MARGARET MILLAR UNA TORRE PER IL PROFETA (How Like An Angel, 1962) Questo romanzo è dedicato con amore a Betty Masterson...
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MARGARET MILLAR UNA TORRE PER IL PROFETA (How Like An Angel, 1962) Questo romanzo è dedicato con amore a Betty Masterson Norton 1 Avevano guidato tutta la notte e buona parte della giornata attraverso montagne, deserti e ancora montagne. La vecchia macchina cominciava a fare i capricci e l'autista diventava sempre più irritabile; Quinn, che per sfuggire a questi due malanni, si era trasferito sul sedile posteriore e si era messo a dormire, fu svegliato bruscamente dallo stridio dei freni e dalla voce di Newhouser, roca per la stanchezza, il caldo e l'irritazione per essersi comportato ancora una volta come uno stupido al tavolo da gioco. «Siamo arrivati, Quinn, questo è il capolinea.» Quinn si riscosse e alzò la testa convinto di trovarsi in uno dei viali alberati di San Felice, con l'oceano che scintillava in distanza come un gioiello. Ma prima ancora di avere aperto completamente gli occhi si accorse che c'era qualche cosa che non andava: non esisteva una strada in città così tranquilla e non era possibile che l'aria di mare fosse così secca. «Ehi, Quinn! Sei sveglio?» «Sì.» «Be', allora scendi, ho fretta.» Quinn diede un'occhiata fuori dal finestrino: il paesaggio non era molto cambiato da quando si era addormentato: montagne e ancora montagne tutte ricoperte da arbusti sempreverdi, agrifoglio selvatico e da qualche pino che cresceva stentatamente su quel terreno arido. «Ma dove siamo qui? Mi avevi detto che saremmo andati a San Felice.» «Siamo vicino a San Felice.» «Che cosa vuol dire vicino?» «Settanta chilometri.» «In nome del cielo!» «Tu devi venire dalla costa est» disse Newhouser. «In California settanta chilometri vuol dire "vicino".» «Potevi dirmelo prima che salissi in macchina.» «Te l'ho detto, ma tu non mi hai ascoltato. Sembravi molto ansioso di
andartene da Reno. Adesso che te ne sei andato, dovresti essermi grato.» «Oh, te ne sono grato, davvero! Mi sono sempre chiesto che effetto fa stare in mezzo al deserto.» «Prima che tu cominci con le lamentele, stammi a sentire: tra meno di un chilometro devo svoltare a destra per tornarmene al mio ranch. Sono già in ritardo e mia moglie è una che prende fuoco facilmente, inoltre ho perso settecento dollari a Reno e sono due notti che non dormo. Allora, vuoi essermi grato per averti portato fin qui o vuoi metterti a litigare?» «Potevi almeno lasciarmi alla fermata di un autobus dove avrei potuto trovare da mangiare.» «Ma se hai detto che non hai più un centesimo!» «Pensavo che avresti potuto farmi un piccolo prestito: cinque dollari, per esempio.» «Se avessi cinque dollari sarei ancora a Reno, lo sai bene. Tu hai la mia stessa malattia.» Questo non poteva negarlo: «Okay, lasciamo perdere i soldi, mi è venuta un'altra idea: forse tua moglie non ha poi un carattere così terribile, forse non farebbe obiezioni se restassi come ospite da voi per qualche giorno. Va bene, va bene, come non detto! Era solo un'idea. Ne hai una migliore?» «Naturalmente, o non mi sarei fermato qui. La vedi quella stradina sterrata?» Quinn scese dalla macchina e vide una strada che era poco più di un sentiero che zigzagava attraverso un boschetto di giovani eucalipti: «Non mi sembra un granché come strada.» «Infatti non lo è; la gente che vive in fondo a quella strada non desidera fare pubblicità. Mi limiterò a dire che sono tipi strani.» «Posso chiedere quanto strani sono?» «Oh, sono del tutto inoffensivi, non aver paura, e sono sempre pronti a dare una mano ai poveri.» Newhouser spinse indietro il cappello scoprendo una striscia di fronte bianca che sembrava una pennellata di vernice sul suo viso color cuoio. «Senti, Quinn, mi dispiace veramente di doverti lasciare qui, ma non ho scelta e sono sicuro che te la caverai benissimo: sei giovane e forte.» «Sono anche affamato e assetato.» «Puoi farti dare qualche cosa da mangiare alla Torre e continuare fino a San Felice con l'autostop.» «La Torre? È lì che conduce quella cosiddetta strada?» «Sissignore.»
«Che cos'è? Una fattoria?» «Effettivamente coltivano un po' la terra» rispose cautamente Newhouser «è una specie di piccola comunità autosufficiente; almeno così ho sentito dire. Personalmente non ci sono mai stato.» «Come mai?» «Non incoraggiano le visite.» «Come puoi dire allora che sarò il benvenuto?» «Perché sei un povero peccatore.» «Vuoi dire che è una congrega religiosa?» Newhouser scosse la testa, ma non era ben chiaro se volesse dire sì o no. «Te l'ho già detto, io non ci sono mai stato, ne ho solo sentito parlare: pare che una vecchia piena di soldi, spaventata all'idea della morte, abbia fatto costruire una torre alta cinque piani. Forse pensava che sarebbe servita come scalino per arrivare più facilmente in paradiso, quando fosse venuto il suo momento. Be', adesso devo proprio andare.» «Aspetta» esclamò Quinn angosciato «sii ragionevole: sto andando a San Felice per riscuotere un credito di trecento dollari da un amico. Ti prometto di dartene cinquanta se mi accompagni in macchina fino a là.» «Impossibile.» «È molto più di mezzo dollaro al chilometro!» «Mi dispiace.» In piedi sul ciglio della strada, Quinn rimase a osservare la macchina di Newhouser che spariva dietro la curva. Quando il ronzio del motore si fu allontanato, il silenzio attorno si fece assoluto. Non un uccello cantava, non un ramo si muoveva al vento: era un'esperienza nuova per Quinn e per qualche istante si chiese se la mancanza di sonno e di cibo non l'avesse reso sordo. Non gli era mai piaciuto molto il suono della sua voce, ma in quel momento gli sembrava bellissimo e non si stancava di ascoltarlo: "Mi chiamo Joe Quinn, Joseph Rudyard Quinn, anche se non dico a nessuno di chiamarmi Rudyard. Ieri mi trovavo a Reno, avevo un lavoro, una macchina, abiti e una ragazza. Oggi sono in un posto desolato senza più niente e nessuno". Gli era già capitato di trovarsi nei guai, ma aveva avuto sempre gente attorno: amici con cui confidarsi, estranei da persuadere. Si vantava di essere un parlatore convincente. Ma ormai che importanza poteva avere, visto che non c'era nessuno ad ascoltarlo? Tirò fuori di tasca un fazzoletto e si asciugò il sudore che gli colava sul
collo. Era stato altre volte a San Felice, ma non conosceva questo desolato entroterra, queste montagne bruciate dal sole d'estate ed erose dalla pioggia d'inverno. Adesso era estate; i letti dei fiumi erano ferite polverose lungo le quali si allineavano scheletri di piccoli animali venuti alla ricerca di un po' d'acqua. Ma più del caldo e della desolazione era il silenzio che disturbava Quinn; gli sembrava innaturale non sentire neppure il canto di un uccello. Possibile che fossero tutti morti per la lunga siccità? Forse erano migrati in un posto più ricco d'acqua, come il ranch di Newhouser o la Torre. «Maledizione! Un po' di religione non può farmi male» esclamò guardando la strada sterrata che sembrava terminare nel boschetto di eucalipti. Dopo il boschetto il sentiero cominciava a inerpicarsi e compariva qualche segno di vita. Superò una piccola mandria di mucche che pascolavano, un gregge di pecore in un recinto di legno, un paio di capre legate all'ombra di un agrifoglio selvatico, un piccolo canale d'irrigazione sul cui fondo stagnava un po' d'acqua. Gli animali sembravano tutti ben nutriti e curati. Man mano che avanzava, la salita si faceva sempre più ripida e gli alberi più fitti e più alti: pini e querce, arbusti di bacche e sempreverdi. Aveva quasi raggiunto la cima quando si trovò davanti al primo edificio. Era talmente ben integrato nel paesaggio che lo scorse soltanto quando era a una ventina di metri di distanza. Era una struttura lunga e bassa, costruita con tronchi e pietra locale che non aveva assolutamente niente a che fare con una torre. Probabilmente Newhouser si era sbagliato o gli avevano dato informazioni inesatte. In giro non si vedeva anima viva e dal largo camino di pietra non usciva neppure un filo di fumo. Le finestre erano chiuse da pesanti imposte costruite con rozze assi di legno come per proteggerle dalla curiosità dei ficcanaso. Ora che i raggi del sole arrivavano filtrati attraverso i rami degli alberi, Quinn sentì improvvisamente un brivido di freddo; il rumore dei suoi passi era attutito dagli aghi di pino e dai pezzi di scorza rossastra degli alberi di erica della California che ricoprivano il terreno. Attraverso una fessura tra le robuste assi di legno, Fratello Voce dei Profeti vide avvicinarsi lo sconosciuto e cominciò a emettere suoni di sgomento. «Che cosa c'è da eccitarsi tanto?» chiese brusca Sorella Benedizione. «Spostati che guardo io» aggiunse scrutando attraverso la fessura. «Non eccitarti, è soltanto un uomo; probabilmente la sua macchina si è guastata
e Fratello Corona di Spine lo aiuterà a sistemarla, tutto qui. A meno che...» Faceva parte del carattere di Sorella Benedizione trovare sempre spiegazioni ragionevoli, indicarle agli altri e poi rovinare tutto con i suoi "a meno che...". «A meno che non venga dal Provveditorato agli studi o non sia un giornalista. Nel qual caso sarò molto ferma con lui e lo rispedirò da dove è venuto. L'anno scolastico non è ancora iniziato: mi sembra un po' presto perché il Provveditorato cominci a darci delle noie.» Fratello Voce annuì vigorosamente e accarezzò il collo del pappagallino appollaiato sul suo dito. «Sarà probabilmente un giornalista, a meno che non sia uno dei soliti poveracci, in tal caso lo tratterò con distaccata cortesia. Non vedo proprio perché ti agiti tanto, non è la prima volta che riceviamo dei poveracci. Smettila di grugnire in quel modo; sai parlare benissimo se vuoi o se è necessario. Se la casa andasse a fuoco per esempio, potresti gridare "al fuoco", vero?» Fratello Voce scosse la testa. «Sciocchezze, so benissimo che potresti farlo: prova.» Fratello Voce rimase a fissare il pavimento in silenzio. Se la casa fosse andata a fuoco non avrebbe dato l'allarme, non avrebbe detto una parola: sarebbe rimasto a guardarla bruciare dopo essersi assicurato che il pappagallino fosse in salvo. Quinn bussò alla rozza porta di legno: «Salve, c'è nessuno? Ho perso la strada e ho fame e sete.» La porta si aprì lentamente cigolando sui cardini e sulla soglia apparve una donna dall'aspetto robusto e dalle guance rosse e lucide. Doveva essere sulla cinquantina, era scalza e la lunga tunica che indossava fece venire in mente a Quinn i muu muu che le donne indossano alle Hawaii, solo che quelli sono a colori vivaci, mentre la tunica indossata dalla donna era di ruvida lana grigia priva di qualsiasi ornamento. «Benvenuto straniero» le parole erano gentili, ma il tono della voce diffidente. «Mi dispiace disturbarla, signora.» «Mi chiami Sorella, per favore. Il mio nome è Sorella Benedizione della Salvezza. E così lei ha fame e sete e ha perduto la strada, giusto?» «Più o meno. È una lunga storia.» «Come quasi tutte queste storie» commentò la donna seccamente «entri
pure; noi non mandiamo mai via i poveri, perché siamo poveri anche noi.» «La ringrazio.» «Le chiedo solo di comportarsi correttamente. Da quanto tempo non mangia?» «Non ricordo esattamente.» «L'avevano messa in gabbia, vero?» «Non la gabbia a cui sta pensando lei, ma penso che si possa chiamare così.» La donna diede un'occhiata alla giacca di tweed che Quinn portava piegata sul braccio: «Riconosco un indumento di buona lana quando lo vedo, perché noi tessiamo qui la nostra lana. Dove ha preso quella giacca?» «L'ho comprata.» Lo guardò quasi delusa, come se avesse sperato che rispondesse che l'aveva rubata. «Lei non ha l'aspetto di un mendicante e non si comporta come tale.» «Non è da molto che lo sono; ancora non ho imparato come si fa.» «Non faccia lo spiritoso con me; devo controllare i nostri visitatori per difenderci. Di tanto in tanto compare qualche reporter che vuole ficcare il naso nei nostri affari o un rappresentante della legge con l'intenzione di procurarci guai.» «Io ho solo intenzione di ottenere un po' di pane e acqua.» «E allora entri.» Quinn la seguì nell'unica stanza dal pavimento di pietra che sembrava fosse appena stato lavato. La luce proveniva dal più grande lucernario che Quinn avesse mai visto. Sorella Benedizione vide il suo sguardo sorpreso e spiegò: «Se, come dice il Maestro, la luce viene dal cielo, allora facciamola entrare direttamente invece che attraverso strette finestre.» Addossata a una parete della stanza c'era una lunghissima tavola affiancata da due panche. La tavola era apparecchiata con piatti di latta, posate di acciaio inossidabile e lampade a cherosene già pronte per essere accese. A un'estremità della stanza c'erano un vecchio frigorifero, una stufa accanto alla quale erano accatastate fascine di legna da ardere, e una gabbia da uccelli, che sembrava opera di un dilettante. Di fronte alla stufa, su una sedia a dondolo, era seduto un uomo di mezza età, magro e pallido, con un uccello appollaiato su una spalla. Indossava una tunica simile a quella di Sorella Benedizione e anche lui era a piedi nudi. I graffi e i tagli sulla testa rasata mostravano chiaramente che, o la lama del rasoio non tagliava più, o
il barbiere che aveva compiuto l'opera ci vedeva poco. Sorella Benedizione chiuse la porta; si sarebbe detto che, almeno per il momento, i suoi sospetti si fossero sopiti, perché adesso si comportava come una vera padrona di casa. «Questa è la nostra sala da pranzo comune e questo è Fratello Voce dei Profeti. Gli altri Fratelli sono tutti in preghiera nella Torre, ma io sono l'infermiera e devo restare accanto a Fratello Voce che è stato molto malato. Di sera lo faccio sedere vicino alla stufa; come ti senti, Fratello Voce?» Il Fratello annuì sorridendo, mentre il pappagallino gli beccava dolcemente un orecchio. «Non potevano dargli un nome meno adatto» sussurrò Sorella Benedizione a Quinn «non parla quasi mai. Ma dopo tutto, forse è meglio che i profeti non parlino tanto; si sieda, signor...?» «Quinn.» «È stato il peccato, signor Quinn» chiese bruscamente Sorella Benedizione «a ridurre un uomo giovane e forte come lei in queste condizioni?» Quinn ripensò a quello che gli aveva detto Newhouser sugli abitanti della Torre e come fossero particolarmente ospitali con i poveri peccatori. «Temo di sì» rispose. «L'alcool?» «Certo.» «Il gioco?» «Molto spesso.» «Le donne?» «Di tanto in tanto.» «Lo sapevo» affermò Sorella Benedizione con cupa soddisfazione. «Be', le farò un panino al formaggio.» «Grazie.» «E anche col prosciutto. In città corre voce che noi non mangiamo carne, ma è una sciocchezza. Lavoriamo duro, noi, e abbiamo bisogno di carne per tenerci in forze. Vuoi un panino al formaggio e prosciutto anche tu, Fratello Voce? Un goccio di latte di capra?» Fratello Voce scosse la testa. «Be', non ti voglio forzare a mangiare, ma per lo meno potresti uscire a prendere un po' d'aria: adesso comincia a fare abbastanza fresco. Rimetti il tuo uccellino nella gabbia e il signor Quinn ti aiuterà a portare fuori la sedia.» Sorella Benedizione impartiva ordini come se non dubitasse neppure che
sarebbero stati eseguiti con prontezza e attenzione. Quinn portò fuori la sedia a dondolo mentre Fratello Voce sistemava l'uccellino nella gabbietta. Malgrado lo strano abbigliamento, Sorella Benedizione sembrava una qualsiasi massaia al lavoro nella propria cucina, felice di potersi rendere utile. Quinn non provò neppure a immaginare quali strane circostanze l'avessero condotta in un posto come la Torre. Sedette sulla panca di fronte a lui e rimase a osservarlo mentre mangiava: «Chi le ha parlato di noi, signor Quinn?» «Un uomo che mi ha dato un passaggio in macchina; lavora in un ranch non lontano da qui.» «Mi sembra plausibile.» «È la verità.» «Da dove viene?» «Adesso, o dove sono nato?» «Tutti e due.» «Sono nato a Detroit e l'ultima città dove ho vissuto è Reno.» «Un posto malvagio, Reno.» «In questo momento concordo pienamente con lei.» «Immagino che, come si dice da quelle parti, l'abbiano ripulito a fondo» disse sbuffando Sorella Benedizione. «A fondo, Sorella.» «Aveva un lavoro a Reno?» «Ero un agente di sicurezza in uno dei Club, o un investigatore privato in un casinò, se preferisce. Ho anche la licenza di investigatore privato nello stato del Nevada, ma probabilmente non me la rinnoveranno.» «L'hanno licenziata?» «Diciamo che mi avevano ammonito di non mescolare il lavoro con il divertimento e io non ho seguito il consiglio» rispose Quinn addentando il secondo panino. Il pane era fatto in casa e vecchio di qualche giorno, ma il formaggio e il prosciutto erano buoni e il burro delizioso. «Quanti anni ha, signor Quinn?» «Trentacinque, quasi trentasei.» «Molti uomini della sua età hanno una casa, una moglie e una famiglia; non vanno in giro per le montagne cercando l'elemosina. Adesso, a trentasei anni, che intenzioni ha? Di rifarsi una vita in modo migliore?» Quinn smise di mangiare e la guardò negli occhi: «Stia a sentire, Sorella, apprezzo il cibo e l'ospitalità, ma desidero che sia ben chiaro che non sono un candidato alla conversione.»
«Santo cielo! Non pensavo assolutamente niente del genere, signor Quinn! Noi non andiamo in giro alla ricerca di persone da convertire, sono loro che vengono a cercare noi. Quando sono stanche del mondo vengono da noi.» «E poi che cosa succede?» «Li prepariamo per l'ascensione alla Torre. Ci sono cinque livelli: il primo, dal quale tutti cominciamo, è il livello della terra; il secondo è il livello degli alberi, il terzo delle montagne, il. quarto è il cielo e il quinto è la Torre del Paradiso, dove vive il Maestro. Purtroppo io non sono mai riuscita a superare il terzo livello. Anzi» aggiunse chinandosi confidenzialmente verso Quinn «ho persino qualche difficoltà a restare dove mi trovo.» «Come mai?» «È per colpa delle vibrazioni spirituali; non riesco a percepirle come dovrei oppure, quando mi sembra di essere in vibrazione, vien fuori che si tratta invece di un jet che ci sta sorvolando o di qualche cosa che è esploso, e che la spiritualità non c'entra per niente. Una volta è caduto un albero e io ero convinta di stare captando le migliori vibrazioni di tutta la mia vita: è stata una grossa disillusione.» Quinn si sforzò di mostrarsi comprensivo: «È un peccato.» «Lei non lo pensa veramente.» «Invece sì.» «No, l'ho capito subito; l'ho capito dalla piega scettica della sua bocca.» «Ma no! Mi è rimasto un pezzo di prosciutto incastrato tra i denti.» Non riuscì a trattenere una risatina che cercò di coprire portandosi una mano alla bocca; le sembrava di aver fatto qualcosa di frivolo, qualcosa che le ricordava un passato che credeva di avere dimenticato. Si alzò e si avvicinò al frigorifero: «Posso offrirle un po' di latte di capra?» «No, grazie; un caffè andrà...» «Non usiamo mai stimolanti.» «Dovrebbe provare: forse le sue vibrazioni migliorerebbero.» «La prego di essere più rispettoso, signor Quinn.» «Mi scusi; questo buon cibo mi ha dato un po' alla testa.» «Oh, non era poi tanto buono.» «Mi permetto di insistere.» «Effettivamente il formaggio non è male; Fratello Visione Celeste lo fa secondo una ricetta segreta.» «La prego di fargli i miei complimenti.» Quinn si alzò e si stiracchiò cercando di nascondere uno sbadiglio. «Adesso sarà meglio che mi rimetta
in viaggio.» «Per dove?» «San Felice.» «Sono quasi settanta chilometri; come pensa di arrivarci?» «Tornerò sulla strada principale e cercherò di farmi dare uno strappo.» «Non ne passano molte di macchine; la gente preferisce fare il giro più lungo ma arrivarci in autostrada. Quando farà buio, poi, non saranno in molti a fermarsi per raccogliere uno sconosciuto, soprattutto in montagna. Inoltre di notte da queste parti fa molto freddo.» Quinn la studiò in silenzio per qualche secondo: «Che cosa sta cercando di dirmi, Sorella?» «Ma niente! Mi preoccupo soltanto della sua salute: da solo, di notte, con il freddo e con gli animali selvaggi che si aggirano per le montagne...» «Dove vuole arrivare?» «Be', pensavo» disse scegliendo con cura le parole «che potrebbe esserci una soluzione più semplice. Domani mattina Fratello Corona di Spine andrà probabilmente a San Felice con il camioncino. Il nostro trattore non funziona e Fratello Corona deve comprare alcuni pezzi di ricambio nuovi. Sono sicura che non avrebbe obiezioni a portarla con sé.» «Molto gentile.» «Sciocchezze» rispose aggrottando la fronte «il mio è soltanto egoismo: non voglio restare sveglia questa notte pensando a uno sprovveduto che vaga per le montagne. Potrà dormire nel nostro magazzino; c'è anche una branda e un paio di coperte.» «Siete sempre così ospitali con gli sconosciuti?» «No, non sempre» rispose bruscamente «qui arrivano ladri, vandali, ubriaconi e li trattiamo come si meritano.» «Come mai io mi sono meritato questo trattamento principesco?» «Oh, non è poi così principesco, come scoprirà presto quando cercherà di dormire su quella brandina, ma è il meglio che possiamo offrire.» Da fuori giunse il suono di un gong. «Le preghiere sono finite» annunciò Sorella Benedizione e per qualche istante rimase immobile con la mano destra premuta sulla fronte. «Ecco» disse poi riscuotendosi «adesso sarà meglio lasciare libera la cucina. Tra poco Sorella Contrizione arriverà per accendere il fuoco e preparare la cena. Si innervosisce quando ha degli sconosciuti attorno che la osservano.» «E gli altri?» «Tutti i Fratelli e le Sorelle hanno un lavoro che li tiene occupati fino al
tramonto.» «Intendevo dire se anche gli altri si innervosiscono quando vedono uno sconosciuto.» «Signor Quinn, noi saremo cortesi con lei fino a quando lei sarà cortese con noi. La povera Sorella Contrizione è afflitta da molti problemi, ed è meglio lasciarla in pace. La colpa è della scuola: ha tre bambini e le autorità insistono perché lei ce li mandi. Ma che cosa possono imparare a scuola, mi chiedo, che non possa insegnar loro il Maestro se lo riterrà necessario?» «Temo di non essere in grado di dare una risposta, Sorella.» «Sa, quando me la sono vista davanti, per un attimo ho pensato che lei potesse essere un'autorità scolastica.» «Lei mi lusinga.» «Niente affatto» ribatté bruscamente Sorella Benedizione «sono tutte persone sussiegose e testarde; lei non immagina quanti guai hanno procurato a Sorella Contrizione. Per forza ha un mucchio di problemi anche lei con le vibrazioni!» Fuori, Fratello Voce dei Profeti sonnecchiava sulla sedia a dondolo all'ombra di un albero e il sole, filtrando tra i rami, creava piccole macchie luminose sul suo cranio rasato. Da dietro un angolo comparve una donna piccola dalle spalle larghe seguita da un ragazzino di otto anni, da una bambina poco più giovane di lui e da una signorinetta sui sedici o diciassette anni. Indossavano tutti la stessa tunica grigia, solo che quella dei due più piccoli arrivava appena sotto il ginocchio. Entrarono in silenzio nella stanza da pranzo senza degnarlo di uno sguardo; solo la ragazzina gli rivolse una breve occhiata interrogativa che Quinn sostenne fissandola negli occhi. Era una ragazza carina, con occhi scuri e luminosi e una massa di capelli neri e ondulati; la pelle del viso però era deturpata dai foruncoli. «Quella è Sorella Karma» spiegò Sorella Benedizione. «La povera ragazza soffre di acne e tutte le nostre preghiere sembra che non le giovino affatto. Andiamo, le mostrerò dove potrà dormire; non starà molto comodo, ma nemmeno noi lo siamo. Fare concessioni alla carne indebolisce lo spirito. Questo senza dubbio è quello che fa lei, vero?» «Senza dubbio.» «Ma non è preoccupato? Non ha paura di quello che potrebbe succederle?» Quinn era più spaventato da quello che avrebbe potuto non succedergli:
trovare un po' di soldi e un lavoro, ma si limitò a rispondere: «Cerco di non preoccuparmi troppo.» «Ma lei deve preoccuparsi, signor Quinn.» «Molto bene, Sorella; comincerò subito.» «Lei sta ancora scherzando! Ma lo sa che è un tipo strano?» Abbassò gli occhi sulla sua tunica grigia e sui piedi nudi, larghi e callosi. «Immagino che anch'io sembrerò strana a lei, ma non ha importanza. Preferisco sembrare strana in questo mondo che non nell'altro.» E aggiunse: «Amen» per indicare che l'argomento era chiuso. Dall'esterno il magazzino sembrava, in piccolo, una copia dell'altro edificio. L'interno invece era diviso in tante stanzette le cui porte erano tutte chiuse con un lucchetto. Una delle stanze aveva una finestrella e, come unico mobilio, una branda su cui erano posate due coperte parzialmente divorate dalle tarme. Quinn provò il materasso: sembrava morbido ma non elastico. «È fatto di capelli» spiegò Sorella Benedizione «i capelli dei nostri Fratelli. È un esperimento che ha voluto fare Sorella Gloria dell'Ascensione; è molto parsimoniosa. Purtroppo attrae le pulci; lei è sensibile alle pulci?» «Sono sensibile a parecchie cose; forse anche le pulci sono tra queste.» «Allora chiederò a Fratello Luce dell'Infinito di spruzzare il materasso con il disinfettante delle pecore. Prima tuttavia sarà meglio controllare la sua sensibilità.» «E come si fa?» «Basta che si sieda e che resti fermo per qualche minuto.» Quinn sedette sulla branda e rimase in attesa. «Si sente pungere?» chiese dopo un po' Sorella Benedizione. «Non mi pare.» «Be', sente niente?» «Neanche la più piccola vibrazione.» «Forse allora il disinfettante delle pecore non sarà necessario; potrebbe non piacerle l'odore e poi il povero Fratello Luce è già abbastanza oberato di lavoro.» «Sarei curioso di sapere quanta gente vive in questa comunità.» «In questo momento siamo in ventisette. C'è stato un periodo in cui eravamo quasi ottanta, ma alcuni si sono perduti lungo la via, altri sono morti e altri ancora hanno perso la fede. Di tanto in tanto si presenta alla nostra porta un nuovo adepto, proprio come ha fatto lei: non ha pensato che avrebbe potuto essere il Signore a guidare i suoi passi?»
«No.» «Provi a pensarci.» «Non è necessario; io so perché mi trovo qui. Quell'uomo, Newhouser, mi ha fatto salire sulla sua macchina a Reno dicendo che andava a San Felice. Per lo meno questo è quello che avevo capito io, e invece pare che volesse dire... ma non ha importanza.» «Ha importanza per me.» «Come mai?» «È molto strano che lei abbia una licenza da investigatore privato; non riesco a credere che si tratti solo di una coincidenza. Ho la strana sensazione che sia un segno della volontà del Signore.» «Le sue vibrazioni stanno migliorando, Sorella.» «Lo credo anch'io» rispose con sincerità «stanno migliorando.» «Adesso le dispiacerebbe dirmi che cosa c'entra la mia licenza di investigatore con...» «Adesso non ho tempo» lo interruppe Sorella Benedizione «devo correre ad avvertire il Maestro che lei si trova qui. Le sorprese non gli piacciono, specialmente all'ora di pranzo. Ha uno stomaco molto fragile.» «Vengo con lei» disse Quinn alzandosi. «Oh no! Non è possibile: gli stranieri non sono ammessi nella Torre.» «Crede che gli altri Fratelli e Sorelle si seccherebbero se girellassi un po' qui attorno?» «Alcuni sì e altri no. Sebbene siamo tutti qui per lo stesso scopo, ciascuno di noi ha la propria personalità come chiunque altro.» «In poche parole, è meglio che resti qui.» «Lei ha un aspetto stanco e un po' di riposo le farà bene.» Sorella Benedizione uscì richiudendosi la porta alle spalle. Quinn si sdraiò sulla branda strofinandosi il mento: avrebbe voluto fare una doccia, rasarsi e bere qualche cosa di forte. Chiuse gli occhi e sognò di trovarsi di nuovo nel suo albergo di Reno; aveva vinto diecimila dollari e quando li sparse tutti sul letto si accorse che erano tutti in biglietti da cinque e che al posto del ritratto di Lincoln c'era quello di Sorella Benedizione. Quando si svegliò, sudato e confuso, era ancora giorno. Gli ci volle qualche minuto per capire dove si trovava: quella stanzetta assomigliava a una prigione. Qualcuno stava battendo alla porta; Quinn balzò a sedere sulla branda: «Chi è?»
«Sono Fratello Luce dell'Infinito; sono qui per il materasso.» «Il materasso?» La porta si aprì e Fratello Luce dell'Infinito entrò tenendo in mano una tanica da cinque litri. Era un uomo grande e grosso con il viso solcato da rughe come un foglio di carta spiegazzato. La tunica che indossava era sporca e puzzava fortemente di bestiame. «È molto gentile da parte sua, Fratello» disse Quinn. «Qui non si tratta di gentilezza: sono ordini. Con tutte le cose che ho da fare, quella donna me ne inventa altre centomila! "Vai a disinfettare il materasso" mi ha detto. "Non possiamo permettere che quello sconosciuto venga divorato" e così eccomi qua a perdere il mio tempo con le pulci. L'hanno morso?» «Non credo.» Fratello Luce posò la tanica del disinfettante per terra. «Si tolga la camicia e si guardi la pancia; le pulci amano le pance perché la pelle è tenera ed è più facile morderla.» «Visto che mi devo svestire, c'è la possibilità di fare una doccia da queste parti?» «Nel bagno c'è l'acqua, anche se non so se si può chiamare esattamente "doccia". Ma guarda, neanche un morso! Lei deve avere una pelle d'elefante. Non c'è bisogno di sprecare questa roba con lei» raccolse la tanica e si avviò verso la porta. «Aspetti un minuto!» lo fermò Quinn. «Dov'è il bagno?» «Fuori a sinistra.» «Immagino che lei non abbia un rasoio.» Fratello Luce si massaggiò il cranio che portava i segni di tagli e graffi come quello di Fratello Voce. «Certo che abbiamo rasoi! Che cosa crede, che sia nato così? Solo che oggi non è giorno di rasatura.» «Per me lo è.» «Vada a parlarne con Fratello del Sacro Cuore; è lui il barbiere, e non faccia perdere tempo a me che ho tante cose da fare: devo mungere le vacche, ripulire le capre e dar da mangiare ai polli.» «Mi dispiace di averla disturbata inutilmente.» Fratello Luce uscì sbatacchiando la tanica del disinfettante contro la porta per fargli capire che cosa ne pensava lui delle sue scuse. Poco dopo lo seguì anche Quinn, con la camicia e la cravatta sul braccio; dalla posizione del sole, arguì che dovevano essere circa le sei o le sette e che quindi aveva dormito per un paio d'ore.
Dal camino della sala comune usciva un filo di fumo e l'odore della carne cotta si mescolava a quello delle pigne e del legno bruciato. L'aria era fresca e frizzante, un'aria sana. Quinn si chiese se quell'aria era riuscita a guarire la vecchia signora che aveva costruito quella Torre (che ancora non era riuscito a vedere) o se invece era morta qui, un poco più vicino al cielo. Gli sarebbe piaciuto andare un po' in giro e scoprire da solo dove si trovava la Torre, ma il comportamento di Fratello Luce gli aveva fatto nascere il dubbio che forse non era una buona idea. Gli altri Fratelli avrebbero potuto essere ancora meno socievoli. Nel bagno trovò una pompa a mano e un catino. L'acqua era fredda e torbida e il pezzo di sapone, grigio e sabbioso ed evidentemente fatto in casa, si rifiutò categoricamente di fare schiuma. Si guardò inutilmente attorno alla ricerca di un rasoio; del resto, anche se ne avesse trovato uno, nel bagno non c'era specchio. Forse, per questa setta religiosa, lo specchio era un tabù. Questo spiegava la necessità di avere un barbiere. Mentre si ripuliva e si rivestiva, gli tornarono in mente le parole di Sorella Benedizione a proposito del Signore che aveva guidato i suoi passi fino alla Torre. "Chissà che cosa frulla nella testa di quella donna" pensò "per me può credere a quello che vuole, purché non venga a piantarmi grane." Il sole intanto era tramontato e le montagne avevano assunto un colore verde scuro con sfumature violette. Incrociò due Fratelli diretti al bagno che lo salutarono con un breve cenno del capo senza parlare. Il tintinnio delle posate sui piatti di latta e il suono delle voci provenienti dalla sala comune lo convinsero ad avviarsi in quella direzione. Era a circa metà strada quando sentì Sorella Benedizione che lo chiamava per nome. La vide correre verso di lui, con in mano un paio di candele e una scatola di fiammiferi da cucina mentre la tonaca grigia le sbatteva sulle gambe. "Sembra un pipistrello" pensò Quinn. «Signor Quinn, signor Quinn!» «Salve Sorella; stavo proprio venendo a cercarla.» Era tutta arrossata e senza fiato: «Ho commesso un terribile errore. Mi sono dimenticata che oggi era il Giorno della Rinuncia. Ero così occupata a sistemare Fratello Voce nella sua cella nella Torre! Ormai si è abbastanza rimesso e non ha più bisogno di passare la notte vicino alla stufa.» «Si calmi un attimo e riprenda fiato, Sorella.» «Sì, ha ragione. Sono così nervosa. Lo stomaco ha ricominciato a dare fastidio al Maestro. Dunque, oggi è il Giorno della Rinuncia e in questo
giorno non ci è permesso sedere a tavola con uno straniero perché... oh, povera me! Ho dimenticato perché, ma questa è la regola.» «Non ha importanza; comunque non ho molto appetito» mentì educatamente Quinn. «Ma le daremo da mangiare, per questo non ci sono problemi, dovrà solo aspettare che tutti gli altri abbiano finito. Ci vorrà circa un'ora, forse un po' di più, dipende da come si comporteranno i denti del povero Fratello Visione Celeste. Gli danno grossi problemi e rimane sempre indietro rispetto agli altri; questo fa perdere la pazienza a Fratello Luce, che dopo il duro lavoro nei campi ha sempre una fame da lupo. Non le dispiace aspettare?» «No, certo.» «Le ho portato candele e fiammiferi e anche un'altra cosa: guardi!» disse con tono di trionfo estraendo dalle pieghe della tonaca un libro dagli angoli spiegazzati. «Qualcosa da leggere! Non ci è permesso avere libri, se non quelli che parlano di fede, ma questo è servito a Sorella Karma quando l'hanno costretta ad andare a scuola. Parla di dinosauri; pensa che potrà interessarle?» «Certamente, moltissimo.» «Io l'ho letto già almeno una dozzina di volte; sono diventata un'esperta in dinosauri. Mi promette che non dirà a nessuno che sono stata io a darglielo?» «Prometto.» Da come maneggiava il libro era evidente che lo considerava un oggetto prezioso e che distaccarsene costituiva per lei un sacrificio. Quinn si sentì commosso da questo gesto, ma anche un po' sospettoso: "Perché proprio io? Perché mi riserva questo trattamento speciale? Che cosa vuole da me?" pensava. Rimasto solo nel magazzino, accese le due candele e sedette sulla branda cercando di ideare piani per il futuro. Prima di tutto si sarebbe fatto dare un passaggio da Fratello Corona fino a San Felice, poi sarebbe andato a cercare Tom Jurgensen e si sarebbe fatto restituire i suoi trecento dollari, dopo di che... Dopo di che era inutile fare piani: se fosse riuscito a mettere insieme un po' di soldi, sarebbe subito tornato a Reno, e se non ce l'avesse fatta a Reno, sarebbe andato a Las Vegas. Cercava un lavoro e dei soldi, dopo di che avrebbe ricominciato a giocare e addio soldi: succedeva sempre così, era un circolo vizioso. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto smettere e chis-
sà, forse questa sarebbe stata la volta buona. "Va bene" pensò "mi cercherò un lavoro a San Felice, dove l'unico gioco possibile è la tombola settimanale al circolo cittadino." Avrebbe risparmiato un po' di soldi, pagato il conto che aveva lasciato in sospeso all'albergo di Reno e si sarebbe fatto spedire gli abiti che aveva lasciato là come garanzia. Forse, se le cose si fossero messe bene, avrebbe anche chiesto a Doris di raggiungerlo. No, Doris faceva parte del circolo vizioso. Come gran parte delle persone che lavorano nei casinò, passava buona parte del suo tempo libero ai tavoli da gioco. Alcune di queste persone trascorrevano praticamente tutta la loro vita sotto lo stesso tetto: mangiavano, dormivano, lavoravano e giocavano nello stesso posto, con la stessa cieca dedizione dei Fratelli e Sorelle della Torre. Doris! Erano passate solo ventiquattr'ore da quando l'aveva lasciata. La ragazza gli aveva offerto del danaro in prestito, ma per qualche incomprensibile ragione Quinn aveva rifiutato. Forse l'aveva fatto perché sapeva che il danaro crea legami, in qualsiasi modo vengano mascherati. Guardò il libro che Sorella Benedizione gli aveva dato e si chiese che cosa potesse volere la Sorella da lui. «Signor Quinn?» «Entri pure, Sorella» disse Quinn andando ad aprire la porta «era buono il pranzo del Giorno della Rinuncia?» Sorella Benedizione lo guardò sospettosa. «Abbastanza, considerate le condizioni mentali di Sorella Contrizione.» «Potrei sapere a che cosa rinunciate di preciso? Non al cibo, evidentemente.» «Questi non sono affari suoi; mi segua e non cerchi di fare lo spiritoso. La sala da pranzo ora è vuota e potrà mangiare uno stufato di agnello e bere una buona tazza di cioccolata bollente.» «Credevo che foste contrari agli stimolanti!» «Il cacao non è veramente uno stimolante. L'anno scorso abbiamo riunito il consiglio per discutere proprio di questo, ed è stato deciso a grande maggioranza che il cacao, grazie alle sue virtù nutritive, è assolutamente lecito. Soltanto Sorella Gloria dell'Ascensione ha votato contro perché lei è così tirch... parsimoniosa. Le ho raccontato del materasso fatto con i capelli?» «Sì» rispose in fretta Quinn che preferiva non pensarci. «Sarà meglio che nasconda il libro; nessuno verrà certo a curiosare, ma perché correre rischi?»
«Ha ragione» rispose Quinn nascondendo il libro sotto una coperta. «L'ha letto?» «Qualche pagina.» «Non le pare estremamente interessante?» Quinn pensò che i motivi per cui la Sorella glielo aveva prestato dovevano essere ancora più interessanti, ma non disse niente. Fuori la luna piena brillava sopra le cime delle sequoie. Il cielo era trapunto da un numero infinito di stelle; Quinn non ne aveva mai viste tante e gli sembrava che aumentassero sotto i suoi occhi. «Non ha mai visto il cielo prima d'ora?» chiese Sorella Benedizione con una certa impazienza. «Mai un cielo come questo.» «Il cielo è sempre lo stesso.» «Questo a me sembra diverso.» Sorella Benedizione lo scrutò interessata. «Crede che la sua possa essere un'esperienza religiosa?» «No, sto ammirando l'universo; se vuole mettere un'etichetta a questa mia emozione, faccia pure.» «Lei non capisce, signor Quinn; preferirei che lei non avesse esperienze religiose proprio adesso.» «E perché no?» «Desidererei che lei facesse una cosa per me, e una sua conversione, in questo momento, sarebbe proprio fuori luogo.» «Può smettere di preoccuparsi, Sorella; dunque, che cosa desidera che io...» «Glielo dirò più tardi, quando avrà mangiato.» La sala da pranzo era vuota, e anche la sedia a dondolo di Fratello Voce e la gabbietta dell'uccellino erano sparite. Sul lato della tavola più vicino alla stufa era apparecchiato per una persona. Quinn sedette e Sorella Benedizione gli riempì un piatto di stufato e un altro di fette di pane, poi, come aveva fatto nel pomeriggio, rimase a osservarlo con una specie di interesse materno mentre mangiava. «Lei è un po' pallido» disse infine «ma mi sembra che abbia un buon appetito e che sia piuttosto sano. Voglio dire che, se lei fosse un tipo deboluccio, non potrei naturalmente chiederle di farmi un favore.» «Malgrado le apparenze io sono estremamente fragile: ho problemi di fegato, di respirazione e anche circolatori.» «Sciocchezze!»
«D'accordo: qual è questo favore?» «Vorrei che lei cercasse qualcuno. Non voglio che lei lo incontri personalmente, mi basta sapere che cosa gli è successo. Capisce?» «Non proprio.» «Prima di andare avanti vorrei mettere in chiaro una cosa: io posso pagarla, ho dei soldi. Nessuno qui lo sa, perché, quando veniamo alla Torre, dobbiamo rinunciare a tutti i nostri beni: i nostri soldi, persino gli indumenti che indossiamo, tutto va al fondo comune.» «Lei invece si è tenuta qualche cosa da parte, per una emergenza.» «Niente affatto» ribatté seccamente «mio figlio, che vive a Chicago, mi manda ogni Natale venti dollari con l'intesa che io li tenga per me e non li consegni al Maestro. Mio figlio non approva tutto questo» aggiunse accennando con la mano alla stanza «non capisce le soddisfazioni che può dare una vita al servizio del Signore e dei suoi seguaci. È convinto che, dopo la morte di mio marito, io sia diventata un po' pazza. Forse è vero, ma adesso ho finalmente trovato il mio posto nel mondo e non voglio andarmene da qui. Come potrei? Qui hanno bisogno di me: Fratello Voce con le sue pleuriti ricorrenti, il Maestro con i dolori di stomaco, e Madre Purezza con il suo cuore sofferente. È la moglie del Maestro ed è molto anziana.» Sorella Benedizione si alzò e si avvicinò alla stufa tendendo le mani verso il calore, come se avesse improvvisamente sentito accanto a sé il soffio gelido della morte. «Anch'io sto diventando vecchia; ci sono giorni in cui mi pare di non farcela: l'anima è in pace, ma il corpo si ribella, sente il bisogno di tenerezza, di calore, di dolcezza. Al mattino, quando mi alzo, il mio spirito s'innalza verso il cielo, ma i miei poveri piedi, oh, come sono gelati! E come mi fanno male le gambe. Una volta, in un catalogo di vendite per corrispondenza, ho visto la fotografia di un paio di pantofole. Ci penso spesso, anche se non dovrei. Erano rosa, foderate di pelliccia, morbide e calde, le più belle pantofole che avessi mai visto. Ma queste naturalmente sono le debolezze della carne.» «Debolezze molto piccole, non le pare?» «È proprio da queste che bisogna guardarsi. Sono quelle che crescono, crescono, come la gramigna. Si comincia con il desiderare un paio di pantofole calde e ben presto si desiderano tante altre cose.» «Quali, per esempio?» «Un bagno caldo in una vera vasca da bagno e due asciugamani. Ecco,
vede, sta già succedendo: ho detto due asciugamani, mentre uno sarebbe più che sufficiente. Questo dimostra la mia teoria sulla natura umana: niente basta mai. Se potessi fare un bagno caldo, dopo ne vorrei fare un altro e poi uno alla settimana e magari anche uno al giorno. E se alla Torre tutti facessimo la stessa cosa, ci ritroveremmo a crogiolarci nella vasca da bagno mentre il bestiame ha fame e l'orto si riempie di erbacce. No, signor Quinn, se lei in questo momento mi offrisse di fare un bagno caldo, io sarei costretta a rifiutare.» Quinn stava per ribattere che non era sua abitudine offrire bagni caldi a sconosciute, ma tacque, temendo di offendere Sorella Benedizione, che gli sembrava sincera e accalorata su questo argomento come se stesse parlando con il diavolo in persona. Dopo qualche minuto di silenzio la Sorella riprese: «Ha mai sentito parlare di una cittadina che si chiama Chicote?» «Sì, so dov'è.» «Vorrei che lei andasse a Chicote e trovasse un uomo di nome Patrick O'Gorman.» «È un suo amico? O un parente?» «Dispongo di centoventi dollari» riprese la donna come se non avesse sentito la domanda. «Si comprano tante pantofoline con pelliccia con quei soldi, Sorella.» Di nuovo la donna lo ignorò. «Potrebbe trattarsi di un lavoro molto semplice, non so.» «Supponiamo che trovi questo O'Gorman; poi che cosa devo fare? Gli do un suo messaggio, gli auguro buon Natale?» «Lei non deve fare niente; deve solo tornare qui e dirmelo, ma a me sola!» «E se non abitasse più a Chicote?» «Cerchi di scoprire dove è andato, ma, per favore, non si metta in contatto personalmente con lui. Non sarebbe di nessuna utilità e potrebbe invece provocare dei danni. Accetterà questo incarico?» «In questo momento, Sorella, non posso permettermi di scegliere i lavori che mi piacciono di più. Devo farle notare però che lei corre un bel rischio facendomi andare via di qui con centoventi dollari. Potrei mettermeli in tasca e non farmi più vedere.» «È vero» rispose tranquillamente Sorella Benedizione «in quel caso avrei imparato un'altra lezione. D'altra parte, può anche darsi che lei ritorni; come vede non ho niente da perdere, visto che comunque non posso spen-
dere quei quattrini e non posso neanche consegnarli al Maestro, perché ho promesso a mio figlio di non farlo.» «Lei ha un'abilità speciale nel far sembrare al primo sguardo tutto molto semplice e ragionevole.» «E a un esame più approfondito?» «Mi chiedo perché lei è così interessata a questo O'Gorman.» «Continui a chiederselo, non le farà male. Le dirò soltanto che quello che le ho chiesto di fare ha molta importanza per me.» «D'accordo; dove sono i soldi?» «In un posto sicuro» rispose dolcemente Sorella Benedizione «almeno fino a domani mattina.» «Questo significa che non si fida di me? O non si fida degli altri Fratelli e Sorelle?» «Significa che non sono una stupida, signor Quinn. Avrà il danaro domani all'alba, quando sarà seduto sul camion accanto a Fratello Corona di Spine.» «All'alba?» «A letto con le galline e in piedi al canto del gallo; è tutta salute.» «Questo è un proverbio che non ho mai sentito.» «Il Maestro ha fatto qualche piccola modifica a certi proverbi perché i nostri bambini li imparino più facilmente.» «Questo Maestro mi incuriosisce; mi piacerebbe conoscerlo.» «Questa sera non si sente bene. Forse, quando verrà a trovarci la prossima volta...» «Lei sembra molto sicura che ci sia una prossima volta, Sorella. Forse lei non conosce i giocatori d'azzardo.» «Conoscevo giocatori d'azzardo prima ancora che lei fosse abbastanza grande da riconoscere un asso di picche!» 2 Faceva ancora buio, quando Quinn fu svegliato da qualcuno che lo scuoteva vigorosamente per una spalla. Aprì gli occhi e vide un uomo piccolo e grasso che lo fissava con intensità attraverso spesse lenti. «Santo cielo! Cominciavo a temere che lei fosse morto. Deve alzarsi immediatamente.» «Perché, che cosa è successo?»
«Niente è successo! È ora di alzarsi e di salutare il nuovo giorno. Io sono Fratello del Sacro Cuore e Sorella Benedizione mi ha detto di raderla e di darle qualcosa da mangiare prima che anche gli altri si alzino.» «Che ore sono?» «Non abbiamo orologi alla Torre. L'aspetto in bagno. Non ci volle molto perché Quinn scoprisse come tutti i Fratelli si erano procurati quei tagli e quei graffi sulla testa e sul viso. La lama non tagliava, la luce della lanterna era debole e Fratello del Sacro Cuore era terribilmente miope.» «Accidenti, com'è nervoso!» osservò amabilmente Fratello Cuore. «Immagino che lei soffra di nervi, vero?» «Qualche volta.» «Mentre ci sono, potrei darle una spuntatina ai capelli.» «No grazie, la rasatura è più che sufficiente. Non voglio che si disturbi troppo.» «Sorella Benedizione ha detto che devo farla assomigliare il più possibile a un gentiluomo. Ho l'impressione che l'abbia preso molto in simpatia; la cosa mi incuriosisce abbastanza.» «Incuriosisce anche me, Fratello.» Aveva l'impressione che Fratello Cuore avrebbe voluto insistere sull'argomento, ma che non osasse ficcare il naso negli affari o nei sentimenti di Sorella Benedizione. «Be', adesso vado a prepararle la colazione. Ho già acceso il fuoco e non ci vorrà molto a far bollire qualche uovo per noi due.» «Come mai saremo solo noi due?» Il viso grassoccio di Fratello Cuore divenne tutto rosso. «Staremo più tranquilli senza Sorella Contrizione attorno. È lei la cuoca, veramente, ma quella donna, al mattino, è un demonio. Acida, di cattivo umore; non c'è niente di peggio di una donna di cattivo umore.» Quando, dopo essersi vestito, Quinn entrò nella grande cucina, Fratello del Sacro Cuore aveva già preparato la colazione: uova sode, pane e marmellata. Il Fratello riprese la conversazione come se non l'avessero mai interrotta: «Ai miei tempi le donne non avevano la lingua così pungente. Erano fragili, parlavano sottovoce e avevano mani e piedi delicati. Ha notato che razza di piedi hanno le donne qui attorno?» «Veramente no.» «Ahimè! Io l'ho fatto: sono piedi larghi e piatti.» Malgrado non smettesse di chiacchierare come fanno tutti i barbieri di questo mondo, Fratello Cuore sembrava nervoso. Aveva appena toccato il
cibo e continuava a guardarsi alle spalle come se si aspettasse da un momento all'altro di veder comparire qualcuno. «Perché avete tanta fretta di sbarazzarvi di me prima che gli altri si alzino?» «Be', non direi che sia proprio così.» «Io invece direi di sì.» «Non ha niente a che fare con lei personalmente, signor Quinn. Diciamo che si tratta di una misura precauzionale.» «Mi piacerebbe sapere di che cosa sta parlando.» Fratello Cuore esitò un momento mordendosi le labbra. «Penso che non ci sia niente di male se glielo dico; vede, si tratta della figlia più grande di Sorella Contrizione, Karma. L'ultima volta che il furgone si è recato in città, la ragazza si è nascosta dietro sotto un mucchio di sacchi di canapa. Fratello Corona di Spine se ne è accorto quando era già a metà strada e solo perché la canapa ha fatto starnutire Karma. La ragazza per un certo periodo è andata a scuola, e questo è servito a riempirle la testa di idee bislacche: vorrebbe andarsene da qui e trovarsi un lavoro in città.» «E questo non è possibile?» «Certo che no! Quella povera bambina sarebbe perduta in città. Qui almeno è povera tra i poveri.» Il sole stava ormai per spuntare e il cielo si era colorato di un leggero alone rosato. Dalla Torre invisibile giunse il suono del gong e subito dopo apparve tutta affannata Sorella Benedizione. «Il camion è pronto, signor Quinn; non bisogna fare aspettare Fratello Corona di Spine. Mi dia la sua giacca e le darò una bella spazzolata.» Quinn aveva già cercato di spazzolarla come poteva, ma gliela porse lo stesso. La Sorella la portò fuori e le diede dei colpetti con le mani. «Adesso andiamo, signor Quinn; Fratello Corona ha una giornata lunga e faticosa davanti a sé.» Quinn si infilò la giacca e la seguì lungo il sentiero che portava alla strada sterrata. La donna taceva; neppure un accenno né ai soldi né a O'Gorman. Quinn aveva la sgradevole sensazione che avesse completamente dimenticato quello che era accaduto la sera prima e che fosse un po' più squilibrata di quanto lui non avesse a tutta prima creduto. In mezzo alla strada un vecchio camion Chevrolet con i fari e il motore accesi stava aspettando. Al volante, con un cappello di paglia che gli copriva il cranio rasato, sedeva un Fratello più giovane di tutti quelli che Quinn aveva incontrato fino ad allora. Doveva avere una quarantina d'anni;
quando Sorella Benedizione gli presentò Quinn, Fratello Corona di Spine rispose con un breve sorriso che tradì la mancanza di uno degli incisivi superiori. «Quando sarete a San Felice, Fratello Corona la farà scendere dove lei vorrà, signor Quinn.» «Grazie» rispose Quinn arrampicandosi sul camion. «A proposito di O'Gor...» «Buon viaggio» lo interruppe Sorella Benedizione come se non avesse sentito «e tu, Fratello Corona, sii prudente e non dimenticare se in città incontrerai delle tentazioni di voltar loro le spalle. Se la gente ti guarda, abbassa gli occhi, se fa commenti su di te, fingi di non sentire.» «Così sia, Sorella.» «Quanto a lei, signor Quinn, non posso chiederle che di comportarsi con buon senso.» «Senta Sorella, a proposito di quei sol...» «Au revoir, signor Quinn.» Il camion si mosse e Quinn si voltò per guardare Sorella Benedizione, ma lei era già sparita tra gli alberi. "Forse la nostra conversazione non è mai avvenuta" pensò Quinn "forse io sono più matto di tutta questa gente, e non è poco." «Una donna in gamba Sorella Benedizione» gridò per farsi sentire malgrado il rumore del motore. «Che cosa ha detto? Non la sento!» «Ho detto che Sorella Benedizione è una donna in gamba, ma sta diventando vecchia. Non le capita di tanto in tanto di dimenticare qualche cosa?» «Vorrei che succedesse.» «Magari cose di poco conto.» «No, non lei» ribatté Fratello Corona scuotendo il capo, ammirato suo malgrado «ha la memoria di un elefante. Abbassi il finestrino, per favore: l'aria del buon Dio è fresca.» Più che fresca a Quinn sembrava fredda. Abbassò il finestrino, alzò il bavero della giacca e infilò le mani in tasca; le sue dita riconobbero immediatamente il tocco fresco della carta moneta. Si voltò verso la Torre e silenziosamente disse: «Au revoir, Sorella. Almeno, credo.» A causa della strada tortuosa e dei capricci del vecchio motore, ci vollero più di due ore per raggiungere San Felice, una striscia di terra stretta tra le montagne e il mare. San Felice è una città vecchia, ricca e conservatrice
che cerca di distinguersi dal resto della California del Sud. Le sue strade sono affollate di energiche signore anziane, di vecchi abbronzatissimi e di giovani atletici che sembrano nati sui campi da tennis e da golf o sulle spiagge. Tornando in città, Quinn si rese conto che Doris, con i suoi capelli platinati e il trucco pesante, avrebbe dato nell'occhio in quell'ambiente e, quando se ne fosse accorta, avrebbe fatto del suo meglio per farsi notare ancora di più. No, Doris non avrebbe mai potuto integrarsi in quell'ambiente; era una creatura della notte e San Felice era una città per creature diurne. Sorella Benedizione e Fratello Corona, malgrado il loro bizzarro abbigliamento, avrebbero dato meno nell'occhio di Doris. "O di me", pensò Quinn e sentì dissolversi tutte le sue decisioni e i buoni propositi. "Io non appartengo a questo ambiente; sono troppo vecchio per giocare a tennis o per fare il subacqueo e troppo giovane per passare il mio tempo giocando a scacchi o a canasta." Strinse i soldi che teneva in tasca; centoventi dollari, più i trecento che gli doveva Tom Jurgensen, facevano quattrocentoventi dollari. Se fosse tornato a Reno e avesse giocato con intelligenza, se avesse avuto un po' di fortuna... «Dove vuole scendere?» chiese Fratello Corona. «Personalmente io devo andare da Sears.» «Sears andrà benissimo anche per me.» «Ha amici in città?» «Ne avevo uno; forse ce l'ho ancora.» Fratello Corona entrò nel parcheggio di Sears e posteggiò la macchina con un grande stridio di freni. «L'ho portata fin qua sano e salvo come avevo promesso a Sorella Benedizione. Lei e la Sorella vi conoscevate già?» «No.» «Di solito non fa tante storie per uno sconosciuto.» «Può darsi che le ricordi qualcuno.» «A me non ricorda proprio nessuno.» Fratello Corona scese dal camion e si avviò senza aggiungere altro verso l'ingresso di Sears. «Grazie per il passaggio, Fratello!» «Amen.» Erano le nove, ed erano già passate diciotto ore da quando Sorella Benedizione aveva dato a lui, straniero, il benvenuto alla Torre e l'aveva trattato come un amico. Toccò il danaro che aveva in tasca, pensò a tutti gli obblighi che comportava e si rammaricò di averlo accettato. Pensò di rincorrere
Fratello Corona e di consegnarglielo perché lo restituisse a Sorella Benedizione, ma poi si ricordò che alla Torre non era permesso possedere danaro e che se l'avesse fatto forse avrebbe messo Sorella Benedizione in un mare di guai. Tom Jurgensen vendeva barche e assicurazioni sui natanti proprio vicino alla linea dei frangiflutti; aveva un minuscolo ufficio le cui finestre erano coperte di cartelli con scritto VENDESI e fotografie di iole, sloop e altre barche da diporto. Quando Quinn entrò nell'ufficio, Jurgensen stava fumando un sigaro e parlava al telefono con la cornetta appoggiata su una spalla come l'uccellino di Fratello Voce stava appollaiato su quella del suo protettore. «Quella è una bagnarola, non una barca» ringhiò «non ho nessuna intenzione di comprarla.» Depose il ricevitore e tese la mano a Quinn. «Ma guarda! Joe Quinn in persona. Come stai, vecchio mio?» «Sempre più vecchio e sempre più al verde.» «Speravo che tu non lo dicessi, Joe. Gli affari ultimamente sono andati da cane. Questa non è più una città di ricchi: è stata invasa dalla media borghesia sparagnina, che se ne infischia se si tratta di legno di teak o di mogano. Vogliono soltanto... lasciamo perdere. Sei proprio senza un soldo?» «A parte una piccolissima somma che non è neanche mia.» «Da quando in qua ti preoccupi per così poco, Joe?» chiese scoppiando a ridere. «Sto scherzando, naturalmente.» «Certo che scherzi. Ho la tua cambiale per trecento dollari e adesso ne ho bisogno.» «Il fatto è che io non li ho. La cosa è estremamente imbarazzante, vecchio mio, ma è la verità. Se tu ti accontentassi di una barca, ne avrei una che fa proprio per te; fondo piatto, vele e motore...» «Proprio quello che mi ci vuole per andare in giro per Venice.» «Non ti agitare, era solo un'idea. Immagino che tu abbia già l'automobile.» «Ti sbagli.» «Bene, allora ci sarebbe questo gingillino: una Ford Victoria del '54 che usa mia moglie. Pianterà una grana d'inferno, se gliela porto via, ma cosa posso farci? Vale almeno trecento dollari; due tonalità d'azzurro e il tetto color crema; copertoni bianchi, riscaldamento, radio.» «Mi farebbe molto più comodo se potessi averla a Reno.» «Ma non sei a Reno, proprio come non sei a Venice» ribatté Jurgensen.
«In questo momento è il massimo che posso fare per te. O prendi la macchina a saldo del mio debito, oppure la usi fino a quando non riuscirò a racimolare i soldi che ti devo. Personalmente preferirei dartela in prestito; questo mi permetterebbe di calmare un po' la furia di Helen.» «D'accordo; dov'è la macchina?» «Parcheggiata nel garage dietro a casa mia al 631 di Gaviota Road. È più di una settimana che nessuno la usa, Helen è andata a trovare sua madre a Denver, perciò potresti avere qualche difficoltà a metterla in moto. Eccoti le chiavi. Resterai in città per un po' di tempo?» «Credo che andrò avanti e indietro.» «Telefonami tra un paio di settimane; forse avrò messo insieme i soldi, e abbi cura della macchina o Helen mi accuserà di averla persa in una partita di poker. Forse lo farà comunque. Hai un bell'aspetto, Joe!» «A letto con le galline e in piedi al canto del gallo; è tutta salute, come dice il proverbio.» «Mai sentito questo proverbio.» «Me l'hanno insegnato i Fratelli e le Sorelle della Torre del Paradiso.» «Per caso ti sei dato alla religione o qualcosa del genere?» chiese Jurgensen aggrottando la fronte. «Qualcosa del genere. Grazie per la macchina; ci vediamo più tardi.» La macchina partì al primo colpo; Quinn andò a un distributore di benzina, fece il pieno, aggiunse un litro d'olio e si separò dal primo biglietto da venti dollari che gli aveva affidato Sorella Benedizione. Poi chiese al benzinaio quale fosse la via più breve per arrivare a Chicote. «Fossi in lei seguirei la statale 101 fino a Ventura e poi la 99. È un po' più lunga, ma così si evitano tutte le curve dell'altra strada. Colleziona buoni-punto, signore?» «Credo che sia venuto il momento di cominciare.» Non appena la strada si allontanò dalla costa, Quinn rimpianse di non aver aspettato a intraprendere il viaggio che facesse buio. Le colline brulle che si alternavano ai boschi di limoni e di noci scintillavano sotto il sole implacabile e l'aria era così secca che la sigaretta gli si spezzò in due tra le dita. Cercò di distrarsi pensando a San Felice, alla brezza fresca proveniente dall'oceano e al porto punteggiato di vele bianche, ma il contrasto con il paesaggio che lo circondava lo fece sentire ancora più infelice. Allora si fermò, indeciso se arrendersi alla violenza del caldo. Arrivò a Chicote a mezzogiorno. Dalla sua ultima visita la piccola città
era cambiata: era cresciuta, ma non in altezza, e certamente non era migliorata. Circondata da pozzi di petrolio e abitata da persone che trovavano lavoro e sostentamento nei pozzi, era una cittadina piatta e scura come una ciambella dimenticata dal cuoco nel forno. Lungo le strade che dividevano i nuovi quartieri dalle vecchie catapecchie, gli alberi crescevano stentatamente. I bambini che giocavano nella polvere e tra le erbacce delle zone non ancora edificate sembravano altrettanto felici e soddisfatti dei loro coetanei che giocavano sulle spiagge bianche e pulite di San Felice. Era nei ragazzi più grandi che appariva il malessere causato da un arricchimento troppo rapido. Andavano avanti e indietro per le strade nelle loro macchine decappottabili o nei fuoristrada nuovi di zecca, e si fermavano soltanto davanti ai bar o ai ristoranti, senza mai scendere però, come soldati che in territorio nemico non abbandonano i loro carri armati. Quinn comprò lo stretto necessario in un negozio, poi fissò una stanza in un motel vicino al centro. Quindi fece colazione in un caffè con l'aria condizionata dove faceva così freddo che fu costretto ad alzare il bavero della giacca mentre mangiava. Quando ebbe terminato, si recò in una cabina telefonica poco distante; sull'elenco non ebbe difficoltà a trovare il numero di telefono e l'indirizzo di Patrick O'Gorman. "Allora è tutto qui?", pensò con un misto di soddisfazione e di disappunto. "O'Gorman abita ancora a Chicote e io mi sono guadagnato centoventi dollari facili. Domani mattina vado alla Torre, do a Sorella Benedizione le informazioni che vuole e poi parto sparato per Reno." Sembrava tutto molto semplice, ma era proprio questa semplicità a lasciare Quinn perplesso. Se tutto era così banale, come mai Sorella Benedizione si era comportata in modo così misterioso? Perché non aveva semplicemente chiesto a Fratello Corona di telefonare a O'Gorman da San Felice o di cercare il suo indirizzo sugli elenchi del telefono che avrebbe potuto consultare in qualsiasi ufficio postale? Quinn non poteva credere che non le fossero venute in mente queste due possibilità. Dopo tutto, l'aveva detto lei stessa, e Quinn aveva avuto modo di constatarlo, non era una stupida, eppure aveva pagato centoventi dollari per un'informazione che avrebbe potuto costarle soltanto un gettone telefonico. Mise una moneta nell'apparecchio e compose il numero di O'Gorman. Gli rispose una ragazzina ansante, come se avesse fatto una corsa per arrivare prima. «Parla O'Gorman.» «Potrei parlare con il signor O'Gorman?»
«Richard non è un signore» rispose la ragazzina ridacchiando «ha soltanto dodici anni!» «Intendevo dire vostro padre.» «Mio padre?» Si sentì un po' di movimento all'altro capo del filo, poi una voce di donna, cauta e controllata, chiese: «Con chi desidera parlare?» «Con il signor Patrick O'Gorman.» «Mi dispiace, ma non è qui.» «Quando pensa che sarà di ritorno?» «Non rientrerà.» «Vuole essere così gentile da dirmi dove posso rintracciarlo?» «Il signor O'Gorman è morto cinque anni fa» rispose la donna e interruppe la conversazione. 3 Olive Street si trovava in una zona della città che, pur dimostrando i suoi anni, si sforzava di mantenere decoro e dignità. Il numero settantadue era contornato da due piccoli prati erbosi ben curati in mezzo ai quali da una parte c'era un oleandro in fiore, dall'altra un arancio. Contro il tronco era appoggiata la bicicletta di un ragazzo, come se il suo proprietario, attratto improvvisamente da qualche cosa di più interessante, l'avesse dimenticata. Le finestre della casetta erano chiuse e le tende tirate. Sul marciapiede e sul portico innaffiati di fresco piccole pozzanghere fumavano ancora sotto il sole. L'immagine distorta riflessa sul batacchio d'ottone lucidissimo della porta parve a Quinn che riflettesse il suo stato d'animo di quel momento. Venne ad aprirgli una donna che, come la casa, era piccola, curata ma non più giovane. Sebbene i lineamenti fossero piacevoli e avesse una figura aggraziata, il suo viso era privo di vivacità e di interesse. Sembrava che, a un certo momento della vita, il suo spirito l'avesse abbandonata e non avesse fatto più ritorno. «Signora O'Gorman?» chiese Quinn. «Sì, ma non ho intenzione di comprare niente.» "Accidenti, com'è scostante!", pensò Quinn. «Sono Joe Quinn, un tempo conoscevo suo marito.» Pur restando sulle sue, la donna sembrò mostrare un certo interesse. «È lei che ha telefonato poco fa?»
«Sì; confesso che è stato un colpo per me apprendere che era morto. Sono venuto per porgerle le mie condoglianze e per scusarmi con lei se l'ho involontariamente turbata.» «Grazie. Mi dispiace di avere interrotto così bruscamente la conversazione: non sapevo se si trattasse di uno scherzo di cattivo gusto o di una semplice cattiveria. Dopo tutti questi anni, chiedere di Patrick... A Chicote tutti sanno che Patrick non c'è più.» Non c'è più. Quinn notò l'espressione e l'esitazione con cui la signora l'aveva pronunciata. «Quando ha conosciuto mio marito, signor Quinn?» Rispondere a questa domanda poteva essere rischioso, e Quinn scelse la risposta che gli parve meno pericolosa: «Pat e io abbiamo fatto insieme il servizio militare.» «Bene, perché non entra? Ho appena preparato della limonata per quando rientreranno i ragazzi.» La tappezzeria e la moquette facevano sembrare il soggiorno ancora più piccolo. I gusti della signora O'Gorman, o forse del signor O'Gorman, avevano un debole per le rose: grandi e rosse quelle sul tappeto, bianche e rosa quelle sulla tappezzeria. Un condizionatore d'aria infilato in una finestra produceva un gran rumore senza dare buoni risultati: la stanza era ancora calda. «Prego, si accomodi, signor Quinn.» «Grazie.» «E adesso mi parli di mio marito.» «Speravo che fosse lei a parlarmene.» «Ma non è così che si usa! Quando una persona viene a fare le condoglianze alla vedova di un suo vecchio compagno d'armi, rivangare i ricordi è di rigore. Quindi, la prego, cominci a raccontare; lei ha tutta la mia attenzione.» Quinn la guardò imbarazzato. «Forse lei è timido, signor Quinn, e ha bisogno di un po' di incoraggiamento. Perché non prova per esempio con: "Non dimenticherò mai il giorno in cui...". O forse preferisce un approccio più drammatico del tipo: "I tedeschi salivano a ondate per la collina e noi eravamo bloccati in un carro armato colpito da una granata, feriti! Se non ci fosse stato il caro vecchio Pat...". Preferisce così?» «Mi dispiace, ma non ho mai visto neppure un tedesco. Ho fatto la guerra di Corea.»
«Non ha importanza, cambiamo paesaggio. Supponiamo di essere in Corea.» «Che cosa intende dire, signora O'Gorman?» «Che cosa intende dire lei, signor Quinn!» chiese la donna con un sorrisetto gelido. «Mio marito non ha mai fatto il servizio militare e non ha mai permesso a nessuno di chiamarlo Pat. Cerchiamo quindi di ricominciare da capo e di essere un po' più aderenti alla verità.» «In questo caso diciamo che non c'è nessuna verità in quanto le ho detto. Non ho mai conosciuto suo marito e non sapevo che fosse morto. Tutto quello che sapevo era il suo nome e il fatto che viveva a Chicote.» «E allora che cosa fa qui?» «Domanda interessante; vorrei avere una risposta altrettanto valida. La verità infatti non è assolutamente plausibile.» «Di solito è chi ascolta che deve giudicare se la risposta è plausibile o no, e io la sto ascoltando.» Quinn cercò rapido nella mente qualcosa da dire. Aveva già disobbedito agli ordini di Sorella Benedizione che gli aveva imposto di non cercare di mettersi in contatto con O'Gorman. Fare adesso il suo nome non sarebbe stato di nessuna utilità e comunque la signora O'Gorman non avrebbe creduto a una parola del suo racconto. Non c'era che una scappatoia: se la morte di O'Gorman si era verificata in circostanze straordinarie, e l'esitazione nella risposta di sua moglie sembrava confermare questo sospetto, forse la signora O'Gorman poteva aver piacere di parlarne. E se lei parlava, lui avrebbe potuto restare zitto. «Il fatto è» disse infine «che sono un detective.» La reazione fu più rapida e violenta di quanto non avesse immaginato. «Allora vogliono ricominciare tutto da capo, è così? Mi lasciano in pace per un paio d'anni, posso riprendere ad andare per la strada senza che nessuno mi fissi o bisbigli alle mie spalle e adesso si ricomincia tutto da capo! Titoli sui giornali e stupidi cronisti che fanno stupide domande. Mio marito è morto in un incidente, possibile che non riescano a cacciarselo in quelle teste dure? Non è stato ucciso, non si è suicidato e non è fuggito per rifarsi una vita da qualche altra parte. Non permetterò che la sua memoria venga imbrattata! Era un marito affezionato e un uomo onesto. Quanto a lei, sarà meglio che dedichi il suo tempo a distribuire multe per parcheggi abusivi o a fare attraversare i bambini che escono da scuola. E adesso se ne vada e non si faccia più vedere.» La signora O'Gorman non era una donna con cui mettersi a discutere e
neppure da convincere a cambiare idea. Era intelligente, forte e amareggiata e Quinn non se la sentiva di combattere contro queste tre condizioni contemporaneamente. Perciò se ne andò in fretta senza aggiungere una parola. Mentre ritornava in macchina verso Main Street, Quinn cercò di convincersi che il suo lavoro era compiuto e che non gli restava altro che andare a riferire quello che aveva scoperto a Sorella Benedizione. O'Gorman era morto in un incidente, l'aveva affermato sua moglie. Ma che tipo di incidente? Se la polizia aveva sospettato che fosse sparito per rifarsi una nuova vita, significava che il cadavere non era mai stato ritrovato. "Il mio lavoro è compiuto" pensò "i perché e i percome della morte di O'Gorman sono cose che non mi riguardano. Del resto, dopo cinque anni, tutti gli indizi saranno inquinati. Partenza per Reno!" Pensare a Reno però non lo aiutò a cancellare dalla mente il pensiero di O'Gorman. Quando lavorava al casinò, il suo lavoro consisteva principalmente nel cercare di individuare le persone ricercate dalla polizia in altri stati. Fotografie, descrizioni e circolari arrivavano tutti i giorni e venivano affisse negli uffici delle guardie di sicurezza. Molti arresti venivano così compiuti velocemente e rapidamente senza che i giocatori di roulette nemmeno se ne accorgessero. Una volta Quinn aveva letto che si facevano più arresti di latitanti a Reno e a Las Vegas che in tutti gli altri stati del paese. Le due città funzionavano da calamite per rapinatori di banche e malversatori, imbroglioni e gangster e in genere per tutti i furfanti con le tasche piene di soldi e il desiderio insopprimibile di cimentarsi a un tavolo da gioco. Quinn parcheggiò davanti a un tabaccaio ed entrò a comprare un giornale. La scelta era vasta; si andava dai giornali di Los Angeles e San Francisco al Wall Street Journal e al Chicote Beacon, il settimanale locale. Quinn comprò il Beacon e scoprì che la redazione era nella Eight Avenue e che il proprietario e direttore era un certo John Harrison Ronda. L'ufficio di Ronda era un cubicolo circondato da pareti alte circa due metri di cui la parte inferiore era in legno, mentre quella superiore era in vetro. Quando era in piedi Ronda poteva controllare tutto quello che facevano i suoi impiegati, da seduto invece poteva ignorarli completamente. Era una sistemazione molto intelligente. Era un uomo alto e tranquillo, dal viso simpatico, sulla cinquantina, con una voce profonda e risonante: «Che cosa posso fare per lei, signor
Quinn?» «Ho parlato poco fa con la moglie di Patrick O'Gorman, o dovrei dire la vedova?» «La vedova.» «Lei era a Chicote quando O'Gorman è morto?» «Sì, anzi a quell'epoca avevo appena finito di spendere tutti i soldi che avevo per comprare questo giornale. Ero nei debiti fino al collo e probabilmente lo sarei ancora se non ci fosse stato il caso O'Gorman. Prima O'Gorman e poi, qualche settimana più tardi, una cassiera della banca locale, una donnina graziosa (come mai i peggiori imbroglioni sono spesso donnine graziose?), che fu scoperta con le mani nel sacco. La tiratura del Beacon raddoppiò in quell'anno. Sì, credo di dover essere riconoscente a O'Gorman e non mi vergogno di ammetterlo. Ha rappresentato il vento impetuoso che ha soffiato via tutti i miei debiti. E così lei è un amico della vedova?» «No» rispose Quinn cautamente «non proprio.» «Ne è sicuro?» «Sicurissimo, e la signora è ancora più sicura di me.» Ronda lo guardò deluso. «Spero sempre che Martha O'Gorman si trovi finalmente un compagno. Sarebbe bello che sposasse una persona perbene della sua età.» «Mi dispiace, ma io in questo quadretto idilliaco non ho nessuna parte: sono più vecchio di quanto non sembri e ho un carattere infernale.» «D'accordo, d'accordo, ho ricevuto il messaggio; ma quello che ho detto è sempre valido: Martha dovrebbe risposarsi e smetterla di vivere nel passato. Ogni anno che passa O'Gorman diventa sempre più perfetto ai suoi occhi. Ammetto che era un brav'uomo, un marito affettuoso e un padre affezionato ma, per chi sopravvive, buoni o cattivi, i morti sono tutti uguali. Martha forse sarebbe più tranquilla se scoprisse che dopo tutto O'Gorman era un fior di canaglia.» «Potrebbe ancora accadere.» «Impossibile» ribatté Ronda scuotendo vigorosamente il capo «era un uomo timido e gentile, esattamente l'opposto dell'immagine violenta e litigiosa che abbiamo degli irlandesi. Una delle cose che ha fatto impazzire la polizia quando era convinta che si trattasse di un delitto, era il fatto che non c'era un'anima in tutta Chicote che avesse qualcosa da ridire su O'Gorman: nessun rancore, nessun litigio né malanimo. Se O'Gorman è stato fatto fuori, e secondo me su questo non ci sono dubbi, deve essere
stato uno sconosciuto, probabilmente un autostoppista che ha raccolto, a ucciderlo.» «Le persone timide di solito non si fermano a raccogliere chi fa l'autostop.» «Be', lui lo faceva. Era uno dei pochi punti su cui era in disaccordo con Martha. La moglie riteneva che fosse pericoloso, ma lui non si dava per vinto. Quello che lo spingeva a comportarsi così era la sua simpatia per i meno privilegiati. Probabilmente si considerava uno di loro.» «Perché?» «Be', non è mai stato un uomo di successo, né finanziariamente né in nessun altro modo. Era Martha il braccio e la mente della famiglia, ed è una fortuna che sia stato così, perché in questi ultimi anni ne ha avuto veramente bisogno. La compagnia di assicurazione si è rifiutata di pagare per un anno perché il cadavere di O'Gorman non è mai stato trovato; nel frattempo Martha e i bambini non avevano un soldo. Allora si è decisa a tornare a lavorare come tecnica di laboratorio nell'ospedale della città. Lavora ancora lì.» «Si direbbe che lei la conosca bene.» «È una delle amiche più intime di mia moglie; sono andate a scuola insieme a Bakersfield. C'è stato un momento, quando dovevo stampare tutte quelle notizie su O'Gorman, in cui si è creata una certa freddezza tra Martha e me; ma poi ha capito che facevo soltanto il mio lavoro. Come mai lei si interessa a questo caso, signor Quinn?» Quinn borbottò qualche cosa di vago sul suo lavoro a Reno che riguardava persone scomparse. Ronda sembrò soddisfatto della risposta, o per lo meno fece finta di esserlo. Era un uomo che amava chiacchierare e accoglieva con entusiasmo l'occasione per farlo. «E così è stato ucciso da qualcuno che faceva l'autostop» riprese Quinn «e come sono andate esattamente le cose?» «Dopo tanti anni non ricordo tutti i dettagli ma, se le fa piacere, posso darle un'idea generale di come si sono svolti i fatti.» «Mi farebbe molto piacere.» «Era circa la metà di febbraio di cinque anni e mezzo fa; era stato un inverno molto piovoso. Sul giornale tutti i giorni pubblicavo notizie di cantine allagate e di giardini spazzati via dall'acqua. Quell'anno il Rattlesnake River, che scorre a circa cinque chilometri dalla città, era in piena. Adesso, come sempre del resto in estate, è soltanto una gola asciutta e terrosa; è difficile immaginare come si fosse trasformato quell'inverno. Per dirla in
breve, la macchina di O'Gorman superò la spalletta del ponte e precipitò nel fiume; venne ritrovata un paio di giorni dopo, quando la piena cominciò a calare. Un pezzo di tessuto, rimasto impigliato nella cerniera della portiera della macchina, portava tracce di sangue. Il laboratorio della polizia accertò che si trattava di sangue dello stesso tipo di quello di O'Gorman e che il tessuto apparteneva alla camicia che indossava quando quella sera, dopo cena, era uscito di casa.» «E il cadavere?» «A qualche chilometro dal ponte, il Rattlesnake confluisce nel Torcido che è alimentato dal disgelo delle nevi sulle montagne ed è un fiume che si merita il nome che porta. In spagnolo Torcido significa rabbioso, contorto, rancoroso e quell'anno era più rabbioso che mai. Il cadavere quindi avrebbe potuto facilmente essere stato trascinato dal Rattlesnake fino al Torcido ed essere poi sparito tra le sue acque impetuose. Questa è, almeno, la convinzione che si fece allora la polizia. L'altra possibilità è che sia stato ucciso dopo una colluttazione in cui si produsse lo strappo alla camicia mentre era in macchina, e che poi sia stato sepolto da qualche parte. Personalmente mi convince di più la teoria che sia finito nel fiume. O'Gorman ha caricato in macchina qualcuno che faceva l'autostop, non dimentichiamo che era una notte burrascosa e che un cuore tenero come O'Gorman non avrebbe mai lasciato per la strada un poveraccio sotto quella pioggia; poi l'uomo ha cercato di derubarlo e O'Gorman si è difeso. Io sono convinto che l'uomo doveva essere uno straniero e che non sapesse che soltanto eccezionalmente il letto del fiume era pieno d'acqua. Probabilmente pensava che la macchina non sarebbe più stata ritrovata.» «E che cosa ne è stato di quello straniero?» Ronda accese una sigaretta e rimase a fissare severamente il fiammifero acceso. «Questo naturalmente è il punto debole di questa teoria. Lo sconosciuto si è dissolto nel nulla proprio come O'Gorman. Per un po' di tempo lo sceriffo ha arrestato praticamente chiunque non fosse nato e vissuto a Chicote, ma non ne è venuto fuori nulla. Io sono uno studioso dilettante di criminologia, ma mi sembra che un delitto non premeditato come questo sia difficilissimo da risolvere proprio a causa della sua non premeditazione.» «Chi ha detto che si trattava di un delitto non premeditato?» «Lo sceriffo, il coroner, la giuria. Perché, non pensa che sia così?» «Tutto quello che io so è quello che lei mi ha raccontato» rispose Quinn «e la teoria dello sconosciuto che fa l'autostop mi sembra piuttosto vaga.»
«Lo ammetto.» «Se lo sconosciuto avesse avuto una violenta colluttazione con O'Gorman, si sarebbero trovate tracce di sangue anche sui suoi abiti. Ci sono capanni o case nelle vicinanze, dove l'assassino avrebbe potuto entrare per cambiarsi gli abiti macchiati e magari rubare del cibo?» «Qualcuno, ma nessuna serratura era stata forzata e niente era stato sottratto. Gli uomini dello sceriffo li hanno controllati uno per uno.» «Ci ritroviamo perciò con uno sconosciuto bagnato fradicio e con i vestiti sporchi di sangue.» «La pioggia avrebbe potuto lavare le macchie.» «Non è così facile; provi a mettersi nei panni dello sconosciuto; che cosa avrebbe fatto?» «Sarei andato in città e avrei comprato degli indumenti asciutti.» «Era notte e tutti i negozi erano chiusi.» «Allora mi sarei fermato in un motel.» «Avrebbe dato molto nell'occhio; probabilmente il portiere avrebbe avvertito la polizia.» «Maledizione; deve pure aver fatto qualche cosa» sbottò Ronda «forse si è fatto dare un passaggio in macchina da qualcun altro. Per quello che ne so io, è scomparso.» «O scomparsa o scomparsi.» «Chiunque fosse o fossero, non sono mai stati ritrovati.» «Ammesso che siano mai esistiti.» Ronda si appoggiò alla scrivania: «Che cosa sta cercando di insinuare?» «Supponiamo che la persona in macchina non fosse per niente uno sconosciuto; supponiamo invece che si trattasse di un amico, un intimo amico, o addirittura di un parente.» «Gliel'ho già detto, lo sceriffo non ha trovato una sola persona che avesse qualche cosa contro O'Gorman.» «La persona a cui sto pensando io non si farebbe mai avanti per ammettere che ce l'aveva con O'Gorman e che quindi l'ha ucciso. Uomo o donna che sia.» «Perché dice "uomo o donna"?» «Perché no? Stiamo soltanto vagliando delle possibilità.» «In realtà lei sta pensando a Martha O'Gorman.» «È risaputo che le mogli possono nutrire dei rancori contro i mariti» rispose Quinn seccamente. «Ma non Martha. E poi quella sera era a casa con i bambini.»
«Che erano a letto addormentati.» «Certo che erano a letto addormentati» ribatté Ronda irritato «erano le dieci e trenta; che cosa crede che facessero? Che giocassero a poker scolandosi qualche birra? A quell'epoca Richard aveva solo sette anni e Sally cinque.» «Quanti anni aveva O'Gorman?» «Più o meno la sua età, una quarantina.» Quinn non lo corresse; era normale che dimostrasse quarant'anni. «Perché non prova a farmi una descrizione di O'Gorman?» «Occhi azzurri, carnagione chiara, capelli neri e ricciuti. Corporatura media, altezza un metro e settantotto, un metro e settantanove. Non c'era niente che colpisse particolarmente in lui, ma nel complesso aveva un aspetto gradevole.» «Non ha nessuna fotografia?» «Gli ingrandimenti di qualche istantanea. Martha me li ha dati quando ancora sperava di vederlo ricomparire, magari colpito da amnesia. Le sue speranze sono state dure a morire, ma finalmente si è convinta che O'Gorman aveva incidentalmente abbattuto la spalletta del ponte e che le acque del fiume avevano trascinato via il suo corpo.» «E il brandello di camicia sporco di sangue?» «È convinta che si sia ferito quando la macchina è andata a sbattere contro il parapetto del ponte; il parabrezza e due finestrini sono stati ritrovati rotti, quindi non è impossibile. C'è un'obiezione tuttavia contro questa teoria: O'Gorman era famoso per essere un autista molto prudente.» «Si è mai parlato di suicidio?» «Anche questo è possibile» rispose Ronda «anche se non mancano le obiezioni. Prima di tutto O'Gorman era un uomo sano, senza problemi finanziari né psicologici, per lo meno non ne è venuto alla luce nessuno. Secondo, era un cattolico di stretta osservanza come lo è Martha. Intendo dire quel tipo di persona che pratica la religione e che è profondamente convinta di quello che fa. Terzo, era innamorato della moglie e andava pazzo per i suoi bambini.» «Tutte queste sono sue osservazioni, ma non possono considerarsi fatti. Provi a pensarci.» «Perché non ci prova lei» rispose Ronda con una smorfia «sono cinque anni che esamino questo episodio da tutti i punti di vista. Forse vederlo sotto una nuova luce potrebbe essere utile.» «D'accordo; cominciamo col dire che un fatto è qualcosa che può essere
provato. Primo fatto: era un uomo sano; secondo: era un cattolico per il quale il suicidio è peccato mortale. Le altre cose a cui ha accennato non sono fatti, ma supposizioni. Avrebbe potuto avere dei problemi economici di cui non parlava. Può darsi che non amasse tanto sua moglie e i suoi figli come dava a credere.» «In tal caso avrebbe dovuto essere un attore eccezionale e, francamente, non credo che O'Gorman fosse abbastanza intelligente da recitare una simile parte. Naturalmente a Martha non ho mai detto niente, ma secondo me O'Gorman era un uomo mediocre, direi quasi uno stupido.» «Come si guadagnava da vivere?» «Era contabile in una compagnia petrolifera e si occupava degli stipendi dei dipendenti. Sono convinto che alla sera si facesse aiutare da Martha nel suo lavoro, anche se lei morirebbe piuttosto che ammetterlo. Martha è molto leale, anche riguardo ai suoi stessi errori.» «E secondo lei O'Gorman era uno di questi errori?» «Penso che sarebbe stato un errore per qualsiasi donna intelligente sposare O'Gorman. Era una nullità; il rapporto tra i due era più quello di madre e figlio che di moglie e marito, anche se Martha era più giovane di lui di qualche anno. Probabilmente, per una donna brillante e intelligente come Martha, gli uomini disponibili a Chicote in quel periodo erano molto pochi, e lei ha preso quello che ha trovato. Come le ho detto, O'Gorman era un bell'uomo, con un mucchio di riccioli neri. Quando il vuoto in testa è nascosto dietro un bel paio di occhi azzurri, anche una donna come Martha ci può cadere. Fortunatamente i ragazzi hanno preso dalla madre e sono tutti e due vivaci e intelligenti.» «Ho avuto l'impressione che la signora O'Gorman abbia una netta avversione per la polizia.» «Avversione del tutto giustificata: questa non è una cittadina molto civile, signor Quinn, e l'esperienza che Martha ha fatto è stata molto dura. Lo sceriffo è un uomo pieno di buone intenzioni ma incapace di vedere più in là del suo naso. Durante tutta l'inchiesta sembrava che rimproverasse a Martha di aver fatto uscire quella notte O'Gorman sotto la pioggia. Se l'avesse trattenuto a casa non sarebbe successo niente.» «Ma perché esattamente O'Gorman era uscito?» «Secondo Martha era convinto di avere commesso quel giorno un errore nei registri e voleva ritornare alla Compagnia per correggerlo.» «Qualcuno si è scomodato a controllare i registri?» «Certamente. O'Gorman aveva ragione; il contabile non ha avuto diffi-
coltà a trovare l'errore: un semplice errore di calcolo.» «E secondo lei questo che cosa dimostra?» «Dimostra che O'Gorman era stupido ma coscienzioso, proprio come le ho già detto.» «Potrebbe dimostrare anche qualche altra cosa.» «Che cosa, per esempio?» «Che O'Gorman aveva deliberatamente commesso quell'errore.» «E perché mai avrebbe dovuto fare una cosa del genere?» «Per avere una buona scusa per poter ritornare in ufficio quella sera. Gli capitava spesso di tornare in ufficio dopo cena?» «Gliel'ho detto: Martha spesso lo aiutava, ma non lo ammetterebbe mai. Comunque lei è assolutamente fuori strada; O'Gorman non aveva né l'intelligenza né il coraggio per organizzare un intrigo del genere. Ammetto che uno può anche fingere di essere più stupido di quanto non sia in realtà, ma non può farlo per ventiquattr'ore al giorno tutti i giorni dell'anno come faceva O'Gorman. No, Quinn, c'è una sola spiegazione del motivo che l'ha spinto a uscire in una notte come quella per tornare in ufficio: era spaventato a morte che il suo errore venisse scoperto e che a causa di questo lo licenziassero.» «Mi sembra molto convinto di quello che dice.» «Ne sono convintissimo; lei può permettersi di immaginare intrighi, incontri segreti, cospirazioni internazionali ed altre cose del genere, ma io no, perché io conoscevo O'Gorman. Non sarebbe stato capace di scacciarsi una mosca dal naso.» «Come lei stesso mi ha fatto notare però, c'era la signora O'Gorman che gli dava una mano nel suo impiego. Forse non l'aiutava soltanto nel lavoro.» «Mi stia a sentire, Quinn» disse Ronda battendo indispettito una mano sulla scrivania «noi stiamo parlando di due persone molto per bene.» «Per bene come quella graziosa donnina che è stata trovata con le mani nei soldi della cassa? Non sto cercando di renderle la vita difficile, Ronda, sto solo esaminando tutte le possibilità.» «Le possibilità in questo caso sono praticamente infinite. Se non crede a me, provi a chiederlo allo sceriffo. A quell'epoca furono presi in esame tutti i possibili delitti a parte forse l'infanticidio e l'incendio doloso. Le interesserebbe dare un'occhiata allo schedario che ho messo insieme?» «Moltissimo» rispose Quinn. «Mi ero fatto un piccolo archivio personale, oltre alle notizie che pubbli-
cavo sul Beacon, perché Martha è una mia vecchia amica ma anche perché, devo ammetterlo, ho sempre avuto la sensazione che un giorno o l'altro il caso sarebbe stato riaperto. Chi lo sa, forse un rapinatore di Kansas City o qualche condannato a morte per un altro delitto a New Orleans o a Seattle si sarebbe deciso a confessare di avere ucciso O'Gorman e tutto si sarebbe sistemato una volta per sempre.» «Non ha mai pensato, o sperato, che prima o poi ricomparisse lo stesso O'Gorman?» «L'ho sperato, ma non l'ho mai pensato. Quando, quella notte, O'Gorman è uscito di casa, tutto quello che aveva erano i due dollari che teneva in tasca e i vestiti che portava addosso. Era Martha che amministrava le finanze della famiglia. Conosceva al centesimo quello che O'Gorman aveva nel portafoglio.» «Mancavano abiti dal suo armadio?» «Nessuno» rispose Ronda. «Aveva un conto corrente?» «Uno in comune con Martha. Avrebbe potuto benissimo riscuotere un assegno quel pomeriggio senza che Martha venisse a saperlo fino al giorno successivo, e invece non l'ha fatto; e non ha neanche chiesto soldi in prestito.» «Aveva niente di valore che avrebbe potuto portare con sé e dopo impegnare al monte di pietà?» «Un orologio del valore di circa cento dollari: un regalo di Martha, ma è stato ritrovato nel cassetto della sua scrivania.» Ronda accese un'altra sigaretta, si appoggiò allo schienale della sedia girevole e rimase qualche istante a studiare il soffitto. «A parte gli elementi materiali che escludono una sparizione volontaria» riprese poi «ci sono quelli psicologici. O'Gorman, in tutti quegli anni di matrimonio, era diventato completamente dipendente da Martha; non sarebbe sopravvissuto neanche una settimana senza di lei. Era come un bambino piccolo.» «I bambini piccoli qualche volta possono essere delle pesti. Forse la polizia ha fatto male a scartare l'ipotesi dell'infanticidio.» «Se questa è una battuta, è di cattivo gusto.» «Purtroppo la maggior parte delle mie battute è così.» «Vado a prenderle i documenti che ho schedato» disse Ronda alzandosi «non so perché lo faccio, forse perché vorrei tanto vedere il caso definitivamente archiviato così che Martha potesse pensare seriamente a risposarsi. Sarebbe un'ottima moglie; lei non conosce i suoi aspetti migliori.»
«No, infatti, e dubito che avrò occasione di conoscerli.» «È vivace, divertente...» «Niente di quello che ho avuto occasione di vedere; e poi, io non sono sul mercato.» «Lei è un uomo molto sospettoso.» «È vero. Lo sono per natura, per esperienza, per educazione e per osservazione.» Ronda uscì e Quinn si accomodò sulla poltrona soprappensiero. Da dove si trovava poteva vedere, attraverso la parete di vetro, la cima di tre teste: quella grigia e arruffata di Ronda, i capelli a spazzola di un altro uomo e un'elaborata pettinatura cotonata color cachi. "La camicia" pensò "è la camicia che mi disturba, quel pezzo di stoffa rimasto impigliato nella cerniera della porta. In una notte fredda e tempestosa come quella, come mai O'Gorman non indossava una giacca o un impermeabile?" Nel frattempo era rientrato Ronda con in mano due grosse scatole sulle quali era scritto semplicemente PATRICK O'GORMAN. Le scatole contenevano ritagli di giornale, fotografie, copie di telegrammi e lettere che i vari uffici di polizia si erano scambiati. Sebbene la maggior parte venisse dalla California, dal Nevada e dall'Arizona, ve n'erano alcune provenienti da paesi lontani come il Messico e il Canada. Il materiale era catalogato in ordine cronologico ma, per esaminarlo tutto, ci sarebbe voluto molto tempo e molta pazienza. «Potrebbe prestarmelo per questa notte?» chiese Quinn. «Che cosa ha intenzione di farne?» «Portare tutto il materiale al mio motel ed esaminarlo. Ci sono un paio di punti che vorrei approfondire; per esempio quali erano le condizioni della macchina, se esisteva un impianto di riscaldamento e se era stato acceso.» «Che cosa c'entra tutto questo?» «Se l'incidente si è verificato veramente come pensa la signora O'Gorman, come mai il marito andava in giro in una notte fredda e burrascosa in maniche di camicia?» Ronda lo guardò incuriosito per un lungo momento. «Non credo che si sia mai parlato del riscaldamento durante l'inchiesta.» «Eppure avrebbero dovuto farlo.» «Va bene, si porti pure via quella roba per questa notte; forse riuscirà a scoprire qualche piccolo particolare che è sfuggito a tutti noi.» Dal tono della voce si capiva benissimo che non credeva neanche per un
momento alle sue parole e, verso le otto di quella stessa sera, Quinn cominciò a condividere la sua opinione. In quel caso i fatti accertati erano pochissimi mentre le ipotesi possibili erano infinite. "Compreso l'infanticidio" pensò Quinn "Forse Martha O'Gorman cominciava ad averne abbastanza del bambino Patrick." C'era una frase nella testimonianza di Martha O'Gorman che sembrò a Quinn particolarmente interessante. "Erano circa le otto e trenta; i bambini dormivano e io stavo leggendo il giornale. Patrick era agitato e preoccupato; non riusciva a stare seduto. Alla fine gli ho chiesto che cosa aveva e lui mi ha detto che quel pomeriggio aveva commesso un errore e che voleva tornare in ufficio per correggerlo prima che qualcuno se ne accorgesse. Patrick era estremamente coscienzioso per tutto quello che riguardava il suo lavoro. Basta per favore! Basta! Non posso continuare! Oh, Signore, aiutami!" "Molto commovente" pensò Quinn "rimane tuttavia il fatto che i bambini erano andati a dormire e che Martha e Patrick avrebbero potuto uscire insieme." Non si parlava neppure di un eventuale impianto di riscaldamento nella macchina, mentre si discuteva a lungo del pezzo di flanella macchiato di sangue. Il tipo di sangue era lo stesso di quello di O'Gorman e la flanella era quella di una camicia che O'Gorman portava spesso. Tanto Martha che due compagni di lavoro di O'Gorman l'avevano identificata. Era uno scozzese giallo e nero tipico del tartan dei Macleod e i colleghi di lavoro di O'Gorman lo prendevano spesso in giro perché un irlandese si vestiva con i colori di un tartan scozzese. «D'accordo» disse Quinn al muro che aveva davanti «supponiamo che io sia O'Gorman e che mi sia stufato di fare il ragazzino e che voglia andarmene e conoscere il mondo. Non ho però il coraggio di affrontare Martha e quindi decido di scomparire. Insceno un incidente e mi assicuro di avere addosso una camicia che molte persone sono pronte a riconoscere. Scelgo meticolosamente il momento giusto e aspetto che il fiume sia in piena e che piova a dirotto. Okay, faccio precipitare la macchina nel fiume e mi assicuro che ci sia un pezzo della mia camicia sporca del mio sangue. E poi? Poi mi ritrovo sotto una pioggia torrenziale in canottiera a cinque chilometri dalla città e con soltanto due dollari in tasca. Fantastico, O'Gorman, un piano formidabile!» Per le nove era pronto a credere, come Ronda, nell'esistenza dello sconosciuto dell'autostop.
4 Quinn andò a cena tardi a El Bocado, un bar tavola calda proprio di fronte al suo motel. I locali aperti di sera a Chicote scarseggiano e perciò il bar era gremito fino all'inverosimile di agricoltori con enormi cappelli Stetson e operai dei pozzi petroliferi ancora in tuta di lavoro. Non c'erano molte donne: qualche moglie già preoccupata adesso per quando avrebbe dovuto, verso mezzanotte, mettersi al volante, e un quartetto di ragazze un po' esibizioniste che festeggiava un compleanno e si comportava in modo assai più rumoroso delle due prostitute sedute al bar. Vicino alla porta, in piedi, c'era una donna dall'aspetto compassato, con un turbante blu in testa, un paio d'occhiali dalle lenti spesse e dalla montatura in tartaruga e il viso completamente privo di trucco. Si sarebbe detto che fosse entrata convinta che si trattasse della YMCA e adesso stesse cercando il coraggio per uscire. Quinn la vide parlare brevemente con la cameriera, che si guardò attorno per la sala e infine fissò lo sguardo su Quinn. Dopo qualche secondo era al suo tavolo. «Le dispiacerebbe dividere il suo tavolo, signore? C'è una signora che ha fretta di mangiare qualche cosa prima di partire per Los Angeles. Al ristorante della stazione degli autobus il cibo è orribile.» "Lo è anche a El Bocado" pensò Quinn, ma disse invece educatamente: «Non mi dispiace affatto.» E alla donna col turbante: «Prego, si accomodi.» «Grazie.» Sedette con circospezione di fronte a lui come se si aspettasse di trovare una bomba sotto la sedia. «Lei è molto gentile, signore.» «Ma le pare!» «E invece sì! In questa città» aggiunse in tono disgustato «una signora non sa mai cosa aspettarsi.» «Non le piace Chicote?» «C'è qualcuno a cui piaccia? Insomma è una città terribilmente incivile. Per questo me ne vado.» Nemmeno lei aveva un'aria molto civile, disse Quinn tra sé. Forse un po' di rosso sulle labbra e un copricapo meno severo che lasciasse intravedere i capelli avrebbe migliorato il suo aspetto. Non si poteva negare tuttavia
che fosse graziosa, quel tipo di grazia un po' anemica che Quinn attribuiva di solito alle cantanti dei cori religiosi o alle musiciste dilettanti dei quartetti d'archi. Davanti a un piatto di pesce e patatine fritte, la donna raccontò a Quinn di chiamarsi Wilhelmina de Vries, di essere una dattilografa e che la sua ambizione era diventare la segretaria privata di un importante uomo d'affari. Quinn a sua volta le disse come si chiamava, che faceva la guardia di sicurezza e che la sua maggiore aspirazione era andare in pensione. «Una guardia di sicurezza? Una specie di poliziotto dunque!» «Più o meno.» «Ma questo è semplicemente affascinante! È qui per lavorare a un caso?» «Diciamo che mi sono preso una breve vacanza.» «Nessuno viene a Chicote per una vacanza! Questo è il tipo di città da cui la gente scappa, come me.» «Mi interessa la storia della California» disse Quinn «per esempio le origini dei nomi delle città.» La ragazza lo guardò delusa. «Oh, questo è facile. Nel 1890 capitò qui per motivi di salute un tale dal Kentucky. Aveva deciso di coltivare tabacco, sterminate piantagioni di tabacco con il quale avrebbe fatto i migliori sigari del mondo. È questo che vuol dire Chicote: tabacco. Solo che qui il tabacco non cresce e allora i proprietari delle terre provarono a piantare il cotone che invece cresce rigoglioso. Poi scoprirono il petrolio e questo segnò la fine di Chicote come centro agricolo. Ma ecco che io chiacchiero, chiacchiero e lei se ne sta tutto zitto. Adesso tocca a lei.» Quando sorrise le si formò una fossetta sulla guancia sinistra. «Da dove viene?» «Da Reno.» «E che cosa fa qui?» «Imparo la storia della California» rispose Quinn senza allontanarsi troppo dalla verità. «È un modo strano di passare il tempo per un poliziotto.» «Chacun a son goût, come dicono a Hoboken.» «Proprio vero» mormorò la ragazza. Malgrado il viso impassibile, Quinn ebbe l'impressione che la ragazza si stesse prendendo gioco di lui e che in tutto quello che la signorina Wilhelmina de Vries gli aveva detto ci fosse una nota stonata. «Andiamo, mi dica onestamente, che cosa ci fa a Chicote?» «Mi piace il clima.»
«È orribile.» «La gente.» «Sono degli incivili.» «La cucina.» «Persino un cane affamato volterebbe il muso davanti a questi orribili intrugli. Vuole sapere una cosa? Sono pronta a scommettere un dollaro contro una frittella che lei sta lavorando a un caso interessante.» «Adoro le scommesse, ma sono momentaneamente sprovvisto di frittelle.» «Senza scherzi, sta davvero lavorando a un caso?» Gli occhi verde-blu scintillavano dietro le lenti spesse. «Non è successo niente di interessante in questi ultimi tempi, quindi deve trattarsi di una vecchia storia. Ci sono di mezzo i soldi? Un mucchio di soldi?» Questa era una domanda a cui Quinn poteva rispondere senza esitazione: «Niente di quello che faccio io ha a che fare con un mucchio di soldi. Che cosa voleva dire, signorina de Vries?» «Niente.» «E così sta andando a Los Angeles alla ricerca di un impiego?» «Esatto.» «Dov'è la sua valigia?» «La valigia? L'ho lasciata al deposito della stazione degli autobus per non essere costretta a trascinarmela dietro. È molto pesante, perché ci sono dentro tutti i miei vestiti. È una valigia grande, grandissima.» Se si fosse limitata ad affermare di aver lasciato la valigia al deposito bagagli le avrebbe creduto; che motivo aveva per non farlo? Ma si era affannata troppo per farglielo credere, come se desiderasse convincere prima di tutti se stessa. La cameriera arrivò con il conto: «Adesso devo proprio andare» disse Quinn alzandosi «è stato un piacere conoscerla, signorina de Vries e buona fortuna per quando sarà a Los Angeles.» Pagò il conto e uscì attraversando la strada per rientrare al motel che era proprio lì di fronte. Il garage adiacente alla prima camera era aperto e Quinn vi entrò rapidamente tenendo d'occhio l'ingresso del bar El Bocado. Non dovette aspettare a lungo: dopo qualche istante la signorina de Vries uscì e rimase sul marciapiede incerta scrutando la strada. Si era alzato il vento, forte anche se tiepido, e la ragazza cercava di trattenere la gonna e il turbante allo stesso tempo. Alla fine vinse la modestia: si tolse il turbante, che era solo una lunga sciarpa attorcigliata, e lo ficcò nella bor-
setta. Finalmente liberi, il suoi capelli color cachi scintillarono alla luce del lampione. Dopo poco salì su una piccola macchina scura e si allontanò. Tentare di seguirla era impossibile. Prima che fosse andato a togliere la macchina dal garage, la ragazza sarebbe già arrivata a casa, o alla stazione degli autobus o dovunque usino recarsi le ragazze che hanno inutilmente tentato di spremere informazioni da uno sconosciuto. Era evidente che era solo una dilettante; il turbante e gli occhiali erano un travestimento piuttosto ingenuo. Quinn si chiese perché si era presa la briga di travestirsi, visto che lui non la conosceva nemmeno. Fu allora che si ricordò di quando, seduto nell'ufficio di Ronda al Beacon, aveva visto, al di sopra del tramezzo di legno, due teste, una delle quali era rosso cachi. "Okay" pensò Quinn "supponiamo che sia lei la donna dai capelli rossi. Ronda aveva una voce abbastanza chiara e forte e i muri del suo ufficio erano solo di legno e vetro. Ma che cosa poteva aver sentito di tanto interessante la signorina de Vries per travestirsi e tentare di agganciare Quinn al caffè El Bocado, magari con la complicità della cameriera? L'unico argomento che aveva discusso con Ronda era stato il caso O'Gorman e quello era ormai di dominio pubblico anche nei dettagli a Chicote e tutti i documenti erano a disposizione di chiunque. La signorina de Vries aveva accennato al caso O'Gorman quando aveva detto: "Deve trattarsi di un vecchio caso", ma poi aveva subito aggiunto: "C'è di mezzo un mucchio di soldi?". Non c'era danaro connesso al caso O'Gorman, a parte i due dollari che aveva in tasca l'uomo quando era uscito quella sera. L'unico accenno che Ronda aveva fatto ai soldi era stato quando aveva parlato di quella graziosa donnina che si era appropriata indebitamente di un bel gruzzoletto ed era stata scoperta con le mani nel sacco. Entrò nell'ufficio del motel per ritirare la chiave della sua camera. Il portiere di notte, un uomo anziano con le giunture delle mani gonfie per l'artrite, alzò gli occhi dalla rivista cinematografica che stava leggendo e chiese: «Sì, signore?» «La chiave del diciassette, per favore.» «Il diciassette; sì, signore, subito.» Si avvicinò ciabattando al pannello dove erano appese le chiavi e chiese di nuovo: «Che numero ha detto?» «Diciassette.» «Non c'è» l'uomo guardò Quinn al di sopra delle lenti che aveva sul naso «ma le ho consegnato la chiave del diciassette non più tardi di un'ora fa! Mi ha detto il suo nome e mi ha dato il numero della targa della sua mac-
china esattamente come è scritto sul registro.» «Un'ora fa non ero qui.» «Deve esserci stato; le ho dato la chiave! Solo che allora aveva il cappello: una fedora grigia, e portava un soprabito. Forse ha bevuto e adesso non se ne ricorda? Qualche volta il liquore annebbia la memoria. Pare che James Dean non ricordasse mai la parte perché mandava giù troppi cicchetti.» «Alle nove ho consegnato la chiave della mia camera alla ragazza che si trovava qui» ribatté Quinn stancamente. «Mia nipote.» «D'accordo, sua nipote. Dopo di allora non sono più ritornato. E adesso, se non le dispiace, vorrei la chiave della mia camera perché sono stanco.» «Ha alzato un po' troppo il gomito, eh?» «Esatto; e adesso vada a prendere il suo passepartout e mi faccia entrare.» Borbottando, il vecchio uscì seguito da Quinn. L'aria era calda e asciutta e neppure il vento che si era levato riusciva a disperdere l'odore di petrolio che stagnava nell'aria. «Non le sembra una notte piuttosto calda per andare in giro con cappello e soprabito?» chiese Quinn. «Io non ho né cappello né soprabito.» «Ma l'uomo a cui ha dato la chiave l'aveva.» «Tutto quell'alcool le ha annebbiato la memoria.» Avevano intanto raggiunto la camera di Quinn e il vecchio si lasciò sfuggire un grido di trionfo: «Guardi! La chiave è dentro alla serratura, proprio dove lei l'ha dimenticata. Glielo avevo detto io! E adesso, che cosa mi dice?» «Niente.» «Voi viaggiatori, quando bevete troppo, diventate sbadati.» Non c'era modo di convincere il vecchio che si stava sbagliando, e quindi Quinn gli augurò la buona notte ed entrò nella sua stanza chiudendo la porta a chiave. A una prima occhiata tutto sembrava esattamente come l'aveva lasciato: il letto sfatto, i cuscini appoggiati alla spalliera, la lampada sul comodino, accesa. Le due scatole di cartone che contenevano i documenti di Ronda sul caso O'Gorman erano sempre sulla scrivania. Quinn non era in grado di stabilire se fossero state toccate oppure no. Persino Ronda avrebbe avuto delle difficoltà, visto che probabilmente erano anni che non le apriva.
Quinn sollevò il coperchio della prima scatola. In una grande busta c'erano le fotografie di O'Gorman che Martha aveva dato a Ronda: una fotografia fatta da un fotografo, ovviamente molto vecchia visto che O'Gorman non dimostrava più di vent'anni, e alcune istantanee. O'Gorman con i bambini, con un cane, con un gatto, con Martha; e poi O'Gorman che cambiava un pneumatico, in piedi accanto a una bicicletta. In tutte sembrava che O'Gorman facesse parte dello sfondo ed erano il cane, il gatto, la bicicletta i veri protagonisti della fotografia. Solo nella fotografia fatta dal fotografo era ben visibile il viso di O'Gorman. Era stato un bel ragazzo dai folti riccioli scuri e dagli occhi grandi e dolci che tradivano un'espressione leggermente stupefatta, come se la vita gli sembrasse strana e diversa da quello che si era immaginato. Era il tipo di faccia che può sembrare attraente a molte donne, soprattutto a quelle dotate di un forte istinto materno, desiderose di risolvere per lui i problemi della vita e di lenire le ferite che questa può infliggere. Quinn rimise le fotografie nella busta sentendosi improvvisamente depresso. Prima di avere studiato le fotografie, O'Gorman era stato per lui soltanto un nome. Adesso era diventato un essere umano; un uomo che amava sua moglie, il suo cane e i suoi bambini e che lavorava sodo. Un uomo dal cuore troppo tenero per lasciare uno sconosciuto per la strada in una notte tempestosa, eppure abbastanza coraggioso da resistere al suo assalitore. "Aveva due dollari in tasca" pensò Quinn mentre si spogliava e si infilava a letto "perché ha fatto tanta resistenza per due miserabili dollari? Non ha senso. Deve esserci stato un altro motivo; qualcosa che agli altri è sfuggito. Domani devo tornare a parlare con Martha O'Gorman. Ronda può convincerla a ricevermi." Si era quasi addormentato quando gli venne in mente che il mattino successivo aveva deciso di tornare alla Torre e da lì dirigersi a Reno. Gli sembravano luoghi talmente lontani e irreali in confronto alla cruda realtà di Chicote! Non riusciva più neppure a ricordare chiaramente il viso di Doris, quanto a Sorella Benedizione era soltanto una informe tunica grigia alle cui estremità spuntavano, da una parte una testa senza viso e dall'altra due larghi piedi nudi. 5 Il mattino successivo di buon'ora, Quinn ritornò all'ufficio del motel che
fungeva da portineria. Al banco c'era un uomo di mezza età, calvo e con il cranio bruciato dal sole, intento a sistemare alcuni quotidiani di Los Angeles. «Che cosa posso fare per lei, signor... Quinn? Camera diciassette?» «Esatto.» «Sono Paul Frisby, direttore e proprietario di questo motel che gestisco con l'aiuto della mia famiglia. C'è qualche cosa che non va?» «La notte scorsa, quando sono uscito per andare a cena, qualcuno è entrato in camera mia.» «Sono stato io» rispose freddamente Frisby. «Aveva una ragione particolare per farlo?» «Ne avevo due. La prima è che controlliamo sempre i clienti che arrivano senza bagaglio; diamo un'occhiata alla stanza quando si assentano per andare a mangiare. Nel suo caso particolare, c'era anche un'altra ragione: il nome sul libretto di circolazione della sua macchia non è Quinn.» «La macchina mi è stata prestata da un amico.» «Oh, le credo, ma nel mio mestiere è sempre meglio essere prudenti.» «D'accordo, ma era necessaria quella ridicola messa in scena?» «Mi scusi?» «C'era bisogno di camuffarsi con cappello e soprabito per farsi dare la chiave da quel vecchio?» «Non capisco di che cosa lei stia parlando» ribatté Frisby aggrottando la fronte «io ho il mio mazzo di chiavi. Che cos'è questa storia del nonno?» Quinn spiegò brevemente l'accaduto. «Il nonno non ci vede molto bene; ha un glaucoma; non si può biasimarlo...» «Io non biasimo nessuno; mi secca semplicemente che qualcuno possa entrare qui dentro, chiedere la chiave e andare a curiosare in camera mia.» «Facciamo il possibile perché inconvenienti del genere non accadano, ma di tanto in tanto può succedere, soprattutto se l'impostore conosce il numero della targa del nostro ospite. Le hanno rubato niente?» «Non ne sono sicuro; c'erano due scatole piene di documenti che mi sono stati prestati perché li esaminassi. Probabilmente le ha viste anche lei quando è entrato in camera mia, Frisby.» «Sì, effettivamente le ho viste.» «Le ha anche aperte?» Il viso di Frisby diventò paonazzo come il suo cranio bruciato: «No, no. Non è stato necessario; c'era scritto sopra O'Gorman. Tutti a Chicote sono
a conoscenza di quel caso. Be', naturalmente ero curioso di sapere come mai uno sconosciuto capita improvvisamente in città con due scatoloni di documenti su O'Gorman.» Seguì un silenzio imbarazzato, fino a che Quinn chiese: «Quanto curioso era? Ne ha parlato con sua moglie, per esempio?» «Be', sì, può darsi che gliene abbia accennato.» «Ne ha parlato ad altri?» Altro silenzio, poi Frisby rispose: «Ho telefonato allo sceriffo. Ho pensato che ci fosse qualche cosa di sospetto e che era meglio che lo sceriffo ne fosse informato: avrebbe anche potuto trattarsi di una cosa seria. Mi accorgo adesso di essermi sbagliato.» «Davvero?» «Sono un buon giudice di caratteri, e lei non si comporta come una persona che ha qualche cosa da nascondere, ma ieri era diverso: è comparso qui senza bagaglio, con una macchina che non è sua e tirandosi dietro due scatole di carte che riguardavano O'Gorman. Non può lagnarsi se mi sono insospettito.» «E così ha chiamato lo sceriffo.» «Abbiamo scambiato poche parole, e lui mi ha promesso di tenerla d'occhio.» «Tenermi d'occhio può arrivare fino al punto di camuffarsi per ingannare un povero vecchio e farsi dare la chiave della camera diciassette?» «Santo Cielo, no!» protestò Frisby vigorosamente. «E poi il nonno conosce lo sceriffo fin da quando era piccolo.» «Pare che a Chicote vi conosciate tutti.» «È proprio così; non abbiamo metropoli a un tiro di schioppo, siamo lontani dalle vie di grande traffico ed è un paese montagnoso. Qui dipendiamo l'uno dall'altro per sopravvivere; è naturale che ci conosciamo tutti.» «Ed è naturale che gli sconosciuti vi insospettiscano.» «La nostra è una comunità molto chiusa, signor Quinn. Quando succede qualche cosa come il caso O'Gorman, ne siamo tutti coinvolti. La maggior parte di noi lo conosceva; chi era andato a scuola con lui, chi era un suo compagno di lavoro o lo incontrava in chiesa, o nei consigli scolastici. O'Gorman non era molto coinvolto nelle attività sociali, ma sua moglie sì, e lui la seguiva.» Un sorriso triste comparve sul viso di Frisby. «Questa frase potrebbe essere scritta sul suo epitaffio: "O'Gorman seguiva". Come mai si interessa a questo caso, signor Quinn? Ha forse intenzione di scrivere un pezzo su una di quelle riviste che si occupano di crimini veramente
accaduti?» «Può darsi.» «Non dimentichi di farmi sapere quando lo pubblicherà.» «Me ne ricorderò.» Fece la prima colazione al caffè, seduto a un tavolo vicino alla vetrata che dava sul parcheggio, per tenere d'occhio il bagagliaio della macchina in cui aveva rinchiuso i documenti su O'Gorman. Sebbene Frisby non gli avesse detto niente che potesse portarlo a smascherare l'intruso della notte precedente, gli aveva però fornito una scusa per potere andare in giro a fare domande: da quel momento si sarebbe fatto passare per uno scrittore dilettante, deciso a scrivere un articolo da un nuovo punto di vista sulla scomparsa di O'Gorman. Comprò un blocco per gli appunti e un paio di biro e poi si diresse verso gli uffici del Beacon nella Eight Avenue. Non appena aprì la porta udì, al di sopra del ticchettio delle macchine per scrivere e degli squilli dei telefoni, la voce tonante di John Ronda. La fiammeggiante signorina de Vries non aveva certamente avuto difficoltà a origliare quello che lui e Ronda si erano detti. «Buon giorno, Quinn» disse Ronda appena entrò «vedo che mi ha riportato intatta tutta la mia roba.» «Non sono sicuro che sia proprio intatta» e Quinn gli raccontò dello sconosciuto con il cappello e il soprabito. Ronda ascoltò, accigliato, tamburellando nervosamente con le dita sul tavolo. «Forse si tratta semplicemente di un ladruncolo che sperava di rubare qualche cosa dalla sua camera.» «Non c'era niente altro nella mia camera: tutta la mia roba è rimasta a Reno. Avevo intenzione di ritornarci subito.» «E come mai invece è ancora qui?» «Mi interessa il caso O'Gorman» rispose Quinn senza esitazione «ho pensato che potrebbe essere un buon soggetto per un articolo su una rivista specializzata.» «Ne sono comparsi almeno una dozzina in questi ultimi cinque anni.» «Forse potrei studiarlo sotto una nuova luce. Ieri la mia conoscenza con la signora O'Gorman è cominciata con il piede sbagliato, ma forse lei potrebbe metterci rimedio.» «E come?» «Potrebbe telefonarle e mettere una buona parola per me.» Ronda rimase per qualche istante a fissare il soffitto soprappensiero.
«Potrei farlo, ma non sono certo di volerlo fare. Dopo tutto non so niente di lei.» «Chieda e io risponderò.» «D'accordo, devo avvertirla tuttavia che ieri sera ho parlato con Martha O'Gorman, la quale mi ha detto della sua telefonata e anche della visita. Mi pare di capire che quando lei ha telefonato a Martha, non sapeva neppure che O'Gorman fosse morto.» «È esatto, non lo sapevo.» «E perché allora voleva vederlo?» «L'etica professionale...» «L'etica professionale ovviamente non le impedisce di raccontare balle a una vedova.» «...mi impedisce di fare nomi; chiamerò perciò il mio cliente signora X. La signora X mi ha pagato perché scoprissi se una persona di nome Patrick O'Gorman viveva a Chicote.» «E allora?» «Tutto qui. Dovevo solo scoprire se viveva ancora qui, non dovevo né lasciargli un messaggio né mettermi in contatto con lui.» «Andiamo, Quinn» lo interruppe bruscamente Ronda «tutto quello che la sua signora X doveva fare era spedire una lettera al sindaco, allo sceriffo, persino alla camera di commercio. Che bisogno c'era di assumere lei perché venisse fino a qui?» «Eppure l'ha fatto.» «Quanto l'ha pagata?» «Centoventi dollari.» «Per la miseria! Quella donna deve essere matta.» «In un certo senso lo è: è una fanatica religiosa. È chiaro che tutto quello che le sto raccontando è strettamente confidenziale.» «Certo; che rapporto ha questa signora X con O'Gorman?» «Non me l'ha detto.» «Mi sembra un incarico ben strano per un uomo come lei.» «Quando sono al verde accetto qualsiasi lavoro.» «Come mai era al verde?» «Roulette, dadi, blackjack, carte.» «È un giocatore di professione?» «Sono un dilettante» rispose Quinn sorridendo amaramente «i professionisti vincono, io invece perdo. Questa volta ho perso tutto e i bigliettoni della signora X avevano un aspetto molto invitante.»
«Uno che racconta panzane alle vedove e prende soldi da vecchie donne strambe non è certo una figura di eroe.» «Le cose non stanno esattamente così: la signora X non è vecchia e, a parte qualche eccentricità, è una donna sveglia e intelligente.» «Perché allora non si è limitata a scrivere due righe o a dare un colpo di telefono?» «Sono due cose proibite nel posto in cui vive. È un membro di una sconosciuta comunità religiosa che proibisce ogni contatto col mondo esterno che non sia strettamente necessario.» «E come ha fatto allora a incontrare lei?» «Sono stato io a incontrare la signora X.» «Come?» «Se glielo dico non mi crederà.» «Per il momento non ho creduto neanche a una parola di quello che mi ha raccontato: ci provi ancora.» Quinn ci provò, e Ronda rimase ad ascoltarlo scuotendo di tanto in tanto la testa, incredulo. «È pazzesco» disse quando Quinn ebbe finito «l'intera storia è pazzesca. Forse è un po' pazzo anche lei» «Non escludo questa possibilità.» «Dove si trova questo posto, e come si chiama?» «Questo non glielo posso dire; è una delle infinite sette religiose, niente affatto rare nella California del Sud, composte di spostati, neurotici, emarginati. Si fanno i fatti loro e non si mettono nei guai, a parte qualche contrasto con le autorità locali a proposito dell'obbligo scolastico dei bambini.» «Okay» disse Ronda con un gesto vago «supponiamo che io creda a questa storia pazzesca, che cosa vorrebbe che facessi?» «Cerchi di mettere una buona parola per me con Martha O'Gorman.» «Potrebbe non essere una cosa facile.» «E poi mi dica chi era quella donna coi capelli rossi che era nel suo ufficio ieri pomeriggio quando io sono venuto a prendere i documenti di O'Gorman.» «Perché le interessa?» «Mi ha agganciato ieri sera a El Bocado mentre l'uomo con il cappello sugli occhi rovistava in camera mia.» «Crede che i due fatti siano connessi?» «Sarei uno stupido a non crederlo: quella donna si assicurava che io non
lasciassi il locale mentre l'uomo finiva il suo lavoro in camera mia.» «Credo che lei si sbagli, signor Quinn. La giovane donna a cui lei allude non penserebbe mai di adescare uno sconosciuto in un locale come El Bocado, per non parlare poi di fare da palo a un ladruncolo. È una signora rispettabile.» «La cosa non mi sorprende affatto» replicò seccamente Quinn «tutti coloro che sono coinvolti in questo caso sembrano la quintessenza della rispettabilità. È proprio questo che rende il caso originale, anzi, unico: qui non ci sono i cattivi, le donne equivoche, i truffatori. O'Gorman era un brav'uomo, Martha O'Gorman è un pilastro della comunità, la signora X è una devota seguace di un rito religioso e la donna dai capelli rossi probabilmente insegna religione ai ragazzini la domenica pomeriggio.» «A dire il vero è proprio così.» «Chi è, Ronda?» «Maledizione, Quinn! Non credo di poterglielo dire. È una ragazza molto per bene e poi, forse, lei si sbaglia. L'ha vista in faccia quando ieri pomeriggio era in questo ufficio?» «No, ho visto soltanto la parte alta della testa.» «Questo non basta a provare che si tratta della stessa donna che l'ha abbordata nel caffè. E poi, Willie è una donna troppo intelligente per essersi lasciata coinvolgere in un gioco così stupido.» «Willie» ripeté Quinn «è per caso l'abbreviazione di Wilhelmina? Wilhelmina de Vries?» Ronda lo guardò strabiliato. «Come fa a saperlo?» «Me l'ha detto lei stessa ieri sera a cena.» «A dire il vero adesso si chiama Willie King a causa di un matrimonio che si è rapidamente concluso in un divorzio. È stata lei a dirle il suo nome?» «Sì.» «Questo basta a dimostrarle che non stava facendo niente di disonesto.» «La pensi un po' come vuole, ma la ragazza stava commettendo una furfanteria e sembrava divertirsi un mondo.» «Che altro le ha raccontato?» «Un mucchio di bugie che non vale la pena che stia a ripeterle. A proposito, ha per caso un amico del cuore?» «Stia a sentire, Quinn» rispose dopo una lunga esitazione Ronda, che evidentemente non aveva apprezzato la domanda «lei non può capitare in una città come la nostra e mettersi a fare insinuazioni sui nostri cittadini
più distinti!» «Allora Willie King va in giro con uno dei vostri più insigni cittadini!» «Non ho detto questo! Ho detto solo che...» «Mi dica un po', a Chicote c'è anche qualche cattivo cittadino? Tutti quelli che finora ho incontrato o di cui mi hanno parlato sono persone tutte d'un pezzo. No, aspetti, mi sto sbagliando, c'è un'eccezione: la graziosa donnina che si è appropriata indebitamente dei soldi della banca.» «Che cosa la fa pensare di colpo a quell'episodio?» «Ci ho pensato spesso.» «Perché?» «Nella mia professione, come del resto nella sua, i peccatori attraggono l'attenzione più dei santi. A quanto pare Chicote pullula di santi, tuttavia...» «Lasci perdere la città, per favore. È una città come tutte le altre, con cittadini come tutti gli altri in cui capitano le stesse cose che in qualsiasi altra città.» «Mi parli di quella giovane donna della banca, Ronda.» «Glielo chiedo un'altra volta: perché?» «Quando Willie King origliava quello che stavamo dicendo in questo ufficio ieri, lei stava parlando del caso O'Gorman, ma ha anche accennato all'impiegata colpevole di appropriazione indebita. Sarei curioso di sapere a chi è interessata Willie King, o magari il suo amico del cuore.» «A Chicote sono tutti interessati ad ambedue i casi.» «Così interessati da entrare subdolamente nella camera d'albergo di uno sconosciuto?» «No, certo no.» «Bene. Allora, mi dica, Ronda, chi è l'amico di Willie?» «Non posso dirlo con sicurezza, ho solo sentito dei pettegolezzi. In una città piccola come questa quando una donna giovane e affascinante lavora per un vedovo attraente, tutti pensano automaticamente che se lo stia anche lavorando.» «Come si chiama?» «George Haywood. È un agente immobiliare. Willie era la sua segretaria, ma recentemente ha avuto una promozione. Gli annunci economici che Haywood fa pubblicare sul Beacon parlano di lei come di una socia. Quanto intimi siano i due soci è una cosa che riguarda soltanto loro.» «Potrebbe riguardare anche me. Willie non è entrata per caso a El Bocado ieri sera, indossando, per caso, un travestimento.»
«Mi sembra molto improbabile.» «Esisteva qualche legame tra Willie e O'Gorman?» «Nessuno che io conosca.» «E con quel caso di appropriazione indebita?» «Parlare di legame non è corretto.» «Trovi lei un termine più appropriato.» Ronda si appoggiò allo schienale della sedia e incrociò le braccia sul petto. «Willie personalmente non ha niente a che fare con quell'episodio. A dire il vero, non si è trattato di un unico episodio, ma di molti casi di appropriazione che sono andati avanti per dieci o undici anni. Resta il fatto che lei lavorava per George Haywood.» «E Haywood è coinvolto?» «Non volontariamente» ribatté Ronda bruscamente «la sua onestà non è mai stata messa in discussione. Chi ha commesso il crimine è stata sua sorella minore, Alberta Haywood.» Ronda tacque, guardando pensieroso il soffitto. «In un certo senso il suo caso fu altrettanto sconvolgente del caso O'Gorman: erano tutti e due persone tranquille, che non davano nell'occhio.» «Erano? Significa che è morta anche lei?» «Quasi: è rinchiusa nel carcere femminile di Tecolote da più di cinque anni e ci sono buone possibilità che ci resti per altri cinque o forse persino dieci.» «Non potrebbe uscire in libertà vigilata?» «Dovrebbe esserci un'udienza tra non molto, ma non credo che le cose si metteranno bene per lei.» «Perché?» «Quando si deve decidere se concedere o no la libertà vigilata, il giudice vuole accertarsi di due cose: primo, dove sono andati a finire i soldi e, secondo, se il colpevole si dimostra pentito. Da quanto ho sentito dire Alberta Haywood si comporta in modo docile, ma non dimostra alcun pentimento. Quanto ai soldi, poi, bisogna vedere se il giudice crederà o no alla sua storia.» «Lei ci crede?» «Io sì. Alberta afferma di aver speso tutti i soldi che ha rubato in un periodo di più di dieci anni. Dice che un po' li ha dati a opere di carità, un po' li ha prestati ad amici e parenti, e, per il resto, ha fatto speculazioni sbagliate in Borsa o li ha persi puntando su qualche brocco. Da uno studio che ho fatto sulle personalità di coloro che commettono appropriazioni indebi-
te, ho scoperto un fatto interessante: Alberta Haywood non era affatto la persona che uno avrebbe sospettato capace di commettere un crimine del genere. Bene, questa è una caratteristica che ha in comune con le altre persone che si sono macchiate dello stesso reato. Si tratta in genere di persone che non hanno precedenti penali e non si comportano da criminali, né si ritengono tali. Spesso nemmeno la comunità in cui vivono li considera colpevoli. La città di Chicote ha sostenuto a spada tratta Alberta Haywood: forse aveva rubato più di centomila dollari dai loro stessi depositi, ma i Boy-Scout avevano avuto nuovi mobili per il loro Club e il Centro per bambini disabili aveva ricevuto in dono un nuovo pulmino. Questo naturalmente è un ragionamento irrazionale, come se qualcuno ti piantasse un coltello nella schiena e poi ti desse una caramella per non farti pensare al dolore.» «Conosceva bene la signorina Haywood?» «Come chiunque altro in città: conosceva di vista tutti, ma non aveva amici intimi. A Tecolote si sta comportando come una prigioniera modello: obbediente, tranquilla, non pianta mai grane. Naturalmente questo giocherà in suo favore quando dovranno decidere sulla libertà vigilata, ma si tratta sempre di vedere se crederanno alla sua storia sui soldi oppure no. Personalmente mi sembra ovvio che stia dicendo la verità.» «Nessuno ha mai pensato di stabilire un contatto tra i due crimini, quello della signorina Haywood e l'uccisione di O'Gorman?» «Oh, sì; c'è stato un momento in cui la polizia ha accarezzato l'idea che fosse stata Alberta a uccidere O'Gorman.» «Per quale motivo?» «Quando Alberta fu arrestata, la polizia stava ancora cercando un movente per l'uccisione di O'Gorman. A qualcuno venne la strana idea che O'Gorman, visto che era un contabile come Alberta, avesse scoperto da tempo i furti commessi dalla ragazza e ne approfittasse per ricattarla, fino a che Alberta, esasperata, l'aveva ucciso. Naturalmente c'erano molte falle in questa teoria. Prima di tutto, la sera in cui O'Gorman fu ucciso Alberta era al cinema; secondo, O'Gorman non aveva modo di controllare i registri della banca, a meno che la stessa Alberta non glieli avesse mostrati e non era pensabile che Alberta fosse stata tanto sciocca.» «I due si conoscevano?» «Superficialmente sì. Probabilmente si erano incontrati quando, per un breve periodo, O'Gorman aveva lavorato nell'agenzia immobiliare di George. Dico che è stato un breve periodo, perché non è durato più di un me-
se. Il povero O'Gorman non sarebbe riuscito a vendere sarong a Tahiti: non aveva personalità e soprattutto il danaro non gli interessava abbastanza da conferirgli quell'aggressività necessaria in un buon venditore. O'Gorman si accontentava di tirare avanti, come Martha, anche se la moglie era preoccupata all'idea di dover mantenere i ragazzi all'università.» «La compagnia assicuratrice le ha in seguito pagato la polizza?» «Sì, dopo un po' gliel'ha pagata, ma non era gran cosa: cinquemila dollari.» «Cinquemila dollari costituiscono un motivo più valido di due dollari.» «Che cosa intende dire?» «Il vostro fantomatico autostoppista ha ricavato due dollari, Martha O'Gorman cinquemila.» Ronda diventò tutto rosso per la rabbia, ma riuscì a contenersi e a parlare con calma. «Naturalmente sorsero sospetti su Martha, ma si conclusero in una bolla di sapone. È strano come la brava, sciocca gente di Chicote si sia dimostrata più comprensiva con Alberta Haywood, che aveva commesso un delitto ai loro danni, che con Martha, che era la vittima innocente di un delitto. Ma naturalmente c'era la storia dei Boy-Scout e del pulmino per i bambini disabili.» «Alberta ha fatto i nomi degli allibratori con cui scommetteva?» «No, si è rifiutata dicendo che non voleva mettere nessuno nei guai per causa sua. Il proprietario di una tabaccheria tuttavia ha raccontato alla polizia che ormai da parecchi mesi Alberta comprava presso di lui i bollettini per le scommesse.» «Come hanno fatto a pescarla?» «Il presidente della banca ha cominciato ad avere sospetti quando ha visto che i depositi presso di loro diminuivano mentre quelli presso tutte le altre banche erano in aumento. A questo punto ha chiesto l'intervento degli ispettori, naturalmente senza avvertire preventivamente il personale della banca. Uno degli ispettori chiamò Alberta Haywood per farsi spiegare un piccolo errore trovato in un registro che aveva scelto a caso. Alberta capì immediatamente che il suo trucco ormai era stato scoperto. Confessò tutto e, dopo un breve processo, venne trasferita nella prigione di Tecolote.» «Ha altri parenti oltre al fratello George?» «Una sorella, Ruth, che se ne era andata dalla città l'anno prima in seguito a una lite in famiglia scoppiata a causa dell'uomo che lei aveva deciso di sposare; poi c'è la madre, che è uno dei personaggi più caratteristici della città. La signora Haywood si è rifiutata di assistere al processo e non ha
voluto avere più niente a che fare con la figlia. Temo che si sia servita della sua influenza anche con George. George è sempre stato affezionato alla sorella, ma è stato a trovarla una sola volta, prima che la trasferissero a Tecolote. Per quanto concerne la famiglia, Alberta è morta il giorno in cui gli ispettori sono entrati in quella banca. Questo almeno per quanto riguarda la signora Haywood e George. Quanto a Ruth, non ne so niente; è scomparsa dopo il matrimonio.» «Che tipo è la signora Haywood?» «Una donna orribile; George si meriterebbe una medaglia perché la sopporta, o forse un calcio nel sedere.» «Vive con la madre?» «Sì; è vedovo ormai da sette od otto anni. Le agenzie immobiliari non vanno più a gonfie vele come un tempo, ma George non ha problemi finanziari. Dopo la condanna di Alberta, tutti abbiamo pensato che George se ne sarebbe andato e si sarebbe stabilito in una città dove il nome Haywood non ricorda niente a nessuno. Ma George è un tipo che non si arrende ed è rimasto. Be', Quinn, adesso conosce la storia di Alberta Haywood e la morale è che, se vi appropriate del danaro di una banca, non buttatelo al vento, non giocate alle corse, ma mettetelo al sicuro per fare buona impressione sui giudici che devono concedervi la libertà vigilata.» «Quando ci sarà l'udienza?» «Il mese prossimo. L'ho ricordato a George quando, un paio di settimane fa, è venuto qui per i soliti annunci pubblicitari, ma gli interessava talmente poco che non ne ha voluto nemmeno parlare.» «Lei invece mi sembra molto interessato.» «Naturalmente, fa notizia, e dove c'è una notizia interessante lì c'è anche il Beacon. E adesso, Quinn, mi dispiace, ma devo mandarla via: ho da fare.» «Metterà una buona parola per me con Martha O'Gorman?» «Non sarà facile; non le ha fatto una gran bella impressione.» «Se avrò un'altra occasione, mi comporterò molto meglio.» «D'accordo. Le telefonerò al laboratorio dell'ospedale. Mi chiami verso le undici.» 6 Quinn telefonò all'ufficio di George Haywood da una cabina telefonica. Gli rispose un certo Earl Perkins che gli disse che il signor Haywood era a
letto con il raffreddore. «Potrei parlare allora con la signora King?» «No, non sarà di ritorno fino a dopo colazione. È andata fuori città per mostrare un terreno a un cliente. Se è urgente, può telefonare al signor Haywood a casa» e gli diede il numero di telefono. Quinn chiamò e chiese di parlare con il signor Haywood. Gli rispose una voce di donna, incrinata dall'età ma ancora piena di forza. «È a letto con il raffreddore.» «Potrei parlargli per un momento?» «No, non può.» «Lei è la signora Haywood?» «Sì.» «Mi trattengo in città solo per poco tempo e vorrei parlare con il signor Haywood per una questione urgente. Mi chiamo Joe Quinn; se vuole essere così gentile da dirgli che ho telefonato...» «Glielo dirò quando sarà il momento» e riappese lasciando Quinn a chiedersi se il momento opportuno sarebbe stato verso mezzogiorno o il prossimo Natale. Quinn comprò il Beacon e andò in un bar a bere una tazza di caffè. Il Beacon pubblicava scarse notizie di carattere nazionale e lunghi, noiosi resoconti delle attività locali accompagnate dai nomi dei cittadini in esse coinvolti. Non c'era da meravigliarsi che Ronda fosse grato a O'Gorman e ad Alberta Haywood: loro almeno gli avevano fornito argomenti su cui scrivere. Ronda sarebbe stato certamente ben felice se uno dei due casi fosse stato riaperto. "Forse è per questo che si dà tanto da fare per me", pensò Quinn. "Il Beacon ha bisogno di una spinta e la riapertura del caso O'Gorman farebbe passare in seconda pagina le notizie sul Club femminile di canasta o sul party a base di hot-dog della YMCA." Alle undici in punto telefonò a Ronda. «Be', ce l'ho fatta» gli disse Ronda che sembrava molto soddisfatto di sé. «All'inizio Martha naturalmente era molto riluttante, ma sono riuscito a convincerla. È disposta a incontrarla oggi verso mezzogiorno nella caffetteria dell'ospedale. La caffetteria è nel seminterrato.» «Grazie mille.» «È riuscito a mettersi in contatto con George Haywood?» «No, è a letto con il raffreddore e sua madre si rifiuta di farmi parlare con lui.» Ronda si mise a ridere come se avessi detto una battuta di spirito. «Ha
parlato almeno con Willie King?» «È fuori città.» «Non ha avuto molta fortuna, eh?» «Secondo me chi ha avuto fortuna sono stati Willie e George Haywood.» «Lei è troppo sospettoso, Quinn. Se davvero le cose ieri sera al caffè sono andate come dice lei, sono certo che Willie avrà delle spiegazioni ragionevoli per il suo comportamento. È una rispettabile donna d'affari.» «Si direbbe che tutti a Chicote siano persone rispettabili. Forse, se resto in città abbastanza a lungo, un po' di quella rispettabilità resterà attaccata anche a me.» L'ospedale era nuovo e la caffetteria era grande e luminosa, con larghe finestre che davano su un piazzale in mezzo al quale c'era una fontana. Vicino a una di queste finestre, seduta a un tavolino, Martha O'Gorman lo stava aspettando. Nella sua uniforme bianca aveva un aspetto piacevole e ordinato. Il viso, che Quinn aveva visto contratto per la rabbia, era adesso tranquillo. Fu lei a parlare per prima: «Si accomodi, signor Quinn.» «Grazie.» «Quale sarà la sua mossa segreta questa volta?» «Nessuna mossa segreta: l'arbitro non ha ancora messo la palla in campo.» «Pensa davvero che ci sia un arbitro in questa sordida storia?» chiese la donna alzando le sopracciglia. «Lei è davvero ingenuo. Gli arbitri dovrebbero assicurarsi che il gioco sia corretto, che ambedue le squadre siano trattate con equanimità. Ma non ha funzionato così per me e per i miei bambini, per non parlare di mio marito.» «Mi dispiace, signora O'Gorman, vorrei poterla aiutare.» «Ho sofferto più a causa di coloro che mi volevano aiutare che delle persone alle quali ero indifferente.» Se ne stava seduta rigida e diffidente, con le mani appoggiate sul tavolo. «Smettiamola di menare il can per l'aia, signor Quinn: perché una donna l'ha incaricata di rintracciare mio marito?» Quinn arrossì violentemente: «Avevo raccontato questo particolare a John Ronda dicendogli che doveva restare strettamente confidenziale; non mi aspettavo che divulgasse la notizia.» «Allora lei non è un gran conoscitore di caratteri: John è il più famoso pettegolo della città.» «Oh!»
«Non ci mette nessuna cattiveria, naturalmente, i pettegoli non ce la mettono mai, ma adora chiacchierare. E stampare. Mi parli di quella donna, signor Quinn; quali erano le sue intenzioni?» «Le assicuro che non le conosco. Ronda probabilmente le avrà già detto anche questo.» «Infatti.» «Ho assunto questo incarico perché avevo bisogno di lavorare. Lei non ha fatto domande a me e io non le ho fatte a lei. Ho pensato che il signor O'Gorman fosse un parente o un vecchio amico con il quale desiderasse rimettersi in contatto. Se avessi immaginato di trovarmi coinvolto in una situazione come questa, avrei chiesto maggiori informazioni.» «Da quanto tempo quella donna vive in una comunità religiosa o qualsiasi cosa sia?» «Sostiene che il figlio le manda venti dollari tutti i Natali e mi ha consegnato centoventi dollari.» «Questo significa che vive lì da sei anni» osservò Martha O'Gorman pensierosa. «Se ha vissuto separata dal mondo per tutti questi anni, è possibile che non sappia della morte di Patrick.» «È possibile.» «Che aspetto ha?» Quinn le descrisse Sorella Benedizione come meglio poteva. «Non ricordo nessuno che corrisponda a questa descrizione tra gli amici di Patrick» osservò la signora O'Gorman «eravamo sposati da sei anni e i suoi amici erano anche i miei amici.» «Temo che la mia descrizione di quella donna non sia molto accurata. Quando un gruppo di persone indossa la stessa tunica grigia e informe, è difficile distinguere l'uno dall'altro. Probabilmente è proprio questo lo scopo delle tuniche: uccidere la personalità, e direi che funziona.» Mentre parlava si accorse che quella era un'esagerazione: Sorella Benedizione si era sforzata di mantenere la propria individualità e così avevano fatto, come potevano, anche gli altri. Fratello Luce dell'Infinito, sempre preoccupato per gli animali che gli erano stati affidati, Sorella Contrizione, ansiosa di salvare i suoi figli dalle tentazioni del mondo che avrebbero conosciuto frequentando la scuola, e Fratello Voce dei Profeti, muto, che comunicava con il mondo tramite il suo pappagallino, erano, e lo sarebbero sempre stati, individui, non formiche in un formicaio o vespe in un vespaio. «Un tempo faceva l'infermiera?» chiese Martha O'Gorman.
«Così mi ha detto.» «Adesso, da quando lavoro in ospedale, naturalmente conosco molte infermiere, ma a quell'epoca non ne conoscevo nemmeno una. Del resto la maggior parte delle persone che Patrick e io consideravamo nostri amici vivono a Chicote.» «Come John Ronda e sua moglie?» «Sua moglie, certamente. John, forse.» «E George Haywood?» Esitò, con gli occhi fissi sulla fontana, come se l'acqua increspata dall'aria l'avesse ipnotizzata. «Ho incontrato qualche volta il signor Haywood. Una volta, tanto tempo fa, Patrick ha lavorato per lui per qualche settimana, ma non si è rivelato un rapporto soddisfacente: Patrick era troppo onesto per quel tipo di lavoro.» La versione di quell'episodio che gli forniva la moglie era molto diversa da quella che gli aveva dato Ronda, osservò Quinn. «Conosce una certa signora King, una socia di Haywood?» chiese. «No.» «E Alberta Haywood?» «Quella che ha rubato i soldi? Non ci hanno mai presentate, ma la incontravo di tanto in tanto quando andavo in banca a riscuotere l'assegno dello stipendio di Patrick. Ma perché mi fa tutte queste domande su quelle persone? Sono passati sette anni da quando Patrick ha lavorato per il signor Haywood e non mi è mai capitato di incontrarlo in giro e non conosco né la sua socia né sua sorella.» «Suo marito faceva il contabile, signora O'Gorman?» Lo guardò, improvvisamente sospettosa. «Ma... sì, aveva seguito un corso per corrispondenza. Non aveva una particolare inclinazione per i numeri, però...» «Però lei lo aiutava?» «Qualche volta. È stato Ronda a dirglielo, vero? È compito di una moglie aiutare il marito quando lui ne ha bisogno. Non mi vergogno di averlo aiutato, o di riconoscere che lui aveva bisogno del mio aiuto. Sono una donna pratica, signor Quinn, è inutile negare i fatti: Patrick non era dotato di una intelligenza particolarmente brillante e ogni tanto aveva bisogno del mio sostegno, esattamente come io mi appoggiavo a lui quando avevo bisogno di tutte le qualità che lui aveva e di cui io sono priva: dolcezza, generosità, tolleranza. Ciascuno prendeva in prestito dall'altro ciò che gli mancava, ci sostenevamo a vicenda e in questo modo conducevamo una
vita felice sotto tutti i punti di vista.» Gli occhi le si inumidirono e Quinn si chiese se quel pianto era causato dal rimpianto della vita felice perduta o dalla realtà che non era stata poi così felice come lei voleva far credere. «Per molto tempo dopo l'incidente di Patrick» riprese asciugandosi gli occhi «circolarono voci, dicerie, insinuazioni. La gente mi fissava quando passavo e io mi accorgevo che stava pensando: "Quella è la Martha O'Gorman che noi conosciamo o un mostro che ha ucciso suo marito per riscuotere l'assicurazione?". No, queste non sono fantasie, signor Quinn. Anche i miei amici mi guardavano con sospetto: provi a chiederlo a John Ronda! Lui era uno di quelli. Per me è stata una doppia tragedia; non solo avevo perso mio marito, ma si sospettava che fossi stata io a causare la sua morte direttamente o dandogli seri motivi per togliersi la vita.» «Quali motivi?» «Quelli più ovvi: che io lo tiranneggiavo, che ero troppo autoritaria, che in famiglia ero io a portare i pantaloni. Poche persone, come Ronda e sua moglie, erano a conoscenza della verità e cioè che se non mi fossi assunta io le responsabilità, la famiglia sarebbe andata a rotoli. Patrick era un uomo buono, gentile, affettuoso, ma il danaro non significava nulla per lui. I conti non pagati per lui erano solo pezzi di carta. Non avrei desiderato niente di meglio che cercarmi un lavoro, ma questo sarebbe stato un colpo terribile per Patrick che già aveva scarsa fiducia nelle sue risorse. Dovevo sforzarmi di mantenere un equilibrio tra le debolezze di Patrick e le sue necessità.» «Non sono molte le donne che, in queste condizioni, sono capaci di condurre una vita felice.» «Davvero? Non mi pare che lei conosca bene le donne.» «Lo ammetto.» «E neanche l'amore.» «Forse è vero; ma sto sforzandomi di imparare.» «Temo che lei sia troppo vecchio per imparare» ribatté Martha sottovoce «l'amore capita quando si è ancora abbastanza giovani da sopportare le ferite che procura e quando, dopo una gragnola di pugni, si è ancora in grado di rialzarsi dal tappeto prima che l'arbitro conti fino a otto. Mio figlio è un appassionato di boxe» aggiunse con un timido sorriso «è lui che mi insegna questo gergo.» «Ronda mi ha detto che è un ragazzo molto sveglio.» «Lo penso anch'io, ma forse io non sono imparziale.»
«Mi parli dell'incidente di suo marito, signora O'Gorman.» Lo guardò fisso senza abbassare lo sguardo. «Non c'è niente da aggiungere a quello che era scritto nei documenti che le ha dato Ronda.» «C'è una cosa di cui non si parlava: la macchina di suo marito aveva il riscaldamento?» «No, non abbiamo mai speso soldi per cose voluttuarie.» «Che cosa indossava quando è uscito di casa?» «Lo sa già, se ha letto la mia testimonianza all'inchiesta: una camicia di flanella scozzese gialla e nera.» «Pioveva quella notte?» «Sì, pioveva ormai da parecchi giorni.» «Ma il signor O'Gorman non indossava né un impermeabile né una giacca?» «Lo so dove vuole arrivare, ma non funziona. Patrick non indossava un impermeabile perché il nostro garage è attaccato alla casa e in ufficio parcheggiava la macchina in un hangar adiacente all'edificio principale. Non doveva camminare sotto la pioggia.» «A quanto mi hanno detto non solo pioveva, ma faceva molto freddo.» «Patrick non temeva il freddo; non possedeva nemmeno un giaccone.» «Secondo un ritaglio di giornale che era tra i documenti di Ronda, quella sera la temperatura era molto vicina allo zero.» «La camicia era di lana; una lana molto pesante, e poi era uscito di casa in tutta fretta: era terribilmente ansioso di arrivare in ufficio e di correggere l'errore prima che qualcuno se ne accorgesse.» «Terribilmente ansioso» ripeté Quinn; era un aggettivo molto forte che male si accordava con l'immagine di un uomo tranquillo e privo di ambizioni che si era fatto di O'Gorman. «L'incidente è accaduto mentre stava recandosi in ufficio?» «Sì.» «Se aveva tanta fretta, non le pare strano che si sia fermato per caricare uno che faceva l'autostop?» «Non c'è stato nessun autostoppista se non nella fantasia di Ronda e dello sceriffo. A parte quello che lei ha appena detto, c'è anche un altro motivo: solo una settimana prima a Chicote una coppia era stata derubata da uno sconosciuto che aveva raccolto per strada e Patrick mi aveva dato la sua parola d'onore che non si sarebbe più fermato a raccogliere sconosciuti.» «E se si fosse trattato di un uomo o di una donna che conosceva?»
«Quale uomo? Quale donna? Nessuno voleva male a Patrick. Se gli avessero chiesto i soldi che aveva in tasca, li avrebbe consegnati di sua volontà; la violenza non sarebbe stata necessaria» allargò le braccia in un gesto di rassegnazione «adesso capisce perché sono certa che si è trattato di un incidente? Non c'è niente che serva a sostenere un'altra teoria. Patrick aveva fretta, guidava più velocemente di quanto non facesse di solito e la visibilità era scarsa a causa della pioggia.» «Lei era molto innamorata di suo marito, vero, signora O'Gorman?» «Avrei fatto qualsiasi cosa per lui, qualsiasi cosa al mondo, e la farei...» voltò il viso dall'altra parte mordendosi il labbro. «La farebbe ancora, signora O'Gorman?» «Volevo dire che se quella notte fosse successo qualcosa di terribile a Patrick, se per esempio avesse perso completamente la ragione, insomma se mai dovesse tornare o essere ritrovato, io sarò al suo fianco.» «La gente non perde così improvvisamente la ragione; ci sono sempre segni premonitori. Ha notato segni di questo genere in suo marito? Sbalzi d'umore, scatti di rabbia, ubriachezza, cambiamenti nelle abitudini?» «Niente di tutto questo; forse era ancora più tranquillo del solito, più pensieroso. Una volta, scherzando, l'ho accusato di sognare a occhi aperti, e lui mi ha risposto che non stava sognando, che il suo era un incubo a occhi aperti. Ha mai sentito di una cosa del genere?» «Sì, un incubo a occhi aperti è qualcosa da cui non ci si sveglia più.» 7 La Compagnia Immobiliare Haywood occupava un ufficio con aria condizionata al piano terreno di un piccolo hotel. Sulle pareti erano appese mappe della città e della contea, una fotografia aerea di Chicote, un'incisione che rappresentava George Washington mentre attraversa il Delaware e un'altra con un ritratto giovanile di Lincoln. Quinn fu accolto da un giovane dal colorito giallastro in maniche di camicia che affermò di chiamarsi Earl Perkins. Sebbene nell'ufficio ci fossero molte scrivanie, ciascuna con un cartellino con il nome, Perkins sembrava essere l'unica persona presente e Quinn si chiese se gli affari andavano tanto male che gli altri impiegati non si curavano neppure di venire in ufficio, o tanto bene da essere tutti fuori per affari. «Quando pensa che sarà di ritorno la signora King?» chiese Quinn. «Da un momento all'altro. In questo ufficio può succedere di tutto senza
che nessuno ci faccia caso. Non ci sono regole. Lei è un uomo d'affari, signor...?» «Quinn; sì sono qui per affari.» «E allora lei saprà bene che un'azienda non può prosperare senza regole severe da applicare ai suoi dipendenti. Senza regole che cosa c'è? Il caos.» «Questo è un caos molto tranquillo» osservò Quinn guardandosi attorno. «Non sempre il caos si vede in superficie» ribatté acidamente Perkins. «Per esempio il mio intervallo per il pranzo è dalle dodici alle tredici. Ormai sono suonate le tredici e io non ho ancora mangiato. A lei sembrerà forse un esempio banale, ma per me non lo è. Io avrei potuto mostrare al cliente quella proprietà ed essere di ritorno in ufficio per le undici, perché io non perdo il mio tempo in giro per poi dover ammansire il capo.» «Da quanto tempo la signora King lavora per il signor Haywood?» «Non lo so; sono stato assunto soltanto il gennaio scorso.» «Esiste un signor King?» «In giro non lo si vede» rispose Perkins con evidente soddisfazione. «È divorziata.» «È da molto tempo che lei abita a Chicote?» «Ci abito da quando sono nato, a parte due anni che ho passato all'Istituto Superiore Statale di San José. Ma ci pensa, due anni a studiare a San José per venire a capitare... Ah! Era l'ora!» La porta si era spalancata lasciando entrare un soffio di aria calda e secca e Willie King era comparsa sulla soglia. Indossava un abito bianco senza maniche e un cappello a tesa larga. A causa appunto del cappello, a tutta prima non aveva notato la presenza di Quinn. «Mi spiace di essere in ritardo, Earl.» «Me lo auguro! La mia ulcera...» «Quel terreno possiamo considerarlo venduto, anche se ho dovuto dire qualche bugia a proposito del clima.» Appoggiò la borsetta sulla scrivania e si tolse il cappello. Soltanto allora si accorse della presenza di Quinn. A parte una piccola smorfia della bocca, rimase tuttavia imperturbabile. «Scusi, non mi ero accorta che avessimo un cliente. Posso esserle utile, signore?» «Oh, credo proprio di sì.» «Sarò da lei tra un minuto. È meglio che tu vada a fare colazione, Earl, e ricordati, niente pepe e niente salse piccanti.» «Non è il pepe che mi rode i visceri, è questa assoluta mancanza di regole!»
«D'accordo, adesso vai e pensa a qualche buona regola. Anzi fanne una lista.» «L'ho già fatta la lista.» «Bene; fanne un'altra.» «Per Dio! Vedrai se non la faccio!» e Perkins uscì sbattendo la porta. «È soltanto un ragazzo» osservò Willie King in tono materno «troppo giovane per avere l'ulcera. Immagino che neppure lei avrà l'ulcera, signor Quinn?» «Potrebbe venirmi se cercassi di ingoiare un po' delle fandonie che mi ha raccontato lei, signora King, con o senza pepe e salse piccanti. È stato piacevole il viaggio a Los Angeles?» «Ho cambiato idea.» «Ha deciso che dopo tutto Chicote era abbastanza civilizzata per lei?» «Quello che ho detto di Chicote vale sempre: è una topaia.» «Perché non prova a uscirne allora?» «Potrei cadere dalla padella nella brace» rispose scrollando le spalle nude «e poi qui ho legami, conoscenze.» «Come il signor Haywood?» «Naturalmente: è il mio capo.» «Sul lavoro e anche fuori?» «Non capisco di che cosa stia parlando» rispose senza scomporsi «a meno che non si riferisca alla notte scorsa.» «Mi riferivo proprio a quella.» «A dire la verità quella è stata una mia idea. L'avevo sentita parlare con Ronda quando sono andata in ufficio per far pubblicare i soliti avvisi pubblicitari sul Beacon. Parlavate del caso O'Gorman e naturalmente mi sono incuriosita. Sui cittadini di Chicote la parola O'Gorman fa lo stesso effetto di terremoto a San Francisco. Tutti hanno una teoria in proposito; tutti l'hanno conosciuto, o affermano di averlo conosciuto. Perciò» tacque e respirò profondamente «perciò mi è venuta l'idea che forse lei stava lavorando al caso, che forse stava seguendo una nuova pista e che lei e io...» «Lei ed io?» «Avremmo potuto risolvere il caso insieme. Fare uno scoop giornalistico, diventare famosi.» «È questa la sua idea? Il suo sogno di gloria?» «Be', può sembrare sciocco sentirlo dire adesso, a freddo, ma è esattamente quello che pensavo la notte scorsa quando l'ho abbordata e ho cercato di spremerle informazioni.»
«E chi era il suo amico?» «Quale amico?» «Quello che ha frugato nella mia stanza.» «Non ne so niente io» rispose rabbuiandosi «forse lo sta inventando solo per confondermi.» «Dov'era George Haywood la notte scorsa?» «A letto con il raffreddore, immagino. Non si è fatto vedere in ufficio per tutta la settimana. Ha la bronchite. Santo cielo, non penserà anche per un solo istante che il signor Haywood...» «E invece sì; penso, e non per un solo istante, che il signor Haywood sia andato in camera mia mentre lei recitava la sua scenetta a El Bocado.» «Ma questo è orribile!» esclamò con veemenza Willie King «è orribile che lei possa pensare una cosa del genere. Il signor Haywood è uno dei più rispettati uomini d'affari di tutta la città. È una persona meravigliosa.» «A quanto pare a Chicote ci sono più persone meravigliose che in paradiso. Tuttavia una di queste si è introdotta in camera mia ingannando un povero vecchio e facendosi consegnare la mia chiave. Sono convinto che sia stato il signor Haywood e che lei l'abbia aiutato.» «Ma questa è calunnia! O è diffamazione? Faccio sempre confusione.» «Lei è un po' confusa su molte cose, signora King. Perché non prova a dire la verità, tanto per cambiare? Come mai George Haywood si interessa a me? Che cosa pensava di trovare in camera mia? E, ancora più importante, che cosa ha portato via?» «Lei si accorgerebbe di quanto sia ridicolo tutto questo se avesse incontrato il signor Haywood.» «È quello che sto cercando di fare.» «Perché?» Era diventata bianca quasi come l'abito che indossava. «Perché vorrei chiedergli per quale ragione si è servito di lei come esca per...» «No, la prego, non può farlo. Lui non sa che ho cercato di adescarla in quel posto orribile. Si arrabbierebbe moltissimo se lo scoprisse, potrebbe persino licenziarmi.» «La smetta, signora King.» «Dico sul serio! È molto rigido per quello che riguarda la forma, soprattutto dopo l'episodio in cui è stata coinvolta sua sorella Alberta. Poiché lei ha compiuto un'azione riprovevole, lui pensa di dover evitare anche la più insignificante infrazione alle regole e al buon gusto. E questo naturalmente
vale anche per i suoi impiegati. Vuole proprio farmi licenziare?» «No.» «Allora per favore non gli dica niente della notte scorsa. Non capirebbe che per me era quasi un gioco. Willie King, la ragazza detective. Il signor Haywood non è un tipo che apprezzi questi scherzi, è troppo serioso. Mi promette di non dirgli niente?» «Potrei farlo, in cambio di qualche favore.» Willie King lo guardò sospettosa. «Se lei ha in mente quello a cui sto pensando io...» «Lei non mi ha capito, signora King. Voglio soltanto farle qualche domanda.» «Forza, spari!» «Lei conosce la madre di Haywood?» «Accidenti se la conosco!» borbottò Willie imbronciata. «Che cosa c'entra lei?» «Se non mi sbaglio ha due figlie.» «Anche se lei non ne parla mai. Credo che non permetta neppure a George... al signor Haywood di pronunciare i loro nomi, soprattutto quello di Alberta.» «Che ne è stato dell'altra?» «Ruth? È scappata di casa e ha sposato un uomo che a sua madre non piaceva. Un certo Aguila che fa il pescatore a San Felice. Per quello che riguarda la vecchia, la ragazza è come se fosse morta.» «E dove si trova adesso la signora Aguila?» «A San Felice, immagino. Perché?» «Sto solo controllando.» «Ma perché si sta occupando della famiglia Haywood? Non stava interrogando le persone che hanno conosciuto O'Gorman?» «Il signor Haywood lo ha conosciuto.» «Solo per breve tempo e per motivi di lavoro.» «Anche Alberta Haywood lo conosceva.» «Può darsi che l'abbia incontrato, ma non sono certa neanche di questo.» «George Haywood era molto affezionato alla sorella, vero?» «Credo di sì.» «Così legato a lei che, dopo la scoperta del furto, subì anche lui un lungo interrogatorio da parte della polizia.» Era soltanto un'ipotesi che Quinn aveva buttato lì, e rimase sorpreso per la violenta reazione della ragazza. «Era molto più di un interrogatorio,
glielo assicuro! Sono state vere e proprie accuse. Dove erano i soldi? Quanto danaro Alberta aveva prestato o regalato al fratello? Come era possibile che George avesse vissuto per tutto quel tempo sotto lo stesso tetto con la sorella senza accorgersi che lei stava tramando qualche cosa? Aveva mai visto i bollettini per le scommesse che la ragazza portava a casa tutti i giorni?» «Be', li aveva visti?» «No, perché lei non li portava a casa. Non ne è stata trovata una sola copia né nella sua stanza né in nessun angolo della casa.» «Una donna molto accorta, Alberta, oppure qualcuno si è preso la briga di fare pulizia dopo che lei è stata arrestata. La conosceva, signora King?» «Non bene. Nessuno la conosceva bene. Voglio dire che era una di quelle persone che stanno nell'ombra e di cui nessuno si accorge fino a che un giorno non succede qualche cosa.» «Di cui nessuno si accorge fino a che non succede qualche cosa» ripeté Quinn. «Forse era proprio questo ciò che voleva: attirare l'attenzione.» «No, lei si sbaglia, signor Quinn» replicò Willie King scuotendo vigorosamente la testa. «Alberta ha sofferto orribilmente, in un modo da non credersi; io ho seguito il processo. Mi sembrava di vedere un animale che è stato gravemente ferito e non può raccontare a nessuno quello che gli è successo perché lo aiutino.» «E il fratello le ha voltato le spalle?» «È stato necessario. Oh, a lei sembrerà disumano perché lei non era presente, ma io c'ero! La vecchia madre si faceva venire una crisi isterica ogni momento per impedire a George di avere a che fare con la sorella.» «Come mai la signora Haywood era così vendicativa verso la figlia?» «Prima di tutto perché fa parte del suo temperamento e poi perché Alberta era sempre stata una delusione per la madre. Era bruttina e non usciva mai coi ragazzi. Non si era sposata e non aveva avuto bambini, non era una persona interessante con cui convivere. Anno dopo anno, Alberta era sempre stata una delusione per la madre e credo che questa abbia approfittato della storia dell'appropriazione indebita per escluderla dalla sua vita e dimenticarla.» Willie King abbassò gli occhi e rimase a guardarsi le mani, bianche, affusolate e prive di anelli. «E poi naturalmente c'era George, la pupilla dei suoi occhi. Quando è morta sua moglie, credo che la signora Haywood si sia trattenuta dal ballare in mezzo alla strada solo a causa dei vicini. Significava che George adesso sarebbe appartenuto soltanto a lei, testa, cuore e visceri. Quella donna è un mostro. Ma non mi faccia parlare
di questo; potrei andare avanti per settimane.» Non c'era bisogno che aggiungesse altro perché fosse chiaro che Willie King e la vecchia signora combattevano per la conquista dello stesso uomo. Squillò il telefono e la signora King rispose in tono svelto e professionale: «Compagnia Immobiliare Haywood. Sì... mi dispiace ma la casa in Roosevelt Park non soddisfa i requisiti richiesti dalla Commissione Edilizia Federale. Stiamo dandoci da fare per trovare qualche cos'altro che vada bene per lei... Certo, il più presto possibile» depose il microfono e fece una smorfia. «Temo che sia ora che io mi rimetta al lavoro, signor Quinn, anche se mi dispiace di dover interrompere la nostra gradevole conversazione.» «Forse potremmo riprenderla, per esempio questa sera.» «È assolutamente impossibile.» «Perché? Deve prendere un autobus per Los Angeles?» «Accompagno la mia sorellina minore al cinema.» «Mi scusi; sarà per la prossima volta in cui vengo a Chicote.» «Se ne va?» «Non c'è niente che mi trattenga qui, visto che lei ha un appuntamento con la sua sorellina.» «Quando sarà di ritorno?» «Quando vuole che torni?» Willie lo guardò dritta negli occhi. «La smetta di scherzare. Capisco benissimo quando un uomo fa sul serio e lei non sta facendo sul serio. E nemmeno io.» «Allora perché le interessa sapere quando sarò di ritorno?» «Volevo soltanto essere cortese.» «Grazie. E la ringrazio per le informazioni.» «Non ne parliamo nemmeno. Arrivederci.» Quinn salì in macchina e, dopo aver percorso un isolato, tornò indietro e andò a fermarsi nel parcheggio di un supermercato. Da lì poteva godere la vista dell'orologio sulla torre del palazzo comunale e anche dell'ingresso della Compagnia Immobiliare Haywood. Alle tredici e trenta Earl Perkins era di ritorno dall'aver fatto colazione con la faccia di uno a cui il cibo è andato di traverso, e due minuti più tardi Willie King usciva di corsa con il cappello in testa e la borsa stretta sotto il braccio. Mentre saliva in macchina e si dirigeva verso sud, si arguiva dal suo aspetto che era affannata ma decisa.
Quinn la seguì a distanza; dalla decisione con cui seguiva la sua strada, concluse che, o si considerava assolutamente sicura, oppure aveva troppa fretta per curarsene. Willie imboccò il vialetto di una vecchia casa su una colonna della quale era affisso un cartello con scritto VENDESI; tirò fuori dalla borsetta una chiave, aprì la porta ed entrò frettolosamente. Per un momento Quinn pensò che dopo tutto si era sbagliato e che la ragazza si era veramente rimessa al lavoro. La casa era proprio di fronte a Roosevelt Park ed era evidentemente quella di cui aveva parlato al telefono. Stava per andarsene quando una Pontiac familiare verde si fermò davanti alla casa e ne scese un uomo. Malgrado il caldo, indossava un abito grigio scuro e un cappello a larghe tese dello stesso colore. Era alto e magro e camminava lentamente, come se gli avessero detto di non affrettarsi. Mentre saliva i pochi scalini che conducevano al portico fu assalito da una crisi di tosse; si appoggiò alla ringhiera portandosi una mano alla bocca mentre con l'altra si stringeva il petto. Quando la tosse si fu calmata, estrasse di tasca un anello a cui erano appese molte chiavi ed entrò. "Un lavoretto pulito, semplice e sicuro", pensò Quinn. "Quando George e Willie si vogliono incontrare senza che la vecchia signora o chiunque altro lo venga a sapere, si danno appuntamento in una delle case in vendita dell'agenzia. Forse scelgono ogni volta una casa diversa. E la supplica appassionata di Willie perché non parlassi con George, pena il suo licenziamento, era solo un tentativo di impedirmi di vederlo e di fargli delle domande. Be', è stata una recitazione impeccabile. Ci è mancato poco che non ci cadessi. E ci è mancato poco che non mi lasciassi sedurre da Willie." Quinn rimase a fissare la vecchia casa come se si aspettasse di vedere aprirsi da un momento all'altro una finestra svelando quello che succedeva là dentro. Non accadde nulla. Del resto anche se avesse avuto modo di accostare Haywood, non aveva nessun diritto di fargli domande e non c'era nessuna prova che fosse stato proprio lui l'uomo col cappello che era andato a perquisire la sua camera al motel. Mise in moto la macchina e si allontanò; erano quasi le due: se avesse preso la strada lungo la montagna senza fermarsi a San Felice, avrebbe potuto essere alla Torre per le cinque. Willie sentì George che apriva la porta d'ingresso e la richiudeva. Avrebbe voluto correre in corridoio e buttarsi tra le sue braccia, ma si trattenne. Rimase invece ad aspettare, immobile nella stanza buia, chiedendosi
se sarebbe mai venuto il giorno in cui avrebbe potuto comportarsi con George come avrebbe desiderato. Negli ultimi tempi invece sembrava che George scoraggiasse i suoi entusiasmi, come se avesse già troppi problemi per la testa per poterne affrontare di nuovi. «Sono qui, George.» Nelle stanze vuote la sua voce rimbombava come un'eco. Doveva ricordarsi di parlare sottovoce. Haywood stava in piedi in mezzo al corridoio, stringendosi il cappello al petto, come se stesse ascoltando l'inno nazionale. Willie sentì una risatina che le gorgogliava in gola e inghiottì violentemente per sopprimerla. «Ti hanno seguita.» «No, ti giuro che non ho visto...» «La macchina di Quinn è parcheggiata lungo il marciapiede di fronte.» Willie sollevò l'angolo di una tenda e guardò fuori: «Non vedo nessuna macchina.» «Prima c'era. Ti avevo detto di stare attenta.» «Ho fatto il possibile» adesso si sentiva un groppo in gola e non c'era niente che potesse fare per scioglierlo. «Ti senti meglio oggi, George?» L'uomo scosse la testa con impazienza come se non avesse tempo da perdere con queste banalità. «Quinn deve avere qualcosa in mente. Mi ha telefonato in ufficio e poi a casa. Mamma si è liberata di lui come le avevo detto di fare.» Bastò il nome della signora Haywood perché Willie si irrigidisse. «Avrei potuto farlo anch'io.» «Temo che tu non goda più della sua fiducia.» «Non è vero! Mi ha chiesto di uscire con lui questa sera.» «Hai accettato?» «No.» «Perché no?» «Pensavo... che ti seccasse.» «Avresti potuto cavargli qualche informazione utile.» Willie si voltò a guardare il vecchio caminetto; pensò a tutti i fuochi che erano stati accesi tra quelle pietre e che si erano poi spenti e si chiese se ci sarebbe stato ancora qualcuno che avrebbe acceso un fuoco in quella casa. «Mi dispiace di averti offesa, Willie» disse George in tono più gentile. «Non è il caso; è ovvio che hai per la testa cose più importanti dei miei sentimenti.» «Mi fa piacere che tu te ne sia accorta.» «Certo che me ne sono accorta! Me lo hai fatto chiaramente capire.»
«Willie, non fare così» disse George posandole le mani sulle spalle «ti prego, sii paziente con me.» «Se almeno tu mi dicessi che cosa sta succedendo...» «Non posso. Posso solo dirti che è una cosa molto seria e che ci sono coinvolte un mucchio di persone, di persone per bene.» «Ha importanza sapere se sono persone perbene o no? E poi, come fai a giudicare se una persona è o non è perbene? Lo chiedi a tua madre?» «Per favore, non tirare in ballo mia madre. Lei non ha la più pallida idea di che cosa stia succedendo.» «Non la tirerei certo in ballo se non fosse lei a venirmi a provocare» si voltò a guardarlo in faccia, pronta a tirare fuori: le unghie, ma aveva un aspetto troppo stanco e malandato per trascinarlo in un litigio. «Lascia perdere, George. Facciamo finta di entrare in questo momento e ricominciamo tutto da capo, vuoi?» «D'accordo.» «Ciao, George.» George sorrise: «Ciao, Willie.» «Come stai?» «Bene, grazie, e tu?» «Sto bene anch'io.» Ma quando George si chinò per baciarla voltò il viso dall'altra parte. «Non è andata molto meglio della prima volta, vero? Tu non stai affatto pensando a me; tu pensi a Quinn.» «Sono costretto a farlo.» «Ancora non per molto.» «Cosa significa "non per molto"?» «Lascia la città.» George lasciò cadere le mani lungo i fianchi come se scattasse sull'attenti. «Quando?» «Oggi pomeriggio penso; forse sta partendo proprio ora.» «Perché? Perché se ne va?» «Ha detto che non aveva motivo di restare in città visto che mi rifiutavo di uscire con lui questa sera. Naturalmente scherzava.» Aspettò, sperando che George la contraddicesse: "Ma certo che non scherzava, tesoro; tu sei una donna estremamente affascinante. Probabilmente lascia la città prima che tu gli spezzi il cuore". «Scherzava» ripeté, ma questa volta George non la udì nemmeno. Aveva attraversato la stanza ed era andato a prendere il cappello. «George?»
«Ti telefono domani mattina.» «Dove vai? Non abbiamo neppure avuto il tempo di parlare!» «Adesso non posso. Devo mostrare a un cliente la proprietà dei Wilson in Greenacres.» Willie sapeva benissimo che era Earl Perkins ad occuparsi della casa dei Wilson e che George non si sarebbe mai sognato di interferire. Quando fu in corridoio si voltò a guardarla. «Mi faresti un favore, Willie?» «Certo; sei tu il capo.» «Di' a mia madre che non sarò di ritorno per cena e che non mi aspetti alzata.» «D'accordo.» Era un grosso favore, e tutti e due lo sapevano. Willie rimase immobile, aspettando di sentire il rumore della porta d'ingresso che si apriva e si richiudeva, il ruggito del motore e la sgommata dei pneumatici sull'asfalto. A testa bassa si avvicinò al vecchio caminetto: l'interno era annerito dal fumo dei mille fuochi che vi erano stati accesi. Willie tese le mani di fronte a lei come se si aspettasse che una delle vecchie fiamme avesse ancora in serbo un po' di calore per lei. Dopo un po' si riscosse e uscì. Da un ufficio postale delle vicinanze telefonò a casa di George: «Signora Haywood?» «Sono io.» «Sono Willie King.» «La signora King, certo. Mio figlio non è in casa.» Willie strinse le mascelle; in tutte le conversazioni tra di loro, la signora Haywood parlava di George sempre come "mio figlio", mettendo l'accento su quel mio. «Lo so, signora Haywood; mi ha pregato di dirle che questa sera resterà fuori.» «Fuori dove?» «Non me l'ha detto.» «Quindi non sarà insieme a lei?» «No.» «In questi ultimi tempi è rimasto fuori molto spesso, di notte e di giorno.» «È molto preso dagli affari.» «E naturalmente lei gli è di grande aiuto.» «Cerco di esserlo.»
«Ma certo che lo è! George mi ha detto che lei è un venditore molto aggressivo, o dovrei dire venditrice. C'è una cosa che mi incuriosisce negli affari di mio figlio: è straordinario il numero di trasferimenti di proprietà immobiliari che si consumano di notte. Consumare è la parola giusta, non è vero?» «Può dire come preferisce, signora Haywood.» Ci fu un breve silenzio, durante il quale Willie coprì con una mano il ricevitore perché la signora Haywood non sentisse che ansimava per la rabbia. «Signora King, tanto lei che io siamo molto affezionate a George, non è vero?» "Io lo sono di certo" pensò Willie "quanto a te, tu non sei affezionata a nessuno", ma si limitò a rispondere: «Sì.» «Non le è capitato per caso di chiedersi dove vada esattamente questa sera?» «Sono affari suoi.» «E non anche suoi?» «No.» "Non ancora" aggiunse mentalmente. «Santo cielo, penso che dovrebbe chiederselo, se davvero mio figlio le interessa come afferma. Naturalmente mio figlio è un uomo dal carattere esemplare, ma le tentazioni in giro sono molte.» «Sta per caso chiedendomi di spiarlo, signora Haywood?» «Usare occhi e orecchi non mi pare che significhi spiare.» Ci fu un altro silenzio durante il quale la signora Haywood preparava un altro attacco ancora più devastante. Ma quando parlò di nuovo, la sua voce tremava. «Ho la sensazione, la terribile sensazione che George si trovi nei guai... Io e lei non siamo mai state amiche, signora King, ma non l'ho mai considerata una minaccia alla sicurezza di George.» «Grazie» rispose Willie asciutta. L'improvviso cambiamento nella voce e nell'atteggiamento della signora Haywood la lasciava perplessa. «Non ho motivo di credere che George si trovi in una situazione che non è in grado di controllare.» «E invece lo è; io lo sento e c'entra una donna.» «Una donna? Sono certa che lei si sbaglia.» «Vorrei sbagliarmi, ma non è così. Sono successe troppe cose recentemente, troppi viaggi misteriosi. Dove va? Che cosa fa? Chi incontra?» «Ha provato a chiederglielo?» «Sì; non mi ha detto niente, ma non è riuscito a nascondermi che si sen-
tiva colpevole. E per che cosa potrebbe essere colpevole se non per una donna?» «Sono certa che lei si sbaglia, signora Haywood» ripeté Willie, ma questa volta anche in lei si era insinuato il dubbio. E dopo aver riagganciato, rimase per un lungo tempo con la testa appoggiata all'apparecchio, nella piccola, soffocante cabina. 8 Ritrovare la stradina sterrata fu un'impresa più difficile di quanto Quinn non avesse immaginato. Aveva superato di tre o quattro chilometri la svolta prima di accorgersi di essere fuori strada. Girò faticosamente la macchina e, guidando molto lentamente, cercò di ritrovare il boschetto di eucalipti che ricordava. Il sole implacabile, la fatica di dover affrontare quel susseguirsi di curve cieche, la totale desolazione del paesaggio, cominciavano a influire negativamente sul suo umore e a minare la sua fiducia. Le idee che a Chicote gli erano sembrate buone, le decisioni che gli erano sembrate sensate, adesso, sullo sfondo di quel paesaggio brullo e desolato, gli sembravano deboli e sciocche. La ricerca di O'Gorman poi gli pareva irreale, assurda, come una caccia alla volpe in cui manca la volpe. Una giovane cerbiatta balzò fuori dal folto dei cespugli e attraversò con movimenti eleganti la strada evitando il paraurti della macchina per pochi centimetri. Aveva un aspetto sano e ben nutrito. "Non ha certamente un aspetto così vigoroso per il cibo che trova qua attorno di questa stagione", pensò Quinn. "Deve esserci qui vicino qualche sorgente d'acqua." Quando fu in cima alla collina fermò la macchina e si guardò attorno; in lontananza gli parve di vedere qualche cosa che scintillava sotto i raggi del sole. Era la prima volta che vedeva la Torre, un fascio di luce riflesso sul vetro. Allentò il freno e scese silenziosamente dalla collina: a circa mezzo chilometro di distanza scorse il boschetto di eucalipti e la strada sterrata. Adesso che l'aveva trovata, provava la strana sensazione di ritornare a casa. Si sentiva persino un po' eccitato alla prospettiva di essere bene accolto, che qualcuno lo aspettasse per dargli il benvenuto. Sul lato della strada vide uno dei Fratelli intento a zappare. Suonò il clacson per attirare la sua attenzione. Era Fratello Corona di Spine, quello che gli aveva dato un passaggio in macchina fino a San Felice il giorno precedente.
«Lei mi ha dato un passaggio ieri, lasci che oggi le ricambi il favore» disse sporgendosi per aprire la portiera. «Salti su, Fratello.» «La stavamo aspettando, signor Quinn» rispose freddo Fratello Corona con le mani nascoste dentro alle maniche della tunica. «Bene.» «No, non è affatto bene.» «Che cosa è successo?» «Parcheggi la macchina sul ciglio della strada e la lasci lì» rispose bruscamente Fratello Corona «ho ordine di accompagnarla dal Maestro.» «Bene» disse Quinn parcheggiando la macchina «o neanche questo è bene?» «Uno straniero che viene a curiosare all'interno della nostra Torre potrebbe indurre il diavolo a distruggerci tutti, ma il Maestro ha detto che vuole parlare con lei.» «Dov'è Sorella Benedizione?» «A tormentarsi per i suoi peccati.» «Che cosa significa esattamente, Fratello?» «Il danaro è la fonte di tutti i mali.» Fratello Corona si voltò, sputò per terra e si ripulì la bocca con il dorso della mano, poi aggiunse: «Amen.» «Amen, però non stavamo parlando di soldi.» «E invece sì; vi ho sentito ieri mattina. Lei le ha detto: "A proposito di quei soldi...". Io vi ho sentito e ho dovuto riferirlo al Maestro. Questa è una delle nostre regole: il Maestro deve sapere tutto, così può proteggerci da noi stessi.» «Dov'è Sorella Benedizione?» ripeté Quinn. Fratello Corona si limitò a scuotere la testa e si avviò per la strada polverosa. Dopo un attimo di esitazione, Quinn lo seguì. Passarono davanti alla sala da pranzo comune, al magazzino in cui Quinn aveva passato la notte e a un paio di altri edifici che Quinn non conosceva. Dopo una cinquantina di metri il sentiero si inerpicava in salita e Quinn, per la ripidità del cammino e l'altitudine a cui non era abituato, si ritrovò sbuffante e senza fiato. Fratello Corona si voltò a guardarlo e disse con disprezzo: «Una vita senza disciplina! Muscoli flaccidi e costituzione debole.» «La mia lingua però non è debole» ribatté Quinn «io non vado a fare la spia alla maestra.» «Il Maestro deve sapere tutto» rispose arrossendo Fratello Corona «io ho agito per il bene di Sorella Benedizione. Dobbiamo essere salvati da noi stessi e dal demonio che è in noi. Dentro ciascuno di noi c'è un diavolo che
ci rode i visceri.» «E io che pensavo che fosse il mio fegato che si era rimesso a fare i capricci!» «Rida, rida pure. Chi ride troppo sulla terra piangerà per tutta l'eternità! Danaro!» ripeté Fratello Corona. «È una parola diabolica che porta alla dannazione eterna. E adesso si tolga le scarpe.» «Perché?» «Siamo su terra consacrata.» Su uno spiazzo in cima alla collina, la Torre, alta cinque piani, si innalzava verso il cielo. Era costruita in vetro e legno di sequoia e aveva la forma di un pentagono edificato attorno a una corte interna. Quinn si tolse le scarpe e passò sotto un arco di pietra su cui era inciso: IL REGNO DEI CIELI ASPETTA TUTTI GLI UOMINI DI FEDE, PENTITEVI E RALLEGRATEVI. Dal cortile interno una scala di legno con un passamano di corda saliva fino alla cima della Torre. «Deve salire da solo.» «Perché?» «Quando il Maestro dà un ordine, non è opportuno chiedere spiegazioni.» Quinn si avviò per le scale; a ogni piano pesanti porte di quercia si aprivano su quelli che Quinn immaginò dovessero essere gli alloggi dei seguaci. Soltanto al quinto piano c'erano finestre che si aprivano sul cortile e qui una pesante porta di quercia era aperta. Udì una voce profonda e sonora che diceva: «Venga avanti, signor Quinn, e richiuda la porta, per favore; mi pare che ci sia una corrente d'aria.» Quinn entrò e nello stesso istante comprese perché la Torre era stata costruita in mezzo a quel paesaggio desertico e perché la vecchia signora che aveva sborsato il danaro per costruirla avesse la sensazione di essere più vicina al cielo. La luce e il cielo che invadevano la stanza in ogni suo angolo toglievano il fiato. Dalle vetrate che si aprivano su tutti e cinque i lati della stanza si vedevano catene di montagne che si accavallavano ad altre montagne e poi giù, in fondo alla verde vallata, un lago azzurrissimo che sembrava un diamante appoggiato su una foglia fresca. Lo spettacolo era così impressionante da far passare inosservate le persone che si trovavano nella stanza. Erano due, un uomo e una donna vestiti della stessa tunica bianca stretta in vita da un nastro di raso scarlatto. La donna era molto vecchia e il suo corpo, col passare degli anni, si era rattrappito fino ad assumere le dimensioni di quello di una bimba. Rughe pro-
fonde segnavano il suo viso scuro come il guscio di una noce. Sedeva su una panca, con lo sguardo rivolto al cielo, come se si aspettasse da un momento all'altro di vederlo spalancarsi per accoglierla. L'uomo poteva avere indifferentemente cinquanta o settant'anni. Aveva un viso scarno, intelligente, occhi che bruciavano come il fosforo e sedeva a gambe incrociate sul pavimento, intento a lavorare a un telaio a mano. «Io sono il Maestro» disse con semplicità e senza ombra di presunzione «e questa è Madre Purezza; le diamo il benvenuto e le auguriamo ogni bene.» «Buena acogida» disse la donna come se stesse traducendo per qualcuno che non capiva l'inglese «salud.» «Ci rivolgiamo a voi in amicizia.» «No estamos malicios.» «Madre Purezza, non è necessario che tu traduca per il signor Quinn.» La donna si voltò a guardarlo e replicò in tono ostinato: «Mi piace sentire il suono della mia lingua materna.» «Anche a me piace, ma a tempo e luogo. Ora, se vuoi essere così gentile da scusarci, il signor Quinn e io abbiamo alcune cose di cui parlare.» «Voglio restare qui ad ascoltare» disse la donna lamentosamente «non mi va di aspettare da sola che le porte del Regno si aprano per ricevermi.» «Dio è sempre con te, Madre Purezza.» «Vorrei che di tanto in tanto mi dicesse qualche cosa. Mi sento così triste quando sto tutta sola ad aspettare... Chi è questo giovanotto? Perché si trova nella mia Torre?» «Il signor Quinn è venuto a trovare Sorella Benedizione.» «Oh, ma non è possibile.» «È quello che devo spiegargli, in privato.» Il Maestro prese saldamente per un gomito la vecchia e l'accompagnò fino alle scale. «Fai attenzione mentre scendi, Madre Purezza. Attenta a non cadere nel cortile interno.» «Di' a quel giovanotto che se vuole visitare la Torre deve aspettare di ricevere un invito stampato dal mio segretario Capirote. Manda a chiamare immediatamente Capirote.» «Capirote non è qui, Madre Purezza, non c'è più da tanto tempo. Adesso appoggiati alla ringhiera e cammina lentamente.» Il Maestro richiuse la porta e tornò a sedersi dietro al telaio. «È la sua Torre?» chiese Quinn. «È stata lei che l'ha fatta costruire. Adesso appartiene a tutti noi. Non esiste la proprietà privata nella nostra comunità, a meno che qualcuno non
commetta un peccato come la nostra povera Sorella Benedizione.» Alzò una mano per prevenire le sue proteste. «Per favore, è inutile che lo neghi. Sorella Benedizione ha reso una completa confessione e si è profondamente pentita.» «Voglio vederla; dov'è?» «Quello che lei vuole non ha molto peso qui da noi. Quando è entrato nella nostra proprietà, in un certo senso, lei è entrato in un altro paese, con una diversa costituzione e con leggi diverse.» «Immagino che faccia sempre parte degli Stati Uniti» ribatté Quinn «o mi sbaglio?» «Naturalmente non c'è stata una separazione formale, ma noi non accettiamo come leggi quelle che non ci sembrano giuste.» «Quando dice "noi" in realtà vuol dire "io", non è vero?» «Io sono stato scelto per ricevere visioni e rivelazioni che altri non possono avere. Sono tuttavia soltanto uno strumento della volontà divina, un servo tra i servi. Mi accorgo di non averla convinta.» «Infatti.» Quinn si chiese che cos'era stato nella vita il Maestro, oltre che un fallito. «Ha detto che voleva parlarmi. A che proposito?» «Soldi.» «Credevo che fosse una parolaccia dalle vostre parti.» «Qualche volta è necessario usare parole sporche per descrivere affari sporchi, come per esempio accettare da una donna una grossa somma per un servizio trascurabile.» Si toccò la fronte con una mano diafana mentre con l'altra indicava il cielo. «Come vede io so tutto.» «Sì, ma questo non l'ha saputo da una visione» ribatté Quinn «del resto accettare grosse somme da una donna non mi pare che abbia turbato molto neanche lei: questo edificio non è stato costruito scambiando figurine.» «Controlli le sue parole, signor Quinn, e io controllerò la mia collera che, le assicuro, può essere violenta come le sue parole. Madre Purezza è mia moglie, mi asseconda nel mio lavoro, partecipa alle mie visioni e alla gloria che attende tutti noi. Oh, se anche lei potesse vedere quella gloria, capirebbe perché noi ci troviamo qui.» Improvvisamente l'espressione trasognata del suo viso si trasformò in quella di un attento uomo d'affari. «Che cosa desidera riferire a Sorella Benedizione a proposito di quell'O'Gorman?» «Non solo lo desidero, ho intenzione di farlo personalmente.» «Questo non è possibile; la nostra povera Sorella si trova in isolamento per rinnovare il suo voto di rinuncia, una punizione modesta, considerata
l'entità del suo peccato: nascondere il danaro, sottrarlo ai fondi comuni, cercare di ristabilire un contatto con il mondo che aveva promesso di gettarsi alle spalle. Queste sono infrazioni molto gravi delle nostre leggi. Avrebbe potuto essere bandita dalla nostra comunità, ma ho avuto una visione, e il Signore mi ha detto di risparmiarla.» "Il Signore" pensò Quinn "e un po' di buon senso: Sorella Benedizione è troppo utile alla comunità per venire allontanata. Non rimarrebbe nessuno a prendersi cura della salute dei Fratelli e delle Sorelle mentre aspettano di morire." «Lei dovrà fare il suo rapporto a me, signor Quinn, e io farò in modo che Sorella Benedizione lo riceva.» «Mi dispiace, ma le mie istruzioni sono precise: niente Sorella, niente rapporto.» «Molto bene. Niente rapporto, niente soldi; mi restituisca immediatamente quello che le è restato dei soldi che Sorella Benedizione le ha dato. Mi sembra una proposta onesta.» «C'è soltanto un piccolo problema: i soldi non ci sono più.» Con un gesto rabbioso della mano il Maestro spostò il telaio che aveva davanti. «Ha speso centoventi dollari in un giorno e mezzo? Lei sta mentendo!» «Il costo della vita è aumentato parecchio nella mia parte degli Stati Uniti.» «Lei li ha persi al gioco, vero? Il gioco, l'alcool, le donne...» «Be', tra una cosa e l'altra effettivamente sono stato molto occupato. Dunque, adesso vorrei fare quello per cui mi hanno pagato e andarmene. Il clima del vostro paese non mi si addice per niente. Troppa aria fritta.» Il viso del Maestro assunse un colorito paonazzo, ma la voce era controllata. «Mi sono abituato da lungo tempo allo scherno degli ignoranti e degli infedeli. Posso solo metterla in guardia che il Signore la colpirà con la spada del suo potere.» «Mi consideri già colpito» rispose Quinn con un'allegria che in realtà non sentiva affatto. L'atmosfera di quel luogo cominciava ad opprimerlo: l'odore della morte gravava su quella Torre come l'odore del petrolio sulla città di Chicote. "Quando si è convinti che morire è una fortuna, ci vuol poco a convincersi di fare un favore a qualcuno aiutandolo a morire. Fino adesso quel brav'uomo è stato inoffensivo, ma la sua prossima visione potrebbe indurlo a giocarmi qualche scherzo sgradevole" pensò Quinn.
«Smettiamola di scherzare» disse ad alta voce «sono venuto qui per vedere Sorella Benedizione. A parte il fatto che mi ha pagato per fare un lavoro, si dà il caso che abbia simpatia per lei, e voglio assicurarmi che stia bene. Ora, non è un segreto per nessuno che lei si è messo nei guai con la legge, la legge degli Stati Uniti in cui vivo io, naturalmente, e non penso che voglia mettercisi ancora.» «È per caso una minaccia?» «Proprio così, Maestro. Non me ne andrò da qui fino a quando non mi sarò assicurato che Sorella Benedizione è viva e gode buona salute, esattamente come ieri mattina quando l'ho lasciata.» «Perché non dovrebbe essere viva? Che discorso assurdo è questo? Parla come se noi fossimo dei selvaggi, dei barbari, dei maniaci.» «C'è andato vicino.» Il Maestro si alzò goffamente in piedi allontanando con un calcio il telaio che andò a sbattere contro un muro. «Se ne vada! Se ne vada immediatamente, o non sono responsabile di quello che potrebbe capitarle. Si tolga dalla mia vista!» Improvvisamente la porta si spalancò e apparve Madre Purezza emettendo dei suoni di disapprovazione con la lingua. «Andiamo, Harry, non ti stai comportando in modo educato, dopo che ho mandato un invito a questo giovanotto tramite Capirote.» «Oh, mio Dio!» gemette il Maestro coprendosi il viso con le mani. «E non ti permetto di sgridarmi per essere rimasta a origliare. Te l'ho detto che mi sentivo sola, triste, desamparada.» «Non sei stata abbandonata, Madre Purezza.» «E allora dove sono tutti gli altri? Dov'è Mammà, e Dolores che mi portava la prima colazione a letto, e Pedro, che lucidava i miei stivali da cavallo, e Capirote? Dove sono andati a finire, Harry? Perché non mi hanno portato con loro? Oh, Harry, perché non mi hanno aspettato?» «Andiamo, Purezza, devi avere pazienza» il Maestro attraversò la stanza e la prese tra le braccia carezzandole i radi capelli, le spalle esili «non devi perdere il coraggio. Purezza, tra poco li rivedrai tutti.» «E Dolores mi porterà ancora la colazione a letto?» «Sì.» «E Pedro, potrò colpirlo ancora con il frustino se non mi obbedisce?» «Certo» sussurrò stancamente il Maestro «potrai fare tutto quello che desideri.» «Potrei voler frustare anche te, Harry.»
«Come vuoi.» «Non troppo forte, però. Appena un colpetto sulla groppa senza farti male, per ricordarti che sono ancora viva. Ma allora non sarò più viva, Harry! Oh, Signore! Sono così confusa! Come posso darti un colpo sulla groppa per ricordarti che sono viva, se invece sarò morta?» «Non lo so; adesso smettila. Mettiti tranquilla e vai in camera tua.» «Non mi aiuti più a pensare» riprese la donna scuotendo la testa «un tempo mi aiutavi a pensare, mi spiegavi tutto. Adesso ti limiti a dirmi di stare tranquilla, di andare in camera mia, di guardare il cielo e di aspettare. Perché siamo venuti qui, Harry? Deve esserci stata una buona ragione.» «Per cercare la salvezza eterna.» «Tutto qui? Oh, Harry, qui c'è un giovanotto sconosciuto; di' a Capirote di accompagnarlo alla porta e per il futuro digli di non fare entrare nessuno che non sia in possesso di un regolare invito. E sbrigati! I miei ordini devono essere obbediti all'istante. Io sono Dona Isabella Constancia Querida Felicia de la Guerra.» «Ma no, ma no! Tu sei Madre Purezza» rispose dolcemente il Maestro «e adesso andrai in camera tua a riposarti.» «Perché?» «Perché sei stanca.» «Non sono stanca; mi sento sola. Sei tu che sei stanco, non è vero, Harry?» «Forse.» «Povero Harry, così stanco! Muy amado mio!» «Vieni, Purezza, ti aiuto, appoggiati al mio braccio.» Si voltò a guardare Quinn e gli fece cenno di seguirlo, poi tutti e tre cominciarono a discendere le scale. Al quarto piano il Maestro aprì una porta e Madre Purezza entrò insieme a lui con un piccolo gemito di protesta. Un attimo dopo il Maestro uscì, si appoggiò alla porta e chiuse gli occhi. Dopo un paio di minuti Quinn cominciò a pensare che quel bel tipo fosse caduto in trance o si fosse addormentato in piedi, invece improvvisamente riaprì gli occhi, si passò una mano sulla fronte e disse: «Leggo la pietà nei suoi occhi, signor Quinn, ma io non l'accetto. Lei sta sprecando tempo ed energia compassionandoci come io perdevo il mio tempo adirandomi con lei. Ha notato che non sono più arrabbiato? Prendere a calci un telaio! Che sfogo banale confrontato con l'eternità. Adesso sono pulito, purificato.» «Buon per lei» rispose Quinn «adesso vorrei vedere Sorella Benedizione.»
«Molto bene, la vedrà, così si pentirà dei suoi pensieri malvagi e dei suoi turpi sospetti. La Sorella è in isolamento spirituale. Crede che ce l'abbia messa io? No, ci è andata di sua spontanea volontà: sta rinnovando il suo voto di rinuncia. Pensa che sia stato io a insistere? No, signor Quinn, è stata lei a volerlo. Ma la sua mente profana non può capire queste cose.» «Posso provarci.» «Quando una persona astrae il proprio spirito, i sensi per lei non esistono più: le orecchie non sentono, gli occhi non vedono. Forse, se l'astrazione sarà completa, non si accorgerà neppure della sua presenza.» «Forse potrebbe accorgersene, soprattutto se avrò modo di vederla da solo.» «Naturalmente. La mia fiducia nell'astrazione spirituale di Sorella Benedizione è totale.» Era rinchiusa in una stanzetta quadrata, del tutto sguarnita di mobili, al piano terreno. Sull'unica panca, di fronte alla finestra, sedeva Sorella Benedizione, avvolta da un raggio di sole. La fronte e il viso erano umidi di sudore, o forse di lacrime. Quando Quinn la chiamò per nome non rispose, ma incurvò ancora di più le spalle sbattendo le palpebre. «Sorella Benedizione, mi ha chiesto di tornare e io sono tornato.» Si voltò a guardarlo, muta e con il viso contratto per la sofferenza. La paura che si leggeva nei suoi occhi era tale che Quinn avrebbe avuto voglia di gridarle: "Svegliati, allontanati da questa tana di serpenti prima di diventare ancora più matta di quella povera vecchia che sta al piano di sopra! Renditi conto di quello che è realmente il Maestro: uno schizofrenico che specula sulle vostre paure. Il suo gioco è vecchio come il mondo e non è meno crudele solo per il fatto che anche lui ci crede, è soltanto più pericoloso". Disse invece, in tono leggero: «Si ricorda di quelle pantofoline di pelliccia che mi ha detto di aver visto sul catalogo di Sears? Ne ho visto un paio proprio come quelle nella vetrina di un negozio di Chicote.» Per un attimo negli occhi della donna parve balenare qualche cosa che non era paura, ma interesse, curiosità; poi tutto tornò come prima e in tono monotono e distaccato disse: «Ho rinunciato al mondo e a tutte le sue tentazioni. Ho rinunciato alla carne e alle sue debolezze. Cerco soltanto la serenità dello spirito e la salvezza dell'anima.» «Senta, non ho trovato O'Gorman: è sparito circa cinque inni fa. Sua moglie è convinta di essere vedova e sono in molti a pensarla così. Lei che
cosa ne pensa?» «Beato chi ha sofferto, perché sarà consolato. Beato chi ha fame, perché sarà saziato.» «Conosceva O'Gorman? Era un suo amico?» «Io ho camminato scalza per le vie impervie della terra, camminerò un giorno sui sentieri lisci e dorati del paradiso.» «Forse ci incontrerà O'Gorman» osservò Quinn «pare che fosse un brav'uomo: niente nemici, una moglie carina, dei bei bambini. Anzi, una moglie molto carina: è un peccato che perda il suo tempo nell'incertezza. Sono convinto che se sapesse per certo che O'Gorman non tornerà più, potrebbe ricominciare a vivere. Mi sta ascoltando, Sorella? Mi sente? Risponda almeno a una domanda. O'Gorman si rifarà vivo?» «Io ho rifiutato le lusinghe di questo mondo, per questo mi sarà donata l'infinita bellezza nell'altro; io mi sono umiliata su questa terra, per questo camminerò con il capo eretto per le strade dell'aldilà. Amen.» «Sto per tornare a Chicote, Sorella. Ha qualche messaggio da darmi per Martha O'Gorman? Credo che si meriti un po' di sollievo; se può offrirglielo, Sorella, glielo dia. Lei è una donna generosa.» «Ho rinunciato al mondo e alle sue tentazioni; ho rinunciato alla carne e alle sue debolezze...» «Sorella, mi ascolti.» «Il Signore mi consolerà, mi nutrirà, mi farà camminare per i sentieri dorati del paradiso...» Quinn uscì e si richiuse silenziosamente la porta alle spalle. Stabilire un contatto con Sorella Benedizione era ormai impossibile, come con O'Gorman. 9 Lungo le pareti del cortile interno erano sistemate alcune panche e nel mezzo c'era una specie di tabernacolo che ricordava a Quinn un fornello da barbecue. Di fronte al tabernacolo stava il Maestro, a testa china e con le braccia incrociate sul petto. Senza neppure voltarsi chiese: «Allora, signor Quinn? Ha trovato Sorella Benedizione viva e in buona salute?» «Era viva.» «E ancora non è soddisfatto?» «No. Mi piacerebbe sapere molto di più su questo posto, sulle persone che vi abitano, quali sono le loro occupazioni, i loro nomi, da dove pro-
vengono.» «E, mi dica, a cosa le servono tutte queste informazioni?» «Per risolvere il caso O'Gorman.» «Io non la conosco, signor Quinn, non ho nessun obbligo nei suoi riguardi, ma per pura generosità le dirò una cosa: il nome O'Gorman è del tutto sconosciuto qui dentro.» «E Sorella Benedizione come faceva a conoscerlo? L'ha tirato fuori da un cappello a cilindro?» «Probabilmente lei direbbe che l'ha tirato fuori da un sogno» rispose tranquillo il Maestro «personalmente credo che lo spirito di O'Gorman si aggiri inquieto nell'inferno alla ricerca di una via di salvezza. Ha parlato con Sorella Benedizione e le ha chiesto di aiutarlo, perché questo significa il suo nome: benedizione della salvezza, altrimenti avrebbe chiesto a me, che sono il Maestro, di aiutarlo.» Quinn lo fissò incredulo: era chiaro che l'uomo era convinto di quello che diceva; sarebbe stato inutile discutere con lui, forse pericoloso. «Perché O'Gorman dovrebbe essere all'inferno, Maestro? Tutto fa pensare che abbia condotto una vita esemplare.» «Non era un Vero Fedele. Adesso naturalmente si pente; chiede che gli venga concessa una seconda opportunità; chiede aiuto alla Sorella mentre dorme e la sua mente è più ricettiva alle vibrazioni. La buona Sorella era curiosa e spaventata al tempo stesso, e questo ha indebolito la sua volontà e l'ha indotta a commettere un'azione molto sciocca.» «Assumere me.» «Esattamente.» C'era un velo di pietà nel debole sorriso del Maestro. «Vede, signor Quinn, le hanno chiesto di trovare qualcuno che si aggira negli abissi eterni. Un'impresa impossibile, anche per un giovanotto intraprendente come lei, non le pare?» «Se accetto le sue premesse, non posso che essere d'accordo.» «Ma lei non le accetta.» «No.» «Ha un'idea migliore, signor Quinn?» «Credo che Sorella Benedizione abbia conosciuto O'Gorman molti anni fa, prima di venire qui.» «Lei si sbaglia completamente, signor Quinn» ribatté calmo il Maestro «la buona Sorella non aveva mai neppure sentito il nome di O'Gorman fino a che lui non si è messo in comunicazione con lei dal profondo dell'inferno per chiedere il suo aiuto. Il mio cuore sanguina per quel povero sciagurato,
ma cosa posso fare? Il suo pentimento è arrivato troppo tardi; soffrirà per tutta l'eternità per la sua ignoranza e per la sua debolezza. Faccia attenzione, signor Quinn, faccia attenzione! Potrebbe accadere anche a lei se non cambia il suo sistema di vita e non rinuncia al mondo e alle sue pompe, se non ripudia la carne e tutte le sue debolezze.» «Grazie per il consiglio, Maestro.» «Non è un consiglio, è un ammonimento. Rinunci e sarà salvo. Si penta e goda della nuova vita. Lei vede Madre Purezza come una povera vecchia, fragile di corpo e di mente; io la vedo come una creatura di Dio, una delle Prescelte.» «E anche una di quelle raggirate: quanti soldi ha speso per costruire questo posto?» «Non riuscirà a farmi arrabbiare di nuovo, signor Quinn. Mi dispiace che lei ci stia provando; non l'ho forse trattata con riguardo? Non ho risposto alle sue domande, permesso di visitare Sorella Benedizione? Ancora non è soddisfatto? Lei è un uomo troppo avido!» «Voglio scoprire che cosa è successo a O'Gorman per poter dire la verità a sua moglie.» «Le dica che Patrick O'Gorman si dibatte nell'inferno soffrendo i tormenti di chi è dannato per l'eternità. Questa è la verità.» Quando fu fuori, Quinn si infilò le scarpe e si raddrizzò la cravatta mentre il Maestro lo osservava, appoggiato all'arco della porta. All'orizzonte il sole cominciava a calare e dal camino della sala comune usciva un filo di fumo che saliva dritto in cielo nell'aria immobile della sera. Gli unici membri della comunità in circolazione erano i due bambini più piccoli di Sorella Contrizione che si servivano di un pezzo di cartone come slitta per scivolare su un praticello in pendenza, e Fratello Voce dei Profeti che si avvicinava alla porta della Torre con la gabbietta del suo uccellino. Dietro di lui, sbuffante e rosso in viso, trotterellava Fratello del Sacro Cuore, quello che aveva fatto la barba a Quinn la mattina precedente. I Fratelli salutarono il Maestro portandosi una mano alla fronte e inchinandosi. «La pace sia con voi, Fratelli» li salutò il Maestro. «La pace sia con te» gli fece eco Fratello Cuore. «Che cosa fate qui?» «Fratello Voce pensa che il suo pappagallo sia malato e vorrebbe che Sorella Benedizione gli desse un'occhiata.» «Sorella Benedizione è in isolamento.»
«Il pappagallo si comporta in modo strano» disse Fratello Cuore in tono di scusa. «Fai vedere al Maestro, Fratello Voce.» Fratello Voce chinò la testa su una spalla e si appoggiò una mano sulla bocca. «Il pappagallo non parla più e se ne sta con la testa nascosta sotto l'ala» tradusse Fratello Cuore. Fratello Voce si portò una mano sul cuore e l'agitò rapidamente. «Il polso è molto rapido» spiegò Fratello Cuore «ha le palpitazioni. Fratello Voce è molto preoccupato e vorrebbe che Sorella Benedizione...» «Sorella Benedizione è in isolamento» lo interruppe bruscamente il Maestro. «A me pare che l'uccellino stia benissimo. Forse si è stufato di parlare, come io mi sono stufato di ascoltarvi. Coprite la gabbia e lasciatelo riposare. Tutti gli uccelli hanno un battito cardiaco accelerato, è perfettamente normale, non c'è niente di cui preoccuparsi.» Fratello Voce lo guardò con labbra tremanti e Fratello Cuore si lasciò sfuggire un profondo sospiro, ma nessuno dei due ebbe coraggio di ribattere. Sparirono dietro l'edificio sollevando nuvolette di polvere con i piedi nudi. Il breve incontro lasciò Quinn incuriosito: anche a lui era sembrato che l'uccellino fosse in buona salute, e adesso si chiedeva se era stato usato come pretesto per ottenere il permesso di far visita a Sorella Benedizione o, forse, per dare un'altra occhiata allo straniero. "No, sto diventando troppo sospettoso" pensò Quinn. "Se resto ancora per qualche ora in questo posto, comincerò anch'io a sentire le vibrazioni di O'Gorman dall'inferno. Meglio tagliare la corda." La stessa idea era evidentemente venuta anche al Maestro: «Signor Quinn, è venuto il momento che lei se ne vada. Non posso più perdere il mio tempo e la mia concentrazione con lei.» «D'accordo.» «Dica alla signora O'Gorman che pregherò per lenire le sofferenze di suo marito.» «Non credo che questo la conforterà molto.» «Non è colpa mia se è andato all'inferno. Se fosse venuto da me l'avrei salvato. La pace sia con lei, signor Quinn, e non torni tra noi se non con umiltà e contrizione per convertirsi.» «Preferisco che mi mandiate un invito stampato tramite Capirote» rispose Quinn, ma il Maestro aveva già richiuso la porta. Quinn si avviò verso la strada sterrata: una dozzina di Fratelli e Sorelle
si erano radunati davanti alla porta della sala comune, ma tutti lo ignorarono ostentatamente. Solo uno gli lanciò un'occhiata incuriosita e Quinn riconobbe il viso color cuoio di Fratello Luce dell'Infinito, quello che era venuto al magazzino per aiutarlo a liberarsi delle pulci. Era come se tutta la comunità fosse stata ammonita di ignorare Quinn perché la sua presenza costituiva una minaccia per tutti loro. Non appena se li fu lasciati alle spalle, tuttavia, sentì lo sguardo di dodici paia di occhi fissi su di lui. La stessa sensazione l'accompagnò fino a quando ebbe raggiunto la macchina, anche se intorno non si vedeva nessuno. Gli sembrava che dietro ogni albero fosse nascosto un Fratello o una Sorella che lo stava spiando. Allentò il freno a mano e lasciò che la macchina scivolasse giù per la strada sterrata mentre col pensiero tornava alla sua prima partenza dalla Torre. Allora Fratello Corona si era messo alla guida dello scassato camioncino della comunità prima dell'alba e si ricordò che il motivo di quella partenza a ore antelucane era stato il desiderio di evitare che Karma, la figlia più grande di Sorella Contrizione, cercasse di farsi condurre in città. Quinn sentì il sudore che gli colava nel collo: quegli sguardi puntati su di lui lo ferivano come tanti insetti. Allungò una mano per scacciarli, ma sentì soltanto la sua pelle fredda e bagnata. «Karma?» chiamò ad alta voce. Nessuna risposta. Ormai aveva raggiunto la strada statale: fermò la macchina, scese e aprì lo sportello posteriore. «Fine della corsa, amica mia!» Il fagotto avvolto nella tunica grigia si mosse gemendo. «Fuori! Se ti muovi subito sarai di ritorno alla Torre prima che faccia buio.» Da sotto i lunghi capelli neri di Karma spuntò il suo viso, cosparso di brufoli e risentito. «Non voglio tornare indietro.» «Un uccellino mi dice che tornerai.» «Odio gli uccellini, odio Fratello Voce, odio il Maestro e Madre Purezza, e Fratello Corona e Sorella Gloria. Ma soprattutto odio mia madre e quegli orribili ragazzini urlanti. Sì, odio persino Sorella Benedizione.» «È un bel mucchio di odio!» «E non è tutto: odio Fratello Visione Celeste perché fa sbattere i denti quando mangia, e odio Fratello Luce perché dice che sono pigra e odio...» «Basta! Mi hai convinto: sei una "odiatrice" di gran classe Adesso però
scendi da lì, muoviti.» «La prego, la prego, mi porti con lei! Non le darò fastidio, non parlerò, lei non si accorgerà nemmeno che ci sono. E quando saremo in città mi troverò un lavoro. Non è vero che sono pigra come dice Fratello Luce. Non mi dirà di no, vero?» «Sì, devo dirti di no.» «È perché pensa che sia ancora una bambina?» «Ci sono altri motivi, Karma. Adesso fai la brava ragazza e risparmia a tutti e due un mucchio di guai.» «Io sono già nei guai» rispose con calma la ragazza «e lo è anche lei. Ho sentito certe cose...» «Quali cose?» Si mise a sedere sul sedile posteriore spingendo indietro i capelli. «Oh, cose! Parlano sempre davanti a me, convinti che io sia troppo piccola per capire.» «Sorella Benedizione parla davanti a te?» «Tutti parlano.» «Ma è Sorella Benedizione che mi interessa in particolare.» «Lei parla molto.» «Di me?» «Sì.» «E che cosa ti ha detto?» «Cose.» «Karma» disse Quinn guardandola severamente «tu mi stai prendendo in giro per guadagnare tempo, ma non funziona. Vieni fuori da lì prima che ti ci trascini per i capelli.» «Mi metterò a urlare. Sono molto brava a urlare e le montagne amplificheranno le mie grida. Alla Torre mi sentiranno e penseranno che lei stia cercando di rapirmi. Il Maestro sarà furioso; ha un carattere terribile: potrebbe persino ucciderla.» «Potrebbe uccidere anche te.» «Non me ne importa: non ho niente per cui valga la pena di vivere.» «Okay, sei stata tu a volerlo.» Quinn allungò una mano per afferrarla mentre Karma apriva la bocca per mettersi a urlare, ma Quinn fu più rapido di lei e le premette una mano sulla bocca. «Stammi a sentire, piccola pazza, stai trascinandoci in un brutto pasticcio. Non posso portarti con me a San Felice. Hai bisogno di soldi, di abiti,
di qualcuno che si occupi di te. Forse il luogo dove vivi non ti piace, ma almeno sei protetta. Aspetta fino a che non sarai un po' più grande e poi potrai andartene di tua volontà. Mi ascolti, Karma?» La ragazza annuì. «Se ti tolgo la mano dalla bocca, prometti di essere ragionevole e di discutere tranquillamente?» Annuì di nuovo. «D'accordo.» Quinn ritirò la mano e si lasciò cadere stancamente contro lo schienale del sedile. «Ti ho fatto male?» «No.» «Quanti anni hai, Karma?» «Vado per i venti.» «Certo! Ma quanto ti manca per arrivarci? Andiamo, dimmi la verità.» «Ne ho sedici» rispose Karma dopo una pausa «ma in città non avrei difficoltà a trovarmi un lavoro e a guadagnare un po' di soldi per comprare qualche cosa per la mia faccia e così sarò come tutte le altre ragazze.» «Hai un faccino molto grazioso.» «No, è terribile! Tutti questi foruncoli rossi... dicono che crescendo mi andranno via, e invece non se ne vanno mai. Ho bisogno di soldi per comprare la roba che li fa andar via. Una delle mie insegnanti me ne ha parlato l'ultimo anno in cui sono andata a scuola: ha detto che si chiama crema contro l'acne. È stata gentile con me; mi ha detto che anche lei da giovane aveva avuto l'acne, e che capiva come mi sentivo.» «È questo il motivo per cui vuoi andare in città? Per comprare la crema contro l'acne?» «Be', questa è la prima cosa che farò» rispose Karma passandosi una mano sulle guance «ne ho assoluto bisogno.» «E se io ti promettessi di comprarla e di trovare il modo per fartela avere? Rimanderesti il viaggio in città fino a quando non sarai un po' più in grado di badare a te stessa?» Karma rimase assorta per un lungo momento, tormentandosi una ciocca di capelli. «Lei sta cercando soltanto di liberarsi di me.» «Questo è vero, ma voglio anche aiutarti.» «Quando potrebbe procurarmela?» «Il più presto possibile.» «Come farà a sapere che è la crema giusta?» «Lo chiederò al farmacista, all'uomo che la vende.» Karma si voltò e lo guardò dritto negli occhi, poi gli chiese, in tutta one-
stà: «Crede che sarò anch'io carina? Carina come le altre ragazze della scuola?» «Certo che lo sarai!» Stava facendosi buio, ma la ragazza non accennava a scendere e a ritornare alla Torre. «Là sono tutti così brutti! E sporchi anche. Sono più puliti i pavimenti di noi. A scuola c'erano le docce con acqua calda e vere saponette, e ciascuna di noi aveva un grande asciugamano bianco tutto per sé.» «Da quanto tempo abiti alla Torre, Karma?» «Da quattro anni, da quando è stata costruita.» «E prima di allora?» «Stavamo in un posto tra le montagne di San Gabriel, verso sud. Era soltanto un mucchio di capanne di legno. Poi è arrivata Madre Purezza e abbiamo costruito la Torre.» «È una convertita?» «Sì, ed è molto ricca. Non ci capitano molti convertiti ricchi. Immagino che quelli siano troppo occupati a divertirsi con i loro soldi per pensare all'aldilà.» «Sei spaventata, Karma?» «Il Maestro mi fa paura con quei suoi occhi strani, ma Sorella Benedizione non mi fa paura. Non è vero che la odio come ho detto prima. Lei prega tutti i giorni perché mi passi l'acne.» «Lo sai dove si trova adesso?» «Tutti lo sanno: in isolamento.» «Per quanto tempo?» «Per cinque giorni; le punizioni durano sempre cinque giorni.» «Lo sai perché è stata punita?» La ragazza scosse il capo: «Ci sono stati un mucchio di discorsi tra lei, il Maestro e Fratello Corona, ma io non ho potuto sentirli. Poi ieri, quando io e mia madre siamo andate a preparare la cena, Sorella Benedizione era sparita e Fratello Voce era accucciato vicino alla stufa e piangeva. Lui adora Sorella Benedizione perché lei lo tratta come un bambino piccolo e lo coccola quando si sente male. L'unico che era soddisfatto era Fratello Corona: lui è più cattivo del demonio.» «Da quanto tempo Fratello Corona si è convertito?» «È arrivato un anno dopo la costruzione della Torre, quindi tre anni fa.» «E Sorella Benedizione?» «Era già con noi quando stavamo a San Gabriel. Anche quasi tutti gli al-
tri erano con noi, compresi quelli che se ne sono andati dopo aver litigato col Maestro, come ha fatto mio padre.» «Dov'è adesso tuo padre, Karma?» «Non lo so» rispose la ragazza in un sussurro «e non posso neanche chiederlo. Quando qualcuno è bandito dalla comunità non si può più nemmeno nominare il suo nome.» «Hai mai sentito parlare di un certo Patrick O'Gorman?» «No.» «Riuscirai a ricordarti questo nome?» «Certo, perché?» «Mi faresti un piacere se tu tenessi le orecchie aperte» rispose Quinn «sarebbe meglio che tu non dicessi a nessuno che ti ho chiesto di farlo; sarà un segreto tra di noi, come la crema per l'acne. Ci stai?» «Affare fatto. Crede davvero che sarò carina quando l'acne sarà passata?» chiese sfiorandosi il viso con la punta delle dita. «Ne sono certo.» «Come farà a mandarmi la crema? Il Maestro apre tutta la posta e la butterebbe via se pensasse che si tratta di una medicina. Non crede nei dottori e nelle medicine; soltanto nella fede.» «Ti porterò io stesso la crema.» Era ormai troppo buio per vedere il suo viso, ma parve a Quinn di sentire un movimento di protesta: «Non vogliono che lei venga ancora alla Torre, signor Quinn. Sono convinti che lei stia cercando di metterà la comunità nei pasticci.» «Non è vero; la comunità, nel suo insieme, non mi interessa.» «Però continua a venire.» «La mia prima visita è stata un puro caso, e la seconda è stata per riferire a Sorella Benedizione le informazioni che mi aveva chiesto.» «Questa è davvero la verità?» «Assolutamente. Sta facendosi tardi, Karma. Sarà meglio che tu torni a casa prima che organizzino una squadra per linciarmi.» «Non si accorgeranno neanche che non ci sono. Ho detto a mia madre che andavo a letto perché avevo mal di gola, e lei sarà occupata in cucina fino a tardi. Per allora» aggiunse con amarezza «speravo di essere già a metà strada per la città, e invece sono ancora qui. E morirò qui, vecchia, brutta e sporca come tutti loro. Oh, vorrei morire in questo preciso momento per non commettere tutti quei peccati che commetterò non appena ne avrò l'occasione, come avere bei vestiti, belle scarpe, rimbeccare il Ma-
estro e lavarmi tutti i giorni i capelli e profumarmi.» Quinn scese dalla macchina e aprì lo sportello perché uscisse. Karma scese lentamente e in modo goffo. «Saprai ritrovare la strada?» chiese Quinn. «Sono andata su e giù per questa strada un milione di volte.» «E allora arrivederci, per adesso.» «Tornerà davvero?» «Sì.» «E non si dimenticherà la roba per la mia acne?» «No. E tu non ti dimenticherai del nostro patto?» «Terrò le orecchie aperte se qualcuno dovesse parlare di Patrick O'Gorman, ma non credo che lo faranno.» «Perché no?» «Non ci è permesso parlare di persone che conoscevamo prima di convertirci e nella comunità non c'è nessuno che si chiami O'Gorman. Quando devo fare compagnia a Madre Purezza, spesso leggo il libro che ha il Maestro con i nomi che avevamo quando vivevamo nel mondo. Non c'è nessun O'Gorman. Io ho un'ottima memoria.» «Ti ricordi il nome di Sorella Benedizione?» «Certo: si chiamava Mary Alice Featherstone e viveva a Chicago.» Alla luce della luna che si stava levando, Quinn rimase a guardare Karma che si incamminava verso la Torre. Camminava con passo svelto e vivace, come se avesse dimenticato che solo pochi momenti prima desiderava morire e fosse invece intenta a pensare a tutti i peccati che avrebbe allegramente commesso non appena ne avesse avuto l'occasione. Arrivato a San Felice, Quinn prese una camera in un motel vicino al porto e si addormentò al suono intermittente della sirena antinebbia e allo sciacquio delle onde lungo la riva. 10 Alle nove del mattino il sole aveva ormai dissolto la nebbia. Sulla superficie del mare, calma con la bassa marea, si alternava l'azzurro cupo dell'orizzonte, il bruno delle alghe e il grigioverde delle acque del porto. L'aria era tiepida e non spirava un alito di vento. Due bambini che sembravano appena in grado di reggersi sulle gambette, sedevano pazientemente sulle loro minuscole tavole da surf aspettando un filo di brezza.
Quinn attraversò la sabbia della spiaggia e si diresse verso la diga dove si trovava l'ufficio di Tom Jurgensen. L'ufficio era chiuso, ma Jurgensen stava seduto su un muretto, intento a chiacchierare con un uomo dai capelli grigi che portava un berretto da ufficiale di marina e un abito immacolato. Dopo un po' l'uomo coi capelli grigi voltò le spalle a Tom con un gesto di rabbia e si diresse verso i moli d'ormeggio. «Sei già di ritorno o non sei neanche partito?» chiese Jurgensen di cattivo umore. «Sono già di ritorno.» «Non mi hai dato molto tempo per mettere insieme i soldi; avevo detto una o due settimane, non uno o due giorni.» «La mia è una visita amichevole» lo tranquillizzò Quinn. «A proposito, chi è il tuo amico vestito da marinaretto?» «Un pagliaccio che viene da Newport Beach. Sa distinguere a malapena la prua dalla poppa, ma è il proprietario di uno yawl lungo settantacinque piedi ed è convinto di essere il Lord dell'ammiragliato e il Signore dei quattro venti. Sei davvero al verde, Quinn?» «Te l'ho detto ieri: se mi metti a testa in giù, dalle mie tasche non uscirà neanche un centesimo.» «Vuoi un lavoro per qualche giorno?» «Che tipo di lavoro?» «L'Ammiraglio sta cercando una guardia del corpo» rispose Jurgensen «o, per meglio dire, una guardia per la barca. Sua moglie ha chiesto il divorzio e lui ha avuto la brillante idea di svuotare le cassette di sicurezza e di portare tutto a bordo della Briny Belle prima che sua moglie ottenga un ordine del tribunale che blocchi tutti i beni comuni. Ha paura che scopra dove lui si trova e che si impossessi della Briny e di tutto quello che c'è a bordo.» «Io non so niente di barche.» «Non sarà necessario. La Briny non andrà da nessuna parte fino a che non verrà l'alta marea che le permetterà di superare la secca e per questo ci vorranno ancora quattro o cinque giorni. Il tuo lavoro consisterà nello stare a bordo e fare in modo che nessuna bionda vorace si avvicini alla passerella.» «Qual è la paga?» «Il nostro amico è disperato» rispose Jurgensen «penso che potresti spillargli settantacinque dollari al giorno, e non sono noccioline!» «Come si chiama l'Ammiraglio?»
«Alban Connelly. Ha sposato una starlet di Hollywood, il che non significa molto perché a Hollywood ogni donna che ha meno di trent'anni è una starlet.» Jurgensen fece una pausa per accendersi una sigaretta. «Pensa, starsene tutto il giorno spaparanzato al sole, giocare a gin rummy e bere birra. Non ti sembra una prospettiva attraente?» «Ottimo, soprattutto se la fortuna dell'Ammiraglio non è sfacciata.» «Con dieci milioni di dollari, che bisogno ha della fortuna? Vuoi che vada a parlargli e metta una buona parola per te?» «Un po' di soldi mi farebbero comodo.» «Bene! Allora faccio un salto alla Briny per parlargli. Immagino che potrai cominciare a lavorare in qualsiasi momento?» «Perché no» rispose Quinn, e intanto pensava: "Non ho altro da fare. O'Gorman è all'inferno, Sorella Benedizione è in isolamento, e Alberta Haywood è in prigione. Nessuno di loro potrà scappare". «Conosci qualcuno dei pescatori qui attorno?» «Tutti di vista, qualcuno anche personalmente.» «Conosci un tale che si chiama Aguila?» «Frank Aguila, certo. È il proprietario della Ruthie K. Puoi vederla da qui se ti metti in piedi sul muretto» Jurgensen indicò col dito l'ultimo pontile «è un vecchio peschereccio del tipo Monterey; lo vedi?» «Mi pare di sì.» «Come mai ti interessa Aguila?» «Sei anni fa ha sposato Ruth Haywood; mi chiedevo soltanto come se la passassero.» «Se la passano bene, direi. Lei è un donnino che lavora sodo; viene spesso al porto per ripulire la barca e per dare una mano a Frank a rammendare le reti. Gli Aguila non fanno molta vita mondana, ma sono persone simpatiche, che non si danno arie. Vieni, puoi aspettare nel mio ufficio mentre io vado sulla Briny Belle a parlare con Connelly.» Mentre apriva la porta e lo faceva entrare, Jurgensen aggiunse: «Là c'è la macchina per scrivere; potresti battere un paio di lettere di referenze che darebbero a Connelly l'impressione di aver fatto un affare. Non importa che tu ti dia da fare con i dettagli. Alle dieci Connelly è comunque troppo alticcio per leggere.» Quando Jurgensen se ne fu andato, Quinn cercò il numero di telefono di Frank Aguila sull'elenco e compose il numero. Gli rispose una donna che affermò di essere la baby-sitter e lo informò che il signore e la signora Aguila erano andati a San Pedro per un paio di giorni per partecipare a una
riunione sindacale. Quando Quinn arrivò davanti alla Briny Belle, un giovanotto in tuta era intento a cancellare con la vernice il nome scritto a prua mentre Connelly si spenzolava sopra il parapetto esortandolo a sbrigarsi. «Signor Connelly?» chiese Quinn. «Quinn? È in ritardo.» «Ho dovuto prendere la mia roba al motel e trovare una sistemazione per la macchina.» «Be', non se ne stia lì impalato: non le suoneremo una marcia militare per farla salire a bordo, se è quello che sta aspettando.» Quinn attraversò la passerella convinto che quel lavoro, dopo tutto, non sarebbe stato così piacevole come Jurgensen gli aveva lasciato immaginare. «Si sieda, Quinn; quel fesso che vende barche, come si chiama, le ha detto della mia situazione difficile?» «Sì.» «Le donne non capiscono niente di barche; l'unica cosa che riconoscono è il nome, e così io ho fatto cambiare il nome della Briny Belle. Intelligente, no?» «Un'idea diabolica!» Connelly fece un passo indietro e si grattò il grosso naso paonazzo: «E così lei sarebbe uno di quei bastardi sarcastici che si divertono a fare gli spiritosi?» «Proprio uno di quelli.» «Be', le battute spiritose, Quinn, qui le faccio io. E quando io dico una battuta tutti ridono. Chiaro?» «Le costerebbe meno comprarsi le risate su cassette registrate.» «Non credo che lei mi sia simpatico» mormorò Connelly soprappensiero «ma per quattro o cinque giorni, se lei vuole, cercherò di sopportarla.» «Mi pare onesto.» «Io sono un uomo molto onesto. È questo che quella sgualdrinella bionda di Elsie non ha capito. Se non avesse allungato troppo le mani adunche, le avrei dato tutto quello che voleva. Se non avesse strombettato tanto sulla sua carriera, gliela avrei comprata io una carriera, come un altro uomo compra un pacchetto di noccioline. Quel tale ha detto che lei sa giocare a carte.» «Sì.»
«Per soldi?» «Mi è capitato di giocare a soldi» rispose Quinn cauto. «Okay; andiamo giù e cominciamo.» Stabilirono fin dal primo giorno la routine che avrebbero seguito anche i giorni seguenti. Al mattino Connelly era relativamente sobrio e raccontava di quanto lui fosse per bene e di come fosse stato trattato iniquamente da Elsie. Nel pomeriggio i due uomini giocavano a gin rummy fino a che Connelly non perdeva conoscenza con la testa sul tavolo. Quinn allora lo depositava nella sua cabina e saliva sul ponte e qui, con un binocolo, controllava se c'era attività sul ponte della Ruthie K, il peschereccio degli Aguila. Alla sera Connelly ricominciava a bere e a parlare di Elsie; questa volta però la descriveva come una brava ragazza che lui aveva trattato in modo ingiusto. Alla fine Quinn si era quasi convinto che esistessero due Elsie e due Connelly: l'Elsie della sera, che era una brava ragazza, avrebbe dovuto sposare il Connelly del mattino che era tanto un brav'uomo. Il pomeriggio del quarto giorno, Connelly russava nella sua cabina e Quinn salì sul ponte con il binocolo. Il capitano, un certo McBride, e due marinai che Quinn non aveva mai visto prima di allora, erano saliti a bordo con la loro roba e sul ponte ferveva una grande attività. «Toglieremo l'ancora domani a mezzanotte» annunciò McBride «ci sarà l'alta marea. Dov'è il nostro Nimitz?» «Russa.» «Bene, potremo lavorare tranquillamente. Lei salpa con noi, Quinn?» «Dove andate?» «Nimitz sta cercando di sfuggire al nemico» rispose McBride «e i miei ordini sono top secret. Inoltre il nostro amico ha la simpatica abitudine di cambiare idea quando siamo a metà strada.» «Mi piace sapere dove sto andando.» «Che importanza ha? Venga a fare una passeggiata.» «Che cosa significa questa improvvisa dimostrazione di amicizia, capitano?» «Macché amicizia! Detesto giocare a gin rummy, e se ci gioca lei non devo giocarci io.» Quinn mise a fuoco col binocolo la Ruthie K. Sul ponte non si vedeva nessuno, ma sottobordo era legato un piccolo skiff che i giorni precedenti non aveva visto. Dopo circa un quarto d'ora apparve una donna in jeans e T-shirt che distese sul parapetto qualcosa che sembrava una coperta e poi scomparve di nuovo.
«Se Connelly si sveglia» disse Quinn al capitano «gli dica per favore che sono andato a riva per una commissione.» «Sono appena andato a dargli un'occhiata: non si sveglierebbe neanche se ci trovassimo in mezzo a un tifone.» «Meglio così.» Quinn andò da Jurgensen, si fece prestare una barca e remò verso la Ruthie K. La donna era ancora sul ponte e stava facendo prendere aria a lenzuola e coperte. «Signora Aguila?» chiese Quinn. Lo guardò sospettosa come qualunque massaia che si trovi sulla porta un commesso viaggiatore. Poi si scostò dalla fronte una ciocca di capelli schiarita dal sole e disse: «Sì, che cosa vuole?» «Mi chiamo Joe Quinn; potrei parlarle per qualche minuto?» «A che proposito?» «A proposito di sua sorella.» Sul suo volto apparve un'espressione di sorpresa che la donna scacciò subito. «Non ho l'abitudine di discutere di mia sorella con i rappresentanti della stampa.» «Non sono un reporter, signora Aguila, e neanche un rappresentante della legge. Sono un privato cittadino che si interessa al caso di sua sorella. So che tra non molto ci sarà l'udienza per la sua uscita dal carcere in libertà vigilata e, da come si stanno mettendo le cose, ho l'impressione che le verrà negata.» «Perché? Ha pagato il suo debito, si è comportata bene, perché non dovrebbero concederle un'altra opportunità?» «Se mi fa salire a bordo glielo spiego.» «Non ho tempo da perdere» rispose bruscamente «ho da fare.» «Cercherò di essere breve.» La signora Aguila rimase a guardarlo mentre legava la barca alla boa e saliva faticosamente per la scaletta. Il peschereccio non aveva niente in comune con l'eleganza scintillante della Briny Belle, ma Quinn si sentiva più a suo agio qui. Era una barca che serviva per lavorare, non un giocattolo, e il ponte luccicava di scaglie di pesce invece che di vernice. «La signora King, una socia di suo fratello, mi ha detto il nome di suo marito e dove avrei potuto trovarla. L'altro giorno ero a Chicote per parlare con lei e con qualche altra persona tra cui Martha O'Gorman. Si ricorda della signora O'Gorman?» «Non l'ho mai conosciuta personalmente.»
«E suo marito?» «Ma che cos'è questa storia!» lo interruppe bruscamente la signora Aguila. «Credevo che fosse qui per parlare di mia sorella Alberta. Non me ne importa niente degli O'Gorman. Se posso fare qualche cosa per aiutare Alberta, sono disposta a farlo, naturalmente, ma non vedo che cosa c'entrino gli O'Gorman in tutto questo. Vivevano tutti e tre a Chicote, e questo è l'unico elemento che hanno in comune.» «Alberta faceva la contabile e, in un certo senso, anche O'Gorman.» «Come qualche altro centinaio di persone.» «La differenza è che a tutti gli altri non è successo niente di spettacolare, mentre, nello stesso mese, sia Alberta sia O'Gorman hanno incontrato un destino insolito.» «Nello stesso mese? Temo che lei si sbagli, signor Quinn. Il destino di Alberta ha avuto una svolta anni prima, quando ha cominciato a falsificare i registri. Per dirla in parole povere, aveva cominciato a rubare prima ancora che Patrick O'Gorman venisse ad abitare a Chicote. Sa Dio perché l'ha fatto! Non le mancava niente e sembrava che non desiderasse niente che già non aveva, a parte forse un marito e dei bambini. Spesso ripenso a noi quattro, Alberta, George, la mamma e io che pranzavamo insieme, passavamo le serate insieme, ci comportavamo come una famiglia qualunque. E per tutto quel tempo, per anni, non abbiamo mai sospettato neanche lontanamente che Alberta stesse facendo qualche cosa di male. Quando l'hanno arrestata io ero già sposata e abitavo a San Felice. Una sera sono andata a prendere il giornale ed era lì, in prima pagina, la fotografia di Alberta e tutta la storia.» Voltò il capo, come se il ricordo di quegli avvenimenti fosse troppo penoso per essere rivissuto. «Era molto vicina a sua sorella, signora Aguila?» «In un certo senso. Alcuni hanno parlato di Alberta come di una donna fredda, ma con me e George è sempre stata molto affettuosa. Le piaceva comprarci regali, farci delle sorprese... Adesso naturalmente mi rendo conto che lo faceva spendendo soldi che non le appartenevano e soprattutto che cercava di comprare qualcosa che non aveva: l'amore. Povera Alberta! Con una mano cercava l'amore e con l'altra lo respingeva!» «Aveva mai avuto storie d'amore serie?» «Ogni tanto usciva con qualcuno, ma gli uomini non sembravano a loro agio con Alberta. Non capitava spesso che la invitassero di nuovo.» «Che cosa faceva durante il tempo libero?» «Faceva lavoro di volontariato, andava al cinema, conferenze, concerti.»
«Da sola?» «Di solito sì. Sembrava che non le importasse niente di andare in giro da sola, anche se la mamma piantava sempre grane: considerava un'offesa personale il fatto che Alberta non avesse amici e non facesse vita mondana. Il fatto è che Alberta non desiderava una vita mondana.» «Non la cercava, o non riusciva ad averla?» «A dire la verità, durante il mio ultimo anno trascorso a casa, Alberta mi era sembrata molto serena. Non tanto felice e soddisfatta, quanto piuttosto rassegnata al tipo di vita che conduceva. Probabilmente aveva accettato l'idea di restare nubile.» «Quanti anni aveva?» «Trentadue.» «Non è un po' presto per decidere di restare nubile?» chiese Quinn. «Non per una donna come Alberta. È sempre stata molto realista nei riguardi di se stessa. Lei non sognava, come facevo io, un innamorato ideale che venisse a fermarsi davanti alla nostra porta con una decappottabile rossa.» Rise e aggiunse: «Non avrei mai pensato che sarei stata felice in questa bagnarola che puzza di pesce e di muffa.» Tacque, come se si aspettasse di essere contraddetta, e Quinn s'accontentò: «La Ruthie K non è una vecchia bagnarola, ma una bella imbarcazione! Ma, per tornare ad Alberta, signora Aguila, come può dire che era una persona realista? Avrebbe dovuto immaginare che prima o poi avrebbero scoperto i suoi imbrogli. Perché non ha smesso, o perché non è scappata fin che ne aveva l'opportunità?» «Forse desiderava essere punita. A lei potrà sembrare strano, ma Alberta aveva una coscienza molto rigida e un senso della moralità molto sviluppato. Se prometteva qualche cosa, la manteneva a qualunque costo. Ricordo che quando eravamo bambine e combinavamo qualche guaio, lei era sempre la prima ad ammettere la sua colpevolezza. Aveva molto più coraggio di quanto ne avessi io. E ce l'ha ancora.» «Ce l'ha ancora?» ripeté Quinn. «Significa che va a trovare sua sorella in prigione?» «Tutte le volte che posso, e non è molto spesso: fino a ora ci sono andata sette od otto volte.» «Le scrive qualche volta?» «Una volta al mese.» «E Alberta le risponde?» «Sempre.»
«Che tipo di lettere le scrive?» «Brevi, simpatiche, gentili. Esattamente il tipo di lettere che mi aspetto da lei. Non mi sembra che sia infelice. L'unica cosa di cui si lamenta non è la prigione, ma George.» «Perché non ha più sue notizie?» Ruth Aguila alzò gli occhi su Quinn con stupore: «Come le è mai venuta questa idea?» «Ho sentito dire che George, sotto la pressione di sua madre, ha rotto tutti i rapporti con Alberta.» «Chi glielo ha detto?» «John Ronda, il direttore del Chicote Beacon, e la signora King, la socia di George.» «Be', non li conosco, e quindi non mi permetto di dire che sono dei bugiardi, ma non ho mai sentito una simile stupidaggine in vita mia. George è assolutamente incapace di voltare le spalle a un membro della famiglia ed è molto affezionato ad Alberta. Per lui non è una donna di quasi quarant'anni che è stata condannata per un grave reato, ma la sorellina che deve proteggere, perché nessuno approfitti di lei. Anch'io sono sua sorella e ho meno anni di lui, ma George sa che sono sposata e che c'è qualcuno che provvede a me, quindi non sono più così importante per lui. È Alberta che lui adora e per la quale si preoccupa. Perché quelle due persone le hanno raccontato quella menzogna?» «Sono certo che ne erano assolutamente convinti.» «Ma chi ha raccontato loro una simile falsità?» «George, probabilmente, visto che sono suoi amici. La signora King poi gli è particolarmente vicina.» La protesta di Ruth Aguila fu ferma e immediata. «Questo è assurdo. Perché George dovrebbe farsi passare per un mascalzone, quando la verità è che ha fatto tutto il possibile per Alberta, più di quanto lei volesse? Nelle sue lettere si lamenta perché 4e visite di George più che farle piacere la turbano. George è così emotivo! Lui vuole aiutarla e lei rifiuta: è abbastanza adulta da sopportare da sola il peso delle sue colpe e il vedere George che soffre serve solo ad abbatterla. Gli ha detto che non vuole vederlo, o per lo meno non così spesso, ma lui non se ne dà per vinto.» «Di solito le persone che stanno in prigione sono molto ansiose, quasi in modo patetico, di ricevere visite.» «Glielo ripeto, Alberta è realista. Se vedere George che soffre serve solo a deprimerla, allora è meglio che lui non vada a farle visita così spesso.»
«Da un certo punto di vista mi sembra ragionevole» disse Quinn «ma a me sembra quel tipo di spiegazione che serve solo a nascondere il vero motivo.» «E quale sarebbe il vero motivo?» «Non lo so. Forse ha paura che George possa abbattere le difese che si è costruita per adattarsi a vivere nel luogo in cui si trova. Mi ha detto che non le è sembrata infelice, signora Aguila; è quello che le piace credere o è la verità?» «Si dà il caso che sia tutte e due le cose.» «Eppure ha parlato di sofferenza; crede che esista una "felice sofferenza"?» «Sì, quando una persona cerca il castigo e lo ottiene. O quando c'è qualcosa di buono in cui credere e sperare dopo un periodo infelice.» «Per esempio una grossa somma di danaro?» Rimase un attimo a fissare in silenzio l'acqua sporca di nafta che lambiva lo scafo grigio della Ruthie K, poi disse: «Il danaro non c'è più, signor Quinn; parte è stato speso e parte l'ha perso al gioco. In una sua lettera Alberta mi ha raccontato che aveva preso l'abitudine di passare i fine settimana a Las Vegas, quando George e la mamma erano convinti che fosse andata a San Francisco per fare acquisti o per vedere uno spettacolo. È buffo, ma Alberta è l'ultima persona al mondo che avrei sospettato dedita al gioco.» «Las Vegas è piena di donne che nessuno sospetterebbe mai che siano dedite al gioco.» «È strano che uno senta questa spinta irresistibile, soprattutto quando si continua a perdere.» «È proprio quando si perde che non si vuole smettere.» La signora Aguila scosse la testa, sconsolata. «Quando penso a tutti i rischi che ha corso, anno dopo anno, per rubare quei soldi, per poi buttarli via! Mi sembra così assurdo, signor Quinn! Alberta non si è mai comportata in modo così impulsivo; è sempre stata una donna organizzata che pianificava tutto, minuto per minuto. Tutto quello che faceva era previsto in anticipo; anche una cosa semplice come andare a vedere un film era condotta come una campagna militare. Se il film cominciava alle 7.30, la cena doveva essere servita alle sei in punto e per le sette la cucina doveva essere riordinata e così via. Non era molto divertente andare da qualche parte con lei, perché niente era mai lasciato all'imprevisto.» "E adesso che è in prigione" pensò Quinn "qual è la prossima mossa
prevista? Se Ronda ha ragione, passeranno anni prima che venga rimessa in libertà!" «Mi hanno detto» disse ad alta voce «che l'errore che ha tradito Alberta era molto banale.» «È così.» «So di un altro errore banale che ha avuto conseguenze ancora più drastiche di quello di Alberta.» «Davvero? Quale?» «La notte in cui O'Gorman è scomparso, stava tornando in ufficio per correggere un errore che aveva commesso durante la giornata. Due contabili, due errori banali con conseguenze disastrose commessi nello stesso mese in una piccola città. A questo aggiunga che un tempo, anche se per un breve periodo, Patrick O'Gorman ha lavorato per suo fratello e che quindi ha conosciuto, anche se solo di vista, Alberta. E c'è un altro fatto interessante: quando sono andato a Chicote per informarmi su O'Gorman, la mia presenza ha talmente eccitato la curiosità di George da indurlo a introdursi nella mia camera al motel e a perquisirla.» «Se lei conoscesse George, si renderebbe conto di quanto sia assurda questa storia.» «Sto cercando di fare conoscenza con George, ma fino a ora non ho avuto fortuna.» «Per quello che riguarda gli altri suoi sospetti, perché è di questo che si tratta, mi sembra che lei dimentichi che le autorità hanno fatto tutte le possibili indagini ai tempi della sparizione di O'Gorman. Non c'è praticamente una persona a Chicote che non sia stata interrogata. George mi ha mandato tutte le copie del Beacon.» «Come mai?» «Pensava che mi sarebbe interessato seguire la storia visto che anch'io sono di Chicote e conoscevo O'Gorman anche se solo superficialmente.» «Quanto superficialmente?» «L'ho visto in ufficio un paio di volte; un bell'uomo, anche se c'era in lui un tratto effeminato che mi ripugnava. Forse il termine è troppo forte, ma questa era la sensazione che provavo.» «È un tipo d'uomo che può sembrare molto attraente a certe donne. Mi ha detto che non ha mai incontrato Martha O'Gorman.» «Una volta me l'hanno indicata per la strada.» «Chi gliel'ha indicata?» Ruth esitò un momento. «George. Pensava che fosse una donna molto
attraente e si chiedeva perché si fosse sprecata con un uomo come O'Gorman.» Se lo chiedeva anche Quinn, a dispetto di tutti gli apprezzamenti che Martha aveva fatto sul marito. «George si interessava a lei?» chiese. «Credo che gli sarebbe piaciuta se non fosse già stata sposata. Un peccato che lo fosse: George aveva bisogno, e lo ha ancora, di una moglie; aveva appena trent'anni quando la sua è morta. Più aspetta e più sarà difficile per lui staccarsi dalla mamma. Io lo so quanto può essere difficile, ho dovuto farlo. O rompere i rapporti o essere schiacciati.» Da qualsiasi parte si girasse, Quinn si scontrava con George Haywood. Il legame tra i due casi, che aveva sospettato fin dal principio, non era Alberta, ma George. George e Martha O'Gorman, il rispettabile uomo d'affari e la vedova inconsolabile. Forse la ragione per cui Martha non si era risposata non aveva niente a che fare con la memoria del marito; stava solo aspettando che George riuscisse a staccarsi dalla madre. «Ha parlato della lealtà e dell'affetto che lega George alla sorella» osservò Quinn. «Funziona in tutti e due i sensi?» «Sì, anche troppo.» «Troppo?» Sulle guance della signora Aguila comparvero due macchie rosse e la donna si aggrappò al parapetto come se temesse di cadere. «Forse non avrei dovuto dirlo; dopo tutto non sono una psicologa e non ho il diritto di andare in giro ad analizzare la gente. Solo che penso che George abbia commesso un errore tornando a vivere in casa dopo la morte della moglie. George era un essere caldo e affettuoso, capace di dare e ricevere amore e intendo vero amore, non un sentimento neurotico come quello di mia madre e di Alberta. Quindi, per dirla in poche parole, Alberta era molto affezionata a George. Se non ci fosse stato lui, la sua vita sarebbe potuta essere completamente diversa, più soddisfacente per lei, e non si sarebbe messa a rubare e a giocare d'azzardo, ma si sarebbe sposata e avrebbe avuto dei figli come qualsiasi altra donna. Credo che in qualche modo George si accorga di tutto questo e si senta sconvolto dal rimorso. Per questo continua ad andare a trovarla anche se ciò li fa soffrire terribilmente tutti e due. Temo che quello che sto cercando di dire è che li odio tutti e due. Non voglio che Frank o i bambini siano costretti ad avere niente a che fare con nessuno di loro.» Quinn tacque, sorpreso dalla violenza di questi sentimenti. Forse anche la signora Aguila era sorpresa perché si guardò attorno ansiosamente per
controllare se dalle barche vicine qualcuno avesse ascoltato il suo sfogo. «Frank dice che finisce sempre così quando parlo della mia famiglia» disse voltandosi verso Quinn con un sorriso impacciato «comincio fredda e distaccata e finisce che mi faccio venire una crisi isterica.» «Vorrei che tutte le persone isteriche fossero tranquille come lei.» «Tutto quello che chiedo alla mia famiglia è di essere lasciata in pace. Quando l'ho vista salire la scala, sapendo che mi avrebbe parlato di Alberta, mi sono trattenuta a stento dal buttarla in mare.» «Meno male che non l'ha fatto: questo è l'unico vestito che ho!» Ritornò alla Briny Belle che erano ormai le cinque. L'Ammiraglio camminava nervosamente su e giù per il ponte con un abito bianco nuovo di zecca e la solita vecchia espressione astiosa sul viso. «Si può sapere dove diavolo è stato, vecchio infingardo e lazzarone? Il suo compito è di restare a bordo ventiquattro ore al giorno.» «Ho visto una bionda fascinosa sulla diga; assomigliava a Elsie, perciò mi sono detto: meglio andare a vedere! Era proprio Elsie.» «Gesù mio! Andiamocene da qui! Chiamate il capitano, ditegli che salpiamo immediatamente.» «Era Elsie Doolittle, di Spokane. Bella ragazza!» «Brutto lurido straccione» esplose Connelly «sempre pronto a fare lo spiritoso, eh? E a mie spese; dovrei prenderti a calci nei denti.» «Potrebbe sporcarsi il bel vestito da marinaretto.» «Per Dio, se avessi vent'anni di meno...» «Se avesse vent'anni di meno, sarebbe esattamente come è adesso: un ubriacone che non riuscirebbe a vincere a gin rummy con un cocker spaniel senza imbrogliare.» «Io non imbroglio» urlò Connelly «non ho mai imbrogliato in vita mia. Mi chieda immediatamente scusa o la querelerò per diffamazione!» Quinn lo guardò divertito. «Me ne sono accorto prima ancora che finissimo la prima partita. O lei smette di barare o prenda lezioni per imbrogliare meglio.» «Come posso avere barato? Ha vinto lei!» «Io ho preso lezioni.» Connelly lo guardò a bocca aperta come un pesce fuor d'acqua: «Allora mi ha imbrogliato? Non è altro che un ladro!» Cominciò a urlare come un pazzo, chiamando il capitano, l'equipaggio, la polizia e la capitaneria di porto. Intanto intorno si era radunata una doz-
zina di persone: Quinn discese tranquillamente la passerella senza aspettare di riscuotere il suo salario. Aveva in tasca circa trecento dollari vinti a Connelly, l'equivalente della paga di quattro giorni a settantacinque dollari al giorno. Si sentiva più soddisfatto che se Connelly l'avesse pagato. "Vada a farsi fottere, Ammiraglio", pensò. 11 La prigione femminile di Tecolote era un assembramento di edifici di cemento costruiti su un grande altipiano sovrastante la Deer Valley. Quinn pensò che probabilmente quel posto era stato scelto per scoraggiare le fughe, visto che non c'era nessun posto attorno dove andare a rifugiarsi. Il paesaggio era ancora più desolato di quello che circondava la Torre. Nel raggio di settanta chilometri non c'era nemmeno una città e il terreno sassoso e la scarsità di acqua avevano scoraggiato anche i contadini e gli allevatori di cavalli. La strada asfaltata si fermava proprio davanti al cancello della prigione, come se gli ingegneri che l'avevano costruita a quel punto se ne fossero andati a casa scoraggiati. Quinn disse all'impiegata dell'ufficio amministrativo che voleva vedere Alberta Haywood e le mostrò la tessera da investigatore privato rilasciatagli dallo stato del Nevada. Dopo circa mezz'ora di interrogatorio venne accompagnato in una stanza a pianterreno di un altro edificio e lasciato ad aspettare. Si sarebbe detto che un tempo qualcuno avesse cercato di rendere la stanza più accogliente. Alcune finestre avevano le tende e sui muri era appeso qualche quadro; c'erano due o tre poltrone imbottite, ma la maggior parte dei posti a sedere era costituita da panche in legno simili a quelle che si trovavano nella sala comune della Torre. C'erano già altre persone che stavano ad aspettare: una coppia di anziani erano in piedi vicino alla porta e sussurravano tra loro e si guardavano ansiosamente attorno; una giovane donna la cui personalità era nascosta, o forse perduta, sotto pesanti strati di trucco; tre donne in uniforme blu, che si comportavano con la naturalezza artificiale e l'allegria costruita delle assistenti sociali volontarie. E poi un uomo, insieme al figlio di quindicisedici anni, che sembrava nel bel mezzo di un litigio, probabilmente non il primo e nemmeno l'ultimo. Ogni tanto una guardia chiamava un nome e qualcuno usciva dalla sala d'attesa. Alla fine non rimasero che Quinn e l'uomo e il ragazzo. «Questa volta dovrai essere più gentile con tua madre, hai capito?» disse
l'uomo con voce bassa e intensa. «Non voglio vedere facce imbronciate. Dopo tutto è tua madre.» «Come se non lo sapessi! Me lo rinfacciano tutti i giorni a scuola.» «Non parliamo di questo adesso! Cerca di metterti nei suoi panni: si sente sola e aspetta con ansia le tue visite. Il minimo che tu possa fare è sorridere, essere gentile, dirle che la trovi bene e che ti manca molto.» «Non posso, non posso farlo! Non è vero!» «Stai zitto e ascoltami: credi che io stia divertendomi? Pensi che qui qualcuno si stia divertendo? Pensi che a tua madre faccia piacere dovere starsene rinchiusa in gabbia?» «Io non penso niente! Non voglio pensare.» «Non rendere tutto ancora più difficile di quanto già non sia, Mike. C'è un limite a quello che io posso sopportare.» Riapparve la guardia. «Si accomodi, signor Williams. Come va, Mike? Prendi sempre ottimi voti a scuola?» Vedendo che il ragazzo non rispondeva, il padre disse: «Va sempre molto bene a scuola. Non ha certo preso da me; è sua madre il cervello della famiglia. Mike l'ha ereditato da lei; dovrebbe esserle riconoscente.» «E invece non lo sono; non voglio il suo cervello, non voglio niente di suo!» I tre sparirono in fondo al corridoio. Passò un altro quarto d'ora; Quinn si mise a studiare i dipinti appesi alle pareti, la tappezzeria delle poltrone e la vista delle finestre degli altri edifici identici a quello in cui si trovava. Si chiese quante delle persone che vivevano lì dentro sarebbero uscite riabilitate. Le stesse persone che costruivano navicelle spaziali spedivano poi i loro simili in colonie penali che sembrava fossero state edificate nel Diciassettesimo secolo. Apparve sulla porta una donna corpulenta che indossava un'uniforme di tela blu: «Signor Quinn?» «Sì.» «Il suo nome non appare sulla lista approvata dei visitatori della signorina Haywood.» «Ho già spiegato tutto questo all'impiegata dell'amministrazione.» «Lo so. Sta alla signorina Haywood decidere se desidera vederla oppure no. Venga con me, per favore.» Il parlatorio risuonava del brusio della conversazione; quasi tutti i cubicoli erano occupati. Alberta Haywood sedeva dietro una rete metallica con la stessa compostezza con cui sarebbe stata allo sportello della sua banca.
Le mani minuscole erano intrecciate sul tavolo e gli occhi azzurri avevano un'espressione attenta e gentile. Quinn si aspettava che da un momento all'altro gli chiedesse se desiderasse aprire un conto corrente. Invece la signorina Haywood disse: «Mio Dio, come mi fissa! È la prima volta che visita una prigione?» «No.» «La guardia ha detto che lei si chiama Quinn. Ho avuto molti clienti un tempo che si chiamavano Quinn e ho pensato che lei fosse uno di quelli. Mi accorgo adesso di essermi sbagliata. Noi non ci siamo mai incontrati prima d'ora, vero?» «No, signorina Haywood.» «E allora perché è venuto?» «Sono un investigatore privato.» «Davvero? Deve essere un lavoro molto interessante. Non credo di avere mai incontrato un investigatore privato prima d'ora. Che cosa fanno esattamente?» «Il lavoro per cui vengono pagati.» «Questo l'avevo immaginato» ribatté con una leggera nota di rimprovero nella voce «ma non mi aiuta a capire perché ha voluto vedermi. In questi ultimi anni il mio mondo è stato... molto limitato.» «Mi hanno assunto per trovare Patrick O'Gorman.» La reazione della donna lo colse di sorpresa. Il viso le si contrasse per la rabbia e la bocca si aprì come se stesse boccheggiando. «E allora lo trovi, non perda il suo tempo qui, vada fuori e lo cerchi. E quando l'avrà trovato, gli dia quello che si merita, senza pietà.» «Deve conoscerlo molto bene per nutrire sentimenti così profondi contro di lui.» «Non nutro sentimenti contro di lui. Lo conosco appena; è quello che mi ha fatto che odio.» «E che cosa le ha fatto?» «Io non mi troverei qui se lui non fosse scomparso in quel modo. Per un mese la città non ha fatto altro che parlare di lui: O'Gorman qui, O'Gorman là! Non avrei mai fatto quello stupido errore sui registri se non fossi stata distratta da tutte quelle chiacchiere su O'Gorman: mi rendevano così nervosa che non riuscivo a concentrarmi. Tanto baccano per un ometto così banale, era assurdo. Naturalmente il mio lavoro ne soffriva perché richiedeva molta concentrazione e un'attenta pianificazione.» «Non lo metto in dubbio.»
«Un pazzo decide di scappare da casa e io finisco dietro le sbarre! Io, un'estranea del tutto innocente.» Sembrava veramente convinta di essere un'estranea innocente. Quinn si chiese se lo era sempre stata, o se gli anni passati a Tecolote, la noia, la lunga attesa, non l'avessero fatta diventare un po' paranoica. Lei adesso era la vittima e O'Gorman il cattivo. Alberta Haywood lo fissava attraverso la rete metallica a occhi socchiusi. «Mi dica sinceramente, le sembra giusto?» «Non conosco abbastanza bene i dettagli della vicenda per avere un'opinione.» «Non sono necessari i dettagli. È stato O'Gorman a mettermi dietro queste sbarre; potrebbe persino averlo fatto deliberatamente.» «Non mi sembra molto probabile, signorina Haywood. Non poteva prevedere le conseguenze che la sua sparizione avrebbe avuto sulla sua capacità di concentrazione. Lei lo conosceva appena; non è così?» «Non più di un cenno del capo quando ci incontravamo» rispose come se si rammaricasse di aver fatto anche quello con l'uomo responsabile del suo destino. «Se, in futuro, dovessimo rincontrarci, lo eviterei come la peste.» «Non credo che le capiterà ancora di incontrarlo, signorina Haywood.» «Perché? Non resterò per sempre in questo posto.» «No, ma temo che O'Gorman resterà per sempre dove si trova. C'è molta gente convinta che sia morto, assassinato.» «Chi si prenderebbe la briga di assassinare O'Gorman? A meno che, naturalmente, non avesse fatto a qualcun altro lo stesso scherzo che ha fatto a me.» «Non è risultato che ci fosse qualcuno che nutriva rancore contro di lui.» «Comunque non è stato assassinato. Non è morto, non può esserlo.» «Perché no?» Fece per alzarsi, come se volesse fuggire piuttosto che rispondere a quella domanda, ma poi si sedette di nuovo. «Perché in tal caso io non avrei nessuno su cui fare ricadere la colpa, qualcuno responsabile della mia miseria. Deve essere stato O'Gorman, e deve averlo fatto deliberatamente. Forse pensava che mi comportassi in modo troppo snob nei suoi riguardi, o era arrabbiato perché George l'aveva licenziato?» «Quello che è capitato a O'Gorman, signorina Haywood, non ha niente a che fare con lei.»
«Ma io ne sono stata coinvolta.» «Sono certo che questo non rientrava nei suoi piani.» «Continuano a ripetermelo, solo che loro non sanno tutto.» Non disse a chi alludeva con quel "loro", ma Quinn immaginò che si trattasse degli psicologi della prigione e forse dello stesso George. «Suo fratello George viene spesso a farle visita, signorina Haywood?» Appoggiò la punta delle dita contro le tempie come se avesse sentito una fitta improvvisa. «Vorrei tanto che non venisse! È una faccenda così triste: parla dei vecchi amici, dei luoghi dove eravamo soliti andare, e io non posso permettermi di pensare ancora a quelle cose o perdo la... Mi emoziono troppo. Oppure parla del futuro, ed è ancora peggio. In questo posto non si riesce ad avere un'idea del futuro, perché ogni giorno vale come un anno. Quando ascolto George che chiacchiera allegramente di un viaggio in Europa o di un lavoro per me nel suo ufficio, mi sento morire. Come può sembrare reale un viaggio in Europa a qualcuno che è rinchiuso in una cella e che da cinque anni non è mai andato più lontano della sala della mensa? Perché mi trovo qui? Perché tutti noi ci troviamo qui? Deve esserci un metodo migliore! Se la società vuole vendicarsi per i crimini che abbiamo commesso, perché non ci mette in fila davanti al muro del municipio e non ci frusta? Perché non ci tortura e poi non la fa finita? Perché ci lascia rinchiusi in una cella a non fare niente mentre potremmo fare qualcosa di utile? Non ci vogliono nemmeno come cibo per i cani!» Tese le mani davanti a sé gridando: «Mi metta in un tritacarne, mi faccia a pezzi, che io possa almeno saziare qualche gatto affamato, qualche cane che muore di fame!» Al suono della sua voce, la gente nei cubicoli adiacenti si era alzata in piedi per vedere che cosa stava succedendo. «Fate almeno che sia utile a qualche cosa! Ascoltatemi, ascoltatemi tutti: non volete essere fatti a pezzi per servire da nutrimento per dei poveri animali affamati?» Arrivò di corsa una guardiana, facendo tintinnare le chiavi appese alla cintura: «C'è qualche cosa che non va, signorina Haywood?» «La prigione! Io sto in prigione e intanto gli animali muoiono di fame.» «Ma no, ma no, non muoiono di fame.» «A lei non importa niente di quelle povere bestie.» «Mi sta più a cuore lei, signorina» disse affettuosamente la guardiana. «Venga che la riaccompagno nella sua stanza.» «La mia cella: io sono una prigioniera e sto in una cella, non in una ca-
mera.» «Comunque lei desideri chiamarla, adesso noi ci andremo e non voglio strilli e proteste. Su, faccia la brava ragazza.» «Io non sono una ragazza» ribatté Alberta scandendo le parole «sono una donna cattiva che vive nella cella di una prigione.» «In nome del cielo!» «Stia attenta a come parla!» La guardiana prese fermamente per il gomito Alberta Haywood e la guidò fuori dal parlatorio. Nella stanza riprese la conversazione, ma le voci erano più basse, più caute e quando Quinn si alzò per andarsene, gli occhi di tutti, carichi di rimprovero, lo seguirono: Lei non ha risposto alla domanda, amico. Perché ci troviamo qui dentro? Quinn ritornò nella palazzina degli uffici e, dopo una serie di discussioni e di lungaggini, gli fu permesso di parlare con gli psicologi che si occupavano dei prigionieri in attesa che venisse loro concessa la libertà vigilata. La dottoressa Browning era giovane, onesta e sconcertata. «Questo è un periodo di grande tensione per tutti loro, naturalmente, tuttavia il racconto della crisi della signorina Haywood mi ha colto di sorpresa. Il fatto è che abbiamo avuto pochi contatti e la conosco molto poco.» Si aggiustò gli occhiali sul naso come se volesse mettere meglio a fuoco la signorina Haywood. «In un carcere come questo, sono quelli che hanno qualche rotella fuori posto che ricevono più attenzione e, mi creda, sono in tanti. Non ci occupiamo delle persone tranquille come la signorina Haywood.» «Non vi ha mai causato fastidi?» «Oh, no! Fa bene il suo lavoro nella biblioteca della prigione e insegna in un paio di corsi di contabilità.» Quinn trovò la cosa abbastanza divertente, ma la dottoressa Browning sembrava non accorgersene. «Ha un talento naturale per i numeri.» «Già, me ne sono accorto.» «Ho notato che spesso nelle donne a un talento matematico corrisponde una mancanza di calore e di emotività. La signorina Haywood è rispettata dalle altre prigioniere, ma non è molto amata e non si è fatta amiche o confidenti. Doveva essere così anche prima di finire qui dentro, perché l'unica persona che viene a trovarla è il fratello e le sue visite hanno un effetto tutt'altro che positivo.» «Che cosa significa?» «Si direbbe che aspetti con ansia le sue visite, ma poi, per lungo tempo,
ne rimane turbata. Quando dico turbata, non intendo nel modo in cui lo è stata oggi: la signorina Haywood si chiude in se stessa e non parla più con nessuno. È come se avesse un peso terribile da togliersi di dosso e non potesse permettersi di farlo.» «Forse ha cominciato oggi.» «Può darsi.» Gli occhi della signorina Browning fissarono stancamente il vuoto. «C'è un'altra cosa che, date le circostanze, almeno per me è molto strana nella signorina Haywood. Ha quasi quarant'anni, ha la fedina penale sporca, non ha un marito e una famiglia che l'aspettano, non le sarà facile trovare un impiego nel campo in cui è esperta: insomma, il suo futuro non è affatto roseo e lei stessa afferma che non aspetta altro che di morire. Eppure ha una grandissima cura della sua persona. Sta a dieta, e stare a dieta in un luogo come questo, dove il cibo è necessariamente a base di carboidrati, le assicuro che richiede una considerevole forza di volontà. Fa ginnastica tutti i giorni nella sua cella; mezz'ora al mattino e mezz'ora al pomeriggio e spende i diciotto dollari che ha il permesso di spendere settimanalmente in vitamine invece che in sigarette e chewing gum. Se aspetta soltanto di morire, direi che è decisa a morire in buona salute.» 12 Quinn passò la notte a San Felice e a mezzogiorno del giorno seguente era di nuovo a Chicote. Durante quella settimana il clima non era migliorato per niente, e del resto neanche la città. Prospera e riarsa sotto il sole a picco, era una città ricca di petrolio che spasimava per un po' d'acqua. Quinn ritornò al motel in cui era già stato. Il signor Frisby, che prestava servizio in quel momento, lo accolse un po' sorpreso. «Santo cielo, ancora lei, signor Quinn!» «Già.» «Mi fa piacere che non ci porti rancore per quel piccolo episodio increscioso della scorsa settimana. Ho messo in guardia il nonno perché sia più cauto in futuro e le assicuro che una cosa del genere non accadrà più.» «No, ne sono convinto anch'io.» «Ha avuto fortuna nelle sue ricerche sul caso O'Gorman?» «Non molta.» «Quello che sto per dirle vorrei che restasse tra di noi» disse Frisby sporgendosi sul bancone «lo sceriffo è un mio amico e qualche volta mi nomina persino vicesceriffo, ma secondo me questo caso è stato mal con-
dotto.» «Perché?» «Orgoglio cittadino, ecco perché. Le autorità non ammetterebbero mai che anche da noi esiste la criminalità giovanile come nelle grandi città e forse anche peggio. Secondo me, ecco quello che è successo: O'Gorman stava tornando in ufficio quando un gruppo di giovani teppisti a bordo di una macchina l'ha visto e ha deciso di divertirsi un po' alle sue spalle e così l'ha spinto fuori strada. L'anno scorso hanno fatto la stessa cosa anche con me: io sono andato a finire in un fossato ricavandone due costole rotte e una commozione cerebrale. Erano solo ragazzi anche quelli e l'unico scopo che li spingeva era quello di fare confusione. Qui attorno ci sono ragazzi, soprattutto nelle fattorie, che imparano a guidare a dieci o undici anni. Quando ne compiono sedici ormai delle macchine sanno tutto, salvo come comportarsi civilmente al volante. Be', io sono stato più fortunato di O'Gorman: sono finito in un fossato invece che nel fiume.» «C'era qualche prova che fosse stato spinto fuori strada?» «Una grossa ammaccatura sul paraurti a sinistra.» «Senza dubbio l'avrà notato anche lo sceriffo!» «Ci può scommettere» rispose Frisby «gliel'ho fatto notare io stesso. Ero là quando hanno estratto la macchina dal fiume; era identica all'ammaccatura che avevo trovato sulla mia macchina l'anno prima e si vedeva persino una leggera traccia di vernice verde. Forse non sufficiente per potervi fare dei controlli scientifici, ma visibile a occhio nudo.» L'eccitazione aveva fatto salire il sangue alla testa di Frisby che sembrava sul punto di esplodere come un palloncino rosso. Ma a poco a poco, sotto gli occhi di Quinn, il palloncino sembrò sgonfiarsi e perdere lo splendore. «C'erano tutti gli elementi necessari per sostenere la mia teoria» disse Frisby con un profondo sospiro «c'era solo una cosa che la contraddiceva.» «E che cos'era?» «La testimonianza di Martha O'Gorman.» Il nome colpì Quinn come se se lo fosse aspettato, e avesse sperato fino all'ultimo di sbagliarsi. «E cosa ha detto la signora O'Gorman?» «Non voglio dire che stesse mentendo; per quel poco che la conosco mi sembra una giovane donna perbene e tranquilla, non come quelle sbarbine supertruccate che si incontrano per la strada.» «Che cosa aveva da dire la signora O'Gorman sull'ammaccatura del pa-
raurti?» «Disse che ce l'aveva fatta lei la settimana prima. Affermò che era andata a sbattere contro un lampione mentre cercava di parcheggiare in una strada a senso unico. Quale strada e quale lampione non riusciva a ricordarlo, ma tutti le credettero lo stesso.» «Salvo lei.» «Secondo me era impossibile che lo avesse dimenticato.» Frisby guardò preoccupato fuori dalla finestra come se si aspettasse di vedere lo sceriffo che lo spiava. «Supponiamo per un attimo che io avessi ragione nel ritenere che O'Gorman era stato spinto fuori strada da un'altra macchina, ma che in questa macchina non ci fosse un gruppo di giovani teppisti, bensì qualcuno che aveva buone ragioni per detestare O'Gorman e per volerlo morto. In quel caso la storia della signora O'Gorman sarebbe stata un bell'alibi, non le pare?» «Per se stessa?» «Be'... o per un amico.» «Lei vuol dire un amante?» «Insomma, succede tutti i giorni» affermò Frisby sulla difensiva. «Non voglio far cadere sospetti su una donna innocente, ma se poi non fosse innocente? Provi a pensare a quell'ammaccatura, signor Quinn. Perché non ricordava dove l'aveva fatta, in modo che fosse possibile controllare le sue affermazioni?» «C'è un fatto a suo favore che mi sembra lei non abbia considerato, signor Frisby: tutti i lampioni a Chicote sono verdi.» «Così come quell'anno lo erano il quindici per cento delle macchine.» «Come fa a saperlo?» «Ho fatto le mie indagini. Per tutto un mese ho preso nota delle macchine che sono venute al motel: su quasi cinquecento circa settanta erano verde scuro.» «Si è dato molto da fare per dimostrare che la signora O'Gorman stava mentendo.» La faccia del signor Frisby sembrò di nuovo gonfiarsi e assumere un colore paonazzo: «Non stavo cercando di dimostrare che mentiva. Volevo solo scoprire la verità: tutto qui. Sono persino andato in giro per la città a cercare nelle strade a senso unico il lampione contro il quale affermava di essere andata a sbattere.» «Ha avuto fortuna?» «Erano tutti piuttosto ammaccati a dire la verità; li piazzano troppo vici-
no alle curve. Li hanno sistemati quando le macchine ancora non avevano quelle pazze code posteriori.» «Perciò non ha dimostrato niente.» «Ho dimostrato» ribatté Frisby bruscamente «che quell'anno il quindici per cento delle macchine in circolazione era verde scuro.» Da una cabina telefonica Quinn telefonò all'ospedale dove lavorava Martha O'Gorman. Gli risposero che quel giorno non si era recata al lavoro perché era indisposta. Quando telefonò a casa il ragazzo O'Gorman gli rispose che la mamma era a letto con l'emicrania e non poteva venire al telefono. «Potresti darle un messaggio, per favore?» «Certamente.» «Dille che Joe Quinn è alloggiato al motel di Frisby sulla Main Street. Che se desidera può mettersi in contatto con me telefonandomi lì.» "Non lo farà" pensò mentre riagganciava. "O'Gorman è ancora troppo vivo e reale per lei; si aspetta da un momento all'altro di vederlo comparire sulla porta. O forse non è così?" «Chi era, Richard?» chiese Martha O'Gorman dalla camera da letto. «E non gridare, le finestre sono aperte! Vieni qui a dirmelo.» Richard entrò e si piazzò ai piedi del letto. Le tende erano chiuse e la stanza era così buia che sua madre gli sembrava una massa bianca e informe. «Ha detto di chiamarsi Joe Quinn e che dovevo dirti che lui alloggia al motel di Frisby sulla Main Street.» «Sei sicuro?» «Certo!» Seguì un lungo silenzio; la figura sul letto rimase immobile, ma Richard poteva sentire la tensione che si era creata nella stanza. «Che cosa c'è, mamma!» «Niente.» «Da un po' di tempo ti comporti in modo strano. Sei ancora preoccupata per i soldi?» «No, ce la caviamo bene, adesso.» Martha balzò a sedere e buttò giù le gambe dal letto nello sforzo di apparire vivace. Il movimento le procurò una fitta terribile al lato sinistro della testa. Premette una mano sulla fronte e, con voce falsamente allegra, disse: «A dire il vero la mia testa va molto
meglio. Forse dovremmo fare qualche cosa per festeggiare.» «Fantastico.» «Oggi ormai è troppo tardi per andare a lavorare; domani è la mia giornata di libertà e dopodomani è domenica. Abbiamo il tempo di organizzare un breve campeggio. Che cosa ne dici?» «Accidenti, sarebbe super!» «D'accordo; tu tira fuori i sacchi a pelo dal ripostiglio e di' a Sally di cominciare a preparare qualche panino. Io mi occuperò ei cibi in scatola.» Il solo fatto di stare in piedi le procurava dei dolori lancinante, ma era necessario farlo: doveva andare fuori città. Era più facile affrontare il dolore fisico che affrontare Quinn. Dopo pranzo Quinn si recò all'ufficio dell'Agenzia Immobiliare Haywood. Earl Perkins, il giovanotto che aveva incontrato la volta precedente, stava parlando al telefono. Dalle smorfie che faceva, Quinn arguì che, o lo stomaco lo tormentava di nuovo, o c'era un cliente che gli stava piantando grane. Willie King sedeva alla sua scrivania, fresca ed elegante in un abito estivo di seta dello stesso verde dei suoi occhi. Non sembrò particolarmente entusiasta di rivederlo: «Be', che cosa fa di nuovo qui?» «Chicote mi piace sempre di più.» «Storie. A nessuno piace questo posto; siamo soltanto inchiodati qui.» «Che cosa la inchioda? George Haywood?» Lo guardò come se stesse per arrabbiarsi, ma poi ci ripensò. «Non sia sciocco. Non ha sentito parlare di me e di Earl Perkins? Siamo follemente innamorati l'uno dell'altra, ci sposeremo e vivremo per sempre insieme felici e contenti, io, Earl e la mia ulcera.» «Mi sembra un futuro eccitante... per l'ulcera» osservò Quinn. Willie arrossì leggermente e abbassò gli occhi sulle sue mani: erano grandi e forti e, se non fosse stato per lo smalto arancione sulle unghie, avrebbero ricordato a Quinn quelle di Sorella Benedizione. «Se ne vada e mi lasci in pace per favore; ho mal di testa.» «Si direbbe che oggi sia la giornata del mal di testa per tutte le donne di Chicote.» «Dico sul serio, se ne vada. Non posso rispondere a nessuna delle sue domande. Non capisco davvero come mi sia cacciata in questo pasticcio.» «Quale pasticcio, Willie?» «Tutto quanto!» Contorceva nervosamente le mani come se non riuscis-
se a tenerle ferme. «Ha mai sentito parlare della legge di Jenkinson? Dice che tutti sono pazzi. Be', può aggiungerci anche la legge di Willie King: tutto è un pasticcio.» «Nessuna eccezione?» «Per il momento non ne vedo nessuna.» «Domani le cose potrebbero cambiare.» «No, è troppo tardi.» «Come mai è così depressa, Willie?» «Non lo so, forse è colpa del caldo, o della città.» «È lo stesso caldo che ha sopportato tutta l'estate in questa stessa città.» «Forse ho bisogno di una vacanza. Mi piacerebbe fare un viaggio da qualche parte dove fa freddo, c'è la nebbia e piove ogni giorno. Un paio di anni fa sono andata in macchina fino a Seattle pensando che quello fosse il posto adatto, e lo sa che cosa è successo? Quando sono arrivata io, Seattle stava soffrendo del peggior periodo di caldo di tutta la sua storia!» «E questo dovrebbe dimostrare la veridicità della legge di Willie King?» Si agitò nervosamente sulla sedia. «Lei non risponde mai direttamente o seriamente a una domanda?» «No, se posso evitarlo: questa è la legge di Joe Quinn.» «Allora per una volta infranga la legge e mi dica perché è tornato qui.» «Per parlare con George Haywood.» «A che proposito?» «A proposito delle sue visite alla sorella Alberta nella prigione di Tecolote.» «Come le è venuta un'idea così pazzesca?» disse Willie spazientita. «Lo sa benissimo che George ha interrotto tutti i rapporti con Alberta anni fa. Gliel'ho detto io.» «Quello che lei mi dice non è necessariamente la verità.» «Okay, può darsi che qualche volta le abbia raccontato qualche piccola bugia, ma non a questo proposito.» «Forse lei non ha mentito, Willie, ma certamente non era bene informata: George va a far visita alla sorella regolarmente una volta al mese.» «Non ci credo. Che motivo avrebbe per mentire?» «Questa è una delle cose che voglio chiedergli oggi stesso, se riesco a incontrarlo.» «No, non potrà vederlo.» «E perché no?» Si chinò sulla sedia, con le mani strette contro lo stomaco come per leni-
re dei crampi. «Non è qui; è partito ieri l'altro.» «Per dove?» «Per le Hawaii. Negli ultimi due mesi la sua bronchite non gli ha dato pace, e il dottore ha pensato che un cambiamento d'aria gli avrebbe fatto bene.» «Per quanto tempo starà assente?» «Non lo so; tutto è successo così improvvisamente! Tre giorni fa è arrivato in ufficio e, senza nessun preavviso, ha annunciato che il mattino successivo sarebbe andato in vacanza alle Hawaii.» «Le ha chiesto di fargli le prenotazioni?» «No, ha detto che aveva provveduto personalmente.» Tirò fuori un fazzoletto di tasca e lo premette contro la fronte. «È stato un bel colpo! Io avevo sperato, o forse sognato, di passare le vacanze insieme a George quest'anno. E improvvisamente mi scarica e parte per le Hawaii. Da solo!» «Allora è questo che la rende così triste?» «Insomma, avrebbe anche potuto dirmi qualche cosa! "Mi dispiace, Willie, ma tu non puoi venire" o qualcosa del genere. Invece niente! Ho paura che questa sia la fine.» «Adesso non esageri, Willie.» «No, non sto esagerando. Volesse il cielo che così fosse, ma invece non è così. In questi ultimi tempi George si comportava come un uomo diverso. Non era più George, il vero George, il mio George! Lui non sarebbe mai partito per un viaggio senza pianificare nei minimi particolari dove avrebbe alloggiato, cosa avrebbe fatto e per quanto tempo sarebbe stato via. Invece non mi ha detto niente del suo viaggio, se non che sarebbe partito il mattino successivo. Vede, ho buoni motivi per avere paura: ho il terribile presentimento che non tornerà più. Continuo a pensare a O'Gorman.» «Perché a O'Gorman?» Si passò di nuovo il fazzoletto sulla fronte. «La fine può arrivare così improvvisa! Avrei dovuto discutere con George, implorarlo di portarmi con sé. Così, se l'aeroplano fosse precipitato, almeno saremmo morti insieme.» «Questi sono pensieri morbosi, Willie. Non ho sentito dire di nessun aereo precipitato in questi ultimi due giorni. Probabilmente in questo preciso momento George è attorniato da una folla di fanciulle abbronzate che stanno insegnandogli a ballare la hula.» Willie alzò lo sguardo e fissò Quinn freddamente. «Se questo doveva servire a tirarmi su di morale, le assicuro che non ha funzionato. Al diavo-
lo le fanciulle abbronzate.» «Con un ibiscus nei capelli.» «Ho una pianta di ibiscus anche nel mio giardino. Potrei mettermi un fiore nei capelli quando mi pare. Posso anche abbronzarmi e ballare la hula se voglio!» «Sarei pronto a scommetterci, Willie.» «Davvero?» «Mi metta alla prova.» «Oh, la smetta di prendermi in giro» rispose la ragazza scuotendo la testa «io non sono il suo tipo, e lei non è il mio. Mi piacciono gli uomini più adulti e più maturi, non quelli che sanno dove vogliono arrivare, ma quelli che sono già arrivati. Ho già fatto una volta l'esperienza del cuore e una capanna. Non la farò mai più. Voglio sicurezza. Quanto a lei, non credo nemmeno che sappia che cosa vuole.» «Sto cominciando a scoprirlo.» «Da quando?» «Da quando, un paio di settimane fa, ho toccato il fondo.» «Che cosa è esattamente per lei il "fondo", signor Quinn?» «Per me significa essere arrivato talmente in basso che l'unica direzione possibile è quella verso l'alto. Ha mai sentito parlare della Torre del Paradiso?» «Avevo una zia molto pia che usava spesso frasi del genere.» «Questa non è una frase; è veramente un posto tra le montagne dietro a San Felice. Ci sono stato due volte e ho promesso di ritornarci ancora una volta. A proposito, non ha mai avuto l'acne lei?» Le sopracciglia perfettamente disegnate di Willie si inarcarono sulla sua fronte in un'espressione strabiliata. «Senta un po', ha per caso perso qualche rotella?» «Può darsi, però mi piacerebbe che lei mi rispondesse.» «No, non ho mai sofferto di acne» rispose scegliendo con cura le parole come se stesse parlando con un idiota «ma l'ha avuta mia sorella quando era al liceo. Ne è guarita lavandosi il viso sei o sette volte al giorno con una lozione della Norton ed evitando di mangiare dolci e cibi grassi. È questo che voleva sapere?» «Sì, grazie, Willie.» «Immagino che se le chiedessi perché lo voleva sapere lei non...» «Io non.» «Lei è un tipo molto strano» osservò Willie seriamente «ma scommetto
che glielo hanno già fatto notare.» «Quando ancora stavo sulle ginocchia della mamma; d'altra parte non possiamo essere tutti perfetti come George.» «Non ho mai detto che è perfetto» c'era una nota stridula nella sua voce, come se improvvisamente le fosse venuto in mente George circondato da belle ragazze abbronzate «è cocciuto come sua madre, tanto per cominciare. Quando si mette in testa un'idea è impossibile fargliela cambiare e si guarda bene dal chiedere consiglio o di preoccuparsi per quello che io... che gli altri possono pensare.» «Come per esempio questo improvviso viaggio alle Hawaii?» «Mi pare un buon esempio.» «È sicura che sia andato alle Hawaii?» «Ma... sì, certo che sono sicura.» «Vi siete salutati prima della partenza?» «Naturalmente.» «Dove?» «È venuto nel mio appartamento. Ha detto che sarebbe andato in macchina fino a San Felice e da lì avrebbe preso un aereo per Los Angeles e quindi un jet per Honolulu.» «E avrebbe lasciato la macchina all'aeroporto di San Felice?» «Sì.» «L'aeroporto di San Felice non ha un garage.» «Ci saranno dei garage nei dintorni» ribatté con voce ansiosa. «Ci sono, no?» «Può darsi. Che tipo di macchina ha George?» «Una Pontiac verde familiare dell'anno scorso. Ma perché mi fa tutte queste domande? Non mi piace, mi rende nervosa. Si direbbe che lei voglia insinuare che non è andato alle Hawaii.» «Niente affatto; voglio solo accertarmi che ci sia andato davvero.» «Non mi era neanche venuto in mente che non l'avesse fatto fino a che lei non è venuto a insinuare i suoi sospetti» disse Willie in tono accusatore. «Sta forse cercando di mettere zizzania tra me e George per qualche sua ragione particolare?» «Ci sono già stati screzi tra voi due, non è vero, Willie?» Strinse le mascelle e il suo viso assunse un'espressione forte e dura che Quinn non le aveva mai visto prima. «Niente che io non possa tenere sotto controllo. Sua madre è una donna... diciamo molto difficile.» «L'ultima volta che mi ha parlato di lei mi ha detto che era una vecchia
strega. Sta facendo progressi mi pare.» Visto che Willie non rispondeva, Quinn proseguì. «Qualche giorno fa ho saputo un fatterello, da una fonte che ritengo affidabile, a proposito di George.» «Non mi interessa, non voglio conoscerlo. Quando una persona è nella posizione di George, specialmente dopo quello che è accaduto ad Alberta, diventa facilmente il bersaglio di maldicenze e pettegolezzi. È venuto su in questa situazione comportandosi nell'unico modo possibile, ossia conducendo una vita pulita, decente, esemplare. George ha una qualità che lei non può conoscere perché non l'ha mai incontrato: è un uomo estremamente coraggioso. Avrebbe potuto facilmente abbandonare la città per evitare lo scandalo, ma non l'ha fatto; è rimasto e ha combattuto.» «Perché?» «Gliel'ho detto; è un uomo coraggioso.» «Forse aveva dei legami a Chicote, dello stesso tipo di quel li che trattengono lei qui.» «Vuol dire sua madre? O me?» «Né l'una né l'altra; voglio dire Martha O'Gorman.» Willie sembrò sul punto di esplodere, ma si riprese in tempo e attingendo a tutta la sua forza di volontà riuscì a mantenere la calma. Lo sforzo la lasciò tremante. «È ridicolo.» «Non vedo perché: è una donna affascinante e ha classe.» «Classe? Significa avere classe comportarsi come se si fosse convinti di essere migliori degli altri? So tutto di Martha O'Gorman; la mia migliore amica lavora al laboratorio dell'ospedale insieme a lei e mi ha detto che Martha ha un accesso di rabbia tutte le volte che qualcuno compie anche il più piccolo errore.» «Il più piccolo errore nel laboratorio di un ospedale può avere conseguenze macroscopiche.» Quinn si accorse che Willie, e non per la prima volta, aveva sviato il discorso da George. Non per questo aveva smesso di protestare. «È una donna fredda e dura; del resto basta osservare la sua espressione gelida per accorgersene. Le ragazze al laboratorio hanno tutte una paura matta di lei.» «Mi sembra che abbia molta paura anche lei, Willie.» «Io? E perché mai?» «A causa di George.» Ricominciò a protestare, dicendo che era assurdo e ridicolo pensare che George potesse essere interessato a una donna come quella. Ma le sue parole non bastavano a convincere nemmeno lei stessa.
Quinn si accorse anche di un altro particolare: Willie era afflitta da un grave attacco di gelosia e si chiese che cosa poteva averlo provocato. La settimana precedente gli era sembrata molto più sicura di se stessa e l'unica cosa che sembrava darle ombra era la madre di George. Adesso le ombre erano cresciute di numero: Marta O'Gorman, le ragazze abbronzate con il fiore d'ibiscus nei capelli, e altre ancora che Quinn non aveva ancora scoperto. 13 Era una vecchia casa bianca a tre piani, un edificio elegante in stile vittoriano, che guardava dall'alto in basso, cercando di ignorarle, le case dei nuovi ricchi che le erano cresciute attorno. Difesa da pesanti tende di pizzo e da snelle torrette, protestava, disapprovava, recriminava, conscia di avere perso la sua battaglia contro le case dal tetto a terrazza nello stile dei ranch o contro quelle altre orribili scatole di legno e stucco. Quinn si aspettava che la donna che sarebbe venuta ad aprirgli la porta fosse nello stesso stile della casa, ma si sbagliava. La signora Haywood era snella ed elegante in un abito di lino beige. I capelli erano tinti color platino con riflessi rosati e sul suo viso si intravedevano appena le cicatrici lasciate dalla chirurgia estetica. Era giovanile quanto suo figlio George, a parte l'ombra di antichi dolori che si leggeva nei suoi occhi. «Signora Haywood?» chiese Quinn. «Sì?» Non c'era chirurgia plastica che potesse nascondere il suono rauco della voce di una vecchia. «Non ho l'abitudine di comprare da venditori ambulanti.» «Mi chiamo Joe Quinn e vorrei parlare di affari con il signor Haywood.» «Gli affari devono essere discussi in ufficio.» «Ho chiamato l'ufficio ma mi hanno detto che non c'era, così ho immaginato che potesse essere a casa.» «Invece non c'è.» «Allora mi dispiace di averla disturbata, signora Haywood. Quando torna suo marito, vuole essere così gentile da dirgli di mettersi in contatto con me? Abito al motel di Frisby sulla Main Street.» «Mio marito!» La parola sembrava esaltarla. Quinn ebbe l'impressione che non toccasse più terra con i piedi. Quella fame disperata di giovinezza che le leggeva negli occhi gli ripugnava e lo commuoveva al tempo stesso.
«Lei ha commesso un errore, signor Quinn» disse con un sorriso da ragazzina maliziosa «anche se è uno sbaglio molto lusinghiero. È un peccato che gli errori umani non siano tutti così gradevoli. George è mio figlio.» Quinn si vergognò di essersi servito di un trucco così banale, ma ormai era troppo tardi. «Non riesco a crederci.» «Le confesso che adoro essere adulata, perciò non mi metterò a discutere con lei.» «Sono sicuro di non essere il primo ad aver fatto questo errore, signora Haywood.» «Oh, è successo altre volte, ma tutte le volte mi stupisce e mi diverte. Temo che il povero George non sia altrettanto divertito. Forse questa volta non gli dirò niente; resterà il nostro piccolo segreto, signor Quinn.» "E delle altre cento persone che incontrerà nelle prossime ore" pensò Quinn. Adesso che aveva incontrato personalmente la signora Haywood non lo sorprendeva più il fatto che avesse allontanato le sue due figlie: non c'era posto in quella casa per due donne giovani che potevano invitare al confronto. L'istinto materno della signora Haywood era evidentemente molto più debole del suo istinto di conservazione. Quella donna aveva deciso di sopravvivere, a suo modo, e non poteva permettersi il lusso di certi sentimenti. "Povera Willie" pensò Quinn "la strada che deve condurla alla sicurezza è troppo difficile e dissestata perché lei possa affrontarla. Se in quella casa non c'è stato posto per Alberta e per Ruth, non ce ne sarà certo per Willie." La signora Haywood si era appoggiata allo stipite della porta con una posa da fotomodella. «Naturalmente ho sempre cercato di mantenermi in forma. Non vedo perché la gente dopo i cinq... dopo i quaranta debba lasciarsi andare. Ho sempre cercato di convincere tutta la mia famiglia che uno è quello che mangia.» Se la signora Haywood si nutriva di fiele e di tossico il suo assioma era certamente vero. «Mi dispiace di non aver potuto incontrare il signor Haywood; pensa che lo troverò in ufficio più tardi nel pomeriggio?» «Oh, no! George è andato alle Hawaii.» Era chiaro che non le andava né l'idea di cambiare argomento né il fatto che George fosse alle Hawaii. «Ordini del dottore. Assurdo, naturalmente; non c'è niente in George che non possa essere curato con qualche doccia fredda e del sano esercizio fi-
sico. Ma i dottori sono tutti uguali, non crede? Quando non sanno che cura dare, raccomandano il cambiamento d'aria. Lei è un amico di George?» «Devo discutere con luì di affari.» «Be', non so quando sarà di ritorno. Questo viaggio mi ha colto assolutamente di sorpresa. Non me ne ha parlato se non quando aveva già comprato i biglietti. A quel punto era troppo tardi perché io potessi fare qualche cosa. Mi sembra così sciocco e stravagante spendere tutti quei soldi solo perché un dottore incompetente glielo ha suggerito. George avrebbe potuto semplicemente andare a passare qualche giorno a San Felice. Il clima è esattamente lo stesso di quello delle Hawaii. Anch'io ho la mia parte di guai e di doloretti, ma io non prendo il primo aereo per i paesi esotici! Semplicemente aumento la mia dose di germi di grano e di latte di tigre e faccio qualche piegamento in più. Lei crede nella ginnastica, signor Quinn?» «Oh, sì, certamente!» Cambiò posizione trasformandosi da fotomodella in campionessa olimpionica e guardò speranzosa Quinn come se si aspettasse un altro complimento, ma Quinn non riuscì a immaginarne nessuno che avrebbe potuto farle senza mettersi a ridere. «Sa per caso con quale compagnia aerea viaggia il signor Haywood?» chiese, invece. «No; perché dovrei saperlo?» «Pensavo che le avesse mostrato i biglietti.» «Sì, mi ha messo sotto il naso una busta, ma sapevo che lo faceva soltanto per irritarmi, perciò ho fatto finta di essere del tutto indifferente. Non permetto che mi si trascini inutilmente in una discussione: è nocivo per il cuore e per le arterie. Mi limito a esporre il mio punto di vista e mi rifiuto di mettermi a discutere. George sapeva benissimo qual era la mia opinione su questo viaggio, sapeva che lo consideravo inutile e stravagante. Gli ho detto chiaramente che se davvero era così preoccupato per la sua salute avrebbe fatto meglio a starsene in casa la sera invece di andare in giro a dar la caccia alle gonnelle.» «Il signor Haywood non è sposato?» «Lo è stato; sua moglie è morta tanti anni fa. C'era da aspettarselo del resto: era un povero esserino privo di forza e di vivacità. La vita era troppo difficile per lei. Dopo la sua morte naturalmente tutte le donne di Chicote hanno cercato di catturare George. Fortunatamente ci sono io a mostrargli le loro astuzie e i loro stratagemmi. Da solo non se ne accorgerebbe mai; è
così terribilmente ingenuo! Qualche giorno fa, per esempio, gli ha telefonato una donna dicendo che voleva vederlo per parlargli di una lettera misteriosa. Lo so perché, del tutto inavvertitamente, avevo sollevato il ricevitore dell'altro apparecchio. Una lettera misteriosa, figuriamoci! Persino un bambino si sarebbe accorto dell'inganno. Ma George no: malgrado la tosse che lo tormentava, è uscito prima che potessi dirgli che, anche se quella donna aveva detto la verità, le sue intenzioni non potevano essere oneste. La gente perbene non riceve lettere misteriose! Quando, più tardi, gli ho chiesto come era andata, si è arrabbiato moltissimo e non ha voluto dirmi niente. Le assicuro che non è facile essere una madre di questi tempi, con le donne che ci sono in giro!» Sorrise mostrando una chiostra di denti troppo perfetta per essere la stessa con cui era nata tanti anni fa. «La trovo rispettoso e simpatico, signor Quinn. Abita a Chicote?» «No.» «Che peccato. Speravo che una sera avrebbe potuto venire a cena con me e con George. Mangiamo cibi semplici e sani, ma non per questo poco saporiti.» «La ringrazio per l'invito. Sa una cosa? Lei ha risvegliato la mia curiosità.» Lo guardò lusingata. «Davvero? E come?» «Quella lettera misteriosa esisteva veramente?» «Be', non ne sono sicura perché George non ha voluto dirmi niente. Personalmente penso che quella donna se la sia inventata. Era semplicemente una scusa per fare andare George a casa sua perché potesse vederla nel suo ambiente: i due bambini, il focolare acceso, la pentola che bolle sulla stufa; insomma, un delizioso quadretto di vita familiare. Mi segue, signor Quinn?» "Come no" pensò Quinn "la seguo fin sulla soglia di casa di Martha O'Gorman." Il focolare era spento e, se sulla stufa c'era una pentola che bolliva, il suo aroma non usciva dalle finestre sbarrate. Il batacchio d'ottone luccicante sembrava che non fosse stato più usato dal tempo della prima visita di Quinn una settimana prima. Sul prato vicino, una ragazzina di circa dieci anni con calzoncini e T-shirt, stava osservando incuriosita Quinn che aspettava davanti alla porta. Dopo qualche minuto disse: «Non sono a casa. Sono andati via circa un'ora fa.»
«Sai per caso dove sono andati?» «Non me l'hanno detto, ma ho visto Richard che caricava in macchina i sacchi a pelo, quindi penso che siano andati in campeggio. Ci vanno spesso.» La ragazzina rimase a guardare Quinn masticando pensosamente il suo chewingum. «Conosci gli O'Gorman da molto tempo?» chiese Quinn per incoraggiarla. «Praticamente da sempre. Sally è la mia migliore amica. Richard lo odio, è troppo prepotente.» «Sei mai andata in campeggio insieme a loro?» «Una volta, l'anno scorso, ma non mi sono divertita.» «Perché no?» «Avevo paura degli orsi bruni, e anche dei serpenti. Il posto dove vanno a campeggiare si chiama così proprio perché è vicino al Rattlesnake River.» «Come ti chiami, signorina?» «Miranda Knights. È un nome che odio.» «A me sembra molto carino. Ti ricordi esattamente dove vi siete fermati a campeggiare, Miranda?» «Certo, a Paradise Falls, dove il Rattlesnake si butta nel Torcido. Non sono vere cascate, sono soltanto massi da cui scendono dei rivoletti. A Richard quel posto piace perché si nasconde dietro i massi e fa il rumore dell'orso per spaventare Sally e me. Richard è orribile.» «Oh, hai ragione.» «Anche i miei fratelli sono orribili, ma loro sono più piccoli e quindi il problema non è così grave.» «Sono certo che sai come trattarli» disse Quinn. «Senti un po', Miranda, gli O'Gorman campeggiano sempre a Paradise Falls?» «Non ho mai sentito Sally parlare di un altro posto» «Sai come andarci?» «No, ma non ci vuole molto; meno di un'ora.» «Sei sicura?» «Naturalmente. L'anno scorso, quando sono andata insieme a loro e avevo paura e nostalgia di casa, la signora O'Gorman continuava a ripetermi che eravamo a meno di un'ora da casa mia.» «Grazie, Miranda.» «Prego.»
Quinn risalì in macchina, deciso a chiedere informazioni a un distributore di benzina e a mettersi subito in viaggio per Paradise Falls. Ma in quell'afoso pomeriggio, dalle strade e dai marciapiedi si alzavano ondate di calore che soffocavano la città sotto una cappa di foschia. Decise perciò di tornare al motel. Qui alzò il condizionatore al massimo e si sdraiò sul letto. Più notizie raccoglieva su Martha O'Gorman e meno aveva l'impressione di conoscerla. La sua immagine era vaga, confusa: all'inizio gli era sembrata una donna dedita alla famiglia, che ancora piangeva il marito scomparso, una donna saggia e sensibile, spaventata all'idea che l'indagine sulla sparizione del marito potesse venire riaperta. Dopo tutti i pettegolezzi, le insinuazioni e la pubblicità che aveva dovuto subire, era normale che fosse spaventata. Quello che lasciava perplesso Quinn era che durante l'inchiesta Martha aveva avuto l'opportunità di risolvere il caso per sempre e invece l'aveva respinta. Sarebbe bastato che non avesse affermato di essere stata lei ad ammaccare il paraurti facendo marcia indietro e il coroner avrebbe deciso che la macchina di O'Gorman era stata spinta fuori strada. Perché Martha si era comportata così? I motivi potevano essere solo due: o quella era la verità, oppure non poteva permettere che la giuria indagasse più a fondo su quel particolare. E di fatto così era stato: soltanto qualche scettico come Frisby era ancora convinto che Martha avesse mentito per salvare la sua pelle o quella di qualcun altro. Un'ammaccatura e qualche traccia di vernice verde, particolari insignificanti in se stessi ma che a Quinn sembravano più importanti perché sottolineavano una contraddizione nel carattere e nel comportamento di Martha O'Gorman. Era troppo malata per andare al lavoro, eppure portava i figli in campeggio; non solo, ma sceglieva proprio un posto, e secondo Miranda, la ragazzina, sceglieva sempre quello, che era il luogo dove, secondo la polizia e John Ronda, il corpo del marito era stato trascinato via dalle acque del fiume in piena. Perché continuava a tornare in quel luogo? Sperava, dopo tutti quegli anni, di ritrovare il corpo del marito incastrato tra due massi? O era invece spinta da un senso di colpa? E cosa diceva ai figli? Venite, ragazzi, andiamo a cercare papà! Il ragazzo, Richard, aveva raccolto pigne e pezzi di legno secco per il fuoco che non vedeva l'ora di accendere. Ma la madre lo trattenne: faceva sempre troppo caldo; meglio aspettare ancora un po'. Sua madre e sua sorella erano intente a preparare la cena sulla griglia:
fagioli, pannocchie di granoturco e costolette. Ogni tanto il grasso delle costolette prendeva fuoco e Sally spegneva le fiamme con una pistola ad acqua di plastica. Non maneggiava la pistola come avrebbe fatto un maschio, impugnandola come se stesse per uccidere qualcuno, ma in modo serio e solenne, come un adulto che usa un attrezzo. Richard si allontanò tutto solo; un giorno o l'altro sarebbe tornato lì da solo, senza quelle due femmine che gli guastavano l'illusione di essere un uomo che non ha paura di niente in un posto estremamente pericoloso. E invece aveva paura! Non del posto, ma del cambiamento che era avvenuto in sua madre non appena erano arrivati al campeggio. Non riusciva a capire bene che cosa fosse cambiato: la mamma parlava e si comportava come sempre e sorrideva anche, ma quando pensava che nessuno la stesse guardando i suoi occhi assumevano un'espressione triste e strana. Ma a Richard non sfuggiva una mossa. Era troppo vivace e intelligente per lasciarsi sfuggire qualche cosa, ma era ancora troppo bambino per valutare quello che vedeva. Aveva sette anni quando suo padre era scomparso. Ricordava ancora papà, anche se non sapeva distinguere bene quali fossero i suoi ricordi personali e quali invece gli episodi che la mamma gli rammentava: Ti ricordi la buffa macchinetta che papà aveva costruito con le ruote del tuo vecchio monopattino? Sì, ricordava la macchina e anche le ruote del monopattino, ma non ricordava di avere lavorato insieme al padre per costruirla. I continui riferimenti di Martha al padre, intesi a creare nel figlio una forte immagine paterna, in realtà confondevano il ragazzo che si sentiva colpevole per i suoi vuoti di memoria. S'arrampicò in cima a un masso e si sdraiò a pancia in giù immobile e silenzioso come una lucertola sotto il sole. Da quel punto poteva controllare la strada che conduceva al campeggio; ben presto sarebbero arrivate molte altre persone, il campeggio si sarebbe riempito delle grida dei bambini e nell'aria avrebbe cominciato a stagnare l'odore del fumo e degli hamburger. Per il momento non c'erano che lui, Sally e la mamma; avevano potuto scegliere la posizione migliore proprio vicino al fiume, la migliore griglia vicino a un tavolo da picnic sotto l'albero più alto. Ti ricordi la prima volta che siamo venuti qui con papà? Prima che ci accorgessimo che eri scomparso ti eri già arrampicato quasi in cima a un albero. Papà ha dovuto salire anche lui per portarti giù. Ricordava di essersi arrampicato sull'albero, ma non di essere stato ricondotto giù da nessuno. Era sempre stato molto bravo nell'arrampicarsi; perché non era ridi-
sceso da solo? Sdraiato sulla roccia calda di sole, gli venne il sospetto che forse anche i ricordi della mamma erano vaghi come i suoi, e che lei facesse solo finta che erano vividi e presenti. Il rumore di una macchina in lontananza lo riscosse; un paio di minuti più tardi vide comparire sulla strada una Ford Victoria blu e crema con un uomo al volante. Non c'era equipaggiamento da campeggio legato sul portapacchi e neanche ammonticchiato sul sedile posteriore. Richard notò questi dettagli automaticamente, senza darvi troppo peso. Ci volle ancora qualche minuto prima che gli tornasse in mente di avere già visto quella macchina circa una settimana prima mentre si allontanava dal marciapiede davanti a casa sua. Quando era entrato in cucina, aveva trovato sua madre appoggiata al muro, pallida e muta. 14 Quando vide Quinn scendere dalla macchina, disse a Sally in tono cauto e casuale: «Perché non vai a cercare Richard? La cena non sarà pronta che tra una mezz'ora. Potreste raccogliere qualche altra pigna, così potremmo dorarle per Natale.» «Stai cercando di liberarti di me?» La ragazzina diede un'occhiata a Quinn che si stava avvicinando. «Vuoi parlare da sola con lui?» «Sì.» «Si tratta di soldi?» «Non lo so, può darsi.» I soldi, o la mancanza di soldi, erano una parola chiave nella famiglia O'Gorman e i bambini avevano imparato a rispettarla. Sally si allontanò di corsa alla ricerca di suo fratello e delle pigne da decorare. Martha si voltò a fronteggiare Quinn, rigida e impettita come un soldato colto di sorpresa da un'ispezione. «Come ha fatto a trovarmi? Che cosa vuole?» «Diciamo che questa è una visita amichevole.» «No, non lo è. Posso ancora sopportare che lei perseguiti me, ma che cosa c'entrano i bambini?» «Mi dispiace, signora O'Gorman, che le cose si siano messe così. Posso sedermi?» «Se è proprio necessario.» Sedette su una delle panche attaccate al tavolo da picnic e, dopo un attimo di esitazione, Martha andò a sedersi di fronte a lui, come se avesse de-
ciso di firmare un armistizio. Anche quando si erano incontrati nella caffetteria dell'ospedale tra di loro c'era stato un tavolo. Un tavolo carico di domande, dubbi, sospetti, accuse che Quinn avrebbe voluto spazzar via con un gesto della mano e ricominciare tutto da capo. Dall'ostilità che leggeva sulla sua faccia, capiva che lei la pensava diversamente. «Non è tenuta a rispondermi, signora O'Gorman» disse sottovoce «ufficialmente non ho alcuna autorità per farle domande.» «Lo so benissimo.» «Di fatto potrebbe anche ordinarmi di allontanarmi dal campeggio.» «Il campeggio appartiene alla contea» rispose la donna con un vago gesto della mano «lei può restare su questo spazio pubblico come chiunque altro.» «Le piace questo posto?» «Sono tanti anni che veniamo qui, da quando è nata Sally.» La notizia colse Quinn di sorpresa; aveva immaginato che Martha O'Gorman avesse cominciato a venire qui dopo la scomparsa del marito. In realtà aveva solo conservato un'abitudine cominciata molti anni prima. Questo non faceva che confermare quello che Quinn pensava del suo carattere: Martha cercava di continuare a vivere, per quanto possibile, come aveva fatto prima della sparizione, o della morte, del marito, come se, ripetendo gli stessi gesti di un tempo, avesse potuto, per magia, rievocare il suo spirito. «Allora suo marito conosceva bene questa zona, il fiume e tutto il resto?» «L'aveva esplorata centimetro per centimetro decine di volte, come me del resto.» Lo guardò fisso negli occhi come se lo sfidasse a trarre conclusioni azzardate. Ma non era necessario che lo facesse: se O'Gorman aveva organizzato la sua sparizione, l'aveva fatto basandosi sulla perfetta conoscenza dei luoghi. «Lo so a cosa sta pensando» disse Martha «ma si sbaglia.» «Mi sbaglio?» «Mio marito è stato ucciso.» «Una settimana fa affermava che era morto in un incidente; sembrava molto sicura di questo.» «Ho avuto un buon motivo per cambiare opinione.» «Quale motivo, signora O'Gorman?» «Non posso dirglielo.»
«Perché no?» «Non mi fido di lei» affermò con sicurezza «proprio come lei non si fida di me.» Quinn rimase in silenzio per qualche minuto, poi rispose: «Vorrei tanto che potessimo avere più fiducia l'uno nell'altra, signora O'Gorman.» «Be', non è così.» Si alzò e andò a togliere le costolette dal fuoco: erano nere quasi come il carbone su cui erano state cotte. «Mi spiace di aver rovinato la sua cena, signora O'Gorman.» «Non l'ha rovinata. Richard è come suo padre, mangia la carne solo se è bruciata, perché così gli ricorda meno il fatto che si tratta di animali. Richard ama le bestie, come le amava Patrick.» «Adesso è sicura che suo marito sia morto?» «Ne sono sempre stata sicura. Era il modo in cui era morto che mi lasciava dubbiosa.» «Però recentemente, anzi, proprio questa settimana, ha deciso che è stato assassinato.» «È così.» «Ne ha parlato con le autorità?» «No» nei suoi occhi balenò un lampo d'insofferenza «e non ho intenzione di farlo. Io e i bambini abbiamo già sofferto abbastanza. Il caso O'Gorman è chiuso e così deve restare.» «Anche se lei ha delle prove che potrebbero riaprirlo?» «Chi le ha messo in testa questa idea?» «Una conversazione che ho avuto oggi pomeriggio con la madre di George Haywood. La signora Haywood non sa resistere alla tentazione di ascoltare da un'estensione quando qualcuno sta parlando al telefono.» «Ah!» «È tutto quello che ha da dire?» «Tutto.» «Signora O'Gorman, non è sufficiente. Se lei è in possesso di una prova che suo marito è stato assassinato, è suo dovere avvertire la polizia.» «Davvero?» rispose stringendosi con indifferenza nelle spalle. «Penso che avrei dovuto pensarci prima di bruciarla.» «Lei ha bruciato la lettera?» «L'ho bruciata.» «Ma perché?» «Tanto il signor Haywood che io pensavamo che fosse la soluzione mi-
gliore.» «Lei e il signor Haywood» ripeté Quinn. «E da quanto tempo chiede e segue i consigli di George Haywood?» «Questa è una cosa che non la riguarda.» «Invece in un certo senso mi riguarda.» «In quale senso?» «Devo scoprire contro cosa devo battermi perché credo di essermi innamorato di lei.» La risata fu breve e sferzante. «Andiamo, signor Quinn, inventi un'altra scusa.» «Sono contento comunque di essere riuscito a divertirla.» «Non sono affatto divertita; sono stupefatta che lei mi consideri così ingenua da bermi una forma di adulazione così ovvia. Davvero si aspettava che le credessi? Davvero pensava che fossi così lusingata da...» «Basta.» Tacque, più per sorpresa che perché lui glielo avesse ordinato. «Ho fatto una dichiarazione, signora O'Gorman. Lei può esserne divertita, sorpresa o quello che preferisce, ma io non ritiro quello che ho detto. Adesso, se preferisce, può dimenticare le mie parole.» «Credo sia meglio che le dimentichiamo tutti e due.» «Come vuole.» «Lei mi confonde. È così... imprevedibile.» «Nessuno è imprevedibile quando si ha il tempo e la pazienza di prevedere.» «Per favore, la smetta di parlarmi di cose così personali! Mi turba e non so più cosa pensare.» «Be', non vada a chiederlo a George. Fino a ora i suoi consigli non sono stati un granché. È stata sua l'idea di bruciare la lettera?» «No, è stata mia, ma anche George era d'accordo, perché pensava che si trattasse di uno scherzo di cattivo gusto.» «Chi gliel'ha scritta, signora O'Gorman?» Martha alzò gli occhi al cielo; il sole stava per tramontare e i suoi raggi rossi si riflettevano sul viso della donna. «Non c'era firma e la scrittura mi era sconosciuta. Ma veniva da un uomo che affermava che mio marito era stato ucciso nel febbraio di cinque anni fa.» Quinn ebbe l'impressione che sarebbe bastato un gesto o una parola di comprensione per farla scoppiare in lacrime, perciò tacque. «La lettera veniva da un ufficio postale locale?»
«No, veniva da Evanston, Illinois.» «E il contenuto?» «Diceva di avere scoperto di avere un cancro ai polmoni e prima di morire voleva mettersi in pace con Dio e con la sua coscienza confessando i suoi peccati.» «Le ha dato qualche dettaglio sul delitto?» «Sì.» «E ha detto perché l'ha ucciso?» «Sì.» «E allora?» Scosse la testa, lentamente, con una smorfia del viso, come se il movimento le causasse dolore. «No, non posso dirlo! Mi vergogno troppo.» «Non si è vergognata però di telefonare a George Haywood e di invitarlo a casa sua a leggere la lettera.» «Avevo bisogno del suo parere, del parere di un uomo esperto.» «Anche John Ronda è un uomo esperto ed è anche un suo amico.» «È anche il direttore di un giornale e un pettegolo inguaribile» ribatté Martha amaramente. «Il signor Haywood è diverso. Ero sicura di potermi fidare della sua discrezione. E poi c'era anche un altro motivo: il signor Haywood conosceva mio marito; pensavo che fosse in grado di giudicare l'accusa contro di lui che la lettera conteneva.» «Vuol dire un'accusa contro suo marito?» «Certo. Era una cosa terribile. Non potevo crederci; nessuna moglie potrebbe crederci. Eppure...» la voce, che fino ad allora non era stata più di un sussurro, tacque. «Eppure lei ci ha creduto, signora O'Gorman?» «Non volevo, sa Dio che non volevo. Ma già da qualche tempo prima della morte di mio marito, mi ero accorta che c'era un angolo oscuro nelle nostre vite. Mi sforzavo di comportarmi come se non esistesse; non sapevo decidermi a fare luce e a scoprire che cosa nascondeva quel buio. Poi è arrivata questa lettera e si è fatta luce, che io lo volessi o no» si strofinò gli occhi come per allontanare il ricordo «mi sono lasciata prendere dal panico e ho telefonato a George Haywood. Adesso mi rendo conto che è stato un errore, ma ero disperata. Dovevo parlare con qualcuno che aveva conosciuto Patrick e che aveva lavorato accanto a lui. Un uomo, doveva trattarsi di un uomo.» «Perché?» Contrasse la bocca in una smorfia che voleva essere un sorriso. «È più
facile ingannare le donne, anche quelle intelligenti; anzi, specialmente le più intelligenti. Il signor Haywood è venuto subito e quando è arrivato io ero sulla soglia di una crisi isterica. Si è comportato con molta calma, anche se ho avuto l'impressione che anche lui fosse molto nervoso.» «E che cosa ha detto della lettera?» «Ha detto che erano un mucchio di stupidaggini. Che quando viene commesso un delitto ci sono sempre psicopatici smaniosi di confessarsi colpevoli. Sapevo che era vero, naturalmente, ma c'era qualcosa di così reale e commovente in quella lettera, e poi i dettagli sul delitto erano precisissimi. Se chi scriveva era uno psicopatico, le sue turbe non gli avevano alterato la memoria o la capacità di scrivere.» «Spesso succede proprio così.» «Ho considerato anche la possibilità che Patrick fosse vivo e che avesse scritto lui stesso quella lettera. Ma c'erano cose che non andavano: prima di tutto non era il suo stile, poi la lettera era indirizzata alla signora O'Gorman, Chicote, California. Patrick si sarebbe certo ricordato qual era il nome e il numero della strada dove aveva vissuto. E poi non era la calligrafia di Patrick: lui era mancino e scriveva con una forte inclinazione a sinistra. Ma la cosa che soprattutto mi ha convinto che non poteva essere una lettera di Patrick era l'accusa che la lettera conteneva. Nessun uomo ammetterebbe mai una cosa simile nei propri riguardi.» «Chi scriveva affermava di conoscere bene suo marito?» «No, non l'aveva mai visto prima di quella sera. Affermava di essere un vagabondo che si era accampato vicino al fiume. Quando il tempo era diventato troppo cattivo, aveva deciso di raggiungere Bakersfield e si era messo sul ciglio della strada in attesa che qualcuno gli desse un passaggio. Patrick si era fermato e l'aveva caricato. Poi Patrick... oh! mio Dio, non posso crederci. Non voglio!» Quinn sapeva che ci credeva e che non sarebbero bastate le lacrime a cancellare la sua convinzione. Piangeva silenziosamente, coprendosi il viso con le mani e le lacrime si insinuavano tra le dita e le scivolavano lungo i polsi. «Signora O'Gorman, Martha! Mi ascolti, Martha. Forse Haywood aveva ragione e quella lettera era soltanto uno scherzo sadico.» Alzò la testa e lo fissò tra le lacrime come una bambina derelitta. «Chi può odiarmi tanto?» «Non lo so, ma una persona psicologicamente instabile può odiare chiunque anche senza ragione. Qual era il tono generale della lettera?»
«Dolore e rimorso. E anche paura, sì, paura della morte. E odio, ma non contro di me. Sembrava che odiasse se stesso per quello che aveva fatto, e Patrick che l'aveva indotto a farlo.» «Suo marito gli aveva rivolto molestie sessuali, è così, Martha?» La risposta fu più un gemito che un'ammissione. «È per questo che ha bruciato la lettera invece di mostrarla alla polizia?» «Dovevo distruggerla, per il bene dei bambini, per me stessa, e anche per il buon nome di Patrick, non capisce?» «Sì, certo che capisco.» «Non avevo niente da guadagnare andando alla polizia e tutto da perdere. E dovevo difendere la tranquillità dei bambini e il loro buon nome. Anche se lei andasse alla polizia a ripetere quello che le ho detto, non potrebbero fare niente, perché io negherei tutto. E lo farebbe anche il signor Haywood, ho la sua parola d'onore: quella lettera non è mai esistita.» «Immagino che lei sappia che la sottrazione di prove nel caso di un delitto è un reato molto grave.» «Da un punto di vista legale può darsi che lo sia, ma questo ora non mi riguarda. Non me ne importa niente se un assassino resta impunito per colpa mia; troppe persone innocenti dovrebbero pagare insieme a lui. Legge e giustizia non sempre sono la stessa cosa, o lei è troppo giovane e illuso per essersene accorto?» «Non giovane e certamente neanche illuso.» Martha lo fissò intensamente col viso grave e triste alzato verso di lui: «Credo che lei sia l'una e l'altra cosa.» «Come preferisce.» «Lei vorrebbe che io corressi alla polizia, non è vero?» «No, vorrei soltanto...» «Sì, che lo vorrebbe. Lei davvero è convinto che quando la legge pretende occhio per occhio e dente per dente l'ottiene? Be', si sbaglia. Se fosse necessario, sarei pronta a giurare su una pila di Bibbie di fronte alla Corte Suprema di non aver mai ricevuto una lettera riguardante mio marito.» «E George sarebbe disposto a fare lo stesso?» «Sì.» «Perché è innamorato di lei?» «Lei ha una mentalità molto romantica, mi pare» rispose Martha freddamente. «No, il signor Haywood non è innamorato di me. Semplicemente vede la situazione come la vedo io. Sia che si sia trattato di uno scherzo, come pensa lui, o che quella lettera contenga la verità, come penso io, sia-
mo tutti e due convinti che divulgare quella lettera sarebbe un errore colossale. Per questo l'ho bruciata. Vuole sapere dove l'ho bruciata? Nell'inceneritore, così che anche il più piccolo granello di cenere venga disperso nel vento. Adesso quella lettera esiste soltanto nella mente dell'uomo che l'ha scritta e nella mia e in quella del signor Haywood.» «E nella mia.» «No, signor Quinn, non nella sua, perché lei non l'ha mai vista. Lei non può essere sicuro che sia mai esistita. Potrei essermela inventata, non le pare?» «No, non credo.» «Vorrei che fosse così, vorrei averla inventata!» Quali che fossero i suoi desideri in quel momento, il vento li aveva dispersi, come la cenere della lettera. Benché lo stesse guardando, Quinn ebbe la sensazione che non lo vedesse neppure, che i suoi occhi fossero fissi in un punto del passato più felice e più innocente di questo. «Martha...» «Per favore, non voglio che lei mi chiami Martha.» «Ma è il suo nome.» «Io sono la signora O'Gorman» ribatté alzando orgogliosamente il mento. «Questa è acqua passata, Martha, si svegli; il sogno è finito, si sono riaccese le luci.» «Non voglio che le luci si riaccendano.» «Ma è così; l'ha detto lei stessa.» «Non riesco a sopportarlo» mormorò «credevo che fossimo una famiglia così felice... poi è arrivata quella lettera, e tutto si è trasformato in fango. Ormai è troppo tardi per fare pulizia, per liberarmi di quel fango e quindi devo fingere! Devo continuare a fingere.» «Se continuerà a fingere finirà come un pesce impigliato nella rete. Io non posso fermarla, ma voglio metterla in guardia: lei sta esasperando la situazione. La sua vita non si è trasformata da uno scenario di rose e chiaro di luna in fango soltanto perché ha scoperto che O'Gorman era un omosessuale. Nella sua vita c'è sempre stato un po' di chiaro di luna, qualche rosa e anche un po' di fango, come nella vita di tutti. Lei non è un'eroina tragica scelta per interpretare un ruolo speciale, e O'Gorman non era un eroe e neanche un malvagio; era soltanto un uomo sfortunato. L'ultima volta che ci siamo parlati mi ha detto di essere una donna realistica; ne è ancora convinta?»
«Non lo so; pensavo di esserlo. Mandavo avanti le cose di ogni giorno in modo che tutto funzionasse bene.» «Compreso O'Gorman.» «Sì.» «Lei si faceva in quattro per nascondere gli errori e le debolezze di O'Gorman e adesso, che si è resa conto di essersi fatta in quattro per niente, non riesce a darsi pace. Prima annuncia orgogliosamente di essere la signora O'Gorman, e subito dopo si lamenta di affogare nel fango. Quando si deciderà a raggiungere un compromesso?» «Questi non sono affari suoi.» «E invece da ora in poi lo saranno.» Lo guardò spaventata. «Che cosa ha intenzione di fare?» «Fare? Che cosa posso fare io» chiese Quinn stancamente «se non aspettare che lei si stufi di andare da un estremo all'altro? Può darsi che prima o poi lei decida di accontentarsi di qualcosa peggio del paradiso, ma meglio dell'inferno. Crede che sia possibile?» «Non lo so, e poi non è questo il momento di parlarne.» «Perché no?» «Sta facendosi buio e devo richiamare i bambini.» Si alzò tremando, come tremava la sua voce. «Vuole restare a cena con noi?» «Mi piacerebbe molto, ma non credo che sia l'occasione giusta. Non voglio che i suoi bambini mi considerino un intruso che sciupa loro il piacere del campeggio. Questo posto appartiene soltanto a loro, a lei e a O'Gorman. Aspetterò fino a che non avrò trovato un posto che possiate dividere tutti e tre insieme a me.» «Per favore, non dica così, ci conosciamo appena.» «Quando ci siamo visti l'ultima volta, lei mi ha detto qualcosa che al momento mi ha convinto: mi ha detto che ero troppo vecchio per imparare ad amare. Non è vero, Martha. La verità è che fino a ora ero troppo giovane e spaventato per imparare.» Martha aveva abbassato il capo, voltandogli le spalle e Quinn poteva vedere il suo collo bianco, che contrastava con il viso abbronzato. «Non abbiamo niente in comune, niente» mormorò. «Come fa a saperlo?» «John Ronda mi ha parlato di lei; mi ha detto come vive, dove lavora. Io non potrei mai adattarmi a una vita del genere e non sono tanto sciocca da pensare di poterla cambiare.» «Il cambiamento è già iniziato.»
«Davvero?» Sorrideva, ma la voce era sempre triste. «Prima le ho detto che era un illuso; ora mi accorgo che lo è davvero. La gente non cambia solo perché vuole farlo.» «Lei è stata colpita da troppi dispiaceri, Martha, e adesso è disillusa.» «E come si fa a tornare a credere nelle illusioni?» «Non posso rispondere per gli altri, ma per me è accaduto.» «Quando?» «Non molto tempo fa.» «Come?» «Non ne sono sicuro.» Ricordava il momento esatto in cui quel cambiamento era iniziato, il profumo pungente dei pini, la luna che spuntava tra le cime degli alberi e le stelle che trapuntavano il cielo come capocchie di spilli scintillanti. E la voce di Sorella Benedizione, con una punta di impazienza, che diceva: "Non ha mai visto il cielo prima d'ora?" "Mai un cielo come questo!" "Il cielo è sempre lo stesso." "Questo a me sembra diverso." "Crede che la sua possa essere un'esperienza religiosa?" "No, sto ammirando l'universo." Martha lo osservava con un misto di interesse e di ansietà. «Che cosa le è successo, Joe?» «Credo di essermi nuovamente innamorato della vita. Ho ricominciato a fare parte del mondo dopo un lungo esilio. E la cosa più buffa è che questo è accaduto nel posto meno mondano del mondo.» «La Torre?» «Esattamente.» Alzò gli occhi verso l'ultima tenue luce del cielo. «La settimana scorsa, dopo averla lasciata, sono tornato alla Torre.» «Ha visto Sorella Benedizione? Le ha chiesto perché l'ha assunto per cercare Patrick?» «Gliel'ho chiesto, ma non mi ha risposto. Dubito che mi abbia sentito.» «Perché? Stava male?» «In un certo senso: era malata di paura.» «Paura di cosa?» «Di non andare in paradiso. L'avermi assunto, anzi, il solo fatto di avere stabilito un contatto con me, costituisce un peccato grave. Inoltre non aveva consegnato al fondo comune una certa somma di danaro e la parola "danaro" per il Maestro è al tempo stesso sacra e blasfema. È un uomo strano, autoritario, forte e decisamente pazzo. Tiene strettamente in pugno il suo gregge e più il gregge si assottiglia, più la stretta si fa spasmodica e più le minacce e le punizioni si fanno severe. Persino i suoi vecchi seguaci,
come sua moglie e Sorella Benedizione, cominciano a dare segni di insofferenza. Quanto ai giovani, è solo questione di tempo e poi fuggiranno dalla Torre.» Quinn ripensò al viso sofferente di Sorella Contrizione mentre conduceva i suoi figli dagli occhi ribelli nella sala da pranzo comune e alla voce querula di Madre Purezza che era già fuggita dalla Torre per tornare a vivere nella casa piena di luce della sua fanciullezza insieme al suo amato servo Capirote. «Tornerà laggiù?» chiese Martha. «Sì, l'ho promesso e devo tornare. Devo dire a Sorella Benedizione che l'uomo che mi aveva detto di trovare è morto.» «Non parlerà della lettera?» «No.» «Con nessuno?» «Con nessuno.» Quinn si alzò. «Adesso devo andare. Quando la rivedrò, Martha?» «Non lo so; in questo momento sono molto confusa a causa della lettera e... per quello che lei mi ha detto.» «È venuta qui per fuggire da me?» «Sì.» «E le dispiace che l'abbia trovata?» «Non posso risponderle. La prego, non me lo chieda.» «Come vuole.» Quinn tornò alla sua macchina; quando si voltò indietro, vide Martha che stava accendendo il fuoco; le fiamme illuminavano il suo viso rendendolo caldo e vivace, come l'aveva visto nella caffetteria dell'ospedale quando per la prima volta gli aveva parlato del suo matrimonio con O'Gorman. «Siamo tornati appena abbiamo sentito la macchina che si allontanava» disse Richard. Aveva annusato il mistero nell'aria insieme al fumo delle fiamme. «Chi è quell'uomo?» «Un mio amico.» «Tu non hai molti boy-friend!» «No. Ti piacerebbe se li avessi?» «Penso che sarebbe bello.» «No che non lo sarebbe» intervenne Sally «le mamme non hanno boyfriend.»
«Qualche volta ne hanno» disse Martha cingendo con un braccio le spalle della ragazzina «quando non hanno più un marito.» «Perché?» «Gli uomini e le donne di solito si interessano gli uni degli altri e qualche volta si sposano.» «E hanno dei bambini?» «Sì, qualche volta.» «Quanti bambini pensi che avrai tu?» «Questa è la domanda più stupida che abbia mai sentito in vita mia» rispose Richard con disprezzo «non si hanno bambini quando si è vecchi e coi capelli grigi.» «Questo non è molto gentile, non ti pare, Richard?» disse Martha più bruscamente di quanto avrebbe voluto. «Caspita, no, ma tu sei mia madre. Alle mamme non si fanno i complimenti.» «Sarebbe carino se qualche volta tu mi facessi una sorpresa. A proposito, i miei capelli sono castani, non grigi.» «Accidenti! Era soltanto un modo di dire!» «Be', è un modo di dire che non mi piace, chiaro?» «Accidenti» ripeté Richard «come sei suscettibile questa sera. Non ti si può dire niente senza essere rimbeccati. Quando mangiamo?» «Servitevi da soli» rispose Martha freddamente «mi sento troppo decrepita per sollevare quella griglia.» Richard la guardò a bocca aperta spalancando gli occhi. «Caspiterina! Non ti comporti neanche più come una mamma!» Quando i ragazzi si furono addormentati nei loro sacchi a pelo, Martha tirò fuori uno specchio per esaminare il suo viso alla luce delle fiamme. Era tanto tempo che non si guardava allo specchio con interesse, e si sentì depressa da quello che vide. Vide un viso normale, sano e intelligente, il tipo di viso che poteva attrarre l'attenzione di un vedovo con figli che aveva bisogno di qualcuno che gli mandasse avanti la casa, ma che non poteva avere nessuna attrazione per un giovane scapolo come Quinn. "Mi sono comportata come un'idiota" pensò "per un attimo gli ho quasi creduto. Dovrei credere a Richard, invece." 15 Mentre rientrava al motel, Quinn passò davanti all'edificio che ospitava
il Beacon. Le luci erano ancora accese. Non era particolarmente ansioso di incontrare Ronda, perché c'erano troppe cose che non poteva raccontargli, ma era certo che, se Ronda avesse scoperto che era in città e non era andato a trovarlo, sarebbe diventato sospettoso. Parcheggiò la macchina ed entrò. Ronda era solo, intento a leggere il Chronicle di San Francisco e a bere una lattina di birra. «Salve, Quinn! Si sieda, si metta comodo. Vuole una birra?» «No, grazie.» «Ho sentito che era tornato in città. Che cosa ha fatto per tutta la settimana? Ha seguito una pista?» «No, ho fatto la baby-sitter a un finto ammiraglio un po' pazzo a San Felice.» «Ci sono novità?» «Che tipo di novità?» «Lo sa benissimo! Ha scoperto niente di interessante sul caso O'Gorman?» «Niente che si possa stampare: voci, pettegolezzi, ma nessuna prova concreta. Comincio a convincermi che la sua teoria dell'autostoppista sia esatta.» Ronda lo guardò, tra lo scettico e il compiaciuto: «Davvero? E come mai?» «Mi sembra la più convincente.» «Questa è l'unica ragione?» «Certamente, perché?» «Voglio solo controllare; pensavo che avesse scoperto qualche cosa che preferisce tenere segreto.» Ronda buttò la lattina vuota nel cestino. «Visto che ha avuto da me la maggior parte delle informazioni, non sarebbe sportivo da parte sua tenermi nascosto qualche cosa, non le pare?» «Certamente» rispose Quinn abbassando virtuosamente lo sguardo. «Considererei molto poco sportivo un simile comportamento.» «Sto parlando sul serio, Quinn!» «Anch'io.» «Bene, allora ricominciamo da capo; che cosa ha fatto durante la settimana?» «Gliel'ho già detto prima: mi sono trovato un lavoro a San Felice.» Quinn capì che doveva raccontare qualcosa a Ronda se non voleva suscitare i suoi sospetti. «E mentre ero lì ho parlato con la sorella di Alberta
Haywood. Non ho scoperto molto su O'Gorman, ma ho avuto qualche notizia su Alberta e così sono andato a trovarla nella prigione di Tecolote.» «L'ha vista? Personalmente?» «Sì.» «Che mi pigli un accidente! Come ha fatto? Sono anni che cerco di ottenere un colloquio!» «Ho la licenza di investigatore privato rilasciatami nel Nevada. La polizia di solito è lieta di collaborare.» «Be', come sta?» chiese Ronda sporgendosi ansiosamente dalla scrivania. «Che cosa le ha detto? Di che cosa avete parlato?» «Di O'Gorman.» «O'Gorman, maledizione! È proprio quello...» «Prima che lei si ecciti troppo è meglio che sappia che le sue reazioni nei confronti di O'Gorman non sono molto razionali.» «Che cosa significa?» «Significa che è convinta che tutto il baccano che si è fatto a proposito del caso O'Gorman le abbia fatto perdere il potere di concentrazione e di conseguenza commettere l'errore che l'ha spedita in prigione. Ha persino cercato di convincermi che O'Gorman aveva pianificato deliberatamente la sua sparizione per punirla di averlo snobbato e per punire George che l'aveva licenziato.» «Dà la colpa a O'Gorman di tutto questo?» «Già.» «È pazzesco. Significherebbe che O'Gorman era al corrente dei suoi furti almeno un mese prima dell'arrivo degli ispettori e che aveva calcolato le conseguenze che la sua sparizione avrebbe avuto su di lei. Non si accorge che è impossibile?» «Quella donna è oppressa da un senso di colpa, non si occupa di calcolo delle probabilità. Rifiuta nel modo più assoluto l'idea che O'Gorman possa essere morto perché, e sono parole sue, se è stato ucciso, lei non ha più nessuno su cui scaricare la colpa della sua incarcerazione. Dovrebbe biasimare solo se stessa, e ancora non è pronta a farlo; forse non lo sarà mai.» «Ma ha perso completamente la testa?» «Forse non completamente, ma non è facile starle dietro.» «Che cosa l'ha ridotta in questo stato?» «Se stessi cinque anni rinchiuso in una cella mi ridurrei anch'io così» rispose Quinn. Il ricordo della scena nel carcere lo riempiva di disgusto e di disprezzo.
Non per Alberta, ma per la società che isola una parte dei suoi membri per accontentare gli altri e poi si lamenta perché perdono la ragione. «Non posso stampare quello che mi ha raccontato» disse Ronda che passeggiava nervosamente avanti e indietro come se si trovasse anche lui in una cella «molta gente non approverebbe.» «Certamente.» «George Haywood è al corrente di tutto questo?» «Credo di sì: va a farle visita una volta al mese.» «Come l'ha scoperto?» «Me l'hanno detto in molti, anche Alberta me l'ha confermato. Le visite di George sono penose per lei e forse anche per lui, eppure continua ad andarci.» «Allora la storia che l'aveva ripudiata era solo una balla per tener tranquilla la vecchia madre.» «La vecchia madre e forse anche altri.» «George è sempre stato strano» disse Ronda fissando il soffitto «non riesco a capirlo. Prima è talmente chiuso in se stesso da non volermi dire neanche che ore sono, poi capita qui a salutarmi come se fossi stato un suo fratello e a raccontarmi che è in partenza per le Hawaii.» «Perché lei lo pubblichi sul Beacon, secondo me.» «Ma se prima non voleva mai comparire sulle pagine mondane! Si arrabbiava persino quando includevo il suo nome nella lista degli ospiti. Come mai questo improvviso cambiamento?» «Ovviamente perché vuole che tutti sappiano che è andato alle Hawaii.» «Questo è in contrasto col carattere di George.» «Ci sono un mucchio di cose che contrastano nel suo carattere! Be', adesso devo andare; le ho già fatto perdere troppo tempo.» «Non c'è fretta» disse Ronda aprendo un'altra lattina di birra «ho avuto un piccolo bisticcio con mia moglie e preferisco non rientrare a casa fino a che non si sarà un po' calmata. È sicuro di non volere una birra?» «Sicuro.» «A proposito, ha più visto Martha O'Gorman dopo il suo ritorno in città?» «Perché?» «Mia moglie ha telefonato in ospedale oggi pomeriggio per invitarla a cena domenica sera, ma le hanno detto che non era andata al lavoro perché non si sentiva bene. Quando mia moglie è passata da casa sua per chiederle se avesse bisogno di qualche cosa, la macchina era sparita e in casa non
c'era nessuno. Pensavo che lei ne sapesse qualche cosa.» «Lei mi sopravvaluta, Ronda. Ci vediamo.» «Aspetti un minuto» lo fermò Ronda quando già stava per uscire «ho l'impressione che ci sia qualche cosa che non va in lei.» «Lo pensano in molti, non si preoccupi.» «Sì che mi preoccupo! Ho l'impressione che lei mi stia nascondendo qualche cosa, forse qualche cosa di molto importante. Non sarebbe simpatico, le pare? Io sono un suo amico, un compagno, un socio; le ho prestato il mio archivio personale sul caso O'Gorman.» «Lei è stato fantastico! Buona notte, amico, compagno, socio. Mi dispiace per quella sua strana impressione; provi a prendere un paio di aspirine, forse le passerà.» «Lei crede?» «Potrei sbagliarmi, naturalmente.» «Certo che si sbaglia, maledizione! Non può fare fesso un vecchio giornalista come me! Ho intuito, io.» Ronda si alzò barcollando per aprire la porta, e Quinn si chiese da quanto tempo stesse bevendo birra e se questo c'entrasse in qualche modo con il suo potere d'intuizione. Quando si ritrovò in strada, respirò sollevato. Soffiava una brezza leggera che aveva fatto riversare per le strade metà della popolazione di Chicote. La città, che a mezzogiorno era deserta, con il calar del sole aveva ripreso a vivere. Arrivato al motel, Quinn parcheggiò la macchina in garage e stava per richiudere la porta quando si sentì chiamare: «Signor Quinn! Joe!» Si voltò e vide Willie King appoggiata alla parete del garage come se stesse per sentirsi male. Il suo viso era pallido come i fiori di gelsomino che si arrampicavano sul muro e gli occhi erano opachi. «Sono ore che l'aspetto. Mi sono sembrate ore. Io... non so che cosa fare.» «Willie, è un'altra delle sue scene drammatiche?» «No, no, non sto recitando, è vero!» «Vero?» «La smetta! Non capisce quando si recita e quando no?» «Nel suo caso non capisco.» «Molto bene allora» disse sforzandosi di ritrovare la sua dignità «non voglio disturbarla oltre.» Quando la ragazza si mosse, Quinn si accorse che indossava un vecchio
paio di scarpe da tennis. Gli sembrò strano che avesse messo un paio di scarpe da tennis prima di venire a recitare te sua piccola sceneggiata: «Willie! Che cosa succede?» Dopo un attimo di esitazione, Willie si voltò: «Tutto, la mia vita, tutta la mia vita è in pezzi.» «Vuole venire a parlarne in camera mia?» «No.» «Non vuole parlarne?» «Non voglio venire in camera sua. Non sarebbe corretto.» «Forse ha ragione» disse Quinn sorridendo «c'è un cortiletto qua dietro; potremmo sederci lì se preferisce.» Il cortile consisteva in pochi metri quadrati di erba attorno a una minuscola piscina brillantemente illuminata. Nella piscina non c'era nessuno ma sul cemento si vedevano le impronte dei piedi di un bambino e una piccola pinna azzurra galleggiava sull'acqua. Il cortile era diviso dalla strada da piante di oleandro in fiore. I mobili da giardino erano già stati ammonticchiati per la notte, così sedettero sull'erba ancora calda di sole. Willie sembrava imbarazzata e pentita di essere venuta. «Com'è verde l'erba» disse debolmente «è difficile mantenere bene un prato con un clima come questo. Bisogna mantenere l'irrigatore in funzione praticamente tutto il giorno e...» «È di questo che voleva parlarmi? Dell'erba?» «No.» «E allora di che cosa si tratta?» «Di George; se ne è andato.» «Mi pare che questo lo sapesse già.» «Se ne è andato sul serio e nessuno sa dove. Nessuno!» «Ne è sicura?» «Di una cosa sono certa: non è andato alle Hawaii.» Le si spezzò la voce e portò una mano alla gola come se cercasse di riparare al guasto causatole dall'emozione. «Mi ha mentito. Avrebbe potuto confessarmi qualsiasi cosa su se stesso e io avrei continuato ad amarlo. E invece mi ha deliberatamente mentito, mi ha trattato come un'idiota.» «Come ha fatto a scoprirlo, Willie?» «Oggi pomeriggio, dopo che lei se n'è andato, ho cominciato ad avere dei sospetti; non so perché, ma mi è venuta l'idea di essere stata abbindolata. Ho telefonato a Los Angeles a tutte le linee aeree che hanno voli per le
Hawaii. Ho raccontato loro una storia, che c'era un'emergenza in famiglia e che dovevo assolutamente mettermi in contatto con il signor Haywood. Hanno controllato la lista dei passeggeri di martedì e di mercoledì, ma non c'è nessun George Haywood a bordo.» «Potrebbero aver commesso un errore» ribatté Quinn «o George potrebbe aver viaggiato sotto falso nome. È possibile.» Willie avrebbe voluto credergli, ma non poteva. «No, è scappato, ne sono sicura: da me, da sua madre e dai nostri litigi a causa sua. Credo che non ce la facesse più a sopportarli; non riusciva a fare una scelta tra sua madre e me e così ha dovuto scappare da tutte e due.» «Questa sarebbe stata una vigliaccheria e, da quanto ho sentito, George non è un vigliacco.» «Forse sono stata io, involontariamente, a costringerlo ad agire così. Per lo meno ho una soddisfazione: non ha detto la verità nemmeno a lei. Avrei voluto essere andata a casa sua invece di telefonarle, per poter vedere l'espressione della sua vecchia faccia quando ha scoperto che il suo adorato George dopo tutto non era andato alle Hawaii.» «Le ha telefonato?» «Sì.» «Perché?» «Ho voluto farlo; volevo che anche lei soffrisse come stavo soffrendo io, che si torturasse, come mi sto torturando io, chiedendomi se George tornerà oppure no.» «Non le sembra di essere un po' melodrammatica? Che cosa le fa pensare che George non debba più tornare?» Scosse la testa, sconsolata. «C'è qualche altra cosa che non mi ha detto, Willie?» «Solo che negli ultimi tempi aveva qualcosa per la testa di cui non parlava con nessuno.» «Quando dice "ultimi tempi" intende dire dopo il mio arrivo a Chicote?» «Ancora da prima; anche se le cose sono peggiorate dopo che lei ha cominciato ad andare in giro a fare domande.» «Forse aveva paura delle mie domande» osservò Quinn «e il motivo per cui ha lasciato la città è che voleva allontanarsi da me, non da lei o da sua madre.» Willie rimase silenziosa per qualche minuto, poi chiese: «Perché dovrebbe avere paura di lei? George non ha niente da nascondere, be' a parte forse la storia di quella sera quando io l'ho adescata nel bar.»
«Era stata un'idea di George?» «Sì.» «E qual era la ragione di quella sceneggiata?» «Mi ha detto» dal tono della voce si capiva che ormai Willie non credeva più ciecamente a quello che George le aveva detto «che lei avrebbe potuto essere un piccolo imbroglione che intendeva organizzare un'estorsione. Voleva che io la tenessi occupato mentre lui perquisiva la sua stanza.» «Come faceva a sapere qual era la mia stanza, o anche che io fossi in città?» «Sono stata io a dirglielo. L'avevo sentita parlare nell'ufficio di Ronda quel pomeriggio. L'avevo sentita nominare Alberta Haywood e ho pensato che fosse meglio avvertire George immediatamente. Allora lui mi ha detto di seguirla e di scoprire chi era e dove aveva preso alloggio.» «Allora non è stato il nome di O'Gorman che ha attirato la sua attenzione, ma quello di Alberta?» «Il suo nome non era stato fatto esplicitamente, ma Ronda aveva accennato a una bella donnina che era stata trovata con le mani nel sacco in una banca e non poteva essere che Alberta.» «Si precipita sempre al telefono ad avvertire George tutte le volte che qualcuno fa il nome di Alberta?» «No, ma lei aveva suscitato i miei sospetti. Aveva un'aria da ficcanaso che non mi convinceva. Inoltre credo di avere approfittato dell'occasione per sembrare importante agli occhi di George. Non mi capita spesso» aggiunse tristemente «io sono una donna comune e non è facile competere con tutto quel germe di grano, latte di tigre e altra roba del genere a cui fa ricorso la signora Haywood per far apparire tutte le altre donne banali.» «Lei sta sviluppando un complesso nei riguardi di quella vecchia signora, Willie!» «Non posso evitarlo. Qualche volta penso che il vero motivo per cui mi sono innamorata di George è che sua madre era assolutamente contraria al fatto che noi ci mettessimo insieme. Ciò che sto dicendo può sembrare terribile, ma quella donna è un mostro, Joe. Dico sul serio. Più passa il tempo e più credo di capire perché Alberta abbia commesso tutti quei reati: l'ha fatto per sfidare sua madre. Sapeva che prima o poi l'avrebbero scoperta, anzi, forse ha fatto apposta a farsi beccare per gettare discredito su sua madre. La signora Haywood non è una stupida, e questo, detto da me, è un complimento; deve aver capito qual era il vero movente delle azioni di Alberta. Per questo l'ha allontanata completamente da sé e ha preteso che
George facesse lo stesso.» Quinn tuttavia non ne era convinto. «C'erano mille altri modi con cui Alberta avrebbe potuto punire sua madre senza finire in prigione e senza trascinare suo fratello in questa brutta faccenda.» Willie, muta, strappava ostinatamente fili d'erba dal prato con la stessa determinazione con cui avrebbe strappato petali da una margherita. «Dove crede che sia andato, Joe?» chiese infine. «Non lo so. Mi sarebbe utile sapere perché se ne è andato.» «Per sfuggire da me e da sua madre.» «Avrebbe potuto farlo molto tempo fa.» Era il momento che George aveva scelto per sparire che incuriosiva Quinn. Martha O'Gorman aveva mostrato a George la lettera dell'assassino del marito e, sebbene George avesse affermato che si trattava di uno scherzo di pessimo gusto, tuttavia, secondo Martha, ne era rimasto turbato. Subito dopo aveva fatto in modo che tutta la città sapesse che andava alle Hawaii per motivi di salute. Si era persino preso la briga di fare pubblicare la notizia sul giornale locale. «Non era insolito che George rendesse pubblici i suoi progetti?» chiese Quinn. «Abbastanza; infatti ne sono rimasta stupita.» «Perché pensa che l'abbia fatto?» «Non ne ho idea.» «Io ce l'ho, ma ho paura che non le piacerà, Willie.» «Ci sono tante cose che non mi piacciono. Questa non sarà peggio delle altre.» «Potrebbe essere molto peggio. Tutta la pubblicità che George ha fatto sul suo viaggio potrebbe avere lo scopo di creargli un alibi per qualche cosa che è successo, o che sta per succedere, a Chicote.» Willie continuava a strappare fili d'erba con ostinazione, per nascondere la sua paura. «Fino a ora non è successo niente.» «Esatto, ma voglio che lei stia attenta, Willie.» «Io? Perché io?» «Lei era la confidente di George: potrebbe averle confidato cose che ora si pente di averle detto.» «Non mi ha detto niente» ribatté la ragazza bruscamente. «George non si è mai confidato con nessuno in tutta la sua vita. È un essere solitario, come Alberta. Il modo in cui quei due si chiudono in se stessi come ostriche... non è umano!»
«Forse comunicavano tra di loro. O si rifiuta ancora di credere che andava a far visita a sua sorella?» «No, adesso ci credo.» «Provi a pensare, Willie. Non si è mai trovata accanto a George in un momento in cui aveva abbassato la guardia? Aveva bevuto troppo, o preso tranquillanti, o era estremamente ansioso?» «George non beve quasi mai e non parla mai con me delle sue preoccupazioni. Mi è capitato di essergli vicino durante una delle sue crisi d'asma, quando è costretto a prendere un mucchio di medicine. Era un po' intontito, non proprio presente, ma niente di più.» Ora non strappava più l'erba, sembrava che tutte le sue energie fossero concentrate nel ricordare. «Poi c'è stata la volta che si è fatto operare di appendicite. È stato circa tre anni fa. Sono andata io all'ospedale con lui perché la signora Haywood si era fatta venire una crisi di nervi e si era rifiutata di andare con lui gridando che l'appendice di George sarebbe stata benissimo se solo avesse mangiato germi di grano e melassa. L'ho aspettato in camera sua quando è uscito dalla sala operatoria. Era uno spettacolo! Dopo non voleva credere di aver detto certe cose. Le infermiere erano praticamente isteriche perché George continuava a ripetere che dovevano rivestirsi, che era scandaloso mandare avanti un ospedale dove le infermiere erano tutte nude.» «Si è reso conto che lei era lì?» «Più o meno.» «Cosa significa più o meno?» «Pensava che io fossi Alberta. Mi chiamava col suo nome e continuava a ripetere che ero una vecchia, sciocca zitella e che avrei dovuto essere più saggia.» «Più saggia a che proposito?» «Non l'ha spiegato; ma era arrabbiato con lei, arrabbiatissimo.» «Perché?» «Perché aveva regalato alcuni suoi indumenti a un vagabondo di passaggio che si era presentato alla loro porta. Diceva che era una sciocca, un'ingenua dal cuore tenero. E questo era altrettanto insensato delle infermiere nude. Alberta può essere pazza, ma certo non è ingenua e nemmeno ha il cuore tenero. Se davvero era esistito un vagabondo e Alberta gli aveva dato qualche indumento, doveva esserci una buona ragione diversa dalla generosità. Insomma gli Haywood non sono il tipo di persone che fanno la carità a chi si presenta alla loro porta.» «Ha parlato più tardi di questo con George?»
«Be', gli ho ripetuto alcune delle cose che aveva detto.» «E qual è stata la sua reazione?» «Ha riso, ma era imbarazzato; George è un tipo molto serio e non gli piace rendersi ridicolo. Ha un forte senso dell'umorismo, tuttavia, e non ha potuto fare a meno di ridere sulla storia delle infermiere nude.» «Si è divertito anche per averla scambiata per Alberta?» «No; credo che fosse pentito di averla chiamata con quegli appellativi, anche se era sotto l'effetto dell'anestesia.» Ormai Willie aveva perso ogni interesse nell'erba e aveva concentrato tutta la sua attenzione su un buco delle scarpe da tennis di tela. Si era messa a strappare dei pelucchi come un uccellino che raccoglie paglie per il suo nido. Al di là dei vasi di oleandro i rumori della città sembravano remoti e insignificanti. «Qual era la situazione finanziaria di George, Willie?» Lo guardò, sorpresa per una simile domanda. «Non è un milionario, lavora per guadagnarsi da vivere, e anche se gli affari non sono più buoni come qualche anno fa, tuttavia non ci si può lamentare. George non spende molto, se non per sua madre che t una donna molto stravagante. L'ultima volta che si è fatta fare un lifting a Los Angeles, a lui è costato un migliaio di dollari. Poi naturalmente ha dovuto comprare un nuovo guardaroba che si addicesse alla "nuova" faccia.» «George gioca d'azzardo, come la sorella?» «No.» «Ne è sicura?» «Come posso ormai essere sicura di qualche cosa?» rispose stancamente. «Tutto quello che so è che non me ne ha mai parlato e che non ha il carattere di un giocatore. George pianifica tutto quello che fa; non ama correre rischi. Si è preso un'arrabbiatura solenne l'anno scorso quando ho comprato un biglietto della lotteria. Mi ha detto che ero un'ingenua credulona. Non ho vinto, quindi forse aveva ragione.» "George e Alberta", pensò Quinn, "i due organizzatori, le due ostriche che riescono a comunicare tra di loro anche attraverso le conchiglie chiuse. Che cosa si erano comunicati? Un nuovo piano? Presto ci sarebbe stata l'udienza per la libertà vigilata di Alberta; era uno strano momento per scomparire. A meno che anche questo non avesse fatto parte del piano." La complicata pettinatura di Willie si era tutta scomposta e adesso ciocche disordinate di capelli le pendevano sul collo come ciuffi di erba bagnata, dandole un aspetto un po' strano. Anche i suoi ragionamenti non erano
del tutto normali. «Joe?» «Sì?» «Dove pensa che si trovi George?» «Forse proprio qui, a Chicote.» «Vuol dire che si è rifugiato in un albergo o in una pensione sotto falso nome? Non è possibile! Lo conoscono tutti a Chicote E poi, perché dovrebbe nascondersi?» «Lo sa Iddio, io no di certo.» «Se solo si fosse confidato con me! Se avesse chiesto il mio parere...» le si incrinò la voce, ma si riprese in tempo. «Che sciocchezza! George non chiede, ordina.» «Pensa che riuscirà a cambiarlo quando vi sarete sposati?» «Non voglio cambiarlo: mi piace che mi si dica che cosa devo fare» la sua bocca aveva assunto una piega dura, ostinata «mi piace veramente.» «D'accordo, d'accordo, le piace sentirsi dire che cosa deve fare; allora glielo dico io: vada a casa e si faccia una bella dormita.» «Non è questo che intendevo dire.» «Sia sincera, Willie, a lei non piace per niente sentirsi dire che cosa deve fare.» «E invece sì, ma dalla persona giusta.» «Be', la persona giusta non è qui; quindi dovrà accontentarsi di un sostituto.» «Come sostituto lei fa schifo» osservò sottovoce «non è abbastanza sicuro di sé per dare ordini. Non ingannerebbe neanche un cane.» «Be', non saprei; ci sono state alcune cagnoline che mi hanno preso molto sul serio.» «Andrò a casa» disse Willie arrossendo «ma non perché me lo ha detto lei. E non si preoccupi per me e George. Riuscirò a controllarlo, quando saremo sposati.» «Queste sono le ultime parole famose, Willie.» «Può darsi, ma ho bisogno di crederci.» Quinn l'accompagnò fino alla macchina; camminavano in silenzio, lontani l'uno dall'altra come due sconosciuti che si trovassero casualmente ad andare nella stessa direzione, assorti ciascuno nei propri problemi. Quando furono davanti all'automobile Quinn le sfiorò leggermente una spalla e Willie alzò gli occhi, ansiosa. «Guidi con attenzione, Willie.» «Oh, certo.»
«Vedrà che andrà tutto bene.» «Potrebbe darmi una garanzia scritta che andrà così?» «Nessuno può avere garanzie scritte in questo mondo, quindi non si illuda di riceverne una.» «Non lo farò.» «Buona notte, Willie.» Passando davanti alla porta dell'ufficio mentre rientrava in camera sua, Quinn vide tutto il clan dei Frisby raccolto attorno al bancone: c'era il nonno Frisby con la moglie, la figlia, il genero e parecchie altre persone che Quinn non aveva mai visto. Parlavano tutti insieme mentre la radio era a tutto volume. Frisby vide Quinn dalla finestra e balzò fuori, con l'accappatoio che gli sventolava attorno alle gambe e il viso lucido per il sudore e l'eccitazione: «Signor Quinn, signor Quinn, aspetti un momento.» Quinn si fermò con la gola stretta per una premonizione angosciosa. Non capiva se era la sua immaginazione o se aveva veramente sentito lo spostamento d'aria di un terremoto. «Ho già preso la chiave, grazie, signor Frisby» mormorò. «Lo so, ma visto che la radio in camera sua non funziona, ho pensato che forse non aveva saputo la grande notizia» le parole uscivano dalla bocca del signor Frisby come acqua da una cascata «non ci crederà mai.» «Sentiamo.» «Una persona così tranquilla e perbene. Chi avrebbe mai pensato che avrebbe organizzato una cosa del genere?» "Si tratta di Martha", pensò Quinn, "deve essere successo qualche cosa a Martha." Avrebbe voluto chiudere con una mano la bocca di Frisby per impedirgli di aggiungere altro, invece si costrinse a restare immobile ad aspettare. «Quando la radio ha dato la notizia sono rimasto di sasso. Ho chiamato mia moglie e lei è accorsa convinta che mi fossi sentito male. "Bessie", le ho detto, "Bessie, non immaginerai mai quello che è successo". "Sono atterrati i Marziani" ha detto lei. "No" ho risposto "Alberta Haywood è scappata di prigione".» «Oh, mio Dio!» Non era un'espressione di sorpresa, ma di gratitudine e sollievo. Per qualche secondo non riuscì neppure a mettere a fuoco i suoi pensieri su Alberta Haywood. L'importante era che Martha fosse al sicuro; era seduta davanti al fuoco nel campeggio come l'aveva vista poche ore prima.
«Proprio così; la signorina Haywood è scappata senza complicazioni, nascosta in un furgone di una pasticceria che stava rifornendo i distributori di dolciumi della mensa.» «Quando?» «Oggi pomeriggio. Le autorità della prigione non hanno fornito dettagli, ma lei è scappata, non ci sono dubbi» rispose Frisby con una risata leggermente isterica. «Per il momento la polizia non è riuscita a trovarla perché il furgone si è fermato in altri tre o quattro posti prima che si accorgessero della fuga, e lei certo ha potuto scendere senza che nessuno se ne accorgesse. Forse aveva organizzato tutto da tempo e c'era un amico che l'aspettava con la macchina da qualche parte. Io almeno la penso così; lei che cosa ne dice?» «Mi sembra ragionevole» "A parte un dettaglio" pensò Quinn. "Invece di un amico nella macchina, avrebbe potuto esserci un fratello in una Pontiac verde familiare." Le ostriche avevano comunicato, i due grandi organizzatori si erano messi al lavoro. «Forse» azzardò Frisby «stanno venendo qui.» «Perché?» «Nei film alla televisione, quando qualcuno scappa di prigione, torna sempre sul luogo del delitto per raddrizzare un'ingiustizia. Può darsi che Alberta sia innocente e che voglia tentare di provarlo.» «Qualsiasi cosa voglia provare, signor Frisby, di certo non è innocente. Buona notte.» Dopo essere andato a letto, Quinn rimase sveglio per molto tempo ad ascoltare il sibilo del condizionatore e le voci rabbiose che provenivano dalla stanza accanto dove qualcuno stava litigando per questioni di danaro. Danaro! Improvvisamente Quinn si ricordò che i soldi che Sorella Benedizione riceveva dal figlio venivano da Chicago e la lettera che Martha O'Godman aveva distrutto era timbrata Evanston; un figlio a Chicago e una lettera da Evanston, una località a pochi chilometri da Chicago. L'unica persona a cui si poteva chiedere se tra questi due fatti esisteva un legame era Sorella Benedizione. 16 Anche se il nuovo giorno era soltanto un tenue bagliore nel cielo, Sorella Benedizione sentiva che sarebbe stata una buona giornata. A piedi nudi si
affrettò per il sentiero ancora buio che portava alla stanza delle docce e prese a cantare, incurante dell'acqua fredda e del ruvido sapone fatto in casa. «Ci aspetta una bella giornata, Signore, rendiamo grazie a te, Signore! La pace sia con te» gridò sentendo entrare Sorella Contrizione che portava in mano una lampada al cherosene «che bella mattinata, vero?» Sorella Contrizione sbatté per terra la lampada con un gesto di disapprovazione e chiese: «Di grazia, si può sapere che cosa ti succede improvvisamente?» «Niente, Sorella, sono solo felice.» «Direi che bisognerebbe pensare a tutte le cose che ci sono da fare in questo mondo, piuttosto che andarsene in giro cantando per la felicità.» «Si possono fare tante cose ed essere anche felici, non credi?» «Non lo so, non ci ho mai provato.» «Povera Sorella, è la testa che ti fa ancora male?» «Tu pensa alla tua testa che alla mia ci penso io.» Sorella Contrizione versò un poco d'acqua in una bacinella e si sciacquò la faccia che poi asciugò in uno straccio ricavato da una vecchia tonaca. «Pensavo che dopo la Punizione avresti avuto una visione più sobria della vita.» «La Punizione è terminata» rispose Sorella Benedizione, ma il ricordo di quei giorni aveva un po' smorzato la sua allegria. Malgrado la soddisfazione di sapere che la comunità aveva avuto grosse difficoltà a causa della sua assenza, erano stati momenti neri per lei. Alla fine il Maestro era stato costretto ad abbreviare la punizione di due giorni perché senza di lei non riusciva a tenere a bada Madre Purezza e inoltre Fratello Corona si era slogato una caviglia scendendo dal trattore. "Hanno bisogno di me" pensò, e si sentì di nuovo sollevata malgrado la stanza buia e squallida in cui si trovava e il viso torvo di Sorella Contrizione, ancora unto dopo il lavaggio approssimativo. "Hanno bisogno di me e io sono qui per aiutarli." Si aggrappò a quel pensiero come un bimbo si aggrappa al filo di un aquilone. «Ci aspetta una bella giornata, Signore, rendiamo grazie a te, Signore!» riprese a cantare. «Be', sarebbe ora che ci fosse una buona giornata» osservò Sorella Contrizione in tono irritato «ne ho avute abbastanza di cattive giornate ultimamente, con Karma che si comporta in quel modo! Ho sentito dire che abbiamo un nuovo convertito.» «È troppo presto per dirlo, ma ho qualche speranza, anzi, molte speranze. Potrebbe essere la rinascita della nostra comunità. Forse è un segno che ci manda il cielo per indicarci che ritorneremo numerosi come ai vecchi
tempi.» «È un uomo?» «Sì; mi hanno detto che il suo animo è molto turbato.» «È giovane? Voglio dire, abbastanza giovane da costringermi a non perdere d'occhio neanche per un minuto Karma?» «Non l'ho visto.» «Voglia il cielo che sia vecchio e stanco» sospirò Sorella Contrizione. «Non sarebbe male se fosse anche un po' debole di vista.» «Non ce ne sono già abbastanza di vecchi e stanchi qui? La Torre ha bisogno di forza, di giovinezza, di vitalità.» «Questo va benissimo, in teoria, ma in pratica io ho Karma di cui preoccuparmi. Che terribile problema è essere madre!» «È vero, è vero!» annuì Sorella Benedizione piena di comprensione. «Tu almeno hai finito, ma io comincio adesso a dovermi preoccupare.» «A proposito di Karma, non credi che dovrebbe andare via da qui per qualche tempo?» «Dove?» «Hai una sorella che vive a Los Angeles; Karma potrebbe andare ad abitare con lei per un po'.» «Se se ne va, non tornerà mai più. I piaceri del mondo le sembrano belli perché non li conosce, non sa come siano volgari e traditori. Mandarla da mia sorella sarebbe come mandarla all'inferno. Come puoi anche soltanto consigliarmi una cosa del genere? La Punizione ti ha forse fatto perdere la testa?» «No, non credo» rispose Sorella Benedizione, ma non ne era tanto sicura. Certo, era strano sentirsi così bene dopo aver tanto sofferto, ma la Punizione era terminata più di una settimana prima e il suo ricordo cominciava a offuscarsi nella sua memoria come un'immagine in uno specchio opaco. Uscì e si rimise a cantare, smettendo solo per dare il buon giorno alle persone che incontrava per la strada. «Buon giorno, Fratello Cuore! La pace sia con te, Fratello Luce. Come sta la nuova capretta?» «È vispa come un folletto e grassa come una palla di burro.» Un nuovo giorno, una nuova capretta, un nuovo adepto. Sì, Signore, una buona giornata stava per cominciare. «Buon giorno, Fratello Voce, come ti senti oggi?» Fratello Voce sorrise annuendo. «E il tuo pappagallino sta meglio?»
Un altro sorriso, un altro cenno del capo. Sapeva che avrebbe potuto parlare se solo avesse voluto, ma forse era meglio così. Accese il fuoco nella stufa con i tronchi che Fratello Voce aveva portato dalla legnaia, poi aiutò Sorella Contrizione a friggere le uova al prosciutto sperando che il Maestro scendesse a colazione per presentar loro il nuovo membro della comunità. Per il momento soltanto il Maestro e Madre Purezza l'avevano visto. Il nuovo arrivato passava il suo tempo nella Torre osservando il lavoro della comunità, rispondendo alle domande del Maestro e ponendo lui stesso delle domande. Era un momento difficile per entrambi. Sorella Benedizione sapeva che non era facile superare l'esame ed essere ammessi nella comunità. Si augurò che questa volta il Maestro si mostrasse un po' indulgente e non spaventasse il nuovo venuto con la sua severità. La comunità aveva bisogno di nuovo sangue, di nuove energie. C'erano stati troppi malati ultimamente a causa dell'eccesso di lavoro. Un nuovo paio di braccia capaci di aiutare a mungere le mucche, a curare l'orto, a spaccare la legna sarebbero state una benedizione. «Sorella! Stai ancora sognando» disse Fratello Corona in tono accusatore. «È la terza volta che ti chiedo di affettarmi ancora un po' di pane. La mia caviglia non guarirà mai se resto a stomaco vuoto.» «La caviglia è praticamente già guarita.» «Non è vero, lo dici soltanto perché mi porti rancore dopo che ho riferito i tuoi peccati al Maestro.» «Sciocchezze! Non ho tempo per il rancore. La tua caviglia non è più gonfia. Fammi un po' vedere.» Fratello Voce era rimasto ad assistere al battibecco, geloso delle attenzioni che Sorella Benedizione dedicava a qualcun altro. Si mise una mano sul petto e cominciò a tossire forte, ma la Sorella era abituata a questi suoi piccoli trucchi e fece finta di non sentire. «Questa caviglia è perfettamente a posto» affermò Sorella Benedizione sfiorandola leggermente. "Una nuova aurora, una nuova capretta, un nuovo adepto. Grazie, Signore" pensò Sorella Benedizione. Il Maestro però non si fece vedere e Sorella Contrizione portò il vassoio con la prima colazione per tre alla Torre mentre Sorella Benedizione aiutava Karma a sparecchiare la tavola. Accompagnata dal suono del tintinnio dei bicchieri e dei piatti, Sorella Benedizione riprese a cantare. Alla Torre le uniche musiche che si sentivano di solito erano vecchi inni malinconici a cui il Maestro aveva sostituito
nuove parole. Si assomigliavano tutti e non servivano certo a rasserenare l'animo di nessuno. «Come mai fai tanto baccano?» chiese Karma ripulendo con disgusto le briciole dal tavolo come se fossero state lì per farle dispetto. «Perché mi sento piena di vita e di speranza.» «Io no, invece. Qui le giornate sono tutte uguali. Non cambia mai niente; diventiamo soltanto tutti più vecchi.» «Andiamo, su, smettila di fare come tua madre. Essere sempre musoni non serve a niente.» «Non importa. Che motivo ho per non essere musona?» «Stai attenta che gli altri non ti sentano parlare così» disse Sorella Benedizione cercando di mostrarsi molto severa «mi dispiacerebbe molto se ti punissero.» «Dovere restare qui è una punizione che dura ventiquattro ore su ventiquattro per me. Detesto star qui. Quando mi si presenterà un'altra occasione scapperò di nuovo.» «No, Karma, no. È difficile pensare all'eternità quando si è giovani, ma devi sforzarti. Dopo aver camminato a piedi scalzi sulle strade impervie di questa terra, potrai correre sui sentieri lisci e dorati del paradiso. Ricordatelo, bambina mia.» «Come faccio a sapere che è vero?» «È vero, è vero!» ma il suono delle sue parole suonava falso alle sue stesse orecchie. Era davvero così? «Devi riempire la mente con pensieri di gloria, Karma.» «Non posso; continuo a pensare ai ragazzi e alle ragazze che c'erano a scuola, ai loro bei vestiti, a come ridevano e a tutti i libri che leggevano. Centinaia di libri su cose di cui io non avevo mai sentito parlare. Solo toccarli mi dava una sensazione meravigliosa.» Il viso di Karma era pallido sotto i brufoli rossi che lo ricoprivano come la maschera di un clown. «Perché non possiamo avere libri qui, Sorella?» «Come farebbe la comunità ad andare avanti se tutti restassero col naso sepolto nei libri? C'è il lavoro da sbrigare e...» «Non è questa la vera ragione.» Sorella Benedizione la guardò, imbarazzata: «Be', questo non è un argomento adatto. Le regole dicono chiaramente che...» «Nessuno ci sta ascoltando adesso. Te la dico io la vera ragione: se noi scoprissimo dai libri come vivono le altre persone, forse non vorremmo più restare qui e la comunità si scioglierebbe.»
«Il Maestro sa quello che è meglio per noi, devi convincerti di questo.» «Be', io non ne sono convinta.» «Oh, Karma, bambina mia, che cosa dobbiamo fare di te?» «Lasciarmi andare.» «Il mondo è un posto crudele.» «Più crudele di questo?» Sorella Benedizione non rispose; si voltò e si mise a strofinare un piatto di latta che aveva già lavato tre volte negli ultimi due minuti. "È venuto il momento che Karma se ne vada" pensò "e io devo aiutarla. Darei anche il mio ultimo respiro per aiutarla, ma non so come fare. Oh, Signore! Illuminami tu!" «Il signor Quinn non pensa che il mondo sia un posto tanto crudele» disse Karma. Il nome colse Sorella Benedizione di sorpresa. Erano giorni ormai che deliberatamente cercava di cancellarlo dalla sua mente, ma l'immagine del giovanotto continuava a saltar fuori come una molla. «Quello che pensa il signor Quinn non ha nessuna importanza. Quell'uomo è uscito dalle nostre vite per sempre.» «No, non è vero.» «Che cosa ne sai tu?» «Se voglio posso anche non dirtelo.» Sorella Benedizione voltò le spalle al mucchio dei piatti da lavare e con le mani ancora bagnate afferrò Karma per le spalle. «L'hai visto? Gli hai parlato?» «Sì.» «Quando?» «Quando tu eri in isolamento» rispose Karma «gli ho parlato della mia acne e mi ha promesso di tornare e di portarmi una lozione che mi farà guarire. Sono certa che lo farà.» «No, non verrà.» «Me lo ha promesso.» «Non tornerà» ripeté Sorella Benedizione sforzandosi di credere in quello che stava dicendo «deve lasciarci in pace; è un nostro nemico.» Il visetto di Karma si illuminò di una luce maliziosa. «Il Maestro dice che non abbiamo nemici, solo amici che ancora non hanno visto la luce. E se il signor Quinn tornasse perché noi gli mostriamo la luce?» «Il signor Quinn è tornato ai tavoli da gioco di Reno che sono la sua casa. Se ti ha fatto una promessa è stato uno stolto e tu sei stata ancora più
stolta a crederci. Stammi a sentire, Karma: io ho commesso un grave errore che riguardava anche il signor Quinn e per questo sono stata severamente punita. Adesso basta. Noi non lo vedremo più e non dobbiamo parlare più di lui. È chiaro?» Tacque, poi aggiunse in tono più tranquillo: «Le intenzioni del signor Quinn erano buone, ma ha provocato un mucchio di guai.» «A causa di Patrick O'Gorman?» «Come sai questo nome?» «L'ho... sentito» rispose Karma spaventata dalla violenta reazione della Sorella «l'ho semplicemente sentito dire da qualcuno.» «Questa è una bugia. Te ne ha parlato il signor Quinn.» «No, giuro, l'ho sentito non so da chi.» Sorella Benedizione lasciò stancamente cadere le mani dalle spalle della ragazza: «Karma, ho perso ogni speranza nei tuoi riguardi.» «Vorrei che l'avessero persa anche gli altri» ribatté cocciutamente Karma «almeno così mi scaccerebbero dalla comunità e io potrei andarmene con il signor Quinn quando verrà a portarmi la lozione.» «Ma non verrà. Ha portato a termine il lavoro che in un momento di debolezza e confusione gli avevo commissionato e ora non ha più motivo di tornare. La promessa fatta a una ragazzina non ha alcun valore per un uomo come il signor Quinn. Sei stata molto ingenua a prenderlo sul serio.» «Devi averlo preso molto sul serio anche tu per essere così spaventata.» «Spaventata?» la parola la colpì in pieno petto come un sasso gettato contro una vetrata. Sorella Benedizione cercò di nascondere la sua confusione. «Tu sei una cara ragazza, Karma, ma hai troppa immaginazione. E sospetto anche che tu ti sia presa una cotta per il signor Quinn.» «Che cosa vuol dire "una cotta"?» «Vuol dire che ti stai cullando scioccamente nel sogno che torni qui per salvarti e per farti diventare bella con una lozione magica. Ma non è che un sogno, Karma!» La Sorella tornò a occuparsi dei suoi piatti; l'acqua ormai si era raffreddata e il grasso galleggiava in superficie dove il sapone grossolano non aveva fatto nessuna schiuma. Mentre affondava le mani nell'acqua sporca, si sforzò di rimettersi a cantare, ma le parole non le sembravano più profetiche; erano solo l'espressione di una sua preghiera: "Fa' che sia una buona giornata, Signore". A mezzogiorno, nel cortile interno della Torre, accanto all'altare, venne dato l'annuncio ufficiale. Un uomo alto e magro, con gli occhiali, col cra-
nio già rasato e vestito del saio regolamentare, venne presentato alla comunità dal Maestro con poche parole: «È con un sentimento di gioia e di umiltà che vi presento Fratello Fede degli Angeli che è venuto a dividere la nostra vita in questo mondo e la nostra salvezza in quell'altro. Amen.» «Amen» disse Fratello Fede. «Amen» ripeterono in coro tutti gli altri. Serpeggiava una certa eccitazione tra i confratelli, ma si dispersero ugualmente in silenzio tornando ai loro lavori. Fratello Luce trotterellò alla stalla pensando alle mani bianche e morbide del nuovo arrivato e a come ben presto sarebbero cambiate; Sorella Contrizione tornò di corsa in cucina col viso stravolto per l'ansia e l'affanno: "Non è vecchio, ma non è neanche giovane; forse ci vede davvero poco e non si accorgerà di Karma. Come ha fatto in fretta a trasformarsi in una giovane donna!". Fratello Corona tornò al suo trattore fischiettando allegramente; aveva visto la macchina del nuovo adepto e ne era rimasto entusiasta. Come ruggiva il motore! Si immaginò al volante, col piede a tavoletta sull'acceleratore che affrontava le curve della strada di montagna facendo stridere le ruote: "Largo, largo, arrivo io!". Fratello del Sacro Cuore e Fratello Voce ripresero a strappare le erbacce nell'orto. «La cosa più importante è che abbia una schiena robusta» disse Fratello Cuore. «Braccia, gambe, mani si possono irrobustire con l'esercizio, ma una schiena robusta è un dono di Dio. Non credi?» Fratello Voce annuì gentilmente, augurandosi che Fratello Cuore stesse un po' zitto. Stava diventando di una noia insopportabile. «Sissignore! Una schiena robusta in un uomo e gambe sottili e delicate in una donna, questi sono doni del Signore, vero, Fratello Voce? Oh, le donne, come mi mancano! Posso confidarti un segreto? Non ho mai avuto un aspetto particolarmente affascinante, ma con le donne avevo un successo strabiliante, ci crederesti?» Fratello Voce annuì nuovamente. "Se qualcuno non fa stare zitto questo bastardo, io l'ammazzo!" «Mi sembri un po' depresso quest'oggi, Fratello Voce. Ti senti bene? Non sarà la tua pleurite che ricomincia a darti noia? Forse sarà meglio che ti riposi un po'. Sorella Benedizione ha detto che non devi affaticarti. Perché non vai a farti un riposino?» Il Maestro salì le scale che portavano all'ultimo piano della Torre e lasciò vagare lo sguardo sul lago azzurro e sulla vallata. Di solito la vista lo
ispirava, ma oggi si sentiva vecchio e stanco. Non era stato facile esaminare Fratello Fede degli Angeli, essere esaminato da lui e al tempo stesso avere cura di Madre Purezza per tenerla tranquilla. Più il suo corpo diventava debole e più la sua mente vagava nel passato. Dava ordini al suo vecchio servo Capirete che era morto ormai da trent'anni e si arrabbiava quando i suoi ordini non venivano eseguiti. Chiamava i suoi genitori e le sue sorelle e piangeva disperata perché non le rispondevano. Qualche volta sgranava il rosario che nessuno era riuscito a toglierle e, malgrado gli sforzi del Maestro per zittirla, recitava le Ave Maria che aveva imparato da bambina. Il nuovo Fratello le era stato antipatico a prima vista; l'aveva accusato di averla derubata, l'aveva insultato in spagnolo e aveva minacciato di fustigarlo. Il Maestro sapeva che si stava avvicinando il momento in cui sarebbe stato costretto ad allontanarla dalla comunità. Si augurava che morisse prima che ciò accadesse. L'aveva lasciata a riposare nella sua stanza ed era sceso a dare l'annuncio. Adesso bussò leggermente alla porta e, premendo la bocca contro lo spiraglio, chiese: «Mia cara, stai dormendo?» Silenzio. «Purezza?» Quando non udì risposta nemmeno questa volta, pensò che si fosse addormentata. "Dorme" pensò "voglia il cielo che muoia prima di risvegliarsi." Chiuse a chiave la porta dall'esterno perché non potesse uscire e tornò a pregare nella sua stanza. Madre Purezza, nascosta dietro l'altare, lo guardò chiudere inutilmente la porta a chiave e cominciò a ridacchiare fino a farsi venire le lacrime agli occhi. Rimase a lungo nascosta dietro l'altare; faceva fresco e si stava bene lì. Il mento le ricadde sul petto ossuto e le palpebre le si chiusero, fino a che, con grande fruscio, Capirote scese dal cielo. 17 Quinn la trovò che vagava per il sentiero di terra battuta. Camminava impettita, con le braccia leggermente scostate dal corpo, come una ragazzina che ha disobbedito agli ordini e si è sporcata il vestito. Anche da lontano era evidente che le macchie sulla tunica bianca erano sangue. Fermò la macchina e le corse vicino. «Madre Purezza, cosa sta facen-
do?» Benché non l'avesse riconosciuto, la donna lo guardò senza né paura né curiosità. «Sto cercando il bagno; ho le mani sporche e appiccicose, una sensazione molto sgradevole.» «Dove se le è sporcate?» «Oh, da qualche parte là dietro.» «I bagni sono nella direzione opposta.» «Che strano, devo essermi sbagliata.» Chinò la testa su una spalla per vederlo meglio, come un uccelletto curioso. «Come fa a sapere dove sono i bagni?» «Sono già stato qui, si ricorda? Abbiamo chiacchierato e lei mi ha promesso di mandarmi un invito stampato tramite Capirote.» «Dovrà farne a meno; Capirote non è più al mio servizio. Questa volta ha ecceduto con i suoi scherzi. Gli ho ordinato di andarsene da qui prima di sera. Probabilmente lei crede che questo sia vero sangue.» «Sì» rispose gravemente Quinn «penso proprio che lo sia.» «Sciocchezze, è solo sugo di pomodoro che Capirote ha reso più denso con fecola di patate per farmi uno scherzo. Naturalmente non ci sono cascata neanche per un istante, ma è stato ugualmente uno scherzo molto crudele, non le pare?» «Dov'è adesso?» «Oh, da qualche parte.» «Dove?» «Se lei alza la voce con me, giovanotto, la farò frustare.» «Madre Purezza, è molto importante» disse Quinn cercando di controllare il tono della voce. «Non si tratta di uno scherzo, quello è vero sangue.» «Ne ho abbastanza di lui e dei suoi scherzi. Vero, ha detto?» abbassò gli occhi sulla tunica bianca dove le macchie stavano già diventando scure e rigide. «Vero sangue? Ma ne è sicuro?» «Sì.» «Santo cielo, non pensavo che avesse spinto lo scherzo fino al punto di raccogliere del sangue e di rovesciarselo tutto addosso. Dove pensa che se lo sia procurato? Forse da un pollo o da un capretto. Ah, ora capisco! Ha finto di essersi sacrificato davanti all'altare. Giovanotto, dove scappa? Non vada via! Mi ha promesso di mostrarmi dove sono i bagni.» Rimase immobile a guardarlo fino a che non lo vide scomparire tra gli alberi. Il sole dardeggiava sulla vecchia faccia rugosa. Chiuse gli occhi e ripensò alla casa della sua giovinezza, con i muri adorni di tende pesanti e i
tetti coperti da fitte tegole che tenevano lontano il sole e i rumori della strada. Come era tutto ordinato, pulito e tranquillo allora! Niente sporcizia e niente sangue. La prima volta che aveva visto il sangue era stato quando le avevano detto: "Devi prepararti a una brutta notizia, Isabella. Capirote è caduto da cavallo ed è morto". Riaprì gli occhi e gridò, disperata: «Capirote, Capirote, sei morto?» Vide il Maestro che correva verso di lei seguito dalla donnetta piccola e grassa col viso sempre ingrugnato, che al mattino le portava la prima colazione e da Fratello Corona, quello dai piccoli occhi crudeli. La stavano chiamando: "Purezza, Purezza!". Lei aveva molti nomi, ma Purezza non era uno di quelli. «Io sono Dona Isabella Constancia Querida Felicia de la Guerra. Desidero che vi rivolgiate a me con il mio nome.» «Isabella» disse il Maestro «adesso devi venire con me.» «Come ti permetti tu, Harry, di dare ordini a me? Ti dimentichi di essere soltanto il garzone di un droghiere? Da dove ti vengono tutte le tue belle visioni, Harry, dalle scatole di minestrone e di fagioli che sei costretto a spostare?» «Ti prego, stai zitta, Isabella.» «Non ho niente altro da aggiungere» raddrizzò le spalle e si guardò altezzosamente attorno «e adesso, vuoi per favore mostrarmi dov'è il bagno? Ho le mani sporche del sangue di qualcuno e desidero lavarmele.» «Hai visto come è successo, Isabella?» «Successo che cosa?» «Fratello Fede degli Angeli si è ucciso.» «È naturale che si sia ucciso: quell'idiota credeva davvero di poter volare agitando le braccia?» Il cadavere giaceva esattamente dove Madre Purezza aveva detto, di fronte all'altare, come un sacrificio umano. Nella caduta la testa aveva sbattuto contro lo spigolo di una pietra dell'altare e adesso era ridotta a un ammasso di sangue e di ossa irriconoscibili. Quinn però aveva visto parcheggiata accanto alla stalla la Pontiac familiare verde scuro e sapeva di avere davanti il cadavere di George Haywood. Fu assalito da un'infinita tristezza sia per Haywood che per le due donne che si erano battute per lui e avevano entrambe perso e che ora non si sarebbero mai perdonate di averlo perduto. Sebbene il sangue non sgorgasse più, il corpo era ancora tiepido; secon-
do Quinn la morte poteva essere avvenuta non più di un'ora prima. La testa rasata, i piedi nudi, la tonaca, tutto faceva supporre che Haywood fosse venuto alla Torre per far parte della comunità. Ma da quanto tempo si trovava lì? Era arrivato direttamente dopo aver detto addio a Willie King a Chicote? Se le cose stavano così, chi aveva organizzato la fuga di Alberta Haywood? Era possibile che i due avessero deciso di incontrarsi alla Torre e di restare lì nascosti per un po'? Quinn scosse la testa; no, George non avrebbe mai scelto la Torre come nascondiglio. Certamente aveva saputo da Willie o da John Ronda o da Martha O'Gorman che proprio da qui era partita la sua inchiesta sulla sparizione di O'Gorman. Non avrebbe mai scelto come nascondiglio un posto che Quinn conosceva e dove era già stato. E del resto, perché nascondersi? La vista del cadavere, la peculiarità del posto e l'odore del sangue ancora caldo gli procurarono un improvviso senso di nausea. Uscì all'aperto annaspando, come un nuotatore travolto da un'ondata improvvisa. Madre Purezza, sostenuta da Fratello Corona e da Sorella Contrizione, stava arrivando dal sentiero cinguettando in spagnolo. Dietro allo strano trio camminava il Maestro, a testa bassa, il viso grigio e affranto. «Accompagnatela in camera sua e fate in mondo che venga ripulita. Trattatela con delicatezza, le sue ossa sono fragili. Dov'è Sorella Benedizione? È meglio mandarla a chiamare.» «È ammalata» rispose Sorella Contrizione «un po' di indigestione.» «Allora fate voi come meglio potete.» Quando i tre si furono allontanati, il Maestro si rivolse a Quinn. «Lei è arrivato in un momento molto inopportuno, signor Quinn, il nostro nuovo Fratello è morto.» «Come è successo?» «Ero nel mio alloggio a meditare, non ho assistito di persona alla sciagura. Ma mi sembra ovvio: Fratello Fede era un uomo turbato da gravi problemi. Io non approvo il modo che ha scelto per risolverli, tuttavia l'accetto con molta pena e comprensione.» «Si è buttato dalla Torre?» «Sì. Forse è colpa mia perché non ho capito quanto profonda fosse la sua disperazione» il suo sospiro era quasi un gemito «e, se è così, che Dio mi perdoni e conceda al nostro Fratello la salvezza eterna.» «Se non l'ha visto buttarsi, come ha fatto ad arrivare sulla scena del delitto così in fretta?» «Ho sentito gridare Madre Purezza. Sono uscito di corsa e l'ho vista china sul cadavere: gli gridava di rialzarsi e di smetterla di fare pagliacciate.
Quando l'ho chiamata, è scappata. Dopo essermi assicurato che per quel poveretto non c'era più niente da fare, sono corso a cercarla. Per la strada ho incontrato Fratello Corona e Sorella Contrizione e ho chiesto il loro aiuto.» «Allora gli altri non sanno ancora di Haywood?» «No.» Si asciugò il sudore che gli imperlava il viso con la manica della tunica. «Perché l'ha chiamato Haywood?» «È il suo nome.» «È un suo amico?» «Conosco la sua famiglia.» «Mi ha detto che non aveva più famiglia, che era solo al mondo. Vuol forse dire che mi ha mentito?» «Dico solo che ha una madre, due sorelle e una fidanzata.» Il Maestro lo guardò turbato, non per l'esistenza della famiglia di Haywood, ma perché era stato ingannato. Era un duro colpo per il suo orgoglio. Dopo aver riflettuto qualche istante disse: «Sono sicuro che non ha mentito deliberatamente. Si sentiva solo in questo mondo e perciò ha affermato di esserlo. È questa la spiegazione.» «Crede che sia venuto qui per entrare a fare parte della comunità?» «Certo, certo! Quale altra ragione avrebbe potuto spingerlo a dividere la nostra umile vita? Non è facile vivere come viviamo noi.» «E adesso che cosa farà di lui?» «Noi provvediamo ai nostri morti» rispose il Maestro «come provvediamo ai vivi. Gli daremo una sepoltura decorosa.» «Senza avvisare le autorità?» «Sono io l'autorità qui dentro.» «Sceriffo, coroner, giudice e giuria, dottore, impresario di pompe funebri, accalappiacani e salvatore di anime?» «Sì, sono tutte queste cose e la prego di risparmiarmi la sua insulsa ironia.» «Lei ha un lavoro pesante, Maestro.» «Dio mi ha concesso la forza per sostenerlo» rispose tranquillo «e la capacità di capire come deve essere fatto.» «Non sarà facile convincere di questo lo sceriffo.» «Che lo sceriffo si occupi della sua gente; io mi occuperò della mia.» «Ci sono delle leggi, Maestro, alle quali anche lei deve obbedire. La morte di Haywood deve essere denunciata; se non lo farà lei dovrò farlo io.»
«Perché? Noi siamo una comunità amante della pace; non facciamo del male a nessuno, non chiediamo favori al mondo esterno. L'unica cosa che chiediamo è che ci sia concesso di vivere come ci sembra meglio.» «D'accordo, allora mettiamola in questo modo: un membro del mondo esterno è penetrato nella vostra comunità ed è finito cadavere. Questi sono problemi che riguardano lo sceriffo.» «Fratello Fede degli Angeli era uno dei nostri, signor Quinn.» «Era George Haywood, un agente immobiliare di Chicote e, quali che fossero i suoi motivi per venire qui, la salvezza dell'anima non era certo tra quelli.» «Che Dio perdoni le sue parole blasfeme e le sue menzogne. Fratello Fede era un Vero Credente.» «Il credente è lei, non Haywood.» «Il suo nome non era Haywood, ma Martin. Faceva il banchiere a San Diego, era un vedovo solo al mondo, un uomo con gravi problemi.» Per un attimo Quinn pensò di essersi veramente sbagliato e che la Pontiac familiare verde fosse soltanto una coincidenza, ma poi vide il dubbio insinuarsi anche negli occhi e nella voce del Maestro che pure protestò: «Si chiamava Hubert Martin e sua moglie è morta due mesi fa.» «Dieci anni fa.» «Si sentiva solo e derelitto senza di lei.» «Aveva una fidanzata dai capelli rossi che si chiama Willie King.» Il Maestro si appoggiò pesantemente allo stipite della porta, come se gli riuscisse difficile sopportare il peso della verità. «Allora... non cercava la salvezza eterna?» «No.» «Ma perché allora è venuto qui? Per derubarci? Per imbrogliarci? Non abbiamo niente di cui potesse derubarci. Era stato lui a donare la sua macchina al fondo comune. Non possediamo danaro.» «Forse credeva che ne aveste.» «Non è possibile! Gli ho spiegato in ogni dettaglio che la comunità opera su un piano di autosufficienza. Gli ho persino mostrato i nostri libri contabili per fargli vedere come fosse modesto l'uso che facciamo del danaro; non compriamo niente se non la benzina, qualche pezzo di ricambio per il trattore e ogni tanto un paio di occhiali per quei fratelli che ci vedono poco.» «Haywood le è sembrato interessato?» «Oh, sì, moltissimo! Vede, essendo un banchiere, probabilmente...»
«Era un agente immobiliare.» «Già, continuo a dimenticarlo. È stata una giornata sconvolgente. Adesso mi scusi, signor Quinn, ma devo comunicare agli altri la triste notizia e mettermi d'accordo con Sorella Benedizione perché il cadavere venga preparato.» «È meglio che lasci tutto come sta fino a che non sarà arrivato lo sceriffo.» «Lo sceriffo! Immagino che lei lo avviserà.» «Non ho altra scelta.» «Mi faccia un favore: eviti di parlargli di Madre Purezza. Un interrogatorio potrebbe spaventarla; è come un bambino ormai.» «Anche i bambini possono essere violenti.» «È vero, c'è violenza in lei, ma solo nelle sue parole. È troppo debole per averlo spinto giù dalla ringhiera. Dio mi perdoni per averlo anche solo pensato.» Infilò una mano tra le pieghe della tunica e ne estrasse un mazzo di chiavi. Allibito, Quinn si accorse che erano le sue chiavi della macchina. «Aveva intenzione di trattenermi qui?» chiese. «No, volevo soltanto poter essere io a stabilire il momento della sua partenza. Adesso è libero di andarsene, signor Quinn, ma prima che lei se ne vada, vorrei che si rendesse conto di tutto il male che ci arreca mentre noi, da parte nostra, non le abbiamo dato altro che gentilezza, cibo e bevande quando aveva fame e sete, un tetto quando era stanco e preghiere anche se lei è un infedele.» «Non è tutta mia la colpa di quanto è successo. Io non avevo nessuna intenzione di creare noie a nessuno.» «Questo è un problema che dovrà risolvere con la sua coscienza. Un fiume in piena non ha intenzione di straripare dalle sue rive, né un iceberg di andare a sbattere contro una nave, eppure le campagne vengono sommerse dalle acque e la nave va a picco. Sì, la nave va a picco... e la gente, tutti muoiono! Sì, è tutto chiaro nella mia mente.» «Adesso è meglio che me ne vada.» «Adesso gridano, mi chiedono di salvarli! La nave è spezzata in due, il mare attorno ribolle rabbioso... Non abbiate paura, figli miei, sto arrivando! Aprirò per voi i cancelli del paradiso...» «Arrivederci, Maestro.» Quinn si allontanò rapidamente, con il cuore che gli batteva in petto all'impazzata, come se stesse scappando. Si sentiva la gola stretta e un va-
go sapore di vomito in bocca. Vide Karma che correva goffamente verso di lui, come se ancora non si fosse abituata al suo nuovo corpo. «Dov'è il Maestro?» gridò. «L'ho lasciato alla Torre.» «Sorella Benedizione sta male, sta molto male! Fratello Voce non fa che piangere e io non riesco a trovare mia madre e non so cosa fare!» «Calma. Dov'è la Sorella?» «È in cucina. È caduta per terra; ha un aspetto orribile, sembra che stia morendo. Per favore, faccia in modo che non muoia! Ha promesso di aiutarmi ad andarmene da qui; me l'ha promesso proprio questa mattina. La prego, la prego, non permetta che muoia!» Quinn trovò Sorella Benedizione piegata in due sul pavimento. Le labbra tirate lasciavano scoperte le gengive e dagli angoli della bocca colava un fluido denso incolore. Fratello Voce cercava di tenerle una pezzuola bagnata sulla fronte, ma la donna continuava ad agitare la testa lamentandosi. «Da quanto tempo si trova in questo stato?» chiese Quinn. «Non lo so» rispose Karma. «Da prima o dopo pranzo?» «Dopo; forse mezz'ora dopo il pranzo.» «Di che cosa si è lamentata?» «Ha detto che aveva dei crampi, dei crampi terribili e che le bruciava la gola. È uscita dalla mensa e ha vomitato; poi, quando è rientrata, ha fatto pochi passi ed è caduta per terra. Io ho gridato per chiedere aiuto e Fratello Voce, che era in bagno, mi ha sentito.» «Sarà meglio portarla all'ospedale.» Fratello Voce scosse la testa e Karma gridò: «No, no, non si può! Il Maestro non ce lo permetterà: lui non crede nella...» «Zitta adesso!» Quinn si chinò su Sorella Benedizione e le sentì il polso. Era debole e le mani e la fronte scottavano come se avesse perso una grande quantità di liquidi. «Sorella, riesce a sentirmi? Adesso la condurrò all'ospedale di San Felice. Non abbia paura, là si prenderanno cura di lei. Si ricorda quando mi ha detto che le sarebbe tanto piaciuto fare un bagno caldo? E avere delle pantofoline rosa e calde? Be', all'ospedale potrà fare tutti i bagni che vorrà e io le comprerò le pantofoline rosa più calde che lei abbia mai avuto. Sorella?» La donna socchiuse gli occhi per un istante e lo guardò senza riconoscer-
lo. «Verrò con la macchina il più vicino possibile» disse Quinn alzandosi in piedi. «Vengo con lei» esclamò subito Karma. «No, è meglio che tu resti qui, e cerca di farle ingoiare qualche sorso d'acqua.» «Ci ho già provato, e anche Fratello Voce, ma non ha funzionato.» Seguì Quinn all'esterno e lungo il sentiero, parlando nervosamente e guardandosi alle spalle come se temesse che qualcuno la stesse osservando. «Era così contenta questa mattina! Cantava che una buona giornata stava per cominciare. Se si fosse sentita male non avrebbe cantato! Ha anche detto che si sentiva piena di vita e di speranza, ma poi si è arrabbiata con me perché le ho detto che lei sarebbe tornato qui per portarmi la lozione per l'acne. Me l'ha portata?» «Sì, è in macchina. Non le andava l'idea che io tornassi?» «No, mi sembrava che fosse spaventata e ha detto che lei è un nostro nemico.» «Ma io non sono tuo nemico, e neanche suo, anzi. Sorella Benedizione e io andavamo molto d'accordo.» «Lei non la pensava così. Mi ha detto che lei era tornato ai tavoli da gioco di Reno, che quello era il suo posto e che io non dovevo prendere sul serio le sue promesse.» «Karma, perché Sorella Benedizione era spaventata?» «Forse a causa di O'Gorman. Quando le ho detto quel nome, credevo che volesse divorarmi! Ho avuto l'impressione che non volesse che le parlassi né di lei né di O'Gorman. Sa, come se fosse convinta che la faccenda ora era stata sistemata e non voleva più sentirne parlare.» «Come se la faccenda fosse sistemata» ripeté Quinn soprappensiero. Una sola cosa era stata chiarita e cioè che O'Gorman era stato ucciso. «Karma, alla Torre viene consegnata la posta?» chiese. «A circa cinque chilometri da qui, lungo la strada provinciale, ci sono due cassette delle lettere. Una è degli abitanti del ranch e l'altra è la nostra. Soltanto il Maestro va a ritirare la posta una volta alla settimana; a noi non arriva mai niente di importante.» «E quando dovete spedire una lettera?» «A noi non è concesso scrivere lettere, a meno che non si tratti di un motivo molto grave, come per esempio riparare un errore che è stato commesso.»
"Riparare un errore" pensò Quinn "confessare un delitto e mettersi a posto con Dio e con la propria coscienza." «Sorella Benedizione ti ha mai parlato di suo figlio?» «Non a me, anche se so che ne ha uno.» «Come si chiama?» «Immagino che si chiami come si chiamava lei: Featherstone. Forse Charlie Featherstone.» «Perché forse?» «Be', quando è arrivato Fratello Voce dopo che lei si è sentita male, lo ha guardato e ha detto "Charlie", come se volesse che il Fratello avvisasse Charlie che lei stava male. Io almeno ho capito così.» «Non avrebbe invece potuto rivolgersi a Fratello Voce chiamandolo Charlie?» «Non vedo perché; anche lei sa benissimo che si chiama Michael Robertson.» «Tu hai una memoria eccezionale, Karma!» La ragazza arrossì e tentò goffamente di nascondere il suo rossore coprendosi il viso con le mani. «Non ho molto da ricordare. L'unica cosa che leggo è il registro che tiene il Maestro mentre faccio compagnia a Madre Purezza. Qualche volta lo leggo ad alta voce anche a lei, come se fosse una storia. Serve a tenerla tranquilla, e quando mi interrompe per chiedermi se quelle persone sono vissute a lungo felici e contente, rispondo sempre di sì.» Quinn immaginò la scenetta, bizzarra e commovente al tempo stesso: la ragazzina che leggeva con impegno una lista di nomi e la vecchia signora dalla mente annebbiata che l'ascoltava come se si fosse trattato di una favola: "C'era una volta una donna che si chiamava Mary Alice Featherstone e un uomo che si chiamava Michael Robertson". "E sono vissuti a lungo felici e contenti?" "Oh, certo, felici e contenti." «Sai se uno dei Fratelli si chiamava Charlie prima di venire qui?» chiese a Karma. «No, ne sono sicura.» Erano ormai quasi arrivati alla macchina. La ragazza corse avanti e spalancò lo sportello; con un grido di trionfo afferrò la bottiglia di lozione antiacne abbandonata sul sedile e se la strinse al viso, come se la sua azione magica potesse avere effetto anche attraverso il vetro. «Adesso sarò come tutte le altre ragazze» sussurrò rivolta un po' a Quinn e un po' a se stessa «e andrò a Los Angeles a vivere con la zia, la signora
Harley Baxter Wood. Non le sembra un nome splendido? E potrò tornare a scuola e...» «Vivrò a lungo felice e contenta?» «Sì, sì, proprio così.» Benché Quinn fosse riuscito ad arrivare con la macchina fino alla porta della cucina, dovettero mettercisi in tre, Quinn, Karma e Fratello Voce per sistemare Sorella Benedizione sul sedile posteriore. Fratello Voce le mise una coperta piegata sotto la testa e un fazzoletto bagnato sulla fronte. Questa volta la Sorella non scostò la testa né emise gemiti di protesta: aveva perso conoscenza. I due uomini si resero conto che era un brutto segno, ma a Karma parve invece un fatto positivo. «Si è addormentata. Questo significa che i dolori devono essere diminuiti e che sta meglio, non è vero? Vivrà a lungo felice e contenta, vero?» Quinn era troppo occupato per rispondere, e l'unica risposta di Fratello Voce fu: «Chiudi il becco!» che gli venne fuori con voce stridula, come una porta che ha bisogno di essere oliata. Quel suono inatteso e tutta la rabbia in esso contenuta zittirono la povera Karma. «Crede che ci sia pericolo che cada dal sedile?» chiese Quinn a Fratello Voce che si stava asciugando gli occhi nella manica della tunica. «No, se guida lentamente.» «Non posso permettermi di guidare lentamente.» «Significa che le porte del paradiso stanno per aprirsi per accoglierla? È questo che intende dire?» «Dico che sta molto male.» «Oh, Signore, concedile di uscire serenamente da questa vita.» Quinn salì in macchina e si avviò per la discesa verso la strada sterrata. Nello specchietto retrovisore vide Fratello Voce che in ginocchio, con le braccia levate al cielo, stava pregando. Un istante più tardi gli alberi nascosero alla sua vista il Fratello, la Torre e tutti gli edifici che la circondavano. Superata la zona irrigata, gli alberi assunsero un aspetto spoglio e contorto. Quel paesaggio arido e scuro sembrava il posto adatto per morire. «Sorella, mi sente, Sorella? È colpa mia se qualcuno le ha fatto questo, perché io ho disobbedito ai suoi ordini. Lei mi aveva detto di non cercare di mettermi in contatto con O'Gorman perché ciò avrebbe potuto causare dei danni. Avrei dovuto obbedirle. Mi dispiace, Sorella! Mi sente? Ho det-
to che mi dispiace.» Mi dispiace! Le parole rimbalzarono sui muretti a secco che delimitavano la strada. Mi dispiace e il corpo inerte infagottato nella tunica grigia si agitò debolmente. «Perché mi ha assunto per trovare un morto, Sorella?» Nessuna risposta. «Quando mi ha ordinato di non mettermi in contatto con lui, lei non poteva sapere che era morto. Però doveva avere immaginato che c'era qualche cosa di singolare in quell'uomo di nome O'Gorman. Chi poteva avergliene parlato se non l'assassino? E perché, dopo tutti questi anni, ha deciso di confessare tutto in una lettera? È stato forse perché la settimana scorsa le avevo chiesto di mettere fine alle incertezze e alle angosce di Martha O'Gorman? È stata lei a costringere l'assassino a scrivere quella lettera di confessione? E perché ha cercato di proteggere quell'assassino?» Dal sedile posteriore giunse un grido di dolore e di protesta. «Era convinta che fosse sinceramente pentito, Sorella, e che non avrebbe mai più ucciso?» Un altro grido, ancora più straziante del primo, come quello di un bambino che si lagna rabbiosamente di un'ingiustizia subita. Che fosse un grido di rabbia era evidente, ma Quinn non sapeva se era diretto contro di lui, che la torturava con le sue domande, contro l'assassino che l'aveva tradita o contro una persona sconosciuta. «Chi ha ucciso O'Gorman, Sorella?» 18 Al pronto soccorso caricarono Sorella Benedizione su una barella, poi un giovane interno accompagnò Quinn in una sala d'attesa poco più grande di un ripostiglio, e qui cominciarono le domande. Come si chiamava la malata? Chi erano i suoi parenti più prossimi? Era affetta da qualche malattia cronica o contagiosa? Quando aveva mangiato l'ultima volta? E che cosa? Aveva vomitato? C'era sangue nelle sue orine? Aveva il delirio? Le pupille erano contratte o dilatate? C'erano segni di bruciature attorno alla bocca o sul mento? «Mi dispiace, ma non posso rispondere a queste domande» disse Quinn «non sono un esperto.» «Non importa, è stato bravissimo. Aspetti qui.» Rimase seduto, tutto solo, per circa mezz'ora in quella stanzetta surri-
scaldata, che puzzava di disinfettante e del sudore e della paura di tutti coloro che erano rimasti ad aspettare prima di lui, fissando la porta e pregando. L'odore diventava sempre più forte, fino a che gli parve di sentirne in gola anche il sapore. Si alzò per andare ad aprire la porta e per poco non andò a sbattere contro un uomo alto e robusto che aveva l'aspetto di chi vive in un ranch. Oltre allo Stetson a larga tesa, indossava una giacca da cowboy e, al posto della cravatta, aveva un cordino di cuoio tenuto fermo da una spilla in argento e turchesi. Aveva un'espressione stanca e vagamente cinica, come se avesse trascorso troppo tempo in posti come il pronto soccorso, senza ricavarne mai niente di buono. «È lei Quinn?» «Sì.» «Posso vedere un documento?» Quinn gli porse i documenti e l'uomo li osservò brevemente, senza interesse, come se lo facesse soltanto per obbedire a una legge. «Sono lo sceriffo Lassiter; è stato lei a condurre qui una donna circa un'ora fa?» «Sì.» «È una sua amica?» «L'ho conosciuta dieci o undici giorni fa.» «Dove?» «Alla Torre del Paradiso: una comunità religiosa situata tra le montagne a circa settanta chilometri da qui.» L'espressione di Lassiter lasciava capire che aveva già avuto a che fare con la Torre e che non ne aveva un ricordo gradevole. «Come mai si è trovato immischiato con gente di quel genere?» «Per errore.» «Non abitava lì?» «No.» «Senta, andremo avanti tutta la notte se lei continua a rispondere alle mie domande con un sì e con un no! Non potrebbe darmi spontaneamente qualche informazione?» «Non so da che parte cominciare.» «Cominci da dove le pare, poi le farò io delle domande.» «Sono arrivato alla Torre questa mattina proveniente da Chicote.» Continuò raccontando dell'incontro con Madre Purezza e della successiva scoperta del cadavere. Descrisse il cortile della Torre e la posizione in cui a-
veva trovato il corpo e le circostanze della morte. Lo sceriffo ascoltava senza fare commenti: si limitava a strizzare gli occhi nei passaggi più interessanti. «Chi era quell'uomo?» chiese infine. «George Haywood, il proprietario di un'agenzia immobiliare a Chicote.» «È caduto o ce l'hanno buttato? C'è modo di saperlo?» «Non che io sappia.» «È una giornataccia per i suoi amici, signor Quinn!» «Ho visto Haywood una sola volta in tutta la mia vita. Non mi pare si possa considerare un amico.» «L'ha visto una sola volta» ripeté lo sceriffo «eppure ha identificato il corpo immediatamente, anche se il viso era sfigurato e coperto di sangue? La sua vista è decisamente più sviluppata di quella di tutti noi.» «Ho riconosciuto la sua macchina.» «Dalla targa?» «No.» «Dal libretto di circolazione?» «No, dalla marca e dal modello.» «Tutto qui? Ci sono centinaia di macchine identiche a quella per le strade.» «Haywood ha lasciato Chicote un paio di giorni fa in circostanze abbastanza misteriose» rispose Quinn. «Ha detto a sua madre e ai suoi amici che andava alle Hawaii, ma uno dei suoi soci ha controllato le linee aeree e ha scoperto che il suo nome non compare in nessuna lista di passeggeri.» «Mi sembra una ragione piuttosto debole per saltare alla conclusione che il cadavere è quello di Haywood. A meno che, naturalmente, lei non si aspettasse di trovarlo alla Torre.» «Non me l'aspettavo.» «Non è andato là per cercarlo?» «No.» «Quindi la sua presenza è stata una sorpresa per lei?» «Una vera sorpresa.» «Anche da queste parti non sono in molti ad aver sentito parlare della Torre, e ancora meno conoscono la sua ubicazione. Che cosa ci faceva lì un agente immobiliare di Chicote?» «Era vestito come uno di loro: portava la tunica regolamentare e aveva la testa rasata.» Lassiter guardò Quinn con un'espressione falsamente preoccupata. «Lei
ha trovato questo cadavere in un posto strano, con indosso abiti insoliti, la testa rasata, la faccia ridotta a un ammasso sanguinante e l'ha identificato senza esitazione come quello dell'uomo che ha visto una sola volta in vita sua.» «Non ho detto di esserne certo, ma se lei è abituato alle scommesse, sceriffo, posso dirle a quanto glielo do.» «Ufficialmente non scommetto, ma non ufficialmente...?» «Dieci a uno.» «Niente male» disse Lassiter annuendo gravemente. «Mi chiedo su che cosa lei basi tanta sicurezza. È possibile che non sia stato del tutto sincero con me, signor Quinn?» «Come faccio a essere sincero su Haywood? Lo conoscevo appena.» Qualcuno bussò alla porta e Lassiter uscì in corridoio. Quando rientrò, aveva il volto arrossato e madido di sudore. «C'era una notizia sul giornale del pomeriggio a proposito di una certa Haywood» chiese quando fu di ritorno «l'ha vista?» «No.» «È scappata dalla prigione di Tecolote ieri in un furgoncino dei rifornimenti. Questa mattina all'alba l'hanno ritrovata che vagava sulle colline attorno a Tecolote. Pare che fosse sotto shock e che soffrisse di insolazione; pare anche che non sia stata in grado di spiegare che cosa stava facendo. Per caso, questi due Haywood sono parenti?» «Sono fratello e sorella.» «Molto interessante; la signorina Haywood era per caso anche lei una sua amica?» «L'ho vista una sola volta» rispose stancamente Quinn «e, guarda caso, è lo stesso numero di volte in cui ho incontrato suo fratello. Nessuno dei due chiaramente poteva dirsi un mio amico d'infanzia.» «Ha motivo di credere che i due Haywood avessero intenzione di incontrarsi alla Torre?» «No.» «Eppure è una ben strana coincidenza, non le pare? Haywood sparisce e, un paio di giorni più tardi, anche sua sorella cerca di eclissarsi. Erano molto vicini?» «Credo di sì.» «Lei mi delude molto, signor Quinn. Visto che ha una licenza da investigatore privato, io immaginavo che lei fosse una miniera di informazioni che sarebbe stato felice di comunicarmi. Probabilmente invece è più facile
ottenere una licenza nel Nevada che in California.» «Non lo so.» «Be', forse lo scoprirà se deciderà di chiederla» osservò Lassiter «e adesso, a proposito di quella donna che ha accompagnato qui: qual è il suo rapporto con gli Haywood?» «Non ne ho idea.» «Immagino che abbia un altro nome oltre a quello di Sorella Benedizione della Salvezza.» «Signora Featherstone, Mary Alice Featherstone.» «Ha parenti, che lei sappia?» «Un figlio che vive a Chicago o nelle vicinanze. Il suo nome potrebbe essere Charlie.» «È un'altra delle sue intuizioni, signor Quinn?» «Non una su cui sarei pronto a scommettere.» Lassiter andò alla porta e, rivolto a qualcuno che aspettava in corridoio, disse: «Manda a chiamare Sam e digli che venga qui con la macchina del laboratorio. Poi mettiti in contatto con la polizia di Chicago e vedi se riescono a trovare un certo Featherstone. Il nome potrebbe essere Charlie. Bisogna avvisarlo che sua madre è morta. Qualcuno le ha fatto mangiare abbastanza arsenico da uccidere un cavallo.» Malgrado il caldo nella stanza, Quinn si sentì gelare; gli sembrava che qualcuno lo stringesse alla gola. "Era un'infermiera" pensò "forse ha capito immediatamente che l'avevano avvelenata e chi era stato, eppure non ha nemmeno tentato di accusare qualcuno, o di salvare la propria vita ingerendo un antidoto." Gli tornò in mente la prima sera in cui le aveva parlato: lei era in piedi davanti alla stufa e si strofinava le mani come se sentisse nell'aria il gelo della morte. "Sto diventando vecchia" aveva detto "ci sono giorni in cui mi pare di non farcela: la mia anima è in pace, ma il corpo si ribella; sente il bisogno di tenerezza, di calore, di dolcezza. Al mattino, quando mi alzo, il mio spirito s'innalza verso il cielo, ma i miei poveri piedi, oh, come sono gelati! E come mi fanno male le gambe. Una volta, in un catalogo di vendite per corrispondenza, ho visto la fotografia di un paio di pantofole. Erano le più belle pantofole che avessi mai visto. Ma queste naturalmente sono le debolezze della carne." «Andiamo, Quinn» stava intanto dicendo Lassiter «lei sta per fare un'altra visita alla Torre.» «Perché?»
«Mi pare che lei conosca il posto. Potrebbe farci da guida e da interprete.» «Preferirei di no.» «Non le sto offrendo una scelta. Che cosa le succede? Si sente un po' nervoso? O sta pensando a qualche altra cosa?» «A un paio di pantofoline rosa.» «Mi dispiace, al momento ne siamo sprovvisti. Che cosa ne direbbe invece di un bell'orsacchiotto morbido?» Quinn sospirò profondamente. «Ora che a piedi nudi ho camminato per le impervie vie della terra, potrò camminare sui dorati sentieri del paradiso. Vorrei vedere Sorella Benedizione, se è possibile.» «Avrà tutto il tempo di vederla più tardi, tanto da là non si muove.» Lassiter lo guardò con un sorriso amaro. «Non le piace il modo come parlo, vero? Be', le do un consiglio e la invito a seguirlo: se si comincia a pensare troppo seriamente alla morte, si finisce con il ritagliare bamboline di carta nella gabbia dei matti.» «Preferisco correre il rischio, sceriffo.» Quinn prese posto sul sedile posteriore accanto a Lassiter mentre un agente in uniforme si metteva al volante. Su un'altra macchina seguivano altri due agenti con un laboratorio portatile. Erano le quattro del pomeriggio e faceva ancora molto caldo. Non appena uscirono dalla città, lo sceriffo si tolse il cappello e la giacca e si allentò la cravatta. «Conosceva bene Sorella Benedizione, Quinn?» «Le ho parlato un paio di volte.» «Come mai allora è rimasto così scosso dalla sua morte?» «Mi piaceva molto; era una donna sensibile e intelligente.» «Qualcuno evidentemente non condivideva la sua opinione. Ha idea di chi possa essere?» Quinn guardò il paesaggio fuori dal finestrino chiedendosi come poteva parlare dell'assassinio di O'Gorman senza tirare in ballo la lettera a Martha O'Gorman. Le aveva promesso di non parlarne con nessuno, ma stava accorgendosi che forse non gli sarebbe stato possibile mantenere la promessa. «Ho motivo di credere» disse scegliendo cautamente le parole «che Sorella Benedizione fosse l'amica e la confidente di un assassino.» «Un membro della comunità?»
«Sì.» «Un atteggiamento sciocco e pericoloso per una donna che lei considera intelligente.» «Per comprendere meglio la situazione, bisogna che lei cerchi di comprendere la comunità. È strutturata come un'unità quasi completamente separata dal resto del mondo. I Veri Credenti, così si definiscono, non si sentono tenuti a osservare le nostre leggi o a seguire le nostre usanze. Quando una persona entra nella Torre, si libera completamente della sua vita precedente, del suo nome, della famiglia, dei beni terreni e anche, ed è la cosa più importante, dei suoi peccati. Nel nostro sistema è un reato dare riparo a un criminale, ma, dal punto di vista della loro setta, la vittima apparteneva a un mondo che loro non riconoscono, il delitto è punibile secondo leggi in cui non credono o che non considerano valide. Sorella Benedizione non era complice di un assassino e neanche gli altri membri della comunità, ammesso che fossero a conoscenza del delitto. E non è affatto sicuro.» «Lei si sta sforzando di giustificarla, Quinn.» «Non ha bisogno delle mie giustificazioni» rispose Quinn «sto cercando di aiutare lei a capire che tra poco si troverà ad avere a che fare con gente i cui comportamenti sono molto diversi dai nostri. Visto che non potrà cambiarli, tanto vale che cerchi almeno di capirli.» «Lei mi sembra un membro del Corpo della Pace che fa un rapporto sul paese dei Picchiatelli.» «Forse quel paese non è così scombinato come sembra.» «D'accordo, d'accordo, lasciamo perdere» lo sceriffo si allentò nervosamente il collo della camicia come se si sentisse strozzare dalla nuova idea «e lei che cosa c'entra con questa gente?» «Avevo perduto anche la camicia a Reno e avevo chiesto un passaggio fino a San Felice dove dovevo riscuotere un credito. L'uomo che mi aveva dato il passaggio, un certo Newhouser che lavora in un ranch vicino alla Torre, aveva fretta di tornare a casa e non poteva accompagnarmi fino a San Felice. Così sono andato alla Torre alla ricerca di un po' d'acqua e di un boccone di pane. Durante la notte che ho passato lì, Sorella Benedizione mi ha chiesto di rintracciare un tale di nome O'Gorman. Solo di trovarlo, niente altro. Ho l'impressione che quando mi ha assunto, non era nemmeno sicura che questo O'Gorman esistesse veramente. È possibile che, quando l'assassino le ha confessato il delitto, Sorella Benedizione non gli abbia nemmeno creduto ma abbia pensato che fosse soltanto frutto dell'immaginazione. Naturalmente voleva scoprire la verità, anche se que-
sto significava infrangere le leggi della comunità e doverne subire la punizione. Il risultato è stato che O'Gorman non era affatto un frutto dell'immaginazione, ma che esisteva veramente. È stato ucciso vicino a Chicote cinque anni e mezzo fa.» «E lei l'ha detto alla Sorella?» «Sì, una settimana fa.» «Le è sembrata spaventata?» «No.» «Non aveva paura che l'assassino potesse essersi pentito di averle confessato un crimine e volesse assicurarsi che lei non ne parlasse con nessuno?» «Apparentemente no. Secondo Karma, la ragazza che era insieme a Sorella Benedizione questa mattina, la Sorella era di ottimo umore e cantava ringraziando il Signore per la buona giornata che stava per cominciare.» «Be', non mi pare che sia stata una gran buona giornata, almeno per lei. Che cosa le aveva fatto pensare che sarebbe stata una buona giornata?» «Non lo so. Forse non pensava a se stessa ma alla comunità. Da qualche anno a questa parte andava di male in peggio e l'arrivo di un nuovo membro deve esserle sembrato un segno incoraggiante.» «Allude a George Haywood, o all'uomo che lei crede sia Haywood?» «Sì; non aveva motivo di sospettare che Haywood non fosse un vero convertito.» «Qualcun altro invece deve averlo pensato» osservò Lassiter. «C'è una cosa strana però: Sorella Benedizione sapeva già da una settimana che quel delitto era veramente stato commesso e che non si trattava del frutto della fantasia, eppure solo quando Haywood è apparso sulla scena l'assassino ha preso le sue misure perché la Sorella non parlasse. Come se lo spiega, Quinn?» «Non me lo spiego.» «Quanti membri ha attualmente la comunità?» «Ci sono ventisette persone tra cui due bambini e una ragazzina di sedici anni, Karma.» «Quali possiamo eliminare dalla lista dei sospetti?» «I bambini, naturalmente, e Karma. Sorella Benedizione era la sua unica speranza per quanto riguardava il suo desiderio di andarsene dalla comunità e di raggiungere una zia a Los Angeles. Probabilmente possiamo eliminare anche il Maestro: al tempo dell'uccisione di O'Gorman la comunità di cui è a capo viveva ancora sulle montagne di San Gabriel. E poi sua mo-
glie, Madre Purezza, che è una donna fragile e debole di mente.» «Per avvelenare qualcuno non c'è bisogno né di forza né di cervello.» «Non credo che nessuna donna del gruppo sia coinvolta nel delitto.» «Perché?» Quinn conosceva la risposta, ma non poteva dirgliela: la lettera a Martha O'Gorman era stata scritta da un uomo. «Mi sembra improbabile» rispose invece «il ruolo di Sorella Benedizione nella comunità era quasi altrettanto importante di quello del Maestro: lei era l'infermiera, l'amministratrice, la governante, la figura madre, come direbbero gli psicologi. Il titolo di Madre Purezza è soltanto formale; lei non esplica nessuna funzione e forse non l'ha mai avuta.» «Mi parli degli uomini del gruppo.» «Fratello Corona di Spine è il meccanico, un semianalfabeta dal temperamento violento e probabilmente il più fanatico di tutti. Da quando aveva fatto la spia sulla disobbedienza alle regole di Sorella Benedizione spifferando tutto al Maestro e causando la sua punizione, la Sorella aveva un buon motivo per averlo in antipatia. Probabilmente neanche lei era simpatica a lui. Ma non mi sembra tipo da commettere un delitto, a meno che non abbia ricevuto l'ordine durante una visione. Fratello Voce dei Profeti è un timido neurotico che soffre di afasia parziale.» «Che cosa diavolo è l'afasia?» «L'incapacità di parlare. Dipende, anzi, dipendeva, da Sorella Benedizione, come un bambino, e perciò mi sembra un sospetto improbabile. Poi c'è Fratello del Sacro Cuore, il barbiere: si atteggia a uomo felice e contento, ma non sono sicuro che lo sia. Fratello Luce dell'Infinito si occupa del bestiame. È un lavoratore indefesso, del tutto privo di spirito. Forse lavora come una bestia per scontare i suoi peccati. Comunque lui ha accesso al veleno perché lo usa per disinfestare le pecore. Fratello Visione Celeste è il macellaio e si occupa anche dei formaggi. L'ho visto una sola volta, da lontano. Non conosco nessun altro per nome.» «Mi sembra che lei conosca un mucchio di cose per essere uno che ha passato così poco tempo alla Torre.» «A Sorella Benedizione piaceva parlare e a me piace ascoltare.» «Davvero? E allora mi stia a sentire: non credo a una parola di quello che mi ha raccontato.» «Lei non si sta sforzando, sceriffo.» La macchina aveva preso a inerpicarsi sulla montagna e l'altitudine cominciava a far sentire il suo effetto sullo sceriffo. Anche il più piccolo
sforzo di parlare gli faceva venire l'affanno e, sebbene non fosse né stanco né annoiato, sbadigliava frequentemente. «Prendi adagio le curve, Bill. Queste maledette montagne mi fanno venire la nausea.» «Provi a pensare a qualcos'altro, sceriffo» suggerì sollecito l'agente «pensi a qualche cosa di bello: agli alberi, alla musica, al cibo.» «Al cibo?» «Sì, a una bella bistecca al sangue con patate al forno.» «Piantala, per favore.» «Sissignore!» Lassiter appoggiò la testa allo schienale e chiuse gli occhi. «Lo sanno che vado da loro, Quinn?» «Ho detto al Maestro che avevo intenzione di denunciare la morte di Haywood.» «Che accoglienza crede che avrò?» «Be', non si aspetti la banda!» «Maledizione! Non mi piace dover avere a che fare con un branco di matti. Già è scomodo avere a che fare con i sani! Ma almeno con quelli si può immaginare come reagiranno. Come ha detto lei, è quasi come andare in un paese straniero dove nessuno parla la nostra lingua od osserva le nostre leggi.» «Benvenuto nel Corpo della Pace.» «Grazie, ma non intendo arruolarmi.» «Lei non ha scelta, sceriffo.» «Che cosa c'è di così divertente, Bill?» chiese lo sceriffo vedendo le spalle dell'autista che sussultavano in una silenziosa risata. «Niente, signore.» «Proprio come pensavo; non c'è niente di divertente, perciò io non rido.» «Nemmeno io, signore. È l'altitudine che mi fa venire il singhiozzo.» «Pensa che tenteranno di impedirci di entrare?» chiese Lassiter rivolto a Quinn. «Se è possibile vorrei saperlo prima se ci sarà violenza.» «Teoricamente non credono nella violenza.» «Teoricamente non ci credo nemmeno io, ma qualche volta sono costretto a usarla.» «Non mi risulta che abbiano armi, a meno che non si voglia considerare la forza numerica.» «Altroché se la considero!» Istintivamente Lassiter sfiorò con una mano la fondina della rivoltella;
Quinn notò il gesto e fu tentato di protestare. Pensò a Madre Purezza come l'aveva vista la prima volta, con gli occhi alzati al cielo, come se si aspettasse di vederlo spalancarsi per riceverla, e il Maestro, diviso tra pietà e dovere, che cercava di distoglierla dai sogni e dai ricordi della sua fanciullezza. Fratello Voce dei Profeti, con il pappagallino appollaiato sulla spalla che parlava per lui, Fratello del Sacro Cuore, che chiacchierava come tutti i barbieri, mentre maneggiava il rasoio: "Ai miei tempi le donne erano fragili, avevano piedi piccoli e delicati...". Gli tornò in mente la voce seccata di Fratello Luce quando era entrato nel ripostiglio con il secchio di disinfettante per le pecore: "Ho mille cose da fare, ma la Sorella ha detto che devo disinfettare il materasso o lo sconosciuto verrà mangiato vivo dalle pulci". E Fratello Corona, il profeta di sciagure: " Portiamo tutti un demonio dentro di noi, che ci divora i visceri". «Non ci sarà violenza» disse ad alta voce, e la voce parve alle sue stesse orecchie stanca, rotta, consumata dal demonio che albergava dentro di lui. «Vada a dirlo a loro.» «Lo dico prima a lei. Se comincerà lei ad aggredirli, potrebbe spaventarli e indurli a compiere atti distruttivi.» «Che cos'è questo, Quinn? Un altro discorso del Corpo della Pace?» «Lo chiami come vuole.» «Per caso ha deciso di diventare sergente nell'Esercito del Signore? Forse comincia a sentire le voci?» «Giusto. Sento le voci.» Una voce soprattutto ricordava: Ho rinunciato al mondo e alle sue pompe. Ho rinunciato alla carne e alle sue debolezze. Cerco la pace dello spirito e la salvezza dell'animo. Ho vissuto privo di ogni conforto: il Signore mi conforterà. Ho camminato scalzo sulle strade impervie di questa terra, camminerò un giorno sui sentieri lisci e dorati del paradiso. Ho rifiutato le lusinghe di questo mondo, per questo mi sarà concessa l'infinita bellezza. Mi sono umiliato su questa terra, per questo camminerò a testa alta per le strade dell'aldilà. Quinn lasciò vagare lo sguardo sul paesaggio desolato. "Mi auguro che lei ce l'abbia fatta, Sorella! Prego sinceramente Iddio perché lei ce l'abbia fatta."
19 Sembrava che niente fosse cambiato dal tempo della prima visita di Quinn. Il bestiame, code al vento, pascolava nel prato, le capre erano ancora legate all'albero di manzanita e le pecore, nel recinto, alzarono la testa per osservare, incuriosite, la macchina che passava. Persino il sentiero, nel posto dove Quinn quella mattina aveva incontrato Madre Purezza, non recava più tracce del loro incontro: niente macchie di sangue, niente orme di piedi. Le foglie degli alberi e gli aghi di pino, insieme alla corteccia rossa dei tronchi, avevano cancellato ogni cosa. La foresta, come il mare, aveva nascosto tutte le testimonianze. Scendendo dalla macchina lo sceriffo Lassiter si guardò nervosamente intorno, come se si aspettasse che qualcuno, da dietro un albero, lo assalisse improvvisamente. Diede ordine agli agenti della seconda macchina di restare dove si trovavano fino a che non avesse avuto modo di ispezionare il posto e poi, insieme a Bill, l'autista, seguì Quinn per il sentiero in salita. Regnava il silenzio più assoluto; neanche un alito di vento smuoveva i rami degli alberi; gli uccellini ancora non si erano messi in agitazione per la ricerca del loro pasto serale e, se qualcuno stava osservando i tre uomini che si avvicinavano, era chiaro che non voleva metterli in allarme. Di tanto in tanto un lieve anello di fumo usciva dal camino e si disperdeva nell'aria immobile. «Maledizione! Dove sono andati a finire tutti quanti?» La voce di Lassiter risuonò così forte nel silenzio del luogo che lo sceriffo arrossì imbarazzato, pronto a scusarsi, se qualcuno si fosse fatto avanti per accogliere le sue scuse. Nessuno comparve. Bussò alla porta della cucina, aspettò, bussò nuovamente. «C'è nessuno?» «Forse saranno andati alla Torre per la preghiera» suggerì Quinn «provi ad aprire la porta.» Non era chiusa a chiave e quando Lassiter l'aprì fu colpito in viso da un soffio d'aria calda e restò quasi accecato dal sole che penetrava dall'immenso lucernario del soffitto. La lunga tavola di legno era apparecchiata per la cena con i piatti di latta e le posate e i bicchieri di acciaio inossidabile. Le lampade di cherosene erano state riempite ed erano pronte per essere accese; nella stufa ardeva il
fuoco e, allineati in bell'ordine per terra, c'erano altri pezzi di legno che Sorella Contrizione avrebbe potuto aggiungere quando fosse arrivata per preparare il pasto. Il pavimento di pietra dove Sorella Benedizione era caduta era stato strofinato e ripulito con cura e nell'aria stagnava l'odore acre della lana bruciata. Lassiter si avvicinò alla stufa e ne alzò il coperchio: i resti bruciacchiati degli stracci usati per pulire il pavimento erano ancora fumanti. «Hanno bruciato le prove!» imprecò Lassiter con furia impotente. «Per Dio! Non la faranno franca però, anche se dovessi metterli dietro le sbarre uno per uno. Ci metta anche questo nel suo calumet della pace, Quinn!» Fece qualche inutile tentativo di recuperare dalla stufa quello che restava degli stracci, ma appena li toccava con l'attizzatoio si sbriciolavano. Con un gesto rabbioso buttò per terra l'attizzatoio che per poco non gli rimbalzò su un piede. Lanciò un'occhiata furibonda a Quinn come se fosse stato lui a tentare di colpirlo e infine borbottò: «Allora, dov'è la Torre? Ho qualche domanda che vorrei fare a questi suoi amici!» Bill osservava il suo capo ansiosamente. «Non se la prenda tanto, Sceriffo. Come ha detto il signor Quinn è come se ci trovassimo in territorio straniero. Forse abbiamo bisogno di una specie di interprete, di qualcuno che sappia parlare la loro lingua. Insomma, lei ha il suo punto di vista, è chiaro, ma forse anche loro ne hanno uno. Se non li assaliamo subito...» «Che cosa ti sta succedendo?» chiese Lassiter rabbioso. «Ti stai rammollendo anche tu come Quinn?» «No, ma...» «Okay, allora! Niente ma, Billy!» Mentre si avviavano alla Torre, gli unici suoni che si udivano erano lo scricchiolio di qualche foglia sotto i loro passi o il gracchiare di una ghiandaia allarmata. In silenzio i tre uomini passarono sotto l'arco che portava alla Torre ed entrarono nel cortile interno. Il cadavere giaceva esattamente dove era caduto, di fronte all'altare. Il corpo era stato coperto da un lenzuolo e su una panca stava seduta Madre Purezza che si faceva passare tra le dita i grani di un rosario e osservava gli intrusi senza battere ciglio. Era stata tutta ripulita e ora indossava una tunica immacolata. «Madre Purezza?» disse Quinn parlandole dolcemente. «Dona Isabella, se non le dispiace.» «Certamente; dove sono gli altri, Dona Isabella?» «Sono andati via.»
«Dove?» «Via.» «E l'hanno lasciata qui sola?» «Non sono sola! C'è Capirote» disse puntando un dito ossuto verso il cadavere «c'è lei, e lei, e lei: siamo in quattro. Cinque, me compresa. Sono molto meno sola di quando ero costretta a starmene in camera mia senza nessuno con cui parlare. In cinque si può già fare una buona conversazione. Con quale argomento vi piacerebbe cominciare?» «Parliamo dei suoi amici: il Maestro, Sorella Contrizione, Karma...» «Se ne sono andati tutti, gliel'ho già detto.» «Ma torneranno?» «Non credo» rispose stringendosi con indifferenza nelle spalle «perché dovrebbero?» «Per prendersi cura di lei.» «Ci penserà Capirote a prendersi cura di me, quando si sveglierà.» Lassiter aveva scostato il lenzuolo e si era chinato sul cadavere per esaminare le ferite alla testa. «Non avrei mai pensato che suo marito l'avrebbe abbandonata in questo modo! Come può provvedere da sola a se stessa?» mormorò Quinn. Lassiter si rialzò. «Davvero le sembra strano?» chiese con un sorriso amaro. «Mi sembrava che le fosse molto affezionato.» «Questo è un altro paese, ricorda? Forse l'affetto è una parola che non esiste nel loro linguaggio.» «No, credo che esista.» «Bene! E allora che cosa sta pensando? Che non siano andati via davvero? Che stiano soltanto giocando a nascondersi tra gli alberi?» «No.» «E allora cosa?» «O il Maestro pensa di tornare qui, oppure ha lasciato deliberatamente qui la moglie rendendosi conto di non essere più in grado di provvedere a lei in modo adeguato. Sapeva che noi stavamo per arrivare e che non sarebbe rimasta qui sola per molto.» «Vuol dire che ha capito che la vecchia sarebbe stata una palla al piede per lui e per gli altri mentre se la davano a gambe?» «No, penso che volesse che noi la trovassimo e la ricoverassimo in qualche istituto: ha bisogno di essere assistita.» «La sua interpretazione delle intenzioni del Maestro è molto caritatevo-
le» ribatté Lassiter «tuttavia i fatti non cambiano. Un delitto è stato commesso, forse due: la vecchia è debole di testa ed è stata abbandonata.» «Non l'avrebbe mai abbandonata per motivi puramente egoistici.» «Quinn, il fumo del suo calumet della pace le sta annebbiando la vista.» «Non la sento» lo interruppe bruscamente Madre Purezza «sta dicendo qualche cosa di interessante? Parli più forte, più forte. Che razza di conversazione è questa se non sento quello che dite?» «In nome del cielo! Fatela stare zitta» disse Lassiter «mi fa venire i brividi e mi impedisce di pensare.» Bill, che era salito ai piani superiori per una breve ispezione, tornò con la notizia che erano tutti deserti. Guardò con simpatia Madre Purezza e disse: «Ho una nonna come lei.» «E che cosa fai per tenerla tranquilla?» «Be', a lei piace succhiare le Life Savers.» «E allora, perbacco, dalle una caramella, Bill!» «Certo! Vieni, nonna, andiamo a sederci fuori. Ho una buona cosa per te.» «Lei è un buon parlatore?» chiese Madre Purezza guardandolo sospettosa. «Sa citare a memoria le poesie?» «Ci puoi scommettere!» Bill l'aiutò ad alzarsi e l'accompagnò lentamente verso l'arco. «E adesso senti questa: apri la bocca e chiudi gli occhi. Ho qualcosa di buono per te.» «Non l'ho mai sentita prima. Chi l'ha scritta?» «Shakespeare.» «Ma guarda un po'! Deve averlo scritto in un momento di particolare serenità.» «Proprio così.» «Conosce qualche storia?» «Qualcuna.» «Me ne racconta una di quelle che finiscono con "...e vissero insieme felici e contenti"?» «Certo.» Il viso di Madre Purezza si illuminò mentre batteva felice le mani: «Splendido! Cominci subito: C'era una volta una donna... Vada avanti, vada avanti!» «C'era una volta una donna» ripeté Bill. «Che si chiamava Mary Alice Featherstone.» «Che si chiamava Mary Alice Featherstone.»
«E visse per sempre felice e contenta.» Lassiter li osservò mentre si allontanava asciugandosi il sudore con la manica della camicia. «Dovremo portarla a San Felice con noi, al County General Hospital, penso. Che vergogna, lasciare qui sola una povera donna come quella!» La necessità di trovare immediatamente una sistemazione per Madre Purezza aveva fatto passare in secondo piano la morte di Haywood. Il suo corpo era soltanto un oggetto che faceva parte della coreografia su un palcoscenico dove persone vive, reali, stavano recitando i loro drammi personali. «Ci sono altri edifici che fanno parte della comunità?» chiese Lassiter. «Una stalla, un paio di stanze da bagno e un capanno che funge da magazzino.» «Perché non dà un'occhiata attorno? Io chiamo per radio il comando perché mandino un'ambulanza e trasmettano un comunicato per la ricerca dei fuggitivi.» Quinn cominciò dalla stalla: l'unica abitante rimasta era una capra che stava ripulendo il suo nuovo nato. Il furgone e la familiare verde erano scomparsi. Anche le due stanze da bagno erano vuote. L'unico segno di uso recente era un pezzo di sapone ruvido e grigiastro abbandonato in una catinella di stagno. I pezzi di lana che venivano usati come asciugamani erano asciutti, segno che gli abitanti se ne erano andati da lì subito dopo la partenza di Quinn. Si erano trattenuti il tempo strettamente necessario per ripulire la cucina, bruciare le prove e ricoprire il cadavere di Haywood. Il problema era: dove si erano diretti? Non potevano certo sperare di passare inosservati, infagottati in una tunica, a piedi nudi e i Fratelli con la testa rasata! Per non attirare l'attenzione dovevano avere indossato abiti normali, probabilmente gli stessi che avevano indosso quando erano arrivati per la prima volta alla Torre. Non era nella filosofia della comunità buttare via niente. Quinn si avviò di buon passo per il sentiero che portava al magazzino. La stanzetta in cui aveva trascorso la sua notte alla Torre sembrava essere esattamente come l'aveva lasciata. Ripiegate sulla branda di ferro c'erano le coperte e, sotto, il vecchio libro di scuola di Karma che Sorella Benedizione gli aveva dato da leggere. La finestra era aperta e i lucchetti sulle porte che portavano nelle altre stanze erano al loro posto. A un esame più attento, però, Quinn si accorse di essersi sbagliato: uno dei lucchetti, nella fretta, era stato chiuso male. Quinn lo aprì e spinse la porta.
Era una stanzetta piccola e senza finestre che puzzava di muffa e di umidità. Non appena gli occhi si adattarono alla semioscurità, Quinn vide che nella stanza erano ammucchiate scatole di cartone di ogni dimensione; alcune mezze vuote, altre strapiene di indumenti, borse, cappelli, pacchi di lettere e flaconi di medicinali. C'era un ventaglio di piume di pavone, un cuscino di velluto rosso pieno di buchi, una bambola senza testa e una grossa tazza da caffè su cui era scritto PAPARINO. Su ogni scatola era tracciato a pastello il nome di un membro della comunità. Una delle scatole sembrava particolarmente nuova e aveva stampato sopra il nome di un detergente che solo di recente era stato immesso sul mercato. Sopra era scritto a carattere stampatello FRATELLO FEDE DEGLI ANGELI. Quinn la prese e andò a posarla sulla brandina di ferro della stanza accanto. Il cappello scuro a larghe falde era identico a quello che aveva visto indossare da George Haywood quando si era incontrato con Willie King nella casa vuota di Chicote. Tanto il cappello che l'abito contenuto nella scatola portavano l'etichetta di un negozio di abbigliamento maschile di Chicote, California. Tutta la biancheria recava il segno di riconoscimento della stessa lavanderia. Non c'era traccia di portafoglio o di documenti personali. Stava per rimettere tutto a posto nella scatola, quando sulla soglia apparve lo sceriffo Lassiter: «Trovato niente di interessante?» «Credo che questi siano gli indumenti di George Haywood.» «Mi faccia dare un'occhiata.» Esaminò attentamente gli indumenti uno per uno, guardandoli controluce, poi chiese: «Ce ne sono altre di queste scatole?» «A dozzine.» «Sarà meglio andare a vedere.» La prima scatola a essere tirata fuori fu quella di Sorella Benedizione. Uno spesso strato di polvere indicava che da molto tempo la scatola non era stata aperta. Conteneva un pesante cappotto nero, alcune uniformi bianche da infermiera, un abito a fiori leggero, due paia di scarpe bianche da infermiera, una borsetta di pelle e qualche oggetto di bigiotteria. C'era anche un pacchetto di lettere: alcune molto vecchie, firmate "il tuo affezionato marito", qualche altra più recente, firmata Charlie. L'ultima portava la data di dicembre di quello stesso anno e diceva: Cara mamma, anche questa volta ti scrivo per augurarti Buon Natale da parte
di Florence, mia e dei ragazzi. Vorrei tanto che fosse veramente un buon Natale per te. Quando darai ascolto al buon senso e te ne andrai da quel posto? C'è già abbastanza sofferenza nel mondo senza che tu debba infliggerne deliberatamente a te stessa dell'altra senza alcun motivo. C'è un mucchio di posto per te a casa nostra, se ti deciderai a cambiare idea. Il mese scorso Flo e i ragazzi hanno avuto l'influenza, ma adesso stiamo tutti bene. Includo in questa busta venti dollari: spendili, conservali, falli a pezzi, ma per l'amor del cielo non darli a quel pazzo menagramo che sembra averti stregato. Buon Natale Charlie Neanche sforzandosi di leggere tra le righe Quinn riusciva a trovare qualche segno d'amore in quella lettera. Charlie l'aveva scritta in un momento di rabbia e, se davvero voleva invitare la madre a dividere con lui la sua casa, certo non aveva trovato le parole adatte. Sarebbe bastato che avesse scritto: "Abbiamo bisogno di te" e lei sarebbe accorsa. «Non è il momento adesso di leggere le lettere» lo interruppe bruscamente lo sceriffo. «È meglio che dia un'occhiata anche lei; è una lettera del figlio Charlie.» «E allora?» «Probabilmente dovrà telefonargli per dargli la notizia.» «Sai che divertimento! "Salve Charlie, tua madre è appena stata fatta fuori."» Prese la lettera che Quinn gli porgeva e se la mise in tasca. «Okay, tiriamo fuori il resto della roba. Non voglio dover restare qui dentro tutta la notte.» Sotto il cuscino bucherellato e la bambola senza testa che erano appartenuti a Karma, Quinn trovò diversi fogli scritti a macchina sulle due facciate. Era chiaro che chi scriveva era alle prime armi come dattilografo e che il nastro della macchina per scrivere era quasi consumato. C'erano frasi intere, parole staccate, numeri, lettere dell'alfabeto. File di punti esclamativi e di punti e virgola e, sparso qua e là, il nome Karma. C'era anche il frutto delle fantasie di un'adolescente: Il mio nome mio nome è Karma; odio Karma. A causa della mia grande beleza, belleza, mi tengono prigioniera nella torre nella foresta. Trite, triste destino per una principessa.
Quinn a deto che mi porterà dono maggico per la mia faccia, ma non credo che lo farà. Oggi o detto ad alta voce diavolo tre volte. La principessa ha fatto una treccia dei suoi lunghi capelli e a strozzato tuti i suoi nemici poi è tornata nel suo regno. «Che cos'è questa roba?» chiese Lassiter. «Karma che giocava con la macchina per scrivere.» «Non vedo nessuna macchina per scrivere qui dentro.» «Il proprietario deve essersela portata dietro.» La conclusione era logica e nessuno ci pensò più. La scatola appartenente a Fratello Corona di Spine non conteneva nessun ricordo sentimentale del passato, solo qualche capo di abbigliamento: un abito di tweed e un pullover semidivorati dalle tarme; una camicia di flanella, un paio di scarpe e alcune calze di lana talmente piene di buchi da essere a malapena riconoscibili. Tutti quegli oggetti erano rimasti rinchiusi là dentro per lungo tempo. «Aspetti un minuto!» esclamò improvvisamente Quinn. «Che cosa succede?» «Provi a mettersi davanti quella camicia come se se la misurasse.» Lassiter lo assecondò. «Direi che mi va bene.» «Che taglia porta lei?» «Il sedici e mezzo.» «Provi la giacca adesso.» «Senta, Quinn, si può sapere dove vuole arrivare? Non mi va di mettermi addosso la roba degli altri.» Tuttavia si infilò la giacca: era troppo stretta di spalle e le maniche erano troppo lunghe. «Adesso vorrà che mi infili anche il pullover immagino?» «Se non le dispiace.» Il pullover andava abbastanza bene, ma le maniche erano troppo lunghe. «Okay, Quinn» disse Lassiter buttando l'indumento nello scatolone «si può sapere che cosa va cercando?» «Questi indumenti non appartengono a Fratello Corona; il Fratello è un uomo di statura medio-bassa.» «Forse è dimagrito dopo essere arrivato qui.» «Può darsi, ma certo non gli si sono accorciate le gambe e le braccia.» «Forse è sbagliato il nome scritto sulla scatola. Potrebbero esserci almeno una dozzina di spiegazioni.»
«Potrebbero esserci, è vero, ma io voglio la spiegazione giusta.» Quinn prese la giacca, il pullover e una delle camicie e le portò sulla porta alla luce. Né sulla giacca né sul pullover c'era l'etichetta del fabbricante. Sulla camicia c'era soltanto il cartellino della taglia e, quasi completamente cancellato, il segno di riconoscimento della lavanderia. «Ha per caso una lente d'ingrandimento, Sceriffo?» «No, ma ho una vista perfetta.» «E allora la metta alla prova su questo segno della lavanderia.» «Mi pare che cominci con una H» disse Lassiter strizzando gli occhi «HR o forse HA. No, ecco HAI o HAT.» «Non potrebbe essere HA e un uno?» «Forse ha ragione; HA 1 e poi, un 8.» «HA 1389X» completò Quinn. Lassiter sternuti un po' perché era seccato e un po' per la polvere che stagnava nell'aria densa come nebbia. «Se lo sapeva già perché lo ha chiesto a me?» «Volevo esserne sicuro.» «Pensa che sia importante?» «È il segno di riconoscimento della lavanderia di George Haywood.» «Che mi pigli un accidente!» Lassiter sternuti di nuovo. «Dai danni procurati dalle tarme e dalla quantità di polvere, direi che questa roba si trova qui da anni. Che cosa significa tutto questo?» «Significa che quando Fratello Corona è arrivato qui per la prima volta indossava indumenti appartenuti a George Haywood.» «Perché? E come aveva fatto a procurarseli?» Quinn era ormai convinto di conoscere la risposta, ma non era ancora pronto a rivelarla. Era stata Willie King a illuminarlo la sera precedente nel cortile del motel. Di George, che si stava svegliando dall'anestesia aveva detto: "Era uno spettacolo!... Pensava che io fossi Alberta... continuava a ripetere che ero una vecchia, sciocca zitella e che avrei dovuto essere più saggia... Era arrabbiato con lei, arrabbiatissimo... perché aveva regalato alcuni suoi indumenti a un vagabondo di passaggio che si era presentato alla loro porta. Diceva che era una sciocca, un'ingenua dal cuore tenero... Alberta può essere una pazza, ma certo non è ingenua e nemmeno ha il cuore tenero. Se davvero era esistito un vagabondo e Alberta gli aveva dato qualche indumento, doveva esserci una buona ragione diversa dalla generosità". Quinn sentì una sensazione di trionfo gonfiargli il petto. La connessione
che aveva cercato tra Alberta Haywood e l'assassino di Patrick O'Gorman stava cominciando a diventare evidente. Il vagabondo a cui Alberta aveva dato gli indumenti di George, l'autostoppista che O'Gorman aveva caricato, colui che aveva scritto la lettera di confessione a Martha O'Gorman, erano la stessa persona, Fratello Corona di Spine. C'erano ancora delle domande prive di risposta che si affollavano nella mente di Quinn. Dov'era adesso Fratello Corona? Come era riuscito a persuadere tutta la comunità a sciogliersi per poter evitare l'arresto? Era stata l'improvvisa apparizione di George Haywood alla Torre che aveva reso necessaria la soppressione di Sorella Benedizione? E qual era la ragione che aveva spinto Alberta Haywood a regalare a uno sconosciuto gli abiti del fratello? E se non si fosse trattato di uno sconosciuto? O se non lo fosse rimasto per molto? Se per esempio Alberta, trovandoselo davanti, avesse sentito in lui la stessa disperazione che affliggeva lei e gli avesse offerto del danaro per uccidere O'Gorman? Quinn aveva già da tempo preso in considerazione l'ipotesi che O'Gorman fosse al corrente dei furti di Alberta. Non era verosimile credere che avesse tentato di ricattarla, ma poteva aver cercato di parlarle, di discutere con lei. "Vediamo un po', signorina Haywood, lei non dovrebbe proprio rubare danaro alla banca, non è carino. Penso che sia venuto il momento di smetterla. Oltre a tutto mi mette in una posizione imbarazzante. Se sto zitto, è come se mi rendessi complice del suo misfatto..." Alberta era una donna talmente chiusa e silenziosa che a O'Gorman non era neanche passato per la testa che sarebbe stata capace di assumere qualcuno perché lo uccidesse. "Sì" pensò Quinn. "Tutti i pezzi del puzzle combaciano." Anche adesso, rinchiusa nella cella di una prigione, Alberta accusava O'Gorman di essere la causa dei suoi dolori. Le sue irrazionali affermazioni che forse O'Gorman non era morto potevano avere origine dal fatto che lei si sentiva responsabile della sua morte. E George, quando era comparso sulla scena? Da quando aveva cominciato a sospettare che la sorella stava organizzando l'assassinio di O'Gorman? E le sue frequenti visite al carcere avevano lo scopo di mettere in luce la verità o di nasconderla? «Mi dia una mano a trasportare questi scatoloni» disse Lassiter «è meglio che li portiamo via, caso mai ai Fratelli venisse in mente di tornare qui.» «Non credo che torneranno indietro.» «Nemmeno io, ma non si sa mai. Dove crede che siano diretti?»
«A sud probabilmente; in origine la comunità abitava sulle montagne di San Gabriel.» Lassiter accese una sigaretta, poi prese il fiammifero e lo fece a pezzettini: «Ora, se, Dio non voglia, io fossi il Maestro, quella sarebbe l'ultima cosa che farei, a meno che non volessi essere preso. Anche se si sono messi abiti normali, un furgone e una familiare in cui si accalcano venticinque persone non può non dare nell'occhio.» «Che cosa farebbe allora?» «Scioglierei il gruppo: e direi a ciascuno di andare per conto proprio a Los Angeles, la più grande città nelle vicinanze. Se tornano su quelle montagne non potranno evitare di essere scoperti.» «Non potranno evitarlo neppure in città» osservò Quinn «non hanno un centesimo.» Sul sedile posteriore Madre Purezza, cullata dal dondolio della macchina, si addormentò succhiando una caramella. Con le gambe raccolte e il mento appoggiato al petto, sembrava un vecchio feto. Quando ebbero raggiunto la strada provinciale, Lassiter, seduto sul sedile anteriore, si voltò e disse a Quinn: «Mi sbaglio o aveva detto che qui attorno c'era una fattoria?» «Sì, c'è una svolta circa tre chilometri più avanti.» «Dovremo fermarci per chiedere aiuto.» «Che tipo di aiuto?» «Soltanto un ragazzo di città farebbe una domanda del genere» rispose Lassiter con un grugnito «bisogna che qualcuno si occupi del bestiame; le vacche non possono mungersi da sole. È maledettamente strano che i Fratelli se ne siano andati abbandonando del bestiame di valore.» «Con un solo furgone e una familiare non avevano molta scelta.» «Mi chiedo se non si siano nascosti sulle colline dei dintorni con l'intenzione di tornare, magari questa notte, a riprendersi il bestiame. Lei vive in città e non capisce quanto una comunità come la Torre possa dipendere dai suoi animali. Le bestie mi sono sembrate ben nutrite e ben tenute.» «È così infatti» disse Quinn ricordando con quanto amore Fratello Luce aveva parlato delle mucche, delle pecore e delle capre che erano affidate alle sue cure. Ovunque si trovasse in quel momento Fratello Luce, sulle colline lì attorno o sulle montagne di San Gabriel o in città, Quinn sapeva a che cosa avrebbe pensato quando fosse calato il sole. La strada che portava alla fattoria era indicata da una freccia di legno
decorata da ferri di cavallo sulla quale era scritto Rancho Arido. Dopo circa un chilometro venne loro incontro un uomo su una jeep sul cui sedile posteriore c'erano due collies che abbaiavano menando le code furiosamente. Quando fu vicino alla macchina dello sceriffo, l'uomo scese dalla jeep e si accostò allo sportello: «Che cosa succede, Sceriffo?» «Salve, Newhouser» disse Quinn. Newhouser si chinò a guardare attraverso il finestrino. «Che mi pigli un accidente se quello non è il vecchio Quinn!» «Proprio io.» «Credevo che ormai tu fossi ritornato a Reno.» «Ho fatto prima un giro.» «Sai, Quinn, mi sono sentito rimordere la coscienza per averti abbandonato così per la strada quella volta. Mi fa piacere vedere che è andato tutto bene; non si sa mai quello che può accadere.» Per un secondo Quinn si sentì mancare il fiato, come uno che sta per affogare sommerso dai ricordi. E tra questi primeggiava l'immagine sorridente di Sorella Benedizione che gli dava il benvenuto: "Benvenuto straniero... noi non mandiamo mai via i poveri perché siamo poveri anche noi". «Hai ragione» rispose sottovoce «non si sa mai quello che può accadere.» 20 Alle nove di sera Quinn era ancora nell'ufficio dello sceriffo ad aspettare che il centralino lo mettesse in comunicazione con Charlie Featherstone. Quando finalmente il telefono squillò, Lassiter lo guardò un istante, poi disse a Quinn: «Non sono capace di fare questo genere di cose. Risponda lei.» «Non spetta a me.» «Lei conosceva sua madre, io no. Risponda.» «D'accordo, ma preferisco parlargli da solo.» «Questo è il mio ufficio!» «È anche il suo telefono.» «Oh, per la miseria!» imprecò lo sceriffo e uscì sbattendo la porta. «Pronto» disse Quinn sollevando il ricevitore «signor Featherstone?»
«Sono io; chi parla?» «Mi chiamo Quinn e sto telefonando da San Felice, California. È da un po' che sto cercando di mettermi in contatto con lei.» «Ero fuori.» «Temo di avere cattive notizie per lei.» «Non mi sorprende» la voce di Featherstone aveva il tono lagnoso di chi si lamenta sempre «non mi giungono mai buone notizie da quella parte del paese.» «Oggi pomeriggio sua madre è morta.» Seguì un lungo silenzio. «L'avevo messa in guardia» esplose infine Featherstone «le avevo detto che era una pazza a voler restare lì, a non prendersi cura di sé, a trascurare la sua salute!» «Non è stata la salute la causa della sua morte, signor Featherstone: è stata avvelenata.» «Santo cielo! Che cosa ha detto? Avvelenata? Mia madre è stata avvelenata? Come? Chi è stato?» «Ancora i dettagli non sono noti.» «Se la colpa è di quel santone maniaco, giuro che farò a pezzi la sua sacra carcassa!» «Non è stata colpa sua.» «Tutto è colpa sua.» Featherstone adesso si era messo a gridare trasformando in rabbia il suo dolore. «Se non fosse stato per lui e per tutte quelle stronzate che andava raccontando, mia madre adesso sarebbe qui e farebbe una vita dignitosa.» «La sua vita era dignitosa, signor Featherstone; faceva quello che le piaceva: servire gli altri.» «E questi altri le erano così riconoscenti che l'hanno avvelenata? Be', perché mi stupisco? Da quello che so io di quel posto mi sembra normale. Avrei dovuto sospettare che c'era qualche cosa di strano nell'aria quando la settimana scorsa ho ricevuto quella sua lettera. Avrei dovuto... muovermi allora!» A questo punto era probabilmente scoppiato a piangere, perché Quinn sentiva attraverso il microfono i suoi singhiozzi e la voce di una donna che diceva: «Ti prego, Charlie, non fare così! Hai fatto tutto quello che potevi per convincerla. Ti prego, Charlie, ti prego.» Dopo un po' Quinn chiese: «Signor Featherstone? È sempre lì?» «Sì, sono qui, vada avanti.» «Prima di morire sua madre ha pronunciato il suo nome. Ho pensato che
le facesse piacere saperlo.» «No, invece non lo voglio sapere.» «Mi scusi, mi dispiace.» «Era mia madre; sarebbe stato mio dovere provvedere a lei, e invece non ho potuto fare niente dopo che quel pazzo fanatico ha cominciato a raggirarla con discorsi che non avrebbero incantato neanche un bambino di due anni. Anche altre donne hanno perso il marito, ma non per questo si sono messe ad andare in giro a piedi scalzi.» «A proposito di quella lettera che le ha scritto...» «Erano due lettere» lo interruppe Featherstone. «Uno era un breve biglietto in cui mi diceva che stava bene ed era contenta e che non dovevo preoccuparmi per lei. L'altra era una busta chiusa che mi chiedeva per favore di impostare da Evanston.» «Le ha spiegato perché?» «Mi ha detto che quella lettera sarebbe servita a chiarire una situazione che stava rendendo qualcuno molto infelice. Ho pensato che si trattasse di un'altra delle sue follie religiose e l'ho imbucata. Era una lettera via aerea indirizzata a una certa signora O'Gorman di Chicote, California.» «Era la calligrafia di sua madre?» «No, sembrava piuttosto quella di un bambino di terza o quarta elementare, o forse era stata scritta con la mano sinistra. A meno che a scriverla non sia stato un semianalfabeta.» "È così" pensò Quinn "doveva essere costato un grosso sforzo a Fratello Corona scrivere quella lettera. Perché l'aveva fatto? Per paura di morire senza ricevere l'assoluzione? No, sembrava godere di un'ottima salute, il più sano di tutti i Fratelli. Se non era stata la paura a spingerlo a confessare, che cosa era stato? O chi era stato? Quinn ripensò alla sua seconda visita alla Torre quando era andato a trovare Sorella Benedizione in isolamento per i suoi peccati. Le aveva parlato di Martha O'Gorman e delle sue incertezze sulla sorte del marito. "Merita un po' di tranquillità" le aveva detto "se lei può fare qualche cosa, Sorella, lo faccia. Lei è una donna generosa." Aveva creduto che Sorella Benedizione non lo stesse ascoltando, e invece doveva averlo sentito. Aveva preso in considerazione la supplica di Martha e aveva chiesto a Fratello Corona di scrivere una lettera per dire le cose come stavano. Era una donna forte e capace di essere molto persuasiva: Fratello Corona aveva accondisceso alla sua richiesta. Le cose erano probabilmente andate così, eppure a Quinn la situazione
non sembrava reale né possibile. Fratello Corona non aveva mai nascosto la sua antipatia verso la Sorella; inoltre lui non dipendeva da lei come molti altri; era testardo e pieno di sé. Un uomo del genere non avrebbe mai scritto una lettera per confessare un delitto, e tanto meno per far piacere a una donna. "No" rifletté Quinn "non è la situazione che è irreale, sono i protagonisti. Posso immaginare Sorella Benedizione che dà un ordine a Corona, ma non Corona che obbedisce. Nei loro rapporti era lui che teneva in mano il potere." Featherstone intanto era ritornato al suo argomento preferito: sua madre era stata raggirata da un maniaco, quell'uomo avrebbe dovuto essere arrestato, l'intera comunità buttata in un burrone e la Torre data alle fiamme. «Capisco i suoi sentimenti, signor Featherstone» lo interruppe infine Quinn «ma...» «No che non capisce! Non era sua madre. Lei non sa che cosa significhi vedere un membro della propria famiglia venire ipnotizzato da un pazzo e convinto a condurre una vita che non si augurerebbe neanche a un cane.» «Mi dispiace che lei non abbia avuto la possibilità di vedere sua madre prima che morisse. La sua vita era molto più serena di quanto lei non immagini. Se faceva sacrifici, aveva anche molte soddisfazioni. Mi disse di aver finalmente trovato il suo posto in questo mondo e che non voleva più lasciarlo.» «Non era lei a dire questo! Era lui!» «Era sua madre, e mi diceva quello che veramente sentiva.» «Quella povera, cara, pazza! Ecco che cosa era: una pazza.» «Era una pazzia di sua scelta.» «Sta per caso prendendo le difese di quell'uomo?» «No, quelle di sua madre, signor Featherstone.» All'altro capo del telefono s'udì un gemito, poi una voce di donna che diceva: «Mi dispiace, mio marito non può continuare questa conversazione: è troppo sconvolto. Penso che bisognerà prendere decisioni per... il funerale. Ci sarà un'autopsia?» «Sì.» «Quando sarà terminata e si potrà portare qui il cadavere per la sepoltura, sarà così gentile da avvertirmi?» «Naturalmente.» «Bene, allora credo che non ci sia altro da aggiungere; solo... la prego di scusare Charlie.» «Certo; arrivederci, signora Featherstone.»
Quando Quinn posò il ricevitore, le mani gli tremavano e, sebbene la stanza fosse fredda, un rigagnolo di sudore gli scendeva dalle orecchie nel colletto della camicia. Si passò un fazzoletto sul collo e uscì in corridoio. Lassiter, appoggiato allo stipite della porta, era assorto in conversazione con un giovanotto in uniforme dall'aspetto severo. «Tutto fatto con Charlie?» chiese quando vide Quinn. «Tutto fatto.» «Grazie. Questo è il sergente Castillo che ha analizzato le scatole che abbiamo trovato in magazzino. Racconti anche a lui, Sergente.» «Sì, signore. Dunque, gli indumenti trovati nella scatola su cui era scritto Fratello Fede degli Angeli non potevano trovarsi lì da più di una settimana, forse da meno.» «Questo lo sappiamo» lo interruppe Lassister con impazienza «appartenevano a George Haywood. Vada avanti, Sergente.» «Sì, signore. Il contenuto della scatola con l'etichetta FRATELLO CORONA DI SPINE non è stato toccato da diversi anni. Secondo una mia stima, basandomi soprattutto sui danni causati dalle tarme, direi circa sei anni. L'entomologia è uno dei miei hobby. Se vuole che le spieghi nei dettagli il ciclo riproduttivo di questo particolare tipo di tarma...» «Non importa, grazie. Le crediamo sulla parola; sei anni va bene.» «C'è un altro punto interessante che riguarda l'etichetta con il nome; l'ho rimossa e ho potuto constatare che sotto c'era un'altra etichetta che è stata tolta. Ne resta soltanto qualche traccia.» «Qualche lettera è ancora leggibile?» «No.» «Molto bene; grazie, Sergente» Lassiter aspettò che l'uomo si allontanasse, poi disse: «Sei anni. Questo che cosa significa, Quinn?» «Che quegli indumenti non appartengono a Fratello Corona. Si è unito alla comunità soltanto tre anni fa.» «Come fa a saperlo?» «Me l'ha detto Karma, la figlia di Sorella Contrizione, la cuoca.» «E così avevamo incolpato l'uomo sbagliato» osservò Lassiter con rabbia. «Non che questo cambi niente; abbiamo perso ogni traccia di loro. L'intera dannata comunità è scomparsa e mi ha lasciato con una mandria di mucche, un gregge di pecore, cinque capre e qualche volatile a cui provvedere. Che cosa gliene pare?» A Quinn la cosa sembrava abbastanza divertente, ma si limitò a dire: «Sono libero di andarmene adesso?»
«Dove vuole andare?» «In un ristorante per la cena e in un motel a dormire.» «E poi?» «Poi non lo so. Dovrò trovarmi un lavoro: forse andrò a Los Angeles.» «Forse ci andrà e forse non ci andrà. Perché non si trattiene qui per un po'?» «È un ordine, Sceriffo?» «San Felice è una cittadina graziosa. Le montagne, l'oceano, i parchi, le spiagge, il porto...» «E niente lavoro.» «Devo ammettere che non è tanto facile. Ma ci sono alcune industrie non inquinanti che sono aperte da poco; perché non prova a fare domanda?» «È un ordine, Sceriffo?» ripeté Quinn. «Spero di no, perché non posso stare qui. Devo tornare a Chicote prima di tutto. Qualcuno ha avvertito la madre di George Haywood della morte del figlio?» «Ho avvisato la polizia del luogo. A quest'ora qualcuno avrà provveduto.» «Sarà meglio che qualcuno avvisi anche Alberta. Potrebbe avere qualche cosa da dirci anche lei.» «Che cosa per esempio?» «Perché ha ingaggiato uno dei Fratelli per uccidere O'Gorman e come ha fatto Haywood a scoprirlo.» 21 Alberta Haywood stava sdraiata a fissare il soffitto bianco attraverso una fitta cortina di pensieri neri. Non era un soffitto come tutti gli altri: qualche volta si allontanava da lei fino a raggiungere il cielo, altre volte invece aveva l'impressione che il suo tocco bianco e leggero le sfiorasse la faccia come il coperchio di una bara. Ma, anche nella bara, non aveva più intimità di quanta ne aveva avuta in prigione. Intorno a lei c'era gente che si agitava; qualcuno le auscultava il petto, altri le infilavano tubi nel naso, aghi nelle braccia, cercavano di farla parlare. Se quello che le dicevano era interessante rispondeva, altrimenti faceva finta di non aver capito. Qualche volta invece era lei a fare domande. «Dov'è George?» «Signorina Haywood, glielo abbiamo detto molti giorni fa.» «Non me lo ricordo più.» «Suo fratello George è morto.»
«Davvero? Allora bisogna che si procuri una bara tutta per sé. Non c'è spazio per lui in questa. E già asfissiante anche così.» Le voci si sovrapponevano. "Sta delirando... Eppure la polmonite sta passando, il conteggio dei globuli bianchi è tornato quasi normale... È passata una settimana ormai... Andiamo avanti con il glucosio... Vorrei che potessimo farle una radiografia decente... Continua a togliersi i tubi dal naso... Apatia... Isterismo... Delirio." Le voci andavano e venivano. Si tolse il tubo dal naso che le venne rimesso a posto; buttò via le coperte che le furono risistemate, si dibatté e fu bloccata con la forza. «Signorina Haywood, c'è qui una persona che vuole farle alcune domande.» «Gli dica di andarsene.» Ma l'uomo non volle andarsene; rimase in piedi vicino al suo letto a guardarla con occhi strani e tristi. «Ha ingaggiato qualcuno per uccidere Patrick O'Gorman, signorina Haywood?» «No.» «Ha regalato a un vagabondo alcuni indumenti di suo fratello?» «No.» Era assolutamente vero: non aveva fatto niente di tutto ciò. L'uomo che le faceva domande così assurde doveva essere un idiota. «Chi è lei?» «Sono Joe Quinn.» «Be', signor Quinn, lei è un idiota.» «Probabilmente ha ragione.» «Io non apro la porta ai vagabondi e tanto meno assoldo dei killer. Lo chieda pure a George.» «Non posso chiederlo a George: è stato ucciso sei giorni fa.» «Naturalmente.» «Perché ha detto "naturalmente", signorina Haywood?» «George interferiva con la vita degli altri: è naturale che qualcuno l'abbia ucciso.» «Interferiva anche con la sua?» «Tutte le volte che veniva a trovarmi mi tormentava con le sue domande; non avrebbe dovuto farlo.» Lacrime, un po' per sé e un po' per George, scivolarono da sotto le palpebre socchiuse. «Non avrebbe dovuto farlo. Perché non lasciava mai la gente in pace?» «Quale gente, signorina Haywood?»
«Noi.» «Chi noi?» «Noi, la gente di tutto il mondo.» Dall'improvviso silenzio che invase la stanza si accorse di aver commesso un grosso errore. Per distrarre l'attenzione dei presenti allungò una mano e si strappò il tubo dal naso. Le fu rimesso a posto. Buttò le coperte giù dal letto e vennero risistemate. Si dibatté, anche nel sonno, e anche nel sonno con la forza venne sottomessa. Non c'erano più sogni dolci e rosei in serbo per lei. Era la prima volta che Willie King tornava in ufficio dopo il funerale di George. Niente era cambiato: scrivanie, sedie, cestini della carta straccia, tutto era al suo posto. Appeso al muro, Washington stava ancora attraversando il Delaware e il giovane Lincoln sorrideva con espressione enigmatica. Si guardò attorno, inconsciamente risentita perché niente era cambiato. Avrebbe voluto avere una spranga di ferro e fare tutto a pezzi: le finestre, i portacenere, i telefoni! Demolire le sedie e le scrivanie; soltanto allora anche l'ufficio sarebbe stato come lei si sentiva dentro. Earl Perkins appese la giacca all'attaccapanni e le rivolse un sorriso cauto. «Salve, Willie. Va tutto bene?» «Bene, benissimo, grazie.» «Accidenti, Willie, mi dispiace. Cioè, accidenti, che cosa posso dire?» «Perché non provi a stare zitto?» Diede un'occhiata a un mucchio di posta ancora inevasa sulla scrivania di Earl e chiese. «Tutto come al solito, vero?» «Gli ordini della signora Haywood sono che tutto deve andare avanti come se George non fosse morto.» «Fantastico! Quella donna è proprio divertente; quando penso a lei mi viene una crisi isterica.» «Per l'amor del cielo, Willie! Non ricominciare.» «Perché no?» «Non fai che farti male. Dopo tutto, a modo suo, non è poi così cattiva come sembra.» «È peggio.» «Va bene, è peggio» ripeté Earl rassegnato «ma tu non puoi farci niente.» «E invece sì» andò alla scrivania e sollevò il telefono «adesso le telefono
e le dico alcune cosette che non ho mai potuto dirle quando George era ancora vivo.» «Non lo farai sul serio, Willie.» «Sì che lo farò. Sono giorni che ci sto pensando. Stammi a sentire, vecchia megera, le dirò, stammi a sentire, vecchia egoista e impicciona, vuoi sapere chi ha ucciso George? Sei stata tu. Non la settimana scorsa o il mese scorso, ma anni fa. Con i tuoi artigli adunchi tu l'hai soffocato.» «Dammi quel telefono» la interruppe Earl. «Perché dovrei?» «Smettila di discutere e dammelo.» Willie scosse cocciutamente la testa e cominciò a comporre il numero. George era morto; non le importava niente di quello che sarebbe accaduto adesso; non c'era più futuro per lei. «Pronto? Signora Haywood?» «Sì, sono la signora Haywood.» "Come è vecchia" pensò Willie sorpresa "è vecchia, malata e battuta." «Sono Willie. Mi spiace di non averle telefonato prima; come sta?» «Non c'è male, grazie.» «Forse le farebbe piacere se una di queste sere passassi a casa sua. Potremmo farci un po' di compagnia. Anch'io mi sento molto sola.» «Davvero? Be', lei si occupi della sua solitudine che io mi occuperò della mia.» «Se dovesse cambiare idea me lo faccia sapere.» Willie posò il ricevitore e si voltò a guardare Earl. Non l'aveva mai osservato con attenzione prima di allora: era soltanto un ragazzo che divideva l'ufficio con lei e che aveva problemi di digestione. Era un po' giovane forse, ma era un bell'uomo e lavorava sodo. Se solo fosse riuscita a fargli seguire una dieta per la sua ulcera... «Grazie, Earl» disse «ti sono molto grata.» «Per cosa? Non ho fatto niente altro che stare qui a guardarti.» «Be', forse basta quello; tu continua a restare lì.» «Ma certamente, anche se non capisco di che cosa tu stia parlando.» «Lo capirai.» Dopo aver parlato al telefono, la signora Haywood andò in cucina e tornò a occuparsi della sua prima colazione. Un gambo di sedano, spinaci, carote, un cespo di lattuga, germi di grano, proteine in polvere e due uova andarono a finire nel frullatore fino a che non si trasformarono in una den-
sa poltiglia grigioverde. Questo era il pasto dietetico con cui cominciava la giornata la signora Haywood. Fino a quel momento si era rifiutata di ammettere che George era stato assassinato. Secondo la ricostruzione degli avvenimenti che lei si era fatta, George, in piedi in cima alla Torre, era stato colto da un'improvvisa vertigine ed era caduto. La causa della vertigine era la sua dieta sbagliata, la mancanza di esercizio e di sano riposo. Aveva ripetuto questa sua teoria a Quinn, allo sceriffo Lassiter, alla polizia di Chicote, a John Ronda, l'editore del giornale locale, senza cercare di spiegare che cosa ci faceva George in cima alla Torre o che cosa ci era andato a fare. Per quanto riguardava Alberta, preferiva non parlarne. «Ti senti sola, eh, Willie!» disse ad alta voce. «Ti sta bene. Chi è stato a far passare le notti in bianco a George e a impedirgli di fare le sue otto ore di sonno? Chi lo portava in ristoranti a mangiare cibi intrisi di colesterolo e privi di calcio e di riboflavine? Chi lo persuadeva a starsene seduto per ore in un cinematografo, mentre avrebbe dovuto esercitare i muscoli in palestra?» Nelle ultime due settimane aveva cominciato a parlare ad alta voce con persone che non erano presenti e che mai lo sarebbero state. Buona parte dei suoi discorsi consisteva nel ripetere brani tolti dai suoi libri sulla nutrizione, sul pensiero positivo, sulla vita dinamica, sulla vita salubre e sulla felicità ottenuta con la concentrazione, sulla pace dell'animo e sulla volontà. Prendeva tutto ciò con molta serietà, anche se a volte i vari testi erano in contraddizione tra di loro. Servivano a tenerla occupata e a impedirle di pensare. "Le autorità sono troppo stupide per riconoscere le verità elementari" pensò. "George era stanco per essere salito fin lassù; il suo cuore era fuori esercizio, i muscoli flaccidi, le arterie intasate di colesterolo." Versò la verdura dal frullatore dentro un bicchiere e l'esaminò controluce: in quella poltiglia opaca vedeva la giovinezza, la salute, il vigore, la forza di volontà, la felicità e anche la prosperità accumulata con l'impresa immobiliare e la vita eterna. Bevve un sorso del suo filtro magico. "Se George avesse cominciato le sue giornate con questo frullato, adesso sarebbe ancora vivo. Non gli sarebbero mai venute le vertigini." Il primo sorso le sembrò amaro; c'era qualcosa che non andava. Prese un secondo sorso, ma anche quello era amaro; troppo liquido per mangiarlo e troppo denso per berlo.
"Devo aver dimenticato qualche cosa" pensò "che cosa ho dimenticato?" Venne settembre e i bambini O'Gorman ricominciarono ad andare a scuola. Ogni sera Martha li aiutava a fare i compiti. Richard aveva scritto un tema dal titolo "Come ho trascorso le vacanze estive" e glielo aveva mostrato perché correggesse gli errori di grammatica. «La tua scrittura è orribile» osservò Martha «non insegnano più calligrafia a scuola?» «Certo che la insegnano» rispose allegramente Richard «solo che io non riesco a impararla.» «Non credo che riuscirò a decifrarla.» «Ti prego, provaci, mamma.» «Oh, io ci provo, ma credi che ci proverà anche la tua maestra?» Martha tornò a concentrarsi sul tema: secondo quanto aveva scritto Richard, durante l'estate aveva lavorato più di una compagnia di Marines. «Sei sicuro di stare parlando di te?» gli chiese infine. «Certo. Non hai visto il titolo? Come ho passato le mie vacanze. Senti, mamma, lo sai cosa fanno un mucchio di miei compagni quest'anno?» «Certo che lo so; me lo hai detto tante volte. Alcuni guideranno le loro Cadillac personali, altri riceveranno cinquanta dollari alla settimana per le loro piccole spese e potranno stare alzati fino a mezzanotte...» «Mamma! Dico sul serio. Alcuni dei ragazzi, o almeno, uno di loro, fa i compiti a casa sulla macchina per scrivere.» «Alla tua età?» «Certo, perché no?» «Se cominci a usare sempre la macchina per scrivere adesso, quando andrai all'università avrai dimenticato come si fa a scrivere a mano.» «Hai detto tu stessa che comunque io non so scrivere.» Martha lo guardò freddamente. «Quello che non ho detto, ma che ti dico adesso, furbacchione, è che sarà meglio che tu migliori la tua grafia a cominciare da subito. Chiaro?» Richard gemette, alzò gli occhi al cielo, ma rispose: «Sissignore.» «Tanto per cominciare ricopia questo tema prima di consegnarlo alla tua insegnante, se ti interessa prendere un voto decente.» «Una volta, tanto tempo fa, non avevamo anche noi una macchina per scrivere?» «Sì.» «Dove è andata a finire?»
Martha esitò. «Non lo so proprio.» «Accidenti! Forse c'è ancora nel ripostiglio o in garage. Bisogna che la cerchi.» «No, Richard, non la troveresti comunque.» «Potrei riuscirci; hai detto tu che non sapevi dove fosse!» «So però dove non è. Non c'è bisogno di mettere sottosopra il ripostiglio e il garage per cercare qualche cosa che non esiste. E adesso per favore non cominciare a elencarmi tutte le cose che agli altri ragazzini è permesso fare. Accetta il fatto che tu sei un ragazzino sfortunato, maltrattato, negletto e tira avanti. D'accordo?» Cercò di mantenere un tono allegro nella voce perché il figlio non si accorgesse di quanto l'aveva turbata l'improvviso accenno alla macchina per scrivere. Era appartenuta a Patrick, una vecchia portatile comprata di seconda mano che non aveva mai funzionato perfettamente. I tasti si accavallavano e il campanello dell'"a capo" suonava solo quando pareva a lui. Ripensò a Patrick che con pazienza e dedizione aveva passato ore cercando di imparare a scrivere senza riuscirci, come non aveva avuto successo in tutte le altre cose a cui si era dedicato. "L'ho incoraggiato troppo" pensò "gli ho permesso di mirare troppo in alto e, quando cadeva, l'ho sempre sostenuto perché non si accorgesse dei suoi limiti." Quando Richard tornò in camera sua per ricopiare il tema, Martha prese il telefono e fece un'interurbana a San Felice. Quinn rispose al secondo squillo. «Ciao, Joe, sono Martha.» «Mi stavo proprio chiedendo se era il caso di disturbarti ancora e di richiamarti. Ci sono novità: uno dei Fratelli della Torre è stato individuato a San Diego dove lavorava in un garage. Insieme allo sceriffo Lassiter ieri siamo andati a interrogarlo, ma non c'è stato modo di ottenere una risposta. Anche quando è stato messo a confronto con me, Fratello Corona si è rifiutato di ammettere la sua identità e quindi non c'è altro da fare. Ho pensato che ti interessasse saperlo comunque.» «Grazie, come va il nuovo lavoro?» «Bene. Ancora non sono riuscito a vendere neanche una barca, ma continuo a provarci.» «Verrai qui per il weekend?» «Non posso prometterlo. Devo andare di nuovo a Los Angeles per cercare di mettermi in contatto con la signora Harley Baxter Wood.»
«La zia di Karma?» «Sì.» «Avevi detto che la sua casa era chiusa e non c'era nessuno.» «Infatti, ma ormai le scuole sono riaperte e la signora ha due bambini. Non può permettersi di starsene nascosta.» «Perché pensi che sia andata via?» «Penso che Karma sia con lei e che sua zia non voglia correre il rischio che qualche membro della comunità vada a riprendersela.» Per qualche minuto ci fu tra loro quello strano silenzio che si verifica quando due persone dicono una cosa ma ne pensano un'altra. «Joe...» «Hai sentito la mia mancanza, Martha?» «Lo sai bene. Senti, Joe, c'è una cosa che vorrei dirti; non so se è importante e non è venuta fuori durante l'inchiesta sulla morte di Patrick perché non mi era venuta in mente. Più tardi, quando me ne sono ricordata, sembrava che non avesse più importanza per nessuno. Me ne ha parlato Richard qualche minuto fa.» «Di che cosa ti ha parlato?» «Della macchina per scrivere di Patrick. L'aveva messa sull'auto una settimana prima per portarla a far riparare, ma aveva continuato a dimenticarsene. Credo che la notte in cui ha caricato l'autostoppista si trovasse sul sedile posteriore.» 22 Quinn era seduto in macchina davanti alla casa della signora Wood ormai da mezz'ora. Quando aveva suonato il campanello, nessuno aveva risposto, ma era certo che in casa c'era qualcuno: i vetri erano aperti, le tende tirate e c'era una radio accesa. Guardò l'orologio; erano le dieci. Il grande viale alberato era tranquillo e silenzioso a parte qualche rara automobile e uno scampanio in lontananza. Dopo qualche minuto si accorse di essere osservato da una finestra del secondo piano: non spirava neppure un filo d'aria che potesse giustificare l'improvviso agitarsi della leggera tendina rosa. Tornò davanti alla porta e suonò nuovamente il campanello. L'unica risposta fu il miagolio di un gatto. «Signora Wood?» gridò. «Signora Wood!» «Non c'è» rispose la voce di una ragazza al di là della porta «e io non ho
il permesso di aprire la porta quando lei non è in casa.» «Sei tu, Karma?» «Se ne vada, o mia zia chiamerà la polizia.» «Ascolta, Karma, sono Joe Quinn.» «Lo so, non sono mica cieca.» «Voglio soltanto parlarti; non ti farò del male. Sono sempre stato dalla tua parte, no?» «Più o meno.» «Allora vieni fuori sul portico e parliamo. Scommetto che sei cambiata.» «Non mi riconoscerebbe più» rispose la ragazza ridacchiando. «Perché non mi metti alla prova?» «Non lo dirà alla zia?» «Certo che no.» La porta si aprì e Quinn poté rendersi conto che Karma aveva ragione: non l'avrebbe mai riconosciuta. I capelli scuri erano tagliati corti a caschetto e una forte abbronzatura copriva le ultime tracce di acne giovanile. Portava un vestito di seta molto aderente, scarpe coi tacchi a spillo e aveva mezzo chilo di rossetto arancione sulle labbra; sulle ciglia poi aveva una tale quantità di mascara che sembrava facesse fatica a tenere aperti gli occhi. «Santo cielo!» esclamò Quinn. «Sorpreso?» «Oh, sì, molto!» Karma uscì e si appollaiò con grazia sulla ringhiera del portico. «Non crede che a mia madre verrebbe un colpo se mi vedesse adesso?» «Credo che ne avrebbe un buon motivo. Tua zia ti permette di andare a scuola così vestita?» «Oh no! Posso usare soltanto un velo di rossetto rosa. Poi devo mettermi le scarpe basse e quelle terribili gonne e pullover che fanno così infantile! Ma quando lei esce, faccio delle prove per scoprire qual è il mio tipo.» «Sei felice qui, Karma?» Dopo una lunga esitazione, la ragazza annuì. «Tutto è così diverso! Ho ancora tanto da imparare; credo che mia zia mi voglia bene, ma faccio un mucchio di errori e qualche volta le mie cugine ridono di me. Vorrei poter ridere anch'io.» «E invece non puoi?» «Non sul serio; faccio solo finta.» Un aereo passò sopra di loro e Karma alzò la testa verso il cielo come se
avesse desiderato essere anche lei uno dei passeggeri. «Hai notizie di tua madre?» «No.» «E tua zia ne ha?» «Non credo che ne abbia neanche lei; comunque non ne parla con me.» «Che cos'è successo quell'ultimo giorno alla Torre, Karma?» «La zia ha detto che non devo parlare della Torre con nessuno. Devo comportarmi come se non fosse mai esistita.» «Ma è esistita. Tu ci hai passato un quarto della tua vita con tua madre, tuo fratello e tua sorella.» «Devo dimenticare tutto questo» ribatté con voce spaventata «lei non deve farmelo ricordare, non è giusto.» «Come sei arrivata a casa della zia, Karma?» «Con l'autobus.» «Da dove?» «Da Bakersfield.» «E a Bakersfield come ci eri arrivata?» «Con il furgone.» «Chi lo guidava?» «Fratello Corona di Spine.» «Chi altro c'era?» «Io non devo...» «Chi altro, Karma?» «Un mucchio di gente: la mia famiglia, Sorella Gloria dell'Ascensione, Fratello Visione Celeste... non li ricordo tutti.» I suoi occhi avevano assunto un'espressione spaventata, come se fosse stato sufficiente ricordare quei nomi perché la visione di quei momenti le tornasse alla mente vivida e minacciosa. «Ero spaventata, non sapevo che cosa stesse succedendo. Quando siamo arrivati a Bakersfield mia madre mi ha dato dei soldi e mi ha detto di prendere un pullman per Los Angeles e poi un taxi fino alla casa della zia.» «Quanti soldi ti ha dato?» «Cinquanta dollari.» «E da dove proveniva quel danaro?» «Non lo so, ma immagino che sia stato il Maestro a darglielo prima di lasciare la Torre.» «Perché sono scappati tutti dalla Torre?» «Credo sia stato perché Sorella Benedizione si era sentita male.»
«Non si è sentita male» ribatté Quinn «è stata avvelenata. È morta prima che raggiungessimo l'ospedale.» Karma si portò una mano davanti alla bocca mentre gli occhi le si riempivano di lacrime che le scivolarono lungo le guance lasciandole pesanti segni neri di mascara. «Non può essere morta davvero!» «È morta, Karma.» La ragazza si chinò e si asciugò le guance con l'orlo del vestito. Il momento delle lacrime era passato. Anche se Sorella Benedizione era stata un'amica, faceva parte di un periodo della sua vita che preferiva dimenticare. «Che cosa ne è stato degli altri che erano sul furgone?» «Non lo so; io sono stata la prima ad andarmene.» «Tua madre ti ha dato altre istruzioni oltre a quella di venire qui?» «No.» «Nessuno ha parlato di progetti per il futuro?» «Non credo si possa veramente parlare di progetti, ma credo che avessero intenzione di tornare quando il pericolo fosse passato.» «Ritornare alla Torre?» «Certo! Non è gente che si arrende facilmente. Quando qualcuno crede con tanta fede in qualcosa, non può smettere da un momento all'altro.» «Quando hai visto per l'ultima volta Fratello Voce, Karma?» «Quando ha aiutato lei a caricare in macchina Sorella Benedizione.» «Non era insieme a voi sul furgone?» «No, probabilmente era salito con il Maestro sulla macchina del nuovo fratello. Non ne sono sicura però, perché il furgone è partito per primo e tutto è successo così in fretta! C'era tanta confusione; gente che correva da tutte le parti, bambini che piangevano e tutto il resto.» «Fratello Luce dell'Infinito era sul furgone?» «No.» «E Fratello del Sacro Cuore?» «Nemmeno.» «La decisione di partire è stata improvvisa?» «Sì.» «Chi ha deciso?» «Il Maestro» rispose Karma con semplicità. «Chi altri poteva prendere decisioni se non lui?» «Adesso rifletti bene, Karma: hai notato se c'era qualcun altro, oltre la
tua mamma, ad avere danaro sul furgone?» «Sorella Gloria dell'Ascensione ne aveva. Continuava a contarlo; è molto avara e probabilmente temeva di essere stata imbrogliata.» «Come imbrogliata?» «Temeva che gliene avessero dato meno che agli altri.» «Da dove venivano quei soldi?» «Dal Maestro, immagino.» «Per quanto ne so io, il Maestro non aveva danaro, e quello di Madre Purezza era stato tutto speso per la costruzione della Torre.» «Forse gliene era rimasto un po' e Madre Purezza l'aveva nascosto. Si divertiva sempre a fare scherzi a tutti, anche al Maestro.» Karma era scivolata giù dalla ringhiera e controllava ansiosamente la strada. «Adesso è meglio che se ne vada, signor Quinn. Tra poco mia zia sarà di ritorno e devo lavarmi la faccia e mettere via il vestito di mia cugina. È uno dei migliori che ha, di seta pura.» «Grazie per le informazioni, Karma.» «Prego.» «Ti lascio il mio biglietto da visita con l'indirizzo e il numero del telefono. Se ti viene in mente qualche cosa che non mi hai detto, chiamami e fai addebitare a me la telefonata. D'accordo?» La ragazza guardò il cartoncino senza toccarlo, poi voltò la testa da un'altra parte: «Non lo voglio.» «Prendilo, non si sa mai.» «Va bene, ma non le telefonerò mai: non voglio pensare mai più alla Torre.» La porta si richiuse alle sue spalle. Quando Quinn fu di ritorno a San Felice andò direttamente nell'ufficio dello sceriffo Lassiter. Dieci minuti più tardi arrivò lo sceriffo, col fiato corto e di pessimo umore. «Stia a sentire, Quinn, questo dovrebbe essere il mio giorno di riposo.» «È anche il mio.» «Be', ha trovato la ragazzina?» «Sì.» «Che cosa aveva da dire?» «Non sa molto. Fratello Corona li ha portati col furgone fino a Bakersfield e Karma è stata fatta scendere alla stazione dei pullman con l'ordine di raggiungere sua zia a Los Angeles e con cinquanta dollari per pagarsi le
spese. Pare che a tutti i membri della comunità siano stati dati dei quattrini perché potessero mantenersi fino al momento in cui la comunità non verrà ricostituita.» «Mi sembrava che lei avesse detto che prendevano molto sul serio il voto di povertà.» «Infatti è così.» «E allora da dove vengono tutti quei soldi?» «Karma non lo sa, e non lo so nemmeno io.» «Forse George Haywood aveva con sé un mucchio di liquidi che ha donato alla comunità.» «Non credo: dal suo conto corrente personale non è stato prelevato niente e da quello della ditta sono stati prelevati duecento dollari due settimane prima che George lasciasse Chicote. Provi a dividere duecento dollari per venticinque persone e vedrà che non fa cinquanta dollari o anche di più a testa.» «Perché dice anche di più?» «Karma ha ricevuto cinquanta dollari, ma lei era soltanto una ragazzina diretta in un luogo dove avrebbe trovato asilo sicuro. Gli altri avevano bisogno di molto di più, soprattutto le donne.» «Ma lei non può dire con certezza che tutti abbiano ricevuto del danaro.» «Non mi sembra possibile che tutta la comunità abbia accettato di disperdersi senza avere in cambio un po' di danaro. Capisco il forte senso di lealtà che li unisce, ma mi sembra impossibile che si siano sradicati dal posto dove avevano sempre vissuto, soltanto per far piacere a una persona.» «Sì, ma se quella persona è il Maestro, l'uomo dal quale sono abituati a ricevere ordini, allora la cosa è più verosimile. Ma lei non crede che abbia dato ordine ai suoi di disperdersi?» «Sì che lo credo» rispose Quinn lentamente «solo che non credo che sia stata una sua idea.» «Pensa che sia stato corrotto?» «Non credo che lui la chiamerebbe corruzione.» «Io invece sì. Quando c'è un esborso di soldi senza un'offerta di beni o di servizi in cambio, allora c'è di mezzo la corruzione.» «Va bene, la chiami come vuole, ma cerchi di mettersi al suo posto; la comunità stava andando a rotoli, la gente si allontanava e non comparivano più nuovi proseliti. Anche prima della morte di Haywood e di Sorella Benedizione, il Maestro deve essersi accorto che la comunità era vicina alla fine. Un paio di delitti hanno reso la fine imminente.»
«Se va avanti così, Quinn, finirò per mettermi a piangere. Continui.» «L'assassino deve avere offerto al Maestro di stipulare un patto: la comunità si sarebbe momentaneamente dispersa per riunirsi più avanti quando le circostanze sarebbero state favorevoli.» «Vuole dire quando ci sarebbero stati capitali freschi?» «Esatto.» «Be', Quinn, questa è una teoria molto interessante» disse Lassiter con un sorrisetto ironico «peccato che ci sia qualche trascurabile falla.» «Lo so, ma...» «Dunque, secondo la confessione contenuta nella lettera di cui Martha O'Gorman si è finalmente decisa a parlarmi, O'Gorman è stato ucciso da uno sconosciuto in uno scatto d'ira. O'Gorman aveva due dollari in tasca e sul sedile posteriore della vettura c'era una vecchia macchina per scrivere scassata. Valore complessivo, diciamo dieci dollari. Ora, io forse sono un pessimista, ma se avessi in mente di finanziare una comunità religiosa, non so se considererei sufficiente un capitale di dieci dollari. Non mi interrompa! Lo so che lei è convinto che Alberta Haywood abbia pagato qualcuno per uccidere O'Gorman, ma è proprio qui che cominciano i guai. Prima di tutto niente di tutto questo è detto nella lettera di confessione; secondo, Alberta Haywood non aveva motivo per volere O'Gorman morto. Terzo, ha negato in modo molto convincente di aver mai incontrato un vagabondo o di avergli dato indumenti di suo fratello George. E adesso che cosa mi dice?» «Che sono nei guai.» «Be', ci sono anch'io insieme a lei.» Lassiter si avvicinò alla finestra. Le sbarre in ferro battuto assomigliavano a una elegante cancellata, ma erano pur sempre sbarre e non gli piacevano affatto. Quando si sentiva stanco e depresso, gli capitava di chiedersi se fossero state messe lì per impedire proprio a lui di scappare. Senza voltarsi mormorò: «Ventiquattro persone rinunciano a tutto quello che hanno per il bene di una venticinquesima: abbandonano il luogo dove abitano, la vita di comunità, il bestiame e anche, in una certa misura, le loro convinzioni, perché sanno di non poter vivere nel mondo senza accettare molte cose che secondo la loro fede sono peccati. Che cosa li ha spinti a fare una cosa del genere? Secondo me ci sono solo due ragioni abbastanza forti da convincerli: o c'è di mezzo una grande quantità di danaro, oppure l'uomo che stiamo cercando è proprio il Maestro. Che cosa sceglie?» «Scelgo i soldi.»
«E da dove vengono?» «Dalle appropriazioni indebite che Alberta Haywood ha fatto in banca.» «Maledizione! Ma è stato proprio lei a convincermi che Alberta diceva la verità quando affermava di non aver pagato nessuno per uccidere O'Gorman, di non conoscere nessun vagabondo e di non avergli dato gli indumenti di George Haywood.» «Sono tuttora convinto che dicesse la verità.» «Ma lei si sta contraddicendo!» «No, non credo che abbia dato un mucchio di soldi o gli indumenti di George a un vagabondo: credo che li abbia dati a qualcun altro.» 23 Ormai era diventato anche lui parte della foresta. Anche gli uccelli si erano abituati alla sua presenza: le tortore, che svolazzavano attorno ai loro nidi, i fringuelli che zampettavano rumorosamente tra le foglie secche, i gufi, appostati in attesa di catturare qualche quaglia di passaggio, gli scoiattoli appesi ai rami degli alberi e i passeri, rapidi guizzi di colore tra le foglie verdi. Nessuno di loro cercava di opporsi alla presenza dell'uomo barbuto. Ignoravano naturalmente i suoi tentativi di attirare la loro attenzione imitando i loro richiami od offrendo loro del cibo. Non si lasciavano ingannare dai suoi goffi tentativi, e del resto c'era cibo a sufficienza per loro nella foresta: bacche, topolini, insetti nascosti sotto la corteccia degli alberi di eucalipto, larve sotto le grondaie della Torre. In realtà gli uccelli erano meglio nutriti di lui. Quel poco che riusciva a cucinare doveva farlo di notte e affrettatamente per evitare che il fumo venisse scorto dagli agenti della forestale di guardia. Anche nei momenti di splendore, le scorte di cibo alla Torre erano sempre state scarse; ora erano anche stantie. Il riso era infestato dai bachi e doveva contendere agli scarafaggi quel che restava del grano e dell'orzo. Metteva trappole per i conigli selvatici e li scuoiava con un rasoio a mano libera. La sua salvezza era l'orto. Malgrado le erbacce e le incursioni dei conigli e dei cervi, c'erano ancora pomodori, cipolle, carote, barbabietole e patate che poteva cuocere, magari parzialmente, quando temeva che le fiamme del suo fuocherello potessero essere viste. I cerbiatti, le uniche creature della foresta disposte a fare amicizia con lui, erano necessariamente suoi nemici. Quando, all'alba e al tramonto, si avvicinavano all'orto, era costretto a cacciarli gettando dei sassi, benché
questo lo rattristasse molto. Qualche volta si scusava con loro e cercava di spiegare perché era costretto a farlo. «Mi dispiace, voi mi piacete molto, ma mi rubate il cibo di cui io ho bisogno. Vedete, presto qualcuno verrà a prendermi, ma non so quanto dovrò ancora aspettare. Quando lei verrà, io me ne andrò e tutta la verdura sarà soltanto per voi. Se sapeste quante ne ho dovute passare! Non vorrete che muoia di fame proprio adesso che il nostro piano sta andando in porto!» Continuava a chiamarlo "il nostro piano", anche se fin dall'inizio era stata soltanto lei a concepirlo. Tutto era cominciato in modo così innocente: un incontro all'angolo di una strada; uno scambio di timidi sorrisi e di frasi banali. "Ho paura che oggi farà molto caldo." "Sì, signora, sarà un'altra giornata afosa." Dopo di allora aveva incominciato inaspettatamente a incontrarla da tutte le parti: al supermarket, in biblioteca, nei parcheggi, al bar, in tintoria. Quando aveva cominciato a dubitare che tutti quegli incontri fossero veramente occasionali, la cosa non aveva più importanza, perché aveva scoperto di essere pazzamente innamorato di lei. Il suo silenzio lo rendeva discorsivo, la sua gentilezza audace, la sua timidezza coraggioso, la sua mancanza di spirito critico lo rassicurava. I loro incontri erano necessariamente brevi e avvenivano in luoghi che gli altri evitavano, come per esempio il letto secco e polveroso del fiume. Seduti sui sassi, senza neppure sfiorarsi con un dito, parlavano del loro amore e della loro disperazione fino a che le due cose sembravano una cosa sola, una sola parola. Più andavano avanti e più la loro sofferenza diventava il sostituto nevrotico della felicità. «Non posso andare avanti così» disse lui un giorno «l'unica soluzione possibile è abbandonare tutto e fuggire.» «La fuga è una soluzione puerile, tesoro mio.» «Bene, allora io sono puerile: voglio andarmene e non vedere più nessuno, nemmeno te.» Fu allora che lei si accorse che la sua infelicità era ormai così grande che sarebbe stato disposto ad accettare qualsiasi piano lei gli avesse proposto. «Dobbiamo fare dei piani a lungo termine; ci amiamo, abbiamo del danaro e possiamo cominciare una nuova vita in un posto diverso.» «Come, in nome del cielo?» «Prima di tutto dobbiamo liberarci di O'Gorman.» Al primo momento scoppiò a ridere pensando che lei stesse scherzando:
«Andiamo, povero O'Gorman! Non si merita una cosa del genere!» «Non sto scherzando. È l'unico modo per essere sicuri di poter restare sempre insieme senza che nessuno possa mettersi tra noi e separarci.» Nei mesi successivi lei mise a punto anche i più minuti particolari, fino agli indumenti che avrebbe dovuto indossare. Poi comprò un vecchio capanno sulle montagne di San Gabriel e lo riempì di provviste. Lì lui avrebbe dovuto nascondersi e aspettarla. Gli unici abitanti della zona erano i seguaci di un culto sconosciuto; furono i bambini i primi a fare amicizia con lui. La più grande era una ragazzina di una decina d'anni, affascinata dal suono della macchina per scrivere. Sbucava ogni tanto da dietro gli alberi o i cespugli per osservarlo mentre, seduto sotto il portico, scriveva a macchina per passare il tempo. Era una creaturina timida con improvvisi momenti di audacia. «Che cos'è quella cosa?» «Una macchina per scrivere.» «Fa il rumore di un tamburo. Se fosse mia, batterei più forte per fare ancora più rumore.» «Come ti chiami?» «Karma.» «Non hai nessun altro nome?» «No, Karma e basta.» «Ti piacerebbe provare la macchina per scrivere, Karma?» «Appartiene al diavolo?» «Certo che no.» «Allora va bene.» Si servì di Karma come scusa per la sua prima visita alla comunità. Man mano che la solitudine si faceva sempre più intollerabile, le visite aumentarono. Non aveva bisogno di scuse: i Fratelli e le Sorelle non facevano domande: accettavano come un fatto del tutto naturale che anche lui, come del resto avevano fatto loro, avesse voltato le spalle al mondo per cercare rifugio tra le montagne. Da parte sua lui apprezzava la vita di comunità: non si era mai soli e c'era sempre qualche cosa da fare che lo distraeva dai pensieri melanconici e poi le regole severe gli davano un senso di sicurezza. Era in montagna ormai da più di un mese quando arrivò una lettera con la cattiva notizia: Amore mio, ho soltanto un minuto per scriverti. Ho commesso
un errore e mi stanno dando la caccia. Dovrò assentarmi per un po'. Ti prego, aspettami. Questa non è la fine per noi due, ma soltanto un rinvio. Non dobbiamo cercare di comunicare o di metterci in contatto tra di noi. Abbi fiducia in me come io l'ho in te. Sapere che tu mi stai aspettando mi darà la forza di sopportare qualsiasi cosa. Ti amo, ti amo, ti amo. Prima di bruciarlo, rilesse il biglietto almeno una dozzina di volte singhiozzando come un bimbo abbandonato, poi prese la lama del rasoio e si tagliò i polsi. Quando riprese conoscenza, era sdraiato su una branda in una stanza sconosciuta con i polsi strettamente fasciati e Sorella Benedizione era china su di lui: «Sei sveglio, Fratello?» Cercò di rispondere ma non ci riuscì, perciò si limitò ad annuire. «Il Signore ti ha risparmiato, Fratello, perché non sei ancora pronto per l'aldilà. Devi diventare un Vero Credente» la sua mano sulla fronte era fresca e la voce ferma e gentile «devi rinunciare al mondo e alle sue tentazioni. Adesso il polso è forte e non hai neanche una linea di febbre. Credi di poter mandar giù un cucchiaio di zuppa? Come dicevo prima, non puoi entrare nel Regno dei Cieli senza prima essertelo conquistato. È meglio cominciare subito, non credi?» Non aveva né la forza né la voglia di pensare. Rinunciò al mondo e alle sue tentazioni solo per apatia ed entrò a far parte della comunità religiosa soltanto perché era lì e lui non aveva nessuno e nessun altro posto dove andare. Quando i Fratelli e le Sorelle si trasferirono nella loro nuova residenza della Torre, andò a tirar fuori i soldi che aveva seppellito dentro a una vecchia valigia e li seguì. Nel frattempo la comunità era diventata la sua casa, la sua famiglia e, in qualche modo, anche la sua religione. Seppellì di nuovo la valigia e la lunga attesa ricominciò. Una volta, era andato a San Felice con Fratello Corona, lesse su un vecchio giornale abbandonato quello che era successo ad Alberta. Le spedì un opuscolo religioso in cui aveva leggermente sottolineato alcune parole per farle capire dove viveva adesso. Non sapeva se l'opuscolo avesse superato la censura e se Alberta avesse capito il suo messaggio, poteva soltanto sperare. Nel suo animo si alternavano paura e speranza, come un mostro a due teste che cresceva dentro di lui. Passarono gli anni senza che facesse mai il nome di lei con qualcuno, e non cercò più di mettersi in contatto con lei. Improvvisamente, una mattina
d'estate, era in cucina con Sorella Benedizione, quando la udì pronunciare queste parole minacciose: «La notte scorsa, Fratello, parlavi nel sonno. Chi è Patrick O'Gorman?» Cercò di evitare di rispondete stringendosi nelle spalle e scuotendo la testa, ma la Sorella non desistette: «Non fare queste scene con me, Fratello. Voglio una risposta.» «È un vecchio amico. Siamo andati a scuola insieme.» Anche se in fondo era la verità, lei non gli credette: «Davvero? Non si sarebbe detto che si trattava di un amico; eri molto arrabbiato e digrignavi i denti.» Sorella Benedizione in quell'occasione lasciò cadere l'argomento, ma qualche giorno più tardi lo riprese: «Hai parlato di nuovo nel sonno, Fratello. Parlavi di O'Gorman, di Chicote e di certi soldi. Mi auguro che tu non abbia qualche cosa sulla coscienza, per caso.» Non rispose. «Se è così, Fratello, è meglio che tu ti sfoghi con qualcuno. Una cattiva coscienza è peggio di un fegato malato, e io me ne intendo di tutti e due. Qualsiasi cosa tu abbia fatto mentre abitavi nel mondo, non ha nessuna importanza qui, se non per te, per le conseguenze che può avere sulla tua salute e sulla serenità del tuo spirito. Quando il demonio ti rode dentro, caccialo da te, non offrirgli ospitalità.» Nei giorni seguenti, sentiva di tanto in tanto gli occhi di lei, acuti e curiosi come quelli di un corvo, che lo scrutavano. Quinn, quello sconosciuto, andava e veniva. Sorella Benedizione, uscita dal periodo di isolamento, era pallida e smunta. «Non mi avevi detto che O'Gorman era morto, Fratello!» Si limitò a scuotere la testa. «Sei tu responsabile della sua morte, Fratello?» «Sì.» «È stato un incidente?» «No.» «L'hai fatto volontariamente?» «Sì.» Adesso lo guardava senza curiosità, solo con tristezza e preoccupazione. «Quinn ha detto che O'Gorman ha lasciato una moglie e due figli e quella povera donna sta soffrendo perché non è sicura della sorte toccata al marito. Errori del genere vanno corretti, Fratello, per la salvezza della tua anima. Non puoi riportare in vita l'uomo che hai ucciso, ma puoi fare qualche
cosa per aiutare la sua vedova. Devi scriverle una lettera, Fratello, e confessarle la verità. Ci penserò io a fare in modo che tu non venga scoperto. Faremo impostare la lettera a Chicago e nessuno sospetterà che sia stato tu.» Preferì comunque prendere qualche precauzione: scrisse la lettera con la mano destra perché nessuno potesse riconoscere la sua calligrafia. Mescolò fatti veri e inventati svelando più di se stesso di quanto non credesse. Scrivere la lettera gli procurò una straordinaria soddisfazione; aveva l'impressione di aver finalmente seppellito O'Gorman e di avergli scritto sulla tomba un velenoso epitaffio che la vedova si sarebbe ben guardata dal mostrare a qualcuno. Insistette perché Sorella Benedizione leggesse la lettera e rimase a osservare mentre la sorella scorreva le righe con chiari segni di disapprovazione. «Non c'era bisogno di essere così... franchi.» «Perché no?» «Si direbbe che tu voglia vendicarti di lui e anche di lei. Questo non è bene per la salvezza della tua anima, Fratello. Il diavolo si annida ancora dentro di te, se non sei riuscito a liberarti dell'odio che nutri per la tua vittima.» Tutte le mattine, quando si svegliava nel fienile, pensava che quello sarebbe stato il giorno tanto atteso, il giorno della liberazione, della ricompensa, la sicurezza di una nuova vita. Ma i giorni venivano e passavano tutti uguali, come i segni che lui faceva sul muro della stalla per indicare lo scorrere dei giorni. Tutto era ritornato tranquillo: l'ultimo uomo dello sceriffo se ne era andato un mese prima e, anche se fossero tornati, non avrebbero trovato nessuna traccia della sua presenza alla Torre o nella grande cucina. Evitava accuratamente di mettere piede in quei due luoghi e si limitava a restare nella stalla, cancellando continuamente i segni della sua presenza. Al mattino, prima di uscire dal fienile, con una forca riassettava il fieno in modo che non si vedesse il segno dove aveva dormito; seppelliva i rifiuti e la spazzatura e di notte, dopo aver spento il fuoco, copriva la cenere con foglie e aghi di pino. Quello che era cominciato come una sfida per battere i suoi nemici, si era a poco a poco trasformato in un rituale. Raramente pensava di abbandonare la Torre e di andare a nascondersi in una grande città. L'idea di trovarsi solo in città lo terrorizzava. E poi, ormai più della metà dei soldi se ne era andata, e doveva serbare il resto per il fu-
turo. Spesso pensava con preoccupazione a come avrebbe potuto giustificare la sparizione dei soldi quando l'avrebbe finalmente incontrata. Si era preparato il discorso che le avrebbe fatto: "Ascoltami cara, sono stato costretto a farlo. Se fossi scappato da solo dalla Torre, le autorità avrebbero capito immediatamente che io, e solo io, ero il colpevole. Invece, corrompendo il Maestro e convincendolo a disperdere la comunità, ho creato confusione e incertezza. Oh, non è stato difficile corrompere il Maestro, perché era disperato. Si rendeva conto che la comunità si stava sfasciando e capiva che l'unico modo per salvarla era mandare i suoi fedeli per il mondo a cercare nuovi proseliti per poi, finalmente, ricongiungersi qui con essi. Ma per realizzare il suo piano aveva bisogno di danaro, il tuo danaro. Per questo sono rimasto alla Torre: per salvare quanto era rimasto". Ripensò alla notte in cui lei gli aveva parlato per la prima volta dei soldi e al suo senso di incredulità, di sgomento e di pena. «Tu hai rubato?» «Sì.» «In nome di Dio, ma perché?» «Non lo so. Non per spenderli certamente; non ho speso quasi niente. Semplicemente li volevo.» «Dammi retta, restituiscili.» «Neanche per sogno.» «Ma ti metteranno in prigione.» «Ancora non mi hanno scoperto.» «Tu non sai quello che dici.» «Certo che lo so. Ho rubato dei soldi, un mucchio di soldi.» «Devi restituirli, Alberta. Se ti mettessero in prigione, non potrei vivere senza di te.» «Non sarà necessario, ho fatto un piano.» Al primo momento il suo piano gli era sembrato folle, ma alla fine si era convinto ad accettarlo, perché non aveva niente di meglio da proporle. Di fatto, lui non aveva messo a punto nessun piano perché non era abituato a pensare con la sua testa. Una sola cosa aveva insistito che lei gli promettesse: dopo che O'Gorman fosse sparito di scena, lei non avrebbe più corso rischi e avrebbe smesso di sottrarre danaro alla banca. Avrebbe smesso di falsificare i registri e avrebbe aspettato che venisse il momento in cui avrebbe potuto andarsene da Chicote senza far nascere il sospetto che la sua partenza fosse in qualche modo in relazione con la sparizione di O'Gorman. Alberta inve-
ce non aveva mantenuto la promessa e aveva commesso un errore che l'aveva fatta finire in prigione. Non era facile che Alberta commettesse errori. Si era forse distratta pensando troppo a lui e al loro futuro insieme? O era stata spinta da un inconscio desiderio di essere scoperta e punita, non soltanto per il danaro sottratto, ma anche per la sua relazione con lui? Anche se non aveva mai parlato dei suoi sensi di colpa per il loro rapporto sessuale, lui sapeva che erano forti e sapeva anche che non aveva avuto nessun altro uomo prima di lui. Di tanto in tanto, nei rari momenti in cui cercava di mettere a fuoco i suoi sentimenti, si chiedeva se non avesse scelto una vita così dura per rendere più tollerabile il suo senso di colpa. Non si lagnava del fatto che al mattino lo svegliava lo squittire dei ratti che correvano tra il fieno, delle pulci che lo tormentavano, del freddo e della fame. Gli sembravano buone scuse che avrebbe potuto opporre a uno sconosciuto accusatore: "Non vedi come sono miserabile, in che condizioni vivo, la fame, la solitudine, le privazioni che devo sopportare? Non ho nulla, non sono nulla. Non è questa una penitenza sufficiente?". Benché desiderasse disperatamente un po' di compagnia, si augurava che nessun membro della comunità tornasse alla Torre. Le uniche persone a cui si era veramente affezionato non sarebbero comunque tornate: Madre Purezza, che lo divertiva con i suoi discorsi folli, e Sorella Benedizione, che lo aveva curato e protetto quando era stato malato. Man mano che il tempo passava, di certi avvenimenti gli restava soltanto un vago ricordo. Ricordava appena l'ultimo giorno trascorso dalla comunità alla Torre. L'improvvisa apparizione di Haywood l'aveva terribilmente turbato: tutti quei piani minuziosi e la lunga attesa non erano dunque serviti a niente? Non aveva avuto intenzione di uccidere Haywood, soltanto di farlo ragionare. Ma Haywood non si era mostrato affatto ragionevole. «Non mi muoverò da qui» aveva detto «seguirò i tuoi passi ogni giorno senza darti un attimo di respiro fino a che non avrò scoperto dove hai nascosto i soldi.» Era rimasto talmente sconvolto, che non aveva neanche tentato di negare. «Come ha fatto a trovarmi? È stata Alberta a dirle dov'ero?» «Ho seguito l'auto di Quinn da Chicote. No, Alberta non mi ha detto niente, Casanova! Quanto a ostinazione non la batte nessuno. Una volta al mese per cinque anni, sono andato in quel carcere a tormentarla, minacciarla, pregarla di dirmi la verità in modo che potessi aiutarla. Avevo subito sospettato qualche cosa, da quando mi aveva detto di aver dato alcuni
miei indumenti a un vagabondo. Li aveva dati a te, vero?» «Sì.» «Non potevi correre il rischio di comprare qualcosa che poi sarebbe risultata mancante dal tuo guardaroba. Oh, siete stati molto cauti, non c'è che dire! Tutto era stato preparato in anticipo, non mancava niente nella vostra perfetta organizzazione se non un po' di buon senso. Aveva cominciato a uscire da sola tutte le sere perché nessuno si meravigliasse quando, quella famosa notte, fosse di nuovo uscita. Comprava le riviste di corse di cavalli sempre alla stessa edicola, perché la storia della perdita del danaro in scommesse avventate venisse accettata senza difficoltà. E tutto questo per cosa? Quella poveretta è rinchiusa nella cella di una prigione con la testa piena di sogni che non si realizzeranno mai.» «Sì che si realizzeranno. Io l'amo e l'aspetterò per tutta la vita.» «Forse sarai costretto a farlo.» «Che cosa significa?» «Significa che, tra qualche settimana, quando ci sarà l'udienza per decidere se dare la libertà vigilata ad Alberta, il tribunale non si berrà la storia dei soldi perduti alle corse esattamente come non l'ho bevuta io. In tal caso, vista la sua mancanza di cooperazione, le faranno scontare la pena fino all'ultimo giorno. È per questo che mi trovo qui. Voglio quei soldi e subito.» «Ma...» «Niente ma. Quando avrò i quattrini, Alberta capirà che la commedia è finita e sarà costretta a dire la verità ai giudici e a restituire la somma sottratta. Soltanto allora sarà finalmente libera dall'incubo della prigione e anche da te, se Dio vuole!» «Ma lei non capisce. Alberta e io ci...» «Non cominciare a parlarmi di amori romantici! Maledizione, non sono nemmeno sicuro che tu sia un vero uomo. Forse è questo il motivo per cui è cominciata tutta questa storia: Alberta non è una vera donna e tu non sei un vero uomo, e così avete deciso di intrecciare questa relazione pericolosa. Il gioco presentava un grosso vantaggio: vi costringeva a restare separati e al tempo stesso vi permetteva di credere in un futuro da trascorrere insieme.» Non ricordava di avere spinto Haywood al di là della ringhiera, ma aveva nitido il ricordo del rumore che aveva fatto il suo corpo quando aveva sbattuto sull'impiantito e l'urlo di quel grosso uccello grigio che agitava le braccia. Era corso a rifugiarsi in camera sua, al terzo piano, dove l'aveva
mandato Fratello del Sacro Cuore dopo che insieme si erano attardati a zappare nell'orto. Aveva aspettato che Madre Purezza corresse fuori e che il Maestro la inseguisse, poi, come un robot che esegue degli ordini, era andato dritto nella stalla a cercare il veleno dei topi. Della morte di Sorella Benedizione, ricordava soltanto una cosa con chiarezza: l'urlo che le era sfuggito quando il dolore l'aveva assalita per la prima volta. Di tanto in tanto, quando un uccello della foresta faceva un rumore che gli ricordava quell'urlo, l'uomo con la barba si buttava per terra atterrito, convinto che Sorella Benedizione fosse tornata sulla terra per perseguitarlo. Quelli erano i momenti peggiori, quando temeva di stare diventando pazzo e immaginava che le creature della foresta fossero esseri umani. Il tordo, arrogante e dalla voce grossa, era Fratello Corona; il minuscolo fringuello dal dorso verde era Madre Purezza; il corvo, forte e affamato, era Fratello Luce; la rumorosa ghiandaia era Haywood, che lo criticava sempre e non gli dava mai pace. Una mattina fu svegliato dal rumore dei topi che correvano sul tetto del fienile. Prima ancora di aprire gli occhi, capì che durante la notte qualche cosa era cambiata: la comunità aveva fatto ritorno alla Torre. Rimase immobile con l'orecchio teso: non sentiva nessuna voce, nessun suono delle attività abituali, nemmeno il rumore del motore del furgone, ma c'era un suono che conosceva bene: il tamburellare veloce e spasmodico di Karma che batteva sulla macchina per scrivere. Dimentico per una volta dei riti con cui cancellava ogni traccia della sua presenza in quel luogo, scese a precipizio la scala a pioli e si mise a correre attraverso gli alberi verso il capanno del ripostiglio. Era arrivato quasi a metà strada quando il rumore cessò e, dai rami di una quercia, vide volar via, in un fremito di piume nere e bianche, un picchio. Si fermò di botto agitando il pugno minaccioso verso l'uccello e imprecando, ma la sua rabbia in realtà era contro se stesso per lo scherzo che aveva permesso alla sua mente di giocargli. Gli venne in mente che la macchina per scrivere non si trovava più nel ripostiglio: gli uomini dello sceriffo l'avevano portata via. Ma non gli sarebbe servito a niente: non potevano dimostrare che la macchina apparteneva a lui, ancora non sapevano che era lui l'uomo che stavano cercando, che... «Karma!» il nome gli uscì dal petto con un urlo, perché oltre alla rabbia questa volta c'era anche la paura. Rimase impietrito a ripensare a un episodio accaduto durante l'ultimo giorno della comunità alla Torre; un episodio che aveva dimenticato.
Karma lo aveva seguito fino al magazzino «Fratello, ti porti via la macchina per scrivere?» «No.» «Posso prenderla io?» «Smettila di seccarmi.» «Ti prego, posso prenderla?» «No, e adesso lasciami in pace che ho fretta.» «Quando sarò a casa della zia potrò farla riparare e tornerà come nuova. Ti prego, Fratello, lasciala a me.» «D'accordo, ma alla condizione che tu non lo dica a nessuno.» «Ti ringrazio molto» aveva detto solennemente la ragazzina «non mi dimenticherò mai, fin che vivo, di questo.» Non mi dimenticherò mai. In quel momento le aveva considerate semplici parole di gratitudine, ma adesso che ci ripensava, quelle parole gli sembravano assumere un altro significato: Dirò a tutti che quella macchina per scrivere appartiene a te. «Karma!» il nome si disperse tra i rami degli alberi, ed egli l'inseguì. 24 La telefonata interurbana arrivò un sabato, poco prima di mezzogiorno; Quinn si aggirava per il suo appartamento gingillandosi in attesa che arrivasse Martha. Aveva stabilito di passare insieme a lei e ai ragazzi la giornata sulla spiaggia, nuotando e prendendo il sole. Ma adesso una foschia persistente oscurava il sole come una lastra di ferro interposta tra la terra e il cielo. Stava cercando di immaginare un piano alternativo, quando il telefono squillò. «C'è una telefonata personale per il signor Joe Quinn.» «Sono io, Quinn.» «Parli pure allora.» «Avevo detto che non le avrei mai telefonato, signor Quinn» sentì che diceva la voce querula di Karma «ho persino fatto a pezzi il suo biglietto da visita, ma mi ricordavo il numero a memoria e adesso... ho paura. Non posso dire niente a mia zia perché non c'è, ma anche se ci fosse non potrei parlargliene perché ho avuto un messaggio da parte di mia madre e la zia non vuole che abbia più niente a che fare con lei.» «Calmati, Karma. Cos'è questa storia del messaggio da parte di tua madre?» «Mi ha telefonato Fratello Voce pochi minuti fa; ha detto che deve rife-
rirmi un messaggio molto importante da parte di mia madre, ma che vuole venire a dirmelo personalmente.» «Dove?» «Qui, a casa.» «Come ha fatto a scoprire dove stai?» «Oh, sapeva della zia. Gliene avevo parlato tante volte. Gli ho detto che non poteva venire qui perché la zia era a casa; invece è una bugia: è andata a una mostra di floricoltura di cui è una delle organizzatrici. Mettono dietro ai crisantemi e all'erba della pampa un ventilatore in modo che sembri che l'erba è mossa dal vento. Sarà molto carino.» «Non lo metto in dubbio» l'interruppe Quinn. «Perché Fratello Voce non ti ha detto per telefono il messaggio di tua madre?» «Ha detto che ha promesso a mia madre di venire a vedermi personalmente. Forse è per riferirle come sto, ma questo però lui non l'ha detto.» «La telefonata era interurbana?» «No, si trova in città. Ha detto che verrà qui oggi pomeriggio alle quattro. Gli ho detto che per allora la zia sarà uscita. Poi però ho pensato che era meglio telefonare a lei perché mi aveva detto di chiamarla se succedeva qualche cosa che riguardava un membro della comunità.» «Hai fatto bene a chiamarmi e adesso ascoltami attentamente: ti sembra naturale che tua madre scelga proprio Fratello Voce per mandarti un messaggio?» «No.» E dopo un istante, con candore puerile aggiunse: «Ho sempre avuto l'impressione che si odiassero. Naturalmente non ci era permesso di odiare nessuno, ma noi lo facevamo lo stesso.» «Okay; supponiamo che non abbia nessun messaggio da riferirti e che ci sia un altro motivo per cui Fratello Voce vuole vederti. Hai idea di quale potrebbe essere?» «No.» «Potrebbe essere una cosa che a te pare senza importanza, ma che è invece importante per lui.» «Non riesco a immaginare niente» rispose la ragazza esitante «a meno che non voglia che gli restituisca quella sua stupida macchina per scrivere. Per me può anche tenersela. La zia per il mio compleanno me ne ha comprata una nuova di zecca. È grigia e rosa e...» «Aspetta un momento; Fratello Voce ti ha regalato una vecchia macchina per scrivere?» «Non me l'ha esattamente regalata: l'ho convinto a lasciarmela.»
«Era sua?» «Sì.» «E la teneva nel magazzino?» «Sì. Ogni tanto andavo in magazzino e mi ci sono divertita a scrivere fino a quando si è seccato l'inchiostro sul nastro e poi non c'era più carta. Ero una bambina, allora!» «Come fai a essere sicura che appartenesse a Fratello Voce?» «Perché è stato a causa della macchina per scrivere che l'ho incontrato. A quell'epoca abitavamo ancora sulle montagne di San Gabriel e io stavo esplorando i boschi quando ho sentito un suono che assomigliava a un piccolo tamburo. Era Fratello Voce che, seduto sotto il portico del suo capanno, scriveva a macchina. Solo che allora non era Fratello Voce. È buffo, ma se non fosse stato per me che l'ho sentito mentre scriveva non sarebbe mai diventato Fratello Voce.» Quinn sentì la porta d'ingresso che si apriva e il passo leggero di Martha che attraversava la stanza. «Stammi a sentire, Karma» disse in fretta «stai dove sei; chiudi bene a chiave tutte le porte e non aprirle fino a che non arrivo io. Mi muovo immediatamente.» «Perché?» «Ho qualche domanda che voglio fare a Fratello Voce.» «Allora crede che non sia vero che la mamma gli ha dato un messaggio per me?» «No, credo che voglia riprendersi la macchina per scrivere.» «Ma è una macchina vecchia e rotta, non gli servirebbe a niente!» «A lui no, ma potrebbe servire alla polizia. Quella macchina per scrivere si trovava nell'auto di O'Gorman la notte in cui è stato ucciso. Te lo dico perché voglio che tu ti renda conto che è un uomo pericoloso.» «Ho paura!» «Non devi aver paura, Karma. Quando alle quattro verrà lì, ci sarò io vicino a te.» «Me lo promette?» «Te lo prometto.» «Le credo» affermò gravemente la ragazzina «lei ha mantenuto anche la promessa sulla lozione per l'acne.» Ripensandoci, quell'episodio parve a Quinn che fosse accaduto tanto tempo fa, in un altro mondo. Andò nell'altra stanza e trovò Martha in piedi davanti alla finestra che
guardava il mare, come faceva sempre quando veniva a casa sua. Il mare, dopo la terra riarsa di Chicote, probabilmente le sembrava un miracolo. Senza voltarsi, Martha disse: «E così, ancora non è finita.» «No.» «Finirà mai, Joe?» «Non dire così» rispose cingendole le spalle con le braccia e baciandola sul collo. «Dove sono i ragazzi?» «Sono rimasti con i vicini.» «Come mai, non volevano vedermi?» «Al contrario; è stato un vero sacrificio per loro perdere una giornata insieme a te sulla spiaggia.» «E perché hanno fatto questo sacrificio?» «Per noi» rispose Martha sorridendo. «A Richard è venuta l'idea che ci avrebbe fatto piacere stare da soli, per una volta.» «E a te fa piacere?» «Sì.» «Perspicace il nostro Richard.» Martha si voltò e lo guardò ansiosamente negli occhi. «Pensi davvero a lui come al nostro Richard?» «Certamente, il nostro Richard e la nostra Sally.» «Lo dici come se dovessimo vivere insieme per sempre felici e contenti.» «Lo faremo.» «Senza problemi?» «No, con un mucchio di problemi, ma troveremo anche un mucchio di soluzioni se ci amiamo e ci rispettiamo veramente. E io credo che sia così; tu no?» «Sì» c'era ancora del dubbio nella sua voce, ma a poco a poco si faceva più debole e Quinn pensava che avrebbe finito per scomparire del tutto. «Ci saranno momenti in cui tu penserai a O'Gorman e avrai l'impressione che io non sia all'altezza.» «Questo non è vero.» «E altri in cui i bambini si rifiuteranno di obbedire ai miei ordini o di seguire i miei consigli perché io non sono il loro vero padre. Ci saranno incomprensioni, problemi di danaro...» «Basta così, Joe» lo interruppe Martha chiudendogli la bocca con la punta delle dita «ho pensato anch'io a tutte queste cose.» «Bene, visto che ci abbiamo pensato tutti e due, vuol dire che non ci av-
ventureremo nel matrimonio a occhi chiusi. Perché esiti ancora?» «Non voglio compiere un altro errore.» «Stai per caso dicendo che O'Gorman è stato un errore?» «Sì.» «Perché è vero o perché pensi che mi faccia piacere sentirtelo dire?» «È la verità.» Quinn la sentì irrigidirsi tra le sue braccia. «Ripensandoci adesso mi rendo conto che quel matrimonio è stato una mia idea, non di Patrick. Il mio desiderio di crearmi un nido era così forte da offuscare la mia razionalità. Ho sposato Patrick per poter avere una famiglia, crescere dei bambini, e lui mi ha sposato perché... immagino ci siano state molte ragioni, ma la principale è che non ha avuto il coraggio di opporsi o di procurarmi un dispiacere. Adesso che so che è morto, riesco a essere più oggettiva non solo nei suoi riguardi, ma anche nei miei. Il guaio maggiore del nostro matrimonio era che dipendevamo troppo l'uno dall'altra. Lui dipendeva da me e io dipendevo dalla sua dipendenza. Non mi stupisce che amasse tanto gli uccelli: probabilmente si sentiva anche lui un uccello in gabbia. Che cosa c'è, Joe?» «Niente.» «Non è vero, lo sento che c'è qualche cosa che non va. Dimmelo.» «No, non adesso.» «Va bene, me lo dirai un'altra volta.» Quinn si augurò che quella prossima volta fosse molto lontana, anche se sapeva che non sarebbe stato così. Forse era già arrivata, e proiettava la sua ombra su di loro. «Ho appena fatto il caffè» disse invece «ne vuoi una tazza?» «No, grazie; se vogliamo essere a Los Angeles per le quattro, è meglio che ci muoviamo subito prima che il traffico si faccia troppo intenso.» «"Vogliamo"?» «Certamente; non ho mica fatto tutta la strada fino a qui per vederti soltanto per cinque minuti.» «Senti, Martha...» «Ti sento ma non ti ascolto, soprattutto se stai cercando di liberarti di me.» «Non sto cercando di liberarmi di te. La telefonata di Karma mi ha colto di sorpresa e non so che cosa ci sia sotto. Forse niente, forse Fratello Voce ha veramente un messaggio per lei da parte di sua madre. Ma se le cose non fossero così semplici, preferisco che tu non ci sia.» «Sono molto abile a districarmi nei casi d'emergenza.»
«Anche quando l'emergenza riguarda te?» «Soprattutto in quei casi» rispose Martha con una punta di amarezza «ho avuto modo di fare molta esperienza.» «Quindi hai già deciso di venire con me.» «A meno che tu non abbia obiezioni.» «E se le avessi?» «Ti prego, ti prego, non averne!» «Martha» rispose Quinn pazientemente «io ti amo e non voglio che tu corra pericoli.» «Pensavo che dovessimo dividere anche i pericoli, che avremmo avuto problemi ma anche soluzioni. O quelle erano soltanto parole, Joe?» «Martha, io sto cercando di metterti in guardia, ma tu rifiuti di ascoltarmi.» «Non avere paura per me, Joe, mi fai sentire una donna incompleta, così come le mie paure per Patrick devono aver fatto sentire lui un uomo incompleto. Che cosa vuoi che mi capiti se vengo a casa di Karma insieme a te? Quella ragazza può aver bisogno del mio aiuto: è soltanto una ragazzina e si trova in una situazione che le fa paura. Non rinchiudermi in un armadio quando invece potrei rendermi utile.» «D'accordo» più che un sospiro il suo era un gemito «esca pure dall'armadio, signora.» «Grazie, signore! Non si pentirà della sua decisione.» «Davvero?» «Perché sei così strano, Joe? Qual è il vero problema? A che cosa stai pensando?» «Vorrei soltanto che ci fosse un armadio molto grande dove poterci nascondere tutti e due.» 25 Camminava lungo le strade della città alzando di tanto in tanto gli occhi al cielo come se si aspettasse di vedere qualcuno dei suoi compagni della foresta: il picchio dalle penne ruvide, il fringuello dalla voce acuta o un gufo in attesa della preda. Ma gli unici uccelli visibili erano qualche passerotto appollaiato sui fili del telefono o un piccione sul tetto di una casa. Di tanto in tanto fantasticava che tutti gli abitanti della città venissero trasformati in uccelli. Il traffico sulle strade e autostrade si sarebbe fermato e dalle fabbriche, dagli uffici, dalle case, dagli alberghi, dai camini, dai
giardini, da tutte le parti sarebbero usciti gli uccelli e avrebbero riempito di trilli, di cinguettii e di colori vivaci tutta la città. Fra quegli animali ce n'era uno più grande e maestoso di tutti gli altri, l'aquila reale, e quella era lui. Ma poi il suo sogno andava in frantumi, come una bolla di sapone: le macchine non si fermavano sulle autostrade, gli uccelli tornavano a essere persone e anche l'aquila reale, vittima come tutti della legge di gravità, si trovava a camminare sul marciapiede infuocato. Era rimasto troppo a lungo lontano dagli altri uomini e adesso gli facevano paura. Anche i vecchi, anche i bambini che si aspettava che da un momento all'altro si mettessero a ridere della sua tunica grigia e della testa rasata. Quando vide la sua immagine riflessa nella vetrina di un negozio, si rese conto che ormai nessuno aveva alcun motivo di ridere di lui: adesso aveva l'aspetto di un uomo qualunque. Durante le settimane passate nella foresta, i capelli gli erano ricresciuti, neri e ricciuti, con solo qualche filo bianco. Appena arrivato in città era entrato da un barbiere e si era fatto tagliare la barba e spuntare i capelli, poi si era comprato un vestito grigio, una camicia bianca, una cravatta e un paio di mocassini che cominciavano a fargli male. Ormai non era più Fratello Voce dei Profeti; era un uomo senza nome che camminava per le vie della città; era nessuno, e nessuno si curava di lui. Entrò in un negozio per chiedere come arrivare alla strada dove abitava Karma e la proprietaria glielo disse senza neppure sollevare gli occhi dal giornale. «Grazie mille, signora.» «Mmm.» «Fa caldo oggi, vero?» «Mmm.» «Sa per caso che ore sono?» «T-mezzo.» «Come ha detto? Temo di non aver capito.» «È sordo? O è uno straniero? Ho detto che sono le t-mezzo.» "No, non sono sordo" pensò "e non sono neanche straniero. Io sono un'aquila reale e tu sei soltanto un piccione con la pancia piena." Le tre e mezzo. Aveva ancora molto tempo. Quando ebbe svoltato l'angolo, si mise una mano in tasca e accarezzò il liscio manico di osso del rasoio. Il rasoio non era più abbastanza affilato per fare la barba, ma le basette di un uomo offrono più resistenza della gola di una ragazzina. Che cosa buffa! Talmente buffa che prima che potesse impedirselo, gli sfuggì di
bocca un risolino sciocco. Quel suono gli fece perdere ogni fiducia in se stesso, lo privò di ogni forza, tanto che dovette appoggiarsi a un lampione per riprendersi. Sedute su una panchina alla fermata dell'autobus, tre ragazzine lo osservavano con sospetto come se vedessero spuntare, da sotto il suo abito nuovo, la tunica grigia di Fratello Voce. Le detestò immediatamente, ma decise che doveva in qualche modo tranquillizzarle. «Fa caldo oggi, vero?» disse. Una delle ragazzine lo guardò ridacchiando, poi girò la testa. «In una giornata calda come questa, bisogna avere idee fresche.» Un altro silenzio, poi la ragazzina più grande disse severamente: «Non ci è permesso di parlare con gli sconosciuti.» «Ma io non sono uno sconosciuto! Vi sembro forse uno sconosciuto? Sono un uomo comune, come tutti gli altri.» «Andiamo, Laura, Jessie. Ricordatevi quello che ci ha detto la mamma» disse la ragazzina alzandosi. Adesso la panchina era vuota. Fratello Voce riprese a camminare. Il quartiere era diventato più lussuoso, i prati più verdi e meglio curati, gli steccati più alti, eppure le case sembravano deserte, come se i ricchi le avessero costruite soltanto per mostrare la loro ricchezza e poi fossero andati a vivere altrove. Ogni tanto tuttavia si sentiva il suono di una voce, il rumore di una porta che sbatteva, si vedeva muovere una tendina. "Sono tutti lì dentro" pensò "ma si nascondono. Hanno paura di me, di un uomo comune." Quando finalmente arrivò in Greengrove Avenue, si fermò un momento, rimanendo immobile su un piede solo, per permettere all'altro di riposarsi un po'. Gli sembrava di aver camminato per tutta la giornata e che, a ogni passo, le scarpe fossero diventate più piccole. Si chiese quanti uomini comuni come lui avessero camminato, come lui, tutta la giornata con le scarpe strette per andare a commettere un delitto. Parecchi, probabilmente, molti di più di quanto la gente non immaginasse. Del resto lui non stava facendo niente di anormale: Karma aveva fatto i voti di povertà e di rinuncia alle lusinghe del mondo; la vita tra gli agi che conduceva adesso non poteva far altro che rovinarla e precluderle l'accesso ai sentieri dorati del paradiso. Lui gli faceva soltanto un piacere salvandola dalla sua stessa follia. Qualche volta, quando ripensava agli anni passati ad ascoltare e obbedire agli ordini del Maestro, provava un moto di ribellione: il Maestro era sol-
tanto un imbroglione e i Fratelli e le Sorelle gonzi che gli avevano creduto. Ma ci pensava soltanto raramente. Quei lunghi anni tuttavia avevano lasciato un'impronta su di lui che non poteva cancellare come aveva fatto con l'impronta del suo corpo sul fieno, né seppellire come aveva fatto con i rifiuti e neppure nascondere sotto le foglie e gli aghi di pino come aveva fatto con la cenere del fuoco. Soprattutto ora che si trovava in città, il mondo attorno a lui gli sembrava diabolico; gli uomini volgari e le donne troppo truccate portavano il marchio dell'opera del diavolo. Nelle case lussuose abitava gente malata nell'animo, e le grosse macchine su cui viaggiavano gli infedeli conducevano ai larghi cancelli dell'inferno. Il marchio del Maestro era impresso nella sua anima, ed egli si rese conto che era proprio questo che le ragazzine sedute sulla panchina avevano visto, pur senza riconoscerlo. Immediatamente avevano capito che lui non era un uomo comune, ma un uomo particolare che stava per compiere una missione speciale. I minuti passavano, ed egli riprese a camminare. Su alcune case c'era scritto soltanto un numero, su altre c'era anche un nome. Il numero 1295 aveva una targhetta con il nome appesa a un piccolo lampione: Signora Harley Baxter Wood. Anche questa, come molte altre case, sembrava deserta, ma lui sapeva che non era così. Al telefono Karma gli era sembrata sospettosa, ma ben presto il sospetto si era trasformato in curiosità e quindi in desiderio di saperne di più. Sapeva che, malgrado i loro frequenti battibecchi, era molto attaccata alla mamma, e aspettava ansiosamente di conoscere il suo messaggio. Invece di suonare il campanello, bussò leggermente alla porta. Era il segnale di un amico più che il richiamo di uno sconosciuto. Nessuno rispose, ma aveva la netta sensazione che Karma fosse lì, dall'altra parte della porta. Gli sembrava persino di sentire il suo respiro nervoso e accelerato, come era stato quello del suo pappagallino, prima che reclinasse il capo e morisse nella sua mano. Più tardi l'aveva sepolto ai piedi di un albero di manzanita, quindi aveva preso un'ascia e aveva fatto a pezzi la gabbietta. Si ricordava ancora dell'eccitazione selvaggia che aveva provato mentre l'ascia cadeva sulle piccole sbarre di metallo; gli sembrava di essere stato lui il prigioniero di quella gabbia, e di stare combattendo per conquistare la libertà. Quando si era calmato, aveva gettato quel che restava della gabbia in un burrone, come un assassino che si affanna a nascondere i segni della sua violenza. «Karma?» Sì, la sentiva respirare. «Sono io, Fratello Voce. Non mi rico-
nosci, vero? È questo che ti turba; non lasciarti confondere da qualche cambiamento esterno. Sono proprio io; vieni a vedere, sciocca ragazzina.» Appoggiò la bocca alla fessura della porta. «Vieni fuori, Karma, ho un messaggio importante da parte di tua madre.» Finalmente, con voce flebile ed esitante, Karma rispose. «Puoi dirmi da qui quello che vuoi dirmi.» «No, non posso.» «Io non voglio... uscire.» «Hai paura, è così? Benedetto il cielo! Non hai niente da temere dal povero, vecchio Fratello Voce. Siamo stati amici per anni, Karma, non te lo ricordi? Io sono una specie di zio per te. Non ti ho forse regalato l'oggetto più prezioso che avevo, la mia macchina per scrivere?» «Non era tua; l'avevi rubata dalla macchina di O'Gorman.» «Stai per caso dicendo che sono un ladro? Era mia! Apparteneva a me.» «So benissimo da dove veniva.» «Qualcuno ti ha raccontato delle bugie, e tu, stupida ragazzina, le hai mandate giù come fossero caramelle. Soltanto io conosco la verità, ma naturalmente non posso mettermi a gridarla attraverso una porta. Apri, Karma!» «Non posso; c'è la zia. È di sopra nella sua stanza.» La bugia era così evidente che quasi lo fece scoppiare a ridere; e poi, anche se fosse stato vero, che aiuto avrebbe potuto darle una zia dalla gola morbida e bianca? «Sei una piccola bugiarda» disse sottovoce «e anche una piccola imbrogliona. Quando ripenso a tutte le volte che mi hai preso in giro! Fratello Senza Voce, mi chiamavi, te ne ricordi? Ma io non ho ceduto, ti ricordi, Karma, non potevo permettermelo. Le persone che custodiscono un segreto devono imparare a non parlare, e io avevo imparato. E poi, come uno sciocco, mi sono tradito durante il sonno! In un modo o nell'altro, sono sempre stato io a tradirmi. Ma farlo nel sonno! Che ironia!» La ragazza non rispose e, per un momento, l'uomo ebbe l'impressione di trovarsi di nuovo tra gli alberi, solo, mentre cercava di spiegare agli esseri viventi della foresta, che non potevano o non volevano ascoltarlo, il perché del suo comportamento. Una macchina della polizia passò davanti alla casa e Fratello Voce raddrizzò la schiena cercando di assumere l'aspetto dignitoso di un religioso che sta per fare una visita a un membro della sua parrocchia. Gli era sempre piaciuto pensare a se stesso nelle vesti di un pastore. Come sarebbe sta-
to facile consigliare agli altri quello che dovevano fare! La macchina della polizia tuttavia lo aveva preoccupato. Si chiese se le tre ragazzine che aveva incontrato alla fermata dell'autobus erano andate a casa a raccontare chissà cosa alla mamma che si era affrettata a chiamare la polizia. In tal caso i due poliziotti stavano davvero cercando lui. Ma no, che sciocchezza! Perché avrebbero dovuto cercarlo? La madre delle ragazze non aveva proprio motivo per chiamare la polizia. Quelle sciocche ragazzine, e la loro sciocca madre, non avevano nessun motivo, nessun motivo... «La prima macchina della polizia l'ha individuato» disse Quinn. «Cerca di trattenerlo ancora per qualche minuto, Karma.» «Non posso.» Anche se c'era Quinn al suo fianco, e Martha che le circondava affettuosamente le spalle, la ragazzina era spaventata perché sentiva che anche loro erano spaventati e non capiva il motivo della loro paura. Guardò le labbra serrate di Quinn e la disperazione che leggeva negli occhi di Martha e ripeté: «Non posso, non posso.» «Fallo parlare ancora.» «Di che cosa?» «Chiedigli di lui.» Karma alzò la voce e chiese: «Dove ti eri nascosto, Fratello Voce?» La domanda non gli piacque per niente; lui non era un criminale costretto a nascondersi, ma un uomo intelligente che aveva scelto di sua spontanea volontà la foresta come il posto migliore in cui gli piaceva vivere. «Senti, non posso restare qui tutto il pomeriggio» disse con irritazione «tua madre ci sta aspettando.» «Dove?» «In casa di un amico. È molto malata, potrebbe anche morire e mi ha chiesto di condurti da lei.» «Che cos'ha?» «Nessuno lo sa. Si è rifiutata di chiamare un dottore; se vieni con me, forse potrai convincerla ad affidarsi alle mani di un medico. Vuoi venire?» «È molto lontano?» «Praticamente appena svoltato l'angolo.» "Non si tratta dell'angolo di una strada" pensò "ma di un angolo che si può superare una sola volta nella vita, e dal quale non si fa ritorno." «Tua madre sta male, bambina, è meglio che tu ti sbrighi.» «D'accordo, sarò pronta tra un minuto.»
«Non mi chiedi di venire dentro ad aspettarti?» «Non posso; potresti svegliare la zia e lei non mi lascerebbe venire con te, perché odia la gente della Torre, ha paura che tentino di portarmi via con loro un'altra volta. Dice che potrebbero...» «Smettila di chiacchierare e vai a prepararti.» Aspettò, scrutando la strada per vedere se ripassava la macchina della polizia, e contando intanto i secondi che, nella sua mente, vedeva passare davanti a lui come tanti soldatini di piombo. Improvvisamente qualcosa cambiò: i soldatini di piombo si trasformarono in poliziotti in uniforme. Non gli sfilavano più davanti salutandolo militarmente e pronunciando il loro nome: erano loro che con prepotenza pretendevano di sapere il suo. «Come ti chiami?» «Comandante» rispose. «Comandante di cosa?» «Io comando il tempo.» «Ma davvero?» «È un lavoro altamente specializzato: io decido quando le cose devono succedere alle persone, agli animali, agli uccelli, agli alberi della foresta.» «Okay, Comandante, andiamo a passare in rassegna la truppa.» «Questo non è il momento adatto.» «Ma sì che lo è.» «Soltanto io posso deciderlo.» «Vieni, Comandante; giù al distretto abbiamo un orologio che è completamente impazzito. Vogliamo che tu venga a fargli un discorsino e a rimetterlo in sesto.» Improvvisamente si rese conto che quegli uomini non erano affatto poliziotti: erano agenti di una potenza straniera mandati a impossessarsi del paese mettendo in crisi lo svolgersi del tempo e a rapire il Comandante. La porta finalmente si aprì e vide uscire un uomo in cui riconobbe Quinn insieme a una donna che gli era vagamente familiare anche se non riusciva a ricordare il suo nome. «Non permetta che mi portino via!» gridò a Quinn. «Sono agenti nemici! Sono venuti per rovesciare il governo!» Quinn fece un passo indietro, come se quelle parole l'avessero colpito alla bocca dello stomaco facendogli perdere l'equilibrio. La donna accanto a lui cominciò a urlare: «Oh, mio Dio! Patrick, mio Dio, Patrick!» L'uomo la fissò, chiedendosi come mai il suo viso gli sembrava così fa-
miliare e chi diavolo poteva essere Omiodio Patrick. FINE