ALAN DEAN FOSTER STORIA DI FLINX (For Love Of Mother-Not, 1983) I — Ecco un tappetto tutt'ossa che ha l'aria di non vale...
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ALAN DEAN FOSTER STORIA DI FLINX (For Love Of Mother-Not, 1983) I — Ecco un tappetto tutt'ossa che ha l'aria di non valere una cicca — pensò Mamma Mastino. Strinse ancora di più sul fianco la borsa di figurine incise in legno assicurandosi che un lembo del suo incerato la proteggesse dalla pioggia. La costante pioggerellina che caratterizzava il clima autunnale di Drallar scivolò via dal copriabito resistente all'acqua. Gli ultramondani si trovavano sempre a mal partito quando si trattava di raccapezzarsi tra le caratteristiche che, là in città, distinguevano una stagione dall'altra. In estate la pioggia era calda; in autunno e in inverno più fresca. In primavera la pioggia cedeva il posto a una nebbia insistente e appiccicosa. Talmente rara era la comparsa del sole attraverso la quasi perpetua coltre di nubi che, quand'esso faceva capolino, le autorità erano solite decretare una pubblica vacanza. Quello davanti a cui Mamma Mastino stava passando con passo arrancante non era un vero e proprio mercato degli schiavi. Soltanto pochi cinici impiegavano una definizione così arcaica. Quello era semplicemente un luogo dove venivano ufficializzati certi riadattamenti dei redditi da lavoro. Drallar era la città più grande sul mondo di Falena, la sua unica vera metropoli, e non era una città particolarmente ricca. Tenendo basse le tasse aveva attratto un buon numero di uomini d'affari d'altri mondi, nonché d'imprese commerciali, su un pianeta ben situato ma nel complesso inospitale. Ciò veniva compensato dall'eliminazione quasi totale di fastidiose complicazioni fiscali quali le tariffe e i regolamenti. Per alcuni, tutto questo era fonte di considerevole prosperità, ma privava il governo della città d'una grossa fetta di entrate. Fra i numerosi settori che assai raramente erano in grado di autofinanziarsi c'era quello dell'assistenza ai meno abbienti. Nel caso un individuo fosse povero in canna e del tutto privo di risorse personali o di contatti, si giudicava ragionevole consentire a un cittadino più ricco di assumersi la responsabilità del suo sostentamento al posto del governo. Ciò contribuiva a sfoltire gli elenchi degli assistiti, con piena soddisfazione della burocrazia, fornendo nel contempo ai medesimi (per lo meno questo insistevano a dire gli alti funzionari pubblici) cure assai migliori di quelle che a-
vrebbero potuto ricevere dalle agenzie governative, freddamente impersonali e cronicamente sottofinanziate. La Chiesa Unita, il braccio spirituale del Commonwealth, non vedeva affatto di buon occhio una simile prassi economica unilaterale. Ma al Commonwealth non piaceva interferire con le linee di politica interna, e i funzionari drallariani si affrettavano ad assicurare l'occasionale sacerdote o consigliere in visita che le salvaguardie legali impedivano che si abusasse degli individui «adottati». Fu così che Mamma Mastino si trovò appoggiata al suo bastone, e stringendo a sé la borsa piena di oggetti artistici, fissando la piattaforma mentre cercava di riprendere il fiato. Un astante incuriosito si avvicinò troppo, spingendola. L'uomo la fissò incollerito quando lei gli piantò il bastone sul piede, ma si scostò prontamente, non osando affrontarla. Immobile, in piedi sulla piattaforma all'interno del Cerchio della Compensazione, c'era un ragazzino esile di otto o nove anni, dall'aria solenne. I suoi capelli rossi erano stati resi lisci dalla pioggia e contrastavano violentemente con la sua pelle scura. Occhi ampi e innocenti, così grandi che sembravano estendersi su ambedue i lati della testa, fissavano il pubblico ugualmente inzuppato di pioggia. Teneva le mani strette dietro la schiena. Soltanto quegli occhi si muovevano, e il loro sguardo guizzava come quello d'un insetto sui volti della folla rivolti all'insù. La maggioranza dei potenziali acquirenti che si assiepavano intorno al palco erano indifferenti alla sua presenza. Alla destra del ragazzo c'era un rappresentante del governo, alto e magro, che conduceva la vendita ufficiale per conto dell'ente dell'assistenza sociale... un compito da essi definito di responsabilità. Davanti a Mamma Mastino un ampio tabellone riportava l'elenco delle caratteristiche vitali del ragazzo, che Mamma Mastino prese a scorrere quasi distrattamente. L'altezza e il peso corrispondevano a ciò che poteva vedere. Il colore dei capelli, della pelle e degli occhi li aveva già notati. Parenti in vita, adottivi oppure no... un vuoto. Storia personale... un altro vuoto. Un figlio del caso e della calamità, pensò, finito come tanti altri nelle mani ben poco tenere e misericordiose dell'assistenza governativa. Sì, certo si sarebbe trovato meglio sotto l'ala protettiva d'un privato, a giudicare dal suo attuale aspetto. Quanto meno avrebbe ricevuto un po' di cibo decente. Eppure c'era in lui qualcosa di più, qualcosa che lo distingueva dalla svogliata processione di orfani che — stagione dopo stagione — sfilava sopra quella piattaforma sferzata dalla pioggia. Mamma Mastino sentì che
qualcosa si celava dietro quei grandi occhi tristi: una maturità molto superiore ai suoi anni, un'intensità nel suo sguardo maggiore di quella che ci si sarebbe potuta aspettare da un bambino nella sua situazione. Quello sguardo continuava a vagare sopra la folla scrutandola, sondandola. Quel ragazzino aveva più del cacciatore che del cacciato. La pioggia continuava a cadere. Il movimento e l'attenzione degli astanti si concentravano su un angolo in fondo a destra della piattaforma, dove una ragazza di circa sedici anni, dalla modesta venustà, costituiva la successiva partita in vendita. Mamma Mastino lasciò partire una sbuffata derisoria. Assicurazione governativa o no, non potevano certo venirle a dire che quegli che spingevano in prima fila non avevano qualcos'altro in mente oltre all'altruistica e innocente preoccupazione per il futuro della ragazza. Oh, no! Il grappolo di potenziali benefattori che cambiavano in continuazione formava un'isola intorno alla quale mulinava la restante e più numerosa folla del mercato. Il quale mercato si concentrava in un anello di bancarelle, botteghe, trattorie e bettole che circondavano il centro della città. Il risultato era abbastanza moderno da risultare funzionale e allo stesso tempo non troppo sofisticato, così da attrarre coloro che si lasciavano incuriosire da ogni cosa strana e misteriosa. Ma per Mamma Mastino qui non c'era nessun mistero. Il mercato di Drallar era la sua casa. Aveva passato novant'anni a battersi con quell'interminabile fiume di umanità e di alieni, a volte facendosi risucchiare sotto quei flutti a volte emergendone, ma senza mai correre il rischio di affogare. Adesso aveva un negozio, piccolo ma suo. Trattava oggetti d'arte, commerciava gingilli, componenti elettroniche, manufatti d'ogni tipo, e riusciva a guadagnare quel tanto che bastava per evitare di finire in qualche posto nel tipo di quella piattaforma sopra la quale il ragazzino si trovava in quel momento. Si mise mentalmente al suo posto e rabbrividì. Una vecchia di novant'anni non avrebbe fruttato granché. C'era un rattoppo sul collo del suo incerato, per rimediare a uno strappo, e la pioggia cominciava a trovare la strada attraverso la breccia che andava allargandosi. La borsa degli oggetti da vendere che stringeva alla cintura non stava certo diminuendo di peso. Mamma Mastino aveva altri affari da concludere e voleva tornare a casa prima del tramonto. Quando il sole di Falena fosse calato, la fosca luce diurna li su Drallar si sarebbe dissolta in una viscida oscurità e ombre assai poco cortesi sarebbero emerse dalle catapecchie che assediavano il mercato. Soltanto gli incauti o i presuntuosi
andavano in giro a quelle ore, e Mamma Mastino non apparteneva né all'una né all'altra categoria. Vagando sopra il pubblico, lo sguardo del ragazzo finì per agganciare il suo... e si fermò. D'un tratto, Mamma Mastino provò una sensazione di nausea e si sentì barcollare. Si portò le mani allo stomaco. Una prima colazione troppo ricca d'unto, pensò. Lo sguardo del ragazzo era già passato oltre. Da quand'era arrivata agli ottantacinque aveva dovuto controllare la sua dieta. Ma, come aveva detto a un amico: — Preferirei morire d'indigestione, a stomaco pieno, piuttosto che sprecarmi in pillole e concentrati. D'un tratto Mamma Mastino, senza sapere ciò che stava facendo o perché, si aprì un varco tra la folla, piantò il bastone tra le costole d'un astante, disturbando le penne ornamentali della coda d'un ornitoide e suscitando lo squittio indignato di un'obesa matrona. Riuscì ad arrivare fino allo spiazzo davanti al palco. Il ragazzo neppure la guardò; i suoi occhi continuavano a vagare indifferenti tra la folla. — Per favore, signore e gentili creature — implorò il funzionario sulla piattaforma, — non volete dare una casa a questo onesto ragazzo che scoppia di salute? È il vostro governo a chiedervelo; la civiltà lo esige da voi. Oggi avete la possibilità di compiere due buone azioni in una: una per il vostro re e l'altra per questo sfortunato giovane. — Saprei io quale buona azione riservare al re proprio nel punto giusto — esclamò una voce nel mezzo della folla turbinante. Il funzionano lanciò all'importuno un'occhiata rabbiosa, ma non replicò. — Qual è la richiesta minima? — È la mia voce? si chiese Mamma Mastino, sbigottita. — Soltanto cinquanta crediti, signora, per adempiere agli obblighi del dipartimento, e il ragazzo è suo. Per accudirlo e custodirlo. — Il funzionario, una donna, esitò, e poi aggiunse: — Se crede di poter controllare un giovanetto attivo come questo. — Mi sono occupata di un sacco di giovanetti attivi ai miei tempi — replicò secca Mamma Mastino. Mormorii di complice simpatia si levarono dal pubblico divertito. Mamma Mastino studiò il ragazzo, che aveva di nuovo abbassato lo sguardo su di lei. La nausea che le aveva agitato lo stomaco la prima volta che i loro occhi si erano incontrati non si ripeté. L'unto, si disse, devo proprio andarci piano con l'unto quando cucino. — Cinquanta crediti, allora — disse. — Sessanta. — La voce profonda che rimbombò da qualche punto in fondo alla folla giunse come un'inaspettata interruzione ai suoi pensieri.
— Settanta — rilanciò mamma Mastino come un automa. Il funzionario sulla piattaforma si affrettò ad appuntare lo sguardo in fondo alla folla. — Ottanta — risuonò la voce dell'invisibile concorrente. Lei non aveva previsto la concorrenza. Un conto era fare una buona azione nei confronti del ragazzo a un prezzo ragionevole, un conto era accollarsi una spesa irragionevole. — Novanta... maledizione a te — rilanciò. Si voltò nel tentativo di localizzare il suo avversano ma non riuscì a vedere sopra le teste della folla. La voce che contrastava le sue offerte era maschile, potente, penetrante. Cosa diavolo poteva volere il proprietario d'una simile voce da un ragazzo come quello? pensò Mamma Mastino. — Novantacinque — controbatté lo sconosciuto. — Grazie, grazie a entrambi, a nome del governo. — L'espressione e il tono di voce del funzionario si erano sensibilmente animati. Quelle vivaci offerte, del tutto inaspettate, per il moccioso dai capelli rossi avevano alleviato la sua noia, oltre che le preoccupazioni. Il rendiconto giornaliero al suo capo sarebbe stato migliore del solito. — L'offerta è contro di lei, signora. — All'inferno l'offerta! — borbottò Mamma Mastino. Fece per voltarsi e andarsene ma qualcosa la trattenne. Sapeva giudicare la gente con la stessa abilità con cui giudicava la mercanzia che vendeva, e c'era qualcosa di particolare in quel ragazzo, anche se non avrebbe potuto dire cosa fosse, che sconfinava nell'insolito. E c'era sempre un profitto nell'insolito. Inoltre quello sguardo mesto faceva leva senza alcuna vergogna su una parte di lei che di norma teneva sepolta. — Oh, maledizione, cento, allora... e al diavolo tutto! — Riuscì a stento a spremer fuori la cifra. La sua mente era un turbine. Cosa stava facendo là, trascurando i suoi affari personali, lasciandosi inzuppare completamente dalla pioggia e mettendosi a rilanciare offerte per un orfanello sconosciuto? Il suo istinto materno non si stava certo ridestando alla veneranda età di novant'anni. Lei non aveva mai provato il minimo istinto materno in tutta la sua vita, grazie al cielo. Aspettò il prevedibile rimbombo dei «centocinquanta!», ma invece sentì un gran trambusto in fondo alla folla. Allungò il collo, cercando di vedere, imprecando contro il suo bagaglio genetico che l'aveva fatta così corta. Scoppiarono urla, grida d'indignazione da una dozzina di gole diverse. Sulla sinistra, al di là della massa schermante dell'ornitoide dietro di lei, riuscì a distinguere a malapena il vivace balenare delle uniformi color porpora
dei gendarmi, i cui incerati riflettevano la scarsa luce. Quel gruppo pareva muoversi con un'energia maggiore del solito. Si girò e facendosi strada a gomitate avanzò verso destra dove una serie di gradini conduceva alla piattaforma. Giunse a metà della scala tornò a voltarsi, socchiuse gli occhi e sbirciò la folla. Gli incerati purpurei stavano ora costeggiando, in piena velocità, la prima fila degli uffici e dei negozi e davanti a loro una massiccia forma rimbalzava qua e là, comparendo e scomparendo mentre fuggiva davanti alla polizia lanciata al suo inseguimento. Mamma Mastino si permise un cenno d'approvazione del capo. C'erano quelli che potevano volere un ragazzino per scopi niente affatto umanitari. Alcuni di loro avevano una scheda nell'archivio criminale lunga dalla testa ai piedi e anche più. Era ovvio che qualcuno tra la folla, un informatore stipendiato, forse, aveva riconosciuto l'individuo che alzava le offerte contro di lei e aveva avvertito le autorità, che erano intervenute con lodevole rapidità. — Cento crediti, allora — annunciò dalla piattaforma il deluso funzionario governativo. — Nessuno offre di più? — Naturalmente no, ma il funzionario stava portando avanti ugualmente il gioco per salvare le apparenze. Vi fu un attimo di silenzio. La donna scrollò infine le spalle e gettò un'occhiata là dove Mamma Mastino era ancora ferma sulla scala. — È suo, vecchia. — Non più «signora» pensò sardonica Mamma Mastino. — E adesso paghi e faccia attenzione alle norme. — Ho avuto a che fare con le norme da questo governo già molto tempo prima che tu nascessi, donna. — Salì gli ultimi gradini e, ignorando sia il funzionario che il ragazzo, si avviò a grandi passi verso l'Ufficio Elaborazione Dati. All'interno un impiegato annoiato alzò lo sguardo su di lei, studiò il verbale di transazione completato quando gli fu trasmesso dal terminal del computer sulla scrivania, e chiese, secco: — Nome? — Mastino — rispose la visitatrice, appoggiandosi al suo bastone. — E il cognome? — Mastino. — Mastino Mastino? — L'impiegato le rivolse un'occhiata acida. — Soltanto Mastino — disse la vecchia. — Il governo preferisce i nomi multipli. — Sai cosa può farsene il governo delle sue preferenze? L'impiegato sospirò. Batté sui tasti del terminale. — Età?
— Non sono affari tuoi. — Ci rifletté sopra un momento poi aggiunse: — Scrivi vecchia. L'impiegato lo fece, scuotendo la testa con aria dolente. — Reddito? — Sufficiente. — Adesso senta — cominciò a dire l'impiegato, fuori dai gangheri. — In faccende quali l'acquisizione della responsabilità nei confornti di individui che godono dell'assistenza sociale, il governo della città richiede certe specificazioni... — Il governo della città può ficcarsi le specificazioni nello stesso posto delle preferenze. — Mamma Mastino indicò la piattaforma col suo bastone, un gesto ampio e sprezzante che l'impiegato ebbe la presenza di spirito di schivare. — L'asta è finita. L'altro offerente ha preso congedo. E in fretta. Adesso, posso tenermi i miei soldi e tornarmene a casa, oppure posso contribuire alla bilancia dei pagamenti del governo e al suo stesso salario. Che facciamo? — Oh, d'accordo — fece l'impiegato, rabbioso. Completò l'immissione dei dati e premette un tasto. Un modulo spropositato guizzò fuori dalla fessura della stampante. Ripiegato su se stesso formava una mazzetta spessa quasi mezzo centimetro. — Legga questo. Mamma Mastino sollevò la mazzetta. — Cos'è? — Sono norme che riguardano il suo nuovo protetto. Il ragazzo ora è suo non perché lei lo maltratti, ma perché lo allevi e lo educhi. Se mai lei dovesse venir sorpresa a violare le istruzioni e le leggi qui descritte — indicò la mazzetta con un gesto, — il ragazzo potrà esserle tolto con la perdita della quota di acquisizione. Inoltre lei dovrà familiarizzarsi con... — Interruppe la lezione quando il ragazzo in questione fu scortato dentro la stanza da un altro addetto. Il ragazzo gettò un'occhiata all'impiegato, poi sollevò lo sguardo su Mamma Mastino. Poi, come se avesse compiuto analoghi rituali in precedenti occasioni, le si avvicinò, le prese la mano sinistra e vi mise sopra la propria destra. Gli occhi grandi e in apparenza ingenui del bambino la fissarono. Quasi distrattamente Mamma Mastino notò che erano d'un verde vivo. L'impiegato stava per riprendere le sue osservazioni, poi fu come se avesse incontrato un inaspettato ostacolo in gola, e riportò la sua attenzione sul ripiano della scrivania. — È tutto. Voi due potete andare. Mamma Mastino gongolò vittoriosa e condusse il ragazzo fuori, nelle strade di Drallar. L'avevano fornito dell'unico indumento essenziale, l'ince-
rato. Il ragazzo si tirò la plastica da pochi soldi sopra la testa quando raggiunsero il primo incrocio. — Bene, ragazzo: è fatta. Che il diavolo mi porti se so perché mi son lasciata convincere a questo, ma suppongo adesso di essere incastrata, con te. E tu con me, è ovvio. Hai niente al dormitorio che dovremmo andare a recuperare? Il ragazzino scosse la testa lentamente. Un tipo silenzioso, pensò Mamma Mastino. Il che era meglio. Forse non avrebbe strillato troppo. Si stava ancora chiedendo cosa mai l'avesse spinta a quell'improvvisa eruzione di generosità, assai poco caratteristica in lei. La mano del ragazzo era calda, sul suo palmo vecchio e calloso. Quel palmo, di solito, si trovava a contatto delle carte di credito altrui durante le contrattazioni d'affari, oppure valutava al tatto gli oggetti d'arte in vista d'un possibile acquisto, o perfino, talvolta, aveva stretto un coltello per qualcosa di più drastico della preparazione di cibi. Ma mai prima di allora aveva stretto la mano d'un bambino. Era una strana sensazione. Si aprirono la strada tra la folla, affrettandosi per battere in velocità l'arrivo della notte, evitando i canali di scolo che correvano al centro d'ogni strada. Densi aromi aleggiavano fuori da dozzine di bancarelle dove venivano serviti cibi caldi e dalle trattorie che bordavano il viale dove adesso stavano camminando. E il ragazzo non aveva ancora detto una sola parola. Alla fine, stanca di vedere come il suo viso continuasse a girarsi verso ogni punto dal quale si levavano vapori e odori, Mamma Mastino si fermò davanti a un locale che conosceva. Comunque, erano quasi arrivati a casa. — Hai fame, ragazzo? Lui annuì lentamente, una sola volta. — Stupido da parte mia. Posso tirare avanti tutta una giornata senza mangiare, e non pensarci mai. Ma a volte mi dimentico che lo stomaco degli altri non ha la stessa tolleranza del mio. — Indicò con un cenno del capo l'ingresso del locale. — Be', cosa stiamo aspettando? Lo guidò all'interno, scortandolo fino a uno scomparto tranquillo addossato alla parete. Una consolle circolare si alzò dal centro del tavolo. Mamma Mastino studiò il menu stampato sul fianco, lo confrontò con la statura del ragazzo seduto speranzoso accanto a lei, poi schiacciò parecchi pulsanti situati di lato al menu. Poco dopo la consolle sprofondò di nuovo nel ripiano del tavolo, per ricomparire un attimo più tardi piena zeppa di cibo. Uno stufato denso e pungente guarnito di legumi, qualche tipo di tubero color crema e numero-
se fette di pane multicolore. — Procedi pure — Mamma Mastino disse al ragazzo, vedendolo esitare, ammirando la sua riservatezza e la buona educazione a tavola. — Io non ho molta fame e non mangio mai troppo. L'osservò mentre divorava il cibo, spiluccando a sua volta un po' di pane multicolore per sopire la poca fame che sentiva, rispondendo appena all'occasionale saluto d'un conoscente o d'un amico che passava accanto al loro tavolo. Quando il fondo della scodella di stufato fu leccato fino a brillare e l'ultima briciola di pane fu scomparsa dal tavolo, gli chiese: — Hai ancora fame? Il ragazzo esitò, soppesandola, poi se ne uscì in un mezzo annuire. — Non ne sono sorpresa — replicò Mamma Mastino, — ma non voglio che stanotte mangi ancora. Hai buttato giù abbastanza da riempire un adulto. Se aggiungi qualcos'altro a quello che hai già mangiato, finirai per sprecarlo tutto. Rimandiamo a domattina, va bene? — Lui annuì grave, mostrando di aver capito. — E un'altra cosa, ragazzo: sai parlare? — Sì. — La sua voce era più bassa di quanto avesse previsto, per niente spaventata e, così le parve, colma di gratitudine. — So parlare molto bene — aggiunse il ragazzo, senza bisogno di ulteriori sollecitazioni, cogliendola di sorpresa. — Mi hanno detto che per la mia età parlo piuttosto bene. — Mi fa piacere. Cominciavo a preoccuparmi. — Mamma Mastino scivolò giù dal suo sedile, usando il bastone per aiutarsi a reggersi in piedi. Gli prese la mano un'altra volta. — Adesso siamo quasi arrivati. — Arrivati dove? — Dove abito. Dove tu vivrai d'ora in avanti. — Uscirono dal locale e subito la notte umida li avvolse. — Come ti chiami? — Il ragazzo aveva parlato senza sollevare lo sguardo su di lei, preferendo invece studiare le facciate scure dei magazzini e dei pochi e isolati negozi ancora illuminati. L'intensità della sua ispezione parve innaturale. — Mastino — gli disse, e sorrise. — Non è il mio vero nome, ragazzo, ma è un nome che qualcuno mi ha appioppato molti anni fa. Nel bene come nel male mi è rimasto appiccicato ben più di qualsiasi uomo. È il nome d'un cane eccezionale per ferocia e bruttezza. — Non penso che tu sia brutta — replicò il ragazzo. — Penso che tu sia bella.
Lei studiò la sua espressione candida, da ragazzino. Poco acuto, poco sveglio... oppure soltanto molto scaltro, pensò. — Posso chiamarti madre? — le chiese, speranzoso, sconcertandola ancora di più. — Sei mia madre, vero? — Una specie, immagino. Non chiedermi perché. — Non ti darò nessun fastidio. — La voce si era fatta d'un tratto preoccupata, quasi spaventata. — Non ho mai dato fastidio a nessuno, davvero. Voglio soltanto essere lasciato in pace. Cosa mai l'aveva indotto a una simile confessione disperata? si chiese. Decise di non indagare oltre. — Non ho nessuna esigenza — lo rassicurò. — Sono una vecchia semplice che vive una vita semplice. A me piace e sarà bene che piaccia anche a te. — Sembra bello — fu subito d'accordo il ragazzo. — Farò del mio meglio per aiutarti come potrò. — Lo sa il diavolo quanto c'è da fare in negozio... e io non sono più tanto agile come un tempo — ridacchiò Mamma Mastino. — Adesso mi stanco, prima di mezzanotte. Sai, ho bisogno di dormire quattro ore filate, ormai. Sì credo che potrai essermi di aiuto. Sarà meglio. Mi sei costato una discreta somma. — Mi spiace — lui rispose d'un tratto, avvilito. — Oh, piantala. Non voglio simili smancerie in casa mia. — Voglio dire, mi spiace di averti scombussolata. Mamma Mastino esalò un lungo sospiro esasperato, s'inginocchiò e si resse con entrambe le mani serrate intorno al bastone. In tal modo i suoi occhi si trovarono allo stesso livello di quelli del ragazzo. Questi la fissò a sua volta, immobile e solenne. — Adesso ascoltami, ragazzo. Io non sono un agente governativo. Non ho la più vaga idea di cosa mi abbia preso spingendomi a prendermi cura di te, ma è fatta. Non ti picchierò, a meno che tu non te lo sia meritato. Farò in modo che tu sia ben nutrito e tenuto ragionevolmente al caldo. In cambio, esigo che tu non vada in giro a gracchiare stupidaggini del tipo «mi spiace». D'accordo? Il ragazzo non dovette rifletterci a lungo. — D'accordo... madre. — Allora è fatta. — Gli strinse la mano. Quel gesto produsse un nuovo fenomeno: il suo primo sorriso. Questo diede l'impressione che il suo minuscolo volto leggermente velato di lentiggini irradiasse, e d'un tratto la notte parve meno gelida. — Affrettiamoci — disse la donna, tirandosi su con un certo sforzo. —
Non mi piace rimaner fuori fino a così tardi, e tu non sei un granché come guardia del corpo. Dal tuo aspetto non lo sarai mai, anche se non per colpa tua. — Perché è così importante trovarsi a casa quando fa buio? — chiese il ragazzo, e poi aggiunse incerto: — È una domanda stupida la mia? — No, ragazzo. — Gli sorrise mentre avanzava zoppicando lungo la strada. — È una domanda intelligente. È importante trovarsi a casa al sicuro dopo il buio perché i morti tendono a moltiplicarsi in proporzione diretta con l'assenza di luce. Anche se sei prudente e non ti lasci mai prender la mano da un'eccessiva sicurezza, e impari come fare, scoprirai che il buio può esserti sia amico che nemico. — L'ho sempre pensato — dichiarò il ragazzo con fermezza. — L'ho sempre pensato da... — contrasse il viso come se si stesse concentrando intensamente su qualcosa, — da quando riesco a ricordare. — Oh? — Mamma Mastino tornò a sorridergli. — E cosa te lo fa pensare, a parte il fatto che io te l'ho appena detto? — Perché — lui rispose, — la maggior parte delle volte che riesco a ricordare, ero felice al buio. Mamma Mastino rifletté su quelle parole mentre giravano l'angolo. La pioggia era sensibilmente diminuita lasciando il posto alla foschia che là in città passava per aria normale. Non dava fastidio ai suoi polmoni, ma era preoccupata per quelli del ragazzo. La cosa di cui aveva meno bisogno era un ragazzo malato in casa. Le era costato già più che a sufficienza. La sua casa-bottega era una delle molte sparpagliate per quel mercato in apparenza interminabile. Robuste saracinesche proteggevano la facciata anonima che occupava una decina di metri all'estremità più lontana d'una strada laterale. Mamma Mastino premette il palmo della mano contro la serratura della porta. La plastica sensibilizzata brillò vivida per un istante, emise due bip, e infine la porta si aprì per loro. Una volta all'interno Mamma Mastino spinse dietro di sé la porta, chiudendola, poi automaticamente si girò per ispezionare la mente, accertandosi che niente fosse scomparso in sua assenza. C'erano gli scaffali di oggetti di rame e d'argento, pregevoli sculture lignee per le quali Moth era giustamente famoso, arnesi per bere e mangiare ben lavorati, molti fra i quali, com'era ovvio, concepiti per non umani. E ancora, modellini da pochi soldi dello stesso Falena con gli anelli interrotti di garza sgargiante, pieni di suggestivi scintillii; e molti altri articoli di uso incerto. Il ragazzo vagò in mezzo a quel guazzabuglio di colori e di forme. I suoi
occhi assorbivano tutto, ma non fece nessuna domanda, cosa che Mamma Mastino trovò insolita. Era nella natura dei bambini informarsi su tutto. Ma d'altro canto quello non era un bambino comune. A un'estremità sul davanti del negozio c'era una scatola d'argento in cima a un piedestallo. I suoi comandi, azionati col semplice tocco delle dita, collegavano il negozio direttamente alla banca centrale di Drallar e consentivano a Mamma Mastino di compiere le sue transazioni finanziarie con qualunque cliente, sia che venisse da dietro l'angolo, oppure dalla parte opposta del Commonwealth. Le carte di credito universali consentivano il pronto accertamento della disponibilità finanziaria d'ogni cliente, e il prelievo di quanto dovuto. Le banche immagazzinavano ogni dato d'ogni compravendita. Per questo, ogni tipo di valuta circolava liberamente dovunque. Più indietro c'erano quattro stanze: un piccolo deposito, un bagno, un'area pranzo e cucina e infine una camera da letto. Mamma Mastino studiò la disposizione delle stanze per parecchi minuti, poi si mise a sgomberare il piccolo deposito. Oggetti rimasti da troppo tempo invenduti furono spalati fuori sul pavimento insieme a vecchi indumenti, merci inscatolate, arnesi per la pulizia e altro ancora. In qualche modo avrebbe trovato altrove uno spazio per tutto questo. Sollevata contro la parete di fondo c'era una vecchia e robusta branda. Mamma Mastino toccò un pulsante sul fianco di questa e tutto il congegno si animò, ruotando verso il basso e cacciando fuori le gambe molleggiate. Un ulteriore scavo rivelò un saccone impermeabile pieno d'olio denso, che collegò al materasso gonfiabile. Nel giro di pochi minuti il materasso era pieno e caldo. Per finire, Mamma Mastino coprì la branda con una leggera coperta termosensibile. — Questa sarà la tua stanza — disse al ragazzo. — Non è un palazzo, ma è tua. So quanto sia importante aver qualcosa che puoi chiamare tuo. Puoi sistemare questa stanza come meglio ti pare. Il ragazzo la guardò come se lei gli avesse appena regalato tutti i tesori della Terra. — Grazie, madre — le disse con voce sommessa. — È meraviglioso. — Io vendo oggetti d'arte — disse la donna, distogliendo lo sguardo da quel volto raggiante. Indicò l'esposizione sul davanti dell'edificio. — Quelli che hai visto quando sei entrato. — L'ho immaginato. Guadagni molto?
— Adesso tu sembri l'agente governativo là sulla piattaforma. — Sorrise per fargli capire che stava scherzando. — Me la cavo. Vorrei avere un posto più grande di questo, ma arrivata a questo punto della mia vita — appoggiò il bastone al proprio letto quando entrò nella stanza più grande, — sembra improbabile che ci riuscirò mai. Ma non me ne preoccupo. Ho avuto una vita piena e ne sono contenta. Scoprirai presto che quando ringhio e sbraito, faccio soprattutto scena. Anche se non sempre... — Lo accarezzò sulla testa e gli indicò le compatte attrezzature della cucina. — Vorresti bere qualcosa di caldo prima che ci corichiamo? — Sì, moltissimo. — Facendo attenzione, il ragazzo si tolse l'incerato, ormai del tutto asciutto, e l'appese a un gancio alla parete nella sua camera da letto. — Dovremo procurarti dei nuovi vestiti — commentò Mamma Mastino, guardandolo dalla cucina. — Questi vanno bene. — Forse per te. Ma non per me. — Si strinse il naso a mo' di spiegazione. — Oh, capisco. — Adesso, cosa vorresti bere? Il suo volto tornò a illuminarsi. — Del tè. — Che tipo di tè ti piace? — Qualunque tipo. — Allora te ne sceglierò uno io. — Trovò il cilindro e premette l'interruttore principale sul suo fianco mentre lo riempiva d'acqua di rubinetto. Poi esplorò la sua riserva di cibo. — Questo è un Anar Nero — gli disse, — e viene da Rhyinpine. Un bel viaggio per delle foglie morte. Credo sia più leggero dell'Anar Bianco, che viene dallo stesso pianeta ma cresce molto più in basso sul fianco delle montagne. Ho un po' di miele locale se ti piacciono le bevande dolci. È costoso. Su Falena i fiori sono rari, salvo quelli che crescono in serra. Questo pianeta appartiene ai funghi e agli alberi. Le api, poverine, hanno vita dura, anche quelle che hanno sviluppato un manto lanoso abbastanza folto da tener fuori l'umidità e il freddo. Se il miele è troppo forte per te, ho altri dolcificanti. Non ricevendo nessuna risposta si girò e lo trovò disteso sul pavimento, una macchia fulva e arricciata di capelli rossi e indumenti logori. Teneva le mani infilate d'ambo i lati sotto le guance, a guisa di cuscino per la testa. Lei scosse il capo e fece scattare l'interruttore del cilindro. La teiera so-
spirò e smise di bollire. Chinandosi, insinuò le braccia robuste sotto di lui e con un certo sforzo lo sollevò. In qualche modo riuscì a trasportarlo fino alla branda senza svegliarlo. Gli tirò la coperta termica fin sotto il mento. Era programmata e l'avrebbe scaldato in fretta. Rimase là per un po', stupita del piacere che le veniva da qualcosa così semplice come guardare un bambino che dormiva. Poi, chiedendosi ancora cosa mai l'avesse presa, lo lasciò e si avviò verso la propria camera, sfilandosi lentamente gli indumenti mentre camminava. Poco dopo l'ultima luce sul retro del piccolo negozio si spense, e l'oscurità notturna si fuse con quella delle botteghe vicine. Poi vi furono soltanto la leggera brezza e il lieve alitare dell'umidità che esalava dai muri caldi, a rompere il silenzio del buio ovattato dalla nebbia. II Il ragazzo mangiò come se la cena della sera precedente non fosse stata più sostanziosa d'un sogno remoto. Mamma Mastina gli cucinò due colazioni complete e l'osservò mentre mandava giù tutto, fino all'ultimo boccone. Quando l'ultimo pachnack fu scomparso accompagnato dall'ultima briciola di pane, la donna lo condusse nel negozio. Il ragazzo l'osservò con attenzione mentre formava la combinazione per aprire le saracinesche metalliche. Quando queste si sollevarono, svelarono un mondo del tutto diverso da quello della notte vuota. Un attimo prima lui stava fissando i riflessi opachi delle strisce metalliche. L'attimo successivo lo mise in contatto con tutto il rumore, la confusione, l'agitarsi, i vividi colori e gli odori del grande mercato drallariano. Questi inondarono il negozio, travolgendolo con la loro diversità e il loro splendore. Mamma Mastino non dormiva mai fino a tardi, ed era un bene, poiché la folla vociante si formava ogni mattina in coincidenza col levar del sole. Non che il mercato fosse mai del tutto deserto: c'era sempre qualche mercante le cui merci traevano profitto dalla mascheratura della notte. Il ragazzo poteva dire che era giorno perché c'era meno buio. Il sole non splendeva: si limitava a illuminare debolmente le gocce di pioggia. Una buona giornata per gli affari. Mamma Mastino esibi il negozio al ragazzo, descrivendogli i diversi articoli, dicendogli i prezzi e le ragioni di tali prezzi. La donna sperava di potergli affidare un giorno la sua azienda. Sarebbe stato assai meglio che dover chiudere tutte le volte che aveva bisogno di riposare o di viaggiare
altrove. Prima avesse imparato meglio sarebbe stato... visto anche quanto mangiava! — Farò tutto quello che potrò, madre — l'assicurò lui non appena ebbero concluso il loro piccolo giro. — So che lo farai, ragazzo. — Mamma Mastino si lasciò andare sulla sua poltrona favorita, una mostruosità superimbottita coperta di pelliccia di gemmac. Le pelli erano scomparse quasi del tutto per il logorio, e la poltrona aveva ormai pochissimo valore commerciale, ma era troppo comoda perché lei se la sentisse di separarsene. Osservò il ragazzo che si voltava a guardare la folla in continuo fluire davanti al negozio. Com'è silenzioso, pensò. Silenzioso e fremente. Lasciò che studiasse un po' i passanti prima di fargli cenno di avvicinarsi. — Abbiamo trascurato molte cose, stanotte, a causa della fretta. Una in particolare, ragazzo. — Quale? — lui chiese. — Non posso certo continuare a chiamarti «ragazzo». Avrai un nome, no? — Mi chiamano Flinx. — Sarebbe il tuo nome o il tuo cognome? Il ragazzo scosse lentamente la testa, con un'espressione infelice. — Madre, non so. È così che mi chiamano. — Chi ti chiama? Chi sarebbero costoro? Tua... — esitò, — tua «madre»? Tuo padre? Ancora una volta quel lento scuotere della testa, con le ciocche rosse che danzavano. — Non ho una madre né un padre. È la gente che mi chiama così. — Quale gente? — La gente che ha badato a me e agli altri bambini. Questo era strano. Mamma Mastino corrugò la fronte. — Altri bambini? Allora hai fratelli e sorelle? — Non ho... — Si sforzò di ricordare. — No, non credo di averne. Forse c'erano. Non lo so. Li ricordo dai primissimi tempi. Erano tempi strani. — Cos'avevano di strano? — Ero felice. La donna annuì una volta, come se comprendesse. — Così ti ricordi di un'epoca in cui eri felice e c'erano parecchi altri bambini che vivevano con te. Il ragazzo annuì con vigore. — Ragazzi e ragazze. E avevamo tutto
quello che potevamo desiderare, tutto quello che chiedevamo. Ogni genere di buoni cibi e giocattoli e... Forse una famiglia ricca ridotta in rovina. Lasciò che si dilungasse sui primi tempi, quelli felici, ancora per un po'. Quale catastrofe aveva travolto il ragazzo nella sua infanzia? — Quanto era grande questa famiglia? — gli chiese infine. — Per ora la chiameremo la tua famiglia. Quanti altri ragazzi e ragazze c'erano? — Non ricordo con precisione. Un sacco. — Sai contare? — Oh, certo — disse lui con orgoglio. — Due, tre, quattro, cinque e molti di più. — Pareva qualcosa di più di una famiglia, anche se sapeva che non poteva essere esclusa una famiglia molto numerosa. — Ricordi cos'è successo a loro e a te? Eravate tutti felici e avevate un sacco di amici, e poi è successo qualcosa. — Sono arrivati i cattivi — bisbigliò il ragazzo, la sua espressione s'intristì. — Gente molto cattiva. Hanno fatto irruzione là dove vivevamo. Quelli che ci nutrivano, che ci sorvegliavano e ci davano i giocattoli hanno combattuto contro i cattivi. C'era un gran baccano, spari e... la gente cadeva tutt'intorno a me. Sia i buoni che i cattivi. Io sono rimasto là a piangere fino a quando qualcuno non mi ha preso e non mi ha portato via. Mi hanno condotto attraverso molti corridoi e posti bui, e ricordo di essere salito su una specie di... auto? Mamma Mastino annuì, decisa: — È probabile. Continua, ragazzo. — Sono stato portato in giro un sacco di volte. Quella è stata la fine dei tempi felici. — Cos'è accaduto dopo? — incalzò la donna. — Non ne sono ben sicuro — disse lui, lentamente. — È così difficile ricordare. — So che è doloroso per te, Flinx. Ma devo assolutamente sapere quanto è più possibile su di te, così da poterti aiutare meglio che posso. — Se te lo dirò — disse lui, incerto, — non permetterai che i cattivi vengano a portarmi via? — No — lei gli disse, con voce d'un tratto addolcita. — No, non permetterò che vengano a portarti via. Mai, te lo prometto. Il ragazzo si fece un po' più vicino e si appollaiò su un bracciolo della grossa poltrona. Aveva chiuso gli occhi per concentrarsi. — Ricordo di non essere mai rimasto molto a lungo nello stesso posto. La gente, quelli buoni che si prendevano cura di me e mi nutrivano, tenevano lontani i cat-
tivi. Erano sempre preoccupati per qualcosa e gridavano più di prima. — Erano arrabbiati con te? — No credo. No davvero. — Si umettò le labbra. — Penso che avessero paura, madre. So che io l'avevo, ma credo che l'avessero anche loro. E poi... — un'espressione confusa si disegnò sul suo viso, — ... mi sono addormentato. Molto a lungo. Solo che non era vero sonno. Era come se fossi addormentato e che allo stesso tempo non lo fossi. — Aprì gli occhi e la fissò. — Riesci a capire, madre? Io no. — No, non sono sicura di capire, ragazzo. — La sua mente lavorava. Ora, si chiedeva, chi si prenderebbe il tempo e il fastidio di somministrare un sedativo a un bambino per un lungo periodo di tempo? E perché darsi la pena di farlo? — Poi — proseguì il ragazzo, — credo siano comparsi altri cattivi. Questa volta non li ho visti. Ma alcune delle persone che mi sorvegliavano morirono o comunque scomparvero. Poi c'eravamo soltanto io e un uomo e una donna, e poi anche loro se ne sono andati. — Tuo padre e tua madre? — No, non credo. — Scrollò la testa. — Comunque, non si sono mai definiti in questo modo, con me. Erano soltanto due dei buoni. Poi è arrivata altra gente... gente che non avevo mai visto prima, i quali mi trovarono e mi portarono via con loro. — Erano buoni o cattivi? — Credo non fossero né l'uno né l'altro — rispose il ragazzo con molta attenzione. — Credo fossero una via di mezzo. Sì, credo fossero dispiaciuti per me. Hanno cercato di essere carini con me, ma... — una scrollata di spalle, — ... erano soltanto una via di mezzo. Mi hanno portato di nuovo in giro in un'infinità di posti diversi con parecchi altri bambini che non conoscevo. E poi c'è stata la giornata di ieri e tu mi hai comperato. Giusto? Mamma Mastino si portò la mano alla bocca e tossì. — Non è che io ti abbia veramente comperato. Ho acconsentito di prendermi la responsabilità di te. — Ma hai pagato dei soldi al governo per avermi, non è vero? Mi avevano detto che questo, appunto, mi sarebbe successo. — Erano soltanto per ripagare al governo le spese che ha sostenuto per prendersi cura di te — gli spiegò. — Non è che io ti possieda. Non lo vorrei mai. — Oh — replicò il ragazzo, calmo. — È bello. Sono contento. — Tacque un attimo, osservandola, poi aggiunse: — È tutto quello che riesco a
ricordare. — Non c'è affatto male. — Mamma Mastino si sporse in avanti e gli indicò la strada sulla destra, in fondo. La poltrona cigolò al suo movimento. — Se superi sei bancarelle in quella direzione, troverai una bottega molto piccola gestita da un certo Cheneth. Vai da lui, digli chi sei e da dove vieni. E potrai comperare da lui — ci rifletté un attimo, non volendo strafare, — sì, mezzo credito di qualunque cosa vedrai là dentro. — Che razza di bottega è? — chiese tutto eccitato il ragazzo. — Caramelle — disse Mamma Mastino, godendosi la luce che si accese sul suo volto. — Ricordi cosa sono le caramelle, no? Dall'espressione del tuo viso vedo che è così. — Lo capì anche dalla velocità con cui Flinx infilò l'uscita. Poco dopo fu di ritorno con i profondi occhi color smeraldo che gli risplendevano sul volto bruno. — Grazie, madre. — Vai, vai, spostati da lato. Stai ostruendo la mia... la nostra visuale dei clienti. Gira un po' qui intorno, impara tutto quello che c'è da imparare sul posto dove adesso abiterai. Il ragazzo scomparve come un raggio di sole. I suoi capelli rossi svanirono in mezzo alla folla. Caro... pensò fra sé. Mi costerà caro allevare quel ragazzo. Per tutti i diavoli, come ho fatto a finire intrappolata in questa faccenda? Borbottò in silenzio fra sé per parecchi minuti ancora fino a quando non comparve un potenziale cliente. Flinx imparò in fretta. Era riservato e assai adattabile, e talmente silenzioso che Mamma Mastino neppure si accorgeva quando le stava intorno. Ben presto cominciò a stupirla con la sua conoscenza della disposizione e del funzionamento del mercato e perfino della grande città che si stendeva più oltre. Lavorava in continuazione per ampliare il suo bagaglio d'informazioni, tormentando i bottegai con insistenti domande e rifiutandosi di accettare per risposta un «non lo so». Mamma Mastino non gli impose nessuna restrizione. Nessuno le aveva mai detto che non era corretto concedere a un ragazzo di otto anni la libertà di circolare in una città aberrante come Drallar. Non avendo mai allevato bambini prima di allora, Mamma Mastino poteva sempre fare appello all'ignoranza, e poiché ogni notte Flinx ritornava illeso e indenne, lei non vide nessuna ragione di modificare quell'abitudine malgrado la chiocciante disapprovazione di alcuni suoi vicini. — Non è questo il modo di comportarsi con un ragazzino di quell'età —
l'ammonivano. — Se non farai attenzione, lo perderai. Una notte non farà più ritorno, da queste sue solitarie scorribande. — È un ragazzino, ma tutt'altro che tenero — lei ribatteva. — È scaltro, ben più di quanto starebbe a indicare la sua età. Non sono preoccupata per lui. Tanto per cominciare, non ne avrei neppure il tempo. Non importa cosa gli potrà accadere, starà sempre meglio di quando era assistito dal governo. — Non starà meglio se finirà morto in qualche canale di scolo — insistevano gli altri. — Non accadrà — rispondeva lei fiduciosa. — Te ne pentirai — replicavano. — Aspetta e vedrai. — Ho visto e aspettato per novant'anni — era la sua risposta definitiva, — e niente, finora, è mai riuscito a sorprendermi. Non mi aspetto che il ragazzo interrompa questo record. Ma si sbagliava. Era metà pomeriggio. La foschia del mattino si era trasformata in una pioggia fitta. Mamma Mastino stava cercando di decidere dentro di sé se mandare il ragazzo a comperare un po' di cibo oppure aspettare. Una mezza dozzina di persone si stavano aggirando dentro il negozio, aspettando che il rovescio cessasse, un numero insolitamente grande rispetto al normale. Dopo un po' Flinx le si avvicinò e le tirò timidamente la gonna rigonfia. — Mamma Mastino? — Cosa c'è, ragazzo? Non infastidirmi adesso. — Tornò a girarsi verso il cliente che stava esaminando degli antichi gioielli che abbellivano una bacheca chiusa a chiave sul lato interno del negozio. Era raro che vendesse uno di quei costosissimi articoli. Quando lo faceva, il guadagno era considerevole. Il ragazzo insisté e lei sbottò: — Te l'ho detto, Flinx. Non adesso! — È molto importante, madre. La donna proruppe in un sospiro esasperato e guardò con aria di scusa l'ultramondano. — Mi scusi un attimo, mio buon signore. Sa... i bambini. L'uomo sorrise con fare assente, tutto preso da una collana risplendente fatta di curiosi pezzi di metallo e legno lucidato. — Cosa c'è, Flinx? — volle sapere, un po' arrabbiata con lui. — Sarà meglio che sia una cosa importante. Tu lo sai che non mi piace essere disturbata quando sono nel mezzo di una... Flinx l'interruppe indicandole l'estremità opposta del negozio. — Vedi
quell'uomo laggiù? Mamma Mastino appuntò lo sguardo in quella direzione. L'uomo in questione era calvo ed esibiva una barba ben curata e orecchini. Invece del leggero incerato preferito dagli abitanti di Falena, indossava un pesante soprabito di tessuto nero, chiaramente prodotto su un altro mondo. I suoi lineamenti erano più sottili di quanto la sua statura avrebbe fatto pensare, la sua bocca aveva un profilo quasi delicato. A parte gli orecchini, non erano visibili su di lui altri gioielli. Inoltre anche i suoi stivali lo qualificavano come un visitatore di un altro mondo: erano relativamente puliti. — Lo vedo. Cos'ha? — Ha rubato dei gioielli dalla bacheca là in fondo. Mamma Mastino corrugò la fronte. — Ne sei sicuro, ragazzo? — Il tono della sua voce era ansioso. — È un ultramondano e dal suo aspetto dev'essere discretamente ricco. Se lanciassimo una falsa accusa... — Ne sono sicuro, madre. — Lo hai visto rubare? — No, non proprio. — Allora di cosa diavolo stai parlando? — gli chiese lei, con voce bassa e fremente, in tono di accusa. — Vai a dare un'occhiata a quella bacheca — la sollecitò Flinx. Mamma Mastino esitò; poi si diede mentalmente una scrollata di spalle. — Niente di male, suppongo. — Ma cosa mai aveva preso il ragazzo? Si avvicinò con aria indifferente alla bacheca. Mentre si avvicinava, l'ultramondano si girò e si allontanò, all'apparenza indifferente. Non si comportava certo come un ladro nervoso che stesse per essere colto in fallo. Poi Mamma Mastino si chinò sulla bacheca. E infatti la serratura era stata scassinata con tecnica professionale. Mancavano almeno quattro anelli fra quelli più preziosi della sua modesta disponibilità. Esitò solo un breve istante prima di abbassare gli occhi su Flinx. — Sei sicuro che sia stato lui? Il ragazzo annuì con energia. Mamma Mastino portò due dita alle labbra e lasciò partire un fischio penetrante. Quasi all'istante comparvero una mezza dozzina di negozianti del vicinato. Tuttavia l'uomo calvo non mostrò ancora la minima traccia di panico, limitandosi a fissare incuriosito quegli arrivi improvvisi, insieme agli altri clienti presenti nel negozio. La pioggia continuava a tempestare fuori in strada. Mamma Mastino sollevò una mano, puntandola contro l'uomo calvo, ed esclamò: — Fermate quel ladro!
Gli occhi dell'uomo si spalancarono per la sorpresa, ma non fece nessuna mossa per battere in ritirata. Prontamente, parecchi negozianti incolleriti gli agguantarono saldamente le braccia. Almeno due di loro erano armati. Il calvo sopportò la cosa per un attimo o due, poi, con rabbia, si scrollò di dosso quelli che l'avevano catturato. Il suo accento, quando parlò, lo indicò come un visitatore giunto da uno dei mondi dominati dal lusso e dalla mollezza, ad esempio New Riviera o Centauro B. — Un momento! Cosa succede qui? Vi avverto, se anche una sola persona osasse mettermi ancora le mani addosso, se ne pentirà! — Non minacciarci, cittadino — ribatté Aljean, mercante di tessuti, il cui grande negozio dominava l'angolo più lontano della strada. — Sistemeremo questa faccenda in fretta e senza far ricorso alla polizia. Non ci piace molto la polizia in questa strada. — Sono pienamente d'accordo con voi su questo punto — replicò l'uomo calvo, lisciandosi il pesante soprabito là dove era stato malamente spiegazzato. — I poliziotti non piacciono molto neppure a me. — E dopo una breve pausa aggiunse, mostrandosi finalmente scosso: — Quella donna non vorrà davvero insinuare che io... — È proprio questo che insinua, invece — ribatté uno degli uomini al suo fianco. — Se lei non ha niente da temere, allora non avrà nessuna ragione di rifiutarci un briciolo del suo tempo. — Certo che no. Non vedo perché... — L'ultramondano studiò per un attimo l'espressione dei loro volti. — Oh, be', se servirà a risolvere questa follia... — La risolverà — disse un altro uomo da dietro una pistola. — Molto bene. E le sarò grato se vorrà puntare quella pistola lontano da me... Certo non avrete bisogno di ricorrere alla tecnologia, oltre alla superiorità del numero? Il negoziante armato esitò, poi abbassò la canna della pistola. Ma non la infilò in tasca. Mamma Mastino fissò l'uomo calvo per un attimo, poi guardò Flinx, in attesa di spiegazioni. — Dunque, hai visto dove ha messo gli anelli? Flinx teneva gli occhi puntati sull'uomo senza batter ciglio. — No, non l'ho visto, madre. Ma li ha presi. Ne sono sicuro. Mamma Mastino riportò la sua attenzione sull'ultramondano. — Signore, devo chiederle di acconsentire a una rapida perquisizione. — Questo è assai poco dignitoso — si lamentò l'uomo calvo. — Presenterò una protesta al mio ufficio turistico.
— Mi spiace — insisté Mamma Mastino, — ma se non ha niente da nascondere, sarà meglio che ne siamo tutti sicuri. — Oh, d'accordo. Per favore, fate presto. Ho altri posti dove andare, oggi. Sono in vacanza, io. Muovendosi ora con incertezza, due degli uomini che avevano risposto al fischio di Mamma Mastino perquisirono il visitatore. Fecero un lavoro minuzioso, usando tutta l'esperienza di gente che aveva avuto a che fare coi ladri in molte altre occasioni. Esaminarono tutto, dall'imbottitura del soprabito ai tacchi degli stivali. Quand'ebbero finito, fissarono impotenti Mamma Mastino, scuotendo la testa. — Non ha niente — le garantirono. — Non ha niente addosso. — Cos'è che ti manca, madre? — domandò Aljean gentilmente. — Anelli omicidi — dichiarò la donna. — I soli quattro anelli omicidi che possedevo. Mi ci sono voluti anni per metterli insieme, e non saprei proprio come rimpiazzarli. Tornate a perquisirlo. — Annuì, rivolta all'uomo calvo. — Non sono molto grandi ed è facile nasconderli. Ripeterono la perquisizione con attenzione ancora maggiore, prestando particolare attenzione alla grossa fibbia metallica che l'uomo portava alla cintura. Questa rivelò uno scomparto nascosto, che conteneva la carta di credito dell'uomo e poche altre cose. Ma nessun anello. Quando la seconda perquisizione si rivelò ugualmente infruttuosa, Mamma Mastino fissò con severità il suo protetto. — E allora, Flinx: cos'hai da dire? — Li ha presi, l'ha fatto — insisté il ragazzo quasi piangendo. — So che l'ha fatto. — Stava ancora fissando l'uomo calvo. D'un tratto sgranò gli occhi. — Li ha inghiottiti. — Inghiottiti... Un momento, adesso — cominciò il visitatore. — Questa faccenda sta diventando obbrobriosa. Devo forse starmene qui ad ascoltare le accuse d'un ragazzino maligno? — Agitò rabbiosamente un dito in direzione di Flinx, il quale non si mosse né distolse da lui il suo gelido sguardo verde. — Li ha presi e li ha inghiottiti — ripeté il ragazzo. — Mi hai visto prendere quegli anelli? — chiese l'uomo calvo. — No — ammise Flinx. — Non l'ho vista. Ma lei li ha presi. Lei sa di averlo fatto. Sono dentro di lei. — Affascinanti le esperienze che si possono vivere nei pianeti dei bassifondi — commentò l'uomo calvo, sarcastico. — Comunque, questa storia non mi diverte più. Io devo andare. Il mio giro turistico mi concede soltan-
to due giorni in questa meravigliosa città, e non voglio sprecare altro tempo ad osservare delle bizzarre abitudini locali. Vista l'innata gentilezza della mia natura non farò appello ai gendarmi perché vi arrestino tutti. Fatevi da parte, prego. — Si aprì un varco tra i negozianti e uscì con passo tranquillo in mezzo alla pioggia. Mamma Mastino fissò la schiena dell'uomo che si allontanava. I suoi amici e colleghi la guardarono impotenti, aspettando che dicesse qualcosa. La vecchia abbassò lo sguardo sul ragazzo. Flinx aveva smesso di piangere. La sua voce era calma e priva d'emozione quando le restituì lo sguardo. — Li ha presi, madre. E adesso li sta portando via. La vecchia non riuscì a spiegarsi cosa la spingesse, quando disse con voce calma a Aljean: — Chiama un gendarme, allora. L'uomo calvo l'udì. Si fermò e si voltò a guardarli in mezzo alla pioggia che adesso si era un po' attenuata. — Mia cara vecchietta, se crede proprio che io stia qui ad aspettare... — Aljean — fece Mamma Mastino. — Cheneth. — I due negozianti si scambiarono un'occhiata, poi corsero fuori per riportare dentro l'uomo. Se fosse stata sporta denuncia per false accuse e impedimento alla libertà personale, queste sarebbero state contro Mamma Mastino e non contro di loro. — Mi spiace, signore — disse Cheneth, l'uomo delle caramelle, facendo un gesto con la pistola, — ma dobbiamo chiederle di aspettare fino a quando non saranno arrivate le autorità. — E poi cosa? Trascineranno un libero cittadino davanti a un magistrato soltanto perché lo chiede un bambino? — Una semplice ispezione ai raggi del suo corpo sarà sufficiente — disse Mamma Mastino, quando i tre rientrarono nel negozio. — Certo non avrà nessun motivo per obbiettare? — Certo che obbietterò! — ribatté il visitatore. — Non avete nessun motivo o diritto... — Càspita, ma lei d'un tratto sta discutendo parecchio, per essere qualcuno che non ha niente da temere — osservò Aljean. Era una donna di quarantadue anni e si era fatta strada fra quattro mariti. Era molto abile nel riconoscere le bugie, e d'improvviso era assai meno convinta dell'innocenza di quel visitatore. — Naturalmente, se lei adesso si rendesse conto di aver commesso un piccolo errore e che noi indigeni bizzarri non siamo gli allocchi che lei credeva, e se preferisce evitare il fastidio d'una ispezione corporea ai raggi, per non parlare dell'attenzione delle autorità, avrà modo
di apprendere che qui siamo pronti a perdonare se restituirà a Mamma Mastino quello che ha preso. — Non ho preso un accidente... — cominciò a ribattere l'uomo calvo. — Le prigioni di Drallar sono molto, molto scomode — continuò Aljean con vivacità. — Al nostro governo non piace spendere soldi per le pubbliche necessità. E sono parecchio spilorci quando si tratta delle comodità dei malandrini. Visto che lei è un ultramondano, non credo che le farebbe troppo bene mezz'anno di umidità sotterranea non filtrata. La muffa le spunterà da sotto le palpebre e le crescerà da dentro i polmoni. D'un tratto il calvo parve accasciarsi su se stesso. Fissò con rabbia Flinx, Il quale gli restituì l'occhiata senza minimamente scomporsi. — Non so come tu abbia fatto a vedermi, ragazzo. Giurerei che nessuno mi ha visto! Nessuno! — Che io sia benedetto — mormorò Cheneth, facendo passare lo sguardo dal ladro al ragazzo che l'aveva pescato. — Allora, è vero che ha preso gli anelli! — Sì. Non chiamate le autorità — disse l'uomo calvo rivolto a Aljean. — Lei ha detto che sarebbe bastato che io rendessi gli anelli. Sono pronto a farlo. Mamma Mastino annuì lentamente. — Sono d'accordo anch'io, a patto che lei non faccia più vedere il suo cocuzzolo luccicante in questa parte del mercato. — Avete la mia parola di professionista — si affrettò a promettere l'uomo. — Non ho mentito quando ho detto di essere in vacanza. — Rivolse loro un agro sorriso. — A me piace fare in modo che le mie vacanze siano autosufficienti... Mamma Mastino non ricambiò il sorriso. Tese una mano: — I miei anelli omicidi, prego. Il sorriso dell'uomo si torse ancora di più. — Al più presto. Ma prima ho bisogno di certi commestibili. Ci sono certi frutti che saranno più che sufficienti. E alcuni medicinali standard. Avrò anche bisogno di panni puliti e di disinfettanti. Il ragazzo ha ragione. Li ho inghiottiti. Mi fornisca ciò che le ho chiesto e fra un'ora o poco più riavrà i suoi stramaledetti anelli. Mamma Mastino li riebbe quaranta minuti più tardi. Dopo che il ladro e il piccolo gruppo dei negozianti sbalorditi se ne furono andati per le rispettive strade, Mamma Mastino prese da parte il suo protetto e lo pose davanti alla domanda che nessun altro aveva pensato di fargli.
— Dunque, ragazzo: hai detto di non averlo visto inghiottire gli anelli? — No, non l'ho visto, madre. — Adesso che la piccola folla si era dispersa e la sua affermazione aveva trovato conferma, riaffiorò la sua timidezza. — Allora, per tutti i diavoli ricciuti, come facevi a saperlo? Flinx esitò. — Su, ragazzo, parla. A me puoi dirlo — disse Mamma Mastino, suadente. — Ricordati che adesso sono tua madre. La sola che hai. Sono stata leale e sincera con te. Adesso tocca a te ricambiare. — Ne sei sicura? — Vide che il ragazzo lottava con se stesso. — Sei sicura di non essere gentile con me soltanto per ingannarmi? Non sei uno dei cattivi? Era strano che saltasse fuori con quel discorso, pensò la vecchia. — Ma certo che non sono una di loro. Ti sembro forse uno dei cattivi? — N... no — lui ammise. — Anche se a volte è difficile dirlo. — Ormai è un po' di tempo che vivi con me, ragazzo. Dovresti saperlo. — La sua voce ridivenne gentile. — Suvvia, adesso. Quello che è giusto è giusto. Perciò smettila di mentirmi, insistendo a dire che non l'hai visto mentre inghiottiva quegli anelli. — Non l'ho visto — lui ribadì, bellicoso. — E non mento. Quell'uomo... sì, si stava allontanando dalla bacheca, ed era a disagio. Era si sentiva... com'è la parola? Si sentiva colpevole. — Ma come fai a saperlo? — Perché — mormorò, senza guardarla, ma fissando la strada, là fuori, dove quella strana gente continuava a muoversi su e giù in mezzo alla nebbia che stava tornando, — perché l'ho sentito. — Portò la piccola mano alla fronte, sfregandola leggermente. — Qui. Gran Ganwrath dell'Inondazione, pensò Mamma Mastino. Il ragazzo ha un talento nascosto! — Vuoi dire — gli chiese, ancora — che gli hai letto nella mente? — No — lui la corresse. — Non è così. È... una sensazione che talvolta ricevo. — Ricevi questa sensazione tutte le volte che guardi qualcuno che è colpevole? — Non soltanto la colpevolezza — lui le spiegò. — Si tratta di ogni genere di sensazioni. La gente... è come un incendio. Puoi sentire il calore di un incendio. — La vecchia annuì lentamente. — Be', io posso sentire certe cose dalla testa della gente. Felicità o paura o odio, e un sacco di altre co-
se. Non sono sicuro in che modo... Forse come quando un uomo e una donna sono insieme. — Puoi farlo tutte le volte che vuoi? — lei gli chiese. — No. Quasi mai, invece. Molte volte non riesco a sentire niente. Allora tutto è pulito e non mi aggredisce, e posso rilassarmi. Poi ci sono altre occasioni quando la sensazione è là... qui dentro — aggiunse, toccandosi di nuovo la fronte. — Stavo guardando quell'uomo, e la colpevolezza e la preoccupazione sgorgavano da lui come un incendio, in particolare tutte le volte che guardava la bacheca dei gioielli. Era anche preoccupato dalla possibilità di venire in qualche modo scoperto, e per un sacco di altre cose. Stava pensando, stava irradiando pensieri relativi a un mucchio di denaro fatto in fretta. Denaro che avrebbe ottenuto disonestamente. — Emozioni — rifletté ad alta voce la vecchia, — tutte emozioni. — Cominciò a ridacchiare in tono sommesso. Aveva già sentito parlare di cose del genere. Il ragazzo era un telepate empatico, anche se rudimentale. Poteva leggere le emozioni degli altri, anche se non i loro veri pensieri. — Tutto a posto, Flinx — lo rassicurò. Allungò una mano e gli scompigliò scherzosamente i capelli. — Hai agito bene. Mi hai fatto risparmiare. Hai fatto risparmiare a tutti e due un sacco di denaro. — Guardò la piccola borsa di cuoio che adesso conteneva i quattro anelli recuperati e puliti. Sapevano ancora di disinfettante. — Non c'è da stupirsi che quel ladro non sia riuscito a capire come hai fatto a scoprirlo. Non l'hai neppure visto mentre prendeva gli anelli! — No, madre. Non ero neppure sicuro di cosa avesse preso. — Hai sentito soltanto la reazione della sua mente? — Credo di si — disse Flinx. — Non... non so come mi accada... ma so anche che la maggior parte della gente non può farlo, vero? — No — rispose lei, con dolcezza. — La maggior parte della gente non può. E talvolta la gente rimane assai sconvolta se pensa che ci sia lì vicino qualcuno che è in grado di farlo. Flinx annuì con solennità. — Come i cattivi? — Forse — disse la vecchia, valutando quella possibilità. — Sì, forse come i cattivi. Non puoi controllare quel potere, ne sei sicuro? — Ne sono sicuro. Ci ho provato. A volte c'è, qualcosa che brucia dentro la mia testa. Ma per la maggior parte del tempo non c'è. La vecchia annuì. — Peccato, peccato. Hai quello che viene chiamato un talento, Flinx. — Un talento. — Ci pensò su un momento, poi chiese, incerto: — È una
buona cosa? — Può esserlo. Potrebbe anche essere una cosa pericolosa, Flinx. Dobbiamo farne un segreto, il tuo e il mio. Non parlarne mai con nessun altro. — Non ne parlerò mai con nessuno — mormorò. Poi aggiunse con vigore: — Lo prometto. Allora, non sei in collera con me? — In collera? — Mamma Mastino se ne uscì in una fragorosa, chiocciante risata. — Come potrei mai essere in collera con te, ragazzo? Ho avuto restituiti i miei gioielli, e tu ti sei guadagnato non poco rispetto tra i nostri vicini. In questo mercato, si tratta d'una importante merce di scambio, come potresti scoprire un giorno. Loro sono convinti che tu abbia un occhio acuto e una lingua tagliente. La realtà è qualcosa di più, anche se non metto in dubbio che tu possa tener testa a parole col migliore di loro. Ma... tieni per te il tuo talento. Ricordati che è il nostro segreto. — Il nostro segreto — ripeté Flinx con solennità, — C'è altro che tu sappia fare? — lei gli chiese, cercando di non apparire avida. — Qualcos'altro, oltre a percepire quello che provano gli altri? — Non credo. Anche se a volte mi sembra che... non so. Brucia e mi fa paura. Non so cosa mi accada o perché. — Non fartene un cruccio, ragazzo. — Non volle insistere sull'argomento quando vide che la cosa lo turbava. — Non c'è niente da temere. — Lo attirò a sé e lo tenne stretto al proprio corpo, così esile e caldo. — Utilizza la tua mente e tutto il resto che possiedi. Ti sono stati dati proprio per questo. Un talento come il tuo non è diverso da qualunque altra capacità. E se c'è qualcos'altro, di te, che vuoi tentare, fallo pure. Questo corpo e questo cervello sono tuoi e di nessun altro. III La coppia veniva da Burley. Mamma Mastino lo capiva dal loro accento rude e dall'eccessiva quantità di luccicanti gioielli metallici che portavano. Erano monili di caccia lavorati a mano. Era stato il grande frammento di legno nero di Caulder, dall'intricata, minuziosa lavorazione, là nel negozio di Mamma Mastino ad attirare la loro attenzione. Era finemente scolpito per raffigurare una colonia di Thoruped, una delle molte che infestavano i continenti dell'emisfero settentrionale di Falena. La scultura occupava tutta la larghezza del grumo nerastro, quasi due metri da un'estremità all'altra. Era spessa mezzo metro, ed era stata lucidata fino ad assumere uno splendido aspetto d'ebano lucente.
Era un'opera spettacolare. Normalmente Mamma Mastino neppure avrebbe considerato la possibilità di venderla, poiché era proprio quel capolavoro che attirava i passanti nel suo negozio. Ma quella coppia mostrava di bramarlo disperatamente, e soltanto l'altissimo, impossibile prezzo pareva esser loro d'ostacolo. Flinx entrò nel negozio dalla strada, si chinò a osservare un mucchio di piccoli braccialetti nel mentre studiava l'uomo e la donna che discutevano fra loro. D'un tratto raggiunsero una decisione: dovevano assolutamente avere quel pezzo. Avrebbe completato il loro soggiorno, e avrebbe fatto l'invidia di tutti i loro amici. Al diavolo le spese per la spedizione, l'assicurazione e il prezzo! L'avrebbero comperato. E lo fecero davvero, anche se la somma sulla loro carta di credito bastava appena a coprire il prezzo. Quel pomeriggio sul tardi due uomini vennero a prelevare il pezzo per consegnarlo all'albergo in cui soggiornavano i due visitatori. Più tardi, quella sera, dopo che il negozio ebbe chiuso e la cena fu terminata, Mamma Mastino disse, quasi distrattamente: — Ragazzo, ricordi quella coppia che oggi ha comperato quella scultura in legno di Caulder? — Sì, madre. — Saranno entrati e usciti dal negozio una mezza dozzina di volte prima di decidersi. — È interessante — annuì Flinx, anche lui con fare distratto. Era seduto in un angolo intento a visionare una cassetta sul suo visore portatile. Era molto diligente nel suo studio, al punto che a lei non era mai venuto in mente di mandarlo in una scuola pubblica per dei corsi regolari. Le videocassette prese a nolo le erano andate benissimo da bambina, e sarebbero andate altrettanto bene per lui. — Sì — Mamma Mastino continuò. — Avevano appena i soldi sufficienti. Li ho incalzati, ho fatto anche un paio di ritirate strategiche... insomma, ho fatto tutto il possibile per convincerli del grande valore di quella scultura, non appena ho visto che erano seriamente interessati all'acquisto. Ma ogni volta, non importa cosa io avessi detto, uscivano in strada e si mettevano a discutere. «Poi sei comparso tu e sei rimasto lì a guardarli e... zac!, tutt'a un tratto ogni loro resistenza all'acquisto è andata in frantumi. Non è interessante? — No davvero — rispose Flinx. — Non succede un sacco di volte? — Non con un articolo costoso come il legno di Caulder. Non succede mai così. Ora... non è che tu abbia avuto qualcosa a che fare con l'improvviso cambiamento d'idea di quei due? Non è, per caso, che tu abbia perce-
pito la loro esitazione e abbia fatto qualcosa per aiutarli? — Certo che no, madre. — Distolse lo sguardo dal suo visore, sorpreso. — Non posso fare niente del genere. — Oh — mormorò lei, delusa. — Non mi starai mica mentendo proprio adesso, vero, ragazzo? Flinx scosse la testa con energia. — Perché dovrei fare una cosa del genere? Sono felice che tu abbia guadagnato tanti quattrini con quella vendita. Sono sempre contento quando fai soldi. — Almeno, questa è una cosa che abbiamo in comune — disse burbera la vecchia. — Hai guardato abbastanza per stasera. Stancherai i tuoi giovani occhi. Vai a letto, Flinx. — D'accordo, madre. — Le si avvicinò e le diede il bacetto d'obbligo sulla guancia, prima di correre nella sua stanza. — Buona notte. — Buona notte, ragazzo. Per un po' Mamma Mastino rimase sveglia nella sua camera da letto, seguendo sul suo visore una delle cassette d'intrattenimento presa a nolo. Lo spettacolo era stato registrato su Evoria e traeva beneficio sia da questa sua collocazione esotica che dalla partecipazione di attori thranx. Quando infine lo spense e si preparò a dormire era ormai molto tardi. Una rapida doccia, mezz'ora per spazzolarsi i capelli, e poté infilarsi con un sospiro sotto la coperta termica. Mentre giaceva al buio in attesa del sonno, un improvviso, inquietante pensiero s'insinuò nella sua mente. Perché il ragazzo avrebbe dovuto mentirle su una tale, possibile, capacità? Poteva averlo fatto, pensò, perché se era in grado di convincere una coppia di turisti a compiere un acquisto non voluto, era probabile che potesse farlo anche con altri. E se poteva farlo anche con altri, cos'era successo lo scorso autunno quando lei stava passando in fretta davanti alla piattaforma dell'asta governativa diretta in città e qualcosa l'aveva fatta fermare, facendole provare una sensazione di perplessità? Non era forse possibile che l'acquisto da lei fatto quel giorno (quell'acquisto non voluto e fino ad oggi inspiegabile, che non aveva mai analizzato tanto da vicino) fosse stato aiutato dalle gomitate mentali dell'acquistato? Perché mai lei l'avesse comperato, non uno solo dei suoi amici era riuscito a capirlo. Turbata, scivolò giù dal letto e raggiunse la stanzetta del ragazzo. Un'occhiata all'interno le rivelò Flinx che dormiva saporitamente sotto la coperta, un bambino dall'aria innocente, quale mai si sarebbe potuto sperare di contemplare. Ma adesso lì c'era qualcos'altro, qualcosa d'invisibile e d'imprevedibile di cui non avrebbe mai potuto essere sicura. Mai più sarebbe
stata in grado di rilassarsi completamente in presenza del ragazzo. Aveva già dimenticato il suo rincrescimento iniziale e aveva cominciato a profondergli l'amore che non era mai stata capace di dare a quelli come lei. Era un ragazzino tanto caro e le era stato di moltissimo aiuto in negozio. Era bello avere una compagnia come quella alla sua vecchia età. Ma adesso per un po', soltanto per un po', l'avrebbe accarezzato e rassicurato con una mano ma avrebbe tenuto l'altra vicino a un'arma. Fino a quando non fosse stata pienamente sicura dentro la sua mente che della sua mente, appunto, poteva fidarsi. Vecchia pazza, sciocca, pensò mentre tornava nella sua camera da letto. Lo hai lodato perché possiede un talento, e adesso questo suo talento ti preoccupa. Non puoi avere le due cose insieme. Inoltre, che bisogno c'era di temere un talento che il suo proprietario non poteva controllare? Quella confessione del ragazzo pareva abbastanza sincera, a giudicare dalla sua perplessità e dal suo avvilimento. Si sentiva meglio quando per la seconda volta s'infilò nel suo letto. No, non c'era nessun motivo di preoccuparsi. Era interessante, quel suo talento, ma se non poteva controllarlo, be', non c'era nessun motivo di preoccuparsi. Era chiaro che chiunque non fosse in grado di padroneggiare una simile capacità non sarebbe mai arrivato a fare un granché. — Haithness, Cruachan, venite qui! La donna seduta davanti allo schermo del computer aveva passato un'altra mattina ancora a esaminare colonne e colonne di dati. Stava cercando di risolvere un enigma chimico di notevole complessità. E quella mattina, come capitava in rare occasioni, un frammento dell'enigma d'interesse particolarmente vitale s'era incastrato al suo posto. Invece d'una congerie di cifre e di grafici indisciplinati adesso lo schermo irradiava un'immagine d'una perfetta simmetria. L'uomo che si affrettò a raggiungerla dal centro della stanza per dare un'occhiata da sopra la sua spalla era alto e le rughe che gli solcavano il viso colpivano l'occhio d'un osservatore. La donna dai capelli scuri che si era unita a lui per fissare lo schermo era solenne quanto lui. La camera in cui tutti e tre lavoravano era situata in un edificio anonimo di piccole dimensioni, adibito a uffici. Sorgeva in una città poco importante d'un mondo arretrato. Malgrado tutto l'equipaggiamento sul quale erano curvi avesse un aspetto rabberciato, per la maggior parte era d'un tipo che esigeva una grande esperienza per farlo funzionare, oltre a un rilevante im-
piego di fondi. Sia le conoscenze che il denaro arrivavano da località in apparenza non collegate fra loro e sparse dovunque per il Commonwealth. Per gli uomini e le donne che praticamente trascorrevano la loro vita in quella stanza l'isolamento era il loro onorato fardello e l'oscurità la loro arma più potente, giacché erano membri d'una minoranza disprezzata e perseguitata quanto mai, in guerra con i princìpi della società civilizzata. Il loro cuore era davvero puro e il loro scopo nobile... ma era il loro modo di procedere che il resto della civiltà metteva in discussione. I tre che fissavano intensamente lo schermo del computer non avevano l'aspetto di candidati meritevoli d'una simile, speciale attenzione. L'uomo alto, Cruachan, aveva l'aspetto d'un nonno gentile; la donna orientale seduta davanti alla consolle sarebbe parsa più nel suo ambiente in un'era antica, abbigliata com'era di sete traboccanti e calzature di legno. Soltanto la donna alta e scura in piedi sull'altro lato di Cruachan faceva trasparire dal volto un po' della durezza interiore. Tuttavia quella durezza e quella fredda determinazione albergavano in ciascuno di loro, nutrite e intensificate da due decenni di persecuzioni. Si consideravano uomini e donne distinti dal gregge comune. Il loro scopo era — niente di meno — il miglioramento dell'umanità suo malgrado. Che i loro metodi potessero danneggiare degli innocenti era stato loro noto sin dall'inizio. Avevano accantonato, però, questa ed altre convinzioni morali, persuasi che tali sacrifici fossero necessari acciocché la maggioranza potesse trarne beneficio. Chiamavano il loro gruppo la Meliorare Society, un nome in apparenza innocente, concepito per mascherare l'intenzione di migliorare l'umanità tramite la manipolazione artificiale del materiale genetico. I loro guai erano cominciati quando parecchi dei loro esperimenti mal riusciti erano venuti alla luce, suscitando enorme scalpore. Adesso erano costretti a lavorare in avamposti sparpagliati un po' dappertutto invece che in una singola stazione di ricerca, sempre con un solo passo di vantaggio sulle autorità governative che davano loro la caccia. La plebaglia in genere li considerava con orrore. La maggior parte dei loro associati era ormai scomparsa, essendo stati scoperti e arrestati dagli spietati tirapiedi d'una burocrazia ignorante: martiri della scienza, come ben sapevano i sopravvissuti... mostri inumani, secondo quanto riferivano invece i mezzi di comunicazione. Naturalmente gli scopi della Meliorare Society erano pericolosi! I mi-
glioramenti, i cambiamenti, venivano sempre giudicati pericolosi dai miopi. I membri della società si erano temprati a quel modo di pensare, e questo non aveva più nessun effetto su di loro. Ciò che per loro importava erano i risultati, non le opinioni delle masse ignoranti. Così, non temevano la morte; non temevano neppure la posizione ancora più orribile della obliterazione mentale selettiva, giacché credevano nella giustezza della propria causa. Se anche uno soltanto dei loro esperimenti fosse riuscito, questo sarebbe bastato a giustificare il lavoro iniziato sulla Terra quarant'anni prima dal fondatore della Society. Allora sarebbero stati in grado di riemergere nella comunità scientifica che li aveva ripudiati. Sarebbero stati in grado di additare con orgoglio un essere umano visibilmente migliorato e finalmente maturo. L'eccitazione che permeava l'intera stanza era contenuta ma chiaramente sentita quando si raccolsero intorno allo schermo. — Sarà meglio che questo sia all'altezza delle previsioni, Nyassa-lee — l'avvertì Cruachan. — Ho una tremenda quantità d'informazioni del sistema di Cannachanna da elaborare e, come sai, è probabile che dovremo abbandonare questo posto e trasferirci altrove entro un mese. Questo significherà reinsediarci, scomporre e ricomporre l'intero equipaggiamento, e tutte le altre difficoltà che comporta uno spostamento. — Tu mi conosci bene, Cruachan — disse la donna seduta sulla sedia. Non provava nessuna sensazione di trionfo per ciò che aveva appena fatto: erano progrediti bene al di là di simili banalità, ormai. — Sono mesi ormai che immetto dati e correlazioni incrociate sulla dispersione e le caratteristiche d'ogni singolo soggetto. Finalmente ho ottenuto dei risultati. Ho localizzato il Numero Dodici. La donna nera e alta si sporse più vicino allo schermo. — Il Numero Dodici... mi è rimasto impresso. È un maschio, vero? Nyassa-lee annuì e indicò lo schermo. — Ecco, faccio ripassare un'altra volta i dati rilevanti per voi. Tornarono a familiarizzarsi col caso in questione. Erano passati otto anni da quando era scattata l'interdizione. Durante quegli otto anni avevano ripreso contatto con un certo numero di soggetti. Per la maggior parte, questi avevano conosciuto un'infanzia normale; pochi avevano mostrato qualche barbaglio, ma niente che valesse la pena di esser seguito con maggiore attenzione e dispendio di mezzi. E c'erano stati anche quelli la cui mente e il corpo erano usciti orribilmente distorti dalle originarie manipolazioni chirurgiche, delle quali ognu-
no di loro condivideva la colpa. Erano stati questi sfortunati insuccessi che, una volta divulgati dal governo, avevano destato una vivissima, emotiva repulsione nel grosso pubblico scientificamente impreparato, consentendo in tal modo allo stesso governo di legalizzare la sua caccia alle streghe contro la Society. Il governo aveva recuperato la maggior parte dei soggetti in età infantile, allevandoli poi in case speciali e riportandoli così alla normalità. Là dov'era possibile, le alterazioni genetiche apportate dai microchirurghi della Society erano state corrette per consentire a tutti i bambini di vivere un'esistenza normale. Se non possiamo migliorare il normale, pensò Haithness, allora non meritiamo di esplorare e dominare l'universo. La natura aiuta coloro che si aiutano. Perché mai dovremmo impiegare le nostre conoscenze e il nostro sapere per dare una spinta all'evoluzione? Dall'angolo più lontano della stanza in penombra un uomo gridò: — Brora riferisce che una navetta governativa è atterrata al navettaporto di Calaroom. — Potrebbe essere il solito carico di specialisti agricoli — osservò pensieroso Cruachan. — Forse — ammise l'individuo che stava operando alla consolle delle comunicazioni, — ma possiamo permetterci questo rischio? — Non mi va di ordinare l'evacuazione sulla base d'una prova tanto esile. Qualche informazione sul numero dei passeggeri? — Difficile dirlo — replicò l'uomo, ascoltando attentamente al ricevitore. — Brora — dice che ce ne sono almeno una dozzina che non ha riconosciuto. — Sono un numero eccessivo per degli specialisti in agricoltura, Cruachan — gli fece osservare Haithness. — Infatti. — Cruachan gridò all'operatore alle comunicazioni: — Di' a Brora di ritirarsi e di prepararsi a partire. Non possiamo correre rischi. Riduci il tempo di evacuazione da un mese a stanotte. — Stanotte? — La voce dell'addetto alle comunicazioni suonò piena di dubbio. — Ma non riuscirò a smontare neppure metà dell'equipaggiamento! — Potremo sempre ricomprarcelo nuovo — gli ricordò Cruachan. — Siamo noi, invece, che non possiamo essere sostituiti. L'uomo alla consolle annuì e tornò a voltarsi verso la sua postazione, parlando sommessamente e in fretta dentro al microfono. Cruachan riportò
la sua attenzione allo schermo del computer. Stavano riemergendo le informazioni. NUMERO DODICI, MASCHIO, BAMBINO, FISICO NORMALE. Seguivano le indicazioni relative all'indice cerebrale e le cifre del dislocamento dell'energia corticale. Ah, sì. Adesso Cruachan ricordava. Imprevedibile, quel Numero Dodici. I profili dell'attività cerebrale suggerivano un'attività paranormale ma niente di concreto. In particolare, era risultata affascinante la quantità di attività emergente dal lato sinistro del cerebro, individuabile di solito soltanto nelle femmine. Questo in sé non costituiva motivo di eccitazione, ma c'erano anche persistenti indizi di funzionamento in due sezioni del cervello che di solito non erano attive, le aree «morte» della mente. Quell'attività, come il ragazzo stesso, era stata imprevedibile. Eppure, malgrado questi indizi incoraggianti, l'anamnesi del Numero Dodici era priva dei soliti sviluppi. Nessun accenno di telepatia, psicocinesi, pirocinesi, dislocamento duale, o qualunque altra fra le moltissime capacità che la Society aveva sperato di far fiorire nei suoi bambini sperimentali. Comunque, il Numero Dodici esibiva qualcosa di possibile. — Be', questo si dimostra più promettente dell'ultima dozzina o giù di lì — dovette ammettere Haithness. — È passato tanto tempo dall'ultimo contatto che abbiamo avuto con lui che mi ero quasi dimenticata di questi particolari indizi di attività cerebrale. Dobbiamo riottenerlo il più presto possibile. Dove si trova? Nyassa-lee batté i tasti sotto lo schermo facendo emergere le risposte. — In che razza di punto del Commonwealth si trova questo pianeta? — brontolò Haithness. — Un mondo mercantile — intervenne Cruachan, riflettendo intensamente. — Si trova in una posizione centrale ma in sé non è importante. Un mondo per brevi fermate di routine, con una popolazione indigena poco numerosa. — Vorrete certo precipitarvi laggiù, una volta che avrete visto questo — garantì ad entrambi Nyassa-lee. Le sue dita si mossero agili sulla tastiera premendo altri tasti, e ulteriori informazioni balenarono sullo schermo. — Queste sono recenti. Vengono da un nostro agente locale che ha rintracciato il soggetto. Sembra che il ragazzo abbia esibito in maniera inequivocabile un talento, forse due. Inoltre l'ha fatto in pubblico e a quanto pare senza nessun addestramento specializzato. — Senza addestramento — bisbigliò Cruachan. — Straordinario, se è
vero. Nyassa-lee batté la mano sullo schermo. — Questo agente è stato sempre affidabile in passato e si è particolarmente distinto per l'accuratezza delle sue osservazioni. Il talento in questione è una variante telepatica di qualche tipo. L'agente non è addestrato in modo scientifico, naturalmente, ed è ancora meno sicuro per quanto riguarda il secondo talento, anche se il suo valore potenziale potrebbe essere ancora maggiore. — Di cosa si tratta? — chiese Haithness. — Ho avuto molta difficoltà a trovargli un nome. Sostanzialmente, pare che il bambino sia un emozionalteratore. L'altra donna parve confusa. — Non ricordo di aver visto il termine sulla lista dei talenti possibili. — Non c'era. È originale. Coniato appositamente per questo bambino, a quanto pare — disse Cruachan. — Nyasse-lee annuì: — Significa essere in grado d'influenzare le emozioni degli altri. Non il controllo della mente; niente di così forte. Una cosa più sottile. Chiunque possieda una tale capacità dovrebbe impiegarla con estrema cautela. Se il rapporto dice il vero... — La sua voce e i suoi pensieri andarono per un attimo alla deriva mentre studiava lo schermo. — Pare che i talenti del bambino non siano stati notati dalle autorità e che lui si sia sviluppato in maniera naturale. Tutto senza anche il più rudimentale addestramento. Questi segni indicano di certo un potenziale straordinario in attesa di venir liberato. — O il bambino è cresciuto del tutto inconscio di possedere questi talenti — dichiarò Nyassa-lee, studiando le nuove informazioni man mano comparivano sullo schermo, — oppure ha un'intelligenza precoce. — Potrebbe essere soltanto un'istintiva cautela — intervenne Haithness. — Sarà interessante scoprire qual è il caso. — Cosa che noi faremo — ribadì Cruachan con fermezza. — È passato molto tempo dal giorno in cui un soggetto promettente come questo è tornato a noi. Potrebbe esser proprio quello che abbiamo cercato durante tutti questi anni. — Sarà bene che non sia la replica dell'ultima volta che ci è capitato di localizzare un soggetto con queste cifre — lo mise in guardia Haithness, indicando i simboli sempre nuovi che si stavano materializzando sullo schermo. — Osserva quel potenziale neuronico. Ricordi qual è stato l'unico altro bambino che ha mostrato cifre come quelle? — Certo che ricordo — replicò Cruachan irritato. — Non perderemo
questo come abbiamo perso quella ragazza... come si chiamava quel piccolo mostro? — Mahnahmi — gli ricordò Nyassa-lee. — Sì, se questo ragazzino assomiglia anche soltanto un po' a lei, dovremo agire con estrema prudenza. Non ce la farei ad accettare una ripetizione di quell'esperienza. — Neppure io, ad esser sincero — ammise Cruachan. — Il nostro errore è stato quello di tentare di riprendere direttamente il suo controllo. Risultato finale: la ragazza scompare di nuovo, e due altri membri della società fanno una fine prematura. E ancora oggi non siamo sicuri di sapere come la ragazza sia riuscita a farlo. — Un giorno l'incontreremo di nuovo, quando i nostri metodi saranno migliorati — replicò Haithness con freddezza. — Allora l'affronteremo nella maniera giusta. — Non sono ancora sicura di voler correre questo rischio. — Nyassa-lee tornò a fissare lo schermo. — Nel frattempo, sarà bene tener presente che, almeno in teoria, il potenziale di questo Numero Dodici sorpassa perfino quello della ragazza. — È vero — ammise Cruachan, studiando le cifre, — ma è chiaro che il suo sviluppo è stato assai più lento. Dovremmo aver tempo in abbondanza per affrontare qualunque talento in maturazione e accertarci che possa venir controllato con sicurezza, con vantaggio per il bambino oltre che nostro, naturalmente. — Naturalmente — convenne Haithness, senza scomporsi. — Sono curiosa di sapere come ti proponi di farlo. Tu sai come possa diventare volubile un talento se sottoposto a tensione. — Sì, quella ragazza ce ne ha dato un'impressionante dimostrazione, non è vero? — Le dita di Nyassa-lee fecero scaturire nuove informazioni dalla consolle. Un altro grido risuonò dal lato opposto della stanza. — Brora dice che è sempre meno convinto che i nuovi arrivi al porto abbiano qualcosa a che fare con la stazione agricola. Non si sono fermati alla Sezione Agricoltura nell'edificio governativo. Si sono invece tutti radunati nell'alloggio sotterraneo. — Di' a Brora di accelerare i tempi — rispose Cruachan. — Voglio che l'installazione sia completamente smontata entro mezzanotte. — Sì, signore — fu la vivace risposta dell'addetto alle comunicazioni. — Non hai risposto alla mia domanda — ricordò Haithness all'uomo alto. — Come hai intenzione di affrontare questo ragazzino? Se tenteremo il
controllo diretto come abbiamo fatto con la ragazza, rischieremo le stesse conseguenze. Non c'è nessun modo di prevedere come può reagire un soggetto. — Ricordati che la ragazza era ancora in piena infanzia quando l'abbiamo incontrata. Erroneamente l'abbiamo ritenuta innocua a causa della sua età. Nel suo caso non c'era nessuna ragione di appellarci a lei, era troppo giovane... Ma non mi sarei mai aspettato che questo andasse a nostro sfavore. — Non ha importanza. Quello che adesso importa è che questo ragazzino non ha ancora l'abilità necessaria a servirsi del suo talento. Ed è anche questo che lo rende pericoloso. — Haithness indicò le cifre sullo schermo. — Guardate queste. Indisciplinato o no che sia, dovremo trattare il Numero Dodici con estrema cautela. Ci serve un controllo di qualche tipo, qualcosa di abbastanza forte da padroneggiare qualunque emotiva reazione giovanile. Nyassa-lee gettò un'occhiata sopra la spalla ai suoi colleghi. — Ma non possiamo aspettare. — Su questo sono d'accordo con te. Questa potrebbe essere l'ultima nostra possibilità di assicurarci il controllo e la direzione d'un soggetto con un tale potenziale. Non vogliamo certo sprecare la nostra possibilità. — Sono conscio di quale occasione sia e dei rischi che comporta — garantì Cruachan a entrambe. — Non intendevo dire che dovremmo tentare, come nel caso della ragazza, di assicurarci il controllo diretto. Cercheremo invece di ottenere il controllo su qualcuno che esercita il controllo sul soggetto. C'è qualcuno che risponda ai requisiti richiesti? Nyassa-lee tornò a girarsi verso la tastiera. Vi fu una pausa prima che rispondesse: — C'è una persona. Risulta infatti che il soggetto è stato comperato a un'asta governativa da una donna anziana. Questa sta allevando il ragazzo come se fosse suo. — Una madre surrogata — mormorò Haithness. — Benissimo. Sembra fatta su misura. Non avremmo potuto sperare in un legame emotivo più forte. Non c'era calore nella voce di Haithness. C'era soltanto una cosa che aveva importanza per lei: il successo dell'esperimento. Sapeva che il tempo a disposizione della società stava per finire; non avevano nessun modo di sapere quando le autorità avrebbero chiuso definitivamente la morsa su di loro. Avevano bisogno d'un successo adesso, e quel ragazzo avrebbe potuto essere la loro ultima possibilità.
— Vedo un solo possibile intoppo — dichiarò Cruachan, mentre rifletteva sulle informazioni che continuavano a balenare nello schermo. — La donna in questione, la madre surrogata, è di età molto avanzata, anche se in apparenza di ottima salute. — Diede di gomito a Nyassa-lee la quale, obbediente, gli fece spazio sull'orlo del sedile. Cruachan toccò a sua volta i comandi e si accigliò quando l'informazione che cercava non comparve sullo schermo. — Nessuna informazione medica dettagliata su di lei. La cosa potrebbe essere difficile. Haithness scrollò le spalle con indifferenza. — Non importa quali siano le condizioni fisiche. Dobbiamo procedere lo stesso. — Lo so, lo so — replicò Cruachan con impazienza. — Allora adesso la nostra linea d'azione è decisa. Non andremo più da qui al pianeta di Loser nella speranza di rilocalizzare il soggetto Numero Cinquantasei. Invece decideremo delle operazioni mobili standard a bordo della nave. Una volta che avremo la certezza di essere sfuggiti all'inseguimento, faremo rotta su questo Falena. Poi dovremmo avere tempo a sufficienza per procedere secondo i piani. — Sarà necessario isolare il soggetto dalla madre. — Haithness stava pensando ad alta voce. — Vista la natura dei talenti osservati nel soggetto, se le nostre informazioni sono corrette, potrebbe darsi che entro un'area geografica limitata egli sia in grado di scoprire le nostre attività. Naturalmente avremo bisogno d'un periodo ininterrotto con la madre surrogata... — esitò solo per un breve istante, — per convincerla a collaborare con noi. — Un fugace sorriso alterò ben poco la sua espressione. Cruachan annuì: — Non dovrebbe essere difficile organizzare tutto questo. Per nostra fortuna Falena è poco popolato. La tecnologia non vi è sconosciuta, ma il livello varia molto a seconda della zona. Dovremmo essere in grado d'insediarci con la necessaria attrezzatura a una distanza sufficiente dalla metropoli dove il soggetto e la sua madre adottiva vivono, cosi da garantirci la riservatezza e la sicurezza sufficienti. L'addetto alle comunicazioni si voltò dai suoi strumenti e li interruppe senza alcuna esitazione: — Brora riferisce che almeno metà degli esperti agricoli appena arrivati sono armati. — Sì, sono proprio loro — mormorò Cruachan con un sospiro di rassegnazione. Un'altra mossa affrettata, un'altra corsa su un altro, strano pianeta. — Nyassa-lee, accertati che tutte queste informazioni vengano trasferite al banco-dati della nave. Haithness, tu...
— So cosa bisogna fare, Cruachan. — Gli voltò le spalle e con calma cominciò a trasferire i dati dalla memoria principale a una rastrelliera di cubi portatili. L'addetto alle comunicazioni si adagiò sullo schienale del suo seggiolino e fissò la sua strumentazione corrugando la fronte. — Non avrò il tempo di smontare granché per trasferirlo sulla navetta. — Non ha importanza, Osteen — gli assicurò Cruachan. — Abbiamo già dei duplicati del tuo equipaggiamento a bordo della nave. Non piace neppure a me esser costretto ad abbandonare più del necessario. — Indicò i costosi apparati elettronici che letteralmente tappezzavano le pareti della stanza. — Ma in questo momento non abbiamo scelta. Tuttavia, qualcosa di promettente, di molto promettente, ha colpito la nostra attenzione. Dopo tutti questi anni, sembra che siamo riusciti a rilocalizzare uno dei più promettenti fra tutti i nostri soggetti-bambini. — Questa è davvero una buona notizia, signore. — Osteen era uno dei pochi giovani, nei quadri della Meliorare Society. Cruachan avrebbe preferito un uomo dotato di maggior esperienza come primo addetto alle comunicazioni, ma individui del genere erano rari. Per lo meno, Osteen era fedele ed efficiente. Non era davvero colpa sua se dal punto di vista intellettuale non raggiungeva il livello dei membri originari della Society. Ma d'altronde Cruachan sapeva fin troppo bene che una simile accolita di menti idealistiche non avrebbe potuto esser messa di nuovo insieme durante la sua vita. A meno che... a meno che la Meliorare Society non avesse potuto esibire uno sfolgorante lascito testamentario della loro nobile idea nella persona di un singolo soggetto riuscito. Forse quel ragazzo sarebbe stato la miglior rivendicazione dei loro ideali. Dovevano arrivare a lui il più presto possibile. Durante gli ultimi anni avevano avuto sempre meno tempo per lavorare man mano il Commonwealth stringeva il suo pugno sui resti della Society. La loro percentuale di sopravvivenza non faceva presagire niente di bene per il futuro: l'attrito naturale cominciava a danneggiare la causa almeno quanto l'interferenza del governo. Loro tre, insieme a Brora dall'occhio acuto, il quale aveva lanciato loro quell'ultimo avvertimento, rappresentavano il gruppo più grande sopravvissuto alla lunga lista originaria dei membri. La fiducia di tutti coloro che erano periti era stata demandata a loro, rifletté Cruachan. No, non dovevano fallire con quel ragazzo. E lui non doveva deluderli.
IV Mai prima di allora la solitudine aveva preoccupato Flinx. Sapeva cos'era, naturalmente. Quella condizione l'aveva accompagnato per tutta la sua breve vita. In passato era stato sempre in grado di prendere le distanze dal suo dolore, ma quella sensazione, quel vacuo sentirsi solo, era diversa da qualunque altra solitudine avesse provato prima. Era una realtà fisica che lo trafiggeva, creando un dolore in una parte nuova e misteriosa del suo cervello. Era diversa non soltanto dalla solitudine, ma dalla solitudine che di solito avvertiva negli altri tramite il suo imprevedibile talento. In effetti quell'esperienza era così radicalmente nuova che lui non aveva nulla con cui paragonarla. Eppure era solitudine: di questo era sicuro. Solitudine e qualcos'altro di ugualmente intenso e riconoscibile: fame. Un rodente, insistente desiderio di cibo. Quelle sensazioni erano così intense e nette che Flinx non poté fare a meno di chiedersi quale ne fosse la fonte. Percuotevano insistenti la sua mente, rifiutandosi di dissolversi. Mai prima di allora emozioni del genere erano state così aperte per lui, così limpide e forti. Di solito, avrebbero cominciato ben presto a dissolversi, ma queste, invece di diventare più deboli, si rafforzavano, ed ogni suo sforzo per tenerle a bada era inutile. Continuarono a martellarlo, fino al momento in cui la sua mente si arrese e lo svegliò. Flinx si sfregò gli occhi. Fuori del negozio pioveva a rovesci, e la stretta finestra sopra il suo letto lasciava passare la fioca luce delle molteplici lune di Falena, che in qualche modo riusciva a filtrare attraverso la coltre quasi ininterrotta di nubi. Flinx aveva visto assai raramente la luminosa luna rosso-ruggine chiamata Fiamma o le sue compagne più piccole, ma aveva bene impiegato i suoi anni di studi e sapeva da dove veniva quella luce nel cielo. Scivolò in silenzio fuori dal letto e s'infilò i calzoni e la camicia. Una lampada a fluorescenza inondava la cucina e l'area pranzo d'una morbida radiosità gialla. Sul lato opposto, nei pressi della camera da letto di Mamma Mastino, si levava un irregolare russare. La solitudine che lui sentiva non era la sua. La sensazione persisteva anche adesso che era sveglio. Non si trattava dunque di un sogno, come aveva subito pensato. L'intensità era tale che gli faceva male la nuca, ma anche se il dolore vero e proprio cominciava a svanire, l'emozione era ancora intensa come lo era stata durante
il sonno. Non svegliò Mamma Mastino mentre ispezionava il resto dell'area della cucina, il bagno e l'unico, stretto armadio. Aprì in silenzio la porta d'ingresso e scivolò fuori del negozio. Le imposte erano chiuse saldamente, tenendo fuori sia il brutto tempo che gli intrusi. Il familiare russare forniva un confortevole sfondo al suo aggirarsi furtivo. Flinx era diventato un giovanetto agile, un po' meno alto della media, e di aspetto passabilmente attraente. I suoi capelli erano più rossi che mai, ma adesso l'abbronzatura della sua pelle nascondeva ogni traccia di lentiggini. Si muoveva con una grazia e un silenzio che molti dei più vecchi e assai più esperti ladri del mercato avrebbero potuto invidiargli. Sarebbe stato capace di attraversare un'intera stanza cosparsa di vetri rotti e frammenti di metallo senza produrre il minimo suono. Era una tecnica che aveva appreso da alcuni cittadini di Drallar dalla dubbia reputazione, con grande rincrescimento di Mamma Mastino. Faceva tutto parte della sua educazione, le aveva assicurato. I ladri avevano una parola per definire quel modo di muoversi: «skeodare», che significa «camminare come un'ombra». Soltanto i suoi capelli d'una tinta più vicace della norma inducevano i ladri professionisti a schioccare la lingua in segno di disapprovazione. Gli avrebbero senz'altro dato il benvenuto tra le loro file, se avesse avuto l'intenzione di fare del furto la sua professione. Ma Flinx rubava soltanto se assolutamente necessario, e anche allora soltanto da quelli che potevano permetterselo. — Voglio usare la mia capacità soltanto per incrementare il mio reddito — aveva dichiarato al vecchio maestro che si era informato delle sue intenzioni, — e quello di Mamma Mastino, naturalmente. Il maestro era scoppiato a ridere esibendo i denti rotti. — Ti capisco, ragazzo. Sono più di cinquant'anni che incremento il mio reddito con quel sistema. — Lui e i suoi colleghi non riuscivano a credere che qualcuno dotato d'una simile capacità ad alleggerire gli altri dei loro averi non desiderasse farne una vera e propria carriera, tanto più che ogni altra prospettiva di lavoro appariva alquanto nebulosa. — Entrerai nella Chiesa, suppongo — l'aveva schernito uno degli altri ladri, — per diventare Primo Consigliere? — Non credo che la vita spirituale sia per me — aveva risposto Flinx. A quella frase tutti avevano ripetuto la fragorosa risata. Mentre apriva in silenzio la serratura della porta esterna, ripensò a ciò che aveva imparato durante gli anni trascorsi. Una persona saggia non an-
dava in giro per Drallar a notte fonda, soprattutto una notte così umida e buia. Ma lui non poteva tornare a dormire senza prima aver localizzato l'origine delle sensazioni che lo martellavano. La solitudine e la fame, la fame e la solitudine riempivano la sua mente d'irrequietezza. Chi mai era in grado d'irradiare con tanta intensità quelle due sensazioni gemelle? La porta quando si aprì rivelò una muraglia di pioggia. La superficie inclinata della strada portava via l'acqua facendola defluire attraverso l'efficiente rete degli scoli sotterranei. Flinx si fermò sulla soglia per parecchi istanti, ad osservare la scena. D'un tratto un'intensa esplosione di solitudine lo fece trasalire. Questo gli fece prendere una decisione. Non poteva più ignorare quell'implorazione rovente, così come non avrebbe mai potuto lasciare orfana sul marciapiede una carta di credito non timbrata. — Un giorno quella tua curiosità ti metterà in guai seri, ragazzo — l'aveva ammonito Mamma Mastino in più d'una occasione. — Ricordati le mie parole. Si, l'aveva ricordate. Ricordate e archiviate. Girò le spalle alla porta e rientrò «skeodando» nella sua stanzetta. Era l'inizio dell'estate e la pioggia, là fuori, era relativamente tiepida. Disdegnando un sottogiacca, staccò l'incerato dal suo gancio alla parete e l'indossò. Così protetto in maniera adeguata dalla pioggia, tornò nel negozio e uscì in strada, chiudendosi la porta d'ingresso alle spalle senza far rumore. Qualche luce, simile a un fuoco fatuo sonnolento, ardeva fioca dietro le facciate dei negozi che davano sulla strada principale e non avevano calato le saracinesche poiché lì i ricchi oziosi potevano passeggiare anche di notte in relativa sicurezza. Sulla strada laterale in cui Mamma Mastino svolgeva il suo commercio, uno o due barlumi luminosi trasparivano a stento da dietro le saracinesche chiuse. Mentre l'acqua continuava a precipitargli sulle spalle come una cascata, Flinx restò lì fuori, immobile, a frugare nella propria mente. Qualcosa lo spinse ad avanzare verso destra. C'era uno stretto spazio tra il negozio di Mamma Mastino e quello della vecchia signora Marquin, che era in vacanza al sud, e girandosi di lato riuscì a stento a passarvi attraverso spremendo il proprio corpo. Finì per sbucare nel vicolo di servizio che correva tra il retro dei negozi e un grosso edificio di uffici. I suoi occhi vagarono sopra un paesaggio lunare di spazzature e rifiuti non raccolti: vecchi imballaggi di plastica, fusti metallici, contenitori ad alveare per oggetti fragili, e altri detriti buttati là dietro alla rinfusa. Un paio di fleurm guizzarono via tra i suoi stivali. Flinx
li osservò guardingo. Non che gli facessero ribrezzo gli onnipresenti fleurm, ma provava un sano rispetto nei loro confronti. Quelle creature erano coperte di una folta pelliccia argentata, e le loro piccole bocche erano piene di denti affilati. Ognuno di quegli animaletti era grosso press'a poco quanto il suo pollice e lungo quanto il suo avambraccio. Non erano dei veri vermi ma mammiferi privi di zampe, anche se se la cavavano assai bene tra i mucchi di rifiuti e la spazzatura composita che riempivano fino a traboccare i vicoli di Drallar. Aveva sentito storie orribili di vecchi e vecchie che, ubriachi, erano caduti storditi là in mezzo, e la mattina dopo a indicare la loro presenza rimanevano soltanto le ossa spoglie. Comunque, Flinx non era ubriaco. I fleurm potevano infliggere morsi spiacevoli, ma erano creature timide, quasi cieche, e preferivano cedere il diritto di passaggio se veniva concessa loro la scelta. Se sulla strada davanti al negozio faceva buio, qui nel vicolo l'oscurità era quella dello Stige. A est, molto avanti lungo la strada principale, poteva distinguere il riflesso d'una luce e udire una risata intermittente. Una strana notte per una festa. Ma il bagliore gli diede un punto di riferimento, anche se era troppo lontano per illuminare la sua ricerca. Quelle continue ondate di solitudine che sentiva investirlo non provenivano da quella lontana celebrazione, né esalavano dalle porte massicciamente chiuse e sbarrate che davano sul vicolo. L'emozione che Flinx assorbiva proveniva da qualche altra fonte, anch'essa molto vicina. Flinx avanzò, facendosi strada tra i mucchi di rifiuti, prendendo tempo così da consentire ai fleurm e agli insetti mangiacarogne rossoazzurri di scostarsi al suo passaggio e di fuggir via. D'un tratto qualcosa colpì con violenza inaspettata la sua mente ricettiva. Quel colpo mentale lo fece cadere sulle ginocchia. Da qualche parte un uomo stava picchiando la moglie. Non era una circostanza insolita, ma Flinx lo sentì accadere lontano, sull'altro lato della città. La donna era spaventata e rabbiosa. Aveva allungato la mano per prendere il minuscolo lanciadardi che teneva nascosto nella toeletta della sua camera da letto e puntò la minuscola canna contro l'uomo. Adesso toccò a suo marito aver paura. Prese a implorarla, non con parole che Flinx potesse sentire, ma tramite una valanga emotiva che terminò con un improvviso urlo nonverbale, di sbigottimento e di angoscia. Poi arrivò il vuoto che Flinx aveva imparato ad associare con la morte. Sentì scoppiare una risata, non dal gruppo oltre il vicolo, ma da una delle alte torri di cristallo che svettavano sopra i ricchi quartieri dove i com-
mercianti e i mercanti transpaziali avevano edificato le loro dimore. E percepì un raggiro che veniva imbastito: qualcuno sarebbe stato imbrogliato. Molto al di là dei confini della città, nella foresta a occidente: felicità e gioia accompagnata da una nuova, liquida sensazione di affioramento. Era nato un bambino. Molto vicino a lui, forse in uno dei negozi della stessa strada di Mamma Mastino, stava infuriando un litigio. Riguardava conti e falsificazioni, ondate di acre risentimento guizzavano fra due individui da poco associati. Poi i brontolii privati di qualche sconosciuto molto lontano verso il centro della città, qualcuno che stava complottando di uccidere, e più di una volta, ma che si limitava a progettare: il genere di fantasticherie che riempiva i momenti liberi di ogni cervello umano, malato o sano che fosse. Poi, tutte le sensazioni scomparvero, tutte, quelle gioiose e quelle mortali, dei litiganti, degli amanti e dei sognatori. Rimase soltanto la pioggia. Ammiccando, Flinx si alzò in piedi, barcollando, e rimase lì, in equilibrio precario, su un lato del vicolo. La pioggia rimbalzava sul suo incerato e si faceva strada in mille rivoli serpeggianti lungo le pareti posteriori dei negozi e del grande edificio di uffici, gorgogliando infine nello scolo centrale. Flinx si trovò a fissare con sguardo vacuo il vicolo, in direzione del lontano chiarore che contrassegnava il luogo della festa. D'un tratto le emozioni d'ogni singolo partecipante alla festa si stagliarono nitide nella sua mente; soltanto... adesso non provava nessun dolore: c'erano soltanto sicurezza e una tranquilla chiarezza. «Vedeva» quella donna piena d'ansia e d'incertezza che ugualmente tentava di sedurre quell'uomo... vedeva un altro degli ospiti criticare l'arredamento, e un altro ancora il quale si chiedeva come mai avrebbe fatto a sopravvivere per tutto il giorno seguente... sentiva le risa, la paura, il piacere, la bramosia, l'ammirazione, l'invidia: tutta l'intera gamma delle emozioni umane. Cominciarono tutte a muovere verso di lui come la tempesta che aveva appena affrontato, minacciando di nuovo il dolore, minacciando di sopraffarlo... BASTA, ordinò a se stesso. Basta... e calma. Grazie all'attenta manipolazione di una parte della sua mente che fino a un attimo prima neppure sapeva che esistesse, scoprì di essere in grado di controllare l'intensità delle emozioni che minacciavano di affogarlo, che non erano neppure tutte umane. Ne aveva sentite almeno due che erano del tutto aliene, anche se riconoscibili quanto bastava a identificarle. Erano le sensazioni d'un paio di ornitoidi accoppiati. Ma era la prima volta che lui
percepiva qualcosa da esseri non-umani. Lentamente scoprì di essere in grado di frenare l'assalto, di attenuarlo al punto da poterlo controllare, sdipanando dal groviglio le sensazioni dei singoli, scegliendo, analizzando... e poi tutte queste sensazioni scomparvero con la stessa repentinità con cui l'avevano investito, insieme a tutte le altre vampate d'emozione che aveva risucchiato da tutta la città. Esitando, cercò di mettere a fuoco la propria mente e di riappropriarsi di quelle sensazioni. Fu come prima. Per quanto tentasse, la sua mente rimaneva vuota di qualunque sensazione salvo le sue. Le sue... e quelle di un altro. La solitudine era ancora là, che lo tormentava. Anche se adesso quella sensazione era meno esigente, quasi esitante. E con essa c'era anche la fame. Flinx fece un passo avanti, un secondo, un terzo... e qualcosa di vivo guizzò via, in fretta, dal suo percorso, rovesciando barattoli e altri contenitori vuoti, plastica e metallo che sferragliarono nel vicolo buio. Flinx si sforzò di vedere nel buio, desiderando, adesso, di aver avuto la presenza di spirito di portare con sé una lampada dal negozio. Fece un cauto passo avanti verso i mucchi dei rifiuti, pronto a farsi da parte con un balzo nel caso in cui il fleurm o qualunque altra cosa fosse quella creatura dovesse mostrarsi inaspettatamente aggressiva. Non era un fleurm. Tanto per cominciare era troppo lungo: quasi un metro. Era più grosso, anche se non di molto. Pensò alle creature simili a serpenti che vagavano nelle foreste temperate a sud di Drallar: alcune fra esse erano velenose. Talvolta queste, e altri predatori della foresta, arrivavano fino all'interno della città approfittando della pioggia e del buio per dare la caccia alle piccole creature che infestavano i mucchi di spazzatura urbana. Era raro che un cittadino incontrasse un simile intruso, ma poteva accadere. Flinx si sporse ancora più vicino al mucchio, e quando fece questo la sensazione di fame si dileguò, mentre quella di solitudine si fece più intensa: divenne tanto forte da costringerlo ad arretrare barcollando contro la parete del negozio. Era certo ormai che essa proveniva da quell'ignota creatura simile a un serpente. Lo stimolo della curiosità (dal quale Mamma Mastino tante volte l'aveva ammonito a guardarsi) sopraffece ben presto la sua naturale cautela. Provava soltanto stupore che proiezioni mentali così potenti potessero scaturire da una creatura di livello così chiaramente inferiore. Inoltre, non c'era nessuna rabbia nell'animale, nessun rudimentale segnale di pericolo. Sol-
tanto quella insistente solitudine e una fugace sensazione di fame. La creatura si mosse ancora. Riuscì a vederne i luminosi e lampeggianti occhi rossi perfino nella debole luce del vicolo. Era certo ormai che non si trattava d'un vero rettile. Una creatura a sangue freddo avrebbe dovuto esser costretta al letargo dalla fredda aria della notte. Quella creatura si muoveva troppo in fretta. Flinx fece un altro passo indietro. La creatura stava uscendo dal mucchio di spazzatura. Scivolò giù sul selciato bagnato e poi fece una cosa che Flinx non si sarebbe mai aspettato: i serpenti non avrebbero dovuto volare. Le ali pieghettate erano azzurre e rosa, luccicanti quanto bastava ad esser viste anche al buio. No, quella creatura serpentina non era certo in letargo, poiché le sue ali sbattevano velocissime, dando all'intero animale l'aspetto di un'ape gigantesca. Trovò un posto sulla sua spalla con un singolo fulmineo balzo. Flinx sentì le sottili spire muscolose adagiarsi in modo quasi familiare sopra la sua spalla: il tutto era accaduto troppo in fretta perché gli fosse stato possibile schivare la creatura. Ma l'intenzione dell'animale non era quella di fargli del male. La creatura si era semplicemente accoccolata contro il suo calore e non faceva nessun movimento aggressivo. La velocità dell'approccio aveva paralizzato Flinx, ma solo per un attimo. Giacché, non appena si fu adagiato su di lui, tutta quell'immensa solitudine, ogni singola iota di quella bruciante necessità aveva lasciato il serpente. Nello stesso istante Flinx avvertì nella propria mente una chiarezza quale non aveva mai provato prima. Qualunque cosa fosse quella creatura, da qualunque luogo fosse arrivata, non soltanto aveva la capacità di mettersi a proprio agio, ma pareva in grado di far sentire perfettamente a proprio agio anche il suo ospite. Una nuova sensazione che scaturiva dalla creatura serpentina penetrò nella mente di Flinx. Era la prima volta che lui si trovava a sperimentare un ronfare mentale. Non percepiva intelligenza in quella creatura, ma c'era qualcos'altro. A modo suo quella comunicazione empatica era limpida come un discorso, l'equivalente emotivo d'un antico ideogramma cinese, un'intera serie di pensieri complessi espressa in una singola proiezione. Semplice ma efficace. La piccola testa a forma di freccia si sollevò dalla spalla di Flinx, i suoi piccoli occhi luminosi lo fissarono intensi. Le ali pieghettate erano state ripiegate di piatto contro i lati del corpo dando alla creatura il normale aspetto d'un vero serpente. Flinx a sua volta lo fissò, lasciando irradiare da sé i propri sentimenti.
Lentamente la creatura si rilassò. Anche il singolo, lungo muscolo a spirale che aveva stretto la spalla di Flinx con forza istintiva si rilassò, mantenendo infine soltanto una presa delicata, quel tanto che bastava per mantenersi nella sua posizione. Un formicolio cominciò a percorrere il braccio di Flinx. Ignorò la sensazione. La testa dell'animale si abbassò fino ad appoggiarsi al collo di Flinx. Il serpente si era addormentato. Flinx rimase lì immobile per quella che gli parve un'eternità, anche se di sicuro non durò neppure la metà. La strana apparizione che la notte gli aveva portato dormiva adesso sopra la sua spalla, la piccola testa annidata nel cavo tra la scapola e il tendine del collo. L'animale fu percorso da un leggero brivido. Flinx seppe che non poteva trarre il massimo calore dal suo corpo perché l'incerato formava uno strato isolante fra loro. Meglio portare in casa quel povero essere, pensò, conscio d'un tratto d'essere rimasto là fuori alla pioggia per un bel pezzo. Il suo nuovo compagno aveva bisogno di riposo, oltre che di calore. Non avrebbe saputo spiegare come faceva a saperlo; ma lo sapeva con la stessa chiarezza con cui si rendeva conto della propria stanchezza. Flinx non discusse fra sé neppure per un attimo del futuro del serpente. Quella presenza sulla sua spalla, oltre che nella sua mente, era troppo naturale perché lui pensasse di separarsene... a meno che, naturalmente, qualche proprietario non si presentasse a reclamarla. Era chiaro che quello non era un animale selvaggio. Inoltre Flinx aveva una discreta cultura, e se quella creatura era nativa del territorio circostante Drallar, allora costituiva un'insospettata novità per lui. Non aveva mai visto prima d'ora un simile animale, né aveva mai sentito parlare d'una creatura come questa. Se era una qualche preziosa specie di animale da salotto, allora il suo proprietario si sarebbe fatto vivo ben presto a cercarlo. Per ora, comunque, quel serpente era orfano almeno quanto Flinx lo era stato un tempo. Flinx aveva patito troppe sofferenze durante la sua vita per ignorare quelle di un'altra creatura, qualunque fosse, perfino se la creatura era un infimo esemplare di serpente. Almeno per un po' sarebbe stato il suo protetto, proprio come lui era il protetto di Mamma Mastino. Mamma Mastino aveva voluto sapere il suo nome fin dal primo giorno, tanto tempo fa... — Come ti devo chiamare? — chiese ad alta voce al serpente. Ma la creatura addormentata non rispose. Erano migliaia i libri di cui Flinx poteva disporre grazie alle microcassette noleggiate dalla biblioteca del Ministero dell'Educazione. Finora ne
aveva lette relativamente poche, ma fra esse ce n'era una che l'aveva avvinto in maniera particolare. Era pre-Commonwealth (pre-civiltà, in effetti) ma questo non aveva attenuato l'impatto che essa aveva avuto su di lui. Quei personaggi con i loro strani nomi; uno di loro era chiamato... come? Pip, adesso lo ricordava. Lanciò un'occhiata al serpente addormentato. Questo sarà il tuo nome fino al giorno in cui non verremo a saperne di più. Mentre faceva ritorno al negozio, cercò di dirsi che si sarebbe preoccupato di quel proverbiale «giorno» soltanto quando fosse arrivato... ma non ci riuscì. Già adesso quel pensiero lo preoccupava; infatti, anche se si trovava a contatto con quella creatura da meno di un'ora, questa pareva già parte di lui stesso. Il pensiero di dover restituire il serpente a qualche legittimo proprietario più o meno indifferente di un altro mondo gli parve d'un tratto assai peggio di quanto lui avrebbe potuto sopportare. Non ricordava, da quando era stato un bambino piccolo, di essersi mai tanto affezionato a una creatura vivente. Neppure Mamma Mastino esercitava una tale presa sui suoi sentimenti. Sentimenti... Questo animale, questa creatura-serpente, capiva quello che lui provava, capiva cosa significasse sentire emozioni estranee fluire spontaneamente nella propria mente, interrompendo la propria vita e facendo d'ogni istante passato da svegli una potenziale anormalità. Era questo che rendeva speciale quella creatura. Flinx lo sapeva e anche il serpente lo sapeva. Non erano più due individui distinti: erano diventati due componenti d'un più vasto insieme. Non ti cederò mai più a nessuno, decise all'istante, lì in mezzo alla gelida pioggia del mattino. Neppure se qualche ricco e fatuo ultramondano si facesse avanti per reclamarti. Tu fai parte di me... Il serpente continuava a dormire, in apparenza ignaro di qualunque decisione l'umano potesse prendere. La strada davanti al negozio era ancora deserta. La serratura cedette sotto il suo palmo e Flinx sgusciò dentro, lieto di trovarsi infine al riparo dal brutto tempo. Richiuse con cautela la porta. Poi si addentrò nell'areapranzo dove la luce ardeva ancora soffusa. Usando entrambe le mani srotolò il serpente. Questi non oppose resistenza quando Flinx fece scivolare le spire dalle sue spalle. Dalla camera da letto alla sua sinistra gli arrivò il costante ronfare di Mamma Mastino, un duetto concertante con la pioggia che picchiettava sul tetto. Delicatamente mise giù il serpente sul tavolo. Alla luce più intensa della lampada a luminescenza poté distinguere per la prima volta i suoi veri co-
lori. Un disegno a losanghe d'un vivido rosa e azzurro percorreva l'intera lunghezza del corpo del serpente, intonandosi alla perfezione con le ali pieghettate. Il ventre era d'una sfumatura oro carico e la testa verde smeraldo. — Splendido — mormorò, rivolto al serpente. — Sì, sei splendido. Gli occhi della creatura... no, si corresse, gli occhi di Pip... si socchiusero mezzo addormentati. Parve sorridergli. Una proiezione mentale, pensò Flinx, sfilandosi l'incerato e appendendolo a un gancio. — Adesso, dove posso tenerti? — bisbigliò tra sé Flinx guardandosi intorno. La porzione anteriore del negozio era fuori questione. Mamma Mastino aveva certamente dei clienti che soffrivano di serpentefobia, e questi avrebbero potuto gradire assai poco la presenza di Pip... e inoltre il negozio non era riscaldato. Per lo stesso motivo Flinx non riteneva che Mamma Mastino avrebbe reagito con allegra comprensione se il serpente fosse schizzato giocosamente fuori sotto il suo naso da uno degli armadietti della dispensa in cucina mentre era intenta a preparare il pasto. La sua stanzetta era d'una semplicità spartana: c'era soltanto un piccolo terminal per il computer con un lettore per le cassette; lui stesso si era fabbricato l'armadietto per i vestiti... e infine c'era il letto. Sì, l'armadio avrebbe potuto servire. Flinx portò il serpente nella sua stanza e lo mise giù ai piedi del letto. Poi fece un mucchietto di panni sporchi sul pavimento dell'armadio. Pip pareva pulito. La maggior parte delle creature scagliose erano cospargitori di sporco, non raccoglitori. Sollevò il serpente dal letto e lo depositò delicatamente in mezzo agli indumenti ammucchiati, facendo attenzione a non ammaccare le sue ali delicate. L'animaletto si riarrotolò sopra i panni, all'apparenza soddisfatto. Flinx gli sorrise. Non sorrideva spesso. — Adesso rimani qui, Pip — gli bisbigliò, — e domattina vedremo di mettere insieme qualcosa da mangiare per te. — Tenne ancora gli occhi fissi sul serpente per parecchi minuti prima che la stanchezza tornasse a precipitargli addosso di colpo. Sbadigliando, spinse giù dal letto i propri vestiti, appoggiò gli stivali sopra il tampone asciugante e tornò a infilarsi a letto. Poche gocce d'acqua si erano insinuate sotto l'orlo dell'incerato. Se le spazzolò via dai capelli, sospirò profondamente e piombò in un sonno profondo e indisturbato. Una volta che il flusso d'energia mentale irradiato dall'umano sul letto si fu appiattito e il serpente fu certo che il suo nuovo simbionte non stava per entrare in un agitato periodo REM, si srotolò in silenzio e sgusciò fuori
dall'armadio. Senza far rumore si arrampicò su per una delle gambe del letto ed emerse accanto al logoro cuscino. Qui, lo snello animale si riposò per parecchi istanti, fissando attraverso gli occhi dalle doppie palpebre il bipede inconscio. Dentro di sé il serpente era caldo e a suo agio. La fame c'era ancora, ma aveva ricevuto indicazioni che ben presto sarebbe stato nutrito. Il letto era molto caldo, sia la coperta termica che la massa del simbionte irradiavano un confortevole tepore asciutto. Il serpente scivolò attraverso il cuscino fino a quando non si trovò appoggiato contro la testa dell'uomo. Stirò una volta l'intero suo corpo flettendo e ritraendo le ali. Poi si arrotolò strettamente nella comoda nicchia formata dal collo e dalla spalla del simbionte. Ben presto le sue onde cerebrali uguagliarono quelle dell'umano mentre scivolava nella propria varietà di sonno. V Mamma Mastino fece attenzione a non svegliare il ragazzo mentre arretrava lentamente fuori dalla sua stanza. I suoi occhi, vigili e intimoriti, continuavano a restar fissi sulla creatura aliena avvoltolata contro la testa del ragazzo. Non c'era modo di dire cosa avrebbe fatto se l'avesse svegliato. Non aveva la più pallida idea di come quell'intruso avesse fatto a penetrare nella piccola casa a chiusura praticamente ermetica. Ma adesso non c'era tempo per preoccuparsi di questo. I suoi pensieri andarono invece alla piccola pistola, la graziosa arma ad aghi che teneva sotto il proprio cuscino. No, troppo pericoloso, il serpente era troppo vicino alla testa del ragazzo, e lei non era più l'infallibile tiratrice di vent'anni prima. C'era anche la possibilità che l'invasore non fosse pericoloso. Certo lei non l'aveva riconosciuto: durante i novanta e più anni che aveva trascorso su Falena non aveva mai visto una creatura del genere. Tanto per cominciare, non c'era nessun accenno di pelliccia in nessun punto del suo corpo. Soltanto scaglie... e questo l'identificava subito come un essere non-nativo. Be'... forse. Falena era anche il mondo di qualche creatura — non erano tante, in verità — che scavavano tane in profondità nel territorio e non esibivano pelliccia. Quello però non sembrava uno scavatore, ma lei non era una zoologa né si era mai allontanata molto dai confini della città. Eppure si sentiva sicura che quella creatura doveva provenire da un altro pianeta. Qualcosa che non riusciva a mettere bene a fuoco contrassegnava quell'animale come alieno, ma questo non aveva importanza. Quello che importava era il fatto che in
qualche modo era penetrato nella stanza del ragazzo, e lei avrebbe fatto meglio a escogitare qualcosa prima che si svegliasse e decidesse la faccenda per lei. Allontanalo da Flinx, si disse. Dalla sua testa. Allontanalo, tienlo occupato. E intanto sveglia il ragazzo e fallo andar di corsa a prendere la pistola sotto il mio cuscino... La scopa che usava in casa e nel negozio aveva un manico di metallo leggero e setole d'acciaio. La tirò fuori dallo sgabuzzino, rientrò nella stanza di Flinx e spinse l'estremità con le setole oltre la testa di Flinx. Le setole metalliche punsero l'invasore. A quel tocco il serpente si mosse, aprì gli occhi e la fissò. Lei tornò a pungolarlo, questa volta con più energia, cercando d'insinuare le setole fra la testa del serpente e il collo esposto del ragazzo. Il serpente aprì la bocca e istintivamente Mamma Mastino fece un balzo indietro, ma era soltanto uno sbadiglio. È ancora addormentato, lei pensò. Bene, le sue reazioni sarebbero state più lente. Tornando a sporgersi in avanti, si abbassò e spinse con forza la scopa. Parecchie delle spire del serpente si svolsero oltre l'orlo del letto e per la prima volta Mamma Mastino intravide i suoi brillanti colori. Spinse ancora di più la scopa, ma il serpente non era più sul letto. Era sospeso a mezz'aria, le sue ali vibravano tanto in fretta da essere soltanto una macchia confusa azzurro-rosea. Producevano dentro la stanza un sonoro ronzio. Inorridita e incerta su come attaccare quella nuova minaccia, Mamma Mastino arretrò, tenendo la scopa a mo' di difesa davanti a sé. Svegliato dall'ultimo spintone della scopa il ragazzo la fissò sbattendo le palpebre per il sonno. — Mamma? Cosa c'è? — Stai zitto! — l'ammonì Mamma Mastino. — Non so come quel coso sia entrato nella tua stanza, ma... Flinx balzò fulmineo a sedere. Alzò per un istante lo sguardo al serpente che si librava nell'aria, ammirandolo per la prima volta alla luce del giorno, e rivolse un sorriso rassicurante a Mamma Mastino. — Oh, quello? È soltanto Pip. La scopa si abbassò d'un paio di centimetri. La vecchia fissò il suo protetto socchiudendo gli occhi. — Vuoi dire che sai cos'è? — Certo — rispose Flinx allegramente. — Io, uh, ho sentito qualcosa, la scorsa notte, e sono uscito fuori a indagare. — Indicò col pollice il serpente. — Era là dietro, in mezzo alla spazzatura, freddo e affamato, e...
— Sono pronta a scommettere che è affamato — sbottò Mamma Mastino, — e non intendo avere un ghiotto mangiacarne che mi striscia per tutta la casa... Vattene via! — urlò al serpente. — Sciò! — Vibrò la scopa contro il serpente una volta, due volte, tre volte, costringendo anche Flinx a chinarsi per non essere colpito. Ogni volta il serpente schivò agilmente la scopa nell'aria, esibendo un'inaspettata capacità di manovra. La terza volta schizzò dritto verso sinistra, quindi all'indietro e infine verso il soffitto. — Non farlo! — urlò Flinx, d'un tratto allarmato. — Potrebbe pensare che stai cercando di farmi del male. — Un angelo custode scaglioso e dagli occhi cisposi? Che grossa stupidaggine, ragazzo mio, lui sa benissimo a cosa sto mirando! In effetti il serpente era ben conscio che il nuovo essere umano non aveva nessuna intenzione di far del male al suo simbionte, poiché poteva percepire lo schietto affetto e il calore che scorreva tra i due. Questo non lo preoccupava. Ma al contrario nessun amore s'irradiava verso di lui da quella nuova persona, e l'oggetto luccicante che gli veniva spinto addosso era difficile da evitarsi nel piccolo spazio chiuso. — Per favore, madre — l'implorò Flinx con ansia crescente, scivolando giù in fretta dal letto, trascinando con sé le coperte, — fermati. Non so come reagirà. — Lo scopriremo, ragazzo — gli garantì la vecchia donna in tono cupo. La scopa saettò, mancò il colpo, rimbalzò sulla parete opposta. Mamma Mastino tirò indietro il braccio per sferrare un altro colpo. Il serpente alato era stato paziente, fin troppo paziente. Aveva capito il legame fra i due esseri umani. Ma la scopa l'aveva adesso intrappolato in un angolo, e quelle setole dure promettevano d'essere assai pericolose se fossero entrate in brusco contatto con le sue ali. Aprì la bocca. Il fruscio appena percettibile d'uno spruzzo solcò l'aria: un getto sottile e compatto di liquido trasparente schizzò fuori. Scintillò alla luce e investì la scopa mentre questa roteava in avanti. Mentre Mamma Mastino recuperava l'equilibrio, tirando indietro la scopa per colpire di nuovo, udì un debole e bel definito sibilo. Esitò, accigliandosi, poi si rese conto che il sibilo non proveniva dal serpente bensì dalla scopa: un'occhiata le mostrò che una buona metà delle setole metalliche si erano come fuse. Qualcosa stava schiumeggiando e sfrigolando mentre divorava metodicamente l'intera scopa. Lasciò cadere l'arma come se d'un tratto il manico metallico fosse diventato incandescente, con un'espressione di sbigottito timore sul volto. Il liquido continuò a borbottare e a sibilare mentre divorava il metallo. Ben
presto si fece strada attraverso l'ultima setola e cominciò a corrodere il manico. — Ragazzo, esci dalla stanza finché ne hai la possibilità — gridò con voce arrochita Mamma Mastino, fissando il serpente con gli occhi spalancati e allo stesso tempo continuando ad arretrare verso la propria stanza. — Se riesce a far questo al metallo, non c'è modo di dire cosa... Flinx scoppiò a ridere, poi si portò in fretta una mano alla bocca e cercò di essere comprensivo. — Mi spiace, mamma. — È soltanto che... Pip non mi farebbe mai del male. E ha appena dimostrato che non farà del male a nessuno che mi sia caro. — E come fai a saperlo? — sbottò la vecchia. — Lo so — rispose Flinx, chiaramente sconcertato. — Non so in che modo lo so. Ma è vero. Ecco, vedi? — Tese il braccio sinistro. Sempre tenendo d'occhio la vecchia donna, che continuava a bloccare l'uscita, il serpente sfrecciò in basso appollaiandosi sul posatoio che gli veniva offerto. In un attimo le sue molteplici spire si trovarono di nuovo avvolte intorno alla spalla dell'umano. Poi il serpente si rilassò, le ali pieghettate si raccolsero di piatto contro il suo corpo lucido. — Visto? — Flinx abbassò il braccio e sfregò delicatamente la testa del serpente. — È amichevole per natura. — Brutto per natura, vuoi dire — sbuffò Mamma Mastino. Si chinò a raccogliere i resti della scopa e li esaminò. Tutte le setole erano scomparse insieme a parecchi centimetri del manico. Un debole crepitio usciva ancora dai bordi frastagliati del tubo dove il metallo si era dissolto, anche se quello straordinario liquido corrosivo pareva aver esaurito in gran parte il suo effetto. La vecchia donna mostrò i resti della scopa e Flinx, rivelando ancora una buona dose di nervosismo all'idea di avvicinarsi alla creatura avvolta intorno alla sua spalla. — Guarda qui. Immagina cosa potrebbe fare alla tua pelle. — Oh, mamma, non capisci? — Flinx aveva parlato con tutta l'esasperazione del giovane nei confronti di un anziano. — Si stava proteggendo, ma siccome sente che sei importante per me, ha fatto attenzione a non colpirti col suo sputo. — Una bella fortuna — dichiarò la vecchia donna, mostrando che le era tornato un po' di coraggio. — Bene, qui non può restare. — Sì che può — ribatté Flinx. — No, non può. Non posso sopportare che un affare mortale come quel-
lo svolazzi e strisci dappertutto qui in casa, spaventando i clienti. — Rimarrà con me tutto il tempo — le garantì Flinx con voce suadente. La sua mano continuava ad accarezzare la testa del serpente. Questo aveva chiuso gli occhi, soddisfatto. — Vedi? È proprio come qualunque altro animaletto domestico. Reagisce al calore e all'affetto. — Flinx esibì la sua espressione più addolorata e implorante. Ed ottenne l'effetto sperato. — Be', non riceverà nessun calore o affetto da me — brontolò Mamma Mastino. — Ma se hai proprio deciso di tenerlo... — Penso — aggiunse Flinx, buttando legna sul fuoco, — che resterebbe profondamente sconvolto se qualcuno tentasse di separarci. Mamma Mastino sollevò le braccia in un gesto di disperazione, indicando allo stesso tempo acquiescenza e accettazione. — Oh, Divinità, perché mai non ti sei imbattuto in un normale animaletto, come un gatto o uno saniff? Ad ogni modo, cosa mangia quel mostriciattolo? — Non lo so — ammise Flinx, ricordando la sensazione di fame che tanto l'aveva afflitto la notte prima e decidendo di fare qualcosa in proposito al più presto. Aveva avuto fame anche lui, in passato, e conosceva meglio di tanti altri il significato di quella parola. — I serpenti non sono carnivori? — Questo ha senz'altro l'aspetto d'un carnivoro — commentò la vecchia. Flinx passò delicatamente l'indice lungo il bordo della bocca del serpente fino a quando non riuscì a fargliela aprire. Il serpente dischiuse anche un occhio e lo fissò incuriosito ma non manifestò nessuna obiezione per quell'intrusione. Mamma Mastino trattenne il fiato. Flinx si sporse più da vicino, continuando la sua ispezione. — Ha dei denti molto piccoli... non saprei dirlo con certezza. — È probabile che inghiotta il cibo tutto intero — gli disse Mamma Mastino. — Ho sentito dire che i serpenti fanno così, però questo non è un normale serpente e non mi metterei a fare previsioni su di lui e ancora meno sulla sua dieta. — Lo scoprirò — le assicurò Flinx. — Se oggi non hai bisogno del mio aiuto nel negozio... — Aiuto, eh! No, vai pure dove vuoi. Assicurati soltanto che quella creatura venga con te. — Lo porterò in giro per il mercato — dichiarò Flinx tutto eccitato. — E vedrò se qualcuno lo riconoscerà. Qualcuno ci sarà di sicuro. — Non scaldarti troppo, ragazzo — l'ammonì Mamma Mastino. — È probabile che si tratti d'un visitatore da un altro pianeta.
— L'ho pensato anch'io — annuì Flinx. — Non sarebbe interessante? Mi chiedo come è arrivato fin qui. — È probabile che l'abbia portato qualcuno che ce l'aveva con me — bofonchiò a bassa voce la vecchia. Poi, a voce più alta, disse: — Non c'è modo di dirlo. Se si tratta di un animale da salotto scappato via, e per giunta raro, puoi star certo che il suo proprietario farà molto presto la sua comparsa per cercarlo. — Vedremo. — Flinx sapeva che il serpente si trovava bene dove si trovava adesso, a cavalcioni sopra la sua spalla. Poteva percepire le ondate di contentezza che irradiava. — E mentre cercherò di scoprire cos'è — aggiunse con vivacità, — cercherò di scoprire cosa mangia. — Fallo — gli raccomandò la donna. — Anzi, perché non rimani fuori fino a tarda ora per questa tua ricerca? Ho alcuni clienti importanti per l'ora di cena. Mi sono stati inviati dall'Associazione dei Negozianti e sembrano particolarmente interessati ad alcuni degli articoli più grandi che abbiamo qui, ad esempio quel tavolo di legno di Muri. Così, pòrtati dietro quell'orribile... qualunque cosa sia — agitò un dito tremante in direzione del serpente, — e rimani fuori anche per molto oltre le dieci. Poi, penserò se sia il caso di farvi tornare tutti e due a casa. — Sì, mamma, grazie. — Corse a schioccarle un bacio. La vecchia donna si tirò indietro. — Non avvicinarti a me, ragazzo. Non con quel mostro che ti sta dormendo sopra il braccio. — Non ti farebbe mai del male, mamma. Davvero. — Mi sentirei molto più a mio agio se avessi la parola del serpente oltre alla tua, ragazzo. Adesso andate pure fuori di qui e restateci. Se siamo fortunati, forse proverà l'irresistibile istinto del piccione viaggiatore e volerà via quando non stai guardando. Ma Pip non volò via. Non diede il minimo segno di volersi trovare da qualche altra parte del Commonwealth che non fosse sopra la pelle d'un certo giovanetto dai capelli rossi. Mentre Flinx camminava per il mercato, fu sorpreso nel constatare che la sua capacità di captare le emozioni e i sentimenti degli altri si era intensificata, anche se nessuna delle isolate raffiche che riceveva uguagliava come furore quel soffocante diluvio della notte precedente. La sua ricettività era aumentata sia come frequenza che chiarezza, anche se pareva sempre comportarsi in maniera imprevedibile. Flinx fu portato a sospettare
che quel suo nuovo animaletto avesse qualcosa e che fare con l'intensificarsi del suo talento, ma non aveva nessuna idea di come la cosa funzionasse, proprio allo stesso modo in cui non aveva mai saputo come funzionasse quel suo potere mentale, anche nei momenti migliori. Se soltanto avesse incontrato qualcuno in grado di identificare il serpente! Si, avrebbe sempre potuto interrogare il terminal che aveva a casa, ma le richieste d'informazioni venivano subito controllate alla Centrale, e Flinx temeva che una domanda su una creatura così strana potesse suscitare allarme da parte delle autorità incuriosite. Flinx preferiva di gran lunga evitare i canali ufficiali. Aveva fatto propria l'opinione di Mamma Mastino sulla burocrazia governativa, situandola in qualche punto imprecisato tra la muffa melmosa e i fleurm che infestavano i vicoli dietro le botteghe. Conosceva ormai moltissimi abitanti del mercato. Dovunque si fermava, chiedeva se non conoscessero l'identità e l'origine del suo animaletto. Alcuni esaminavano il serpente alato con curiosità, altri con timore, pochi con indifferenza. Ma nessuno mostrò di riconoscerlo. — Perché non lo chiedi a Makepeace? — gli suggerì alla fine uno dei venditori. — Ha viaggiato fuori del pianeta. Forse lui lo sa. Flinx trovò il vecchio soldato seduto all'angolo di una strada insieme a parecchi altri suoi antichi compagni di ventura. Erano tutti da tempo in pensione, ormai. Per la maggior parte erano immigrati che avevano scelto Falena come luogo del loro definitivo riposo, sia per amore del suo clima umido, sia perché era un mondo in cui la vita costava relativamente poco, ancora, per non parlare del lassismo della polizia locale. Su Falena nessuno avrebbe mai messo in discussione l'origine del denaro della pensione di qualcuno. Per parecchi degli antichi commilitoni di Makepeace quella era una gran virtù. Gli altri uomini e donne carichi d'anni, là sulla strada, studiarono il serpente con non più d'un casuale interesse, ma invece Makepeace reagì con un entusiasmo assai maggiore: — Benedetta l'anima che ancora mi rimane! — borbottò, sporgendosi prontamente più vicino... ma non troppo, notò Flinx... per guardare meglio. Pip sollevò la testa incuriosito, come se percepisse qualcosa al di là della norma in quel bipede tanto rugoso. — Sai cos'è? — chiese Flinx, pieno di speranza. — Sì, ragazzo. Quelle che gli rigonfiano i fianchi sono ali, non è vero? — Flinx annuì. — Allora è senz'ombra di dubbio un minidrago alaspiniano. Flinx ebbe un sorriso radioso per il vecchio soldato e poi per Pip. — Co-
sì, ecco cosa sei! — Il serpente lo fissò a sua volta, come per dire: sono ben consapevole di ciò che io sono... Davvero, trovi sempre tanto straordinarie le cose più ovvie? — Ero convinto che i draghi fossero creature mitiche — disse Flinx a Makepeace. — Lo sono, infatti. Questo è soltanto un nome che gli viene attribuito per una vaga somiglianza, ragazzo. — Suppongo che tu sappia — riprese Flinx, — che sputa un liquido estremamente corrosivo. — Corrosivo! — Il vecchio soldato rovesciò il corpo all'indietro e scoppiò in una fragorosa risata, battendosi le mani aperte sulle gambe e lanciando occhiate di complicità ai suoi compagni, divenuti molto attenti. — Corrosivo, dice! — Tornò a fissare Flinx: — La tossina del minidrago, mio caro Flinx, è un acido velenoso conosciuto con una lunghissima filastrocca chimica che questa mia vecchia testa non riesce a ricordare. Ero un soldato-meccanico. La biochimica non è mai stata uno dei miei soggetti favoriti. Mi sono sempre trovato molto più a mio agio con la terminologia matematica che con quella biologica... ma posso dirti questo, malgrado non abbia mai visitato Alaspin di persona. — Indicò il serpente, il quale ritrasse di scatto la testa come perplesso. — Se quell'affare dovesse sputarti negli occhi, saresti ridotto a un grumo scalciante e tremolante nel giro di un minuto... e saresti del tutto morto in un arco di tempo non molto maggiore. «Ti posso anche ricordare che non esistono antidoti conosciuti per parecchie delle tossine alaspiniane, delle quali il tuo minidrago contiene le più potenti. Un veleno neurologico corrosivo... già, chi può mai ricordarsi di averne sentito parlare? Hai detto che sai che è corrosivo? Flinx rivide la vivida immagine dell'estremità della scopa metallica dissolta, le setole e il manico disciolti come burro sotto una lama rovente. — Devi assolutamente garantirti di non far mai una simile esperienza sulla tua persona, ragazzo. Ho sentito parlare di creature come quella che venivano tenute come animali da salotto, ma è una cosa rara. Vedi, la decisione di una simile associazione simbiotica viene presa tutta dal serpente. Il potenziale proprietario umano non ha nessuna scelta nella faccenda. Non puoi addomesticarli... sono loro che fanno la scelta. — Indicò un'altra volta la spalla di Flinx. — Pare che quell'esemplare abbia proprio deciso di sistemarsi con te. — È più che benvenuto — dichiarò Flinx in tono affettuoso. — Ho proprio la sensazione che qui, sulla mia spalla, sia il suo posto naturale.
— A ciascuno il suo — commentò una donna anziana, rabbrividendo leggermente. Altri del gruppo intorno a lei annuirono il loro consenso. — E c'è dell'altro ancora. — Il vecchio soldato corrugò la fronte cercando con uno sforzo i ricordi del passato da tempo assopiti. — Sì, è proprio quanto hai detto sul fatto che te lo senti «naturale» lì sulla spalla che me l'ha fatto ricordare. Dicono che questi serpenti volanti abbiano degli strani vezzi mentali. Io non saprei dire per certo che sia così... riferisco soltanto delle voci, non l'ho letto da una videocassetta. Ma le storie si diffondono... — Che genere di storie? — chiese Flinx, cercando di non farsi sentire troppo ansioso. — Oh, che questi serpenti sono empatici. Sai, telepatici al livello emozionale. — Si grattò la testa. — C'è di più, ma che sia dannato se riesco a ricordarmi il resto. — È senz'altro interessante — disse Flinx, con voce tranquilla, — ma piuttosto improbabile. — Già, è quello che ho sempre pensato anch'io — concordò Makepeace. — Non hai notato niente del genere da quando hai quell'affare sulla spalla, naturalmente. — Niente di niente. — Flinx era un esperto, quando si trattava d'irradiare un'aura di candore. In questo caso s'irradiava dal suo viso, ma non dalla sua mente. — Grazie molte per il tuo tempo, signor Makepeace. — Sei più che benvenuto, ragazzo. Le vecchie conoscenze muoiono, a meno che qualcuno non ne faccia uso. Stai attento con quel coso. Potrebbe rivoltarsi contro di te. — Starò attento — gli garantì Flinx, garrulo. Si voltò e si allontanò in fretta dal crocchio degli anziani attenti. Makepeace continuava a sfregarsi il mento, fissando il giovanetto che spariva nella folla turbinante. — Strano. Mi chiedo proprio da dove sia arrivato quel piccolo volante. Siamo dannatamente lontani da Alaspin. Mi ricorda una volta che... Flinx si voltò a guardare la sua spalla. — Così, sei velenoso, eh? Be', chiunque avrebbe potuto indovinarlo dopo la piccola dimostrazione che hai dato con la scopa di Mamma Mastino, questa mattina. Ma... se mi sputi in un occhio, anch'io sputerò nel tuo. Il serpente non accettò la sfida. Lo fissò per un attimo, poi distolse da lui lo sguardo e fissò la strada davanti a sé, chiaramente più interessato allo spettacolo intorno a loro che alle parole indecifrabili del suo padrone. Forse i minidraghi non possiedono il senso dell'umorismo, rifletté Flinx.
Forse in seguito non gli sarebbero mancate le possibilità di approfondire la questione. Ma per lo meno adesso sapeva che cos'era il suo protetto. Sollevando lo sguardo oltre l'orlo del cappuccio dell'incerato, si chiese dove mai si trovasse il mondo del serpente alato. Il vecchio Makepeace l'aveva chiamato Alaspin, e aveva aggiunto che si trovava molto lontano. La nebbia inumidiva il suo viso rivolto all'insù. La coltre di nuvole pareva meno densa del solito. Se avesse avuto fortuna quella notte le tenebre si sarebbero un po' diradate e avrebbe visto gli anelli interrotti di ghiaccio intorno a Falena, la luna Fiamma e più oltre le stelle. Un giorno, pensò, un giorno viaggerò fino a luoghi lontani come quelli in cui sono stati Makepeace e gli altri. Un giorno lascerò questo piccolo mondo umido e me ne andrò vagabondo. Sarò un libero adulto, senza nessun legame e nessuna responsabilità. Condurrò una vita rilassata e priva di complicazioni, fatta di semplici piaceri... Abbassò lo sguardo sul suo nuovo compagno. Forse un giorno avrebbero viaggiato perfino al mondo nativo del serpente, Alaspin, dovunque si trovasse. Certo, pensò in tono amaro, meglio essere realisti, come dice Mamma Mastino. Sei inchiodato qui per sempre. Falena è la tua casa, e sarà su Falena che passerai il resto dei tuoi giorni. Considerati fortunato. Hai una madre che si preoccupa per te, una casa calda, cibo... Cibo. Certamente il serpente era più affamato che mai. — Sarà meglio che ci procuriamo qualcosa da mangiare — disse a Pip, il quale sollevò lo sguardo su di lui con rinnovato interesse. Controllò la sua carta di credito. Non c'erano molti soldi. Non che ce ne fossero mai stati tanti. Be', ce l'avrebbe fatta. Il guaio era che non aveva nessuna idea di cosa piacesse mangiare ai minidraghi di Alaspin. — Mi chiedo cosa mai preferisci — mormorò. Il serpente non rispose. — Se è soltanto cibo vivo, allora non penso che ci sia molto che posso fare per te. Non certo in modo normale, comunque. In ogni caso, cominciamo da qui. Entrarono in un locale ben noto a Flinx. La maggior parte dei separé e dei tavoli erano liberi, poiché era un'ora intermedia fra un pasto e l'altro. Risultò che trovare del cibo adatto al minidrago era un problema assai meno difficile di quanto Flinx aveva temuto. Con grande sorpresa del ragazzo, il serpente volante era onnivoro. Avrebbe mangiato qualunque cosa gli fosse stata messa davanti, anche se la carne cruda pareva essere il suo piatto favorito. Flinx tagliò la carne a pezzettini, che il serpente inghiottì interi. Flinx si permise un boccone di tanto in tanto. Quando c'erano stati tempi di magra lui e Mamma Mastino avevano tirato avanti con prodotti assai meno
saporiti. A Pip piaceva ogni genere di frutto o di bacca, anche se evitava i legumi. Un'altra cosa che avevano in comune, rifletté Flinx. Stranamente, il serpente lappava il latte. Flinx in breve si convinse di potergli fornire una varietà di cibi sufficiente a tenerlo felicemente in vita. Forse avrebbe perfino mangiato gli avanzi dei loro pasti in casa... e probabilmente questo fatto avrebbe diminuito l'ostilità che Mamma Mastino gli dimostrava. Continuando a sperimentare, Flinx scoprì che al serpente piaceva in modo particolare qualunque cosa che avesse un alto contenuto di ferro, come ad esempio l'uva secca o le scaglie del pesce guar. Se fosse stato un biochimico attrezzato con un laboratorio da campo, avrebbe potuto apprendere che il sangue del minidrago conteneva un'eccezionale concentrazione di emoglobina, indispensabile a trasportare tutto l'ossigeno necessario a sostenere il volo del serpente, simile a quello d'un uccello ronzante... un colibrì. Quando Pip ebbe raddoppiato il suo normale diametro corporeo, Flinx smise di sperimentare cibi sempre nuovi per il suo animaletto. Si rilassò là nel separé, sorseggiando del vin brulé e osservando l'accendersi delle luci della città. Ammise a se stesso che non sarebbe poi stato troppo brutto passare tutta la vita su Falena. Drallar non era mai monotona, e adesso lui godeva d'un compagno tutto speciale, con cui condividere l'eccitazione. Sì, il serpente volante aveva riempito un vuoto ben definito nella sua vita, oltre a saziare qualche misteriosa e più profonda parte di se stesso. Ma lui ardeva ancora dal desiderio di viaggiare fra le stelle e visitare i mondi che giravano intorno ad esse. Sii realistico, ordinò a se stesso. Salutò alcuni conoscenti che passavano davanti al ristorante con un cenno della mano. Vecchi e vecchie. A volte Mamma Mastino si preoccupava perché lui preferiva la compagnia degli adulti a quella dei giovani della sua età. Ma Flinx non poteva farci niente. Non che fosse antisociale, soltanto... sceglieva i propri amici con cura. E l'immaturità di quelli della sua età lo spingeva a cercare la compagnia degli adulti. La fugace emozione proveniente da uno di quelli che aveva salutato lo raggiunse, quando il gruppo girò l'angolo, ridendo e scherzando da buoni camerati. Flinx l'afferrò, ma un istante dopo non c'era più. Si lasciò andare contro lo schienale del suo separé. Il vino lo metteva di malumore. Era meglio non possedere nessun talento, pensò, piuttosto che averne uno ingovernabile che continuava a pungolarlo senza dargli sollievo. Pagò il modesto conto, infilando la carta di credito nella colonnina cen-
trale del tavolo. Fuori, stava per cadere la pioggia della sera. Pip se ne stava comodamente accoccolato sopra la sua spalla, sotto l'incerato, facendo spuntar fuori soltanto la testa. Era sazio e soddisfatto. Devi esserlo, dopo tutto quello che hai mangiato, pensò Flinx guardando con affetto il suo animaletto. La pioggia trasformava le scaglie brillanti della testa del serpente in minuscoli gioielli. Non pareva che l'umidità desse fastidio al serpente. Chissà se anche Alaspin è un mondo umido? pensò Flinx. Avrei dovuto chiederlo al vecchio Makepeace. Probabilmente lui lo sapeva. Presto o tardi la gente che ha la fortuna di viaggiare impara tutto. D'un tratto un'acutissima, stridente esplosione di emozioni (con la violenza d'una improvvisa martellata) lo fece piegare in due. Era come un urlo muto dentro la sua testa. Flinx sentiva la nuda emozione dietro a un urlo invece di sentire l'urlo stesso. Non aveva mai sperimentato niente di simile fino a quel momento, e malgrado ciò gli pareva familiare in maniera nauseante. Un passante tutto infagottato si fermò e si chinò sollecito sopra il giovane accartocciato al suolo. — Ti senti bene, figliolo? Sei... — Notò qualcosa e arretrò di scatto. — Sto... sto bene, credo — riuscì a rantolare Flinx. Vide cosa aveva fatto trasalire l'uomo. Un attimo prima Pip era addormentato sulla spalla del suo padrone. Ma adesso era sveglio, con la testa e il collo che sporgevano come un periscopio scaglioso e parevano scrutare l'aria della notte alla ricerca di qualcosa d'invisibile. Poi le ultime vestigia di quel grido gemette e disperato svanirono lasciando la testa di Flinx dolorante e vuota in maniera tale da farlo infuriare. Eppure era durato abbastanza a lungo perché riuscisse a distinguerlo e a identificarlo. — Ascolta, figliolo, se hai bisogno di aiuto posso... — cominciò a dire lo sconosciuto. Ma Flinx non aspettò di ascoltare la gentile offerta fino in fondo. Aveva già percorso metà della strada, correndo a tutta velocità sul marciapiede. Il suo incerato si era allargato come un mantello dietro di lui, e i suoi stivali facevano schizzare l'acqua sia sulle facciate dei negozi che sui pedoni. Non si fermò neppure in istante a scusarsi, le imprecazioni gli scivolavano di dosso inosservate come la pioggia. Poi infilò la strada laterale che gli era così familiare... Il cuore gli batteva, i polmoni erano gonfi. La strada pareva intatta, inalterata, eppure là qualcosa era stato violato, e nel preciso istante in cui accadeva, aveva toc-
cato la mente di Flinx. La maggior parte dei negozi era già chiusa, poiché ormai era scesa la notte. Non c'era alcun segno di esseri umani in quel canyon di pietra umida. — Mamma! — urlò. — Mamma Mastino! — Batté col palmo della mano sulla piastra della serratura. La porta ronzò ma non si aprì. Era chiusa da dentro. — Mamma Mastino, apri. Sono io, Flinx! — Dall'altro lato non giunse nessuna risposta. Pip danzava sulla sua spalla, per metà librato in aria, per metà arrotolato sopra il suo padrone. Flinx si allontanò d'una dozzina di passi dalla porta, poi la caricò, scagliandosi avanti con tutta la sua forza, sollevandosi letteralmente in aria per poi scalciare con una gamba nel modo preciso che Makepeace gli aveva fatto vedere in una occasione. La porta cedette al violentissimo colpo, spalancandosi: all'interno era stato tirato soltanto il catenaccio, non era stata chiusa la serratura. Flinx si rannicchiò, i suoi occhi guizzarono veloci per tutto il negozio. Pip tornò a riadagiarsi intorno alla sua spalla, ma continuava a muovere la testa, agitato, come se condividesse il nervosismo e la preoccupazione del suo padrone. Il negozio pareva intatto. Flinx si fece avanti e saggiò la porta interna. Questa si aprì al suo tocco. L'interno del soggiorno era nel caos. Padelle e pentole erano state rovesciate nella cucina. Indumenti e altri oggetti personali giacevano sparpagliati sul pavimento e sopra i mobili. Flinx andò dal soggiorno-cucina alla propria stanza, e per finire entrò in quella di Mamma Mastino, sapendo ma temendo ciò che avrebbe trovato. Nella stanza da letto di Mamma Mastino la devastazione era ancora peggiore. Il letto pareva essere stato la scena d'un tentativo di assassinio o di un'orgia scatenata. Dall'altra parte del letto, nascosta a un'occhiata distratta, una piccola, bassa porta si confondeva con la struttura della parete. Era larga abbastanza da consentire a un uomo di attraversarla strisciando. Era socchiusa, e una fredda brezza entrava da fuori. Flinx si lasciò cadere sulle ginocchia e cominciò ad attraversarla, senza preoccuparsi di ciò che avrebbe potuto incontrare sull'altro lato. Emerse nel vicolo da questa sorta di scivolo e si alzò in piedi. La pioggia si era trasformata in fitta nebbia. Là fuori non c'era nessun indizio che fosse accaduto qualcosa d'insolito. Tutto il caos si trovava dietro di lui, all'interno della casa. Flinx si girò, fece due o tre passi di corsa verso nord, poi si fermò. Restò
lì immobile, ansimante. Aveva corso a lungo e sotto sforzo dal punto in cui il grido mentale l'aveva colto, ma era arrivato troppo tardi. Non c'era nessun segno che qualcuno fosse stato in quel vicolo. A lenti passi, avvilito, fece ritorno dentro il negozio. Perché pianse tra sé. Perché mi è successo questo? Chi poteva voler rapire una povera vecchia innocua come Mamma Mastino? Più ci pensava, meno la cosa aveva senso. Si costrinse a fare un inventario del negozio. Non c'era nessun segno che mancasse qualcosa. Tutto pareva intatto. Quindi, non si trattava di ladri sorpresi nell'atto di rubare. Che cosa, allora? Se non fosse stato per le ampie prove che qui c'era stata una lotta, non avrebbe neppure sospettato che c'era qualcosa che non andava. No, ricordò, questo non era del tutto vero. La serratura ermetica della porta d'ingresso era inattiva. Ci sarebbe voluta almeno la metà dei ladri di Drallar per trascinar fuori Mamma Mastino dal suo negozio mentre la serratura era disigillata. Pensò ai ladri una seconda volta, sapendo che non si sarebbe fermato là a lungo... Con la mente piena di pensieri cupi e in conflitto tra loro, si mise a riparare la serratura. VI — Psst! Ragazzo! Flinx-ragazzo! Flinx socchiuse leggermente la porta e scrutò la caligine esterna. L'uomo che gli stava parlando dall'ombra aveva un piccolo negozio a due banchi lungo una laterale della strada dov'era situato il negozio di Mamma Mastino. Produceva e vendeva articoli casalinghi fatti con i legni duri che su Falena crescevano abbondanti. Flinx lo conosceva bene e uscì fuori per parlargli. — Ciao, Arrapkha. — Si sforzò di scrutare il volto dell'uomo, ma questo per la maggior parte del tempo rimase nascosto dall'orlo penzolante del suo incerato. Non sentiva nessuna emanazione dalla mente dell'altro. Che bello e meraviglioso è il mio talento! pensò sarcastico tra sé. — Cos'è successo qui? Hai visto niente? — Non dovrei starmene così, qua fuori. — Arrapkha si voltò per guardare preoccupato lungo la strada là dove questa intersecava l'arteria principale ancora piena di attività. — Sai cosa dice la gente a Drallar, Flinxragazzo. Gli affari migliori si fanno badando ai propri. — Niente prediche adesso, amico — l'interruppe Flinx con impazienza.
— Sei stato uno dei vicini di mia madre per molti anni, e mi hai visto crescere. Dov'è? — Non lo so. — Arrapkha esitò un attimo per rimettere ordine nei suoi pensieri. Flinx trattenne la sua ansia e cercò d'essere paziente con quell'uomo. Arrapkha era un po' lento, ma un brav'uomo. — Stavo lavorando al mio tornio e mi sentivo d'incanto. Avevo appena venduto un paio di sgabelli a un programmatore dei quartieri snob della città e stavo valutando la mia buona fortuna quando mi è parso di udire dei rumori provenienti dalla tua casa. — Esibì un debole sorriso. — Dapprima non ci ho fatto caso, tu conosci tua madre... Può avere delle esplosioni di collera in qualunque momento senza nessun particolare motivo e fare abbastanza chiasso da suscitare le lamentele dei grandi negozi eleganti del viale. «Comunque avevo appena finito di lavorare al tornio una colonnina Broya... molto bella, Flinx-ragazzo, fatta di legno di baccarpa numero sei... — Sì, ne sono sicuro — l'interruppe Flinx con impazienza. — Sono sicuro che sarà un capolavoro come tutte le altre tue cose, ma cos'hai da dirmi su Mamma Mastino? — Ci sto arrivando, Flinx-ragazzo — replicò Arrapkha in tono irritato. — Come ho detto, ho finito la colonnina, e poiché il chiasso continuava, mi sono incuriosito. Pareva continuare troppo a lungo perfino per tua madre. Così ho interrotto il mio lavoro per un attimo e ho pensato di venire a vedere cosa mai stava succedendo. A volte faccio da mediatore... o da paciere... per tua madre. «Quando mi sono trovato all'incirca a metà strada fra il mio negozio e il vostro, il rumore è cessato quasi del tutto. Stavo per tornarmene a casa quando ho visto qualcosa. O almeno, credo di averlo visto». Indicò con un gesto lo stretto passaggio che separava il negozio di Mamma Mastino dal negozio sfitto accanto al suo. — Attraverso quella strettoia mi è parso di vedere delle figure che si muovevano in fretta lungo il vicolo dietro la tua casa. Ma non ho distinto chiaramente... l'apertura è piccola, stava piovendo forte e fa buio, là dietro. Ma sono certo di aver visto parecchie figure. — Quante? — volle sapere Flinx. — Due, tre? — Con sicurezza non saprei dirlo — confessò Arrapkha con voce triste. — Non potrei dire con certezza neppure se fossero, oppure no, umane. Ma certo erano più di due. Eppure non erano in gran numero, anche se potrei non averle viste tutte. «Be'... ho raggiunto in fretta la porta e ho suonato. Non c'è stata risposta,
dentro era tutto silenzioso e la porta era chiusa a chiave, così mi sono fermato a riflettere. Non c'era nessuna ragione di collegare le figure nel vicolo con la discussione animata di tua madre. Ricorda, io ho soltanto sentito dei rumori provenire dal negozio. «Poiché faceva sempre più buio, ho preso a preoccuparmi: il negozio continuava a restare chiuso, e non era da Mamma Mastino chiudere così presto. Tuttavia la sua digestione non è più quella di un tempo e a volte il fegato le dà qualche noia. Troppa bile. Era possibile che si fosse messa a imprecare contro i propri visceri. — Lo so — disse Flinx. — Ho dovuto ascoltare le sue lamentele un sacco di volte. — Così ho pensato che fosse meglio non interferire. Ma vi conosco tutti e due da molto tempo, Flinx-ragazzo, proprio come dici tu, e ho pensato, non appena ti ho visto aggirarti qua intorno, di venirti a dire quello che avevo visto. Adesso capisco chiaramente che avrei dovuto indagare più a fondo. — Si picchiò la testa. — Mi dispiace, ma non sono la persona più intelligente del mercato. — Va bene così, Arrapkha. Non hai nessuna colpa di quanto è successo. — Flinx restò immobile là in mezzo alla nebbia per un lungo istante, in silenzio, intento a pensare intensamente. Arrapkha interruppe, esitante, le sue riflessioni: — Mi spiace tanto, Flinx-ragazzo. Se c'è qualcosa che posso fare per aiutarti, se hai bisogno d'un posto dove dormire stanotte, sì, perfino con quella creatura del diavolo sulla tua spalla, sei il benvenuto se vuoi condividere la mia casa. — Ho passato molte notti fuori da solo, grazie — rispose Flinx. — Ma apprezzo molto la tua offerta. Quello che mi hai detto, comunque, mi è assai utile. Per lo meno adesso ho un'idea più precisa di quanto è successo, anche se non riesco proprio a immaginare perché. Sei riuscito a vedere se Mamma Mastino era uno di quelli che correvano nel vicolo? In casa non c'è. — È quello che ho indovinato dalla tua espressione e dalle tue parole. No, non posso dire se fosse una di loro. Ho visto soltanto delle forme che parevano umane, o per lo meno procedevano erette. Ma mi è parso che corressero con difficoltà. — Forse la stavano trasportando? — Potrebbe darsi, Flinx-ragazzo, potrebbe darsi. Certo non può essere andata via di sua volontà con degli estranei senza lasciarti neppure un messaggio.
— No, non l'avrebbe mai fatto — fu d'accordo Flinx. — E se anche è andata con la gente che hai visto, non l'ha fatto perché erano amici suoi. L'interno della casa è tutto sottosopra. Lei non li ha certo seguiti senza una fiera opposizione. — Allora è certo che per qualche ragione l'hanno rapita — convenne Arrapkha. — Cinquant'anni fa avrei anche trovato un motivo per un atto del genere: allora Mamma Mastino era una bellezza, anche se poi non è invecchiata con grazia. La grazia non faceva parte di lei neppure in quei lontani giorni. È sempre stata una donna dura, anche se dall'aspetto attraente. Ma che una cosa simile accada adesso... — Scosse la testa. — Un vero enigma. Aveva molti soldi? Flinx scosse energicamente il capo. — Uhm... pensavo appunto di no. E allora, deve forse a qualcuno una somma eccessiva? — Sì, doveva soldi a molta gente, ma nessuna grossa somma — rispose Flinx. — Per lo meno, niente di cui mi abbia parlato e niente di cui l'abbia sentita parlare. — Allora non capisco — dichiarò Arrapkha in tono solenne. — Neppure io, amico. — Forse — suggerì Arrapkha, — qualcuno voleva avere una conversazione privata con lei e la porterà indietro domattina? Flinx scosse la testa una seconda volta. — Penso che siccome non è andata con loro di sua spontanea volontà, non le verrà consentito di tornare volontariamente. Comunque, c'è una cosa che mi ha sempre ripetuto: di non starmene seduto a contemplare l'inspiegabile ma di tentare sempre di trovare le risposte. Se domani dovesse tornare a casa, libera, allora posso sempre cercare di andarle incontro. — Allora, sei proprio deciso di andare a cercarla? — Arrapkha sollevò le sue sopracciglia nere e folte come cespugli. — Che altro posso fare? — Potresti aspettare. Sei un tipo simpatico, Flinx-ragazzo. — Indicò con un gesto della mano il lontano viale. — La maggior parte di quelli che vivono qui nel mercato e ti conoscono, pensano la stessa cosa. Non ti mancherà mai un posto in cui abitare o del cibo, se deciderai di aspettarla qui. Il tuo problema è che sei troppo giovane, e i giovani sono sempre troppo ansiosi. — Mi spiace, Arrapkha. So che sei ben disposto verso di me, ma non posso starmene seduto ad aspettare. Credo proprio che butterei il mio tem-
po e, quel che peggio, anche il suo. A Mamma Mastino non è rimasto molto tempo. — E se, scusami, il tempo fosse già finito? — gli chiese Arrapkha con un certo sforzo. La delicatezza non era una caratteristica molto accentuata fra gli abitanti del mercato. — Allora ti immischieresti in qualcosa di pericoloso che lei ha scelto di risparmiarti? — Devo sapere. Devo cercarla e vedere se posso aiutarla. — Non capisco — disse Arrapkha, con voce desolata. — Tu sei un giovanotto in gamba, parecchio più in gamba di me. Perché mettere a repentaglio la tua vita? Lei non vorrebbe che tu lo facessi, sai. Non è veramente tua madre. — Madre o non madre — rispose Flinx, — è la sola che io abbia mai conosciuto. C'è qualcosa di più della semplice biologia, Arrapkha. Questo almeno l'ho imparato durante tutti questi anni. Il vecchio annuì. — Ho pensato che avresti detto qualcosa del genere, Flinx-ragazzo. Be', per lo meno posso augurarti buona fortuna. È tutto quello che posso darti. Hai credito? — Un po', sulla mia carta. — Se te ne serve di più, posso trasferirtene. — Arrapkha fece per tirar fuori la sua carta. — No, non adesso, comunque. Un aiuto del genere potrebbe servirmi più tardi. — Diede in un ampio sorriso. — Sei un buon amico, Arrapkha. La tua amicizia è solida come i tuoi lavori in legno. — Si girò. — Hai visto in quale direzione sono andate quelle figure? — È poco per cominciare. — Gli indicò il nord. — Da quella parte, lungo il vicolo. Potrebbero aver girato in qualunque momento. E con questo tempo — indicò le nubi che gravavano fiacche sopra di loro, — non avranno lasciato nessuna traccia che tu non possa seguire. — Forse no — ammise Flinx. — Vedremo. — Mi aspetto che lo farai, Flinx-ragazzo, dal momento che provi un sentimento così forte. Tutto quello che posso fare è augurarti buona fortuna. — Si girò e si allontanò lungo la strada verso il suo negozio, tenendo l'incerato stretto intorno alla testa e al collo. Flinx aspettò fino a quando la pioggia non ebbe inghiottito il vecchio prima di rientrare e chiudere la porta dietro di sé. Vagò imbronciato per l'area del soggiorno, recuperando questo o quell'oggetto dal disordine e rimettendo le cose al proprio posto. Dopo un po' si ritrovò nella stanza di Mamma Mastino. Si sedette sul letto e fissò il piccolo passaggio per l'e-
sterno ancora socchiuso, che dava sul vicolo. — Cosa ne pensi, Pip? Dov'è andata, chi l'ha presa, e perché? E come farò a ritrovarla? Non so neppure da che parte cominciare. Chiuse gli occhi, si sforzò, cercò di percepire i tipi di emozioni che, lui sapeva, la vecchia donna avrebbe dovuto irradiare, dovunque fosse stata condotta. Non trovò nulla. Niente da Mamma Mastino, niente da chiunque altro. Il suo talento si prendeva gioco di lui. Cominciò a rimettere ordine nella stanza, sperando che il contatto con gli oggetti familiari potesse attivare qualche tipo di reazione nella sua mente. Qualcosa, qualunque cosa, che gli concedesse un punto di partenza per tentare di rintracciarla. Pip scivolò giù dalla sua spalla e strisciò attraverso il letto, giocando con coperte e cuscini. Flinx osservò che nel singolo armadio c'erano dei vuoti: indumenti mancanti. Era evidente che chiunque l'avesse rapita intendeva trattenerla per un po'. Quella vista lo confortò giacché non si sarebbero presi la briga di portar via con sé degli indumenti per qualcuno che intendevano uccidere subito. Pip si era fatto strada sul letto fino al tavolino da notte e stava avanzando sinuoso tra le bottiglie e i contenitori che si trovavano sopra il ripiano. — Scendi di lì, Pip, prima di rompere qualcosa. Qui sono già stati fatti fin troppi danni, per oggi. L'irritazione nella sua voce era generata più dal suo personale turbamento che da una vera preoccupazione. Perché il minidrago non aveva rovesciato niente. Pip reagì, anche se non lo fece per obbedire all'ammonimento del suo padrone. Il serpente allargò le ali luminose e svolazzò dal ripiano del tavolino fino all'imboccatura del piccolo passaggio per l'esterno. Rimase librato là, gli occhi puntati su di esso. Mentre Flinx contemplava a bocca aperta il suo animaletto, questi volò sopra una bottiglia, poi sfrecciò di nuovo fino alla stretta apertura. La momentanea paralisi lasciò di colpo Flinx che si precipitò a sua volta verso il tavolino. La sottile bottiglia di plastica che aveva attirato Pip era stappata. Di solito conteneva un decilitro d'un profumo particolarmente potente che piaceva follemente a Mamma Mastino. Adesso, vide che la bottiglia era vuota. Se Mamma Mastino aveva conservato abbastanza di spirito da ricordarsi che la gendarmeria di Drallar impiegava talvolta degli animali da fiuto... Per la prima volta la speranza ricacciò la disperazione in un angolo della mente di Flinx. Quegli animali erano in grado di seguire gli
odori perfino in mezzo alla perpetua umidità di Falena. Se un minidrago alaspiniano possedeva la stessa capacità... Stava forse equivocando del tutto le azioni del serpente alato? Di «Pip»? Il serpente volante parve decidere che la citazione ad alta voce del suo nome fosse un'autorizzazione a procedere, poiché si girò repentinamente a mezz'aria e sfrecciò attraverso la piccola apertura verso l'esterno. Flinx si lasciò cadere sulle ginocchia e gli strisciò dietro. Nel giro di pochi istanti era di nuovo nel vicolo. Mentre si alzava in piedi cercò con lo sguardo il suo animaletto. Questo si stava dirigendo verso est, ed era quasi scomparso alla sua vista. — Pip, aspetta! — Obbediente il serpente si fermò, rimanendo sospeso immobile a mezz'aria fino a quando il suo padrone non l'ebbe raggiunto. Poi sfrecciò via di nuovo lungo il vicolo. Flinx cominciò a correre con passo costante. Era un eccellente corridore e in ottime condizioni, cosa questa di cui era sempre andato orgoglioso. Decise di seguire il serpente volante fino a quando o lui stesso o l'animale si fossero accasciati al suolo, stremati. Si aspettava che il serpente si fermasse da un momento all'altro fuori d'una delle innumerevoli strutture anonime che costellavano la sezione commerciale di Drallar. Ma mentre il minidrago si torceva e turbinava lungo i vicoli e le strade, non una sola volta mostrò di esitare in quel suo volare continuo. Ben presto toccò proprio a Flinx constatare che cominciava a mancargli il fiato. Tutte le volte che si fermava, il serpente aspettava con impazienza che il suo padrone l'avesse raggiunto. Drallar era la più grande città di Falena, ma era un villaggio se confrontata con le più grandi città della Terra o i complessi sotterranei di Hivehom o Evoria... cosi Flinx non fu sorpreso quando Pip cominciò finalmente a rallentare. Avevano raggiunto i sobborghi nordoccidentali della metropoli. Qui gli edifici non sorgevano più costruiti gli uni vicino agli altri. Piccole strutture che fungevano da magazzini erano sparpagliate tutto intorno, e piccole abitazioni singole di blocchi di legno e plastica cominciavano a fondersi con le prime falangi della foresta sempreverde. Pip esitò davanti agli alberi, saettando tutt'intorno in ansiosi cerchi, levandosi alto nel cielo per scrutare le cime degli alberi. Ignorò le implorazioni e le chiamate di Flinx finché non fu finalmente soddisfatto, al che il serpente si girò e tornò finalmente ad adagiarsi sul suo consueto posatoio costituito dalla spalla del suo padrone. Girando lentamente in cerchio Flinx si sforzò di cogliere almeno un frammento di emozione rimasto sospeso nell'aria. Ancora una volta i suoi
sforzi si scontrarono con l'insuccesso. Pareva chiaro che chiunque avesse portato via Mamma Mastino si era addentrato con lei nella foresta, e che la pista olfattiva che aveva guidato Pip fin lì aveva finito per dissiparsi nel costante assalto della nebbia e della pioggia. Su un mondo più asciutto o su uno dei pochi deserti di Falena, le cose avrebbero potuto essere diverse, ma qui Pip era arrivato a un punto morto. Dopo aver riflettuto un attimo, Flinx si allontanò voltando le spalle alla foresta. Oltre agli edifici adibiti a magazzini e ad abitazione, parecchie piccole officine erano visibili nelle vicinanze, comprese due delle onnipresenti segherie che circondavano la città e lavoravano la fonte produttiva più prolifica di Falena. Flinx vagò fra esse fino a quando non localizzò una stazione di comunicazione pubblica lungo una strada di servizio. Entrò e fece scorrere dietro di sé la porta di legno spanda, chiudendola. Anche dopo la stagionatura il legno di spanda conserva un coefficiente di espansione significativo. Quando chiuse la porta, il legno si autosigillò contro le intemperie e soltanto le membrane di ventilazione impedirono a Flinx di soffocare. Tirò fuori la sua ammaccata carta di credito e l'infilò nel ricettacolo dell'unità, poi batté la tastiera. Sul piccolo schermo comparve una donna di mezza età dall'aspetto piacevole. — Sì, signore. Cosa posso fare per lei? — Esiste un Ufficio Persone Scomparse al Municipio di Drallar? — Un momento, per favore. — Vi fu una pausa mentre la donna stava compulsando qualcosa fuori della portata dello schermo. — Umano o alieno? — Umano, per favore. — Indigeno o forestiero? — Indigeno. — Vuole un collegamento diretto? — Grazie, sì. — La donna continuò a fissarlo per un attimo, e Flinx fu certo che fosse affascinata dall'animaletto che portava arrotolato sulla spalla. Lo schermo lampeggiò infine una volta, poi tornò a schiarirsi. Questa volta l'individuo che lo fissò era maschio, calvo e annoiato. La sua età era indefinibile, il suo atteggiamento appena appena cortese. A Flinx i burocrati non erano mai piaciuti. — Sì, cosa c'è? — Ieri sera — dichiarò Flinx, — o questa mattina sul presto... — durante la sua corsa attraverso le strade della città aveva perso completamente ogni cognizione del tempo, — io... mia madre è scomparsa. Un vicino ha visto alcune persone fuggire lungo un vicolo, e la nostra casa era sottosopra. Non so da dove cominciare a cercarla. Penso sia stata portata fuori cit-
tà attraverso il quartiere nordoccidentale, ma di questo non sono affatto sicuro. L'uomo parve animarsi un poco, anche se la sua voce suonò dubbiosa. — Capisco. Ma questa mi sembra più una faccenda per la polizia che per le Persone Scomparse. — Non necessariamente — disse Flinx, — se capisce cosa voglio dire. — Oh. — L'uomo sorrise, mostrando di capire. — Un momento. Controllo per lei. — Si servì d'una tastiera fuori dalla visuale di Flinx. — Sì, sono stati compiuti alcuni arresti, stanotte, parecchi di questi comprendevano donne. Quanti anni ha sua madre? — È vicina ai cento — l'informò Flinx. — Ma è molto vivace. — Non abbastanza vivace da trovarsi nel gruppo a cui stavo pensando — rispose l'impiegato. — Nome? Flinx esitò. — L'ho sempre chiamata Mamma Mastino. L'uomo corrugò la fronte, poi riprese a studiare il suo schermo. — Mastino è il nome o il cognome? Suppongo che Mamma sia un appellativo, diciamo così, onorifico... Flinx si trovò a fissare, ammutolito, l'impiegato. D'un tratto fu conscio degli enormi vuoti che formavano la maggior parte della sua vita. — Non... non lo so per certo. L'atteggiamento dell'impiegato divenne gelido. — Sta forse scherzando, giovanotto? — No, signore — si affrettò a rassicurarlo Flinx, — non è uno scherzo. Quando dico che non lo so, è la verità. Vede, non è la mia madre naturale. — Ah — mormorò con improvvisa discrezione l'impiegato. — Bene, allora. Qual è il suo cognome? — Io... — Con suo grande stupore, Flinx scoprì che stava per mettersi a piangere. Era un fenomeno più unico che raro, che da qualche tempo era riuscito a evitare. Adesso, quando meno ne aveva bisogno, ne veniva travolto. Tuttavia, le lacrime fecero il loro effetto sull'impiegato. — Senta, giovanotto, non intendevo turbarla. Tutto quello che posso dirle è che nessuna donna di età avanzata si trova tra le persone arrestate ieri notte. E posso anche aggiungerle che nessuno così vecchio si trova agli arresti presso qualunque altro organismo ufficiale. Questo le è di qualche aiuto? Flinx annuì lentamente. Gli era di aiuto, ma non nel modo che aveva sperato. — Gra... grazie tante, signore.
— Un momento, giovanotto! Se mi dà il suo nome, forse potrò mandarle un gendarme con... — L'immagine si spense quando Flinx fece scattare l'interruttore. La sua carta di credito uscì dalla fessura. Asciugandosi lentamente gli occhi, tornò a infilarla nella tasca interna della camicia. L'impiegato si sarebbe dato la briga di rintracciare la chiamata? Flinx decise di no. Per un istante l'impiegato aveva pensato che la chiamata gli venisse da qualche ragazzo che voleva fargli uno scherzo. Ed era probabile che adesso, dopo un attimo di riflessione, tornasse a pensarlo. Nessuno dell'età di Mamma Mastino risultava detenuto o arrestato per qualche motivo. Non alle Persone Scomparse, il che era brutto, ma neppure all'Obitorio, il che era un bene perché rinforzava le sue prime convinzioni: Mamma Mastino era stata portata via da indivìdui sconosciuti i cui motivi rimanevano misteriosi come la loro identità. Guardò fuori dalla finestrella della cabina la foresta aliena che si vedeva in lontananza, in cui pareva che lei e tutti i suoi catturatori fossero scomparsi, e all'improvviso si sentì stremato di fatica. Nella cabina faceva caldo come dentro un tostapane. Il seggiolino lì dentro alla cabina era scomodo di proposito, ma il pavimento era riscaldato e non troppo duro. Tanto per cambiare, apprezzò le sue modeste dimensioni mentre si sistemava in una posizione quasi comoda sul pavimento. C'era poco spazio per Pip in quell'angusta cabina, così il serpente volante, sia pure con riluttanza, andò ad appollaiarsi sull'apparecchio di comunicazione. Chiunque fosse entrato nella cabina avrebbe avuto una brutta sorpresa. Quando Flinx si risvegliò era mattino inoltrato. Era irrigidito ma mentalmente riposato. Si alzò in piedi, si stiracchiò, poi scostò la porta e uscì dalla cabina. A nord si stendevano le prime file d'alberi di quella foresta dall'apparenza sterminata, che andava dalle basse latitudini temperate di Falena fino al suo polo artico. A sud c'era la città, ben più calda e familiare. Sarebbe stato arduo voltarle le spalle. Pip svolazzava sopra di lui; descrisse un lento cerchio a mezz'aria, poi balzò in alto e si diresse verso nord-ovest. Il minidrago fu di ritorno nel giro di pochi minuti. Nella sua maniera muta stava confermando le sensazioni della notte prima: Mamma Mastino era passata di là. Flinx rifletté un attimo. Forse i suoi catturatori, per confondere anche il più improbabile inseguimento, l'avevano portata là fuori dentro la foresta, per poi riportarla indietro in città dopo un percorso a cerchio. Come avrebbe fatto a saperlo di sicuro? Il governo non poteva dargli più
di quel poco aiuto... Bene, allora. Era sempre stato in gamba a strappare informazioni agli estranei: parevano fidarsi di lui d'istinto, poiché vedevano davanti a sé un giovanetto dal fisico poco imponente e all'apparenza poco sveglio. Qui avrebbe potuto indagare con la stessa facilità con cui l'avrebbe fatto al mercato. Lasciata la cabina e il complesso delle segherie, cominciò la sua indagine interrogando gli occupanti delle case e degli uffici più piccoli. Trovò deserta la maggior parte delle abitazioni, poiché gli abitanti erano già andati da parecchie ore al lavoro, ma officine e uffici si stavano animando man mano il flusso dei traffici della città prendeva a circolare. Flinx interrogò gli operai e gli impiegati mentre entravano attraverso porte e cancelli, o mentre parcheggiavano i loro eventuali mezzi di trasporto, e mentre scendevano dai veicoli pubblici. Fuori dell'ingresso d'una piccola fabbrica che produceva infissi di legno per cucine modulari, incontrò qualcuno che non stava andando al lavoro, bensì lo stava lasciando. — Mi scusi, signore — disse Flinx per quella che gli parve la centomillesima volta, — per caso non ha visto un gruppo di persone passare attraverso questo quartiere la scorsa notte? Dovrebbero aver avuto con loro una signora anziana dall'aspetto sconvolto, forse obbligata in qualche modo a seguirli contro la sua volontà. — È strano che tu me ne parli — replicò l'uomo, inaspettatamente. — Vedi, faccio il guardiano notturno alla Koyunlu, laggiù. — Indicò il piccolo edificio che si stava riempiendo. — Non ho visto nessuna vecchia, ma c'è stato un certo trambusto stanotte sul tardi da quella parte. — Gli mostrò con un gesto la strada che terminava a ridosso della prima fila d'alberi. — Ho sentito un bel po' d'imprecazioni, grida, urla. Ho dato un'occhiata col mio visore notturno (è il mio lavoro, sai) e ho visto un branco d'individui scender giù da un trasporto cittadino preso a nolo. Si stava trasferendo sopra una fangomobile. — Il guardiano si stava mostrando assai comprensivo, nonché osservatore. — Non erano potenziali ladri o giovani teppisti, perciò non li ho guardati a lungo. Non so se fossero le persone che stai cercando. Flinx rifletté un attimo, poi chiese: — Ha detto di aver sentito imprecare. Saprebbe dirmi se almeno in parte le imprecazioni erano lanciate da una donna? L'uomo sorrise. — Vedo a cosa stai pensando, figliolo. No, erano troppo lontani. Ma ti dico questo: qualcuno in quel branco pareva imprecare come una dozzina di fognaioli.
Flinx riuscì a malapena a trattenere la sua eccitazione. — Sono loro... è lei! Dev'essere lei! — In effetti — continuò il guardiano, — è proprio questo che mi è rimasto impresso. Non che non si veda mai gente che cambia mezzo di trasporto durante la notte: capita di vederli perfino qua fuori. Solo che è un brutto momento per andare a infangarsi nella foresta, e quando lo si fa, di solito lo si fa in silenzio. Non vedo la necessità di tutte quelle grida e quelle urla. — Erano loro, non c'è dubbio — mormorò Flinx, deciso. — Era lei che imprecava... oppure i suoi rapitori che imprecavano contro di lei. — Rapitori... — L'uomo parve notare per la prima volta la giovane età di Flinx. — Senti, figliolo, forse farai meglio a venire con me. — No, non posso. — Flinx cominciò ad arretrare, sorridendo come per chiedere scusa. — Devo inseguirli. Devo trovarla. — Aspetta un secondo, figliolo — insisté il guardiano. — Faccio una chiamata alla polizia. Possiamo usare il comunicatore della compagnia. Immagino che tu voglia fare le cose correttamente, perciò... — Non faranno niente — l'interruppe Flinx, incollerito. — Li conosco. — E in modo molto intimo, avrebbe anche potuto aggiungere, poiché era stato arrestato più d'una volta per qualche furterello. Era probabile che anche in quel preciso momento fosse sulla loro lista dei ricercati. Per cui... l'avrebbero trattenuto impedendogli di seguire Mamma Mastino. — Aspetta, figliolo — insisté il guardiano. — In nessun caso voglio trovarmi compromesso in qualcosa che... — Mentre parlava, allungò istintivamente una grossa mano. Qualcosa di azzurro, verde e rosso vivace sibilò minaccioso. Una testa triangolare sfrecciò verso la mano che aveva agguantato Flinx. L'uomo si affrettò a ritrarla. — Dannazione... è vivo! — Molto vivo — confermò Flinx, continuando ad arretrare. — Grazie per il suo aiuto, signore. — Si girò e si lanciò di corsa verso la città. — Ragazzo, un momento! — Il guardiano fissò la figura che si allontanava. Poi scrollò le spalle. Era stanco. Era stata una notte lunga e noiosa salvo per quel branco di gente rumorosa che aveva visto, ed era ansioso di ritornarsene a casa e dormire. Era sicuro come l'inferno di non doversi preoccupare delle stranezze d'un ragazzino. Cacciando via dai suoi pensieri l'intero incidente, si diresse verso la fermata dei trasporti della compagnia. Una volta sicuro di trovarsi fuori della visuale del guardiano, Flinx si fermò un momento a riprendere fiato. Per lo meno sapeva quasi con cer-
tezza che Mamma Mastino era stata rapita e portata fuori città. Perché fosse stata trascinata dentro la grande foresta settentrionale non riusciva proprio a immaginarlo. Oltre al dolore che gli covava sordo nella mente, un nuovo tormento aveva cominciato a farsi sentire. Non aveva mangiato più niente sin dalla sera precedente. E non avrebbe certo potuto addentrarsi nella selva sempreverde di Falena a stomaco vuoto. Preparati come si deve e poi procedi. Era quello che Mamma Mastino gli aveva sempre insegnato. Andrò a casa, si disse. Tornerò al negozio, al mercato. I rapitori si erano trasferiti su una fangomobile. Un simile veicolo era fuori della portata finanziaria di Flinx, ma lui sapeva dove avrebbe potuto affittare un uccello da corsa stupava che gli avrebbe dato flessibilità oltre che velocità. Le gambe gli facevano ancora male per la corsa in apparenza interminabile attraverso la città il giorno prima, così usò un mezzo di trasporto pubblico per tornare a casa. Il tempo era più importante dei crediti. Il trasporto scelse uno dei viali principali radiali e nel giro di pochi minuti lo scaricò nella zona del mercato. Dalla fermata al negozio c'era soltanto una breve corsa. Quasi si aspettava di trovare Mamma Mastino in piedi sull'ingresso di casa, intenta a scopare il porticato e pronta a sgridarlo per essere rimasto via così a lungo. Ma il negozio era silenzioso e l'area del soggiorno ancora sottosopra e abbandonata. Nondimeno Flinx controllò ogni cosa con molta cura. C'erano parecchi oggetti la cui posizione aveva memorizzato prima di andarsene. Erano rimasti indisturbati. Cominciò a raccogliere un mucchietto di cose da portare con sé. Un rapido scambio di merci al mercato gli procurò un piccolo zaino con tutto il cibo concentrato che riuscì a cacciarci dentro. Malgrado la velocità della transazione, ricevette il valore pieno per gli articoli prelevati dal campionario di Mamma Mastino, che aveva barattato. Con Pip a cavalcioni sulla spalla, ben pochi avrebbero mai avuto il coraggio d'imbrogliarlo. Quando qualche sconsiderato ci provava, la reazione del minidrago metteva subito in guardia il suo padrone e Flinx, semplicemente, andava altrove a concludere il suo baratto. Flinx scambiò i suoi stivali da città con un modello meno vistoso ma più resistente e adatto per la foresta. Il suo incerato sarebbe andato bene fra gli alberi della foresta come fra i grattacieli della città. La vendita diretta di parecchi oggetti incrementò confortevolmente la sua carta di credito. Infi-
ne tornò al negozio per dare un'ultima occhiata intorno. Era vuoto... così vuoto senza di lei. Si accertò che le saracinesche fossero chiuse, poi fece lo stesso con la porta d'ingresso. Prima di allontanarsi definitivamente, si fermò a un negozio in fondo alla strada. — Sei uscito di senno, Flinx-ragazzo — gli disse Arrapkha dall'ingresso del suo negozio, scuotendo la testa addolorato. Il negozio odorava di legno, segatura e vernice. — Sai com'è la foresta? Si stende da qui fino al polo Nord: sono tremila, quattromila chilometri, quanti ne può volare un tarpac, e non c'è una sola città decente là in mezzo. «C'è un fango così profondo che potrebbe inghiottire tutta Drallar, per non parlare delle creature carnivore e di quelle velenose. Nessuno si addentra nella foresta settentrionale salvo gli esploratori e i mandriani, i cacciatori e gli sportivi (quei pazzi venuti da altri mondi, ai quali piace quella specie di terra di giammai), non gente normale come te e me. — Non è gente normale quella che ha portato via mia madre — rispose Flinx. Dal momento che non riusciva a scoraggiare il giovane, Arrapkha cercò di dar poco peso alla situazione. — Peggio per quelli che l'hanno fatto. Non credo che sappiano in che razza di situazione si sono cacciati. Flinx ebbe un sorriso educato. — Grazie, Arrapkha. Se non fosse stato per il tuo aiuto neppure avrei saputo da dove cominciare. — Vorrei quasi non averti detto niente ieri sera — borbottò malinconico l'uomo. — Insomma, buona fortuna, Flinx-ragazzo. Ti ricorderò. — Mi rivedrai, puoi esserne certo — gli garantì Flinx con più fiducia di quanta in realtà ne provasse. — Ci rivedrai tutti e due. — Lo spero. Senza la tua Mamma Mastino il mercato sarà un luogo ben noioso. — Sì, molto noioso e vuoto — convenne Flinx. — Devo seguirla, amico Arrapkha. Davvero, non ho altra scelta. — Se insisti... Vai, allora. Flinx gratificò l'artigiano del legno d'un ultimo sorriso, poi si girò di scatto e si diresse con passo veloce lungo l'arteria principale. Arrapkha lo seguì con lo sguardo fino a quando il giovane non fu inghiottito dalla folla, poi si ritirò nel suo negozio. Doveva occuparsi di alcuni affari e quella, dopotutto, era la prima regola di vita del mercato. Flinx non dovette andare lontano prima che gli odori del mercato venissero sostituiti dai sentori intensi e muschiosi nei nativi e popolari animali da trasporto. Di solito erano più lenti e meno efficienti dei trasporti mec-
canizzati, ma avevano altri vantaggi: non potevano venir rintracciati grazie alle loro emissioni ed erano più economici da affittare e da usare. In una stalla autorizzata, Flinx scelse uno stupava dall'aria sana. L'alto uccello da corsa si nutriva di foraggio e poteva vivere dei frutti del suolo. Era alto due metri e mezzo alla cresta d'un vivace arancione e assomigliava molto ai suoi cugini assai più intelligenti, gli ornitoidi, i quali comunque non facevano obiezione all'uso dei loro ottusi parenti come bestie da soma, Flinx discusse per un po' con il direttore della stalla, concordando alla fine un prezzo giusto. La donna portò fuori l'uccello dal suo box e lo sellò per Flinx. — Non avrai intenzione di fare qualcosa di strano con questo uccello, vero? — Sto giusto partendo per una piccola vacanza — le rispose Flinx in tono spensierato. — Ho finito gli studi quest'anno e mi posso concedere un po' di tempo libero. — Bene. Geryule ti porterà dovunque tu voglia andare. È un uccello bello e robusto. — Accarezzò le penne del robusto pennuto. — Lo so. — Flinx mise il piede destro sulla prima staffa, il sinistro sulla seconda, e lanciò il proprio corpo a cavalcioni della sella. — Lo vedo dalle sue zampe. La donna annuì, con i nervi più distesi. Era evidente che quel giovane cliente sapeva ciò che stava facendo. Gli porse le redini. — Bene, allora. Fatti un piacevole viaggio. Flinx aveva cavalcato altre volte uccelli come quello, ma soltanto all'interno dei confini della città e mai per periodi troppo prolungati. Fece schioccare le redini poi lanciò all'uccello un fischio deciso. L'animale rispose con un grido e partì, le sue lunghe zampe si muovevano con agilità. Guidandolo con lievi strappi alle redini e fischi acuti, Flinx ben presto si trovò a correre a discreta velocità lungo il primo viale radiale, costringendo i pedoni irritati a balzare da parte ed evitando i più veloci veicoli pubblici. Lo stupava pareva non provare nessun turbamento per la presenza di Pip, un buon segno. Non sarebbe stato bene inoltrarsi nella foresta in sella a una cavalcatura facile a spaventarsi. Flinx scoprì di aver percorso in un tempo piacevolmente breve l'identico tratto della sua maratona della sera prima. Una segheria schizzò via alla sua sinistra, la cabina di comunicazione che gli aveva dato rifugio era da qualche parte dietro di essa. Poi, davanti a lui si profilò soltanto la foresta. Gli alberi maggiori, alti cento metri e più, s'innalzavano sopra alberi più piccoli e cespugli sparsi. Oltre il punto in cui spariva il selciato c'era sol-
tanto un sentiero fangoso. Allo stupava questo non creava nessun problema, i suoi piedi larghi e piatti, in parte palmati, li avrebbero trasportati con facilità sopra acquitrini e pantani. — Ehilà! — gridò Flinx con voce gentile all'uccello, facendo seguire all'ordine un fischio acuto. Lo stupava gracchiò una volta, sollevò di scatto la testa sotto l'azione delle briglie, e si lanciò in mezzo alla foresta. Il regolare flap flap sotto i suoi piedi lasciò il posto a una serie di tonfi, interrotti da suoni più intensi e profondi quando attraversava una pozza più profonda. Talvolta calpestavano uno spesso strato di muschio o di funghi, e allora non si udiva nessun rumore. In pochissimo tempo gli immensi alberi formarono un compatto muro di corteccia e di verde dietro le spalle di Flinx, e la città che era la sua casa fu, per la prima volta, completamente fuori dalla sua vista. VII Joppe il ladro si convinse di aver trovato un paio di fleurm. L'uomo e la donna che stava assiduamente tallonando erano sui trentacinque anni. I loro indumenti erano casuali, sciatti, talmente casuali e sciatti che qualcuno non informato avrebbe anche potuto non riuscire a identificarli come ultramondani. La loro presenza in quella parte del mercato di Drallar a notte inoltrata dimostrava una, fra due cose possibili, a Joppe: o avevano una grossa dose di fiducia nella loro capacità di passare inosservati, oppure erano semplicemente ignoranti. Joppe pensò che stessero cercando un po' di emozioni a buon mercato. Il che andava bene a Joppe. Sarebbe stato felice di fornirgliela, di fornirgli qualcosa di davvero memorabile, da raccontare ai vicini di casa una volta ritornati in patria su qualche mondo più molle, come la Terra o New Riviera. Non parevano del tipo che avrebbe fatto tante storie. E se lo fossero stati, avrebbero avuto qualcosa di più d'un incontro interessante di cui parlare. Joppe aveva fame. Non aveva fatto un colpo da più d'una settimana. Fissava quella coppia che stava passeggiando e chiacchierando, con l'occhio avido d'un contadino che stesse esaminando un paio dei suoi animali da macello di prima scelta. Poiché era ancora relativamente presto, non tutte le luci erano state spente in quella parte del mercato, ma un discreto numero di negozi aveva chiuso le saracinesche, dando così a Joppe un po' di speranza. La natura
del suo lavoro richiedeva riservatezza, non faceva mai le cose in fretta. Joppe aveva un ottimo istinto per il suo lavoro: doveva mettere sui piatti della bilancia l'attesa che altri negozianti si ritirassero per la notte contro la possibilità che la coppia si rendesse conto dell'imprudenza che stava compiendo e decidesse di tornar subito verso le sezioni più illuminate del mercato. La coppia non pareva incline a farlo. Le speranze di Joppe continuavano a crescere. Potevano sentire con chiarezza che stavano parlando di qualcosa che avevano visto quel giorno. La mano di Joppe si strinse intorno al calcio del piccolo lancia-aghi che aveva in tasca, e accelerò il passo, diminuendo la distanza fra lui e le sue prede. Ormai la coppia aveva raggiunto la fine del vicolo cieco e si era fermata davanti all'ultimo negozio, che era buio e aveva le imposte abbassate. I due parevano immersi in un'accesa discussione. Poi l'uomo si chinò verso la porta del negozio e tirò fuori parecchi oggetti dalle sue tasche. Cominciò a maneggiare qualcosa che Joppe non poteva vedere. Il ladro rallentò il passo. Il lancia-aghi era uscito soltanto per metà dalla sua tasca-fondina. Joppe fissò la scena sconcertato. Cosa stavano combinando quei due? Si avvicinò un po' di più, sempre tenendosi nascosto fra le ombre: era abbastanza vicino da vedere che la porta era chiusa da una serratura a palmo la quale richiedeva l'impronta di tutte le cinque dita del proprietario del negozio, e nella giusta seguenza, per aprirsi. Il piccolo disco nero che il turista aveva fissato sulla serratura a palmo era un congegno molto costoso e sofisticato che serviva appunto a decodificare ed aprire serrature di quel tipo. Le dita dell'uomo vagarono sopra i tasti, quindi esaminò i dati apparsi sul minuscolo schermo nel modo di qualcuno che non soltanto sapeva esattamente ciò che stava facendo, ma l'aveva fatto di frequente. Mentre l'uomo lavorava alla porta, la sua compagna era rimasta a guardarlo, le mani sui fianchi, ovviamente concentrata su ciò che lui stava facendo. D'un tratto distolse lo sguardo da suo marito e Joppe si trovò a fissarla negli occhi. La risatina da matrona che aveva esibito per tutta la sera era d'un tratto scomparsa dalla sua voce. D'improvviso, niente in lei sembrava più molle. L'inaspettata trasformazione, ottenuta semplicemente cambiando atteggiamento e tono di voce, fu sconvolgente. — Mi spiace che abbiamo dovuto sprecare la tua serata, amico, ma ci serviva una schermatura efficace per tenere lontano il resto della marmaglia. Grazie dell'aiuto. Adesso, fai die-
tro-front, chiamala una cattiva giornata, e cerca altrove. Adesso non abbiamo il tempo di occuparci di te. Oh, e lascia quella pistola dove non faccia male né a te né a chiunque altro, d'accordo? — Gli rivolse un radioso sorriso. Troppo sorpreso per reagire, Joppe restò immobile, stringendo ancora nella mano il lancia-aghi. Poteva colpirla, pensò per un attimo. Tuttavia c'era qualcosa nella sua positura che lo trattenne. Era chiaramente sottinteso, come l'intenzione di usarla. Il suo compagno aveva fatto una sosta e si teneva rannicchiato davanti alla porta in atteggiamento di attesa. Tutto era tremendamente sbagliato, pensò Joppe. Non era un individuo dotato di particolare immaginazione, ma era un osservatore attento, ed era bravo a mettere assieme le cose. Lì c'era una coppia d'un altro mondo, vestita per una serata da passar fuori, che lavorava con calma a un decodificatore di serrature sulla porta d'un negozio poco attraente situato in fondo a una strada laterale, in una notte buia e umida. Questo, e il modo in cui la donna gli aveva parlato, non quadravano. Joppe lasciò andare il calcio del lancia-aghi e tolse la mano di tasca. Allargò lentamente le dita cosicché potessero vedere che non stringeva niente. Annuì una volta, rivolse alla donna un fugace, agro sorriso, e arretrò. Lei gli restituì il sorriso. Joppe continuò a camminare a ritroso fino a quando le ombre non Io avvilupparono di nuovo e si trovò dietro un muro di solide pietre che gli faceva da copertura. Inspirò a fondo, poi esalò un lungo sospiro. Il polso gli batteva tumultuoso. Incapace di dominare la sua curiosità, si voltò e sbirciò da dietro l'orlo del muro. La donna non si era mossa e stava ancora guardando nella sua direzione. L'uomo si era rimesso al lavoro. Joppe si sentiva un pesce fuor d'acqua, una consapevolezza fin troppo acuta. Rinunciò a sbirciare ancora e corse via verso la strada principale, deluso a causa della sua sfortuna e ancora pieno dell'ansia di portare a conclusione un colpo fruttuoso. In quanto agli scopi di quella strana coppia, non ci pensò più neppure una volta. Gente come quella operava molto al di sopra del suo livello e degli altri come lui... Meglio dimenticare quei due. — Ha buon senso quel tipo — disse la donna soprappensiero. Distolse la sua attenzione dalla strada lontana, riportandola sul lavoro del compagno. — Temevo che potesse darci fastidio. — Meglio che non l'abbia fatto — convenne l'uomo. — Non abbiamo bisogno di perdere tempo con sciocchezze del genere. Non adesso. — La
punta delle sue dita danzò leggera sui tasti incassati nel disco nero. — Ne vieni... — fece la donna, sbirciando da sopra la sua spalla. — Come ti sembra che stia venendo? — Quanto sei spiritoso — ribatté lei, con calma. — È una ventisei aggiornata — l'informò l'uomo. — Davvero non pensavo che qualcuno in questi bassifondi si desse la pena di aggiornare qualcosa del genere, per non parlare del costo. Certo che a qualcuno piace parecchio la propria intimità. — A te no? — Sempre più spiritoso. — D'un tratto il disco emise un lieve «bip» e i numeri sul minuscolo schermo si bloccarono. — È fatta. — Il tono dell'uomo era pratico e rilassato. Non c'era piacere nel suo annuncio, soltanto una gelida soddisfazione professionale. Toccò dei pulsanti disposti a intervalli regolari intorno al disco nero. Questo emise altri due «bip». I numeri illuminati scomparvero dal piccolo schermo. L'uomo staccò il disco e tornò a infilarlo nella giacca. C'erano parecchie tasche dentro la sua giacca, tutte piene d'un genere di cose che avrebbero fatto rizzare i capelli a qualunque capo della polizia. L'uomo appoggiò una mano alla porta e la spinse. La porta si scostò senza difficoltà. Dopo un'ultima, superficiale occhiata allo stretto vicolo, i due entrarono. La sezione centrale della fibbia decorata che l'uomo portava alla cintura si animò d'un tratto, proiettando un raggio di luce sottile ma intensissimo. Un istante più tardi un analogo raggio sprizzò dalla spilla della sua compagna. Si aggirarono all'interno del negozio, osservando la merce esposta e storcendo di tanto in tanto il naso davanti agli articoli ed ai prezzi esagerati. L'ispezione li condusse a una porta più interna e a un'altra serratura dal meccanismo assai più semplice. Si fermarono entrambi appena oltre la seconda porta e fecero passare i loro sguardi attraverso il soggiorno. — Qualcuno si è difeso come un demonio, qui — commentò l'uomo con voce sommessa. — Il ragazzo... o la sua madre adottiva, pensi? — La donna si fece avanti, chinandosi a esaminare un tavolo rovesciato e il piccolo vaso d'argento ruzzolato giù da esso. Il vaso era vuoto. La donna lo ricollocò con grande attenzione nel punto in cui era caduto. — Forse tutti e due. — Il suo compagno stava già ispezionando la più grande delle due stanze da letto. Setacciarono metodicamente l'area: cucina, stanze da letto, perfino gli impianti igienici. Quand'ebbero finito (e non impiegarono molto) e quand'ebbero prelevato
campioni d'aria e di polvere e infilato minuscoli frammenti di detriti che speravano significativi all'interno di minuscole fiale, l'uomo chiese alla sua compagna: — Cosa pensi? Che dobbiamo aspettarli qui? La donna scosse la testa dando un'occhiata all'area cucina-pranzo. — È ovvio che sono stati portati via con la forza... e tu sai cosa suggerisce questo. — Certo. È venuto in mente anche a me. Non può essere altro. Però non abbiamo la garanzia. La donna uscì in una breve risata: — Già, non c'è garanzia. Ma tu cosa ne pensi? — Lo stesso che pensi tu. Stavo soltanto dicendo che non dovremmo saltar subito alle conclusioni. — Lo so, lo so. Non è strano, comunque, che manchino tutti e due? Questo lascia certamente capire qualcosa di diverso da un comune furto con scasso. — Ho detto che ero d'accordo. — Il tono dell'uomo vibrava d'una punta di collera. — E adesso? — Il negoziante all'inizio della strada che ci ha visti entrare... — disse la donna. L'uomo annuì il suo consenso. Ripercorsero i propri passi senza spostare niente, salvo l'aria e la polvere. La serratura a palmo tornò a chiudersi con uno scatto dietro di loro quando uscirono fuori in strada, cancellando così ogni traccia di manomissione. La coppia ripercorse la stradina fino a quando non si trovò davanti alla porta d'ingresso di un altro negozio. Schiacciarono il campanello più e più volte. Non ricevendo risposta l'uomo si chinò sul piccolo microfono situato sopra il campanello. — È stata una dura giornata per noi, signore, e siamo stanchi tutti e due. Non intendiamo farle del male, ma siamo autorizzati a prendere qualunque misura necessaria per adempiere alla nostra missione. Queste misure comprendono l'ingresso forzato da parte nostra se lei non ci farà entrare. «L'abbiamo vista che ci stava guardando quando siamo entrati. Le assicuro che possiamo entrare da lei con la stessa facilità. Può anche interessarle sapere che abbiamo un monitor automatico puntato sul vicolo dietro il suo negozio. Se ha un'uscita a scivolo nella parete posteriore, non le servirà a niente. Allora, perché non accondiscende subito e di sua spontanea volontà a venir fuori?» Sorrise, nel caso in cui il negoziante avesse un visore nascosto puntato su di lui. — Se preferisce, possiamo discorrere qui in strada, davanti agli occhi dei suoi vicini.
Aspettarono un congnio periodo di tempo. La donna guardò il suo compagno, scrollò le spalle e tirò fuori un piccolo oggetto a forma di ditale dalla tasca interna della giacca. La porta si aprì subito. L'uomo annuì, poi sorrise. La donna mise via l'oggetto a forma di ditale e arretrò. Arrapkha uscì in strada chiudendo la porta dietro di sé e fissò esitante prima l'uno e poi l'altro dei suoi visitatori. — Cosa posso fare per voi, signora e signore, stanotte? La vostra insistenza ha destato il mio interesse malgrado il mio negozio sia chiuso da più di... — Lascia perdere l'ironia — l'interruppe l'uomo in tono sferzante. — Sappiamo che ci stavi osservando. Sai benissimo che non siamo qui per acquistare... — lanciò un'occhiata all'insegna sopra la porta, — ... lavori in legno. Oppure neghi di averci osservati? — Be', no — commentò Arrapkha. — Ma io... — E non hai chiamato la polizia — continuò l'uomo con calma. — Perché di solito la polizia fa domande alle quali preferisci non rispondere, giusto? — Signore, le assicuro che... — Stiamo cercando la vecchia e il ragazzo che vivono in quel negozio. — L'uomo gettò una rapida occhiata alla casa di Mamma Mastino. — Non sapresti dirci, per caso, dove sono? Arrapkha scosse la testa con un'espressione vacua. — No, signore, non saprei. — All'interno ci sono segni di lotta. E questa è una piccola strada. Non hai sentito niente, visto niente? — Una lotta? Santo cielo — mormorò Arrapkha, mostrandosi angustiato. — Ma... sapete, questa strada anche se è molto piccola può essere anche molto rumorosa, perfino di notte. Noi non prestiamo molta attenzione a ciò che accade. — Ci scommetto — borbottò la donna. — Proprio come non hai prestato attenzione a tutto il rumore che noi abbiamo fatto per entrare nel negozio della tua vicina? Arrapkha la gratificò d'un pallido sorriso. — Non abbiamo tempo per questi giochetti — proruppe l'uomo, con fare impaziente, infilando la mano nella tasca dei calzoni. — Per favore, signore e signora. — Un'espressione di autentica preoccupazione si dipinse sul volto di Arrapkha. — Avete detto che non avreste fatto niente... — E non lo faremo, infatti. — La mano dell'uomo si arrestò un attimo
quando vide l'occhiata nervosa del negoziante. — Anche se dovremmo, è probabile che non lo faremo. — Tirò fuori lentamente la mano, stringendo fra le dita un portadocumenti. Arrapkha esalò un sospiro di sollievo e scrutò il documento esibito, sgranando gli occhi. Il visitatore rimise in tasca la piccola custodia. — Allora, dunque — disse, in tono meno aspro, — ti ripeto ancora una volta che non abbiamo intenzione di farti del male, né abbiamo intenzione di far del male alla vecchia o al ragazzo. Se sono stati vittime di qualche violenza, come sembra probabile, abbiamo bisogno di sapere tutto quello che tu sai, cosicché, se sono ancora vivi, ci sia possibile aiutarli. Malgrado ciò che puoi pensare di noi personalmente, e di ciò che rappresentiamo, devi renderti conto che se sono andati incontro a qualche sventura staranno molto meglio se saremo noi a curarci di loro piuttosto che restare in balia di chiunque li abbia rapiti. Questo certamente lo capisci. — Inoltre — aggiunse la sua compagna, in tono pratico, — se non ci dirai tutto quello che sai, ti condurremo in un posto nel centro della città dove verrai legato a una macchina e finirai comunque per dirci tutto ciò che vogliamo. Non ti farà male, ma ci farà perdere del tempo prezioso. E a noi non piace perdere tempo. — La donna lo fissò negli occhi. — Capito? Arrapkha annuì lentamente. — La vecchia che cercate è Mamma Mastino? — L'uomo annuì, incoraggiante. — Credo di aver visto parecchie figure che la portavano via. Non saprei neppure dirvi se erano umane o aliene. Era buio e nebbioso. — Non è sempre così in questo posto? — bofonchiò l'uomo. — Continua. — È tutto quello che so. Tutto quello che ho visto. — Arrapkha scrollò le spalle. — Davvero. — Indicò in fondo alla strada lo spazio che separava il negozio di Mamma Mastino da quello adiacente. — Attraverso quel varco ho visto delle forme che lottavano nel vicolo. La cosa ancora adesso mi sconcerta... È una donna molto vecchia e del tutto innocua. — Quanto tempo fa è successo? — gli chiese l'uomo. Arrapkha glielo disse. — E il ragazzo? Cos'è accaduto al ragazzo? — È tornato a casa quella stessa notte. Spesso rimane fuori, da solo, fino a molto tardi. Per lo meno, l'ha fatto da quando lo conosco, il che rappresenta la maggior parte della sua vita. — Lunghe passeggiate solitarie per la città? Alla sua età? — chiese la donna. Arrapkha cercò di non mostrare la sua sorpresa a quell'osservazione
in apparenza casuale della donna. Quella gente sapeva molto, malgrado la grandissima distanza da cui venivano. — Non è certo il tipo medio dei nostri ragazzi — li informò Arrapkha, non vedendo niente di male a dir questo. — Qui, è cresciuto in gran parte da solo. — Indicò le luci più intense e il frastuono che proveniva dalla strada principale. — Se glielo lasciate fare, Drallar vi fa maturare molto in fretta. — Ne sono sicuro. — L'uomo annuì. — Cosa stavi dicendo del ragazzo? — Quella notte è tornato a casa, ha visto quanto era successo e ne è rimasto sconvolto. È un tipo emotivo, anche se si sforza di non farlo vedere, credo. Mamma Mastino è tutto quello che ha. La coppia non diede ancora nessuna risposta, mantenendo un irritante silenzio. Allora Arrapkha proseguì: — Ha giurato di ritrovarla. Ma non credo che abbia molte possibilità. — Allora è andato a cercarla? — chiese la donna con impazienza. — Quanto tempo fa? Arrapkha lo precisò. La donna borbottò qualcosa in una lingua che Arrapkha non riconobbe, poi aggiunse nella più familiare lingua franca del Commonwealth: — Solo un paio di giorni. L'abbiamo mancato soltanto per un paio di schifosi giorni. — È accaduto altre volte — le ricordò l'uomo, in apparenza imperturbato. Riportò la sua attenzione su Arrapkha: — Da che parte intendeva andare, il ragazzo? — Non ne ho idea — dichiarò il negoziante. — Sai — replicò l'uomo in tono soave, — credo proprio che dovremmo farlo tutti insieme quel salto al centro... con la visitina alla macchina. — Per favore, signore, vi sto davvero dicendo tutto. Fino a questo momento avete creduto alle mie parole. Dovrebbe forse esser diverso, adesso, soltanto perché i fatti non vi fanno più piacere? Non è colpa mia. Quale ragione dovrei avere per mentirvi tutto d'un tratto? — Non lo so — disse l'uomo con voce meno ostile. — Quale ragione avresti? — Nessuna. — Arrapkha sentì che anche la poca lucidità mentale che gli restava lo stava abbandonando. — Per favore. Io non capisco cosa stia succedendo qui. Per me è tutto molto sconcertante. Cos'è tutto questo improvviso interesse per quella povera vecchia Mamma Mastino e il suo Flinx-ragazzo? — Finiremmo per sconcertarti ancora di più dicendotelo, non è vero? —
Disse l'uomo. — Così, non hai nessuna idea di come il ragazzo intendesse iniziare la sua ricerca? — Nessuna, perché è tutto quello che mi ha detto — confessò Arrapkha. — Ha detto soltanto che era deciso a trovarla. Poi se n'è andato. — Bene, è magnifico. Davvero magnifico — dichiarò l'uomo, sarcastico. — Tutto questo lavoro, tutta questa ricerca, ed eravamo riusciti a concentrarla su una città di modeste dimensioni. Adesso dobbiamo ricominciare tutto da capo, con un intero, dannato pianeta da battere. — Non è poi tanto male — si sforzò di calmarlo la donna. — La popolazione indigena è scarsa fuori dalla città. — Non è questo che mi preoccupa. — L'uomo parve oppresso da una grande stanchezza. — Sono i nostri attivi concorrenti, piuttosto. — Sì, credo proprio che c'imbatteremo ben presto anche in loro — annuì la donna. Poi indicò Arrapkha come se neppure fosse presente: — Abbiamo appreso tutto quello che potevamo da costui. — Sì. C'è ancora una cosa, comunque. — Si girò verso Arrapkha e gli porse una scatoletta metallica azzurra. Un unico pulsante sporgeva da una superficie per ogni altro verso liscia e vetrosa. — Questo è un trasmettitore ermetico a raggio, ad alta intensità e bassa potenza — spiegò al negoziante. — Se la donna o il ragazzo dovessero tornare qui, tutto quello che devi fare è schiacciare una sola volta questo pulsante. Questo chiamerà degli aiuti, sia per loro che per te. Hai capito? — Sì — annuì Arrapkha lentamente. Accettò la scatoletta metallica, poi la studiò, rigirandola tra le dita. — C'è una ricompensa, una considerevole ricompensa — aggiunse la donna, — per chiunque ci aiuti a condurre quest'intera faccenda a un rapido successo. — Scrutò al di sopra della spalla di Arrapkha il piccolo negozio-laboratorio. — Non so che genere di vita tu conduca qui, ma non può essere un granché. Questo non è certo il quartiere degli affitti vertiginosi. La ricompensa ammonta a più, a molto di più di quanto tu possa incassare in un intero anno. — Sembra bello — sillabò Arrapkha. — Sarebbe bello far davvero un sacco di soldi. — Bene, allora — riprese l'uomo. — Ricorda che la gente che si farà viva qui, in risposta ad un segnale di quel cubo, non comprenderà necessariamente quei due, ma si tratterà comunque d'individui che sono perfettamente informati della nostra missione. Noi li seguiremo con la maggior rapidità possibile. Adesso sei certo di aver ben capito tutto questo?
— Ho capito. — Bene. — L'uomo non si offri di stringere la mano ad Arrapkha. — Il tuo aiuto è molto apprezzato. E mi spiace se ti abbiamo turbato. Arrapkha scrollò le spalle. — La vita è piena di piccoli turbamenti. — Infatti — convenne l'uomo. Si rivolse alla sua compagna. — Andiamo. — Partirono di corsa verso il viale principale, lasciando Arrapkha immobile davanti al suo negozio. Dopo parecchie ore, Arrapkha mise via i suoi strumenti per lavorare il legno, si pulì e si preparò a ritirarsi per la notte. Il piccolo cubo metallico era appoggiato sul comodino accanto al suo letto. Arrapkha lo studiò per un momento. Poi lo raccolse ed entrò nel bagno. Senza la più piccola esitazione lo lasciò cadere nell'unità distruggi-rifiuti e fece scattare il comando che attivava la distruzione. Si chiese quale effetto avrebbe avuto sul cubo, se gli avrebbe fatto emettere qualche tipo di segnale, e se quelli all'estremità ricevente del segnale l'avrebbero interpretato correttamente. Sentendosi molto meglio, s'infilò nel letto e si addormentò. VIII La foresta era un'inesauribile miniera di rivelazioni per Flinx, che era sempre vissuto nell'ambiente cittadino. Le prime notti furono dure. Il silenzio l'aveva colpito con forza inaspettata, e aveva scoperto che dormire non era facile. Pip passò quelle notti riposando irrequieto, avvertendo lo sconforto del suo padrone. Soltanto lo stupava, con la testa che dondolava ritmicamente, era soddisfatto. Alla quarta notte, Flinx si addormentò profondamente, e alla quinta finì per godere di quel silenzio. Sono stato tratto in inganno dalle circostanze e dal destino, pensò. Questo è assai meglio della vita di città. Era vero che sentiva la mancanza dei colori, dell'eccitazione, del paesaggio continuamente mutevole costituito dagli esseri d'una dozzina di mondi che sfilavano attraverso il mercato o i quartieri più ricchi, il caleidoscopio degli odori dei cibi e i richiami e le voci dei più svariati e anche sinistri mercanteggiamenti che venivano dovunque consumati. Né la foresta gli offriva qualche occasione di esercitare le sue capacità, non c'era niente da rubare. I boschi donavano liberamente le loro ricchezze. In qualche modo era tutto troppo facile. Si era quasi del tutto rilassato quando lo squook lo colse di sorpresa. Schizzò fuori dal suo buco nel terreno, facendo sobbalzare lo stupava e
quasi disarcionando Flinx. Lo squook era, come il suo vicino parente, il canish, un carnivoro iperattivo del sottosuolo. Era di discrete dimensioni, con artigli lunghi quanto le dita di Flinx. Il corpo magro striato di bruno e di nero era strutturato per rimanere appiattito al suolo. Passava la maggior parte della sua vita nelle tane del sottosuolo, cacciando altri scavatori erbivori, ma di tanto in tanto erompeva dal suo buco nel tentativo di afferrare e trascinar giù qualche preda più grossa. Era chiaro che la creatura aveva scambiato i passi relativamente leggeri dello stupava per quelli d'un animale assai più piccolo. L'uccello gracchiò e diede violenti strattoni alle redini mentre Flinx lottava per riprendere il controllo. All'ondata di allarme del suo padrone, Pip era balzato prontamente in volo e adesso si librava minaccioso sopra l'aggressore. Lo squook lanciò al minidrago un ringhio impressionante, ma poté soltanto fissare furioso quella nemesi volante. Malgrado l'uccello da sella avesse chiaramente paura dello squook, questi provava a sua volta un salutare rispetto per le zampe lunghe e i poderosi muscoli dell'uccello. Tuttavia, se soltanto fosse riuscito a piantare i denti intorno a una di quelle zampe, avrebbe potuto far crollare al suolo il suo pasto più sostanzioso. Ma non si sentiva così sicuro nei confronti dell'umano appollaiato sulla schiena del grande uccello. Malgrado non fossero comuni in quelle zone, gli umani non erano sconosciuti agli abitatori della grande foresta. Uno squook, poteva, sì, uccidere un umano, ma era vero anche il contrario. E poi c'era quella creatura svolazzante, così strana e del tutto ignota, che sfrecciava nell'aria sopra di lui. Questo faceva sì che gli avversari fossero tre, uno alieno e imprevedibile ma anche gli altri due potenzialmente pericolosi. Lasciando partire un ultimo ringhio di delusione, lo squook tornò a infilarsi dentro la sua tana e si mise a ostruirne l'ingresso, lasciando sporgere soltanto il suo muso, con un lungo abbaiare ammonitore. Flinx riuscì finalmente a riprendere il controllo dello stupava e lo sollecitò ad avanzare. Le grida rabbiose dello squook si attenuarono lentamente dietro di loro. Non c'era stato nessun vero pericolo, pensò. D'altro canto, se fosse caduto di sella... Ricordò con chiarezza il lungo muso irto di denti del carnivoro e fissò la foresta con ben maggiore rispetto. Nient'altro emerse a minacciarli. Non incontrarono niente di più grosso dei molti roditori volanti che abitavano quella parte della foresta. Pip si divertì a descrivere cerchi guizzanti intorno ad essi, giacché quegli animaletti più che volare planavano. Non potevano fare nient'altro se non squittire
rabbiosamente contro quell'intruso che effettuava tante ardite manovre aeree in mezzo a loro. Quelli che schiamazzavano e si lamentavano con più chiasso furono scelti dal serpente volante per il suo pranzo. — Basta, Pip — gridò Flinx, qualche giorno dopo, al serpente vagabondo. — Lasciali stare e scendi qui. — Reagendo all'urgenza che percepì nella mente del suo padrone, Pip smise di tormentare gli strillatori volanti e scese giù in picchiata per avvolgersi con delicatezza intorno al collo del ragazzo. La locanda alla quale si stavano avvicinando era una delle cento e più che formavano una rete irregolare nelle parti meno abitate di quell'immensa foresta. Quei rustici locali fornivano una casa temporanea ai mercanti di legname e ai tagliaboschi, ai pescatori e ai cacciatori, ai prospettori minerari e ad altri nomadi d'ogni tipo. C'erano in realtà più locande e padiglioni, lì nella foresta, di quanti un osservatore casuale avrebbe potuto aspettarsi di trovare, perché anche i nomadi erano più numerosi di quanto in verità appariva. Questi, amavano molto quella sterminata foresta. Gli alberi nascondevano molta gente e una quantità ugualmente grande di peccati. Flinx impastoiò lo stupava nel recinto degli animali, accanto a un paio di muccax. La porta della locanda percepì la sua presenza e scivolò di lato, facendolo entrare. Il fumo si levava da un camino centrale, ma il focolare di pietra era più per creare atmosfera che per dare effettivamente calore. Questo compito veniva in realtà svolto da bobine termiche che correvano sotto i pavimenti della locanda. Molte di queste strutture che costellavano la foresta erano rustiche soltanto nell'aspetto, mentre le loro interiora erano di concezione e costruzione moderna quanto il navettaporto fuori di Drallar. I turisti di altri mondi che venivano su Falena per gustare le delizie delle sue foreste adoravano due cose: il loro liquore preferito e degli alloggi rozzi ma muniti di tutti i comfort. — Ehi. — L'oste aveva solo pochi anni più di Flinx. — Sei da solo? — Lanciò un'occhiata a Pip. — Hai un animaletto interessante. — Grazie — annuì Flinx in tono assente, ignorando il primo commento. — A che ora servite il pasto di mezzogiorno? — Guardò con desiderio la vicina sala da pranzo, calcolando quanto gli restava sulla carta di credito. Alla sua velocità attuale, sarebbe morto di fame prima di raggiungere la sua preda. — Non vuoi una stanza, allora? — No, grazie. — Avrebbe dormito in una tenda a tubo nella foresta, come al solito. In quei giorni la fatica lo faceva dormire come un sasso,
meglio che se si fosse trovato su un letto morbidissimo. — E il tuo animale? — L'oste indicò con un gesto il recinto delle bestie là fuori. — Sta bene là. Il giovane locandiere parve indifferente. Un tipo abbastanza cordiale, pensò Flinx, ma anche riservato... come la maggior parte dei suoi potenziali amici a Drallar. — Puoi mangiare quando vuoi. Qui è tutto ad autoservizio. Non è un posto di lusso. Non possiamo permetterci una vera cucina. — Le macchine andranno più che bene per me — replicò Flinx. Attraversò l'atrio ed entrò nella sala da pranzo. C'era già altra gente seduta qua e là, intenta ad assaporare il cibo. C'era una giovane coppia di turisti e un uomo solitario lontano in un angolo. Dopo la solita occhiata curiosa a Pip, tornarono a ignorare il nuovo venuto. Flinx si avvicinò all'autochef con l'acquolina in bocca. Vivere dei frutti della terra andava benissimo per lo stupava; ma a lui serviva di tanto in tanto qualcosa che non fosse stantio né disidratato. Scelse da una lista molto ampia, inserì la sua carta di credito, e aspettò che la sua richiesta venisse elaborata. Due minuti più tardi, preso il suo pasto, scelse un tavolo e affondò i denti nell'arrosto, nei tuberi fritti e nell'insalata verde croccante. Due grandi tazze d'un sostituto locale del caffè accompagnarono il pasto. Il locandiere entrò nella sala, scambiò due parole con la coppia, poi si avvicinò al tavolo di Flinx. Malgrado il suo desiderio di solitudine, Flinx non si sentì propenso a discutere, così non disse niente quando l'oste tirò a sé una sedia e si sedette lì accanto. — Scusami — disse il giovanotto in tono allegro. — Non vedo molta gente della mia età da queste parti, per non parlare di qualcuno ancora più giovane che viaggia da solo... e certamente mai con un compagno così interessante. — Indicò Pip. Il serpente volante era scivolato giù dal collo di Flinx e si era disteso sul tavolo, intento a inghiottire dei semi verdi. Questi arricchivano una dieta costante simile a quella dei roditori arboricoli. In effetti i semi non erano proprio indispensabili, ma il minidrago non era il tipo da lasciar passare un pasto che non poteva difendersi. — Cosa fai qui tutto solo? Davvero diplomatico questo tizio, pensò Flinx tra sé. — Sto cercando degli amici — spiegò, masticando un altro boccone di arrosto. — Nessuno ha lasciato qui un messaggio per te, se è questo che volevi
sapere — disse l'oste. — Agli amici che sto cercando non piace lasciare messaggi — disse Flinx, tirando il fiato. — Forse tu li hai visti — aggiunse, senza molta speranza. — Una donna molto vecchia viaggiava con loro. — Non passano molti vecchi da queste parti — confessò l'oste. — Rimangono più vicini alla città. È per questo che il fatto è molto strano. — Flinx interruppe il suo masticare. — C'è stato qui un gruppo, molto recente, che potrebbe esser quello degli amici che stai cercando. Flinx inghiottì con cautela. — Questa vecchia è bassa di statura, assai più bassa di me. Ed è vicina ai cent'anni, — Salvo per la bocca, che è assai più giovane? — L'hai vista! — D'un tratto Flinx dimenticò del tutto il pasto. — Cinque giorni fa — disse l'oste. Il cuore di Flinx dette in un balzo. La distanza fra loro aumentava, non diminuiva. — Hai visto da quale parte sono andati? — La fangomobile si è diretta all'incirca verso nord. Ho pensato anche che era strano, perché la linea delle locande che la maggior parte dei turisti seguono corre molto più a nord-ovest, da qui, che a nord. Ci sono alcuni padiglioni anche verso nord, naturalmente, su nel distretto dei laghi, ma non molti. Erano uno strano gruppo, e non perché c'era la vecchia con loro. Non parevano turisti o pescatori. Cercando di non mostrare troppa ansia, Flinx si costrinse a terminare il resto del suo pasto. Non era che non apprezzasse quell'aiuto. Ma quel giovane loquace pareva proprio il tipo capace di spifferare tutto a chiunque potesse mostrarsi incuriosito da uno straniero in visita, compresa la pattuglia della foresta. Flinx non voleva che qualcuno rallentasse la sua ricerca con domande imbarazzanti, specialmente dal momento che intendeva aumentare la sua velocità non appena fosse stato possibile e con metodi che la polizia non avrebbe apprezzato. Né si era dimenticato di quel guardiano a Drallar, il cui aiuto era diventato quasi un'interferenza. — Mi sei stato di grande aiuto — disse all'oste. — Ma cos'è tutta questa faccenda? — l'oste insisté, mentre Flinx terminava l'ultima porzione del suo cibo, lasciando poi che Pip si arrampicasse sul suo braccio proteso e di qui sulla sua spalla. — Cosa succede? Flinx cercò con frenesia una risposta. Cosa mai avrebbe potuto dire, per evitare che quell'ingenuo lingualunga chiamasse la pattuglia? Sono in vacanza... mia nonna ha altri parenti con cui... Sì, litigano spesso. Snocciolò un discorso arruffato. E l'oste annuì complice. — Credevano che io non sa-
rei riuscito a fare il viaggio — continuò Flinx con una strizzata d'occhio. — Ma ho lasciato i miei studi e mi sono messo a giocare a rintracciarli, così per dire. Quando arriveranno alla capanna dove hanno intenzione di passare il resto del mese, io comparirò d'un tratto e li lascerò tutti a bocca aperta. E una volta che gli sarò caduto tra le braccia, non potranno certo rispedirmi a casa, non è vero? — Ho capito. — L'oste sorrise. — Non lo dirò a nessuno. — Grazie. — Flinx si alzò. — Il cibo è buono. — Insieme a Pip si diresse verso l'uscita. — Ehi — gridò l'oste, colto da un pensiero improvviso, — a quale padiglione sono diretti i tuoi parenti? — Ma Flinx se n'era già andato. Uscito fuori, Flinx salì in fretta in groppa allo stupava e lo diresse verso la foresta. Cinque giorni, rifletté preoccupato. Altri due a quella velocità, e il suo distacco sarebbe aumentato a dieci giorni. Lo stupava faceva del suo meglio, ma questo suo meglio non era affatto sufficiente. In qualche modo, avrebbe dovuto aumentare la velocità. Tirò le redini e lasciò che l'uccello riprendesse fiato, mentre prelevava dal suo zaino una listerella di plastica d'una decina di centimetri quadrati. Aveva uno spessore di mezzo centimetro e gli era costata un sacco di soldi al mercato, ma non avrebbe potuto rischiare un simile viaggio senza di essa. Una serie d'interruttori a contatto correva lungo il fianco sinistro della plastica. Toccò quello più in alto e subito la plastica si accese. Altre manipolazioni dei comandi produssero una mappa della foresta, e ulteriori aggiustamenti zumarono su un ingrandimento della zona in cui si trovava adesso. Batté il nome della locanda dove aveva fatto il suo ultimo pasto. La mappa cambiò subito posizione. Era come se stesse volando sopra un paesaggio astratto. Quando l'immagine si stabilizzò, Flinx ampliò ulteriormente il suo campo di visuale, espandendo la mappa fino a farle comprendere molte altre locande e una piccola città che il giorno prima aveva quasi sfiorato senza accorgersene. Sfiorò i comandi, e la mappa zumò sulla città. Ai suoi margini c'era una piccola officina per la lavorazione del legname, con parecchie strutture commerciali minori, una stazione di servizio e un terminale per la riparazione e la fornitura di mezzi di trasporto. Pensò di tentare prima d'ogni altra cosa alla stazione di servizio, poi pensò che fra tutte le strutture era quella che aveva la maggior probabilità di restare aperta a tutte le ore del giorno e della notte. Rimaneva il deposito dei mezzi di trasporto. Spense la mappa, tornò a infilarla nello zaino con attenzione, e mollò le redini. Il grande uccello fischiò e si rimise in moto.
La notte stava avanzando, ormai: ben presto il sole sarebbe completamente scomparso dietro la coltre di nubi. Avrebbe potuto senz'altro contare sull'assenza della luna: perfino il fosco bagliore di Fiamma non sarebbe riuscito a penetrare la barriera delle nubi quella notte. Malgrado nel suo avanzare avesse mancato del tutto la città, questa non era molto lontana. Gli edifici erano sparpagliati su una collinetta (il tratto di terreno più asciutto che ci fosse là intorno) e rimase nascosta tra gli alberi finché non ci fu praticamente entrato. La maggior parte delle abitazioni singole e dei blocchi si trovavano a varie altezze sulla collina. Alla sua sinistra vide una struttura bassa e cresciuta in modo disordinato, nella quale qualche luce traspariva attraverso le doppie finestre: la stazione di servizio. Il deposito dei mezzi di trasporto si trovava direttamente davanti a lui. Flinx scivolò agilmente giù dalla schiena dello stupava, lo legò a un tronco vicino e attese mezzanotte. Una recinzione alta tre metri correva tutt'intorno al deposito, racchiudendo anche il cortile di servizio. Flinx riuscì a distinguere le sagome di parecchi grandi veicoli concepiti per viaggiare attraverso la folta foresta con un intero equipaggio e relative attrezzature. Ma non erano questi che interessavano a Flinx. Erano troppo grossi, e di eccessivo impaccio per le sue necessità. Doveva esserci certamente, là dentro, qualcosa di più adatto al suo scopo, parcheggiato all'interno del capannone che s'innalzava più indietro... Sarebbe stato assai meglio che ci fosse. Dubitava che la segheria e i piccoli edifici commerciali avrebbero avuto qualcosa di meglio da offrire. Si accertò che le pastoie dello stupava fossero sciolte: se avesse fallito, avrebbe avuto molto in fretta bisogno del grande uccello da sella. Se invece avesse avuto successo, lo stupava sarebbe ben presto diventato irrequieto e sarebbe scappato, ritrovando la strada per Drallar e la sua scuderia. Questa era un'altra ragione per cui Flinx aveva scelto l'uccello da sella invece dei muccax simili a rospi: un muccax non aveva l'istinto del piccione viaggiatore. Con Pip arrotolato saldamente intorno alla spalla sinistra, avanzò nella notte attraverso la nebbia. Il cortile non era lastricato, ma il suolo era stato compattato al punto da farlo diventare relativamente asciutto, cosicché Flinx fu in grado di muoversi in silenzio lungo il recinto. Con molta cautela descrisse un cerchio completo sia intorno al cortile che agli edifici. Non erano visibili luci di nessun genere, e non vide niente da suggerire la presenza di raggi inseriti in circuiti di allarme. Malgrado
avesse aggirato altre volte apparecchiature antifurto, quella era la prima volta che tentava di penetrare in un deposito di materiale del governo. Il bordo superiore del recinto s'incurvava verso l'esterno, una conformazione che avrebbe reso più difficile la scalata, e poté distinguere chiaramente le punte trasmettitrici piazzate in cima a ciascun palo, pronte a far scattare l'allarme se qualcuno avesse interrotto il circuito. Flinx abbassò lo sguardo sul cancello che si trovava sul retro. Il dispositivo di chiusura di questo pareva soltanto meccanico, quasi troppo semplice. Avrebbe potuto aprirlo senza nessuno speciale strumento. La trappola... consisteva in una replica del circuito che correva lungo la cresta del recinto. Non avrebbe potuto far scattare la serratura senza interrompere il raggio e far partire l'allarme. Tagliare la rete del recinto era fuori questione. Era senz'altro sensibilizzata, e qualunque interruzione non programmata della sua struttura avrebbe fatto suonare l'allarme proprio come se avesse tentato di abbatterne una sezione con un bulldozer. Spingendo da parte Pip, Flinx si sfilò dalle spalle lo zaino e vi frugò dentro. Oltre ai cibi concentrati e alla scorta dei medicinali di base, aveva con sé delle apparecchiature che avrebbero riempito di sbigottimento l'oste che aveva scambiato quattro chiacchiere con lui quello stesso giorno. Non gli ci volle molto per trovare quello che cercava. Tirò fuori dallo zaino uno tra parecchi fili di differente lunghezza. Al suo centro si trovava saldato un singolo interruttore a contatto. Assicurandosi che l'interruttore fosse aperto, avvolse con grande attenzione un'estremità del filo intorno alla punta del minuscolo trasmettitore sul lato sinistro del cancello. Con lenta, attenta cura diede al filo il profilo d'un arco e lo fece passare sopra il lungo nottolino, per avvolgerlo sopra il trasmettitore sul lato opposto. Una minuscola spia sull'interruttore del filo prese ad ardere d'un confortante bagliore verde. Poi Flinx tirò fuori dallo zaino un piccolo pezzo di metallo opaco dalla strana forma, lo inserì nella serratura del cancello, e lo ruotò un paio di volte. Al calore della sua mano il metallo si ammorbidi e prese a scivolare obbediente. Il nottolino fece clic. Reggendo il frammento di metallo con due sole dita, Flinx diminuì il calore assorbito finché il metallo ridivenne solido, poi lo girò. Sentì un secondo clic, più sommesso del primo. Estrasse il metallo dalla serratura, appoggiò una mano sul cancello e spinse. Questo ruotò per qualche centimetro verso l'interno, ondeggiando leggermente sui suoi sostegni. Flinx esitò un attimo. Nessun allarme udibile lace-
rò la notte. Si augurò che quella comunità rurale non avesse bisogno di allarmi silenziosi. Tuttavia, raccolse in silenzio il suo armamentario e si ritirò rapidamente dentro la foresta. Aspettò che fosse passata mezz'ora senza che nessuno comparisse per controllare il cancello o il cortile, poi strisciò di nuovo fino al recinto. Il cancello era ancora socchiuso. La fibra di vetro, avvolta intorno ai due terminali sui lati, permetteva al raggio del sistema di allarme di scorrere senza interruzione, ma ci sarebbe stato un problema quando avrebbe dovuto aprire il cancello più di quanto la lunghezza del filo gli avesse consentito di fare. Sgusciò facilmente dentro il cortile. Pip volò sopra il recinto e si librò sopra i capelli arruffati del suo padrone. Flinx esplorò con lo sguardo ogni lato del cortile: non c'era ancora nessun indizio che la sua intrusione fosse stata scoperta. Il capannone delle macchine si trovava dritto davanti a lui, privo di porta e spalancato sulla notte. Si servì dei grossi veicoli per le riparazioni come copertura, mentre avanzava verso il capannone. Trovò, fra mucchi di attrezzature e altre scorte, due fangomobili a due posti. Il battito del suo cuore accelerò alquanto. Quei veicoli compatti avevano il ventre scampanato e delle cabine chiuse per proteggere il pilota e il passeggero. Provò entrambi i veicoli. Collegare con un filo volante quei semplici motori elettrici fu abbastanza facile. Cominciò a preoccuparsi, però, quando l'indicatore del propellente della prima fangomobile non reagì, indicando un serbatoio vuoto. Ma l'indicatore della seconda fangomobile mostrò un caricamento pari al novantacinque per cento. Così era assai meglio... anzi, era d'importanza cruciale, poiché dubitava che avrebbe avuto accesso a stazioni di rifornimento, là dove stava andando. Poiché in tutto il deposito continuava a regnare la calma, Flinx osò rischiare il successo finora ottenuto per risolvere un'ulteriore difficoltà: quella dei contrassegni governativi per la fangomobile. In un armadietto dentro al capannone trovò una dozzina di lattine di vernice catalitica a presa rapida. Ne scelse un paio di color marrone. Dopo aver riflettuto un attimo, ritornò all'armadietto e ne prelevò una terza lattina, di pittura rossa. Non aveva mai posseduto un proprio mezzo di trasporto, e visto che vi avrebbe aggiunto un proprio tocco artistico, tanto valeva che ci mettesse un po' di vivacità. Inoltre, la cosa sarebbe stata più in armonia con un ragazzo di sedici anni. Gli alberi l'avrebbero comunque continuato a nascondere con grande efficacia.
Quand'ebbe finito di spruzzare la fangomobile, salì sul sedile del pilota. Pip si accomodò sul posto vuoto, al suo fianco. I comandi erano semplici e lineari, come si era aspettato. Appoggiò la mano destra sul piccolo volante, la sinistra andò invece al filo che aveva piazzato sotto il cruscotto. Il motore si mise in modo, il suo costante ronzio era un po' più intenso di quello prodotto da Pip. Una spinta dell'acceleratore fece avanzare la fangomobile. Il singolo faro ad ampio raggio piazzato sul davanti rimase spento. E così sarebbe rimasto finché Flinx non fosse stato certo di trovarsi al sicuro. Uscì fuori nel cortile e ancora non vide nessun segno di allarme provenire dagli edifici vicini. Giunto al cancello, lasciò l'apparecchio in folle e balzò giù. Congiungendo alla prima le fibre ottiche che gli restavano, fu in grado di aprire il cancello quanto bastava alla fangomobile per attraversarlo. Aveva tanta paura d'essere individuato che dimenticò quasi di chinarsi mentre guidava il veicolo attraverso l'apertura: le fibre che stavano ingannando il sistema d'allarme quasi lo decapitarono. Poi, fu fuori dal cancello, sulla lìscia superficie che circondava il deposito. Pochi istanti dopo era al riparo nella foresta. Un tocco a un comando del cruscotto chiuse la cupola di plastica trasparente sopra la sua testa, escludendo la nebbia. Un altro comando avviò il sistema di riscaldamento del veicolo. Per la prima volta da quando aveva lasciato Drallar, era al caldo. Tenne al minimo la velocità della fangomobile fino a quando non fu ben lontano dalla piccola città. E qui sentì di poter accendere il faro senza pericolo. Il raggio ad alta potenza sciabolò nelle tenebre rivelando sentieri fra gli alberi. Adesso fu in grado di accelerare, e ben presto la fangomobile correva sopra il terreno umido. Forse un po' troppo veloce, per una guida di notte, ma Flinx voleva riguadagnare il più possibile sulla sua preda. Ed era alquanto inebriato dal successo. A Drallar non sarebbe stato così facile, si disse. Qua fuori, dove non c'era molto da rubare, aveva avuto successo proprio perché non c'era una grande esperienza con i ladri. Il ventre della fangomobile era rivestito d'una speciale resina polimerizzata idrofobica che gli consentiva di planare sulle superfici umide ma consistenti senza nessun attrito, grazie alla spinta dell'unico getto elettronico situato sulla poppa del veicolo. Inoltre produceva pochissimo rumore... non che avesse finora rilevato anche il minimo segno d'un inseguimento. La bussola della fangomobile manteneva la direzione nord. Soltanto verso la metà del mattino Flinx provò il desiderio di fermarsi.
Approfittò della luce del giorno per usare il barattolo di vernice rossa decorando la superficie marrone del veicolo, aggiungendo delle strisce ornamentali ai lati e sul davanti. Questo gli permise di dimenticare per un po' i suoi problemi. Poi riprese il viaggio a bordo d'un veicolo che nessun osservatore avrebbe mai più potuto scambiare per un sobrio veicolo governativo. La notte prima c'era stato un lievissimo pizzicore mentale, d'una familiarità quasi dolorosa. Come al solito, era scomparso nel medesimo istante in cui aveva tentato di concentrarsi su di esso, ma era certo che quel tocco era stato diretto a lui da qualche punto in direzione nord. Fiducioso, continuò a planare con la cupola aperta. Tutt'a un tratto l'aria si tinse di grigio per la presenza di migliaia di corpi pelosi non più grossi del suo mignolo. Sciamavano intorno a lui sulle minuscole ali membranose, e Flinx si mise a schiacciarli con la mano libera facendo rallentare il veicolo quasi a passo d'uomo. Erano così fitti che gli cancellavano buona parte della visuale. Pip era deliziato, sia per l'occasione di giocare che di cenare. Ben presto quella tempesta di volatili in miniatura divenne talmente densa che Flinx fu costretto ad arrestare del tutto la fangomobile per timore di andare a sbattere contro qualche ostacolo. Col veicolo fermo, poteva quanto meno usare entrambe le mani per colpirli. Esitò a chiudere la cupola protettiva per timore che le molte dozzine di volatili che sarebbero rimaste intrappolate all'interno si facessero prendere dal panico. Inoltre, eccettuato il fatto che gli toglievano la visuale, non gli davano nessun fastidio. I loro piccoli denti quadrati erano concepiti per rompere i gusci delle noci e dei semi, e non mostravano nessun interesse per la carne viva. Avevano grandi occhi d'un vivido giallo, e due zampe sottili adatte ad afferrarsi ai rami. Flinx si chiese quanto avrebbero impiegato prima di andar via, consentendogli di riprendere il viaggio. D'un tratto l'aria fu piena di suoni sibilanti. Dal suolo eruppero forme rotonde grosse come teste. Flinx vide lunghi musi sottili irti di denti ad ago e braccia multiple che sporgevano dai corpi stretti. Il suolo sibilante era composto da una lunga serie di crepitii. Sbirciò attraverso la massa dei piccoli volatili e vide una creatura dopo l'altra schizzar fuori verticalmente dalle tane. I crepitanti avevano il corpo nero con screziature gialle e arancio. Si fecero trasportare dall'aria gonfiando un paio di sacchi d'aria a forma di salsiccia fissati alle loro colonne vertebrali. Regolando la quantità di gas nei sacchi, questi animali potevano
non soltanto controllare la loro altitudine, ma anche la loro direzione. Si tuffarono in mezzo allo sciame dei volatili, utilizzando i loro lunghi musi sottili per ghermirli l'uno dopo l'altro al volo. Quando un crepitante aveva acchiappato parecchie prede, sgonfiava i propri sacchi d'aria e si adagiava al suolo come un paracadute. Sembrava che atterrassero ognuno sopra la sua propria tana, per scomparirvi dentro quasi subito. Quando né la nube dei volatili né i crepitanti assalitori mostrarono il minimo segno di volersi diradare, Flinx prese la decisione di riprendere il suo viaggio. Lo fece lentamente, prendendo con cura la strada fra gli alberi. Aveva percorso quasi un chilometro quando lo sciame cominciò a diventare meno fitto, e alla fine si ritrovò un'altra volta in mezzo all'aperta foresta. Un'occhiata dietro le spalle gli permise di osservare una compatta parete grigia, nera, gialla e arancio che si spostava come fumo tra gli alberi. Gli ci volle un attimo per rendersi conto che qualcosa mancava dalla fangomobile. — Pip? — Il minidrago non era arrotolato sul sedile del passeggero, né si lasciava andare alla deriva sulle correnti d'aria sopra la fangomobile. Flinx impiegò parecchi minuti prima di ritrovare il suo animaletto disteso sul ventre, nello scompartimento adibito a magazzino dietro i sedili, gonfio il triplo rispetto al solito diametro. Si era incredibilmente ingozzato di quei piccoli e saporiti volatili grigi. Flinx era convinto che il suo compagno al momento immobile non avesse affatto un buon aspetto. — Questo t'insegnerà a comportarti come un durq — lo rampognò. Il minidrago accennò lentamente a muoversi, ma poi rinunciò del tutto allo sforzo. Ci sarebbe voluto un po', prima che volasse di nuovo, anche soltanto fin sopra la spalla del suo padrone. Flinx proseguì in direzione nord senza fermarsi neppure per dormire. Erano passati due giorni da quando si era impadronito della fangomobile. Visto il probabile lassismo della burocrazia rurale, avrebbe potuto passare un bel po' di tempo prima che la sua assenza venisse notata. Quando finalmente qualcuno si fosse reso conto che era avvenuto un vero e proprio furto, Flinx si sarebbe trovato a duecento chilometri di distanza, e le autorità locali non avrebbero avuto nessun modo di sapere quale direzione aveva preso. Sfiorando appena la superficie del terreno, una fangomobile non lasciava tracce. I suoi getti elettronici semplificati non irradiavano in pratica nessun calore residuo individuale dall'alto. Ma Flinx non si aspettava nessun inseguimento su larga scala, non certo per un piccolo, singolo veicolo relativamente poco costoso.
Continuò a chiedersi come mai qualcuno avesse fatto tutto quello sforzo e speso tutti quei soldi per rapire una vecchia donna innocua. La scarsissima plausibilità dell'intera situazione serviva solo ad esacerbare la sua ansia e non contribuiva affatto ad attenuare la sua rabbia e la sua decisione. Passarono parecchi giorni prima che si avvedesse d'un cambiamento nell'aria. Era una sensazione estranea, qualcosa che non riusciva a spiegarsi. Restava sempre quell'onnipresente umidità, ma era diventata in qualche modo più intensa, più penetrante per le sue narici. — Adesso... cosa supponi che sia, Pip? — disse, ad alta voce. Ma il serpente volante non avrebbe risposto, anche se ne fosse stato capace: tutti i suoi sforzi e le sue energie erano concentrati nel compito di digerire la carne, la pelliccia e le ossa. La fangomobile risalì il lieve pendio d'una collina. Alla sua sommità uno squarcio tra gli alberi rivelò a Flinx una scena da mozzare il fiato. Dapprima pensò di esser giunto, senza avvedersene, al cospetto dell'oceano. No. Sapeva che non poteva essere. Nessun oceano si trovava a nord di Drallar, almeno fino a quando non si fosse giunti al polo ghiacciato... e non si fosse deviato verso est o verso ovest per migliaia di chilometri. Malgrado quel corpo acqueo assomigliasse a un oceano, Flinx lo riconobbe per quello che era: un lago, uno fra le molte migliaia che occupavano l'ampia distesa di territorio dalla sua attuale posizione fino all'artico. Nessuna luce solare si specchiava sopra di esso poiché qui le nuvole erano dense come sulla lontana Drallar, ma dal cielo filtrava abbastanza luce da creare un bagliore che veniva moltiplicato da quell'ampio lenzuolo, riflettendosi più e più volte tra le nubi e l'acqua. L'Azzurro-che-Accieca, pensò Flinx, fissando quella superficie. Conosceva abbastanza la geografia di Falena da riconoscere in quel lago il primo dell'intera successione che corrispondeva a quella descrizione. Non avrebbe potuto dare il nome preciso al lago stesso, non senza una carta dettagliata. Era soltanto uno dei cento e più impressionanti corpi d'acqua, i cui nomi non aveva mai ritenuto di mandare a memoria durante le sue letture, poiché non si era mai aspettato di dover visitare quella parte del mondo. Il vivido bagliore imprigionato tra l'acqua e le nuvole gli fece lacrimare gli occhi mentre dirigeva la fangomobile verso il bordo del lago. La distesa d'acqua bloccava la sua avanzata verso nord. Lui aveva bisogno di sapere se doveva costeggiarlo verso est o verso ovest, oppure cercare di attraversarlo in linea diretta. Non aveva alcun modo d'indovinare ciò che aveva fatto il gruppo di gente che inseguiva. Il lago era tranquillo. Soltanto modeste increspature interrompevano la
distesa davanti a lui, per ogni altro verso liscia. Una fangomobile poteva viaggiare sull'acqua oltre che sulla terra, sempre che la sua carica avesse retto; se così non fosse stalo, il veicolo sarebbe sprofondato in un attimo. Flinx decise che la prima cosa di cui aveva bisogno erano dei consigli. Così, consultò di nuovo la sua mappa, la quale gli mostrò un singolo padiglione isolato a poca distanza verso est. Si diresse verso il padiglione. L'edificio comparve alla sua vista dieci minuti più tardi, un'ampia struttura articolata. Le imbarcazioni erano ormeggiate a un molo sul retro. Parecchi veicoli di superficie erano parcheggiati sul davanti, vicino all'edificio. Flinx si sentì teso per un attimo, poi si rilassò. Nessuno di quegli apparecchi esibiva i contrassegni governativi. Certo a quest'ora il suo furto era stato scoperto, ma era probabile che la ricerca tendesse a svilupparsi più verso le aree popolate del sud (verso Drallar, cioè) che in direzione nord, praticamente priva di sentieri già tracciati. Tuttavia si concesse un lungo istante per ispezionare con molta attenzione i veicoli che si trovavano nel parcheggio. Erano tutti e quattro vuoti. Due erano cingolati, servivano soltanto per il trasporto via terra. Gli altri erano fangomobili, più grandi e più lussuose della sua: ostentavano sedili superimbottiti e cupole protettive autooscuranti. Seppe subito che si trattava di trasporti privati. Più comodi della sua fangomobile, ma non certo più durevoli. Non c'era nessun segno di animali da sella. Era probabile che chiunque potesse permettersi di viaggiare tanto a nord, potesse anche permettersi mezzi di trasporto meccanizzati. Flinx arrestò la sua fangomobile al fianco degli altri veicoli e prese la precauzione di staccare il filo di collegamento per la messa in moto. Non sarebbe stato bene che qualche passante curioso spiasse quell'ovvia modifica illegale. La fangomobile si adagiò al suolo, e Flinx mise il piede sul parafango, balzando poi a terra. L'area del parcheggio non era stata livellata e compattata con forza, e i suoi stivali raccolsero fango in abbondanza quando percorse il tratto fino ai gradini di legno che conducevano dentro. Delle pompe a suzione ripulirono via la maggior parte del fango. I gradini portavano a una veranda piena di quel tipo di arredamento in stile rustico che tanto piaceva ai turisti, i quali amavano credere di vivere in modo rude. Più oltre c'era uno stretto corridoio rivestito di pannelli d'impiallacciatura di legno lucidata, che però qua e là si staccava. Flinx pensò che questo era il luogo migliore in cui chiedere informazioni circa le condizioni del lago, ma c'era qualcos'altro d'importante che ri-
chiamava, prima di tutto, la sua attenzione. Il cibo. Poteva sentirne l'odore da qualche parte là vicino, e avrebbe senz'altro dovuto concedersi un'interruzione dai concentrati con cui si alimentava da troppi giorni. La sua carta di credito mostrava ancora un saldo positivo, e non c'era modo di dire quando avrebbe avuto la fortuna d'incontrare un'onesta cucina. Né avrebbe dovuto preoccuparsi delle occhiate incuriosite degli altri clienti: questa volta Pip, ancora incapace di mangiare, non avrebbe cenato con lui. Inspirò a fondo. Dall'odore, quasi gli pareva che il cibo venisse preparato da uno chef in carne ed ossa invece che da una macchina. Flinx trovò la strada fino alla sala da pranzo. Alla parete più lontana un fuoco bruciava in un caminetto di pietra. Sulla sinistra c'era la fonte di quel meraviglioso aroma: una vera cucina. Un paio di forme pelose russavano pacifiche nelle vicinanze. Una coppia di vecchi sedeva accanto all'ingresso. Erano assorti nel loro pasto e neppure si voltarono per guardarlo. Due coppie più giovani mangiavano e chiacchieravano vicino al caminetto. Nell'angolo in fondo c'era un gruppo di anziani, tutti abbigliati con i pesanti indumenti del nord del paese. Flinx cominciò a scendere i pochi gradini che portavano alla sala da pranzo, con l'intenzione d'interrogare qualcuno in cucina sulla possibilità di avere un pasto. D'un tratto qualcosa colpì la sua mente con tanta forza che dovette appoggiarsi alla vicina parete per non cadere. Due uomini più giovani erano entrati nella sala da una porta più lontana che dava sull'esterno. Iniziarono a parlare col gruppo di commensali nell'angolo più distante. Nessuno guardò verso Flinx: nessuno gli aveva rivolto finora una sola parola. Si allontanò barcollando dalla parete, inciampò contro il tavolo della coppia di vecchi e recuperò l'equilibrio. L'uomo sollevò il suo sguardo verso il visitatore non invitato e corrugò la fronte. — Ti senti male, figliolo? Flinx non rispose, ma continuò a guardare verso il lato opposto della sala. Volti... non riusciva a distinguere i volti sotto tutti quegli indumenti pesanti. Rimanevano nascosti alla sua vista. Ma non a qualcos'altro. Parlò a voce alta, senza pensare: — Mamma? IX Una delle figure infagottate si girò di scatto sulla sedia e lo fissò a bocca spalancata. Gli occhi della donna erano sgranati per la sorpresa, oltre che
per lanciare un avvertimento che Flinx ignorò. La donna fece per alzarsi dalla sedia. Il resto del gruppo fissò il giovane dall'altro lato della sala. Uno degli uomini più giovani mise una mano sulla spalla di Mamma Mastino e l'obbligò a risedersi. Lei prontamente lo morse. Il compagno dell'uomo sfoderò qualcosa da una tasca della giacca e cominciò ad avanzare verso Flinx. Le espressioni di viva sorpresa dell'intero gruppo a causa dell'inaspettata comparsa di Flinx, erano diventate sinistre. Flinx esaminò il pavimento e le pareti vicine, trovò l'interruttore che cercava e lo fece scattare. Le luci della sala si spensero, lasciando soltanto la fioca luce del giorno a filtrare dalla finestra più lontana. Che fantastico talento possedeva!, pensò, mentre si tuffava al riparo. Quel suo talento aveva reagito nel modo più acuto alla presenza di Mamma Mastino... dopo che lui era quasi andato a sbattere contro di lei. La sala si riempì delle grida degli ospiti abituali, frammiste alle imprecazioni del gruppo che Flinx aveva colto di sorpresa. Non cercò di aprirsi la strada verso il tavolo dove Mamma Mastino veniva trattenuta. Aveva vissuto troppi scontri nelle strade per farlo. Tenendo a mente la disposizione della sala da pranzo, arretrò e, lasciatosi cadere al suolo, si mise a strisciare, facendo un lungo giro tutt'intorno per avvicinarsi al tavolo, nel tentativo di sorprendere alle spalle i rapitori di sua madre. C'erano i tre che erano stati seduti al tavolo con lei, più i due che erano arrivati più tardi. Cinque avversari in tutto. — Dov'è... qualcuno accenda le luci! — Molto utile da parte loro, rifletté Flinx, fargli sapere dove si trovavano. Avrebbe dovuto sfruttare in fretta quell'informazione, lo sapeva. Ben presto uno dei clienti o un impiegato del padiglione avrebbero riacceso le luci, privandolo del suo unico vantaggio. Un secco crepitio rimbalzò attraverso la stanza, accompagnato da un breve lampo di luce. Uno degli altri ospiti lanciò un grido di allarme. Flinx sorrise tra sé: se tutti si erano buttati a terra, le luci avrebbero dovuto restare spente un po' di più. Un secondo lampo tagliò l'aria all'altezza dei tavoli, passandogli abbastanza vicino da fargli raggricciare la pelle. Un raggio paralizzante: malgrado Flinx traesse un certo conforto da quella dimostrazione che il suo avversario non aveva intenzione di sparare per uccidere, non si soffermò a riflettere sul perché si prendessero tanta cura. I rapitori continuarono a sparare alla cieca nel buio. Con quell'intreccio di raggi capaci di paralizzare i
nervi, era assai improbabile che qualche impiegato tentasse di raggiungere l'interruttore. Grato ancora una volta alle sue ridotte dimensioni, Flinx continuò a strisciare sul ventre fino a quando non ebbe raggiunto la parete opposta. Allo stesso tempo, quegli spari a casaccio cessarono. Immaginando che uno dei suoi avversari stesse tastando la parete alla ricerca dell'interruttore, Flinx si preparò a strisciare in fretta davanti al bagliore del caminetto. Poi, qualcuno lasciò partire una violenta imprecazione, e senti il fracasso d'un tavolo e d'una sedia che venivano rovesciati molto vicino a lui. Flinx portò una mano a uno stivale e si sollevò in posizione rannicchiata, aspettando. Ancora una volta udì il rumore fatto da qualcuno che incespicava, più forte e subito davanti a lui. Allungò una mano, afferrò una sedia lì vicino e la spinse energicamente in mezzo al buio. Un uomo si stagliò contro il bagliore del caminetto e un lampo avvolse la sedia. Flinx guizzò alle spalle dell'uomo e usò lo stiletto come il vecchio Makepeace gli aveva insegnato a fare. L'uomo era grosso il doppio di Flinx, ma la sua pelle non era per questo più dura. Cacciò un breve strillo strangolato prima di accartocciarsi al suolo. Flinx scattò in avanti, uscendo dallo sfondo luminoso delle fiamme. — Erin — chiamò una voce, incerta, — stai bene? — Parecchi altri lampi riempirono l'aria, colpendo le pietre intorno al caminetto, là dove Flinx si era trovato un attimo prima. Se l'intenzione di quei colpi era cogliere Flinx impreparato, mancarono completamente lo scopo; d'altro canto, lo costrinsero a gettarsi un'altra volta a terra. Qualche istante più tardi le luci si riaccesero, abbacinanti. Flinx si tese sotto il tavolo che gli dava rifugio, ma non aveva bisogno di preoccuparsi. Il gruppo dei viaggiatori era scappato, insieme all'ultimo fra quelli armati di raggio paralizzante e a Mamma Mastino. Flinx si alzò in piedi. Gli altri ospiti continuarono a restare rannicchiati sul pavimento. Non c'era nessun indizio di cosa avesse fatto riaccendere le luci, e non ebbe il tempo di pensarci. La porta all'estremità opposta della sala era socchiusa. Dava su una veranda curva. Flinx si precipitò verso di essa ma si arrestò appena all'interno del vano della porta per scagliare una sedia davanti a sé. Quando nessuno sparò contro di essa, tirò un profondo sospiro e balzò fuori, rotolando attraverso la veranda e guizzando fuori dalla posizione rannicchiata in quella da combattimento. Non c'era nessun nemico ad aspettarlo: la veranda era deserta. Ma la
spiaggia, lontano sulla sinistra, non lo era. Due fangomobili erano parcheggiate sulla spiaggia: mentre Flinx guardava impotente, i viaggiatori che aveva cercato tanto a lungo salirono a bordo dei veicoli. Incurante adesso della propria sicurezza, si lanciò di corsa giù dai gradini e scese il leggero pendio che conduceva verso la sponda del lago. La prima fangomobile era già partita e correva sulle creste delle onde. Quand'ebbe raggiunto il bordo dell'acqua cadendo esausto sulle ginocchia, con l'inutile coltello stretto mollemente nella mano destra, entrambi i veicoli si trovavano ormai molto al largo. Lottando per riprender fiato, Flinx si costrinse a star dritto e risalì il pendio. Avrebbe dovuto affrettarsi a inseguirli. Se li avesse persi di vista su quei vastissimo lago, non avrebbe avuto modo di sapere su quale lontana spiaggia sarebbero approdati. Aggirò la parte anteriore dell'edificio e afferrò la portiera della sua fangomobile. Una forma supina lo fissò, turbata: Pip aveva un'aria decisamente infelice. Svolazzò una volta, poi tornò a crollare sul sedile. — Bell'aiuto mi hai dato — esclamò Flinx, rivolto al suo animaletto. E, ammesso che fosse possibile, il minidrago apparve ancora più infelice. Era chiaro che aveva percepito il pericolo che minacciava Flinx e aveva cercato di correre in suo aiuto, ma, semplicemente, non era riuscito a levarsi in volo. Flinx cominciò ad arrampicarsi dentro la cabina quando una voce e una mano sulla sua spalla lo trattennero. — Un momento. — Flinx si fece teso, ma un'occhiata a Pip gli mostrò che il serpente volante non si era messo sulla difensiva. — Non posso... — cominciò a dire mentre si voltava. Ma quando vide chi gli stava davanti, riuscì soltanto a strabuzzare gli occhi. La donna pareva torreggiare sopra di lui, anche se in realtà era più alta solo d'un paio di centimetri. I capelli neri le ricadevano riccioluti fino alle spalle. Il suo giaccone da boscaglia era rimboccato dentro a dei calzoni che a loro volta erano rimboccati dentro a bassi stivali. Era magra ma non scarna. La bocca e il naso erano grandi non più di quelli d'una bambina, gli zigomi alti sotto a due occhi castani grandi quanto quelli d'un gufo. La sua pelle era scura quasi quanto quella di Flinx, ma era il prodotto del vivido riflesso del lago vicino, e non qualcosa di ereditano. Era la donna più bella che lui avesse mai visto. Flinx riuscì a stento a ritrovare la sua voce mormorando: — Devo inseguirli... — Ma la mano continuò a restare solidamente appoggiata sulla sua
spalla. Avrebbe potuto spingerla via... oppure no? — Mi chiamo Lauren Walder — dichiarò la donna. — Sono il direttore generale di Granite Shallows. — La sua voce vibrava d'una collera appena repressa, mentre indicava il lago con un rapido cenno del capo. I riccioli ondeggiarono. — Cosa ha a che fare con quegli idioti? — Hanno rapito mia madre, la donna che mi ha adottato — spiegò Flinx. — Non so perché, e in questo momento non me ne importa proprio. Voglio soltanto riaverla. — È un po' inferiore numericamente, non le pare? — Ci sono abituato. — Indicò le finestre della sala da pranzo e la porta ancora aperta sulla veranda. — Non sono io che giaccio morto sul pavimento là dentro. La donna lo fissò accigliandosi: — Come fa a sapere che l'uomo è morto? — Perché l'ho ucciso. — Capisco — disse, studiandolo con una nuova luce negli occhi. — Con che cosa? — Col mio stiletto — l'informò Flinx. — Non ho visto nessun stiletto. — La donna lo guardò dall'alto al basso. — Non dovrebbe vedersi infatti. Senta, devo andare. Se perderò troppo terreno nei loro confronti... — La prenda con calma — disse la donna, cercando di tranquillizzarlo. — C'è qualcosa che devo mostrarle. — Lei non sembra capire — insisté Flinx. — Non ho alcun modo per rintracciarli. Non saprò mai se sono approdati da qualche parte oppure... — Non si preoccupi. Non li perderà. — Come fa a saperlo? — Perché tra poco li scoveremo. Lasci pure che abbassino la guardia e si convincano d'essere riusciti a fuggire. — Le dita della donna accentuarono la stretta sulla sua spalla. — Le prometto che li prenderemo. — Be'... — Flinx lanciò un'altra occhiata a Pip. Forse tra un po' il serpente volante sarebbe stato nuovamente in grado di svolazzare. E questo avrebbe potuto significare una sostanziale differenza in ogni futuro scontro. — Se lei ne è proprio sicura... La donna annui energicamente, dando l'impressione d'essere competente almeno quanto era bella. La direttrice del padiglione, pensò. Doveva senz'altro sapere di cosa stava parlando. Comunque, poteva fidarsi di lei per qualche minuto.
— Cos'ha di tanto importante da mostrarmi? — le chiese Flinx. — Venga con me. — Il tono della sua voce era ancora fremente di rabbia. Lo ricondusse dentro il padiglione, attraverso la veranda fino all'interno della sala da pranzo. Alcuni membri del personale stavano assistendo una delle donne intente a cenare quando le luci si erano spente e le pistole avevano cominciato a sparare. Suo marito e i suoi compagni erano anch'essi chini su di lei, con un'espressione ansiosa. La donna ansimava tenendosi una mano sul petto. — Il cuore — spiegò Lauren, concisa. Flinx si guardò intorno: tavoli e sedie erano ancora rovesciati, ma non c'era nessun'altra indicazione che una lotta disperata era stata combattuta pochi minuti prima in quella stessa sala. I raggi paralizzanti non danneggiavano gli oggetti inanimati. L'uomo che lui aveva ucciso era stato portato via dal personale del padiglione. Fu lieto che l'avessero fatto. Lauren lo guidò verso la cucina. Vicino alla porta che vi dava accesso c'erano le due forme pelose che aveva notato quand'era entrato per la prima volta nella sala. Da vicino poté vedere che i loro volti rotondi erano deformati nell'agonia. Le corte, tozze zampe erano ripiegate, contorte sotto i loro corpi pelosi. Le loro pellicce erano d'un rosso ruggine, salvo per dei cerchi gialli intorno agli occhi. Che erano chiusi, per sempre. — Sennar e Soba. — Lauren parlò fissando i due animali morti con un misto di dolore e di furore. — Sono wervil... o meglio lo erano — aggiunse con amarezza. — Li avevamo allevati sin da quando erano cuccioli. Li avevo trovati nel folto della foresta, abbandonati. A tutti e due piaceva molto dormire qui, vicino alla cucina. E a tutti i clienti piaceva dar loro da mangiare. Devono essersi mossi nel momento sbagliato. Al buio, uno di quei... — usò un epiteto che Flinx non riconobbe, cosa abbastanza insolita per lui, — deve averli scambiati per lei. Mi hanno detto che sparavano a tutto ciò che si muoveva. — Tacque un attimo, poi aggiunse ancora: — Lei deve avere la fortuna d'una yax'm incinta. Hanno colpito pressoché tutto quello che si trovava nella sala, fuorché lei. — Ero appiattito sul pavimento — le spiegò Flinx. — Io mi alzo in piedi soltanto quando devo farlo. — Sì, e quello l'ha scoperto. — Indicò l'atrio principale con un rapido movimento del pollice. Flinx notò degli inservienti che avvolgevano un corpo nei lenzuoli del padiglione. Fu un po' sorpreso quando notò quanto fosse stato grosso il suo avversario. Tuttavia, al buio, sono soltanto le dimensioni del coltello che contano.
— Non dovevano far questo — stava mormorando la direttrice, fissando i due animali pelosi morti. — Non dovevano essere così maledettamente indiscriminati. Erano quattro anni che allevavo quei due... Quattro anni. Hanno sempre mostrato soltanto affetto per tutti quelli che stavano loro vicini... — Tacque. Flinx aspettò, in silenzio. La donna, dopo un po', gli fece cenno di seguirla. Attraversarono l'atrio, infilarono un corridoio laterale ed entrarono in un magazzino. Lauren aprì la serratura d'una rastrelliera alla parete e ne tolse un grande fucile dall'aspetto complicato nonché un paio di piccoli contenitori di plastica a forma di ruota. Infilò uno di questi dentro una larga fessura situata sul lato ventrale del fucile. L'arma pareva troppo voluminosa per lei, ma se la mise a tracolla con irrisoria facilità passando il braccio dentro la cinghia. Vi aggiunse una pistola che s'infilò alla cintura, poi lo ricondusse fuori, nel corridoio. — Non ho mai visto un fucile di quel tipo. — Flinx indicò l'arma. — Cosa serve a cacciare? — Non è un fucile da caccia — replicò la donna. — Serve per pescare. Ognuno di questi caricatori — indicò gli oggetti a forma di ruota che aveva passato a Flinx, — contiene un migliaio di dardi. Ogni dardo contiene qualche millimetro cubo d'una neurotossina molto potente. Pùngiti un dito e... — Scrollò le spalle in modo assai significativo. Poi proseguì: — I dardi vengono inseriti dentro i caricatori in una fabbrica di Drallar, e poi i caricatori vengono sigillati. Non puoi tirar fuori un singolo dardo a meno che non lo spari con questo. — Accarezzò il calcio del fucile. Svoltarono un angolo. Erano tornati nell'atrio principale. — Usa il fucile per uccidere i pesci? La donna gli sorrise. Non un sorriso completo, ma comunque un abbozzo, pensò Flinx. — Non è mai stato all'Azzurro-che-Accieca prima d'oggi, non è vero? — Ho passato tutta la vita a Drallar — rispose Flinx, e a tutti gli effetti pratici era la verità. — Noi non usiamo questi per uccidere i pesci — gli spiegò la donna. — Soltanto per rallentarli, se si avvicinano troppo alle barche. Flinx annuì, cercando d'immaginarsi l'arma che veniva usata. Sapeva che i laghi dell'Azzurro-che-Accieca erano popolati da certi pesci di grosse dimensioni, ma sembrava che non si fosse mai reso conto di quanto fossero grossi. Naturalmente, se le dimensioni dei pesci erano in proporzione a quelle dei laghi... — Quant'è grande questo lago?
— Patra? È lungo soltanto un paio di centinaia di chilometri... Poco più d'uno stagno. I laghi davvero grandi sono più lontano, a nord-ovest, come ad esempio Turchese e Hanamar. I geografi litigano in continuazione per decidere se chiamarli laghi o mari-interni. I geografi sono dei maledetti pazzi. Uscirono dal padiglione. Per lo meno non stava piovendo, notò Flinx. Questo avrebbe dovuto far sì che fosse più facile rintracciare le fangomobili in fuga. Ebbe un leggero sussulto quando qualcosa atterrò pesantemente sulla sua spalla. Flinx fissò la piccola creatura con un'espressione di viva disapprovazione. — Era ora. — Il serperite volante si sistemò sulla spalla del suo padrone ma evitò il suo sguardo. — Questo sì che è un animaletto interessante — commentò Lauren Walder, senza ritrarsi istintivamente davanti al minidrago come facevano la maggior parte degli estranei. Un altro punto a suo favore, pensò Flinx. — Dove ha trovato una creatura come quella, su Falena? — In un mucchio di spazzatura — disse Flinx, — il che è quello che poi è diventato. Alcuni giorni fa ha mangiato troppo e non ha ancora digerito tutto. — Stavo giusto per dire che sembra molto più agile di quanto desse a intendere quell'atterraggio. — Lo guidò intorno all'edificio principale. C'era una piccola insenatura e un secondo molo si allungava nel lago. Flinx non aveva potuto vederlo dalla posizione in cui aveva parcheggiato la sua fangomobile. — Ho detto che li avremo raggiunti. — Gli indicò il molo. L'imbarcazione era un singolo arco convesso, ogni estremità dell'arco si allargava all'infuori formando una chiglia di sostegno. La cabina era situata in cima all'arco e scavata dentro di esso. Degli orifizi erano allineati lungo i fianchi di quello strano catamarano. Flinx si chiese quale fosse il loro scopo. Dell'attrezzatura pesante, che assomigliava a delle gru, era appesa agli angoli posteriori del ponte di poppa. Un'imbarcazione più piccola ma somigliante alla prima oscillava sull'acqua là vicino. Salirono su per una scala curva e Flinx si trovò a fissare Lauren che si sfilava il fucile e prendeva posto sul seggiolino del pilota. La donna parlò, mentre controllava dei quadranti e faceva scattare alcuni interruttori. — Li raggiungeremo entro un'ora — garantì a Flinx. — Una fangomobile è veloce, ma non tanto veloce sull'acqua quanto questo. — Un sordo borbottio dalla poppa dell'imbarcazione; l'aria sibilò dentro le prese multiple allinea-
te lungo il fianco del battello, e il rombo s'intensificò. Lauren toccò parecchi comandi addizionali, e le coppie magnetiche si disingaggiarono dal molo. Poi la donna fece scattare un interruttore incassato sul lato del timone. Un tuono rimbombò nell'aria, facendo rabbrividire leggermente Pip. L'acqua a poppa prese a ribollire come un geyser, quando poderosi getti schizzarono fuori dagli ugelli sommersi nascosti dentro gli scafi gemelli. L'imbarcazione schizzò in avanti, tagliando le onde. Flinx era in piedi, vicino al seggiolino del pilota, e urlò, sopra il ruggito del vento che investiva la cabina aperta: — Come facciamo a sapere da che parte sono andati? Lauren si chinò sulla destra e fece scattare un paio d'interruttori sotto uno schermo circolare, che subito si animò. Parecchi punti luminosi, gialli, comparvero sulla trasparenza. — Questo mostra l'intero lago. — Toccò altri comandi. Tutti i punti gialli sullo schermo, tranne due, passarono al verde. — Imbarcazioni da pesca degli altri padiglioni che si trovavano intorno al Patra. Tutte con una strumentazione compatibile. — Batté sullo schermo con un'unghia. — Vede quei due che sono rimasti gialli? In movimento e non organici, senza trasmettitori di segnali in codice compatibili... Chi crede che siano? Flinx non disse niente e si limitò a fissare lo schermo. Dopo non molto si trovò a tenere lo sguardo fisso al di sopra di quella prua che non era una prua. Gli scafi gemelli del catamarano a getto trinciarono la superficie del lago quando Lauren aumentò costantemente la loro velocità. La donna fissava di tanto in tanto lo schermo. — Si stanno muovendo piuttosto in fretta. Stanno spingendo le loro fangomobili al massimo. Puntano verso nord... è probabile che stiano cercando di planare fino a Port Horakov. Dobbiamo raggiungerli prima che ritornino sulla terraferma. Questo nostro battello non può procedere fuori dell'acqua. — Ci riusciremo? — chiese Flinx, ansioso. — A prenderli, voglio dire. — I suoi occhi scrutarono l'orizzonte spazzato dalle nubi, cercando il bagliore rivelatore della luce del sole riflessa dal metallo. — Non c'è nessun problema — dichiarò la donna. — A meno che non abbiano qualche motore speciale in quelle fangomobili. Ma sono convinta che se li avessero, li avrebbero già usati. — Che cosa accadrà quando li raggiungeremo? — Cercherò di tagliargli la strada — lei disse, pensierosa. — Se questo non li farà fermare, be', allora... — Indicò il fucile appoggiato lì vicino. — Possiamo colpirli uno alla volta. Questo fucile ha una massima precisione
nel raggio d'un chilometro. I dardi sono propulsi da cartucce di gas compresso e il fucile ha un mirino telescopico che mi può consentire di piazzare un dardo nell'orecchio di qualcuno, se risulta necessario. — E se dovessero rispondere al fuoco? — Non esiste una pistola paralizzante in grado di superare la portata di questo fucile, per non parlare del fatto che una pistola è imprecisa a tutte le distanze. I suoi effetti sono ben presto dispersi. Soltanto a distanza ravvicinata il suo effetto paralizzante è efficace sugli individui. O addirittura letale per i piccoli animali — aggiunse sempre più amara. — Se si arrenderanno, li porteremo a terra e li consegneremo alla guardia forestale. E lei potrà aggiungere le sue accuse alle mie. I wervil sono una specie in pericolo di estinzione e perciò protetta, su Falena. Naturalmente, preferirei che quella feccia opponesse resistenza, cosicché ci sia necessario difenderci. Una tale sete di sangue in una donna così attraente non costituiva una sorpresa per Flinx. L'aveva incontrata altre volte, al mercato di Drallar. Erano soltanto le sue motivazioni che gli risultavano nuove. Si chiese quanti anni avesse Lauren. Probabilmente il doppio dei suoi, pensò, anche se era difficile precisarlo con certezza. Le stagioni passate nel cuore della foresta avevano indubbiamente impresso in lei una certa rusticità di modi... un'asprezza che nessun quartiere malfamato in città avrebbe potuto uguagliare. Era un tipo tutto diverso di rudezza. Flinx lo giudicò molto attraente. — E se dovessero scegliere di arrendersi? — Sapeva che era assai poco probabile, ma era curioso di sapere cosa Lauren prevedesse per una simile eventualità. — Come ho detto, li porteremo indietro con noi e li consegneremo alla guardia forestale a Kalish. Flinx fece un gesto brusco con la mano: — Potrebbe essere imbarazzante per me. — Non si preoccupi — replicò la donna. — Farò in modo che lei non sia coinvolto. Quelli non hanno violato soltanto le leggi sulla caccia. Ricorda quell'ospite ferito? La signora Marteenson è una donna malata. L'effetto del raggio paralizzante, su di lei, potrebbe essere irreversibile. Perciò non sarà soltanto la forestale a interessarsi a quella gente. «In quanto a lei e a sua madre, voi due potete scomparire. Ma perché è stata rapita? Per un riscatto? — Non ha soldi — rispose Flinx. — Comunque non abbastanza perché valesse la pena. — Bene, dunque. Perché? — Gli occhi di Lauren rimanevano puntati
sullo schermo; solo di tanto in tanto si alzavano verso il cielo cercando i segni della pioggia. Il catamarano a getto aveva una copertura portatile che però, sperava, non avrebbero dovuto usare. Avrebbe reso la mira più difficile. — È appunto quello che mi piacerebbe sapere — replicò Flinx. — Forse riusciremo a scoprirlo quando li avremo raggiunti. — Sì, dovremmo scoprirlo — ammise la donna, — anche se non servirà a far resuscitare Sennar e Soba. Avrà indovinato, a quest'ora, che la mia opinione sugli esseri umani è molto bassa. Esclusi i presenti, ovviamente. Mi piacciono molto gli animali. Preferisco associarmi con loro. Un wervil non mi ha mai tradito, e nessun'altra creatura della foresta, se è per questo. Con un animale, sai qual è il tuo posto. È questo il motivo principale per cui ho scelto questo tipo di vita. — Conosco qualche altra persona che la pensa come lei — replicò Flinx. — Non deve scusarsi. — Non mi stavo scusando — ribatté lei, secca. — Eppure lei dirige un padiglione per la caccia. — Non per la caccia — precisò Lauren. — Per la pesca. Soltanto per la pesca e nient'altro. Noi non diamo alloggio ai cacciatori, ma non possiamo impedire che altri padiglioni lo facciano. — Allora, non ha compassione per i pesci? È una questione di scaglie contro pellicce? Agli Aan non piacerebbe. La donna sorrise. — Chi se ne frega di quello che pensano gli Aan? In quanto al resto della sua argomentazione, è difficile provar calore per un pesce. Ho visto i pesci di questo lago inghiottire dei giovani wervil indifesi e altre creature innocenti che avevano commesso l'errore di spingersi troppo avanti nell'acqua. E anche se... se fosse proprio necessario — regolò un comando sul cruscotto, — non sono sicura di preferire la compagnia di un essere umano a quella d'un pesce. — È semplice, allora — disse Flinx. — Lei è un'antisociale cronica. La donna scrollò le spalle con indifferenza. — Io sono io, Lauren Walder, e sono contenta di essere quello che sono. Lei non è contento di essere quello che è? Il sorriso di Flinx svanì. — Non so ancora quello che sono. — Abbassò lo sguardo e fissò ingrugnito lo schermo rilevatore, concentrando la sua attenzione sui punti gialli in avvicinamento che indicavano la loro preda. Strano che un giovane come costui dica una cosa del genere, pensò la donna. La maggior parte degli individui avrebbero detto di non sapere chi
erano. Un lapsus linguae. Ma lasciò perdere l'argomento. La distanza fra gli inseguiti e gli inseguitori diminuì rapidamente sullo schermo. Non ci volle molto perché Flinx, lo sguardo fisso a prua, fosse in grado di gesticolare tutto eccitato, urlando: — Eccoli là! Lauren strizzò gli occhi ma vide soltanto acqua e nubi, poi abbassò lo sguardo sullo schermo: — Ha degli occhi incredibilmente acuti, Flinx. — È uno dei requisiti indispensabili per sopravvivere a Drallar — lui spiegò. Un attimo più tardi anche Lauren vide le fangomobili che correvano sfiorando le onde sempre dirette verso la sponda settentrionale. Nello stesso tempo, quelli a bordo delle fangomobili reagirono alla comparsa del catamarano inseguitore. Accelerarono, e per qualche istante scomparvero di nuovo alla loro vista. Lauren aumentò la velocità. Questa volta le fangomobili non poterono più distanziare la barca a getto. La donna annuì leggermente. — Proprio come pensavo. Motori standard da fangomobili, niente sorprese. Credo proprio che non ci nascondano niente. — Gettò un'occhiata ai suo compagno. — Pensa d'esser capace di guidare quest'affare per un po'? Flinx aveva passato tutta la mezz'ora precedente a studiare i comandi, oltre che le immagini sullo schermo. La strumentazione era più complessa di quella della sua fangomobile. E lui era abituato a guidare soprattutto sulla terraferma. — Penso di sì — disse ugualmente. Quello non era il momento di mostrarsi eccessivamente cauto. — Bene. — La donna scivolò fuori dal seggiolino del pilota e aspettò fino a quando Flinx non si fu sistemato al suo posto ed ebbe assunto la guida. — È molto sensibile — lo ammonì, indicando il comando del timone. — E alla velocità alla quale stiamo andando anche un leggero giro ci manderebbe a schizzare in tutt'altra direzione. Perciò faccia attenzione. — Me la caverò — lui l'assicurò. Percepiva le vibrazioni del motore attraverso il timone. Una sensazione esilarante. Un lampo di luce si levò d'un tratto dalle fangomobili in fuga, ma si dissipò ben presto lontano dalla prua dell'imbarcazione a getto. Flinx mantenne la distanza fra le fangomobili e il catamarano. Il lampo si ripeté, ma non fece più danni alla barca di quanti ne avrebbe fatti il raggio d'una torcia elettrica. — Non hanno armi a lunga gittata — mormorò Lauren. — Se le avessero, a quest'ora le avrebbero già usate. — Flinx vide che stava sollevando il fucile a dardi... un fucile alto quasi quanto lei. Lo sistemò sopra un suppor-
to e si curvò in avanti a sbirciare attraverso il complesso mirino telescopico. In quella posizione, l'arma assomigliava più a un piccolo cannone che a un fucile. Altri due lampi di luce furono sparati dalle fangomobili, futili stilettate contro l'imbarcazione che li inseguiva. — Riesco a vedere quegli individui — annunciò Lauren, continuando a scrutare attraverso il mirino. — Sembrano confusi. È comprensibile. Vedo soltanto armi portatili. Due di loro sembrano litigare. Non credo si aspettassero questo tipo d'inseguimento. — Non si aspettavano neppure di vedermi comparire in sala da pranzo — dichiarò Flinx, fiducioso. — Ci scommetto che sono confusi! La donna distolse per un attimo gli occhi dal mirino. — È davvero sicuro che non si aspettassero che lei li inseguisse? — Ne dubito. Altrimenti non sarei mai arrivato tanto vicino a loro. La donna ebbe un breve borbottio di commento e riportò gli occhi sul mirino. — A questa distanza posso centrargli i denti. — Mosse leggermente il fucile. — Non faccia ballare il catamarano, per favore. — Schiacciò il pulsante che si trovava al posto del regolamentare grilletto. Il fucile esalò un pfut! e qualcosa di minuscolo ed esplosivo schizzò fuori dalla sua bocca. — Colpo di avvertimento — spiegò Lauren a Flinx. — Ecco... qualcuno sta estraendo il dardo. L'ho piazzato sul dorso del seggiolino del pilota. Adesso gli si stanno raccogliendo intorno per studiarlo... eccetto il guidatore, naturalmente. Adesso si sono tutti voltati a guardare verso di noi. Uno di loro tiene due mani su una vecchietta. È tua madre? — Ne sono sicuro — fece Flinx con voce tesa. — Sta dando del filo da torcere all'individuo che la trattiene, sta cercando di morderlo, di tirargli calci, anche se sembra che abbia le caviglie legate. — È lei senza dubbio. — Flinx non riuscì a reprimere un sogghigno. — Adesso, cosa stanno facendo? Lauren corrugò la fronte. — Uh, uhm... stanno sollevando una specie di schermo trasparente. Adesso, sopra il primo schermo hanno sollevato anche la normale cupola del veicolo. La cupola possiamo penetrarla. Ma non so se riusciremo a farlo con quella specie di schermo. Be', non è un problema. Si porti a babordo. — A babordo? — ripeté Flinx. — Alla sua sinistra — precisò la donna. — Gli passeremo avanti e gli taglieremo la strada. Forse, quando vedranno che non soltanto possiamo
raggiungerli ma anche descrivere dei cerchi intorno a loro, saranno disposti ad ascoltare la voce della ragione. Obbediente, Flinx ruotò il timone alla sua sinistra e sentì il catamarano che reagiva all'istante. — Benissimo, e adesso ritorni verso tribor... alla sua destra, non troppo rapidamente. L'imbarcazione lasciò un'ampia scia di schiuma a questa manovra. D'un tratto, tutto cambiò. Un nuovo suono, un nuovo sordo ronzio, divenne udibile. — Maledizione! — esclamò Lauren, con rabbia e delusione indicando verso l'alto. Lo sguardo di Flinx balzò verso le nuvole. Il fluttuante che era sbucato dall'orizzonte settentrionale era di dimensioni piuttosto grosse; era senz'altro grande abbastanza da contenere un proprio equipaggio oltre agli occupanti delle due fangomobili. Se c'era ancora qualche dubbio sulle intenzioni del fluttuante, questo venne ben presto eliminato quando il versatile velivolo scese rapidamente, compì una prima curva e si dispose sopra la prima fangomobile cercando di uguagliare la velocità del veicolo più piccolo. — Se salgono a bordo lassù, li perderemo per sempre — esclamò Flinx preoccupato. — Non potremmo colpirli man mano cercano di trasbordare? — Già l'equipaggio del fluttuante aveva eguagliato la velocità della fangomobile e stava srotolando una scaletta flessibile verso l'acqua. Lauren tornò a curvarsi sopra il fucile. Le sue dita esitarono sopra il pulsante; poi, inaspettatamente, si tirò indietro e picchiò con rabbia sul calcio del fucile. — Bella gente. Tengono sua madre vicino alla base della scaletta. Non posso sparare senza rischiare di colpirla. — Cosa facciamo? Non possiamo continuare a girargli intorno così! — Come faccio a saperlo? — La donna abbandonò il fucile e corse vero l'armadietto nel mezzo dell'imbarcazione che fungeva da magazzino. — Fangomobili, pistole paralizzanti, rapimento, e adesso un fluttuante inviato dal nord. Ma chi è mai questa gente? — Non lo so — sbottò Flinx di rimando. — Gliel'ho già detto che non capisco niente di tutto questo. — Esitò, cercando insieme di guardarla e di manovrare in modo che la barca a getto continuasse a girare intorno alle fangomobili che stavano ancora marciando e al fluttuante che si librava sopra di esse. — Cosa faremo adesso? Il congegno che Lauren aveva estratto dall'armadietto era lungo quanto il fucile a dardi ma assai più stretto. — Quando darò l'ordine — disse con
voce tesa, — voglio che lei gli si precipiti addosso, salvo farsi da parte all'ultimo momento. Non credo che si aspettino che tentiamo di speronarli. Sono troppo impegnati a trasferirsi sul fluttuante. — Cosa ha in mente di tentare? — chiese Flinx, incuriosito. — Paralizzare il fluttuante? — Con un fucile a dardi? Vuole scherzare? — sbuffò la donna. — Faccia come le ho detto e basta. — Fintanto che quanto dice continuerà ad avere senso — concordò Flinx, un po' seccato dal suo tono. — Sta sprecando tempo. Lo faccia! Flinx diede un'energica virata al timone. Il catamarano ruotò sulla superficie del lago con tanta violenza che lo scafo di babordo si sollevò fuori dell'acqua. Entro pochi istanti si trovarono a filare contro la fangomobile e il fluttuante che si librava sopra di essa. L'attività su entrambi gli apparecchi s'intensificò notevolmente quando fu chiaro che il catamarano stava puntando dritto contro di essi. Come Lauren aveva sospettato, l'ultima cosa che i loro avversari si erano aspettati era un attacco frontale in piena regola. Un paio di colpi passarono dietro al catamarano che avanzava come un turbine, sparati in fretta e mal mirati. — Tutta a babordo! — urlò Lauren sopra il rombo del motore. Gli individui a bordo della fangomobile si erano raggomitolati su se stessi in previsione d'una collisione. Flinx gravò sul timone con tutto il suo peso. Col motore che urlava, il catamarano girò a sinistra, facendo quasi affogare quelli che avevano cominciato ad arrampicarsi su per la scaletta verso il fluttuante. Lauren doveva aver spaiato almeno una volta, pensò Flinx mentre il catamarano si allontanava sfrecciando. Ruotò il timone e descrivendo un ampio arco tornò a puntare verso il bersaglio. Con sua sorpresa, la donna ripose nell'armadietto la sua arma dall'insolito aspetto e tornò accanto al fucile a dardi appoggiato al suo supporto. — Adesso torniamo all'attacco e spariamo i nostri colpi migliori — dichiarò. — Un fucile a un solo colpo? — mormorò Flinx. — Non ho neppure udito lo sparo. Era quello lo scopo della nostra carica da folli? — insisté, lottando con il timone. — Quella carica era la nostra assicurazione, Flinx. — Lauren gli indicò l'armadietto in cui aveva riposto l'arma sottile. — Quel fucile è un marchiatore. Noi di solito lo usiamo per aiutarci a rintracciare i pesci feriti che hanno lacerato le nostre reti. — Gli indicò il fluttuante con un cenno del
capo. — Credo di averlo colpito due volte. Quel fucile spara capsule che contengono una gelatina altamente sensibilizzata. È un legante epossidico che aderisce a qualunque cosa al solo contatto, e non è solubile in acqua. Fintanto che non penseranno di controllare il ventre del loro fluttuante alla ricerca di eventuali danni, e non c'è motivo che lo facciano poiché il velivolo funziona perfettamente, non vedranno mai la gelatina. Tanto più che è trasparente. Adesso potremo seguirli. — Certamente non con questa imbarcazione. — No. Ma abbiamo un fluttuante al padiglione. Ci sarebbe voluto troppo tempo per prepararlo, altrimenti adesso saremmo a bordo di quello invece che di questa barca. Quanto vorrei che lo fossimo! Tuttavia non c'era nessun motivo di aspettarsi che un fluttuante si facesse vivo all'improvviso in loro aiuto. — Gli indicò con un gesto la fangomobile, poi riprese: — Fintanto che non ci distaccheranno troppo, saremo sempre in grado di seguirli... proprio come abbiamo fatto finora con questo catamarano. Ma se riuscissimo a fargli del male già adesso... — Guardò un'altra volta attraverso il mirino telescopico. — Ah, hanno trasportato su sua madre con un paranco. Legata mani e piedi. Sono certa che non gli ha reso la vita facile. — Non è il tipo — rispose Flinx in tono affettuoso. — Tiro libero, adesso — disse a sua volta Lauren con voce deliziata. Un fortissimo «bip» scaturì dall'unità rivelatrice. — Cos'è stato? — fece Flinx, rivolgendo un'occhiata perplessa al congegno. Lauren lanciò un'imprecazione e si staccò dal fucile. Una rapida occhiata allo schermo, e Flinx si trovò scaraventato fuori dal seggiolino del pilota senza tante cerimonie. Cadde sul ponte con un duro colpo al fondo della schiena. — Ehi, cos'è...? Ma Lauren non lo stava ascoltando. Si era aggrappata al timone e lo stava ruotando con violenza a tribordo. Flinx si afferrò freneticamente a qualcosa mentre il catamarano s'ingavonava, piegandosi mostruosamente sul fianco col rischio di capovolgersi. Riuscì giusto a vedere lo scafo di babordo che si sollevava al di sopra della superficie del lago mentre qualcosa d'immenso e colorato d'argento sui fianchi erompeva fuori dall'acqua azzurra. X
Fracasso e urla giunsero dalle fangomobili e dal fluttuante. Una violenta ondata quasi colse in pieno l'imbarcazione a getto: soltanto l'abilità e l'esperienza di Lauren riuscirono a tenerla a galla. Flinx vide una sterminata dorsale argentea chiazzata di macchie dorate che risplendevano alla diffusa luminosità del giorno. Pareva un flauto gigantesco emerso da sotto le onde, e trasformò in un arcobaleno il diffuso bagliore solare. Poi scomparve, non si cristallizzò lì per sempre come Flinx aveva pensato. Il violento rigurgito scosse violentemente il catamarano un'altra volta quando il mostro s'immerse. Flinx si tirò su con uno sforzo là dove avrebbe potuto sbirciare sopra l'orlo del compartimento della cabina. Le due fangomobili erano completamente scomparse, risucchiate giù in un singolo boccone da qualunque cosa fosse quella creatura materializzatasi dagli abissi del lago. E soltanto per un soffio il fluttuante non aveva seguito le fangomobili nel grande golfo di quella bocca. Si librava sopra il tratto di lago turbinante e schiumoso, dove gli altri apparecchi si erano trovati solo un istante prima. Poi, qualcuno all'interno del fluttuante dovette prendere una decisione giacché il velivolo si sollevò di un'altra ventina di metri verso le nubi e accelerò fulmineamente verso nord. — Se ne stanno andando! — urlò Flinx. — Dobbiamo tornar subito al padiglione, prendere il fluttuante di cui ha parlato, e affrettarci a seguirli prima che... — Prima dobbiamo uscir vivi di qui. — Lauren fece seguire alla sua dichiarazione un'altra imprecazione mentre le sue mani forzavano il timone. La montagna d'argento tornò a sollevarsi dal lago subito a tribordo del catamarano. Flinx ebbe lo sgraditissimo privilegio di contemplare l'interno d'un paio di fauci grandi abbastanza da ingoiare parecchie fangomobili in un sol boccone. O catamarani. Le mascelle tornarono a chiudersi, mandando ad abbattersi sulla falchetta un enorme getto schiumoso. Il mostro era così vicino che Flinx poté odorarne l'orrendo alito. Poi il colossale pesce riaffiorò nell'acqua ribollente dietro il catamarano. Qualcosa si mosse sulla sua spalla. Sollevò prontamente la mano per afferrare la piccola forma muscolosa che si stava srotolando. — No, Pip! Stai calmo... questo è troppo grosso, perfino per te. — Il serpente alato lottò per un attimo prima di rilassarsi. Alzò e abbassò nervosamente la testa, tuttavia, percependo una grave minaccia non soltanto per il suo padrone, ma per lui stesso. Comunque, rispose alla pressione delle dita di Flinx che lo trattenevano e restò dove si trovava.
Il penestral, il pesce colossale, colpì, frustando con rabbia il punto in cui il catamarano si era trovato solo pochi istanti prima. Grazie al rilevatore che aveva tempestivamente avvisato Lauren dell'avvicinarsi di quell'incubo, furono in grado di evitare i suoi attacchi impetuosi. — Non possiamo andare avanti così — commentò infine Lauren. — Continuerà a girarci intorno finché non commetterò un errore. E poi ci prenderà, allo stesso modo in cui ha preso quegli sciagurati rimasti in trappola su quelle fangomobili. — Studiò con molta attenzione il rilevatore. — Adesso ci sta girando intorno, cercando d'impedirci di raggiungere le acque basse e la sponda. Lasceremo che si convinca che siamo diretti da quella parte. Poi faremo dietro-front, tornando a dirigerci verso l'acqua alta. — Perché La donna ignorò la sua domanda. — Non le importava quando l'ho spinta via dal seggiolino del pilota pochi minuti fa, vero? Ecco, il timone è di nuovo tutto suo. — La donna abbassò un braccio e in parte lo tirò, in parte lo guidò sul seggiolino del pilota. — Basta così. — Lauren girò il timone, virando completamente di bordo; la barca parve quasi ruotare sul suo asse. Flinx afferrò il timone. — Adesso c'inseguirà apertamente, invece di aspettarci al varco da sotto, e cercherà di colpirci da poppa. Continui a dirigere verso il centro del lago e mi faccia sapere quando il segnale sta per toccare quel cerchio graduato interno. — Gli indicò il punto luminoso sullo schermo, che si stava avvicinando al catamarano da dietro. — Ma non dovremmo...? Non lo stava ascoltando mentre si dirigeva verso le due strutture a forma di gru che sporgevano sul lato posteriore dell'imbarcazione. Si sedette dietro una di queste, la fece ruotare verso l'esterno cosicché il braccio metallico fosse sospeso, libero, sopra l'acqua. Poi controllò i comandi. — Quando glielo dirò — gli gridò Lauren sopra il rombo del motore e il rigurgito delle ondate, — si porti tutto a babordo. Vale a dire a sinistra. — Si, me lo ricordo — rispose Flinx. La sua attenzione era inchiodata al rilevatore. — È tremendamente vicino. — Bene. — La donna con molta attenzione prese posizione sul sedile e schiacciò un pulsante. Delle braccia flessibili si chiusero di scatto alla sua vita e ai fianchi, sulle spalle e sulle gambe. In tal modo si trovò inchiodata al sedile in una sorta di bozzolo a strisce. — Tremendamente vicino — ripeté Flinx.
— Non sono ancora pronta — mormorò la donna. — Un pescatore dev'essere paziente. — L'acqua a poppa cominciò a ribollire, una perturbazione assai più diffusa di quella che poteva venir prodotta da una pura e semplice imbarcazione. — Adesso! — gridò. Flinx ruotò di scatto il timone a sinistra. Nel medesimo istante la superficie del lago esplose dietro di loro. Con entrambe le mani sul timone, non c'era niente che Flinx potesse fare, fuorché gridare, mentre Pip lasciava il suo posatoio e si lanciava nell'aria. Un'esplosione soffocata echeggiò a poppa, e un attimo più tardi fu raggiunto dal rumore del tonfo dell'arpione che colpiva il penestral appena sotto una delle pinne simili ad ali che proteggevano le sue branchie. Il mostro in elevazione proiettò tutt'intorno cascate d'acqua dal punto in cui il catamarano si era trovato prima che Flinx lo facesse filar via, urlante, con quella virata tutta a destra. Un lontano cramp raggiunse la superficie quando la carica a scoppio ritardato dell'arpione esplose dentro le interiora del penestral. Il cavo multiplo si srotolava da un tamburo all'interno dello scafo, uno strato di gel eliminava il pericoloso formarsi di calore là dove il cavo sfregava il ponte. — Spenga il motore — giunse l'ordine da poppa. — Ma allora non avremo nessuna... — cominciò a protestare Flinx. — Lo faccia — ribadì la donna. Flinx sospirò. Lui non era un buon nuotatore. Tirò indietro l'acceleratore fino a quando la loro velocità non fu ridotta a zero. Il motore andò in folle, il catamarano cominciò a muoversi in senso inverso. Gli scafi gemelli erano appuntiti a poppa come a prua, e la barca si mosse senza difficoltà nell'acqua mentre veniva rimorchiata all'indietro. Il cavo multiplo rallentò la velocità di srotolamento che fino a quell'istante ne aveva fatto una macchia confusa, al punto che Flinx fu in grado di contare i contrassegni delle distanze mentre scorreva giù dalla barca. Nel frattempo Lauren aveva ricaricato il cannone e stava studiando attentamente la superficie. La donna gli gridò: — Dov'è il penestral? — Si sta ancora muovendo davanti a noi, ma credo che stia rallentando. — C'è da aspettarselo. Tenga la mano sull'acceleratore e sul timone. — Rallenta ancora — l'informò Flinx. — Rallenta, rallenta... non riesco più a vederlo. Credo che sia sotto la barca! — Via! — urlò la donna. Ma a quel punto non c'era più bisogno di dire a Flinx quello che doveva fare; aveva già spinto in avanti al massimo il comando dell'acceleratore. L'imbarcazione a getto ruggì, schizzando via at-
traverso il lago. Un istante più tardi un nuovo geyser proruppe dietro a loro mentre il penestral cercava d'inghiottire il cielo. Flinx sentì il cannone che sparava il secondo arpione. Questa volta il penestral fu colpito subito dietro un occhio (simile a un cristallo grande come lo specchio d'un telescopio). Ricadde dentro l'acqua come una scena in tre-D fatta scorrere alla rovescia, sollevando gigantesche onde sulle quali il catamarano in ritirata cavalcava senza difficoltà. Le onde erano pareggiate in frequenza, se non in intensità, dalle palpitazioni allo stomaco di Flinx. Questa volta il pesce non riaffondò negli abissi. Rimase in superficie sferzando convulsamente l'acqua. — Riportaci indietro girando intorno — ordinò Lauren a Flinx. Sudava profusamente mentre caricava il cannone ad arpioni per la terza volta. Soltanto il sistema di caricamento automatico faceva sì che fosse possibile per una singola persona maneggiare la pesante asta metallica e la sua carica esplosiva. Questo terzo arpione era lettermente più piccolo e più sottile dei due che l'avevano preceduto. Mentre il catamarano tornava a virare verso il penestral, Flinx sentì l'arma sparare di nuovo. Passarono parecchi minuti. Il penestral smise di lottare e cominciò ad affondare. Lauren toccò un altro pulsante. Si udì un ronzio quando un compressore all'interno del catamarano prese a funzionare, pompando aria attraverso il cavo di plastica che correva fino all'asta cava dell'ultimo arpione. La donna si liberò dai bracci flessibili che la tenevano imprigionata al seggiolino e cominciò a sorvegliare il riavvolgimento del cavo che avrebbe tirato sotto bordo quella preda colossale. — L'aria lo farà galleggiare per giorni — commentò con calma, scambiandosi ancora una volta di posto con Flinx. — Perché darsi tanta pena? — Flinx fissò quella montagna dai fianchi argentei che si stava gonfiando e veniva trainata al fianco del catamarano. — Potresti aver ragione, non è poi un gran pesce. Scommetto che non è più lungo di quindici metri. — Flinx la guardò a bocca spalancata. — Ma c'è gente affamata a Kaslin e nelle altre città a sud del lago, e il penestral rappresenta un buon cibo. È carne di pesce magra, non grassa. Ne faranno buon uso. Quello che non mangeranno, lo lavoreranno per rivenderlo ancora più a sud. Buona parte del ricavato andrà al padiglione. «Inoltre abbiamo degli ospiti che alloggiano da noi e vengono regolarmente al Patra, due volte all'anno per molti anni, e che in tutto questo tempo non hanno mai visto niente di più grande d'un pesciolino da cinque me-
tri. La prima volta che lei viene qui... e ha già partecipato a una partita di pesca. Dovrebbe sentirsi orgoglioso. — Non l'ho catturato io — si affrettò a correggerla Flinx. — È stata lei. — Mi spiace, da queste parti la modestia non è permessa. Catturare anche soltanto un penestral costituisce uno sforzo in cooperazione. Saper schivare un penestral è importante quanto sparargli col cannone. Altrimenti saremmo noi a finire sulla sua parete dei trofei. — Puntò un pollice verso la massa gonfia adesso assicurata al fianco del catamarano. Un peso si adagiò con delicatezza sulla spalla sinistra di Flinx. — Avevo sperato che non ti fosse venuto in mente di andare ad attaccarlo — disse al minidrago, mentre questi gli avvolgeva intorno al braccio le sue spire multiple. — Fa piacere constatare che hai qualche istinto di autoconservazione. — Il serpente volante lo fissò incuriosito, poi chiuse gli occhi e si rilassò. Flinx ispezionò quanto poteva vedere del penestral, mentre l'imbarcazione a getto tornava a dirigersi verso la sponda sud. — Quella gente delle fangomobili... non aveva una sola possibilità di cavarsela. — Non avranno neppure saputo cosa li ha colpiti — convenne Lauren. — Sono sicura che non avevano a bordo nessun apparecchio rilevatore. Non ne avevano il motivo. Ma se il nostro rilevatore fosse stato guasto, avremmo fatto compagnia alle fangomobili nel ventre del penestral Per lo meno una morte veloce, pensò Flinx. La morte era una visitatrice frequente per gli sprovveduti che osavano bazzicare nel mercato di Drallar, perciò la cosa non gli era estranea. Il pensiero della morte gli ricordò Mamma Mastino. La sua insistenza nell'inseguirli avrebbe fatto decidere ai suoi rapitori che non valeva più la pena tenere la vecchia? Cosa potevano avere in mente per lei, adesso che la sua presenza aveva finito per causare la morte a un certo numero di loro? Decise che certamente non l'avrebbero uccisa sui due piedi. Si erano già dati tanta pena con lei... Ma questo pensiero lo fece sentire ancora più preoccupato. Eccitata dalla lotta appena conclusa, la voce di Lauren suonò un po' acuta e fremente. Sì, aveva dei buoni motivi per essere col fiato corto, pensò Flinx. — Flinx, uno di questi giorni, dopo che avremo concluso questa faccenda, dovrà tornare quassù. La condurrò al lago Hozingar oppure all'Utuhuku. Quelli sì che sono laghi di rispettabili dimensioni, e ospitano pesci davvero grossi. Non come il nostro povero, piccolo Patra. Sull'Hozingar potrà conoscere l'autentico significato dell'appellativo Azzurro-che-
Accieca. Flinx contemplò l'immensa carcassa fissata al fianco del catamarano, confrontandola con le ultime parole di Lauren. — So che ci sono laghi più grandi di questo, ma non avrei mai creduto che ci fossero penestral ancora più grandi. — Oh, il penestral è un predatore di mezza tacca — replicò la donna. — Sull'Hozingar non si va per pescare il penestral. Si pesca l'oboweir. — E cos'è un oboweir? — chiese Flinx. — Un pesce che si nutre abitualmente di penestral. — Oh — disse Flinx, e ammutolì. Si sforzò invano di dilatare la sua immaginazione fino a creare un'immagine della creatura che Lauren aveva evocato. Una folla numerosa era in attesa per accoglierli, quando attraccarono al molo del padiglione. Lauren aveva ormeggiato il penestral gonfiato a una boa situata nelle vicinanze. La carcassa era troppo impregnata d'acqua per esser subito portata a terra. Flinx sgusciò tra gli ospiti osannanti, lasciando che fosse Lauren a rispondere alle domande. Parecchi dei suoi dipendenti lottarono per aprirsi la strada fino a lei, aggiungendo altre domande. Alla fine, la folla cominciò a disperdersi, alcuni per far ritorno alle proprie stanze, altri per restare a guardare, a bocca spalancata, il pesce che galleggiava pigramente sulla superficie del lago. Flinx, con un sospiro di sollievo, si lasciò infine crollare su una poltrona della veranda intorno all'edificio principale. — Quanto vuole per l'uso del fluttuante e del rilevatore? — chiese a Lauren quando questa fu infine in grado di raggiungerlo. — E sarà anche necessario che mi mostri come usarlo, naturalmente. Lei lo fissò corrugando la fronte. — Non sono sicura di capire quanto dice, Flinx. — Gliel'ho detto, continuo a inseguirli. Lei me l'ha reso possibile, ed io gliene sono molto grato. La donna lo fissò pensierosa. — La direzione si metterà a urlare quando scopriranno che ho tirato fuori il fluttuante per uso personale. Sono macchine assai più costose d'un catamarano a getto o d'una fangomobile. Dovremo fare molta attenzione a non danneggiarlo. Flinx non l'ascoltava ancora, la sua mente brulicava di progetti per inseguire i rapitori. — Non so come potrò ripagarla per tutto questo, Lauren.
— Non si preoccupi. La parte di guadagno che spetta al padiglione per la vendita del penestral dovrebbe coprire tutte le spese. Su, si tolga da quella sedia insieme al suo serpente. Dobbiamo attrezzarci. Di solito il fluttuante viene usato per dei brevi tragitti fra qui e Attock. È la che andiamo a prelevare i nostri ospiti. Dovremo immagazzinare un po' di cibo, naturalmente, e voglio accertarmi che il motore sia caricato al massimo. E se non mi prenderò dieci minuti per pettinarmi, morirò. — Diede uno strattone alla capigliatura aggrovigliata dal vento del lago. — Un momento. — Toccò a Flinx, adesso, alzarsi di scatto dalla poltrona e allungare una mano per trattenere la donna. — Credo che lei abbia capito male. Non vorrà dire, per caso, che intende venire con me? — Lei non sa come usare le apparecchiature di rilevamento — gli fece notare Lauren. — Non mi sarà difficile impararlo — le garantì Flinx, fiducioso. — Non mi ci è voluto molto a capire la manovra del catamarano, no? — Lei non conosce il paese. — Non m'interessa il paese — ribatté Flinx. — Non sto partendo per una gita turistica. È a questo che serve il rilevatore, no? Mi presti tutto ciò che è necessario. In qualche modo la ripagherò. Mi lasci il rilevatore e mi dia un rifornimento d'energia per la mia fangomobile, se è preoccupata per il fluttuante. — Lei sta dimenticando i miei wervil. Inoltre, non può inseguire un fluttuante con una fangomobile. Cosa potrebbe fare, se dovesse imbattersi in un canyon? — Non vorrà certo rinunciare al suo lavoro, qui — obbiettò Flinx, tentando un diverso approccio, — soltanto per tentar di vendicare la morte d'un paio di animaletti che le erano cari? — Gliel'ho detto, i wervil sono una specie minacciata, su Falena. E le ho anche detto ciò che provo per gli animali. — Lo so — protestò Flinx, — ma questo non vuol dire che... La donna interruppe le sue proteste allungando una mano per scompigliargli i capelli. — Sa, lei mi ricorda un altro wervil che ho curato una volta, anche se non aveva un pelo splendente quanto il suo. Abbastanza uguale, comunque. — Tacque, poi riprese in tono più serio: — Flinx, non mi piace quella gente, chiunque essi siano. Non mi piacciono per quello che le hanno fatto, e non mi piacciono per quello che hanno fatto a me. Proprio per questo, aiuterò lei oltre ad aiutare me stessa. Giacché li inseguirei lo stesso, anche se lei non ci fosse, per Sennar e Soba.
«Non si sforzi di rifiutare un po' d'aiuto che le fa molto comodo e non mi propini quell'arcaica sciocchezza che non mi vuole con lei perché sono una donna. — Oh, non si preoccupi — replicò Flinx con vivacità. — L'ultima cosa che tenterei d'infliggerle sarebbero proprio quelle sciocchezze arcaiche. Questo la fece esitare per un attimo, incerta se stesse scherzando o meno. — Ad ogni modo — aggiunse Lauren, — se non potrò venire (ma non sarà lei a impedirmelo) allora non potrà andare neppure lei. Giacché io sono la sola che abbia accesso al fluttuante. Flinx non ebbe difficoltà ad arrendersi. — Non ho tempo di discutere con lei. — E anche il buon senso di non farlo, credo. Ma ha ragione, per quanto riguarda il tempo. Il rilevatore dovrebbe individuare subito il gel sensibile sotto il loro fluttuante, ma non spingiamo troppo al limite la nostra fortuna. Non so che razza di fluttuante usassero. Non ne avevo mai visto prima uno simile, così non ho nessuna idea se sia più veloce del normale. Andiamo insieme, allora? — Insieme. Ma a due condizioni, Lauren. Ancora una volta la donna lo guardò corrugando la fronte. Proprio quand'era convinta di poter prevedere le sue azioni, quel ragazzo tornava a far qualcosa che la coglieva di sorpresa. — Le dica, allora. — Primo: che Pip continui a tollerarla. — Accarezzò con affetto la nuca del serpente volante, che sollevò la testa deliziato da quelle attenzioni. — Vede, anch'io provo intensi sentimenti nei confronti degli animali. — E l'altra condizione? — insisté la donna. — Semmai dovesse toccarmi di nuovo i capelli in quel modo, sarà meglio si prepari a ricevere un calcio nel suo adorabile sedere che la spedirà dritta al polo. Le vecchie signore mi hanno riservato questo trattamento sin da quando riesco a ricordare, e ne ho le scatole piene! Lauren lo guardò, sogghignando. — Affare fatto, allora. Sono contenta che il suo serpente non sia ipersensibile quanto lei. Andiamo. Devo lasciare un messaggio per i miei superiori nel caso in cui mi chiamino e vogliano sapere non soltanto dov'è il loro fluttuante, ma anche il direttore del loro padiglione. Quando informò il vicedirettore del padiglione, costui mostrò un vivo turbamento. — Ma cosa dirò a Kilkenny, se chiamerà da Attok? E se avesse degli ospiti da mandar su? — Non aspettiamo nessuno per un'altra settimana, e lo sai, Sal. Digli
quello che vuoi. — Stava sistemando degli oggetti dentro uno zainetto, mentre parlava. — No, digli che sono andata a soccorrere un viaggiatore in difficoltà in mezzo al lago. È una scusa accettabile in qualunque circostanza. Il vicedirettore guardò Flinx che aspettava con impazienza, tenendo stretto Pip sotto la mascella e tenendo lo sguardo fisso verso il lago. — A me non pare granché in difficoltà. — La sua difficoltà è ben nascosta — ribatté Lauren. — Il che è più di quanto si possa dire per te, Sal. Sono sorpresa di te. Torneremo molto presto. — Uh-uhm. È soltanto che non so dir bene le bugie, Lauren. Lo sai. — Fai del tuo meglio. — Lo gratificò d'un affettuoso buffetto sulla guancia. — E non ti sto mentendo... è davvero nei guai. — Ma il fluttuante, Lauren. — Hai sempre le fangomobili del padiglione, e il catamarano. Salvo una qualche impensabile catastrofe, non vedo per quale ragione dovresti aver bisogno del fluttuante. È qui soltanto per venir usato in caso di emergenza. Secondo me — indicò Flinx con un gesto della mano, — questa è un'emergenza. Il vicedirettore misurò un calcio a un sasso invisibile. — Sei tu che rischi il collo... — Sì. Il mio collo. — Supponi che mi chiedano da che parte sei andata? — Digli che ero diretta... — Un colpo di tosse l'interruppe. Girò lo sguardo su Flinx e lentamente annuì. — Digli che dovevo attraversare il Patra. — Ma da che parte? — Fino alla riva opposta, Sal. — Oh, d'accordo, ho capito. Hai le tue buone ragioni per farlo, immagino. — Immagino di averle, sì. E se dovessi sbagliarmi... be', tu non hai sempre desiderato d'essere il direttore, Sal? — Ehi, aspetta un momento, Lauren. Io non ho mai detto che... — Fai il meglio che puoi per me — lo ammonì la donna, con gentilezza. — Tutto questo significa molto per me. — Ti aspetti davvero di tornare presto? — Dipende da come andranno le cose. Ci vediamo, Sal. — Prenditi cura di te, Lauren. — La seguì con lo sguardo mentre rag-
giungeva quello strano giovane, poi scrollò le spalle e cominciò a salire i gradini del padiglione. Come Lauren aveva tenuto a precisare, era il suo collo. Non ci volle molto per controllare che il fluttuante fosse in ordine. Flinx salì a bordo e ammirò quel razionale velivolo. Quasi per la prima volta da quando aveva lasciato Drallar, avrebbe potuto viaggiare completamente libero dai continui ostacoli che l'avevano rallentato, quali i macigni avvolti nella nebbia e gli alberi torreggianti. Il corpo dell'apparecchio era fatto di resina nera. Era grande abbastanza da accogliere una dozzina di passeggeri oltre all'equipaggio. C'erano le scorte di emergenza standard, ma Lauren vi aggiunse altri viveri e medicinali. Presero con loro anche il fucile a dardi, con parecchi caricatori, e un sonar portatile. Flinx studiò lo schermo del rilevatore e un singolo punto in movimento che si spostava verso nord-ovest attraverso la trasparenza. Una serie di anelli concentrici di calibrazione riempivano lo schermo circolare. Il punto che rappresentava la loro preda aveva quasi raggiunto l'anello più esterno. — Fra poco usciranno del tutto dallo schermo — mormorò a Lauren. — Non si preoccupi. Sono sicuro che a quest'ora sono convinti di averci perso. — Stanno zigzagando sullo schermo — osservò ancora Flinx. — Non vogliono correre rischi. Non serve a niente, però, se la tua traccia compare su un rilevatore. Ma... ha ragione. Faremo meglio a muoverci. Scivolò sul seggiolino del pilota e azionò i comandi. Il gemito del motore del fluttuante soffocò il lieve ronzio del rilevatore quando l'apparecchio si sollevò di parecchi metri. Lauren lo tenne sospeso in quella posizione mentre completava il controllo della strumentazione, poi fece ruotare il velivolo su un asse invisibile e lo guidò fuori dall'hangar. Un tocco all'interruttore di quota fece salire a dieci, a venti, a trenta metri nell'aria il fluttuante sopra il padiglione. Un altro tocco dell'acceleratore, e l'apparecchio sfrecciò verso la spiaggia. Malgrado il calore generato dal sistema di riscaldamento della cabina, Flinx sentiva ancora freddo mentre fissava cocciutamente lo schermo. — Le ho detto di non preoccuparsi — disse Lauren quand'ebbe dato un'occhiata alla sua espressione mentre superavano in volo la battigia. — Li acchiapperemo. — Non è questo. — Flinx sbirciò attraverso la calotta trasparente della cabina. — Stavo pensando a cose... che potrebbero acchiappare noi. — Non ho ancora visto un penestral capace di acchiappare al volo un
oggetto volante che si muova alla nostra velocità, a trenta metri dalla superficie del lago. Un oboweir potrebbe anche riuscirci, ma non ce ne sono nel lago Patra. Per lo meno, non ho mai sentito dire che ce ne siano. Tuttavia, l'attenzione e i pensieri di Flinx rimasero divisi in parti uguali fra l'orizzonte davanti a loro e le acque potenzialmente mortali sottostanti. — Mi dicono che avete avuto dei guai, qui. Sal si rilassò sulla sedia in sala da pranzo e continuò a sorseggiare una tazza di toma caldo fissando i suoi visitatori. Erano arrivati con la loro fangomobile, il che li indicava subito come indipendenti oltre che ricchi. Se avesse giocato bene le sue carte, avrebbe potuto convincerli a passare qualche giorno al padiglione. C'erano ancora parecchi appartamenti di lusso ancora liberi, e se fosse riuscito a sistemare quella coppia in uno di essi, la cosa non avrebbe certo danneggiato il suo curriculum. Di solito, riusciva a distinguere un ultramondano dall'accento, ma non quei due. Scandivano chiaramente le parole, ma i loro fonemi erano amorfi. Questo lo lasciava perplesso. L'attività di routine era ripresa non appena Lauren e il suo caso pietoso se n'erano andati. Nessuno aveva chiamato da sud, né il direttore del distretto, né altri. Si sentiva assai soddisfatto. A meno che, naturalmente, la compagnia non avesse deciso d'inviare i propri investigatori invece di limitarsi a effettuare una chiamata di controllo. Questo pensiero l'indusse a fissare la donna corrugando la fronte. — Ehi, non sarete mica della Compagnia? — No — rispose il compagno della donna, sorridendo piacevolmente. — Cielo, no, niente del genere. Ci piace provare qualche emozione, è tutto. Se qualcosa d'insolito succede nella zona, finisce per stuzzicare la nostra curiosità, in un certo qual modo, se mi capisce. — Qui è stato ucciso un uomo, non è vero? — chiese la donna. — Be', sì... le cose si sono animate parecchio, qui, per un giorno. — Non si possono mai prevedere i gusti della gente, rifletté Sal. — Qualcuno è rimasto ucciso durante un combattimento. Non era un ospite — si affrettò ad aggiungere. — Proprio qui. Una bella mischia. — Mi saprebbe descrivere qualcuno di quelli coinvolti? — chiese la donna. — No davvero. Non sono neppure sicuro di quali fossero gli ospiti coinvolti, e quali semplici visitatori giornalieri. Non ho assistito di persona allo scontro, e quando sono arrivato la maggior parte di quelli coinvolti se n'e-
rano andati. La donna accolse le sue dichiarazioni con un cenno di disappunto del capo. — Per caso, era coinvolto un giovane, diciamo sui sedici anni? — Sì, l'ho visto. Capelli rosso-fiamma? — È lui — esclamò la donna. — Ehi, è pericoloso, o qualcosa del genere? — Il vicedirettore si sporse avanti dalla sedia, all'improvviso preoccupato. — Perché vuole saperlo? — chiese l'uomo. — Ma... il mio superiore, qui, la direttrice Lauren Walder, è partita con lui. — Con lui? — L'espressione gradevole che era rimasta finora dipinta sul volto della donna si cancellò all'improvviso, per essere sostituita da qualcosa di più duro. — Sì. Tre, forse quattro giorni fa, ormai. Non sono ancora del tutto sicuro del perché. Lauren mi ha detto soltanto che il giovane aveva un problema, e lei avrebbe cercato di aiutarlo. — Da che parte è andata la fangomobile? — domandò l'uomo. — A nord, attraverso il Patra — li informò Sal. — Ma non sono a bordo d'una fangomobile. Lauren ha preso il fluttuante del padiglione. — Un fluttuante! — La donna sollevò le mani in un gesto di frustrazione e si sedette pesantemente su una poltroncina davanti al vicedirettore. — Stiamo perdendo terreno — disse, rivolta al suo compagno, — invece di guadagnarne. Se li raggiunge prima di noi, potremmo perdere lui e il... — Il suo compagno tagliò l'aria con l'orlo della mano, e le parole della donna si persero in un indecifrabile borbottio. Quel gesto era stato rapido e in parte nascosto, ma Sal tuttavia l'aveva notato. — Adesso mi preoccupate davvero — dichiarò il vicedirettore alla coppia. — Se Lauren si è andata a cacciare in qualche guaio... — Sì, potrebbe trovarsi in un guaio — ammise l'uomo, soddisfatto che il vicedirettore avesse cambiato argomento. Sal rifletté per un attimo. — È in pericolo a causa della gente che ha combattuto qui, oppure del giovane dai capelli rossi? — Probabilmente a causa di entrambi. — L'uomo stava mentendo solo in parte. — Sarà meglio che ci dica tutto quello che sa. — L'ho già fatto — rispose Sal. — Ha detto che sono andati a nord, attraverso il lago. Non potrebbe essere un po' più specifico?
Sal parve impotente. — Lauren non è stata più specifica! — Potrebbero non aver proseguito in direzione nord. — No, infatti. Avete un rilevatore per seguire l'altro apparecchio? — chiese Sal. L'uomo scosse la testa. — Non credevamo di averne bisogno. Secondo le nostre ultime informazioni, il giovane con cui volevamo parlare stava viaggiando in sella a uno stupava. — Credo che sia arrivato qui alla guida di una fangomobile. La donna parve sorpresa e gratificò d'un mesto sorriso il suo compagno. — Non c'è da stupirsi se siamo rimasti indietro. È pieno di risorse, non è vero? — Troppo, per i miei gusti — mormorò l'uomo. — E forse sarà molto pericoloso per lui, mettere con le spalle al muro quelli che sappiamo. La donna sospirò profondamente, poi si alzò dalla poltroncina. — Be' qui abbiamo già sprecato troppo tempo. Ora dovremo per forza far ritorno a Pranbeth per procurarci un fluttuante e un'unità rilevatrice. A meno che tu non pensi che possiamo tentare di raggiungerli con la fangomobile. L'uomo se ne uscì in una secca risatina assai poco allegra. Poi si rivolse di nuovo al vicedirettore. — Grazie, amico. Ci è stato di aiuto. — Vorrei davvero esserlo stato di più — gli rispose Sal, ansioso. — Se dovesse succedere qualcosa a Lauren... Farete in modo che non le capiti nulla, vero? — Le prometto che faremo del nostro meglio — gli assicurò la donna. — Non vogliamo veder soffrire degli innocenti. Non vogliamo neppure che soffrano quelli che innocenti non sono. — Gli rivolse un ampio, materno sorriso, che per qualche motivo non servì affatto a far sentire meglio il nervosissimo vicedirettore. XI Il rilevatore ronzava sommesso, il singolo punto luminoso si stagliava con chiarezza sullo schermo mentre il fluttuante filava verso nord. Sfiorava le cime degli alberi più alti, più di ottanta metri sopra gli acquitrini e la melma che a stento avrebbero potuto esser definiti «terreno». Avevano attraversato il lago Patra e una striscia di terra asciutta per poi affrontare un lago assai più grande conosciuto come Tigranocerta e adesso incrociavano di nuovo sopra la foresta. Cadeva una pioggia fredda che schizzava sopra la calotta acrilica, una topografia in continuo cambiamento la quale oscu-
rava la maggior parte della visuale esterna. Gli strumenti del fluttuante mantenevano una velocità costante, a una distanza fissa, fra il velivolo e la preda in direzione nord. È terribilmente tranquillo, pensò Lauren Walder. Terribilmente tranquillo... e forse qualcos'altro. — No, non sono troppo giovane — disse Flinx nel silenzio che gravava sulla cabina, con un tono di voce un po' sulla difensiva. Lauren sollevò le sopracciglia. — Sai leggere il pensiero? Flinx le rispose con un timido sorriso: — No, non è questo. — Le sue dita accarezzarono la testa del minidrago che dormiva sopra la sua spalla. — È solo che a volte sento delle cose. Non pensieri, niente di così elaborato. Soltanto quello che prova la gente. — Sollevò lo sguardo su di lei. — Da quello che lei provava in questo momento, ho dedotto che stesse per dire qualcosa... di quel tipo. — Be', aveva ragione — confessò Lauren, chiedendosi quali conclusioni avrebbe dovuto trarre dal resto della sua dichiarazione. — Non lo sono, sa? — Quanti anni ha? — gli chiese la donna. — Sedici, a quanto ne so. Non posso esserne certo. Sedici, e stava per compierne sessanta, rifletté la donna con tristezza. Durante le sue rare visite a Frallar, aveva visto altre volte dei tipi come lui. Figli delle circostanze, allevati in strada ed educati dagli esempi sbagliati e dagli incidenti, anche se lui pareva esserne uscito meglio dei suoi simili. Il suo volto aveva l'impronta delle cognizioni che mancavano ai suoi più fortunati coetanei, ma questo non pareva averlo reso più cattivo o amareggiato. Tuttavia, Lauren sentiva che nel suo caso c'era qualcos'altro. — Quanti anni mi dà? — gli chiese Lauren, quasi distrattamente. Flinx si mordicchiò le labbra mentre la fissava. — Ventitré — disse poi senza esitazione. La donna ebbe un fugace sorriso e strinse le mani deliziata. — Così, sto aiutando un vendicativo diplomatico sedicenne! — Ebbe una breve risata, poi continuò a sorridere. — Mi parli di lei, Flinx. Era una domanda che nessun estraneo a Drallar avrebbe mai avuto l'impudenza di fare. Ma lì non si trovavano a Drallar, ricordò Flinx a se stesso. Inoltre, doveva qualcosa a quella donna. Così, le disse tutto quello che sapeva. Quand'ebbe finito il suo racconto, la donna continuò a fissarlo con sguardo grave, annuendo, come se le sue
parole non avessero fatto altro che confermare i sospetti che già l'agitavano. Diede un'occhiata al rilevatore per assicurarsi che stesse ancora funzionando alla perfezione, poi riportò lo sguardo su di lui. — Non ha avuto un'infanzia proprio agiata, vero? — Non saprei — rispose Flinx. — Posso fare dei confronti soltanto per sentito dire. — Accetti la mia parola: non l'ha avuta. Ed è anche riuscito a vivere con il resto dell'umanità... un'umanità che sembra non voglia aver niente a che fare con lei. Mentre io ho dovuto sempre schivare la maggior parte della gente che sembra bramare un sacco di cose da me. D'impulso Lauren si sporse dal seggiolino del pilota e lo baciò. All'ultimo istante Flinx si ritrasse, innervosito da una simile, insolita prossimità con un altro essere umano (soprattutto un membro attraente del sesso opposto) e il bacio, destinato alla sua guancia, finì invece sulle sue labbra. Questo spinse Lauren a tirarsi indietro di scatto. Ma il sorriso le era rimasto sul viso, e si limitò a sbattere le palpebre per la sorpresa. Dopotutto, era stato un incidente. — Mi prenda in parola anche su qualcos'altro, Flinx. Se si vive abbastanza a lungo, la vita migliora. — È una delle omelie della Chiesa? — Si chiese se Lauren non avesse un qualche emolliente per impedire che le labbra le bruciassero, perché le sue erano in fiamme. — No — rispose la donna. — È un'omelia di Lauren Walder. — Lieto di saperlo. A me la Chiesa non è mai servita granché. — Neppure a me. Né alla maggior parte della gente. È per questo che ha avuto molto successo, credo. — Puntò di nuovo lo sguardo sul rilevatore. — Cominciano a rallentare. Noi faremo lo stesso. — Pensa che ci abbiano avvistati? — D'un tratto non gl'importò più niente di quanto avrebbero deciso di fare gli individui sul fluttuante davanti a loro. Il fuoco gli si stava diffondendo dalle labbra alla bocca, scorrendogli giù nella gola, per disperdersi in tutto il suo corpo. Era un fuoco dolce e intenso. — Ne dubito — rispose la donna. — Scommetto che sono vicini alla loro destinazione. — Le sue mani si mossero veloci sopra i comandi. — Quale vantaggio hanno su di noi? — Flinx si sporse in avanti per scrutare lo schermo da sopra la sua spalla. Avrebbe potuto tenersi alla sua sinistra, ma fu d'un tratto cosciente del suo calore, del profumo dei suoi capelli. Fece molta attenzione a non toccarla. La donna eseguì alcuni rapidi calcoli, servendosi dell'estrapolatore. —
Un giorno o giù di lì. Non vogliamo tamponarli. Non c'è niente in questa parte del paese. Uno strano posto per fermarsi, ma d'altro canto tutta questa faccenda è strana, a giudicare da quello che mi ha raccontato. Perché portare fin quassù sua madre? Flinx non aveva nessuna risposta da darle. Scesero di quota finché il fluttuante prese ad alzarsi e ad abbassarsi di concerto con le cime degli alberi. La loro attenzione era talmente concentrata sui movimenti del punto luminoso nello schermo del rilevatore che nessuno dei due si accorse non soltanto che la pioggia era cessata, ma che si era aperto uno squarcio nella coltre di nubi. Sopra di loro una delle ali di Falena, l'anello interrotto che circondava il pianeta, brillava, vivido e gelido contro lo sfondo vellutato della notte. — Cosa la fa sentire tanto sicura che hanno intenzione di fermarsi qui e non semplicemente di rallentare un po'? — chiese Flinx a Lauren. — Perché un fluttuante funziona a batterie, proprio come una fangomobile. Deve ricordare che sono arrivati fin qui dal Patra. Anche la nostra batteria si sta esaurendo, e non stiamo facendo il tragitto di ritorno d'un giro turistico. Non so che modello abbiano, ma ho visto quant'era grosso. Non è possibile che abbiano ancora abbastanza energia per andare molto più in là del tratto percorso negli ultimi giorni. Dovranno senz'altro fermarsi da qualche parte per ricaricare, il che è senz'altro un bene. — Perché? — chiese Flinx. — Perché dovremo ricaricare anche noi. — Gli indicò un contatore. — Abbiamo consumato più di metà della nostra energia. Se non troveremo da ricaricare in qualche posto qui intorno, dovremo farci un bel po' di strada a piedi. Flinx la guardò con nuovo rispetto, sempre che fosse possibile. L'opinione che aveva di lei aveva già raggiunto altezze vertiginose. — Perché non mi ha avvertito quando ha raggiunto il punto del non ritorno? Lauren ebbe una leggera scrollata di spalle. — Perché? Abbiamo già dovuto affrontare un sacco di fastidi per arrivare fino a qui. Lei avrebbe potuto mettersi a discutere con me per convincermi a tornare indietro. — No — rispose Flinx con calma. — Non l'avrei fatto. — Infatti non lo pensavo. Lei è deciso a portare a termine questa faccenda, e pazzo almeno quanto deciso. Lauren lo fissò, e Flinx la fissò a sua volta. Non c'era bisogno di dire altro.
— Io voto per il no. Nyassa-lee era risoluta nel suo disaccordo. Sedeva su un lato del tavolo e fissava i suoi colleghi in attesa d'una risposta. Brora stava esaminandosi pensieroso le unghie della mano sinistra, mentre Haithness giocherellava con le proprie sopracciglia. — Ma insomma — mormorò l'alta donna nera alla sua compagna, — mostrare una simile riluttanza a questo stadio è estremamente scoraggiante, Nyassa-lee. — Le sue dita cessarono di tormentare le sopracciglia. — Potremmo non aver più la possibilità di manipolare un altro soggetto promettente come questo Numero Dodici. Il tempo e gli eventi cospirano contro di noi. Lo sai quanto me. — Lo so. — La donna di statura più bassa si sporse in avanti dalla sedia e fissò il pavimento tra le sue gambe. Fra i pannelli apparivano delle crepe. L'edificio era stato messo su in gran fretta. — Non sono convinto che valga la candela. — Quale candela? — volle sapere Haithness. — Non abbiamo ancora visto niente di simile a una dimostrazione di potere che possa minacciarci. Proprio il contrario, direi. E certamente il soggetto ha già avuto ogni occasione di esibire qualunque capacità del genere. È evidente che non ne possiede, altrimenti non c'è dubbio che le avrebbe impiegate contro di noi. Invece, cosa abbiamo visto? L'uso di un pugnale. — Il tono in cui lo disse fece apparire la cosa disgustosa oltre che primitiva. — Ha ragione, sapete. — Brora interloquiva di rado, preferendo che i due scienziati anziani mandassero avanti la maggior parte della discussione. Interveniva soltanto quando aveva piena fiducia nella sua opinione. — Non vogliamo un'altra ripetizione del caso della ragazza — disse Nyassa-lee. — La società non saprebbe reggere a un altro fallimento del genere. — Ed è proprio per questo che dobbiamo seguire quest'ultima occasione fino alla sua conclusione — insisté Haithness. — Non sappiamo se rappresenta davvero la nostra ultima occasione. — Oh, suvvia, Nyassa-lee. — Haithness spinse indietro la propria sedia e si alzò in piedi cominciando a camminare nervosamente avanti e indietro. Dietro di lei le luci brillavano d'un gelido verde e di azzurro sui quadri di comando messi frettolosamente insieme. — Anche se ci sono altri soggetti di pari potenziale là fuori, non abbiamo nessuna garanzia che qualcuno di noi vivrà ancora abbastanza a lungo per seguirli. — Su questo non discuto — dichiarò Nyassa-lee. — Né posso mettere in
discussione il fatto che il Numero Dodici sia una promessa, dal punto di vista statistico. Sono proprio quelle statistiche che mi fanno paura. — Ti fanno paura? — Haithness smise di camminare avanti e indietro e guardò la sua compagna di molti, durissimi anni. La donna alta di statura era sorpresa. Aveva visto Nyassa-lee maneggiare un'arma col sangue freddo e l'efficienza d'un qwarm. La paura le era sempre sembrata esserle aliena. — Ma perché? Non ha fatto niente che giustifichi una simile paura. — Oh, no? — Nyassa-lee enumerò le sue argomentazioni sulle dita di una mano: — Primo, il suo potenziale statistico è allarmante. Secondo, ha sedici anni, è sulla soglia della piena maturità. Terzo, potrebbe arrivarci in qualunque momento. — La ragazza — fece notare Brora, — era assai più giovane. — D'accordo — disse Nyassa-lee, — ma le sue capacità erano precoci. Il suo vantaggio è stata la sorpresa. Questo Numero Dodici si sta sviluppando lentamente, ma con maggior potenziale. Potrebbe essere il tipo d'individuo che risponde alle pressioni andando più in profondità dentro se stesso. — Forse — disse Brora, soprappensiero, — ma non ne abbiamo nessuna prova, né il suo profilo prevede qualcosa del genere. — Allora — replicò la donna, — come riesci a far quadrare questo col fatto che da solo... — Non da solo — l'interruppe Brora. — Quella donna del padiglione l'ha aiutato, al largo sul lago. — L'ha aiutato. Ma non l'ha aiutato ad arrivare fino a quel punto. Lui ci ha seguito fino a quel lago tutto da solo, senza nessun aiuto esterno. E questo indica lo sviluppo accelerato d'un talento dal quale faremo meglio a guardarci. — Una ragione di più — replicò Haithness con rabbia, picchiando il palmo d'una mano sul tavolo, — per andare avanti col nostro piano! — Non so — mormorò Nyassa-lee, poco convinta. — Non sei d'accordo — replicò Haithness, costringendosi a dominare il proprio malumore, — che se l'operazione sarà un successo, avremo un'ottima possibilità di realizzare il nostro scopo per quanto riguarda le manipolazioni esterne del soggetto? — Forse — ammise Nyasse-lee. — Perché «forse»? Dubiti del legame emotivo? — Non è questo che mi preoccupa. Supponi... supponi soltanto che, siccome il suo potenziale non è ancora sviluppato, lui non ne abbia un con-
trollo cosciente? — Cosa stai dicendo? — chiese Brora. La donna si appoggiò al tavolo e parlò in tono vibrante: — Con quella ragazza, Mah, sapevamo dov'eravamo, una volta che lei si era rivelata. Per sfortuna, quella cognizione è stata una sorpresa per noi, ed era ormai troppo tardi per controbattere. Non abbiamo nessuna idea di quale sia la nostra posizione davanti ai talenti di questo soggetto. Supponete che, malgrado il suo legame emotivo, la pressione e la paura cospirino a liberare il suo potenziale malgrado i suoi sentimenti superficiali? Da un punto di vista statistico il soggetto è una bomba vagante che potrebbe non essere capace di controllarsi... o abbastanza maturo per farlo. È questo che mi preoccupa, Haithness. Il legame emotivo potrebbe essere sufficiente a controllare il suo io inconscio. Però, malgrado questo, la parte imprevedibile di lui potrebbe reagire con violenza. — Non possiamo abbandonare le nostre speranze basandoci su una congettura così esile, che non ha fatti concreti a sostegno — insisté Haithness. — Inoltre, il soggetto ha sedici anni. Semmai dovrebbe avere un maggior controllo su di sé, di quanto ne aveva la ragazza. — Lo so, lo so — borbottò Nyassa-lee, con tono infelice. — Tutto quello che dici è vero, Haithness, eppure non posso fare a meno di preoccuparmi. In ogni caso, mi batterete con i vostri voti. — Infatti — dichiarò la donna alta di statura, dopo un'occhiata interrogativa a Brora. — E se Cruachan fosse con noi, sai che voterebbe anche lui perché si proceda. — Suppongo di sì. — Nyassa-lee esibì un pallido sorriso. — Mi preoccupo troppo. Brora, sei sicuro di poter effettuare il trapianto? L'uomo annuì. — È da un po' di tempo che non ne faccio più uno, ma le vecchie capacità mi sono rimaste. Più che altro, ci vuole pazienza. Questo dovete ricordare. In quanto a possibili, imprevedibili effetti, un fallimento, be'... — sorrise, — ... siamo già tutti condannati, non è vero? Un'altra piccola offesa perpetrata contro le leggi arcaiche della società non può certo farci male né in un senso né nell'altro, nel caso in cui dovessimo fallire. In un angolo della stanza, seduta con le mani in grembo, Mamma Mastino stava ascoltando. Non c'era motivo di legarla, e lei lo sapeva almeno quanto i suoi rapitori. Non c'era nessun posto dove potesse scappare. Era in condizioni eccellenti per una donna della sua età, ma aveva avuto modo di osservare assai bene il modesto, ingannevole complesso di pietra e legno quando il fluttuante era atterrato. Migliaia di chilometri quadrati di foresta
umida e ostile si stendevano fra il luogo in cui era stata condotta e i familiari confini di Drallar. Aveva le stesse possibilità di rubare un veicolo quante ne aveva di riavere i suoi vent'anni. Continuava a chiedersi cosa stesse capitando al povero Flinx. Era lui che aveva visto in quell'imbarcazione, su quel lago lontano verso sud. Non aveva nessuna idea di come Flinx fosse riuscito a rintracciarla fin là. Dapprima si era preoccupata per se stessa. Adesso che aveva avuto ampie opportunità di ascoltare quel demoniaco terzetto che discuteva davanti a lei (giacché non aveva nessun dubbio che fossero demoniaci) si stava preoccupando per il destino del suo figlio adottivo oltre che per il suo. Se lei era perduta, be', aveva pur sempre avuto una vita lunga e avventurosa. Forse sarebbe stato meglio che Flinx perdesse le sue tracce piuttosto che incappare di nuovo in quei mostri! Uno del terzetto, quell'uomo basso di statura e con la faccia da rospo, aveva parlato di «aggiustare» lei e di «trapianti». Questo era più che sufficiente a convincerla che doveva prepararsi a qualcosa di peggiore della morte. Molte delle loro parole non avevano senso per lei. Non aveva ancora la minima idea di chi fosse quella gente, e ancora meno da dove fossero arrivati o quali fossero le ragioni delle loro azioni. Non le parlavano mai, ignorando le sue domande oltre alle sue imprecazioni. In effetti, non la trattavano affatto come un essere umano, ma tutt'al più come un pezzo di mobilia delicato. La loro usuale conversazione era la più strana che mai avesse ascoltato finora, giacché una di loro stava esprimendo una viva paura del suo ragazzo. Non riusciva a immaginarne il perché. Era vero che Flinx aveva domato un animaletto pericoloso, quell'orribile, piccola creatura volante, ma non si trattava certo di un'impresa che potesse ispirare paura a quella gente. Sapevano che Flinx di tanto in tanto aveva la capacità di percepire ciò che gli altri provavano. Eppure, quella gente continuava a discutere di quei talenti erratici e minori come se fossero faccende di enorme importanza. Ma niente di tutto questo spiegava perché avessero rapito lei. Se il loro vero interesse si concentrava sul suo ragazzo, allora perché non avevano rapito lui? Tutta la faccenda era un rompicapo troppo complicato per lei, perché potesse sperare di risolverlo. Mamma Mastino non era una donna stupida, e la mancanza d'una normale istruzione non smussava certo la sua mente acuta e ragionatrice; tuttavia, non riusciva a capire quello che le stava succedendo, e perché. Lasciò che la sua attenzione si staccasse dalla discussione che infuriava
al vicino tavolo per studiare la stanza in cui l'avevano portata. La maggior parte dell'illuminazione s'irradiava dall'imponente spiegamento di aggeggi elettronici che imbottivano le pareti. Tutto quello che riusciva a vedere indicava un'installazione costruita velocemente, con apparecchiature portatili. Non aveva nessuna idea di quale fosse lo scopo di quegli strumenti, ma aveva girato abbastanza per sapere che si trattava di congegni costosi. Quelli, e le azioni della gente che l'aveva rapita, facevano intuire un'organizzazione ben fornita di denaro, oltre che di malvage intenzioni. — Non sono neppure sicura — stava ribadendo Nyassa-lee, — che il soggetto si sia reso conto di come è riuscito a seguirci finora. — È probabile che non ci sia niente di misterioso in questo — replicò Haithness. — Ricorda che il ragazzo è il prodotto d'un ambiente intensamente competitivo, anche se primitivo. I giovani degli agglomerati urbani crescono in fretta quando vengono lasciati alle proprie risorse. Potrà non aver goduto granché di un'istruzione regolare, ma è cresciuto alla scuola del mondo reale... qualcosa che siamo stati costretti ad affrontare noi stessi, in questi ultimi anni. E potrebbe anche aver avuto un po' di comunissima fortuna. — Questi ultimi anni — bofonchiò Brora, in tono triste, — anni che avremmo dovuto impiegare sondando i grandi misteri e l'universo invece d'imparare a prender contatto col mondo della malavita e farne uso. — Io mi sento sprecata quanto te, Brora — dichiarò la donna alta, cercando di blandirlo, — ma la rivincita è a portata di mano. — Se siete tutti e due ben decisi a procedere... allora voto perché cominciamo subito — sospirò Nyassa-lee. — Subito con che cosa? — chiese una voce petulante. Per qualche ragione, la domanda indusse il terzetto a rispondere, questa volta, mentre ogni precedente tentativo di attirare la loro attenzione era miseramente fallito. Nyassa-lee lasciò il tavolo e si avvicinò a Mamma Mastino. Cercò di adottare un'espressione gentile e comprensiva, ma ci riuscì soltanto in parte. — Noi siamo scienziati impegnati in un progetto di grande importanza per l'umanità. Mi dispiace che siamo costretti a provocarle tanto disturbo, ma tutto questo è necessario. Vorrei che lei possedesse un'istruzione migliore, così da poter capire il nostro punto di vista. Questo renderebbe le cose più facili per lei. — Disturbo! — sbuffò Mamma Mastino. — Mi strappate dalla mia casa e mi trascinate attraverso una buona metà del pianeta... Un piccolo distur-
bo, Io chiamate? Io lo chiamo qualcos'altro. — La sua collera si dissipò alquanto quando chiese: — Cos'è che volete dal mio ragazzo, Flinx? — Il suo ragazzo adottivo — puntualizzò Nyassa-lee. Mentre la piccola orientale parlava, Mamma Mastino osservò che gli altri due la stavano studiando così come un collezionista avrebbe potuto scrutare un insetto sulla panchina di un parco. Questo la fece infuriare ancora di più, e la rabbia l'aiutò a smorzare la paura. — Non vi renderei le cose più facili neppure se mi prometteste metà delle ricchezze del pianeta. — Mi spiace che la pensi così, ma è soltanto quello che ci aspettavamo — replicò Nyassa-lee, ridiventando di ghiaccio. — Ha mai sentito parlare della Meliorare Society? Mamma Mastino scosse energicamente la testa, troppo arrabbiata per gridare, il che era tutto quello che avrebbe voluto fare. Nomi... parole che le scaraventavano addosso, tutti senza senso. — Noi siamo parte d'un esperimento — insisté a spiegarle l'orientale, — un esperimento che ha avuto inizio sulla Terra molti anni fa. Noi non siamo soltanto scienziati, siamo anche attivatori. Noi crediamo che il vero compito della scienza non sia soltanto quello di studiare ciò che già esiste, ma di forgiare il futuro e di creare ciò che ancora non esiste ma un giorno esisterà. Noi siamo decisi a non rimanere immobili, e ad impedire che resti immobile la natura. Mamma Mastino scosse la testa. — Non capisco. — Pensi — prese a sollecitarla Nyassa-lee, accalorandosi mentre si addentrava nell'argomento, — cosa c'è, oggigiorno, nella società del Commonwealth, che potrebbe venir migliorato? Il governo? — Una risata amara e carica di disprezzo echeggiò dietro di lei, proveniente da Haithness. — Non il governo, allora. Le navi che ci portano da una stella all'altra? No. La lingua, allora? Un miglioramento del terranglo o della simbolingua? Oppure la musica, o l'architettura? Mamma Mastino si limitò a fissare la donna che stava blaterando davanti a lei. Adesso ne era sicura, del tutto sicura: quei tre erano completamente pazzi, almeno quanto uno yax'm dal cervello danneggiato. — No, nessuna di queste cose! — ruggì quasi Nyassa-lee. Era terribile vedere una tale assoluta sicurezza in qualcuno di così minuto. — Siamo noi. Noi. — Si batté una mano sullo sterno. — L'umanità. E i mezzi per migliorarci si trovano dentro di noi. — Sollevò la mano alla testa. — Qui
dentro, nelle aree della nostra mente non ancora ben sviluppata, nelle nostre capacità ancora ignote. «Noi, e gli altri membri della nostra Società, abbiamo deciso molti anni fa che si poteva e si doveva fare qualcosa in proposito. Formammo un'organizzazione di copertura per ingannare i superstiziosi custodi delle leggi. In segreto, fummo in grado di scegliere certi ovuli umani, certi tipi di sperma, e di lavorare su di essi con molta attenzione. La nostra pianificazione fu accurata, i nostri preparativi esaurienti. Grazie a tecniche microchirurgiche fummo in grado di alterare il codice genetico dei nostri potenziali umani prima del trapianto nell'utero. Il risultato doveva essere, sarà una migliore versione dell'umanità. Mamma Mastino la fissò. Nyassa-lee sospirò e si rivolse ai suoi compagni. — Come temevo, tutto questo è al di là della sua misera comprensione. — Perfettamente comprensibile — annuì Brora. — Quello che non capisco è perché ti dài tanta pena di provarci. — Sarebbe tutto più facile — rispose Nyassa-lee. — Più facile per lei, o per te? — si chiese Haithness. L'orientale non rispose. — Comunque, dopo l'operazione non avrà più importanza. — A quelle parole i sottili capelli sulla nuca di Mamma Mastino cominciarono a drizzarsi. — Potrebbe — insisté Nyassa-lee. Gettò un'altra occhiata a Mamma Mastino, dietro di lei, fissando con durezza quei vecchi occhi. — Non capisci ancora, vecchia? Il tuo ragazzo, il tuo figlio adottivo: era uno dei nostri soggetti. — No — bisbigliò Mamma Mastino, anche se nel medesimo istante in cui fu pronunciato quel diniego, seppe che le parole della donna erano vere. — Cosa... cos'è successo al vostro esperimento? — A tutti i bambini erano stati riservati attenzione, affetto, educazione, e uno speciale addestramento. La maggior parte dei soggetti non aveva mostrato niente d'insolito quanto a capacità o a talenti. Sotto ogni aspetto erano del tutto normali. Avevamo proceduto con ogni cura e con la massima cautela, capisce. «Ma alcuni dei soggetti si svilupparono in maniera anormale. Questo, sfortunatamente, è nella natura stessa della scienza. Dobbiamo accettare il buono con il cattivo. Comunque, alla luce del nostro imminente successo, quei fallimenti erano del tutto giustificati». Pareva che stesse cercando di rassicurare se stessa, oltre a Mamma Mastino.
— Alcuni fra quei bambini, un numero molto piccolo, diedero indizi di aver sviluppato quelle capacità che noi riteniamo dormienti in ogni cervello umano. Non abbiamo la pretesa di capire tutto, di questi talenti. Siamo nella posizione d'un meccanico che ha una buona idea su come riparare una macchina imperfetta senza sapere sul serio di che cosa sarà capace quando l'avrà riparata... Per questo, appunto, ci procurò alcune sorprese. «L'ignorante e ipocrita società del Commonwealth non la pensava come noi sull'importanza delle nostre attività. Come risultato, abbiamo subito molti anni di persecuzioni. Eppure abbiamo continuato. Come può vedere tutti noi, i membri originari della Society, siamo in età avanzata quasi quanto la sua. «Il governo è stato spietato nei suoi sforzi per spazzarci via. Col passare degli anni ha eroso il nostro numero finché è riuscito a ridurci a pochissimi superstiti devoti alla causa. Eppure, ci serve soltanto un successo, una prova incontrovertibile della validità del nostro lavoro, per liberarci dalle menzogne e dalle insinuazioni che per tanto tempo ci sono state accumulate addosso. «È stato un governo crudele e insensibile a causare la dispersione dei bambini molti anni fa, quella dispersione che ci ha costretto alla nostra attuale condizione di scienziati in esilio. Ma lentamente e con pazienza abbiamo lavorato per scoprire le nuove località dov'erano stati portati questi bambini, in particolare tutti quelli con dei profili cerebrali che mostravano vere promesse. Il suo Flinx è appunto uno di quelli che abbiamo individuato come un indubbio, potenziale talento. — Ma non c'è niente di anormale in lui — protestò Mamma Mastino. — È un giovane sano, che corrisponde in modo perfetto alla media. Più tranquillo di tanti altri, forse, ma questo è tutto. Ed è proprio lui che vi spinge a darvi tanti fastidi? Oh, ammetterò che sa combinare dei trucchetti di tanto in tanto. Ma conosco cento maghi da strada che possono fare altrettanto. Perché non andate a prender loro, piuttosto? Nyassa-lee esibì un'altra volta quel suo sorriso gelido e del tutto privo d'allegria. — Tu ci stai mentendo, vecchia. Noi sappiamo che quel tuo Flinx è capace di qualcosa di più che semplici trucchetti, e che c'entra qualcosa di assai più importante della destrezza di mano. — Bene, allora — continuò Mamma Mastino, tentando di cambiare argomento, — perché rapire me? Perché strapparmi da casa mia in questo modo? Sono una vecchia, come dice lei. Non sono certo in grado d'intralciarvi o farvi del male. Se è Flinx che v'interessa tanto, allora perché non
avete rapito lui? Certo non avrei potuto impedirvi di farlo. — Perché potrebbe essere pericoloso. Sì, questa è davvero una banda di pazzi, rifletté Mamma Mastino. Il suo ragazzo, Flinx, pericoloso? Sciocchezze! Era vero che era un ragazzo sensibile; a volte sapeva quello che gli altri provavano, ma soltanto di rado, e niente del tutto quando avrebbe più desiderato farlo. E, forse, poteva spingere un po' le emozioni degli altri. Ma... pericoloso? Era lui ad essere in pericolo a causa di quei pazzi scatenati giunti da un altro mondo. — Inoltre — continuò la piccola orientale, — dobbiamo procedere con molta cautela poiché non possiamo rischiare di danneggiare ulteriormente la Society. Il nostro numero è già ulteriormente ridotto, in parte a causa del nostro tentativo troppo affrettato di riguadagnare il controllo d'una bambina, un nostro soggetto, un certo numero di anni fa. Non possiamo correre il rischio di commettere lo stesso errore con questo Numero Dodici. La maggior parte dei nostri compagni è rimasta uccisa, imprigionata, oppure il loro cervello ha subito la cancellazione. L'intima preoccupazione di Mamma Mastino raddoppiò davanti a quell'ammissione fatta quasi con indifferenza. Non capiva tutte le chiacchiere di quella donna sulle alterazioni genetiche e il miglioramento dell'umanità, ma capiva benissimo la cancellazione del cervello. Un criminale doveva essere stato riconosciuto colpevole di qualche delitto particolarmente orrendo per venir condannato a quel trattamento, che l'avrebbe privato per sempre d'una porzione dei suoi ricordi, della sua vita, del suo stesso io, e lo lasciava pieno d'interrogativi per il resto dei suoi giorni, tormentato da uno squarcio vuoto e buio nella sua mente. — Lasciatelo stare! — urlò Mamma Mastino, sorpresa dalla violenza delle sue stesse parole. Si era affezionata talmente al ragazzo? La maggior parte delle volte lo considerava un fastidio inflittole da un avverso destino... ma era poi così? — Non fategli del male! — Si era alzata in piedi e si era messa a picchiare con entrambi i pugni sulle spalle della donna chiamata Nyassa-lee. Malgrado avesse i capelli bianchi e non fosse più giovane, Nyassa-lee aveva assai meno anni ed era molto più forte di Mamma Mastino. Afferrò i polsi della vecchia e con delicatezza la risospinse in basso sulla sedia. — Ora... noi non abbiamo nessuna intenzione di fargli del male. Non le ho appena spiegato l'importanza che ha per noi? Le pare che vorremmo far del male a qualcuno come lui? Certamente no. È chiaro che lei si è molto affezionata al suo protetto. A modo nostro, gli siamo affezionati anche noi.
Che gente senz'anima è questa, pensò Mamma Mastino mentre si accasciava impotente sulla sedia. Che ombre morte e lontane di esseri umani. — Le prometto che non cercheremo di costringere il ragazzo a far niente contro la sua volontà, né gli faremo del male in nessun modo. — Cosa volete fare di lui, allora? — È indispensabile che noi guidiamo la sua futura maturazione — le spiegò la donna, — per garantirci che qualunque capacità possieda venga sviluppata al massimo. È altamente improbabile che possa far questo senza adeguate istruzioni e un appropriato addestramento, ed è proprio per questo che le sue capacità non si sono manifestate per intero finora. Comunque l'esperienza ci ha dimostrato che quando i bambini raggiungono la pubertà, non sono più disposti ad accettare un simile addestramento o altre manipolazioni. Perciò, noi dovremo guidarlo senza che lui ne sia consapevole. — E come potrete farlo, senza che lui sappia che glielo state facendo? — Manipolandolo attraverso una terza persona dalla quale accetti liberamente suggerimenti e direttive — disse Nyassa-lee. — È qui che lei diventa importante. — Cosi, vorreste che fossi io a fargli fare certe cose, che alterassi la sua vita cosicché il vostro esperimento risulti un successo? — Esattamente questo — annuì Nyassa-lee. — E ogni cosa dev'essere fatta in modo tale che lui non sospetti d'essere guidato da una forza esterna. — Le indicò l'estremità della stanza, al di là di una porta trasparente che chiudeva una sala operatoria. Alla fioca luce azzurra e verde degli schermi, in mezzo alla complessa apparecchiatura, la sala operatoria irradiava una debole luminosità. — Non possiamo lasciare spazio alla possibilità che interferenze od orientamenti sbagliati ostacolino i nostri sforzi, né possiamo rischiare un'aperta opposizione agli agenti del Commonwealth che continuano a darci la caccia. È d'importanza vitale che le nostre istruzioni vengano compiute in fretta e con efficienza. Perciò sarà necessario che noi piazziamo dentro il suo cervello certi piccoli congegni, per assicurarci la sua totale obbedienza alle nostre direttive. — Col cavolo! — sbottò Mamma Mastino. — Ho passato quasi cento anni a riempire questa mia testa. So dov'è immagazzinato tutto. Non voglio che nessuno si metta a combinar pasticci quassù. — Non precisò, mentre guardava di sottecchi la sala operatoria, che non era mai stata sotto il coltello o il laser e che aveva una paura mortale all'idea di venir tagliata.
— Ascoltate — proseguì disperatamente la vecchia, — sarò più che lieta di aiutarvi. Dirò al ragazzo tutto quello che vorrete, gli farò studiare tutto quello che mi direte e lo terrò lontano da tutte le cose che gli proibirete. Ma lasciate stare la mia povera testa. Non vi sarei molto più di aiuto se facessi volontariamente quello che chiedete, invece che nei panni di un animaletto ammaestrato? Brora incrociò le mani sul tavolo e la fissò senza emozione. — Questo sarebbe senz'altro vero. Tuttavia vi sono fattori che sfortunatamente vanno in senso opposto. «Tanto per cominciare, vi sono attività mentali fra quelle che le verranno richieste, che coinvolgono procedimenti complessi con i quali lei non ha dimestichezza, ma che noi siamo in grado di stimolare grazie a un trapianto diretto. In secondo luogo non c'è nessuna garanzia che in un futuro lei non si scoraggi o si ribelli, e riveli al soggetto tutto quello che sa. Questa sarebbe un'autentica catastrofe per l'esperimento. E, terzo, malgrado lei possa dirigerlo grazie alla sua volontà superficiale, le capacità del ragazzo potrebbero consentirgli di percepire il suo turbamento in profondità, facendogli capire che qualcosa non funziona, mentre non credo che sia in grado d'individuare i trapianti stessi, poiché sono interamente meccanici. E, per finire, penso che lei menta quando dice di essere disposta ad aiutarci. — Ma non voglio essere operata! — gridò la vecchia, picchiando violentemente i pugni sui braccioli. — Vi dico che non è necessario! Farò tutto quello che mi chiederete se lascerete stare il ragazzo e mi darete le istruzioni necessarie. Perché dovrei mentirvi? Avete detto voi stessi che non è il mio vero figlio, soltanto un figlio adottivo. Sarò lieta di aiutarvi, e in modo particolare — aggiunse con un furbesco sorriso, — se ci saranno di mezzo dei soldi. Ma quell'uomo, Brora, scosse la testa. — Lei sta facendo un grande sforzo per mentirci, vecchia, ma non si sforza abbastanza. Abbiamo passato la maggior parte della nostra vita avendo a che fare con traditori in mezzo a noi. Non possiamo certo permettercene un altro. Mi spiace. — La sua attenzione andò all'ingresso principale, ai due uomini che erano appena entrati. Indicò Mamma Mastino con un cenno del capo. — Tenetela ferma — disse. — Ne sa abbastanza da commettere qualche sciocchezza contro se stessa. Uno dei nuovi arrivati afferrò il braccio sinistro di Mamma Mastino e guardò Brora. — Anestetico, signore?
— No, non ancora. — Mamma Mastino fissò l'orrido ometto e rabbrividì quando questi si rivolse con calma alla donna nera. — Cosa ne pensi, Haithness? La donna studiò per un attimo Mamma Mastino. — Domani andrà bene. Sono stanca. Meglio cominciare riposati. Avremo tutti bisogno d'esser vigili. Brora annuì il suo consenso. E invitò i due uomini più giovani a legare la farneticante Mamma Mastino. Più tardi, quella stessa sera, durante la cena, Nyassa-lee disse a Haithness: — Sono sempre preoccupata dall'età avanzata di quella donna. — Non è poi così vecchia — replicò la donna alta, inghiottendo cucchiaiate d'un qualche cibo artificiale ma nutriente. — Facendo un po' di attenzione, può senz'altro contare su altri vent'anni di buona salute. — Lo so. Ma d'altra parte non ha neppure più le riserve di una donna di cinquant'anni. È un bene che non le abbiamo detto quanto sarà complessa l'operazione di domani, spiegandole che la sua mente rimarrà alterata in modo permanente. Haithness annuì, mostrandosi d'accordo. — Non c'è bisogno di sconvolgerla più di quanto già lo sia. Mi sorprende questa tua eccessiva preoccupazione per la sua salute. Nyassa-lee continuò a sbocconcellare il suo cibo e non fece commenti, ma Haithness rifiutò di lasciar cadere così la faccenda. — Quanti dei nostri compagni sono periti per mano del governo? Quanti fra essi hanno avuto il cervello obliterato? È vero che se questa vecchia morisse, perderemmo un elemento importante dell'esperimento, ma non necessariamente decisivo. Eravamo tutti d'accordo, mi pare, che il trapianto su di lei è il modo migliore di procedere. — Questo non lo metto in discussione — replicò Nyassa-lee. — Vi sto soltanto ricordando che dovremmo esser pronti per un fallimento. Brora si lasciò andare contro lo schienale e sospirò. Non aveva fame; era troppo eccitato dalle prospettive aperte dall'operazione. — Non falliremo, Nyassa-lee. Questa è la miglior possibilità che ci si presenta, da molti anni, di ottenere il controllo su un soggetto davvero promettente. Non falliremo. — Guardò Haithness. — Ho controllato i trapianti prima di cena. — Di nuovo? — Non avevo altro da fare, in verità. Non potevo sopportare di starmene con le mani in mano. Il circuito è completo, l'innervazione criogenica co-
stante. Non prevedo nessun problema nell'attuazione dei collegamenti sinaptici. — Si voltò a fissare Nyassa-lee. — Malgrado l'età della donna. «In quanto alla parte della vecchia che andrà inevitabilmente perduta a causa dell'operazione... — diede una scrollata di spalle, — ho approfondito parecchio la questione e non ho trovato nessun modo di aggirarla. Non che sembri che ci sia molto di valido da conservare. È una primitiva ignorante. Semmai, dopo le resezioni e i trapianti, la sua personalità sarà migliorata. — Le sue qualità più forti sembrano essere la litigiosità e l'ostinazione — annuì Haithness, — associate ad una spaventevole ignoranza della vita al di fuori della collettività immediatamente vicina. — Un esemplare tipico — riprese Brora. — È davvero un'ironia che un esemplare così infimo debba essere la chiave non soltanto del nostro più grande successo, ma della nostra rivendicazione finale. Nyassa-lee a questo punto spinse via il proprio cibo. Si sentiva turbata dalla conversazione dei suoi due compagni. — A che ora, domani? — A un'ora ragionevole sul presto, credo — mormorò Haithness. — Sarà senz'altro l'ora migliore per la vecchia, e sarà meglio per noi non perdere troppo tempo con la filosofia e le ipotesi. Brora mostrò una viva sorpresa per ciò che quest'ultima frase implicava. — Non ti aspetterai che il ragazzo si faccia vivo, per caso? — Farai meglio a smetterla di considerarlo un ragazzo. — Si qualifica appena appena come un giovane adulto. — Basta un solo appena. Malgrado non abbia dato finora nessuna dimostrazione di talenti inaspettati, questo suo lungo, tenace inseguimento della madre adottiva è un'indicazione più che sufficiente, per me, che possiede una mente acuta, oltre che un talento preciso. — Rivolse un pallido sorriso a Nyassa-lee. — Vedi, mia cara: malgrado io non condivida la tua propensione al panico, in questo caso, rispetto pur sempre e valuto la tua opinione. — Così, ti aspetti di vederlo arrivare? — No, non me l'aspetto — insisté Haithness, — ma sarebbe imbarazzante se per qualche miracolo dovesse farsi vivo qui prima che l'operazione sia stata completata con successo. Una volta compiuta, vorremo naturalmente prender contatto con lui attraverso sua madre. Quando la troverà illesa... all'apparenza indenne... certamente si rilasserà, aprendo così la strada al nostro controllo. — Ma se dovesse farsi vivo prima che riportiamo la vecchia a Drallar? — Non preoccuparti — ribadì Haithness. — Ho preparato la nostra sto-
ria-standard, e il nostro personale di qui è stato istruito su tutti i dettagli inerenti. — Ma sei convinta che sarebbe disposto ad accettare quella storia? — chiese Nyassa-lee. — Quella vecchia favola che noi siamo una società altruistica di medici dediti ad aiutare i vecchi e i deboli contro l'indifferenza governativa nei confronti di adeguate attrezzature sanitarie? — È vero che abbiamo già utilizzato la storia sotto diverse mimetizzazioni prima d'oggi, ma sarà nuova per questo soggetto — ricordò Haithness alla sua collega. — Inoltre, come dice Brora, ha appena appena la qualifica di adulto, e l'ambiente in cui è vissuto nega in pratica ogni sofisticazione, in lui. Credo che presenterà senz'altro orecchio, specialmente quando gli restituiremo sua madre. Questo dovrebbe essere più che sufficiente a soddisfarlo. Naturalmente, una plastica chirurgica cancellerà ogni traccia esterna dell'operazione. — Sarà meglio che mi dia da fare per avere un'intera notte di sonno. — Brora si scostò impetuosamente dal tavolo. — Specialmente in vista della dura giornata di lavoro. Si alzarono tutti e si avviarono ai rispettivi alloggi, Brora meditando sull'imminente operazione, Haithness sulle loro possibilità di successo e Nyassa-lee che, lei sola, guardò un'ultima volta negli occhi di Mamma Mastino. XII Dovevano trovarsi vicini alla loro destinazione, poiché la preda era rimasta immobile ormai da più di un'ora. Fu allora che il dolore colpì Flinx: acuto, rovente, e come sempre inaspettato. Sussultò, strinse gli occhi, mentre Pip si agitava nervoso sulla sua spalla. Allarmata, Lauren si girò di scatto verso il suo giovane compagno. — Cosa succede? Cosa c'è che non va, Flinx? — Siamo vicini. Molto vicini. — Lo vedo guardando il rilevatore — confermò la donna. — È lei, è Mamma Mastino. — È ferita? — Già Lauren stava facendo abbassare il fluttuante verso la foresta. Il minidrago si scontorse sulla spalla di Flinx, alla ricerca d'un nemico invisibile. — Non è... non è ferita — borbottò Flinx. — È... sì, c'è una fortissima preoccupazione in lei, e tanta paura. Qualcuno ha la precisa intenzione di
farle qualcosa di terribile. Ha anche paura per me, credo. Ma non riesco a capire... non so che cosa, o perché... Flinx sbatté le palpebre. Pip cessò le sue convulsioni. — L'ho perso. Dannazione l'ho perso. — Per la frustrazione, sferrò un calcio al quadro di comando. — L'ho perso e non posso farlo tornare. — Pensavo... Flinx l'interruppe, un'espressione rassegnata sul volto: — Non ho nessun controllo sul mio talento. Proprio nessun controllo. Queste sensazioni mi colpiscono quando meno me l'aspetto, e mai, a quanto pare, quando lo vorrei. A volte non riesco neppure a localizzare la fonte. Ma questa volta era Mamma Mastino: ne sono sicuro. — Come fa a esserne sicuro? — Lauren fece inclinare il fluttuante a babordo, schivando un promontorio roccioso comparso all'improvviso. — Perché so come sente la sua mente. Lauren gli lanciò un'intensa occhiata, poi decise che non valeva la pena cercar di capire qualcosa al di dà del suo campo. Il fluttuante rallentò, avanzando quasi a passo d'uomo, e ben presto si adagiò tra gli alberi che sarebbero serviti a nasconderlo, sopra una collinetta asciutta. Dopo aver spento il motore, Lauren si portò sul retro della cabina e cominciò a raccogliere zaini ed equipaggiamento. La notte era profonda intorno a loro, e i vari suoni prodotti dagli abitatori notturni della foresta cominciarono a filtrare dentro il fluttuante. — Dobbiamo affrettarci — disse Flinx, ansioso. Stava già facendo scattare la serratura. — Le faranno del male ben presto! — Aspetti! — esclamò Lauren secca. — Non sa cosa le accadrà. Cosa più importante, non sa quando. — Presto! — insisté Flinx. Il portello si aprì, scivolando dentro l'intercapedine del doppio scafo di plastica trasparente. Guardò fuori in mezzo alla foresta, nella direzione che sapeva avrebbero dovuto prendere, anche se non aveva controllato l'esatta posizione sullo schermo del rilevatore. — Le prometto che la raggiungeremo il più presto possibile — gli garantì Lauren, mettendosi a tracolla il fucile a dardi, — ma non faremo niente di buono per lei e per noi se ci lanceremo alla cieca contro quella gente, chiunque essi siano. Ricordi che avevano armi paralizzanti a bordo dei loro veicoli. Qui, potrebbero disporre di armi ancora più letali. Non se ne staranno seduti immobili mentre lei marcerà contro di loro per chiedere la restituzione della donna che hanno trascinato attraverso un intero continente affrontando fastidi d'inferno. La riavremo, Flinx, con quanta più ra-
pidità possibile, ma un comportamento temerario non potrà esserci di nessun aiuto. Lei lo sa quanto me. È un ragazzo di città. Flinx trasalì alla parola «ragazzo», ma per tutto il resto dovette trovarsi d'accordo con lei. Con considerevole sforzo evitò di lanciarsi alla cieca dentro la cupa foresta. Invece, si costrinse ad avvicinarsi al lato posteriore del fluttuante per controllare il contenuto dello zaino che la donna aveva riempito per lui. — Non dà un'arma anche a me? — Un padiglione per pescatori non è un'armeria, sa? — Lauren accarezzo il calcio del fucile. — Questo è tutto quello che teniamo, come armi portatili. Inoltre, mi pare di ricordare che lei ha liquidato un avversario assai più grosso usando soltanto la sua attrezzatura. Imbarazzato, Flinx guardò il suo stivale destro. Non era particolarmente orgoglioso della sua prodezza col coltello, e non gli piaceva parlarne. — Uno stiletto non serve molto da lontano, e non è detto che abbiamo l'oscurità come alleato. — Ha mai maneggiato una vera arma portatile? — gli chiese la donna. — Una pistola ad aghi? Un lanciaraggi o un'arma a pallottole? — No, ma le ho viste usare e so come funzionano. Non è difficile capire che si deve puntare l'estremità del congegno contro la persona con cui ce l'abbiamo e tirare il grilletto o premere il pulsante di sparo. — A volte non è proprio così semplice, Flinx. — Strinse la cinghia ventrale del suo zaino. — In ogni caso dovrà arrangiarsi con la sua lama giacché non c'è altro. E non le darò il fucile a dardi. Mi ci trovo molto più a mio agio io di quanto ci si troverebbe lei. Se è preoccupato circa la mia effettiva decisione a usarlo, a quest'ora dovrebbe conoscermi a sufficienza. Non me la sento di esser gentile con questa gente. Rapitori e uccisori di wervil! Lauren ricontrollò la loro direzione sul rilevatore, inserì il dato nella piccola bussola, e gli fece strada fuori della cabina. Il terreno sotto i loro piedi era relativamente asciutto, morbido ed elastico. Mentre camminavano dietro a due fari gemelli, Flinx si scoprì ancora una volta intento a riflettere sulla sua compagna. Avevano in comune un certo numero di cose oltre all'indipendenza. L'amore per gli animali, ad esempio. I capelli nascondevano il lato del viso rivolto verso di lui, ma Flinx sentì di poterla vedere lo stesso. Pip si agitò leggermente sulla spalla del suo padrone, quando sentì delle strane emozioni sorgere dentro a Flinx, emozioni nuove per il minidrago che, pur non lasciandolo davvero turbato, lo facevano sentire decisamente a disagio. L'animaletto cercò di scivolare
ancora di più sotto la protezione della giacca. Quand'ebbero raggiunto la loro destinazione, era quasi mezzanotte. Si accovacciarono in mezzo a un folto boschetto e sbirciarono fra gli alberi. Flinx smaniava dalla bramosia di proseguire, sapendo che Mamma Mastino giaceva in preda a un sonno agitato in qualche punto di quel complesso di edifici, non molto più in basso di loro. Il buon senso che l'aveva sempre servito tanto bene sin dall'infanzia contribuiva più della logica e della ragione a trattenerlo. Visto cosi da fuori e da distante quel raggruppamento di strutture assomigliava ad un altro padiglione di caccia o di pesca, anche se di dimensioni assai maggiori di quello diretto da Lauren. Al centro c'erano gli edifici principali, sulla sinistra gli alloggi per gli ospiti meno danarosi, sulla destra i capannoni della manutenzione e i depositi. Lauren studiò la disposizione degli edifici attraverso il suo piccolo binocolo combinato visibile-infrarosso grande non più di un pollice. Il suo occhio esperto individuò qualcosa di assai più significativo dell'ingannevole disposizione del complesso. — Quelli non sono tronchi — disse a Flinx. — Sono plastica resinata. Molto ben camuffati, ma non c'è più legno in essi di quanto ce ne sia nella mia testa. Lo stesso vale per le opere in muratura e quelle in pietra delle fondamenta. — Come fa a dir questo? — chiese Flinx, pieno di curiosità. La donna gli porse un minuscolo congegno. Flinx l'accostò all'occhio, e questo si regolò subito sulla sua acutezza visiva, cambiando sia la luminosità che la messa a fuoco. — Guardi le giunture agli angoli e le linee troppo regolari, troppo precise. Di solito è il risultato che si ottiene quando qualcuno tenta di copiare la natura. La mano del computer, o anche soltanto quella dell'uomo, rivelano sempre la propria presenza. Le sporgenze sui tronchi, le concavità troppo lisce delle «rocce»... ci sono troppe repliche ovvie dall'una all'altra. «Oh, ingannerebbe chiunque non fosse familiarizzato con questa roba, e certo chiunque voli qua sopra con un aereo o un fluttuante. Ma i materiali di quegli edifici sono contraffatti, il che ci dice che sono stati posti qui di recente. Chiunque costruisca un padiglione nel paese dei laghi per farne un lungo uso, utilizza sempre materiali nativi. Un paio di strutture lunghe e strette erano quelle a loro più vicine sul fianco della piccola collina. Una era immersa nei buio, l'altra aveva molte luci accese. Marciapiedi fluorescenti tracciavano strette piste luminose tra gli edifici. Sulla destra delle due lunghe strutture si ergeva un edificio esa-
gonale, alto circa tre piani, fatto di finta roccia di plastica, sormontato da pannelli pure di plastica. Al di là di esso si stendeva una grande struttura a due piani il cui scopo Flinx poté facilmente indovinare dalle alte porte sul davanti e una singola fangomobile parcheggiata al di fuori: era un hangar per il parcheggio e la manutenzione dei veicoli. Accanto all'hangar c'era un edificio tozzo coronato da festonature di sottili cavi d'argento. La centrale elettrica non era grande abbastanza da nascondere un sistema a fusione. Flinx decise che si trattava, con ogni probabilità, d'una batteria di singole pile modulari, di dimensioni variabili a volontà. Quello che lasciava più perplessi era l'assenza di qualunque tipo di recinto o altre barriere. Questo voleva dire spingere la verosimiglianza con un innocuo padiglione troppo oltre, rifletté Flinx. In assenza d'una qualunque barriera, l'attenzione di Flinx come quella di Lauren furono attirate dalla caratteristica torre centrale, l'unica struttura che si trovasse davvero fuori posto in un complesso turistico. Lauren l'ispezionò con grande attenzione attraverso il binocolo. — Anche là ci sono delle luci accese — annunciò. — Potrebbero magari volerla far passare per un qualche tipo di torre d'osservazione, o addirittura per un ristorante. — Mi sembra che in cima sia terribilmente stretta per poterci far entrare una sala da pranzo — commentò Flinx. Quando tutte le luci interne ancora accese si spensero, alcuni riflettori presero a sciabolare l'oscurità tra gli edifici. Un'altra ora di attesa tra i cespugli umidi e freddi confermò i sospetti di Lauren su quella torre misteriosa. — Ci sono sei oggetti conici regolarmente spaziati sopra il tetto — disse a Flinx, indicandoglieli con la mano guantata. — Sulle prime avevo pensato che fossero riflettori, ma nessuno dei sei si è acceso. Cosa diavolo possono essere? Anche Flinx era riuscito a distinguerli. — Adesso credo di riconoscerli. Sono proiettori d'ultrasuoni ecosensibili. Lauren lo fissò sbalordita. — Cosa? E come fa ad essere tanto sicuro di quello che sono? Flinx le concesse un fugace sorriso. — Ho dovuto schivarli altre volte. Ognuno di quei coni proietta un fascio ampio e piatto di ultrasuoni ad alta intensità. Gli oggetti immobili non vengono registrati dai sensori, e questo rende possibili usarli per spazzare zone in cui s'innalzano edifici ed altre
installazioni fisse. — Flinx riprese a studiare la torre con rinnovata attenzione. — Sì — riprese, — a giudicare da come sono sistemati i proiettori, direi che la loro portata effettiva si fermi a circa cinquanta metri da quei due edifici lunghi e stretti. — Questo non va bene — ribadì la donna, cercando di distinguere l'invisibile barriera, anche se sapeva che era impossibile. — È anche peggio di quanto lei possa pensare — aggiunse Flinx. — Il computer, infatti, è programmato per scartare automaticamente tutte le interruzioni dei raggi sonici prodotte da oggetti di dimensioni diverse da quelle umane. Mentre, al contrario, l'interruzione del campo sonico di qualcosa che anche vagamente abbia dimensioni e forma umana genera una proiezione grafica su uno schermo. Qualunque guardia stia osservando lo schermo sarà perciò in grado di dire cosa sia entrato nell'area protetta e decidere su quella base se dare o no un ulteriore allarme. — Aggiunse in tono di scusa: — I ricchi adorano questo sistema di difesa. — Quando non abbiamo visto un normale recinto, ho temuto che vi fosse qualcosa del genere. Non c'è nessun modo per aggirarlo, Flinx? Ha detto di aver evitato cose come queste, in passato. Flinx annuì. — Evitato, appunto. Non c'è nessun modo per evitare questo sistema. Non dall'esterno, comunque. Suppongo che potremmo scavare una galleria sotto di esso. — Fino a quale profondità il fascio d'ultrasuoni penetra nel terreno? — È un problema — fece Flinx. — Dipende interamente dall'energia con cui vengono alimentati i proiettori e dalle frequenze che vengono generate. Forse soltanto un metro, o al contrario una dozzina. Potremmo scavare una galleria fino all'interno del campo e andare a sbattere contro il raggio senza saperlo, fino al momento in cui emergere in mezzo a un cerchio di fucili. E anche se riuscissimo a penetrare fin dentro il campo, avremmo un altro problema, poiché è probabile che i raggi coprano l'intera superficie esterna. Dovremo uscire rasenti uno di quegli edifici, o addirittura al suo interno. — Non ha importanza — l'interruppe la donna, — poiché non abbiamo a portata di mano nessuna attrezzatura per scavare gallerie. Azzarderò l'ipotesi che, visto il loro controllo così stretto della superficie, il cielo nelle immediate vicinanze dell'installazione sia coperto con un'attenzione ancora maggiore. — Pronto a scommettere anche su questo — dichiarò Flinx. Indicò la
torre e il resto dell'installazione. — Potremmo sempre speronarli con un tuffo improvviso del fluttuante. Non ci sono molti edifici, laggiù. Forse riusciremmo a trovare Mamma Mastino e a tirarla fuori prima che abbiano il tempo di reagire. Lauren continuò a studiare il complesso. — Non c'è niente di più costoso d'una installazione temporanea sistemata in maniera tale da sembrare permanente. Direi che un insediamento del genere è in grado di ospitare dalle trenta alle cento persone. Non hanno certo compiuto un simile sforzo per individuare degli intrusi, senza essere anche dannatamente pronti a respingerli. Ricordi che noi siamo soltanto in due. — Tre — la corresse Flinx. Un sibilo compiaciuto si fece udire da sopra la sua spalla. — La sorpresa può valer parecchio — annuì Lauren. — Diciamo, dieci, ma non di più. E nella veste di cadaveri non saremmo di grande aiuto a sua madre. Si ricordi che nessun altro sa che noi siamo qui. Se noi dovessimo sparire, sparirebbero anche le possibilità di sua madre di cavarsela. — So che le probabilità a nostro favore non sono granché — ribatté Flinx, irritato, — ma dobbiamo fare qualcosa. — E qualcosa faremo. Ricorda quella sezione di foresta messa quasi del tutto allo scoperto, che abbiamo sorvolato ieri sul presto? Flinx ci pensò su un momento, poi annuì. — Quella era una linea-guida. — Una linea-guida per che cosa? — Per l'egualizzazione — gli rispose la donna. — Per pareggiare le probabilità. Per un'arma migliore di questa. — Accarezzò la tracolla del fucile a dardi. — Ancora migliore di quel serpente che cavalca la sua spalla. Non condivido la fiducia che ha in lui. — Lei non ha visto Pip in azione — obiettò Flinx. — Di che razza di arma sta parlando? Lauren si alzò e spazzolò via il terriccio e i frammenti di corteccia dalla sua tuta. — Vedrà — garantì a Flinx. — Ma dovremo stare dannatamente attenti. — Scrutò una volta ancora il campo sotto di loro. — Vorrei riuscire a pensare a un sistema migliore, ma proprio non ce la faccio. Possiamo star certi che oltre al sistema d'individuazione che lei mi ha descritto hanno piazzato anche delle sentinelle. Noi non sappiamo neppure in quale edificio si trovi sua madre. Se dobbiamo rischiare tutto in una singola carica alla cieca, allora dovrà essere una carica davvero infernale. «L'arma che ho in mente è del tipo volatile. Può colpire in entrambe le
direzioni... è un'arma a doppio taglio, in altre parole, ma preferisco un pericolo che mi sia familiare. Torniamo al fluttuante. Lauren si girò e si incamminò verso la foresta. Flinx si alzò a sua volta per raggiungerla; gli costò uno sforzo allontanarsi dal campo, che sembrava fissare la notte con tanti occhi fosforescenti da rettile, fino a quando gli alberi non li inghiottirono del tutto. Avevano già percorso metà della strada che li separava dal boschetto dove avevano parcheggiato il fluttuante, quando una nuova sensazione spazzò il suo corpo. Come al solito l'investì del tutto all'improvviso, ma questa volta era del tutto diversa dalle sue ultime recezioni. Tanto per cominciare, non era collegata con nessuna sensazione di dolore, e per di più proveniva da una direzione diversa da quella del campo. Sì, il suo punto d'origine era un altro. Stranamente, aveva delle sfumature di allarme, anche se si trattava d'un allarme vago, confuso. Proveniva da Lauren ed era diretto a lui. Non c'era amore, nessun seguito caldo e appassionato al bacio casuale che la donna gli aveva dato a bordo del fluttuante. Sì, c'era affetto, ma non era quello che lui aveva sperato. E c'erano ammirazione, e qualcos'altro. Qualcosa che non si sarebbe aspettato da lei: una viva ondata di preoccupazione per lui, e in misura minore, pietà. Flinx era diventato esperto nel distinguere e identificare le emozioni che riceveva, e non c'erano equivoci su quelle che in quel momento l'investivano. Quel bacio, dunque, non soltanto non era stato dettato da vero amore, era molto, molto di meno. Lauren provava dispiacere per lui. Niente di più. Cercò di respingere quelle sensazioni, non soltanto perché provava a causa d'esse una viva delusione, ma perché era anche imbarazzato. Era anche peggio che guardare dentro la mente di qualcuno: lui stava leggendo il cuore di Lauren, non la mente. Ma, malgrado ci mettesse ogni energia, non riuscì a escludere da sé quel flusso. Non poteva arrestare quel flusso di emozioni più di quanto fosse in grado di metterlo in moto. Si accertò di restare un passo o due dietro di lei, cosicché non fosse in grado di distinguere il suo viso, sempre assorbendo le ondate di compassionevole preoccupazione che sgorgavano da Lauren, continuando a sperare che fossero qualcos'altro... qualcosa di più. Esitarono prima di avvicinarsi al fluttuante, compiendo un giro completo intorno all'area di atterraggio. Questa rapida ricerca rivelò comunque che il loro nascondiglio era rimasto inviolato. Una volta saliti a bordo, Lauren
fece alzare l'apparecchio. Non puntò verso il campo; invece curvò verso sud e cominciò a ripercorrere il loro tragitto sempre sfiorando le cime degli alberi. Ben presto incontrarono il lungo squarcio aperto nel folto della foresta. Lauren si librò sopra di esso per parecchi minuti, studiando il terreno, poi con mossa decisa puntò verso ovest. Flinx si tenne sulle sue cercando di escludere dalla sua mente quel diluvio di emozioni. Poi, in modo del tutto improvviso, quello spazio aperto tra gli alberi terminò. — Dannazione — imprecò a bassa voce Lauren, — devo aver scelto la direzione sbagliata. Ero sicura di aver interpretato la superficie nella maniera giusta. Forse è nella direzione opposta. Flinx non fece commenti quando Lauren fece virare il fluttuante puntando verso sud-est. Quando il sentiero terminò un'altra volta con un muro ininterrotto di alberi, la donna con un moto di rabbia fece virare il velivolo una seconda volta. E quando incontrarono per la terza volta il muro compatto della foresta, rallentò ma continuò verso ovest, puntando più volte tutti i rivelatori del radente sulla buia foresta sottostante. — Forse, se mi dicesse con più precisione cosa sta cercando, potrei aiutarla a guardare — disse infine Flinx, con una punta di frustrazione nella voce. — Gliel'ho già detto. Armi. O meglio, alleati. Il che è la stessa cosa. Tuttavia, non c'è nessun segno di loro. Devono aver finito di mangiare ed essere entrati in semiletargo. È così che vivono: non fanno niente, si limitano soltanto a mangiare per parecchi giorni di fila, poi si stendono al suolo e dormono per un'intera settimana. Il guaio è che quando hanno terminato uno dei loro periodi di nutrizione, sono inclini a girovagare in qualunque direzione fino a quando non trovano un posto per dormire che li soddisfa. E noi non abbiamo certo il tempo di rovistare l'intera foresta per trovare la mandria. — Mandria di cosa? — chiese Flinx. — Non gliel'ho detto? Devilopi. Flinx adesso capì. Aveva sentito parlare dei devilopi, ne aveva perfino visto una o due teste imbalsamate in un grande edificio commerciale. Ma non aveva nessuna esperienza diretta con loro. Pochi cittadini di Drallar, del resto, l'avevano. Non ce n'era un solo esemplare nello zoo della città. Da quanto gli avevano detto, non era possibile tenere dei devilopi in uno zoo. Il demichin devilope era la forma di vita nativa dominante su Falena. Era insolito che un erbivoro fosse la forma di vita dominante su un pianeta ma,
a parte l'uomo, un arrivo molto recente, i devilopi non avevano nemici naturali. Erano relativamente scarsi, come del resto lo erano le teste imbalsamate che Flinx aveva visto. Il costo eccessivo dell'indispensabile imbalsamazione permetteva soltanto alle persone più ricche di collezionare devilopi. Il fluttuante volteggiava tra le cime degli alberi, prendendo quota di tanto in tanto per superare gli occasionali esemplari che superavano i novanta metri di altezza, e scendendo più in basso quando la foresta toccava altezze più modeste. Di tanto in tanto Lauren faceva abbassare il fluttuante fino al livello del suolo, ma soltanto per levarsi di nuovo verso il cielo, delusa, quando le tracce si rivelavano inconcludenti. Sì, non c'era il minimo segno d'una mandria di devilopi. Nel frattempo, un'altra serie di sensazioni stava investendo la mente aperta di Flinx, e Pip cominciò ad agitarsi sulla sua spalla. Flinx aveva continuamente cercato di ritrovare le emozioni di Mamma Mastino, ma senza successo. Al contrario, i suoi tentativi parevano attirare le sensazioni di tutti, salvo quelle della sua madre adottiva. Tornò a chiedersi il perché di quella sua percezione così accentuata dal momento in cui aveva acquisito il suo animaletto; anche se era probabile, puntualizzò a se stesso, che lassù nel nord, dove le menti erano poche e sparse, fosse soltanto naturale che la sua ricettività migliorasse. Quelle ultime sensazioni portavano un'indubbia firma femminile. Ma erano nuove, per lui. Non appartenevano né a Mamma Mastino né a Lauren. Gelide e calme, erano vaghe e difficili da definirsi: a chiunque appartenessero, si trattava d'una persona insolitamente priva di emozioni. Lui percepiva anche una leggera ma inequivocabile paura, associata ad una formidabile determinazione, fredda e implacabile: così dura e irremovibile che Flinx ne provò un vivo timore, intenso quasi quanto il terrore che aveva sentito irradiarsi da Mamma Mastino. Ma, salvo per quelle sfumature di paura, avrebbero potuto essere le emozioni d'una macchina. Quelle sensazioni provenivano dal campo in cui Mamma Mastino era tenuta prigioniera. Flinx aveva pochi dubbi che appartenesse a uno di quei misteriosi individui che l'avevano rapita. Dalla debole, fioca sensazione che percepiva poteva capire la sua paura. Poi la sensazione scomparve. Era durata meno di un minuto. Eppure, durante quel tempo, Flinx aveva ricevuto una completa immagine emotiva della persona che l'aveva agganciato con i suoi sentimenti. Mai prima di allora aveva incontrato una mente concentrata a tal punto su un singolo scopo, e del tutto priva delle consuete
sfumature emotive che facevano parte della normale umanità. Pip sibilò contro l'aria vuota come se fosse pronto a colpire per difendere il suo padrone. — Questo non funziona — borbottò Lauren, cercando di vedere attraverso gli alberi. — Dovremo... — S'interruppe, lo guardò e corrugò la fronte. — Si sente bene? Ha l'espressione più strana che io abbia mai visto, sulla sua faccia. — Sto benissimo. — Il gelo profondo si stava finalmente dileguando dalla sua mente. Gli fu chiaro che non si era reso conto di quanto l'avesse interamente afferrato. La domanda della donna lo riportò all'immediatezza del momento, e poté di nuovo sentire il calore della cabina del fluttuante e del proprio corpo. Non per la prima volta si trovò a chiedersi se quell'ingovernabile talento un giorno non avrebbe finito per fargli del male piuttosto che del bene. — Stavo solo pensando. — Lo fa molto spesso — mormorò la donna. — Flinx, lei è l'uomo più bizzarro che abbia mai incontrato. Lauren riportò la sua attenzione sui comandi. — Adesso atterreremo. Questo fluttuante non è precisamente attrezzato per il genere di ricerca notturna che stiamo conducendo. Inoltre non so come lei si senta, ma è tardi ed io sono esausta. Anche Flinx era tremendamente stanco, sia nella mente che nel corpo. Così non fece obiezioni quando Lauren scelse una macchia d'alberi e fece calare il fluttuante in mezzo ad essi. — Non credo che dovremo fare la guardia — disse la donna. — Siamo abbastanza lontani dal loro campo, cosi nessuno dovrebbe incappare su di noi. Non ho visto nessun segno di pattugliamenti aerei. — Adesso si trovava sul retro del fluttuante, intenta a sprimacciare i sacchi a pelo che avevano portato dal padiglione. Flinx se ne stava seduto e la guardava in silenzio. Aveva conosciuto alcune ragazze e giovani donne a Drallar. Abitanti del mercato come lui, studentesse alla dura scuola del vivere alla giornata. Non era mai riuscito a provare un vero interesse per nessuno di loro, anche se qualcuna aveva mostrato per lui un interesse più che casuale. Non erano, be'... non erano serie, né sulla vita, né su altre faccende. Mamma Mastino l'aveva rimbrottato spesso per questo suo atteggiamento. — Non c'è motivo perché tu debba comportarti con tanto dislacco, ragazzo. Non sei più vecchio di loro. — Questo non era vero, naturalmente, ma lui non poteva convincersene.
Lauren era cittadina d'una dimensione interamente diversa. Era una donna attraente e matura. Un'adulta capace di pensare, e che aveva fiducia in se stessa, il che era appunto l'immagine che Flinx aveva di se stesso, malgrado l'età. La donna si era già tolta i calzoni e la camicia e si era infilata nel sottile bozzolo termico del sacco a pelo. — Be'? — Gli strizzò l'occhio, si spinse via i capelli dal viso. — Non va a letto? Non mi dica che non è stanco. — Riesco appena a reggermi in piedi — ammise Flinx. Si tolse a sua volta gli indumenti e s'infilò nel sacco a pelo accanto a quello di lei. Giacendo là ed ascoltando il ritmico picchiettare della pioggia contro la calotta del fluttuante, si protese verso Lauren con la sua mente, facendo uno sforzo, cercando un accenno, una traccia delle emozioni che tanto disperatamente avrebbe voluto che lei sentisse. Invece, cosa che lo fece infuriare, non riuscì a percepire niente. Il calore del sacco a pelo e della cabina lo avvolse, e Flinx divenne conscio in modo acuto del debole odore di muschio della donna che si trovava a poca distanza da lui. Avrebbe voluto allungare la mano, toccare quella pelle liscia e abbronzata dal sole, accarezzare quei lucidi riccioli neri come la notte che le ricadevano giù da un lato della testa e coprirle la guancia e il collo, formando uno scuro rigonfiamento contro il bastione del sacco a pelo. La mano gli tremava. Cosa devo fare?, pensò furiosamente. Come comincio? C'è qualcosa di speciale che dovrei dire all'inizio, oppure dovrei allungare la mano subito e parlare più tardi? Come posso dirle quello che sento? Io posso ricevere... Se soltanto potessi trasmettere! Pip giaceva arricciato in un nodo duro e scaglioso vicino ai suoi piedi, in fondo al sacco a pelo. Flinx si accasciò su se stesso, stanco, frustrato e impotente. Cosa c'era da fare, adesso? Cosa c'era da fare... se non quello che lui avrebbe voluto, ma esitava a osare? Un lieve mormorio lo raggiunse dall'altro sacco a pelo. Un fruscio di capelli neri. — Buona notte, Flinx. — Lauren si voltò per un fugace sorriso che illuminò la cabina, poi tornò a girarsi e rimase immobile. — Buona notte — borbottò il ragazzo. La mano incerta che era uscita per metà dal sacco a pelo si ritrasse, stringendo convulsa l'orlo del tessuto. Forse era meglio così, cercò di dirsi. Per quanto si credesse adulto, c'erano misteri e parole d'ordine che non gli erano ancora familiari. Inoltre c'era quell'ondata di pietà e di compassione che aveva individuato in lei... E anche ammirazione, rassicurazione, ma non ciò che aveva sperato di sentir ir-
radiare da lei. Voleva, doveva avere, qualcosa di più. La cosa di cui non aveva proprio nessun bisogno era un'altra madre. XIII La mattina dopo, quando si alzarono, non dissero niente. Inghiottirono una rapida colazione a base di concentrati, poi si sollevarono un'altra volta in volo nel cielo fosco. Il sole non si era ancora alzato del tutto, anche se la sua luce diffusa dalle nubi illuminava le cime degli alberi. Flinx sapeva che dovevano trovare al più presto la mandria di Lauren, poiché la batteria del fluttuante si stava scaricando e così anche le loro possibilità. Flinx non sapeva quanto tempo restasse ancora a Mamma Mastino prima che la fonte di paura che aveva percepito la raggiungesse. Forse erano stati ostacolati dalla mancanza della luce del giorno, o forse erano semplicemente passati accanto al luogo giusto senza avvedersene, ma questa volta trovarono la mandria nel giro di pochi minuti. Sotto il fluttuante sospeso nell'aria videro una moltitudine di piccole colline colore dell'ossidiana. Il nero pelame s'increspava alla brezza del mattino, folto e spesso più d'un metro. Là dove una delle piccole colline si mosse nel suo sonno profondo, vi fu un lampo di rosso, come un rubino smarrito in un mucchio di carbone, quando un occhio si aprì e tornò a chiudersi in un attimo. Flinx contò più di cinquanta adulti. Sparsi tra loro c'erano in numero pressoché uguale i cuccioli e gli animali giovani. Tutti giacevano distesi sul fianco sopra il terreno umido, e il boschetto che avevano scelto come riparo li proteggeva un po' dalla pioggia. Così, quelli erano i favolosi demichin devilope! Minacciosi, spaventevoli perfino nel loro sonno sazio. Lo sguardo di Flinx si appuntò su uno degli immensi maschi che russava tra due torreggiami alberi di legno duro. Calcolò che fosse lungo almeno dieci metri, e la sua altezza, una volta in piedi, sarebbe arrivata a sei metri. Se fosse stato in piedi, un uomo alto di statura avrebbe potuto camminare sotto il suo ventre sfiorando appena le punte inferiori dei suoi ispidi peli. Il collo inclinato verso il basso, dai muscoli possenti, penzolava tra un paio d'immense spalle ingobbite per terminare in un cranio da incubo dal quale sporgevano parecchie corna. Alcuni devilopi avevano soltanto due corna, altri arrivavano ad averne fino a nove. Le corna erano contorte e arricciate, anche se per la maggior parte terminavano puntate in avanti; non
c'erano due devilopi le cui corna crescessero esattamente nello stesso modo. Le piastre ossee erano scampanate leggermente verso l'esterno, partendo dalle corna, per proteggere gli occhi. Le zampe anteriori erano più lunghe di quelle posteriori, una cosa insolita per un mammifero tanto massiccio. Questa tremenda muscolatura anteriore consentiva a un devilope di sradicare un albero completamente cresciuto. Questo spiegava la pista devastata che contrassegnava i loro periodi di alimentazione. Una sola mandria era in grado di spogliare del tutto un'intera sezione della foresta, spingendo giù i sempreverdi per arrivare agli aghi e ai germogli più teneri, giungendo anche a strappare e a divorare la corteccia dei tronchi più grossi. I devilopi si mossero nel loro sonno, scalciando con le loro zampe grosse come alberi. — Dormiranno così per giorni — gli spiegò Lauren mentre compivano un lento giro sopra la mandria. — Fino a quando non avranno di nuovo fame, o a meno che qualcosa non li disturbi. Non si preoccupano neppure di mettere delle sentinelle. Nessun predatore sano di mente attaccherebbe un'orda di devilopi addormentati. C'è sempre il pericolo che si sveglino. Flinx fissò quella nera distesa di devilopi. — Cosa ne facciamo di loro? — Per non dire come, pensò. — Non possono venir domati, e neppure possono venir guidati — gli disse Lauren. — Ma a volte è possibile attirarli. Dobbiamo trovare una giovane giumenta in calore. La stagione è giusta. — Le sue dita si mossero sopra i comandi, e il fluttuante cominciò a perder quota. — Scendiamo là in mezzo? — Flinx indicò la mandria. — Dobbiamo — rispose la donna. — Non c'è altro modo. Dovrebbe andare tutto bene. Sono addormentati e non hanno paura. — È più di quanto possa dire io — bofonchiò Flinx mentre il fluttuante si tuffava tra gli alberi. Lauren lo manovrò con molta cautela, cercando di rompere quanti meno rami possibile e di produrre poco o niente rumore. — A cosa ci serve una giumenta in calore? — Olio di muschio e sangue — gli spiegò Lauren, quando il fluttuante si adagiò al suolo con leggerezza. Vista da vicino, la mandria era il doppio più impressionante. Una massa ribollente e increspata di neri peli irsuti interrotta da isolate chiazze di corna massicce e ritorte: il tutto era assai più simile ad un paesaggio dell'inferno che a un raduno di erbivori temporaneamente inanimati. Quando Lauren spense il motore e spalancò la porta della cabina, Flinx fu investito
da un denso, violentissimo odore e dal rumoreggiare costante del respiro della mandria. Il ronzio primordiale della Terra, venne fatto di pensare al ragazzo. Lauren aveva tirato fuori il fucile a dardi e lo teneva pronto mentre si avvicinavano un passo dopo l'altro alla mandria. Flinx la seguì cercando di far finta che quelle rupi nere che gli torreggiavano sopra la testa fossero di basalto e non di carne. — Ecco. — Lauren indicò un punto fra un paio di masse animalesche di media grandezza che respiravano lentamente. Prendendo la mira, la donna sollevò con cautela la lunga canna prima di piazzare tre dardi dietro a quel cranio massiccio. La giumenta si mosse, tossendo una volta. Poi la sua testa, che aveva cominciato a sollevarsi, si rilasciò, riaffondando lentamente verso il terreno. Flinx e Lauren trattennero il fiato, ma la loro attività in punta di piedi non aveva destato nessuno degli animali vicini al loro bersaglio. Senza nessun timore, Lauren avanzò a grandi passi tra le due masse che formavano un canyon vivente e si sfilò lo zaino dalle spalle quando fu accanto alla giumenta narcotizzata. Prima di lasciare il fluttuante, aveva tirato fuori parecchi oggetti dal magazzino. Adesso li dispose in fila, con ordine, sul terreno, e si mise al lavoro. Flinx osservò con vivo interesse mentre un coltello ed altri arnesi che non riconobbe venivano mossi con destrezza. Un contenitore si riempì rapidamente di sangue. Un secondo si riempì ancora più in fretta d'un liquido verde e cristallino. Lauren aveva storto violentemente il viso, e non appena l'aroma di quel fluido verde raggiunse anche Flinx, questi ne capì il perché. Quell'odore lo travolse più di qualunque altra cosa che le sue narici avessero mai affrontato. Per fortuna, l'odore in sé non era cattivo... soltanto troppo intenso. Un grugnito forte e acuto s'innalzò all'improvviso alle sue spalle. Flinx si girò di scatto e si trovò a fissare, affascinato e terrorizzato insieme, un grande occhio scarlatto. Una pupilla nera, assurdamente minuscola, galleggiava al centro di quel disco color rosso-sangue. Poi la palpebra discese come una tenda sopra quell'apparizione. Nervi e muscoli di Flinx non si rilassarono. — Faccia presto! — fu il flebile grido emesso da Flinx senza voltarsi. — Credo che quel devilope si stia svegliando! — Non abbiamo ancora finito — replicò Lauren, chiudendo il secondo flacone e mettendosi al lavoro con un laser a bassa energia. — Prima devo suturare le due ferite.
— Lasci che ci pensi la natura a chiuderle — la sollecitò Flinx, tenendo gli occhi fissi sull'orbita che l'aveva fissato senza espressione. La palpebra tornò a incresparsi, e Flinx si convinse che quando si fosse aperta una seconda volta, l'avrebbe fatto in piena coscienza. — Lei mi conosce troppo bene, ormai — aggiunse Lauren, con fermezza. Flinx aspettò, urlando in silenzio che si affrettasse. Finalmente, la donna annunciò: — È fatta. Possiamo andare. Si affrettarono a tornare indietro in mezzo ai bastioni di pelliccia nera. Flinx non si permise di rilassarsi finché non si trovarono ancora una volta seduti all'interno del fluttuante. Flinx passò parecchio tempo per cercare di calmare Pip. Reagendo alla preoccupazione del suo padrone, l'animaletto aveva sviluppato un tic nervoso. Malgrado il tappo ermetico, il miasma che si levava dalla bottiglia verde quasi lo soffocava. Il contenitore del sangue non emanava nessun odore. — Quello verde è l'olio di muschio — gli spiegò Lauren, senza che ce ne fosse bisogno. — È la stagione della monta. — Posso capire cos'ha in mente di fare con quello — replicò Flinx. — Ma a cosa serve il sangue? — Liberato nell'aria aperta, l'olio basterebbe a interessare i maschi della mandria. Ma dobbiamo far di più che limitarci a interessarli. Dobbiamo farli impazzire un po'. E l'unico modo di farlo è convincerli che una femmina in calore è in pericolo. E a quel segnale reagiranno anche le femmine della mandria. — Lauren si mise a lavorare con la piccola disponibilità di sostanze chimlche del fluttuante. — Dovrebbe vedere quando i maschi sono svegli e lottano — riprese Lauren mentre mescolava l'olio, il sangue e diversi catalizzatori in un contenitore a chiusura ermetica. Flinx continuava a fissare ansioso la mandria. — L'intera foresta trema. Perfino gli alberi più alti sono scossi. Quando due dei maschi più grossi cozzano l'uno contro l'altro con quei crani e quelle corna, si riesce a sentire il tonfo anche a chilometri di distanza. Cinque minuti più tardi la donna sollevò una grossa fiasca alla debole luce del primo mattino. — Ecco, questo dovrebbe essere più che sufficiente. Feromoni e sangue e qualche altro stuzzichino per l'olfatto. Se questo non li attirerà, allora non c'è niente che possa farlo. — Faranno scattare l'allarme quando traverseranno la barriera sonica — le ricordò Flinx. — Sì, ma a quel punto saranno talmente impazziti che niente gli farà cambiare direzione. Allora non avrà più importanza quello che faranno
scattare. — La donna sorrise con cattiveria, poi esito a quel pensiero. — La mia sola preoccupazione è quella di trovare sua madre prima che i devilopi comincino ad investire gli edifici. — Sarà meglio — disse Flinx. — Dovrebbe esserci abbastanza confusione — proseguì Lauren, — da distrarre l'attenzione di tutti. A meno che non siano del tutto inumani, gli abitanti del campo non avranno da pensare ad altro, se non a salvare la loro pelle. «In quanto a tirar fuori sua madre in fretta, credo si possa senz'altro supporre che non si trovi nell'area dell'hangar o nella centrale elettrica... e neppure nella torre centrale. Rimangono quelle due lunghe strutture situate a ovest. Se riusciremo a irrompervi e a tirarla fuori prima che chiunque sia al comando riprenda il controllo della situazione, dovremmo riuscire a scappare prima che qualcuno si renda conto di cosa sta succedendo. «Ricordi che noi saremo i soli preparati a quanto sta per accadere. Molto dipenderà da come reagirà questa gente. È ovvio che non sono stupidi, ma non vedo come qualcuno possa avere nervi tanto d'acciaio da reagire senza perdere la testa a ciò che stiamo per combinargli. Inoltre... io non ho nessuna idea migliore. Flinx scrollò la testa. — E neppure io. Tuttavia, vedo una difficoltà. Se riusciremo a convincere questa mandria che stanno battendo la pista d'una devilope in calore e ferita, dovremo rimanere al suolo. Non vedo come possano seguire l'odore se saremo in aria. — Proprio così. E dovremo rendere la nostra azione il più possibile credibile. Questo significa che dovremo stare a terra. Anche un volo all'altezza delle cime degli alberi potrebbe confondere la mandria... le correnti d'aria porterebbero l'afrore in quota troppo rapidamente e lo dissiperebbe in pochi attimi. — Cosa accadrà allora — incalzò Flinx, — se questa nostra idea dovesse funzionare e quando la mandria c'inseguisse verso il campo... e noi dovessimo andare a sbattere contro un albero, un palo o qualcosa del genere? Lauren scrollò le spalle. — Sa arrampicarsi? — Non sono molti gli alberi disponibili a Drallar — obiettò Flinx. — Ma ho fatto molte arrampicate sulla facciate esterne degli edifici. — Scoprirà che c'è assai poca differenza — gli garantì la donna, — soprattutto con la spinta psicologica di cui disporrà se il fluttuante dovesse incepparsi. Comunque... se accadrà qualcosa, corra verso l'albero più grosso che riesce a trovare. Credo che eviteranno quelli che emergono dalla
massa della foresta. — Lo fissò di traverso, con un attimo di esitazione. — Vuole aspettare un po' e rifletterci sopra? — Stiamo perdendo tempo a parlare qui — rispose Flinx, sapendo che ogni minuto portava Mamma Mastino più vicina alla sorte che i suoi rapitori le avevano destinato. — Se lei è pronta, lo sono anch'io. — Non sono pronta — disse Lauren, — ma per una cosa come questa non lo sarò mai. Così, tanto vale che andiamo. — Prese posto sul seggiolino del pilota e azionò un comando. La parte posteriore della calotta si sollevò, aprendosi. — Salga là dietro. Quando glielo dirò, tolga il tappo al flacone e ne versi fuori, oh, all'incirca un decimo del contenuto. Poi lo tenga pronto aperto e ne versi fuori un decimo tutte le volte che glielo dirò. Ha capito? — Ho capito — le assicurò, con molta più fiducia di quanta ne provasse. — Lei si limiti a guidare quest'affare e si assicuri che non ci mettiamo a litigare con un albero. — Non si preoccupi. — Gli rivolse un ultimo sorriso prima di tornare a voltarsi verso il cruscotto. Il fluttuante si alzò in volo e virò, puntando lentamente verso la mandria sonnolenta. Quando furono a soli dieci metri dall'animale più vicino, Lauren fece ruotare l'apparecchio e lo tenne sospeso, immobile, a mezz'aria, studiando l'immagine della foresta come veniva analizzata dallo schermo. Violenti grugniti frammisti a qualche belato cominciarono a levarsi dalla mandria quando Flinx tese il flacone ancora chiuso sopra la poppa del fluttuante. Si guardò intorno finché non trovò un pezzo di tessuto sottile che si strinse intorno alla bocca e al naso. — Avrei dovuto pensarci — mormorò la donna guardandolo. — Mi spiace. — Non ne vuole un pezzo anche lei? — chiese Flinx. Lauren scosse la testa. — Sono quassù e il vento allontanerà l'odore da me. È pronto? — Le sue mani si strinsero sul volante. — Pronto — disse Flinx. — Sei pronto, Pip? Il serpente volante non disse niente; neppure sibilò in risposta. Ma Flinx sentì le spire che si stringevano nell'attesa intorno al suo braccio e alla spalla sinistra. — Apra il flacone e versi — Lauren gli ordinò. Flinx fece saltare il tappo che chiudeva il flacone, mentre Lauren rallentava ancora di più la velocità del fluttuante. Anche con quella maschera improvvisata e la brezza che allontanava l'afrore da lui, l'odore era del tutto
soffocante. Gli occhi gli lacrimavano e le narici si ribellavano. In qualche modo riuscì a mantenere la sua attenzione sul compito immediato e versò lentamente un decimo del liquido. Un muggito querulo e violento si levò da parecchie massicce gole. Quando il fluttuante scivolò oltre una macchia di alberi di legno duro simile ad una cattedrale, Flinx riuscì a vedere un maschio gigantesco che si sollevava da terra. Parve dominare la foresta, malgrado i grandi alberi s'innalzassero sopra di lui. Adesso quei rossi occhi metallici erano completamente aperti, le minuscole pupille nere parevano come buchi su uno sfondo scarlatto. Il devilope scosse la testa da un lato all'altro, avanti e indietro, e tuonò. Fece un passo avanti, poi un secondo. Dietro di lui il resto della mandria si stava alzando, gli iniziali muggiti d'incertezza si stavano trasformando in ruggiti di desiderio e di rabbia. Un secondo maschio prese ad avanzare sulla scia del primo. Poi un terzo tracciò i primi passi lunghi e poderosi. Con quella velocità, pensò Flinx, avrebbero impiegato giorni prima di raggiungere il campo. Ma proprio mentre guardava, sempre più preoccupato, la velocità della mandria che si stava svegliando cominciò ad aumentare. Ci voleva tempo perché animali così massicci potessero mettersi in moto. Però, una volta che l'avevano fatto, divoravano le distanze. Non molto tempo dopo, Flinx si trovò a desiderare che il fluttuante accelerasse, e accelerasse ancora. La mandria stava puntando su quell'apparecchio che avanzava serpeggiando e schivando gli alberi. Lauren doveva evitare anche gli alberi più piccoli, che la mandria ignorava, in preda com'era alla bramosia e al furore di localizzare la fonte di quell'odore pungente ed elettrizzante. Lauren si voltò per gridargli qualcosa, ma Flinx non riusciva più a sentirla. Gli alberi schizzavano via sibilando accanto a loro mentre Lauren riusciva in qualche modo ad aumentare ancor di più la loro velocità senza andare a sbattere contro qualche ostacolo. Dietro di loro il rimbombo del tuono s'innalzava sempre più mentre il rumore di centinaia di zoccoli polverizzava il terreno mischiandosi al crepitio dei tronchi spezzati e al gemito di alberi ancora più grossi che venivano sradicati dal suolo. Flinx riuscì a vedere soltanto degli occhi rossi e un mare di corna mentre versava un altro decimo di quel liquido che faceva impazzire la mandria, attirando quel rombo di tuono verso il fragile fluttuante e il suo ancora più fragile carico.
Non c'era niente nella piccola sala operatoria che non fosse stato completamente sterilizzato. A Mamma Mastino non restava più nessuna forza per combattere mentre la legavano con fermezza, ma delicatamente, al tavolo tiepido. Le sue bestemmie e le imprecazioni erano ridotte a implorazioni appena appena uggiolate, più frutto di riflesso che altro, giacché ormai aveva capito che niente avrebbe dissuaso quei pazzi dalle loro intenzioni. Alla fine non ebbe neppure più la volontà d'implorare e si accontentò di fissare a labbra strette i suoi tormentatori. Delle luci vivide si accesero, abbagliandola. La donna alta e nera era in piedi alla destra del tavolo, intenta a controllare un cerchio di plastica grande quanto il palmo d'una mano. Mamma Mastino riconobbe la siringa a pressione e distolse lo sguardo da essa. Come i suoi compagni, Haithness indossava una tunica chiara da chirurgo e una maschera che le lasciava scoperti soltanto gli occhi. Nyassa-lee inserì le forbici che sarebbero servite a depilare il cranio del soggetto. Brora, che avrebbe eseguito il trapianto vero e proprio, si teneva in disparte intento a controllare dei dati su uno schermo appeso appena sopra e dietro la testa di Mamma Mastino. Di tanto in tanto gettava un'occhiata al ripiano sul quale erano posati gli strumenti chirurgici e parecchie scatole quadrate trasparenti appannate dalla brina. All'interno delle scatole c'erano le componenti microelettriche che avrebbe trapiantato nel cranio del soggetto. Una massa metallica globulare appesa al soffitto si trovava sulla verticale del tavolo operatorio, luccicante come una medusa d'acciaio. Dai suoi visceri s'irradiavano bracciate di filo metallico e altre appendici. Tutti questi collegamenti avrebbero fornito energia ai vari accessori, succhiando i liquidi organici attraverso i tubi, e sostituendo temporaneamente qualunque organo che avesse mostrato sintomi di cedimento sotto l'operazione. C'erano sottilissimi filamenti che potevano sostituire i capillari cerebrali, appendici che avrebbero potuto fondere o scavare le ossa, e congegni in grado di scavalcare i polmoni e fornire direttamente ossigeno al sangue. — Sono pronto a cominciare. — Brora rivolse un flebile sorriso a Nyassa-lee, la quale annuì. Fissò la sua collega. — Haithness? — La donna alta e nera gli rispose con gli occhi mentre preparava la siringa. — Un ultimo controllo degli strumenti, allora — mormorò l'uomo, rivolgendo la sua attenzione al ripiano che ospitava gli strumenti per la microchirurgìa. Sopra di lui la medusa ronzava in attesa. — Questo sì che è strano. — Brora ristette, corrugando la fronte. — Guardate qui. — Le due donne si sporsero verso di lui. Gli strumenti, le
minuscole scatole col loro contenuto congelato, perfino lo stesso ripiano, parevano vibrare. — Problemi con la corrente? — azzardò Nyassa-lee. Sollevò lo sguardo e vide che il globo centrale di sostegno ondeggiava leggermente. — Non lo so. Certo, se si trattasse di qualcosa di serio, a quest'ora ce l'avrebbero detto — borbottò Brora. Le vibrazioni s'intensificavano. Una delle sonde rotolò giù dal ripiano e rimbalzò sul pavimento di plastica. — Mi pare che stia peggiorando. — Un lieve rombo giunse ai loro orecchi da qualche parte all'esterno. A Brora parve che arrivasse da ovest. — Una tempesta in avvicinamento? — chiese Nyassa-lee, corrugando la fronte. Brora scosse la testa. — Il tuono non farebbe tremare il tavolo, e le previsioni del tempo non hanno parlato di tempeste imminenti. E non può neppure essere un terremoto. Questa regione è sismicamente stabile. Il tuono che continuava a crescere d'intensità non scendeva dalle lontananze del cielo ma saliva dal terreno disturbato da qualcosa. D'un tratto il sistema di allarme entrò in funzione in tutto il campo. I tre chirurghi si guardarono confusi quando il rombo cominciò a scuotere non soltanto i tavoli e gli strumenti, ma l'intero edificio. Le sirene di allarme ululavano lamentose. Poi esplose un fragore lacerante quando qualcosa si riversò attraverso l'estremità opposta della sala conferenze, mancando la sala chirurgica per un margine minimo. Fu visibile solo per pochi istanti, anche se bastò per riempire ogni cosa. Poi passò oltre, trascinando sulla sua scia sezioni di tronchi e di pietre fasulli, facendo entrare il cielo e la nebbia e lasciandosi alle spalle un'ampia depressione nelle fondamenta di plastacciaio. Haithness ebbe modo di vedere meglio dei compagni mentre i detriti cadevano giù dal tetto lentamente a coprire il segno: era l'impronta d'uno zoccolo. Nyassa-lee si strappò di dosso la maschera chirurgica e corse verso la porta più vicina. Brora e Haithness le furono subito dietro. Alla loro fuga, Mamma Mastino, che si era ormai rassegnata a perdere quella parte di sé che le garantiva libertà e indipendenza, d'un tratto ritrovò la voce e si mise a gridare aiuto. Polvere e frammenti di materia isolante cominciarono a cader giù dal soffitto man mano il rombo e il violento tremito continuavano a crescere d'intensità intorno a lei. La sfera chirurgica multibraccia sopra il tavolo operatorio stava adesso oscillando pericolosamente avanti e indietro, ruotando su se stessa, minacciando, a ogni sobbalzo, di staccarsi dai suoi so-
stegni. Mamma Mastino non sprecò energia nel futile tentativo di spezzare le cinghie che la tenevano legata. Conosceva i propri limiti. Invece impegnò tutta la forza che le rimaneva per urlare con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Non appena erano entrati nei confini del raggio sonico che circondava il campo, Lauren aveva accelerato ancora, lanciandosi a velocità pericolosamente alta al di là della torre centrale. Qualcuno aveva avuto la presenza di spirito di afferrare un'arma, ai frenetici ululati della sirena d'allarme, ma il fucile ad energia sparò troppo precipitosamente e mancò il fluttuante ormai in fuga. Allo stesso tempo, colui che impugnava il fucile aveva visto qualcosa che veniva scagliato fuori dal retro dell'apparecchio invasore. Si era tirato istintivamente indietro, e quando non era seguita nessuna esplosione, si era sporto dalla finestra del terzo piano per fissare incuriosito il vetro fracassato e il liquido verde-rosso che colava lungo il fianco dell'edificio. Ma non restò a fissarlo a lungo, facendo ipotesi, poiché la sua situazione e quella dei suoi compagni nella torre fu ben presto occupata dalla marea nera che usciva dalla foresta col rombare d'un tuono. La mandria frustrata e incollerita concentrò tutta la sua attenzione verso la direzione da cui giungeva più intenso quello sconvolgente odore. La torre centrale, che conteneva le principali attrezzature per la comunicazione e la difesa dell'accampamento, fu in pochi attimi ridotta a un cumulo di macerie di plastica e metallo. Nel frattempo Lauren aveva riportato indietro il fluttuante facendogli descrivere un ampio cerchio e infine atterrando fra i due lunghi edifici sul lato ovest del campo. Il personale del campo era troppo impegnato nel tentativo di fuggire nella foresta, schivando quegli enormi zoccoli, per porsi domande circa la presenza d'un velivolo sconosciuto fra loro. Avevano cinquanta probabilità su cento d'imbroccare l'edificio giusto al primo tentativo. La fortuna volle che scegliessero bene... e non grazie al suo talento, pensò Flinx, che non l'aveva aiutato proprio per niente. Il tetto cominciava già a crollare sulla sala operatoria quando infine raggiunsero quell'estremità dell'edificio. — Flinx, come hai...? — cominciò a balbettare Mamma Mastino. — Come ha fatto a sapere dove trovarla? — finì per lei Lauren, mentre cominciava a lavorare alle cinghie che imprigionavano il braccio destro
della vecchia donna. — No — la corresse Mamma Mastino. — Avevo cominciato a chiedergli come aveva fatto ad arrivare fin qui senza soldi. Non pensavo che fosse possibile andare da qualche parte su Falena senza soldi. — Ne avevo un po', Mamma. — Flinx le sorrise. La vecchia donna appariva illesa, era soltanto logorata a causa della durissima prova di quei giorni frenetici e confusi. — E ho altre capacità, sai. — Ah — annuì la vecchia con aria cupa. — No, non quello — lui la corresse. — Ti sei dimenticata che ci sono altri modi di usare le cose senza dover pagare per farlo. La vecchia scoppiò a ridere a quelle parole. L'echeggiare di quella risata gracchiante lo rincuorò. Per un attimo, Mamma Mastino dominò le urla e gli echi della distruzione che riempivano l'aria fuori dell'edificio. La terra tremava sotto i loro piedi. — Sì, sì, sei sempre stato in gamba ad aiutare te stesso quando ti serviva qualcosa. Non ti ho avvertito anche troppo spesso di non farlo? Ma non credo che adesso ci sia il tempo di rimproverarti. — Sollevò lo sguardo su Lauren, che stava faticando a sciogliere le cinghie. — Adesso — chiese la vecchia, sollevando le sopracciglia, — questa, chi è? — Un'amica — le assicurò Flinx. — Lauren, le presento Mamma Mastino. — Incantata, nonna. — Lauren digrignò i denti mentre lottava con le cinghie recalcitranti. — Dannati ganci magnetici incorporati nel polietilene! — Guardò Flinx. — Forse dovremo tagliargli. — So che puoi farcela da sola. — Flinx si girò di scatto e corse verso la porta infranta, schivando per un soffio un'intera sezione del tetto che si schiantò al suolo. — Ehi, dove diavolo crede di andare? — gli gridò dietro Lauren. — Voglio delle risposte — lui le gridò di rimando. — Non so ancora cosa sia tutta questa storia, e che io sia dannato se me ne andrò di qui senza tentare di scoprirlo! — Si tratta di te, ragazzo! — gli gridò a sua volta Mamma Mastino. — Volevano servirsi di me per influenzarti! — Ma Flinx era già fuori portata della sua voce. Mamma Mastino tornò ad appoggiare la testa sul tavolo operatorio e fissò preoccupata il soffitto che vibrava e cigolava. — Quel ragazzo — borbottò, — non so se mi sia costato più guai di quanto valesse la pena.
Le cinghie che le imprigionavano la parte superiore del corpo cedettero d'un tratto con un sonoro clic, e Lauren esalò un sospiro di sollievo. Era conscia quanto Mamma Mastino della precarietà dello scricchiolante soffitto e della pesantissima massa del globo chirurgico che oscillava come un pendolo sopra il tavolo operatorio. — Dubito che lei parli sul serio, donna — dichiarò Lauren, calma. — E dovrebbe smetterla di considerarlo un ragazzo. — Si scambiarono una lunga occhiata, i vecchi occhi che sprizzavano domande, e gli occhi più giovani che fornivano una risposta eloquente. Fiducioso che Lauren avrebbe ben presto liberato Mamma Mastino, Flinx fu in grado di lasciare che la rabbia accumulata per giorni dentro di lui finalmente erompesse. Quell'emozione liberata fu tanto potente che Pip tutto allarmato scivolò giù dalla spalla del suo padrone e lo seguì dall'alto, in preda all'ansia. La minuscola testa triangolare si muoveva guizzando in tutte le direzioni nel tentativo di localizzare la fonte non ancora percepita verso la quale era diretto l'odio di Flinx. La furia che ribolliva dentro di lui era controllata a stento. — Non se la caveranno, dopo quello che hanno fatto — si disse ripetutamente. — Non se la caveranno. — Non sapeva cosa avrebbe fatto se si fosse trovato davanti a quegli aggressori ancora sconosciuti, sapeva soltanto che doveva fare qualcosa. Appena un mese prima non avrebbe mai preso in considerazione la possibilità di affrontare un nemico così pericoloso, ma le ultime settimane avevano contribuito molto a rafforzare la fiducia che aveva in sé. La mandria cominciava a smorzare il proprio furore, anche se una parte dei suoi membri cercavano ancora quella misteriosa fonte del loro disagio. Le femmine con gli esemplari più giovani furono i primi a staccarsi dal branco, ritirandosi di nuovo nella foresta. E infine rimasero soltanto i maschi solitari a vagare per il campo, sfogando la loro rabbia e la frustrazione su qualunque oggetto più grande d'un macigno. Di tanto in tanto Flinx passava davanti ai resti di quelli che non erano riusciti a scappare in mezzo agli alberi in tempo per evitare la carica dei devilopi. Di rado c'era qualcosa di più d'una chiazza rossa a macchiare il suolo. Stava avanzando verso l'hangar che lui e Lauren avevano identificato dalla cima della collina. Era l'ultimo rifugio, a fil di logica. Non impiegò molto a raggiungere la costruzione. Mentre attraversava con passo deciso il terreno aperto, non gli venne mai in mente di chiedersi perché mai nessuno degli sbuffanti e scalcianti devilopi si fosse voltato verso di lui caricandolo
e spiaccicandolo contro il suolo. La grande porta sul davanti dell'hangar era spalancata. Flinx colse dei movimenti e udì degli ordini, che non afferrò. Entrò senza esitazione e vide un grosso fluttuante da trasporto sul quale venivano caricate delle casse. L'equipaggio si stava affannando in preda alla disperazione, sotto la direzione d'una piccola e anziana donna orientale. Flinx si fermò appena all'interno della porta a fissare la scena. Adesso che era riuscito a localizzare qualcuno in posizione di comando, non sapeva davvero cosa fare. La rabbia e la confusione l'avevano condotto fin lì. Non c'era stato posto nella sua mente per elaborare una linea di comportamento ragionevole. Una donna alta e nera, in piedi nella sezione anteriore del fluttuante, stava abbaiando una serie di ordini in varie direzioni, e a un certo punto si trovò a fissare verso la porta. I suoi occhi agganciarono quelli di Flinx. E questi, invece di provar odio, si trovò a pensare che nella sua giovinezza costei doveva essere stata una donna di straordinaria bellezza. Gelida, però. Entrambe le donne erano così fredde... I suoi capelli erano quasi tutti grigi e anche i suoi occhi. — Haithness. — Un uomo le arrivò di corsa alle spalle. — Non abbiamo tempo per sognare ad occhi aperti. Dobbiamo... La donna puntò un dito tremante. Brora guardò nella direzione indicata e si trovò a fissare, sgranando gli occhi, una figura giovane ed esile sulla porta. — Quel ragazzo... — bisbigliò. — È lui? — Sì, ma guarda più in alto, Brora. Contro la luce. Lo sguardo dell'uomo tarchiato si alzò, e la sua aria di distaccato interesse l'abbandonò tutto d'un tratto. Restò a bocca aperta. — Oh, mio Dio — esclamò, — un minidrago alaspiniano. — Vedi — mormorò Haithness mentre tornava ad abbassare lo sguardo su Flinx, esaminandolo come avrebbe fatto con qualunque altro soggetto da laboratorio. — Questo spiega molte cose. — Intorno a loro il fracasso dell'accampamento che veniva distrutto continuava a dominare l'attenzione di tutti gli altri. Brora riprese subito il controllo di sé. — Potrebbe, potrebbe, ma il ragazzo forse non è neppure consapevole che... Flinx si sforzò di capire i loro borbottii ma c'era troppo rumore dietro di lui. — Da dove venite? — gridò in direzione del fluttuante. La maturità che aveva appena scoperto di possedere lo lasciò: d'un tratto fu soltanto un adolescente furibondo e frustrato. — Perché avete rapito mia madre? Non mi piacete affatto, sapete. Nessuno di voi mi piace. Voglio sapere perché avete fatto quello che avete fatto!
— Fate attenzione — gridò Nyassa-lee ai suoi due compagni. — Ricordatevi il profilo del soggetto! — Sperò che l'udissero in mezzo al baccano. — Non è pericoloso, ti dico — insisté Haithness. — Questo dimostra la sua innocuità. Se avesse il completo controllo di sé, adesso lancerebbe contro di noi qualcosa di più queste infantili domande. — Ma la creatura catalizzatrice... — Brora indicò con un gesto della mano il rettile che svolazzava sopra la testa di Flinx. — Non sappiamo se stia catalizzando qualcosa — gli ricordò Haithness, — poiché non sappiamo ancora quali siano le capacità del ragazzo. Sono soltanto potenziali. Il minidrago potrebbe non far niente per lui siccome non ha niente con cui lavorare, salvo una dannatissima tenacia e un talento sovrannaturale per seguire le tracce più sottili. — La donna continuò ad esaminare il soggetto che avevano quasi a portata di mano. — Darei parecchio per sapere come ha fatto a venire in possesso d'un minidrago. Brora si leccò involontariamente le labbra. — Abbiamo fallito con la madre. Forse dovremmo tentare di prendere il soggetto, malgrado la nostra esperienza negativa con la ragazza. — No — fu pronta a ribattere la donna. — Non abbiamo l'autorità per correte quel tipo di rischio. Prima dobbiamo consultare Cruachan. Sta a lui prendere la decisione. La cosa importante per noi, adesso, è andarcene da qui con i nostri documenti e noi stessi intatti. — Non sono d'accordo. — Brora continuò a studiare il ragazzo, affascinato dalla sua calma. Il soggetto pareva del tutto indifferente alla fortissima probabilità di morire schiacciato sotto quegli zoccoli che stavano adesso devastando il campo. — Il nostro piano iniziale è fallito. Adesso è giunto per noi il momento d'improvvisare. Dovremmo cogliere l'opportunità di farlo. — Anche se fosse la nostra ultima opportunità? Flinx tornò a gridare: — Di cosa state parlando? Perché non mi rispondete? Haithness si voltò e parve sul punto di rispondere quando un terrificante grugnito scosse l'hangar. D'un tratto la parete a est si gonfiò verso l'interno. Vi furono grida di disperazione mentre l'equipaggio scagliava il carico in tutte le direzioni e si sparpagliava, ignorando le implorazioni di Nyassalee. Ma non si sparpagliò abbastanza in fretta. Pareti e soffitto vennero giù con uno schianto tremendo, seppellendo uomini, contenitori e il grande fluttuante da carico. Tre devilopi maschi
penetrarono attraverso la parete squarciata mentre Flinx si scagliava all'indietro attraverso la porta anteriore. Il metallo, la carne e la plastica si mescolarono in una poltiglia indifferenziata sotto quegli enormi zoccoli. Frammenti di plastica schizzarono nell'aria tutt'intorno a Flinx. Uno di essi gli fece un taglio a una spalla. Occhi rossi lampeggiarono, uno dei maschi si girò di scatto verso la solitaria figura distesa al suolo. La grande testa si abbassò. Coincidenza, fortuna, qualcosa di più: qualunque fosse la cosa che aveva protetto fino a quel momento Flinx dall'attenzione della mandria, d'un tratto era scomparsa. Il maschio che incombeva sopra di lui era impazzito dal furore. Le sue intenzioni apparivano fin troppo chiare nel suo sguardo: bramava di trasformare Flinx in un'altra chiazza scarlatta sul terreno. Qualcosa di tanto minuscolo da non venir notato calò davanti a quel cranio abbassato e sputò dentro a un occhio grande come una sottocoppa. Il devilope sbatté l'occhio una volta, due volte contro quella dolorosa intrusione. Ciò fu sufficiente a diffondere il veleno entro il suo flusso sanguigno. Il mostro aprì la bocca e lasciò partire un muggito terrificante mentre si allontanava da Flinx. Cominciò a scuotere la testa con violenza, ignorando gli altri due maschi che continuavano a fracassare sotto i loro zoccoli i resti dell'hangar. Flinx si tirò in piedi e fuggì da quella scena di distruzione, correndo verso l'edificio in cui aveva lasciato Lauren e Mamma Mastino. Pip lo raggiunse, planando veloce sopra la testa del suo padrone, disdegnando per il momento il suo abituale posatoio. Dietro di loro il muggito del devilope ferito divenne più sommesso e confuso. Poi vi fu uno schianto quando il mostro cadde sul posteriore. Rimase seduto per parecchi istanti ancora prima che le gigantesche zampe anteriori scivolassero via da sotto il corpo. Con estrema lentezza, come un iceberg che si stesse staccando da un ghiacciaio, cadde sul fianco. L'occhio che era stato colpito dal veleno di Pip era scomparso, lasciando soltanto un'occhiaia vuota. Respirando a fatica, Flinx ritornò di corsa dentro l'edificio che ospitava la sala operatoria e quasi investì Lauren e Mamma Mastino che ne fuggivano fuori. Abbracciò sua madre per un breve, intenso istante, poi si mise il suo braccio sopra la propria spalla per offrirle un sostegno. Lauren sostenne la vecchia sull'altro lato e fissò Flinx incuriosita. — Ha trovato quelli che stava cercando? — Credo di sì — lui le rispose. — Sennar e Soba sono stati vendicati
come si deve. I devilopi l'hanno fatto a loro nome. Lauren annuì mentre emergevano dai resti dell'edificio. Là fuori la terra aveva smesso di tremare. — La mandria si sta disperdendo. Si riunirà nella foresta, i devilopi si chiederanno cosa mai gli abbia preso, ed è probabile che si rimettano a dormire. Non appena cominceranno a dormire, questo campo si riempirà di tutti quelli che sono riusciti a scappare. Dobbiamo migliorare i nostri mezzi di trasporto, e in fretta. Ricorderà che il fluttuante ha la batteria pressoché scarica. Lei ed io potremmo camminare, ma... — Posso camminare fin dove e come potete farlo voi — l'interruppe Mamma Mastino. Anche se lo stato in cui si trovava smentiva la sua smargiassata... Se non fosse stato per il sostegno di Flinx e Lauren, non sarebbe riuscita a reggersi in piedi. — Non preoccuparti, mamma — le disse Flinx. — Troveremo qualcosa. Salirono sul loro fluttuante. Lauren reinfilò la chiave dell'avviamento, che aveva portato via per evitare che eventuali fuggiaschi potessero svignarsela con il suo vleicolo, e incrociarono intorno all'edificio in rovina fino al centro del campo. Il loro timore d'un pericolo rappresentato dai sopravvissuti si rivelò infondato. I pochi uomini e donne che comparvero davanti a loro erano troppo storditi dalla catastrofe, anche soltanto per spiccicare qualche domanda. Per la maggior parte erano appartenuti al personale amministrativo oppure erano addetti alla manutenzione, ed erano del tutto inconsapevoli dell'importanza di Flinx o di Mamma Mastino. I devilopi se n'erano andati. La centrale elettrica del campo era pressoché intatta, forse perché si trovava alquanto staccata dal resto degli edifici, forse perché, funzionando in maniera automatica, non aveva offerto alla mandria nessun bersaglio vivente. Nessuno del personale del campo comparve davanti a loro a contestare l'uso che fecero dell'impianto di ricaricamento della stazione. Ad ogni buon conto, Lauren tenne un dito pronto sul grilletto del fucile a dardi fino a quando un contatore non mostrò che il fluttuante aveva di nuovo una carica completa. — Non credo che dovremo preoccuparci d'essere inseguiti — dichiarò Lauren. — Pare che non sia rimasto nessuno per farlo. Se i capi di questa banda sono rimasti imprigionati in quell'hangar calpestato come lei ha detto, Flinx, allora non avremo niente di cui preoccuparci. — Non ho avuto le mie risposte — borbottò lui, deluso. Poi, a voce più alta: — Usciamo da questo posto.
— Sì — aggiunse in fretta Mamma Mastino. Fissò Lauren con espressione implorante. — Sono una donna di città. La vita di campagna non si concilia con me. — Se ne uscì in un inesprimibile sorriso, e Flinx seppe che se la sarebbe cavata benissimo. Anche Lauren sorrise e toccò l'acceleratore. Il fluttuante si mosse, sollevandosi sopra gli alberi circostanti. Incrociarono sopra parecchi devilopi esausti e disorientati e sfrecciarono verso sud con tutta la velocità concessa dal motore del fluttuante. — Non sono riuscito a sapere il perché di tutta questa storia — continuò a borbottare Flinx dal suo sedile vicino al fondo della cabina. — Sai perché ti hanno rapito, mamma? Cosa volevano da te? La vecchia aveva sulla punta della lingua la storia che quelli della Meliorare le avevano raccontato la sera prima... davvero, era soltanto la sera prima? Qualcosa la fece esitare. Una naturale prudenza, la preoccupazione per lui, l'esperienza di un'intera vita che le aveva insegnato a non andare avanti alla cieca, sbottando fuori la prima cosa che veniva in mente, non importa quanto potesse esser vera. C'erano cose che lei aveva bisogno d'imparare, cose che lui aveva bisogno d'imparare. Ci sarebbe sempre stato il tempo di farlo. — Hai detto che la storia di come sei riuscito a rintracciarmi è lunga, ragazzo. Anche la mia storia è lunga. In quanto a quello che volevano da me. ti basti sapere che ha a che fare con un vecchio, vecchissimo crimine al quale una volta ho partecipato, e con una sete di vendetta che non muore mai. Questo puoi capirlo. — Sì... sì, posso capirlo. — Sapeva che Mamma Mastino aveva avuto una vita quanto mai varia e movimentata. — Potrai raccontarmi tutto, una volta che saremo ritornati a casa? — Sì — disse la vecchia, soddisfatta che in apparenza il ragazzo avesse accettato la sua spiegazione. — Quando saremo di nuovo a casa e al sicuro. — Guardò verso il seggiolino del pilota e vide che Lauren la stava sbirciando con un sorriso divertito. Mamma Mastino si portò un dito alle labbra. L'altra donna annuì, anche se non aveva capito del tutto, ma abbastanza sensibile da assecondare i desideri di una vecchia. XIV Passarono molte ore. L'aria era tranquilla, la nebbia sottile, il viaggio
comodo mentre il fluttuante scivolava verso sud. Mamma Mastino guardò verso il fondo dell'apparecchio e vide che Flinx stava dormendo della grossa. E quel suo utile, per quanto odioso animaletto, era come al solito raggomitolato vicino alla testa del ragazzo. La vecchia studiò Lauren, intenta alla guida. Graziosa, dura e autosufficiente, decise. La notte cominciava a calare sulla foresta, che continuava a scorrere sotto di loro. Là, sotto la calotta ermetica del fluttuante, era caldo e asciutto. — Qual è il tuo interesse per il mio ragazzo? — chiese con calma la vecchia. — Un interesse da amica. Avevo anch'io un debito personale da saldare — le spiegò Lauren. — Quelle persone che l'hanno rapita hanno trucidato una coppia di rari animali che erano da tempo miei compagni. «La vendetta non muore mai». — Lauren sorrise. — L'ha detto lei stessa, ricorda? — Come l'ha incontrato? — È comparso al padiglione che dirigo su un lago qui vicino. — Ah, sì, il combattimento, adesso ricordo. Così, quel locale è suo. — Dirigo soltanto. È là che sto andando. Poi, potrò aiutarvi a trovare un passaggio fino a Drallar. — Come fa a sapere che veniamo dalla città? Lauren le indicò con un gesto del pollice il ragazzo addormentato dietro di loro. — Me l'ha detto lui. Mi ha detto un bel po' di cose. — È strano — commentò Mamma Mastino. — Non è il tipo ciarliero, quel ragazzo. — Per un po' la vecchia donna rimase in silenzio, osservando la foresta che scorreva sotto di loro. Flinx continuava a dormire, godendosi il suo primo sonno rilassato da parecchio tempo a questa parte. — Ha passato non pochi guai per suo conto — dichiarò alla fine Mamma Mastino, — soprattutto per qualcuno che le è del tutto estraneo. Soprattutto per qualcuno così giovane. — La giovinezza è una cosa relativa — replicò Lauren. — Forse ha fatto affiorare in me l'istinto materno. — Non si metta a fare la profonda con me, figliola — l'ammonì Mamma Mastino, — e neanche l'impertinente. — Tuttavia, sentì l'ironia di quel commento. Non aveva provato anche lei la stessa cosa per il ragazzo, alcuni anni prima? — L'ho osservata, ho visto il modo in cui lo guarda. Lo ama? — Amarlo? — La sorpresa di Lauren era genuina. Poi, vedendo che Mamma Mastino era seria, si costrinse a rispondere in tono grave: — Certo che no! Per lo meno non in quel modo. Gli voglio bene, certo. Lo rispet-
to immensamente per quello che è riuscito a fare da solo, e provo anche dispiacere per lui. C'è dell'affetto, certo. Ma il genere di amore di cui lei sta parlando? Neanche per sogno. — «La giovinezza è relativa» — la canzonò Mamma Mastino, con delicatezza. — Bisogna esserne certi. Ho visto tante cose nella mia vita, figliola. C'è ben poco che riesca a sorprendermi, o per lo meno lo pensavo fino a poche settimane fa. — Ridacchiò a bassa voce. — Sono lieta di sentirle dire questo. Qualunque altra cosa potrebbe far del male al ragazzo. — Non lo farei mai — le garantì Lauren. Gettò un'occhiata dietro di sé verso la forma addormentata di Flinx. — Vi lascerò giù al padiglione. Il mio assistente si chiama Sal. Fingerò di entrare per organizzare il vostro trasporto a parlargli. Ma invece decollerò e attraverserò il lago. Credo che sarà meglio così, per Flinx. Non voglio ferirlo. — Esitò. — Non pensa mica che farà qualche sciocchezza come quella d'inseguirmi, vero? Mamma Mastino rifletté sulla cosa, poi scosse la testa. — È soltanto un po' troppo sensibile. Capirà, ne sono sicuro. In quanto a me, non so cosa dire, figliola. È stata di grande aiuto per me e lui. — La «vendetta», ricorda? — Lauren sogghignò. Le luci del cruscotto si riflettevano sui suoi alti zigomi. — È un tipo strano, il suo Flinx. Credo che non lo scorderò mai. — Sai, figliola, questo è davvero tipico — borbottò Mamma Mastino fissando le nubi e la nebbia. — Non sei la prima persona a dirlo. — E credo — aggiunse Lauren, riportando la sua attenzione sulla guida, — che non sarò neppure l'ultima. La fangomobile girò parecchie volte intorno al campo devastato prima di lasciare la copertura della foresta e incrociare fra gli edifici in rovina. Alla fine si adagiò vicino al troncone di quella che era stata la torre centrale. La donna che scese a terra era abbigliata con una tuta mimetica verde scuro e marrone, allo stesso modo dell'uomo che era ai comandi del veicolo. Questi mantenne in funzione il motore mentre la sua compagna percorreva una mezza dozzina di metri verso la torre, si fermava e girava lentamente su se stessa con le mani sui fianchi. Poi, entrambi si rilassarono, riconoscendo che, qualunque cosa avesse annientato l'installazione, non costituiva più alcuna minaccia. Non fu necessaria nessuna discussione, avevano lavorato insieme per moltissimo tempo, e le parole erano divenute superflue. L'uomo spense il motore della fangomobile e uscì, per unirsi alla sua as-
sociata nella ricognizione alle rovine. Stava cadendo una leggera pioggia. Poiché le tute erano idrorepellenti, non finirono inzuppati d'acqua. Da quanto potevano vedere del campo, non avrebbero dovuto fermarsi in quel luogo tanto a lungo da dover ricaricare le batterie. — Sono stufo di aprire pacchi soltanto per trovare dentro pacchi più piccoli — dichiarò l'uomo, mesto. — Sono stufo di vedere che ogni nuova strada da noi percorsa finisce in un punto morto. — Indicò con un gesto la distruzione che li circondava: edifici accartocciati e a pezzi, fili di fumo che si levavano qua e là dalle macerie, scorie là dove esplosioni d'energia avevano fuso il metallo. — Sì, «morto» potrebbe anche essere la migliore descrizione, a giudicare da come appaiono le cose. — Non necessariamente. — La sua compagna l'aveva ascoltato solo in parte. Stava fissando un'ampia depressione vicino ai suoi piedi. Era appuntita a una estremità. Un secondo segno identico intaccava il suolo parecchi metri più in là, e un terzo a un'uguale distanza più oltre. Man mano la donna identificava la successione, le fu chiaro che questi segni formavano una pista curva; dapprima non li aveva notati perché erano pieni d'acqua. Colpì con un calcio la depressione più vicina ai suoi stivali. — Impronte — disse, secca. — Impronte di zoccoli — precisò l'uomo. Il suo sguardo andò alla foresta avvolta nella nebbia che circondava il campo. — Vorrei saperne di più su questo mondo primitivo. — Non criticare te stesso. Non avevamo previsto di dover passare qui tanto tempo. Inoltre, il centro urbano è molto cosmopolita. — Già. E la civiltà si arresta alla sua periferia. Il resto del pianeta è fin troppo primitivo per meritarsi anche una classificazione. È questo che ci ha rallentato fin dall'inizio. Troppi posti in cui nascondersi. Lo sguardo della donna tornò sulle rovine. — Non pare che sia servito a granché neanche a loro... — No — fu d'accordo l'uomo. — Ho visto anch'io le ossa mentre arrivavamo. Mi chiedo se quello sventurato mostro non è morto qui anche lui. — Non parlare così — replicò la donna, a disagio. — Tu sai perfettamente qual è il suo nome corretto. Se non stai attento finirai per chiamarlo «mostro» in un rapporto ufficiale, una volta o l'altra, e ti pioverà addosso un rimprovero. — Ah, sì, me ne sono dimenticato — mormorò l'uomo. — Il bambino svantaggiato. Scusami, Rose, ma tutta questa faccenda è stata un lavoro
schifoso sin dall'inizio. Hai ragione, tuttavia, non dovrei dargli quell'appellativo. Non è colpa sua... al contrario. Lui non è responsabile di quello che i Meliorare gli hanno fatto. — Esatto — disse la donna. — Ma ben presto vi verrà posto rimedio. — Se è riuscito a cavarsela — le ricordò il suo compagno. — Qualcuno di loro certo c'è riuscito — commentò la donna. E indicò lunghi cumuli di macerie che un tempo potevano essere stati degli edifici: — Parla del diavolo... Una figura era comparsa e si dirigeva verso di loro. Impiegò più del tempo necessario a raggiungerli perché non riusciva a camminare in linea retta. Cercava di farlo, ma ogni tanto barcollava sulla sua destra come una ruota dai cuscinetti a sfere sregolati. Gli indumenti dell'uomo erano sporchi, i suoi stivali incrostati di fango. Non si era cambiato da parecchi giorni, ovviamente. Fece un debole cenno con la mano verso i nuovi venuti. A parte il fatto che zoppicava, sembrava non aver subito danni. I suoi capelli filamentosi erano inzuppati e incollati come fil di ferro al cranio e al volto. Non fece nessuno sforzo per scostarseli dagli occhi. Pareva del tutto indifferente all'identità dei nuovi arrivati. Le sue preoccupazioni erano assai più prosaiche. — Avete da mangiare? — Cos'è successo qui? — gli chiese la donna, non appena il superstite arrivò claudicando a portata dei loro orecchi. — Avete da mangiare? Dio sa se non c'è acqua in abbondanza. È tutto quello che questo miserabile posto ha da offrire... acqua in abbondanza. Tutta quella che volete anche quando non la volete. Ho vissuto di noci e di bacche e di quello che sono riuscito a salvare dalla cucina del campo. Ho dovuto combattere continuamente contro i mangiacarne. Miserabile buco puzzolente! — Cos'è successo qui? — ripeté la donna con calma. Quell'uomo pareva sulla trentina. Troppo giovane, lo sapeva bene, per essere un membro della cerchia interna dei meliorare. Soltanto uno sfortunato impiegato. — Caster — mugugnò costui. — Mi chiamo Caster. — Scusatemi un momento. — Scivolò giù dalla rozza gruccia fatta a mano fino a quando non si fu del tutto disteso sul terreno umido. — Mi sono fratturato la caviglia, credo. Non si è rimarginata molto bene. — Ho bisogno che qualcuno esperto me la rimetta bene a posto. — Sussultò, poi sollevò lo sguardo sui due. — Dannazione se lo so... Quello che è successo qui, voglio dire. Un minuto prima stavo sostituendo dei moduli al centro comunicazione, e in
quello successivo è scoppiato l'inferno. Avreste dovuto vederli. Grandi come maledettissime torri, ognuno di loro, A me, comunque, sono parsi così. La cosa peggiore erano quegli occhi sanguinosi grandi come piattelli con minuscoli puntini neri, che vi guardavano come fanali di macchine. Una cosa abominevole, quegli occhi. Non so cosa li abbia scaraventati contro di noi, ma sicuro come l'inferno che non è stato un caso. — Lei è l'unico sopravvissuto? — domandò l'uomo. — Non ho visto nessun altro, se è questo che intende dire. — La sua voce divenne implorante. — Ehi, non avete da mangiare? — Sì, possiamo nutrirla — disse la donna, sorridendogli. — Ascolti, per chi lavorava, qui? — Un branco di scienziati. Un branco di presuntuosi. Non parlavano mai con noi, gente comune. — Fece un patetico tentativo di ridere. — Comunque, pagavano bene. Tenete la bocca chiusa, fate il vostro lavoro e godetevi il paesaggio. Soltanto, non mi sarei mai aspettato che il paesaggio venisse a trovare me. Ne ho avuto abbastanza di questa organizzazione. Sono pronto a tornarmene a casa. Possono tenersela, la loro dannata liquidazione. — Un nuovo pensiero gli folgorò la mente, e fissò la coppia in piedi sopra di lui strizzando gli occhi. — Ehi, volete dire che non sapete chi erano? Ma voi, chi siete? I due si scambiarono un'occhiata, poi la donna scrollò le spalle. — Non c'è niente di male... Forse gli aiuterà la memoria. La donna tirò fuori una piccola tessera di plastica da una tasca e la esibì all'uomo ferito. Era d'un rosso vivo. Su di essa era stampato il suo nome, poi il suo mondo di origine: la Terra. L'uomo disteso al suolo sgranò gli occhi, e li sgranò ancora di più quando lesse la serie di lettere che seguivano. FLT-I-PC-MO. Le prime sigle le capiva: gli dicevano che quel visitatore era un agente autonomo, col rango d'ispettore, della polizia del Commonwealth: gli Impositori della Pace. — Cosa vuol dire «MO»? — domandò? — Sezione operazioni morali — gli spiegò la donna, rimettendosi in tasca il documento d'identificazione. — Questi scienziati per i quali lavorava, anche se ha avuto pochi o nessun contatto con loro, deve pur averli visti di tanto in tanto... — Ma certo. Si tenevano sulle loro, ma a volte li ho visti quando passeggiavano fuori. — Erano tutti molto anziani, vero?
L'uomo ferito corrugò la fronte. — Sa, non ci avevo fatto molto caso, ma sì, credo proprio che lo fossero. Vuol dire qualcosa, per voi? — Non c'è bisogno che la cosa la preoccupi — gli disse il compagno della donna, in tono calmo. — Lei ha detto di non aver visto nessun altro qui intorno dopo che quell'orda di bestie vi ha sopraffatto. Questo però non significa che lei sia il solo sopravvissuto. Presumo che qui ci fosse qualche forma di trasporto ad uso locale. Non ha visto nessuno passare con una fangomobile o un fluttuante? L'uomo disteso rifletté per qualche istante, poi il suo volto s'illuminò. — Sì, l'ho visto. C'era questa vecchia signora e una più giovane... bella, quella più giovane. C'era un ragazzo con loro. Non li ho riconosciuti, ma qui c'era sempre gente che andava e veniva. — Quanti anni aveva il ragazzo? — chiese la donna. — Che io sia dannato se lo so. Stavo correndo come un matto in una direzione e il loro fluttuante andava nella direzione opposta, perciò non mi sono fermato a fare domande. Il ragazzo aveva i capelli rossi, comunque. Questo me lo ricordo. I testarossa sembrano scarsi su questa palla di fango. — Una vita incantata — mormorò l'uomo più anziano, rivolto alla compagna. La sua voce risuonava d'ammirazione, oltre che di frustrazione. Quel ragazzo conduce una vita incantata... — Sai fin troppo bene che potrebbe esserci in gioco assai più dell'incanto — replicò la donna con voce tagliente. — La vecchia alla quale si riferisce è senza dubbio la sua madre adottiva, ma chi era l'altra? — Si accigliò, adesso preoccupata. — Non ha importanza — disse il suo compagno. Si rivolse all'uomo ferito: — Senta, fino a che punto riesce a ricordarsi l'atteggiamento di quel terzetto? So che non aveva molto tempo. Quella donna più giovane, quella attraente... dava l'impressione di avere il controllo degli altri due? Sembrava che tenesse sotto sorveglianza il ragazzo e la vecchia? — Gliel'ho detto, non ho guardato molto — replicò Caster. — Ad ogni modo non ho visto nessuna arma, se è di questo che parla. — Interessante — mormorò la donna. — Potrebbero aver arruolato un alleato. Un'altra complicazione da affrontare. — Sospirò. — Oh, maledizione a questo caso... Se non avesse una tale priorità per il quartiere generale, chiederei che me lo togliessero. — Tu sai fin dove arriveresti con una simile richiesta — sbuffò il suo compagno. — Li piglieremo. Ci siamo arrivati vicini ormai tante volte. Le probabilità dovranno per forza crescere in nostro favore.
— Forse. Ma ricordati dei tuoi pacchetti dentro altri pacchi — lo canzonò lei, blandamente. — Tuttavia, adesso potrebbe esser facile. — La donna indicò con un gesto della mano il campo in rovina. — Non pare che molti meliorare siano riusciti a scappare, sempre che qualcuno ci sia riuscito. — Melio... meliorare? — L'uomo ferito li guardò a bocca spalancata. — Ehi, conosco questa parola. Non erano i...? — I suoi occhi si allargarono quando se ne rese conto. — Aspettate un momento, gente, io non... — Se la prenda con calma — l'invitò l'uomo in tuta mimetica. — La sua sorpresa conferma la sua innocenza. Inoltre, lei è troppo giovane. Nel corso degli anni hanno abbindolato gente assai più in gamba di lei. — Non dovremmo avere molti problemi a localizzare quel ragazzo. — Adesso la donna si mostrava piena di fiducia. — Dovremmo riuscire a prenderli con tutto il nostro comodo. — Vorrei anch'io avere tutta la tua fiducia — replicò il suo compagno, mordicchiandosi pensieroso il labbro inferiore. — Non c'è stato niente di comodo in questa faccenda, sin dall'inizio. — Non lo sapevo — balbettò l'uomo ferito. — Non sapevo che fossero i meliorare. Nessuno di noi lo sapeva. Io ho soltanto risposto a un annuncio che chiedeva un tecnico. Nessuno ci ha mai detto una sola parola su... — Le ho detto di prenderla con calma — ripeté l'uomo più anziano, disgustato dalla reazione dell'altro. La gente si lascia prendere così facilmente dal panico... pensò. — Una cosa, tuttavia: dovrà sottoporsi alla macchina della verità. Non c'è niente di pericoloso. In quanto alla gamba, gliela rimetteranno a posto. E nella fangomobile c'è del cibo. Dopo... con tutta probabilità sarà rimesso in libertà. L'uomo si alzò in piedi a fatica, usando la gruccia per sorreggersi. Si era un po' calmato, dopo le parole rassicuranti dell'altro. — Non hanno mai detto una sola parola su questo. — Non lo farebbero mai — disse la donna. — È in questo modo che sono riusciti a sfuggire all'arresto per tanti anni. E gli onesti non fanno mai domande. — Meliorare. All'inferno — borbottò l'uomo. — Se l'avessi saputo... — Se l'avesse saputo, non avrebbe mai accettato i loro soldi né avrebbe mai lavorato per loro, giusto? — Certo che no. Ho i miei princìpi. — Sicuro che li ha. — Un rapido gesto della mano prevenne la pronta protesta dell'altro. — Mi scusi, amico, ma ho sviluppato una visione molto sospettosa dell'umanità durante gli otto anni che ho passato nel MO. Non è
colpa sua. Vieni — fece, rivolto alla donna chiamata Rose, — qui non abbiamo nient'altro da fare. — Anch'io devo venire? Ne siete sicuri? — Il giovane li seguì zoppicando. — Sì, anche lei — disse l'impositore della pace. — È sicuro che non le dispiaccia fare una deposizione sotto la macchina? È una procedura per soli volontari. — Sarò ben lieto di farlo — dichiarò l'altro, ansioso di compiacerli. — Dannati schifosi meliorare, assumere in quel modo dei lavoratori innocenti! Spero che riuscirete a ripulire il cervello fino all'ultimo di loro. — C'è del cibo là dietro — l'informò con calma la donna quando salirono sulla fangomobile. — È strano — osservò il suo compagno quando si furono seduti. — È strano come la fauna locale abbia travolto questo campo giusto in tempo per consentire alla nostra preda di squagliarsela. Le storie di questi ragazzini sono piene di queste tempestive coincidenze. — Lo so — annuì Rose, mentre il ronzio del motore della fangomobile aumentava fin quasi a un rombo e il piccolo veicolo scivolava via verso la foresta. — Prendi quel serpente volante di cui ci hanno parlato. Da dove viene? — Alaspin, se i rapporti sono precisi. — Sì, appunto, Alaspin. Se ricordo bene la mia galattografia, quel mondo si trova a un buon numero di parsec da qui. Una coincidenza dannatamente incredibile. — Ma non impossibile. — Pare che niente sia impossibile quando ci sono di mezzo questi ragazzini. Prima lo arresteremo e lo consegneremo agli psicochirurgi, meglio starà. Preferisco cento volte un buon assassino deviante ma pulito. Questa caccia al mutante mi fa venire i brividi. — Non è un mutante, Rose — le ricordò il suo compagno. — È un termine impreciso, come volerlo chiamare un mostro. — Guardò verso il fondo della fangomobile. Il loro passeggero si stava ingozzando col cibo prelevato dal deposito, ignorando quanto stavano dicendo. — Non sappiamo neppure se possieda qualche speciale capacità. Gli ultimi due che abbiamo braccato erano normali fino all'insulso. — I meliorare la pensavano in maniera diversa — ribatté Rose. — Hanno affrontato un bel po' di fastidi per cercare di agguantare questo esemplare, e guarda cosa gli è capitato.
Adesso erano bene addentro la foresta, diretti a sud. Il campo in rovina era completamente scomparso alla loro vista dietro di loro, inghiottito dagli alberi e dalle ondulazioni del terreno. — Qualche grosso animale nativo li ha uccisi — disse il suo compagno. — Una mandria impazzita che non aveva nulla a che fare col ragazzo o con qualunque sua immaginaria capacità. Finora la sua pista dimostra soltanto che si tratta del solito giovane turbato dei meliorare. Tu ti preoccupi troppo, Rose. — Sì, lo so. È la natura di questo lavoro, Feodor. Ma le loro preoccupazioni continuarono a ossessionarli anche quando la notte avvolse del tutto la sfrecciante fangomobile. La donna addetta al quadro delle comunicazioni era molto vecchia, vecchia e tremolante quasi quanto la stessa piccola nave stellare, ma le sue mani si muovevano sulla strumentazione con una sicurezza nata da una lunga esperienza, e il suo udito era abbastanza acuto da poter essere certa di non avere perso il più piccolo frammento di trasmissione. Sollevò lo sguardo dalla sua postazione sul volto dell'uomo alto e solenne in piedi accanto a lei e scosse lentamente la testa. — Mi spiace, dottor Cruachan, signore. Non rispondono a nessuno dei nostri segnali di chiamata. Non riesco neppure più a intercettare la loro frequenza a raggio ristretto. L'uomo alto annuì a sua volta lentamente, riluttante. — Sa cosa vuol dire? — Sì — ammise la donna, con una penetrante nota di tristezza nella voce. — Nyassa-lee, Haithness, Brora... tutti morti, adesso. Dopo tutti questi anni. — La sua voce si ridusse a un sussurro. — Non possiamo esserne sicuri — mormorò Cruachan. — Non al cento per cento. È solo che... — esitò, — ... a quest'ora avrebbero dovuto rispondere, per lo meno attraverso l'unità di emergenza. — Quella carica di bestie selvagge impazzite è stata una vera sfortuna, signore. — Sempre che sia stata una sfortuna — replicò l'uomo a bassa voce. — La storia mostra che là dove c'entrano in qualche modo i nostri soggettibambini, a volte l'ignoto dà una spinta alla fortuna... talvolta una spinta molto energica. — Lo so, signore — annuì l'addetta alle comunicazioni. Era stanca. Cruachan lo sapeva; ma d'altra parte erano tutti stanchi. Il loro tempo si
stava esaurendo, e anche quello della Meliorare Society con i suoi nobili obbiettivi tanto equivocati. Anni addietro avevano pensato di addestrare nuovi accoliti nelle tecniche e nelle finalità della manipolazione genetica in cui la Society aveva svolto un'opera da pionieri, ma i vincoli e i pesi sotto cui erano costretti a operare facevano sì che fosse impossibile ottenere la collaborazione di giovani ricercatori... comunque assai difficile sotto l'inarrestabile sbarramento della propaganda diffamatoria diffusa dalla Chiesa e dal governo del Commonwealth. Che fossero maledetti, per essere tanto ottusi e primitivi! La Society non era ancora morta! Haithness, Nyassa-lee, Brora: quei nomi echeggiavano come un canto funebre nella sua mente. Se adesso erano davvero morti, e sembrava che fosse proprio così, rimanevano molto pochi di loro a portare avanti l'Opera. Il conflitto dentro di lui era forte. Doveva insistere lì, oppure fuggire e insediare le operazioni in qualche altro luogo? Tanti, troppi vecchi amici, colleghi, grandi menti scientifiche, perduti: quel soggetto ne valeva la pena? Non avevano ancora prove concrete che la valesse. Soltanto grafici e cifre ai quali si attenevano i computer. Ma ai computer non importava. A nessuno importava. Non c'era niente a indicare che il soggetto fosse stato in qualche modo responsabile di quella sciagurata carica che aveva distrutto il campo insieme alle loro speranze. Naturalmente era anche possibile che il soggetto fosse perito insieme a tutti gli altri, rifletté Cruachan. Ma se così non era, se lui avesse deciso d'inseguire quel soggetto fino alla conclusione, allora non sarebbe stato più possibile tentare manipolazioni indirette. Avrebbero dovuto affrontare il soggetto direttamente, come anni prima avevano tentato di fare con la ragazza. Fu un lungo, tortuoso tragitto fino alla successiva stazione «sicura». Cruachan non aveva affatto fiducia di poter operare per parecchi anni ancora nella clandestinità, alla ricerca di un altro soggetto promettente. Se il lungo braccio degli Impositori della Pace non l'avevano raggiunto finora, il tempo e la vecchiaia avevano buone probabilità di fare il lavoro al posto del governo. Avevano fatto molta strada insieme, lui e i suoi associati, un grande sforzo; ci si era aspettati che molti tenessero in vita il progetto. Lui e i pochi colleghi rimasti dovevano seguire quel caso fino alla sua conclusione. — Grazie, Amareth — disse alla donna che aspettava paziente alla consolle. — Tenga aperto il ricevitore, non si sa mai.
— Naturalmente, dottor Cruachan, signore. Si voltò e si avviò lentamente verso la sala conferenze. Giunto a metà strada, il suo passo accelerò, divenne più vivace. Così non può andare, si disse. Come presidente della Society, toccava a lui dare l'esempio agli altri, adesso più che mai. Quand'ebbe raggiunto la sala e vi entrò a grandi passi, la sua iniziale disperazione per gli ultimi rapporti arrivati era stata sostituita da una gelida determinazione. Una mezza dozzina di uomini e donne anziani lo aspettavano, seduti. Così pochi, pensò, siamo rimasti così in pochi. Gli ultimi membri della Society, gli ultimi sostenitori d'una grande idea. I loro volti silenziosi, rivolti verso l'alto, esprimevano tutti la stessa domanda. — Ancora nessuna notizia — dichiarò con voce ferma Cruachan. — Dobbiamo perciò supporre che i dottori Brora, Haithness e Nyassa-lee siano dispersi. — Non vi furono espressioni esteriori di dolore, nessun grido o lamento. Attesero con pazienza che proseguisse, e il loro silenzioso voto di fiducia raddoppiò la sua determinazione. — Raccomando che si proceda con il tentativo di riprendere il controllo del Numero Dodici. — Abbiamo motivo di credere che agenti del MO siano all'opera in questa zona — disse una vecchia dall'estremità più lontana della confortevole stanza. — E allora? — chiese un'altra donna, in tono secco. — Si trovano due passi dietro di noi... e lo sono sempre stati. — Vorrei esserne sicura quanto te, Hanson — replicò la prima delle donne. — La longevità della Society è il risultato della nostra lungimiranza e di cautela, non di disprezzo verso coloro che ci disprezzano. — Alzò lo sguardo verso il loro capo. — Sei sicuro che possiamo continuare ad operare qui, Cruachan? — Più che mai — fu la risposta del vecchio. — Abbiamo investito troppo su questo Numero Dodici, per non continuare. — Passò ad enumerare la lunga lista dei fattori responsabili della sua decisione. Quando ebbe finito, un ometto magro seduto all'angolo opposto della stanza parlò in tono asciutto con una voce bizzarramente profonda. Aveva il cuore e una gamba artificiali, ma l'espressione dei suoi occhi aveva la stessa cieca intensità di cinquant'anni prima. — Sono d'accordo! Qui c'è ancora una promessa. Se il soggetto è ancora accessibile... — Non abbiamo nessun motivo di credere che non lo sia — menti in
parte Cruachan. — ... allora abbiamo la possibilità di arrivare a lui prima che lo facciano quei vermi del MO. Come dice Cruachan, dobbiamo equilibrare il nostro potenziale quaggiù, pur con le nostre crescenti infermità. — Scalciò il pavimento con la gamba artificiale. — Molto bene — replicò la vecchia che aveva fatto balenare lo spettro dell'interferenza del Commonwealth. — Vedo che la maggior parte di voi è dell'idea di continuare col nostro lavoro quaggiù. Devo confessare che non riesco a trovare nessun solido argomento contro i molti, ottimi punti del dottor Cruachan. Ma adesso dobbiamo affrontare un nuovo problema che non può venire risolto con un voto. «È vero che l'ultimo rapporto dal campo situa il soggetto in prossimità d'un minidrago alaspiniano? Cruachan annuì con un gesto misurato: — Sì, si è alluso alla presenza della creatura catalizzatrice vicino al soggetto. — Allora, come dobbiamo procedere? Oltre a fungere da lente d'ingrandimento per qualunque talento il soggetto possieda, questo specifico animale è già di per sé micidiale. Se ha realizzato un legame emotivo con il soggetto, sarà un avversario più pericoloso di un'intera dozzina di emissari del MO. Cruachan scartò le sue preoccupazioni. — Ho valutato a fondo la questione. Ci occuperemo di quel serpente, ve lo garantisco. Se non fossimo in grado di neutralizzare un semplice rettile, allora non avremmo nessun diritto di rivendicare gli ideali della nostra Society. — Non è un rettile — intervenne un altro uomo dal fondo della sala. Aveva occhi dall'aspetto vitreo a causa delle spesse lenti a contatto che era costretto a portare. — Ha la parvenza d'un rettile ma nelle sue vene scorre sangue caldo, e potrebbe venir classificato assai più correttamente come un... — Non me ne importa un accidente dell'ordine al quale appartiene — l'interruppe Cruachan, perdendo la pazienza. — Ci occuperemo di quella bestia. — Le sue sopracciglia si accostarono, come se fosse stato colto da un pensiero improvviso. — In effetti, se adesso esiste davvero un simile legame, è probabile che sia più intenso di quello che unisce il soggetto alla sua madre adottiva. — Un'altra possibilità di controllo esterno — esclamò una donna. — Sì. Invece di rappresentare per noi una nuova minaccia, è possibile che questa creatura sia in realtà la nostra chiave per controllare il soggetto.
Vedete perciò come delle apparenti difficoltà possano venir risolte a nostro vantaggio. — Peccato per Haithness e gli altri — mormorò uno degli uomini più anziani. — Conoscevo Haithness da più di quarantacinque anni. — Anch'io — gli ricordò Cruachan. — Dobbiamo fare in modo che la loro morte non sia stata inutile. Se, come adesso sembra probabile, si sono sacrificati per la nostra causa, essi ci forniscono una ragione di più per continuare. Man mano il numero diminuisce, deve crescere la nostra decisione. Mormoni di assenso si levarono da tutto l'emiciclo. — No, non abbandoneremo questo progetto — proseguì in tono energico Cruachan. — Verrà portato sotto le nostre ali con qualunque mezzo sarà necessario impiegare. Chiedo un voto ufficiale per procedere. Cruachan fu soddisfatto quando constatò che ia decisione di continuare veniva confermata all'unanimità. Di solito, decisioni del genere venivano confermate; il dissenso non poteva trovar posto in una organizzazione tesa verso un simile, unico scopo. — Grazie a tutti — disse, quando abbassarono le mani. — Ricordate che questo Numero Dodici potrebbe essere la chiave della nostra rivendicazione. Dovremo procedere con quella speranza nella mente. Da questo momento in poi ogni nostra energia verrà dedicata a guadagnarci il suo controllo. — Si girò verso la porta. — Dobbiamo affrettarci. Se il MO dovesse trovarlo per primo, lo rovineranno... lo renderanno inutile per l'uso che noi intendiamo farne. Il gruppo si disperse in un turbine di attività e di rinnovata decisione, uguagliata come intensità soltanto dalla disperazione che l'animava. XV La città puzzava di umani e di altre creature, di animali e cibi esotici, di resine e materiali da costruzione vecchi e nuovi, il tutto intaccato dall'eterna umidità che impregnava allo stesso modo i materiali organici e inorganici. Ma tutto questo erano fiori e delicati aromi per Flinx. La macchina da trasporto si arrestò con un sibilo all'esterno del piccolo bar rivestito di pannelli e con il poco credito che gli restava Flinx pagò la macchina! Questa rispose con un meccanico: — Grazie, signore, — prima di allontanarsi lungo la strada alla ricerca del suo successivo passeggero. Mamma Mastino si appoggiò pesantemente contro di lui mentre entra-
vano. Quell'esperienza le aveva fatto sentire la sua età, ed era molto stanca. Così stanca che neppure si ritraeva davanti al serpente arrotolato sulla spalla di Flinx. Quando furono entrati, Pip si srotolò dal suo posatoio sotto l'incerato che Lauren Walder aveva fornito a Flinx e si avviò serpeggiando verso il banco del bar. Conosceva quel posto: davanti a lui c'erano scodelle di pretzel, noci termac e altre squisitezze salate con le quali era quasi più divertente giocare, oltre che mangiarle. Flinx aveva fatto ritorno sulla piazza del mercato compiendo deliberatamente un percorso a zig-zag, con molte giravolte e cambiando spesso mezzo di trasporto, cercando il più possibile di viaggiare in compagnia di altri passeggeri. Per quanto avesse aguzzato i sensi, non scoprì nessun indizio che qualcuno li seguisse, né il minidrago aveva reagito con ostilità verso quei viaggiatori che avevano guardato di traverso il giovane esausto e la vecchia che era con lui. Tuttavia, era appunto questa cautela che li aveva spinti a far visita a questo bar prima di far ritorno nel negozio. Sarebbe stato saggio non tornare in casa da soli, e Small Symm, il proprietario del bar, avrebbe costituito un'ottima compagnia da avere a portata di mano quando avessero appoggiato di nuovo il palmo della mano sulla serratura dell'ingresso esterno. Entro un certo grado, i suoi talenti fisici uguagliavano quelli mentali di Flinx. Come gigante, Small Symm era sulla media. Era diventato amico di Flinx sin dal giorno in cui il ragazzo era stato adottato. Acquistava spesso da Mamma Mastino degli interessanti utensili per farne uso nel suo locale. Una mano enorme comparve e sospinse i due viaggiatori in un separé. Al lungo banco metallico, intanto, gli altri avventori si facevano nervosamente da parte per consentire all'acrobatico rettile volante di aver libero accesso ai pretzel. — Ho sentito — disse il giovane gigante a mo' di saluto, la sua voce era un eco che saliva dalle profondità del petto cavernoso, — che eravate tornati. Le notizie viaggiano in fretta qui nel mercato. — Stiamo bene, Symm. — Flinx gratificò il suo amico d'uno stanco sorriso. — Me la sentirei di dormire un anno... Ma a parte questo, sto benissimo. Il gigante tirò fuori un tavolo vicino al separé e l'usò come sedia. — Cosa posso offrirvi? Qualcosa di caldo e piacevole da bere? — Non adesso, ragazzo — disse Mamma Mastino con un gesto della mano rugosa. — Siamo ansiosi di arrivare a casa. È della tua buona com-
pagnia che vogliamo usufruire, non delle tue bevande. — Si azzitti e lasciò che fosse Flinx a fornire la maggior parte delle spiegazioni. Small Symm corrugò la fronte, le sue sopracciglia si congiunsero come nubi nel cielo. — Pensate che questa gente vi stia ancora cercando? Mamma Mastino stava quasi per dire «Non è me che stanno cercando», ma sia pure a stento riuscì a trattenere la lingua. Era convinta che fosse ancora troppo presto, per rivelare a Flinx tutto quello che aveva appreso. Troppo presto. Disse, invece: — Improbabile ma non impossibile, e io non sono il tipo da tentare la sorte... soprattutto una sorte bastarda! — Capisco. — Symm si risollevò in tutta la sua statura. La sua voce toccava quasi il soffitto. — Vi piacerebbe una compagnia amichevole sulla via di casa. — Se riuscirai a trovare un briciolo di tempo... — gli disse Flinx con gratitudine. — Anche se io credo che abbiamo proprio finito con quella gente. — Non gli disse che era convinto che fossero tutti morti. Non c'era bisogno di complicare ancor di più le cose. — Ma ci sentiremo di sicuro assai più a nostro agio se verrai con noi mentre controlliamo il negozio. — Ci metterò solo un attimo — gli assicurò Symm. — Aspettate qui. — Scomparve dentro una stanza sul retro. Quando tornò era in compagnia d'una giovane donna alta. Le parlò a voce bassa per qualche istante, la donna annuì in risposta, poi il gigante raggiunse di nuovo i suoi visitatori. Indossava un incerato che sia pure a stento avrebbe protetto un edificio di medie dimensioni. — Sono pronto — annunciò. — Nakina baderà agli affari fino al mio ritorno. A meno che non vogliate riposarvi ancora per un po'. — No, no. — Mamma Mastino si alzò in piedi con uno sforzo. — Mi riposerò quando sarò tornata a casa, nel mio negozio. La stradina laterale dove si trovava la bottega di Mamma Mastino non era molto lontana dal locale di Small Symm. E con Symm che la portava quasi di peso ci misero poco ad arrivarci. — Sembra vuoto — commentò Symm mentre metteva giù, in piedi, la vecchia donna. Era sera. La maggior parte dei negozi erano già chiusi, forse perché la pioggia cadeva più forte del solito. Al mercato il clima era spesso l'arbitro più imparziale e drastico dell'economia locale. — Immagino che sia tutto a posto. — Mamma Mastino fece un passo verso la porta principale. — Aspetta un momento. — Flinx allungò un braccio per trattenerla. —
Laggiù, sulla sinistra del negozio... Symm e Mamma Mastino guardarono nella direzione indicata. — Non vedo niente — disse il gigante. — Mi è parso di vedere un movimento. — Flinx abbassò lo sguardo su Pip. Il serpente volante sonnecchiava pacifico sotto l'incerato. Naturalmente gli umori del rettile erano spesso imprevedibili, ma quella sua prolungata calma era pur sempre un buon segno. Flinx indicò con un gesto la sua destra. Il gigante annuì e si allontanò, come una grande ombra, per nascondersi nel buio vicino al negozio vuoto sulla sinistra. Flinx avanzò sul lato opposto, a tribordo, come avrebbe detto Lauren. Gli ci era voluto un po' per perdonarle il fatto di essersi dileguata in quel modo (e anche per perdonare Mamma Mastino per averglielo lasciato fare) mentre lui era ancora profondamente addormentato. Si chiese cosa stesse facendo adesso, eppure il ricordo di lei cominciava già a svanire. Avrebbe impiegato un po' più di tempo per sfuggire alle sue emozioni. Mamma Mastino attese immobile mentre l'amico e il figlio adottivo si allontanavano in direzioni opposte. Non le importava di dover stare li ferma sotto la pioggia. Era la pioggia di Drallar, che in qualche modo era diversa da quella che cadeva in qualunque altra parte dell'universo. Flinx strisciò con cautela lungo le umide pareti di plastica sul davanti del negozio, avvicinandosi al vicolo che serpeggiava dietro la loro casa. Se il movimento che pensava di aver intravisto significava la presenza di qualche spia in attesa del loro ritorno, non voleva che quell'individuo facesse rapporto ai suoi superiori fino a quando lui stesso non gli avesse spremuto fuori ogni informazione. Ecco... di nuovo il movimento, non c'era alcun dubbio stavolta! Si stava allontanando da lui. Flinx accelerò il passo tenendosi fra le ombre più profonde. Lo stiletto che portava nello stivale adesso era nella sua mano destra, freddo e familiare. Poi, un grido nell'oscurità davanti a lui, e una forma enorme gli si profilò di fronte. Flinx si lanciò in avanti, pronto ad aiutare anche se era improbabile che il gigante ne avesse bisogno. Poi qualcosa di nuovo, qualcosa d'inatteso... una risata nervosa. — Ciao, Flinx-ragazzo. — Alla fioca luce Flinx distinse la figura di Arrapkha. — Ciao a te. — Flinx reinfilò lo stiletto al suo posto. — Mi hai dato motivo di preoccupazione. Pensavo che l'avessimo finita con le ombre della notte.
— Io ti avrei dato motivo di preoccupazione? — L'artigiano indicò la massa di Small Symm che si ergeva dietro di lui. — Mi spiace — si scusò Symm. — Non eravamo riusciti a vedere chi eri. — Adesso lo sapete. — Arrapkha tornò a fissare Flinx. — Ho sorvegliato il negozio per te. — Symm andò a rassicurare Mamma Mastino. — Sai — proseguì Arrapkha, — volevo esser sicuro che nessuno scassinasse la porta cercando di rubar qualcosa. — È stato gentile da parte tua — disse Flinx mentre facevano ritorno verso la strada. — Mi fa piacere rivederti, Flinx-ragazzo. Ti avevo dato per perduto non molto tempo dopo che te n'eri andato. — E allora, perché hai continuato a sorvegliare il negozio? Il vecchio sogghignò. — Non potevo smettere di sperare, suppongo. Di cosa mai si trattava? — Qualcosa d'illegale in cui Mamma Mastino è rimasta coinvolta molti anni fa — gli spiegò Flinx. — Non si è addentrata nei particolari. Mi ha detto soltanto che c'era di mezzo una vendetta. — C'è gente che ha davvero la memoria lunga — replicò Arrapkha, annuendo. — Dal momento che siete ritornati sani e salvi, suppongo che tu abbia fatto la pace con la gente che ha rapito tua madre? — Abbiamo concluso una transazione — tagliò corto Flinx. Riemersero nella strada, dove Symm e Mamma Mastino li stavano aspettando. — Cosi eri tu, Arrapkha. Ignorante d'un fleurm che non sei altro! Farci preoccupare così! — La vecchia sorrise. — Comunque, non avrei mai pensato quanto sarei stata contenta di rivederti! — Neanch'io — confessò l'artista del legno. Indicò Flinx con un gesto. — Quel tuo ragazzo è cocciuto quant'è temerario. Ho fatto del mio meglio per convincerlo a non cercarti. — Gli avrei detto la stessa cosa anch'io — replicò la vecchia, — e non avrebbe ascoltato neppure me. Sì, è un gran testardo. — Si permise un'occhiata di imperdonabile orgoglio. Flinx la fissò imbarazzato. — Ed è una fortuna per me. — Vecchie conoscenze e cattivi affari. — Arrapkha agitò un dito ammonitore verso di lei. Guardati dalle vecchie conoscenze, dai cattivi affari e dalle imprese lasciate in sospeso... — Ah, sì. — La vecchia donna si affrettò a cambiare argomento. — Hai
sorvegliato per me il vecchio negozio, eh? Allora sarà meglio che faccia con gran cura l'inventario non appena saremo dentro. — Scoppiarono tutti e due a ridere. — Se pensate che io possa andarmene, adesso — mormorò Small Symm. — Nakina ha un caratteraccio e non sa far bene gli affari. Mamma Mastino parve pensierosa. — Se il nostro amico qui presente insiste a dire di aver sempre tenuto d'occhio il negozio... — L'ho tenuto d'occhio, eccome — insisté Arrapkha. — A meno che non abbiano scavato una galleria per entrare, nessuno è penetrato all'interno da quando il ragazzo è partito per venirti a cercare. — Non c'è modo di scavar gallerie sotto queste strade — osservò la vecchia con un sorriso. — Finirebbero dentro le fogne. — Si girò verso la sua scorta. — Molte grazie, Symm. Puoi tornare di corsa nella tua adorabile tana d'iniquità. — Oh, certamente non lo è — replicò il gigante con modestia. — Un giorno, forse, se lavorerò duro. Flinx tese una mano che scomparve nella stretta del gigante. — Ti ringrazio anch'io, Symm. — Nessun problema. Lieto di aiutarti. — Poi il gigante si voltò e si allontanò a passi poderosi nella notte. I tre amici si diressero verso la porta d'ingresso. Mamma Mastino appoggiò il palmo della mano destra contro la piastra della serratura. Questa diede subito in un clic e la porta scivolò via lasciandoli entrare. Flinx accese le luci, le quali gli permisero di vedere chiaramente che, almeno in apparenza, l'area del negozio era intatta. I vari oggetti erano rimasti là dove li avevano lasciati, luccicanti e rassicuranti, sotto la luce, nella loro familiarità. — Pare che sia rimasto tutto allo stesso modo di quando me ne sono andata — commentò Mamma Mastino in tono grato. — Pare addirittura lo stesso di dieci anni fa. — Arrapkha scosse lentamente la testa. — Non cambi molto, Mamma Mastino, e neppure una parte della tua roba. Credo che tu sia troppo affezionata a certi pezzi per venderli. — Non c'è niente a cui sia tanto affezionata da non venderlo — lo rimbeccò la vecchia donna, — e la mia roba cambia due volte più velocemente di quel mucchio di spazzatura mezza mangiata dagli scarafaggi che tu cerchi di rifilare ai tuoi ingenui clienti, spacciandola per artigianato artistico.
— Per favore, niente zuffe — li implorò Flinx. — Sono stufo di combattere. — Combattere? — esclamò Arrapkha, mostrandosi sorpreso. — Non stiamo combattendo, ragazzo — intervenne Mamma Mastino. — A quest'ora dovresti sapere come si salutano i vecchi amici. Gareggiando per vedere quale dei due batte gli insulti dell'altro. — E per mostrargli che era sincera, rivolse ad Arrapkha un affettuoso sorriso. L'artigiano del legno non era affatto cattivo, soltanto un po' lento. Trovarono che anche la sezione destinata all'alloggio non era stata toccata: infatti qui il caos era totale, proprio come Flinx l'aveva visto l'ultima volta. — Le faccende di casa... — mugugnò Mamma Mastino. — Ho sempre detestato le faccende di casa. Comunque, qualcuno dovrà ben ripulire questo posto, e sarà meglio che lo faccia io piuttosto che tu ci metta le mani, ragazzo. Non hai il tocco per le cose domestiche, temo. — Non stanotte, mamma — sbadigliò Flinx. La vista del proprio letto si era dilatata in lui fino a invadere la sua intera visuale. — No, non stanotte, ragazzo. Devo confessare di essere giusto un pochino stanca. — Flinx sorrise tra sé. La vecchia era sull'orlo d'un collasso fisico, pronta ad addormentarsi di colpo dovunque il suo corpo cadesse... ma che fosse dannata pur di mostrare anche il minimo segno di debolezza davanti ad Arrapkha. — Bene, allora vi lascio — li salutò l'artigiano. — Ancora una volta, mi fa piacere vedervi in salute. La strada non era più la stessa senza di voi. — È difficile sbarazzarsi di noi monumenti — dichiarò Mamma Mastino. — Forse ti rivedremo domani. — Forse — fu d'accordo Arrapkha. Si voltò e se ne andò, assicurandosi che la porta d'ingresso si chiudesse alle sue spalle. Una volta fuori Arrapkha si strinse l'incerato intorno alla testa e alle spalle e si avviò a rapidi passi verso il suo negozio. Non aveva nessuna intenzione di consegnare i suoi amici alle autorità, come gli era stato intimato, più di quanta ne avesse di ridurre del cinquanta per cento il prezzo delle sue merci per qualche ricco mercante. Non intendeva ostacolare la polizia, ma neppure avrebbe fatto niente per aiutarla. Poteva sempre sostenere d'essere troppo ignorante, cosa questa per la quale era famoso in quella zona del mercato. Erano parsi così stanchi, così stanchi... pensò. Era la prima volta che vedeva Mamma Mastino dimostrare tutta la sua età. Perfino il ragazzo, nono-
stante la sua costituzione sottile ma robusta, e che mai prima di allora gli era parso affaticato da qualunque lavoro, era sembrato completamente esausto. Perfino quel suo mortale animaletto sempre a cavalcioni della sua spalla era parso affaticato. Be', gli avrebbe dato qualche giorno per rimettere in sesto la casa e riprendere le forze. Poi li avrebbe sorpresi conducendoli da Magrim per bere del tè e mangiare dei sandwich giganti, raccontandogli della misteriosa visita dei due impositori della pace nella loro stradina. Sarebbe stato interessante vedere come avrebbe reagito Mamma Mastino. Avrebbe potuto accogliere con favore l'interessamento delle autorità al suo caso... oppure no. Non conoscendo i particolari della sua storia, Arrapkha non poteva esserne sicuro, ed era per questo che aveva scelto di non aiutare quei visitatori venuti da fuori. Sì, decise con fermezza: aspetta qualche giorno e lascia che si riposino, prima di dargli quella notizia. Non ci sarebbe stato certo niente di male. Aprì la porta del suo negozio e subito la chiuse lasciando fuori la notte e la pioggia. Passò un giorno, poi un altro, e il negozio di Mamma Mastino tornò ad assumere l'aspetto di una casa man mano veniva rimesso in ordine dopo il caos causato dai rapitori. A suo agio in quell'ambiente familiare, Mamma Mastino riacquistò con rapidità le forze. Era una vecchia così elastica, adattabile, pensò Flinx con ammirazione. Lui stesso, intanto, già il secondo giorno si avventurò fuori nel suo familiare territorio, andando a salutare i vecchi amici, alcuni dei quali avevano saputo dell'incidente e altri no, ma senza mai allontanarsi troppo dal negozio per timore che perfino adesso, e malgrado ogni sua convinzione contraria, alcuni membri dell'organizzazione che aveva rapito Mamma Mastino potessero rifarsi visi, ancora assetati di vendetta. Comunque, niente si materializzò per dar corpo alle sue ansie. Il terzo giorno aveva cominciato a rilassarsi fisicamente, oltre che mentalmente. C'era da stupirsi, rifletté quella notte mentre si coricava, considerando le cose di cui si sentiva più la mancanza dopo una lunga assenza. È strano quanto familiare e amichevole ci sembri il nostro letto quando si è costretti a dormire altrove... Fu l'odio a svegliare Pip. Freddo e aspro, come il più brutale giorno d'inverno che potesse vantare il mondo di ghiaccio di Tran-ky-ky, strappò il rettile volante dal suo sonno profondo. Non era però diretto al minidrago, bensì al suo padrone.
Le spire rose e azzurre scivolarono via senza rumore dalla coperta termica. Flinx continuò a dormire, inconscio dell'attività del suo animaletto. Mancavano ancora parecchie ore prima dello spuntar del sole. Pip sostò alquanto ad analizzare. Esaminando il minidrago disteso ai piedi del letto, un osservatore avrebbe potuto ritenerlo un essere ragionevole. Non lo era, ovviamente, ma non per questo le sue capacità mentali erano incoerenti. In effetti nessuno avrebbe potuto dire con certezza come funzionava la mente d'un minidrago alaspiniano o di quali profondi contatti avrebbe potuto essere capace, poiché nessun xenobiologo aveva mai osato avvicinarsi a sufficienza per studiarlo. Le ali azzurre e rosa si aprirono, le pieghe si distesero, e con un lieve ronzio il serpente prese il volo. Si librò in alto sopra la testa del suo padrone, preoccupato, cercando tutt'intorno l'origine di quell'incessante malvagità che stava avvelenando i suoi pensieri. L'odio era molto vicino. Cosa ancora peggiore, gli era familiare. C'era uno sfiatatoio ricurvo nel tetto di cui Pip si era appropriato per il suo privato andirivieni. Il serpente alato sfrecciò verso di esso, ripiegando le ali all'ultimo istante per consentire al corpo sottile di scivolare attraverso quello stretto condotto. Con le ali ripiegate di piatto sui fianchi muscolosi, il minidrago passò con facilità. Pip emerse sopra il tetto alla leggera pioggia del primo mattino. Era su quel lato, verso l'alto, che si trovava l'origine dell'odio, verso nord, lungo il vicolo. Le ali tornarono a dispiegarsi e sventolarono nell'aria. Il minidrago compì un giro completo sopra la bottega, sostò un attimo per orientarsi, poi con un ronzio deciso s'infilò nell'apertura lì vicino, là dove il vicolo emergeva alla luminosità grigiastra delle nuvole. Si arrestò di colpo e si librò a mezz'aria, sibilando contro il ringhio mentale che l'aveva attirato fin là. — Da questa parte, carino, caruccio — lo blandì una voce. — Sai chi odia il tuo padrone, no? E sai cosa gli faremo, se ne avremo la possibilità. Il serpente volante attraversò una porta parzialmente aperta entrando nella stanza più oltre traboccante d'odio. Due umani erano lì ad aspettarlo con calma micidiale. Mai avrebbero avuto la possibilità di far del male al padrone del minidrago, mai! Un sottile getto di veleno schizzò dal palato del serpente volante e colpì in direzione del più vicino dei due bipedi malvagi. Ma non raggiunse mai l'uomo. C'era qualcosa fra lui e Pip, qualcosa di duro e trasparente. Il veleno entrò in contatto con questa barriera e sfrigolò nell'aria immobile quan-
do cominciò a divorarla. Sorpresi, i due mostri seduti dietro lo schermo si ritrassero istintivamente e cominciarono ad alzarsi in piedi. Ma la porta che dava sul vicolo si era già chiusa alle spalle del minidrago. D'un tratto uno strano odore dolciastro riempì la stanza. Il battito delle ali rallentò e s'infiacchì. Le palpebre gemelle sbatterono e si chiusero. Il rettile volante si dibatté sul pavimento come un pesce fuor d'acqua, con le ali che sbatacchiavano futili contro la plastica mentre annaspava per respirare. — Fai attenzione — ammonì una voce lontana. — Non vogliamo dargli una dose troppo forte. Morto non ci serve. — Preferirei vederlo morto e correre i nostri rischi con il soggetto — ribatté un'altra voce. — Abbiamo bisogno di ogni aggancio possibile, compresa la possibilità offerta da questo piccolo demonio. Le voci svanirono. Ben presto il serpente volante smise del tutto di muoversi. Passarono lunghi minuti, però, prima che un uomo si azzardasse a metter piede nella stanza ermeticamente chiusa. Indossava una tuta protettiva che lo copriva dalla testa ai piedi. Dietro il visore trasparente, i suoi occhi erano colmi d'ansia. Con un lungo pungolo che aveva con sé, toccò una volta o due il minidrago in coma. Questi sussultò convulso a quei tocchi, ma per il resto non mostrò altri segni di vita. L'uomo tirò un profondo sospiro e mise da parte il lungo pungolo mentre si chinava a raccogliere il minuscolo corpo. Questo giacque flaccido nelle sue mani guantate, mentre lo esaminava con attenzione. — Respira ancora — annunciò agli altri che si schiacciavano contro la parete trasparente. — Bene. Mettilo subito in gabbia — disse il più basso dei due osservatori. Il suo compagno stava studiando il foro dove il veleno aveva infine divorato l'intero spessore dello schermo protettivo. — Vorrei avere un'analisi molecolare di questa roba — mormorò, facendo attenzione a tenere le dita ben lontane dai bordi frastagliati dello squarcio che sfrigolavano ancora. — Qualunque cosa possa corrodere il pancrilico così in fretta... — Scosse la testa incredulo. — Non riesco a capire come le sacche del veleno possano contenere quel veleno senza corrodere e dissolvere la stessa mascella della creatura. — Sarebbero indispensabili un tossicologo e un biochimico per spiegare il perché, sempre che possano farlo — dichiarò la donna in piedi accanto a
lui, dedicandosi anche lei per qualche istante all'esame del foro slabbrato. — Forse c'è qualcosa di più d'un semplice veleno. La bocca del serpente potrebbe contenere parecchie sacche separate il cui contenuto si mescola soltanto quando schizza addosso a qualcuno. — Sì, potrebbe essere... — L'uomo girò la schiena a quello schermo che li aveva quasi traditi. — Sarà meglio che ci muoviamo. Il soggetto potrebbe ormai svegliarsi da un momento all'altro. Assicurati di tenere quel mostriciattolo del tutto narcotizzato. — È necessario? — La donna corrugò la fronte. — Certo la gabbia basterà a tenerlo. — Pensavamo la stessa cosa della parete trasparente. La gabbia è più che robusta, ma non vogliamo correre nessun rischio. Non voglio che il nostro ospite si liberi a colpi di sputo mentre noi stiamo dormendo nei nostri letti. — No, è sicuro come l'inferno che non lo vogliamo. — La donna ebbe un leggero brivido. — Me ne occuperò io stessa. — Speravo che l'avresti detto. — Cruachan sorrise tra sé. Aveva una profonda familiarità con le teorie che cercavano di spiegare i particolari legami che potevano nascere fra una creatura catalizzatrice come il minidrago e uno dei soggetti dotati di talenti. Certo il legame che esisteva fra questa creatura e il ragazzo conosciuto come Numero Dodici era potente come qualunque altro dei casi imperfettamente documentati che aveva studiato. Non era irragionevole supporre che potesse essere più forte del legame affettivo tra il ragazzo e la sua madre adottiva. Giunsero senza alcun preavviso durante il periodo finale di sonno REM, quand'era indifeso. Comparvero dal nulla, deridendolo, tormentandolo con sentimenti e sensazioni che non riusciva a definire né a comprendere. Incubi. Qualcuno stava torcendo un filo di ferro intorno al suo cervello, comprimendolo sempre di più fino a quando non parve inevitabile che gli occhi gli sarebbero schizzati fuori dalla testa volando attraverso la stanza. Giaceva sul suo letto, in preda a lievi contrazioni spasmodiche, le palpebre tremolanti, mentre compivano il loro lavoro su di lui, approfittando della sua mente impotente e inconscia. Quel branco era peggiore di tanti altri; forme che si contorcevano, cupi colori turbinanti, e lui in qualche modo al loro centro, che avanzava correndo lungo un interminabile e sinistro corridoio. Sapeva che alla fine del corridoio c'era la sua salvezza e, cosa quasi altrettanto importante, anche le
risposte che cercava. La comprensione e la sicurezza. Ma più aumentava la sua velocità, più lentamente avanzava. Il pavimento che non era un pavimento si dissolveva sotto i suoi piedi facendolo precipitare come una relativistica Alice dentro la tana d'un coniglio fatto di distorsioni spaziotemporali, mentre la lontana estremità del corridoio e la sua promessa di luce e di comprensione retrocedevano nelle distese sempre più alte e lontane. Si svegliò con un silenzioso sussulto e si guardò affannato intorno. Soltanto dopo essersi convinto della realtà della stanza che lo circondava cominciò a rilassarsi. Era la stanza giusta, sì, la sua stanza, quella in cui aveva trascorso la maggior parte della sua vita: minuscola, spartana ma confortevole. Il picchiettare della pioggia del mattino sul tetto era musica per i suoi orecchi, e la fioca luce del giorno filtrava dalla finestra sopra il suo letto. Buttò fuori le gambe su un lato, oltre la coperta, e si sfregò con le dita entrambi gli occhi palpitanti. D'un tratto le sue dita smisero la loro opera, e Flinx tornò a fissare il letto. Qualcosa non andava. — Pip? — Il serpente volante non era arrotolato nella familiare posizione sopra il cuscino, né si trovava sotto di esso. Flinx scostò la coperta, poi si chinò a guardare sotto il letto. — Suvvia, ragazzo, non nasconderti a me, stamattina. Sono esausto, ho un mal di testa che mi uccide. Non vi fu nessun familiare sibilo in risposta alla sua invocazione. Flinx si aggirò entro gli angusti confini della stanza, dapprima perplesso, poi sempre più preoccupato. Alla fine, si alzò in piedi sopra il letto e urlò in direzione dello sfiatatoio sopra la sua testa: — Pip, la colazione! Non gli giunse in risposta il solito confortevole ronzio delle ali dai vivaci colori. Trovò un pezzo di fil di ferro e lo usò per sondare lo sfiatatoio. Era del tutto sgombro fino all'estremità esterna. Flinx lasciò la sua stanza e cominciò una frenetica ispezione del resto della casa. Mamma Mastino era in piedi accanto alla stufa a convezione, intenta a cucinare qualcosa che esalava aromi di pepe e di altre spezie meno esotiche. — Qualcosa che non va, ragazzo? — Si tratta di Pip. — Flinx guardò sotto i mobili da poco raddrizzati, spostò scodelle e tende. — L'ho capito dalle urla che lanciavi dalla tua camera da letto — replicò la vecchia, sarcastica. — È scomparso di nuovo, non è vero? — Non sta mai via tutta la mattina quando fa un volo tutto da solo nella
notte. Mai. — C'è sempre una prima volta, anche per i mostri. — Mamma Mastino scrollò le spalle e si concentrò sui suoi piatti. — Non resterei certo sconvolta se quella piccola bruttura non ritornasse mai più. — Vergognati, mamma! — esclamò Flinx, con l'angoscia nella voce. — Mi ha salvato la vita, ed è probabile che abbia salvato anche la tua. — Così sono un ingrato, vecchio yax'm — sbuffò la vecchia. — Eppure lo sai cosa provo per la tua bestia. Flinx terminò di esplorare a fondo la stanza di Mamma Mastino, poi con fare risoluto tornò nella sua e cominciò a vestirsi. — Vado fuori a cercarlo. Mamma Mastino corrugò la fronte. — La colazione è quasi pronta. Perché preoccuparti, ragazzo? Con tutta probabilità sarà di ritorno molto presto... anche se sarà un vero peccato. Inoltre, se si è incastrato da qualche parte col suo piccolo corpo viscido, è improbabile che tu riesca a trovarlo. — Potrebbe esser giusto nel vicolo dietro il negozio — ribatté prontamente Flinx, — ed io potrò sentirlo, anche se non riuscirò a vederlo. — Fai come vuoi, ragazzo. — E non aspettarmi per la colazione. — Credi che sia disposta a morire di fame per te? Ancora meno per quel piccolo demonio con le ali. — La vecchia aveva rinunciato da molto tempo a discutere con lui. Quando Flinx decideva di far qualcosa... be', sarebbe stato come desiderare che gli anelli del pianeta fossero completi. Era un figliolo obbediente in molte cose, ma semplicemente rifiutava qualunque limitazione nei suoi movimenti. — La troverai pronta al tuo ritorno — gli disse a bassa voce, controllando i contenitori e abbassando la loro temperatura a quella ambiente. — Potrai riscaldartela quando torni. — Grazie, mamma. — Malgrado il suo brusco tentativo di evitarlo, Flinx riuscì a piazzarle un bacio affrettato sulla guancia coriacea. La vecchia si asciugò prontamente il punto in cui era stata baciata, ma senza troppa energia, mentre lo guardava correr fuori dal negozio. Per un istante pensò di dirgli quello che giorni prima aveva appreso là nella foresta: di quella strana gente dei Meliorare e delle loro intenzioni nei suoi confronti. Poi respinse l'idea. No, ormai era fuori portata da quell'orribile gente, e da com'era stato ridotto il loro campo, non avrebbe più dato fastidio al suo ragazzo. In quanto a ciò che aveva appreso della sua storia, sarebbe stato meglio conservare quel segreto ancora per qualche anno. Conoscendo la sua coc-
ciuta impulsività, una simile informazione poteva farlo correr via in ogni genere di direzione sbagliata. Sarebbe stato assai meglio non dirgli niente ancora per un bel po'. Quando avesse raggiunto un'età ragionevole, ventitré anni o giù di lì, avrebbe potuto rivelargli quanto aveva appreso del suo passato. Per allora Flinx avrebbe preso in mano la direzione del negozio, forse sarebbe stato sposato... Si sarebbe sistemato vivendo un'esistenza piacevole, pratica e tranquilla. Assaggiò il contenuto della pentola più grande, e trasalì. Troppa sassifraga. Allungò la mano verso un piccolo mescolatore. — Pip! A me, ragazzo! — Ma nessun lampo azzurro e rosa ravvivò il cielo; non si udì ancora nessun ronzio. Adesso, dove sarebbe dovuto andare? Flinx rifletté: sapeva che al minidrago piaceva molto il vicolo dietro il negozio. Era là dietro che aveva incontrato per la prima volta il serpente volante, dopotutto, e per il modo di pensare di un serpente quel vicolo doveva esser pieno di cose buone da mangiare. Malgrado tutta l'agilità aerea del minidrago, però, una scatola che cadesse giù da un mucchio di spazzatura o un contenitore rotolante avrebbero potuto facilmente inchiodarlo al suolo. Flinx sapeva che c'erano assai poche probabilità che un estraneo osasse avvicinarsi a meno di dieci passi da un serpente intrappolato. Be', tanto vale che vada a guardare là dietro, decise Flinx. Scivolando attraverso lo stretto spazio che separava il negozio di Mamma Mastino dalla struttura vuota adiacente, si trovò ben presto nel vicolo. Era umido e buio e come al solito l'aspetto complessivo era desolato. Portò le mani in forma di coppa alla bocca e chiamò: — Pip! — Da questa parte, ragazzo — disse una voce sommessa. Flinx divenne teso, ma la sua mano ancora non si allungò verso il coltello nascosto nello stivale. Troppo presto. Un'occhiata gli mostrò che la ritirata verso la strada era ancora sgombra, come anche la sezione del vicolo dietro di lui. Né l'individuo in piedi sotto l'arcata della porta davanti a lui pareva particolarmente minaccioso. Flinx restò immobile dove si trovava, riflettendo tra sé, poi alla fine domandò: — Se sa dov'è il mio animaletto, può dirmelo con tutta facilità dal punto in cui si trova. Ed io la posso sentire con chiarezza dal punto in cui mi trovo. — So dov'è il tuo animaletto — ammise l'uomo. Flinx osservò che i suoi capelli erano completamente grigi. — Ti ci porterò subito, se vuoi. Flinx prese tempo. — Sta bene? Non si è cacciato in qualche guaio?
L'ometto scosse la testa e sorrise con cordialità. — No, non è nei guai, e sta benissimo. Più precisamente, sta dormendo. — Allora perché non può portarlo fuori? — chiese Flinx. Continuò a mantenere la sua posizione, pronto a caricare l'uomo ed a precipitarsi verso la strada a seconda della piega che avrebbe preso la situazione. — Perché non posso — rispose l'uomo. — Davvero, non posso. Sto eseguendo degli ordini, sai. — Gli ordini di chi? — domandò Flinx, subito insospettito. D'un tratto gli avvenimenti tornavano a farsi complicati. L'età dell'interlocutore e il suo atteggiamento lo colpirono tutto d'un tratto. — Lei è associato alla gente che aveva rapito mia madre? Glielo dico perché, se sta cercando di vendicarsi di lei per qualunque cosa in cui sia stata coinvolta molti anni fa facendo del male a me, non funzionerà. — Stai calmo, adesso — replicò l'uomo. Una voce che Flinx non riuscì a riconoscere bisbigliò qualcosa al suo interlocutore da dietro la porta: — Per l'amor del cielo, Anders, non eccitarlo! — Sto cercando di non farlo — ribatté l'anziano interlocutore a denti stretti. Rivolto a Flinx, proseguì a voce più alta: — Nessuno vuol fare del male a te o al tuo animaletto, ragazzo. Ti do la mia parola, anche se pensi che non valga niente. I miei amici ed io abbiamo soltanto buone intenzioni verso di te e il tuo animaletto. — Non rispose alla breve allusione di Flinx al passato della sua madre adottiva. — Allora, se avete soltanto buone intenzioni — disse Flinx, — non avrete nulla in contrario che io mi assenti un minuto per andare a rassicurare... L'interlocutore fece un passo avanti. — Non c'è bisogno di disturbare la tua genitrice, ragazzo. Fra un attimo il negozio sarà aperto e la folla garantirà la sua sicurezza, se è questo che ti preoccupa. Perché allarmarla inutilmente? Noi vogliamo soltanto parlarti. Inoltre — aggiunse in tono cupo, correndo un rischio calcolato, — non hai altra scelta se non quella di ascoltarmi, se vuoi rivedere vivo il tuo animaletto. — È soltanto un serpente. — Flinx ostentò un'aria d'indifferenza che non provava. — E se mi rifiutassi di venire con voi? Ci sono moltissimi altri animaletti da compagnia disponibili. L'interlocutore scosse lentamente la testa. Il tono della sua voce lo faceva infuriare per la sicurezza che mostrava. — Non certo come questo. Il piccolo serpente alato fa parte di te, non è vero? — Come fa a saperlo? — chiese Flinx. — Come fa a sapere quello che
provo per lui? — Perché, malgrado ciò che puoi pensare di me in questo momento — gli disse l'interlocutore, provando un po' più di fiducia, — so come funzionano certe cose. Se me lo permetterai, condividerò con te quello che so. Flinx esitò, combattuto fra la preoccupazione per Pip e una sensazione di minaccia che non aveva niente a che fare con i suoi particolari talenti. Ma quell'uomo aveva ragione: non c'era scelta. Non poteva correre il rischio che venisse fatto del male a Pip, anche se non avrebbe saputo dire il perché. — D'accordo. — Si fece avanti verso l'interlocutore. — Verrò con lei. Farà meglio a dirmi la verità. — Sul fatto che non desideriamo far del male a te né al tuo animaletto? — Il sorriso si fece più ampio. — Ti garantisco che te la sto dicendo. Malgrado si sforzasse, Flinx non sentiva nessuna sensazione ostile emanare dall'ometto. Data la natura erratica delle sue capacità, ciò non provava niente... per quanto Flinx poteva saperne, quell'uomo poteva progettare di assassinarlo proprio nel medesimo istante in cui gli sorrideva. Visto da vicino, comunque, l'interlocutore gli parve ancora meno formidabile. A stento arrivava alla sua altezza, e malgrado non fosse vecchio quanto Mamma Mastino, c'era da dubitare che avrebbe potuto rivelarsi un granché come avversario in un corpo a corpo. — Questa è la mia amica e associata Stanzel — disse l'uomo. Una donna anziana quanto lui uscì dall'ombra. Pareva stanca, ma si sforzò di tenersi eretta e di avere un aspetto deciso. — Neppure io voglio farti del male, ragazzo. — Lo studiò con imperturbata curiosità. — Nessuno di noi lo vuole. — Allora, ce ne sono altri, oltre a voi — mormorò Flinx, confuso. — Non riesco a capire tutta questa faccenda. Perché dovete continuare a perseguitare Mamma Mastino e me? E adesso anche Pip... Perché? — Ti spiegheremo tutto — gli assicurò la donna, — se soltanto vorrai venire con noi. — Lo invitò con un cenno a incamminarsi lungo il vicolo. Flinx si avviò tra loro osservando, mentre faceva questo, che nessuno dei due appariva armato. Quello era un buon segno, ma lo lasciava perplesso. Sentiva il freddo della lama dello stiletto contro il polpaccio. Guardò con nostalgia verso il negozio. Se soltanto avesse potuto avvertire Mamma Mastino! Ma ricordò a se stesso che la vecchia, sempre che lui fosse tornato per l'ora di andare a letto, non si sarebbe preoccupata. Era abituata alle sue lunghe assenze esplorative senza nessun preavviso.
— Tieni bene a mente le mie parole — declamava sempre Mamma Mastino. — Quella tua curiosità sarà la mia morte! Però... cosa poteva volere da lui quella gente, se non intendevano far del male a Mamma Mastino? Era importante per loro, molto importante. Altrimenti non avrebbero rischiato un incontro col suo micidiale animaletto. Malgrado fossero vecchi, provava un vivo timore nei loro confronti, non fosse altro per il fatto che erano riusciti a catturare Pip, un'impresa che andava al di là delle capacità della maggior parte della gente. Ma qualcosa, forse una sfumatura nel loro atteggiamento, contrassegnava quella gente, rendendola diversa dai soliti, comuni tagliagole del mercato. Erano diversi da qualunque altra persona lui avesse incontrato. La loro freddezza e insofferenza, unite al loro calmo professionismo, lo spaventavano. Il vicolo sboccava in una laterale dove li aspettava un'aviomobile. Il vecchio gli aprì lo sportello e gli fece cenno di salire. Mentre Flinx stava per metter piede nel piccolo apparecchio, provò una di quelle misteriose ed imprevedibili esplosioni d'intuizione emotiva. Fu breve, così breve che non fu davvero sicuro di averla davvero provata. Spazzò via la sua paura, ma lasciandolo più confuso e incerto che mai. Poteva aver paura per Pip e forse un po' anche per se stesso, ma per qualche sconosciuta ragione quei due individui, esteriormente così rilassati e supremamente sicuri di sé, avevano un folle terrore di lui! XVI Cruachan studiò con cura i dati sugli schermi. La sezione del vecchio magazzino in cui si erano insediati era un ben scarso sostituto rispetto alla costosa e ben attrezzata installazione che avevano costruito lontano, al nord. Ma non voleva soffermarsi su quella perdita. Anni di delusioni l'avevano abituato a simili insuccessi. I macchinari che lo circondavano erano stati messi insieme e collegati in fretta. I cavi erano esposti dappertutto, ulteriore prova dell'urgenza e della mancanza di tempo per installare l'attrezzatura in maniera corretta. Tuttavia, avrebbe dovuto bastare. Non provava disappunto. Malgrado tutti i loro problemi, sembravano ormai sul punto di compiere ciò che avevano avuto intenzione di fare su quel mondo, anche se non nella maniera progettata in origine. Pareva che la presenza di quell'immigrante alaspiniano sarebbe tornata a loro vantaggio. Per la prima volta da quando si erano posti in orbita intorno a quel pia-
neta, provava più d'una pura e semplice speranza. La sua fiducia gli veniva dall'ultimo rapporto ricevuto da Anders e Stanzel. Il soggetto, che li stava accompagnando tranquillo, pareva disponibile a collaborare, sia pure con riluttanza, ma non aveva finora mostrato nessun segno d'inaspettate e pericolose capacità. E un'azione potenzialmente d'alto rischio, la cattura dell'animaletto del soggetto, aveva avuto una riuscita assai maggiore del tentativo di adattare ai loro scopi la madre adottiva del soggetto. Adesso Cruachan era pronto ad ammettere che si era trattato d'un errore. Se soltanto le loro informazioni avessero parlato anche di quella creatura catalizzatrice! Tuttavia non biasimava l'informatore. Era probabile che il soggetto fosse venuto in possesso del minidrago dopo l'invio di quel rapporto. Si sentiva come un vecchio dente, crepato e corroso dal troppo uso e dall'età. Ma con quell'animaletto semisimbiotico adesso sotto il loro controllo, il soggetto sarebbe stato costretto a soddisfare i loro desideri. Non era più questione di cercar d'influenzare il ragazzo dall'esterno. Avrebbero dovuto impiantare le sinapsi elettroniche concepite per la madre adottiva nel cervello stesso del ragazzo. Il controllo diretto presentava certi rischi, ma da quello che Cruachan e i suoi associati potevano vedere, non avevano altra scelta. Cruachan era felice che il caso fosse vicino alla conclusione. Era molto stanco. Pioveva più forte del consueto, per quella stagione, quando la piccola aviomobile si arrestò fuori del magazzino. Flinx fissò il posto con disgusto. Il quartiere di Drallar che si protendeva all'esterno della città verso il navettaporto rigurgitava di monumenti tozzi e spogli eretti in nome di affari di cattiva lega e dell'eccesso dei consumi. Quegli edifici erano popolati soprattutto di macchinari, bui, per niente invitanti, alieni. Non aveva cambiato idea, non aveva neppure pensato di scappare verso la più vicina strada laterale o di tuffarsi dentro qualche porta socchiusa. Chiunque fosse, quella gente non era ignorante. Aveva dedotto correttamente l'intensità dei suoi sentimenti verso Pip, ed era proprio per questo che non l'avevano legato né erano venuti armati. Non riusciva ancora a immaginare cosa volessero da lui. Se non gli mentivano, e davvero non avevano intenzione di fargli del male, allora, lui, di quale utilità avrebbe potuto essere per loro? Se c'era una cosa che non poteva soffrire erano le domande senza risposta. Lui voleva spiegazioni quasi con la stessa ansia con cui voleva vedere Pip. Parevano molto sicuri di sé. Naturalmente il fatto che non ci fossero ar-
mi in vista non significava che non ci fossero armi lì nelle vicinanze. Non riusciva a far quadrare il timore che avevano di lui con l'assenza di armi. Forse, rifletté, avevano paura di lui perché avrebbe potuto rivelare alle autorità locali quello che sapeva del rapimento. Forse era quello che volevano da lui: la promessa che avrebbe taciuto. Ma per qualche motivo, neppure questo aveva molto senso. — Vorrei che mi diceste cosa volete da me — disse ad alta voce, — e cosa sta succedendo. — Non sta a noi spiegarlo. — L'uomo guardò la sua compagna, poi aggiunse, come se fosse incapace di reprimere la propria curiosità: — Ha mai sentito parlare della Meliorare Society? Felix scosse la testa. — No. Però so cosa vuol dire la parola. Cos'ha a che fare con me? — Tutto. — L'uomo parve sul punto di dire di più, ma la vecchia lo azzitti. L'edificio nel quale entrarono era circondato da altri edifici ugualmente anonimi. Si trovavano poco discosti dalla principale via di accesso al navettaporto. Da quando erano entrati in quell'area, Flinx aveva visto pochissime persone lì intorno. Nello squallido atrio non c'era nessuno. Salirono con un ascensore fino al terzo piano. Flinx fu guidato dalla sua scorta lungo ampi e vuoti corridoi, attraverso stanze dal soffitto altissimo adibite a depositi, piene di casse e barili di plastica. Alla fine si arrestarono davanti a un piccolo altoparlante incassato nella plastica d'una porta priva di contrassegni. Furono scambiate alcune parole tra la scorta di Flinx e qualcuno che si trovava dall'altra parte, e la porta si spalancò per lasciarli entrare. Flinx si trovò in un'altra stanza anch'essa zeppa di scatoloni e fagotti. Ciò che la distingueva da una dozzina di stanze uguali che aveva attraversato era la parete sulla destra. Allineato contro di essa c'era un impressionante spiegamento di apparecchiature elettroniche. Delle casse vuote lì vicino indicavano che il tutto era stato sballato e montato in fretta. I quadri di comando erano accesi e davanti ad essi sedevano degli operatori. Questi rivolsero occhiate incuriosite ai nuovi arrivati, affrettandosi poi, però, a riportare la propria attenzione sull'equipaggiamento. Salvo per le espressioni uniformemente cupe, parevano dei pensionati in gita di fine settimana. Due persone emersero da una porta sul fondo della stanza. Furono ben presto raggiunte da una terza persona: un uomo alto, dai capelli argentei, d'una scabra bellezza. Aveva il portamento innato d'un capo, e Flinx con-
centrò subito la sua attenzione su di lui. L'uomo sorrise a Flinx. Malgrado fosse vicino all'età di Mamma Mastino, si teneva in posizione eretta. Se era soggetto alle infermità della vecchiaia, riusciva a nasconderle con grande abilità. Vanità o volontà? Flinx se lo chiese. Cercò di cogliere le emozioni dell'uomo, ma come al solito non avvertì niente. Né riusciva a percepire qualcosa che indicasse la presenza di Pip in quella stanza o nelle vicinanze. Mentre quell'uomo anziano, alto di statura, gli stringeva la mano e blaterava luoghi comuni, Flinx stava cercando una possibile via di fuga. Pareva che ci fosse una sola uscita: la porta attraverso la quale era entrato. Non aveva nessuna idea di dove conducesse la porta all'altra estremità della stanza, ma sospettava che la libertà non si trovasse in quella direzione. — Che piacere incontrarti, finalmente, ragazzo mio — stava dicendo il vecchio. La sua stretta era salda. — Abbiamo dovuto affrontare tante difficoltà, davvero, per arrivare a questo incontro. Avrei preferito non dover procedere in questo modo, ma le circostanze mi hanno indotto a forzare la mano. — Siete voi, allora — Flinx indicò lui e gli altri con un ampio gesto, — i responsabili del rapimento di mia madre? Cruachan si rilassò. Non c'era nessun pericolo in quel ragazzo magrolino e ingenuo. Qualunque abilità possedesse, rimaneva assopita, in attesa delle corrette istruzioni e di un'ulteriore maturazione. Certo, il suo atteggiamento era tutto men che minaccioso. — Gli ho chiesto — riferì l'uomo che aveva condotto Flinx fin là dal mercato, — se avesse mai sentito parlare della Society. Ha risposto di no. — Non c'è ragione per cui ne abbia sentito parlare — osservò Cruachan. — La sua vita è stata ristretta, i suoi orizzonti limitati. Flinx ignorò quella valutazione delle sue limitazioni. — Dov'è Pip? — Il suo animaletto, suppongo? Sì. — L'uomo alto si girò e gridò verso la porta in fondo alla stanza. La sezione di parete che conteneva la porta scricchiolò mentre dei congegni nascosti la facevano scivolar via. Al di là della parete c'era un'altra di quell'interminabile serie di stanze adibite a magazzini, piena zeppa dei soliti contenitori, barili e casse. Sopra un tavolo spiccava un cubo trasparente, lo spigolo lungo circa un metro, sormontato da molti piccoli serbatoi metallici. Dei tubi passavano dai serbatoi al cubo. Sulla sinistra del tavolo un uomo dall'aria nervosa reggeva in mano un piccolo telecomando piatto. Il suo pollice era premuto con forza su uno dei pulsanti incassati nella superficie superiore. I suoi occhi si spostavano re-
golarmente dal cubo a Flinx e poi al cubo. Pip giaceva in fondo al cubo, arrotolato su se stesso, e sembrava immerso in un sonno profondo. Flinx fece un passo avanti. Cruachan allungò una mano e lo tenne indietro. — Il tuo animaletto sta riposando, comodo. L'aria della gabbia è mescolata a un leggero sonnifero. Westhoff sta regolando il miscuglio e il flusso dei gas, mentre stiamo parlando. Se tu dovessi tentare qualche sciocchezza, aumenterebbe il flusso dai serbatoi prima che ti fosse possibile liberare il tuo animaletto. Come vedi, la gabbia è stata chiusa ermeticamente mediante saldature: non c'è serratura. «La normale atmosfera di cui è riempito il cubo verrà sostituita interamente da un narcolettico e il tuo animaletto verrà asfissiato. Non ci vorrebbe molto. Tutto quello che Westhoff deve fare è schiacciare il pulsante che adesso il suo pollice accarezza. Se necessario, vi si butterà sopra col suo corpo. Perciò, vedi che non c'è niente che potresti fare per impedirgli di compiere la sua missione. Flinx ascoltò in silenzio, misurando nello stesso tempo la distanza dal punto in cui si trovava alla gabbia. L'anziano che reggeva il telecomando lo fissò con aria cupa. Anche se lui fosse riuscito in qualche modo a schivare le mani che si sarebbero protese a trattenerlo, non vedeva come avrebbe potuto aprire la gabbia e liberare Pip. Il suo stiletto sarebbe stato inutile contro lo spesso e resistente pancrilico. — Sì, è stato chiaro — disse alla fine Flinx. — Cosa volete da me? — La redenzione — gli rispose Cruachan, con voce sommessa. — Non capisco. — Alla fine capirai, spero. Per adesso ti basti sapere che c'interessano molto quelle tue capacità erratiche ma che tu possiedi oltre ogni dubbio... Il tuo talento, insomma. Tutte le idee preconcette di Flinx crollarono come un castello di sabbia investito da un tifone. — Vuol dirmi che avete fatto tutto questo, rapito Mamma Mastino e adesso Pip, soltanto perché siete curiosi circa le mie capacità? — Scosse la testa, incredulo. — Avrei fatto del mio meglio per soddisfarvi senza nessun bisogno che affrontaste tutti questi guai. — Non è così semplice. Tu potresti dire una cosa, perfino crederci, e poi la tua mente potrebbe reagire altrimenti. Sempre più pazzesco, pensò Flinx, stordito. — Non so di che diavolo stiate parlando. — Meglio così — mormorò Cruachan. — Sei un telepate emozionale,
non è vero? — A volte sono sensibile a quello che gli altri provano, se è questo che intende — rispose Flinx bellicoso. — Nient'altro? Nessuna capacità precognitiva? Telecinesi? Vera telepatia? Pirocinesi? Percezione dimensionale? Flinx gli rise in faccia. E il suono fu acuito dalla tensione che riempiva la stanza. — Non so neppure cosa significano quelle parole, salvo telepatia. Se con questo intende che io possa leggere il pensiero della gente, no. Soltanto le loro sensazioni, a volte. Quell'altra roba è tutta fantasia, vero? — Non del tutto — replicò Cruachan con voce sommessa. — Non del tutto. In ogni mente umana esistono simili potenzialità. O per lo meno è quanto crede la Society. Quando si applicano adeguati stimoli, tramite l'addestramento e altri mezzi, tali capacità possono venire risvegliate del tutto. Quello era... — S'interruppe, mentre gli ritornava il sorriso. — Come ho detto, un giorno capirai tutto, spero. Per ora sarà sufficiente che tu ci consenta di sottoporti ad alcuni test. Desideriamo misurare i probabili limiti del tuo talento e saggiare la possibile esistenza di altre capacità nascoste non ancora sviluppate. — Che genere di test? — Flinx guardò preoccupato l'uomo alto. — Oh, niente di complicato. Misurazioni, elettroencefalotopografia. — A me pare complicato. — Ti assicuro che non proverai nessun disagio. Se soltanto vuoi venire con me... — Appoggiò una mano paterna sulla spalla di Flinx. Il ragazzo sussultò. Là avrebbe dovuto esserci il serpente, non una mano che non gli era familiare. Cruachan lo guidò verso gli strumenti. — Dacci ventiquattr'ore, e ti prometto che riavrai il tuo animaletto illeso, e non dovrai più subire niente del genere. — Non so... — fu la risposta di Flinx. — Non sono ancora sicuro di cosa volete da me. — Gli pareva che ci fossero tanti, troppi strumenti là, per pochi semplici test. E alcuni fra essi gli parevano quasi familiari. Dove aveva già visto quel globo con tante appendici? D'un tratto si rese conto che l'aveva visto sopra un tavolo operatorio in una stanza che si era trovata lontano, al nord. Cosa devo fare? pensò freneticamente. No, non poteva distendersi su quel tavolo, sotto quei tentacoli in attesa. Ma se avesse esitato, cosa avrebbero potuto fare a Pip per la collera e l'impazienza? Inaspettatamente, mentre i suoi pensieri erano tutto un groviglio e stava cercando di decidere che cosa fare, un'improvvisa ondata di emozione e-
splose nel suo cervello. C'era odio, e un po' di paura e rabbia ipocrita che sconfinava con la paranoia. Sollevò lo sguardo su Cruachan. Il vecchio gli sorrise cordiale, poi corrugò la fronte quando vide l'espressione che si era dipinta sul volto del soggetto. — C'è qualcosa che non va? Flinx non rispose, ma si mise ad esaminare metodicamente ogni volto nella stanza. Nessuno fra essi sembrava esser l'origine dei sentimenti che riceveva. E questi si stavano facendo sempre più forti e intensi. Venivano... venivano... D'un tratto si girò di colpo verso l'ingresso principale. — Che nessuno si muova! — esclamò una voce decisa. La coppia che fece irruzione attraverso la porta, dopo aver aggirato silenziosamente la serratura, era completamente estranea per Flinx. Due individui di mezza età vestiti come turisti ultramondani. Ognuno dei due impugnava un'arma più grossa d'una pistola e più lunga d'un fucile, mantenuta in attento equilibrio con entrambe le mani. Esaminarono rapidamente i sorpresi occupanti della stanza. Flinx non riconobbe le loro armi. Questo era insolito: le sue spedizioni di apprendimento attraverso il mercato gli avevano reso familiare la maggior parte dell'armamento personale. Ma queste armi gli riuscivano nuove. Nuove come la stessa coppia. Avevano di primo acchito un aspetto normale, medio; ma non c'era niente che assomigliasse alla media della gente, nel modo in cui si muovevano o davano ordini o impugnavano quelle strane armi. Viceversa, i meliorare parevano conoscerli assai bene. — Sezione MO, Impositori della Pace del Commonwealth — sbraitò l'uomo. — Da questo preciso istante siete tutti in stato di detenzione per disposizione governativa. — Ebbe un sogghigno quasi selvaggio. — Le accuse contro di voi, i cui dettagli non dubito vi siano familiari, sono molte e varie. Non credo ci sia bisogno di elencarle. Flinx fece per avanzare verso di loro con un istintivo moto di gratitudine: — Non so come abbiate fatto a trovarmi, ma sono davvero contento di vedervi. — Fermo dove ti trovi! — La donna spostò l'arma verso di lui. L'espressione del suo viso convinse Flinx che era pronta a sparargli se lui avesse fatto anche soltanto mezzo passo verso di lei. Perciò s'immobilizzò, offeso e confuso. C'era qualcosa di nuovo, in parte nei suoi occhi, ma anche nella sua mente: non tanto paura, ma una sorta di odio distorto, una sensazione di disgusto. E l'emozione era diretta proprio contro di lui. Era una cosa così nuova, così aliena e nauseante, che Flinx non sapeva come reagire. Sapeva soltanto che questi cosiddetti salvatori non avevano più simpatia, ver-
so di lui, e forse ancora meno buone intenzioni, di quante ne avesse quella folle società dei Meliorare. La sua confusione fu sostituita dalla rabbia, un furore frenetico nato dalla frustrazione e dalla disperazione, accresciute dalla sensazione d'impotenza e dallo sconforto. Senza nessuna colpa, desideroso soltanto d'essere lasciato solo, era diventato il punto focale di forze al di là del suo mondo. E non sapeva come, non riusciva neppure ad elaborare l'inizio d'un pensiero sul modo in cui avrebbe potuto affrontarli. In mezzo a tutta quella confusione giunse a una lucida constatazione: non era ancora tanto adulto quanto si era convinto di essere. In fondo alla stanza l'uomo chiamato Westhoff era sfuggito all'attenzione dei due impositori della pace. E non aveva indugiato. Messo giù il telecomando, aveva iniziato una cauta ritirata, utilizzando le casse e gli altri contenitori per sgusciare via senza essere visto. Tolta la pressione, il pulsante che aveva fino a quel momento premuto era rimbalzato all'insù. — Mettetevi contro le casse vuote, lontano dai quadri di comando. Tutti — intimò la donna, facendo un gesto significativo con la sua arma. Alzandosi dai loro sedili e mostrando le mani vuote, i meliorare si affrettarono a obbedire. — Se qualcuno tocca un solo pulsante — li ammonì l'altro impositore della pace, — sarà l'ultima cosa che toccherà. La donna lanciò a Flinx un'occhiata dura. — Ehi, anche tu. Muoviti. — Da lei s'irradiava una ripugnanza ancora più forte. Il disgusto e la pietà investivano Flinx a ondate. La donna gli stava trasmettendo tutte quelle sensazioni. Flinx cercò di smorzare al minimo quelle emozioni dentro la sua mente. — Io non sono con loro — protestò. — Non ho nessuna parte in questa faccenda. — Ho paura di sì, ragazzo, ti piaccia o no — ribatté la donna. — Hai causato un sacco di guai. Ma non preoccuparti. — Cercò di sorridergli: il risultato fu una sconcertante parodia. — Tutto andrà bene. Sarai rimesso a posto, cosicché potrai vivere un'esistenza normale. D'un tratto un cicalino entrò rumorosamente in funzione su uno dei quadri dei comandi lasciati incustoditi, riempiendo la stanza d'una discordante cacofonia. Ammutolito, Cruachan lo fissò, poi guardò Flinx, e infine gli impositori della pace. — Per l'amor del cielo, non minacciatelo!
— Minacciarmi? — Adesso Flinx era quasi sul punto di piangere, sbalordito per l'improvviso terrore di Cruachan a quel ronzio. Tutto contribuiva a sbigottirlo; tornò a rivolgersi alla impositrice della pace: — Cosa significa, minacciarmi? Cosa intendeva dire che sarei stato rimesso a posto? Io sono a posto. — Forse lo sei, e forse non lo sei — gli rispose la donna. — Ma questi meliorare... — Fu come avesse sputato la parola, — ... sembrano pensarla altrimenti. Io a questo punto mi fermo. Non sono una specialista. Ci sono altri che decideranno cosa fare di te. — E prima lo faranno meglio sarà — ribadì il suo compagno. — Hai chiamato i rinforzi? — Non appena ne siamo stati sicuri. — La donna annuì. — Impiegheranno pochi minuti ad arrivare. Questo non è Brizzy, sai. Flinx si sentiva poco saldo sia sulle gambe che nella mente. Là dove si era aspettato la salvezza, aveva trovato soltanto nuove offese, nuova indifferenza. No, peggio ancora dell'indifferenza, giacché quella gente lo vedeva soltanto come una creatura deforme e malata. Non c'era comprensione per lui in quella stanza, né da parte dei suoi antichi persecutori, né da quei nuovi arrivati. L'intero universo, rappresentato sia da organizzazioni legali, sia da gruppi illegali, pareva tutto contro di lui. A posto, aveva detto quella donna. L'avrebbero rimesso a posto. Ma non c'era niente che non andasse in lui. Niente! Perché vogliono farmi queste cose innominabili? pensò con rabbia. Il suo dolore e la confusione produssero dei risultati, sul lato opposto della stanza, che i due gruppi antagonisti, nella loro ansia, non notarono. Pungolato dalle potenti emozioni che emanavano dal suo padrone, semirisvegliato a causa della ridotta quantità di gas soporifero che entrava adesso nella sua gabbia, il serpente volante si era riscosso dal suo torpore. Non ebbe bisogno di cercare Flinx visivamente: il suo scoppio di rabbia era un faro urlante che contrassegnava la sua posizione. Le ali del serpente rimasero piegate, mentre esaminava rapidamente la sua prigione. Poi si sollevò e sputò. Nel farfugliare confuso che riempiva l'estremità opposta della stanza, il sibilo quasi impercettibile del pancrilico che si dissolveva passò inosservato. — Portiamolo fuori. — Il maschio della coppia degli Impositori si mosse verso la propria destra, separandosi dalla sua compagna per porsi su un lato dell'ingresso, mentre lei si muoveva per portarsi dietro il gruppo raccolto nel mezzo della stanza.
— In fila per uno, adesso — ordinò, facendo un gesto esplicito con la sua arma. — Tutti voi. E per favore tenere in alto le mani. Niente gesti drammatici dell'ultimo minuto, per favore. Non mi piacciono i pasticci. Cruachan l'implorò. — Per favore, siamo soltanto un gruppo di vecchi e stanchi studiosi. Questa è la nostra ultima possibilità. Questo ragazzo — indicò Flinx, — potrebbe essere la nostra ultima possibilità di dimostrare che... — Ho studiato tutta la vostra storia, ho letto i rapporti. — La voce della donna era di ghiaccio. — Quello che avete fatto va al di là della redenzione o del perdono. Avrete quello che vi meritate, e non vi saranno concesse altre possibilità di fare esperimenti con questo povero ragazzo deforme. — Per favore — intervenne Flinx, disperato, — qualcuno vuol dirmi di cosa state parlando? — Qualcuno probabilmente lo farà — gli rispose la donna. — Non sono al corrente dei particolari, e le spiegazioni non rientrano nella mia sfera di competenze. — Rabbrividì visibilmente. — Per fortuna. — Rose, attenta! — Al grido di avvertimento del suo compagno, la donna si girò di scatto. C'era qualcosa nell'aria, che ronzava come un'enorme vespa, schizzando rapidamente da un punto all'altro: una macchia confusa azzurra e rosa contro il soffitto. — Cosa diavolo è? — sbottò la donna. Flinx fece per rispondere, ma Cruachan parlò per primo, facendo un passo fuori della fila verso la donna: — È l'animaletto del ragazzo. Non so come sia riuscito a scappar fuori. È molto pericoloso. — Oh, davvero? — La bocca del fucile si sollevò. — No! — Cruachan si precipitò verso di lei, il cicalino del quadro dei comandi gli urlava negli orecchi. — Non lo faccia! La donna chiamata Rose reagì istintivamente a quell'attacco inaspettato. Una breve scarica ad alta intensità investì il capo dei Meliorare. Lo stomaco gli esplose attraverso la spina dorsale. Il fucile non aveva prodotto nessun suono. C'era stato soltanto un lieve schiocco quando la raffica era giunta a segno. Una delle donne anziane urlò; l'impositrice della pace imprecò per la precipitazione che l'aveva travolta e prese di mira l'origine del suo imbarazzo. Quando puntò la sua arma contro Pip, tutto il suo furore, il dolore e l'angoscia cozzarono insieme dentro la testa di Flinx. — Pip! No! — urlò il ragazzo, precipitandosi contro la donna. L'altro impositore della pace si mosse per coprire la sua compagna. Pip sfrecciò
verso il fondo del magazzino. L'arma della donna seguì il minidrago mentre il suo dito cominciava a stringersi sul grilletto. Accadde qualcosa. Gli occhi di Cruachan erano ancora aperti. Un sorriso di soddisfazione gli comparve sul viso. Poi morì. La notte calò inaspettata. Flinx galleggiava all'interno d'un gigantesco tamburo. Qualcuno vi stava picchiando sopra su entrambi i lati. Il ritmo era vagante, incerto, ma il rimbombo gli assordava l'anima. Faceva male. Qualcosa era adagiato sopra il suo petto. Sono supino, pensò. Sollevò la testa per abbassare Io sguardo su se stesso. Pip giaceva sopra l'incerato, coperto di lividi ma vivo. Il serpente volante pareva stordito. Man mano riacquistava la completa conoscenza, la lingua sottile schizzò fuori più volte per toccare le labbra e il naso di Flinx. Soddisfatto, il minidrago smise il suo esame e gli strisciò dal petto sulla spalla. Flinx lottò per rizzarsi a sedere. C'era qualcosa di sbagliato nel suo equilibrio. Il semplice atto di cambiare la sua posizione da distesa a seduta risultò un'operazione tremendamente difficile. Due furono le cose che Flinx notò subito: faceva freddo, e la pioggia gli inzuppava il viso. Poi la sua vista si schiarì e vide il vecchio chino su di lui. Per un istante gli tornò la paura, ma quel vecchio non era uno dei meliorare. Era un volto gentile, sconosciuto. Il vecchio era vestito in modo molto diverso dai membri della Society. Non c'era stato niente di trasandato nell'abbigliamento dei meliorare. Ma questo sconosciuto era un uomo che veniva senz'altro da una vita più semplice. — Stai bene, ragazzo? — Lo sconosciuto guardò dietro di sé. — Sì, credo che tu stia bene. Flinx aguzzò lo sguardo oltre la spalla del vecchio. Parecchi altri estranei si erano raccolti dietro di lui. E Flinx si rese conto di trovarsi al centro della loro preoccupata curiosità. Braccia robuste si tesero verso di lui e lo aiutarono a rimettersi in piedi. Furono fatti commenti sul serpente volante appollaiato sopra la sua spalla. Un uomo più giovane si fece avanti tra la folla. — Stai bene? — Scrutò il volto di Flinx. — Ho fatto un po' di tirocinio medico. — Non proprio... credo... — Strano, neppure la bocca funzionava a dovere. Deglutì. — Cos'è successo? — Dimmelo tu — rispose il giovane, senza sorridere. Era vestito bene,
assai meglio del vecchio che aveva esaminato Flinx per primo. Un incerato a strisce gialle e verdi copriva un abito da uomo d'affari a vivaci colori che Flinx riuscì appena a intravedere. — Sono un factotum della Subfiliale di Grandier — spiegò il giovane. — Stavo arrivando per controllare un recente invio di merci da Evoria. — Si girò e gli indicò qualcosa. — Quello laggiù è il nostro magazzino. Sono quasi inciampato su di te. — Anch'io — annuì il vecchio. — Anche se non sono il factotum di nessuno salvo di me stesso. — Sorrise, esibendo un bel po' di denti mancanti. Flinx si scostò dagli occhi e dalla fronte alcune ciocche di capelli intrisi d'acqua. Come aveva fatto a bagnarsi così a fondo? Non riusciva a ricordarsi d'essere finito lungo disteso sulla strada. Non riusciva a ricordare di essersi disteso da nessuna parte. Adesso, tutta la gente intorno a lui si era azzittita. Il rombo che aveva riempito i suoi orecchi fin da quando aveva ripreso conoscenza assunse proporzione assordanti. Udì un ululato di sirene. A un paio d'isolati di distanza le fiamme si levavano verso il cielo dalla sommità d'un magazzino sfidando il costante velo di pioggia. Un fluttuante della squadra antincendio si librava su un lato. Il suo equipaggio stava spargendo sopra le fiamme della schiuma chimica a effetto ritardante. Si combinava all'effetto della pioggia per far ripiegare le fiamme su se stesse. — Ad ogni modo — riprese l'uomo più giovane accanto a Flinx, mentre tutti e due tenevano lo sguardo puntato su quell'inferno morente, — stavo giusto entrando nel nostro ufficio laggiù quando quell'edificio — fece un cenno col capo in direzione delle fiamme, — è saltato in aria. Se ricordo bene, era alto quattro o cinque piani. Come puoi vedere ne sono rimasti soltanto due. I tre piani più alti devono essere stati ridotti in briciole nei primi istanti della deflagrazione. Ci sono rottami carbonizzati dappertutto nelle strade qui intorno. L'esplosione mi ha fatto mancare il terreno sotto i piedi, proprio come è successo a te. — Lo sguardo di Flinx vagò sulla folla che si era radunata per contemplare l'insolito spettacolo. A Drallar, a causa del clima, i grossi incendi erano rari. — Qualcuno si è cacciato in un nido di guai — borbottò il vecchio. — Immagazzinare esplosivi o sostanze volatili entro i confini della città. Brutto affare. Sì, proprio brutto. — Qualcuno mi ha detto che hanno sentito lo scoppio fino agli inurb — disse il giovane, con rinnovata loquacità. — Mi chiedo cosa diavolo fosse immagazzinato là dentro, per causare un'esplosione così catastrofica... Un
intero pezzo dell'edificio mi è passato sopra la testa come un proiettile. Si è conficcato nella nostra porta d'ingresso, se vuoi vederlo. Quando mi sono rialzato, ti ho visto disteso qui in strada. O ti ha colpito qualcosa di misericordiosamente piccolo, oppure hai perso i sensi quando hai sbattuto la testa per terra. — Non ho visto niente che lo colpiva — dichiarò il vecchio. — Questo non vuol dire niente, vista la velocità con cui volava quella roba. — Il giovane funzionario guardò Flinx. — Scommetto che non l'hai neppure sentito. — No — ammise Flinx, ancora terribilmente confuso. — Non l'ho sentito. Ma adesso sto benissimo. — Ne sei proprio sicuro? — L'altro lo fissò. — È strano. Qualunque cosa ti abbia stordito, dev'essere schizzata oltre. Non vedo nessun taglio, neppure un livido, anche se sembra che il tuo animaletto sia rimasto un po' ammaccato. — Devi esserne contento — disse il vecchio. — Un altro centimetro, e forse adesso avresti un pezzo di metallo che ti sporge dalla testa. — Ridacchiò. Flinx esibì un pallido sorriso. — Adesso mi sento meglio. — Barcollò di nuovo, ma durò un attimo e poi fu di nuovo saldo sulle gambe. Il giovane factotum stava ancora studiando il minidrago arrotolato intorno alla spalla sinistra di Flinx. — È un animaletto interessante, non c'è dubbio. — Lo pensano tutti. Grazie per la vostra premura... a tutti e due. — Si fece avanti con passo ancora incerto e raggiunse il cerchio di spettatori che stava guardando a bocca aperta l'edificio frantumato. Lentamente e con riluttanza il suo cervello riempì gli spazi vuoti che crivellavano la sua memoria. Terzo piano, era stato lassù che i meliorare... Sì, i Meliorare, era quello il loro nome: lassù si stavano preparando a sottoporlo ad alcuni test. Poi gli Impositori della Pace avevano fatto irruzione, Pip si era liberato e uno dei due era stato sul punto di sparargli, e il capo dei Meliorare (Flinx non riusciva a ricordare il suo nome, soltanto i suoi occhi) era stato preso dal panico e si era lanciato contro uno degli impositori, e Flinx ricordava di avere urlato, in preda alla disperazione, di non sparare, che la donna non facesse male a Pip, non gli facesse del male, non... Poi si era svegliato, inzuppato di pioggia e stordito, sulla strada, con un vecchio che si curvava sollecito sopra di lui e Pip che gli leccava la bocca.
Si portò la mano alla nuca, che gli pulsava come un tamburo dentro il quale aveva sognato d'essere imprigionato. Non c'era nessun bernoccolo, niente sangue, ma gli pareva proprio che qualcuno l'avesse colpito con forza, proprio come il factotum dell'azienda aveva supposto. Soltanto il dolore pareva concentrato dentro la sua testa. Delle persone stavano emergendo dal magazzino in fiamme: personale medico dai bianchi incerati. Scortavano qualcuno... Gli indumenti della donna erano a brandelli, e il sangue gocciolava dagli squarci. Anche se riusciva a camminare con le proprie forze, ci volevano due medici per guidarla. D'un tratto Flinx riuscì a percepirla, ma solo per un istante. Non c'era però nessuna emozione... nessuna emozione o sentimento di nessun genere. Il suo sguardo era vuoto, torpido. L'esplosione doveva averla fatta piombare in un profondo stordimento, pensò Flinx. Quella donna era l'impositrice della pace che era stata sul punto di colpire Pip. In ospedale quel profondo vuoto mentale si sarebbe senza dubbio dissipato, pensò ancora Flinx. Anche se adesso era quasi come se la sua mente fosse stata cancellata, e neppure in modo selettivo. Pareva il guscio deambulante di un essere umano. Flinx distolse lo sguardo provando un acuto senso di disagio, pur non sapendo il perché, mentre l'impositrice veniva fatta salire a bordo d'un fluttuante dell'ospedale. Il velivolo si alzò sopra la folla e si avviò verso il centro della città fra un urlio di sirene. Tuttavia Flinx continuò a sforzarsi di ricostruire gli ultimi istanti là nel magazzino. Cos'era successo? Quella sventurata donna era stata sul punto di uccidere Pip. Flinx aveva cominciato ad avanzare verso di lei, protestando freneticamente, e il suo compagno, allora, aveva cominciato a ruotare la sua arma verso di lui. E quelle armi funzionavano senza far nessun rumore. La donna aveva sparato? L'aveva fatto l'uomo? La strumentazione che aveva riempito quella stanza del magazzino richiedeva parecchia energia. Se l'impositore della pace aveva mancato lui, Flinx, forse limitandosi deliberatamente a sparare un colpo di avvertimento, la raffica poteva aver colpito qualcosa di ugualmente sensibile ma di assai meno volatile della carne umana. Di regola i magazzini non consumavano molta energia. Potevano esserci state parecchie batterie cariche d'energia, là nella stanza, in una condizione di delicato equilibrio. Lo sparo poteva averle fatte esplodere. Oppure uno dei meliorare (forse proprio quello che si trovava accanto alla gabbia di Flinx e che si era dileguato) aveva attivato un qualche tipo di
congegno suicida per evitare ai suoi compagni il disonore d'un processo ufficiale? Si senti assai meglio mentre prendeva in considerazione entrambe queste ragionevoli possibilità. Quadravano con quanto era accaduto e, sì, erano plausibili. L'unica cosa che non spiegavano era come lui avesse fatto a toccar terra a due isolati di distanza, in apparenza illeso, salvo per quel terrificante mal di testa... Be', lui si era diretto verso la porta, e le esplosioni potevano avere strani effetti. Le strade del quartiere industriale erano famigerate per le buche, che di solito erano piene di acqua piovana. E lui era inzuppato dalla testa ai piedi. Era possibile che la violenza dell'esplosione l'avesse scagliato dentro una di queste buche, abbastanza profonda da smorzare la caduta, facendolo poi schizzar fuori di nuovo come una pietra piatta su uno stagno? Era ovvio che doveva esser successo proprio questo. Non c'era nessun'altra spiegazione possibile. La testa continuava a fargli male. Finalmente, i gendarmi locali erano comparsi. Quando li vide arrivare, Fiinx istintivamente si allontanò, lasciandosi la folla alle spalle e chiudendo Pip sotto l'incerato. Era contento di non essere stato costretto a usare il suo coltello, e si sentiva fortunato di essere vivo. Forse adesso, finalmente, le forze esterne avrebbero lasciato in pace lui, Mamma Mastino e Pip. Ripensò un'ultima volta a quell'ultimo istante nel magazzino. La rabbia e la disperazione si erano accumulate dentro di lui fino a quando era stato incapace di sopportarle più oltre e si era scagliato alla cieca contro l'impositrice della pace che era sul punto di uccidere Pip. Sperò di non essere mai più così arrabbiato in vita sua. La folla ignorò il ragazzo che stava abbandonando la scena. Flinx scomparve tra le provvide ombre e i vicoli angusti che risalivano verso il centro della città. Non c'era niente di straordinario nella sua persona e i gendarmi non avevano nessuna ragione di fermarlo e interrogarlo. Il vecchio e il factotum dell'azienda che l'avevano trovato disteso nella strada si erano già dimenticati di lui. Molto più affascinati dall'insolito spettacolo di un grosso incendio in una Drallar sempre gocciolante d'acqua. Flinx tornò verso i quartieri più animati della città, verso le discussioni, le grida, gli odori e le scene del mercato, e il piccolo, caldo e familiare negozio di Mamma Mastino. Era dispiaciuto... dispiaciuto per tutti i guai che sembrava aver causato. Dispiaciuto per quegli strani, vecchi meliorare che non esistevano più. Dispiaciuto per quegli impositori della pace troppo zelanti.
Sapeva che Mamma Mastino non sarebbe stata dispiaciuta. Poteva essere vendicativa come un Aan, specialmente se qualcosa vicino a lei era stato minacciato. Lui comunque provava rincrescimento per la morte di tanta gente. Tutto per niente, tutto a causa d'una vagante, innocua, di solito inutile, capacità, che lui possedeva, di leggere le emozioni. Colpa loro, comunque. Tutto quello che era accaduto era stato per colpa loro, sia dei meliorare che degli impositori della pace in eguai misura. Lui aveva cercato di avvertirli. Mai cercare di mettersi tra un ragazzo e il suo serpente. L'umido viaggio verso casa finì per esaurire quella poca forza che ancora gli restava. Mai prima di allora la città gli era parsa così immensa, le sue strade secondarie così involute e tortuose. Era completamente esausto. Mamma Mastino era intenta al negozio, ma lo aspettava con la stessa ansia con cui aspettava i clienti. Il suo vecchio braccio sottile era forte ed energico quando glielo fece scivolare dietro la schiena, aiutandolo a percorrere gli ultimi angosciosi metri fin dietro il negozio. — Ero preoccupata a morte per te, ragazzo! Che tu sii dannato per aver procurato un simile sconforto a una povera vecchia! — Le sue dita sfiorarono i lividi che aveva sulle guance e sulla fronte, mentre i suoi occhi cercavano danni più seri. — E sei tutto tagliato e sanguinante. Cosa ti è successo, Flinx? Quando imparerai a tenerti fuori dai guai? Il ragazzo chiamò a raccolta tutte le forze residue per sorridere. — Pare che i guai vengano a cercarmi, mamma. — Uh! Tutte scuse. L'ingegno d'un ragazzo è sempre pieno zeppo di scuse. Cosa ti è successo? Flinx cercò di rimettere ordine nei suoi pensieri, mentre faceva scivolar fuori Pip da sotto l'incerato. Mamma Mastino arretrò. Il minidrago era flaccido come un pezzo di corda. Giacque arrotolato in grembo al suo padrone, e se non era addormentato, allora sapeva fare un'ottima imitazione scagliosa d'un sonno profondo. — Qualcuno ha rapito Pip. Si facevano chiamare Meliorare. Ma era me che volevano. Quei... — Storse la faccia al ricordo. — Uno di loro ha detto qualcosa sul fatto che voleva mettermi a posto. Mettere a posto cosa? Cosa volevano da me? La vecchia rifletté per un lungo istante, studiando il ragazzo. Pareva proprio che stesse dicendo la verità, che non avesse appreso più di quanto diceva. Ignorando la vicinanza di quell'odiato serpente volante, Mamma Mastino si sedette accanto a Flinx e gli mise un braccio intorno alle spalle. — Adesso ascoltami bene, ragazzo, perché questo è d'importanza vitale
per te. Non devo dirti che sei diverso. Sei sempre stato diverso. Devi nasconderlo meglio che puoi, e noi dovremo nasconderci. Drallar è un posto molto grande. Possiamo trasferire il negozio, se è necessario. Ma devi imparare a vivere senza dare nell'occhio, e dovrai tenere per te le tue differenze, altrimenti ci troveremo ancora afflitti da queste attenzioni sgradite e insalutari. — È tutto così stupido, mamma. Soltanto perché a volte riesco a percepire quello che gli altri provano? — Questo. E forse qualcos'altro. — Non c'è altro. È tutto quello che posso fare. — Davvero, ragazzo? Come hai fatto a scappare da quella gente? — Distolse lo sguardo da lui volgendolo verso la strada, d'un tratto preoccupata. — Pensi che verranno a cercarti di nuovo? — Non lo credo. La maggior parte di loro erano morti quando me ne sono andato. Non so come ho fatto a scappare da loro. Credo che uno di loro abbia sparato a qualcosa di esplosivo, facendo saltare tutto in aria. Io sono stato scagliato fuori dall'edificio in mezzo a una strada. — Sei fortunato ad esser vivo, a quanto pare, anche se mi chiedo per mano di quale provvidenza. Forse è meglio così. Forse è meglio che tu non sappia molto di te, ancora. Ma la tua mente è sempre stata più avanti del tuo corpo, e forse c'è qualcosa di ancora più avanzato di questo. — Ma io non voglio essere diverso — lui insisté, quasi piangendo. — Voglio essere come tutti gli altri. — So che lo vuoi, ragazzo — disse la vecchia donna con gentilezza. — Ma ciascuno di noi deve giocare le carte che il destino gli dà. E tu sei rimasto incastrato con il jolly, e dovrai imparare a trattare con esso, volgendolo in qualche modo a tuo vantaggio. — Non voglio nessun vantaggio! No davvero, se deve procurarci questo genere di guai. — Non voglio affatto sentire questi discorsi, ragazzo! Una differenza può essere sempre di vantaggio per qualcuno. Questa volta sceglierai finalmente una professione. So che non ti piace l'idea di dirigere un negozio come questo. Cosa ti piacerebbe fare? Flinx rimuginò sulla domanda per un bel po', prima di decidersi a rispondere. — Tutto quello che mi piace è far felici gli altri. La vecchia donna scosse la testa con tristezza. — A volte penso che tu non sia abbastanza egoista da riuscire a conservarti vivo. Tuttavia, se è questo che ti piace, allora dovrai trovare un modo di guadagnarti da vivere
facendolo. — A volte sogno di diventare un dottore e guarire la gente. — Ti consiglio di abbassare un po' il mirino, ragazzo. — D'accordo. Un attore, allora. — No, non così in basso. Sii pratico. Impegnati in qualcosa che puoi fare adesso, senza tanti anni di studio. — Potrei recitare qui nel mercato — disse lui, pensieroso. — E me la cavo assai bene come giocoliere. Mi hai visto. — Sì. E ti ho sgridato un sacco di volte per esserti esercitato con i miei gingilli più costosi. Ma è un'idea valida. Dobbiamo trovarti un buon angolo di strada. Certamente non potrai cacciarti nei guai dando spettacolo per questi sempliciotti d'indigeni. — Sicuro! Vado subito a fare esercizio. — Calma, ragazzo, calma. Dormi quasi in piedi, e non intendo lasciarti rompere le mie mercanzie o te stesso. Vai dentro e stenditi. Ti preparo qualcosa da mangiare e poi arrivo subito da te. Adesso vai, ragazzo, e assicurati di portare con te quel tuo piccolo mostro. Cullando tra le mani l'esausto Pip, Flinx si alzò e s'incamminò tra la merce in mostra, verso la sezione del negozio che faceva loro da abitazione. Mamma Mastino lo seguì con lo sguardo. Cosa sarebbe diventato quel ragazzo? In qualche modo aveva attirato su di sé l'attenzione di gente potente e pericolosa. Per lo meno, adesso, c'erano buone possibilità che non sarebbero stati più disturbati per un po'. No, se li aveva lasciati «come morti». Come era riuscito a fuggire? A volte riusciva ancora a spaventarla. Oh, Flinx non avrebbe mai torto un solo capello alla sua vecchia testa. Al contrario, come aveva dimostrato l'ostinato inseguimento e il salvataggio di quei giorni appena trascorsi. Ma c'erano forze all'opera dentro quel corpo da adolescente, forze al di là della comprensione d'una semplice bottegaia, forze che forse non sarebbe stato capace di controllare. E c'era di più che la semplice abilità di leggere le emozioni degli altri. Di ciò era sicura. Quanto di più, poteva solo sospettarlo, giacché era chiaro che il ragazzo stesso ne era assai poco consapevole. Be', che facesse pure il giocoliere per un po'. Certo non c'era pericolo. Con un'occupazione così semplice, non sarebbe davvero incappato in altri guai. Se lo disse più volte per tutto il resto di quel pomeriggio, fino a sera inoltrata, restando là a guardarlo dormire. Quando alla fine s'infilò nel pro-
prio letto, pensò di aver accantonato quelle paure immaginarie. Ma non era così. Sentiva che quel ragazzo, il quale giaceva soddisfatto e pacifico nella stanza opposta alla sua era destinato a qualcosa di più d'una vita oziosa d'intrattenitore dei passanti agli angoli delle strade. In qualche modo sapeva che quel dannato universo, il quale ficcava sempre il suo cosmico naso nel destino degli innocenti cittadini, non avrebbe mai lasciato in pace qualcuno di unico come Flinx. FINE