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R. PATRICK GATES TERRORE DAL VIDEO (Tunnelvision, 1991) Questo libro è dedicato ai nonni, Rose e Butch, e Toni e George. Senza di loro, questo libro non sarebbe stato finito in tempo. Riconoscenza e gratitudine vanno al Tenente Catbone della squadra investigativa del Dipartimento di Polizia di Fitchburg per le risposte franche alle mie domande. Ringraziamenti vanno anche al vecchio amico, John Gianetti, direttore della Rete Televisiva via Cavo di Fitchburg/Leominster, per avermi reso partecipe delle sue conoscenze sulle attrezzature video. Un bel giorno nel mezzo della notte, Due ragazzi morti si alzarono per combattere, Schiena a schiena si affrontarono l'un contro l'altro, Sguainarono le spade e si colpirono l'un contro l'altro Un poliziotto sordo sentì il trambusto, Arrivò ed uccise i due ragazzi morti. Filastrocca dei bambini per il salto della corda Non c'è niente che non va nel tuo apparecchio televisivo. Non cercare di sistemare l'immagine. Noi abbiamo il controllo della trasmissione... I Limiti Estremi BENVENUTI A TUNNELVISION! 25 Canali via Cavo per il Vostro Piacere di Guardare Questa è la vostra guida ai programmi. Tutti i programmi sono in onda a qualsiasi ora.
Canale 1 Questa è Tunnelvision! Ecco a voi Ivy! Il Fratello John Show A ritmo di Rap con Ivy D. Incontro con i Gage Canale 2 Il turno di notte Barbara & Ivy Canale 3 Bollettino meteorologico O! Henry! L'Angolo del Libro Il Wilbur Clayton Show Bill Gage - Poliziotto del Supermercato Canale 4 Il Ritorno del Dottor Peabody Ammaestramento al bagno Beth Shell - Allieva Infermiera Canale 5 Speciale Doposcuola: il Salvataggio Canale 6 Rete a strascico Bill Gage - Investigatore Speciale Fumando nella Stanza dei Ragazzi Pericolo Pubblico N° 1 Il Vero James Bond Canale 7 Qui Tunnelvision! II 007 in «Il Caso del Sacchetto dell'Immondizia» Uno pari
Canale 8 Gesù mi Ama Qui Tunnelvision! - III La Squadra di Polizia Affrontiamo i Fatti Canale 9 Il Signor Ed Scene da un Matrimonio Video Valhalla L'Angolo del Libro Sogno Canale 10 Il Film del Sabato Pomeriggio: Due vite in gioco Canale 11 Fumando nella stanza dei ragazzi - II Vicki Dominatrix Gente Vera Acciuffare un Ladro Canale 12 A Beth piace Wilbur Bond, James Bond Il Sussidio di Wilbur Scene da un Matrimonio - II Canale 13 Mitomani Beth Shell - alias Sadie Hawkins Canale 14 Il Legame d'Amore Le Cose Vanno Meglio con la Coca Sistema di Trasmissione d'Emergenza (Allarme!) Canale 15
Operazione Wilbur - Parte I Canale 16 Acciuffare una Spia Il Ritorno di Slice Sanchez Trasmissioni Sospese L'Ultimo Colpo Canale 17 Bill Gage - Video-Investigatore Quando Avvengono Cose Brutte Alla Brava Gente Canale 18 Incontro con gli Smith Il Giorno Non-Tanto-Fortunato di Sonny Ray Canale 19 I Piani Ben Progettati... Vuoi una Caramella? Intervallo Lascialo ad Ivy Canale 20 Qui Tunnelvision! - IV Wilbur e Beth Canale 21 Telefonata Mortale Sassy Sarah Miracoli in Diretta L'Orco Il Coro della Dannazione 72 Ore Canale 22 Operazione Wilbur - Parte 2 Canale 23
Aspettando Sassy Acciuffare un Assassino Gli Invasori Il Passatempo di Wilbur Il Salvataggio di Ivy Bill Gage - il Vendicatore Canale 24 Dire la Verità Operazione Wilbur - Parte III Ossessione! Una Seconda Possibilità in Amore Complicazioni Confessioni Sincere La Vendetta di Ivy Canale 25 Mini-serie: Qui Tunnelvision! - V - Il Capitolo Finale Segnale di Fine Trasmissione CANALE 1 Questa è Tunnelvision! Ecco a voi Ivy! Il Fratello John Show A ritmo di Rap con Ivy D. Incontro con i Gage Le onde radio della mente esaurite. I canali li conosce bene. Onde profonde ed oscure intrappolano l'incauto, o il pavido, il seviziato o lo squilibrato, e lo trascinano giù. Il primo segnale sembra di sollievo, ma presto diventa rancido. Come cadere in un pozzo nero ed affogare con la bocca aperta. Non c'è niente a cui aggrapparsi - niente che lo tiri fuori da quelle immagini melliflue in bianco e nero che scorrono senza interruzioni pubblicitarie, che evaporano sullo schermo della televisione nel profondo del suo cervello. Non c'è tempo di gridare.
Lui se ne sta nel buio totale. Ai suoi occhi sono invisibili anche le mani, che gli ondeggiano davanti come antenne di un insetto. C'è solo il buio ed il rumore del suo stesso respiro terrorizzato. L'aria è fredda. Sembra una tomba: umida, scura e carica di futura purulenza. Prova a muoversi e non ci riesce. Il cuore gli batte forte nelle orecchie come una locomotiva. In lontananza nel buio ad entrambi i lati ci sono esplosioni di luce gemelle che si dilatano, per poi comprimersi. Sente il rumore di due porte che si aprono su cardini cigolanti come ossa scrocchiano, per poi chiudersi con scatti metallici che rimbombano ritmicamente. Gli echi si trasformano in passi. Dal fondo di ogni corridoio i passi tagliano il buio. Diventano sempre più forti. Iniziano lentamente, come se qualcuno fosse incerto dei propri passi nel buio, ma gradualmente diventano più spediti. Diventano pesanti, passi possenti che necessitano di un grande dispendio d'energia per sollevare e posare ogni piede. Colpiscono il pavimento di cemento come lievi esplosioni. Inizia a sudare. Cerca di indietreggiare ma è già vicino al muro. Non c'è più spazio. Non può andare da nessuna parte. I passi diventano sempre più forti. Il suo respiro è corto. Sembra non avere più aria. Le lievi esplosioni dei passi diventano più intense. Smuovono l'aria e rimbalzano nei suoi labirinti fino a provocargli dolore. Cerca di urlare per coprire il rumore, ma non ha aria sufficiente nei polmoni per premere sulle corde vocali e farle vibrare per il terrore crescente che prova. I passi diventano mostruosi. Fanno tremare i muri, ogni ossa. Onde d'aria gemelle corrono verso di lui mentre qualcuno, o qualcosa, che si avvicina dal fondo del corridoio, la sposta e la spinge fino ad infrangerla su di lui in ondate viscide, simili ad un conato che cresce incontrollabilmente nel suo petto e corre verso la bocca con un gusto di vomito acido. L'aria è pregna di sudore e salata. Intorno alla sua testa cresce una luce, grigia e tremolante, la luce di un video, che lo racchiude nel suo cercnio di luce... RALLENTI: IL-BATTER-DEI-SUOI-OCCHI-SEMBRA-NONFINIRE-MAI-E-SEMBRA-LO-SBADIGLIO-DI-UN-CONGEGNOARRUGGINITOIL-SUO-RESPIRO-RICORDA-UN'ASPIRAPOLVERE-IN-AGONIADALLE-ESTREMITÀ-DEL-CONO-DI-LUCE-COME-UN-
NUOTATORE-CHE-HA-APPENA-PENETRATO-L'ACQUA-CON-UNTUFFO-EMERGONO-DAL-BUIO-IN-PERFETTA-SIMMETRIA-LEPUNTE-DELLE-DITAINTORNO-ALLE-INTRUSE-ROTEANO-VORTICOSAMENTEPARTICELLE-DI-LUCE-APPARE-IL-RESTO-DELLE-MANILUI-CERCA-DI-CHIUDERE-GLI-OCCHI-MA-IL-CONGEGNOARRUGGINTTO-ADESSO-RONZA-COME-UN-TRAPANOELETTRICO-INTRAPPOLATO-IN-UNA-MAGLIA-METALLICACOME-NUOTATRICI-SINCRONIZZATE-CHE-EMERGONODALLA-PISCINA-LE-MANI-SONO-SEGUITE-DAI-POLSI-E-POIDALLE-BRACCIADA-OGNI-CORRDDOIO-ÀPPARE-UNA-GAMBA-IN-PERFET-TAARMONIA-SEGUITA-DA-UN-PAIO-DI-CORPI-PALPITANTI-EPICCHIETTATI-DA-MACCHIE-SCUREAVANTI VELOCE: Ed il suo respiro ricomincia ad andare al galoppo come se tutta l'aria che aveva cercato di fare uscire da dentro di sé fosse ritornata come un'inondazione mentre l'urlo più forte che sia mai uscito dalle sue labbra inizia a riempirgli la gola nel buio mentre i due corpi balzano nell'oscurità con mani protese per strozzarlo e gambe scalcianti ed i petti che si gonfiano e si sgonfiano e sigonfiano esisgonfiano esigonfiano esisgonfiano esisgonfianoesigonfianoesisgonfiano RALLENTI: SOTTO-SPALLE-SENZA-TESTANON-HANNO-TESTELE-DUE-FIGURE-SONO-SENZA-TESTA-I-COLLI-SONOMONCONI-SANGUINOLENTI-SIMILI-A-GIOVANI-ACERIABBATTUTI-AL-CULMINE-DELLA-LORO-STAGIONE-FECONDADALLE-SCHEGGE-DI-OSSA-E-DALLE-VENE-CHEBORDEGGIANO-LA-CARNE-STRAZIATA-DI-OGNI-COLLOGOCCIOLA-UNA-MACABRA-FONTANA-D'ACQUA-DALLEBOLLE-ROSSE-CON-LA-STESSA-QUANTITÀ-E-CON-GLI-STESSISPASMI-DI-GOCCIE-FINO-A-QUANDOAVANTI VELOCE: Le mani che cercano alla cieca trovano il suo collo e lo serrano come una morsa ed il ruggito del suo battito cardiaco è adesso assordante e la sua faccia è rossa per l'urlo silenzioso che cresceecresceecresceecresce Fino a quando non si sveglia, stringendo le coperte nei pugni, con la bocca spalancata in muto terrore.
*** «Agnellino, allontanati da quella ringhiera e vieni qui ad aiutarmi.» Il ragazzino dalla pelle nera ignorò sua madre. La ignorava sempre quando lo chiamava "Agnellino". Era un nomignolo, un nome da bambino di una stupida canzone che gli cantava quando era piccolo. «E l'agnellino ha Ivy» era tutto quello che poteva ricordare o capire delle parole che non avevano senso. Il suo nome era Ivy, ma lui avrebbe voluto avere un soprannome da duro come Fresh Prince o Ice T, o M.C. Hammer, o di qualcuno degli altri rapper che gli piaceva vedere su MTV. Sua madre, comunque, si era fossilizzata nel passato, e continuava a chiamarlo con i suoi soprannomi da bambino e lo trattava come se fosse un moccioso. Aveva undici anni, e poteva gridarlo ad alta voce! C'era un altro motivo per cui Ivy non si allontanò velocemente dalla ringhiera della veranda del terzo piano. Stava ascoltando una discussione dalla casa dei vicini. Le voci, due di queste, erano alte, ma distorte dall'emozione e dalle mura e lui riusciva a capire solo una parola su quattro. In ogni caso, era sicuro che una delle voci fosse di un talk-show televisivo con il volume più alto di quanto un normale televisore avrebbe dovuto essere. Ivy ridacchiò. Il tizio stava discutendo con un apparecchio televisivo? Ascoltò, e continuò a ridacchiare. «E cinque, quattro, tre, due, uno! Sei in onda!» «Buongiorno, signore e signori, benvenuti, le trasmissioni stanno per avere inizio. State guardando Tunnelvision!» Cambio di canale. «Che stai facendo, stronzo?» «Guardando la tunnelvision, Mammina.» «Si chiama televisione, stupido, e non ti ho detto di non chiamarmi mai Mammina?» Schiaffo! Risata registrata. «Ma chi ti ha detto questa cazzata della tunnelvision?» «Me l'ha detta nonna.» Altre risate. «C'era da immaginarlo. Bene, scordatela. E scordati anche di lei - è morta.»
«No non lo è, Mammina, è nella tunnelvision.» Schiaffo! «Te l'ho già detto, NON CHIAMARMI MAI MAMMINA.» Altri schiaffi. Risate stridule. Chiusura di un presentatore dalla parlata gongolante. Saremo di nuovo con voi dopo una chiacchierata con queste persone amiche... Rosie sta in piedi dietro il bancone. Entrano un uomo ed una donna e si siedono sugli sgabelli. Le loro teste rotolano dalle loro spalle sul bancone, spargendo ovunque caffè e sangue. «Svelta, Rosie! Prendi uno strofinaccio!» urlano le teste mentre rotolano lungo il bancone. «Un qualsiasi strofinaccio di carta? Chi ha detto che due teste sono meglio di una?» dice Rosie ironicamente. Raccoglie la testa della donna e la tiene in equilibrio su un pezzo di carta teso tra le mani. «Questo è un normale pezzo di carta.» Il sangue impregna il pezzo di carta fino a quando non si rompe. La faccia della donna assume uno sguardo di sorpresa e dolore mentre la sua testa cade nel lavandino dallo squarcio sanguinolento del pezzo di carta. «Invece, questo è Bounty,» dice Rosie, mettendo la testa dell'uomo sulla carta Bounty. Il sangue la impregna ma la carta non si rompe. «Wow! Rosie, Bounty è meglio!» dice la testa dell'uomo. Rosie riposa la testa sul bancone e si sporge per guardare meglio l'uomo negli occhi. «La prossima volta, su la testa e scegli Bounty - la carta assorbente più veloce e più robusta!» Cambio di canale. Energia statica. Il monitor si accende. Il residuo del sogno è ancora fluido e caldo nella sua mente. Ribolle dietro i globi oculari e gli fa friggere il cervello. Il lamento di una chitarra elettrica, simile ad un banshee, fa vibrare tutta l'aria come una cosa vivente. La risata dei fantasmi non si spegne mai. Può sentire il battito del cuore della terra attraverso il pavimento. Il sogno appare in televisione. Battito Terrore indistinto in bianco e nero. Cardiaco -
Solo ora è sicuro che non è un sogno. Battito È una profezia. Cardiaco «Cosa stai facendo?» grida a Gesù, ma il Figlio di Dio non si cura di lui. Fratello John, vestito con l'abito tutto nero che gli dà il soprannome, conduce il suo talk-show. Grasso e calvo siede su una sedia a forma di fagiolo sotto il bagliore della luce fluorescente di Hendrix che brucia la sua chitarra. Johnny è morto da sette anni, ma non è invecchiato di un giorno dal giorno in cui è morto, il giorno in cui Gesù gli ha tagliato il collo nel bagno. Lo squarcio è ancora là, blu sotto la pelle bianco gesso e secco come un acino rinsecchito. «Ti dirò io quello che Lui ha fatto, Wilbur,» dice John, ma è lo squarcio sul suo collo che si muove come una bocca, i margini laceri dello sfregio si agitano come labbra per formare le parole. «Lui ha fatto a loro quello che loro stavano per fare a te.» La sua voce è acquosa per i fluidi corposi e gorgoglia. «Satana è una bestia dai tanti arti e deve essere distrutto arto per arto!» Nonna attacca a parlare dal suo spazio dentro la testa di Wilbur. Ha la sua Televisione accesa, e come sempre la prega. «Adesso, tutti quelli che hanno tradito Gesù devono pagare per i loro peccati,» dice, con voce colma di fervore religioso. La testa ondeggia sulle sue spalle davanti allò schermo TV. «I rappresentanti di Satana devono essere uccisi uno ad uno, arto per arto.» Gesù è in televisione. Lei alza il volume. I Morti trasmettono stereo. La testa di Wilbur è piena di voci. Il Figlio di Dio sta facendo una pubblicità per i computer. Jerry Garcia canta fuori tonalità. Fratello John fa la pubblicità ad una birra «Ha un gusto fantastico!» fa sgocciolare dalla ferita sul suo collo). Nonna canta un inno. Il canale cambia e Gesù diventa una bambola Barbie che cavalca un pony. La bocca della bambola si apre. Come un coltello silenzioso, la Sua voce atona trancia il frastuono, separando i rumori come Mosè fece con il Mar Rosso. «La vendetta sarà mia, disse il Signore!» Nel suo talk-show, Fratello John mostra il suo sorriso da bellimbusto del Cheshire, ma attorno ad esso la sua immagine si sbriciola. «Cosa vuoi dire?» Wilbur chiede a Gesù, ma arriva un'altra pubblicità. «Loro non possono più tornare indietro, non è vero?» Lui implora ad una donna che geme davanti alla sua marca favorita di assorbenti.
Lei non risponde. La chitarra di Garcia percorrere in su ed in giù una scala. I manifesti fluorescenti che adomano le pareti brillano, mandando aghi di colore che gli trafiggono gli occhi al minimo movimento della testa. «Gli altri devono pagare. Le categorie degli adulti.» «No,» supplica Wilbur. «Arrenditi a Gesù, figlio mio,» lo implorò Nonna dal suo spazio. «Che sia fatta la volontà del Signore.» Se ne sta seduta con le mani poggiate contro lo schermo della televisione in modo da poter sentire l'energia di Gesù sgorgare dal tele-predicatore e da sua moglie, che implorano i fedeli di ascoltare la parola di Dio e di mandare soldi. «Devi credere in Dio, figlio mio,» dice la Nonna. «Dubita di Lui e su di te ricadrà dolore e sofferenza. Dai a Gesù quello che Lui ti chiede, fai quello che Lui ti ordina, e Lui ti salverà.» Lui presta ascolto alla Nonna. Non era stata lei che l'aveva salvato? Non era stata lei che gli aveva insegnato tutto su Gesù? E quando gli dissero che era morta e che se n'era andata per sempre, non li aveva smentiti trasferendosi nella sua testa con il suo apparecchio televisivo? «Credi in Gesù,» dice Nonna, con la faccia rivolta verso la televisione del soggiorno, sorridendo dal coperchio della scatola di cereali. *** «Agnellino... AGNELLINO... AGNELLINO!» Un sospiro esasperato. «Ivy?» «Si?» Ivy infine rispose, allontanandosi dalla ringhiera. Adesso la casa della porta accanto era silenziosa. Sua madre spinse, spalancandola, la porta e gli porse un biglietto di cinque dollari. «C'è una drogheria giù all'angolo. Se mi vuoi dare una mano puoi renderti utile ed andarmi a prendere un paio di pacchetti di sigarette.» «Posso prendermi qualcosa?» chiese Ivy, afferrando la banconota di cinque dollari. «Sì, va bene» rispose con riluttanza la madre. «Puoi spendere cinquanta centesimi. E basta. Capito? Quando tornerai conterò il resto.» «Bene,» rispose Ivy ed iniziò a scendere le scale. «Ricorda, devi prendermi le Merit Cento,» gli gridò dalla porta, ma Ivy non rispose. Sapeva quale marca di cicche, a bassa quantità di catrame, fumasse, come se il poco catrame avesse potuto fare qualche differenza per
la sua dipendenza. Non era forse sempre corso al negozio più vicino a prenderle la sua stecca di sigarette sin da quando suo padre era morto e lei aveva cominciato a fumare? E la sua minaccia di contare il resto! Odiava quando gli diceva cose del genere, mostrando quanta poca fiducia avesse in lui. Odiava anche quando lo trattava come un bambino deficiente. Un giorno gli sarebbe piaciuto mostrarle quanto fosse intelligente; come quando aveva imparato da solo l'algebra dal vecchio libro di testo che aveva trovato nella cantina della casa dalla quale si erano appena trasferiti. Aveva anche trovato un libro di tedesco, ed era quasi riuscito a padroneggiarlo prima che Jeff Brink, il bullo del quartiere, non vide mentre lo stava leggendo e glielo strappò di mano, facendogli leggere alcune delle pagine e chiamandolo maledetto negro nazista per tutto il tempo. A quel ricordo Ivy fece, per un istante, una smorfia, ma sorrise di nuovo immediatamente - un sorriso duro e crudele per una faccia così giovane. Si era preso cura di Jeff Brink, non era vero? Aveva tolto i cuscinetti dal freno della ruota posteriore dalla sua bici a dieci velocità, e quando Brink raggiunse la fine della ripida collina sulla quale viveva (e dalla quale si lanciava sempre giù a tutta velocità), funzionarono solo i freni anteriori e la bicicletta si rovesciò mandandolo a gambe all'aria nel mezzo della 12a Strada, rompendosi il braccio sinistro e la clavicola. Brink il Bullo per poco non era stato anche schiacciato da un camion Mack, cosa che impressionò veramente Ivy. Mentre portava avanti la sua vendetta, Ivy era stato vagamente consapevole, ma non se l'era mai veramente confessato, della possibilità di potere fare veramente del male a Jeff Brink. Quando per poco non l'uccise, Ivy ne fu in un primo tempo scosso, ma con il passare del tempo, iniziò a provare gusto al ricordo della sua vendetta. Alla fine, arrivò al punto di immaginare cosa sarebbe successo se Brink fosse rimasto ucciso ed arrivò alla conclusione che non ne avrebbe subito le conseguenze. Tentò anche di dirsi che l'uccisione di Brink non gli avrebbe pesato, ma continuò ad essere segretamente contento della sua fortuna. Già, pensò, tornando con la mente alla questione, mi piacerebbe mostrare a Mamma che non sono uno stupido. Sospirò. Ma sarebbe stato inutile, lo sapeva. Nessuno avrebbe mai creduto che lui era così intelligente. Questo gli era stato brutalmente dimostrato alle scuole dell'obbligo. A quel tempo, suo padre, Otis Delacroix, un sergente dell'esercito, gros-
so e corpulento, era ancora vivo. Ivy, che aveva ereditato i marcati lineamenti africani di suo padre ed i capelli rossicci del Caucaso di sua madre, era quello che sua madre chiamava un "monello dell'esercito". Quando fu abbastanza grande per andare a scuola, aveva già vissuto in tre diversi stati, tutti del Sud. Quando compì sei anni, e divenne idoneo a frequentare la scuola, vivevano nella loro quarta casa a Fort Devens, nel Massachusetts. La seconda settimana di scuola - un posto che in un primo tempo aveva ritenuto divertente ed eccitante - a tutti quelli del primo anno fu dato un lungo test con risposte multiple, dove dovevano semplicemente colorare le risposte con dei cerchietti su un foglio. Ivy trovò il test poco stimolante e lo finì velocemente. Il giorno seguente Ivy scoprì quello che la maggior parte della gente di colore finisce con l'imparare: c'è tanto razzismo nel cosiddetto Nord liberale quanto nel Sud ribelle. Fu condotto fuori dall'aula in una stanzetta dove il Dottor Peabody, l'uomo che conduceva il test, lo stava aspettando. Il dottore non si perse in convenevoli. Iniziò immediatamente ad urlare al povero e piccolo Ivy, accusandolo di avere semplicemente indovinato le risposte. «Non è vero!» rispose sinceramente Ivy. Quell'uomo rabbioso ed urlante gli faceva paura. E la paura si trasformò in terrore quando l'uomo lo afferrò brutalmente per le spalle ed iniziò a scuoterlo. «Non mentirmi!» ringhiò l'uomo. Ivy cercò di divincolarsi, sia per l'alito dell'uomo, che puzzava di tabacco, che per il suo odio marcescente. «Nessuno aveva mai ottenuto un punteggio così alto. Dovresti essere un genio, cosa che tu non sei, ragazzino. Adesso dimmelo, o te lo farò sputare a suon di schiaffoni. Ti sei buttato ad indovinare, non è vero?» «No!» singhiozzò Ivy, con le lacrime che gli scendevano dagli occhi. L'uomo lo schiaffeggiò. Duramente. «Sì, l'hai fatto, ragazzo. O hai avuto fortuna ed hai indovinato tutte le risposte o hai barato. Quale delle due? Hai indovinato o sei un imbroglione?» «No! Non ho imbrogliato!» gridò Ivy. Il Dottor Peabody lasciò la presa al suo braccio. Sembrò improvvisamente molto più calmo. «Allora hai indovinato le risposte. O uno o l'altro.» «No, non è vero!» ripeté Ivy, arretrando ed asciugandosi le lacrime dal segno rosso dello schiaffo sulla guancia. «Sì, l'hai fatto,» disse il Dottor Peabody sorridendo; l'odio venne disper-
so, sostituito da uno sguardo di soddisfazione e di superiorità con un abbozzo di pietà. «Va bene. Ammettilo. So che il test era difficile. Anch'io avrei cercato di indovinare. Ma non preoccuparti. Non te lo addebiteremo. Il mio consiglio, ragazzo, è di non fare parola della nostra chiacchierata e del tuo imbroglio, perché peggioreresti semplicemente la tua posizione». Senza aspettare una risposta, il Dottor Peabody lo scortò alla porta e lo rimandò in classe. Ivy cercò di dire la verità alla sua maestra, ma arrivò il Dottor Peabody e le parlò e fu chiaro che lei preferì credere allo stimato Dottor Peabody piuttosto che ad un bambino di sei anni, ed anche nero. Ivy allora decise di raccontare a suo padre quello che era successo. Suo padre gli avrebbe creduto. Non era stato suo padre che spesso aveva sottolineato quanto Ivy fosse intelligente? Quando Ivy arrivò a casa, la trovò piena di amici di suo padre e di altri uomini in uniforme. Molti di loro stavano assistendo sua madre, che piangeva istericamente. Attraverso una crescente nebbia di dolore e paranoia, apprese che suo padre era rimasto ucciso solo un'ora prima in un incidente automobilistico in caserma. Con la logica egocentrica di tutti i bambini, Ivy concluse che la morte di suo padre fosse stata provocata da lui perché aveva cercato di dire alla sua maestra la verità sul test. Ivy fu così scosso dagli eventi di quel giorno che si convinse che la morte del padre fosse stata ordinata dal Dottor Peabody per minacciare Ivy e per distruggere la sola persona che sapeva quanto Ivy fosse intelligente. Ivy decise di tener conto dell'avvertimento: essere intelligente e mostrarlo poteva essere pericoloso. Voleva cogliere in fallo il Dottor Peabody per quello che aveva fatto, ma era solo un bambino. Sapeva che, allora, non c'era nient'altro che poteva fare. Se non voleva perdere anche sua madre, sapeva che doveva fingere di essere stupido. Da quel giorno in poi, fu esattamente quello che fece, tenne nascosto il suo ingegno, come un'identità segreta, come Clark Kent e Superman, aspettando di essere cresciuto abbastanza da potere uscire allo scoperto e dare un pugno al Dottor Peabody. Sulla via del ritorno dal negozio, masticando una manciata di Skittles notò che la casa della porta accanto era adesso silenziosa. Quando cominciò a risalire le scale, guardò oltre lo steccato ed attraverso una finestra. Riuscì solo ad intravedere una figura scura che si inginocchiava alla luce tremolante dello schermo televisivo. Questo tizio litiga con la televisione, poi la prega? Si domandò Ivy. Forse il nuovo vicinato non sarebbe stato così noioso, pensò, facendo i gradini
due alla volta fino al terzo piano. *** Bill Gage tirò il curriculum e la lettera dal cassetto sotto la televisione dove teneva le sue carte personali. Li aveva spediti al Capo del Dipartimento di Polizia di Crocker, George Albert, con il quale aveva spesso lavorato piacevolmente quando faceva ancora parte dell'unità speciale anticrimine della polizia di stato. Naturalmente, tutto questo sembrava essere accaduto milioni di anni fa. Chiuse il cassetto, si alzò, con le ginocchia che scricchiolavano e colse la sua immagine riflessa nello specchio a forma di cuore appeso al muro. I suoi capelli corti erano sale e pepe da entrambi i lati, e si assottigliavano e recedevano in cima e sulla fronte. Non pensava che sarebbe mai diventato completamente calvo, ma, per il resto della sua vita, i suoi capelli sarebbero certamente stati in bassa marea. A parte i capelli, non sembrava avere quarantotto anni. La sua faccia era ancora levigata, benché non più imberbe come lo era stata nei venti e trent'anni. Allora era in grado di fare passare tre giorni prima di doversi radere ed in ogni caso c'erano sempre poche tracce di barba. Quando aveva compiuto quarant'anni molti dei suoi ormoni dovevano essersi scatenati, ed adesso doveva radersi ogni giorno e comunque alle cinque aveva già un'ombra sul mento, sul collo e sul labbro superiore. Le sue guance, sempre di un rosso salubre, producevano lunghi peli accidentali che non gli permettevano di avere una cosa che aveva sempre desiderato - un barba lunga. Al massimo poteva ottenere un pizzetto, che faceva assomigliare la sua faccia tonda a quella di uno gnomo. Portò i fogli al divano e si sedette accanto a Cindy, sua moglie. Avida tifosa sportiva, stava guardando una delle sue amate squadre del New England, i Coston Celtics, che erano, alla fine di Novembre, al primo posto con quindici giochi di vantaggio dopo l'imbarazzante stagione dell'anno precedente. A Bill non dispiaceva guardare i Celtics - gli piaceva guardare Larry Bird in azione - ma non sopportava quando a Cindy veniva la febbre da baseball ed iniziava a guardare trasognata gli sfortunati Red Sox, non importava quanto male giocassero. Naturalmente non poteva dirglielo senza sollevare la sua ira. Lei amava i Sox, i Celtics, i Bruins, e persino i pietosi Patriots, li aveva sempre amati, e non voleva sentire parlar male di loro. A Bill piaceva lo sport, la pallacanestro in particolare, ma era cresciuto nel distretto rurale di Pottsville, in
Pennsylvania, e non era mai riuscito a capire il fanatico rapporto di amore/odio che gli abitanti del New England, specialmente nel Maine ed in Massachusetts, avevano per i Boston Red Sox e, in maniera minore, per le altre squadre. Quella dei Sox era sicuramente una delle squadre più sfortunate tra le federazioni principali, e riusciva a deludere sovente i suoi tifosi ad un passo dalla vittoria. Bill sorrise, alzò le spalle, e rivolse nuovamente la sua attenzione alla lettera ed al curriculum. Li rilesse, come faceva quasi ogni notte da quando li aveva spediti un mese prima. Non aveva ancora saputo niente. Era cosciente che probabilmente non c'era nessuna opportunità in quel momento, e che la mancata risposta non era un rifiuto personale, ma gli ci era voluto molto tempo prima di sentire il bisogno di tornare a lavorare nella polizia. Non sapere niente era duro. Si era biasimato per avere pensato che avrebbe potuto essere facile; scrivere una lettera ad un vecchio amico e fatto! Rieccoti il distintivo. Forse ne era stato fuori troppo a lungo. Non importava quanto fosse stato bravo - e lui conosceva poliziotti che dicevano che lui fosse il migliore investigatore del New England, anche se lui non l'aveva mai detto - forse aveva rotto troppo i ponti. «Perché non lo chiami e basta?» chiese Cindy, senza distogliere gli occhi dallo schermo. Era ipnotizzata dal replay di un'azione di Dee Brown. «Dovrebbe essere un amico, non è vero? Chiamalo. È meglio che mettersi seduto ogni sera a domandarselo. Almeno così lo saprai.» Bill guardò il replay per la terza volta, da un terzo angolo di ripresa. «Non so,» disse pacatamente. «Sono sicuro che se ci fosse stato qualcosa, o se lui fosse stato interessato, si sarebbe messo in contatto con me subito.» La verità era che l'orgoglio di Bill non gli avrebbe mai permesso di chiamare. Aveva già fatto molta fatica a scrivere la lettera ed il curriculum e gli era sembrato abbastanza umiliante l'averli spediti. Gli sembrava di chiedere un favore, di porgere la mano con il cappello, qualcosa che pensava non avrebbe mai fatto. George Albert e lui erano stati buoni amici, anche se i loro rispettivi lavori non gli avevano mai lasciato trascorrere molto tempo insieme. Bill aveva avuto occasione di conoscerlo subito dopo che George aveva ottenuto il suo distintivo d'oro, quando faceva l'agente investigativo, quindici anni prima. Per Bill quindici lunghi anni in cui aveva scontato i suoi peccati. La prima volta che s'incontrarono, Bill era il personaggio del mo-
mento, il nuovo giovane capo dell'unità speciale anti-crimine della polizia di Stato. Gli era subito piaciuto quel giovane poliziotto, laborioso ed analitico, che aiutò la polizia di Crocker nell'indagine sulla scomparsa di un bambino. Bill non vedeva né parlava con George dal 1981. Adesso la proverbiale scarpa era in un altro piede. In diretto contrasto con quella di Bill, la vita di George era stata fruttuosa e fortunata. Adesso era il capo della polizia di Crocker, era sposato ed aveva una figlia. Mentre Bill aveva arrancato attraverso gli abissi dell'alcolismo, George si era costruito una famiglia felice ed una carriera di successo. Non era giusto, ma del resto, la vita non lo era mai. Almeno mai per Bill Gage, non, comunque, fino a quando aveva incontrato Cindy Bellamy. «Continuo a pensare che dovresti chiamarlo,» disse Cindy, ma le fu impedito di dire altro da un grido straziante dal piano di sopra. «Mammmaaaa!» Cindy guardò bramosamente la televisione - i Celtics avevano appena pareggiato - e con riluttanza iniziò ad alzarsi dal divano. «Vado io,» disse Bill, dandole un pacca sulla gamba e posando le sue carte sul tavolino di fronte al divano. «Sei sicuro?» chiese lei, sprofondando di nuovo nel divano, con gli occhi su Bird che indietreggiava per un three-pointer. «Già. Almeno avrò qualcosa da fare.» Quando Bill arrivò nella stanza del bambino, il piccolo Devin stava di nuovo dormendo. Spesso, durante il sonno, urlava in quella maniera. Bill chiuse gli scuri della finestra e rimase in piedi accanto alla culla a fissare a lungo il suo bambino di sedici mesi. Cinque anni prima - diavolo, tre anni prima - Bill Gage avrebbe pensato che sarebbe stato impossibile sposarsi ed avere due figliastre gemelle ed un figlio suo. La sua vita allora era un puzzle sparpagliato e si sentiva un cieco incapace di rimettere insieme i pezzi. Aveva da tempo abbandonato il pensiero di potere tornare ad essere un membro integro, sobrio e produttivo della società. Era passato molto tempo dai giorni oscuri dell'alcolismo nei quali era colato a picco. Lasciò la stanza del bambino e si fermò fuori dalla camera delle gemelle, scrutandovi dentro. Come al solito Missy dormiva sottosopra, con le coperte buttate a terra. Indossava una delle magliette di Bill, che per lei erano delle perfette camice da notte. Nell'altro letto la sua gemella, Sassy dormi-
va nel centro preciso del letto, nel suo pigiamino lezioso, con la coperta tirata fino al collo in modo che si vedeva solo la testa. Indossava il pigiama anche quando faceva caldissimo e doveva essere coperta almeno con un lenzuolo. Quando una volta Bill le chiese perché, lei gli aveva rivelato, con un leggero imbarazzo, la vaga convinzione che nessuno (Bill lesse, l'uomo nero, benché Sassy non lo dicesse perché cercava di sembrare più grande) avrebbe potuto prenderla se dormiva in quel modo. Bill le guardò dormire e rifletté su come ironicamente fosse stato dato un nome sbagliato alle due gemelle. Sarah era stata soprannominata Sassy ma era la signorina perfettina, mentre Melissa era diventata Missy, ma era la più impertinente dei bambini, arguta e testarda all'inverosimile. Le amava come se fossero sue e si preoccupava sia di essere un buon padre che di essere accettato come padre. Non era nemmeno sicuro che l'avrebbero fatto. Benché il loro vero padre fosse un perdente per eccellenza, secondo la descrizione di Cindy, era sempre il loro padre. E benché lei l'avesse cacciato prima che le bambine nascessero, e Cindy non avesse idea di dove fosse, poteva ancora, un giorno o l'altro, rifarsi vivo. Che sarebbe successo? Bill scosse la testa ed arretrò dalla porta. Era un maledetto pessimista, lo era sempre stato. «Questo è il tuo più grande problema,» gli diceva sempre suo padre. I pensieri su suo padre facevano riemergere torme di ricordi che non voleva affrontare. Li aveva combattuti troppo a lungo e troppo duramente. «Datti tregua,» gli sembrò di sentre Cindy che glielo diceva, come aveva fatto tante volte. L'aveva trovato un consiglio eccellente. Il passato era passato. Scese le scale, evitando con cautela i gradini di legno vecchio che scricchiolavano. Una banda di ottoni poteva non svegliare Devin, ma uno scricchiolio delle scale sì. Penso che voglia dire che ha un acuto istinto di sopravvivenza, pensò Bill. «I Celtics sono in vantaggio a nove!» disse deliziata Cindy, quando lui la raggiunse al divano. «Bird ha tirato due three-pointer e Robert Parrish ha subito un fallo da quel frocio di Laimbeer su una battuta ed ha fatto il lancio libero.» Mentre lei andava a prendere una bibita dietetica, Bill raccolse di nuovo la lettera ed il curriculum, e rilesse la sua biografia lavorativa per l'ennesima volta. La data del suo ultimo lavoro nell'applicazione della legge governativa, il 1981, risuonò nella sua mente. «Non assumerei mai qualcuno che non lavora da dieci anni, non importa
quanto bravo sia stato,» borbottò tristemente. Una parte di lui gli diceva di lasciare perdere. Quella parte della sua vita era finita, morta e sepolta, il passato era passato. Aveva percorso tanta strada, perché tornare indietro? Perché l'altra parte era un macchia vuota che lo faceva sentire incompleto, non importava quanta strada avesse fatto dai cupi giorni di pochi anni prima. Ci aveva provato, ma il lavoro ben retribuito come capo del servizio di sicurezza per una catena di tre supermercati sparsi da Worcester al Vermont non riuscivano a riempire il vuoto che l'essere un investigatore della polizia aveva un tempo riempito, anche se quest'ultimo era stato un fattore essenziale del suo esaurimento e della discesa a picco verso l'alcolismo. «Alcuni uomini guidano, altri sono guidati.» Un'altra gemma di suo padre. Suo padre sapeva come guidare, nel modo più sinistro. Va bene! Ne ho abbastanza, si disse. Pensa ad altro. «Non vuoi chiamare?» disse Cindy quando tornò nel soggiorno e lo vide fissare di nuovo il curriculum e la lettera, con la faccia più avvitata di un tappo a prova di bambino. «Sì, sì,» sospirò Bill, ma dopo un po' rimise a posto i fogli e si rincantucciò con Cindy a guardare i Celtics che mettevano a posto gli odiati Detroit Pistons. CANALE 2 Il turno di notte Barbara & Ivy «Vieni giù!» La voce, simile ad un'eco dell'oltretomba, è quella del presentatore de Il Prezzo è Giusto. «Vieni.» Blandisce e arrota, aguzza ed affila. «È co-o-o-sì be-e-e-llo quaggiù.» Wilbur arretra contro il ruvido muro di cemento, sudore freddo gli ribolle sulla fronte. Il rintocco del suo cuore rimbomba tra il pavimento di cemento ed il soffitto della tromba delle scale. Il freddo forma nuvole con il suo respiro. «Vieni giù! Prendi il prossimo treno. È co-o-o-sì buio e be-e-e-llo. Vieni.» Un battito comincia a pulsare nella sua palpebra sinistra. Guarda rapi-
damente in alto, pensando di sentire dei passi. Nelle scale non c'è nessuno. Lui sa da dove vengono le loro voci. Lo sa perché questo è un sogno che ha un programma televisivo tutto suo proprio nella sua testa, e qualche volta nei sogni lui sa tutto. Lentamente, raccogliendo ogni oncia di coraggio che possiede, scende le scale fino ad una grande porta di metallo grigio con un cartello che avvisa: PERICOLO! GALLERIA PERICOLANTE! NON USARE! «Siete morti!» sussurra. Si domanda se nel buio oltre la porta, si muova qualcosa. «Lo siamo, Wilbur? Vieni giù a vedere!» Wilbur si allontana dalla porta. Dall'altro lato arriva un suono strascicato e grave che potrebbe essere di passi. «Noi possiamo venire su se tu non vieni giù.» «No!» sibila Wilbur tra i denti serrati dal terrore. Indietreggia. Aggrappandosi alla ringhiera delle scale, risale. A metà strada, non riesce a soffocare il bisogno di guardarsi alle spalle. La maniglia della porta sta girando - la porta si sta aprendo - dal buio avanza fluttuando un osceno odore acre... «Non avere paura, dolcezza,» le voci lo chiamano. «Siamo solo noi.» Cerca di correre, di scappare da quelle voci le cui parole diventano risate che gli danno là caccia, ma i suoi piedi si stanno liquefacendo, incollandolo al pavimento. Stanno per uscire da quel buio impenetrabile - li può sentire alle sue spalle - li può sentire che si avvicinano - può sentire il loro respiro fetido. Si sveglia alla scrivania dell'ufficio del servizio di sicurezza dell'ospedale. Si alza e si appoggia alla scrivania, prendendo dei profondi respiri, cercando di non iperventilarsi dalla paura. Le voci del sogno sono sparite, ma la loro memoria rimane come un eco. È così spaventato che vorrebbe urlare. Dentro di sé si stanno aprendo delle crepe che diventano crepacci, con pareti sdrucciolevoli e ripide che si riempiono di buio. L'orologio digitale sulla scrivania lampeggia l'ora, le 3:06 del mattino. Solo a metà del turno di notte, ma non gli importa. Quando le vertigini della paura sono passate, volta la faccia verso lo specchio a figura intera sul retro della porta dell'ufficio. Il Figlio di Dio indossa la stessa uniforme delle guardie del servizio di sicurezza di Wilbur, ma su di Lui sembra fresca ed inamidata, sempre sull'attenti. Su Wilbur pende, spiegazzata ed insozzata.
«Se ne sono andati. Non possiamo lasciare perdere?» Wilbur chiede a Gesù ed è sorpreso di come la sua voce sembri calma, di come non rifletta il pozzo di ansie dentro di lui. «Sai quello che dobbiamo fare,» dice Gesù. «Ma perché?» chiede Wilbur. «Perché l'ha detto Nonna.» Ivy era annoiato. Anche se non l'avrebbe mai ammesso, era ancora più annoiato che se fosse stato un giorno di scuola. Normalmente in questo periodo dell'anno, con meno di un mese alle vacanze scolastiche di Natale avrebbe guardato con gioia ad una settimana di vacanza. Invece la temeva. Tom Pell, il suo solo amico, stava dall'altra parte della città, nel quartiere dove abitava prima. Anche se fosse stata estate ed avesse avuto una bicicletta, gli ci sarebbe voluta un'ora ad andare ed una a tornare. Il biglietto dell'autobus era di cinquanta cents a corsa, il che voleva dire un dollaro in più di quello che di solito aveva in tasca. Avrebbe sempre potuto chiederlo a sua madre, e probabilmente lei gliel'avrebbe dato, non sempre, comunque, ma prima avrebbe dovuto sorbirsi le sue lamentele su quanto lavorasse duramente, e su quanto pidocchiose fossero le mance e via dicendo. Dopo un paio di giorni sarebbe diventata davvero spilorcia e lamentosa. Naturalmente non avrebbe mai nominato i cinquanta bigliettoni alla settimana, e qualche volta di più, che spendeva in sigarette e Sangria. Non valeva la pena sopportare quel tipo di provocazioni per vedere Tom durante le vacanze di Natale. Non erano così buoni amici. Ivy salì sul muretto di cemento gelato che correva accanto al viale interno del suo edificio ed iniziò a camminarci sopra come su una corda. Camminò fino all'estremità e saltò giù, atterrando su una lattina vuota, schiacciandola sotto il piede. Si chinò, vide che era una lattina con cauzione, e la raccolse. «Un modo per fare dei soldi, immagino,» disse ad alta voce. Cominciò a percorrere la strada, cercando nelle cunette e nei cespugli lungo il marciapiede altri bottini rimborsabili. Barbara Wallach vide il ragazzo di colore che esaminava la cunetta di fronte a quella sulla quale era piegata lei. Barbara, settantotto anni, vedova, e piena d'artrite che un giorno o l'altro non le avrebbe più permesso di alzarsi dal letto, stava svolgendo il suo rito giornaliero - maledetta artrite permettendo - di perlustrare il vicinato alla ricerca di bottiglie e lattine con
cauzione. Sapeva che gran parte dei suoi vicini la ritenevano un'alcolizzata ed una stracciona, ed era vero che lei usava i soldi per qualche bottiglia occasionale, ma spesso i soldi venivano usati per comprare un'aspirina per il lancinante dolore delle giunture che l'alcol non riusciva ad estirpare, o per una pagnotta di pane che con la forma di cinque libbre di formaggio che aveva dall'Assistenza Sociale usava per fare crostini con formaggio fuso. Grazie alla carriera fatta come insegnante di scuola elementare, aveva una piccola pensione che, unita alla grama somma che aveva dall'assistenza sociale, riusciva a malapena a ricoprire l'affitto della sua monocamera. Vide il ragazzo pescare una bottiglia da una siepe troppo cresciuta dall'altra parte della strada e sentì la rabbia bollirle dentro fino a quando dalla sua bocca non iniziò a sibilare un profluvio di epiteti. Lo squadrò, soppesandolo. Pensò che avesse circa dodici anni e sembrava essere alto circa cinque piedi. La sua pelle era leggermente bruna, quello che il suo ultimo marito avrebbe definito «un sacco di panna nel caffè.» I capelli del ragazzo erano i tipici e fitti ricci africani, ma il colore era di un castano che rasentava il rosso. A Barbara non interessava che il ragazzo fosse nero. Avrebbe potuto essere verde, viola o a pois per quello che la riguardava. Quello che importava era che il piccolo straccione si stava muovendo sul suo territorio; le stava levando il cibo dalla sua bocca; la stava privando della sua aspirina ammazza-dolore e della sua bevanda che le consolava l'anima. E per cosa? probabilmente per comprare qualche dolcetto e delle bibite o per sperperarli in uno di quegli stupidi videogiochi che tanto piacevano ai bambini. La parola chiave era sperperare. Il ragazzino avrebbe sperperato i soldi, laddove per Barbara erano indispensabili - una questione di sopravvivenza. Il ragazzo attraversò la strada, dirigendosi nello stesso vicolo che Barbara stava rastrellando, e che nel passato, per la vecchia donna, era stata una fonte sicura di rinvenimenti, poiché si trovava tra il Watson's Market ed una lavanderia con un distributore automatico di bibite. La sua rabbia diede semplicemente il via alla bocca, ma le immobilizzo anche il corpo. Strinse con furia il sacchetto dell'immondizia spiegazzato che portava ovunque con sé e si trascinò a fatica verso il marciapiede per intercettare il ragazzo. «Hey, tu! Quelle sono le mie bottiglie. Stai rubando le mie bottiglie!» Barbara non attese che il ragazzo rispondesse. In quei giorni, una volta che
liberava la sua rabbia dalla gabbia, questa non si sarebbe lasciata fermare fino a quando non si fosse estinta. «Vengo qui fuori ogni maledetto giorno a raccogliere bottiglie! Questa è la mia zona. Puoi pensare che sono solo una vecchia accattona, ma con questi soldi devo comprare pane ed aspirina. Se vuoi distruggerti il cervello con qualche stupido videogioco, chiedi i soldi a tua madre! Non prendere i miei! Ho bisogno di questi soldi per vivere! Per cui sparisci da qui e lascia in pace il mio dominio!» Barbara sapeva che stava urlando, e sapeva anche che ciò non aiutava a dissipare l'impressione permanente che dava di essere la pazza del quartiere. Ma non poteva farci niente. Diventava sempre un po' pazza quando il «demone dagli occhi rossi» (come Henry aveva chiamato la sua ira) s'impossessava di lei, ed ultimamente era peggiorata. Sembrava che ultimamente la sua ira aspettasse proprio sotto la superficie, che aspettasse la più piccola provocazione per esplodere. Lei aveva di tanto in tanto avuto a che fare con i teppisti del vicinato e sapeva come potessero essere volgari e poco rispettosi anche quando parlavano in maniera gentile. Una volta che cominciò ad urtare al ragazzo, non riuscì a smettere. Era assolutamente sicura che il ragazzo avrebbe scatenato il proprio assalto verbale, maleducato ed irriverente verso la sua età ed il suo sesso. Barbara si aspettava che il ragazzo le dicesse brutte parole, ed usasse un linguaggio al quale persino suo marito, che era stato un marinaio, si sarebbe imbarazzato, parole che l'avrebbero resa felice di non essere più un'insegnante se gli studenti sapevano simili cose. Barbara si aspettava il peggio, ed il giovane nero sembrò confermarglielo, sorrìdendole. Aprì la bocca, e poi fece una cosa buffa. Si fermò, con la bocca spalancata, e la guardò dritto negli occhi. Ciò che lei vi vide fu un pozzo di compassione rivelato che lei pensava si fosse prosciugato nella gioventù odierna. «Mi dispiace, signora,» balbettò il giovane nero educatamente, abbassando, dopo un istante, gli occhi. «Non lo sapevo. Sono nuovo della zona. Ci siamo appena trasferiti in questa strada,» spiegò, indicando un edificio grigio ad un isolato di distanza. Barbara ammutolì dallo shock. La sua ira farfugliò e tartagliò. Quando il ragazzo le posò ai piedi le svariate bottiglie e lattine che aveva raccolto, il demone dagli occhi rossi abbandonò la vecchia così velocemente come aveva fatto la sua voce. All'improvviso Barbara si vergognò di se stessa e di quello che era diventata.
«Hey, ragazzo!» Barbara gridò mentre il ragazzo si allontanava. «Io, uh, avrei bisogno di un aiuto per portarle. Ti darò il dieci per cento,» disse come per scusarsi. «Cosa ne dici?» Due ore dopo, dopo che ebbero ripulito il vicinato riempiendo due sacchi di bottiglie e lattine, Ivy aiutò Barbara a portarle nell'appartamento della vecchia. «Wow!» Ivy esclamò a dispetto di se stesso. Posò il sacco che stava portando e fissò intimorito il contenuto della casa della Signora Wallach. La monocamera era stipata di libri. Erano dappertutto - accatastati quasi fino al soffitto lungo le pareti, ricoprivano tutti i mobili, le due poltrone, la credenza nell'angolo ed un tavolo da caffè, ricoprivano anche metà del tettino nell'angolo dove la vecchia signora ovviamente dormiva. Ivy andò verso una catasta che era abbastanza bassa perché lui potesse raggiungerne la cima ed iniziò a leggere i titoli. «Quelli sono libri di fumetti, ragazzo,» brontolò Barbara a dispetto della sua ritrovata umiltà. Non le piaceva che qualcuno, che non fosse in grado di apprezzarli, maneggiasse i libri suoi e di Henry. «Questi sono veri, libri vivi, quelli di cui non ti insegnano niente a scuola. Là non troverai nessun libro a fumetti.» Barbara si aspettava che il ragazzo perdesse ogni interesse una volta capito che stava dicendo la verità, ma rimase ancora una volta sconcertata da questo ragazzo, strano ed educato. Ivy maneggiava i libri con l'attenzione di qualcuno che crede di tenere in mano qualcosa di immenso valore. Henry aveva sempre maneggiato i libri in quel modo, con amore. «Ti piacciono i libri, vero?» domandò Barbara, spostando una pila di libri da una delle poltrone sovraccariche e sistemandola per terra per poi adagiarvi il suo corpo affaticato. Benché fosse stanca, doveva ammettere che grazie all'aiuto di Ivy, non si sentiva indolenzita ed esausta come sempre dopo la raccolta delle bottiglie. Ed avevano pure messo insieme un bottino record. Ivy fece la sua solita alzata di spalle indolente, era diventata una specie di riflesso ogni qualvolta le domande degli adulti rientravano in quella sfera che poteva fare trasparire la sua reale intelligenza. Comunque era un'alzata di spalle indifferente. Questa donna era ovviamente così sola e povera che non era una minaccia per Ivy. Provava pena per lei, ma gli piaceva, gli piaceva il modo colorito con cui parlava e le cose che diceva. Ivy fece finta di leggere la prima pagina di un libro intitolato Il Lupo della Steppa mentre guardava di traverso la vecchia, che gli stava sorri-
dendo. Non era un sorriso canzonatorio, o lezioso e sentimentale del tipo «quant'è carino» - era un sorriso intelligente, era un sorriso comprensivo. Ivy non ne aveva mai visto uno simile indirizzato a lui dalla morte di suo padre. «Già,» balbettò Ivy, mentre la faccia avvampava. «Sono okay, credo.» Benché stesse facendo del suo meglio per nasconderlo, un solo sguardo negli occhi splendenti di Ivy e Barbara capì la profondità dell'emozione che il ragazzo provò nel dirlo. Avevano la stessa intensità splendente che gli occhi di Henry avevano ogni volta che leggeva o parlava di libri. Ogni libro nell'appartamento era una proprietà di valore. Benché fossero ammucchiati fino al punto di essere un pericolo d'incendio e rendessero la stanza praticamente inabitabile lei non riusciva a separarsene. Henry e lei avevano talmente amato i loro libri che erano stati quasi come dei figli per la coppia sterile. E averli sempre intorno era come avere una parte di Henry sempre presente, ed una parte importante. Lettore vorace, lui aveva trascorso la vita a lavorare per diventare uno scrittore, ma rimase un sogno mai realizzato. Nel corso dei quarantotto anni di matrimonio avevano condiviso il loro amore per la lettura nello stesso modo in cui alcune coppie condividono la loro gioia per i figli e poi per i nipoti. La sua predilezione spaziava dalla grande letteratura ai racconti dell'orrore, ed aveva per tutti la stessa alta considerazione. «Non importa che libro sia,» era solito dire. «Se qualcuno l'ha ritenuto abbastanza buono da essere pubblicato, allora è buono da leggere. Anche il peggiore libro mai scritto è un mondo a parte e ti può portare in luoghi dove non sei mai stato.» Barbara sorrise fra sé e sé e si sistemò nella poltrona. L'odore dei libri l'odore di Henry - e la vista di Ivy che si sedeva nell'altra sedia, incantato da un libro, diedero all'appartamento solitamente tetro un'atmosfera calda. Barbara si appisolò mentre Ivy, con una pila di libri in grembo, si sedette e lesse. Parecchie volte si svegliò e pensò che Ivy fosse Henry seduto a leggere. Ogni volta sorrise e ricadde felice nel sonno. CANALE 3 Bollettino meteorologico O! Henry! L'Angolo del Libro Il Wilbur Clayton Show
Bill Gage - Poliziotto del Supermercato «Ecco a voi, per le previsioni del tempo, Fratello John!» «Grazie. Fa freddo fuori stanotte. Il primo bacio dell'inverno dopo l'estate di San Martino. C'è un cielo sereno con una brillante luna piena, che i contadini da queste parti, in questo periodo dell'anno, chiamano la luna del tunnel perché il cielo è talmente limpido e la luna talmente luminosa, che il cielo assomiglia ad un tunnel e la luna sembra l'apertura all'estremità opposta.» Cambio di canale. C è una macchina parcheggiata sul retro, vicino al locale della caldaia. Toglie dalla fondina la torcia e si avvicina. «Stai attento! C'è un poliziotto,» sente sussurrare da una voce femminile mentre si avvicina. «Noooo! È solo una guardia del servizio di sicurezza dell'ospedale,» risponde un uomo. Il finestrino del conducente è aperto. Sente l'odore di marijuana nell'aria. «Salve,» dice con voce amichevole il conducente della Corvette, un tizio di bell'aspetto, dai capelli neri. «Stiamo qui seduti a chiacchierare. Sai,» spiega il tizio, facendo a Wilbur un occhiolino di intesa. Wilbur punta la luce sul sedile del passeggero ed intravede dei jeans sbottonati ed un maglione sollevato su un petto diafano prima che la luce riveli la faccia di lei. Seduto sull'esiguo sedile posteriore appare Gesù in un'esplosione di luce bianca divina. «Lei!» dice Lui. L'intero corpo di Wilbur trema. Gesù gliel'ha ricordato. Lui conosce questa ragazza. Replay. Due anni prima lavorava al bar. «Già, stavo prendendo la specializzazione in servizi sociali,» le sentì di nascosto dire un giorno ad un cliente, «ma hai mai visto cosa fanno i lavoratori del servizio sociale e dell'assistenza? Non ne vale la pena. Ho deciso che voglio fare soldi.» La parola soldi riecheggia dal passato. Blip. La ragazza alza le braccia, proteggendosi gli occhi e cercando di proteggersi dal suo esame. L'uomo al posto di guida gli chiede di spegnere la luce ma Wilbur non può sentirlo. Il volto di Gesù è sul finestrino po-
steriore, posata contro il vetro, che urla, «Lei! Lei è la prima!» Wilbur non riesce a parlare. L'uomo al posto di guida lo insulta, fa partire la macchina, e sgomma, passandogli quasi sui piedi. Lui li guarda andare via, il ricordo della sua faccia, e la felpa della Crocker State, bruciano nella notte intorno a lui. Barbara Wallach, se ne stava in piedi a scrutare attraverso la finestrella sudicia che si affacciava sulla strada, alla ricerca di una traccia di Ivy. Si era già detta una dozzina di scuse per i suoi continui sguardi dalla finestra fino aquando non si arrese ed ammise che stava aspettando ansiosamente il ragazzo. Poteva immaginare quello che Henry avrebbe avuto da dire su di lei che aspettava alla finestra come una ragazza al primo appuntamento. Per il modo in cui si comportava con il ragazzo, l'avrebbe chiamata una vecchia pazza incapace di reggersi in piedi, una pazza senile. Tutta la settimana passata Ivy era venuto quasi ogni giorno ad aiutare Barbara a raccogliere le lattine o solo per sedere nella sua stanza e leggere. Era passato tanto tempo dall'ultima volta che Barbara aveva avuto della compagnia, ed aveva quasi dimenticato quanto fosse piacevole dividere il proprio tempo con qualcun'altro. Ma non era solo una compagnia - avrebbe potuto andare al centro Anziani - era il tipo di compagnia che Ivy le faceva. Il ragazzo era così educato e rispettoso che Barbara si ritrovò a dubitare della sua precedente conclusione secondo la quale il rock 'n' roll, la televisione, ed i videogiochi avessero distrutto la gioventù americana. Inoltre, Ivy era incredibilmente brillante e curioso, con una sete di conoscenza che trapelava nonostante gli ovvi sforzi del ragazzo di nasconderla. Oh! Era intelligente - di un'intelligenza speciale - il tipo di intelligenza che avrebbe potuto sistemarlo se mai si fosse reso conto delle sue capacità potenziali ed avesse imparato ad imbrigliarle. Henry aveva un'intelligenza di quel tipo, anche se non acuta come quella di Ivy. Henry non era mai stato veramente in grado di comprendere ed imbrigliare la propria, spingendo spesso Barbara a domandarsi se non fosse stata lei in qualche modo la causa del suo fallimento. Forse se riusciva ad aiutare Ivy avrebbe potuto fare in qualche modo ammenda. Benché Henry non si fosse mai lamentato ed avesse sempre dato l'impressione di essere contento di essere un insegnante, sposato ad un insegnante, Barbara sospettava che le cose stessero in maniera diversa. Molte volte si era svegliata nel cuore della notte ed aveva trovato vuoto il suo la-
to del letto. Qualche volta lo trovava al tavolo da cucina, che scriveva furiosamente in un blocco di appunti a spirale, davanti ad una bottiglia di whiskey mentre borbottava imprecazioni a labbra serrate, ma la maggior parte delle volte se ne stava lì da solo a bere, a fissare il vuoto, con lo sguardo di uno che ha capito che non riuscirà mai a realizzare i propri sogni. Era un'espressione che rendeva la sua faccia intelligente e forte di una tristezza insopportabile. Barbara sapeva che, ad Henry, Ivy sarebbe piaciuto immensamente, anche se avrebbe cercato di nasconderlo così come Ivy cercava di nascondere la suabrillante intelligenza. Henry non aveva mai amato la famiglia, o i bambini sotto i sedici anni, ed era per questo che insegnava al liceo, ma apprezzava enormemente l'intelligenza ed il talento, cose che avrebbe immediatamente riconosciuto nel giovane Ivy. Benché la mettesse sempre in guardia dal lasciarsi coinvolgere troppo dai suoi studenti, pensava che lui avrebbe approvato la nascente amicizia con il ragazzo. Henry e lei avevano spesso parlato della cosa che desideravano di più per le loro carriere d'insegnanti: uno studente dotato in cui potevano risvegliare la scintilla della conoscenza. Entrambi avevano avuto studenti intelligenti, persino dotati, nel corso degli anni, ma per delle insufficienze familiari o caratteriali, o più probabilmente, diceva spesso Henry, per la loro inadeguatezza, non erano mai stati in grado di raggiungerli, e di aprire a loro nuovi orizzonti. Quando infine furono costretti ad andare in pensione, entrambi nel giro di un anno, dovettero mandare in pensione anche il sogno che condividevano. Era una ironia della sorte che dodici anni dopo avere lasciato la scuola e nove anni dopo la morte di Henry, Barbara potesse finalmente realizzare il suo sogno grazie ad Ivy. Ivy aveva promesso di fermarsi dopo la scuola ed erano, adesso, le 3:25 del pomeriggio. Era in ritardo di un'ora. Barbara sperava che non fosse successo niente. Anche se il ragazzo non le aveva rivelato molto della sua vita in famiglia, Barbara era in grado di indovinarla. Nessuno in quel vicinato sembrava avere una famiglia normale. Ancora senza traccia di Ivy alla finestra, Barbara richiuse la tenda, si diede della vecchia pazza, e si girò. La sua faccia era malinconica come il suo piccolo appartamento. *** Ivy s'infilò i libri sotto il braccio e si affrettò lungo il marciapiedi. Il
giorno era freddo ed i libri continuavano a scivolare così che dovette rallentare per non farli cadere. Non sapeva cosa sarebbe potuto accadere se avesse rovinato uno dei libri della Signora Wallach. La vecchia aveva avuto fiducia in lui. Prima d'ora nessuno aveva mai avuto fiducia in lui in maniera così incondizionata. Quando lui le aveva riportato i libri, lei non li aveva guardati ed esaminati come sua madre faceva quando lui prendeva qualcosa in prestito da lei, o come quando contava il resto che riportava dal negozio. Dal modo in cui la Signora Wallach maneggiava i libri e ne parlava, Ivy capì che li considerava il suo bene più prezioso. Ciò rendeva la sua fiducia in lui ancora più speciale. Stavano diventando velocemente anche il bene più prezioso di Ivy. Adesso Ivy non si preoccupava più di come avrebbe trascorso le sue vacanze di Natale. Non avrebbe dovuto attraversare la città per vedere Tommy, né avrebbe dovuto sgattaiolare in una libreria, con la speranza di non incontrare qualcuno che conosceva. Adesso aveva la sua libreria privata. Si era già fatto strada tra i libri della Signora Wallach, leggendone una decina nella settimana appena trascorsa. Ce n'erano ancora abbastanza non solo per le vacanze di Natale, ma per il resto dell'anno scolastico ed anche per le vacanze estive. Infatti, dubitava che sarebbe stato in grado di leggerli tutti per l'inizio della scuola il prossimo settembre, ma sarebbe stato divertente provarci. Benché Barbara Wallach fosse vecchia, scarmigliata e bianca, come sua madre, gli ricordava di più suo padre. L'aveva pensato sin dalla prima volta che l'aveva incontrata e gli aveva gridato. E quel giorno aveva usato l'espressione "stupidi video giochi". Era l'espressione un tempo favorita di Otis Delacroix. Lui disprezzava i videogiochi e pensava che istupidissero la mente. C'erano altre cose su di lei, cose ancora più intangibili. Il modo in cui l'ascoltava quando lui parlava. Poteva dire con sicurezza che non pensasse a qualcos' altro, né fosse pronta a dare di testa come sempre faceva sua madre. Rispettava quello che lui aveva da dire e spesso l'ammirava, come faceva suo padre, anche se Ivy aveva solo sei anni quando lui morì. Ed il modo in cui le parlava! Gli chiedeva la sua opinione e discuteva con lui come se fosse suo pari. Sapeva che sarebbe sembrato buffo a chiunque la vedeva perché lei sembrava una barbona, ma non era così. Gli aveva detto che lei e suo marito erano stati insegnanti. Era intelligente e divertente in maniera smagliante - come suo padre - ed a Ivy piaceva stare con lei. Si sistemò i libri davanti a sé, stringendoseli al petto, e salì di corsa le
scale fino all'appartamento della Signora Wallach. Aveva fatto l'errore di fermarsi prima a casa, e là c'era sua madre a causa del giorno di riposo della fabbrica perché la fornace era fuori servizio e al negozio non c'era riscaldamento. Gli ci era voluto tutto quel tempo per sgusciare via. Come al solito al suo bussare la vecchia aprì la porta solo di uno spiraglio, quel poco che le tre catene permettevano. Scrutò fuori in maniera diffidente, sempre timorosa del pericolo in quel quartiere difficile. Quando vide che era Ivy, la paura e l'apprensione sparirono dal suo volto e furono sostituite da uno sguardo di gioia ed eccitazione che facevano sentire bene Ivy. Quell'espressione bastava ad Ivy per farlo sentire speciale. Tranne suo padre, nessuno, nemmeno sua madre, era mai stato così contento di vederlo. L'avere accesso alla sua meravigliosa libreria era solo un premio aggiuntivo. «Salve, Signora Wallach» disse Ivy mentre la vecchia signora apriva le serrature e la porta. «Ho finito questi,» disse mentre entrava nell'angusto appartamento. «Di già, Ivy? È stupefacente. Persino il mio Henry non riusciva a leggere velocemente come te.» Barbara diede un colpetto sulla testa di Ivy ed andò nella piccolissima cucina che era alla sinistra della porta d'ingresso. «Vuoi una cioccolata calda? Ho trovato un campione di Ovomaltina nella posta.» «Certo.» Ivy mise i libri su una nuova catasta proprio dentro la cucina. Barbara aveva cominciato a tenere il conto dei libri che lui aveva letto. «Allora dimmi, Cosa ne pensi di questi?» gli chiese Barbara dal lavandino dove stava riempiendo una teiera con l'acqua del rubinetto. Ivy si arrampicò sull'unico sgabello e si poggiò al bancone. Dalla sua terza visita, quando Barbara gli aveva lasciato portare alcuni suoi libri a casa, avevano cominciato una specie di rituale in cui lui criticava ogni libro che aveva letto mentre Barbara lo ascoltava, sorridendo deliberatamente, facendo ogni tanto delle domande, molto interessata a quello che aveva da dire. Ivy era sempre stato un lettore, anche se clandestino, ma non aveva mai avuto la possibilità di parlare liberamente di quello che aveva letto. Ogni volta che discutevano di un libro, si sentiva un po' più sicuro di poter permettere a Barbara di conoscere il vero Ivy. In un primo momento aveva avuto fiducia in lei perché era completamente tagliata fuori dal resto del mondo, senza amici né famiglia. Viveva come un eremita e la maggior parte del tempo la testa non gli funzionava bene. A nessuno importava
quello che lei diceva e nessuno l'avrebbe comunque creduta. Ivy raggiunse la catasta e prese un libro, leggendone ad alta voce il titolo. «L'urlo ed il furore. Questo mi piace, ma è un po' noioso e, in un primo tempo, mi è stato difficile capire quello che stava accadendo. Quando ho capito che la storia era per lo più raccontata come un ricordo, allora è stato più facile capire.» Barbara sorrise ed annuì, esercitando un grande autocontrollo. Conosceva professori universitari che non erano stati in grado di fare testa o croce con l'opera più famosa di Faulkner. Il fatto che Ivy, un undicenne, fosse stato in grado di leggere fino in fondo il romanzo, riuscendo persino a comprenderlo, la riempì di stupore. Ivy lesse il titolo seguente. «Il Dottor Jeckyll e Mister Hyde. Questo mi è piaciuto molto.» «Perché?» chiese Barbara, mettendo la teiera sul piccolo fornello a due becchi. «È agghiacciante, ma anche triste. Ho finito con il sentirmi triste per il Dottor Jeckyll. Non poteva controllare quello che faceva. Era come un drogato, ma non sapeva di essere Hyde, che era crudele e cattivo. Jeckyll non era una persona cattiva, solo che non riusciva a dominarsi. Mi piace anche che il suo nome sia Hyde. L'ho trovato eccellente.» «Non pensi che molta gente abbia questo problema?» chiese Barbara, meravigliandosi dentro di sé per il discernimento e l'intelligenza del ragazzo. «Sta scherzando? Legga i giornali.» Il cinismo della voce di Ivy fu veramente troppo per Barbara e dovette ridere. Ivy la guardò colpevole per un istante, poi immaginò di avere detto qualcosa di buffo e rise con lei. «Quello che voglio dire, Ivy,» disse Barbara, continuando a ridacchiare tra le parole, «è, non pensi che tutti abbiano dentro di sé un lato buono ed uno cattivo che combattono per il controllo del corpo?» «Oh.» Ivy smise di ridere e ragionò sulla sua domanda. Pensò a quanto fosse stato vicino ad uccidere Bully Brink e quanto odiava quando lo chiamavano "negro". Diventava un'altra persona quando era arrabbiato e pieno d'odio? «Sì, credo di sì. Non come nel libro, comunque, a meno che non si stia parlando di un drogato. I pazzi potrebbero essere così, veramente cattivi, sa, incapaci di controllare le loro diverse facce. Ma la maggior parte della gente non avrebbe mai bevuto una pozione per poi diventare un mostro. Penso che odiare molto significhi liberare un mostro e si
finisca con l'agire in maniera diversa. Forse se si odia troppo questo rischia di avere il sopravvento.» «Penso che tutti attraversino momenti come questi,» disse Barbara, riflettendo sulle proprie frequenti esplosioni di rabbia e sulla manifesta irascibilità che, prima di incontrare Ivy, avevano minacciato di dominare la sua vita. «Naturalmente,» proseguì Ivy, attento al tema, «se qualcuno fosse nato senza un lato o un altro, sarebbe certamente anormale. Un tizio senza la parte buona potrebbe essere come un assassino ed un tizio senza la parte cattiva potrebbe essere come Gesù Cristo.» «Questo dimostra la tua sensibilità,» disse Barbara. Ivy s'illuminò. «E scommetto che anche la fortuna ha a che fare con tutto ciò.» «Come?» «Per esempio, se sei fortunato e ti accadono cose buone, probabilmente sarai una persona buona. Ma se sei sfortunato e ti accadono cose brutte, allora il tuo lato cattivo prenderà il controllo. Per esempio, se sei abbastanza sfortunato da essere nato in una famiglia povera dove i tuoi genitori sono persone cattive e ti picchiano, allora hai maggiori possibilità di essere una persona cattiva. Qualche volta, se muore qualcuno che conosci, questo può cambiarti.» Ivy disse l'ultima frase con un tono così patetico che Barbara sentì il cuore spegnersi. Lui aveva trascorso ogni pomeriggio ed ogni giorno del fine-settimana nel suo appartamento, ma non le aveva dato nessuna informazione sulla sua famiglia. Qualche volta, mentre valutava i libri, se ne usciva con un commento che le dava la certezza che stesse parlando di sé e della sua vita familiare. Nel corso della loro breve relazione, era arrivata ad ammirare l'abilità di Ivy di interiorizzare completamente tutto quello che leggeva, vedendolo ed interpretandolo su di sé e sulla propria vita. «Ci sono molti lati diversi in ognuno,» disse lei, decidendo di non metterlo di fronte a questioni personali. Quando sarebbe stato pronto gliene avrebbe parlato lui stesso. «Qui non ti comporti come ti comporti a casa, o come ti comporti a scuola.» Ivy si irrigidì immediatamente, arrossendo nervosamente. Cercò nella faccia di Barbara un indizio per capire quello che intendeva dire. Sapeva, forse, che lui ce la metteva tutta per essere ordinario, o peggio, a scuola ed aveva preso tutte C e D sulla sua ultima pagella? Aveva abbassato troppo la guardia? All'improvviso tutti i motivi per fidarsi di lei gli sembrarono
pessimi. E se non fosse stata solo una povera barbona? E se stava lavorando per il Dottor Peabody, per sorvegliarlo. Lei diceva di essere stata un'insegnante. «Cosa c'è che non va, Ivy? Stai bene?» chiese Barbara, preoccupata della sua faccia arrossata e dell'improvvisa rigidità. «Già.» Si alzò ed andò alla finestra. «E allora che mi dici degli altri tre libri che hai letto?» chiese Barbara, raccogliendo i libri. «Narciso e Boccadoro di Hesse, Il Lupo della Steppa, e Sotto la Ruota? Cosa ne pensi di questo?» «Non so,» disse Ivy senza voltarsi. Barbara aprì Narciso e Boccadoro e glielo portò alla finestra. «Penso che questo e Dottor Jeckyll e Mister Hyde abbiano temi simili sulla dualità della natura umana.» Ivy guardò a malapena il libro e riprese a guardare fuori dalla finestra. Barbara capì che stava combattendo un conflitto interiore ma non sapeva come aiutarlo. «Non lo so, Signora Wallach. Per dirle la verità, io - uh - non ho finito veramente quei libri. Ho letto solo i primi due capitoli,» si lasciò sfuggire Ivy, con gli occhi elusivi. Barbara cominciò a ridere, pensando che stesse scherzando, ma presto si rese conto che si stava sbagliando. Con gli occhi bassi, le mani in tasca, Ivy si diresse alla porta. «Adesso devo andare. Mia madre ha bisogno che l'aiuti in alcune faccende,» disse in maniera poco convincente. Barbara rimase in silenzio dallo shock mentre lui varcava la porta, chiudendosela silenziosamente alle sue spalle. Cosa ho detto? Si chiese. Blip. La musica arrivò lentamente, registrata come l'applauso coperto di risate che l'accompagnava. «È giunto ancora una volta il momento del...» gracchia un annunciatore con una voce allenata a sembrare quella del tuo più vecchio e migliore amico che sta per raccontarti una succulenta confidenza, «Wilbur Clayton Show!» Apre gli occhi. Le luci li colpiscono come piccole dita penetranti. Il loro calore è magnetico e fa filtrare un sudore metallico dai pori. Il suo trucco comincia a colare. Sbatte gli occhi per il sudore.
Risatine registrate, pigolii. Le luci sono troppo brillanti. Lo cuociono da parte a parte, lasciandolo fragile ed asciutto. Questa non è la sua TV. Sto bene. Sto bene. Inspira profondamente il pensiero. Scansa la luce e cerca un posto dove nascondersi. Una porta lo invita. Lui la apre e viene inghiottito dal buio. Posso svegliarmi in qualsiasi momento lo desideri, pensa, a disagio nel buio avvolgente. «Puoi?» Un guizzo di luce e dei risolini efficaci fuori, nel buio antistante. «Due. Due. Due tesori in uno!» Wilbur raggiunge la luce invitante e si ritrova un telecomando in mano. Guarda indietro. Il buio gli fa delle smorfie. Da una trentina di piedi colpisce il telecomando. Canale Tredici. Dal guizzo della fredda luce bianca e nera del video si vede strisciare nel tunnel. Cambia il canale. Le porte si aprono e si chiudono. Un rapido fascio di luce. Passi cavi. Cambia il canale. Primo piano della sua faccia, gocciolante paura liquida. Cambia il canale. Il cuore come un treno nel buio. Cambia di nuovo. Il respiro della locomotiva. Cambia di nuovo. Rallenti. La polvere danza nella luce lancinante. Di nuovo. Il buio viene perforato. Dita che tastano. Mani che serrano. Di nuovo. Braccia che cercano. Di nuovo. Petti che sussultano. Di nuovo. I corpi balzano dal nero nel bianco e Wilbur si dimentica il telecomando. Sbadiglia al teleschermo. I corpi non sono decapitati. Le loro spalle sorreggono apparecchi televisivi. Ogni apparecchio trasmette la stessa scena. Il parcheggio. La ragazza nella Corvette lo fissa dallo schermo.
Si guarda in televisione mentre guarda la ragazza sulle teste a forma di televisione. Un'ombra si profila su di lei. Lui si mette a sedere al buio. Sto bene. È solo un sogno. I sogni non fanno male. Adesso sono sveglio. Cerca le coperte ma non le trova. Invece la sua mano trova una pietra, tonda e levigata. Non è più seduto. Sta in piedi. Sono sveglio, si dice. Si rifiuta di guardare quando sente le porte gemelle aprirsi. Sono sveglio. Adesso voglio smettere di sognare. Il sogno non gli dà ascolto. Procede inesorabilmente. Forse questo non è un sogno. Il pensiero lo colpisce come un brivido gelido al collo. Forse è un replay. C'è un nuovo suono nel buio. Forse è reale! Riavvolgimento. Non sono sveglio. Un rullio, risuona verso di lui. Si appiattisce contro il muro. In qualche modo sa di cosa si tratta. Non vuole vederlo. Danza sulle punte dei piedi, desiderando di potersi fondere con il muro. Prima arriva il sangue, che balza dal buio. Palloni aerostati liquidi fluttuano al rallentatore vicino alla sua faccia. Può vedere la sua immagine riflessa in una goccia. Il sangue disegna sul pavimento uno schizzo astratto e maligno. Ecco quello che mancava al primo sogno. Le teste. Teste simili a palle da bowling lanciate per uno strike. Teste simili a bombe che sibilano sangue dai colli come micce. Teste pronte ad esplodere. Può sentire l'elettricità statica sulle punte delle dita. Cambio di canale. «È il Nuovo Gioco delle Coppie! Protagonista Jim Langel!» Wilbur apre gli occhi. Si sta inginocchiando davanti alla televisione. Gesù è il contestatore, una bionda svampita e ben messa che ride stupidamente avanzando durante tutta la presentazione di Jim Langel, rigurgitante di allusioni. «Perché per cominciare ognuno dei nostri scapoli non dice "ciao" a questa graziosa signorina,» dice Jim con voce smielata. «Pronti, ragazzi? Scapolo numero uno.» «Ciao, Wendy,» disse Wilbur, scapolo numero uno.
«Scapolo numero due?» «Salve, Wendy,» dice lo scapolo numero due, Wilbur. «Ed il tre?» «Ciao pupa! Come te la passi?» Wilbur fa alla telecamera un occhiolino da numero tre. Gesù ride sotto i baffi. «Bene. Scapolo numero uno, quanti anni avevi quando hai perso la tua verginità, e come l'hai persa?» Gemiti ed applausi. Mugugni e fischi. Risate. «Ci sei, scapolo numero uno?» chiede Jim Langel, con un riso soffocato e lascivo nella voce. «Sono qui. Ma devo cambiare canale per questo, caro,» dice Wilbur numero due. Cambio canale. I suoi ricordi vengono ripassati sulla televisione pubblica. Rigorose immagini da documentario con un suono scadente e gracchiante. Una festa. Uomini dai capelli lunghi, donne senza reggiseno. Una stanza piena di fumo. La musica rimbomba: i Grateful Dead vagano per la "Stella Nera". Fratello John lo afferra per una spalla mentre lui attraversa a piccoli passi il soggiorno. La cannuccia di una pipa viene spinta nella sua faccia. Una ragazza dai boccoli biondi - occhi blu da santa truccati con un rosso diabolico - pone le labbra sull'incavo di una pipa. Soffia. Il fumo esce fluttuante dalla pipa e gli inghiotte la faccia. Soffocamento. Tosse. Caduta. Pianto. Risate. Lui diventa l'intrattenimento, una fonte di esperimenti. Quanto vino può trangugiare uno di quattro anni? Gli piace ubriacarsi? Viene passato pieno di aspettative di mano in mano come la pipa e giocano con lui come se fosse il cubo di Rubic del quale presto tutti si stufano. Una ragazza scura con un enorme seno lo tira a sé. Vede i contorni dei suoi massicci seni ciondolanti sotto la stoffa leggera della sua camicia. Può sentire il suo odore anche adesso attraverso lo schermo della televisione e gli anni. Puzza di tonno ed olio pasciuli. Il suo collo è sporco. I suoi occhi sono devastati. Ha delle piume nei capelli. Gli ficca la testa nel petto e strofina il seno contro di lui. «Quanto ti piace?» Gli alita in faccia. Sa di vino ed aglio. La sua lingua è bianca.
«Quattro.» Lui alza le dita per dimostrarlo. La ragazza guarda la sua amica, una rossa dalla faccia lentigginosa. È alta e fuma sigari lunghi e sottili. Ha il tatuaggio di un serpente rintanato nella spaccatura dei seni. «Non ti sei mai domandata quanto sia grande il coso di un ragazzino quando ha solo quattro anni?» dice quella che odora di tonno a quella con i capelli rossi. La rossa divide due dita di un pollice. «Vediamo.» Gli tolgono il pigiama. «Ti sbagli. È più piccolo.» «E quando è duro?» La ragazza sì china e lo accarezza. Si piega ed usa la bocca. Lui ha paura. Ha paura che lei possa morderlo. Invoca la Nonna, poi sua madre. Nonna è morta e non si è ancora trasferita nella sua testa, sua madre-che-non-deve-mai-chiamare-Mamma è a pochi piedi che tiene in mano il nuovo giocattolo che quel giorno è riuscita a taccheggiare al supermercato, una cinepresa 8mm. Sta provando l'obiettivo su Wilbur e sulle amiche che studiano la sua anatomia. Lui si sente strano. Ha brividi dappertutto. Si rassegna servilmente ad aspettare che la ragazza gli morda il coso, staccandoglielo, ma ciò non avviene. Invece gli manda ondate di formicolii per tutto il corpo. «Oh guarda! È più grande di un pollice.» Le ragazze ridono, altre si uniscono a loro. Viene passato di mano in mano e fa più giri fino a ritrovarsi nudo ed ubriaco sul pavimento: Il suono di un gemito lo risveglia. La stanza vacilla. Oscilla tutt'intorno a lui. Si contrae e si distende. Il gemito proviene dal divano. La sua madrenon-Madre sta facendo ad un uomo quello che la ragazza dai capelli rossi ha fatto a Wilbur. L'uomo geme e Wilbur ha paura per lui. Come lui, entrambi non hanno addosso niente. Un sonoro rutto si leva da Wilbur. L'uomo smette di gemere e lo guarda. Wilbur cerca di mettersi in piedi ma cade. All'improvviso sente un dolore alla testa. Viene tirato per i capelli. Viene trascinato per la stanza per i capelli. «Cosa c'è che non va, Mary?» chiede l'uomo sul divano. Wilbur non sente la risposta mentre lei lo trascina nel bagno. «Dai, lascialo,» dice l'uomo, con l'aria arrabbiata mentre infila le gambe nei pantaloni e si chiude la cerniera. «Sverrà.» «Sarai qui ad ascoltare le sue urla, Joe, quando si sveglierà nel bel mezzo della notte? Quella troia dell'assistente sociale viene domani. Se lui sta
male mi toglie gli assegni.» Lo spinge al gabinetto, con la mano sulla nuca. Lo fa mettere in ginocchio. «L'ha già visto ridotto male e non ha mai detto niente.» «Non posso correre rischi; ho bisogno di quei soldi. Vomita,» gli ordina. L'acqua è di un giallo scuro. Puzza di urina. Schiuma saponata ai bordi. C'è una macchia di ruggine sulla porcellana. Mezza Marlboro galleggia in circolo. Gli dà uno schiaffo, violento, sulla nuca. «Non ce la faccio, Mamma,» dice. «Ti ho detto di non chiamarmi mai così! Adesso, vomita,» ordina di nuovo. «Non ce la faccio,» piagnucola. Lei gli stringe la nuca fino a che lui non lancia un urlo. Gli spinge la testa nella tazza e gli infila le dita nella gola. Lui tossisce, si copre la bocca, soffoca quasi. Ma non esce niente. Lui infila la testa giù nella tazza. Inizia a piangere sommessamente. «Dannazione, vomita!» Lo ritira su solo per dargli un violento pugno sullo stomaco. Lui si ripiega su di sé. Un rutto gli scappa dalla bocca spalancata. Lei gli infila di nuovo le dita in bocca. Questa volta con successo. All'improvviso tutto gli risale su. Svuota lo stomaco per quella che sembra essere un'eternità prima che possa riprendere fiato. Dalla porta arriva una risata. L'uomo sta là in piedi, che li riprende con la cinepresa. «Ti piacerebbe liberarti dell'assistenza sociale e fare soldi veri, Mary?» Abbassa la macchina da presa e guarda il corpo nudo di lei e poi Wilbur, con un ghigno sempre più manifesto sulla faccia. Wilbur cambia freneticamente i canali, ma Gesù è in ogni canale. Sul quattro, Lui è Gerardo Ri vera che intervista i cacciatori di teste del Borneo. Sul cinque Lui è Fratello John con un aspetto distaccato alla ricerca di un sollievo medico. Sul sei, Lui è Elmer Fudd investito sulla faccia dal ritorno di fiamma del proprio fucile, che gli fa saltare la testa. Sul tredici, Lui è la ragazza che arriva dal parcheggio, e che lo fissa. «Prima la testa,» dice Gesù con la bocca di lei. Wilbur spegne la televisione, ma la fuga non è così facile e lui lo sa. Quando volta le spalle dall'apparecchio, Gesù se ne sta in piedi vicino alle mensole della parete di fronte. Si allunga fino alla mensola più alta e prende una videocassetta. La mette nel videoregistratore e lo accende insieme
alla televisione. C'è un suono gracchiante ed appare il titolo. Ammaestramento al Bagno - una Produzione Tunnelvision Studios. Attraverso il film in 8mm riversato su video, egli si riguarda coccolato in quel lontano festino. Non vuole guardare troppo a lungo perché sa che poi diventa spiacevole, ma proprio come faceva Mary-non-Madre, Gesù gli tiene la testa, costringendolo a guardare, e a ricordare. «All'inizio,» disse Gesù, «Io ero nato dalla sofferenza e la Mia sofferenza fu ignorata. Il giorno di far pagare per quella sofferenza e per quell'ignoranza ha atteso troppo a lungo ad arrivare, ma adesso è qui.» Bill Gage fece un profondo respiro, lo trattenne per alcuni istanti, poi lo rilasciò prima di entrare nella casa. Era stata una brutta giornata e ne sentiva ancora le ferite. Per trecentosessantaquattro giorni l'anno il suo lavoro era veramente empio. I taccheggiatori non avevano limiti di età né di sesso, e un supermercato, con il suo labirinto di vicoli di merce, è particolarmente invitante. Ma il taccheggiamento è un piccolo crimine. Pensava di avere visto veramente troppo per potersi sorprendere di nuovo. Ma si sbagliava. Oggi era stato chiamato al supermercato di Fitchburg dove l'agente del negozio aveva catturato un vecchio settantaduenne che stava insegnando al suo nipotino di nove anni come rubare. Il poliziotto del magazzino e la polizia locale che era stata chiamata si fecero una grassa risata sull'intera vicenda, ma per Bill fu come una corda stonata. Guardò il vecchio e gli ricordò suo padre che adesso avrebbe avuto proprio settantadue anni se fosse stato ancora vivo. Bill avrebbe voluto prendere il vecchio, scuoterlo e spiegargli che errore stava facendo, quale danno. Il nonno stava lasciando a suo nipote un'eredità di truffe e di ignominia. Più tardi, aveva rifatto un sogno ad occhi aperti ricorrente, un'immagine della vita come avrebbe potuto essere, come un brano di quel vecchio film di Frank Capra: suo padre veniva a vivere con loro, a giocare con le ragazze e Devin, prendendo in giro Cindy per la sua cucina. In un primo momento aveva pensato che il fantasticare fosse un progresso. Precedentemente, i pensieri su suo padre riportavano a galla questioni gravate dal suo senso di colpa, alle quali avrebbe potuto cercare in eterno di dare una risposta. D'altro canto, fantasticare su cosa sarebbe successo se suo padre fosse ancora vivo sembrava innocuo, se non salutare. Forse era semplicemente lui, che si scagliava su tutto con pinzette e microscopio, sezionandolo fino a quando non l'aveva demolito. Ma il fanta-
sticare aveva finito con il provocare questioni anche più spiacevoli. Invece delle solite domande sulle ragioni di suo padre e su come Bill avesse potuto essere così cieco davanti ad esse, le domande provocate dalla sua fantasia iniziarono a riguardare il futuro piuttosto che il passato. La sua eredità sarebbe stata migliore di quella di suo padre o di quella del nonno taccheggiatore? La malattia di suo padre si sarebbe dimostrata ereditaria, e cosa avrebbe fatto se così fosse stato? Cosa avrebbe detto un giorno a Devin? Alle obiezioni del direttore del grande magazzino e della polizia locale, che voleva essere compiacente con il vecchio, Bill aveva insistito nel chiedere l'accusa di taccheggiamento ed istigazione a delinquere su minori. Inoltre aveva contattato l'Archivio di Stato e segnalato il vecchio e quello che aveva fatto come caso di abuso ai minori. Bill si costrinse a sorridere ed aprì la porta. Si tolse il cappotto e lo appese nell'appendiabiti specchiato a muro sopra il tavolo dell'ingresso. Sentì Cindy in cucina che stava preparando la zuppa, e le voci stizzite dei bambini che gareggiavano con lo strombettio dei cartoni animati della televisione. Sul tavolo dell'ingresso c'era la posta del giorno, che lui d'abitudine prendeva al suo rientro e che leggeva mentre aspettava la cena. La busta in cima richiamò immediatamente la sua attenzione. Era lunga e bianca ed aveva il timbro ufficiale della Polizia di Stato della Pennsylvania. Riconobbe il nome, Capitano Robert Barrel, nell'angolo superiore sinistro e sentì il familiare sibilo di ansia rimbalzargli dalla nuca. Il Capitano Robert Barrel era l'ex capitano del padre di Bill. Il resto della posta, per la maggior parte robaccia e bollette, fu rigettata sul tavolo dell'ingresso. Strinse la busta tra le mani, costringendosi ad aprirla. Sapeva che non erano buone notizie. Fin da quel giorno d'inverno di dieci anni prima, quando capitano Barrel aveva chiamato Bill per dargli la notizia su suo padre, il nome del poliziotto era diventato, nella mente di Bill, sinonimo di cattive notizie. Un pizzico della vecchia sete bruciò la sua gola e cercò di mandarlo via deglutendo. «Hei, hai intenzione di restare là tutta la notte, o vuoi entrare e prendere qualcosa da mangiare, per non parlare di un abbraccio e un bacio?» Alzò lo sguardo verso Cindy e fu contento di avere quella faccia graziosa incorniciata da folti capelli castano ramato ed il suo corpo sensuale da cui tornare. Lei vide la busta fra le sue mani e comprese immediatamente la sua reazione.
«Quando l'ho vista oggi,» disse, attraversando l'ingresso per andargli accanto, «ho pensato di nasconderla, o di buttarla via.» «Ci ho pensato anch'io,» rispose lui, lasciando che lei si appoggiasse al suo braccio. «Io non potevo nascondermi, e tu mi hai fermato dal buttare via la mia vita.» «No,» disse Cindy, guardandolo, «sei tu che ti sei fermato dal farlo.» «Già. Beh. Comunque. È inutile ripetere gli errori del passato.» Lacerò la busta e dispiegò la lettera. «Papà!» Dissero felici le gemelle mentre uscivano dal soggiorno e si aggrapparono ad ognuna delle sue gambe. Devin trotterellava dietro di loro, brandendo in aria una Giovane Tartaruga Ninja Mutante. «Pa!» gridò contento. Bill posò, senza leggerla, la lettera sul tavolo dell'ingresso e si chinò per stringere con le braccia le gemelle. Devin gettò via la tartaruga e si precipitò in mezzo all'abbraccio di gruppo. «Ciao, pa'!» disse con la sua vocina pigolante. «Ciao, omone, come stai?» Devin fece una risatina e diede un pizzicotto a Missy, che gli restituì il pizzicotto. «Papà, vuoi sentire quello che è successo a scuola oggi?» chiese Sassy, con la sua faccia di sei anni splendente dall'eccitazione. Era una chiacchierona nata ed aveva sempre qualcosa da dire a Bill quando tornava a casa. «Diglielo più tardi, dolcezza,» s'interpose Cindy. «La cena è quasi pronta e tuo padre deve andare a lavarsi, e così voi tre. Fammi un bel favore e lava le mani e la faccia di Devin.» Sassy cominciò a protestare ma Cindy la zittì, spingendo lei, Missy e Devin verso le scale. Quando furono saliti, diede a Bill un veloce bacio sulle labbra ed andò in cucina. Bill riprese la lettera dal tavolo, ma la portò nel soggiorno e, prima di leggerla, si sedette nella poltrona. Non era una lettera lunga. La notizia che recava era breve, circostanziata e, come immaginava, cattiva. Quando Cindy arrivò dieci minuti dopo per dirgli che la cena era pronta, lo trovò che camminava avanti ed indietro davanti al divano, con la lettera spiegazzata e stretta in mano. «Stanno per riaprire il caso di mio padre,» disse Bill, con lo stesso tono che avrebbe usato per dirle che aveva un cancro terminale. «Cosa?» Cindy sembrò scossa. «Dopo dieci anni? Perché?» «Uno dei genitori delle vittime ha fatto causa alla polizia di Stato, ac-
cusandoli di cercare di coprire il caso. Il Capitano Barrel vuole che lo chiami stasera a casa dopo le otto in modo da potermi raccontare l'intera faccenda. Forse dovrò testimoniare.» Quella notte non riuscì ad addormentarsi prima delle due. Dopo avere chiamato il Capitano Barrel, camminò su e giù per il soggiorno, desideroso di bere. Se Cindy non fosse scesa giù verso l'una e non l'avesse persuaso ad andare a letto dove lei avrebbe potuto sedurlo per aiutarlo a rilassarsi, forse sarebbe uscito a bere qualcosa, e questo avrebbe significato la fine di tutto quello per cui aveva lavorato così duramente. Fare l'amore fu piacevole e lungo. Gli tenne per un po' la mente lontano dalle cose, ma i suoi problemi continuarono a distrarlo quel tanto che bastò a ritardare il suo orgasmo. A Cindy non importava. Lei avrebbe potuto andare avanti tutta la notte, se lui avesse retto il gioco. Lui crollò su di lei alle due e mezza, e rotolò via russando lievemente. Cindy si avvolse al suo corpo in cerca di calore, e lo seguì nel sonno. Scatto di un'istantanea. Flash. Fotografie. Stanno tutte là. Ottantanove. Ragazze. Donne. Bambine. Anche due signore molto vecchie. Le loro facce morte rinchiuse per sempre in istantanee incollate con cura in un album rilegato in cuoio. Odiava questo sogno più di qualsiasi altro. Era un sogno senza peso, incorporeo. Qualche volta le istantanee erano grandi, qualche volta piccole, sempre nitide come il cristallo: capelli grigi, faccia grigia, una grinza simile a nylon sul collo; sotto di lei una ragazza, con il cuscino accanto alla testa, la bocca aperta in uno anelito eterno in attesa di un respiro che non sarebbe mai arrivato; accanto c'era una donna con i capelli rossi che ben si intonavano con la sua gola rossa squarciata, una delle poche morti sanguinolente. Se c'era una cosa che suo padre amava era la pulizia. Conoscevi quest'uomo? si domandò, come aveva fatto tante volte in questo sogno. «Il bambino è padre di un uomo.» Da dove veniva tutto ciò? Quando si sarebbe svegliato, quella frase avrebbe danzato fastidiosamente appena fuori dai confini della sua memoria. Il sentirsi dire questo in sogno gli ridava sempre speranza. «Un giorno ti sveglierai e tu sarai tuo padre.» Non si ricordava nemmeno dove aveva sentito anche questo, ma non importava. Nel sogno le parole prendevano sempre l'autenticità di una ve-
rità luminosa - solo che la luce che emanavano non illuminava, anzi rabbuiava ed inghiottiva. Ogni volta, appena prima di svegliarsi, le foto scorrevano sempre più velocemente come se il maggior numero di esse cercasse di mostrarsi. Ogni volta si svegliava rabbrividendo madido di sudore. Quella notte si era svegliato quasi febbrile dal tremito. Quella notte suo padre serrava in mano le istantanee. Si mise a sedere nel letto con un sospiro penetrante. Accanto a lui, Cindy gemette sommessamente nel sonno. Si strofinò gli occhi e fu attraversato da un ricordo così chiaro che poté quasi toccarlo. La Ford Falcon di suo padre. È seduto sul grembo di suo padre, e manovra il volante mentre suo padre aziona i pedali. Il volante ha una macchia viola scuro, appiccicaticcio. Vuole chiedere a suo padre cosa sia ma si sta divertendo troppo. O forse ha paura di... Nell'oscurità, il ricordo porta tante lacrime quanto ne portano le domande. CANALE 4 Il Ritorno del Dottor Peabody Ammaestramento al Bagno Beth Shell - Allieva Infermiera Ivy si sedette sulla poltrona pencolante vicino alla finestra, una cena fredda, mangiata solo a metà davanti alla televisione in bilico sul davanzale della finestra accanto alla sedia. Era la notte libera di sua madre. Se ne stava seduta nella sua vestaglia di seta Coreana, un boccone in bocca, un bicchiere di Sangria in mano che guardava uno stupido spettacolo televisivo. Aveva gli occhi languidi, e fra un sorso e l'altro borbottava fra sé e sé, segno per Ivy che era sufficientemente ubriaca. Ivy guardò fuori dalla finestra imbrattata e pensò a Barbara. Gli mancava, gli mancavano i suoi libri, e le loroconversazioni. Negli ultimi due giorni aveva continuato a dirsi che lei doveva essere a posto e che lui era paranoico. Ma poi, l'altra mattina a scuola, era stato convocato nell'infermeria per fare un esame all'udito, che l'infermiera affermava avesse saltato. Divenne immediatamente sospettoso. Sapeva che la maggior parte delle stanze della scuola elementare avevano degli specchi fasulli per osservare le classi. Ed ebbe la sensazione che il grande specchio nello studio dell'in-
fermiera, nella parete di fronte alla quale stava seduto, fosse uno di questi. Con un terribile convincimento, guardò quello specchio e capì che il dottor Peabody si trovava dall'altra parte, che lo stava osservando. Con la stessa sicurezza, capì che l'esame all'udito non era quello che sembrava; era una specie di trucco, di trappola, di avvertimento. Ma questo voleva dire che Barbara era stata mandata a controllarlo, e che aveva riferito che leggeva libri di livello universitario e che li discuteva apertamente? O era semplicemente paranoico? Una luce nel cortile accanto catturò l'attenzione di Ivy, si poggiò al bracciolo della poltrona e guardò fuori, verso la strada. Lo strano tizio della porta accanto stava sistemando un apparecchio televisivo e due videoregistratori nel cofano di una Bonneville d'annata dei primi anni Settanta; una specie di dinosauro americano trangugia-benzina che a quei tempi si vedeva raramente per le strade. Poi tornò a casa e ne uscì di nuovo qualche istante dopo portando due grossi riflettori, che posò sul sedile posteriore. Nel viaggio seguente portò due grosse scatole accatastate l'una sull'altra. Da una di queste pendeva un cavo che strisciava per terra dietro di lui. Rientrò in casa di nuovo e spense la luce. Ivy non riuscì a vedere niente fino a quando non furono accesi i fari anteriori della Bonneville e le luci di posizione e la macchina si allontanò lungo la strada. «Dove starà andando con quella roba a quest'ora della notte?» si domandò ad alta voce Ivy. Dal divano sua madre russò in risposta. *** Circuito chiuso. Il buio è ravvivato da voci e suoni che sembrano uscire da un incubo. Gesù è dietro la ruota della grande Bonneville dorata (la macchina di lei) che segue la Corvette rossa mentre lascia il parcheggio dell'ospedale. Nel cantuccio di Nonna, Wilbur siede ai suoi piedi e guarda il miracolo manifestarsi sul suo schermo. La Corvette rossa lo conduce al campus del Crocker State College. Si va a parcheggiare vicino ad un sentiero che porta all'ingresso di servizio del dormitorio. La ragazza che preferisce fare soldi piuttosto che aiutare Gesù viene scaricata. L'orologio digitale del cruscotto lampeggia: 01:40. Ha tempo sufficiente per tornare in ospedale. Gesù continua a guidare e parcheggia la macchina nel posteggio, aspettando che la Corvette riparta. Prima che lui esca dalla macchina la ragazza si sta già dirigendo verso l'entrata del dormitorio. Può sentire le stelle so-
pra la sua testa innalzarGli preghiere. Mentre Lui accorcia la distanza, lei si guarda alle spalle una volta ma, quando vede la sua uniforme ed il suo cappello, pensa sia un poliziotto del campus che sta facendo la ronda. Per un breve istante si sente sicura. Gesù scivola nella notte. Lei usa la sua carta elettronica per aprire la porta, mentre Lui è ad una decina di piedi. La pesante porta di vetro sta per chiudersi e scattare ma Lui riesce a mettere una mano e a scivolarle dietro. I passi di lei sono sordi, ravvivati da qualche scricchiolio occasionale delle suole di gomma contro il linoleum. Gesù s'insinua nell'ombra dell'ingresso e scruta oltre l'angolo. È un tunnel! Il corridoio è buio tranne l'estremità dove una luce segnala la porta antincendio. Gesù illumina il buio e la vede che si dirige verso le porte dell'ascensore. Davanti, alla sua sinistra, c'è il bagno delle donne. Gesù balza nel buio, cercando di afferrarla prima che oltrepassi il bagno. Non ce n'è bisogno. Lei vi entra come se sapesse che Lui la voleva là. La porta non fa alcun rumore mentre Gesù la spinge fino ad aprirla e vi scivola dentro. Attraversa una doppia arcata e poi svolta a sinistra, c'è una parete a specchio dove si trovano tre lavandini di porcellana bianca. A destra ci sono altrettanti gabinetti. Appena dietro la porta c'è un distributore di salviette sanitarie. Non riesce a vedere la ragazza da nessuna parte, ma un leggero frizzare Lo conduce verso i gabinetti. Si inginocchia. «È dietro la porta numero tre, Monty.» Lei aziona lo scarico, il rumore è assordante. Prima che lei esca, Gesù si nasconde nel primo gabinetto. Lui annusa profondamente il suo profumo. Sa di muschio, fumo e birra. È un po' ubriaca. Meglio ancora. Mentre si lava le mani non vede Gesù che sbuca da dietro la porta del bagno. Non Lo vede fino a quando Lui non le sta alle spalle, non sta per afferrarle la testa. Non ha nemmeno la possibilità di gridare mentre Lui le acciuffa un pugno di capelli e le scaraventa la testa sul bordo del lavandino. «Prenderò la porta numero uno, Monty.» dice Gesù mentre trascina la ragazza, stordita e dal naso sanguinante, nel primo bagno. Energia statica. Il tempo avanza rapidamente. Cambio di canale. Luce! Non può credere ai suoi occhi. Lui fissa l'apparecchiatura - le luci, i cavi,
le telecamere - che riempiono l'enorme stanza vuota al terzo piano dell'Ala Destra abbandonata dell'Ospedale. Gesù non ha il tempo di spiegare. È un dio in missione. Macchina! Gesù sta trascinando la ragazza nuda e morta verso la toletta disadorna contro la parete. La realtà di quello che sta avvenendo si abbatte su Wilbur come uno sputo nel vento. Vuole nascondersi ma Nonna ha spento il suo apparecchio ed ha chiuso la porta. Sono rimasti solo Wilbur, Gesù e la ragazza morta i cui occhi sono stati presi dal Signore. Occhio per occhio. Gesù accende la telecamera. Questo è il mio giudizio verso coloro che non hanno fatto niente davanti a quello che hanno visto. Azione! La maggior parte del tempo Beth Shell non faceva caso al lavoro sporco che veniva assegnato alle apprendiste-infermiere. Parte del suo ultimo anno di addestramento alla Scuola per Infermieri di Crocker, che veniva tenuto dall'ospedale e che veniva svolto proprio dietro di esso, comprendeva che doveva lavorare in tutti i turni previsti. Riteneva che fosse un'ottima esperienza. Non si sentiva né estranea, né indolente, verso il lavoro duro. La sola faccenda che proprio non le piaceva era andare in lavanderia durante il turno di notte. La lavanderia era situata nelle profondità dei recessi dell'ospedale vicino all'Ala Destra. Odiava andare là perché doveva passare davanti all'obitorio. In maniera alquanto irrazionale, ciò che infastidiva Beth erano le stupide storie che le ragazze raccontavano, come il vedere morti che vagavano di notte per l'obitorio buio, o le storie di un vampiro che viveva nell'Ala Est. Questa notte non era diversa dalle altre. Più si avvicinava all'obitorio, più diventava ansiosa. Non si sarebbe sentita sicura fino a quando non avrebbe oltrepassato l'obitorio ed i vecchi ascensori che portavano all'ala abbandonata. Ma poi avrebbe dovuto rifare la stessa cosa per tornare indietro. Beth spingeva il carrello della lavanderia lungo il corridoio deserto. Le luci del soffitto le passavano sopra con l'effetto di una luce stroboscopica molto lenta. Cercò di pensare a cose che la facevano sentire al sicuro e serena. Il pensiero del cane della sua gioventù, Daffy, l'aiutò a passare l'obitorio. Il suo passo prese vigore mentre si dirigeva verso gli ascensori e verso la svolta che dava nel corridoio della lavanderia. Un improvviso e pe-
sante tonfo la fece urlare involontariamente. Non poteva esserne sicura, e certamente non sarebbe rimasta nei paraggi per scoprirlo, ma pensava che il suono provenisse dall'obitorio. Usando tutto il coraggio che poté raccogliere, spinse il carrello della lavanderia il più velocemente possibile. Il carrello della biancheria sporca ebbe un sussulto, minacciando di capovolgersi. Se questo fosse accaduto non avrebbe dovuto solo fermarsi, avrebbe dovuto anche toccare tutta quella disgustosa biancheria mentre la sistemava. Decise di rallentare. Un grugnito profondamente cupo rimbombò lungo il corridoio. Il suono proveniva da un punto di fronte a lei. Le porte dentate dell'ascensore in fondo al corridoio iniziarono a sbattere e a tremare. Al grugnito si unì un ronzio arrotato alternato da urla stridule di metallo sfregato contro metallo. Una luce penetrò attraverso le giunture della porta dell'ascensore. Il ronzio, il grugnito, lo stridio metallico crebbero, raggiungendo un livello assordante. Lei si fermò in mezzo al corridoio e si mise le mani sulle orecchie. Le porte dell'ascensore stavano tremando come le sue ginocchia. Vi fu un altro colpo acuto seguito da un'ondata d'aria fredda che la travolse, facendole venire la pelle d'oca ed i capezzoli duri. Le porte dell'ascensore deformate gridarono mentre si aprivano. Per un rapidissimo istante, pensò che qualcosa di mostruoso ed immenso, vorace e crudele la stesse aspettando dietro quella porta, pronta a balzarle addosso. Si lasciò scappare un profondo sospiro di sollievo quando vide che era la guardia del servizio di sicurezza. «Oh! Aaah! Mi avete spaventato!» rise Beth, scuotendo la testa. «Mi dispiace,» disse gentilmente ma concisamente la guardia mentre le passò davanti. Lei gli sorrise ed iniziò a dire qualcos'altro, ma lui si stava già allontanando velocemente, con le spalle inarcate come se portasse un enorme peso. Beth l'aveva già visto durante il turno di notte ed aveva pensato che fosse carino. Dopo avergli dato un'occhiata più da vicino si convinse che la sua prima valutazione fosse giusta. Sembrava più giovane, non più di 18, 19 anni. Aveva i capelli scuri ed ondulati, occhi tristi e pieni di sentimento, e delicati lineamenti infantili. Questa era la prima occasione che aveva avuto di parlargli, e si dispiacque che se ne fosse andato via. Alzando le spalle, e ridendo di sé per essere come un gattino impaurito, proseguì in direzione della lavanderia. Più tardi durante il turno, poco prima delle 6:00 del mattino, mentre
Beth stava preparando i vassoi da distribuire rivide la guardia del servizio di sicurezza. «Lo conosci?» chiese all'infermiera del piano che stava sistemando il carrello delle medicine. «Ci salutiamo. Si chiama Wilbur. Non so il cognome. Sembra un ragazzo gentile.» L'infermiera guardò deliberatamente Beth. «È anche carino, vero?» «Già,» concordò Beth, poi arrossì quando vide l'infermiera sorridere. CANALE 5 Speciale Doposcuola: il Salvataggio Barbara Wallach si chinò a raccogliere una lattina dalla cunetta del vicolo e sentì un fitto dolore nel fondo schiena. Si rialzò lentamente, ed inghiottì aria in brevi sorsi mentre brontolava maledicendo la vecchiaia. «Hey! Guardate quella vecchia puttana!» La giovane voce, aspra e minacciosa, proveniva dal vicolo alle sue spalle. Barbara non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che era Luis Sanchez, soprannominato «Slice» per la sua notoria abilità con il coltello a serramanico. Con lui c'era la sua banda di teppisti. Barbara aveva già avuto dei problemi con loro e cercava sempre di non incrociare la loro strada. «Hey, signora! Cos'hai oggi, eh? Hai una bottiglia di MD per me nella tua busta, cara?» Benché si stesse trascinando lontano il più velocemente possibile, la sua voce era sempre più vicina, come il chiacchiericcio strombazzante dei suoi amici. «Ho qualcosa nei miei pantaloni per te, cara. Qualcosa che scommetto non hai più da un sacco di tempo!» Altre ignobili risate. Prima che Barbara potesse raggiungere la fine del vicolo, la circondarono. Lei si strinse la busta dell'immondizia al petto e si rannicchiò nel colletto del suo enorme cappotto. «Andiamo, mamma! Dammi la tua bottiglia ed io ti darò qualcosa di più buono da succhiare,» la rimproverò Slice. Era un giovane alto e ben fatto con capelli e lineamenti scuri e occhi stretti ed impietosi. Aveva quasi diciotto anni ma aveva abbandonato la scuola a sedici, vagando per le strade e passando il tempo ad uscire ed entrare dai riformatori. «Scommetto che non ha denti, amico. Ti farà un lavoretto morbido, Slice. Eh, amico?» disse un giovanotto basso e sporco che per l'aspetto della
sua pelle si era guadagnato il soprannome di "Greasy". «Già. Che ne dici, mamma?» disse Slice, ridendo. Senza preavviso, alzò la gamba e le diede un calcio nella pancia. Lei si accasciò sulle ginocchia pesantemente, come un sacco di cemento bagnato, e si lasciò sfuggire dell'aria. «Sto parlando con te,» disse Slice ad alta voce, mentre la sua voce perdeva ogni tono scherzoso. Si pose davanti a lei e le afferrò la faccia con una mano. «Fallo, amico!» lo incitò Greasy, con una agghiacciante impazienza nella voce. «Vai avanti... Faglielo ingoiare!» si unirono gli altri, beffardi. Senza fiato e vicina allo svenimento, Barbara sapeva di non avere il controllo della situazione e non aveva il potere di fermarla. Di solito, nella peggiore delle ipotesi il suo silenzio paralizzato le era costato un calcio sul sedere, o la perdita della borsa e dei soldi o del liquore che aveva rubato. Ma c'era sempre stata la minaccia di qualche altra violenza in agguato, ed era per questo che non fu sorpresa che stesse capitando adesso. Semplicemente non era preparata. «Ecco. Ecco,» si lamentò, ansimando e rimandando giù l'aria. Tirò fuori il suo grosso portafoglio marrone e lo offrì in maniera sottomessa. Sperava che se si fosse umiliata abbastanza e se avesse recitato la parte della barbona demente fino in fondo ne sarebbe potuta uscire senza ferite gravi. Quando sentì il rumore della cerniera di Slice che si apriva, capì che non stava funzionando. Ivy scese dall'autobus scolastico ma si diresse nella direzione opposta a quella di casa. Aveva deciso che quel giorno avrebbe affrontato Barbara riguardo il Dottor Peabody ed avrebbe scoperto la verità. Andò dritto verso casa sua e stava per entrare quando una voce dal vicolo vicino attirò la sua attenzione. «Non farti mordere, Slice.» Ivy non viveva da molto tempo nel quartiere tanto da poter riconoscere la voce, ma conosceva il nome. A scuola era stato avvertito da un bambino su Slice Sanchez, ed i suoi amici. «La vecchia troia ha ancora voglia di volare,» continuò la voce. La bocca di Ivy divenne secca. Si diresse verso il vicolo, e gli sembrava che i suoi piedi pesassero cinquanta libbre l'uno. All'imboccatura del vicolo, provò un attimo di sollievo. Riuscì a vedere cinque ragazzini vestiti di
cuoio e jeans ammucchiati all'estremità opposta del vicolo, ma non vide traccia di Barbara. Ivy stava per dirigersi verso la casa di lei quando uno dei ragazzi si spostò e vide Barbara inginocchiata sul pavimento sporco circondata dalla banda. Le stava sanguinando il naso. I suoi occhiali giacevano fracassati per terra davanti a lei. Lei si stava umiliando, con le mani alzate per difesa sulla faccia e sulla testa. Ivy si guardò intorno alla ricerca di aiuto. Doveva fare qualcosa. Un applauso della banda riportò l'attenzione di Ivy nel vicolo. Quello che Ivy presumeva fosse Slice teneva Barbara per i capelli e la costringeva a guardare il suo cazzo. Nell'altra mano stringeva un coltello a serramanico dall'aspetto minaccioso. Ivy guardò da una parte all'altra Leighton Street. Non c'era nessuno in giro; nessuna macchina. Ad un'ora del pomeriggio in cui per strada di solito c'era un traffico intenso, tutto era insolitamente tranquillo. E secondo lo stereotipo, adesso che aveva bisogno di un poliziotto, non ce n'era in giro nemmeno uno. Area ad alto rischio, Leighton Street era di solito pattugliata almeno da una volante ogni mezz'ora circa. Improvvisamente gli venne un'idea: Slice ed i suoi amici non sapevano che non c'era nemmeno un poliziotto in giro. Forse avrebbe potuto giocarli. «Hey! Lasciatela in pace!» gridò Ivy, richiamando immediatamente l'attenzione di Slice. Come Ivy sperava, Slice lasciò la presa dai capelli di Barbara. Lei colse l'opportunità, si buttò a terra e strisciò carponi. Ivy si voltò verso l'angolo vuoto di Leighton Street e Turner Street. «Ehi! Agente! Venga qui! Presto! Dei ragazzi stanno facendo del male ad una signora!» Slice, che aveva cominciato a dirigersi verso Ivy, esitò. Due dei suoi compagni scapparono. Greasy ed un altro ragazzo chiamato JoJo restarono, ma sembravano pronti a seguire gli altri in qualsiasi momento. Ivy fece del suo meglio per fargli credere che ci fosse una macchina della polizia all'angolo, che due poliziotti ne stessero uscendo, per correre in suo aiuto. Fece meglio che poté, nella maniera più convincente per Slice. «Presto!» urlò di nuovo. «Stanno per andarsene. Sono proprio qua!» Puntò in maniera concitata Slice, Greasy e JoJo. «Andiamo, amico,» disse JoJo a Slice, con una nota di supplica nella voce. Greasy si unì a lui. «Già, amico. Siamo in libertà vigilata. Concluderemo la faccenda quando non ci saranno più i poliziotti in giro.» Dentro di sé, Slice sapeva che quel piccolo bastardo nero stava bluf-
fando, ma Greasy aveva ragione. Erano tutti in libertà vigilata per furto d'auto e non potevano permettersi un'altra denuncia. Puntò un pollice carico ed un dito verso Ivy prima di scappare con i suoi compagni in formazione compatta. Ivy corse nel vicolo dove Barbara stava rannicchiata dietro una fila di secchi dell'immondizia. I capelli scompigliati, impiastricciati di lacrime e sangue sulla faccia, gli nascondevano gli occhi. Ivy gli toccò il braccio e lei saltò, lasciandosi sfuggire un flebile grido. «Sono io, Signora Wallach. Sono io, Ivy. Se ne sono andati.» Barbara lo scrutò tra il groviglio di capelli che gli ricoprivano la faccia ed iniziò a ridere e a piangere contemporaneamente. *** Slice Sanchez e la sua banda avevano fatto una corsa intorno all'isolato e si stavano riavvicinando al vicolo da Leighton Street, il lato opposto dal quale erano usciti. Non c'era nessun poliziotto a vista, cosa che fece arrabbiare moltissimo Slice. Quando vide il bambino che aiutava la stracciona ad uscire dal vicolo, fu veramente pronto a prendersi cura di entrambi, libertà vigilata o meno. La sola cosa che lo fermò fu l'apparizione improvvisa di una vera volante blu e bianca della Polizia di Crocker che proveniva dal lato opposto di Leighton. Slice guardò, furiosamente impotente, mentre la sua preda scappava, andando nell'edificio della barbona. Quando gli agenti della macchina della polizia videro Slice e la sua banda, rallentarono e dissero a Slice ed i suoi amici di levarsi di torno. «Voglio quel piccolo negro,» disse Slice, andandosene, rivolto al cielo ed agli altri. «Ci è debitore.» Barbara riuscì a tirare fuori le chiavi dalla tasca e ad aprire la porta del suo appartamento mentre Ivy la sosteneva. Una volta dentro, le tolse il cappotto, la condusse alla poltrona, e la mise a sedere, coprendola con la vecchia coperta afgana che lei teneva sul letto. Andò al lavandino per prendere un panno per pulirla, e lei cominciò a piangere, prima sommessamente, poi sempre più forte. Ivy prese uno straccio per i piatti, l'inumidì, e tornò daBarbara. Cercò di dirle che stava bene e che adesso tutto sarebbe andato bene, ma le parole gli morirono in gola prima che potesse pronunciarle. Erano solo una bugia. Non c'era niente che andasse bene. Rendendosi conto che, in un momento
come quello, le parole erano inutili, Ivy si arrese e finì di pulirle il sangue e la sporcizia dalla faccia. Quando ebbe finito, Barbara si protese e lo afferrò come se avesse paura che lui la lasciasse. Ivy le strinse le braccia intorno. Sapeva cosa si provava quando ci si sentiva tristi, e gli faceva male vedere un amico che soffriva in quel modo. L'abbracciò ed in silenzio maledisse quel bastardo di Slice Sanchez e i suoi amici. Ivy rimase là ad abbracciarla fino a quando il pozzo di dolore della vecchia donna non si fu prosciugato ed un benedetto sonno immemore non la sopraffece. Le posò la testa sullo schienale della poltrona e si sedette sul pavimento accanto a lei, tenendole la mano e guardando le ultime ombre del pomeriggio insinuarsi nella prima sera. Ivy avrebbe voluto che Barbara avesse un telefono così avrebbe potuto chiamare sua madre. Sapeva che gli avrebbe fatto una scenata perché non era tornato a casa in tempo, ma non gli importava. Si sentiva già abbastanza colpevole per avere abbandonato Barbara. Se non si fosse comportato come un ragazzino così paranoico sul Dottor Peabody, quel giorno sarebbe stato con lei e forse Slice ed i suoi tirapiedi l'avrebbero lasciata in pace. Doveva riscattarsi. Sarebbe rimasto con lei fino a quando avrebbe avuto bisogno di lui, non importava quali problemi avrebbe dovuto affrontare a casa. Barbara si svegliò poco dopo le nove. Ormai Ivy sapeva che avrebbe avuto guai grossi con sua madre. Lasciava casa per andare al ristorante a lavorare alle otto. Non era mai rimasto fuori dopo che lei era uscita per andare a lavorare. Sperò semplicemente che non avrebbe fatto niente di stupido come chiamare la polizia per farlo cercare. Barbara sorrise e gli fece un occhiolino da gufo. Aveva recuperato i suoi occhiali dal vicolo ma erano troppo ammaccati per essere indossati. «Sei tu, Ivy?» Si protese ed accese la lampada accanto alla poltrona. «Oh, sono contenta che sei tornato,» esclamò, prendendo Ivy alla sprovvista. «Dove sono i miei occhiali?» Cercò nelle tasche e nei braccioli della poltrona. Non le piaceva tutto questo. Barbara aveva uno sguardo strano, assente che lo spaventava. «I tuoi occhiali si sono rotti.» le disse Ivy. «Non te lo ricordi?» «Rotti? Sul serio? Oh, beh. Va tutto bene. Ne ho un paio di riserva nel cassetto più alto della credenza.» Cercò di alzarsi, ma Ivy la fermò. «Li prendo io. Stia ferma.» Balzò in piedi ed andò al bureau all'angolo quasi sepolto sotto le cataste di libri. Aprì il cassetto superiore e si trovò
davanti la biancheria di Barbara. Ivy arrossì e distolse lo sguardo. Mise la mano nel cassetto, cercando di non toccare niente di morbido, e tastò fino a quando non trovò la custodia degli occhiali di Barbara. Sulla sedia, Barbara sorrideva confusamente mentre cercava di mettere a fuoco un mondo informe. Non si ricorda quello che è successo, pensò Ivy, portandole gli occhiali. Deve essere in stato di shock. Barbara prese la custodia ed estrasse un paio di occhiali tondi, bordati di metallo che, quando se li mise, la fecero sembrare una nonnina uscita dalle favole. «Sono un vecchio modello, ma vedo abbastanza bene anche con questi,» spiegò, scrutandolo. «Lo sai, Ivy, penso di doverti delle scuse. Stavo cercando di farti mandare giù tutta quella letteratura intellettuale scordandomi la prima regola della lettura. Dovrebbe essere un divertimento!» «No, signora Wallach,» balbettò Ivy, ma Barbara lo ignorò. Si protese sul bracciolo della poltrona e, con un enorme sforzo, prese una scatola di scarpe piena di libri tascabili. Se la sistemò sul grembo. «Ho scelto questi e li ho messi qui, sperando che saresti tornato.» Prese uno dei libri e lo fissò malinconicamente. «Quando Henry era giovane non c'era niente che gli piaceva di più che leggere un bel romanzo di spionaggio. Ha sempre detto che la serie di James Bond di Ian Fleming era la migliore.» «James Bond?» chiese Ivy, con un evidente dubbio nella voce. «Si, James Bond. Perché?» «Intende quegli stupidi film che qualche volta fanno vedere in televisione?» chiese Ivy. Barbara rise, ma Ivy notò che non era la sua solita risata. Questa era affaticata ed innaturale. «No,» disse lei, scuotendo pesantemente la testa, a fatica, per aggiungere enfasi. «Tranne i primi con Sean Connery, quei film non hanno mai fatto giustizia ai libri.» Ivy era disorientato. Non sapeva che quegli stupidi film su 007 fossero basati su dei libri. E quando Barbara continuò a raccontargli che Ian Fleming in tempo di guerra fosse realmente stato una spia, Ivy ne fu conquistato. Quando Barbara fu di nuovo stanca, e appoggiò ancora una volta la testa sullo schienale per riposare, Ivy raccolse il primo libro, Casino Royal, ed iniziò a leggere. Ivy rimase fino a mezzanotte, leggendo e tenendo d'occhio Barbara, che dormiva un po', poi si svegliava, qualche volta spaventata e disorientata. La mise a letto e prima di andarsene la coprì, assicurandosi che la porta
fosse ben chiusa. Arrivò a casa un attimo prima di sua madre e quando lei arrivò dovette infilare la scatola di romanzi di spionaggio dietro il divano. Gli strillò per più di un'ora (come se a lui importasse qualcosa) per non essere arrivato a casa prima. Più tardi, quando fu sicuro che lei si fosse addormentata, sgattaiolò nel soggiorno e recuperò la scatola di libri, nascondendola nell'armadio della stanza da letto. CANALE 6 Rete a strascico Bill Gage - Investigatore Speciale Fumando nella Stanza dei Ragazzi Pericolo Pubblico N° 1 Il Vero James Bond Crepitio. Lo schermo respira. Asmatico. Il vento infuria intorno a lui. Si aggrappa allo stipite della porta, cercando di non essere risucchiato nei polmoni della tunnelvision. Il telefono squilla ripetutamente fino a quando non si zittisce. Il nastro che Gesù ha fatto gira nel videoregistratore. Wilbur guarda la morte rituale fino a quando Gesù non ferma il nastro, lo tira fuori e gli dice che è ora di andare. Wilbur cerca di nascondersi nella televisione di Nonna ma c'è un vecchio spettacolo poliziesco su ogni canale, e Gesù sa come usarli. Cambio di canale. Colombo! La volante è parcheggiata in fondo al posteggio del Dunkin' Donut. Colombo è al bancone. «Dammi quello, semplice. Uh, no, fammi pensare un secondo, fammi vedere, prenderò la, ah, cannella. Solo un attimo. Mi dispiace. Faccio fatica a decidere. Prenderò della cioccolata. Ecco. No, aspetta...» L'approccio è facile. Cambio di canale. Macchina 54, Dove sei? «Uh! Uh! Presto! Metti il nastro nella volante.» Muldoon viene preso dal panico, apre la portiera e la butta dentro. Il nastro rimbalza sul sedile, colpisce il lato inferiore del cruscotto sul pavi-
mento del lato del passeggero. «Uh! Uh! Adesso l'hai fatto! Andiamocene da qui!» Cambio di canale. La rete è stata gettata... «Solo delle bombe alla crema, signora.» Il Sergente Friday mette la scatola delle bombe sul cruscotto e parte in retromarcia. Il nastro scivola sotto il sedile e rimane incastrato là sotto. «Potresti abbassare?» Bill chiese a Cindy, tenendo la mano sul telefono. Cindy preme sul telecomando il bottone di annullamento del volume e guarda il portiere dei Bruins fare un ultimo disperato tentativo. «Sì, George, sto bene,» disse Bill, facendo notare a Cindy il nome del vecchio amico, il capo della polizia di Crocker. La sua iniziale eccitazione svanì quasi immediatamente mentre la faccia divenne molto solenne. Ascoltò a lungo senza dire una parola, ma il suo sguardo diceva abbastanza, e le notizie non erano buone. Quando riagganciò, ormai Cindy si era dimenticata del tutto i Bruins e stava aspettando con una miscela straziante di premonizione ed orrore di sentire quello che George Albert aveva detto. Si sedette sul divano, con le mani serrate tra le ginocchia, e lo guardò ansiosa. «Allora?» Bill cominciò a camminare avanti ed indietro, quasi dimentico della sua presenza. Bill si fermò e alzò lo sguardo bruscamente, come un uomo che si risveglia da un sogno, o da un incubo. «Sarò di nuovo agente investigativo,» disse con voce flemmatica. «È stupendo!» disse Cindy, cercando di fare nascere in lui un po' di quell'entusiasmo che pensava dovesse mostrare a questa notizia. «È così?» chiese Bill. «Non è così?» Bill si guardò distrattamente allo specchio a muro a forma di cuore. «È strano, veramente. George ha detto che non mi aveva chiamato perché non aveva un lavoro per me. La città è veramente stretta nella morsa dei tagli ai sussidi locali. Si è detto che l'anno prossimo verranno fatti dei tagli anche alla polizia di Stato.» «Non capisco. Come mai ti sta offrendo un lavoro, allora?» chiese Cindy. Bill si lasciò sfuggire un sospiro. «Perché la settimana scorsa è stata uccisa la figlia di un influente commerciante della zona. Hanno trovato il
corpo stamattina. Adesso improvvisamente il sindaco ha soldi supplementari disponibili per un'unità operativa e per un altro investigatore a tempo pieno che si dedichi al caso. L'ufficio investigativo è a corto di un uomo da quando uno dei loro è andato in pensione il mese scorso. Così George è riuscito a convincere il sindaco che io sarei stato l'uomo più adatto alle indagini. La mia qualificazione sarebbe quella di "investigatore speciale"». «Allora, cosa c'è che non va?» Bill ricominciò a camminare. «Voglio dire, è terribile che una giovane donna sia morta,» disse Cindy, «ma questo non ha niente a che fare con te.» «Non credi?» «No. Non lo credo. Non sei stato tu a provocare la sua morte. E non è colpa tua se tornerai a lavorare nella polizia a causa del suo omicidio.» In risposta Bill aggrottò le ciglia, e Cindy capì che in qualche modo lui stava collegando tutto questo con suo padre. «Ma la domanda importante è, cosa ne pensi tu? Se questo deve riaprire delle vecchie ferite del passato... riguardo tuo padre... forse dovresti pensarci.» «È un po' difficile non pensare a mio padre. Non mi aspettavo - o forse immagino che non speravo - che in una cittadina piccola come Crocker mi potesse essere assegnato un omicidio. L'omicidio è un avvenimento abbastanza raro da queste parti. La droga è un problema un po' più grosso. Pensavo che per ricominciare sarebbe stato meglio essere assegnato ad un caso di droga.» «Sembra che se la droga sia tutto quello di cui si debbano occupare, tu non avresti affatto un lavoro,» precisò Cindy. Bill aprì il cassetto sotto la televisione e prese un taccuino telefonico di pelle rossa. Si sedette sulla poltrona accanto al telefono. «Per prima cosa George vuole che lo incontri all'obitorio della Contea domattina. È una cosa buona che abbia accumulato molti giorni di malattia e di ferie. Non dovrebbe esserci nessun problema. Chiamerò il direttore regionale e gli dirò che mi prendo alcuni giorni e che i miei uomini potranno mandare avanti le cose. Poiché questo probabilmente non sarà un lavoro permanente, penso che sia meglio non lasciare ancora il servizio di sicurezza, non credi?» Sorrise apaticamente a Cindy. «Bill.» Cindy gli andò vicino e gli posò una mano sul braccio. «Sul serio. Se stai facendo questo per tornare in qualche modo a tuo padre o per risarcire quello che ha fatto, lascia perdere. Per favore non farlo.»
Bill attirò alle labbra il suo viso e la baciò. «Non ti preoccupare. Andrà tutto bene,» le disse, sorridendo. Anche lei sorrise, ma non le piacque lo sguardo nei suoi occhi. Bill trascorse il resto della sera camminando su e giù fino a quando Cindy non lo persuase con le moine a fare l'amore. Cercò di obbedire ma era troppo preoccupato e finirono con fare del sesso frustrante e distratto. Lui si agitò e rigirò per un paio d'ore. Alla fine piombò in un sonno agitato ed irrequieto affollato di sogni cupi, minacciosi ma vaghi che si agitavano nella sua mente come uno spesso mucchio di istantanee scattate l'una dopo l'altra che creavano l'illusione del movimento. La mattina seguente un Bill Gage molto stanco parcheggiò la macchina in uno spazio riservato alle vetture della polizia dietro l'obitorio della Contea nella città di Bolton. Benché Worcester fosse la sede della Contea, Bolton era la cittadina che aveva la posizione più centrale, così venti anni prima l'obitorio ed altri uffici della Contea erano stati trasferiti qua per permettere uguale accesso a tutti quelli che facevano parte della contea di Worcester. Bolton era ad appena dieci minuti da Crocker, ma a Bill sembrò che il viaggio fosse durato ore. Scendendo dalla macchina e camminando verso l'edificio sentì una strana sensazione di distacco dalla realtà. Immaginava che così fosse perché meno di un anno e mezzo prima aveva giurato che come poliziotto aveva chiuso e che non avrebbe mai più rifatto una cosa del genere. Bill ripercorse la strada intorno all'edificio come ai tempi in cui stava alla polizia di Stato. Era un edificio di lastre di cemento, un bunker abbastanza brutto lasciato cadere di peso in una città tutta frontoni coloniali ed imponenti case vittoriane. L'attuale obitorio, composto da un laboratorio per le autopsie ed un congelatore che poteva contenere comodamente sei cadaveri, era nei sotterranei. Nell'attico c'erano gli archivi e l'ufficio del cancelliere della Contea. Prima di entrare, Bill notò un'automobile nera dove, sullo sportello, intorno ad un emblema dorato del dipartimento della polizia di Crocker, era impresso a rilievo CROCKER - CAPO DELLA POLIZIA. Bill sperava che non fosse tardi. Sarebbe stato duro cominciare con il piede sbagliato. L'interno dell'edificio non era più attraente dell'esterno. I pavimenti erano coperti da linoleum giallo sbiadito che un tempo doveva essere stato bianco. Tutto il resto era di un grigio o marrone istituzionale. Accanto all'ingresso c'era un'altra porta con un cartello: OBITORIO DELLA CON-
TEA - VIETATO L'ACCESSO AL PERSONALE NON AUTORIZZATO. L'attraversò e scese una serie di gradini di metallo che risuonavano come campane ad ogni passo e che gli fecero salire i nervi a fior di pelle. Il Capo George Albert, vestito nella sua uniforme blu scura da comandante con la cravatta intonata, lo stava aspettando fuori del laboratorio con due agenti in borghese. I suoi capelli si erano ingrigiti ma erano ancora folti ed ondulati. La sua faccia spigolosa e dura era piena di rughe, ma sembrava stare bene, molto meglio di Bill. «È un piacere rivederti, Bill,» disse George come se lo pensasse veramente, stringendo la mano a Bill. «Questo è il Capitano Mike Mahoney, il comandante del nostro ufficio investigativo, ed il tenente Frank Starkovski. Potremmo esaminare la cosa nei dettagli nel mio ufficio. Il Capitano Mahoney ed i suoi uomini sono a tua disposizione, ma tu dovrai riferire direttamente a me. Abbiamo un poliziotto, Fred Larken, un vero mago del computer, che è candidato al distintivo d'oro ed alla promozione di agente investigativo. Posso dartelo a tempo pieno come assistente personale, e se avrai bisogno di ulteriore aiuto, posso mettere alcuni uomini in straordinario.» Bill strinse la mano al capitano Mahoney, un uomo tarchiato e sulla via della calvizie con penetranti occhi blu, e all'agente investigativo Starkovski, magro, con occhi perfidi ed un grande naso. Sentì immediatamente una forte ostilità da parte dei due, specialmente da Starkovski. Non poteva biasimarli. I poliziotti, in particolare gli agenti investigativi, dopo un po' che sono nella zona diventano territoriali e non gli piace che qualcuno si intrometta a forza. Bill sapeva che la sua assunzione puzzava di politica e di forti influenze finanziarie, una ragione più che sufficiente perché i poliziotti locali fossero ostili. «Sei pronto ad andare, o vuoi che prima ti faccia un resoconto?» chiese il comandante Albert. Con il passare del tempo, George non era cambiato. Non perdeva tempo con amenità quali cosa hai combinato negli ultimi dieci anni. Questo sarebbe venuto dopo, ma adesso c'era del lavoro da sbrigare. Il capo sembrò deluso, un istante prima di aggiungere, «Non è stata fatta ancora l'autopsia quindi non ho ancora il rapporto del medico legale. Il dottor Seaver, il vecchio medico legale, è morto poche settimane fa e non abbiamo ancora ottenuto un rimpiazzo. La contea di Essex ci manderà il suo, ma è fuori fino alla fine della settimana.»
«George?» disse Bill, il nome sembrò un colpo di tosse nella sua bocca. «Uh, capo, posso parlare da solo con lei per un istante?» «Certo.» Il comandante Albert fece cenno ai due agenti di andare nel laboratorio e gli chiuse la porta alle spalle. «Cosa c'è, Bill?» Bill Gage guardò il suo amico e non fu sicuro di quello che voleva veramente dire. «Io... non ne sono sicuro. Ero sincero quando ho scritto che volevo un lavoro: solo che non mi aspettavo di lavorare immediatamente ad un omicidio. E nemmeno i tuoi agenti sembrano molto felici che io sia in circolazione.» «Non ti preoccupare di loro. Sono arrabbiati per le voci sull'interruzione temporanea del rapporto di lavoro. Si ricrederanno quando ti vedranno al lavoro,» disse George. Gli agenti li stavano guardando attraverso la vetrata del laboratorio. «E per quanto riguarda il fatto che si tratta di un omicidio, ti dirò quello che ho detto al sindaco quando mi ha dato l'ordine di fare tutto il necessario per risolvere questo caso. Gli ho detto che conoscevo il migliore investigatore di omicidi che si sia mai visto. E stavo parlando di te. So che hai avuto dei brutti momenti, che hai avuto i tuoi problemi; ma, adesso, questo non è importante. Una tempo eri il migliore agente della squadra omicidi, di questo o di qualsiasi altro stato. E scommetto che lo sei ancora. Scommetto che puoi essere ancora il migliore. «Mi sarebbe piaciuto assumerti in circostanze normali e farti lavorare come un tempo, secondo i tuoi ritmi, e non posso nemmeno prometterti che avrai un lavoro una volta che questa indagine sarà finita. In effetti, direi che le tue possibilità di avere una sistemazione permanente nella forza pubblica sono quasi mille. Se pensi di non essere in grado di farlo, ti capirò, non sei costretto, ma questa è la tua unica possibilità di un lavoro alla polizia di Crocker per un bel po' di tempo, per quello che permette il bilancio.» Eccole, esposte apertamente davanti a Bill. Con l'onestà brusca del suo amico, che Bill ricordava bene, George aveva esposto chiaramente le sue possibilità di scelta. La cosa buffa era che, fino a quando Bill non era entrato nell'obitorio, era convinto di avere preso la sua decisione. Non aveva tenuto contro dell'attacco di paura dell'ultimo minuto. «Mi dispiace, George. Dimentica quello che ho appena detto. Io lo voglio veramente.» Il capo Albert annuì e gli diede una pacca sulle spalle. «Bene. Sapevo che non mi avresti abbandonato. Allora posso riempire il modulo mentre dai un'occhiata al corpo?»
«Perfetto,» rispose Bill dirigendosi verso la porta del laboratorio. «Un'altra cosa,» disse George. «È abbastanza raccapricciante. Spero che tu abbia ancora uno stomaco forte.» Bill seguì il capitano nel laboratorio dove Mahoney e Starkovski aspettavano. Il laboratorio era piccolo e senza finestre, e la maggior parte del pavimento era occupato dal tavolo autoptico di metallo. La vittima era avvolta nella plastica. Le pareti erano ricoperte di mensole munite di bottiglie e barattoli vuoti. Una mensola accanto alla porta conteneva una collezione di strani campioni, quale un tumore celebrale che assomigliava a Richard Nixon. Più sotto c'era un enorme lavandino di metallo e delle cannule. «Il corpo è stato abbandonato davanti a quello che era il Teatro Saxon, vicino al Municipio. Il capitano Mahoney ha delle fotografie per te,» gli spiegò il capo. Mahoney porse una busta di carta manilla e Bill non poté fare a meno di notare i sonisi affettati sulla faccia sua e di Starkovski. Il Capo Albert aprì il sacco con il cadavere. «È stata uccisa da qualche altra parte, ma non mi preoccupa sapere se il medico legale possa dirci se abbia subito delle molestie sessuali o meno poiché la causa della morte è abbastanza ovvia.» Il sacco aperto rivelò una visione alla quale Bill Gage non sarebbe mai stato preparato anche se avesse fatto il poliziotto dapiù di cìnquant'anni. Sul tavolo giaceva il corpo imbrattato di sangue di una giovane donna. Era nuda. Le mancava la testa. Bill deglutì a fatica. Mahoney e Starkovski sorrisero furtivamente; Bill sapeva perché. Sapeva che la sua faccia aveva manifestato shock, orrore e disgusto, ma questo era normale. Bill doveva ancora conoscere un poliziotto che poteva guardare una vittima per morte violenta senza reagire. Per quello che lo riguardava le facce impietrite dei poliziotti dei film, della televisione o dei romanzi polizieschi erano un mito. Gli sarebbe piaciuto vedere le facce di Mahoney e Starkovski quando avevano visto il corpo la prima volta. Era pronto a scommettere che almeno uno dèi due, se non entrambi, aveva rimesso i loro dolcetti. Quello che era importante adesso era come procedere, una volta che lo shock iniziale era passato. Fece un profondo respirò e scoprì, con sorpresa, di essere pronto. Si sentì l'incarnazione vivente del vecchio proverbio che dice che un pesce non dimentica mai come si nuota. Archiviò automaticamente la condizione del corpo della ragazza come qualcosa con la quale avrebbe dovuto avere a che fare più tardi, molto probabilmente nei suoi
sogni. Con un profondo respiro procedette nella terribile missione di ispezionare il cadavere. E, in maniera abbastanza sorprendente, sembrò che l'avesse fatto anche il giorno prima. Fu sollevato ogni oltre immaginazione nello scoprire che il suo talento particolare fosse ancora intatto, un po' arrugginito dopo dieci anni di disuso, ma funzionale. Mise a fuoco il corpo. «Nome: Grace Sirnonds,» lesse lentamente il capo leggendo un pezzo di carta. Diede al sorridente Starkovski uno sguardo fulminante e gli porse il foglio. «Mi sono dimenticato gli occhiali. Leggilo tu all'agente speciale, Frank.» Tutto quello che Bill dovette fare fu di non sorridere quando la faccia di Starkovski diventò paonazza. Con le mandibole serrate, prese il foglio e lesse il contenuto con voce biascicata. «Anni: venti.» Bill stava esaminando il collo reciso della ragazza, tastando il bordo del taglio. Si rese conto che la stanza era diventata così silenziosa che riuscì a sentire due volte Mahoney deglutire. «Identificata dal nome inciso nell'anello del liceo alla mano sinistra e da una voglia sulla spalla destra identificata dal padre.» Bill sollevò il corpo senza testa per ispezionare la schiena ed il disegno di sangue secco. Posò l'orecchio sulla schiena e picchiettò sulle scapole con le nocche della mano. Starkovski cercò di nascondere l'improvviso disgusto con un attacco di tosse. La sua voce non era più così biascicata quando lesse il seguente punto. «I suoi genitori ci hanno fornito molte fotografie ed una descrizione completa. Capelli: castani. Occhi: castani: Peso: centoquaranta libbre. Altezza: sei piedi. Voglia a forma di campana in mezzo alla spalla destra. Nessun altro segno particolare.» Bill ripose il corpo e le aprì le gambe. Il capitano Mahoney e l'agente Starkovski non sorridevano più. «L'ultima volta è stata vista...» Starkovski perse il segno nel tentativo di leggere e guardare Bill contemporaneamente. Lo ritrovò. «L'ultima volta è stata vista dal ragazzo, e da altri due testimoni, in un arco di tempo di trenta minuti intorno all'una e quaranta di domenica mattina quando questi l'ha lasciata all'ingresso sul retro del suo dormitorio. Il suo corpo è stato ritrovato lunedì mattina alle sei, sotto al padiglione del vecchio Teatro Saxon, adesso abbandonato. Nessuno che la conosceva ha denunciato la sua scomparsa nelle ventotto ore e venti minuti circa che sono trascorsi tra l'ultima volta che è stata vista ed il momento del ritrovamento.»
Bill risistemò le gambe di Grace Simonds in una posizione più dignitosa ed iniziò ad esaminarle le mani. «Il corpo è stato trovato da un agente di pattuglia di servizio, l'Ufficiale Schultz. Giaceva ad un angolo di quarantacinque gradi per strada con le braccia ripiegate sul petto. Il solo sangue era quello sul corpo della vittima ed era secco.» Bill concluse con un esame ai piedi e richiuse il sacco. Fuori del laboratorio presero delle tazze di caffè da un distributore dietro l'angolo che dispensava la sua sbobba di caffeina in tazze con le combinazioni del poker. Bill trattenne un rossore immediato. «Va bene, Bill,» disse il capo, sorseggiando da un bicchiere con una doppia coppia di assi e regine, «cosa hai scoperto?» «Il capo chi crede che sia questo tizio, Sherlock Holmes?» Bill sentì sussurrare Starkovski a Mahoney. Se Capo Albert aveva sentito, non lo diede a vedere. Bill si poggiò contro il muro, stringendo il caffè con entrambe le mani e fissandolo. Sembrava stordito, o un uomo che aveva un problema pressante per la testa. Stava ancora elaborando e catalogando le informazioni dell'esame del corpo e fino a quando non aveva finito sarebbe sembrato ed avrebbe parlato come un professore svagato. «Non è stata molestata,» iniziò Bill, con una voce sommessa. «Era morta da almeno ventiquattr'ore. Direi che è stata uccisa subito dopo l'ultima volta che è stata vista. La testa è stata tagliata con una lama, due colpi secchi, ma non è stato questo ad ucciderla. Quando ha avuto luogo la decapitazione era già morta. La causa della morte è stato l'annegamento.» Bill avrebbe voluto parlare a George delle sue scoperte in privato. Sapeva che stava lanciando una bomba contro il suo nuovo capo; lo shock sulla faccia di George glielo confermò. I due agenti mostrarono un palese disprezzo per la sua dichiarazione, Mahoney ridendo apertamente, e Starkovski esclamando: «Stiamo scherzando!» Il capo li fulminò entrambi con uno sguardo feroce ma Mahoney continuò imperterrito. «Andiamo, Capo! Ho cercato di essere tollerante. Dobbiamo procedere su qualcosa di documentato e non su questo!» esplose. «È già abbastanza spiacevole che lei ed il sindaco abbiate messo il vostro vecchio amico su un libro paga speciale quando dei poliziotti veri vengono licenziati, ma dovere sopportare questo - questo fallito che se ne va in giro muovendosi come una specie di psichico di un film di serie B - è veramente troppo. Se dovessimo dare ascolto a questo tizio sprecheremmo
del tempo prezioso e delle energie per l'indagine.» «Adesso basta,» abbaiò Capo Albert. «Ma sta dicendo che è annegata ed è ridicolo, basta che la guardiate per capirlo, per l'amor di Dio. Non c'è bisogno di essere Sherlock Holmes per dedurlo,» disse Mahoney. Al suo fianco, Starkovski sorrise ed annuì in totale accordo. Il capo si voltò verso Bill, con le sopracciglia inquisitorie. Bill gettò la sua tazza di caffè nel cestino di plastica là vicino. «Andiamo,» disse sommessamente e tornò nel laboratorio. Mahoney, Starkovski ed il capo lo seguirono, e si radunarono intorno al tavolo autoptico mentre lui apriva la cerniera del sacco. Bill prese da una mensola un barattolo per campioni vuoto da un quarto di gallone. Lo porse a Mahoney. «Tienilo sotto il collo,» gli ordinò. Mahoney guardò per un istante Bill come se stesse per dirgli di andare all'inferno, poi ci ripensò e fece quello che gli era stato chiesto. Prese il vaso e lo tenne vicino al collo tagliato, dove Bill gli indicò, cercando di non fare smorfie. Bill andò al lato del tavolo e posò la mano destra serrata in un pugno, e la sinistra stretta su questo, sullo sterno di Grace Simonds. «So che è affogata perché i polmoni ed il suo stomaco sono pieni d'acqua,» disse. Pompò su di lei come stesse eseguendo la manovra di Heimlich. Acqua rosata zampillò dall'informe ammasso scuro del tessuto del collo e dei muscoli esposti. In parte schizzò nel barattolo per campioni, ed in parte sulle mani di Mahòney. Questi mollò immediatamente il barattolo, che traballò sul ripiano del tavolo ma senza cadere. Mahoney corse al lavandino. Sembrava che né Starkovski, né il capo si sentissero bene. Bill continuò. «Prova ulteriore del fatto che fosse già morta quando le è stata tagliata la testa è la macchia di sangue essiccato sul corpo. Vedete qui? Il sangue è troppo uniforme, sparso in maniera troppo omogenea. Se il cuore avesse pompato mentre avveniva la decapitazione, vedremmo qualcosa di più di un disegno astratto a spruzzo, ed anche meno sangue, perché la maggior parte di questo sarebbe schizzato lontano dal corpo piuttosto che su di esso. Io direi che la rimozione della testa è avvenuta per soddisfare qualche bisogno rituale o per cercare di disorientarci.» Nessuno disse una parola. Mahoney, asciugandosi le mani con una salvietta di carta, assunse un cipiglio di stizza. Lo sguardo di Starkovski esprimeva il pensiero che Bill fosse pieno di merda, ma era meno sardonico, il capo sorrideva leggermente, contento di vedere smascherati Mahoney e
Starkovski. «Naturalmente, desidero aspettare che il medico legale se ne accerti, quindi sarà meglio che questo glielo conserviamo.» Indicò il barattolo con la piccola quantità d'acqua. «Non sono qui per cercare di fare colpo sul pubblico ma solo per fare il mio lavoro,» disse tranquillamente, dando a Mahoney uno sguardo che lo sfidava a fare lo stesso. «Fino a quando non potremo avere un medico legale facciamo così,» disse il capo con un tono di compromesso. «Bill condurrà la sua indagine, e tu Mahoney condurrai la tua. Quando arriverà il rapporto del medico legale avremo un colloquio e confronteremo gli appunti, allora inizieremo a collaborare per un'offensiva unitaria.» Lo sguardo sulla faccia di Mahoney dimostrò a Bill che erano d'accordo che l'idea del capo fosse demenziale, tuttavia acconsentì. Senza George al suo fianco sarebbe stato perso. Anche Mahoney accettò con riluttanza, ed il capo disse ai due agenti di riportargli la macchina a Crocker - lui sarebbe tornato con Bill. «So che non è l'approccio migliore per risolvere il caso, ma ora come ora Mahoney ed il suo agente devono essere trattati con i guanti,» spiegò George dopo che i suoi uomini se ne furono andati. «Temono per il loro lavoro, e giustamente. Come ti ho detto, si è molto parlato al consiglio cittadino di fare tagli alla forza pubblica e di lasciare tutto alla polizia di Stato. Crocker è piccola, è più un paese che una città, e con l'economia e la disoccupazione che c'è molta gente pensa che sarebbe una buona idea ridurre in proporzione alla grandezza della città gli organici della polizia, dei pompieri e degli insegnanti.» Bill annuì. George non doveva spiegare, ma Bill era contento che l'avesse fatto. Gli faceva sentire che George lo stimava e che lo stava trattando in maniera paritaria, il che era di considerevole aiuto per la fiducia di Bill. «Gli hai dato una bella dimostrazione là dentro,» disse il capo con un sorriso mentre risalivano insieme le scale. «Hai aperto gli occhi a Mahoney. Penso che si farà vivo. È un bravo poliziotto, bravo negli interrogatori. Penso che capirà che da te può imparare molto. Starkovski è un'altra cosa. È duro di comprendonio e testardo come un mulo.» Una volta fuori, George si girò verso Bill. «C'è un'altra cosa che voglio dirti, ma volevo aspettare che fossimo soli. Penso che sia meglio che la tiri fuori immediatamente.» Fissava a disagio i propri piedi. «Cosa c'è, George?» «Volevo solo... volevo solo scusarmi per averti abbandonato proprio
quando cominciavi ad avere dei problemi. Ero troppo - lo sai - preso dalla mia carriera. Quando hai cominciato ad avere dei problemi con la tua famiglia, avrei dovuto starti vicino.» «Lo sei stato George.» Bill cercò di lenire il senso di colpa dell'amico mentre entravano in macchina. «Sono stato io che ti ho abbandonato. Mi ricordo che tu cercavi di aiutarmi, ma io ti ho respinto. Non avrei lasciato che nessuno mi aiutasse. Non mi devi nessuna scusa, George. In caso, io ti devo, e a chiunque mi conosceva allora, delle scuse.» George sembrò sollevato. «Lo sai, ancora oggi, non so ancora cosa ti sia successo. So che si trattava di una specie di tragedia familiare, ma tu hai lasciato la polizia e sei sparito così velocemente, nessuno sembrava sapere quello che era successo, o non lo dicevano.» George alzò la mano prima che Bill potesse rispondere. «Se non vuoi parlarne, a me sta bene. Volevo solo che sapessi che mi dispiace. Non mi devi nessuna spiegazione.» «No. Va bene. Penso che tu meriti di sapere.» Bill fece uscire la macchina dal parcheggio e fissò lo sguardo sulla strada. Iniziò a parlare lentamente mentre la sua memoria enumerava le immagini dei momenti peggiori della sua vita sulle schermo della sua mente. Immagine: eccolo, che fa una lezione agli studenti dell'Accademia della Polizia di Stato sul bisogno di rimanere imparziali ed emotivamente distaccati in qualsiasi caso, non importava quanto fosse atroce il crimine, quando fu interrotto dalla notizia che suo padre era morto. Immagine: eccolo al quartier generale della Polizia dello Stato della Pennsylvania mentre guarda le foto di donne uccise e stuprate, ottantanove, ed ascolta gli agenti che gli mostrano la prova che non lasciava dubbi che fosse suo padre, un fotografo della Polizia Criminale dello Stato della Pennsylvania, ad esserne l'esecutore. Immagine: eccolo, in piedi nel soggiorno della casa nella quale è cresciuto. Ai suoi piedi un grumoso sacco nero che contiene quello che rimaneva di suo padre, che si era piantato un fucile in bocca e fatto saltare gran parte della testa quando aveva capito che stava per essere smascherato come assassino seriale. Immagine: eccolo, che legge il diario che suo padre aveva tenuto, completo di foto, che racconta nei dettagli e rivela i suoi omicidi, eliminando ogni dubbio al quale Bill poteva aggrapparsi riguardo alla colpevolezza del padre. Immagine: eccolo, che abbandona l'arma, senza dare spiegazioni, e si trasferisce a Pottsville, comprando la prima di migliaia di bottiglie di Jack
Daniels e si perde nell'abbraccio inebriante del whiskey. Il capo non disse niente quando Bill finì di parlare. Guidarono in silenzio per un po'. Voleva di nuovo scusarsi, per esprimere in qualche modo la sua partecipazione, ma era un uomo che aveva sempre avuto difficoltà a pronunciare parole di compassione. «Il trauma di scoprire che mio padre era stato un assassino seriale ed uno stupratore per la maggior parte della sua vita... è stato veramente troppo,» disse Bill dopo un po'. «Mi sono sentito frodato. Tutto quello che mi aveva insegnato su ciò che era giusto e su ciò che non lo era e sull'onore di avere una parte nell'applicazione della legge divenne solo un'ipocrisia. Eccomi, corteggiato come il migliore agente investigativo che lo stato del Massachusetts possa offrire, e non sono nemmeno stato in grado di vedere quello che per anni stava accadendo proprio davanti ai i miei occhi. «Sono impazzito. Ho avuto un collasso nervoso. Ho immaginato ogni tipo di follia, ed ho cercato di sfuggire dalla realtà con la bottiglia. Se non fossi tornato a Crocker perché avevo bisogno di soldi e volevo vendere casa, non avrei mai incontrato Cindy, mia moglie. E se questo non fosse accaduto, penso che sarei morto proprio come la povera Grace Simonds.» «Tua moglie deve essere una gran donna,» rispose il capo. «Lo è,» concordò Bill. «Per quel che può valere, io sono contento che sei tornato,» disse il capo con un cenno di orgoglio. «Grazie, George, anch'io lo sono... penso.» Fuori campo. Una voce in un sogno. «Non avrei mai pensato che l'avresti fatto, Wilbur.» Preme il tasto di accensione sul telecomando. Apre gli occhi. Lo schermo è una nuvola bassa e lui giace all'aperto. Una ghiandaia blu vola urlando il suo nome: Wilbur! Wilbur! Wilbur! Lui riconosce la voce, una ragazza. «Non pensavo che l'avessi in te.» Adesso non è più la voce di un sogno. Si mette a sedere sul letto. La luce grigia del video vacilla dalla credenza aperta. Sente che la testa si gira in quella direzione, totalmente sconnessa dal resto del corpo. Viticci di nebbia guizzante escono furtivamente dal vano della porta come fantasmi in fuga. «Chi c'è là?» chiede, incerto se siano stati i suoi occhi o la sua bocca à
pronunciare quelle parole. «Ho sempre saputo che Lui L'aveva in sé, ma non tu.» Cambio di canale. «Va bene, partecipanti, il tempo è scaduto. Nessuno vuole provare ad indovinare chi sia il nostro ospite misterioso? Wilbur?» «È... Deb?» «Hai ragione! Via le maschere, partecipanti, e salutate la nostra ospite misteriosa: Deb, la porno-star bambina fuggita di casa.» Applauso registrato. Entra il tema musicale. Stacco della pubblicità: «Chiamate 900-PORNO-BIMBI ed imparerete tutti i miei stuzzicanti segreti,» dice Deb, poltrendo su un letto coperto da una pelliccia. È una cosetta magra di quindici anni con un grosso seno e senza fianchi, vestita con un corpetto di cuoio ed un tanga borchiato di stelle d'ottone ed ornato con delle catene. «Chiama adesso e saprai tutto degli abusi che ho dovuto sopportare dalle mani del mio patrigno. Saprai come sono fuggita e come sono diventata una porno-star bambina a dieci anni. Chiamate adesso e vi manderemo, assolutamente gratis, il mio ultimo film porno, La grande Annusata.» Un video bianco e nero sgranato. Deb è legata con il seno nudo e vogliosamente distesa in una vasca da bagno. Il suo perizoma di cuoio è senza cavallo. Della gente si muove intorno a lei, con le facce nascoste in cappucci neri. La frustano. Lei urla. La macchina da presa cambia inquadratura. Gesù è in un angolo che stringe una lunga sbarra di legno con una punta affilata come il rasoio. Lo punta tra le gambe di Deb e carica. «Non sembra eccitante?» Deb è di nuovo sul letto ricoperto di pelliccia, ma adesso le sue gambe sono imbrattate di sangue. «Sto aspettando la vostra telefonata. Solo tre dollari e novantacinque per il primo minuto, poi cinque dollari a minuto. Chiamatemi. Vi voglio.» «Se mi avessi voluto così tanto, non te ne saresti andata nell'etere,» disse Wilbur. «Non mi avresti lasciato.» Wilbur spegne lo schermo nella sua testa e scende dal letto. Nello specchio vede Deb seduta in una pozza del proprio sangue sul materasso dal quale si è appena alzato. «Saremmo dovuti scappare via, Wilbur. Pensavo che stavi scherzando quando mi parlavi di Gesù e della tunnelvision. Non ti farà smettere né adesso né mai. Tutto questo gli piace. È meglio che ti abitui.» «Dove pensi che abbia messo la sua testa?» «Non lo farò!» grida lui. «Non andrò con Lui. Resterò con Nonna.»
Deb si rimette sdraiata ed il sangue si sparge per il materasso. «Ehi, Wilbur,» dice lei a bassa voce. Il suo corpo inizia a sembrare strano, la pelle tesa e rigida. «Ti ricordi quello che ti ho sempre detto?» La sua pelle è cristallina, e si indurisce nella lucentezza di una gemma sanguinolenta. «Fai quello che devi fare,» risponde lui. Il suo corpo di cristallo inizia ad evaporare, riempiendo la stanza con una nebbia rossa scintillante che lo ricopre di una rugiada rubino. Lui chiude gli occhi. Quando li riapre è nel soggiorno. Gesù sta in piedi davanti alle mensole dove sono allineate delle videocassette nere. «Queste soni i testi sacri dell'espiazione,» dice Gesù, con il tono di Orai Robert. Wilbur guarda i titoli delle videocassette. Manca la prima, Addestramento al bagno. «Così come io ho sofferto» dice Gesù, «così dovranno soffrire anche coloro che hanno fallito nel pensiero. La prima espiazione è stata compiuta.» Wilbur può sentire il suo fiato sul collo. Il figlio di Dio raggiunge i nastri con le braccia e le mani di Wilbur. Le videocassette iniziano a cadere dalla mensola fino a quando non prende quella giusta. I primi due anni e dieci film, in cui Gesù ha preso il posto di Wilbur, commettendo atti per adulti con altri bambini, sono sparsi ai suoi piedi. «Questi non sono importanti,» dice Gesù, facendo da parte con un calcio i nastri. «Questi sono peccati veniali». Il prossimo nastro sulla mensola è intitolato: "Fumando nella Stanza dei Bambini". «Questo deve essere scontato,» Gesù getta il nastro oltre la sua spalla. Fa delle capriole in una serie di fermo-immagine nel videoregistratore dove scivola dentro il congegno con uno scatto ed un sospiro. Il nastro avanza. La faccia triste del figlio di Dio appare sullo schermo, guardando Wilbur. «Sono sempre stato là con te e nessuno mi ha mai visto.» Gli occhi del Salvatore si gonfiano. Wilbur sente una terribile pressione sulla testa. Lo schermo della televisione si dilata. Un grido cerca di fuggire dalla bocca di Wilbur, ma i suoi denti serrati non lo lasciano passare. Lo schermo della televisione esplode, spargendo video su tutta la realtà. Con un lampo egli è consumato dalla luce grigia. In trappola. Qui non c'è Gesù, nessuno che possa prendere il suo posto. Wilburè in video: è nella sceneggiatura. Scena 1 : Un ragazzino in bianco e nero pasticcia vicino ad un lavandino
sporco, leggermente fuori fuoco. Il colore si bilancia, l'immagina si schiarisce. Stacco: Scena 2: (Primo Piano) Il bambino ha una sigaretta in mano. Non può avere più di quattro, cinque anni ma si mette la sigaretta in bocca e la aspira come un adulto. In sottofondo si può sentire il motivo indistinto di Crosby, Stills e Nash "Teach Your Children". Stacco: Scena 3: Maria-non-Madre scarsamente vestita pulisce il gesso da una lavagna. Stacco: Scena4: Maria-non-Madre lo trova vicino al lavandino con le cicche. Stacco: Scena 5: Maria-non-Madre gli tira giù i pantaloni e lo sculaccia duramente con un righello. Stacco: Scena 6: È legato nudo al letto. Mary-non-Madre accende una sigaretta e gli si siede accanto. Insegna prima alle sue braccia, poi al suo petto, poi ai genitali che fumare nella stanza dei ragazzi non rientra nelle regole. Il nastro finisce. Il video si allontana. Inizia a schiumare e si ricompone, risucchiando al proprio posto i vetri e sigillandoli con crepitii di elettricità. Il fantasma del vecchio dolore lo possiede. Trova sollievo nella vasca piena d'acqua fredda. Gli tremano i denti fino a fargli male, ma è in sostanza un dolore minore di quello che prova se cerca di uscire dall'acqua. Gesù è nello specchio dell'armadietto dei medicinali. «È l'ora della prossima espiazione,» dice con lo stile da predicatore della dannazione tra le fiamme dell'inferno di Jimmy Swaggart. *** L'agente speciale Bill Gage stava guidando verso il campus del Crocker State College. L'università era situata sul luogo del primo insediamento bianco conosciuto, un fortino protetto con un recinto costruito da Josiah Crockernel 1698. Era incuneata, verso nord, sotto i ripidi pendii erbosi di Hospital Hill e si estendeva fino alla Palude Coolidge. Bill voleva dare un'occhiata al dormitorio di Grace Simonds. Era anche interessato a controllare in privato l'incartamento sul caso dell'omicidio Simonds. Il Capitano Mahoney gli aveva assegnato un ufficio grande quanto un ripo-
stiglio che era attualmente pieno di pile di moduli d'arresto desueti. Mahoney gli aveva assicurato che la stanza sarebbe stata ripulita in giornata, ma Bill dubitava che la scrivania avrebbe potuto comunque entrarvi. Se ne sarebbe occupato con George quando l'avrebbe visto, a fine giornata; al momento aveva cose ben più importanti da fare che sprecare il tempo ad impegnarsi in un gioco di forza con Mahoney. La cartellina dell'incartamento era aperta sul sedile accanto a lui, in modo da potergli dare un'occhiata mentre guidava nel campus, seguendo i cartelli che indicavano il Dormitorio Whistler dove aveva vissuto Grace Simonds. Parcheggiò la macchina davanti all'edificio svettante e spinse il suo sedile indietro. Accavallò le gambe il più comodamente possibile sotto il volante, poi prese l'incartamento. La maggior parte del lavoro d'indagine, la raccolta dei dati, gli interrogatori alla famiglia, agli amici, agli ultimi che l'avevano vista, etc., era già stato fatto. Ciò gli dava un punto da focalizzare per cominciare. Grace Simonds era la figlia di Lionel Simonds, proprietario degli Stabilimenti dell'Acciaio Simonds. Era una studentessa anziana dell'università, iscritta al programma d'economia. Aveva cominciato con la specializzazione in assistenza sociale ma il secondo anno aveva cambiato. Gli amici la descrivevano come un'anima caparbia ma anche amabile e libera, sempre cordiale e pronta ad aiutare chiunque, in qualsiasi momento: queste erano le qualità che qualsiasi genitore sarebbe stato orgoglioso di essere riuscito ad instillare ai propri figli se non avesse saputo che queste qualità avrebbero potuto un giorno portare alla morte. I suoi amici dicevano che amava tantissimo la propria indipendenza, tanto da essersi ostinata a voler vivere nel dormitorio nonostante la casa dei genitori fosse a meno di cinque minuti dall'università. Sempre secondo gli stessi amici - per lo più, la sua compagna di stanza ed altre due ragazze ultimamente era diventata estremamente ribelle. Da quando aveva cominciato ad uscire con un nuovo tizio, dissero, un certo John Cavant, che aveva un solido alibi per l'ora della sua morte. Aveva cominciato a bere molto e a fumare canne, cose che prima faceva raramente. La notte in cui era scomparsa era, in effetti, stata fuori a fare baldoria con il suo bello. Quella notte - o meglio, la domenica mattina - era stata vista in due momenti diversi con due uomini diversi. Uno era stato identificato senza alcun dubbio come il suo ragazzo, che era stato visto mentre la scaricava davanti alla porta posteriore del suo dormitorio, l'altro era un uomo misterioso fra le cui braccia era stata vista una ventina di minuti dopo, proprio fuo-
ri dalla porta del dormitorio. A quell'ora la sua compagna di stanza era a letto a dormire, ma si svegliava sempre quando entrava Grace. Quella notte non l'aveva fatto. Questo fatto, più il letto intatto di Grace, sembravano indicare che lei non fosse mai tornata nella sua stanza. Bill mise via un foglio e scoprì una foto della ragazza morta sul pavimento davanti al Teatro Sàxon dove era stata trovata. Giaceva con le gambe tese, le braccia ripiegate sul seno. Aveva rinviato quel momento per guardare le foto della polizia. Era il tipo di foto che suo padre scattava come fotografo della Polizia dello Stato della Pennsylvania. Era il tipo di foto che faceva alle sue vittime, da guardare e sulle quale gongolarsi nel suo album come un vecchio pervertito che sbavava su un bambino innocente. Scacciò il pensiero. Le fotografie erano inutili. Grazie a quello che suo padre gli aveva insegnato sulla fotografia, per Bill, quando era agente investigativo, fare lui stesso le foto era diventato parte integrante della sua tecnica investigativa. Il fatto che l'avesse imparato da suo padre non faceva nessuna differenza. Era uno strumento utile, che avrebbe dovuto riutilizzare di nuovo se voleva essere il più efficace possibile, non importava quanto gli ricordasse suo padre, o quanto lo faceva sentire come suo padre. Appena tornato a Bolton, per prima cosa era andato in un vecchio supermercato sulla John Crocker Highway, non molto lontano dal campus, ed aveva comprato una Polaroid Sunburst e tre confezioni di pellicola. Tirò fuori la macchina fotografica e caricò la pellicola, e nel farlo pensò a quei venti minuti tra le ultime due volte in cui Grace Simonds era stata vista viva. Quel buco l'infastidiva. Se non era arrivata nella stanza, era andata nella stanza di qualcun'altro? Non era entrata affatto nel dormitorio? Forse si era incontrata con l'uomo misterioso fuori del dormitorio quando fu lasciata dal ragazzo? Tirò fuori una matita ed appuntò una nota sulla copertina della cartella di carta manilla per ricordarsi di far parlare qualcuno con tutti i residenti del dormitorio. Sembrava che il primo agente investigativo, che era Starkovski, non si fosse preoccupato di controllarli. Aveva interrogato solo quelle persone che si erano fatte avanti per offrire delle informazione. Bill fece un'annotazione sulla cartellina per ottenere gli uomini di rinforzo che George aveva promesso per gli interrogatori e un altro appunto per farli parlare con tutti gli studenti delle classi di Grace Simonds ed anche con i suoi insegnanti.
Con la macchina fotografica pronta, Bill uscì dall'automobile e si andò a mettere davanti all'edificio. Fece un paio di scatti della facciata, per provare la macchina fotografica, mettendo le foto che si stavano sviluppando nella tasca del cappotto. Si diresse verso il sentiero asfaltato che fiancheggiava l'edificio. Conduceva a due parcheggi sul retro, dove c'era bisogno di un cartellino adesivo per poter posteggiare legalmente, ed alla porta di servizio del dormitorio. Fece una fotografia ad ogni parcheggio ed al loro collegamento con il dormitorio e se le mise in tasca, tirando fuori le altre due. Si erano sviluppate bene ed erano foto buone per quello che permetteva la macchina. Percorse il sentiero che conduceva dal secondo parcheggio alla porta del dormitorio. «Grace Simonds è stata vista uscire dalla macchina del suo ragazzo qui approssimativamente all'una ed un quarto del mattino da qualcuno che stava lasciando il dormitorio.» Rifletté ad alta voce. Si fermò per un lungo istante a guardare il secondo parcheggio poi percorse il sentiero fino alla porta di servizio del dormitorio. «Dopo circa venti minuti è stata vista qui..» Si fermò in una nicchia creata da colonne sporgenti di cemento al lato dell'entrata. «Stava baciando qualcun'altro.» No, baciare era un'ipotesi che faceva venire in mente il vecchio modo di dire che quando si ipotizza si cerca di fregare te e me, un altro dei proverbi preferiti di suo padre. Se l'uomo misterioso aveva aspettato Grace, doveva averlo fatto nel parcheggio. Altrimenti sarebbe stato visto dal testimone che aveva visto Grace tornare. Non c'era nessun posto dove nascondersi; era troppo aperto. Persino il punto più nascosto dove Grace era stata vista sbaciucchiarsi era troppo poco profondo ed aperto per nascondere qualcuno. Se l'uomo misterioso avesse voluto controllare il retro del dormitorio da una posizione appartata, il solo modo possibile era da una macchina nel secondo parcheggio. Lui segnò di controllare con la polizia del campus per vedere se qualcuna delle macchine di quel parcheggio avesse avuto una multa perché priva del contrassegno adeguato. Secondo l'incartamento, i poliziotti del campus facevano il giro in macchina di tutti i parcheggi ogni due ore, secondo un programma variabile che non seguiva nessuno schema. Di domenica mattina avevano pattugliato all'1:00 del mattino e di nuovo alle 2:25. Era possibile che l'assassino fosse nel parcheggio già all'1:00 in attesa, a meno che non stesse seguendo lei ed il suo ragazzo, una possibilità molto diversa. Bill camminò avanti ed indietro davanti all'ingresso, facendo foto al
punto in cui era stata vista baciare l'altro, all'entrata, alla vista del parcheggio da quel punto. Infilandosi le istantanee in tasca, entrò. Fece delle foto all'ingresso interno ed al corridoio che portava agli ascensori. Non trovò nessun motivo per ispezionare la sua stanza. Era già stata ispezionata dal tizio della scientifica del dipartimento. Bill aveva il suo rapporto nell'incartamento. Sperava che il tenente Hanson, quello della scientifica, sapesse come fare il proprio lavoro meglio di come Frank Starkovski sapeva portare avanti un'indagine sull'ambiente. Percorse un breve tragitto dell'ingresso e scattò un altro paio di fotografie prima di dirigersi fuori alla sua macchina. Le tasche del cappotto erano rigonfie di istantanee che, una volta entrato in macchina, mise nella cartella. Adesso arrivava la parte più dura di qualsiasi indagine d?omicidio: interrogare i genitori della vittima. Ivy finì l'ultima pagina de La spia che mi amava e chiuse il libro. Era sorpreso da quanto il libro fosse diverso dallo stupido film con Roger Moore che aveva visto in televisione. Non capiva perché Hollywood avesse preso un così bel libro e l'avesse cambiato fino a che la sola cosa che questo ed il film avessero in comune fosse il titolo. Il film La spia che mi amava era una storia ridicola, poco credibile, ambientata in tutto il globo con altrettanti personaggi ridicoli e poco credibili quali lo Squalo, l'assassino con i denti di metallo, che era indistruttibile (ed altrettanto realistico) come un personaggio dei cartoni animati. Ma il romanzo era una storia piena di suspense, e densa d'azione in cui tutto avveniva nei confini di un piccolo albergo lungo il margine della strada. E, a differenza del film, nel libro c'era ben poco di sdolcinato, ii che andava benissimo per l'undicenne Ivy. Ivy scese dal letto ed andò all'armadio, per tirar fuori la scatola di romanzi di James Bond che Barbara gli aveva dato, da sotto il mucchio di panni sporchi, dove li aveva nascosti. Poiché uno dei suoi tanti compiti domestici era quello di preparare la biancheria che sua madre doveva portare in lavanderia, non doveva preoccuparsi che lei potesse trovare i libri. L'aveva raramente visto leggere un libro ed avrebbe potuto insospettirsi se li avesse trovati o se l'avesse visto leggerli come realmente faceva. Benché sua madre gli chiedesse ogni sera a cena cosa avesse fatto durante il giorno, a scuola e nel tempo libero, non le aveva ancora raccontato della sua nuova amica, Barbara Wallach. Una ragione era che sua madre lo faceva solo per riflesso. Faceva parte delle sue abitudini. Non le importava
nulla delle sue risposte, né le ascoltava, come Ivy scoprì una notte quando la mise alla prova dicendo di aver marinato la scuola ed aver fatto l'autostop fino a Hampton Beach. Lei aveva tenuto i suoi occhi annebbiati incollati su quello stupido tubo catodico, con il bicchiere ben stretto in mano, la cicca onnipresente penzolante dalle labbra, borbottando, «È grazioso,» tra una tirata e l'altra. Per quanto riguardava Ivy, la sua indifferenza era una ragione sufficiente per non parlarle di Barbara. Ma dietro il suo silenzio c'era un disegno più grande. La madre probabilmente già sapeva che Barbara viveva nella strada e che veniva considerata la barbona-alcolizzata del quartiere. Se avesse scoperto che Ivy trascorreva ogni pomeriggio e la maggior parte dei suoi fine settimana con l'anziana donna, era sicuro che glielo avrebbe proibito. Già questo sarebbe stato abbastanza spiacevole, ma Ivy temeva che sua madre non si sarebbe limitata solo a ciò. Il giorno che suo padre era morto, la madre di Ivy era cambiata. Da allora Ivy aveva smesso di cercare di scoprire perché lo trattasse jn quel modo. Da un canto, lei era in linea generale indifferente nei suoi confronti, troppo compresa nei suoi problemi e nei continui dispiaceri. Ma qualche volta era così premurosa (specialmente quando lui era malato, il che era raro, o ferito), che eccedeva nel proteggerlo. Ivy riteneva probabile che se avesse detto a sua madre di Barbara, lei avrebbe chiamato la polizia ed avrebbe fatto arrestare la sua amica per molestie a minori o qualcosa del genere. E Ivy non avrebbe mai voluto fare subire a Barbara una cosa del genere. Così, come la sua straordinaria intelligenza, Ivy tenne nascosta a sua madre la sua amicizia con Barbara. Ivy si portò la scatola dei libri a letto e li tirò fuori tutti, disponendoli sulla sua trapunta logora nell'ordine nel quale erano stati pubblicati. Li aveva letti tutti fino a La spia che mi amava ed era dispiaciuto che fossero rimasti da leggere solo pochi libri della serie. Era combattuto: voleva leggere con calma gli ultimi libri ed assaporarli, ma al tempo stesso, voleva divorarli il più velocemente possibile, in modo da riviverli nei suoi giochi e nella sua immaginazione. Inutile dire che non era un dilemma spiacevole. Ivy aprì Al Servizio Segreto di Sua Maestà, il libro successivo della serie ma non iniziò a leggerlo. Si sdraiò e tenne in alto il libro per guardarlo. Pensò a Barbara ed al suo entusiasmo per i romanzi di spionaggio, che erano, sotto ogni punto di vista, buoni come lei aveva detto. Era contento di avere cambiato idea su Barbara. Dopo la loro avventura
con Slice Sanchez e i suoi compari, fu certo che lei era quello che sembrava. Ed ora, a causa dell'episodio di Slice, si era aggiunto un nuovo elemento: per la prima volta nella sua vita, qualcuno aveva bisogno di lui, aveva veramente bisogno di lui. Sua madre non si era mai avvicinata a lui dopo la morte di suo padre, e lui non aveva mai avuto la possibilità di mutare il suo dolore prendendosi cura di qualcuno e consolandolo, portandolo ad una guarigione. Invece era stato costretto ad affrontare la sua sofferenza da solo, e questa si era trasformata in rancida amarezza. Faceva bene avere qualcuno che avesse bisogno di lui, sapere che qualcuno contava su di lui. Sperava che Barbara stesse bene. In un primo tempo, la sua apparente amnesia riguardo quello che era successo nel vicolo l'aveva veramente spaventato, ma poi gli era sembrata a posto, anche se un po' intontita. Da allora, in certi momenti, era quasi sicuro che stesse semplicemente rifiutando di parlare dell'incidente, ignorandolo di proposito per mostrargli, per esempio, quanto fosse stato irrilevante. Ma poi lui si ricordava Slice Sanchez che lo indicava e sapeva che non era affatto irrilevante. Slice Sanchez non sarebbe stato colto d'amnesia riguardo la vendetta nei confronti di Ivy. E sia che l'ammettesse o meno, c'era qualcosa di diverso in Barbara dal momento dell'aggressione, una vaghezza che lo preoccupava più di quello che Slice Sanchez poteva fargli. Si posò il romanzo di Bond sul petto ed incrociò le mani su di esso, chiudendo gli occhi. I suoi occhi si rivolsero alla sua recente nemesi ed iniziò a prendere in considerazione alcuni stratagemmi, alla James Bond, che avrebbe potuto escogitare, per liberarsi di Slice e dei suoi compagni quando avrebbero cercato di prenderlo, perché sapeva che alla fine l'avrebbero fatto. Prendendo una penna ed un foglio del suo quaderno di scuola, iniziò a buttare giù alcune idee e a fare dei piani. CANALE 7 Qui Tunnelvision! II 007 in «Il Caso del Sacchetto dell'Immondizia» Uno Pari Bill Gage si mise a sedere nel letto, trattenendo il respiro, con il cuore che batteva all'impazzata. Un'eco dell'incubo, arrivò fino a lui. Stava a casa di suo padre che guardava l'agghiacciante album di foto e si era imbattuto
nella foto del cadavere decapitato di Grace Simonds. Si sdraiò di nuovo ed ascoltò i rumori della casa: il vento che soffiava all'esterno, gli schiocchi e scricchiolii di assestamento del vecchio edificio, e dalla cucina al piano di sotto il sonoro ronzio del frigorifero, che sembrava essere allo stremo. Bill lanciò un'occhiata a Cindy che gli dormiva accanto e scivolò silenziosamente fuori dal letto per controllare i bambini. Sapeva benissimo che stavano bene - se così non fosse stato, Cindy si sarebbe alzata e si sarebbe presa cura di loro molto prima di lui - ma li controllò comunque per scacciare il sogno dalla testa. Il corridoio che percorreva in lunghezza tutto il secondo piano fino alla finestra in cima alle scale era pieno di vita per le strane ombre che imbrattavano le pareti - foschi mostri creati dalla luce della luna. Prima controllò la stanza delle ragazze, poiché era lungo la strada del bagno. Entrambe le ragazze stavano dormendo, Sassy era tutta rimboccata in ordine e raccoglimento come al solito. Missy era sdraiata sottosopra, con le coperte in disordine, il cuscino sul pavimento. Chiuse la porta, andò al bagno, poi si diresse nella stanza del piccolo, dove Devin dormiva sulla pancia; il pupazzo Ernie infilato sotto le braccia. Bill era sveglissimo. Credo che non sia cambiato niente, pensò, ricordando i fastidiosi periodi d'insonnia che lo avevano sempre afflitto quando si dedicava ad un caso, specialmente ad un omicidio. Una volta che veniva coinvolto, la sua mente non si fermava mai e non si dava un attimo di tregua, persino per dormire e ricaricarsi. Fortunatamente, non era una persona che aveva bisogno di dormire molto. Quando sarebbe stato sovraffaticato, il suo corpo avrebbe compensato ed avrebbe cominciato a pompare adrenalina per poter continuare. Benché odiasse la sua incapacità di dormire, quella notte non gli importava. Quella notte, l'insonnia era la benvenuta; era un altro pezzo che si metteva al suo posto, confermandogli che era rimasto lo stesso investigatore, proprio come quando era uno Statale. Aveva avuto una prima conferma del fatto quando aveva esaminato il corpo mutilato di Grace Simonds. Nel momento in cui si era avvicinato al tavolo ed aveva guardato il corpo da vicino, aveva avuto paura che lo speciale talento che un tempo lo rendeva un eccellente investigatore fosse sparito, annegato in fondo ad una bottiglia di Jack Daniels. Prima di incontrare Cindy, Bill non era famoso per quello che faceva quando guardava una prova, o il luogo di un delitto. Altri poliziotti l'ave-
vano definito "metodico, con un buon occhio per i dettagli", e questa per Bill era una spiegazione buona come le altre. Pensava che tutti avessero la sua stessa capacità - solo che non sapevano come concentrarsi in maniera sufficiente da poterla usare. Era stato durante la terza settimana di sobrietà ed il settimo appuntamento con Cindy in cui si ritrovò a dirle cose che non aveva mai detto a nessuno. Lei fu particolarmente interessata quando lui descrisse la capacità di focalizzare completamente la propria attenzione su un oggetto o una scena, vedendone immediatamente ogni minima sfaccettatura, in dettagli quasi microscopici. Cindy ne era rimasta affascinata e l'aveva spinto a descriverla ulteriormente fino a quando non se ne uscì con un'etichetta, tunnelvision. «Il termine sta a significare qualcuno che rifiuta di vedere la foresta per gli alberi, tanto per dire, ed in termini medici è un difetto visivo,» gli spiegò. «Letteralmente significa guardare attraverso un tunnel: solo una piccola area è chiara. In te, poiché puoi accenderla e spegnerla ed usarla, è un pregio.» In realtà, non era affatto come guardare attraverso un tunnel, ma l'immagine riusciva a dare l'idea generale. Mentalmente, lui eliminava tutto il resto fino a quando non aveva un piccolo punto focalizzato sul quale lavorare, ma continuava a vedere quello che aveva mentalmente eliminato. Se la sua spiegazione avesse aiutato Cindy a capirlo e, in maniera più rilevante, a compiacersi dell'essere riuscita a dare un nome al suo dono, a lui non importava. A quel tempo era già profondamente innamorato di Cindy ed era pronto ad abbandonare la bottiglia se lei avesse acconsentito a sposarlo. Tornò alla porta della camera da letto e guardò sua moglie che dormiva. Il display della radiosveglia sul comodino segnava le 3:45. Poiché sarebbe stato inutile andare a letto - si sarebbe semplicemente agitato e rigirato ed avrebbe svegliato Cindy - andò al piano di sotto, al frigorifero ronzante per un bicchiere di latte. L'incartamento dell'omicidio Simonds era in cima al frigo dove l'aveva messo in modo che i bambini non potessero raggiungerlo. Qualche giorno prima, il piccolo Devin aveva scoperto il cassetto personale delle carte di Bill sotto la televisione ed aveva assalito le copie del curriculum, del libretto di circolazione, delle assicurazioni e delle ricevute delle tasse, ed altri importanti documenti. Bill prese l'incartamento e se lo infilò sotto il braccio. Sorseggiando il latte freddo, andò nel soggiorno.
Posò il bicchiere di latte e l'incartamento sopra la televisione mentre toglieva le riviste ed i centrini di pizzo dal tavolino davanti al divano. Avvicinò il tavolino alla poltrona e recuperò il latte e l'incartamento, piazzandoli entrambi sul tavolo e si mise a sedere. Quando apri la cartellina le istantanee, che aveva fatto al dormitorio di Grace Simonds, alla casa dei suoi genitori, nella sua stanza da letto, caddero. Mise da parte le foto della casa e della camera da letto - erano state scattate più che altro per aiutarlo a farsi un'idea della ragazza e di come fosse e non per essere esaminate - e sistemò quelle del dormitorio e delle zone limitrofe nell'ordine in cui le aveva scattate. Dal fondo dell'incartamento, prese le foto ufficiali della polizia della facciata del Teatro Saxon e del corpo e le sistemò di lato in una pila ordinata per dopo. Accanto a queste sistemò le foto di famiglia che i genitori le avevano dato. Mostravano un'altra Grace Simonds, una ragazza ancora felice di essere in compagnia della sua famiglia, alla spiaggia, in un parco acquatico, in piedi con suo padre e nel primo abito per il ballo studentesco, o che posava con un sorriso luminoso per la foto del liceo. Con le foto, i suoi genitori gli avevano anche dato un vecchio sacchetto di carta sigillato e stinto che conteneva un boccolo del primo taglio di capelli di Grace. Era stato difficile, ad essere sinceri, interrogare il signore e la signora Simonds. Bill si aspettava che Lionel Simonds fosse uno di quegli arroganti capitani d'industria che pensano che il governo e la polizia siano impiegati privati, ma rimase sorpreso. Era la moglie di Simonds, Lea, invece, ad essere un personaggio del genere, una grande socievolezza in un piccolo stagno. Lionel Simonds era un uomo estremamente tranquillo, riservato e imperturbabile. Mentre sua moglie aveva investito Bill con molte domande, diventando sempre più stridula fino a che non esplose in un pianto isterico. Lionel Simonds si era seduto ed aveva fissato il soffitto. Quando sua moglie perse il controllo, era andato con calma da lei e l'aveva consolata. Bill mise i capelli insieme alle foto di famiglia e li spinse, insieme ai Simonds, in un angolo del tavolo ed in fondo ai suoi pensieri. Sentiva la morsa del senso di colpa che aveva sempre provato quando si preparava ad usare la tunnelvision. Si sentiva così freddo ed insensibile nel mettere da parte i genitori della vittima ed il loro dolore, in parte perché gli riusciva facilmente e bene. Non importava quanto qualcosa lo rattristasse, riusciva a relegarla in un angolo della sua mente per poi occuparsene al momento opportuno. Faceva tutto parte della sua autodisciplina e concentrazione, e non era un riflesso del suo equilibrio emotivo o mentale, anche se era sicu-
ro che nei tempi passati, gran parte dei suoi colleghi avevano pensato che fosse freddo come una pietra. Rivolse la sua attenzione alle fotografie. Immediatamente ripose nella cartella le foto del corpo di Grace all'obitorio. Non gli avrebbero detto niente di più di quello che il suo esame diretto non avesse già fatto. Sparse sul tavolo gli scatti della polizia davanti al Saxon Theatre. Aveva fatto una visita al Saxon Theatre dopo essere stato a casa dei Simonds, ma la polizia, i segugi della stampa, ed il pubblico affamato di sangue avevano setacciato tutto il posto. Sperava che queste fotografie, che erano state prese prima che qualcosa fosse toccato da qualcuno, gli mostrassero una traccia. Era sempre meglio, per prima cosa, dare un'occhiata al luogo del delitto direttamente, ma poiché questo era stato impossibile, le foto erano la seconda cosa migliore. Prese la prima di una serie di sei. Era una otto-per-dieci- in bianco-enero lucida del corpo di Grace Simonds scattata dal marciapiede. La maniera in cui era stata con cautela deposta significava che l'assassino aveva trascorso un po' di tempo là a sistemarla. Aveva avuto una fortuna sfacciata che non fosse passato nessuno e l'avesse visto. Bill aveva visto e sentito già in precedenza che la stessa fortuna cieca aveva lavorato tante volte a favore di assassini tanto da sembrare inverosimile. L'assenza di sangue sull'asfalto intorno al corpo indicava chiaramente che non era stata decapitata là. Raccolse la foto successiva, scattata con un angolo di ripresa più basso di quello precedente. Dopo averla contemplata per alcuni istanti la ripose e raccolse quella seguente, poi un'altra ancora. Non stava ancora guardando le foto. Le stava usando come punto focale per procedere in un processo di isolamento sonoro, eliminando tutti i singoli rumori della notte. Eliminò il vento esterno, il ronzio del frigo, gli scricchiolii ed i gemiti della casa tormentata dal vento ma quieta per la notte, e persino il suo respiro e il battito cardiaco. Su di lui calò un silenzio mentale e fu pronto ad iniziare a focalizzare i dettagli della fotografia. Prese di nuovo la prima fotografia, ne assorbì i tratti generali, e la dissezionò in tre parti, ed ogni parte sarebbe stata esaminata individualmente. La prima era la parte superiore della foto ed includeva la metà inferiore delle porte del teatro ed il marciapiede dalla base delle porte fino a sopra il corpo. Le porte avevano incrinature a ragnatela che attraversavano le lastre di vetro, la pittura era scrostata, le maniglie d'ottone erano talmente annerite che si riusciva a malapena a leggere SPINGERE. Il marciapiede davanti
alle porte era sporco, con mucchietti secchi di gomme da masticare e varie macchie di origine imprecisata. Erba bruna giaceva morta in una crepa, in attesa che la primavera la rianimasse. Bill dubitava che l'assassino si fosse avvicinato alle porte del teatro. La sezione successiva era in mezzo alla fotografia ed includeva il corpo dalle ginocchia in su fino al marciapiede di cemento incrinato e con la superficie a nido d'ape. Sul marciapiede, approssimativamente ad un pollice a destra dalla sua coscia sinistra, c'era un puntino scuro e tondeggiante. Lo mise a fuoco più da vicino. Poteva essere una macchia che aveva raccolto lanugine e sporcizia della strada, dandogli una sommità increspata, o era una macchia di sangue mista a capelli o tessuto. Se fosse stato così sarebbe stata una fortuna. Appuntò mentalmente di controllarlo con il tizio della scientifica, Hanson. Se era sangue, il riccio poteva essere di peli dell'assassino o di qualcosa nel quale la ragazza morta era stata avvolta durante il trasporto. Entrambi sarebbero stati utili, anche se non determinanti a meno che non ci fosse stato qualcosa di insolito nei peli o nel materiale, che rendeva facile l'identificazione. Controllò la macchia in ognuna delle foto ma non fu in grado di chiarirsi ulteriormente. Tornò alla prima foto, finì di esaminare la sezione centrale, che non rivelò nient'altro, e passò alla terza parte, dalle ginocchia in giù, che rivelava le piante dei piedi, ed includeva il marciapiede che correva fuori dalla foto in ogni direzione. In fondo alla pittura c'era il bordo del marciapiede di marmo. Quasi immediatamente, notò un pezzettino piccolissimo di carta che sembrava essere stato infilato o forse era semplicemente posato sulla superficie del marciapiede. Era un pezzeto di carta di mezzo pollice strappato, in un triangolo approssimativo, da quello che sembrava essere il manifesto o la pubblicità di un vecchio film. Poteva decifrare dei caratteri minuscoli che recitavano, ELVIS, e sotto di questo, tempestato, e un po' più in basso xXx. Riconobbe le tre x che erano i simboli dei film pornografici e sorrise. Elvis aveva fatto un film vietato ai minori? Nei suoi ultimi giorni il Saxon Theatre era stato una sala per film a luci rosse, prima che il consiglio cittadino lo chiudesse, ma il pensiero che Elvis avesse lavorato in un film porno gli sembrava troppo comico e non poté fare a meno di ridere sommessamente. Gli venne un'idea. Naturalmente! Un film vietato ai minori che aveva utilizzato un sosia di Elvis. E chiamato il film Jailhouse Codc, o Blow Ha-
waii o qualcosa di altrettanto sottile. Rise di nuovo. Valeva la pena fare un controllo? Guardò di nuovo il pezzetto di carta. Quel pomeriggio non l'aveva visto ed aveva controllato la facciata del teatro abbastanza bene. Il Saxon Theatre era stato chiuso quattro anni prima, ma il pezzo di carta strappata sembrava non essere deteriorato, come se fosse stato strappato di recente. Era un messaggio dell'assassino, un segnale rivelatore che diceva Eccomi, sono qui, venite a prendermi se ci capite qualcosa? Sin dal principio aveva sospettato che questa fosse opera di un assassino seriale, ed un simile comportamento era un tratto abbastanza comune tra di loro. Aveva deciso di controllare con quelli della scientifica per vedere se Hanson l'avesse raccolto. Molto tempo prima aveva imparato a non lasciarsi sfuggire niente. Tranne tuo padre. Il vuoto che lo tormentava riemerse dal nulla, disturbando la sua concentrazione e provocandogli un violento bruciore di stomaco. Respinse il pensiero ed andò a prendere un altro bicchiere di latte per acquietare lo stomaco. Lo mandò giù prima di tornare al tavolino per un altro tentativo. Mise via le foto del teatro lentamente, usandole come punto focale per eliminare tutti i rumori di sottofondo. Non c'era nient'altro che potessero dirgli. Sparpagliò le dieci foto che aveva fatto lui. Con un solo sguardo eliminò le due foto che aveva fatto per prova davanti al dormitorio. Mise le altre in un ordine che rappresentava quello degli eventi in cui fu vista per l'ultima volta Grace Simonds. A differenza delle foto della polizia, non si aspettava che queste istantanee gli rivelassero dettagli sorprendenti o chiarificatori. Piuttosto che esaminarle con gli occhi, usò una forma mentale di tunnelvision per aiutarsi a focalizzare quello che sapeva in modo da poter costruire uno scenario mentale in cui ricreare gli eventi di quella notte. Prima veniva il parcheggio ed il punto dove Grace era stata lasciata. L'assassino forse la stava aspettando, parcheggiato nella sua macchina, poi veniva il sentiero asfaltato che portava all'ingresso sul retro del dormitorio. L'area era esposta, senza nessun posto dove nascondersi. Se l'assassino fosse stato nel parcheggio, avrebbe avuto una vista chiara del suo avanzamento e sarebbe potuto uscire e catturarla in qualsiasi momento, se fosse stato abbastanza veloce. Raccolse un'istantanea che aveva fatto alle porte del dormitorio. Grace Simonds le aveva mai varcate? Era sicuramente arrivata fino all'ingresso, poiché era stata vista là venti minuti dopo. Qualcuno che la conosceva l'a-
veva avvicinata alle spalle? Se ne era andata con quella persona ed era tornata venti minuti dopo? Allora cos'era successo? Era entrata ed aveva trovato l'assassino che l'aspettava? Aveva lottato con il suo amante misterioso, che l'aveva trascinata fuori da qualche parte per affogarla? In pieno dicembre? Lo scenario variava dal probabile/possibile all'improbabile/ridicolo. Ricominciò, partendo dalla sua originaria visione dell'assassino che aspettava nel parcheggio. Si rese conto che anche se l'assassino avesse seguito Grace ed il suo ragazzo, avrebbe sempre potuto parcheggiarsi nel posteggio senza essere visto, specialmente se si stavano scambiando il bacio della buonanotte, come il fidanzato aveva affermato avessero fatto per circa quindici minuti. Passò in rassegna ogni pertugio, da quello del parcheggio a quello delle porte del dormitorio. Ad un certo momento mentre si avvicinava alle porte, immaginò che fosse stata raggiunta dall'assassino. Le porte del dormitorio erano chiuse a chiave. I residenti usavano per entrare delle tessere personali. Una volta dentro, sarebbe stata in salvo. Ma questo non era mai accaduto. Il Capitano Mahoney era convinto che si fosse fermata perché conosceva il suo assalitore, ed era anche per questo che considerava il suo ragazzo come il sospetto numero uno, nonostante il solido alibi che aveva essendo tornato immediatamente nella sua residenza nel collegio rimanendovi per il resto della notte, come testimoniato da una dozzina di altre persone. Bill dovette ammettere di dare molto valore all'idea che lei conoscesse il suo assassino. All'una ed un quarto del mattino, avrebbe mai dato retta ad uno sconosciuto che la chiamava? Forse. Era socievole. Poteva essersi fermata davanti ad uno sconosciuto che non le fosse sembrato minaccioso, ma Bill dubitava che l'assassino fosse una donna. Crimini così sanguinosi e violenti vengono raramente commessi dalle donne. Quando le donne uccidono, sono molto più controllate e pulite. Chi altro poteva non apparire una minaccia? Una persona anziana? Un poliziotto? Quest'ultima era una possibilità, ma secondo la polizia del campus nessuno dei suoi uomini era nelle vicinanze a quell'ora. Il testimone che l'aveva vista venti minuti dopo con l'uomo misterioso, diceva solo che questo indossava abiti scurì. Domani avrebbe controllato se ci fosse stato qualche poliziotto di Crocker per un giro d'ispezione a piedi, o che fosse passato in macchina nelle vicinanze a queir ora. Era più che stizzito per il fatto che nell'incartamento
non vi fosse nulla al riguardo. Controllare se ci fosse stata della polizia nella zona in quel momento avrebbe dovuto essere una delle prime cose che Starkovski avrebbe dovuto fare nelle indagini preliminari. Anche se non ce ne fosse stato nessuno, avrebbe dovuto annotarlo nell'incartamento. Non era la gaffe più grave; Bill dubitava che l'assassino potesse essere un poliziotto della città ma la polizia aveva fatto un lavoro poco accurato e Bill era pronto a scommettere che Starkovski aveva lasciato correre per pigrizia. Che Grace Simonds probabilmente conoscesse il suo assassino, e che avesse in programma d'incontrarlo era uno scenario abbastanza probabile, ma al riguardo c'erano dei problemi e delle domande senza risposte. Se lei avesse conosciuto l'assassino, cosa avevano fatto da quando era stata vista scendere dalla Corvette nei venti minuti successivi fino a quando era stata vista baciare l'uomo misterioso nell'ingresso? Non era andata nel dormitorio, o almeno non fino alla sua stanza. Almeno un'altra persona era entrata nel dormitorio durante quei venti minuti e non aveva visto e sentito né Grace, né il suo uomo misterioso. Dunque cosa avevano fatto Grace ed il suo uomo, che probabilmente conosceva, durante quei maledetti venti minuti? Era un incontro prestabilito? Se così, potevano essere andati via con la macchina di lui e poi ritornati. Ma se era prestabilito e lei sapeva che il tizio la stava aspettando, perché non aveva semplicemente atteso che il bello numero uno se ne fosse andato via per andare nella macchina dell'altro parcheggiata nel posteggio? Forse non aveva una macchina. Ma se non l'aveva, sarebbe stato visto con Grace Simonds al campus quella notte. Il sabato notte/domenica mattina vi erano molte feste nel campus, specialmente con il Natale che si avvicinava. C'era molta gente in giro. L'unico modo per portarla fuori dal campus senza essere visto era una macchina. Ma se l'uomo misterioso aveva deciso di ucciderla, e questo aveva tutte le caratteristiche di un omicidio programmato con cura, perché sarebbe andato via con lei per poi tornare venti minuti dopo? Se lei fosse andata nella sua stanza, Bill avrebbe forse potuto immaginare che avesse dimenticato qualcosa o che l'uomo misterioso le avesse chiesto qualcosa di suo, ma questo non era il caso. «Non è arrivata fino alla sua stanza,» rifletté a bassa voce, raccogliendo le fotografie dell'interno del dormitorio, l'ingresso, gli ascensori, e le mise di lato. Si risedette e si stropicciò gli occhi. Cos'era accaduto in quei venti minuti? Dov'erano andati? Dalla colorazione del corpo, aveva immaginato
che fosse stata uccisa intorno all'ora della sparizione. Era stata uccisa subito dopo essere stata vista mentre baciava l'uomo misterioso? Questo non spiegava ancora i venti minuti. Si tirò su ed iniziò a rovistare nella cartellina alla ricerca delle dichiarazioni dei testimoni, del ragazzo in particolare. La trovò e la lesse. Secondo questa, Grace e John erano stati prima ad una festa nel dormitorio di lui dove avevano giocato a Quartini, un gioco in cui si beveva. Più tardi, avevano preso una bottìglia ed erano andati vicino al Santuario di Audubon ad Hospital Hill. Naturalmente! Come aveva fatto a non pensarci? Raccolse le fotografie del corridoio e degli ascensori dentro il dormitorio. In una, si poteva vedere una porta con il cartello ben visibile DONNE. Se aveva bevuto tutta la notte, Grace Simonds probabilmente era andata al bagno. Gli sopravvenne un pensiero che gli sembrò tagliente per la sua veridicità. E se lei non conosceva l'assassino; in effetti, poteva non aver visto l'assassino fino all'ultimo secondo quando questi l'aveva assalita ed annegata? L'assassino poteva averla seguita ed aver afferrato la porta prima che si chiudesse automaticamente, o forse poteva avere accesso alla carta di entrata. L'aveva seguita fino al bagno, e poi... Con un senso di incertezza e paura, Bill pensò di sapere cosa aveva fatto durante quei venti minuti. Era morta. Un pensiero nauseante venne a galla. Se quest'ultima cosa era vera, allora il secondo testimone aveva visto l'assassino stringere e baciare le labbra umide e morte di Grace Simonds. Le 5 del mattino ritrovarono Bill di nuovo al dormitorio di Grace Simonds. Dopo essersi fermato alla stazione di polizia del campus per prendere la chiave principale dell'edificio, continuò e si diresse diritto al bagno delle donne. Senza pensarci, vi entrò dentro. «È entrato nel bagno sbagliato, signore,» lo informò una signora delle pulizie, tarchiata, di mezza età, con un accento sconosciuto. Sembrava greca, ma i suoi capelli ricci e grigi e la sua faccia rugosa sembravano più scandinavi. Bill tirò fuori il distintivo e la tessera di riconoscimento che gli erano stati dati dal capo, e li mostrò alla donna. «Sono della polizia, signora.» «Siete qui per quella ragazza morta?» disse la donna, più come affermazione che come domanda. «Sì,» replicò Bill. Aver trovato una delle donne delle pulizie era stato un vero colpo di fortuna e gli avrebbe risparmiato del tempo ed una telefonata
al direttore della manutenzione dell'Università. «Posso farle delle domande?» Lei alzò le spalle ed annuì. «Lei pulisce questo bagno regolarmente?» chiese. «No,» replicò la donna, guardandolo come se fosse un pazzo a pensare una cosa del genere. «Oh,» annaspò Bill, preso alla sprovvista dalla sua risposta e dal suo atteggiamento. «Ogni quanto lo lava?» «Mai!» fu la risposta seccata. Bill era confuso. «E cosa sta facendo adesso?» chiese, incapace di soffocare il tono sarcastico nelle sue parole. «Svuoto il secchio dell'immondizia. Lo faccio ogni giorno dispari della settimana,» scattò. Era mercoledì, il che voleva dire che l'ultima volta aveva svuotato il secchio lunedì, il giorno in cui il corpo di Grace Simonds era stato trovato davanti al teatro. «Ha svuotato il secchio qui lunedì mattina a quest'ora circa?» «Già.» Si guardò intorno furtivamente. «Ed ho trovato del sangue nel lavandino!» Puntò il lavandino più vicino. «Cosa?» Bill vi si diresse di corsa. Adesso non c'era più sangue. Alle sue spalle la donna cominciò a ridere. «Solo un paio di gocce. Nessun omicidio. Nessuna ragazza con la testa tagliata!» La donna rideva di cuore, dallo stomaco, e Bill non riuscì a sorridere. Qualcuno della polizia aveva fatto trapelare alla stampa gli orribili dettagli dell'omicidio, che era stato tenuto nascosto per aiutare ad eliminare i falsi sospetti. Bill non sapeva perché, ma ogni qualvolta c'era un omicidio irrisolto, ed in maniera particolare se strano o truculento, si facevano avanti immancabilmente tipi strambi che reclamavano la paternità del fatto. Ma la fuga di notizie non era stata agghiacciante come avrebbe potuto essere, perché chiunque avesse dato l'informazione al Worcester Telegraph non aveva comunicato il dettaglio che la testa non era stata ritrovata con il corpo. La fuga di notizie puzzava di Mahoney e Starkovski per il modo in cui il racconto del giornale descriveva Bill e la sua posizione nel caso. Si raccontava anche che invece di fare riferimento a fatti evidenti, lui si arrampicava ad una teoria assurda, cosa che aveva fatto preoccupare i membri della ben addestrata squadra investigativa di Crocker sulla validità delle credenziali di Bill e per il fatto che avrebbe potuto rallentare l'indagine.
La storia era venuta fuori il giorno precedente e George si era affrettato ad assicurarsi che Bill sapesse che la storia non aveva nessuna approvazione ufficiale, né proveniva da una fonte legittima ed ufficiale. Rassicurò Bill che sarebbe stata data una risposta ufficiale e che se lui affermava che la ragazza era annegata, quella sarebbe stata la risposta ufficiale. George aveva abbastanza fiducia nelle capacità di Bill da essere sicuro che il rapporto del medico legale l'avrebbe confermato. Se così fosse stato, avevano ancora qualcosa per tener lontano i tipi strambi. A Bill non importava molto. Casi come questo erano sempre accompagnati da pubblicità ed aveva imparato che la maniera migliore per affrontare i media era dare informazioni in occasioni prestabilite, quali una conferenza stampa, senza prestare attenzione a quello che veniva scritto, perché qualcosa veniva sempre frainteso o veniva riportato in modo sbagliato. Era come se il giornalista medio, e andavano inclusi anche gli inviati della radio e della televisione, fosse uno scrittore di romanzi frustrato che non poteva fare a meno di mettere parte del proprio piccolo estro creativo in quello che doveva essere un resoconto concreto degli eventi. Bill poteva immaginare l'effetto che la storia stava avendo sulla gente di Crocker. Era sicuro che, come per la signora delle pulizie, la notizia che Grace Simonds fosse stata decapitata era oggi sulla lingua di tutti. La cosa spaventosa era che lui non pensava che si sarebbe fermato. Aveva la sensazione, basata sulle caratteristiche del crimine, che Grace Simonds non sarebbe stata l'ultima donna ad essere uccisa in quel modo. Aveva avuto quel sospetto sin dall'inizio ed adesso ne era quasi sicuro: a Crocker c'era un serial-killer in azione. L'omicidio di Grace Simonds aveva tutti i segni distintivi di un serialkilling. Era stato ben pianificato, in maniera metodica e ritualistica - espresso da due azioni (annegamento e decapitazione) per ucciderla. Bill era giunto alla conclusione che la decapitazione era un atto simbolico che l'assassino aveva bisogno di attuare per qualche ragione. Bill era ragionevolmente certo che Grace fosse stata prima annegata in un eccesso di incontrollabile rabbia emotiva, benché anche questo fosse simbolico. «Posso finire adesso? Ho una pausa per il caffè fra quindici minuti ed altri dodici di questi da svuotare in quattro edifici.» Bill annuì e si fece da parte, guardando la donna bassa adoperarsi nello svuotamento del grande secchio dell'immondizia con un'agilità ed una destrezza di cui dubitava lui sarebbe stato capace. Lasciò cadere il contenuto del cilindro nel suo carrello di tela senza aprire il rivestimento di plastica.
«Quando ha svuotato il secchio lunedì, ha notato qualcosa di insolito nel suo contenuto?» chiese. Lei gli lanciò un'occhiata di assoluto disprezzo. «Io li svuoto e basta, non li rovisto. Posso andare adesso?» «Certo, naturalmente,» disse Bill sorridendo alla franchezza della donna e facendosi da parte. Lei spinse il carrello fuori dal bagno lanciandogli un'ultima occhiata. Era ovvio che pensasse che lui fosse strano. Pensa che sono strano solo perché sto nel bagno di un dormitorio femminile alle cinque del mattino a fare domande sull'immondizia? pensò Bill, ridacchiando. Tornò al primo lavandino, quello che la donna aveva detto avere due macchie di sangue lunedì. Sia perché usato, o perché qualcuno l'aveva pulito, la macchia adesso era sparita. La donna pensava di averlo irritato, ma se l'omicidio era avvenuto come lui pensava, allora lunedì avrebbe potuto benissimo esserci del sangue nel lavandino. Si piegò per esaminare con attenzione la superficie del lavello di porcellana e lo scarico, senza individuare niente. Avrebbe voluto avere una chiave inglese in modo da poter controllare il sifone. Si girò e si alzò, poggiandosi al lavandino, ed esaminò il resto del bagno. C'erano tre gabinetti nella parete di fronte, che era fatta di blocchi di cemento dipinto di verde pallido. Il pavimento, formato di mattonelle esagonali bianche e nere, che ricordava a Bill il disegno di una palla da calcio, era accuratamente pulito. Oltre ai tre bagni, ad altrettanti lavandini, al secchio dell'immondizia, al distributore di assorbenti, nella stanza non c'era nient'altro. Bill andò in ogni gabinetto, aprendone la porta e guardandovi dentro. Erano i caratteristici gabinetti di tipo industriale con semplici maniglie cromate collegate al tubo dello scarico sul retro invece di uno sciacquone Le tavolette igieniche erano di plastica nera, rovinate da bruciature di sigarette. Bill tornò nel primo bagno, e si accovacciò sulla prima tazza come se stesse per Vomitare!... Si chinò in avanti ed esaminò la porta della toletta. C'era un segno sbiadito d'acqua che scorreva in una linea frastagliata intorno alla base di porcellana del gabinetto, come se di recente fosse traboccato e l'acqua fosse stata lasciata evaporare. Stabilizzando il peso contro la tazza, si abbassò ancora di più. Poteva solo distinguere la punta di un'impronta di piede al bordo del segno d'acqua. Il suo cuore iniziò a martellare più velocemente mentre si abbassava a
quattro zampe e sporgeva la testa dietro la tazza per dare un'occhiata più ravvicinata. Sembrava essere di un scarpa con la suola di gomma ed un logoro disegno a diamante. Sembrava anche essere troppo larga ed arrotondata per essere di una scarpa femminile, ma con la moda d'oggi non poteva esserne certo. In maniera impacciata si tolse la scarpa sinistra e la pose sull'impronta senza toccarla. Erano quasi della stessa misura e forma. Si infilò la scarpa e si alzò. Qualcosa di leggero e morbido sfiorava il dorso della sua mano, facendogli il solletico sulle nocche. Si piegò e guardò, ma non riuscì a vedere niente. Si abbassò, passando la mano lungo il bordo della tazza e lo sentì di nuovo. Con estrema cautela, alzò il sedile. Era una sottilissima ciocca di capelli castani. Ce n'erano altre due in fondo alla tazza. Le mise in un sacchettino di plastica per le prove che il giorno prima aveva preso alla stazione di polizia. Fece una rapida ispezione agli altri due bagni, ma era sicuro che era nel primo che Grace Simonds era morta. Trovò un telefono a gettoni nel disimpegno e chiamò la stazione di polizia per avere un paio di agenti che transennassero il bagno e la scientifica per raccogliere altre prove. Aveva bisogno della scientifica per controllare se i capelli che aveva trovato corrispondevano al campione che i genitori di Grace gli avevano dato. Immerso nel suo ultimo gioco di immedesimazione preferito, Ivy scivolò silenziosamente giù lungo le scale sul retro, posando con precisione i piedi nel mezzo esatto di ogni gradino. Secondo James Bond, quello era il modo più silenzioso per salire e scendere la scale perché era là che si trovavano i travelli, o supporti. Le scale di legno sul retro erano così vecchie e marcite in alcuni punti che avrebbero scricchiolato persino se James Bond in persona le avesse risalite, a piedi scalzi, per forza. Ma per lo più, la tecnica funzionava. Ivy pensava che fosse più indovinata del metodo delle scarpe da ginnastica slacciate. Il rumore di una macchina che parcheggiava nel vialetto della casa accanto gli fece scendere il resto delle scale in tutta fretta. Corse alla staccionata bassa che separava i due cortili e si accovacciò dietro di essa. Poteva sentire una voce smorzata che parlava e piangeva contemporaneamente. Un'altra voce, più profonda, ma sorda e affaticata, l'interruppe. Benché Ivy non riuscisse a capire cosa stesse dicendo, le parole sembrarono calmare la prima voce. Non la sentì più singhiozzare. Immaginando che degli agenti nemici avessero un incontro segreto, scrutò oltre la cima della palizzata e guardò il suo vicino lasciare la mac-
china ed entrare a casa. Ivy si guardò intorno per cercare l'altra persona che aveva sentito nella macchina, ma non riuscì a vederla. Si domandò come l'altro tizio avesse potuto andare in casa così velocemente. Ivy aveva sentito aprire solo una portiera della macchina. Che diavolo stava accadendo? Una volta che la via fu libera, Ivy scavalcò agilmente la staccionata, bilanciandosi con un braccio mentre faceva saltare le gambe ed i piedi dall'altra parte. Rimanendo basso dall'altro lato, scivolò verso la casa del vicino. Cercò di guardare attraverso la prima finestra al lato della casa, ma non riuscì a vedere nient'altro che il retro di una tenda lacera. Il rumore di bambini per la strada che andavano a scuola ricordò a Ivy che avrebbe perso l'autobus ed avrebbe fatto tardi se non fosse andato. Se fosse stato veloce, avrebbe avuto il tempo di dare un'ultima rapida occhiata alle finestre della cucina della veranda sul retro. Le scarpe da ginnastica con le suole di gomma erano silenziose sul terreno ghiacciato, scivolò fino alla veranda e risalì i pochi gradini silenziosamente, usando di nuovo con successo il metodo di James Bond. Li salì tutti e quattro strisciando fino alla finestra e scrutò oltre il davanzale. Il suo vicino aveva gli occhi arrossati dal pianto e si stava tirando via i pantaloni e la camicia da poliziotto. Li ficcò a forza in una grande busta di plastica della spazzatura che già straboccava di immondizia e la chiuse con un filo attorcigliato. Questo era strano! Perché lo faceva? Si domandò Ivy. Forse aveva delle cimici nei vestiti? Ma, comunque perché piangere per questo alla sua età? Questo tizio è veramente strano, pensò Ivy, scappando via per non perdere l'autobus. Il vicino meritava ulteriori indagini da parte di 007. Forse i piani della macchina segreta del giorno del giudizio erano tessuti nella stoffa dei vestiti e questa era semplicemente una maniera intelligente per passare l'informazione ad un altro agente che senza dubbio sarebbe stato travestito come uomo della nettezza urbana venuto per la raccolta settimanale. Devo prendere quei piani ad M, promise solennemente Ivy, trasformando l'enigma nel suo gioco preferito. Trascorse il giorno a scuola facendo piani e tramando schemi elaborati per recuperare i piani tessuti nei vestiti nell'immondizia. Come succede di solito, la realtà era molto più semplice e terrena degli scenari da lui immaginati. Il sacco dell'immondizia da lui puntato se ne stava comodamente davanti alla casa del vicino come se aspettasse il suo ritorno da scuola. Uno squarcio veloce al sacco con un bastoncino spezzato, e riuscì a prendere i vestiti senza nemmeno dovere far cadere troppa immondizia. Infilò i pantaloni e la camicia sotto il
cappotto, e se ne andò con un'aria talmente indifferente che James Bond sarebbe stato orgoglioso di lui. A mezzogiorno, Dave Hanson, il perito della Polizia di Crocker, aveva finito con il bagno. Aveva trovato un altro capello, un minuscolo frammento di cellule ematiche sotto il bordo dello scarico del primo lavandino, ed un pezzo di dente rotto nel sifone dello stesso lavandino. Disse a Bill che era impossibile stabilire se il dente provenisse dalla bocca di Grace Simonds senza la testa ed il resto dei denti da far combaciare, ma avrebbe controllato negli archivi dentistici della ragazza. Disse che avrebbe potuto stabilire con sicurezza se le cellule ematiche ed i capelli fossero di Grace. Hanson portò il campione che i Simonds gli avevano fornito al laboratorio e per le due e trenta ebbe la risposta per Bill. I capelli ed il sangue erano di Grace Simonds. Poco dopo, nell'ufficio di Capo Albert, presentò le sue prove al capo ed al Capitano Mahoney. Come previsto, Mahoney si oppose. «Solo perché hai trovato un paio di capelli e qualche cellula ematica che combaciano alle sue questo non significa che sia stata uccisa nel bagno, o annegata. Il sangue poteva essere là perché ha avuto un'emorragia al naso o ha schiacciato un foruncolo o qualcos'altro. Quel frammento di dente non significa niente a meno che non puoi dimostrare che sia suo. Controlla la tazza del tuo bagno, Gage, e controlla se non troverai un paio dei tuoi capelli. Scommetto anche che l'impronta è stata lasciata dalla squadra della pulizia.» Bill non discusse. Sapeva che quello che era stato trovato era inconcludente. Aveva già percorso ogni scenario possibile per spiegare la presenza di sangue, denti, capelli, ed impronte. Per quel che concerneva le prove fisiche, non c'era nulla su cui costruire un caso, ma Bill sapeva di avere ragione. Adesso esisteva un solo scenario per la sua morte, per quello che lo riguardava: l'assassino l'aveva seguita nel bagno, l'aveva tramortita sbattendole la faccia sul primo lavandino, rompendole un dente, poi l'aveva trascinata al primo bagno dove era stata affogata nella tazza, tirando lo sciacquone, creando il segno d'acqua intorno al gabinetto e lasciando l'impronta del suo piede sinistro. CANALE 8 Gesù mi Ama
Qui Tunnelvision! - III La Squadra di Polizia Affrontiamo i Fatti «Signore e signori, è ancora una volta l'ora di...» Segnale d'inizio per rullo di tamburi. Segnale d'inizio musica. Segnale d'inizio Gesù. «Ed ecco la stella del nostro spettacolo, il Signore Gesù!» Segnale d'inizio applausi. Segnale d'inizio per Wilbur. «Ed ecco il suo fedele tirapiedi, Wilbur!» Segnale d'inizio per Wilbur. «Si, gente, eccolo, sarà qui da un momento all'altro, Wilbur!» Segnale d'inizio per Wilbur. Segnale d'inizio per Wilbur. Wilbur non vuole continuare. Non vuole più far parte di questo spettacolo. Sa che cosa Gesù tiene nel suo sacchetto di plastica nera. Sa dove Gesù lo sta portando e non vuole andarci. Ma non ha scelta. Piange sia all'andata che al ritorno. Cambio di canale. L'Ala Sinistra abbandonata, usata come deposito delle attrezzature del vecchio ospedale, era stato per lui un luogo di solitudine e fuga; adesso è un luogo di paura ed orrore. Non può più sopportare la vista delle luci e delle telecamere, il banco dei monitor, il pannello di controllo dei videoregistratori, i grovigli di cavi simili a serpenti disseminati intorno a quello che era il nido del reparto maternità del terzo piano. Peggio ancora, non sopporta le corde e le catene, i coltelli e gli altri attrezzi di tortura e morte che Gesù ha benedetto come strumenti della Sua opera, e percorre il tragitto intorno al buio avvolgente sotto l'edificio. L'azione compiuta, lui fugge. Circuito chiuso. Una donna anziana vaga per il corridoio vuoto vicino agli ascensori. «Oh, grazie a Dio! Credo di essermi persa,» dice. Riaffiora un ricordo simile ad una visione sacra. Si rivede bambino, un'insegnante fissa le cicatrici delle bruciature sul braccio di Gesù ma non dice niente e va via. Nel corso degli anni, tanti insegnanti avrebbero segui-
to il suo esempio. Come se fosse appena uscita dal passato, Wilbur si accorge che l'anziana donna è la sua insegnante del terzo anno, la signora Perche, e sa che il Salvatore ha compiuto un altro miracolo nel portarla là. «Corri!» cerca di gridarle ma invece esce la voce di Gesù. «Adesso ti ho trovato,» dice alla donna e dà il crisma alle labbra con il Suo pugno. «Puoi cambiare il canale, Nonna, per favore?» Seppellisce la testa nel suo ventre. Non vuole più guardare. Vuole solo infilarsi nel ventre della Nonna e cullarsi. «Ti piaceva quando ti cullavo,» ricorda la Nonna, accarezzandogli i capelli. «Eri delicato, così affamato d'amore. Lei non si è mai presa cura di te - ti lasciava giorno e notte in quel lettino sudicio. Saresti morto se non ti avessi salvato io.» Il canale cambia. PBS. Un documentario: I Primi Anni, immagini in bianco e nero piene di dolore. Il bambino piange per ore nell'altra stanza, ma nessuno di loro sembra notarlo. Bevono le loro bevande, e fumano le loro canne, lo stereo fa esplodere «Tommy» ed il bambino piange perché le sue fasce sono bagnate e sudicie di escrementi da almeno due giorni. Ha un caso di arrossamento da fasce così grave che sanguina. Il bambino ha fame. La bottiglia del latte su un cuscino accanto alla sua testa è vuota. Alla fine entra qualcuno. Il bambino non sa se sia sua madre. Bambino fortunato, non conosce ancora sua madre. Lei per lo più lo ignora, e le rare volte che se ne è occupata, è stato attraverso altri. Una mano porta via la bottiglia vuota e ne pianta un'altra sul cuscino, infilando la tettarella nella sua bocca piangente. Le sue fasce sudicie non vengono cambiate. Quando la bottiglia è vuota, il bambino ricomincia a piangere per il dolore dell'arrossamento. Nella stanza accanto, alzano il volume dello stereo e si accendono un'altra canna. «Io ti ho salvato,» gli ricorda la Nonna mentre scorrono i titoli. Nella stanza della nonna ci sono due specchi, appesi alle pareti l'uno di fronte all'altro, con la Nonna in mezzo, Wilbur tra le braccia, vicina più che può alla televisione ed al predicatore mangiasoldi. Sono riflessi un migliaio di volte in una direzione e nell'altra, riflesso dentro riflesso. Wilbur si guarda ripetuto all'infinito ed ogni immagine ripetuta è un giorno, un mese, un anno.
Una voce suadente, profonda, molle assicura: «Torneremo dopo questi importanti messaggi.» OSSESSIONE. La voce è soffocante e stilla lascivia. Nonna scorre i canali fino a quando non trova Il Club 700. «Perché preghi la televisione, Nonna?» «Non bestemmiare! Non sto pregando la televisione, sto pregando Gesù.» «Gesù è in televisione?» «Qualche volta.» La sua voce era sognante. «Come?» «È come una visione. È come se stessi guardando attraverso la finestra, o in un tunnel che porta in paradiso. E qualche volta Gesù è dall'altra parte del tunnel che mi chiede di andare carponi fino a lui e di unirmi a Lui.» «È lui, Gesù?» chiede il piccolo Wilbur, puntando Pat Robertson sullo schermo. «Qualche volta,» dice Nonna. «Qualche volta è Jimmy Swaggart, qualche volta Lui è Jim Bakker, qualche volta è Oral Robert. Ma non importa chi Lui sia, è sempre là per allontanare il tuo dolore e la tua sofferenza. Ricordalo. Quando le cose sembrano le più buie e tu pensi di non poter andare avanti, prega Gesù e Lui ti salverà e ti proteggerà.» Lo schermo si oscura. Nonna sta dormendo. Gesù sta trascinando per terra l'insegnante peri capelli. Il suo corpo scivola agevolmente sulle mattonelle fredde. «Adesso Lui mi sta salvando, Nonna? Lo sta facendo?» Non c'è risposta. «Lo sta facendo?» In fin dei conti, l'Agente Paul Munney era un buon poliziotto. La sola cosa che il suo sergente non era mai riuscito ad ottenere era quella di tenere la macchina di servizio pulita. Munney era un tale disastro che gli altri agenti che dovevano usare la sua macchina nel turno del fine-settimana si lamentavano sempre del cibo vecchio, dei bicchieri di caffè, e dell'immondizia che di solito imbrattava il veicolo. Era diventato talmente problematico che il sergente aveva cominciato a fare delle ispezioni settimanali alla macchina di Munney per tenerlo all'erta. Fu durante una di queste ispezioni alla fine del turno che il sergente trovò una videocassetta, con stampato sull'etichetta laterale il titolo Ad-
destramento al Bagno. Il pensiero che Munney si fosse fermato ad affittare un film mentre era in servizio fece arrabbiare moltissimo il sergente. Cercò di fermare Munney prima che lasciasse la stazione, ma arrivò troppo tardi. Il sergente portò il nastro nella stanza della squadra e la posò sulla scrivania per mostrarla a Munney il giorno dopo: Uno dei poliziotti nella stanza notò il nastro e chiese al sergente cosa fosse. Dopo che glielo ebbe spiegato, lo pregò di fargli vedere il nastro nel videoregistratore della stanza di ricreazione. Riteneva Munney, che era uno scapolo, un conoscitore di film pornografici. Voleva guardarlo in modo da poterlo prendere in giro il giorno seguente. Pensando che non sarebbe stata una cattiva idea mettere in imbarazzo Munney, il sergente acconsentì. Quello che videro, lui e gli altri poliziotti che si erano raccolti tutt'intorno, fece correre molti di loro al bagno e fece correre il sergente al telefono per chiamare il capo. Bill Gage si sentì male ma non si alzò dalla sua sedia, né distolse gli occhi dallo schermo. Mandò giù bile e notò distrattamente il display che segnava le 12:00 di notte lampeggiare sopra la televisione. Nella sua visione periferica poteva vedere la stanza piena di poliziotti tutto intorno a lui, ma la sua attenzione non divagò mai dall'orrore sullo schermo di undici pollici. Questa era la quinta volta di seguito che Bill aveva guardato il video da quando il sergente di servizio aveva scoperto quello che aveva veramente trovato nella macchina dell'Agente Munney. Bill stava per andare a cena e per trascorrere una serata a fissare fotografie e a rimuginare su tutte le possibilità quando era arrivata la telefonata del capo. Alla destra di Bill il Capitano Mahoney si alzò improvvisamente e lasciò la stanza. Starkovski e gli altri due agenti che erano ancora in servizio avevano già lasciato la stanza, con le facce terribilmente pallide. Agenti in uniforme continuavano ad entrare nella stanza per lasciarla frettolosamente dopo pochi minuti di visione. Il nastro finì e Bill si sporse e premette il tasto di riavvolgimento. Mentre premeva di nuovo il tasto di avviamento, salì una rimostranza da molti agenti alle sue spalle. Fu allora che il Capo Albert fece sgombrare la stanza eccettuati gli agenti che lavoravano direttamente al caso, il che significava che potevano restare solo Bill, Mahoney e Starkovski, che erano tornati, ed il giovane poliziotto, Larken, che George aveva assegnato a Bill per il ca-
so. «Quel tizio è un ghoul,» disse una delle uniformi a qualcun'altro mentre lasciavano la stanza. «Muovetevi!» latrò il capo. Gli chiuse la porta alle spalle. «Allora cosa pensate?» chiese, andando a mettersi dietro la sedia di Bill e cercando di non guardare lo schermo. Come tutti quelli che erano entrati nella stanza, lo trovava rivoltante oltre ogni possibilità. Bill alzò le spalle. Non aveva ancora cominciato ad esaminare i dettagli, ma, guardando il nastro, aveva immediatamente cominciato a scoprire alcune cose. «È stato tutto simulato per la telecamera. Quando ha cominciato era già morta,» spiegò, puntando lo schermo. «Cosa?» disse beffardo Starkovski all'affermazione di Bill. «È ovvio. Guarda il pallore della sua pelle ed il sangue essiccato sul suo naso e sulle labbra ed intorno alle orbite vuote degli occhi. Lei non si dimena né lotta quando le tiene la testa nella tazza. Il mio scenario originale regge ancora. Per qualche ragione, è stata annegata nel bagno del dormitorio, e portata da qualche altra parte dove l'assassino ha simulato l'omicidio per farne un nastro da mandarci.» «È semplicemente svenuta,» disse Starkovski come contestazione. «No,» contraccambiò. «Anche se svenuta, il suo corpo avrebbe avuto delle contrazioni mentre i polmoni si riempivano di acqua e moriva.» «Penso che Bill sappia di cosa sta parlando,» interruppe il capo. «Dopo tutto aveva ragione circa la causa della morte, e questo video lo dimostra.» «Ma perché avrebbe dovuto ucciderla nel dormitorio per poi portarla da qualche altra parte per ripetere la scena e filmarla?» chiese Mahoney. «Credo che Gage abbia ragione riguardo al fatto che sia andata in bagno, il che spiegherebbe il vuoto di venti minuti tra le ultime due volte in cui è stata vista, ma non sarebbe più sensato che se ne fosse andata con il suo assassino, che lui l'abbia portata a casa sua, l'abbia fatta svenire per avere il tempo di preparare la telecamera e le luci, per poi filmare l'annegamento nel suo bagno? Potrebbe esserci più di una persona coinvolta - una per far funzionare la telecamera, l'altra per annegarla.» Qualcuno bussò alla porta. Il capo l'aprì, prese dal sergente di servizio un portablocco con un foglio, lo ringraziò e richiuse la porta. «No,» ribatté Bill. «Era già morta quando è stata vista baciare l'uomo misterioso fuori dal dormitorio.» Starkovski irruppe con un'altra risata derisoria. «Siete dei pazzi! Dove avete preso questo buffone? Cosa sei, uno psichico?»
«Adesso basta!» disse Mahoney al suo tenente. Starkovski sembrò scosso, così come Bill, che premette il tasto di pausa sul videoregistratore sulla testa senz' occhi di Grace Simonds nella tazza del bagno, e si voltò a guardare il capitano. Mahoney stava guardando il foglio del portablocco che il capo gli aveva dato. «Ma, Mike, lo senti questo tizio!» protestò Starkovski. «Perché diavolo avrebbe dovuto ucciderla al dormitorio, poi trascinarla fino a qualche altro posto - senza dimenticare il bacio al cadavere - e fare una messa in scena per la telecamera?» «Perché questo tizio è un serial-killer,» disse Bill pacatamente. Il sorriso sarcastico di Starkovski tentennò un poco, ma si riprese velocemente. «Stronzate!» «È possibile, Frank!» disse incollerito questa volta Mahoney. Starkovski fissò a bocca aperta il suo superiore. «Questo è il rapporto dell'autopsia del medico legale,» disse Mahoney, brandendo il portablocchi. «Gage ha ragione. Pezzi di carta trovati nei polmoni di Grace Simonds combaciano con la stessa marca di carta igienica industriale usata in tutti i bagni dell'università. Anche l'acqua dei suoi polmoni ha lo stesso contenuto di minerali dell'acqua calcarea dei bagni del dormitorio. L'università prende l'acqua da Snow Pond, che è la loro riserva privata ed ha un contenuto in minerali diverso dall'acqua delle altre due riserve usate dalla città.» Starkovski aprì e richiuse la bocca molte volte ma non ebbe niente da dire. «Inoltre,» disse Mahoney, rivolgendosi verso Bill. «Hanson della scientifica è tornato ai bagni del dormitorio ed è stato in grado di rilevare molte impronte maschili nel primo bagno. Ma non è riuscito a trovare nessuna impronta sul nastro, perché è stato maneggiato da troppa gente. Ha fatto un controllo delle impronte sul nostro computer e non è arrivato a nulla, perciò le ha mandate alla polizia di Stato ed all'FBI.» «Non sarà negli archivi,» affermò Bill. Questa volta non ci fu alcuna polemica da parte di nessuno. Starkovski stava seduto, con la testa bassa, come un bambino rimproverato. «Hanson ha anche deciso da solo di controllare la società delle pulizie che ha il contratto di lavare i bagni. Usano solo donne per pulire i bagni femminili, ed uomini per quelli maschili. L'impronta di scarpa dietro il gabinetto è decisamente un'impronta maschile - della scarpa dell'assassino. Hanson non è stato in grado di identificare la marca, ma ha detto che è una
scarpa da lavoro con una punta d'acciaio.» «Lo so,» disse Bill flemmaticamente. «Li ho chiamati anch'io.» Ci furono alcuni momenti di silenzio imbarazzato prima che Mahoney parlasse di nuovo. «Penso di doverti delle scuse,» disse a Bill, poi lanciò un'occhiata a Starkovski. Il tenente uscì impettito dalla stanza. «Si farà rivedere quando il suo orgoglio ferito guarirà. Non gli è piaciuto che stamattina hai richiamato l'attenzione sul suo lavoro mediocre nell'indagine iniziale. So che non hai mai parlato in maniera specifica di lui, ma sapeva che tutti sapevamo.» «Non era niente di personale, anche se voi ragazzi mi avete dato del filo da torcere,» spiegò Bill. «Sono cose del genere che rallentano un'indagine.» «Ehi,» disse Mahoney, alzando le mani, «Non ho detto che hai torto. Anche se fosse stato qualcosa di personale lui avrebbe dovuto essere richiamato, e se io ultimamente non mi fossi comportato come uno stronzo, avresti potuto farmelo notare ed io avrei potuto occuparmene. Lui non se la sarebbe presa tanto.» «Forse era ora che cominciasse a prendersela,» Bill non poté fare a meno di dire. Mahoney lasciò correre. «Già, bene, volevo solo scusarmi per le cose che ho detto prima. Voglio anche che tu sappia che non ho niente a che fare con la fuga di notizie e con quello che si è detto su di te. Per quello che mi riguarda sei tu il capo di questo caso. Dimmi quello che io ed i miei uomini possiamo fare.» Capo Albert diede una pacca sulle spalle a Mahoney. «Grazie, Mike.» Bill si alzò e strinse la mano di Mahoney. «Credo che la prima cosa di cui abbiamo bisogno sia un nastro di sei ore di questo filmato in modo che ogni volta non dobbiamo fermarci per riavvolgerlo.» «Vuoi guardare questa cosa per sei ore?» chiese incredulo Mahoney. «Il tutto, compresa la decapitazione, dura una decina di minuti circa...» Si fermò, cercando di farsene un'idea. «La lunghezza del video è di nove minuti e ventidue secondi,» disse Bill. «Su un nastro di sei ore verrà ripetuto interamente per trentanove volte, e la quarantesima mostrerà solo i primi quattro minuti e cinquanta secondi.» «Giusto,» disse Mahoney come se anche lui fosse arrivato proprio alla stessa conclusione. «Vorrei che fosse fatta una posa ed un ingrandimento di ogni foto-
gramma. Il vostro laboratorio fotografico è in grado di farlo, o dobbiamo mandarlo alla Polizia di Stato?» «Possiamo fare il nastro ed usare il laboratorio fotografico del Dipartimento di Polizia di Fitchburg. Hanno il materiale per fare le pose. Ci mando immediatamente qualcuno,» disse Mahoney, andando alla porta. «Farò sistemare un'altra stanza con televisione e videoregistratore in modo che gli uomini possano riavere la loro stanza,» aggiunse con un sorriso. «Dubito che chiunque di loro l'abbia visto se la senta di mangiare qui per un po',» commentò il capo. «Un altro paio di cose,» Bill disse aMahoney. «Voglio che qualcuno controlli tutti i fotografi della zona, specialmente quelli che offrono servizi video, e tutti i negozi di materiale video, le televisioni locali, le classi di mezzi di comunicazione dell'Università per cercare gente con la fedina penale sporca. Voglio che troviate qualcuno che sia esperto di video e possa guardare questo per dirci, forse, che tipo di equipaggiamento è stato usato. Poi potremmo seguire una traccia nei negozi della zona che vendono questa marca per vedere se ultimamente è stata comprata qualche telecamera, per poi controllare. È un lavoro lungo, ma l'informazione potrà essere molto importante per poter sapere qualcosa di questo tizio, in particolare se lo prendiamo.» «Non dire se,» lo avvisò Capo Albert con un sorriso, «Di' quando.» «Tutto è pronto come avevi chiesto,» disse il capitano Mahoney, facendo capolino alla porta del nuovo ufficio di Bill la mattina seguente. L'ufficio era molto più grande di quello con il quale aveva cominciato, ed aveva anche una finestra. Bill si alzò dalla scrivania e seguì Mahoney nella stanza vuota degli interrogatori dove era stata preparata una televisione con il videoregistratore davanti a molte sedie di metallo pieghevoli. «Il circuito che Hanson ha fatto di Addestramento al Bagno è nella macchina,» spiegò Mahoney, puntando il videoregistratore. «Dovresti ricevere le pose da Fichtburg al più tardi domani.» Bill entrò e si sedette nella sedia proprio di fronte al videoregistratore. Accese la televisione insieme al videoregistratore, attese che lo schermo si riempisse della luce bianca. Schiacciò il pulsante di avviamento. «A meno che non sia veramente importante, per un po' non voglio essere disturbato,» disse a Mahoney. «Puoi guardare con me, ma non sei tenuto a farlo. Quei tre agenti che il capo mi ha assegnato stanno facendo interrogatori ai
residenti del dormitorio. Penso che sarebbe meglio che tu li controlli, e ti assicuri che facciano le domande giuste e che non trascurino niente d'importante. Il capo mi ha detto che sei eccellente negli interrogatori.» «Grazie,» disse Mahoney. Accettò il complimento, senza apparire affatto a disagio, come la maggior parte della gente avrebbe fatto. «Allora farò così. Mi puoi mandare a chiamare se ne avrai bisogno. Farò sì che Larken si assicuri che tu non venga disturbato.» Mike Mahoney aprì la porta e si fermò un istante per girarsi e guardare Bill, che si stava accomodando sulla sua sedia. Mentre il macabro filmato iniziò a scorrere ed apparve il titolo, Mahoney pensò alle sei ore che Bill aveva davanti e lo guardò con soggezione. Due ore dopo, Bill era ancora fermo davanti alla televisione. Addestramento al Bagno stava passando per la quattordicesima volta. Le prime tredici volte erano state improduttive. Non era stato capace di concentrarsi e mettere a fuoco niente; troppi problemi personali si ostinavano ad intromettersi. Cercò di affrontarli uno alla volta, ma non appena riusciva a tenerne lontano uno, un altro faceva capolino al suo posto. Fissando lo schermo e senza vedere la truculenta pantomima, litigò con i suoi problemi: Cindy, il suo dubbio crescente di riuscire a trattare tutto ciò nel modo in cui faceva prima, i sogni nauseanti che aveva avuto la notte precedente che correlavano quest'omicidio alle imprese di suo padre. Al passaggio numero quattordici, non era stato in grado di risolvere nessuno di questi, ma se non altro li aveva affrontati ed era stato in grado di lavorarci sopra. Si alzò un attimo per girare la sua sedia e si sedette a gambe aperte appoggiando il mento sulle mani intrecciate sullo schienale della sedia. Lo schermo stava mostrando la prima delle due scene del video, l'annegamento. Questa e la seconda scena, la decapitazione, erano state entrambe riprese da una posizione fissa, come se la telecamera fosse su un cavalietto, il che fece pensare a Bill che l'autore fosse uno solo. La rimozione degli occhi di Grace Simonds era stata fortunatamente, e pietosamente, tralasciata. Il film era essenziale, come un video casalingo, ed era in bianco e nero. Il suo unico angolo di ripresa era un primo piano che mostrava ben poco oltre la testa di Grace Simonds nella tazza nella prima scena, ed il suo collo e la nuca mentre l'ascia compiva il suo lavoro nella seconda. La sequenza dell'annegamento era la parte più lunga del filmato, durava sette minuti e mezzo, e la telecamera indugiava sulla nuca di Grace Simonds anche dopo che l'assalitore aveva mollato i suoi capelli. Lui la fissò ed iniziò il processo di riduzione del suo punto focale e di cancellazione di
tutto il testo. Un'ora e mezza dopo aveva ridotto gradatamente il suo fuoco al livello dei dettagli minimi, eliminando prima il sonoro dal videoregistratore, poi la stanza, finendo con il tagliare porzioni dello schermo stesso. Si focalizzò sui capelli, le dita assassine intrecciate ad essi, che tenevano giù la testa. Notò che l'assassino era mancino: sulle mani aveva molte cicatrici circolari che avevano l'aspetto leggermente arrossato di tessuto guarito da ustioni. Bill spostò il fuoco ai bordi dello schermo. Nei lati superiore e destro poteva vedere il bordo interno della tazza di porcellana. Semi-nascoste dai capelli di Grace Simonds, riuscì a vedere lettere in rilievo proprio sul bordo posteriore. P...R...I...N...C... questo era tutto quello che poté cogliere. La lettera successiva avrebbe ovviamente dovuto essere una E che andava a comporre il nome del fabbricante di sanitari, PRINCE, che naturalmente non gli disse nulla in quel momento, ma avrebbe fatto controllare a Larken. La fine della sequenza dell'annegamento si stava avvicinando. Bill afferrò il telecomando da sopra il videoregistratore e si preparò a bloccare l'immagine al momento giusto. Non appena la testa di Grace Simonds cominciò ad uscire fuori, girandosi verso la telecamera, con la bocca socchiusa, e senza occhi, Bill premette il pulsante, mise a fuoco, e vide quello che già sapeva. Il dente superiore centrale era scheggiato in quella che sembrava la forma esatta del frammento di dente che Hanson aveva trovato nello scarico. Notò anche qualcos'altro. Da questo angolo doveva essere in grado di vedere il serbatoio della toletta, ma non ci riuscì. Il che significava che doveva essere un gabinetto industriale con la manopola dello scarico ed un tubo retrostante. Premette il pulsante della pausa e scrisse a Mahoney un appunto in cui diceva di far controllare a qualcuno tutti i luoghi industriali e le fabbriche abbandonate della zona. Lasciò scorrere il nastro. Adesso arrivava la decapitazione. Si concentrò sull'ascia. Era molto vecchia; la parte posteriore della testa di acciaio era danneggiata e scanalata come se fosse stata usata con poco successo come martello. Sul manico di legno c'erano macchie scure essiccate che potevano essere sangue, ma era difficile dirlo in bianco e nero. Istintivamente le sue dita premettero di nuovo il pulsante della pausa. Là, appena visibile per un secondo mentre l'ascia cadeva nell'inquadratura, s'intravedeva sul manico una impronta digitale leggermente sbavata. Premette play e guardò il resto del nastro, ma non vide nient'altro. Alla
fine, spense il videoregistratore e la televisione e si alzò, lamentandosi. La sua schiena scrocchiò in molti punti ed ebbe la strana formicolante impressione che le sue estremità si fossero addormentate. Dirigendosi verso la porta per vedere se Mahoney fosse tornato dall'Università, Bill sperò che il sentore di aghi e spine non lo facesse camminare in maniera buffa. Vide Larken al computer e gli disse del nome del fabbricante di sanitari e del pezzo di carta con Elvis, borchie e vietato ai minori e gli chiese se poteva rintracciare la società idraulica e tutti i film porno con «Elvis» nel titolo. «Non c'è problema, signore,» affermò Larken. «Posso farlo facilmente chiamando la biblioteca cittadina, digitando sul terminal del mio computer per entrare nei loro files attraverso il modem, per dare un'occhiata a tutte le pagine gialle degli Stati Uniti e fare un elenco di tutte le società industriali che iniziano con PRINCE. Posso anche richiamare nel computer files del negozio di video nel quale mi servo e controllare tutti i film vietati con un titolo simile.» «Non sommergiamoci di informazioni inutili,» Bill avvisò il solerte Larken. «Concentrati prima su quelle in Massachusetts, poi allargati al New England, eccetera, lavorando col tuo sistema.» «Va bene.» Larken sembrava imbarazzato. «Così sembra più sensato. Avrei dovuto pensarci.» «Va bene. Non ti preoccupare,» lo rassicurò Bill. «Stai facendo col computer qualcosa che io non potrei mai fare. Salva il lavoro valido.» CANALE 9 Il Signor Ed Scene da un Matrimonio Video Valhalla L'Angolo del Libro Sogno Blip. Statico. Neve. «Guarda il film di cow-boy ed indiani,» era solito dire Joey davanti ad uno schermo vuoto e bianco come neve. Lui era solito guardare. Joey era solito ridere, la stessa risata che faceva
quando lui e Mary-non-Madre gli facevano male. No, non lui, Gesù. Questa Vecchia Casa è in onda. Gesù è l'artista ospite che mostra come maneggiare una torcia portatile di acetilene. Ci sono una serie di scene che mostrano il Salvatore all'opera, alternate a primi piani della faccia dell'insegnante di Wilbur, i cui occhi rispecchiano la fiamma chirurgica che opera su di lei. Le narici fiammeggiano, la sua bocca urla senza potere essere ascoltata dietro l'opprimente nastro adesivo grigio. Cambio di canale. Teatrino da cinque soldi. Tema musicale. «Un cavallo è un cavallo, naturalmente, naturalmente...» Applausi registrati. Risate. Il Sig. Ed mostra le gengive quando parla. «Salve, Wi-i-ilbur. Due cadute, quante altre ancora? Sono stanco di aspettare. Quando potremo cavalcare verso il tramonto?» Wilbur Post entra nell'inquadratura, ma il vero Wilbur può vedere con i suoi occhi che è Gesù travestito. «Presto, Ed, presto,» dice Wilbur, tenendo sollevata un'ascia e guardando teneramente la sua lama splendente. «Allora chi è il prossimo?» chiede il cavallo parlante. Stacco su: Wilbur/Gesù che butta giù la porta del Colonnello portando l'ascia con sé. «Colonnello?» dice Wilbur Gesù, ricoperto di sangue. «Come mai ogni volta che vengo da queste parti lei sta sempre fermo vicino alla casa? Troppo vicino alla casa?» Risate registrate. Stacco su: Wilbur/Gesù cammina verso la telecamera. Nelle sue mani giunte tiene le mani segate del colonnello. «Queste sono le prossime, Ed,» dice Wilbur/Gesù alla telecamera. «Sono cose maneggevoli da avere intorno.» Scoppi di risate simultanee ed applausi. Cambio di canale. «Non c'è niente che non vada con la tua tunnelvision. Non cercare di aggiustare l'immagine, Noi stiamo controllando la trasmissione.» Wilbur non riesce a smettere di piangere. Intervallo pubblicitario. «Gli Scott Tissues sono i più assorbenti!»
«Quando compri 159 Coronet ottieni un vantaggio maggiore!» Un motivetto di Clooney. «I fazzoletti della marca Kleenex, un nome che vuol dire fiducia.» Nonna ha spento il suo apparecchio e Gesù ha acceso il suo. Il Sistema di Trasmissione d'Emergenza sta facendo un test ("Questo è solo un test") ed il sibilo lacerante gli fa male da morire. Vuole cambiare il canale ma il telecomando è rotto. Ma non importa comunque. Gesù ne ha il controllo: Circuito chiuso. Video Valhalla. Dustin Hoffmann, Tom Cruise. Clint Eastwood faccia di cartone. Manifesti cinematografici. Total Recall. Non vuole vederlo. Gesù posa il corpo nel fango tra due arbusti rinsecchiti al lato dell'edificio e proprio sotto un piccolo cartello che pubblicizza la più grande collezione di Crocker di video vietati ai minori. Del fumo esala dagli occhi dell'insegnante nel buio gelido. L'aria è pungente per l'odore di carne bruciata. Giro in macchina. Gesù ha un pacchetto per la polizia. Il suo ultimo testamento di espiazione: le braccia di coloro che non abbracciarono e non protessero Gesù. Accosta la macchina alla buca delle lettere e fa infilare il pacchetto a Wilbur. Cindy Gage si svegliò allo squillo del telefono e sentì ogni muscolo irrigidirsi mentre l'intero corpo si serrò come un pugno. Aprì un occhio e lesse l'ora dall'orologio digitale luminoso sul comodino. Rabbrividì. Non aveva bisogno di sapere chi fosse per sapere che erano cattive notizie. Quando il telefono squillava così presto, erano sempre cattive notizie, sia che fosse un vecchio amico ubriaco in vena di ricordi, o la notizia che c'era stata una morte in famiglia. Anche qualcosa di banale come un numero sbagliato era una brutta notizia perché bisognava sempre alzarsi dal letto per rispondere. Se non altro, lo faceva Bill. Così come sapeva che era una brutta notizia, sapeva che era per Bill. Era per questo che era lui che dormiva dal lato del letto con il telefono. Era abituato a ricevere brutte notizie nel mezzo della notte. Alzò la cornetta immediatamente, prima che avesse la possibilità di un secondo squillo. «Sì, è Gage,» gli sentì dire, la voce bassa ma tesa. Cindy sapeva che probabilmente se ne era stato sdraiato sveglio al buio, incapace di dormire, troppo stanco per andare di sotto o per fare altro se non starsene sdraiato
ed aspettare che la sveglia suonasse. Si era svegliata molte volte la notte da quando lui era tornato a lavorare in polizia e lo aveva trovato sveglio, a fissare il soffitto, o sotto a fissare la collezione di Polaroid sparpagliate sul tavolino del soggiorno. «Dove?» Parlò di nuovo. «Va bene. Ci vediamo là il prima possibile. Sì, so dov'è.» Disse qualcos'altro ma Cindy non sentì. Un grido acuto dalla stanza del bambino richiamò invece la sua attenzione. Si alzò dal letto, s'infilò le pantofole, e si diresse verso la stanza, senza curarsi della vestaglia. L'urlo di Devin crebbe, andando un'ottava più in alto di quel terribile picco che ricordava le unghie che grattano una lavagna amplificato dieci volte. Attraversò la stanza, denti e nervi tesi al massimo, e fu certa di svegliare anche le gemelle. Si affrettò nella stanza. Nel bagliore fioco e giallo della lucetta lo vide in piedi aggrappato alle sbarre del lettino, con gli occhi a malapena aperti, ma con la bocca piangente che lavorava anche per loro. Gli accarezzò i capelli e gli baciò la fronte, mormorandogli parole di consolazione, cercando di evitare di prenderlo in braccio. Una volta che era nella sua braccia, era sempre difficile rimetterlo nel lettino. Come una sirena a cui viene staccata la presa, il pianto di Devin degradò di ottava in ottava fino a diventare silenzioso. Giaceva sulla pancia, stringendo il suo pupazzo Ernie e tirando a sé le ginocchia. Qualche volta un bacio e poche parole dolci erano tutto quello che ci voleva. Cindy gli sorrise e lo coprì con una coperta di Topolino. Quando tornò nella stanza Bill era in piedi e quasi vestito. «Mi dispiace che il telefono l'abbia svegliato,» disse Bill, sedendosi sul bordo del letto ed allacciandosi le scarpe. «Cosa c'è che non va? Dove stai andando?» chiese Cindy. «Non c'è niente che non va,» rispose lui tranquillamente. Sapeva che stava mentendo: non l'aveva guardata. «Sono le quattro del mattino Bill. Non può aspettare?» Prese la vestaglia, improvvisamente infreddolita. «No.» Tutto qui, nient'altro; nessuna spiegazione... semplicemente no! A Cindy tutto questo non piaceva. Da quando si occupava di questo caso d'omicidio, Bill era diventato sempre più introverso e poco comunicativo. Cercare di avere una conversazione con lui era diventato faticoso quasi quanto un parto. Non era abituata al fatto che lui si comportasse in quel modo. Bill si era sempre aperto con lei, condividendo i suoi pensieri ed i suoi sentimenti. Le aveva sempre detto tutto, anche i pensieri più cupi su
suo padre. Che lui improvvisamente si fosse chiuso e l'avesse lasciata fuori le faceva male, ma ancora di più, la faceva arrabbiare. Le venne in mente un pensiero deprimente e spaventoso: il Bill Gage che lei conosceva non era un poliziotto. Adesso che lo era di nuovo, stava vedendo il suo vero lui? «Maledizione, Bill! Non puoi dire qualcosa oltre a questo? Ricevi una telefonata alle quattro del mattino. Non è niente, ma devi andartene immediatamente. Voglio sapere quello che sta accadendo! Ho il diritto di saperlo.» Stava diventando emotiva e non sopportava quando accadeva. Le faceva tremare la voce ed il labbro inferiore e sembrava lamentosa. Bill si fermò all'armadio, fece un profondo respiro, e si voltò verso di lui. «Era il capitano Mahoney, l'agente con cui sto lavorando sul caso di omicidio Simonds. C'è stato un altro omicidio.» Aprì il cassetto superiore, prese pistola e fondina e l'agganciò alla cinta sulla schiena, lasciandoci cadere sopra la giacca. Non disse nient'altro, ma adesso a Cindy non importava. Non voleva sapere dell'omicidio, non voleva sapere quanto lui si stesse esponendo al pericolo. «Mi dispiace,» disse lui di nuovo. Si era accorto che ultimamente aveva cominciato a dirlo spesso. Lei sapeva che le cose erano cambiate, che lui era cambiato, ed era seccata che lui non ne parlasse, che non si lasciasse aiutare da lei qualunque cosa stesse causando il suo allontanamento. Cindy era il tipo di donna che aveva bisogno di essere un appoggio per il suo uomo. Era una delle principali ragioni per cui amava Bill e per cui si era innamorata sin da subito di lui - lui aveva terribilmente bisogno della sua forza. Quel bisogno era durato per tutto il periodo di disintossicazione e fino a quando non fu ossessionato dall'idea di essere di nuovo un poliziotto. Non gli importava quello che gli stava capitando? Benché sapeva che non fosse giusto farlo - la situazione era un po' più complessa - non riusciva a vedere le azioni di lui in termini di un giudizio di valore: dava più importanza all'essere un poliziotto che al loro rapporto, al loro matrimonio, alla loro famiglia. Odiava avere pensieri così immaturi, specialmente perché nel profondo sapeva di non essere sincera, ma odiava ancor di più Bill perché la riduceva in uno stato in cui lei poteva seriamente covare questi pensieri. Lui si piegò verso di lei in fondo al letto e la baciò velocemente, poi si diresse verso la porta. «Potrei fare tardi di nuovo,» disse. Poi se ne andò. Lei ascoltò i suoi passi che scendevano le scale e voleva corrergli dietro
per dirgli qualcosa che l'avrebbe fermato, che l'avrebbe fatto improvvisamente aprire a lei e cambiare la direzione mortale verso la quale si stavano dirigendo, le parole giuste erano per lei un mistero così come quello che stava accadendo ultimamente nella testa di suo marito. Sentì la porta dello sgabuzzino aprirsi e richiudersi quando Bill prese il cappotto, poi la porta d'ingresso. Alcuni secondi dopo la vecchia Toyota tossiva nel viale, cercando di partire, e dopo tre tentativi, ce la fece. Si sdraiò sul letto e le venne voglia di piangere. Sassy, sempre attenta, quando qualcosa non andava, apparve sulla porta. «Cosa c'è che non va, Mamma? Ho sentito squillare il telefono e Devin piangere. Papà è uscito?» La faccia della ragazzina aveva uno sguardo preoccupato, troppo adulto per lei. «Va tutto bene,» disse Cindy, alzandosi dal letto. «Bill è dovuto andare a lavorare presto. Ti ricordi quello che ha detto sull'essere un poliziotto?» Mise un braccio intorno alla figlia e la condusse di nuovo nella sua stanza. «Un poliziotto è in servizio ventiquattr'ore al giorno,» disse con una voce profonda imitando quella del marito e facendo ridere Sassy. «Adesso torna a letto. Domani devi andare a scuola.» Sassy guardò per un lungo momento sua madre con uno sguardo che rivelò a Cindy di non essere riuscita ad ingannare la figlia con una battuta. Ma Sassy non disse niente ed andò a letto, dando un calcio al materasso di Missy nel tentativo di far smettere la sua gemella di russare. Sassy si rimise nel letto con il solito rituale di aggiustarsi le coperte ed il cuscino ben bene, e mandò un bacio alla madre. Cindy lo prese al volo, e chiuse la porta. Tornò nel suo letto, che adesso sembrava troppo grande, vuoto e freddo, e cercò di rimettersi a dormire. Dopo una lunga e silenziosa sbronza di pianto, ci riuscì. Questo era terribile. Oh, era veramente terribile. Bill Gage era in un lieve stato di shock. Una pietra di panico era caduta nei suoi intestini e stava minacciando di rotolare per tutto il corpo. Aveva la nausea e non solo per il rumore dei tanti poliziotti che vomitavano nei cespugli al lato del negozio di Video Valhalla. Cercò di non respirare con il naso, in modo da tener lontano l'orribile fetore di carne umana bruciata, ma sentiva di poterla gustare quando prendeva l'aria attraverso la bocca. Gli venne la nausea e dovette andare a fare una passeggiata al parcheggio per tenere sotto controllo lo stomaco. Non era preparato a questo, non poteva crederci. Il modo in cui era stata
uccisa Grace Simonds era orribile, ma questo faceva sembrare il suo annegamento e decapitazione invitanti. Anche dieci anni prima, all'apice della sua carriera nell'unità crimini speciali della polizia di Stato, questo sarebbe stato difficile da gestire così, improvvisamente. «Devo farcela,» mormorò a se stesso. «Non posso tornare indietro adesso.» Il furgone della scientifica parcheggiò nelle vicinanze. Finora era rimasto impressionato dal lavoro di Hanson. Andò a parlargli. «Voglio molte fotografie,» disse al perito. «E controllate il posto con microscopio e pinzette se necessario.» Hanson ascoltò ed annuì in silenzio mentre scaricava il suo equipaggiamento. Bill lo guardò attraversare il posto ed andare a lavorare, e cercò di temprarsi per fare lo stesso. Sapeva che avrebbe potuto andare via e poi guardare le foto che Hanson avrebbe scattato, ma l'osservazione del luogo del delitto di prima persona era insostituibile, in particolare per quel che riguardava le sue particolari capacità. Si sentì di nuovo male al solo pensiero di tornare e guardare quella povera donna con i monconi delle braccia bruciati e lo sguardo di terrore stampato sul volto sotto le orbite degli occhi carbonizzate. Arrivò Mahoney, la faccia un riflesso sparuto dello stesso Bill. «Deve essere stato lo stesso tizio, uh?» chiese. Bill annuì. «Questo figlio di puttana è veramente malato!» borbottò Mahoney. «Me lo aspettavo,» disse Bill, «ma pensavo che sarebbe passato più tempo tra un omicidio e l'altro. La maggior parte dei serial-killer esplodono con un assassinio e poi stanno calmi per un po' fino a quando non si forma di nuovo il bisogno. Questo tizio sta messo proprio male se ammazza così rapidamente.» Mahoney scosse la testa e batté i piedi per scacciare il freddo. «Immagino che presto riceveremo un altro nastro,» disse Bill. Mahoney rabbrividì. «Assicurati che tutti gli agenti che usano le vetture sappiano che ne sta arrivando un altro e che potrebbe essere consegnato nello stesso modo dell'altro.» Mahoney annuì, tirò fuori un taccuino ed una matita, e segnò un appunto. «Bene,» disse Bill con un profondo sospiro, «Immagino che dovrei cominciare, in modo che si possa pulire prima che arrivino troppi curiosi.» Attraversò il parcheggio in direzione dell'orrore che l'attendeva, Bill pregò di non perdere il controllo mentre esaminava il corpo. Aggiunse la
preghiera che se l'avesse perso, non si sarebbe diretto al primo bar o enoteca. Quella notte nel sonno profondo, il cadavere senz'occhi fuori al Video Valhalla tornò a cercarlo. Iniziò ad agitarsi nel letto mentre il sogno si dispiegava e si ritrovò ancora una volta ad avvicinarsi al corpo che era stato costretto ad esaminare. Come un terrificante e tormentoso déjà vu, rivisse ogni minuto del suo esame, rivedendo ancora una volta la carne cauterizzata, le ossa ed i buchi anneriti dove avrebbero dovuto esserci gli occhi. Proprio sopra la sua testa un cartello pubblicizzava film a luci rosse. Un altro messaggio dell'assassino. Un lampo di luce irruppe nel sudore freddo e nei gemiti del suo sonno, ma nel sogno era solo Hanson a scattare le foto. O chi era? Si voltò. Da quando Hanson aveva i capelli grigi? Un altro lampo; un'altra foto. La macchina fotografica venne abbassata. «Sono tornato,» disse suo padre, sorridendo, e gli fece una foto. Si svegliò tra le braccia di Cindy, senza fiato e madido di sudore, incapace di dirle il terrore che l'incubo aveva fatto penetrare dentro di lui. CANALE 10 Il Film del Sabato Pomeriggio: Due vite in gioco Ivy avrebbe voluto avere un telescopio o un binocolo. Se ne stava accovacciato dietro la ringhiera della veranda del terzo piano, guardando in basso dentro la finestra al secondo piano della casa accanto. Poteva vedere dentro la casa anche dalla finestra della sua camera da letto, ma da qui aveva un punto di vista diverso. Da quando aveva finito la serie di romanzi di James Bond che Barbara gli aveva dato, il suo passatempo preferito era diventato giocare alla spia. Ed il soggetto favorito da spiare era il suo strano vicino, un certo Wilbur Clayton. Aveva chiesto a Barbara di lui. Conosceva il suo nome, ma poco altro. Pensava che vivesse con i genitori, e benché Ivy non li avesse mai visti, pensava di averli sentiti. Aveva sentito qualcuno oltre Wilbur nella casa, di questo era sicuro. Per Ivy spiare Wilbur fu una scelta naturale. Agiva in maniera così stra-
na, parlava da solo, o alla televisione. E dopo avergli visto buttare i vestiti nell'immondizia l'altro giorno, Bill era incuriosito dalle ragioni del suo gesto. Sfortunatamente, la camicia ed i pantaloni non avevano rivelato niente di interessante se non un paio di grandi macchie oleose sul davanti. Nessuna meraviglia che li avesse buttati via. In realtà non gli importava. Il suo strano comportamento era una ragione più che sufficiente per spiarlo. L'immaginazione di Ivy avrebbe fatto il resto. Ivy allungò la gamba destra e tirò fuori il suo nuovo orologio dalla tasca dei pantaloni. Non era nuovo - aveva il cinturino rotto e il coperchio di vetro sbeccato - ma era nuovo per lui. Gliel'aveva dato Barbara; era appartenuto al suo ultimo marito, Henry. Lei aveva un cinturino nuovo, ma lui l'aveva lasciato com'era in modo da poterlo tenere in tasca, lontano dagli occhi predatori di sua madre. Le tre. Doveva incontrare Barbara alle tre e mezza. Dietro sua insistenza, aveva preso un appuntamento con un dottore all'ospedale dei poveri di Burbank a Fitchburg. Avrebbe preso l'autobus e lui l'avrebbe aspettata alla fermata. Dal loro incontro con Slice, Ivy aveva cercato di assicurarsi che Barbara non uscisse da sola nel vicinato. Faceva da solo tutta la raccolta di lattine e bottiglie, sempre cauto, ed andava al Watson's Market per comprarle le provviste alimentari. Ma lei usciva da sola lo stesso. Diceva di diventare claustrofobica a restare tutto il tempo nel suo piccolo appartamento. Fino ad allora erano stati fortunati tutti e due nell'essere riusciti ad evitare Slice Sanchez e la sua banda. Ivy, però, sapeva che la loro fortuna non poteva durare. Sperava solo che Barbara non sarebbe stata con lui quando sarebbe arrivato il momento di affrontare Slice. Cercò di convincersi che a Slice non importava più niente di Barbara e che voleva solo lui, ma non poteva esserne sicuro. Ultimamente Ivy aveva chiesto un po' in giro, a scuola, di Slice Sanchez ed aveva scoperto che era uno sbruffone rivoltante, capace di qualsiasi cosa. Ivy era venuto a sapere che uno dei suoi passatempi favoriti era bagnare i gatti di nafta o fluido per accendini, dargli fuoco e guardarli correre verso la morte mentre bruciavano. Qualcuno dovrebbe farlo a Slice Sanchez, pensò Ivy torvamente. In attesa di Slice, Ivy si era tenuto occupato. Nello scantinato del suo edificio aveva trovato una dozzina di grosse trappole per topi che aveva confiscato. Nella rimessa dietro la casa, dove agli inquilini era permesso tenere uno spazio come magazzino, aveva trovato altre cose utili come un filo da pesca, cinghie di cuoio, un accendino Bic che funzionava ancora,
un'antenna per la macchina rotta, e la metà superiore dello stampo di gesso di un braccio che era stato tagliato dal gomito al polso. Era due pollici troppo grande per il suo braccio, ma insieme a tutta l'altra roba gli fece venire una grande idea. Usando un coltello da carne di cucina di sua madre, riuscì a tagliare lo stampo, che era ancora coperto di firme, fino alla sua misura. Assicurò una delle trappole da topo allo stampo con alcune delle cinghie di cuoio ed usò le altre per assicurare il gesso al suo braccio. Al bordo del polso attaccò un pezzettino di plastica di un pollice a forma di forchetta che aveva preso dalla sua catasta di vecchi giocattoli. Fece una scanalatura nel gesso ed inserì il pezzo di plastica in linea con la molla della trappola per topi. Poi, affilò la punta dell'antenna rotta in un punto, strofinandola sulla pietra superiore del muretto che costeggiava il viale ed intagliò una tacca alla sua estremità, rovinando, nel farlo, uno dei coltelli da carne di sua madre. L'estremità intagliata riposava contro la molla della trappola come una freccia posata ad un arco e l'estremità appuntita era sorretta dal pezzo di plastica biforcuto dall'altra parte. Quando avrebbe fatto scattare la molla, la frecciaantenna sarebbe volata. In teoria era un'idea meravigliosa. Nella pratica era qualcos' altro. La prima volta che la sparò, la pistola di gesso, come lui la chiamava, si aprì e la punta dell'antenna non andò più in là delle nocche della sua mano, ferendole in malo modo. Aggiunse altre cinghie e bande di gomma e persino della colla per tenera dritta la trappola, ed alla fine fu in grado di sparare la freccia-antenna a pochi piedi. Benché fosse troppo voluminosa da indossare sotto la camicia, poteva nasconderla sotto la vecchia giacca militare di suo padre che indossava fuori per giocare. La giacca era troppo grande per Ivy, e le maniche erano abbastanza spaziose per accomodarci la pistola di gesso. C'era bisogno di lavorarci ancora, comunque: la punta s'impigliava al tessuto ogni volta che cercava di spararla. Il resto del suo arsenale era considerevolmente più semplice, e sicuro. Consisteva di altre trappole per topi, di una pistola d'acqua piena di candeggina, di vecchie lampadine fulminate che sua madre teneva in un armadietto, chissà per quale scopo, e di un barattolo di vetro pieno di un prodotto chimico pela-mobili molto caustico chiamato Zip-Strip che aveva trovato nell'autorimessa e che l'aveva ustionato da morire quando ne aveva fatto cadere incidentalmente un po' sulla mano. Era buono quasi quanto l'acido. Teneva le sue armi in una vecchia borsa verde per libri, tipo zainetto, che sua madre gli aveva comprato ad una vendita casalinga qualche anno
prima e che non aveva mai avuto motivo di usare fino a quel momento. Conteneva tutte queste cose più i libri di scuola e qualsiasi libro di Barbara che gli capitava di leggere. Al momento aveva la versione di John Gardner delle avventure di 007 che Barbara gli aveva dato quando aveva finito la serie di Fleming. Ivy le trovava eccitanti, realistiche e non da meno delle storie dell'autore originale. Diede di nuovo un'occhiata all'orologio - tre e venti - e con cautela lo rimise a posto. Non stava accadendo granché dal vicino ed era ora di andare. Rientrò nel suo appartamento fino alla sua stanza e prese lo zainetto, senza il quale in quei giorni non usciva mai. Si sistemò la pistola di gesso, più per la sensazione di potere che gli dava che per la fiducia nel suo funzionamento, s'infilò la larga giacca militare del padre, ed andò incontro a Barbara. Slice Sanchez, Greasy, JoJo, e gli altri due membri della banda - Big, un tizio muscoloso di sei piedi, ed Eddy, un ragazzino tranquillo enormemente grasso il cui vero nome era Robert ma che Slice aveva battezzato Eddy perché affermava, «Tutte le bande devono avere qualcuno che si chiama Eddy» (il perché lo pensasse, Slice non l'aveva mai rivelato a Robert che divenne noto come Eddy che gli piacesse o no) - si sedettero in cima all'alto muro di blocchi di granito all'angolo di Leighton Street e Green Hill Road di fronte al Watson's Market con una vista piena sull'appartamento della vecchia stracciona. I rami di un grande salice piangente dall'altro lato del muro pendevano su di loro e li nascondevano quasi completamente alla vista. Erano appena usciti dal Watson's Market, dove erano appena riusciti a mettere insieme un assortimento di barrette di cioccolata, di fumetti e lattine di bibite. Erano stati costretti a pagare le cicche perché la Vecchia Signora Watson, stanca che le venissero sempre rubate le sigarette, aveva sistemato una nuova vetrina chiusa a chiave dietro al bancone nella quale, adesso, teneva le sigarette. Da quando erano usciti per godersi il bottino, la banda stava discutendo come irrompere nel Watson's Market una di quelle notti per fare fuori l'intero magazzino di sigarette. Sorprendentemente per il carattere di Slice, lui non si unì alla discussione. Oggi Slice Sanchez era preso da altre cose. Slice aveva scelto questo punto deliberatamente, anche se era pericolosamente vicino al Watson' s, mentre si stavano godendo la roba rubata, ma non gli interessava. Il punto offriva una visione perfetta della casa della vecchia accattona. Presto o tardi, quel ficcanaso piccolo e nero che l'aveva fregato quel giorno nel vicolo
sarebbe arrivato. Oggi era il giorno in cui Slice aveva deciso di pareggiare il conto. Prima di entrare nel Watson's, Slice ed i suoi amici erano entrati nell'edificio della vecchia ed avevano bussato alla sua porta. Il cugino di Eddy abitava al terzo piano e gli aveva detto che l'accattona abitava in una piccola monocamera al primo. Slice fu molto irritato dal fatto che la vecchia troia non fosse a casa, cosa che alimentò la rabbia che era deciso a scatenare su quel bastardo nero. Avrebbe voluto fare prima un servizietto a lei e poi aspettare che il ragazzino si facesse vivo in modo che si potessero vedere soffrire a vicenda. Adesso gli toccava solo aspettare, e vedere chi arrivava prima, la vecchia accattona o il piccolo negro. Non gli importava molto. Sperava solo che qualcuno arrivasse al più presto; la sua rabbia stava arrivando ad un livello di fusione. Verso le tre e trenta, un ora dopo, i tirapiedi di Slice stavano diventando impazienti. Volevano andare alla galleria di videogiochi a Fairmont Street per cavare qualche quarto di dollaro a qualche secchione e per poter giocare a quattro mani con Le Giovani Tartarughe Ninja Mutanti. La giornata, che era iniziata con una temperatura tiepida, stava rinfrescando rapidamente. Stare seduti sul muro di pietra all'ombra non aiutava certo a stare caldi. Slice non riusciva a capire dove diavolo fossero. Si aspettava che Ivy scendesse dall'autobus delle due e trenta e si dirigesse direttamente a casa dell'accattona, cosa che gli aveva visto fare un paio di volte prima dell'incidente del vicolo. Ogni minuto in più che doveva aspettare progettava come sfogare la propria collera sulla pelle del ragazzo. «Ehi, amico! Ho freddo! Andiamo alla galleria e giochiamo con le Tartarughe. Tanto non vengono,» si lamentò Greasy. «Io voglio fare Michelangelo!» attaccò JoJo. Gli altri si unirono entusiasticamente a lui, nominando le tartarughe che volevano guidare nel gioco. «Zitti!» li interruppe Slice. «Non andremo da nessuna parte fino a quando una certa tartarughina nera non si farà vedere. Allora, quando gli daremo la lezione, potrete essere delle vere tartarughe Ninja.» «È solo un ragazzino, Slice. Lo vuoi solo spaventare, non è vero?» chiese Big, alzando lo sguardo da un fumetto di Casper. Slice per poco non diede un pugno in faccia a Big a causa del suo sentimentalismo, ma trattenne la propria rabbia, per conservarla per il suo piccolo amico. Inoltre, non sarebbe servito al suo scopo fare arrabbiare Big e gli altri riversando le sue frustrazioni su di loro.
«Certo, Big,» disse, con un sorriso aperto. Si aggiunse una nuova aspettativa, quella di vedere la faccia di Big quando avrebbe scoperto come Slice aveva progettato di spaventare Ivy. Tirò fuori il coltello a serramanico dalla tasca e lo aprì con uno scatto. Quando avrebbe finito con il Negrito Sambo, il ragazzo sarebbe stato in grado di succhiare una pagliuzza dai lati delle guance e di appendersi un cartellino da baseball dalle narici. Slice rise perfidamente fra sé e sé all'idea. «Avrebbe già dovuto essere qui, Slice. Forse non viene perché la vecchia troia non è a casa,» frignò Eddy. Slice odiava il suono della voce di Eddy, che era ancora intrappolata nelle fluttuazioni tonali della pubertà, anche se aveva diciassette anni ed era proverbialmente grande come una casa. Sentirlo squittire e gracchiare in una normale conversazione era già insopportabile, ma quando frignava, cosa nel quale era bravissimo, la sua voce irritava in maniera insopportabile i nervi di Slice. «Verrà,» ringhiò Slice a tendi stretti. E se non viene ti prendo a calci quella faccia piagnucolosa, pensò, ma disse «Se non viene, andremo a cercarlo.» Come per dimostrare che Slice fosse un profeta, Ivy arrivò a grandi passi dal marciapiede dall'altra parte della strada, con lo zainetto che gli pendeva dalla spalla, sognando avventure diurne di James Bond, inconsapevole del fatto che presto avrebbe dovuto affrontarne una. Ivy bussò alla porta di Barbara, aspettò due secondi e poi bussò di nuovo. Nessuna risposta. Lei non era nell'autobus ed ora non era a casa. Tirò fuori l'orologio dalla tasca. Gli aveva detto che avrebbe preso l'autobus delle tre da Fitchburg fino a Crocker. Ma l'autobus era arrivato cinque minuti prima senza di lei. E se il dottore alla clinica le aveva trovato qualcosa che non andava? Pensò se non fosse meglio aspettarla nell'ingresso, ma il buio, l'odore di urina di gatto e l'immondizia lo convinsero ad aspettare fuori, non importava quanto freddo facesse. Sulla strada, si diresse verso il vicolo accanto al Watson's Market. Pensò che avrebbe potuto cercare qualche deposito e tenere d'occhio Turner Street dove, alle quattro, avrebbe potuto vedere dalla collina arrivare il prossimo autobus dal centro, nella speranza di scorgervi Barbara. Il vicolo era insolitamente sfornito di bottiglie e lattine. Di solito ne raccoglieva almeno quattro o cinque intorno ai cassonetti del Watson's Market, ma non ce n'era nemmeno una, e nemmeno intorno ai pesanti cas-
sonetti metallici della lavanderia. Pensò di avere il tempo sufficiente per guardare tra i cassonetti della lavanderia prima dell'arrivo dell'autobus, ma una risata cattiva ed una voce aspra lo immobilizzò dove stava. «Ehi, negro!» I peli del collo di Ivy si rizzarono dalla rabbia al suono di quell'odiata parola. Si voltò e si trovò di fronte Slice Sanchez, Greasy e JoJo. Gli altri due babbei della banda non si vedevano da nessuna parte. «Abbiamo della merda da sistemare, negro,» disse Slice. Lui ed i suoi amici si sparpagliarono, bloccando l'imboccatura del vicolo su Leighton Street, ed avanzarono lentamente verso di lui. Greasy ridacchiò come un bambino eccitato, ma JoJo sembrava nervoso e continuava a guardare indietro verso la strada. «Pensi di essere stato abbastanza furbo con il tuo trucchetto, non è vero?» disse Slice, che avanzando lentamente, non distolse mai gli occhi da Ivy. Greasy rise di nuovo. Ivy alzò il braccio destro e tirò su la manica del suo cappotto, puntando la pistola di gesso verso Slice. «Non avvicinarti, o t'infilzo le palle!» lo minacciò. Slice guardò la contrattura di gesso sul braccio di Ivy e rise. «Ti sei rotto il braccio, negro? Forse potrei far sì che l'altro gli faccia compagnia.» Fece un altro passo avanti. Ivy colpì il gancio che avrebbe dovuto liberare la molla della trappola per topi lasciando partire la freccia-antenna. Non successe nulla. Colpì di nuovo. Niente. Ivy cominciò a ritirarsi mentre cercava di far partire il colpo dalla pistola di gesso. Non si aspettava di riuscire a colpire Slice con la pistola di gesso, ma sperava che almeno sparasse, facendo allentare la guardia dei teppisti dandogli la possibilità di scappare via. Slice, Greasy e JoJo lo stavano seguendo ma sembravano non avere nessuna fretta di prenderlo. Ivy pensò di approfittare della loro indolenza e fuggire, ma si ritrovò proprio tra le braccia di Big ed Eddy, che avevano fatto il giro intorno a Turner Street per bloccare la sua fuga. Avrebbe dovuto immaginarlo! Big afferrò Ivy per le spalle è cercò di ridere minacciosamente per spaventarlo. Ad Ivy sembrò semplicemente stolido. Big si chinò con l'intenzione di sollevare Ivy per le braccia e di portarlo da Slice. Le sue mani si strinsero intorno al braccio destro di Ivy ma ebbe una brutta sorpresa. La pressione della sua stretta fece esplodere il gancio inceppato del fuoco, e la pistola di gessò esplose il colpo, guidando l'antenna appuntita nei suoi je-
ans, per un mezzo pollice dentro la coscia sinistra. Big si lasciò sfuggire un urlo, «OH!» e si allontanò da Ivy barcollando, stringendosi la gamba ferita. Ivy colse l'opportunità per correre via e riuscì a guadagnare molti secondi di vantaggio mentre Slice e gli altri guardavano confusi l'antenna che penzolava dalla coscia di Big come un banderilla da un toro. La gamba dei suoi jeans era scura fino al ginocchio per una macchia di sangue. «Mi ha pugnalato!» gridò Big con una voce innaturalmente acuta. Slice tirò fuori il coltello a serramanico e lo fece scattare - «Allora non resta che tagliarlo anche a noi, non è vero?» «Ed io?» guaì Big agli amici che si allontanavano. Eddy fu il solo a fermarsi ed a tornare indietro. Con il suo peso, non aveva nessuna voglia di dare la caccia ad un ragazzino che probabilmente poteva distanziarli tutti. Non gli piaceva nemmeno che Ivy avesse reagito. Nessuno di loro era abituato al fatto che le loro vittime reagissero. Eddy fu contento di essere stato lasciato dietro. Ivy corse più che poté lungo Turner Street, che si dispiegava parallela alla Leighton ed era collegata ad essa da un vicolo. In fondo alla strada, dove questa si univa a Rollstone Road, che portava verso il centro, si apriva, sulla sinistra, una strada non asfaltata, che risaliva tra i boschi che arrivavano fino a Green Hill e portavano alla cava di sabbia dove il Dipartimento dei Parchi di Crocker prendeva la sabbia con cui cospargere, d'inverno, le strade. L'imboccò. Lo zainetto continuava a scivolargli dalla schiena rendendogli difficoltosa la corsa. Ivy era sicuro di essere più veloce di Slice e dei suoi compagni, perché loro fumavano e lui no, ma lo zaino lo stava rallentando. Fu tentato di buttarlo tra i cespugli per tornare a prenderlo più tardi. Lasciarlo avrebbe sicuramente aumentato la sua velocità, ma se fosse stato raggiunto da Slice o da uno degli altri sarebbe stato senza difese tranne la pistola a spruzzo piena di candeggina, che poteva tenere in mano mentre correva. Decise di tenersi lo zaino e di usare l'ingegno per eludere i suoi inseguitori! Ivy raggiunse la strada non asfaltata e la percorse a fatica. Era contento che la temperatura si stesse abbassando velocemente. Se fosse rimasta alta come era stata nella mattinata, la sabbia sulla strada sarebbe stata morbida e scivolosa. Con una temperatura più bassa, invece, si ghiacciava ed induriva abbastanza da non intralciarlo. Ivy raggiunse la cima del declivio dove la strada si spianava, si stringeva
in due solchi di ruote, e svoltava a destra lungo la cresta. Si fermò un istante per riposare e sentì i passi di Slice e dei suoi compari avvicinarsi alla fine di Turner Street ed all'inizio del sentiero dissestato. Velocemente fece cadere lo zainetto dalle spalle sul braccio. Vi pescò dentro un istante prima di trovare le vecchie lampadine. Iniziò a tirarle fuori ed a gettarle con un ampio arco verso il fondo della collina e Turner Street. Non appena Slice ed i suoi compagni raggiunsero la strada battuta, le lampadine iniziarono a cadergli tutt'intorno esplodendo come colpi di pistola, facendo ballare Greasy e JoJo e costringendo persino Slice a ripararsi gli occhi dalle schegge di vetro. Lanciata l'ultima lampadina, Ivy sollevò di nuovo lo zaino e continuò per la sua strada. Davanti a sé poteva vedere l'ingresso della cava di sabbia municipale, in mezzo a due alberi sfregiati dai paraurti. Sperava che il suo attacco avesse indotto Slice ed il suo gruppo a pensarci due volte prima di lanciarsi a testa bassa dietro di lui. Se era stato fortunato, aveva guadagnato abbastanza tempo per poter raggiungere la cava di sabbia dove avrebbe potuto fare il giro fino dall'altra parte e seminare i suoi inseguitori. Dietro di lui, Slice fu il solo a reagire immediatamente dopo che fu esplosa l'ultima lampadina. Greasy e JoJo erano indietreggiati leggermente, con le teste chine, e le braccia alzate protettivamente sulle facce. Slice cominciò a risalire la strada battuta e si rese conto che Greasy e JoJo non lo stavano seguendo. Si fermò e si girò verso di loro, facendo dei gesti concitati con il coltello e gridandogli con una voce sfiatata che mancava di vigore. «Andiamo, pappamolle. Prendiamo quel figlio di puttana.» Greasy e JoJo sembravano indecisi, ma l'espressione truce di rabbia crescente sulla faccia di Slice li convinse che sarebbe stato meglio seguirlo o avrebbe potuto decidere di sfogare la propria rabbia su di loro invece che sul ragazzo. La loro esitazione diede ad Ivy il tempo di raggiungere l'entrata della cava di sabbia dove non era assolutamente visibile dai tre teppisti. La strada saliva leggermente, stringendosi all'ingresso della cava di sabbia, per poi scendere fino a perdersi nella profonda e morbida sabbia del terreno piatto in fondo ad un dirupo largo cinquanta piedi ed alto quaranta. Ivy conosceva la cava meglio di qualsiasi altro posto del suo nuovo vicinato. Nei giorni antecedenti all'incontro con Barbara, e durante il periodo in cui l'aveva evitata, aveva giocato là quasi ogni giorno. Tra i cespugli a sinistra dell'ingresso alla cava partiva un sentiero che risaliva ed attraversava la cresta del dirupo di sabbia. Sbucava in una macchia di alberi dall'altro lato dove, contro la base della parete del dirupo, c'erano due file di grossi
tubi di cemento, accatastate a piramide uno sull'altro. Si spinse nel sentiero bordeggiato da cespugli e si fermò, valutando attentamente la scalata fino alla cima del dirupo lungo il sentiero davanti a sé. Per le prime venti iarde era abbastanza ripido, poi diventava più agevole, ma Ivy pensò che al momento non aveva le gambe per fare quelle prime venti iarde. Lasciò cadere lo zaino e si accovacciò dietro i cespugli di lauro che separavano il sentiero dalla strada battuta mentre Slice, Greasy, e JoJo risalivano la strada. Ivy si rese conto che era meglio restare nascosto dov'era: se avesse cercato di arrampicarsi lungo il sentiero, l'avrebbero facilmente individuato. Forse nascondendosi, pensò, avrebbe potuto giocarli facendogli pensare che fosse nella cava, nascosto dietro uno dei molti cumuli di sabbia. Se fossero andati là per inseguirlo, avrebbe potuto ridiscendere la strada da dov'era venuto e fuggire. Ma, per ogni eventualità, tirò fuori dallo zaino la pistola piena di candeggina ed il barattolo di Zip-Strip. Aprì il barattolo e lo mise ai suoi piedi dove poteva facilmente afferrarlo, e strinse la pistola con entrambe le mani nel modo in cui aveva visto fare in televisione, pronto al fuoco. Slice, Greasy e JoJo risalirono ansimanti la strada. Una regolare dieta di sigarette, birra e schifezze e le droghe assortite che prendevano quando se lo potevano permettere, avevano ridotto i tre chiaramente fuori forma. Quando riuscirono a guadagnare l'ingresso della cava, stavano sudando copiosamente, cosa che fece loro sentire freddo quando il sudore, alla temperatura glaciale, si asciugò. JoJo si lasciò cadere su un ginocchio, con la testa penzoloni, ansimando. «Dov'è?» sbuffò Slice, con il respiro bianco e pesante per l'umidità. Fece per asciugarsi il sudore dalla fronte e trovò dei minuscoli cristalli attaccati ai peli delle sopracciglia. «Non so,» fu tutto quello che Greasy fu in grado di dire. Era ripiegato su di sé, con le mani sulle ginocchia, ansimando pesantemente come JoJo. In forma leggermente migliore, grazie al sollevamento pesi, degli altri due, Slice riprese fiato più velocemente, e si diresse verso la cava alla ricerca di Ivy. Greasy e JoJo rimasero dov'erano, troppo sfiatati e stanchi per curarsi dell'ira di Dio che si sarebbe scatenata su di loro se non avessero proseguito. Nei cespugli, a meno di sei piedi, Ivy si tese. Cosa avrebbe fatto se Greasy e JoJo non avessero seguito il loro intrepido capo? Pensò che avrebbe potuto saltare e correre giù lungo la strada e loro sarebbero stati troppo
stanchi per inseguirlo, ma avrebbero avvertito Slice. Ivy sapeva che non importava quanto sfiatato o stanco fosse Slice, lui non avrebbe abbandonato la caccia così facilmente. Per un po', Ivy rimase dov'era, sperando che Greasy e JoJo seguissero Slice e gli dessero la possibilità di fuggire. «Andiamo, ragazzi,» gridò dal primo cumulo di sabbia Slice a Greasy e JoJo, ad un ventina di iarde dalla cava. Greasy si raddrizzò e guardò per vedere se JoJo lo stesse seguendo. Qualcosa di bianco dietro i cespugli catturò il suo sguardo. Era una scarpa da ginnastica. Guardò un po' più in su, ed i suoi occhi incontrarono quelli di Ivy attraverso un piccolo spiraglio di foglie nei cespugli di lauro. «Eccolo!» gridò Greasy con tutto il fiato che gli fu possibile. JoJo rinculò e si girò verso i cespugli sulle ginocchia appena in tempo per vedere la mano di Ivy scagliare del liquido da un barattolo di vetro sulla sua testa. Perse l'equilibrio e cadde, cosa che salvò la sua faccia dallo Zip-Strip che gli schizzò sulle mani alzate ed i polsi scoperti. Gemette dal dolore mentre sull'epidermide ruvida delle mani e dentro le screpolature della sua pelle secca per il freddo si formavano delle vesciche. Si ripiegò sullo stomaco in mezzo la strada, piangendo come un bambino e strofinandosi le mani contro il fango asciutto, cercando di togliersi quella roba, ma peggiorando semplicemente il dolore. Greasy guardò con orrore il suo amico urlare, piangere e contorcersi nel fango. Alzò lo sguardo e vide Ivy in piedi in mezzo ai cespugli, con la pistola a spruzzo puntata sulla sua faccia, pronto a sparare. «Ho la licenza di uccidere,» disse Ivy con quello che pensava fosse un tono di voce alla James Bond. «Quindi se vuoi dell'acido sulla faccia, vieni.» Greasy guardò JoJo, che si era alzato in piedi ridiscendendo la strada barcollante, piangente, con le mani stretta sul corpo. «Non ci penso, amico,» biascicò Greasy. Indietreggiando, si girò e corse dietro a JoJo. Slice, dall'altra parte della strada, stava caricando. Ivy si sistemò lo zaino sulle spalle e cominciò a risalire il sentiero. «Tornate qui, brutti stronzi!» gridò Slice ad i suoi amici in ritirata dall'entrata della cava. Greasy e JoJo lo ignorarono e continuarono per la loro strada. Slice bestemmiò ad alta voce. Era incredulo del fatto che il piccolo negro avesse battuto la sua banda. Era incredibile. Slice si voltò verso Ivy. Il ragazzino era già a metà del sentiero. Slice sapeva che non l'avrebbe mai preso. La scalata di quel sentiero ripido gli avrebbe tolto tutto il fiato e l'energia che gli era rimasta. Si ricordò che il
sentiero procedeva sulla cresta del dirupo di sabbia in mezzo a dei fitti rovi che non permettevano altra via d'uscita, e che portava dall'altra parte del dirupo. L'unica strada che il ragazzo ora poteva seguire era il sentiero in cima al dirupo fino all'altro lato, o poteva ritornare sui propri passi, riscendere per il sentiero dal quale si era appena arrampicato. Cosa avrebbe fatto? Slice decise che c'era una maniera semplice per far decidere al ragazzo. «Ti sto dietro, uomo morto!» gridò Slice ad Ivy, che aveva raggiunto la parte meno ripida del sentiero. Fece finta di arrampicarsi dietro ad Ivy fino a quando il ragazzo non scomparve dalla sua visuale, poi ridiscese il sentiero e tagliò per la cava di sabbia. Taglierò la strada a quel figlio di puttana, pensò Slice, sorridendo. Ivy si fermò in cima al sentiero per prendere fiato. La scalata gli era costata più fatica di quanto pensasse. La sua sola consolazione era che per un po' si era tolto di torno Slice. Forse l'avrebbe sfiancato abbastanza da farlo arrendere ed aspettare un altro giorno. Certamente Ivy lo sperava. Era esausto ed infreddolito. S'infilò la pistola a getto nella cinta, sollevò lo zaino ed iniziò a camminare lungo la cresta del dirupo. Il sentiero era stretto con fitti rovi che avanzavano da entrambi i lati e che non gli permettevano di andare sul bordo del dirupo e di guardare il terreno sottostante. Se l'avesse fatto, avrebbe visto Slice Sanchez correre per sorprenderlo dall'altra parte del sentiero. Quando giunse in fondo al sentiero dall'altra parte del dirupo, alle sue spalle ancora non c'era traccia di Slice. Ivy stava cominciando a pensare che forse il delinquente si era arreso. Gli venne in mente un'altra idea. E se Slice si fosse stancato subito della scalata ed avesse deciso di tagliare dall'altra parte per tendergli un'imboscata? Rallentò l'andatura. Più il sentiero si avvicinava al fondo, più gli alberi aumentavano. Se Slice avesse tagliato, avrebbe potuto nascondersi dietro uno di questi. Ivy si fermò. Cosa doveva fare? Se tornava indietro, avrebbe potuto andare dritto da Slice senza via di scampo. Se andava avanti, Slice poteva essere in attesa di saltare fuori e prenderlo. Se mi deve prendere, pensò Ivy, preferisco affrontarlo qua. Se mi intrappola in cima al dirupo, c'è solo una direzione nella quale posso scappare. E se mi dovesse acchiappare, probabilmente mi trascinerebbe tra le spine. Quaggiù almeno ho più possibilità.
Si voltò, per ascoltare se sentiva qualche segnale della presenza di Slice alle sue spalle. Il vento stava aumentando e non riusciva a capire. Doveva agire presto: stava gelando. Va bene, pensò e prese un profondo respiro. Strinse la pistola a spruzzo, pronto a sparare. Adesso scendo. Iniziò a camminare. «Sorpresa!» gridò Slice, saltando da dietro un albero e facendo cadere la pistola dalla mano di Ivy. «Non fai più il furbo, non è vero, negro?» disse Slice come un'allegra minaccia. Alzò il suo coltello e sorrise, mostrando i denti come un cane pronto a mordere. Ivy fece un passo indietro. «Prima volevo solo strapazzarti un po' negro, ma adesso, dovrai pagare per quello che hai fatto agli altri. Ti taglierò a fette e dadi, Sambo.» Slice sembrò trovare quest'ultima affermazione divertente. La sua risata fece gelare Ivy. Troppo stanco per ritornare in cima alla collina, Ivy prese la sola via di fuga che gli restava. Si buttò a destra. Slice lo afferrò, ma Ivy sgusciò via, balzando in mezzo agli intrecci di rovi ed ai cespugli di lauro al limite dei quali si trovavano. Gli lacerarono i vestiti, lo zaino e la faccia mentre ci si spingeva dentro, ma alla fine fu libero come una colomba, sul bordo del dirupo. Poiché era vicino alla fine del sentiero, il dirupo di sabbia in quel punto era alto solo otto o nove piedi. Ivy scivolò lungo la parete sulla pancia e ruzzolò fino in fondo accanto a due cataste di enormi tubi di cemento che erano ammonticchiati in fila in fondo alla cava. «Torna indietro, piccolo fottuto!» urlò Slice, la rabbia che Ivy gli stesse sfuggendo di nuovo alterò la sua faccia di un rosso barbabietola in un'orribile espressione di rabbia. Si voltò e corse giù lungo il sentiero ed intorno al fondo del dirupo fino al suolo. Il bastardo non sarebbe andato lontano; il ragazzino era ancora in trappola. Non c'era modo che il monello potesse uscire dalla cava senza che Slice lo prendesse. Tutto quello che doveva fare era fare uscire il ragazzino allo scoperto. Anche Ivy sapeva di essere in trappola. La sabbia nel terreno circostante era troppo profonda per potersi indurire nonostante il calare della temperatura. Non avrebbe avuto un passo sicuro per correre in maniera abbastanza veloce da sfuggire Slice. Doveva nascondersi. Era stato fortunato che il suo tuffo dal bordo del dirupo l'avesse fatto atterrare in mezzo ai grossi tubi; era il solo posto della cava che offriva un nascondiglio decente. «Sto arrivando, ragazzo!» gridò Slice abbastanza vicino. Per uno spa-
ventoso istante la sua voce gli sembrò quella del Dottor Peabody. Il terrore straziò Ivy e si nascose nel primo posto che gli si offrì, un tubo vicino che era al livello più basso di una piramide di tubi che si elevava per più di dieci piedi, seguendo la salita del dirupo. Ivy vi si arrampicò a quattro zampe e scoprì che se teneva la testa bassa e le spalle curve poteva starci dentro in piedi. Camminando in quel modo, indietreggiò fino alla metà del tubo, tenendo gli occhi sull'imboccatura per afferrare un segno di Slice Sanchez. Era buio dentro il tubo, buio quasi come di notte, ma Ivy non lo notò immediatamente, tanto era intento a guardare l'apertura. All'improvviso un paio di gambe vestite di jeans passarono velocemente davanti al tubo. Il più silenziosamente possibile, Ivy si girò verso l'altra estremità del tubo e per poco non urlò. Era buio, e non c'era traccia di nessun varco. Adesso era veramente in trappola! Prese il suo accendino Bic e lo accese per vedere. Il tubo di dieci piedi nel quale si era nascosto era poggiato alla parete del dirupo. Un piccolo cumulo di sabbia si era raccolto in fondo al tubo. Piegato come un vecchio, Ivy andò in fondo al tubo per dare un'occhiata ravvicinata. La sabbia contro la cima dell'estremità non era molto spessa, e scoprì di potere creare un'apertura tirando la sabbia nel tubo. Ma capì che se l'avesse fatto, Slice avrebbe visto la sabbia cadere e scivolare giù dalla parete del dirupo ed avrebbe scoperto dove si stava nascondendo. Ma se aspettava che Slice lo trovasse, cosa che avrebbe fatto se avesse cercato in ogni tubo, Ivy dubitava che avrebbe avuto il tempo sufficiente per scavarsi una via d'uscita dal fondo prima che Slice strisciasse dentro e l'afferrasse. Aveva bisogno di qualcosa che rallentasse Slice una volta che si fosse arrampicato nel tubo, e lui aveva proprio la cosa adatta. Adesso era contento di non aver abbandonato lo zainetto, anche se adesso, se fosse riuscito a sfuggire a Slice, avrebbe dovuto lasciarlo nel tubo. Si tolse lo zaino, e muovendosi silenziosamente, lo aprì. Lavorando il più velocemente e silenziosamente possibile estrasse le altre trappole per topi, le sistemò, e le piazzò per tutta la lunghezza del tubo, il più vicino possibile all'altra estremità facendo in modo che non fossero visibili a Slice. Sistemata l'ultima trappola, Ivy ritornò in fondo al tubo e si accovacciò in attesa. Dentro il tubo faceva più freddo che fuori, ed Ivy tremava. Le sue gambe erano rattrappite anche per via della corsa e della posizione accovacciata alla quale era costretto. Si sedette per terra e cercò di allungare e massaggiare le gambe. «Dove sei?» chiamò Slice con una voce melodiosa da molto vicino.
Ivy s'irrigidì. Le gambe di Slice apparvero dall'apertura del tubo, poi la sua testa, quasi capovolta, mentre scrutava all'interno. «Bingo!» disse, e s'inginocchiò, guardando Ivy. «Non farmi entrare per prenderti negro! Sarà molto peggio per te se devo entrare lì per prenderti.» Slice fece una pausa. «Potrei anche ucciderti, negro, se dovessi arrampicarmi qua dentro per trascinarti fuori.» Capì che Ivy non sarebbe uscito. «Va bene, è il tuo funerale.» Slice mise il coltello in tasca e si mise a quattro zampe per risalire il tubo. «Te ne pentirai,» grugnì Slice. Ivy cominciò a scavare. Slice avanzò velocemente, era sempre più vicino. Ivy era sicuro che Slice aveva raggiunto la zona delle trappole, ma nessuna era ancora scattata. Se Slice non finiva in una delle trappole per topi al più presto Ivy sapeva che per lui sarebbe stata la fine. Scavò con furia. «Scordatelo, neg...» Il resto della frase di Slice diventò un grido. Nello stesso istante, nel tubo, ci fu un sonoro scatto ed uno schiocco. Nel tentativo di mettersi dritto Slice urtò con la testa. Mentre perdeva l'equilibrio seguì un altro schiocco e Slice si abbassò per controbilanciarsi ma trovò un'altra trappola che si strinse come una vendetta alle sue dita fredde. Gridò dal dolore, il rumore fu seguito da un altro schiocco e da un altro urlo, e poi un altro, ed un altro ancora, mentre Slice, nel suo frenetico tentativo di girarsi ed uscire dal tubo, finiva su altre trappole. Ivy era in piedi, che scavava nella sabbia in cima all'imboccatura opposta del tubo come meglio poteva. La sabbia cedeva velocemente, ma si riversava nel tubo contro il suo stomaco e le sue gambe, rendendogli difficili i movimenti. Slice era bloccato a metà del tubo. Due dita della sua mano sinistra erano rotte così come il pollice della destra. Una sfilza di oscenità e minacce uscirono rabbiose dalla sua bocca, ma era incapace di fare qualsiasi cosa e lo sapeva. Non importava da quale parte si girasse, a sinistra o a destra, davanti o dietro, incontrava una trappola. Non sapendo quante ce ne fossero, non osava muoversi. All' improvviso la sabbia cedette e l'apertura alla quale stava lavorando Ivy si allargò abbastanza e lui pensò di potercisi pigiare dentro. L'unico problema era che la sabbia scivolata nel tubo lo tratteneva. Si contorse freneticamente, scavando con le ginocchia ed iniziò a fare dei progressi. Spinse fuori, all'aria, la testa e le spalle. Spingendo con le mani contro il
tubo riuscì a tirarsi fuori completamente, lasciandosi dietro lo zainetto e uno Slice Sanchez blaterante e bestemmiante. Vedendo che Ivy era scappato, Slice gridò altre oscenità. Cercò di tornare indietro per la strada dalla quale era venuto ma immediatamente mise la mano destra su un'altra trappola che gli ruppe il mignolo in due punti. Gridò ed urlò per tutto quel dolore che non aveva mai provato prima e rotolò su un fianco facendo scattare altre due trappole che lo colpirono innocuamente alla spalla e sul giubbotto. Fece un balzo al rumore e poggiò la mano sinistra in un'altra trappola che gli ruppe un altro dito. Ivy corse lungo la parte superiore del tubo e balzò a terra. La rabbia di Slice, urla e singhiozzi pieni di lacrime dall'interno del tubo, portarono un sorriso sulla faccia di Ivy. «Zero-Zero-Sette scappa ancora una volta,» disse orgogliosamente, trottando via - «Vincente come sempre.» Ivy si sedette sul gradino d'ingresso dell'edificio dell'appartamento di Barbara, tremante di adrenalina ed eccitazione mentre riviveva i suoi trionfi su Slice Sanchez ed i suoi scagnozzi. Sapeva che tra lui e Slice non era ancora finita, questo era sicuro. Tutto quello che aveva fatto, ribellandosi, aveva provocato un'alzata della posta per la volta successiva. Ora una sconfitta non sarebbe stata sufficiente per Slice. La prossima volta che si sarebbero incontrati avrebbe preteso il sangue di Ivy. Non era molto preoccupato per il resto della banda di Slice, a meno che non fossero stati con Slice. Si erano dimostrati tutti dei veri codardi, come molti bulli, ed ora che lui li aveva battuti una volta, non sarebbero stati desiderosi di affrontarlo di nuovo, anche capeggiati da Slice. Quando sarebbe giunta l'ora di affrontare di nuovo la faccenda, Ivy s'immaginò che sarebbe stato tra Slice e lui. Slice era diverso dagli altri. Ivy era sicuro che fosse uno psicotico. Slice non ci avrebbe pensato due volte ad uccidere Ivy, anche se avrebbe significato passare il resto della sua vita in prigione. La prossima volta che si sarebbero incontrati, Ivy sapeva che sarebbe stata una lotta all'ultimo sangue. Aveva ferito Slice, probabilmente in un modo in cui nessuno lo aveva mai ferito. Slice glìel'avrebbe fatta pagare tre volte tanto. Ivy prese l'orologio e lo guardò. Le cinque passate. La gioia delle sue vittorie svanì mentre la preoccupazione iniziò a crescere. Ritornò la paura che i dottori alla clinica avessero trovato qualcosa di seriamente grave a Barbara. Si domandò se l'avessero ricoverata all'ospedale anche se non aveva soldi. Se l'immaginava, senza nessuna difficoltà, sdraiata in un letto
d'ospedale, dolorante e sola. Alle cinque e mezza decise di tornare a casa e di chiamare la clinica a Fitchburg, ma il suono di un canto stonato lo fermò, proveniva dal fondo della strada. All'inizio Ivy pensò che fosse qualche vecchio ubriacone. Ce n'era qualcuno che viveva nel vicinato e a Turner Street. Riprese di nuovo la strada verso casa, e trovò Barbara caduta contro un bidone ammaccato della spazzatura su un marciapiede un po' di case più avanti. Il suo impermeabile era aperto al freddo ed i suoi abiti in disordine. In un primo tempo, Ivy pensò che avesse avuto un altro scontro con Slice, ma non capiva come poteva averlo avuto dopo che Ivy l'aveva lasciato alla cava con almeno due dita rotte, se non di più. Slice doveva essere al pronto soccorso dell'Ospedale di Crocker o, se era così stupido da non cercare un aiuto medico, a casa a leccarsi le ferite. Il fatto che lei stesse cantando gli comunicò che non era ferita. Se si fosse imbattuta in Slice o in qualcuno dei suoi scagnozzi non avrebbe avuto voglia di cantare. Le si accovacciò davanti, colse una zaffata del suo respiro, e capì che non stava soffrendo affatto. Lei lo guardò di traverso attraverso i suoi vecchi occhiali. Sorrise, poi si guardò intorno. Grugnendo e gemendo, cercò di rimettersi in piedi. Ivy le porse una mano per aiutarla. «No!» gridò e cercò di allontanarsi carponi. «Va tutto bene! Va tutto bene! Sono io! Ivy!» cercò di prenderle la mano. «No, per favore, lasciami sola!» gemette, colpendolo con le mani. «Barbara! Sono io! Sono Ivy!» le gridò, cercando di calmare la sua isteria crescente e di farla tornare in sé. «Ivy?» chiese, riconoscendo finalmente la sua voce. «Oh, Ivy!» sospirò, stringendo le mani intorno al collo come una persona che annega. Ivy si inginocchiò sul pavimento freddo e l'abbracciò, benché l'odore del vino a buon prezzo fosse insopportabile ed opprimente. Ivy odiava vedere Barbara in quello stato; gli ricordava troppo sua madre. Scacciò il sentimento di repulsione dicendosi che la sua sbornia era una reazione ritardata all'incidente con Slice. Gli venne in mente che anche le sbornie abituali di sua madre erano la stessa cosa; una reazione ritardata e protratta alla morte di suo padre. Sentì uno spasmo di colpa per aver sempre provato disgusto per i suoi tentativi di affrontare il cordoglio nel solo modo che gli intorpidiva il dolore. Ora, gli divenne chiaro che questo era il motivo per cui si ubriacava. Per essere così intelligente, qualche volta riusciva ad essere ve-
ramente stupido. «Andiamo. Ti porto dentro dove si sta caldi,» disse, cercando senza successo di farla alzare. Gli sovvenne un nuovo, più spaventoso, pensiero: e se si fosse ubriacata perché alla clinica le avevano dato una notizia terribile, come ad esempio che aveva solo un mese di vita o qualcosa del genere? I singhiozzi di Barbara diminuirono ed Ivy fu in grado di aiutarla a mettersi in piedi. Il sole se n'era andato ed il marciapiede stava diventando nero per le ombre della notte. Con la mano destra sulla sua spalla, e la sinistra intorno al petto, condusse Barbara con cautela verso il suo edificio. Una volta per poco non cadde, ed Ivy ringraziò Dio che fossero vicino ad una cabina telefonica che poté usare per sostenerla. Riuscì di nuovo a farla muovere, anche se per farlo dovette usare ogni oncia della sua forza, e continuò a sostenerla come una stampella. Camminarono lateralmente per pochi passi, poi in avanti, barcollarono ancora una volta indietro, ed in avanti fino a quando non raggiunsero i suoi gradini. Li salirono lentamente insieme, ed Ivy l'aiutò ad entrare nell'ingresso. Alla sua porta, Ivy l'appoggiò al muro, dove immediatamente scivolò sul pavimento. Le aveva visto prendere le chiavi dalla tasca interna del suo cappotto in più di un'occasione, così sapeva dove cercarle. «Henry? Sei tu?» gli chiese Barbara, con la faccia rivolta verso l'alto, gli occhi chiusi come se aspettasse un bacio. Ivy arrossì e prese le chiavi il più velocemente possibile. Aprì la porta e la spalancò. La pila di libri dietro la porta cadde creando un effetto domino, nel buttar giù molte altre cataste. Fecero un rumore sordo ed un tonfo lieve nel buio. «Non farmi fare del male, Henry,» singhiozzò Barbara. «Dove sei, Henry?» Il cuore di Ivy si unì a quello della sua amica. Ed al tempo stesso, la sua forte tempra fiammeggiò al pensiero di Slice e della sua banda per quello che avevano fatto a Barbara. Qualsiasi dolore o ferita che lui gli aveva provocato quel pomeriggio non poteva essere sufficiente. Oggi, aveva giocato sulla difensiva, contento di potersene andare per la sua strada se fosse stato lasciato in pace. Adesso, desiderava la peggiore delle vendette, per fargli pagare di aver fatto male alla sua amica. «Va tutto bene, Barbara,» le disse chiamandola per nome, una cosa che non aveva mai fatto prima di quella sera. «Adesso sono qui e tutto andrà bene. Sei a casa.» Sforzandosi di sostenerla, l'aiutò e la fece entrare. «Ivy?» disse come un'ubriaca mentre lui la conduceva a letto. «Sei un
bravo bambino. Intelligente come un politico. Stavo proprio parlando ad Henry di te.» Si voltò e puntò una poltrona vuota crollando metà dentro e metà fuori dal letto. Nel giro di pochi secondi stava russando. Ivy le sollevò i piedi e le gambe e le buttò nel letto. Non tentò nemmeno di toglierle il cappotto; l'appartamento era ghiacciato. La coprì con le coperte ed il vecchio plaid afgano che prese dallo schienale di una delle poltrone e se ne andò silenziosamente lasciandole le chiavi sul cucinino e chiudendo la porta. CANALE 11 Fumando nella Stanza dei ragazzi - II Vicki Dominatrix Gente Vera Acciuffare un Ladro Bill guardò con ammirazione Larken mentre creava un nuovo file per l'ultimo omicidio sul computer, Joan Perche, anni settanta. Suo marito, anni settantotto, aveva chiamato la polizia per segnalare la sua scomparsa ed aveva dato una descrizione che combaciava con quella della donna trovata fuori al Video Valhalla. Gli era stato chiesto di venire alla stazione di polizia ed era stato portato all'obitorio della Contea, dove aveva identificato il corpo della moglie tra urla ed un attacco di cuore. Larken ci aveva messo un po' di ore per fare gli accertamenti dettagliati; per compilare i dati personali, per ricostruire i suoi ultimi spostamenti, per cercare dei testimoni. «Voglio una copia di quel file non appena l'avrai finito,» disse Bill alle spalle di Larken. «Novità sulle società di sanitari ed il porno su Elvis?» «Ancora nessuna fortuna, signore, ma ci sto ancora lavorando,» rispose Larken. Bill gli diede una pacca sulla spalla ed andò a cercare Mahoney. Trovò il capitano nel momento in cui il sergente d'ufficio lo raggiunse. Aveva in mano un pacchetto, della grandezza di un libro, avvolto in carta marrone che era arrivato nel pomeriggio per posta indirizzato all'Investigatore Speciale Gage. Larken arrivò in tutta fretta con una copia del file su Joan Perche appena in tempo per vedere Bill rimuovere la videocassetta nera dal suo involucro. Sull'etichetta, attaccata sul lato, era scritto con un pennarello di lavanderia un titolo: Fumando nella Stanza dei Bambini.
Invece di guardare il nastro del secondo assassinio non appena il laboratorio ebbe rilevato le impronte, Bill lo lasciò ad Hanson per farne fare una copia simile alla prima. Mahoney tornò con le pose di ogni fotogramma del primo video ed il rapporto di Hanson sul Saxon Theatre, dove era stata trovata Grace Simonds, più l'esame del terreno davanti al Video Valhalla dove era stato trovato il corpo di Joan Perche. Non aveva trovato nessun pezzo di carta con le parole Elvis o le xXx dei film vietati ai minori. La macchia scura ed indistinta che Bill aveva notato sul marciapiede accanto al corpo di Grace Simonds era in effetti una macchia del suo sangue misto a delle fibre sfilacciate e grigie. Nel fango intorno al corpo di Joan Perche aveva trovato delle impronte di piedi che combaciavano con le punte dell'impronta dei bagni del dormitorio dove era stata uccisa Grace Simonds. Aveva fatto prendere anche le impronte del nastro quando era arrivato, ed ottenuto molti punti in comune con l'impronta insanguinata dell'ascia sul primo video e con quelle che aveva rilevato nel gabinetto del dormitorio. Il nastro avrebbe dovuto essere pronto per mezzogiorno. La notte precedente Bill era rimasto in piedi fino a tardi, studiando attentamente le foto di Joan Perche di Hanson, dicendo a se stesso che stava cercando qualunque cosa che poteva essergli sfuggita sul luogo del delitto, ma in realtà si stava prepararando alla visione del filmato sulla sua morte. Si ritrovò vampirescamente a sperare che il secondo omicidio seguisse la struttura del primo, con la vittima già morta, o almeno priva di sensi, quando le sue braccia venivano incenerite. Sapeva che era una falsa speranza. Lo sguardo di dolore ed orrore sul volto di Joan Perche, quando l'aveva esaminata all'esterno del Video Valhalla, gli aveva fatto capire che durante le atrocità che erano state commesse su di lei era viva e assolutamente cosciente. Bill non pensava che l'assassino avesse intenzione di uccidere Grace Simonds nel bagno del dormitorio. Pensava che il tizio avrebbe voluto registrare la sua morte reale sul nastro, ma che si era lasciato prendere la mano. Ma questa volta era riuscito a controllare i propri desideri omicidi fino a quando non poterono essere registrati dal vivo, per i posteri o per qualsiasi ragione il tizio pensava di dover filmare i suoi delitti. Bill scoprì che il movente non era una questione che riusciva ad affrontare con agio. Ogniqualvolta cercava di pensare ad eventuali moventi, il suo fallimento con suo padre finiva con il frapporsi. Non era stato ancora in grado di immaginare perché suo padre avesse ucciso ottantanove donne, avesse fatto delle foto ad ognuna di esse, ed avesse scritto dei resoconti dettagliati di ogni morte su un diario; come poteva riuscire ad immaginare perché un as-
soluto sconosciuto sentisse il bisogno di filmare le sue vittime? Bill lasciò l'ufficio e scese nella stanza dell'interrogatorio che era stata trasformata nella stanza video. Chiudendosi alle spalle la porta, senza curarsi di accendere la luce, si sedette al buio davanti allo schermo nero della televisione, domandandosi perché tutti gli schermi, anche quando spenti, sembrano avere una luce propria interna. Albert, il Capo, avrebbe dovuto raggiungerlo per la visione, ma Bill sperava che non scendesse fino a quando lui non avesse avuto la possibilità di guardarlo un paio di volte da solo. Lui e Mahoney avevano già deciso che questa volta la visione del nastro sarebbe stata limitata. Non c'era nessun bisogno che gli altri uomini che lavoravano al caso guardassero il video. Esporti all'orrore che Bill sapeva contenere il nastro non aveva nessuno scopo costruttivo per l'indagine. La porta si aprì e fu fatta luce. «Cosa fai seduto al buio?» gli chiese Mahoney. «Sto pensando,» rispose Bill, senza alzare lo sguardo dallo schermo vuoto. «Bene, puoi smettere di pensare e cominciare a sentirti male. Ho il nastro di sei ore.» Mahoney teneva stretto il nastro. Benché il suo tono fosse leggero, Bill poté vedere nei suoi occhi che Mahoney temeva il video quanto lui. «Non devi guardarlo adesso, se non ti va, o se hai qualcos'altro da fare,» disse Bill, offrendogli una via di fuga. Fu contento quando Mahoney scosse la testa e si diresse ad accendere l'armamentario e ad inserire il nastro del videoregistratore. Al contrario di come si era sentito con il primo nastro, Bill voleva compagnia durante la prima visione di Fumando nella Stanza dei Ragazzi. Pensò all'ironia del fatto che poco tempo prima lui e Mahoney erano stati avversari. Adesso considerava il capitano un nuovo amico e lo rispettava come uomo e come investigatore. «Tutto pronto,» disse Mahoney, sedendosi accanto a Bill e porgendogli il telecomando del videoregistratore. «Sono pronto quando vuoi,» Mahoney cercò di sembrarlo sul serio. Bill prese un profondo respiro, guardò lo schermo vuoto riempirsi di luce, e premette il pulsante play. Il videoregistratore iniziò a ronzare, il PLAY si materializzò in un verde ardente sulla sua faccia, accanto al sempre lampeggiante 12:00 A.M. Lo schermo diventò nero e si schiarì in un grigio. Apparve lentamente il titolo, Fumando nella Stanza dei Ragazzi. Lentamente la telecamera mise a fuoco dietro i titoli in dissolvenza, e l'in-
quadratura fu riempita da colori accesi e dalla povera vecchia insegnante in pensione, Joan Perche, nuda, con le mani legate, come se fosse stata crocifissa, a due traverse della doccia. Aveva del nastro adesivo grigio sulla bocca. I suoi occhi svelavano terrore. Il muro alle spalle era di cemento beige. Il pavimento era di mattonelle di un grigio spento. L'immagine staccò in un primo piano su un becco d'ottone di una torcia ad acetilene portatile. Un altro stacco, su un primo piano degli occhi pieni di paura di Joan Perche. Un altro stacco. Il becco, un fiammifero tenuto vicino ad esso. Una fiamma blu sgorga dal metallo e si assottiglia sempre più. Un altro primo piano degli occhi della donna. Lo sguardo di terrore della donna, che prima Bill aveva pensato fosse insopportabile, adesso era insostenibile. La matita blu di fiamma della torcia era riflessa nei suoi occhi vitrei. Faceva venire in mente l'immagine delle sue orbite oculari bruciate. Il resto del nastro era una ripresa fissa della donna dal petto in su. La torcia di acetilene accesa entrò in campo dal bordo sinistro e fu applicata al suo braccio destro. Il corpo della vecchia donna divenne una macchia indistinta roteante, la sua testa ciondolava da ogni parte nel tentativo di allontanarsi dalla fiamma. Il tizio era insistente, benché si fermasse il tempo sufficiente per farla calmare prima di cominciare con il braccio sinistro. Continuò in questo modo, avanti ed indietro da un braccio all'altro, torturandola fino all'ultimo, fino a quando il corpo di Joan Perche non si liberò delle braccia e collassò a terra. Per tutto il tempo in cui fu intento nella sua truculenta missione fu visibile solo il becco e la parte superiore del contenitore della torcia a gas. Questa volta l'assassino era stato molto attento a non entrare mai in campo. Dopo solo un minuto di visione di questa tortura, Mahoney lasciò la stanza, con un pugno dalle nocche bianche tenuto davanti alle labbra. Bill guardò fino a quando Joan Perche non morì, poi spense il nastro e mise giù la testa, respirando profondamente per tenere sotto controllo la nausea. La porta si aprì e il Capo Albert entrò, diede un'occhiata alla faccia di Bill e sorrise. «E così terribile, eh?» Bill non doveva rispondere. «Tutto questo sta iniziando ad attirare l'attenzione della stampa,» disse il capo, seduto nella sedia lasciata vuota da Mahoney. «Un paio di giornalisti della stazione di Boston hanno chiamato per chiedere maggiori dettagli e per sapere se questo omicidio e quello di Grace Simonds sono collegati. Per il momento non rilasciamo dichiarazioni, ma presto dovremo dire
qualcosa.» Bill annuì. «Possiamo rilasciare qualsiasi informazione, ma penso che non dovremmo fare cenno dei nastri. Sarebbe un'ottima maniera per toglierci di torno i pazzi che come sempre reclameranno di averlo fatto.» «Sono d'accordo,» replicò il capo. «Infine, stavo pensando di convocare una conferenza stampa, e di lasciartela gestire.» Il capo sorrise al grugnito di Bill. «È logico, Bill. Sei tu l'incaricato delle indagini. Ho informato il sindaco che probabilmente hai a che fare con un serial-killer, ma che vorremmo tenerlo nascosto fino a quando non ne saremo certi.» «Ne sono certo,» disse Bill. «Questo nastro lo dimostra.» «Lo so, ma il sindaco vuole evitare qualsiasi panico, o squadrismo, vuole quindi che soprassediamo su quest'informazione il più a lungo possibile.» «Certo,» disse Bill con sarcasmo. «Facciamo ammazzare un altro po' di donne prima di mettere in guardia il pubblico.» «Spera che riusciremo ad acciuffare questo tizio prima che la situazione ci sfugga di mano.» «Credimi, George» - Bill si alzò, la sua voce era stizzita - «ci è già sfuggita di mano. Di' al Viscido di scendere giù e di venire a guardare questo nastro se vuole vedere quanto ci stia sfuggendo di mano. Non ho nemmeno cominciato a riprendermi dalla brutalità in cui ti trascina questo nastro. Questo tizio è da qualche parte là fuori, George. E potremmo non prenderlo mai.» «Sono dieci anni che ne sono fuori,» continuò Bill, iniziando a camminare avanti ed indietro, «e questo è il caso peggiore che abbia mai visto. Anche al culmine della mia precedente carriera, questo caso mi avrebbe confuso. Quindi di' a quel dannato sindaco di non aspettarsi miracoli.» Bill si rese conto che stava quasi urlando. «Non preoccuparti del sindaco,» lo rassicurò George. «Potresti non venirne a capo, ma stai facendo un lavoro stupefacente. Il cambiamento di Mike Mahoney dovrebbe convincertene. Ti sta sostenendo perché vede che ottieni dei risultati.» Mahoney ritornò, la faccia pallida, le labbra umide. Annuì e sorrise timidamente al capo. «Bene,» disse il capo, guardando a disagio lo schermo. «Vi lascio. Ho un incontro con il sindaco tra quindici minuti.» Il capo se ne andò e Bill premette play, facendo rivivere la visione di torture infernali. Lui e Mahoney lo guardarono in un silenzio affannato men-
tre la camera staccava in un primo piano della fiamma che veniva applicata agli occhi morti di Joan Perche. Quando il nastro fu finito Bill pensò che non avrebbe mai più mangiato uova fritte. Prima che potesse ricominciare un altro anello, Bill premette lo stop. Rimasero seduti in silenzio, ognuno perso nella propria reazione personale a quello che avevano appena visto. Il solo fattore di riscatto era che la rimozione degli occhi era chiaramente avvenuta quando Joan Perche era quasi morta. «Perché lo sta facendo?» disse Mahoney, esprimendo frustrazione più che ponendo una domanda. Bill premette di nuovo play e non rispose. Vicki Clayton si accese un'altra canna, e la passò a David Shipley. Lei soffiò il fumo sul parabrezza, annebbiandolo. «Allora dove diavolo sono?» chiese a David. Lui la ignorò, facendo girare la cicca mentre ci sbuffava sopra nubi di fumo in modo da farla bruciare equamente. «E non ci giocare per ore, stronzo!» gli urlò un minuto dopo, accompagnando l'aggressione verbale con un manrovescio sulla faccia di David, provocandogli, con il suo anello di onice, una bella contusione sulla guancia destra proprio sotto il suo occhio destro pesantemente truccato. Lui piagnucolò e le passò immediatamente la canna. «Oh, Cristo. Lo riduci sempre uno schifo,» si lamentò Vicki facendo una smorfia per i segni di rossetto che imbrattavano l'estremità della canna. Era nervosa, e quando diventava nervosa, diventava dispettosa, verbalmente e fisicamente. Non che David se ne curasse anche in condizioni normali. Sfortunatamente, queste non èrano le condizioni giuste. Vicki si agitò, brandendo la canna e poi distruggendola nel posacenere anche se era stata fumata solo per metà. David fece una smorfia per la perdita della canna ma sapeva che sarebbe stato meglio non dire nulla. Vicki alzò lo sguardo piena di speranza al rumore di un motore, poi bestemmiò ad alta voce quando passò un camion dell'immondizia. Lei si morse l'unghia del pollice e guardò fuori del finestrino del passeggero. David, pensando che lei non stesse facendo attenzione, cercò di recuperare la canna. «Lasciala là!» scattò lei, paralizzandogli la mano sul posacenere aperto. «M-m-ma...» balbettò con la sua voce effeminata. «Ti ho detto, lasciala!» ringhiò lei. La mano di Vicki scattò come un serpente che attacca ed affondò le unghie lunghe sul dorso della mano di
David, facendolo strillare. Lei lasciò i solchi di pelle bianca riempirsi di sangue proprio sotto le nocche. Lui s'infilò il dorso della mano in bocca, succhiando il sangue e tirando su col naso. Se Joey e sua cugina Mary non fossero tornati presto, Vicki si sarebbe ritrovata senza coca. Le erano rimasti solo due grammi e per l'indomani mattina sarebbero finiti. Avrebbe voluto non essersi lasciata convincere da Joey ad andare con David a St. Martinique per incontrarsi con il distributore francese dei video dei Tunnelvision Studios. Joey ci sarebbe andato da solo, ma lui e Mary dovevano andare a Boston per incontrare uno strano milionario europeo che voleva un video speciale e privato che Joey pensava avrebbe portato un sacco di bigliettoni. Una volta, tempo prima, quasi sei o sette anni fa, avevano avuto un'altra richiesta per un video speciale che aveva fatto rastrellare alla Tunnelvision un buon mezzo milione. Quella volta Vicki non era stata coinvolta nell'affare, ma da quello che Mary aveva detto, quando era fatta e parlava troppo, Vicki comprese che il milionario aveva richiesto un film truculento, e Mary e Joey si erano messi d'accordo. Lei e David erano tornati dall'isola da due giorni, e da allora aveva chiamato la casa di Mary dalle sei alle sette volte al giorno, senza mai ottenere una risposta. Si era fatta anche portare a casa sua da David un paio di volte al giorno, ma a casa non c'era nessuno. Ogni volta avevano finito con il sedersi di fronte alla casa per aspettarli, come stavano facendo adesso. Oggi, avevano aspettato dalle dieci del mattino, ed ora era quasi mezzogiorno. Vicki prese dalla borsetta un pacchettino di carta ed un rasoio affilato ed aprì il vano portaoggetti, che aveva un specchietto a scatto attaccato all'interno. Lei aprì il pacchetto di carta, versò il suo contenuto bianco sullo specchio e cominciò a sminuzzare con il rasoio la roba in una polvere sottile. «Hai intenzione di tirare su tutto il mezzo grammo, adesso?» chiese David, la voce balbuziente attenuata dalla mano ferita ancora infilata in bocca. «Cosate ne importa?» rispose bruscamente Vicki, alzando minacciosamente la lama del rasoio. A lui importava, anche se non disse nulla. Se avesse sniffato quel mezzo grammo adesso, sarebbe rimasta solo con un grammo e mezzo, che non sarebbe durato a lungo, nello stato in cui era. E quando lei rimaneva senza, lui avrebbe dovuto scontare l'inferno, e avrebbe dovuto raccogliere il dolo-
roso assegno. Non sarebbe stato nemmeno un bel dolore; non gli sarebbe piaciuto. David era contento di non poter usare la coca. Il suo naso si era rotto così tante volte che poteva a malapena respirarvi e, senza il trucco, sembrava un pugile stagionato. Anche a lui piaceva sballarsi come Vicki, ma i suoi gusti si orientavano di più verso l'erba ed il Valium, le anfetamine ed i barbiturici, e qualsiasi altra cosa riuscisse ad arraffare. Adesso c'era il crack, quella era un'altra storia. L'aveva provato una volta e gli era piaciuto moltissimo, ma era ancora abbastanza difficile trovarlo in un posto come Crocker. «Vai avanti e distruggiti se vuoi. Non è roba all'altezza del mio naso,» fece il broncio. «Ci sarà qualcosa all'altezza del tuo naso se non stai zitto;» lo minacciò Vicki, agitando davanti alla sua faccia la lama del rasoio ricoperta di polvere bianca. Non aveva intenzione di farsi tutto il mezzo grammo in una volta, lo stava semplicemente sminuzzando per fare qualcosa, ma adesso lo divise in molte linee abbondanti e le sniffò rapidamente, una\ dopo l'altra, solò per fare dispetto a David la Regina. Rabbrividì e tossì per la troppa furia. Più tardi, se la prese con sé stessa per essersi lasciata stuzzicare dalla piccola e stupida regina a farsi l'intero mezzo grammo. Se fosse rimasta senza prima del ritorno di Mary e Joey, gliel'avrebbe fatta pagare solennemente. Un'ora dopo, la lunga Bonneville dorata che Mary e Joey guidavano quando la neve teneva le loro moto lontane dalle strade, risalì la strada e si fermò nel vialetto. La sua vista fu sufficiente per fare affiorare un sorriso sulla faccia di Vicki fino a quando non vide che nella macchina c'era Wilbur, solo Wilbur lo Strano, che la conduceva nel vialetto. «Da quando guida?» chiese David, ma Vicki stava già uscendo dalla macchina, dirigendosi verso la casa. David prese velocemente la mezza canna dal posacenere e se l'infilò in tasca prima di scendere e di seguirla. Vicki raggiunse Wilbur mentre questi stava attraversando il cortile sul retro, dirigendosi verso il portico. «Ehi, Wilbur!» urlò, tagliandogli la strada. «Dove sono Mary e Joey?» La sua bocca si aprì, ma non rispose. Sembrava assolutamente sgomento di vederli, ma a Vicki questo non sembrò affatto strano. Sapeva che Wilbur era un ragazzo molto strano. L'aveva sorpreso a parlare con la televisione - quella che chiamava tunnelvision sin da quando era piccolo, e fu da qui che Joey ayeva preso il nome dello studio. Naturalmente, considerando
le cose che erano state fatte a Wilbur nel corso degli anni (cose alle quali Vicki aveva assistito ma alle quali non aveva mai preso parte, non essendo i porno con bambini tra i suoi preferiti) sarebbe stato un po' strano che non fosse pazzo. «Qui Terra a Wilbur? Pronto?» lo chiamò, mettendo una mano davanti alla bocca per un effetto megafono. «Ci sei?» *** Cambio di canale cambio di canalecambio di canalecambiodicanale cambiodicanalecambiodicanalecambiodicanale... Non avviene niente. Questo non è un nuovo programma irradiato dagli abissi della sua mente per torturarlo. Queste sono persone vere. Le conosce. Se non fosse così spaventato, potrebbe ricordare i loro nomi. Vuole nascondersi, spegnere l'apparecchio e nascondersi, ma non può. Gli stanno parlando, stanno aspettando delle risposte. Perché non lo lasciano solo? Perché non vanno a fare le loro domande a Joey e a Mary-nonMadre? Poi si ricorda. Adesso è solo, e gli intrusi vogliono sapere perché. Gesù vuole trasmettere e rispondergli, ma per le rime. Avrebbe potuto metterli in contatto con Joey e Mary-non-Madre con pochi colpi dell'ascia che Lui tiene nello stipetto della cucina. Wilbur Gli resiste e quando ha successo ne rimane sorpreso. Gesù retrocede ed aspetta, guardando, pronto ad andare al circuito chiuso senza preavviso. «Sono dovuti andare via di nuovo,» borbotta in risposta alla domanda su dove sono Joey e Mary-non-Madre. «Quando tornano?» chiede e la sua voce gli ferisce le orecchie, come se qualcuno l'assordasse con una tromba a solo pochi pollici di distanza. Lei e l'uomo lo seguono a casa. Non sa come dirgli di andare via. «Non lo so,» dice flebilmente. La donna gli strappa le chiavi dalla mano e si dirige a lunghi passi verso la porta, aprendola. L'uomo gli passa accanto, seguendo la donna, e fa un occhiolino e delle smorfie a Wilbur. «Lasci sempre la televisione accesaquando esci?» gli chiede una volta dentro. Lei attraversa la cucina fino al soggiorno e rimane a guardare Gesù sullo schermo. Naturalmente lei non può vederLo nelle Sue vesti ma in quelle di una giovane donna di una soap opera, ma Wilbur può, e c'è brama di sangue negli occhi del Figlio di Dio. Grida a Wilbur di farlo andare in onda.
«Ho detto, lasci sempre la televisione accesa quando esci?» chiede di nuovo quando lui non risponde. Per lui è difficile sentire quando Gesù urla così forte. «Stravaganze da bambini,» dice l'uomo, facendo mulinare intorno all'orecchio destro il dito indice teso e facendo roteare gli occhi. La donna spegne la tunnelvision ma Gesù resta, fissandolo malignamente. «Ascolta, Wilbur,» dice lei, con un tono leggermente più dolce, «voglio solo sapere dove sono andati. Joey avrebbe dovuto avere un'oncia di coca per me ed io ne ho bisogno.» Wilbur fa un sospiro di sollievo. È tutto quello che vogliono. Se ne può liberare facilmente. «È qui,» dice. Va in cantina dove è lo studio. Da un cassetto segreto situato nel muro sotto le scale, prende un'oncia di coca dalla scorta di Joey e Mary-non-Madre. Al suo ritorno la donna la prende bramosamente e va al tavolo di cucina per provarne un po'. Adesso che ha quello di cui ha bisogno lo ignora, ma l'uomo lo guarda in maniera strana. «Come mai hai le chiavi della scorta di Joey? Non la lascerebbe mai qui a te se fosse via,» dice a Wilbur. «Non è da lui.» Wilbur nota che l'uomo è truccato ed ha lo smalto alle unghie, come una donna, e si ricorda chi è. Il suo nome è David. Il suo cognome è Ilfrocio. Ha sentito spesso Joey e Mary-non-Madre parlare con lui, e chiamarlo David Ilfrocio. Le sue parole fanno sudare freddo Wilbur. Il Sistema di Trasmissione d'Emergenza sta per entrare in funzione. Gesù sta per entrare nel circuito chiuso. Gesù sta per prendere il testimone. «Joey deve avergliele lasciate per darmi la roba,» la donna dice dal tavolo dove sta sminuzzando con il rasoio la coca su un piatto da portata. «Questa testa di cazzo probabilmente non se lo sarebbe nemmeno ricordato se non glielo avessi chiesto, non è vero, Wilbur?» Lui annuisce. «Adesso ricordo. Joey ha detto di darti la coca. Ha lasciato la chiave. Ha detto che saresti venuta con David Ilfrocio,» dice, indicando l'uomo con un cenno della testa. La donna getta indietro la testa e ride istericamente ma l'uomo sembra arrabbiato. Si dirige da Wilbur e gli da una spinta. «Attento a come mi chiami, faccia da culo!» urla in faccia a Wilbur. Gesù sta collegando la Sua telecamera. «Non prendertela con lui. È solo un ragazzino, che ripete semplicemente quello che ha sentito dire. Dovresti prendertela con Joey se sei arrabbiato,»
lo rimprovera la donna, ancora ridendo. David Ilfrocio sembra non averne alcuna intenzione, e si allontana da Wilbur. Al tavolo, la donna sniffa alcune strisce, afferma che la roba è buona, e l'impacchetta. Mentre si dirige alla porta va da Wilbur. Gli mette le mani in mezzo al cavallo dei pantaloni e stringe, facendolo sussultare, e al tempo stesso si protende in avanti e lo bacia, spingendo la lingua in profondità nella sua bocca sbigottita. «Grazie, Wilbur,» dice lei carinamente ed abbassa lo sguardo verso la mano che stringe la sua area più vulnerabile. Con una voce eccessivamente forte aggiunge, «Forse mi libererò di David Ilfrocio e tornerò per fare un giro con Mister Ed.» L'uomo scoppia in lacrime e corre fuori dalla cucina. La donna dà a Wilbur un'altra dolorosa strizzata e molla. «Ma non trattenere il respiro,» dice con tono aspro e poi sparisce, ridendo, oltre la porta, ed una ventata di fredda aria dicembrina s'insinua come una sua esalazione. Slice Sanchez cercò di mettere le mani in tasca e trasalì per il dolore alle dita. Non stavano guarendo nella maniera giusta. Si rendeva conto che sarebbe dovuto andare immediatamente in ospedale, ma doveva fare il macho! Se ci andava adesso avrebbero dovuto rompergli di nuovo le dita per sistemarle. Se le sue dita dovevano essere rotte di nuovo avrebbe preferito romperle sulle facce di Greasy e JoJo per averlo abbandonato, o ancora meglio, sull'intero corpo del piccolo negro bastardo che le aveva rotte la prima volta. Il ragazzo l'aveva preso di sorpresa, questo era sicuro. Slice non era abituato a gente che combatteva e lottava contro di lui. La prossima volta avrebbe dovuto essere più cauto. Una cosa era certa: non sarebbe più dipeso da quei perdenti che erano stati i suoi ex amici. Slice se ne stava nel suo punto favorito all'angolo del Watson's Market. Da lì poteva controllare tutta Leighton Street e gran parte di Turner Street. E cosa ancora più importante, poteva vedere direttamente dentro al Watson's attraverso la grande vetrina di vetro del negozio. Da quel punto poteva controllare se stava arrivando la polizia e vedere quando la Vecchia Signora Watson andava nella stanza sul retro per rispondere al telefono o fare pipì o prendere qualsiasi cosa tenesse là dietro. Era allora che Slice entrava in azione. Era quasi scientifico, pensò immodestamente. Poteva sgusciare nel negozio, arraffare qualche rivista, degli accendini, dei dolciumi, ed un paio di biglietti della lotteria istantanea prima che la vecchia signora arrivasse in
tutta fretta urlandogli di comprare qualcosa o di uscire dal suo negozio. Si assicurava sempre di avere in tasca soldi sufficienti per comprare un pacchetto di gomme. Un movimento nell'angolo della sua visuale attirò la sua attenzione e si voltò, guardando dentro il negozio. La Vecchia Signora Watson lo stava guardando. Le fece un occhiolino, e lei si voltò, andando sul retro del negozio. Slice guardò su e giù per la Leighton e Turner. Nessun poliziotto in vista. Andò verso la porta dell'emporio e scrutò attraverso il vetro. Poteva vedere solo l'ombra della vecchia signora sul muro della stanza sul retro. Sembrava che stesse parlando al telefono. Slice girò la grande maniglia di ottone meglio che poteva con la mano sinistra dolorante. Su quella mano solo il pollice ed il medio non erano rotti. La sua mano destra stava leggermente meglio, il pollice, l'indice ed il medio erano sani. In silenzio stese il braccio verso il campanello della porta dei clienti, e pigiò il mignolo in cima alla porta. Voleva urlare dal dolore che provò al dito, attraverso la mano, fino al braccio e nella testa dove iniziò a martellare sul suo cranio. Stringendo i denti dal dolore, riuscì ad afferrare la campanella e a scivolare dentro in silenzio. Nessuna traccia della vecchia signora. Sentiva la sua voce ovattata dal retro, ancora al telefono. Se fosse entrata avrebbe fatto credere di essere appena entrato. Slice non perse tempo. Si prese un paio di confezioni di Skittles ed un pacchetto di Twinkies. La Vecchia Signora Watson stava ancora guaendo così Slice decise di prendersi una Coca ed una copia della rivista MAD. Il suono delia campana sulla porta annunciò l'arrivo di un nuovo cliente e lo trattenne dal prendere la rivista. La vecchia signora sarebbe prontamente uscita al suono della campanella. Doveva andare al bancone in modo da far sembrare che anche lui era appena entrato. Si voltò e si dimenticò della Vecchia Signora Watson e del restò. Il pigmeo negro che l'aveva ferito era appena entrato. Non aveva ancora visto Slice in fondo al lato sinistro del negozio dietro il reparto del pane. Il negro stava al bancone e scrutava con uno sguardo pieno d'aspettativa verso la porta che dava sul retro alla ricerca della Vecchia Signora Watson. Slice abbassò la testa e scivolò dietro i corridoi bassi e stretti di cibo fino al primo. Andò carponi fino alla parte anteriore del negozio, arrivando alle spalle del negro condannato-a-morte. Slice si sporse e sussurrò nell'orecchio di Ivy. «Ti ucciderò,» disse, fa-
cendo saltare e barcollare Ivy fino all'estremità del bancone. Rise, fino a quando non vide il sorriso affettato sulla faccia di Ivy. «Dio! Cosa ti è successo alle dita, Slice? Hai starnutito mentre avevi le dita nel naso?» Il ragazzino lo stava prendendo in giro! «Pensi di essere divertente?» chiese Slice, brandendo le dita piegate della sua mano sinistra. «Beh, sì. Non direi divertentissimo, ma in una scala da uno a dieci, mi darei un otto.» Il ragazzino stava ridendo. Il ragazzino non era spaventato! Slice non sapeva cosa fare. Preso da una rabbia crescente ricadde in minacce infantili: «Già, beh, non lo troverai divertente quando mi occuperò di te!» «Sì? Tu ed il tuo esercito? La Truppa Mercenaria!» Quel piccolo fottuto non sapeva quando smettere! Slice sapeva come azzittirlo. Anche con le dita rotte, poteva tirare fuori il suo coltello e far scattare la lama con un movimento fluido, facendolo apparire come per magia. «Non lo troverai così divertente quando ti farò a fettine,» minacciò Slice, impugnando la lama in modo che Ivy potesse darle un'occhiata. «Come mai non sorridi più, furbetto?» chiese Slice, iniziando finalmente a divertirsi per lo sguardo di paura sulla faccia del ragazzo. Simulò un attacco con il coltello e ridacchiò quando Ivy per poco non cadde all'indietro. «Adesso non sarei in grado di fartela vedere,» disse Slice, lanciando una rapida occhiata alla porta del retro, «ma te la farò vedere, Sambo. Puoi contarci.» La campanella della porta tintinnò. Slice girò su se stesso, cercando di chiudere il coltello e di metterlo via. Le sue dita storpiate non ci riuscirono, e gli cadde a terra ai piedi di due agenti di polizia che erano appena entrati. Un secondo dopo, la Coca che Slice aveva preso gli scivolò dalla giacca, colpì il pavimento ed iniziò a sibilare e a schiumare come una bomba pronta ad esplodere. Anche il resto del suo bottino cadde. «Guardate! Guardate!» urlò la Vecchia Signora Watson, accusandolo dal retro. «Ve l'avevo detto! Lui ed i suoi amici mi derubano in continuazione! Questa volta ti ho preso... teppista!» Agitò, contenta, il dito verso di lui. «Va bene, Sanchez. Conosci la prassi. Assumi la posizione,» disse il poliziotto con una voce stanca. «E dovrei pagarla per così poco!» disse Slice innocentemente.
«Oh, ne sono certo,» lo scimmiottò il poliziotto. «Ti porto dentro per possesso di un'arma durante la libertà condizionata.» Mentre si poggiava contro il bancone, con le braccia e le gambe allargate, Slice vide Ivy dirigersi verso la porta girando intorno al poliziotto. Anche il poliziotto lo vide. «Hey, ragazzo.» la voce del poliziotto fermò Ivy sulla porta. «Non te ne andare. Voglio parlarti.» Ivy si girò ma non disse niente. Mentre il poliziotto ammanettava Slice, il teppista lanciò ad Ivy un'occhiata minacciosa. Facendo credere di avere qualcosa nell'occhio, se lo strofinò con il medio mandandolo a fare in culo. Ma era troppo impercettibile perché l'arrabbiato Slice lo afferrasse. CANALE 12 A Beth piace Wilbur Bond, James Bond Il Sussidio di Wilbur Scene da un Matrimonio - II Stranamente Beth Shell non vedeva l'ora di lavorare nel turno di notte. Quello dalle undici alle sette, che era sempre stato il turno peggiore, era recentemente diventato il migliore da quando aveva saputo che veniva considerato parte dei doveri delle guardie del turno dalle undici alle sette scortare, su richiesta, le infermiere nelle zone deserte dell'ospedale, fino alle macchine, o alla scuola per infermieri. Aveva anche saputo che Wilbur era una specie di animale da soma, che lavorava sette giorni alla settimana e qualche volta con un turno doppio perché la guardia di rinforzo a tempo ridotto si era licenziata. Per cui non importava in che notte avrebbe lavorato, era sicura che l'avrebbe visto. La notte del suo turno si avvicinava e Beth aveva provato momenti di eccitazione alternati a tuffi nel nervosismo e nel dubbio. Si stava comportando stupidamente, lo sapeva, come una bambina con una cotta. Conosceva appena quel tizio e l'aveva a malapena sentito pronunciare una parola, ma il solo pensiero di lui le faceva venire le vertigini. Se esisteva una cosa come l'amore a prima vista, allora questo era quello che più gli somigliava. Dopo giorni, ore, minuti di strazio per l'attesa, era finalmente arrivata la notte. Le era stato assegnato di lavorare al reparto di geriatria, che vir-
tualmente le assicurava almeno un viaggio alla lavanderia prima della fine del turno. Entrò in servizio radiosa e piena d'energia. Si avvicinarono le quattro, ed ancora non aveva avuto nessun bisogno di portare il carrello con la biancheria sporca alla lavanderia. Beth stava diventando impaziente. Il turno era stato tranquillo come un cimitero e lento come un funerale. Finì il controllo ad un letto di una donna di novant'anni che si era svegliata pensando di essere in Kansas nel 1933, e ritornò lentamente nella stanza delle infermiere. Aveva cambiato un solo paziente in tutta la notte, ed era stato per urina a letto, decisamente non sufficiente a giustificare un viaggio con il carrello quasi vuoto fino alla lavanderia. Si rassegnò a sperare che Wilbur passasse dalla stanza quando faceva il giro di sorveglianza. La chiave era in fondo al corridoio nord, accanto all'uscita d'emergenza. Secondo la caposala, alla quale Beth aveva cavato alcune informazioni, Wilbur di solito entrava al piano attraverso la porta d'emergenza e passava davanti alla stanza delle infermiere per andare agli ascensori, ma se l'aveva fatto, nessuno, inclusa Beth, l'aveva visto. La caposala pensava che faceva il giro verso le 5:00, ma non era sicura. Beth lanciò un'occhiata all'orologio. Erano le quattro e cinque. Gemette ed attese. Mancava molto tempo alle cinque. Quando arrivarono, arrivarono con disappunto - Wilbur non passò mai. Ivy prese la chiave di riserva che Barbara gli aveva dato e cercò di aprire la porta. Aveva paura che al suo arrivo stesse dormendo e che non lo sentisse bussare, e gli aveva detto di prenderla, avvisandolo che la copia tendeva ad incastrarsi nella serratura. Si era lamentata, come per capriccio, del fatto che ultimamente dormiva come un morto. Ad Ivy l'analogia non era piaciuta. Tirò fuori la chiave e la reinserì, riprovando. Barbara non aveva mai chiarito cosa fosse successo la notte della sbornia, e nemmeno Ivy. Lui aveva cercato di scoprire se alla clinica tutto fosse andato bene, ma lei aveva detto di stare bene e che non avrebbe detto altro. Dall'aggressione di Slice, voleva parlare solo del passato. Ad Ivy non importava. Trovava i suoi ricordi affascinanti come un buon libro, ma certe volte aveva là strana sensazione che li riviveva ad alta voce sia che lui ci fosse o meno. Era molto preoccupato per la sua amica. Non era la stessa Barbara che l'aveva cacciato dal suo territorio la prima volta che si erano incontrati, e
che gli aveva fatto conoscere i libri che lui avrebbe amato per il resto della vita. Dormiva troppo, ed aveva ragione - dormiva così profondamente che qualche volta Ivy non riusciva a svegliarla. Era diventata dimentica e svanita. Ivy maledisse sottovoce la chiave e l'agitò nella serratura. Proprio qualche giorno prima, era arrivato ed era entrato con molti meno problemi e l'aveva trovata addormentata sulla poltrona, gli occhi chiusi, la bocca spalancata e sbavante, con la mano sinistra che si contraeva. Aveva cercato di svegliarla ma non ci era riuscito. Si era svegliata mentre lui stava cercando per la casa degli spicci da usare nel telefono pubblico del Watson's Market per chiamare un'ambulanza. Lei gli assicurò che stava bene, e gli sembrò proprio la vecchia Barbara. Lui era rimasto mentre lei si metteva a letto e sprofondava di nuovo nel sonno. Prima di andarsene, aveva gridato ed aveva iniziato a tremare come un bambino. Ivy l'aveva coperta e le aveva cantato una ninnananna, che ricordava sua madre gli cantava, fino a quando Barbara non si era calmata. Mentre andava là, Ivy aveva gongolato alla cattura di Slice Sanchez per il furto al Watson's Market. Per quello che lo riguardava, comunque, non era ancora sufficiente per risarcire quello che Slice aveva fatto a Barbara. Ogni giorno peggiorava. Ultimamente, Ivy era preoccupato perché non mangiava. Aveva cominciato a prepararle la cena prima di tornare a casa per mangiare con sua madre. Di solito consisteva solo in una scatoletta di zuppa o di carne in umido, qualche volta in un panino. La maggior parte della roba la «prendeva in prestito» a casa, come la mezza scatola di pasta che aveva in mente di bollirle e ricoprire con della salsa per spaghetti per il suo pasto serale. Il livello di frustrazione di Ivy con la chiave stava raggiungendo il suo apice, ma il rumore della porta che veniva aperta dall'interno gli evitò di esplodere dalla rabbia. La porta si aprì e qualcosa di ansimante, saltellante, graffiante e guaente uscì dal buio dell'appartamento, attaccando i suoi polpacci con una ferocia solleticante. Si abbassò e sentì delle zampette battersi giocosamente con la sua mano ed un naso umido annusargli le dita. Ivy era senza parole. Si inginocchiò ed il cagnolino gli attaccò la faccia con una lingua amichevole. Era un meticcio, ma il suo lignaggio era evidente nelle sue orecchie da cocker spaniel e nel muso da fox-terrier. La coda non apparteneva a nessuna delle due razze, ma era lunga e pelosa e sembrava assolutamente fuori posto su quel cane. Ivy guardò Barbara, che teneva la porta aperta. Un'espressione di felicità
e confusione combatteva una gioiosa battaglia sulla sua faccia, facendo sentire Barbara come meglio non si sentiva da un po' di tempo a questa parte. Entrò e si tolse il cappotto, mentre il cane gli attaccava le scarpe, i polpacci e le gambe. «Da dove viene?» chiese Ivy, cadendo su entrambe le ginocchia. Il cagnolino gli balzò immediatamente sul petto, lo fece cadere a terra, ed iniziò a leccargli la faccia fino a quando lui non iniziò a ridere in maniera sfrenata. Più rideva, e più velocemente il cane gli leccava la faccia fino a quando non dovette respingerlo. «Il padrone di casa ha trovato questo piccolo amico in un sacco dell'immondizia in un cassonetto nella fabbrica dove lavora,» disse Barbara, dopo aver chiuso a chiave la porta. «Ha trovato anche qualcos'altro, che mi ha dato. È nella scatola lassù. Puoi averlo se vuoi. È stato un bene che il sacchetto fosse rotto o il cucciolo sarebbe morto soffocato. Il mio padrone di casa, il signor Crankshaw, è un uomo gentile. Ha pensato che mi sarebbe piaciuto il cane come compagnia. Io ho pensato che fosse perfetto per te.» Ivy sembrava elettrizzato, poi fece una smorfia. «Mi piacerebbe,» disse, guardando bramosamente il cucciolo saltellante che gli stava mordendo il pollice, «ma mia madre non mi farebbe mai tenere un cane. L'ho implorata per anni di prendere un cane ed ha sempre detto di no. Questo Natale non gliel'ho nemmeno chiesto, come ho sempre fatto, perché sapevo che non me l'avrebbe preso.» «Puoi tenerlo qui. Tua madre non deve saperlo,» suggerì Barbara. La faccia di Ivy s'illuminò immediatamente. «Sul serio?» Barbara annuì. «Va bene!» gridò Ivy. Prese il cane e lo abbracciò, sottoponendo la sua faccia ad un altro bagno di saliva. «Devi dargli un nome,» disse Barbara, trascinandosi verso la sua poltrona. «È un maschio.» L'attenzione affettuosa verso il cane non impedì ad Ivy di notare che Barbara quel giorno era molto rigida. Portò il cane accanto alla sua poltrona e si sedette a gambe incrociate con lui in grembo. «Stai bene?» chiese, guardandola in faccia. Lei gli sorrise in risposta, facendo disperdere parte delle sue preoccupazioni. «Oh, certo. È solo la maledetta artrite. Non ti preoccupare, mi passerà subito. Voglio sapere come chiamerai questa piccola peste.» Ivy strinse il cane a sé e ci pensò per qualche istante. «Lo so,» disse con un sorriso infingardo. «Lo chiamerò, Bond, James Bond. In questo modo,
ogni volta che qualcuno mi chiede come si chiama io posso dire» - Ivy assunse un accento inglese - «Il suo nome è Bond, James Bond.» Barbara rise e batté allegramente le mani. «Mi piace!» gracchiò. Ivy sorrise orgogliosamente. «Ed adesso una parola dal nostro sponsor.» Gesù stringe in mano una videocassetta. Su una parete di schermi alle sue spalle, appaiono scene di bambini affamati del terzo mondo. «Non dareste un aiuto al Fondo di Assistenza per Wilbur?» chiede con occhi appassionati. Le immagini sugli schermi spariscono una ad una. Su ogni televisore appare la stesso titolo: Giochiamo. Il film inizia e c'è Gesù attirato nel garage da Joey. E c'è Gesù che piange, Gesù che urla. E c'è Joey che solleva un pugno imbrattato di sangue, che sorride alla telecamera. E ci sono degli uomini in fila per fare un giretto con Gesù. «Una mano è tutto quello che chiediamo,» dice Gesù. «Adesso facciamo una pausa per l'identificazione della stazione.» «State guardando la Televisione di Gesù! Lode al Signore e scambiatevi il telecomando.» Circuito chiuso. La Bonneville è un predatore che avanza furtivo lungo le strade buie e sature di gas di scarico. Gesù è la fame che la guida. La luce della luna salta da dietro una nuvola screziando la superficie del Lago Whalom. La luce abbaglia Wilbur. La luce ipnotizza. Un cartello: JAY EPSTEIN Medico Dentista. L'ufficio di uno dei dentisti di riserva dell'ospedale. Benché non sia lo stesso dentista della scuola secondaria che rise al racconto di Gesù di Mary-non-Madre che gli tirava i denti, lui lo farà. Gesù parcheggia ed aspetta. L'orologio sul cruscotto segna le 5:25 del pomeriggio. Presto. Un uomo barbuto che indossa degli occhiali, si stringe il colletto per contrastare il freddo. Gesù lo chiama. L'uomo riconosce Wilbur dal pronto soccorso dell'ospedale. Si avvicina. Gesù benedice il mento del dentista con il suo manganello di gomma nera. «Torneremo alla presentazione dei nostri servizi dopo questi importanti messaggi.» «Bill, noi dobbiamo parlare,» disse Cindy dalla porta del soggiorno. E-
rano le tre e mezza del mattino e Bill era stato alzato tutta la notte con le sue fotografie. «Finisco subito,» disse Bill senza alzare lo sguardo dal tavolo. «No, Bill. Ascoltami!» La voce acuta attirò la sua attenzione. «Dobbiamo parlare adesso.» Lei entrò nella stanza e si andò a sedere in un angolo del divano. «Non sta andando nel modo in cui io pensavo,» disse lei con un sospiro di esasperazione. «Non accade mai,» Bill sprofondò nel divano, e la sua faccia piombò nel buio. «Non penso più che questa sia una buona idea,» disse esitante Cindy, inciampando su quello che diceva e sul come dirlo. Guardò Bill, in cerca d'aiuto, o di una risposta, ma lui rimase silenzioso al buio. Non aveva idea di cosa lui stesse pensando. Quando si sporse in avanti, la luce dei lampioni attraverso la finestra catturò sulla sua faccia uno sguardo intenso. Cindy pensò, Finalmente, mi dirà quello che sta succedendo, ma Bill si allungò verso il tavolino e raccolse una delle sue fotografie. «Bill!» urlò, senza curarsi di poter svegliare Devin e le due gemelle, senza curarsi di niente se non di scuoterlo. Lui alzò uno sguardo tagliente, guardandosi intorno, cercando la ragione per cui stava urlando. «Non ascolti più quello che dico!» disse arrabbiata. «Te ne stai seduto a fissare il tuo lavoro ed è come se io ed bambini non esistessimo più. Lo so che fare l'investigatore per te è importante, ma è più importante della tua famiglia? Lo vedi quello che ci stai facendo? Quando dicevi che un poliziotto è in servizio ventiquattr'ore al giorno, non avevi detto che tu saresti stato un poliziotto per ventiquattr'ore al giorno.» Si fermò, per la crescente emozione, e cercò di tenerla a freno. Avrebbe voluto dire di più, sfogarsi adesso che aveva la sua attenzione, ma aveva paura che una volta che si fosse lasciata andare non si sarebbe fermata fino a quando non avesse detto qualcosa di cui si sarebbe pentita. L'esperienza passata le aveva insegnato che era meglio stare zitta e tenere sotto controllo le proprie emozioni prima di farle uscire dalla bocca. Bill risprofondò e la guardò. Se gli occhi avessero potuto parlare, i suoi avrebbero detto molto, ma dalla sua bocca non uscì niente. Cindy non riuscì più a sopportarlo. «Di' qualcosa!» Bill si arrabbiò. «Abbassa la voce!» le sibilò. «Allora parlami,» replicò con un tono di voce basso e calmo. «Di cosa?» gli chiese, con voce stanca.
Ecco... la proverbiale goccia era appena caduta; non riuscì più a trattenersi. «Di cosa? Di COSA? Mio Dio, Bill! È così grave? Sei così distante? Puoi startene seduto là e dirmi in tutta onestà che non sai di cosa sto parlando, che fra noi è tutto splendidamente a posto?» Voltò la faccia ed iniziò a prendere a pugni lo schienale del divano. Bill si bloccò, senza il coraggio di andare da lei e stringerla fra le braccia. «È solo... questo caso...» balbettò. «Lo so! Lo so! È solo questo stupido caso!» «Non appena finirà le cose torneranno come prima.» «No, Bill,» disse Cindy, con la faccia contro il braccio. «Non sarà finito. Non sarà finito fino a quando tu avrai a che fare con il fantasma di tuo padre.» Si alzò e gli si parò davanti, con gli occhi lucenti per le lacrime di rabbia, ma con la voce ferma. «È tutto qui, che tu voglia ammetterlo o meno. Hai affrontato i tuoi problemi con il bere, ma non hai mai affrontato i problemi che l'hanno provocato. Penso che tu abbia bisogno di un aiuto professionale, Bill, altrimenti non ti libererai mai del tuo senso di colpa, o di vergogna, o di qualsiasi sia la cosa che ti assilla.» Ecco. L'aveva fatto. Se voleva dirgli qualcosa che lo ferisse (l'aveva visto trasalire al consiglio che avesse bisogno di un aiuto professionale) bastava parlargli proprio del suo senso di colpa. Ma doveva dirlo. «Non so che dirti,» disse dolcemente Bill, esitante, guardando il pavimento. Suonava ed appariva un bambino sperduto, e Cindy dovette contrastare il suo istinto materno per non stringerlo fra le braccia e dirgli che tutto andava bene; ma non era un ragazzino sperduto, era un uomo adulto sperduto e non c'era niente che andasse bene, e lei non poteva fare niente per migliorare le cose se lui non gliel'avesse lasciato fare. «Voglio che tu mi dica quello che provi. Voglio esserti di nuovo vicina. Voglio che quando torni a casa lasci il caso al comando di polizia,» disse, con un tono da ultimatum nelle parole. «E vuoi che veda uno psichiatra,» aggiunse con una voce atona. Lei non sapeva cosa fare. Voleva dire sì, ma non voleva ferirlo di nuovo. Lui la guardò negli occhi e si rese conto che il suo silenzio valeva come un sì. «Non ho il tempo per farlo, anche se pensassi di averne bisogno,» disse lui scortesemente, tornando al tavolino e raccogliendo le sue foto. «Appena quest' indagine è finita, non sarò più un poliziotto e le cose torneranno alla normalità.»
«Vuoi dire che è così? Che non vuoi più lavorare nella polizia?» chiese Cindy, piena di speranza. Bill si lasciò scappare un sospiro d'agitazione tanto che Cindy pensò stesse soffrendo. «Non penso,» disse a bassa voce. CANALE 13 Mitomani Beth Shell - alias Sadie Hawkins «Penso che ci troviamo di fronte ad un mitomane,» disse il Capitano Mike Mahoney, aprendo la porta dell'ufficio di Bill quel tanto che bastava per infilarci la testa. «È strano.» «Sei appena arrivato?» chiese Bill, alzandosi dalla sedia. «No, la notte scorsa. In un primo rapporto gli agenti sul posto lo hanno giudicato un incidente ferroviario. È stato trovato un tizio sui binari, completamente vestito. Sembrava essere stato investito da molti treni, le mani erano staccate e non si sono trovate e la testa era sfracellata. L'altra notte gli agenti hanno cercato sui binari le mani, ma non sono riusciti a trovarle. Hanno immaginato che, se il tizio era stato colpito da più di un treno, doveva essere stato trascinato per un po', così sono tornati oggi ed hanno rastrellato i binari per un miglio in ogni direzione. Ma non le hanno trovate. Il medico legale ne ha trovata una.» Bill deglutì a fatica. «Dove?» «È stata messa dove non batte mai sole, per dirla elegantemente.» Bill si risedette. «Il medico legale ha detto anche che il tizio è stato colpito da almeno due treni, che gli hanno provocato le ferite alla testa. Le mani erano già tagliate e sanguinava a morte prima di essere sistemato sui binari. Quando ha esaminato la testa, il medico legale ha scoperto che gli occhi della vittima non c'erano.» «Cosa ti fa pensare che sia un imitatore?» chiese Bill. «Sai come me che di solito gli assassini seriali non cambiano la tipologia delle vittime. Colpiscono lo stesso sesso, di solito femminile,» spiegò Mahoney. «Vero,» concordò Bill. «Ma forse uccidere un uomo come terza vittima è parte del suo disegno.» «Penso che dovremo aspettare e vedere se ci arriva un altro nastro. È l'u-
nica informazione di cui la stampa non è ancora in possesso,» disse Mahoney. «A proposito,» disse Bill, dando un'occhiata all'orologio, «ho quella maledetta conferenza stampa.» Il telefono squillò. Alzò il ricevitore e premette il pulsante lampeggiante. Era il capo che gli ricordava della conferenza. «E troppo tardi per annullarla?» chiese Bill, semiserio. «Mi dispiace, Bill. Ho bisogno che tu ci vada. Sii breve e garbato.» A Bill non piaceva, ma non aveva scelta. Come capo delle indagini, doveva avere rapporti con la stampa. Ed adesso se l'ultima morte fosse risultata opera dello stesso tizio, significava che non erano solo le donne ad essere in pericolo a Crocker. Beth Shell lavorava dalle tre alle undici ed erano le dieci e quarantacinque. Ancora quindici minuti e Wilbur sarebbe entrato in servizio. Alle infermiere apprendiste era permesso andarsene dieci minuti prima del turno di notte, ma Beth si attardò, facendo finta di finire di rimettere in archivio le cartelle mediche. Alle undici, Beth disse buonanotte alle infermiere del piano e si diresse agli ascensori ed all'Edificio dell'Amministrazione, dove si trovava l'ufficio del servizio di sicurezza. Benché non fosse mai stata in quella parte dell'ospedale, trovò facilmente l'ufficio del servizio di sorveglianza. Era al secondo piano, sopra l'ufficio del presidente, dell'organico, e del personale. Guardando fuori dalle finestre del corridoio, mentre camminava, poteva vedere le finestre buie dell'Ala Est abbandonata. Si rese conto che l'Ala Est non poteva essere vista direttamente da nessun'altra parte dell'ospedale, così nascosta sul retro della nuova costruzione. Si domandò se le voci sul progetto di abbatterla fossero vere. L'ospedale avrebbe guadagnato un altro parcheggio. Beth pensò alle storie notturne che le ragazze amavano raccontare di qualcuno che passeggiava a grandi passi per il corridoi dell'Ala Est di notte. Molte ragazze giuravano di avere visto qualcosa, affermando che era un fantasma che viveva dove era morto o un vampiro che aveva preso dimora nelle bare sommerse dalla sporcizia. Per un vampiro era un posto perfetto per nascondersi, pensò, sorridendo. Dorme lontano dagli occhi durante il giorno quando l'Edificio Amministrativo pullula, e si sveglia e se ne va in giro di notte quando non c'è nessuno che possa vederlo. Non era solo un buon posto per un vampiro, molte delle ragazze pensano
che fosse un ottimo posto per una festa. Situato dov'era, ed isolato dal resto dei nuovi edifici dell'ospedale, era virtualmente a prova di rumore. Potevano entrarci attraverso l'ospedale senza essere viste, e tutto quello di cui avrebbero dovuto preoccuparsi erano le guardie del servizio di sicurezza che facevano le ronde. Beth sapeva che i discorsi su una festa erano solo quello che erano, un discorso. Erano tutte troppo occupate con le classi e con il lavoro per organizzare una festa, ma era comunque divertente immaginarlo. Beth vide con la coda dell'occhio il cartello sulla porta dell'ufficio del servizio di sicurezza. Si fermò là davanti, cercando di dominare i nervi per bussare. Il suo piano era di chiedere una scorta e poi di chiedere a Wilbur se gli piacevano i film. Se lui non avesse colto al volo, aveva già deciso che avrebbe fatto la cosa deliberatamente e gli avrebbe chiesto di andare al cinema con lei. Stava per bussare alla porta quando sentì una voce. «Nonna, quando verrà a salvarmi Gesù?» Una voce da bambino. Beth era sicura che provenisse dall'ufficio del servizio di sicurezza. «Quando avrai raggiunto il fondo. Quando penserai che per te non ci sarà più speranza e che nessuno si cura più di te, Gesù verrà e ti salverà.» Adesso la voce di una vecchia. Veniva decisamente dall'ufficio del servizio di sicurezza. Beth si avvicinò, poggiando un orecchio sul legno. «E se Gesù non viene, Nonna?» «Oh, Lui verrà, ragazzo. Fino a quando non lo farà tu devi dire agli adulti se tua madre ti fa del male, hai capito?» «E se gli adulti non mi aiuteranno?» «Allora il Signore Gesù li colpirà con la sua veloce e terribile vendetta.» Beth arretrò dalla porta per la forza e l'emozione nella voce della vecchia. La stranezza di quello che aveva sentito le fece domandare cosa diavolo stesse accadendo e chi ci fosse là con Wilbur. Senza pensare a quello che stava facendo Beth bussò alla porta. Un istante di silenzio. La porta si aprì e Beth rimase sorpresa di vedere Wilbur in piedi là, e il piccolo ufficio apparentemente vuoto dietro di lui. «Posso aiutarti?» chiese Wilbur. Sembrava diverso, non timido. «Mi dispiace,» sbottò dopo molti momenti di imbarazzante silenzio, «pensavo di avere sentito...» Si fermò, non sicura di descrivere quello che aveva sentito. Si sporse verso destra e guardò oltre le sue spalle. Wilbur era decisamente solo nell'ufficio.
«Avevo la televisione portatile accesa,» disse, anticipando e rispondendo al suo commento incompiuto. Immediatamente, Beth si sentì una sciocca. Non sapeva nemmeno lei quello che aveva pensato per un minuto. «Mi dispiace,» disse, sorridendo e scuotendo la testa. «Sono sovraffaticata.» Wilbur le sorrise, e Beth fu completamente disarmata dalla dolcezza innocente della sua faccia. C'era qualcosa di così vulnerabile in quegli occhi scuri ed in quei lineamenti delicati che Beth sentì sciogliersi ed avrebbe voluto stringerlo fra le braccia e cullarlo come si faceva ad un bambino infelice. «Posso aiutarti in qualcosa?» chiese Wilbur, la voce calma e dolce, senza balbettare come l'ultima volta che si erano parlati. «Mi stavo domandando... la signora Rayborn, l'ispettrice infermiera, ha detto che si può chiedere una scorta fino al dormitorio quando si lascia il lavoro di notte, dopo quegli omicidi in città,» spiegò. «Certo,» disse Wilbur, indietreggiando nell'ufficio. «Fammi prendere il cappello ed il cappotto e chiudere.» Mentre si preparava, Beth rimase sulla soglia, cercando di essere disinvolta ed indifferente, mentre i suoi occhi vagavano per la stanza, cadendo molto spesso sul grazioso sedere di Wilbur o sul suo profilo. «Ti piacciono i film?» chiese. Era così preoccupata di esaminarlo che non notò mai consciamente che nell'ufficio del servizio di sicurezza non c'era nessuna televisione. CANALE 14 Il Legame d'Amore Le Cose Vanno Meglio con la Coca Sistema di Trasmissione d'Emergenza (Allarme!) Fuochi d'artificio. Lo schermo esplode in un cielo crepitante di fiori di fuoco rosso, giallo e verde. La colonna sonora cresce, dilatandosi forte e briosa: Amore all'Americana. «Ed adesso è l'ora del Legame d'amore con il vostro ospite, Chuck Woolery!» Il volume si abbassa. Simili pensieri lo terrorizzano quasi quanto la graziosa infermiera che ha
chiesto un appuntamento a Gesù la notte scorsa. «Pensi che sia carina, Wilbur?» chiede Debbie. Lei è in un'orrenda pubblicità dell'aceto Summer's Eve dove tutto è raso, merletti e brezze variabili e tiepide. Debbie prende in mano la bottiglia con la sinistra ed apre la sua blusa con la destra, mostrando il seno pieno di cicatrici di sigarette e coltelli. «È più carina di me?» «Woof! Woof! Niente è più carino di te, Rin Tin Tin.» Fratello John è Lorne Green con un taglio sul collo. Che sbraita mentre lui parla. «Sei innamorato?» chiede Fratello John/Lorne, prendendo una lattina di Alpo. Wilbur può vedere i suoi occhi iniettati di sangue, i capillari rotti nelle pieghe del naso. Può odorare il suo respiro, birra e sangue stantio. «Non lo so,» risponde esitante. «Non sai se sei innamorato?» chiede sarcasticamente Debbie, continuando a carezzare la sua orribile bottiglia, «o non sai cos'è l'amore?» Fratello John gracida dalla sua ferita. «L'amore è Gesù, Gesù è amore,» dice inflessibilmente Nonna davanti al suo apparecchio. Cambio di canale. Gesù è sul Club 007. Chiede ai fedeli di pregare, di mandare soldi. La telecamera Gli si avvicina, la preghiera diventa più forte... Oh Padre Celeste, fai ricadere un castigo crudele e terribile sugli abitanti di Sodoma e Gomorra che hanno lasciato che si peccasse contro il Tuo unico Figlio mentre loro rifiutavano di vedere... Gli occhi del Salvatore riempiono lo schermo, controllando ogni canale, diventando sempre più larghi, riversandosi fuori per distruggerlo. I centri nervosi del Suo pupillo recedono contemporaneamente mentre gli occhi si allargano e diventano... Tunnel gemelli. Gli manca il respiro. Lui chiude gli occhi ma le immagini dietro le sue palpebre sono più luminose. Piagnucola per l'inevitabile, aspettando come un topo terrorizzato che le porte in fondo ai tunnel degli occhi di Gesù si aprano. Non lo deludono. Uno scatto! Un rumore simile ad una frustata nel buio. Un crepitio! Scintille. Tracce di neon vivono una frazione di secondo e muoiono.
Uno scoppio! L'odore di ozono umido. L'aria è carica. L'energia elettrica è nell'etere. Uno scatto! Un crepitio! Uno scoppio! Lei appare ronzando dal buio. Con i capelli in fiamme. Riso Soffiato! Uno sbuffo di fumo fluttua dalla sua bocca. La sua pelle è bruna e diventa sempre più scura, increspandosi, riempiendosi di vesciche. Capisce chi è dalla sua uniforme bianca da infermiera. «No!» grida al suo dio. «Lei è diversa!» Cambio di canale. Monoscopio. «Lo è?» chiede Gesù, la Sua voce un segnale acustico acutissimo. «Dimostralo.» Vicki Clayton guidò la sua Harley fino a casa di Joey e Mary di ritorno da una battuta di caccia per racimolare un po' di cocaina da uno spacciatore del luogo. Ma senza successo. Inutile dirlo, da cani era un grazioso eufemismo per esprimere come si sentiva. Aveva finito anche l'ultimo grammo dell'oncia di coca che Wilbur le aveva dato ed ancora nessuna traccia né alcun messaggio di Mary e Joey. Si stava insospettendo. Non era da loro. Parcheggiò la sua Harley davanti alla prima casa di Leighton Street, nella speranza di vedere l'elicottero di Joey parcheggiato accanto alla rimessa, ma fu di nuovo sfortunata. Non c'era nemmeno la Bonneville di Mary. Vicki spense la moto ed aprì una sacca legata alla cintura in vita, pescando nel fondo la chiave di riserva che sua cugina Mary le aveva dato molto tempo prima. Le sue dita erano intorpidite, nonostante i guanti di pelle, e bestemmiò per il freddo. Presto avrebbe dovuto mettere via la moto per l'inverno. Di solito aspettava la prima neve, ma ultimamente aveva fatto così freddo che andare in moto era diventato impossibile. Trovò la chiave in fondo alla sacca, attaccata ad un vecchio pezzo di gomma da masticare, la recuperò, liberandola da quella massa, scese dalla moto, e risalì il vialetto che portava alla porta di servizio. «Che casino,» commentò disgustata alla vista ed all'odore della cucina, che era in condizioni peggiori del solito. Si fece strada tra l'immondizia e varcò la porta che conduceva alla cantina. Sapeva dov'era il nascondiglio segreto, ma non dove Joey tenesse la chiave. L'ultima volta l'aveva Wilbur,
ma lei sapeva che Joey ne teneva una nascosta per emergenza. Trese un coltellino dalla borsa. La serratura del nascondiglio non era molto robusta. Sapeva che Joey si sarebbe infuriato se lei l'avesse sfondata e si fosse servita dalla sua riserva, ma non le importava, era disperata. Inoltre, era colpa sua se non era tornato in tempo. Comunque in qualche modo avrebbe potuto far ricadere la colpa su Wilbur; era sempre un capro espiatorio adatto. «Che diavolo sta succedendo?» disse ad alta voce in fondo alle scale. La cantina, che serviva come studio per la Tunnelvision era vuota. Tutte le luci, le telecamere, l'equipaggiamento video, e le cataste di cavi e fili che di solito affollavano la cantina erano spariti. «Oh, mio Dio!» gridò Vicki, improvvisamente colpita dalla certezza che Mary e Joey avevano tradito e si fossero portati tutto con sé. L'aveva temuto, era diventata molto sospettosa quando Joey aveva insistito che lei e David andassero in Martinica per incontrarsi con il distributore francese. Sapeva che stava per accadere qualcosa di grosso e lei aveva sospettato che Joey non la volesse fra i piedi. Corse verso il falso muro dove era occultato il nascondiglio della riserva. La falsa copertura di cemento era per terra e la chiave era nella serratura del nascondiglio. «Oh, bastardi!» Maledisse Joey e sua cugina e rimise a posto il coltello. Era sicuramente vuoto, ma Vicki aprì lo stesso il nascondiglio. Un altro rompicapo - la scorta era là. Dentro c'era un quarto d'oncia d'erba avvolta in quattro sacchetti da un oncia, una grande bottiglia di plastica piena di anfetamine verdi e bianche, ed altri eccitanti assortiti, ed una bottiglietta blu mezza piena di piccoli Balim. Sotto la marijuana c'era una busta di plastica piena di involucri di carta che Vicki riconobbe immediatamente come grammi di coca. Tirò fuori la busta e contò venti pacchetti, quasi un oncia. «Perfetto!» rise. Era così contenta che non sentì la macchina risalire il vialetto né la porta al piano di sopra aprirsi. *** Scossa elettrica. La porta di servizio è aperta. «Questo non è un esame.» Un altro intruso.
«Ripetiamo, questo non è un esame. Il Sistema di Trasmissione d'Emergenza ti ordina di sintonizzarsi su questa stazione per ulteriori informazioni supplementari.» «Sono i poliziotti.» dice Fratello John da un vecchio film di gangster in bianco e nero. Recita la parte del fratello morto di Jimmy Cagney. «Non preoccuparti per i poliziotti,» dice Debby da un programma di ginnastica. Il suo corpo violentato suda mentre piega a fondo le ginocchia. «Non sono i poliziotti,» dice Wilbur ad alta voce. In cucina, si ferma, per ascoltare. Gesù lo guarda dalla parete del tostapane di acciaio inossidabile sul bancone. «La cantina!» dice Gesù. Circuito chiuso. Rumore di passi che salgono le scale. Sul fornello, una pesante padella nera di ferro incrostata di residui ammuffiti di uova vecchie un mese si presenta come uno strumento del Signore. Gesù la battezza e la consacra mentre lui solleva il suo peso letale. Passi in cima alle scale. Un'ombra sul pavimento. Interruzione pubblicitaria. «La tua casa è sicura dai vandali, dai ladri, e dagli intrusi? Potresti farti il nuovo Sistema di Sicurezza Domestico ZX9000 Fai-da-te di Ronco. Non un allarme, non un proiettore, ma un nuovo modo per fermare l'intruso mortal...» La padella sibila nell'aria. Fa un gong orientale nell'impatto con la faccia. Lei crolla all'indietro, colpendo le scale solo due volte prima di ripiegarsi in un mucchietto immobile sul fondo. «Questo completa la nostra emergenza. Adesso riprenderemo la programmazione regolare.» David Shipley guardò fuori dalla finestra, poi fece ricadere le tapparelle. A quest'ora Vicki avrebbe dovuto essere di ritorno. Tremò e si morse le labbra. Era stata una tale puttana ultimamente, e quando diventava insofferente per la mancanza di roba diventava insopportabile viverci insieme. Toccò il graffio sul suo zigomo; il suo bacio di arrivederci, fatto con un posacenere di vetro. Faceva male da morire, ma era quel tipo di dolore che non gli piaceva. Sperava che riuscisse a trovare presto qualcosa. Aveva nostalgia dei tempi passati, prima che si unissero a sua cugina Mary ed a
Tunnelvision Studios. Per certi versi le cose erano migliorate, prima che Vicki facesse abbastanza soldi da potersi permettere un uso costante di coca. Avevano meno soldi, ma erano più felici. Almeno lui era più felice. Si aggrappò alle tende e si fermò solo grazie ad un tremendo sforzo di volontà, qualcosa che gli mancava. Due secondi dopo era di nuovo agitato. Doveva fare qualcosa. Truccarsi gli faceva sempre bene, per calmarsi. Andò nel bagno e prese la sua vestaglia, un panno umido per la faccia, ed un asciugamano. Nella strada verso il suo comò, che era fornito di uno specchio teatrale incorniciato da lampadine, scavalcò la pila dei giornali delle tre settimane durante le quali erano stati via. Aveva intenzione di leggerli, ma con Vicki ultimamente in un simile stato, non ne aveva avuto il tempo. Non gli lasciava nemmeno accendere la televisione o sentire lo stereo! Prese i due in cima e se li portò con sé, dandogli un'occhiata mentre apriva l'astuccio del trucco e sistemava le sue varie creme di base, i fondo tinta, il fard, i lucida labbra, l'eye-liner, gli ombretti, i mascara, le matite ed i rossetti con i relativi pennelli e applicatoli. Puntellò il giornale del giorno prima contro lo specchio mentre si puliva la faccia con un crema fredda e dei fazzolettini. Era così indietro, non solo non aveva letto i giornali del periodo delle vacanze, ma nemmeno quelli arrivati ogni giorno dal loro ritorno. Guarda un titolo: VIDEO-ASSASSINO VA A CACCIA PER LA CITTÀ! e smette di togliersi la crema fredda dalla faccia. Prende il giornale e legge la storia degli omicidi. Benché il sindaco l'abbia negato, è venuto fuori ad una conferenza stampa che alla polizia sono stati mandati dei nastri. I titoli dei nastri lo fanno sussultare: Addestramento al bagno! e Fumando nella Stanza dei Ragazzi. «Questi sono film della Tunnelvision!» dice ad alta voce. Bestemmiò a bassa voce ed iniziò a strillare come una gallina. «Wilbur, Wilbur, il vecchio strano Wilbur, cosa stai combinando?» Rise. Fu interrotto da un pensiero che lo calmò. Vicki probabilmente sarebbe passata da Wilbur a vedere se Joey e Mary erano tornati. David ebbe la sensazione che non sarebbero mai tornati. E se era vero, e Wilbur era responsabile della serie di omicidi descritti sul giornale, Vicki... Ma non voleva nemmeno pensarci. Vicki era in grado di badare a sé stessa, specialmente con un debole come il piccolo Wilbur che tutti bistrattavano. «Cosa dovrei fare?» si domandò ad alta voce, levandosi lo smalto dalle unghie lunghe. Prese in considerazione di chiamare la polizia, ma se Vicki
tardava, poteva essere stata trattenuta da Wilbur. «È meglio che vada là,» decise, continuando a truccarsi e vestendosi. David parcheggiò il suo furgone dietro la Harley Davinson di Vicki, dall'altra parte della strada della casa di Mary e Joey. Era proprio come temeva. Lei era là. Si disse che lei stava bene. Non sapeva quello che stava accadendo, ma più ci pensava, più gli era difficile pensare che il piccolo Wilbur fosse l'assassino. Doveva esserci qualcos'altro, e quando avrebbe mostrato a Vicki il giornale che si era portato con sé, avrebbe fatto dire a Wilbur quello che stava accadendo. Risalì il vialetto e svoltò verso la porta di servizio, sorridendo al pensiero di quanto si sarebbero divertiti con il piccolo Wilbur. «Eccooooooooooooooo Joey!» La gola squarciata di Fratello Joey fa una buona impressione a Ed McMahon. Punta fuori dallo schermo in direzione della cucina. La porta di servizio si apre. «È to-to-to-to-tornato,» squittisce Debbie come la bambina di Poltergeist. La porta si spalanca lentamente come in sogno... Non è possibile! Un'ombra. Una sagoma incorniciata dalla luce. La stanza diventa buia eccetto per il sentiero tra lui e la figura sulla soglia. Non è lui! Debbie è in una pubblicità della Coca-Cola. «È la cosa giusta!» «Sei proprio nella merda, Wilbur,» dice l'ombra della Morte sulla soglia. La sua voce riecheggia dalla televisione. Non è vero! «Dov'è Vicki? Stai fermo! Glielo dirò,» dice la sagoma, entrando nella casa agitando qualcosa in mano. Lui sorride. Adesso sa che non è vero. Vicki sa già tutto. Anche lei ha il suo canale ed il suo cavo d'accesso. «Sei un uomo morto, Willy,» dice la sagoma con tono beffardo. Entra nella luce della televisione. Un ago ghiacciato perfora la nuca di Wilbur. È lui! Joey è tornato!
La sua faccia scruta fuori dallo schermo. «No! Tu sei morto!» Risata registrata. Circuito chiuso. Una collezione di piatti sporchi e argenteria ammuffita per il cibo marcio sparsi sul tavolino. Un coltello da carne sporco di grasso rancido ha l'alone di una reliquia. Raggiungendolo, Gesù intona: «Che tu sia benedetto nel nome del Padre!» «Con che cosa ti sei fatto, tesoro? E dove diavolo è Vicki?» Il fantasma non sa se ridere di Lui o minacciarLo. Interruzione pubblicitaria. «L'Incredibile Ginsu taglia tutto! Lattine! Legno! Chiodi! Plastica! Carne! E taglia anche i muscoli, i tessuti e le ossa in maniera affilata come nel giorno in cui è stato fatto! Non provarlo con nessun coltello. Affetta chiodi di ferro senza sforzo e taglia il petto, e lacera il cuore come un coltello rovente taglia il burro! Sfidiamo ogni altro coltello a rendere conto di questo tipo di punizione!» Blip. Sta sul corpo convulso. Gli occhi lo fissano. Non è Joey. Il sangue sgorga, la vita se ne va. Vicki ha compagnia su Canale Nove. Bill Gage sedeva alla sua scrivania e guardava il titolo di prima pagina che accompagnava la storia sugli omicidi: IL VIDEO-ASSASSINO VA A CACCIA PER LA CITTÀ. L'articolo si riferiva alla conferenza stampa che lui, il capo ed il sindaco hanno tenuto e che si è trasformata in una farsa. Era ovvio che nel dipartimento c'era stata una fuga di notizie, e la fonte era diventata evidente quando Bill aveva notato Starkovski sorridere in fondo alla stanza. Un reporter del Worcester Telegram aveva delle informazioni confidenziali e le aveva rese note alla conferenza stampa, costringendo il sindaco a delle splendide ammissioni verbali. A Bill non dispiaceva; lo scaricava dalla pressione. Adesso si sapeva tutto del caso, e la gente di Crocker sapeva con che cosa aveva a che fare. Bill si ricordò il sogno che aveva fatto la notte precedente. Aveva cominciato a notare una fastidiosa tendenza. Ultimamente, ogni volta che era riuscito a dormire, cosa che non capitava spesso o a lungo, sognava eventi
connessi al caso, rivivendo momenti come l'esame al corpo di Joan Perche e la conferenza stampa. La cosa fastidiosa era che in ogni sogno suo padre recitava il ruolo principale. Nell'ultimo sogno, sulla conferenza stampa, Bill aveva notato accanto a Starkovski un uomo con una telecamera, che lo fissava. Con un senso di soffocamento, si rese conto che era suo padre, e per una realizzazione fulminea, come può avvenire solo in sogno, lui seppe che suo padre era il disgraziato che la stampa aveva soprannominato il "VideoAssassino". Bill piegò il giornale con cura e lo fece cadere nel contenitore circolare. Cercò di buttare, con il giornale, il ricordo del sogno, ma non fu così facile. CANALE 15 Operazione Wilbur - Parte I Ivy si sedette al suo posto di osservazione al davanzale della finestra nella sua stanza. Guardò attraverso l'unica lente buona del binocolo compatto che aveva preso dalla scatola di rifiuti che il proprietario di Barbara, il signor Crankshaw, le aveva dato, e lo puntò sulla casa del suo vicino al quale lui ormai pensava come Wilbur il Pazzo. Non appena aveva cominciato a spiare Wilbur Clayton, Ivy si era reso conto che nel suo vicino c'era decisamente qualcosa che non andava. Parlava e pregava la sua televisione. Gli prendevano degli attacchi isterici, come quando Ivy l'aveva visto strapparsi i vestiti per buttarli via solo perché erano macchiati. E proprio l'altro giorno, dopo che un uomo ed una donna erano andati a fargli visita per la seconda volta in pochi giorni senza uscirne mai più, Ivy si era avventurato a dare un'altra occhiata alla cucina di Wilbur il Pazzo e lo aveva visto in piedi in mezzo al soggiorno tutto assorto, con gli occhi spalancati ed un sorriso ebete in faccia. Era rimasto così un'ora circa, forse di più; Ivy si era raffreddato e stancato di cronometrarlo ed era tornato a casa. Quando se ne andò, Wilbur il Pazzo stava ancora là, rigido ed immobile come un pezzo di legno. E benché Ivy non l'avesse ancora visto, era sicuro che Wilbur parlasse da solo con diverse voci! Oggi Ivy aveva guardato Wilbur caricare due pesanti sacchi dell'immondizia nel cofano della sua Bonneville. Ivy era curioso del perché Wilbur stesse mettendo dell'immondizia nel cofano invece che per strada per
la raccolta. Passava tutto quel tempo a spiare per divertimento e per scrivere qualcosa di interessante nel suo diario, ma ciò gli provocava più di un occasionale senso di colpa. Era dispiaciuto per Wilbur e si domandava cosa l'avesse fatto impazzire. Il tizio non era vecchio - non più di ventidue anni, immaginava Ivy - ed era fuori di testa. Perché? Questa era diventata la domanda alla quale Ivy doveva cercare di rispondere. Naturalmente aveva seguito lo stile delle spie, immaginandosi di essere James Bond in missione per scoprire l'identità segreta di una talpa del governo piazzata ai piani alti, ma quello che interessava veramente Ivy era trovare una risposta al perché Wilbur fosse così strano. E sapeva che il luogo migliore per trovare quella risposta era la casa di Wilbur. Dai suoi appostamenti aveva imparato che Wilbur il Pazzo usciva ogni notte con la sua uniforme del servizio di sicurezza prima delle undici e che ritornava la mattina seguente dopo le sette. Ivy aveva dedotto che lavorava al turno di notte, o che era un vampiro. Se Ivy avesse aspettato il ritorno a casa di sua madre dal lavoro e che lei si addormentasse, cosa che di solito avveniva all'una, avrebbe potuto sgattaiolare via ed avere l'intera notte per entrarvi e darvi un'occhiata. Aveva deciso di andarci quella notte. Ivy scese silenziosamente dal letto e andò alla porta. Vi poggiò sopra l'orecchio ed ascoltò. Silenzio. Un istante dopo il buio fu lacerato da un rumore simile ad una falciatrice lontana che viene accesa. Il suono venne ripetuto ad intervalli regolari. Sua madre dormiva, ed una volta che cominciava a russare, niente che fosse più piccolo di un'esplosione poteva svegliarla. Essendo andato a letto completamente vestito, Ivy era pronto ad andare. Indossava la sua migliore tuta da ginnastica blu scuro con le mutande lunghe in modo da non dovere indossare un cappotto ingombrante. Era sufficiente doversi preoccupare dello zainetto, che aveva preparato nel portico. Era tornato alla cava il giorno dopo il suo inseguimento con Slice e l'aveva recuperato dal tubo insieme alle trappole che erano rimaste. Ivy aprì la porta e s'incamminò nel soggiorno buio pesto. Lo attraversò a memoria, evitando i tavolini, le sedie e le lampade. In cucina strisciò fino alla porta di servizio e si fermò, assicurandosi grazie al rumore del russare che sua madre continuasse a dormire indisturbata. Con cautela girò la serratura con la mano sinistra e la maniglia con la
destra. Mentre apriva la porta e raggiungeva la maniglia della doppia porta dell'aria fredda gli andò incontro. Questa era la parte più complicata: aprire la doppia porta e chiudere l'altra in modo che scattasse, ma non troppo forte. Sua madre di solito aveva il sonno profondo, ma qualche volta, quando lui stava male ad esempio, si svegliava al minimo rumore. Riuscì a manovrare le porte senza fare troppo rumore e arrivò nel portico, cercò attraverso i vetri della porta un segno che sua madre si fosse svegliata. L'appartamento rimase buio. Estrasse l'orologio dalla tasca e rivolse il quadrante contro la luna per leggerlo. Le due. Si era dato una tabella di marcia di un'ora per entrare nella casa di Wilbur il Pazzo, ed un'altra ora per guardarsi intorno. Questo l'avrebbe fatto tornare a casa alle quattro, un tempo sufficiente prima che sua madre si svegliasse o Wilbur tornasse a casa. Recuperò lo zainetto da dietro la sedia di ferro ossidato nell'angolo più nascosto del portico. Ivy l'aprì e controllò il suo equipaggiamento da spia: torcia, cartoncino di plastica che aveva ritagliato da una copertina di un taccuino scolastico con il quale riusciva a far scattare la serratura di casa (dopo molta pratica), un paio di vecchi guanti di gomma per lavare i piatti, un cacciavite, la sua pistola a spruzzo con candeggina, un altro barattolo di Zip-Strip, ed un paio di trappole per topi solo nel caso si fosse trovato nei guai. La pistola di gesso era smantellata e sottoposta a modifiche. Fece scivolare lo zaino sulla schiena, diede un'altra veloce occhiata dentro la porta, e scese le scale secondo il metodo furtivo alla Bond. Era diventato abbastanza bravo e, fino al primo piano, produsse a malapena uno scricchiolio. Ivy rimase all'ombra sul retro della casa per svariati minuti, osservando la casa di Wilbur il Pazzo attraverso la staccionata che la separava dall'edificio di Ivy. La casa era buia, il vialetto vuoto. Aveva visto Wilbur partire come al solito alle dieci e mezza. Scrutò oltre l'angolo dell'edificio, verso la strada. La visuale era libera. Correndo piegato su se stesso, con le mani che tenevano le cinghie dello zainetto in modo da non farlo rimbalzare e non fargli fare rumore, Ivy attraversò la strada e si accovacciò dietro la staccionata. Rimase là, alitando aria calda sulle punte delle dita gelide, rammaricandosi di non essersi portato i guanti imbottiti di pelliccia invece di quelli di gomma nello zaino. Protetto dalla casa, non si era reso conto di quanto fosse fredda la notte. Fuori all'aperto poteva sentirlo. Cercò di muoversi. Fece scivolare lo zaino, lo sollevò sopra la staccionata, e lo lasciò cadere sul terreno ghiacciato dal-
l'altro lato, poi lo seguì, tornando ad accovacciarsi dall'altro lato per recuperare lo zaino. Aveva chiesto in giro ed aveva scoperto che Wilbur viveva probabilmente con la zia, o zio o sua sorella e suo marito, o qualcosa del genere nessuno sembrava saperlo con sicurezza - ma Ivy, da quando si era trasferito, non aveva visto nessuno dei due. Aveva immaginato che fossero via, o almeno lo sperava. Non gli sarebbe piaciuto irrompere e trovarli a casa con l'influenza o qualcosa del genere, ma non pensava che fosse possibile. E benché la moto ed il furgone fossero ancora parcheggiati dall'altra parte della strada, Ivy non pensava che né l'uomo né la donna che aveva visto entrare fossero ancora dentro. Aveva spiato attraverso le finestre con il suo binocolo monoculare abbastanza per sapere che, almeno al momento, Wilbur il Pazzo viveva da solo. Forse non era sempre pazzo, pensò Ivy, facendo scivolare di nuovo lo zaino dalle spalle. Forse l'essere stato abbandonato dalla madre l'aveva fatto impazzire? A Wilbur venne in mente un'altra possibilità più fantasiosa. Forse Wilbur il Pazzo era veramente un agente nemico. Forse Wilbur, quando Ivy pensava che parlasse alla televisione o da solo, parlava veramente ad un sottomarino immerso al largo della costa. Forse la casa di Wilbur era la base di operazioni di una vasta rete di spie. Ivy sorrise, lasciando correre l'immaginazione. Forse dovrei scrivere un libro, pensò. Credeva di poterlo fare. Aveva scritto un paio di racconti che pensava fossero abbastanza buoni, anche se non li aveva mai mostrati a nessuno. Più tardi avrebbe pensato che avrebbe dovuto farli leggere a Barbara. Il pensiero di Barbara l'acquietò, e ritornò alla sua missione. Dopo avere contato fino a tre corse, restando basso, attraversando il viale fino all'angolo della casa, dove scomparve nell'ombra. Si fermò e sondò la zona, con le orecchie in allerta ad ogni suono. Mentre si riposava un istante, la sua mente si rivolse al recente inseguimento con Slice. Ivy aveva sentito dire dalla vecchia Signora Watson che Slice era stato mandato al riformatorio per trenta giorni, per non avere rispettato la libertà condizionata con il possesso del coltello a serramanico. La polizia non era stato in grado di accusarlo di taccheggiamento poiché Slice era dentro il negozio ed aveva soldi sufficienti per pagare le cose che aveva progettato di rubare. La polizia aveva interrogato Ivy, volendo sapere perché Slice lo stesse minacciando e se Ivy avesse intenzione di denunciarlo. In un primo mo-
mento Ivy aveva preso in considerazione di raccontare alla polizia come Slice e la sua banda avessero aggredito Barbara, ma non era sicuro che lei l'avrebbe ammesso davanti alla polizia se le fosse stato chiesto, e, se lui l'avesse detto loro, avrebbero certamente voluto parlare con Barbara. No, aveva deciso che Barbara non aveva bisogno di una simile seccatura. Non stava abbastanza bene. Disse al poliziotto che Slice gli stava semplicemente chiedendo dove fosse la vecchia Signora Watson. Sapeva che il poliziotto non gli aveva creduto, ma non gli importava. Scivolando lungo il lato della casa, Ivy si fece strada fino alle scale del portico sul retro. Risalì i gradini di cemento e strisciò fino alla porta. Come l'ingresso di servizio del suo appartamento, anche questo aveva una doppia porta che aveva ancora la zanzariera estiva. La porta interna era la tipica porta di legno da cucina con nove pannelli di vetro nella metà superiore. Ivy scrutò attraverso il vetro della porta ma non riuscì a vedere niente ali 'interno. Era troppo buio. Trattenendo il respiro, Ivy strinse la maniglia della doppia porta ed abbassò il bottone fino a quando non sentì lo scatto. Muovendosi il più lentamente possibile, cercando di sentire ogni contrazione dei muscoli del braccio, tirò la porta di un pollice. Nessun rumore. Cinque pollici, un piede; ancora silenzio. Yaw-w-w-k! Se il metallo avesse potuto sbadigliare il rumore sarebbe stato come quello che aveva fatto la doppia porta. Ivy raggelò. La porta era aperta di almeno due piedi, ma non era ancora uno spazio sufficiente per scivolarvi dentro e muoversi per manipolare la serratura della porta interna. Dall'altra parte della strada, un cane iniziò a latrare. Ivy s'irrigidì. Una voce aspra azzitti il cane. Ivy aspettò, con il braccio dolorante e le mani ghiacciate. La notte era silenziosa tranne che per il fragore lontano di un treno che attraversava la città. Afferrando la maniglia della porta interna con la mano sinistra, mentre teneva con la destra la maniglia esterna, Ivy sollevò la porta dai cardini e cercò di riaprirla, sempre lentamente. Lo sbadiglio metallico iniziò quasi immediatamente, anche se un po' meno forte di prima. Alzò la porta un altro po' ed il suono diminuì ancora. Anche se a lui sembrava forte come un tuono, Ivy dubitava che il rumore varcasse i confini del cortile di Wilbur. Infine la doppia porta si aprì abbastanza per dargli lo spazio di entrare. Si trovò di fronte un altro problema. Con la doppia porta contro la schiena, ogni volta che si muoveva questa avrebbe scricchiolato o gracchiato. Ed una volta che avrebbe aperto la porta interna - se riusciva ad aprire la porta
interna - avrebbe dovuto chiudere la doppia porta, e non avrebbe avuto una posizione favorevole per sollevarla come aveva fatto. La soluzione ovvia era di puntellare in qualche modo la doppia porta per tenerla aperta; così non avrebbe dovuto preoccuparsene se non quando se ne sarebbe andato. Usando il ginocchio destro per non far chiudere la porta, Ivy si tolse lo zaino. Tenendosi in equilibrio goffamente su una gamba, aprì lo zaino e tirò fuori il suo cartoncino di plastica ed una lunga torcia di gomma. Cautamente posò lo zaino per terra e si poggiò contro la doppia porta. Lasciò andare la porta, gentilmente. Lo zaino iniziò a cedere e la porta sbadigliò. Doveva rimettere la torcia nello zaino per renderlo abbastanza pesante. Guardò alle proprie spalle, attraverso i vetri della porta, l'interno buio della casa di Wilbur il Pazzo e non gli piacque l'idea di entrare là dentro senza una luce. Aveva il suo accendino usa e getta, ma era un misero sostituto per la torcia. La torcia non forniva solo illuminazione, era abbastanza pesante da poter essere usata come arma. Pensò di abbandonare la missione. Ma non gli piaceva abbandonare adesso. E perché? Perché aveva paura del buio? Cosa avrebbe detto James Bond? No. Doveva portare a termine la sua missione, luce o non luce. Rimise la torcia nello zaino e lasciò andare la porta. Lo zaino questa volta tenne. Ivy ebbe un sospiro di sollievo. Adesso arrivava la vera sfida, far scattare la serratura della porta interna. Prima di farlo, controllò l'orologio e si accertò di essere in orario. Secondo la sua tabella di marcia, aveva ancora quarantacinque minuti per entrare. Infilò il cartoncino di plastica nelle giunture della porta e lo fece scivolare giù fino a quando non urtò contro la serratura, che era nella maniglia. Strinse il pomello con la mano destra e lo girò, mentre lavorava con la plastica, cercando di bloccare il bordo del chiavistello. Non funzionava. Ivy Si interruppe e appoggiò la testa contro il vetro della porta prima di riprovare. Quindici minuti dopo ancora niente. Tirò fuori l'orologio e lo controllò. Gli rimanevano meno di trenta minuti. Provò di nuovo, ma senza esito. Frustrato e deluso, Ivy raccolse lo zainetto dalla doppia porta, lasciando che quest'ultima si chiudesse lentamente ed abbastanza silenziosamente, e si girò per andarsene. Notò le due finestre della cucina che si affacciavano sul portico e si fermò. Controllò la prima, e la trovò chiusa. Tirò fuori la torcia dal sacco e l'accese, facendola risplendere attraverso la finestra in
modo da potere vedere all'interno. La cucina era abbastanza normale, tranne che per il disordine. Il lavandino ed il banco adiacente erano ammassati di piatti sporchi. Per terra c'era una busta spiegazzata di Patatine Tri-Sum. E delle cose piccolissime sgattaiolavano via non appena colpite dalla luce. «Scarafaggi!» pensò con disgusto. C'erano anche nel suo appartamento, e li odiava. Ivy fece girare la luce tutt'intorno ancora un po'. Le pareti della cucina erano di un grigio sporco, decorato qua e là da piccoli manifesti abbelliti con parole di cui nutrirsi quali: OGGI È IL PRIMO GIORNO DEL RESTO DELLA TUA VITA e FATE L'AMORE NON LA GUERRA. C'era un corridoio che portava in un'altra stanza in fondo a sinistra, ma Ivy non riusciva a vedere bene là dentro. Si spostò all'altra finestra per dare un'altra occhiata, dimenticandosi di controllare la serratura del telaio fino a quando non notò che era girata per metà. Essendo senza zanzariera o doppia finestra, fu in grado di far scivolare il suo cartoncino di plastica nella fenditura e finì di aprire la serratura. Era di nuovo eccitato. Sembrava che non dovesse più rinunciare alla missione o accontentarsi di uno sguardo attraverso le finestre. La finestra si alzò abbastanza facilmente, ma quando cercò di lasciarla aperta, non era più collegata ai suoi pesi e per poco non si schiantò sulle sue mani. Ancora una volta la lunga torcia nera gli venne in soccorso, puntellò la finestra facendola restare aperta mentre infilava dentro lo zaino. Dopodiché si arrampicò lui, tirando su la finestra con la schiena mentre scavalcava il davanzale e recuperava la torcia. Poi buttò dentro le gambe mentre teneva ancora su la finestra con la mano. Una volta dentro, la lasciò cadere lentamente. Rimase fermo, con la torcia in mano, ascoltando la casa e facendo abituare gli occhi. Il posto era silenzioso. Ivy accese la torcia e la mosse verso il basso tutt'intorno la stanza, tenendola lontano dalle finestre. Sembrava che il posto fosse stato saccheggiato tanto era disordinato. C'era una pila di buste e di carta sul tavolo di cucina alla sua destra, dall'altro lato della porta di servizio. Ivy vi si diresse per dare un'occhiata. Era la posta, la posta di almeno un paio di settimane, per essere esatti. Ivy setacciò l'assortimento di bollette e pubblicità che non gli disse niente fino a quando non raggiunse il fondo della pila. L'indirizzo del mittente di una busta attirò la sua attenzione.
NAMBLA Casella Postale 696 Ware, MA 02020 La busta era indirizzata a Joseph Dreybeck. Ivy si chiese se fosse il ragazzo della sorella o lo zio o chissà che altro. Vedendo il nome si sentì a disagio. Se Joseph Dreybeck riceveva posta qui, non doveva essere qui? O, se non era qui adesso, non poteva tornare in qualsiasi momento? Ivy decise di compiere una missione rapida. Si domandava cosa significasse il nome NAMBLA del mittente. Sarebbe andato in biblioteca il giorno seguente per guardare sugli elenchi telefonici. Se riusciva a scroccare degli spicci a sua madre, avrebbe potuto chiamare e scoprire cosa significasse NAMBLA. Ivy posò la torcia, con la luce verso il basso, sul tavolo e tirò su lo zaino. Prese un taccuino a spirale al quale era agganciata una penna a sfera e copiò il nome e l'indirizzo di NAMBLA e di Joseph Dreybeck. Rimise il taccuino nello zaino, lo sistemò ancora una volta sulla schiena, e prese la luce. Ivy fece scorrere il fascio di luce nella dispensa, che era sporca e disordinata come la cucina, e non trovò niente di interessante. La stanza accanto era il soggiorno e sembrava il luogo di un disastro come la cucina. La prima cosa che notò era che le pareti erano ornate con manifesti psichedelici di luce nera. Questi e tutte le pareti erano sporche, di stilature marroni che quando toccò gli lasciarono una sostanza scura ed appiccicosa sulle dita. L'odorò. Gli ricordò l'odore stantio delle sigarette di sua madre che permeava la sua stanza. Questo era parte dell'odore, ma c'era anche qualcos'altro. Era lo stesso odore che aveva sentito nel bagno dei ragazzi a scuola quella volta che era entrato mentre un paio di quelli del nono corso stavano fumando marijuana. Ivy guardò con timore le pareti rivestite di resina. Quant'erba doveva essere stata fumata per ridurre le pareti in quel modo? si domandò. Si girò ed esaminò il resto della stanza, e gli abiti, e vide che c'erano quattro sedie ed una serie di divani in semicerchio intorno ad una massiccia televisione su un mobiletto vecchio stile con un videoregistratore. Ogni poltrona era diversa: una vecchia poltrona con una zampa rotta che gli ricordava la poltrona preferita di Barbara; una vecchia poltrona scricchiolante di pelle; una vecchia sdraio di vinile rattoppata in vari punti, ed una poltrona di vimini dall'aspetto sgangherato con uno schienale tondo come quello della vecchia serie de La Famiglia Addams. Il divano era lungo e basso, i cuscini
logori e bruciacchiati. La torcia catturò il riflesso di un vetro, e lui notò, nella parete in fondo, quello che sembrava essere una credenza cinese. Aveva doppi sportelli di vetro e scaffali che contenevano quelle che sembravano delle file di libri, tutti con le stesse copertine nere lucide e delle etichette sul dorso. Poggiò la luce sul bracciolo della sdraio in modo che illuminasse la credenza ed aprì gli sportelli. Non erano libri, come aveva sperato, erano videocassette. Dovevano essercene almeno un centinaio, forse di più. Tutte le mensole erano piene tranne quella in alto. Ne mancavano un paio, ed erano cadute verso sinistra. I titoli erano scritti a macchina su delle etichette bianche attaccate sul dorso di ogni nastro. Ivy si sporse in avanti e lesse alcuni titoli: Giochiamo, vuoi delle caramelle? e Riformatorio erano nella mensola più alta, ed altri nomi simili erano sulle altre mensole. Ivy non aveva mai sentito parlare di nessuno di questi. In fondo al soggiorno una porta dava sul corridoio dell'ingresso e sulle scale che portavano al secondo piano. Ivy fece lampeggiare la luce lungo le scale, rivelando quella che sembrava una continuazione del disordine della casa, ma decise di non rischiare andando al piano di sopra per rimanere intrappolato se questo Joseph Dreybeck fosse tornato. Proprio di fronte alla porta d'ingresso c'era un'altra porta davanti alla quale Ivy passò, pensando che fosse uno sgabuzzino. Decise di guardarvi dentro, sperando che ci fosse un album di famiglia o qualcosa del genere su una mensola che poteva aprirgli uno squarcio sulla vita passata di Wilbur. Quello che trovò fu una stanza da letto, non più grande di uno sgabuzzino, ma così pulita ed ordinata che faceva sembrare il resto della casa ancora peggio di quanto già non fosse. Ivy entrò nella stanza e per poco non iniziò a starnutire all'opprimente odore di ammoniaca e disinfettante. La stanza era così immacolata che quasi brillava. Una brandina con lenzuola fresche ed una semplice coperta di lana marrone rimboccata in angoli perfetti. Una credenza alta e stretta accanto al letto priva di polvere, come lo erano le foto di una vecchia donna dai capelli bianchi che teneva un infante tra le braccia ed uno specchio ingrandente per la barba. Una vecchia televisione Zenith stava accoccolata su un sostegno di ferro battuto nell'angolo, con un videoregistratore nella mensola sottostante. Dall'altra parte del letto c'era una porta che dava dentro ad uno sgabuzzino stretto che conteneva due uniformi di Wilbur, accuratamente stirate, sulle stampelle. Accanto c'era un giubbotto di pelle della
polizia con uno stemma. Ivy lo tirò fuori e lo guardò. SERVIZIO DI SICUREZZA, c'era scritto in cima allo stemma. In mezzo allo stemma c'era l'immagine in rilievo di un edificio su una collina con stampato sopra OSPEDALE DI CROCKER. In basso lo stemma diceva, POLIZIA AUSILIARE DI CROCKER. Allora è li che lavora Wilbur il Pazzo, pensò Ivy, rimettendo la giacca dove l'aveva presa. E questa era la stanza di Wilbur, un'isola di pulizia in una casa che poteva essere qualificata come un magazzino. Ivy non riusciva nemmeno ad immaginare quale potesse essere la vita di Wilbur per conciliare simili estremi. Una cosa era certa: questo provava che nella casa doveva vivere qualcun'altro, altrimenti tutto il resto dell'abitazione sarebbe stato come la sua stanza. La gente ordinata è così, Ivy lo sapeva. Mentre sua madre era una sciattona, suo padre era ordinato. Ivy si ricordava che suo padre aveva sempre avuto, in ogni casa in cui avevano vissuto, una sua stanzetta, che chiamava il suo ufficio, e quella stanza veniva tenuta in ordine come uno spillo. Ivy si guardò intorno nella stanza di Wilbur ancora un po' e notò un nastro che spuntava dal videoregistratore. La custodia vuota, con il titolo Fumando nella stanza dei Ragazzi era posata sul videoregistratore. Che strano titolo! pensò. La curiosità iniziò ad avere la meglio su Ivy. Voleva sapere quello che c'era sul nastro. Se lui e sua madre avessero avuto un videoregistratore, avrebbe potuto prenderlo per poi riportarlo, ma così non era. Si accovacciò davanti al videoregistratore, desideroso di accenderlo ma aveva paura. Fallo! lo sollecitò il James Bond dentro di lui. Devi vedere quello che c'è sul nastro segreto o l'intera missione potrebbe fallire e M scoprirà il tuo nascondiglio! Avendo visto la foto di Henry, il marito di Barbara, nel suo appartamento, Ivy l'aveva immaginato come M, e Barbara come la Signorina Moneypenny. Il suo proprietario, il signore Crankshaw, che era un tìzio veramente piacevole e bravo ad aggiustare le cose, era diventato l'inventore dell'arma segreta, Q. Non c'erano dubbi nella mente di Ivy che James Bond non se ne sarebbe andato senza prima vedere cosa ci fosse nel nastro. Se ne sentì costretto. Dopo tutto, perché aveva dovuto affrontare l'affanno di entrare in quella casa se poi non riusciva a scoprire niente? Doveva andare fino in fondo, affrontare tutti i rischi. Ivy accese la televisione. Non avendone mai usato nessuno, Ivy non sa-
peva bene come far funzionare un videoregistratore. Sperando che fosse tutto pronto per farlo funzionare, spinse il nastro e premette play. Fu ricompensato vedendo lo schermo animarsi. Dall'apparecchio ruggì della fragorosa musica rock, che lo fece sobbalzare. Abbassò completamente il volume e cercò di calmare i suoi nervi tesi. Lo schermo della televisione si riempì di luce bianca ed apparve il titolo, Fumando nella stanza dei ragazzi, seguito da Una Produzione dei Tunnelvision Studios. Lo schermo diventò nero per un istante. Poi apparve Con Lisa Lick e Wilbur il Ragazzo delle Meraviglie. Ivy rise all'idea di Wilbur il Ragazzo delle Meraviglie. Non riusciva ad immaginare Wilbur come una stella del cinema. Quando l'azione iniziò a dispiegarsi, Ivy si rese conto che il povero Wilbur era una stella del cinema ma solo nel senso che era annunziato come stella del film. Ad Ivy sembrò di più una vittima del film. Ivy iniziò a sentirsi strano. Non gli piaceva tutto questo. Quando la donna che faceva la parte dell'insegnante legò Wilbur, il bambino, nudo ad un vecchio letto sporco ed iniziò a torturarlo con una sigaretta accesa, Ivy premette il pulsante d'accensione del videoregistratore e lo schermo divenne nero. Per un istante, fantasmi ottici del povero Wilbur e di quella donna orribile dimorarono nello schermo prima di svanire. Ivy sentì caldo, poi freddo. Quello che quella donna aveva fatto al giovane Wilbur sul nastro era orribile ogni oltre immaginazione. Arretrò dalla televisione ed urtò al tetto, perdendo l'equilibrio. Fu preso da un panico improvviso - spaventato a morte, spaventato oltre ogni ragione. Un pensiero gli piombò addosso con un impatto feroce: se le persone di questa casa erano parenti di Wilbur e potevano fargli questo, cosa avrebbero fatto ad un bambino sconosciuto che acciuffavano là dentro? Pensò alle mensole piene di videocassette ed alla catasta che ricopriva il pavimento del soggiorno e rabbrividì alla certezza che c'erano registrati simili orrori che non avevano come stella solo Wilbur il Ragazzo delle Meraviglie. Un bisogno cieco di andarsene da là divenne potente come la sua precedente curiosità. Abbandonò la stanza di Wilbur, correndo nel corridoio nel soggiorno. Si scontrò al bordo della poltrona di pelle ed arrivò barcollante contro lo stipite della porta della cucina con la spalla destra. L'orologio che Barbara gli aveva dato, l'orologio di Henry, gli cadde dalla tasca - non l'aveva infilato abbastanza bene. Esso rimbalzò sul bordo del tappetino dorato e verde sbiadito. Un altro pollice ed avrebbe colpito il pavimento di le-
gno e lui l'avrebbe sentito. Ma ciò non avvenne. Lui non lo sentì, e l'orologio rimase là. Il bisogno di uscire dalla casa stava raggiungendo proporzioni isteriche. Ivy non aveva tempo da perdere alla finestra, dovendola puntellare e scavalcare. Andò alla porta di servizio, la tirò ed attraversò la doppia porta senza curarsi che i cardini cigolanti straziassero la notte. Lasciò sbattere la porta ed abbandonò di corsa il portico, attraversò il cortile e scavalcò la staccionata come un saltatore che cerca di battere un record. Ma non fu abbastanza veloce. Il suo piede s'impigliò in cima alla staccionata ed andò a finire disteso di faccia sul vialetto asfaltato del suo casamento. Batté violentemente il mento, lacerandosi in profondità un pezzo di pelle sulla punta, e facendo andare a finire ciottoli e sporcizia nelle ferite sul palmo delle mani. Si lasciò sfuggire un «Oomph!» di sfinimento ed un piccolo grugnito, ma nessun altro suono. L'aria fredda pungeva le sue ferite ma si rimise in piedi. Cercando di combattere con le lacrime negli occhi, corse a casa e risalì le scale fino al suo appartamento. Entrò senza svegliare sua madre, e tornò in camera da letto dove crollò sul suo letto e lasciò scendere le lacrime. Anche al sicuro nel suo letto, la sensazione di paura e panico incontrollabili non fecero smettere al suo corpo di tremare. Si avvolse nelle coperte perché stava sudando, ma il panico non l'abbandonò. CANALE 16 Acciuffare una Spia Il Ritorno di Slice Sanchez Trasmissioni Sospese L'Ultimo Colpo Era raro che Slice Sanchez fosse in giro così presto di mattina, ma era in missione. Percorse Leighton Street cercando il numero della casa dove avrebbe trovato il piccolo oggetto nero del suo desiderio di vendetta. Gli sarebbe piaciuto buttare giù a calci la porta dell'appartamento del negro e strizzargli la merda dalla testa sua e della vecchia signora, ma il recente avvenimento al Watson's Market glielo impediva. Doveva stare calmo per un po'. Aveva dovuto scontare in riformatorio solo cinque giorni della sentenza
grazie alla tradizione natalizia della Contea di commutare le sentenze di tutti i minorenni che avevano famiglie dove andare e che erano dentro per quaranta giorni o meno. C'era stato il tempo sufficiente affinché i medici gli rompessero le dita e le aggiustassero nella maniera più idonea. Portava stecche di metallo e cerotti a quasi tutte le dita. In ogni istante di dolore aveva immaginato quello che avrebbe fatto ad Ivy per vendetta. Ma doveva fare attenzione. I poliziotti lo tenevano d'occhio. Se fosse successo qualcosa al ragazzo, Slice sarebbe stato il sospettato principale dopo quello che era successo da Watson's. Quello di cui aveva bisogno era uno stupido, uno scagnozzo, qualcuno che potesse fare il lavoro sporco per lui in modo da avere un alibi. Certamente nessuno dei membri della sua vecchia banda sarebbe stato all'altezza. Trovò l'edificio grigio di tre piani che doveva essere quello dove abitava il ragazzo. Slice aveva avuto l'informazione dal ragazzo che guidava l'autobus di Ivy che fu semplicemente contento di dargli l'indicazione. Perché altrimenti si sarebbe preso un pugno sulla bocca ad ogni rifiuto. Slice camminò davanti alla casa dal lato opposto della strada. Il posto era simile agli altri casamenti bassi di due o tre piani della strada. La casa accanto era una delle due sole case singole di Leighton Street. Slice vi aveva comprato della droga da Joey, che vi abitava con la sua vecchia signora e il fratello o nipote o qualcosa del genere. L'ultima volta che aveva comprato della coca da Joey, la roba era uno schifo. Era tornato, deciso a fargliela tirar fuori dal nascondiglio, ma Joey aveva saggiamente sostituito la roba con della coca di prima qualità. Nonostante questo, Slice non c'era più tornato. Non si fidava, né gli piaceva il tizio, né la sua signora, o quel ragazzo strano che sedeva davanti alla televisione tutto il tempo, facendoci conversazione. Si fermò ad ammirare la Harley parcheggiata sul marciapiede, usandola come scusa per guardare l'edificio e cercare di indovinare in quale piano vivesse Ivy. Il tizio dell'autobus non lo sapeva; l'avevano dimostrato svariati pugni. Slice attraversò la strada e risalì le scale d'ingresso fino all'angusto portico dove erano accatastate l'una sull'altra tre piccole cassette della posta nere e piatte. Sapeva che il ragazzo aveva un nome che sembrava francese, ma nessuna della cassette aveva un nome. Slice sputò sulla porta e ritornò alla Harley dall'altra parte della strada. Una lunga macchina dorata risalì la strada e s'infilò a retromarcia nel viale della casa accanto all'edificio. La stava guidando lo strano ragazzo a cui piaceva parlare con la televisione - Slice pensava che il suo nome fosse
Walter o qualcosa del genere. Lanciò un'altra occhiata al casamento e catturò un lampo di luce al terzo piano. C'era un movimento nella finestra in alto che sì affacciava sulla casa unifamiliare. Era il pìccolo negro bastardo. Era alla finestra, che guardava, attraverso le lenti di un binocolo, il viale vicino e lo strano tizio che usciva dalla macchina. «Stupido fottuto,» beffeggiò Slice, «non sa nemmeno usare il binocolo.» Slice guardò Ivy, poi di nuovo Walter, o qualunque fosse il suo nome, che sparì dietro la casa. «Perché lo sta spiando?» si domandò ad alta voce. Quel ragazzo non sa tenere il naso fuori dagli affari degli altri! Un'idea gli albeggiò nella testa e salì allo zenit del cielo della sua mente. Joey e la sua vecchia signora erano spacciatori di droga che facevano affari con gli Slave. Slice aveva visto le moto della banda parcheggiate là qualche volta. Se Slice gli avesse fatto sapere che il negro li stava spiando, non avrebbero fatto qualcosa? Specialmente se lui avesse abbellito la storia raccontadogli che aveva sentito per caso Ivy vantarsi del fatto che stava raccogliendo informazioni per farli arrestare tutti. Aveva sentito raccontare che gli Slave avevano ucciso alcune persone perché avevano fatto la spia. Anche se non avessero fatto una cosa del genere al ragazzo, avrebbero fatto sicuramente qualcosa per zittirlo. Spaventare quello sporco negro a morte era il minino che potevano fare. Forse sarebbe stato fortunato e loro si sarebbero liberati del ragazzo. Slice sperava che l'avrebbero lasciato guardare. «Oh, sì,» Slice respirò con eccitazione piena di aspettativa, mentre il gelo gli turbinava sulla faccia. Ivy annotò la data e l'ora in cima alla pagina del taccuino e scrisse: Il sospetto arrivato nel quartier generale del nemico da solo. Non aveva ancora deciso cosa fare circa quello che aveva visto sul nastro nella casa di Wilbur il Pazzo. Aveva eluso le domande di sua madre su come e quando si fosse ferito al mento. Non voleva che il ragazzo avesse dei problemi, né metterlo in imbarazzo rivelando quello che aveva visto, ma sapeva che doveva fare qualcosa. Sapeva che quello che la donna aveva fatto al piccolo Wilbur sul video era sbagliato. Aveva imparato qualcosa sull'abuso ai bambini a scuola e sapeva che doveva dirlo a qualcuno, forse alla polizia. Scorse indietro di poche pagine e lesse l'appunto di quando aveva notato l'uomo e la donna che erano andati nella casa. La donna non sembrava quella del video, l'aveva vista bene quando se ne era andata. Andò alla pa-
gina della seconda volta in cui era andata da Wilbur. Era avvenuto due giorni prima. Non era ancora uscita. E nemmeno il tizio che era entrato subito dopo di lei. Naturalmente questo non voleva dire che loro non erano usciti, significava solo che Ivy non li aveva visti. E nella sua irruzione non aveva trovato traccia di loro, ma la moto con la quale la donna era arrivata, e il furgone guidato dall'uomo, erano ancora parcheggiati dall'altra parte della strada. Il James Bond che era in lui avrebbe voluto fare un'altra sortita notturna, anche solo per guardare da vicino le finestre della cucina, ma dopo l'ultima volta Ivy era troppo spaventato per rischiare, specialmente dopo avere perduto là il suo orologio. Wilbur il Pazzo poteva averlo trovato, e benché lui non avesse modo di sapere che apparteneva ad Ivy, doveva aver capito che qualcuno era entrato in casa. Ivy mise il taccuino ed il binocolo nello zaino e lo portò in cucina. Erano le sette e quarantacinque. Se voleva fermarsi da Barbara prima di andare a scuola e dare da mangiare a Bond, James Bond e portarlo a fare una passeggiata, doveva muoversi. Se stava bene, Ivy voleva dire a Barbara del video di Wilbur e chiederle cosa fare. Gli ultimi due giorni era stata molto lucida, e si era goduto una delle migliori chiacchierate sui libri ed altre cose con Barbara. Ad un certo punto si era ritrovato a raccontarle come era morto suo padre e a confessarle che pensava fosse tutta una cospirazione del dottor Peabody, quando in realtà aveva intenzione di parlarle solo del povero Wilbur. Avevano discusso de Il raccoglitore nella Segala, ed Holden Caulfield gli ricordava vagamente Wilbur, solo che Holden non era pazzo come Wilbur. Barbara e lui fecero una lunga chiacchierata sul perché alla gente capitavano delle cose spiacevoli e quale fosse il modo migliore di affrontarle. Le disse anche quello che aveva fatto a Slice Sanchez ed ai suoi amici, e lei gli aveva parlato dei pericoli della vendetta - di come questa poteva corrodere una persona all'interno fino a distruggerla. Ma non una volta gli aveva chiesto perché Slice ce l'avesse con lui, né fece una accenno all'incidente nel vicolo. Disegni ghiacciati sulla finestra della cucina lo avvisarono di mettersi il pesante parka trapuntato invece della giacca militare di suo padre. Tirò su la cerniera, e si mise lo zaino. Sua madre era già uscita per il suo lavoro giornaliero alla fabbrica di plastica, il che andava bene ad Ivy. Gli piaceva avere la mattina tutta per sé e non aveva problemi a prepararsi la colazione, di solito toast con burro di arachidi inzuppato in una tazza di cioccolato
caldo. Quella mattina saltò la colazione, scappando fuori dalla porta, e chiudendosela alle spalle. Ivy si fermò a metà della scale, con gli occhi inchiodati al portico sul retro di Wilbur il Pazzo. C'era Slice Sanchez, che bussava alla porta. Cosa ci fa là? si domandò Ivy. Rimase immobile fino a quando Wilbur aprì la porta e Slice entrò. Ivy scese il resto delle scale lentamente, cercando senza successo di vedere dentro le finestre della casa accanto. Giunto in fondo, esitò, lacerato tra la curiosità ed il senso di responsabilità. Gli sarebbe piaciuto avere più tempo. Stava morendo dalla voglia di sapere cosa volesse Slice Sanchez da Wilbur il Pazzo, ma aveva paura che Barbara avesse una ricaduta da un momento all'altro, e sapeva che doveva tenerla sotto controllo e prendersi cura di lei. Optò per fare la cosa più responsabile e si diresse verso la strada, rimpiangendo l'opportunità mancata di fare la spia, ma segretamente orgoglioso di sé per quello che sapeva essere giusto. Aria stagnante. Tutti i canali sono spenti Silenzio, una nuova sensazione. Nessuna interruzione pubblicitaria. Nessuna identificazione di stazione televisiva. Nessun bollettino speciale. Solo lui. È solo la sua faccia che guarda dallo specchio sul muro, dalla parete del tostapane, dagli schermi scuri del soggiorno e della sua stanza. È stata lei che ha fatto tutto questo. Beth. Lei gli ha fatto fare corto circuito. Ha deprogrammato la sua rete televisiva. Ha provocato il black-out. L'aveva portata fuori per due ore la sera, prima del lavoro. Gesù era d'accordo con l'appuntamento, ma Wilbur l'aveva preso deciso a dimostrare che la sua infermiera era diversa. Sembrava che ci fosse riuscito. Non sapeva dove sarebbero andati. Aveva paura di restare solo con lei se Gesù avesse deciso che stava fallendo l'esame e fosse andato in corto circuito. Lei suggerì un film e lui fu troppo timido per discutere. Non fu come se l'aspettava. I soli film che aveva visto erano quelli che Mary-non-Madre e Joey facevano con Gesù e con la scia di fuggiaschi che passavano per quella casa. Aveva paura che sullo schermo gigante apparisse uno dei Suoi film e fu sollevato e contento quando Fantasia di Disney gli diede una delle esperienze visive più piacevoli che avesse mai provato. Dopodiché, la serata trascorse senza incidenti, senza interferenze di canali,
senza voci. Guarda lo schermo vuoto e ricorda come le era sembrata dolce e morbida quando si era stretta a lui nel cinema, mettendogli il braccio intorno alle spalle e tenendogli la mano. Non aveva mai saputo che il contatto fisico con un'altra persona potesse essere così piacevole - e non sporco come piaceva a Mary-non-Madre e Joey, ma buono, di una bontà pura, di una bontà giusta. Questo Gesù non poteva negarlo. Il suo silenzio lo dimostrava. Un colpo alla porta interrompe i suoi pensieri. L'energia rimane spenta, lo schermo buio. Non è niente, pensa, costringendosi a sorridere. Va dal soggiorno alla cucina, la sua sensazione di speranza diminuisce ad ogni passo. Non posso farlo, dice a sé stesso. Non ci sono luci luminose, applausi registrati, nessun telecomando - solo una bussata alla porta. «Non posso farlo,» dice ad alta voce. Apre la porta e guarda il giovane alto, dai capelli lunghi in piedi nel portico. Il giovane gli sembra vagamente familiare, ma Wilbur non riesce ad identificarlo. «Salve! Come va?» dice il giovane, aprendo la zanzariera. Wilbur fa un passo indietro. «Walter, giusto?» «Wilbur.» Spinge a fatica il nome fuori dalla bocca secca. «Giusto. Joey o la signora sono in casa?» chiede il giovane, cercando di vedere all'interno. Un formicolio d'allarme corre fino alla schiena di Wilbur. «Li conosci?» si sente dire. «Sì. So qualcosa che potrebbe interessargli.» Il ronzio della corrente che ritorna nella sua testa è forte. Nonna, che ha pregato in silenzio al buio, invoca ad alta voce il Signore. «Non sono qui,» dice, con la voce calma, senza mostrare affatto il panico e la disperazione che fluisce dentro di lui. «Oh,» dice il giovane, deluso. «Tornano presto?» Vattene! vuole gridare. Scuote la testa. La corrente sta aumentando. Presto Tunnelvision trasmetterà di nuovo. Vattene! pensa, e forse riuscirò a spegnerla di nuovo. «Bene...» Il giovane esita. «Penso di potertelo dire.» Si guarda intorno come se avesse paura che qualcuno possa ascoltare. «Quando parlerai a Joey di quello che ti dirò, ricorda di dirgli chi te l'ha detto,» aggiunge, fa-
cendo a Wilbur una strizzata di occhi. Il ragazzo lo spinge, per entrare in cucina. «Non pensi che dovresti dare una pulita di tanto in tanto?» Il giovane si guarda intorno disgustato. Wilbur non risponde. «Forse non ti ricordi di me.» Il giovane scruta dentro il soggiorno. «Sono Slice Sanchez. Ho fatto degli affari con Joey e tua madre.» «Non è mia madre,» dice automaticamente Wilbur. «Comunque sia. Basta che gli racconti del ragazzo della porta accanto.» La corrente vacilla, confusa. «Cosa?» «Il ragazzo della porta accanto, il piccolo negro che vive al terzo piano. Sta spiando i vostri movimenti...» Spiando i nostri movimenti! «...e gli ho sentito dire a dei ragazzini sull'autobus che stava raccogliendo prove da dare alla polizia...» La polizia! «... per farvi arrestare.» «Quali prove?» poteva a malapena sentire le proprie parole sotto il ronzio dei trasmettitori che si preparavano a trasmettere. «Lo sai, le droghe che trattate. Ho comprato della coca qua, non devi fare lo scemo con me. Non sono un poliziotto.» «Sì, lo è,» dice Fratello John. Il suo canale è di nuovo acceso. E ospite di Oprah Winfrey. «Hey, amico! Dovresti fare maggiore attenzione ai tuoi nastri!» Il giovane si dirige verso il soggiorno, verso la pila di videocassette per terra. Tutti i canali sono accesi. «Non le toccare,» dice Wilbur, ma la sua voce è esile e lontana, persa nel crescendo della programmazione di prima serata. La sua vista si annebbia, i canali cominciano a cambiare. Gesù ha il telecomando. Gesù ha l'ascia nello sgabuzzino. Gesù lo porta al corto circuito ed il sangue vola. *** Barbara non aveva un bell'aspetto. La sua faccia era pallida e le labbra violette. Ivy notò immediatamente che la palpebra sinistra era pesante e che l'intero lato sinistro della sua faccia sembrava pendere leggermente. Anche il suo braccio sinistro sembrava infastidirla e lo teneva poggiato
sullo stomaco senza usarlo. Quando entrò stava seduta sulla poltrona e gli era sembrato che fosse stata là tutta la notte. Non gli rispose quando le parlò dalla soglia dove stava coccolando l'uggiolante Bond, James Bond. Le portò vicino il cucciolo. «Barbara?» chiese. Quando alzò lo sguardo verso di lui si mosse solo l'occhio destro. Il sinistro rimase nascosto dietro la palpebra calata. Dallo sguardo capì che doveva averlo riconosciuto. «Cosa c'è che non va?» gridò. Mise giù il cucciolo che continuava a morderlo e s'inginocchiò vicino alla poltrona. Il lato destro del labbro di Barbara tremava, e quel lato della bocca si aprì leggermente come se cercasse di parlare ma non riuscì a spiccicare una parola. Ivy le afferrò la mano, e questo la stimolò ad un altro sforzo. Batté l'occhio destro e lo guardò come se all'improvviso ricordasse chi fosse. Le sue labbra si mossero di nuovo e lui si protese in avanti per sentire, ma la voce uscì sorprendente forte, anche se un po' impastata. «Ivy, mio carissimo amico,» La mano destra strinse la sua. Si sedette un po' più eretta, ma sembrava continuare ad avere problemi con il lato sinistro. «Chiamo un'ambulanza,» disse Ivy. Barbara gli strinse la mano con una forza sorprendente per impedirgli di muoversi. «No,» disse con voce roca, e si schiarì la voce. «Sto bene. Questa» - indicò con un cenno della testa il braccio sinistro - «è semplicemente la mia artrite come al solito. Domani starò bene.» Il suo aspetto smunto smentiva la calma rassicurante della sua voce. Ivy non sapeva cosa fare, «Ma penso che dovresti portare Bond a casa con te per un po', va bene? Non puoi trovargli un posto per tenerlo al sicuro fino a quando non starò meglio?» chiese, lanciando un'occhiata al cucciolo che cercava di arrampicarsi alla sua gamba. Ivy annuì, con gli occhi pieni di lacrime. Aveva paura di sapere esattamente quello che intendeva dire. Questa non era artrite; era qualcosa di più grave. Era per questo che si era ubriacata il giorno che era stata in clinica. Dovevano averle detto che stava per... Non riusciva nemmeno a pensare alla parola o sarebbe esploso in urla. «Lo riprenderò tra pochi giorni,» disse lei, lasciando penzolare la mano destra verso il pavimento per accarezzare il cucciolo.
«Sei sicura di stare bene?» farfugliò Ivy, timoroso di farle la domanda troppo bruscamente. «Sto bene, veramente,» disse, allungandosi per accarezzargli il volto. Ma proprio non sembrava. «Fammi chiamare un dottore, o fatti portare in clinica. Oggi posso saltare la scuola e venire con te,» supplico. «Domani,» disse. «Se per domani non sto meglio, mi puoi portare in clinica, ma non preoccuparti per me. Il signor Crankshaw verrà più tardi per aggiustare il rubinetto che perde nel bagno. Lui si occuperà di me. Se ne avrò bisogno, glielo chiederò. Adesso vai, dai da mangiare a Bond e vai a scuola. Torna dopo per prenderlo.» Con riluttanza, Ivy si arrese all'autorità della sua voce. Forse ha ragione, la parte ottimista di lui voleva crederci. Quando si fermò per prendere Bond dopo scuola, il suo lato ottimista ebbe il sopravvento. La trovò che dormiva tranquillamente, con un bel colorito. Osando pensare che forse, almeno una volta, qualcosa andava come lui voleva, prese Bond, la scatola del cane, la cuccia e la ciotola ed andò a casa più fiducioso di quanto non fosse stato quella mattina. Barbara sapeva che aveva avuto un ictus. Suo padre ne aveva avuto uno poco prima di morire. Vedeva il suo fantasma semi-paralizzato ogni volta che si guardava allo specchio, e si domandò se anche il suo fosse stato provocato da un tumore al cervello. Il suo ictus non era stato grave quanto quello che aveva colpito suo padre, ma era abbastanza grave. Quando aveva momenti di lucidità e riusciva a pensare e parlare senza tentennamenti - come era stata in grado di fare con Ivy (grazie a Dio) - cercava di immaginare quello che doveva fare. I dottori all'ospedale le avevano detto che il tumore era operabile, e trattabile con la chemioterapia e le radiazioni, ma la sua età rendeva rischiose tutte e due. Ciò, più il fatto che non aveva soldi, sembrò aver deciso il suo destino. Era lacerata fra il desiderio e la paura della morte. I dottori avevano detto che senza un'operazione o un trattamento, aveva sei settimane o due mesi di vita. Questo era avvenuto due settimane fa. Sembrava che le loro stime fossero un po' eccessive. Se la morte fosse arrivata rapidamente, tutto sarebbe andato bene, ma se si dilungava, in una condizione di paralisi come questa, o peggiore, per un qualsiasi periodo di tempo, avrebbe avuto dei problemi. Se ciò fosse avvenuto avrebbe avuto bisogno di cure costanti. Da chi le avrebbe avute? Chi
avrebbe pagato? Dopo che Ivy se ne fu andato, Barbara schiacciò un pisolino sulla poltrona, andando alla deriva in un profondo sonno privo di sogni. Si svegliò verso l'una, indolenzita per essere stata seduta troppo a lungo. Si alzò in maniera malferma e, con la mente annebbiata, barcollò fino al letto. Il suo lato sinistro era umido e pesante. Aveva fame ma non aveva energia per preparasi qualcosa da mangiare. Con difficoltà, si sedette sul letto, poi si sdraiò, usando la spinta del suo corpo per cercare di gettare le gambe sul materasso. Lottò con esse per alcuni minuti, puntellandosi sui gomiti, prima di uscirne vittoriosa. Si sdraiò. Un secondo prima che la sua testa toccasse il cuscino ebbe un violento ictus. Continuò a respirare fino alle 5:00 del pomeriggio quando il suo cuore sussultò e si fermò, ed esalò il suo ultimo respiro. «Questo è solo un test. «Per i prossimi sessanta secondi il Sistema di Trasmissione d'Emergenza farà un test. Ripetiamo, questo è solo un test.» Il telecomando sta andando su tutte le furie. Stazione dopo stazione, canale dopo canale. Programma dopo programma, che nascono e muoiono in una frazione di secondo. Qui e via. Qui e via. Qui e via. Il lavoro manuale del Figlio di Dio appare sullo schermo. Slice Sanchez avvolto ordinatamente in una plastica che esisterà per migliaia di anni. Il testamento del Signore continua ad essere trasmesso, dominando le onde dell'etere. Fermo immagine. «Qui termina il nostro test. Se questa fosse stata una vera emergenza, ti sarebbe stato ordinato di...» Zitto! Il notiziario è in onda. Canale Quattro. Liz Walker gli sta parlando e proietta le immagini della terribile punizione di Gesù su un piccolo schermo che volteggia nell'aria vicino alla sua testa. Liz: La Polizia della città di Crocker ha convocato una conferenza stampa per domani mattina. La cittadina del centro nord è stata teatro di due brutali omicidi che includono la mulilazione dei corpi delle vittime. La polizia ha ricevuto dei video degli omicidi ma ha di nuovo rifiutato di fare dei commenti, dicendo di non avere sospetti... E più a nord nel New Hampshire...
Abbassa l'audio. «Non preoccuparti della polizia,» dice Gesù, guardandolo dall'altro lato dello specchio sul muro. «La polizia è semplicemente colpevole come gli altri. Anche loro pagheranno» Cambio di canale. Le luci danzano. I suoni si ovattano. Un cerchio bianco appare in mezzo allo schermo, e recede. La stanza è sparita. Buio eccetto la luce in fondo al... Porte si aprono e richiudono. Suoni dal buio. Confusione. Una svista. Un dondolio. Uno schiocco. Una scivolata. «No!» Risplendendo debolmente come le creature degli abissi che hanno trascorso la loro vita nelle tenebre, i creatori dei suoni si trascinano fuori dal buio. Una mano scappa come un ragno. Una gamba si agita come un serpente. Un torso si trascina con stinchi di ossa che si protendono dalle sue spalle dove dovrebbero essere le braccia. Una testa dondola come una lanterna, i suoi occhi lo guardano fisso, e sono migliaia di volte peggiori da morti di quanto non lo fossero da vivi. «No!» il suo grido è flebile. Non riesce a trovare il telecomando. Non riesce a trovare il tasto di accensione. Una mano si trascina sul suo piede. Corre... ...dirigendosi prima verso la parete che separa il soggiorno dalla cucina. La televisione sta esplodendo ed il solo suono nella sua testa è il tintinnio di vetro rotto. Cade a terra con un tonfo scomposto, la testa distrugge sotto il suo peso l'orologio di Ivy, quando colpisce il bordo del tappetino. CANALE 17 Bill Gage - Video Investigatore Quando Avvengono Cose Brutte Alla Brava Gente Benché fosse contro quasi tutti i manuali su simili casi e contro l'opinione di tutti gli esperti, Bill Gage era assolutamente sicuro che il dottor Jay Epstein, che era stato identificato come l'uomo senza mani trovato sui binari, era l'ultima vittima dell'assassino seriale. I media avevano cominciato a chiamarlo il «video-assassino» da quando Starkovski aveva fatto
trapelare le notizie. Benché non potessero provare che fosse stato Starkovski, il capo e Mahoney sapevano che era stato lui. Quel sorriso da stronzo alla conferenza stampa era stata per Bill una conferma sufficiente. Dopo quella conferenza il sindaco era stato letteralmente proiettato in prima linea. Aveva cominciato con negazioni e smentite, ne era rimasto intrappolato, ed aveva dovuto ogni volta fare retromarcia, facendo quello che ogni bravo politico avrebbe fatto: dare la colpa a qualcun altro - in questo caso al capo e a Bill. A Bill non importava. Il sindaco era un pezzo di merda. Poteva dire quello che voleva fino a quando non interferiva con le indagini. Il telefono squillò e Bill mise da parte tutto quel lerciume. Era Mahoney che chiamava dall'ingresso. Era appena stato trovato un altro nastro sul sedile anteriore di una volante parcheggiata proprio di fronte alla stazione di polizia. Come al solito, nessuno aveva visto niente. Bill disse a Mahoney di incontrarsi nella stanza adesso adibita alle visioni, lasciò il suo ufficio e corse da Capo Albert che stava andando proprio da lui. «Andiamo. È appena arrivato un altro nastro. Scommetto che è il dottor Epstein,» disse Bill, senza fermarsi. Capo Albert lo affiancò. «Questo getta scompiglio in una teoria acquisita, non è vero?» disse il capo, scuotendo la testa. «Questo tizio ha semplicemente un piano diverso, un bisogno diverso, tutto qui. Sta seguendo un disegno unico, lo sventola davanti alle nostre facce come una bandiera rossa, ma noi non riusciamo a vederlo.» Guardò di traverso George, che stava ansimando leggermente per stare al passo con Bill. «Perché stavi venendo da me?» «Cattive notizie,» rispose George. «Se sono sul sindaco, non voglio sentirle.» «Lo sono. Ha rilasciato una dichiarazione che sarà sui giornali di domani in cui afferma che soprintenderà personalmente le indagini per assicurarsi che il pubblico sia tenuto informato in maniera corretta.» Il capo non nascose la sua rabbia. «Quell'ipocrita! Chi crede di prendere in giro?» «È molto peggio,» disse George. Raggiunsero la stanza degli interrogatori, e Bill si fermò prima di entrarvi. «C'è dell'altro?» disse con un tono di voce esagerato. George roteò gli occhi. «Il sindaco vuole che lo informi quando avviene qualcosa, ed in particolar modo se riceviamo altri nastri. Vuole visionarli con noi per assicurarsi che non gli teniamo nascosta nessuna in-
formazione.» «Chiamalo,» disse Bill. George sembrava sorpreso. Non era la reazione che si aspettava. Bill spiegò. «Se il nastro è agghiacciante come penso che sia, voglio vedere la faccia di quel bastardo che diventa verde mentre lo guarda. Correrà in bagno dopo cinque minuti e non sarà più così desideroso di seccarci.» Il Capo rise ed annuì d'accordo. Andò a chiamare il sindaco, e Bill accese la luce della stanza adibita alle visioni. Guardò la televisione ed il videoregistratore e fece una smorfia. Stava iniziando ad odiare ogni stupido televisore e videoregistratore che vedeva, ma odiava questo in particolare. Sapeva che era irrazionale odiare un oggetto inanimato, ma era una maniera buona per dare sfogo alle proprie emozioni, che se indirizzate all'assassino, avrebbero potuto annebbiargli le capacità di giudizio, facendogli perdere qualcosa. Mahoney entrò. «Non appena Hanson prenderà le impronte, ci manderà il nastro.» Andò alla TV. «Ho appena visto il capo. Il sindaco viene a vederlo?» «Già,» sogghignò Bill. «Vuoi scommettere quanto resisterà?» «Gli do due minuti, al massimo,» disse Mahoney. «Io gli do un po' più di stomaco, ma non più di cinque.» Risero, ma erano tesi. Nessuno di loro aveva voglia di vedere il nastro. Cinque minuti dopo, Larken portò il nastro, lo porse a Mahoney e se ne andò. «Possiamo mandarlo avanti, o dobbiamo aspettare il Viscido?» chiese Mahoney, posando il nastro sul videoregistratore. «Sta arrivando,» disse il capo, di ritorno. «Non ho dovuto nemmeno chiamarlo. Mi ha chiamato lui. Qualcuno gli ha fatto sapere che avevamo il nastro.» «Aspettiamo,» disse Bill. Mahoney sembrò sollevato. *** Il nastro fu quello che Bill si aspettava, ma non la reazione del sindaco. Il Viscido si fece gioco di loro e rimase seduto fino alla fine. La sua presenza infastidì Bill, che non riuscì a mettere a fuoco, né a fare attenzione a nulla. I suoi occhi erano costantemente attirati dalla faccia del sindaco che fissava il Dottor Epstein a cui venivano potate le braccia dai polsi con una sega manuale e mentre una delle sue mani veniva inserita nell'ano.
La faccia del sindaco conservò la stessa espressione di ghiaccio per tutto il truculento video, un sorrisino assente gli faceva tremare l'angolo della bocca e gli occhi lucidi - per le lacrime, aveva pensato in un primo tempo, ma dopo uno studio più approfondito si rese conto che era per l'eccitazione. Rabbrividì. Davanti alle immagini della mulilazione del dottor Epstein il sindaco si stava eccitando. Bill ne era sicuro, e quel pensiero gli fece venire una nausea ancora maggiore di quella che gli aveva procurato la visione degli altri video. Bill fu contento quando il sindaco se ne fu andato, parlando con uno dei suoi tirapiedi di come gestire quest'ultimo omicidio in modo che giovasse nel miglior modo possibile alla sua immagine. Guardandolo andare via ed ascoltando le sue chiacchiere, Bill trovò qualcos'altro su cui sfogare le proprie emozioni di rabbia. Capo Albert se ne andò con uno sbuffo di disgusto davanti al comportamento del sindaco, lasciando Bill e Mahoney davanti alla televisione. «Lo riporto in laboratorio. Lo vuoi sempre allo stesso modo?» Quando ebbe finito di riavvolgersi, Mahoney fece uscire il nastro dal videoregistratore. «Si,» disse in maniera assente Bill, incapace di scacciare la faccia del sindaco dalla mente. Forse suo padre era così mentre fotografava le sue vittime agonizzanti. Questo voleva dire che il sindaco sarebbe stato capace di uccidere? Bill ne dubitava. Gente come il sindaco e suo padre - e forse il video-assassino - camminavano su un filo sottilissimo. Ma mentre il sindaco non avrebbe mai messo in atto i suoi desideri, suo padre l'aveva fatto. «Chiedo ad Hanson di farcene una singola copia immediatamente, in modo che possiamo guardarla mentre prepara il circuito,» disse Mahoney. «Va bene,» replicò Bill, rimanendo davanti allo schermo scuro. Bill sospinse in un angolo il sindaco e rivolse i suoi pensieri all'ultimo video. Il suo titolo era Giochiamo. Il primo Addestramento al Gabinetto, poi Fumando nella Stanza dei Ragazzi, ed adesso Giochiamo. Sta cercando di dirmi qualcosa ed io sono troppo confuso per vedere cosa, pensò Bill. Malgrado avesse infranto lo schema del genere di sesso femminile, quello del video-assassino era un classico caso di assassinio seriale. Quella che, dalla registrazione dei nastri e dalla spedizione di questi alla polizia, veniva mascherata come arroganza era in realtà un grido di aiuto ed un tentativo di dire alla polizia come prenderlo. Tutto quello che questo tìzio aveva fatto fino ad ora era stato pianificato e portato a termine con molta cura. Era chiaro che stava cercando di dire qualcosa; solo che
Bill non capiva ancora il linguaggio. Rimase seduto a riflettere sui possibili significati dei titoli fino a quando Mahoney non tornò con il nastro. Lo rividero di nuovo, e senza il diversivo della presenza del sindaco, Bill fu in grado di prestarvi maggiore attenzione. Come nei primi due video, c'era un titolo breve ma nessun suono. L'inquadratura di apertura era un primo piano strettissimo della mani del dottor Epstein legate insieme intorno allo schienale di una sedia di legno in modo che i polsi poggiassero sul sedile di legno, fornendo una buona superficie per il taglio. Un veloce stacco su un primo piano della faccia del dottor Epstein, con del nastro isolante grigio sulla bocca, per registrare la paura ed il panico - e qualcos' altro che Bill non riusciva a mettere a fuoco - e poi di nuovo alle mani sulla sedia. La sega entrò nell'inquadratura ed iniziò a tagliare. Dalla luminosità opaca sembrava essere stata usata tante volte, ma era molto affilata. Il resto del nastro era un alternarsi di inquadrature ravvicinate, dai colori vividi, da tre angoli di ripresa diversi della faccia martirizzata del dottor Epstein e della rimozione delle sue mani. Il video si concludeva con il disgustoso finale dell'inserimento nel retto di una delle mani recise e della rimozione degli occhi di Epstein con quello che sembrava un cucchiaio affilato. Bill si rese conto che ogni nastro, a livello tecnico, era sempre più sofisticato del precedente. Il primo nastro era stato ripreso in bianco e nero da un solo angolo di ripresa; il secondo a colori con due angoli di ripresa; questo terzo con tre angoli di ripresa. Un'altra indicazione? Un altro messaggio dell'assassino? Se solo avesse saputo cosa voleva dire. Fece ripartire il nastro, cercando di focalizzare la sua mente errabonda su qualcosa, senza pensare. La telecamera era così stretta, ogni inquadratura rivelava così poco, che dubitava che avrebbe potuto individuare qualcosa, ma ci provò lo stesso. Si sentiva in una posizione di stallo, frustrato. Tutto - dal sindaco, al modo in cui l'ombra scomoda di suo padre ricadeva sul caso, ai suoi problemi con Cindy - cospirava per dargli la sensazione che l'assassino aveva messo tutte le carte in tavola, ma che lui era troppo stupido per vederle. Mentre il nastro si riavvolgeva guardò l'orologio. Fra venti minuti, lui e Mahoney avrebbero avuto una riunione con tutti quelli che lavoravano al caso. Decise di rimandare la visione del nastro a favore di una tazza di caf-
fè e ad un'occhiata ai suoi appunti prima dell'incontro. Sembrava che Mahoney avesse avuto la stessa idea, e spense la televisione ed il videoregistratore senza una parola. «Non male,» disse Bill, quasi un sospiro di sollievo nella voce. La riunione era finita e gli agenti e le pattuglie erano andati via. Benché avessero avuto riunioni ogni giorno, che generalmente non portavano a niente, oggi si sentì meno frustrato quando fu finita. Alcuni punti erano stati chiariti, e gli era sembrato di vedere di nuovo un leggero progresso nel caso. Due degli agenti di Mahoney, il tenente Levy ed il caporale Porter, a cui era stato affidato il compito di controllare i siti industriali e le fabbriche abbandonate dell'area, avevano riferito di quindici fabbriche vuote della zona, ognuna delle quali avrebbe potuto essere un buon posto per lo studio di morte del Video-assassino, ma nessuna delle quali mostrava alcuna traccia di occupazione. Altri due, il tenente Miller ed il tenente Lachance, a cui era stato affidato il compito di controllare i fotografi, le televisioni locali ed il personale di Canale Ventisette di Worcester, erano tornati a mani vuote per quello che riguardava eventuali sospetti ma avevano appreso alcune cose, che potevano essere interessanti, sul processo di produzione dei video. Ad un tale signor John Giacomo, che dirigeva la stazione locale di accesso delle società via cavo per le città di Fichtburg, Leominster, Quarry, e Crocker era stato permesso di visionare una selezione di scene accuratamente montate dei due primi video. Era stato in grado di affermare che il tizio stava usando telecamere non professionali, probabilmente il meglio della Sony, anche se non poteva esserne sicurissimo, con un'illuminazione ed un equipaggiamento di montaggio molto sofisticato. A parte le telecamere, il signor Giacomo riteneva che il tizio stesse usando un equipaggiamento che un operatore amatoriale medio non poteva avere. Larken aveva riferito di non avere avuto fortuna nei suoi tentativi di trovare i film porno di ELVIS, ma solo le battute e le risatine degli altri. Aveva sentito qualcosa di più interessante quando Larken aveva continuato con il rapporto sulla sua traccia del produttore di sanitari il cui nome cominciava con PRINC. Aveva messo insieme una lista di sette società nel New England e nella Costa Nord orientale. Le aveva già controllate tutte, ma aveva scoperto che non erano in grado di dirgli se avevano venduto del materiale a qualche industria di Crocker senza sapere il nome dell'industria, visto il modo in cui i nomi erano archiviati nei computer. Larken a-
veva correttamente fatto rilevare che poiché non conoscevano l'età dell'edificio dentro il quale agiva il tizio, potevano essere alla ricerca di una società che era stata chiusa. Larken aveva anche un aggiornamento su Joan Perche. Aveva cercato di seguire le sue tracce attraverso un certo numero di posti dove suo marito aveva detto potesse essere stata, ed era riuscito a trovare dei testimoni che pensavano di averla vista in ognuno di questi posti. Il marito riteneva che l'ultimo luogo in cui era andata fosse l'ospedale, per fare una visita ad un'amica malata. Larken aveva interrogato l'amica ed aveva scoperto che Joan Perche non si era fatta vedere. Nemmeno le infermiere all'ingresso ricordavano di averla vista. Larken arrivò alla conclusione che Joan Perche fosse stata prelevata alla fermata dell'autobus mentre aspettava l'automezzo che doveva portarla all'ospedale. Bill sapeva che era un azzardo, e benché si fosse rivelato infruttuoso, ciò aveva dato a Larken la possibilità di mostrare la sua impareggiabile capacità di indagare con il computer. Bill si ripromise di farlo notare al capo. Larken aveva la stoffa di un investigatore estremamente metodico. Quando tutte le relazioni furono state fatte, Bill elencò agli uomini quello che i nastri avevano rivelato fino ad ora, poi la riunione si aprì ad una discussione o/a delle domande. Era contento di vedere che gli investigatori e gli agenti di sostegno che il capo gli aveva assegnato discutevano animatamente delle prove. Starkovski era il solo ad essere silenzioso, alternativamente imbronciato o formale, in fondo alla stanza. Grazie alle domande ed alla discussione stabilirono una precisa connessione tra la pornografia e quello che il tizio stava facendo, come evidenziato dalla collocazione dei corpi davanti al Saxon Theatre, un vecchio cinema a luci rosse; sotto il cartello del negozio di noleggio di film a vietati ai minori quale il Video Valhalla; e sui binari del treno - una connessione che Bill non aveva visto fino a quando uno degli agenti più giovani aveva fatto notare le implicazioni sessuali del treno. Anche i titoli dei nastri potevano suggerire qualcosa di pornografico. Alla fine dell'incontro, ebbero una prima elaborazione, anche se esigua, del responsabile: un maschio giovane che era stato probabilmente vittima di abusi, come evidenziato dalle cicatrici delle ustioni sulla mano del primo nastro; aveva familiarità con le attrezzature video ed aveva lavorato in televisione o, molto più probabilmente, in film pornografici, probabilmente come operatore. Non era molto, ma l'aiutava ad avere un punto d'appoggio per pensare
all'assassino come ad una persona con delle ragioni per quello che stava facendo. Sfortunatamente, proprio quando l'incontro stava diventando produttivo e Bill si sentiva di nuovo speranzoso, Starkovski ci mise il suo tocco. Bill e Mahoney stavano per assegnare i nuovi compiti, e Bill stava dando a Larken il nome dell'agente dell'FBI del New England, dicendogli di controllare con lui ulteriori informazioni riguardanti le case di produzione di riviste e film pornografici del New England. E fu allora che Starkovski s'intromise. «Quale industria pornografica del New England?» sibilò. Una quiete improvvisa scese sulla stanza. Gli uomini non guardavano né Bill, né Starkovski. Sentivano che stava arrivando il momento della resa dei conti. Bill rispose, senza alterarsi. «Quando stavo con la polizia di Stato, esistevano tre compagnia di produzione nel New England di cui eravamo a conoscenza.» «Dieci anni fa,» borbottò Starkovski quel tanto che bastava perché tutti sentissero. Bill notò che Mahoney stava per arrabbiarsi. Starkovski, apparentemente, non se ne accorse, o non avrebbe continuato a far uscire aria dalla bocca. «E quale sarà la prossima mossa di quel cattivone del Video-assassino, Agente Speciale? Su, signore, come sarà la sua prossima vittima? Forse sai pure chi sarà! Perché non ci risparmi tutto questo lavoro e ce lo dici?» Bill e Mahoney parlarono contemporaneamente, ma si sentirono solo le urla di Mahoney che sovrastarono il tono calmo e sarcastico di Bill. «In modo che tu possa dirlo al Telegram?» Bill chiese a Starkovski, ma non fu sentito, mentre Mahoney gridava, «Se hai un problema, Frank, devi parlare con me. Tu devi fare rapporto solo a me e solo attraverso di me!» Poco saggiamente Starkovski aprì la bocca per parlare. Mahoney gliela richiuse. «Zitto! Se la smettessi di comportarti come una testa di cazzo e ci aiutassi nelle indagini, potremmo combinare qualcosa. Non abbiamo tempo per le tue domande idiote, Frank, specialmente domande idiote e dissennate. Non ti fanno apparire intelligente, ti mostrano semplicemente per l'ignorante figlio di puttana che sei!» La stanza era diventata silenziosa. La faccia di Starkovski era iniettata di sangue per la rabbia e per l'imbarazzo. Fece lampeggiare i suoi occhi furiosi per tutta la stanza, e tutti tranne Bill e Mahoney distolsero lo sguardo. «Sto per depositare un reclamo per danni all'amministratore sindacale,» ringhiò Starkovski, poi si alzò e se ne andò.
Parlando a bassa voce gli uomini uscirono in fila dalla stanza, ed un paio di loro fece a Mahoney un segno di approvazione. «Grazie,» disse Bill quando la stanza fu vuota. Mahoney sorrise timidamente e respinse il ringraziamento con un gesto. «Sono anni che quel bastardo se lo meritava,» rise Mahoney. «In realtà, mi sono divertito.» Bill rise con lui. Ivy si asciugò le prime lacrime da quando suo padre era morto. Stava sul marciapiede fuori dall'edificio dell'appartamento di Barbara, e guardò mentre la portavano fuori su una barella, con il lenzuolo tirato sulla testa. Non sapeva nemmeno cosa stesse pensando in quel momento, o se pensasse affatto, ma un pozzo di emozioni trattenute traboccarono in superficie e si fecero strada. Il signor Crankshaw, il padrone di casa di Barbara, stava sui gradini e parlava con un giovane poliziotto. Anche lui stava piangendo. Alzò lo sguardo, vide Ivy, e gli fece cenno di avvicinarsi. Le lacrime ed il dolore stavano arrivando così violentemente e velocemente che Ivy non riuscì a respirare. Scappò dal signor Crankshaw, incapace di affrontare chiunque, per il terribile dolore che lo stava devastando. Corse. Tutto era una violenza. Tutto era grottesco, sproporzionato, un'aggressione ed un insulto ai suoi sensi. I vapori dei tubi di scappamento erano pesanti come quelli di Los Angeles. La luce del sole era composta di aghi che gli facevano bruciare e lacrimare gli occhi con la loro lucentezza. La strada sotto i suoi piedi era sporca, unta, scivolosa, ricoperta dai residui dei rifiuti della terra. Di gente come Slice Sanchez. Ivy si fermò in mezzo a Leighton Street, a due isolati da casa. Slice Sanchez era il vero responsabile della morte di Barbara come se l'avesse pugnalata con il suo coltello. I suoi amici erano altrettanto colpevoli, ma Ivy poteva occuparsi di loro più tardi. La prima cosa di cui si doveva occupare era Slice e come fargliela pagare. Le lacrime ritornarono, arroventate dalla determinazione di vendetta. Riprese a camminare, e le lacrime gli rigarono il volto, riscaldando le guance un istante prima che il freddo le ghiacciasse. Non se ne accorse; era troppo intento a fare piani. Percorse a lunghi passi il viale di casa, dimentico di tutto se non del dolore, del cordoglio e del desiderio di vendetta. A metà della prima rampa di
scale, si ricordò di Bond nel garage. Il cucciolo doveva avere freddo, pensò. Le lacrime cominciarono a cadere di nuovo al pensiero di Barbara che gli donava Bond, James Bond. Non sapeva se adesso sarebbe stato in grado di tenersi il cucciolo. «Penso che dovrei dirgli di Barbara,» disse Ivy con un flebile sospiro, un fiotto di lacrime fece squittire le ultime parole. Asciugandosi gli occhi con il dorso della mano, attraversò il cortile e svoltò verso il garage sul retro. La porta sul retro avrebbe dovuto essere chiusa a chiave, ma Ivy aveva messo un pezzo di nastro adesivo sul meccanismo della serratura per facilitare le sue ricerche di possibili armi. Aprì la porta e vi scivolò dentro. Il garage non era molto caldo, ed Ivy si sentì male per Bond. Si fermò e socchiuse gli occhi di fronte al buio. Di solito, non appena apriva la porta, Bond cominciava a saltare ed uggiolare, e lui doveva affrettarsi alla cieca lungo il corridoio buio disseminato di rifiuti fino al suo box nell'angolo per calmarlo prima che sua madre o il padrone di casa lo sentissero. Forse il cane stava dormendo. «Qui, Bond,» disse a bassa voce nel buio. Dal buio non arrivò nessun rumore, niente, nessuna baruffa di zampe, nessun respiro ansimante. Sta dormendo, si disse Ivy. La sua improvvisa preoccupazione per Bond gli aveva frenato le lacrime. Si asciugò gli occhi ed attraversò il garage, facendo attenzione a non camminare o urtare le cose. Iniziò a percepire un odore, un odore diverso da quello che c'era prima. Era agre e sgradevole. Il cuore cominciò a martellargli nelle orecchie e, nel buio, il suo respiro gli sembrò troppo forte. Continuò verso l'angolo lentamente, i suoi piedi che non volevano muoversi. Nel buio riuscì a distinguere la scatola di cartone di Bond, James Bond. Sembrava che il cucciolo l'avesse masticata e rovesciata. Riusciva a scorgere la sagoma scura di Bond sdraiata sulla coperta accanto alla scatola ribaltata. Per un attimo il cuore e la speranza di Ivy si librarono in volo. «Bond!» gridò, correndo all'angolo. Il cane non rispose. Ivy raggiunse la coperta e scoprì che Bond, James Bond non sarebbe mai più andato da lui quando l'avrebbe chiamato. Era stato sbudellato come un pesce preparato per la cena. In cima alla scatola di cartone, rovesciata, che sembrava una lapide, c'erano scritte quattro parole con il sangue del cane: TU SEI IL PROSSIMO!
«Ha ucciso il mio cane!» gridò Ivy in lacrime alle spalle del poliziotto. L'agente, che stava per risalire sulla volante dopo aver fatto la multa alla motocicletta ed al furgone parcheggiati di fronte casa di Wilbur, sobbalzò e si girò su sé stesso. Ivy cercò di parlare ma riuscì a balbettare solo suoni di cordoglio. «Calmati, ragazzo,» disse l'ufficiale, chiudendo lo sportello della macchina. Si chinò, si tolse i guanti, e pose la mano sulla nuca di Ivy, massaggiandolo gentilmente. «Calmati e dimmi cosa c'è che non va.» La voce gli pizzicò alcune volte la gola prima che riuscisse a parlare. «Ha ucciso il mio cane!» disse Ivy, e le lacrime sgorgarono di nuovo. «Chi l'ha fatto?» chiese il poliziotto. «Slice Sanchez!» disse Ivy, la voce un gemito acuto mentre cercava di trattenere le lacrime. Il poliziotto, lo stesso con cui aveva parlato di Slice Sanchez al Watson's Market, si presentò come l'agente Cote. Seguì Ivy nel viale fino alla porta del garage. L'agente Cote sganciò una piccola torcia nera a forma di idrante dalla cinta ed illuminò l'interno buio. Ivy puntò la strada ed il poliziotto li guidò fino all'angolo con la sua luce. L'aria abbandonò i polmoni di Ivy come quella volta che Bully Jeff Brink gli aveva dato un calcio nello stomaco. Le ginocchia tremarono, all'improvviso instabili. Bond era sparito. Non solo Bond, ma la sua scatola, la coperta ed anche il piatto erano spariti. Non era rimasta nemmeno una macchia di sangue! Era come se là non ci fosse mai stato niente. «Va bene, ragazzo. Cosa stai cercando di fare?» chiese l'agente Cote. L'espressione di paura e sgomento sulla faccia cosparsa di lacrime gli disse che il ragazzo non stava scherzando. «Era qui!» ansimò Ivy. L'agente Cote gli credette. Conosceva Slice Sanchez abbastanza bene da sapere che una cosa del genere poteva essere nel suo stile. Come dimostrato dalla scena al Watson, quando l'avevano arrestato per un coltello, Slice ce l'aveva con il ragazzo. Cote mise il braccio intorno alla spalla di Ivy e lo portò via. «Hai visto Slice uccidere il tuo cane, o metterlo qui?» chiese Ivy, conducendolo fuori. «No,» disse Ivy disperato, ma fiero, «ma so che è stato Slice. Mi ha minacciato.» «Va bene. Senza un corpo o una prova, e nessun testimone, sarà difficile
poter accusare Slice, ma possiamo andare a prenderlo e chiederglielo.» Stordito, Ivy si lasciò portare via. CANALE 18 Incontro con gli Smith Il Giorno Non-Tanto-Fortunato di Sonny Ray Nessun posto è più sicuro, pensò Franny Smith, tirandosi su il colletto per contrastare la sottile neve che cadeva, impolverando leggermente il marciapiede. Le piaceva camminare fino a casa la notte dall'Oyster Bar dove lavorava come cameriera. Da quando il video-assassino era a zonzo, comunque, ci aveva rinunciato. I ragazzi che erano clienti del bar - pensava a loro come mosche da bar, e questo era quello che erano, seduti là a bere notte dopo notte quando avrebbero dovuto stare a casa con mogli e figli - non erano d'aiuto e ben poco galantuomini. Si poteva pensare che almeno qualcuno avrebbe avuto la decenza di lasciare per una notte la propria birra per qualche minuto per darle un passaggio, o almeno accompagnarla fino ad Elm Street dove poteva prendere l'autobus. Oh, no. Invece si divertivano ad improvvisare racconti sull'uomo nero che la catturava. Suo marito, Ralph, era altrettanto scellerato. Convincerlo ad andare a prenderla era stato come cavargli un dente, ed adesso era in ritardo. Batté i piedi. Perché una volta tanto non faceva una cosa fatta bene? Una macchina si avvicinò, le luci l'inondarono, e si accostò al marciapiede. Sospirò per il sollievo prima di notare che non era la vecchia Ford ammaccata di Ralph. Era una Bonneville dorata ugualmente ammaccata che le sembrava familiare. Capì perché quando vide quel ragazzo timido che viveva alle loro spalle, sulla Leighton Street, oltre la rotatoria. Lui abbassò il finestrino e lei si avvicinò alla macchina. «Signora Smith, suo marito è stato portato all'ospedale. Se entra, la porto là.» Oh, mio Dio! No! Assolutamente incapace di sopportare le cattive notizie o le emergenze con calma, Franny Smith si fece prendere dal panico. Sapeva che Wilbur lavorava all'ospedale - l'aveva visto là una volta che era andata a trovare un parente - per cui non si domandò perché fosse stato mandato a prenderla e nemmeno come sapeva dove trovarla. Tutto quello che sapeva era che Ralph, il suo povero, dolce Ralph, era in ospedale e lei doveva andare da
lui. Entrò quindi velocemente in macchina, mentre le lacrime le facevano già colare il pesante mascara. La macchina ripartì e lei non vide mai il cerchione di ferro che le fracassò il cranio. Ralph Smith guidò fino all'entrata della cucina dell'Oyster Bar per la terza volta, stringendo con forza il volante, infastidito. Era tipico di Franny farlo uscire per andare a prenderla per poi non essere puntuale. Succedeva sempre così con lei e ne era stufo. O imparava a guidare quella dannata macchina o si andava a prendere l'autobus. Non era ancora uscita. Odiava l'idea di dover parcheggiare e scendere dalla macchina nella notte fredda, specialmente quando il vecchio riscaldamento aveva appena cominciato a riscaldare l'interno. Ancora un giro, pensò, e se non è ancora uscita, me ne vado. Fece un giro. Lei non era là, ma lui non se ne andò. Bestemmiando, parcheggiò in seconda fila, lasciando il motore acceso, ed uscì. Qualcuno lo chiamò. Si voltò Sembrava un poliziotto che correva verso di lui. «Signor Smith, è meglio che venga con me.» Era il ragazzo di Leighton Street che abitava con quegli hippies. Si ricordò di aver sentito dire a Franny che l'aveva visto lavorare come guardia del servizio di sicurezza all'ospedale, cosa che spiegava la sua uniforme. Ralph si ricordò di una notte, alcuni anni prima, in cui Franny era fuori per lavoro: un Wilbur urlante aveva bussato alla sua porta di servizio chiedendo aiuto. Ralph aveva chiuso a chiave la porta ed aveva minacciato di chiamare la polizia. «Di cosa stai parlando?» chiese Ralph aspramente. «Sua moglie è stata ferita. È laggiù.» «Cosa?» disse Ralph, incredulo. Chiuse la portiera della macchina e seguì il ragazzo che aveva cominciato a camminare all'indietro facendo cenno a Ralph di seguirlo. Il ragazzo iniziò a correre e Ralph dietro di lui, lo raggiunse dopo aver svoltato l'angolo in un vicolo dove era parcheggiata una macchina che Ralph riconobbe essere come quella che aveva visto guidare dalla madre hippie del ragazzo. «Cosa diavolo sta accadendo?» ansimò, confuso e senza fiato. «Qui. C'è stata un'aggressione,» disse il ragazzo, aprendo la portiera posteriore della macchina. Ralph barcollò sino alla porta, una mano sul petto dolorante e l'altra sul paraurti freddo della macchina, per sorreggersi. A cinquantasei anni, non
era abituato a correre ad una distanza superiore a quella dalla televisione al frigo durante la pubblicità. Sul sedile posteriore c'erano un paio di gambe con delle calze di nylon e dei piedi. Accanto al piede destro, riconobbe una delle scarpe ortopediche bianche che Franny indossava a causa dei suoi piedi piatti. Un lieve gemito ruzzolò dalla sua bocca. Si protese e guardò dentro. La faccia insanguinata di sua moglie fu l'ultima cosa che vide. Sonny Ray succhiò l'ultima goccia di MAD DOG 20/20 dalla bottiglia e la guardò avidamente. Adesso avrebbe voluto non essere stato un simile ingordo la notte precedente; quella mattina faceva freddo ed avrebbe potuto usare qualcosa per scacciare il freddo. Ma aveva fatto freddo anche la notte scorsa. Quando faceva così freddo, la sola maniera per trascorrere la notte all'aperto era bere fino a perdere i sensi, proprio come aveva fatto la notte precedente. Di solito si sarebbe fatto la sua bevuta sotto il Ponte della Quinta Strada, dove lui e la maggior parte della popolazione di vagabondi di Crocker avevano creato una piccola baraccopoli di scatole di cartone o di sacchi di plastica dell'immondizia o di qualsiasi altra cosa che potevano trovare per tirare su un rifugio. Ma la notte scorsa, tutti i suoi amici del ponte erano senza un soldo e non avevano nemmeno una bottiglia nella quale pisciare. Sonny si era diretto nei quartieri alti per chiedere un po' di elemosina ed aveva avuto fortuna quasi immediatamente. Un tizio vestito da uomo d'affari e con un cappotto costoso - il tipo di persona che non dava mai soldi ad un barbone come Sonny - buttò una banconota da un dollaro nella sua mano protesa ancora prima che pronunciasse la nenia che aveva bisogno dei soldi per comprare del cibo per i suoi nipoti affamati. Nonostante fosse felice per i soldi, che gli avrebbero procurato un quarto di MAD DOG 20/20 in offerta speciale allo Shamrock's Liquor per novantanove centesimi, Sonny era rimasto un po' deluso per non avere avuto la possibilità di snocciolare la sua triste storia. Lo riteneva un monologo molto fantasioso e strappalacrime. Un tempo, nei giorni lontani e sfocati della sua gioventù prima che la vita lo piegasse, Sonny Ray voleva fare l'attore. Con il suo liquore scadente preferito nel cappotto lercio, Sonny Ray aveva deciso che bisognava camminare troppo per arrivare fino al ponte. La verità era che quando aveva una bottiglia piena tutta per sé diventava avidissimo. Conosceva un vicoletto stretto di fronte al parcheggio della stazione di polizia dove avrebbe potuto bere in pace ed essere abbastanza pro-
tetto dal vento, se non dal freddo, e la bottiglia si sarebbe presa cura di lui. Aveva già trascorso la notte in quel vicolo ed una volta che avrebbe avuto più alcol dentro di sé che nella bottiglia, sarebbe stato abbastanza bene. Adesso, comunque, aveva le gambe anchilosate, per il freddo e la fame. Barcollò fuori dal vicolo, riparandosi gli occhi dalla pungente luce mattutina. Ciò non aiutò il suo mal di testa. Attraversò la strada fino al parcheggio della polizia ed iniziò a controllare vettura per vettura attraverso i finestrini alla ricerca di qualche barretta di cioccolata, di crackers, o di noccioline. L'aveva già fatto e si era sempre dimostrato fruttuoso. Tre file nel parcheggio, intravide una tortina di cannella smangiucchiata in uno dei piccoli cestini di plastica che erano sistemati sotto il cruscotto di ogni volante. Come al solito, la macchina della polizia non era chiusa a chiave, come se pensassero che le macchine della polizia non venissero rubate o rovistate. Il rumore di una macchina fermò Sonny dall'aprire la portiera. Si accovacciò dietro il paraurti e una macchina lunga e sgargiante che a Sonny, nell'accecante luce mattutina, sembrò arancione si fermò dietro la sezione riservata del parcheggio dove il capo ed i capitani posteggiavano le loro vetture. Un ragazzo scese dalla macchina. Indossava degli abiti scuri ed un cappotto con un passamontagna di lana nero abbassato sulle orecchie. Il ragazzo sistemò qualcosa sotto uno strofinaccio posato sul parabrezza di una delle macchine parcheggiate nella zona riservata. Si guardò intorno, non vide Sonny, e si affrettò a tornare nella sua macchina, poi si allontanò velocemente. Sonny Ray si dimenticò per un momento della colazione ed andò nella zona riservata. Il ragazzo aveva lasciato qualcosa nella macchina con il segno del Capo della Polizia sulla portiera. Sonny si avvicinò e vide che era una videocassetta. Con l'idea di vendere il nastro al negozio di video più vicino che gli ronzava per la testa, Sonny la tirò fuori dalla macchina e se l'infilò nel cappotto. «Hey! Cosa stai facendo là?» Sonny si girò. Due poliziotti stavano correndo verso di lui. Corse via, ma lo acchiapparono facilmente. «Non ho fatto niente, ho visto un ragazzo mettere questo nella macchina del capo e volevo vedere cos'era... perché, ho pensato che poteva essere... pericoloso! Già! Ecco. Ho pensato che potesse essere una bomba!» Sonny Ray si stava appassionando alla sua menzogna.
Gli agenti guardarono il nastro e si guardarono l'un l'altro. «È meglio che vieni dentro con noi, Ray.» Poi lo condussero dentro, mentre Sonny Ray gridava la sua innocenza lungo tutto il tragitto. CANALE 19 I Piani Ben Progettati... Vuoi una Caramella? Intervallo Lascialo ad Ivy Beth indossò velocemente l'uniforme, ma prese il suo tempo per truccarsi ed aggiustarsi i capelli. Aveva scambiato il turno con un'altra studentessa infermiera in modo da poter fare il turno dalle undici alle sette con Wilbur. Avevano deciso di trascorrere la pausa insieme e di uscire a fare colazione insieme quando lasciavano il lavoro là mattina. La ragazza che aveva scambiato il turno con lei l'aveva giudicata una pazza, ma aveva fatto con piacere il baratto con Beth. Mentre si preparava, Beth pensò a Wilbur e a quanto fosse diverso dalla maggior parte dei ragazzi. Se lei avesse dato la caccia a qualsiasi altro ragazzo in maniera così aggressiva come aveva fatto con Wilbur, loro avrebbero pensato che lei gli stava dando il via libera per portarla a letto. Non che le sarebbe dispiaciuto se Wilbur avesse mostrato un po' più di interesse ed aggressività, ma era così bello e diverso che il sesso non fosse la cosa principale e prioritaria nella mente di Wilbur. Anche se erano usciti insieme solo una volta, Beth si stava innamorando di Wilbur. Non riusciva a smettere di pensare a lui. Proprio il giorno precedente alla classe di chimica, invece di prendere gli appunti sulla lezione del Professor Dillard, aveva riempito tre pagine del taccuino con il nome suo e quello di Wilbur come se fossero marito e moglie, li aveva contornati da cuoricini, fiori ed altri stupidi scarabocchi da innamorata prima che, imbarazzata, si rendesse conto di quello che stava facendo. Finì di aggiustarsi i capelli e valutò il suo aspetto di fronte allo specchio verticale all'interno della porta del suo armadio. Era una persona dimessa ma doveva ammettere che stava bene. Se tutto fosse andato bene, l'indomani mattina avrebbe fatto qualcosa di più che la colazione con Wilbur.
Bill Gage e Mike Mahoney avevano di nuovo lavorato fino a tardi, per guardare il nastro che Sonny Ray aveva cercato di prendere dalla macchina del Capo quella mattina e per la qual cosa era stato fermato. Avevano avuto diverse versioni da Sonny su come aveva preso il nastro, insieme a molte descrizioni della persona che l'aveva lasciato e del tipo di macchina che guidava. Era intitolato: Vuoi una caramella? ed oltre ad essere il video più sanguinolento, rompeva ancora una volta lo schema del video-assassino. Questa volta aveva ucciso due persone e, invece di aspettare che i corpi fossero trovati per poi mandare il video, aveva consegnato prima il video. I corpi dovevano ancora essere trovati. «Non può essere dello stesso tizio,» disse Mahoney, un'affermazione che ripeteva ad ogni visione da quando avevano cominciato a vedere il nastro. Hanson aveva preso le impronte digitali non appena era arrivata, ma sulla cassetta non c'era nessuna impronta del tizio, il maneggiamento di Sonny Ray le aveva rovinate. Qualcuno bussò alla porta. Bill fermò il nastro, e Mahoney rispose. Larken borbottò qualcosa e gli porse una voluminosa cartellina con alcuni stampati del computer. Mahoney lo ringraziò, chiuse la porta e prese dall'incartamento un appunto scritto a mano da Larken. «Senti questa,» disse Mahoney a Bill. «Da quando sono trapelate le notizie, e noi sappiamo chi sia il responsabile, abbiamo avuto una media di cinquanta chiamate al giorno da gente che dichiara che il video-assassino è il fratello, il padre o il cugino, o il vicino che tiene troppo alto lo stereo. Abbiamo anche avuto una telefonata al giorno di qualcuno che dichiara di essere il video-assassino e vuole consegnarsi. Una pazza di Leominster ha chiamato per dire che il video-assassino le stava mandando dei messaggi subliminali durante Jeopardize.» Si fecero tutti e due una bella risata fino a quando Bill non affermò, «Tutti quelli che hanno chiamato devono essere controllati.» Mahoney si lamentò, guardando lo stampato di nomi ed indirizzi della gente che aveva chiamato. «Alcuni sono stati già controllati.. Sembra una perdita di tempo, ma non bisogna tralasciare niente.» Mise da parte lo stampato e si risedette accanto a Bill. Automaticamente, Bill si allungò e fece ripartire il nastro. Dopo averlo guardato tutto il giorno, ancora sussultavano quando l'ascia entrava nell'inquadratura stretta e cominciava a fare a pezzi i due corpi legati insieme nella posizione sessantanove sul tavolo con il piano di metallo. «Penso che sia decisamente un emulatore,» sussurrò a mezza voce Ma-
honey, mentre guardava i corpi fatti a pezzi. «Non lo so,» disse Bill. Si sentiva un po' estraniato - un insieme di sovraffaticamento e di auto-ipnosi per l'aver guardato lo schermo troppo a lungo. Benché sotto molti punti di vista il filmato non seguisse lo schema dell'assassino, lo faceva in molte piccole cose che dicevano a Bill che si trattava dello stesso tizio. Mahoney non era d'accordo e spiegò perché. «Primo, abbiamo trovato il video e non i corpi. Secondo, questo nastro ha il sonoro, anche se solo una colonna musicale. Nessun'altro l'aveva. Terzo, gli altri due omicidi venivano eseguiti lentamente, in maniera metodica. In questo sembra impazzito. Una volta che l'ascia comincia a colpire è chiaro che chiunque la brandisca è fuori di sé. E che mi dici dei loro occhi? Non si riesce a vedere se sono stati rimossi e nel nastro non avviene. Ed infine, questa volta è stato visto lasciare il nastro nella macchina del capo. Forse è stato semplicemente sfortunato, ma a me sembra che improvvisamente sia diventato incurante ed affrettato, cosa che non rientra assolutamente nello stile di questo criminale.» Bill dovette ammettere che Mahoney aveva degli ottimi argomenti. Ma non cambiò la sua convinzione. «Penso che questo tizio stia facendo una dichiarazione. Con ogni sua azione cerca di dirci qualcosa. Il modo in cui uccide le vittime, i nastri, i loro titoli, dove lascia i corpi - hanno tutti un'unica motivazione. Vuole che capiamo quello che sta cercando di dire. Vuole che lo prendiamo. L'ultima volta ha rotto lo schema uccidendo un uomo, così adesso non sappiamo più quale sia il suo schema. Tutto quello che so è che pensa che facendo le cose in un certo modo ci aiuterà a capire il suo messaggio, ed agisce di conseguenza.» «Va bene, ma perché questa volta ha mandato prima il nastro? Cosa sta cercando di dirci in questo modo?» chiese Mahoney. «Non ne sono sicuro. Penso che se lo fossi, potrei risolverlo così.» Bill fece schioccare le dita. «Ma penso che ha fatto arrivare prima i nastri perché non ci farà avere i corpi.» «Perché?» chiese Mahoney, confuso. «Per quello che ho detto prima. Questo non è come gli altri omicidi. Penso che abbia perso il controllo. Penso che questa volta il suo piano fosse di tagliare le gambe, ma deve aver perso il controllo, come tu hai detto, forse ha pensato che sarebbe stato troppo difficile o osceno lasciare i corpi a pezzi perché potessimo trovarli. Inoltre, senza i corpi, sarà difficile identificarli, specialmente senza un'inquadratura totale delle loro facce nel vi-
deo.» Bill si fermò. Gli era appena venuto in mente qualcosa. «Forse non vuole che li identifichiamo.» «Perché dovrebbe importargli?» chiese dubbioso Mahoney. Bill non rispose immediatamente. Stava pensando allo sguardo del dottor Epstein nel video precedente. C'era qualcosa nella sua faccia mentre guardava verso la telecamera - e quindi l'assassino - che l'aveva infastidito, ma che non era riuscito a cogliere. Adesso, si rese conto che quello del dentista era uno sguardo di identificazione. Non stava guardando un assassino sconosciuto; lo sguardo nei suoi occhi diceva che conosceva l'assassino! «Penso che non voglia che li identifichiamo perché li conosceva,» disse Bill. Spense il videoregistratore e si alzò. «Penso che anche il dottor Epstein lo conosceva. A che punto sta Miller con i pazienti di Epstein?» «Non lo so,» disse Mahoney. «Dovrebbe farmi rapporto sui suoi progressi domani. Se anche il dentista lo conosceva, perché il tizio non si è preoccupato che identificassimo Epstein, come questi due?» Bill ci stava già pensando, e la risposta che si diede lo eccitò. «Forse perché in qualche modo attraverso i due potremmo rintracciarlo, ma non attraverso Epstein, il che significa che il tizio probabilmente non è un suo paziente. Se le due persone che ha ucciso questa volta si conoscevano, e noi potessimo stabilire come si sono conosciuti, o dove vivevano, questa potrebbe essere la chiave per rintracciare il colpevole. Forse erano suoi vicini, o lavoravano con lui.» «Sono disorientato,» disse Mahoney, scuotendo la testa. «Pensavo che avessi detto che questo tizio ci stesse lasciando degli indizi per essere catturato. Adesso dici che sta cercando di evitare di essere preso?» «Lo so, può disorientare. Non voglio dire che sta consciamente cercando di essere catturato. È un desiderio inconscio. Consciamente, questo per lui è un gioco. Pensa probabilmente di essere superiore e di farci correre in tondo, il che non è lontano dalla verità. Consciamente, cerca e fa di tutto per non essere preso, ma inconsciamente sta cercando di dirci come prenderlo,» spiegò Bill. «Forse questo l'ha fatto in maniera diversa per metterci fuori strada?» constatò Mahoney. «Forse,» meditò Bill, «ma non penso. Come hai detto, ha seguito un disegno. Penso che abbia fatto casino e stia cercando di coprirlo. Sono pronto a scommettere che ha tolto gli occhi come agli altri, ma che l'abbia fatto dopo. Ricorda, non ha incluso nemmeno la rimozione degli occhi di Grace
Simonds. Ogni altra cosa del nastro - l'aspetto, il titoli e specialmente l'ascia - sembra la stessa. Voglio che il signor Giacomo guardi qualche posa e ci dica se è l'equipaggiamento usato nei video precedenti.» Si aprì la porta, ed il capo fece capolino. «E voi cosa ci fate ancora qui a quest'ora?» chiese. Bill con un cenno indicò lo schermo del televisore spento. «Cosa ci fai tu ancora qui?» chiese. «Ho appena lasciato il ricevimento natalizio annuale del sindaco,» disse George, roteando gli occhi dal disgusto. «Ho lasciato Lucilie a casa e sono venuto a prendere dei documenti. Ancora nessuna novità sui corpi?» Mahoney scosse la testa. «Non penso che questa volta li lascerà,» disse Bill e gli spiegò perché. «Avete scoperto qualcosa di nuovo grazie a questo?» chiese il capo. «Poco,» disse Bill. «In un certo senso questo non è così terribile come sembra.» Mahoney e George si diedero una strana occhiata. «Quello che voglio dire è, penso che nessuna delle vittime fosse cosciente durante la registrazione, e sono sicuro che verso la fine la donna era già morta. Il tizio all'inizio aveva una brutta ferita alla testa proprio alla base del cranio. Ma non così grave da rimanerne ucciso rapidamente, anche se durante l'omicidio non era cosciente. «Anche la tecnica del criminale sta migliorando di filmato in filmato. Questo ha tre diversi angoli di ripresa, è stato montato, ed è stata aggiunta la colonna soriora - la registrazione della sezione centrale del concerto dei Grateful Dead «Dark Star» dall'album con lo stesso titolo - e tranne alcune apparizioni delle sue dita, il tizio si è tenuto fuori dall'inquadratura.» Bill si rivolse a Mahoney. «Un'altra cosa che mi fa pensare che tu abbia ragione sul fatto che abbia perso il controllo è che ci sono un paio di punti del nastro dove è stato tagliato qualcosa. Penso che le sequenze mancanti probabilmente mostrino il colpevole.» Si rivolse di nuovo al capo. «L'illumuiazione è fatta bene, in modo che non sia possibile vedere granché delle vittime, altra ragione per cui penso che non voglia che identifichiamo i corpi e per cui non li riavremo fino a quando non lo prenderemo. Nell'inquadratura d'apertura, comunque, poco prima che cominci con l'ascia, si può vedere che la donna ha i capelli lunghi sparsi intorno alla testa ed in parte sulla faccia. Gran parte di quelli che sembrano essere capelli è in realtà sangue, e da questo deduco che abbia una ferita mortale al cranio.» Mahoney diede a Bill uno sguardo che chiedeva se avessero visto lo
stesso video. «Dov'era?» «Una parte molto breve all'inizio,» spiegò Bill. «Questo conferma che non appena l'ascia entra in campo, lui comincia dalle gambe, che sono l'obiettivo primario. Nei video precedenti ha fatto prima la testa, le braccia e le mani - quindi le gambe sono il gradino logico successivo - un altro punto a favore dell'autenticità del nastro. Comincia con le gambe dell'uomo e lo colpisce così violentemente che mutila anche la testa di lei. Ma durante i primi due colpi alle gambe della vittima maschile, lui si muove leggermente, mentre lei non reagisce affatto.» «Allora questo potrebbe significare che era furioso di proposito, per coprire il fatto che lei fosse già morta,» disse Mahoney. «Giusto,» rispose Bill. «Quello che mi fa veramente pensare che stia nascondendo le loro identità sono le luci, fatte proprio per nascondere la faccia della donna. Ciò nonostante, si può dire che lei è decisamente priva di coscienza. Il pallore di quel poco che si può intravedere della sua fronte suggerisce la perdita di sangue, e la traccia di un'abrasione che inizia al ponte del naso e si allarga verso il basso suggerisce la posizione della ferita o il collasso dei vasi sanguigni facciali dovuto ad una perdita di sangue, il che significherebbe che era morta.» «Grazie a Dio,» il capo sospirò. «Penso che se potessimo identificare questa donna e quest'uomo e collegarli in qualche modo con uno dei pazienti del dottor Epstein o con qualcuno che lui conosceva, avremmo il nostro video-assassino. In qualche modo il colpevole conosceva tutti e tre, anche se i tre potevano non conoscersi. Forse lavorava con loro, o abitava accanto a loro, ed è per questo che penso non voglia che scopriamo chi sono. Ci porterebbe troppo vicino. Per qualche ragione, si sentiva abbastanza sicuro di poterci far sapere l'identità di Epstein, quindi, come ho detto prima, dubito che troveremo qualcosa tra i suoi pazienti.» «Se è tanto preoccupato che lo rintracciamo attraverso queste due vittime, perché le ha scelte? Perché non ha fatto fuori qualcun'altro?» Volle sapere il capo. «È qui entra in scena la struttura del suo bisogno. Ho pensato che questo forse aveva a che fare con il tipo di persone - la loro occupazione, per esempio. Abbiamo una studentessa universitaria, un insegnante, un dentista. Potrebbe esserci un disegno, ma non vedo quale possa essere. Se riuscissimo ad identificare questi ultimi due, potrebbe esserci d'aiuto. Potrebbe vedere le persone come simboli, mettendo a fuoco di loro una sola cosa
rappresentativa di qualcosa o di qualcuno che sente di dover distruggere o punire. Ed in fondo, Mike, penso che tu sia nel giusto quando affermi che conosceva Grace Simonds. Forse li conosceva tutti, e questo vorrebbe dire che è una specie di vendetta personale. «Per qualche ragione, dovevano essere questi due, proprio come, per chissà quale ragione, doveva essere Grace Simonds per prima, e Joan Perche per seconda ed il dottor Epstein per terzo, ed ogni volta ha dovuto rimuovere un'estremità del corpo. Se avremo un nastro o un corpo che non segue il disegno del corpo, allora mi preoccuperei di un emulatore,» disse Bill. Era venuto! Beth era esaltata. Non era affatto sicura che Wilbur si sarebbe fatto vedere all'ora di pausa. Benché al loro appuntamento si fossero divertiti, fra loro non c'erano assolutamente stati fuochi d'artificio. Quando aveva suggerito che la prossima volta che lei avesse lavorato dalle undici alle sette avrebbero potuto fare insieme la pausa e poi uscire per la colazione, lui le era sembrato riluttante ad accettare, e lei l'aveva fatto accettare con le lusinghe. Aveva cercato di dirle che non faceva mai la pausa, e che non mangiava mai durante il lavoro, ma lei aveva usato questo a proprio vantaggio, scherzando sulla cattiva qualità del cibo all'ospedale. L'aveva costretto a sorriderle e aveva insistito, descrivendo il sandwich che avrebbe preso ad un alimentari e di come il cibo dell'ospedale sarebbe fuggito dal terrore alla vista di cotanto, cibo vero. Lui aveva riso contro la propria volontà, e lei l'aveva presa come una conferma del loro appuntamento. Mentre veniva a prendere servizio quella notte, l'aveva visto all'ingresso e gliel'aveva ricordato, ma durante le prime quattro ore del turno si era convinta di essere stata troppo pressante e di averlo fatto scappare. Non sapeva perché agiva con lui in maniera così aggressiva, ma pensava che era per compensare la sua eccessiva mitezza. Era meravigliata del proprio tramare per portarsi a letto Wilbur. Quando i ragazzi con i quali era uscita l'avevano fatto con lei, lei li aveva scaricati. Beth non era una vergine, ma aveva dormito solo con un ragazzo, il suo ragazzo del liceo. L'avevano fatto con regolarità, due volte durante la fine settimana per i tre anni della loro relazione. Lui era entrato nell'esercito dopo il diploma e lei ne era stata segretamente felice. Era diventato così noioso, e lei non l'amava più. E si domandava se l'avesse mai amato.
Il suo desiderio per Wilbur, comunque, era qualcosa di più di una semplice reazione alla sua mancanza di interesse. Lo desiderava veramente. Il sesso con il suo vecchio ragazzo Bobby era sempre stato meccanico, poco eccitante. Era qualcosa che aveva fatto solo per compiacere lui e per tenerselo come ragazzo perché aveva stupidamente pensato che non avrebbe potuto vivere senza di lui. Quando la loro relazione era finita, non le sarebbe importato se non avesse più fatto del sesso. Ma quando pensava a Wilbur, pensava ad un sesso che era speciale, magico; immaginava un sesso che era fare l'amore, una danza di carne e fluidi vitali. Ed ora lui era là, contro ogni previsione, riaccendendo tutte le sue fantasie e speranze. Arrivò nella sala d'attesa dei visitatori e si sedette sul divano di vinile blu. Tutti i mobili della sala erano dello stesso orribile blu racchiusi in splendenti cornici cromate. Lei strinse la busta di carta con il suo sandwich, si alzò dalla sedia dove l'aveva aspettato e si sedette accanto a Wilbur. Lui se ne stava come una marionetta strattonata dai suoi fili, poi si risedette insieme a lei. Sembrava nervoso, proprio come si sentiva lei, e lei pensò che fosse un buon segno - se era nervoso, allora doveva importarle quello che lei pensava di lui. Forse aveva anche immaginato il loro incontro. Presero delle bibite dal distributore nell'angolo e Beth distese, come una tovaglia, una salvietta di carta sul tavolino basso davanti al divano, tirò fuori le due metà del panino e ne mise una davanti a Wilbur, l'altra davanti a sé. Mangiarono quasi in silenzio. Wilbur sbocconcellò il suo panino, mentre lei lo mangiò come se non toccasse cibo da mesi. Non poteva farne a meno. Stava cercando di non parlare troppo per non dire la cosa sbagliata, ed il solo modo in cui poteva farlo era avere la bocca piena. Wilbur insistette affinché lei prendesse il resto del sandwich quando lei finì il suo a tempo di record. Lui aveva dato a malapena cinque morsi, spiegando che non riusciva a mangiare di notte. Imbarazzata, prese il panino e lo divorò velocemente. Wilbur sorrise ogni volta che lei lo guardò, ma non disse niente. Una volta finiti cibo e bevande, e non ci fu nient'altro che poteva riempirle la bocca, cedette alla tentazione e cercò di iniziare una conversazione. Non sembrava proprio che Wilbur ne avrebbe cominciata una. «Beh! Dopo questo, spero di avere ancora fame quando andremo a colazione stamattina,» disse. Non le piacque l'espressione sulla sua faccia
quando accennò alla colazione. Le sembrava sorpreso, come se si fosse dimenticato del loro appuntamento. Ma non disse niente. «Sai, invece di andare a colazione, perché non andiamo a casa tua, ti cucinerò una colazione che non ti dimenticherai. Faccio degli ottimi toast alla cannella,» suggerì. «Non possiamo,» disse immediatamente Wilbur, con un'espressione quasi terrorizzata sulla faccia. «I miei... i miei genitori sono a casa,» aggiunse, esitante. «Oh.» Beth aveva capito. Non sapeva perché, ma aveva avuto l'impressione che Wilbur vivesse da solo. Avrebbe voluto che i suoi genitori lavorassero ancora. La sua casa nel New Hampshire era a solo un'ora, e se i suoi genitori non fossero stati in pensione, sarebbero andati a lavorare alle otto, e lei e Wilbur avrebbero avuto la casa per loro per tutto il giorno. Ma i suoi genitori avevano tutti e due lasciato il lavoro l'anno prima, e si svegliavano ogni mattina all'alba in modo da poter trascorrere alcune ore in più a farsi i dispetti senza avere niente da fare. Wilbur all'improvviso si alzò, con un'espressione di costernazione sulla faccia, e Beth pensò che avrebbe annullato l'appuntamento per colazione. «Devo andare,» disse nervosamente. «È l'ora della mia ronda.» Si girò per andarsene. «Wilbur,» lo chiamò Beth, andando verso di lui. «Grazie per aver fatto colazione con me.» Gli stava molto vicina. O adesso o mai più. Lei si protese, con le labbra aperte, la lingua piena di aspettative, e lo baciò. Fece un passo indietro e sorrise. Anche se non aveva risposto con una passione sfrenata, non si era tirato indietro. «Ci vediamo nell'ingresso alle sette, va bene?» chiese, gustando il suo sapore sulle labbra. Wilbur la fissò per alcuni secondi, e lei pensò che le avrebbe restituito il bacio, ma annuì semplicemente. Sorridendo timidamente, se ne andò. Ivy cercò si scendere dal letto, ma aveva la testa così pesante e gli faceva così male da riuscire a sollevarla dal cuscino solo di pochi pollici. E quando provò a farlo, si sentì malissimo. Si arrese e rimase a letto. Non gli importava di andare a scuola oggi. Non gli importava se non sarebbe mai più andato a scuola. Per come si sentiva, poteva rimanere nel letto fino a quando non sarebbe morto, nulla avrebbe mai potuto essere peggiore di quello che aveva passato ultimamente. Con Barbara, con cui aveva condiviso i suoi pensieri, aveva iniziato ad
apprezzare di nuovo la scuola ed i suoi studi. Non gli era sfuggito il fatto che sia a Barbara che a Bond fossero accadute cose terribili quando lui aveva smesso di nascondere la sua intelligenza ed aveva cominciato ad usarla. Sapeva che era pazzesco e stupido, ma non riusciva a scrollarsi quella convinzione infantile che dietro tutte le brutte cose accadute ultimamente ci fosse sempre il dottor Peabody. Ivy ripensò ad uno dei periodi di lucidità di Barbara, qualche giorno prima che morisse. Le aveva detto di suo padre e del dottor Peabody. Barbara gli aveva parlato della paranoia e gli aveva spiegato che quello che era avvenuto il giorno della morte di suo padre era solo una coincidenza che la sua mente aveva trasformato in una cospirazione. Questo l'aveva semplicemente fatto sentire peggio. Sapeva che quello che lei aveva detto era logico e vero, ma lo lasciava senza nulla a cui aggrapparsi, niente che spiegasse perché alle persone che amava capitavano delle cose brutte. Si rese conto che il suo atteggiamento freddo e distaccato verso sua madre era una difesa affinché non le accadesse niente. Questo significava che l'amava veramente. Immaginava che fosse vero, ma adesso aveva più paura che mai di dimostrarlo. Ricordò di nuovo la logica di Barbara e si disse che amare qualcuno non aveva niente a che fare con il destino tentatore. Poco desideroso di abbandonare quello su cui aveva fatto affidamento per tanto tempo, la sua mente si aggrappò ancora una volta alla teoria della cospirazione del dottor Peabody, cercando di collegarci anche Slice Sanchez. Cercando di ragionare alla James Bond immaginò che Slice fosse un agente del dottor Peabody - che era il capo di un'organizzazione internazionale dedita a cancellare dalla faccia della terra chiunque fosse più intelligente di lui - che era stato preparato e pagato per uccidere Barbara e Bond per avvertire Ivy di tornare a fare lo stupido. Il quadro aveva una logica da mediocre romanzo di suspense e, in altre circostanze, sarebbe stato divertente giocarci, ma adesso la sua idiozia era troppo evidente. Cospirazione o meno, la sola persona che poteva in definitiva biasimare per le morti di Barbara e Bond era Slice Sanchez. Al solo pensiero di lui Ivy strinse a sé le coperte infuriato. Desiderava tanto acciuffare Slice e avrebbe con gioia venduto l'anima al diavolo per avere la possibilità di stringere le mani intorno alla gola di quel teppista per strizzargli via la vita. Benché l'agente Cote fosse stato comprensivo, Ivy sapeva che i poliziotti non sarebbero stati in grado di fare niente. Ne aveva avuto la prima indicazione quando l'agente Cote era passato davanti alla fermata dell'autobus e si era fermato per dire a Ivy che Slice era scomparso; sua madre non lo ve-
deva da diversi giorni. Non pensava che vi fosse qualcosa di strano, poiché spesso se ne andava per giorni, o settimane. Benché Ivy non ci avesse prestato molta attenzione, sapeva che i poliziotti erano troppo occupati con quel video-assassino di cui si diceva di stare attenti. Per Ivy, la sparizione di Slice era un segno indelebile della colpevolezza del teppista. Era ovvio che Slice aveva lasciato la città dopo aver ucciso Bond per non essere preso. Ivy si lusingò con un'altra idea del perché Slice fosse fuggito dopo aver ucciso Bond; aveva paura di quello che Ivy avrebbe potuto fargli. Ivy sorrise torvamente. Faceva bene ad avere paura. Se Slice Sanchez fosse stato così stupido da tornare a Crocker, ed ancor di più in quella zona, avrebbe scoperto che Ivy Delacroix non era qualcuno da farsi nemico. Ivy gliel'avrebbe fatta pagare. La sua immaginazione bruciò con le fantasie delle torture a cui avrebbe sottoposto Slice. Sua madre infilò la testa dagli occhi annebbiati nella sua stanza da letto. «Ivy? Adesso vado a lavorare. È meglio che ti alzi o farai tardi a scuola.» Lo mise a fuoco a fatica e gli si sedette accanto, prendendogli la mano. «Tutto bene?» chiese, preoccupata. «Non mi sento bene.» Gli sentì la fronte e le guance con il dorso della mano. «Sei un po' caldo. Dove ti fa male?» «La testa e lo stomaco,» si lamentò Ivy, piagnucolando. «Non mi meraviglia che tu sia così giù di morale come se avessi perso il tuo migliore amico. Ti sta succedendo qualcosa. Stai a letto. Ti porto un'aspirina e chiamo al lavoro. Tornerò a misurarti la febbre.» Lei si alzò dal letto, levandosi il cappotto mentre si dirigeva al telefono in cucina. Anche sua madre aveva notato come era abbattuto ultimamente, e lui che pensava che lei non notasse niente che lo riguardava. Lo fece sentire bene sapere che lei si preoccupava e che voleva prendersi cura di lui. Era nello stato d'animo giusto per delle coccole. Stava persino per prendersi un giorno dal lavoro! Questo era qualcosa. CANALE 20 Qui Tunnelvision! - IV Wilbur e Beth Bill guardò lo spoglio panorama invernale che scorreva insieme alla Route 140. Aveva detto a Cindy che sarebbe stato a casa per cena quella
sera, una cosa che era riuscito a fare solo una volta da quando era cominciata l'indagine, ma adesso non sembrava che ce l'avrebbe fatta. Mahoney era alla guida, stava portando lui e Larken all'Istituto Correzionale del Massachusetts Settentrionale, localmente conosciuto come La Prigione Giardino Orientale, per vedere un recluso che aveva detto agli agenti carcerali di avere delle informazioni pertinenti gli omicidi di Crocker. Il direttore aveva chiamato Capo Albert, che aveva passato l'informazione a Bill ed al Capitano Mahoney. Bill pensava di chiamare Cindy dalla prigione, e pensava che questo viaggio si sarebbe risolto con un buco nell'acqua. C'era sempre qualche povero disgraziato che cercava di trattare una scarcerazione anticipata dichiarando di conoscere l'esecutore di qualche crimine irrisolto. Nel sedile posteriore, Larken stava frugando nella sua valigetta. Era uno stenografo provetto e l'avevano portato per registrare ed essere testimone ufficiale dell'interrogatorio. «Non ti agitare troppo, Fred,» disse Bill. Ultimamente provava un senso di frustrazione. L'unico progresso recente era stata la conferma di John Giacomo che l'ultimo video era stato fatto con lo stesso equipaggiamento degli altri. «Con la fortuna che sta avendo questo caso probabilmente entreremo ed usciremo da là in un istante.» La stanza degli interrogatori era angusta e tetra, dipinta con un grigioverde istituzionale. Un tavolo d'acciaio, piccolo e stretto, ricoperto con una lastra di sughero verde dominava la stanza. Le sedie di metallo rigide dagli schienali tondeggianti lasciavano intorno al tavolo solo uno spazio di tre quattro piedi per muoversi. Bill si sedette in mezzo, Mahoney alla sua sinistra, e Larken alla sua destra, estraendo il taccuino e la matita ancora prima di arrivare alla sedia. «Qual è il nome di questo ragazzo?» chiese Bill a Mahoney. «Lydell Winnaker,» disse Larken, poi arrossì, rendendosi conto che Bill non stava parlando a lui. «Sta facendo otto anni per traffico di stupefacenti. Cocaina,» disse Mahoney con un sorriso per lo zelo di Larken. Una porta in fondo alla stanza si aprì, ed una guardia carceraria lasciò entrare il reeluso. Era un uomo piccolo, magro e quasi calvo con una pelle terrea e barba e baffi radi. Portava degli occhiali rettangolari appollaiati su un naso lungo ed aquilino, ed i suoi denti erano in pessime condizioni. La guardia rimase fino a quando il recluso non si fu seduto di fronte a loro,
poi se ne andò. Mahoney parlò per primo. Era stato deciso in anticipo che Mike avrebbe condotto l'interrogatorio visto che era più allenato di Bill. «Signor Winnaker, lei ha detto agli agenti del carcere di avere delle informazioni relative ad una serie di omicidi irrisolti sui quali sta indagando il Dipartimento di Polizia di Crocker. È giusto?» «Sì,» borbottò Winnaker, tormentando e stuzzicando i suoi orrendi baffi. «Per il protocollo, signor Winnaker, lei ha chiesto di parlarci ed ha rinunziato al diritto alla presenza di un avvocato. In cambio del colloquio o di qualche informazione utile che lei possa fornirci non le è stato promesso nessun negoziato, né alcun privilegio particolare. È giusto?» Accanto a Bill, Larken stava stenografando tutto quello che Mahoney stava dicendo. «Già, per adesso,» risposte Winnaker tranquilizzandosi un poco mentre si concentrava nella pulizia delle unghie con i denti malridotti. Bill e Mahoney si scambiarono delle occhiate, e Bill alzò le spalle. «Cosa intende dire, signor Winnaker?» chiese Mahoney. «Significa che io posso aiutarvi, ragazzi, ma anche voi dovete aiutarmi,» disse Winnaker, lanciando occhiate alternativamente a Bill ed a Mahoney. «Mi dispiace. Lei conosce l'ordinamento. È come se avessi appena finito di leggerglierlo. La sola cosa che posso prometterle, se le sue informazioni si dimostrassero utili, è che verrà segnalato che lei ci ha aiutato, e noi firmeremo una dichiarazione giurata che potrà avere effetto alla sua prossima udienza.» «Merda! Questo non avverrà che fra cinque anni, amico. C'è un tizio là dentro che vuole uccidermi!» La sua voce si abbassò e aggiunse, «Ed altri tizi che vorrebbero fare di peggio, sa cosa intendo dire? Sa quando vogliono farti urlare nelle docce? Ho bisogno di alcune garanzie, amico, perché vi scardinerò il caso del video-assassino in un lampo.» Bill rimase impassibile. Con la coda dell'occhio, vide Larken alzare decisamente lo sguardo a favore del giovane poliziotto, ma riprendersi immediatamente tornando a prendere appunti. Non capì se Lydell Winnaker avesse visto la sua reazione. Bill si schiarì la gola e parlò. «Per come la vedo io, Lydell,» disse, tenendo inchiodato il detenuto con lo sguardo, «stai mettendo il carro davanti ai buoi. Noi non sappiamo se la tua informazione sia il grimaldello del caso, come dici tu. Potrebbe anche essere poco pertinente. Se vuoi insistere a trattare prima di dirci qualcosa che abbia un valore, noi ce ne andiamo e tu non ci avrai guadagnato nulla. Se vuoi collaborare e noi po-
tremo usare quello che ci dirai, allora faremo tutto quello che potremo, legalmente, per aiutarti. Ma è la sola garanzia che puoi ottenere.» Winnaker distolse lo sguardo, di nuovo nervoso ed inquieto, dimenticandosi le unghie sporche. Guardò le sue scarpe, poi il soffitto, poi le nocche delle mani, dappertutto eccetto che negli occhi penetranti di Bill. «Già, va bene,» borbottò infine Winnaker. «Firma questo,» disse Mahoney, spingendo sul tavolo un modulo in triplice copia. «Dice che lei concorda con tutto quello che le abbiamo appena spiegato.» Winnaker prese la penna e scarabocchiò il suo nome in maniera illeggibile sulla linea indicata. Larken testimonia e autentica con il timbro che si è portato. «Quando sei pronto,» disse Bill quando il pezzo di carta non fu più a portata di mano. «Ma voi ragazzi non mi dovete fare delle domande?» chiese Lydell, confuso. «Tu dacci le tue informazioni e noi poi ti faremo delle domande,» disse Bill. «È una lunga storia,» disse Lydell, con le sopracciglia alzate. «Va bene,» disse Mahoney. «Noi abbiamo tempo e tu non devi andare da nessuna parte.» Già, pensò Bill, guardando l'orologio. Ho saltato la cena ed ho dimenticato di chiamare Cindy. «È stato dieci, forse dodici anni fa, quando ho agganciato alcuni spacciatori proprio ai confini del New Hampshire in grado di fornire della coca di prima scelta. Avevano anche un traffico di porno in espansione. Conoscevo un tizio che apparteneva al NAMBLA che me li presentò. Li conosceva perché stavano facendo dei porno con dei ragazzini per il NAMBLA. Sapete cos'è il NAMBLA?» chiese Lydell. Bill e Mahoney annuirono. Entrambi conoscevano il NAMBLA, l'Alleanza Nord Americana dell'Amore Uomo/Bambino. In apparenza, era un'organizzazione legale composta per lo più da professionisti - avvocati, dottori, e così via - che si erano uniti per la libertà sessuale tra adulti e bambini, ma in particolare uomini e bambini: in realtà NAMBLA era coinvolto nella prostituzione dei bambini, nel rapimento, nella pornografia infantile, e nel mercato nero di schiavi bambini. Benché fossero stati arrestati solo pochi membri, si sapeva che dirigevano una catena di «bordelli» nei quali venivano tenuti ragazzini per il piacere dei soci, e dove i ragazzi
venivano istruiti a servire gli uomini. «Mi ha presentato questa coppia di hippies, Joey e Mary. Non ho mai sentito il loro cognome. Penso che fossero sposati. Avevano un bambino, che si chiamava Waldo o qualcosa del genere. In ogni caso questo tale Joey faceva sesso di ogni tipo. Era scappato di casa ed era stato raccolto dal NAMBLA. Era stato allevato in uno dei loro bordelli e quando era cresciuto aveva lavorato per l'organizzazione. «Lui e la sua signora ricevevano sostegno finanziario per i loro film pornografici con i bambini da una coppia di ricchi membri del NAMBLA una coppia di avvocati europei con agganci a Boston. Ricordo che il porno infantile era abbastanza diffuso in Europa. Ricordo che dissero che era là che finiva la maggior parte della loro produzione.» Lydell si fermò e sorrise, osservando attentamente le reazioni degli investigatori a quello che stava per dire. «E Joey e Mary usavano il loro bambino nei film. Veri e propri abusi.» Le mascelle di Mahoney si serrarono, e la penna di Larken smise di scarabocchiare, ma non poterono farne a meno. Bill sentì qualcosa che era a metà fra una fitta di nausea ed un moto d'eccitazione nello stomaco, ma la sua faccia rimase impassibile. Lydell sembrò frustrato. «E questo cosa avrebbe a che fare con il cosiddetto video-assassino?» chiese Mahoney concretamente, come se fino a quel momento non avesse ascoltato nulla di interessante. Bill si congratulò mentalmente con la fermezza del capitano. «Bene, in seguito ho sentito che i due hanno fatto anche film truculenti per qualche ricco europeo. Quando ho sentito parlare del video-assassino, ho pensato che forse ne stavano facendo qualche altro, anche se mandarli alla polizia è stato soltanto stupido!» Lydell ridacchiò. «E non ricordi il loro cognome?» chiese Mahoney. «Come ho detto, non l'ho mai saputo. Ma ricordo come chiamavano la loro società di produzione, erano i Tunnelvision Studios.» Bill impallidì e s'irrigidì. «Hai detto Tunnelvision Studios?» «Si.» Lydell guardò prima Bill poi Mahoney. «Usavano gente fuggita di casa e bambini del NAMBLA per i loro film. La maggior parte dei loro video riprendevano bambini che giocavano insieme, ma hanno fatto anche una serie di film speciali per il NAMBLA in cui abusavano dei bambini, in particolare sul loro bambino, qualunque fosse il suo nome.» Mahoney lanciò a Bill uno sguardo interrogativo, poi ritornò all'interrogatorio. «Come sa tutto questo?»
«Il mio amico del NAMBLA me ne ha parlato molto, ed una volta li ho guardati mentre facevano un film con un paio di bambini.» Lydell continuò a guardare a disagio Bill. «Si ricorda se aveva un titolo?» chiese Bill, con occhi intensi. Lydell scosse la testa negativamente. «Sei andato al loro studio?» chiese Mahoney. Lydell sembrava a disagio, come se avesse detto più di quanto aveva preventivato. «Be', sì, ma è stato molto tempo fa e fu a Keene, nel New Hampshire, prima che trasferissero i loro affari a Crocker. Vivevano in una fattoria fuori Keene. Non ricordo la strada. Era un posto molto grande che un tempo era stato una fattoria.» «E dov'è il tuo amico adesso, quello del NAMBLA che ti ha presentato questa gente?» continuò Mahoney. «È morto,» rispose Lydell pacatamente. «Era un drogato, è morto di AIDS l'anno scorso.» Lydell si guardò di nuovo le unghie e la stanza fu silenziosa per un momento. «Puoi fare una descrizione di questa coppia? Li riconosceresti se li vedessi di nuovo?» «Ah, amico, ti ho detto che è stato molto tempo fa, da allora mi sono fatto un sacco di merda, merda che mi ha bruciato il cervello, lo sai no? Il tizio aveva i capelli lunghi e la sua signora aveva delle grosse tette, è tutto quello che ricordo. Il ragazzo aveva sette-otto anni quando li ho conosciuti.» Dopo altre domande per cercare di fargli sputare qualche nome, o un indirizzo, divenne chiaro che avevano saputo tutto quello che potevano sapere da Lydell Winnaker. Mahoney chiamò la guardia, che arrivò e riportò Lydell nella sua cella. I tre tornarono a Crocker. In macchina la mente di Bill fu alternativamente presa dall'eccitazione e tormentata dal terrore. Per qualche ragione, che non sapeva spiegare e che preferiva non esaminare, aveva sentito la presenza di suo padre nella stanza quando Lydell aveva parlato dei Tunnelvision Studios e dei film che producevano. Ancora una volta sentì l'opprimente ma inesplicabile sensazione di una connessione tra quel caso e suo padre. Aveva subito quasi un trauma per il fatto che il nome dello studio per film porno per bambini era lo stesso che Cindy aveva dato alla sua particolare capacità di mettere a fuoco. Bill era sicuro che l'informazione di Lydell fosse determinante per il caso, e che la coppia che dirigeva i Tunnelvision Studios ed il loro bambino
erano in qualche modo fortemente coinvolti negli omicidi del videoassassino. Sulla via del ritorno, Bill spiegò a Mahoney e a Larken perché si era tanto eccitato quando aveva sentito il nome dello studio. Il pezzo di carta che aveva visto fuori del Saxon Theatre nella prima foto, la carta con scritto ELVIS e sotto xXx, adesso, alla luce di quello che Lydell gli aveva detto, aveva un senso. Mentre prima aveva pensato che si trattasse di un film porno con Elvis o qualche sosia di Elvis, adesso capiva che la carta non faceva parte di una pubblicità di un film vietato ai minori. Era la pubblicità di uno dei film dei Tunnelvision Studios. Ed era quasi certo che era stato lasciato lì di proposito dall'assassino. Mahoney e Larken si unirono all'eccitazione di Bill. Per la prima volta da quando era cominciata l'indagine sembrava che avessero una chiave d'accesso al colpevole e potevano iniziare a capire il linguaggio singolare dell'assassino. Era un peccato che Lydell Winnaker non fosse stato in grado di dargli un cognome, un indirizzo, o il nome di un informatore con il quale parlare: Ma era sempre più di quanto non avessero prima. «Controlleremo con la polizia di Keene i vecchi caseifici della zona. Forse possiamo riuscire a rintracciare il gruppo, specialmente se erano degli hippies. I poliziotti potrebbero ricordarsi di loro,» disse Mahoney. «Bene,» rispose Bill. Si rivolse a Larken nel sedile posteriore. «Fred, ti sei messo in contatto con l'FBI per l'ambiente pornografico?» «Sì, signore, ma non mi hanno ancora risposto.» «Li richiameremo con questa nuova informazione. Forse hanno qualcosa sulla Tunnelvision. Penso che tu possa digitare, o non so cosa diavolo fai, con il loro computer.» «Si, signore,» rispose Larken, scrivendo furiosamente sul suo taccuino. «Lo prenderemo,» disse Mahoney fiducioso. «Lo sento. E solo una questione di tempo.» Colpì il volante con un pugno. L'ombra sempre crescente che suo padre proiettava sul caso rese Bill cauto e silenzioso. Più tardi quella notte, Bill entrò a casa il più silenziosamente possibile. Era mezzanotte, e se non fosse stato per il capo che aveva cacciato fuori di nuovo lui e Mahoney, sapeva che sarebbe rimasto ancora alla stazione di polizia. Mahoney almeno aveva una scusa per lavorare fino a tardi. Era divorziato e non aveva figli, né una famiglia con la quale stare. Bill sapeva che sarebbe dovuto andare a casa dalla sua famiglia ore prima, subito dopo il ritorno dalla prigione. Alla stazione non aveva fatto
niente che non poteva essere fatto il giorno dopo o di cui non si poteva occupare Larken. Lasciava semplicemente che il caso lavorasse su di lui, invece del contrario. Diavolo, avrebbe potuto farlo altrettanto bene a casa, non era vero? Non accese le luci ed appese il cappotto tastando l'appendiabiti. Si fece strada seguendo il muro, lasciando che gli occhi si adattassero al buio, ed andò in cucina. L'ora digitale, chiaramente leggibile sul forno a microonde, sulla macchina del caffè e sui fornelli diffondeva un verdognolo sovrannaturale attraverso il quale vedere. Andò al frigorifero, tirò fuori una bottiglia di ginger-ale e bevve. Nel mettere a posto la bottiglia, notò una debole luce tremolante provenire dal soggiorno dall'altra parte del corridoio. Si rese conto che la televisione era accesa con il sonoro basso. Cindy se ne stava seduta, raggomitolata sul divano, le ginocchia raccolte sotto il mento, ed i lunghi capelli neri in disordine gli nascondevano la faccia. Bill fece scattare l'interruttore, accendendo la luce. Cindy lo guardò duramente. Poteva vedere la luce riflettersi nelle lacrime rilucenti che striavano la sua faccia. Improvvisamente si sentì il più grande stronzo del mondo. «Cosa c'è che non va?» chiese, odiando il tono da «sono innocente» della sua voce adottato automaticamente. «Cosa ti fa pensare che ci sia qualcosa che non va?» disse con tono adirato e con una voce aspra e rauca per le lacrime. «Le gemelle hanno avuto una bellissima festa di compleanno. Sono rimaste sedute per due ore ad aspettarti. Ho dovuto mandarle a letto. Da allora sono stata seduta qui da sola per ore, come faccio ogni notte, domandandomi dove fosse mio marito e cosa diavolo fosse successo, a noi, alla nostra famiglia.» Nuove lacrime minacciavano di uscire insieme alle parole, ma lei non l'avrebbe permesso. «O domandandomi se fosse ancora vivo. Hai detto che Crocker è una delle città più tranquille per fare il poliziotto, ma là fuori c'è un assassino psicopatico. Come fai a sapere che non se la prenderà con te? Me ne sto seduta qui al buio, e penso che potresti essere morto,» disse pacatamente. Si asciugò la faccia con il dorso delle mani e lo fissò. Bill rimase sulla porta a guardare il tappeto, le pareti, le sue scarpe - tutto tranne Cindy. «Per favore, Bill,» disse Cindy, con voce ferma, risoluta. «parlami. Dimmi perché non sei potuto venire a casa per la festa di compleanno di Sassy e Missy, o perché non hai potuto chiamarmi per dire che avresti fatto tardi. Potevi almeno chiamarmi per farmi sapere che eri vivo!» Quasi urlò
le ultime due parole. Lui non disse niente. Si sentiva un ragazzino rimproverato dalla madre. «Cosa ci sta accadendo, Bill?» chiese dolcemente, senza guardarlo. «Qualcosa deve cambiare. Lo so che hai detto che sarà così solo fino alla fine del caso, ma non mi piace la posizione nella quale mi hai messo. Mi sento il maledetto stereotipo della moglie del poliziotto in un film di serie B e non mi piace affatto.» Bill fece un sospiro profondo. Avrebbe voluto lasciarsi andare e parlarle di tutto. Voleva parlarle dei suoi sogni e di come il caso del videoassassino aveva assunto una strana connessione simbolica con quello che suo padre aveva fatto. Ma se avesse cominciato a parlare ed avesse fatto uscire fuori tutto, avrebbe rivelato quello che era riuscito a tenere nascosto anche a se stesso per tutto quel tempo? Sarebbe stato in grado di ammettere che questo caso era diventato il fantasma dei crimini di suo padre? Avrebbe ammesso che nel suo intimo era convinto che se fosse riuscito a prendere il video-assassino avrebbe potuto mettere a riposo quel fantasma e riprendere la sua vita? Ne dubitava. Gli era molto difficile fronteggiare quei pensieri; non pensava che sarebbe stato in grado di esprimerli in una maniera che potesse sembrare logica. Sapeva anche che se le avesse detto che doveva esorcizzare il fantasma di suo padre da solo, senza di lei, e che questa era la ragione della sua freddezza, lei ne sarebbe rimasta ferita. Quando aveva cominciato a rendersi conto della reale importanza personale del caso, aveva sperato di potersi allontanare da Cindy e dalla famiglia per il periodo in cui doveva affrontare il presente ed il passato. Disse a se stesso che lo stava facendo per il loro futuro, ma non aveva previsto il dazio che avrebbe dovuto pagare. Il suo lato cinico prese la parola. Stai affrontando il passato, o è il passato che sta affrontando te? Non riuscì a controbattere, ma questo non cambiava quello che lui doveva fare. Se gli eventi lo dominavano, allora così sarebbe stato. Sarebbe uscito dalla tempesta, ma l'avrebbe fatto da solo. Il risultato era che questo non poteva dirlo a Cindy, e così non parlò. «Se non vuoi rendermi partecipe di quello che sta avvenendo, e non puoi comportarti come un padre normale con i bambini, penso che sia meglio che tu stia lontano fino a quando il caso non sarà finito. Così potrai decidere quello che vuoi fare. Se non ci sarai affatto, non deluderai più i bambini, ed io non mi preoccuperò né mi domanderò quando tornerai.» Si alzò e gli passò davanti senza guardarlo. Iniziò a salire e parlò senza voltarsi. «Il ca-
pitano Barrel ha richiamato dalla Pennsylvania. Ci sarà un'indagine del Grand Giurì sul caso di tuo padre. Vuole che lo chiami.» Salì di corsa le scale. Bill si sedette sul divano, odiando se stesso, odiando il video-assassino, ma soprattutto, odiando suo padre perché stava distruggendo ancora una volta la sua vita. All'una si ritrovò a guidare di nuovo senza una meta per le strade di Crocker. Iniziò a nevicare lentamente, ma non azionò il tergicristallo. Lasciò che la neve si accumulasse e sciogliesse, sfocando la sua visione del mondo. Una luminosa insegna al neon splendeva attraverso lo strato increspato di neve sciolta sul parabrezza. La luce catturò il suo occhio e l'attirò come l'odore di sangue attira una zanzara. Quando azionò il tergicristallo per vedere, le lettere bluastre al neon, BLUEFOUNTAIN LUONGE, gli fecero l'occhiolino. Sotto le parole una fontana blu al neon zampillava da un bicchiere al neon di martini rosso. Accostò la macchina al marciapiedi dall'altra parte del bar e spense il motore. La neve si trasformò in pioggia e punteggiò i finestrini fino a quando l'insegna al neon divenne un'astrazione colorata. Un bicchierino. Oh, un bicchierino avrebbe rimesso tutto a posto. Un bicchierino avrebbe annebbiato le cose molto meglio di una pioggerellina. Sapeva che era solo la sua immaginazione, ma giurava di poter sentire l'odore dell'interno del Blue Fountain Lounge. Riusciva a sentire l'odore del fumo stantio, l'aroma pungente della birra che permeava ogni cosa, l'intenso odore di sudore, l'aroma del bar di legno e degli sgabelli rivestiti di cuoio, ma soprattutto l'odore dell'alcol, il celestiale alcol. Il suo naso poteva annientarsi nella bottiglia di whiskey con l'etichetta nera accovacciata sullo scaffale più alto, come in ogni bar del paese. Il suo vecchio amico Jack Daniel's. Riusciva quasi a sentire il liquido che lo chiamava con il suo dolce accento del Tennessee. «Che diavolo stai facendo?» si chiese ad alta voce, cercando di scuotersi dal richiamo di sirena del liquore. Si strofinò la faccia e abbassò il finestrino per schiarirsi la mente, L'aria fredda pugnalò i suoi seni nasali e lentamente il malditesta cominciò a propagarsi. La sua bocca era secca, la gola in fiamme. Se chiudeva gli occhi poteva vedere la bottiglia di Jack Daniel's che veniva presa dalla mensola e versata in un bicchiere pulito e cangiante. Vedeva il colore rosso caramello ri-
splendere con un invito ad un felice oblio. Assaggiami! lo sentiva sussurrare. Un sorso. Basta solo una boccata. Dimentica il video-assassino. Dimentica tuo padre. Dimentica Cindy ed i bambini. Assaggiami! Si strofinò le labbra con il dorso della mano. All'improvviso preso dalla frenesia di andarsene da lì, cercò la chiave per accendere la macchina ma la mano gli tremava tanto che non riuscì ad afferrarla, ancora meno a girarla. Strinse le mani tremanti sullo stomaco e poggiò la fronte sul volante, prendendo dei profondi respiri. Sentiva l'odore del whiskey nell'aria. Poteva sentire i suoi morsi sulla lingua. L'immagine di sé in un bar che sollevava un bicchiere di whiskey gli si materializzò così chiaramente che pensò di avere un'allucinazione. L'attesa, la leggera esitazione, il primo sorso, lento, che gli pungeva la gola e le gengive, e che andava giù senza deglutire. Poteva odorarlo, vederlo, e sentirlo così intensamente, che si spaventò. E con la paura gli venne lo spaventoso ricordo di se stesso durante i cupi e tremendi giorni dell'alcol. Aveva appena chiuso il suo conto a Pottsville, dove aveva vissuto dalla morte di suo padre. Poi si era comprato una cassa di Jack Daniel's per celebrare il fatto che in poco meno di sei anni era riuscito a bersi più di 30.000 dollari, composti dai suoi risparmi e dai proventi della vendita della casa del padre. Quando ebbe finito la cassa, come anche i suoi ultimi soldi, il padrone di casa lo cacciò a calci da quel tugurio che era il suo appartamento. Prima di tornare sobrio e ricordarsi che aveva un appartamento che avrebbe potuto vendere a Crocker, trascorse tre maledetti giorni (di perdizione) per le strade di Pottsville. Impegnò l'orologio per comprare un biglietto dell'autobus. Se non fosse tornato a Crocker non avrebbe incontrato Cindy. Se non avesse incontrato Cindy, adesso sarebbe morto, o sul punto di morire. E se fosse entrato nel bar avrebbe distrutto gli ultimi tre anni di amore e di vita con Cindy. Un rumore dal bar attirò di nuovo la sua attenzione. Un canto. Un ubriaco, malmesso e barbuto, stava uscendo dal bar barcollando, vomitando e
cantando, a pieni polmoni, un motivo astniso. Arrancò fino al bordo del marciapiedi e scivolò sul ghiaccio, cadendo pesantemente sulla cunetta. Rimase là sul suo fianco, il respiro denso zampillava nella luce come il soffio di sperma di balena. Il rigurgito di vomito proveniva dall'ubriaco. Bill chiuse il finestrino; quel tizio non provava alcun dolore. Un altro bisogno di liquore lo scosse. Chiuse gli occhi e cercò a fatica di ricordare perché era meglio che non bevesse, ma i motivi erano sfuggenti. Un tonfo lo scosse mentre qualcosa urtava la macchina. Aprì gli occhi. L'ubriaco non era più nella cunetta. Era disteso sul cofano della macchina di Bill. Bill suonò il clacson. L'ubriaco non si mosse. Bill premette il clacson più a lungo. Gran parte della faccia dell'ubriaco era coperta dalla barba, dal berretto arancione da caccia, dallo sporco e dalla neve della cunetta, ma in lui vi era qualcosa di familiare. L'ubriaco ruttò, e la sua testa fece un movimento tentennante. Bill pensò che l'ubriaco gli avrebbe lasciato l'intera bevuta serale sul cofano della macchina. Distolse lo sguardo disgustato, ma invece del rumore del rigurgito, dall'uomo provenne una voce. «Destino, caro Billy,» disse. Una paura selvaggia attraversò Bill, ed i tremori tornarono come una vendetta. «Non puoi sfuggirlo se non grazie ad una bottiglia. Lo so. Ci ho provato.» La voce era quella di suo padre. Guardò l'ubriaco. Gli occhi erano quelli di suo padre. La mano protesa e le unghie incrostate di sangue allungate verso il parabrezza erano quelle di suo padre. «No!» gridò Bill, e l'ubriaco cominciò a ridere. «No!» Bill batté la mano contro il volante. Il rumore di un conato lo fermò. L'ubriaco aveva appena finito di vomitare. L'intero cofano era schifosamente ricoperto. L'ubriaco si tirò via e barcollò lungo la strada. Che diavolo mi sta succedendo? Si domandò Bill. Rabbrividì mentre la neve ricominciava a cadere. La tavola calda era piccola ed unta, ma era calda ed il caffè era buono. Beth si sedette di fronte a Wilbur nel tavolo in fondo. Mentre lui sorseggiava il suo caffè, lei gli raccontò la sua vita di studentessa infermiera, facendogli spesso spuntare un sorriso sulle labbra, ed anche una bella risata.
«Sto parlando troppo, puoi anche dirmi di stare zitta,» disse Beth. «No. Non è vero,» rispose Wilbur, con un'espressione di disagio che smentiva le sue parole. «Mi piace sentirti parlare.» Aggiunse, timidamente, qualche istante dopo, «Io... io non parlo molto.» Beth avrebbe voluto montare sul tavolo e farlo con lui lì, subito. Era maledettamente carino quando faceva il timido. «Mi piace questo di te.» disse Beth. «La maggior parte dei ragazzi vuole parlare di sé per tutto il tempo. Non sanno ascoltare gli altri.» Arrivò il cibo; frittelle e pancetta per lei, cereali e toast per lui. «Sei sicuro che non vuoi nient'altro?» gli chiese Beth. «Fanno delle ottime omelette qui.» «Questo è quello che prendo a colazione,» disse Wilbur. Beth fece spallucce e mangiarono, ascoltando la vecchia musica dalla radio che sovrastava il brusio della folla mattutina della tavola calda. «Hey! Non mi sento nemmeno stanca. E tu?» gli chiese Beth mentre lasciavano la tavola calda. Wilbur scosse la testa concordando. «Conosco un posto molto carino sulla High Rock Road da dove si possono vedere le fattorie tutt'intorno a Crocker. Con la neve, dovrebbe essere bellissimo. Potremmo chiacchierare ancora un po',» propose lei, stringendosi al suo braccio e guardandolo con quello che lei sperava fosse uno sguardo seducente e non solo stupido. «Va bene,» disse Wilbur sottovoce. «Devo parlarti.» Entrarono nella macchina di Wilbur, e Beth gli diede le indicazioni per arrivare a High Rock Road, che confinava con Quarry. A Beth piaceva la macchina di Wilbur. Era grande. L'interno avrebbe potuto essere il soggiorno di uno degli appartamenti dove lei era stata. Il sedile posteriore era il più spazioso che avesse mai visto. Pensava che non avrebbero avuti problemi a fare follie là dietro - se fosse riuscita a portarvi Wilbur. High Rock Road era un sentiero tortuoso e ripido, che non era stato spalato molto bene, ma era percorribile. Il sole stava provvedendo a sciogliere la neve, e incontrarono solo un paio di punti scivolosi. Beth puntò la strada laterale in cima alla collina. Non era stata affatto spalata, e Wilbur era indeciso se andarci con la macchina. Beth gli assicurò che era spianata e dritta fino in fondo, lunga solo una ventina di iarde in mezzo a due file di pini. Wilbur sembrò titubante, ma Beth insistette fino a quando lui non si arrese. Il rumore sordo della neve schiacciata sotto le ruote produceva uno scricchiolio rassicurante. Lo ascoltarono in silenzio mentre Wilbur proce-
deva sotto i rami di pino carichi di neve lungo la strada ricoperta di ghiaccio che era immacolata, come se mai nessun essere umano l'avesse battuta. Quando gli alberi di pino furono finiti, Beth disse a Wilbur di fermare la macchina. Da lì potevano guardare un magnifico panorama invernale. Beth scivolò sul sedile e si rannicchiò vicino a Wilbur. «Non è bello?» chiese, posando la testa sulla sua spalla. Inizialmente Wilbur era un po' rigido, ma Beth sentì che lentamente si stava rilassando. Quando alla fine la cinse con un braccio, lei si rincuorò. «Potremmo stare più comodi nel sedile posteriore, non pensi?» azzardò Beth cautamente. «Va bene,» disse Wilbur, senza apparentemente pensare niente al riguardo. Scavalcarono nel sedile posteriore - Wilbur lasciò il motore acceso e il riscaldamento in funzione - e, una volta dietro, Beth si tolse il cappotto. Wilbur esitò un istante, poi fece come lei. «Fa caldo, qui dentro. Hai un buon impianto di riscaldamento,» disse Beth. Wilbur posò i cappotti nel sedile anteriore. «Di cosa volevi parlare?» chiese Beth, rannicchiandosi accanto a lui, ed alzando la faccia per essere baciata. A differenza della notte precedente, questa volta la corrispose e la baciò timidamente. Ciò provocò dei sussulti a Beth che lo baciò con passione. Presto i finestrini delia Bonneville furono completamente appannati. Scoprì che Wilbur era bravo a baciare. Iniziò a baciarla in bocca come se sapesse cosa faceva. Lei fece scivolare le gambe in mezzo alle sue ed iniziò a strofinarsi contro le cosce. Le mani di lui scivolarono fino alla nuca e la carezzarono, con il pollice posato sul pomo d'Adamo. Lei gli prese il polso, e fece scivolare la mano fino al petto. Ma questa iniziò a risalire fino al collo. All'improvviso lui si spinse lontano da lei e gridò, «No!» Beth non sapeva cosa fare. Si sedette, con l'uniforme ed i capelli in disordine, abbastanza eccitata da vergognarsi. «No!» gridò di nuovo Wilbur. «Non te lo permetterò. Non te lo permetterò. Non te lo permetterò,» ripeté continuamente, prima ad alta voce, poi smorzandolo gradualmente in un borbottio. «Va bene. Va bene.» Beth cercò di calmarlo, ma lui sembrava non accorgersi affatto di lei. Non sapeva cosa fare. Si ricompose, prese il cappotto dal sedile anteriore e lo indossò. Prese anche quello di Wilbur e lo sistemò sul suo corpo tremante. Doveva prenderne atto. C'era qualcosa che non andava assolutamente in Wilbur. Quella
reazione l'aveva spaventata. Il motore era ancora acceso. Decise di riportarlo in ospedale perché potesse avere assistenza. Sperava solo di non slittare contro un pino o di far impantanare la macchina mentre faceva retromarcia. Ci sarebbe voluto molto tempo prima di poter tornare a casa. Aprì la portiera posteriore e gli occhi di Wilbur si spalancarono e si mise a sedere. La guardò per un istante come qualcuno che vede una faccia familiare nella folla ma non riesce ad identificarla. «Stai bene?» chiese Beth timidamente. Non aveva un bell'aspetto. La sua faccia era pallida, gli occhi febbricitanti. Lui scosse la testa come per sgombrarla. «Mi dispiace,» rispose, respirando pesantemente come se avesse trattenuto il respiro. Aprì la bocca, la chiuse, la riaprì. «Non... sei tu. Sul serio. Sono io...,» balbettò. «Mi dispiace veramente.» Si mise il cappotto e andò nel sedile anteriore. Per un istante Beth si chiese se rimanere dietro. Il tracollo di Wilbur e la sua ripresa le sembravano molto strane, ma d'altro canto sembrava così pietosamente infelice mentre si scusava, che la sua paura si sciolse in pietà, e provò compassione. Scavalcò il sedile e gli strinse un braccio. «Capisco,» disse, anche se non era vero. Lui non la guardò, ma sentì i muscoli del suo braccio rilassarsi. Mise la retromarcia e partì. Durante la strada di ritorno verso il dormitorio, Beth pensò ad una maniera per intavolare un discorso sul suo comportamento ad High Rock, ma non ne trovò una che fosse agevole. Viaggiarono in silenzio. CANALE 21 Telefonata Mortale Sassy Sarah Miracoli in Diretta L'Orco Il Coro della Dannazione 72 Ore Volume assordante. Il notiziario è in onda. Ancora una volta Liz Walker. Le parole IL VIDEO-ASSASSINO DI CROCKER appaiono in onda accanto alla sua testa. «L'agente speciale William Gage, che qui vedete mentre rifiuta di ri-
spondere alle domande del cronista, ha detto che non c'è ancora nessun sospetto...» «Lui,» dice Gesù. «Cosa?» «Il poliziotto. Lui pagherà al posto di coloro che non ti hanno aiutato e protetto.» Cambio di canale. «Va bene, siamo pronti a ricevere domande dal nostro pubblico a casa, quindi apriamo le linee telefoniche. Pronto? Sei in onda!» «Dipartimento di Polizia di Crocker, Parla il Sergente Grinds. La sua telefonata viene automaticamente registrata» «C'è l'agente Gage?» chiede Gesù. «Attenda.» Silenzio. Scatti. «No, è andato via.» «È andato a casa?» «Probabilmente. Posso avere il nome ed il numero di telefono, e glielo farò avere.» «Mi dispiace, amico, il tempo è scaduto. Dobbiamo andare. Ci vediamo la prossima volta!» La musica cresce. Applausi. Gesù si dirige verso la porta. «Non puoi ammazzare un poliziotto,» supplica Wilbur. «Non ti faranno più trasmettere.» «Possiamo. Lo faremo.» Gesù prende l'elenco telefonico e apre alla pagina dove appare CINDY & WM GAGE con indirizzo e numero telefonico. «Chiama,» dice il Figlio di Dio. Il telefono squillò e Cindy lasciò rispondere la segreteria telefonica. Questa partì e comunicò il suo imbonimento: questa è la casa (roba da ridere) di Bill e Cindy Gage, per favore lasciate il nome ed il numero, ed così via. Alla fine della registrazione dall'altra parte riagganciarono. Stanotte aveva un bel da fare. Sassy era malata, una specie di virus allo stomaco che la faceva correre al bagno ogni quindici minuti circa. Nell'ultima corsa la piccola non ce l'aveva fatta ad arrivare al bagno e l'antico tappeto ricamato a mano del salone che era appartenuto alla nonna di Cindy era stato inondato. Cosa insolita per lei, Cindy aveva perso la calma ed aveva sgridato la
povera Sassy. Cindy le aveva lasciato un secchio accanto al letto in modo che potesse usarlo invece di dovere correre al bagno, ma la ragazza era così pulita e pignola che non l'aveva usato. Vedendo il suo tappeto favorito aggiungersi alla lite con Bill la notte precedente, Cindy se la prese con sua figlia per tutto, per aver rovinato il tappeto come per l'essere tanto pignola da non apprezzare il modo in cui Cindy le stirava i vestiti. Ma Sassy non se ne era andata semplicemente a letto. Nonostante fosse malata, era rimasta in piedi meravigliata davanti a Cindy, che si comportava più come sua sorella Missy che come lei la conosceva. Si scusò formalmente, e freddamente, per aver rovinato il tappeto. Offrì di pagare per farlo pulire con i soldi della sua parte di paga che divideva con Missy. Sassy sapeva quello che stava facendo, ed anche Cindy lo sapeva, ma questo non la trattenne dal fare la voce grossa. Dopotutto, la povera bambina non aveva avuto nessuna intenzione di rovinare il tappeto. «E per quello che riguarda la mia pulizia,» aveva continuato a dire Sassy, con la faccia pallida, il labbro inferiore tremante, «scommetto che molti genitori vorrebbero avere una figlia con il mio problema. Immagino che saresti più felice se fossi più "normale" e mi drogassi o facessi qualcosa del genere.» Cindy non aveva mai visto Sassy così sarcastica. Era la prima volta che rendeva onore al suo soprannome. Dopo aver parlato, Sassy tornò a letto. Qualche istante dopo, Cindy la sentì vomitare nel secchio. «Oh! Che schifo!» esclamò Sassy, la voce sull'orlo delle lacrime, e vomitò di nuovo. Cindy andò da lei, portandole un asciugamano come bandiera della tregua. Sassy si asciugò le labbra e le mani meticolosamente, poi si sdraiò con una mano sulla fronte. Cindy pulì il secchio e lo rimise accanto al letto. Cindy era contenta che quella sera sua sorella aveva deciso di prendersi i bambini per farsi aiutare a decorare l'albero. A Sassy era dispiaciuto di non essere potuta andare, ed anche a Cindy. Nonostante i suoi problemi con Bill, che non le facevano godere lo spirito dei preparativi alla festa, doveva fare ancora delle compere per Natale. Se non altro il non avere Devin e Missy le rendeva più semplice prendersi cura di Sassy. Se ci fosse stato un Dio caritatevole, Devin e Missy non si sarebbero presi il virus, ma sapeva che questo significava sperare troppo. La sola cosa che poteva realisticamente sperare era che tutti i bambini se lo prendessero e guarissero prima che se lo prendesse lei, cosa anch'essa inevitabile.
Il telefono squillò di nuovo. E se fosse stata sua sorella che chiamava perché anche Devin e Missy stavano male? «Va bene,» grugnì, alzandosi. Si precipitò fino al telefono e rispose. Era Bill. La sua voce sembrava scossa. «Non posso parlare adesso,» disse, con voce nervosa. «Devo pulire il casino sul tappeto dell'ingresso dove Sassy ha vomitato.» «Sassy ha vomitato? Cos'ha?» chiese, con la voce piena di preoccupazione. «Una specie di virus allo stomaco,» disse Cindy, con la voce leggermente più dolce. «Vuoi che venga?» Nella sua voce c'era una nota di speranza o di paura? «No, me la posso cavare da sola. Se vieni potresti prendertelo, e non saresti più in grado di dedicarti a tempo pieno alla tua indagine.» Non sapeva da dove fosse arrivato improvvisamente il suo atteggiamento. Le parole erano semplicemente uscite, ostiti e stizzite. Gli sentì trattenere il respiro. Lo immaginò mentre si irrigidiva e stringeva il telefono con un pugno dalle nocche lattee. Poté anche sentirlo chiudersi a riccio mentre rilasciava lentamente il respiro. «Va bene,» disse lui seccamente. La prova era nella sua voce. Lei riagganciò e sentì il tumulto cocente di emozioni in conflitto che l'avevano tenuta sveglia tutta la notte. Senza alcuna sorpresa, il dolore e le ferite non portavano più nessuna lacrima. I suoi occhi erano infuocati e aridi. Il dolore era ovattato, la rabbia spenta. Cindy non era il tipo da consumarsi, singhiozzando e trascinandosi, e sapeva che se le cose fossero continuate in questo modo ancora a lungo, non avrebbe sentito più nulla per Bill, ed allora la rottura sarebbe stata definitiva. Era quello che voleva? Tornò al tappeto e finì meglio che poteva. Controllò Sassy e fu sollevata nel vedere che sua figlia stava dormendo. Anche se la bambina si sentiva malissimo, il cuscino e le coperte erano sistemate ordinatamente. Cindy socchiuse la porta di Sassy e controllò di nuovo il tappeto. Era tentata di lavarlo ancora una volta, ma aveva paura di far penetrare ancora più in profondità la macchia nel tessuto. Decise di lasciar perdere e di chiamare un addetto alle pulizie professionista la mattina dopo. Per una volta era piacevole non dovere cucinare la cena, benché se le cose con Bill fossero state normali non le sarebbe dispiaciuto affatto. Devin e Missy avrebbero mangiato la pizza da Evelyn, quindi avrebbe dovuto preoccuparsi solo di sé. Dopo aver sentito vomitare Sassy ed aver pulito il
tappeto, Cindy non aveva nessuna voglia di cibo. Nemmeno il parlare con Bill le era stato d'aiuto. La loro breve conversazione le aveva chiuso lo stomaco. Sentiva il bisogno di un bel bagno. Se Sassy avesse dormito abbastanza, e quel dannato telefono non avesse squillato di nuovo, avrebbe potuto farsene uno e goderselo come raramente aveva potuto negli ultimi tempi. Il Club 700. PTL. Jimmy Swaggart. L'Ora del Potere. Jim e Tammy camminano mano nella mano con Jimmy ed Oral. Un miracolo sta per avvenire in diretta nell'etere. Se avesse potuto, la Nonna si sarebbe arrampicata nello schermo. Lo carezza con la mano, ripetendo l'Ave Maria fino a quando le parole non diventano confuse e prive di senso. Ai suoi piedi, si accoccola Wilbur, cercando di non guardare lo schermo. Non può ordinare al suo cuore di smettere di battere. Tammy Faye sta piangendo, il mascara cola in lacrime da clown sulla sua faccia. L'agente di coloro che non sono riusciti ad aiutarlo e proteggerlo vive nella casa davanti alla quale stanno tutti loro. «Posso sentire la sua presenza malefica nelle ossa!» piange Tammy. Jimmy Swaggart invoca le fiamme dell'inferno e della dannazione di aprire la porta della piccola casa coloniale. Jim Bakker implora i fedeli di mandare soldi e Dio aprirà la porta. Wilbur immagina vecchie signore e storpi di tutta la Nazione che infilano banconote e assegni dell'Assistenza Sociale in buste da spedire a Dio. E funziona. Gesù appare in uno splendente raggio di luce ed il teleevangelista cade prostrato davanti a lui. «Gesù può aprire tutte le porte!» urla Nonna, interrompendo la nenia dell'Ave Maria. Gesù dimostra che lei ha ragione. La porta della casa dove vive il poliziotto Gage si apre senza nessun rumore. Circuito chiuso. Un ingresso. Una cucina. Un soggiorno. Vuoti.
Un rumore. Acqua che scorre. Scale. Uno sciacquio. Si avvicina. La porta del bagno. Un cantilenare sommesso. La voce di una donna. Una stanza da letto vuota. La stanza di un bambino vuota. Una ragazzina dorme in una stanza con letti gemelli. Nessuna traccia di Gage. Solo uno sciacquio ed il ritornello di una canzone. Un avvertimento forse. La donna e la bambina. La nausea che risaliva dal suo stomaco fece quasi alzare Sassy dal letto. La voce di sua madre che urlava, «No!» la fece alzare del tutto. «No!» gridò di nuovo, poi il rumore di uno sciacquio sonoro. Stava facendo il bagno a Devin, pensò assonnata Sassy, domandandosi come mai fosse tornato a casa così presto da zia Evelyn. La nausea si acquietò. Decisa a prendersi un vantaggio sull'inevitabile in modo da non dover usare il secchio, scese dal letto e si diresse in bagno. Sarebbe stato un disastro se Mamma e Devin fossero stati là. Sentiva il bisogno di vomitare. Almeno una volta doveva avere la precedenza e se la sarebbe presa. Svoltò l'angolo della porta aperta del bagno e si fermò. Per un istante vide la testa di sua madre penzolare fuori dalla vasca. I sui capelli bagnati erano incollati sulla faccia ed avviluppati intorno alle dita dell'uomo che stava spingendo la sua testa di nuovo nell'acqua. La sua nausea, provocata dalla malattia, nel momento in cui vide sua madre che veniva annegata, raggiunse l'apice. Mentre vomitava nel secchio nella sua camera fu presa da un feroce, crudele senso di colpa per aver abbandonato la madre. Le sue mani tremanti lo fecero rovesciare. Lo rimise in piedi, ma non prima di un altro attacco di vomito puzzolente. Le lacrime imbrattarono la stanza. Voleva urlare e piangere ed in qualche modo aiutare sua madre, ma la paura aveva conficcato i suoi artigli in profondità. Sta arrivando! L'uomo nero! Il rumore dello sciacquio dal bagno era cessato. Nel corridoio una tavola di legno scricchiolò. Nasconditi!
Mammina! Mammina! Mammina! Oh, nascondimi! Non essere una bambina. Muoviti! La porta dell'armadio era la più vicina. Per una volta non le dispiacque che Missy la sciatta l'avesse lasciata aperta. Sassy ci si buttò dentro, sbattendosi la porta alle spalle. Passi nella stanza. Sentì che la scrivania veniva spinta come se qualcuno l'avesse urtata. I passi si avvicinano. Sente il proprio respiro. Può vedere l'ombra di un paio di piedi dalla parte inferiore della porta. Il suo respiro pesante, affannato per la lotta con sua madre, era proprio là fuori. No, Dio! Per favore! No, no, no, no... La maniglia girò. Mammina, aiutami! La serratura scattò. No! La porta si aprì. Urla. A Evelyn non piacque quella porta d'ingresso aperta. Sua sorella era troppo parsimoniosa per lasciare la porta aperta nel cuore dell'inverno consumando un sacco di calore. Evelyn portò Devin dentro, Missy li seguì, e chiuse la porta. «Aiuta tuo fratello a togliersi il cappotto ed il cappello,» disse a Missy. Andò a controllare la cucina ed il salotto alla ricerca della sorella. In giovane età, Evelyn aveva letto molto, specialmente libri gialli. Non aveva mai compreso veramente la descrizione convenzionale di un grido che "fa agghiacciare il sangue". Il grido che venne dal piano di sopra, mentre si trovava in soggiorno, chiarì quell'incertezza di lunga data. Se un grido poteva far agghiacciare il sangue, questo sicuramente lo faceva. L'attraversò come corrente elettrica. Si fiondò verso le scale, con la mente che correva veloce come i suoi piedi. Un altro grido, e un altro ancora, e si rese conto che non era sua sorella che gridava; sembrava Sassy. «Cindy?» chiamò Evelyn, salendo le scale. «Sassy?» Il grido continuò con appena una pausa per prendere respiro. Evelyn raggiunse il secondo piano e si diresse verso la stanza delle gemelle. Alle sue spalle poteva sentire Missy e Devin salire le scale. Passò davanti al bagno, notando con la coda dell'occhio la porta aperta ed il pavimento ba-
gnato. Un'ondata di aria fredda andò incontro ad Evelyn sulla porta della stanza delle ragazze. La finestra era spalancata, la tenda agitata dal vento gelido. L'urlo proveniva dall'armadio. Sassy stava seduta sul pavimento dell'armadio, si stringeva le gambe contro il petto e si dondolava, urlante, con la testa riversa indietro. La bocca spalancata, gli occhi chiusi, e l'intero corpo tremava. «Sassy! Sassy! Cosa c'è?» Evelyn cercò di gridare sulle urla della nipote. Ricevette in risposta un altro grido. Si avvicinò alla bambina, cercando di abbracciarla e calmarla, ma non appena la toccò, il suo grido divenne acutissimo, gli occhi si spalancarono, ed iniziò a colpire e tirare calci freneticamente. Vedendo che tutte le sue iniziative non facevano altro che far peggiorare Sassy, Evelyn indietreggiò, corse alla finestra, e la chiuse. Notò delle impronte di piedi nella neve sul tetto del portico posteriore, proprio sotto la finestra. Portavano fino al bordo, dove sembrava che qualcuno fosse saltato dal tetto fino a terra. Oh, mio Dio! pensò Evelyn. Sassy doveva essere stata spaventata da un ladro. Ma allora, dov'era Cindy? «MAMMA!» un altro grido dal corridoio si unì a quello di Sassy. Evelyn corse fuori dalla stanza. Devin stava nel corridoio fuori dal bagno. Il suo faccino era pallido e contorto, pronto a riversare un torrente di lacrime come può solo un bambino. Missy uscì indietreggiando dal bagno con il volto terreo. La sua bocca spalancata emetteva brevi gridi affannati. Evelyn corse al bagno. Scivolò sul pavimento bagnato e si aggrappò al bordo della vasca. Atterrò sulle ginocchia mentre alle sue spalle il grido di Missy si estese in un unico grido che rimbombava all'unisono con quello della sorella. Nello stesso istante, la faccia di Cindy riemerse dalla superficie insaponata della vasca da bagno, con gli occhi aperti e la bocca piena di schiuma. Per un istante divise la spuma e riaffondò. Il grido di Evelyn si unì a quello delle due nipoti. Insieme al pianto di Devin, formarono un coro di un tale orrore ed angoscia che era peggiore di quello dei dannati dell'inferno. Fu Mahoney a portare la notizia a Bill. Gliela comunicò senza giri di parole, ma gentilmente, nella maniera in cui aveva sempre pensato gli sarebbe piaciuto ricevere una simile notizia.
Per Bill, le settantadue ore successive divennero una sfilata di momenti congelati in una serie di fotografie - registrazioni di angoscia - che lui immaginava scattate da suo padre. Le fotografie erano fissate nella sua memoria con dei grossi chiodi: scegliere un vestito per Cindy per la veglia ed il funerale; Sassy, in un profondo shock comatoso, legata a tubi che la tenevano in vita; Cindy nella sua bara alla veglia circondata da un muro di fiori che in vita l'avrebbero fatta starnutire e le avrebbero gonfiato gli occhi in pochi secondi; le facce spaventate, per sempre mutate, di Missy e Devin. In certi momenti durante quei tre giorni, gli eventi sembrarono subire un'accelerazione, tutto si muoveva con il ritmo frenetico dei vecchi film muti; file di persone che non conosceva trascinavano davanti a lui le loro condoglianze ed amicizia; il sindaco che braccava ogni dolente nella casa funeraria nella speranza di ottenere i loro voti alle elezioni che si stavano avvicinando; il prete, ovviamente ubriaco, che leggeva la funzione funebre sulla tomba. Queste scene erano come intervalli comici che non riusciva a controllare e temeva che sarebbe scoppiato a ridere come un pazzo nel momento meno appropriato. Aveva già vissuto uno di quei ridicoli ma terrificanti momenti nel bagno degli uomini della casa funebre durante il secondo giorno di veglia. Era in uno dei gabinetti, seduto, desideroso di stare solo, quando sentì due uomini entrare ed iniziare a parlare mentre facevano quello che dovevano fare. «Una vera disgrazia quella che è successa, uh?» La prima voce era nasale, ed acuta. Fu seguita dal rumore di acqua corrente. «Era una bella donna.» La seconda voce era più pesante e grave. «Il capitano Mahoney ha ordinato una scorta, ventiquattr'ore su ventiquattro, per proteggere i due bambini e quella al Centro Medico UMASS di Worcester,» disse la prima voce. «Posso immaginare quell'uomo. È già brutto doversi preoccupare della propria incolumità, figuriamoci doversi preoccupare della propria famiglia. È veramente troppo.» Bill si rese conto che stava ascoltando due poliziotti, probabilmente del distaccamento, in uniforme, che il suo capo aveva mandato. «Io non devo provare niente per quel bastardo,» sibilò la seconda voce. «Penso che sia stato lui a far fuori la moglie.» «Cosa?» La prima voce era sorpresa. «L'ha detto Starkovski la notte scorsa. L'ha visto all'Ale Horse. Pensa addirittura che Gage sia il video-assassino. Avresti dovuto sentire le cose
che mi ha detto Starkovski. Gage sapeva cose che nessun altro tranne l'assassino poteva sapere.» «Non saprei,» sostenne la prima voce. «Ho sentito che quel tizio è particolarmente metodico e può vedere cose per le quali altra gente avrebbe bisogno della lente d'ingrandimento.» «Già, giusto. E quando è fuori servizio assume le fattezze di Clark Kent, il giornalista timido,» disse beffarda la seconda voce. I due uscirono, ma Bill rimase nel gabinetto. Era tutto quello che aveva potuto fare mentre ascoltava i due poliziotti per non ridere istericamente, e non sapeva perché. Adesso ridacchiava, piegato sulla tazza su gambe malferme, e gli sembrò di cadere fuori da se stesso, a testa in giù, dentro la tazza. La Prospettiva Grace Simonds, pensò e ridacchiò ad alta voce. Ebbe il capogiro e cadde in ginocchio, posando la testa su un braccio che penzolava dal piano della tazza. La tazza gli sembrava un'enorme bottiglia di whiskey nella quale avrebbe potuto tuffarsi per annegare. L'istante successivo immaginò che fosse la lente di un'enorme macchina fotografica. Lui sapeva chi si nascondeva dietro di essa. «Chi sei?» gracchiò. La cosa successiva che ricordava erano Mahoney ed il capo che l'aiutavano ad alzarsi dal pavimento del bagno. Quella notte, l'incidente tornò nei suoi sogni. Stava di nuovo appoggiato alla tazza e metteva in dubbio l'identità del suo riflesso. Sulla superficie dell'acqua galleggiava una fotografia. Era una fotografia di suo padre. Una mano salì dallo scarico ed afferrò la foto, accartocciandola. L'avambraccio era sfregiato da tante piccole cicatrici di ustioni circolari. La mano si ritirò dentro lo scarico. La mano se ne stava andando con la foto. Bill affondò la mano nell'acqua ed afferrò le dita che stavano scomparendo. Tirò il braccio, e lottò per tirare fuori il video-assassino e smascherarlo una volta per sempre. Tirò ancora più forte. Apparve una spalla. Apparve un orecchio. Il braccio era fuori dall'acqua fino al gomito. Strinse l'avambraccio con tutte e due le mani, posò il piede sul bordo della tazza e tirò il braccio con tutte le forze. All'imboccatura dello scarico apparve un cespo di capelli grigi bagnati. Divenne più folto. Adesso poteva vedere una fronte, le sopracciglia. Degli occhi, che lo guardavano. Con il suono di un palloncino gonfiato che veniva attorcigliato, la testa cigolò e lui guardò suo padre negli occhi. Bolle di risate s'innalzano dalla
bocca di suo padre per rompersi in superficie, rilasciando echi acquosi della sua risata. Bill si svegliò, sudando nel buio, le lacrime gli rigavano la faccia. Il sogno l'afferrò come una rivelazione. Il video-assassino non era solo una persona, o un gruppo di persone; era l'incarnazione di suo padre, e della parte di Bill che aveva ciecamente permesso a suo padre di continuare ad uccidere. Il trauma degli ultimi giorni, la carenza di sonno, ed il terrore dell'incubo l'aveva fatto fissare su quell'idea come ad una salvezza segreta. Portandolo alla decisione di quello che avrebbe fatto se le cose si fossero sistemate. Nel mezzo della notte, nel tenebroso carnevale delle emozioni che era diventato la sua mente, Bill Gage cavalcò il Tunnel della Vendetta. CANALE 22 Operazione Wilbur - Parte 2 Ivy trascorse più di una settimana a letto e senza andare a scuola, sua madre lo coccolava portandogli tè e succhi di frutta e gli mise la televisione nella stanza. Ivy si godette ogni attimo. Trascorse ogni pomeriggio dormendo ed il quinto giorno, due giorni prima di Natale, si sentì abbastanza bene da poter mangiare per pranzo una zuppa di pollo in scatola ed un toast. Sua madre voleva prendersi alcuni giorni di malattia, ma Ivy continuò ad assicurarle che sarebbe stato bene mentre lei andava a lavorare. Ed ogni volta si arrese con riluttanza ed andò, ma lo chiamava ogni ora per sapere come stava. Lo abbracciava e lo baciava, cosa di solito molto rara, e gli faceva tante carezze, aggiustandogli il cuscino, assicurandosi che avesse abbastanza succo di frutta, ogni volta prima di andare via. Quella sera riprese la solita routine. Dopo che se ne fu andata, si alzò e tirò fuori la sua scatola di libri dall'armadio. Si sentiva molto meglio e doveva ammettere che era per le attenzioni di sua madre. Aveva pensato di essere troppo grande per potersi sentire bene per delle amorevoli cure, ma adesso pensava che forse una persona non diventava mai troppo grande per queste cose. Pensò al video che aveva visto del piccolo Wilbur e della donna cattiva. Con tutto quello che era successo, non aveva fatto più niente al riguardo. Per la prima volta gli venne in mente che la donna poteva essere la madre
di Wilbur. Nel video era così giovane, non più di sei o sette anni; sua madre doveva sapere quello che stava accadendo. Ivy sentì uno spasimo di senso di colpa, ricordando che aveva giudicato sua madre un pessimo genitore. Paragonata a tanti altri, pensava che avrebbe potuto vincere il premio della Madre dell'Anno. Adesso vedeva che il suo atteggiamento distaccato era dovuto a vera stanchezza. Dopo tutto, faceva due lavori per mantenersi perché rifiutava di fare domanda all'Assistenza Sociale. Lo spasimo del senso di colpa si acutizzò al pensiero che si fosse ridotta ad una schiava per crescerlo, mentre lui se ne andava in giro facendo brutti pensieri su di lei e provando pena solo per se stesso. Tirò fuori dalla scatola la serie dei romanzi di James Bond e li pose in ordine dal primo all'ultimo, iniziando con Casino Royal e finendo con L'uomo dalla Pistola d'Oro. Da quando il cane Bond era morto ed Ivy aveva perso l'orologio di Henry, quei libri ed il binocolo erano le sole cose che gli ricordavano Barbara. Il pensiero dell'orologio perso lo fece andare alla finestra, da dove guardò la casa di Wilbur il Pazzo. Da qui, Ivy riusciva a vedere nel secondo piano e nelle finestre del soggiorno su quel lato della casa. La casa di Wilbur il Pazzo era buia. Si domandava se Wilbur avesse già trovato l'orologio. Ivy aveva guardato nel cortile di Wilbur il giorno dopo essere entrato nella casa, nella speranza che l'orologio gli fosse caduto fuori, ma non l'aveva trovato. Sapendo che Wilbur aveva trovato il suo orologio, temeva che adesso sarebbe stato attento ai ladri, ed Ivy era stato troppo spaventato per rischiare di intrufolarsi di nuovo. Si ricordò che l'ultima volta che aveva visto Slice Sanchez era stato il giorno prima della morte di Barbara e Bond. Il teppista era entrato a casa di Wilbur il Pazzo. Era vero! Con tutto quello che era successo l'aveva quasi dimenticato. L'Operazione Wilbur era stata dimenticata con la morte di Barbara e Bond. Non si era preoccupato di andare alla biblioteca per cercare il numero telefonico e l'indirizzo del NAMBLA, il nome che aveva trovato da Wilbur. Da allora non gli era importato più di niente. Adesso, ricordando di aver visto Slice Sanchez entrare da Wilbur il Pazzo, Ivy pensò che fosse ora di riprendere a spiare il suo vicino. Pieno di fiducia, pensò di potere scoprire un indizio su dove fosse Sanchez. Non aveva avuto più notizie dall'Ufficiale Cote, che gli aveva promesso di avvisarlo se e quando Slice fosse tornato. Andò nel soggiorno e controllò l'orribile orologio a muro dalla forma di
Felix il Gatto. Le otto e quarantacinque. Sua madre non sarebbe tornata prima di mezzanotte, e Wilbur di solito andava a lavorare alle dieci e trenta. Questo gli avrebbe dato quasi due ore tra il momento dell'uscita di Wilbur ed il rientro di sua madre per entrare da Wilbur e dare un'altra occhiata in giro. Non era attratto dall'idea di andare di nuovo nella casa ma se era il solo modo per trovare Slice ed esigere la vendetta, doveva semplicemente farsi coraggio, essere impavido come 007 e fare il lavoro, non importava cosa. Stanotte, avrebbe ripreso l'Operazione Wilbur. Ivy si mise le mutande lunghe e la tuta scura che aveva indossato l'ultima volta, in modo da non dover indossare il suo ingombrante cappotto. Si mise le scarpe, afferrò i guanti imbottiti di pelliccia, ed uscì, chiudendo a chiave la porta e facendo scivolare la chiave in profondità nel calzettone. Il cielo notturno era lattiginoso, di un colore grigio-bianco. Il notiziario aveva previsto per la mattina la prima grande tempesta di neve dell'inverno, proveniente da nord-est. Ivy sperava che la scuola l'indomani restasse chiusa. Ivy stava viaggiando leggero, ed aveva con sé solo il cartoncino di plastica, la torcia e la pistola a spruzzo riempita di candeggina infilata sul retro dei pantaloni. Immaginò che avrebbe potuto alzare la finestra della cucina come la volta precedente, oppure, se Wilbur l'aveva bloccata, poteva provare di nuovo la porta. Alla peggio avrebbe potuto guardare attraverso la finestra. Quella notte non perse tempo con la discesa delle scale alla Bond. Non doveva preoccuparsi di sua madre, che era al lavoro. Sapeva che nessun altro nell'edificio avrebbe prestato attenzione alla sua uscita. E siccome aveva solo un'ora e mezza circa prima che sua madre tornasse a casa, doveva sbrigarsi. Attraversò di corsa il viale e scavalcò la staccionata bassa, tenendo il cartoncino di plastica tra i denti. Una volta dall'altro lato non si fermò, e continuò ad avanzare, correndo verso il portico. Solo allora si fermò, mettendosi accovacciato, mentre riprendeva fiato ed ascoltava se qualcuno lo seguiva. Contò molto lentamente fino a sessanta, poi salì le scale che portavano alla porta della cucina. Il cielo biancastro rifletteva le luci della città, producendo un'illumuiazione brillante. Ivy controllò la prima finestra. Era stata chiusa con i chiodi! Wilbur il
Pazzo doveva ormai sapere che qualcuno era entrato in casa. Anche la seconda finestra era inchiodata. Andò all'ingresso, ricordandosi di fare attenzione alla porta cigolante. Afferrò la maniglia, sollevò la porta ai cardini, e l'aprì con un movimento fluido e rapido. La porta emise solo un flebile scricchiolio. Fece scivolare il lato esterno contro la parte interna della doppia porta per tenerla aperta ed iniziò a lavorare alla porta interna, cercando di non scuotere la prima e farla cigolare. Dopo venti minuti di tentativi, il cartoncino di plastica era piegato ed inutilizzabile. Ivy si sentiva frustrato e furioso. «Faccio schifo come agente segreto,» ansimò, appannando il vetro della porta della cucina. Incurante del rumore, lasciò che la doppia porta si chiudesse e fissò la casa. Tornò alle finestre, facendo risplendere la luce all'interno, ma non vide niente che gli potesse dire qualcosa su Slice Sanchez. Ivy spense la torcia e rimase al buio, a pensare. Doveva esserci un altro modo per entrare nella casa. Lasciò il portico ed andò al lato della casa che si trovava di fronte al suo edificio, rimanendo nell'ombra e controllando le altre finestre al piano terra. Quelle al lato della casa erano troppo alte per lui anche per vedere se erano sbarrate, ancora di più per scavalcarle. Cercò qualcosa su cui salire, ma non trovò niente. Notò una finestra della cantina e si accovacciò sulla neve dura ed incrostata per dare un'occhiata ravvicinata. La finestra era buia. Chiudendo la mano sulle lenti della torcia, Ivy l'accese e la fece risplendere nella finestra. Non si vedeva niente se non il riflesso della luce. Si sporse ancora più in avanti. La finestra era dipinta di nero! Spense la luce e camminò carponi fino alla finestra accanto. Anche questa era dipinta di nero. Strano, pensò Ivy. Perché non mettere delle tende? Cosa cercano di nascondere? Cercò di aprire la finestra spingendola. O era chiusa a chiave o era cementata. Tornò alla prima e riprovò, anche questa senza nessuna fortuna. Le finestre che davano sul cortile non erano più cedevoli, ma una delle finestre della cantina dal lato opposto della casa cedette leggermente quando lui la spinse. Spinse di nuovo, ma era bloccata. Ivy posò la torcia e si sedette di fronte alla finestra, mettendo un piede su ogni estremità della cornice di legno. Spinse con le gambe. Uno grido lacerante di frantumi lacerò la notte e la finestra cedette ancora un po'. Si fermò, per ascoltare attentamente ma non sentì niente, e spinse di nuovo. Un altro grido; la finestra si spostò di alcuni pollici. Un'altra dovrebbe bastare, pensò Ivy. Attese, ascoltando ancora. Da Leighton Street stava arrivando una macchina. Guardò i fari e sincronizzò
la spinta con il passaggio della macchina. Il rumore del motore l'aiutò a mascherare il grido finale del legno mentre la finestra si liberava e si apriva verso l'interno, ed i suoi piedi precipitarono nel vuoto scuro della cantina. Ritirò velocemente su i piedi. Dio, pensò sgridandosi mentalmente, dovevi pensare che qualcosa ti avrebbe afferrato e ti avrebbe tirato dentro. Scrutò nel buio, sentì una folata di aria tiepida e muffita salire sulla sua faccia. Ivy prese la torcia e l'accese di nuovo coprendola con le mani. Poteva vedere un pavimento di cemento levigato, ma poco altro. Si sporse in avanti e fece risplendere la luce verso il basso. Delle scatole erano accatastate fino ad un piede dalla finestra. Ivy tirò un profondo respiro per temprare i nervi. Spense la torcia e la fece scivolare dentro i pantaloni della tuta. Sdraiato sulla pancia e spingendosi sulla neve dura, fece scendere le gambe nella cantina fino a quando non sentì il piede toccare la scatola in cima. Le scatole sulle quali cercò di inerpicarsi erano di cartone e non completamente piene, quindi resero i suoi passi precari. Se fosse stato leggermente più pesante, non l'avrebbero sorretto e sarebbe finito a testa in giù sul pavimento di cemento. Superò un paio di momenti di disequilibrio e riuscì a scendere. Tirò fuori la torcia e l'accese. Era in un piccolo magazzino. Contro la parte sinistra c'erano delle scatole con le etichette LUCI LOWEL - 1500. Dall'altra parte c'erano scatole con le etichette VALVOLE e CAVI. Non c'era porta nella cornice che si apriva su altro buio. Ivy si lasciò guidare dalla luce della torcia, in una spaziosa stanza che conteneva un letto angusto con un materasso macchiato ed un paio di sedie su un tappeto intrecciato per terra. In alto, attaccati al soffitto c'erano dei binari per le luci che sostenevano svariati riflettori neri. Fece muovere velocemente la torcia tutt'intorno, senza preoccuparsi di essere visto dall'esterno adesso che era lontano dalla finestra aperta e con le altre finestre della cantina oscurate. Nell'angolo destro in fondo, c'era una vasca da bagno sistemata su una piccola sezione di pavimento piastrellata. Sul soffitto sovrastante c'era un altro binario per l'illuminazione. Lungo il pavimento correvano come vene metalliche dei fili sottili e tondi, simili a cavi televisivi che portavano a svariate scatole elettriche a quattro prese. Ivy continuò a far girare la torcia per la stanza, cercando di immaginare
perché ci fosse bisogno di tutti quei binari e di tutte quelle scatole elettriche extra nella cantina, e perché avessero dipinto di nero le finestre. I suoi occhi furono attirati verso il lettino. Gli sembrava in qualche modo familiare. Gli albeggiò in mente che poteva essere il letto del video. Wilbur era stato legato ad un letto come questo mentre la donna gli faceva quelle cose orribili e lo bruciava con le sigarette. È dove hanno fatto quel film, suppose Ivy. Andò vicino al letto e lo esaminò. Anche se non c'erano dei segni riconoscibili, sembrava lo stesso letto. Il materasso era vecchio e sporco. Alcune delle macchie avevano un'orribile aspetto marroncino. Ricordando le cose che la donna aveva fatto a Wilbur nel video, Ivy non volle investigare su quelle macchie più accuratamente. Guardò le scatole elettriche e immaginò che venissero usate per attaccare le luci, le telecamere e l'apparecchiatura sonora di cui c'era bisogno per fare un film. «Questo è un teatro di posa,» si disse sottovoce. Si domandò quale pazzo potesse fare dei film come quello che aveva visto, ed ancora peggio, a quale tipo di pervertito poteva piacere guardare quei film, pagando per vederli. Ivy rabbrividì all'idea di poter incontrare una simile persona ed arretrò dal letto. Si ricordò uno dei libri che Barbara le aveva dato da leggere. Lo strano caso del Dottor Jekyll ed il Signor Hyde. Quello era il tipo di persona che avrebbe fatto e visto film come quelli, pensò Ivy. Superficialmente, apparivano normali come gli altri, ma sotto, erano malati e pieni di cupi pensieri ambigui. Ivy andò alla vasca da bagno nell'angolo. Era di vecchio tipo con zampe decorate e monche. C'era un profondo anello di ruggine che macchiava la vasca all'interno, fino a metà. Lo scarico era chiuso con un tappo di gomma, ma dove avrebbero dovuto essere i rubinetti e il becco dell'acqua c'erano dei buchi nella porcellana. Per quello che poteva vedere, la vasca non era collegata a nessuna tubatura. Si chinò, vedendo qualcosa nell'angolo dietro la vasca. Puntò la luce per terra e si mise carponi, infilandosi fino all'estremità della vasca e tirando fuori l'oggetto. Era un giubbotto di lana con i bordi di pelliccia, proprio dello stesso tipo che indossava Slice Sanchez e che indossava il giorno che l'aveva visto entrare nella casa di Wiìbur. Ivy prese il giubbotto, facendolo girare sotto la luce. Aveva una macchia scura sulla schiena e sulle spalle. Qualunque fosse la sostanza che aveva macchiato il giubbotto, era tantissima. Mentre lo rigirava il giubbotto si sgretolò e polverizzò. Sotto la luce della torcia il residuo farinoso sembra-
va ruggine. Se era il giubbotto di Slice, perché l'aveva lasciato là? A causa della macchia? Si era macchiato e non poteva riportarlo a casa? A Ivy si presentò un'altra immagine, più plausibile: Slice aveva preso a botte il povero Wilbur per aver fatto cadere qualcosa sul suo giubbotto. Immaginava Slice che minacciava il povero Wilbur con le sue dita rotte (Ivy dovette sorridere) per farsi pulire il giubbotto. Forse Wilbur aveva cercato di pulirlo nella vasca? Ivy rimise il giubbotto dove l'aveva trovato. Il suo scenario immaginario era abbastanza plausibile per spiegare la presenza del giubbotto di Slice. Ivy si sentì male al pensiero di Wilbur in balia di Slice Sanchez. Il fatto che fosse matto aveva reso probabilmente l'esperienza dieci volte peggiore per il povero Wilbur. Non aveva probabilmente nemmeno capito perché Slice se la stesse prendendo con lui. La sete di vendetta di Ivy divenne più bruciante che mai, pensando a simili cose. Slice aveva sicuramente molte cose da espiare. Ivy aveva visto abbastanza nello scantinato. C'era il tempo di dare un'occhiata al piano superiore. Andò alle scale nell'angolo sinistro dello scantinato e salì lentamente, fermandosi alcuni secondi ogni volta che un gradino scricchiolava. La porta che dava al piano superiore si affacciava sulla cucina. Ivy cercò il suo orologio tra la spazzatura ma non ebbe fortuna. Andò nel soggiorno per fare lo stesso e per cercare qualche indizio che potesse suggerirgli dove fosse Slice. Controllò il pavimento ed il tappeto, notando una macchia scura fresca davanti alla credenza che conteneva le videocassette. Si girò, e la luce giocò sulle pareti, lontano dalle finestre, risplendendo su qualcosa sul muro di fronte che non riusciva a distinguere. Cadde nella lunga ombra di una poltrona. Ivy si fece di lato e puntò di nuovo la luce contro il muro. La sua pelle ghiacciò, poi si surriscaldò, e poi ghiacciò di nuovo per tutto il corpo. Un gemito acutissimo e tagliente provenne dai denti serrati. Sul muro di fronte, appeso per il collo con il cinturino di pelle dell'orologio che le aveva dato Barbara c'era il corpo insanguinato e sbudellato di Bond, James Bond. La madre di Ivy, quando tornò a casa alle 12:20 di notte, lo trovò tremante nel letto sotto una catasta di coperte. «Lo sapevo che dovevo restare a casa,» si lamentò, con la faccia pre-
occupata. Gli tastò la fronte. «Hai di nuovo la febbre. Ti sei alzato dal letto mentre ero via?» Ivy scosse la testa per negare, e cercò di far smettere ai denti di battere. Da quando era corso via da casa di Wilbur il Pazzo aveva vomitato tre volte. Ogni volta che pensava al corpo di Bond, James Bond appeso al muro, il suo stomaco si contorceva su se stesso e mandava il contenuto su per la gola. Fu contento quando sua madre tornò a casa. Non poteva dirle niente, naturalmente, ma la sua attenzione e preoccupazione erano d'aiuto. Gli diede dell'aspirina, poi si sdraiò sul letto accanto a lui, stringendosi al suo corpo per scaldarlo e cantando «Hey Jude» dolcemente. Presto il tremore cessò ed i suoi occhi divennero pesanti. Il suo corpo gli sembrava intorpidito, morto. Scivolò nel profondo sonno e senza sogni dei traumi emotivi con solo un pensiero preciso: avrebbe ucciso Wilbur Clayton. CANALE 23 Aspettando Sassy Acciuffare un Assassino Gli Invasori Il Passatempo di Wilbur Il Salvataggio di Ivy Bill Gage - il Vendicatore Bill Gage sedeva nell'ombra accanto al letto d'ospedale di Sassy e le teneva la mano molle tra le sue. Dal funerale di Cindy, questo era il quarto giorno consecutivo della sua veglia al letto di Sassy. Missy e Devin stavano da Evelyn. Almeno non doveva preoccuparsi di loro. Si era trasferito di nuovo a casa nonostante i consigli di tutti quelli che conosceva, ma ci trascorreva così poco tempo da non avere su di lui alcun effetto. La sua routine era diventata essenziale; sveglia alle 4:00 del mattino - se riusciva ad addormentarsi - e viaggio fino a Worcester, ventidue miglia a sud di Crocker, per trascorrere la giornata con la sua figliastra Sassy. Sassy era stata portata al Centro Medico UMASS, che vantava i migliori neurologi e gli ultimissimi ritrovati tecnologici per il trattamento del coma. Sulla strada verso casa di notte, si fermava a vedere Devin e Missy da Evelyn. Questo era il nono giorno di coma di Sassy.
Durante il giorno si teneva in frequente contatto telefonico con Mahoney per seguire il caso del video-assassino. Erano in un momento di stallo, e non c'era niente che potesse collegare la morte di Cindy con il Videoassassino. Ma Bill sapeva - e pensava che anche Mahoney fosse del suo stesso avviso - che era stato lui. Bill guardò Sassy, non sopportava la vista dei tubi che partivano dal naso e dalla bocca. Sapeva che lei aveva visto il video-assassino da vicino. Avrebbe potuto identificarlo. Da quello che Evelyn gli aveva detto e dal rapporto di Mahoney, dopo aver ucciso Cindy il bastardo era andato anche da Sassy, ma lei aveva cominciato ad urlare e poi era arrivata Evelyn. Il tizio era saltato dalla finestra di Sassy sul tetto del portico e poi a terra, come evidenziato dalla finestra aperta e dalle impronte sul tetto e per terra. Le impronte portavano alla strada e svanivano. Se Sassy non fosse stata male, sarebbe andata da Evelyn e Cindy sarebbe stata a fare le compere di Natale e tutto questo non sarebbe mai successo. Mentre se ne stava là seduto ad aspettare e pregare che Sassy si risvegliasse in modo da potere identificare l'assassino, gli riusciva facile torturarsi con simili pensieri e colpevolizzarsi - se lui avesse avuto il buon senso di non avere il numero di telefono sull'elenco, il tizio non avrebbe scoperto così facilmente dove vivevano. Si diceva preoccupato per la salute di Sassy, ma non negava che il suo obiettivo principale era ottenere l'informazione che lei aveva, e non gli importava quanto cinico potesse sembrare. Per quello che lo riguardava non c'era niente di meglio che potesse fare per Cindy e Sassy se non acciuffare l'assassino. Aveva avuto la sensazione che l'assassino l'avesse seguito. Mahoney pensava che avesse voluto uccidere Cindy e Sassy come avvertimento. Bill riteneva che era probabile, ma che l'obiettivo primario del criminale era stato quello di prendere lui; ne era sicuro. Perché? si chiese il suo lato cinico. Perché pensi di essere posseduto dall'anima di tuo padre? Benché potesse sembrare melodrammatico o sovrannaturale, era essenzialmente la verità. In qualche modo il colpevole voleva confrontarsi con lui, e quel confronto sarebbe stato la sua ultima possibilità di affrontare il passato, sia che il colpevole lo sapesse o meno. Naturalmente se Sassy fosse rimasta in coma, non avrebbero mai preso il video-assassino. Anche se ne fosse uscita, c'erano buone possibilità che non ricordasse niente. I dottori lo avevano avvisato che avrebbe potuto u-
scire dal coma - che era in realtà un vero e proprio stato di shock - con un'amnesia totale riguardo gli avvenimenti connessi alla morte della madre. Bill pregava che così non fosse. Se ne stava seduto accanto al letto ora dopo ora fino alle otto, a volte fino alle nove, tenendole la mano nella speranza che si svegliasse e gli dicesse chi aveva ucciso sua madre. La notte precedente aveva sognato che ciò finalmente accadeva. Era uno di quei sogni che iniziano in maniera ordinaria, familiare e reale tanto da non capire che è un sogno. Presto, però, il sogno aveva avuto una svolta sinistra ed era diventato un incubo dal quale di solito ci si sveglia di soprassalto con i sudori freddi. Nel sogno andava in ospedale per stare con Sassy. Mentre si avvicinava alla sua camera arrivava un dottore di corsa annunciandogli un miglioramento. Sassy era uscita dal coma, esclamava il dottore. Bill si precipitava nella stanza e la trovava sveglia, seduta e sorridente. Le chiedeva se ricordava l'uomo che aveva visto. Lei iniziava a descrivere l'assassino - capelli grigi, occhi blu, camicia blu, pantaloni blu scuro, scarpe nere - e Bill iniziava a capire chi stava descrivendo. «Ed aveva una macchina fotografica e mi ha fatto una foto,» era l'ultima cosa che diceva Sassy nel sogno. Qui il sogno si era dissolto ed il tremore aveva avuto il sopravvento. Gli occhi di Bill vagavano sulle cartoline, sugli animali di peluche e sui fiori che riempivano la stanza. I suoi occhi caddero sul calendario dell'ospedale attaccato su una tavola di sughero. Si rese conto che era la vigilia di Natale e gli venne da piangere. Si tese. Non aveva sentito sulle dita una pressione dalla mano di Sassy? «Sassy?» disse dolcemente. Ma lei non si mosse. Rimase com'era da quando le sue grida erano cessate, nell'ambulanza che correva al pronto soccorso. L'aveva sentita, ne era sicuro. Il suo primo istinto fu quello di saltare in piedi e chiamare un dottore, ma la possibilità che quello che aveva sentito fosse solo una contrazione muscolare lo fece restare dove era. I dottori avevano detto che poteva accadere. «Sassy? Se mi puoi sentire, stringi di nuovo la mia mano.» Attese. Passò lentamente mezzo minuto e gli sembrarono ore prima di poter sentire di nuovo la sua stretta, oh così debole. Si rese conto di aver trattenuto il respiro e lo lasciò andare. «Va tutto bene, piccola.» Ansimò come un corridore affannato. «Prendi il tuo tempo. Guadagna forze. Io sarò qui.»
Si sedette ed attese. Mentre prima aveva attraversato dei momenti di ansietà e frustrazione, adesso era rilassato. Era diventato così risoluto che non gli importava quanto ci sarebbe voluto, avrebbe portato a termine questa faccenda da solo, in prima persona. Avrebbe dato una lezione a quel bastardo - gli balenò in mente un'immagine di suo padre - che aveva ucciso Cindy e fatto questo a Sassy. Ivy giurò a sua madre che stava bene, ma lei insistette che rimanesse a casa ancora un giorno. Pensò che era la Vigilia di Natale, ed anche l'ultimo giorno di scuola. Lei gli preparò il divano nel soggiorno, gli preparò un toast e del tè, accese la televisione e le luci dell'albero di Natale sintetico, ed andò a lavorare. Ad Ivy non dispiaceva trascorrere un altro giorno lontano da scuola - era sempre una cosa benvenuta - ma sarebbe rimasto bloccato a casa per tutto il giorno e per tutta la sera. Sapeva che sua madre dal lavoro avrebbe chiamato una decina di volte per controllarlo, quindi sarebbe stato meglio essere lì quando lei l'avrebbe fatto. E più tardi quando sarebbe tornata a casa, non l'avrebbe lasciato uscire perché era fermamente convinta che se si è troppo malati per andare a scuola si è malati anche per andare a giocare dopo scuola, anche se l'idea di farlo restare a casa era stata sua. Ivy aveva sperato di vedere l'agente Cote e di dirgli che aveva trovato il vero assassino di Bond, James Bond. Si era svegliato molte volte durante la notte, sognando di essere di nuovo nella casa di Wilbur il Pazzo mentre guardava Bond appeso al muro. Ogni volta era rimasto a letto sdraiato, domandandosi perché Wilbur avesse voluto uccidere il suo cane. La risposta gli venne senza una ragione, ma con una sensazione agghiacciante di verità: Slice Sanchez! Ad un certo punto di quella notte insonne, Ivy l'aveva capito. Si rese conto che Slice doveva averlo visto spiare Wilbur - probabilmente mentre era appostato per spiarmi. Il giorno in cui Slice era andato a casa di Wilbur il Pazzo, doveva essere andato a dirgli quello che Ivy stava facendo, probabilmente con la speranza di avere il suo aiuto per prendere Ivy. Era la sola cosa a cui Ivy poté pensare. O questo, o Slice aveva ucciso Bond e lui stesso aveva inchiodato là il cane. Questo poteva significare che Slice si stava nascondendo a casa di Wilbur, anche se Ivy non aveva trovato alcuna traccia di lui. Ma non importava molto se l'avesse fatto da solo o con la complicità di Slice; l'avrebbe fatta pagare ad entrambi. Trascorse i momenti insonni della notte tramando la sua vendetta fino a quando non
scivolò di nuovo in un sonno profondo. Si svegliò da un altro sogno alla grigia luce mattutina, un sogno su Barbara. In esso, Ivy stava fuori dalla casa di Wilbur, con una pistola in pugno, in attesa che i due bastardi ammazza-cuccioli uscissero. Una voce lo chiamò dall'altra parte della strada. Era Barbara, nella sua vecchia vestaglia. «Non sprecare la vita dietro una vendetta amara ed esasperata. Non distruggere le tue potenzialità. Ognuno alla fine ha quello che si merita,» gli disse. Il ricordo del sogno gli portò delle lacrime, e si riaddormentò piangendo. La mattina si sarebbe dedicato a consegnare Wilbur alla polizia in modo che si occupassero di lui. Quando sua madre l'aveva fatto restare a casa, aveva preso in considerazione l'idea di chiamare la stazione di polizia e di chiedere dell'Agente Cote, o anche di raccontare di Wilbur a chiunque rispondesse. Si rese conto che se l'avesse fatto - anche se raccontava direttamente a Cote - i poliziotti sarebbero venuti nel suo appartamento e sua madre avrebbe scoperto di Bond e Barbara e della sua irruzione a casa di Wilbur. Questa era un'altra questione. Come poteva dire ai poliziotti quello che aveva visto da Wilbur senza mettersi nei guai per essere entrato in casa sua? Pensò che avrebbe potuto dire alla polizia di avere visto Bond appeso al muro mentre stava passando per il cortile dei Clayton e che l'aveva visto attraverso la finestra sul retro del soggiorno. Poteva sperare che nessuno dei poliziotti si rendesse conto che lui era troppo basso per vedere in quelle finestre. Non avrebbe funzionato. Gli venne un'altra idea. Avrebbe potuto fare una telefonata anonima. Ma cosa avrebbe detto? Se avesse detto che Wilbur aveva ucciso il cane, probabilmente l'agente Cote sarebbe stato mandato ad investigare, poiché quella era la zona della sua ronda. E lui avrebbe capito immediatamente che la telefonata anonima era stata fatta da Ivy. Doveva trovare qualcos'altro per denunciare Wilbur. Le videocassette! Ma Wilbur era stato la vittima di una di quelle che Ivy aveva visto. Allora cosa? Erano pur sempre illegali. Il fatto che Wilbur le conservasse voleva dire che gli piacevano. Ma Ivy come poteva parlarne alla polizia? Voleva che la telefonata fosse breve così che non fosse rintracciabile. Gli dirò che Wilbur sta cercando di molestare i bambini del vicinato, decise Ivy. Loro controlleranno e troveranno Bond e anche Slice Sanchez
che si sta nascondendo. Quando troveranno i nastri, penseranno che la telefonata sulle molestie ai bambini fosse legittima, ed il vecchio Wilbur il Pazzo si troverà in un mucchio di guai. Ivy si alzò dal divano ed andò nella stanza di sua madre per guardare dalle finestre che davano su Leighton Street. Passò un autobus scolastico, ma non c'era nessuna traccia dell'agente Cote. Andò nella sua stanza e guardò la casa di Wilbur. La macchina non era ancora nel vialetto, anche se erano le otto passate. Ivy decise di aspettare fino a quando Wilbur non fosse a casa prima di chiamare la polizia. La macchina di Wilbur entrò in retromarcia nel suo vialetto un'ora dopo, lui ne uscì ed entrò a casa. Ad Ivy venne un pensiero terribile. La notte scorsa si era dimenticato di chiudere la finestra dello scantinato! Nel suo desiderio di uscire da quella casa, si era dimenticato di aver lasciato aperta la finestra della cantina. Corse al telefono e compose il numero del dipartimento di polizia dalla lista d'emergenza sul retro del ricevitore. Spero che arrivino prima che Wilbur trovi quella finestra, pensò Ivy, perché ora, Wilbur saprà che sono stato io ad entrare. Se ha potuto uccidere Bond, cosa mi farà se riuscirà a catturarmi? Ivy pensò a quello che era stato scritto con il sangue sulla scatola di Bond, le parole ancora gli volteggiavano davanti gli occhi: TU SEI IL PROSSIMO! Il sergente Grinds spinse il pulsante e si sedette fissando il pannello per un lungo istante. «Che succede?» gli chiese il telefonista accanto a lui. «Una telefonata anonima. Un ragazzino afferma che il suo vicino sta molestando i bambini della sua zona. Non sembrava che il bambino stesse scherzando, ma non saprei.» «Ti ha dato un nome ed un indirizzo del sospetto?» chiese l'agente. «Si, settanta Leighton Street,» rispose Grinds. Il telefonista guardò l'ordine di servizio sul muro. «È una brutta zona. La notte dovrebbe esserci una macchina che la pattuglia. Ecco. Stanotte tocca a Cote, dalle quattro a mezzanotte. Può andare a controllare.» Ivy sorvegliò vigilmente fuori dalla finestra in attesa dell'arrivo dei poliziotti; se non fossero arrivati per le tre e mezza quando sua madre tornava a casa, li avrebbe persi. Non gli importava molto assistere all'arresto di
Wilbur, ma sarebbe stato d'aiuto per placare la sua sete di vendetta. Quando sua madre tornò a casa andò immediatamente da lui, per controllare se si sentisse ancora bene. Fece del cioccolato caldo e tirò fuori un pacchetto di Oroes, i suoi biscotti preferiti. «Ho pensato che potevamo prenderci qualche lusso, visto che siamo alla vigilia di Natale,» disse, mettendo i biscotti sul tavolo insieme alle tazze di cacao. Qualche istante dopo qualcuno bussò alla porta. «Ho un'altra sorpresa,» disse lei, alzandosi ed andando alla porta. Era Ronny il ragazzo che faceva le consegne per il Watson's Market. Aveva due grosse scatole piene di roba da mangiare che portò dentro e posò sul bancone. Salutò Ivy con la mano e prima di uscire gli fece l'occhiolino. Gli occhi di Ivy erano spalancati per la meraviglia. Sua madre non aveva mai comprato tanta roba da mangiare. Si alzò dalla tavola, con un biscotto in mano ed uno in bocca, e guardò dentro le scatole. C'erano patate dolci in scatola, patate fresche del Maine, salsa di mortella, un paio di diverse imbottiture miste, scatole di granturco e piselli, pacchi di biscotti da scaldare nel forno, una scatola per preparare una torta, una scatola di gelatina, ed una scatola di cioccolatini! Ivy non poteva crederci. «Domani faremo il banchetto di Natale,» disse orgogliosamente sua madre mentre lui esultava per il cibo. «Ma domani non lavori al ristorante?» chiese Ivy. Visto che la fabbrica di plastica il giorno di Natale era chiusa, di solito sua madre firmava per lavorare di giorno al ristorante dove di solito lavorava di notte. Da quando era morto suo padre, Ivy aveva fatto ogni anno la cena di Natale nella cucina del ristorante mentre sua madre lavorava. Poi prendeva l'autobus per casa per giocare con i pochi giocattoli che sua madre gli aveva comprato per Natale. Lei portava gli avanzi e cenavano prima che sua madre si ubriacasse per dormire in compagnia di una bottiglia di vino e degli speciali televisivi di Natale. «Mi prendo un giorno di ferie!» Il suo sorriso era così genuinamente felice che anche Ivy dovette sorridere. «Ma stasera entro in servizio alle cinque,» aggiunse lanciando un'occhiata all'orologio. Ivy l'aiutò a sistemare la roba da mangiare, meravigliandosi per tutte le cose che aveva comprato, come la torta di frutta, ed i dolcetti di zucchero a forma di albero di Natale e la crema di cioccolata alle noci per colazione. La vera sorpresa, comunque, era il tacchino da dieci libbre che tirò fuori dalla scatola. «Wow!» rise Ivy. «Mangeremo tacchino per settimane!» Risero tutti e
due. Ivy sentiva che nella settimana in cui era stato male fra lui e sua madre era cambiato qualcosa. Qualcosa si era aperto, o meglio qualcosa si era sanato. Lei sembrava avere un vero spirito natalizio, per la prima volta dalla morte di suo padre avvenuta sei anni prima sembrava desiderosa di una festa in famiglia. Ivy sentì l'opportunità di un vero cambiamento nelle loro vite se fosse riuscito a tenere vivo questo sentimento speciale con sua madre anche dopo le vacanze. Non sapeva esattamente come poterlo fare. Aveva pensato di cominciare adesso, parlandole di Barbara e Bond nella speranza che potessero veramente cominciare a parlare, ma era ancora sospettoso. Si sedettero e finirono il cacao, poi sua madre si alzò per preparargli qualcosa per cena, ma lui le disse di non preoccuparsi. Erano le quattro passate e lei doveva prepararsi per andare al ristorante. Lei andò in bagno per una doccia veloce, ed Ivy poltrì al tavolo, per godersi i suoi biscotti e la sensazione di calore appena provata. Non riusciva a non pensare quanto fosse strano che mentre era negli abissi della depressione per la perdita di Barbara e Bond, lui e sua madre si erano riscoperti. Immaginò che gran parte di ciò avesse a che fare con il Natale, ma c'era anche qualcos'altro. Era come se sua madre stesse uscendo dall'ibernazione. Benché Ivy fosse stato molto vicino a suo padre, o forse proprio per questo, le sue ferite emotive si erano sanate più velocemente di quelle di lei, anche se erano state rese più profonde dal desiderio di vendetta contro il dottor Peabody. Sua madre non era stata in grado di fare sua un'emozione potente come la vendetta, quindi le ci erano voluti cinque anni per uscirne. Le parole di Barbara sulle cose buone che potevano venir fuori da quelle cattive si stavano dimostrando vere. Se lui e sua madre si fossero riavvicinati e fossero riusciti a restarlo, non era forse stato a causa di tutte le brutte cose accadute ultimamente? Sua madre non aveva percepito tutte queste cose quando aveva detto che lui se ne andava in giro tutto abbacchiato? Ma valeva la pena il prezzo che lui aveva pagato per riavvicinarsi a sua madre? Si domandava se valeva la morte di Barbara e Bond, e tutto quello che era successo con Slice. Decise che valeva non era proprio il termine giusto. Non poteva mettere un valore su una vita, anche non umana, o sul rapporto con sua madre. Questo aveva a che fare di più con... giustizia. Era così. Non era giusto che lui avesse dovuto perdere due amici in modo da potersi riavvicinare a sua
madre, dalla quale non avrebbe mai dovuto allontanarsi. Tutto questo non aveva nessun senso, nessuna logica, ma Barbara gli aveva detto che era semplicemente così che stavano le cose e che non si potevano cambiare, per cui non doveva preoccuparsene. La madre di Ivy uscì dalla sua stanza da letto indossando una camicia bianca ed una gonna nera che era la sua uniforme da cameriera. Lui stava lavando le tazze di cacao al lavabo. «Grazie,» disse lei, sorprendendo Ivy con un'altra novità. «Sta nevicando molto. Sembra che le strade saranno scivolose. Se gli autobus non circoleranno quando finirò, forse dovrò chiamare un taxi. Potrei fare tardi, quindi non preoccuparti e non aspettarmi alzato. Devi essere a letto prima dell'arrivo di Babbo Natale.» Ivy gli lanciò uno sguardo veloce, sulla punta della lingua aveva pronte le parole per biasimare questi discorsi per bambini, fino a quando non vide il sorriso malizioso di sua madre e capì che stava scherzando. Si rilassò immediatamente ed anche lui sorrise. Lei l'abbracciò, si mise il cappotto, e se andò promettendo che avrebbe chiamato più tardi dal ristorante. Dalla finestra della stanza della madre Ivy la guardò mentre si allontanava. I suoi occhi vagarono fino alla casa di Wilbur. Ancora nessuna traccia dei poliziotti. Erano le 4:35 del pomeriggio e per quello che ne sapeva ancora non si erano visti. Dovevano aver pensato che aveva fatto uno scherzo telefonico. Immagino che sia meglio che parli a Cote personalmente, pensò Ivy. Questo sarebbe stato difficile visto che domani era Natale. Dubitava che Cote sarebbe stato in circolazione domani. Odiava dovere aspettare, ma sarebbe stato solo fino a dopo Natale. Allora avrebbe trovato l' agente Cote ed avrebbe potuto dirglielo. Ivy andò in soggiorno ed accese la televisione, e guardò per un po' Come il Grinch rubò il Natale. Poco prima delle otto, andò nella stanza di sua madre per dare un'occhiata alla casa di Wilbur. Il telefono che squillava la telefonata di sua madre - lo attirò lontano dalla finestra un attimo prima che la macchina della polizia si fermasse davanti alla casa di Wilbur il Pazzo. *** Gli invasori. Protagonista Roy Thiness.
Pinkie si alza, Gesù sta nel corridoio della cantina. Sente dell'aria fredda. Ciò lo conduce giù. Lui trova la finestra aperta. Sorride al buio. È giunta l'ora di occuparsi della spia. Il piano di sopra. Wilbur piange e toglie il cane morto dalla parete. Borbottando la ritualistica nenia dell'Ave Maria, avvolge il cucciolo in una busta di plastica e la lega. Suona il campanello della porta. Portando la busta con il cane morto, va alla porta d'ingresso. Attraverso il grande vetro ovale della porta vede un poliziotto in piedi nel portico. Energia statica. «Interrompiamo questa trasmissione con un bollettino speciale del Sistema di Trasmissione d'Emergenza. Questo non è un test. Ripetiamo, questo non è un test. Adesso spegnete la vostra tunnelvision e nascondetevi. Adesso spegnete la vostra tunnelvision e... Circuito chiuso. L'agente sorride riconoscendo Gesù quando apre la porta. Wilbur rimane immobile, nella speranza che il poliziotto non lo veda. «Wilbur! Non sapevo che tu vivessi qui.» Il poliziotto è amichevole, sincero. Conosce Wilbur avendolo visto al pronto soccorso dell'ospedale. «Ciao, Jim.» Wilbur giura di non aver mai visto il poliziotto prima, ma Gesù conosce il suo nome. «Come te la passi? Non ti ho più visto da quando mi hanno messo dalle due alle dodici.» «Non male,» replica gentilmente Gesù. «C'è qualcosa in cui posso aiutarti?» Il poliziotto sembra imbarazzato. «Già, beh ecco. Oggi abbiamo ricevuto una telefonata, da uno dei tuoi vicini, penso, che dichiara che stai molestando i bambini della zona.» Il poliziotto confonde lo sguardo scosso sulla faccia di Wilbur per risentimento. «Sono desolato, Wilbur. Deve essere uno scherzo. Ma se non ti dispiace, posso entrare a dare un'occhiata? In modo che posso dire al sergente di aver controllato che tutto era a posto e che la telefonata era falsa.» «Certo,» dice Gesù. Ciò rientra perfettamente nei suoi piani. «Possiamo prendere due piccioni con una fava.» Wilbur vorrebbe gridare al poliziotto di stare in guardia ma Gesù lo colpisce facendogli perdere i sensi.
*** Ivy riagganciò e tornò al divano, per spegnere la televisione. Sua madre non aveva potuto parlare a lungo perché il ristorante era eccezionalmente affollato nonostante la bufera di neve. Sperava di riuscire a racimolare buone mance. Aveva detto al telefono un'altra cosa strana sulla quale Ivy rimuginò per un po' seduto al divano. Gli aveva detto di nuovo di andare a letto prima dell'arrivo di Babbo Natale. Questa volta aveva aggiunto, «Mia madre mi diceva sempre: Babbo Natale porta ai bambini buoni che vanno a letto presto il regalo che più desiderano e che pensano non riceveranno mai.» Che cosa voleva dire? La cosa che voleva di più - che Barbara e Bond tornassero a vivere - non poteva portargliela nessuno, nemmeno il mitico e magico Babbo Natale. L'agente Cote non sospettò assolutamente niente entrando a casa di Wilbur. Gli piaceva Wilbur. Il ragazzo era tranquillo ed educato. Era sicuro che la telefonata fosse uno scherzo. Mentre varcava la porta d'ingresso, la prima cosa che notò come insolita - ma non tanto da far suonare il campanello d'allarme - era l'odore. L'odore era composto da una miriade di odori, tutti cattivi. Non era nemmeno in grado di cominciare - né voleva - a separare ed identificare le loro fonti. La seconda cosa che lo colpì era lo stato del soggiorno. Sembrava uscito da un film catastrofico. «Cos'è successo qui?» chiese a Wilbur. «Carino, eh?» rispose Wilbur, guardandosi intorno. «Ho affittato alcune stanze a degli universitari e l'altra sera mentre ero al lavoro hanno fatto una festa ed hanno sporcato tutto.» «Bella merda.» Cote gli credette. I ragazzi della Crocker State, specialmente quelli del college quest'anno hanno creato alla polizia un sacco di problemi. «Dovresti farti rimborsare, Wilbur,» gli disse Cote, con voce nasale nel tentativo di non respirare con il naso. «Che cos'è quest'odore?» chiese a Wilbur. «Oh, hanno rotto i gabinetti, lasciato dappertutto l'immondizia, bruciato cibo, e ogni altra cosa immaginabile.» Cote si sentì male per il ragazzo. Aveva organizzato la sua casa per poter affittare le stanze e qualche stronzo dell'università gliel'aveva distrutta. Si domandò come Wilbur potesse permettersi quella casa ed immaginò che
gli fosse stata lasciata dai genitori o da qualcuno. Avrebbe voluto affrontare la questione, più per curiosità personale che per dei sospetti su Wilbur, ma notò un'insolita macchia scura che si era asciugata in gocce sulla parete posteriore del soggiorno. «Cos'hanno fatto qui?» Fece alcuni passi verso la parete. «Oh, quella? Quello è il mio passatempo,» rispose Wilbur. «Passatempo?» chiese Cote. Non riusciva a capire. Wilbur gli tese la busta di plastica nera dell'immondizia e lui l'aprì. «Qui. Guarda,» disse porgendo la busta a Cote per andare all'armadio accanto alla macchia sul muro. Prendendo la busta dell'immondizia, Cote guardò di nuovo la macchia sulla parete - «Lo sai, sembra quasi» - aprì la busta e vi guardò dentro «...sangue.» La gola si seccò, smorzando la parola. L'ultima cosa che colpì l'agente Cote come insolita fu l'ascia che vide brandire da Wilbur contro di lui quando alzò lo sguardo dal cane morto nella busta. La volta successiva in cui Bill Gage guardò consciamente il suo orologio, vide che erano quasi le 8:00 di sera, e che erano passate quasi cinque ore dai primi segni di ripresa di Sassy. Adesso ne stava definitivamente uscendo fuori; era ufficiale. I dottori erano entrati per controllarla ed il battito cardiaco era aumentato, il respiro era accelerato, l'attività celebrale sembrava normale. Durante le cinque ore successive, aveva ripercorso il caso con la mente, guardando le foto ed i documenti che aveva portato con sé. I suoi occhi erano irritati, aveva mal di testa, e non aveva fatto alcun progresso. Si stirò sulla sedia e notò una pila di libri scolastici sul tavolo accanto alla porta del bagno. Missy aveva insistito che Bill portasse puntualmente in ospedale i libri di Sassy ed i compiti ogni giorno dal funerale di Cindy. Bill si alzò e prese quello in cima intitolato Il tuo Corpo, un libro di testo di salute ed igiene per bambini. Iniziò a sfogliarlo e si fermò ad un capitolo: Non aver paura di dirlo! Se lo portò alla sedia e lesse il capitolo che istruiva i bambini su cosa fare se venivano molestati o subivano abusi di qualsiasi tipo. Una frase in particolare catturò la sua attenzione: Se non puoi rivolgerti ai tuoi genitori, dillo a qualche altro adulto, come il tuo insegnante, l'autista dell'autobus, un dottore, l'infermiera della scuola, un poliziotto, il tuo dentista, o anche un vicino di casa. Loro ti aiuteranno.
Un enorme pezzo del puzzle cadde al proprio posto nella mente di Bill con un rumore assordante! Fino ad ora due delle vittime erano state un insegnante ed un dentista. Con crescente eccitazione, Bill si ricordò che Grace Simonds si stava specializzando in servizi sociali. Se l'assassino la conosceva, come Bill sospettava, doveva saperlo. E le ultime due vittime, la coppia non identificata, potevano essere i vicini del colpevole come lui aveva sostenuto. Era così! Era per questo che il colpevole stava uccidendo! Era questo il suo disegno oscuro! Mise giù il libro, si alzò per andarsene e chiamare Mahoney, e vide gli occhi di Sassy aprirsi e chiudersi. «Sassy!» si chinò sul letto, con le mani che spingevano il materasso accanto al corpo della figliastra. I suoi occhi si aprirono, sbattendo, e così rimasero. Alla fine lo misero a fuoco. «Papà,» sussurrò con un crepitio secco. Sollievo e dolore trapassarono il suo cuore e gli portarono un nodo alla gola per l'emozione. «Sono qui, tesoro.» Lei sorrise e così anche lui. Richiuse gli occhi e li aprì un istante dopo. Erano pieni di paura. «Papà, il poliziotto...» iniziò, ma la sua gola era troppo secca. Bill le versò un bicchiere da una bottiglia di plastica sul comodino. Dopo un paio di sorsi, parlò ancora con voce sognante. «Il poliziotto ha preso la Mamma?» Gli occhi le si chiusero come se avessero difficoltà a mettere a fuoco. Bill deglutì a fatica. «No, tesoro. I poliziotti non sono arrivati in tempo. Mi dispiace.» «Mamma è morta?» la sua voce era appena un sospiro. Le lacrime scesero lungo le guance di Bill che lottava per tenere sotto controllo la voce - «Sì, tesoro,» riuscì a malapena a sospirare. «Allora il poliziotto l'ha presa,» disse Sassy, la voce a malapena udibile. In un secondo sembrò essersi riaddormentata. Bill si chinò su di lei, desideroso di domandarle se si ricordava l'assassino. Quello che aveva appena detto non aveva molto senso. Quando lo comprese, si rese conto che aveva già risposto alla sua domanda. Pensò immediatamente a Frank Starkovski. Sassy si risvegliò, confusa, con gli occhi che lo fissavano pieni di paura. «Non lasciarmi,» disse con voce roca. «È stato un poliziotto ad uccidere Mamma?» chiese Bill, desideroso di
avere una conferma. Sassy annuì a malapena. Iniziò a tremare. «Non lasciarmi,» lo implorò di nuovo alle sue spalle mentre lui afferrava il cappotto e si dirigeva verso la porta. La sua mente era talmente piena di propositi mortali che non la sentì. Camminò a grandi passi fuori dalla stanza, lasciando Sassy piangente che lo chiamava debolmente. *** Ivy si alzò dal divano e vagò senza meta per l'appartamento. Non gli andava di leggere e in televisione non c'erano altro che special cretini sul Natale. Aveva già visto i Grinch, che secondo la sua opinione era l'unico che valeva la pena di vedere anno dopo anno. Provato com'era, non riusciva a togliersi di mente Wilbur il Pazzo. Si ritrovò a pensare che tipo di Natale avrebbe trascorso Wilbur. Provava dolore per quel tizio, specialmente da quando aveva visto quel video, e più ci pensava, più si convinceva che Slice Sanchez fosse il vero responsabile della morte di Bond, sia che avesse spinto Wilbur a farlo sia che avesse semplicemente usato la casa di Wilbur come nascondiglio. Ma perché inchiodare Bond alla parete? Perché quella era proprio il tipo di cosa orribile che Slice avrebbe fatto. Andò nella stanza e guardò fuori dalla finestra nella casa accanto. La tempesta adesso infuriava, una vera tramontana. Guardò i fiocchi turbinare e fantasticò su Slice che veniva sorpreso in una tempesta come questa. Perduto. Assiderato. Ivy sorrise. Si accese la luce del portico sul retro della casa di Wilbur. Un secondo dopo la porta della cucina si aprì e ne uscì Wilbur. Andò alla macchina ed aprì la portiera posteriore. Wilbur guardò fissamente la finestra di Ivy, che si buttò indietro, contento che la luce della sua stanza da letto fosse spenta. Wilbur entrò di nuovo a casa ed uscì con qualcuno che sembrava avere dei problemi a camminare. Wilbur teneva il braccio sotto la spalla dell'altra persona e lo aiutò ad accomodarsi dalla portiera posteriore aperta. Wilbur appoggiò la persona barcollante sul sedile posteriore, poi sembrò che lo spingesse, ma Ivy non poteva esserne sicuro. Wilbur ritornò a casa. Chi è quello con Wilbur? Si domandò Ivy. Non c'era nessun'altra macchina nel viale. Andò nella stanza di sua madre per controllare la strada. Il furgone era ancora parcheggiato dall'altra parte della strada, sepolto nella neve. Parcheggiato proprio di fronte alla casa di Wilbur, con meno neve
che la copriva, c'era una macchina della polizia. Ci sono i poliziotti? Allora chi era quello con Wilbur? Chiunque fosse sembrava ferito. Il poliziotto. L'agente Cote? Ivy corse in camera da letto, dove afferrò lo zaino da sotto il letto. Si precipitò in cucina, tirando via il giaccone dai pioli di legno accanto alla porta del bagno e corse fuori dalla porta di servizio, senza controllare se aveva chiuso a chiave, Scese le scale a due, a tre alla volta, cercando di non scivolare sulla neve che si stava accumulando nella scalinata all'aperto, tenendo contemporaneamente d'occhio la casa di Wilbur per controllare se usciva. A metà scala le sue scarpe da ginnastica con la suola liscia e consumata fecero sì che si ritrovasse con il sedere per terra, rimbalzando giù per cinque gradini fino in fondo ad essa. Si mise in ginocchio, tremante per il dolore ed il freddo ma approfittò della sua posizione nascosta dietro la ringhiera del portico al primo piano per mettersi il cappotto ed appendere lo zaino alle spalle. Su quattro zampe si trascinò per la breve rampa di scale di cemento che portavano al viale. La luce del portico sul retro della casa di Wilbur era ancora accesa, ma lui non si vedeva da nessuna parte. Ivy balzò dal portico e corse alla base della staccionata. Dopo aver mentalmente contato fino a tre, scavalcò con un salto la palizzata e, non appena toccata terra, sgambettò fino alla macchina. Si accovacciò dietro la ruota posteriore e si tolse la neve di dosso. Fece un paio di profondi respiri e tirò su la testa per scrutare oltre il parafango. Nessuna traccia di Wilbur il Pazzo. Ivy si spostò fino al finestrino posteriore. Guardò dentro. Era un poliziotto! Era sdraiato sullo stomaco, un braccio riverso per terra, l'altro ripiegato, in un angolo innaturale, contro il sedile posteriore. La sua faccia era rivolta verso il sedile anteriore, ed Ivy non riusciva a capire se fosse l'agente Cote per via del sangue che gli ricopriva la faccia. Ivy si rannicchiò e scivolò di nuovo dietro la ruota posteriore ed il parafango. Aveva dei problemi ad affrontare la realtà di quello che aveva appena visto. Doveva guardare di nuovo, per convincersi che non si stesse sbagliando. Era peggio di quello che pensava. Si ricordò del video-assassino di cui tutti parlavano. Se Wilbur uccideva un poliziotto, non poteva essere una prova abbastanza buona che lui potesse essere il video-assassino? E non era una conferma che quel bastardo avesse ucciso anche Bond? Ivy pensò
al giubbotto con la macchia rugginosa di Slice nello scantinato di Wilbur e si rese conto che quella sul giubbotto del teppista non era ruggine ma sangue. E doveva essere sangue quello sui pantaloni che aveva recuperato dall'immondizia di Wilbur. Devo chiamare la polizia, pensò. Anche se non l'avrebbero creduto, doveva provare. Stava per alzarsi quando sentì Wilbur uscire di casa. Ivy si accovacciò e guardò di sottecchi oltre il bordo del paraurti. Wilbur si stava dirigendo al posto di guida, continuando a guardare per tutto il tempo verso la finestra di Ivy. Probabilmente sta progettando come prendermi, pensò Ivy mentre camminava carponi sul retro della macchina. Wilbur entrò ed accese il motore. Ivy si ritrovò la faccia nel gas di scarico e dovette mettere la mano sulla bocca per non tossire. Ivy non sapeva cosa fare. Doveva tornare a casa e chiamare la polizia? O doveva seguire Wilbur? Con la tempesta c'era abbastanza neve sulla strada perché lui potesse sciare lungo la strada dietro la macchina di Wilbur tenendosi al paraurti posteriore. Come la scivolata per le scale aveva già dimostrato, le suole delle sue scarpe da ginnastica erano abbastanza consumate da consentirglielo. Wilbur accese le luci della macchina e Ivy fu inondato dal rosso dei fanalini di coda. Doveva prendere una decisione velocemente. Se era l'agente Cote sul sedile posteriore, doveva essere ancora vivo. Se Wilbur era il video-assassino, probabilmente aveva programmato di assassinarlo e filmarlo come Ivy aveva sentito. Il pensiero di Wilbur violentato nel video balenò nella mente di Ivy, e si domandò come non avesse notato prima una connessione. Se Ivy fosse andato a chiamare la polizia non gli avrebbero creduto, e l'agente Cote sarebbe morto. Ma se Ivy seguiva Wilbur, poteva avere una possibilità di soccorrere il poliziotto o almeno distrarre Wilbur fino a quando i poliziotti alla stazione non avrebbero capito che uno dei loro ragazzi era sparito. La Bonneville iniziò a muoversi. Ivy prese una decisione e si aggrappò al paraurti. CANALE 24 Dire la Verità Operazione Wilbur - Parte III Ossessione!
Una Seconda Possibilità in Amore Complicazioni Confessioni Sincere La Vendetta di Ivy Bill Gage fu di ritorno a Crocker alle 8:45 di sera. Percorse la superstrada il più velocemente possibile nella tempesta, ma senza riuscire a superare il limite di velocità. Si diresse diritto alla stazione dopo aver preso l'uscita per Crocker Fichtburg dalla Route 2. Per tutto il tempo, mentre guidava, un pensiero si ripeté ossessivamente nella sua mente: Frank Starkovski era il video-assassino. Doveva essere così. Se l'assassino era un poliziotto, come diceva Sassy, doveva essere Starkovski. In maniera irrazionale, scartò mentalmente tutte le altre prove che erano state compilate fino a quel momento, inclusa la sua recente scoperta sul movente del colpevole. Nessuna di queste prove portava a Starkovski, ma nel suo stato, Bill non voleva sentirsi dire che aveva torto. Voleva solo sangue. Sassy aveva identificato un poliziotto. Se non era Starkovski, era comunque un buon punto di partenza. MaBill aveva una sensazione viscerale. Sapeva che era Starkovski. Mike Mahoney era ancora alla stazione quando Bill arrivò. Bill irruppe nell'ufficio, senza fiato. «Ce l'abbiamo,» disse Mahoney, prendendo in contropiede Bill. «Cosa? Sai che è stato Starkovski?» gridò Bill. Questa volta toccò a Mahoney essere preso in contropiede. «Starkovski? No. Il nome del colpevole è Wilbur Clayton. Qualcuno ha chiamato per denunciarlo di molestie sessuali, ma il telefonista ha pensato che fosse uno scherzo e non mi ha passato la telefonata. Ha mandato l'agente Cote a controllare. Quando l'agente non ha fatto rientro per l'ora della verifica, è stata mandata un'altra macchina ed ha trovato la macchina di Cote davanti la casa di Clayton. L'agente è entrato ed ha trovato il luogo sottosopra eccetto una stanza molto pulita. Nella casa c'erano copie di videocassette con gli stessi titoli dei nastri del video-assassino. C'erano anche delle riviste e della posta con il logos dei Tunnelvision Studios e del NAMBLA. Hanson ha chiamato una squadra per farsi aiutare a rastrellare il posto. Inoltre Larken ha ricevuto un rapporto dell'FBI sui Tunnelvision Studios, diretti da Joseph Dreybeck, ultimo indirizzo conosciuto, Keene, New Hampshire. Hanno mandato una lista di film confiscati, ed uno di essi si intitola Fumando nel-
la Stanza dei Ragazzi. Secondo il riassunto che i federali hanno allegato, il film mostra un ragazzino nudo torturato con una sigaretta accesa. Poco fa è arrivato anche un rapporto sulla denuncia di una coppia scomparsa, gli Smith, fatta dalla sorella della signora Smith. Sta per arrivare per vedere le foto, ma la cosa interessante è che gli Smith abitano proprio dietro Wilbur Clayton. Dieci ad uno che sono la sfortunata coppia del nastro.» Bill si rifiutava di crederci, anche di fronte ad una simile prova. «Non è lui!» affermò irremovibile. «Sassy è uscita dal coma e le ho parlato. Lei ha visto l'assassino. Ha detto che era un poliziotto! Deve essere Starkovski! È per questo che lasciava trapelare le informazioni - per nutrire il suo ego contorto e farsi gioco di noi... Combacia tutto!» disse Bill, con voce tesa. «Bill,» gli rispose Mahoney con calma e lentamente, «non è Starkovski.» «Ma Sassy ha visto un poliziotto...» «Lo so. Lo so.» Mahoney sollevò la mano per interrompere Bill. «Wilbur Clayton lavora come guardia del servizio di sicurezza dell'Ospedale di Crocker nel turno dalle undici alle sette.» Bill ricominciò a protestare, poi si fermò. Una guardia del servizio di sicurezza dell'Ospedale di Crocker! Le loro uniformi erano le stesse del Dipartimento di Polizia di Crocker. In effetti, i loro distintivi li identificavano come Ausiliari della Polizia di Crocker, ma Sassy non poteva essere a conoscenza della differenza. «Oh, merda,» gemette Bill. Si sentiva un'idiota. «Va tutto bene,» disse Mahoney. «Tu hai il diritto di giungere a delle conclusioni. Avrei fatto la stessa cosa in queste circostanze. L'agente Cote non è ancora tornato né ha fatto rapporto.» «Vuole un poliziotto,» disse Bill a bassa voce. «È per questo che mi stava dietro.» «Ho chiamato il capo del servizio di sicurezza dell'ospedale, che ha controllato tra le guardie del turno dalle tre alle undici. La macchina di Clayton è parcheggiata dietro l'edificio dell'Ala Est, che è abbandonato. Levi avrebbe dovuto controllarlo prima, quando ispezionava i siti industriali abbandonati, ma poiché l'ospedale lo utilizza come magazzino, non pensava fosse un posto plausibile per lo studio del colpevole. «Clayton dovrebbe entrare in servizio alle undici, quindi non penso che andrà da qualche altra parte, specialmente con questa tempesta. Il capo del servizio di sicurezza ed un ingegnere della manutenzione ci incontreranno in ospedale con le piante dei piani dell'Ala est. Delle volanti si stanno già
dirigendo là, quindi sarà meglio che andiamo anche noi.» Sulla strada per l'ospedale, Bill, desolato, si scusò per essersi fatto prendere la mano, ma Mahoney lo ignorò. Bill continuò a spiegare quello che aveva immaginato: l'assassino si stava vendicando su categorie professionali, assistenti sociali, insegnanti, dentisti, e così via, che non avevano voluto vedere che qualcuno stava abusando di lui. Mentre parlava, si ricordò che Grace Simonds ed il suo bello erano stati visti parcheggiati vicino l'ospedale la notte in cui fu uccisa. Combaciava con tutto quello che Mike gli aveva detto, e l'attacco a Cote consolidava la sua tesi. Ivy si accovacciò dietro la Bonneville mentre la macchina si fermava dietro l'Ospedale di Crocker. In un primo momento, sciare dietro la macchina di Wilbur era stato divertente. Ma ben presto la neve fredda sulla faccia e sugli occhi era diventata una tortura. Si era dimenticato i guanti ed era stato costretto a stringere il gelido paraurti cromato con le mani nude. Una volta, quando la macchina aveva accelerato, aveva perso l'equilibrio ed era stato trascinato sulla pancia per alcuni metri, bagnandosi il cappotto ed i pantaloni. Alla fine la macchina si era fermata ad uno stop ed era stato in grado di rimettersi dritto. L'aveva quasi perso poco prima di Hospital Hill. Wilbur spense le luci ed il motore. Ivy tolse le dita, ghiacciate e doloranti per i crampi, dal paraurti, incapace di distenderle. Wilbur aprì la portiera della macchina e scese. Non c'era nessun posto dove Ivy potesse nascondersi. Non aveva scelta. Afferrò di nuovo il paraurti con le mani doloranti e si tirò sotto la parte posteriore della macchina. Trattenne il respiro guardando i piedi di Wilbur passare dietro la macchina fino alla portiera dall'altro lato. Con grande difficoltà Wilbur tirò giù dal sedile posteriore il poliziotto svenuto (almeno così sperava Ivy) o morto. Sostenendolo come aveva fatto prima, Wilbur portò il poliziotto verso una solida porta metallica ed entrò nell'ospedale. Esausto, Ivy rimase al riparo sotto la macchina, alitando aria sulle dita ghiacciare, e contò cinque minuti in silenzio prima di seguirlo. La porta antincendio era tenuta socchiusa con una zeppa di legno. L'aprì ed entrò in una tromba delle scale buia. Ivy poté intravedere un pianerottolo oscuro una dozzina di gradini più in alto. Da lì partivano altri gradini. Sulle pareti del pianerottolo intravide delle parole misteriose scritte in arancione ALA EST I, dicevano. Una freccia sottostante puntava verso la rampa di scale successiva.
Chiuse la porta con cautela ed ascoltò. In lontananza, sentiva dei passi pesanti, una porta che si chiudeva. Con cautela, salì le scale fino al primo pianerottolo e svoltò fino alla rampa successiva. Si fermò e scrutò nel buio pesto. Aspettandosi che Wilbur balzasse fuori dal buio su di lui in qualsiasi momento, Ivy si arrampicò per la seconda rampa di scale fino al pianerottolo successivo. Qui c'era una grande porta rossa di metallo con una finestrella nel mezzo. Come nel pianerottolo intermedio, anche qui c'era la scritta arancione ALA EST I, ed anche in grigio sulla porta. Spinse la porta. Era chiusa a chiave. La tromba delle scale era fredda, ed Ivy si poggiò contro la porta per alitare sulle dita intorpidite nel tentativo di riscaldarle. Pensava che sarebbe stata una fortuna se non gli venivano i geloni. Anche i suoi piedi erano intorpiditi dopo essersi ricoperti di fanghiglia lungo le strade innevate. L'umidità aveva impregnato le sue scarpe da ginnastica fino ai calzettoni. Di fronte alla porta le scale proseguivano. I suoi denti battevano. Ivy le risalì fino ad un altro pianerottolo intermedio, poi fece un'altra rampa fino al secondo piano, segnato con ALA EST II. Anche questa porta era chiusa a chiave. C erano altri gradini che salivano fino ad ALA EST III, pensò. Ivy salì fino al pianerottolo intermedio tra il secondo ed il terzo piano e dovette fermarsi per riposare. Le sue gambe erano ancora traballanti per lo sci dietro la macchina e le scale si stavano prendendo le poche forze che gli erano rimaste. Anche il suo zaino non era d'aiuto. Sembrava pesare venti libbre di più. Benché nella tromba delle scale facesse leggermente più caldo dell'esterno, la temperatura era ancora troppo fredda per scaldare le mani ed i piedi gelati. Ivy fece scivolare lo zaino dalle spalle e si inginocchio sul pianerottolo di cemento freddo. Sembrava che ci fosse ancora una sola rampa da salire. Il terzo piano era quello più alto. Guardò attentamente nel buio e si chinò, appiattendosi contro il pavimento. L'uscita d'emergenza del terzo piano era tenuta socchiusa con un pezzo di legno simile a quello della porta in basso. Attraverso lo spiraglio, poté intravedere Wilbur che camminava lungo il corridoio, portando il poliziotto sulle spalle, come un pompiere. Ivy avanzò sulla pancia fino al gradino in fondo. A quattro zampe, risalì gli ultimi dodici gradini, fermandosi ad un gradino dalla cima dove rimase sdraiato contro il bordo a guardare al livello del pavimento. Un istante dopo la stanza ed il corridoio s'illuminarono prima che la porta si chiudesse. Ivy si alzò e fece l'ultimo gradino. Dell'aria leggermente tiepida soffiò su
di lui attraverso l'apertura della porta. Tenendo il petto e la guancia contro la parete di cemento ghiacciato, scivolò verso la porta e guardò dentro. Il corridoio era lungo e fiocamente illuminato da una luce che trapelava dalla stanza. Il resto del corridoio e le stanze allineate sembravano vuote, buie, abbandonate. Ivy spinse la pesante porta quel tanto che gli fu sufficiente per passarci e la richiuse lentamente contro la zeppa. Il corridoio fu improvvisamente inondato da una luce chiara, ed Ivy sentì una porta aprirsi. Si buttò sulla destra, infilandosi in un recesso nella parete accanto alla porta, dove un armadietto di vetro conteneva un estintore. Un istante dopo il buio tornò mentre la porta si chiudeva con uno scatto e sentì dei passi allontanarsi lungo il corridoio. Ivy tirò fuori la testa. Poteva a malapena intravedere la sagoma di Wilbur che camminava lungo il corridoio. A metà strada fra lui e Wilbur, Ivy poteva vedere risplendere una luce da sotto la porta dalla quale era uscito Wilbur. Lungo la parete accanto alla porta correva una serie di grandi finestre, con delle veneziane abbassate ma dalle quali trapelava una luce intorno ai bordi. Un rumore metallico, forte e terrificante, gli fece rientrare la testa. Poi cessò e guardò di nuovo fuori. Wilbur era all'ascensore. La luce l'inondò mentre l'ascensore si apriva. Vi entrò e le porte si chiusero alle sue spalle, facendo tornare il corridoio nella semioscurità. Ivy capì che era giunto il momento di agire. Wilbur doveva aver lasciato il poliziotto nella stanza illuminata. Corse lungo il corridoio fino alla porta e rimase, con l'orecchio sul legno, in ascolto. Non sentiva niente. Andò fino al bordo della prima grande finestra per guardare dentro la stanza, ma non riuscì a vedere altro che una luce accecante. Tornò alla porta, afferrò la maniglia, e l'aprì. La luce era così intensa che gli fece lacrimare gli occhi. C'era un riflettore su un tripode in un angolo di fronte alla porta. Ivy entrò nella stanza, fuori asse dalla luce. Per alcuni istanti alcune macchie verdi ed arancioni gli fluttuarono davanti gli occhi. Lentamente recuperò la vista, e vide che c'erano dei riflettori illuminati in ogni angolo della stanza. Nessuna finestra della stanza si affacciava all'esterno, ma solo sul corridoio ed in una stanzetta che comunicava attraverso il muro portante, con una targa d'ottone che l'identificava come SALA DELLE INFERMIERE. È un vecchio nido come quello dell'Ospedale Militare, si rese conto Ivy, ricordandosi una visita ad una vicina che aveva avuto un bambino quando vivevano ancora a Fort Devens. La stanza era piena di roba coperta da tele
incatramate e lenzuoli bianchi. In fondo alla stanza c'era un tavolo di metallo con quello che sembrava un corpo sotto un lenzuolo. Ivy corse al tavolo, cercando di non inciampare in tutti i fili ed i grossi cavi neri che erano sparsi per il pavimento. Si morse le labbra e tirò via il lenzuolo. Non riuscì a trattenere l'urlo che gli sfuggì dalla bocca. Era l'agente Cote. Ivy poteva vedere il resto della faccia che non era riuscito a vedere quando il corpo era sul sedile posteriore della macchina di Wilbur. Alla vista della ferita che correva dalla fronte dell'agente Cote attraverso l'occhio destro per finire in mezzo alla guancia destra Ivy non poté trattenere l'urlo. OSSESSIONE! Calvin Klein. Una bottiglia di profumo fallica. Sorrisi perversi, tabù insinuati. Non come al Club dell'Espiazione. Là, si parla di pelle nuda martoriata ed acciaio brandito con violenza - l'espiazione di coloro che non hanno saputo servire e proteggere. L'1-800 GESÙ che corre lungo il bordo dello schermo è il numero per le donazioni e le preghiere sanatrici. Gesù compie un miracolo mentre parla di spargere il sangue del poliziotto. Roba rossa comincia a volare dalla sua bocca, macchiando l'interno del vetro. «Avrò bisogno del Bounty per quegli schizzi, Rosie!» Gesù è Jimmy Swaggart prima della sua fine, quando era solito toccare Nonna con le mani del Salvatore attraverso la tunnelvision. «Il testamento dell'espiazione è quasi compiuto,» dice Jimmy/Gesù. Un poliziotto. Un'infermiera. Un dottore. Wilbur vuole abbassare il volume. La voce di Gesù è talmente piena di gemiti da essere irritante. A lui non importa. Si siede e sopporta senza protestare, senza fare commenti. Tutti guardano, tutti sono in primo piano. «La prossima sarà l'infermiera,» dice Gesù. Tutti aspettano che lui sbotti. Ma lui non lo farà. «No. Lei non è come gli altri.» «Lei è come tutti gli altri. Lei è peggio. Tutto quello che vuole è fare delle porcherie. Lei non capisce. Lei non ti aiuterà.» «Sì, lo farà. Lei è diversa. Io glielo mostrerò e voi vedrete.» «Tutto. Mostrale tutto.» «Lo farò,» dice di nuovo, meno energicamente. «E se lei non saprà aiutarti, noi gli mostreremo il resto.»
Beth Shell finì di cenare nel bar dell'ospedale, raccolse il cappotto e la borsa, e si diresse verso il dormitorio per preparare un borsone per le vacanze. Aveva appena terminato una giornata di quattordici ore, coprendo mezzo turno di un'altra ragazza in aggiunta al suo lavoro dalle sette alle tre. Suo padre sarebbe arrivato a prenderla alle nove, ma quando vide la tempesta infuriare fuori, si domandò se sarebbe stato in grado di attraversarla. Pensò che non le sarebbe dispiaciuto molto se non ce l'avesse fatta. Anche se era una noia pensare di trascorrere il Natale al dormitorio da sola, era ugualmente deprimente pensare ad una settimana trascorsa nella casa dei suoi genitori ascoltandoli mentre litigavano. Si abbottonò il cappotto e avvolse con cura la sciarpa intorno al collo prima di affrontare la tempesta. Il sentiero che portava al dormitorio era già sotto tre piedi di neve e le previsioni dicevano che ci sarebbero stati altri sette pollici, ma lei seguì il sentiero meglio che poté. Arrancò a fatica, con le spalle ricurve, le mani inguantate in tasca, cullata dal fruscio dei suoi stivali nella neve profonda fino a quando non si sentì chiamare per nome. L'area tra l'ospedale, la scuola per infermieri, ed il dormitorio era ben illuminata da lampioni alogeni, ma Beth non riuscì a vedere nessuno, e la tempesta rendeva difficile capire da che parte provenisse la voce. «Beth! Da questa parte!» Lei si girò verso sinistra, scandagliando il parcheggio in quella direzione, poi a destra dove faceva capolino l'Edificio Amministrativo da dietro la sezione più nuova e principale dell'ospedale. Dietro di esso lo slargo di pini scuri del Santuario di Audubon che copriva il resto di Hospital Hill. C era qualcuno all'angolo dell'Edificio Amministrativo che fece un passo nella luce. Era Wilbur. Gli fece un cenno ed improvvisamente sparì nell'ombra. Per un istante pensò che se ne fosse andato o che avesse immaginato di vederlo, ma poi la sua faccia e le braccia furono di nuovo nella luce, chiamandola e facendogli dei cenni. Non sapeva cosa fare. Dio sapeva se non si era immaginata il loro successivo incontro almeno un milione di volte - tante quante aveva ripensato a quello che era successo in macchina quella mattina - ma si aspettava che se mai ci fosse stato un altro riavvicinamento, sarebbe stata lei quella che avrebbe fatto il primo passo perché non pensava che Wilbur l'avrebbe mai fatto. Ma adesso lui lo stava facendo e questo lo sorprendeva.
Il suo strano comportamento ed il rifiuto di lei ad High Rock Road la settimana scorsa erano ancora un'offesa bruciante. Ogni volta che ci pensava, si sentiva così imbarazzata che avrebbe voluto fuggire su una vetta deserta da qualche parte per vìvere i suoi giorni come un'eremita. La sua prima reazione, oltre ad un duraturo imbarazzo, era stata di rabbia. La rabbia si era placata in risentimento per averla messa in imbarazzo, perché lui pensava di essere migliore di lei. Queste non erano altro che reazioni di difesa, il suo io cercava di riparare il danno che quel rifiuto aveva causato. Quando la rabbia e il risentimento si furono placati, fu finalmente in grado di affrontare l'incidente obiettivamente. La verità era un'altra, Beth non pensava che il suo sfogo fosse necessariamente diretto contro di lei. L'aveva detto lo stesso Wilbur, anche se non aveva spiegato quello che era successo. Avrebbe quasi desiderato che fosse uno di quegli stronzi maschilisti a cui piaceva fare giochi celebrali; allora sarebbe stato facile odiarlo e dimenticarlo. Invece era dispiaciuta per lui. Wilbur ovviamente aveva dei problemi sessuali con profonde radici. Esitò sul sentiero, tormentata dall'idea se voleva o no provare a continuare la loro relazione. Il bisogno di continuare a camminare per far credere di non aver sentito era grande. Sentiva il pericolo del reale danno emotivo che avrebbe subito se si faceva coinvolgere da Wilbur. Ma se se ne fosse andata, sapeva che avrebbe distrutto ogni possibilità di rapporto che avevano. Sapendo quanto fosse timido Wilbur, Beth sapeva che gli era costato uno sforzo enorme cercarla. Era troppo presto per lui per entrare in servizio. Doveva essere venuto prima solo per parlarle. Se lei l'avesse ignorato adesso (e questa non sarebbe stata solo una vendetta infantile al suo rifiuto?), lui ne sarebbe stato abbattuto e non avrebbe più cercato di riavvicinarla. La questione era se fosse questo che voleva veramente. Wilbur era così carino, gentile, e tranquillo, ma le sue manifestazioni nella macchina avevano dimostrato che c'era qualcosa che non andava mentalmente ed emotivamente. Allora cosa voleva fare? Stava nella tempesta, esposta al pericolo di trasformarsi in una statua di neve se rimaneva immobile ancora un po' cercando di prendere una decisione. La parte di lei che aveva paura di essere ferita era unita alla parte che dubitava della stabilità mentale di Wilbur e le diceva di continuare a camminare; era meglio dimenticarlo. La sua parte solitaria di lei e la parte che era infatuata dell'aspetto triste e bello e degli occhi frenetici di Wilbur le
dicevano di andare da lui. Quello che la fece decidere fu il fatto che sapeva dentro di sé che Wilbur non aveva voluto ferirla intenzionalmente. Da ciò derivò la decisione che lui aveva bisogno di lei. Andò da lui. «Devo parlarti,» disse Wilbur non appena furono nella tromba delle scale dell'uscita d'emergenza dell'Edificio Amministrativo. «Va bene, Wilbur,» rispose. «Non devi spiegarmi niente se non vuoi.» «Sì, devo!» controbatté seccamente Wilbur. «È importante che ti faccia capire.» «Capisco, Wilbur. Va tutto bene, veramente.» «NO! Tu non capisci. Per favore. Vieni con me. Devo spiegarti... qualcosa. Devo... m-mostrarti q-qualcosa.» Sembrava sempre più turbato mentre parlava e cominciava ad inciampare sulle parole. «Va bene, va bene,» disse Beth, prendendogli il braccio. «Verrò con te.» Wilbur la condusse sotto le scale e attraverso un'altra porta e giù lungo uno stretto corridoio dove c'erano tubi del riscaldamento spessi ed allineati ricoperti d'amianto e trecce di fili tenute insieme da collari di metallo. Poi la fece passare attraverso la porticina in un corridoio lungo e scarsamente illuminato. Adesso Beth sapeva dove si trovava. Questo corridoio portava all'obitorio, agli ascensori dell'Edificio Ala Est, ed alla lavanderia dell'ospedale. Per un istante terrificante, Beth pensò che l'avrebbe portata nell'obitorio e gli avrebbe rivelato di essere un necrofilo o qualcosa di ugualmente strano e perverso. Fece un tenue sorriso di sollievo quando oltrepassarono l'obitorio e continuarono verso gli ascensori dell'Ala Est. Fu sorpresa che lui si fermasse e chiamasse gli ascensori. Gli lanciò uno sguardo interrogativo, ma lui non rispose. L'ascensore arrivò rumorosamente e lui le fece cenno di entrare. Luì la seguì, premendo il pulsante del terzo piano. «Perché andiamo lassù?» chiese Beth, indicando il pulsante del terzo piano. «Devo spiegarti delle cose. È una questione di vita e di morte...» rispose Wilbur, con la voce leggermente strascicata mentre fissava l'indicatore lampeggiante del primo piano, poi del secondo, mentre l'ascensore saliva. «Una questione di vita e di morte?» chiese Beth, notando per la prima volta una macchia umida sul cappotto nero. «Per chi?» Wilbur non rispose.
Doveva essere morto, pensò Ivy attraverso la gelida nebbia dello shock che stava invadendo la sua mente. Nessuno poteva avere uno sfregio come quello in testa e sopravvivere. In fondo alla ferita Ivy poteva vedere il biancore dell'osso. Guardarla gli faceva venire le vertigini ed il suo stomaco faceva su e giù. Lasciò ricadere il lenzuolo sulla faccia di Cote e si allontanò dal tavolo. Doveva chiamare la polizia! Inciampò su un cavo e cadde pesantemente sul sedere, battendo i denti e vedendo per un istante le stelle. Un raccapricciante rumore, rugginoso ed acuto, lo fece sobbalzare dalla paura, e cercò una via di fuga. Si rese conto che era l'ascensore in fondo al corridoio che stava tornando. Questo significava che Wilbur il Pazzo stava tornando. Doveva nascondersi. Corse alla porta della sala delle infermiere e scivolò nella stanzetta buia, chiudendosi la porta alle spalle. Scivolò fino alla prima finestra per guardare nel nido di sottecchi attraverso il bordo delle veneziane chiuse, ed aspettò. Sentì le porte dell'ascensore aprirsi, poi richiudersi. Seguirono più di un paio di passi, che riecheggiarono nel corridoio. Si stavano avvicinando. Ivy si premette contro la parete, cercando di vedere meglio attraverso la fenditura al bordo delle veneziane. Ascoltò con crescente aspettativa il rimbombare cupo dei passi che si avvicinavano. Ivy si domandava chi ci fosse con Wilbur. Aveva un complice? I passi raggiunsero il nido e la porta si aprì. Sentì una voce femminile esclamare dalla sorpresa per il fulgore delle luci. Un istante dopo vide Wilbur condurre nel nido una graziosa biondina con un cappotto blu marina. Wilbur le sistemò una sedia pieghevole in mezzo alla stanza e le disse di sedersi. Un attacco di tremore, provocato dal freddo e dalla paura, s'impossessò di Ivy che fu costretto ad allontanarsi dalla finestra per paura di far vibrare le tende. Continuava a balenargli davanti agli occhi la faccia dell'agente Cote ed ebbe voglia di piangere. Doveva uscire da lì e chiamare la polizia, pensò di nuovo. Ma la ragazza? Perché l'aveva portata lassù? Era una complice o la prossima vittima? Ivy non poteva lasciarla là con Wilbur il Pazzo fino a quando non se ne fosse accertato. Beth sbatté gli occhi pieni di lacrime, cercando di abituarli alla luce incredibilmente violenta nella stanza. C'erano quattro potenti riflettori su dei tripodi sistemati ad ogni angolo della stanza, che fornivano troppa luce per
un occhio normale. Si stava innervosendo. Guardando nella stanza le luci e tutti quei grossi oggetti ricoperti da lenzuoli le tornarono in mente e si accrebbero i suoi dubbi sulla sanità mentale di Wilbur. Si disse di essere paranoica e sciocca. Wilbur doveva avere una ragione molto buona per averla portata lì e per avere sistemato le luci in quel modo. Gliel'avrebbe spiegato e lei avrebbe saputo di essersi spaventata senza motivo. Si sedette sulla sedia pieghevole di metallo che le aveva sistemato in mezzo alla stanza, notando per la prima volta tutti i cavi e fili sul pavimento. I suoi occhi si abituarono alla luce anormale, mentre si toglieva e scrollava di dosso la neve dal cappello, dai guanti e dalla sciarpa e si guardava intorno. Si domandava cosa fossero tutti quegli oggetti ricoperti, ma non a lungo perché Wilbur cominciò a camminare per la stanza scoprendoli. Alla sua sinistra, tirò via un lenzuolo da una telecamera su un cavalletto. Accese la telecamera e tolse un altro lenzuolo da una telecamera simile alla sua destra. Dietro di lei, scoprì altre due telecamere e tolse un telo di plastica da un grande oggetto irregolare per rivelare due ombrelli riflettenti da fotografo. Un oggetto alto quasi sette piedi, dalla forma quadrata quando scoperto si mostrò essere una serie di nove televisori accatastati in file di tre uno sull'altro contro il muro in fondo. Davanti ai televisori un altro oggetto, una volta scoperto, rivelò essere una specie di pannello di controllo per l'equipaggiamento della stanza, poiché tutto era collegato ad esso. Grazie alle luci, ed agli ombrelli riflettenti alle sue spalle, la stanza stava diventando sempre più calda. Si sbottonò il cappotto, guardando Wilbur in maniera interrogativa, ma lui distolse gli occhi e scoprì un tavolino sul quale erano sistemate un'ascia, una sega, una torcia portatile di acetilene, e svariati coltelli. Solo una cosa era rimasta coperta nella stanza e a Beth decisamente non piaceva il suo aspetto. Sembrava una barella. Il profilo del lenzuolo ricordava sospettosamente un corpo. Si disse di essere pazza, che aveva visto troppi film dell'orrore, ma si domandò perché Wilbur non avesse scoperto anche il tavolo. «Wilbur, adesso voglio andare,» disse Beth, alzandosi e mettendosi il cappotto, cercando di non far sentire a Wilbur la paura nella sua voce. «Per favore, Beth. Per favore,» disse Wilbur, a bassa voce. «Rimani e lasciami spiegare.» Sembrava così calmo, così sincero, ma così inquieto, così bisognoso di lei. «Va bene.» Si risedette.
Wilbur cominciò a camminare davanti alle televisioni accatastate. Sembrava lottare per trovare il modo di dire quello che voleva tanto che lei ascoltasse. Il cuore di Beth gli fu vicino, ed abbandonò la paura ed il nervosismo. «Mia madre...» tentò di dire, la voce quasi un gemito, e si fermò. Lui la guardò, poi distolse lo sguardo, con la faccia rossa, che diventava sempre più rossa. Tremò e chiuse gli occhi. Quando parlò di nuovo, dalla sua bocca uscì una voce da bambino. Con un brivido di gelo, Beth la riconobbe come la voce che aveva sentito fuori dall'ufficio del servizio di sicurezza quella notte in cui Wilbur aveva detto che stava guardando la televisione. Adesso si rese conto che nell'ufficio del servizio di sicurezza quella sera non c'era nessuna televisione. «Mia-madre-non-è-mia-madre e mi fa male,» la voce del bambino disse attraverso la bocca di Wilbur. «Lei e Joey mi fanno fare delle cose. Brutte cose. Fanno venire Gesù.» Wilbur stava piangendo e Beth non sapeva cosa fare. Era lacerata tra il desiderio di abbracciarlo ed il desiderio di fuggire via perché adesso non aveva più dubbi, Wilbur era veramente, veramente, veramente fuori di testa. Wilbur la guardò, ed il terrore ed il dolore sulla sua faccia erano così intensi che lei quasi non riusciva a sopportarlo. «Per favore,» disse con la sua vocina da ragazzo che faceva torcere il cuore. «Li fai smettere?» Le lacrime gli rigarono la faccia. I suoi occhi supplicavano. Beth era turbata. Emozioni in conflitto tra loro minacciavano di rovesciarsi fuori tutte insieme. Sentiva una tale empatia per Wilbur che avrebbe voluto piangere con lui, abbracciarlo e consolarlo, anche se non capiva di cosa stesse parlando. Allo stesso tempo, la stava spaventando a morte. Sentiva un crescente senso di terrore. Le telecamere, le luci, le televisioni, e gli strani cambiamenti della sua voce le fecero perdere l'autocontrollo e cadere in uno stato di totale confusione. C'era qualcosa nell'equipaggiamento video che sapeva doveva temere, ma nel suo stato confusionale, non ricordava perché. «Non... non... so... di cosa stai parlando, Wilbur,» disse lei. Il cambio di voce successivo di Wilbur fu così repentino e drastico che fece saltare Beth dalla sedia. «Ti ho detto che non è diversa dalle altre!» gridò, gli occhi fiammeggianti ed un ghigno sulla faccia.
«No.» rispose Wilbur a se stesso, guardandola con rinnovata paura negli occhi. «Non le ho detto tutto. Tu hai detto di dirle tutto!» «Wilbur?» disse Beth con voce tremante. Wilbur corse al pannello di controllo. Diede un colpo ad alcuni interruttori e gli schermi delle televisioni si riempirono di una luce bianca palpitante. Colpì un altro interruttore e su ogni televisione apparve la propria immagine, in piedi davanti al muro di schermi. Dalla telecamera che lo riprendeva mentre stava davanti alle televisioni, l'immagine risultante era un numero infinito di Wilbur in piedi davanti un infinito numero di schermi. L'effetto diede inizio ad una pulsazione da mal di testa in mezzo agli occhi di Beth. Wilbur puntò la propria immagine sul primo schermo nella fila più bassa. «Questo è Fratello John. Gesù l'ha ucciso nel bagno,» disse Wilbur. «Ha il suo canale ed il proprio talk-show, ma non mi piace guardarlo.» Beth fissava lo schermo, e la sua gola si seccò. Avrebbe voluto credere che le stesse facendo un brutto scherzo, ma non era così. «Questa è Debbie. Anche lei adesso è su Tunnelvision. Gesù l'ha uccisa in un filmaccio truculento cinque anni fa. Questo era quello che Mary-nonMadre e Joey volevano fare a me e Gesù, ma lui li ha fatti fuori per primo,» spiegò Wilbur come se tutto avesse un senso, puntando per tutto il tempo se stesso che puntava se stesso, eccetera eccetera, nell'infinito secondo schermo. Beth rabbrividì. Si sentiva la testa leggera. Wilbur stava puntando un'altra immagine multipla di se stesso. Scappa! una voce pressante urlò dentro Beth. Cercò di indietreggiare ma inciampò contro la sedia e per poco non cadde. «Questa è nonna. Lei si è presa cura di me. Mi ha insegnato la Tunnelvision e Gesù. Mary-non-Madre mi ha detto che è morta, ma non è vero. Lei ha il suo canale personale sulla mia Tunnelvision ed è diventata una tunnel-evangelista. Prima di morire mi ha detto di andare dagli adulti e di dire loro che Mary-non-Madre non si è presa cura di me nella maniera giusta. Io ho cercato di dirlo loro, ma non mi hanno ascoltato. Loro non hanno aiutato Gesù. Adesso devono essere uccisi per espiare i loro peccati di omissione.» La parola uccisi la colpì come uno schiaffo in faccia. Aveva detto uccisi. Non c'erano dubbi. Aveva sentito correttamente, sapeva che era così. La voce allarmata nella sua testa gridò ancora più forte di andarsene subito! I suoi occhi corsero fino al tavolo chirurgico. Notò qualcosa che non a-
veva notato prima - una larga macchia rosso scuro del lenzuolo su qualcosa che aveva la forma di una testa. La sua confusione all'improvviso si ricompose, e sperimentò un istante di assoluta lucidità mentre tutti gli elementi andavano al loro posto. In quel momento di calma la sensazione di paura che aveva provato riguardo all'equipaggiamento, alla macchia che si stava allargando, ed ai discorsi di Wilbur su omicidi e film truculenti, si ricomposero portandolo ad una terrificante connessione che le contrasse il volto e le fece sentire vacillare le gambe come delle fisarmoniche. Wilbur era il video-assassino! Ivy guardava attraverso la fenditura al bordo delle veneziane, e diventava sempre più sicuro che la bionda là dentro con Wilbur non era una complice. Sembrava spaventata a morte per il comportamento di Wilbur il Pazzo. Se non fosse stato così terrificante, Ivy avrebbe considerato il comportamento di Wilbur ridicolo, il modo in cui continuava a cambiare le voci e a puntare se stesso sugli schermi. Anche se Ivy non riusciva a sentire tutto quello che Wilbur diceva, sentì quel tanto che poté confermargli il sospetto che Wilbur fosse l'omicida seriale conosciuto come videoassassino. Sembrava che la bionda fosse appena giunta alla stessa conclusione. Si era alzata dalla sedia, e guardava la porta come un animale messo all'angolo. Non andrà molto lontano prima che Wilbur la riprenda, pensò Ivy, a meno che non l'aiuti. Si tolse velocemente lo zaino e la giacca. I pezzi della pistola di gesso erano in fondo alla bisaccia, ma non si preoccupò di quelli. Aveva cercato di modificare la pistola per farla funzionare meglio, ma senza molto successo. Quello che cercava era il barattolo di vetro con lo Zip-Strip e la pistola a spruzzo piena di candeggina. Ivy tornò alle veneziane e guardò. La bionda era riuscita a scivolare dietro la sedia, un po' più vicino alla porta. Stava in piedi, stringeva nervosamente il cappello ed i guanti e lanciava furtive occhiate alla sua via di fuga. Sta per prendere il volo entro pochi secondi, pensò Ivy. Guardò il cappotto e allo zaino per terra, e si domandò se indossarli o meno. Quando la bionda avrebbe cercato di scappare, Ivy pensò che avrebbe potuto sorprendere o distrarre, forse perfino ferire, Wilbur in modo che lei potesse riusci-
re a scappare. Ma allora Wilbur lo avrebbe seguito e il cappotto ingombrante e lo zaino l'avrebbero rallentato. Dopotutto, doveva evitare Wilbur fino a quando la bionda non fosse riuscita a scappare per chiamare la polizia, giusto? Non avrebbe dovuto metterci troppo. Lo sperava almeno. Lasciò il cappotto e lo zaino per terra e si diresse verso la porta del corridoio. L'aprì completamente. Ivy mise la pistola a spruzzo nella cinta e svitò il tappo del barattolo di Zip-Strip. Mise silenziosamente il tappo per terra di lato e chiamò a raccolta le proprie forze non appena dietro la porta, fuori dalla visuale. Era pronto. Si disse di fare attenzione e di aspettare che la bionda fosse fuori e corresse verso gli ascensori prima di buttare il liquido su Wilbur. Sperava che Wilbur non fosse troppo vicino alla ragazza. Non voleva, per il troppo zelo, colpirla accidentalmente con quella roba. Andiamo, è giunto il momento, sollecitò silenziosamente la bionda, la gamba destra gli tremava per la troppa energia nervosa. Ogni secondo che passava e doveva aspettare sentiva il livello dell'adrenalina crescere. Andiamo! Andiamo! All'improvviso Ivy sentì urlare. Era Wilbur. Ivy colse parte della situazione, sentendo. «Te l'ho detto che è come tutti gli altri. Lei deve pagare come tutti gli altri.» La voce di Wilbur continuò, ma Ivy non gli prestava più attenzione. Sentì la ragazza gridare dentro la stanza, ed un istante dopo la porta venne spalancata. La luce esplose letteralmente nel corridoio. La bionda corse nel corridoio, passò davanti ad Ivy in direzione opposta agli ascensori. «Fermala!» Gridò Wilbur. Era solo a poca distanza da lei. Non appena gli passò vicino, Ivy entrò in azione, tenendosi allo stipite della porta con la mano sinistra dolente, e tenendo il barattolo aperto nella destra. Balzò nel corridoio, lanciando con un ampio arco lo Zip-Strip verso Wilbur. Il fluido gelatinoso catturò la luce luminosa della stanza alle spalle di Wilbur e per un attimo risplendette violacea, sospesa in aria, prima di infrangersi su spalle, collo, faccia e petto di Wilbur. L'urlo di Wilbur fu prima di spavento e sorpresa. La sua testa ebbe uno scatto indietro, le mani corsero a coprire la faccia, e lui perse l'equilibrio. Il suo movimento in avanti fu invertito e cadde per terra. Mentre il fluido caustico iniziava a penetrare e a fare il suo lavoro, Wilbur cominciò ad urlare dal dolore. In un primo momento i suoi urli scatenarono un attacco di paura a Ivy, ma ebbe anche un intenso e soddisfacente brivido di vendetta.
«Questo è per Bond, James Bond, bastardo!» gridò Ivy. Wilbur era per terra e si dibatteva, con le braccia sul volto, la voce che fluttuava tra grida e gemiti. Sentendo le urla la bionda, in fondo al corridoio, si fermò. Ivy la guardò, facendogli cenno con entrambe le braccia di continuare ad andare. Poi si voltò di nuovo verso Wilbur in tempo per vedere che stava lottando per estrarre la pistola dell'agente Cote dalla cintola. Ivy scagliò il barattolo sulla testa di Wilbur - la mancò - e scappò. «Corri!» gridò, dirigendosi verso la bionda. Lei lo guardò fino a quando nel corridoio non ci fu un'esplosione assordante e rimbombante. Ivy sentì qualcosa gemere sulla sua testa ma non rallentò. «Corri!» gridò alla bionda, ma lei si stava già muovendo. «La porta rossa,» gridò Ivy. «A sinistra!» La luce del nido forniva una visibilità più che sufficiente. Lei si diresse diritta là. «Chiama la polizia!» aggiunse Ivy prima che lei passasse la porta. Ivy raggiunse la porta e si fermò. Sentiva i passi della bionda rimbombare per la tromba delle scale. Così, tesoro, pensò. Corri e chiama la polizìa. Ivy si guardò alle spalle. Wilbur, ancora in ginocchio, aveva fatto esplodere il primo colpo. Adesso si stava alzando in piedi, ancora urlante, con una mano sulla faccia, e l'altra che stringeva la pistola. La bionda doveva avere la possibilità di andarsene e chiamare la polizia quindi lui non poteva seguirla per la tromba delle scale altrimenti Wilbur avrebbe potuto colpirla. Doveva trovare un'altra via d'uscita, e doveva farsi seguire da Wilbur. Si allontanò dalla porta, in mezzo al corridoio, e si rivolse verso Wilbur. Non sapeva cosa avrebbe fatto o detto fino a quando le parole non gli uscirono dalla bocca. «Hey! Rettile!» gridò. La pistola cominciò ad essere sollevata. «Tua madre fa la scorta ai camion della spazzatura!» urlò Ivy, iniziando ad un certo punto a ridacchiare. Non sapeva perché stesse dicendo una cosa così sciocca, ma era abbastanza spaventato ed emotivamente eccitato da essere isterico, e ragliò una risata incontrollata verso Wilbur che si avvicinava. La pistola era puntata. «Non è mia madre!» gridò Wilbur e fece fuoco. La pistola tremava convulsamente nella sua mano. Ci fu un'esplosione assordante ed il proiettile penetrò nel pavimento a cinque piedi da Ivy.
Ivy rise ancora più forte alla risposta secca di Wilbur ed al suo terribile proposito, ma lo sparo gli fece mettere le ali ai piedi. Corse in fondo al corridoio lontano dalla porta antincendio, da Wilbur e dall'ascensore, e vide che il corridoio terminava in una grande stanza con delle grandi finestre che si affacciavano sui boschi ed un sentiero tra pini fino alla scuola di infermieri. Alla destra vide una luce rossa: USCITA. Wilbur sparò ancora due volte all'impazzata verso Ivy. Sembrava essersi dimenticato della bionda ed era tutto preso dalla caccia ad Ivy. Ivy era sicuro di aver colpito Wilbur negli occhi con lo Zip-Strip rovinandogli la mira, ma se si fosse avvicinato ulteriormente, poteva colpirlo. Corse fino alla porta d'uscita. Aveva una maniglia tonda a spinta con attaccato un cartello rosso e bianco: PORTA D'EMERGENZA! SUONARE L'ALLARME! Ivy diede una spinta alla maniglia e corse per la scala antincendio di metallo scivolosa che correva lungo la facciata dell'edificio. Era ricoperta di almeno un piede di neve e quando cercò di fermarsi le sue scarpe da ginnastica lisce gli scivolarono di sotto. Si salvò dal rotolare per tutte le scale all'ultimo secondo afferrando la ringhiera ghiacciata. Una fortissima sirena cominciò a suonare nell'edificio. Reggendosi alla ringhiera, nonostante il metallo ghiacciato, Ivy iniziò a scendere. In pochi secondi la neve accecante ed impetuosa finì di inzupparlo e maledisse la sua stupidità per aver lasciato il cappotto. CANALE 25 Mini-serie: Qui Tunnelvision! - V - Il Capitolo Finale Il capo del servizio di sicurezza dell'ospedale, la guardia del turno dalle tre alle undici, il capo ingegnere della manutenzione e l'ispettore infermiere del turno dalle tre alle undici stavano aspettando Mahoney e Bill nell'ingresso principale dell'ospedale. Come richiesto l'ingegnere della manutenzione aveva portato delle piante dell'edificio dell'ala est che riportava tutte le uscite, i tubi della ventilazione, l'impianto idraulico ed i cavi elettrici. Mahoney li mise a conoscenza della situazione ed avvertì l'infermieraispettrice che non avrebbe dovuto esserci nessuna interferenza con la normale routine dell'ospedale, perché era l'ora delle visite e sembrava che il sospetto fosse nella zona abbandonata. La informò di preparare la squadra
d'emergenza in caso di feriti. Lei si allontanò per occuparsi del suo lavoro mentre gli altri continuavano a guardare le carte dell'edificio aperte sul tavolo rotondo delle riviste in mezzo all'ingresso. Mentre il capo del servizio di sicurezza e l'ingegnere della manutenzione indicavano le possibili uscite dall'Ala Est, Mahoney comunicava via radio ai suoi uomini di prendere posizione in modo da isolare le vie d'accesso al retro dell'ospedale ed in particolare all'Ala Est. Secondo l'ingegnere ed il capo del servizio di sicurezza c'erano cinque uscite ad ogni piano dell'Ala Est, tranne che al primo piano, naturalmente, le cui finestre erano vicine al suolo. Ogni piano aveva un'uscita di sicurezza che portava ad una porta esterna sul lato nord dell'edificio, e quindi ad una scala antincendio esterna che scendeva lungo la facciata sud sul retro. Era possibile accedere ad ogni piano dagli ascensori, che erano ancora funzionanti, e da una scalinata che correva lungo la tromba dell'ascensore e che sbucava di fronte alla lavanderia dell'ospedale. Ogni piano aveva anche una porta e delle scale che portavano fino ad un tunnel che correva dall'edificio dell'Ala Est fino alla Scuola per Infermiere. «Che tunnel?» Mahoney e Bill chiesero quasi contemporaneamente. Sentivano che un altro pezzo del puzzle si stava mettendo a posto. L'ingegnere spiegò che il tunnel era stato costruito quando l'ospedale era in primo luogo una clinica universitaria. I rigidi inverni in cima alla collina esposta ai quattro venti avevano spinto a costruire il tunnel per permettere agli studenti di passare dal dormitorio alla scuola, e all'ospedale senza avventurarsi all'esterno. Conduceva anche alla stanza dell'impianto di riscaldamento. Una voce gracchiante alla radio portatile di Mahoney li interruppe. «Qui, Levy, signore. C'è del movimento al terzo piano dell'Ala Est. Una luce e rumori simili a colpi di pistola.» «Farò andare alcuni uomini all'Istituto per Infermiere, al dormitorio ed alla stanza dell'impianto di riscaldamento per coprire le uscite del tunnel,» disse Mahoney a Bill. «Dì alle altre unità di non avvicinarsi fino a quando Clayton non esce. Lo voglio io,» disse Bill. Mahoney annuì, gridando ordini alla radio. Non c'era bisogno che gli fosse detto perché. Bill si rivolse al capo del servizio di sicurezza. «Ci porti all'ala est, al terzo piano, il più velocemente possibile.» Con il tecnico della manutenzione, ed un paio di uomini armati di fucile di scorta, il capo del servizio di sicurezza dell'ospedale condusse Bill e
Mahoney fuori dell'ingresso. Tra il freddo e la paura, e lo sforzo fisico di correre per tre piani di scale, quando raggiunse la porta del piano terra Beth respirava a fatica. Corse fuori nella notte turbinante di neve proprio tra le braccia di un agente di polizia. Beth vide solo un'uniforme che si avvicinava e nel buio e nella tempesta accecanti pensò che Wilbur l'avesse presa. Iniziò ad urlare e a dimenarsi. Ci vollero più di tre poliziotti per calmarla prima che si rendesse conto di essere salva. Quando il dolore diventa terrìbile c'è bisogno di... Neve. La faccia gli bruciava. Gli sembrava che l'occhio destro si stesse sciogliendo. Riusciva a vedere solo un'indistinta macchia rossa, ma se cercava di chiuderlo il bruciore si moltiplicava per mille, mandando palle infuocate di dolore per tutto il cranio. Cadde in ginocchio sul pianerottolo più alto della scala antincendio, lasciò cadere la pistola e si gettò la neve, fredda e dolce, sulla sua faccia ustionata con entrambe le mani. È la freschezza della neve unita al gusto della resina! Dov'è? L'ira del Figlio di Dio è di distruzione assoluta. «Per favore abbi pazienza. Stiamo sperimentando delle difficoltà visive.» Il suo occhio guasto tinge di rosso la tempesta. Il sacro dolore viene scemato dalla neve ghiacciata, mentre comincia a scendere le scivolose scale antincendio, con la pistola di nuovo in mano. Lui grida ancora una volta, strappandosi la camicia dove il liquido caustico è finalmente penetrato, nelle spalle e sul petto. Cade fino in fondo alle scale e si getta a petto nudo su un mucchio di neve, gridando la sua rabbia alla notte ed alla tempesta. Ivy non aveva idea di dove fosse. Aveva attraversato la strada e iniziato a seguire un sentiero attraverso una zona poco alberata. Il sentiero conduceva verso una luce proveniente da un edificio oltre gli alberi. Non appena si fu inoltrato tra gli alberi, il sentiero scomparve velocemente, e presto si ritrovò la neve fino ai fianchi. La luce verso la quale si stava dirigendo si spense, e non poté più dire con certezza in quale direzione stesse andando. Il suoi abiti erano inzuppati. La neve era incollata alle sopracciglia ed al-
le ciglia e gli pungeva le guance. Aveva perso la sensibilità a tutte le estremità, e non riusciva più a sentirsi le orecchie. Cercò di correre con le mani infilate sotto le ascelle per riscaldarle, ma perse l'equilibrio e cadde dritto con la faccia nella neve, sparendo completamente sotto di essa. Ivy si alzò in piedi a fatica il più velocemente possibile, trattenne il respiro con un grido al freddo che l'inghiottì. Avanzava barcollando, sputando neve e cercando di scrollarsela di dosso. Si stava togliendo la neve dalle braccia e dai vestiti, senza guardare dove stava andando - non che nella nebbia turbinante potesse vedere qualcosa ed inciampò su qualcosa di tondo e duro che lo afferrò fino all'intestino ed alle ginocchia. Cadde di nuovo. Ivy cominciò a piangere. Non poteva farne a meno. Nell'urto si era fatto male, ed aveva tanto freddo. Gli doleva tutto per il freddo - un dolore pulsante e profondo che gelava le ossa. Borbottò attraverso le labbra intorpidite, maledicendo in maniera sconnessa l'ostacolo, ma si aggrappò ad esso per rialzarsi in piedi. La violenza dell'impatto aveva fatto cadere quasi tutta la neve. La cosa era una collinetta a forma di bolla di metallo con una ruota a quattro raggi in cima. Ricordò ad Ivy il portello di un sottomarino. Alle sue spalle ci fu uno scoppio. Ivy poté a malapena vedere la sagoma scura di Wilbur che lottava con la neve dietro di lui con la pistola puntata. Ci fu un lampo di luce ed uno altro scoppio. I colpi nella bufera non erano così forti come sembravano nell'edificio vuoto dell'Ala Est. Troppo infreddolito e stanco da poter andare avanti, Ivy afferrò la ruota di metallo e cercò di girarla. Le sue dita erano troppo intorpidite per poterla afferrare saldamente. Ci fu un altro lampo di luce ed Ivy sentì un lieve sibilo come se il proiettile avesse colpito la neve vicino a lui. Ivy afferrò di nuovo il metallo gelido, costringendo le sue dita insensibili a stringerlo con forza. Mentre la sensibilità tornava nelle sue mani ghiacciate sotto la forma di dolore insopportabile, urlò. Ivy urlò per resistere alla tortura, trovando nel dolore una fonte di adrenalina, e diede un affondo ulteriore per girare la ruota. Cedette. Le lacrime gli rigarono le guance ghiacciate, rise e pianse istericamente, la sua voce si perse nella bufera, ed aprì la botola. Ci fu uno scatto metallico e la botola fece un balzo di alcuni pollici, facendo cadere la neve, accumulata su di essa, nell'apertura. Ivy sapeva che rischiava di infilarsi in una trappola senza via d'uscita, ma non ce la faceva più a correre. Aveva talmente freddo, che le lacrime gli si ghiacciavano sulla faccia. La lotta con la botola e l'ultimo attacco i-
sterico gli avevano preso la poca energia che gli era rimasta. Riuscì a malapena a sollevare la botola, ma non riuscì a fermarla prima che si spalancasse completamente con un gemito rugginoso. Non c'era nessun altro posto dove andare e doveva uscire da quel freddo. Ad Ivy non piaceva l'aspetto né l'odore del buco. C'era una stretta scala a pioli che scendeva dentro il bordo nel buio sottostante. Non aveva altra scelta. Sollevando le gambe rigide ed i pantaloni inzuppati e reggendosi al bordo dell'imboccatura con le mani doloranti, iniziò a scendere la scala. Cercò di nuovo la maniglia della botola ma non riuscì a raggiungerla; il portello si era aperto troppo. Ivy ci rinunciò, lanciò un'ultima occhiata a Wilbur, e scese nel buio puzzolente. Bill fissava la luce dell'indicatore del piano e maledisse fra sé e sé la lentezza snervante del vecchio ascensore. Il gracchiare della radio di Mahoney ruppe la tensione dei pensieri di Bill. «Di nuovo Levy, signore. Abbiamo trovato una giovane donna che dice di essere appena sfuggita al sospetto. Dice che adesso sta inseguendo un giovane ragazzo nero che l'ha aiutata a fuggire. Sono al terzo piano. Passo.» Bill tirò fuori la pistola. Mahoney fece lo stesso e indicò uno degli agenti con il fucile. «Tu stai nell'ascensore con questi due,» disse, indicando i due impiegati dell'ospedale con un cenno della testa. «Premi il pulsante di fermata quando usciamo dall'ascensore e tieni l'ascensore qui per noi.» Puntò il mento verso l'altro poliziotto. «Tu seguici ma non essere troppo zelante con quell'affare. Non sparare a meno che non te lo dica io. Capito?» Il poliziotto annuì, gli occhi luccicanti dalla paura e dall'eccitazione. Le porte dell'ascensore si aprirono in un corridoio buio. All'improvviso una campana assordante cominciò a suonare. «Che cos'è» chiese Bill all'uomo della manutenzione. «L'allarme delle porte d'emergenza. Suonano se vengono aperte,» spiegò il tecnico. «Dove sono?» chiese Mahoney. «E dove portano?» aggiunse Bill. «La sola con l'allarme è quella in fondo al corridoio, che dà sul portico. Porta ad un'uscita di sicurezza esterna.» «Andiamo,» disse Bill. Andò nel corridoio, restando basso, e lo attraversò fino alla parete di fronte del corridoio. Mahoney e l'agente in divisa
rimasero alla parete vicina. Davanti, a quasi metà corridoio, potevano vedere una porta aperta dalla quale si riversava una luce intensa. Muovendosi alternativamente, coprendosi l'un l'altro, raggiunsero la porta aperta. Mahoney andò a sistemarsi alla sinistra dello stipite, Bill si buttò nella stanza. Mahoney lo seguì. Scandagliarono velocemente la stanza e pensarono fosse vuota fino a quando Mahoney non notò la figura sul tavolo coperta da un lenzuolo. Mahoney corse al tavolo e scoprì l'agente Cote. Prese immediatamente i battiti al collo e si portò la radio alle labbra. «Mahoney a Larken! Abbiamo un poliziotto ferito al terzo piano dell'ala est. Di' alla infermiera ispettrice di far salire immediatamente la squadra di soccorsa Passo,» abbaiò nel walkie-talkie. «Sì, signore! Passo,» rispose Larken. Fu immediatamente seguito da un'altra voce. «Levy a Mahoney! Il sospetto è all'esterno. L'abbiamo seguito ma è scomparso in una specie di cunicolo vicino al sentiero che conduce alla Scuola Infermieri. In qualche modo ha sprangato la botola dall'interno. Credo che anche il ragazzo sia laggiù. Passo.» Bill gridò all'altro poliziotto di portargli il tecnico della manutenzione. «Che mi dice di un cunicolo nel terreno a metà strada tra qui e la Scuola per Infermieri?» gridò Bill all'uomo. Il tecnico per un istante sembrò turbato per la veemenza di Bill, ma si riprese. «È l'uscita di emergenza dal tunnel.» «Qual è la strada più veloce per arrivare al tunnel da qui?» gridò Bill in risposta. «Da quella parte.» Il tecnico puntò una porta stretta dall'altra parte del corridoio, dietro la zona dove era la sala d'attesa per i padri dei neonati. «Quella porta conduce giù al tunnel.» Bill si girò verso il poliziotto. «Dammi la tua torcia e vieni con me. Tu prenditi cura dei tuoi uomini,» Bill disse aMahoney. «Io gli vado dietro.» «I miei uomini stanno entrando dall'altra parte del tunnel, io ti seguo non appena arrivano i medici,» rispose Mahoney. Bill non rispose ma corse verso la porta dall'altra parte del corridoio, varcandola seguito dal poliziotto. Difficoltà tecniche. Il telecomando non è più controllabile. Il telecomando è rotto. Tutto avanza velocemente o al rallentatore. Il volume è troppo forte, i colori sono
spariti - l'immagine è diventata una chiazza rosso sangue. I canali cambiano automaticamente. Solo aria stantia. Un film di cowboy ed indiani in sciami di puntini. Uno ad uno i canali si spengono nell'etere. Le trasmissioni giornaliere stanno finendo. La neve si scioglie sulla sua pelle, arrossandola, ed il calore rabbioso del suo corpo evita che si ghiacci di nuovo, facendola scendere in rivoli lungo la faccia ormai piena di vesciche, sul collo e sul petto. Segue il bambino nella bufera, con l'aria di un uomo appena emerso da una nuotata. Mentre cammina, si lamenta. La neve soffia sulla faccia e l'occhio sembra andare un po' meglio, ma solo perché questa rende il dolore semplicemente insopportabile e non sente più la voglia di implorare perfavore-punta-un-proiettile-nella-testa-e-uccidimi-a-sanguefreddo.La neve è dappertutto. In cielo. Nei suoi occhi. Sullo schermo della sua mente. Cow-boys ed Indiani. Indiani e Cow-boys. Risate che sfumano. «Cosa ti ricorda, Wilbur?» Una nuova voce, anzi una voce antica. Da dove viene? Tutti i canali sono spenti nell'etere. «Gesù?» Nessuna risposta. La neve si spinge fino al buco. È là che il coniglietto spaventato è andato, ah-ah-ah-ah-ah. Luce. Accecante. «Azione!» «No!» grida. Si arrampica sulla scala a pioli. Sagome catturate dal controluce delle orbite dei fari di una macchina corrono verso di lui nella tempesta. Ridiscende le scale, chiudendo dietro di sé la botola. Si toglie velocemente la cintura e ne infila un'estremità nella maniglia interna della botola e fissa l'altra sul piolo superiore della scala. Buio tutt'intorno. «Cosa ti ricorda, Wilbur?» «Non ascoltare,» sussurra. «Gesù tornerà, vero, Nonna?» Nonna se ne è andata, il suo canale è spento. Non gli piace il folle odore che cresce mentre si avvicina in fondo alla scala. «Cosa ti ricorda, Wilbur?» «Gesù? Torna,» geme Wilbur, sussurrando nel buio. I suoi piedi toccano
una superficie umida. Si trova di fronte un'enorme buio avvolgente in ogni direzione. Questo è il fetore della morte, densa come nebbia nell'aria nera, gli dicono quello che non vuole sapere: dove si trova. «No!» piagnucola. «Non è possibile!» Ivy incespica nel buio umido, l'acqua gocciola e filtra davanti e dietro di lui. Tiene la mano sul naso per non fiutare quel terribile odore. Due volte Ivy incespica su qualcosa nel buio, e per poco non cade in quella che deve essere almeno un pollice d'acqua gelata che copre in alcuni punti il pavimento del tunnel. Le sole cose che può vedere nel buio pesto sono il bagliore un po' più chiaro nella zona della botola e l'occasionale scintillio dei fiocchi di neve che scendono dall'imboccatura. Una dozzina di piedi dentro il tunnel ed anche quella luce scompare. Si ferma e si stringe a se stesso cercando di riscaldarsi un po'. Ascolta per cogliere qualche traccia di Wilbur che lo segue. Se non ha colpito Wilbur negli occhi con lo Zip-Strip è meglio che si dia da fare, perché il disgraziato potrebbe averlo visto entrare nella botola. Ma non sente niente alle sue spalle eccetto il regolare gocciolio dell'acqua. In tasca, Ivy ha il suo accendino Bic. Lo tira fuori a fatica dai pantaloni bagnati ed aderenti. Si accovaccia al buio e l'accende, riparandolo con la mano sia per riscaldarla che per proteggere la luce. Il fuoco vacillò sinistramente, oscillando in un disegno stabile. Continuò a tenere la mano intorno alla fiamma mentre si guardava intorno nel tunnel. Il pavimento, le pareti, il soffitto erano tutti di cemento. Il bagliore arancione della fiamma dipingeva i muri tondeggianti del tunnel e proiettava una lunga ombra di Ivy. Ivy puntò la fiamma verso la fine del tunnel. Un sacco di plastica nero dell'immondizia era nell'acqua a pochi piedi da lui. Ivy si avvicinò, e ad ogni passo la busta diventava sempre più familiare. Assomigliava a quelle che aveva visto mettere nel suo cassonetto da Wilbur. Si sporse in avanti, protese la luce con una mano tremante mentre apriva la busta con l'altra. Per poco non fece cadere l'accendino alla vista di quello che illuminava, e dovette soffocare un grido dirompente. Era la testa di Slice Sanchez che lo guardava con una paura congelata sulla faccia insanguinata. Da quello che Ivy poté vedere, sembrava che Slice fosse stato passato nel tritacarne. Il suo corpo era a pezzi. Negli abissi del cordoglio e della rabbia che aveva provato quando aveva trovato Bond morto ed aveva pensato che l'artefice fosse stato Slice, Ivy sarebbe stato
contento di vedere quel buono a niente di Slice ridotto in quel modo, ma adesso quella vista lo terrorizzava. Una cosa era immaginare simili violente atrocità contro un nemico odiato, un'altra era vederle nella realtà, da vicino. Ma la cosa più strana e sorprendente per Ivy, fu che provò pietà per Slice. Guardando la busta, Ivy riuscì a trattenere un attacco di nausea. Si girò cautamente. Adesso sapeva cos'era queir odore nel tunnel. Quello che lo turbava era che l'odore era in qualche modo troppo intenso, e non poteva provenire solo da Slice Sanchez. Una volta oltrepassato il corpo, Ivy lasciò che la fiamma si spegnesse e camminò al buio fino a quando il suo piede non colpì qualcosa che gli sembrò un altro sacco dell'immondizia. Cercando di tenere i nervi saldi, riaccese l'accendino. Era proprio come temeva. Ai suoi piedi, poggiati contro la parete del tunnel, da lato a lato, c'erano due sacchi, con la parte superiore parzialmente aperta. Da uno di essi saltò fuori un topo, facendo a sua volta saltare Ivy, che scappò dalla luce. In cima ai sacchi c'erano le teste insanguinate e decapitate dell'uomo e della donna che aveva visto entrare a casa di Wilbur in due diverse occasioni. Il resto dei loro corpi sembrava essere stato sistemato in pezzi sotto le teste allo stesso modo di quello di Slice Sanchez. Il tizio era quello che guidava il furgone che era ancora parcheggiato di fronte a casa di Wilbur, e la donna era quella che, alla sua seconda visita, guidava la motocicletta che era stata portata via col carroattrezzi o rubata. Aveva pensato che forse lei l'aveva portata via in un momento in cui lui non era nei dintorni per vederlo, ma adesso sapeva la verità. Ivy si fece strada. I loro occhi sembravano seguirlo. Proprio prima di lasciare che la luce si spegnesse, notò delle frecce e delle parole oblunghe dipinte sulle pareti tondeggianti del tunnel. Si avvicinò per dare un'occhiata. La freccia superiore puntava nella direzione dalla quale era venuto e recitava SCUOLA DI INFERMIERI E ALLOGGI/USCITA D'EMERGENZA DEL TUNNEL. Ivy immaginò che quest'ultima fosse la botola dalla quale era entrato. La freccia in basso puntava nella direzione verso la quale stava andando e recitava ALA EST E SALA IMPIANTO DI RISCALDAMENTO. È da dove vengo, pensò Ivy. Forse posso recuperare il cappotto e chiamare la polizia. Dalle sue spalle giunse un colpo metallico e forte ed un cigolio rugginoso. Ivy lasciò che la fiamma si spegnesse. Immaginò che fosse Wilbur che
stava chiudendo la botola, ma perché? Non c'erano possibilità che Ivy uscisse di nuovo da quella strada a meno che non fosse costretto. I piedi di Ivy colpirono qualcosa che schizzò via. Non aveva nessuna voglia di sapere cosa fosse. Sentì Wilbur scendere la scala a pioli. Ivy si fermò ed ascoltò. I piedi di Wilbur procedettero nell'acqua. Un istante dopo ci fu un altro rumore che spaventò Ivy più del rumore provocato dall'avvicinarsi di Wilbur. Il nuovo rumore proveniva da davanti a lui. Uno scatto nel buio. Poi una luce. Una ventina di piedi davanti ad Ivy, una porta si aprì ed iniziò a richiudersi. Una figura nera la varcò prima che la porta si chiudesse e tornasse il buio. Ivy era confuso. Era sicuro che Wilbur fosse dietro di lui, ma allora chi c'era davanti a lui? Era la polizia? La bionda ce l'aveva fatta? Il tunnel, anche senza i resti delle vittime di Wilbur, sembrava non essere più in uso da un bel po' di tempo. Ivy strisciò alla parete sinistra e si accovacciò, ascoltando il suono umido dei passi che si avvicinavano. Buio. E realizzazione. Gesù è sparito. Non tornerà. Lo schermo è nero. L'energia sta scemando. Le onde dell'etere scarico della sua mente. Non è il momento di gridare. I canali li conosce molto bene. Sta nel buio assoluto. Persine le sue mani che gli ondeggiano davanti come le antenne di insetto sono invisibili ai suoi occhi. Dov'è il tasto d'accensione? Non è una replica. Ferma il sogno! Non è un sogno. Lontano nel buio ad entrambi i lati ci sono duplici esplosioni di luce, che si allargano, poi si restringono. Ci sono duplici rumori di porte che si aprono su cardini cigolanti, come ossa scrocchianti, per poi richiudersi con uno scatto metallico che riecheggia ritmicamente. Questo non è un programma televisivo. Questa è la realtà. L'acqua che bagna i suoi piedi e l'odore nell'aria gli dicono che è così. Questo non è qualcosa dalla quale potrà svegliarsi. Gli echi si trasformano in passi. Dal fondo di ogni corridoio i passi tagliano il buio. Iniziano lentamente, come se chi cammina non sia sicuro
dei propri passi nel buio, ma gradualmente diventano sempre più veloci. Tutto questo avviene in diretta. Non è la presentazione di qualche spettacolo in arrivo. Questo è un bollettino straordinario, in diretta, ma tutti i canali sono spenti. Questa è la realtà, con la sua inclemenza, e non importa quanto lui non possa credere che sia vero, lo è. Inizia a sudare nonostante il freddo. Cerca di indietreggiare ma il muro è già vicinissimo. Non c'è più spazio. Non può andare da nessuna parte. I passi diventano più forti... una luce cresce intorno a lui. E loro sono là. Mary-non-Madre lo fissa dal pavimento accanto ai suoi piedi. Le sue braccia sono dall'altra parte, le sue gambe un po' più in là, ed il suo busto vicino alle buste che contengono gli Smith accanto all'altra estremità del tunnel. La sua bocca si apre e lui grida. Lei trasforma il suo grido in una risata. «Wilbur Clayton!» È la testa di Joey che sta parlando. Sta fra le braccia di Mary-non-Madre. Il resto del suo corpo è sparpagliato per il tunnel a pezzi e bocconi, nessuno più grande di una scatola di pane. La bocca di Joey si apre. «Per favore, Wilbur. È tutto finito,» dice. Altre risate si riversano dalla bocca di Mary-non-Madre. Un'ombra bassa si muove davanti alla luce. Sente rumore di cellophane. È Vicki con i suoi grossi denti. La seguono David Ilfrocio e Slice Sanchez, Si torcono verso di lui nei loro sacchetti insanguinati e Robusti! Robusti! Robusti! come lumache artificiali. Altri pezzi di carne mutilata. Parti sparse di corpi tengono il passo; braccia e gambe si dimenano, teste rotolano, e mani scivolano lungo il pavimento, rianimandosi in una sola direzione, verso una sola meta, lui. «Nooooooo!» grida, la sua voce diventa sempre più forte. Inizia a tremare. Prega Nonna, prega Gesù - che qualcuno lo aiuti ad estrarre la spina. Bill Gage si fece strada lungo il tunnel, sforzandosi di vedere nel buio davanti a sé, non volendo accendere la luce che avrebbe potuto renderlo un bersaglio facile. «Wilbur Clayton!» gridò. «È la polizia, Wilbur. È tutto finito.» Dal buio provenivano strani rumori. Un grido. Il rumore dell'acqua. Ed una vocina sussurrò: «Non mi spari! Sono solo un bambino!» Bill si prote-
se e sentì una manina afferrare la sua. «Va bene, piccolo,» disse Bill, tirando a sé il ragazzo. «Wilbur Clayton è là?» chiese. «Sì,» sussurrò il ragazzo. «Va bene. Continua in questa direzione. Dall'altra parte della porta c'è un agente di polizia,» Bill spinse Ivy verso la porta dell'Ala Est dalla quale era appena venuto. «E non fermarti. Vai!» Bill ascoltò il ragazzo che si allontanava, poi riprese ad avanzare verso Wilbur. Non sentì il ragazzo che si fermò, per poi cominciare a seguirlo. Era troppo preso da un nuovo rumore che proveniva dal buio antistante. Era un singhiozzo - un singhiozzo patetico, che faceva contorcere le budella, il singhiozzo di un'anima persa, un pianto che Bill aveva ben conosciuto ai tempi degli abissi della bottiglia. Decise di rischiare con la luce. Dal rumore, Wilbur non era più un pericolo. Bill accese la torcia che il poliziotto gli aveva dato e la fece risplendere verso il fondo del tunnel. Dal lato opposto del tunnel rispose un altro raggio di luce, i poliziotti che venivano dalla Scuola per infermieri gli facevano sapere che anche loro erano là. Bill fece vagare la luce lungo il pavimento del tunnel, ed intravide i brandelli di corpi ed i sacchetti dell'immondizia pieni di cadaveri a pezzi. Lasciò che la luce non indugiasse per più di un secondo su ognuno, arrivando infine alla sagoma raggomitolata di Wilbur, dieci piedi più avanti. Bill gli tenne la luce addosso e si avvicinò. A cinque piedi da Wilbur, a torso nudo e singhiozzante, Bill si accovacciò e raccolse la pistola dell'agente Cote. Era scarica. La infilò nella tasca posteriore. «Signore?» uno dei poliziotti lo chiamò dall'altra estremità del tunnel. Un'ostruzione stava parzialmente bloccando le loro torce. Bill sentì uno degli agenti avere dei conati e vomitare. «Ci sono dei danni strutturali e alcuni corpi in sacchetti di plastica non ci permettono di andare avanti.» «Va bene!» gridò Bill in risposta. «L'ho preso. Lo porterò fuori dall'altra parte. Chiamate per radio e ditelo al capitano Mahoney.» I poliziotti obbedirono prontamente, desiderosi di uscire dal tunnel, e Bill guardò le loro luci allontanarsi fino a quando la porta in fondo non si aprì e si richiuse. Finalmente. Bill aveva infilato a forza il suo portafogli nei cardini della porta del tunnel dalla quale era entrato, in modo da chiuderla ermeticamente. Si rese conto, in quel momento, che il ragazzo era chiuso in trappola lì con lui. Ma adesso lui era così vicino. Adesso non doveva pre-
occuparsi di questo. Bill rimise a fuoco l'assassino davanti a sé. Adesso Bill era solo con lui. Era suo. Ma chi aveva? «Chi sei?» chiese Bill, facendo un passo verso Wilbur. Il ragazzo ridacchiava e singhiozzava alternativamente. Cicatrici di vesciche coprivano la faccia ed il petto di Wilbur, ed un'orrenda bruciatura chimica avevano fatto diventare rosso e lacrimoso il suo occhio destro. Bill non vide niente di tutto questo. Invece vide gli occhi blu ghiaccio di suo padre. «Perché l'hai fatto?» chiese Bill. Non aveva delle allucinazioni. Vide Wilbur rannicchiato contro il muro ai suoi piedi, ma sapeva che era suo padre. «Dimmi perché.» Silenzio. Non era proprio come il suo vecchio? Che lo ignorava, che rideva segretamente di lui. L'immagine di Sassy in coma gli balenò nella mente, seguita da quella di Cindy nella bara. «E ora di mettere fine al passato,» mormorò Bill. Fece vagare la luce fino in fondo al tunnel. Nessuno se non lui, suo padre ed i morti. Non gli importava che Ivy l'avesse seguito e che fosse poco lontano, che lo guardava. «Avrei voluto farlo tanto tempo fa, quando questo aveva senso,» disse Bill al fantasma di suo padre. Puntò la pistola alla testa di Wilbur. Senza capire se stesse cercando vendetta o redenzione, Bill premette il grilletto. SEGNALE DI FINE TRASMISSIONE Ivy ebbe un tale raffreddore che sua madre era sicura che si sarebbe trasformato in polmonite. E benché avesse trascorso quasi tutta la notte in ospedale ed alla stazione di polizia, la mattina di Natale si alzò presto per preparare il tacchino e metterlo in forno. Non lasciò alzare Ivy fino a quando non gli ebbe preparato il divano con i cuscini ed una montagna di scoperte. L'aiutò ad andarci, anche se le sue gambe erano a posto - erano le sue dita che erano bendate per dei leggeri geloni - e lo rimboccò con cura. «So che sei ansioso di aprire i regali,» disse tastandogli velocemente la fronte, «ma non appena abbiamo finito voglio che mi prometti di dirmi tutto quello ti è successo la notte scorsa e come ci sei arrivato. Va bene?» Ivy
sorrise, annuì, e lei cominciò a porgergli i regali. Il nastro di M. C. Hammer ed i vestiti per la scuola che lei gli aveva comprato gli piacquero molto. A lei piacque il braccialetto stregato che lui aveva preso con i soldi che aveva raccolto con i depositi insieme a Barbara. «Va bene,» disse Ivy quando tutti i regali furono aperti. «Immagino che vuoi sapere come sono finito in quel casino.» «Oh! Aspetta un minuto,» disse, alzandosi. «C'èun'altra cosa che mi sto dimenticando.» Andò nella sua stanza e ne uscì con la vecchia borsa da ginnastica dell'USMC di suo padre. La mise con cura sul suo grembo. «Cos'è questo?» chiese. La borsa da ginnastica si muoveva da sola. «Aprilo e lo scoprirai,» rispose lei. «Ti ricordi quello che ho detto di Babbo Natale che dà ai bambini buoni quello che desiderano più di tutto e che meno si aspettano? Bene, Babbo Natale mi ha dato questo da darti.» Un suono uggiolante provenne dal borsone. Ivy trattenne il respiro, dall'eccitazione e dall'incredulità. Aprì la borsa e fu assalito da una piccola palla pelosa che era tutta lingua, zampe ed un naso freddo ed umido. «Buon Natale, Ivy,» disse sua madre, lacrime di gioia rigavano la sua faccia come quella di suo figlio, ed abbracciò lui ed il cucciolo squittente. Bill Gage sedeva al buio del soggiorno fissando la bottiglia chiusa di Jack Daniel's sul tavolino davanti a lui. L'aveva comprata sulla strada verso casa di ritorno dalla commissione di Affari Interni sulla morte di Wilbur Clayton. Bill aveva deciso di aprire la bottiglia e di mandarne giù il contenuto a tempo di record non appena fosse arrivato a casa, ma una volta a casa, la casa di Cindy, con la sua avvolgente presenza, non sentì più quel pressante bisogno di perdersi. Pensò che era buffo, le cose che potevano far desiderare ad una persona di ubriacarsi e rimanere ubriaca. Quando Cindy era stata uccisa, non aveva pensato affatto di affogare in una bottiglia. Era troppo consumato dalla paranoia su suo padre e dal desiderio di vendetta. Anche la prospettiva di testimoniare all'indagine del Gran Giurì sul caso di suo padre non gli aveva, sorprendentemente, fatto venir voglia di bere. Ed oggi, l'ufficiale che aveva ascoltato la sua deposizione sulla morte di Wilbur Clayton non gli aveva fatto venire voglia di bere - anche se avrebbe potuto farsi un bicchierino per celebrare poiché la commissione aveva deciso che Bill aveva sparato per legittima difesa. E se si trattava di celebrare, poteva fare un brindisi perché Sassy era uscita dall'ospedale. Adesso era con sua sorella e Devin a
casa di Evelyn. La legittima difesa era stata un'idea di George Albert. Bill non aveva cercato di nascondere niente. Aveva detto chiaramente al capo che aveva ucciso Wilbur Clayton a sangue freddo. La sua spiegazione al perché l'avesse fatto, comunque, non era stata lineare e coerente come lui avrebbe voluto. George l'aveva completamente accantonata, convincendo Bill che si trattava di legittima difesa. A Bill non importava e fece come lui voleva. Erano trascorse due settimane dalla Vigilia di Natale nel tunnel e non gli importava più di niente. Ma quello che aveva fatto venir voglia a Bill di ricominciare a vagabondare con il suo vecchio amico Jack Daniel's fu il ricordo dello sguardo sulla faccia di quel bambino nero, Ivy Delacroix, quella notte nel tunnel dopo che Bill aveva sparato a Wilbur Clayton. Dopo aver premuto il grilletto, aveva sentito qualcosa nelle vicinanze, che lo stava osservando. Aveva girato la torcia per vedere il bambino che lo guardava colmo di paura e di un'altra emozione che Bill non era riuscito a capire fino ad oggi. Ivy Delacroix era stato chiamato a testimoniare e si era seduto là ed aveva mentito a denti stretti, confermando la storia ufficiale senza l'influenza o le istruzioni di nessuno. Descrivendo come Wilbur avesse cercato di prendere la pistola di Bill, Ivy aveva guardato fisso Bill - non con rabbia, non con paura, ma con pietà: lo stesso sguardo che aveva avuto nel tunnel. Ed era stato questo che aveva fatto crollare Bill. Fuori, dopo l'udienza, Bill aveva preso da parte Ivy e gli aveva chiesto perché avesse mentito. Il bambino lo guardò con occhi da vecchio, tanto era triste. «Io so cosa vuol dire desiderare tanto una vendetta.» Bill scacciò le lacrime dagli occhi e guardò il telefono, poi di nuovo la bottiglia. Avanti ed indietro. Alla fine si fermarono con decisione sulla bottiglia. La prese, e la tenne in alto per osservarla. Sospirando, andò a metterla nel cassetto sotto la televisione. Andò al telefono, lo guardò per un lungo istante, poi prese il ricevitore, e chiamò Evelyn chiedendole di portare a casa i bambini. Adesso vi ridiamo il controllo del vostro apparecchio televisivo... I Limiti Estremi FINE