare a muoverci.» «Non possiamo» disse Nicci. «Se Richard non riesce a trovarci, siamo perdute.» Kahlan fece un gesto rivolto a tutto quel caos intorno. «Cosa pensi che possa fare?» «A questo punto,» disse Nicci «penso che tu abbia imparato a non sottovalutarlo.» «Nicci ha ragione» disse Jillian. «L'ho perfino visto tornare dal mondo dei morti.» 36 Kahlan poté solo stupirsi dell'affermazione di Jillian. Ora sapeva che quell'uomo poteva davvero scatenare una guerra, ma non credeva davvero che potesse andare nel mondo sotterraneo e tornare indietro. Osservando il pericoloso tumulto che si spiegava tutt'intorno a loro, però, sapeva che non era il tempo o il luogo per discuterne. Esaminò la confusione di incontrollata violenza, cercando una via di scampo. Se Jagang fosse morto, o anche solo svenuto, avrebbe potuto sfruttare quell'opportunità per fuggire con Jillian e Nicci. Si chiese se Jagang, in quanto tiranno dei sogni, fosse incosciente o no. Era preoccupata che anche da svenuto potesse controllarle tramite i collari. Anche se Jagang fosse morto, o avesse perso conoscenza e non avesse potuto fermare Nicci e Kahlan con i collari, c'era ancora la questione del vasto esercito attorno a loro. Kahlan era invisibile praticamente a tutti gli uomini che le circondavano, ma Jillian e Nicci no di certo. Far passare una donna attraente come Nicci e un bersaglio allettante come Jillian fra tutti quegli uomini non sarebbe stato facile. Di certo Nicci riponeva grande fiducia in Richard, però. «Pensi davvero che Richard possa farci fuggire di qui?» chiese a Nicci. Lei annuì. «Col mio aiuto. Penso di conoscere un modo.»
Kahlan non pensava che Nicci fosse il genere di donna che riponeva la propria fede in una speranza e una preghiera Durante il suo tormento con Jagang, non aveva cercato di aggrapparsi a illusioni di false speranze di salvezza. Se diceva di conoscere un modo, allora Kahlan era propensa a pensare che ci fosse qualcosa di vero. Attraverso un varco nella battaglia, Kahlan individuò Richard. Lui affondò la spada, infilzando un uomo prima che il soldato potesse completare il proprio colpo. Coperto coi simboli rosso sangue, ritrasse immediatamente la spada e col fendente di ritorno piantò l'elsa in faccia all'uomo che lo stava assalendo alle spalle. «Questa potrebbe essere la nostra unica opportunità, allora» disse Kahlan. Nicci allungò il collo per controllare i progressi di Richard prima di lanciare un'altra occhiata alla confusione che turbinava attorno all'imperatore ferito. «Non penso che ne avremo una migliore. Adesso o mai più. Con questi collari, però...» «Se Jagang è abbastanza distratto, potrebbe non usare i nostri collari per fermarci.» Nicci scoccò a Kahlan un'occhiata per intendere quanto fosse sciocco quel pensiero. «Ora ascoltami» disse. «Se qualcosa va storto, farò quello che posso per assicurare che tu, Jillian e Richard abbiate una possibilità di fuggire.» Nicci sollevò un dito come avvertimento. «Se si dovesse arrivare a questo, cogli quella possibilità; mi hai sentito? Se si arriva a questo, non osare sprecare l'opportunità che vi offro. Hai capito?» A Kahlan non piaceva che Nicci stesse pensando di sacrificare la propria vita per dar loro una possibilità di fuga. Si domandò anche perché Nicci considerasse più importante la vita di Kahlan rispetto alla propria. «Se tu prometti di non contemplare un'opzione del genere a meno che non ci siano proprio altre possibilità. Preferirei trovare un modo per fuggire tutti assieme.» «È l'unica vita che ho» disse Nicci. «Voglio conservarla, se e questo che ti stai chiedendo.» A quelle parole Kahlan sorrise e mise una mano sulla spalla di Jillian. «Rimani vicino, ma non metterti di mezzo se devo usare un coltello. E non esitare a usare il tuo, se devi.» Jillian annuì e Kahlan la accompagnò in direzione del campo di Ja'La dove aveva visto Richard per l'ultima volta. Nicci seguiva Jillian da vicino. Prima che Kahlan avesse fatto una dozzina di passi, il comandante Karg,
in sella a un enorme cavallo da guerra, irruppe attraverso il muro di combattenti dietro di loro. Il grosso cavallo sbuffò la propria disapprovazione agli uomini che gli si frapponevano. Il comandante, a capo di una vasta forza di guardie reali, si guardò intorno per valutare la situazione. Come gli uomini che proteggevano Jagang, quelli erano soldati dell'elite. Erano tutti grossi, di corporatura poderosa e armati fino ai denti, e sembravano essercene migliaia. La violenza che utilizzavano era straordinaria a vedersi. Si riversarono attraverso i soldati fra un'onda di sangue. A non molta distanza, dietro le guardie reali, Kahlan vide getti di fiamma sollevarsi nel cielo notturno. Il crudo bagliore rosso illuminava le facce deformate di uomini che combattevano per le proprie vite. Il perché stessero lottando sembrava aver perso importanza. I soldati sembravano folli in un mondo impazzito. Ognuno pensava a sé stesso, fatta eccezione per le guardie reali, che avevano una chiara idea di chi stessero combattendo: tutti tranne loro. «Stanno arrivando le Sorelle» disse Nicci mentre osservava le fiamme e il fumo ribollire nel cielo nero. «Non abbiamo molto tempo prima che sia troppo tardi. Cercate di rimanere alla larga e fuori dalla vista delle guardie.» Kahlan annuì e si mosse cauta assieme a Jillian in direzione contraria alla forza principale che si stava facendo strada verso di loro. Nicci aveva un piano per scappare. Richard le avrebbe cercate, perciò Kahlan non voleva allontanarsi troppo dall'ultimo posto in cui lui le aveva viste. Il suo scopo era aggirare il confronto principale fra i soldati regolari e la guardia reale e muoversi al contempo verso l'ultimo punto dove aveva localizzato Richard, sperando di non allontanarsi troppo da lui mentre si spostavano di lato. Allo stesso tempo, voleva stare alla larga dal nuovo conflitto. La guardia d'elite sarebbe stata un nemico molto diverso dai soldati regolari. Il comandante Karg balzò giù da cavallo fra il contingente di guardie reali originario. «Dov'è Jagang?» urlò al muro di guardie che proteggeva l'imperatore ferito. «È stato colpito da una freccia» disse uno degli ufficiali delle guardie mentre faceva segno ai suoi uomini di aprire un varco per il comandante. Allora Kahlan vide Jagang, ancora in ginocchio, con un uomo accovacciato accanto a lui che lo sosteneva. Era pallido, ma cosciente. Aveva difficoltà a respirare e tossiva di tanto in tanto, lasciandosi piccole macchie di sangue sul mento e sul petto. Con la mano stringeva la freccia che spunta-
va dal lato destro del suo torace. «Una freccia!» gridò Karg. «Com'è accaduto, nel nome della Creazione?» L'ufficiale afferrò Karg per la cotta di maglia e lo strattonò vicino. «Il tuo uomo l'ha colpito!» Il comandante Karg lo guardò torvo, sollevando il mento dell'ufficiale con la punta di un coltello. «Levami le mani di dosso.» L'uomo lasciò il comandante, ma gli restituì l'occhiataccia. «Be', cosa stavi dicendo sul mio uomo?» chiese Karg. «È stata la tua punta. Ha colpito l'imperatore con una freccia.» L'espressione di Karg si rabbuiò. «Allora lo ucciderò io stesso.» «Se non lo uccidiamo noi prima.» «Bene. Fatelo, allora. Non m'interessa chi lo uccide: l'unica cosa che importa è che muoia. Quell'uomo è pericoloso. Non voglio che se ne vada in giro libero a fare altri danni. Portatemi la sua testa, così saprò che è finita.» «Consideralo fatto» disse l'ufficiale. Karg ignorò la spacconeria e cominciò a spingere via gli altri uomini dalla sua strada. «Fate alzare l'imperatore!» urlò al muro di uomini attorno a Jagang. «Lo riportiamo al suo complesso. Lì ci sono Sorelle che possono aiutarlo. Non possiamo far nulla qui.» Nessuno fece obiezioni. Le guardie aiutarono Jagang ad alzarsi. Due uomini, uno da ciascun lato, lo presero per le braccia, sostenendolo. «Karg» disse Jagang con voce flebile. Il comandante si avvicinò. «Sì, Eccellenza?» Un sorriso si allargò sul volto di Jagang. «Lieto di vederti. Suppongo che tu te la sia guadagnata per un po'.» Il comandante Karg scambiò un breve, astuto sorriso con l'imperatore prima di voltarsi e urlare alle guardie. «Andiamo!» Jillian afferrò saldamente Kahlan da una parte e Nicci dall'altra mentre continuavano a scivolare di lato, cercando di non farsi vedere. Le guardie che aiutavano Jagang cominciarono a farlo allontanare. Gli uomini che il comandante Karg aveva portato con sé si facevano strada attraverso la battaglia menando colpi e fendenti. Kahlan era terrorizzata al pensiero di tornare nella tenda di Jagang. Mentre teneva d'occhio le guardie, lanciò un'occhiata di traverso per cercare Richard, ma non lo vide. Soldati infuriati e ubriachi combattevano intorno a loro tre mentre Kahlan osservava le guardie di Jagang che cominciavano a organizzarsi in
una cuspide per aprirsi un passaggio lontano dal campo di Ja'La verso il complesso dell'imperatore. Quasi tutte le torce si erano spente nel combattimento. Le guardie ne avevano portate di proprie, ma non erano vicine. Col buio dovuto al cielo nuvoloso, Kahlan non riusciva a vedere più neanche il campo di Ja'La. Anche l'altopiano che si innalzava sopra la piana di Azrith sembrava essere svanito nell'oscurità. Dovette usare la rampa in lontananza, illuminata dalla luce delle torce, per orientarsi. Con un tonfo che scosse la terra, delle fiamme ribollirono quando apparentemente le Sorelle usarono il loro potere per farsi strada attraverso il vasto esercito e andare a salvare Jagang. C'erano centinaia di migliaia di uomini all'incontro di Ja'La. Non sembrava che nessuno stesse fuggendo. Ora le guardie che proteggevano l'imperatore dovevano farsi largo in quella folla. Anche Kahlan, Jillian e Nicci dovevano fuggire attraverso la calca, ma non avevano migliaia di guardie pesantemente armate ad aiutarle. Confidavano, invece, nell'attirare meno attenzione possibile. Incurvandosi per sembrare innocue, evitavano di guardare direttamente gli uomini attorno a loro. Tenevano il cappuccio dei loro mantelli alzato e le teste basse mentre scivolavano lentamente fra sacche di relativa calma in mezzo al caos Procedevano piano. Non erano ancora riuscite ad allontanarsi dalle guardie impegnate in un corpo a corpo con la folla. In qualche modo, dovevano superare quelle linea di guardie e poi l'esercito al di là. Il comandante Karg, con un perfido sorriso sulla sua faccia da serpente, comparve all'improvviso dall'oscurità e afferrò Nicci per il braccio. «Eccoti qui.» Abbassò il cappuccio del suo mantello per darle una bella occhiata. «Tu vieni con me.» Fece un cenno a uno dei suoi uomini. «Portate anche la ragazza. Dato che stiamo per dare una festa, sarà meglio fare le cose per bene con una signorina per i miei uomini.» Jillian urlò quando l'uomo la staccò dalla stretta di Kahlan e se la trascinò dietro mentre seguiva il comandante Karg e Nicci. Quando Jillian tentò di accoltellarlo, lui le strappò la lama di mano. Quegli uomini non riuscivano a vedere Kahlan, altrimenti avrebbero afferrato anche lei. Kahlan si avvicinò alle spalle dell'uomo che reggeva Jillian. Iniziò a sollevare il coltello, ma una mano possente le afferrò il polso. Era una delle sue guardie speciali, il sesto uomo, di cui aveva perso le tracce. Torreggiava dietro di lei. Kahlan lo conosceva. Era uno degli uomini più svegli. Non era sbadato come gli altri. Aveva ancora tutte le sue armi.
Mentre Nicci e un'urlante Jillian venivano trascinate sempre più lontano da Kahlan, l'uomo le torse il braccio dietro la schiena finché le sue dita non si fecero insensibili. Gridò di dolore. L'espressione dell'uomo era ferma e indifferente alla sua sofferenza mentre le strappava il coltello di mano. Lei scalciò all'indietro verso i suoi stinchi, per fare in modo che la lasciasse andare. Invece di liberarla, l'uomo le torse il braccio ancora di più finché il dolore non le rese impossibile lottare. La spinse a forza nella direzione verso cui stava andando l'imperatore. Nicci guardò all'indietro verso Kahlan mentre il comandante Karg la trascinava in mezzo alla folla. Kahlan poteva cogliere delle fugaci apparizioni di capelli biondi fra i corpi in tumulto. La mano che la tratteneva le lasciò andare il polso. Al suo posto, le afferrò il braccio. Quella mano la tirò improvvisamente all'indietro attraverso gli uomini in lotta, nell'oscurità. Kahlan si voltò, pronta a battersi contro ciò che il bruto aveva ovviamente intenzione di fare. Al suo posto c'era Richard. Il mondo sembrò fermarsi. I suoi occhi grigi la fissavano fino nell'anima. Da così vicino, gli strani disegni rosso sangue dipinti sulla sua faccia erano terrificanti. Ma il sorriso sul suo volto lo faceva sembrare l'uomo più educato e gentile del mondo. Non sembrava in grado di fare altro che sorridere mentre la fissava negli occhi. Kahlan impiegò un momento per ricordare come respirare. Infine abbassò lo sguardo e vide la guardia speciale che le aveva stretto il polso. Era a terra; la sua testa era inclinata in un angolo innaturale. Sembrava non respirasse. Con corpi sparsi ovunque, nessuno prestava più alcuna attenzione. Dopo tutto, era soltanto un soldato regolare, come gli uomini che si combattevano a vicenda. Tranne per il fatto che era in grado di vederla. I pensieri di Kahlan tornarono ad affollarsi nella sua testa. L'idea che quell'uomo avesse Nicci e Jillian la rendeva confusa e nauseata. Fece scattare la mano in un rapido gesto. «Dobbiamo aiutare Nicci e Jillian. Il comandante Karg le ha prese.» Richard non esitò. I suoi occhi grigi si voltarono dove Nicci era scomparsa. «Sbrigati. Stammi vicino.» In solo una dozzina di passi tornarono nel vivo della battaglia. Questa volta, però, Richard non doveva combattere contro i soldati regolari, ma contro la guardia reale. Non sembrava che avesse importanza. Si mosse tra
di loro, falciando uomini per sgombrare una strada per lei quando doveva, evitandoli quando possibile. Quando un uomo affondò la sua lama, Richard fece un passo indietro per evitarla e gli tagliò il braccio, afferrando la spada prima che colpisse il terreno. La lanciò a Kahlan. Lei la afferrò e la usò immediatamente per fermare un uomo che si stava scagliando verso Richard. Avere una spada fra le mani le dava una gradevole sensazione. Era bello potersi difendere. Assieme si fecero strada attraverso le guardie reali. Il comandante Karg si lanciò un'occhiata alle spalle e vide arrivare Richard. Lasciò andare Nicci mentre si voltava verso la sua punta, sogghignando, pronto alla battaglia. Le guardie tutt'intorno videro che il comandante voleva risolvere da solo la questione, quindi tornarono ai loro affari. «Be', Ruben, sembra che...» Richard roteò la spada, decapitando il serpente senza tante cerimonie. Non era interessato a nulla tranne ciò che doveva essere fatto. Era un uomo che non doveva insegnare una lezione ai nemici. Gli interessava solo eliminarli. Una guardia che aveva visto l'accaduto si diresse verso Richard. Nicci con un rapido gesto si voltò e gli tagliò la gola col suo coltello. La faccia dell'uomo fu percorsa da una completa sorpresa mentre afferrava la ferita aperta e cadeva su un ginocchio prima di crollare al suolo a faccia in giù. In un istante, furono nel mezzo di una furibonda battaglia. Con così tanti uomini a puntare su di loro, Richard non poteva più trattenersi. Si fece strada a colpi di spada in preda alla furia fra le guardie reali. Preoccupata che fossero troppi per lui, Kahlan non poteva lasciare che facesse tutto da solo. Ora lei aveva il vantaggio di essere invisibile. Poteva muoversi fra gli uomini che attaccavano Richard e far loro del male. Gli uomini che si aspettavano di combattere con Richard venivano trafitti dalla sua lama sbucata dal nulla. Insieme, stavano massacrando le guardie. Anche Nicci passò immediatamente all'attacco. Tutti e tre avevano ora un unico scopo: farsi strada combattendo fra le guardie reali. «Dobbiamo raggiungere la rampa!» urlò Nicci a Richard. Lui estrasse la spada da un uomo caduto davanti a lui e guardò accigliato Nicci. «La rampa? Sei sicura?» «Sì!» Richard non obiettò. Cambiò la direzione del combattimento, coprendo Jillian mentre si faceva strada lottando attraverso la massa infinita di energumeni, assicurandosi che nessuno potesse raggiungerla.
Mentre procedevano trafiggendo e mutilando, Kahlan seppe che doveva stare lontana da Richard per dargli lo spazio di cui aveva bisogno. Molti degli uomini erano diretti su di lui. Nessuno poteva vedere Kahlan, perciò tirò indietro Jillian lontano da Richard in modo che le guardie non potessero afferrarla e usarla come uno scudo per catturarlo. Kahlan poteva proteggerla meglio di Nicci. Cercò di tenere al riparo Jillian mentre copriva anche le spalle di Nicci assalendo coloro che non le prestavano attenzione. Quando uno degli uomini alle sue spalle sollevò una spada contro Jillian, qualcuno lo trapassò da dietro. Mentre l'uomo morente cadeva a terra, Kahlan si ritrovò a fissare il volto sorridente di un uomo con stranissimi occhi dorati. «Sono qui per aiutarti, bella signora.» Anche nella quasi oscurità, la spada dell'uomo luccicava. Era vestito come un soldato dell'Ordine, ma non era uno di loro. Mentre Jillian arretrava verso Kahlan, un altro uomo fece un affondo verso di lei con una spada e l'uomo dagli occhi dorati roteò su sé stesso e con un fendente di rovescio colpì l'aggressore alla tempia. Quando la spada lucente colpì, la testa della guardia si frantumò in mille pezzi. Kahlan sbatté le palpebre dallo stupore. Richard vide cosa stava accadendo e accorse. Lo straniero, con l'aria improvvisamente adirata, affondò la spada luccicante contro Richard. Lui allora fece una cosa stranissima: rimase lì fermo. Kahlan sapeva per certo che stavolta Richard sarebbe stato trafitto, ma la lama, che solo un istante prima aveva fracassato la testa di un uomo, si comportò in maniera davvero sconcertante. Appena prima di impalare Richard, virò da un lato, come se quest'ultimo fosse protetto da una sorta di scudo invisibile. L'uomo, ancora più adirato, fece un altro affondo, ma di nuovo la spada deviò quest'ultimo di lato, scivolando oltre Richard. Lo straniero sembrò non solo sorpreso, ma preoccupato. La preoccupazione divenne uno sguardo di fredda rabbia. «È mia!» Kahlan non riusciva a immaginare di cosa stesse parlando l'uomo. Prima di avere modo di domandarselo, vide Nicci crollare al suolo tenendosi la gola. Un nuovo manipolo di guardie reali caricò con tale velocità e tanto numeroso che Richard fu costretto a voltarsi e affrontarli per non essere ucciso. D'improvviso imperversò una nuova battaglia. Accorsero uomini ur-
lando grida di battaglia roteando le spade. Richard combatté furiosamente, ma fu obbligato a indietreggiare. Mentre l'ondata di guardie si riversava contro, lo spazio fra Richard e Kahlan cominciò ad allargarsi. Kahlan prese ad attaccare gli uomini che sciamavano attorno a Richard, ma lo straniero la afferrò per il braccio, tirandola via. «Dobbiamo andare. Ora. Lui può occuparsi di quegli uomini. Ci sta dando un'opportunità di fuggire. Dobbiamo prenderla.» «Non lo lascio a...» All'improvviso Kahlan emise un rantolo mentre il dolore la investiva a tutta forza. La spada cadde dalla sua stretta. Portò le mani alla gola, cercando di afferrare il collare. Urlò anche se cercò di non farlo. Il dolore bruciante era tanto acuto, tanto violento, che era impossibile non urlare. Cadde in ginocchio, proprio come Nicci. Versò lacrime di agonia dagli occhi. «Andiamo!» urlò lo straniero. «Dobbiamo andarcene, sbrigati!» Kahlan non era in grado di fare nulla per fuggire. Tutto ciò che poteva fare era trarre un respiro attraverso il dolore lacerante. Attraverso la vista sfocata dalle lacrime, poteva vedere il terrore, la rabbia sul volto di Richard mentre tentava invano di raggiungerla. Altri uomini della guardia reale arrivarono a frotte, con l'intenzione di uccidere la punta che aveva umiliato l'imperatore e scatenato il tumulto. Anche se la sua spada uccideva a ogni affondo e gli aggressori cadevano morti tutt'intorno a lui, lo caricavano in numero sempre maggiore e Richard venne spinto indietro. Kahlan cadde a faccia in giù sulla dura terra. Il dolore le percorse i nervi della schiena e poi le gambe, causandole delle contrazioni. Non aveva controllo sui suoi muscoli. Lo straniero afferrò il braccio di Kahlan. «Forza! Dobbiamo andarcene ora!» Lei non fu in grado di rispondergli e lui cominciò a trascinarla via. 37 Richard poteva vedere Kahlan urlare dal dolore, cercando di afferrare il collare attorno alla sua gola. Il suo cuore gli martellava dal terrore mentre combatteva. Malgrado i suoi frenetici tentativi di far breccia attraverso la muraglia di uomini in cuoio e cotta di maglia, per lui si stava rivelando impossibile raggiungerla. In effetti, tutto ciò che poteva fare era tenere du-
ro contro il crescente numero di guardie che piombavano su di lui. Una letale varietà di armi si abbatteva su di lui da ogni direzione: spade/coltelli, asce e lance. Dovette cambiare tattiche per difendersi da ognuna di esse. Trafisse un uomo che brandiva una spada e col colpo di ritorno ruppe una lancia. Si tuffò sotto un'ascia mentre questa fischiava sopra la sua testa. Sapeva che anche un solo errore gli sarebbe costato la vita. Nel frattempo, malgrado stesse combattendo tanto duramente come non aveva mai fatto in vita sua, era stato costretto a cedere sempre più terreno. Era l'unico modo per evitare di essere sopraffatto. Più volte tornò ad attaccare in preda a una rabbia selvaggia, insinuandosi fra le linee nemiche, ma quando lo faceva, altri uomini apparivano a prendere il posto di quelli che venivano falciati dalla sua lama. In quegli sforzi frenetici, il meglio che poteva fare era mantenere la posizione. Ogni volta che prendeva fiato, perdeva terreno. Kahlan era così vicina, eppure così lontana. Ora Jagang la stava di nuovo portando via da lui. Richard si rimproverò per non aver fatto di più per uccidere Jagang. Avrebbe dovuto darsi più da fare. Se solo quell'uomo non fosse passato di fronte a Jagang proprio al momento sbagliato, la freccia di Richard avrebbe svolto il suo compito. Ma per quanto si dicesse che avrebbe dovuto fare di più, che avrebbe dovuto tentare qualcos'altro, sapeva di non potersi soffermare su come sarebbe potuta andare. Doveva escogitare qualcosa da fare in quel momento. Con delle occhiate di sfuggita riuscì a vedere che anche Nicci era a terra. Come Kahlan, stava soffrendo in maniera terribile. Richard sapeva che era urgente aiutarle. Samuel non stava certo facendo nulla di utile. La distrazione causata dalla preoccupazione stava facendo perdere a Richard la sua coordinazione. Mancò di completare un affondo, lasciando vivo l'uomo che poté quindi contrattaccare. Solo un rapido movimento impedì che la lama gli facesse più di un taglio superficiale sulla spalla. Quasi perse la vita diverse volte per cercare di cogliere un'occhiata di Kahlan. Aveva quasi sbagliato una mossa proprio all'ultimo momento. Sapeva che doveva concentrarsi. Non avrebbe potuto aiutare Kahlan, Nicci e Jillian da morto. Le sue braccia, però, sembravano di piombo. Le sue mani erano scivolose per il sangue. La presa sulla spada continuava a sfuggirgli. Un uomo fece ruotare l'ascia fra le dita mentre la sollevava, come per
dimostrare a Richard che ora doveva vedersela con un esperto. L'uomo afferrò il manico e cominciò a vibrare l'ascia verso il basso per uccidere. All'ultimo istante, Richard si tuffò di lato, poi, urlando per lo sforzo, roteò la sua arma. Il colpo staccò il braccio dell'uomo. Richard con un calcio allontanò l'uomo sbigottito, poi si tuffò sotto un violento fendente di spada diretto alla sua testa e conficcò la sua arma nella parte inferiore dell'addome dell'uomo. La spada che stava usando andava bene, ma non era la sua spada. La sua l'aveva Samuel. Richard temeva di immaginare cosa stesse facendo. Vedendolo in piedi sopra Kahlan, però, non aveva bisogno di fantasticare. Richard ricordò che Zedd gli aveva detto, quando gli aveva dato la Spada della Verità, che non poteva usarla contro Darken Rahl perché lui aveva messo in campo le scatole dell'Orden Zedd aveva detto che, durante quel periodo lungo un anno, il potere dell'Orden proteggeva Darken Rahl dalla Spada della Verità. Richard sapeva che ciò che aveva appena fatto era folle, ma doveva verificare la sua teoria. Doveva accertarne la verità per riuscire in ciò che sarebbe seguito. Le scatole dell'Orden erano davvero in campo a suo nome, e la Spada della Verità non poteva danneggiarlo per quel motivo. Quando pensò di non poter andare avanti, usò la pura rabbia che provava per l'atroce pericolo in cui si trovava Kahlan per costringersi a continuare comunque. Non sapeva per quanto avrebbe potuto sostenere un tale sforzo. Sapeva solo che, quando si fosse fermato, sarebbe morto. Proprio allora un altro uomo si fece strada a colpi di spada da dietro Richard, proteggendo il suo fianco sinistro da un terzetto di uomini che attaccavano da quella direzione. Con la coda dell'occhio, Richard vide della vernice rossa. Menò un fendente con la sua lama sulla faccia di un uomo quando questi commise l'errore di ritrarre il proprio braccio. Mentre cadeva da un lato con un urlo, Richard utilizzò quel varco per rivolgere una rapida occhiata alla sua sinistra. Era Bruce. «Cosa stai facendo qui?» Richard urlò all'uomo fra il cozzo dell'acciaio. «Quello che faccio sempre: proteggerti!» Richard quasi non riusciva a credere che Bruce, un soldato regolare dell'Ordine Imperiale, stesse combattendo al suo fianco contro la guardia reale dell'imperatore. Quell'uomo si stava macchiando di tradimento nel
combattere accanto a lui. Suppose che vincere contro la squadra dell'imperatore fosse il tradimento più grande. Bruce combatteva con una sua furia personale. Sapeva che quella era una partita che non potevano permettersi di perdere. Compensava con pura tenacia quello che gli mancava nella tecnica. Richard carpì un'altra occhiata e vide che Samuel stava cominciando a trascinar via Kahlan. Il volto di lei era un ritratto di terribile sofferenza. Le sue dita erano insanguinate perché aveva graffiato il collare. Con un lampo improvviso e un pesante tonfo nell'aria, i soldati tutt'intorno a Richard, incluso Bruce, furono spinti indietro come da un'esplosione. Tuttavia non c'erano fiamme, né fumo, né detriti volanti, né il rumore assordante di uno scoppio. Essendo al centro dell'evento, Richard restò con la vista sfocata e un formicolio per tutto il corpo dovuto alla scossa. In ogni direzione, la foresta di grosse guardie reali era riversa sul terreno scuro, come alberi abbattuti. In lontananza il fragore della battaglia continuava a imperversare, ma più vicino era spaventosamente silenzioso. Molti degli uomini sembravano privi di sensi. Alcuni gemettero mentre tentavano di muoversi, ma le braccia ricaddero dopo che le ebbero sollevate di poco, come se anche quello fosse uno sforzo troppo grande. Una fitta di dolore all'improvviso colpì con violenza Richard alla base del cranio. Sembrava come se fosse stato percosso da dietro con una barra di ferro. Era stata lancinante, al punto da farlo cadere in ginocchio. Riconobbe quella sensazione. Non era stato colpito col ferro: era magia. Accanto a lui, Bruce giaceva in terra a faccia in giù. Ancora in ginocchio, Richard vide, in lontananza nell'oscurità, una donna emaciata che incedeva verso di lui attraverso i corpi dei soldati in terra. Si muoveva come un avvoltoio che osserva una preda ferita. Il suo aspetto trasandato fece sospettare a Richard che si trattasse di una delle Sorelle di Jagang. Incapace di sopportare il dolore che gli ronzava in testa, Richard crollò a faccia in giù. Una fitta rovente guizzava attraverso ogni nervo del suo corpo. Nuvolette di polvere venivano spinte nell'aria notturna con ognuno dei suoi respiri ansimanti. Non riusciva a muovere le gambe. Si tese con tutte le sue forze per alzarsi, ma non riusciva semplicemente a far rispondere il proprio corpo. Con enorme fatica riuscì infine a muovere un poco la testa. Mentre giaceva a pancia in giù, cercò disperatamente di mettersi almeno in ginocchio, ma non ci riuscì. Guardò verso Kahlan, lungo il campo di battaglia disseminato di uomini caduti. Anche fra l'evidente dolore, lei gli
stava restituendo lo sguardo, in ansia per quello che gli stava accadendo. La Sorella era ancora a una certa distanza, ma Richard sapeva di non avere più molto tempo per fare qualcosa. «Samuel!» urlò Richard. Samuel, mentre cercava di trascinare Kahlan per un braccio, si fermò lì dov'era e guardò all'indietro verso Richard scrutandolo di sottecchi con gli occhi dorati. Richard non poteva aiutare Kahlan. Almeno, non nel modo in cui avrebbe voluto. «Samuel, brutto idiota! Usa la spada per tagliarle via il collare.» Samuel, reggendo il braccio di Kahlan con una mano, alzò con l'altra la spada che tanto bramava, osservandola con sguardo accigliato. Richard osservò la Sorella che avanzava sempre più vicino fra l'oscurità. Si ricordò di una volta quando, mentre veniva portato al Palazzo dei Profeti, aveva usato la Spada della Verità per tagliare un collare di ferro attorno alla gola di Du Chaillu. Si ricordò anche di quando era a Tamarang con Kahlan e aveva usato la spada per squarciare le sbarre della prigione. Sapeva che la Spada della Verità poteva tagliare l'acciaio. Sapeva anche, dalla volta in cui le Sorelle avevano messo il collare attorno alla sua gola, che la spada non poteva tagliare un Rada'Han. Il collare era stato chiuso e serrato dal potere del suo stesso dono. Non era tanto l'acciaio che la spada non poteva tagliare, sospettò Richard, quanto il potere vincolante della magia stessa. Il Rada'Han, quando usato come previsto, in un certo senso diventava parte della persona su cui veniva chiuso. Per tale ragione sapeva che la spada non sarebbe stata in grado di tagliare il collare di Nicci. Ma il collare attorno alla gola di Kahlan era diverso. Non era il suo dono quello che lo legava a lei. Era stato semplicemente chiuso attorno al suo collo e usato per controllarla. Richard sospettava anche che Sei potesse aver fornito a Samuel un po' di aiuto supplementare. Di certo non era stata la sua intelligenza a portarlo fin lì. Ogni capacità in più che lei gli avesse dato avrebbe potuto aiutarlo anche in questo. Richard non era sicuro di come funzionasse, ma era certo che fosse l'unica possibilità di Kahlan. Doveva almeno fare in modo che Samuel tentasse. «Sbrigati!» gridò Richard. «Infila la lama sotto il collare e tira! Sbrigati!» Samuel guardò Richard con diffidenza per un momento. Abbassò gli occhi e vide l'agonia di Kahlan, poi si piegò su un ginocchio e infilò in fretta la spada sotto il collare.
Alcuni dei soldati a terra sembravano cominciare a rinvenire. Gemevano tenendosi la testa fra le mani. Samuel diede un forte strattone alla Spada della Verità. La notte riecheggiò al suono dell'acciaio che andava in pezzi. Kahlan, libera dal collare, crollò al suolo dal sollievo. Mentre giaceva a terra ansante, riprendendosi da quel tormento, Samuel corse per un breve tratto fino al cavallo da guerra che il comandante Karg aveva montato. Allungò una mano sotto il collo del cavallo e prese le redini. Dopo aver condotto vicino il cavallo, afferrò Kahlan per un braccio. Lei giaceva mollemente al suolo, ancora stordita dal dolore del collare, ma stava cominciando a muovere le gambe, cercando di alzarsi. Con Samuel che le tirava il braccio, venne infine trascinata in piedi. Richard, ancora incapace di alzarsi, guardò di lato e vide la Sorella, che teneva chiuso il suo scialle sbrindellato, camminare sopra gli uomini caduti mentre si avvicinava. Kahlan barcollò in modo instabile, ma poi si riprese abbastanza da chinarsi e agguantare una spada. Intendeva andare in aiuto di Richard. Richard non poteva permetterlo. «Corri!» le urlò. «Corri! Non c'è nulla che puoi fare qui! Fuggi finché sei in tempo!» Samuel infilò uno stivale in una staffa e balzò in sella. Kahlan rimase a guardare Richard, con gli stupendi occhi verdi colmi di lacrime. «Sbrigati!» Samuel le gridò. Sembrò non sentirlo nemmeno. Non riusciva a distogliere gli occhi da Richard. Sapeva di lasciarlo lì a morire. «Vai!» urlò Richard con tutte le sue forze. «Vai!» Le lacrime gli bruciavano gli occhi. Malgrado quanto ci provasse, non riusciva nemmeno ad alzarsi sulle mani e sulle ginocchia. La magia che gli bruciava in corpo non glielo consentiva. La Sorella rivolse una mano verso Samuel. Una vampata di luce venne lanciata attraverso la notte. Samuel usò la spada per deflettere il lampo luminoso. Quello descrisse un arco nel cielo notturno. La Sorella parve sorpresa. Tutt'intorno in lontananza, la battaglia continuava a imperversare. Più vicino, le guardie stordite dalla prima scarica di energia della Sorella non si erano ancora riprese abbastanza da alzarsi. A quanto pareva, la Sorella non voleva che interferissero. Aveva i suoi piani personali.
Il grosso cavallo da guerra agitò la testa mentre raspava il terreno. Kahlan lanciò un'occhiata a Nicci. Era raggomitolata e tremante per il dolore. Jillian giaceva a terra accanto a lei, stordita dalla stessa scarica della magia della Sorella. Malgrado avesse l'opportunità di fuggire, Richard sapeva che Kahlan l'avrebbe gettata via per cercare di aiutarle. Sapeva che non c'era niente che Kahlan potesse fare per Nicci. Se Kahlan fosse rimasta, sarebbe morta. Molto semplicemente. Per quanto detestasse il pensiero, al momento Samuel era la sua unica possibilità di salvezza. «Fuggi!» gridò Richard, la sua voce soffocata dalle lacrime. «Ma devo aiutare Nicci e...» «Non c'è nulla che puoi fare per lei! Morirai! Fuggi finché sei in tempo!» Samuel abbassò una mano e le afferrò il braccio, aiutandola a montare sul cavallo dietro di lui. Non appena fu salita, non perse tempo e coi talloni spronò il cavallo. Quello si lanciò a un galoppo sfrenato, sollevando terra e roccia nella sua scia. Mentre il cavallo svaniva nell'oscurità, Kahlan si guardò indietro voltandosi appena. Richard non distolse mai gli occhi da lei, sapendo che era l'ultima volta che l'avrebbe vista. In un attimo, mentre ancora lo guardava, scomparve nella confusione dell'accampamento e svanì. Richard si afflosciò contro la terra fredda e dura, le lacrime che gli colavano dal volto. La Sorella, facendosi strada fra le centinaia di guardie reali stordite che si rotolavano per terra, uscì dalle tenebre e giunse infine sopra di lui. Richard avvertì il livello di dolore crescere, aveva difficoltà a respirare. Lei voleva essere assolutamente sicura che non potesse sollevarle contro neanche un dito. Lo scrutò con sorpresa meraviglia. «Bene bene, ma tu guarda se non è Richard Rahl in persona.» Richard non ricordava quella Sorella. Aveva un aspetto macilento. I suoi capelli ingrigiti erano scarmigliati. I suoi vestiti poco più che stracci. Sembrava più una mendicante che non una Sorella della Luce - o dell'Oscurità, non sapeva quale. «Sua Eccellenza sarà molto soddisfatto di me per se gli portava un tale premio. Penso che sarà anche più che soddisfatto di avere finalmente la
possibilità di vendicarsi di te, ragazzo mio. Immagino che, prima che la notte sia finita, comincerai un tormento molto lungo nelle tende della tortura.» Immagini di Derma balenarono nella mente di Richard. 38 Pur fra le sue sofferenze, incapace di rialzarsi da terra, Richard non riuscì a non gioire che Kahlan non avesse più quel tremendo collare attorno alla gola. Era libera da Jagang. Richard sapeva che, anche se Samuel fosse stato catturato o ucciso prima di riuscire a fuggire dall'accampamento, Kahlan sarebbe stata invisibile per quegli uomini. Sarebbe stata comunque in grado di andarsene per conto suo. Conoscendola, con tutta probabilità avrebbe usato quel vantaggio per annientare metà accampamento strada facendo. Non importava quello che sarebbe accaduto a lui, a quel punto: il suo sollievo per Kahlan era ciò che gli importava di più. Kahlan non sapeva chi era né dove andare, ma sarebbe stata viva e al sicuro da immediato pericolo. Richard era dovuto venire nell'accampamento dell'Ordine per liberarla. Almeno questo era riuscito a farlo. Malgrado il pericolo in cui si trovava, ne valeva la pena se era riuscito a farla fuggire. Guardò oltre la Sorella che torreggiava sopra di lui, verso Nicci. Era in una situazione molto grave. Aveva uno di quei collari attorno alla gola. Lui conosceva bene la desolata sofferenza in cui si trovava. Richard desiderò poter aiutare anche lei, o almeno farle sapere che non era sola e abbandonata. Ma non poteva far nulla. Sapeva che Jillian non se la stava passando meglio. Si rammentò di non fissarsi su pensieri tanto terribili. Un problema alla volta, si disse. Doveva trovare un modo di aiutarle entrambe. All'improvviso il dolore abbandonò le braccia e le gambe. Il resto del corpo sembrava ancora bruciare. Anche se almeno poteva cominciare a muoversi, la testa gli doleva tanto che tutto pareva sfocato e distorto. «In piedi» disse la Sorella sopra di lui. Sembrava essere di pessimo umore. Aveva dichiarato di essere lieta che catturare Richard le avrebbe fruttato una ricompensa da parte di Jagang, ma di certo dalla voce non sembrava di buon umore per la propria inattesa fortuna.
Doveva essere una Sorella dell'Oscurità, dedusse lui. Ma pensò che dopo tutto non era importante. «Immagino che tu non sia felice di rivedere la mia faccia» disse in tono di compiaciuta soddisfazione. Probabilmente lei si credeva importante, pensava che il mondo intero dovesse conoscere il suo cipiglio sprezzante, il suo atteggiamento altezzoso, la sua lingua tagliente. Alcune persone pensavano di poter ottenere importanza, prestigio e fama attraverso pomposa arroganza. Scambiavano la paura per rispetto. Richard non si ricordava davvero di quella donna, però, e non credeva che fosse il caso di assecondarla. «Non posso davvero dire di ricordarmi di te. Dovrei, per qualche motivo?» «Bugiardo! Tutti a palazzo mi conoscevano!» «Ottima cosa» disse Richard, cercando di prendere tempo per poter riacquistare un po' di forze. «In piedi!» Richard fece del suo meglio per provare a obbedire. Non era facile. I suoi arti non funzionavano come avrebbe voluto. Una volta che si fu inginocchiato, lei gli assestò un calcio nelle costole. Richard sussultò a quel colpo. Fortunatamente, lei non aveva né il peso né la forza perché il calcio gli causasse delle fratture; fu solo doloroso. Era il suo dono a essere pericoloso. «Ora!» urlò lei. Richard si mise in piedi barcollando. Le braccia e le gambe stavano cominciando a scrollarsi di dosso il dolore bruciante. Non la testa. Gli uomini tutt'attorno a lui erano ancora a terra, ma alcuni di loro parevano iniziare a riacquistare conoscenza. Bruce rotolò su sé stesso, gemendo mentre si afferrava la testa. Lo sguardo della Sorella guizzò a un aumento nel frastuono della battaglia nell'oscurità circostante. Richard sfruttò quell'opportunità per lanciare una rapida occhiata, esaminando le armi a terra. Se gli avesse voltato le spalle, avrebbe dovuto cogliere l'occasione. Una volta che Jagang lo avesse fatto legare nelle tende di tortura, Richard sapeva che non avrebbe più rivisto la luce del sole. Per quanto quella sorte lo terrorizzasse, una parte di lui non riusciva a non sentirsi sollevata sapendo che Kahlan era fuggita. Represse la propria sofferenza per le lacrime che aveva visto nei suoi occhi mentre riusciva a scappare. Questo non faceva che rammentargli quanto lei lo amava, anche
se non se lo ricordava più. «Non sai da quanto attendo, un'occasione che mi faccia guadagnare il favore dell'imperatore. Alla fine il Creatore ha esaudito le mie preghiere e ti ha consegnato in mio potere.» «Dunque,» disse Richard «il tuo Creatore ha l'abitudine di consegnarti vittime in risposta alle tue preghiere? È così sensibile all'adulazione delle tue sudice mani premute assieme per supplicarlo da essere così desideroso di aiutarti a riempire le tende di tortura?» Lo guardò con un lento, scaltro sorriso. «La tua lingua irriverente verrà presto tagliata, cosicché gli umili servi del Creatore non dovranno sentirti pronunciare le tue blasfemie.» «Un bel po' di persone mi hanno detto che la mia lingua irriverente è uno dei miei difetti, perciò mi farete solo un favore a tagliarla.» Il suo sorriso scaltro si incurvò di rabbia. Si voltò di lato, facendo un gesto per abbracciare l'accampamento. «Tu pensi di...» Richard le assestò un calcio sul lato della faccia con tutta la forza che riuscì ad accumulare. Il colpo poderoso la colse completamente alla sprovvista, sollevandola da terra mentre si schiantava al suolo. Denti e sangue volarono via nel buio. Lei atterrò su un fianco con un duro tonfo. L'impatto dello stivale sembrò fracassarle la mascella. Richard si tuffò per raccogliere una spada. Sapeva di non potersi permettere di sottovalutare una donna del genere. Finché non fosse morta, poteva ucciderlo, o fargli desiderare di essere morto. Le sue dita afferrarono l'elsa di una spada. Roteò su sé stesso per conficcarla dentro di lei. L'aria esplose di luce. Richard atterrò sulla schiena tanto duramente da rimanere senza fiato. Lei era in piedi, il sangue che le colava dalla base del volto in lunghi rivoli che si sparsero attorno mentre sollevava entrambe le mani. Richard quasi non riusciva a credere che fosse in grado di stare in piedi. Sembrava una persona appena morta tornata in vita. Sapeva che non avrebbe resistito a lungo, ma sarebbe potuta sopravvivere abbastanza da ucciderlo. L'urto del colpo aveva causato ovviamente un danno spaventoso, tuttavia quell'impatto improvviso nel mezzo della battaglia le aveva impedito di provare immediatamente dolore. Anche se, per quanto ne sapeva, lei poteva cominciare ad avvertirlo a breve e crollare a terra urlando per il tormento, al momento non lo sentiva e un momento era tutto quello che le occorreva. Aveva negli occhi uno sguardo assassino.
Richard cercò di rimettersi in piedi per finirla, ma era come se avesse un toro appoggiato sul petto. Non riusciva a respirare. Lei fece un passo verso di lui, poi si bloccò, con lo sguardo confuso. I suoi occhi si fecero sfocati. All'improvviso si mise le mani sul petto. Richard sbatté le palpebre dalla sorpresa mentre la osservava fare un altro arrancante passo in avanti e cadere a faccia in giù, sbattendo forte contro il terreno senza neanche provare ad arrestare la propria caduta. La fissò per un istante, incerto se fosse un qualche tipo di trucco. Lei non si muoveva. Il peso si era sollevato dal suo petto. Non volendo sprecare l'opportunità, afferrò la spada che aveva lasciato cadere. Qualcosa catturò l'attenzione di Richard. Alzò lo sguardo e non riuscì a credere a chi vedeva lì in piedi nell'oscurità dietro il punto in cui la Sorella si era trovata solo un momento prima. «Adie?» L'anziana donna sorrise. «Adie! Come sono contento di vederti» disse Richard rialzandosi in piedi. «Vero» disse lei, annuendo. «Cosa ci fai qui?» «Essere diretta verso Mastio quando io vedere una stranissima partita di Ja'La, con giocatori tutti dipinti con disegni molto, molto pericolosi. Allora io avere capito che solo potere essere tu. Da allora, avere cercato di raggiungere te. Essere stato piuttosto difficile.» Non faceva fatica a immaginarlo. Richard non perse tempo a riflettere sull'intera questione o a fare domande all'anziana incantatrice. Corse dove Nicci giaceva a terra, contorcendosi per il dolore. I suoi occhi lo fissarono terrorizzati, come per implorare aiuto. Era persa in un mondo di sofferenza. Lui sapeva che era il collare a infliggerle quella tortura. Non sapeva cosa fare. «Puoi aiutarla?» chiese Richard voltandosi a guardare Adie. Lei si inginocchiò accanto a lui. Scosse il capo. «Essere il Rada'Han. Non essere qualcosa che io potere togliere.» «Hai qualche idea di chi possa farlo?» «Nathan, forse.» «Lord Rahl, dobbiamo sbrigarci» disse una voce che si avvicinava. «Questi uomini si stanno svegliando.» Richard guardò corrucciato l'uomo che compariva dall'oscurità, spada al-
la mano. Era Benjamin Meiffert. Era vestito come una delle guardie più fidate di Jagang. «Generale, cosa accidenti ci fai qui?» A Richard tornò in mente il recente convoglio di rifornimenti. «Dovresti essere giù nel Vecchio Mondo a distruggere la capacità dell'Ordine di tenere in vita questo esercito.» Lui stava annuendo. «Lo so. Avevo bisogno di tornare per farvi rapporto. Ci siamo imbattuti in un problema. Un grosso problema.» Richard conosceva quell'uomo abbastanza bene da sapere che il problema doveva essere molto più che serio per fargli abbandonare la sua missione e tornare a fare rapporto a Richard su cosa era andato storto. Quello non era certo il posto per discuterne, però. «Non ero sicuro di dove trovarvi,» disse il generale «ma ho considerato che l'ultima volta che vi ho visto era da queste parti, perciò ho creduto che fosse l'ipotesi migliore. Ho pensato che se non vi trovavate qui, almeno potevo sapere dove eravate. Cercavo di escogitare un modo per salire fino al palazzo. «Poco fa io e Adie ci siamo incontrati. Mi ha detto che eravate qui nel mezzo di questo caos. Non ero sicuro di poterle credere, credere che fosse possibile. Ma a quanto pare aveva ragione.» Richard non perse tempo a chiedergli come si fosse procurato l'uniforme di una delle guardie di Jagang. Era ovviamente grazie a quell'uniforme che era stato in grado di muoversi per l'accampamento senza essere catturato o ucciso. «Come sei arrivata qui?» chiese il generale ad Adie. «Forse possiamo tornare a palazzo allo stesso modo.» Adie stava scuotendo il capo. «Essere venuta giù per la strada. Essere buio e io essere sola. Avere usato la mia capacità di nascondere la mia presenza quando avere raggiunto l'esercito di guardia in fondo alla strada. «Non potere tornare da quella parte. Ci essere troppe guardie. Avere persone col dono lì, con tele disposte per individuare quelli che tentare di intrufolare sé. Quegli schermi non essere potenti, ma essere sufficienti per intrappolare noi.» «Ma col tuo potere...» «No» disse lei interrompendo il generale. «Il mio potere essere debole nel palazzo. Anche vicino all'altopiano ancora non essere come al solito. Tutti quelli col dono essere più deboli lì, ma loro usare le loro capacità assieme per essere più forti. Io non avere altri col dono ad aiutare me. Io potere nascondere me da loro quando passare, ma non essere abbastanza forte
per aiutare tutti noi, specialmente non col peso di Nicci in tali gravi condizioni. Se noi tentare di tornare da quella parte, noi morire.» «I portoni interni sono chiusi» disse l'uomo, pensando ad alta voce mentre rifletteva. «Sono anche pesantemente sorvegliati. Anche se riuscissimo a passare, di certo non potremmo far aprire quelle porte.» «Nicci ha detto che conosceva un modo per entrare a palazzo» disse loro Richard. «Mi ha detto che dovevamo andare verso la rampa. Non so di cosa stesse parlando, ma dobbiamo trovare un modo rapido per andarcene da questo accampamento prima di essere catturati. Penso anche che a Nicci non rimanga molto tempo.» Adie, chinandosi vicino, toccò con le sue dita snelle la fronte di Nicci. «Vero.» Richard raccolse la Mord-Sith fra le sue braccia. «Andiamo.» Il generale Meiffert fece un passo avanti. «Posso portarla io, lord Rahl.» «La tengo io.» Richard inclinò la testa. «Prendi Jillian.» L'uomo sollevò rapidamente la ragazza intontita. «Quello che io non capire» disse Adie mentre carezzava con una mano la fronte di Nicci, cercando di darle un po' di sollievo «essere in che modo avere catturato lei. Si trovare su nel palazzo, l'ultima volta che noi tutti vedere lei.» Richard sentì il peso della responsabilità. «Conoscendo Nicci, probabilmente mi stava cercando.» «Anche Ann mancare» disse Adie toccando con le prime due dita della mano destra la parte inferiore del mento di Nicci. «Non ho visto Ann» disse Richard. Qualunque cosa Adie stesse facendo per Nicci, non sembrava essere d'aiuto. Richard non pensava che Nicci potesse reggere molto a lungo a meno che non avessero trovato il modo di rimuoverle il collare dalla gola. Nathan era la speranza più concreta. «Adie» disse Richard, indicando col mento il punto dove si era trovato quando la Sorella era apparsa. «Quell'uomo laggiù, con la vernice rossa. Puoi aiutarlo?» Adie scrutò l'uomo a terra. «Forse.» Adie si affrettò verso Bruce e si inginocchiò accanto a lui. Era solo in parte cosciente, così come tutti gli altri uomini che la Sorella aveva colpito. I lunghi capelli lisci e brizzolati di Adie le cadevano attorno alla faccia mentre si sporgeva in avanti, premendo le dita sui simboli rossi dipinti sulle tempie dell'uomo. Bruce emise un rantolo. I suoi occhi si spalancarono.
Trasse qualche altro respiro profondo mentre Adie toglieva la mano da un lato. In un attimo Bruce si mise a sedere, ruotando la testa, cercando di stendere i muscoli del collo, contratti ed evidentemente doloranti. «Che succede?» «Bruce, sbrigati» disse Richard. «Dobbiamo andarcene da qui.» L'ala sinistra di Richard si guardò intorno, verso gli uomini a terra, verso Benjamin, vestito come una delle guardie reali di Jagang e che reggeva Jillian, verso Adie e infine verso Richard, a pochi passi di distanza con Nicci fra le braccia. Bruce agguantò una spada. «Ruben, che succede?» «È una lunga storia. Sei venuto ad aiutarmi. Mi hai salvato la vita. È giunto il momento che tu decida da che parte stare.» Bruce si accigliò a quella domanda. «Sono la tua ala. Sono con te. Non lo sai?» Richard guardò l'uomo negli occhi. «Il mio nome è Richard.» «Be', sapevo che non era Ruben. È un nome stupido per una punta.» «Richard Rahl» disse Richard. «Lord Rahl» corresse il generale Meiffert, con l'aria di essere pronto al peggio anche tenendo Jillian fra le braccia. Bruce mosse lo sguardo da una faccia all'altra. «Be', se volete morire tutti, allora potete rimanere da queste parti finché questi tizi non si svegliano. In tal caso, non sono con te. Se avete intenzione di vivere, allora sono con te.» «Rampa» rantolò Nicci. Richard la strinse a sé. «Sei sicura, Nicci? Possiamo tentare di risalire la strada verso l'altopiano.» Era riluttante a scambiare una strada che conosceva per la vaga possibilità di un'altra. «So che è pesantemente sorvegliata ma forse possiamo farci largo combattendo. Adie potrebbe esserci d'aiuto. Potremmo farcela.» Nicci gli afferrò il collo, tirandogli la testa verso la sua. I suoi occhi azzurri fissarono intensamente il suo volto. «Rampa» sussurrò con tutte le sue forze. Quello sguardo nei suoi occhi era tutto ciò che gli serviva. «Andiamo» disse agli altri. «Dobbiamo raggiungere la rampa.» «Come faremo a passare attraverso tutti gli uomini che stanno ancora combattendo?» chiese Bruce mentre si avviavano nella notte. «La rampa è lontana.»
Con tutte le guardie a terra, la zona in cui si trovavano era relativamente calma. Al di là, però, regnava ancora il caos. Il generale spostò un poco il peso di Jillian e indicò con la sua spada. «C'è un piccolo carro di rifornimenti appena laggiù. Possiamo nascondervi Jillian e Nicci. Con quella vernice addosso, voi due non andrete lontano prima che qualche centinaia di migliaia di questi uomini decida di uccidervi. Senza offesa, lord Rahl, ma le probabilità sono piuttosto scarse. Voglio che voi due vi nascondiate all'interno del carro con Jillian e Nicci. Adie e io guideremo. Tutti penseranno che io sia una delle guardie dell'imperatore e Adie sia una Sorella. Possiamo dire di avere affari urgenti per l'imperatore.» Richard stava annuendo. «Bene. Questa idea mi piace. Sbrighiamoci.» «Chi è questo tizio?» chiese Bruce sporgendosi verso Richard. «È il mio generale in capo» disse Richard. «Benjamin Meiffert» fece il generale con un rapido sorriso mentre si dirigevano tutti verso il carro. «Ti sei guadagnato la gratitudine di molte brave persone per essere andato fra i denti della morte e aver combattuto a fianco di lord Rahl.» «Mai conosciuto un generale prima» borbottò Bruce mentre si affrettava dietro gli altri. 39 Verna intrecciò le dita mollemente davanti a sé e sospirò piano mentre osservava Cara piantare i pugni sulle anche coperte di cuoio rosso. Per il corridoio si sentiva il parlottio di uomini e donne in vesti bianche, intenti a osservare le pareti di marmo bianco, a farvi scorrere sopra le mani, fermandosi qua e là per scrutare da vicino come se stessero cercando un messaggio dal mondo dei morti. «Be'?» chiese Cara. Un uomo anziano, Dario Daraya, si appoggiò lievemente un dito sulle labbra. Aggrottò le sopracciglia pensieroso per un altro lungo momento, osservando il capannello di persone che si muoveva ondeggiando per il corridoio come sughero in un fiume, poi si voltò verso la Mord-Sith. Passò le dita sull'orlo di seta azzurro cielo che correva sul davanti delle sue linde vesti bianche. Guardò Cara accigliato, i suoi lineamenti che si alteravano un poco mentre grattava la frangia di capelli bianchi che gli circondava la testa calva.
«Non sono sicuro, Signora.» «Non sei sicuro di cosa? Non sei sicuro che io abbia ragione o di cosa ne pensano loro?» «No, no, signora. Sono d'accordo con voi. C'è qualcosa di sbagliato quaggiù.» Verna fece un passo avanti. «Sei d'accordo con lei?» L'uomo annuì con aria seria. «È solo che non sono certo di cosa possa trattarsi.» «Come qualcosa che sembra fuori posto?» suggerì Cara. Lui agitò un dito verso l'alto. «Sì, penso che sia così. Come in uno di quei sogni in cui ti perdi in un posto perché le stanze sono tutte mischiate e disposte diversamente dal solito.» Cara annuì distrattamente mentre osservava il personale della cripta passare lungo la parete opposta. Si muovevano lungo il corridoio, le loro teste che andavano su e giù mentre esaminavano i muri. A Verna un po' ricordavano dei segugi che cacciano fra i cespugli. «Tu dirigi il personale della cripta» disse Verna al vecchio. «Non ti accorgeresti se ci fosse qualcosa fuori posto?» Lei non riusciva a immaginare come qualcosa potesse essere fuori posto. C'erano dei tappeti in alcuni punti, una o due sedie in stanzette laterali, ma a parte questo non c'era un granché che potesse essere fuori posto. Dario osservò i suoi per un momento, poi tornò a voltarsi verso Cara e Verna. «Io mi occupo di ogni cosa relativa alla loro funzione. Bisogna provvedere ad alloggi, pasti, vestiti, dotazioni... quel genere di cose. Io dirigo il personale della cripta. Loro sono quelli che svolgono realmente il lavoro quaggiù.» «Che tipo di lavoro, per l'esattezza?» chiese Verna. «Be', in generale, spazzare, pulire, spolverare... Ci sono miglia di corridoi quaggiù. Il personale sostituisce olio delle lampade e candele in alcuni posti, rimpiazza le torce in altri. Di tanto in tanto un pezzo di pietra si crepa e occorre ripararlo o sostituirlo. I feretri che non sono sepolti dentro i muri o nel pavimento devono essere mantenuti in buone condizioni: bisogna lucidare il metallo di alcuni, evitare che si formi la ruggine su altri, e a quelli di legno intagliato dev'essere data la cera affinché non si secchino troppo. Ogni tanto ci sono delle perdite quaggiù, perciò l'esterno delle bare deve essere ispezionato con attenzione per essere sicuri che non inumidiscano o ammuffiscano. «Fondamentalmente, il personale della cripta è al servizio del lord Rahl.
Provvedono ai suoi specifici voleri, se ne ha. Dopo tutto quelli sepolti quaggiù sono i suoi antenati. «Quando Darken Rahl era vivo, prima di tutto il personale doveva eseguire i suoi voleri relativi alla tomba di suo padre. Fu Darken Rahl a ordinare di tagliare la lingua agli inservienti della cripta. Temeva che, mentre erano quaggiù da soli, potessero parlare male del suo defunto padre.» «E anche se fosse?» chiese Verna. «Che male avrebbe fatto?» L'uomo scrollò le spalle. «Mi spiace, ma non avevo certo intenzione di metterlo in discussione. Quando era vivo, c'era un flusso costante di nuovi lavoratori per rimpiazzare quelli che erano stati giustiziati per varie ragioni. Era rischioso stare vicino a quell'uomo, e il personale della cripta spesso si ritrovava a essere oggetto delle sue sfuriate. Di tanto in tanto veniva arruolato nuovo personale e costretto al servizio. «Darken Rahl ha lasciato la lingua solo a me poiché il mio lavoro non mi portava quaggiù molto spesso. Io sovrintendo agli inservienti. Ho bisogno di interagire con altri del personale del palazzo, perciò devo essere in grado di parlare con la gente. Il resto del personale, agli occhi di Darken Rahl, non aveva nulla che valesse la pena di dire, poteva essere privato della lingua.» «Come comunichi con loro?» chiese Cara. Dario si toccò ancora le labbra mentre dava un'occhiata agli inservienti che avanzavano lentamente per il corridoio. «Be', nel modo che potete immaginare. Usano i segni. Qualche grugnito, un cenno col capo, per farsi capire. Possono sentire, naturalmente, quindi non devo parlare a gesti. «Dividono gli stessi alloggi e lavorano assieme, quindi sono quasi sempre per conto loro. Per questo motivo sono diventati piuttosto pratici con segni che hanno inventato fra loro. Non ho la loro stessa familiarità con questo singolare linguaggio, ma per la maggior parte sono in grado di comprenderli. Lo stretto indispensabile, almeno. «Molti di loro sono piuttosto svegli. La gente pensa che siano stupidi perché non possono parlare. Per certi versi sono più consapevoli di quello che accade a palazzo di molti degli altri membri del personale. Dato che la gente sa che sono muti, spesso non pensa che il loro udito funzioni bene. Questi inservienti spesso sanno cosa sta accadendo qui attorno molto prima di me.» Per Verna quel loro piccolo mondo giù nelle tombe fu una rivelazione notevole, per quanto sconvolgente. «Be', e quaggiù? Cosa pensano che stia
succedendo quaggiù?» Dario scosse la testa con uno sguardo preoccupato. «Non hanno portato ancora nulla alla mia attenzione.» «Perché no?» chiese Cara. «Paura, probabilmente. In passato il personale della cripta di frequente veniva giustiziato per i motivi più futili. Quelle esecuzioni non avevano mai avuto un vero senso. Avevano imparato che, per rimanere vivi, era meglio essere parte dello scenario, il più possibile invisibili. Sollevare problemi non era il modo per assicurarsi una lunga vita. «Fino a oggi, temevano perfino di venire a raccontarmi le cose. Una volta un muro si macchiò per una perdita. Non dissero mai una parola, probabilmente perché temevano di essere messi a morte perché quella chiazza contaminava le tombe degli antenati del lord Rahl. Lo scoprii solo perché una notte andai a trovarli nei loro alloggi e non c'erano. Li trovai quaggiù, che lavoravano febbrilmente per strofinare via la macchia prima che qualcuno la vedesse.» «Che modo di vivere» mormorò Cara fra sé. «Cosa stanno facendo, comunque?» chiese Verna mentre osservava molti degli inservienti che facevano scorrere le mani lungo il muro, come cercando di tastare qualcosa di nascosto nel liscio marmo bianco. «Non sono sicuro» disse Dario. «Chiediamoglielo.» A qualche distanza lungo il corridoio, un contingente della Prima Fila attendeva. Alcuni di loro avevano le balestre cariche con le speciali frecce con penne rosse che Nathan aveva trovato per loro. A Verna non piaceva essere vicino a quegli aggeggi malefici. La loro magia mortale la faceva sudare. Il personale della cripta, composto da uomini e donne, era raccolto in un capannello, e stava ispezionando le pareti e ogni intersezione lungo il corridoio. Erano stati giù nei vari livelli delle tombe per quasi tutto il giorno e Verna era stanca. Di solito era a letto a quell'ora. Era lì che voleva essere. Per quanto la riguardava, quell'inutile ispezione meticolosa poteva attendere fino al giorno dopo. Cara non sembrava stanca. Pareva prenderla seriamente. Questo 'problema nelle tombe' era come un osso fra i denti e non l'avrebbe mollato per alcun motivo. Verna avrebbe lasciato Cara a occuparsene, solo che quando avevano cercato Dario Daraya, il responsabile del personale della cripta, per chiedergli cosa sapeva, lui non aveva accantonato la richiesta, come Verna si
aspettava. Sembrava nervoso per il solo fatto che avessero fatto quella domanda. Si scoprì che condivideva lo stesso inquieto sospetto di Cara, ma non l'aveva ancora confidato a nessuno. Disse a Verna e Cara che aveva il forte presentimento che anche i membri del suo personale fossero consapevoli che c'era qualcosa fuori posto. Verna aveva appreso che, fra il vasto contingente del personale di palazzo, gli inservienti della cripta erano considerati l'ultimo dei gradini. Coloro che avevano responsabilità su importanti sezioni del palazzo liquidavano il lavoro giù nella tomba come un semplice e umile compito per muti. Gli inservienti della cripta erano scansati anche perché passavano la loro esistenza a lavorare fra i morti, portando così l'invisibile marchio della superstizione. Dario aveva spiegato che tali atteggiamenti li avevano resi un gruppo timido e isolato. Non mangiavano nelle aree comuni con altra gente del personale. Si tenevano sulle loro e non davano confidenza a nessuno. Verna li osservò a distanza lungo il corridoio, che conversavano fra loro in quello strano linguaggio dei segni. Dato che avevano sviluppato quella lingua fra loro, nessun altro li capiva, eccetto, forse, Dario Daraya. Per quanto Verna e, in special modo, Cara volessero interrogare il personale direttamente, erano costrette a chiedere a Dario di farlo. La semplice vicinanza di un estraneo, specialmente una Mord-Sith, provocava nel silenzioso gruppo brividi e perfino lacrime. Erano stati trattati molto male dall'ultimo lord Rahl, e probabilmente anche dal precedente. Molti di loro, senza dubbio amici stretti e loro cari, erano stati messi a morte per aver permesso a un petalo di rosa bianca di restare troppo a lungo sul pavimento della tomba del padre di Darken Rahl. Erano vissuti e morti agli ordini di un folle. E quindi, comprensibilmente, erano piuttosto spaventati dall'autorità. Verna aveva avvertito Cara che, se voleva davvero avere delle risposte, doveva stare indietro e lasciare che Dario le ottenesse per loro. Verna osservò Dario che, in mezzo agli inservienti, poneva con calma le domande. Le persone attorno a lui si eccitarono in certi punti, indicando da una parte e dall'altra, facendogli dei segni. Dario annuì di tanto in tanto e con gentilezza pose altre domande, a cui seguì altro linguaggio silenzioso da qualcuno del personale. Alla fine Dario tornò. «Dicono che non ci sono problemi in questo corridoio. Qui è tutto a posto.» Cara parlò a denti stretti. «Be', allora se non...»
«Ma» la interruppe Dario «dicono che in quel corridoio laggiù» indicò avanti sulla destra «c'è qualcosa che non va.» Cara studiò il volto dell'uomo per un momento. «Su, allora, diamo un'occhiata.» Prima che Verna potesse trattenerla, Cara marciò a lunghe falcate verso un capannello composto da una ventina di persone. Verna pensò che molti di loro potessero svenire o spaventarsi mentre si facevano piccoli, temendo cosa stava per fare loro. «Dario dice che pensate che ci sia qualcosa che non va in quel corridoio laggiù.» Cara fece un gesto verso l'intersezione più avanti. «Anch'io penso che ci sia qualcosa di sbagliato. Ecco perché ho voluto che veniste qui tutti a mostrarmi cosa ne pensate. Sono io che vi ho fatto chiamare. L'ho fatto perché so che ne sapete più di chiunque altro su questo posto.» Quelli sembravano a disagio udendo le sue parole. Cara si guardò intorno, verso le facce che la osservavano. «Quando ero una ragazzina, Darken Rahl venne a casa nostra e catturò la mia famiglia. Torturò a morte mia madre e mio padre. Mi imprigionò per anni. Mi torturò per fare di me una Mord-Sith.» Cara si voltò un poco e sollevò il cuoio rosso alla sua cintura, mostrando loro una lunga cicatrice contro il fianco e la schiena. «Lui mi fece questo. Vedete?» Le persone si sporsero in avanti, lanciando occhiate alla cicatrice. Un uomo allungò una mano e provò a toccarla. Cara si voltò dalla sua parte per lasciarglielo fare. Poi prese la mano di una donna e le strofinò il dito lungo tutta la cicatrice irregolare. «Ecco, guardate questo» disse, rimboccandosi le maniche e mostrando loro i suoi polsi. «Questi sono i marchi delle catene da cui mi faceva pendere... dal soffitto.» Tutte le persone si sporsero per guardare. Alcuni di loro toccarono gentilmente le cicatrici sui suoi polsi. «Ha fatto del male anche a voi, vero?» Cara conosceva la risposta, ma lo chiese comunque. Quando tutti annuirono, lei disse: «Fatemi vedere.» Tutti quanti spalancarono le bocche perché potesse vedere le loro lingue mancanti. Cara guardò in ogni bocca, annuendo a ciò che vedeva. Alcuni tennero scostata la guancia, voltando la testa per assicurarsi che lei vedesse le loro cicatrici. Cara guardò attentamente ognuno di loro finché non capirono che aveva davvero voluto vedere. «Sono lieta che Darken Rahl sia morto» disse loro infine. «Mi spiace per
tutto ciò che ha fatto a voi. Avete tutti sofferto. Capisco; anch'io ho sofferto. Non può più farci del male.» Rimasero ad ascoltare con attenzione mentre lei continuava. «Suo figlio, Richard Rahl, non è affatto come suo padre. Richard Rahl non mi farebbe mai del male. In effetti, quando ero ferita e morente, ha rischiato la sua stessa vita per usare la magia e salvarmi. Riuscite a immaginarlo? «Non farebbe del male nemmeno a nessuno di voi. A lui importa che tutte le persone possano avere una possibilità di vivere le proprie vite. Mi ha perfino detto che sarei libera di lasciare il mio servizio per lui in ogni momento e lui mi augurerebbe ogni bene. So che mi sta dicendo la verità. Rimango perché voglio aiutarlo. Per cambiare voglio aiutare una persona buona invece di essere la schiava di una malvagia. «Ho visto Richard Rahl piangere per Mord-Sith che sono morte.» Diede dei colpetti sul suo cuore con un dito. «Capite cosa significa per me? Qui dentro? Nel mio cuore? «Io penso che Richard Rahl sia in pericolo. Voglio aiutare lui e quelli che combattono con lui contro le persone che fanno del male ad altri. Vogliamo proteggere le vostre vite da tutti quegli uomini là fuori, sulla piana di Azrith, che vi farebbero del male o vi renderebbero ancora una volta degli schiavi.» Quelle persone stavano sbattendo occhi pieni di lacrime a quella storia, una storia che capivano in modo incomprensibile ad altri. «Mi aiuterete? Per favore?» Verna sapeva quanto fossero sincere le parole di Cara. Provava vergogna per non aver mai pensato davvero che Cara potesse essere gentile e comprensiva, per aver scambiato la sua risoluta difesa di Richard per mera natura aggressiva tipica di una Mord-Sith. Era molto più di quello. Era stima. Richard aveva fatto più che salvarle la vita. Le aveva insegnato come viverla. Verna si chiese se, come Priora, poteva mai sperare di fare tanto. Due delle donne, una da ciascun lato, presero le mani di Cara e cominciarono a condurla giù per il corridoio. Verna scambiò un'occhiata con Dario. Lui sollevò un sopracciglio, come per dirle che ora aveva visto tutto. Entrambi seguirono il gruppo strascicante di persone che aveva adottato Cara come propria patrona. Mentre procedevano lungo il corridoio, molte delle persone allungarono le braccia per toccarla, per far scorrere una mano lungo il cuoio rosso sul suo braccio, per appoggiarle un palmo sulla schiena come per dire che comprendevano il dolore e i maltrattamenti che
aveva sopportato ed erano spiacenti di averla mal giudicata. Mentre avanzavano lungo il corridoio, Verna si rese conto che non era più sicura di dove fossero. La zona delle tombe era un labirinto contorto che occupava diversi livelli. In aggiunta a ciò, molti dei corridoi erano identici. Erano di uguale larghezza e altezza, e fatti dello stesso marmo bianco percorso da venature grigie. Sapeva che si trovavano nel livello inferiore, ma, a parte questo, si affidava agli altri per sapere con esattezza dove fossero. Dietro, tenendosi a distanza per non interferire, i soldati, sempre vigili, li seguivano più silenziosi possibile. Il gruppo di persone con le vestì bianche si fermò infine lungo una parte del corridoio dove non c'era un'intersezione. più oltre c'erano diversi passaggi che si estendevano in entrambe le direzioni, ma in quel punto non ce n'era nessuno. Molti degli inservienti appoggiarono i palmi delle mani sul marmo bianco. Lanciarono un'occhiata all'indietro verso Cara mentre facevano scorrere le mani lungo le pareti. «Qui?» chiese Cara. Il personale, molti di loro radunati attorno a lei come pulcini attorno a una chioccia, annuì all'unisono. «Cosa c'è in questo posto, in questo corridoio, che vi risulta strano?» chiese loro. Alcuni, con le mani tenute alla stessa distanza, fecero gesti avanti e indietro verso la parete. Cara non capiva. Nemmeno Verna. Dario si grattò la fronte coperta di capelli bianchi. Anche lui era perplesso per quello strano gesto. Il personale si strinse assieme un momento, usando i propri segni, discutendo il problema fra loro. Gli inservienti si voltarono verso Cara. Tre di loro indicarono la parete, poi scossero il capo. Tutti si voltarono e guardarono di nuovo Cara per valutare la sua reazione e se avesse compreso. «Non vi piace l'aspetto della parete?» azzardò Cara. Le persone scossero il capo. Cara lanciò un'occhiata interrogativa verso Verna e Dario. Dario voltò i palmi verso l'alto e si strinse nelle spalle. Anche Verna non sapeva offrire alcun suggerimento. «Ancora non capisco» disse Cara. «So che pensate che qualcosa non va col muro.» Le teste annuirono. «Ma non so cosa.» Sospirò. «Mi spiace. Non è colpa vostra. È una mia mancanza. Non so molto sui muri. Potete
aiutarmi a capire?» Uno degli uomini del gruppo prese la mano di Cara e con gentilezza la tirò più vicino alla parete. Lui allungò il braccio e con le dita dell'altra mano toccò la pietra. Tornò a guardare Cara. «Vai avanti,» disse lei «sto ascoltando.» L'uomo sorrise alle sue parole, poi tornò a rivolgere la sua attenzione alla parete. Cominciò a seguire col dito parte della venatura grigia. Cara si sporse un po' e si accigliò mentre osservava. Lui continuò a guardarla. Quando la vide corrucciata per la concentrazione, tornò a seguire col dito la voluta grigia. Lo fece diverse volte, una dopo l'altra, nello stesso punto, perché Cara potesse prestare attenzione. «Assomiglia a una faccia» disse Cara in silenzioso stupore. L'uomo annuì violentemente. Altri annuirono con lui. Tutti si rallegrarono in silenzio. Una donna allungò una mano e con entusiasmo seguì la spirale grigia. Il suo dito seguì un ricciolo, un arco. Poi la enfatizzò allo stesso modo dell'uomo, toccandone il centro in due punti. Occhi. Cara allungò una mano e tracciò la stessa faccia nella pietra, proprio come avevano fatto loro, seguendo le stesse volute grigie con un dito, ripercorrendo la bocca, il naso e poi gli occhi. Il gruppetto vestito di bianco emise grugniti di contentezza, dandole pacche sulla schiena, eccitati per essere stati in grado di farle vedere quel viso. Verna non riusciva a immaginarne il significato. Un uomo del gruppo fece un cenno, poi si affrettò verso un punto del corridoio un po' più avanti e dall'altro lato. Tracciò velocemente qualcosa nella venatura grigia. Verna non poteva vederlo da dove si trovava, ma suppose che probabilmente si trattava di un'altra faccia. Lui si precipitò verso un altro punto lungo il corridoio e tracciò una piccola faccia lì nella pietra che li guardava. Corse verso un altro punto e mise in evidenza una faccia più grande. Verna stava cominciando a capire. Quella gente era sempre laggiù. Avevano appreso i singoli motivi in quelle che a prima vista parevano indistinguibili lastre di marmo bianco. Ma non erano indistinguibili per loro. Per gli inservienti della cripta, che avevano passato le proprie vite in quei corridoi a pulire e a prendersi cura del luogo, quei motivi erano come segnali stradali. Li riconoscevano tutti. Anche il volto di Cara si era illuminato di comprensione. Sembrava an-
che più preoccupata. «Mostratemi ancora cosa c'è che non va» disse con voce seria ma tranquilla. Le persone, eccitate che Cara stesse seguendo quello che le stavano dicendo, indietreggiarono in fretta verso la sezione di muro dove le avevano mostrato la prima faccia. In piedi davanti alla parete, tutti quanto mossero entrambe le mani avanti e indietro, contro il muro e poi lontano. Si fermarono, tutto il gruppo che si voltava verso Cara per vedere se aveva capito. Lei li osservò. Uno degli uomini poi indicò il muro e oltre con un movimento arcuato, come per indicare qualcosa oltre una collina in lontananza. Verna era di nuovo confusa. Cara fissò la faccia nella parete. Le sue sopracciglia si abbassarono. All'improvviso aveva un'aria gravemente preoccupata. Verna era ancora nell'oscurità, così come Dario, ma gli occhi azzurri di Cara erano vivi di nascente comprensione. Cara d'improvviso cinse con le braccia le schiene di molti del gruppo e li scortò indietro verso Verna e Dario. Mise una mano sulle schiene degli altri e li spinse con gentilezza, guidandoli lontano dall'allarmante parete. In coda al gruppetto, con le braccia distese, accompagnò il resto di loro su per il corridoio. Lungo la strada, Cara aggregò Verna e Dario, facendoli voltare e procedere avanti. Tutti i muti inservienti della cripta li seguirono da presso, con aria preoccupata che Cara fosse allarmata per qualcosa e allo stesso tempo orgogliosi di sé stessi. Cara si sporse vicino a Verna dopo aver indietreggiato su per il corridoio e girato l'angolo dell'intersezione. «Vai a prendere Nathan» le disse in chiaro tono di comando. Verna contrasse le sopracciglia. «Dev'essere stanotte? Non pensi che dovremmo...» «Vallo a prendere ora» disse Cara con tono autorevole seppur di una calma mortale. I suoi occhi azzurri erano come ferro freddo. Verna sapeva che, per quanto Cara fosse stata gentile e comprensiva col personale, non era più il caso di discutere con lei. In quel frangente era lei ad avere il controllo della situazione. Verna non aveva idea di quale fosse la situazione, ma si fidava di Cara e sapeva di non dover mettere in discussione la sua parola. Cara schioccò le dita verso gli uomini in attesa lì vicino. Il comandante
si precipitò in avanti per vedere cosa voleva. Appena arrivò, si rivolse a lei, concentrato su quello che stava per dire. «Sì, Signora?» «Porta quaggiù il generale Trimack. Digli che è urgente. Digli di portare degli uomini: molti uomini. Allerta le Mord-Sith. Voglio che vengano anche loro. Fallo ora.» Senza fare domande, l'uomo si batté un pugno sul petto e corse via. Verna afferrò il braccio della Mord-Sith. «Cara, che succede?» «Non sono sicura.» «Stiamo per gettare il palazzo in piena allerta, trascinare quaggiù centinaia se non migliaia di persone - il generale Trimack, la Prima Fila, Nathan - e tu non sai perché?» «Non ho detto che non so perché. Ho detto che non sono sicura. Penso che ci siano facce che ci stanno guardando e che non dovrebbero farlo.» Cara si voltò verso tutti i volti che la osservavano. «Ho ragione?» Gli inservienti della cripta proruppero in muti, eccitati sorrisi, felici che ci fosse qualcuno che li capiva e credeva loro. 40 Richard diede un'occhiata da sotto il telone impermeabile mentre il carro procedeva fra i margini esterni dell'accampamento dell'Ordine. Ogni volta che una folata di vento colpiva il carro, doveva stringere forte la copertura per tenerla giù. La torreggiante mostruosità della rampa incombeva sopra di loro. Da così vicino, poteva vedere quanto era diventata immensa. Non sembrava una falsa speranza che potesse infine raggiungere il palazzo in cima all'altopiano. Dopo che Adie aveva usato il suo dono per aiutarli a passare attraverso i combattimenti attorno al campo di Ja'La, era stato un viaggio relativamente tranquillo attraverso il resto del vasto accampamento dell'Ordine Imperiale. I soldati regolari non volevano avere nulla a che fare con i potenziali guai che poteva causare un piccolo carro scortato in apparenza da una guardia reale di alto rango e una Sorella. Gli altri praticamente li ignoravano mentre passavano. Il tumulto, per quanto esteso, era principalmente circoscritto agli spettatori dell'incontro di Ja'La. Anche se sembrava che forse centinaia di migliaia di uomini fossero coinvolti nella disputa sul risultato della partita, e
pur trattandosi di un vasto, macabro bagno di sangue, il trambusto era tuttavia limitato a una porzione dell'accampamento. Nelle altre parti, i comandanti avevano radunato uomini armati per limitare gli spostamenti e contenere i disordini. Malgrado quel tentativo, il tumulto si era diffuso fino a un certo punto. In molti non combattevano per avere freddo, farne e trascorrere la vita a scavare la terra. Erano sempre più risentiti del fatto di doversi occupare di lavori servili piuttosto che uccidere, violentare e saccheggiare. Attendere la prospettiva di conquista era una cosa, ma ora le spoglie rimanenti parevano piuttosto limitate e la fatica per ottenerle era considerevole. Pareva che l'abnegazione per la causa dell'Ordine avesse i suoi limiti. Sembrava che fosse stata quella fatica ad aver tracciato la linea. Le autorità, però non erano solo rapide, ma anche brutali nello schiacciare sacche di agitazione mentre esplodevano. Per quanto molti degli uomini fossero scontenti delle proprie condizioni, quando vedevano cosa accadeva a coloro che fomentavano le tensioni, non avevano più il fegato di unirsi a loro. Diverse volte il generale Meiffert dovette farsi strada con l'inganno fra drappelli di uomini. Una volta la sua sfuriata dovette essere corroborata dall'uccisione di un uomo con un rapido fendente. Altre volte Adie aveva usato silenziosamente i suoi poteri per aiutarli a superare dei potenziali guai. Far pensare alle guardie che era una delle Sorelle di Jagang troncava molte domande sul nascere. In diverse occasioni, quando era stata fermata e interrogata da soldati in cerca di bottino, li aveva semplicemente fissati senza rispondere. Guardare quegli occhi del tutto bianchi mentre lei li fissava faceva perdere loro il coraggio e quelli svanivano nell'oscurità. Dietro di loro, in lontananza, presso il campo di Ja'La alcune sacche all'interno della rivolta venivano infine portate sotto controllo, ma per la maggior parte la notte era in preda a battaglie caotiche fra soldati ubriachi. La guardia reale non si era davvero preoccupata di ripristinare l'ordine: erano stati solo interessati a salvare la vita dell'imperatore. Il palpitante dolore di Nicci rivelava a Richard che Jagang era ancora vivo e in grado di esercitare il suo potere. Questo però non voleva dire che fosse cosciente. Ciò che Richard non sapeva era se Jagang, a un certo punto, se non fosse stato in grado di costringerla a tornare, avrebbe deciso di ucciderla tramite il collare. Se avesse preso questa decisione, Richard non avrebbe potuto fare nulla per fermarlo. Toglierle il collare era l'unica soluzione, e per farlo dovevano arrivare da Nathan a palazzo.
Sbirciando da sotto la copertura, Richard notò un caos di vaste fosse sparse più avanti, alla luce delle torce. Poteva vedere file di uomini, animali e carri che uscivano dalle buche scavate. Nuvole di polvere fluttuavano via dalle zone in cui i lavori fervevano. Le linee di soldati e carri che fuoriuscivano da quelle fosse si estendevano fino alla rampa. Quelle file erano in costante movimento per trasportare la terra e la roccia verso il sito della costruzione. Richard lanciò ancora un'occhiata a Nicci, che giaceva sul basso fondo del vagone proprio accanto a lui. Lei gli teneva la mano in una stretta mortale. Il suo intero corpo tremava. Lui provava solidale dolore per la sua agonia. Conosceva quella sensazione. Aveva sofferto la stessa magia da un collare. Il suo tormento non era durato a lungo, però. Non sapeva per quanto lei avrebbe potuto reggere una tale sofferenza. Jillian giaceva dall'altro lato di Nicci, tenendole la mano. Bruce era disteso oltre Jillian, sbirciando cautamente da sotto il telone di tanto in tanto, spada in pugno in caso dovesse aiutarli a farsi strada fuori dai guai combattendo. Richard non era sicuro di quanto potesse fidarsi di quell'uomo. Più di una volta Bruce era intervenuto per proteggere la sua vita a rischio della propria. Richard sapeva che non tutti nell'accampamento dell'Ordine avrebbero scelto quella fazione, se avessero potuto davvero decidere. Ce n'erano alcuni, anche se pochi, che avrebbero preferito non avere nulla a che fare con l'Ordine. Richard non conosceva Bruce davvero così bene, perciò non sapeva quali esperienze poteva aver vissuto da cogliere l'occasione e schierarsi dalla sua parte, ma era contento che l'avesse fatto. A suo modo, gli dava la speranza che non tutto il mondo fosse impazzito. C'erano ancora alcune persone che davano importanza alla propria vita e volevano la libertà di viverla come meglio credevano. Erano anche disposte a battersi per questo. Mentre il carro si fermava ondeggiando, Adie si avvicinò, appoggiando con semplicità un gomito sopra il corto divisorio accanto a Richard. Lanciò un'occhiata. «Essere qui.» Richard annuì, poi si chinò vicino a Nicci. «Siamo qui Siamo vicino alla rampa.» La sua fronte era saldamente contratta dal tormento. Sembrava essere in un mondo distante di sofferenza. Con grande sforzo, allentò un po' della pressione sulla sua mano, poi la strinse di nuovo per fargli capire che lo aveva sentito:
Malgrado facesse freddo, era madida di sudore. I suoi occhi erano chiusi per la maggior parte del tempo. Di tanto in tanto si spalancavano accompagnando un rantolo per una terribile morsa di dolore. Richard stava impazzendo per il fatto di non poterla aiutare lì, in quel momento, che lei dovesse attendere, soffrendo nel suo isolato mondo di tormento, sopportando la prolungata eternità che sembrava volerci per portarla da Nathan. «Nicci, puoi dirmi cosa dobbiamo fare? Siamo qui, ma non so perché. Come mai volevi che andassimo alla rampa?» Con gentilezza le scostò i capelli appiccicati alla fronte imperlata di sudore. Lei strabuzzò gli occhi per una fitta di dolore insopportabile. «Per favore...» sussurrò. Richard si sporse ancora più vicino per poterla udire. «Cosa c'è?» Mise l'orecchio vicino alla sua bocca. «Per favore... falla finita. Uccidimi.» Si scrollò con un gemito mentre un altro accesso di dolore la percorreva. Cominciò a singhiozzare. Richard, col terrore che gli cresceva in gola, la strinse a sé. «Ci siamo quasi. Resisti. Se riusciamo a entrare a palazzo, penso che Nathan possa toglierti quel collare. Ma resisti.» «Non riesco» pianse lei. Richard le premette la mano contro la guancia. «Ti aiuterò a toglierlo. Lo prometto. Dobbiamo solo riuscire a entrare. Devo sapere come possiamo farlo.» «Catacombe» disse lei con un rantolo mentre inarcava la schiena. Catacombe? Richard sbatté le palpebre a quella parola. Catacombe? Sollevò un poco il telone impermeabile che sventolava e sbirciò di nuovo fuori. La rampa era lì vicino. Oltre il nero muro dell'altopiano, di cui solo parte del bordo inferiore era visibile alla luce delle torce, si innalzava nella notte. Mentre guardava l'altopiano, tutto ebbe senso. Jillian si chinò sopra Nicci. «Intende forse catacombe come quelle nella mia terra natale?» Abbassò lo sguardo su Nicci. «Catacombe come a Caska?» Nicci annuì. Richard guardò ancora fuori da sotto il telone, cercando qualunque cosa sembrasse diversa, un qualche segno di dove potesse essere l'entrata. Ripensò nella sua mente a tutto ciò che riusciva a ricordare sulle antiche ca-
tacombe di Caska. Era nel profondo di quelle stanze sotterranee che avevano trovato il libro La Catena di fuoco. Il labirinto di antichi cunicoli e camere si estendeva per miglia. Richard aveva passato quasi l'intera notte perlustrando le catacombe e sapeva di averne visto solo una minima parte. Trovare il varco, però, era stato difficile. Si era trattato solo di una piccola apertura che l'aveva condotto giù nel nascosto mondo sotterraneo. Trovare una tale entrata lì all'aperto, con tutti quegli uomini attorno, sarebbe stato più che semplicemente difficile. Si voltò. «Nicci, come hai trovato le catacombe nel palazzo?» Lei scosse il capo. «Ci hanno trovato.» «Vi hanno trovato?» Richard sbirciò fuori di nuovo quando comprese. «Dolci spiriti...» Tutto cominciava ad acquistare un senso per lui. Gli uomini di Jagang, scavando le fosse, avevano scoperto antiche catacombe. Dovevano aver usato quei cunicoli per introdursi nel palazzo. «Si sono introdotti nel palazzo e ti hanno catturata? È questo che vuoi dire?» Nicci annuì. Ma se si erano introdotti nel palazzo, allora perché stavano ancora lavorando alla rampa? Si rese conto che, se le catacombe erano simili a quelle di Caska, avrebbero avuto bisogno di qualcosa di più di quei cunicoli per introdurre un esercito nel Palazzo del Popolo. Sarebbe stato come cercare di far passare a forza della sabbia attraverso una clessidra. Poteva anche darsi che la rampa fosse un diversivo per guadagnare tempo proprio per fare ciò. Diversivo o no, Jagang poteva aver introdotto spie nel palazzo attraverso le catacombe. Se c'era un modo per entrare, era impossibile dire quanto danno questo potesse causare. Dovevano essere state la Sorelle a essersi intrufolate. Solo delle Sorelle avrebbero potuto catturare Nicci. Dato che i loro poteri erano indeboliti dall'incantesimo del palazzo, sapeva che ce ne sarebbe voluta più di una. «Le squadre che scavavano terra per la rampa hanno scoperto le catacombe» ipotizzò Richard ad alta voce per Nicci. «Delle Sorelle vi si sono addentrate e hanno trovato un modo per introdursi nel palazzo. Ecco come ti hanno catturata.» Attraverso i tremiti e il dolore, Nicci gli strinse la mano per conferma. Richard si chinò vicino a Nicci. «Qualcuno lassù sa che Jagang ha un modo per entrare?» Lei fece ondeggiare la testa da un lato all'altro. «Radunando dentro» riu-
scì a sussurrare. Il cuore di Richard smise di battere per un attimo. «Stanno radunando uomini all'interno per attaccare il palazzo?» Lei annuì di nuovo. «Allora faremo meglio a entrare e avvisarli» disse Bruce. «Adie,» disse Richard all'anziana donna in piedi accanto al carro «hai sentito tutto quanto?» «Sì. Il generale essere qui. Anche lui avere sentito.» Richard sbirciò da sotto il telone. In lontananza sulla destra vide una fossa senza uomini e carri. Richard indicò da sotto la copertura. «Guardate lì, attorno a quella fossa. Ci sono uomini piazzati a intervalli regolari attorno all'intera zona.» «Guardie» confermò il generale Meiffert. «Dev'essere dove hanno trovato le catacombe, giù in quella fossa. Guardate come hanno interrotto gli scavi fra quel punto e l'altopiano.» «Perché l'avrebbero fatto?» chiese il generale. «Le catacombe devono essere antiche. Non si può dire in che condizioni siano. Non vogliono rischiare crolli in nessuno dei cunicoli che si estendono sotto il palazzo.» «Dovere essere così» confermò Adie. «Come faremo a scendere nella fossa?» chiese il generale Meiffert. «Se avessimo altre uniformi da guardia reale potremmo essere in grado di farlo» suggerì Bruce. «Forse,» disse Richard «ma Nicci e Jillian?» Bruce non aveva una risposta. «Di certo non potrebbero entrarci camminando,» convenne il generale Meiffert «e un carro che scende in una fossa sorvegliata susciterebbe di certo dei sospetti.» «Forse sì» disse Richard, pensando ad alta voce. «Forse no.» Il generale Meiffert lo guardò voltandosi appena. «Cosa avete in mente?» Richard scrollò con gentilezza le spalle di Nicci. «Ci sono libri giù nelle catacombe?» «Sì» riuscì a dire lei. Richard tornò a voltarsi verso il generale. «Possiamo dire alle guardie che, con tutti i tumulti di questa notte all'accampamento, l'imperatore vuole portare un carico di libri importanti, al suo complesso per accertarsi che siano al sicuro. Ha mandato anche la Sorella perché si occupi di prendere i
volumi che gli interessano. Tu dirai loro che devono organizzare un contingente di guardie per scortare il carro nel tragitto di ritorno verso il complesso.» «Vorranno sapere perché non abbiamo portato guardie con noi.» «A causa dei tumulti» suggerì Bruce. «Di' loro che, per via delle sommosse, gli ufficiali non volevano rischiare di sottrarre nessun soldato dal compito di proteggere l'imperatore.» Richard annuì a quell'idea. «Mentre sono occupati a radunare alcuni uomini, noi ci introduciamo nelle catacombe.» «Non tutte le guardie si allontaneranno dal sito per andare a raccogliere soldati per te» disse Bruce. «Il semplice fatto che lo suggeriamo suonerà tremendamente sospetto. Ogni uomo rimasto in zona vedrà le due donne, specialmente dato che dovremo aiutare Nicci. «Non sottovalutate queste guardie. Vedete le loro uniformi? Questi sono gli uomini fidati dell'imperatore. Conosco questo tipo di soldati. Non sono sciocchi né pigri. Non gli sfugge molto.» «Mi pare sensato» disse Richard riflettendo sul consiglio di Bruce. Si accigliò con aria pensierosa quando gli venne in mente un'idea. Si voltò verso Adie. «È una nottata ventosa. Pensi di poter aiutare il vento?» «Aiutare il vento?» I suoi occhi completamente bianchi lo fissarono nella fioca luce delle torce. «Quale essere tua idea?» «Che usi il tuo dono per smuovere l'aria. Alcune folate casuali, questo genere di cose. Fallo sembrare come se il vento stesse diventando sempre più forte. Dopo che il generale Meiffert avrà detto loro di cominciare a radunare alcuni dei loro uomini per fare da scorta, muoveremo il carro giù nella fossa. Allora soffierà una raffica di vento ancora più forte e spegnerà le torce circostanti. Quando sarà buio e prima che le guardie possano portare laggiù altre torce per riaccendere quelle che si sono smorzate, introdurremo Nicci e Jillian nei cunicoli.» «D'accordo, a questo punto siamo scesi nelle catacombe» disse il generale Meiffert. «Ci saranno altre guardie laggiù e chissà quante truppe. Cosa proponete di fare?» Richard gli rivolse un'occhiata turbata. «Dobbiamo superarle, in un modo o nell'altro. Ma hai ragione, è probabile che ce ne siano molte.» Bruce si sollevò puntellandosi su un gomito. «Sarà difficile combattere nei cunicoli. Questo aiuterà ad appianare la disparità.» «Giusta osservazione» disse il generale Meiffert. «Fino a un certo punto, non importa quante guardie ci siano laggiù. Non possono assalirci in mas-
sa. In spazi così ristretti possono combatterci solo con pochi uomini alla volta.» Richard emise un sospiro. «Ma sono comunque problemi di cui non abbiamo bisogno. Dovremmo camminare sopra tutte le guardie che uccidiamo e ognuno degli uomini laggiù cercherà di fermarci. Mentre cercheremo di farci strada a forza, loro potranno circondarci da dietro. Di certo ci sono innumerevoli stanze, che danno loro l'opportunità di arrivarci alle spalle mentre avanziamo. La strada è lunga. E poi aiutare Nicci renderà ancora più difficile farci strada combattendo.» «Abbiamo scelta?» chiese il generale Meiffert. «Dobbiamo passare lì in mezzo e l'unico modo è eliminare chiunque tenti di fermarci. Non sarà facile, ma è la nostra unica speranza.» «Catacombe essere nere come pece» disse Adie con la sua voce rauca. «Se io usare mio dono per spegnere tutte le luci, loro non essere in grado di vedere noi.» «Ma noi come faremo a vedere?» chiese Bruce. «Il tuo dono» disse Richard ad Adie comprendendo il suo piano. «Tu vedi col dono.» Lei annuì. «Io essere i vostri occhi. I miei occhi essere accecati quando io essere giovane. Io vedere grazie al mio dono, non con la luce. Usare il mio dono per estinguere le loro luci, poi andare per prima nel buio. Voi seguire. Noi essere silenziosi come topi. Loro non sapere neanche che noi sgattaiolare in mezzo a loro. Se io incontrare guardie, trovare un modo per aggirare loro per altre strade, così non sapere che noi essere lì. Se dovere, noi uccidere, ma essere meglio superare loro di nascosto.» «Mi sembra che sia la strategia migliore.» Richard lanciò un'occhiata a Nicci prima di guardare ognuno di loro a turno. Nessuno fece alcuna obiezione, perciò proseguì. «È deciso, allora. Il generale Meiffert parlerà col capitano delle guardie. Porteremo il carro giù nella fossa mentre quello va a cercare degli uomini di scorta. Una volta giù, Adie userà il suo dono per provocare una folata di vento che spegnerà le torce. Nella confusione prima che possano riaccenderle, scenderemo nelle catacombe. Probabilmente supporranno che abbiamo cominciato a svolgere il nostro compito di raccogliere i libri per l'imperatore. Una volta dentro, Adie farà strada e spegnerà ogni luce che incontriamo. Ci guiderà per il tragitto più sicuro. Chiunque cerchi di fermarci morirà.» «Ma state pronti in caso il capitano della guardia abbia dei sospetti e vo-
glia crearci problemi» disse il generale. «Se occorrere,» disse Adie «io badare a questo.» Richard annuì. «Dobbiamo sbrigarci, però. Presto albeggerà. Ci serve l'oscurità per scendere in quelle catacombe senza che nessuna delle guardie veda Nicci e Jillian. Quando saremo dentro non avrà importanza, ma possiamo restare qui fuori solo finché è ancora notte.» «Allora andiamo» disse il generale dirigendosi avanti per guidare i cavalli. Richard lanciò una rapida occhiata al cielo a est. Non mancava molto all'alba. Lui e Bruce tennero giù il telone mentre il carro si metteva in movimento. Richard sperava di poter entrare nell'eterna notte delle catacombe in tempo. Accanto a lui, Nicci piangeva sommessamente, incapace di sopportare il tormento, incapace di invocare la morte. La sua sofferenza stava spezzando il cuore di Richard. Tutto quello che lui poteva fare era stringerle la mano per farle sapere che non era sola. Richard ascoltò l'ululato del vento mentre il generale Meiffert si rivolgeva con parole smorzate al capitano della guardia. Richard si chinò vicino a Nicci e le sussurrò: «Resisti. Non ci vorrà molto.» «Non penso che possa più sentirti» bisbigliò Jillian, seduta accanto a Nicci dall'altro lato. «Può sentirmi» disse Richard. Doveva sentirlo. Doveva vivere. Richard aveva bisogno del suo aiuto. Non sapeva come aprire la giusta scatola dell'Orden. Non conosceva nessuno che poteva essergli d'aiuto più di Nicci. Ma, cosa ancora più importante, Nicci era sua amica. Lui le voleva molto bene. Per il resto poteva sempre trovare altre soluzioni, ma non riusciva a sopportare l'idea di perderla. Nicci era stata spesso colei a cui si era rivolto, che lo aveva aiutato a rimanere concentrato, che gli aveva ricordato di confidare in sé stesso. In un certo senso, era stata la sua unica confidente da quando Kahlan era stata rapita. Non poteva sopportare il pensiero di perderla. 41 Sulla riva nordorientale del torrente, Rachel scivolò giù da cavallo, af-
ferrando le redini mentre scrutava attorno, cercando di cogliere un qualunque movimento. Nella prima luce dell'alba, le scure gobbe delle colline spoglie le facevano pensare di essere nel mezzo di un branco di mostri assopiti. Sapeva che non era così, però. Erano soltanto colline. Ma c'erano cose reali che non erano innocue invenzioni della sua immaginazione. I folletti spettrali erano reali, erano vicini, e stavano venendo a prenderla. Bianchi strapiombi di colline gemelle si innalzavano, fronteggiandosi dalle due rive del torrente. Dei sommacchi, che avevano già perso le foglie per via della stagione, fiancheggiavano la stretta mulattiera dove lei si trovava, tremante per il freddo. Lì vicino l'alta imboccatura della caverna era in attesa, come la bocca aperta di qualche enorme mostro che aspettava di ingoiarla. Rachel legò le redini del cavallo a un sommacco e si inerpicò lungo il sentiero di terra e ghiaia verso le scure fauci in attesa. Sbirciò dentro, cercando di vedere se la regina Violet o Sei si stessero nascondendo lì. Si aspettava che Violet balzasse fuori e la schiaffeggiasse, poi ridesse in quel suo modo altezzoso. La caverna era buia e vuota. Rachel intrecciò le dita mentre esaminava di nuovo le colline arrotondate. Il cuore le batteva all'impazzata mentre cercava di cogliere un qualsiasi movimento. I folletti spettrali si stavano avvicinando. Stavano venendo per lei. Stavano per prenderla Dentro la caverna vide i disegni familiari che aveva osservato così tante volte prima. C'erano migliaia di schizzi che ricoprivano ogni pollice delle pareti. Fra i disegni più grandi, quelli più piccoli erano strettì nello spazio disponibile. Ognuno era diverso. Molti sembravano essere stati disegnati da persone differenti. Alcuni erano così semplici che sembravano essere stati fatti da bambini. Altri erano dettagliati e dall'aspetto notevolmente realistico. Rachel non sapeva come giudicarli, ma le sembrava che i disegni dovessero rappresentare molte generazioni di persone. Considerando i molti stili differenti e i vari livelli di raffinatezza, potevano facilmente rappresentare dozzine e dozzine di generazioni di artisti, forse centinaia. Tutti i disegni contenevano delle persone. Tutti coloro che vi si trovavano venivano feriti, fatti soffrire, affamati, avvelenati, accoltellati, giacevano con le ossa rotte sul fondo di precipizi o venivano pianti sulle loro tombe. Quei disegni facevano venire gli incubi a Rachel.
Si acquattò e tastò le lampade a olio. Erano fredde. Nessuno era stato nelle caverne. Recuperò pietra focaia e acciarino da una piccola nicchia intagliata nel muro della caverna e li usò per generare una scintilla sullo stoppino di una lampada. Dopo un po' di volte, fu in grado di ottenere una buona scintilla, ma non riuscì comunque ad accendere lo stoppino. Fra i tentativi, lanciava delle occhiate voltandosi appena indietro. Non le rimaneva molto tempo. Stavano arrivando. Erano vicini. Rachel agitò la lampada per ottenere più olio sullo stoppino, poi freneticamente batté pietra focaia e acciarino assieme. Ci vollero mezza dozzina di tentativi ma, con suo grande sollievo, alla fine riuscì a ottenere una fiamma. Prese la lampada e si alzò in piedi. Guardò fuori dalla bocca della caverna, scrutando qualunque movimento, cercando i folletti spettrali. Non li vide, ma sapeva che stavano arrivando. Pensò di poterli sentire, fuori nella boscaglia. Era sicura di poter avvertire i loro sguardi su di lei. Con la lampada in mano, si precipitò di nuovo nell'oscurità, lontano dai folletti spettrali, verso la salvezza... sperava. Doveva fuggire. Stavano arrivando. Potevano prenderla in qualunque altro posto. Quella era la sua unica possibilità. Sapendo quant'erano vicini, si muoveva affannata dalla paura. Le lacrime le bruciavano gli occhi mentre correva all'interno della caverna, oltrepassando i disegni delle persone a cui veniva fatto del male. C'era molta strada da fare nell'oscurità. Molta strada verso l'unico luogo in cui pensava di poter trovare rifugio. La luce della lampada si posava sulla superficie della roccia tutt'intorno, illuminando le facce disegnate sulle pareti. Nel profondo della caverna, la luce dell'imboccatura era solo un flebile bagliore in lontananza. Strisciando sotto un affioramento sporgente di roccia, poteva vedere il proprio fiato mentre ansimava non solo per lo sforzo, ma per il crescente panico. Non sapeva quanto doveva andare avanti per essere al sicuro. Sapeva solo che i folletti spettrali stavano venendo a prenderla e che doveva continuare a camminare, doveva fuggire. Arrivò al disegno che ricordava fin troppo bene. Era un disegno che Rachel aveva visto fare alla regina Violet con l'aiuto di Sei. Anche se non avevano mai menzionato il suo nome, Rachel sapeva che rappresentava Richard. Con tutti gli elementi tracciati attorno alla figura centrale, era il più grosso disegno in tutta la caverna. Era anche il più complesso.
A differenza del resto delle immagini, Violet l'aveva fatto con del gesso colorato. Rachel si ricordava tutto il tempo che la regina Violet vi aveva dedicato, tutte le minuziose istruzioni che Sei le aveva dato, tutte le precise sequenze di linee, angoli ed elementi. Rachel doveva stare lì per ore ogni volta, ascoltando Sei che spiegava il perché di ogni cosa che Violet disegnava prima che potesse anche solo appoggiare il gesso sulla parete di pietra. Rachel fissò il disegno di Richard per un momento, pensando che probabilmente era una delle cose più terribili e sinistre che aveva mai visto. Ma in quel momento, così terrorizzata dai folletti spettrali, si affrettò a proseguire, affannandosi sopra rocce e lungo sporgenze, andando sempre più in profondità nelle tenebre. Quando Sei aveva istruito Violet con immagini di prova, o quando volevano disegnare qualcosa di nuovo, erano state costrette ad andare sempre più in profondità nella caverna per trovare delle pareti nuove da utilizzare. Rachel ricordava fin troppo bene che l'immagine di Richard era l'ultima cosa che avevano disegnato, perciò sapeva che al di là le pareti sarebbero state vuote. Mentre procedeva oltre la colorata rete di linee e simboli che si irradiavano tutt'intorno a Richard, Rachel fu sbigottita quando notò qualcosa che non aveva mai visto prima. Si fermò. C'era un nuovo disegno. Lo fissò stupita. Rappresentava lei. Intorno alla sua immagine c'erano creature turbinanti. Rachel riconobbe i simboli che le attiravano verso di lei. Quelle orrende bestie erano come fantasmi fatti di ombra e fumo. Solo che avevano denti. Denti aguzzi. Denti fatti per lacerare e strappare. Senza il minimo dubbio, Rachel seppe cos'erano. Erano i folletti spettrali. Rimase paralizzata a fissare l'immagine di quelle terribili e mortali creature che le erano state aizzate contro da malefici incantesimi disegnati lì sulla parete della caverna. Lei sapeva, grazie alle lunghe ore passate ad ascoltare le lezioni che Sei impartiva a Violet, cosa rappresentavano molti dei simboli. Sei li aveva chiamati 'elementi terminali'. Erano ideati per eliminare i principali agenti dell'incantesimo dopo la fine della sequenza di eventi che il disegno metteva in atto. Lei comprendeva la natura dell'immagine e il suo significato. Voleva dire che, dopo che i folletti spettrali l'avessero presa, si sarebbero liquefatti fino a sparire.
Nel disegno quelle creature da incubo erano tutt'intorno a lei, sempre più vicini. Ora riusciva a capire che non c'era scampo. La salvezza verso cui pensava di essere diretta era soltanto il centro verso cui l'avevano inseguita, il punto in cui sarebbe rimasta intrappolata, incapace di fuggire. Udì un suono e guardò verso il fioco bagliore proveniente dall'entrata della caverna. Per la prima volta vide le ombre e i turbinii. Erano nella caverna. Si stavano radunando, proprio come nel disegno sulla parete. Stavano venendo per lei. Rachel era paralizzata dal terrore. Si rese conto di non poter più uscire dalla caverna. Poteva solo andare più in profondità. Ma, osservando il disegno, poteva capire che andare più in profondità nella caverna non l'avrebbe salvata: c'erano folletti spettrali anche lì. Era in trappola, incapace di andare più in profondità, incapace di uscire. Era al centro di un incantesimo progettato per richiudersi continuamente attorno a lei. «Ti piace?» disse qualcuno a gran voce. Rachel, senza fiato, si voltò verso la voce che riecheggiava nel buio. «Regina Violet.» Il volto, fiocamente illuminato alla luce della lampada a olio, sogghignò uscendo dalle tenebre. Violet era lì a guardare, per vedere i folletti spettrali prenderla, per essere testimone dei risultati del suo operato. «Pensavo che ti sarebbe piaciuto venire a vedere da dove provenivano prima che ti facessero a pezzi. Volevo che tu sapessi chi si stava vendicando di te.» Fece un gesto verso la parete. «Perciò l'ho disegnato in modo tale da farti venire qui alla fine. Ho fatto sì che fosse questo il posto dove ti avrebbero infine intrappolato.» Lei si sporse un poco dal buio. «Dove infine ti prenderanno.» Rachel non si prese la briga di chiedere a Violet perché avesse fatto una cosa del genere. Lo sapeva. Violet la incolpava per qualunque cosa le fosse accaduta di male. Non dava mai la colpa a sé stessa per i problemi che attirava su di sé: incolpava altri, incolpava Rachel. «Dove si trova Sei?» Violet fece un gesto per lasciar cadere la domanda. «Chi lo sa. Non mi tiene al corrente delle sue attività.» Lo sguardo torvo di Violet si fece scuro come la caverna stessa. «È lei la regina ora. Nessuno mi dà più ascolto. Fanno quello che dice lei. La chiamano regina. Regina Sei.» «E tu?» «Mi tiene con sé solo per disegnare per lei.» Violet puntò un dito contro Rachel. «È tutta colpa tua. Tu sei stata la causa di tutto.»
Lo sguardo torvo di Violet si mutò in quel sorriso che aveva sempre dato i brividi a Rachel. «Ma ora pagherai per la tua mancanza di rispetto, il tuo comportamento malvagio. Ora la pagherai.» Il sorriso si allargò dalla soddisfazione. «Li ho fatti in modo che ti strappino la carne dalle ossa. Fino in fondo.» Rachel deglutì terrorizzata. Si domandò se poteva farsi strada a forza oltre la compiaciuta Violet. Ma a cosa sarebbe servito? Presto sarebbero usciti anche dalle tenebre più profonde. Chase le aveva insegnato di non rassegnarsi mai, di lottare per la propria vita. Sapeva di doverlo fare anche in quel momento. Ma come? Come poteva combattere creature del genere? Doveva pensare a qualcosa. Lanciò uno sguardo intorno. Non c'era gesso da nessuna parte. Al suono di un ululato stridente, lei rimase senza fiato e alzò lo sguardo per vedere i folletti spettrali fluttuare più vicino, come fumo che si librava e turbinava all'interno lungo il tratto di buia caverna. Rachel poteva vedere i piccoli denti aguzzi nelle bocche aperte di quelle creature, denti fatti per lacerarle e strapparle la carne dalle ossa. «Voglio che tu dica che ti dispiace.» Rachel sbatté le palpebre, voltandosi di nuovo verso Violet. «Cosa?» «Dimmi che ti dispiace. Inginocchiati e di' alla tua regina che ti dispiace di averla tradita. Forse, se lo fai, ti aiuterò.» Aggrappandosi con accanimento a qualunque speranza, Rachel si piegò rapidamente su un ginocchio, prendendo così tempo per riflettere. «Mi dispiace.» «Ti dispiace... cosa?» «Mi dispiace, regina Violet.» «Esatto. Sono la tua regina. Mentre Sei non c'è, sono io la regina da queste parti. La regina! Dillo!» «Tu sei la regina, regina Violet.» Violet sorrise soddisfatta. «Bene. Voglio che ti ricordi di questo, mentre muori.» Rachel alzò gli occhi. «Ma avevi detto che mi avresti aiutato.» La regina Violet, ridendo fra sé, indietreggiò tornando nell'oscurità. «Ho detto solo forse. Ho deciso che non meriti il mio aiuto. Tu non sei nessuno.» Dietro di lei, dei piccoli ringhi striduli si stavano avvicinando. Rachel pensò di poter svenire dalla paura che la lacerava.
Mise una mano nella tasca del suo vestito e avvertì qualcosa lì: quello che sua madre le aveva dato. Lo tirò fuori e lo fissò alla luce della lampada. Ora sapeva cos'era. Era un pezzo di gesso. Quando sua madre gliel'aveva dato, Rachel aveva tanta fretta di sfuggire ai folletti spettrali che non aveva prestato proprio attenzione a cosa fosse. Sua madre le aveva detto che, quando ne avesse avuto bisogno, avrebbe saputo cosa farne. Rachel lanciò un'occhiata all'indietro nell'oscurità. Poteva vedere la nuca di Violet che si ritirava nel profondo della caverna, lontano dalla morte violenta che sapeva essere prossima. Rachel si voltò dall'altra parte e vide le creature ringhianti librarsi nell'aria, venire più vicino, le loro bocche spalancate, i loro denti aguzzi che addentavano e azzannavano. Senza indugi si avvicinò al disegno che Violet aveva fatto per intrappolarla. Rachel usò il gesso per aggiungere rapidamente linee e sfumature, rendendo la figura più spessa, più rotonda. Fece la faccia più paffuta e vi aggiunse un cipiglio carico d'odio. Il gesso volava sulla pietra mentre completava un abito ornato di gale, il tipo di vestito che a Violet era sempre piaciuto indossare. Infine, ricordandosi quello che a Violet piaceva mettersi nella stanza dei gioielli, Rachel disegnò una corona sulla testa, modificando del tutto l'immagine che a quel punto non rappresentava più lei ma la regina Violet. Violet asseriva di essere la regina. Rachel l'aveva appena incoronata, dandole quello che pretendeva. Udì un urlo dalle tenebre. Quando li vide provenire dall'altra parte, Rachel premette la schiena contro il muro mentre le creature fluttuavano, si contorcevano e si libravano in aria, dirette verso l'oscurità. Rachel, con gli occhi spalancati, trattenne il respiro mentre le fumose e ringhianti forme zannute le fluttuavano davanti. Col cuore che le martellava in petto, Rachel ascoltò le grida isteriche di Violet. «Cos'hai fatto!» urlò dall'oscurità. Violet si precipitò in avanti, alla luce. Rachel poteva vederla attraverso le creature evanescenti che procedevano nella caverna verso di lei. Gli occhi di Violet si fecero enormi quando li vide avvicinarsi a lei. «Cos'hai fatto!» urlò ancora Violet.
Rachel non rispose. Era troppo terrorizzata mentre guardava. «Rachel, aiutami! Ti ho sempre amato! Come hai potuto farmi questo!» «Sei stata tu la causa, regina Violet.» «Sono sempre stata una persona gentile e amorevole!» «Gentile e amorevole?» Rachel quasi non credeva alle proprie orecchie. «La tua vita è stata votata all'odio, regina Violet.» «Io odiavo solo quelli che mi facevano dei torti, che erano malvagi ed egoisti! Ho sempre fatto quello che era meglio per il mio popolo. Ti ho trattato bene. Ti ho dato cibo e riparo. Ti ho dato più di quanto un nessuno come te avrebbe mai avuto senza il mio aiuto. Ti ho mostrato solo generosità. Aiutami, Rachel. Aiutami e ti ricompenserò.» «Voglio vivere. Ecco la mia ricompensa.» «Come puoi essere così crudele, così piena d'odio? Come puoi permettere che accada questo a un altro essere umano? Come puoi essere parte di una cosa del genere?» «Sei stata tu a creare i folletti spettrali.» «Tu mi hai tradito! Ti odio! Odio l'aria che respiri!» Rachel annuì. «Hai fatto le tue scelte, Violet. Hai sempre preferito seguire l'odio invece della vita. Sei scesa in questa caverna perché hai scelto l'odio. Ti sei tradita da sola con quell'odio.» Quando i folletti spettrali si avvicinarono a Violet, ulularono con voci che Rachel poteva solo immaginare simili alle grida dei morti nel mondo sotterraneo. Le fecero venire la pelle d'oca. Premette la schiena contro la parete di pietra della caverna e rimase immobile per lo spavento, vedendo quei denti che erano stati pensati per lei lacerare un'urlante regina Violet. Rachel sapeva che solo quando avessero finito e l'avessero spolpata fino all'osso la loro evocazione nata dall'odio sarebbe stata completa. Solo allora sarebbero spariti per sempre. 42 Verna alzò lo sguardo quando udì il trambusto. Era Nathan, finalmente, le braccia che oscillavano a tempo con le sue lunghe gambe, il leggero mantello che si gonfiava dietro di lui mentre marciava deciso verso di loro. Il generale Trimack seguiva il profeta da presso. Cara, che camminava con impazienza avanti e indietro, si fermò per osservare il profeta che si avvicinava e il capannello di persone nella sua sci-
a. Dato che il palazzo era vasto e complesso, c'era voluto un considerevole lasso di tempo per trovare Nathan e condurre lui e gli altri giù nelle tombe. Nathan si fermò bruscamente. «Devo far portare un cavallo in questo posto per andare in giro più in fretta. Prima mi vogliono qui, poi lì.» Fece un ampio gesto col braccio, a indicare le enormi dimensioni del palazzo. «Passo gran parte della mia giornata a correre da un'estremità all'altra di questa vastissima mostruosità.» Lanciò un'occhiata torva a quelli che lo osservavano. «Cosa riguarda, comunque? Nessuno mi dice nulla. Avete trovato qualcosa? Si tratta di Ann e Nicci?» «Abbassa la voce» disse Cara. «Perché? Paura che svegli i morti?» replicò in tono brusco. Verna si aspettava che Cara rispondesse al suo sarcasmo con qualcosa di altrettanto caustico, ma non lo fece. «Non sappiamo cosa abbiamo trovato» rispose, la preoccupazione chiaramente evidente dal suo comportamento. Il cipiglio di Nathan non fece che accentuarsi alla sua criptica risposta. «Cosa vuoi dire?» «Ci occorrono le tue capacità» spiegò Verna. «Il mio dono non funziona molto bene in questo posto. Ci serve l'uso del tuo dono per risolvere il problema.» Sempre più sospettoso, lui prese con sé il generale Trimack che gli stava accanto e poi Berdine e Nyda che attendevano dietro Cara. Infine, lanciò un'occhiata al resto delle Mord-Sith sparpagliate fra i soldati nel corridoio. Le Mord-Sith indossavano tutte le loro divise di cuoio rosso. «D'accordo» disse, notevolmente più guardingo. «Qual è il problema e cosa avete in mente?» «Gli inservienti della cripta...» cominciò Cara. «Gli inservienti della cripta?» la interruppe Nathan. «Chi sono?» Cara fece un gesto verso varie persone con vesti bianche lungo il corridoio, ben dietro gli uomini armati della Prima Fila. «Si prendono cura di questo luogo. Come ti avevo detto, pensavo che ci fosse qualcosa di sbagliato quaggiù.» «Questo è ciò che hai detto, ma nonostante tutte le ricerche ancora non vedo nulla che non vada.» Cara fece un gesto attorno. «Tu non conosci molto bene questo posto. Io ci ho vissuto per la maggior parte della mia vita eppure non ho familiarità col labirinto di passaggi. In passato, le tombe di solito venivano visitate solo dal lord Rahl. Il personale della cripta, però, passa molto del proprio tempo qui per tenere questo posto sempre pronto per quelle visite, quindi
lo conosce meglio di chiunque altro.» Nathan si sfregò il mento mentre lanciava un'altra occhiata di traverso, lungo il corridoio, verso le figure vestite di bianco accalcate in lontananza. «Bene.» Tornò a guardare Cara. «Dunque, cos'hanno da dire?» «Sono muti. Darken Rahl aveva selezionato solo campagnoli analfabeti come membri del personale della cripta, perciò non sanno neanche leggere o scrivere.» «Selezionato. Intendi dire che ha catturato delle persone e le ha costrette a questo servizio?» «Esattamente» intervenne Berdine spostandosi per affiancarsi a Cara. «In modo molto simile a come si procurava giovani donne perché fossero addestrate come Mord-Sith.» Cara fece un gesto in direzione della tomba di Panis Rahl. «Darken Rahl voleva che gli inservienti non parlassero male del suo defunto padre, perciò tagliò loro la lingua. Dato che non sanno leggere o scrivere, non possono neanche scrivere nulla in segreto sui loro governanti defunti.» Nathan sospirò. «Era un uomo severo.» «Era un uomo malvagio» lo corresse Cara. Nathan annuì. «Non ho mai udito nulla che possa contraddire la tua affermazione.» «Allora come sai che il personale della cripta pensa che ci possa essere qualcosa che non va quaggiù?» chiese il generale Trimack a Cara. «Dopo tutto, non possono dirtelo e neanche scrivertelo.» «Tu usi segnali con le mani per dare ordini ai tuoi uomini quando il silenzio è essenziale o quando non possono sentirti nel mezzo della battaglia. Queste persone fanno qualcosa di simile. Usano dei segni che hanno inventato nel corso degli anni per comunicare fra loro. Li ho interrogati e fino a un certo punto sono stati in grado di farsi capire. E sono sicura che tu possa immaginare bene che hanno un ottimo spirito di osservazione.» «E aspetta finché non avrai sentito cosa pensano» disse Verna. Tutta quella faccenda le sembrava assurda, ma le implicazioni erano tanto serie che voleva esserne sicura. Verna aveva imparato da quando era diventata Priora che, malgrado potesse essere propensa a vedere qualcosa in un certo modo, era sempre consigliabile mantenere una mentalità aperta. In faccende tanto serie, sarebbe stato sciocco non assicurarsi almeno che non ci fosse un problema reale. Tuttavia, non doveva esserne contenta. Lo sguardo diffidente di Nathan tornò. «Allora, cosa pensano?» Cara indicò verso un'intersezione lungo il corridoio. «Dietro quell'ango-
lo hanno trovato un punto che non è giusto.» «Non è giusto?» In preda all'esasperazione, Nathan si mise le mani sui fianchi. «Non è giusto in che senso?» «Le pietra quaggiù contiene delle venature.» Cara si voltò e indicò vari motivi sulla parete dietro di lei. «Vedi? Tutti i membri del personale della cripta riconoscono le venature. Si orientano quaggiù proprio grazie a quei particolari motivi.» Nathan scrutò da vicino la venatura. «È una specie di linguaggio dei simboli» aggiunse Cara. Nathan distolse lo sguardo dalla venatura per rivolgerlo di nuovo a Cara. «Bene, vai avanti.» «Lungo quel corridoio laggiù c'è una lastra di marmo che proviene da qualche altra parte.» La diffidenza di Nathan tornò e la guardò di traverso, come se volesse stare al gioco ma non gli piacesse neanche un po'. «Be', da dove proviene?» «È questo il punto» disse Cara. «Non riescono a trovare il corridoio a cui appartiene. Da quello che riesco a capire, stanno cercando di dirmi che manca un corridoio.» «Manca?» Nathan emise un profondo sospiro. Si grattò la testa guardandosi attorno. «E dove potrebbe nascondersi un corridoio?» Cara si sporse verso di lui appena un poco. «Dietro quel pezzo di marmo.» Lui la fissò in silenzio mentre ci rifletteva sopra. «Quindi vogliamo che tu usi il tuo dono e veda se puoi percepire qualcuno dietro quel muro» disse Verna. La preoccupazione si scolpì sulle fattezze da Rahl di Nathan mentre guardava tutte quelle facce che lo osservavano. «Qualcuno che si nasconde dietro il muro?» Cara annuì. «Esatto. Qualcuno che si nasconde dietro il muro.» Nathan fece scorrere una mano sulla propria nuca mentre volgeva lo sguardo lungo il corridoio verso l'intersezione. «Be', per quanto folle possa suonare questa teoria, almeno è abbastanza semplice da verificare.» Fece un rapido gesto con la mano, indicando il generale Trimack accanto a lui. «E pensate che la Prima Fila possa essere necessaria?» Cara si strinse nelle spalle. «Dipende se c'è qualcosa di spiacevole dall'altra parte del muro.» Aveva un espressione non solo preoccupata, ma allarmata.
Lui era responsabile della sorveglianza del palazzo e di tutti quelli al suo interno, in particolar modo il lord Rahl. Era tremendamente serio riguardo al suo lavoro. Agitò una mano in direzione del presunto problema. «E voi pensate che ci sia?» Cara non si ritrasse dal temibile sguardo del generale. «Nicci e Ann sono scomparse da qualche parte quaggiù.» La cicatrice che correva lungo il lato del volto dell'uomo risaltava nel suo biancore. Lui agganciò i pollici dietro la sua cintura per le armi mentre si voltava di lato. Uno dei suoi uomini si precipitò in avanti per ricevere i suoi ordini. «Voglio che stiate tutti vicino e che non facciate rumore.» L'ufficiale annuì e poi trotterellò in silenzio verso gli altri uomini per riferire. «E chi pensate che si nasconda dietro il muro?» chiese il generale facendo scorrere lo sguardo fra tutte le donne. «Non guardare me» disse Verna. «Sono preoccupata, ma non riesco a immaginare chi o cosa possa esserci, sempre che ci sia qualcuno. Non so se credo a nulla di tutto questo, ma al Palazzo dei Profeti ho conosciuto inservienti che coglievano le cose più strane, particolari di cui nessun altro era consapevole. Non ho idea di cosa si tratti, ma non accantono le preoccupazioni di persone che conoscono questo posto meglio di me.» «Fai bene» disse il generale. Nathan si avviò. «Andiamo a dare un'occhiata, allora.» Mentre li seguiva, Verna fu sollevata di essere riuscita a convincere Nathan della serietà della questione. Lei personalmente non ci credeva, ma voleva appoggiare Cara. Quest'ultima era il genere di persona che meritava il beneficio del dubbio. La Mord-Sith era tormentata dalla preoccupazione per la sorte di Nicci. Non aveva dormito molto di recente. Agli occhi di Cara, Nicci non era solo un'amica, ma un collegamento per trovare Richard. Si mossero tutti più in silenzio che potevano. Cara li precedeva, seguita da Nathan. Verna rimaneva un poco indietro con Berdine e Nyda. Il generale Trimack, con il suo grosso contingente di uomini, chiudeva la retroguardia. Girato l'angolo, lungo il corridoio sospetto alcune torce più in là sibilavano e scoppiettavano. Una di esse sembrava essere quasi consumata. Il personale, però, era stato tenuto alla larga Il generale fece un cenno ai suoi
uomini. Mezza dozzina di loro presero delle torce dall'altro corridoio e le portarono con sé. Cara schioccò le dita per richiamare l'attenzione del generale Ordinò a metà dei soldati di andare avanti e sorvegliare il corridoio dall'altro lato. A quanto pareva voleva che il posto fosse sigillato. Cara mandò alcune delle altre Mord-Sith con loro. Presso il muro di marmo, Cara tracciò un dito lungo le linee della faccia nella pietra. Oramai, perfino Verna riconosceva quel particolare viso. «Dicono che questo volto non è al suo posto» sussurrò Cara quando Nathan si piegò vicino a lei. Nathan annuì e poi si mise dritto. Agitò una mano, esortando Cara a togliersi di mezzo. Lei si accigliò e rivolse a Verna un'occhiata perplessa. Non sapeva esattamente cosa stesse facendo il vecchio mago. Verna lo sapeva. Stava usando la sua capacità di percepire oltre la pietra. Stava usando il suo dono per cercare segni di vita. Verna poteva fare una cosa simile, anche se non con lo stesso grado di riuscita di un mago, ma non poteva farlo affatto nel palazzo. Nel Palazzo del Popolo, ogni dono che non fosse quello di un Rahl veniva soppresso. Verna aveva provato a percepire oltre il muro la prima volta che il personale della cripta le aveva avvertite, ma non aveva avuto successo. Cara tornò a mettersi accanto a Verna. Si sporse verso di lei, parlandole con poco più che un sussurro. «Cosa ne pensi?» «Penso che Nathan ci dirà non appena saprà qualcosa.» Il generale Trimack si piegò verso di loro. «Quanto ci vorrà?» «Non molto» gli disse Verna. Mentre la Priora lo osservava, la faccia di Nathan all'improvviso si fece bianca. Indietreggiò di un passo. Vedendo la sua reazione, Cara afferrò l'Agiel nel pugno. Anche Berdine e Nyda fecero volteggiare le loro armi in mano. Nathan indietreggiò di un altro passo. Portò la mano al volto dall'emozione. Si voltò verso di loro, a bocca aperta. Con un movimento precipitoso, il più silenzioso possibile, si affrettò a tornare verso di loro. «Dolci spiriti.» Si passò le dita fra i capelli mentre tornava a guardare la faccia sul muro. «Dolci spiriti, cosa?» borbottò Cara.
Nathan, il volto bianco quasi quanto i suoi capelli, rivolse i suoi occhi azzurri verso la Mord-Sith. «Ci sono centinaia di persone dall'altra parte di quel muro.» Cara rimase senza parole solo per un istante. «Centinaia? Ne sei sicuro?» Lui annuì energicamente. «Forse migliaia.» Verna riacquistò infine la propria voce. «Che persone? Chi sono?» «Non lo so» disse Nathan, la sua testa che ruotava avanti e indietro fra i loro volti e la faccia nella parete di marmo. «Non riesco neanche a immaginarlo. Ma posso dirvi che hanno molto acciaio con loro.» Il generale Trimack si piegò verso di loro. «Acciaio?» «Armi» specificò Verna. L'espressione di Nathan era seria. «Esatto. Quaggiù non c'è molto acciaio, perciò risalta quando uso il dono per percepire cosa c'è oltre il muro. Ci sono molte persone e hanno un bel po' di acciaio.» «Non può che trattarsi di uomini armati» disse il generale estraendo silenziosamente la spada. Fece un cenno ai suoi uomini. Tutti fecero lo stesso. In un batter d'occhio avevano tutti in mano le armi. «Nessuna idea su chi possano essere?» chiese Berdine in un sussurro. Nathan, con l'aria più preoccupata che Verna gli avesse mai visto, scosse la testa. «Nessuna. Non posso dirvi chi sono, solo che sono là dietro.» Cara si avviò lungo il corridoio. «Io dico di scoprirlo.» Il generale impartì veloci segnali a tutti i suoi uomini. Quelli cominciarono a muoversi in silenzio da entrambi i lati. «E come pensi di scoprirlo?» chiese Verna, seguendo da presso Cara. Cara si fermò e la guardò per un momento. Si voltò verso Nathan. «Puoi usare il tuo dono per... per... non so, per abbattere il muro o cose del genere.» «Ma certo.» «Allora penso che...» Cara si zittì quando Nathan sollevò la mano. Lui sollevò la testa, in ascolto. «Stanno parlando. Qualcosa sulla luce.» «Luce?» chiese Verna. «Cosa vuoi dire?» Le sopracciglia di Nathan si abbassarono mentre si concentrava come per cercare di ascoltare. Sapeva che stava ascoltando col suo dono, non con le orecchie. Era oltremodo frustrante non poter fare lo stesso. «Per loro si sono spente le luci» disse a bassa voce. «Le loro lampade si
sono fatte buie tutt'a un tratto.» Tutti si voltarono verso il muro quando delle voci attutite provennero dall'altra parte. Non serviva il dono per udirle. Degli uomini si stavano lamentando di non essere in grado di vedere, volevano sapere cosa stava succedendo. Poi udirono un urlo. Durò solo un istante prima di spegnersi all'improvviso. Grida soffocate si alzarono in allarme e in preda a un crescente panico. «Buttalo giù!» urlò Cara a Nathan. Degli strilli proruppero tutt'a un tratto dall'altra parte del muro: degli uomini stavano urlando non solo di terrore, ma per la sorpresa e il dolore. Nathan sollevò le braccia per lanciare una tela che avrebbe abbattuto il muro. Prima che potesse agire, il marmo bianco esplose nella loro direzione. Frammenti di pietra scoppiarono attorno con un rumore assordante. Un grosso uomo con in mano una spada insanguinata arrivò correndo a perdifiato dall'altra parte e finendo con una spalla sul muro opposto. Cadde e scivolò lungo il pavimento. Pezzi di pietra bianca di ogni forma e dimensione rotolarono per tutto il corridoio. Vaste sezioni di marmo si spaccarono e si schiantarono al suolo. Oltre il caos di frammenti di pietra volanti e polvere che ribolliva, Verna colse delle occhiate di uomini in armatura scura con armi alla mano. Sembravano essere in uno stato di confusa battaglia, lottando contro un nemico invisibile. Il ruggito delle loro voci si levava di rabbia, confusione e terrore. Attraverso la nube di polvere e detriti, Verna riuscì a vedere al di là uno scuro corridoio gremito di un enorme guazzabuglio di soldati dell'Ordine. Attraverso il rumore fragoroso e il trambusto, le persone cadevano attraverso la breccia nel muro. Grossi uomini tatuati con addosso armatura, cinghie e borchie di cuoio scuro e una cotta di maglia, alcuni con arti mancanti, altri con le facce fracassate, crollarono pesantemente al suolo. Una testa, con trecce untuose che si agitavano intorno, rotolò attraverso la polvere di pietra. Uomini senza una gamba ruzzolarono a terra. Altri, con l'addome lacerato, arrancavano attraverso la confusione. Grossi fiotti di sangue schizzavano sul pavimento di marmo bianco. Nel mezzo di tutto ciò - rocce volanti, polvere che fluttuava, teste senza corpo che rotolavano sul pavimento crepato, uomini che cadevano, urlavano, morivano e la confusione di sangue e corpi che si riversavano nel cor-
ridoio - Richard si tuffò attraverso la breccia fra la scura barriera di soldati, con uomini feriti mortalmente che crollavano da ambo i lati, vibrando la spada con una mano e reggendo con l'altro braccio attorno alla vita una Nicci all'apparenza incosciente. 43 Cara piantò un piede sulla schiena di un soldato dell'Ordine Imperiale caduto e balzò in aria verso Richard, mentre lui usava il proprio slancio per superare la confusione di polvere e pietra frantumata da Bruce quando aveva caricato attraverso la vena di marmo come se stesse colpendo una linea di difensori. Mentre Richard si destreggiava fra le lame e il sangue, appoggiò Nicci per terra, lasciando scivolare quel corpo esanime in un tratto di corridoio lontano dal pericolo, su uno strato di polvere di roccia sdrucciolevole che ricopriva il pavimento di pietra. Richard si girò immediatamente su sé stesso, vibrando la sua spada sulla muraglia di uomini che si avventavano su di lui, riversandosi dal corridoio buio nei passaggi illuminati dalle torce. Menando fendenti spietati si faceva strada. I soldati dell'Ordine combattevano ferocemente per raggiungerlo e ucciderlo. La lama affettava muscoli e colpiva ossa. C'era un rumore assordante di uomini che ringhiavano, urlavano grida di guerra e strillavano in preda a dolore mortale. Richard schivava i loro violenti attacchi e, a ogni opportunità, affondava la sua lama nella mischia. Ognuno dei suoi rapidi colpi andava a segno. Per ogni uomo che uccideva, però, sembrava che altri tre lo rimpiazzassero. Cara sbatté contro un omone con la testa rasata mentre si dirigeva verso Richard. Con entrambe le mani gli sbatté la sua Agiel contro la gola. Per un istante Richard vide il fremito di dolore negli occhi dell'uomo prima che crollasse. Quindi utilizzò quel varco per voltarsi e affondare la sua spada nel fianco di un altro soldato. Tutti gli uomini che si erano radunati di nascosto nell'oscuro corridoio sembravano combattenti esperti. La battaglia era arrivata prima di quello che avevano preventivato, ma dal momento che era iniziata combattevano con furia selvaggia. Non erano soldati regolari dell'Ordine Imperiale, uomini che si erano aggregati per la gloria e il bottino. Si trattava di guerrieri professionisti, ben allenati e competenti, che sapevano cosa stavano facendo. Erano tutti quanti uomini vigorosi, che indossavano almeno un'armatu-
ra di cuoio. Alcuni in più erano equipaggiati con una cotta di maglia. Tutti portavano armi di buona fattura. Combattevano con mosse misurate fatte per dividere una linea di difesa nemica. Ma, per quanto fossero abili, erano stati colti di sorpresa dalle improvvise tenebre seguite da rapida violenza. Essendo penetrati di nascosto in territorio nemico, avevano creduto di essere celati in modo sicuro. Nel momento di confusione e allarme quando il corridoio si era fatto buio, erano stati presi da una schiacciante paura dell'ignoto. In quei brevi, sconcertanti attimi, gli uomini avevano cominciato a morire senza sapere come o perché. Richard aveva utilizzato quella sorpresa per spezzare i loro ranghi il più rapidamente possibile. L'ultima cosa che voleva era impantanarsi in un combattimento corpo a corpo. Il suo scopo era stato passare, non ingaggiare il nemico. Con Nicci, Jillian e Adie da scortare, tutto ciò che lui, Bruce e il generale Meiffert potevano fare era farsi strada senza rallentare quando venivano affrontati. All'interno del palazzo, la capacità di Adie di aiutarli era diminuita. Quello era stato un problema. Per quanto le truppe dell'Ordine fossero state sorprese grazie all'oscurità, si erano riprese in fretta e ora si trovavano nel loro elemento: la battaglia. Erano gli uomini che l'Ordine usava di solito per guidare un'invasione, per sopraffare un avversario in un poderoso attacco con l'obiettivo di distruggere ogni resistenza. Fortunatamente per Richard, lui, Bruce e il generale Meiffert almeno non dovevano combattere da soli. Cara atterrò ogni uomo a cui si avvicinava e si arrampicò sopra altri per arrivare a quelli che cercavano di fare a pezzi Richard. Quei soldati avevano familiarità con avversari armati, ma conoscevano poco le Mord-Sith. Stavano già cercando di ritrarsi da Cara, solo per ritrovarsi altre Mord-Sith balzare avanti per abbatterli. Richard vide Bendine e Nyda piantare le loro Agiel nelle nuche, o conficcarle e rigirarle nei grossi toraci, uccidendoli all'istante. Ovunque si sentivano urla laceranti. A poca distanza, la Prima Fila caricò contro i soldati dell'Ordine Imperiale da entrambi i lati allo stesso momento. Richard vide il generale Trimack guidare i suoi uomini nella mischia. La Prima Fila era l'elite dell'elite e superava i soldati dell'Ordine non solo in taglia, ma in abilità. Le truppe D'Hariane erano costituite da uomini induriti dalla battaglia, esperti in tat-
tiche mortali, il che conferiva loro una temuta e meritata reputazione. Diversi soldati in scura armatura di cuoio, le facce contorte dall'odio e dalla rabbia, si precipitarono verso Richard. Prima che potesse sollevare la sua spada, altri omoni gli si pararono proprio di fronte, impedendo loro di raggiungerlo. In un battibaleno, due uomini assestarono delle gomitate e i colli di due soldati dell'Ordine vennero spezzati, con la carotide recisa. Richard sbatté le palpebre quando vide che si trattava di Ulic ed Egan, le due grosse guardie del corpo bionde del lord Rahl. Le cinghie, placche, cinture di cuoio scuro delle loro uniformi erano modellate per adattarsi come una seconda pelle sopra i contorni prominenti dei loro muscoli. Incisa nel cuoio al centro dei loro petti c'era un'elaborata lettera 'R' e, sotto di essa, due spade incrociate. Indossavano delle protezioni di metallo proprio sopra i gomiti, specifiche per combattimenti corpo a corpo. Quelle protezioni avevano delle protuberanze affilate come rasoi. Apparve presto evidente ai soldati invasori che chiunque si avvicinasse abbastanza a Ulic ed Egan non sarebbe solo morto, ma lo avrebbe fatto in modo orrendo. Altre truppe ancora che si riversavano dalla breccia nel muro venivano falciate dal dono di Nathan. Lampi di luce esplosiva attraversavano uomini in cotta di maglia, mandando frammenti di acciaio rovente a rimbalzare su pareti, pavimenti e soffitti. Era una spietata lotta impari, in cui i soldati non avevano neanche la possibilità di sollevare le loro spade contro l'alto profeta prima di essere dilaniati dal suo dono. Il generale Meiffert si tuffò contro asce che roteavano mentre caricava attraverso il fumo, con Jillian che si rannicchiava dietro la copertura della sua spada e con Adie che si teneva all'altro suo braccio. Richard vide che Adie era ricoperta di sangue. Cara si immobilizzò dov'era. «Benjamin?» «Ecco! Prendi Adie!» «Io devo proteggere lord Rahl!» «Fa' come ti dico!» le urlò sopra il fragore della battaglia. «Aiutala!» Richard fu sorpreso di vedere Cara rinunciare immediatamente a discutere per prendere Adie dal generale Meiffert. Lui afferrò Jillian con la mano ora libera e la tirò dall'altro lato, lontano da due uomini che stavano caricando da destra. Si abbassò e affondò la spada, trapassandone uno. Brace era proprio lì, ma tanto basso da non frapporsi alla lama del generale. Da quella posizione rannicchiata, falciò il secondo aggressore colpendolo alle ginocchia. Quando un terzo uomo si avventò sul generale, Egan avvinghiò un braccio muscoloso attorno al collo del soldato e lo strinse con forza.
L'uomo si afflosciò. Egan lo gettò via come una bambola di pezza e si diresse immediatamente verso un altro soldato dell'Ordine. «Indietro!» urlò il generale Meiffert a Cara quando lei tornò a precipitarsi nel mezzo della battaglia. «Io devo...» «Muoviti!» le gridò, allo stesso tempo spingendola indietro con una mano. «Ho detto muoviti!» «Nathan!» urlò Richard sopra il trambusto quando vide l'opportunità che il generale Meiffert aveva appena aperto facendo allontanare Cara. Quando il profeta si voltò all'udire il suo nome, Richard indicò lo scuro corridoio che il generale aveva appena sgombrato. «Siamo tutti! Fallo!» Nathan comprese e non sprecò un istante. Senza indugi sollevò le mani. La luce avvampò fra i suoi palmi. Il fuoco magico proruppe da quella luce che si raccoglieva, mandando colori baluginanti e bagliori a guizzare sopra lo scenario del violento scontro. Senza fermarsi, Nathan lanciò il fuoco magico contro il nemico. La mortale sfera di luce liquida, gorgogliante e ribollente ruzzolò via. Quell'inferno incandescente si espanse mentre si muoveva con fragore attraverso l'aria. Perfino sopra il rumore della battaglia che riecheggiava fra i corridoi di pietra, Richard poteva udire il suo lamento mentre volava attraverso lo scuro passaggio pieno di truppe dell'Ordine Imperiale che premevano avanti per entrare nel palazzo e unirsi alla battaglia. Il fuoco magico si abbatté per i corridoi, gettando una luce rossoarancione sul marmo bianco. Il solo suono fu sufficiente a far irrigidire gli uomini dal panico. La vista di quella morte bruciante che si riversava sulla carne viva era terrificante. La sfera sempre più grande di fuoco liquido restò sospesa in alto mentre lambiva le teste degli uomini, spargendo morte su di loro finché quell'inferno rotolante non proruppe in una cascata di luce fusa e fiamme che si rovesciava sulla massa dei soldati terrorizzati. Gli strilli di agonia soffocarono lo stridio dell'acciaio della battaglia. Nathan evocò ancora altro fuoco magico. In un istante, lanciò anche quello. La sfera di fuoco ruzzolò giù per lo scuro passaggio, sbandando su pareti e uomini, spandendo fiamme, facendo avvampare tutto quanto. La fiamma liquida era così tenace, così appiccicosa, così ferocemente viva di calore bruciante che passava attraverso dure armature di cuoio e cotte di maglia fondendole, per avvinghiarsi alla pelle mentre ardeva. Gli uomini in fiam-
me si strappavano i vestiti, cercando di togliersi di dosso il fuoco, ma non potevano. Il fuoco magico, una volta avviluppato a una persona, spesso la bruciava fino alle ossa prima di estinguersi. Anche quando gli uomini cominciavano a strapparsi via l'armatura di cuoio che il fuoco liquido stava divorando, era troppo tardi. I vestiti si erano già fusi con la loro pelle e finivano solo per tirarsi via la loro stessa carne. Il fuoco avvolgeva i soldati. Annaspando dallo shock, inspiravano le fiamme turbinanti nei loro polmoni. Il puzzo di carne bruciata era insopportabile. Il suono delle urla era terrificante. Chi era rimasto intrappolato nel corridoio sapeva che nessuno sarebbe venuto da dietro in aiuto. La Prima Fila li stava già ingaggiando, sbaragliandoli e infilzando con le lance quelli che non si potevano muovere per il peso schiacciante che premeva contro di loro da entrambi i lati. Non avevano altra scelta che combattere per le proprie vite. In questa battaglia non sarebbe stata concessa alcuna resa. Il generale Meiffert assestò a un uomo un colpo alla spalla. Bruce aveva entrambe le mani sull'elsa della spada quando la conficcò nello stomaco di un soldato che cadde scompostamente ai suoi piedi. Mentre un altro, col volto contorto dalla rabbia e dall'odio, si dirigeva verso Richard, questi si voltò, seppellendo la spada nella sua testa per metà, guardandolo negli occhi. Lo strattonò via mentre l'uomo cadeva in ginocchio urlando per l'inatteso terrore. Berdine, vestita di cuoio rosso come tutte le Mord-Sith, si avvicinò e premette l'Agiel alla base del suo cranio, finendolo. Nathan lanciò lungo il passaggio un'altra sfera di fuoco magico che si espandeva, rotolava e si contorceva. L'implacabile inferno di morte era disgustoso da vedere mentre ricadeva attraverso le folle di uomini che l'avevano evitato finora. Uomini in fiamme tentavano freneticamente di sfuggire alla crescente conflagrazione. Non c'era modo di fuggire. Erano intrappolati non solo dalle fiamme, ma dal loro stesso numero e dai morti tutt'intorno a loro. Non avevano altra scelta che urlare in preda a un panico disperato mentre bruciavano vivi. Volute di fiamme si arricciavano nelle bocche aperte che gettavano quelle grida. Richard era certo che, nella retroguardia, gli uomini avevano abbandonato l'attacco ed erano già corsi via al sicuro nelle catacombe. Quella che solo un momento prima era stata una battaglia frenetica stava scemando d'improvviso. Ai soldati dell'Ordine Imperiali ancora vivi non veniva mostrata pietà e venivano finiti dalla Prima Fila. Cara spinse via un uomo che aveva appena ucciso. Quello ruzzolò all'in-
dietro e atterrò con un tonfo sordo. Il generale Meiffert era lì accanto. Lei sembrava più adirata verso di lui che verso l'uomo che aveva appena ucciso. «Cosa pensi di fare urlandomi contro, dicendomi cosa devo fare?» «Il mio lavoro. Intralciavi i movimenti di lord Rahl. Avevo bisogno che ti spostassi.» Cara gli lanciò un'occhiata. «Be', non mi importa...» «Non ho tempo per discutere.» La rabbia di lui sembrava competere con quella di lei. «Finché sono io al comando, tu farai quello che ti viene detto. È così che deve essere.» Lei voltò il suo sguardo cupo verso il passaggio dove gli uomini si agitavano ancora mentre bruciavano vivi. Le braccia erano diventante torce che ondeggiavano lentamente, inutilmente, in quell'inferno. Richard sapeva che c'erano stati troppi soldati a riempire i corridoi per poterli combattere tutti. Aveva cercato di togliere di mezzo il generale, Bruce, Jillian e Adie in modo che Nathan potesse utilizzare il fuoco magico. Il generale si era reso conto dell'intento di Richard. Cara era in mezzo. Essendo un generale in carica, non poteva permettere a nessuno di mettere in discussione la sua autorità, specialmente non nel corso di una battaglia. Quando Cara se ne rese conto, lasciò perdere la discussione e si voltò immediatamente per unirsi a Richard mentre questi si faceva strada sul pavimento reso viscido dal sangue verso Nicci, che giaceva con la schiena contro il muro. «Nicci?» Richard fece scivolare con gentilezza una mano dietro il suo collo. «Resisti. Nathan è qui.» I suoi occhi erano roteati all'insù. Era in preda alle convulsioni per il dolore. Richard poteva solo immaginare che Jagang stesse tentando di ucciderla, ma l'incantesimo che circondava il palazzo glielo stava impedendo. Le stava causando una morte lenta e agonizzante. Si voltò. «Nathan! Abbiamo bisogno di te!» Oltre le sagome cadute dei soldati dell'Ordine Imperiale morti, Richard vide Nathan inginocchiarsi accanto a qualcuno. Aveva la terribile sensazione di sapere di chi si trattasse. Nathan alzò gli occhi, fissando Richard con sguardo triste e impotente. «Nicci, resisti. Sta arrivando aiuto. Ti prometto che ti farò togliere quel collare. Resisti.» Afferrò il braccio di Cara e la tirò vicino. «Stai con lei. Non voglio che pensi di essere sola. Non voglio che si arrenda.» Cara annuì, i suoi liquidi occhi azzurri. «Lord Rahl, sono davvero lieta
di vedervi.» Lui le poggiò una mano sulla spalla mentre si alzava. «Lo so. Lascia che ti dica che anch'io sono proprio lieto di vedere te.» Richard si affrettò calpestando i corpi dei soldati dell'Ordine morti piuttosto che perdere tempo a trovare una strada sgombra. Pareva surreale vedere così tanti cadaveri, arti e teste smembrati, così tanto sangue che insozzava i sacri corridoi di marmo bianco del palazzo. Mentre si faceva strada rapidamente attraverso il groviglio di morti, le sue paure vennero confermate quando vide Nathan inginocchiato accanto ad Adie. L'anziana incantatrice respirava a malapena. Richard si chinò accanto al profeta. «Nathan, devi aiutarla.» Il generale Meiffert e Jillian si inginocchiarono dall'altro lato dell'anziana donna. Jillian prese la mano di Adie e la tenne sul suo petto. Nathan lo fissò con occhi stanchi e colmi di lacrime. «Mi spiace, Richard, ma questo pare essere oltre le mie capacità.» Richard represse un groppo alla gola mentre abbassava lo sguardo verso Adie. Lei lo osservò con i suoi occhi completamente bianchi, all'apparenza in pace malgrado quello che doveva essere un dolore terribile. «Adie, ce l'abbiamo fatta. Il tuo piano ha funzionato. Ce l'hai fatta. Ci hai fatto passare.» «Io essere contenta, Richard.» Sorrise appena. «Ma ora tu dovere aiutare Nicci.» «Preoccupati di te stessa, ora.» Lei gli afferrò il braccio, tirandolo più vicino a sé. «Tu dovere aiutare lei. La mia parte essere conclusa. Lei essere la tua unica possibilità, ora, per salvare tutto ciò che essere per noi caro in questo mondo.» «Ma...» «Aiutare Nicci. Lei essere tua sola speranza. Promettere me che tu aiutare lei.» Richard annuì, avvertendo una lacrima che gli scorreva lungo la guancia. «Lo prometto.» Il sorriso di lei si allargò, ricacciando indietro le fini rughe delle sue gote. Richard non riuscì a impedirsi di sorridere nel rendersi conto di ciò che lei aveva appena fatto. Zedd una volta gli aveva detto di come le incantatrici non raccontavano mai tutto quello che sapevano e in tal modo ti portavano ad accettare cose che altrimenti non avresti accettato. «Non mi serve un trucco da incantatrice per mantenere la mia promessa
di aiutare Nicci. Nathan le toglierà il collare dalla gola.» Mentre lei gli sorrideva, Richard sentì la sua mano serrarsi appena un poco. «Io non essere così sicura, Richard. Lei avere bisogno di aiuto che solo tu potere dare.» Richard non sapeva cosa potesse fare solo lui e non Nathan. Anche se sapeva come usare il suo dono, tempo addietro Richard aveva perso il suo legame a esso. Quando gli occhi di Adie si chiusero e Jillian cominciò a piangere per la preoccupazione, il generale Meiffert le mise un braccio attorno alle spalle. «Lord Rahl!» chiamò Cara. Sia Richard sia Nathan si voltarono verso la Mord-Sith piegata sopra Nicci. «Sbrigatevi!» «Resisti» sussurrò Nathan ad Adie. Toccò la sua fronte con un dito. Adie sospirò, i muscoli che si rilassavano. «Questo le sarà di conforto per il momento» disse Nathan in tono confidenziale a Richard. «Forse con l'aiuto di alcune Sorelle potrò fare qualcosa di più per lei.» Richard annuì, poi afferrò Nathan sottobraccio e lo aiutò a rialzarsi in piedi. Dirigendosi verso Nicci, passarono davanti a sagome aggrovigliate di morti. Molti erano soldati dell'Ordine Imperiale, ma c'erano anche uomini della Prima Fila sparpagliati per il corridoio. Nicci, se possibile, aveva un aspetto peggiore. Era scossa dall'invisibile potere che cercava di strapparle via la vita. «Devi toglierle il collare» disse Richard a Nathan. «Jagang ha usato il Rada'Han per controllarla. Ora penso che stia cercando di ucciderla.» Nathan, annuendo mentre sollevava la palpebra di Nicci, valutò rapidamente le sue condizioni. Poi distese le braccia e appoggiò entrambe le mani sul liscio collare di metallo attorno alla sua gola. Chiuse gli occhi per un momento, le sue sopracciglia che si aggrottavano per lo sforzo di usare un potere invisibile. L'aria tutt'attorno sembrò ronzare di una lieve vibrazione. Dopo un momento, la sensazione dissonante si affievolì. «Mi spiace, Richard» disse a bassa voce mentre infine si raddrizzava. «Cosa vuoi dire, ti spiace? Ce l'ha ancora chiuso addosso. Devi toglierle quell'affare prima che la uccida.» Nathan lanciò uno sguardo verso tutti i morti, i suoi occhi azzurri un po' più umidi di un momento prima. Il suo sguardo afflitto tornò infine a Ri-
chard. «Mi spiace, ragazzo mio, ma non c'è niente che io possa fare.» «Sì che c'è» disse Cara. «Puoi toglierle il collare!» «Lo farei se potessi,» scosse il capo con aria abbattuta «ma non posso. È fissato con entrambi gli aspetti del suo dono. Io ho solo quello Aggiuntivo.» Richard non poteva accettarlo. «Il palazzo amplifica le tue capacità. Tu sei un Rahl. Il tuo potere è superiore in questo posto. Usalo!» «Il mio aspetto Aggiuntivo è rafforzato qui... ma non ho capacità Detrattive da amplificare. Senza l'aspetto Detrattivo a neutralizzare la chiusura, non posso fare nulla.» «Puoi provare!» Nathan appoggiò una mano sulla spalla di Richard. «Ho già provato. La mia capacità non è sufficiente. Mi spiace, ragazzo mio. Temo di non poter fare nulla.» «Ma se non lo fai, lei morirà.» Guardando Richard negli occhi, Nathan annuì lentamente. «Lo so.» Il generale Meiffert apparve dietro Nathan. «Lord Rahl.» Sia Nathan sia Richard si voltarono. Lui esitò per un istante, facendo correre lo sguardo dall'uno all'altro. «Dobbiamo fare qualcosa prima che possano mandare altri uomini attraverso quei cunicoli. Non c'è modo di sapere quanti soldati siano ancora giù in quei corridoi, in attesa di salire e rinnovare l'attacco. Dobbiamo agire ora.» «Epurate i cunicoli» disse Richard, la sua stessa voce che gli suonava vuota. «Cosa?» chiese Nathan. «Prima sgombrate i corridoi, accertandovi che non ci siano altri soldati dell'Ordine quassù. Poi usate il fuoco magico. Mandatelo giù attraverso le catacombe. Le catacombe sono posti per i morti. Epuratele dai viventi.» Nathan annuì. «Provvederò all'istante.» Mentre Nathan si rialzava, Richard, tenendo stretta la mano di Nicci, alzò lo sguardo verso l'alto mago. «Nathan, ci dev'essere qualcosa che puoi fare.» «Posso impedire che altri di loro si introducano.» «Intendo per Nicci. Cosa possiamo fare per aiutarla?» Dalle desolate profondità del suo tormento interiore, Nathan abbassò gli occhi verso Richard. «Rimani con lei, Richard. Stai con lei fino alla fine.
Non lasciarla sola negli ultimi momenti. Questo è tutto quello che puoi fare ora.» Col mantello che gli sventolava attorno, si voltò e si affrettò dietro il generale Meiffert. 44 Cara, seduta sui talloni accanto a lui, appoggiò una mano sulla spalla di Richard in segno di solidarietà mentre questi si piegava sopra Nicci. Lui stesso si sentiva morire. Avvolse Nicci fra le sue braccia con fare rassicurante, incapace di offrirle alcuna reale protezione, alcuna salvezza... incapace di offrirle riscatto dalla pretesa che Jagang stava avanzando sulla sua vita. La totalità degli eventi che l'avevano portato a quel punto della propria vita sembrava sopraffarlo. Non importa cosa facesse, i fedeli dell'Ordine Imperiale continuavano a procedere nella loro causa. Nel loro fanatismo, erano determinati a spazzar via ogni gioia dalla vita, a privarla di ogni significato, a ridurre l'esistenza stessa a un'insopportabile miseria. Devoti alla loro fede insensata in un aldilà perfetto ed eterno ottenuto tramite il sacrificio di questa vita, i seguaci dell'Ordine cercavano di fare in modo che chiunque osasse voler vivere appieno la propria esistenza soffrisse in maniera incommensurabile per quel singolare, intollerabile, peccaminoso desiderio. Richard li odiava. Li odiava ardentemente per tutto il male che avevano inflitto ad altri. Desiderava spazzarli via dal mondo della vita. Nicci, malgrado fosse quasi del tutto insensibile, serrò un braccio attorno al suo collo per confortarlo nel suo dolore, come per dirgli che andava tutto bene, che anche lei, come molti altri che avevano combattuto ed erano morti per difendere il proprio modo di vivere, il diritto dei loro cari di esistere al sicuro dalla violenza che veniva mossa loro solo perché desideravano vivere liberamente, sarebbe giunta alla pace eterna fuori dalla portata del dolore. Anche se lui sapeva che almeno avrebbe smesso di patire quelle terribili sofferenze e sarebbe stata libera dalle grinfie di Jagang, Richard non poteva sopportare il pensiero che lasciasse il mondo della vita. In quel momento, tutto gli sembrava futile. Quanto esisteva di buono nella vita veniva metodicamente distrutto da persone che credevano con fervore che il pio scopo della loro esistenza fosse assassinare coloro che
non si inchinavano e si adeguavano ai dettami dell'Ordine. Il mondo era in una morsa di totale follia. Molti erano già morti, molti ancora lo sarebbero stati. Richard si sentì preso in un vortice, risucchiato per sempre nelle profondità della disperazione. Pareva non esserci fine all'insensato massacro, nessuna fuga possibile tranne la morte. E Nicci stava intraprendendo quell'ultimo viaggio. Lui avrebbe solo voluto trascorrere la propria vita con la donna che amava, allo stesso modo di molti altri. Invece, a Kahlan era stata sottratta la mente, e lei era rimasta come uno strumento nelle mani di coloro che nutrivano un desiderio bruciante di imporre le loro credenze a tutti o distruggerli. Anche se poteva aver aiutato Kahlan a fuggire per il momento, gli sgherri di Jagang le stavano dando la caccia. Nessuno di loro si sarebbe mai arreso. A meno che non venissero fermati, l'Ordine avrebbe preso Kahlan proprio come tutti gli altri. Ora anche a Nicci veniva lentamente sottratta la vita. Mentre Richard si chiudeva in sé stesso e si allontanava da tutto e da tutti, sentì dentro un'improvvisa, violenta, lacerante scossa. Per un momento ciò lo lasciò aggrappato a uno strano e silenzioso nulla prima di lasciarlo ricadere di nuovo in una tempesta interiore. Non conosceva la fonte di quel disorientamento, ma all'improvviso sembrava come se si fosse perduto fra un milione di meteore. E poi tutto esplose nelle insondabili profondità del suo essere. Cara lo afferrò per il braccio e lo scosse. «Lord Rahl! Cosa c'è che non va? Lord Rahl!» Lui si rese conto che stava urlando. Non riusciva a fermarsi. In mezzo a quell'incandescenza, capì tutto. All'improvviso seppe senza ombra di dubbio la causa di quella sensazione. Fu un risveglio. La meravigliosa potenza fu sbalorditiva. Ogni fibra del suo essere avvampò istantaneamente con la vita in essa contenuta. Allo stesso tempo, ogni osso risuonò di un dolore tanto colossale che quasi lo lasciò privo di sensi. Poteva sentire il suo retaggio bruciare di nuovo dentro di lui, si sentiva di nuovo intero per la prima volta da quella che sembrava un'eternità. Era come se si fosse dimenticato chi era, che cos'era, come se si fosse perso e all'improvviso fosse tornato in un attimo abbagliante.
Il suo dono era tornato. Non aveva idea di come o perché, ma era tornato. La cosa che l'aveva tenuto cosciente e concentrato, però, era la rabbia che gli ribolliva nei confronti di coloro che, attraverso l'autoconvincimento nelle loro distorte credenze facevano male a chi la pensava diversamente. In quel momento, mentre la sua rabbia accecante verso chi esisteva per odiare e nuocere al prossimo fluiva attraverso quel legame totale col suo dono, udì uno schiocco metallico. Nicci boccheggiò. Richard, quasi ignaro di cosa stava accadendo, si rese conto che le braccia di lei erano attorno a lui e stava annaspando per prendere fiato. «Lord Rahl,» disse Cara scuotendolo «guardate! Il collare è venuto via. E l'anello d'oro nel suo labbro è svanito.» Richard indietreggiò per scrutare negli occhi azzurri di Nicci. Lei lo stava fissando. Il Rada'Han si era frantumato in mille pezzi e giaceva rotto alle sue spalle. «Hai di nuovo il tuo dono» sussurrò Nicci, a malapena cosciente. «Posso percepirlo.» Lui seppe senz'ombra di dubbio che era vero. Il suo dono era inspiegabilmente tornato. Mentre si guardava attorno, notò una foresta di gambe. Soldati della Prima Fila, armi alla mano, lo avevano circondato. Ulic ed Egan si frapponevano tra loro e Richard. Era una muraglia di cuoio rosso. Richard si rese conto che quando il dolore bruciante era esploso dentro di lui, aveva urlato. Probabilmente avevano pensato che qualcuno lo stesse assassinando. «Richard» disse Nicci, attirando la sua attenzione. La sua voce era poco più di un flebile sussurro. «Sei fuori di testa?» Dovette cercare di aprire gli occhi per diverse volte. La sua fronte era imperlata di sudore. Richard sapeva che era spossata da quel tormento e aveva bisogno di tempo per riposare se voleva riprendersi appieno. Tuttavia, lo rincuorava profondamente vedere di nuovo la vita nel suo sguardo. «Cosa vuoi dire?» «Perché accidenti ti sei disegnato addosso quei simboli rossi?» Cara lo squadrò. «A me piacciono.» Da sopra Berdine annuì. «Anche a me. Mi ricorda un poco il nostro cuoio rosso.» «Gli stanno bene» convenne Nyda.
Anche nel suo sfinimento, l'espressione di Nicci dimostrava che lei non era divertita. «E dove hai imparato una cosa del genere? Hai idea del pericolo che quei simboli rappresentano?» Richard scrollò le spalle. «Ma certo. Perché pensi che li abbia dipinti?» Nicci si incurvò all'indietro, troppo debole per discutere. «Ascoltami» disse. «Se io non... se qualcosa... ascolta: non puoi dire a Kahlan di voi due.» Richard si accigliò mentre le si chinava vicino, cercando di sentirla chiaramente. «Di cosa stai parlando?» «Occorre un campo incolto. Se mi accade qualcosa, se non ce la faccio, devi saperlo. Non puoi dirle di voi due. Se racconti a Kahlan del suo passato con te, non funzionerà.» «Cosa non funzionerà?» «L'Orden. Se mai avrai l'opportunità di invocare il potere dell'Orden, gli occorrerà un campo incolto per funzionare. Questo significa che Kahlan non può avere una preconoscenza dell'amore fra voi due o i ricordi non potranno essere ricostruiti. Se glielo dici, la perderai per sempre.» Richard annuì, non certo di aver capito le sue parole, ma tuttavia assai preoccupato. Temeva che Nicci stesse delirando per il tormento del collare. Non stava dicendo cose per nulla sensate, ma sapeva che non era né il tempo né il luogo per discuterne. Prima aveva bisogno che si riprendesse del tutto e pensasse chiaramente. «Stai ascoltando?» chiese lei, gli occhi che le si chiudevano mentre lottava per rimanere cosciente. Richard non era sicuro di essere riuscito a toglierle il collare in tempo. Perlomeno, sapeva che non era ancora sé stessa. «Sì, d'accordo. Sto ascoltando. Campo incolto. Ho capito. Ora, rilassati e basta finché non possiamo portarti in un luogo dove riposare. Poi potrai spiegarmi tutto. Sei al sicuro, ora.» Richard si alzò mentre Cara e Berdine aiutavano Nicci a mettersi in piedi. «Le occorre un posto tranquillo dove possa riposare» disse loro. Berdine cinse con un braccio la vita di Nicci. «Vi provvederò io, lord Rahl.» Era passato un po' di tempo da quando qualcuno si era rivolto a lui come 'lord Rahl'. Gli venne da pensare che Nathan potesse risentirsi un poco di essere destituito all'improvviso dal titolo. Non era la prima volta che avevano insistito perché assumesse l'incarico del lord Rahl, protettore del le-
game, solo perché poi Richard tornasse a reclamarlo. Prima di poterci pensare a fondo, udì uno strano rumore. Sembrava come qualcosa che crepitava, forse bruciava, seguito da un tonfo. Mentre gli uomini attorno a lui si separavano per lasciar passare Richard e Nicci, scorse un uomo che avanzava verso di loro. A una seconda occhiata, Richard non fu certo di cosa stava vedendo. Forse un soldato della Prima Fila. L'uniforme pareva piuttosto indefinita. Il generale Trimack, preoccupato di aiutare Richard, allungò un braccio, facendo muovere alcuni dei suoi uomini all'indietro per lasciar passare lord Rahl. Richard, però, si era fermato. Stava guardando il soldato non molto distante che si faceva strada attraverso la carneficina. Quell'uomo non aveva faccia. Il primo pensiero che lo colpì fu che forse era stato terribilmente ustionato, che il suo volto si era fuso. Ma la sua uniforme era intatta e la pelle non sembrava affatto bruciata o coperta di vesciche. Era invece liscia e dall'aspetto sano. Non camminava nemmeno come se fosse ferito. Ma non aveva faccia. Dove avrebbero dovuto esserci gli occhi, c'erano invece delle lievi depressioni nella pelle liscia, e sopra di esse un accenno di arcata sopraccigliare. Dove avrebbe dovuto esserci un naso, c'era solo una leggera sporgenza verticale, un mero indizio di un naso. Non c'era bocca. Sembrava come se la sua faccia fosse fatta di argilla ma le fattezze non fossero state ancora modellate. Anche le sue mani parevano incompiute. Non aveva dita separate, solo pollici. Le mani sembravano più simili a manopole di carne. Era una vista tanto sconcertante da terrorizzarlo subito. Un soldato della Prima Fila che stava aiutando un ferito, vedendo quella che sembrava un'uniforme simile alla sua che si avvicinava, si raddrizzò. Si voltò un poco, sollevando un braccio come per chiedere all'uomo nella sua visuale periferica di stare indietro. L'uomo senza faccia alzò una mano e toccò il braccio del soldato. Il suo volto e le sue mani si annerirono e si creparono, come se un intenso calore gli avesse istantaneamente increspato le carni fino a farne una crosta annerita. Non ebbe neanche tempo di urlare prima di essere carbonizzato oltre ogni possibilità di riconoscimento. Cadde, atterrando con un tonfo: il rumore che Richard aveva udito solo un momento prima. L'uomo senza faccia aveva assunto un aspetto più distinto. Il suo naso aveva acquisito definizione. Ora aveva il segno di una fessura come bocca. Era come se avesse risucchiato le fattezze dalla vita che aveva appena pre-
so. In un istante, altri soldati della Prima Fila si pararono di fronte alla minaccia che si avvicinava. Quell'essere li toccò mentre camminava attraverso la loro linea di difesa. Anche le loro facce si arricciarono all'istante in nere pieghe tanto bruciate da non apparire più neanche umane mentre crollavano al suolo senza vita. «Bestia» disse Nicci accanto a Richard. Lui la stava aiutando a reggersi in piedi. Lei gli teneva il braccio attorno a una spalla. «Bestia» sussurrò di nuovo, un po' più forte, nel caso lui non l'avesse udita la prima volta. «Il tuo dono è tornato. La bestia può trovarti.» Il generale Trimack stava già guidando una mezza dozzina di uomini verso la nuova minaccia. Quella creatura continuava a camminare verso Richard, incurante degli uomini che le si precipitavano incontro. Il generale Trimack mugghiò per lo sforzo di un poderoso fendente mentre calava la sua spada fischiante sulla minaccia che avanzava. L'essere non fece alcun tentativo di scansare il colpo. La spada lo tagliò per un buon piede nella spalla, proprio accanto al collo, staccandogliela quasi dal corpo. Era una ferita che avrebbe fermato chiunque. Chiunque fosse vivo. Il generale, le mani ancora sull'elsa, in un istante si decompose in carne raggrinzita, annerita, crepata e sanguinante che cominciò a staccarsi via. Trimack crollò sul pavimento senza neanche un sussulto o un grido. Tranne per l'uniforme, il corpo era irriconoscibile. L'uomo senza faccia, con la spada del generale ancora conficcata in profondità nel corpo, non rallentò il passo. Il suo volto si era fatto ancora più definito. Ora c'erano dei rudimentali occhi che scrutavano dalle depressioni. Lungo un lato della faccia, era apparso un accenno di cicatrice, simile a quella che aveva il generale Trimack. La lama della/spada cominciò a fumare mentre diventava incandescente come se fosse appena uscita dalla fucina di un fabbro; poi entrambe le estremità si afflosciarono mentre fondeva, cadendo dal torace, in cui era conficcata. La punta della spada, dietro la schiena, sferragliò sul pavimento mentre la parte dell'elsa cadde e rimbalzò una volta, atterrando sibilante e fumante su un corpo lì vicino. Accorsero uomini da ogni direzione per fermare la minaccia si avvicinava. «Indietro!» urlò Richard. «Tutti voi! State indietro!» Una delle Mord-Sith conficcò la propria Agiel alla base del collo dell'uomo. All'istante sfrigolò e fumò fino a diventare un cadavere bru-
ciacchiato e annerito e ruzzolò all'indietro. Quello che era stato solo un accenno di capelli sulla creatura, si perfezionò in ciocche bionde, proprio come quelle di lei un istante prima. Infine tutti rallentarono fino a fermarsi e poi cominciarono a indietreggiare, cercando di delimitare la minaccia e allo stesso tempo restare fuori portata. Richard afferrò una balestra da un soldato della Prima Fila lì accanto. L'arma era già carica con una delle speciali frecce con penne rosse che Nathan aveva trovato per loro. Mentre quell'essere camminava dritto verso di lui, Richard sollevò la balestra e tirò il grilletto. Un dardo con penne rosse si conficcò nel centro del petto. L'uomo - la bestia - si fermò. La sua pelle liscia cominciò ad annerirsi e accartocciarsi proprio come quella di coloro che aveva toccato. Le ginocchia si piegarono e cadde a terra in un cumulo fumante, del tutto simile a chi aveva ucciso. A differenza degli altri, però, continuava a bruciare. Non spuntava alcuna fiamma, ma l'intera creatura si scioglieva gorgogliando, inclusa l'uniforme che, a quanto Richard poteva vedere ora, non era fatta di stoffa, cuoio e armatura, ma era in realtà parte della bestia stessa. La massa in dissoluzione cominciò a coagularsi in un mucchio annerito. Mentre tutti stavano a osservare sbalorditi, bruciò senza fiamma, seccandosi, crepandosi e arricciandosi finché non rimasero che ceneri. «Hai usato il tuo dono» disse Nicci, col capo reclinato. «Ti ha trovato.» Richard annuì senza rivolgersi a nessuno in particolare. «Berdine, per favore, porta Nicci da qualche parte dove possa riposare.» Richard sperò che potesse ristabilirsi, che sarebbe stata bene. Non teneva soltanto a lei, ne aveva bisogno. Adie aveva detto che Nicci era la sua unica speranza. 45 «Guarda guarda. Sei davvero ingegnosa.» Rachel sobbalzò, emettendo uno squittio mentre si voltava all'udire la voce sottile come filo metallico. Lo sguardo imperturbabile di lividi occhi azzurri era fisso su di lei. Era Sei. L'istinto di Rachel era di fuggire, ma sapeva che non le sarebbe servito a nulla correre più indietro nel profondo della caverna, e Sei stava bloccando
l'uscita, perciò non poteva scappare da nessun parte. Rachel aveva un coltello, ma all'improvviso le sembrava ridicolmente inadeguato. Tutta sola con lei in quella situazione, la strega era ancora più terrificante di quanto Rachel ricordasse. I suoi capelli scuri sembravano intessuti da un migliaio di vedove nere. La sua pelle tirata sembrava sul punto di aprirsi sui suoi zigomi nodosi. L'abito nero era quasi invisibile nelle ombre, dando l'impressione che la faccia e le mani pallide stessero fluttuando nella caverna immota. Quasi avrebbe preferito essere braccata dai folletti spettrali che da Sei. Rachel si domandò per quanto la donna fosse stata nelle tenebre a osservare. Sapeva che Sei poteva muoversi in silenzio come un serpente e che non aveva difficoltà a spostarsi nella completa oscurità. Rachel non si sarebbe stupita di scoprire che quella donna aveva anche una lingua biforcuta. Rachel era stata concentrata tanto profondamente mentre aveva lavorato sul disegno di Richard che non aveva solo perso il conto del tempo, ma, fino a un certo punto, si era scordata di dove si trovava. Era stata così assorta in quello che faceva da dimenticare il suo senso del pericolo. Non sapeva di poter restare tanto concentrata su qualcosa. Si sentì stupida per la sua imprudenza e per essersi lasciata prendere, per aver commesso un errore tanto sciocco. Chase avrebbe scosso la testa per la vergogna e le avrebbe chiesto se aveva prestato la minima attenzione a tutto ciò che le aveva insegnato. Ma lei aveva voluto disfare tanto disperatamente quello che era stato fatto a Richard. Sapeva com'era essere al centro di uno di quegli incantesimi. Sapeva quant'era terrificante. Sapeva quanto ti faceva sentire impotente. Non voleva che accadesse a Richard e lui era stato vittima di un incantesimo del genere più a lungo di quanto lo fosse stata lei. Aveva voluto aiutarlo a sfuggire alle grinfie di quei disegni malvagi. Sapeva che stava correndo un rischio, ma Richard era suo amico. Richard l'aveva aiutata così tante volte che stavolta voleva essere lei ad aiutarlo. Sei lanciò un'occhiata nell'oscurità più in profondità nella caverna, le tenebre oltre la lampada a olio, dove giacevano le ossa di Violet. «Sì, piuttosto ingegnoso.» Rachel deglutì. «Cosa?» «Il modo in cui ti sei liberata della vecchia regina» disse Sei in un sibilo suadente.
Rachel non poté fare a meno di lanciare un'occhiata voltandosi, confusa. «Vecchia regina?» Tornò a guardare la strega. «Violet non era vecchia.» Sei esibì quel suo sorriso che faceva quasi tremare Rachel. «Nel momento in cui è morta aveva tanti anni quanti ne potrà mai avere, non credi?» Rachel non cercò di sbrogliare l'enigma. Era troppo impaurita per pensare. Sei fece bruscamente un passo nella luce. «Quanti anni pensi di avere in questo momento, piccolina?» «Non lo so, per certo» disse Rachel con quanta più onestà poteva. Deglutì dal terrore. «Sono un'orfana. Non so quanti anni ho.» Rachel ripensò alla visita della madre, se davvero si era trattato di sua madre. Mentre ci ripensava adesso, non sembrava avere senso come allora. Si chiese perché sua madre l'aveva lasciata in un orfanotrofio. Se era davvero sua madre, perché aveva lasciato Rachel tutta sola? Perché l'avrebbe trovata nel mezzo del nulla per poi lasciarla e basta? Nel momento in cui era giunta al campo di Rachel, era sembrato perfettamente naturale, ma ora lei non sapeva cosa pensare. Sei sorrise semplicemente a quella risposta. Non era un sorriso allegro, però. Rachel non riteneva che Sei avesse un sorriso allegro, solo scaltro, del genere che faceva credere alla gente che avesse pensieri oscuri e stregoneschi. La strega puntò un lungo dito ossuto al disegno di Richard. «Ci è voluto tanto lavoro per quello, lo sai.» Rachel annuì. «Lo so. Ero qui quando tu e Violet l'avete fatto.» «Sì» disse lentamente Sei mentre osservava Rachel nel modo in cui un ragno guarda una mosca che ronza intrappolata nella sua tela. «Eri proprio qui, vero?» La donna si avvicinò al disegno. «Questo qui,» agitò il dito verso uno dei punti che Rachel aveva modificato «come l'hai fatto?» «Be', mi ricordo quello che hai detto a Violet sugli elementi terminali.» Rachel però non le disse che sapeva cos'era un 'elemento terminale'. «Mi ricordo che le hai detto che quel nodo lo congiungeva, per mezzo dell'angolo azimutale, alla persona per consentire all'incantesimo di localizzarla e poi attaccarvi le giuste porzioni. Ho concluso che fosse essenziale per far funzionare l'intero processo. Ho modificato la proporzione in modo da cambiare la posizione che lo collegava al soggetto.» Sei stava annuendo lievemente mentre ascoltava. «Interrompendo in tal modo un sostegno fondamentale per la struttura posizionale» disse Sei fra
sé. «Guarda guarda.» Scosse il capo pensierosa mentre esaminava il disegno più da vicino. Rivolse a Rachel uno sguardo corrucciato. «Non sei solo piuttosto dotata, ma anche creativa.» Rachel non pensava che fosse il caso di dire grazie. Sei, malgrado il sorriso sulle sue esili labbra, probabilmente non era affatto lieta di scoprire il danno che Rachel aveva fatto al disegno, e Rachel capiva piuttosto bene quanto danno aveva davvero causato. Sei puntò il dito ossuto. «Questa qui. Perché hai aggiunto questa linea? Perché non hai semplicemente cancellato la congiunzione?» «Perché ho pensato che se l'avessi fatto avrei solo indebolito la stretta dell'incantesimo.» Rachel indicò diversi altri elementi. «Anche questi qui sostengono l'elemento principale, perciò se avessi cancellato quella congiunzione, avrebbe retto comunque. La mia migliore ipotesi era che, aggiungendovi invece una deviazione, questa avrebbe reindirizzato il collegamento che aveva stabilito e in tal modo l'avrebbe rotto invece semplicemente di allentarlo.» Sei scosse la testa fra sé. «Hai delle ottime orecchie. Non immaginavo che una bambina potesse afferrare concetti del genere così in fretta.» «Non è accaduto in fretta» la corresse Rachel. «Hai dovuto ripetere quelle stesse cose a Violet più e più volte. Sarebbe stato difficile non afferrarle dopo un po'.» Sei ridacchiò fra sé. «Sì, era piuttosto stupida, non è vero?» Rachel non rispose. Lei stessa in quel momento non si sentiva molto furba, per essersi fatta prendere e tutto il resto. Sei incrociò le braccia e camminò avanti e indietro di fronte all'enorme disegno, ispezionando l'operato di Rachel. Fece dei rumorini fra sé mentre esaminava attentamente tutto quanto. Rachel fu sconfortata dal vedere che notava ogni alterazione che aveva fatto. La strega non ne tralasciò neanche una. «Davvero impressionante» disse senza voltarsi. Fece scattare la mano in aria. «L'hai completamente disfatto.» Sei si volto verso Rachel. «Hai rovinato l'intero incantesimo.» «Mi dispiace di averlo fatto.» «No, non credo.» Emise un profondo sospiro. «Be', non importa, davvero. È servito allo scopo. Suppongo che non ve ne sia più bisogno.» Rachel era delusa di sentirlo. «Comunque non è stata una completa perdita.» Sei, le braccia incrociate, rivolse un'occhiata scaltra a Rachel. Ci ho guadagnato una nuova artista.
Una più veloce ad apprendere dell'ultima. Potresti davvero rivelarti piuttosto utile. Penso che ti terrò in vita, per ora. Cosa ne dici?» Rachel rinsaldò il suo coraggio. «Non disegnerò cose che facciano del male alla gente.» Il sorriso tornò, ancora più largo. «Oh, lo vedremo.» 46 Esausta, Kahlan era quasi sul punto di cadere dal grosso cavallo. Poteva capire dalla sua andatura irregolare che l'animale, anch'esso sfiancato, stava quasi per crollare. Il suo salvatore, però, appariva determinato a cavalcarlo fino a ucciderlo. «Il cavallo non reggerà questo ritmo. Non pensi che dovremmo fermarci?» «No» disse lui voltandosi appena. Nella fioca luce della falsa alba, Kahlan poteva almeno vedere le forme scure di alcuni alberi che cominciavano ad apparire. Era un sollievo sapere che presto sarebbero stati lontani dall'aperta piana di Azrith. Sulla piana, quando il sole fosse stato alto, li avrebbero potuti individuare da miglia di distanza da qualunque direzione. Non sapeva se li stavano seguendo, ma anche in caso contrario era probabile che ci fossero delle pattuglie che avrebbero potuto avvistarli facilmente. Non pensava proprio che Jagang le avrebbe semplicemente permesso di fuggire senza mandare soldati speciali a darle la caccia. Aveva dei piani grandiosi sull'ottenere vendetta e di certo non li avrebbe lasciati perdere. Non appena le Sorelle avessero guarito l'imperatore, di certo sarebbe stato adirato e determinato a fare quel che serviva per riaverla. Jagang non era un uomo che tollerava che gli venisse negato ciò che voleva. Di certo anche le Sorelle le avrebbero dato la caccia. Per quel che ne sapeva Kahlan, era possibile che le fossero già alle calcagna. Anche senza essere in grado di avvistare lei e Samuel, le Sorelle potevano usare probabilmente i loro poteri per seguire le sue tracce. Forse Samuel era saggio a non fermarsi. Ma se avessero ucciso il cavallo, questo li avrebbe messi in un pericolo ancora maggiore. Desiderò che avessero preso un altro cavallo. Non sarebbe stato così difficile per Kahlan. Dopo tutto era invisibile per quasi tutti gli uomini nell'accampamento. Sarebbe potuta scivolare giù da cavallo quando fosse-
ro passati accanto ad altri e ne avrebbe preso uno. Samuel era vestito come uno di loro: era così che era riuscito a penetrare nel campo. Nessuno avrebbe battuto ciglio se si fosse fermato, e non potevano vedere Kahlan. Avrebbe potuto prendere un altro cavallo. Se era per quello, avrebbe potuto prenderne alcuni di riserva in modo da alternarli e avere animali freschi per procedere ancora più velocemente. Samuel, però, era stato inflessibile, ordinandole di non tentare neanche una cosa del genere. Sapeva che il rischio era troppo grosso. Temeva che avrebbero gettato via la loro migliore opportunità di fuga. Considerando quello che c'era in gioco, suppose di non poterlo biasimare per il fatto di voler andar via più in fretta possibile. Si domandò perché non era invisibile per Samuel. Come Richard, lui sembrava essere venuto al campo con l'intento specifico di aiutarla a fuggire. Kahlan era afflitta che anche Richard non fosse stato in grado di seguirla. Il ricordo di lui a terra non solo la tormentava, ma le spezzava il cuore. Si vergognava di non essere rimasta ad aiutarlo. Anche ora, per quanto il pensiero fosse spaventoso, sentiva l'impulso di tornare indietro. Essendo invisibile, avrebbe potuto fare qualcosa. Voleva disperatamente provare. E Kahlan non era disperata per aver abbandonato solo Richard, ma anche Nicci e Jillian. Nicci aveva già sofferto così tanto e probabilmente per lei sarebbe andata ancora peggio, se era possibile. Jagang aveva anche minacciato di far del male a Jillian, se Kahlan gli avesse causato problemi o avesse disobbedito ai suoi ordini. Sperava che, dato che Jagang non aveva lei da tormentare, non avrebbe avuto motivo di far del male a Jillian Per quanto avesse desiderato rimanere e aiutarli, c'era qualcosa nell'ordine che Richard aveva dato a Kahlan di scappare che l'aveva spinta a fare come aveva detto. Era come se lui avesse dato tutto per vederla fuggire, e se lei avesse gettato via l'occasione che lui si era procurato a prezzo della sua vita, tutto quello che aveva fatto sarebbe stato per nulla. Avrebbe reso senza senso ogni suo sacrificio. Lei non riusciva a ricordare di essere così lacerata da qualcosa. Kahlan sapeva che la Sorella non l'avrebbe trattato bene. Anche i soldati non facevano che bramare il suo sangue. Si domandò se fosse già morto... o se lo stessero torturando. Lacrime le corsero lungo le guance mentre cavalcavano. Non riusciva a toglierselo dalla mente, e non poteva fermare le lacrime fintanto che pensava a lui. Semplicemente non riusciva a dimenticare
quell'immagine di Richard lì a terra, inerme. A peggiorare ulteriormente le cose era il fatto che era stata così vicina a ottenere delle risposte. Sapeva che Richard sarebbe stato in grado di riempire molti dei vuoti. Sembrava sapere così tanto su di lei. Sembrava sapere anche di Samuel e della magnifica spada che portava. Si ricordò di Richard che inveiva contro Samuel. 'Samuel, brutto idiota! Usa la spada per tagliarle via il collare.' Quelle parole risuonavano ancora nella memoria di Kahlan. Nessuna spada poteva tagliare il metallo. Ma Richard sapeva che quella di Samuel poteva farlo. Inoltre, ciò rivelava a Kahlan quello che Richard pensava di Samuel. Le diceva anche che, per quanto Richard avesse una bassa opinione di quell'uomo, desiderava tanto vederla in salvo che era disposto perfino a lasciare che fosse Samuel ad aiutarla a fuggire. «Cosa sai di Richard?» chiese lei. Samuel cavalcò in silenzio per un momento. Infine rispose. «Richard è un ladro. Qualcuno di cui non ci si può fidare per alcuna ragione. Fa male alla gente.» «Come l'hai conosciuto?» chiese all'uomo attorno a cui stringeva le braccia. Lui lanciò uno sguardo di sfuggita voltandosi appena. «Ora non è il momento di discuterne, bella signora.» Richard, fiancheggiato da Mord-Sith, Ulic ed Egan e soldati della Prima Fila, si affrettò verso la camera sepolcrale che aveva costituito la breccia nel palazzo dalle catacombe sottostanti. Nicci era al suo fianco. Malgrado il fatto che fosse tutt'altro che in forma, aveva insistito per stargli vicino. Richard sapeva che era preoccupata che la bestia tornasse e che la prossima volta non sarebbe stato in grado di fermarla senza il suo aiuto. Voleva essergli accanto per potergli offrire quell'aiuto, se fosse stato necessario. Cara, nonostante la sua preoccupazione per Nicci, era stata persuasa dalla sua argomentazione per la sicurezza di Richard. Nicci aveva promesso che, non appena lui si fosse occupato di questo, avrebbe riposato. Richard pensava che le sue promesse sarebbero presto state irrilevanti, poiché si aspettava che crollasse da un momento all'altro. Mentre procedevano attraverso gli ampi corridoi, superarono innumerevoli cadaveri bruciati irrigiditi in pose grottesche. Le bianche pareti di marmo recavano segni di bruciature dove corpi in fiamme si erano schian-
tati alla cieca lasciando la loro impronta. Quelle sagome di fuliggine somigliavano un poco a manifestazioni di fantasmi, tranne per le macchie di sangue che apparivano come prova silenziosa che erano stati uomini a fare quei segni, non apparizioni. Nelle stanze e nei passaggi laterali, Richard vide altri soldati dell'Ordine Imperiale morti. Avevano usato i corridoi bloccati come base temporanea nascosta. «Hai mantenuto la tua promessa» disse Nicci in tono stanco non di semplice gratitudine ma di sorpresa. «La mia promessa?» Lei sorrise nonostante l'estrema stanchezza. «Hai promesso che mi avresti tolto quella cosa dal collo. Quando l'hai detto non ti avevo creduto. Non riuscivo a rispondere, ma non ho mai creduto che potessi farlo.» «Lord Rahl mantiene sempre le sue promesse» disse Berdine Nicci sorrise meglio che poteva. «Suppongo sia così.» Nathan li individuò tutti mentre procedevano lungo il corridoio, perciò si fermò a un'intersezione e aspettò che lo raggiungessero. Lui veniva da un passaggio sulla destra. Fu sopraffatto dallo stupore. «Nicci! Cos'è successo?» «Il dono di Richard è tornato. È riuscito a togliermi il collare.» «E poi è apparsa una bestia» aggiunse Cara. La fronte di Nathan si corrugò mentre scrutava Richard. «La bestia che ti insegue? Cosa le è successo, dunque?» «Lord Rahl l'ha colpita» disse Berdine. «Quegli speciali dardi da balestra che hai trovato hanno funzionato.» «Questa volta...» mormorò Nicci. «Sono sollevato che si siano rivelati utili» disse Nathan appoggiando una mano sulla testa di Nicci. «Pensavo che potessero esserlo» borbottò distrattamente sollevando col pollice la palpebra di Nicci. Mentre le guardava da vicino nell'occhio, fece uno strano verso gutturale, quasi a dire che non era del tutto contento di quello che vedeva. «Devi riposare» annunciò infine. «Lo so. Lo farò, presto.» «Tutti i corridoi quaggiù?» chiese Richard a Nathan. «Abbiamo appena finito di sgombrarli. Abbiamo trovato alcuni soldati dell'Ordine che cercavano di nascondersi. Fortunatamente, la zona che avevano bloccato con la lastra di pietra non aveva altri accessi al palazzo. Era un vicolo cieco.» «Questo è un sollievo» disse Richard.
Uno degli ufficiali della Prima Fila si sporse oltre Nathan. «Li abbiamo eliminati tutti. Per fortuna non avevano ancora introdotto molte unità nel palazzo. Abbiamo liberato tutta la strada fino alla stanza da cui sono entrati. Abbiamo degli uomini lì ad aspettarci.» «Stavo appunto per fare come avevi suggerito,» disse Nathan «ed epurare le catacombe da tutti quelli rimanenti.» «Allora dobbiamo far crollare alcuni cunicoli o cose del genere, per assicurarci che nessun altro possa introdursi.» Richard sapeva che i soldati nemici non erano la loro preoccupazione maggiore. Se delle Sorelle dell'Oscurità fossero penetrate a palazzo sarebbe stato molto peggio. «Non sono sicura che sia possibile» disse Nicci. Richard la squadrò. «Perché no?» «Perché non sappiamo quanto siano estese le catacombe. Possiamo ostruire il punto da cui sono entrati, ma potrebbero presumibilmente trovare un altro passaggio di cui non siamo a conoscenza in una zona del tutto diversa. Ci potrebbero essere miglia e miglia di cunicoli laggiù. Quell'intera rete non è soltanto vasta, ma del tutto sconosciuta.» Richard sospirò. «Dobbiamo pensare a qualcosa.» Nessuno fece obiezioni. Mentre procedevano lungo il corridoio di marmo bianco, Nicci squadrò Richard con un'occhiata che lui riconobbe. Era lo sguardo di un maestro che esprime disapprovazione. «Dobbiamo parlare di quei simboli di vernice rossa che hai addosso.» «Sì» disse Nathan accigliato. «Mi piacerebbe partecipare a quella conversazione.» Richard guardò Nicci allo stesso modo. «Bene. Mentre siamo impegnati con queste discussioni, mi piacerebbe sapere tutto su come hai messo in campo le scatole dell'Orden a mio nome.» Nicci trasalì appena. «Oh, quello.» Richard si sporse un poco verso di lei. «Sì, quello.» «Be', come hai detto, dobbiamo parlarne. In effetti, alcuni di quei simboli dipinti su di te hanno una diretta correlazione con le scatole dell'Orden.» Richard non ne fu affatto sorpreso. Sapeva che alcuni di quei simboli avevano a che fare col potere dell'Orden. Ne conosceva perfino il significato. Dopo tutto, era il motivo per cui li aveva dipinti su sé stesso e sui suoi uomini. Nicci indicò. «Ecco qui. È da qui che si sono introdotti.» Richard si guardò attorno mentre entravano in quella stanza piuttosto di-
sadorna. Termini in D'Hariano Alto erano iscritti sulle pareti di pietra, parole su coloro che erano stati sepolti da lungo tempo. La bara era stata spinta di lato, rivelando la scala che scendeva. Quando si erano affrettati a salire, tornando a palazzo dalle catacombe, era buio pesto, perciò Richard non aveva visto l'ambiente circostante. Adie li aveva condotti nella totale oscurità. Richard non aveva nemmeno capito dov'erano finché non si erano ritrovati nel palazzo. Nicci fece un gesto verso le tenebre. «Qui è dove le Sorelle sono entrate la prima volta.» «Perciò hanno ancora Ann» disse Nathan dopo aver guardato giù per il pozzo scuro. Nicci esitò. «Mi dispiace, Nathan. Pensavo che lo sapessi.» Il suo volto corrucciato si rabbuiò. «Sapessi cosa?» Lei intrecciò le dita. Distolse lo sguardo. «Ann è stata uccisa.» Nathan la fissò per un momento. Neanche Richard aveva saputo di Ann. Si sentiva malissimo per Nathan, per l'impatto delle notizie di Nicci. Richard sapeva quanto il profeta fosse vicino all'ex priora. Sembrava quasi impossibile che Ann se ne fosse davvero andata. «Come?» fu tutto ciò che Nathan riuscì a chiedere. «L'ultima volta che sono stata qui... quando Ann e io siamo venute quaggiù. Siamo state sorprese da tre Sorelle. Avevano congiunto il loro dono per poter essere in grado di usarlo qui dentro. Ann è stata uccisa prima ancora che ci rendessimo conto che erano lì. Jagang voleva che mi catturassero viva, altrimenti sono sicura che sarebbero state felicissime di uccidere anche me.» Nicci posò una mano sul braccio del profeta. «Non ha sofferto, Nathan. Non penso neanche che si sia resa conto di cosa stava accadendo. È morta all'istante. Non ha sofferto.» Nathan annuì, lo sguardo perso in lontani ricordi. Richard mise una mano sulla sua spalla. «Mi spiace davvero.» Le sopracciglia di Nathan si incurvarono per quelli che sembravano oscuri pensieri. Dalla fredda incisività nel suo sguardo, Richard non aveva problemi a immaginare il tipo di cose su cui il profeta stava meditando. Richard pensò che si trattasse dello stesso genere di pensieri che spesso contemplava. Nel silenzio imbarazzante, Richard fece un gesto verso la scala in vista. «Penso che dobbiamo assicurarci che non ci sia nessun altro nascosto laggiù.»
«Con piacere» disse Nathan. Il fuoco magico avvampò fra i suoi palmi voltati verso l'interno. La furiosa palla di fuoco liquido cominciò a girare, lanciando luce rovente attorno alla stanza mentre roteava lentamente, in attesa di fare il suo volere. Nathan si chinò sopra la buia apertura e rilasciò il mortale inferno. Questo cadde nell'oscurità, ululando dalla collera mentre procedeva, illuminando le pareti di pietra intagliata lungo il suo rapido volo. «Dopo che avrà fatto il suo lavoro,» disse Nathan «andrò laggiù e farò crollare il cunicolo da dove sono entrati per assicurarmi che almeno non possano introdursi di nuovo dallo stesso punto.» «Aiuterò a erigere degli schemi di Magia Detrattiva per fare in modo che non lo possano scavare di nuovo» si offrì Nicci. Nathan annuì distrattamente, perso nei propri pensieri. «Lord Rahl,» chiese Cara a bassa voce «che cosa ci fa qui Benjamin?» Richard guardò fuori nel corridoio dove il generale stava ritto, in paziente attesa. «Non so. Non ha ancora avuto il tempo di dirmelo.» Lasciando Nathan ai suoi pensieri personali mentre fissava l'oscurità che conduceva alle catacombe, Richard uscì dalla stanza con Cara e Nicci al suo fianco per andare dal generale Meiffert. «Cosa ci fai qui, Benjamin?» chiese Cara prima che potesse farlo Richard. «Pensavo che dovessi essere giù nel Vecchio Mondo a portare distruzione all'Ordine.» «È vero» disse Richard. «Non che non apprezzi il tuo aiuto, ma perché sei qui? Prima hai detto che dovevi trovarmi per farmi rapporto su qualche genere di problema in cui vi siete imbattuti.» Lui serrò saldamente le labbra per un momento. «Esatto, lord Rahl. Ci siamo imbattuti in un grosso problema.» «Un grosso problema? Che genere di grosso problema?» «Uno rosso. Con le ali. Cavalcato da una strega.» 47 Richard, i gomiti appoggiati sul tavolo di mogano, si passò le dita fra i capelli. Era così stanco che il libro di fronte a lui stava cominciando a galleggiargli davanti agli occhi. Di recente aveva letto così tanti libri che aveva da lungo tempo perso il conto di quanti giorni erano passati dal suo ritorno al Palazzo del Popolo. L'incontro di Ja'La, i tumulti, la fuga di Kahlan con Samuel, il ritorno a
palazzo e la successiva battaglia già sembravano accaduti una vita fa. Con l'aiuto di Verna e diverse altre sue Sorelle, Nathan era stato in grado di guarire Adie. Dopo aver riposato, però, aveva insistito di nuovo per partire nel suo viaggio solitario. Dato che quel posto diminuiva il suo potere, era virtualmente cieca all'interno del palazzo. Richard poteva capire perché voleva andarsene, ma si domandò se, tramite i suoi poteri di incantatrice, non vedeva alcun futuro nel rimanere a palazzo. Non era sicuro che non ci sarebbe stato in nessun luogo alcun futuro di cui preoccuparsi. Dopo quello che il generale Meiffert gli aveva detto su una strega a cavallo di un enorme drago rosso che dava la caccia alle truppe del D'Hara nel Vecchio Mondo, all'improvviso la situazione era parsa molto cupa. Con gli uomini che erano stati mandati a distruggere la capacità dell'Ordine di sostenere il loro esercito nel nuovo mondo in quel momento sotto un attacco così devastante, Richard non sapeva quanto tempo rimanesse prima che l'Ordine fosse in grado di schiacciare infine tutta la resistenza alla loro nuova visione per l'umanità. Il generale era stato fiducioso nel piano di colpire la forza dell'Ordine all'origine, cosa che per un po' aveva funzionato molto bene. Avevano inseguito e distrutto convogli di rifornimenti prima ancora che potessero uscire dal Vecchio Mondo. Avevano tramutato zone di reclutamento e strutture di addestramento in desolate foreste di teste di soldati conficcate nei pali. Lungo la strada avevano demolito depositi di provviste, rovinato raccolti e catturato e ucciso gli uomini che predicavano le ripugnanti credenze dell'Ordine. Le persone del Vecchio Mondo avevano cominciato a comprendere l'amara realtà della guerra che avevano bramato muovere contro altri. La loro compiaciuta esultanza sul modo in cui le loro truppe stavano portando sotto controllo i pagani del nord si era tramutata in insonne paura che quegli stessi pagani potessero venire da loro a vendicarsi. Le folle di coloro che predicavano gli insegnamenti dell'Ordine si erano assottigliate. C'erano anche dei luoghi in cui erano scoppiate delle rivolte contro il dominio dell'Ordine. Jagang, tuttavia, aveva preso diverse misure per contrastare quel tentativo. Per prima cosa, aveva ordinato alle autorità di mettere freno a ogni segno di insurrezione. Cittadine sospettate di simpatizzare con la causa della libertà venivano date alle fiamme, tutti venivano torturati per estorcere confessioni e venivano ordinate esecuzioni di massa. Mettere in discussio-
ne la sovranità dell'Ordine portava terribili conseguenze. Al fatto che la colpa fosse vera veniva data poca importanza. La punizione e l'esercizio dell'autorità erano gli obiettivi, perciò il sospetto era sufficiente per scatenare un trattamento brutale. La gente si era rintanata in fretta in una timorosa obbedienza, desiderosa solo di fornire tutto ciò che veniva richiesto dai nuovi ordini di merci. Quella paura diffusa di essere sospettati di tradimento verso la causa dell'Ordine aveva aumentato drammaticamente l'ammontare di risorse da inviare a nord, pertanto convogli di rifornimenti supplementari non avevano alcuna difficoltà a raccogliere ciò che serviva. Dato che il Vecchio Mondo era così vasto, quello sforzo massiccio assicurava che, malgrado gli sforzi delle truppe del D'Hara, riuscivano comunque a passare abbastanza risorse. Richard si ricordò delle nuove improvvise scorte di cibo, come il prosciutto, infatti sapeva che la tattica stava funzionando, almeno per il momento. Tutte quelle questioni erano ostacoli che le truppe del D'Hara inviate a sud comprendevano e di cui si stavano occupando Col tempo, avrebbero messo a punto i loro metodi per dedicarsi ai nuovi problemi. Questo era ciò che facevano i guerrieri: adattavano i loro piani alle circostanze che incontravano. Il nemico faceva degli aggiustamenti, e bisognava controbattere. L'ultima cosa che Jagang aveva fatto però, era una questione diversa. Aveva mandato un drago e una strega - dalle descrizioni sembrava Sei - a dar la caccia ai D'Hariani mentre questi si occupavano dei convogli di rifornimenti e delle altre strutture. Richard sapeva per esperienza personale che dall'alto era molto più facile localizzare e individuare delle truppe. Era un'efficace tecnica di caccia. Col talento di una strega, poi, era ancora più letale. Quella tattica non solo aveva ridotto l'efficacia degli attacchi nel Vecchio Mondo, ma aveva anche ucciso molte delle truppe del D'Hara senza che ottenessero nulla, rendendo ancora più difficile il lavoro per quelle che rimanevano a combattere. Con le accresciute risorse e gli attacchi dall'alto, malgrado il maggior costo in termini di vite e di rifornimenti, Jagang pareva ottenere ciò che gli serviva per continuare l'assedio al Palazzo del Popolo. Questo era tutto ciò che gli importava. Ora sembrava che sarebbero stati quelli nel palazzo a non essere in grado di resistere. Una volta che la rampa fosse stata completata, e se avessero scoperto altre catacombe da cui introdursi, allora le legioni dell'Ordine a-
vrebbero potuto attaccare il palazzo sia dall'alto sia dal basso. Anche la sola rampa, però, si sarebbe infine rivelata sufficiente. Un attacco del genere sarebbe costato molto all'Ordine Imperiale, ma Jagang non si curava del prezzo per il suo esercito in termini di vite: gli importava solo il suo obiettivo. Presto o tardi l'avrebbe conseguito. Quando questo fosse accaduto, e Richard sapeva che sarebbe stato inevitabile, la causa della libertà sarebbe finita. Loro sarebbero finiti. L'unica speranza di Richard era trovare un modo per usare le scatole dell'Orden. Ovviamente, non aveva nessuna delle scatole, ma anche se le avesse avute non sapeva ancora come servirsene. Per prima cosa doveva imparare a farlo. La conoscenza era adesso la sua arma migliore. Era determinato ad armarsi per bene. La stanza in cui lui e Nicci si trovavano era una biblioteca privata che, secondo Berdine, era piena di volumi proibiti, libri destinati solo al lord Rahl. Potenti schermi proteggevano le doppie porte dell'entrata ad arco. Talvolta Darken Rahl aveva chiesto a Berdine di aiutarlo a tradurre il D'Hariano Alto, ma aveva riferito che quella era una stanza che lei aveva visitato di rado. Aveva detto che lui di solito veniva qui da solo. Richard e Nicci avevano deciso che era un buon posto per cominciare. Berdine stava facendo ricerche in altre biblioteche, assieme a Verna e quasi tutte le Sorelle. Qualunque cosa reputavano che potesse essere d'aiuto veniva portata a Nicci. Lei controllava di persona ogni dettaglio per vedere se era qualcosa di cui Richard dovesse interessarsi. Alcune delle Sorelle più esperte si stavano rivelando piuttosto preziose nel vagliare significative fonti di informazioni pertinenti. Nicci inoltre teneva lontana la gente da Richard in modo che potesse concentrarsi a leggere e ad apprendere la vasta gamma di cose che lei gli stava insegnando. In un certo senso, gli sembrava di essere un prigioniero. Ma in quel silenzioso ritiro, l'atmosfera era piuttosto concentrata, ed era proprio ciò di cui Richard aveva bisogno. Bassi scaffali in quel rifugio privato erano disposti accanto alle pareti ornate con ricchi pannelli, lasciando il centro aperto per divani e sedie. Questo faceva sembrare la stanza più uno studiolo che una biblioteca. Delle statuette decoravano la sommità di alcuni degli scaffali, come fossero mobili da esposizione. Richard non si era ancora avventurato su per la stretta scala a chiocciola di ferro che conduceva alla piccola balconata sul muro opposto, ma Nicci l'aveva fatto. Mentre lui leggeva, lei portava giù libri che reputava impor-
tanti per aggiungerli alla pila che attendeva la sua attenzione. Anche se la stanza non aveva l'aspetto di una delle solite biblioteche colme di una fila sopra l'altra di libri, i discreti scaffali di quella camera contenevano comunque migliaia di volumi. Quelli a cui erano interessati, però, erano piuttosto rari, anche per questo posto. Tuttavia, sul pesante tavolo di marmo a cui sedeva, torreggiavano le alte pile libri che Nicci vi aveva appoggiato. Dall'interno della biblioteca non si poteva capire se fosse giorno o notte. I pesanti drappeggi di velluto blu scuro erano chiusi. Aprirli non sarebbe stato d'aiuto, dato che dietro c'erano solo dei pannelli di legno. Le tende erano fatte in modo da dare l'illusione di finestre e per insonorizzare la stanza. Poi c'erano ampie lampade e un camino. Questo conferiva a quel luogo una calda luminosità, facendolo sembrare intimo e invitante. Richard non aveva questa impressione. Lavoravano senza posa. Veniva portato loro il cibo, in modo che non dovessero fermarsi. Quando non riuscivano più a tenere gli occhi aperti, dormivano per un po' sui divani. Nicci, mai distante da lui, camminava avanti e indietro fra le ombre. I fasci di luce proiettati dalle lampade riflettenti appese sui levigati pilastri di marmo marrone scuro venato di bianco erano disposti a intervalli regolari per tutta la biblioteca. Esaminò un altro libro ancora, vedendo se fosse qualcosa che lui doveva leggere, solo per tornare agli scaffali e rimetterlo a posto. Richard fremeva per l'impulso di agire. Voleva disperatamente andare a cercare Kahlan. Sapeva però che non era così semplice. Per andare a cercarla, doveva imparare come usare il potere dell'Orden prima che fosse troppo tardi per riaverla. Sapeva che per lui sarebbe stato impossibile fare una cosa del genere da solo. Nicci, senza esitare, aveva acconsentito a fargli da insegnante. La prima cosa che aveva fatto era stata spiegargli la complessità dei campi incolti. Voleva che ne comprendesse appieno le implicazioni. Richard non era esperto nella magia e di certo non sapeva come usare le sue capacità a piacimento, ma Nicci gli aveva reso i principi comprensibili. Dapprima, l'aveva trovato difficile da afferrare. Non riusciva a capire che danno potesse davvero fare la preconoscenza. Nicci insisteva che i maghi che avevano creato l'Orden per neutralizzare la Catena di fuoco erano convinti che la preconoscenza di un certo stato emozionale avrebbe contaminato la magia che stavano creando, corrompendo così l'Orden stesso. Richard aveva dei dubbi.
Lei disse che era stato Zedd a spiegarle che il fatto che la preconoscenza potesse contaminare la magia non era una teoria, ma era vero. Le aveva detto che Richard stesso l'aveva provato innamorandosi di Kahlan senza che i suoi poteri da Depositaria lo danneggiassero. Qualunque preconoscenza che ciò fosse possibile avrebbe pregiudicato la capacità di Richard di superare il problema poiché la sua magia, quando lei l'avesse liberata su di lui anche senza averne l'intenzione, l'avrebbe preso. Anche se non aveva mai rivelato la soluzione a Nicci, Zedd le aveva detto che Richard doveva essere del tutto ignaro del fatto che esistesse una soluzione, altrimenti quella soluzione non avrebbe funzionato, perciò le aveva fatto giurare di mantenere il segreto perfino su quella piccola parte. Zedd aveva detto a Nicci che Richard stesso aveva dimostrato la questione centrale della teoria dell'Orden: che la preconoscenza può influenzare il funzionamento della magia. Lo aveva dimostrato con Kahlan. Richard sapeva fin troppo bene di cosa stava parlando Nicci, anche se lei era all'oscuro su alcune questioni. Dato che aveva vissuto una tale esperienza in prima persona, riconosceva la gravità della situazione. Sapeva che, proprio come la sua preconoscenza che esistesse una soluzione per amare una Depositaria avrebbe fatto fallire quella soluzione, il fatto che Kahlan avesse una preconoscenza del suo profondo legame affettivo per lei avrebbe causato il fallimento dell'Orden. Non era una teoria, come i maghi che avevano creato l'Orden avevano pensato. Era vero: la preconoscenza contaminava un campo incolto. Richard, fra tutti, afferrava il concetto a un livello viscerale. Sapere nel proprio cuore e comprendere appieno che non poteva consentire a Kahlan di apprendere dell'amore fra loro due gli annodava le interiora. Al momento, però, quell'eventualità era solo una preoccupazione lontana. Era un problema che sperava sinceramente di avere, un giorno. Doveva imparare ancora molto prima di raggiungere quel punto. Avendo letto un gran numero di resoconti storici nella biblioteca e in libri trovati da alcune delle Sorelle che risalivano a prima della grande guerra, Nicci era stata in grado di elaborare una teoria sul dono di Richard e su come funzionava. A suo parere, non era tanto il fatto che Richard fosse cresciuto senza essere addestrato nella magia che gli rendeva difficile controllare le sue capacità, quanto che il fatto che il dono di un mago guerriero funzionava proprio in maniera diversa da quello di un'incantatrice o di un mago normale. Il potere di Richard non funzionava come un rubinetto, aveva spiegato lei, ma tramite l'intenzione attraverso le sue emozioni in
modo molto simile alla Spada della Verità. In questo senso, la Spada della Verità si era rivelata come una sorta di manuale su come la sua capacità funzionava. La spada agiva a seconda di ciò in cui credeva la persona che la brandiva. Non avrebbe fatto del male a una persona che questi reputava suo amico, ma avrebbe distrutto chiunque fosse stato percepito come nemico. La realtà non contava: era quello che la persona reputava vero che guidava la magia della spada. Quello era il concetto critico alla base sia della spada sia del suo dono come mago guerriero. Le emozioni, le sensazioni, erano la somma interna di ciò che una persona aveva raccolto, osservato, sperimentato e compreso sulla vita, tutto liberato in un istante: un punto di vista interiore sulla vita spinto in fuori come un'emozione. Questo non significava, comunque, che quei giudizi conclusivi fossero di per sé corretti. Proprio come per la spada, il suo dono funzionava in unione a ciò che lui stimava. Stava al suo intelletto vagliare dei valori legittimi e offrire una giustificazione ragionata per rendere quelle emozioni non solo vere, ma morali. Ecco perché era vitale selezionare la persona giusta per brandire la Spada della Verità. Quella persona doveva essere qualcuno con la capacità di arrivare a quei giudizi per solidi motivi. Sempre in modo molto simile alla spada, il suo dono funzionava tramite la collera. La collera era in realtà una proiezione dei suoi valori in una reazione a minacce a quei valori. Perciò, il suo dono avvampava della sua rabbia quando qualcosa minacciava ciò che lui stimava: per esempio coloro che amava o perfino il valore fondamentale della stessa vita umana. Nicci gli aveva detto che, a quanto ne sapeva, lui avrebbe potuto non imparare mai a controllare la sua capacità direttamente nel modo in cui facevano le altre persone col dono. Aveva detto che sospettava che il motivo fosse che il dono di un mago guerriero era fondamentalmente differente, che serviva a uno scopo diverso da altri doni come essere un guaritore o un profeta. L'implicazione in tutto ciò che lei aveva appreso era che la collera era un elemento chiave nella capacità di un mago guerriero. Dopo tutto, non si entrava in guerra per gioia o sete di conquista, ma in risposta a una minaccia verso dei valori. Quello che interessava più da vicino Richard, comunque, era imparare a usare il potere dell'Orden per invertire l'incantesimo della Catena di fuoco. Nicci era stata scioccata al vedere i disegni e i simboli che Richard aveva dipinto su di sé e sugli altri uomini. Si era resa conto che aveva combi-
nato elementi noti in forme completamente nuove. Ma voleva anche sapere come fosse riuscito a integrare elementi attinenti all'Orden. Richard aveva spiegato che era arrivato ad apprendere che alcune delle parti degli incantesimi che Darken Rahl aveva disegnato per aprire le scatole dell'Orden facevano anche parte della danza con la morte, e conosceva piuttosto bene i simboli relativi a quella danza. Per certi versi, quell'associazione aveva senso. Zedd una volta gli aveva detto che il potere dell'Orden era il potere della vita stessa. La danza con la morte, usata con la Spada della Verità, in realtà riguardava la preservazione della vita, e l'Orden stesso era attratto dal potere della vita e incentrato attorno alla sua salvaguardia dalla furia dell'incantesimo della Catena di fuoco. In un certo senso la Spada della Verità, la capacità di un mago guerriero e il potere dell'Orden erano inestricabilmente collegati. Queste connessioni riportarono alla mente di Richard il Primo Mago Baraccus, l'uomo che migliaia d'anni prima aveva scritto per lui un libro, Segreti del potere di un mago guerriero Quel libro aveva lo scopo di aiutarlo in questa ricerca. Era ancora nascosto a Tamarang, dove Richard l'aveva riposto quando Sei l'aveva tenuto prigioniero per breve tempo. Richard sapeva che Zedd era diretto lì per vedere se poteva togliere da lui l'incantesimo disegnato nelle caverne sacre. Dato che il dono di Richard era tornato, di certo suo nonno aveva avuto successo. Ora che Richard era di nuovo connesso col suo dono, si ricordava anche ogni parola de Il libro delle ombre importanti. Nicci era convinta, e aveva convinto Richard, che il libro che aveva memorizzato poteva solo essere stata una falsa copia che non poteva essere usata per aprire la giusta scatola dell'Orden. Credeva comunque che, pur essendo una copia falsa, fosse molto probabile che contenesse tutti, o quasi tutti, gli elementi necessari ad aprire e usare la giusta scatola dell'Orden. Sarebbe bastata una sola sequenza di elementi necessari fuori posto a rendere la versione che Richard aveva memorizzato una falsa copia, ma questo non voleva dire che gli elementi stessi non fossero validi e perciò importanti e necessari. A quello scopo, Richard aveva recitato per lei l'intero libro. Avevano preso nota di ogni suo elemento. Se lui avesse appreso come creare o disegnare ciascuno di quegli elementi, allora quando avessero messo le mani sulla vera copia de Il libro delle ombre importanti, avrebbe dovuto semplicemente riorganizzare quei componenti necessari nel giusto ordine come
previsto dalla vera copia del libro. Per questo motivo, ora Nicci sapeva cosa doveva insegnargli. E Richard aveva già percorso buona parte di quel sentiero che gli avrebbe insegnato, poiché comprendeva già molti degli elementi chiave in questione. Già conosceva una vasta gamma delle parti di base usate nelle formeincantesimo. In effetti, le aveva disegnate sulla sua intera squadra e su sé stesso. La danza con la morte gli aveva già insegnato i fondamenti di quegli schemi, che ora gli risultavano quasi intuitivi. Richard aveva scoperto che tracciare le forme-incantesimo non era che una naturale estensione non solo dei simboli utilizzati nel rappresentare la danza con la morte, ma di come combatteva con una lama e come intagliava statue. Alla base tutte quelle cose, all'apparenza differenti, avevano degli elementi fondamentali in comune. Tutte condividevano movimenti e flussi. Per Richard era strabiliante scoprire come tutto combaciasse in un quadro più ampio. Mentre disegnava le forme-incantesimo che Nicci gli stava insegnando, non gli sembrava strano o complesso. Gli pareva naturale. Conosceva già le forme. In esse riconosceva non solo la danza con la morte, ma movimenti con una lama, sia per combattere, che per intagliare statue. Anche Nicci era un'insegnante unica perché comprendeva non solo quanto Richard sapeva sulle sue diverse abilità, ma anche come le usava. Lei afferrava come nessun altro come lui concepisse l'utilizzo della magia. Comprendeva quanto la sua concezione fosse diversa da quella comune e non fosse ostacolata neanche un po' dal modo in cui lui vedeva certe cose. Semmai, le dava energia. Lei comprendeva anche il suo concetto degli aspetti creativi della magia stessa, perciò non cercava di correggerlo in ciò che faceva, ma invece lo guidava a realizzare ciò che andava fatto. Non accumulava nozioni da memorizzare; costruiva invece su ciò che lui già sapeva, a partire dal modo in cui vedeva le cose. Dato che percepiva a istinto ciò che lui aveva compreso per conto suo, a suo modo, non perse tempo a soffermarsi su argomenti che aveva già capito, ma lo aiutò invece ad aggiungere quello che gli occorreva al momento e al posto giusto. Nicci camminò verso il tavolo. «Come va?» Richard sbadigliò. «Non lo so più. Mi gira tutto quanto per la testa.» Nicci annuì con indifferenza e intanto leggeva qualcosa in un libro che teneva in mano.
«Quello che tu pensi stia girando vorticosamente può voler dire che la tua mente sta semplicemente cominciando a fare associazioni e connessioni, organizzando ciò che stai aggiungendo alle tue conoscenze.» Richard sospirò. «Può darsi.» Nicci chiuse il libro e lo gettò da un lato del tavolo. «Qui dentro ci sono alcune cose utili. Dovresti darci un'occhiata.» «Non penso di poter vedere chiaramente per leggere altro adesso.» «Bene» disse lei. Fece un gesto a una penna infilata in un supporto su un lato del tavolo. «Disegna, allora. Devi essere in grado di tracciare quegli elementi del libro che hai appena terminato. Se Il libro delle ombre importanti vero ha elementi simili, ti porterai avanti col lavoro.» Richard voleva discutere con lei, dirle che era troppo stanco ma poi pensò a Kahlan. La spossatezza diventava sotto quella luce. Inoltre, aveva acconsentito che Nicci gli insegnasse e non solo avrebbe fatto come gli diceva, ma si sarebbe sforzato al massimo. Lei era un'incantatrice dalla conoscenza, esperienza e capacità inestimabili tanto che Zedd aveva detto di esserne stupito. Perfino Verna lo aveva preso da parte e gli aveva consigliato di ascoltare con attenzione Nicci che in molte aree era più brillante di chiunque di loro. Richard sapeva che questa era la sua unica vera possibilità di imparare ciò che gli occorreva. Non aveva intenzione di sprecare quell'opportunità. Tirò più vicino un pezzo di carta e intinse la penna nell'inchiostro. Si chinò e cominciò a disegnare delle forme-incantesimo da un libro aperto lì accanto. Un grosso problema che non avevano ancora risolto era la questione della sabbia magica. Stando a Il libro delle ombre importanti che aveva memorizzato, le forme-incantesimo necessarie per aprire la giusta scatola dell'Orden dovevano essere tracciate nella sabbia magica. Nicci gli aveva detto che, anche se il libro che aveva memorizzato era una copia falsa, la necessità di tracciare le forme-incantesimo nella sabbia magica quando fosse giunto il momento era vera. Gli incantesimi che sarebbero serviti, qualunque essi fossero, non avrebbero funzionato senza. Richard le aveva detto come, quando Darken Rahl aveva aperto la scatola dell'Orden, era stato risucchiato nel mondo sotterraneo assieme alla sabbia magica che aveva usato per tracciare gli incantesimi. Nel Giardino della Vita non c'era più nulla di quella preziosa risorsa. Dove c'era stata la sabbia magica, c'era solo terra. Nicci alzò lo sguardo da un altro libro che stava sfogliando. «Ecco alcu-
ne informazioni sul Tempio dei Venti.» Richard le rivolse un'occhiata. «Davvero?» Lei annuì. «Sai, la cosa che mi rende perplessa riguardo a questo è come hai detto di aver attraversato il mondo dei morti per arrivarci.» Era apparso durante il fulmine e Richard vi era arrivato superando una strada mentre era visibile. «Mi dispiace, Nicci, ma ti ho detto tutto ciò che so sull'argomento.» «Stando a questo e a quanto mi hai detto su ciò che hai imparato dai resoconti che hai trovato in vecchi libri, il Tempio dei Venti fu mandato nel mondo sotterraneo. Poiché era stato bandito per protezione, si trova da qualche parte lontano, oltre quel Grande Vuoto. Tutto lo scopo sta nel renderlo distante e impossibile da raggiungere.» «Ma era proprio lì quando le condizioni erano giuste. Io ci sono entrato camminando.» Lei annuì distrattamente mentre tornava a leggere e passeggiare. Alla fine si fermò di nuovo, con aria impaziente. «Non ha comunque senso. È impossibile arrivare da qui a lì superando il mondo dei morti. Attraversare il vuoto del mondo sotterraneo è qualcosa di simile ad attraversare l'oceano. Sarebbe come camminare sulla riva e raggiungere con un passo un'isola dall'altra parte del mondo senza dover viaggiare per l'oceano.» «Forse il Tempio dei Venti non è così distante nel mondo sotterraneo. Forse è come un'isola che non è proprio dall'altra parte dell'oceano, ma proprio lì, vicino alla riva.» Nicci scosse il capo. «Non stando a questo né a ciò che mi hai detto. Ogni riferimento dice che per bandire il tempio e metterlo al sicuro, lo mandarono dall'altra parte del mondo sotterraneo, come se lo avessero mandato dall'altra parte dell'universo stesso.» «Lord Rahl» chiamò Cara dalla porta. Richard sbadigliò di nuovo. «Cosa c'è, Cara?» «Ho delle persone qui con me che hanno bisogno di vedervi.» Per quanto gli sarebbe piaciuta una pausa, Richard non voleva fermarsi. Doveva imparare tutto quanto se voleva riavere Kahlan. «Sembra importante» aggiunse Cara quando lo vide esitare. «D'accordo, portale dentro.» Cara condusse nella stanza un gruppo di sei persone in vesti di un bianco immacolato. Nella biblioteca piuttosto scura, quelle figure in bianco rifulgevano quasi come spiriti buoni. Si fermarono tutti dall'altra parte del mas-
siccio tavolo di mogano. A Richard sembravano più persone che temevano di essere giustiziate piuttosto che gente che stesse lì per vederlo. Richard spostò lo sguardo dalle sei persone nervose - cinque uomini e una donna - a Cara. «Questi sono degli inservienti della cripta» disse lei. «Inservienti della cripta?» «Sì, lord Rahl. Si prendono cura delle tombe e cose del genere.» Richard osservò di nuovo le loro facce. Loro distolsero tutti lo sguardo dal suo per fissare il pavimento rimanendo in silenzio. «Sì, mi ricordo di aver visto alcuni di voi quando sono tornato, nel corso di quella battaglia laggiù con i soldati dell'Ordine Imperiale.» Non riusciva a immaginare la terrificante confusione che doveva essere ripulita. Lui aveva ordinato che i corpi dei soldati dell'Ordine venissero gettati dal fianco dell'altopiano. Avevano cose più importanti di cui preoccuparsi che prendersi cura dei resti di assassini. Le persone annuirono. «Cos'è che volete dirmi?» Cara agitò una mano per dissuaderlo da quell'idea. «Lord Rahl, sono tutti muti.» Richard fece un gesto con la penna che aveva in mano mentre si reclinava sulla sedia. «Tutti voi?» Le sei persone annuirono insieme. «Darken Rahl ha fatto tagliare le lingue di tutti gli inservienti della cripta in modo che non potessero parlar male del suo defunto padre.» Richard sospirò al sentire una cosa tanto terribile. «Mi spiace che siate stati maltrattati a questo modo. Se può farvi sentire meglio, condivido la vostra opinione su quell'uomo.» Cara sorrise mentre guardava quei sei sotto la sua responsabilità. «Ho detto loro della vostra parte nella sua morte.» I sei sorrisero e annuirono. «Allora cosa riguarda? Potete aiutarmi a capire cosa volete che io sappia?» chiese ai sei. Uno di loro allungò una mano e con cautela mise un panno ripiegato di colore bianco immacolato sul tavolo. L'uomo lo fece scivolare verso Richard. Mentre Richard faceva per prenderlo, una goccia di inchiostro sgocciolò dalla sua penna sul tessuto bianco. «Spiacente» borbottò mentre metteva da parte la penna.
Tirò il panno più vicino. Alzò lo sguardo verso i sei. «Allora, cos'è?» Quando quelli non fecero alcun tentativo di spiegare, lui lanciò un'occhiata a Cara. Lei si limitò a scrollare le spalle. «Hanno insistito perché lo vedeste.» Uno di loro fece un gesto con le mani protese e i palmi rivolti verso l'alto, quasi fossero le pagine di un libro che si apriva, poi ripeté il segno. «Volete che lo apra?» Tutti e sei annuirono. Sembrava quasi che non contenesse nulla, ma Richard cominciò ad aprire con cautela le pieghe del panno sul tavolo. Nicci, in piedi accanto ai sei, si sporse sopra il tavolo per guardare. Quando Richard scostò l'ultima piega, lì, al centro del panno, si trovava un unico granello di sabbia bianca. Lui alzò lo sguardo bruscamente. «Dove lo avete preso?» Tutti e sei indicarono verso il basso. «Dolci spiriti» sussurrò Nicci. «Cosa?» chiese Cara, sporgendosi per guardare il singolo granello di sabbia bianca posto al centro del panno. «Cos'è?» Richard alzò gli occhi verso la Mord-Sith. «Sabbia magica.» Quelle persone erano inservienti della cripta, perciò questo significava che l'avevano trovata da qualche parte. La sabbia magica risplendeva di luce prismatica, ma lui era ancora alquanto sbalordito che ne avessero trovato un unico granello. Si domandò anche dove vi si fossero imbattuti e se ce n'era di più. «Potete mostrarmi dove avete trovato questo?» Tutti e sei annuirono vigorosamente. Richard ripiegò attentamente il panno attorno al granello di sabbia magica. Mentre lo faceva, notò anche che il punto in cui la goccia di inchiostro era caduta, dato che in quel momento il panno era piegato, aveva fatto due macchie identiche sulle estremità opposte del tessuto. Quando il panno era stato piegato, queste erano state assieme e si erano toccate combaciando ma quando era aperto le macchie erano ciascuna opposta all'altra. Lui lo fissò per un momento, pensieroso. «Andiamo» disse infine infilandosi il panno in tasca. «Portatemi lì.» 48 Richard superò la pietra bianca liquefatta ed entrò nella tomba di Panis
Rahl. Gli inservienti della cripta aspettavano fuori nel corridoio. Avevano insistito che Richard vi accedesse da solo, per primo, volendo che fosse lui a visitare la tomba prima che osassero entrare. Dopo tutto, era la tomba di suo nonno. Queste persone erano vissute e morte secondo l'incomprensibile protocollo che il precedente lord Rahl seguiva nel visitare i suoi venerabili antenati. Richard, però, riservava la sua riverenza per coloro che la meritavano. Panis Rahl era stato un despota con ambizioni di conquista poco diverse da quelle di suo figlio, Darken Rahl. Panis Rahl poteva non essere riuscito a raggiungere il livello di malvagità del figlio, ma non per mancanza di tentativi. Nella guerra che Panis Rahl aveva mosso contro le terre confinanti, Zedd, allora giovane, era stato chiamato a guidare i popoli liberi contro l'aggressione del D'Hara. Alla fine, Zedd, agendo come Primo Mago, aveva ucciso Panis Rahl ed eretto i confini che per la maggior parte della vita di Richard avevano isolato il D'Hara. Anche se molti avevano sostenuto con forza la sete di conquista di Panis Rahl, Zedd non aveva voluto uccidere tutta la gente del D'Hara. Anche molti di loro, dopo tutto, erano vittime di quella tirannia: essere stati tanto sfortunati da nascere sotto un despota non era stata una loro scelta. Perciò, invece di uccidere tutta la gente del D'Hara, Zedd aveva eretto i confini. Aveva detto che, in definitiva, lasciarli a soffrire le conseguenze delle loro stesse azioni era la peggior punizione che gli potesse infliggere. Aveva anche dato loro la possibilità di scegliere di cambiare e fare qualcosa delle proprie vite. Ma coi confini, non sarebbero stati in grado di continuare la loro aggressione contro altri. Avrebbe funzionato, e Richard sarebbe stato ancora a vivere in pace nelle Terre Occidentali, se i confini non fossero caduti. Darken Rahl aveva aiutato il loro deterioramento viaggiando attraverso il mondo sotterraneo per superarli. Ma se i confini non fossero caduti, Richard non avrebbe incontrato Kahlan. Kahlan rendeva la sua vita degna di essere vissuta. Lei era la sua vita. Richard si ricordò di anni prima, poco dopo che Darken Rahl aveva aperto la scatola dell'Orden ed era stato risucchiato dal suo potere, quando uno degli inservienti del palazzo era venuto a dire che la cripta di Panis Rahl stava fondendo. Zedd aveva detto all'uomo di usare una particolare pietra bianca per sigillare la tomba prima che quella condizione si diffondesse al resto del palazzo.
Quel tappabuchi di pietra bianca che sigillava l'ingresso della tomba da allora si era fuso quasi del tutto e la strana condizione stava cominciando a danneggiare l'intera stanza. Le pareti iniziavano a distorcersi, costringendo le lastre di granito rosa a venir spinte via dalla loro precedente posizione piatta. Nel corridoio al di fuori, le giunture fra il soffitto e i muri si stavano aprendo per via della deformazione della struttura. Se non fosse stata fermata, sembrava che avrebbe potuto continuare a distorcere i muri finché il palazzo non avrebbe infine cominciato a crollare su sé stesso. Richard guardò tutt'intorno, esaminando ogni cosa mentre attraversava la stanza. La luce di cinquantasette torce si rifletteva sulla bara decorata d'oro di suo nonno, appoggiata su un piedistallo, in modo che non solo risplendesse al centro della camera cavernosa, ma sembrasse quasi che stesse fluttuando sopra il pavimento di marmo bianco. Delle parole erano iscritte non solo sulla bara, ma nelle pareti di granito tutt'intorno alla stanza. «Odio il rosa» mormorò Nicci fra sé mentre si guardava intorno verso le pareti di granito rosa lucidato e il soffitto a volta. «Qualche idea sul perché i muri stanno fondendo?» Richard chiese a Nicci mentre lei camminava lentamente in giro per la stanza, ispezionando tutto con attenzione. «È proprio questo che mi spaventa» disse Nicci. «Cosa intendi?» domandò Richard mentre cominciava a leggere le parole in D'Hariano Alto incise nelle pareti di granito. «Verna mi ha detto che quando sono venuta a palazzo, proprio prima di essere catturata, ero diretta quaggiù con Ann. Secondo Verna io le avevo detto di sapere perché i muri qui stavano fondendo.» Richard la guardò voltandosi appena. «E allora qual è il motivo?» Nicci parve stranamente confusa e preoccupata. «Non lo so. Non ricordo.» «Non ricordi... cosa?» «Perché stavo venendo quaggiù o perché i muri stiano fondendo. Ho chiesto a Verna se si ricordasse di quello che potevo aver detto, ma ha risposto di no.» Richard passò con leggerezza un dito lungo la bara di suo nonno. «Catena di fuoco.» Nicci alzò lo sguardo, sempre più preoccupata. «Pensi davvero che sia questa la ragione?» «Non te ne ricordi per niente?» Lei scosse il capo. «No. Non ricordo neanche di aver mai detto a Verna
che conoscevo la causa del problema, ma quel che è peggio è che non mi ricordo di aver mai saputo perché le pareti stavano fondendo. Come potrei dimenticare qualcosa di tanto importante?» Richard la fissò nei suoi occhi azzurri turbati per un momento. «Non penso che potresti, se le cose fossero normali.» «Questo può voler dire soltanto che il danno della Catena di fuoco si sta allargando oltre il bersaglio originario dell'incantesimo.» «È la contaminazione» disse Richard con voce calma. «Se questo è vero, allora significa che qualunque cosa stia succedendo qui è connessa a quello che dobbiamo fare per invertire la Catena di fuoco. La contaminazione dei rintocchi sta cancellando la memoria per proteggere sé stessa.» Quell'idea tanto sconcertante fece fermare Richard. Sapeva però, che era sensata. Ora doveva preoccuparsi non solo che Jagang potesse essere un passo avanti rispetto a lui, ma di come la contaminazione della Catena di fuoco potesse agire per difendersi dalla distruzione. Non aveva bisogno di essere senziente per reagire, preservarsi e perseguire il suo obiettivo. Per i rintocchi era importante eliminare la magia, e la contaminazione che avevano lasciato nella loro scia era il loro modo di realizzare lo scopo, perciò queste misure di autodifesa ne erano probabilmente parte integrante, proprio come le spine per un cespuglio o un albero. Avere spine non implica che una pianta sia in grado di pensare a come far del male a chi le si avvicina: fa semplicemente parte dei metodi per proteggersi, in modo da poter continuare a esistere. «Dobbiamo invertire la Catena di fuoco o non farà che peggiorare» disse infine Richard a Nicci. «Non passerà molto tempo prima che ci dimentichiamo perfino perché dobbiamo invertirla. Devo invocare il potere dell'Orden per neutralizzare l'incantesimo prima che sia troppo tardi.» «Per farlo, ci servono le scatole dell'Orden» gli ricordò lei. «Be', Jagang ne ha due e la strega ha preso la terza. In qualche modo dobbiamo riprenderle.» «Dato che Sei sta obbedendo agli ordini di Jagang e sta attaccando le nostre truppe giù nel Vecchio Mondo, penso che dobbiamo presupporre che intenda dargli la terza scatola.» Richard fece scorrere un dito su alcune delle lettere sulla bara di Panis Rahl. «Penso che tu abbia ragione. È solo questione di tempo prima che Jagang abbia tutte e tre le scatole, sempre che non siano già nelle sue mani.»
«Noi abbiamo qualcosa che a lui serve, però» puntualizzo Nicci. «Davvero? Cosa?» «Il Giardino della Vita. Da quando ho tradotto Il libro della vita sono giunta a vederlo sotto una nuova luce. Il libro ha confermato alcune delle conclusioni a cui ero arrivata in precedenza, dopo l'ultima volta che ho visto il giardino. «Ora comprendo il Giardino della Vita attraverso il contesto della magia dell'Orden. Ho studiato la posizione della stanza, la quantità di luce, gli angoli in relazione a varie carte stellari e come il sole e la luna attraversano quel luogo. Ho analizzato anche l'area dentro la stanza dove gli incantesimi relativi all'Orden sono stati invocati e la loro posizione specifica in relazione agli altri elementi.» Richard era incuriosito. «Intendi dire che pensi davvero che il Giardino della Vita sia necessario per aprire una delle scatole?» «Sì. Il Giardino della Vita è stato costruito appositamente per fornire le condizioni controllate necessarie per aprire una della scatole dell'Orden.» Richard dovette ripetere nuovamente questo concetto nella sua mente prima di essere sicuro di averlo sentito bene. «Intendi dire che Jagang deve entrare in quella stanza per poter aprire la scatola giusta?» Nicci scrollò le spalle. «A meno che non voglia costruire una sua stanza uguale a quella. Questo non è certo impossibile, ma riunire tutti gli elementi in quella stanza è molto impegnativo. Ricrearla sarebbe un'impresa complessa.» «Ma per lui sarebbe possibile fare una cosa del genere?» «Gli servirebbero i riferimenti originari da cui sono stati ottenuti i progetti per il Giardino della Vita. Inoltre non gli occorrerebbe l'aiuto di incantatrici, ma di maghi. Mancandogli tutto il necessario per farlo da sé, dovrebbe studiare il Giardino della Vita per poter sapere come costruirne uno nuovo. L'unica soluzione pratica sarebbe duplicare ciò che è già stato costruito qui, dato che tutto il lavoro preliminare è già stato portato a termine con successo.» «Be', se potesse entrare qui dentro per farlo, potrebbe anche usare questo.» Nicci gli lanciò un'occhiata. «Esattamente.» Richard sospirò nel comprendere quanto fossero indietro rispetto alle vere motivazioni di Jagang. «Non mi stupisce che non si sia preoccupato di aprire le scatole prima d'ora. Doveva entrare qui prima. Conquistare il Palazzo del Popolo ha fatto parte da sempre del suo obiettivo più ampio. Per
tutto questo tempo ha sempre saputo cosa doveva fare.» «Così pare» ammise lei. Berdine entrò nella tomba attraverso il varco fuso. «Lord Rahl, eccovi.» Richard si voltò. «Cosa c'è?» «Ho trovato questo libro» disse, tenendolo alto mentre attraversava la stanza, come se sventolarlo spiegasse tutto. «È in D'Hariano Alto. Quando ne ho tradotto una parte e mi sono resa conto di cosa si trattava, Verna mi ha detto di portarvelo immediatamente.» Nicci prese il libro da Berdine quando la Mord-Sith glielo porse. Lei lo aprì e cominciò a esaminare il testo. «Dunque, cosa riguarda questo libro?» chiese Richard a Berdine. «Parla della gente di Jillian. Delle sue antenate di Caska, in effetti.» «Le portatrici di sogni...» Nicci mormorò fra sé mentre proseguiva col libro. Richard si accigliò. «Cosa?» «Nicci ha ragione» disse Berdine. «Parla di come la gente a Caska fosse in grado di lanciare sogni. Verna ha detto di dirvelo.» «D'accordo, grazie.» «Be', devo tornare. Ci sono altri libri che devo tradurre per Verna. E non dimenticate,» disse voltandosi appena mentre si allontanava «una volta devo parlarvi delle cose che ho scoperto per voi in precedenza, su Baraccus.» Richard annuì al rapido sorriso della Mord-Sith. Nicci infilò il libro sottobraccio. «Grazie, Berdine. Ce ne occuperemo non appena avremo finito qui.» Richard guardò Berdine allontanarsi per un momento, poi fece un gesto verso le iscrizioni sulle pareti. «Tutto questo pare piuttosto allarmante. Conosci l'esatta natura degli incantesimi tracciati qui? Molti degli elementi mi paiono vagamente familiari.» «Dovrebbero» rispose Nicci in modo criptico. Indicò una delle iscrizioni sulla parete opposta. «Vedi lì? Sono istruzioni di un padre per un figlio sul procedimento per andare nel mondo sotterraneo e tornare.» «Intendi dire che Panis Rahl voleva trasmettere questi incantesimi a Darken Rahl, perciò li ha fatti cesellare sulle pareti della sua tomba?» «No» disse Nicci scuotendo il capo. «Credo che questi incantesimi vengano tramandati nella casata dei Rahl da innumerevoli generazioni, da ogni padre al proprio discendente con il dono che deve diventare il successivo lord Rahl. Di padre in figlio: in un certo senso, sono tuoi per diritto di nascita.»
Richard si sentì alquanto sopraffatto da quel pensiero. «A quando pensi che risalgano? E perché tramandare incantesimi per andare nel mondo sotterraneo?» «Dalla composizione di questi incantesimi, la mia ipotesi è che esistano dal tempo in cui l'Orden stesso fu creato.» Nicci li esaminò con la coda dell'occhio. «Credo che questi incantesimi possano essere necessari per usare il potere dell'Orden.» Richard si voltò verso di lei. «Cosa?» «Be', da quel che ho letto nei libri che spiegavano l'Orden, come Il libro della vita e alcuni volumi sulla teoria dell'Orden, sono giunta a credere che lo scopo di un tale requisito abbia a che fare col problema di come la Magia Detrattiva è stata usata per attivare la Catena di fuoco.» «Intendi il problema dei ricordi che vengono eliminati?» Nicci annuì. «Perché gli altri non riescono a ricordare Kahlan? Perché lei non riesce a ricordarsi chi era? Perché non possiamo usare il nostro dono per guarire le persone che hanno dimenticato Kahlan, o per guarire Kahlan stessa? Perché il nostro dono non può ripristinare quei ricordi?» Richard riconobbe in Nicci l'insegnante che chiedeva al suo studente di fornire la propria risposta. Richard aveva molta familiarità con quella tecnica. Zedd l'aveva usata su di lui per tutta la sua vita. «Perché quei ricordi non esistono più. Non c'è nulla da ripristinare.» «E come sono stati sottratti?» chiese Nicci, sollevando un sopracciglio con aria interrogativa. Richard pensò che fosse ovvio. «Tramite la Magia Detrattiva.» Nicci rimase a fissarlo, come se aspettasse qualcos'altro. La comprensione si fece strada in lui. «Dolci spiriti,» disse in un sussurro «la Magia Detrattiva è la magia del mondo sotterraneo.» Fece un passo per avvicinarsi a lei. «Stai dicendo che, per usare il potere dell'Orden, è necessario andare nel mondo sotterraneo perché ciò che è stato sottratto con la Magia Detrattiva può essere recuperato soltanto lì?» «Se i ricordi devono essere ricostruiti, dev'esserci un germoglio da cui possano ricrescere. I ricordi che hai di lei sono i tuoi, non quelli che mancano a Kahlan, a Zedd, a Cara o a chiunque altro. L'essenza dei loro ricordi mancanti è ciò che è scomparso da questo mondo. Non esiste più. Non qui, perlomeno.» Richard non riusciva neanche a sbattere le palpebre. «E il nucleo della memoria sottratta dalle menti delle vittime della Catena di fuoco è stato
portato via con la Magia Detrattiva. Perciò, se esiste ancora, si può trovare solo nel mondo sotterraneo.» Nicci fece un gesto verso le parole in D'Hariano Alto incise nelle pareti di granito e sulla bara. «Il libro della vita, che Darken Rahl deve aver letto prima di mettere in campo le scatole dell'Orden, dice che parte del processo dell'invocazione dell'Orden consiste nell'andare nel mondo sotterraneo.» «Ma quali ricordi avrebbe recuperato Darken Rahl quando ha viaggiato nel mondo sotterraneo?» «Invocare l'Orden richiede delle tappe prestabilite. Andare nel mondo sotterraneo è una delle tappe attraverso cui passare nella sequenza dell'invocazione dell'Orden.» Fece un gesto verso le pareti. «Quelle tappe.» «Ma quei riferimenti dicono soltanto che è essenziale andare nel mondo sotterraneo. Perché non spiegano lo scopo del viaggio?» «Lo scopo di quel viaggio è recuperare il nucleo dei ricordi, ma l'Orden non sa cos'è necessario o chi sia l'oggetto della Catena di fuoco, perciò viene fornita solo la tappa da intraprendere. Non dice cosa debba essere fatto lì. È solo uno strumento per la persona che cerca di invertire la Catena di fuoco. Sta a lei fare ciò che è necessario quando intraprende quel viaggio. «Berdine è stata la prima a mostrarmi Il libro della vita. Sapeva dov'era perché aveva visto Darken Rahl usarlo. Lui è andato nel mondo sotterraneo. Queste iscrizioni fanno parte della formula degli incantesimi necessari per farlo.» «Ma Darken Rahl non stava cercando di ripristinare ricordi perduti per via della Catena di fuoco.» Nicci scrollò le spalle. «No, usava l'Orden per ottenere potere per sé stesso. Stava a lui vedere cosa fare una volta lì. Probabilmente non aveva capito il vero scopo di andare nel mondo sotterraneo. Avrà ritenuto che si trattasse solo di una tappa da eseguire, una parte di un complesso rituale.» Richard si passò le dita fra i capelli. «Kahlan mi ha detto che aveva viaggiato nel mondo sotterraneo.» Nicci fece di nuovo un gesto verso le iscrizioni. «Questo è parte di come l'ha fatto.» «Ma come accidenti posso fare una cosa del genere?» «Stando a questo, non puoi farlo da solo. Richiede una guida. Non solo una guida, ma qualcuno che la persona che si imbarca in un tale viaggio deve convincere e che gli sia assolutamente leale persino nella morte.» «Uno spirito buono a cui posso affidare la mia vita.»
Lei annuì, poi indicò un punto delle iscrizioni. «Vedi qui? Questo è un incantesimo per richiamare la guida dal mondo sotterraneo che venga a prenderti e ti porti dove devi andare.» Sentendosi piuttosto male al pensiero, Richard guardò le scritte tutt'intorno. Indicò uno dei punti dell'iscrizione in D'Hariano Alto, poi un altro su una parete diversa. «Guarda qui, questi riferimenti. Questi incantesimi richiedono della sabbia magica.» «Certamente. Forse faremo meglio a chiedere agli inservienti della cripta dove hanno trovato quel granello che hai in tasca.» Sommerso da tutto ciò che stava imparando, Richard si era quasi dimenticato il motivo iniziale per cui erano scesi nella tomba. «Hai ragione» disse Richard, facendo cenno a Cara di far entrare nella tomba le sei persone dalle vesti bianche. I sei si affrettarono a seguirla come pulcini dietro una chioccia. Richard attese che la covata si radunasse. Tutti lo scrutarono in attesa. «Avete compiuto un importante servizio nel trovare quel granello di sabbia. Grazie per essere stati così solleciti.» Dalla loro aria raggiante, Richard pensò che nessun lord Rahl li avesse mai ringraziati prima. Appoggiò con gentilezza una mano sulla spalla dell'unica donna. «Puoi mostrarmi dove avete trovato il granello di sabbia che mi avete portato?» Lei guardò gli altri, poi si inginocchiò davanti alla bara dorata al centro della stanza. Indicò il pavimento sotto uno degli angoli del feretro appoggiato a qualche piede di altezza su un piedistallo. Curvò il dito verso Richard. Lui si inginocchiò accanto a lei e la imitò, abbassando la testa sotto la bara. Lei alzò il dito verso un angolo sul fondo del feretro che si stava disgiungendo. Richard colpì l'angolo con la parte inferiore della mano. Si riversò della sabbia, i minuscoli granelli che rimbalzavano sul pavimento di marmo bianco. Richard si alzò di colpo. Scambiò un'occhiata sbigottita con Nicci. «Portami la tua ascia» gridò a un uomo della Prima Fila che osservava dal corridoio proprio fuori dalla stanza. L'uomo chinò rapidamente il capo per passare attraverso il varco fuso e si precipitò verso Richard per porgergli la sua ascia. Richard inserì a forza la lama affilata nella stretta giuntura dove il coperchio aderiva al resto della bara. La torse, introducendola ancora più in
profondità. Mentre scuoteva il manico, il coperchio cominciò ad allentarsi e a sollevarsi. Con l'aiuto di Nicci, alzò il coperchio dal feretro. Quando fece segno inclinando il capo, il personale della cripta e il soldato tolsero il peso da Richard e Nicci e lo poggiarono di lato. L'interno della bara era pieno fino all'orlo di sabbia magica. Richard rimase fermo a fissarla per un momento. La luce delle torce si rifletteva dalla sabbia in un ampio spettro di minuscole scintille di colore. Con gentilezza tolse la sabbia dal corpo sottostante. Lì, incassato nella sabbia magica, apparve il teschio annerito di Panis Rahl, suo nonno, che portava ancora le bruciature del fuoco magico che Zedd, l'altro suo nonno, aveva usato per distruggere il despota. Alcune gocce di quel fuoco vivo erano schizzate sul giovane Darken Rahl, generando in lui un odio bruciante per Zedd e per tutti coloro che si opponevano al dominio della casata dei Rahl. «Ora so perché questo posto sta fondendo» disse Nicci. «È una reazione per empatia alla Magia Detrattiva usata per aprire una delle scatole dell'Orden su nel Giardino della Vita.» Richard la squadrò. «Perciò è una risposta armonica per essere stata in prossimità di quel potere specifico.» Con la punta di un dito, Nicci spinse con cautela alcuni isolati granelli di nuovo dentro la bara. «Esatto. Questo era il posto più sicuro che Darken Rahl poteva trovare per immagazzinare della sabbia magica nel caso gliene servisse altra. È morto prima di poterla usare, perciò è rimasta nascosta in questi ultimi anni. Ma è ancora calda dalla reazione per empatia. Ecco perché la stanza ha cominciato a liquefarsi. Questo posto non fornisce il genere di contenimento che serve.» «Non dirmelo: il Giardino della Vita è costruito come un campo di contenimento per cose del genere.» Nicci lo guardò come se avesse appena suggerito che l'acqua era bagnata. «Ma certo.» «Allora dobbiamo portarla su nel Giardino della Vita.» Nicci annuì. Se ne possono occupare Verna e le sue Sorelle, con l'aiuto di Nathan. Possono spostarla per noi.» Nicci gli afferrò il braccio con risoluta urgenza. «Ora che abbiamo la sabbia magica su cui tracciare gli incantesimi, dobbiamo tornare ai tuoi studi. Potrebbe non rimanerci molto tempo.» «Non discuto. Andiamo.»
49 «Non sento nulla» disse Richard. Seduto a gambe incrociate su una punta di pietra bianca situata in un anello d'erba che si estendeva in un cerchio attorno alla sabbia magica, alzò lo sguardo verso Nicci che si trovava in piedi dietro di lui, a braccia conserte, e lo osservava tracciare gli incantesimi. «Non devi sentire nulla. Stai costruendo incantesimi, non stai facendo l'amore con una donna.» «Oh. Pensavo che... Non so...» «Saresti andato in estasi?» «No, intendevo sentire qualche connessione col mio dono, qualche tipo di agitato entusiasmo o delirio... o qualcosa...» Gli occhi azzurri di lei esaminarono gli ultimi componenti. «Ad alcune persone piace aggiungere elementi emotivi quando disegnano le formeincantesimo perché amano sentire il loro cuore martellare, la bocca del loro stomaco serrarsi o la loro pelle formicolare - quel genere di cose - ma non è assolutamente necessario. È solo scena. Pensano di dover gemere e ondeggiare quando stanno facendo queste cose.» I suoi occhi si rivolsero verso di lui, le sopracciglia inarcate in un'espressione beffarda. «Se vuoi, posso mostrarti come. Potrebbe rendere una lunga notte un po' più divertente.» Richard sapeva che lei stava solo cercando di insegnargli qualcosa sulla realtà del suo operato facendolo sentire sciocco in modo da trasmettergli brandelli di superstizione all'interno di quella che, come gli stava insegnando, era un'impegnativa metodologia. Era il genere di lezione tipico di Zedd, quel genere di insegnamento che si fissava e non sarebbe stato dimenticato come invece accade con risposte equivoche. «Ad alcuni piace essere nudi ogni volta che disegnano le formeincantesimo» aggiunse lei. «No, grazie.» Richard si schiarì la gola. «Posso farcela a disegnare anche senza gemiti, il cuore che mi martella, la pelle che mi formicola o senza essere nudo.» «Proprio come pensavo. Ecco perché non ho mai suggerito queste aggiunte ai principi basilari.» Fece un gesto verso i disegni nella sabbia. «Che tu senta o meno qualcosa, il tuo dono contribuisce a ciò che è essenziale. Le forme-incantesimo fanno ciò che devono fintanto che tu dai loro
gli elementi corretti, nel giusto ordine, aggiunti al momento esatto. Non preoccuparti, però: ci saranno cose che dovrai disegnare nudo» aggiunse. Richard sapeva di quelle forme-incantesimo. Non gli piaceva indugiare su di esse più del necessario. Nicci piegò un poco la testa mentre osservava con occhio critico le doppie linee angolate che stava tracciando. «È un po' come fare il pane. Se aggiungi gli ingredienti corretti, nel modo giusto, l'impasto fa quello che deve fare. Tremare e contorcersi non aiuta l'impasto a lievitare o il pane a cuocersi.» «A-ha» disse Richard mentre tornava a trascinare un dito nella sabbia magica, piegando un arco attorno all'elemento angolato. «Proprio come pane. Tranne che se fai un errore può ucciderti.» «Be', ho mangiato pane che ho pensato potesse uccidermi» mormorò lei distrattamente mentre osservava con attenzione ciò che lui stava facendo, il suo corpo che si piegava come per aiutarlo a incurvare la linea in quel modo. Nicci era stata in grado di ricreare alcuni degli elementi che lui stava tracciando dal libro che Bendine aveva portato quando erano nella tomba di Panis Rahl. Alcune delle forme-incantesimo erano state separate e descritte con diagrammi nel libro. Per altre, la comprensione e l'esperienza di Nicci erano inestimabili, poiché le consentivano di desumere le parti rimanenti delle forme-incantesimo soltanto dal testo. In quel modo, aveva ricreato tutto ciò che era necessario. Richard era preoccupato che il libro non illustrasse davvero tutto ciò che occorreva per il processo e che le deduzioni di Nicci fossero inesatte. Lei gli aveva detto che c'erano molte questioni reali di cui preoccuparsi, ma questa in particolare non la impensieriva. Per Richard, questa era anche un'esercitazione, un'opportunità di usare ciò che aveva studiato giorno e notte prima dell'impresa che aveva di fronte, quella che l'avrebbe portato nel mondo dei morti. Non avevano le scatole, ovviamente, ma una volta che le scatole erano in gioco, c'erano delle procedure preliminari che potevano essere espletate senza di esse. Quelle misure, considerata la loro pericolosità, non erano qualcosa che Richard attende con impazienza, ma non aveva scelta. Se voleva riavere Kahlan, assieme a tutto quello che doveva portare a termine, c'erano azioni che avrebbe semplicemente dovuto fare, non importa quanto le temesse. Almeno il suo antico benefattore, il Primo Mago Baraccus, aveva lasciato un buon numero di indizi ad aiutarlo. Ora che Richard era stato ricon-
nesso col suo dono, doveva anche recuperare il libro che Baraccus aveva lasciato per lui: Segreti del potere di un mago guerriero. Se mai c'era stato un momento in cui aveva bisogno delle informazioni contenute in quel libro, quel momento era adesso. Il libro, assieme all'abito da mago guerriero, la maggior parte del quale era appartenuta a Baraccus, era nascosto nel castello giù a Tamarang, non lontano dalle regioni selvagge. Sfortunatamente era lì che Richard aveva visto Sei l'ultima volta, appena prima che il comandante Karg lo catturasse e lo portasse all'accampamento dell'Ordine Imperiale. Mentre Richard tracciava con attenzione le forme-incantesimo, era anche impaziente che l'imperatore cominciasse a perdere sonno, a sentirsi teso e distratto. Era stato fiducioso e sicuro di sé per troppo tempo. Era ora che Jagang cominciasse ad avere incubi. Richard riuscì appena a udire l'aspro gracchiare che proveniva dal vetro sopra di loro. Alzò gli occhi e vide il corvo di Jillian, Lokey, appollaiato sull'intelaiatura del vetro, che li osservava. Dall'alto del cielo, il corvo aveva seguito la sua amica di una vita per tutta la sua prigionia, banchettando con gli abbondanti rifiuti sparsi per l'accampamento. Lokey pareva aver considerato l'intera faccenda, come molte cose nella sua vita, nulla più di una curiosa vacanza. Jillian aveva sempre saputo che Lokey era lì, ma non se l'era mai lasciato sfuggire per paura che una delle guardie di Jagang lo abbattesse con una freccia. Lokey era un uccello cauto, però, e sembrava scomparire quando qualcuno lo notava. Jillian diceva che, alcune volte, quando usciva dalla tenda di Jagang, aveva visto il corvo volare in alto ed esibirsi per lei in acrobazie. Essendo prigioniera, però, Jillian non era stata rallegrata dalle buffonerie del corvo. Era stata in una condizione di costante terrore. Alcuni fiocchi di neve si cominciavano ad addensare agli, angoli del vetro bordato di piombo. Contro il cielo notturno, l'uccello nero come l'inchiostro era quasi invisibile. Talvolta erano visibili solo il becco e gli occhi che riflettevano la luce delle torce, dandogli la parvenza di un'apparizione spettrale. Di tanto in tanto il corvo inclinava la testa, quasi che anche lui stesse valutando il noioso lavoro di Richard. Mentre sbatteva le ali per ravvivare il suo rauco gracchiare, la luce della luna, che compariva di tanto in tanto fra le nuvole portate dal vento, si rifletteva sulle sue lucide penne nere. Il corvo stava aspettando impaziente di fare la propria parte.
«Sei pronta?» chiese Richard, ancora concentrato mentre tracciava una linea nella sabbia magica. Jillian annuì nervosamente. Era tutta la vita che aspettava questo momento. Seduta al centro di un posto sgombrato per lei in mezzo alla sabbia magica, con incantesimi tracciati tutt'intorno, aveva un'aria davvero solenne. Sapeva che questo era lo scopo per cui suo nonno l'aveva scelta e istruita. Era la sacerdotessa delle ossa e aveva il compito di lanciare sogni per proteggere la sua gente. Le torce che circondavano la sabbia al centro del prato sibilavano lievemente. Le loro fiamme tremolavano lentamente nell'aria immota. La striscia nera dipinta lungo il volto di Jillian, sopra i suoi occhi color rame, era fatta per nasconderla dagli spiriti malvagi. Come sacerdotessa delle ossa, adesso era al servizio di Richard. Richard, in qualità di lord Rahl, era destinato ad aiutarla a lanciare i sogni. Era un antico legame fra i loro popoli, che aveva l'intento di protezione reciproca. Quelli che lanciavano, comunque, non erano esattamente sogni. Stavano lanciando incubi. La gente di Jillian veniva da Caska. Aveva imparato a essere una narratrice, una persona rispettata per la sua conoscenza dei tempi andati, il retaggio e le tradizioni della propria gente. Suo nonno era l'attuale narratore, colui che le insegnava l'antica conoscenza, la dottrina del loro passato. Un giorno l'eredità sarebbe passata a Jillian. I suoi antenati, un popolo gentile che aveva sperato di sfuggire ai conflitti stabilendosi in una terra incolta che nessuno avrebbe desiderato, avevano lanciato sogni per tenere lontani potenziali problemi. Allora come ora, lo avevano fatto per ricacciare al sud l'orda proveniente dal Vecchio Mondo. In quella grande guerra avevano fallito ed erano stati quasi del tutto distrutti. Richard e Nicci avevano ascoltato con attenzione le storie e tutto quanto Jillian sapeva su quelle epoche ancestrali. Fra quello, il libro e la sua conoscenza della relativa storia, Richard aveva ricostruito quello che era accaduto. Molti degli antenati di Jillian erano stati uccisi, ma alcuni erano stati catturati e consegnati ai maghi del Vecchio Mondo, che bramavano la loro peculiare capacità. Quelle persone furono usate dai maghi come materia grezza per creare armi umane. Quei maghi avevano fatto dei prigionieri dei tiranni di sogni, uomini che non lanciavano sogni ma li violavano.
Ora Jagang era l'unico tiranno dei sogni al mondo, il legame vivente con la grande guerra di tremila anni prima, la guerra che si era rinfocolata. Da ciò che Richard aveva appreso, nel mondo era nato un nuovo tiranno dei sogni perché una spia nemica era penetrata nel Tempio dei Venti e aveva armeggiato con della magia lì esiliata. Il mago Baraccus aveva trovato una soluzione: assicurarsi che Richard nascesse con entrambi gli aspetti del dono in modo da contrastare quella minaccia. La gente di Jillian discendeva dallo stesso ceppo di Jagang. I suoi antenati un tempo erano stati portatori di sogni, come Jillian. E ora Jillian, in qualità di sacerdotessa delle ossa, stava di nuovo per adempiere alla sua antica vocazione di lanciare sogni per respingere gli invasori... con una eccezione. Al tempo della grande guerra, gli antenati di Jillian avevano fallito. Tutto ciò che Jillian sapeva dai racconti parlava di sogni lanciati. Richard pensava che fosse questo il motivo per cui avevano fallito. Lui, invece, intendeva lanciare incubi. «Hai gli incubi fissi nella tua mente?» le chiese a bassa voce. Gli occhi color rame di Jillian si aprirono, comparendo nel nero della striscia dipinta. «Sì, Padre Rahl. Non ho mai avuto incubi prima che queste crudeli persone del Vecchio Mondo tornassero. Facevo solo sogni. Non sapevo neanche cosa fossero gli incubi.» Deglutì. «Ora conosco gli incubi.» «Un giorno, Jillian,» disse Richard mentre si chinava e tracciava il simbolo di una stella davanti a lei «spero che tu possa dimenticare cosa sono gli incubi, ma per ora ho bisogno che tu mantenga i tuoi pensieri concentrati su di loro.» «Lo prometto, lord Rahl. Ma sono solo una ragazza. Sei davvero sicuro che possa lanciare incubi verso tutti quegli uomini?» Richard la guardò negli occhi. «Questi uomini sono venuti a uccidere tutto ciò che ami. Tu pensa agli incubi, e Lokey li porterà agli uomini giù in quell'accampamento: me ne occuperò io stesso.» Nicci si accovacciò accanto a Richard. «Jillian, non pensare a quanti uomini ci sono laggiù. Non importa. Davvero. Lokey porterà i tuoi sogni dovunque andrà. Quando volerà sopra l'accampamento, gli incubi cadranno dalle sue ali nere come durante la notte una pioggia gelida. Potrà non toccare tutti gli uomini, ma non importa. Ne toccherà molti, ed è questo che conta.» Nicci fece un gesto alle forme-incantesimo davanti alla ragazza. «Questi
sono il potere, non tu. Questi incantesimi si occuperanno di inculcare più e più volte l'incubo in quegli uomini, non tu. Il tuo unico compito è pensare all'incubo. Vedi questo incantesimo qui?» chiese Nicci mentre faceva un gesto verso una spirale continua che si avvolgeva su sé stessa. «Questa parte moltiplica all'infinito il tuo incubo.» «Ma sembra che richieda più fatica di quello che posso fare.» Con un sorriso rassicurante, Richard si sporse e appoggiò una mano sul braccio di Jillian. «Sono io che ti aiuto a lanciare i sogni, ricordi? Tu devi solo pensarli; sono io a lanciare quelli che occorrono. I tuoi pensieri servono insieme alla mia forza.» «Di sicuro posso pensare agli incubi.» Lei sorrise un po' allora. «E certo tu sei abbastanza forte, lord Rahl. Immagino che abbia senso se la mettete così. Ora capisco perché ho avuto bisogno di voi per lanciare i sogni. Ecco perché la sacerdotessa delle ossa doveva attendere che tornassi da noi.» Richard le diede una pacca sul braccio. «L'altra cosa che devi ricordare è che, dopo che Lokey avrà fatto il giro dell'accampamento, devi mandarlo a posarsi sulla tenda di Jagang. Vogliamo causare incubi a quanti più uomini possibile, ma dobbiamo concentrarci su Jagang e su quel sogno speciale col quale voglio che tu lo tormenti: perciò, quando ti sussurrerò che è ora che Lokey atterri, pensa a Jagang nella sua tenda. Questo incantesimo qui» indicò «manderà Lokey ad appollaiarsi vicino a quell'uomo. Quando te lo dirò, tutto ciò che dovrai fare sarà ricordare Jagang e Lokey andrà alla sua tenda.» Jillian annuì. «Mi ricordo quella tenda orribile.» I suoi occhi color rame si voltarono verso Nicci, riempiendosi di lacrime. «E di certo conosco gli incubi che accadono lì dentro.» In alto, Lokey gracchiava e sbatteva le ali, ansioso di partire col suo carico di incubi. 50 Jennsen sussultò quando la guardia muscolosa le torse il braccio e la spintonò attraverso l'apertura della tenda. Lei incespicò ma fu in grado di impedirsi di cadere. Dopo aver cavalcato attraverso l'agglomerato dell'accampamento nella vivida luce invernale, trovava difficile vedere nei bui alloggi reali. Tenne gli occhi socchiusi, aspettando che si abituassero alla luce fioca. Poteva vedere le ingombranti sagome delle guardie da entrambi i lati.
Jennsen si voltò sentendo un rumore dietro di lei e vide gli stessi grossi soldati spingere dentro la tenda attraverso l'apertura Anson, Owen e sua moglie Marilee, quasi stessero conducendo degli animali al macello. Jennsen non li aveva visti molto nel corso del loro rapido viaggio a nord. Tutti loro erano stati imbavagliati e bendati per la maggior parte del tragitto per assicurarsi che non causassero più guai del resto dei bagagli e dei rifornimenti. Vedere i suoi amici di nuovo nelle grinfie di gente tanto malvagia faceva dolere il cuore di Jennsen. Sembrava un incubo ricorrente. In lontananza, dall'altro lato dell'ampia stanza esterna della tenda, Jennsen vide l'imperatore Jagang che mangiava seduto dietro un pesante tavolo. Dozzine di candele da ogni lato del tavolo davano a quell'estremità della stanza l'aspetto di un altare in un santuario. Degli schiavi aspettavano in fila contro la parete di fondo alle spalle dell'imperatore. Il tavolo era ricoperto di cibo in abbondanza, sufficiente per un banchetto. Jagang sembrava mangiare da solo. Gli occhi neri dell'imperatore stavano osservando Jennsen come se fosse un fagiano da decapitare, sbudellare e arrostire per il suo lauto pranzo solitario. Sollevò una mano e con due dita luccicanti di grasso le fece cenno di avvicinarsi. Alla luce delle candele scintillavano i suoi grossi anelli e le lunghe catene di pietre preziose che aveva al collo. Seguita da vicino dagli spaventatissimi Anson, Owen e Marilee, Jennsen camminò sugli spessi tappeti per trovarsi di fronte al tavolo dell'imperatore. Le candele sui sostegni illuminavano una mensa ricoperta di prosciutto, pollo, manzo e salse di ogni genere. C'erano noci e frutta, e anche un assortimento di formaggi. Senza distogliere da lei il suo terribile sguardo, Jagang usò le dita per strappare il petto a un piccolo uccello arrosto. Nell'altra mano teneva un calice d'argento. Diede un bel morso, poi lo accompagnò con una coppa di vino rosso. Lei sapeva che si trattava di vino rosso perché la maggior parte gli colava dai lati della bocca per sgocciolare su tutto il suo giustacuore in pelle d'agnello. «Bene bene,» disse mentre lasciava cadere di peso il calice sul tavolo «guarda se non è la sorellina di Richard Rahl venuta per un'altra visita.» L'ultima volta che era stata al tavolo dell'imperatore era con Sebastian. L'ultima volta era stata un'ospite. L'ultima volta non sapeva di essere usata. Era cresciuta molto da quel giorno. «Hai fame, mia cara?» Jennsen stava morendo di fame. «No» mentì.
Jagang sorrise. «Non ho bisogno di essere un tiranno dei sogni per poter capire che stai mentendo.» Jennsen trasalì quando il grosso pugno dell'uomo colpì con violenza il tavolo. I piatti sobbalzarono. Le bottiglie caddero. I calici si rovesciarono. Le tre persone dietro di lei restarono senza fiato. Jagang balzò in piedi. «E non mi piace che mi si menta!» La paura guizzò attraverso Jennsen per la sua improvvisa rabbia. Le vene risaltavano sulla fronte dell'imperatore. Era tutto rosso in faccia. Lei pensò che avrebbe potuto ucciderla dove si trovava. Prima di poter agire in preda alla rabbia, un fascio di luce squarciò la stanza. Due donne si abbassarono per entrare dall'apertura della tenda. Il pesante lembo di lana si riabbassò, riportando l'oscurità. Jagang rivolse la sua attenzione da Jennsen alle due donne. «Ulicia, Armina... notizie di Nicci?» Le due, evidentemente prese alla sprovvista dalla domanda, si scambiarono una breve occhiata fra loro. «Rispondimi, Ulicia! Non sono dell'umore di giocare!» «No, Eccellenza, non ci sono notizie su Nicci.» La donna si schiarì la gola. «Se posso chiedere, Eccellenza, avete ragione di credere che possa essere viva?» Jagang si calmò visibilmente. «Sì.» Affondò nella sedia finemente intagliata. «L'ho sognata.» «Ma, il collegamento col Rada'Han si è spento. Non aveva modo di toglierselo senza aiuto. Forse non erano altro che sogni.» «Lei è viva!» Sorella Ulicia abbassò la testa in un inchino. «Ma certo, Eccellenza. Voi conoscete meglio di me certe questioni.» Lui si sfregò la fronte con la punta delle dita. «Di recente non ho dormito bene. Sono stanco di sedere in questo posto squallido, in attesa di progressi. Dovrei far frustare gli uomini che stanno costruendo la rampa, per quanto sono lenti. Pensavo che le esecuzioni dopo i tumulti li avrebbero spronati a dedicarsi di più al loro compito. Questo è per la nostra causa, dopo tutto. Forse se getto alcuni dei lavoratori più lenti giù dalla rampa, questo farà affrettare gli altri.» «Bene, Eccellenza» disse Sorella Ulicia facendo un passo avanti, sembrando desiderosa di fargli distogliere l'attenzione dai suoi pensieri oscuri e violenti, «abbiamo qualcosa che pensiamo possa farvi sentire molto meglio sui nostri progressi.»
Lui alzò bruscamente lo sguardo, poi raccolse la sua coppa dal tavolo e bevve una lunga sorsata. Rimise il calice sul tavolo e afferrò una manciata di prosciutto dall'ampio piatto appena alla sua destra. Dopo aver preso un morso della carne che aveva in mano fece un gesto verso le due Sorelle. «Di cosa si tratta, allora?» «Assieme a Jennsen sono stati portati molti libri. Uno in particolare è... be', Eccellenza, pensiamo che dobbiate vederlo da voi.» Jagang parve di nuovo impaziente. Protese una mano. Entrambe le donne si precipitarono avanti al comando. Sorella Armina mostrò il libro che Jennsen ricordava di aver visto portar su dalla stanza segreta sotterranea nel cimitero. «Il libro delle ombre importanti» disse lei. Jagang guardò negli occhi una delle donne, poi allargò le braccia. Uno schiavo si fece immediatamente avanti con un panno per pulire le mani dell'imperatore. Quando Jagang fece un cenno verso il tavolo, altri schiavi si avvicinarono per portar via piatti e scodelle. Dopo che ebbero sparecchiato, una giovane donna, vestita con un abito che rivelava molto di più di quanto nascondeva, si precipitò a strofinare la superficie di legno. Mentre a Jagang stavano ancora pulendo le mani, Sorella Armina posò il libro davanti all'imperatore. Lui scansò via le mani dello schiavo e si voltò verso il libro. Si chinò in avanti mentre lei lo apriva e cominciò a esaminare il testo all'interno. «Be',» chiese infine mentre voltava le pagine «cosa ne pensate? È la vera copia o una falsa?» «Non è una copia, Eccellenza.» Lui alzò lo sguardo con un cipiglio che sembrava poter diventare letale. «Cosa intendete, che non è una copia?» «È l'originale, Eccellenza.» Jagang sbatté le palpebre, non essendo sicuro di aver sentito bene. Si chinò all'indietro nella sua sedia per fissare la donna. «L'originale?» Sorella Ulicia si avvicinò. Lei si sporse sul tavolo e girò le pagine fino a tornare all'inizio. «Guardate qui, Eccellenza.» Diede dei colpetti mostrandogli un punto. «Questo è il marchio dell'autore. È il suo sigillo che contiene un incantesimo, a significare che questo è l'originale.» «E dunque? Forse il sigillo è falso.» Sorella Ulicia stava scuotendo il capo. «No, Eccellenza. Non funziona
così. Quando un profeta scrive le profezie in un libro, appone questo genere di marchio sul frontespizio dei suoi scritti, il che vuol dire che è l'originale, opera sua, di suo pugno, e non una copia. «Voi avete molti libri di profezie, Eccellenza, ma, a parte un paio di eccezioni, sono tutte copie dell'originale. Molte non hanno alcun sigillo. Talvolta l'uomo che copia l'originale appone il proprio marchio, in modo che la sua opera possa essere identificata e per assicurarsi che possa essere riconosciuta come copia. Un sigillo che indica una copia non è mai come questo. Questo è un tipo di marchio particolare che non si mette mai su una copia, solo sull'originale. «Questo è un marchio dell'autore lasciato nella forma di un incantesimo. È il modo per identificare gli originali. Questo è Il libro delle ombre importanti originale.» Lei chiuse il libro e gli mostrò la costa. «Vedete? 'Ombre', non 'Ombra'. Ha il marchio dell'autore. È stato trovato dietro barriere e schermi. Questo è l'originale.» «E gli altri?» «Nessuno ha un sigillo come questo. Nessuno dei tre ha un marchio dell'uomo che ha realizzato la copia. In effetti, non hanno proprio alcun marchio. Sono semplici copie. Questo è l'originale.» Jagang, appoggiando una mano sul tavolo, tamburellò col lato del pollice mentre rifletteva. «Ancora non capisco perché non possa essere una falsa copia. Se avessero fatto una falsa copia e avessero voluto che sembrasse reale, avrebbero potuto mettere un falso marchio nel libro per ingannare la gente.» «Tecnicamente è possibile, ma ci sono diversi fattori che indicano che non è un inganno. Ci sono anche diversi esami a cui possiamo sottoporlo per verificare l'autenticità del marchio dell'autore. Dopo tutto, è questo il motivo per cui viene lasciato un marchio in una forma-incantesimo: in modo che possa essere verificato. Abbiamo fatto alcuni esami e i risultati mostrano che è autentico, ma ci sono tele di verifica più complesse che potremmo ancora utilizzare per verificarlo.» Sorella Armina agitò una mano verso il libro. «C'è anche la questione di quello che dice all'inizio, Eccellenza, la parte riguardante la verifica da parte di una Depositaria.» Sorella Ulicia bofonchiò con impazienza. A quanto pareva si trattava di una discussione che avevano già avuto. Lei lanciò a Sorella Armina un'occhiataccia omicida prima di tornare a rivolgere l'attenzione all'imperatore. «Il libro dice che una Depositaria è essenziale per verificare la copia,
Eccellenza, non l'originale. Per questa ragione non possiamo attendibilmente affidarci a lei per identificare l'originale: non è questo il suo compito. A questo provvede il marchio dell'autore, e noi possiamo fare ulteriori esami sul marchio. Sono fiduciosa che tali esami confermeranno che ciò che già sappiamo è vero.» Jagang tamburellò un dito sul tavolo mentre rifletteva sulle sue parole. «Dov'è stato ritrovato?» «A Bandakar, Eccellenza» disse Sorella Ulicia. «Intendete dire che è stato dietro quelle barriere magiche per tutto questo tempo?» «Sì, Eccellenza» disse Sorella Ulicia con evidente eccitazione. «Questo da solo costituisce prova che si tratta del manoscritto originale.» «Perché?» «Perché, se l'originale poteva essere identificato dal marchio, dove l'avreste nascosto voi?» «Dietro barriere di magia» rispose, pensieroso. «Eccellenza, questo è Il libro delle ombre importanti originale. Ne sono sicura.» Lui la scrutò coi suoi occhi neri. «Sei disposta a giurare sulla tua vita che è vero?» «Sì, Eccellenza» rispose Sorella Ulicia senza esitazioni. Jennsen si svegliò di soprassalto per un suono stranissimo. Mentre usciva da un sonno profondo, le sembrò come una sorta di rumore rombante. Dapprima pensò che si trattasse dell'imperatore Jagang e di uno dei suoi incubi, ma al suono fece seguito un enorme trambusto all'esterno. Uomini urlavano ad altri di togliersi di mezzo, o gridavano per la paura. Il metallo sferragliò in quello che sembrava un rumore di file di lance che venivano rovesciate da uomini in fuga. Udì di nuovo quel fragore, più vicino, e altre urla. Jennsen vide le guardie all'ingresso della tenda sbirciare dall'orlo del drappeggio che ricopriva l'accesso. Temeva di alzarsi dal suo posto sul pavimento. Jagang le aveva detto di rimanere lì. Dato che quell'uomo poteva diventare violento in un istante, sapeva che non era il caso di metterlo alla prova. Anson la guardò con aria interrogativa. Jennsen scrollò le spalle. Owen prese la mano di Marilee. Loro tre erano evidentemente spaventati. Jennsen condivideva quella sensazione. Jagang si precipitò fuori dalla sua camera da letto, ancora allacciandosi i
pantaloni. Sembrava stanco e intontito. Jennsen sapeva che, con gli incubi che lo tormentavano, non riusciva a dormire molto. Stava per parlare quando il lembo sopra l'apertura si scostò. Il rumore del pandemonio si riversò all'interno della tenda. Una donna esile entrò attraverso l'apertura. Fra il rumore e la confusione, avanzava con le movenze fredde e decise di un serpente. Solo al vederla, Jennsen desiderò poter strisciare sotto un tappeto e nascondersi. Gli occhi pallidi della donna abbracciarono le quattro persone sul pavimento prima di alzarsi sull'imperatore. Lei ignorò le guardie. La sua pelle cerea risaltava nel suo biancore contro il suo vestito nero. «Sei!» disse Jagang. «Cosa ci fai qui nel mezzo della notte?» Lei lo squadrò in modo quasi sprezzante. «I tuoi ordini.» Jagang le rivolse uno sguardo torvo. «Be', di cosa si tratta, allora?» «Una faccenda di qualcosa che ho acconsentito a procurarmi per te.» Sollevò qualcosa che teneva sottobraccio. Jennsen non l'aveva vista perché era così nera che era quasi impossibile distinguerla nella tenda fiocamente illuminata, per non parlare del fatto che la teneva contro il suo vestito nero. Mentre lui guardava la cosa che gli porgeva, il suo umore iniziò a migliorare. Gli occhi di Jagang erano neri. Il vestito di Sei era nero. La mezzanotte di una notte senza luna nella caverna nella fitta foresta era nera. Nessuna di queste cose, però, poteva essere paragonata al nero di ciò che la donna stava reggendo. Era nera oltre qualunque cosa Jennsen avesse mai visto prima. Le passò per la testa che, quando una persona moriva, questo era il tipo di oscurità che doveva avvolgerla. Jagang fissò quella cosa, gli occhi spalancati dalla contentezza, un sorriso che gli si distendeva in viso. «La terza scatola...» Sei non sembrava condividere il suo improvviso buonumore. «Ho mantenuto la mia parte del patto.» «Proprio così» disse Jagang mentre le prendeva con riverenza la scatola. «Proprio così.» Infine posò la scatola nera come l'inchiostro su una cassapanca. «E le altre questioni?» chiese da sopra una spalla. «Ho dato alle fiamme le loro forze, mettendole in rotta. Ho eliminato le pattuglie che ho trovato. Sono andata in ricognizione sugli itinerari dei convogli di rifornimenti e mi sono assicurata che potessero passare senza
pericoli.» «Sì, sono riusciti a passare, e proprio al momento giusto.» «Sarà molto meglio mettere semplicemente fine a questo» disse la donna. «Sei riuscito a trovare la vera copia de Il libro delle ombre importanti?» «No.» Sogghignò. «Credo, però, di avere l'originale.» Lei lo squadrò per un lungo istante, come soppesando la verità delle sue parole, o semplicemente domandandosi se fosse ubriaco. «Credi di aver trovato l'originale?» Un sorriso privo di allegria si allargò sulle sue esili labbra. «Perché non usi semplicemente la tua Depositaria?» «Abbiamo avuto alcuni... problemi. È riuscita a fuggire.» Qualunque cosa Sei stesse pensando, non lo rivelò sulla sua faccia scarna. «Be', ti sarebbe stata comunque di poca utilità.» L'espressione di Jagang si rabbuiò. «Poca utilità o no, ho progetti per lei. Pensi di poterla trovare e portarmela? Farei in modo che ne valga la pena.» Sei scrollò le spalle. «Se desideri. Fammi vedere il libro.» Jagang andò verso una cassapanca e aprì un cassetto. Prese il libro e glielo porse. Sei lo tenne fra i palmi delle mani per un lungo momento. «Fammi vedere gli altri.» Jagang andò a un altro cassetto della cassapanca e ne trasse altri tre libri, tutti che sembravano delle stesse dimensioni. Li appoggiò fianco a fianco su un tavolo con la superficie di marmo, poi vi mise accanto una lampada a olio. Sei si mosse vicino, le braccia conserte, scrutando i tre libri uno alla volta. Mise le punte delle sue lunghe, esili dita su uno di essi. La sua mano si mosse su un secondo libro, attardandosi su di esso prima di procedere infine al terzo. Fece un gesto verso i libri sul tavolo. «Questi tre sono venuti dopo.» Prese l'originale che lui le aveva dato e lo agitò prima di poggiarlo sopra gli altri. «Questo è venuto prima.» «È venuto prima... come originale? Ne sei sicura?» «Non corro rischi stupidi. Se fosse una copia falsa e seguendo le sue istruzioni la tua Sorella aprisse la scatola sbagliata, perderei tutto ciò che ho progettato e per cui ho lavorato, compresa la mia parte in tutto questo... perfino la vita.» «Questo tuttavia non risponde alla mia domanda.» Lei scrollò le spalle. «Sono una strega. Ho dei talenti. Questo è il libro originale. Usalo. Apri la scatola giusta e i tuoi incubi cesseranno.»
Jagang la fissò per un momento, scontento che avesse menzionato i suoi incubi, ma infine sorrise. «Portami la Depositaria.» Sei sorrise in modo letale. «Prepara tutto quanto: fai predisporre il necessario, lanciare gli incantesimi e fai gli inviti: io porterò la Depositaria alla festa.» Jagang annuì. «Sorella Ulicia mi dice che dobbiamo salire nel Giardino della Vita.» «Anche se non è l'unico modo, si tratta della migliore maniera per garantire il successo. Dovresti prendere sul serio la tua Sorella.» «La prendo sul serio. È lei che aprirà la scatola, con me dentro la sua mente, certo, e se non scegliesse quella giusta sarebbe molto spiacevole. Se il Guardiano del mondo sotterrano la ghermisse in quel modo, sarebbe il peggior esito possibile per lei, perciò scegliere quella giusta è nel suo interesse. Penso che sia questo il motivo per cui ha insistito tanto per aprire la scatola nel Giardino della Vita invece di farlo qui.» Sei rivolse uno sguardo penetrante a Jennsen. «Usa lei. È la sorella di Richard Rahl. Una cosa dopo l'altra, tutto si sta rivoltando contro di lui. Aggiungere la sua vita avrà un'influenza decisiva.» Jagang rivolse i suoi occhi neri su Jennsen. «Perché pensi che l'abbia portata qui?» Sei scrollò le spalle. «Pensavo si trattasse di vendetta.» «Voglio far terminare questa resistenza alla volontà dell'Ordine. Se la vendetta fosse il mio obiettivo con lei, sarebbe già nelle tende di tortura, urlando mentre le viene strappata la vita. Sarà più utile all'Ordine in altri modi. Il mio obiettivo è che la Fratellanza dell'Ordine infine governi l'umanità, com'è suo diritto.» «Tranne la mia parte» disse Sei con un'occhiataccia mortale. Jagang sorrise con indulgenza. «Non sei un socio esoso in questo, Sei. La tua pretesa è piuttosto modesta. Puoi fare quello che vuoi con la tua piccola parte di mondo, sotto l'autorità consiliare dell'Ordine, ovviamente.» «Ovviamente.» «Se la vita di sua sorella non lo scuote, menziona pure il mio nome. Digli che sarei felice di fargli cadere addosso una pioggia di fuoco.» Jagang sembrò ispirato da quella prospettiva. «Buona idea. Come ho sempre pensato di te fin dall'inizio, ti stai rivelando un valido alleato, Sei.» «Regina Sei, se non ti dispiace.» Jagang scrollò le spalle. «Per niente. Sono felice di darti ciò che ti è do-
vuto, regina Sei.» 51 Seduta nell'oscurità, appoggiata contro il muro di pietra, ciondolando la testa di tanto in tanto, Rachel udì un suono fuori dalla porta della cella che le fece drizzare la testa. Si sedette più dritta, in ascolto. Le parve un suono di passi distanti. Tornò ad accovacciarsi contro il freddo muro di pietra. Probabilmente era Sei, giunta per riportarla alla caverna e farle disegnare immagini per far del male alla gente. Nella stanza di pietra priva perfino di mobili non c'era nessun posto dove fuggire, dove nascondersi. Rachel non sapeva cosa fare quando Sei le avrebbe detto di disegnare cose terribili per danneggiare la gente. Non voleva farlo, non voleva creare disegni che sapeva avrebbero fatto del male a persone innocenti, ma immaginava anche che una strega avrebbe avuto dei modi per costringerla. Rachel aveva paura di Sei, paura che le facesse del male. Non c'era sensazione peggiore al mondo di essere soli con qualcuno che vuole ferirti e sapere di non poter far nulla per fermarlo. Cominciavano a salirle le lacrime al solo pensiero di cosa sarebbe successo, immaginando ciò che Sei le avrebbe fatto. Si asciugò le lacrime, cercando di pensare a qualcosa, qualunque cosa potesse aiutarla. Era da un po' che non vedeva la strega. Poteva non essere neanche Sei: poteva trattarsi di una delle guardie che le portava da mangiare. Un paio di queste erano uomini di prima, di quando la regina Milena era viva. Rachel non conosceva i loro nomi, ma si ricordava di averli visti in passato. Ma c'erano altri uomini che non riconosceva. Erano soldati dell'Ordine Imperiale. Le vecchie guardie non erano mai cattive con lei di proposito, ma i nuovi soldati erano diversi. Avevano un aspetto brutale. Quando la guardavano, Rachel sapeva che stavano pensando di farle cose disgustose oltre ogni immaginazione. Non erano il genere di uomini che si preoccupava che qualcuno li fermasse, tranne forse Sei. Se ne stavano sempre alla larga dalla strega. Lei li ignorava, aspettandosi che le stessero lontani. Quegli uomini, però, osservavano Rachel in un modo che la spaventava terribilmente. Rachel era preoccupata che la prendessero mentre era sola come adesso, senza Sei a tenerli a distanza. Ma il pensiero che Sei venisse a farle del male non era molto meglio. Rachel aveva sempre odiato vivere al castello prima, quando la regina
Milena era stata viva. Aveva vissuto nella paura per la maggior parte del tempo. Era stata affamata per la maggior parte del tempo. Ma questo era diverso. Questo era peggio, e lei non aveva mai pensato che potesse andare peggio. Ascoltò con attenzione i passi di fuori mentre si avvicinavano. Si rese conto che quello che sentiva non era il suono degli stivali di un uomo, ma un passo più leggero. Erano i passi di una donna. Voleva dire che si trattava di Sei. Voleva dire che era il giorno che aveva temuto. Sei aveva promesso che, quando fosse tornata, avrebbe cominciato a far disegnare Rachel per lei. Il lucchetto emise un suono metallico mentre la chiave girava. Rachel si spinse contro il muro, volendo fuggire ma sapendo che non poteva. La pesante porta si aprì con un cigolio. La luce di una lanterna si riversò nella prigione di pietra. Una sagoma scivolò dentro, con la lanterna in mano. Rachel sbatté le palpebre quanto vide quel sorriso. Era sua madre. Rachel balzò in piedi di colpo. Con le lacrime che d'improvviso le colavano lungo le guance, corse verso la donna e le gettò le braccia attorno alla vita. Sentì delle mani confortanti cingerla in un caldo abbraccio. Rachel pianse di gioia per quell'inattesa stretta. «Su, su. Va tutto bene, ora, Rachel.» E Rachel sapeva che era così. Con sua madre lì, tutto all'improvviso andava bene. Gli uomini paurosi, la strega, nulla importava più. Ora andava tutto bene. «Grazie per essere venuta» disse fra le lacrime. «Ho avuto tanta paura.» Sua madre si accovacciò, stringendola a sé. «Vedo che hai usato quello che ti ho dato la scorsa volta.» Rachel annuì contro la spalla di sua madre. «Mi ha salvato. Mi ha salvato la vita. Grazie.» Una mano confortante le diede dei colpetti sulla schiena mentre sua madre rideva con dolcezza alla felicità senza freni di Rachel. Rachel si ritrasse. «Dobbiamo andarcene. Prima che quell'orribile strega torni, dobbiamo andarcene. E ci sono soldati... soldati cattivi. Non devi lasciare che ti vedano. Potrebbero farti cose terribili.» Esibendo un sorriso radioso, sua madre la fissò. «Siamo al sicuro per adesso.» «Ma dobbiamo andarcene da qui.»
Ancora sorridendo, sua madre annuì. «Sì, dobbiamo. Ma ho bisogno che tu faccia qualcosa per me.» Rachel ricacciò indietro le lacrime. «Qualunque cosa. Mi hai salvato la vita. Il gesso che mi hai dato mi ha salvato dai folletti spettrali. Mi avrebbero fatto a pezzi. Quello che mi hai dato mi ha salvato la vita.» Sua madre le accarezzò la guancia. «Tu hai salvato la tua stessa vita, Rachel. Hai usato la testa e ti sei salvata. Io ti ho dato solo un piccolo aiuto quando sapevo che ne avresti avuto bisogno.» «Ma era l'aiuto che mi occorreva.» «Sono così contenta, Rachel. Ora, ho bisogno del tuo aiuto.» Rachel si strinse nelle spalle. «Cosa potrei fare per aiutarti? Non sono abbastanza grande.» Sua madre sorrise in un modo che fece esitare Rachel. «Sei proprio della taglia giusta.» Lei non riusciva proprio a immaginare per cose potesse essere della taglia giusta. «Di cosa si tratta, allora?» Sua madre raccolse la lanterna e si alzò in piedi. Allungò una mano per prendere quella di Rachel. «Vieni. Ti mostrerò. Ho bisogno che tu porti un messaggio molto importante per salvare qualcun altro.» Mentre accedevano al corridoio di pietra, la lanterna mostrò che il passaggio era vuoto. Le guardie non si vedevano da nessuna parte. A Rachel piaceva l'idea di aiutare qualcun altro. Sapeva com'era essere spaventati e avere bisogno d'aiuto. «Vuoi che porti un messaggio?» «Esatto. So che sei coraggiosa, ma ho bisogno che tu non ti spaventi per ciò che vedrai. Non c'è nulla da temere, prometto.» Mentre si affrettavano attraverso i corridoi, Rachel cominciò a preoccuparsi. Sapeva che sua madre l'aveva aiutata prima. Voleva restituirle il favore. Tuttavia, sembrava che potesse essere pauroso. Quando la gente diceva di non spaventarsi, significava che c'era qualcosa per cui spaventarsi. Tuttavia, non poteva essere più pauroso degli uomini dall'aspetto cattivo che la fissavano, o pauroso quanto la strega. Chase le aveva insegnato che era normale essere spaventati, ma per sopravvivere dovevi dominare la tua paura per aiutarti. La paura, diceva sempre, non poteva salvarti, ma dominarla sì. Rachel alzò lo sguardo verso la sua bellissima madre. «Per chi è il messaggio?»
«È per aiutare un amico: Richard.» «Richard Rahl? Conosci Richard?» Sua madre le lanciò un'occhiata. «Tu lo conosci, è questo che importa. Sai che sta cercando di aiutare tutti quanti.» Rachel annuì. «Lo so.» «Be', gli servirà un po' d'aiuto. Ho bisogno che porti un messaggio per me per vedere se riusciamo a fargli ottenere l'aiuto che gli occorre.» «D'accordo» disse Rachel. «Mi piacerebbe aiutarlo. Io amo Richard.» Sua madre annuì. «Bene. È degno del tuo amore.» Si soffermò davanti a una pesante porta laterale, poi strinse la mano di Rachel. «Non aver paura, ora. D'accordo?» Rachel fissò sua madre, sentendo lo stomaco in subbuglio. «D'accordo.» «Non c'è nulla da temere. Te lo prometto. E io sarò proprio qui con te.» Rachel annuì. Sua madre spinse la porta e l'aprì sulla fredda aria notturna. Rachel poté vedere attraverso il vano della porta che la luna era nel cielo. Dato che Rachel era stata in una cella scura e con solo la luce della lampada, all'esterno poteva vedere tutto piuttosto bene. Sembrava un cortile, circondato da muri di pietra. Il cortile pareva abbastanza grande non solo per cespugli, ma per alberi. Assieme uscirono nella gelida oscurità. Rachel si immobilizzò quando vide gli scintillanti occhi verdi che la fissavano. Il respiro le si bloccò in gola, impedendo all'urlo che aveva in gola di sfuggire. Enormi ali si aprirono di scatto, spiegandosi ampie. Con la luna dietro quelle ali, Rachel poteva vedere le vene pulsare nella pelle distesa fra esse. Era un garg. Rachel sapeva che in un istante la bestia le avrebbe fatte entrambe a pezzi. «Rachel, non aver paura» disse sua madre con voce gentile. Rachel non riusciva a muovere le gambe. «Cosa?» «Questo è Gratch. Gratch è un amico di Richard.» Lei si voltò verso la bestia letale e appoggiò una mano sul grosso braccio peloso, carezzandolo in modo rassicurante. «Non è vero, Gratch?» La bocca si spalancò. Enormi zanne brillarono alla luce della lanterna. Il vapore del suo respiro sibilò fuori da quelle zanne su nell'aria fredda. «Grrratch amaaar Raaach aaarg» ringhiò la creatura.
Rachel sbatté le palpebre. Non era esattamente un ringhio Sembravano parole. «Ha appena detto che ama Richard?» Gratch annuì seriamente. La madre di Rachel annuì. «Esatto. Gratch ama Richard. Proprio come te.» «Grrratch amaaar Raaach aaarg» ripeté la creatura. Questa volta, Rachel poté capire meglio ciò che Gratch aveva detto. «Gratch è qui per aiutare Richard. Ma abbiamo bisogno anche di te.» Rachel infine distolse gli occhi dall'enorme bestia per osservare sua madre. «Cosa posso fare? Non sono grossa come Gratch.» «No, non lo sei. Ecco perché Gratch può portarti. E tu, in cambio, puoi portare un messaggio.» 52 Delle correnti d'aria sferzavano Richard in piedi sulla stretta via che portava dal Palazzo del Popolo giù verso il fianco dell'altopiano. Nathan, alla sua sinistra, si sporse oltre il bordo per dare un'occhiata al precipizio. Anche in un momento come quello, il profeta aveva la curiosità di un bambino. Un bambino di mille anni, però. Richard immaginò che un'intera vita di prigionia potesse far questo a una persona. Nicci, alla destra di Richard, stava in silenzio. Richard non poteva dire di biasimarla. Cara e Verna attendevano dietro di lui. Entrambe sembravano avere l'atteggiamento di chi vuol gettare qualcuno giù da una rupe. Richard sapeva, malgrado le apparenze, che in realtà era Nathan ad avere quell'atteggiamento. Da quando aveva scoperto che Ann era stata uccisa, la collera ribolliva in silenzio dentro di lui. Richard poteva comprendere facilmente quella rabbia taciturna. Gli ingranaggi cigolavano e il pesante gancio sferragliava mentre le guardie giravano la manovella per abbassare il ponte. Mentre le pesanti travi e tavole scendevano lente, Richard poté finalmente intravedere la faccia del soldato solitario in piedi dall'altra parte, in attesa. La prima cosa che notò furono i suoi occhi scuri, che guardavano torvi oltre l'abisso. Il giovane era grosso, appena nel fiore degli anni, con torace e braccia massicci. Untuose ciocche di capelli ricadevano sulle sue spalle poderose. Non sembrava essersi mai fatto un bagno in tutta la sua vita. Richard poteva sentirne il fetore dall'altro lato dell'abisso. Pareva che il giovane sarebbe diventato un buon energumeno, utile per l'Ordine Imperiale. Era un eccellente esempio di un normale soldato
dell'Ordine: un altezzoso teppista indisciplinato, un giovane governato dalle sue passioni ed emozioni e del tutto indifferente al danno e alla sofferenza che provocava per ottenere ciò che voleva. Era senza pietà, compassione o empatia per quelli a cui avrebbe fatto del male. Le loro sofferenze non significavano nulla per lui. Era del tutto egocentrico e dedito interamente alle proprie voglie, incurante di quello che doveva fare per soddisfare i propri desideri. Era tipico dei soldati regolari dell'Ordine Imperiale che Richard aveva visto. I suoi muscoli si erano sviluppati molto prima del suo intelletto, perciò aveva solo una vaga familiarità con ciò che significava essere una persona civilizzata. Peggio ancora, il concetto non racchiudeva alcun interesse per lui, dato che non offriva alcuna gratificazione ai suoi stimoli. Era stato selezionato specificamente per inviare un messaggio. In tutto il suo selvaggio splendore, era un promemoria di quali tipi di uomini erano in attesa laggiù nella piana di Azrith. Tuttavia, l'individuo che se ne stava lì da solo, nella sua corazza di cuoio scuro, con cinghie, borchie, tatuaggi e cinture cariche di rozze armi, in realtà non significava nulla. Era la mente di quell'uomo che importava. E quella mente era infusa, posseduta e comandata da un tiranno dei sogni: l'imperatore Jagang. L'imperatore si era messo in contatto con loro tramite il libro di viaggio che Verna ancora portava. Ann aveva avuto con se per molti anni il libretto gemello, che tuttavia in quel momento era in possesso di Sorella Ulicia e, pertanto, di Jagang. Verna era rimasta del tutto sorpresa da quel contatto. Richard no. Se l'aspettava. In effetti, era stato lui a chiedere a Verna di controllare il suo libro di viaggio per vedere se c'era un messaggio. Jagang aveva richiesto un incontro. Aveva detto che sarebbe venuto da solo, ma, per la sua sicurezza, dentro la mente di uno dei suoi uomini. Aveva detto che Richard poteva portare chiunque volesse all'incontro... non importava il numero, anche un intero esercito. Jagang non si preoccupava certo per la vita del soldato. L'imperatore aveva detto che, anche se avessero deciso di ucciderlo, non lo riguardava. Richard sapeva, non solo per esperienza personale ma anche da quella di Kahlan, che catturare il tiranno dei sogni nella mente di un'altra persona era impossibile. Lei aveva detto di aver toccato col suo potere persone possedute da Jagang, ma perfino mentre si impadroniva di loro, l'imperato-
re era in grado di sfuggire al pericolo senza alcuno sforzo. Malgrado le persone capaci che aveva con sé, Richard non si illudeva che qualcuno di loro avrebbe potuto catturare il tiranno dei sogni. Di certo, il soldato sarebbe morto. Ma si trattava solo del sacrificio che avrebbe dovuto fare per la causa, per quanto riguardava Jagang. No, Richard non aveva portato con sé quelle persone per cercare di uccidere Jagang attraverso la mente del sostituto; Sapeva che sarebbe stato inutile. Ciascuno di loro era lì per altri motivi. Il ponte cadde al suo posto con un tonfo. Richard aveva già dato istruzioni alle guardie, perciò una volta abbassato diede loro il segnale e quelli se ne tornarono su per la strada. Non appena furono abbastanza distanti da non poterlo udire, Richard cominciò ad attraversare il ponte. Il suo seguito si affrettò per stagli vicino. L'uomo dall'altro lato rimase fermo per un momento, i pollici agganciati nella sua cintura per le armi, prima di avanzare con disinvoltura e assumere una posa arrogante. Mentre loro si fermavano, gli occhi neri dell'uomo - il cupo sguardo di Jagang - erano fissi su Nicci. Anche se il padrone che guardava attraverso quegli occhi era senza dubbio adirato, il giovane stesso era piuttosto esplicito sulla sua brama per quello che vedeva. Ignorò chiunque altro tranne la donna bionda che gli stava di fronte in un abito nero che lasciava intravedere molto. La scollatura in cima al corpetto era lenta e aperta, e l'uomo era piuttosto interessato a quanto riusciva a scorgere. «Cos'è che vuoi?» chiese Richard in tono pratico. Gli occhi dell'uomo - lo sguardo di Jagang - si voltarono verso Richard, ma poi tornarono su Nicci. «Be', mia cara,» disse la voce profonda «vedo che sei riuscita a tradirmi ancora.» Nicci contraccambiò solo con un'espressione indifferente. «Hai detto di volermi incontrare» disse Richard, mantenendo la voce calma. «Cosa vuoi di così importante?» Lo sguardo altezzoso scivolò su Richard. «Non così importante per me, ragazzo. Per te.» Richard scrollò le spalle. «D'accordo: per me, allora.» «Hai a cuore tutte quelle persone dietro di te?» «Sai che è così» disse Richard con un sospiro. «Dunque?» «Be', ho intenzione di darti un'occasione per dimostrarlo. Ascolta attentamente, dato che non sono dell'umore di scambiare insulti.»
Richard voleva chiedere all'uomo - a Jagang - se aveva problemi a dormire, ma resistette all'impulso al sarcasmo. Erano lì per uno scopo. «Fai la tua offerta, allora.» Il soldato sollevò un braccio, in maniera piuttosto esitante, pensò Richard, per fare un gesto verso il palazzo che torreggiava dietro di loro. «Hai molte migliaia di persone lì dentro, che attendono il loro destino. Quel destino è ora interamente nelle tue mani.» «È questo il motivo per cui mi chiamano lord Rahl.» «Be', lord Rahl, mentre tu rappresenti solo te stesso, io incarno la saggezza collettiva di tutte le persone dell'Ordine.» «Saggezza collettiva?» Di nuovo, Richard dovette trattenersi dal fare un commento irriverente. «La saggezza collettiva è ciò che guida la nostra gente. Assieme, dato che siamo tanti, siamo più saggi dei singoli individui.» Richard abbassò lo sguardo, guardandosi le mani. «Be', ho già giocato contro la saggezza collettiva della tua squadra di Ja'La e li ho rivoltati come una frittata.» L'uomo fece un mezzo balzo in avanti, come sul punto di attaccare. Richard rimase immobile, incrociando le braccia e infine alzando lo sguardo per fissare gli occhi di Jagang. L'uomo si fermò. «Quello eri tu?» Richard annuì. «Qual è la tua offerta?» «Quando penetreremo là dentro - e vi penetreremo - uomini come il mio giovane soldato qui, l'orgoglio della gente dell'Ordine, venuti a schiacciare i pagani del Nuovo Mondo, verranno sguinzagliati. Lascio alla tua immaginazione cosa faranno individui del genere alla brava gente nel palazzo.» «So già come l'orgoglio dell'Ordine tratta la gente innocente. Ho già visto i risultati della loro saggezza collettiva. Non ho bisogno di immaginarlo.» «Bene, se vuoi che ciò venga ripetuto qui, soltanto dieci volte peggio perché sono arrabbiati per la tua ostinata provocazione, per dover stare seduti lì a costruirsi la strada per entrare, allora non devi fare nulla. Arriveranno, entreranno e otterranno la loro vendetta per tutto ciò che hai fatto alla gente nella loro patria.» «So già tutto questo» disse Richard. «È piuttosto ovvio, dopo tutto.» «E non vorresti risparmiare alla tua gente quella sofferenza?» «Sai che lo vorrei.» L'uomo si raddrizzò un poco, assumendo il sorriso di Jagang. «E sai che
ho tua sorella, Jennsen?» Richard sbatté le palpebre dalla sorpresa. «Cosa?» «Ho Jennsen. È piuttosto carina. È stata riportata da una visita a un cimitero a Bandakar per offrire i nostri omaggi ai defunti.» Richard stava perdendo il filo di ciò che Jagang stava dicendo. «Quali defunti?» «Ma come? Nathan Rahl, naturalmente.» Gli occhi di Richard si chiusero lentamente mentre si ricordava della pietra tombale. «Dolci spiriti» sussurrò fra sé. «Mentre stavano offrendo omaggi alla tomba di Panis Rahl, i miei incaricati si sono imbattuti in libri molto interessanti. Credo che tu abbia sentito parlare di uno in particolare: Il libro delle ombre importanti.» Richard lo guardò torvo, ma non disse nulla. «Ora, come sono certo che tu sappia, ci sono cinque copie di quel particolare libro. In effetti, io ne ho tre. Da quello che mi dicono le mie buone Sorelle, tu hai memorizzato un'altra copia Non sono sicuro dove sia la quinta, ma suppongo che possa essere in molti posti. «Il fatto è che non ha alcuna importanza. Vedi, Il libro delle ombre importanti che è giunto in mio possesso, assieme alla tua bellissima sorellina e alcuni suoi amici, non è una copia.» Richard guardò perplesso l'uomo. «Non è una copia? E allora cos'è?» «È l'originale» disse Jagang nella sua voce profonda, suonando piuttosto divertito fra sé. «Dato che è l'originale, non devo preoccuparmi di individuare l'unica vera copia fra le quattro false. Questo non mi riguarda più.» Richard emise un sospiro. «Capisco.» «Oltre a questo, ora ho tutte e tre le scatole dell'Orden. La mia amica Sei è stata tanto gentile da portarmi la terza.» Gli occhi scuri si voltarono verso Nicci. «L'ha presa dal Mastio del Mago. Chiedi a Nicci. Fortunatamente, Nicci si è ripresa dal tocco della strega. Sarei stato molto seccato se fosse morta.» Richard incrociò di nuovo le braccia. «Dunque hai Il libro delle ombre importanti, e ora hai tutte e tre le scatole. Sembra che tu abbia il pieno controllo del Ja'La dh Jin. Cos'è che vuoi da me?» Il soldato puntò un dito ammonitore. «Sai cosa voglio, Richard Rahl. Voglio entrare nel Giardino della Vita.» «Lo immagino, ma non penso sarebbe molto salutare per me consentirtelo.» «Ti suggerisco di pensare a tutte quelle persone là dentro e chiederti
quanto sarà salutare per loro se non acconsenti. Vedi, noi entreremo. È solo una questione di quando e cosa accadrà quando lo faremo. Se mi costringi a entrare combattendo, allora, come ho detto, lascerò che i miei uomini traggano la loro vendetta da ogni singola persona lì dentro: ogni uomo, donna e bambino. Mi aspetto che sarà terrificante oltre ogni loro fervida immaginazione. Ma se ti arrendi...» «Arrendersi!» urlò Verna. «Sei impazzito?» Richard la zittì facendola indietreggiare. Si voltò di nuovo verso Jagang. «Vai avanti.» «Se ti arrendi, non danneggerò il palazzo.» «Se dovessimo arrenderci, perché accidenti lo risparmieresti? Spero certo che non ti aspetti che io creda che onoreresti un patto del genere.» «Be', vedi, avevamo in programma di erigere uno splendido palazzo per farne il quartier generale dell'Ordine Imperiale. Lo stesso Fratello Narev sta supervisionando il progetto. Ma tu hai messo fine a quel sogno per la nostra gente. «Potremmo ricominciare a costruire un palazzo del genere...» L'uomo fece un gesto indulgente. «Ma sarebbe molto più adeguato, dato che tu hai preso il nostro palazzo, che noi prendessimo il tuo e governassimo da lì per mostrare a tutti coloro che sfidano la Fratellanza dell'Ordine cosa si ottiene con una resistenza tanto insensata. La sede dell'Ordine sarebbe un monito per tutti. «Ovviamente, dopo che avrai assistito all'apertura della scatola giusta ti farò giustiziare.» «Ovviamente» disse Richard. «Una morte relativamente rapida, ma non troppo. Voglio che tu paghi per alcuni dei tuoi crimini, dopo tutto.» «Una prospettiva attraente.» «Be', la tua gente vivrebbe. Non sei preoccupato per loro? Non hai alcuna compassione? Dovrebbero piegarsi ai dettami dell'Ordine che sono, in fin dei conti, la legge morale del Creatore stesso, ma non verrebbero molestati dai miei uomini. «Anche questa prospettiva non suona attraente» disse Richard, ancora a braccia conserte. Il soldato si strinse nelle spalle, un movimento goffo, come una marionetta a cui vengano tirati i fili. «Be', queste sono le tue due uniche scelte. O entriamo a forza in un fiume di sangue e io lascio che i miei uomini si sfoghino come vogliono sulla tua gente e sul tuo palazzo mentre le mie Sorel-
le e io facciamo ciò che dobbiamo nel Giardino della Vita, oppure dimostri buonsenso e permetti alla tua gente di vivere in pace. «In entrambi i casi, io potrò usare il Giardino della Vita per le mie necessità. L'unica domanda è quando e quanto sangue e sofferenze questo costerà al tuo popolo.» «Potresti non entrare mai. Pensi che lo farai, ma potrebbe non accadere. Ho quella possibilità su cui riflettere.» «Non proprio» disse Jagang, facendo sorridere il suo sostituto. «Vedi, ho sempre la possibilità supplementare di farci aiutare da Sei. Lei non dovrebbe farsi strada combattendo per entrare a palazzo. Può semplicemente... farci cadere dentro, per così dire. Oltre a questo, se divento troppo impaziente, potrei sempre andare avanti nel modo più facile usando il libro nel modo in cui è stato inteso per aprire la scatola giusta.» «Ti serve il Giardino della Vita.» L'uomo fece un gesto sbrigativo. «Le scatole sono antecedenti al Giardino della Vita. Non c'è nulla che dica che devono essere aperte in un posto del genere, un campo di contenimento, come mi hanno spiegato le mie Sorelle. Le mie Sorelle e Sei mi hanno anche informato che, mentre il Giardino è stato costruito come uno specifico campo di contenimento per le scatole dell'Orden, queste possono comunque essere aperte dove si trovano.» Richard guardò torvo l'uomo davanti a lui. «Senza lo specifico campo di contenimento offerto dal Giardino della Vita, sarebbe estremamente pericoloso tentare di aprire una delle scatole. C'è un gran numero di errori altrimenti irrilevanti che rischierebbero di distruggere il mondo della vita.» Jagang esibì di nuovo un sorriso davvero perfido. «Questo mondo, questa vita, sono transitori. È quello successivo che importa. Distruggere questo mondo ignobile e abietto, questa vita miserabile, farebbe un enorme servizio al Creatore. Quelli di noi che hanno servito la Sua causa attraverso la Fratellanza dell'Ordine saranno ricompensati nell'eterno aldilà. Quelli di voi che si sono opposti a noi cadranno nelle tenebre eterne sotto il Guardiano. Porre fine a questo spregevole mondo per la causa di salvarlo sarebbe un nobile atto degno di grande ricompensa. «Dunque, vedi, Richard Rahl, in questo turno di Ja'La dh Jin io vincerò tutto, in un modo o nell'altro. Ti sto semplicemente offrendo l'opportunità di decidere come vuoi che finisca.» Il vento sollevò davanti a Richard una nube di polvere mentre lui osservava l'uomo. Sapeva da quello che aveva studiato e da ciò che Nicci gli
aveva detto che Jagang non stava bluffando sul fatto di essere in grado di aprire le scatole senza il Giardino della Vita. Era al corrente di quanto sarebbe stato pericoloso. Sfortunatamente, sapeva anche che all'Ordine non importava se tutta la vita fosse terminata. Davano valore alla morte, non alla vita. Anche se in qualche modo fossero riusciti a eliminare Jagang, in realtà non avrebbe fatto alcuna differenza. Lui rappresentava i dettami dell'Ordine, non li modellava. Tutto sommato, non era certo la parte più pericolosa dell'Ordine. Erano le malvagie credenze che la Fratellanza dell'Ordine insegnava a essere pericolose. Jagang non era altro che il bruto che le faceva osservare. «Non penso di poter prendere una tale decisione immediatamente.» «Capisco. Ti darò un po' di tempo per pensarci. Un po' di tempo per camminare per i corridoi del palazzo e guardare negli occhi quelle donne e quei bambini sotto la tua protezione.» Richard annuì. «Questo è il tipo di cose a cui dovrò pensare. C'è molto da riflettere. Ci vorrà tempo.» L'uomo sorrise. «Ma certo. Prendi il tuo tempo. Ti do alcune settimane. Fino alla luna nuova.» L'uomo fece per girarsi e andarsene, ma poi si voltò. «Oh, un'altra cosa.» Il suo sguardo cupo scivolò su Nicci. «Dovrai cedermi Nicci come parte dell'accordo. Lei appartiene a me. Dev'essermi restituita.» «E se lei non vuole tornare dalla tua parte?» «Forse non mi sono spiegato. Non importa cosa vuole. Mi dev'essere restituita. È abbastanza chiaro?» «Sì.» «Bene» disse con un sorriso condiscendente. «Questo conclude il nostro colloquio, dunque. Hai tempo fino alla luna nuova per cedere il palazzo... e Nicci.» L'uomo si voltò a guardare l'esercito sparpagliato in basso, poi camminò con andatura rigida verso l'orlo delle assi e, senza una parola, fece un passo nel vuoto. Non urlò neanche mentre cadeva a capofitto attraverso le sferzanti correnti d'aria. Jagang voleva che Richard capisse quanto poco si curava della vita e quanto facilmente era pronto a toglierla. Verna e Cara cominciarono a gridare obiezioni e infuriate argomentazioni. Richard sollevò una mano. «Non ora. Ci sono cose che devo fare.» Fece un segnale al personale del ponte. «Alzate il ponte» ordinò loro
mentre li incrociava risalendo la strada. Quelli batterono i pugni al petto in segno di saluto. 53 Nella tremolante luce delle torce, perso nella profonda concentrazione, Richard usò il dito per tracciare l'elemento successivo nella sabbia magica. Ripassando prima le parole in silenzio fra sé, alzò infine lo sguardo verso le finestre scure, poi cominciò a mormorare le formule ad alta voce in D'Hariano Alto. Attraverso le finestre bordate di piombo, nella sua distante consapevolezza, vedeva la luce della luna. Solo il giorno prima, Jagang gli aveva concesso fino alla luna nuova per cedere il palazzo. La luce della luna avrebbe continuato a scemare giorno dopo giorno finché non fossero stati avvolti nella completa oscurità. Richard aveva ascoltato l'opinione di Verna, del generale Meiffert e di Cara che consigliavano di non arrendersi. Verna pensava che la resa avrebbe costituito un benestare morale a quei dettami criminali e che avrebbero dovuto combattere tale malvagità fino alla morte; il generale Meiffert pensava che si trattasse di un trucco e che sarebbe stato sciocco credere che Jagang avrebbe mantenuto la sua parola, perciò non avrebbero mai dovuto arrendersi; Cara pensava che in un modo o nell'altro sarebbero morti, perciò avrebbero fatto meglio a combattere fino alla fine e, così facendo, uccidere quanti più nemici possibile. Nathan e Nicci avevano solo ascoltato le argomentazioni, indecisi se fosse meglio arrendersi o combattere. Richard aveva evidenziato che stavano solo proponendo come morire, non come prevalere. Stavano pensando al problema, non alla soluzione. Sapeva che c'era solo un modo realistico con cui poteva aspettarsi di arrivare vicino alle scatole dell'Orden, ma gli altri non avrebbero voluto ascoltare. Istante dopo istante, il tempo gli stava scivolando fra le dita. Non gliene sarebbe stato concesso altro. Richard avvertiva lo schiacciante peso della responsabilità che doveva portare da solo. Aveva deciso che non potevano più aspettare; pronto o no doveva cominciare. Non sentì nulla mentre pronunciava le formule opportune, proprio come non provava nulla mentre disegnava le forme-incantesimo. Le sue emozioni erano guidate interamente dai suoi pensieri su Kahlan, sulle persone che aveva a cuore e sulle scelte che gli rimanevano.
Doveva continuare a ricordare a sé stesso di non perdere tempo nel consentire ai propri pensieri di vagare su quanto stava per essere perduto, ma usarlo invece per escogitare un modo per prevalere. Anche se non aveva accesso alle scatole dell'Orden oppure alla vera copia o all'originale de Il libro delle ombre importanti, sapeva dai libri che Nicci aveva studiato, in special modo Il libro della vita, che spiegava come avviare l'utilizzo delle scatole dell'Orden, che quel rituale era un componente necessario per usare l'Orden per annullare la Catena di fuoco. Neutralizzare la Catena di fuoco era essenziale. Se Richard avesse mai avuto la possibilità di usare le scatole, doveva essere pronto a sfruttare quell'opportunità. Non aveva scelta. O lo faceva, o non avrebbe mai potuto aprire le scatole: molto semplice. Prima avesse tentato, prima avrebbero saputo se funzionava. Poteva vivere o morire. Se non fosse sopravvissuto, sarebbe stato meglio lasciare a Nicci, Nathan e Verna più tempo possibile per cercare di pensare a un altro modo per sfuggire all'inevitabile. L'imperatore aveva numerose opzioni. Richard no. Jagang, dovendo aprire le scatole tramite Sorella Ulicia, non avrebbe dovuto viaggiare nel mondo sotterraneo. Ulicia era una Sorella dell'Oscurità. Aveva già la connessione col mondo sotterraneo che le serviva per far funzionare l'Orden per loro. Richard avrebbe dovuto creare la propria connessione e trovare un modo di portare a termine ciò che era necessario per far sì che l'Orden annullasse la Catena di fuoco. Le formule, gli aveva detto Nicci, erano causa ed effetto, come le formeincantesimo. Lui era la persona adatta, col potere richiesto, che disegnava gli incantesimi giusti e recitava le parole necessarie. Il suo dono avrebbe aggiunto l'occorrente agli elementi mentre li tracciava nella sabbia magica. Causa ed effetto, Nicci gli aveva assicurato. Non aveva bisogno di sentire nulla. Contava sul fatto che lei avesse ragione. Tutti ci contavano. Anche Nathan era più che interessato che avesse ragione. Il profeta era più preoccupato che mai sul Grande Vuoto e quanto vi erano vicini. Richard ricordava come Warren si fosse sempre riferito alle scatole dell'Orden come il 'cancello'. A quel tempo, quando Richard si trovava nel Palazzo dei Profeti, Warren aveva detto che il pericolo consisteva nel fatto che le scatole - il cancello - avevano lacerato il velo e avrebbero consentito al Guardiano del mondo sotterraneo di passare nel mondo della vita. Dato che per il Guardiano le scatole erano un cancello per il mondo della vita,
un passaggio attraverso il velo, erano anche un cancello nell'altra direzione: per il mondo dei morti. A Richard era venuto in mente che forse le scatole potevano essere il cancello verso quel Grande Vuoto che tanto preoccupava Nathan. Dal momento che i poteri che stava invocando erano parte integrante dell'Orden stesso, Richard era conscio che nel tentare di viaggiare nel mondo sotterraneo avrebbe potuto essere inghiottito nel suo proprio Grande Vuoto. Ripensò alla lunga conversazione che aveva avuto con Nathan. Se Richard avesse avuto successo quella notte, allora Nathan avrebbe dovuto nuovamente assumere il ruolo del lord Rahl. Non potevano permettersi di lasciare tutti senza un lord Rahl perfino per il breve tempo in cui lui sarebbe mancato. Richard aveva detto al profeta che, se qualcosa fosse andato storto, avrebbe dovuto fare da sé ciò che era necessario. Nudo e chino davanti alla sabbia magica, usò l'avambraccio per spianare la porzione successiva, creando un campo per i prossimi disegni. Cominciò a tracciare i complessi schemi che si irradiavano dall'asse centrale della più vasta forma-incantesimo. Ognuno di quegli elementi si diramava in intricati simboli su cui aveva trascorso innumerevoli ore a esercitarsi su carta. Nicci era stata sopra la sua spalla mentre tracciava quei simboli, guidando ogni suo movimento. Ma lei non poteva aiutarlo in quel momento. Doveva fare da solo, senza alcun sostegno. Era stato lui a essere nominato responsabile. Doveva essere opera sua, toccata esclusivamente dal suo dono. Le torce illuminavano la sabbia, le loro fiamme che ondeggiavano lentamente nell'aria immobile, gettando scintille di luce prismatica. Quei minuscoli guizzi di luce colorata erano affascinanti, incantevoli. Gli facevano sembrare di essere perso nel suo mondo segreto. In un certo senso, era davvero perso nel suo mondo. Mentre cominciava a tracciare le forme accanto, Richard si abbandonò all'atto di disegnare. Si concentrò esclusivamente sulla creazione di ogni componente mentre lo tracciava, facendolo combaciare nel contesto più ampio della forma-incantesimo non solo in modo concettuale, ma fisico. Quando aveva dipinto i disegni su sé stesso e la sua squadra, aveva scoperto che tracciare quegli elementi aveva molto in comune con l'usare la spada. C'era un movimento, un ritmo, un flusso. Dopo tutto, dato che stava evocando cose dal mondo sotterraneo stesso, ogni incantesimo conteneva elementi della danza con la morte. Non solo doveva essere l'elemento giusto al momento giusto, ma doveva essere ese-
guito con precisione. In molti sensi, tracciare gli incantesimi era la danza con la morte. In modo molto simile a come combatteva con la spada per sopravvivere e uccidere coloro contro cui lottava, gli incantesimi lo stavano portando alla cuspide fra la vita e la morte. Quando combatteva con la spada, sapeva che ogni errore avrebbe potuto causare la sua rapida morte. I movimenti con la spada non solo dovevano essere quelli giusti, ma andavano eseguiti con precisione al momento esatto e in modo corretto. Tracciare le formeincantesimo non era diverso. Ogni mossa doveva essere eseguita correttamente. Ogni errore avrebbe potuto causare una morte rapida. Allo stesso tempo, era un'esperienza che lo rendeva euforico. Si era esercitato per lunghe ore. Conosceva le forme. Le aveva dipinte su sé stesso e sulla sua squadra. Ora si era perso nel movimento di disegnare quelle forme - i tratti, le sbarre, i punti - spostandosi tutto il tempo col costante flusso di arrivare vicino alla morte ma evitare di essere annientato. Si trovava sulla cuspide della vita, la punta più estrema dell'esistenza. Si muoveva tra le forme come fra il nemico, si muoveva con la morte che lo tallonava. Era un'esperienza logorante, che gli sembrava simile a usare la Spada della Verità. In effetti, era un tutt'uno. Da quel primo giorno quando Zedd aveva passato a Richard la spada lungo il tavolo fuori dalla sua casa, Richard in realtà si era preparato per questo. Poteva sentire il sudore colargli giù per il viso mentre lavorava. Mentre tracciava ogni forma, completava ogni elemento senza lasciare che nulla lo distraesse e gli facesse commettere un errore, perse il senso del tempo. Era parte dei disegni. Era, in senso molto reale, nei disegni proprio com'era in un combattimento corpo a corpo quando usava la Spada della Verità. La sua fronte si corrugò dall'intensità della sensazione. Aggiunse ogni elemento, appose ogni tratto e curva con la precisione di un fendente della sua spada, o quella del suo scalpello quando aveva scolpito. Era la stessa abilità che applicava quando usava una lama. Stava distruggendo e creando allo stesso tempo. Quando alla fine si rese conto di aver tracciato ogni simbolo, completato ogni forma-incantesimo, connesso ogni elemento, si sedette dritto. Il suo sguardo spaziò sopra la sabbia magica e infine comprese il completo orrore di ciò che lo attendeva.
Si guardò attorno verso il Giardino della Vita. Voleva vedere la bellezza prima di affrontare il mondo dei morti. Alla fine si sedette a gambe incrociate e appoggiò le mani sulle ginocchia coi palmi all'insù. Le sue palpebre si chiusero. Trasse respiri profondi. Questa era l'ultima occasione per fermarsi. Un altro istante e sarebbe stato troppo tardi per cambiare il corso degli eventi. Richard sollevò la testa e aprì gli occhi. In D'Hariano Alto sussurrò: «Vieni a me.» Ci fu un momento di estremo silenzio nel quale poteva udire solo il sommesso crepitio delle torce attorno alla sabbia magica, poi l'aria stessa vibrò per un improvviso fragore lamentoso. La terra tremò. Dal mezzo della scintillante sabbia bianca, dal centro delle formeincantesimo, cominciò a levarsi una sagoma pallida, come fumo bianco. Come una spirale, si avvolse su sé stessa in vorticanti turbini e mulinelli mentre ascendeva lentamente, come trascinandosi fuori dagli incantesimi stessi. Mentre giungeva e si sollevava sempre più in alto, la sabbia magica sotto di essa si lacerò, consentendo al nero della morte di stabilire un vuoto nel mondo della vita. Richard osservò mentre la bianca sagoma ascendeva da quel vuoto, prendendo la forma di una figura in fluenti vesti candide. La figura aprì le sue braccia, allo stesso modo in cui un fiore si schiude al mondo della vita e della luce, finché le finissime vesti non ricaddero in pieghe fluenti dalle braccia spalancate. La forma fluttuò, sospesa sopra il nero vuoto nella sabbia bianca. Richard si alzò in piedi davanti alla figura. «Grazie per essere venuta, Derma.» Lui esibì un sorriso magnifico, radioso e tuttavia carico di tristezza. Mentre Richard osservava lo spirito, lei allungò una mano e gli toccò la guancia. Era il tocco più amorevole che Richard avesse mai sentito. In quel contatto seppe che sarebbe stato al sicuro con lei... quanto poteva esserlo nel mondo dei morti. Dalle ombre degli alberi dove lui le aveva chiesto di attendere, Nicci osservò con stupore Richard ritto davanti al soffuso bagliore della figura eterea. Era una creatura di struggente bellezza, uno spirito di sobria purezza e dignità. Nicci sentì lacrime scorrerle lungo le gote al vedere uno spirito buono lì davanti a lei. La riempì di gioia e allo stesso tempo di terrore per Richard:
non sapeva dove quello spirito l'avrebbe portato. Mentre la figura luccicante nelle bianche vesti cingeva un braccio protettivo attorno a Richard, isolandolo dal mondo della vita, Nicci avanzò alla luce delle torce. La sua fronte si imperlò di sudore mentre osservava il finissimo bagliore turbinare gentilmente nell'oscurità con la persona a lei affidata. «Buon viaggio, amico mio» sussurrò. «Buon viaggio.» E poi, prima che il varco si fosse richiuso completamente, prima che la scintillante e bianca sabbia magica si fosse ricomposta, una forma scura si radunò nell'aria sovrastante. La cosa si avvolse in uno stretto mulinello seguendoli giù nelle tenebre. La bestia era stata attirata a Richard tramite l'uso del suo dono, e lo stava inseguendo nel suo stesso regno. 54 Kahlan aggiunse un ramoscello al fuoco. Delle scintille turbinarono nell'aria della sera tarda, come desiderose di seguire i residui lontani di rosso-arancio appena visibili nel cielo a occidente attraverso i rami spogli. Si riscaldò le mani protendendole verso le fiamme crescenti, poi ebbe un brivido e si sfregò le braccia. Sarebbe stata una notte fredda. A corto di equipaggiamento, avevano solo una coperta ciascuno. Almeno lei aveva anche il suo mantello. Giacere sul terreno freddo le avrebbe fatto trascorrere una spiacevole notte in bianco. C'erano numerosi abeti rossi, però, quindi aveva potuto tagliare un buon numero di rami per riporli a mo' di giaciglio. Per quanto il bosco fosse fitto, non avrebbe offerto alcuna protezione dal vento, ma dato che la notte serena era completamente calma, almeno non avrebbero dovuto costruire un riparo. Kahlan voleva soltanto mangiare qualcosa e dormire un poco. Prima di avviare il fuoco, lei aveva colto l'opportunità di predisporre un paio di trappole, sperando di catturare un coniglio, se non per quella notte, forse per la mattina successiva prima di mettersi di nuovo in viaggio. Samuel aveva raccolto una buona scorta di legna da ardere da far durare per tutta la notte, poi aveva preparato il fuoco. Dopo aver finito, si era diretto a un vicino torrente su una sponda rocciosa per raccogliere acqua. Kahlan era tanto esausta quanto affamata. Avevano quasi terminato il cibo che si erano portati dall'accampamento dell'Ordine Imperiale, per quanto non si fossero fermati così spesso per mangiare o riposare. A meno
che non avessero preso un coniglio, avrebbero consumato ancora biscotti secchi e carne essiccata. Almeno avevano quelle provviste. Non sarebbero durate a molto a lungo, però. Samuel non aveva voluto fermarsi per provare a vedere se potevano procurarsi altro cibo. Sembrava avere la frenetica urgenza di arrivare da qualche parte. Avevano alcune monete che avevano trovato sul fondo delle bisacce, ma piuttosto che avventurarsi in una delle varie cittadine vicino alle quali erano passati per poter procurarsi altre provviste, Samuel aveva insistito che si tenessero alla larga da chiunque. Era convinto che i soldati dell'Ordine Imperiale stessero dando loro la caccia. Considerato quanto Jagang apparentemente la odiava e com'era desideroso di ottenere vendetta, Kahlan non poteva davvero presentare alcuna argomentazione contro la teoria di Samuel. Per quel che ne sapeva, i soldati potevano esserle proprio alle calcagna. Quel pensiero aggiunse una punta di disagio al freddo. Quando Kahlan chiedeva a Samuel dove stavano andando, lui rispondeva in modo vago, indicando semplicemente verso ovest-sudovest. La rassicurava, però, che erano diretti in un posto in cui sarebbero stati al sicuro. Si stava rivelando uno strano compagno di viaggio. Parlava molto poco mentre cavalcavano, e ancora meno quand'erano accampati. Ogni volta che si fermavano, di rado si allontanava molto da lei. Lei immaginava che volesse semplicemente proteggerla, tenerla al sicuro, ma si domandò se piuttosto stesse sorvegliando la sua ricompensa. Per quanto fosse venuto all'accampamento dell'Ordine per liberarla, non aveva mai voluto parlare delle sue ragioni. Una volta, quando l'aveva incalzato, aveva detto che l'aveva fatto perché voleva aiutarla. All'apparenza sembrava un gentile sentimento, tuttavia non le aveva mai spiegato come la conosceva o come sapeva che era tenuta prigioniera. Dal modo in cui pareva guardarla quando non pensava che lei lo stesse osservando, pensava che forse era solo vergognoso. Se lei insisteva su qualcosa, di solito lui incassava la testa fra le spalle e taceva. Talvolta arrivava a credere che stava torturando quel pover'uomo con le sue domande, perciò si fermava e lo lasciava stare. Solo allora lui sembrava rilassarsi. Tuttavia, tutti gli interrogativi senza risposta la facevano esitare. Malgrado tutto quello che aveva fatto e come l'aveva aiutata ogni volta, non si fidava di lui. Non gli piaceva che non rispondesse a domande tanto semplici, tanto importanti. Dato che buona parte della sua stessa vita era un mistero per lei, era piuttosto sensibile alla pertinenza di quesiti irrisolti.
Sapeva anche che Samuel era affascinato da lei. Pareva spesso desideroso di fare cose per compiacerla. Le tagliava pezzi di salsiccia, porgendoglieli uno alla volta, finché lei non lo fermava dicendogli che era abbastanza e anche lui doveva mangiare. Altre volte, però, come quando era distratto dalla fame, si dimenticava di offrirle qualunque cosa finché lei non glielo chiedeva. Talvolta gli lanciava un'occhiata e lo vedeva fissarla con quei suoi strani occhi dorati. In quei momenti, pensava di vedere la scaltra compostezza di un ladro. Lei cercava di tenere una mano sul manico del coltello quando andava a dormire. Altre volte, quando tentava di fargli delle domande, lui sembrava troppo timido perfino per guardarla negli occhi, e si rannicchiava verso il fuoco come se sperasse di essere invisibile. La maggior parte del tempo le risultava difficile ottenere da lui più di un sì o un no. La sua reticenza, però, non pareva dettata da crudeltà, arroganza o indifferenza. Alla fine, dato che era così difficile farlo parlare e le risposte che otteneva erano praticamente inutili, lei aveva smesso di provare. O era tremendamente timido, o stava nascondendo qualcosa. In quei lunghi periodi di silenzio, la mente di Kahlan si rivolgeva a Richard. Si domandava se fosse vivo o morto. Temeva di conoscere la risposta, ma era riluttante ad accettare l'ineluttabilità della sua morte. Era ancora sbalordita nel ricordare la vista di lui con le armi alla mano, il modo in cui la sua lama si muoveva, il modo in cui lui si muoveva. Aveva fatto così tanto per aiutarla a fuggire. Temeva che per questo lui avesse pagato il prezzo supremo. Nell'aria immota, pensando a Richard, Kahlan sentì un brivido che non era causato dal freddo. Era una notte strana. Qualcosa in essa sembrava vuoto e fuori posto. Il mondo pareva un posto ancora più isolato del solito. Era questo che la infastidiva di più: il costante, lacerante vuoto che avvertiva, la terribile solitudine di essere isolati da quasi chiunque altro al mondo. Le mancava anche una parte della propria vita, e non sapeva cos'era. Non sapeva neanche chi era, tranne il suo nome e il fatto che era la Madre Depositaria. Quando aveva chiesto a Samuel cos'era una Depositaria, lui l'aveva fissata per un lungo momento, poi aveva scrollato le spalle. Lei aveva la chiara impressione che lo sapesse ma che non volesse dirlo. Kahlan si sentiva tagliata fuori non solo dal mondo, ma da sé stessa. Rivoleva la sua vita. Nella luce che si affievoliva, si diresse verso il cavallo esausto che bru-
cava lunghi ciuffi d'erba. Non c'era una striglia per spazzolargli il pelo, perciò strofinò la mano sopra l'enorme animale, pulendolo meglio che poteva, controllando se ci fossero ferite o nodi. Con le dita gli tirò via pezzetti di fango secco dalle zampe e poi dal ventre. Il cavallo voltò la testa all'indietro, osservandola pulir via le incrostazioni. Gli piacevano le sue cure e il suo tocco gentile. Era un animale tenuto da uomini che erano poco più che animali essi stessi, e non era abituato a essere trattato con gentilezza e rispetto, perciò conosceva il valore di entrambi. Quando lei ebbe finito di ripulirgli gli zoccoli, diede al cavallo una bella grattata dietro le orecchie. Quello emise un basso nitrito, strofinando il muso contro di lei. Kahlan sorrise e lo grattò ancora un poco. I grossi occhi dell'animale si chiusero mentre godeva di quelle attenzioni. Si sentiva più vicina al cavallo che a Samuel. Per Samuel, il cavallo era solo una bestia. Lui voleva sbrigarsi, e il cavallo era il suo mezzo per avanzare velocemente. Kahlan non era sicura che se fosse perché doveva andare da qualche parte o perché semplicemente voleva mettere quanta più distanza possibile fra loro e l'Ordine Imperiale. Poiché manteneva una direzione costante, immaginava che doveva avere una vera destinazione. Se fosse stato questo il caso, allora aveva qualche morivo di arrivarci di fretta. Se aveva una meta e non vedeva l'ora di arrivarci, allora perché non le diceva almeno dove stavano andando? Mentre strofinava il cavallo dietro le orecchie, quello premette la testa ancora di più contro di lei in segno di apprezzamento. Sorrise al colpetto che il cavallo le diede quando lei si fermò per sollecitarla a continuare. Pensava che si stesse innamorando di lei. Kahlan si domandò se lei si stesse comportando in modo meno gentile verso Samuel. Non intendeva di proposito essere fredda nei suoi confronti, ma da quando lui aveva cominciato a essere meno chiaro, e probabilmente evasivo, aveva deciso di affidarsi al suo istinto e rimanere distaccata con lui. Tornata al fuoco, mentre, seduta sui talloni, alimentava le fiamme con un altro bastoncino, Kahlan udì Samuel tornare in tutta fretta. Controllò il coltello alla cintura. «Ne ho preso uno!» gridò mentre giungeva nella luce del fuoco da campo. Teneva un coniglio per le zampe posteriori. Non pensava di aver mai visto Samuel così eccitato. Doveva essere affamato.
Lei si sedette all'indietro, sorridendo. «Immagino che avremo un pasto caldo, stanotte.» Samuel, afferrando le zampe posteriori con entrambe le mani, squartò rudemente il coniglio. Kahlan si sollevò sorpresa mentre lui appoggiava una sanguinante metà del coniglio davanti a lei. Samuel si accovacciò non distante, si incurvò di fronte al fuoco e cominciò a divorare l'altra metà del coniglio. Kahlan lo fissò sconcertata mentre lo osservava mangiare la preda cruda. Lui strappò un morso di pelliccia coi denti e lo inghiottì. Lo sgranocchiò fino all'osso. Mentre il sangue gli scorreva giù per il mento, mangiò perfino le interiora. Quella vista la faceva star male. Kahlan distolse lo sguardo per fissare il fuoco. «Mangia» disse Samuel. «È buono.» Kahlan gli gettò la sua parte. «Non ho molta fame.» Samuel non discusse. Si avventò sulla sua metà. Kahlan si chinò all'indietro, appoggiando la testa contro la sella, e osservò le stelle. Per distogliere l'attenzione da Samuel, pensò di nuovo a Richard, domandandosi chi fosse in realtà e quale fosse il suo legame con lei. Pensò a come combatteva con una spada. Le ricordava il modo in cui lottava lei. Non sapeva dove aveva appreso ciò che conosceva. Mentre vagava per un paesaggio interiore di ombrose incertezze, osservò la luna sorgere lentamente. Cominciò a domandarsi perché dovesse continuare a restare con Samuel. Lui le aveva salvato la vita, in un certo senso, dopo che Richard gli aveva detto come. Supponeva di avere nei suoi confronti un debito di gratitudine. Ma perché rimanere con lui? Non le stava offrendo risposte o soluzioni reali. Lei non gli doveva la sua tenace obbedienza. Si domandò se dovesse andarsene per conto suo. Si rese conto che, anche se avesse abbandonato Samuel e si fosse allontanata da sola, senza sapere chi era, dove sarebbe andata? Vedeva alberi e montagne mentre cavalcavano, ma non sapeva dove si trovava. Non sapeva dov'era cresciuta, dove viveva, qual era il suo posto. Non riconosceva il territorio né si ricordava di alcun villaggio o città, tranne i luoghi dei morti che aveva attraversato dopo che le Sorelle l'avevano catturata. Era sperduta in un mondo che non la conosceva e di cui lei non si ricordava. Quando si rese conto che la luna aveva superato gli alberi, lanciò un'occhiata a Samuel. Aveva terminato il suo pasto da molto tempo.
Stava lucidando la spada che teneva in grembo. «Samuel» lo chiamò. Lui alzò lo sguardo come riscosso da uno stato di trance. «Samuel, ho bisogno di sapere dove stiamo andando.» «In un posto dove saremo al sicuro.» «Questo me l'hai già detto. Se vuoi che continui a viaggiare con te...» «Tu devi! Devi venire con me! Per favore!» Kahlan fu colta alla sprovvista dal suo scoppio emotivo. Con occhi spalancati e tondi, sembrava sinceramente allarmato. «Perché?» «Perché ti porterò al sicuro.» «Forse posso mettermi al sicuro da sola.» «Ma io posso portarti da qualcuno che può aiutarti a riottenere la memoria.» Aveva la sua attenzione. Lei si rizzò a sedere. «Conosci qualcuno che può aiutarmi a riottenere la memoria?» Samuel annuì vigorosamente. «Chi?» «Un'amica». «Come faccio a crederti?» Samuel lanciò un'occhiata all'arma luccicante che aveva in grembo. Fece scorrere dita adoranti lungo le sue curve. «Sono il Cercatore di Verità. Tu hai un incantesimo che ti ha sottratto la memoria. Io ho un'amica che può aiutarti a ritrovare il tuo passato, ritrovare te stessa.» Il cuore di Kahlan batté forte per l'improvvisa prospettiva inattesa di riavere la sua memoria. Tutte le altre sue domande sembravano di colpo insignificanti. Samuel non le aveva mai detto di essere il Cercatore di Verità. Lei non sapeva cosa fosse il Cercatore di Verità, ma aveva visto la parola VERITÀ sbalzata in oro intrecciato attraverso la trama d'argento dell'elsa. Sembrava uno strano titolo per qualcuno così riluttante a fornire qualsiasi informazione su qualunque cosa. «Quando incontrerò questa persona?» «Presto. È vicina.» «Come lo sai?» Samuel alzò lo sguardo. I suoi occhi gialli la fissavano, simili a lanterne gemelle nell'oscurità. «Posso percepirla. Devi restare se vuoi ritrovare il tuo passato.»
Kahlan pensò a Richard con quegli strani simboli tutti pitturati addosso. Quello era il passato a cui era interessata. Voleva conoscere il suo legame con quell'uomo dagli occhi grigi. Richard sapeva che era la sua unica possibilità. Un'oscurità diversa da tutto ciò che aveva mai conosciuto premeva attorno a lui. Era soffocante, terrificante, schiacciante. Denna cercava di proteggerlo, ma perfino lei non aveva il potere di fermare una cosa del genere. Nessuno l'aveva. «Non puoi,» la voce sussurrante di Denna gli giunse nella mente. «Questo è un posto di nulla. Non puoi farlo.» Richard sapeva che era la sua unica possibilità. «Devo tentare.» «Se lo farai, sarai come nudo in questo luogo. La tua protezione ti sarà strappata via. Non sarai più in grado di esistere qui.» «Ho fatto ciò che dovevo.» «Ma non sarai in grado di tornare indietro.» Richard urlò dalla sofferenza. La struttura protettiva delle formeincantesimo che aveva creato veniva fatta a brandelli. L'oscurità tutt'intorno stava penetrando in lui sottraendogli la vita. Quello era un posto che non tollerava la vita. Era un posto che esisteva per succhiarla via nella scura eternità del nulla. La bestia l'aveva seguito nel vuoto di quel mondo sotterraneo e ora l'aveva intrappolato nel suo stesso dominio. Non poteva più ritrovare la strada che gli interessava. Quell'opzione gli era già preclusa. La sua connessione col punto di accesso era sparita, spezzata dalla bestia mentre lacerava la struttura degli incantesimi protettivi. Non c'era ritorno per il Giardino della Vita, non c'era modo di trovare qualcosa nel mezzo del nulla. Fuggire era tutto ciò che importava. La bestia era un essere creato dalla Magia Detrattiva e si trovava in un mondo Detrattivo. Richard era intrappolato nella sua tana. In quel luogo non poteva ottenere alcun aiuto. Denna non poteva far nulla contro una creatura evocata di quel tipo, una creatura nel suo stesso elemento. Non c'era nemmeno modo di poter tornare nella Sala dei Venti, dove il soffitto di pietra era come una finestra che mostrava il cielo per tutta la sua superficie. Anche quella adesso sembrava eoni fa, una distanza infinita nell'eternità del nulla. La sua connessione era perduta da qualche parte
nell'oscurità. Mentre sentiva i martorianti artigli della morte stessa che laceravano per raggiungerlo, voleva solo essere lontano. La sua mente si aggrappò agli elementi essenziali per cui era venuto in una stretta mortale. La bestia stava cercando di strapparglieli via. Anche se gli fosse costato la vita, non poteva lasciarli andare. Se avesse perso quegli aspetti passeggeri, non ci sarebbe stata ragione di tornare nel mondo della vita. «Devo farlo» urlò attraverso il dolore lancinante che gli stava lacerando la stessa anima. Le braccia di Denna si serrarono con fare protettivo e disperato attorno a lui, ma non c'era difesa in quell'abbraccio. Malgrado quanto volesse aiutarlo, quella era un cosa che non poteva combattere. Lei era il suo protettore in questo mondo, ma solo nel senso di essere la sua guida per aiutarlo a trovare ciò che gli serviva e allo stesso tempo impedirgli di allontanarsi verso pericoli che l'avrebbero risucchiato per sempre in posti ancora più bui. Non era il suo guardiano per ciò che poteva venire fuori da quella oscurità e non aveva la capacità di fermare una creatura evocata che non esisteva. «Devo!» urlò lui, sapendo che non c'era altro che poteva tentare. Lacrime luccicanti percorsero lo stupendo e fulgente volto di Denna. «Se fai questo, non posso proteggerti.» «Se non lo faccio, cosa pensi che mi accadrà?» Lei sorrise tristemente. «Morirai qui.» «Allora quale scelta ho?» Lei cominciò a fluttuare via, tenendolo per mano. «Nessuna» disse la serica voce nella sua mente. «Ma non posso essere con te se lo fai.» Contorcendosi dal dolore mentre la bestia si serrava attorno a lui, Richard riuscì ad annuire. «Lo so, Denna. Grazie per tutto ciò che hai fatto. È stato un vero dono.» Il suo triste sorriso si allargò mentre lei scivolava più lontano. «Anche per me, Richard. Ti amo.» Richard percepì le dita di lei che ancora toccavano le sue. Lui si sforzò di annuire meglio che poteva. «In un modo o nell'altro, sarai sempre nel mio cuore.» Sentì il suo bacio sulla guancia. «Grazie, Richard, per questo più che per tutto il resto.»
E poi non c'era più. Quando sparì e Richard si trovò improvvisamente solo, avviluppato in incomparabile solitudine e oscurità, nell'assenza di ogni cosa, liberò la Magia Aggiuntiva nella bestia in un mondo dove non poteva esistere. In quell'istante, la scossa del componente Aggiuntivo veniva a esistere nel mezzo del nulla, e la bestia, incapace di sopportare uno scontro tanto inconciliabile fra quello che era e quello che non era, fra il mondo della vita e quello della morte, non in grado di contenere senza alcuna barriera protettiva un elemento Aggiuntivo in un mondo Detrattivo, si disintegrò dall'esistenza in entrambi i mondi. Allo stesso tempo, Richard si sentì stordito da un colpo proveniente da ogni direzione. D'improvviso ci fu terra sotto i suoi piedi. Incapace di reggersi in piedi, crollò al suolo fra dei teschi. Uomini nudi, dipinti con disegni primitivi, sedevano in circolo tutt'intorno a lui. Tremando dal dolore e dallo shock, sentì su di sé mani che lo confortavano, che lo calmavano. Attorno a sé udiva parole che non comprendeva. Poi cominciò a vedere facce che riconosceva. Vide il suo amico Savidlin. Vide l'Uomo Uccello. «Bentornato nel mondo della vita, Richard il Collerico» disse una voce familiare. Era Chandalen. Ancora riprendendo fiato, Richard sbatté le palpebre vedendo le facce arcigne che lo osservavano. Erano tutti dipinti col fango con disegni primitivi bianco e nero. Si rese conto che comprendeva i simboli. La prima volta che era venuto da quel popolo per chiedere un raduno, aveva pensato che il fango bianco e nero fosse tracciato semplicemente secondo schemi casuali. Ora sapeva che non era così. Aveva un significato. «Dove sono?» «Sei nella casa degli spiriti» disse Chandalen in tono profondo e severo. Gli uomini tutt'attorno a lui che parlavano la strana lingua erano gli anziani del Popolo del Fango. Era un raduno. Richard diede un'occhiata alla casa degli spiriti. Si trattava del villaggio dove lui e Kahlan si erano sposati. Era il posto in cui avevano trascorso la loro prima notte come marito e moglie. Gli uomini aiutarono Richard ad alzarsi. «Ma cosa ci faccio qui?» chiese a Chandalen, non ancora sicuro se stesse dormendo... o se fosse morto.
Quello si voltò verso l'Uomo Uccello. Si scambiarono brevi parole. Chandalen si voltò di nuovo verso Richard. «Pensavamo che tu lo sapessi e potessi dircelo. Ci è stato chiesto di tenere un raduno per te. Ci è stato detto che era una questione di vita o di morte.» Richard si accigliò mentre usciva con cautela dall'ammasso di teschi degli antenati. «Chi vi ha chiesto di tenere un raduno?» Chandalen si schiarì la gola. «Be', all'inizio abbiamo pensato che fosse uno spirito.» «Uno spirito» disse Richard fissandolo. Chandalen annuì. «Poi ci siamo resi conto che era una straniera.» Richard inclinò la testa verso l'uomo. «Una straniera?» «È volata qui su una bestia e poi...» Si fermò quando vide l'espressione sulla faccia di Richard. «Vieni, loro te lo spiegheranno.» «Loro?» «Sì, gli stranieri. Vieni.» «Sono nudo.» Chandalen annuì. «Sapevamo che saresti venuto, perciò abbiamo portato dei vestiti per te. Vieni, sono qui fuori, e potrai parlare con gli stranieri. Sono desiderosi di vederti. Temevano che non saresti mai arrivato. Siamo stati qui dentro per due notti, in attesa.» Richard pensò che potesse trattarsi di Nicci e forse di Nathan. Ma come avrebbe fatto Nicci a sapere una cosa del genere? «Due notti...» borbottò Richard mentre veniva guidato attraverso la porta fra gli anziani che lo toccavano, gli davano pacche sulla spalla e farfugliavano saluti. Malgrado le circostanze inattese, erano lieti di vederlo. Dopo tutto, lui era uno di loro, uno del Popolo del Fango. Era buio fuori. Richard notò la sottile falce di luna. Degli attendenti aspettavano con vestiti per tutti gli anziani. Uno degli uomini porse a Richard pantaloni di pelle di daino, poi un giustacuore anch'esso di pelle. Non appena Richard fu vestito, il gruppo di uomini lo condusse attraverso gli stretti passaggi. A Richard sembrava come se si fosse risvegliato in una vita passata. Si ricordava di tutti quei passaggi attraverso gli edifici. Richard aveva voglia di vedere Nicci. Non vedeva l'ora di scoprire cos'era accaduto, di come lei l'aveva aiutato a fuggire. Probabilmente era stato il profeta a conoscere il problema che avrebbe affrontato, mentre lei doveva aver escogitato un modo per aiutarlo fornendogli una via per rientrare nel mondo della vita. Non vedeva l'ora di dirle quello che era riuscito a fare
nel mondo sotterraneo. L'Uomo Uccello appoggiò un braccio attorno alle spalle di Richard e pronunciò parole che lui non comprese. Chandalen gli rispose, poi parlò a Richard. «L'Uomo Uccello vuole che tu sappia che ha parlato con molti antenati ai raduni, ma in tutta la sua vita non ha mai visto uno della nostra gente tornare dal mondo degli spiriti.» Richard lanciò un'occhiata al sorridente Uomo Uccello. «È la prima volta anche per me» assicurò Chandalen. Nello spazioso centro del villaggio stavano bruciando grandi fuochi, a illuminare le folle che partecipavano alla festa. I bambini correvano fra le gambe degli adulti, godendosi i festeggiamenti. La gente era radunata sulle piattaforme e attorno a esse. «Richard!» urlò una ragazza. Richard si voltò a quel suono e vide Rachel saltar giù da una piattaforma e correre verso di lui. Gli gettò le braccia attorno alla vita. Sembrava di una spanna più alta dell'ultima volta che l'aveva vista. Mentre la abbracciava, non riuscì a non ridere dalla gioia di vederla di nuovo. Quando lui alzò lo sguardo, anche Chase era lì. Chase faceva apparire come bambini i più grossi fra il Popolo del Fango. «Chase, cosa ci fai qui?» Lui incrociò le braccia, con aria scontenta. «È troppo incredibile. Non mi crederesti se te lo raccontassi.» Richard gli scoccò un'occhiata. «Sono appena tornato dal mondo sotterraneo. Penso di batterti in fatto di esperienze incredibili.» Chase ci pensò su. «Forse. Ero accampato. Stavo cercando Rachel. Mia madre mi ha fatto visita.» «Tua madre? Tua madre è morta anni fa.» Chase fece una smorfia come per dire che lo sapeva bene. «Quel genere di cose cattura la tua attenzione.» «Be',» disse Richard cercando di capire quello che stava succedendo «è ovvio che non si trattava di tua madre. Non hai pensato di chiederle chi era in realtà?» Chase, le braccia ancora conserte, si strinse nelle spalle. «No.» Lanciò un'occhiata nell'oscurità. «È stata un'esperienza piuttosto toccante. Avresti dovuto esserci.» «Immagino che tu abbia ragione» disse Richard. «Ti ha detto perché è venuta a farti visita?» «Mi ha detto che dovevo venire qui il più in fretta possibile. Ha detto che Rachel sarebbe stata qui e che tu avevi bisogno d'aiuto.»
Richard era sbalordito. «Ti ha detto di che genere d'aiuto avevo bisogno?» Chase annuì. «Cavalli. Cavalli veloci.» «Anche mia madre è venuta da me» disse Rachel. Richard spostò lo sguardo dalla ragazza a Chase. Chase scrollò le spalle come per dire che non aveva una risposta. «Tua madre?» chiese Richard a Rachel. «Intendi Emma?» «No, non la mia nuova madre. La mia vecchia madre. La madre che mi ha messo al mondo.» Richard non sapeva proprio cosa dire. «Cosa voleva da te?» «Mi ha detto che dovevo venire qui per aiutarti. Ha detto che dovevo far sapere a queste persone che eri nel mondo degli spiriti e che dovevano tenere un raduno, in modo che tu avessi un modo per tornare indietro.» «Davvero?» fu tutto quello che Richard riuscì a dire. Rachel annuì. «Ha detto che dovevo sbrigarmi, che c'era poco tempo, perciò mi ha fatto volare qui con un garg. Si chiamava Gratch. È stato davvero bravo. Gratch mi ha detto che ti ama. Ma è dovuto andare a casa dopo che siamo arrivati.» Richard non riusciva far altro che fissarla. «Questo è accaduto alcuni giorni fa» disse Chase. «Ti stavamo aspettando. Il Popolo del Fango si è dovuto preparare per il raduno. Ti ho portato tre cavalli veloci. Ti abbiamo impacchettato del cibo. Sono pronti a partire.» «Pronti a partire?» Chase annuì. «Per quanto mi piacerebbe fare una visita e, credimi, penso che avremmo alcune cose di cui parlare, mia... madre ha detto che ti saresti dovuto recare in fretta a Tamarang.» «Tamarang» ripeté Richard. «Zedd stava andando a Tamarang.» Non era soltanto quello. Il libro che Baraccus aveva scritto per Richard e nascosto per lui tremila anni prima si trovava a Tamarang. Richard l'aveva trovato, ma poi era stato catturato da Sei. Il libro, Segreti del potere di un mago guerriero, era nascosto in una segreta a Tamarang. Gli serviva quel libro, ora più che mai. Baraccus aveva già fornito un aiuto inestimabile. Se Richard avesse aperto le scatole dell'Orden, quel libro poteva provvedere a ciò che gli occorreva. «Tamarang» disse ancora Richard pensieroso. «Lì c'era un incantesimo che mi aveva privato del mio dono.» Rachel annuì. «L'ho aggiustato.»
Richard abbassò lo sguardo per fissarla. «L'hai aggiustato?» Chase rivolse un'occhiata a Richard. «Come ho detto, ci sono cose di cui dobbiamo parlare, ma non è questo il momento. Da quel che sento, hai una gran fretta. Hai tempo solo fino alla luna nuova.» Con una sensazione di profondo terrore, Richard osservò la falce di luna. «Non riuscirò ad arrivare al Palazzo del Popolo per la luna nuova. È troppo lontano.» «Non stai andando al Palazzo del Popolo» gli ricordò Chase. «Stai andando a Tamarang.» Richard afferrò Chase per il braccio. «Portami dai cavalli. Non mi rimane molto tempo.» Chase annuì. «Così ha detto mia madre.» 55 Zedd sussultò dal dolore. Sentì qualcuno chiamare di nuovo il suo nome. La voce sembrava vagare dentro di lui da qualche mondo distante. Non voleva rispondere al richiamo, non voleva aprire gli occhi, non voleva essere del tutto cosciente e dover sentire la piena violenza della consapevolezza. «Zedd» chiamò di nuovo la voce. Una grossa mano lo scrollò, scuotendo gentilmente il suo corpo avanti e indietro. Zedd si costrinse ad aprire gli occhi appena un poco, tenendoli socchiusi per il completo terrore del riprendere conoscenza. Rikka e Tom, incurvati su di lui, lo stavano guardando con intensa preoccupazione. Zedd vide che da un lato i capelli neri di Tom erano imbrattati di sangue. «Zedd, stai bene?» Si rese conto che era la voce di Rikka. Sbatté le palpebre, cercando di capire se ogni osso del suo corpo fosse rotto o se fosse solo una sensazione. La paura che strisciava nelle ombre della sua mente gli sussurrava che poteva essere la fine di tutto. Il petto gli doleva. Era stato lì che l'incantesimo di Sei l'aveva colpito. Si sentiva uno sciocco. Avendola valutata prima, si era preparato. Era sicuro di poter annullare le capacità della donna, ed era perfino stato in grado di farlo, ma lei l'aveva colto alla sprovvista con una sorta di costrutto magico, una sorpresina che aveva disegnato nelle caverne, aspettando pazientemente il suo arrivo qualora fosse entrato nel suo dominio. Anche se non era il tipo di cose che, a quanto lui sapeva, una strega era in grado di fare, avrebbe dovuto prendere in considerazione quella possibilità. Avreb-
be dovuto essere pronto per un tranello. Sei era una strega, non un'incantatrice o un mago, e sapeva che, pur avendo considerevoli talenti per conto suo, era vulnerabile a certe cose che Zedd poteva fare. Lui gliene aveva rivelate alcune al Mastio del Mago, impedendole di uccidere lui e gli altri quando ci aveva provato. Lei aveva imparato dal quell'esperienza e aveva trovato un modo di costruire una contromisura, qualcosa che non era affatto tipico di una strega. Era piuttosto geniale, in effetti, ma in quel momento non era esattamente dell'umore di meravigliarsi per la sua impresa. «Zedd,» disse Rikka «stai bene?» «Penso di sì» riuscì a rispondere. «Tu?» Rikka grugnì con una nota di scontento. «Di certo erano preparati al nostro arrivo. Qualunque cosa lei abbia fatto, mi ha impedito di fermarla.» «Be', non rammaricartene: ha fatto lo stesso con me.» «Con te svenuto, tutti quei soldati erano più di quanti ne potessi gestire» aggiunse Tom. «Spiacente, Zedd, ma ti ho deluso quando avevi più bisogno di me. Avrei dovuto essere l'acciaio contro l'acciaio per te.» Zedd guardò l'uomo di sottecchi. «Non essere sciocco. L'acciaio ha i suoi limiti. Sono stato io che non avrei dovuto lasciare che ci prendessero in trappola in quel modo. Avrei dovuto saperlo ed essere preparato.» «Suppongo che tutti abbiamo fallito» osservò Rikka. «Peggio, abbiamo tradito Richard. Non siamo neanche riusciti a entrare nella caverna per aiutarlo. Dobbiamo entrare nella caverna per spezzare quell'incantesimo che lo sta privando del suo dono.» «Non abbiamo molte speranze di riuscirci, ora» osservò Rikka. «La vedremo» brontolò Zedd. «Almeno sembra che siamo al sicuro per il momento.» «Finché Sei non torna per finirci.» Zedd scrutò l'uomo. «Tu sì che sei ottimista.» Con l'aiuto di entrambi che lo tiravano per le braccia, Zedd si mise a sedere. «Dove siamo, comunque?» chiese mentre si guardava attorno nella fioca luce. «Qualche genere di cella» disse Tom. «Le pareti sono interamente di pietra, eccetto la porta. Il corridoio fuori è pieno di guardie.» Non era particolarmente ampia. Una lanterna bruciava su un tavolino. C'era un'unica sedia. A parte ciò, la stanza era spoglia. «Il soffitto è di travi e assi» osservò Zedd. «Mi domando se posso aprirci un varco col mio potere, abbastanza per poter sgusciar via di qui.»
Col loro aiuto, si alzò in piedi barcollando. Rikka lo resse mentre lui sollevava un braccio per utilizzare il suo dono per sondare il soffitto. «No» borbottò. «Quando ha usato quel costrutto magico, ha anche eretto qualche genere di barriera attorno a questa stanza. Mi impedisce di aprire una breccia col mio dono. Siamo bloccati dentro.» «Un'altra cosa» disse Tom. «Le guardie sono per la maggior parte soldati dell'Ordine Imperiale. Sembra che Sei combatta dalla stessa parte di Jagang.» Zedd si grattò la testa. «Stupendo, proprio quello che ci serviva.» «Almeno non ci ha uccisi» ribatté Tom. «Non ancora» corresse Rikka. Zedd socchiuse gli occhi mentre osservava il soffitto. Indicò. «Cos'è quello?» «Cosa?» disse Tom, alzando gli occhi. «Quello lì. All'angolo del soffitto, contro la parete. C'è qualcosa incuneato fra l'ultima trave e la sommità del muro.» Tom vi trascinò la sedia e la usò per raggiungere l'involto scuro nascosto all'ombra della trave. Lo strattonò finché all'improvviso non cadde sul pavimento. Alcune delle cose all'interno rotolarono fuori. «Dolci spiriti,» disse Zedd «è lo zaino di Richard.» Aveva riconosciuto alcune delle cose che erano cadute fuori. Si chinò a osservare lo zaino, ispezionando brevemente i vestiti prima di infilarceli di nuovo. Quando sollevò la camicia nera bordata d'oro e la rimise nello zaino, notò un libro sul pavimento. Lo raccolse, socchiudendo gli occhi nella fioca luce della lanterna. «Che genere di libro è questo?» chiese Rikka. Tom si sporse più vicino per vedere. «Cosa dice?» Zedd quasi non riusciva a credere a ciò che vedeva. «Il titolo dice Segreti del potere di un mago guerriero.» Rikka si lasciò sfuggire un basso fischio. «La penso allo stesso modo» borbottò Zedd esaminando la copertina e il retro. «Dove accidenti può aver trovato una cosa del genere Richard? Deve avere un valore inestimabile.» «Cosa dice sui suoi poteri?» chiese Rikka, come se avesse voglia di chiacchierare. Zedd aprì il libro e sfogliò le prime pagine. Strabuzzò gli occhi dalla sorpresa.
«Dolci spiriti...» sussurrò stupito. Nicci alzò lo sguardo quando vide un'ombra stagliarsi sulla porta. Era Cara. «Come va?» chiese la Mord-Sith con una voce calma che sembrava disperdersi nella stanza scura. Lo sguardo di Nicci vagò per fissare il nulla. Non riusciva davvero a capire l'attinenza della domanda. Immaginò che Cara stesse solo cercando di trovare qualcosa da dire, qualcosa che riflettesse la sua genuina preoccupazione. Nicci pensò che fosse tragico che una Mord-Sith arrivasse infine a possedere qualità tanto semplici e decorose quando ormai non importava più. «Non lo so più, Cara.» «Hai capito cos'è andato storto?» Nicci si alzò dalla sedia di cuoio imbottito su cui si trovava. «Cos'è andato storto? Non è evidente?» Cara si avvicinò e fece scorrere pigramente un dito dall'altro lato del tavolo di mogano. Con la scarsa illuminazione della biblioteca, il suo cuoio rosso risaltava come uno schizzo di sangue. «Ma lord Rahl troverà un modo per tornare.» A Nicci suonò come una supplica, piuttosto che un'affermazione. «Cara, se Richard fosse tornato, avrebbe dovuto farlo dieci giorni fa» disse Nicci con voce demoralizzata, incapace di pensare a una menzogna. Cara meritava di meglio che le si nascondesse la verità con l'inganno di una falsa speranza. «Be', forse sta impiegando di più di quanto avevate calcolato.» Nicci desiderò che fosse così semplice. Scosse il capo. «Sarebbe dovuto tornare la mattina successiva. Dato che non è più tornato, significa che non è sopravvissuto a ciò che...» «Ma deve tornare!» urlò Cara mentre si sporgeva sul tavolo, non disposta a permettere a Nicci di completare quel pensiero. Nicci osservò l'ansia sul volto della Mord-Sith per un momento. Cosa c'era da dire? Come poteva spiegare una cosa del genere a una persona che non poteva capire ciò che era in ballo? «Credimi, Cara» disse infine Nicci. «Voglio che lui torni quanto te, ma se fosse stato in grado di sopravvivere all'incantesimo e al viaggio nel mondo sotterraneo, sarebbe tornato molto tempo fa. Non potrebbe rimanere lì tanto a lungo.» «Perché no?» «È un po' come tuffarsi sul fondo di un lago. Puoi trattenere il respiro
per un po', ma devi tornare a prendere aria entro un certo tempo. Se ti rimane impigliato un piede in un tronco sul fondo dell'acqua, affogherai. Non potrebbe sopravvivere lì tanto a lungo. Dato che non è tornato quando avrebbe dovuto...» «Be', forse è uscito da qualche altra parte. Forse è riemerso in un altro posto.» Nicci scosse il capo. «Immagina che il lago sia coperto di ghiaccio. Il buco attraverso cui è passato, ossia l'incantesimo nella sabbia magica, è l'unico modo per uscire. Le scatole dell'Orden sono un cancello. Questa parte dell'incantesimo utilizzava elementi dell'Orden, di quel cancello. Il mondo sotterraneo non è che un vuoto.» Sapeva che si stava ingarbugliando cercando di rendere il suo pensiero comprensibile a Cara. Nicci stessa non riusciva ad afferrare appieno la natura del mondo sotterraneo. «Diciamo solo che se avesse cercato di riemergere da qualche altra parte sotto il ghiaccio del lago gelato, non sarebbe riuscito a romperlo. Deve tornare indietro attraverso il buco che ha tagliato, che ha creato verso il mondo sotterraneo, attraverso il cancello. Mi sono spiegata?» «Diciamo di sì, ma avrebbe dovuto funzionare.» Fece un gesto verso i libri aperti su tutto il tavolo. «Voi due avevate capito tutto. Darken Rahl ce l'ha fatta. Non c'è ragione per cui non dovesse funzionare allo stesso modo. Non c'è motivo per cui anche Richard non ci riuscisse.» Nicci distolse lo sguardo dai penetranti occhi azzurri di Cara. «Sì, c'è.» Cara si raddrizzò. «Cosa intendi? Quale motivo?» «La bestia.» Cara la fissò per un lungo istante. «La bestia. Tu pensi che la bestia possa averlo trovato lì, nel mondo sotterraneo?» Nicci scosse il capo. «No. La bestia l'ha trovato qui, in questo mondo, mentre tracciava l'incantesimo. Quando Richard alla fine è passato attraverso il cancello che aveva creato, era in attesa e pronta. La bestia l'ha seguito nel mondo sotterraneo.» L'espressione di Cara era un misto fra il terrificato e l'adirato. «Ma lui l'avrebbe combattuta.» Nicci la guardò accigliata. «Come?» «Non lo so. Non me ne intendo di queste cose.» «Neanche Richard. Nel mondo sotterraneo sarebbe diverso da qui. In passato ha usato la sua spada o gli schermi per bloccarlo. Quando la bestia è apparsa l'ultima volta, è stato in grado di fermarla scagliandole una di
quelle frecce speciali. Come poteva combatterla nel mondo sotterraneo? Ci è dovuto andare nudo. Non aveva armi, non aveva modo di combatterla.» L'espressione di Cara ora propendeva per l'adirato. «Allora perché gli hai consentito di andare?» «Era già nel mondo sotterraneo quando ho visto la bestia. Gli è andata dietro. Non potevo fermare la bestia né avvertire Richard.» «Ci doveva essere un modo in cui tu potessi fermarla.» Nicci si alzò. «Andare nel mondo sotterraneo era qualcosa che lui doveva fare se voleva avere una possibilità di usare il potere dell'Orden. Non andandoci, non può neutralizzare la Catena di fuoco e se non può neutralizzare la Catena di fuoco siamo tutti perduti. Inoltre, non avrei potuto fermarlo anche se avessi voluto.» Cara passeggiò su e giù davanti al tavolo. «Ma fra pochi giorni sarà luna nuova. Non ci rimane molto tempo. Ci dev'essere qualcosa che puoi tentare. Ci dev'essere una possibilità che sia ancora intrappolato lì, trattenendo il fiato. Lord Rahl non ci ha mai abbandonato. Lord Rahl combatterebbe fino all'ultimo respiro per noi.» Nicci annuì mentre girava attorno al tavolo. «Hai ragione. Tornerò al Giardino della Vita e lancerò alcuni incantesimi di richiamo.» Sapeva che era un'idea sciocca. Sapeva che sarebbe stato non solo impossibile, ma una perdita di tempo. Tuttavia, sentiva di dover fare qualcosa o sarebbe impazzita, e almeno avrebbe fatto sentire meglio Cara finché non fosse giunta la fine. Inoltre, cos'altro c'era da fare a quel punto? «Buona idea» disse Cara. «Fai alcuni dei tuoi incantesimi di richiamo finché non riporti qui lord Rahl.» Fuori nel corridoio, Nicci vide che questo era bloccato in entrambe le direzioni da uomini della Prima Fila. Ognuno aveva una balestra caricata con un proiettile con penne rosse. Sembrava che gli uomini stessero isolando di proposito la zona della biblioteca. Nicci vide la cima della chioma bianca di Nathan che si faceva strada attraverso la fitta muraglia di uomini. Il profeta comparve infine tra i soldati. Notando Nicci, si diresse immediatamente verso di lei. Il suo volto sembrava più che torvo. Solo vedere la sua espressione fece seccare la gola di Nicci. «Nathan, cosa c'è?» chiese mentre si fermava bruscamente di fronte a lei. I suoi occhi azzurri sembravano stanchi. «Mi spiace, Nicci, ma è l'unico modo.»
Nicci sbatté le palpebre dalla confusione. Lanciò una breve occhiata ai soldati che stavano spalla a spalla lungo il corridoio. Anche loro sembravano depressi dall'essere lì. «Qual è l'unico modo?» chiese lei. Lui distolse lo sguardo dai suoi occhi per strofinarsi una mano stanca contro la faccia. «Richard e io abbiamo avuto un serio colloquio prima che partisse per questo viaggio pericoloso. Mi ha detto che, se non fosse tornato, avrei dovuto fare ciò che era necessario per salvare la gente dagli orrori che Jagang avrebbe scatenato su di loro. Senza Richard, la profezia dice che perderemo questo scontro finale.» «Questo l'abbiamo sempre saputo.» «Conosco una o due nozioni sul mondo sotterraneo, Nicci. Ho familiarità con le forme-incantesimo che Richard ha usato. Sono stato nel Giardino della Vita. Ho studiato ciò che ha fatto. Ha eseguito tutto correttamente. Avrebbe dovuto funzionare.» «La bestia l'ha inseguito nel mondo sotterraneo» disse Cara. Nathan sospirò forte, ma non parve affatto sorpreso. «Immaginavo che si trattasse di qualcosa del genere. Il fatto è che ho studiato i metodi usati da Richard.» Cara appariva speranzosa che il profeta potesse offrire una risposta che Nicci non sapeva fornire. «Bene. Hai trovato un modo per farlo tornare dal mondo sotterraneo? Nicci sta per lanciare tele di richiamo. Forse puoi aiutarla. Voi due assieme...» La sua voce si smorzò. Nathan non sembrava dell'umore di prendere in considerazione tali sciocchezze. «Niente del genere, Cara. Non possiamo riportarlo qui dal mondo sotterraneo dopo così tanto tempo. Richard è perduto.» Cara ricacciò indietro le lacrime, incapace di tollerare una tale affermazione. «L'imperatore entrerà qui dentro» disse Nathan. «È solo una questione di tempo. Il Grande Vuoto sarà su di noi a breve. Tutto ciò che possiamo sperare è risparmiare più gente possibile nel palazzo.» Nicci sollevò il mento. «Capisco.» «L'unico modo per farlo è consegnare il palazzo all'arrivo della luna nuova, e farlo nel modo in cui Jagang ha richiesto.» Nicci deglutì. «Non posso dire di conoscere nessun altro modo, Nathan.» «Mi spiace, Nicci.» La sua voce rivelava quanto erano sincere le sue pa-
role. «Ma ho molte cose da preparare, perciò dovrò metterti sotto custodia e farti rinchiudere al sicuro finché Jagang non verrà a prenderti alla luna nuova.» Nicci sentì una lacrima scorrerle lungo la guancia, non per sé stessa, ma per la perdita di Richard, per tutte le persone che dipendevano da lui perché rovesciasse le sortì, perché combattesse nello scontro finale, perché facesse quello che solo lui poteva fare. «Non hai bisogno di tutte le guardie con quelle frecce.» Cercò di impedire alla sua voce di spezzarsi. «Andrò pacificamente.» Nathan annuì. «Grazie per non averlo reso più difficile di quanto non sia già.» 56 Kahlan si svegliò in uno sprazzo di gelido spavento. Era distesa sul fianco destro, la testa del tutto voltata a destra, la mascella appoggiata contro una bisaccia che le faceva da cuscino. Sbirciò cauta fra le palpebre appena socchiuse. Il cielo nuvoloso di stava appena tingendo di un accenno dell'alba che si avvicinava. Anche se non aveva capito perché si fosse svegliata così di soprassalto, presto si rese conto del motivo. Con la coda dell'occhio poteva vedere che Samuel era proprio sopra di lei... torreggiava sopra di lei. Era immobile e silenzioso, a pochi pollici di distanza, come un leone di montagna appostato sopra la preda. Era completamente nudo. Kahlan era così sbigottita che per un istante rimase paralizzata dalla confusione, domandandosi se fosse davvero sveglia o stesse avendo qualche sorta di incubo bizzarro. Il suo disorientamento sfumò in impellente preoccupazione mentre il suo istinto prendeva il sopravvento. Senza lasciar intendere che era sveglia, spostò lentamente la mano all'ingiù verso la sua cintura per prendere il suo coltello. Dal momento che era voltata verso destra, il fodero del coltello era un po' sotto di lei. Dovette contorcere le dita sotto di sé per arrivare all'impugnatura, cercando di non tradire il fatto che era sveglia. Sperava nel fatto che la coperta l'aiutasse a nascondere il movimento della mano. Il coltello non era lì. Abbassò un poco lo sguardo, sperando che in qualche modo si fosse sfilato e si trovasse lì per terra. Non c'era. Mentre stava tastando sotto la co-
perta, cercando di trovare il suo coltello, vide non molto distante il mucchio dei vestiti di Samuel. Poi il coltello. Era stato gettato oltre i suoi abiti, ben fuori dalla sua portata. Era disgustata dall'immagine mentale di lui che si spogliava di soppiatto fissandola mentre dormiva. Era atterrita dal pensiero che le fosse stato così vicino, osservandola, prendendo il suo coltello, preparandosi per le cose oscene che voleva fare con lei, e che lei non ne fosse stata conscia. Oltre a essere atterrita, era arrabbiata con sé stessa per averlo fatto arrivare tanto oltre. Anche se Samuel era sempre sembrato timido e schivo, e talvolta desideroso di accattivarsi il suo favore, questo non la sorprendeva del tutto. Si ricordava fin troppo bene le volte che lo aveva scoperto a fissarla. Le era sempre sembrato che quegli sguardi contenessero un furtivo desiderio che altrimenti non aveva tradito. Controllò la sua indignazione, concentrandosi invece sulla sopravvivenza. Con fare esitante e indeciso Samuel si stava muovendo in modo fin troppo lento, spostandosi piano in posizione, strisciando più vicino invece di avventarsi di colpo. A quanto pareva, voleva sovrastarla completamente, poi, quando avesse reputato di essere tanto vicino da impedirle di fuggire, l'avrebbe tenuta a forza sotto controllo per poi mettere in atto gli oscuri pensieri che aveva sempre tenuto nascosti dietro i suoi occhi giallo-dorati. Samuel non era grosso, ma era muscoloso. Di certo era più forte di lei. Non aveva modo di fuggire senza combattere, ed era in una posizione scomoda per lottare con lui. Da quella distanza non avrebbe potuto nemmeno dargli un pugno ben assestato. Così vicino, senza un coltello, senza nessuno che la aiutasse, aveva poche speranze di respingerlo. Anche se era notevolmente più forte e pensava che lei stesse dormendo, lui era stato cauto. Il suo errore era stato nel non agire rapidamente per immobilizzarla. Non era stata una questione di mancanza di abilità o vantaggio, ma di poco coraggio. Il suo unico punto di forza in quel momento era che lui non aveva agito rapidamente e non sapeva che fosse sveglia. Non voleva sciupare quel punto a suo favore. Quando avesse agito, quella sorpresa avrebbe aiutato a pareggiare la bilancia, dandole un'opportunità che non avrebbe avuto una seconda volta. La sua mente esplorò una lista di opzioni. Avrebbe avuto solo una possibilità di colpire per prima. Doveva sfruttarla. Il suo primo pensiero era di portare il ginocchio dove gli avrebbe fatto
più male, ma dal modo in cui era distesa, voltata verso destra, le gambe intrappolate sotto una coperta, e considerando che lui era posizionato su di lei inchiodando a terra la coperta, reputò che fosse una misera scelta come prima mossa. La sua mano sinistra era libera, però, appena fuori dalla coperta. Quella sembrava l'opzione migliore. Senza ulteriori indugi, prima che fosse troppo tardi, colpì forte e veloce, rapida come una vipera, cercando di cavargli un occhio col pollice. Premette con tutte le sue forze nel soffice tessuto del suo occhio. Lui urlò dallo spavento, ritraendo immediatamente la sua faccia. Riacquistando rapidamente la lucidità, Samuel usò il suo braccio per allontanare quello di lei mentre cercava di artigliargli la faccia. Allo stesso tempo ricadde con tutto il suo peso, facendole di botto uscire l'aria dai polmoni. Prima che lei potesse trarre un respiro, lui le piantò l'altro avambraccio contro la gola, bloccandole la testa a terra e impedendole di prendere fiato. Kahlan scalciò e si dibatté con tutte le sue forze, cercando di sfuggirgli. Era come tentare di scrollarsi di dosso un orso. Non poteva eguagliarlo per forza e peso, specialmente non nella posizione vulnerabile in cui si trovava. Non aveva alcun punto d'appoggio per spingerlo via e nessun modo per colpirlo con efficacia. Kahlan agitò la testa ancora più a destra per sottrarre la trachea al peso diretto dell'avambraccio che lui le teneva contro la gola. Con uno sforzo dei muscoli del collo, riuscì a sollevare l'intero carico abbastanza a lungo da prendere fiato. Mentre inalava quel necessario respiro, la sua vista si mise a fuoco sui vestiti che giacevano non molto distante. Notò l'elsa della spada che spuntava da sotto i suoi pantaloni. Poteva vedere la luce del primo mattino scintillare sulla dorata parola VERITÀ sulla trama d'argento dell'elsa. Kahlan cercò disperatamente di afferrare l'elsa della spada. Era appena fuori dalla portata delle sue dita. Sapeva che, dato che si trovava a terra e non poteva muovere bene il braccio, anche se fosse riuscita a prenderla, non avrebbe avuto alcuna possibilità di sguainare la lama per poter trafiggere Samuel o, men che meno, tirargli un fendente. Il suo scopo era semplicemente di stringere la mano attorno all'elsa e poi colpire con la punta del pomello la sua faccia o il cranio. Una spada era abbastanza pesante da provocare danni consistenti in quella maniera. Un bel colpo al punto giusto, come la tempia, avrebbe potuto perfino uccidere il suo assalitore.
Ma l'elsa della spada era appena fuori portata. Mentre lei si stava allungando disperatamente, cercando di raggiungere la spada, Samuel aveva difficoltà a fare ciò che voleva. La coperta stava interferendo con la sua brama di possederla. Accovacciarsi sopra di lei per tenerla giù si stava rivelando una fastidiosa complicazione. Sembrava che non avesse preso in considerazione gli aspetti pratici del procedimento. La bloccava a terra in modo piuttosto efficace, ma la coperta era uno degli strumenti con cui stava tenendo sotto controllo le braccia e le gambe. Allo stesso tempo gli stava impedendo di raggiungere il suo scopo ultimo. Lei sapeva che sarebbe bastato solo un momento perché lui si rendesse conto di poterla semplicemente colpirla per farle perdere i sensi. Come se le stesse leggendo la mente, lei vide il suo braccio destro piegarsi all'indietro. Poteva vedere il grosso pugno serrarsi. Mentre lo scagliava verso la sua faccia, lei usò tutte le sue forze per contorcere il suo corpo e spostarsi fuori tiro. La mano di Samuel percosse la terra proprio accanto la sua testa. Le dita di Kahlan trovarono la parola VERITÀ sbalzata in oro sull'elsa della spada. Il mondo sembrò fermarsi di colpo. In un istante, venne inondata dalla comprensione. Cose dentro di lei che erano state completamente perdute all'improvviso erano di nuovo lì. Non si ricordava chi era, ma si ricordò all'istante di cos'era. Una Depositaria. Era lungi da una completa riunificazione col suo passato, ma in quel filo di connessione seppe cosa significava essere una Depositaria. Era stato un completo mistero per così tanto tempo, ma ora non si ricordava solo cosa voleva dire: sentì il I suo retaggio dentro di sé, ne percepì il legame. Ancora non sapeva chi era lei, chi era Kahlan Amnell, e non si ricordava nulla del suo passato, ma si ricordava cosa significava essere una Depositaria. Samuel tirò indietro il braccio per scagliarle un altro pugno. Kahlan gli premette forte la mano contro il petto. Non sembrava più che sopra di lei ci fosse un uomo possente, che la schiacciava con il suo peso. Lei non provava più panico o furia. Non lottava più. Si sentiva leggera come un respiro e senza nessuna forza che la opprimesse. Non c'era più alcuna corsa frenetica, alcun senso di disperazione. Il tempo era suo.
Non le occorreva riflettere, valutare, decidere. Sapeva con assoluta certezza cosa fare. Non aveva neanche bisogno di pensarci. Per Kahlan non era necessario invocare il suo diritto di nascita, ma soltanto abbassare i suoi freni. Poteva vedere l'espressione furiosa e concentrata di Samuel, immobilizzato sopra di lei. Il suo pugno rimase sospeso a mezz'aria in un istante di tempo dilatato all'infinito, finché tutto non fosse terminato. Lei non aveva di bisogno di sperare, aspettare o agire. Sapeva che il tempo era suo. Sapeva quello che sarebbe accaduto, quasi come se fosse già successo. Samuel era giunto nel accampamento dell'Ordine Imperiale non per liberarla ma, per ragioni che avrebbe saputo quando questo fosse finito, per catturarla. Lui non era il suo salvatore. Era il nemico. La violenza interiore della fredda forza contratta del suo potere che superava i suoi freni era mozzafiato. Si sollevava dal punto più oscuro e profondo dentro di lei, inondando in modo obbediente ogni fibra del suo essere. Il tempo era suo. Avrebbe potuto contare ogni pelo di barba sulla sua faccia immobile, se solo avesse voluto, e lui non si sarebbe mosso neanche di un pollice nel suo impeto precipitoso per colpirla. La paura era svanita; la calma dello scopo e del controllo l'avevano rimpiazzata. Non c'era odio; la fredda valutazione della giustizia aveva preso il sopravvento. In uno stato di profonda pace nata dal controllo della sua capacità e, tramite questa, del suo destino, non provava alcun odio, rabbia, orrore... né alcuna tristezza. Vide la verità di quello che era. Quell'uomo si era condannato. Aveva fatto la sua scelta; ora avrebbe dovuto affrontarne le immutabili conseguenze. In quell'infinitesimale attimo di esistenza, la sua mente era un vuoto dove l'inesorabile flusso del tempo sembrava sospeso. Lui non aveva possibilità. Era suo. Anche se lei aveva tutto il tempo che voleva, non esisteva alcun dubbio. Kahlan liberò il suo potere. Dal suo essere più nascosto, quel potere divenne tutto. Un tuono senza rumore scosse l'aria, intenso, violento e, per quel puro istante, sovrano.
La memoria di quell'attimo di efficacia era un'isola di equilibrio nello scuro fiume del suo io ignoto. La faccia di Samuel era congelata in un contorto odio per ciò che aveva sperato di possedere. Kahlan fissò i suoi occhi giallo-dorati, sapendo che lui vedeva solo i suoi occhi impietosi. In un istante, la sua mente, chi era, chi era stato, tutto era già svanito. Gli alberi tutt'intorno nella rigida aria del primo mattino vennero scrollati dal violento impatto della scossa. Piccoli ramoscelli e corteccia secca caddero dai rami e dal tronco. La profonda scossa nell'aria sollevò attorno un anello di polvere e terra che si sviluppò in un cerchio in continua espansione. Gli strani occhi di Samuel si spalancarono. «Padrona,» sussurrò «dammi un ordine.» «Togliti di dosso.» Lui rotolò immediatamente via e finì sulle ginocchia, le mani giunte in gesto supplice mentre teneva lo sguardo fisso su di lei. Mentre Kahlan si rizzava a sedere, si accorse di avere ancora la spada stretta nella mano destra. La lasciò andare. Non aveva bisogno di nessuna spada per trattare con Samuel. Profondamente angosciato mentre aspettava, Samuel pareva sull'orlo delle lacrime. «Ti prego... come posso servirti?» Kahlan si tolse di dosso la coperta. «Chi sono io?» «Kahlan Amnell, la Madre Depositaria» rispose immediatamente. Questo Kahlan già lo sapeva. Pensò un momento. «Dove hai preso quella spada?» «L'ho rubata.» «A chi appartiene di diritto?» «Prima o adesso?» Fu un po' confusa dalla risposta. «Prima.» Samuel si turbò a quella domanda. Cominciò a piangere con sincerità mentre si torceva le mani. «Non conosco il suo nome, padrona. Lo giuro, non conosco il suo nome. Non l'ho mai saputo.» Si mise a singhiozzare. «Mi spiace davvero, padrona, non lo so, è così, giuro che non lo so...» «Come sei riuscito a sottrargliela?» «Mi sono avvicinato di soppiatto e gli ho tagliato la gola mentre era addormentato, ma giuro che non conosco il suo nome.»
Coloro che venivano toccati da una Depositaria confessavano senza la minima esitazione tutto ciò che avevano fatto... tutto quanto. La loro unica preoccupazione era il costante, angoscioso terrore di non compiacere la donna che li aveva toccati col suo potere. L'unico scopo rimasto nelle loro menti era fare il suo volere. «Hai assassinato altre persone?» Samuel alzò di colpo lo sguardo, pieno di gioia improvvisa per una domanda a cui poteva rispondere in modo esauriente. Il suo volto mostrava un raggiante sorriso. «Oh, sì, padrona. Molti. Per favore, posso uccidere qualcuno per te? Chiunque. Dimmi solo il nome. Dimmi chi devo uccidere. Lo farò il più rapidamente possibile. Per favore, padrona, dimmi chi e farò il tuo volere e me ne libererò per te.» «A chi appartiene la spada ora?» Lui fece una pausa a quel cambio di argomento. «Appartiene a Richard Rahl.» Kahlan non ne fu sorpresa. «Come mai Richard Rahl mi conosce?» «È tuo marito.» Kahlan si immobilizzò per lo shock di ciò che aveva appena udito. Sbatté le palpebre, i suoi pensieri sparpagliati all'improvviso. «Cosa?» «Richard Rahl è tuo marito.» Rimase a fissarlo per un lungo momento, incapace di riconciliare tutto quanto nella sua mente. In un certo senso, era una sorpresa sbalorditiva. Allo stesso tempo, aveva senso in un modo che non riusciva a capire bene. Kahlan rimase senza parole. Scoprire che era sposata con Richard Rahl era una rivelazione terrificante. In ogni caso, fece gonfiare il suo cuore di una gioia profonda. Pensò ai suoi occhi grigi, al modo in cui la guardava, e quell'aspetto spaventoso della faccenda parve evaporare. Era come se tutti i sogni in cui non aveva osato sperare si fossero appena avverati. Percepì una lacrima scivolarle lungo la guancia. L'asciugò con le dita, ma fu presto seguita da un'altra. Quasi si lasciò sfuggire una risata di giubilo. «Mio marito?» Samuel annuì con forza. «Sì, padrona. Tu sei la Madre Depositaria. Lui è il lord Rahl. È sposato con te. È tuo marito.»
Sentendo che stava tremando, Kahlan cercò di pensare, ma la sua mente non riusciva a rispondere, come se troppi pensieri tutti assieme si ammassassero semplicemente in un'ingarbugliata confusione. All'improvviso si ricordò di Richard disteso per terra nell'accampamento dell'Ordine, che le gridava di fuggire. Nella migliore delle ipotesi, ora Richard era prigioniero dell'Ordine, ma più probabilmente era morto. Aveva appena appreso del suo legame con lui, e già lo aveva perduto. Sentì una lacrima rotolarle giù per la guancia, ma stavolta non c'era gioia dietro di essa, solo orrore. Infine si ricompose e concentrò la sua attenzione sull'uomo in ginocchio davanti a lei. «Dove mi stavi portando?» «A Tamarang. Dalla mia... dall'altra mia padrona.» «Un'altra padrona?» Lui si affrettò ad annuire. «Sei.» Si ricordò che Jagang aveva parlato di lei. Kahlan si accigliò. «La strega?» Samuel parve terrorizzato di rispondere, ma lo fece. «Sì, padrona. Mi è stato detto di portarti da lei e di consegnarti.» Lei fece un gesto verso il punto dove aveva dormito. «Te l'ha detto lei di fare questo?» Ancora più riluttante, Samuel si leccò le labbra. Confessare un assassinio era una cosa, ma questo era del tutto diverso. «Le ho chiesto se potevo averti» piagnucolò. «Ha detto che potevo prenderti, se volevo, come ricompensa per i miei servigi, ma che ti dovevo portare da lei viva.» «E cosa voleva da me?» «Credo che volesse usarti come merce di scambio.» «Con chi?» «L'imperatore Jagang.» «Ma io ero già con Jagang.» «Jagang ti vuole molto fortemente. Lei sa quanto sei preziosa per lui. Vuole prenderti un suo possesso per poi riconsegnarti a Jagang in cambio di favori per sé stessa.» «Quanto siamo lontani da Tamarang, dalla strega?» «Non molto.» Samuel indicò verso sudovest. «Se non ritardiamo, possiamo arrivarci per domani sera, padrona.» Kahlan si sentì all'improvviso molto vulnerabile per essere vicina a una
donna tanto potente. Sapeva senz'ombra di dubbio di dover uscire da quella zona o Sei avrebbe potuto individuarla anche senza che Samuel la trascinasse fino ai suoi piedi. «E dato che dovevi consegnarmi domani, sapevi che il tuo tempo con me stava per terminare. Avevi intenzione di violentarmi.» Non era una domanda, ma un'affermazione. Samuel si torse le mani, le lacrime che scorrevano giù per la faccia arrossata. «Sì, padrona.» In quel terribile silenzio, lui si fece ancora più sconvolto mentre lei lo guardava dall'alto in basso. Kahlan sapeva che una persona toccata non era più quella di prima, né aveva più la mente di un tempo. Una volta presa, era completamente devota alla Depositaria. Le venne in mente che era qualcosa di molto simile a quello che era stato fatto a lei. Si domandò se i suoi ricordi per lei fossero perduti per sempre come lo era il passato di Samuel per lui. Era un pensiero terrificante. «Per favore, padrona... puoi perdonarmi?» Nel silenzio che si protraeva, lui non riusciva a sopportare il suo colpevole intento. Scoppiò in un pianto isterico, incapace di tollerare la condanna nei suoi occhi. «Per favore, padrona, trova pietà per me nel tuo cuore.» «La pietà è un piano di riserva architettato dai colpevoli nell'eventualità di essere catturati. La giustizia è il campo dei giusti. Questo riguarda la giustizia.» «Allora per favore, padrona, per favore... puoi perdonarmi?» Kahlan lo fissò negli occhi per essere sicura che lui non confondesse le parole o l'intenzione di lei. «No. Questa sarebbe una corruzione del concetto di giustizia. Non ti perdonerò, né ora, né mai, non per odio, ma perché sei colpevole di altri crimini oltre a quelli contro di me.» «Lo so, ma potresti perdonarmi per i miei crimini contro di te. Per favore, padrona, solo quelli. Puoi perdonarmi soltanto per quello che ti ho fatto e per ciò che intendevo farti?» «No.» La realtà di quella dichiarazione tanto definitiva si insinuò nei suoi occhi. Rantolò dall'orrore rendendosi conto che le sue azioni, le scelte che aveva compiuto, erano irreparabili. Non provò nulla per gli altri suoi crimini, ma avvertì tutto il peso della responsabilità per quelli contro di lei. Vide sé stesso, probabilmente per la prima volta nella sua vita, per quello che era davvero, nel modo in cui lei lo vedeva.
Samuel rantolò di nuovo mentre si afferrava il petto, poi crollò su un fianco, morto. Senza indugio, Kahlan cominciò a radunare le sue cose. Con la strega così vicina, doveva allontanarsi più in fretta possibile. Non sapeva dove sarebbe andata, ma sapeva dove non poteva andare. D'improvviso si rese conto che avrebbe dovuto pensarci di più e porre a Samuel molte altre domande. Aveva lasciato scivolare quelle molte risposte fra le sue dita. La notizia su Richard, sul fatto che era suo marito, aveva scombussolato tanto i suoi pensieri che semplicemente non aveva contemplato di chiedere nient'altro a Samuel. All'improvviso si sentì una colossale sciocca per aver perso un'opportunità tanto preziosa. Era andata così. Doveva concentrarsi su quello che doveva fare ora. Si precipitò nella fioca luce dell'alba per andare a sellare il cavallo. Lo trovò a terra, morto. Aveva la gola tagliata. Samuel, temendo probabilmente che lei potesse usare il cavallo per sfuggirgli prima che avesse fatto i suoi comodi, aveva tagliato la gola del povero animale. Senza indugiare, avvolse tutto quello che poteva portare nella sua coperta e la infilò nelle bisacce. Se le gettò sopra una spalla e raccolse la Spada della Verità nel suo fodero. Spada in mano, Kahlan si avviò, in direzione opposta rispetto a Tamarang. 57 In schiacciante solitudine, Kahlan arrancava verso nordest. Cominciò a domandarsi perché le importasse. Qual era lo scopo di combattere per la propria vita se non poteva esserci un futuro? Quale vita poteva esserci senza la sua mente in un mondo dominato dalle fanatiche credenze dell'Ordine Imperiale, da persone che definivano la loro esistenza attraverso un filtro d'odio per coloro che volevano esistere e realizzarsi per conto proprio? Loro non volevano realizzare nulla: intendevano semplicemente assassinare chi lo voleva fare, come se distruggendo risultati proficui potessero annullare la realtà e vivere un'esistenza fatta di sogni. Tutti coloro che definivano la propria esistenza tramite quell'odio bruciante nei confronti di altri reprimevano tutta la gioia della vita e, nel far ciò, la soffocavano. Sarebbe stato semplice arrendersi. Non importava a nessuno. Nessuno l'avrebbe saputo. Ma a lei sarebbe importato. Lei l'avrebbe saputo. La realtà era quella che
era. Era l'unica vita che avrebbe avuto. Alla fine, quella vita preziosa era tutto ciò che possedeva, tutto ciò che ognuno possedeva. Samuel aveva avuto l'opportunità di decidere come vivere la sua esistenza e aveva fatto le sue scelte. Non era meno vero per lei. Doveva trarre il massimo da quello che aveva nella vita, anche se le sue scelte erano limitate e anche se quella stessa vita fosse durata poco. Aveva camminato per meno di un'ora quando cominciò a udire il rombo distante di zoccoli al galoppo. Si fermò e vide dei cavalli comparire dietro una fila di alberi di fronte. Stavano venendo dritto verso di lei. Lanciò un'occhiata al terreno piatto che stava attraversando. Nella fievole luce di un cielo plumbeo, poteva vedere che gli alberi, che ricoprivano i piedi delle colline da ogni lato, erano fin troppo lontani perché vi potesse trovare riparo in tempo. L'erba, da molto tempo bruna per l'avanzata dell'inverno, era stata spianata dal vento e dalle intemperie. Non le forniva alcun posto per nascondersi. Inoltre, sembrava che fosse stata individuata. Anche se così non fosse stato, alla velocità con cui i cavalli si stavano avvicinando, l'avrebbero raggiunta presto e lei non avrebbe avuto speranza di correre oltre la loro visuale e non essere individuata. Gettò la bisaccia a terra. La brezza gentile le sollevò i capelli dalle spalle mentre afferrava il fodero della spada nella mano sinistra. La sua unica scelta era rimanere e combattere. Si rese conto, allora, che era invisibile quasi a tutti. Quasi si mise a ridere per il sollievo. Quello era uno di quei rari momenti in cui era grata per essere invisibile. Rimase dov'era, in silenzio, sperando che i cavalieri non la vedessero, le passassero accanto e se ne andassero. Ma nel profondo della mente si ricordò che Samuel le aveva detto che Jagang avrebbe mandato soldati sulle loro tracce. Jagang aveva uomini che potevano vederla. Se a cavalcare verso di lei era uno di quelli, allora avrebbe dovuto combattere. Non sguainò la spada nel caso in cui i cavalieri, nell'eventualità che potessero vederla, non fossero ostili. Non voleva iniziare una battaglia a meno che non avesse davvero scelta. Sapeva di poter estrarre la lama in un istante, se fosse stato necessario. Aveva anche due coltelli, ma era certa di essere in grado di maneggiare una spada. Non sapeva dove l'aveva appreso, ma sapeva di essere abile con una spada. Si ricordò di aver visto Richard combattere con una lama. Si rammentò che in quel momento aveva pensato che le ricordava un po' il modo in cui
lei stessa combatteva. Si domandò se fosse stato Richard, suo marito, ad averle insegnato a usarla in quella maniera. Si accorse che, pur essendoci tre cavalli, solo uno aveva un cavaliere. Questa era una buona notizia. Equilibrava le probabilità. Mentre i cavalli al galoppo avanzavano veloci verso di lei, fu sbalordita nel riconoscere il cavaliere. «Richard!» Balzò giù da cavallo prima che si fermasse. Quello sbuffò, gettando indietro la testa. Tutti e tre i cavalli erano schiumanti e accaldati. «Stai bene?» le chiese precipitandosi verso di lei. «Sì.» «Hai usato il tuo potere.» Lei annuì, incapace di distogliere lo sguardo dai suoi occhi grigi. «Come lo sai?» «Penso di averlo percepito.» Pareva in preda alla gioia e all'eccitazione. «Non puoi immaginare quanto sono contento di vederti.» Mentre lei lo fissava, desiderò poter ricordare il loro passato, rammentare tutto ciò che significavano l'uno per l'altro. «Temevo che fossi morto. Non avrei voluto lasciarti là. Ho avuto tanta paura che fossi morto.» Lui rimase a fissarla, come incapace di parlare. Sembrava che si sentisse come lei, come se avesse migliaia di cose represse, ognuna desiderosa di venir fuori per prima. Kahlan si ricordò del modo in cui lui aveva combattuto quando aveva scatenato quella guerra, proprio come aveva detto Nicci. Si ricordò del modo così fluido in cui si era mosso fra gli altri giocatori di Ja'La e poi fra ingombranti bruti che vibravano spade e asce, tentando disperatamente di ucciderlo. Si ricordò del modo in cui la lama era sembrata parte di lui, quasi un'estensione del suo corpo e della sua mente. Era rimasta ammaliata quel giorno, guardandolo farsi strada combattendo verso di lei. Era stato come osservare una danza con la morte, e la morte non era stata in grado di toccarlo. Gli tese la spada. «A ogni arma occorre un padrone.» Il caldo sorriso di Richard proruppe come la luce del sole in una giornata fredda e nuvolosa. Le riscaldò il cuore. Lui la fissò per un momento, ancora incapace di distogliere lo sguardo, poi con gentilezza prese l'arma dalle sue mani.
Chinò la testa sotto la cinghia, sistemandosela sopra la spalla destra, in modo che la spada poggiasse contro il suo fianco sinistro. La spada pareva del tutto naturale per lui, a differenza del modo in cui era parsa al fianco di Samuel. «Samuel è morto.» «Quando ho capito che hai usato il tuo potere, l'ho immaginato.» Appoggiò il palmo sinistro sull'elsa della spada. «Grazie al cielo non ti ha fatto del male.» «Ci ha provato. Ecco perché è morto.» Richard annuì. «Kahlan, non posso spiegarti tutto ora, ma stanno accadendo molte cose che...» «Ti sei perso tutto il divertimento.» «Divertimento?» «Sì. Samuel ha confessato. Mi ha detto che siamo sposati.» Richard divenne rigido come la pietra. Un'espressione simile a terrore gli percorse il volto. Lei pensava che forse l'avrebbe presa fra le sue braccia e le avrebbe detto quanto era felice di riaverla con sé, ma lui rimase lì e basta, con un'aria come se temesse di respirare. «Ci amiamo, allora?» chiese, cercando di imbeccarlo. Il volto di lui perse un po' del suo colore. «Kahlan, ora non è il momento di parlare di questo. Siamo in mezzo a più guai di quanti tu non immagini. Non ho tempo di spiegare, ma...» «Perciò stai dicendo che non ci amavamo?» Lei non si era aspettato questo. Non l'aveva neanche preso in considerazione. All'improvviso aveva difficoltà a parlare. Non riusciva a capire perché lui se ne stesse lì, perché non dicesse nulla. Immaginò che non avesse nulla da dire. «Allora era solo qualcosa di combinato?» Ricacciò indietro il groppo che le stava salendo in gola. «La Madre Depositaria che sposa il lord Rahl per il bene dei loro rispettivi popoli? Un'alleanza di convenienza. Qualcosa del genere?» Richard sembrava più terrorizzato di Samuel quando l'aveva interrogato. Si mordicchiò il labbro inferiore come se stesse cercando di pensare a come rispondere. «Va tutto bene» disse Kahlan. «Non ferirai i miei sentimenti. Non ricordo nulla di tutto questo. Allora, di cosa si trattava? Solo di un matrimonio di convenienza?» «Kahlan...»
«Non ci amiamo, dunque? Per favore, rispondimi, Richard.» «Ascolta, Kahlan, la questione è più complicata. Io ho delle responsabilità.» Era la stessa cosa che aveva detto Nicci quando Kahlan le aveva chiesto se amava Richard. La questione era più complicata. Lei aveva delle responsabilità. Kahlan si chiese come potesse essere stata così cieca. Era Nicci che lui amava. «Devi fidarti di me» disse Richard quando lei non fece altro che fissarlo. «Ci sono in gioco questioni importanti.» Lei annuì, trattenendo le lacrime, assumendo un'espressione vuota, nascondendosi dietro quella maschera. Non cercò di mettere alla prova la sua voce in quel momento. Non sapeva perché avesse lasciato che il suo cuore prendesse il sopravvento sulla sua testa. Non sapeva se le sue gambe avrebbero retto. Richard si massaggiò le tempie, abbassando lo sguardo a terra per un momento. «Kahlan... ascoltami. Ti spiegherò tutto, tutto quanto, lo prometto; ma ora non posso. Ti prego, fidati di me.» Lei voleva chiedergli perché dovesse fidarsi di un uomo che l'aveva sposata senza amarla, ma in quel momento non era sicura che sarebbe stata in grado di fare appello alla propria voce. «Ti prego» ripeté. «Prometto che ti spiegherò tutto appena possibile, ma ora dobbiamo raggiungere Tamarang.» Lei si schiarì la gola, riuscendo a ritrovare infine la capacità di parlare. «Non possiamo andarci. Samuel ha detto che Sei si trova lì.» Lui annuiva mentre lei parlava. «Lo so. Ma devo andarci.» «Io no.» Lui si bloccò, fissandola. «Non voglio che ti accada nient'altro» disse infine Richard. «Ti prego, ho bisogno che tu venga con me. Ti spiegherò dopo. Lo prometto.» «Perché dopo e non adesso?» «Perché se non ci sbrighiamo moriremo. Jagang sta per aprire le scatole dell'Orden. Devo cercare di fermarlo.» Lei non credette a quella scusa. Se avesse voluto, le avrebbe già risposto. «Verrò con te se risponderai a una domanda. Mi amavi quando mi hai sposata?» I suoi occhi grigi studiarono la faccia di lei per un momento prima di rispondere infine con voce calma.
«Per me eri la persona giusta da sposare.» Kahlan ricacciò indietro il dolore, l'urlo che voleva sfuggirle. Si voltò, non volendo che lui vedesse le sue lacrime, e si avviò verso dove Samuel la stava portando. Era scesa la notte da parecchio quando furono infine costretti a fermarsi. Richard avrebbe preferito continuare, ma il terreno, ricoperto di fitti boschi, roccioso e sempre più irregolare per via di creste che si innalzavano tutt'intorno a loro, era troppo infido da affrontare al buio. La luna quasi nuova era sorta al tramonto, ma la stretta falce non forniva abbastanza luce da illuminare minimamente la nera coltre di nubi. Anche quel misero bagliore offerto dalle stelle era nascosto dalle fitte nuvole. L'oscurità era così completa che era impossibile proseguire. Kahlan era stanca, ma quando Richard avviò un fuoco con i batuffoli di piante lanuginose che aveva usato come esca, poté vedere che lui era in condizioni ancora peggiori. Si chiese se avesse dormito di recente. Quando il fuoco cominciò ad ardere, lui approntò delle lenze e cominciò a raccogliere legna sufficiente per tutta la fredda notte. Contro uno sbalzo roccioso, almeno avevano qualche protezione dal vento tagliente. Kahlan fece del suo meglio per prendersi cura dei cavalli, portando loro dell'acqua in un secchio di tela che trovò nell'equipaggiamento che Richard aveva con sé. Quando lui ebbe finito di raccogliere legna da ardere, scoprì che le lenze avevano catturato alcuni salmerini. Mentre lo osservava pulire il pesce, gettando le interiora nel fuoco in modo che non attirassero animali, lei decise di non fare altre domande su loro due. Non riusciva a sopportare il dolore delle risposte. Inoltre, lui le aveva già detto ciò che gli aveva chiesto: per lui era semplicemente la persona giusta da sposare. Lei si domandò se magari non l'avesse neanche incontrata prima di sposarla. Si rese conto che doveva essere stato straziante per Nicci vedere l'uomo che amava sposare un'altra per ragioni pratiche e banali. Kahlan si costrinse a distogliere la mente da tutti quei pensieri. «Perché stiamo andando a Tamarang?» chiese. Richard, impegnato a pulire il pesce, le lanciò un'occhiata. «Be', molto tempo fa, all'epoca della grande guerra, tremila anni or sono, la gente combatteva lo stesso conflitto che stiamo combattendo adesso, una battaglia per difenderci da coloro che vogliono eliminare la magia e tutte le altre forme di libertà. «I popoli che si difendevano contro questa aggressione presero molti oggetti magici di inestimabile valore, oggetti che erano stati creati nel cor-
so di molti secoli, e li misero in un posto chiamato il Tempio dei Venti. Poi, per fare in modo che non cadessero in mano al nemico, inviarono il Tempio nel mondo sotterraneo.» «Lo mandarono nel mondo dei morti?» Richard annuì, stendendo alcune grosse foglie. «Durante la guerra, maghi di entrambe le fazioni avevano evocato armi terribili, costrutti magici e cose del genere. Ma alcune di quelle armi erano costituite da persone. È così che nacquero i tiranni dei sogni. Furono creati da persone catturate a Caska: gli antenati di Jillian.» «E fu allora che crearono la Catena di fuoco?» chiese lei. «Durante quella grande guerra...» «Esatto» disse lui spargendo uno strato di fango sulle foglie. «Altri maghi stavano lavorando di continuo per annullare ciò che era stato creato con la magia. Le scatole dell'Orden, per esempio, furono create durante quella grande guerra per poter neutralizzare l'incantesimo della Catena di fuoco.» «Ricordo che le Sorelle ne parlavano a Jagang.» «Be', tutta la faccenda è piuttosto complicata ma, fondamentalmente, un traditore di nome Lothain si recò al Tempio dei Venti nel mondo sotterraneo dov'era nascosto. In segreto fece alcune cose per aiutare un giorno la causa di fondo dell'Ordine, quando infine si fosse ricostituito.» «Pensavano che la guerra si sarebbe riaccesa?» «Ci sono stati, e ci saranno sempre, coloro che sono guidati dall'odio e vogliono incolpare della loro miseria quelli che sono felici, creativi e produttivi.» «Che genere di cose fece questo Lothain?» Richard alzò lo sguardo. «Fra le altre cose, si assicurò che un giorno rinascesse un tiranno dei sogni nel mondo della vita. Jagang è quel tiranno dei sogni.» Finì di avvolgere i pesci nelle foglie e nel fango e mise i piccoli involti fra i tizzoni luccicanti al bordo del fuoco. «Dopodiché, i popoli dalla nostra parte inviarono il Primo Mago al Tempio dei Venti. Si chiamava Baraccus. Era un mago guerriero. Lui fece in modo che nascesse un altro mago guerriero per tentare di fermare le forze che avrebbero provato a trascinare l'umanità in un'epoca oscura.» Kahlan sollevò le ginocchia e avvolse la coperta attorno a sé per stare al caldo mentre ascoltava la storia. «Intendi dire che da allora non ci sono stati altri maghi guerrieri?»
Richard scosse il capo. «Io sono il primo in quasi tremila anni. Baraccus, però, fece qualcosa al Tempio per assicurarsi che un altro sarebbe nato un giorno per proseguire la lotta. Io sono colui che è nato per via di ciò che lui fece allora. «Resosi conto che quella persona non avrebbe saputo nulla sulle proprie capacità, Baraccus vi tornò e scrisse un libro intitolato Segreti del potere di un mago guerriero. Fece portar via quel libro da sua moglie, Magda Searus, che lui amava moltissimo, e glielo fece nascondere per me. Fu molto attento a fare in modo che nessuno tranne me si impadronisse del libro. «Mentre Magda Searus era in viaggio per nascondere Segreti del potere di un mago guerriero, Baraccus si uccise.» Kahlan fu sbalordita all'udire queste notizie. «Ma perché avrebbe fatto una cosa del genere? Se amava Magda Searus, perché farlo e lasciarla sola?» Richard la squadrò nella guizzante luce del fuoco. «Penso che avesse visto abbastanza dolore e sofferenza nella guerra, così come slealtà e tradimento, per non parlare dell'esperienza di viaggiare attraverso il mondo sotterraneo, da non poter sopportare altro.» I suoi occhi sembravano spiritati. «Io sono stato attraverso il velo. Posso comprendere ciò che ha fatto.» Kahlan appoggiò il mento sulle ginocchia. «Dopo aver passato del tempo nell'accampamento dell'Ordine, suppongo di sapere quanto una persona possa lasciarsi prendere dallo sconforto per tutto quanto.» Lei lo fissò. «Perciò ti serve questo libro per fermare l'Ordine Imperiale?» «Esatto. L'ho trovato, ma ho dovuto nasconderlo di nuovo quando sono stato portato all'accampamento dell'Ordine.» Per salvarla. «Non dirmelo: il libro è a Tamarang.» Lui sorrise. «Per quale altra ragione dovremmo andarci?» Kahlan sospirò. Ora capiva come mai era così importante. Lei fissò le fiamme, pensando a Baraccus. «Sai cosa accadde a Magda Searus?» Richard usò un bastoncino per tirare un pesce al cartoccio fuori dal fuoco. Lo aprì e lo saggiò con un coltello. Quando vide che era croccante e cotto, lo appoggiò accanto a lei. «Attenta, è caldo.» Tirò fuori l'altro involto. «Be', Magda Searus aveva il cuore spezzato. Dopo la guerra, dovettero estrarre la verità da Lothain, colui che li aveva traditi. Un mago di quel tempo, Merritt, escogitò un modo per farlo.» Richard fissò le fiamme per un momento prima di proseguire. «Creò una
Depositaria per ottenere la verità.» Kahlan, che stava mordicchiando il pesce, si bloccò. «Davvero? È questa l'origine delle Depositarie?» Quando lui annuì, lei chiese: «Sai chi era?» «Magda Searus. Era così straziata dalla morte del marito che si offrì volontaria per l'esperimento. Era estremamente pericoloso, ma funzionò. Le Depositarie erano state create. Lei fu la prima. Alla fine si innamorò di Merritt e si sposarono.» Essere una Depositaria era solo parte del suo passato a cui Kahlan si sentiva legata. Ora conosceva l'origine delle Depositarie. Provenivano da una donna che aveva perso l'uomo che amava. Richard prese un grosso ciocco di legna e stava per gettarlo nel fuoco, ma invece si bloccò e lo tenne in una mano, rigirandolo e fissandolo. Infine lo mise da parte e gettò un pezzo diverso nel fuoco. «Faresti meglio a dormire un po'» disse quando ebbero finito. «Voglio andar via da qui non appena ci sarà abbastanza luce.» Kahlan riusciva a capire che lui era più esausto di lei, ma percepiva anche che qualcosa lo stava tormentando nel profondo, perciò non discusse. Si avvolse nella coperta tanto vicino al fuoco da stare al caldo. Quando alzò lo sguardo verso Richard, lo vide seduto davanti al fuoco, che fissava il pezzo di legna che aveva messo da parte prima. Pensava che poteva essere più interessato a guardare la sua spada, ora che l'aveva infine riavuta. Kahlan si svegliò dolcemente. Era una bella sensazione non svegliarsi come il giorno prima, con Samuel sopra di lei. Si stropicciò gli occhi e vide Richard ancora seduto di fronte al fuoco. Aveva un aspetto terribile. Non riusciva a immaginare cosa gli passasse per la testa, con le responsabilità che aveva sulle spalle e tutte le persone che dipendevano da lui. «Ho qualcosa che mi piacerebbe darti» disse lui con voce calma, così rassicurante da udire appena sveglia. Kahlan si mise a sedere, stiracchiandosi per un momento. Vide che c'era appena un accenno di luce nel cielo. Presto si sarebbero dovuti mettere in viaggio. «Cos'è?» chiese mentre piegava la coperta e la metteva da parte. «Non devi prenderla, ma per me significherebbe molto se lo facessi.» Infine distolse lo sguardo dalle fiamme e la fissò negli occhi. «Capisco che non sai cosa sta succedendo e nemmeno chi sei, tanto meno cosa ci fai qui con me. Desidererei più di ogni cosa al mondo potertelo spiegare. Sei passata attraverso un incubo e meriti di sapere tutto, ma non posso proprio
dirtelo ora. Ti chiedo solo di fidarti di me.» Lei distolse lo sguardo dal suo. Non poteva sopportare di fissarlo in quei suoi occhi. «Nel frattempo, vorrei darti qualcosa.» Kahlan deglutì. «Cos'è?» Richard allungò una mano verso l'altro suo fianco e tirò fuori qualcosa. Gliela porse nella fioca luce del fuoco. Era la statuetta che aveva avuto, quella che aveva lasciato nel Giardino della Vita quando aveva preso le scatole per le Sorelle. Era l'intaglio di una donna con la schiena inarcata, la testa gettata all'indietro e i pugni sui fianchi. Era l'incarnazione dello spirito di sfida contro forze soverchianti. Era un intaglio di nobiltà e forza. Era la statuetta che aveva avuto una volta. Era stata la sua cosa più preziosa e aveva dovuto lasciarla indietro. Non era la stessa, tuttavia era come se lo fosse. Si ricordava di ogni curva e ogni piega di quella. Questa era la stessa, ma un po' più piccola. Kahlan vide dei trucioli di legno tutt'intorno. Lui aveva passato la notte a intagliarla per lei. «Si chiama Spirito» disse con voce rotta dall'emozione. «La accetterai da me?» Kahlan la prese con riverenza dalle sue mani e se la strinse al cuore, scoppiando in lacrime. 58 «Prima di far scoppiare una guerra,» disse Richard quasi sussurrando «devo arrivare al posto in cui ho nascosto il libro. Devo riprenderlo, innanzitutto, in caso qualcosa vada storto.» Kahlan emise un sospiro mentre valutava lo sguardo determinato nei suoi occhi. «D'accordo, ma non mi piace. Mi pare proprio un tranello. Una volta che entriamo lì dentro, sarà facile intrappolarci. Potremmo dover combattere una guerra per uscire.» «Se dovremo, lo faremo.» Kahlan si ricordò del modo in cui Richard combatteva con una spada... o con un broc, se era per quello. Ma adesso era diverso. «E se veniamo sorpresi lì dentro pensi che quella tua spada sarà di qualche utilità contro una strega che potrebbe essere in agguato dappertutto?» Lui distolse gli occhi dai suoi per controllare di nuovo il corridoio. «Il
mondo sta per finire per moltissime brave persone che amano la vita e vogliono solo viverla. Questo include te e me. Non ho scelta. Devo prendere quel libro.» Si sporse per controllare il corridoio fiocamente illuminato nell'altra direzione. Kahlan poteva udire l'eco di stivali di pattuglie di soldati che si avvicinavano. Finora erano riusciti a evitarne molte. Richard era molto esperto nel muoversi in passaggi oscuri e nascondersi in angoli insospettabili. Si premettero contro l'ombra poco profonda del vano della porta, cercando di rimanere più immobili possibile. Le quattro guardie, parlando delle donne in città, svoltarono l'angolo accanto e li superarono, troppo desiderosi di vantarsi delle proprie conquiste per notare Richard e Kahlan che si nascondevano nella buia rientranza. Kahlan, trattenendo il respiro, quasi non riusciva a credere di non essere stata individuata. Mantenne una stretta presa sul manico del coltello. Non appena le guardie ebbero svoltato l'angolo opposto, Richard la afferrò e la tirò dietro di sé nel corridoio. Seguendo un altro scuro passaggio, si fermò di colpo davanti a una pesante porta. Era chiusa con un passante e un lucchetto. Richard, la spada già in mano, fece scivolare la lama attraverso la sbarra. Stringendo forte le labbra, si sforzò per torcere la spada. Con uno attutito schiocco metallico, il lucchetto si ruppe. Pezzi di acciaio rimbalzarono sul pavimento di pietra. Kahlan trasalì a quel suono, certa che avrebbe fatto accorrere le guardie. Non udirono nulla. Richard scivolò attraverso la porta. «Zedd!» lo udì chiamare con un sonoro sussurro. Kahlan infilò la testa nella stanza. C'erano tre persone nella piccola cella di pietra: un vecchio con scarmigliati capelli bianchi, un grosso uomo dai capelli biondi e una donna con una treccia bionda secondo l'uso delle Mord-Sith. «Richard!» gridò il vecchio. «Dolci spiriti... sei vivo!» Richard tracciò con un dito una croce sulle labbra mentre faceva entrare Kahlan dietro di lui. Richiuse piano la porta. Le tre persone parevano stanche e male in arnese. Doveva essere stata una dura prigionia. «Tenete la voce bassa» sussurrò Richard. «Qui attorno è pieno di guardie.» «Come accidenti facevi a sapere che eravamo qui?» chiese il vecchio. «Non lo sapevo» disse Richard. «Be', posso dirti, ragazzo mio, che abbiamo un bel po' di cose da...»
«Zedd, zitto e ascoltami.» L'anziano chiuse la bocca. Poi indicò. «Come hai riavuto la tua spada?» «Me l'ha ridata Kahlan.» Zedd aggrottò le sopracciglia cespugliose. «L'hai vista?» Richard annuì. Gli porse la sua spada. «Metti la mano attorno all'elsa.» Il cipiglio di Zedd crebbe. «Perché? Richard, ci sono un bel po' di cose più importanti da...» «Fallo!» ringhiò Richard. Zedd sbatté le palpebre a quell'ordine. Si raddrizzò e fece come gli aveva detto Richard. Lo sguardo di Zedd si spostò su Kahlan. Una luce sembrò avvampare nei suoi occhi nocciola mentre si spalancavano. «Dolci spiriti... Kahlan.» Mentre Zedd restava immobile dallo shock, Richard porse la spada alla donna. Lei toccò l'impugnatura. Il riconoscimento spuntò nei suoi occhi mentre fissava Kahlan, che era apparsa come per magia davanti a lei. L'omone, quando toccò l'elsa, non fu meno sbalordito. «Io ti conosco» le disse Zedd. «Posso vederti.» «Ti ricordi di me?» chiese Kahlan. Zedd scosse il capo. «No. La spada deve interrompere la natura degenerativa della Catena di fuoco. Non può ripristinare i miei ricordi perduti quelli non ci sono più - ma può fermare gli effetti in corso. Posso vederti. Ti riconosco. Non mi ricordo di te, ma ti conosco. È come vedere una faccia che conosci senza essere in grado di collegarla.» «Per me è lo stesso» disse l'omone. La donna annuì in segno di assenso. Zedd afferrò la manica di Richard. «Dobbiamo andarcene da qui. Sei tornerà. Non è il caso di farci scoprire e avere a che fare con lei. È ben più che un osso duro.» Richard fece per attraversare la stanza. «Devo prendere qualcosa prima.» «Il libro?» chiese Zedd. Richard si fermò e si voltò. «L'hai visto?» «Direi proprio di sì. Dove accidenti hai trovato una cosa del genere?» Richard si arrampicò sulla sedia e tirò giù uno zaino infilato dietro una trave. «Il Primo Mago Baraccus...» «Al tempo della grande guerra? Quel Baraccus?» «Esatto.» Richard saltò giù dalla sedia. «Scrisse il libro e lo fece nascondere perché io lo trovassi. Si deve a lui se sono nato con entrambi gli
aspetti del dono, perciò voleva aiutarmi con le mie capacità. Incaricò sua moglie, Magda Searus, di nasconderlo dopo essere tornato da Tempio dei Venti. È una lunga storia, ma il libro mi ha atteso per tremila anni.» Zedd pareva ammutolito. Si radunarono attorno al tavolo mentre Richard frugava nello zaino finché non trovò il libro e lo tirò fuori. Lo tenne in alto perché Zedd lo vedesse. «Il problema era che in quel momento ero privo del dono, perciò non potevo leggerlo. Sembravano solo pagine bianche. Non so cosa volesse dirmi Baraccus sulle mie capacità.» Zedd scambiò un'occhiata con gli altri due prigionieri. «Richard, devo parlarti di quello che ti ha lasciato Baraccus.» «Sì, fra un attimo.» Il volto di Richard si accigliò mentre sfogliava il libro. «È ancora bianco.» Alzò lo sguardo, confuso. «Zedd, è ancora bianco. Il blocco sul mio dono è stato spezzato... so che è così. Perché mi apparirebbero ancora bianche?» Zedd appoggiò una mano sulla spalla di Richard. «Perché è bianco.» «Per me. Ma tu puoi leggerlo.» Tenne il libro aperto davanti al vecchio. «Cosa dice?» «È bianco» ripeté Zedd. «Non c'è alcuna scritta nel libro solo il titolo sulla copertina.» Richard guardò perplesso il vecchio. «Cosa intendi dire che è bianco? Non può essere bianco. Dev'essere Segreti del potere di un mago guerriero!» «Lo è» disse Zedd in tono serio. Richard parve affranto, arrabbiato e perplesso, tutto quanto assieme. «Non capisco.» «Il Mago Baraccus ti ha lasciato una regola del mago.» «Che regola del mago?» «La regola di tutte le regole. La regola non scritta. La regola tacita dall'alba dei tempi.» Richard si passò le dita fra i capelli. «Non abbiamo tempo per gli enigmi. Cosa voleva che sapessi? Che regola è?» Zedd scrollò le spalle. «Non lo so. Non è mai stata detta e non è mai stata scritta. «Ma Baraccus voleva che tu sapessi che costituisce il segreto per utilizzare il potere di un mago guerriero. L'unico modo per esprimerla, per assicurarsi che tu comprendessi quello che intendeva dirti, era darti un libro
non scritto per esprimere la regola non scritta.» «Come posso usarla se non so di cosa si tratta?» «Questa è una domanda per te stesso, Richard. Se sei quello che Baraccus pensava che fossi, allora saprai come usare ciò che ha lasciato per te. Era ovvio che pensava che fosse di eccezionale importanza e valesse tutti i problemi che aveva affrontato, perciò secondo me dev'essere ciò che ti occorre.» Richard trasse un profondo respiro per calmarsi. Kahlan si sentiva così dispiaciuta per lui. Sembrava al limite delle proprie risorse. Pareva sull'orlo delle lacrime. «Guarda guarda» fece una voce da dietro. Tutti si voltarono. Una donna in nero, esile quanto un giunco, esibiva un sorriso scaltro. I suoi capelli erano un groviglio scuro. La sua carne esangue e gli occhi sbiancati la facevano sembrare cadaverica. «Sei...» disse Zedd. «Ma guarda un po', se non è la Madre Depositaria. E l'imperatore sarà ben lieto quando gli porterò anche lord Rahl, tutti belli impacchettati.» Kahlan vide Zedd premersi le mani contro la testa, in preda a evidente dolore. Barcollò all'indietro e crollò al suolo. La spada di Richard emise un sibilo mentre veniva estratta. Caricò la donna ma si arrestò e lui fu ricacciato indietro da forze che Kahlan non riusciva a vedere. La sua spada sferragliò contro il pavimento di pietra. La donna tese un esile dito verso Kahlan. «Non mi sembra una buona idea, Madre Depositaria. Non che mi importi se ti friggi il cervello cercando di ridurre in poltiglia il mio, ma mi sei molto più preziosa da viva.» Kahlan avvertì il dolore del potere invisibile ricacciarla indietro, proprio come era accaduto a Richard. Quella debilitante agonia era piuttosto simile al dolore procurato dal collare, ma più acuto, nel profondo nelle sue orecchie. Le faceva dolere la parte posteriore della mascella così tanto che dovette aprire la bocca. Tutti e cinque erano rannicchiati, con le mani sulle orecchie per il dolore. «Questo renderà le cose molto più semplici» disse Sei in maniera compiaciuta mentre scivolava verso di loro, come la morte stessa. «Sei» chiamò una voce severa dalla porta. Sei si voltò al sentire qualcuno che evidentemente riconosceva. Il dolore abbandonò la testa di Kahlan. Vide che anche gli altri si stavano riprendendo.
«Madre...?» disse Sei in preda a una confusione emotiva. «Mi hai deluso, Sei» disse l'anziana donna entrando nella stanza. «Davvero.» Era snella, proprio come Sei, ma incurvata per l'età. La sua chioma nera si allargava dal suo volto in modo molto simile, ma era striata di bianco. Anche i suoi occhi erano di un azzurro slavato. Sei indietreggiò di un paio di passi. «Ma io... io...» «Tu cosa?» domandò la donna in tono velenoso. Era una figura autorevole che non temeva nulla, men che mai Sei. Sei si ritrasse di un passo. «Non capisco...» Kahlan rimase a bocca aperta quando vide la pelle del viso di Sei così pallida e contratta, e quella delle mani che cominciava a tremolare, come se ribollisse dall'interno. Sei cominciò a urlare dal dolore, le sue mani ossute che tastavano la carne formicolante del viso. «Madre, cosa vuoi?» «È piuttosto semplice» disse l'anziana donna, avvicinandosi alla strega che si ritraeva. «Voglio che tu muoia.» A quelle parole, l'intero corpo di Sei fu scosso con violenza mentre la sua pelle vibrava di convulsioni e sommovimenti, come se si stesse separando dai turbolenti muscoli e tendini. L'anziana donna afferrò la pelle improvvisamente molle alla base del collo della strega. Mentre Sei stava per crollare a terra, la vecchia diede un poderoso strattone. La pelle, quasi in un pezzo solo, si staccò dalla strega inerme. Quella crollò sul pavimento di pietra, una massa sanguinolenta e irriconoscibile, a malapena contenuta dal vestito nero come un sacco. Era la vista più disgustosa che Kahlan potesse immaginare. La vecchia, tenendo i flosci resti della pelle di Sei, sorrise loro. Erano tutti immobilizzati dallo shock quando l'anziana sembrò brillare, il suo aspetto tremolante che sfarfallava. Kahlan la fissò stupita. La donna non era più vecchia, ma giovane e bella, con lunghi fluttuanti capelli ramati. Il suo abito grigio variegato faceva poco per nascondere la sua figura sinuosa. Alcune parti del tessuto arioso fluttuavano come per una brezza gentile. «Shota...» disse Richard, un sorriso che gli si profilava sul volto. Lei lasciò cadere la pelle sanguinolenta in una pila scomposta, poi fece un sorriso civettuolo e beffardo mentre si avvicinava e con tenerezza gli
accarezzava la guancia. Kahlan poté avvertire la propria faccia diventare rossa. «Shota, cosa ci fai qui?» chiese Richard. «Ti salvo la pelle, ovviamente.» Il suo sorriso si fece ancora più largo mentre lanciava un'occhiata ai resti nel vestito nero. «Immagino che sia costato a Sei la sua.» «Ma... ma non capisco.» «Nemmeno Sei» disse Shota. «Si aspettava che me ne andassi via con la coda tra le gambe a nascondermi per sempre, tremando dalla paura che mi trovasse, perciò non si sarebbe mai aspettata una visita da sua madre. Una cosa del genere non era fra i suoi talenti altrimenti considerevoli o la sua limitata immaginazione, dato che non aveva comprensione per il valore di una madre né empatia per coloro che ce l'hanno. Non riusciva a immaginare il potere e il significato di un tale legame, perciò una cosa del genere l'ha accecata. La sua connessione a sua madre era odio frenato dalla paura.» Kahlan poteva percepire la sua faccia avvampare ancor di più mentre osservava Shota far scorrere una lunga unghia laccata sul davanti della camicia di Richard. «Non mi piace quando qualcuno prende ciò che ho creato e per cui ho lavorato» disse Shota a Richard in tono intimo. «Non aveva alcun diritto su ciò che è mio. Mi ci sono voluti un bel po' di tempo e sforzi per annullare tutto ciò che aveva fatto per affondare i suoi infidi tentacoli nel mio dominio, ma ce l'ho fatta.» «Penso che ci sia qualcosa di più, Shota. Penso che volessi aiutarci tutti.» Shota si allontanò, schioccando una mano come conferma mentre voltava la schiena a Richard. «Le scatole sono in campo. Se le Sorelle dell'Oscurità le aprono, molte persone che non hanno fatto nulla di male moriranno. Anch'io verrò gettata al Guardiano come un brandello di carne.» Richard non poté far altro che annuire a quella verità. Si chinò e raccolse la sua spada. Le porse l'elsa. «Ecco.» «Mio caro ragazzo, non mi serve una spada.» Kahlan non sapeva come qualcuno potesse avere una voce tanto bella, serica. Shota si comportava come se non le importasse che c'era qualcun altro nella stanza. Tranne quando aveva lanciato una breve occhiataccia di avvertimento a Zedd, i suoi occhi a mandorla di rado avevano lasciato Richard.
«Assecondami e toccala.» Il volto di lei si ammorbidì con un sorriso civettuolo. «Se lo dici tu.» Le sue dita aggraziate si piegarono attorno all'elsa. I suoi occhi si girarono d'improvviso nel vedere Kahlan che stava proprio accanto a lui. «La spada interrompe gli effetti in corso della Catena di fuoco» spiegò Richard. «Non la inverte, ma ti permette di vedere quello che c'è davanti a te.» Lo sguardo di lei indugiò per un momento prima di tornare a Richard. «Proprio così.» La sua voce si fece seria. «In questo momento, però, tutti noi in questa stanza stiamo per essere sopraffatti dal potere dell'Orden e consegnati per l'eternità al Guardiano dei morti nel mondo sotterraneo.» Le sue dita toccarono la guancia di Richard. «Come ti ho detto prima, devi impedire che questo accada.» «E come posso farlo?» Shota gli rivolse un'occhiata di rimprovero. «Abbiamo avuto questa discussione in precedenza, Richard. Tu sei il responsabile. Sta a te mettere in campo le scatole.» Richard emise un sospiro. «Siamo molto lontani dalle scatole. Jagang le metterà in campo molto prima del nostro ritorno.» Shota gli sorrise. «Ho un modo per farti tornare.» «Come?» Shota puntò un dito verso l'alto. «Puoi volare.» Richard drizzò il capo. «Volare?» «Il drago che Sei aveva ammaliato e stava usando è sul bastione.» «Un drago!» esclamò Zedd. «Ti aspetti che Richard voli su un drago? Che genere di drago?» «Uno arrabbiato.» «Arrabbiato?» chiese Richard. «Temo di non essere molto brava ad assumere l'aspetto di una mamma drago, ma l'ho addomesticato.» Shota scrollò le spalle. «Un po', perlomeno.» Richard li fece attendere tutti nel corridoio mentre si cambiava in fretta coi vestiti nel suo zaino. Quando uscì, Kahlan rimase senza fiato a ciò che vide. Su una camicia scura indossava una tunica nera, aperta sui lati, decorata con strani simboli che serpeggiavano lungo un'ampia banda dorata che correva tutt'attorno i suoi bordi. Una larga cintura a più strati, adornata con altri emblemi, stringeva la magnifica tunica alla vita. L'antica cinghia di cuo-
io lavorato che reggeva il fodero intrecciato d'oro e argento della Spada della Verità gli passava sopra la spalla destra. A ogni polso c'era una banda d'argento bordata di cuoio con degli anelli che racchiudevano altri degli strani simboli. Stivali neri sopra i pantaloni, anch'essi neri, portavano spille con altri disegni tondi. Sulle sue larghe spalle cadeva un mantello che sembrava tessuto d'oro. Sembrava incarnare l'idea di Kahlan di come dovesse essere l'aspetto di un mago guerriero. Pareva un comandante di re. Aveva un'aria da lord Rahl. Kahlan non ebbe alcun problema a capire perché Nicci fosse innamorata di lui. Era proprio la donna più fortunata del mondo. Era anche una donna degna di quell'uomo. «Sbrighiamoci» disse Richard a Shota. Shota, camminando con passo regolare al centro dei corridoi, il suo vestito grigio trasparente che le fluttuava dietro, li condusse attraverso passaggi secondari disadorni nel castello, come se questo forse deserto. Di tanto in tanto faceva un cenno con una mano verso una porta o un passaggio, come per respingere chiunque potesse importunarli. Doveva essere proprio quello che stava facendo, poiché nessuno intercettò la piccola compagnia di persone che si affrettavano attraverso i corridoi. Si fermarono tutti dietro la strega quando infine lei si fermò davanti a una pesante porta di quercia. Lei rivolse a tutti loro un'occhiata come per chiedere se fossero pronti, poi aprì il pesante battente di quercia. Quando passarono attraverso la porta uscendo nella giornata nuvolosa, il mantello di Richard gli sbuffò dietro. Sul bastione si trovarono faccia a faccia con un'enorme bestia con lucide scaglie rosse e una foresta di spine dalla punta nera sulla schiena. Delle fiamme ruggirono per il bastione, sollevando terra e ghiaia in ogni direzione. Tutti si ritrassero. «Questo non è Scarlet» disse Richard. «Pensavo potesse essere Scarlet.» «Conosci un drago?» chiese Kahlan. «Sì, e anche tu, ma non questo. Questo è più grosso e dall'aria molto più cattiva.» Il calore delle fiamme guizzanti li spinse di nuovo indietro. Shota, noncurante, procedette con naturalezza, cantando una dolce canzoncina. Le fiamme si fermarono. Il drago abbassò la testa librandola davanti a lei, inclinandola di lato, come curioso. Quando Shota gli bisbigliò cose che Kahlan non riuscì a udire, il drago sbuffò piano in modo soddisfatto.
Shota, accarezzandolo sotto il mento, si voltò di nuovo verso di loro. «Richard, vieni a parlare con questo bel ragazzo.» Il drago sembrava quasi fare le fusa alle sue parole. Richard accorse. «Ho un'amica drago» disse alla bestia. «Forse la conosci. Si chiama Scarlet.» L'imponente creatura gettò indietro la testa e scagliò una colonna di fuoco verso l'alto. La sua coda chiodata sibilò per il bastione, facendo cadere grossi blocchi del muro di pietra oltre il bordo. La testa rossa ciondolò di nuovo giù. Le labbra si ritrassero indietro in un ringhio a rivelare zanne dall'aspetto terribile. «Scarlet è mia madre» rombò il drago. Richard parve piacevolmente sorpreso. «Scarlet è tua madre? Sei Gregory?» Il drago si fece ancora più vicino, annusando Richard e accigliandosi. Il mantello di Richard si gonfiava a ogni sbuffo d'aria. «Chi sei tu, piccolo uomo?» «Sono Richard Rahl. L'ultima volta che ti ho visto, tu eri un uovo.» Richard, come se stesse parlando a un vecchio amico, fece un semicerchio con le braccia. «Eri grande così.» «Richard Rahl» Gregory sorrise, la sua ostilità che svaniva. «Mia madre mi ha parlato di te.» Richard appoggiò una mano sul muso di Gregory. La sua voce si fece gentile per la preoccupazione. «Lei sta bene? La magia sta venendo meno. Ero preoccupato che potesse danneggiarla.» Gregory emise uno sbuffo di fumo. «È molto malata. Si indebolisce ogni giorno che passa. Io sono più forte e ancora in grado di volare. Le porto cibo, ma la strega mi ha impedito di farlo. Non so come aiutarla. Temo di perderla.» Richard annuì con tristezza. «È la contaminazione provocata dai rintocchi che sono stati in questo mondo. Sta distruggendo tutta la magia.» Gregory annuì con la sua testa enorme. «Allora i draghi rossi sono condannati.» «Come tutti noi. A meno che io non riesca a fermare quella contaminazione.» La grossa testa si inclinò di lato in modo che Gregory potesse scrutare Richard con un solo occhio giallo. «Puoi farlo?» «È possibile, ma non sono sicuro di come... non ancora. So che devo raggiungere il Palazzo del Popolo, se voglio provare.»
«Il Palazzo del Popolo? Dove attende l'esercito scuro?» Richard annuì. «Esatto. Io potrei essere l'unico in grado di fermare quella contaminazione. Ci porterai là?» «Sono libero, ora. Un drago libero non serve gli uomini.» «Non ti sto chiedendo di essere mio servo, solo di portarci in volo fino al D'Hara, in modo che possa cercare di salvare tutti quelli di noi che vogliono vivere liberi, inclusi tua madre e te.» La testa di Gregory scivolò più vicino a Zedd, Tom e Rikka. Ci pensò su brevemente, tornando a guardare Richard. «Tutti voi?» «Tutti noi» disse Richard. «Mi occorre l'aiuto dei miei amici. È la nostra unica possibilità di fermare le cose terribili che stanno per accadere.» La testa di Gregory si abbassò finché il muso non diede un colpetto al torace di Richard, facendolo indietreggiare di mezzo passo. «Mia madre mi ha raccontato la storia di come mi salvasti quando ero soltanto un uovo. Se faccio questo, saremo pari.» «Pari» convenne Richard. Gregory abbassò il suo corpo sul bastione il più possibile. «Partiamo, allora.» Richard disse agli altri come montare e come aggrapparsi alle spine e alle protuberanze. Lui salì per primo, mettendosi a cavalcioni sul dorso del drago alla base del suo lungo collo, poi aiutò a tirar su Zedd, Tom e Rikka dietro di lui. Zedd borbottò sottovoce per tutto il tempo. Richard gli disse di smetterla di imprecare. Kahlan fu l'ultima. Richard si sporse all'ingiù, le prese la mano e la fece montare dietro di lui. Mentre lei si sistemava sulla schiena del drago dietro di lui, lo vide tirar fuori dalla tasca un panno bianco e osservarlo. Kahlan, le sue braccia attorno a lui, gli sussurrò nell'orecchio. «Ho paura.» Lui le sorrise voltandosi appena. «Ti gira la testa, quando voli su un drago, ma non stai male. Non devi far altro che tenerti stretta e chiudere gli occhi, se vuoi.» La colpì come fosse facile stargli vicino e come lui fosse gentile e naturale nei suoi confronti. Sembrava rianimarsi quando lei gli era accanto. «Cos'hai lì?» gli chiese, inclinando la testa verso il panno bianco. Aveva una macchia di inchiostro su un lato e un'altra uguale da quello opposto. «Una cosa che ho portato con me» disse lui con fare distratto. Era ovvio che non stava pensando alla sua domanda. Stava riflettendo sul panno
bianco con le due macchie di inchiostro. Lo infilò di nuovo in tasca e guardò in basso verso il bastione. «Shota, non vieni?» «No. Tornerò al Pozzo di Agaden, la mia casa. Aspetterò lì la fine, o che tu le impedisca di giungere.» Richard annuì. Kahlan pensava che lui non sembrasse affatto fiducioso. «Grazie per tutto ciò che hai fatto, Shota.» «Rendimi orgogliosa, Richard.» Lui le rivolse un breve sorriso. «Farò del mio meglio.» «È tutto ciò che ognuno di noi può fare» disse lei. Richard diede una pacca sulle lucide scaglie rosse del drago. «Gregory, andiamo. Non abbiamo molto tempo.» Gregory emise un breve sbuffo di fiamma. Mentre si arricciava in un fumo nero, le immense ali del drago si alzarono e scattarono all'ingiù con forza spaventosa e tuttavia aggraziata. Kahlan sentì che si stavano sollevando nell'aria. Il suo stomaco era in subbuglio. 59 Mentre marciavano attraverso i sontuosi corridoi di marmo vuoti del Palazzo del Popolo, Richard sapeva dove erano andati tutti poiché poteva udire la bassa cantilena riecheggiare attraverso i passaggi. «Maestro Rahl guidaci. Maestro Rahl insegnaci. Maestro Rahl proteggici. Nella tua luce prosperiamo. Nella tua pietà troviamo riparo. Siamo umili al cospetto della tua saggezza. Viviamo solo per servirti. Le nostre vite sono tue.» Era la devozione al lord Rahl. Anche in un frangente come quello, anche nel momento in cui il loro mondo stava per finire, tutti al Palazzo del Popolo andavano alla devozione quando sentivano il rintocco della campana. Pensò che quelle persone avevano più bisogno di lui in quel momento e la devozione era il loro modo per mostrare di riconoscere quel vincolo. O forse aveva lo scopo di ricordargli della sua parte e della sua responsabilità di proteggerli. «Maestro Rahl guidaci. Maestro Rahl insegnaci. Maestro Rahl proteggici. Nella tua luce prosperiamo. Nella tua pietà troviamo riparo. Siamo umili al cospetto della tua saggezza. Viviamo solo per servirti. Le nostre vite sono tue.» Richard allontanò dalla sua mente le sue considerazioni sulla devozione.
Si sentiva come se stesse giostrando migliaia di pensieri allo stesso tempo. Non sapeva cosa fare. C'erano così tante domande diverse che lo sopraffacevano tutte assieme, che non sembrava neanche in grado di organizzare la montagna di problemi in un ordine sensato. Non sapeva da dove cominciare quell'ardua scalata. Si sentiva inadeguato nel ruolo del Maestro Rahl. Credeva, però, che i problemi apparentemente infiniti fossero collegati, che fossero tutte parti dello stesso enigma, e che se fosse solo riuscito a stabilire qual era il nucleo di ciò che lo preoccupava, tutto avrebbe cominciato a combaciare. Gli occorrevano solo alcuni anni per comprenderlo. Sarebbe stato fortunato se avesse avuto poche ore. Ancora una volta costrinse la sua mente a tornare alle questioni di rilievo. Baraccus gli aveva lasciato un messaggio in un libro vecchio di tremila anni, una regola non scritta, e Richard non ne capiva il significato. Ora che aveva di nuovo accesso al suo dono, riusciva almeno a ricordare tutto Il libro delle ombre importanti, ma con tutta probabilità si trattava di una falsa copia. Jagang aveva l'originale. Jagang aveva le scatole. Perché la Depositaria aveva un ruolo centrale in tutto ciò? Era perché una Depositaria era essenziale per le scatole dell'Orden nel caso in cui venisse usata una copia de Il libro delle ombre importanti? O se lo stava solo immaginando? Stava forse pensando che una Depositaria fosse essenziale perché Kahlan lo era ed era essenziale per la sua vita? Il solo pensiero di Kahlan mandò fuori strada la sua mente e lo tormentò di angoscia. Doversi trattenere dal dirle tutto ciò che voleva rivelarle tanto disperatamente gli stava spezzando il cuore. Doversi contenere dal prenderla fra le sue braccia e baciarla lo stava uccidendo. Lui voleva solo tenerla stretta. Ma sapeva che se avesse distrutto il campo incolto della sua mente, non c'era possibilità che il potere dell'Orden la facesse tornare chi era. Doveva rimanere distante e vago. Quello che lo atterriva di più era il pensiero che fosse troppo tardi, che Samuel avesse già contaminato il campo incolto. Poteva sentire Kahlan camminargli accanto. Riconosceva il suono dei suoi passi, il suo profumo, la sua presenza. Un istante era esultante di riaverla e quello successivo era terrorizzato di poterla perdere. Doveva smetterla di lasciare che la sua mente si allontanasse dal problema e doveva concentrarsi invece sulla soluzione. Doveva trovare la ri-
sposta. Se davvero c'era una risposta. «Maestro Rahl guidaci. Maestro Rahl insegnaci. Maestro Rahl proteggici. Nella tua luce prosperiamo. Nella tua pietà troviamo riparo. Siamo umili al cospetto della tua saggezza. Viviamo solo per servirti. Le nostre vite sono tue.» Tutte quelle persone sarebbero morte a meno che lui non le avesse aiutate trovando quella risposta. Ma come accidenti poteva farlo? Ritornò a quello che credeva fosse il cuore della soluzione. Avrebbe dovuto aprire le scatole dell'Orden se voleva invertire tutto il danno che era stato fatto: stava tutto lì. Se non l'avesse fatto, il mondo della vita, danneggiato dalla Catena di fuoco e dalla successiva contaminazione, sarebbe andato fuori controllo. Se lui non avesse aperto a scatola giusta, le Sorelle di Jagang l'avrebbero fatto. Ma non sapeva come aprirle e inoltre non ne aveva il controllo, a differenza di Jagang. Richard ricordò a sé stesso che almeno era riuscito a compiere molte delle tappe che doveva ultimare se voleva avere una possibilità di aprire la scatola giusta. Almeno aveva avuto successo nel suo viaggio attraverso il velo. Ed era riuscito a restituire quello che aveva riportato nel modo richiesto. Era stato un enigma, ma aveva trovato la soluzione. Ora serviva l'Orden per ripristinarlo davvero. Kahlan aveva accettato l'intaglio che le aveva fatto di Spirito. Si ricordò anche che aveva la Depositaria come richiesto. Una Depositaria. C'era qualcosa di sbagliato al riguardo, ma non riusciva a capire cosa potesse essere. Ma sapeva che c'era un solo modo per avvicinarsi alle scatole dell'Orden. Era la sua unica opportunità, se fosse riuscito a risolvere la faccenda prima che Sorella Ulicia aprisse una di queste. Quando udì il fruscio di passi affrettati, alzò lo sguardo e vide Verna e Nathan che si precipitavano verso di lui. Cara e il generale Meiffert li seguivano da presso. Zedd, Tom e Rikka erano alle spalle di Richard. A un ponte ricoperto di marmo verde con meravigliose venature che dominava una piazza per le devozioni e una congiunzione di ampi corridoi, Richard si fermò mentre Verna e Nathan lo raggiungevano. Le persone lì sotto erano tutte in ginocchio, piegate in avanti con la fronte contro le piastrelle mentre cantilenavano. Erano ignari di quello che lui stava per fare. «Richard!» Verna annaspò, riprendendo fiato. «Lieto di vederti di nuovo qui» disse Nathan a Richard, annuendo nel
contempo a Zedd. «Sei non sarà più un problema» disse Zedd al profeta. Nathan emise un sospiro. «Un calabrone di meno, ma temo che ce ne siano più che a sufficienza.» Verna, ignorando l'alto mago accanto a lei, sventolò il libro di viaggio con urgenza verso Richard. «Jagang dice che è la luna nuova. Esige la tua risposta. Dice che se non la riceve, tu conosci le conseguenze.» Richard lanciò un'occhiata a Nathan. Il profeta sembrava più che torvo. Anche Cara e il generale Meiffert sembravano tesi. Erano gli impotenti guardiani di un posto dove decine di migliaia di persone erano sul punto di essere massacrate. Una sommessa cantilena proveniva dal basso. «Maestro Rahl guidaci. Maestro Rahl insegnaci. Maestro Rahl proteggici. Nella tua luce prosperiamo. Nella tua pietà troviamo riparo. Siamo umili al cospetto della tua saggezza. Viviamo solo per servirti. Le nostre vite sono tue.» Richard si sfregò la punta delle dita contro la fronte mentre ricacciava indietro il groppo che gli saliva in gola. Non aveva scelta. Alzò lo sguardo verso Verna con aria severa e definitiva. «Di' a Jagang che acconsento ai suoi termini.» La faccia di Verna si fece scarlatta. «Acconsenti?» «Di cosa state parlando?» chiese Kahlan, alla sua destra. Richard si sentì lontanamente rincuorato di udire il tono di ridestata autorità nella sua voce. Però la ignorò e si rivolse a Verna. Con grande sforzo, Richard controllò la sua voce. «Digli che ho deciso di dargli ciò che vuole. Acconsento ai suoi termini.» «Fai sul serio?» Verna stava trattenendo la rabbia. «Vuoi che gli dica che ci arrendiamo?» «Sì.» «Cosa?» disse Kahlan, afferrandogli una manica della camicia per tirarlo più vicino a sé. «Non puoi arrenderti a lui.» «Devo. È l'unico modo per impedire che tutte quelle persone laggiù vengano torturate e uccise. Se cedo il palazzo, lui consentirà loro di vivere.» «E hai intenzione di accettare la parola di Jagang su questo?» domandò Kahlan. «Non ho scelta. È l'unico modo.» «Mi hai riportata qui per consegnarmi a quel mostro?» Gli occhi di Kahlan erano colmi di lacrime di rabbia e dolore. «È per questo che volevi
trovarmi?» Richard distolse lo sguardo. Avrebbe dato qualunque cosa per dirle quanto davvero l'amava. Se stava per morire, voleva almeno che lei conoscesse i suoi veri sentimenti e non che pensasse che l'aveva sposata solo per adempiere un accordo e ora la stesse usando come bottino da consegnare in una resa. Il fatto che lei pensasse questo gli stava spezzando il cuore. Ma non aveva scelta. Se avesse contaminato il campo incolto, allora la Kahlan che conosceva sarebbe stata perduta per sempre... se non era già stato contaminato da Samuel, se lei non era già perduta. Richard rivolse la sua attenzione altrove. «Dov'è Nicci?» chiese a Nathan. «Rinchiusa come mi hai detto, in attesa che Jagang vada a prenderla.» Kahlan gli girò attorno. «E ora stai anche consegnando la donna che ami a...» Richard sollevò una mano, ordinando il silenzio. Si voltò verso Verna. «Fa' come dico.» Il suo tono di voce chiariva che si trattava di un ordine da non discutere, men che meno da sfidare. Mentre tutti restavano in un silenzio sbalordito, Richard fece per andarsene. «Sarò nel Giardino della Vita, in attesa.» Aveva bisogno di pensare. Solo Kahlan lo seguì. La sempre più fioca luce del giorno entrava obliqua attraverso il vetro piombato in alto. Sarebbe stata la notte di luna nuova, la più buia del mese. Richard aveva sentito dire che quell'oscurità portava il mondo della vita più vicino al mondo sotterraneo. Nelle ore passate ad attendere che Jagang salisse sull'altopiano e al Giardino della Vita, Richard aveva camminato su e giù tutto il tempo, in profonda concentrazione, pensando a quei due mondi: il mondo della vita e quello dei morti. C'era qualcosa su tutta quanta la faccenda che non gli tornava. Ripassò Il libro delle ombre importanti che aveva memorizzato, sapendo che probabilmente conteneva qualche inesattezza che gli avrebbe reso impossibile liberare il potere dell'Orden, ma sapendo anche che gli elementi erano in gran parte veri, seppure fuori posto. Sarebbe bastato cambiarne un singolo dettaglio per renderlo una falsa copia. Sapeva che c'era un'inesattezza nella copia che aveva memorizzato, ma non sapeva come identificare la specifica discrepanza dall'originale.
Jagang aveva l'originale. Non avrebbe dovuto preoccuparsi che ci fossero errori nel suo libro. Sorella Ulicia, con Jagang nella sua mente per tutto il tempo, avrebbe letto direttamente l'originale, dunque avrebbero usato la vera versione del libro. Perciò non avrebbero avuto bisogno di una Depositaria. Si fermò davanti a Kahlan. «Le copie de Il libro delle ombre importanti devono essere verificate tramite l'intervento di una Depositaria. Se tu avessi il testo de Il libro delle ombre importanti, se io lo recitassi per te, pensi che saresti in grado di verificare le parti vere?» Kahlan, persa nei suoi pensieri, alzò lo sguardo. «Mi sono posta la stessa domanda innumerevoli volte. Mi spiace Richard, ma non so proprio come. «Che peccato che la prima Depositaria, Magda Searus, non mi abbia lasciato un libro su come usare i miei poteri, come il suo primo marito ha fatto con te.» Quel libro gli era servito proprio a molto. Richard emise un sospiro di sconforto e tornò a camminare su e giù. Rivolse di nuovo i pensieri al libro che Baraccus aveva voluto che ricevesse tanto disperatamente: Segreti del potere di un mago guerriero. Baraccus aveva pensato che fosse vitale che Richard ottenesse quel libro con la regola non scritta. Tutta quella faccenda era tanto bizzarra che ne era rimasto sbigottito e non sapeva cosa pensare. Aveva compiuto uno sforzo sovraumano per recuperare quel libro. Aveva anche richiesto un grosso sforzo da parte di Baraccus assicurarsi che solo Richard sarebbe stato infine in grado di trovarlo. Perché lasciargli un libro che non diceva nulla? A meno che in realtà non dicesse tutto. Richard lanciò un'occhiata a suo nonno che sedeva in silenzio presso la corta parete coperta di rampicanti lì vicino. Zedd incontrò il suo sguardo ma la sua mestizia per non essere in grado di aiutare Richard era evidente. «Mi dispiace» disse Kahlan. Richard le lanciò un'occhiata. «Cosa?» «Mi dispiace. Dev'essere stata una decisione terribile. So che stai solo cercando di impedire che i bruti di Jagang massacrino tutta la gente qui. Desidererei poter toccare Jagang col mio potere da Depositaria.» Potere da Depositaria. Creato per la prima volta in Magda Searus. La donna che era stata sposata con Baraccus. Ma era stata sposata con Baraccus al tempo della grande guerra, molto prima che diventasse una Depositaria...
«Dolci spiriti» sussurrò Richard fra sé, una gelida consapevolezza che gli guizzava fra le vene. Baraccus aveva lasciato a Richard Segreti del potere di un mago guerriero per dirgli ciò che gli occorreva sapere. Era esattamente quello che Baraccus aveva fatto. Aveva dato a Richard la regola non detta, la regola non scritta, fin dall'alba dei tempi. In un istante, mentre comprendeva Segreti del potere di un mago guerriero, Richard fu in grado di far combaciare gli altri pezzi e capire tutto. Lo afferrò nella sua totalità, come funzionava tutto quanto, perché avevano fatto ciò che avevano fatto, il perché di ognuna delle loro azioni. Con dita tremanti, tirò fuori il pezzo di stoffa bianca con le due macchie di inchiostro. Lo spiegò e fissò le due chiazze sui lati opposti. «Capisco» disse. «Dolci spiriti, capisco cosa devo fare.» Kahlan si chinò per osservare meglio il panno. «Capisci cosa?» Richard capiva tutto. Rise in modo quasi folle. Capiva tutto quanto. Zedd lo stava osservando con sguardo accigliato. Zedd conosceva Richard abbastanza bene da vedere che aveva compreso. Mentre Richard lo fissava, suo nonno gli rivolse un impercettibile sorriso e un cenno col capo di orgoglio, anche se non aveva idea di cosa Richard avesse capito. Tutti alzarono lo sguardo all'improvviso trambusto di persone che entravano nel giardino. I pochi uomini della Prima Fila presenti, come ordinato, si tolsero di mezzo senza fare alcuna resistenza. Richard vide Jagang alla testa del flusso di persone che si stava riversando dalle porte. Sorella Ulicia era al suo fianco. Altre Sorelle seguivano portando le tre scatole dell'Orden. Guardie pesantemente armate, i loro stivali che battevano all'unisono, marciarono attraverso le doppie porte, spargendosi nel giardino come una piena nera. La presenza di Jagang, il suo odio bruciante, incessante, non solo profanava il Giardino della Vita ma definiva lui stesso. Richard sorrise dentro di sé. Lo sguardo degli occhi completamente neri di Jagang era fisso su Richard mentre l'imperatore marciava lungo il sentiero fra gli alberi, oltre aiole di fiori appassiti e i corti muri ricoperti di rampicanti. Le sue guardie reali erano sparpagliate dietro di lui, riversandosi attraverso i cespugli e stabilendo un perimetro difensivo. Jagang esibì un sorriso condiscendente mentre superava la sabbia magi-
ca e attraversava la zona erbosa. Il suo odio lo definiva. Le Sorelle posizionarono le tre scatole nere come l'inchiostro sull'ampia lastra di granito supportata da due corti piedistalli scanalati. Sorella Ulicia ignorò le persone nel giardino. Concentrata sul compito in corso, lanciò solo una breve occhiata a Richard prima di appoggiare il libro sull'altare di granito di fronte alle scatole. Senza indugio, protese una mano e accese un fuoco nella buca, che aggiunse la sua luce a quella emessa dalle torce. Stava scendendo la notte. La luna nuova stava sorgendo. Stavano giungendo le tenebre, un'oscurità oltre quella che ogni essere vivente aveva mai sperimentato. Richard conosceva quell'oscurità. C'era stato. Jagang si avvicinò a grandi passi fino a fermarsi di fronte a Richard, come sfidandolo a combattere. Richard rimase dov'era. «Sono lieto che tu ti sia mostrato ragionevole.» Il suo sguardo scivolò verso Kahlan. La osservò con aria lasciva. «E sono lieto che tu mi abbia portato la tua donna. Mi occuperò di lei più tardi.» Tornò a fissare gli occhi di Richard. «Sono sicuro che non ti piacerà quello che ho in mente.» Richard ricambiò con uno sguardo torvo, ma non disse nulla. In effetti, non c'era nulla da dire. Jagang, pur in tutta la sua presenza intimidatoria, i suoi occhi completamente neri, la testa rasata, il modo in cui ostentava i muscoli così come i gioielli saccheggiati, aveva un aspetto più che stanco. Sembrava logorato. Richard sapeva che l'imperatore aveva degli incubi e, ancor di più, sogni ossessivi su Nicci. Richard lo sapeva perché erano gli incubi e i sogni che lui gli aveva inviato tramite Jillian, la sacerdotessa delle ossa, la portatrice di sogni che discendeva dalla stessa gente di Jagang. L'imperatore si precipitò verso il punto in cui Sorella Ulicia attendeva davanti alla sabbia magica. «Cosa stai aspettando? Comincia. Prima terminiamo, prima possiamo continuare a porre fine alla resistenza al dominio dell'Ordine.» «Ora capisco» sussurrò fra sé Kahlan, vicino a lui, come se anche lei avesse avuto la sua rivelazione. «Ora capisco a chi vuole far del male attraverso di me e perché sarebbe così terribile.» Alzò lo sguardo verso gli occhi di Richard con aria di improvvisa comprensione. Richard non poteva permettersi di venire distratto in quel momento. Spostò di nuovo la sua attenzione verso le Sorelle. C'erano ancora alcune cose su cui doveva riflettere. Doveva assicurarsi che ogni cosa avesse un
senso, altrimenti sarebbero morti tutti... per mano sua. Molte Sorelle si inginocchiarono davanti alla sabbia magica, spianandola in preparazione. Dal modo in cui stavano lavorando come una squadra, Richard suppose che avessero già studiato l'originale de Il libro delle ombre importanti per prepararsi e avessero memorizzato tutte le procedure e gli incantesimi. Fu sorpreso di vederle cominciare tutte a tracciare gli elementi richiesti. Li riconobbe da Il libro delle ombre importanti che aveva memorizzato da ragazzo. Si aspettava che fosse Sorella Ulicia, quella che aveva messo in campo le scatole, a disegnare quegli elementi, ma, mentre lavoravano, Sorella Ulicia andava invece da un simbolo all'altro, terminando la parte finale che li completava. Richard si rese conto che era sensato: era solo necessario che gli elementi venissero fatti, e questo consentiva di risparmiare un bel po' di tempo. Dato che era Sorella Ulicia quella che terminava ogni elemento, Richard immaginò che il libro richiedesse che il responsabile venisse in qualche modo coinvolto, probabilmente imponendo che fosse lui a completare le forme-incantesimo. Era lei che aveva invocato l'Orden. Era lei la responsabile. Jagang, però, possedeva la sua mente e pertanto in definitiva sarebbe stato lui a controllare l'Orden. Richard si ricordava bene quanto ci era voluto a Darken Rahl per effettuare tutte le procedure. Nel modo in cui lo stavano facendo, le Sorelle non avrebbero impiegato così tanto. Lavorando assieme, erano in grado di dividere il lavoro in componenti più semplici. Jagang si diresse verso Richard. «Dov'è Nicci?» grugnì rivolgendogli uno sguardo torvo coi suoi occhi neri. Richard si era domandato quanto ci sarebbe voluto prima che ponesse quella domanda. Era accaduto prima di quanto Richard si aspettasse. «È trattenuta in cella per te, come promesso.» L'accalorata espressione di Jagang si mutò in un ghigno. «È un peccato che tu non sappia proprio giocare a Ja'La dh Jin.» «Ti ho battuto.» Il ghigno di Jagang si allargò ancora di più. «Non alla fine.» Mentre l'imperatore tornava a camminare su e giù con impazienza, Sorella Ulicia sovrintendeva agli elementi del libro, leggendo parti pertinenti quando necessario. Richard capiva cosa stavano disegnando. Si trattava di danza con la morte. Quando Darken Rahl l'aveva tracciata la prima volta era sembrata così misteriosa, ma ora quella lingua aveva senso.
Jagang sembrava ogni momento più teso. Richard sapeva perché. «Ulicia,» disse infine l'imperatore «vado a prendere Nicci. Non c'è motivo che io sia qui mentre lavori. Posso comunque osservare attraverso i tuoi occhi.» Sorella Ulicia chinò il capo. «Sì, Eccellenza.» Jagang rivolse il suo sguardo torvo su Richard. «Dov'è lei?» Richard fece un cenno a uno degli ufficiali della Prima Fila non molto distante, l'uomo che Richard aveva istruito per quello scopo. C'erano solo pochi della Prima Fila presenti, tutti avevano atteso con Richard l'arrivo dell'Ordine Imperiale. Lo avrebbero sorvegliato sino alla fine. «Porta l'imperatore alla cella di Nicci» disse Richard all'ufficiale. L'uomo salutò con un pugno sul cuore. Prima di condurre via Jagang, l'imperatore si voltò con aria soddisfatta verso Richard. «Sembra che anche stavolta perderai all'ultimo tempo di Ja'La dh Jin.» Richard voleva dire che il tempo non era scaduto e la partita non era ancora terminata, ma invece rimase semplicemente a osservare l'uomo mentre attendeva che l'incubo cominciasse sul serio. Kahlan era al suo fianco in silenzio. Il modo in cui gli lanciò un'occhiata lo mise a disagio. Zedd e Nathan sembravano persi nei propri pensieri. Verna pareva arrabbiata che si fosse arrivati a quel punto. Richard non poteva biasimarla. Cara, in piedi accanto a Benjamin, gli prese la mano. Assieme al resto del gruppo, Jagang aveva portato Jennsen nel Giardino della Vita. Le guardie reali la trattenevano dall'altra parte della stanza. Lo sguardo di Tom era fermo su di lei. Lei lo fissò di rimando, incapace di esprimere tutto ciò che evidentemente voleva dire. Cara si spostò lentamente più vicino. «Qualunque cosa accada ora, lord Rahl, sono con voi fino al mio ultimo respiro.» Richard le restituì un sorriso d'apprezzamento. Zedd, non molto distante, annuì il suo accordo allo stato d'animo di Cara. Benjamin si portò lievemente il pugno al cuore. Anche Verna infine sorrise e gli rivolse un unico cenno del capo. Erano tutti con lui. Kahlan, al suo fianco, gli sussurrò: «Potrei chiederti solo di stringermi la mano?» Richard non riusciva a immaginare quanto dovesse sentirsi sola in quel momento. Col cuore pesante per non poterle dire nulla, le prese la mano.
60 Nicci sedeva nell'oscurità quasi totale su una panca intagliata dalla stessa pietra delle pareti. L'anticamera esterna, un secondo strato di protezione che sorvegliava la stanza scavata nella solida roccia, era schermata. L'unico modo per entrare o uscire era attraverso le doppie porte di ferro. Lì venivano tenuti i prigionieri più pericolosi, quelli che potevano comandare la magia. Non c'era modo di dire quante persone fossero state sedute in quella stessa stanza ad attendere il loro appuntamento con la morte, o peggio. Nicci poté udire dei passi nel corridoio esterno oltre le porte di ferro. Stava giungendo qualcuno. Sapeva che era solo questione di tempo prima che arrivasse. Nicci era in uno stato di completa calma. Sapeva perché era lì. Sapeva perché Richard aveva detto a Nathan di farla rinchiudere in quella cella. Udì il clangore della serratura della porta esterna che veniva aperta, il suono metallico che riecheggiava attraverso la rete di bassi corridoi. Poté sentire qualcuno che grugniva mentre dava una serie di poderosi strattoni, per costringere la porta fissata a cardini arrugginiti ad aprirsi abbastanza da poter passare. Quando vide le ombre attraverso la piccola apertura nella porta per la sua cella interna, Nicci con un soffio estinse la lampada accanto a lei sulla panca di pietra che costituiva il letto e l'unico mobilio della stanza. Una chiave stridette e poi la serratura scattò. Dopo essere stata per così tanto tempo nel completo silenzio, trovò il suono stridulo eccezionalmente forte. Mentre la porta si apriva grattando, la luce di una lanterna si riversò all'interno. Della polvere dalla porta arrugginita fluttuò in quell'irritante luce gialla. L'imperatore Jagang si abbassò mentre superava l'alta soletta della soglia per infilarsi attraverso la porta. Nicci si alzò. Lui indossava il suo giustacuore senza maniche per lasciar intravedere la sua corporatura muscolosa. La sua testa rasata rifletteva l'unica fiamma della lanterna che aveva portato. I suoi occhi neri sembravano del tutto a proprio agio nelle profondità di quel buco scuro nella roccia. Quegli occhi neri brillarono quando la inquadrarono. Lei aveva fatto in modo di slacciare la parte superiore del suo vestito per dargli qualcosa che attirasse la sua attenzione. Funzionò. «Ti ho sognata, mia cara» disse come se pensava che questo la impres-
sionasse. Aveva sempre creduto che la sua lussuria significasse qualcosa per lei, come se la sua mancanza di civiltà o ritegno dimostrasse solo quanto lei gli appariva straordinariamente attraente. Per Nicci serviva solo a confermarle che era un selvaggio senza principi morali. Nicci si erse ritta, senza dire nulla, rifiutandosi di ritrarsi mentre Jagang si avvicinava. Lui le cinse il suo braccio muscoloso attorno alla vita, tirandola contro la sua poderosa molte, dimostrandole il suo dominio su di lei, la sua virilità, la sua incontestata autorità. Nicci non aveva intenzione di tirarla per le lunghe. Allungò con noncuranza le sue braccia attorno a lui e richiuse il Rada'Han attorno al suo collo taurino. Lui fece un passo indietro, in preda alla confusione. Lei sapeva che sentiva il potere del collare che gli trapassava ogni fibra del suo essere. «Cos'hai fatto?» chiese in un tono rabbioso che suggeriva un orrore che mai avvertito prima. Nicci non aveva alcuna voglia di discutere la faccenda, perciò esercitò il suo controllo tramite il collare per impedirgli di parlare. Se conosceva Jagang, e lo conosceva, allora Sorella Ulicia sarebbe stata nel Giardino della Vita ad aprire la scatola giusta dell'Orden. Non voleva che Ulicia si rendesse conto di ciò che era appena accaduto. Jagang era stato impaziente di prendere Nicci. Gli incubi che Richard gli aveva inviato lo avevano tormentato, ma i sogni che gli aveva mandato su Nicci avevano mutato la sua passione per lei in un'ossessione, una mania che era cresciuta lentamente fino a essere quasi intollerabile. Jagang l'aveva sempre desiderata, ma dopo i sogni che Richard aveva creato, non riusciva quasi a pensare ad altro tranne che possederla. Era stato persino disposto a lasciare Sorella Ulicia al suo lavoro per venire giù nelle segrete e riprenderla di persona. Era un piccolo dono che Richard le aveva offerto. Quando Nathan l'aveva rinchiusa nella cella le aveva spiegato, al riparo dietro a schermi che proteggevano le sue parole dalle orecchie di qualunque spia, che Richard aveva elaborato quel piano come il suo ultimo dono per Nicci. Richard sapeva che avrebbero dovuto cedere il palazzo. Sapeva che sarebbero morti tutti. L'unica cosa che poteva offrire a Nicci era Jagang. Il Rada'Han si trovava nella cella. Era il collare che Ann aveva lasciato lì quando vi era stata imprigionata per un periodo da Nathan. Era quella la
cosa importante che Ann aveva cercato di dire a Nicci prima di essere uccisa. Nathan sapeva che il Rada'Han era nella cella, dietro gli schermi della stanza. Richard voleva che lo avesse Nicci, perché avesse un modo di sottoporre a una giustizia inappellabile Jagang il Giusto. Richard non si faceva illusioni che questo avrebbe sconfitto l'Ordine Imperiale. I corrotti dettami dell'Ordine corrompevano milioni di menti. Jagang non ne era l'artefice. L'odio comune avrebbe continuato a bruciare senza un solo uomo. Anche Nicci lo capiva bene. Era cresciuta secondo gli insegnamenti dell'Ordine. Sapeva come cercavano di coltivare l'illusione di mutare la sofferenza in virtù, la delinquenza in rettitudine, la morte in salvezza. Tali credenze erano nate nell'ostinato rifiuto dell'uomo di usare la sua mente, nella sua brama di ottenere ciò che non si era meritato, nel suo desiderio di successo senza sforzo. Tali dettami erano l'incarnazione dell'odio per tutto ciò che era buono, un'ostilità per la virtù, per i valori. Era in ultima istanza un'avversione nei confronti di sé stessi, della vita, dell'esistenza. Era quell'odio, quella dedizione alla morte, a essere la vera manifestazione del male. Uccidere Jagang non avrebbe curato l'umanità da un tale fanatismo irrazionale. I dettami dell'Ordine non erano guidati da un unico uomo. L'Ordine sarebbe andato avanti senza Jagang. Né uccidere Jagang avrebbe fermato coloro che avevano in campo le scatole, o l'incantesimo della Catena di fuoco, o la contaminazione dei rintocchi, o il vasto esercito che era in attesa attorno al palazzo, così desideroso di sangue e saccheggio. Non avrebbe cambiato nulla. Ma Richard aveva voluto offrirle l'ultimo dono di essere in grado di vedere un poco di giustizia prima che la sua vita, come quella di tutti gli altri, venisse risucchiata dalle Sorelle che avrebbero invocato il potere dell'Orden al servizio di un esercito devoto ai dettami della Fratellanza dell'Ordine. Era il solo modo di Richard per ringraziarla per tutto ciò che aveva fatto, per consentirle questo piccolo frammento di ultima redenzione dall'uomo che aveva abusato di lei in maniera tanto terribile. Nicci superò l'alta soletta. Il suo prigioniero, incapace di protestare, la seguì. Sebbene il suo dono fosse ridotto all'interno del Palazzo del Popolo, era sufficiente a usare in modo agevole la peculiare natura del Rada'Han. Avrebbe potuto far crollare a terra Jagang in preda a una soverchiante ago-
nia, ma usò soltanto il potere necessario per superare la sua riluttanza a seguire le sue tacite direttive. Fuori dalla seconda porta, diversi ufficiali della Prima Fila, gli uomini che avevano portato Jagang dal suo premio imprigionato, erano in attesa. Il passaggio era così angusto che gli uomini dovevano incurvarsi sotto il basso soffitto e disporsi in fila perché non avevano spazio per stare fianco a fianco. Furono scioccati dal vedere che Nicci aveva il controllo dell'imperatore. Un omone in uniforme, il capitano delle guardie della prigione, era lì con loro. L'uomo era stato gentile con lei, offrendosi di portarle qualunque cosa volesse. Ora lei aveva quello che desiderava. «Capitano Lerner,» disse «vorresti essere così gentile da guidarci fuori da questo labirinto?» Lui fissò l'uomo muscoloso col collare dietro di lei e le sorrise. «Non potrei che esserne felice.» Una volta risaliti fra le immense sale del palazzo, Nicci fece procedere avanti Jagang. Lei lo seguiva da presso, assicurandosi che continuasse a camminare, e non parlasse né facesse gesti a nessuno. Lui cercava con forza di vincere il potere del collare. Per Nicci era ridicolmente facile sopraffare ogni sua resistenza, pur potente e furiosa. Era innocuo come un fantoccio. In tutto il palazzo, uomini dell'Ordine Imperiale si inchinarono a lui mentre passava. Nicci non permise a Jagang di rispondere ai loro cenni. Gli uomini dell'Ordine erano abituati alla sua arrogante superiorità, alla sua indifferenza nei loro confronti, quindi non sospettarono nulla vedendolo marciare davanti a loro senza neanche degnarli di uno sguardo. Non c'era un modo semplice per arrivare al Giardino della Vita. L'intero palazzo era impostato con la forma di un incantesimo di potere, progettato per intensificare il dono del lord Rahl e interferire col dono di chiunque altro. Per arrivare da qualsiasi parte, bisognava percorrere corridoi che erano in realtà elementi della forma-incantesimo: quelli più ampi costituivano le linee principali della forma, mentre i passaggi più piccoli erano gli elementi subordinati. L'intero palazzo era un labirinto di corridoi, con colonne e sale fiancheggiate da file di statue. Era quasi tutto fatto di pietra splendidamente lavorata secondo schemi stravaganti. L'intero palazzo, pur essendo una forma-incantesimo, era anche una città, con strade formate dai corridoi e dai passaggi dell'incantesimo.
Ma per arrivare da qualunque parte bisognava destreggiarsi attraverso le complesse linee di quella forme-incantesimo. Per questo ogni spostamento richiedeva tempo. Il viaggio dalle segrete fin su al Giardino della Vita era lungo. Mentre si facevano strada oltre le stanze con i lucernari, Nicci vide che il cielo aveva appena cominciato a tingersi di blu. Per quando ebbero raggiunto il livello del palazzo su cui sorgeva il giardino, il sole era appena sorto. I primi caldi raggi che provenivano attraverso le finestre a est stavano toccando il marmo bianco sulle pareti opposte. L'intenzione di Nicci era andare nel giardino con Jagang per vedere Richard un'ultima volta. Aveva scoperto da brevi domande che Richard era in qualche modo riuscito a tornare. Jagang non sapeva come. Nicci suppose che non fosse davvero importante, ora. Era tornato, e lei desiderava vederlo un'ultima volta prima della fine. Voleva fargli vedere Jagang affinché sapesse che almeno l'imperatore non avrebbe goduto del terribile risultato della lunga guerra che aveva portato contro il Nuovo Mondo. Dopo tutto ciò che aveva fatto, Richard meritava almeno di conoscere quella piccola vittoria. Quando attraversarono le doppie porte per accedere al Giardino della Vita, Nicci poté vedere tra gli alberi che il sole stava appena toccando l'altare. Mezza dozzina di Sorelle erano riunite attorno a Sorella Ulicia. Lei era in piedi davanti alle scatole. Perfino mentre queste erano immerse nella luce solare sembravano buchi neri nel mondo. I raggi del sole non illuminavano le scatole. Sembrava invece che risucchiassero quella luce, portandola dove non sarebbe stata mai più vista. Jagang lottò con forza per muoversi più vicino, per scrollarsi di dosso il controllo del collare, ma non ci riuscì. Nicci lo tenne fermo, nelle retrovie, da dove le sue guardie pensavano che stesse semplicemente osservando per non essere disturbato. Nicci sapeva di poter porre fine alla vita di Jagang in un istante. Quando fosse venuto il momento, l'avrebbe fatto. Nessuno aveva la minima possibilità di salvare l'imperatore, anche se avesse saputo che si trovava in pericolo mortale. Ora era suo. Nicci poté vedere Richard nel suo splendido completo da mago guerriero. La sua vista le fece dolere il cuore. Kahlan stava in silenzio accanto a lui. Se Richard aveva preservato il campo incolto per poter avere una possibilità di annullare la Catena di fuoco, non era nemmeno a conoscenza dei suoi sinceri sentimenti per lei. Ora
sembrava che Richard non avrebbe mai ottenuto quell'opportunità e lei sarebbe morta senza mai conoscere la verità. Richard notò Nicci. Vide Jagang accanto a lei e comprese che era riuscita a usare il dono che le aveva dato. Le rivolse un piccolo, confidenziale sorriso. Sorella Ulicia diede un colpetto alla scatola sulla destra. «Questa.» Le altre Sorelle erano raggianti per il suo successo. Ora sarebbero state in grado di liberare il potere dell'Orden per l'imperatore. Non sapevano che non sarebbe mai stato in grado di celebrare la vittoria. Sorella Ulicia sollevò il coperchio della scatola sulla destra. Una luce dorata fluì dall'interno come se fosse liquida. Avviluppò le Sorelle in piedi davanti all'altare di pietra. Tutte sorrisero di giubilo per ciò che avevano realizzato, anche se sarebbe stato messo al servizio dell'Ordine Imperiale e non al loro. Di certo, l'avrebbero messo a disposizione dell'Ordine senza neanche rendersi conto che Jagang non stava più controllando le loro menti. Se Nicci avesse lasciato che ne fossero consapevoli, però, le Sorelle avrebbero usato il cancello per liberare il Guardiano del mondo sotterraneo. Nicci aveva deciso di permettere loro di consegnare al mondo all'Ordine o al Guardiano. Sapeva che non era una vera e propria scelta. Almeno la vita sotto l'Ordine Imperiale sarebbe stata vita. Se alle Sorelle dell'Oscurità fosse stato permesso di fare come preferivano, non ci sarebbe stata alcuna vera vita. Nicci non voleva vedere cosa sarebbe successo al nuovo mondo nato dall'odio. Suppose che non avrebbe dovuto preoccuparsene. Si aspettava di avere solo pochi istanti di vita. Ma Jagang sarebbe morto prima di lei. Ci avrebbe pensato lei. La giustizia avrebbe finalmente fatto visita a Jagang il Giusto. L'unica cosa che Nicci non riusciva a capire era perché Richard stesse sorridendo. 61 Richard osservò la luce dorata proveniente dalla scatola dell'Orden lambire le sette Sorelle. La mano di Kahlan strinse la sua. Gli altri nella stanza guardavano con un misto di stupore e sgomento. Era diverso da qualunque cosa avessero o
avrebbero mai visto. Richard lanciò un'occhiata a Nicci. Anche lei era paralizzata dalla luce sfavillante che vorticava attorno alle Sorelle. Jagang, accanto a lei, stava sorridendo. Richard poteva notare appena il metallo del collare che si intravedeva dal davanti del giustacuore. Jagang sapeva che la sua causa avrebbe avuto il potere dell'Orden, anche se non sarebbe vissuto per vederlo. Credeva che questo fosse tutto ciò che importava. Lui credeva nella loro causa. Le Sorelle all'interno dello splendore dorato apparivano deliziate dall'inebriante potere dell'Orden. Durò poco. La luce si fece scura mentre le trascinava in aria, portandole verso il mare annerito della sabbia magica. Le Sorelle fluirono assieme mentre si libravano, riunendosi in un gruppo serrato sopra il terreno. Cominciarono a roteare impotenti nella scintillante luce ambrata. La stanza si rabbuiò mentre poche saette cominciavano a guizzare sopra le loro teste. Diverse Sorelle urlarono. Un basso ruggito crebbe fino a riempire la stanza. La terra tremò mentre lo stretto intrico delle sette Sorelle fluttuava sopra la sabbia magica. I granelli sotto di loro cominciarono a fluttuare. Gli sfavillii all'interno della luce si collegarono ai fasci di fulmini che danzavano per la stanza, dando alle Sorelle un aspetto tremolante. «Cosa sta succedendo?» urlò Sorella Ulicia. Richard lasciò andare la mano di Kahlan e camminò sull'erba verso il bordo della sabbia magica che si stava lentamente scurendo da un color miele a un marrone riarso. Richard poteva sentire l'odore di bruciato. «Cosa sta succedendo?» domandò di nuovo Sorella Ulicia quando Richard incontrò il suo sguardo sconvolto. «Hai letto Il libro della vita?» le chiese con calma. «Ma certo! Devi usare Il libro della vita per mettere in campo le scatole dell'Orden. L'abbiamo letto tutte! Abbiamo seguito ogni formula e ogni istruzione alla lettera!» «Potete aver seguito le istruzioni contenute nel libro, ma non vi siete attenute al suo significato. Avete letto quello che volevate leggere: le formule e le forme-incantesimo.» Molte delle Sorelle urlarono mentre il fulmine crepitava non lontano dai loro volti.
Sorella Ulicia era adirata. «Di cosa stai parlando?» Richard serrò le mani dietro la schiena. «Proprio all'inizio del libro c'è una frase, lì da sola sulla prima pagina, per enfatizzare quanto fosse importante... fondamentale. Non era una formula o una forma-incantesimo, ma era la prima cosa che Il libro della vita diceva. Ed era la prima per un motivo molto importante. Nella vostra arroganza, la vostra cupidigia di ottenere ciò che volevate, l'avete ignorata. «La frase introduttiva de Il libro della vita è un ammonimento a chiunque si accinga a usare il libro. «Dice: 'Quelli che sono giunti qui per odiare dovrebbero andarsene subito, col loro odio possono solo tradire sé stessi'.» «Cosa vai blaterando?» chiese una della Sorelle, non interessata a quello che vedeva come un oscuro aforisma. «Sto parlando di un libro di istruzioni per usare il potere dell'Orden. Il libro della vita è la primissima cosa che serve per usare quel potere. Un potere del genere è pericoloso oltre ogni misura. Coloro che l'hanno creato volevano proteggerlo. I più pericolosi artefatti magici sono protetti da guardiani, schermi difensivi e dispositivi di sicurezza. «L'Orden è stato progettato per annullare la Catena di fuoco, ma dato che aveva bisogno di essere estremamente potente per farlo, questo lo rendeva anche estremamente pericoloso. Coloro che l'hanno creato hanno escogitato un meccanismo di sicurezza che è allo stesso tempo lampante nella sua semplicità e assolutamente sicuro. «Quella protezione dice: 'Quelli che sono giunti qui per odiare dovrebbero andarsene subito, poiché col loro odio possono solo tradire sé stessi'.» «Allora cosa?» urlò Sorella Ulicia. «Allora,» disse Richard scrollando le spalle «è un avvertimento, del tipo più letale possibile. Vi sta dicendo che quell'odio innescherà una reazione mortale da parte del potere dell'Orden. Se volete usare l'Orden per fare del male, questo può solo voler dire che dovete essere qualcuno che prova odio. Solo coloro che hanno l'odio nel cuore progetterebbero di usare un potere del genere per fare del male ad altri.» «Questo non ha alcun senso! Come potrebbe fare del male a qualcuno che è malvagio?» chiese lei. «Come potresti usare l'Orden per fermarci? Tu ci odi e useresti l'Orden per odio.» Richard scosse la testa. «Confondi odio e giustizia. Eliminare quelli come voi che fanno del male alla gente non viene fatto per odio, ma per amore di coloro che non hanno fatto nulla di sbagliato e vengono feriti e uccisi.
Si tratta di amore e rispetto per la vita innocente. «Eliminare persone del genere non è odio. È il risultato di una motivata giustizia.» «Ma noi non odiamo!» gridò un'altra Sorella. «Vogliamo eliminare i pagani, i peccatori e coloro che pensano egoisticamente solo a sé stessi.» «No,» disse Richard «voi odiate quelli che invidiate. Odiate la loro felicità.» «Ma abbiamo usato Il libro delle ombre importanti!» urlò Sorella Ulicia in preda alla disperazione. «Abbiamo seguito l'originale alla lettera. Avrebbe dovuto funzionare.» «Be',» replicò Richard camminando davanti alla sabbia magica annerita «anche se non avete badato alla protezione de Il libro della vita, temo che tu abbia fatto un errore a pensare che Il libro delle ombre importanti sarebbe stato di qualche utilità.» «Ma è il libro vero! L'originale!» Richard sorrise annuendo. «È l'originale di un'altra misura di sicurezza. Non avete letto la prima frase anche in quel libro? Anch'esso mette all'inizio un importante avvertimento.» «Quale avvertimento?» «L'avvertimento di avvalersi di una Depositaria.» «Ma avevamo l'originale! Non avevamo bisogno di una Depositaria!» «L'avvertimento non consisteva nella necessità di una Depositaria. L'avvertimento stava nella menzione di una Depositaria.» Zedd, incapace di contenersi, sollevò una mano. «Richard, di cosa accidenti stai parlando?» Richard sorrise a suo nonno. «Chi fu la prima Depositaria?» «Magda Searus.» Richard annuì. «La donna che era stata sposata con Baraccus. Questo fu durante la guerra. Dopo che fu eretta la grande barriera e la guerra terminò, i maghi qui scoprirono che l'accusatore nel processo sul Tempio dei Venti, Lothain, era un traditore. Per scoprire come li aveva traditi, il Mago Merritt usò Magda Searus per creare una Depositaria.» «Sì, sì» disse Zedd annuendo. «Allora cosa?» «Le scatole dell'Orden furono create durante la grande guerra. La prima Depositaria fu creata molto dopo la guerra. Come poteva Il libro delle ombre importanti essere la chiave per aprire le scatole se le Depositarie non erano ancora state concepite quando l'Orden fu creato?» Zedd sbatté le palpebre dalla sorpresa. «Il libro delle ombre importanti
non potrebbe essere in alcun modo una chiave per aprire le scatole dell'Orden.» «Esatto» disse Richard. «Era soltanto un trucco per prevenire l'uso improprio del potere dell'Orden. Perfino l'originale sarebbe stato letale. Il libro delle ombre importanti non è la chiave per aprire le scatole dell'Orden.» Richard si voltò verso il pandemonio di un crescente boato. Vapore, fumo, ombre e luce roteavano fragorosamente. La terra tremava con violenza. La sabbia magica, ora nera come la pece, veniva risucchiata nel vortice. Con un suono stridente, tutto quel groviglio roteava sopra l'abisso. I suoni del mondo della vita e del mondo sotterraneo si mischiarono in un terribile ululato. Le Sorelle rotearono nel maelstrom, gambe e braccia che si protendevano in ogni direzione, le loro urla perse nel clamore rimbombante. Una luce accecante avvampò al centro della massa turbinante. Raggi di luce incandescente si protesero verso l'alto attraverso le finestre e verso il basso nel nero dell'abisso. L'aria scintillava per il calore, la luce e un urlo penetrante. Con un lamentoso ruggito, la sabbia annerita sotto le Sorelle si squarciò. Una luce violenta balzò verso l'alto a inghiottire le donne terrorizzate. La luce roteante, la sabbia nera e il fulmine si serrarono in un insieme che prendeva velocità. Senza il beneficio di uno spirito guida, le Sorelle turbinarono giù nel mondo dei morti. Vi andarono ancora vive. Vi andarono urlando. Un lampo illuminò tutto di un bianco accecante, poi ci fu silenzio quando tutto si fece nero come la morte. Quando la luce gradualmente tornò, il Giardino della Vita era silenzioso. Il buco nel terreno era svanito. La sabbia magica era svanita. Le Sorelle erano svanite. Anche le guardie personali di Jagang che si erano trovate nel Giardino della Vita erano svanite. Essere nella stessa stanza col potere dell'Orden era stato fatale a loro come alle Sorelle. Jagang, che indossava il collare che lo poneva sotto il dominio di Nicci, era ancora lì, con un aspetto se possibile ancora più adirato. Uomini della Prima Fila fluirono attraverso le doppie porte nel Giardino della Vita per proteggere Richard. «Chiudete le porte e sprangatele» comandò Richard. Gli uomini si affrettarono a eseguire i suoi ordini.
Richard andò all'altare e chiuse il coperchio della scatola dell'Orden. *** «Puoi aver avuto il tuo piccolo successo,» disse Jagang con un ghigno «ma conta poco. Non cambia nulla.» Quando fece silenzio con un suono soffocato, Richard sollevò una mano. «Lascialo parlare, Nicci.» Lei condusse avanti l'imperatore. «L'Ordine Imperiale entrerà comunque qui dentro e farà a pezzi questo posto e il tuo miserabile popolo» disse Jagang. «Non hanno bisogno di me per portare avanti la giusta causa per cui combattiamo. L'Ordine ripulirà l'umanità dal flagello della vostra gente egoista. La nostra causa non è solo morale, ma divina. Il Creatore è dalla nostra parte. La nostra fede lo dimostra.» «La verità ha sostenitori che cercano la tolleranza» disse Richard. «Le idee corrotte hanno miserabili piccoli fanatici che tentano di imporre le loro credenze attraverso l'intimidazione e la brutalità... attraverso la fede. La forza bruta è la servitrice obbediente della fede. La violenza su scala apocalittica può solo nascere dalla fede perché la ragione, per sua stessa natura, placa la crudeltà insensata. Solo la fede pensa di giustificarla.» La faccia di Jagang si fece rossa. «Noi compiamo l'operato del Creatore! La sincera devozione verso il Creatore è l'unico modo vero e morale di vivere questa vita. La stretta aderenza ai nostri pii doveri ci porterà la salvezza e la vita eterna! È il sangue dei miscredenti come la tua gente che ci solleverà al fianco del Creatore stesso.» Richard fece una smorfia. «Questo non ha alcun senso.» «Sei uno sciocco! La nostra fede da sola dimostra che abbiamo ragione! Solo noi saremo ricompensati nell'aldilà per il nostro profondo rispetto per Lui. Siamo i suoi veri figli e vivremo per sempre nella Sua luce.» Richard sospirò mentre scuoteva il capo. «Ho sempre trovato difficile credere che un uomo adulto potesse davvero credere a tali sciocchezze.» Jagang digrignò i denti dalla furia. «Fammi torturare! Io accetto il tuo odio nei miei confronti perché ho eseguito fedelmente i miei doveri per un bene superiore per l'umanità.» «Non reciterai un ruolo importante sul palco della vita» disse Nicci. «Non verrai messo in mostra in catene. Non farai da martire o verrai venerato per una morte gloriosa. «Sei irrilevante. Morirai e verrai sepolto semplicemente, e in quel modo non potrai più minacciare brava gente innocente. Sei irrilevante per il futu-
ro dell'umanità.» «Devi strappare la tua vendetta da me perché tutti vedano!» Richard si sporse più vicino all'uomo. «Ci saranno altri problemi, come sempre nella vita, ma tu non sarai fra questi. Tu sarai l'immondizia di ieri e marcirai fino a diventare polvere, e la tua vita non avrà significato nulla.» Jagang cercò di scagliarsi contro Richard, ma il controllo che Nicci esercitava su di lui tramite il collare lo tenne indietro come un animale incatenato. «Tu credi con arroganza di essere migliore di noi, ma non lo sei. Anche tu non sei che un miserabile essere che il Creatore ha messo in questo disgustoso mondo. Non sei diverso da noi tranne che rifiuti di pentirti e adorarlo. Questo riguarda l'odio. Non è altro che Dio. Riguarda lo sfogo del tuo odio contro l'Ordine.» Richard appoggiò il palmo della sua mano sinistra sull'elsa della sua spada. «La giustizia non è l'esercizio dell'odio: è la celebrazione della civiltà.» «Non puoi semplicemente...» A un cenno di Richard, Nicci lasciò fluire il suo potere nel collare. Gli occhi neri di Jagang si spalancarono mentre sentiva la morte riempire la sua anima vuota. Crollò a faccia in giù per terra. Nicci fece un gesto a diversi uomini della Prima Fila. «Sono sicuro che presto ci saranno molti morti. Gettate il suo cadavere nella fossa comune con gli altri della sua risma.» L'imperatore dell'Ordine Imperiale era morto, così semplicemente. Come Richard aveva comandato, non ci fu nessuna fine grandiosa. Non ci sarebbe stata alcuna celebrazione tramite violenza e mutilazione, alcuna tortura, alcuna confessione forzata di crimini. La gente ragionevole comprendeva i crimini piuttosto bene. La minaccia per la gente ragionevole era stata rimossa; questo era tutto ciò che importava. La morte di Jagang non rivestiva nessun altro significato. 62 Senza indugio, Richard si diresse sull'altare di pietra dove erano poggiate le scatole dell'Orden. Estrasse la spada. Il distinto suono metallico riempì il Giardino della Vita. «Richard,» disse Zedd in un tono di crescente preoccupazione «cosa pensi di fare?»
Richard ignorò suo nonno. Invece fissò Kahlan negli occhi. «Sei con me, Kahlan?» Lei si avvicinò fino a pochi passi da lui. «Sono sempre stata con te, Richard. Ti amo, e so che tu mi ami.» Gli occhi di Richard si chiusero per un momento. Non aveva scelta. Si voltò verso le scatole dell'Orden e chiuse gli occhi mentre sollevava la spada per toccarsi la fronte. «Lama,» sussurrò «sii sincera questo giorno.» Abbassò la Spada della Verità e la rivolse verso l'interno del suo braccio, lasciando scorrere il sangue finché non colò dalla punta. Mise la spada sul coperchio della scatola sulla destra, quella che Sorella Ulicia aveva aperto. La lama diventò nera come la scatola stessa. Lui la ritrasse ed essa tornò al suo stato lucente. Mise la spada sulla scatola sulla sinistra. Di nuovo, divenne nera come il mondo sotterraneo. La ritrasse, lasciando che tornasse al suo stato normale. Richard trasse un profondo respiro, poi appoggiò il piatto della lama sulla scatola centrale. Pensò a tutte le persone innocenti che volevano semplicemente vivere le proprie vite. Pensò a tutti quelli come Cara e le altre Mord-Sith che erano stati resi pazzi fino a servire un tiranno. Pensò a Nicci, indottrinata per tutta la sua vita con odio, spinta a un'esistenza squallida in cui aveva sacrificato sé stessa a dettami contorti. Pensò a Bruce, la sua ala destra, che quando aveva visto forza senza odio ne era stato attratto. Pensò a Denna. Quando aprì gli occhi, la lama era diventata bianca. La scatola sotto di essa era dello stesso colore. Afferrando l'elsa con entrambe le mani, Richard sollevò la punta della Spada della Verità in alto sopra la scatola bianca... e con l'affondo letale della danza con la morte, la conficcò verso il basso, inchiodando la scatola all'altare. Il Giardino della Vita si fece bianco. L'intero mondo della vita si fece bianco. Il tempo si fermò. In quel momento, Richard si ritrovò al centro di un mondo bianco con il nulla attorno a lui. Si guardò intorno, ma non c'era nessuno e, allo stesso tempo, tutti erano lì con lui: ogni individuo nel mondo della vita era assieme a lui.
Lui comprese. Questo era, per molti versi, l'opposto dell'ultimo viaggio per cui si era imbarcato da quella stanza, quando era andato nel mondo delle tenebre e, in un certo senso, ogni anima che lì dimorava era stata con lui. In quel posto, in quello stato, aveva la cosciente consapevolezza di ogni persona vivente. In quel momento, in quel luogo, attendevano tutti ciò che l'uomo che aveva il potere dell'Orden avrebbe detto e ciò che avrebbe fatto. Questo era l'Orden, il potere della vita stessa. «Ogni persona fa scelte su come vivere» cominciò Richard. «Il male non esiste a prescindere dall'uomo. Gli uomini operano il male per scelta. Scegliere vuol dire pensare, anche se in modo improduttivo. La scelta basilare che potete fare è pensare o non pensare, ossia lasciare che altri pensino e vi dicano cosa fare, anche se questo è male. «Le scelte sagge richiedono di più: necessitano di pensiero razionale. Rifiutarsi di pensare razionalmente produce la capacità di mantenere l'illusione di conoscenza, saggezza e perfino santità mentre si commette il male. Se seguite gli insegnamenti di altri che pensano per voi e vi fanno operare il male, le vittime innocenti vengono danneggiate come se voi stessi aveste scelto di far loro del male. «I morti sono morti. La loro vita è finita. «Insegnamenti che sfidano la ragione, sfidano la realtà; ciò che sfida la realtà, sfida la vita. Sfidare la vita è abbracciare la morte. «Esaltare la superiorità della fede sulla ragione è solo un modo di negare ciò che è, per abbracciare ogni capriccio che colpisca la vostra fantasia. «I seguaci della Fratellanza dell'Ordine hanno deciso come desiderano vivere le proprie vite. Se si fossero fermati a questo, a chi come noi dà importanza alla libertà individuale non sarebbe importato come avevano scelto di vivere, ma hanno fatto una scelta - una scelta consapevole - di non consentire agli altri di vivere le proprie vite come desiderano. «È quella scelta, operata col loro libero arbitrio, che non possiamo tollerare. Noi non gli consentiremo di imporci la loro malvagità. Finisce qui, ora. «Io esaudisco il loro desiderio di un mondo in cui poter vivere come hanno scelto. Offro loro quello che più vogliono nella vita: l'esistenza che hanno eletto. «Non potrei condannarli a un fato peggiore. «Da questo momento in poi ci saranno due mondi, gemelli in molti sensi. Questo mondo rimarrà com'è.
«Il potere dell'Orden ha appena duplicato questo mondo, creandone un altro. Quel mondo apparterrà a loro. «Potrebbero non arrivare mai a rendersi conto della follia della loro scelta, ma di certo soffriranno a causa sua. Avranno le vite miserabili a cui si aggrappano con tanto fervore. Avranno le vite di sofferenza che abbracciano in modo tanto bigotto. Avranno le vite di disperato terrore e paura che hanno scelto di imporre a sé stessi rifiutando di usare le proprie menti per pensare in modo razionale. «Hanno scelto di gettare le loro vite nel calderone di un odio che tutto consuma. Esaudisco il loro desiderio. È l'ultima volta che un desiderio porterà loro qualcosa. Vivranno le loro esistenze desiderando e sperando, per sempre perduti nelle tenebre che hanno imposto alle loro menti nutrendo avversione per sé stessi. Ma non saranno più in grado di farci del male. «Credono che coloro che sono liberi siano la causa di tutte le loro sofferenze. Ci incolpano delle loro disgrazie. Ci attaccano dicendo che siamo la causa del male per il solo fatto che esistiamo, prosperiamo, siamo felici. Vogliono distruggerci in modo da poter avere il mondo come lo desiderano.» Richard rivolse la sua attenzione ai seguaci dell'Ordine già nell'altro mondo, già dall'altra parte del cancello che era stato aperto. Anche quelli nel suo mondo potevano udirlo. «Esaudisco il vostro desiderio. «Ora avete quello che avete sempre affermato di volere, un mondo governato dai vostri dettami. Un mondo senza magia, senza uomini liberi e menti libere. Potete credere come desiderate, vivere come desiderate. «Ma non vi forniremo la scusa della miseria che vi create per voi stessi. E neanche la giustificazione per alimentare il vostro odio. «Resterete senza alcun nemico tranne i vostri miserabili schiavi. Potrete governare il vostro mondo come meglio credete, farlo sbriciolare attorno a voi e intanto crogiolarvi nel vostro stesso odio. «I vostri figli, testimoni dell'insensata crudeltà delle vostre credenze ostinatamente ignoranti, si spera che col tempo cambino il vostro mondo per il meglio, rendano le loro vite adulte proficue e gioiose. Ma questo starà solo a loro. Dovranno scegliere da soli di usare la ragione piuttosto che la forza per trattare con gli altri. Come chiunque altro, dovranno operare delle scelte su come vivere la loro unica vita. «Questo mondo sarà nostro. «Questo sarà un mondo senza gli insegnamenti dell'Ordine Imperiale.
Senza quelli che desiderano usare la forza per imporre quei dettami su di noi. Senza coloro che ci ucciderebbero perché pretendiamo di scegliere come vivere le nostre vite. «Questo sarà un mondo con tutte le imperfezioni e le incertezze, le conseguenze di scelte sbagliate, gli stenti e i fallimenti possibili all'interno di una vita, ma sarà un mondo nel quale avremo una possibilità di fare ciò che vogliamo delle nostre esistenze, un mondo in cui saranno davvero le nostre, un mondo in cui ogni uomo potrà imparare, creare, realizzare e conservare i prodotti della sua mente e delle sue fatiche. Sarà un mondo di libertà, un mondo in cui le persone avranno il diritto di vivere come desiderano, di credere come vogliono, fintanto che seguiranno leggi ragionevoli e non useranno la forza per imporre la loro volontà sugli altri. «Non tutti in questo mondo riusciranno, o saranno felici, o capiranno come costruirsi una vita onesta. Per ora, tuttavia, per quelli di noi che vivono, sarà un mondo senza i seguaci dell'Ordine. «Questo è un mondo di vita. La vita è come noi la costruiamo. Possiamo fallire. Ma, per il momento, abbiamo la libertà di riuscire o fallire. Come onorare quella libertà starà a ognuno di noi. «Forse i nostri figli getteranno via tutto questo per riaffondare nella miseria della fede, delle brame, della forza, ma anche quello sarà il mondo nuovo che creeranno per sé stessi. Quella sarà la loro scelta, la loro vita. Anche loro dovranno soffrire le conseguenze se non faranno attenzione alle lezioni impartite dalla nostra lotta. Quella sarà la loro responsabilità verso loro stessi, verso le loro vite. «Ma per ora, per quelli di noi che sono davvero vivi, quelli di noi che esistono ora, questo sarà un mondo dove il libero arbitrio ci permetterà di vivere le nostre vite senza i dettami dell'Ordine Imperiale che ci danneggiano. «Malgrado il male che quelli che ora sono in quel nuovo mondo distante ci hanno inflitto, io non li ucciderò. Non ho bisogno di ucciderli. La mia responsabilità nei confronti di me stesso e di coloro che amo è rimuovere la minaccia in modo che noi possiamo vivere. Questo ho fatto. «La nostra vendetta sarà vivere vite piene di amore, risa e gioia. «Rivolgeremo la nostra attenzione e le nostre preziose esistenze a questioni più significative, a coloro che amiamo e di cui ci curiamo, al nostro futuro. «Coloro di voi che sono nel nuovo mondo distante possono aspirare almeno a quello che ci avreste imposto: mille anni di oscurità.
«Mi aspetto che adoriate per sempre ciò con cui non avrete più alcun legame, o alcuna possibilità di contatto, che pregherete per sempre per un aldilà col Creatore nel mondo degli spiriti, ma sarete per sempre tagliati fuori da ogni mondo eccetto che dal vostro. In quel mondo distante avrete le vostre vite, e dopo essere morti non esisterete più. Dei vostri spiriti non vi sarà più traccia. Le vostre anime si estingueranno assieme alle vostre vite. «Avrete le vostre esistenze, e se le sprecherete continuando ad adorare altri mondi, auspicando visioni inventate di salvezza eterna, desiderando una fuga dalla realtà dell'esistenza, raccoglierete solo il vuoto della morte dopo aver sopportato vite non vissute. Avrete una possibilità di vivere: starà a voi apprezzare quelle vite preziose o gettarle via per un nonnulla. «Volevate una nuova alba per l'umanità. Vi piaceva l'idea di un mondo in cui l'umanità trovasse la propria ragione nel desiderio struggente di altri reami. Esaudisco il vostro desiderio. Ora dovete viverlo. «Noi saremo liberi da voi. «Quel mondo sarà vostro. Non potrete ritornare in questo mondo, poiché non ce ne sarà il modo. Una volta che questo cancello si chiuderà, non ci sarà nessun mondo sotterraneo come passaggio, nessun altro mondo tranne il vostro. Non troverete modi per raggiungere questo mondo e qualunque altro nel mezzo. «Quelli di noi che rimarranno indietro continueranno nel nostro mondo come è sempre stato, con qualunque altro reame sia mai esistito attorno al mondo della vita. «Il vostro mondo non sarà circondato da nessun altro reame. Sarà un'isola di vita. L'eternità vi separerà da ogni cosa. Sarete tagliati fuori dal mondo sotterraneo, dal mondo dei morti. «La vostra esistenza in questo mondo è limitata. Avrete le vostre vite, ma quando morirete le vostre anime cesseranno di esistere. Avrete solo una esistenza, nel vostro mondo della vita. Se continuerete a sprecarla, se non riuscirete a usare le vostre menti per comprendere correttamente la realtà del vostro mondo, la vostra singola esistenza, perderete l'incommensurabile valore della vostra unica vita. «Avete la vita. Ora avete il vostro mondo. Non potrete mai tornare in questo. Non potrete farci più del male. Vi ho dato ciò che volevate: un mondo senza draghi... e senza tutto ciò che è legato alla magia. Rimarrete per sempre con la nostalgia di ciò che non potete più avere. «Sono sicuro che ogni nuovo giorno ci porterà delle sfide da superare,
ma i dettami dell'Ordine non saranno fra queste. Come ha detto Nicci, siete irrilevanti.» 63 Nel vuoto puramente bianco, sua sorella Jennsen entrò nella sua visuale. Tom era con lei, il suo braccio appoggiato con fare rassicurante attorno alle sue spalle. Anche Anson, Owen e Marilee erano là. Tranne per Tom, erano nati senza dono, pilastri della creazione. «Richard,» disse Jennsen «vogliamo andare in quel nuovo mondo.» Una lacrima colò lungo la guancia di Richard. Sapeva che tutti quelli come lei stavano ascoltando ed erano tutti d'accordo. «Avete ogni diritto di rimanere e vivere liberi qui.» «Lo so» disse lei per tutti loro. «Ma tu mi hai insegnato il valore della vita e del rispetto di quella degli altri. In questo mondo è presente la magia. Non vogliamo vivere a discapito di questo mondo, o di vite la cui esistenza dipende dalla magia. Siamo pilastri della creazione. Dobbiamo crescere e costruire, creare il nostro mondo, un mondo senza magia. Questo è il vostro mondo. Quel mondo lontano è il nostro.» Richard le accarezzò la guancia. «Anche se vorrei che tu rimanessi, comprendo.» Oltre a capire, sapeva perché volevano andare in quell'altro mondo. Richard sorrise per la bellezza di Jennsen, di donna e di persona. «Penso che troverai una casa sicura per te e i tuoi amici.» «Pensate che saremo al sicuro, lord Rahl?» chiese Tom. «Voglio dire, considerando la natura delle persone che avete mandato ad abitare quel mondo distante?» Richard annuì. «Movimenti come l'Ordine, che non fanno che degradare e distruggere le vite dei loro seguaci, hanno bisogno di un nemico per sviare l'attenzione dalla profonda miseria che provocano. Un enorme demone costituisce per loro una scusa per uno squallore del genere. Un nemico così, come siamo stati noi, è la colla che tiene assieme le loro flagellanti sofferenze. Senza la scusa di un potente, malvagio nemico da incolpare, le loro idee alla fine crolleranno su sé stesse, anche se imperverseranno per un migliaio di anni prima di estinguersi. Di solito la semplice tirannia si alza da quelle ceneri, per poi tornare a covare sotto le braci, più e più volte nel corso della storia in infiniti cicli, attribuendo le colpe alle persone nel pas-
sato. «Per l'Ordine i nati senza dono saranno un nemico fin troppo piccolo di cui essere consapevole, di cui accorgersi o da incolpare. Sarete semplicemente troppo esigui e insignificanti di numero per costituire una valida scusa.» «Saremo al sicuro» disse Jennsen, rispondendo alla preoccupazione ancora negli occhi di Richard. «Senza un nemico come quello che avevano qui, da incolpare, combattere, conquistare, le persone dell'Ordine rivolgeranno il loro odio verso l'interno. Tormenteranno sé stessi. Faremo in modo di non attirare troppa attenzione su di noi. Staremo bene.» Richard annuì. «Se vi mettete sulla loro strada, nella loro visuale, vi schiacceranno, ma spero che tu e la tua gente possiate trovare un posto, forse la zona che in questo mondo è conosciuta come Bandakar. Lì potrete vivere le vostre vite. Vorrei che potesse andare diversamente, ma so che dev'essere così. «Ho mandato l'incantesimo della Catena di fuoco in quel nuovo mondo lontano» le disse. «Continuerà a essere efficace su tutta la gente lì, cancellando il ricordo di questo mondo, di ciò che avete lasciate indietro. Devo lasciarlo contaminato dai rintocchi per assicurare che qualunque magia portata in quel mondo distante venga distrutta. «Assieme alla magia, i ricordi di questo posto verranno distrutti. «Non ho idea di come i vuoti nella memoria delle persone saranno riempiti, cosa useranno alla fine per sostituire la loro vera storia, i loro veri ricordi. Quelle memorie artificiali saranno per definizione più salde della realtà di una volta, del tempo trascorso qui. Quelle memorie inventate si collegheranno assieme nella mente degli uomini attraverso l'incantesimo della Catena di fuoco, diventando una convinzione comune, una certezza condivisa. Quelle credenze continueranno a esistere per le generazioni future, malgrado tutto. Alla fine, ogni ricordo di noi andrà perduto in quel mondo lontano. «Ma non posso contare sulla Catena di fuoco e sulla contaminazione per distruggere tutta la magia nel modo che credo. Non posso proprio escludere l'ipotesi che coloro che lì avranno la magia non troveranno un modo per aggirarla.» Richard appoggiò una mano sulla spalla di Jennsen. «Tu e quelli come te sarete la garanzia per il futuro del vostro mondo, l'assicurazione che in quel mondo la magia verrà per sempre cancellata dall'esistenza delle generazioni future. Quando infine la vostra discendenza toccherà ogni nuovo
nato, non ci sarà più magia in quel mondo distante, anche se qualcuno cercherà di preservarla, celandola per le proprie ambizioni dispotiche. Il tempo e tutti i pilastri della creazione che nasceranno diffonderanno la vostra caratteristica di non aver alcun barlume del dono, cosicché in futuro nessuno possa più nascere con alcuna traccia e nessuno sia più in grado di riportare la magia. Ma continuerà a vivere qui. «So che tu mi ricorderai, Jennsen, ma so anche che col tempo quella memoria, assieme a quelle di questo mondo e tutto quello che vi si trovava, scivolerà via e diventerà nient'altro che leggenda.» Richard si rivolse a Tom, il grosso D'Hariano biondo. «Tu non sei privo del dono.» Tom annuì. «Lo so, ma amo Jennsen e desidero stare con lei più di ogni cosa nella vita. Dovunque saremo, sarà meraviglioso e la nostra vita insieme sarà stupenda. Sono piuttosto eccitato alla prospettiva di aiutare a costruire un mondo per noi, un mondo dove Jennsen e tutti gli altri senza dono non saranno diversi, ma semplicemente persone. «Lord Rahl, vi chiedo di essere sollevato dal servizio presso di voi, in modo da poter dedicare la mia vita ad amare e proteggere vostra sorella e tutta la nostra gente là nel nostro nuovo mondo.» Richard sorrise e strinse le mani dell'uomo. «Non c'è bisogno che io ti sollevi, Tom. Mi hai sempre servito con piacere. Ti sarò sempre grato di aver reso felice Jennsen.» Tom salutò con un pugno sul cuore, poi, sorridendo, abbracciò brevemente Richard. Owen, Anson e Marilee, sorridendo anch'essi per l'eccitazione delle vite che li attendevano, strinsero le mani con Richard, ringraziandolo per aver insegnato loro ad accogliere la vita. «Ti amo» gli sussurrò Jennsen abbracciandolo stretto. «Grazie, Richard, per avermi aiutato ad amare la vita. Anche se dovessi dimenticarti, resterai sempre nel mio cuore.» Mentre si allontanava, lei e gli altri cominciarono a scomparire nel bianco vuoto del cancello. Tutto solo nel bianco vuoto, Richard afferrò la Spada della Verità per ritrarla dalla scatola dell'Orden, per estrarre la chiave dal cancello. Riusciva solo a pensare che, nonostante tutto fosse andato secondo i suoi piani, la cosa in cui aveva più sperato per sé era fallita. Il campo incolto di cui aveva avuto bisogno per consentire al potere dell'Orden di funzionare era stato contaminato. Kahlan aveva saputo che lui l'amava.
«Sei una persona rara, Richard Rahl» disse la voce più bella del mondo. Richard si voltò e la vide in piedi davanti a sé. I suoi occhi verdi brillavano. Esibiva quel suo sorriso speciale che non riservava a nessun altro. Richard rimase immobile, con la spada tenuta ancora così stretta che poteva sentire la parola VERITÀ premuta contro la mano. Kahlan si avvicinò, facendogli passare un braccio attorno al collo. «Richard, io ti amo.» Richard la cinse con un braccio attorno alla vita, i suoi sentimenti che lo sopraffacevano. «Non capisco. Non avrebbe dovuto funzionare se il campo incolto fosse stato contaminato con la preconoscenza.» «Ero protetta» disse lei con un sorriso beffardo. Richard si accigliò. «Protetta? Come?» «Mi ero già innamorata di te di nuovo. Non avevo bisogno di un campo incolto. Penso di aver iniziato a innamorarmi di te da quel primo momento, quando ti ho visto in quella gabbia che procedeva attraverso l'accampamento dell'Ordine. In ogni cosa che facevi rivelavi che tipo di uomo sei, lo stesso di cui mi sono innamorata tanto tempo fa, colui che ho sposato nel villaggio del Popolo del Fango. «Quando mi hai dato quell'intaglio di Spirito, questo mi ha confermato tutto quanto ero venuta di nuovo a sapere. «L'arte rivela l'essenza interiore dell'artista. L'arte rivela gli ideali di un uomo, ciò che lui stima. Solo una persona con un rispetto talmente profondo, una vera passione per la nobiltà dello spirito umano, poteva condividere il mio amore per la vita.» Richard sorrise e sentì una lacrima scorrergli lungo la guancia. «Mi sono recato nel mondo sotterraneo per prendere i ricordi strappati dalla Magia Detrattiva della Catena di Fuoco. Lì ho appreso che il nucleo di quei ricordi poteva essere ripristinato se solo tu li avessi accettati di tua spontanea volontà. Li ho messi in quell'intaglio. «Quando l'hai accettato, hai accettato i ricordi di ognuno. Hai spezzato l'incantesimo della Catena di fuoco che aveva portato via così tanto a molti. Con la tua disponibilità ad abbracciare tutto ciò che è buono, ad apprezzare la bellezza della vita e ad averla a cuore, hai restituito a tutti i loro ricordi.» Lei lo fissò negli occhi per un momento lunghissimo. Poi lui la baciò, era lei la donna che amava, cosa che per lui significava moltissimo, e da cui era riamato.
La donna per cui era andato nel mondo sotterraneo ed era tornato. Mentre si perdeva in quel bacio, e le braccia di lei lo stringevano forte, estrasse la Spada della Verità dalla scatola dell'Orden, chiudendo il cancello per sempre. *** Quando infine Richard aprì gli occhi, il mondo era tornato. Zedd era lì accanto, e li osservava sorridente. «Zedd» disse Richard, spalancando gli occhi alla vista degli altri. «Non c'è bisogno di scusarsi, ragazzo mio.» «Non mi stavo scusando.» Zedd l'invitò a continuare. «Be', dopo tutto questo tempo hai il diritto di baciare tua moglie. Ho sempre saputo che eravate fatti l'uno per l'altra. «Speravo solo che non ti ci volesse così tanto per capirlo.» Richard lanciò un'occhiataccia a suo nonno. «Spiacente di averti disturbato. Forse avresti dovuto istruirmi un po' meglio all'inizio e non ci avrei messo così tanto.» Zedd scrollò le spalle. «Devo essere stato un buon insegnante: hai capito tutto.» «Richard» disse Nathan facendosi avanti «ti rendi conto di ciò che hai appena fatto?» Richard si guardò attorno. «Be', credo di sì.» «Hai appena realizzato la profezia!» Richard inclinò la testa con aria scettica verso il profeta. «Che profezia?» «La profezia sul Grande Vuoto!» Richard fece una smorfia. «Ma ho appena fatto in modo che ci mettessimo in salvo dal Grande Vuoto da cui ci hai messo in guardia come minaccia della profezia.» Nathan spalancò le braccia al cielo per l'eccitazione. «No, no, non vedi? Hai appena creato un mondo dove la magia non esiste. Ecco perché la profezia considera quell'altro mondo come un vuoto: perché non può vedere in un mondo senza magia! La profezia stava davvero predicendo ciò che avresti fatto quando hai separato i mondi. Il Grande Vuoto è una predizione che appartiene a quell'altro mondo.» Richard sospirò. «Se lo dici tu, Nathan.» «Ma c'è qualcosa che non capisco» continuò Zedd. «Come sapevi che la Spada della Verità era la chiave per aprire le scatole dell'Orden? Intendo dire, sapevi che Il libro delle ombre importanti non poteva essere la vera
chiave perché l'Orden era precedente all'esistenza delle Depositarie. Ma l'Orden è venuto prima anche della Spada della Verità. Come poteva essere questa la chiave?» «La spada ha protetto la mia mente dall'incantesimo della Catena di fuoco perché le scatole dell'Orden sono l'antidoto, e la Spada della Verità o, più correttamente, la magia di cui è imbevuta, è la chiave per le scatole e in questo senso è parte dell'Orden. Questo è stato il lampo d'intuizione che mi ha suggerito che la spada fosse la chiave: dato che la stavo impugnando quando le Sorelle hanno attivato l'incantesimo, ha protetto i miei ricordi di Kahlan, e infatti la spada stessa interrompeva gli effetti in corso per coloro che la toccavano.» Zedd si piantò le mani sulle anche. «Ma la spada è stata creata dopo l'Orden.» «Quello era un trucco.» «Un trucco?» «Quale modo migliore per proteggere qualcosa con un potere tanto enorme: un complesso, stravagante costrutto magico, come tutti pensavano che fosse Il libro delle ombre importanti. «Dopo tutto, un trucco, se architettato in modo appropriato, è magia.» Richard sorrise. «Sei stato tu a insegnarmelo, ricordi? Fu questo che fecero i maghi di allora. Tutta la faccenda de Il libro delle ombre importanti era un modo per camuffare la vera chiave: la Spada della Verità. La spada fu imbevuta della magia per sbloccare l'Orden; il libro era uno stratagemma per mandare tutti fuori strada. «La vera chiave, la spada, ha elementi di magia che completano il costrutto magico dell'Orden. Contiene quegli elementi necessari, magia instillatale da centinaia di maghi. La spada può essere stata creata più tardi, ma la magia di cui è imbevuta è quella degli stessi maghi che idearono l'Orden. È stata sotto gli occhi di ognuno per tutto il tempo. «È questo il motivo per cui la Spada della Verità è sempre stata responsabilità del Primo Mago. Era più che inestimabile. «Tu, Zedd, sei stato un custode adeguato della spada. Hai trovato la persona giusta per diventare il Cercatore di Verità. «Il motivo per cui era così importante trovare l'individuo giusto che fosse il Cercatore è perché solo quel genere di persona, con l'amore per la vita e la sua empatia per gli altri, sarebbe stata in grado di far diventare bianca la lama. Solo quella persona, toccando la scatola giusta, avrebbe potuto farla diventare bianca. «Solo un autentico Cercatore di Verità può usare la Spada della Verità e
il potere dell'Orden. «L'ammonimento all'inizio de Il libro della vita dice: 'Quelli che sono giunti qui per odiare dovrebbero andarsene subito, poiché con il loro odio possono solo tradire sé stessi'. La Spada della Verità richiede compassione per funzionare. A far diventare bianca la lama non sarà l'odio, ma la compassione. Questo è l'ultimo meccanismo di protezione per l'Orden. Allo stesso tempo, funziona in questo modo per potere essere la chiave per le scatole dell'Orden. «Non puoi usare l'odio per far funzionare l'Orden. L'odio non fa parte della soluzione. Il libro della vita ci avverte proprio di questo. Una volta afferrato il concetto, è tutto piuttosto semplice.» «Sì, riesco a capire quanto è semplice» borbottò Zedd fra sé mentre si infilava un dito nella sua folta chioma bianca ribelle per grattarsi la testa. Nathan schioccò le dita voltandosi verso Zedd. «Ora comprendo anche quell'altra profezia.» Zedd alzò gli occhi. «Quale?» Nathan si sporse più vicino. «Ti ricordi: 'Un giorno, qualcuno non nato in questo mondo dovrà salvarlo'. Ora ha più senso.» Zedd si accigliò. «Non per me.» Nathan schioccò le dita. «Be', ragioneremo sui dettagli più tardi.» Zedd rivolse a Richard uno sguardo penetrante. «Rimangono parecchie domande, c'è molto da capire. Come Primo Mago mi occorre sapere tutto in modo da poterti dire se hai valutato correttamente tutti i particolari. E se avessi fatto qualche calcolo sbagliato? Dobbiamo sapere se...» «Non c'era tempo» disse Richard, interrompendolo. «Talvolta si ha solo un istante per fare qualcosa, e in circostanze del genere non si può considerare o vagliare ogni eventualità. In quell'attimo di opportunità non si può valutare ogni circostanza, men che meno pianificarla o affrontarla. «Talvolta è più importante cogliere quell'opportunità e fare quello che puoi, anche sapendo che ciò può non tener conto di tutti i problemi, piuttosto che non fare nulla. «Solo dopo si può tornare su quello che si sarebbe potuto e dovuto fare. «Io dovevo agire. Ho fatto il meglio che potevo prima che fosse troppo tardi.» Zedd sorrise, poi afferrò la spalla di Richard, dandole uno scrollone. «Hai agito bene, ragazzo mio. Hai agito bene.» «Sì, è proprio così» disse Nicci. Tutti si voltarono per vederla procedere lungo il sentiero, un enorme sor-
riso sul suo volto. «Ho appena controllato. L'esercito dell'Ordine Imperiale è svanito dalla piana di Azrith. Sono rimasti pochi uomini, quelli come Bruce, che vogliono l'opportunità di un'esistenza libera per cercare di realizzare qualcosa nelle proprie vite.» Un'acclamazione si levò da coloro che si trovavano nella stanza quando udirono che il vasto esercito dell'Ordine Imperiale se n'era andato. Non appena Nicci fu vicina, Kahlan la abbracciò. Infine si ritrasse e le sorrise con aria d'intesa. «Solo qualcuno che lo ama davvero avrebbe fatto tutto ciò che tu hai fatto per riportarmi indietro. Sei più di un'amica per noi.» «Richard mi ha insegnato che amare qualcuno significa mettere i suoi desideri più profondi al di sopra dei tuoi ed esserne appagati. Non negherò che lo amo, Kahlan, tuttavia non potrei essere più felice per voi due. Vedervi assieme e così innamorati mi dà una gioia profonda.» Nicci rivolse la sua attenzione a Richard. Aveva un aspetto tanto serio da renderlo inquieto. «Volevo sapere come sei riuscito a creare un mondo lontano dall'altra parte del nulla e mandare là tutti quanti.» «Be',» cominciò lui «nei libri sulla teoria dell'Orden ho letto che il cancello che veniva creato poteva piegare la magia in modo da neutralizzare la Catena di fuoco. Questo mi ha dato un'idea.» Tirò fuori il panno bianco piegato dalla tasca. «Vedi qui? È caduta una goccia d'inchiostro.» Zedd si sporse più vicino. «E allora?» Richard spiegò il panno bianco. «Guarda» disse, indicando le due macchie ai lati opposti del tessuto. «Quando il panno è piegato, queste due macchie si toccano. Quando lo spieghi, sono sulle estremità opposte. «Il potere dell'Orden è in grado di piegare l'esistenza: in effetti, l'Orden è la piega nell'esistenza che permette di annullare la Catena di fuoco e ripristinare la memoria. Infatti io ho usato il potere dell'Orden per creare una copia di questo mondo. L'Orden ha inviato quelle persone attraverso il cancello verso quell'altro mondo che, in effetti, era proprio qui in questo stesso luogo; poi, quando ho estratto la spada dalla scatola e richiuso il cancello, quell'altro mondo si è ritrovato dall'altra parte dell'esistenza, proprio come questa macchia che una volta toccava l'originale ora si trova dall'altro lato del panno.» «Intendi dire» intervenne Zedd, sfregandosi il mento pensieroso «che l'Orden ha creato un cancello che ha momentaneamente unito i due luoghi
per poter consentire a coloro che desideravano un mondo senza magia di passare dall'altra parte, e poi ha separato i mondi per sempre.» «Sei un allievo sveglio» disse Richard, prendendolo in giro. Zedd gli diede un buffetto sulla spalla. Richard fece alcuni passi per andare ad appoggiare una mano sulla spalla di Verna. «È stato Warren a farmi venire l'idea. Fu il primo a dirmi che le scatole dell'Orden erano un cancello, un condotto attraverso il mondo sotterraneo. Non ci sarei riuscito senza Warren. Ci ha aiutati tutti con la sua conoscenza.» Verna, i suoi occhi colmi di lacrime, sfregò affettuosamente la schiena di Richard in segno di stima. Richard sollevò l'amuleto che indossava al collo, quello portato un tempo dal Mago Baraccus. «Questo amuleto illustra la danza con la morte. Rappresenta qualcosa di più che il solo fatto di combattere con la spada o vivere la vita. Questo emblema contiene quello che mi è servito per andare nel mondo sotterraneo, il mondo dei morti. È una parte di ciò che Baraccus voleva che comprendessi. «Ma questo amuleto rappresenta anche il movimento finale della danza con la morte, l'affondo mortale, che è servito per usare le scatole dell'Orden.» Kahlan gli cinse la vita con un braccio. «Hai reso orgoglioso il Mago Baraccus, Richard.» «Ci hai reso tutti orgogliosi» precisò Zedd. Gli occhi azzurri di Nicci sfavillavano assieme al suo sorriso. «È proprio così.» Zedd sorrise in un modo che Richard non vedeva da tempo. Era il vecchio Zedd, nonno, consigliere e amico di Richard. Zedd parlò con discreto orgoglio. «Tu, Richard, hai realizzato tutto quello che gli antichi maghi hanno cercato di fare con la grande barriera al sud e io, come Primo Mago, ho tentato di fare coi confini. «Hai eliminato la minaccia, non consentendo loro di farci più del male, ma hai lasciato la vita per il futuro. Tutti i figli di quelle persone avranno l'opportunità di imparare dagli errori dei loro padri e, forse, apprenderanno, cresceranno e si innalzeranno sopra l'odio verso gli altri come atteggiamento e modo di vivere. Hai dato loro un mondo in cui potranno superare il loro odio per la vita, un mondo in procinto di entrare in mille anni di
oscurità, ma hai anche dato alle generazioni future l'opportunità per far nascere lì una nuova umanità, che si spera abbracci la vita e la nobiltà dello spirito umano. «Hai dato a entrambi i mondi il dono della vita, e l'hai fatto tramite la forza, senza odio.» 64 La dolce brezza scompigliò i capelli rossi di Jennsen mentre fissava la lettera R sbalzata sul manico d'argento del suo coltello. «Stai pensando a tuo fratello?» chiese Tom camminando verso di lei, riscuotendola dai suoi ricordi. Lei sorrise a suo marito mentre lo teneva abbracciato. «Sì, ma solo buoni pensieri.» «Anche a me manca lord Rahl.» Estrasse il suo pugnale per osservarlo. Era il gemello di quello di Jennsen. Aveva la medesima lettera R della casata dei Rahl. Tom aveva passato la maggior parte della sua giovane vita come membro delle forze speciali che in segreto proteggevano il lord Rahl. Era così che si era guadagnato il diritto di portare quel coltello. Jennsen appoggiò una spalla contro lo stipite della porta. «Sembra che tu abbia trovato un lord Rahl degno di essere servito, quando hai abbandonato tutto per venire qui con me.» «Lo sai,» disse lui, sorridendo mentre infilava di nuovo il suo coltello nel fodero «preferisco la mia nuova vita con la mia nuova moglie.» Lei lo cinse in vita. «È proprio così, vero?» gli chiese in tono canzonatorio. «Mi piace anche il mio nuovo nome» aggiunse lui. «Mi ci sto finalmente abituando. Sai, mi ci trovo a mio agio.» Quando si erano sposati, Tom aveva assunto il cognome di lei, Rahl, in modo da poterlo trasmettere nel nuovo mondo. Sembrava del tutto adeguato che l'uomo che gli aveva dato la loro nuova vita dovesse essere ricordato in qualche modo. In ogni altro senso stava scomparendo dalla memoria. Per Jennsen fu sorprendente vedere come così tante persone non si ricordavano nemmeno il posto da cui provenivano, il loro vecchio mondo. Era proprio come aveva detto Richard: l'incantesimo della Catena di fuoco stava cancellando la loro memoria e quegli spazi vuoti venivano riempiti
con nuovi ricordi, nuove convinzioni su chi fossero. Dato che l'incantesimo della Catena di fuoco e la contaminazione al suo interno erano entrambi di Magia Detrattiva, influenzavano anche i nati senza dono, perciò anch'essi continuavano a dimenticarsi chi e cosa erano stati. Per la maggior parte, la magia era diventata nient'altro che superstizione. I maghi e le incantatrici erano sempre meno importanti. Erano diventati nulla più che racconti narrati attorno al fuoco per spaventare le persone e farsi una bella risata. I draghi stavano diventando semplice folklore. In questo mondo non c'erano draghi. Chiunque possedesse la magia andava scomparendo. La loro capacità si andava estinguendo, soffocata dalla contaminazione dei rintocchi. Giorno per giorno, diventavano sempre meno potenti. Alla fine sarebbero state solo vecchie streghe e stregoni che vivevano in solitudine in luoghi paludosi, considerati pazzi dalla maggior parte della gente. Ogni traccia del dono che sopravviveva, se non deperiva per effetto della contaminazione dei rintocchi che avevano portato con sé nel loro mondo, sarebbe stata infine eliminata del tutto dai discendenti dei nati senza dono. Sarebbe stata solo una questione di generazioni, prima che non esistesse più traccia del dono nell'umanità, proprio come l'Ordine una volta aveva detto di volere. Tutti si preoccupavano di problemi più importanti ora. Le loro vite adesso ruotavano attorno al duro lavoro per la sopravvivenza, non essendoci nessuno che realizzava nulla di valido. Le persone si erano dimenticate come fare, come creare le cose. Perfino ciò che una volta era sembrato comune, come i metodi di costruzione, era andato perduto. Le persone qui non avevano mai saputo come creare: avevano fatto affidamento ad altri per produrre e costruire. Sarebbe toccato alle future generazioni scoprire di nuovo tutto quanto. Quelli della vecchia vita, coloro che avevano creato, inventato, reso la vita più semplice per tutti e che erano stati l'oggetto di quell'odio, non erano in questo mondo per aiutare a migliorare qualcosa. Era compito delle persone rimaste, per la maggior parte, arrabattarsi a esistere meglio che potevano. Per molti che vivevano in un'epoca tanto oscura, la malattia e la morte erano compagne di viaggio. Come avevano fatto nel mondo da cui erano stati banditi, si erano rivolti alla superstizione e a una bieca fatalistica accettazione della miseria della vita e della devozione alla fede. Sembrava che, dovunque Tom e Jennsen si recassero per scambiare ri-
sorse, sorgessero chiese come speranza di salvezza dell'umanità dalla miseria. Uomini di Dio viaggiavano per le campagne per diffonderne la parola e richiedere devozione a Lui. Jennsen e la sua gente rimasero per conto loro, godendo del frutto del proprio lavoro e della semplice gioia di essere lasciati in pace da tiranni e bruti. Alcuni di loro, però, avevano cominciato a portare su di sé i simboli di quelle credenze religiose. Sembrava loro più semplice essere d'accordo che metterle in discussione, accettare fedi preconfezionate piuttosto che pensare a sé stessi. Jennsen sapeva che il loro mondo sarebbe presto piombato in un'età molto oscura, ma sapeva anche che, all'interno di quel mondo cupo, lei e quelli che erano con lei avrebbero potuto ritagliarsi il loro piccolo angolo di felicità, gioia e allegria. Il resto del mondo era troppo impegnato a soffrire per preoccuparsi di una zona distante abitata da poche persone tranquille. Alcuni dei nati senza dono, però, quando i loro ricordi del vecchio mondo erano svaniti, se n'erano andati a vivere nelle città e in posti distanti. Inconsapevolmente, avevano diffuso la caratteristica della mancanza del dono alla nascita. Caratteristica che si sarebbe diffusa fino agli angoli più remoti del mondo. «Come sta venendo il giardino?» chiese a Tom mentre lui si toglieva il fango dagli stivali. Lui si grattò la testa di capelli biondi sorridendo. «I primi germogli stanno spuntando, Jenn. Riesci a crederci? Sto coltivando. Io, Tom Rahl. Lo trovo più che piacevole. «E penso che la scrofa stia per partorire da un momento all'altro. Te lo dico io, Betty è fuori di sé dalla gioia. Dal modo in cui agita la coda, ho la sensazione che pensi che sarà lei ad avere i maialini.» Betty, la capra bruna di Jennsen, adorava la sua nuova casa. Stava vicino a Tom e Jennsen tutto il tempo e la faceva da padrona. Betty aveva un paio di cavalli che adorava, un mulo che tollerava e polli su cui spadroneggiava. Presto poi avrebbe avuto i propri capretti. Tom appoggiò le spalle contro la parete e incrociò le braccia guardando con piacere la meravigliosa campagna primaverile. «Penso che ce la caveremo proprio bene, Jenn.» Lei si alzò in punta di piedi e gli baciò la guancia. «Bene, perché sto per avere un bambino.» Lui per un momento parve sbigottito; poi fece un balzo in aria lanciando
un urlo selvaggio. «Ma davvero? Jennsen, è magnifico! Porteremo un nuovo piccolo Rahl nel nuovo mondo? Davvero?» Jennsen rise, annuendo al suo entusiasmo. Desiderava che Richard e Kahlan lo sapessero, che potessero venire a visitarli quando avesse avuto il bambino. Ma Richard e Kahlan erano in un altro mondo. Lei era arrivata ad amare i vasti campi assolati, gli alberi, le stupende montagne al di là e la confortevole abitazione che avevano costruito. Era casa. Una casa piena di amore e vita. Desiderava che sua madre potesse vedere il suo posto nel mondo. Desiderava che Richard e Kahlan potessero vedere la sua nuova casa, la dimora che lei e Tom avevano costruito dal nulla. Sapeva quanto Richard ne sarebbe stato orgoglioso. Jennsen sapeva che Richard era reale, ma, per gli altri loro amici nel nuovo mondo, Richard e tutto ciò che incarnava, che rappresentava, tutto ciò che una volta avevano conosciuto... stava finendo nel reame velato della leggenda e del mito. 65 A Kahlan sembrava di fermarsi a ogni passo per salutare la gente. Si alzò in punta di piedi per guardare oltre la folla, cercando di vedere le persone che stava cercando, che era eccitata di poter rivedere. Sembrava che il mondo intero fosse riunito negli estesi corridoi del Palazzo del Popolo. Non si ricordava di aver mai visto così tante persone tutte insieme in altre occasioni. Ma in effetti era un avvenimento speciale, qualcosa che nessuno aveva mai visto prima. Nessuno se lo sarebbe perso. Il mondo era un luogo diverso. Ora che così tante persone votate all'odio erano svanite da questo mondo ed erano andate nel proprio, sembrava che ci fosse stata una rinascita spirituale. Con meno persone a produrre in regime di schiavitù, il bisogno di cibo e altri beni aveva spronato invenzioni e innovazioni che richiedessero meno manodopera. Ogni giorno lei veniva a sapere di nuove idee, nuove creazioni che erano state sviluppate. Le opportunità per gli individui di ideare e prosperare non erano più represse. Sembrava che il mondo fosse in fiore. Kahlan si fermò quando qualcuno le afferrò il braccio. Si voltò e vide Jillian con suo nonno. Kahlan abbracciò stretto la ragazza e disse a suo
nonno che coraggiosa giovane donna era stata, e come aveva aiutato a salvarli tutti lanciando sogni. Suo nonno era raggiante per l'orgoglio. Kahlan era assediata da persone che volevano tutte prenderle la mano, dirle quant'era bella, chiederle se lei e Richard stavano bene. Era un piacere vedere una celebrazione del genere, tanta gioia e benevolenza insieme. Diversi membri della cripta la fermarono per esprimerle la loro eccitazione per essere stati invitati. Lei abbracciò una delle donne per farla tacere. Da quando Richard aveva liberato il potere dell'Orden e aveva fatto ricrescere le loro lingue, Kahlan pensava che nessuno del personale della cripta avesse smesso di parlare. Kahlan notò Nathan procedere attraverso il corridoio. La sua folta chioma di lisci capelli bianchi ricadeva sulle ampie spalle coperte di un mantello di velluto blu sopra una camicia bianca di merletto. Portava all'anca una spada elegante; diceva che lo rendeva affascinante. Aveva una donna attraente a ciascun braccio, dunque lei immaginò che funzionasse. Kahlan sperava che anche a mille anni Richard, indossando la sua spada, avrebbe avuto la stessa bellezza virile. Fece un cenno a Nathan dall'altro lato di un mare di persone. Lui indicò per dirle che l'avrebbe vista assieme a Richard. Lei si diresse in quella direzione. Quando notò Verna, Kahlan prese il braccio della Priora. «Verna, sei venuta!» Verna esibì un sorriso solare. «Non mi sarei mai persa un evento del genere.» «Come va la vita al Mastio del Mago? Le tue Sorelle sono felici lì?» Il sorriso di Verna si allargò. «Kahlan, non so come dirtelo. Abbiamo trovato nuovi ragazzi col dono. Sono venuti per unirsi a noi e li stiamo istruendo. È così diverso da prima, è molto meglio. È tutto così nuovo ed eccitante, con un Primo Mago ad aiutarci. Vedere ragazzi così giovani giungere finalmente a conoscere il loro dono è meraviglioso.» «E la vita con Zedd al Mastio?» «Zedd non è mai parso tanto felice. Con un Mastio pieno di gente penseresti che possa essere irritato, ma, Kahlan, te lo dico io, quell'uomo è rinato. Ora è di nuovo un bambino, con Chase ed Emma che vivono lì, con tutti i loro figli, e i ragazzi che apprendono il loro dono. Quel posto è nuovamente pieno di vita.» Kahlan era rimasta senza fiato solo ad ascoltarlo. «È meraviglioso, Verna.» «Quando verrai a fare un visita? Tutti vogliono rivedere te e Richard.
Zedd ha fatto in modo che venissero delle persone a riparare il Palazzo delle Depositarie. Ha di nuovo un aspetto maestoso. È pronto perché tu torni a visitare la tua casa quando vuoi. Non crederesti mai a tutto il personale che è tornato e spera solo che tu e Richard trascorriate un po' di tempo lì.» Era una tale gioia per Kahlan sapere che così tante persone erano sincere nel loro desiderio di averla vicina. Era cresciuta come Depositaria, una donna temuta da tutti. Ora, grazie a Richard e a tutto ciò che era accaduto, era amata per quello che era e come Madre Depositaria. «Presto, Verna, presto. Richard dice che ha voglia di andare un po' in giro. Il palazzo lo sta facendo diventare matto. È circondato da marmo e quello che vuole è solo andare a guardare gli alberi.» Verna baciò la guancia di Kahlan prima che quest'ultima si allontanasse di nuovo. Aveva fatto solo pochi passi quando un uomo dalla mascella quadrata, il capitano Zimmer, la vide e portò il pugno al petto in segno di saluto. «Hai orecchie da mostrarmi, Capitano?» Lui le rivolse un sorriso d'intesa. «Spiacente, Madre Depositaria. Non ho avuto modo di raccoglierne, di recente... grazie a voi e a lord Rahl.» Lei gli strizzò la spalla mentre proseguiva. Infine notò Richard in mezzo alla folla. Lui si voltò a guardarla, quasi avvertisse la sua presenza. Lei non dubitava che ne fosse capace. La sua vista, come sempre accadeva, la rese debole dalla gioia. Lui era magnifico nel suo completo nero da mago guerriero, perfettamente adatto per l'occasione. Quando lei lo raggiunse e lui le cinse con gentilezza la vita, avvicinandola a sé per baciarla, il resto del mondo, migliaia di persone che li stavano osservando, svanì dalla sua mente. «Ti amo» le sussurrò nell'orecchio. «Sei la più bella.» «Non lo so, lord Rahl,» disse lei con un sorriso scherzoso «potrebbe apparire qualcun'altra. Meglio non giudicare troppo in fretta.» Richard vide Victor Cascella, col suo sogghigno da lupo, portarsi il pugno al petto in segno di saluto. Richard, sorridendo al fabbro, gli restituì lo stesso saluto. Kahlan poi notò Zedd. Gettò le braccia attorno al vecchio. «Zedd!» «Non strizzarmi a morte.» Lei si ritrasse, afferrandogli le braccia. «Sono così contenta che tu sia venuto!» Il suo sorriso era contagioso. «Non me lo sarei perso per niente al mon-
do, mia cara.» «Ti stai divertendo? Hai mangiato qualcosa?» «Mi divertirei di più se Richard mi lasciasse in pace in modo da poter assaggiare alcuni di quei rinfreschi dall'aspetto delizioso.» Richard fece una smorfia. «Zedd, il personale della cucina scappa quando ti vede.» «Be', se non gli piace cucinare, non sarebbero dovuti diventare cuochi.» Kahlan sentì qualcuno afferrarle la mano. «Rachel!» Si chinò e abbracciò la ragazza. «Come stai?» «A meraviglia. Zedd mi insegna a disegnare, quando non mangia.» Kahlan rise. «Ti piace vivere al Mastio?» Rachel si fece raggiante. «È la cosa più divertente del mondo. Ho fratelli e sorelle e amici. E Chase ed Emma, naturalmente. Penso che a Chase piaccia proprio essere un custode del Mastio.» «Ci scommetto» disse Richard. «E un giorno,» aggiunse Rachel «potremmo trasferirci a Tamarang per vivere nel castello. Ma Zedd dice che non sono ancora pronta per quello.» Rachel era nata con sangue reale che portava con sé la capacità di disegnare incantesimi nelle caverne sacre. Tecnicamente, era la regina di Tamarang. Un giorno sarebbe diventata una superba regina e avrebbe fatto disegni magnifici. «Zedd,» disse Kahlan «hai visto Adie?» «Sì.» Zedd sorrise fra sé. «Friedrich Gilder la rende felice. Se c'è una donna che merita di trovare la felicità, quella è Adie. È stata fortunata a recarsi al Mastio quando il palazzo era sotto assedio e a imbattersi in Friedrich. Quei due sono sembrati andar subito d'accordo. Ora che Aydindril è di nuovo piena di vita, Friedrich ha più lavoro come orafo di quanto ne riesca a gestire. Quasi non riesco a fargli fare alcun lavoro per noi al Mastio.» «E tu stai bene?» chiese Kahlan. Le sue sopracciglia si sollevarono. «Be', starò bene quando tu e Richard verrete e vi fermerete per un po'.» Puntò un dito verso Richard. «Te lo dico io, Richard, talvolta ho l'impressione che tu te ne sia andato nel mondo sotterraneo, per vivere nel Tempio dei Venti.» Richard lanciò uno sguardo in tralice a suo nonno. «Il Tempio dei Venti non è nel mondo sotterraneo.» «Ma certo che lo è. Venne bandito durante...» «L'ho riportato indietro.» Zedd si irrigidì. «Cosa?»
Richard annuì con un sorriso impercettibile. «Quando sono andato nel mondo sotterraneo prima di liberare il potere dell'Orden, ho fatto alcune cosette. Mentre il cancello dell'Orden era aperto, sono stato in grado di riportare il tempio al suo posto: in questo mondo. È stato progettato, ideato e costruito dalla mente umana. Le cose che contiene sono creazioni della mente umana. Appartiene agli uomini. Io l'ho riportato per quelli di noi che stimano tale genialità.» Zedd non aveva ancora sbattuto le palpebre. «Ma è pericoloso.» «Lo so. Mi sono assicurato che per ora nessuno tranne me possa entrarci. Ho pensato che quando non sei occupato, tu e io potremmo farci una visita. È un posto alquanto straordinario, in effetti. Nella Sala del Cielo, il soffitto di pietra è come una finestra che mostra il cielo sulla sua superficie. È davvero stupendo. Mi piacerebbe essere io a mostrarti un posto che nessun altro ha visto in tremila anni.» Zedd sollevò un dito. «Richard, cos'altro hai fatto mentre il cancello dell'Orden era aperto?» Richard scrollò le spalle. «Qualcosa qua e là.» «Per esempio?» «Be', per dirne una, ho aggiustato le cose in modo che i frutti rossi delle Terre Centrali non siano più velenosi, come ti avevo promesso di fare molto tempo fa.» «Cos'altro?» «Be', io... oh, guarda, è il momento di iniziare. Devo andare. Parleremo più tardi.» Le sopracciglia di Zedd si corrugarono. «Oh, sì che lo faremo.» Prendendo la mano di Kahlan, Richard salì i gradini verso la piattaforma della piazza delle devozioni. Egan e Ulic erano in piedi, con le mani serrate e l'atteggiamento disinvolto, in attesa del lord Rahl. Richard prese il suo posto con Kahlan al suo fianco. La folla nel vasto salone si acquietò. Quando infine Kahlan la vide arrivare, esibì un sorriso tanto ampio da farle male alle guance. La folla si suddivise a destra e a sinistra tappeto rosso apparentemente infinito per fare largo alla coppia che si avvicinava al palco. Gli accompagnatori seguivano in una lunga scia. Cara, con un aspetto davvero radioso, salì i gradini con Benjamin al suo fianco, tenendogli il braccio. Lui aveva un aspetto magnifico nella sua alta uniforme. Benjamin era ora il generale Meiffert, comandante della Prima Fila del Palazzo del Popolo.
Cara, come tutte le Mord-Sith che la seguivano, indossava il suo cuoio bianco. Assieme all'uniforme scura di Benjamin, formavano una coppia stupenda. In un certo senso ricordava a Kahlan lei stessa nel suo abito bianco da Depositaria e Richard nel suo completo nero da mago guerriero. Nicci, bella come sempre, sorrise fra le Mord-Sith. Era lì per rappresentare Cara come sua testimone ufficiale. «Siete pronti?» chiese Richard. Cara e Benjamin annuirono, troppo felici per rispondere, pensò Kahlan. Richard si sporse un poco in basso, fissando Benjamin con sguardo rapace. «Ben, non osare farle del male, mi hai capito?» «Lord Rahl, non penso che potrei farle del male, anche se lo volessi.» «Sai cosa intendo.» Benjamin fece un ampio sorriso. «So cosa intendete, Lord Rahl.» «Bene» disse Richard con un sorriso. «Ma io posso comunque fargli male se voglio, giusto?» chiese Cara. Richard sollevò un sopracciglio. «No.» Cara sogghignò. Richard girò lo sguardo sulla folla silenziosa. «Signore e signori, siamo qui riuniti oggi per essere parte di qualcosa di meraviglioso: l'inizia della vita assieme di Cara e Benjamin Meiffert. «Entrambi si sono dimostrati i migliori esempi di quel genere di persone che noi tutti speriamo di essere. Forti, saggi, leali verso coloro che amano e disposti a superare ogni ostacolo per abbracciare il nostro sommo valore: la vita. Essi desiderano condividere quella vita l'uno con l'altra.» La voce di Richard si ruppe appena un poco. «Nessuno in questa stanza è più orgoglioso di questo, o di loro, di quanto lo sia io. «Cara, Benjamin, voi non vi state legando di fronte a tutti noi solo con le parole, ma anche nei vostri cuori. Queste sono solo parole, ma le cose semplici hanno un grande potere.» Kahlan riconobbe le parole della cerimonia del loro matrimonio. Pensò che Richard non potesse renderle omaggio più grande. Richard si schiarì la gola e fece una pausa per ricomporsi. «Cara, vuoi prendere Benjamin come tuo marito, amandolo e onorandolo per tutta la vita?» «Lo voglio» disse Cara con una voce limpida che si stagliò sulla folla. «Benjamin,» disse Kahlan «vuoi prendere Cara come tua moglie, amandola e onorandola per tutta la vita?» «Lo voglio» disse lui con voce egualmente chiara.
«Allora davanti ai vostri amici e ai vostri cari, alla vostra gente,» disse Richard «vi dichiaro marito e moglie.» Cara e Benjamin si strinsero in un abbraccio e si baciarono, mentre le Mord-Sith dietro di loro piangevano e la folla era diventata incontenibile. Quando infine il brusio si spense e il bacio terminò, Richard tese una mano, invitandoli a sedersi accanto a lui e Kahlan. Berdine stava ancora piangendo lacrime di gioia sulla spalla di Nyda. Kahlan vide che tra i capelli di Rikka, con gli occhi colmi di lacrime, scendeva un nastro rosa regalatole da Nicci. Richard si erse alto e orgoglioso mentre passava in rassegna tutte le facce che lo osservavano. Se Kahlan non avesse visto tante migliaia di persone radunate, avrebbe pensato che le sale fossero vuote, tale era il silenzio. Allora Richard parlò, con una voce che tutti potevano udire. «Esistere in questo vasto universo per una minima frazione di tempo è il grande dono della vita. Il nostro minuscolo frammento di tempo è il nostro regalo. La nostra unica vita. L'universo andrà avanti, incurante della nostra breve esistenza, ma nel momento in cui siamo qui, noi non facciamo solo parte di quella vastità, ma anche delle vite attorno a noi. La vita è il dono che è stato fatto a ognuno di noi. Ogni vita è nostra e di nessun altro. Preziosa in maniera incalcolabile. Il più nobile valore che possiamo avere. Abbiatene cura per ciò che è davvero.» Cara gli mise le braccia attorno al collo. «Grazie, Richard, di tutto.» «È stato un grande onore, Cara» rispose lui abbracciandola. «Oh, a proposito,» gli sussurrò Cara all'orecchio «Shota si è fermata a farmi visita proprio poco fa. Voleva che ti consegnassi un messaggio.» «Davvero? Che messaggio?» «Ha detto che se tu dovessi mai tornare al Pozzo di Agaden, ti ucciderà.» Richard si tirò indietro dalla sorpresa. «Davvero? Ha detto questo?» Cara annuì, sogghignando. «Ma sorrideva mentre lo diceva.» La campana chiamava la gente alla devozione. Prima che chiunque potesse muoversi, Richard prese di nuovo la parola. «Non ci saranno più devozioni. Nessuno di voi dovrà inchinarsi di fronte a me o a nessun altro. «La vita è solo vostra. Alzatevi e vivetela.» FINE