Patrick O'Brian
Verso Mauritius The Mauritius Command © 1977
A Mary Renault
Patrick O'Brian
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Patrick O'Brian
Verso Mauritius The Mauritius Command © 1977
A Mary Renault
Patrick O'Brian
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1977 - Verso Mauritius
NOTA DELL'AUTORE IL lettore di un romanzo, in particolare di un romanzo ambientato in un'altra epoca, può desiderare sapere se gli avvenimenti di cui si narra sono esistiti al di fuori della mente dell'autore o se sono del tutto immaginari come i personaggi. La totale libertà in un contesto di precisione storica offre evidentemente molti vantaggi, ma in questo caso i fatti narrati nel romanzo, una campagna marittima poco conosciuta nell'oceano Indiano, sono autentici: per tutto quanto concerne la geografia, le manovre, le navi catturate, incendiate, affondate o distrutte, le battaglie, le vittorie e i disastri, l'autore è stato fedele ai racconti dell'epoca, ai diari di bordo, ai dispacci redatti dagli ufficiali combattenti e al materiale degli archivi dell'ammiragliato britannico. Al di fuori degli elementi romanzati del principio e Patrick O'Brian
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della fine, non ha cercato in alcun modo di modificare la Storia, salvo per l'omissione di qualche nave senza importanza la cui presenza fugace avrebbe soltanto appesantito il racconto; e nemmeno ha cercato di rafforzare minimamente l'ingegnosa pugnacia della Royal Navy di fronte alle avversità.
CAPITOLO I I1 comandante Aubrey della Royal Navy viveva in una parte dello Hampshire prediletta da un numero considerevole di ufficiali di marina, alcuni dei quali avevano raggiunto il grado di ammiraglio ai tempi di Rodney,* [* George Brydges Rodney (1718-1792), ammiraglio inglese, tra i più popolari nella storia della Royal Navy. Combatté contro i francesi alle Antille, sconfisse una squadra spagnola a Cabo de San Vicente (1797) e comandò una flotta di ventuno navi durante la guerra per l'indipendenza americana. Fu creato barone ed elevato alla dignità di pari d'Inghilterra. (N.d.T.)] quando altri erano ancora in attesa del loro primo comando. I più fortunati possedevano case grandi e confortevoli affacciate su Portsmouth, Spithead, St Helens, l'isola di Wight e sull'andirivieni dei vascelli da guerra. Il comandante Aubrey avrebbe potuto essere fra quei fortunati, poiché da giovane comandante e poi capitano di vascello aveva operato così bene nella cattura delle prede che in marina veniva chiamato Jack Aubrey il Fortunato. Ma la carenza di navi, la sua incapacità negli affari e la mancanza di scrupoli di un agente lo avevano ridotto alla mezza paga e niente più; il suo cottage era infatti situato sul pendio settentrionale dei Downs, non lontano da Chilton Admiral, e la collina sovrastante gli toglieva completamente la vista del mare nonché gran parte del sole. Il cottage, pur pittoresco tra i frassini e persino romantico, ideale per una coppia nei primi tempi del matrimonio, non era né grande né confortevole; nato già con i soffitti molto bassi, angusto e scomodo, doveva adesso alloggiare anche due bambine, una nipote, una suocera finanziariamente in rovina, qualche ingombrante mobile proveniente dalla vecchia casa di Mapes Court della signora Williams, un paio di domestiche e assomigliava molto al Black Hole di Calcutta; quella malfamata prigione era una fornace asciutta e senz'aria, mentre a Ashgrove Cottage abbondavano gli spifferi e l'umidità che saliva dal pavimento si univa a quella che scendeva Patrick O'Brian
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dal tetto malandato a formare pozze d'acqua in molte stanze. Tutte queste persone vivevano grazie ai nove scellini al giorno del comandante Aubrey, una paga che arrivava due volte l'anno e spesso con angoscioso ritardo; e sebbene nella suocera egli avesse una formidabile alleata nel fare economie, lo sforzo che ciò gli costava aveva scolpito un'espressione di costante preoccupazione su una faccia che la natura aveva voluto allegra. E in quell'espressione si leggeva talvolta una traccia di frustrazione, poiché Aubrey, marinaio nato ma con solide basi di idrografia e navigazione, si dedicava alla ricerca del modo per ricavare la longitudine in mare mediante l'osservazione delle lune di Giove e, sebbene rettificasse da solo gli specchi e le lenti del suo telescopio, avrebbe molto desiderato di tanto in tanto poter spendere una ghinea o due per i suoi strumenti. A una certa distanza da Ashgrove Cottage, una stradina infossata saliva attraverso i boschi odorosi di funghi. Le forti piogge autunnali avevano trasformato il fondo argilloso in un acquitrino e in quell'acquitrino, seduto di traverso e con i piedi a tal punto sollevati che pareva accovacciato sulla sella come una scimmia, cavalcava il dottor Maturin, l'amico più caro di Aubrey, chirurgo di bordo su molte navi che questi aveva comandato, un individuo smilzo, dall'aspetto curioso in modo indefinibile e persino inquietante, dagli occhi chiarissimi e dal viso altrettanto pallido, sormontato da una parrucca un po' vecchio stile che lo qualificava come medico. Era elegante in modo insolito per lui, con un soprabito color tabacco dai bottoni d'argento e con le brache di camoscio; ma l'effetto era rovinato dalla lunga fusciacca nera, arrotolata tre volte intorno alla vita, che gli conferiva un'aria esotica nel paesaggio inglese. Appesa al pomo della sella era una rete piena di una gran varietà di funghi, boleti di ogni genere, porcini, gallinelle, orecchie di Giuda, e, vedendo un bel ciuffo di lingue di bue, il dottor Maturin saltò giù da cavallo, si attaccò a un cespuglio e si arrampicò sulla scarpata. In quel momento un uccello bianco e nero di grandezza insolita si alzò in volo, le larghe ali che battevano di gran lena l'aria immobile. La mano di Maturin si infilò con rapidità nelle pieghe della fusciacca, estrasse altrettanto rapidamente un piccolo cannocchiale e lo puntò prima che l'uccello, inseguito adesso da un paio di cornacchie, attraversasse la vallata, scomparendo al di là della collina che separava Ashgrove Cottage dal mare. Con grande soddisfazione seguì il suo volo per un po', abbassando poi lo strumento sul cottage stesso. Notò, sorpreso, che il piccolo osservatorio fatto in casa era stato spostato a considerevole Patrick O'Brian
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distanza sulla destra, circa duecento iarde, fino a un punto in cui il crinale scendeva a strapiombo di cinquanta piedi. E là, ritto accanto alla cupola caratteristica, sovrastandola come Gulliver avrebbe potuto sovrastare un tempio a Lilliput, stava il comandante Aubrey, un comune cannocchiale navale appoggiato sulla cupola, scrutando immobile qualche oggetto remoto. La luce lo investiva in pieno; la sua faccia era perfettamente nitida nella lente di Maturin e il medico rimase impressionato non solo dalla sua espressione ansiosa, ma anche dai segni dell'età e della sofferenza. Aubrey aveva sempre rappresentato per Stephen Maturin la giovinezza stessa, baldanzosa, forte, allegra, e per così lungo tempo che quel cambiamento e i movimenti lenti e affaticati della figura lontana mentre richiudeva lo strumento e si rialzava, portandosi la mano su una vecchia ferita alla schiena, risultarono per lui penosissimi. Maturin ripose il cannocchiale, raccolse i funghi e fece un fischio al cavallo, un piccolo arabo che gli ubbidì come un cane, guardandolo con affetto mentre scendeva faticosamente dalla scarpata con il cappello pieno di lingue di bue. Dieci minuti dopo era alla porta dell'osservatorio dalla quale fuoriusciva il deretano del comandante Aubrey, riempiendo completamente l'apertura. «Deve aver appoggiato il telescopio quanto più orizzontalmente possibile, ed è piegato in due», rifletté il dottor Maturin. «Non c'è perdita di peso in quel posteriore: farebbe ancora pendere la bilancia sulle duecento libbre.» Ad alta voce chiamò: «Olà, Jack!» «Stephen!» gridò Jack, proiettandosi all'indietro con sorprendente agilità per un uomo di quella mole e afferrando ambedue le mani dell'amico. La faccia rosea era scarlatta per la gioia e su quella di Maturin si diffuse in risposta un lieve rossore. «Come sono felice di vederti, mio vecchio Stephen! Come stai? Dove sei stato? Che cosa hai combinato durante tutto questo tempo?» Ma, ricordando che il dottor Maturin oltre a essere un medico era anche un agente del servizio di informazioni della marina, che i suoi movimenti dovevano necessariamente rimanere avvolti nel mistero e che la sua comparsa poteva essere ricollegata alla recente dichiarazione di guerra della Spagna contro la Francia, si affrettò a soggiungere: «Senza dubbio hai dovuto badare ai tuoi affari. Magnifico! Magnifico! naturalmente ti fermerai da noi. Hai già visto Sophia?» «Non ancora. Mi sono fermato sulla porta della cucina, ho domandato alla giovane donna se il comandante era in casa e avendo udito dei rumori di natura domestica - mi è venuta alla mente la strage degli innocenti - mi Patrick O'Brian
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sono limitato a lasciare la mia offerta e il cavallo e sono venuto qui. Hai spostato l'osservatorio.» «Sì. Ma non è stato difficile: tutto quanto il marchingegno non pesa più di cento libbre. Killick mi ha aiutato a rimuovere la cupola: rame della vecchia Diomede che mi hanno lasciato prendere all'arsenale. Poi, con un paio di paranchi l'abbiamo rimontato in una mattina.» «Come sta Killick?» si informò Stephen. Killick era il famiglio di Jack da molti anni; loro tre avevano partecipato insieme a numerose missioni e Stephen lo aveva in grande stima. «Benissimo, credo. Ho avuto sue notizie da Collard, dell'Ajax; ha mandato un bastone da passeggio ricavato dalla spina dorsale di un pescecane per le gemelle. Ho dovuto fare a meno di lui, sai.» Stephen annuì e disse: «L'osservatorio accanto alla casa non andava bene?» «Sì», rispose Jack, esitante. «Ma ti dirò la verità, Stephen. Da qui si può vedere l'isola di Wight e il Solent, la punta di Gosport e Spithead. Presto, vieni a vedere, di sicuro non si è ancora mossa.» Stephen abbassò la testa, guardò nel telescopio facendosi ombra con le mani e là, su uno sfondo luminescente, vide sospesa l'immagine annebbiata di un vascello a tre ponti che riempiva quasi completamente il disco della lente. Stephen la mise a fuoco e l'immagine si delineò netta e chiara. Brillante: le vele, dai velacci ai trevi, afflosciate nella calma di vento, la gomena fuori dell'occhio di cubia mentre le scialuppe rimorchiavano la nave fino all'ormeggio. Osservandola, ascoltava le spiegazioni di Jack: era il suo nuovo specchio da sei pollici... molare e lucidare per tre mesi... rifinito con la migliore argilla di Pomerania... l'aiuto preziosissimo di Miss Herschel... lui aveva tolto un filo di troppo dal bordo ed era stato sul punto di rinunciare del tutto quando lei gli aveva insegnato come rimediare... una donna ammirevole. «Ma non è la Victory», esclamò Stephen quando la nave cominciò a muoversi, «è la Caledonia! Riesco a vedere le insegne scozzesi. Jack, vedo benissimo le insegne scozzesi! A questa distanza! Tu sei il più grande fabbricante mondiale di telescopi, lo sei davvero!» Jack scoppiò a ridere per la contentezza. «Be', è una giornata perfetta per le osservazioni», ribatté modestamente. «Nemmeno un tremolio sul pelo dell'acqua. Speriamo che duri fino a stanotte, voglio mostrarti una stella doppia di Andromeda, a meno di un secondo di arco di scarto! Con il mio Patrick O'Brian
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telescopio di tre pollici non riuscivo a distinguere niente al di sotto di due. Non ti piacerebbe vedere una stella doppia con meno di un secondo di distanza fra i due nuclei?» «Certamente, dev'essere prodigioso. Ma per parte mia preferirei osservare le navi. Tanta vita, tanta attività e noi come dèi dell'Olimpo al di sopra di tutto. Non passi ore e ore quassù?» «Sì, Stephen, proprio così. Ma ti prego di non farne menzione in casa. A Sophia non importa che io stia alzato fino a tardi a guardare le stelle, e stanotte dovremo restare qui fino alle tre se vogliamo vedere Giove; ma la contemplazione del Solent non fa parte dell'astronomia. Lei non dice niente, ma le dispiace vedere che soffro per la nostalgia del mare.» «Molta nostalgia, Jack?» domandò Stephen; ma prima che Aubrey potesse rispondere la sua attenzione fu distratta dal clamore che giungeva dal cottage, dalla voce aspra e imperiosa della signora Williams e da quella acuta e strafottente della domestica che lei stava rimproverando. A tratti, nell'aria immobile salivano fino a loro con assoluta chiarezza le parole ripetute più volte: «... un signore forestiero li ha lasciati in cucina!» ma per lo più le voci si accavallavano e si confondevano ulteriormente a causa dell'eco proveniente dai boschi dall'altra parte della vallata, del pianto delle bambine e di una porta che sbatteva. Jack si strinse nelle spalle; dopo una pausa, tuttavia, tornò a osservare con affetto il suo amico. «Non mi hai ancora detto come stai, Stephen. Come ti senti?» «Straordinariamente bene, ti ringrazio, Jack. Ho passato le acque a Caldas de Bohi non molto tempo fa e ne ho tratto grande beneficio.» Jack annuì: conosceva il posto, un villaggio dei Pirenei non lontano dagli alti pascoli del dottor Maturin, poiché Stephen, pur essendo irlandese, aveva in quella regione una proprietà ereditata da una nonna catalana. «E oltre a essere diventato agile come un cerbiatto», continuò il dottor Maturin, «ho potuto fare studi interessanti sugli affetti da cretinismo di Bohi. Bohi è abitato in gran parte da cretini, amico mio.» «Non solo Bohi, questo è certo. Prendi l'ammiragliato: chi c'è all'ammiragliato? Un generale come Primo Lord, ecco chi c'è! Ci crederesti mai, Stephen? E la prima cosa che fa l'infernale giubba rossa è eliminare uno degli ottavi che spettano al comandante, ha ridotto di un terzo il premio per la cattura delle prede: dimmi se questa non è pura follia, pazzia furiosa. E poi, a parte i cretini di Whitehall, qui in paese ce Patrick O'Brian
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n'è almeno una mezza dozzina, al mercato li si sente berciare e farfugliare. E, in tutta franchezza, Stephen, qualche volta sono seriamente preoccupato per le gemelle. A me non sembrano troppo sveglie e ti sarei davvero grato se tu volessi esaminarle in privato. Ma immagino che tu voglia visitare l'orto prima, non è così?» «Più di ogni altra cosa. E le api.» «Be', quanto alle api, mi pare siano scese sottocoperta nelle ultime settimane. Vale a dire che non le ho notate in giro, per quanto non mi sia avvicinato molto dopo aver cercato di prendere il miele. Dev'essere più di un mese che non mi pungono. Ma, se vuoi vederle, dobbiamo prendere il sentiero in alto.» Gli alveari erano sistemati in bell'ordine su sgabelli dipinti di bianco, ma delle api nessuna traccia. Stephen scrutò nelle aperture, vide la ragnatela rivelatrice, scosse la testa e osservò: «E la micidiale galleria mellonella». Sollevò l'alveare dallo sgabello e lo tenne rovesciato, rivelando la sudicia rovina dei favi, con le vili larve che tessevano il loro bozzolo. «La galleria mellonella!» gridò Jack. «C'è qualcosa che avrei dovuto fare?» «No», lo rassicurò Stephen. «Non che io sappia.» «Avrei dato non so cosa perché non succedesse, sono così dispiaciuto. Sophia e io le avevamo carissime, essendo un tuo regalo.» «Non importa», disse Stephen. «Ve ne porterò altre, di una razza più forte. Prego, visitiamo l'orto.» Sull'oceano Indiano Aubrey aveva sognato di possedere un cottage con un pezzo di terra, filari di rape, carote, cipolle, cavoli, fagioli, e adesso il sogno si era realizzato. Ma non aveva tenuto conto del moscerino nero, del millepiedi, dell'agrotide, della larva della tipula, degli afidi verdi e neri, della pieride del cavolo. I filari c'erano, si stendevano su mezzo acro, dritti come se fossero stati tracciati con il righello nello strato sottile di terra spugnosa, e nei solchi si scorgeva qualche misera pianta. «naturalmente», disse Jack, «non c'è niente da vedere in questa stagione dell'anno; ma quest'inverno intendo portarci tre o quattro bei carichi di letame, e certamente si vedrà la differenza. Ne ho già messo un po' sui miei cavoli cappucci, dietro il roseto di Sophia. Da questa parte.» Mentre costeggiavano le patate stente, indicò il prato di là della siepe e disse: «Quella è la mucca». «Mi sembrava appunto una mucca. Per il latte, senza dubbio?» Patrick O'Brian
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«Proprio così. Una grande quantità di latte, burro, panna, di vitelli; cioè, li stiamo aspettando, perché per il momento non dà latte.» «Non sembra gravida. Piuttosto il contrario, in effetti: scarna, cadaverica, mummificata, direi.» «Be', per dire le cose come stanno, Stephen», disse Jack, contemplando l'animale, «per dire le cose come stanno, rifiuta il toro. Lui è pronto a tutto, oh, Signore, sì; ma lei non vuole averci niente a che fare. Allora il poveretto si fa prendere dalla passione più sfrenata, muggisce e raspa il terreno come un indemoniato. E noi facciamo a meno del latte.» «Da un punto di vista filosofico il suo comportamento è abbastanza logico. Rifletti a ciò che significano le gravidanze continue, prezzo di un piacere momentaneo e, si può dire, aleatorio. Rifletti al fastidio fisico delle mammelle gonfie, per non parlare del parto, con i relativi pericoli. Non dirò del disagio nel vedere il proprio rampollo trasformato in blanquette de veau, dato che questo è un caso particolare dei bovini. Ma se fossi una femmina di qualsiasi specie, vorrei essere dispensata da questi affanni, e se in particolare fossi una giovenca preferirei decisamente restare asciutta. E tuttavia mi rendo conto che dal punto di vista della vita domestica il celibato in una mucca assume un aspetto del tutto diverso. In questo caso il bene comune impone fertili lombi.» «Sì», convenne Jack, «lo impone. Ecco il giardino di Sophia. A giugno sarà pieno di rose. Non ti sembrano un po' esili, Stephen? Credi che dovrei potarle molto basse quest'inverno?» «Non so niente di giardinaggio», rispose Maturin. «Niente di niente. Ma forse sono leggermente, diciamo, rachitiche?» «Non so spiegarmelo», disse Jack, «ma non ho molta fortuna con le piante ornamentali. Vedi? Questa avrebbe dovuto essere una siepe di lavanda. L'abbiamo trapiantata da Mapes. Vieni a vedere i miei cavoli, però. Ne sono veramente fiero.» Attraversarono un cancelletto di frasche e arrivarono a un piccolo appezzamento dietro il cottage; una distesa di verzura, con un nobile mucchio di letame fumante al di là. «Ecco!» esclamò Jack. «Hai mai visto niente di simile?» «No», assicurò Stephen. «Forse penserai che sono stati piantati molto vicini, ma io ho seguito questo ragionamento: per appendere le brande noi assegniamo quattordici pollici per ogni uomo; ora, l'uomo mangia il cavolo e la parte non può essere più grande del tutto. Perciò li ho piantati secondo questo criterio e il Patrick O'Brian
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risultato è stato stupefacente.» Rise soddisfatto. «Ricordi quell'antico romano che non voleva assolutamente che fossero tagliati?» «Diocleziano, credo.» «Esattamente. Come lo capisco. Eppure, sai, quando mi decido a rovinare un filare, ricevo ben poco incoraggiamento. Sempre quelle sciocche proteste per i bruchi. Signore Iddio, se avessero mangiato la decima parte di quello che abbiamo mangiato noi in fatto di vermi nelle gallette, un mese dopo l'altro durante le operazioni di blocco, ringrazierebbero il Cielo di un onesto bruco verde.» Rimasero per qualche minuto a contemplare la distesa di cavoli, e nel silenzio immobile a Stephen parve di udire effettivamente il rumore di innumerevoli mandibole al lavoro. Il suo sguardo si spostò dai cavoli al mucchio di concime: sulla cima notò i porcini, i gallinacci, le lingue di bue che aveva raccolto poco prima. Lo sbattere di una porta interruppe le loro meditazioni; fu seguito dal calpestio di passi pesanti dentro la casa e infine la porta sul retro si aprì per rivelare la faccia larga e rossa di una donna, una sosia della signora Williams tranne per un leggero strabismo nell'occhio sinistro e, quando aprì bocca, per la voce acuta dall'accento gallese. Aveva in spalla il suo fagotto. «Ma come, Bessie!» gridò Jack. «Dove stai andando? Che stai facendo?» L'agitazione della donna era tale che per qualche istante le sue labbra si mossero senza emettere suono; poi, di colpo, le parole le uscirono tutte insieme di bocca, accompagnate da un'occhiata a tal punto velenosa che Stephen si fece il segno della croce. «Un benservito, solo un benservito le ho chiesto! Tirchia con lo zucchero, tirchia con il tè, un benservito le ho chiesto, e nient'altro!» Con questo la donna scomparve dietro l'angolo del cottage. Jack la seguì con lo sguardo e osservò a bassa voce: «E con questa sono quattro, quest'anno. È una cosa infernale, Stephen. Sono in grado di comandare un equipaggio di trecento uomini con la massima facilità, eppure non riesco a ottenere un po' di disciplina in questa casa». Si interruppe, cupo, poi soggiunse: «Tu lo sai bene che in mare non ho mai amato molto il gatto a nove code, eppure, accidenti a me, capisco che può essere utile.» Un'altra pausa di riflessione durante la quale la sua faccia assunse l'espressione severa e implacabile del comandante che dà l'ordine di somministrare una dozzina di frustate, un'espressione che si trasformò subito in dispiacere, e Jack esclamò: «Oh, Stephen, che sciagurato padrone Patrick O'Brian
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di casa sono! Tu devi essere assetato. Vieni, vieni in casa a bere un bicchiere di grog. Per di qua: non ti spiace passare dal retro? Nessuna cerimonia, eh? Sophia dev'essere da qualche parte in casa». Mentre parlava, una minuscola finestra si aprì al di sopra delle loro teste e Sophia si affacciò; il suo viso si illuminò in un sorriso dolcissimo di vera gioia. «Oh, Stephen!» gridò. «Come sono contenta di rivedervi! Entrate, scendo subito.» Stephen si tolse il cappello, si inchinò e le mandò un bacio, anche se avrebbe potuto facilmente deporglielo sulla mano dal punto in cui era. «Vieni», lo invitò Jack, «attento a non battere la testa contro la trave.» Nel retro cucina, a parte un enorme pentolone di rame e l'odore dei pannolini delle bambine che bollivano, c'era soltanto una donna seduta su una sedia, con il grembiule tirato sul capo, che si dondolava avanti e indietro in silenzio. Bastarono tuttavia tre passi per attraversare il locale e uscire in uno stretto corridoio che li portò nel salotto, una stanzetta accogliente con la finestra a bovindo, resa più spaziosa da una quantità di trovate da marinaio, quali gli stipi sotto le finestre e il mobilio fatto su misura con cerniere e maniglie di ottone. L'insieme però era sciupato alquanto da alcuni pezzi certamente inadatti a un cottage, quali un divanetto di canna a cinque o sei posti dallo schienale alto e un orologio a pendolo troppo alto per entrare sotto il soffitto e che se ne stava perciò in un angolo a capo scoperto con aria desolata. Jack ebbe appena il tempo di chiedere al dottor Maturin se il bovindo non gli ricordava la vetrata di poppa del brigantino sul quale avevano navigato insieme per la prima volta, quando si udì un rumore di passi sulle scale e Sophia entrò di corsa nella stanza. Baciò Stephen con affetto fraterno e, tenendogli entrambe le mani, lo scrutò attentamente per rendersi conto del suo stato di salute, di felicità e generale benessere, con una tenerezza che gli andò dritta al cuore, continuando nel frattempo a parlare rapidamente: «... era sorpresa, incantata... dove era stato?... si sentiva davvero bene? non poteva immaginare quanto lei fosse felice... era qui da molto?... perché Jack non l'aveva chiamata? le dispiaceva aver perso un quarto d'ora della sua compagnia... era sicura che le gemelle lo avrebbero riconosciuto... chissà che emozione per loro... e anche per la piccola Cecilia, naturalmente... ma doveva essere affamato, vero? Poteva offrirgli una fetta di torta al cumino... ma come stava?» «Sto benissimo, grazie. E anche voi, mia cara, siete un fiore, un fiore!» Patrick O'Brian
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Lo era davvero. Si era ravviata quasi tutte le ciocche di capelli che lui aveva visto spettinate dalla finestra, ma una le era sfuggita e quel disordine lo incantava. Tuttavia, nonostante il reale compiacimento con cui la contemplava, Stephen non riuscì a nascondere al suo animo che la tendenza a una certa rotondità contro la quale l'aveva un tempo messa in guardia era scomparsa e che, senza il colorito soffuso sulle guance dall'emozione, il suo viso sarebbe apparso tirato e persino smunto, mentre le mani, una volta così eleganti, erano adesso ruvide e arrossate. La signora Williams fece il suo ingresso. Stephen si alzò per inchinarsi, si informò della sua salute e di quella delle sorelle di Sophia e rispose alle sue domande. Stava per rimettersi a sedere dopo aver ascoltato il racconto piuttosto dettagliato della provvidenziale guarigione della signora, quando lei lo fermò: «Non sul divanetto, dottor Maturin, se non vi dispiace! Potrebbe sfondarsi. Starete più comodo sulla poltrona del comandante Aubrey». Un tonfo seguito da urli sinistri proveniente dal piano di sopra costrinse Sophia ad accorrere seguita da Jack, e la signora Williams, comprendendo di essere stata un poco brusca, informò Stephen della storia interessantissima del divanetto che risaliva al tempo di Guglielmo d'Orange. L'aveva portato lì dalla cara Mapes, dove senza dubbio il dottore lo ricordava nel salotto d'estate; a lei faceva piacere che il cottage del comandante Aubrey avesse un certo stile e in ogni caso non poteva sopportare il pensiero di lasciare un pezzo di tale valore, un mobile così antico, al suo inquilino, senza dubbio una degna persona, ma di un ambiente, diciamo, commerciale, che non avrebbe esitato a sedervicisi sopra. Anche l'orologio proveniva da Mapes, e non ce n'era uno più preciso in tutta la contea. «Molto bello, anche», osservò Stephen. «Con regolatore, mi pare. Non lo si può caricare?» «Oh, no, signore!» rispose la signora Williams con uno sguardo di commiserazione. «Se lo si facesse funzionare, il meccanismo comincerebbe immediatamente a sciuparsi.» Da questo la signora passò all'argomento delle cose che si rovinano in generale e del costo proibitivo delle riparazioni: in questo senso era utile la presenza del comandante Aubrey in una casa. Il monologo della signora Williams veniva a tratti interrotto dalla voce stentorea del comandante, perfettamente calcolata per farsi sentire da un Patrick O'Brian
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capo all'altro di una nave durante una tempesta, ma meno adatta ai bisbigli confidenziali fra le mura domestiche, e che forse non lasciava trasparire il suo solito buonumore mentre affermava che bastava improvvisare una salsa per quel bel pezzo di prosciutto e che. la focaccia marinara era semplicissima da preparare. Stephen rivolse la sua attenzione alla signora Williams e la studiò attentamente. La sua impressione fu che la disgrazia non aveva avuto un grande effetto su di lei: il suo bisogno di dominare, la sua naturale prepotenza sembravano anzi accresciuti; fisicamente pareva star bene, e sembrava contenta, per quanto poteva permetterglielo il suo carattere. I frequenti riferimenti alla passata grandezza parevano accenni a un mito nel quale lei stessa non credeva veramente, un sogno dal quale si fosse risvegliata alla realtà presente. Forse era nata per il ruolo di abile padrona di casa che riusciva a mandare avanti la famiglia con duecento sterline l'anno, e solo ora stava realizzando il suo vero scopo nella vita. Si trattava di una notevole dimostrazione di coraggio o di mera insensibilità? Già da qualche minuto si andava dilungando sul tema della servitù, sfornando le consuete, trite osservazioni con grande convinzione e loquacità. Ai tempi della sua gioventù i domestici erano perfetti, adesso erano difficili da trovare, impossibili da tenere, fannulloni, falsi, disonesti e spesso decisamente malvagi. «Proprio stamattina, proprio stamattina», continuò, «ho pescato la cuoca che toccava dei funghi velenosi. Riuscite a immaginare una simile malvagità, dottor Maturin? Toccare funghi velenosi e poi il cibo delle mie nipotine con quelle manacce! Una vera gallese!» «Avete ascoltato le sue spiegazioni, signora?» «naturalmente no. Bugie, tutte bugie, non si dice altro in cucina, sapete. Li ho gettati via immediatamente e le ho detto quello che pensavo. Altro che benservito! Può scordarselo, sì, davvero!» Approfittando di una breve pausa, Stephen disse: «Ho visto un falco pescatore in quel bel bosco sul fianco della collina, mentre venivo qui». «Davvero, signore? Be', questa poi! In quel boschetto che vediamo dalla finestra? Per l'Hampshire non è male, ma quando vi sarete reso conto di che cos'è questo posto, scoprirete che non è niente a paragone dei boschi intorno a Mapes. Si estendono fino alla contea vicina e sono pieni di falchi pescatori. Il signor Williams li cacciava continuamente. A mio avviso quel suo falco veniva da Mapes.» Da qualche minuto Stephen sentiva tirar su col naso dietro la porta, e quando alla fine il battente si socchiuse vide una bimbetta dai capelli Patrick O'Brian
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biondi e con un grosso raffreddore entrare di corsa, rivolgergli uno sguardo malizioso e nascondere la faccia in grembo alla nonna; con sollievo di Stephen, i tentativi della signora Williams di farla rialzare, di costringerla a porgergli la mano e a dargli un bacio risultarono infruttuosi e la bambina rimase dov'era mentre la nonna le accarezzava con dolcezza i capelli. A Stephen non risultava che la signora Williams avesse mai mostrato la minima tenerezza nei confronti delle figlie; la sua faccia, la sua voce, i suoi modi erano inadatti a esprimere tenerezza, eppure adesso era là, raggiante in tutta la sua mole, che spiegava come quella fosse la piccola Cecilia, la bambina della sua secondogenita che aveva seguito il reggimento del marito e perciò non poteva occuparsi della bambina, povera piccola. «L'avrei riconosciuta dovunque», disse Stephen. «Davvero una bella bambina.» Rientrò Sophia e la piccola si mise immediatamente a gridare: «Zia, zia, la cuoca ha cercato di avvelenarmi con i funghi!» Continuò con la stessa cantilena per un po', e al di sopra dei suoi strilli Stephen disse a Sophia: «Sono stranamente sbadato, dovete perdonarmi. Ero venuto per invitarvi a pranzo e non l'ho ancora fatto». «Siete molto buono», si affrettò a protestare la signora Williams, «ma temo che sarà assolutamente impossibile, perché...» Si guardò intorno alla ricerca di un motivo plausibile, ma non lo trovò e dovette limitarsi a zittire la nipotina. Stephen continuò: «Sono sceso al Crown, a Petersfield, e ho ordinato una varietà di piatti». Sophia gli domandò come poteva essere così perfido; sarebbe rimasto al cottage e avrebbe pranzato lì. La porta si aprì di nuovo ed entrambe le donne assalirono ansiosamente Jack. «Quanto parlano», osservò fra sé Stephen: era la prima volta che notava una sia pur lievissima traccia di somiglianza fra Sophia e la sua impossibile madre. «Zio Aubrey», gridò Cecilia, «la cuoca ha cercato di avvelenare me e le gemelle con i funghi!» «Scempiaggini», disse Jack. «Stephen, tu pranzerai e dormirai da noi. La cucina è sottosopra oggi, ma ci sarà una focaccia marinara superba.» «Jack», ribatté Stephen. «Ho già ordinato il pranzo al Crown. I piatti saranno in tavola all'ora stabilita e, se non ci saremo, sarà un vero spreco.» L'osservazione, notò Stephen, ebbe un effetto immediato sulle signore. Sebbene continuassero a protestare che non doveva andarsene, la convinzione e il volume delle loro argomentazioni scemarono. Stephen Patrick O'Brian
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non replicò, limitandosi a guardare fuori della finestra, ma di tanto in tanto osservava Sophia e sua madre, e il legame di sangue esistente fra loro gli apparve con maggiore chiarezza. In che cosa consisteva quell'affinità? Certamente non nella voce né in alcun particolare dell'aspetto o delle movenze. Presumibilmente derivava da una certa espressione comune a entrambe, non infantile ma certamente non adulta, un'espressione che un suo collega francese, appassionato di studi fisiognomia e discepolo di Lavater, chiamava «l'aria inglese», attribuendola a frigidità, una caratteristica ben nota delle donne britanniche, prive a quanto si diceva di quella maturità indotta dalle calde delizie dell'amore fisico. «Se Dupuytren ha ragione e se questo è realmente il caso», rifletté, «allora Jack, con il suo temperamento ardente, deve sentirsi notevolmente frustrato.» Il cicaleccio concitato non accennava a diminuire. «Com'è bravo a sopportarlo», pensò Stephen, ricordando la scarsa tolleranza di Jack verso le chiacchiere sul cassero. «Rendo onore alla sua pazienza.» Si arrivò a un compromesso: qualcuno sarebbe andato, qualcun altro rimasto. Alla fine, dopo una lunga e tipica discussione familiare che ricominciava continuamente dal punto in cui era partita, fu deciso che Jack sarebbe andato, Stephen sarebbe ritornato l'indomani mattina per la prima colazione e la signora Williams, chissà poi perché, si sarebbe accontentata di un pezzetto di pane e formaggio. «Sciocchezze, signora!» esclamò Jack, spinto infine a varcare i limiti delle buone maniere. «C'è un magnifico pezzo di prosciutto nella dispensa e si sta cuocendo una focaccia marinara assolutamente grandiosa!» «Ma perlomeno, Stephen, dovete vedere le gemelle prima di andarvene», intervenne in fretta Sophia. «Al momento sono presentabili. Per favore, mio caro, fagliele vedere tu. Io vi raggiungerò fra un istante.» Jack lo condusse al piano superiore, in una stanzetta mansardata. Sul pavimento erano sedute due piccine, ancora senza capelli, che indossavano bei vestitini. Le facce erano pallide, sferiche, e nel mezzo un naso sorprendentemente lungo e appuntito richiamava alla mente di un osservatore imparziale il profilo di un ravanello. Fissarono Stephen senza batter ciglio: non avevano ancora raggiunto l'età delle buone maniere e non esisteva ombra di dubbio sul fatto che trovassero Stephen di nessun interesse, noioso, persino repellente; i loro occhi si rivolsero altrove, esattamente nello stesso istante. Davano l'impressione di due esseri antichissimi o appartenenti a un'altra specie. Patrick O'Brian
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«Bambine bellissime», disse Stephen, «le avrei riconosciute ovunque.» «Io non le distinguo l'una dall'altra», affermò Jack. «Non hai idea del baccano che riescono a fare se qualcosa non è proprio di loro gradimento. Quella a destra probabilmente è Charlotte.» Le fissò; loro lo fissarono. «Che ne pensi, Stephen?» domandò poi, battendosi con aria significativa il dito sulla fronte. Stephen riprese il suo ruolo professionale. Aveva fatto nascere decine di bambini alla Rotunda quando era studente, ma da allora la sua pratica si era esercitata sugli adulti, in particolare marinai, e pochi suoi colleghi sarebbero stati meno qualificati per quel compito; tuttavia le prese in braccio, auscultò cuore è polmoni, aprì le piccole bocche per guardarvi dentro, piegò gli arti e mosse le mani davanti ai loro occhi. «Quanti mesi hanno?» domandò. «Be', devono averne parecchi ormai», rispose Jack. «Sembra che siano qui da sempre. Sophia lo saprà con certezza.» Entrò Sophia e con piacere Stephen vide le due creature perdere il loro aspetto eterno, antico; sorrisero, cominciarono a dimenarsi, a divincolarsi per la gioia, normalissime larve umane. «Non devi temere per loro», disse a Jack lungo la strada fra i campi, diretti alla loro cena. «Cresceranno benissimo; col tempo si trasformeranno come la mitica fenice. Ma ti prego di non indulgere in quell'abitudine sconsiderata, comune a tanti, di lanciarle in aria. Potrebbe danneggiarle gravemente, confondere loro l'intelletto, e a una fanciulla, quando diventa donna, l'intelletto serve più che a un uomo. È un triste sbaglio lanciarle in aria.» «Che Dio mi protegga!» esclamò Jack, fermandosi di botto. «Non dirmelo! Io credevo che si divertissero enormemente, ridevano, strillavano felici, erano quasi umane. Ma non lo farò più, anche se sono solo due bimbette.» «È curioso il modo in cui tu insisti sul loro sesso. Sono tue figlie, che diavolo, sangue del tuo sangue; eppure potrei quasi supporre, e non solo per come le definisci, che ne sei deluso per il solo fatto che sono femmine. È per certo una sfortuna per loro, l'ebreo ortodosso ringrazia tutti i giorni il suo Creatore per non averlo fatto donna, e noi possiamo in effetti fargli eco, ma non riesco assolutamente a capire come questo possa rattristare te: il tuo scopo era, da quanto mi risulta, la posterità, l'immortalità indiretta; e una femmina la garantisce più di un maschio.» Patrick O'Brian
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«Forse si tratta di uno sciocco pregiudizio», disse Jack, «ma per dirti la verità, Stephen, avevo desiderato un maschio. E non solo ho avuto una femmina, ma due... Be', per niente al mondo vorrei che Sophia lo sapesse, ma per me è stata una delusione, anche se sbaglio a pensarla così. Il desiderio del mio cuore era un maschio, avevo già fatto tutto un programma nella mia mente. Lo avrei portato in mare a sette od otto anni, con un buon maestro a bordo che gli insegnasse bene la matematica e forse anche con un pastore per gli altri ammennicoli, il latino, la morale, e così via. Avrebbe parlato il francese e lo spagnolo bene come te, Stephen, e io gli avrei insegnato l'arte della marineria. Anche se non avessi avuto una nave per anni e anni, avrei saputo a quale ammiraglio o comandante affidarlo, non gli sarebbero mancati gli amici in marina e, se tutto fosse andato bene, lo avrei fatto nominare capitano di vascello a ventuno o ventidue anni. Forse lo avrei persino visto issare l'insegna. In mare potrei aiutare un ragazzo, e io conosco solo il mare. Di che utilità posso essere a un mucchietto di bambine? Non sono nemmeno in grado di dar loro una dote.» «Stando alla media, il prossimo sarà quasi certamente un maschio», ribatté Stephen, «e allora potrai realizzare il tuo generoso progetto.» «Non esiste la probabilità di un altro figlio. Nessuna probabilità. Tu non sei mai stato sposato, Stephen... non posso spiegarti... non avrei dovuto nemmeno menzionarlo. Ma ecco la scala per oltrepassare la barriera a pedaggio: da qui si vede il Crown.» Proseguirono il cammino in silenzio. Stephen rifletteva sul parto di Sophia: non vi aveva assistito, ma dai suoi colleghi aveva saputo che era stato particolarmente difficile e laborioso (le gemelle si erano presentate male), anche se non c'erano state lesioni serie. Rifletté sulla vita di Jack a Ashgrove Cottage; e in piedi davanti al caminetto del Crown, un'ottima locanda sulla strada principale per Portsmouth, disse: «Parlando in linea generale, possiamo dire che tutto sommato i marinai, dopo anni di quella loro vita innaturale, confinata in un piccolo spazio, tendono a considerare la terraferma come un paradiso, una vacanza perpetua; e le loro aspettative non possono ovviamente realizzarsi. Ciò che gli altri uomini accettano come retaggio comune, e cioè la quotidiana routine dei guai domestici, dei figli, delle responsabilità, il marinaio lo vede piuttosto come una delusione delle speranze, come una prova durissima, come un'intrusione nella propria libertà». Patrick O'Brian
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«Credo di seguirti, vecchio Stephen», disse Jack con un sorriso, «e c'è molto di vero in quello che dici. Ma non tutti i comuni marinai devono vivere con la signora Williams. Non mi lamento, bada bene. Non è una cattiva donna, no di certo; fa del suo meglio secondo i suoi lumi ed è sinceramente devota alle bambine. Il guaio è che avevo in un certo senso un'idea sbagliata del matrimonio. Avevo creduto di trovarvi più amicizia e confidenza e schiettezza di quanto in realtà non sia possibile. Non critico minimamente Sophia, capisci...» «Certamente.» «... ma le cose, in realtà... La colpa è interamente mia, ne sono certo. Quando si ha il comando di una nave, non se ne può più della solitudine, di dover fare la persona importante e così via, tanto che si desidera ardentemente uscire da una tale situazione; ma le cose in realtà non lo consentono.» Ricadde nel silenzio. Dopo un po' Stephen disse: «E così, fratello, se tu dovessi ricevere l'ordine di riprendere il mare, deduco che non ti infurieresti, non imprecheresti per essere stato strappato alla felicità domestica, la felicità del genitore che guida i primi interessanti passi delle sue bambine». «Bacerei il messaggero», rispose Jack. «Lo supponevo», mormorò Stephen. «Tanto per cominciare sarei a paga intera», continuò Jack. «In secondo luogo ci sarebbe la possibilità di catturare delle prede e io potrei fare una dote alle mie figlie.» Alla parola prede l'antico sguardo piratesco gli brillò negli occhi celesti e Jack si erse in tutta la sua statura. «E in effetti ho qualche speranza di ottenere un comando. Ho tempestato di lettere l'ammiragliato, naturalmente, e qualche giorno fa ho scritto a Bromley: c'è una fregata in riallestimento nell'arsenale, la vecchia Diane, le stanno mettendo ossature e corsi di rinforzo. Tempesto anche il vecchio Jarvie,* [* Soprannome affettuoso con cui veniva chiamato l'ammiraglio inglese Sir John Jervis (1735-1823). Combatté durante la guerra per l'indipendenza americana e nelle Antille. Assunto il comando della flotta del Mediterraneo, sconfisse gli spagnoli (1797) a Cabo de San Vicente (donde poi il titolo di conte di St Vincent). Fu Primo Lord dell'ammiragliato fra il 1801 e il 1804. (N.d.T.)] sebbene io non gli sia simpatico. Ah, sul fuoco ho molta carne... suppongo che tu non abbia nessuna sorpresa per me, vero, Stephen? Nessuna Surprise con un altro inviato nelle Indie Orientali?» «Come puoi farmi una domanda così ingenua, Jack? Zitto! Non fissarla, Patrick O'Brian
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ma cerca di guardare senza farti accorgere verso le scale: c'è una donna di una bellezza eccezionale.» Jack lanciò un'occhiata e in effetti vide una donna di una bellezza eccezionale, giovane, vivace, una dama davvero piena di vitalità, in un abito verde da amazzone; sapeva di essere guardata e incedeva con grazia maggiore di quella che la natura le aveva donato. Jack tornò a girarsi bruscamente verso il fuoco. «Non mi interessano più le donne», disse. «Belle o brutte che siano.» «Non mi aspettavo da te un'osservazione così meschina», ribatté Stephen. «Mettere tutte le donne in un unico mucchio indiscriminato è contrario alla ragione filosofica quanto dire...» «Signori», annunciò l'oste del Crown, «la cena è servita, se volete accomodarvi...» Fu un buon pasto, ma nemmeno la testina di maiale in salamoia ripristinò la ragione filosofica del comandante Aubrey né dette alla sua espressione l'allegria di un tempo, un'allegria che Stephen aveva visto sopravvivere alle privazioni, alla sconfitta, alla prigionia e persino alla perdita della nave. Dopo la prima portata, completamente assorbita dai ricordi delle missioni di un tempo e dei vecchi compagni, parlarono degli affari della signora Williams. Essendo morto il suo amministratore, la signora aveva sbagliato nella scelta del successore, un gentiluomo con un progetto di investimenti che avrebbero reso senza fallo il diciassette e mezzo per cento. Il capitale era stato inghiottito nella voragine e così pure la proprietà, anche se fino a quel momento le era rimasta la casa che aveva potuto affittare, pagando con il ricavato gli interessi dell'ipoteca. «Non posso biasimarla», disse Jack. «Oso dire che avrei fatto lo stesso anch'io: persino il dieci per cento sarebbe stata una tentazione irresistibile. Ma vorrei che non avesse perso anche la dote di Sophia. Non ha voluto versarla prima dei dividendi della fine di settembre e per decenza non potevamo farle pressione; così è sparito tutto quanto, essendo a suo nome. Mi dispiace per i soldi, naturalmente, ma ancor più perché questo fa soffrire Sophia. Si sente di peso, il che è una colossale sciocchezza. Ma come faccio a convincerla?» «Permettimi di versarti un altro bicchiere di questo porto», disse Stephen. «È un vino innocente, né sofisticato né denso, il che è raro da queste parti. Dimmi, chi è la Miss Herschel di cui tu parli con tanto calore Patrick O'Brian
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e ammirazione?» «Ah, questo è un caso del tutto diverso: ecco una donna che conforta la tua teoria sul mucchio», esclamò Jack. «Una donna con la quale si può parlare come con un essere dotato di ragione. Chiedile la misura di un arco il cui coseno sia zero e all'istante lei ti risponderà pi greco diviso due; ha tutto lì, nella testa. È la sorella del grande Herschel.»* [* Friedrich Wilhelm Herschel (1738-1822), musicista e astronomo tedesco. Trasferitosi ancora ragazzo in Inghilterra, divenne organista. Appassionatosi all'astronomia intorno ai trentacinque anni, costruì un telescopio grazie al quale poté osservare la nebulosa di Orione ( 1774) e scoprire il pianeta Urano ( 1781), acquisendo fama internazionale. La sorella Caroline Lucretia (1750-1848) fu sua validissima collaboratrice e scoprì autonomamente otto comete. (N.d.T.)] «L'astronomo?» «Proprio così. Mi ha onorato con le osservazioni più intelligenti sulla rifrazione quando ho parlato alla Royal Society, ed è così che l'ho conosciuta. Aveva già letto la mia memoria sulle lune di Giove, ne ha parlato con grande cortesia e mi ha suggerito un modo più veloce di calcolare la longitudine eliocentrica. Vado a trovarla ogni volta che lei viene all'osservatorio di Newman, il che accade molto spesso, e ce ne stiamo là tutta la notte a cercare le comete o a parlare di telescopi. Lei e suo fratello devono averne fabbricati a centinaia ai loro tempi. Sa tutto di telescopi, dalla A alla Z, ed è stata lei a mostrarmi come fare uno specchio concavo e dove trovare la mia sopraffina argilla di Pomerania. E non è solo teoria la sua: l'ho vista girare intorno a un palo per tre ore di fila nelle scuderie di Newman, per rifinire uno specchio di sei pollici; non bisogna mai staccare la mano durante l'operazione: ogni cento passi una presa di tabacco. Una donna ammirevole; ti piacerebbe molto, Stephen. E sa anche cantare. Centra perfettamente la nota, una voce pura come quella di Carlotta.» «Se è la sorella di Herschel, presumo sia una signora di una certa età.» «Oh, sì, deve avere almeno sessant'anni; non avrebbe mai potuto imparare tanto sulle stelle doppie in meno tempo. Sì, sessant'anni. Eppure, non vuol dire niente. Ogni volta che torno a casa dopo aver passato la notte con Miss Herschel ricevo un'accoglienza gelida e occhiate storte.» «Dal momento che producono effetti fisici, la sofferenza e le pene dello stato matrimoniale rientrano senza dubbio nel territorio del medico», Patrick O'Brian
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osservò Stephen. «Ma purtroppo in proposito ne so quanto di giardinaggio o di economia domestica.» Imparò qualcosa di più la mattina seguente, quando si presentò al cottage per fare colazione. Era di gran lunga troppo presto e la prima cosa che vide furono le gemelle che sputavano la pappa dappertutto, strillando, mentre la loro nonna, protetta da un rozzo grembiulone, tentava di imboccarle con il cucchiaio e la piccola Cecilia tuffava la faccia nella ciotola; arretrò spaventato, andando a finire tra le braccia di una servetta che portava un cesto di panni maleodoranti, e sarebbe successo di peggio se Sophia, scesa all'improvviso, non lo avesse trascinato in giardino. Dopo una breve conversazione dalla quale risultò che Pack aveva gradito moltissimo la cena, era tornato a casa cantando e adesso stava macinando lui stesso il caffè, disse Sophia. «Oh, Stephen, come vorrei che poteste aiutarlo a trovare una nave! È così infelice qui. Passa ore e ore in cima alla collina a guardare il mare con il suo telescopio e a me si spezza il cuore. Anche se fosse solo per una breve missione... sta arrivando l'inverno e l'umidità gli fa malissimo per via della sua ferita... qualsiasi specie di nave, sia pure una nave da trasporto come quella del caro signor Pullings.» «Come vorrei poterlo fare, mia cara; ma che vale la voce di un chirurgo di bordo nel consesso dei grandi della terra?» disse Stephen, lanciandole uno sguardo velato ma penetrante: forse qualcosa di ciò che suo marito sapeva del doppio ruolo dell'amico era stato sacrificato alla confidenza coniugale? Le successive parole di lei e la sua aria del tutto innocente lo rassicurarono. «Abbiamo letto sulla Gazette che siete stato chiamato al capezzale del duca di Clarence», disse Sophia. «E pensavo che forse una vostra parola...» «Mia cara», disse Stephen, «il duca conosce benissimo Jack di fama, ho parlato con lui dell'azione contro la Cacafuego; ma sa anche che raccomandandolo farebbe un pessimo servizio a Jack. Sua Altezza non è in buoni rapporti con l'ammiragliato.» «Ma non potrebbero rifiutare qualcosa al figlio del re, non è vero?» «C'è gente terribile all'ammiragliato, amica mia.» Prima che Sophia potesse replicare l'orologio del campanile di Chilton Admiral suonò le ore e al terzo rintocco il colloquio fu interrotto dal richiamo di Jack: «Il caffè è pronto!» Subito dopo Jack si affacciò sulla porta e fece qualche osservazione sul vento, girato di due quarte durante la notte: sicuro preannuncio di pioggia. Patrick O'Brian
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La tavola era apparecchiata in salotto e quando vi entrarono furono accolti dall'aroma del caffè, del pane tostato e del fuoco di legna; il prosciutto troneggiava circondato dalle rape di Jack, ognuna delle dimensioni di una mela renetta, e da un uovo solitario. «Ecco il grande vantaggio di vivere in campagna», disse Jack. «La verdura è davvero fresca. E qui c'è il tuo uovo, Stephen! Serviti, prego. La gelatina di mele selvatiche di Sophia è accanto a te. Maledizione a quel camino; non tira quando il vento soffia da sud-ovest. Stephen, lascia che ti passi l'uovo.» La signora Williams entrò con Cecilia, così anchilosata nel vestitino inamidato che teneva le braccia allargate, come una bambola dagli arti poco snodabili. Si avvicinò a Stephen, rimanendo in piedi accanto alla sua sedia e, mentre gli altri si stavano chiedendo come mai non ci fossero notizie dalla casa del pastore dove si aspettava da un momento all'altro la nascita di un bambino, Cecilia lo informò a voce alta e chiara che loro il caffè non lo prendevano mai tranne che per i compleanni e quando c'era stata una vittoria e che lo zio Aubrey beveva birra leggera e la zia e la nonna il latte; se voleva, lei poteva imburrargli il pane. Aveva imburrato generosamente anche il suo vestito prima che la signora Williams, con uno strillo estasiato, la portasse via di peso, osservando che non esisteva una bambina altrettanto precoce; all'età sua nemmeno Sophia avrebbe saputo imburrare così bene una fetta di pane tostato. L'attenzione di Jack era però rivolta altrove; tendeva l'orecchio, la tazza posata sul piattino, e guardava di frequente l'orologio. «La posta!» esclamò la signora Williams quando sentì bussare due volte con decisione alla porta. Jack fece un visibile sforzo per restare fermo sulla sedia finché la domestica non entrò annunciando: «Una lettera e un libro, signore, e uno scellino da pagare, prego». Jack si frugò in tasca, aggrottò la fronte, poi disse rivolto all'altro capo della tavola: «Hai uno scellino, Stephen? Non ho spiccioli». Anche Stephen ficcò la mano nella tasca dei pantaloni e ne estrasse un mucchietto di monete, inglesi, francesi e spagnole. «Il signore ha tre monete d'oro», disse Cecilia, «e un sacco d'argento.» Ma Stephen non fece commenti: prese dodici pences e li allungò a Jack, dicendo: «Prego, leggi pure, non fare caso a me». «Be', se volete scusarmi...» disse Jack, rompendo il sigillo. La signora Williams allungò il collo per riuscire a vedere qualcosa dal suo mediocre punto di osservazione, ma prima che potesse spostarsi in uno migliore la Patrick O'Brian
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sua curiosità fu soddisfatta. «Ah», disse Jack, lasciando cadere la lettera, «è solo quel Bromley. L'ho sempre considerato un libertino, ma ora so che non conta nulla per soprammercato. Comunque qui c'è il Naval Chronicle. Vale sempre la pena di sfogliarlo. Mio caro Stephen, la tua tazza è vuota.» Cominciò con le nomine e le promozioni. «Finalmente Goate è diventato capitano di vascello; ne sono proprio contento.» Considerazioni sui meriti e demeriti del comandante Goate e di altre vecchie conoscenze promosse di grado. Poi, dopo una pausa occupata dai calcoli mentali, Jack riprese: «Lo sai, Stephen, le nostre perdite dell'anno scorso non sono state così gravi come avevo detto ieri sera. Ascolta: la Jupiter, da 50 cannoni, naufragata nella baia di Vigo; la Leda, da 38, naufragata al largo di Milford Haven; la Crescent, da 36, naufragata al largo dello Jutland; la Flora, da 32, naufragata al largo delle coste olandesi; la Meleager, da 36, naufragata a Barebush Cay; l'Astréea, da 32, naufragata al largo di Anagado. Solo sei fregate, come vedi. E quanto alle navi minori, solo la Banterer, da 22, naufragata nel San Lorenzo; la Laurei, da 22, catturata dalla Canonnière, da 50... Te la ricordi la Canonnière, Stephen? Te l'avevo mostrata una volta, quando eravamo davanti a Brest. Una vecchia nave gloriosa, costruita verso il 1710, ma un magnifico veliero, ancora capace di tenere più vela delle nostre fregate pesanti. Stephen, che succede?» Stephen stava guardando attraverso il fumò acre del caminetto Cecilia, la quale, annoiata dalla conversazione, aveva aperto lo sportello dell'orologio con le mani unte di burro per afferrare il pendolo, costituito da un tubo di vetro pieno di argento vivo. «Oh, lasciatela fare, povero tesorino», disse la signora Williams contemplando la nipote con il più affettuoso compiacimento. «Signora», replicò Stephen, soffrendo per il raffinato meccanismo, «potrebbe farsi male: il mercurio è in posizione delicatissima, e inoltre è un veleno.» «Cecilia!» intervenne Jack. «Ora basta. Vai di là a giocare.» Proteste, lacrime, la lingua svelta e protettrice della signora Williams, poi Sophia condusse fuori della stanza la nipote. La nonna non ne fu per niente soddisfatta, ma nella pausa di silenzio il rintocco della campana a morto la rianimò immediatamente. «Dev'essere per la povera signora Thwaites», esclamò. «Il tempo era scaduto la settimana scorsa e ieri sera avevano mandato a chiamare l'ostetrico. Avete visto, comandante Aubrey?» Queste ultime parole furono pronunciate rialzando Patrick O'Brian
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animosamente il capo, a controbattere in un certo senso l'elenco mascolino di naufragi e di morte con un'affermazione del sacrificio muliebre. Sophia rientrò con la notizia che un uomo a cavallo si stava avvicinando al cottage. «Saranno certo notizie della povera signora Thwaites», affermò la signora Williams, fissando con durezza Jack. Ma si sbagliava. Era un ragazzo del Crown con una lettera per Jack: doveva aspettare la risposta. «'Lady Clonfert presenta i suoi complimenti al comandante e alla signora Aubrey e sarebbe molto grata di un passaggio fino al Capo. Promette di non portare via spazio e spera che la signora Aubrey, in quanto anche lei moglie di un ufficiale di marina, capirà e sosterrà una richiesta così informale e frettolosa. Propone anche, se ciò non comporterà nessun inconveniente alla signora Aubrey, di recarsi a porgerle i suoi saluti in tarda mattinata. Ne sarebbe onoratissima'», lesse Aubrey a voce alta, con grande stupore, soggiungendo: «Certo che le offrirò un passaggio al Capo, se mi capiterà di andarci, ah, ah!» «Jack», disse Stephen, «vorrei dirti una parola, se non ti dispiace.» Uscirono in giardino, inseguiti dalla voce irritata della signora Williams: «Una richiesta assolutamente scorretta... nemmeno un saluto a me... scritta malissimo... non sopporto questi tentativi di introdursi in casa d'altri senza essere invitati». Giunti in fondo allo smunto filare di carote, Stephen disse: «Devo scusarmi per non aver risposto alla tua domanda ieri sera. In effetti ho combinato qualcosa, per dirlo con le tue parole. Ma prima devo ragguagliarti in breve sulla situazione nell'oceano Indiano. Qualche mese fa quattro nuove fregate francesi hanno salpato dai porti della Manica, apparentemente per la Martinica: questo si diceva a terra e questa era la destinazione che figurava sugli ordini ricevuti dai comandanti; ma senza dubbio ne avevano altri da leggere una volta a sud di Finisterre. In ogni caso le fregate non sono mai arrivate nelle Antille e non se ne è saputo più niente finché non hanno raggiunto l'isola di Mauritius, dove hanno sconvolto completamente l'equilibrio delle forze in quelle acque. La notizia della loro presenza laggiù è arrivata in Inghilterra pochissimo tempo fa. Hanno già catturato due navi della Compagnia delle Indie e chiaramente intendono catturarne altre. Il governo è estremamente preoccupato». «naturale!» esclamò Jack. Mauritius e La Réunion si trovavano esattamente sulla rotta del traffico commerciale con l'Oriente; la Royal Patrick O'Brian
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Navy, utilizzando al massimo le sue risorse, poteva a malapena contenere l'azione dei vascelli da guerra francesi e, se le navi della Compagnia erano sufficientemente armate per affrontare i velieri corsari e i pirati che infestavano quelle acque, l'arrivo improvviso di quattro fregate nemiche non poteva che essere catastrofico; inoltre i francesi avevano porti eccellenti a Port Louis, Grand Port e Saint-Paul, riparati dai frequenti tifoni e pieni di magazzini di materiali navali, mentre la base più vicina per la flotta inglese era al Capo di Buona Speranza, più di duemila miglia a sud. Stephen rimase in silenzio per qualche istante. «Conosci la Boadicea?» domandò all'improvviso. «La Boadicea? Trentotto cannoni? Certamente. Buona boliniera, anche se lenta. Del tutto inadatta al servizio presso le isole Sottovento. La comanda Charles Loveless.» «Bene, adesso Stammi a sentire. Questo vascello, questa fregata, sta per essere mandata al Capo. E il comandante Loveless, come hai detto tu, avrebbe dovuto portarla a unirsi a una squadra messa insieme dall'ammiragliato: una forza che non solo dovrebbe attaccare le fregate francesi, ma anche conquistare le loro basi. In breve, sbarcare a Mauritius e alla Réunion, installarvi un governatore, prenderne possesso come colonie, importanti non solo per se stesse ma anche per la loro posizione geografica.» «Un'idea eccellente! Mi è sempre sembrato assurdo che quelle isole non fossero inglesi: innaturale, direi.» Jack parlava un po' a casaccio, perché aveva notato - oh, con quale acuta attenzione! - che Stephen aveva detto: «Il comandante Loveless avrebbe dovuto...» Possibile che ci fosse in vista un comando sostitutivo? Stephen aggrottò la fronte. «Mi è stato chiesto di accompagnare questa squadra insieme con il governatore designato», riprese. «Mi trovavo in una posizione tale da poter offrire qualche consiglio; vale a dire che sono stato consultato su diversi punti. A me non è sembrato che il comandante Loveless fosse la persona adatta per il lato politico della questione, sia intellettualmente sia fisicamente; ma gode di grandi appoggi all'ammiragliato. Tuttavia, nonostante gli sforzi dei miei colleghi, la sua malattia si è aggravata e attualmente egli si trova sulla terraferma, bloccato da un ostinato tenesmo. A Londra ho avuto modo di far suggerire che il comandante Aubrey sarebbe stato perfettamente adatto al comando Patrick O'Brian
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vacante...» Jack gli afferrò il gomito con una forza che mozzò il fiato a Stephen, il quale tuttavia continuò: «... e che era probabile che il comandante Aubrey avrebbe accettato nonostante la sua situazione familiare e il preavviso forse troppo breve, aggiungendo che io lo avrei visto di lì a poco. Sono stati proposti altri nominativi, sono state fatte alcune assurde obiezioni su questioni di anzianità e di non so quale bandiera, di non so che fatuo segno di distinzione particolare, perché a quanto pare sarebbe stato auspicabile che la persona, o la nave, in oggetto fosse abbellita in tal modo...» Con uno sforzo prodigioso Jack riuscì a non pronunciare le parole: «Un'insegna, un'insegna di commodoro, santi numi!» e Stephen continuò: «... e per colmo di sventura è stato necessario consultare molte persone». Si chinò a strappare un filo d'erba e se lo mise in bocca; per un po' scosse la testa, un dondolio amplificato dal filo d'erba e che esprimeva collera, disapprovazione o un diniego perentorio. L'animo di Jack, risollevato alla semplice menzione dell'insegna di commodoro, il sogno più dolce di ogni marinaio subito dopo quello dell'insegna di ammiraglio, ripiombò nel grigiore quotidiano della mezza paga. «Per colmo di sventura, ripeto», riprese Stephen, «poiché, sebbene io abbia espresso molto chiaramente il mio punto di vista in proposito, almeno una delle persone consultate deve aver chiacchierato e la voce è già corsa in città. La comparsa di Lady Clonfert ne è la riprova: suo marito si trova al Capo, comandante dell'Otter. Ah, è sempre la stessa storia: chiacchiere e ciarle, chiacchiere e ciarle, come galline sull'aia, come una congrega di vecchie pettegole...» La voce di Stephen si levò acuta per l'indignazione e Jack si rese conto che stava parlando dei pettegolezzi pericolosi, delle informazioni che potevano arrivare al nemico; ma nei suoi pensieri brillava l'immagine radiosa della Boadicea, con la sua polena fremente, il vasto seno proiettato in avanti al di sopra della bella prua atta a tenere il mare. Forse un po' lenta la Boadicea, e lui l'aveva vista fallir manovra; ma un attento stivaggio per appopparla un po' poteva fare una grande differenza, e la trincatura incrociata... Charles Loveless non sapeva niente di trinche incrociate e nemmeno di sartie di rinforzo. Vide gli occhi di Stephen che lo fissavano incolleriti, piegò la testa di lato per esprimere la massima comprensione e udì le parole: «Come se i francesi fossero sordi, muti, ciechi, idioti e incompetenti! Per questa ragione mi sento costretto, con mio grave disappunto, a farti questo breve resoconto della situazione. In qualsiasi altro momento avrei preferito che la notizia ti arrivasse tramite i Patrick O'Brian
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canali ufficiali, senza nessuna spiegazione: sappi che i tuoi ordini provvisori sono in questo momento presso il comandante del porto. Perché non solo non mi piace parlare liberamente di ciò che non dovrebbe nemmeno essere menzionato, ma perché sono estremamente contrario a fare la parte della fata buona, una parte del tutto accidentale in questo caso. Può far sentire in un apparente seppure fallace obbligo di riconoscenza e causare un grave danno in un rapporto fra due persone». «Non al nostro, fratello», protestò Jack, «non al nostro. E non ti ringrazierò, visto che non ti fa piacere. Ma, Signore Iddio, Stephen, tu hai davanti a te un altro uomo!» Lo era davvero. Più alto, più giovane, più colorito, gli occhi scintillanti di vita. Le spalle non più curve e un gran sorriso fanciullesco sulla faccia, un sorriso che vanificava del tutto i suoi sforzi per apparire grave. «Non ne farai menzione con Sophia né con nessun altro», ingiunse Stephen, con uno sguardo freddo e penetrante. «Non posso nemmeno cominciare a preparare la mia cassa da marinaio?» «Che razza di individuo sei, Jack!» fece Stephen disgustato. «Certo che non puoi, non fino a quando non sarà arrivato il messaggero del comandante del porto! Non riesci a vedere il rapporto di causa ed effetto? Lo avrei creduto chiaro anche per la mente più ottusa.» «Una nave!» gridò Jack, spiccando un salto. Aveva le lacrime agli occhi e Stephen capì che da un momento all'altro gli avrebbe perlomeno stretto la mano. Detestava ogni specie di effusione, convinto dentro di sé che gli inglesi fossero decisamente troppo portati al pianto e a dar libero corso ai sentimenti; strinse le labbra, assumendo un'espressione acida, e si mise le mani dietro la schiena. «Chiaro alle menti più ottuse», ripeté. «Arrivo io: tu ottieni una nave. Che cosa dovrebbe pensare Sophia? Dove va a finire la mia copertura?» «Quanto credi che ci metterà il messaggero del comandante del porto, Stephen?» domandò Jack, rispondendo con un sorriso pieno di affetto a quelle parole aspre. «Speriamo che preceda Lady Clonfert di qualche minuto almeno, non fosse che per provare come i pettegolezzi non corrano necessariamente ogni volta più veloci degli ordini ufficiali. Come potremo vincere questa guerra non lo so. A Whitehall sanno perfettamente che il successo dell'impresa di Mauritius è di capitale importanza, eppure qualche sciocco Patrick O'Brian
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deve per forza agitare la lingua. Non riesco a esprimere il mio disgusto per tanta leggerezza. Noi stiamo per rafforzare il Capo e glielo facciamo sapere: e loro immediatamente rafforzano l'Ile de France, cioè Mauritius. E così di seguito, tutto, tutto va avanti così. Il signor Congreve * [* Sir William Congreve (1772-1828), generale e ingegnere inglese. Direttore dell'arsenale di Woolwich, perfezionò tra l'altro il metodo di fabbricazione della polvere da sparo. (N.d.T.)] inventa un razzo con grandi potenzialità militari e noi ci affrettiamo a comunicarlo al mondo intero, come una gallina che ha fatto l'uovo, sciupando così completamente l'effetto della sorpresa. Il degno signor Snodgrass** [** Gabriel Snodgrass, in qualità di influente ispettore capo della Compagnia delle Indie Orientali, propose nuove soluzioni legate alla progettistica navale. (N.d.T.)] trova il modo di rimettere rapidamente le vecchie navi in condizione di servire e, senza aspettare un solo minuto, noi pubblichiamo il suo metodo su tutti i giornali, disegni compresi, nel caso qualche particolare fosse sfuggito alla comprensione del nemico.» Jack cercò di assumere un atteggiamento di circostanza e scosse il capo; ma ben presto guardò di nuovo Stephen con un'espressione raggiante e gli domandò: «Credi che possa trattarsi dei soliti scherzi ricorrenti? Ordine di prendere il mare immediatamente, essere richiamato, un mese a terra, l'equipaggio spedito altrove e poi mandato nel Baltico con gli abiti estivi addosso?» «Non credo. A parte l'importanza dell'operazione, molti membri del Consiglio e del ministero hanno investito i loro soldi nella Compagnia delle Indie: rovinare la Compagnia significherebbe rovinare se stessi. No, no: c'è la probabilità che questa volta si proceda con stupefacente celerità.» Jack scoppiò a ridere di pura felicità, poi osservò che sarebbe stato meglio rientrare in casa: il ragazzo del Crown stava aspettando la risposta. «Dovrò dare un passaggio alla sciagurata signora», soggiunse. «Non si può dire di no alla moglie di un camerata, la moglie di un ufficiale che si conosce, ma come vorrei potermi esimere! Su, rientriamo!» «Non te lo consiglio. Sophia capirebbe immediatamente dalla tua faccia. Sei trasparente come una sposina. Rimani qui finché non avrò pregato Sophia di rispondere per tutti e due voi a Lady Clonfert: non devono vederti finché non saranno arrivati gli ordini.» «Andrò all'osservatorio», disse Jack. Stephen lo trovò là pochi minuti dopo, con il telescopio puntato sulla Patrick O'Brian
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strada di Portsmouth. «Sophia ha risposto», disse Stephen, «e tutte le donne della casa stanno in questo momento lustrando il salotto e cambiando le tendine di pizzo alle finestre; mi hanno praticamente buttato fuori, senza nessuna cerimonia, lascia che te lo dica.» La pioggia annunciata cominciò a cadere, tamburellando rumorosamente sulla cupola di rame: lo spazio era appena sufficiente, ma rimasero là tutti e due rannicchiati in silenzio. Pur nel suo stato d'animo di pura beatitudine, Jack aveva una gran voglia di chiedere a Stephen se per caso non avesse in qualche modo arrangiato lui lo spasmo dello sfintere del comandante Loveless; ma, nonostante fosse intimo amico di Stephen da molti anni, qualcosa in lui gli impediva di fare troppe domande. Man mano che il suo animo si andava calmando, cominciò a pensare all'oceano Indiano, alla navigazione sulle sue acque azzurre sospinti dagli alisei di sud-est, ai pericoli delle barriere coralline che circondavano La Réunion e Mauritius, alla decisione, così tipica dell'ammiragliato, di inviare una fregata per controbilanciarne quattro, alle immense difficoltà anche di una semplice operazione di blocco, soprattutto nella stagione dei tifoni, per non parlare di uno sbarco su quelle isole dove i porti erano scarsi e quei pochi fortificati, le scogliere estese, la risacca perpetua; rifletté sul problema del rifornimento d'acqua e sulla natura della forza che si sarebbe opposta a lui. Opposta, cioè, se fosse riuscito a raggiungere la destinazione assegnatagli. Allungando furtivamente una mano per toccare legno, disse: «Hai un'idea, Stephen, della consistenza di questa squadra, e di che cosa potrebbe dover affrontare?» «Vorrei averla, mio caro», rispose Stephen. «Hanno menzionato la Néréide e la Sirius, di questo sono sicuro, insieme con l'Otter e con la possibilità di un'altra corvetta; ma, a parte questo, tutto il resto è nebuloso. Le notizie sui vascelli che l'ammiraglio Bertie aveva al tempo dei suoi ultimi dispacci risalgono a più di tre mesi fa e quando la squadra si sarà effettivamente formata potrebbero essere tranquillamente al largo di Giava. E nemmeno so niente di ciò che Decaen può avere avuto a Mauritius prima di questi rinforzi, a parte la Canonnière e forse la Sémillante: ma queste operano in una zona vastissima. Posso però darti i nomi delle loro nuove fregate: Vénus, Manche, Bellone e Caroline.» «Vénus, Manche, Bellone, Caroline», ripeté Jack, aggrottando la fronte. «Non le ho mai sentite nominare.» «No. Come ho detto, sono nuove, nuovissime: ognuna porta quaranta Patrick O'Brian
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cannoni. Da ventiquattro libbre, perlomeno nel caso della Bellone e della Manche, ma forse anche delle altre due.» «Ah, davvero?» disse Jack, l'occhio fisso nel telescopio. La luce rosea che avvolgeva il suo animo aveva ora contorni stranamente lividi. Quelle erano infatti le più recenti fregate pesanti della marina francese, invidia degli arsenali britannici. Bonaparte aveva tutte le foreste d'Europa a disposizione, le splendide querce della Dalmazia, gli alberi ad alto fusto del Nord, la migliore canapa di Riga; e sebbene Napoleone fosse solo un soldato, i suoi costruttori di navi riuscivano a varare vascelli magnifici e i suoi comandanti erano in gran parte ottimi marinai. Quaranta cannoni ciascuna. La Néréide ne aveva trentasei, ma solo da dodici libbre; la Boadicea e la Sirius con i loro pezzi da diciotto potevano forse affrontare con successo le fregate francesi, specialmente se gli equipaggi erano nuovi come le navi; ma anche così erano centosessanta cannoni contro centodieci, per non parlare della potenza di fuoco. Tutto dipendeva da come quei cannoni sarebbero stati usati. Le altre forze presenti al Capo non valeva la pena di considerarle. La nave ammiraglia, la vecchia Raisonnable, da sessantaquattro cannoni, non era più adatta al combattimento dell'altrettanto vetusta Canonnière dei francesi; sul momento Jack non riuscì a ricordare perfettamente le navi più piccole della base, a parte l'Otter, una graziosa corvetta da diciotto cannoni: ma, in ogni caso, in una battaglia generale solo le fregate avrebbero dovuto sostenere l'impatto con il nemico. La Néréide la conosceva, eccellente fregata della squadra delle Indie Occidentali, e in Corbett aveva un comandante che sapeva combattere; Pym * [* Sir Samuel Pym (17781855) combatté a Finisterre (1799) contro la flotta spagnola; nel 1806 fu a Santo Domingo. Dopo le vicende narrate in questo romanzo (1810), fu comandante nelle Indie Occidentali (1812-1815). In seguito divenne ammiraglio. (N.d.T.)]gli era noto di fama; ma Clonfert dell'Otter era il solo comandante con il quale avesse mai navigato... Dentro la lente rotonda si materializzò un fante di marina che cavalcava con molta determinazione. «0 forma benedetta!» mormorò Jack, seguendolo con il telescopio finché sparì dietro un covone di fieno. «Sarà qui fra venti minuti. Gli darò una ghinea.» Di colpo l'oceano Indiano, il comando a Mauritius, divennero una realtà nuova, infinitamente più concreta: le figure dell'ammiraglio Bertie, del comandante Pym, del comandante Corbett e persino di Lord Clonfert assunsero una grande importanza pratica, così come la assunsero i Patrick O'Brian
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problemi immediati di un nuovo comando. Sebbene i suoi sentimenti di amicizia verso Stephen Maturin non gli permettessero di rivolgergli domande che avrebbero potuto essere giudicate indiscrete, si trattava di una specie così rara di amicizia che Jack poteva chiedergli del denaro senza la minima esitazione. «Hai dei soldi, Stephen?» domandò quando il fante di marina fu scomparso fra gli alberi. «Spero proprio di sì. Dovrò chiederti in prestito la ghinea per quel giovanotto, e molto di più, se il messaggio è quello che spero ardentemente. La mia mezza paga non arriverà prima di due mesi e noi stiamo vivendo a credito.» «Soldi, eh?» disse Stephen, il quale stava pensando ai lemuri. In Madagascar vivevano i lemuri; era possibile che se ne trovassero anche alla Réunion? Lemuri nascosti nelle foreste e sulle montagne dell'interno? «Soldi? Oh, sì, ne ho in abbondanza.» Si tastò le tasche. «Il problema è: dove li ho messi?» Si tastò di nuovo, si batté la mano sul petto e finalmente estrasse due tratte bisunte da due sterline emesse da una banca rurale. «No, non è questo», borbottò frugandosi di nuovo nelle tasche. «Eppure ero sicuro... Che siano nell'altro soprabito? Che li abbia lasciati a Londra? Stai diventando vecchio, Maturin... ah, cane maledetto! Ecco dov'eri!» gridò trionfante, tirando fuori dalla prima tasca un involto legato strettamente. «Ecco! L'avevo confuso con la custodia della lancetta. È stata la signora Broad del Grapes che l'ha confezionato, l'aveva trovato in una busta della Banca d'Inghilterra che avevo... che avevo scordato. Un modo molto ingegnoso di portare su di sé il denaro, studiato per ingannare i borsaioli. Spero che sia sufficiente.» «Quanto c'è là dentro?» domandò Jack. «Sessanta o settanta sterline, direi.» «Ma, Stephen, la banconota in cima è da cinquanta sterline, e anche quella sotto! Credo che tu non li abbia nemmeno contati.» «Be', non importa, non importa», disse Stephen, con irritazione. «Intendevo dire centosessanta. O meglio, l'ho detto, solo che tu non mi stavi a sentire.» Si rialzarono entrambi, tendendo l'orecchio. Al di sopra del rumore della pioggia si udì la voce di Sophia che chiamava: «Jack! Jack!» una voce che andava facendosi acuta mentre lei si precipitava nell'osservatorio, senza fiato e bagnata. «C'è un fante di marina da parte del comandante del porto», disse ansimando, «ha detto che deve consegnare il messaggio solo a te personalmente. Oh, Jack, potrebbe essere una nave?» Patrick O'Brian
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Lo era. Si richiedeva e si invitava il comandante Aubrey a portarsi a bordo della nave di Sua Maestà Boadicea e di assumere il comando del suddetto vascello secondo quanto attestato negli ordini allegati: recarsi a Plymouth per ricevere a bordo R.T. Farquhar, Esq., e altri eventuali ordini che gli sarebbero stati trasmessi presso l'ufficio dell'ufficiale commissario. I documenti, formali e in certo modo minacciosi (come di consueto il comandante Aubrey doveva portare a termine a suo rischio e pericolo, eccetera, eccetera...), erano accompagnati da un biglietto amichevole del comandante del porto che invitava a cena Jack per l'indomani sera, prima di salire a bordo. Ora che si poteva legittimamente entrare in azione, Jack lo fece con tale impeto che Ashgrove Cottage fu messo in subbuglio da un momento all'altro. In un primo momento la signora Williams si attaccò tenacemente al suo progetto di sostituire le tendine di pizzo nel salotto, sostenendo a spada tratta che bisognava assolutamente farlo - che cosa avrebbe pensato Lady Clonfert? - e protestando che non la si poteva sovraccaricare di incombenze; ma la sua energia non era niente a paragone di quella di un capitano di fregata appena nominato che smaniava per raggiungere la sua nave prima del colpo di cannone della sera, e dopo pochi minuti la signora si ritrovò ad aiutare la figlia e la cameriera a spazzolare uniformi, a rammendare precipitosamente calze, a stirare cravatte mentre Jack trascinava la sua cassa da marinaio sul pavimento dell'attico e ruggiva per chiedere dov'era il suo grasso per gli stivali e chi aveva trafficato con le sue pistole, esortando le donne a «dare una mano», a «non dormire», a «non perdere nemmeno un minuto laggiù», a «portare la cassetta del sestante». L'arrivo di Lady Clonfert, così presente alla mente della signora Williams meno di un'ora prima, passò quasi inosservato nel trambusto generale, accresciuto dagli strilli delle bambine trascurate e che raggiunse il parossismo quando il cocchiere bussò alla porta. Occorsero due minuti di colpi insistenti prima che qualcuno andasse ad aprire e Lady Clonfert fosse introdotta nel salotto, dove da un lato del divanetto erano appese le tende vecchie e dall'altro le nuove. Povera signora, non fu molto piacevole per lei. Si era vestita con cura particolare, in modo da non offendere la signora Aubrey con uno sfoggio di eleganza, pur cercando al tempo stesso di piacere al comandante Aubrey, e si era anche preparata un discorsetto «spontaneo» sulle mogli Patrick O'Brian
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dei marinai, sul rispetto e sull'affetto di Clonfert per il suo vecchio compagno, sulla sua familiarità con la vita a bordo di una nave da guerra, con qualche delicato accenno alla sua conoscenza del generale Mulgrave, il Primo Lord dell'ammiragliato,* [* Henry Phipps, terzo Lord Mulgrave, fu Primo Lord dell'ammiragliato dall'aprile 1807 al maggio 1810. (N.d.T.)] e con la signora Bertie, la moglie dell'ammiraglio della squadra del Capo. Fu costretta a indirizzarlo a Stephen, incuneato in un angolo buio accanto all'orologio sotto lo sgocciolio del tetto, con qualche gentile digressione per Sophia; e fu obbligata a ripeterlo quando Jack comparve, trascinandosi dietro le ragnatele del solaio e portando la sua cassa. Non fu facile essere spontanea due volte di seguito in rapida successione, ma la signora fece del suo meglio, essendo sinceramente ansiosa di evitare un inverno inglese, mentre l'idea di rivedere suo marito la colmava di una piacevole emozione. L'agitazione la fece ansimare, un rossore le si diffuse sul viso grazioso e dal suo angolo Stephen osservò che se la stava cavando molto bene in circostanze particolarmente difficili, e che almeno Jack non era rimasto insensibile. Notò anche, con dispiacere, una certa rigidezza nell'atteggiamento di Sophia, un'ombra di freddezza nel sorriso cortese e qualcosa che assomigliava all'acidità nella sua risposta a Lady Clonfert, la quale aveva proposto di rammendare lei le calze del comandante per rendersi utile durante la traversata. Il sussiego gelido della signora Williams, il suo sbuffare ripetuto, la sua ostentazione di essere indaffarata li aveva previsti, ma pur sapendo che la gelosia faceva parte del carattere di Sophia - forse l'unico tratto che non incontrava la sua approvazione -, vedergliela mostrare lo rattristò. Jack aveva colto i segnali altrettanto rapidamente dell'amico - Stephen aveva notato la sua occhiata ansiosa - e la sua cordialità verso Lady Clonfert, mai eccessiva, diminuì sensibilmente, sebbene egli ripetesse ciò che aveva detto all'inizio, che sarebbe stato felice di portare Lady Clonfert a Città del Capo. Quali episodi passati rendevano Jack così ansioso? Il dottor Maturin si immerse in una meditazione sullo stato matrimoniale: la monogamia, un'aberrazione? Quanto diffusa nel tempo e nello spazio? Quanto strettamente osservata? Fu distolto da questi pensieri dal vocione di Jack, il quale stava affermando che certamente sua signoria era consapevole del tedio della navigazione lungo la Manica sfruttando le maree e che perciò lui le consigliava caldamente di viaggiare fino a Plymouth con la diligenza; le raccomandava inoltre che il bagaglio fosse ridotto al minimo Patrick O'Brian
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e ancora una volta la pregava di rispettare la puntualità a ogni costo, anche con un preavviso minimo: per parte sua avrebbe volentieri perduto una marea per esserle di aiuto, ma essendo al servizio del re non poteva perdere un solo minuto. Erano tutti in piedi adesso, e dopo qualche istante Jack riaccompagnò Lady Clonfert, riparandola sotto l'ombrello, alla sua carrozza, richiuse con decisione lo sportello e rientrò in casa, la faccia che irraggiava universale benevolenza, come se la questione fosse del tutto risolta. La signora Williams stava bistrattando la mantella, la carnagione e la moralità di Lady Clonfert con una scioltezza di lingua che Stephen non poté che ammirare, e tuttavia per farla tacere bastò che Jack affermasse che entro due ore il suo bagaglio doveva essere pronto, che Stephen gli avrebbe reso un grande servizio se si fosse recato subito a Gosport a prendere John Parley con il calessino di Newman per imballare il telescopio e che lui era deciso a imbarcarsi prima del colpo di cannone della sera e a far vela con la marea. L'effetto sulla figlia non fu però lo stesso e Sophia fece subito presente una quantità di buoni motivi per cui Jack non poteva assolutamente partire quella sera: lo stato della sua biancheria avrebbe gettato il discredito sulla marina; sarebbe stata una terribile scortesia non accettare l'invito a cena del caro ammiraglio Wells, così gentile, una vera e propria insubordinazione, anzi; e Jack teneva così tanto alla disciplina. E poi stava piovendo. Apparve chiaro a Stephen che Sophia non solo era inorridita all'idea di perdere Jack tanto presto, ma che era anche dispiaciuta del suo atteggiamento... acido era una definizione decisamente eccessiva, poiché si stava in quel momento affrettando a lodare in modo sperticato la loro visitatrice. Lady Clonfert era una signora elegante e compitissima, aveva occhi davvero belli; il suo desiderio di raggiungere il marito era assolutamente meritorio e comprensibile; la sua presenza a bordo sarebbe certamente stata gradita agli ufficiali e, quanto a questo, a tutto l'equipaggio. Sophia ritornò poi alle sue argomentazioni a sfavore di una partenza così immediata di Jack; sarebbe stato molto, molto meglio l'indomani mattina, non era proprio possibile preparare la sua roba in tempo. A dispetto della sua bravura, si trovò ben presto a corto di argomenti e Stephen, avvertendo che da un momento all'altro avrebbe potuto ricorrere ad altri, persino alle lacrime o rivolgersi a lui per chiedere aiuto, scivolò silenziosamente fuori della stanza. Per qualche minuto fece compagnia al suo cavallo nella Patrick O'Brian
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rimessa e, ritornando verso la casa, trovò Jack sulla porta che contemplava le nuvole fuggire veloci. Sophia era accanto a lui, resa straordinariamente bella dall'ansia e dall'emozione. «Il barometro sale», disse Jack meditabondo, «ma il vento soffia ancora direttamente da sud... e, considerando dov'è ormeggiata, proprio in fondo al porto, non c'è speranza di portarla fuori con questa marea. No, mia cara, forse hai ragione tu. Forse è meglio che non salga a bordo prima di domani. Ma domani, tesoro mio», le disse, abbassando con affetto lo sguardo su di lei, «domani all'alba tu lascerai tornare tuo marito al suo elemento naturale.»
CAPITOLO II Su quell'elemento umido, sempre instabile, spesso infido ma per il momento insieme caldo e gentile, il comandante Aubrey stava dettando una lettera ufficiale al suo esultante segretario: Boadicea, in navigazione Signore, ho l'onore di informarvi che all'alba del giorno diciassette del corrente mese, con le Selvagens due leghe a sud sud-est, la nave di Sua Maestà al mio comando ha avuto la buona sorte di incontrare una nave francese da guerra che aveva catturato una preda. All'avvicinarsi della Boadicea la nave nemica ha orzato, abbandonando la preda, un senale i cui alberi di gabbia erano stati calati sul ponte. È stato fatto ogni sforzo per arrivare a uno scontro con il nemico, che ha cercato di portarci sulle secche delle Selvagens; ma avendo fallito la manovra in conseguenza della rottura dell'albero di contromezzana, la nave francese si è incagliata su una scogliera. Poco dopo, essendo il vento cessato completamente e poiché le rocce la proteggevano dai cannoni della Boadicea, la nave è stata abbordata e rimorchiata dalle scialuppe, rivelandosi per la Hébé, un tempo la fregata di Sua Maestà Hyaena, di ventotto cannoni, ora con ventidue cannoni da ventiquattro libbre, carronate, e due lunghi pezzi da nove libbre, con un equipaggio di duecentoquattordici uomini al comando di Monsieur Bretonnière, tenente di vascello, il comandante essendo stato ucciso nello scontro con la preda. Aveva salpato dal porto di Bordeaux trentotto giorni prima e catturato i vascelli inglesi Patrick O'Brian
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indicati a margine. Il mio comandante in seconda, il signor Lemuel Akers, un anziano e bravo ufficiale, al comando delle scialuppe della Boadicea ha guidato l'attacco con grande valore; il signor Sèymour, secondo ufficiale, e il signor Johnson, aiuto del nocchiere, si sono distinti per il loro zelo. Sono in effetti felice di affermare che la condotta degli uomini della Boadicea mi ha dato grande soddisfazione e non devo lamentare che due feriti in modo non grave. Il senale è stato recuperato senza indugio: si tratta dell'Intrepid Fox di Bristol, al comando di A. Snape, proveniente dalla Guinea con un carico di zanne di elefante, polvere d'oro, spezie e pelli. In considerazione del valore del carico ho ritenuto conveniente inviarlo a Gibilterra sotto la scorta della Hyaena, al comando del signor Akers. Ho l'onore, ecc. ecc. Aubrey osservò con grande benevolenza la penna del segretario che correva veloce sulla carta. La lettera diceva essenzialmente il vero, ma come molte missive ufficiali conteneva un certo numero di bugie. Jack non riteneva Lemuel Akers un bravo ufficiale e il valore del comandante in seconda si era infatti limitato alle grida di incitamento dalla poppa della lancia dove la sua gamba di legno lo confinava, mentre la condotta di parecchi uomini della Boadicea lo aveva molto irritato e, quanto al senale, non si poteva dire che fosse stato recuperato senza indugio. «Non dimenticate i feriti in fondo al foglio, signor Hill», disse. «James Arklow, marinaio, e William Bates, fante di marina. Ora vogliate essere così gentile da riferire al signor Akers che ho un paio di lettere personali da portare a Gibilterra.» Rimasto solo nel suo alloggio, guardò fuori della vetrata di poppa il mare calmo, pieno di movimento e scintillante nel sole, con le prede in panna e le scialuppe che andavano e venivano, l'alberatura della Hébé, o meglio della Hyaena, formicolante di uomini che davano gli ultimi tocchi alle necessarie riparazioni, le sartie del nuovo albero di mezzana già munite di griselle grazie a un nostromo di prim'ordine, John Fellowes. Poi Jack allungò la mano per prendere un foglio e cominciò: «Mia carissima: due righe in fretta per mandarti tutto il mio amore e dirti che sto bene. Abbiamo avuto una traversata incredibilmente fortunata fino a 35° 30' con Patrick O'Brian
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un buon vento lasco da gabbie ridotte, la migliore velatura per la Boadicea nel suo attuale assetto, che dal momento in cui abbiamo perduto di vista Rame Head è durato per tutto il golfo di Biscaglia e poi quasi fino a Madera. Avevamo attraccato a Plymouth con l'alta marea lunedì sera, una sera buia, con groppi di nevischio e vento forte, e dal momento che avevamo alzato il nostro nominativo a Stoke Point, il signor Farquhar era già pronto e ci stava aspettando nell'ufficio del sovrintendente. Avevo mandato ad avvertire Lady Clonfert alla locanda, pregandola di trovarsi al molo entro venti minuti, ma per via di un malinteso non si è presentata e ho dovuto prendere il largo senza di lei. «Comunque, per farla breve, quel buon vento ci ha portato attraverso il golfo di Biscaglia, dove la Boadicea si è dimostrata una nave asciutta e sicura, tanto da farmi pensare di arrivare in vista di Madera in poco più di una settimana. Il vento però è girato a sud-est e sono stato costretto a dirigermi su Tenerife, maledicendo la sorte; e ai quattro colpi della diana, mentre mi trovavo in coperta per accertarmi che il nocchiere, un vecchio ignorante, non ci portasse sulle scogliere delle Selvagens come ci aveva quasi portato su Penlee Point, proprio sottovento rispetto a noi allo spuntare dell'alba abbiamo avvistato una nave da guerra francese in panna con una preda. Non hanno avuto molte possibilità, perché la preda, un veliero della Guinea ben armato, l'aveva maltrattata duramente prima di farsi catturare; il sartiame era semidistrutto, a bordo stavano per inferire un nuovo parrocchetto e molti dei suoi uomini si trovavano sulla nave catturata, intenti alle riparazioni; e naturalmente era grande metà della nostra. Dal momento che avevamo il vantaggio del vento, abbiamo potuto permetterci di andare completamente all'orza e di far fuoco con i cannoni poppieri; non che le abbiano fatto un gran danno, a parte mettere in agitazione il suo equipaggio. Ha fatto del suo meglio, comunque, tempestandoci con il cannone di poppa e cercando di attirarci nelle quattro braccia d'acqua del passaggio della Gamba di Cane. Ma io avevo navigato in quel canale quando ero allievo sulla Circe, e dato che pescavamo ventitré piedi ho preferito non inseguirla, sebbene il moto ondoso fosse quasi inesistente. Se fosse riuscita a passare l'avremmo probabilmente perduta, dato che la Boadicea è una nave un po' lenta (ma non lo ripeterai a nessuno, mia cara); noi le abbiamo però abbattuto l'albero di contromezzana, lei ha fallito una manovra nel canale ed è andata a incagliarsi nella scogliera, perché, non essendoci vento, non ha potuto Patrick O'Brian
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fermarsi in tempo prendendo a collo. Così abbiamo calato le scialuppe e l'abbiamo presa senza troppe difficoltà, anche se mi dispiace dover dire che il suo ufficiale comandante è stato ferito: in questo momento Stephen lo sta medicando, poveretto. «Non c'è stata gloria in quest'azione, tesoro mio, non abbiamo corso il minimo pericolo; ma la cosa veramente bella è che la nave può essere ritenuta una fregata. Era la nostra vecchia Hyaena, una vecchia carcassa da ventotto cannoni antica come l'arca di Noè, che i francesi avevano catturato quando io ero un ragazzo; naturalmente aveva un numero eccessivo di cannoni e loro l'avevano declassata a ciò che chiamano corvetta, con carronate da ventiquattro libbre e un paio di cannoni lunghi da nove: in un primo momento non l'avevo nemmeno riconosciuta, tanto era diversa. Ma per noi è ancora una fregata e naturalmente verrà acquistata dalla marina (è anche un buon veliero, specialmente col vento in poppa, e noi l'abbiamo riportata al largo senza nessun danno, a parte un braccio o due di rame strappato dalla chiglia). Poi c'è il premio all'equipaggio per la sua cattura, e soprattutto c'è la preda della Guinea. Non è una preda in realtà, essendo inglese, ma c'è il diritto di salvataggio e cioè una discreta somma che, date le condizioni della caldaia della nostra cucina, sarà certo benvenuta. Sfortunatamente, l'ammiraglio dovrà avere la sua parte. Anche se i miei erano ordini dell'ammiragliato, quella vecchia volpe ci ha aggiunto qualcosa di suo, per essere certo di avere uno dei miei ottavi se avessi catturato qualcosa; e questo lo ha fatto nel modo più spudorato, dopo cena, ridendoci su allegramente, ah, ah, ah. Temo che tutti gli ammiragli abbiano lo stesso vizio, e oso dire che la situazione non cambierà quando saremo giunti al Capo». Aveva appena scritto la parola quando gli tornarono alla mente i gravi avvertimenti di Stephen sulle chiacchiere pericolose: la cambiò perciò con cura in «a destinazione» e fece ritorno al senale liberato. «Di norma avrebbe dovuto essere sovraccarico di negri per le Indie Occidentali, il che avrebbe accresciuto molto il suo valore; ma forse è stato meglio che non ce ne fossero. Stephen si infuria talmente non appena si menziona la tratta degli schiavi che temo sarei stato costretto a sbarcarli, per impedirgli di farsi impiccare per ammutinamento. Appunto l'ultima volta che ho cenato nel quadrato, Akers, il mio comandante in seconda, ha tirato fuori l'argomento e Stephen lo ha trattato con tale severità che sono stato obbligato a intervenire. Il signor Farquhar è della stessa opinione di Stephen e io sono sicuro che hanno Patrick O'Brian
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ragione loro, è effettivamente una cosa bruttissima, eppure qualche volta non posso fare a meno di pensare che un paio di giovani negre capaci e obbedienti, che facessero il loro dovere e non potessero piantarci in asso, sarebbero molto utili a Ashgrove Cottage. E visto che sono su questo argomento, ho scritto a Ommaney di mandarti quel che potrà anticiparmi sulla Hyaena. Non appena l'avrai ricevuto ti prego di comprarti subito una mantella di pelliccia e una stola per ripararti da quegli spifferi tremendi, e...» seguiva un elenco di migliorie che dovevano essere fatte alla casa: la caldaia, naturalmente; il caminetto del salotto da ricostruire; Goadby da mandare sul tetto per ripararlo; una mucca Jersey che si fosse appena sgravata da comprare con il consiglio del signor Hicks. «Mia cara, il tempo vola», continuò. «Stanno issando a bordo le scialuppe della Hyaena e il senale ha levato l'ancora. È possibile che facciamo scalo a Sant'Elena, ma altrimenti non potrò mandarti notizie finché non sarò a destinazione. Che Dio ti benedica e ti conservi in buona salute, mia carissima, con le bambine.» Sospirò, sorrise e stava per sigillare la lettera quando entrò Stephen, con aria seccata e incattivita. «Stephen», disse Jack, «ho appena finito di scrivere a Sophia. Hai qualche messaggio?» «Il mio affetto, naturalmente. E i miei omaggi alla signora Williams.» «Signore Iddio!» esclamò Jack. «Grazie per avermelo ricordato. Ho spiegato di Lady Clonfert», osservò poi, mentre chiudeva la lettera. «Allora confido che sia stata una spiegazione breve», disse Stephen. «L'eccesso di particolari sciupa spesso il racconto. Più è lungo, meno è credibile.» «Ho solo detto che non si è presentata all'appuntamento e basta.» «Non hai detto niente delle tre del mattino, dell'imbroglio alla locanda, dei segnali ignorati, degli uomini della scialuppa costretti a remare come se dovessero sfuggire al giudizio universale, della povera signora piantata in asso?» domandò Stephen, con lo sgradevole suono cigolante che per lui era una risata. «Che pettegolone sei!» protestò Jack. «Su, Stephen, dimmi: come sta il tuo paziente?» «Be', ha perso molto sangue, non lo si può negare; ma d'altro canto non avevo mai visto un uomo con tanto sangue da perdere. Dovrebbe cavarsela molto bene, se Dio vuole. Ha con sé il cuoco del defunto comandante, un famoso artista dei fornelli, e vorrebbe tenerlo a bordo, se il valoroso vincitore lo consente.» Patrick O'Brian
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«Magnifico! Magnifico! Un famoso artista in cucina coronerà degnamente una bella mattinata di lavoro. Non è stata una bella mattinata di lavoro, Stephen?» «Be'», rispose Stephen, «mi congratulo di tutto cuore per la tua cattura; ma, se il termine 'bella' deve significare un'elegante economia di mezzi, non posso onestamente farlo. Tutto questo tuonare di grossi cannoni per un risultato così misero quale un albero di contromezzana di una cosuccia modestissima e per giunta bloccata fra gli scogli! Un Armaghedon anzi tempo. E quell'infame mettere a collo e far portare prima che la nave della Guinea fosse avvicinata, nonostante le ardenti preghiere del suo comandante; e tutto questo tempo interminabile senza poter mettere piede su quegli scogli con il pretesto che 'non c'è un minuto da perdere'. Non un minuto, davvero! Quando ne sono stati sprecati quarantasette. Quarantasette minuti di preziosissime osservazioni che non potranno mai più essere recuperati!» «Ciò che io so, Stephen, e che tu non sai...» cominciò Jack, ma un messaggero lo interruppe: con il permesso del comandante, il signor Akers era pronto per salire a bordo. In coperta Jack trovò che il vento soffiava costante da sud-ovest, come se fosse stato ordinato espressamente, una brezza perfetta per portare la Hyaena e il suo carico a Gibilterra. Consegnò le lettere al comandante in seconda, tornando a raccomandargli la massima vigilanza, e lo sospinse verso la murata. Il signor Akers dimostrò una tendenza a indugiare, a esprimere la sua più viva riconoscenza per il comando (in verità la Hyaena recuperata voleva dire per lui una promozione) e ad assicurare al comandante Aubrey che se un solo prigioniero avesse osato mostrare il naso fuori del boccaporto sarebbe stato spazzato via all'istante con la sua stessa mitraglia; ma alla fine se ne andò. Appoggiato all'impavesata, Jack guardò le scialuppe della Boadicea che trasportavano lui e i suoi compagni, alcuni alla nave da guerra per le manovre e per fare la guardia ai prigionieri; alcuni all'Intrepid Fox per rafforzare il suo equipaggio malandato e scarso: un numero sorprendente di uomini in un caso e nell'altro. Jack era raggiante, ma al suo posto pochi comandanti, impossibilitati a ricorrere alla leva forzata, lontani da una nave caserma o da qualsiasi altra fonte di nuovi marinai, avrebbero sorriso nel vedere tanti uomini lasciare la nave diretti ad altri vascelli, uomini che con ogni probabilità non si sarebbero mai più rivisti. Il comandante Loveless aveva eccellenti Patrick O'Brian
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relazioni e la Boadicea sovrabbondava di gente, buoni marinai nella media, con una percentuale non eccessiva di terrazzani e con un buon numero di quelli che meritavano la qualifica di marinai scelti; ma c'era anche una notevole quantità di casi difficili, che non valevano il pane che mangiavano né lo spazio che occupavano, mentre l'ultima comandata era composta esclusivamente da contingenti di detenuti del Bedforshire, balordi, piccoli criminali, vagabondi, nessuno dei quali era mai stato in mare. Avrebbero ampiamente compensato la perdita i prigionieri liberati sulla Hébé, uomini provenienti da navi inglesi per la maggior parte, unitamente a un paio di bravi marinai dell'Intrepid Fox; e in quel momento, con vera soddisfazione, Jack stava vedendo otto sodomiti, tre ladri famigerati, quattro mentecatti e un gruppetto di imboscati recidivi e di ribelli inveterati partirsene per sempre. Era anche felice di essersi liberato di uno zoticone di allievo che rendeva la vita difficile ai mozzi. Ma soprattutto era felice di liberarsi del suo comandante in seconda. Il signor Akers era un individuo duro, ingrigito, malinconico, con una gamba sola; il dolore della ferita spesso lo rendeva di pessimo umore e inoltre non la pensava come Jack su molte cose, fra le quali l'uso del gatto a nove code. Ma ciò che più contava, mutilazione onorevole o no, Akers non era un bravo marinaio: quando Jack era salito a bordo della fregata per la prima volta, con due colli e più alla cima d'ormeggio, una vista delle più disgustose, avevano impiegato un'ora e venti minuti per mettere in chiaro l'ormeggio stesso, con il segnale di prendere il largo che continuava a sventolare, rinforzato da colpi di cannone ripetuti a intervalli frequenti: e l'impressione di inefficienza e di confusione si era accresciuta di giorno in giorno. Ed ecco che lui aveva catturato due belle prede e al tempo stesso si era tolto di torno uomini la cui presenza avrebbe contribuito molto a impedirgli di fare della Boadicea uno strumento veramente in grado di procurare danni al nemico e una nave dove si viveva bene, e lo aveva fatto in un modo che sarebbe andato a tutto vantaggio del signor Akers. In questo stava la bellezza della cosa. Adesso lui era al comando di un equipaggio il cui livello complessivo era già discreto, nonostante cinquanta o sessanta uomini ancora da addestrare; e l'artiglieria poteva certamente essere migliorata, sebbene fosse attualmente di infimo ordine, come succedeva così spesso quando l'idea che gli ufficiali avevano di un'azione era quella di uno scontro pennone contro pennone, una situazione in cui Patrick O'Brian
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era impossibile sbagliare il tiro. «Avete grandi possibilità, signora, grandi possibilità», mormorò; poi il suo sorriso si trasformò in una risatina interiore mentre pensava che una volta tanto la sua astuzia aveva battuto quella di Stephen Maturin; poiché ciò che lui sapeva e che Stephen non sapeva era che quei quarantasette minuti avevano fatto la differenza fra salvataggio e non salvataggio, fra il diritto della Boadicea a un ottavo del valore del veliero della Guinea e una semplice lettera di ringraziamento da parte dei suoi proprietari. L'Intrepid Fox era stato catturato alle dieci e quarantasei del martedì e, se Jack avesse accettato la resa del francese autore della cattura un istante prima che fossero trascorse ventiquattr'ore, secondo la legge del mare non si sarebbe trattato di salvataggio. E quanto al fatto di permettere a Stephen di scorrazzare per tre quarti d'ora sulle Selvagens alla ricerca di ipotetici insetti, già in passato Jack lo aveva lasciato su qualche remoto scoglio in mezzo all'oceano ed era stato costretto a farlo recuperare dai fanti di marina molto, molto dopo il tempo stabilito: avrebbe tuttavia fatto ammenda, le barriere coralline abbondavano nella zona del Capo. «La fregata sta segnalando, signore, prego», annunciò l'allievo addetto ai segnali. «Permesso di allontanarsi.» «Rispondere: Procedete», disse Jack. «E Felice ritorno.» La Hyaena mollò le gabbie con precisione, le bordò a segno e prese abbrivo, dietro di lei il senale della Guinea a una gomena di distanza sottovento. Dopo averli seguiti con lo sguardo per un po' sulla rotta per Gibilterra, Jack dette i comandi che avrebbero portato la Boadicea verso il tropico, di bolina stretta con il vento che si andava rafforzando. Entrò nella propria cabina. Le paratie, tolte quando la fregata si era preparata al combattimento, erano già state rimesse al loro posto così come i due potenti pezzi da diciotto a prua e a poppa; ma quello di dritta era ancora caldo e l'odore della polvere da sparo e della miccia a combustione lenta indugiava nell'aria, il più esaltante che si potesse sentire sulla terra e sul mare. La bella cabina era tutta per lui, con il suo nobile spazio e la curva scintillante della vetrata di poppa, nonostante a bordo ci fosse un passeggero di riguardo; poiché, sebbene il signor Farquhar dovesse diventare governatore, il suo stato era per il momento del tutto teorico, visto che dipendeva dalla possibilità di sconfiggere una potente squadra francese e di conquistare le isole che lui avrebbe dovuto governare; doveva quindi accontentarsi di quella che altrimenti sarebbe stata la cabina in cui il comandante consumava i suoi Patrick O'Brian
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pasti. Jack lanciò un ultimo amorevole sguardo alle sue prede che stavano scomparendo a nord sul mare turchino e scintillante, poi chiamò: «Passare parola per il signor Seymour, il signor Trollope e il signor Johnson». Seymour, il secondo ufficiale, e Trollope, il terzo, seguiti da Johnson, l'aiuto del nocchiere, si affrettarono a raggiungerlo, con aria compiaciuta ma in certo modo preoccupata; sapevano bene che la Boadicea, pur avendo avuto successo, non si era particolarmente distinta, in special modo quando aveva liberato la Hyaena dal suo innocuo scoglio e l'aveva rimorchiata fuori del canale, e non erano affatto sicuri di ciò che il comandante avrebbe detto. Seymour e Johnson sembravano quasi fratelli, bassi, rosei, grassocci, le teste rotonde e le facce fresche e aperte sulle quali la loro espressione di rispettosa serietà pareva meno naturale dell'allegria: come loro Jack ne aveva visti a centinaia nel corso della sua carriera ed era felice di averli a bordo. Ne aveva visti anche parecchi della specie di Trollope: un individuo grande e grosso, nero di capelli, con una faccia bruna, priva di umorismo, decisa e dalla mandibola forte; avrebbe potuto essere un ufficiale molto duro sotto un comandante sbagliato o un diavolo di comandante lui stesso, se fosse arrivato al rango di capitano di vascello. Ma per il momento era giovane, poteva ancora essere plasmato. Erano tutti e tre giovani, anche se Johnson aveva forse già raggiunto i trent'anni: anziano per il grado che aveva. Jack comprendeva benissimo che cosa passava loro per la testa; da ufficiale era stato chiamato spesso anche lui per sentirsi rimproverare a causa delle mancanze di altri. Ma non sapeva che l'espressione di deferenza sui volti di quei giovani capaci, intraprendenti, esperti, non derivava soltanto dal rispetto dovuto al suo rango, ma da qualcosa che assomigliava a timore reverenziale per la fama che lui si era conquistata nel servizio. Con la sua corvetta da quattordici cannoni, la Sophie, aveva catturato la spagnola Cacafuego da trentadue cannoni; era uno dei pochi capitani di fregata che avessero mai attaccato un vascello da guerra francese da settantaquattro cannoni; al comando della Lively aveva costretto la Clara e la Fama, navi spagnole di uguale forza, ad arrendersi a lui nella memorabile azione al largo di Cadice, e nel catturare navi nemiche nei porti e nelle azioni di disturbo contro il nemico aveva pochi rivali fra i suoi pari nella Royal Navy. Jack non lo sapeva e nemmeno lo sospettava, in parte perché si sentiva più o meno loro coetaneo e in parte perché considerava in tutta sincerità le sue azioni più brillanti il risultato Patrick O'Brian
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della fortuna; a lui era capitato di trovarsi sul posto e nei suoi panni qualsiasi altro ufficiale di marina avrebbe fatto lo stesso. Non si trattava di falsa modestia: conosceva decine di bravi ufficiali, ottimi marinai di un coraggio fuori discussione, che avevano servito nel corso delle recenti guerre senza avere un'occasione per distinguersi; uomini impegnati nella scorta ai convogli, nei trasporti o sulle navi che bloccavano perennemente Brest e Tolone, i quali spesso affrontavano pericoli causati dalla violenza del mare più che da quella del nemico e che perciò rimanevano oscuri, spesso senza speranza di una promozione e sempre poveri: se si fossero trovati nel posto giusto al momento giusto si sarebbero comportati bene come gli altri, o anche meglio: una questione di fortuna, insomma. «Bene, signori», disse, «è un inizio piacevole per una traversata. Ma abbiamo perduto il signor Akers. Signor Seymour, sarete così gentile da prendere il suo posto.» «Grazie, signore.» «Signor Johnson, voi avete superato gli esami per diventare ufficiale, mi pare.» «Oh, sì, signore! Il primo mercoledì di agosto del 1802», rispose Johnson, arrossendo e poi impallidendo notevolmente. Gli esami li aveva superati, ma, come succedeva a tanti altri allievi senza appoggi, il brevetto tanto atteso non era mai arrivato. Durante tutti quegli anni era stato aiuto nocchiere, un allievo anziano e niente più, e la probabilità di una promozione si faceva più incerta a ogni compleanno; era quasi svanita ormai, e il poveretto sembrava destinato a finire la carriera al massimo come nocchiere, semplice sottufficiale fino al momento in cui sarebbe stato scaricato definitivamente a terra senza mai aver avuto un comando. E sulla Boadicea c'erano altri allievi assai più favoriti di lui: il comandante Loveless aveva imbarcato il figlioccio di un ammiraglio, il nipote di un altro e l'erede del rappresentante di Old Sarum al parlamento, mentre il padre di Johnson era un semplice ufficiale di marina in pensione. «Allora», disse Jack, «vi promuoverò ufficiale in prova e speriamo che l'ammiraglio al Capo voglia confermare la nomina.» Johnson, divenuto scarlatto, cercò di profondersi in ringraziamenti, ma Jack tagliò corto: «Perché non vi nasconderò, signori, che la nostra destinazione è il Capo. E ciò che forse non sapete è che quattro fregate francesi da quaranta cannoni ci aspettano dall'altra parte. Ora, il piccolo scontro di oggi è andato bene, a suo modo. È stato utile per i marinai al Patrick O'Brian
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primo imbarco, in un certo senso è stato un assaggio che ha messo fine alle scorribande della Hébé; aveva disturbato non poco il nostro traffico commerciale nelle ultime settimane. Perciò credo che possiamo brindare a questo successo. Probyn!» Probyn era il suo famiglio. «Trovate una bottiglia di madera e poi fate un salto a prua per assicurarvi che il cuoco del comandante francese sia ben sistemato: trattatelo con molta cortesia. Alla Hyaena, ex Hébé, dunque; e auguriamole un felice approdo.» Alzarono i bicchieri con aria grave, consapevoli che il comandante aveva altro da dire. «Uno scontro a suo modo riuscito», riprese Jack, «ma suppongo che nessuno di voi lo vorrà definire bello.» «Non secondo il vostro stile di Minorca, signore», disse Trollope. Jack lo fissò attentamente. Avevano forse navigato sulla stessa nave? La sua faccia non la ricordava! «Ero allievo sull'Amelia, signore, quando avete portato la Cacafuego a Port-Mahon. Signore Iddio, come abbiamo acclamato la Sophie!» «Ah, eravate là?» disse Jack, con un certo imbarazzo. «Be', meno male che non ci siamo dovuti scontrare con la Cacafuego oggi, per non parlare di una di quelle fregate francesi che ci aspettano al Capo; perché, anche se la Boadicea mi sembra nell'insieme una nave decente e volenterosa e non ho notato nessun segno di timidezza nell'affrontare il nemico, la sua artiglieria è a dir poco penosa. Quanto a remare, non ho mai, dico mai, visto tanti esseri apparentemente umani altrettanto incapaci di manovrare un remo: nella barcaccia non ce n'era uno in grado di farlo decentemente, a parte il vecchio Adams e un fante di marina. Ma sono i cannonieri la mia grande preoccupazione: pietosi, davvero pietosi... Una bordata dopo l'altra a cinquecento iarde e anche meno e dove sono finiti i tiri? Non certo a bordo della nave francese, signori. Il solo colpo andato a segno è stato sparato dal cannone in caccia puntato da un marinaio del magazzino del pane, che non avrebbe nemmeno dovuto essere in coperta. Provate a immaginare se ci fossimo trovati di fronte una fregata francese ben manovrata, che ci avesse sforacchiato ben bene lo scafo con i suoi cannoni da ventiquattro libbre; perché i loro tiri sono maledettamente precisi, signori, come penso sappiate.» Nella pausa solenne che seguì, Jack riempì i bicchieri e continuò: «Ma grazie a Dio è successo all'inizio della traversata; non poteva capitare in un momento migliore. I marinai inesperti hanno superato il mal di mare e sono soddisfatti di sé, poveri terrazzani onesti; tutti sono contenti perché si sono guadagnati la paga di un anno in una Patrick O'Brian
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mattinata di bel tempo. Dobbiamo far capire agli uomini che, insegnandogli il loro dovere, li mettiamo in condizione di guadagnare di più. Ora si daranno da fare, nessun bisogno del gatto a nove code. Quando saremo arrivati a destinazione, signori, confido che ogni uomo e ogni ragazzo a bordo sarà perlomeno capace di manovrare un remo, serrare e imbrogliare le vele, terzarolare, caricare, puntare e sparare un moschetto o un cannone; e anche se riuscissero a imparare soltanto questo e a ubbidire agli ordini, be', credo che saremmo in grado di affrontare qualsiasi fregata francese che si trovi al largo del Capo». Partiti gli ufficiali, Jack rifletté per un po'. Non aveva dubbi che fossero totalmente dalla sua parte; appartenevano alla categoria di uomini di mare che lui conosceva e apprezzava, ma c'era ancora molto da fare. Con il loro aiuto avrebbe potuto trasformare la Boadicea in un batteria galleggiante di una potenza letale; ma occorreva anche portarla sulla scena dell'azione con tutta la celerità che gli elementi avrebbero consentito. Mandò a chiamare il nocchiere e il nostromo e li informò che non era soddisfatto della navigazione della fregata, sia come velocità sia per il modo in cui stringeva il vento. Seguì una discussione molto tecnica nella quale incontrò una tenace resistenza da parte di Buchan, il nocchiere, un uomo anziano e attaccato alle proprie idee, il quale non voleva ammettere che una risistemazione del carico nella stiva, un tentativo di appruarla un po', sarebbero serviti a qualcosa. Lenta era e lenta sarebbe rimasta; lui aveva sempre stivato il carico nello stesso modo da quando era salito a bordo di quella nave la prima volta. Il nostromo, al contrario, giovane per quell'ufficio importante, un vero marinaio da capo a piedi, cresciuto sulle navi carboniere del mare del Nord, era ansioso come il suo comandante di tirar fuori il meglio dalla Boadicea, anche se ciò comportava tentare qualcosa di nuovo. Parlò con entusiasmo dell'effetto positivo del trilingaggio delle sartie e si dichiarò completamente d'accordo con il comandante sul progetto di acquartierare l'albero di trinchetto. Jack provò subito simpatia per lui. In parte l'astio del signor Buchan derivava dalla fame. Gli ufficiali pranzavano all'una in punto e l'una era passata da molto tempo; sebbene quel giorno il pranzo non fosse un gran che, il ritardo rendeva il nocchiere decisamente nervoso. Il nostromo aveva mangiato a mezzogiorno con il carpentiere e il capo cannoniere, e Buchan, fiutandogli addosso l'odore del cibo e del grog, prese a detestare la sua faccia allegra e ancor più la sua Patrick O'Brian
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loquela. Anche Jack non trascurava certamente il proprio ventre, e quando ebbe licenziato i due entrò nella cabina dove Stephen e il signor Farquhar stavano mangiando una fetta di torta. «Vi ho interrotti?» domandò; niente affatto, risposero, facendogli spazio fra i libri, i documenti, le carte, i proclami, i manifesti che stavano cercando di riordinare dopo la brusca scomparsa e ricomparsa dei loro alloggi. «Spero che stiate bene, signore», disse a Farquhar, il quale, avendo sofferto atrocemente nel golfo di Biscaglia, da allora aveva trascorso gran parte del suo tempo alzandosi dalla cuccetta solo per parlare con il dottor Maturin e per sprofondarsi con lui nelle carte; i due conversavano fra loro in una lingua straniera con grande irritazione degli inservienti, due mozzi che erano stati destinati alla loro persona, ai quali piaceva cedere alla naturale curiosità, incoraggiata dai compagni del castello di prua, di sapere tutto ciò che succedeva. Farquhar aveva perduto parecchio peso e il suo viso intelligente, magro e dal naso aquilino aveva ancora un colorito vagamente verdastro, ma rispose tuttavia di non essere mai stato meglio in vita sua; che il fragore terribile della battaglia, il tuonare dei cannoni, certamente più forte di quello di Zeus, avevano completato l'opera - e qui un cortese inchino a Stephen - della scienza addirittura preternaturale del dottor Maturin, così che adesso si sentiva vispo come un ragazzo; aveva appunto l'appetito di un ragazzo, smaniava addirittura dal desiderio di mettersi a tavola. «Ma», continuò, «dovete prima permettermi di I congratularmi di cuore per la vostra splendida vittoria. Una tale prontezza nelle decisioni, una tale determinazione nell'assalto e un tale esito brillante!» «Siete troppo buono, signore, troppo buono davvero. Ma quanto all'esito favorevole che voi siete stato così gentile da menzionare, esso ha un aspetto che non può non rallegrarci tutti. Abbiamo a bordo il cuoco del comandante francese e sono venuto a chiedere», disse rivolto a Stephen, «se fosse possibile persuaderlo a...?» «Ho già provveduto», rispose Stephen. «Un porcellino di latte, di una grossa figliata sopravvissuta, è stata una delle poche vittime a bordo della Hébé, e da quel che ho capito servirà a mostrarci le capacità del cuoco. Ho anche provveduto a che il vino e le provviste di Monsieur Bretonnière fossero trasferiti qui, e ho pensato di aggiungere quelle del defunto comandante: vasi di foie gras, tartufi nel grasso d'oca, petto d'anitra, una grande varietà di salsicce affumicate, prosciutto di Bayonne, acciughe Patrick O'Brian
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sott'olio e, fra il vino restante, ventidue bottiglie di Margaux dell'88, insieme con una quantità quasi uguale di Chàteau Laffite. Certo, non so dire se riusciremo a finirle tutte, ma sarebbe un terribile peccato far andare a male un vino così nobile, e in queste condizioni fra un anno sarebbe l'ombra di se stesso.» Il chiaretto non passò l'anno, né lo splendido vino andò sprecato: con applicazione costante e con l'aiuto occasionale di Bretonnière e di altri ospiti del quadrato Jack e Stephen lo bevvero fino all'ultima goccia. D'altra parte il tempo non mancò loro, dal momento che i venti favorevoli della partenza li abbandonarono molto a nord dell'equatore e talvolta la nave rimaneva in panna sul mare lungo e oleoso, andando lentamente alla deriva verso l'America sulla corrente equatoriale, con la polena che rivolgeva il suo sorriso a ogni punto cardinale e con la fregata che quasi rimaneva disalberata per il forte rollio. Per dieci giorni di fila stette con le vele afflosciate nell'acqua stagnante, un'acqua che sarebbe stata limpida se non fosse stato per il sudiciume - l'ammiraglio Nero lo chiamavano i vecchi marinai - prodotto da trecento uomini e dai barili di carne secca vuoti, dai rifiuti della cucina e altro, al punto che Jack fu costretto ad allontanarsi di un quarto di miglio con il battellino di servizio per la sua nuotata mattutina, mentre al tempo stesso faceva rimorchiare la nave, rendendo così più gradevole il panorama e addestrando gli uomini ai remi. In questo modo pigliava due piccioni con una fava, diceva lui, o persino tre, poiché dopo aver remato per un'ora o due era costume della Boadicea calare una vela nell'acqua chiara e pulita, assicurandone gli angoli alla nave per formare una specie di vasca nella quale quanti non sapevano nuotare, e cioè la maggioranza, potevano sguazzare e divertirsi, possibilmente imparando anche a stare a galla. Ma la festa per il passaggio dell'equatore fu magnifica, con l'alzata e l'ammainata dei coltellacci e con un'allegria ancora maggiore del consueto, poiché, quando ebbero ridotto la velatura per lasciar salire a bordo Nettuno, accompagnato da un'orrenda Anfitrite,* [* Nella mitologia greca, una delle Nereidi, amiche dei naviganti; dea del mare, andò sposa a Poseidone (che nella religione romana ha il suo corrispondente in Nettuno). (N.d.T.)] il dio del mare trovò non meno di centoventitré anime cui impartire il battesimo dell'equatore: e cioè spalmarle di grasso rancido (il catrame era proibito, essendo scarso) e rasarle con un pezzo di cerchio di barile a mo' di rasoio prima di buttarle in acqua. Patrick O'Brian
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Procedettero verso sud, con Canopo e Achernar alte lassù; Jack mostrò agli allievi attenti le nuove costellazioni, Mosca, Pavone, Camaleonte e molte altre, tutte scintillanti nell'aria calda, traslucida. Un tempo strano e imprevedibile, poiché persino quando la Boadicea incontrò gli alisei al quarto parallelo questi risultarono fiacchi e discontinui. Era chiaro ormai che non sarebbe stata una traversata facile, ma sebbene Jack fischiasse spesso per invocare il vento, un vento più forte, non era in realtà preoccupato dalla lunghezza del viaggio: la nave era solida, numerose tempeste avevano rinnovato la provvista d'acqua e gli uomini erano in buona salute; e mentre le settimane diventavano mesi si rese conto che quello era un periodo felice, un tempo sospeso fra le ansietà della vita domestica da una parte e quelle che sicuramente lo aspettavano nell'oceano Indiano, dove sarebbe cominciato il suo vero lavoro. Inoltre, sebbene fosse ansioso di cominciare quel «vero lavoro», sapeva che nessun potere sulla terra sarebbe stato in grado di farlo arrivare più in fretta a destinazione: lui e Fellowes avevano fatto il possibile per aumentare la velocità della nave, e con buoni risultati, ma non potevano comandare ai venti. Così, con la coscienza tranquilla e con quel fatalismo che i marinai dovevano necessariamente sviluppare per non morire di frustrazione, si rallegrò dell'opportunità che gli era offerta di fare della Boadicea qualcosa di simile al suo concetto di fregata eccellente, una macchina da combattimento con un equipaggio di marinai scelti, marinai di un vascello da guerra, ognuno di loro capace di servire un cannone e un vero diavolo con le asce è le sciabole da abbordaggio. Gradualmente i terrazzani della Boadicea cominciarono ad assomigliare a marinai; la routine immutabile della marina diventava il loro unico modo di vivere, un modo di vivere nel quale era naturale e inevitabile che tutti fossero svegliati dal fischietto del nostromo prima degli otto colpi della seconda comandata e che gli uomini addormentati passassero dalle brande all'appello e di lì al lavaggio dei ponti alle prime luci dell'alba; che tutti fossero chiamati a colazione agli otto colpi della guardia del mattino, che la colazione consistesse di formaggio e farinata il lunedì, di due libbre di carne di manzo salata il martedì, di piselli secchi e farinata il mercoledì, di una libbra di carne di maiale il giovedì, di piselli secchi e formaggio il venerdì, di altre due libbre di carne di manzo salata il sabato, di una libbra di maiale e di qualche leccornia come il figgy-dowdy, il budino di fichi, la domenica, il tutto sempre accompagnato dalla libbra quotidiana di galletta. Patrick O'Brian
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naturale e inevitabile che la colazione fosse seguita da una pinta di grog, che dopo cena (con un'altra pinta di grog) tutti gli uomini dovessero portarsi ai posti di combattimento al rullo del tamburo e che infine le brande dovessero essere portate abbasso affinché la guardia sottocoperta potesse avere quattro ore di sonno prima di essere svegliata di nuovo per un altro turno di lavoro. Questo e il perpetuo movimento del ponte sotto i piedi, la distesa ininterrotta dell'oceano, niente altro che cielo e mare all'infinito, recidevano i legami con la terraferma a tal punto che pareva loro di vivere in un altro mondo, il mondo del mare. Cominciarono a sembrare marinai anche nell'aspetto, dato che un'ora e quaranta minuti dopo che la Boadicea aveva attraversato il tropico del Cancro, l'aiuto del carpentiere piantò due chiodi di rame sul ponte, esattamente a dodici iarde di distanza l'uno dall'altro: dodici iarde di tela, aghi e filo furono assegnati a ogni uomo insieme con la treccia di canapa, e tutti dovettero farsi brache e camicie estive e un cappello con la tesa larga. E li fecero bene, anche, aiutati dai loro compagni più esperti, con un risultato così brillante che alla rivista generale della domenica successiva i terrazzani, fino a quel momento vestiti più o meno di stracci, con vecchie brache di cuoio, panciotti bisunti e cappellacci sfondati, erano scomparsi e il loro comandante vide davanti a sé file di uomini in abiti bianchi e puliti, più o meno come i fanti di marina radunati sul cassero lo erano nelle loro giubbe rosse. C'era ancora qualche peso morto fra i marinai poppieri, uomini buoni solo a tesare una cima, e in ogni guardia se ne trovava una dozzina che non reggeva l'alcol e veniva continuamente punita per ubriachezza, oltre a qualche caso senza speranza; ma nell'insieme Jack era soddisfatto: un equipaggio decente. Ed era soddisfatto dei suoi ufficiali, a parte Buchan e il commissario di bordo, uno spilungone dal colorito giallastro con le ginocchia ossute e i piedi enormi, i cui libri Jack teneva d'occhio con molta attenzione: tutti e tre gli ufficiali lo assecondavano con zelo ammirevole e gli allievi più anziani erano realmente di grande valore. Il colpo di fortuna eccezionale al largo delle Selvagens aveva anche permesso alla Boadicea di acquisire una grande quantità di munizioni. I regolamenti assegnavano un numero limitato di proiettili, cento per ognuno dei lunghi cannoni da diciotto libbre, e Jack aveva dovuto far tesoro delle sue scorte, non essendoci alcuna certezza di trovare altre munizioni al Capo; un vero problema perché, se non avesse addestrato i Patrick O'Brian
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cannonieri sparando veramente, non avrebbero saputo farlo al momento del bisogno, però, se lo avesse fatto, forse sarebbero mancate le munizioni in caso di reale necessità. Ma da quel giorno Fortunato le esercitazioni quotidiane della Boadicea non erano più state finte come avveniva solitamente a bordo delle navi da guerra. Gli uomini sapevano mettere i pezzi in batteria ed eseguire le mosse necessarie per far fuoco, dal liberare i cannoni al trincarli; visto però che le palle da ventiquattro libbre della Hébé si adattavano alle carronate della Boadicea e quelle dei pezzi da nove libbre ai due cannoni in caccia, tutte le sere si udì il loro selvaggio ruggito, ogni uomo si abituò al balzo mortale del rinculo, al lampo, al fragore, ad afferrare il suo paranco, calcatoio o stoppaccio con rapidità automatica nei turbini di fumo denso. E nelle occasioni speciali, come al passaggio del tropico del Capricorno salutato da una doppia bordata, era un piacere vedere il loro entusiasmo: demolirono una zattera di barili vuoti a oltre cinquecento iarde di distanza e riportarono subito i cannoni in batteria, gridando fino a sgolarsi, per fare a pezzi i frammenti rimasti in due minuti scarsi. Non era niente a paragone del fuoco micidiale che Jack apprezzava tanto, e non erano nemmeno le tre bordate in cinque minuti che cominciavano a essere considerate normali dai quei comandanti che tenevano alla loro artiglieria, e ancor meno le tre bordate in due minuti che Jack aveva ottenuto su altre navi; ma era un fuoco mirato e notevolmente più rapido di quello di alcuni vascelli di sua conoscenza. Questo periodo «a parte», questo felice intervallo, con un compito piacevole e semplice davanti a sé, navigando in mari caldi con venti raramente contrari, pur essendo spesso deboli, diretti a sud su una nave comoda, con un cuoco eccellente, consistenti provviste e una buona compagnia, aveva tuttavia i suoi lati negativi. Il telescopio era stato una delusione. Non che Giove non si vedesse: il pianeta brillava nell'oculare come un pisello dorato. Ma, a causa del movimento della nave, Jack non riusciva a tenercelo così a lungo o così fermo da stabilire l'ora locale delle eclissi delle sue lune, per trovare così la longitudine. Né la teoria (peraltro non nuova) né il telescopio facevano difetto: quella che non funzionava, a dispetto di tutte le modifiche apportate, era l'intelaiatura di sostegno appesa allo strallo dell'alberetto di velaccio che lui stesso aveva progettato, per compensare il beccheggio e il rollio; e una notte dopo l'altra Jack se ne stava là a oscillare, imprecando e bestemmiando, circondato dagli allievi armati di redazze pulite, il cui Patrick O'Brian
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compito era di spingere o trattenere delicatamente il loro comandante a un suo comando. I giovani gentiluomini: li faceva sgobbare, esigendo prontezza e zelo; ma a parte le sere al telescopio, che essi odiavano cordialmente, e le lezioni di navigazione, il comandante incontrava tutta la loro approvazione, così come la incontravano le splendide prime colazioni e le cene alle quali lui spesso li invitava, sebbene a volte li punisse, battendoli con una forza spaventosa mentre se ne stavano piegati sopra la culatta del cannone, solitamente per crimini quali rubare cibarie nel quadrato o tenere le mani in tasca. Da parte sua Jack li trovava simpatici, anche se con una tendenza eccessiva a poltrire sulle brande, a fare il proprio comodo e a essere avidi: in uno di loro, il signor Richardson, conosciuto generalmente come Lentiggine, aveva individuato un matematico non comune. Jack insegnava personalmente la navigazione, il loro maestro non essendo in grado di mantenere la disciplina, e ben presto gli apparve evidente che avrebbe dovuto fare la massima attenzione per non essere messo in difficoltà da quel suo allievo su questioni complesse di trigonometria sferica, per non parlare delle stelle. E poi c'era Farquhar. Jack lo stimava, ritenendolo un gentiluomo, intelligente e capace, dalla conversazione interessante, una compagnia eccellente per lo spazio di una cena, anche se astemio, o anche per lo spazio di una settimana; ma il signor Farquhar aveva fatto studi di legge e forse per questo motivo gran parte della sua conversazione prendeva una forma interrogativa, così che Jack aveva talvolta la sensazione di essere sottoposto a un interrogatorio alla sua propria mensa. Inoltre Farquhar usava spesso espressioni latine che mettevano a disagio Jack, e faceva riferimento ad autori che lui non aveva mai letto; anche Stephen usava farlo (in effetti sarebbe stato difficile citare autori con cui Jack fosse familiare, a parte quelli che trattavano di caccia alla volpe, di tattiche navali o di astronomia), ma con Stephen era diverso. Jack gli voleva berle e non incontrava nessuna difficoltà a lasciargli tutta l'erudizione di questo mondo, pur restando interiormente convinto che in questioni pratiche che esulassero dalla scienza medica e dalla chirurgia Stephen non potesse essere abbandonato a se stesso. Il signor Farquhar, poi, pareva credere che una profonda conoscenza della legge e della cosa pubblica significasse abbracciare l'intero campo delle nozioni utili all'uomo. Eppure la supremazia indiscussa del signor Farquhar nella politica e quella Patrick O'Brian
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ancora più irritante negli scacchi non sarebbero state difficili da sopportare, se il gentiluomo avesse avuto un po' di orecchio per la musica: ma non ne aveva affatto. Era stato l'amore per la musica a far incontrare Jack e Stephen; uno suonava il violino, l'altro il violoncello, nessuno dei due in modo troppo brillante, ma entrambi traevano un grande piacere dai loro concerti serali; avevano suonato insieme durante ogni traversata, interrotti soltanto dalle esigenze del servizio, dalle tempeste veramente spaventose e dal nemico. Ma ora il signor Farquhar condivideva la cabina del comandante e rimaneva del tutto indifferente tanto a Haydn quanto a Mozart; come aveva osservato lui stesso, non avrebbe dato un soldo bucato per nessuno dei due, e nemmeno per Haendel. Il fruscio delle pagine del suo libro mentre loro due suonavano, il modo in cui batteva ritmicamente il dito sulla tabacchiera e si soffiava il naso, annullavano gran parte del loro piacere, e in ogni caso, Jack, cresciuto nella tradizione dell'ospitalità della marina, sentiva fortemente gli obblighi di cortesia verso l'ospite, al punto di rinunciare al violino in favore del whist, un gioco che detestava, e di invitare come quarto il comandante dei fanti di marina, un uomo per il quale non provava eccessiva simpatia. L'ospite non era sempre con loro, tuttavia: durante le frequenti calme di vento Jack spesso faceva calare in mare il battellino di servizio e si allontanava a remi per nuotare, per ispezionare l'assetto della velatura da una certa distanza e per parlare con Stephen in privato. «Non si può onestamente trovarlo antipatico», stava dicendo mentre l'imbarcazione si sollevava e si abbassava sull'onda lunga verso una macchia di alghe alla deriva dove Stephen pensava di trovare una varietà australe di ippocampo o un granchio pelagico imparentato con le specie che aveva scoperto sotto l'equatore, «ma non mi dispiacerà affatto sbarcarlo sulla terraferma.» «Io posso trovarlo, e in effetti lo trovo, antipaticissimo quando mi mangia il re e la torre con il suo orribile cavallo», affermò Stephen. «Per il resto del tempo lo considero un compagno di viaggio apprezzabile, interessato, curioso, perspicace. Di sicuro non ha il minimo orecchio musicale, ma non manca di un certo gusto per la poesia; ha un'interessante teoria sul ruolo mistico della regalità, una teoria fondata sul suo studio del diritto di possesso nella piccola proprietà feudale.» L'interesse di Jack per la piccola proprietà feudale era così scarso che continuò senza interrompersi: «Temo di essere stato troppo a lungo al comando. Quando ero ufficiale e facevo vita comune con gli altri, Patrick O'Brian
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sopportavo individui molto, molto più irritanti di Farquhar. C'era un chirurgo sull'Agamemnon che aveva l'abitudine di suonare Greensleeves col suo flauto tutte le sere e ogni volta si interrompeva esattamente allo stesso punto. Harry Turnbull, il nostro primo ufficiale, che fu ucciso ad Abukir, impallidiva man mano che ci si avvicinava a quella nota. Eravamo nelle Indie Occidentali allora, e tutti piuttosto nervosi, ma nessuno fece mai alcuna osservazione al chirurgo tranne Clonfert. Non che Greensleeves voglia dire molto, ma era un buon esempio di quel dare e avere che deve per forza esserci quando si vive appiccicati tanto a lungo: guai a lasciarsi andare, perché allora la vita a bordo diventa un inferno, come tu ben sai, Stephen. Vorrei non aver perso questa tolleranza, ma con l'età e il lusso del comando, il lusso della solitudine...» «Allora tu conosci Lord Clonfert? Dimmi, che genere di uomo è?» «La nostra è stata una conoscenza molto superficiale», rispose Jack evasivo. «È venuto a bordo poco prima che fossimo rimandati a casa e poi è passato alla Mars.» «Un uomo capace, brillante?» «Oh», fece Jack, guardando al di là della testa di Stephen la Boadicea, un bello spettacolo sul mare deserto, «sull'Agamemnon il quadrato era piuttosto affollato, essendo una nave ammiraglia, perciò io lo conoscevo a malapena. Ma dopo di allora si è fatto una notevole fama.» Stephen sbuffò ironico. Sapeva bene quanto Jack detestasse parlare male dei suoi ex compagni e, sebbene in teoria apprezzasse quel comportamento, in pratica lo trovava abbastanza irritante. La conoscenza di Jack con Lord Clonfert, per quanto breve, aveva al contrario lasciato il segno. Avevano ricevuto l'ordine di portarsi con le scialuppe a catturare, incendiare o distruggere un veliero corsaro all'ancora nell'acqua bassa di un'insenatura ampia e riparata dai cannoni dell'Agamemnon, un estuario fiancheggiato da mangrovie, i cui canali non segnalati fra le sponde fangose presentavano interessanti problemi di navigazione, in particolare perché le scialuppe dovevano avanzare sotto il fuoco del veliero corsaro e di alcuni cannoni piazzati sulla sponda. Le imbarcazioni di Clonfert avevano imboccato il canale a nord, Jack aveva portato le sue in quello a sud e, quando si era trattato di spingerle velocemente nell'ultimo tratto di acque libere dove la nave era ormeggiata, le scialuppe di Clonfert si erano trovate raggruppate dietro una lingua di terra, leggermente più vicine al veliero. Jack era sbucato dallo stretto canale, aveva sventolato il tricorno, gridato per incitare gli uomini «avanti Patrick O'Brian
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tutta, adesso» e aveva puntato sulle lande di dritta dell'albero di mezzana attraverso il fumo denso, convinto che Clonfert avrebbe abbordato la nave dall'altra parte. Aveva udito il grido di acclamazione in risposta, ma era quello di chi stava a guardare più che partecipare; le scialuppe di Clonfert non intendevano I muoversi. Jack se ne era reso conto nelle ultime cinquanta iarde, ma si era ormai spinto troppo avanti e non poteva fare altro che continuare. Gli uomini del veliero si erano battuti duramente, avevano ucciso parecchi dell'Agamemnon, fra cui un allievo al quale Jack era affezionatissimo, e ne avevano feriti molti altri. Per qualche minuto l'esito era stato incerto, la lotta un combattimento corpo a corpo particolarmente feroce nella luce che andava morendo, e a un tratto il comandante francese, lanciando contro Jack le pistole scariche, si era tuffato in mare, imitato dalla maggior parte degli uomini rimasti. Non intendeva però cercare rifugio sulla terraferma, ma raggiungere la seconda batteria di cannoni che aveva piazzato sulla spiaggia e che aveva puntato dritta contro la nave, per spazzarle la coperta con la mitraglia a distanza ravvicinata. Jack, pur essendo stato colpito con violenza alla testa, non aveva perduto la prontezza di riflessi, e non era ancora partita la prima scarica che lui aveva già fatto tagliare le gomene e mollare il parrocchetto che si era gonfiato con la brezza da terra, così che quando il fuoco del cannone era iniziato la nave aveva già un certo abbrivo. Con la fortuna che non lo aveva mai abbandonato in quei giorni aveva portato il veliero nell'unico canale abbastanza profondo e il vento leggero lo aveva sospinto al largo; non prima comunque che la mitraglia avesse ferito un altro uomo, tranciato le drizze della mezzana e raggiunto lui nelle costole con una ferita simile a quella infetta da un attizzatoio incandescente, un colpo che lo abbatté in una pozza di sangue. Clonfert aveva preso il comando e, raccolte le altre scialuppe, erano tornati all'Agamemnon. Jack era a malapena cosciente, addoloratissimo per la morte dell'allievo, la mente ottenebrata dal dolore della ferita e dalla febbre che era sopravvenuta subito in quel clima; e le spiegazioni ansiose di Clonfert - era stato bloccato dal fango... proprio sotto il fuoco della batteria sulla spiaggia... sarebbe stato un suicidio muoversi... stava per sbarcare e prenderla alle spalle quando Aubrey aveva attaccato così valorosamente non gli erano sembrate né interessanti né importanti. Una volta guarito aveva trovato strano che la lettera ufficiale non contenesse il suo nome e attribuisse a Clonfert praticamente tutto il merito, anche se a quel tempo Patrick O'Brian
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Jack era inferiore a lui di grado; e una mezza dozzina di uomini della nave corsara, rimasti a bordo perché non sapevano nuotare, si erano difesi e avevano dovuto essere ridotti all'impotenza dopo che Clonfert aveva assunto il comando. Clonfert si era poi trasferito subito sulla Mars e Jack, diretto in patria sull'Agamemnon, aveva ben presto dimenticato l'incidente, rimanendo soltanto con la convinzione interiore che Clonfert fosse poco intelligente e che mancasse di intraprendenza oppure di coraggio. Nessuno degli altri ufficiali aveva fatto commenti, un silenzio significativo, e nelle vicende tumultuose degli anni che erano seguiti Jack avrebbe finito per dimenticare completamente Clonfert, se non fosse stato per il chiasso che si faceva ogni tanto intorno al suo nome sulla stampa, come quando aveva subito un processo per adulterio con la signora Jennings o quando era comparso davanti alla corte marziale per aver battuto un altro ufficiale sul cassero della nave di Sua Maestà Ramillies, e qualche volta più favorevolmente sulla Gazette. La corte marziale lo aveva condannato e si era dovuto dimettere dal servizio e, sebbene fosse stato successivamente riammesso, aveva ovviamente perduto l'anzianità; d'altro canto, durante quel periodo aveva preso servizio presso i turchi e l'esperienza gli era stata molto utile quando, una volta tornato nella marina, aveva seguito Sir Sydney Smith. Si trovava a San Giovanni d'Acri con quel gentiluomo piuttosto avventuroso quando Smith aveva costretto Napoleone a ritirarsi,* [* Sir William Sydney Smith (1764-1840), ammiraglio inglese (dal 1821), dopo aver sottoscritto a Costantinopoli il trattato d'alleanza anglo-turco (1799) si recò con una squadra navale in Siria e costrinse Napoleone a togliere l'assedio a San Giovanni d'Acri. (N.d.T.)] e aveva partecipato ad altre azioni onorevoli, per lo più sulla terraferma. Smith lo aveva lodato pubblicamente: fra Clonfert e l'ammiraglio i rapporti erano in effetti molto buoni, li si vedeva passeggiare insieme per le vie di Londra in abiti orientali, ed era a lui che Clonfert doveva il suo attuale grado di comandante. Jack sapeva bene che talvolta la Gazette sopprimeva la verità e suggeriva il falso, ma sapeva anche che non poteva inventarsi di sana pianta vittorie come la distruzione di una squadra turca o i cannoni inchiodati ad Abydos; in quelle occasioni si era chiesto se non si fosse sbagliato sulla mancanza di coraggio di Clonfert. Un pensiero sul quale non indugiò in quel momento, tuttavia: a parte il fatto che umanamente Clonfert non gli era simpatico, era un seguace di Smith e Smith, sebbene brillante e audace, era un uomo vanesio che amava mettersi in mostra e Patrick O'Brian
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che aveva dato molti fastidi a Nelson nel Mediterraneo. L'ammirazione e il rispetto di Jack per Nelson erano tali che chiunque non li condividesse non poteva essere considerato suo amico. I suoi pensieri andarono agli ammiragli, alle loro rivalità, alle conseguenze nefaste di quelle rivalità, ai problemi di un ruolo di comando elevato e alla solitudine che questo necessariamente comportava. «Fratello! Che cosa ti occupa la mente?» lo interruppe Stephen. «Supereremo certamente il mio banco di alghe se continuerai a remare con questa foga sconsiderata. Che hai nell'animo? La paura dei francesi, senza dubbio.» «Certamente», rispose Jack, sollevando i remi dall'acqua, «il cuore mi si ferma al pensiero. Ma più ci avviciniamo al Capo, più sono preoccupato della possibilità di un'insegna con quel che ne consegue.» «Non ti capisco... leggermente più a sinistra, per cortesia, mi pare di vedere un cefalopode fra le alghe... se n'è andato, il mascalzone. Rema piano, sii gentile, e io tirerò la mia piccola rete. Non ti capisco, dicevo: la nave ha già una bellissima insegna, non puoi non averla notata.» Accennò alla Boadicea, dal cui colombiere pendeva la lunga fiamma che indicava come la nave fosse in missione. «Quella che intendo io è l'insegna di comando», disse Jack mentre Stephen lo guardava con aria di non capire, «l'insegna che mostra che sei un commodoro, con tutto ciò che comporta quell'alto comando. Per la prima volta fai sventolare la bandiera di ammiraglio e hai le stesse responsabilità di un ammiraglio.» «E con ciò, amico mio? So per certo che tu hai sempre esercitato il comando in modo efficiente, dubito che io stesso avrei potuto fare meglio. Che cosa puoi desiderare di più, per amor del Cielo?» Solo in piccola parte l'attenzione di Stephen era rivolta a quell'argomento, perché tutto il resto era concentrato sul cefalopode, anche se in effetti continuò a dire qualcosa sui commodori: se li ricordava perfettamente... il capo della flotta della Compagnia delle Indie che li aveva soccorsi in modo così provvidenziale dopo il loro scontro con Monsieur de Linois * [* Charles-Alexandre-LéonDurand, conte di Linois (1761-1848), ammiraglio francese. Riportò, con forze inferiori, due vittorie su Lord Cochrane nella baia di Algeciras (6 e 13 luglio 1801). Nel 1806, durante una crociera in India, venne catturato dagli inglesi. Liberato dopo otto anni, fu nominato da Luigi XVIII governatore della Guadalupa, che peraltro dovette ben presto abbandonare Patrick O'Brian
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ai britannici (1814). (N.d.T.)] veniva chiamato appunto commodoro. «Ma non capisci!» esclamò Jack, il pensiero fisso sulla questione del comando. «Si è sempre trattato di comandare a una sola nave. Si è addestrati a questo, per noi è una cosa naturale. Ma un alto comando è qualcosa che ti capita all'improvviso, senza nessuna esperienza. Sotto di te hai dei comandanti e dirigere uomini che sono pari a Dio sulle loro navi è molto diverso dal governare un equipaggio che hai sempre sotto gli occhi. I comandanti non li scegli, e non te ne puoi nemmeno liberare tanto facilmente: se non si è in grado di comandarli nel modo giusto, tutta la squadra è inefficiente e allora tutto va a catafascio. Una buona comprensione reciproca è importantissima. Per Nelson era uno scherzo... lo sai, la squadra di fratelli, la chiamava...» La voce gli si spense e mentre fissava Stephen frugare fra le alghe ripensò ai casi in cui ammiragli e commodori non avevano avuto il dono di Nelson: un triste elenco, rancori e amarezze, azioni inconclusive, occasioni d'oro gettate al vento per mancanza di sostegno reciproco, obbedienza rigida alla lettera delle istruzioni di battaglia, corti marziali e, soprattutto, le scorribande indisturbate del nemico sui mari. «La reputazione di Corbett è abbastanza solida, e anche quella di Pym», disse quasi parlando a se stesso, soggiungendo poi a voce più alta: «Ma ora che ci penso, Stephen, tu devi sapere tutto di Clonfert. È un tuo conterraneo, un tipo importante, mi pare, in Irlanda». «Sì, il titolo è irlandese, ma Clonfert è inglese quanto lo sei tu. Il suo cognome è Scroggs. Possiedono qualche acro di terra paludosa e quello che loro chiamano un castello vicino a Jenkinsville, nel cupo nord dell'Irlanda. Conosco bene il posto, ci cresce l'anthea foetidissima, e hanno anche una proprietà terriera a sud del Curragh of Kildare, terra confiscata ai Desmon. Ma dubito che ci abbia mai messo piede. Un agente scozzese si occupa di riscuotere gli affitti che riesce a spremere.» «Ma lui è un pari irlandese, non è vero? Un uomo di un certo peso, no?» «Che Dio benedica la tua innocenza, Jack: un pari irlandese non è necessariamente una persona importante. Non vorrei dire cose sgradevoli sul tuo paese, e d'altronde molti dei miei migliori amici sono inglesi, ma tu non puoi ignorare che negli ultimi cento anni e passa è invalsa la pratica da parte dei vari governi di ricompensare i loro seguaci meno presentabili con un titolo irlandese; e i vostri politicanti da strapazzo, maneggioni e speculatori, insigniti di uno stemma e trapiantati in un Paese dove sono Patrick O'Brian
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stranieri, costituiscono uno spettacolo miserando, una penosa imitazione. Mi dispiacerebbe se i pari irlandesi, almeno la maggior parte di loro, fossero davvero irlandesi. A parte qualche Lord della marina che il governo non desidera avere nel parlamento, sono un insieme tutto sommato squallido, fuori posto in Irlanda e a disagio in Inghilterra. Non parlo dei tuoi Fitzgerald * [* Lord Edward Fitzgerald (1763-1798). Dopo aver militato in America nelle file dell'esercito inglese, tornò in patria e venne eletto deputato. Nel 1792 si recò a Parigi dove incontrò Thomas Paine e si convertì ai princìpi rivoluzionari: ripudiò il proprio titolo di duca e venne espulso dall'esercito inglese. Rientrato in Irlanda, mentre organizzava l'insurrezione fu tradito da un delatore e incarcerato a Dublino, dove morì. (N.d.T.)] e Butler, capisci, e ancor meno delle poche famiglie originarie irlandesi che sono sopravvissute, ma di quelli che sono chiamati comunemente i pari d'Irlanda. Il nonno di Clonfert, per esempio, era un semplice... Jack, che stai facendo?» «Mi tolgo la camicia.» «Vuoi fare il bagno subito dopo pranzo, e che pranzo? Non te lo consiglio. Sei molto corpulento, pieno di umori grassi e viscosi dopo settimane, mesi di cucina di Poirier. E già che siamo in argomento, mio caro, è mio dovere metterti in guardia contro la gola, contro l'appetito sfrenato... un vizio bestiale, sostanzialmente induttore del peccato di Eva... ghiottoneria, ghiottoneria... la gola ha ucciso più gente di quanta Avicenna non ne abbia curata...» continuò mentre Jack si toglieva i pantaloni. «E così sei deciso a fare il bagno, eh?» disse poi, osservando il suo compagno nudo. «Vuoi farmi vedere la schiena?» Fece scorrere il dito lungo la cicatrice violacea e domandò: «Ti fa male in questi giorni?» «Appena un po', stamattina», rispose Jack, «altrimenti, da quando siamo usciti dal canale della Manica e fino a ieri, mai una fitta. Una nuotata...» continuò, scivolando fuori bordo e immergendosi nell'acqua limpida e azzurra, con i lunghi capelli biondi fluttuanti, «... è quello che ci vuole», finì, ritornando a galla e soffiando con forza. «Dio, com'è rinfrescante, anche se è tiepida come il latte. Vieni anche tu, Stephen, nuota finché puoi. Domani raggiungeremo le correnti fredde verso nord, le acque verdi e i venti occidentali. Tu avrai i tuoi fulmari, le tue procellarie e forse i tuoi albatri, ma non potrai più nuotare fino a quando non avremo raggiunto il Capo.»
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CAPITOLO III Da quando la Boadicea aveva avvistato terra, a bordo si era lavorato febbrilmente, per dare allo splendore della nave gli ultimi tocchi; ora avevano quasi finito e la fregata procedeva nella False Bay con una leggera brezza che arrotondava i coltellacci e si portava via l'odore di pittura fresca. L'unico punto che ancora oscurava la perfezione della scacchiera bianca e nera alla Nelson era quello occupato dagli aiuti del carpentiere che applicavano il carminio con cura ansiosa al le labbra, alle guance e al petto dell'opulenta quanto insipida regina inglese. Jack, già splendido nella sua migliore uniforme, era all'impavesata di dritta del cassero, con il signor Farquhar accanto. Un po' più a prua il cannoniere soffiava sulla miccia lenta accanto al cannone lucido da nove libbre; tutti gli altri pezzi erano rizzati e allineati con la perfezione di un reggimento delle Guardie durante una parata, le brache d'affusto imbiancate con il gesso. Seymour era un comandante in seconda molto coscienzioso e il ponte offriva un vero spettacolo con il biancore lucido del legno, l'ebano dei comenti da poco ripassati con la pece, i sequari ben addugliati, una serie di spirali esatte che nessuno osava toccare, i pochi pezzi di ottone concessi dal comandante scintillanti nel sole, non un granello di polvere da prua a poppa, le stie dei polli e il maiale superstite calati nella stiva insieme con la capra che, nel silenzio generale, reclamava con belati furiosi il suo tabacco. Silenzio generale, poiché tutti gli uomini erano in coperta nei loro abiti della domenica e contemplavano ansiosi e muti la costa sulla quale si vedeva camminare la gente, in gran parte di colore: camminare sulla terraferma, fra gli alberi! I soli rumori che si sentivano, a parte la capra, erano l'abbaiare del nocchiere che pilotava la nave dal castello di prua, la risposta rituale del timoniere, la cantilena dell'uomo allo scandaglio sul parasartie: «Al segno quindici, al segno quindici e mezzo, quindici, al fondo sedici, e mezzo, quindici», e la voce del comandante che stava indicando al suo ospite vari punti della costa. «Quello scoglio piatto noi lo chiamiamo l'Arca di Noè e laggiù in fondo c'è l'isola delle Foche, al dottore piacerà. Di là dall'Arca dove si vede la spuma bianca c'è Roman Rock; noi passeremo nel mezzo. Dovremmo entrare nella Simon's Bay da un momento all'altro. Signor Richardson, prego, vedete se il dottore è pronto, se può salire in coperta... gli dispiacerà essersi perso lo spettacolo. Sì, ci siamo», riprese, guardando nel Patrick O'Brian
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cannocchiale mentre la rada interna appariva davanti a loro. «La Raisonnable, vedete? Vascello a due ponti, poi la Sirius, dietro c'è la Néréide, un buon ancoraggio, poi un veliero che non riconosco affatto. Signor Seymour, che cosa dite del brigantino con gli alberi di gabbia sul ponte?» A quel punto, battendo le palpebre per la luce viva, comparve Stephen che si asciugava le mani sporche di sangue su un vecchio berretto da notte e in una tenuta alquanto trasandata. «Ah, ecco il nostro dottore!» esclamò Jack. «Finito di segare il povero Francis? Come sta? Bene, voglio sperare!» Francis, fino a quel giorno il più popolare gabbiere della nave, tentando di dorare la formaggetta dell'alberetto di gabbia, aveva perduto l'appiglio e aveva fatto una caduta spettacolare da quell'altezza vertiginosa, evitando il ponte e una morte certa grazie al rollio della fregata, ma sfiorando il portello del cannone numero dodici a tale velocità da acciaccarsi il torace e soprattutto da rovinare la pittura fresca, la canaglia. «Se la caverà», rispose Stephen, «questi giovanotti sono fatti d'acciaio e di un cuoio particolarmente resistente. E così questa è l'Africa.» Guardò avidamente la costa, la cui flora di straordinaria ricchezza era il rifugio ben noto dell'oritteropo, del pangolino, della giraffa; di uccelli innumerevoli capeggiati dallo struzzo. «E quello», soggiunse, indicando un promontorio in distanza, «quello sarebbe il temutissimo Capo delle tempeste, senza dubbio?» «Non esattamente», disse Jack. «Il Capo è lontano a poppa; mi dispiace che tu non l'abbia visto. L'abbiamo doppiato molto da vicino mentre eri occupato. Ma la Table Mountain l'hai vista, non è vero? Ho mandato ad avvertirti.» «Sì, sì, te ne sono grato, nonostante l'ora indecente. Potrebbe essere paragonata al Ben Bulben in Irlanda.» «Curiosa, no? E adesso qui sulla masca di sinistra... no, ho detto di sinistra... c'è Simon's Bay, un bell'ancoraggio. E la Raisonnable, che ha inalberato la bandiera.» «Quello sarebbe un vascello da guerra?» domandò Farquhar. «Davvero imponente.» «Dubito che un vascello da sessantaquattro cannoni possa stare in una formazione al giorno d'oggi», disse Jack, «e in ogni caso la Raisonnable è stata costruita cinquant'anni fa e se sparasse una bordata credo che cadrebbe a pezzi, ma mi fa piacere che sembri imponente. Quella è la Sirius, una nave molto più potente, in effetti, anche se ha una sola batteria Patrick O'Brian
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di cannoni, trentasei da diciotto libbre, più o meno la stessa nostra potenza di fuoco. Poi c'è un'altra fregata, vedete? La Néréide, trentasei cannoni, ma solo da dodici libbre. E là c'è quel curioso brigantino.» «Prego, signore, perché sono in porto?» domandò Farquhar. «Da quel che so quelle navi e un veliero più piccolo chiamato Otter sono quasi tutto ciò che abbiamo per proteggere il traffico commerciale con l'India. Lo chiedo per pura curiosità.» «Oh», disse Jack. «Sono alla fine della stagione dei tifoni lassù, un'operazione di blocco di Mauritius non sarebbe possibile nella stagione dei tifoni. Probabilmente sono qui per le riparazioni e i rifornimenti... non c'è niente da fare per loro duemila miglia più a nord... Signor Johnson, credo che possiate cominciare a ridurre la velatura.» Continuava a guardare nel cannocchiale: la Boadicea aveva già alzato il suo nominativo e Jack cercava di vedere l'imbarcazione dell'aiutante del comandante del porto staccarsi da terra. Ed eccola là, che aveva appena lasciato il molo. Sebbene la fregata avesse soltanto le gabbie e i parrocchetti, continuava a scivolare rapidamente sull'acqua, sospinta dall'onda lunga moderata e dalla marea crescente, e la costa si andava avvicinando rapidamente. Il momento in cui la residenza dell'ammiragliato fosse stata inquadrata nel cannocchiale, avrebbe dato ordine di cominciare il saluto e mentre aspettava quel momento Jack aveva la stranissima sensazione che, con la prima salva, l'Inghilterra e tutta la lunga traversata verso sud sarebbero svanite nel passato. «Procedete, signor Webber», disse, e non aveva ancora finito di parlare che il cannone da nove libbre porse i suoi rispetti con una lingua di fuoco e una nuvola di fumo. «Uno, fuoco!» gridò il cannoniere, e l'eco ritornò rapida dalle montagne. «Due, fuoco. Tre, fuoco...» Al diciassettesimo cannone la grande baia era un rimbombo continuo e prima che gli echi si spegnessero uno sbuffo di fumo apparve sulla murata della Raisonnable, seguita un secondo dopo dal tuono cupo. Nove cannoni spararono, la risposta dovuta a un comandante, e dopo il nono si udì la voce acuta dell'allievo addetto ai segnali della Boadicea, il giovane Weatherhall. «L'ammiraglia sta segnalando, signore!» Poi il tono si fece più basso mentre proseguiva: «Il comandante si porti a bordo dell'ammiraglia». «Confermate», disse Jack. «Calare la iole. Dov'è il mio timoniere? Passa parola per il mio timoniere.» Patrick O'Brian
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«Mi dispiace, signore», disse Johnson arrossendo. «Moon è ubriaco.» «Dannazione! Crompton, saltate nella iole! Signor Hill, ci sono tutte le mie carte? Tutte quante?» Stringendo al petto il pacchetto di documenti sigillati e avvolti nella tela, scese di corsa lungo la murata, saltò nell'imbarcazione nel momento in cui era sulla cresta dell'onda e ordinò: «Via!» Erano passati moltissimi anni da quando era stato là sulla Resolution come allievo, allievo anziano, eppure ricordava perfettamente ogni cosa; si vedeva un maggior numero di abitazioni civili nel villaggio in fondo alla baia, ma tutto il resto era identico: il fragore della risacca, le scialuppe delle navi da guerra che andavano e venivano, l'ospedale, le caserme, l'arsenale: avrebbe potuto essere lo stesso ragazzo allampanato che tornava alla Resolution dopo aver pescato dagli scogli. Si sentiva in preda a una piacevole eccitazione, ricordi innumerevoli gli si affollavano nella mente, e al tempo stesso provava un'apprensione che non avrebbe saputo definire. «Chi va là?» «Boadicea», rispose il timoniere con voce stentorea; poi, più piano, soggiunse: «Fila remi!» La iole toccò l'alta murata della nave ammiraglia e i mozzi corsero giù con i loro guardamano scarlatti, il nostromo iniziò a fischiare e Jack venne accolto a bordo. Mentre si toglieva la feluca, ebbe un vero trauma nel rendersi conto che la figura alta, incurvata e dai capelli bianchi che rispondeva al suo saluto era l'ammiraglio Bertie, incontrato l'ultima volta a Port of Spain come comandante della Renown, un comandante giovane, scattante e arzillo; e un pensiero gli attraversò la mente fra mille altri: «Forse non sei più tanto giovane nemmeno tu, Jack Aubrey». «Eccovi, finalmente, Aubrey», lo salutò l'ammiraglio, stringendogli la mano. «Sono davvero contento di vedervi. Conoscete il comandante Eliot?» «Sì, signore, eravamo insieme sulla Leander nel '98. Come state, signore?» Prima che Eliot potesse rispondere con qualcosa di più di una ulteriore accentuazione del sorriso che gli illuminava la faccia da quando Jack si era affacciato all'impavesata, l'ammiraglio continuò: «Direi che quelle carte sono per me, non è vero? Venite, andiamo nella cabina». Splendore, opulenza, tappeti; un ritratto della signora Bertie grassottella e soddisfatta. «Bene», riprese l'ammiraglio, armeggiando con l'involucro, «e così avete Patrick O'Brian
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avuto una traversata tediosa; ma forse anche uno dei vostri colpi di fortuna? Vi chiamavano Jack Aubrey il Fortunato nel Mediterraneo, se ben ricordo. Accidenti a questi sigilli.» «Non si è quasi mai vista una vela, signore, ma abbiamo avuto un piccolo scontro al largo delle Selvagens e abbiamo ripreso la vecchia Hyaena.» «Davvero? Davvero l'avete ripresa? Be', mi fa un immenso piacere...» I documenti erano finalmente liberi e dando una scorsa alle carte l'ammiraglio disse: «Sì, li stavo aspettando. Dobbiamo portarli subito al governatore. Ma voi avete a bordo un politico, vedo. Tale Farquhar? Dovrà venire anche lui: manderò la mia lancia in segno di omaggio, non si è mai troppo cortesi verso codesti signori. Farete meglio a indossare abiti leggeri, anche: ci sono venti miglia da qui a Città del Capo. Il governatore non troverà da ridire su brache e giacca corta». Dati gli ordini, si fece portare una bottiglia di vino. «Questo è vero Diamant del 1801, Aubrey», disse, rimettendosi a sedere. «Troppo buono per voi giovanotti, ma in considerazione del fatto che avete ripreso la vecchia Hyaena... Sono stato allievo su quella nave. Sì.» Gli occhi celesti slavati guardarono indietro di quarantacinque anni. «Non c'erano ancora le carronate a quei tempi...» Ritornando al presente, bevve il vino, dicendo: «Spero che la fortuna non vi abbandoni, Aubrey, ne avrete bisogno qui. Bene, e così dobbiamo salire su quella dannata montagna, una grande stancata con questa polvere infernale: polvere dappertutto, pioggia o bel tempo; un intero esercito di ramazze non riuscirebbe a venirne a capo. Vorrei non dover andare. Se non fosse per il lato politico della questione, vi farei prendere il mare appena fatto rifornimento d'acqua. La situazione è molto peggiore di quando siete partito dall'Inghilterra, molto peggiore di quando sono stati scritti questi ordini. I francesi hanno catturato altre due navi della Compagnia da questa parte del canale fra le isole Andamans e Nicobar, l'Europe e la Streatham, dirette in patria con un carico preziosissimo». «Mio Dio, signore, è una grande disgrazia», esclamò Jack. «Sì, lo è. E le cose peggioreranno se non riusciamo a ribaltare la situazione in fretta. Dev'essere fatto ed è fattibile, oh, sì, con un po' di intraprendenza... forse dovrei aggiungere con un po' di fortuna, anche se per scaramanzia non bisognerebbe nominarla la fortuna.» Toccò legno, rifletté per qualche istante, poi disse: «Ascoltate, Aubrey, prima che il vostro signor Farquhar salga a bordo... prima che ci impegoliamo in Patrick O'Brian
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considerazioni politiche, voglio spiegarvi la situazione con la massima chiarezza. A Mauritius e alla Réunion ci sono quattro fregate francesi in aggiunta alle forze già di stanza là l'anno scorso: hanno a loro disposizione Port Louis e Grand Port a Mauritius e Saint-Paul alla Réunion, e separatamente o a coppie possono spingersi fino alle Nicobar e più in là, in pratica coprire tutto l'oceano Indiano. Non è possibile scortare tutti i convogli, non abbiamo navi e nemmeno è possibile bloccare i francesi nei porti in eterno. Perciò bisogna distruggerle una per una nelle loro acque oppure bisogna togliere loro le basi, conquistandole. Con questo in mente, abbiamo preso e fortificato Rodriguez con una parte del Cinquantaseiesimo e con un contingente di sepoys da Bombay, per permettere i rifornimenti d'acqua essenzialmente e in secondo luogo come base per i rinforzi che dovrebbero arrivare dall'India col tempo. Al momento sull'isola ci sono solo quattrocento uomini, ma speriamo di averne di più l'anno prossimo: è una questione di trasporti. Conoscete Rodriguez?» «Sì, signore. Non sono mai sceso a terra, però.» Rodriguez: un remoto lembo di terra abbastanza spoglio di vegetazione, solitario in mezzo all'oceano, a trecentocinquanta miglia da Mauritius; lo aveva avvistato dal colombiere della sua cara Surprise. «Così perlomeno potrete rifornirvi d'acqua. In quanto alle navi, avrete la Boadicea, naturalmente; la Sirius, con un bravo e affidabile comandante, Pym, regolare come un orologio; la Néréide, solo cannoni da dodici e abbastanza in là con gli anni, ma Corbett la mantiene in ottimo stato anche se non ha molti uomini; l'Otter, una corvetta veloce e utile, da diciotto cannoni, anche questa in eccellenti condizioni. La comanda Lord Clonfert e dovrebbe essere qui da un momento all'altro. Io posso darvi la Raisonnable, tranne che nei mesi dei tifoni, perché non sarebbe in grado di affrontarli. Non è più quella che era al tempo della mia gioventù, ma abbiamo fatto carena qualche settimana fa ed è abbastanza veloce. Perlomeno può tenere testa alla Canonnière, che è ancora più vecchia; e fa una certa impressione. Potrei forse essere in grado di aggiungere la Magicienne da Sumatra fra un po' di tempo e la Victor, un'altra corvetta. Ma anche senza di loro, tenendo conto che la Raisonnable annulla la Canonnière, tre fregate ben comandate e una potente corvetta non dovrebbero essere insufficienti ad affrontare le quattro francesi.» «Certamente no, signore», disse Jack. L'ammiraglio stava parlando come Patrick O'Brian
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se l'insegna di commodoro di Jack fosse una certezza. «Nessuno pretende che sia un compito facile, comunque. Le francesi sono la Vénus, la Manche, la Caroline - è stata quest'ultima a catturare le ultime due navi della Compagnia - e la Bellone, tutte e quattro nuove e da quaranta cannoni. Hanno poi la Canonnière, come ho già detto, che ha ancora i suoi cinquanta cannoni, il nostro brigantino Crappler, parecchi esploratori e altre piccole cose. E, ve lo dico subito, Aubrey, se isserete la vostra insegna non potrò farvi avere un comandante sotto di voi. Se vi sposterete sulla Raisonnable temporaneamente, Eliot potrà sostituirvi sulla Boadicea; ma non posso darvi un comandante.» Jack accennò un inchino. Non ci aveva contato in realtà: nelle basi lontane non c'era abbondanza di capitani di vascello e poi, se il commodoro avesse avuto sotto di sé un comandante, questi avrebbe avuto diritto a un terzo della parte del denaro delle prede destinata all'ammiraglio. «Posso chiedervi se si sa qualcosa delle loro forze terrestri, signore?» domandò. «Sì, ma vorrei avere cifre più esatte. A Mauritius il generale Decaen ha due reggimenti di fanteria quasi completi e la sua milizia locale può ammontare a diecimila uomini o giù di lì. Le nostre informazioni sulla Réunion sono più scarse, ma sembra che la consistenza delle truppe del generale Desbrusleys sia più o meno la stessa. Oh, è una noce dura da rompere, ve lo garantisco io, ma deve essere rotta, e il prima possibile. Dovrete colpire duramente e rapidamente con le vostre forze concentrate mentre le loro sono disperse: in parole povere, dovrete andare là e vincere. Il governo si farà prendere da una grande agitazione quando sarà arrivata in Inghilterra la notizia della cattura dell'Europe e della Streatham e questa è una di quelle situazioni in cui bisogna produrre risultati immediati. Non starò a menzionare l'interesse della nazione, naturalmente, ma dirò che da un punto di vista puramente personale, se riuscirete, c'è la possibilità che siate fatto baronetto o persino pari; e se non riuscirete, ci sarà la terraferma e la mezza paga per tutto il resto della vostra vita.» Entrò di corsa un allievo. «I saluti del comandante, signore. Volete che venga fatto il saluto al gentiluomo nella lancia?» «Certamente, come a un ammiraglio.» Nella pausa che seguì, l'ammiraglio contemplò con aria assente il ritratto della moglie. «Non vi piacerebbe essere fatto Lord, Aubrey? A me certamente sì. La signora Bertie desidera da tanto tempo bagnare il becco alla sorella.» Patrick O'Brian
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* Nella zona civile di Simonstown, pur essendo questa poco più di un villaggio, si vedevano taverne, chioschi che vendevano bibite e locali di divertimento a sufficienza per un posto così modesto. In uno di questi, sull'imbrunire, entrò Stephen Maturin, un mazzo di orchidee in mano, stanco, assetato e coperto da capo a piedi di polvere africana; ma era felice, avendo trascorso la prima mezza giornata a terra arrampicandosi su una montagna coperta di vegetazione in gran parte a lui sconosciuta e abitata da uccelli interessantissimi, alcuni dei quali aveva riconosciuto dalle descrizioni pubblicate: aveva anche visto tre quarti di una femmina di iena maculata e aveva scoperto a una certa distanza la parte mancante, compreso il muso malinconico, nell'atto di essere divorata dal suo vecchio amico, l'avvoltoio, una piacevole combinazione di presente e passato, di due mondi tra loro distanti. Chiese vino e acqua, li mescolò in proporzione con la sua sete, mise le orchidee nella brocca e bevve finché non ricominciò finalmente a sudare. A parte l'oste e tre graziose cameriere malesi, nella stanza poco illuminata si trovavano solo altre due persone, un ufficiale molto grosso in un'uniforme che Stephen non seppe riconoscere, un uomo massiccio e dall'aria cupa, con favoriti grandi e folti, alquanto simile a un orso malinconico; e il suo compagno, più smilzo e insignificante, seduto comodamente in maniche di camicia, con le brache sbottonate al ginocchio. L'ufficiale triste parlava un inglese scorrevole anche se strano, privo di articoli, mentre l'accento dell'individuo più piccolo, aspro e duro, era chiaramente dell'Ulster. Stavano discutendo della presenza reale, ma non avevano sviluppato del tutto il discorso quando entrambi esclamarono all'unisono, l'ufficiale triste con una voce di basso così profonda quale Stephen non aveva mai sentita: «Niente papa, niente papa, niente papa!» Le tre ragazze malesi fecero cortesemente eco: «Niente papa», e, come se quello fosse stato un segnale, portarono le candele e le accesero in vari punti della stanza. La luce cadde sulle orchidee di Stephen e sul contenuto del suo fazzoletto, quattordici coleotteri curiosi, raccolti per il suo amico, Sir Joseph Blain, un tempo capo del servizio informazioni della marina; Stephen stava studiandone uno, un bupestride, quando si accorse che una forma scura, l'orso malinconico, ondeggiava leggermente sulle gambe Patrick O'Brian
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accanto a lui. «Golovnin,* [* Vasilij Michailovic Golovnin (1776-1831), navigatore e ufficiale della marina russa, in gioventù prestò servizio come volontario in quella inglese, come viene detto più avanti, in questo stesso capitolo. Dopo il 1806 viaggiò nel Pacifico settentrionale, visitando in particolare le isole Curili, dove uno stretto porta ancora il suo nome. Sui viaggi compiuti pubblicò alcuni volumi. (N.d.T.)] ufficiale di marina, comandante della corvetta di Sua Maestà Imperiale Diana», si presentò, sbattendo i tacchi. Stephen si alzò, si inchinò e disse: «Maturin, chirurgo della nave di Sua Maestà britannica, Boadicea. Prego, accomodatevi». «Voi avete anima», osservò Golovnin, accennando alle orchidee. «Anch'io ho anima. Dove avete trovato fiori?» «Su montagna», rispose Stephen, adeguandosi. Golovnin sospirò e, tirando fuori dalla tasca un piccolo cetriolo, cominciò a mangiarlo. Non rispose all'offerta del vino da parte di Stephen, ma dopo un po' disse: «Come si chiamano, fiori?» «Disa grandiflora», rispose Stephen, dopodiché cadde un lungo silenzio. Fu interrotto dal tipo dell'Ulster, il quale, stanco di bere da solo, portò la sua bottiglia e la posò sul tavolo di Stephen senza la minima cerimonia. «Io sono McAdam, dell'Otter», annunciò, mettendosi a sedere. «Vi ho visto all'ospedale stamattina.» Alla luce della candela Stephen lo riconobbe, non per averlo visto quella mattina, ma perché lo conosceva da molti anni: William McAdam, un medico dei pazzi di notevole fama a Belfast, che aveva lasciato l'Irlanda dopo il fallimento del suo manicomio privato. Stephen aveva assistito a una sua conferenza e aveva letto il suo libro sull'isteria con grande ammirazione. «Crollerà fra breve», osservò McAdam, indicando Golovnin che stava piangendo sulle orchidee. «E anche tu, collega», pensò Stephen, fissando il viso pallido e gli occhi iniettati di sangue di McAdam. «Gradite un goccetto?» «Vi ringrazio, signore», rispose Stephen, «ma credo che continuerò con il mio vino allungato e zuccherato. Che cosa c'è nella vostra bottiglia, prego?» «Ah, una specie di brandy che distillano da queste parti. Un vero torcibudella, io lo bevo per esperimento, non per piacere. Lui», disse, puntando il dito contro Golovnin, «lo beve per nostalgia, essendo la cosa che più assomiglia alla vodka nativa; e io lo incoraggio.» «Accennavate a un esperimento?» disse Stephen. Patrick O'Brian
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«Sì. Strobenius e altri affermano che un individuo ubriaco fradicio di spirito di grano cade all'indietro, mentre con il brandy cade in avanti. Se ciò fosse vero, ci direbbe qualcosa sui centri motori, se comprendete questa espressione. Il gentiluomo qui presente è il mio corpus vile. Incredibile la sua resistenza. Questa è la nostra terza bottiglia e lui ha bevuto un bicchiere dopo l'altro come me.» «Onoro la vostra devozione alla scienza, signore.» «Della scienza mi curo come di una scoreggia all'inferno, signore», disse McAdam. «L'arte è tutto. O la medicina è un'arte o non è. La medicina della mente, intendo, perché che cos'è la vostra medicina del fisico a parte purghe, mercurio e corteccia di chinina, che cosa sono i vostri letali trucchi chirurgici? Possono, aiutati dalla fortuna, sopprimere i sintomi, niente di più. D'altro canto, dov'è la vera fons et origo dei nove decimi delle vostre magagne corporali? Nella mente, ecco dov'è», affermò, battendosi l'indice sulla fronte. «E che cosa cura la mente? L'arte: nient'altro. L'arte è tutto. Questo è il mio campo d'azione.» Stephen pensò che McAdam era un praticante di quella o di qualunque altra arte alquanto malandato; un uomo, per di più, i cui tormenti interiori erano stampati chiaramente sulla faccia. Ma parlando con lui delle interazioni fra la mente e il corpo, dei casi interessanti che avevano osservato, false gravidanze, inspiegabili remissioni dei sintomi, dell'esperienza sul mare, del rapporto inverso fra stitichezza e coraggio, dell'efficacia provata dei placebo, la sua opinione su MacAdam migliorò; anzi, tra di loro si stabilì una stima reciproca e il tono di McAdam, arrogante e condiscendente, si fece persino cortese. Stava parlando a Stephen dei suoi pazienti a bordo dell'Otter (la maggior parte degli uomini dell'Otter erano, sensu stricto, mentalmente disturbati e c'era un caso che McAdam avrebbe voluto descrivere e nominare, non fosse stato per il segreto professionale, una catena di sintomi interessantissimi e particolarmente significativi), quando senza alcun preavviso Golovnin cadde dalla sedia, afferrandosi alle orchidee e rimanendo immobile, le ginocchia piegate come se fosse ancora seduto. Ma cadde di lato, un risultato del tutto inconcludente dell'esperimento. Al rumore della caduta, l'oste andò alla porta e fischiò. Due marinai colossali entrarono, e mormorando: «Andiamo, Vasilij Michailovic, su, piccolo padre», trasportarono il loro comandante fuori del locale nel buio della sera. «Non ha rovinato i miei fiori», disse Stephen, lisciandone i petali. «Sono Patrick O'Brian
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essenzialmente intatti. Avrete senza dubbio notato la curiosa circonvoluzione a spirale dell'ovario, così tipica di tutto l'ordine. Anche se forse il vostro campo non si estende alla botanica?» «Non si estende, infatti», confermò McAdam. «Sebbene le ovaie vi rientrino, e anche i testicoli... sto parlando metaforicamente, capite. Sono di umore giocondo. No. Lo studio appropriato dell'umanità è l'uomo. E vorrei osservare, dottor Maturin, che da parte vostra questo frugare negli organi sessuali di un vegetale mi sembra...» Ciò che sembrava al dottor McAdam non lo si seppe mai, perché anche per lui era arrivata l'alta marea. Si alzò in piedi, chiuse gli occhi e precipitò fra le braccia di Stephen, cadendo, notò Stephen, in avanti. L'oste arrivò con una carriola che teneva sotto il portico e, aiutato da un negro, Stephen trasportò McAdam fino al molo, incontrando lungo il percorso parecchi gruppi di allegri marinai in franchigia. Li chiamò, chiedendo se fra loro c'era qualcuno dell'Otter, ma nessuno volle uscire dal rifugio dell'oscurità per sacrificare un minuto della preziosa libertà a terra, e Stephen ebbe in risposta facezie come: «L'Otter ha salpato per il Rio Grande», «Quelli dell'Otter sono stati sbarcati al Nore», «Con l'Otter hanno fatto legna da ardere mercoledì scorso», finché non trovò un gruppetto della Néréide e una voce familiare gridò: «Ma è il dottore!» e accanto a lui si materializzò la forma possente di Bonden, il timoniere di Jack Aubrey fin dal suo primo comando. «Bonden, signore. Vi ricordate di me?» «Certo che mi ricordo, Bonden!» disse Stephen, stringendogli la mano. «E sono felicissimo di rivedervi. Come state?» «Piuttosto vispo, signore, grazie, e spero che anche voi stiate bene. Ora lascialo a me, Moro», disse rivolto al negro, «ci penso io.» «Il problema è, Bonden», disse Stephen dando al negro due stuiver e un penny, «il problema è come faccio a consegnare il mio carico alla sua nave, sempre ammettendo che ci sia la sua nave, una cosa che appare dubbia al momento. È il chirurgo dell'Otter, Bonden, un erudito, anche se un po' originale, e attualmente ottenebrato dall'alcol.» «L'Otter, signore? È entrata con la marea, meno di dieci minuti fa. Non vi preoccupate, chiamo la nostra scialuppa e ce lo porto io alla sua nave.» Si allontanò in fretta; poco dopo apparve al barcarizzo del molo il battellino di servizio della Néréide e Bonden vi depose il signor McAdam. Nonostante l'oscurità, Stephen notò che Bonden era rigido nei movimenti, Patrick O'Brian
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una rigidezza che si accentuò mentre remava sulle acque del porto verso la corvetta lontana. «Siete rigido come un manico di scopa, Barret Bonden», disse Stephen, «in un altro uomo direi che si tratta di frustate, ma non può essere certamente il vostro caso. Confido che non sia una ferita o un reumatismo causato dall'umidità della sera?» Bonden si mise a ridere, ma senza molta allegria, e disse: «Oh, si tratta proprio di quattro dozzine di frustate, signore: il bronzo del numero nove non era abbastanza lucido». «Stento a crederci, Bonden, stento a crederci», disse Stephen. Ed era la verità. Bonden non era mai stato punito per quanto ne sapeva lui e anche in una nave dove il gatto a nove code lavorasse molto, cinquanta colpi di frusta erano una punizione barbara, riservata comunque a colpe particolarmente gravi. «E la cosa mi addolora. Andiamo alla Boadicea e vi darò un unguento.» «Sto bene ora, signore, ringraziandovi cortesemente. Sono salito a bordo da voi questo pomeriggio, ma non per un unguento: troverete la lettera che abbiamo scritto nella vostra cabina.» «Dite, di che si tratta?» «Be', signore», cominciò Bonden, appoggiandosi ai remi; ma ormai erano vicini alla murata di sinistra dell'Otter e in risposta al loro richiamo Bonden gridò: «Il vostro dottore sale a bordo: calate una cima!» L'Otter era evidentemente abituata: fu calata una ghia, Bonden la fece scivolare sotto le braccia di McAdam e il chirurgo svanì in alto. «Bene, signore», riprese Bonden, remando lentamente verso la Boadicea, «le cose stanno in questo modo. Quando me e Killick, che eravamo alle isole Sottovento, abbiamo sentito che il comandante era di nuovo in mare, siamo andati per raggiungerlo, come è certo: e ce n'era un mucchio nelle altre navi che hanno fatto come noi, vecchi della Sophie, della Surprise, persino uno della Polychrest, Bolton, quello secco allampanato che il comandante ha ripescato dal mare. Ah, se lui deve armare una nuova nave, non c'è pericolo che non trova la gente lui, non come qualche...» inghiottì la parolaccia con un colpo di tosse e continuò: «Comunque, dico, noi facciamo la richiesta e il comandante Dundas, un gran signore molto alla mano e amico del comandante, come voi sapete più che bene, signore, ci ha passato alla Néréide, comandante Corbett, per il Capo: come che il comandante Dundas è stato così gentile da dire che gli Patrick O'Brian
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dispiaceva di perderci e ha dato a Killick un vaso di gelatina di guava per il comandante. Ma la Néréide ha poca gente: e perché, dico io? Perché gli uomini se ne scappano appena possono. C'è stato Joe Lucas, per esempio, compagno di mensa, signore, come che lui ha nuotato per tre miglia al largo di St Kitts, pescecani e compagnia bella: è stato ripreso, frustato e lui se ne è andato via di nuovo, ha nuotato con la schiena che era una bistecca al sangue, con rispetto parlando, signore. E oggi, con solo dodici uomini in franchigia di tutta la nave, due se ne sono scappati su per la montagna, anche se là ci stanno le bestie feroci, lo so per certo, se ne sono scappati mollando trentotto mesi di paga e il danaro delle prede. Come per cui, signore, noi abbiamo paura, Killick e me e gli altri, che il comandante Corbett non ci lascia andare sulla Boadicea e così abbiamo scritto questa lettera a voi, signore. Perché il comandante non vogliamo disturbarlo, che sta per issare l'insegna da un momento all'altro, dicono, e ha troppo da fare. E così speravamo che voi potevate mettere una buona parola, come per caso, quando vi pare il momento a voi, signore». «Lo farò certamente. Ma potevate rivolgervi direttamente al comandante Aubrey senza nessun problema; ha il migliore ricordo di voi, spesso parla del suo vero timoniere e rimpiange molto la vostra assenza.» «Davvero, signore?» disse Bonden, con una risatina chioccia di soddisfazione. «Ma anche così è molto gentile da parte vostra se direte una buona parola; una vostra parola, signore, conta molto. E noi non vediamo l'ora di venire via dalla Néréide.» «Non è una nave dove si sta bene, da quel che posso intuire.» «No che non lo è, signore.» Si appoggiò di nuovo ai remi e, guardando Stephen un po' in tralice, soggiunse: «È una nave dove rotolano le palle di cannone, ecco quello che è». Stephen non sapeva niente di navigazione né in teoria né in pratica, ma sapeva che quando una ciurma cominciava a far rotolare le palle di cannone sul ponte con la protezione delle tenebre, allora qualcosa non andava sul serio, perché lo stadio successivo era l'ammutinamento. Sapeva anche che su una nave normale sarebbe stato impensabile far frustare un uomo affidabile e sobrio come Bonden. «Non mi lamento, badate, signore», riprese Bonden, «e nemmeno voglio stare a dare giudizi, nossignore: sulla Néréide ci sono dei bastardi mica male, a prua e dalle altre parti e quando si arriva a certi punti il gatto cade sui buoni e sui cattivi uguale. E io spero di sapermi prendere cinquanta Patrick O'Brian
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frustate come qualsiasi altro, anche se bisogna che dico che è stata la prima volta che io e il gatto ci siamo conosciuti... oh, mi hanno battuto e bene anche quando ero un moccioso sulla Thunderer, ma quella era solo un'ammonizione del capitano d'armi, per così dire. Il suo frustino. No. Quello che voglio dire è che prima di tutto me e Killick e gli altri vogliamo tornare dal nostro vero comandante e, secondo, vogliamo venircene via prima che succede qualche guaio. E per come vanno le cose ora, be', non darei mica un gran che per la vita del comandante Corbett e nemmeno per quella di qualche ufficiale, se casomai c'è un'azione o forse anche una nottataccia senza luna. E noi non vogliamo entrarci, nossignore.» «Una brutta faccenda, Bonden, molto brutta.» Stephen non disse altro finché non furono arrivati alla Boadicea. «Buonanotte, ora», lo salutò. «E grazie per avermi accompagnato a casa.» Si ritirò con il Viaggio di Leguat* [* François Leguat (1637-1733), francese, pubblicò un libro sui suoi viaggi, compiuti tra il 1690 e il 1698, a Mauritius, Giava e al capo di Buona Speranza. Ma sull'autenticità di questi viaggi sussistono dubbi. (N.d.T.)] e con il libro di Sparmann,** [** A. Sparmann, botanico tedesco del XVIII secolo che diede il proprio nome (Sparmannia) a un genere di piante della famiglia delle tigliacee che crescono nell'Africa meridionale. (N.d.T.)] e tardi nella seconda comandata udì Jack salire a bordo. Ma si videro solo nella tarda mattinata, Stephen essendo stato chiamato nell'infermeria per un caso di coma da alcol che improvvisamente aveva cominciato a sanguinare dalle orecchie. E quando si incontrarono gli fu chiaro che la notte e la mattina di bagordi (l'infermeria puzzava come una distilleria) si sarebbero prolungate. Il comandante Aubrey aveva il colorito giallastro e la faccia gonfia, chiari segni di libagioni eccessive, tali da non essere state smaltite nemmeno dalla cavalcata di venti miglia. «Venti miglia, più di venti miglia su una bestia maledetta che mi ha buttato a terra tre volte, rovinandomi le mie migliori brache di tela», disse Jack. Il suo famiglio aveva rotto la caffettiera, il cuoco francese era sbarcato con Bretonnière per unirsi agli altri prigionieri di guerra e non ci sarebbero stati mai più croissants a colazione. Ma il peggio, infinitamente peggio persino della mancanza di una caffettiera, era che l'ammiraglio aveva promesso di dare a Jack i suoi ordini e non lo aveva fatto. Una riunione interminabile e inconcludente con il governatore, il signor Farquhar e due alti ufficiali di una stupidità sorprendente persino per l'esercito; poi una cena altrettanto lunga, con i Patrick O'Brian
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militari decisi a far ubriacare l'ospite. E tutto questo senza ordini. Quando Jack fu ripartito sulla sua cavalla affetta da raffreddore, l'ammiraglio era già da tempo andato a dormire; il suo aiutante di bandiera non sapeva niente di ordini né scritti né menzionati. E così lui si trovava lì, come disse a Stephen nella cabina, senza sapere dov'era; l'insegna di commodoro non era stata nemmeno ricordata; lui era lì, sospeso a mezz'aria, forse la spedizione non avrebbe nemmeno avuto luogo, e anche se avesse avuto luogo fra chissà quanti mesi, forse non sarebbe stato lui ad averne il comando: aveva notato lo sguardo furtivo, evasivo negli occhi del segretario dell'ammiraglio, un brutto ceffo infido, anche se era un pastore. Negli ordini che Jack aveva ricevuto alla partenza non si faceva menzione di un comando più elevato, e sebbene l'ammiraglio avesse certamente parlato come se la cosa fosse data per scontata, senza dubbio la nomina dipendeva da lui; ma poteva aver cambiato idea, poteva essersi fatto influenzare dall'opinione del consiglio. E c'era stato quell'accenno di cattivo augurio: «se isserete la vostra insegna». «Facciamo un giro in coperta», disse. «Mi sembra di avere la testa piena di sabbia bollente. E, Stephen, posso pregarti, implorarti, di non fumare quelle cose orrende nella cabina? Sembra di essere all'osteria, come alla cena di ieri sera.» Raggiunsero il cassero in tempo per vedere una bizzarra figura salire a bordo, un giovanotto abbigliato in modo sgargiante, con un curioso cappellino in testa. Era salito a bordo dal lato di dritta, quello degli ufficiali, e mentre avanzava verso il signor Seymour gli fece il saluto. Il comandante in seconda esitò: non così Jack. «Buttate fuori dalla nave quell'individuo», ruggì. Poi, abbassando la voce, soggiunse, tenendosi la mano sulla fronte dolente: «Che diavolo significa saltellare sul ponte di una nave di Sua Maestà vestito in quel modo ridicolo?» Il giovanotto fu calato in una imbarcazione e riportato a terra da una ciurma di esseri tutti più o meno agghindati nello stesso modo ridicolo. Il famiglio di Jack si accostò con cautela, mormorando qualcosa a proposito di «... caffettiera del quadrato» e Stephen disse: «Credo voglia dire che il caffè è pronto». Era pronto; e mentre lo bevevano ritornò la benevolenza nell'animo di Jack, coadiuvata da panna fresca, bacon, uova, bistecchine di maiale, gli ultimi resti di vero pane francese tostato e la marmellata di arance di Sophia. Patrick O'Brian
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«Mi dispiace di essere stato così maledettamente incivile poco fa a proposito del tuo sigaro», disse Jack, spingendo indietro la sedia e slacciandosi il panciotto. «Prego, Stephen, fuma pure, lo sai che mi piace l'odore.» «Ay», fece Stephen, spezzando il sigaro in tre parti. Ne sbriciolò una, la inumidì con qualche goccia di caffè, l'arrotolò nella cartina e l'accese, aspirando con voluttà una boccata. «Ascoltami, adesso, vuoi?» cominciò. «Bonden, Killick e qualche altro marinaio sono a bordo della Néréide e vorrebbero tornare da te. In natura si trovano i gusti più diversi, dicono, e si deve dedurne che a loro piace essere sottoposti a un potere brutale, arbitrario e tirannico.» «Ah!» gridò Jack. «Come sono contento! Sarà come ai vecchi tempi. Raramente ho rimpianto qualcosa quanto essermi dovuto separare da loro. Ma Corbett li lascerà andare? È terribilmente a corto di uomini e non è affatto tenuto a farlo, tranne che con un'ammiraglia. Perbacco, un uomo come Bonden vale tant'oro quanto pesa.» «Corbett non sembra apprezzare il suo valore, però: lo ha punito con cinquanta colpi di frusta.» «Bonden frustato?», esclamò Jack rosso in faccia. «Frustato il mio timoniere? Perdio, io...» Un giovane gentiluomo alquanto nervoso portò la notizia che l'aiutante di bandiera del comandante in capo era stato visto staccarsi da terra e il comandante dell'Otter stava venendo alla loro volta dalla sua corvetta e il signor Seymour pensava che il comandante Aubrey volesse essere informato. «Grazie, signor Lee», disse Jack e salì in coperta. Lord e Lady Clonfert erano stati lontanissimi dai suoi pensieri, ma vi fecero immediatamente ritorno quando Jack vide la iole dell'Otter avvicinarsi, ai remi gli stessi tipi buffi che erano venuti prima di colazione. La iole era più o meno alla stessa distanza della lancia della Raisonnable, ma l'aiutante di bandiera si fermò sotto la poppa della nave ammiraglia per scambiare a voce altissima una conversazione apparentemente molto divertente con un amico a bordo della Raisonnable e, prima che fosse finita, la iole aveva accostato alla Boadicea. Clonfert fu accolto a bordo con gli onori dovuti: un uomo giovanile, in alta uniforme, snello, di un'avvenenza fuori del comune, con una decorazione a forma di stella sul petto e un'espressione singolare sul viso, di attesa e di disagio a un tempo. Arrossì quando Jack gli strinse la mano Patrick O'Brian
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dicendo: «Sono felice di rivedervi, Clonfert, ma vorrei davvero avere notizie migliori da darvi. Venite nella mia cabina». Una volta là, riprese: «Mi dispiace sinceramente di dovervi dire che a causa di uno sfortunato malinteso sull'ora, sono stato obbligato a lasciare Plymouth senza Lady Clonfert». «Oh», fece Clonfert, con un'aria di vivo rammarico sulla faccia espressiva. «Temevo che fosse così. Avevo mandato a chiedere notizie, ma sembra che il messaggio portato da uno dei miei ufficiali non abbia potuto essere trasmesso.» «Un ufficiale?» esclamò Jack. «Non avevo idea... un ufficiale in quell'abbigliamento?» «Mi dispiace che non abbia incontrato la vostra approvazione, signore», ribatté Clonfert con un certo sussiego, «ma è mio costume vestire l'equipaggio della iole con i miei colori. È un'usanza abbastanza comune nel servizio, mi sembra, e i gentiluomini al mio comando sono della mia stessa opinione. Ammetto tuttavia che è irregolare.» «Be', può causare dei malintesi. Ora comunque è tutto chiarito e io ho potuto darvi purtroppo le mie brutte notizie, ma sono sicuro che Lady Clonfert avrà preso la prima nave della Compagnia delle Indie. Avrà viaggiato con comodità molto maggiori e penso sarà qui fra una settimana o giù di lì, perché noi abbiamo avuto una traversata lenta. Volete cenare con me? Abbiamo un maialino di latte e se ben ricordo vi piaceva molto ai tempi dell'Agamemnon.» Clonfert arrossì di nuovo a sentir nominare la nave, lanciò a Jack un'occhiata di forte sospetto, poi, con un'espressione di disinvoltura forzata, lo pregò di volerlo scusare: era estremamente rammaricato di non potersi esimere da un impegno precedente, ma prima di andarsene desiderava esprimere a Jack i sensi del suo apprezzamento per la grande cortesia usatagli nell'aver accettato di portare Lady Clonfert al Capo; era pénétré, pénétré. Fu abbastanza eloquente da far sì che Jack, la cui coscienza era ben lontana dall'essere tranquilla al riguardo, si sentisse una specie di verme; se non fosse inciampato nell'uscire dalla cabina, avrebbe fatto una magnifica figura. L'aiutante di bandiera era già sul ponte a parlare e ridere con Seymour quando Jack salì in coperta per accompagnare il suo visitatore; l'occhio penetrante di Jack capì subito che l'allegro giovanotto non era il latore degli ordini verbali inconcludenti e di nessuna importanza che lui Patrick O'Brian
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aveva temuto, ma di un plico dall'aria molto interessante, chiuso dal nastro rosso ufficiale. Tornato nella cabina, ricevette il plico, ma prima dovette ascoltare il messaggio dell'aiutante di bandiera. «L'ammiraglio mi ha pregato di riferirvi, signore, che non si è sentito bene subito dopo la riunione; che non ha potuto darvi i vostri ordini come avrebbe voluto, ma che li ha dettati dal suo letto non appena gli è stato possibile. In effetti, signore, li ha dettati a me, non essendoci il suo segretario.» «Allora ne conoscete il contenuto?» «Sì, signore; posso permettermi di congratularmi con voi per la vostra insegna, signore?» «Grazie, signor Forster», disse Jack, con il sole che gli brillava nel cuore, nelle viscere, in tutto il suo essere. «Grazie davvero. Voglio sperare che l'indisposizione dell'ammiraglio non gli causi dolori o eccessivi disturbi. Gli auguro di rimettersi perfettamente e con la massima celerità.» L'aiutante di bandiera pensava che l'ammiraglio avesse mangiato qualcosa che gli aveva fatto male e per parte sua gli aveva raccomandato una dose di rabarbaro. Jack io ascoltava in apparenza con l'attenzione più sollecita, con un'aria abbastanza solenne, ma la sua mente stava sguazzando nella felicità, una felicità che divenne ancora più concreta, reale e tangibile quando il racconto dell'aiutante di bandiera di un'occasione in cui anche lui era stato male per aver mangiato qualcosa giunse alla fine e Jack poté tagliare il nastro e constatare che gli ordini erano diretti al commodoro Aubrey. E tuttavia, al di sotto di quella pura beatitudine, si agitava nel suo animo la dura, ferma determinazione di venire presto in diretto contatto con la «cosa vera», per sapere esattamente ciò che significava, per calcolare i limiti della sua capacità di iniziativa, per valutare le forze, per cominciare immediata mente ad affrontare la situazione. Gli ordini erano chiari, concisi e urgenti: l'ammiraglio aveva evidentemente imposto agli altri la sua volontà. Il commodoro Aubrey doveva portarsi a bordo della Raisonnable; issare la sua insegna; prendere il comando delle navi e dei vascelli indicati a margine; procedere con la massima celerità per cercare e distruggere le navi francesi operanti a sud del decimo parallelo sud e a ovest del settantesimo meridiano est e, con la cooperazione dell'ufficiale comandante le forze di terra di stanza a Rodriguez (che sarebbero state rinforzate al momento opportuno), doveva conquistare i possedimenti francesi dell'Ile Bourbon, altrimenti detta Ile de Patrick O'Brian
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la Réunion, altrimenti detta Ile Bonaparte, e di Mauritius, altrimenti detta Ile de France, nonché le navi e i vascelli francesi nei mari a esse adiacenti. Doveva attenersi alle direttive generali degli allegati A e B e in tutte le questioni politiche o attinenti alla popolazione civile doveva avvalersi dei consigli di William Farquhar, Esq., designato governatore di Sua Maestà; in assenza del signor Farquhar, di quelli del dottor Stephen Maturin. Gli allegati, unitamente alle varie annotazioni, alle carte, alle note idrografiche, alle stime delle forze francesi, derivate per la maggior parte dalle informazioni ricevute dalle navi mercantili americane che navigavano in quelle acque, erano contenuti in plichi separati e fra questi Jack trovò un documento recante l'intestazione LT. JOHNSON, R.N., BOADICEA. «Che cos'è?» domandò Jack. «L'ammiraglio ha confermato la vostra proposta per la promozione a ufficiale del signor Johnson», rispose l'aiutante di bandiera. «È il suo brevetto.» Jack annuì, una nuova ondata di gioia sopraffece per un momento la gravità nel fondo del suo animo e l'aiutante di bandiera continuò: «Ho inoltre l'incarico di riferirvi, signore, che l'ammiraglio desidera usiate il vostro discernimento per quanto riguarda la Raisonnable e issiate la vostra insegna dove meglio credete: conosce anche troppo bene le sue condizioni. Vi chiede di inviargli a Città del Capo i famigli e i servitori di questo elenco e spera che vogliate attenervi puntualmente alle indicazioni che seguono. Si rammarica vivamente che la sua attuale indisposizione gli impedisca di comunicarvi direttamente le osservazioni confidenziali sui vostri comandanti secondo l'usanza consueta e vi prega di perdonare la scrittura affrettata». Nel dir così, porse a Jack un biglietto piegato e sigillato. «Credo che sia tutto, signore», disse poi, «a parte il messaggio del signor Shepherd: dice che dal momento che vi servirà un segretario di commodoro, vi sarebbe grato se potesse raccomandarvi un suo cugino, il signor Peter. Il signor Peter è da molti mesi qui ed è perfettamente au courani. Si trova a Simonstown al momento... è venuto con me... e se voleste vederlo...» «Sarò felice di vedere il signor Peter», rispose Jack, ben consapevole dell'importanza di simili gesti di cortesia, dell'importanza dei buoni rapporti con tutta la squadra. La decenza voleva che Jack offrisse qualcosa all'aiutante di bandiera, così come la decenza voleva che l'aiutante di bandiera finisse di bere il suo bicchiere in un massimo di dieci minuti, per lasciar libero il nuovo Patrick O'Brian
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commodoro di dedicarsi agli innumerevoli compiti che lo aspettavano; ma sebbene il giovane ufficiale facesse del suo meglio, mai il tempo era passato così lentamente per Jack. Quando finalmente il signor Forster se ne fu andato, Jack chiamò Johnson. «Mi rallegro con voi, signor Johnson. Ecco il vostro brevetto. L'ammiraglio ha confermato la nomina e io sono sicuro che voi la meritate.» Gli porse il prezioso documento, forse ancora più prezioso per Johnson di quanto non fosse l'insegna di commodoro per lui, certamente meno carico di responsabilità e, sia per tagliar corto al profluvio di ringraziamenti, sia per guadagnare qualche minuto, disse: «Prego, vogliate essere così gentile da mandarmi il nostromo appena possibile». E al nostromo domandò: «Signor Fellowes, credete che abbiamo nella cassa delle bandiere un' insegna di commodoro? In caso contrario vi pregherei di prepararne una con la massima urgenza». «Aye, aye, Sir», rispose il nostromo, cercando di reprimere un sorriso, «un'insegna di commodoro.» Per una forma di superstizione, per paura di irritare il fato con la sua presunzione, Jack non aveva mai ordinato di approntarne una, anche se in privato lo aveva desiderato fortemente ed era stato molto tentato di farlo; ma aveva preferito aspettare che la cosa fosse certa. D'altro canto gli uomini della Boadicea avevano rimuginato sulla faccenda ben prima di attraversare l'equatore, indagando qua e là, e mettendo insieme i pezzi del rompicapo si erano convinti della necessità di un simile oggetto che era quindi pronto già da quattromila miglia. Il nostromo uscì in fretta e Jack, rotto il sigillo dell'ammiraglio, lesse: «Il comandante Pym della Sirius è un ufficiale del tutto affidabile e coscienzioso, ma non molto intraprendente; il comandante Corbett, della Néréide, pur capace di tenere magnificamente la disciplina e combattente di valore, ha una tendenza all'irascibilità che può risultare nociva; inoltre è in cattivi rapporti con il comandante Lord Clonfert, dell'Otter, e i due non dovrebbero essere inviati insieme in missione, se appena fosse possibile evitarlo. Lord Clonfert si è distinto recentemente in parecchie azioni minori di grande audacia e, al pari del comandante Corbett, conosce piuttosto bene le acque di Mauritius e della Réunion». Le osservazioni confidenziali la dicevano più lunga sull'ammiraglio che sui comandanti, ma prima che Jack avesse finito di formulare questo pensiero Fellowes tornò di corsa, portando con sé la bella insegna. Jack la guardò con un distacco che non avrebbe ingannato le sue due bambine, figurarsi il Patrick O'Brian
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nostromo. «Grazie, signor Fellowes», disse. «Prego, mettetela sullo stipo e poi chiedete al dottore, con i miei complimenti, se può concedermi un momento del suo tempo.» Quando Stephen entrò, Jack si stava infilando le brache della sua migliore uniforme. «Pensavo che ti avrebbe fatto piacere vedere qualcosa di nuovo», disse, soggiungendo, non senza orgoglio: «Ex Africa surgit semper aliquid novo... novi, eh?»* [* «Dall'Africa nasce sempre qualcosa di nuovo [novi è la parola corretta]» (Plinio il Vecchio, naturalis Historia, 5). (N.d.T.)] «A che cosa ti riferisci?» domandò Stephen guardandosi intorno. «Non vedi niente che ti riempia di timore reverenziale, non vedi il segno di un commodoro vivente, praticamente l'essere più esaltato della terra?» «Il drappo ornamentale? Ah, quello. Credevo che avessi detto qualcosa di nuovo. Quel panno l'ho visto quotidianamente nella cabina del nostromo già molto tempo fa, quando soffriva di dolori alle budella. L'avevo preso per un segno del suo ufficio o forse per la bandiera di una qualche corporazione di nostromi.» Poi, rendendosi oscuramente conto di non aver corrisposto pienamente alle aspettative dell'amico, soggiunse: «Ma è bellissima, sul mio onore; e cucita così bene! Immagino che vorrai appenderla subito. E ci farà fare un splendida figura, graziosa com'è». Se a bordo di una fregata era difficilissimo mantenere un segreto, in una squadra navale era del tutto impossibile. A nessuno era sfuggito l'arrivo dell'aiutante di bandiera e la sua visita prolungata a bordo della Boadicea, né il successivo abbandono della nave ammiraglia da parte di una truppa di famigli e di inservienti dell'ammiraglio e nemmeno il fatto che il comandante Aubrey avesse attraversato le acque del porto; quando l'insegna a coda di rondine si innalzò sulla Raisonnable nessun veliero presente nella rada impiegò più di un secondo per dare inizio al saluto con tredici colpi di cannone dovuto all'uomo che l'insegna simboleggiava. I saluti si fusero l'uno con l'altro e con l'eco rinviata dalle montagne la baia si riempì di un rombo colossale, di una nube di fumo che fluttuò sul capo di Jack, il quale, in piedi a poppa, non stava guardando direttamente l'insegna ma ne avvertiva la presenza, oh, con quale intensità. Nel momento in cui ebbe termine il fragoroso saluto, Jack si voltò verso l'ufficiale addetto ai segnali e disse: «Tutti i comandanti a bordo, signor Swiney». Li ricevette nella grande cabina dell'ammiraglio; la Raisonnable non era Patrick O'Brian
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l'Hibernia e nemmeno la Victory, ma la cabina era pur sempre un locale maestoso, pieno di luce grazie all'ampia vetrata, e mentre i comandanti sfilavano nel blu, nel bianco, nell'oro delle uniformi, sembrava ancora più maestosa. Pym della Sirius fu il primo ad arrivare, un uomo grosso, alto come Jack e più grasso; le sue felicitazioni furono schiette e sincere come la sua faccia aperta e cordiale e Jack provò subito una viva simpatia per lui. Seguì Corbett, di bassa statura, rotondetto e bruno, la cui aria di autorità, decisa e iraconda, era adesso addolcita dalla deferenza e dal piacere propri della circostanza. Aveva combattuto in parecchie azioni onorevoli nelle Indie Occidentali e, nonostante la questione di Bonden, Jack lo guardò con rispetto: speranzoso, anche. Le congratulazioni di Corbett furono cordiali quasi quanto quelle di Pym, anche se forse c'era una leggerissima ombra di risentimento per meriti e capacità non tenuti nella giusta considerazione; ma in ogni caso furono molto più calorose del formale: «Permettetemi di offrirvi i miei rallegramenti, signore» di Clonfert. «Ora, signori», disse il commodoro Aubrey, superato questo stadio della riunione, «sono felice di informarvi che la squadra farà vela con la massima celerità. Vi sarò quindi obbligato se vorrete informarmi sulle condizioni delle vostre navi: non in dettaglio, naturalmente, questo lo farete in seguito, per ora mi basterà un'idea generale. Lord Clonfert?» «La corvetta che ho l'onore di comandare è sempre pronta a prendere il mare», rispose Clonfert. Una smargiassata: nessuna nave era sempre pronta a fare vela, a meno che non consumasse mai acqua, provviste, polvere o munizioni; e l'Otter era appena rientrata da una missione. Lo sapevano tutti, Clonfert se ne rese conto per primo non appena ebbe pronunciato quelle parole. Senza permettere al momento di imbarazzo di durare, Jack continuò, ascoltando il resoconto più sensato di Pym e Corbett, dal quale risultò che la Sirius, per quanto in buone condizioni in generale, aveva urgente bisogno di far carena e aveva gravi problemi con i barili dell'acqua, nuovi arnesi di ferro che erano stati installati a Plymouth e che perdevano da tutte le parti. «Se c'è una cosa che detesto», disse il comandante Pym, guardandosi intorno, «sono le innovazioni.» La Sirius aveva dovuto spostare tutti i materiali nella stiva per aggiustarli e nemmeno con la maggiore buona volontà del mondo e lavorando a ritmo continuato avrebbe potuto essere pronta a prendere il mare prima della domenica successiva. La Néréidé, anche se apparentemente pronta a Patrick O'Brian
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salpare non appena fatto rifornimento d'acqua, si trovava in realtà in condizioni molto peggiori: era vecchia, come il commodoro sapeva bene, e secondo il mastro d'ascia del comandante Corbett i suoi scalmi potevano essere rimossi con una pala e certamente le parti in ferro erano corrose a prua e a poppa, se non anche a mezza nave; ma, cosa peggiore di tutte, mancavano gli uomini. Il comandante Corbett aveva sessantatré uomini in meno del necessario: una cifra impressionante. Jack si disse d'accordo, certamente. «Ma speriamo che il prossimo arrivo di una nave della Compagnia diretta in patria risolva queste difficoltà con sessantatré marinai scelti e qualche soprannumerario.» «State dimenticando, signore, che da quando c'è stato il disaccordo con il governo sull'amministrazione della colonia, le navi della Compagnia non fanno più scalo al Capo.» «Già», disse Jack, lanciando di nascosto un'occhiata a Clonfert. Cercò di rimediare alla svista dicendo che avrebbe visitato le navi nel corso del pomeriggio e in quell'occasione sperava di avere un rapporto dettagliato sulle loro condizioni; suggerì poi di passare alla discussione su un chiaretto che aveva preso a un francese durante la traversata. L'ultimo Lafite fece la sua comparsa, insieme con qualcosa di farinaceo prodotto dalla cucina della Boadicea. «Eccellente!» commentò Pym. «Superbo», disse Corbett. «E così avete trovato una nave francese, signore?» «Sì», rispose Jack e si mise a raccontare della Hébé; non era stata una grande impresa, ma il solo nominare il rombo dei cannoni, la Hyaena riconquistata, la preda recuperata senza danni, fece sì che l'atmosfera si distendesse. I ricordi scorsero come il chiaretto; azioni paragonabili a quella e vecchi camerati furono richiamati alla mente, si udì il suono delle risate. Jack non aveva mai prestato servizio né con Pym né con Corbett, ma aveva molte conoscenze in comune con loro nella marina. Dopo che ne ebbero ricordate una mezza dozzina, Jack disse: «naturalmente avrete conosciuto Heaneage Dundas nelle Indie Occidentali, comandante Corbett?» pensando che questo gli avrebbe risollevato lo spirito. «Ah, sì», confermò Corbett; ma niente di più. «C'è qualcosa sotto», disse fra sé Jack, e ad alta voce: «Lord Clonfert, la bottiglia è davanti a voi». Per tutto quel tempo Clonfert era rimasto in silenzio. Una lama di luce, Patrick O'Brian
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cadendogli sulla medaglia che aveva sul petto, rinviò una costellazione di puntolini a forma di prisma verso l'alto: quando il comandante dell'Otter si sporse in avanti per prendere la bottiglia, si spensero di colpo. Clonfert si riempì il bicchiere, passò la bottiglia al suo vicino e, spinto forse dall'idea di dover riparare al malumore che si era creato fra lui e Corbett e nello stesso tempo dalla speranza di farsi un alleato in quella congrega dove non poteva non sentirsi in svantaggio, disse: «Capitano Corbett, un bicchiere con voi». «Non brindo mai con un uomo, my Lord», replicò Corbett. «Capitano Corbett», si affrettò a intervenire Jack, «mi ha meravigliato il fatto del brigantino russo ancorato dietro la Néréide, e ancor più mi sono stupito quando l'ammiraglio mi ha detto che il suo comandante ha prestato servizio sotto di voi.» «Sì, signore, era sulla Seahorse quando ne avevo il comando, prestava servizio come volontario, per imparare i nostri sistemi; e li ha imparati in fretta, devo ammettere. I suoi uomini non sono quelli che noi definiremmo gente di mare, ma oso dire che con il tempo riuscirà a farli diventare veri marinai. Si sa che cosa vuol dire disciplina da quelle parti, credo che mille colpi di frusta non siano rari da loro.» Il discorso cadde sulla sfortuna della Diana, venuta dal Baltico per un viaggio di scoperta quando c'era pace fra la Russia e l'Inghilterra, si parlò del suo arrivo a Simonstown dove avevano appreso che la guerra era stata dichiarata, si parlò della sua curiosa situazione, del modo ancor più curioso in cui era costruita e del comportamento altrettanto curioso dei suoi uomini a terra. Suonarono gli otto colpi e tutti si alzarono in piedi. Jack trattenne Corbett per un momento. «Prima che mi dimentichi, comandante Corbett, il mio timoniere e qualche altro a bordo della Néréide... ecco, ho segnato qui i loro nomi... mi fareste cosa grata se me li faceste mandare qui.» «Certamente, signore», rispose Corbett, «certamente... Ma vi prego di non pensare che voglia mancarvi di rispetto se mi permetto di ripetere che sono terribilmente a corto di uomini.» «Lo so, lo so. Ma non intendo derubarvi; ben lungi da me quest'idea. Avrete lo stesso numero di uomini della Boadicea e credo che potrò farvene avere qualcuno in più. Abbiamo arruolato a forza i marinai abili fra i prigionieri della Hébé.» «Ve ne sarei sommamente grato, signore», disse Corbett, rallegrandosi istantaneamente. «E vi manderò i vostri uomini non appena avrò raggiunto la nave.» Patrick O'Brian
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Fu dunque con il suo timoniere al fianco che il commodoro procedette all'ispezione della squadra. «È come ai vecchi tempi, Bonden», disse mentre si avvicinavano alla Sirius. «Sissignore, solo meglio», mormorò Bonden; poi, in risposta al saluto della fregata, ruggì: «Onore alla bandiera!» con una voce da risvegliare i morti. La Sirius non dormiva, tuttavia, poiché dal momento in cui il comandante Pym era tornato a bordo, tutti gli uomini - il pranzo abbreviato, il grog scolato in fretta e furia - erano stati messi al lavoro come forsennati per darle un aspetto del tutto artificiale e fallace, destinato a farla sembrare quella che non era. Lo avevano fatto volentieri, essendo orgogliosi della loro nave e, sebbene non ci fosse stato tempo per rinfrescare la pittura, la Sirius che il commodoro ispezionò era diversa da ciò che era normalmente quanto era stato possibile renderla grazie agli sforzi concentrati di duecentottantasette uomini e numerose donne (alcune legalmente a bordo, altre meno). Poiché era stata praticamente vuotata a causa dei problemi ai depositi dell'acqua, non erano stati in grado di trasformarla in una versione più grande di uno yacht reale come avrebbero desiderato; ma, a parte le piramidi di oggetti fra i più svariati in coperta, nascosti per decenza sotto tendali e incerate, era decisamente presentabile e Jack fu molto contento di ciò che vide. Non ci credeva, naturalmente, e nessuno si aspettava che ci credesse: tutta la cerimonia, dalla cucina scintillante alle palle di cannone annerite nella rastrelliera, era una mascherata rituale. E tuttavia aveva un rapporto con la realtà dei fatti e l'impressione che Jack riportò della nave fu di una buona nave solida in discreto ordine con ufficiali competenti e un equipaggio decente in gran parte composto da veri marinai di una nave da guerra, la Sirius essendo in missione ormai da più di tre anni. Il comandante Pym aveva preparato una splendida mostra di bottiglie e di torte nella cabina e mentre Jack mandava giù una ciambella di Bath che aveva un peso specifico superiore a quello del platino, rifletté che la sua consistenza era un degno simbolo della nave: solida, costante, piuttosto antiquata, affidabile; anche se, forse, non proprio in grado di mettere a ferro e fuoco l'oceano Indiano. Passò poi alla Néréide. La nave non aveva avuto bisogno di mettere tutto a soqquadro per raggiungere l'effetto che la Sirius aveva cercato di ottenere, eppure dall'aria cupa e stanca dei marinai silenziosi e dall'espressione ansiosa, tormentata degli ufficiali, ogni uomo a bordo si era logorato per Patrick O'Brian
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l'occasione, finendo per sciupare una cosa già bella. A Jack piaceva una nave ben tenuta e ovviamente pulita, ma la perfezione assoluta dell'eccesso di bronzi che brillavano dappertutto bastò a dargli un senso di oppressione; continuò con la sua ispezione, per rispetto verso quanti avevano faticato tanto per così poco, ma fece il giro della nave muta e rigida senza nessun piacere. Il suo vero scopo, tuttavia, era ispezionare gli scalmi; e là, nel ventre della fregata, con il comandante, il nervoso comandante in seconda e l'altrettanto nervoso mastro d'ascia, scoprì che Corbett non aveva esagerato molto. Il legno era effettivamente in cattivo stato; però, rifletté mentre lo saggiava con una caviglia, l'ispettore di Simonstown poteva aver ragione dicendo che sarebbe durato ancora per due o tre stagioni, mentre, a meno che Jack non stesse prendendo un abbaglio, il marcio in coperta si sarebbe diffuso molto più rapidamente. Da ragazzo, allievo ufficiale in quelle stesse acque, era stato degradato per cattiva condotta, per comportamento lussurioso, e per sei mesi, assolutamente contro la sua volontà, era stato marinaio semplice. La nave su cui era imbarcato, quanto a pulizia, non era nemmeno lontanamente paragonabile alla Néréide, ma aveva un comandante piuttosto tremendo e un comandante in seconda severo. Jack aveva imparato a sue spese quanta fatica ci volesse per arrivare a un risultato assai inferiore a quello della Néréide. Quei mesi, così duri all'inizio e anche dopo in verità, gli avevano dato però qualcosa che pochi ufficiali possedevano: una comprensione intima, profonda della vita sul mare dal punto di vista dei marinai. Conosceva il loro linguaggio, parlato o silenzioso, e l'interpretazione degli sguardi che aveva visto in coperta, l'imbarazzo, le occhiate furtive in tralice, i cenni e i gesti quasi impercettibili, l'assoluta mancanza di qualcosa che assomigliasse anche lontanamente all'allegria, lo lasciarono estremamente preoccupato. Corbett era un individuo brusco che tuttavia sapeva il fatto suo: produsse madera e biscotti insieme con un rapporto dettagliato sulle condizioni della Néréide, messo ordinatamente in rosso e nero in bella grafia. «Vedo che siete ben fornito di polvere e munizioni», osservò Jack, scorrendo le colonne di cifre. «Sì, signore», disse Corbett, «non mi piace buttarle in mare; e poi il forte rinculo dei pezzi rovina tremendamente il ponte.» «Avete ragione, e il ponte della Néréide è un vero spettacolo, devo ammetterlo. Ma non trovate che renda avere uomini capaci di usare bene il cannone, precisi nel tiro a distanza?» Patrick O'Brian
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«Be', signore, secondo la mia esperienza, non è così importante. Mi sono sempre impegnato pennone contro pennone, quando non esiste la possibilità di mancare il bersaglio nemmeno volendolo. Ma non devo insegnare niente a voi su questo, non dopo la vostra azione con la Cacafuego, ah, ah!» «Eppure, c'è qualcosa da dire in favore dell'altra scuola di pensiero, a favore del disalberare una nave a distanza di un miglio e poi presentarsi al traverso di prora», ribadì Jack con gentilezza. «Avete certamente ragione, signore», disse Corbett senza la minima convinzione. Se la Néréide era simile a uno yacht reale nei limiti concessi a una nave da guerra, l'Otter a prima vista lo era davvero. In tutta la sua vita Jack non aveva mai visto un tale sfoggio di dorature e raramente aveva visto tutte le sartie e gli stralli intregnati con comando vermiglio e gli stroppi dei bozzelli coperti di pelle rossa. A una seconda occhiata tutto ciò sembrava un po' eccessivo, uno sfoggio di eleganza, come lo erano le uniformi sul cassero di Clonfert: persino gli allievi avevano il cappello adorno di passamanerie, brache e stivali lucidi con nappe dorate. L'impressione era più di un costume che di un'uniforme, e mentre se ne stava lì a osservarli Jack notò con sorpresa che gli ufficiali di Clonfert avevano un aspetto piuttosto rozzo. Non si poteva ovviamente cambiare le loro facce alquanto comuni, ma l'atteggiamento, ora troppo impettito come in manichini di sartoria, ora troppo rilasciato e disinvolto era un'altra faccenda; così come il modo di fissare maleducatamente, di ascoltare ciò che il loro comandante stava dicendo al suo commodoro. D'altro canto non occorreva molta perspicacia per capire che l'atmosfera a bordo dell'Otter era quanto più possibile opposta a quella della Néréide: gli uomini del ponte inferiore erano allegri, sorridenti ed era chiaro che amavano il loro comandante, mentre i sottufficiali, il nostromo, il capo cannoniere, il mastro d'ascia, quei pilastri essenziali in una nave, sembravano persone di valore e di esperienza. Se i ponti dell'Otter, il sartiame e le parti ornamentali lo avevano sorpreso, la cabina lo sorprese ancora di più. Già abbastanza spaziosa, lo sembrava ancora di più per gli specchi in cornici dorate che riflettevano un considerevole numero di cuscini disposti su una bassa ottomana e l'effetto da mille e una notte era ancora più evidente per via delle scimitarre appese alle paratie su un tappeto persiano, una lampada dorata da moschea che dondolava da un baglio e un narghilè. In questo Patrick O'Brian
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arredamento i due cannoni da dodici libbre apparivano rustici, brutali, squallidi e fuori posto. Le offerte rituali fecero la loro apparizione, servite da un ragazzo negro con il turbante e Jack rimase solo con Clonfert: subito si manifestò un certo disagio. Con il passare degli anni Jack aveva imparato il valore del silenzio in situazioni nelle quali non sapeva che cosa dire; Clonfert, no, pur di poco più anziano di lui nonostante l'aspetto giovanile. E così parlò: quelle piccole cose le aveva riportate dalla campagna di Siria al seguito di Sir Sydney... la lampada un regalo di Djazzar Pascià... la scimitarra a destra del patriarca maronita... si era così abituato agli usi orientali che non riusciva a fare a meno della sua ottomana. Il commodoro voleva accomodarsi? Il commodoro non si era mai praticamente seduto per terra come doveva mettere le gambe? - e replicò che doveva tenere d'occhio le scialuppe della Boadicea che andavano e venivano tra l'arsenale e la fregata per riempire i depositi delle munizioni. Ma il commodoro avrebbe voluto certamente gustare un bicchierino di quel Constantia e assaggiare un fico di Aleppo: Clonfert la trovava una combinazione interessante. O forse un po' di bottarga? «Vi sono infinitamente obbligato, Clonfert», disse Jack, «e sono certo che il vostro vino è eccellente, ma il fatto è che la Sirius mi ha offerto una gran quantità di un porto davvero eccellente e la Néréide un altrettanto eccellente madera; perciò in | questo momento ciò che apprezzerei più di ogni altra cosa sarebbe una tazza di caffè, se appena fosse possibile.» Non era possibile. Clonfert era mortificato, addolorato, desolatissimo ma non beveva caffè, e nemmeno i suoi ufficiali. Ed era davvero mortificato, addolorato, desolatissimo. Era già stato costretto a scusarsi per non aver preparato in tempo il rapporto sullo stato della nave e quel nuovo colpo, un colpo sul piano mondano, lo aveva abbattuto all'estremo. Jack non voleva nella squadra altri episodi sgradevoli, e anche da un punto di vista semplicemente umano non desiderava lasciare Clonfert in uno stato d'animo di evidente inferiorità; perciò, avvicinandosi a un bel dente di narvalo appoggiato in un angolo, disse con un tono addirittura entusiasta: «Davvero un magnifico dente di narvalo». «Un bell'oggetto, non è vero? Ma con il vostro permesso, signore, credo che il termine esatto sia corno. Viene da un unicorno. Me lo ha regalato Sir Sydney, lui stesso aveva sparato all'animale, scegliendolo in un branco; lo ha costretto a un inseguimento incredibile, sebbene lui montasse lo Patrick O'Brian
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stallone personale di Hassan Bey: venticinque miglia attraverso il deserto senza piste. I turchi e gli arabi ne sono rimasti sbalorditi. Mi ha raccontato che gli avevano detto di non aver mai visto tanta destrezza a cavallo e nemmeno tanta bravura nello sparare stando in sella e al galoppo sfrenato. Ne sono rimasti stupefatti.» «Lo credo», disse Jack. Rigirò fra le mani il dente di narvalo e soggiunse, con un sorriso: «Allora posso vantarmi di aver tenuto in mano un vero corno di unicorno». «Potrete giurarlo, signore. L'ho staccato dalla testa dell'animale io stesso.» «Come si espone quel poveretto», pensò Jack tornando alla Raisonnable. Per mesi lui aveva avuto nella cabina un dente di narvalo, un regalo portato dal Nord a Stephen Maturin, e conosceva perfettamente la consistenza del suo avorio, così diversa da quella del corno. Eppure era probabile che Clonfert credesse davvero alla prima parte del suo racconto. L'ammiraglio Smith era un uomo vanesio e fanfarone, capacissimo di aver inventato quella sciocca storiella e nello stesso tempo era anche un ufficiale intraprendente e di grandi capacità. Senza contare le azioni minori, pur brillanti, aveva sconfitto Napoleone ad Acri: un'impresa di cui non molti uomini potevano vantarsi. Forse Clonfert era della stessa stoffa? Jack lo sperò con tutto il cuore: gli avrebbe concesso di esibire tutti gli unicorni del mondo, per quel che gli importava, e anche i leoni, purché riuscisse anche lui in qualche impresa del genere. I suoi oggetti personali, pochi e modesti, erano già stati portati a bordo della Raisonnable e sistemati dal suo vecchio famiglio nel modo che piaceva a lui. Con un sospiro di soddisfazione Jack si adagiò comodamente su una vecchia sedia Windsor con i braccioli, scaraventando l'uniforme di gala su uno stipo. A Killick non piaceva vedere gli abiti buttati di qua e di là, ma avrebbe dovuto ingoiare il rospo. Killick, però, che aveva versato l'acqua bollente sul caffè appena macinato nell'istante in cui la lancia ufficiale della Raisonnable si era staccata dalla murata dell'Otter, era un uomo diverso. L'individuo intrattabile, brontolone, lamentoso, maestro nell'arte dell'insolenza vocale e muta era adesso addirittura benigno. Servì il caffè, con un'aria che era quasi di approvazione osservò Jack bere la bevanda caldissima, appese l'uniforme senza fare commenti acidi, senza nessun: «Dove si troveranno i soldi per comprare spalline nuove quando tutto l'oro si sarà consumato a furia di Patrick O'Brian
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maltrattare la roba?» Ma continuò la conversazione. «Dicevate, signore, come qualmente non hanno neppure un dente?» «Nessun segno di denti, Killick, non il minimo segno quando le ho lasciate.» «Be', allora sono contento di questo...» tirò fuori un fazzoletto nelle cui pieghe si nascondevano due grossi pezzi di corallo, «... perché li aiuterà a spuntare, così dicono.» «Grazie, Killick, grazie di cuore. Splendidi, parola mia; andranno a casa con la prima nave.» «Ah, signore», esclamò Killick, con un sospiro fuori della vetrata di poppa, «vi ricordate quell'infernale caldaia nel retrocucina, quando gli abbiamo ripulito la canna fumaria e ci siamo ridotti come spazzacamini?» «Quel perfido arnese sarà una cosa del passato quando rivedremo il cottage», disse Jack, «ci ha pensato la Hébé. E il caminetto in salotto tirerà bene, se Goadby saprà fare il suo mestiere.» «E i cavoli, signore», continuò Killick in un'estasi di nostalgia. «Quando li ho visti l'ultima volta avevano solo quattro foglie l'uno.» «Jack, Jack», gridò Stephen, entrando di corsa. «Ho mancato malamente nei tuoi confronti! Sei stato promosso, ho scoperto. Sei un personaggio illustre, sei virtualmente un ammiraglio! Mi rallegro con tutto il cuore. Il giovanotto vestito di nero mi ha detto che sei il più grand'uomo della base, dopo il comandante in capo!» «Be', sono un commodoro, secondo quanto dicono», disse Jack, «ma te lo avevo già menzionato, se ben ricordi. Ti ho già parlato della mia insegna.» «Lo hai fatto, è vero, ma forse io non ne ho compreso del tutto il significato, avevo l'idea confusa che il termine commodoro e quella curiosa bandierina si riferissero alla nave più che a una persona. Sono quasi sicuro che noi chiamavamo così la nave più importante della flotta della Compagnia delle Indie, il vascello comandato dall'eccellente signor Muffit. Prego, illustrami questo tuo nuovo e splendido rango.» «Stephen, se lo faccio, mi starai a sentire?» «Sissignore.» «Ti ho spiegato molte cose della Royal Navy e tu non mi hai mai ascoltato veramente. Per l'appunto ieri ti ho sentito dare a Farquhar una bizzarra spiegazione circa la differenza fra il cassero e il castello, e anche oggi non penso che tu conosca quella fra un...» A quel punto fu interrotto Patrick O'Brian
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dal giovanotto vestito di nero, il signor Peter, con un fascio di carte, da un messaggero del generale di stanza a Città del Capo e da Seymour, con il quale Jack dovette elaborare un elenco degli uomini da inviare alla Néréide, sia tenendo in considerazione i loro difetti sia pensando alle necessità più urgenti della fregata, e infine dal segretario del comandante in capo, il quale desiderava sapere se suo cugino Peter andasse bene e riferire che l'ammiraglio Bertie, ormai ristabilito, inviava i suoi complimenti; non voleva in nessun modo fare pressioni sul commodoro, ma sarebbe stato felicissimo di sapere che aveva salpato le ancore. «Be', vediamo, Stephen», riprese alla fine Jack, «vediamo questa faccenda del commodoro. In primo luogo non sono stato affatto promosso; il mio non è un grado ma un incarico, e Jack Aubrey non cambia il suo posto nel ruolo ufficiali se non per la centesima parte di un pollice. Avrò questo incarico temporaneamente, e quando questa contingenza sarà finita, se intendi ciò che voglio dire, tornerò a essere di nuovo comandante. Ma finché dura io sono quello che si può definire un contrammiraglio facente funzione non pagato che ha il comando della squadra.» «Questo deve scaldare il tuo cuore», disse Stephen, «ti ho spesso visto a disagio in una posizione subordinata.» «E' vero: la parola commodoro è come uno squillo di tromba per me. Eppure, al tempo stesso... non lo direi a nessun altro, Stephen, ma è solo quando si ha un'impresa di questo genere per le mani, un'impresa da far portare a termine ad altri, che si comprende che cosa sia veramente il comando.» «Per altri tu intendi altri comandanti, presumo. Certamente, sono un fattore essenziale che deve essere compreso perfettamente. Prego, dimmi ciò che pensi di loro, senza riserve.» Pack e Stephen avevano navigato insieme su varie navi, ma non avevano mai parlato fra loro degli altri ufficiali; Stephen Maturin, come medico di bordo, condivideva la loro mensa e, sebbene fosse amico personale del comandante, apparteneva al quadrato; l'argomento non veniva mai affrontato, mai. Ora le cose erano cambiate, ora Stephen era un collega di Jack sulle questioni politiche, un suo consigliere, né si sentiva in alcun modo legato agli altri comandanti. «Cominciamo dall'ammiraglio, Jack, e dal momento che dovremo collaborare apertamente dobbiamo anche parlare apertamente: conosco i tuoi scrupoli e li onoro, ma credimi, fratello, questo non è il momento degli scrupoli. Dimmi, ti aspetti un sostegno pieno e senza riserve da parte Patrick O'Brian
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dell'ammiraglio?» «È un tipo gioviale e con me non avrebbe potuto essere più gentile, ha confermato immediatamente la nomina provvisoria di Johnson, un gesto di grandissima cortesia. Finché tutto andrà bene non ho dubbi che ci sosterrà con tutto se stesso; a parte ogni altra considerazione, è nel suo interesse farlo. Ma la sua reputazione nel servizio... be', in Giamaica lo chiamavano Sir Giles Overreach, come il tipo della commedia, sai, quello che cercava sempre di soppiantare gli altri; e certamente il povero James l'ha soppiantato. Un bravo ufficiale, attenzione, anche se un po' miope, forse.» Rifletté per un po' prima di continuare: «Ma se farò uno sbaglio, non sarei sorpreso se mi rimpiazzasse seduta stante; così come se mi mettessi fra lui e i quattrini, anche se non vedo come questo possa accadere». «Non hai una grande opinione della sua testa e nemmeno del suo cuore.» «Non mi spingerei tanto lontano. Abbiamo idee diverse su quello che si intende per nave in buon ordine, naturalmente... No, ti dirò una cosa che mi rende incerto sul suo senso di ciò che è giusto. Questo brigantino russo. È imbarazzante per tutti. L'ammiraglio desidera che se ne vada, ma non si prende la responsabilità di lasciarlo andare. Non accetta nemmeno quella di far prigioniero l'equipaggio: fra le altre cose gli uomini devono essere nutriti e, se il governo disapprovasse, tutto verrebbe posto a carico dell'ammiraglio. Che cosa ha fatto allora? Ha fatto dare al comandante la sua parola che non sarebbe fuggito e ha lasciato lì il brigantino, pronto a prendere il mare: sta cercando di affamare Golovnin e i suoi uomini non concedendo razioni all'equipaggio. Golovnin non ha denaro e i mercanti non accettano tratte su banche di San Pietroburgo. L'idea è che finirà per venire meno alla parola data e in una notte buia con il vento da nord-ovest prenderà il largo. La parola non significa niente per uno straniero, ha detto l'ammiraglio ridendo; si chiede come mai Golovnin non se ne sia andato sei mesi fa, lui vorrebbe tanto liberarsene. Ne ha parlato come di una faccenda normalissima, non ha esitato un attimo a raccontarmela, la ritiene una mossa molto astuta per cavarsi d'impiccio. Mi ha fatto star male quando me l'ha detto.» «Ho notato», disse Stephen. «che qualcuno, invecchiando, perde il senso dell'onore e avalla allegramente le azioni più strane. Che altro ti grava sullo spirito? Corbett, presumo? Nel suo caso direi che la funzione ha completamente assorbito l'uomo.» «Sì, è un negriero. Non dico niente del suo coraggio, bada bene, di coraggio ha dato numerose prove, ma a mio Patrick O'Brian
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giudizio la sua nave è in pessime condizioni. È anche vecchia e ha cannoni da dodici libbre soltanto. E tuttavia, data la nostra situazione, non posso certamente farne a meno.» «E che mi dici del comandante della Sirius?» «Pym?» La faccia di Jack si rischiarò. «Ah, vorrei averne altri tre di Pym e altre tre Sirius! Può darsi che non sia un genio, ma è il genere di uomo che piace a me: tre Pym ed ecco fatta una banda di fratelli, come vuole Nelson. Non dovrei fare nessuno sforzo per andare d'accordo con tre Pym. O tre Eliot, quanto a questo, anche se non resterà con noi a lungo, purtroppo. Intende ritirarsi per invalidità non appena gli sarà possibile. Così com'è, dovrò blandire un po' Corbett e Clonfert; perché, se in una squadra non c'è accordo, può anche restarsene in porto. Come farò con Clonfert non lo so proprio: devo cercare di non attraversare la sua rotta, se posso evitarlo, ma con quella dannata storia di sua moglie... si è offeso, sì: ha rifiutato il mio invito, il che è quasi inaudito nel servizio, precedente impegno o no. E poi non c'era nessun impegno precedente. È un caso strano, Stephen. Quando abbiamo parlato di lui qualche mese fa, non ho voluto riferirti i dubbi che avevo sulla sua condotta, è una cosa bruttissima da dire di chiunque. Tuttavia li avevo, e non ero il solo. Ma forse mi sbagliavo, perché, anche se è tuttora un tipo eccentrico su una nave eccentrica, so che si è distinto nel Mediterraneo con l'ammiraglio Smith.» «È lì, presumo, che si è guadagnato la sua decorazione? È un ordine che non avevo mai visto.» «Sì, i turchi ne hanno distribuite parecchie, ma sembravano abbastanza bizzarre e non molti ufficiali hanno chiesto il permesso di portarle: solo Smith e Clonfert, mi pare. E certamente è riuscito in qualche bella impresa in quelle acque, ha catturato navi nemiche in porto. Conosce bene l'oceano Indiano e ha un nocchiere locale; l'Otter pesca poco, ancora meno della Néréide, perciò riesce ad avvicinarsi alla costa e, secondo l'ammiraglio Bertie, Clonfert potrebbe persino rivaleggiare con Cochrane * [* Thomas Cochrane (1775-1860), ammiraglio inglese. Accusato di speculazione fraudolenta, venne radiato dalla Royal Navy nel 1814. Riammesso nei ruoli ma ostacolato dal governo, passò al servizio di Cile, Brasile e Grecia. Tornato in patria nel 1828, raggiunse più tardi il grado di grande ammiraglio. (N.d.T.)] quanto ad azioni di disturbo contro il nemico.» «Sì, ho sentito parlare delle sue imprese e dell'abilità nell'avvicinarsi alla costa. Senza dubbio dovrò trasferirmi sulla sua nave di tanto in tanto, per Patrick O'Brian
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essere sbarcato e ripreso. Ma hai accennato alla nostra situazione. Come la vedi in questo momento?» «Le probabilità, semplicemente in termini di navi e di cannoni e solo dal punto di vista di un'azione in mare, sono alquanto contro di noi. Poi, tenendo conto che saremo a più di duemila miglia dalla nostra base, mentre i francesi si troveranno nelle loro acque, con i rifornimenti a portata di mano, direi che siamo a tre contro cinque a nostro sfavore. Nella Manica o nel Mediterraneo tenderei a pensare che siamo pari, dato che noi navighiamo continuamente da quelle parti e loro no; ma le loro fregate pesanti sono in mare ormai da quasi un anno ed essi hanno avuto tutto il tempo di addestrare gli equipaggi con ufficiali competenti, e nel complesso gli ufficiali francesi sono competenti. Ma per il momento tutto è sospeso: esistono tanti fattori imprevedibili... per esempio, non so niente dei comandanti e tutto dipende da loro. Quando avrò potuto dare un'occhiata alle navi francesi, potrò valutare le probabilità con maggior precisione.» «Vuoi dire quando ti sarai scontrato con loro?» «No. Quando le avrò viste, anche da lontano.» «Davvero potresti giudicare la bravura dei comandanti vedendo solo l'alberatura delle navi?» «Certamente», confermò Jack, con una certa impazienza. «Sei davvero un tipo, Stephen. Qualsiasi marinaio saprebbe giudicarne un altro dal modo in cui issa il fiocco, o cambia le mure, o allarga i coltellacci, così come tu potresti dire molto di un medico da come sega una gamba.» «Sempre questo segare le gambe! Sono convinto che per voi la nobile arte della medicina si riduce a questo. Ieri ho conosciuto un uomo, tanto gentile da venirmi a trovare oggi perfettamente sobrio, che ti illuminerebbe al riguardo. È il chirurgo dell'Otter. Probabilmente avrei dovuto comunque coltivare la sua conoscenza, per i nostri scopi, dal momento che l'Otter, come diresti tu, pirateggia sotto costa; ma non mi dispiace di averlo già conosciuto. È una persona con grandi qualità. Per tornare alle nostre probabilità, tu le valuti dunque a cinque contro tre in favore dei francesi?» «Qualcosa del genere. Se si calcola anche la questione dei cannoni, degli uomini e del tonnellaggio, le cose peggiorano ancora; ma naturalmente non posso parlare di probabilità prima di avere visto le loro navi. Però, anche se ho mandato un centinaio di uomini della Boadicea a dare una mano alla Sirius, e anche se Pym ce la sta mettendo tutta per mettersi in grado di prendere il mare, la nostra nave deve caricare provviste per sei Patrick O'Brian
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mesi. Mi piacerebbe anche fare carena, è l'ultima possibilità di avere una carena pulita per chissà quanto tempo; perciò non vedo come possiamo salpare prima della marea di sabato. Dovrò far lavorare gli uomini come dannati e assillerò l'arsenale finché non mi manderanno al diavolo, ma a parte questo non c'è niente che io possa fare, e nemmeno l'arcangelo Gabriele può farci niente. Allora io dico: e se facessimo un po' di musica, Stephen? Perché non proviamo qualche variazione su Begone Bull Care?»
CAPITOLO IV La squadra, che procedeva in formazione con gli alisei al traverso, era una nobile vista; l'allineamento perfetto si dispiegava su mezzo miglio di mare, e quale mare: l'oceano Indiano in tutta la sua bellezza, un color zaffiro di un blu non troppo profondo, un azzurro che dava alle vele consunte un biancore accecante. Sirius, Néréide, Raisonnable, Boadicea, Otter e in distanza, sottovento, il veliero della Compagnia delle Indie, la Wasp, una goletta veloce e ben armata. Dietro la Wasp, disegnato così esattamente da incorniciare le sue vele, navigava il solo banco di nubi presente nel cielo, nubi basse sulle montagne della Réunion nascoste sotto l'orizzonte. Il Capo e le sue tempeste erano lontani duemila miglia a poppa, a sudovest, diciotto giorni di facile navigazione; gli equipaggi si erano ormai ripresi dalle fatiche estreme di approntare le navi, per salpare tre maree prima di quanto sembrasse umanamente possibile. Ma una volta in mare altre fatiche li avevano aspettati: in primo luogo, la perfezione di quell'allineamento, con ogni nave che manteneva il suo posto a una gomena esatta di distanza, una perfezione che poteva essere ottenuta soltanto con una cura e un'attenzione incessanti. La Sirius, con la sua carena sporca, doveva continuamente mollare e imbrogliare i velacci; la Néréide lottare contro la sua tendenza a scadere sottovento e Jack, in piedi sulla poppa della Raisonnable, constatava come la sua cara Boadicea avesse anche lei le sue difficoltà, dato che Eliot continuava ad armeggiare con i controvelacci; mentre solo la pur attempata ammiraglia e l'Otter sembravano a loro agio. In secondo luogo, tutte le navi della squadra, eccetto la Boadicea, erano tormentate, agitate e affaticate dalla passione smodata del commodoro per l'artiglieria. Aveva cominciato subito dopo aver perso di vista capo Agulhas e, sebbene Patrick O'Brian
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gli equipaggi non si fossero affatto riconciliati con quel genere di esercizio, conoscevano ormai le abitudini del commodoro; così, quando videro la Raisonnable segnalare alla Wasp e poi ordinare alla squadra di virare di bordo, capirono subito che cosa aveva in mente. Lungo l'allineamento i fischietti dei nostromi trillarono alti e chiari, gli uomini si tennero pronti ai loro posti, poiché la competizione fra le navi era molto accesa e il timore di una brutta figura molto grande. Non appena la Raisonnable deviò dalla linea, le altre la seguirono a turno, virando con un buon grado di precisione a formare un allineamento con le mure a sinistra, il vento una quarta a poppavia del traverso, una linea rovesciata, con l'Otter in testa. Non avevano molte vele a riva e quella era una manovra semplice, rifletté Jack, osservando dall'impavesata del cassero gli alberi della Néréide che eclissavano quelli della Sirius sulla sua poppa. Nel frattempo la goletta si era allontanata dai bersagli e stava forzando la velatura con notevole diligenza, volendo portarsi il più rapidamente possibile fuori tiro. Una premura comprensibile, poiché come al solito l'Otter aveva aperto il fuoco un attimo prima che i cannoni fossero veramente in posizione e uno dei suoi tiri peggiori sollevò spruzzi di schiuma fra la goletta e il bersaglio. La sua seconda bordata si avvicinò all'obiettivo e lo avrebbe forse colpito se gli uomini ai pezzi avessero aspettato che l'Otter fosse al culmine del rollio. La terza bordata risultò simile alla prima, eccettuato il fatto che una palla passò proprio sopra il bersaglio; una quarta non fu possibile. Jack, orologio alla mano, stava dettando i tempi all'allievo bravo in matematica che aveva portato con sé sulla Raisonnable, quando si fecero sentire i cannoni della Boadicea, un tiro un po' alto che tuttavia avrebbe spazzato l'ipotetico ponte nemico; la seconda bordata fece centro a mezza nave e fra le acclamazioni entusiaste la terza e la quarta demolirono completamente ciò che ancora galleggiava del bersaglio. «Un minuto e cinquantacinque», scrisse Lentiggine sulla sua lavagna, aggiungendovi due punti esclamativi in segno di ammirazione. «Appena saremo a tiro, signor Whittington», disse Jack. Era sottinteso che la Raisonnable non avrebbe svolto un ruolo competitivo in queste esercitazioni; a causa della sua vecchiaia non poteva fare fuoco con tutti i cannoni di un bordo contemporaneamente, non il fuoco micidiale di una nave più giovane, ma ogni terzo cannone del ponte inferiore, con mezza carica, e parecchi dei suoi pezzi più leggeri Patrick O'Brian
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produssero un fuoco lento ma continuo che in un'azione avrebbe inflitto un certo danno al nemico. Un danno molto maggiore delle bordate complete ma inefficaci fino alla comicità della Néréide; due sole, e quelle due così alte che un unico colpo andò a segno, e certamente quel colpo fu sparato da uno degli aiutanti cannonieri che Jack, con molta riluttanza, le aveva ceduto. Fu poi la volta della Sirius, con due bordate ben mirate e con i tiri dei suoi cinque cannoni poppieri mentre il bersaglio malridotto si spostava sulla sua poppa; tiri lenti ma accurati a quella distanza non eccessiva. Jack non aveva né il tempo né la polvere per fare di più. Non appena i cannoni furono rientrati, segnalò: Cambiare mure in successione e richiamò la goletta sottovento. Dal momento in cui avevano salpato da Simonstown, Jack aveva studiato attentamente la navigazione delle fregate al suo comando, ma non aveva mai tenuto il cannocchiale puntato tanto a lungo su qualcosa quanto ora sulla Wasp che stava avanzando rapidamente di bolina stretta, sollevando la spuma bianca proprio sotto l'impavesata sottovento. Era un bel veliero, ben governato, e stringeva il vento in un modo che sembrava impossibile; eppure l'espressione ansiosa e preoccupata di Jack non si distese quando la goletta eseguì una virata e si mise in panna sotto l'anca della Raisonnable, il suo comandante che guardava in alto con aria interrogativa. Jack fece un cenno distratto alla goletta, disse all'ufficiale addetto ai segnali di convocare il comandante della Sirius, andò a poppa e con il megafono chiamò la Boadicea, chiedendo al suo comandante di salire a bordo. Il commodoro li ricevette in modo piuttosto formale nella cabina dove il signor Peter porse a Eliot ordini scritti di procedere per Mauritius con la Boadicea, restando al largo di Port Louis, la capitale e porto principale a nord-ovest dell'isola, e aspettare lì il resto della squadra. Nel frattempo avrebbero dovuto osservare i movimenti del nemico e ottenere tutte le informazioni possibili. A quegli ordini Jack aggiunse con molta chiarezza quello di non impegnarsi in nessun combattimento a meno che le probabilità non fossero decisamente a loro favore, insieme con qualche consiglio su come portarsi al largo di Pointe de Sable con il buio e inviare le scialuppe per una ricognizione del porto alle prime luci dell'alba, così che ne sarebbero uscite con la brezza sfavorevole per gli eventuali inseguitori. Poi, nella sua preoccupazione per la Boadicea, stava per pregare Eliot di non forzare la velatura, di non spiegare i controvelacci un'asta perduta a quelle latitudini era una perdita gravissima -, di tenerla Patrick O'Brian
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allegra ma senza forzarla, quando si rese conto che si stava comportando come una chioccia con i pulcini e si frenò. Rinunciando alle raccomandazioni sulla gru di capone, li accompagnò all'impavesata, restò a guardare per un po' le due fregate dirigersi a nord e scese di nuovo nel suo alloggio dove Stephen era occupato a scrivere in codice su fogli di carta sottilissima. «Il grande vantaggio di questa specie di arca di Noè», osservò Stephen, «è che almeno si può parlare senza essere ascoltati. L'ammiraglio, con i suoi lussi, stanza da pranzo, camera da letto, anticamera, cabina frontale e infine questa meraviglia con la balconata, poteva spassarsela come voleva; e il commodoro ha modo di esprimere liberamente i suoi pensieri. Pensieri, temo, oppressi dalla malinconia.» «Già, confortevole, no?» disse Jack, uscendo sul giardinetto dal quale poteva vedere la Wasp che si alzava e si abbassava di dieci piedi sull'onda lunga, fileggiando ogni tanto per mantenere la stessa velocità del vascello a due ponti. Rientrato nella cabina, disse: «Stephen, quanto odio questo tuo malefico progetto!» «Lo so che lo detesti, amico mio», disse Stephen, «me lo hai ricordato ripetutamente. E ogni volta ti ho risposto che in primo luogo i contatti e le informazioni che cerco sono di capitale importanza, e in secondo luogo che il rischio è trascurabile. Faccio duecento passi su una spiaggia ben definita dalle palme, busso alla porta della seconda casa che incontro, una casa di cui ho un disegno accurato, ho un contatto di valore inestimabile, ricevo le mie informazioni, consegno questi documenti, scritti, come vedi, su una carta così sottile da renderli commestibili secondo la migliore tradizione, torno alla scialuppa e con quella al tuo veloce bastimento e ti raggiungo, se Dio vuole, per fare colazione con te. Prometto di non indugiare a terra, Jack, sebbene La Réunion sia un'altra Ofir per la mente del filosofo naturalista.» Jack passeggiava avanti e indietro. Tutto ciò che Stephen diceva era sensato, eppure non erano passati molti anni da quando aveva dovuto salvare l'amico portandolo via da Port-Mahon più morto che vivo fino a Minorca, dove era stato catturato durante una missione segreta e interrogato con metodi barbari da Inquisizione e quasi ammazzato. «Minorca era un caso del tutto diverso», ribatté Stephen. «In quel caso la mia missione era stata compromessa in patria, ma qui non esiste questa possibilità.» Patrick O'Brian
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«Non è solo questo», insistette Jack, fermandosi davanti a una carta delle coste della Réunion. «Guarda questa stramaledetta barriera corallina, pensa alla risacca. Te l'ho detto centinaia di volte, Stephen, che quelle acque interne sono pericolosissime: scogli dappertutto, per una buona metà non segnati sulle carte, una risacca terribile. So quello che dico, ci sono stato da ragazzo. Non esiste quasi un tratto di costa dove si possa sbarcare con sicurezza, anche quando il moto ondoso è al minimo. Per entrare nella tua Petite Anse dovrai infilarti in un canale nella barriera non più largo di una gomena, rischioso perfino con l'alta marea e al chiaro di luna. E se quel tipo della Compagnia non lo trova? Non conosce queste acque, lo ha ammesso francamente.» «L'alternativa è andare con l'Otter. Clonfert conosce questi lidi e ha un nocchiere indigeno. E dal momento che prima o poi dovrò passare del tempo sull'Otter, sono ansioso di conoscere il suo comandante. Molto dipenderà da una buona comprensione fra noi.» «Certamente conosce queste coste», ribatté Jack, «ma le coste conoscono lui. È entrato e uscito decine di volte, e proprio da questo lato a oriente; l'Otter è troppo riconoscibile, basterebbe che una qualsiasi barca da pesca o un esploratore o anche una sentinella in alto sulla scogliera la vedessero, e tutti i soldati e i miliziani dell'isola si precipiterebbero a sparare all'impazzata. No: se si deve fare, la goletta è la scelta giusta. Il suo comandante è un tipo affidabile e un bravo marinaio, niente stramberie in lui o nella Wasp. E poi, bisogna tener conto del tempo a disposizione.» «Certamente, anch'io preferirei la goletta. Ci lascerà a Rodriguez per andare a Bombay, credo di aver capito, e questo mi coprirà un po' più a lungo.» «Bene», disse Jack con grande riluttanza. «Ma ti avverto, Stephen, darò al comandante ordini tassativi di ritornare immediatamente se non riuscirà a trovare il passaggio al primo tentativo o al primo segno di movimento a terra. E devo dirti anche questo, Stephen: se il piano non funziona, non potrò mandare a terra una squadra per liberarti.» «Sarebbe una follia tentare una cosa del genere», convenne Stephen placido; e dopo una breve pausa: «Sinceramente, Jack, pensi che sarebbe scortese ricordarti che il tempo non aspetta nessuno? E questo vale anche, mi dicono, per la marea». «Allora posso almeno mandare Bonden con te», esclamò Jack. «E far montare una carronata sulla scialuppa!» Patrick O'Brian
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«Sarebbe una cosa gentile. E posso suggerire che sarebbe un'astuzia veramente diabolica se gli uomini della scialuppa fossero neri, tanto per ingannare il nemico? Perché dobbiamo presumere che quella creatura che è il nemico veda al buio, no?» «Provvedo immediatamente», disse Jack e uscì, lasciando Stephen ai suoi codici.
* Poco prima dei quattro colpi della guardia del pomeriggio, il dottor Maturin fu calato come un pacco sul ponte della Wasp dove Bonden lo afferrò, lo liberò dalle cinque braccia di cima robusta che lo avevano immobilizzato (tutti avevano un'opinione bassissima delle sue capacità di sopravvivenza sul mare) e lo condusse a poppa, bisbigliandogli: «Non dimenticate di togliervi il cappello, signore». Era un cappello rotondo confezionato in Francia e Stephen se lo tolse alquanto cerimoniosamente per salutare il comandante e gli ufficiali; poi, mentre si girava per sventolarlo in segno di saluto a Jack, scoprì che stava salutando un largo tratto di mare e la polena della Raisonnable. La goletta aveva già attraversato la rotta del vascello a due ponti e ora stava volando con le due rande al vento verso le nuvole sospese sopra le montagne della Réunion. «Per di qua, prego, signore», disse il comandante della Wasp, «credo che il pranzo ci stia aspettando.» In quello stesso momento Killick saliva a poppa della Raisonnable dove Jack stava seguendo con lo sguardo la goletta, e dichiarava, con qualcosa della sua antica asprezza, che «i gentiluomini si stavano pestando i piedi nel mezzo ponte da dieci minuti e sua signoria era ancora in brache di tela!» Di colpo Jack si rese conto che si era dimenticato del suo invito al quadrato e di non essere vestito in modo adatto all'occasione; a nord del tropico del Capricorno aveva ripreso gli abiti comodi e leggeri e stava per rendersi colpevole di mancanza di puntualità. Si precipitò da basso, si infilò nell'uniforme e si proiettò nella cabina nell'istante preciso in cui la campana suonava i cinque colpi. Là ricevette gli ospiti, gli ufficiali di marina nelle loro migliori uniformi blu e quelli dell'esercito nelle loro giubbe scarlatte, tutti quanti rossi come peperoni per il caldo, poiché erano in alta tenuta da almeno mezz'ora; Jack li condusse alla tavola apparecchiata nella cabina dove l'osteriggio lasciava passare i raggi del Patrick O'Brian
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sole cocente e gli ufficiali si fecero paonazzi. All'inizio di una crociera e spesso per tutto il periodo, quei banchetti, in teoria un'occasione «mondana» fra uguali ma in effetti una riunione quasi obbligatoria di uomini che occupavano livelli diversi in una scala gerarchica rigida e costantemente presente alla mente, tendevano a essere faccende alquanto ponderose. Jack ne era perfettamente consapevole e si sforzava di dare all'intrattenimento una qualche parvenza di spontaneità. Si sforzò molto, anzi, e a un certo punto, sensibile alle sofferenze del comandante dei fanti di marina che appariva sempre più vicino a una congestione, pensò perfino di invitarli a togliersi le giacche pesanti; ma non sarebbe stato ammissibile, anzi del tutto fuori luogo. Sebbene desiderasse infatti che i suoi ospiti stessero bene, non voleva conciliarsi la loro benevolenza con una concessione poco appropriata, per quanto minima. No, dovevano divertirsi entro i limiti delle regole della marina e quei limiti certamente non si estendevano fino a trasformare la sua cabina in un bivacco. Si limitò a ordinare che fosse rimesso il tendale, tolto per il viaggio aereo di Stephen, e di annaffiare la coperta. Il suo animo era lontano di lì, e tuttavia Jack fece del suo meglio per partecipare all'atmosfera conviviale, artificiosa però, tanto che tutti quanti sedevano impettiti, accaldati, cerimoniosi. Le regole volevano che nessuno desse inizio a una conversazione tranne il commodoro e, dal momento che ancora non lo conoscevano bene, i comandanti vi si attenevano rigorosamente. Alla fine Jack rimase a corto di argomenti e fu ridotto a insistere perché mangiassero e bevessero. Da parte sua aveva lo stomaco chiuso e faceva solo finta di mangiare, ma quando una misericordiosa frescura cominciò a diffondersi al riparo del tendale, rafforzata dai costanti alisei di sud-est, la bottiglia girò con maggiore slancio, e ancor prima che fosse servito il porto tutti avevano un aspetto lustro e quasi scintillante, una tendenza a tenere lo sguardo fisso e a stare rigidi ed erano molto più attenti a come si muovevano mentre la bottiglia di cristallo veniva passata in giro: giri alquanto deprimenti tuttavia, come Jack dovette ammettere dentro di sé. Il pranzo nella cabina bassa e triangolare della Wasp fu una faccenda molto diversa. Dal momento che i compiti della notte richiedevano una mente il più possibile lucida, Stephen aveva chiesto la cortesia di un caffè leggero e freddo; il signor Fortescue non beveva mai vino e così la bottiglia destinata all'ospite rimase intatta fra la spremuta di limoncello e la Patrick O'Brian
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grande caffettiera di rame mentre i due divoravano montagne di un curry così esplosivo da far impallidire il sole dei tropici. Avevano scoperto in fretta la condivisa passione per l'ornitologia e in quel momento, dopo un semplice ma esauriente resoconto sulle procellarie che aveva osservato, il signor Fortescue stava affermando che non c'era niente di meglio della vita di un marinaio per conoscere il mondo. «Ma, signore!» saltò su Stephen, agitando un piccolo pesce salato usato nel condimento del curry, «come potete parlare così? Ogni nave sulla quale ho navigato avrebbe potuto chiamarsi Tantalo. Mi hanno portato in Paesi remoti, a portata di mano dell'uccello del paradiso, dello struzzo, del sacro ibis; mi hanno deposto in una varietà di porti puzzolenti ed essenzialmente identici; e poi, senza eccezione, mi hanno riportato via di corsa. La ricchezza delle Indie è vicina a me e io sono costretto ad allontanarmene per essere nuovamente scaricato in un ennesimo porto maleodorante a migliaia di miglia di distanza, dove si ripete esattamente la stessa cosa. Per essere sincero non posso negare che l'oceano riveli a tratti meraviglie tali da compensare il tedio della costrizione, del rituale farisaico della vita di bordo - ho potuto vedere l'albatro! - ma questi non sono che sguardi fugaci. Non sappiamo niente dell'organizzazione sociale degli uccelli, del periodo interessante dei loro amori, della sollecitudine verso i piccoli, dei loro compiti e delle loro cure domestiche. Tutto questo sarebbe a portata di mano, eppure lo si getta via, proprio quando si potrebbe approfittare di occasioni in cui, per altri fini, vi è un enorme dispendio di energia e di denaro pubblico. No, non riesco a concepire una vita più frustrante per un naturalista di quella del marinaio, la cui sorte è di attraversare il mondo senza vederlo. Ma forse, signore, voi siete stato più Fortunato?» Il signor Fortescue, pur riconoscendo la validità generale delle osservazioni del dottor Maturin, era stato effettivamente più Fortunato, in particolare in rapporto al grande albatro, la Diomedea exulans, al quale il dottore aveva fatto un accenno così entusiasta. Aveva fatto naufragio su Tristan da Cunha, dove era vissuto sugli albatri e con gli albatri, migliaia e migliaia di albatri, per non parlare dei pinguini, delle sterne, delle stercorarie, dei prioni tortora, dei rallidi di varia specie e di un tipo di fringuello non ancora studiato. Era rimasto seduto accanto agli albatri durante il periodo della cova, aveva pesato, misurato, mangiato le loro uova, aveva assistito alle loro cerimonie nuziali; e avendo salvato dal Patrick O'Brian
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naufragio un mozzicone di matita e il Navigatore pratico completo, le cui pagine bianche servivano per annotazioni e calcoli, li aveva, nei limiti delle sue scarse possibilità, anche disegnati. «Davvero siete riuscito a fare note illustrate?» gridò Stephen, gli occhi che gli brillavano. «Ah, come vorrei, come vorrei potervi persuadere a mostrarmele in un futuro non troppo lontano!» Si dava il caso, disse il signor Fortescue allungando la mano, che il volume fosse proprio lì, interamente a disposizione del dottor Maturin. Pensava di avere anche qualche campione - uova, penne, ossa -, nello stipo sul quale stavano seduti. Erano ancora immersi nei loro albatri quando scese la sera e le tormentate montagne della Réunion si disegnarono nere alle ultime luci del crepuscolo. In quello stesso momento Jack, con un saporaccio metallico in bocca e la testa dolente, cominciava a passeggiare avanti e indietro a poppa, lanciando un'occhiata a ovest a ogni giro, sebbene non esistesse la minima possibilità di avvistare la Wasp prima dell'alba. Una passeggiata che continuò mentre le stelle si muovevano in senso antiorario nel cielo meridionale e una guardia succedeva all'altra; un su e giù dapprima ansioso, poi sempre più meccanico, che lasciava la mente libera di pensare. A quel punto Jack aveva riacquistato una certa calma e fra un'osservazione e l'altra delle stelle, riesaminava i suoi calcoli arrivando sempre allo stesso risultato confortante: La Réunion si trovava al vertice di un triangolo la cui base era la rotta che la squadra avrebbe seguito durante il pomeriggio e la notte, il lato a sud era il tratto di mare percorso dalla Wasp per portare Stephen sull'isola, un tratto lungo una cinquantina di miglia. Jack aveva mantenuto la squadra con le sole gabbie e, avendo controllato la velocità di navigazione ogni volta che era stato gettato il solcometro, ai quattro colpi della diana confidava di aver percorso ottanta miglia e perciò raggiunto il punto nel quale il lato settentrionale del perfetto triangolo isoscele, il lato seguito dalla goletta che riportava Stephen alla nave, avrebbe dovuto incontrare la base. In quei mari, con il vento che soffiava costante, calcoli del genere si potevano fare con notevole precisione; in questo caso l'unica variabile era il tempo che Stephen avrebbe trascorso a terra e che Jack aveva provvisoriamente valutato in circa tre ore. La seconda comandata si stava consumando. Un pesce volante andò a sbattere contro la grande lanterna di poppa, ma, a parte questo, niente venne a interrompere la quiete dell'immutabile routine notturna. Il vento Patrick O'Brian
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cantava una nota monotona fra il sartiame, l'acqua scorreva lungo le murate, la scia fosforescente si allungava, una linea diritta, spezzata dall'onda prodiera dell'Otter che seguiva la Raisonnable a due gomene di distanza a poppa; e a ogni colpo della campana, per tutta la nave e in tutta la squadra, le sentinelle gridavano dai loro posti: «Tutto bene a bordo!» «Spero in Dio che abbiano ragione», disse Jack. Salì sul cassero e di nuovo controllò il mostrarombi. Era fortemente tentato di arrampicarsi sulla coffa o anche sul colombiere, ma per non attirare troppo l'attenzione fece ritorno alla sua poppa solitaria, desiderando in cuor suo che l'ufficiale di guardia mandasse un bravo gabbiere a riva con un cannocchiale notturno e gli ordinasse di tenere gli occhi ben aperti. Era ancora là quando le stelle a oriente cominciarono a impallidire; la diana era suonata già da parecchio tempo e gli uomini si muovevano in coperta, spargendo sabbia nella semioscurità. Le certezze di Jack erano svanite da più di un'ora, il suo bel triangolo isoscele se ne era volato via col vento, sconvolto da mille nuovi elementi sconosciuti. Jack, adesso immobile, appoggiato all'impavesata, perlustrava l'orizzonte da ovest a sud-ovest. L'orlo rilucente del sole si affacciò, la luce esplose nel cielo a oriente e la vedetta gridò: «Vela in vista!» «Dove?» gridò Jack di rimando. «Al traverso di dritta, signore. La Wasp. In panna.» Ed era là davvero, lo scafo ancora invisibile, molto a est, le vele triangolari che sfioravano i raggi del sole appena sorto. Jack ordinò: «Dirigere verso di lei», e riprese a passeggiare avanti e indietro. Lo sfregare costante delle pietre per lavare i ponti, i colpi delle redazze: la vita diurna della nave era ripresa sulla Raisonnable e il vascello spiegò i velacci avanzando veloce lungo la rotta che avrebbe intersecato quella della goletta. Quando il potente cannocchiale gli ebbe mostrato Stephen che passeggiava anche lui avanti e indietro lontano laggiù, Jack scese sottocoperta. «La colazione nella cabina posteriore, Killick.» E si sdraiò sulla sua branda per un po'. A un tratto udì l'ufficiale di guardia chiedere un bansigo, grida agitate di «Piano, piano, ora! Scostatelo dal paterazzo!» e poco dopo gli giunse all'orecchio il passo familiare di Stephen. «Buongiorno, Stephen», lo salutò. «Hai un'aria soddisfatta. La gita è stata di tuo gradimento, mi pare.» «Magnifica, Jack, grazie, e buongiorno a te. Davvero magnifica... guarda!» Tenne sollevate le mani unite, le aprì con cautela e scoprì un Patrick O'Brian
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uovo enorme. «Be', un uovo prodigioso, direi», commentò Jack; poi, alzando la voce: «Killick! Presto con la colazione, diamoci da fare». «Ho portato altre cose con me», disse Stephen, tirando fuori dalla tasca un pacchetto avvolto in una tela verde e un grosso involto. «Ma non è niente a paragone con il dono veramente regale di quel degnissimo giovane, il signor Fortescue, perché quello che vedi qui, Jack, non è altro che la prova concreta del gigantesco amore dell'albatro. Laddove questo», e indicò il pacchetto che accennava a muoversi, «è solo un pappagallo della comune specie verde o dell'Africa occidentale, troppo loquace per la sua stessa sicurezza.» Svolse la tela che avvolgeva l'animale, tolse la fascia che immobilizzava le ali e sistemò il pappagallo sulle sue zampe. «A bas Bonaparte», esclamò immediatamente l'animale, con una voce metallica e indignata, «salaud, salaud, salaud», poi si arrampicò sulla spalliera della sedia e cominciò a spollinarsi con grande zelo. «Il sacchetto di stoffa, invece, contiene forse il miglior caffè che abbia mai assaggiato; cresce molto bene sull'isola.» Arrivò la colazione e, quando furono di nuovo soli, Jack domandò: «Allora deduco che tu non abbia passato tutto il tempo a terra a collezionare uova di uccelli. Sarebbe indelicato chiederti di raccontarmi qualcosa sul resto del tuo viaggio?» «Ah, quello», fece Stephen, sistemando il suo uovo sul piattino del burro per vederlo da un'altra angolazione. «Sì, sì; è stato un semplicissimo lavoro di routine, come ti dicevo. Fruttuoso, però. Non ti parlerò del mio interlocutore, molto meglio non sapere niente in certi casi, ti dirò soltanto che sono giunto a considerarlo una fonte di informazioni del tutto sicura, criticabile solo per la prolungata detenzione di questo volatile indiscreto, un errore del quale lui stesso era consapevole, del resto. E nemmeno ti annoierò con l'aspetto politico della questione; ma ti dirò invece che adesso ho un'idea precisa del suo aspetto militare. Lo ritengo un resoconto autentico della situazione e oso sperare che tu ne sarai soddisfatto. In primo luogo il nostro arrivo è ancora ignorato; in secondo luogo le due navi della Compagnia delle Indie catturate di recente, l'Europe e la Streettham sono dirette a Saint-Paul, dall'altra parte dell'isola, insieme con la fregata che le ha catturate, la Caroline, le cui parti interne sembra che abbiano bisogno di cure, il che la tratterrà là almeno una quindicina di giorni. In effetti il suo comandante, un giovane amabilissimo che si chiama Patrick O'Brian
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Feretier, è molto legato alla moglie del governatore, il generale Desbrusleys, un gentiluomo di temperamento passionale che è ai ferri corti con Saint-Michiel, il comandante di Saint-Paul, e con quasi tutti gli ufficiali presenti alla Réunion. In questo momento si trova a Saint-Denis: le sue forze ammontano a un po' più di tremila uomini, compresa la milizia, ma sono dislocate in vari punti dell'isola, a venti, trenta miglia di distanza in zone piuttosto impervie. E anche se Saint-Paul è ben difesa da batterie e fortificazioni che ammontano, vediamo... nove e otto fa diciassette, sette con riporto di uno; cinque e cinque dieci più uno undici... fanno centodiciassette cannoni; anche se è ben difesa, dicevo, la puoi considerare raggiungibile, a dispetto della difficoltà di sbarcare su quelle spiagge, come tu non fai che ripetere. Questo schizzo ti mostra la disposizione approssimativa delle batterie. E qui c'è quella delle truppe. Mi perdonerai l'ovvietà, ma torno a dirti che, se decidi di agire, la celerità è tutto. 'Non c'è un minuto da perdere', come diresti tu.» «Signore Iddio, Stephen, come mi fai felice!» esclamò Jack, prendendo il foglio e mettendolo a confronto con la sua carta della rada di Saint-Paul e della costa. «Sì, sì, vedo. Un fuoco incrociato, naturalmente. Pezzi da quarantadue libbre, direi; e ben serviti, senza dubbio. Non esiste la possibilità di catturare in porto le navi della Compagnia o la fregata, nessuna possibilità, a meno di non impadronirci delle batterie costiere. E questo non lo possiamo fare senza tutti i fanti di marina e i marinai; ma tre o quattrocento soldati da Rodriguez potrebbero pareggiare i conti, credo. Non potremmo tenere la posizione, naturalmente, ma potremmo prendere le navi... sì, esiste la possibilità di prendere le navi.» Studiò il foglio e la sua carta. «Sì, un osso duro, senza dubbio; ma se solo riuscissi a persuadere le truppe di Rodriguez a muoversi subito e se solo potessimo sbarcare senza problemi i nostri uomini, penso che potremmo farcela. Saint-Paul è in una posizione riparata, la risacca non è così tremenda là e a meno che il vento non giri a ovest... ma capisco benissimo le tue ragioni per non perdere nemmeno un minuto, Stephen...» Corse fuori della cabina e qualche istante più tardi Stephen, che stava rigirando il suo uovo fra le mani, udì le voci e i suoni della Raisonnable che faceva rotta verso Rodriguez, spiegando una vela dopo l'altra; gli alberi protestavano, il canto delle sartie tese si faceva sempre più acuto, lo sciabordio dell'acqua lungo le murate si trasformava in un ruggito che si univa all'orchestra complessa del cordame, del legno sotto sforzo, delle onde e del vento, suoni che tutto Patrick O'Brian
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pervadevano, esaltanti per l'orecchio della gente di mare, una musica che non si affievolì un solo istante mentre la squadra avanzava sulle cinquecento miglia di mare avendo al lasco un forte vento da sud-est.
* Rodriguez. La bassa cupola dell'isola apparve chiara sulla masca di dritta all'alba del giovedì, una cupola verdastra in cima alla quale si disegnavano le palme, posata su una laguna di smeraldo; tutto intorno l'immensa barriera corallina orlata dalla spuma bianca dei frangenti e al di là di quella il blu intenso del mare aperto, ininterrotto per cinquemila miglia sopravvento. Un uccello, una fregata, passò a qualche piede di altezza, la lunga coda biforcata che si apriva e si chiudeva mentre l'uccello planava sulle correnti vorticose fra la trinchetta e i fiocchi, ma né Jack né Stephen distolsero lo sguardo dall'isola. Su una lingua piatta di terra sulla quale sorgeva una grande casa e qualche capanna, si vedevano anche file ordinate di tende: non un gran numero, ma sufficienti a ospitare i tre o quattrocento soldati che avrebbero reso possibile l'incursione alla Réunion, se solo il loro comandante si fosse lasciato persuadere a muoversi. Jack aveva visto operazioni congiunte a decine, ma di poche serbava un bel ricordo e i problemi di un comando diviso, le probabilità di meschine gelosie fra l'esercito e la marina, per non parlare delle discordie nei consigli di guerra, erano ben presenti alla sua mente. Era superiore in grado al tenente colonnello Keating, ma questo gli dava solo una mera precedenza, nessun diritto di impartire ordini: bisognava che si Stabilisse una vera, genuina collaborazione o l'impresa non sarebbe stata fattibile. Jack poteva contare unicamente sulla sua capacità di presentare la cosa e, come se uno sguardo intenso e fisso fosse capace di convincere, continuava a puntare il cannocchiale sulla costruzione, spostandolo solo ogni tanto per osservare il varco nella barriera che indicava lo stretto canale che immetteva nella laguna. La mente di Stephen era in gran parte occupata dagli stessi pensieri; e tuttavia una parte era anche consapevole, fortemente consapevole che l'isola che stava scivolando verso di lui era la culla di un'enorme tartaruga di terra, forse non così grande come la Testudo aubreii scoperta e denominata da lui stesso su un'isola simile a quella e in quello stesso oceano, ma anche così una delle meraviglie della terra; e, cosa più Patrick O'Brian
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importante, era consapevole che fino a poco tempo prima era stata l'asilo, l'unico asilo del Pezophaps solitarius, un uccello somigliante in qualche modo al dodo, ugualmente estinto, ahimè, ma ancora meno conosciuto dalla scienza, con i suoi pochi resti frammentari. Considerò diversi modi di affrontare l'argomento, nessuno veramente soddisfacente data la rozza insensibilità di Jack nei riguardi della scienza priva di un'immediata applicazione pratica. Per il comandante Aubrey, come per il resto della creazione bruta, esistevano solo due specie di uccelli, quelli commestibili e quelli non commestibili. Anche dopo prolungate riflessioni, durante le quali la squadra ridusse la velatura per la prima volta in cinquantadue ore, Stephen riuscì a produrre soltanto un timido: «Se fossimo costretti a fermarci per un po'...» che passò del tutto inosservato, perché mentre lui pronunciava quelle parole Jack alzava il megafono e chiamava la Néréide, dicendo: «Ci porti dentro, comandante Corbett. E ci preservi dal male». «Amen», scappò detto a un marinaio prodiero, il quale lanciò un'occhiata inorridita al commodoro non appena la parola gli fu uscita di bocca. «... forse potrei portare qualcuno per cercare ossa», continuò Stephen, qualcuno che non abbia difficoltà a camminare, avrebbe voluto aggiungere, se l'espressione dura e concentrata del commodoro non lo avesse persuaso che tanto sarebbe valso chiedergli la polena della nave. La lancia ufficiale fu calata sulle acque calme della laguna, l'equipaggio si allineò secondo gli ordini e quella stessa espressione dura e concentrata avanzò a grandi passi sulla spiaggia corallina per incontrare il colonnello Keating. Si scambiarono i saluti, si strinsero la mano e il militare disse: «Voi non vi ricorderete di me, signore, ma mi sono trovato a una cena in vostro onore a Calcutta dopo la vostra splendida difesa della flotta proveniente dalla Cina». «Ma certamente mi ricordo di voi!» rispose Jack, il quale aveva effettivamente una reminiscenza di quella figura alta e asciutta, di quel naso lungo e di quella faccia capace che rianimò le sue speranze. «Sono felicissimo di rivedervi.» Il colonnello parve compiaciuto e mentre accompagnava Jack lungo le due ali di soldati inglesi del 56° reggimento fanteria da un lato e i sepoys in turbante del 2° reggimento fanteria di Bombay dall'altro, osservò: «Come siamo stati contenti di vedervi arrivare! Ci annoiamo talmente su questo triste scoglio deserto! Siamo ridotti alle corse delle tartarughe, Patrick O'Brian
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niente da aspettare se non l'arrivo del grosso delle truppe l'anno prossimo, niente a cui sparare tranne le galline faraone». Jack approfittò immediatamente dell'occasione: «Se siamo della stessa idea, colonnello, credo di potervi liberare dalla noia e offrirvi qualcosa di meglio cui sparare delle galline faraone». «Davvero, perdio!» esclamò il soldato, con gli occhi che brillavano come quelli di Jack. «Io ho sperato che qualcosa bollisse in pentola quando vi ho visto scendere a terra così in fretta!» Sotto la tenda, gustando un sorbetto, Jack illustrò la situazione: si sentiva quasi certo che il colonnello, sebbene tacesse, fosse con lui, eppure il cuore gli batteva stranamente mentre pronunciava le parole che gli avrebbero dato la risposta, positiva, negativa o temporizzatrice. «E così, signore, mi farebbe piacere avere il vostro parere in proposito.» «Sono completamente d'accordo con voi», rispose Keating senza tergiversare. «Due cose sole mi fanno esitare, esitare come comandante delle truppe di Rodriguez, intendo dire, non come Harry Keating. La prima è che non ho più di quattrocento uomini qui, è solo un primo contingente per costruire il forte e preparare le difese. Non era assolutamente previsto che dovessi muovermi fino all'arrivo del grosso delle truppe con il prossimo monsone e potrei essere punito severamente per aver lasciato il mio posto. Ma per contro so quanto la Compagnia delle Indie vi adori, perciò potrei ugualmente essere punito per non aver accettato il vostro piano di attacco. Per quanto riguarda questa prima perplessità, quindi, seguirei la mia inclinazione, che coincide con la vostra, signore. La seconda perplessità riguarda la questione del passaggio attraverso la barriera corallina: la scelta del punto di sbarco. Come voi avete sottolineato con tanta franchezza, il vero problema è questo. Perché, avendo a disposizione solo i vostri fanti di marina e i marinai di cui potrete fare a meno, diciamo seicento uomini con le mie poche compagnie, dovrà essere un coup de main senza errori. I miei uomini, in particolare i sepoys, non sono bravi in mare, e se lo sbarco non sarà perfetto e non riusciremo al primo attacco sarà durissimo quando le colonne francesi cominceranno ad arrivare da Saint-Denis e dalle altre località dell'isola. Se vi dichiarerete tranquillo su questo punto, mi muoverò immediatamente.» «Non pretendo di conoscere bene il lato occidentale dell'isola», disse Jack, «ma ho due comandanti con me che hanno una vasta conoscenza di questi luoghi. Sentiamo che cos'hanno da dire in proposito.» Patrick O'Brian
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La coscienza del comandante Keating agognava a essere tranquillizzata e per riuscirci sarebbe bastato molto meno della veemenza di Corbett, il quale affermò che lo sbarco sul lato occidentale dell'isola a nord di SaintPaul, purché il vento rimanesse da sud-est come faceva trecento giorni all'anno, era facilissimo; e ancor più si tranquillizzò quando queste affermazioni furono convalidate da quelle ancora più veementi di Clonfert: anche nel caso che il vento soffiasse da ovest, lui sarebbe stato in grado di sbarcare mille uomini in una cala nascosta, accessibile attraverso canali nella barriera che il suo nocchiere mauriziano conosceva. Ma il colonnello fu meno soddisfatto quando i due comandanti si misero a discutere aspramente sul posto migliore per l'eventuale sbarco, Clonfert sostenendo che la cala di Saint-Giles era la scelta ovvia, Corbett che solo un mentecatto avrebbe potuto non preferire la Pointe des Galets, soggiungendo, in risposta all'obiezione di Clonfert, che la Pointe des Galets si trovava a sette miglia da Saint-Paul, che la sua era l'opinione di un capitano di vascello con una vera conoscenza di quelle acque, acquisita in molti anni di servizio in quei mari durante questa guerra e durante l'ultima, un'opinione che probabilmente aveva un peso maggiore di quella di chi era comandante solo da poco tempo. Il colonnello si ritirò in un riserbo grave e formale mentre i due comandanti discutevano aspramente, rivelando le loro personalità nascoste, finché il commodoro non li richiamò all'ordine non senza rudezza. E il piacere che il militare ricavava dalla compagnia degli ufficiali di marina diminuì ancora quando Lord Clonfert si scusò bruscamente prima che il pranzo finisse e uscì dalla tenda pallido quanto era stato paonazzo all'inizio del pasto: un rossore attribuibile alle parole che il commodoro gli aveva rivolto vicino al forte in costruzione, un luogo relativamente appartato: «Lord Clonfert, sono estremamente dispiaciuto di questa esibizione di malanimo e soprattutto che abbia avuto luogo alla presenza del colonnello Keating. Voi dimenticate il rispetto dovuto agli ufficiali più anziani, signore. Non deve accadere un'altra volta».
* «Signore Iddio, Stephen», esclamò Jack uscendo sul giardinetto della Raisonnable, dove il dottor Maturin sedeva contemplando l'isola con aria nostalgica, «che persona eccezionale quel Keating! Lo si sarebbe quasi Patrick O'Brian
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detto un marinaio. 'Quando volete che i miei uomini salgano a bordo?' mi dice. 'Andrebbe bene per le sei?' dico io. 'Perfettamente, signore', dice lui. Si gira, dice al maggiore O'Neil: 'Levate le tende', e le tende svaniscono, tutto fatto senza nessuna richiesta, se non che agli indù non venga data carne di manzo salata e ai maomettani carne di maiale. Questi sono i soldati che piacciono a me! Fra tre ore saremo in mare! La Néréide si sta preparando ad accoglierli a bordo in questo stesso istante. Non ne sei felice, Stephen?» «Oh, ne sono felice, oltremodo felice. Ma, Jack, devo dedurre che non sarà concessa nessuna licenza a terra, che dovremo essere trascinati via da quest'isola come siamo stati trascinati via dalla balena partoriente al largo di capo Agulhas? Avevo pregato il signor Lloyd di lasciarmi avere una barca, una barchetta, ma lui ha dichiarato che avrebbe preferito essere spellato vivo piuttosto che lasciarmi andare senza un ordine da parte tua e ha anche soggiunto, con un sogghigno disumano, che secondo lui il commodoro avrebbe levato le ancore prima della marea. Eppure, sarebbe di un incommensurabile beneficio per tutti se gli uomini potessero scorrazzare un po', non fosse che sulla spiaggia, non è così?» «Che Dio ti benedica, Stephen!» esclamò Jack, «avrai la tua barca e gli scarafaggi che riuscirai ad acchiappare in due ore e mezzo; perché dovranno essere due ore e mezzo, bada bene, non un minuto di più. E manderò Bonden con te.» Stephen aveva quasi terminato la laboriosa discesa a poppa e il suo piede era quasi a contatto con la scialuppa, quando la iole dell'Otter si accostò alla Boadicea. «Il dottor Maturin, signore?» gridò un allievo dalla scialuppa. Stephen girò con fatica il collo, rivolgendo al ragazzo uno sguardo cupo: tutta la sua vita professionale sulla terraferma era stata ossessionata da quei vili messaggeri; innumerevoli concerti, teatri, opere, cene, divertimenti assaporati erano andati a monte o erano stati interrotti sul più bello da mentecatti i quali, per qualche loro fine personale, si erano fratturati una gamba, avevano avuto un colpo o erano caduti in catalessi. «Parlate con il mio assistente, il signor Carol», disse. «I particolari saluti del dottor McAdam al dottor Maturin», continuò l'allievo, «e sarebbe molto grato di un suo consiglio.» «Morte e dannazione», imprecò Stephen. Risalì a bordo, ficcò qualche strumento nella borsa e ridiscese, tenendo il manico della borsa fra i denti. Patrick O'Brian
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Un McAdam perfettamente sobrio e alquanto preoccupato lo accolse a bordo dell'Otter. «Desideravate vedere questo caso durante una crisi, dottore; prego, accomodatevi da basso», disse davanti agli altri; e in privato: «E che razza di crisi, che Dio mi fulmini! Sono sollevato di avere il vostro aiuto, collega, sono indeciso fra tre possibilità almeno». Condusse Stephen nella cabina del comandante dove Lord Clonfert era piegato in due dal dolore sull'ottomana. Fece uno sforzo eroico per accogliere Stephen con cortesia e per ringraziarlo di essere venuto: squisitamente gentile... enormemente obbligato... désolé di riceverlo in quelle condizioni...; ma i crampi dolorosi lo costrinsero rapidamente a interrompersi. Stephen lo visitò con cura, rivolse qualche domanda, lo esaminò di nuovo, poi i due medici si ritirarono. Le orecchie allungate che indugiavano nei paraggi non riuscirono a capire gran che del loro latino, ma sembrava certo che il dottor Maturin non volesse aver niente a che fare con l'ostruzione iliaca del dottor McAdam e ancor meno con il suo costoso balsamo di Lucatellus. Il dottor McAdam avrebbe fatto bene a provare con l'helleborus niger nella dose eroica di venti gocce, unitamente a quaranta gocce di laudano e sessanta di vino di antimonio, accompagnate naturalmente da una piccola dose di terra d'Armenia quale espediente provvisorio; aveva dato buoni risultati nella cura di coliche addominali di una specie simile, anche se non così violente, di un commissario di bordo, un ricco commissario che aveva paura di essere scoperto. Ma questo di Lord Clonfert era un caso particolarmente difficile, interessante, che richiedeva ulteriori consultazioni. Il dottor Maturin avrebbe mandato a prendere i calmanti che aveva menzionato e quando gli enteroclismi avessero fatto il loro effetto forse il dottor McAdam avrebbe voluto passeggiare un po' sulla terraferma per discutere la questione con maggiore agio, non era così? Il dottor Maturin trovava che passeggiando le idee gli si schiarivano sempre. Le orecchie attente si dispersero durante l'andirivieni del messaggero; della somministrazione dei medicinali non seppero un gran che, a parte il fatto che i gemiti nella cabina erano cessati; ma colsero alcune parole quali «... felice di assistere alla dissezione del cadavere nel caso di un esito sfavorevole», parole che valsero al dottor Maturin qualche occhiataccia mentre i due medici si preparavano a scendere lungo la murata, poiché gli uomini dell'Otter amavano il loro comandante. Passeggiarono su e giù fra i soldati che si affrettavano sulla spiaggia, poi Patrick O'Brian
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nel recinto delle tartarughe, dove il sovrintendente francese se ne stava circondato da qualche centinaio di quelle creature fra le quali era immerso fino alla coscia. Infine risalirono verso l'interno dell'isola fin quando i frangenti che si abbattevano sulla barriera non furono altro che un continuo e lontano brontolio di tuono. Stephen aveva visto levarsi in volo pappagalli di una specie che non era stato in grado di identificare, qualche francolino, un tipo di baniano che, mettendo radici dai rami, formava oscure arcate dove si nascondevano innumerevoli pipistrelli tropicali delle dimensioni di una piccola colomba. Tuttavia la sua mente professionale aveva anche elaborato il lungo e dettagliato racconto che il dottor McAdam gli aveva fatto delle abitudini del suo paziente, della sua dieta e dello stato del suo animo. McAdam si disse d'accordo con il collega nel rigettare le cause fisiche. «È qui il nocciolo del problema», disse, battendosi la mano sulla cima della testa pelata, sul cranio lucido e sudato sgradevolmente cosparso di macchie color ocra. «Non eri così sicuro della tua diagnosi qualche minuto fa, amico mio, con la tua ostruzione iliaca e la tua strozzatura», disse Stephen fra sé; e ad alta voce: «Lo conoscete da molto tempo, mi pare». «Certamente, lo conosco da quando era un bambino, ho curato suo padre e navigo con lui da molti anni.» «E che mi dite a proposito del peccatum illud bombile inter Christianos non nominandum? So che produce strane sofferenze, anche se per lo più di natura cutanea; e nessuna di questa gravità.» «Sodomia? No, lo saprei certamente. Esiste un ripetuto commercio venereo con l'altro sesso, c'è sempre stato. Anche se in verità», disse, fermandosi mentre Stephen sradicava una pianticella e l'avvolgeva nel fazzoletto, «è saggio chi sa distinguere sempre il maschio dalla femmina. È certo che gli uomini lo influenzano molto di più; di donne ne ha anche troppe, lo perseguitano addirittura, gli causano grandi preoccupazioni, ma è degli uomini che gli importa veramente: l'ho constatato in più di una occasione. Prendiamo questa crisi: so che è stata provocata dal rimbrotto del vostro comandante Aubrey. Corbett era già un problema, ma Aubrey... ne avevo sentito parlare spessissimo, molto prima che lui arrivasse al Capo. Ogni menzione di lui o di Cochrane sulla Gazette, ogni pettegolezzo nell'ambiente, lo ha sempre analizzato, sminuito, ingigantito, lodato, denigrato, paragonato alle sue imprese... non può ignorarli, non più di quanto un uomo possa ignorare una ferita... Accidenti ai suoi umori... Patrick O'Brian
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perché mai deve fare l'Alessandro? Volete un goccio?» domandò McAdam cambiando tono di voce mentre tirava fuori una borraccia. «No», rispose Stephen. Fino a quel momento il rispetto delle convenienze in una conversazione di carattere medico aveva frenato il linguaggio di McAdam nonché il suo barbaro dialetto, ma l'acquavite agì molto rapidamente sul suo organismo impregnato di alcol e Stephen cominciò a trovare tedioso il collega. In ogni caso il sole era a un palmo dall'orizzonte e Stephen fece dietrofront, riattraversò rapidamente l'accampamento ormai quasi deserto, ridiscese la spiaggia solitaria, con McAdam che lo seguiva farfugliando, e salì sulla scialuppa. «Ti prego di prendere nota, commodoro», disse, precipitandosi a poppa, «che sono salito a bordo con sette minuti di anticipo e che desidero recuperarli la prima volta che le esigenze del servizio me lo permetteranno.» Per il momento il servizio esigeva che Stephen, l'equipaggio e trecentosessantotto soldati navigassero a gran velocità lungo il ventesimo parallelo e superassero le cento leghe fra Rodriguez e il resto della squadra con il massimo della rapidità consentita alla Néréide con il suo pesante carico. Sarebbe stato molto più conveniente accogliere le truppe sulla spaziosa Raisonnable, ma tutto dipendeva dalla velocità e Jack temeva di perdere troppo tempo per il trasferimento sulla Néréide, forse anche con il mare grosso, poiché aveva deciso per il punto di sbarco suggerito da Corbett e sarebbe stata la Néréide, che conosceva quelle acque e pescava poco, a sbarcarle a Pointe des Galets; quindi la fregata si dirigeva verso terra mostruosamente affollata e lasciandosi dietro un odore di cibi orientali. Forzando la velatura come se per avere pennoni, borni, aste e perfino gli alberi di gabbia bastasse chiederli nel porto più vicino, coprirono la distanza in due giorni e la sera del secondo trovarono la Boadicea e la Sirius a nord-est di Mauritius, puntuali all'appuntamento e, per quanto era dato di capire, senza essere state avvistate da terra. Jack lo apprese da un comandante Pym grondante acqua, che aveva convocato a bordo con un brutto mare turbolento e un vento da gabbie terzarolate che rovesciava l'acqua verde sulla coperta della Raisonnable. Pym aveva qualche informazione sicura, ottenuta da due diversi pescherecci presi molto al largo: la Canonnière, giudicata inservibile come nave da guerra, con solo quattordici cannoni, era in riallestimento e sarebbe ripartita per la Francia Patrick O'Brian
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entro un mese o giù di lì con un carico di mercanzie; d'altro canto solo una delle due potenti fregate nuove, la Bellone, si trovava a Port Louis, la Manche e la Vénus avendo salpato qualche tempo prima, con provviste a bordo per sei mesi e dirette a nord-est. Il mare grosso, il vento che si andava rafforzando, l'improvvisa notte tropicale resero impossibile convocare un consiglio di guerra e dopo essersi assicurato che il comandante Pym, semiannegato, facesse ritorno sano e salvo alla sua nave, Jack : chiamò la Boadicea e, con una voce che si elevava chiara e forte al di sopra del generale frastuono, ordinò al comandante Eliot di procedere per Saint-Paul con la massima celerità, di incrociare al largo e di «imbottigliarli finché non vi avremo raggiunto: non vi preoccupate se andranno rotte una o due aste». La Boadicea, con la sua potenza di fuoco, sarebbe stata in grado di bloccare le navi francesi, se avessero cercato di fuggire. Il giorno seguente, Saint-Louis ormai lontana a poppa, la squadra aveva lasciato la zona delle correnti e della turbolenza sottovento a Mauritius e con un moto ondoso moderato i fanti di marina e un centinaio di marinai si trasferirono a bordo della Néréide per unirsi al resto del contingente di sbarco. I comandanti si riunirono con il colonnello e i suoi ufficiali nella grande cabina della Raisonnable e il commodoro riesaminò ancora una volta il piano di attacco. C'era anche Stephen, presentato con indifferenza da Jack come consigliere politico del governatore designato, una presentazione che gli valse uno sguardo interessato da parte di Corbett e un sorriso stranamente gradevole di Lord Clonfert, ma che lasciò del tutto indifferenti gli altri, presi com'erano dalle questioni immediate. Lord Clonfert era pallido e tirato, ma molto più in forze di quanto ciascuno si aspettasse; prima della riunione aveva preso da parte il dottor Maturin e lo aveva ringraziato per le sue cure con un calore evidentemente inteso a esprimere più di un semplice gesto di cortesia. Per la maggior parte del tempo rimase in silenzio e solo verso la fine, per un impulso che Stephen non riuscì a capire, espresse il desiderio di essere lui a guidare il distaccamento di marinai: conosceva i luoghi e parlava francese. La cosa aveva senso e Jack accettò; si guardò intorno, domandò se qualcuno avesse qualcosa da aggiungere, e cogliendo l'occhiata di Stephen disse: «Dottor Maturin?» «Sì, signore. Ho solo questo da dire: nel caso che Saint-Paul venga presa, è di grande importanza dal punto di vista politico che la popolazione Patrick O'Brian
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sia trattata bene. Saccheggi, stupri o una condotta disordinata avrebbero conseguenze gravissime per le nostre finalità politiche.» Tutti intorno al tavolo assunsero un'espressione grave in un generale mormorio di assenso e poco dopo Jack si alzò. Augurava a tutti una buona notte di sonno: «Perché domani sarà una giornata faticosa, signori; e se questo benedetto vento tiene, comincerà molto presto davvero. Da parte mia, abolirò la rivista generale e mi ritirerò non appena sarà stato fischiato il brandabbasso». Si ritirò, ma non dormì. Per la prima volta nella sua vita sul mare rimase sveglio ad ascoltare il vento, a consultare la bussola appesa sulla branda, salendo in coperta ogni ora o giù di lì per dare un'occhiata al cielo. Il vento benedetto non venne meno né girò al temuto ovest; si rafforzò anzi, al punto che durante la seconda comandata Jack fece ridurre la velatura. Al cambio della guardia era di nuovo sul ponte. Avvertiva la presenza incombente della terra da qualche parte sulla masca di sinistra e quando gli occhi si furono abituati all'oscurità vide infatti le montagne della Réunion che si disegnavano nettamente contro il cielo punteggiato di stelle. Guardò l'orologio alla luce della lanterna di chiesuola, passeggiò ancora qualche minuto avanti e indietro sul cassero, quindi ordinò: «Tesare le boline laggiù!» Udì in risposta: «Uno, due, tre, volta!» e il «Boline tesate, signore» dell'ufficiale di guardia, dopodiché gli uomini tornarono al lavaggio dei ponti. Chissà come farà Corbett, pensò, con settecento uomini a bordo e non un pollice di ponte per usare la redazza. Controllò nuovamente l'orologio, entrò nella cabina del nocchiere per confrontarlo con il cronometro, di nuovo riesaminò i suoi calcoli e disse: «Segnalare Néréide procedete». Le lanterne colorate si innalzarono, la Néréide inviò il segnale di ricevuto e pochi istanti dopo Jack vide la forma oscura della fregata mollare i terzaroli, spiegare i velacci, stringere di due quarte il vento e dirigersi verso la costa, allontanandosi dalla squadra con la fila di scialuppe a rimorchio. Secondo i piani, in questa prima fase avrebbe dovuto agire da sola per evitare i sospetti: i contingenti di sbarco dovevano prendere le batterie costiere che dominavano la rada e a quel punto la squadra sarebbe entrata in porto per affrontare le navi da guerra e la città. Per il momento i tempi erano perfetti. Corbett avrebbe avuto luce sufficiente per le operazioni; un individuo che a Jack non piaceva, ma si fidava della sua conoscenza della costa. L'attesa sarebbe stata però lunga e dura da sopportare, poiché le Patrick O'Brian
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truppe dovevano marciare per sette miglia; Jack riprese la sua passeggiata. Sette miglia di marcia e nel frattempo lui non poteva fare altro che dirigersi verso Saint-Paul con le sole gabbie. Osservò la sabbia nella clessidra della mezz'ora; la parte superiore si vuotò, la clessidra venne girata, la campana suonò chiara e forte; di nuovo la sabbia ricominciò il suo viaggio operoso, un granello dopo l'altro, milioni di granelli. Se tutto era andato bene a quell'ora gli uomini dovevano essere in marcia. La clessidra fu voltata e rivoltata e lentamente il cielo si schiarì a oriente. Un'altra mezz'ora, un'altra campana. «Potete mandare gli uomini a mensa, signor Grant, e poi sgombrare la nave per il combattimento», disse Jack e con una discreta mostra di noncuranza si avviò alla sua cabina dove l'accolse l'aroma del caffè e del pane tostato. Come aveva fatto Killick a indovinare? Stephen si era già alzato ed era seduto a tavola, sotto la lampada dondolante, lavato, sbarbato e vestito decentemente. Come lo vide entrare, gli domandò: «Che cos'è quella strana espressione sulla tua faccia, fratello?» «Una strana sensazione anche», rispose Jack. «Lo sai, Stephen, che fra un'ora ci sarà un gran polverone e io me ne starò lì a guardare e a dare ordini, lasciando fare tutto agli altri? Non mi è mai capitato prima d'ora e ho scoperto che non mi piace affatto. Anche se certamente Sophia approverebbe.» «E ti pregherebbe anche di bere il caffè finché è caldo; e avrebbe ragione. Poche cose sono così deprimenti per la mente, che crede di essere padrona assoluta, quanto scoprire l'effetto indiscusso di una pancia piena. Lascia che te ne versi una tazza.» I colpi di martello dei carpentieri si fecero più vicini man mano che le paratie venivano levate e le cabine svanivano per lasciare sgombro lo spazio a prua e a poppa: non che la povera Raisonnable potesse fare molto, coperta sgombra o no; ma anche così i suoni familiari, il caffè e le fette di pane tostato risollevarono l'animo di Jack fin quasi al suo stato naturale. Il mastro d'ascia si affacciò personalmente alla porta, chiese scusa, esitò: «Procedete, signor Gill», disse Jack amabilmente, «non badate a noi». «È irregolare, signore, lo so», disse il mastro d'ascia, senza accennare a procedere ma avvicinandosi alla tavola, «e vi prego di volermi scusare la libertà, ma ho veramente un sacro terrore di una battaglia, signore. Sono stato sulla Raisonnable da ragazzo e da uomo in questi ventisei anni, Patrick O'Brian
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conosco bene i suoi legni e conosco bene i suoi comenti e con tutto il rispetto, signore, sono tanto sfacciato da dirvi che fare fuoco con quei vecchi cannoni sfascerà tutto quanto.» «Signor Gill», disse Jack, «vi prometto che userò in modo ragionevole la Raisonnable. Avete afferrato, eh? Ragionevole, Raisonnable...» Un accenno dell'antica allegria illuminò per un istante la faccia di Jack e un accenno di sorriso quella del mastro d'ascia; ma senza molta convinzione. Di nuovo sul ponte e ormai tutto il mondo era pieno di luce. La squadra era già al centro dell'ampia baia dall'acqua bassa; sull'anca di sinistra il promontorio avanzava a ovest verso il mare aperto e in fondo alla baia stava la città di Saint-Paul, ora distante non più di cinque miglia; alle spalle della città s'innalzavano le selvagge montagne della Réunion che sbarravano l'orizzonte a oriente; al largo incrociava la Boadicea. Là fuori il vento era costante da sud-est, ma il diverso aspetto del mare sotto costa indicava la presenza di brezze locali diverse. Jack prese il suo cannocchiale per cercare la Néréide: seguì la linea del promontorio, la Pointe des Galets. C'era una risacca moderata sulla scogliera esterna e molto meno sulla spiaggia stessa; e tutto a un tratto la vide, quasi in una zona di bonaccia sottovento alla punta del promontorio, che sbucava faticosamente da dietro un isolotto, beccheggiando fortemente. Nello stesso momento la vide anche l'ufficiale addetto ai segnali e riferì: «Néréide, signore. Truppe sbarcate». «Molto bene, signor...» Il nome del giovane gli sfuggiva. Spostò il cannocchiale lungo la costa, lungo la strada rialzata che attraversava un lungo tratto di terreno basso e paludoso, lo spostò ancora più in là, più in là e a un tratto li vide: tre distaccamenti, il primo una colonna ordinata di giubbe rosse, poi i marinai in una massa bluastra più piccola, irregolare ma compatta; e infine i sepoys. Erano già molto più vicini a Saint-Paul di quanto avesse osato sperare: ma avrebbero potuto cogliere di sorpresa i difensori delle batterie? Viste dal mare, le giubbe rosse erano tremendamente visibili. «La Boadicea sta segnalando, signore», disse di nuovo l'ufficiale. «Nemico in vista, rotta a est.» Ciò significava che la Caroline non era riuscita a sfuggire. «Grazie, signor Graham.» Il nome gli era venuto in mente, questa volta. «Rispondete: Dirigete verso terra, e alla squadra: Aumentare la velatura.» Mentre parlava un improvviso rifiuto fece fileggiare il fiocco della Patrick O'Brian
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Raisonnable: Jack rialzò il capo e con lui tutti quanti a bordo, per lanciare un'occhiata alle nuvole che si stavano addensando sull'isola, masse scure che non promettevano niente di buono. Forse il vento li avrebbe alla fine abbandonati? Ma un istante dopo tutto era tornato come prima e le navi della squadra, Sirius, Raisonnable e Otter, avanzarono velocemente verso Saint-Paul e verso le possenti batterie che difendevano il porto. Gli occhi di tutti, in modo furtivo o apertamente, seguirono nel frattempo l'avanzata lontana sulla terraferma per una lunghissima mezz'ora. Le colonne ordinate stavano perdendo la loro forma, adesso avevano raddoppiato la velocità, sempre più vicine alla prima batteria a guardia di Saint-Paul, la Lambousière, sempre più vicine finché non furono nascoste alla vista da una cortina di alberi. In una tensione difficile da sopportare, Jack aspettò il ruggito dei pesanti cannoni francesi, aspettò che mitragliassero la massa quasi compatta di uomini, ma udì al contrario un crepitio di moschetti, una debole acclamazione portata dal vento. Le giubbe rosse stavano assalendo da ogni parte la batteria e i marinai l'avevano già superata e correvano verso la successiva, la Centière. Immerse in un silenzio mortale, le tre navi continuavano ad avanzare verso terra, mentre la Boadicea si avvicinava da ovest e la Néréide da nord. Entro cinque minuti sarebbero state a tiro dei quaranta cannoni della terza batteria, la Neuve, la più vicina alla città. Ora il porto si apriva completamente davanti a loro e là era la Caroline, e con lei le tre navi della Compagnia delle Indie. Jack vide un andirivieni di scialuppe: la fregata stava sbarcando le truppe. Al di là delle due navi della Compagnia, si intravedevano un brigantino da guerra, numerosi velieri più piccoli... una grande confusione. Confusione anche alla periferia della città, dove il crepitare della moschetteria stava aumentando rapidamente di intensità: due distinte linee di fuoco adesso, come se alla fine i soldati francesi si fossero radunati e tenessero le posizioni. Crepitare di moschetti dunque, e poi Jack vide la Caroline cominciare a girarsi; c'era stato evidentemente un certo ordine in mezzo a tutto quel trambusto, poiché avevano messo un traversino: con il cannocchiale Jack vedeva gli uomini al cabestano per farla girare; e quando i cannoni della fregata furono in posizione, fecero fuoco contro le truppe inglesi, un fuoco rapido, continuo, un cannone alla volta. Anche il brigantino stava facendo fuoco, ma si erano appena udite le prime cannonate che ci fu una risposta dalla batteria Lambousière: i marinai avevano voltato i cannoni, puntandoli sul porto, e avevano issato Patrick O'Brian
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la bandiera inglese. Subito dopo il fragore della moschetteria intorno alla Centière raggiunse il parossismo; i colori britannici si innalzarono e i cannoni della batteria si unirono agli altri. Il fumo si spandeva nel cielo, una nube con un cuore di fuoco lampeggiante. Jack osservò l'allineamento delle sue navi. La Boadicea aveva raggiunto il suo posto in testa alla formazione, la Néréide era ancora mezzo miglio a poppa. Bisognava che Jack mantenesse la rotta passando davanti ai cannoni della terza batteria, virasse di bordo e si avvicinasse ancora di più alla costa. I suoi cannoni avrebbero potuto facilmente raggiungere la città ormai, ma Jack non osava sparare nella mischia a quella distanza; perfino una bordata contro la Caroline poteva significare colpire i suoi che si trovavano proprio dietro alla fregata francese. L'inazione, l'attesa passiva erano incredibilmente penose, soprattutto ora che i soldati inglesi parevano in procinto di ritirarsi. La Raisonnable procedette lentamente, lentamente e in silenzio; adesso erano al traverso della batteria Neuve. Non avrebbe dovuto aspettare ancora a lungo, le cannonate li avrebbero assordati da un momento all'altro. La batteria costiera era esattamente davanti a loro, Jack vedeva distintamente le bocche dei cannoni. Ma nessuno fece fuoco, non c'era nessuno ai cannoni; gli uomini erano scappati oppure avevano raggiunto gli altri difensori. La confusione nella città adesso aveva un senso, la linea francese era stata sfondata e i soldati si stavano ritirando su per l'altura. E tuttavia le cannonate arrivarono. Dal porto, però: la Caroline, che continuava a sparare rapidamente con i cannoni di dritta, fece fuoco contro la squadra inglese con quelli di sinistra, un fuoco concentrato contro la nave ammiraglia e alla prima scarica colpì tre volte la Raisonnable nello scafo e ruppe l'albero di gabbia. Rottami, un'asta di coltellaccio e qualche bozzello precipitarono sulle reti di protezione al di sopra del cassero. La successiva fece volare una dozzina di brande a mezzanave; ma la squadra non poteva ancora rispondere al fuoco. «Avete annotato l'ora, signor Peter?» domandò Jack, annodando una drizza da segnalazione tagliata. «Subito,- signore», gridò Peter. Il segretario era di un pallore gialliccio, reso ancora più evidente dagli abiti neri e dalla barba lunga del mattino. «Diciassette minuti dopo le otto», disse. Come li stava bombardando la Caroline!. Era completamente avvolta nel proprio fumo, ma le palle da ventiquattro libbre continuavano ad arrivare a segno. «Esercitati mirabilmente», osservò Jack al segretario. Un'altra Patrick O'Brian
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bordata perfettamente sincronizzata e la paratia di brande della nave presentò numerosi fori irregolari; tre uomini non si rialzarono in piedi. La clessidra venne capovolta, la campana suonò un colpo. «Signor Woods», disse Jack al nocchiere, intento a dirigere la nave, «non appena la chiesa e la torre saranno allineate, viriamo di bordo. Signor Graham, alla squadra: Cambiare mure in successione al colpo di cannone. E poi: Scontro ravvicinato.» I minuti passarono e finalmente il colpo di cannone. La squadra virò di bordo con la precisione di una macchina, Boadicea, Sirius, Raisonnable, Otter, Néréide; precisa ma lenta, di bolina stretta con il vento di terra che andava calando, di nuovo alla portata dei cannoni francesi. Ancora più vicino adesso, e le navi della Compagnia catturate dai francesi fecero fuoco, e con loro il brigantino e ogni altro veliero in porto. Ma nel frattempo la situazione in città si era fatta meno confusa, i colori inglesi sventolavano su tutte le batterie tranne una e a quella distanza da terra i cannoni della squadra potevano distinguere fra amici e nemici. In successione i pezzi di prua fecero sentire la loro voce: la Boadicea sparò qualche tiro per correggere l'alzo, la Sirius la sua mezza bordata e la Raisonnable fece un fuoco moderato con qualche cannone; per il momento l'Otter e la Néréide usarono solo i cannoni prodieri. Eliot sapeva ciò che volesse dire scontro ravvicinato, si disse Jack. La Boadicea aveva smesso di fare fuoco e si stava portando a prua della Caroline, ferma a venticinque iarde dalla spiaggia. A quella velocità si sarebbe certamente arenata entro pochi minuti. «La Boadicea segnala, signore: Permesso di dare ancora, signore», disse una voce nel suo orecchio. «Affermativo», rispose Jack, voltandosi verso il mastro d'ascia in attesa. «Cinque piedi d'acqua nella sentina, signore», riferì il signor Gill, «e si è sconnessa un'intestatura del fasciame per via di quei vecchi cannoni.» «Signor Woods, stringete il vento», disse Jack, senza distogliere lo sguardo dalla Boadicea. «Azionate le pompe.» Vide la piccola ancora di posta della fregata tuffarsi in acqua, seguita da quella di riserva e la Boadicea rimase là, le vele imbrogliate, al traverso della Caroline e a un tiro di schioppo dalla spiaggia. E finalmente il lungo addestramento ai cannoni dette i suoi risultati: una furiosa eruzione di fiamme e di fumo ed entrambe le bordate fecero fuoco, devastando la fregata francese, le navi della Compagnia e l'ultima batteria in mano nemica. La Sirius, l'Otter e, da una distanza maggiore, la Néréide entrarono a loro volta in azione mentre Patrick O'Brian
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la Raisonnable, in panna, taceva, a parte qualche tiro simbolico con il cannone di ritirata. Ma con tutto se stesso Jack era sulla Boadicea, al centro della battaglia, approvando ogni mossa della fregata e quando, dopo meno di mezz'ora i colori della Caroline vennero ammainati, seguiti immediatamente da quelli di tutte le altre navi e dell'ultima batteria, il cuore gli balzò nel petto come se i francesi si fossero arresi a lui. Un'acclamazione generale si levò da tutta la squadra, grida di giubilo alle quali si unì un ruggito sulla terraferma. «La mia lancia, signor Warburton», disse Jack al comandante in seconda. «E i miei complimenti al dottor Maturin: scendiamo a terra.» La città aveva sofferto molto poco e sulla piazza nella quale si incontrarono con il colonnello Keating e con un gruppo di militari e di civili, non fosse stato per il silenzio di tomba ancora più pesante dopo il frastuono dei cannoni e dei moschetti e per la totale assenza di abitanti, sembrava che niente fosse successo: le finestre erano aperte, i banchetti di frutta e di verdura in bella mostra, l'acqua scrosciava nella fontana. «Mi complimento con voi, colonnello», disse Jack in un tono di voce innaturalmente alto stringendogli la mano. «Avete fatto meraviglie, signore: credo che la città sia nostra.» «Per il momento possiamo dire di sì», confermò Keating con un sorriso radioso, «ma si stanno tutti radunando sulle montagne e le truppe di Desbrusleys da Saint-Denis saranno probabilmente qui prima di notte. Avremo molto da fare.» Rise allegramente e scorgendo Stephen soggiunse: «Eccovi qui, dottore! Una mattina splendida per voi, signore. I vostri politici saranno contenti di noi, ci siamo comportati come agnellini, signore, come tanti angioletti: non una fanciulla ha dovuto arrossire finora e tutti i miei uomini sono sotto controllo». «Posso avere un ufficiale e qualche soldato, colonnello?» chiese Stephen. «Devo trovare il sindaco e il capo della gendarmeria.» «Certamente, signore. Il comandante Wilson sarà felice di accompagnarvi, ma, per favore, ricordate che saremo presto attaccati e che dovremo andarcene con ogni probabilità fra meno di dodici ore; un paio di reggimenti e le artiglierie che ci martelleranno dall'alto renderanno impossibile tenere la posizione.» Rise di nuovo e, per qualche curioso contagio, tutti quanti risero con lui: lembi di tendine alle finestre si scostarono e facce sospettose sbirciarono con cautela; un certo numero di ragazzini dalla pelle scura sbucò da sotto i banchi del mercato. «Ah, Patrick O'Brian
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commodoro, dove ho la testa?» riprese il colonnello. «Vi presento i comandanti delle navi della Compagnia.» «Sono felice di vedervi, signori», li salutò Jack e vi prego di voler salire a bordo delle vostre navi immediatamente. Le abbiamo maltrattate un po', temo, ma confido che saranno pronte a riprendere il mare prima...» La sua frase fu interrotta da un'esplosione terrificante: massi scuri di muratura furono proiettati in aria e ricaddero con fragore a terra: la batteria Lambousière si disintegrò. «Questa deve essere opera del vostro amico Lord Clonfert», osservò il colonnello, con una risatina chioccia. «Un ufficiale molto attivo. E ora, commodoro, vogliamo occuparci della proprietà pubblica?» Se ne occuparono e si occuparono di molte altre cose ancora. La loro giornata fu pesantissima: non solo dovettero distruggere le fortificazioni più pericolose, liberare un gran numero di inglesi e assicurare un numero ancora maggiore di prigionieri francesi, ma fu necessario trasportare all'ospedale i feriti della Caroline, e cioè il comandante e una metà dell'equipaggio, e rassicurare le delegazioni di cittadini ansiosi, il clero e i mercanti. Le precedenti minacce del tempo, però, furono mantenute, il vento girò a sud-ovest e la risacca andò aumentando di ora in ora. La Caroline, le navi della Compagnia, il brigantino Grappler e altri bastimenti in porto, che avevano tagliato gli ormeggi all'ultimo momento, dovettero essere rimorchiate; la Raisonnable fu costretta a essere messa in secco in un luogo fangoso lasciato scoperto dalla marea calante affinché l'arrabbiato signor Gill potesse provvedere alle riparazioni in carena. Ogni nostromo e carpentiere che fu possibile distogliere dai compiti immediati lavorò furiosamente nell'arsenale francese, una specie di paradiso pieno di cordame, di vele, di aste di ogni dimensione. Stephen dovette battagliare a sua volta strenuamente con il sindaco, il vicario generale e il capo della gendarmeria, avendo al tempo stesso una quantità di contatti personali. La sua giornata fu meno pesante quanto a fatica fisica, ma al tramonto, quando gli ufficiali più alti in grado si riunirono nel quartier generale di Keating, un locale sul porto scelto con cura, dove si rifocillarono con vino bianco e uno squisito pesce locale, era stanco come tutti gli altri. Una stanchezza rivelata dalle facce tirate, dagli sbadigli frequenti, dall'atteggiamento rilassato, ma non dalle espressioni del viso e degli stati d'animo: erano ancora una banda di allegri compagni di avventure. Il colonnello Keating, di ottimo umore come sempre, passò a Jack il suo Patrick O'Brian
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piccolo cannocchiale e gli mostrò i soldati francesi radunati sulle alture che sovrastavano la città. «Mi hanno detto che il grosso delle truppe è comandato dal generale Desbrusleys in persona», disse, parlando forte per farsi sentire al di sopra della risacca. «Eppure mi chiedo come mai un uomo di tanto spirito non abbia già sistemato l'artiglieria; lassù ci sono punti formidabili, sapete, per sommergerci con un fuoco incrociato. Ma senza dubbio intende arrivare da un'altra strada.» Un ispettore della Compagnia in preda al panico sfrecciò davanti alla trattoria, in cerca di uomini che aiutassero a caricare a bordo la sua preziosa seta; si tuffò nel gruppo di giovani donne allineate sulla banchina e sparì con un ululato di frustrazione. Le fanciulle ripresero la loro vigile attesa, tenendosi a braccetto, fra risate e risatine: nessuna aveva dovuto arrossire fino a quell'ora pur tarda, ma la speranza non era del tutto svanita, sebbene le ultime scialuppe stessero staccandosi dalla riva. «Cerca di far capire a questa buona donna che vogliamo pagare, Stephen. Pare che non capisca bene il francese», disse piano Jack; e ad alta voce: «Non vorrei farvi fretta, signori, ma credo che faremmo bene a salire a bordo. Tempo permettendo, torneremo a terra domani mattina e porteremo a termine il nostro compito. Gli uomini potranno riposare e di giorno», aggiunse con un cenno a Stephen, «saranno meno indotti in tentazione». Il tempo non permise. Il vento rimase da ovest, soffiando dritto sulla costa, e la squadra, con le prede e le navi ricatturate, non si mosse, all'ancora senza difficoltà ben lontano dalla barriera corallina, con un fondo buon tenitore e due gomene filate sino in fondo. Sebbene il moto ondoso non impedisse un raduno a bordo della Raisonnable per la prima colazione, era chiaro che la risacca furiosa, frangenti lunghi mezzo miglio che si abbattevano sulla spiaggia fin dove spaziava lo sguardo, avrebbe impedito ogni comunicazione con la terraferma. Fu una colazione insolitamente allegra, mentre l'azione del giorno precedente veniva riesaminata sotto ogni aspetto, con parole gentili da parte dell'esercito sulla versatilità, sulla disciplina, sull'intraprendenza della marina; una colazione che intaccò decisamente i prosciutti del Capo di Jack e il pane fresco preso a SaintPaul; eppure ogni ufficiale a bordo era consapevole dei numerosi compiti lasciati a metà sulla terraferma in parte per mancanza di tempo e in parte per la mancanza di un elenco certo delle proprietà pubbliche distinte da quelle private. Stephen aveva ottenuto la lista poco prima che facesse notte Patrick O'Brian
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e fino a quel momento aveva insistito affinché niente, tranne ovviamente i magazzini e le attrezzature militari, fosse toccato. Tutti i marinai e gran parte dei soldati sapevano che se il vento si fosse mantenuto da ovest la squadra si sarebbe trovata in una posizione molto scomoda. Desbrusleys avrebbe portato l'artiglieria da Saint-Denis con la protezione delle tenebre e li avrebbe bombardati dall'altura più vicina mentre loro se ne stavano lì come anatre sull'acqua, impossibilitati a prendere il largo. Per il momento tuttavia i francesi non sembravano inclini a muoversi. Si vedevano le truppe sulla cresta alle spalle di Saint-Paul, ma non si muovevano e la loro immobilità contribuiva non poco alla gaiezza del pasto. Solo parecchio tempo dopo che la cena fu finita venne segnalato che una colonna era in marcia sulla strada da Saint-Denis, una colonna piuttosto numerosa di uomini e cannoni. «Non riuscirà mai a trasportare l'artiglieria sull'acquitrino senza fascine», osservò il colonnello Keating, «perché noi abbiamo distrutto il ponte; e per prepararle gli occorrerà più di mezza giornata. È l'impresa più faticosa che conosca trasportare cannoni su un terreno paludoso.» «La risacca sta scemando di intensità», disse il comandante Corbett, «secondo me domani potremo sbarcare... guardate il cielo a occidente. Dura poco, questo mi dice l'esperienza.» «Forse anche prima di domani», affermò Jack. «Non riuscirei a mettermi l'animo in pace se non riuscissimo a far saltare almeno i primi tre edifici dell'elenco del dottor Maturin.» «E dal punto di vista politico», interloquì Stephen, «mi rallegrerei non poco di vedere l'archivio in fiamme; creeremmo una confusione preziosissima.» «Se posso permettermi di parlare, signore», propose Lord Clonfert, «credo che potremmo tentare fin da ora o perlomeno prima che faccia buio. Ho preso un paio di barche adatte allo sbarco in zona di risacca e, se non mi sbaglio, la Sirius ne ha altre. I miei uomini sanno usarle e potrei sbarcare a terra un contingente di fanti di marina e di marinai.» «Forse fra due o tre ore», rispose Jack, fissando il mare. Fino a che punto si trattava di un desiderio di Clonfert di battere Corbett? Anche dopo l'azione del giorno precedente, un'azione combattuta insieme, i loro rapporti non sembravano affatto migliorati. Tuttavia bisognava considerare l'importanza dell'obiettivo, e quelle barche speciali, ben manovrate, potevano dare ottimi risultati. Ma forse quella di Clonfert era solo una Patrick O'Brian
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vanteria? Che genere di follie avrebbe fatto a terra? D'altro canto il giorno prima si era certamente portato bene... Jack avvertiva che i processi mentali di Clonfert gli erano del tutto estranei, c'era qualcosa in quell'uomo che lui non riusciva a capire e non lo capì nemmeno dopo qualche ora di riflessione, quando ebbe preso la sua decisione pragmatica, dato l'ordine e si fu portato a poppa della Raisonnable per osservare le barche dirigersi a terra. Le vide al limitare della spuma bianca ora, in attesa dell'onda colossale: l'onda arrivò, spazzò la superficie del mare, si innalzò nera sull'acqua candida e di nuovo le imbarcazioni si lanciarono in avanti, ancora e ancora finché l'ultimo frangente non le depose sulla spiaggia. Gli uomini entrarono subito in azione. Una torre sulla sinistra della città parve spiccare un salto, il parapetto fu scagliato in aria, fumo e polvere avvolsero tutto quanto, poi la struttura si afflosciò in un mucchio privo di forma e il rimbombo dell'esplosione raggiunse la nave. Una lunga pausa, poi il fumo si levò dagli edifici amministrativi. «Quelli sono i registri del fisco», disse Stephen accanto a lui. «Se questo non ci rende graditi, significa che i Bourbonnais sono difficili da soddisfare. Il generale Desbrusleys sembra malamente impantanato», soggiunse, dopo aver spostato il cannocchiale sulla colonna lontana nella palude. Osservarono: osservarono. A un certo punto Jack notò che la risacca stava certamente diminuendo; dopo un po' disse: «Lo sai, Stephen, mi sto quasi abituando a fare da spettatore: ieri avrei voluto impiccarmi tanto ero infelice... Suppongo che sia il prezzo del comando. Guarda il fumo, là, dietro l'arsenale. Che c'è, signor Grant?» «Vi chiedo scusa, signore, ma il signor Dale della Streatham, la nave della Compagnia delle Indie, è in grande agitazione. Dice che gli stanno bruciando la seta... vi prega di riceverlo.» «Fatelo salire a bordo, signor Grant.» «Signore, signore!» gridò Dale. «Stanno bruciando la nostra seta! Vi prego, signore, segnalategli di fermarsi. La nostra seta, il nostro carico più prezioso, mezzo milione di sterline di seta! I francesi l'hanno immagazzinata in quel deposito... oh, Signore, Signore...» si torse le mani, «troppo tardi!» Al fumo erano succedute le fiamme, fiamme colossali, e tutti i segnali del mondo non avrebbero potuto spegnerle. «Prego, Clonfert», disse Jack quando il comandante fu salito a bordo per fare rapporto, «volete spiegarmi perché avete incendiato il magazzino dietro l'arsenale?» Patrick O'Brian
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«Dietro l'arsenale, signore? Mi avevano assicurato che non si trattava di proprietà privata. Me lo ha assicurato un sacerdote, una persona del tutto rispettabile. Ho sbagliato?» «Sono certo che avete agito con le migliori intenzioni, ma sembra che vi fosse immagazzinata la seta della Compagnia delle Indie, per un valore di mezzo milione di sterline.» Il viso di Clonfert si allungò, assunse un'espressione di assoluto sconforto, di colpo sembrò il volto di un vecchio. «Non importa», disse Jack. «Probabilmente esagerano e comunque abbiamo salvato mercanzie di loro proprietà per tre milioni di sterline, come hanno dovuto riconoscere. Avete agito nobilmente, sì, nobilmente... come vi ho invidiato su quella spiaggia! Senza dubbio abbiamo assestato un colpo necessario, perché, se fossimo costretti a ritirarci, faremmo davvero la figura degli stupidi a lasciare tutta quella roba in mano nemica. Ma venite, vi prego, siete bagnato fradicio: non volete cambiarvi d'abito? Ne ho in abbondanza nella mia cabina.» Non servì a niente. Clonfert si ritirò, triste, abbattuto, il suo momento di gloria annullato completamente. Né si riprese il giorno seguente, quando, con il mare calmo, il vento di nuovo da sud-est e tutte le forze della squadra pronte nelle scialuppe per far fronte al contrattacco francese, una delle nuove conoscenze di Stephen arrivò da terra con la notizia che la colonna di Saint-Denis si stava ritirando e che Saint-Michiel, il comandante delle truppe a Saint-Paul, era disposto a trattare una tregua d'armi. La notizia era vera: si vedeva la colonna in ritirata. Tutti gli uomini fecero ritorno alle loro navi e poco dopo comparvero gli emissari del comandante francese. A quanto pareva il generale Desbrusleys si era fatto saltare le cervella; ma se questo era dovuto ai rovesci militari o a quelli coniugali dell'infelice gentiluomo o alle due cose insieme non fu dato di sapere. In ogni caso il comando dell'esercito era in uno stato di totale confusione e Saint-Michiel non fece difficoltà a firmare un accordo che concedeva alla squadra inglese una lunga e pacifica settimana a Saint-Paul. Pacifica ma molto attiva: furono in grado di distruggere o portarsi via centoventuno cannoni e un'immensa quantità di polvere e di munizioni, di far saltare le restanti fortificazioni, di ridurre l'arsenale a una vera desolazione, senza nemmeno un barattolo di pittura al suo interno, e di fare meraviglie per la bella fregata francese, la Caroline; nel frattempo il commodoro e il colonnello ebbero modo di scrivere i loro dispacci, un compito fra i più Patrick O'Brian
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ardui e delicati. Quando quelli di Jack furono finiti, resi il più possibile asciutti e formali e copiati in bella grafia dal signor Peter unitamente all'elenco delle perdite, assai ridotte per altro, a quello esatto delle navi e degli altri bastimenti catturati, a un resoconto un po' meno esatto delle provviste e dei viveri prelevati nei magazzini del governo e a molti altri documenti, arrivò il momento di prendere una decisione diffìcile. Il commodoro mandò a chiamare Corbett e Clonfert, accogliendoli con una certa solennità, con il segretario accanto. Al primo disse: «Comandante Corbett, dal momento che abbiamo già una Caroline nel servizio, a quella francese ho dato provvisoriamente il nuovo nome di Bourbonnaise; ma non c'è niente di provvisorio nella mia offerta di affidarvene il comando, pregandovi al tempo stesso di procedere seduta stante per il Capo con i miei dispacci. Non ho dubbi sul fatto che l'ammiraglio vi incaricherà di recapitarli subito in Inghilterra, perciò mi permetterò, se me lo consentite, di affidarvi qualche lettera personale. La fregata è stata equipaggiata con un numero di uomini vicino agli effettivi, senza contare i fanti di marina, naturalmente; li abbiamo prelevati dalle navi mercantili liberate a Saint-Paul, perciò devo chiedervi di limitarvi il più possibile per quanto riguarda il numero di quelli che vi seguiranno a bordo. Qui ci sono i vostri ordini e questo è il mio pacchetto privato». La faccia abitualmente corrucciata di Corbett non era fatta per esprimere la gioia, ma anche così parve volersi spaccare in due per il sorriso di piacere che la illuminò. L'uomo che avesse portato quei dispacci, con la notizia di una vittoria piccola ma fra le più complete di cui lui avesse esperienza, sarebbe stato molto coccolato all'ammiragliato e poteva essere certo di un ottimo comando alla prima occasione possibile. «Sarò la moderazione incarnata, signore», disse. «Posso aggiungere, signore, che niente avrebbe potuto accrescere il mio entusiasmo per questo comando quanto il modo in cui mi è stato offerto?» Al secondo disse: «Lord Clonfert, sono veramente felice di affidarvi il comando della Néréide, in sostituzione del comandante Corbett. Tomkinson, il vostro comandante in seconda, avrà l'Otter». Anche Clonfert arrossì di piacere alla notizia del tutto inattesa di quel passo decisivo nella sua carriera, del cambiamento radicale da una corvetta a un vascello di prima classe. Anche lui espresse la sua riconoscenza e in modo assai più aggraziato, e per un certo tempo ritornò l'atmosfera esaltante del giorno glorioso della vittoria alla Réunion, anzi ancora più esaltante. Patrick O'Brian
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Eppure non mancò una pur lieve traccia di amarezza, poiché sul punto di congedarsi Clonfert disse, con un sorriso leggermente ambiguo: «Non avrei mai pensato, signore, quando eravamo ufficiali insieme, che sareste stato voi a nominarmi capitano di vascello». «È un individuo curioso, Clonfert», disse Jack a Stephen, nell'intervallo fra due rasserenanti duetti. «Si direbbe quasi che l'abbia offeso con questa promozione.» «L'hai fatto a ragion veduta? Non per un ghiribizzo improvviso? È l'autentica espressione del tuo pensiero circa i suoi meriti? Dovrebbe effettivamente essere promosso capitano di vascello?» «Be'», rispose Jack, «è piuttosto un caso di faute de mieux, come diresti tu. Non vorrei dover contare su di lui in modo assoluto, ma uno di loro doveva partire e Clonfert è un comandante migliore di Corbett. I suoi uomini lo seguirebbero dovunque. Forse cerca di rendersi popolare più di quanto io ritenga giusto, ma comunque sia è un fatto accertato che i nostri bravi marinai prodieri subiscono molto il fascino del titolo nobiliare e io devo approfittare di questo così come approfitterei della marea o di un cambiamento del vento. Gli lascerò portare sulla Néréide quasi tutti gli uomini dell'Otter e quelli della Néréide li suddividerò fra le altre navi della squadra. Una nave maledettamente malsana la Néréide.» Scosse il capo, assunse un'espressione grave e suonò una serie di note basse. Le note cambiarono presto, tuttavia, promettendo un seguito più allegro, ma l'archetto troppo asciutto si rifiutò di fare il suo dovere e Jack allungò la mano per prendere la pece greca. «Quando avrai finito con la mia pece greca, Jack... la mia pece greca, dico, saresti disposto a rivelare la nostra immediata destinazione?» «Sarà di tuo gradimento, penso. Prima dobbiamo riportare Keating a Rodriguez dove potrai spassartela un po' con le tue tartarughe e i tuoi vampiri; in seguito, mentre il resto della squadra bloccherà Mauritius, noi torneremo al Capo per lasciarvi il povero Eliot e la povera Raisonnable; poi di nuovo qui sulla Boadicea, che nel frattempo avrà portato le navi della Compagnia a sud. Torneremo in queste acque, per vedere che cosa si può fare con le altre fregate francesi, a meno che tu e Farquhar non abbiate altri progetti per La Réunion. Non ti dirò che sono ottimista, Stephen, perché potrebbe risultare un'affermazione sciocca, ma ricordo di averti detto qualche settimana fa che le nostre probabilità erano tre a cinque contro di noi, mentre ora oso dire che sono pari o leggermente in nostro Patrick O'Brian
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favore.»
CAPITOLO V L'ammiraglio Bertie era soddisfatto, soddisfattissimo del commodoro, poiché non solo Jack aveva catturato una delle quattro potenti fregate francesi che tanto avevano disturbato la sua pace mentale e ripreso al nemico due navi della Compagnia delle Indie e un'utilissima corvetta da diciotto cannoni; non solo aveva distrutto una delle basi francesi più forti nell'oceano Indiano e con una tale speditezza che l'ammiraglio che gli aveva dato gli ordini sarebbe stato ammirato perfino a Whitehall, dove si pretendevano sempre risultati immediati, ma aveva anche reso il signor Bertie più ricco di parecchie migliaia di sterline. Quante migliaia esattamente non sarebbe stato possibile dire fino a quando una pletora di funzionari lontani seimila miglia non avesse fissato il valore di una quantità prodigiosa di oggetti quali le trecento picche, i quaranta calcatoi e le quaranta spugne prese a Saint-Paul; ma in ogni caso l'ammiraglio Bertie avrebbe alla fine ricevuto un dodicesimo della somma totale alla quale i suddetti personaggi sarebbero arrivati e questo senza muovere un dito, senza aver dato un consiglio di una qualche utilità, limitandosi a un generico «va e vinci». E fin dal primo piacevolissimo colloquio con il comandante Corbett, il latore della splendida notizia, aveva passato la maggior parte del tempo a disegnare un progetto dettagliato per nuove scuderie e per una nuova serra per gli ananas a Langdon Castle, la sua residenza, mentre la signora Bertie, in mancanza dello stemma gentilizio che tanto desiderava, avrebbe potuto farsi uno splendido abito di pizzo. E tuttavia, se il suo animo era forse un po' contorto sotto l'apparente bonarietà, l'ammiraglio non mancava di cuore, di un cuore sufficientemente capace di gratitudine; perlomeno non era un taccagno e nel momento stesso in cui fu avvistata la Raisonnable cominciò ad allestire un vero festino, mandando due scialuppe a ovest per cercare aragoste, il suo piatto preferito. Accompagnando il commodoro al banchetto sontuoso, al quale partecipavano quasi tutte le personalità eminenti e le belle donne di Città del Capo, di pelle bianca naturalmente, disse: «Come sono felice di rivedervi così presto, Aubrey! E come tutto è andato bene! Ho spedito immediatamente Corbett in patria con le vostre magnifiche notizie non Patrick O'Brian
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appena ho finito di scrivere la mia lettera di accompagnamento: avrete la Gazette tutta per voi, ne sono certo. E che bella nave la vostra Bourbonnaise! Bella prua stellata, fine e aguzza come un campanile. Vorrei tanto che i nostri arsenali sapessero costruire navi come quelle. Epperò, se voi giovanotti le prendete bell'e fatte, per i nostri cantieri è un bel risparmio di tempo, no? Ah, ah! Ho confermato il suo nuovo nominativo, a proposito, e confermerò tutte le vostre nomine: sono contento che Clonfert sia stato promosso a capitano di vascello, anche se la questione della seta della Compagnia è stato un brutto affare: immagino che l'abbiate giustamente rimproverato. Comunque è inutile piangere sul latte versato, come dico sempre alla signora Bertie, e tutto è bene quel che finisce bene. Clonfert è capitano di vascello e voi avete catturato quattro splendide navi e una mezza dozzina di più piccole. Non avete incontrato niente altro sulla rotta per il Capo, suppongo, tanto per la borine bòuche, come si suol dire, ah, ah?» «Be', signore, abbiamo avvistato la corvetta russa Diana che bordeggiava al largo di Rodriguez, ma ho creduto bene agire secondo la vostra idea e l'ho ignorata.» L'ammiraglio non dette segno di aver sentito e dopo un istante di disattenzione riprese: «Bene, bene. E così avete sistemato a dovere le loro batterie. Ne sono proprio contento e Farquhar è esultante, per quanto possa essere esultante un individuo così 'asciutto': non beve un goccio di vino e tutta quell'acqua gli ha portato via ogni sentimento di allegria. Non l'ho invitato questa sera e comunque lui rifiuta tutti gli inviti. Desidera molto rivedervi, però, voi e il vostro dottor Maturin; perché ora, una volta rinforzata Rodriguez, tocca a Bourbon, questo è sicuro. O La Réunion o Ile Bonaparte o come diavolo si chiama. Idioti. Questo cambiamento continuo di nomi è tipico degli stranieri, non trovate, Aubrey? Dovrebbe essere fatto con il prossimo monsone, se si troveranno navi sufficienti a trasportare tre o quattromila uomini. Che tipo è questo dottor Maturin, se posso permettermi di chiederlo? Bisogna davvero dargli tutta questa fiducia? A me pare un po' uno straniero anche lui». «Oh, credo proprio che sia degno di fiducia, signore», affermò Jack, sorridendo sotto i baffi. «Lord Keith * [* George Elphinstone Keith (17461823), ammiraglio inglese. Combatté nelle Indie, nel mare del Nord, contro la Francia rivoluzionaria e dell'Impero; diresse molte operazioni navali in Mediterraneo, conquistando Minorca, bloccando i francesi in Patrick O'Brian
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Egitto e conquistando il capo di Buona Speranza. Fu creato visconte nel 1814. (N.d.T.)] ne ha una grande opinione: gli ha offerto il posto di medico della flotta. E il duca di Clarence ha voluto espressamente lui, pur avendo a disposizione tutta la facoltà di medicina. Ha la massima stima del dottor Maturin.» «Ah, davvero?» esclamò l'ammiraglio, molto impressionato. «Dovrò averne gran cura, a quel che vedo. Non che di questi astuti politicanti ci si possa fidare un gran che, sapete. Il cucchiaio deve essere molto lungo se si vuole cenare con il diavolo, come dico sempre. Ma dedichiamoci alle aragoste, Aubrey. Ci si può fidare delle mie aragoste, ah, ah, ah! Le ho fatte pescare appena voi avete issato il vostro nominativo.» Le aragoste erano degne di fiducia così come le ostriche e tutto il resto del banchetto pantagruelico che, una portata dopo l'altra, si avviò a conclusione. Finalmente la tavola fu sparecchiata, venne servito il porto e l'ammiraglio Bertie invitò i commensali a brindare alla salute di Jack Aubrey il Fortunato: «Tre volte urrà, e che possa suonargliele ancora e ancora». Una settimana dopo toccò al governatore onorare il commodoro con un banchetto. Selvaggina, questa volta: ippotraghi, oreotragus oreotragus, alcefali, gazzelle, cervicapre, gnu. Nessuna traccia di aragoste, e per arrivare alla fine delle portate ci volle ancora più tempo; ma l'originalità del governatore si limitò a questo, perché la cena si concluse con il consueto budino caldo alla frutta secca e gli ospiti furono invitati a brindare con il porto per augurare a Jack di suonargliene ancora e ancora. Al momento di questo secondo brindisi Stephen stava mangiando pane e carne fredda con il signor Farquhar e con il segretario di questi, il signor Prote, in una stanza al piano superiore della tipografia del governo, un locale riparato dal quale gli operai si erano ritirati. Operai quasi tutti neri, i quali, alla luce delle più recenti informazioni di Stephen, avevano ristampato un proclama alla popolazione della Réunion oltre a un certo numero di volantini e di manifesti che dipingevano a colori brillanti e in un buon francese i vantaggi di un governo britannico, promettendo il rispetto della religione, delle leggi, delle usanze e della proprietà privata, sottolineando le conseguenze inevitabili e disastrose di una resistenza armata e le ricompense (forse un po' imprecise e retoriche) di un'attiva collaborazione. Documenti simili, anche se in una fase di preparazione non così avanzata, erano stati indirizzati àgli abitanti di Mauritius e gli uni e gli Patrick O'Brian
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altri dovevano essere stampati il più segretamente possibile, con l'aiuto di due operai esperti e di fiducia. Eppure, dal momento che nessuno di questi conosceva una parola di francese, Farquhar e Prote stavano di continuo nella tipografia ed entrambi erano rimasti affascinati dai procedimenti tecnici della stampa. Nella loro smania di mostrare a Stephen la loro efficienza, avevano corretto tre lunghi testi componendo i caratteri, leggendo per mezzo di uno specchietto che si strappavano di mano, estraendone alcuni, inserendone altri, cicalando a proposito di casse per lettere maiuscole e minuscole, di forme e di serraforme, di compositoi e di giustificazione, impiastricciandosi gradualmente e impiastricciando Stephen con un'insensata quantità di inchiostro. Ora tuttavia non parlavano più di tecnica di stampa, e nemmeno della loro insidiosa guerra stampata: tutto ciò, insieme con il rapporto dettagliato di Stephen sul sentimento popolare non ostile alla Réunion e sui nuovi agenti che aveva acquisito, era ormai lontano dai loro pensieri; e ora, mentre trangugiavano la loro carne, stavano discutendo della poesia nella legge, un argomento al quale erano stati condotti dalle considerazioni sull'eredità delle proprietà terriere nel futuro regno del signor Farquhar. «Il sistema francese, il loro nuovo codice, è molto bello sulla carta», osservò Farquhar, «eccellente per automi provvisti di logica; ma non tiene assolutamente conto del lato irrazionale, oserei dire quasi sovra-razionale e poetico della natura umana. La nostra legge, nella sua saggezza, ne tiene al contrario conto ed è particolarmente brillante per quanto riguarda l'uso del diritto di godimento della proprietà terriera soggetta a piccole servitù, risalente al medioevo. Permettetemi di farvi un esempio: nei feudi di Enbourne Est e Ovest, nel Berkshire, una vedova avrà la sua sedes libera o nel barbaro latino legale il suo francus bancus nelle terre concesse in uso al defunto marito e soggette a servitù speciali dum sola et casta fuerit; ma se viene scoperta in intimo colloquio con una persona dell'altro sesso, se si concede a un amante, essa perde tutto, a meno di non comparire davanti alla corte del feudo montando all'indietro un ariète nero e recitando questi versi: 'Eccomi qua in arcione a un ben nero caprone, da sgualdrina qual sono; per mia turpe mancanza Patrick O'Brian
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ho perso ogni spettanza, e per la mia vergogna sono messa alla gogna. Ti prego, buon signore, Di ridarmi le terre'. «Mio zio possiede uno di questi feudi minori e ho assistito a un giudizio del genere. Non posso assolutamente descriverne in modo adeguato lo spasso: l'amabile confusione della giovane vedova, la quantità di arguzie e l'universale e soddisfatto consenso - ed è questo il punto che mi preme sottolineare - alla reintegrazione della donna nei suoi diritti, cosa che io attribuisco in gran parte al potere della poesia.» «Potrebbe esserci un rapporto statistico significativo fra il numero di agnelli maschi neri che hanno potuto raggiungere la maturità e quello delle vedove di bell'aspetto», osservò Prote. «E non è un caso isolato», continuò Farquhar, «perché nel feudo di Kilmersdon nel Somerset, per esempio, troviamo più o meno la stessa forma di penitenza, sia pure in forma abbreviata, dato che è considerato sufficiente questo distico: 'Per colpa del mio culo così devo penare. La terra io ti prego di volermi ridare'. «Ora, signori, non trovate molto interessante l'impiego dei nostri arieti neri, creature superflue a parte questa interessante cerimonia, in luoghi distanti come il Berkshire e il Somerset, mentre non risultano mai ammessi quelli bianchi? Poiché il vostro ariete nero, io ne sono persuaso, signori, è intimamente connesso con i riti druidici...» Il signor Farquhar era un uomo di notevole intelligenza e molto informato, ma alla menzione dei druidi, dei boschi di querce o del vischio, una luce pericolosa gli brillò negli occhi, così pericolosa che Stephen guardò l'orologio, si alzò in piedi, disse che doveva con dispiacere accomiatarsi e cominciò a raccogliere le sue carte. «Non volete ripulirvi un po' prima di uscire?» gli domandò Farquhar. «Vi siete macchiato gli abiti.» «Grazie», disse Stephen, «ma l'individuo che devo incontrare, sebbene eminente quanto a diritto di precedenza, non bada alle cerimonie.» Patrick O'Brian
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«Che cosa ha inteso dire parlando di individuo eminente?» domandò Prote. «A parte noi, tutti quelli che contano qualcosa qui al Capo sono al banchetto del governatore.» «Potrebbe trattarsi benissimo di uno stregone nero o di un principe degli ottentotti. Ora, come stavo dicendo, i druidi...» In effetti l'ordine di precedenza della creatura in questione era unicamente alfabetico, poiché Stephen, nel suo umore gaio, aveva inteso parlare dell'aardvark, l'oritteropo. Adesso gli era davanti, una figura pallida, il corpo, simile a quello di un suino, lungo quasi cinque piedi, la coda larga, un muso grandissimo e allungato che terminava in un grugno a forma di disco, zampe corte e robuste e orecchie d'asino traslucide e lunghe in modo sproporzionato; era ricoperto di setole rade e giallastre che lasciavano intravedere la pelle dal colore grigiastro e malsano di un sonnambulo. Sbatteva ripetutamente le palpebre. L'oritteropo era acutamente conscio della propria posizione di inferiorità e ogni tanto si leccava le piccole labbra tubolari; non solo, infatti, era stato misurato e pesato, non solo gli era stato tagliato da un fianco un ciuffo di setole di cui poteva fare a meno con difficoltà, ma per di più in quel momento veniva anche osservato attraverso una lente concava per essere disegnato. Era un animale mite, incline ai sensi di colpa, incapace di mordere e troppo timido per graffiare. Ora si sentiva sempre più demoralizzato, tanto che le orecchie gli si abbassarono fino a oscurargli i deboli occhi malinconici e dalle lunghe ciglia. «Ecco fatto, piccolo mio», disse Stephen, mostrando all'oritteropo le sue sembianze, e rivolto al soffitto chiamò: «Signor van der Poel! Vi sono infinitamente obbligato, signore. Non muovetevi, prego. Chiuderò la porta e metterò la chiave sotto lo zerbino. Adesso torno alla nave e domani vi farò vedere l'uovo». Qualche ora più tardi era di nuovo in vista della rada di Simonstown, dove le prede di Jack erano all'ancora: gli ricordò la Port-Mahon di un tempo, quando le feluche, i trabaccoli e gli sciabecchi catturati da Jack si allineavano lungo le banchine. «Era bello», disse, «e Minorca è un'isola deliziosa, ma nemmeno Minorca può vantare l'oritteropo.» Le strade erano affollate di marinai in franchigia, una ciurma allegra, poiché non solo Jack aveva fatto avere all'equipaggio un modesto anticipo sul denaro delle prede, due dollari a testa, pagati sul cabestano, ma alle raccomandazioni del dottor Maturin sul bottino non era stato ubbidito così rigidamente come Patrick O'Brian
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lui avrebbe desiderato e finissima seta orientale, leggermente sciupata, copriva ora le forme snelle, i seni meravigliosamente seducenti delle donne al braccio dei marinai. Fu salutato da tutti, mani gentili condussero via il suo ronzino preso a nolo e un allievo della Boadicea che emanava un forte odore di patchouli lo accompagnò a remi alla Raisonnable. Comodamente installato nella sua spaziosa cabina aprì il taccuino e guardò di nuovo il disegno. «E forse l'animale più simpatico che abbia mai disegnato», disse, «e ha un affetto toccante per il buon signor van der Poel: mi proverò a colorarlo, credo.» Sfogliò le pagine precedenti, la maggior parte delle quali erano ricoperte dalla scrittura minuta del suo diario, ma anche di parecchi disegni: la tartaruga di Rodriguez, le foche di False Bay, e alcuni disegni erano colorati all'acquerello. «Forse no», disse, studiandoli, «non mi sembra che il mio talento vada in questa direzione.» Trasformò il peso olandese dell'oritteropo in libbre, affilò la penna, rifletté per un po', guardò fuori dell'oblò e cominciò a scrivere nel suo cifrario personale. «Non riesco a ripercorrere la catena di pensieri o piuttosto di associazioni che mi porta a meditare su Clonfert e Jack Aubrey. Presumo che l'oritteropo abbia un ruolo in questo, così apparentemente a disagio com'è, ma i legami sono oscuri. Le coliche addominali di Clonfert esercitano le mie meningi, poiché, con qualsiasi criterio di giudizio li si valuti, i suoi dolori devono essere piuttosto forti. Sembra addirittura ridicolo considerarli semplicemente come una diretta trasposizione dei suo stato d'animo, eppure McAdam non è uno sciocco, se non nei riguardi di se stesso, e in alcuni casi non dissimili da questo che Dupuytren e io abbiamo dissezionato è stato possibile eliminare qualsiasi causa fisica diretta. L'appendice vermiforme, così spesso colpevole di questi apparenti strangolamenti, era rosea come un verme in perfetta salute, l'intero tratto dall'esofago in giù assolutamente privo di lesioni. Clonfert ha molto dell'irlandese, con la suscettibilità tipica delle razze dominate, più di quanto avrei immaginato; in verità più di quanto ho lasciato capire a Jack. Ho scoperto che da ragazzo non ha frequentato una grande public school inglese come fanno in genere quelli delle sue condizioni sociali e nemmeno è andato presto in mare, cosa che gli avrebbe permesso di abbattere rapidamente le sue barriere mentali; i primi anni del suo servizio nominale sono stati solo sulla carta, come viene comunemente definito l'amabile imbroglio grazie al quale un compiacente comandante iscrive un Patrick O'Brian
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ragazzo assente nel ruolo equipaggio. No, è stato tirato su quasi esclusivamente dalla servitù della sua proprietà di Jenkinsville (una regione desolata). E anche da una famiglia di piccoli proprietari terrieri che lo ha tenuto per un certo tempo, la sua essendo troppo folle o troppo moralmente inadatta: e a quanto pare egli ha assorbito il peggio da tutti. Da un lato ha ricavato il concetto che si è fatto di se stesso in quanto aristocratico da gente che per generazioni ha dovuto piegare la schiena per non perdere il pezzo di terra che era il suo unico sostentamento; e dall'altro, pur appartenendo in parte a quella stessa gente, è stato educato a disprezzarne la religione, la lingua, la povertà, i modi, le tradizioni. Una razza di conquistatori nel luogo conquistato raramente è amabile; i conquistatori pagano un prezzo ovviamente minore dei conquistati, ma forse a lungo andare pagano molto di più in termini di qualità umane irrimediabilmente perdute. Avventurieri duri, arroganti, avidi si accalcano sulle spoglie e i conquistati, sebbene esteriormente ossequiosi, li guardano con un risentimento misto a disprezzo; al tempo stesso, però, mostrano rispetto per la superiorità della forza che li ha conquistati. E appartenere contemporaneamente agli uni e agli altri deve di necessità portare a una strana confusione di sentimenti. «Nel caso di Clonfert il risultato di questo e di altri fattori sembra a me una consapevolezza imbarazzata del suo rango (lo menziona spesso), una profonda incertezza sul reale valore di questo, la convinzione segreta che per convalidare le sue pretese egli debba essere grande il doppio degli altri, per così dire. A dispetto dei tacchi che porta, in senso letterale e metaforico, non è più alto degli altri; Jack, per esempio, lo sovrasta di tutta la testa e anche più. Per questa ragione si è attorniato di ufficiali di levatura sociale decisamente modesta, una cosa che non ricordo di aver mai visto in marina, dove i comandanti aristocratici sono quasi sempre circondati da ufficiali e allievi appartenenti all'aristocrazia, così come un comandante scozzese si sceglie ufficiali scozzesi: senza dubbio essi gli assicurano quell'ammirazione di cui ha tanto bisogno; ma fino a che punto un uomo della sua intelligenza può dare credito alla loro ammirazione? E se Lady Clonfert e la signora Jennings costituiscono un buon esempio delle donne che lui attira, fino a che punto i loro favori lo gratificano veramente? «Su queste premesse e su quanto mi dice McAdam potrei elaborare un ritratto di Clonfert abbastanza convincente, un Clonfert la cui esistenza Patrick O'Brian
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sarebbe solo una finzione insoddisfacente: un burattino che si batte invano per essere un altro burattino, ugualmente irreale. L'opposto di Jack, il quale non ha mai recitato un ruolo nella sua vita e non ha mai sentito nessun bisogno di recitarlo. Non sarebbe un ritratto soddisfacente per me, tuttavia: pur contenendo una parte di verità e pur potendo spiegare almeno in parte l'origine delle coliche e qualche altro sintomo che ho notato (McAdam non ha apprezzato a pieno l'importanza dell'asimmetrico sudor insignis), non tiene infatti conto del fatto che Clonfert non è un burattino. Né, cosa assai più importante, tiene conto dell'affetto dei suoi uomini per lui: Jack sostiene che un aristocratico è sempre amato dai marinai e senza dubbio ciò è profondamente vero (a parte tutto il resto, la differenza che essi immaginano esistere fra lui e loro rende meno pesante l'essergli soggetti); ma non potrebbero continuare ad amarlo se l'aristocratico in questione fosse indegno di affetto. Essi non hanno continuato ad amare il principe Guglielmo. No: un affetto che persiste per un lungo periodo di tempo deve per forza essere fondato su qualità reali nell'uomo, poiché una nave in mare, in particolare una piccola nave in una base straniera, è simile a un villaggio; e chi ha mai sentito dire che il giudizio a lungo maturato dagli abitanti di un villaggio sia risultato errato? Lo spirito di una comunità, anche quando la comunità è composta in gran parte di gente illetterata, ignorante, è quasi sempre infallibile, come un Concilio. E le qualità apprezzate dalle comunità sono generalmente un animo gentile, la generosità e il coraggio. Il coraggio: eccomi sul terreno più infido del mondo. Che cos'è infatti il coraggio? Gli uomini attribuiscono un valore differente alla propria vita a seconda dei momenti. Uomini diversi giudicano diversamente l'ammirazione degli altri: per alcuni è il principale movente delle loro azioni. Due persone possono compiere gli stessi atti spinti da motivazioni molto diverse, ma la loro condotta reca lo stesso nome. Eppure, se Clonfert non avesse compiuto azioni del genere, dubito che i suoi uomini lo stimerebbero come in effetti lo stimano. L'irrazionalità di cui parla Farquhar può sì rendere il loro affetto per Lord Clonfert più grande di quello che avrebbero per lui se si chiamasse semplicemente Scroggs, ma la stima esiste già così come le azioni che l'hanno generata. Io l'ho visto prendere d'assalto una batteria a Saint-Paul e le sue espressioni esteriori, il suo slancio, infine il suo successo non erano diversi da quelli di un Jack Aubrey. «Jack Aubrey. L'esuberante ufficiale di tanto tempo fa è ancora visibile nel Patrick O'Brian
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serio commodoro, ma esistono momenti in cui rimane ben nascosto. Una costante è il suo coraggio incrollabile e felice, il coraggio del leone di cui si favoleggia (come vorrei poter vedere un leone...) e che gli fa affrontare il combattimento come se andasse a nozze. Ogni uomo sarebbe un vigliacco, se osasse: è vero per quasi tutti, credo. Lo è certamente per me, probabilmente per Clonfert; ma non per Jack Aubrey. Il matrimonio lo ha cambiato, ma non in questo: aveva sperato troppo, povera natura entusiasta (anche se soffre veramente per la mancanza di notizie da casa). E il peso di questa nuova responsabilità lo sente acutamente. La responsabilità e gli anni: la giovinezza se ne sta andando, forse se ne è già andata. Il cambiamento è evidente, ma è difficile elencare le alterazioni particolari, a parte la relativa mancanza di gaiezza, di quegli scherzi da nulla che però davano almeno a lui tanta allegria e tanto divertimento. Potrei menzionare un diverso atteggiamento nei riguardi degli uomini al suo comando, eccettuati quelli che conosce da anni: è attento, coscienzioso e informato, ma molto meno cordiale, è un rapporto che riguarda la sua mente più che il suo cuore e gli uomini li vede essenzialmente come strumenti di guerra. E poi l'atteggiamento verso la nave stessa: ben mi ricordo la felicità senza limiti per il suo primo comando, anche se la Sophie era solo una piccola bagnarola, il modo in cui lui non si saziava di ammirarne le misere attrattive, saltando sugli alberi, sul sartiame, giù nelle parti interne, instancabile come un ragazzo. Ora è il comandante di un maestoso vascello a due ponti, con queste ampie stanze e balconi; eppure lui dimostra nei riguardi della nave una semplice cortesia, come se fosse solo un'altra casa ammobiliata. Tuttavia su questo potrei sbagliarmi, esistono aspetti della vita di un marinaio che io non capisco. E c'è anche la diminuzione non soltanto dei suoi istinti animali, ma anche dei suoi appetiti. Non sono un partigiano dell'adulterio, che sicuramente promette più di quanto mantiene, salvo in materia di distruzione di se stessi e di altri; ma vorrei che Jack avesse almeno qualche tentazione cui resistere. Le sue emozioni violente, eccettuate quelle relative alla guerra, si sono però raffreddate. Clonfert, più giovanile di lui in questo come in molte altre cose, ha conservato la capacità di provare sentimenti estremi, certamente il dolore estremo, forse la gioia estrema. Tale raffreddamento è un fatto naturale, senza dubbio, e impedisce a un uomo di bruciarsi prima del tempo; ma sarei rattristato se, nel caso di Jack Aubrey, dovesse arrivare al punto da renderlo davvero freddo e indifferente; perché allora l'uomo che Patrick O'Brian
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ho conosciuto e apprezzato tanto sarebbe solo il cadavere ambulante di se stesso.» Il fischietto del nostromo e il clangore delle armi presentate dai fanti di marina gli dissero che, vivo o cadavere che fosse, Jack Aubrey stava in quel momento camminando a pochi metri da lui. Stephen sparse la sabbia sul suo taccuino, lo chiuse e aspettò che la porta si aprisse. L'uomo che comparve sulla soglia assomigliava in effetti più al commodoro che al giovane Aubrey, perfino dopo che ebbe gettato la giubba e con quella le insegne del grado sul più vicino stipo. Gonfio di vino e di cibo, aveva gli occhi arrossati e le occhiaie da fegatoso; e ovviamente stava scoppiando di caldo. Ma oltre allo sguardo appannato dell'uomo costretto a mangiare e a bere troppo e poi a starsene seduto in una carrozza aperta per venti miglia in una torrida tempesta di sabbia, con indosso abiti adatti al clima della Manica, la sua faccia aveva un'espressione abbattuta, scoraggiata. «Ah, se potessi avere altri soldati come Keating!» disse stancamente. «Non riesco a smuoverli. Dopo cena c'è stato consiglio e ho fatto presente che potremmo prendere senza nessunissima difficoltà La Réunion con i reggimenti al loro comando: useremmo la Raisonnable per il trasporto delle truppe. Saint-Paul è a nostra disposizione, senza una sola batteria in piedi. Hanno detto sì, sì, poi hanno cominciato a gemere, a lamentarsi: non potevano muoversi senza un ordine da Londra, era sempre stato inteso che le truppe necessarie avrebbero dovuto arrivare da Madras, forse con il prossimo monsone se si trovavano le navi da trasporto; altrimenti con quello successivo. Al prossimo monsone, ho detto io, La Réunion brulicherà di cannoni, mentre adesso i francesi ne hanno pochissimi e quei pochi serviti da uomini senza nessun desiderio di combattere; al prossimo monsone, al contrario, il loro morale si sarà rialzato e da Mauritius saranno arrivati i rinforzi. Verissimo, hanno commentato gli ufficiali dell'esercito, facendo scodinzolare la testa; ma purtroppo temevano di doversi attenere al piano originario. E mi sarebbe piaciuto andare con loro a caccia di facoceri sabato? Per coronare il tutto, il brigantino appena arrivato non era un postale ma un mercantile proveniente dalle Azzorre: nessuna lettera di nessun genere. Nemmeno fossimo sulla faccia nascosta della luna.» «Molto seccante, è vero», convenne Stephen. «Che ne diresti di un bicchiere di acqua d'orzo con un po' di succo di limone verde? E di una nuotata? Potremmo prendere una scialuppa e andare sull'isola dove vivono Patrick O'Brian
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le foche.» A un Jack più calmo e più fresco Stephen offrì tutto il conforto che riuscì a dargli. Non accennò allo stolido torpore dell'esercito - non aveva mai veramente creduto alla possibilità di smuovere i generali dalle loro posizioni dopo la fine miseranda della spedizione non autorizzata a Buenos Aires, partita da quella stessa base non molti anni prima - e si concentrò sulla diversa percezione del tempo durante i periodi di attività: quelle settimane così movimentate avevano assunto un'importanza che la loro misura siderale o, come si sarebbe anche potuto dire, assoluta, non giustificava; rispetto agli avvenimenti esteriori si trattava pur sempre di settimane; sarebbe stato irragionevole aspettarsi di trovare qualcosa al loro ritorno al Capo; adesso, però, una nave carica di posta poteva entrare in porto da un momento all'altro. «Spero che tu abbia ragione, Stephen», disse Jack tenendosi in equilibrio sulla frisata e massaggiandosi la lunga cicatrice bluastra sulla schiena. «Molto spesso Sophia è presente nei miei pensieri in questi ultimi giorni, e perfino le bambine. L'ho sognata la notte scorsa, un sogno confuso, agitato, e non vedo l'ora di ricevere una sua lettera.» Dopo una pausa di riflessione soggiunse: «Qualche notizia migliore ce l'ho, comunque. L'ammiraglio è fiducioso di poter aggiungere fra poche settimane l'Iphigenia e la Magicienne alla squadra: ha avuto informazioni da Sumatra. Ma naturalmente arriveranno da est, nessuna possibilità che portino notizie da casa. Anche la vecchia Leopard, che nessuno vuole, però: ferro corroso dappertutto, una vera cassa da morto, quella nave». «Il postale arriverà da un giorno all'altro e porterà il solito mucchio di tasse da pagare, di fatture, e i racconti di catastrofi domestiche: orecchioni, varicella, tubature che perdono. Sì, il mio animo profetico lo vede al di là dell'orizzonte.» I giorni passarono l'uno dopo l'altro mentre la carena della Boadicea, con le stive vuote e sbandata con paranchi connessi a grossi tronchi infissi sulla sponda, veniva ripulita; Jack sistemò il suo telescopio usando un nuovo sistema di contrappesi che funzionava perfettamente sulla terraferma e Stephen vide il suo leone, un intero branco di leoni e un giorno, anche se aveva sbagliato orizzonte, il suo spirito profetico si rivelò esatto: arrivarono notizie. Ma non da casa, non da occidente: la veloce Wasp aveva invertito la rotta in pieno oceano ed era rientrata in tutta fretta al Capo per riferire che i francesi avevano catturato altre tre navi della Patrick O'Brian
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Compagnia delle Indie, la corvetta di Sua Maestà Victor e la potente fregata portoghese Minerva. La Vénus e la Manche, già in mare quando la squadra aveva attaccato Port Louis, avevano catturato la Windham, la United Kingdom e la Charlton, tutte navi della Compagnia del più grande valore. La Bellone, sgusciata con il favore delle tenebre fra le maglie del blocco, aveva preso la Victor, da diciotto cannoni, poi, con l'aiuto della corvetta catturata, aveva attaccato la Minerva, che disponeva di cinquantadue cannoni, inutili tuttavia contro la furia dell'attacco francese. La fregata portoghese, ribattezzata Minerve, si trovava per il momento a Port Louis, equipaggiata con uomini della Canonnière e con qualche disertore: là si trovavano probabilmente anche le navi della Compagnia, la Vénus e la Manche, ma di questo la Wasp non era sicura. Prima che cambiasse la marea, Jack era al largo, lasciandosi alle spalle i facoceri, i militari e perfino il telescopio; aveva issato la sua insegna sulla Boadicea, dato che la stagione degli uragani stava arrivando e la Raisonnable non sarebbe stata in condizione di affrontarli. Era tornato alla sua Boadicea e la stava portando con i venti variabili e talvolta contrari fino agli alisei costanti da sud-est; una volta raggiunti, la fregata, con l'impavesata sottovento coperta dalla spuma bianca e il ponte inclinato come il tetto di Ashgrove Cottage, poté coprire le sue duecentocinquanta e perfino trecento miglia da un'osservazione di mezzogiorno all'altra; poiché esisteva una sia pur remota speranza di intercettare le fregate francesi e le loro prede prima che raggiungessero Mauritius. La seconda domenica dopo aver lasciato il Capo, in luogo del sermone domenicale Jack stava leggendo gli Articoli di Guerra con voce possente, formale, comminatoria all'equipaggio che si sforzava di restare dritto, cosa non facile visto che non si poteva assolutamente toccare nemmeno una vela. Aveva appena attaccato l'articolo XXIX, che trattava della sodomia, con impiccagione del colpevole, un articolo che a ogni ripetizione mensile vedeva Lentiggine e gli altri allievi diventare rossi come peperoni per lo sforzo di soffocare le risatine, quando furono segnalate due navi. Erano ancora molto distanti e, senza interrompere le sue devozioni, per quanto possibile con i pensieri di tutti fissi sul colombiere, la Boadicea si allontanò gradatamente dalla sua rotta per cercare il vantaggio del vento. Ma quando Jack fu arrivato a tutti i crimini non capitali (pochissimi), e molto prima dell'ordine di sgombrare la nave per il combattimento, la vela Patrick O'Brian
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sconosciuta sopravvento issò il segnale segreto e in risposta a quello della Boadicea innalzò il nominativo: Magicienne; e la sua compagna era la Windham. La Magicienne, disse il comandante Curtis salendo a bordo della Boadicea, aveva ricatturato le navi della Compagnia delle Indie al largo della costa orientale di Mauritius. La Windham era stata separata dalla Vénus durante una tempesta terribile e improvvisa a diciassette gradi sud; la Magicienne l'aveva ripresa dopo una specie di inseguimento, navigando sui bordi per tutta la giornata e poi restando in panna tutta la notte nella speranza di trovare la fregata francese. Curtis l'aveva trovata al tramonto, ridotta a uno spaventapasseri con i soli fusi maggiori ancora ritti e pochi brandelli di vela a riva, lontana sotto costa, che procedeva a fatica con il solo trinchetto. Sfortunatamente, però, si era ormai avvicinata all'entrata di Grand-Port; e quando si era levata la brezza di terra la Magicienne aveva avuto la mortificazione di vedere la Vénus rimorchiata proprio sotto i cannoni dell'Ile de la Passe, all'ingresso del porto. «La mattina dopo, signore, quando ho potuto dirigere a terra», raccontò Curtis con aria di scusa, «era quasi in fondo al porto, con le munizioni così scarse - solo undici cariche per cannone - e con le navi della Compagnia ridotte così male che non ho ritenuto giusto inseguirla.» «Certamente no», disse Jack, pensando alla lunga insenatura difesa dalla ben munita Ile de la Passe, con le batterie sui due lati e sul fondo e ancora di più da un sinuoso canale navigabile reso insidioso dalle sue scogliere: la Royal Navy lo chiamava Port South-East in quanto opposto a Port Louis a nord-ovest, e lui lo conosceva bene. «Certamente no. Avrebbe voluto dire gettare via la Magicienne, e io ho bisogno di lei. Ah, sì, ne ho proprio bisogno, adesso che loro hanno la potente Minerva. Pranzerete con me, Curtis? Poi dobbiamo dirigerci su Port Louis.» Presero a rimorchio la nave della Compagnia e trascinandosi dietro quel grosso peso si diressero verso terra, con il vento al lasco. Stephen Maturin si era sbagliato profondamente supponendo che Jack, fattosi più vecchio e più importante, considerasse ora le navi come alloggi più o meno confortevoli; la Raisonnable non era mai stata completamente sua, non era sposato con lei, ma la Boadicea era qualcosa di completamente diverso: Jack si sentiva parte della nave. Conosceva tutti a bordo e con poche eccezioni apprezzava tutti; era felice di essere tornato al comando della fregata e, sebbene il comandante Eliot fosse stato un ottimo Patrick O'Brian
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comandante, l'equipaggio era felice di riavere a bordo il commodoro. In effetti gli uomini avevano fatto penare non poco il comandante Eliot, opponendogli una resistenza flessibile ma efficace al minimo tentativo di cambiamento: «Al commodoro è sempre piaciuto così; il commodoro lo voleva in questo modo; era stato il comandante Aubrey a ordinare personalmente che i cannoni prodieri fossero dipinti di marrone». Jack apprezzava particolarmente il signor Fellowes, il suo nostromo, il quale si era schierato con più foga degli altri a favore della velatura voluta da Aubrey e delle sue enormi e brutte pastecche che permettevano alle drizze di salire rapidamente a riva per sostenervi lo sforzo di uno straordinario spiegamento di vele; e ora che il carico era stato risistemato nella stiva della Boadicea, la carena pulita e le manovre dormienti sostituite grazie al bottino di Saint-Paul, la nave rispondeva alle loro aspettative in modo totale. A dispetto del carico pesante, ogni volta che veniva gettato 0 solcometro la velocità della fregata risultava di nove nodi. «Fa i nove costanti», annunciò Jack, scendendo nella cabina dopo la rivista generale. «Mi fai veramente felice, Jack», disse Stephen, «e ancora di più mi faresti felice se volessi darmi una mano con questo. I movimenti irragionevoli, per non dire i salti mortali della nave, mi hanno fatto rovesciare la cassa.» «Bontà divina!» esclamò Jack, fissando la massa di monete d'oro finita in un canto del lato sottovento del pagliolo. «Che cos'è questo?» «Tecnicamente viene definito denaro», rispose Stephen. «E se tu mi aiutassi a raccoglierlo invece di contemplarlo con una cupidigia stupefatta più degna di Danae che di un ufficiale del re, potremmo forse salvare qualche moneta prima che si infilino tutte nelle fessure del tavolato. Su, avanti, non c'è un minuto da perdere!» Carponi, raccolsero e ammucchiarono diligentemente le monete e quando la cassa cerchiata di ferro fu di nuovo piena, Stephen disse: «Devono essere messe in questi sacchetti, se non ti dispiace, cinquanta per sacchetto, ognuno legato con un laccio. Vuoi sapere a che serve, Jack?» disse poi, quando i pesanti involucri si furono accumulati. «Te ne sarei grato.» «È il vile denaro inglese corruttore con cui Bonaparte e i suoi giornali se la prendono continuamente. Esiste davvero talvolta, come vedi. E posso assicurarti che ogni luigi, ogni napoleone, ogni ducato o doblone è buono: ai francesi capita ogni tanto di comprare servizi e informazioni con monete Patrick O'Brian
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false. È questo che procura una cattiva reputazione ai servizi segreti.» «Pagando con denaro autentico, è possibile avere informazioni migliori?» domandò Jack. «Be', per dire la verità, non c'è gran differenza: l'agente prezzolato e le sue informazioni non sono quasi mai molto significative. Il vero gioiello senza prezzo, la perla di valore incalcolabile è colui che odia la tirannia con tutto se stesso, come la odio io: nel nostro caso il partigiano del re o il vero repubblicano che è disposto a rischiare la vita per abbattere Bonaparte. Alla Réunion ce n'è più d'uno e ho ragione di credere che a Mauritius ce ne siano ancora di più. In quanto ai comuni agenti che lo fanno per denaro», continuò Stephen, alzando le spalle, «la maggior parte di questi sacchetti è destinata a loro; qualcosa di buono potrebbe venirne fuori, verrà fuori, anzi, essendo gli uomini raramente tutti d'un pezzo. Dimmi, quando sarai in grado di farmi sbarcare? E qual è oggi la tua valutazione delle probabilità?» «Quanto alla prima domanda», rispose Jack, «non posso dirlo finché non avrò visto Port Louis. Le probabilità? Credo che siano più o meno alla pari attualmente. Se loro hanno acquisito la Minerva, noi abbiamo acquisito la Magicienne. Tu mi dirai che la Minerva è più potente, che la Magicienne ha solo cannoni da dodici libbre; ma Lucius Curtis è un uomo dal coraggio raro, un marinaio bravissimo. Perciò possiamo dire che per ora siamo pari. Per ora, ripeto, perché la stagione dei tifoni sta per cominciare e se i francesi se ne staranno tranquillamente in porto e noi saremo in mare, non c'è davvero modo di sapere quale sarà la situazione fra qualche settimana.» Durante la notte si misero con il vento in poppa, dirigendosi a nord verso Mauritius, e quando Stephen si svegliò, trovò che la Boadicea, non più sbandata, beccheggiava leggermente e la musica insistente che aveva risuonato fra i ponti negli ultimi giorni non si sentiva più. Si lavò rapidamente la faccia, si passò la mano sulla barba lunga, disse: «Per oggi può andare», e si affrettò a passare nella cabina diurna, desideroso di bere il caffè e di fumarsi il primo dei leggeri sigari di carta della giornata. Killick era là che fissava a bocca aperta la vetrata di poppa, con la caffettiera in mano. «Buongiorno, Killick», disse Stephen. «Dov'è egli medesimo?» «Buongiorno, signore. Sarebbe che lui è ancora in coperta.» «Killick, che vi succede? Avete visto uno spettro nella dispensa del pane? Siete malato? Fatemi vedere la lingua.» Patrick O'Brian
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Quando ebbe ritirato la lingua, un affare flanelloso di lunghezza anormale, Killick disse, ancora più pallido in viso: «C'è uno spettro nella dispensa del pane, signore? Povero me, sono stato proprio lì durante la seconda comandata, oh, povero me!» «C'è sempre uno spettro nella dispensa del pane, Killick. Ora volete affrettarvi con quella caffettiera, per cortesia?» «Non oso, signore, con rispetto parlando. Ci sono notizie anche peggio dello spettro, signore. Quei topi maligni hanno trovato il caffè e non ce n'è più nemmeno per un'altra tazza in tutta la bagnarola secondo me, signore.» «Preservato Killick, passatemi quella caffettiera o andrete a far compagnia allo spettro nella dispensa del pane e gemerete per l'eternità.» Con estrema riluttanza, Killick posò la caffettiera quasi sul bordo del tavolo, borbottando: «Questa la pagherò, ah, se la pagherò!» Jack entrò, si versò una tazza, augurò il buongiorno a Stephen e disse: «Temo che ci siano tutte». «Tutte che?» «Tutte le navi francesi, con le due della Compagnia e la Victor. Non sei ancora salito in coperta? Siamo davanti a Port Louis. Il caffè ha un sapore tremendo.» «Io attribuisco questo fatto agli escrementi dei topi. Si sono mangiati tutta la nostra riserva e secondo me stiamo bevendo la raschiatura del fondo.» «Mi sembrava un gusto familiare», disse Jack. «Killick, di' al signor Seymour, con i miei complimenti, di darti una scialuppa. E se non ne trovi almeno una libbra nella squadra, sarà meglio che non torni a bordo. Non serve chiedere alla Néréide: loro non bevono caffè.» Quando il contenuto della caffettiera fu diviso scrupolosamente fra loro fino alle ultime gocce di un liquido che avrebbe potuto essere definito di dubbia natura, se il dubbio non fosse stato una certezza, salirono in coperta. La Boadicea era in una splendida baia con il resto della squadra a prua e a poppa: la Sirius, la Néréide, l'Otter, il brigantino Grappler che avevano ripreso a Saint-Paul e un paio di esploratori ad armo aurico; sottovento la Windham, della Compagnia delle Indie, sulla quale le squadre prelevate dalle altre navi stavano riparando i danni causati dal fortunale e dalla violenza del nemico, sotto lo sguardo filosofico dell'equipaggio francese prigioniero. Sul fondo dell'ampia curva si vedeva Port Louis, la capitale di Mauritius, con le colline verdeggianti alle spalle e, al di là di quelle, le montagne dalle cime nascoste fra le nuvole. Patrick O'Brian
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«Pensi di poterti avventurare sulla coffa di maestra?» domandò Jack. «Credo di poterti mostrare una vista migliore da lassù.» «Certamente», rispose Stephen. «Fino alle ultime crocette, se preferisci: sono agile come una scimmia.» Jack fu sul punto di dire che non sapeva dell'esistenza di scimmie incapaci di arrampicarsi sugli alberi, scimmie pesanti come piombo, afflitte da vertigini, con due mani sinistre e nessun senso dell'equilibrio; ma conosceva gli effetti di certe sfide sul suo amico e, a parte qualche grugnito mentre spingeva Stephen su per la buca del gatto, preferì non aprire bocca finché non furono comodamente installati fra i coltellacci, con i cannocchiali puntati sulla città. «Lo vedi l'edificio bianco con il tricolore che sventola?» domandò Jack. «Quello è il quartier generale di Decaen, il comandante in capo. Ora scendi giù fino alla spiaggia e un po' sulla destra: quella è la Bellone che sta issando un nuovo albero di parrocchetto. Ancora un piede... ecco che fa segno... ha piazzato la chiave nella rabazza: ben fatto, da vero marinaio. Dietro la Bellone si vede la Victor. Li distingui i colori inglesi sotto quelli francesi? Cani. Va bene che prima di essere nostra era loro. Ancora più in là si vede la bandiera francese sopra quella portoghese: è la Minerva. Una fregata pesante, Stephen, e non mi pare che sia stata molto strapazzata. Poi c'è la Vénus, con l'insegna di comando e il pontóne a biga lungo la murata. Le stanno mettendo un nuovo albero di mezzana. Ecco, lei sì che è stata strapazzata: trincatura del bompresso rotta, impavesata della palmetta a pezzi, non una bigotta sana da questa parte o quasi; e molto bassa sull'acqua, si vede che le pompe devono lavorare sodo. Mi chiedo come abbiano fatto a farla arrivare in porto. Eppure non è ancora la stagione degli uragani, uragani di questa forza; evidentemente era stata al centro della burrasca, mentre la nave della Compagnia si trovava al limite esterno e la Magicienne ben fuori, visto che non ha nemmeno calato gli alberetti di velaccio.» «Il tuo uragano mi pare che abbia un movimento rotatorio, non è vero?» «Precisamente. E ci si può ritrovare in piena burrasca quando si pensa di esserne finalmente usciti. Poi, là sulla destra, si vedono la Manche e una corvetta, la Creole, mi pare. Una bella squadra davvero, una volta riparati i danni della Vénus. E che scontro sarebbe, se decidessero di uscire e combattere con il valore con cui si è battuto quel tipo a Saint-Paul: come si chiamava?» Patrick O'Brian
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«Feretier. Credi che vogliano uscire?» «Mai e poi mai», rispose Jack. «A meno che io non riesca a ingannarli, a meno che non riesca a far credere al loro commodoro che noi non siamo più al largo di Mauritius o che vi abbiamo lasciato solo una o due navi. No, sembra che siamo ancora una volta nella situazione in cui eravamo a Brest o a Tolone: blocco del porto finché non saremo ridotti a mangiare i vermi delle gallette. Nel Mediterraneo lo chiamavamo lucidare Cap Sicié. Ma perlomeno significa che potrò mandarti alla Réunion con il Grappler, se proprio devi andarci: potrà scortarvi la Windham fin là, in previsione di qualche nave corsara, e poi tornare il giorno dopo. Sono appena trenta leghe e con questo vento costante... Ti prego di scusarmi, Stephen, ma ora devo vedere i comandanti. La iole di Clonfert si è già staccata, con quella sua ridicola ciurma.. Perché diamine dovrà essere così eccentrico?» «Altri comandanti vestono gli equipaggi delle loro lance in modo originale.» «Sì, ma c'è modo e modo. Non sono affatto attirato da questo incontro, Stephen. Dovrò chiedere spiegazioni, dovranno dirmi come mai la Bellone è riuscita a fuggire. Comunque non durerà a lungo. Vuoi aspettarmi qui?» La riunione durò più a lungo di quanto Jack avesse previsto, ma Stephen, appollaiato comodamente sulla coffa che dondolava con il beccheggio della nave sull'onda lunga e piana, quasi non notò il trascorrere del tempo. Aveva caldo, un caldo tale che dovette togliersi la cravatta; e mentre il suo sguardo indugiava sui movimenti degli uccelli marini - sterne per lo più -, sulla routine di lavoro in coperta, sulle riparazioni a bordo della Windham e sulle scialuppe che andavano e venivano, la sua mente era lontana, sull'isola della Réunion, intenta a elaborare una quantità di schemi intesi a superare la riluttanza dei francesi a diventare inglesi, con mezzi meno diretti e meno cruenti di una battaglia pennone contro pennone e fuoco con entrambe le bordate tuonanti. Fu perciò quasi sorpreso quando vide spuntare la faccia larga e rossa del commodoro dal bordo del suo capace nido e al tempo stesso fu preoccupato nel vedere la sua espressione grave e ansiosa, una certa opacità nei brillanti occhi celesti. «È uno stramaledetto porto per un'operazione di blocco stretto», osservò il commodoro. «È facile scivolare via, con il vento quasi sempre da sudest, ma è difficile entrarci a meno di non essere fortunati con il vento e con la marea; per questo usano così spesso Saint-Paul. E con la luna nuova un Patrick O'Brian
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blocco efficace è quasi impossibile. Comunque, se vuoi bere qualcosa, vieni nella cabina: Killick ha scovato un po' di chicchi pallidi e vetusti che ci servirà giustappunto per il caffè di metà mattina.» In cabina disse: «Non li rimprovero per essersi fatti sfuggire la Bellone e, quanto alla Canonnière, se n'era andata ancor prima che raggiungessero le loro posizioni. Ma li biasimo per aver litigato fra loro per questo. Se ne stavano lì a guardarsi in cagnesco, rispondendo a monosillabi e lanciandosi occhiatacce. La responsabilità è di Pym, ovviamente, in quanto comandante con maggiore anzianità, ma di chi sia stata in effetti la colpa non lo so ancora. Tutto ciò che so con certezza è che fra i due i rapporti sono pessimi. Sembra che questa sia la specialità di Clonfert, ma mi meraviglio di Pym, un uomo così tranquillo e di buon carattere. Comunque sia, ho invitato tutti i comandanti a cena e speriamo che questo serva ad appianare le cose. Sono bruttissime queste rivalità in una squadra. Speravo di essermene liberato con Corbett». Nonostante il caldo a trenta gradi e l'umidità, la cena, le cui portate principali furono una tartaruga di quattrocento libbre e una sella di montone del Capo, riportò effettivamente una certa civiltà nei rapporti, e forse qualcosa di più. Pym non era uomo da serbare rancore e Clonfert conosceva le buone maniere; bevvero vino insieme e Jack constatò con sollievo che il suo intrattenimento poteva dirsi un successo. Curtis, della Magicienne, era una persona vivace e socievole, e aveva molto da raccontare della squadra francese e delle sue scorribande nelle stazioni della Compagnia delle Indie in Estremo Oriente. Hamelin,* [* JacquesFélix-Emmanuel Hamelin (1768-1839), ammiraglio francese (dopo il 1812). Compì un viaggio di esplorazione nell'Australia meridionale (18001803), visitando il golfo che da lui prende il nome. Nel 1806 fu inviato nei mari delle Indie, dove combatté contro gli inglesi. Al ritorno in Francia (1811) venne nominato barone. (N.d.T.)] il loro commodoro, era un giacobino di temperamento violento, a quanto si diceva, e un bravo marinaio, mentre Duperré, della Bellone, comandava la sua bella nave veloce con grande determinazione; e l'efficienza degli equipaggi francesi era sorprendente. I racconti di Curtis fecero superare al pranzo il primo stadio formale e ben presto la conversazióne si fece generale e animata, sebbene Clonfert si rivolgesse quasi esclusivamente al suo vicino, il dottor Maturin, e i due giovani comandanti, Tomkinson dell'Otter e Dent della Grappler, non aprissero praticamente bocca se non per far passare i Patrick O'Brian
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deliziosi bocconi di gelatina verde e gialla della tartaruga, il montone e il madera. «Mi sembra che tu ti sia trovato molto bene con Clonfert», osservò Jack, quando i suoi satolli ospiti se ne furono andati. «Di che cosa sei riuscito a parlare con lui? È un individuo che legge?» «Legge romanzi. Ma abbiamo quasi sempre parlato delle sue esplorazioni di queste regioni costiere. Ha disegnato le carte di molte insenature dove si è avventurato in barca a remi con il suo nocchiere nero; è molto informato.» «Sì, lo so. In questo supera Corbett, credo. Ha delle capacità, in effetti, se solo... Che c'è adesso?» «È tutto pronto, signore», annunciò Bonden. «Fatemi vedere le tasche.» «Tela numero sette, signore, con doppia cucitura», spiegò Bonden, stendendo la giacca e mostrando una fila di tasche. «Con i risvolti.» «Molto bene. Ora metteteci questi e abbottonatele con cura.» Nel ricevere i pesanti sacchetti Bonden assunse un'espressione vacua, lo sguardo di chi non vuole sapere niente; non disse una parola, estinguendo ogni barlume di intelligenza negli occhi. «Ecco fatto», disse Jack. «E ora ecco qualcosa per il comandante Dent: vi chiederà se sapete riconoscere i punti di riferimento della cala dove la Wasp ha sbarcato il dottore, e se non ci riuscite, badate bene, Bonden, se non siete sicuro senza la minima ombra di dubbio dei punti di riferimento e delle profondità, dovrete dirlo, senza preoccuparvi di essere giudicato un babbeo. E, Bonden, vi raccomando il dottore. Che le sue pistole siano cariche, mi sentite, e non fategli bagnare i piedi.» «Aye, aye, Sir», assicurò Bonden. Qualche minuto dopo la scialuppa si scostò dalla nave. Bonden, anche se innaturalmente irrigidito con la sua giubba abbottonata fino al collo, si arrampicò agilmente sulla murata del Grappler e issò Stephen a bordo, dopodiché il brigantino si allontanò verso sud-est, seguito dal veliero della Compagnia. Jack li seguì con lo sguardo finché lo scafo non fu più visibile, poi tornò a osservare la costa, con le sue fortificazioni che si disegnavano nette e chiare sul verde vivo della canna da zucchero. Quasi gli pareva di sentire su di sé gli occhi dei comandanti francesi che tenevano i cannocchiali puntati sulle navi della squadra, in particolare quelli di Hamelin, il suo Patrick O'Brian
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equivalente dalla parte opposta; e mentre dava gli ordini per predisporsi al lungo blocco, considerò le possibilità di ingannare il nemico e costringerlo a uscire e a combattere. Ne aveva tentate parecchie prima che il Grappler facesse ritorno con uno Stephen carico di informazioni oltre che di una cassa del miglior caffè del mondo e di un nuovo congegno per tostarlo: aveva provato con l'aperta provocazione e con la tecnica dell'anatra ferita, ma Hamelin, il cane astuto, non aveva abboccato, e le navi francesi erano rimaste tranquillamente in porto, mentre la squadra si era dovuta accontentare di incrociare al largo, con l'unica prospettiva del natale a incoraggiarli. Le notizie che Stephen aveva riportato non potevano certo dirsi buone: la fregata Astrée era attesa dalla Francia, il comandante di Saint-Paul era assai meno demoralizzato dopo la morte del generale Desbrusleys e un grosso contingente di truppe regolari comandate da ferventi bonapartisti era sbarcato sull'isola. La Réunion era insomma molto più difficile da conquistare, anche con i tremila uomini in arrivo dall'India, di quanto non lo fosse stata qualche settimana prima dal Capo con la metà di quelle truppe. Stando al parere degli ufficiali francesi, pur con un tempo favorevole allo sbarco, non avrebbe potuto essere attaccata con successo con meno di cinquemila uomini. D'altro canto Stephen aveva saputo molte cose su Mauritius, di gran lunga la più importante delle due isole con i suoi splendidi porti: fra l'altro aveva appreso che una parte considerevole della guarnigione francese era composta di truppe irlandesi, prigionieri di guerra o volontari che ancora speravano in Napoleone. E Stephen aveva molti contatti da prendere, alcuni dei quali probabilmente di grandissimo valore. «E così», concluse, «non appena potrai darmi la Néréide e Clonfert con il suo nocchiere, che conoscono bene questi luoghi, mi farebbe piacere poter cominciare il lavoro preparatorio. A parte ogni altra considerazione, bisogna lasciare ai nostri volantini il tempo di fare effetto; e qualche voce sparsa con giudizio, qualche indiscrezione nell'ambiente adatto, potrebbero forse far uscire le tue fregate dal porto.» Jack riconobbe senza riserve l'importanza e l'urgenza del compito. «Sarà una debolezza la mia, Stephen», disse poi, «ma come rimpiango i giorni in cui non contavamo niente, quando navigavamo da soli, anche molto impegnati a volte, ma così spesso liberi la sera per la nostra partita e per la nostra musica! Potrai avere la Néréide anche domani, se vuoi: la Vénus ha scelto proprio questo momento per fare carena e sembra che la Manche Patrick O'Brian
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voglia fare altrettanto, perciò potrò rinunciare a una nave. Ma questa sera riserviamola a noi. Mentre eri via ho trascritto il pezzo di Corelli per violino e violoncello.» La musica rinsaldò i loro legami con un passato che pareva molto lontano, un passato in cui per godere qualche ora di pace non bisognava tenere lontano un segretario di commodoro e il suo mucchio di scartoffie, in cui non era necessario stare attenti a non ferire i sentimenti dei comandanti suscettibili e in cui quella poca burocrazia che il comandante in seconda lasciava al suo comandante veniva sbrigata rapidamente e fra persone che si conoscevano intimamente. Ma la mattina seguente il signor Peter era di nuovo là con una quantità di carte: la Magicienne temeva di dover chiedere la costituzione di una corte marziale per il suo capo manovra delle scotte che aveva commesso una serie di reati quasi incredibile, dall'essersi ubriacato all'aver piantato una caviglia nel ventre del capitano d'armi, e la Sirius comunicava di essere a corto di legna da ardere e di acqua dolce. Stephen si trasferì a bordo della Néréide dopo un saluto necessariamente frettoloso. Trovò Clonfert con il morale alle stelle, felice di navigare da solo, felice di restare per un po' lontano dalla dura disciplina del commodoro; sebbene infatti Jack e Lord St Vincent avessero idee molto diverse su una quantità di cose, compresa la politica e la libertà di parola, erano tuttavia dello stesso identico parere per quanto riguardava il mantenimento del proprio posto nella squadra e una pronta ed esatta ubbidienza ai segnali. Verso mezzogiorno salirono tutti e due sul cassero e mentre passeggiavano avanti e indietro sul lato sopravvento, con le coste alte e verdeggianti di Mauritius che scivolavano via tremolanti nella calura, Stephen cominciò ad assorbire l'atmosfera della nave. A bordo erano rimasti solo pochi uomini della Néréide, e dal momento che Clonfert aveva portato con sé tutti gli ufficiali e la maggior parte dei marinai dell'Otter, il clima della fregata era più o meno uguale a quello della corvetta. Per molti aspetti era uguale a quello delle altre navi da guerra, vale a dire che le attività dei marinai, l'impiego del tempo regolato in modo rigido, la cura quasi maniacale della pulizia erano quali Stephen li aveva sempre notati sulle navi di Sua Maestà; ma in nessuna di quelle al comando di Jack Aubrey aveva mai sentito gli ordini del comandante seguiti da consigli e da commenti; e questo genere di consultazioni pareva essere uno stile comune a tutta la scala gerarchica della nave, dall'ufficiale di guardia giù fino Patrick O'Brian
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all'addetto alle stie dei polli. L'esperienza limitata non gli permetteva di stabilire se fosse sbagliato o meno, a bordo sembravano tutti attivi e allegri e le manovre, una volta decise, venivano eseguite con prontezza; ma Stephen aveva sempre pensato che loquacità e tergiversazioni fossero proprie degli ufficiali e dei marinai francesi, gente vivace e amante delle discussioni. Facevano eccezione, a quanto pareva, i sottufficiali: il nocchiere, il nostromo, il capo cannoniere e il mastro d'ascia, individui seri che si attenevano alle tradizioni della Royal Navy quali Stephen le conosceva, in particolare il signor Satterly, un magnifico nocchiere anziano dalla faccia di granito, il quale sembrava considerare il suo comandante con una specie di velata indulgenza affettuosa e assolveva i suoi compiti praticamente senza dire una parola. Gli ufficiali e gli allievi erano assai meno taciturni, ovviamente cercavano il favore e l'approvazione di Clonfert e, per ottenerli, in parte usavano la diligenza nell'assolvimento dei loro compiti e in parte un curioso miscuglio di libertà e di qualcosa che assomigliava al servilismo. L'appellativo my Lord era continuamente sulle loro bocche e si scappellavano con deferenza ogni volta che gli rivolgevano la parola. E tuttavia gliela rivolgevano molto più spesso di quanto Stephen avesse mai visto fare agli ufficiali delle altre navi con i loro comandanti, attraversavano il suo lato del cassero senza essere invitati e facevano osservazioni non richieste e di nessun conto, osservazioni che non riguardavano i loro doveri. Sembrava che l'allegria si addicesse meno a Clonfert dell'umor nero. Quando ebbe condotto Stephen nella sua cabina, gli mostrò l'arredamento con un'animazione che finì per stancare Maturin, insistendo che quella era solo una sistemazione temporanea: «... non proprio adatta a un capitano di vascello, passabile in una corvetta ma un po' troppo modesta in una fregata». La cabina, come accadeva quasi sempre sulle navi di quella classe, era bellissima: al tempo di Corbett non vi si vedeva che legno tirato a lucido, ottoni brillanti, vetri scintillanti e poco più, ma ora quell'ambiente spartano, un po' troppo vasto per le poche cose di Clonfert, dava l'impressione di un bordello traslocato in un monastero e non ancora del tutto ambientato. L'impressione di ampiezza della cabina era accresciuta da due specchiere che Clonfert si era portato dall'Otter, una sul lato di sinistra e una su quello di dritta; passeggiando fra l'una e l'altra, Clonfert raccontò a Stephen con tutti i particolari la storia della lampada e Stephen, seduto a gambe incrociate sul divano, notò che Clonfert, ogni volta che faceva Patrick O'Brian
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dietrofront, lanciava automaticamente alla sua immagine riflessa uno sguardo interrogativo, dubbioso e compiaciuto insieme. Durante la cena il comandante parlò a lungo delle sue avventure turche e siriane con Sir Sydney Smith e a un certo punto Stephen si accorse che per Clonfert aveva cessato di esistere come interlocutore ed era diventato un pubblico. Una situazione molto diversa dall'amabile conversazione di qualche giorno prima e ben presto Stephen cominciò ad annoiarsi. Le bugie o le mezze bugie, rifletté, avevano un certo valore in quanto facevano capire come l'individuo in questione avrebbe voluto apparire, ma per questo ne bastavano molto poche. E poi quelle particolari bugie avevano un qualcosa di accanito, di aggressivo, come se l'ascoltatore dovesse per forza essere costretto all'ammirazione; erano l'antitesi della conversazione. Potevano anche essere imbarazzanti per chi le ascoltava, pensò, poiché ora Clonfert aveva affrontato l'infelice storia dell'unicorno; tenne gli occhi fissi sul suo piatto, un bel piatto, con lo stemma degli Scroggs inciso in bella forma sul bordo; ma si trattava di Sheffield e il rame traspariva sotto l'argentatura. Una situazione imbarazzante e faticosa, perché per decenza bisognava fare in modo che il poveretto non oltrepassasse certi limiti nei suoi racconti fantasiosi, ma chissà in quale stato di eccitazione nervosa era! Eppure, sebbene Stephen facesse in modo che il suo ospite non perdesse del tutto la faccia, accettando senza protestare gli unicorni e le altre imprese improbabili di Clonfert, non arrivò a incoraggiarlo e alla fine Clonfert si accorse che, senza sapere come, aveva sbagliato in qualcosa, che il suo uditorio non era rimasto impressionato, che non partecipava, e l'espressione del suo viso si fece ansiosa. Cercò in tutti i modi di riconquistarlo, di rendersi simpatico, esprimendo di nuovo la sua gratitudine per le cure che Stephen aveva avuto per lui durante il suo attacco. «È una malattia sciagurata e poco virile», disse. «Ho pregato McAdam di usare il coltello, se poteva servire a qualcosa, ma sembra che lui la ritenga una forma nervosa, un po' come l'isteria delle donne. Immagino che il commodoro non abbia mai sofferto di una malattia del genere.» «Se anche fosse, non ne parlerei certamente, come non parlerei di nessun disturbo dei miei pazienti», rispose Stephen. «Ma», soggiunse più gentilmente, «non dovete assolutamente pensare che ci sia qualcosa di disdicevole nella vostra indisposizione. In nessuna Patrick O'Brian
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forma di coliche addominali ho mai constatato dolori così acuti.» Clonfert parve compiaciuto e Stephen continuò: «È una cosa grave, senza dubbio, e voi siete Fortunato ad avere un medico come McAdam a disposizione. Con il vostro permesso, ora credo che andrò a salutarlo». «L'onesto McAdam, sì, certo», disse Clonfert, ritornando al suo tono precedente. «Sì. Non sarà un Salomone e gli si devono perdonare alcune fragilità umane e un modo di fare infelice, ma ritengo che mi sia sinceramente devoto. Credo che stamani fosse indisposto, altrimenti sarebbe venuto certamente a salutarvi quando siete salito a bordo, ma ora penso che si sia ristabilito.» McAdam era nell'infermeria e non sembrava troppo in 'gamba. Fortunatamente per gli uomini della Néréide il suo aiutante, il signor Fenton, era un esperto chirurgo, dato che McAdam non mostrava eccessivo interesse per la medicina fisica. Mostrò a Stephen i suoi pochi casi e indugiarono tutti e due al capezzale di un marinaio la cui lesione tumorale inoperabile prodotta dalla sifilide terziaria gli comprimeva il cervello in modo tale che i suoi discorsi seguivano una strana logica invertita. «Un esempio non senza valore», osservò McAdam, «anche se non è esattamente nel campo dei miei interessi. Sotto questo aspetto non c'è molto che mi interessi su una nave da guerra. Su, venite con me, andiamo a berci un goccetto.» Molto più in basso, fra l'odore dell'acqua di sentina e quello del grog, McAdam riprese: «No, nessun interesse scientifico per me. Il ponte inferiore è tenuto troppo in attività per poter sviluppare qualcosa di più delle comuni perversioni. Non vorrei però che pensaste a una mia simpatia per le catene, i pagliericci, l'acqua fredda e la frusta dei manicomi; ma perché certe inclinazioni si manifestino basta a volte un briciolo di gatto a nove code o la promiscuità. In ogni caso il ponte inferiore in questa missione non mi ha fornito nemmeno una malinconia decente. Manie, sì; ma quelle sono anche troppo comuni. No, è a poppa che bisogna cercare il fior fiore dell'anormalità, senza trascurare i commissari o i segretari o i maestri, tutti confinati sulla nave più o meno da soli; ma soprattutto bisogna cercarlo fra i comandanti, tra loro si trovano i casi più interessanti. Come avete trovato il nostro paziente?» «Di umore particolarmente lieto. L'elleboro funziona, presumo?» Per un po' discussero di valeriana, della felce di quercia, dell'assafetida e dei loro effetti, e Stephen raccomandò un uso moderato di caffè e di tabacco; poi McAdam chiese all'improvviso: «Ha parlato del comandante Patrick O'Brian
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Aubrey?» «Quasi per niente. E date le circostanze ho trovato curiosa questa omissione.» «Sì, e anche significativa, collega, molto, molto significativa. Negli ultimi giorni non ha fatto altro che nominare il comandante Aubrey e io ho prestato particolare attenzione al sudor insignii che voi mi avete segnalato. Si manifesta entro un'ora circa. Il nostro paziente è costretto a cambiarsi giacca dopo ogni attacco: ne ha una cassa piena e tutte sono stinte per il sale dalla parte destra, solo la destra.» «Sarebbe interessante analizzare il sale. La belladonna sopprimerebbe il sudore, naturalmente. Basta grog, grazie. Tuttavia mi sembra che per il nostro paziente la verità sia quella che riesce a far credere agli altri; e nello stesso tempo è un uomo di notevoli qualità. Ho l'impressione che, se poteste farlo ragionare, se poteste persuaderlo ad abbandonare quegli atteggiamenti che lo danneggiano per la loro carica di ansietà e per la possibilità di essere sbugiardato, e a cercare un'approvazione più legittima, allora credo che non avremmo bisogno di belladonna né di nessun altro anidrotico.» «Vi state avvicinando al mio modo di pensare, vedo: ma non abbastanza. Il guaio è molto più profondo e non è attraverso la ragione che si deve aggredire il male. La vostra belladonna e la vostra logica sono pillole della stessa scatola, sopprimono soltanto i sintomi.» «Come vi proponete di raggiungere questo fine?» «Statemi a sentire, adesso», disse McAdam alzando la voce. Si versò un altro bicchiere e avvicinò la sedia al punto che Stephen fu investito dal suo alito, «e ve lo spiegherò.» Quella sera sul suo diario Stephen scrisse: «... se McAdam potesse rifare da capo la storia politica e sociale irlandese degli ultimi tempi, la storia che ha formato il nostro paziente, e poi ricostruire similmente lo spirito di lui dalla prima infanzia a oggi, la sua idea sarebbe ammirevole. E tuttavia, perfino per la seconda parte del suo piano, che cos'ha a disposizione? Un piccone, ecco tutto. Un piccone per riparare un cronometro, e nelle mani di un ubriaco per giunta. Per parte mia ho un'opinione più alta di quella del mio fradicio collega dell'intelligenza di Clonfert, se non della sua capacità di giudizio». L'opinione più alta fu confermata la sera successiva, quando la Néréide si avventurò in una serie di pericolosi passaggi nella scogliera al largo di Patrick O'Brian
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capo Brabant e la iole sbarcò Stephen e il comandante alla foce di un piccolo corso d'acqua; e quella dopo, quando il nocchiere nero non solo li guidò alle acque immobili di una laguna, ma anche attraverso una foresta fino a un villaggio dove Stephen ebbe un incontro con un secondo potenziale alleato; e di nuovo qualche giorno più tardi durante una passeggiata alle spalle di Grand Port con un pacchetto di volantini sovversivi. Come riferì a Jack al suo ritorno sulla Boadicea, «Clonfert non sarà forse il miglior amico di se stesso per certi aspetti, ma è capace di una costanza e di una risolutezza che mi hanno sorpreso; e devo dirti che non faceva che prendere nota della profondità dell'acqua e dei rilevamenti in un modo che tu avresti definito molto marinaresco, ne sono convinto». «Tanto meglio così!» esclamò Jack. «Sono felicissimo di saperlo, parola mia e sul mio onore. Ho fatto qualcosa del genere anch'io, con il giovane Richardson: promette di diventare un eccellente idrografo. Abbiamo disegnato quasi tutta la costa più vicina, con rilevamenti incrociati e scandagliando in continuazione. E ho scoperto una sorgente d'acqua dolce sull'Ile Plate, a qualche lega verso nord, così non dovremo continuamente andare avanti e indietro da Rodriguez.» «Niente Rodriguez», disse Stephen con voce spenta. «Oh, la rivedrai Rodriguez», lo riconfortò Jack, «dobbiamo comunque ritornarci per gli approvvigionamenti. Ma non così spesso.» Avanti e indietro; mentre le navi francesi rimanevano ostinatamente al sicuro in porto, rimettendosi a nuovo fino all'ultimo perno, Stephen ebbe modo, quando non si allontanava con la Néréide per essere sbarcato sulla costa, di spostarsi su ogni nave che si staccava dalla squadra. Le grotte calcaree sull'isola di Rodriguez mantennero tutte le loro auree promesse; il colonnello Keating, la gentilezza in persona, gli dette una squadra di corvée e fece prosciugare una piccola palude. Alla terza inversione di rotta Stephen fu in grado di riferire che dalle sole ossa trovate nel fango poteva promettere a Jack lo spettacolo di uno scheletro quasi completo del Pezophaps solitarius entro due mesi al massimo, mentre al tempo stesso avrebbe potuto rivestirlo parzialmente di piume e brandelli di pelle scoperti nelle cave. Per il resto del tempo si trattò unicamente di operazioni di blocco, sotto costa la notte e al largo dei promontori di giorno, ma senza mai allontanarsi troppo, per timore che una nave francese riuscisse a prendere Patrick O'Brian
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il mare con la brezza di terra, si dirigesse a nord protetta dalle tenebre e raggiungesse le ricche acque dell'oceano Indiano, lasciando la squadra molto distante sottovento. Su e giù, su e giù, mentre le vele si consumavano sotto il sole dei tropici e sotto gli improvvisi rovesci di pioggia torrenziale, mentre le manovre correnti, scorrendo incessantemente attraverso innumerevoli bozzelli a ogni manovra, gradualmente si assottigliavano sfilacciandosi e le alghe si accumulavano sotto la carena, mentre la teredine si insinuava attraverso le fessure nel rame e attaccava il legno di quercia. natale, e un colossale festino sul ponte superiore della Boadicea, con un provvidenziale barile di carne di pinguino salata proveniente dal Capo, che servì da tacchino o da cappone a seconda dei gusti e della fantasia e un budino di prugne che luccicava bluastro sotto i tendali al riparo del sole cocente di Mauritius. Capodanno, e un grande andirivieni di visite fra le navi; l'Epifania, e gli allievi regalarono un banchetto al quadrato grazie a una testuggine di duecento libbre. Un esperimento sfortunato tuttavia, trattandosi della specie sbagliata di testuggine: il guscio si trasformò in colla e tutti quelli che assaggiarono la carne di quella creatura orinarono color verde smeraldo; e a quel punto Jack stava già consultando il barometro a ogni turno di guardia. Era un bello strumento, protetto da un pesante involucro e sospeso per mezzo di bilancieri accanto al tavolo sul quale facevano abitualmente colazione e Jack ne stava svitando il fondo quando Stephen osservò: «Dovrò mettere in programma un'altra visita alla Réunion. Questa miscela di Mauritius è ben triste al confronto». «Giustissimo», disse Jack. «Ma bevila finché puoi. Carpe diem, Stephen, potresti non gustarne più un'altra tazza. Ho svitato il fondo del barometro perché credevo che il tubo si fosse rotto e invece ecco qui il mercurio, più basso di quanto mi sia capitato di vedere in tutta la mia vita. Farai meglio a mettere al sicuro le tue vecchie ossa meglio che puoi. Sta per scoppiare un uragano di forza inconsueta.» Stephen raccolse nel tovagliolo le vertebre che stava studiando e seguì Jack in coperta. Il cielo era puro e innocente, il moto ondoso meno accentuato del solito: sulla masca di dritta il paesaggio familiare si stendeva ampio e verdeggiante sotto il sole a oriente. «La Magicienne sta già prendendo provvedimenti», osservò Jack, guardando gli uomini intenti a tesare gli stralli. «La Néréide è stata presa alla sprovvista. Signor Patrick O'Brian
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Johnson: squadra fare vela, rotta a ovest; prepararsi per il cattivo tempo.» Spostò il cannocchiale su Port Louis: no, non c'era pericolo che i francesi uscissero. Sapevano leggere un barometro anche loro e si stavano dando da fare per assicurare tutto quanto. «Potrebbe forse trattarsi di un ciclone?» domandò Stephen, parlandogli all'orecchio per non farsi sentire dagli altri. «Sì», rispose Jack, «e dobbiamo avere tutto il mare libero che possiamo. Come vorrei che Madagascar fosse più lontana!» Guadagnarono quaranta miglia di mare aperto. Le scialuppe sopra coperta quasi non si vedevano per le trincature; i cannoni erano assicurati con una doppia braca d'affusto, con i paranchi tirati contro la murata fino a farla gemere; gli alberetti di velaccio erano sul ponte, le vele da tempesta inferite, gerii di riserva, rizzature in forza di fortuna a prua e a poppa: tutto ciò che il massimo zelo e l'esperienza potevano fare, venne fatto; e tutto sotto lo stesso sole che brillava innocente. Il moto ondoso andò aumentando molto prima che il cielo si facesse nero a nord. «Signor Seymour», disse Jack, «cappe e teloni per i boccaporti. Quando arriverà, spazzerà il mare.» Arrivò, una linea curva e bianca che correva sulla superfìcie dell'oceano con incredibile rapidità, sopravanzando di un miglio la striscia nera nel cielo. Un attimo prima che investisse la nave, le gabbie terzarolate della Boadicea furono sventate, perdendo ogni rotondità; poi una muraglia di aria e di acqua le strappò via dalle inferiture con un urlo fortissimo e lacerante. La nave si ingavonò, l'oscurità l'avvolse e il mondo conosciuto si dissolse in un vasto onnipresente frastuono. L'aria e l'acqua erano una cosa sola, non esisteva più la superficie del mare, il cielo era scomparso così come era scomparsa la distinzione fra il sotto e il sopra; momentaneamente per quanti erano in coperta, più durevolmente per il dottor Maturin, il quale, essendo precipitato da due scalette, si ritrovò disteso sul fianco della nave e quando questa si raddrizzò, scivolò giù; ma alla successiva terribile sbandata, fu proiettato contro l'altra murata, attraverso tutto ciò che restava della sua melassa di Venezia a base di oppio, per atterrare sulle mani e sulle ginocchia, aggrappato nel buio a uno stipo sospeso, del tutto stordito. La gravità riconquistò i suoi diritti e Stephen poté scendere più in basso, ancora frastornato dal prodigioso fracasso e dai suoi capitomboli, e si diresse brancolando verso prua fino all'infermeria. Qui Carol, nominalmente suo assistente ma in pratica chirurgo della fregata, e Patrick O'Brian
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l'infermiere erano riusciti a conservare una lanterna accesa alla cui luce stavano cercando di liberare il loro unico paziente, un marinaio affetto da sifilide, dall'amaca che lo aveva imprigionato in una specie di bozzolo, girando su stessa a causa dei movimenti violenti della nave. Là rimasero tutti e tre, scambiandosi lugubri osservazioni, urlando quasi per farsi sentire nel frastuono assordante. Il rango non aveva più significato in quel pandemonio e l'infermiere, un uomo anziano, un tempo velaio di bordo e ancora bravo a cucire, raccontò con una voce acuta che arrivava lontano di quando era mozzo a Giamaica e sette vascelli da guerra erano affondati con tutto l'equipaggio durante un uragano forte la metà di quello. Alla fine Stephen gridò: «Andiamo a poppa, Carol, e prendiamo tutte le lanterne che riusciamo a trovare. Fra un po' cominceranno ad arrivare i feriti». Avanzarono a tentoni nel buio, gli osteriggi già chiusi ermeticamente da tempo; la poca aria che si infilava sottocoperta portava acqua e non luce. I feriti arrivarono: un timoniere con le costole fracassate dalle caviglie della ruota; un gabbiere piccolo e smilzo sbattuto dalla furia del vento contro l'impavesata e ora inerte, privo di conoscenza; il signor Peter, il quale aveva fatto lo stesso capitombolo di Stephen, ma con minore fortuna; e poi altre costole rotte e qualche arto fratturato, e quando la nave fu colpita da un fulmine, tre uomini storditi dal trauma e un ustionato in modo così grave che era già morto quando arrivò all'infermeria. Lavorarono senza interruzione, fasciando, steccando, operando in uno spazio ristretto che si inclinava di quarantacinque gradi in ogni direzione e su casse da marinaio che si spostavano e scivolavano sotto di loro. A un certo punto arrivò un messaggero dal cassero con i complimenti del commodoro, per sapere se tutto andava bene e accennando a non meglio precisate «otto ore». Più tardi, molto più tardi, quando il beccheggio e il rollio sembrarono diminuiti e senza nuovi casi nell'infermeria, dove l'ultima frattura alla clavicola era stata ridotta, comparve il commodoro in persona, grondante acqua e in maniche di camicia. Si guardò intorno, rivolse qualche parola ai feriti in grado di sentirlo, poi con voce roca disse a Stephen: «In coperta c'è uno spettacolo davvero curioso, dottore». Stephen terminò con precisione una fasciatura e, sbucando sul ponte attraverso la piccola apertura nel boccaporto ricoperto di tela, rimase abbagliato da una straordinaria luce giallo arancio mentre il vento lo investiva schiacciandolo, una massa d'aria solida come una muraglia. «La Patrick O'Brian
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cima di sicurezza, signore!» gridò un marinaio, mettendogliela in mano. «Attaccatevi alla cima, per carità!» «Grazie, amico mio», gli gridò di rimando Stephen, guardandosi intorno e accorgendosi mentre parlava che l'enorme universale ruggito era andato diminuendo di intensità, ora leggermente inferiore a quello di un cannoneggiamento continuo a distanza ravvicinata. La Boadicea, alla cappa con uno straccio di vela di straglio di contromezzana, cavalcava nobilmente il terribile mare, fendendo le onde immani con la prua panciuta, gli alberi di trinchetto e di maestra volati fuori bordo e cime a decine che dai rottami delle coffe si distendevano orizzontali nel vento verso poppa, talvolta schioppettando con rumore secco di fucilate; ciò che restava delle altre sartie era avviluppato di alghe e di brandelli di vegetazione terrestre: si riconosceva con chiarezza una fronda di palma. Ma non era questo lo spettacolo curioso. Dal castello semisommerso dalla valanga d'acqua fino alla poppa e in particolare sul cassero, dovunque fosse un minimo riparo, si vedevano uccelli, uccelli marini per la maggior parte, ma proprio accanto a lui era appollaiata una piccola creatura simile a un tordo. Non si mosse, nemmeno quando Stephen gli accarezzò il dorso, così come non si mossero gli altri, tanto che poté fissare da una distanza di pochi centimetri l'occhio lustro di un fetonte. In quella livida luminosità ultraterrena non era facile distinguere i colori e la specie, ma riconobbe con sicurezza un fraticello, una sterna rarissima da vedere nel raggio di cinquemila miglia da Mauritius. E mentre lottava per avvicinarglisi, un brontolio cupo nelle nubi rossastre sopra la sua testa superò il ruggito generale, seguito dopo un secondo da uno schianto, un tuono di tale immensità da riempire tutta l'aria intorno a lui; e, con il tuono, il fulmine colpì nuovamente la nave. Stephen fu scaraventato sul tavolato del ponte. Si rimise in piedi a fatica col ricordo confuso di un triplice schianto e di un cannone prodiero che aveva sfondato il portello, e si trascinò nell'infermeria per aspettare i feriti. Non arrivò nessun ferito. Comparve invece una fetta di gelatina di vitello portata da Killick con il messaggio che «il fulmine aveva distrutto l'ancora di posta, ma che, a parte questo, tutto andava bene e, a meno di essere presi a collo entro la prossima ora o giù di lì, il commodoro riteneva che il peggio fosse passato e sperava che il dottor Maturin avrebbe trovato un tempo migliore la mattina seguente». Stephen dormì un sonno di piombo per tutta la durata della seconda comandata. Alle prime luci Patrick O'Brian
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dell'alba visitò i casi più urgenti e quando salì in coperta trovò effettivamente un tempo bellissimo. Il cielo era del più puro turchino, il sole deliziosamente caldo, la brezza leggera da sud-est tonificante. Le onde erano ancora enormi, ma non si vedevano creste bianche e non fosse stato per lo spettacolo desolante del ponte e per lo sfinimento evidente degli uomini, il giorno precedente avrebbe potuto essere stato un incubo fuori del tempo. Ma esistevano altre prove: il signor Trollope, il secondo ufficiale, venne verso di lui zoppicando e gli mostrò due navi della squadra, lontane, lontanissime sottovento: la Magicienne, priva dell'albero di contromezzana, e la Sirius, senza più alberi di gabbia. «Dov'è il commodoro?» domandò Stephen. «Si è ritirato mezza clessidra fa. L'ho pregato di riposarsi un I po'. Ma prima di scendere sottocoperta mi ha raccomandato di farvi vedere l'ancora di posta, una visione straordinaria dal punto di vista della filosofia naturale, ha detto.» Stephen osservò per un po' il metallo fuso, contorto. «Stiamo andando a sud, non è così?» disse dopo un po'. «A sud-ovest, per quanto possiamo con le bussole che non I funzionano a causa del fulmine. A sud-ovest, verso il Capo, per I il raddobbo. E come speriamo di arrivarci, ah, ah, ah!»
CAPITOLO VI Non ci furono banchetti al Capo per Jack Aubrey, ben poche parole gentili da parte dell'ammiraglio, nonostante il commodoro avesse riportato tutta la squadra sana e salva in porto dopo uno dei cicloni più spaventosi dell'ultimo decennio. Le parole gentili furono, se possibile, ancora meno quando arrivò un brigantino a palo americano con la notizia che la Bellone, la Minerve e la Victor, uscite dal porto, erano state avvistate al largo delle Cargados Carajos e si dirigevano a nord-est con tutte le vele a riva per intercettare le navi della Compagnia delle Indie nel golfo del Bengala. Non che Jack avrebbe avuto tempo di darsi ai bagordi a Città del Capo o di conversare piacevolmente con l'ammiraglio Bertie: per lui furono giorni di ansia e di fretta, con cinque navi da riallestire e un piccolo arsenale dove a malapena era disponibile un albero di gabbia per una fregata - si aspettavano gli approvvigionamenti dall'India - e con l'unico legname adatto non più vicino di Mossel Bay. Un arsenale piccolo, mal rifornito e Patrick O'Brian
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gestito da uomini di una rapacità quale Jack non aveva mai conosciuto in tutta la sua lunga vita di marinaio. Si sapeva che a Saint-Paul la squadra aveva avuto fortuna e l'arsenale voleva avere a tutti i costi la sua parte, senza tenere nessun conto del fatto che quella ipotetica ricchezza dipendeva dalle decisioni che sarebbero state prese molto lontano di lì e a una data imprecisata, così come si sapeva che la squadra aveva pochissimo denaro liquido e poteva pagare i suoi debiti solo con tratte a tassi di interesse da usurai. Un tempo di ansietà, con le navi francesi al largo, reso ancora più angoscioso, per quanto concerneva Jack, da una quantità di fattori, primo fra tutti l'ostinato ostruzionismo di coloro dai quali dipendevano i rifornimenti di aste, cordame, pittura, bozzelli, rame, ferramenta e innumerevoli altri oggetti di cui la squadra aveva impellente bisogno; poi l'evidente indifferenza dell'ammiraglio nei riguardi di quel macroscopico esempio di corruzione. Aubrey doveva rendersene conto: quelli che lavoravano negli arsenali non erano angeli, gli aveva fatto osservare il signor Bertie, e nemmeno chierichetti; in questo genere di cose bisognava arrangiarsi, come sempre si era fatto in marina, e dal canto suo non gli importava un accidente di come il commodoro avrebbe fatto, purché la squadra fosse pronta a salpare martedì a otto al più tardi. Altro fattore, la scoperta che il suo signor Fellowes, sedotto dal nostromo della Sirius e dal desiderio di arricchirsi subito invece che in un lontano futuro, quando avrebbe potuto essere già morto e sepolto, aveva considerato non solo l'ancora di posta come una specie di gratifica personale, ma anche l'ancorotto, una cinquantina di braccia di cima da due pollici e una quantità insensata di altri oggetti: una quantità da corte marziale. Inoltre c'erano le contese fra i comandanti su chi avrebbe dovuto servirsi per primo delle magre scorte che l'arsenale non era riuscito a nascondere. E soprattutto la perdita di un vascello che portava la posta e l'arrivo di un altro a tal punto fradicio per le burrasche sotto l'equatore che tutte le lettere tranne quelle avvolte in tela cerata si erano appiccicate, fuse quasi, tanto deteriorate da essere illeggibili; Sophia non aveva mai imparato a usare la tela cerata né a numerare le lettere né a spedirne copie con un'altra nave. Subito dopo l'arrivo di quel mucchietto di carta assorbente, Jack riuscì a trovare il tempo, fra una visita al direttore dell'arsenale e alla corderia, per cercare di scoprire la sequenza delle lettere con l'aiuto di alcune parole quali «venerdì» o «dopo la funzione in chiesa». Ma di quella pausa approfittò anche il signor Peter, la cui massa di scartoffie ricordò subito a Patrick O'Brian
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Jack i suoi doveri di commodoro: tutto ciò che lui aveva riferito a voce al comandante in capo doveva essere messo per scritto, nella forma dovuta, riletto con attenzione e meditato. Con molta attenzione, poiché, se Jack era l'essere meno sospettoso del mondo, Stephen non lo era e non aveva mancato di far notare all'amico che sarebbe stato saggio ricordarsi come la lealtà professionale del signor Peter fosse rivolta piuttosto alla terraferma e come fosse prudente non considerarlo un alleato con il quale confidarsi senza riserve. C'erano poi i suoi doveri di comandante della Boadicea: i compiti quotidiani venivano assolti dal comandante in seconda, ma il signor Seymour era impegnatissimo con il raddobbo della nave e parecchie cose spettavano comunque al comandante. Toccò a lui, per esempio, persuadere il signor Collins, a diciotto anni aiuto anziano del nocchiere, che non era assolutamente necessario sposare la giovane dama il cui busto era diventato troppo stretto a causa delle attenzioni del signor Collins, diceva lei, e soprattutto che non era necessario sposarla a tamburo battente. «Quindici giorni non sono sufficienti in questo genere di cose», gli spiegò. «Potrebbe trattarsi solo di un'indigestione, di una libbra o due di stufato in più. Rimandate a quando sarete tornato dalla prossima spedizione. E fino a quel momento, signor Collins, desidero che non lasciate la nave. D'altronde», soggiunse, «se doveste convolare a nozze con tutte le fanciulle per le quali perdete la testa, questo posto ricorderebbe ben presto il seno di Abramo quanto a progenie.» Toccò a lui ascoltare con pazienza il racconto indignato e confuso di un imbroglio perpetrato in un Paese lontano ai danni di Matthew Bolton, marinaio della guardia di dritta, e di due suoi compagni lavati e lustrati da capo a piedi nonché muti. Bolton aveva rifiutato l'aiuto del signor Seymour, sostenendo che il commodoro, avendolo salvato quando era caduto in mare dalla Polychrest, doveva continuare a salvarlo per tutta la vita. Una logica che parve convincente a Bolton, al comandante in seconda e anche al commodoro; e quando Jack ebbe estratto i fatti dall'intrico di particolari che comprendevano la descrizione dell'aspetto fisico del maledetto leccapalle imbroglione e dello stato di salute della signora Bolton, prese la penna e, sotto lo sguardo attentissimo dei quattro marinai, scrisse una lettera che subito dopo lesse con la voce tonante che usava per le punizioni e che dette loro grandissima soddisfazione:
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Laodicea Simonstown Signore, conformemente ai desideri degli uomini indicati a margine, un tempo della Néréide e attualmente in servizio sulla nave di Sua Maestà al mio comando, vi informo che, se la somma loro spettante per le prede di Buenos Aires e Montevideo da voi ricevuta in quanto loro procuratore non sarà pagata immediatamente, porterò il caso davanti ai Commissari dell'ammiragliato con la richiesta di adire le vie legali nei vostri confronti. Sono, ecc. ecc. «Ecco», concluse, «questo gli farà passare la voglia di fare certi scherzi. Ora, Bolton, se il dottore è a bordo, vorrei vederlo a suo comodo.» Risultò che il dottore non era a bordo. Si trovava a metà strada fra Città del Capo dove aveva lasciato il signor Farquhar e False Bay, seduto fra le protee in una tempesta di polvere, stringendo al petto una cartella di esemplari di piante da seccare per il suo erbario e osservando come poteva un piccolo stormo di uccelli del genere Colius e un branco di babbuini. Ben presto fu di ritorno al porto, dove si ripulì dalla polvere nella sua solita taverna e dove ricevette dal proprietario, un servizievole indigeno di origine ugonotta, il dono di un feto di porcospino. Là, come aveva previsto, trovò McAdam, seduto davanti a una bottiglia che avrebbe potuto conservare il feto praticamente all'infinito. Era comunque quasi piena e McAdam poté intrattenerlo con un resoconto abbastanza sensato dell'attività frenetica e dello spirito eccitato del loro paziente. A quanto pareva Lord Clonfert si alzava tutti i giorni molto prima dell'alba (un fatto insolito) e spronava gli uomini a dare il massimo: aveva battuto Pym per un paio di pennoni per l'alberetto di velaccio grazie a una mancia prodigiosa e stava al momento trattando con un noto ricettatore per una iole. «Gli si spezzerà di certo il cuore se non riuscirà a essere pronto per primo a salpare», concluse McAdam. «Si è messo in capo di battere il commodoro.» «È possibile attribuire tutta questa attività all'effetto corroborante e stimolante del caffè e a quello moderatamente sedativo del tabacco, un insieme che avrebbe potuto riequilibrare i suoi umori? Il tabacco, divino, Patrick O'Brian
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eccezionale, mirabile tabacco, superiore a tutte le loro panacee, le loro pozioni miracolose e pietre filosofali, rimedio sovrano per ogni malattia. Buon emetico, lo ammetto, erba virtuosa se ben prescritta e assunta in modo opportuno, se usata come medicinale; ma nella maggior parte dei casi se ne abusa, viene consumata come la birra dai beoni e allora è una piaga, un malanno, un distruttore di beni, di terre, di salute; infernale, diabolico, maledetto tabacco, rovina e distruzione dell'anima e del corpo. In questo caso, tuttavia, è assunto come medicinale e mi rallegro del fatto che, in mano vostra, non vi sia alcun rischio di abuso.» Il polverone e il vento incessante rendevano McAdam più rozzo del solito; non era mai stato del tutto d'accordo con la prescrizione di Stephen di caffè e tabacco e, a giudicare dall'espressione dei suoi occhi rossi e incerti, pareva che stesse meditando una rispostaccia. E in effetti cominciò con un: «Non m'importa un...» ma a quel punto un rutto lo interruppe e, lo sguardo fisso sulla bottiglia, riprese: «No, no, non è necessario essere un mago per vedere che è tutta una questione di emulazione. Se l'uno è un brillante capitano di fregata, l'altro sarà un brillante capitano di fregata alla decima potenza, costi quel che costi. Batterà il commodoro a rischio di schiattare». Non sarebbe stata una grande impresa battere il commodoro nel suo stato attuale, poveretto, si disse Stephen, entrando nella cabina; perlomeno non per quanto riguardava la velocità. Il comandante Aubrey era letteralmente sommerso dalle carte, comprese quelle riguardanti la corte marziale che doveva aver luogo di lì a pochi giorni, per i soliti reati di diserzione, violenza, disubbidienza o entrambe le cose insieme commesse in stato di ubriachezza, cose che portavano via tempo, comunque; e sopra quel mucchio di carte Jack aveva steso i fogli ammuffiti della sua corrispondenza personale. «Eccoti, finalmente, Stephen! Come sono contento di vederti! Che cos'hai lì?» «Un porcospino non ancora nato.» «Ti darà certo la fama. Ma, Stephen, tu che sei un vero esperto nel decifrare le lettere in codice, mi daresti una mano a trovare l'ordine di data di queste e forse anche a capire quello che dicono?» Si chinarono insieme sui fogli, usarono la lente d'ingrandimento, l'intuito, la polvere di antimonio e la copparosa verde, ma con scarsi risultati. «Sono riuscito a capire che gli alberi che abbiamo piantato hanno fatto tre Patrick O'Brian
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mele ciascuno e che le fragole sono andate a male», disse Jack, «e ovviamente Sophia ha ricevuto qualcosa da Ommaney, perché qui parla del caminetto del salotto che tira da far girare le pale di un mulino a vento e di una mucca Jersey... le bambine hanno i capelli e i denti, una gran quantità di denti, povere piccole. Capelli! Ne sono così felice... anche se non dice se sono lisci o no, ma lisci o ricci non fa differenza, staranno molto meglio con un po' di capelli in testa... Signore Iddio, Stephen, dovevano essere capelli quelli che ho soffiato via! Pensavo che fossero scarti di cavi vecchi!» Per qualche momento frugò sul pagliolo carponi, rialzandosi alla fine con una piccola ciocca in mano. «Scarti quasi invisibili, comunque», disse, infilando il ciuffetto di capelli nel suo taccuino e tornando alle lettere. «Vicini molto premurosi: qui scrive di un altro paio di fagiani da parte del signor Beach giovedì. Ma in questa dice che sta bene, sorprendentemente bene, sottolineato due volte: e lo dice di nuovo in quella che a me pare l'ultima. Mi fa tanto piacere, naturalmente, ma perché sorprendentemente? Forse è stata malata? E che cos'è questo a proposito di sua madre? La seconda parola potrebbe essere paralisi? Se la signora Williams fosse stata malata e Sophia l'avesse assistita, si spiegherebbe il 'sorprendentemente'.» Si chinarono di nuovo sui fogli e Stephen decifrò con certezza o quasi una lepre, regalo del comandante Polixfen, mangiata in salmi il sabato o la domenica o tutti e due i giorni; e qualcosa sulla pioggia. Tutto il resto fu mera congettura. «Credo che il vecchio Jarvie si sbagliasse di grosso nel dire che un ufficiale di marina non dovrebbe sposarsi», commentò Jack, radunando allegramente le sue lettere. «Eppure capisco quel che voleva dire. Non vorrei non essere sposato per tutto l'oro del mondo, sai; no, nemmeno per un' insegna di ammiraglio; ma non hai idea di quanto i miei pensieri siano stati occupati da Ashgrove Cottage in questi ultimi giorni, proprio quando avrei dovuto concentrarmi soltanto sul rimettere la squadra in stato di riprendere il mare.» Piegò il capo sulla spalla e guardò fuori dell'oblò prima di soggiungere: «Queste stramaledette corti marziali. E quegli squali nell'arsenale. Per non parlare del nostromo e delle sue infernali prodezze». Durante la cena, masticando la sua fetta di montone, rifletté sulla difficoltà del caso del signor Fellowes. Appropriarsi dei beni del re era una pratica in uso da tempo immemorabile fra i servitori di Sua Maestà, e se gli oggetti in questione erano deteriorati veniva considerata quasi un diritto Patrick O'Brian
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convalidato dall'uso, tanto che nella Royal Navy veniva indicata con un nome specifico: diritto di recupero. Commissari, mastri d'ascia e nostromi rubavano più degli altri, avendo maggiori opportunità di rubare; ma c'erano dei limiti e Fellowes non si era limitato ai beni danneggiati né a quelli di scarso valore, aveva decisamente esagerato. Era stato colto in flagrante e Jack avrebbe potuto portarlo l'indomani stesso davanti alla corte marziale e farlo cacciare. Sì, era suo dovere farlo cacciare. D'altro canto era suo dovere anche mantenere la nave nelle condizioni migliori affinché potesse combattere e per questo aveva bisogno di un nostromo bravissimo; e i nostromi bravissimi non crescevano sugli alberi al Capo, non se ne trovavano a un soldo la dozzina. Jack cominciò ad agitarsi, maledicendo Fellowes e dandogli del cialtrone irresponsabile, del pazzo furioso, del topo di fogna leccapalle; ma il suo animo non partecipava interamente, i suoi insulti mancavano di vero calore e di inventiva; e la sua mente era ancora evidentemente lontana, laggiù nello Hampshire. «Su», lo esortò Stephen, «se mai le autorità di Madras manterranno la parola e noi potremo partire per La Réunion, cosa di cui dubito ormai, avremo il signor Farquhar con noi e sarà la fine della nostra musica. Proviamo il mio vecchio lamento per il Tir nan-Og; sono anch'io non poco abbattuto e suonarlo ci servirà da antidoto. Simile cura il simile.» Jack disse che sarebbe stato felice di lamentarsi con Stephen per tutta la notte, ma con i messaggeri in arrivo da Città del Capo e da ogni impiegato dell'arsenale, non prevedeva che avrebbero potuto raggiungere uno stato d'animo molto poetico prima di essere interrotti. E in effetti non avevano nemmeno finito di accordare gli strumenti quando Lentiggine si presentò per annunciare, con gli ossequi del signor Johnson, che l'Iphigenia era stata avvistata al largo della punta, aveva issato il suo nominativo e si stava dirigendo a terra. Grazie al buon vento da sud-est e alla marea crescente, la nave aveva già dato ancora prima del sorgere della luna e le notizie portate dal comandante Lambert scacciarono ogni pensiero dell'Inghilterra e della musica dalla mente di Jack. L'Iphigenia, la bella fregata da trentasei cannoni, scortando una piccola flotta di navi da trasporto aveva portato al colonnello Keating i rinforzi di due reggimenti di truppe provenienti dall'Europa, due dall'India e qualche ausiliario: in tutto millecinquecento uomini meno del previsto, ma l'esercito aveva fatto del suo meglio, aveva rispettato i tempi e l'attacco definitivo alla Réunion adesso era possibile, Patrick O'Brian
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anche se azzardato, soprattutto se i francesi avevano trasferito truppe fresche sull'isola. E certamente avevano avuto tutto il tempo di rimontare le batterie costiere. La prima cosa da fare era scoprire quante navi aveva il governatore Decaen a Mauritius e, se fosse stato fattibile, bloccarle nei porti. «Capitano Lambert», chiese il commodoro, «in che stato è l'Iphigenia?» Non conosceva affatto Lambert, un giovane da poco promosso, ma quel piccolo marinaio rotondetto e gioviale, dall'aria capace, gli aveva fatto un'ottima impressione e la sua simpatia per lui aumentò quando Lambert tirò fuori dalla tasca un foglio e disse: «Questi sono i dati rilevati dai miei ufficiali mentre ci avvicinavamo a terra, signore. Commissario: provviste per nove settimane piene, tranne per il rum: di quello ne abbiamo per trentanove giorni soltanto. Capo stiva: centotredici tonnellate d'acqua; carne di manzo molto buona, il maiale tende a ridursi cuocendo; il resto in ottime condizioni. Devo precisare, signore, che ci siamo riforniti d'acqua, di legna e di tartarughe a Rodriguez. Capo cannoniere: diciotto barili di polvere pieni, stoppacci abbondanti, quaranta cariche. Mastro d'ascia: scafo in buone condizioni; braccioli del tagliamare rinforzati con ganasce; alberi e pennoni in buono stato; scorte discrete. Chirurgo: tre ricoverati nell'infermeria, tre marinai da considerare invalidi a tutti gli effetti; cinquantasette libbre di minestra di interiora secca; altri generi di prima necessità fino al giorno 19 del prossimo mese soltanto. E quanto all'equipaggio, signore, mancano solo sedici uomini per essere al completo». «Potete prendere il mare immediatamente allora, comandante Lambert?» «Non appena salpate le ancore, signore, a meno che non ci ordiniate di tagliare gli ormeggi. Anche se non mi dispiacerebbe caricare altra polvere e altre munizioni e un po' di verdura fresca: il mio chirurgo non è soddisfatto del succo di limoncello.» «Ma certo, ma certo, comandante Lambert, avrete senz'altro polvere e munizioni», esclamò Jack, giubilante. «Lasciate perdere quel dannato arsenale a quest'ora: di polvere ne ho più di quanta ne possiamo immagazzinare con sicurezza, l'abbiamo presa a SaintPaul, e il mio capo cannoniere dovrà cedervene un po', volente o nolente. E potrete prendere sei dei nostri buoi che aspettano sulla spiaggia. Quanto alle verdure, il mio commissario ha un suo contatto non ufficiale davvero eccellente, che in mezz'ora vi rifornirà di tutto quanto desiderate. Signor Peter, siate così gentile da preparare una lettera per l'ammiraglio, da far Patrick O'Brian
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recapitare subito. Il signor Richardson è il nostro miglior cavaliere, mi pare... ditegli di non preoccuparsi dei leoni e delle tigri lungo la strada, si tratta di chiacchiere per la maggior parte. Poi un ordine per il comandante Lambert: prendere il mare con la marea, portarsi al largo di Port Louis e aspettare la squadra, copie dei segnali segreti, incontro alternativo a Rodriguez dopo il... vediamo, dopo il diciassette. E convocate a bordo tutti i comandanti. Killick, passare parola per il capo cannoniere e portare una bottiglia del vino Groot Constantia con il sigillo giallo. Il sigillo giallo, avete capito bene?» Fra la firma dei documenti e il colloquio con il riluttante capo cannoniere, si scolarono la bottiglia di vino, la migliore sulla nave, e nel frattempo cominciarono ad arrivare i comandanti: si sentivano i timonieri rispondere in rapida successione al richiamo della sentinella: «Néréide!» «Sirius!» «Otter!» «Magicienne!» «E ora, signori», esordì il commodoro quando furono tutti riuniti, «quando possono prendere il mare le vostre navi?» Non fosse stato per quegli esecrabili depositi d'acqua in ferro, Pym avrebbe potuto salpare con la Sirius in un paio di giorni; l'Otter avrebbe dato la stessa risposta, se non ci fosse stato quell'incomprensibile ritardo dell'arsenale nel consegnare i marciapiedi. «La Néréide sarà pronta a salpare fra trentasei ore», annunciò Clonfert, sorridendo intenzionalmente al comandante Pym; ma il suo sorriso si trasformò in un'espressione di sorpresa e di frustrazione quando Curtis disse: «La Magicienne è pronta a fare vela in questo momento, signore, se avrò il permesso di rifornirmi d'acqua all'Ile Plate. Ne mancano solo trenta tonnellate». «Sono felice di sentirlo, comandante Curtis», si complimentò Jack. «Felice. La Magicienne e l'Iphigenia procederanno per Port Louis con la massima urgenza. Il signor Peter vi farà avere gli ordini; e con questo vento sarebbe bene che vi faceste rimorchiare fino al canale per approfittare della marea sin dal primo minuto.» Ricevettero gli ordini, si fecero rimorchiare fino al canale di uscita e l'alba vide le due fregate allontanarsi dalla baia, svanire di bolina stretta dietro il capo di Buona Speranza mentre la colazione del commodoro veniva portata a poppa, in uno stuzzicante aroma di uova e cosciotto di montone. Poco dopo arrivò il comandante Eliot con l'ordine formale dell'ammiraglio di convocare la corte marziale e una lettera in cui si congratulava con Jack per quei magnifici rinforzi giunti a Rodriguez dai Patrick O'Brian
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quali la nazione poteva con fiducia aspettarsi meraviglie entro un tempo brevissimo, considerando anche che nelle prossime settimane la squadra avrebbe potuto utilizzare la Leopard, l'orrenda vecchia Leopard. Jack indossò la sua uniforme migliore; la bandiera da battaglia sventolò in testa d'albero, sinistro presagio, i comandanti si riunirono e con il signor Peter in qualità di vicesupervisore presso la corte marziale dettero inizio allo sgradevole compito di giudicare il povero comandante Woolcombe per la perdita della Laurei, di ventidue cannoni, catturata dalla Canonnière, l'ultimo combattimento della fregata francese, al largo di Port Louis prima che Jack arrivasse al Capo: fino a quel momento infatti a Simonstown non c'era mai stato un numero di ufficiali superiori sufficiente a formare la corte e il povero Woolcombe era rimasto nominalmente agli arresti dal momento in cui era stato scambiato. Tutti sapevano che in quelle circostanze, con la Canonnière in vista del proprio porto, un equipaggio numerosissimo che poteva scendere a terra frequentemente e un numero di cannoni doppio del suo e di un calibro ben più grosso, non si poteva accusare di niente il comandante della Laurei; tutti sapevano che l'esito del processo sarebbe stato a lui favorevole. Tutti tranne Woolcombe, per il quale il verdetto era troppo importante perché potesse esserne certo. Il poveretto se ne rimase seduto durante le lunghe procedure con una faccia così ansiosa che fece riflettere i membri della corte, ognuno dei quali avrebbe potuto un giorno trovarsi nella stessa posizione, forse di fronte a giudici maldisposti, che differivano da lui come idee politiche o lealtà di servizio o che nutrivano verso di lui vecchi rancori: un tribunale di giudici improvvisati, contro la cui decisione non era possibile appellarsi. Forse irrazionalmente, poiché essi stessi avevano emesso il verdetto, ogni membro della corte partecipò al sollievo di Woolcombe, un sollievo che gli illuminò il volto quando il vicesupervisore lesse la sentenza di assoluzione e quando Jack gli restituì la spada con un discorsetto I elegante anche se un po' studiato e formale. Erano felici della felicità di Woolcombe e le successive condanne per qualche caso di diserzione e di appropriazione indebita furono notevolmente lievi. E tuttavia per arrivare a quelle sentenze occorse molto tempo e il solenne rito si protrasse a lungo. Sulla propria nave un comandante poteva giudicare i marinai colpevoli di reati purché non si trattasse di casi che prevedevano la condanna a morte, ma non poteva toccare gli ufficiali e i sottufficiali, i quali dovevano comparire davanti alla corte marziale. Talvolta sembrava a Jack, fremente Patrick O'Brian
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di impazienza per la fretta di riprendere il mare prima che i francesi sapessero dell' l'arrivo dei rinforzi, che ogni singolo sottufficiale della squadra non avesse fatto che ubriacarsi, restare a terra oltre il dovuto, disubbidire agli ordini, insultare e perfino picchiare i suoi superiori e appropriarsi dei beni affidati alle sue cure. In effetti, assistendo ai processi della corte marziale si poteva ricavare una gran brutta impressione della Royal Navy: criminalità, oppressione, accuse di condotta illegale da parte degli ufficiali superiori, qualche volta giustificate, qualche volta fantasiose o inventate di proposito (un nocchiere aveva accusato il suo comandante di falso, sostenendo che sul ruolo equipaggio era stato iscritto il figlio di un suo amico, che in realtà si trovava a scuola in Inghilterra, una pratica del tutto normale ma che avrebbe rovinato la carriera del comandante, se la corte non fosse riuscita a fare acrobazie legali per salvarlo), risse nel quadrato, indizio di vecchie ruggini fra gli ufficiali, e la violenza cruenta del ponte inferiore. Fra una lugubre seduta e l'altra, il presidente del tribunale ridiventava marinaio e tornava a occuparsi del raddobbo delle sue navi, combattendo una durissima battaglia contro l'ostruzionismo e i ritardi. L'arsenale, al contrario, non mancando certo di tempo vinceva su tutta la linea; avendo valutato con esattezza matematica le necessità del commodoro e la sua impazienza, lo aveva spremuto fino all'ultima goccia e non solo lui aveva dovuto farsi spennare del denaro preso a prestito, ma era stato costretto a ringraziare quelli che glielo avevano estorto, prima che l'ultimo sacco di chiodi e di caviglie da dieci pollici fosse caricato a bordo. Tali impegni si svolgevano all'alba e al tramonto, perché all'ora di pranzo il presidente della corte marziale doveva secondo l'uso intrattenere gli altri membri. «Prego, commodoro, non trovate che emettere una sentenza di morte possa togliere l'appetito?» domandò Stephen, osservando Jack tagliare una sella di montone. «Non posso dire che sia così per me», rispose il commodoro, servendo al comandante Woolcombe una fetta che grondava sangue innocente. «Non mi fa piacere, questo è certo, e se la corte trova un motivo per essere indulgente, avrà di sicuro il mio voto. Ma quando si ha davanti un caso evidente di codardia o di negligenza nell'adempimento del dovere, credo che voterei sempre a favore della pena capitale: il colpevole va impiccato e che Dio abbia pietà dell'anima sua, perché il servizio non ne avrà. Può dispiacermi, ma non influenza il mio appetito. Comandante Eliot, volete Patrick O'Brian
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assaggiare il filetto?» «A me sembra assolutamente barbaro», osservò Stephen. «Ma sicuramente, signore», intervenne il comandante Pym, «sicuramente un uomo di medicina taglierebbe senza esitare un arto in cancrena per salvare il resto del corpo?» «Un uomo di medicina non taglia un arto per spirito di vendetta corporativa o in terrorem, non fa dell'amputazione uno spettacolo solenne né l'arto amputato è additato all'obbrobrio generale. No, signore. La vostra analogia può essere attraente ma non è corretta. Inoltre, signore, dovete considerare che così voi assimilate il chirurgo a un volgare boia, un personaggio infame, disprezzato e detestato da tutti. E l'infamia, il disprezzo gli derivano appunto da ciò che fa: nelle lingue di tutte le nazioni egli viene condannato e a fortiori viene condannato il suo atto, il che rafforza la mia tesi.» Il comandante Pym protestò di non aver mai inteso alludere ai chirurghi, una categoria di uomini eccellentissima, essenziale in una nave e anche sulla terraferma senza alcun dubbio: non si sarebbe più avventurato in analogie di nessun genere; tuttavia forse poteva azzardarsi a dire che il loro era un duro mestiere che necessitava di una dura disciplina. «Una volta un uomo», interloquì il comandante Eliot, «fu condannato a morte per aver rubato un cavallo. Al giudice disse che gli sembrava troppo duro essere impiccato per aver rubato un cavallo da un pascolo; e il giudice gli rispose: 'Non sarai impiccato per aver rubato un cavallo da un pascolo, ma perché altri non rubino cavalli dai pascoli'.» «E avete constatato che in effetti non si rubano quotidianamente i cavalli?» domandò Stephen. «No, naturalmente. E allo stesso modo non credo che renderete più coraggiosi o più saggi i comandanti impiccandone o fucilandone altri per codardia o per un errore di giudizio. È qualcosa di molto simile alla prova del fuoco o dell'acqua che si usava un tempo per provare la stregoneria, simile all'ordalia, al giudizio di Dio, reliquie di un passato medievale.» «Il dottor Maturin ha perfettamente ragione», esclamò Lord Clonfert, «un'esecuzione capitale sembra a me uno spettacolo rivoltante. Di sicuro dovrebbe essere possibile...» Le sue parole furono soffocate dalla discussione generale alla quale la parola «fucilare» pronunciata da Stephen aveva dato il via poiché l'ammiraglio Byng era stato fucilato sul suo cassero.* [* L'ammiraglio Patrick O'Brian
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John Byng (1704-1757), avendo fallito nell'impedire ai francesi di impadronirsi di Minorca, fu deferito alla corte marziale e giustiziato a bordo della sua nave, la Monarch, il 14 marzo 1757. L'esecuzione, che scatenò forti critiche e venne vista come un tentativo da parte del governo inglese di trovare un capro espiatorio, fu ironicamente stigmatizzata da Voltaire nel Candide. (N.d.T.)] Tutti o quasi intervenivano, tranne il comandante Woolcombe, il quale continuava a divorare in silenzio il suo primo pasto senza angosce, mentre i nomi di Byng e di Keppel rimbalzavano intorno alla tavola. «Signori, signori», intervenne Jack, il quale sentiva incombere l'argomento del più recente fatto di Gambier * [* Lord James Gambier (1756-1833), ammiraglio inglese. Durante la guerra contro la Francia all'epoca della Rivoluzione, la sua nave fu la prima a sfondare la linea nemica nel corso della battaglia del «glorioso primo giugno» 1794. Nominato poco dopo contrammiraglio e Lord dell'ammiragliato, comandò nel 1807 la flotta del Baltico. Assunto l'anno successivo il comando della flotta della Manica, all'isola di Aix (1809) non prestò sufficiente aiuto a Lord Cochrane: di fronte alle accuse di questi si appellò a una corte marziale, che lo assolse. (N.d.T.)] e Hervey e della sfortunata battaglia dell'isola di Aix nel golfo di Biscaglia, «per amor del Cielo, lasciamo stare gli ammiragli e simili personaggi quasi divini o fra poco ci ritroveremo invischiati nella politica e sarà la fine di ogni conversazione piacevole.» Il tono delle voci si abbassò, ma si sentì quella eccitata di Clonfert continuare: «... la possibilità di un errore giudiziario e il valore della vita umana... una volta troncata, non si può tornare indietro. Non esiste niente, niente di più prezioso». Si rivolgeva ai suoi vicini e a quelli seduti di fronte a lui, ma nessuno degli altri comandanti sembrava ansioso di prestargli ascolto e si profilava il pericolo di un silenzio imbarazzante. Stephen, convinto com'era che duecento anni di discussioni non avrebbero modificato di un ette la mentalità sanguinaria dei suoi bravi compagni, aveva cominciato a fare palline di mollica di pane. «Quanto al valore della vita umana», disse Jack, «mi domando se non la stiate sppravvalutando, in teoria, perché in pratica nessuno di noi qui presenti, credo, esiterebbe un istante a uccidere durante un abbordaggio, senza pensarci due volte né prima né dopo. E d'altronde le nostre navi sono state costruite proprio per spedire al Creatore quanta più gente possibile.» Patrick O'Brian
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«È un duro servizio che richiede una dura disciplina», ripeté Pym, scrutando attraverso il chiaretto l'enorme pezzo di arrosto. «Sì, è un duro servizio», ripeté Jack, «e spesso noi diciamo che i bottoni della nostra uniforme sono una maledizione di Dio, ma un uomo, un ufficiale, vi entra volontariamente e se le condizioni non gli piacciono può lasciarlo in qualsiasi momento. Lo accetta così com'è, sa che compiendo certe azioni può essere cacciato o perfino impiccato. Se non ha la forza d'animo per sottomettersi a tutto questo, è meglio che rinunci. E quanto al valore della vita umana, be', a me sembra che siamo anche in troppi sulla terra; e un individuo, perfino un capitano di vascello, anzi...», terminò sorridendo, «perfino un commodoro non conta rispetto al bene del servizio.» «Sono in completo disaccordo con voi, signore», disse Lord Clonfert. «Bene, my Lord, spero che questo sia l'unico argomento sul quale dissentiremo mai.» «Le idee dei Tories sulla vita umana...», ricominciò Clonfert. «Lord Clonfert», lo interruppe subito Jack con decisione, «la bottiglia è accanto a voi.» E immediatamente cambiò rotta, puntando su un argomento più allegro al quale potessero prendere parte tutti; raggiunse ben presto lo scopo, parlando del potenziale e impressionante aumento della popolazione della colonia dopo l'arrivo della squadra. «Uno solo dei miei allievi è già riuscito a far fare un bambino a due ragazze: uno moro e uno color isabella.» Gli altri si buttarono con entusiasmo su episodi del genere, sulle reminiscenze delle ardenti femmine del Levante, di Sumatra, Port-au-Prince, su rime e indovinelli e il pomeriggio terminò nell'allegria generale. La Néréide, gli alberetti di velaccio e la nuova iole finalmente a bordo, salpò quella sera stessa da Simonstown diretta a Mauritius e mentre la osservavano con il cannocchiale allontanarsi nella baia, Stephen disse a Jack: «Mi dispiace di aver sollevato quell'argomento, ti ho creato qualche imbarazzo, temo. Se ci avessi pensato, non te lo avrei chiesto davanti agli altri, perché in realtà si trattava di una domanda da fare in privato, ma mi interessava saperlo. E non so se la risposta data in pubblico è stata quella del commodoro o del semplice Jack Aubrey senza nessuna insegna». «Un po' dell'uno, un po' dell'altro», rispose Jack. «In realtà detesto l'impiccagione in misura maggiore di quanto abbia delto, anche se più per me stesso che per l'impiccato: la prima volta che ho visto un uomo alla Patrick O'Brian
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varea del pennone, con un berretto da notte calato sugli occhi e le mani legate dietro la schiena, ero un ragazzino sulla Ramillies e ho vomitato anche l'anima. Ma quanto all'uomo in questione, se se lo è meritato, meritato secondo il nostro codice, mi pare che non sia così grave quello che gli capita. E secondo me gli uomini non hanno forse tutti lo stesso valore e se qualcuno si prende una botta in testa non per questo il mondo si impoverisce.» «È certamente un punto di vista.» «Forse può apparire un po' duro; e forse sono stato un po' troppo assolutista, un po' troppo sussiegoso parlando con Clonfert come commodoro.» «Certamente gli hai dato un'impressione di severità implacabile e di rettitudine assoluta.» «Sì, sono salito in cattedra, però non ho detto proprio cose che non pensavo. Anche se devo confessare che mi ha irritato con le sue arie tragiche e la sua vita umana... ha la specialità di toccare la nota falsa. Si accettano certi atteggiamenti da un uomo davvero superiore, ma non da lui; eppure non riesce a trattenersi. Spero che non si sia offeso per essere stato interrotto, ma ho dovuto, capisci, aveva attaccato con i Whigs e i Tories. Ma l'ho fatto con molta educazione, se ben ricordi. Ho una vera considerazione per lui, pochi sarebbero stati capaci di mettere la Néréide in grado di prendere il mare così presto. Guarda, sta virando di bordo per doppiare il capo. Bella manovra... una virata rapida come quella di un cutter, una virata stretta, in uno spazio uguale alla lunghezza della nave... un bravo ufficiale il suo nocchiere. Lo sarebbe anche lui, con un po' più di zavorra, un ottimo ufficiale, se avesse un carattere un po' meno volubile.» «È curioso constatare», scrisse quella sera Stephen sul suo diario, «che Jack Aubrey, il quale ha tanto più da perdere, dà alla vita umana un valore molto minore rispetto a Clonfert, i cui beni immateriali sono penosamente pochi e che pure in qualche misura se ne rende conto. Lo scambio di questo pomeriggio conferma tutte le mie osservazioni a riguardo di entrambi. C'è da sperare, non fosse che dal punto di vista medico, in una qualche azione bellica che abbia una vera risonanza e che gli possa permettere di costruirsi un prestigio reale, più solido di quello del tutto aleatorio che ha attualmente. Niente, dice Milton, giova a un uomo quanto una fondata stima di se stesso; temo di aver complicato la vita del poveretto. Ma ecco che sta salendo a bordo il signor Farquhar, colui che sa Patrick O'Brian
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tutto e che mi rimetterà sulla retta via. Se solo avessimo altri mille uomini a Rodriguez, potrei scrivere fin da ora 'il governatore' Farquhar con una certa sicurezza.»
* Il signor Farquhar salì a bordo, ma senza cerimonie e con un seguito così modesto - un segretario e un valletto - che faceva capire come avesse dato retta alle previsioni dei militari di Città del Capo, i quali avevano una scarsa opinione dei sepoys quando combattevano nel loro Paese e nessuna quando combattevano altrove. Secondo il loro meditato parere gli ufficiali francesi avevano ragione quando affermavano che per un attacco riuscito sarebbero stati necessari cinque reggimenti di truppe europee coadiuvati dall'artiglieria, che i rischi di uno sbarco su quelle coste erano tali che perfino cinque reggimenti non sarebbero stati sufficienti, in particolare per la difficoltà delle comunicazioni fra terra e mare che potevano essere interrotte da un giorno all'altro e con esse i rifornimenti delle truppe; e che forse sarebbe stato meglio, tutto considerato, aspettare ulteriori rinforzi con il prossimo monsone. «Vorrei condividere il vostro ottimismo», disse a Stephen quando fu finalmente in grado di dire qualcosa (solo quando la Boadicea aveva raggiunto il venticinquesimo parallelo il tempo era migliorato), «ma forse è fondato su informazioni che io non posseggo?» «No, i rapporti che ho fatto erano abbastanza completi», rispose Stephen, «ma non sono sicuro che voi o i militari diate lo stesso valore alla nostra attuale superiorità sul mare. Se, come sembra probabile, due delle loro fregate saranno lontane dal luogo dell'azione, il nostro vantaggio salirà a cinque navi contro due; un grosso vantaggio, e non sto contando la Leopard che, a quanto mi si dice, è solo una Raisonnable più piccola, il tipo di vascello che dai marinai viene definito ironicamente bara, di utilità dubbia anche come nave da trasporto. Mi ci è voluto molto tempo per apprezzare a pieno la forza prodigiosa di un grande vascello da guerra: tutti siamo in grado di valutare la potenza di una batteria, di una fortezza che erutta fuoco; ma una nave ci appare come un oggetto così pacifico che forse non è facile vederla come una imponente batteria di cannoni, per di più mobile, che può dirigere il suo fuoco irresistibile in varie direzioni, per poi, una volta completata la sua opera di distruzione, scivolare via e Patrick O'Brian
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ricominciare da un'altra parte. Le tre fregate, signor mio, le tre fregate che noi dovremmo avere in più rispetto ai nostri avversari, rappresentano un'enorme potenza di fuoco, cannoni che non sono tirati faticosamente da innumerevoli muli, ma che sono trasportati dal vento. Io li ho visti in azione su questa stessa costa e ne sono rimasto stupefatto. E bisogna anche considerare i rifornimenti del nemico che una superiorità sul mare potrebbe impedire prontamente.» «Comprendo il vostro punto di vista», disse Farquhar, «ma la battaglia decisiva sarà combattuta sulla terraferma e i pochi reggimenti di cui disponiamo devono essere sbarcati su quella terra.» «Sì, ciò che dite è verissimo e ammetto che queste considerazioni potrebbero rendermi più dubbioso del risultato di quanto non sia in realtà, se non fossi sostenuto da un motivo di speranza che forse a voi parrà illogico.» «Mi usereste una cortesia facendomene partecipe.» «Come probabilmente sapete, nel servizio il nostro commodoro è conosciuto come Jack Aubrey il Fortunato. Non ho intenzione di addentrarmi nel concetto di fortuna, come viene volgarmente chiamata: filosoficamente è indifendibile ma nella vita quotidiana constatiamo che esiste. Dirò soltanto che il comandante Aubrey sembra possederla in grado eminente ed è un pensiero che rallegra le mie notti talvolta pensierose.» «Ah, come spero che abbiate ragione», esclamò il signor Farquhar. «Come spero sinceramente che abbiate ragione!» Dopo una pausa, soggiunse: «Per moltissime ragioni, fra le quali anche quella che non avrò nessun emolumento né indennità finché non sarò entrato nelle mie funzioni». Un'altra pausa, poi si passò la mano sugli occhi e deglutì con sforzo. «Facciamo un giro sul ponte», propose Stephen. «State diventando nuovamente verdastro in faccia, senza dubbio a causa dei pensieri malinconici, non solo per il movimento della nave. I bravi alisei se li porteranno via in un istante.» I bravi alisei si portarono via in un istante il cappello e la parrucca del signor Farquhar: volarono a prua, per essere afferrati, con un vero miracolo di destrezza, dal nostromo, il quale saltò sulla nuova ancora di dritta, afferrò l'uno con la destra e l'altra con la sinistra e li rimandò entrambi a poppa per mezzo di un allievo. Da parte sua il signor Fellowes preferiva tenere tutta la lunghezza del passavanti fra lui e il cassero dal Patrick O'Brian
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giorno memorabile di Simonstown in cui il commodoro aveva scambiato qualche parola in privato con lui, se privato fosse stato il termine adatto all'esplosione di sacrosanta indignazione che rimbombò dalla cabina di poppa al tagliamare, riempiendo tutta la nave di un misto di divertimento, giubilo e apprensione. Con il capo di nuovo coperto, il signor Farquhar si attaccò alle sartie accanto a Stephen e mentre si guardava intorno il colorito cadaverico si attenuò fino a scomparire dalla sua faccia. La Boadicea era inclinata al punto che le sue bancacce sottovento erano sommerse dalla spuma bianca e la murata opposta scopriva un'ampia fascia di rame nuovo. A una certa distanza a prua la Sirius, con la stessa forza di vele, procedeva in un allineamento così perfetto da dare l'impressione che le due fregate fossero unite da un'asta di ferro; e insieme le navi si dirigevano a nord-est sulle tracce della Néréide per unirsi alla Magicienne e all'Iphigenia al largo di Port Louis. Avevano già superato la Leopard che pure aveva due giorni di vantaggio (e che, essendo il suo comandante imparentato con l'ammiraglio, era fortemente sospettata di essersi unita alla squadra solo per poter partecipare alla spartizione del denaro delle eventuali prede), e stavano ora correndo come se volessero percorrere le duemila miglia e più in meno di quindici giorni, una reale possibilità, dato che avevano trovato i possenti alisei così in fretta. «La velocità è tutto in operazioni del genere», disse, «e non c'è dubbio che questa si chiami velocità. Stiamo volando! Emozionante! È come una corsa per un premio da mille sterline! Come lottare corpo a corpo con una bella donna!» Stephen aggrottò la fronte: non gli piacevano i paragoni esaltati di Farquhar. «Sì, la rapidità è tutto», disse, «ma molto dipende anche dalla possibilità di trovare le altre navi all'appuntamento. Il mare è così straordinariamente vasto, gli elementi così capricciosi, gli strumenti per fare il punto così imperfetti o così imperfettamente usati, che so di velieri che hanno navigato per dieci giorni e più senza trovare le navi del loro stesso convoglio.» «Fidiamoci dell'abilità matematica del commodoro», replicò il signor Farquhar. «O della sua fortuna: o di entrambe le cose. Credo, dottor Maturin, che se voleste favorirmi ancora un po', potrei approfittare della vostra farinata, forse con un pezzettino di pane tostato; e vi prometto che, se mai arriverò a governare l'isola, la mia prima cura dopo la nuova costituzione sarà di ripagarvi in tartarughe.» Patrick O'Brian
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La loro fiducia non fu mal riposta. Il giorno dopo avere avvistato lontano sottovento le montagne della Réunion che sbucavano dalle nuvole portate dagli alisei, le due fregate fecero rotta a nord per aggirare Mauritius e là, fedeli alla consegna, esattamente nel punto previsto, trovarono il resto della squadra. Lambert, il comandante più anziano, salì immediatamente a bordo: la situazione a Port Louis era quale avevano previsto, con la Vénus, la Manche e la corvetta Entreprenant tranquillamente alla fonda nel porto, mentre la Bellone e la Minerve erano ancora lontane; ma d'altro canto Clonfert, inviato a perlustrare il lato sud-est dell'isola, aveva scoperto una nuova fregata francese, l'Astrée, da trentotto cannoni, ormeggiata sotto le batterie della Rivière Noire in una posizione inespugnabile, ovviamente al corrente del blocco di Port Louis e poco disposta a farsi avanti. Clonfert aveva anche catturato in porto a Jacotet un veliero mercantile da quattrocento tonnellate di stazza, inchiodato i cannoni delle piccole batterie costiere e preso prigioniero qualche ufficiale. Vero che la nave era risultata essere neutrale, uno dei molti velieri americani che navigavano in quei mari, quasi gli unici neutrali e quasi gli unici a poter dare occasionali informazioni a entrambi gli schieramenti: ma anche così, disse Lambert, era stata un'impresa davvero brillante. «Un'impresa brillante maledettamente infelice, e maledettamente inopportuna per di più», commentò Jack più tardi. «Se la Néréide fosse stata danneggiata durante questa beffa, perché di una beffa si è trattato, avremmo dovuto faticare non poco per proteggere lo sbarco delle truppe, in specie ora che hanno l'Astrée. Mi meraviglio di Lambert che lo ha lasciato andare via da solo, anche se ovviamente Clonfert conosce bene queste acque e gli piace agire in modo indipendente: Jacotet è un ancoraggio infernale da raggiungere. Comunque sia, penso che dovremo portare Clonfert con noi a Rodriguez non appena avremo fatto rifornimento d'acqua, per tenere lontani dalla tentazione i suoi bollenti spiriti finché non potremo farne uso nel modo giusto. Potrà essere brillante fino a fare luce una volta impegnati nella vera battaglia.» Fecero rifornimento d'acqua all'Ile Plate, poi la Boadicea e la Néréide fecero rotta a est per Rodriguez, lasciando Pym al comando con l'ordine di allontanarsi senza essere visto durante la notte, insieme con l'Iphigenia e con la Magicienne e lasciando la Leopard e due esploratori al largo di Port Louis, per portare immediatamente la notizia di un eventuale ritorno della Bellone e della Minerve dal golfo del Bengala. «Perché qui sta il vero Patrick O'Brian
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problema», disse Jack. «Se quelle due fregate pesanti, unite alla Vénus, alla Manche e all'Astrée, dovessero piombare sulla nostra retroguardia nel momento sbagliato, con lo sbarco delle truppe a metà, ci troveremmo in un bel guaio davvero.» Solitamente Rodriguez sembrava a prima vista un'isola deserta; forse un po' più grande dell'isola deserta della fantasia con le sue dieci buone miglia di lunghezza e forse un po' più grigia e sterile di quanto sarebbe stato auspicabile, pur essendo comunque una vista gradita dopo un lungo viaggio senza vedere terra. Ora tuttavia la baia era affollata di imbarcazioni e sulla terraferma un reticolo di strade tracciate con precisione fra le tende si stendeva in ogni direzione; e su quelle strade si muovevano centinaia, addirittura migliaia di uomini, le cui giubbe rosse erano visibili da grande distanza. Jack fu il primo a scendere a terra, portando con sé Stephen e il signor Farquhar; con suo immenso sollievo trovò Keating ancora al comando, nessun prudente generale del malaugurio lo aveva rimpiazzato. I due comandanti si immersero seduta stante e con grande impegno nei dettagli relativi allo spostamento in buon ordine di truppe, munizioni, approvvigionamenti, scorte, armi e perfino di qualche obice sulla scena dell'azione e Stephen sgattaiolò via non visto. «Il Pezophaps solitarius non avrebbe mai potuto sopportare tutto questo», si disse mentre si addentrava nell'accampamento affollato. «E perfino il parco delle tartarughe è penosamente diminuito.» Non aveva fatto cento iarde quando si sentì chiamare: «Dottore! Dottore!» «Ah, no!» borbottò irritato, accelerando il passo fra i pandani e affossando la testa fra le spalle. Ma fu inseguito, raggiunto, e nel suo inseguitore riconobbe all'istante la figura lunga, magra e ancora molto fanciullesca di Thomas Pullings, un vecchio compagno dei suoi primi giorni sul mare. «Thomas Pullings!» gridò, mentre un'espressione di vera gioia sostituiva lo sguardo malevolo. «Pullings, parola mia d'onore! Come state, signore?» Si strinsero la mano e dopo essersi informato premurosamente della salute del dottore e di quella del commodoro, Pullings disse: «Ricordo che siete stato voi il primo a chiamarmi ufficiale, signore, tanto tempo fa. Be', adesso, se voleste usarmi una gentilezza proprio eccezionale, potreste chiamarmi comandante». Patrick O'Brian
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«Ma che mi dite? Siete già stato promosso comandante?» «Non sulla terraferma, signore, sulla terraferma non sono il comandante Pullings, ma sul mare sono al comando della nave trasporto Groper. La potete vedere da qui, se vi mettete accanto a quest'albero. Ehi, laggiù, razza di aragosta!» gridò a un soldato che stava venendo verso di loro. «Tuo padre non faceva il vetraio, tu non sei trasparente! Ecco, signore, il brigantino proprio dietro il senale. È solo una nave da trasporto, ma avete mai visto una linea più bella?» Stephen aveva visto una linea esattamente uguale in un battello olandese per la pesca delle aringhe, ma non menzionò il fatto, limitandosi a un: «Elegante, elegante davvero!» Dopo che il suo comandante si fu beato di quell'oggetto acquattato e pesante, riprese: «È il mio primo comando, signore. Un brigantino magnifico di bolina, e pesca così poco che può risalire perfino i torrenti, per così dire. Vorreste onorarci di una visita?» «Ne sarei molto felice, comandante», rispose Stephen. «E visto che siete al comando, potrei chiedervi il favore di prestarmi una pala, una leva e un uomo robusto di intelligenza media?» Il commodoro e il colonnello studiarono i loro piani d'attacco, gli ufficiali dello stato maggiore studiarono i loro elenchi, i soldati lucidarono i loro bottoni, formarono un quadrato, marciarono per fila destra fino alle scialuppe, riempiendo le navi da trasporto e le fregate finché i marinai, sommersi da quella folla, non riuscirono quasi più a lavare i ponti, per non parlare di raggiungere le sartie. Nel frattempo il dottor Maturin e due uomini del Groper di intelligenza media scavarono i resti dell'uccello estinto dalle caverne nelle quali aveva trovato riparo dagli uragani solo per essere travolto dal successivo diluvio di fango, un fango ormai duro come la pietra. L'ultimo soldato si staccò da terra sotto gli occhi vigili di un maggiore scarlatto a. capo delle operazioni; e mentre posava il piede stanco sul cassero della Boadicea il maggiore guardò l'orologio ed esclamò: «Un minuto e cinquantatré secondi a uomo, signore. Abbiamo battuto Wellington di due secondi pieni!» Un solo colpo di cannone sopravvento dal commodoro, il segnale fare vela e le quattordici navi da trasporto delle truppe cominciarono a sfilare attraverso lo stretto canale aperto nella barriera per unirsi alle navi da guerra. Quando scese la sera, l'isola era scomparsa alla vista. Le vele si Patrick O'Brian
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dirigevano verso il sole al tramonto gonfiate da un buon vento da sinistra che di buon braccio consentiva l'uso dei velacci; niente tranne il mare aperto si stendeva fra loro e le spiagge della Réunion. L'impresa aveva avuto inizio. Jack era di gran lunga troppo occupato con il colonnello Keating e con le sue carte nautiche per pensare a qualcosa che non fosse l'immediato presente, ma Stephen risentì più di quanto avrebbe creduto possibile delle lunghe ore che scivolavano verso l'inevitabile futuro. Era stato coinvolto a fondo in eventi di portata molto maggiore, ma nessuno il cui esito - successo totale o totale sconfitta con tremende perdite di vite umane - sarebbe stato deciso così nettamente entro poche ore. Non era del tutto convinto del piano d'attacco, un attacco che presumeva che loro fossero attesi a Saint-Paul, una Saint-Paul rinvigorita e rafforzata e che richiedeva una finta e poi lo sbarco in due punti, uno a est e uno a sud-ovest della capitale, Saint-Denis, il secondo inteso a tagliare la via di comunicazione fra Saint-Denis e Saint-Paul; non era del tutto convinto nemmeno Jack, il quale temeva la risacca. Ma dal momento che ne sosteneva la grande importanza strategica il colonnello Keating, un uomo nel quale avevano tutti e due una grande fiducia e che aveva già combattuto su parte di quel terreno, e dal momento che il suo parere era appoggiato da quello degli altri colonnelli, il commodoro si era ritirato in buon ordine, mentre Stephen e Farquhar avevano mantenuto il silenzio, tranne che per sottolineare la necessità del massimo rispetto per la proprietà civile e religiosa. Le ore si succedettero l'una all'altra. Ogni volta che veniva gettato il solcometro, la Réunion risultava più vicina di sette od otto miglia. Il signor Farquhar era occupato con il suo proclama e Stephen passeggiava avanti e indietro sul cassero, maledicendo silenziosamente Napoleone e tutti i guai che aveva procurato al mondo. «Capace solo di distruggere... ha distrutto tutto quanto c'era di buono nella repubblica, tutto quanto c'era di buono nella monarchia... sta distruggendo la Francia con un'energia demoniaca... il suo pacchiano, farsesco impero... un individuo profondamente grossolano... niente di francese in lui... un'ambizione insana... l'intero mondo sotto una squallida tirannia. Il modo infame in cui ha trattato il papa! Questo papa e il precedente. E quando penso a ciò che ha fatto alla Svizzera, a Venezia e a Dio sa quanti altri Stati e a ciò che avrebbe potuto fare all'Irlanda... la repubblica di Hibernia, divisa in dipartimenti... una metà polizia segreta, un'altra metà informatori... la leva obbligatoria... il Patrick O'Brian
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Paese dissanguato...» Un subalterno dell'86° reggimento ricevette in pieno la sua occhiataccia indignata e malevola e si ritirò sconvolto. Nel pomeriggio del giorno successivo al consiglio di guerra, tre navi vennero avvistate dalla testa d'albero: Sirius, Iphigenia e Magicienne, puntuali all'appuntamento; della Bellone e della Minerve nessuna traccia né alcun segno di movimenti a Port Louis. Quella sera cominciò il trasferimento delle truppe scelte con un mare calmo e gentile. Jack convocò i comandanti per illustrare lo svolgimento dell'azione. Mentre la forza principale avrebbe fatto una manovra dimostrativa davanti a SainteMarie, la Sirius doveva sbarcare la brigata del colonnello Fraser e gli obici alla Grande Chaloupe, una spiaggia sulla costa sottovento dell'isola fra Saint-Denis e Saint-Paul. Contemporaneamente, una parte della brigata comandata dal colonnello Keating sarebbe stata sbarcata alla foce della Rivière des Pluies, in modo che Saint-Denis si sarebbe trovata fra due fuochi. In quel punto sarebbero state fatte scendere a terra le altre truppe a mano a mano che le navi da trasporto fossero arrivate, poiché le fregate dovevano ormai procedere da sole con tutte le vele che potevano spiegare. E così fecero, correndo su un mare che si manteneva calmo, sospinte da un vento leggero e con tutti i coltellacci: uno spettacolo magnifico nel perfetto allineamento che si stendeva lungo un miglio marino, le uniche pennellate di bianco in un azzurro incomparabile. Avanzarono al massimo della velocità possibile, senza mai toccare una vela se non per farla portare meglio dal tramonto fino alla diana. Durante tutto quel tempo il commodoro fece le sue osservazioni sulle stelle grandiose e scintillanti sospese lassù nel cielo di velluto, controllando e ricontrollando la sua posizione con l'aiuto reale di Richardson e con quello nominale del nocchiere, il signor Buchan, facendo gettare il solcometro a ogni giro della clessidra e mandando continuamente qualcuno a rilevare i dati del cronometro e del barometro. Ai due colpi della diana Aubrey dette ordine di ridurre la velatura, e le lanterne colorate, unite a un colpo di cannone sottovento, trasmisero l'ordine alla squadra. L'alba lo trovò ancora in coperta, con un brutto colorito giallastro e la barba lunga e più taciturno di quanto Stephen avrebbe gradito. La Réunion sorgeva nitida sulla masca di sinistra e i soldati, saliti sul ponte ancora assonnati, furono felici di vederla: si affollarono sul castello, scrutando la terra con i cannocchiali; e più di uno gridò che non si vedeva nessuna risacca sulla scogliera, solo una piccola linea bianca. «Fra dodici ore forse Patrick O'Brian
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non saranno così contenti», disse Jack a bassa voce, rispondendo allo sguardo interrogativo di Stephen. «Il barometro è sceso per tutta la notte; speriamo di poter entrare prima che scoppi la buriana.» Mentre parlava si tolse giacca e camicia e poi, dati gli ordini a Trollope, l'ufficiale di guardia, si tolse anche le brache: dall'impavesata si tuffò di testa in mare, risalì soffiando, nuotò lungo la linea di scialuppe che ogni fregata aveva a rimorchio, ritornò alla nave e scese sottocoperta gocciolante. Gli uomini della Boadicea erano perfettamente abituati a queste nuotate mattutine, ma sulle giubbe rosse fece un certo effetto, la giudicarono una mancanza di serietà. Una volta in cabina, dopo aver dato il buongiorno a destra e a manca, andò subito a dormire, piombando nel sonno ancor prima di posare la testa dai lunghi capelli biondi sul guanciale; e continuò a dormire profondamente, a dispetto del calpestio di stivali dei soldati e del fracasso che si accompagnava sempre alle attività quotidiane sulla nave, fino a quando il debole tintinnio del cucchiaino non comunicò a un livello profondo della sua mente che il caffè era pronto. In un istante fu in piedi e dopo aver lanciato un'occhiata al barometro, scosse la testa, tuffò la faccia in un catino di acqua tiepida, si fece la barba, divorò un'abbondante colazione e comparve in coperta fresco, roseo, ringiovanito di dieci anni. La squadra stava costeggiando il limite esterno della barriera corallina, una barriera sulla quale le onde si infrangevano con moderazione: tre linee di frangenti che un'imbarcazione ben governata avrebbe potuto affrontare senza grande difficoltà. «Parola mia, commodoro, il tempo sembra volerci favorire», disse il colonnello Keating; poi, a voce più alta, sventolò il cappello a una giovane donna che stava raccogliendo frutti di mare sulla scogliera: «Bonjour, Mademoiselle!» La giovane donna, che era già stata salutata dalle prime tre fregate, gli voltò le spalle e il colonnello riprese: «Credete che il tempo rimarrà così?» «Forse», rispose Jack, «ma potrebbe anche guastarsi. Dobbiamo fare in fretta: non avete niente in contrario a pranzare molto presto, alla stessa ora degli uomini?» «Assolutamente no, signore! Ne sarò molto felice... in verità sono già affamato.» Affamato forse, osservò Jack fra sé, ma certamente era anche nervoso. Keating si dispose al suo pranzo anticipato con una discreta apparenza di flemma, ma riuscì a mandar giù ben poco. Non aveva mai avuto un Patrick O'Brian
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comando così importante; nemmeno Jack, per questo, e in quelle ore di attesa entrambi ne sentivano la responsabilità a un punto che non avrebbero ritenuto possibile. Ne risentivano in modo diverso, tuttavia; poiché, mentre Keating mangiò poco e parlò molto, Jack spazzò via quasi un'anatra intera, seguita dal budino a base di fichi, contemplando pensieroso dalla vetrata di poppa il paesaggio che scorreva non molto distante: lontano in fondo le montagne aspre e precipitose; più vicino le terre coltivate, ogni tanto una casa, foreste, piantagioni, un villaggio e alcuni carri che avanzavano faticosamente nel verde. Il pasto non durò a lungo, interrotto prima dall'annuncio dell'avvistamento di due vele a mezza quarta a sud di est - e che risultarono poi le navi da trasporto in testa al convoglio, Kite e Groper - per terminare del tutto, prima che Jack avesse potuto sferrare l'attacco definitivo al budino, quando comparve alla vista la piccola città di Sainte-Marie. Qui la scogliera piegava verso la costa e la squadra ne seguì il corso, virando di bordo al segnale del commodoro. Già l'abitato era in agitazione, la gente correva di qua e di là, indicando le navi, strillando, chiudendo le persiane, caricando la propria roba sui carri. Avevano motivo di strillare, perché là, al limite del loro ancoraggio, dove l'acqua dolce del piccolo corso d'acqua aveva aperto brecce nel corallo, e già a distanza di tiro, cinque navi presentavano il fianco, i portelli aperti e una spaventosa fila di cannoni puntati dritti contro Sainte-Marie. Ancor peggio, un gran numero di scialuppe stavano remando verso terra cariche di soldati evidentemente decisi a sbarcare, ad assalire, a incendiare, a saccheggiare e a radere al suolo la città. La piccola guarnigione al comando di un sergente era schierata sulla spiaggia, ma sembrava che non sapesse bene che fare, mentre ogni uomo che sapeva stare in sella era già da molto tempo partito al galoppo verso Saint-Denis per dare l'allarme e implorare il soccorso immediato delle truppe di stanza colà. «Sta andando molto bene», commentò più tardi il colonnello Keating osservando con il cannocchiale l'avanguardia dei soccorsi francesi. «Una volta attraversato il fiume, avranno un bel daffare a riportare indietro l'artiglieria. I cavalli sono già stanchi. Guardate quei fanti come corrono! Saranno esausti, signore, esausti!» «Già, già», fece Jack, «molto bene.» Ma la sua mente era concentrata sul mare più che sulla terraferma e gli sembrava che la risacca si stesse facendo più forte: i frangenti, forse per qualche burrasca lontano a est, Patrick O'Brian
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arrivavano con maggiore convinzione. Guardò l'orologio e nonostante mancassero quaranta minuti all'ora stabilita, dette ordine alla Sirius di procedere. La Sirius poggiò bruscamente e si allontanò in direzione della Grande Chaloupe, avendo a bordo un migliaio di uomini e gli obici. Il suo posto fu preso dalla Kite e dalla Groper e da altre due navi da trasporto, il che accrebbe il panico sulla terraferma. Il piano non aveva potuto prevedere un intervallo preciso fra i due sbarchi, dovendo ovviamente dipendere dal tempo che la Sirius avrebbe impiegato a superare Saint-Denis e a raggiungere il punto convenuto per lo sbarco fra quella città e Saint-Paul; ma la loro speranza era che non superasse le due ore. Con il vento che andava scemando, però, sembrava che le ore sarebbero state almeno tre, e nel frattempo la risacca continuava ad aumentare. L'attesa fu dura e sarebbe stata ancora più dura se l'artiglieria francese appena arrivata e piazzata su una collina dietro la postazione non avesse ritenuto giusto aprire il fuoco. I proiettili non superavano le quattro libbre, ma la mira era estremamente precisa e dopo i primi tiri di aggiustamento una palla fischiò così vicina alla testa del colonnello Keating che questi esclamò indignato: «Avete visto, signore? È stato assolutamente deliberato. Gli infernali farabutti! Devono pur saperlo che sono l'ufficiale al comando!» «Nell'esercito non sparate ai comandanti, colonnello?» «Certamente no, signore. Mai, tranne in caso di una mischia. Se fossi sulla terraferma manderei subito una staffetta. Ecco che ci riprovano. Giacobini senza princìpi!» «Be', credo che si possa farli smettere. Passate parola per il capo cannoniere. Signor Webber, potete fare fuoco in successione contro l'artiglieria a terra; ma dovrete puntare tutti i cannoni personalmente e non colpire nessuna proprietà civile o ecclesiastica. Mirate bene al di là dell'abitato.» Con i grossi cannoni che facevano fuoco l'uno dopo l'altro, un fuoco calcolato e preciso, con l'odore esaltante della polvere da sparo che fluttuava sul ponte, la tensione si allentò. I soldati applaudirono quando il capo cannoniere spedì le palle da diciotto libbre tra gli artiglieri francesi sulla collinetta e acclamarono ancora più forte quando centrò un avantreno e una ruota volò in aria, roteando come una moneta lanciata per fare testa o croce. Ma un combattimento così impari non poteva durare e ben presto i Patrick O'Brian
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cannoni francesi furono ridotti al silenzio. Durante tutto quel tempo il moto ondoso era andato crescendo, la spuma bianca ora si abbatteva in alti spruzzi sulla scogliera, si incuneava con forza nei canali aperti nella barriera e le onde regolari si infrangevano sulla spiaggia. Dopo la calma di vento, la brezza aveva ricominciato a soffiare con più forza, tutto faceva prevedere una burrasca prima di notte e Jack alla fine disse: «La Sirius dovrebbe essere alla Grande Chaloupe a quest'ora. Credo che possiamo muoverci». Si mossero, passando rapidamente davanti a un altro canale aperto nella barriera là dove l'acqua dolce aveva fatto breccia nel corallo, fino a un altro ancoraggio, mediocre anche questo, al largo della Rivière des Pluies. «Ci siamo», disse il colonnello Keating, cartina alla mano. «Se possiamo prendere terra qui, lo sbarco non sarà in nessun modo disturbato. Occorrerà perlomeno un'ora prima che possano arrivare, forse anche di più.» Mio Dio, pensò Jack, fissando la grande cintura di frangenti, la cala ripida di ciottoli rotondi. Si portò al coronamento e chiamò: «Ehilà, Néréide! Accostate a poppa!» La Néréide si lanciò in avanti, poi mise a collo il parrocchetto e rimase in panna, beccheggiando sull'onda lunga; Stephen notò che Lord Clonfert, sul cassero, era in alta uniforme, cosa non insolita durante un'azione della flotta, ma rara in una scaramuccia. «Lord Clonfert», gridò Jack, «conoscete il canale navigabile?» «Sì, signore.» «Lo sbarco è possibile?» «Possibilissimo al momento, signore. Sono pronto a mettere a terra una squadra all'istante.» «Procedete, Lord Clonfert.» La Néréide aveva fra le sue scialuppe una piccola goletta che aveva catturato, un'imbarcazione del posto. Quella e altre barche si riempirono ben presto di soldati e di marinai pieni di ardore. Le navi della squadra seguirono attentamente la goletta mentre si avvicinava alla barriera, seguita dalle scialuppe, per remare poi controcorrente in attesa dell'onda che l'avrebbe portata al di là della barriera stessa. L'onda arrivò, la goletta cavalcò la spuma bianca trascinata in avanti, ancora e ancora, finché parve che avesse superato la barriera; ma proprio all'ultimo istante urtò contro gli scogli a dieci iarde dalla spiaggia, girò su se stessa e venne gettata di fianco sulla sponda sassosa. Mentre il frangente si ritirava, gli uomini Patrick O'Brian
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balzarono a terra, ma il risucchio trascinò l'imbarcazione verso l'ondata successiva che la sollevò in alto e la scaraventò sui ciottoli del litorale con tale violenza che lo scafo si spezzò, sfasciandosi completamente. Alla maggior parte delle altre imbarcazioni toccò la stessa sorte: scialuppe distrutte, uomini salvi. Si videro solo quattro corpi, scuri sulla spuma bianca, alla deriva verso ovest. «È essenziale continuare!» gridò il colonnello Keating con voce aspra. «Dobbiamo prendere Saint-Denis fra due fuochi, costi quel che costi.» «Segnalate alla Groper», disse Jack al signor Johnson. Mentre la nave da trasporto si avvicinava, il commodoro contemplò la spiaggia e i rottami galleggianti: come aveva pensato, per il momento solo l'ultimo tratto era fatale. Un minimo frangiflutti avrebbe permesso alle imbarcazioni di arrivare a terra e la Groper era la sola che pescasse tanto poco da potersi spingere fin là. Quando si fu accostata sottovento alla Boadicea, chiamò: «Signor Pullings! Dovete riparare le scialuppe: dirigetevi a terra, date ancora da poppa all'ultimo momento e portatevi sottocosta il più possibile, disponendovi poi per sud-ovest». «Aye, aye, Sir», gridò di rimando Pullings. Il brigantino poggiò in una raffica di comandi, procedette verso terra lentamente mentre gli uomini sottocoperta facevano uscire una gomena da un portello poppiero, poi sempre più velocemente, dentro la risacca, avanti e avanti fra la spuma bianca. Nel suo cannocchiale Jack vide l'ancora cadere in acqua e un istante dopo il Groper urtò sul fondo vicinissimo alla sponda. L'albero di parrocchetto volò fuoribordo per il contraccolpo, ma gli uomini al cabestano non alzarono nemmeno la testa, impegnati ad alare spasmodicamente il cavo, costringendo la poppa del brigantino a ruotare, per orientarlo a sud-ovest, ancorato contro le onde così da creare una zona di acqua calma sul litorale. «Bravo, Tom Pullings, bravo davvero: ma per quanto tempo reggerà l'ancora?» borbottò Jack, poi, ad alta voce: «Prima divisione, sbarcare!» Le scialuppe superarono la barriera, arrivando sane e salve a terra, furono tirate in secco, piene d'acqua per la maggior parte ma raramente rovesciate e la spiaggia cominciò a riempirsi di giubbe rosse che si schieravano in bell'ordine. Una parte dei soldati, al comando del colonnello McLeod, aveva preso posizione a qualche centinaio di iarde verso l'interno. A un tratto la gomena del brigantino si spezzò, un frangente colossale lo investì di poppa e lo fece ruotare con violenza, Patrick O'Brian
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scaraventandolo su quella spiaggia impietosa. Dal momento che la prua era già sfondata, tutto lo scafo si sfasciò d'un colpo, lasciando ai marosi il pieno possesso del litorale. Il frangente che distrusse il brigantino fu il primo di una serie di ondate sempre più colossali e ben presto la risacca divenne alta, bianca e tuonante. «E possibile tentare ancora, commodoro?» domandò Keating. «No, signore», rispose Jack. Sulla strada che portava da Sainte-Marie a Saint-Denis e che in quel punto curvava verso l'interno per evitare un tratto paludoso, tre corpi separati di truppe francesi si muovevano lentamente da est a ovest, verso Saint-Denis. Il distaccamento del colonnello McLeod aveva già tirato su un muro a secco fra la spiaggia e la strada e si era schierato ordinatamente dietro quel riparo. A sinistra del loro schieramento, i marinai e i fanti di marina avevano fatto più o meno lo stesso, ma, trovandosi su un terreno più umido, il riparo da loro eretto era un largo parapetto di terra battuta sul quale stava in piedi Lord Clonfert, ben visibile con la sua stella e il copricapo bordato d'oro. Le prime truppe francesi si fermarono davanti al distaccamento da sbarco a una distanza di duecento iarde: caricarono i moschetti, presero la mira, fecero sfuoco. Clonfert agitò la spada sguainata nella loro direzione, poi allungò la mano dietro di sé per afferrare il moschetto di un fante di marina e rispose al fuoco. Fu quasi l'unica risposta alla scarica dei francesi: evidentemente la polvere da sparo si era bagnata durante lo sbarco. Mentre la squadra stava a guardare, troppo lontana per effettuare tiri precisi con quel mare grosso, ma vicina abbastanza perché i cannocchiali mostrassero tutti i particolari, due staffette delia cavalleria arrivarono al galoppo sulla strada di Saint-Denis, parlarono con un ufficiale e proseguirono. Le truppe francesi rimisero in spalla i moschetti, si allinearono e partirono di corsa alla volta della capitale. Il secondo e il terzo distaccamento, ricevuto l'ordine dagli uomini a cavallo, si affrettarono lungo la strada, fermandosi il tempo di sparare una raffica o due, salutati entrambi da Clonfert dalla cima del suo parapetto. Stava mangiando una galletta e ogni volta la posava sul fazzoletto per sparare. Colpì il cavallo di un ufficiale, ma per la maggior parte i suoi tiri mancarono il bersaglio. Altri cavalieri stavano arrivando al galoppo da Saint-Denis; uno di loro era probabilmente un ufficiale superiore che incitava le truppe ad Patrick O'Brian
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affrettarsi. La conclusione era chiara come il giorno: il colonnello Fraser era sbarcato in forze dalla Sirius e si richiamavano quei soldati per difendere la capitale. «La Magicienne e le navi da trasporto Kite e Solebay devono andare a portare aiuto», disse Jack, «il resto della squadra rimarrà qui nel caso il mare si calmi durante la notte.» Il colonnello Keating fu d'accordo; pareva contento di quella decisione autorévole e Stephen ebbe l'impressione che sentisse di non avere più il controllo della situazione, che quell'impossibilità di comunicare con i suoi uomini sulla terraferma fosse qualcosa che non aveva mai sperimentato prima. Durante tutto quel tempo Stephen e il signor Farquhar erano rimasti in piedi accanto all'impavesata, due figure praticamente invisibili come lo erano state durante i consigli di guerra, quando se ne erano rimasti seduti senza aprire bocca, scialbi fra quelle splendide uniformi; ma ora, dopo un frettoloso conciliabolo con Farquhar, Stephen disse a Jack: «Abbiamo pensato che se il colonnello Fraser è riuscito ad attestarsi saldamente dall'altra parte dell'isola, è necessario che io sia sbarcato là». «Molto bene», disse Jack. «Signor Fellowes, un bansigo e passate parola per il mio timoniere. Bonden, voi andrete sulla Magicienne con il dottore.» Le poche ore rimaste di quel giorno di ansia al largo della Rivière des Pluies, furono trascorse a osservare la risacca. Poco prima del tramonto una mezz'ora di pioggia torrenziale, di una violenza rara anche per quelle latitudini, smorzò la linea bianca dei frangenti così da rendere il canale un poco più accessibile e un subalterno del 56° reggimento, nato nelle Indie Occidentali e abituato alla risacca fin dall'infanzia, si offrì volontario per raggiungere a nuoto la riva e portare gli ordini del colonnello Keating al colonnello McLeod. Si tuffò tra le creste bianche con la sicurezza di una foca, svanì, ricomparve in cima a un'onda colossale che lo depositò con precisione sui suoi piedi al limite dell'alta marea: poco dopo McLeod, coperte con un plaid le nudità del suo subalterno, fu visto marciare alla testa delle sue truppe per occupare la piccola postazione di Sainte-Marie, lasciata libera dai suoi occupanti, issarvi la bandiera britannica e banchettare con le provviste lasciate dalla guarnigione francese. L'oscurità cadde tuttavia di colpo come al solito e fu impossibile mandare a terra altre scialuppe in quel tumulto di flutti di nuovo infuriati. Le navi incrociarono per tutta la notte davanti alla spiaggia e la mattina seguente la violenza della risacca non era diminuita. Forse, convenne Jack, Patrick O'Brian
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poteva anche esserci stato un lieve miglioramento, ma non era assolutamente sufficiente; e la sua opinione, sostenuta con fermezza, fu che si dovesse procedere immediatamente per la Grande Chaloupe e portare rinforzo alle truppe sbarcate dalla Sirius e dalla Magicienne, lasciando l'Iphigenia e alcune navi da trasporto alla Rivière des Pluies, per mandare a terra altre truppe nel corso della giornata, se il mare si fosse calmato. Per fortuna il colonnello Keating fu pienamente d'accordo con lui e la Boadicea spiegò le vele, passò davanti a Saint-Denis dove i soldati giurarono di aver visto lampi di fucilate all'estrema periferia della città, doppiò il capo Bernard e si diresse a sud sud-ovest con tutta la forza di vele verso la baia della Grande Chaloupe, riconoscibile a distanza di molte miglia dalle navi che vi erano radunate davanti numerose e dal fuoco di moschetteria ormai chiaramente percepibile sulle alture sovrastanti. Si diressero a terra e là, sul lato sottovento dell'isola, com'era diversa la scena! Piccole onde che lambivano le spiagge calme, imbarcazioni che facevano la spola e sulle colline compagnie di soldati dalle giubbe rosse schierate perfettamente; compagnie di uomini in turbante, cannoni all'opera e altri cannoni che venivano trascinati verso le alture da file di marinai simili a formiche. Il colonnello e il suo stato maggiore si precipitarono a terra, ogni stanchezza svanita; truppe, pezzi di artiglieria, equipaggiamento pesante cominciarono a essere sbarcati dalle fregate. Il dovere di Jack lo tratteneva a bordo della sua nave, tuttavia, e lì rimase a guardare lo spettacolo attraverso la lente del cannocchiale. «Un ben misero modo di partecipare a una battaglia», disse al signor Farquhar, «come invidio il colonnello Keating!» Il colonnello Keating, in sella a un cavallo catturato su quella stessa spiaggia, spronò la sua cavalcatura su per il sentiero che portava alla postazione avanzata del colonnello Fraser, dalla quale osservarono entrambi la scena. «Un bell'attacco secondo le regole», commentò Keating con grande soddisfazione, spostando il cannocchiale a destra e a sinistra, «e una difesa molto ben studiata: i francesi hanno disposto le loro forze davvero come si deve.» «Sì, signore. Tutto secondo le regole, a parte i marinai che si precipitano contro le fortificazioni esterne per impadronirsene prima del dovuto, anche se devo confessare che hanno fatto meraviglie nel trasportare quassù gli obici. Ma nell'insieme è un attacco secondo le regole: laggiù sulla destra, Patrick O'Brian
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signore, dietro la stazione di segnalazione, Campbell e i suoi sepoys si sono disposti veramente bene e stanno aspettando solo l'ordine di attaccare; questo ci porterà più vicini di duecento metri al loro schieramento a mezza luna.» «Perché non date l'ordine, allora, Madre di Dio! Hanno già chiaramente aggirato il fianco del nemico. Dov'è la vostra staffetta?» «Dietro di voi, signore. Ma se permettete, devo dirvi che è in atto un abboccamento. Il gentiluomo politico della nave è arrivato con un ecclesiastico e una squadra di marinai e ha detto che doveva parlare con il comandante francese. Perciò, sapendo che era il consigliere del governatore, lo abbiamo lasciato andare, accompagnato dal tamburo e dalla bandiera bianca. Mi è sembrato giusto. Ora, però, me ne pento quasi... Siamo certi che sia a posto con la testa, signore? Mi ha chiesto di conservargli quest'osso, dicendo che non lo avrebbe affidato ai francesi per tutto l'oro del mondo.» «Ah, questi politici, voi capite, Fraser...» disse il colonnello Keating. «Non riuscirà a niente, comunque. Si sono trincerati molto bene sulla collina e anche se McLeod arrivasse da est, ci vorrà una buona settimana di assalti regolari per respingerli fino alle loro fortificazioni.» Studiarono con grande attenzione quelle fortificazioni finché non furono interrotti da un aiutante di campo: «Chiedo venia, signore, ma il dottor Maturin sta tornando con un ufficiale francese e un paio di civili». Il colonnello Keating gli andò incontro. «Colonnello Keating», disse Stephen, «le presento il colonnello Sainte-Susanne, comandante delle forze francesi sull'isola. Questi signori sono i rappresentanti delle autorità civili.» I due militari si salutarono, i civili si inchinarono. Stephen proseguì: «Il desiderio di evitare un inutile spargimento di sangue li ha indotti a chiedere quali sarebbero le condizioni di resa, e io ho assicurato loro che le condizioni sarebbero state onorevoli». «Certamente, signore», affermò il colonnello Keating, lanciando un'occhiata gelida a Stephen. «Signori, prego, da questa parte.» Jack e Farquhar, occupati prosaicamente a mangiare uno spuntino anticipato, si stavano domandando vagamente come mai fosse cessato il fuoco sulle alture quando furono interrotti da un'acclamazione sulla spiaggia prima e poi da un allievo che recava un biglietto scribacchiato in fretta. «Vogliate scusarmi, signore», disse Jack; e lesse: «Mio caro commodoro, il vostro amico ci ha. deluso. Ci ha derubato della nostra Patrick O'Brian
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battaglia, una battaglia che non avrebbe potuto essere più perfetta: avevamo respinto i loro picchetti, aggirato l'ala destra e sul più bello ci viene proposta la capitolazione, per evitare un inutile spargimento di sangue, affé mia! Accettano le solite condizioni di resa: onori militari, armi e bagagli, effetti personali e via discorrendo. Perciò, se a voi sta bene, venite per cortesia a terra per firmare insieme con il vostro umile servitore, H. Keating, ten. col.». Il commodoro scoppiò in una gran risata, si batté la mano sulla coscia robusta e infine porse la destra al signor Farquhar, esclamando: «Le mie felicitazioni, signore. Si sono arresi. Il vostro regno insulare vi attende. O perlomeno questa prima isola del vostro arcipelago».
CAPITOLO VII Sua Eccellenza il governatore della Réunion presiedeva il Consiglio in un abbigliamento splendido quanto l'oro e lo scarlatto dei colonnelli seduti alla sua sinistra, assai più brillante del blu consunto dal tempo degli ufficiali della Rovai Navy alla sua destra; e non se ne stava certamente muto. Non si scorgeva tuttavia nemmeno un'ombra di alterigia sul suo volto intelligente e intenso mentre cercava di condurre i convenuti ad approvare all'unanimità il piano audace del commodoro che prevedeva un attacco immediato contro Mauritius con lo sbarco simultaneo a partire dall'Ile Plate al largo di Port Louis e in prossimità di Grand Port sull'altro lato dell'isola. Il colonnello Keating lo aveva appoggiato fin dall'inizio, ma era necessario superare una netta inclinazione degli altri a godere per un po' i frutti della vittoria, a «far riposare gli uomini» e, cosa più seria, il desiderio di una corretta preparazione della campagna, così che, per esempio, i mortai non arrivassero senza le loro munizioni; se un'operazione tanto ambiziosa e rischiosa fosse fallita, l'averla intrapresa sarebbe stato giustificato solo con un voto unanime. «Faccio eco alle parole del commodoro, signori», disse Farquhar, «e grido: 'Non c'è un minuto da perdere!' In questo momento noi abbiamo la superiorità sul mare, cinque fregate contro tre, abbiamo a disposizione le navi per trasportare le truppe, il morale degli uomini è alto per la vittoria, e grazie ai documenti che abbiamo trovato qui, siamo in possesso di informazioni esatte sulle forze e sulla loro dislocazione a Mauritius.» «Ha ragione, ha ragione!» esclamò il colonnello Keating. Patrick O'Brian
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«Padroni del mare, potremo concentrare le nostre forze dove vogliamo. Inoltre il mio collega», e qui si inchinò a Stephen seduto all'altra estremità del tavolo, «mi assicura che in questa congiuntura, questa favorevolissima congiuntura, i nostri sforzi per demoralizzare il nemico hanno grandi probabilità di essere coronati dal successo, e noi tutti siamo consapevoli dei poteri del dottor Maturin in questo senso.» Non fu l'allusione più felice: qualche colonnello che aveva faticato e sudato nella speranza di conquistare la gloria in battaglia, rivolse a Stephen uno sguardo cupo. Rendendosene conto, il signor Farquhar si affrettò a continuare: «E forse è ancora più importante il fatto che in questo momento abbiamo le mani libere. La Leopard sta portando i nostri dispacci al Capo: non ritornerà. Nessun ordine, nessuna autorità che non conosca l'esatta situazione delle condizioni locali può togliere la guida delle operazioni a chi conosce questa situazione; per il momento nessun nuovo stato maggiore può arrivare con un piano di guerra elaborato a Bombay, a Fort William o a Whitehall. Ma non può durare». «Ha ragione, ha ragione!» affermarono il colonnello Keating, il colonnello McLeod e il colonnello Fraser; e gli ufficiali più grassi e più cauti si scambiarono occhiate imbarazzate. «Lungi da me il voler denigrare una paziente e laboriosa preparazione, della quale abbiamo tutti visto i risultati su quest'isola», riprese il governatore, «ma, signori, il tempo e la marea non aspettano e sono costretto a ricordarvi che la dea bendata non ha capelli sulla nuca.» Allontanandosi dalla Residenza attraverso stradine disseminate di proclami del governatore, Jack domandò a Stephen: «Che cos'era quella storia della dea bendata senza capelli? Avrebbe la rogna forse?» «Credo che Farquhar abbia voluto alludere al vecchio detto... ha voluto dire che bisogna afferrare la fortuna per i capelli quando la si ha di fronte, perché non la si può più afferrare una volta passata. Stando alla metafora, la parte posteriore del suo cranio sarebbe calva, non so se mi sono spiegato.» «Ah, sì, capisco. Piuttosto ben espresso, anche se dubito che le grasse aragoste intorno a quel tavolo abbiano capito la finezza.» Dopo una pausa di riflessione, soggiunse: «Non molto attraente, pelata sulla nuca: d'altronde si tratta di un'allegoria, un'allegoria...» Guardò con benevola approvazione la figura elegantissima di una donna accompagnata da una giovane schiava negra ancora più flessuosa, si fece da parte per lasciarle Patrick O'Brian
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passare, altere, indifferenti, distanti migliaia di miglia, poi continuò: «Comunque sono contento che alla fine si siano convinti. Signore Iddio, Stephen, che perdita di tempo sono questi consigli! Se fosse durato un altro giorno ancora, la squadra si sarebbe dispersa: la Sirius se n'è già andata e io avrei dovuto prendere le mie decisioni. Il mio primo dovere è sul mare ed è necessario che mi occupi di Hamelin prima che la Bellone e la Minerve siano ritornate. Così com'è, però, posso combinare le due cose. Pullings!» esclamò. Sull'altro lato della strada Pullings lasciò il braccio della giovane donna al suo fianco e venne verso di loro, arrossendo fino a diventare color mogano, raggiante tuttavia. «Avete trovato qualcosa di vostro gradimento, Pullings? Professionalmente parlando, voglio dire», gli domandò Jack. «Oh, sì, signore... stavo badando alla signora solo per un minuto, per conto del signor... per conto di un altro ufficiale... Ma non penso che me la lascerete avere, signore: troppo bella, davvero, a parte forse un po' di vermi nelle parti basse... teredine negli scalmi voglio dire.» A Pullings, mandato a Saint-Paul con la Sirius, quando la fregata si era allontanata subito dopo la capitolazione per catturare tutto il naviglio nella rada, era stato detto di scegliersi una nave in sostituzione del brigantino perduto e lui era al colmo della felicità. Seguirono con lo sguardo la giovane donna allontanarsi al braccio del signor Joyce e mentre camminavano Pullings, più coerente nei suoi discorsi una volta liberato dai suoi sensi di colpa (poiché molto stranamente i suoi ufficiali ritenevano Jack un modello di moralità, a dispetto delle numerose prove contrarie), si dilungò sui meriti della sua preda, una goletta armata per la guerra di corsa, con la carena rivestita di rame e meravigliosamente attrezzata e ben provvista. Si separarono davanti al cancello delle scuderie militari e mentre Bonden portava fuori un robusto cavallo nero, un tempo l'orgoglio della guarnigione francese, Stephen disse: «Non è il momento per domandarti in che modo intendi combinare i due piani, ma ammetto che sono curioso di saperlo. Bonden, vi consiglio nel vostro stesso interesse di non mettervi dietro le zampe di quella creatura». «Vieni con me a Saint-Paul e te lo dirò.» «Ahimè, ho un'udienza dal vescovo fra mezz'ora e poi un appuntamento alla tipografia.» «Forse è meglio così. Le cose saranno più chiare domattina. Bonden, alla via così.» Patrick O'Brian
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Le cose furono effettivamente più chiare la mattina seguente. Il commodoro aveva conferito con tutti gli ufficiali interessati, aveva i fatti ben incasellati nella mente e ricevette Stephen in una stanza ingombra di carte e di mappe. «Ecco, vedi qui», disse puntando il dito su un'isola tre o quattro miglia al largo di Grand Port, «questa è l'Ile de la Passe. Si trova sulla barriera esattamente all'imbocco dell'unico canale navigabile che immette nella rada; un canale diabolico, stretto, con un doppio gomito e una quantità di banchi e di scogli sul fondo. L'isola è ben difesa, ci sono circa venti cannoni di grosso calibro, ma la città non lo è. I francesi ci aspettano a nord, dove abbiamo svolto le operazioni di blocco per tutto questo tempo e intorno a Port Louis è raccolta la maggior parte delle loro forze: perciò se riusciamo a impossessarci dell'Ile de la Passe, e un paio di fregate dovrebbero farcela...» «Nonostante la navigazione così difficile? Questi sono fondali molto allarmanti, fratello. Vedo due, tre braccia segnate qui per un paio di miglia dentro la barriera; e qui c'è una vasta area con le parole Passaggio delle canoe con l'alta marea. Il tuo famoso canale è una vero serpente, un serpente magro per giunta. Ma non devo essere io a insegnarti il mestiere.» «Lo si può fare. Clonfert e il suo pilota nero conoscono queste acque alla perfezione. Guarda: qui c'è l'ancoraggio di Jacotet dove ha catturato il veliero americano. Sì, dovrebbero riuscire senza eccessive difficoltà, anche se naturalmente va fatto di notte e con le scialuppe, le navi non potrebbero avvicinarsi senza essere danneggiate dal fuoco delle batterie. Una volta presa l'isola, i francesi non riuscirebbero tanto facilmente a riconquistarla: la portata dei loro cannoni non arriva a coprire tutta la baia interna e dal momento che non hanno bastimenti di una certa potenza a Grand Port e nemmeno barche cannoniere, non hanno modo di avvicinare l'artiglieria al loro bersaglio. E neppure sarebbe facile prenderla per lame, visto che potremo rifornire l'isola dal mare. Perciò, occupando l'Ile de la Passe, noi togliamo ai francesi il loro porto migliore dopo Saint-Louis; avremo una base per le operazioni di sbarco e renderemo tutta la regione al di fuori della portata delle loro batterie accessibile ai tuoi volantini e alla raccolta dei tuoi semplici. Le piccole guarnigioni in città e lungo la costa è ben difficile che lascino la protezione dei loro cannoni.» «È un piano superbo.» «Non è vero? Keating ha già mandato a bordo della Néréide qualche Patrick O'Brian
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cannoniere di Bombay e truppe europee, per difendere la postazione quando l'avremo occupata; perché ovviamente la Néréide conosce questa zona più di tutta la squadra messa insieme.» «Non trovi che le imbarcazioni rovesciate alla Rivière des Pluies gettino una certa ombra sulle sue capacità?» «No, non trovo. Poteva succedere a chiunque in quelle circostanze, con i soldati pronti ad accusarci di avere paura. Avrei tentato anch'io. Ma non gli lascerò fare a modo suo all'Ile de la Passe, non voglio che mi diventi un nuovo Cochrane: Pym avrà il comando. Può darsi che non sia molto intelligente, ma è una brava persona, solida e regolare come un orologio. Perciò la Néréide, l'Iphigenia e forse lo Staunch...» «Che cos'è questo Staunch?» «È un brigantino, arrivato la scorsa notte da Bombay. Un piccolo brigantino molto utile e in ottime condizioni. Lo comanda Narborough, il tipo del vero ufficiale: te lo ricordi Narborough, Stephen?» Stephen scosse la testa. «Ma sì che te lo ricordi!» insistette Jack. «Lord Narborough, un uomo alto, nero di capelli, con un cane, un terranova, terzo ufficiale sulla Surprise.» «Vuoi dire Garron?» «Garron, sicuro, hai ragione. Si chiamava Garron, ma suo padre è morto l'anno scorso e ora lo chiamano Narborough. Allora, la Néréide, l'Iphigenia e forse lo Staunch, se riesce a rifornirsi in tempo di acqua dolce, andranno a Port Louis dove Pym sta sorvegliando i movimenti di Hamelin. L'Iphigenia rimarrà là mentre la Sirius e la Néréide si dirigeranno a sud verso l'Ile de la Passe.» «La Néréide non tornerà qui?» «Per aspettare la luna nuova, vuoi dire? No, non c'è tempo.» «In questo caso è meglio che mi trasferisca là. C'è molto da fare a Mauritius, e prima ci arrivo meglio è. Perché lascia che te lo dica, amico mio, anche se sono meno letali, i miei volantini sono efficaci come le... come le tue bordate.» «Stephen», disse Jack, «io ne sono convinto.» «Stavo per dire efficaci come le tue palle, ma ho temuto che il miserando gioco di parole potesse offendere un baronetto in embrione; perché Farquhar mi dice che, se questa seconda campagna dovesse avere successo come la prima, il Fortunato comandante delle operazioni riceverebbe certamente questo onore. Non ti piacerebbe essere baronetto, Jack?» «Be', quanto a questo», rispose Jack, «non sono sicuro di tenerci molto. Il Patrick O'Brian
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Jack Aubrey del tempo pagò una poderosa ammenda per non essere fatto baronetto da re Giacomo, sai. Non che abbia qualcosa da dire contro chi vince in una grande azione della flotta, è giusto e doveroso che quello sia fatto pari d'Inghilterra, ma quando si pensa alla massa dei titolati: mercanti, sporchi politicanti, usurai... be', allora preferisco restare un semplice Jack Aubrey: comandante Jack Aubrey, perché sono orgoglioso come Nabucodonosor di avere un rango nella marina e, se mai isserò la mia insegna, sarò fiero di dipingere a lettere colossali sulla facciata di Ashgrove Cottage QUI VIVE L'AMMIRAGLIO AUBREY. Non pensare che io sia uno dei tuoi scatenati giacobini democratici, Stephen, non voglio lasciarti con questa idea, ma ognuno vede le cose in un modo diverso.» Fece una pausa, poi continuò con un sorriso: «Ti dirò di un tipo che darebbe un occhio della testa per essere fatto baronetto: l'ammiraglio Bertie. Lui dice che è la signora Bertie a tenerci, ma tutti quanti nel servizio sanno che si è agitato un bel po' per ottenere l'ordine del Bagno. Signore Iddio», concluse ridendo di cuore, «pensare di doversi strusciare a St James a più di sessant'anni per un nastro, quando si è vecchi bacucchi! Forse potrei pensarla diversamente se avessi un figlio maschio: ma ne dubito». Nel pomeriggio del giorno seguente, il dottor Maturin, preceduto da due pacchi di volantini, proclami, manifesti, alcuni stampati a Città del Capo e altri usciti così di recente dalla tipografia di Saint-Denis che la stampa non era ancora perfettamente asciutta, con sei ore di ritardo si accinse a salire lungo la murata della Néréide. Ma gli uomini della Néréide non lo conoscevano ancora bene e, smaniosi di salpare per raggiungere l'Iphigenia che aveva fatto vela all'alba, si fidarono delle sue capacità marinare e il risultato fu che cadde fra la barca e la nave. Nella caduta batté la testa e la schiena sulla frisata della scialuppa, incrinandosi due costole prima di affondare nell'acqua tiepida e trasparente: la fregata si stava già allontanando e, sebbene si mettesse immediatamente in panna, a bordo nessuno parve capace di fare qualcosa di utile, tutti quanti si limitarono a correre di qua e di là per qualche minuto gridando, e, quando una scialuppa venne finalmente calata, per Stephen non ci sarebbe stato più niente da fare, se uno dei portatori negri non si fosse tuffato e non lo avesse ripescato. Il colpo era stato duro e un'infiammazione ai polmoni lo tenne inchiodato sulla branda per parecchi giorni, sebbene il tempo fosse bello e il sole gentile. Si trattava in realtà della branda del comandante, perché Patrick O'Brian
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Lord Clonfert gli aveva ceduto la sua cabina e aveva appeso un'amaca vicino al quadrato. Stephen si perdette quindi la veloce traversata verso nord, l'incontro con le navi al largo di Port Louis e il loro ritorno a sud su un mare grosso, per eseguire il piano di attacco del commodoro contro l'Ile de la Passe. Si perdette tutto, tranne il frastuono del loro primo tentativo di radunare le scialuppe per l'assalto in una notte nera come la pece e con il vento che soffiava a raffiche da prendere l'ultima mano di terzaroli, quando nemmeno il nocchiere indigeno della Néréide riuscì a trovare il canale e quando il cattivo tempo li costrinse a tornare a Port Louis; ma d'altro canto, in quelle circostanze di particolare intimità ebbe modo di conoscere meglio Clonfert e McAdam. Il comandante trascorse molte ore al capezzale di Stephen; la loro conversazione era saltuaria e per la maggior parte del tempo gli argomenti trattati erano di poca importanza, ma Clonfert si rivelò capace di una delicatezza quasi femminile. Sapeva restarsene in silenzio senza nessuno sforzo e sapeva sempre quando a Stephen avrebbe fatto piacere una bevanda rinfrescante o un po' d'aria dall'osteriggio; parlavano in un modo molto amichevole di romanzi, della più recente poesia dei romantici e di Jack Aubrey, o piuttosto delle imprese di Jack Aubrey; e Stephen talvolta vedeva, fra le varie personalità che componevano il suo ospite, una creatura gentile, vulnerabile, che suscitava il suo affetto. «La sua capacità di intuire», rifletté Stephen, «così gradevole in un tète-à-tète, viene meno quando in una stanza si trovano tre o più persone o quando è ansioso. Jack non lo ha mai visto sotto questo aspetto quasi domestico. Le sue donne sì, senza dubbio, e questo potrebbe spiegare il successo con loro di cui si vocifera.» Queste riflessioni furono suggerite dalla visita di un vecchio compagno, Narborough, davanti al quale Clonfert si pavoneggiò, monopolizzando la conversazione con aneddoti su Sir Sydney Smith e comportandosi con una tale affettazione di superiorità che il comandante dello Staunch fece presto ritorno a bordo della sua nave profondamente irritato. Eppure, quella stessa sera, mentre la Néréide e lo Staunch si avvicinavano ancora una volta all'Ile de la Passe, dirigendosi a sud mentre la Sirius faceva rotta a nord per non destare sospetti, Clonfert fu pacato, piacevole e cortese come non era mai stato: particolarmente conciliante, in verità, come se si fosse accorto del suo errore. E quando, a sua richiesta, Stephen gli ripeté il racconto Patrick O'Brian
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della cattura della Cacafuego da parte di Jack, con tutti i particolari, Clonfert disse con un sospiro: «Sì, gli rendo onore per questo, parola mia. Morirei felice con un'impresa come quella al mio attivo». Con McAdam i rapporti di Stephen erano molto meno gradevoli. Come la maggior parte dei medici, Stephen non era un bravo paziente e come la maggior parte dei medici McAdam usava un atteggiamento autoritario con chi era affidato alle sue cure. Non appena il malato ebbe riacquistato un po' di spirito, i due cominciarono a discutere sull'opportunità di un cingolo, di un purgante, di una flebotomia, tutte cure che Stephen ricusò con voce debole, roca, ma veemente, definendole «totalmente superate, degne di Paracelso o di un cavadenti alla fiera di Ballinasloe», insieme con una frecciata sulla predilezione di McAdam per la camicia di forza. Eppure questo, anche se unito alla guarigione di Stephen senza altro medicamento se non la tisana di chinina che si somministrava da solo, non avrebbe causato una reale animosità, se McAdam non avesse cominciato a provare risentimento per l'ascendente di Stephen su Clonfert e per l'evidente piacere che i due ricavavano dalla compagnia reciproca. La sera prima che la Néréide e lo Staunch, sebbene in ritardo per i venti contrari, tentassero di trovarsi all'appuntamento con la Sirius al largo dell'Ile de la Passe, McAdam entrò nella cabina, tastò il polso di Stephen e disse: «C'è ancora un filo di febbre che un salasso avrebbe certamente già fatto passare; ma vi permetterò di prendere aria sul ponte anche domani, se la battaglia vi lascerà un ponte su cui prenderla». Poi estrasse la sua bottiglietta quadrata dalla tasca, si riempì fino all'orlo il bicchiere della tisana di Stephen e, chinandosi, raccolse un foglio scivolato sotto la branda, un solo foglio stampato. «Che lingua è?» domandò, tenendolo alla luce. «È gaelico», rispose Stephen con calma: si sentì estremamente seccato con se stesso per aver lasciato in giro quel foglio, il suo senso di radicata prudenza ne fu ferito, sebbene le sue attività non fossero più un segreto per nessuno; era deciso tuttavia a non farlo vedere. «Questi non sono caratteri irlandesi», disse McAdam. «È difficile trovare quei caratteri di stampa nelle colonie francesi, credo.» «Suppongo che sia diretto a quei papisti farabutti di Mauritius», riprese McAdam, riferendosi agli irlandesi che si erano arruolati nell'esercito francese. Stephen non rispose e McAdam continuò. «Che cosa dice?» Patrick O'Brian
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«Non capite il gaelico?» «naturalmente no. Che cosa può farsene un essere civile di una simile lingua?» «Forse questo dipende dall'idea che avete di essere civile.» «Ve la spiego subito: per me un essere civile è un uomo che sa sistemare i ribelli del '98, che beve alla salute del re Billy e che manda il papa a...» A quel punto McAdam se la prese con i dannati ribelli irlandesi attaccando Croppies lie down e la sua voce gracchiante, trionfale ferì le orecchie troppo sensibili di Stephen ancora febbricitante. Stephen era quasi sicuro che McAdam non sapesse che lui era cattolico, ma la sua irritazione, accresciuta dal caldo, dal rumore, dagli odori e dalla sua attuale impossibilità di fumare, fu tale che, contro ogni suo principio, lo interruppe dicendo: «È un vero peccato, dottor McAdam, vedere un uomo del vostro valore ottenebrarsi la mente con il succo della vite». McAdam ritrovò in un istante la sua prontezza di spirito e replicò: «È un vero peccato, dottor Maturin, vedere un uomo del vostro valore ottenebrarsi la mente con il succo del papavero». Quella sera sul suo diario Stephen scrisse: «... la sua faccia chiazzata si è schiarita di colpo e mi ha chiuso la bocca con il laudano. Sono sorpreso della sua perspicacia. E tuttavia, è proprio vero che mi sto ottenebrando la mente? Certamente no: sfogliando questo stesso taccuino, non riesco a scoprire nessuna diminuzione di attività, mentale o fisica che sia. Il libello sulla vera condotta di Napoleone verso questo papa e verso il precedente mi è riuscito come gli altri che ho scritto: speriamo che sia tradotto altrettanto bene. Raramente mi capita di prendere mille gocce, una sciocchezza rispetto alle dosi dei veri mangiatori d'oppio o rispetto alle mie stesse dosi al tempo di Diana: posso farne a meno quando voglio e lo prendo solo quando il mio disgusto è così grande da minacciare la mia capacità di lavorare. Un giorno, quando lo troverò sobrio, chiederò a McAdam se il disgusto di se stessi, dei propri simili e della vita in generale era comune fra i suoi pazienti a Belfast. Mi sembra che il mio stia crescendo; e forse è significativo che io non provi nessuna gratitudine per l'uomo che mi ha impedito di annegare. Ho compiuto verso di lui i gesti che la cortesia richiede, ma non sento in realtà nessuna benevolenza nei suoi confronti. Di sicuro ciò è disumano? Ogni sentimento di umanità prosciugato dal disgusto? Sì, sta crescendo; e sebbene il mio odio per Napoleone e il suo malvagio sistema sia uno stimolante efficace, l'odio Patrick O'Brian
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soltanto è un fondamento miserando e sterile. E, laudano o no, il disgusto di tutto sembra persistere anche durante il sonno, poiché spesso lo ritrovo là pronto ad avvilupparmi al mio risveglio». La mattina seguente non fu una di queste occasioni sia pure frequenti. Avendo invano teso l'orecchio durante la notte per cercare di percepire i suoni che potevano annunciare una battaglia o anche solo un incontro con le altre navi, Stephen si svegliò da un lungo e benefico assopimento in uno stato di completo benessere, consapevole che la febbre era sparita e che qualcuno lo stava osservando dalla fessura della porta socchiusa. «Olà!» chiamò e un allievo nervosissimo la spalancò dicendo: «I complimenti del comandante al dottor Maturin e se il dottore è sveglio e si sente abbastanza bene, c'è una sirena sulla masca di dritta». Era a poppavia del traverso quando Stephen raggiunse l'impavesata. Una vasta creatura grigiastra con un muso rotondo e labbra spesse si rizzava fuori dell'acqua fissando la nave con i suoi occhietti simili a bottoni. La sirena, se davvero era tale, doveva aver sedotto un compagno di suo gradimento, perché con la pinna sinistra teneva stretto a sé un piccolo, grigio e massiccio. Si allontanò veloce a poppa, continuando a fissare la fregata, ma prima che la creatura si tuffasse, mostrando la larga coda al di sopra delle onde, Stephen ebbe il tempo di vedere il suo petto opulento, l'assenza di collo, di peli e di padiglioni auricolari nonché di calcolare il suo peso a più di cinquecento libbre. Espresse con il massimo calore la sua gioia per un simile regalo: aveva sempre desiderato vederne una... l'aveva cercata nelle lagune di Rodriguez e in quelle di un'isola vicino a Sumatra ma era sempre stato deluso fino a quel graditissimo momento... il suo desiderio era stato realizzato al di là delle aspettative. «Sono contento che vi sia piaciuta», disse Lord Clonfert, «e spero che serva in qualche modo a compensare le mie pessime notizie. La Sirius ci ha falciato l'erba sotto i piedi: guardate dov'è.» Stephen si guardò intorno. A quattro o cinque miglia sulla sua destra sorgeva la costa sudorientale di Mauritius, con la Pointe du Diable che si spingeva nel mare; sempre sulla sua destra, ma a un centinaio di iarde soltanto, la barriera corallina si allungava, a tratti in secco, a tratti sommersa dalle creste bianche, con qualche isolotto che s'innalzava dalla scogliera o spuntava dalle acque interne, chiare e basse. In fondo, dove Clonfert stava puntando il dito, la Sirius era vicina alla costa dell'isola fortificata sulle cui mura, nitidi nel cannocchiale, sventolavano i colori Patrick O'Brian
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inglesi. A dispetto del piacere che la contentezza di Stephen gli aveva procurato, era evidente che Clonfert si sentiva profondamente deluso. «Devono aver guadagnato almeno venti leghe su di noi mentre stavamo bordeggiando davanti alla punta», riprese, «ma se Pym avesse avuto un minimo di delicatezza, avrebbe aspettato: dopotutto gli ho prestato il mio pilota.» Da ospite attento, tuttavia, si trattenne da altre riflessioni amare e domandò a Stephen se gradisse fare colazione. «Siete molto gentile, signore», rispose Stephen, «ma credo che resterò qui nella speranza di vedere un'altra sirena. Generalmente si trovano nei bassi fondali vicino alla barriera corallina, mi si dice, e non vorrei perdermene una nemmeno per una dozzina di colazioni.» «Clarges ve la porterà qui, se siete proprio sicuro di essere abbastanza in forze. Prima però devo chiedere a McAdam di visitarvi.» L'aspetto di McAdam, ingrugnato e arcigno, era singolarmente poco attraente alla luce del mattino: sembrava anche un po' preoccupato, perché aveva un vago ricordo di uno scambio di parole aspre avvenuto la sera precedente. Avendo visto la sua sirena, però, Stephen era ben disposto verso l'umanità in generale e lo salutò calorosamente, dicendo: «Vi siete perso la sirena, mio caro collega; ma forse, se ce ne staremo qui tranquilli, è possibile che ne vediamo un'altra». «Non me la sono persa», grugnì McAdam, «ho visto la bestia dal coronamento; era solo un lamantino.» Stephen rifletté per qualche istante. «Un dugongo, sicuramente. La dentatura del dugongo è decisamente diversa da quella del lamantino: il lamantino, se ben ricordo, non ha incisivi. Inoltre, tutta l'estensione dell'Africa separa i loro rispettivi regni.» «Lamantino o dugongo, fa lo stesso», ribatté McAdam. «Per quanto concerne i miei studi, quell'animale è utile solo perché è un esempio che illustra perfettamente la forza, la forza irresistibile della suggestione. Avete sentito le loro fanfaluche a mezzanave?» «No», rispose Stephen. C'era stato un gran parlottare fra i marinai che lavoravano appena fuori vista a proravia del filareto, voci scontente e arrabbiate; ma sulla Néréide si chiacchierava molto e Stephen aveva attribuito l'irritazione degli uomini al fatto di essere arrivati troppo tardi e non era stato a sentire ciò che dicevano. «Sembravano dispiaciuti, comunque.» Patrick O'Brian
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«Certo che lo erano: lo sanno tutti che la sirena porta sfortuna. Ma non è questo il punto. State ad ascoltare, volete? Quello che parla ora è John Matthews, un uomo solido, sincero, di buon senso, e l'altro è il vecchio Lemon, che è stato in uno studio di avvocato e capisce che cosa vuol dire un elemento di prova.» Stephen ascoltò, riconobbe le voci, afferrò l'argomento della discussione: Matthews e Lemon, portavoci di due schieramenti opposti, sostenevano l'uno che la sirena aveva avuto in mano un pettine, l'altro che si era trattato di uno specchio. «Hanno visto il luccichio di quella pinna bagnata», spiegò McAdam, «e l'hanno trasformato, con una convinzione fanatica, in uno di questi due oggetti. Matthews è pronto a battersi con Lemon o con uno qualsiasi dei suoi seguaci a sostegno della propria idea.» «Gli uomini sono saliti sul rogo per cose anche meno importanti», osservò Stephen; e affacciandosi dal filareto, guardò in giù e gridò: «Vi sbagliate tutti e due: era una spazzola!» Silenzio assoluto nella mezzanave. Gli uomini si scambiarono occhiate dubbiose, poi si allontanarono senza far baccano fra le scialuppe in coperta, girandosi ogni tanto, disturbatissimi da quella svolta nella discussione. «La Sirius sta segnalando, signore», annunciò un allievo all'ufficiale di guardia, il quale era stato fino a quel momento così impegnato con uno stuzzicadenti da essere rimasto completamente sordo all'alterco. «Comandante salire a bordo.» «Sono ansioso di sapere se la Sirius ha fatto qualche prigioniero», disse Stephen quando il comandante comparve in coperta, «e, se permettete, vorrei accompagnarvi.» Pym dette loro il benvenuto con una giovialità minore del solito; era stato un piccolo scontro ma cruento, nel quale aveva perduto un suo giovane cugino e, sebbene i ponti fossero ormai puliti come se la fregata fosse all'ancora davanti a St Helens, si vedeva una fila di brande allineate per i funerali in mare, mentre le sue scialuppe erano ancora in disordine, tutte più o meno malconce, una con una carronata rovesciata in una pozza di sangue. Le ansie di quella notte avevano lasciato il segno su Pym e ora che l'eccitazione della vittoria stava diminuendo, appariva molto stanco. Per di più l'Iphigenia aveva mandato un esploratore ad avvertire che le tre fregate a Port Louis stavano per prendere il mare e la Sirius era estremamente, Patrick O'Brian
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affaccendata per prepararsi al ritorno. Il suo comandante tuttavia trovò il modo di essere affabile con Stephen, ma le preoccupazioni resero le parole che indirizzò a Clonfert brusche e formali. Quando Clonfert, dopo essersi congratulato con lui, cominciò a dire che forse la Néréide avrebbe potuto essere autorizzata a prendere parte all'azione, Pym lo interruppe subito, dicendo: «Non posso proprio discutere di questo adesso. Chi primo arriva primo alloggia, è la regola in certi casi. Qui ci sono i codici del comandante francese, non ha avuto il tempo di distruggerli. Quanto ai vostri ordini,' sono semplicissimi: dovrete difendere l'isola con una guarnigione adeguata. I francesi avevano qui un centinaio di uomini e due ufficiali. E tenere la posizione fino a nuovo ordine; nel frattempo svolgerete a terra le operazioni che vi sembreranno appropriate, dopo aver consultato il dottor Maturin, il cui parere dovrà essere seguito in ogni questione di carattere politico. Dottore, se volete vedere il comandante francese, la mia cabina è a vostra disposizione». Quando Stephen fece ritorno dopo aver interrogato il povero comandante Duvallier, ebbe l'impressione che Clonfert fosse stato rimproverato per il ritardo o per qualche errore tecnico che aveva a che vedere con la navigazione della Néréide; un'impressione che si rafforzò mentre tornavano alla nave insieme con il pilota mauriziano poiché Clonfert era taciturno, la bella faccia imbruttita dal dispetto. Ma l'umore di Clonfert era mutevole come il vento e quando la Sirius e lo Staunch furono scomparsi di là dall'orizzonte a occidente, portando Pym a dare man forte al blocco delle fregate francesi a Port Louis, il suo animo rifiorì. Ripulito il forte dal sangue e dai detriti, scavate per mezzo della polvere da sparo alcune fosse nella roccia corallina per seppellirvi i soldati morti, installati gli artiglieri di Bombay e cinquanta granatieri del 69° reggimento, spostati i lunghi cannoni così che una batteria fosse puntata sullo stretto canale e l'altra su tutti gli altri ancoraggi interni a tiro, portata la Néréide attraverso il canale navigabile a ormeggiarsi al sicuro dietro il forte, Clonfert si sentì un uomo libero, padrone di se stesso, con tutta la costa a disposizione per distinguersi. Aveva certamente ricevuto l'ordine di seguire il parere del dottor Maturin, ma il dottor Maturin, dopo avergli chiesto di arringare gli uomini sull'assoluta necessità di avere buoni rapporti con la popolazione civile, nera o bianca che fosse, maschile o femminile, non trovò assolutamente niente da ridire sui suoi piani militari, quali l'assalto alla batteria sulla Pointe du Diable e a tutte le altre batterie Patrick O'Brian
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che suscitassero l'entusiasmo di Clonfert. L'atteggiamento del dottor Maturin verso quelle scorribande era così lontano dall'arcigna disapprovazione temuta da Clonfert che Stephen accompagnò perfino la spedizione notturna delle imbarcazioni attraverso la grande laguna per conquistare all'alba e in grande stile la Pointe du Diable, senza una sola perdita. Il dottor Maturin rimase a osservare con evidente compiacimento la distruzione dei cannoni, la cattura di un bel mortaio di bronzo e la prodigiosa esplosione di fuoco quando saltò in aria il deposito della polvere, per andarsene poi in giro per la regione a prendere contatto con una quantità di persone e a diffondere la sua letteratura sovversiva. Un giorno dopo l'altro gli assalti contro le postazioni militari continuarono, a dispetto dell'opposizione delle forze regolari francesi e dell'assai più numerosa milizia locale; ma i francesi non avevano cavalleria e le scialuppe guidate da un pilota che conosceva ogni canale e ogni passaggio erano in grado di raggiungere l'obiettivo molto più rapidamente della fanteria. Inoltre, quando i volantini distribuiti da Stephen ebbero avuto una diffusione più capillare, divenne evidente che la milizia era sempre meno disposta a battersi; in effetti, dopo che gli uomini della Néréide ebbero attraversato in lungo e in largo la regione senza recar danno alla proprietà privata, pagando per tutto ciò di cui avevano bisogno, trattando civilmente la popolazione e mettendo in fuga le poche truppe che il comandante del settore meridionale aveva potuto opporre loro, l'atteggiamento della milizia assomigliò sempre di più a una benevola neutralità. Giorno dopo giorno i soldati, i marinai, i fanti di marina scesero a terra e la fregata cominciò a essere sempre più infestata da scimmie e pappagalli comprati nei villaggi o catturati nella foresta. Stephen, sebbene impegnato nella sua guerra personale, trovò il modo di avere un colloquio con una dama vecchissima il cui nonno aveva non solo visto, abbattuto e divorato un dodo, forse l'ultimo dei dodi, ma che aveva imbottito il lungo rotolo che fungeva da guanciale con le piume dell'uccello ormai estinto. Nonostante la mancanza di bottino, quello fu un periodo piacevole per gli uomini della Néréide, pieno di emozioni, in un clima gradevolissimo, per non parlare dell'abbondanza di frutta e di verdura fresche, di carne e di pane morbido. Tuttavia Clonfert esultante era un compagno meno simpatico di Clonfert depresso. Stephen trovava pesante la sua energia tumultuosa, sgradevole la sua smania di distruzione e quelle scorribande continue per il Paese, spesso in alta uniforme, con la spada dall'elsa ornata Patrick O'Brian
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di brillanti e la sua insulsa stella, lo annoiavano così come i pranzi che dava per festeggiare le vittorie della sua piccola truppa, a volte importanti, a volte di nessun conto. Si trattava di imprese nelle quali Stephen non distingueva nessun piano coerente: gli sembravano piuttosto una serie di scorrerie decise in modo capriccioso e, d'altro canto, proprio la loro mancanza di logica inquietava moltissimo il comandante francese. A quei banchetti partecipavano gli ufficiali di Clonfert e una volta di più Stephen notò il tono stranamente volgare del quadrato e degli allievi della Néréide, le adulazioni scoperte degli ufficiali e il desiderio altrettanto scoperto del comandante di essere adulato. Non un solo pranzo finiva senza che Webber, il secondo ufficiale, paragonasse Clonfert a Cochrane, a vantaggio di Clonfert; l'aggettivo «ardito» era di uso quotidiano e una volta il commissario di bordo, con un'occhiata in tralice a Stephen, lo paragonò al commodoro Aubrey, paragone che Clonfert si rifiutò di accettare, con finta modestia. Stephen osservò inoltre che quando era invitato McAdam, il che non avveniva sempre, egli veniva incoraggiato a bere e poi apertamente deriso; lo affliggeva vedere un uomo dai capelli grigi irriso da giovani che, per quanto in modo indubitabile audaci e bravi marinai, non potevano certamente vantare doti intellettuali e nemmeno una buona educazione. E trovava ancora più triste constatare che Clonfert non frenava mai i loro lazzi: il comandante sembrava più preoccupato di conquistarsi l'approvazione dei suoi ufficiali, la loro adorazione perfino, che di difendere un vecchio amico in difficoltà. Stephen trovava l'esaltazione di Clonfert particolarmente irritante la mattina. In special modo lo disturbò la sua compagnia un giorno in cui, durante una pausa degli impegni politici, stava trattando con la vecchia signora l'acquisto del rotolo imbottito di piume di dodo. Clonfert parlava bene francese e la sua intenzione era di essergli di aiuto, ma purtroppo toccò una nota falsa fin dall'inizio. Le sue facezie esagerate offesero e confusero la donna, che cominciò a dare segni di incomprensione e di allarme e a ripetere che non si dormiva veramente bene se non sulle piume di dodo; che il sonno era la più grande benedizione del Cielo per i vecchi; che i signori erano giovani e si sarebbero trovati altrettanto comodi sulle piume di sterna. Stephen aveva quasi rinunciato a ogni speranza. Ma Clonfert venne chiamato altrove, e mentre era via la vecchia signora ci ripensò; Stephen stava pagando il prezzo convenuto, quando la porta si spalancò, una voce gridò: «Correte! Correte alle scialuppe! Il nemico è in Patrick O'Brian
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vista!» e in tutto il villaggio si udì un rumore di passi affrettati. Stephen contò l'ultima moneta, afferrò il rotolo imbottito, se lo strinse al petto e si unì alla corsa generale. Lontano sul mare, sopravvento, cinque navi si stavano dirigendo verso l'Ile de la Passe. In equilibrio sulla sua iole, il cannocchiale puntato, Clonfert le individuò: «Victor, la corvetta, in testa. Poi la grossa fregata, la Minerve. Quella dopo non riesco a vederla bene. Poi, perdio, c'è la Bellone. E potrei giurare che l'ultima è di nuovo la Windham, della Compagnia. Svelti! Svelti! Forza sui remi!» La ciurma della iole remava con tutte le sue forze e ben presto si lasciò indietro le altre due scialuppe che si erano staccate dalla sponda. Altre tre, in una cala più lontana, non avevano ancora raccolto tutti gli uomini. Ma fu una lunga, lunghissima remata, l'intera estensione dei due ampi ancoraggi fra la spiaggia e l'isola, quattro miglia e più con il vento contrario. «Li attirerò in una trappola», disse Clonfert a Stephen. Poi, dopo un'occhiata impaziente alle imbarcazioni lontane, soggiunse: «Inoltre, se proseguono per Port Louis, la Sirius e l'Iphigenia non saranno in grado di resistere, con Hamelin che porterà fuori le sue fregate». Stephen rimase in silenzio. I marinai esausti portarono la iole ad accostarsi alla murata della Néréide, Clonfert ordinò al timoniere di aspettarlo e salì rapidamente a bordo; qualche momento dopo la fregata aveva issato i colori francesi e l'insegna e Clonfert si lasciava cadere nella scialuppa gridando: «Al forte! E remate con tutte le vostre forze». Adesso anche sul forte sventolava il tricolore e dopo una breve pausa il segnale francese venne issato sull'isola: Nemico incrocia a nord di Port Louis. Sulla fregata in testa alla squadra sventolò il segnale segreto di riconoscimento, l'isola rispose correttamente e ogni nave issò il suo nominativo. Clonfert aveva avuto ragione: Victor, Minerve, Bellone; le altre due erano velieri della Compagnia delle Indie, diretti a oriente e catturati nel canale di Mozambico: Ceylon e la sfortunata Windham. Avvicinandosi alla barriera la squadra francese ridusse la velatura; era chiaro che si sarebbero diretti a terra, ma ora avanzavano lentamente e ci sarebbe stato il tempo di prepararsi a riceverli. Stephen scelse un angolo remoto e alto del forte dal quale osservare tutta la scena e là si sedette sul suo rotolo imbottito. Sopra di lui le nuvole bianche sospinte dagli alisei Patrick O'Brian
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correvano alte nel cielo limpido e nel calore del sole il vento gli accarezzava fresco le guance; in alto un fetonte roteava, disegnando curve perfette. Ma in basso la confusione era maggiore di quanto Stephen si sarebbe aspettato. A bordo della Néréide, che era stata rimorchiata più vicina all'isola e che adesso era all'ancora con un traversino per rafforzare l'ormeggio, tutto sembrava a posto, anche se molti suoi uomini erano ancora lontani sulle scialuppe; la nave si stava preparando per il combattimento, i cannoni spuntavano già dai portelli e gli ufficiali parevano padroni della situazione. Ma nel forte era tutto un correre avanti e indietro, un vociare; i cannonieri indiani, i cui ufficiali erano altrove, sulle scialuppe o forse ancora a terra, discutevano animatamente fra loro. Soldati e marinai non si trovavano d'accordo e perfino fra questi ultimi non c'erano quell'allegria contenuta e quell'efficienza che avevano contrassegnato le azioni alle quali Stephen aveva partecipato con Jack Aubrey; si aveva l'impressione di una macchina che faticasse a mettersi in moto. Non venne distribuito il rancio: un piccolo particolare, ma al quale Jack Aubrey aveva sempre dato importanza. E il resto delle scialuppe, che trasportavano almeno centocinquanta fra soldati e marinai, erano ancora molto distanti: per quanto gli era dato di vedere, la lancia si era incagliata sulla punta di un banco di sabbia e la bassa marea rendeva più difficile alle altre liberarla. Nel forte e sulla laguna il tempo sembrava ristagnare, nonostante l'attività frenetica; sul mare, al contrario, scorreva con un ritmo costante, forse più veloce di quello naturale, e Stephen avvertì una grande, indefinita angoscia riempirgli l'animo, simile a quella di un incubo. Già si distinguevano le figure a bordo delle navi e ora anche le facce; gli ordini giungevano chiari, portati dal vento. Le navi francesi sfilavano per entrare nel canale, in testa la Victor, poi la Minerve, poi la Ceylon. La corvetta mantenne la rotta, imbrogliò i trevi ed entrò nel canale con le sole gabbie, gli scandagliatori al loro posto sui due lati della nave. Il chiasso nel forte era stato sostituito da un silenzio di morte: l'odore della miccia a combustione lenta fluttuava nell'aria, levandosi dai recipienti di riserva e da quelli accanto a ogni cannone. La corvetta avanzò nel canale, scivolò sempre più vicina, la campana che brillava sotto i raggi del sole; passò davanti al forte, dove i cannonieri in turbante erano rannicchiati dietro il parapetto, lo superò, e il silenzio era ancora assoluto. Il comando del nocchiere all'uomo al timone fece eseguire alla corvetta una virata stretta dietro il forte, nell'acqua di Patrick O'Brian
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nuovo profonda, a una ventina di iarde dalla Néréide. La bandiera francese venne ammainata a bordo della fregata, un'acclamazione accolse i colori inglesi che la sostituirono, poi la sua murata svanì dietro una grande nube di fumo mentre i cannoni ruggivano in un'unica vasta e prolungata esplosione. Un'altra e un'altra ancora, fra le grida incessanti: la corvetta gettò l'ancora sotto l'anca di dritta della Néréide, ancora investita dal fuoco della fregata, e un ufficiale corse a poppa sul ponte devastato, gridando che la nave si arrendeva. A quel punto la potente Minerve si era già addentrata nel canale, seguita da vicino dalla Ceylon: erano già direttamente esposte ai tiri dei pesanti cannoni del forte, senza poter invertire la rotta né avanzare più rapidamente. Era quello il momento decisivo e ogni uomo era pronto in attesa dell'ordine di fare fuoco. Sull'asta della bandiera i colori francesi si abbassarono rapidamente per essere sostituiti da quelli inglesi, ma lo sciocco esaltato che ammainò la bandiera, la gettò lontano facendola cadere su una miccia accesa accanto al deposito di munizioni. Le fiamme si levarono alte e, con un rombo ben più forte di una bordata, un centinaio di cariche esplosero tutte insieme in un bagliore più accecante del sole. Nello stesso istante gli artiglieri di Bombay, tuttora senza un ufficiale a impedire loro di caricare in eccesso i pezzi, fecero fuoco con i cannoni mal puntati, facendone esplodere o rovesciare sei e uccidendo un uomo sulla iole della Néréide che si stava recando sulla Victor per prenderne possesso. Stephen si rialzò in piedi mentre il fumo si andava disperdendo, avvertì le urla nonostante la sordità momentanea e accorse dove i morti e i feriti giacevano intorno all'asta della bandiera e ai cannoni rovesciati. L'assistente di McAdam era già lì con l'infermiere e tutti e tre, con l'aiuto di qualche marinaio in grado di ragionare, trasportarono i feriti al riparo di un bastione. Mentre erano impegnati a fare quello che potevano, fasciando orribili ustioni con bende ricavate dalle loro camicie e usando i fazzoletti, la scena cambiò. La Victor, dopo aver issato di nuovo la bandiera francese, aveva tagliato la gomena dell'ancora e stava seguendo la Minerve e la Ceylon verso Grand Port. La Bellone e la Windham, sufficientemente al largo in mare aperto, a una certa distanza dal canale per poter virare di bordo, stavano venendo al vento. Le navi nella laguna si dirigevano dritte verso lo stretto passaggio dove le scialuppe della Néréide stavano procedendo in un mucchio confuso e sembrava che entro pochi minuti dovessero essere catturate. La Minerve non mostrava nessun danno Patrick O'Brian
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visibile. Clonfert segnalò al forte dalla Néréide, chiamando i soldati perché salissero a bordo: aveva intenzione di attaccare la Minerve e aveva bisogno di tutti gli uomini disponibili per servire i cannoni. Non era un'impresa impossibile a dispetto della minore potenza di fuoco della Néréide; la Minerve non aveva ancora sgombrato i ponti, si stava avvicinando al secondo gomito del canale lungo il banco del Ferro di Cavallo, dove si sarebbe trovata nell'impossibilità di invertire la rotta, mentre la fregata inglese avrebbe avuto ancora spazio di manovra sufficiente nell'ancoraggio, per sticcare e spazzarle il ponte; e né la Victor né la Ceylon potevano essere di grande aiuto. Tuttavia, mente i soldati stavano salendo a bordo, la Bellone cambiò idea. Mollando i velacci, mise la prua sul canale e sull'isola. Apparve subito chiaro ciò che avrebbe fatto: sarebbe entrata. Ed entrò infatti nel canale con grande determinazione. Avanzando, pilotata senza dubbio da un uomo che conosceva perfettamente quel passaggio poiché l'onda prodiera che sollevava era altissima per un tratto di mare così difficile, Stephen si girò per vedere che cosa stesse facendo Clonfert e, con sua meraviglia, vide che la lancia e le altre scialuppe stavano passando, erano passate anzi accanto alle navi da guerra francesi senza essere toccate: le avevano praticamente sfiorate. Inesplicabile. Ma in ogni caso adesso erano là e i loro uomini salivano a frotte sulle murate della Néréide fra le acclamazioni. La Néréide non aveva ancora filato il cablotto. La Bellone avanzò. I cannoni della bordata di dritta erano già in batteria e mentre si avvicinava all'isola fece fuoco con quelli prodieri: il fumo la precedette e attraverso quel velo la nave francese riversò sul forte tutta la bordata, bombardandolo con le sue palle da diciotto libbre, e innumerevoli schegge letali di pietra piovvero sulla piccola guarnigione rimasta. Eseguendo una virata per entrare nell'ancoraggio della Néréide, fece fuoco con l'altra bordata contro il lato opposto della batteria del forte; a tutto questo gli artiglieri di Bombay, demoralizzati, senza l'aiuto della moschetteria, privi di ufficiali, non abituati alle navi, rispondevano con tiri sparsi, inefficaci. La Bellone puntò dritta contro la Néréide come se volesse abbordarla, ma un attimo prima dell'urto mise il timone alla banda e le mostrò il fianco. Per qualche momento le due navi furono pennone contro pennone, quasi toccandosi: entrambe le bordate esplosero insieme e quando il fumo si fu dissipato la Bellone aveva già superato la Néréide e Patrick O'Brian
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correva, ancora con i velacci a riva, verso il secondo stretto gomito del canale apparentemente senza aver riportato danni. La Néréide aveva perso il boma della randa e un paio di pennoni dell'alberetto di controbelvedere, ma il mutamento di rotta e un'improvvisa raffica di vento che aveva fatto sbandare la Bellone fecero sì che i tiri della fregata francese fossero troppo alti per colpire la Néréide nello scafo o per uccidere molti suoi uomini: avevano tranciato però l'ormeggio ed essa ruotò così in fretta, allargandosi tanto, che non poté fare fuoco contro la poppa dell'avversaria. Cadde di nuovo il silenzio. Le quattro navi francesi, poiché la Windham, esitante ad affrontare il canale e il forte era rimasta al largo, procedettero con facilità per andare ad ancorarsi tranquillamente in venti braccia d'acqua davanti al banco Olive, a metà percorso per Grand Port, e Clonfert fece ritorno sull'isola con un grosso contingente di soldati. Era di ottimo umore, girava dappertutto con gli ufficiali dell'esercito per disporre il forte in modo da resistere all'assalto della squadra francese. Scorgendo Stephen, gridò: «Che ne dite, dottor Maturin? Li abbiamo nel sacco!» Un po' più tardi, quando gli artiglieri ebbero rimontato i cannoni e le carronate di riserva ebbero sostituito i pezzi saltati in aria, disse: «Se non fosse stato per quell'infernale sfortuna con la bandiera, avremmo affondato la Minerve. Ma va bene anche così: la Bellone avrebbe preso il largo, mentre adesso le abbiamo tutte e due in trappola. Sto mandando Webber con la lancia a dire a Pym che, se potesse farmi avere una fregata, una sola, l'Iphigenia o la Magicienne se l'ha già raggiunto, potrei andare all'assalto e distruggerle tutte quante. Li abbiamo davvero nel sacco! Non potranno uscire se non con il vento di terra poco prima dell'alba. Come ci invidierebbe Cochrane!» Stephen lo osservò: davvero Clonfert, nella sua euforia, nel suo delirio di eccitazione, credeva di avere agito bene, che la sua posizione fosse difendibile? «Intendete per caso allontanarvi con la Néréide per andare a prendere i rinforzi?» «Certamente no. Pym mi ha ordinato di tenere il forte e io lo difenderò fino all'ultimo. Fino all'ultimo», ripeté, rialzando di scatto la fronte con un'espressione di orgoglio. Un'espressione che cambiò subito dopo, quando esclamò: «Avete visto che cos'ha fatto quel cane? La Victor mi si era arresa e poi ha issato di nuovo i suoi colori e se l'è filata da quel verme che è, vermiciattolo spregevole, che Dio lo maledica! Manderò a parlamentare per chiedere la resa. Guardate dov'è!» Patrick O'Brian
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Era all'ancora fra le due fregate pesanti e dal forte era possibile vedere il suo equipaggio impegnato a riparare i danni che la Néréide le aveva inflitto, i colori francesi che sventolavano in testa d'albero. «Sono molto, troppo vicine», osservò Clonfert. Si girò verso un ufficiale di artiglieria dall'aria allucinata, sconvolto per essere stato separato dai suoi uomini, per aver perduto la più bella occasione della sua carriera militare. «Capitano Newnham», disse, «credete che siano a tiro del mortaio?» «Possiamo provarci, my Lord», rispose Newnham. Caricò personalmente il pezzo con un proiettile da tredici pollici, lo puntò, un'operazione lunga e delicata, aggiustò la miccia con precisione e fece fuoco. Il proiettile volò alto nell'aria limpida, una palla nera che diminuiva a vista d'occhio e che scoppiò proprio sopra la Bellone. Grida di giubilo accolsero il tiro, ma le navi francesi filarono le gomene e si allontanarono per ancorarsi fuori della portata dei cannoni del forte. Un tiro successivo, alla massima elevazione, risultò troppo corto. Non ce ne furono altri. Le ultime ore di luce videro prendere tutte le precauzioni che avrebbero dovuto essere prese il giorno prima e la mattina seguente l'Ile de la Passe era in grado di affondare qualsiasi nave si fosse avventurata nel canale. La Néréide aveva issato nuovi pennoni di velaccio, riparato il boma e lapazzato l'albero di trinchetto; aveva anche mandato una scialuppa a chiedere la resa della corvetta. «Spero in Dio che Webber abbia trovato la Sirius», disse Clonfert, scrutando ansiosamente il mare. Ma il giorno passò senza che nessuna vela fosse avvistata di là dalla punta. Passò anche la notte, con le scialuppe che montavano la guardia; prima dell'alba si levò la pericolosa brezza di terra, pericolosa perché avrebbe potuto portare con la protezione del buio le potenti navi e una miriade di imbarcazioni attraverso la laguna, ma i francesi non si mossero e alle prime luci del giorno il vento da sud-est le bloccò in rada. Trascorsero così due giorni, senza nessun incidente degno di nota, a parte il rifiuto del commodoro francese di consegnare la Victor. I soldati vennero tenuti occupati negli addestramenti e nella pulizia dei moschetti, gli artiglieri si esercitarono ai cannoni, il capo cannoniere riempì cartucce e controllò le scorte. Clonfert continuava a essere animato e attivo come sempre e raggiunse il colmo dell'euforia il terzo giorno, quando le navi francesi si spostarono verso il fondo dell'ancoraggio, addentrandosi nei canali fra i fondali bassi, per portarsi sotto la protezione Patrick O'Brian
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delle batterie di Grand Port e ormeggiarsi in una linea curva da un'estremità all'altra della barriera sommersa che difendeva l'ingresso del porto; poiché questo, disse Clonfert, poteva significare una cosa sola e cioè che Webber aveva trovato la Sirius. Qualcuna perlomeno delle navi inglesi impegnate nel blocco doveva aver lasciato Port Louis, e il governatore Deacen, temendo un attacco alla Minerve e alla Bellone, aveva sicuramente inviato messaggeri via terra a Grand Port. Clonfert aveva visto giusto. Qualche ora dopo la stessa Sirius doppiò il capo con una grande forza di vele. «Pronti con il segnale», disse Clonfert quando si furono scambiati i nominativi; le bandiere già predisposte furono issate e Clonfert rise forte. «Che significa?» domandò Stephen. «Pronti per l'azione e Nemico di forza inferiore», rispose Clonfert con un serto sussiego; e subito dopo: «Presto con il libro, Briggs! Che cosa sta segnalando?» Il sottufficiale addetto ai segnali borbottò una risposta e l'allievo annunciò: «Mandare a bordo il nocchiere della Néréide, my Lord». «L'equipaggio della iole, subito!» gridò Clonfert. «Signor Satterly, fatela entrare più presto che potete.» Così fu e il suo ultimo segnale prima che la Sirius si impegnasse nel canale comunicò alla Néréide di procedere. La Sirius passò davanti al forte rapida quasi quanto la Bellone e ancora con le gabbie e i trevi spiegati sfrecciò accanto alla Néréide; Pym, sporgendosi dal filareto del cassero, fece segno a Clonfert di seguirlo. Le due navi avanzarono nel canale sinuoso con maggiore cautela, dato che la luce del giorno si andava affievolendo; la Sirius aveva però mantenuto le gabbie, mentre sulla Néréide il pilota mauriziano dirigeva la nave, tenendola con le sole vele di straglio. Borbottava fra sé preoccupato, perché una volta superato il banco del Ferro di Cavallo, la loro rotta li avrebbe portati in una zona della rada interna che non conoscevano bene, una zona che avevano evitato per non venire a trovarsi a tiro delle batterie di Grand Port. Superarono il banco del Folle, scandagliando di continuo, la Sirius in testa che avanzava velocemente; superarono i Tre Fratelli, poi un'accostata di quaranta gradi. Il richiamo dello scandagliatore arrivava chiaro, secco, rapido. «Al segno dieci; e dieci e mezzo; al fondo undici; undici, al segno quindici.» Una buona profondità d'acqua, un canale perfettamente libero, pareva; eppure, dopo l'ultima rilevazione dello scandaglio, la Sirius, Patrick O'Brian
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vicinissima alla prua della Néréide, urtò contro l'estremità di un banco e si incagliò profondamente nel corallo sommerso. Tuttavia, se proprio doveva incagliarsi, aveva scelto un buon punto per farlo: le batterie costiere non potevano raggiungerla e il vento, soffiando dritto contro la costa, inchiodava le navi francesi ai loro ormeggi. Mentre il sole tramontava su Mauritius, la Sirius e la Néréide poterono accingersi indisturbate a liberare la nave secondo tutte le regole; ma i tentativi che si protrassero per più di un'ora risultarono infruttuosi, dopodiché la marea cominciò a calare. Il giorno seguente, però, il colmo di marea sarebbe stato più alto e si sperava di liberare la nave verso le otto del mattino: nel frattempo non c'era niente da fare se non assicurarsi che un eventuale attacco delle scialuppe francesi non avesse successo. «Che ne pensate dello stato di esaltazione del nostro paziente?» domandò Stephen a McAdam. «Nelle circostanze attuali non trovate che stia superando i limiti di una condotta ragionevole? Non lo trovate morboso?» «Non so che cosa pensare», disse McAdam, «non l'ho mai visto così. È possibile che sappia quello che fa, ma è anche possibile che pensi soltanto a bagnare il naso al vostro amico e al diavolo tutto il resto. Non è mai stato così bello come in questi ultimi giorni, non è vero?» L'alba, e ancora i francesi non si erano mossi. A bordo della Sirius e della Néréide non si udì lo strusciare delle pietre, né lo sbattere delle redazze sui ponti ingombri di cime, di gherlini, di grossi paranchi, di tutte le risorse dell'arte dei nostromi. La marea giunse al colmo, i cabestani girarono, sempre più lentamente man mano che la tensione giungeva al massimo e gli sforzi di tutti gli uomini che potevano essere messi alle barre sollevarono la nave dagli scogli fino all'acqua alta dove finalmente si ancorò affiancata alla Néréide; tutti i carpentieri si affollarono intorno alle masche danneggiate dal corallo tagliente e aguzzo, gli uomini esausti furono chiamati dal fischietto del nostromo a una colazione posticipata e in quel momento al largo furono avvistate l'Iphigenia e la Magicienne. Clonfert inviò il suo nocchiere a guidarle, dato che il signor Sutterly, per quanto agitato e vergognoso, certamente ora conosceva il canale molto bene almeno fino a quel punto; ma si era fatto così cauto che l'ora di cena era già passata quando le ancore furono calate e tutti i comandanti si riunirono a bordo della Sirius per conoscere il piano di attacco studiato da Pym. Un piano chiaro, molto semplice. La Néréide, con il suo pilota locale, si sarebbe mossa per prima per andare ad ancorarsi fra la Victor e la Patrick O'Brian
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Bellone all'estremità settentrionale dell'allineamento francese; la Sirius, con i suoi cannoni da diciotto, avrebbe dovuto ormeggiarsi di traverso alla Bellone; la Magicienne fra la Ceylon e la potente Minerve; e l'Iphigenia, armata anch'essa con cannoni da diciotto libbre, al traverso della Minerve, chiudendo l'allineamento a sud. I comandanti fecero ritorno alle loro navi. Clonfert, straordinariamente gaio, giovane, spensierato, come se fosse stato posseduto da un qualche spirito allegro, scese nella cabina per indossare un'uniforme nuova; tornato in coperta, rivolse a Stephen un sorriso particolarmente caldo e affettuoso. «Dottor Maturin, credo che saremo in grado di mostrarvi qualcosa di paragonabile a ciò che avete visto con il commodoro Aubrey.» La Sirius issò il segnale e la Néréide, filando l'ormeggio, si portò in testa con le vele di straglio e con il pilota mauriziano che dirigeva la nave dal pennone dell'albero di parrocchetto, seguita dalla Sirius, poi dalla Magicienne e infine dall'Iphigenia, ognuna a una gomena di distanza dalla nave che la precedeva. Avanzarono lungo il canale sinuoso sospinte da una brezza costante e la costa si fece sempre più vicina; a ogni virata nel canale la distanza fra le navi aumentava e la Sirius, volendo affrettarsi per ridurla, sbagliò una manovra e andò a urtare con forza la barriera, incagliandosi. In quello stesso istante le fregate francesi e le batterie costiere aprirono il fuoco. Pym segnalò alle navi di proseguire e dopo cinque minuti la Néréide era fuori dallo stretto passaggio. La Magicienne e l'Iphigenia, giudicando la pericolosità del canale da quanto era successo alla Sirius, procedettero più lentamente ancora, distanziandosi ulteriormente; all'ultima ansa però, a quattrocento metri dalla linea francese, la Magicienne si incagliò. Le bordate nemiche, più che a spazzare i ponti, erano dirette a disalberare la Néréide che si stava avvicinando alla prua della Victor. «Farà piuttosto caldo fra un po', dottor Maturin», disse Clonfert; e poi, lanciando uno sguardo al di sopra del coronamento: «La Sirius non si è liberata, è immobilizzata ormai. Dovremo attaccare la Bellone per lei. Signor Sutterly, portatemi ad affiancare la Bellone. Portatemi ad affiancare la Bellone!» ripeté a voce più alta per farsi sentire nel frastuono generale: perché ora i cannoni prodieri della Néréide stavano rispondendo al fuoco francese. «Aye, aye, Sir», rispose il nocchiere. Per un tratto lungo un'altra gomena la nave mantenne la rotta, procedendo dritta sotto i tiri del nemico, altre cinquanta iarde, poi il pilota, facendo segno con la mano al nostromo Patrick O'Brian
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attento, gli ordinò di mettere il timone alla banda. La Néréide ruotò su se stessa, calò l'ancora e rimase là, affiancata alla grande fregata francese; i suoi cannoni ruggirono, vomitando fuoco contro la murata nemica. Un fuoco rapido: i fanti di marina e i soldati ammassati sul cassero e sul castello sparavano a volontà e con pertinacia al di sopra del riparo di brande mentre cime spezzate e bozzelli piovevano sulle reti di protezione e il fumo fluttuava spesso fra le due navi, riformandosi non appena disperso. Attraverso quel fumo i cannoni della Bellone eruttavano fiamme rossastre; lampi anche sulla Victor che si trovava sull'anca di dritta della Néréide. Stephen attraversò il ponte, spostandosi sull'altro lato: la MaYIphigenia gicienne, incagliata profondamente sul corallo tagliente, la polena puntata contro l'allineamento francese, era riuscita ciò nonostante a mettere in posizione i cannoni prodieri e stava martellando il nemico più che poteva mentre le scialuppe tentavano spasmodicamente di liberare la nave; l'Iphigenia si era portata vicino alla Minerve, separata dalla nave francese solo da uno stretto banco, una distanza minima, e le due fregate si stavano bombardando a vicenda con una furia spaventosa. Mai Stephen aveva sentito un frastuono così assordante, nel quale tuttavia riusciva a distinguere qualcosa a lui familiare: le urla dei feriti. I pesanti cannoni della Bellone massacravano letteralmente la Néréide, squarciando il riparo delle brande, facendo saltare i cannoni, sparando a mitraglia. Stephen era un po' incerto sulla sua posizione. In ogni altra occasione precedente il suo posto, in qualità di chirurgo della nave, era stato nell'infermeria, ma forse qui era suo dovere restare esposto ai tiri nemici senza fare niente, come facevano gli ufficiali dell'esercito; la cosa non lo turbava eccessivamente, notò, anche se ora i micidiali proiettili fischiavano sul suo capo. Al tempo stesso pensava che nell'infermeria sarebbe stato certamente più utile, con i feriti che venivano portati sottocoperta sempre più numerosi. «Per ora rimarrò qui, comunque», si disse. «Non capita tutti i giorni di assistere a una battaglia da una simile posizione.» La clessidra venne girata, la campana suonò: ancora e ancora. «Sei colpi», disse, contandoli. «Possibile che stia durando da tanto tempo?» E adesso gli sembrava che il fuoco della Bellone si fosse fatto molto meno convinto, molto meno preciso, che i cannoni della sua bordata non sparassero più all'unisono e che gli intervalli fra l'una e l'altra fossero più lunghi. Un'acclamazione confusa a prua della Néréide e sull'Iphigenia: in uno Patrick O'Brian
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squarcio nel fumo Stephen vide che la Ceylon, più debole e con un equipaggio ridotto, bersagliata dai tiri della Magicienne incagliata e dai cannoni poppieri dell'Iphigenia, stava ammainando i suoi colori; e in uno degli strani momenti di pausa senza una sola cannonata, udì il comandante dell'Iphigenia gridare con voce tonante alla Magicienne di prendere possesso della nave della Compagnia. Mentre però la scialuppa della Magicienne si stava avvicinando rapidamente nel mare sconvolto dalla pioggia di proiettili grandi e piccoli, la Ceylon mollò le gabbie e fuggì in direzione della costa, al riparo della Bellone. La scialuppa la stava ancora inseguendo fra i ruggiti furiosi del suo equipaggio, quando la Minerve, sia che avesse tagliato la cima dell'ancora sia che fosse stato il fuoco micidiale e continuo dell'Iphigenia a tranciargliela, ruotò su se stessa e seguì la Ceylon con il vento in poppa. Manovrò meglio della Ceylon, tuttavia, dato che la nave della Compagnia finì dritta contro la Bellone, costringendola a tagliare a sua volta l'ormeggio. Tutte e tre andarono alla deriva verso la costa in un solo mucchio, con la Minerve immediatamente dietro la Bellone e così vicina a questa da non poter fare fuoco. Ma i cannoni della Bellone erano ancora rivolti contro la Néréide che stava contemporaneamente per essere abbordata dalle scialuppe cariche di uomini provenienti da terra nonché dalla Minerve e dalla Ceylon: il fuoco della Bellone, che si era fatto più lento, riprese rapido e preciso. L'Iphigenia, direttamente sopravvento e a un solo tiro di pistola dalla nave francese, non poteva muoversi e fu subito chiaro in quei pochi minuti che le sorti della battaglia erano completamente mutate. Non si udivano più acclamazioni a bordo della Néréide. I serventi ai pezzi, nonostante tutto il loro spirito, cominciavano a essere molto stanchi e il volume di fuoco diminuì. Nel frattempo il sole era quasi tramontato e le batterie costiere, che fino a quel momento avevano martellato l'Iphigenia e la Magicienne, concentravano adesso il loro fuoco sulla Néréide. «Perché stiamo ruotando così?» si domandò Stephen; poi si rese conto che un colpo aveva tranciato il traversino che teneva la nave parallela alla Bellone. Ruotò la Néréide, ruotò finché la poppa non andò sugli scogli, urtandoli piano con il movimento delle onde, e non si presentò al nemico che la devastò con un incessante fuoco di infilata. I cannoni del giardinetto e di poppa sparavano ancora, ma gli uomini cominciavano a cadere numerosi. Il comandante in seconda e tre ufficiali dell'esercito erano morti, Patrick O'Brian
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il sangue non scorreva più a rivoli ma inondava il cassero. Clonfert stava dando ordini al nostromo per far rimorchiare la nave, quando salì in coperta un mozzo terrorizzato che gli si avvicinò di corsa e gli disse qualcosa, indicando con un gesto Stephen. «Dottor Maturin», disse Clonfert venendogli vicino, «posso chiedervi di dare un aiuto nell'infermeria? McAdam ha avuto un incidente. Ve ne sarei infinitamente obbligato.» L'incidente di McAdam risultò essere un coma epatico indotto dall'alcol e il suo assistente, che non si era mai trovato in un combattimento, era completamente sopraffatto. Stephen si tolse la giacca e nella semioscurità, alla debole luce di una lanterna, si mise all'opera: lacci emostatici, sega, bisturi, estrattore, sonde, divaricatore, fili di sutura, medicazioni, un caso dopo l'altro, le rischiose e delicate operazioni interrotte dai colpi rimbombanti delle palle che scuotevano lo scafo sfondandolo. E i feriti continuavano ad arrivare nell'infermeria, finché sembrò che metà o forse più di metà dell'equipaggio della Néréide fosse passata fra le mani insanguinate del chirurgo mentre la nave rimaneva là immobile sotto i tiri del nemico, senza ricevere aiuto, la sua potenza di fuoco ridotta a una mezza dozzina di cannoni. «Fate spazio! Fate spazio per il comandante!» udì gridare Stephen; ed ecco Clonfert davanti a lui, disteso sulla cassa sotto la lanterna. Un occhio, strappato dall'orbita, gli pendeva sulla guancia sfondata, uno squarcio sul collo lasciava intravedere alla fioca luce della lanterna la carotide pulsante, la parete lisa e sul punto di lacerarsi: una tipica ferita da scheggia, e lo stato spaventoso in cui era ridotta la sua faccia era opera della mitraglia. Clonfert era in sé, perfettamente lucido e non sentiva per il momento nessun dolore, un fenomeno niente affatto insolito in simili ferite e in simili circostanze. Non avvertì nemmeno lo scalpello, la sonda e l'ago, se non per dire che erano stranamente freddi; e mentre Stephen lo operava, continuava a parlare in modo sensato, sia pure con la voce alterata a causa della ferita alla mascella e dei denti rotti. Disse a Stephen che aveva mandato a chiedere a Pym se giudicasse opportuno far rimorchiare la nave o se bisognasse, utilizzando le scialuppe della squadra, trasportare i feriti sulle altre navi e incendiare la Néréide. «Potrebbe distruggere la Bellone nel saltare in aria», soggiunse. Stephen stava ancora medicando le sue ferite quando arrivò Webber accompagnato da un ufficiale della Sirius con un messaggio di Pym, un Patrick O'Brian
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messaggio che dovette essere urlato perché lo si potesse afferrare nel fragore immane delle cannonate francesi. Pym suggeriva che Clonfert si trasferisse a bordo della Sirius. L'Iphigenia non avrebbe potuto rimorchiare la Néréide almeno fino al giorno seguente, trovandosi dietro il banco di sabbia, e nel frattempo la nave di Clonfert sarebbe rimasta esposta al fuoco dei francesi senza che l'Iphigenia potesse rispondere per non colpire la Néréide; Lord Clonfert avrebbe dovuto certamente trasferirsi sulla Sirius. «E abbandonare i miei uomini?» gridò Clonfert con quella sua nuova voce strana. «Preferisco rivederlo all'inferno piuttosto che sulla Sirius. Ditegli che mi sono arreso.» Quando l'ufficiale se ne fu andato e Stephen ebbe terminato di medicare la ferita, gli disse: «Ha finito, dottore? Vi sono davvero riconoscente», fece per alzarsi. «Non vorrete provarci?» disse Stephen. «Sì. Mi sento le gambe abbastanza forti e salirò in coperta. Se devo arrendermi, bisogna che lo faccia perbene.» Quando fu in piedi, Stephen gli raccomandò di fare attenzione alla fasciatura sul collo: «Non azzardatevi a toccarla, morireste in un minuto». Poco dopo la maggior parte degli uomini rimasti scese sottocoperta per ordine del comandante; il ritmo quotidiano a bordo della nave non esisteva più, la campana non veniva suonata da più di un'ora: la Néréide stava morendo. Alcuni marinai scesero nell'infermeria e dal poco che ebbero voglia di raccontare e dalle parole frammentarie di quelli che andavano e venivano, i loro compagni appresero ciò che stava succedendo: era arrivata una scialuppa dall'Iphigenia per chiedere come mai i cannoni della Néréide non sparavano più e se il comandante voleva trasferirsi a bordo della fregata. Era stato risposto: noi ci arrendiamo e il comandante non si muove di qui. Il comandante aveva mandato a dire alla Bellone di cessare il fuoco. E perché aveva dovuto mandarglielo a dire? Perché si era arreso; ma la scialuppa non riusciva ad arrivare alla nave e nemmeno a farsi sentire... Poi si udì gridare: «Un incendio a bordo!» e tutti si precipitarono a spegnerlo. Poco dopo l'albero di maestra precipitò in acqua. Lord Clonfert scese di nuovo nell'infermeria e per un po' rimase lì seduto. Nonostante fosse impegnatissimo, di tanto in tanto Stephen gli dava un'occhiata ed ebbe l'impressione che fosse in una specie di trance. Ma dopo qualche minuto Clonfert si alzò e cominciò a girare tra i feriti, chiamandoli per nome. La mezzanotte era passata da molto tempo. I cannoni francesi sparavano Patrick O'Brian
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con meno energia, quelli inglesi tacevano da un pezzo e ben presto, dopo qualche tiro isolato, scese il silenzio. Gli uomini si addormentarono dove si trovavano. Stephen prese Clonfert per un braccio e lo guidò fino alla branda del commissario di bordo, molto più in basso, sotto la linea di galleggiamento, insegnandogli come doveva appoggiare la testa per non danneggiare la ferita, poi tornò dai suoi pazienti, più di centocinquanta: ventisette uomini erano morti nell'infermeria, ma per un centinaio Stephen nutriva buone speranze. E chissà quanti erano stati uccisi sul colpo in coperta e gettati fuori bordò. Svegliò il signor Fenton che si era addormentato con la testa sulle braccia appoggiate alla cassa che fungeva da tavolo operatorio e insieme si dedicarono alle loro medicazioni. Al levar del sole erano ancora all'opera. La Bellone riprese il fuoco nonostante i ripetuti richiami. Il capo cannoniere arrivò nell'infermeria con uno squarcio sull'avambraccio prodotto da una scheggia e mentre Stephen gli applicava il laccio e gli legava l'arteria, l'uomo spiegò a Stephen che in realtà i colori della Néréide non erano mai stati ammainati. Sventolavano ancora e non si riusciva a tirarli giù. Correva voce che fossero stati inchiodati ma il capo cannoniere di questo non ne sapeva niente e il nostromo, che sarebbe stato in grado di dire se fosse vero o no, era morto. «E non c'è più nemmeno una cima sana per poterci arrivare», continuò. «Così sua signoria ha dato ordine di abbattere l'albero di mezzana. Grazie tante, dottore, mi avete fatto proprio un bel lavoretto pulito, vi sono molto obbligato. E, signore», borbottò a bassa voce riparandosi con la mano, «se non vi vanno a genio le prigioni francesi, qualcuno di noi sta calando in mare una scialuppa per andare a bordo della Sirius.» Stephen annuì, controllò i casi più gravi, poi si diresse fra i rottami fino alla cabina. Clonfert non era là. Lo trovò sul cassero, seduto su un bidone delle micce rovesciato, che osservava i carpentieri al lavoro. L'albero di gabbia cadde, trascinando con sé la bandiera e il fuoco della Bellone cessò. «Ecco, ho fatto tutto secondo le regole», disse Clonfert in un mormorio appena intelligibile che usciva dalle bende che avvolgevano la faccia distrutta. Stephen, esaminando la ferita più pericolosa, trovò il comandante ragionevole anche se assente. «Vorrei trasferirmi sulla Sirius, my Lord», disse. «L'ultima scialuppa è pronta e vi prego di voler dare gli ordini necessari.» «Ma certamente, dottor Maturin. Spero che riusciate a mettervi in salvo. Vi ringrazio di nuovo.» Si strinsero la mano. Stephen prese qualche Patrick O'Brian
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documento nella sua cabina, ne distrusse altri e, risalito in coperta, si calò nella scialuppa, una discesa non lunga, poiché la carena della Néréide era posata sul basso fondale.
* Sebbene Pym lo ricevesse con gentilezza a bordo della Sirius ancora incagliata, la sua condotta non migliorò l'opinione che Stephen si era fatto di lui come comandante e come uomo di buon senso. L'Iphigenia, rimorchiata finalmente al di là del lungo banco che la separava dalla Minerve, mandò a chiedere il permesso di avvicinarsi alla costa e di attaccare le navi francesi là immobilizzate, affondandole con l'aiuto degli uomini che la Sirius e la Magicienne avrebbero potuto inviare, e non solo per attaccare il nemico, ma per salvare la Néréide. No, aveva risposto Pym, che aveva bisogno del suo aiuto per liberare la propria nave: l'Iphigenia doveva farsi rimorchiare fino alla Sirius. Due volte inviò questa risposta al sollecito dell'Iphigenia, e tutte e due le volte come ordine esplicito. Con l'Iphigenia che si allontanava a rimorchio, il fuoco dei francesi si concentrò sulla Magicienne, incagliata anch'essa sulla scogliera, lo scafo malamente sfondato, nove piedi d'acqua nella sentina e solo qualche cannone in posizione tale da poter sparare contro il nemico. Le cannonate francesi la investirono in pieno, la pioggia di palle cadde su di lei e talvolta sulle altre navi e sulle scialuppe rimaste sulle quali gli uomini esausti remavano; continuarono a remare freneticamente durante tutta quella terribile giornata di sangue e di morte, ma fu impossibile liberare la Sirius. Gli uomini vennero allora mandati a bordo dell'Iphigenia, dopo il tramonto la Magicienne fu incendiata e verso la mezzanotte saltò in aria in un doloroso splendore. Il giorno seguente i francesi avevano attrezzato una nuova batteria costiera più vicina alla sponda e con quella e con i cannoni delle navi cominciarono a tartassare l'Iphigenia e la Sirius mentre si tentava di liberare la fregata di Pym dalla scogliera. Alla fine, dopo aver faticato inutilmente e dopo una sgradevole scenata con il comandante dell'Iphigenia, assolutamente convinto (e Stephen unitamente a molti altri più qualificati era d'accordo con lui) che il suo piano avrebbe significato una vittoria completa e così furioso da non riuscire quasi a parlare in termini civili con l'uomo che ne aveva impedito la realizzazione, Pym si rese finalmente conto che la Sirius Patrick O'Brian
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non poteva essere salvata. L'equipaggio venne trasferito sull'Iphigenia e la Sirius fu a sua volta data alle fiamme: Pym rinunciò di conseguenza al comando, con ventiquattr'ore di ritardo. L'Iphigenia, rimasta sola, ritornò alle sue manovre di tonneggio. Era costretta infatti a portare fuori un'ancora attaccata a una lunga gomena, a gettarla, a spostarsi in avanti agendo sul cabestano, perché non una sola volta durante il giorno il vento cessò di soffiare dal mare e alla fregata era impossibile avanzare in alcun altro modo, dato che non osava avventurarsi nel canale con il buio, quando si levava la brezza di terra, una brezza che cessava non appena sorgeva il sole. E così, un'ora dopo l'altra le scialuppe, con le poderose ancore a bordo, trascinavano le gomene di nove pollici e inzuppate d'acqua; e se l'ancora faceva presa, se il fondale era buono, la nave avanzava un poco, mai più di cinquanta iarde alla volta a causa delle anse del canale. Ma spesso il fondo non era buono e le ancore non facevano presa o si rompevano o si perdevano del tutto; una fatica immane sotto un sole rovente e nello scoraggiamento generale. Nel frattempo le navi francesi a Grand Port si erano liberate e un brigantino francese era stato avvistato al di là dell'Ile de la Passe, probabilmente l'avanguardia della squadra di Hamelin da Port Louis. Non era possibile porvi rimedio, tuttavia, e l'Iphigenia avanzò lentamente verso il forte a tratti di cinquanta iarde alla volta per tutta l'estensione della vasta laguna e con interruzioni frequenti per il recupero delle ancore danneggiate. Occorsero due giorni prima che raggiungesse un punto a circa tre quarti di miglio marino dall'isola dove si ancorò per la notte. Il mattino dopo si vide che la Bellone e la Minerve avevano approfittato della brezza notturna per avanzare nei canali a loro ben noti nella1 laguna, prima di ancorarsi; l'Iphigenia ricominciò la sua fatica e alle otto, quando era a un migliaio di piedi dal forte e dal mare aperto, dall'infinita delizia della navigazione libera, furono avvistate tre navi che si erano unite al brigantino francese all'esterno della barriera corallina: la Vénus, la Manche e l'Astrée. Si stavano scambiando segnali con la Bellone e con la Minerve, e il vento, tuttora contrario all'Iphigenia, le stava portando rapidamente verso l'Ile de la Passe a mettersi in panna appena fuori della portata dei cannoni del forte. L'Iphigenia inviò immediatamente i soldati e molti marinai al forte e sgombrò i ponti per l'azione. Le restavano poche munizioni comunque; ancora prima che fosse finita la battaglia di Grand Port, aveva dovuto Patrick O'Brian
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chiedere rifornimenti alla Sirius e successivamente ne aveva usate tante che mezz'ora di fuoco avrebbe svuotato completamente la santabarbara. La preparazione per il combattimento era dunque in larga misura simbolica e veniva fatta, disse in privato il suo comandante a Stephen, per far vedere ai francesi che non si sarebbero arresi senza condizioni, che la nave aveva ancora i denti per mordere e che, se non poteva ottenere termini di resa decenti, quei denti li avrebbe saputi usare. «Così stando le cose», disse Stephen, «devo chiedervi il permesso di usare un'imbarcazione a vela prima che la Vénus e le altre navi chiudano completamente l'imboccatura del canale.» «Per tentare di raggiungere La Réunion, volete dire? Sì, certamente. Avrete la lancia e il mio timoniere, un vecchio cacciatore di balene, e il giovane Craddock per dirigerla: anche se non vorrei dover portare le notizie che porterete voi, no, nemmeno per mille sterline.» Si allontanò per dare ordini di preparare la lancia, caricando a bordo provviste, strumenti, carte nautiche, acqua, e quando fu tornato da Stephen, gli disse: «Vi sarei enormemente obbligato, dottor Maturin, se voleste portare con voi una lettera per mia moglie: dubito che potrò rivederla finché durerà questa guerra». La lancia avanzò nel buio lungo l'infido canale, urtando due volte contro gli scogli nonostante tutte le loro precauzioni, superò la barriera corallina e quando fu ben al largo spiegò la vela al terzo e fece rotta a sud-ovest. Aveva un carico di provviste per dieci giorni, ma nonostante avesse a bordo molti giovani gentiluomini e mozzi affamati, dato che il comandante dell'Iphigenia non era disposto a vedere quei ragazzi trascorrere anni in prigione, le scorte erano quasi intatte quando, dopo una traversata perfetta, Stephen si arrampicò laboriosamente sulla murata della Boadicea, ormeggiata con una sola ancora nella rada di Saint-Paul accanto alla Windham e alla nave da trasporto Bombay. «Stephen! Ma sei tu!» gridò Jack, balzando in piedi da dietro una massa di carte mentre Stephen entrava nella cabina. «Come sono contento di rivederti! Fra un paio d'ore sarei partito per l'Ile Plate con Keating e i suoi uomini... Stephen, che cosa è successo?» «Ora ti racconterò tutto», cominciò Stephen; ma dovette sedersi e fare una pausa prima di poter proseguire. «L'attacco a Grand Port è fallito. La Néréide è stata catturata, la Sirius e la Magicienne sono saltate in aria; e a quest'ora l'Iphigenia e l'Ile de la Passe si saranno certamente arrese.» Patrick O'Brian
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«E così», disse Jack dopo un po', riflettendo, «Minerve, Bellone, Astrée, Vénus, Manche e anche Néréide e Iphigenia: significa sette contro uno. Ma ci siamo già trovati in condizioni anche peggiori, direi.»
CAPITOLO VIII «Tutti gli uomini a levare gli ormeggi», comandò Jack. Il fischietto del nostromo trillò, sibilò, i marinai della Boadicea corsero ai loro posti, il piffero attaccò il suo motivetto acuto e penetrante: «Gira e tira, gira e tira!» gridarono gli aiuti del nostromo e a quel trambusto generale Stephen si staccò dall'impavesata, dove fino a quel momento, riparandosi gli occhi con la mano, era rimasto a guardare la nave all'ancora affiancata alla Boadicea. «Giurerei di averla già vista», disse. «Oh, non più di un centinaio di volte», commentò Jack. «È la Windham, la Windham della Compagnia. Questa volta era diretta in India, l'avevano catturata nel canale di Mozambico e la Sirius per poco non l'ha ripresa al largo di Grand Port. Pym non te l'ha detto?» «In fede mia Pym e io non ci siamo detti molte cose.» «Già, suppongo di no. Comunque, Pullings non se l'è lasciata sfuggire e l'ha recuperata con la sua piccola goletta proprio quando stava per mettersi sotto la protezione delle batterie della Rivière Noire: un bravo ufficiale, un vero marinaio, Tom Pullings...» «Siamo a picco, signore», annunciò il nostromo. «Forza con il capone», fu la risposta di Jack, automatica come in chiesa. «... L'ha riportata qui senza perdere tempo. Fino a quel momento non ne avevo saputo niente. Mollate, lassù!» gridò, dirigendo la voce in alto. Le gabbie si gonfiarono, la prua girò a nord-est e la fregata fece rotta, sbandando in modo sempre più accentuato; trevi, velacci e stragli vennero bordati a segno in successione, la velocità aumentò e l'acqua prese a scorrere sempre più rapida lungo le murate. La Boadicea rasentò le pericolose scogliere al largo di Saint-Denis, accostò di due quarte verso est e, aggiunto un fiocco volante, si diresse verso l'Ile de la Passe facendo i dieci nodi una guardia dopo l'altra, la sua scia una linea verde e fosforescente nel buio. Ogni minuto guadagnato era importante. Stephen aveva impiegato così poco tempo nella traversata che esisteva una possibilità che l'Ile de la Passe non si fosse ancora arresa e che l'Iphigenia resistesse ancora Patrick O'Brian
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all'interno della barriera, protetta dai cannoni del forte. Ogni minuto contava, dunque, e, nonostante vele e aste fossero così preziose, la fregata solcava il mare come se stesse inseguendo un galeone spagnolo; con un accanimento ancora maggiore anzi, tale che l'isola fu avvistata prima che facesse giorno. Quando vide i due picchi dei monti Bambous e la Pointe du Diable allineati per 287°, Jack ridusse la velatura, si arrampicò con il cannocchiale notturno sulla coffa di trinchetto mentre la nave scivolava silenziosamente in direzione della costa, con le gabbie che catturavano ciò che restava della brezza di terra. Gli occhi di Jack, abituati all'oscurità e aiutati dalle stelle e dalla falce di luna, gli permisero di farsi un'idea della situazione a terra e al largo e quando l'alba ebbe rischiarato il cielo prima del sorgere del sole, non fu sorpreso di vedere la Manche e la Vénus - ma non l'Astrée - a due miglia dalla barriera corallina sottovento, l'Iphigenia vicinissima alla scogliera dalla parte interna, Bellone, Minerve, Néréide e Ceylon lontane al riparo di Grand Port e i relitti della Sirius e della Magicienne nella laguna. Ma più di tutto lo colpi la vista di un quinto veliero, immediatamente a poppa della Néréide semidistrutta. Appoggiò il cannocchiale al bordo e, regolando con cura il fuoco, riuscì a vedere che si trattava della nave da trasporto Ranger proveniente da Bombay: solo una nave da trasporto, ma per la squadra inglese sarebbe stata preziosissima, poiché portava pennoni e alberi e trecento tonnellate di attrezzature e scorte di un valore incalcolabile. Jack stava aspettando il suo arrivo a Saint-Paul da alcuni giorni: l'Otter non era assolutamente in grado di riprendere il mare ed era stata messa a secco in attesa di ciò che la Ranger avrebbe portato; allo Staunch mancava quasi tutto e, se la Boadicea avesse perduto un'asta, non l'avrebbe certamente potuta sostituire. Ma la Ranger stava in quel momento rifornendo il nemico. La Bellone, che pure doveva aver sofferto terribilmente nel corso della lunga battaglia, aveva già i pennoni di velaccio a posto. L'espressione del viso di Jack si fece più dura. Nessuna bandiera sventolava sul forte né sull'Iphigenia: si erano già arresi? In caso contrario non sarebbe stato inconcepibile pensare di poter rimorchiare l'Iphigenia lungo il canale, sotto la protezione della Boadicea e del forte, e, con l'aiuto di un'altra nave, sia pure malridotta, Jack avrebbe potuto pensare alla Vénus e alla Manche; se era infatti a corto di materiali, abbondava di uomini e di munizioni. E non era quello il momento di caute misure difensive. Jack scese sul ponte, dette l'ordine di issare l'insegna, il Patrick O'Brian
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segnale segreto e il gruppo di bandiere in linea verticale che avrebbero rese chiare le sue intenzioni. La Boadicea avanzò mentre il sole sorgeva dal mare, i segnali sventolanti, attenta alle fregate francesi da un lato e al forte e all'Iphigenia dall'altro. Avanzava e nessuna bandiera gli rispondeva ancora, sebbene il sole fosse ormai una spanna al di sopra dell'orizzonte. Ancora qualche minuto e la Boadicea sarebbe stata a tiro. «Un colpo di cannone sopravvento, signor Seymour», disse Jack. «E lasciate fileggiare il parrocchetto.» In risposta i colori inglesi salirono sull'asta della bandiera ormai vicina: ma la Boadicea rimase in attesa. Poi, dopo una pausa durante la quale i segnali andarono su e giù senza essere spiegati, ma fingendo abilmente un intoppo nella drizza, ecco il segnale segreto. «Uomini pronti a virare», ordinò Jack, poiché il segnale segreto era superato da almeno dieci giorni. Non fu una sorpresa per gli uomini della Boadicea e la nave girò su se stessa, rapida come una goletta corsara. I cannoni del forte rivolti verso il mare aperto sollevarono spruzzi bianchi sulle onde lunghe, tiri di duecento iarde troppo corti accolti da grida di derisione e poco dopo una fila di imbarcazioni cariche di prigionieri si staccò dall'isola in direzione della Manche. La fregata francese li accolse a bordo e si apprestò a seguire la Vénus, che stava già bordeggiando a velatura ridotta, come se volesse portarsi sopravvento alla Boadicea. Non appena la Manche l'ebbe raggiunta, le due fregate francesi spiegarono i velacci. Si vedevano gli uomini sgombrare i ponti per l'azione, le navi avanzavano con l'aria di voler fare sul serio. Jack la osservava con estrema attenzione, l'occhio incollato al cannocchiale, studiando il modo in cui i comandanti conducevano le navi, valutando le loro qualità marinaresche, cercando di scoprire i trucchi intesi a mascherare la loro effettiva velocità; e durante tutto quel tempo continuò a tenersi appena fuori tiro dei loro cannoni. Al successivo cambio della guardia sapeva già di essere più veloce e sapeva anche che la Vénus era più veloce della Manche e che avrebbe dovuto cercare di separarle. Mentre però stava ragionando febbrilmente sulle possibili conseguenze di tale separazione, su un combattimento durante la notte, su uno sbarco sulla scogliera alle spalle del forte, le navi francesi abbandonarono l'inseguimento. La Boadicea abbatté e le inseguì a sua volta, spiegando i controvelacci Patrick O'Brian
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per raggiungere il limite della portata del cannone di bronzo sul castello di prua e sparando contro la Vénus sulla quale sventolava l'insegna di Hamelin. La Vénus e la Manche risposero con i cannoni puntati obliquamente fuori dai portelli, così in basso che i tiri risultarono inefficaci a quella distanza. Le tre navi continuarono a correre sulla stessa rotta, senza procurarsi danni a vicenda fino a quando un tiro Fortunato della Boadicea, dopo un triplo rimbalzo sul mare calmo, non arrivò a bordo della Vénus. L'allievo arrampicato sulle crocette dell'albero di trinchetto riferì di un certo trambusto sul cassero della Vénus e subito dopo le navi francesi virarono di bordo e la Boadicea riprese nuovamente la rotta a sudovest. Tutto il giorno la nave tentò ogni astuzia e ogni trucco per attirare la più veloce Vénus lontano dalla Manche, ma senza nessun risultato. Hamelin non aveva la minima inclinazione romantica a battersi in un duello, ma preferiva decisamente trovarsi in vantaggio. Le due navi francesi rimasero a mezzo miglio di distanza l'una dall'altra, facendo ripercorrere alla Boadicea l'intero tratto di mare fra Mauritius e La Réunion. «Perlomeno ora conosciamo abbastanza bene il nostro nemico», disse Jack a Seymour e a quanti erano sul cassero, quando le luci di Saint-Denis apparvero due miglia a sud-ovest e ogni speranza fu svanita. «Sì, signore», convenne Seymour. «Avremmo potuto affiancarci a loro in qualsiasi momento. Carene sporche, senza dubbio.» «La Manche è lenta nel mettere a segno le vele dopo la virata», disse Trollope. «L'ho notato due volte.» «Di sicuro, signore, non si possono definire intraprendenti», osservò Johnson. «natiche pigre», disse una voce non identificata nell'oscurità. Nella cabina, durante la cena posticipata, Jack disse a Stephen: «Fellowes ha preparato l'elenco di quello che ci serve: eccolo qui. Posso pregarti di andare da Farquhar per spiegargli come stanno le cose e chiedergli di procurarci tutto quanto riuscirà a trovare e farcelo avere sul molo di SaintPaul domani mattina? Non ti chiedo nemmeno di scusarti con lui da parte mia, ho mille cose da fare, Farquhar capirà». Prima che Stephen potesse rispondere, Lentiggine si affacciò: «Mi avete mandato a chiamare, signore?» «Sì. Signor Richardson, porterete l'esploratore Pearl con quattro bravi marinai a Port Louis. Cercate lo Staunch e portatelo qui. Il signor Peter ha Patrick O'Brian
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pronti gli ordini da recapitarle.» «Quale responsabilità per un ragazzetto foruncoloso!» osservò Stephen fra un boccone e l'altro del suo pane al forno con formaggio. «Aye», disse Jack, il quale aveva portato a Plymouth un brigantino goletta catturato al largo di capo Finisterre prima di cambiare voce. «Dobbiamo contare sui pesci piccoli ormai, uomini e navi. Sai, se oggi avessimo avuto con noi l'Otter o perfino lo Staunch, avremmo potuto attaccare la Manche, così poco maneggevole.» «Davvero?» «Buon Dio, sì», confermò Jack. «E ho fiducia che potremo provarci domani. Ho spedito di corsa Seymour a Saint-Paul per avvertire Tomkinson di lasciare l'Otter dov'è e di trasferire tutti i suoi uomini sulla Windham per raggiungermi in rada. Con il vento che si sta levando sono sicurissimo che Hamelin bordeggerà tutta la notte.» Hamelin stava bordeggiando piuttosto lontano quando all'alba la Boadicea si diresse velocemente a Saint-Paul: la Vénus e la Manche erano un semplice bagliore di gabbie sullo sfondo azzurro a occidente. Tuttavia erano là e quando Jack Aubrey ne fu certo senza ombra di dubbio, puntò il cannocchiale sulle navi nella rada. «Che cosa diavolo di un demonio sta facendo la Windham?» esclamò. «Non ha nemmeno alzato i pennoni! Signor Collins: Windham fare vela immediatamente, e un colpo di cannone ogni minuto finché non avrà salpato l'ancora. Che Dio strafulmini il...» Tacque di colpo e stringendosi le mani dietro la schiena si mise a passeggiare avanti e indietro. «Non l'ho mai visto con una faccia tanto scura», disse fra sé Stephen, guardandolo dal coronamento. «Fino a questo momento aveva sempre sopportato questi rovesci della fortuna con singolare magnanimità, assai maggiore di quanto mi aspettassi. Non una parola sulla disastrosa follia di Clonfert, soltanto espressioni di simpatia per lui a causa delle sue ferite, sperava che all'ospedale francese riuscissero a curarlo bene, ha detto. Nessun commento nemmeno sulla cocciuta stupidità di Pym. E tuttavia la grandezza d'animo ha i suoi limiti: forse è questo il punto di rottura?» «Un altro colpo di cannone», disse Jack, fermandosi di botto nel suo andirivieni per lanciare uno sguardo infuriato al lontano Hamelin. «Signore», annunciò Trollope timidamente, «una nave da trasporto sta doppiando la punta. La Emma, credo. Sì, signore, la Emma.» La Emma, che aveva issato il segnale e che sembrava in preda Patrick O'Brian
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all'agitazione, ansiosa di comunicare con la Boadicea: la pesante nave da trasporto dalle murate lunghe e piatte continuava a mettere a collo e a far portare, mantenendo a riva tutta la velatura. «Il comandante si porti a bordo dell'ammiraglia, signor Collins», disse Jack. La scialuppa di poppa della Emma venne calata in fretta e furia, sollevando alti spruzzi; attraversato il tratto di mare fra le due navi, si accostò alla Boadicea e il comandante salì a bordo. «Signor Pullings!» lo apostrofò Jack. «Che cosa vi prende?» «Vi chiedo perdono, signore», rispose Pullings pallido per l'emozione. «Ho i cannoni della Windham a bordo: il comandante Tomkinson ha declinato l'incarico.» «Venite in cabina, mi spiegherete con calma», gli disse Jack. «Signor Seymour, procedete: rotta nord nord-ovest.» Una volta nella cabina del commodoro, dalle spiegazioni impacciate, complicate, imbarazzate di Pullings, risultò che Tomkinson, avendo verificato lo stato della Windham, si era rifiutato di farle prendere il mare fino a quando le riparazioni non fossero state completate e aveva fatto ritorno sull'Otter anch'essa immobilizzata. Pullings, che aveva assistito alla scena, era arrivato a un accordo con il comandante della Emma, a terra ammalato, aveva trasferito sulla nave da trasporto, in condizioni migliori della nave della Compagnia, i suoi uomini e una ventina di volontari e con sforzi sovrumani durati tutta la notte aveva fatto trasportare sulla Emma i cannoni della Windham e le sue carronate, aiutato dal colonnello Keating, il quale gli aveva mandato anche artiglieri e soldati. «Quel Tomkinson!» gridò Stephen che davanti a Pullings poteva parlare senza mezzi termini. «Non dovrebbe essere impiccato, frustato o quanto meno cacciato dal servizio, l'infame sgualdrina?» «No», rispose Jack, «è un poveretto, che Dio lo aiuti, ma è nel suo diritto. Un comandante può rifiutare un comando per motivi come quelli. Tom», disse poi, stringendo la mano a Pullings, «siete un vero ufficiale di marina; vi sono obbligato. Se riuscirete a tirar fuori otto nodi dalla vostra Emma, fra non molto potremo dare un'occhiata da vicino a quei francesi laggiù.» Le due navi procedettero di conserva, seguendo una rotta che in un paio d'ore avrebbe assicurato loro il vantaggio del vento, a nord dell'isola, dove la brezza si orientava più a est. Ma non furono necessarie due ore per Patrick O'Brian
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capire che la Emma non ce l'avrebbe fatta. Sei o forse sette nodi erano il massimo che avrebbe mai potuto raggiungere, anche con il vento al lasco, coltellacci e perfino coltellaccini e strane vele senza nome, tutto spiegato e in forza. Quando fu necessario stringere il vento di tre quarte, non riuscì nemmeno ad arrivare ai sei nodi, per quanto i suoi uomini capaci e pieni di buona volontà mettessero in opera ogni possibile risorsa. Per restare in vista della Emma, la Boadicea dovette imbrogliare i velacci; dal canto suo Hamelin, elemento indispensabile del desiderato scontro, continuava veloce sulla sua rotta, senza mai dar segno di voler ridurre la velatura e ancora meno di voler aspettare le due navi. Hamelin, però, si era ormai spinto tanto a ovest che avrebbe dovuto dirigersi su Port Louis piuttosto che verso Grand-Port e questa era una buona notizia per Jack, perché gli avrebbe permesso di affacciarsi un'altra volta sull'Ile de la Passe, mentre la Emma avrebbe potuto svolgere il compito importantissimo che avrebbe dovuto svolgere l'Otter. «Mettere a collo il parrocchetto, signor Johnson, se non vi dispiace», disse Jack poco prima che gli uomini fossero mandati alle loro mense; e quando la Emma ebbe finalmente raggiunto la Boadicea, chiamò Pullings e gli dette istruzioni di fare rotta su Rodriguez, per mettere l'esercito al corrente della situazione, e poi di incrociare fra quell'isola e il cinquantasettesimo meridiano est, per avvertire tutte le navi della Royal Navy o della Compagnia delle Indie che avrebbe avvistato, prendendo al tempo stesso le misure necessarie. «E, signor Pullings», soggiunse con voce sonora, «se catturerete una o due fregate non ci troverò niente da ridire: ne resteranno sempre in abbondanza per me.» Una battuta modesta, in verità, ma detta - o meglio ruggita - in un modo che fece distendere il volto preoccupato e stanco di Pullings in un largo sorriso.
* La Boadicea si affacciò sull'Ile de la Passe che l'accolse con il fragore dei suoi cannoni pesanti; si affacciò al di là dell'isola, al di sopra delle volute di fumo, su Grand Port e là vide la Bellone, raddobbata e pronta a prendere il largo. La Minerve aveva alberi di gabbia di fortuna e la Néréide qualcosa di simile a un albero di maestra e di mezzana; su entrambe le navi gli uomini erano impegnati a calafatare e i carpentieri Patrick O'Brian
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erano all'opera. L'Iphigenia non si vedeva più. Non c'era niente da fare là per la Boadicea, che invertì la rotta dirigendosi alla Réunion. «Signor Seymour», disse Jack in quel curioso tono distaccato e impersonale che aveva assunto da quando gli erano giunte le notizie della disfatta, «da quanto tempo non esercitiamo gli uomini ai cannoni?» «Da parecchi giorni, signore. Da molto più tempo del solito», rispose Seymour, frugando ansiosamente nella memoria per ricordare il giorno preciso; quel nuovo e in certo modo disumano commodoro, infatti, sebbene né severo né ipercritico, incuteva un sacro terrore a tutti gli ufficiali. «Da sabato scorso, credo.» «Allora chiamerete gli uomini ai posti di combattimento con mezz'ora di anticipo e li farete esercitare. Possiamo permetterci due... no, tre tiri per pezzo; e forse avremo anche un vero bersaglio.» Se Hamelin era quale Jack lo immaginava, avrebbe sicuramente mandato l'Astrée e una o due corvette a incrociare fra Mauritius e La Réunion, e le cannonate le avrebbero forse attirate. Quel pomeriggio, dunque, il rimbombo delle bordate della Boadicea riecheggiò nell'aria. I serventi ai pezzi, nudi fino alla cintola e madidi di sudore, si applicarono con uno zelo maggiore del consueto a mettere in batteria e a ritirare i massicci cannoni: anche i marinai avevano infatti imparato già da molto tempo a intuire lo stato d'animo del loro comandante, il quale stava in quel momento osservando con vera soddisfazione il suo equipaggio, uomini tutti notevolmente sani, ben nutriti grazie all'abbondanza di carne e di ortaggi freschi, in buona forma e ben addestrati. Bravi cannonieri anche: in otto secondi netti la Boadicea non era mai riuscita a ottenere un fuoco più rapido e accurato. Sebbene non fosse, né mai avrebbe potuto essere, eccezionale nella navigazione, la fregata non aveva niente da temere da parte di una nave francese presente in quelle acque. E nemmeno da due navi, se solo avesse avuto il sostegno di una corvetta ben manovrata e fosse riuscita a impegnarsi in un combattimento notturno, per quanto pericoloso fosse; un combattimento in cui contavano in special modo la disciplina rigida e la precisione. Eppure, quando i cannoni furono alla fine ritirati e di nuovo freddi, il mare continuò a essere vuoto, un'immensa distesa azzurra e ininterrotta che li circondava e che si andava adesso colorando di zaffiro cupo. Non ci sarebbe stata nessuna battaglia quella notte. E nemmeno ci fu battaglia il giorno seguente, nelle venti miglia d'acqua Patrick O'Brian
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prima che la fregata gettasse l'ancora a Saint-Paul. Nessuna azione sul mare, ma un'attività frenetica a terra. Jack si buttò anima e corpo nel compito di rimettere l'Otter e la Windham in grado di combattere. Non fece nessun caso al comandante Tomkinson, in quel momento forse l'uomo più infelice alla Réunion, ma diresse personalmente i lavori; grazie all'appoggio totale e intelligente del governatore, aveva accesso incondizionato agli arsenali di Saint-Paul e di Saint-Denis. Impegnandosi di giorno e di notte alla luce delle torce, si lavorò freneticamente per trasformare una corvetta da sedici cannoni e un veliero della Compagnia delle Indie malamente strapazzato e privo di cannoni, tranne quelli che l'esercito aveva potuto prestargli, in due fregate onorarie o quanto meno in due navi che avessero una remota possibilità di resistere al fuoco del nemico tanto a lungo da permettere alla Boadicea di affiancarsi e di andare all'abbordaggio. La domenica mattina, con l'Otter nello stadio finale del riallestimento ma con la Windham ancora in carenaggio, dopo un sonno di quattro ore, il più profondo di cui avesse ricordo, Jack fece colazione in compagnia di Stephen, uno dei pochi momenti in cui si vedevano in quei giorni. Da una ventina di minuti aveva risolutamente scacciato il pensiero dell'arsenale quando Stephen glielo riportò senza volere alla mente, chiedendogli se avesse un particolare significato il nominare così frequentemente il demonio sul mare, come nell'espressione «il diavolo da impeciare» che aveva sentito spesso, in particolare di recente: era forse una forma di propiziazione, un resto di manicheismo, molto comprensibile d'altronde per quanto erroneo, in chi viveva fra gli elementi scatenati della natura? «No, no», rispose Jack, «devi sapere che noi chiamiamo 'diavolo' il comento, la giunzione fra i corsi di fasciame sulla linea di galleggiamento e lo chiamiamo così perché è davvero infernale riuscire a calafatarlo: la frase completa sarebbe 'il diavolo da impeciare e niente pece bollente'; e significa che c'è qualcosa di veramente difficile da fare, di veramente infernale, ma che deve essere fatto. È una figura retorica.» «Una figura molto elegante, anche.» «Se noi fossimo esseri molli, poco intelligenti e facili a demoralizzarsi, potremmo dire che si adatta bene alla nostra situazione attuale. Ma ci sbaglieremmo: con lo Staunch, l'Otter e la Windham, fra un giorno o due...» Tese l'orecchio, poi chiamò: «Killick! Chi sta salendo a bordo?» «Solo un ufficiale dell'esercito, signore.» Patrick O'Brian
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Lo sbattere di tacchi dei fanti di marina che presentavano le armi sul cassero, l'arrivo di un allievo che si informò se il commodoro poteva ricevere il colonnello Fraser, infine il colonnello in persona, la faccia rossa come la sua giubba dopo la galoppata sotto il sole torrido. «Buongiorno, colonnello», lo salutò Jack, «sedetevi, prendete una tazza di caffè con noi.» «Il colonnello Fraser dovrebbe bere qualcosa di rinfrescante e togliersi la giacca», disse Stephen. «Servo vostro, signore.» «Sarò felice di farlo fra un minuto, ma prima devo consegnare il mio messaggio: messaggio verbale, signore, non c'è stato tempo per prendere la penna e il calamaio. I complimenti del colonnello Keating al commodoro Aubrey e la nave di Sua Maestà Africaine è a Saint-Denis. Il comandante Corbett...» «Corbett? Robert Corbett?» «Credo di sì, signore: basso di statura, piuttosto scuro in faccia quando si arrabbia... lo stesso che è già stato qui... magnifico per tenere la disciplina. Il comandante Corbett, dicevo, signore, era diretto a Madras quando ha avuto notizia della nostra situazione. Si stava rifornendo d'acqua a Rodriguez e così ha fatto rotta per La Réunion. Ha avuto un piccolo scontro con una goletta al largo di Mauritius durante la traversata e sta ora sbarcando i suoi feriti. Per sostituirli il colonnello Keating ha dato al comandante Corbett venticinque uomini e un ufficiale, signore, perché due fregate francesi e un brigantino stanno inseguendo l'Africaine. E il comandante Corbett mi incarica di porgere i suoi ossequi e di dirvi che si è preso la libertà di issare la vostra insegna, per ingannarli, signore: sta sgombrando i ponti per l'azione e prenderà il largo non appena i feriti saranno stati sbarcati.» «Colonnello», disse Jack, «vi sono infinitamente grato. Killick! Subito qualcosa di rinfrescante per il colonnello, e sandwich... manghi!» Queste ultime parole le gridò mentre stava salendo di corsa sul cassero. «Signor Trollope, richiamate immediatamente tutti gli uomini dall'arsenale e preparatevi a mollare le ancore non appena saranno a bordo. Signor Collins, all'Otter è allo Staunch: Fare vela immediatamente e Nemico a est nordest. Passare parola per il capo cannoniere.» Il capo cannoniere arrivò senza por tempo in mezzo, perché la notizia si era diffusa in fretta in tutta la nave. «Signor Webber, quante cariche avete preparato?» domandò Jack. Patrick O'Brian
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«Trenta per cannone, signore, e ventitré per le carronate: abbiamo lavorato tutta la mattina.» Poi, incoraggiato dalla familiarità di lunga data e dall'espressione di colpo allegra del commodoro, soggiunse: «Posso sperare di prepararne altre per un vero bersaglio, stavolta?» «Sì, signor Webber. E niente di quella vostra robaccia bianca, solo buona polvere rossa a grani grossi.»
* Doppiata la Pointe des Galets a mezzogiorno, la Boadicea, seguita dall'Otter e dallo Staunch, scorse al largo le navi francesi, due fregate: il brigantino era già con le gabbie spiegate lontano a nord, senza dubbio per correre ad avvertire Hamelin di quanto stava accadendo. Un generale brusio di soddisfazione accolse quella vista, temperato dal fatto che le navi nemiche non si stavano avvicinando, ma avevano virato di bordo con le mure a dritta, e dalla lunga linea bianca in lontananza sul mare, indizio certo che la brezza, che a sud della Réunion spirava a sud sudest, a nord dell'isola doveva essere orientata a est, cosicché il nemico avrebbe avuto il vantaggio del vento. Videro anche l'Africaine e il vederla concretamente risollevò ancora di più il morale di Jack. Era una fregata da trentasei cannoni da diciotto libbre, di costruzione francese, naturalmente, e una delle migliori di tutta la Royal Navy quanto a qualità veliche, in particolare con il vento in poppa. Molto probabilmente averne avuto il comando era stato un premio per i dispacci che Corbett aveva riportato in patria. «È in buone mani», rifletté Jack, «Corbett è un marinaio di prim'ordine. Speriamo che abbia insegnato ai suoi uomini a puntare i cannoni stavolta e che si sia reso più gradito a bordo.» Talvolta un premio come quello poteva cambiare radicalmente i comportamenti di un individuo deluso e Corbett deluso lo era stato molte volte. Al momento in cui fu avvistata, anche l'Africaine era con le mure a dritta e con tutte le vele a riva, otto miglia circa a sud delle navi nemiche. Le due fregate si scambiarono i nominativi e niente più. Jack non voleva frastornare Corbett con le segnalazioni: era un combattente, sapeva bene che cosa fare e non c'era dubbio che lo avrebbe fatto. Nel frattempo doveva essere lasciato libero di concentrarsi sull'inseguimento per almeno sette di quelle otto miglia che lo separavano dal nemico e la stessa cosa valeva, con forza ancora maggiore, per la Boadicea che, pur avendo una Patrick O'Brian
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potenza di fuoco maggiore dell'Africaine, non poteva competere con lei quanto a velocità. Per fortuna una delle navi francesi era la vecchia Iphigenia, tornata ad essere l'Iphigenie, una nave certamente non molto veloce; l'altra era con ogni probabilità l'Astrée, le cui caratteristiche gli erano ignote. Le avrebbe scoperte presto tuttavia, si disse, sorridendo mentre si arrampicava con il suo cannocchiale sulla coffa di trinchetto. Le sei navi procedettero sulla loro rotta, preparandosi al lungo inseguimento. Un'ora dopo Jack sapeva che l'Astrée aveva un bravo comandante, che era più veloce dell'Iphigenia ma non della Boadicea e sapeva che l'Africaine le batteva entrambe: se il vento teneva, le avrebbe raggiunte prima del crepuscolo, mentre la Boadicea non lo avrebbe fatto se non dopo il tramonto. Se il vento teneva. Era questa la maggiore preoccupazione di Jack, perché se fosse girato più da est o perfino oltre, come talvolta accadeva durante la notte, allora la Boadicea si sarebbe trovata esattamente sottovento alle navi francesi, che avrebbero potuto raggiungere Port Louis prima che lo svantaggio del vento potesse essere colmato. La Boadicea infatti non era certamente veloce di bolina e, per quanto Jack non volesse farlo sapere in giro, stringeva il vento meno bene delle altre navi almeno di una mezza quarta, a dispetto di tutto il suo impegno. Stare lì a rimuginarci su, comunque, non avrebbe certamente contribuito a mantenere il vento al di sotto di est né a migliorare le qualità veliche della fregata, perciò Jack scese, lanciò un'occhiata allo Staunch e all'Otter ormai in lontananza, disse a Seymour che voleva essere chiamato nel caso la posizione delle navi fosse cambiata e si sdraiò sulla branda appesa sul ponte desolatamente sgombro da prua a poppa, nel punto dove erano state le sue cabine. Sapeva che gli ufficiali erano perfettamente in grado di governare la nave e sapeva di dover avere la mente sveglia e riposata per lo scontro che li aspettava, un'azione notturna, difficile, che avrebbe richiesto decisioni fulminee. Quando risalì sul cassero l'Otter e lo Staunch erano appena visibili dalla testa d'albero, mentre l'Africaine, distante due leghe o poco più a prua, stava guadagnando sulle navi francesi. Dovette chiamare due volte la vedetta, che volle essere assolutamente sicura prima di rispondere che lo Staunch e l'Otter non si vedevano più e la sua risposta fu accompagnata da un sinistro sbattimento di vele: il vento adesso era troppo di prua e i coltellacci non portavano più e stavano fileggiando nonostante le boline Patrick O'Brian
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tese come corde di violino. La Boadicea dovette imbrogliarli e immediatamente la sua velocità diminuì: ben presto l'Africaine l'ebbe distanziata di otto miglia almeno e le navi francesi erano ormai invisibili nella loro corsa verso la notte che stava scendendo. Una brutta notte, anche se calda, con groppi improvvisi e un mare incrociato che continuava a spingere la Boadicea verso nord. Jack, in piedi alle spalle dei timonieri alla ruota, i migliori della nave, era accanto al nocchiere. Per un certo tempo dopo che fu sceso il buio, Jack vide i fuochi e le luci blu che indicavano la posizione dell'Africaine. Poi più nulla. Un'ora dopo l'altra di nuvoloni bassi, di scrosci violenti di pioggia, di onde che schiaffeggiavano la masca di dritta, di vento che gemeva fra le sartie mentre la Boadicea continuava ad avanzare ostinatamente; senza che si sentisse tuttavia il suono che gli uomini attenti e silenziosi stavano aspettando. Niente fino ai sette colpi della seconda comandata, quando il vento cominciò a soffiare a raffiche prima di cessare quasi del tutto; ai sette colpi e di nuovo al cambio del turno di guardia si videro lampi sotto le nuvole sopravvento, seguiti da un lontano rombo di cannone. «Dio non voglia che si sia impegnato in battaglia senza di me», mormorò Jack, modificando la rotta in direzione dei lampi. Quella paura lo aveva assalito nelle ore di attesa, unitamente ad altre ugualmente folli; ma le aveva scacciate. Corbett non era Clonfert e in ogni caso conosceva perfettamente la velocità della Boadicea. Il rombo dei cannoni si faceva più forte a ogni giro della clessidra; ma a ogni giro la brezza diminuiva e infine la Boadicea ebbe un abbrivo appena sufficiente a manovrare. Le prime luci dell'alba furono velate da un'ultima cortina di pioggia tiepida che si dissolse lentamente nell'aria mentre il sole sorgeva finché, tutto a un tratto, la distesa infinita del mare brillò davanti ai loro occhi. E su quel mare, a quattro miglia di distanza, l'Africaine. L'Africaine, con una fregata francese a un tiro di pistola sulla masca di dritta e un'altra sull'anca, che sparava qualche tiro occasionale, investita in risposta dalle bordate di entrambe le navi nemiche. Poi tacque del tutto. Con chiarezza, da quattro miglia di distanza, Jack vide nel cannocchiale i suoi colori fremere, poi abbassarsi, scendere lentamente, giù, giù, fino al ponte di coperta; e ancora i francesi sparavano. Per un quarto d'ora continuarono a cannoneggiare il suo scafo silenzioso. Mai Jack aveva dovuto padroneggiarsi con tanta forza: lo spettacolo era così orribile che, se la brezza non si fosse levata in quel momento, sentì Patrick O'Brian
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che gli si sarebbe schiantato il cuore dal dolore e dalla rabbia. I controvelacci furono i primi a riceverla: la Boadicea sbandò dolcemente sull'onda lunga e l'acqua cominciò a bisbigliare lungo le murate. Jack dette gli ordini automaticamente: «Signor Seymour, fate rinnovare le micce», poi portò la nave ad avvicinarsi alle fregate francesi radunate intorno alla loro preda, in un andirivieni di scialuppe. «Vedetta, lassù!» gridò. «Che ne è dello Staunch e dell'Otter?» «Non si vede niente, signore!» gli giunse la risposta. «Niente sopravvento, niente sottovento.» Jack annuì. La brezza si andava rafforzando, ora la sentiva sulla faccia, promessa di un buon vento da sud-est, il vento che lo avrebbe fatto arrivare in tempo se si fosse levato qualche ora prima. La Boadicea avanzava e sotto gli occhi dei suoi uomini fissi sulla scena della battaglia gli alberi dell'Africaine furono abbattuti: prima quello di trinchetto, poi l'albero di mezzana e infine di maestra. Sembrava che l'Astrée e l'Iphigenia non avessero riportato alcun danno. A qualsiasi costo doveva resistere al desiderio di precipitarsi contro di loro: sarebbe stata una follia criminale. Ma la tentazione di portare la Boadicea fra le due navi, facendo fuoco con entrambe le bordate, era terribile; e con quel vento avrebbe potuto forse rischiare, senza per questo venir meno al suo dovere, assestando un colpo rapido, per allontanarsi subito dopo; forse era addirittura questo il suo dovere. «Signor Seymour», disse, «mi porterò a un tiro di moschetto dalla nave sopravvento. Quando darò l'ordine, fare fuoco con i cannoni di dritta, a cominciare da quelli prodieri: fuoco mirato contro la loro poppa, lasciar dissolvere il fumo fra un tiro e l'altro. Quando l'ultimo cannone avrà sparato, virare di bordo e fare fuoco con i pezzi di sinistra, avvicinandoci il più possibile. Signor Buchan, portatemi verso l'Iphigenia.» Stavano prendendo il vento. I francesi avevano abbrivo sufficiente per governare la nave o poco più, mentre la Boadicea faceva tre nodi. L'Astrée, dietro l'Africaine, non era ancora uscita quando Jack dette il comando: «Fuoco!» I cannoni tuonarono in successione, regolari e costanti, senza essere disturbati dalle cannonate irregolari dell'Iphigenia, le prime due bordate a vuoto, la terza micidiale; quello della Boadicea era un fuoco mirato, con la precisa volontà di distruggere e le brande e i rottami dell'impavesata dell'Iphigenia volarono tutto intorno; un bel tiro del cannone numero dodici la colpì sulla linea di galleggiamento molto vicino Patrick O'Brian
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al timone e dalla Boadicea si levarono grida di giubilo. Poi il comando: «Barra sottovento!» e la fregata iniziò la manovra. Stava virando di bordo quando l'Astrée aprì il fuoco, libera finalmente dall'Iphigenia e dall'Africaine. Colpì la Boadicea molto duramente, fracassandole l'imbarcazione di poppa sulla gru, un urto di tale violenza che per un attimo Jack pensò che gli facesse fallire la manovra, temette di aver rischiato troppo. «Bracciate di punta al trinchetto!» gridò; sentì la nave venire al vento e con infinito sollievo poté dare il comando: «Borda la maestra!» La Boadicea virò senza perdere l'abbrivo, il vento gonfiò le vele e la nave terminò la manovra portando i cannoni di sinistra dritti contro l'Iphigenia, in un'enorme esplosione rimbombante, poi avanzò liberandosi dal fumo. Nello stesso momento un tiro dell'Astrée centrò il nocchiere nella schiena, tranciandolo in due accanto a Jack. La faccia stupita e indignata del nocchiere fu proiettata in avanti, travolgendo il timoniere di dritta. Per un momento Jack prese il suo posto alla ruota, portando la fregata a continuare la virata finché le vele di prua non fremettero e un marinaio non afferrò le caviglie. La poppa dell'Iphigenia aveva sofferto, ma il timone non era stato colpito e nemmeno l'albero di mezzana: aveva issato la trinchettina e adesso, con il vento in poppa, si muoveva verso l'Astrée, coprendo di nuovo il suo tiro. Mentre studiava l'Iphigenia, Jack udì il tonfo del cadavere del nocchiere che piombava in mare; l'equipaggio della fregata era raccogliticcio, senza dubbio, poco esperto e non aveva una gran voglia di affrontare la Boadicea. E mentre questa si allontanava di bolina stretta e la distanza fra le navi aumentava, l'Iphigenia mise la barra al vento ed entrò in collisione con l'Astrée che in quel momento cercava di infilarsi nel varco fra l'Iphigenia e l'Africaine per fare fuoco contro la Boadicea ora al limite della portata dei suoi cannoni. Jack portò la fregata leggermente sopravvento e si mise in panna. Alla luce brillante del sole riusciva a vedere perfettamente le navi francesi, gli uomini in coperta, perfino le condizioni del sartiame. Seduto sull'affusto dell'ultima carronata di poppa, contemplò la scena. Non era necessario prendere decisioni rapide, e per un bel po' di tempo ormai sarebbe stato così. L'Astrée era una nave formidabile. E intatta. Si era liberata finalmente dell'Iphigenia e fra lei e la Boadicea il tratto di mare era libero. E tuttavia non si faceva avanti. Il parrocchetto sbatteva, sbatteva deliberatamente e questo, insieme con una quantità di altri piccoli particolari, gli rivelò molte Patrick O'Brian
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cose sul suo comandante, un abile marinaio senza dubbio, che però non intendeva combattere, non lo desiderava più di quanto non lo avesse desiderato Hamelin che pure aveva avuto un vantaggio ancora maggiore. Né quel comandante né il suo commodoro erano disposti a rischiare il tutto per tutto. Questa convinzione, sempre più forte man mano che Jack esaminava la situazione, lo riempì di una gioia grave. D'altro canto, gli suggeriva la ragione mentre il cuore si sforzava di restare calmo, i cannoni dell'Astrée erano più potenti, i suoi tiri precisi e, pur non essendo più veloce della Boadicea, era migliore boliniera. E poi, attacco e difesa erano due cose diverse, in un'azione ravvicinata l'Astrée sarebbe stata piuttosto pericolosa. Sebbene l'Iphigenia fosse comandata da un imbecille, affrontarle tutte e due di giorno sarebbe stato ingiustificabile con l'attuale equilibrio di forze. E tuttavia bisognava assolutamente riprendere l'Africaine... «Ponte!» gridò la vedetta. «Due vele a dritta sopravvento, signore. Credo che siano lo Staunch e l'Otter.» E dopo qualche minuto: «Sì, signore, lo Staunch e l'Otter!» Con quel vento avrebbero raggiunto la Boadicea entro due o tre ore: molto bene. Si alzò sorridendo e si girò per dare un'occhiata al lato sottovento del cassero, dove il comandante in seconda, il mastro d'ascia e il nostromo stavano aspettando di fare il loro rapporto. «Tre feriti, signore», disse Seymour. «E naturalmente il povero signor Buchan.» Il mastro d'ascia aveva da segnalare solo quattro fori di proiettile e otto pollici d'acqua nella sentina; Fellowes fece un resoconto di danni assai maggiori alle vele e al sartiame di prua. «Credo che occorrerà un'ora per ripararli, signore», soggiunse. «Più in fretta che potete, signor Fellowes», si raccomandò Jack. «Signor Seymour, fate andare a mensa gli uomini, e la guardia sottocoperta deve riposare un po'.» Scese nel mezzo ponte dove trovò Stephen con un taccuino in mano, intento a leggere alla luce della lanterna. «Sei ferito?» gli domandò Stephen. «No, no, grazie tante. Sono sceso per vedere i feriti. Come stanno?» «Di Colley, frattura cranica con sfondamento, non rispondo: è in stato comatoso, come vedi. Dovremo operare non appena avremo un po' di pace, tranquillità e luce: prima è meglio è. Le due ferite di scheggia guariranno perfettamente. Hai le brache tutte insanguinate.» «Il nocchiere. Mi è morto proprio accanto, poveretto.» Jack si avvicinò Patrick O'Brian
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ai pazienti, domandò loro come si sentissero, disse che le cose andavano molto bene in coperta, che lo Staunch e l'Otter erano in vista e che presto i francesi l'avrebbero pagata per quello che avevano fatto all'Africaine. Tornato da Stephen, disse: «Killick ha acceso un fornelletto a spirito, se tu avessi voglia di fare colazione». In piedi davanti alla vetrata di poppa, con il caffè che scorreva a litri nel loro organismo, Jack gli illustrò la situazione, indicando la posizione esatta delle navi francesi in quel momento e i loro movimenti nei vari stadi dell'azione. «Lo so che tu lo troverai illogico», disse alla fine, stringendo con forza la cornice di legno, «addirittura superstizioso, ma ho la sensazione che la marea stia cambiando. Non voglio tentare il destino, che Dio me ne guardi, ma credo che quando l'Otter e lo Staunch ci avranno raggiunto, riprenderemo l'Africaine. Potremmo perfino strappargli l'Iphigenia: è timorosa e forse noi le abbiamo assestato un duro colpo... guarda tutti quegli uomini vicini alla murata; e il comandante dell'Astrée non si fida di lei. Ma non voglio spingermi troppo in là. L'Africaine è più che sufficiente.» Di nuovo in coperta: l'aspetto era più che decente, nodi e impiombature pressoché finiti e le redazze della guardia poppiera stavano lavando le ultime tracce di sangue dalla ruota del timone, le gru di poppa aggiustate, un nuovo parrocchetto inferito; sul mare le scialuppe stavano ancora trasferendo i prigionieri dall'Africaine, le pompe dell'Iphigenia lavoravano a pieno ritmo e dall'attività frenetica delle varie squadre sulla nave e intorno a essa non sembrava che la fregata potesse fare vela entro breve tempo. L'Astrée si era spostata in una posizione migliore per coprire le altre due navi: forse il suo comandante non era un diavolo scatenato, ma chiaramente aveva tutta l'intenzione di tenersi le sue prede se appena gli fosse stato possibile. Ma ora si vedevano gli scafi dell'Otter e dello Staunch, e il vento si andava rafforzando. Una cena anticipata, fredda, e mezza razione di grog; tuttavia nessuno protestò a bordo. L'espressione di contenuta soddisfazione del commodoro, la sua sicurezza, il cambiamento infinitesimale sopravvenuto in lui avevano diffuso su tutta la nave un senso di assoluta fiducia. Gli uomini mangiarono la loro buona galletta e il loro esecrabile formaggio, annaffiato più da succo di limoncello e acqua che da rum, guardando ora il commodoro, ora le fregate nemiche ammucchiate sottovento, ora le due navi che si avvicinavano sempre di più, e parlottando a voce bassa e Patrick O'Brian
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allegra. A mezzanave e sul castello si udivano risate contenute e frequenti.
* Con un pezzetto di gesso il commodoro disegnò il suo piano di attacco sotto lo sguardo attento dei comandanti della corvetta e del brigantino. Le tre navi dovevano avanzare allineate frontalmente, con la Boadicea al centro, e tentare di separare le due fregate francesi. Le possibilità che si sarebbero presentate erano molte e dipendevano da ciò che avrebbe fatto l'Astrée. Jack le presentò con chiarezza: «In ogni caso, signori», concluse, «di fronte all'imprevisto non sbaglierete molto accostandovi all'Iphigenia, da prua e da poppa, lasciando a me l'Astrée». Con il vento al lasco e con le sole gabbie per una maggiore libertà di manovra, avanzarono, il brigantino miserevolmente piccolo sul traverso di dritta della Boadicea e la minuscola corvetta su quello di sinistra. Jack aveva lasciato loro il tempo necessario per mandare gli uomini a mensa e per farli riposare; sapeva che si erano preparati con molto impegno, gli equipaggi erano numerosi e i due comandanti avevano compreso le intenzioni del loro commodoro al di là di ogni ragionevole dubbio. Aveva previsto ogni sorta di eventualità e continuava ad avanzare con un senso di sicurezza quale non ricordava di aver provato molte volte prima di allora, una fiducia che andava crescendo nel suo animo. Ma non aveva previsto ciò che accadde in realtà. Erano ancora a un miglio e mezzo di distanza quando l'Astrée passò un'alzana all'Iphigenia e le due fregate fecero vela, abbandonando l'Africaine. Forzando la velatura, strinsero il vento, misero la prua a est e si allontanarono veloci, l'eccellente Astrée che teneva la prua dell'Iphigenia vicinissima al vento, molto più vicina di quanto la Boadicea sarebbe mai riuscita a fare. A dispetto della superiorità dell'Astrée di bolina, essendo in qualche misura sopravvento, la Boadicea avrebbe forse potuto, virando di bordo all'istante, riuscire a impegnarle in un'azione dopo un inseguimento molto lungo su rotte convergenti, ma né l'Otter né lo Staunch avrebbero mai potuto mantenere quell'andatura e nel frattempo era probabile che arrivassero i rinforzi di Hamelin, chiamati dal brigantino francese, per portare via l'Africaine. No: purtroppo era necessario agire con prudenza e la Boadicea continuò dunque ad avanzare verso il misero scafo privo dell'alberatura e sballottato sulle onde, con la sola asta di bandiera a poppa Patrick O'Brian
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per far sventolare i colori francesi. La Boadicea si accostò, l'Africaine sparò con due cannoni sottovento e quando la bandiera venne ammainata si udì la colossale acclamazione dei prigionieri ancora a bordo della nave catturata. «Signor Seymour», disse Jack, vagamente deluso e al tempo stesso profondamente soddisfatto, «vogliate per cortesia prenderne possesso... che diavolo succede, adesso?» Una ventina di marinai dell'Africaine si erano tuffati in mare e stavano nuotando verso la Boadicea, si arrampicavano sulla murata. Si precipitarono a bordo in uno stato di esaltazione, di felicità e di rabbia insieme e, dimenticando la disciplina nell'entusiasmo del momento, si affollarono sul cassero, grondanti d'acqua, per pregare il commodoro di inseguire le navi francesi: avrebbero servito loro i cannoni... sarebbero stati felici di stare agli ordini del comandante Aubrey... non come sotto qualche leccapalle culo di bronzo di loro conoscenza con rispetto parlando... loro lo sapevano com'era il comandante Aubrey, lo sapevano che era capace di fargliela pagare a quelle scoregge francesi per quello che avevano fatto... capace di suonargliele a due alla volta, era «no scherzo per lui... «Io lo so che voi ci riuscite, signore!» gridò un marinaio che aveva una benda insanguinata sull'omero, «ero con voi sulla Sophie quando abbiamo fottuto quel bestione spagnolo, non dite di no, signore!» «Mi fa molto piacere rivederti, Herold», disse Jack, «e vorrei poter dire di sì, con tutto il cuore lo vorrei. Ma tu sei un marinaio: guarda dove sono. Tre ore di inseguimento accanito e cinque fregate francesi a nord pronte a venire giù per riprendersi l'Africaine. Capisco quello che provate, figlioli, ma non può essere fatto. Date una mano a rimorchiarla e la porteremo a Saint-Paul per le riparazioni. Dopo potrete fargliela pagare voi stessi ai francesi.» Gli uomini dell'Africaine guardarono con rimpianto l'Astrée e l'Iphigenia e sospirarono: essendo marinai, sapevano che il commodoro aveva ragione. «Come sta il comandante Corbett?» domandò Jack. «I francesi l'hanno preso a bordo?» Silenzio. Poi: «Non lo so, signore». Jack li guardò sorpreso. Vide una fila di facce impenetrabili, scomparso del tutto quel contatto immediato, da uomo a uomo, così raro. Adesso si trovava davanti al muro della stolidità del ponte inferiore, all'omertà che conosceva bene, una solidarietà spesso stolta, generalmente trasparente, ma nella quale era impossibile fare breccia. «Non lo so, signore», l'unica risposta che avrebbe mai ottenuto. Patrick O'Brian
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CAPITOLO IX Lentamente, in un mare sempre più agitato, la Boadicea rimorchiò verso sud l'Africaine che si comportava come un tronco fradicio di proporzioni enormi, ora facendosi trascinare con tale mala grazia che gli alberi della Boadicea protestavano e si udiva il bisbiglio rauco di Seymour - ciò che restava della sua voce - incitare una volta di più gli uomini a «mollare in bando quella scotta prima che perdiamo tutto quanto!»; ora lanciandosi verso la poppa della Boadicea per poi ruotare sul proprio asse così bruscamente che l'alzana schizzava fuori della superficie del mare, tesa come se dovesse spezzarsi da un momento all'altro, spruzzando acqua da ogni trefolo; ma soprattutto rollava, rollava fino a mettere la falchetta in mare, rollava quasi fosse ubriaca, cosa che rendeva l'opera del chirurgo ancora più rischiosa e delicata del solito. Stephen, sull'Africaine, stava aiutando il povero signor Cotton, il vecchio chirurgo di bordo, invalido e appena ristabilito da un attacco di dissenteria, che era stato sommerso dal lavoro fin dai primi minuti dell'azione. Perfino in quel momento, dopo così tanti morti nell'infermeria, rimanevano sessanta o settanta feriti distesi dappertutto nel corridoio; lo spazio non mancava d'altronde, visto che i francesi avevano ucciso quarantanove uomini sul colpo e ne avevano presi prigionieri cinquanta. I superstiti, aiutati da una squadra della Boadicea, erano impegnati a fissare le aste in loro possesso a ciò che restava degli alberi e verso sera furono in grado di spiegare tre vele di straglio che immediatamente ridettero vita alla nave tanto da farla muovere finalmente come un essere capace di sentimento, con un rollio tornato nei limiti della norma. «Che sollievo!» esclamò il signor Cotton mentre usava la sega su un arto. «Per un momento ho temuto che mi venisse il mal di mare. Il mal di mare, dopo tutti questi anni trascorsi sull'acqua! Una legatura, se non vi dispiace. Voi avete mai sofferto il mal di mare, dottor Maturin?» «L'ho sperimentato nel golfo di Biscaglia.» «Ah! Il golfo!» esclamò Cotton, gettando il piede amputato nel secchio che il suo aiutante gli reggeva, «davvero orribile il golfo. Ora potete lasciarlo», disse poi, rivolto ai compagni di mensa del paziente che lo stavano tenendo fermo; e, chinandosi sulla faccia grigia e sudata: «John Bates, è tutto finito, adesso. Guarirai perfettamente e quel piede ti assicurerà la Patrick O'Brian
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pensione di Greenwich o un posto come cuoco di bordo». La faccia grigia e sudata mormorò un grazie con voce sottile sottile: e poteva conservare il piede come portafortuna? «Con questo i casi urgenti sono finiti», annunciò Cotton, guardandosi in giro. «Vi sono infinitamente obbligato, dottor Maturin, infinitamente obbligato. E vorrei potervi offrire qualcosa di meglio di un tè. Ma i francesi ci hanno spolpati, spolpati! Una vera orda di selvaggi, signore. Per fortuna a loro il tè non piace.» «Una tazza di tè la gradirò molto», rispose Stephen, avviandosi con il collega verso il quadrato deserto. «Un'azione cruenta», soggiunse. «Raramente ne ho vista una più cruenta», confermò il signor Cotton. «Né, temo, un dispendio di vite umane meno necessario. Comunque il comandante ha pagato per ciò che ha fatto, se questo può essere di conforto.» «È stato ucciso durante l'azione?» «Già, ucciso durante l'azione, se così vi piace dire. In ogni caso è morto», rispose Cotton. «È stato portato all'infermeria proprio all'inizio del combattimento; metatarso del piede sinistro spappolato. Ho fatto ciò che potevo e il comandante ha voluto assolutamente essere riportato in coperta: un uomo coraggioso, con tutti i suoi difetti. Poi è stato colpito una seconda volta, ma chi abbia sparato non lo posso dire; né con certezza assoluta affermerò che nella confusione di quella notte siano stati i suoi uomini a gettarlo fuoribordo; ma che sia scomparso non c'è dubbio. Oso dire che avrete già sentito parlare di casi simili.» «Ne ho sentito parlare, sì. E per quanto riguarda questo in particolare, ne avevo avuto sentore già da molto tempo. La reputazione del comandante Corbett con il gatto a nove code era ben nota, credo.» «Così nota che l'equipaggio si era ammutinato quando aveva saputo che avrebbe avuto lui il comando della nave: si sono rifiutati di portarla in mare. Io a quel tempo ero in licenza e quando sono tornato mi sono stupito nel vedere che gli ufficiali venuti da Londra erano riusciti a convincere gli uomini che il comandante non era poi malvagio come lo si dipingeva e che era meglio che tornassero al loro dovere.» «Perché vi siete stupito?» «Perché simili reputazioni non sono mai sbagliate. Il comandante era malvagio come lo si dipingeva. Non ha fatto altro che far frustare quegli uomini fino all'equatore, li ha frustati sull'equatore e li ha frustati per tutta Patrick O'Brian
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la traversata fino al Capo.» «Una parentesi: avevate lettere per il Capo? Lettere per noi?» «Sì. Dovevamo consegnare le vostre a Rodriguez, ma come sapete non ci siamo mai arrivati, abbiamo invertito la rotta subito dopo aver parlato con la Emma. E mi dispiace dovervi dire che il francese si è portato via tutto quanto.» «Già, già... Eppure, gli uomini si sono battuti con molto impegno, mi sembra?» «Con grandissimo impegno, e questo perché avevano bravi ufficiali, persone perbene. Il comandante Corbett praticamente non rivolgeva loro la parola, mai pranzato nel quadrato tranne una volta, mai invitato. E gli uomini si sarebbero battuti ancora meglio se fossero stati addestrati a usare i cannoni. Mai un'esercitazione, mai. E tutto per quel benedetto ponte: in un bello stato sarà adesso il ponte! No, gli uomini non avevano niente contro gli ufficiali, che erano persone perbene, come ho già detto, valorosi dal primo all'ultimo. Tullidge ha preso il comando della nave dopo la sparizione del comandante ed è stato ferito quattro volte; Forder, il secondo, si è buscato una pallottola nei polmoni e a Parker è saltata in aria la testa. Bravi ufficiali. Una volta, quando eravamo al largo di capo SaintRoque e Corbett stava distribuendo cinquanta colpi del gatto a nove code a destra e a manca, mi hanno chiesto se potevano farlo rinchiudere e ho detto di no. In seguito mi è dispiaciuto, perché anche se a terra quell'uomo si comportava in modo abbastanza normale, sul mare era completamente pazzo. Intossicato dal potere.» «È certamente una droga pericolosa il potere», confermò Stephen, «tuttavia alcuni sanno resistervi. Quale sarà mai la causa della loro immunità?» «Quale, in verità?» ripeté il signor Cotton. Era troppo stanco per le speculazioni filosofiche, ma non troppo per le buone maniere e quando Stephen si accomiatò da lui, gli disse: «Siete stato una benedizione del Cielo, dottor Maturin, posso a mia volta esservi utile in qualcosa?» «Dal momento che siete così gentile», rispose Stephen, «si dà il caso che io abbia un caso di frattura da stampo particolarmente delicata per domani e, se vi sentiste sufficientemente rimesso, vi sarei davvero grato del vostro aiuto. Il mio assistente non ha nessuna esperienza con il trapano e le mie mani non sono più quelle di una volta, non hanno la vostra ammirevole fermezza.» Patrick O'Brian
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«Sarò da voi, signore, a qualsiasi ora vorrete.» E il signor Cotton, da lungo tempo abituato agli usi della marina, fu fedele alla parola data e al primo tocco dei sei colpi della guardia del mattino si arrampicò, puntualissimo, sulla murata della Boadicea con la sola forza delle braccia, trascinando la gamba impedita. Una volta a bordo, inforcò la sua stampella, salutò il cassero, scostò con la mano un aiutante del nostromo troppo zelante e si diresse zoppicando a poppa. Tutto era pronto. Sotto un tendale che diffondeva una luce viva era stata sistemata una sedia assicurata alle gallocce e su di essa russava il paziente, Colley, la faccia grigia come piombo, legato così strettamente dai suoi compagni da avere la stessa libertà di movimenti della polena della nave. In coperta e sulle coffe si affollavano i marinai, molti dei quali fingevano di essere occupati in qualche incombenza, perché quelli della vecchia Sophie avevano raccontato ai loro nuovi compagni del giorno memorabile dell'anno 1802 quando, più o meno con la stessa luce, il dottor Maturin aveva segato la cima della zucca del capo cannoniere, gli aveva scoperchiato il cervello, lo aveva risistemato per bene, ci aveva messo sopra un coperchio d'argento e quando quello si era svegliato era più vispo di prima: questo avevano sentito raccontare e perciò non volevano perdere nemmeno un attimo di uno spettacolo così istruttivo e perfino edificante. Da sotto il castello arrivava il picchiare del martello dell'armaiolo alla sua forgia, intento a trasformare una moneta da tre scellini in un disco grande, sottile e scintillante. «Gli ho detto di aspettare le nostre istruzioni prima di dare la forma finale alla calotta», stava spiegando il dottor Maturin, «ma ha già affilato il mio strumento più grande.» Mostrò il trapano circolare ancora luccicante per il bagno nell'acqua fredda e propose al signor Cotton di praticare la prima incisione. I salamelecchi professionali che seguirono, le cortesi insistenze e gli altrettanto cortesi rifiuti spazientirono il pubblico, ma ben presto le morbose aspettative degli astanti furono soddisfatte. Il cuoio capelluto completamente rasato del paziente, inciso con precisione da un orecchio all'altro, gli pendeva sulla faccia livida e dalla barba lunga, e ora i medici, chini sul suo cranio sfondato, avevano cominciato a discutere fra loro in latino. «Quando si mettono a parlare forestiero», osservò John Harris, marinaio prodiero della guardia di dritta, «si vede subito che non sanno, con rispetto parlando, che accidenti fare.» Patrick O'Brian
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«E invece non capisci niente, John Harris», lo rimbeccò stizzito Davis, che era stato imbarcato sulla Sophie. «Il nostro dottore sta solo facendo le gentilezze a gambadilegno: aspetta che prenda in mano il suo arnese e poi vedrai!» «Un tale spessore osseo eppure la sutura metopica non si è unita», osservò il signor Cotton. «Non ho mai visto niente di simile, è una vera soddisfazione per me. Ma, come dite, questo crea una situazione piuttosto complessa, ci troviamo davanti a un vero dilemma.» «La risposta, secondo la mia opinione, sta in una doppia perforazione», disse Stephen, «e qui la forza e la fermezza del vostro avambraccio sinistro si rivelerà preziosissima. Se voleste avere la bontà di sorreggere l'osso parietale qui mentre io comincio a incidere in questo punto, scambiandoci poi di mano, be', credo che esista una concreta possibilità di tirar su tutto in un solo magnifico pezzo.» Se non avesse dovuto conservare l'apparenza dell'infallibilità professionale e di una calma sovrumana, a questo punto il signor Cotton si sarebbe perlomeno morsicato un labbro e avrebbe anche scosso la testa; ma si limitò a dire: «Il Signore sia con noi». Poi infilò nel cranio sfondato del paziente la sua sonda. Stephen si rimboccò le maniche, si sputò sul palmo delle mani, aspettò il rollio, piazzò il suo strumento e cominciò a sezionare con la sega, con determinazione: frammenti di osso schizzarono di sotto i denti avidi dello strumento e Cotton ripulì l'incisione dalla polvere bianca. Gli uomini si facevano sempre più silenziosi e attenti: gli allievi, felici di uno spettacolo così macabro, allungarono il collo senza che gli ufficiali cercassero di impedirlo. Man mano però che l'acciaio affondava in quella testa ancora viva, più di uno si fece pallido, più di uno cominciò a guardare le sartie in alto e perfino Jack, il quale aveva già assistito a quella scena orrenda, si mise a contemplare l'orizzonte dove l'Astrée e l'Iphigenia erano lampi bianchi nel sole. Udì Stephen dare le misure all'armaiolo mentre cominciava la seconda incisione; udì a prua il rinnovato battere del martello sull'incudine. Mentre tendeva l'orecchio, tuttavia, un movimento laggiù sopravvento afferrò completamente la sua attenzione. Le vele lontane si stavano gonfiando: forse le navi francesi avevano alla fine deciso di avvicinarsi? Incollò l'occhio al cannocchiale, le vide venire al vento, poi richiuse lo strumento con un sorriso: dal modo in cui manovravano rapidamente con le scotte era ovvio che stavano semplicemente cambiando mure un'altra volta, la quinta Patrick O'Brian
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dall'alba. Sì, stavano procedendo di bolina, nonostante avessero il vantaggio del vento, preferivano non impegnare la Boadicea e la malridotta Africaine in combattimento; e se non sbagliava di grosso, quell'ultima manovra avrebbe impedito loro comunque di farlo, poiché le montagne della Réunion incombevano già sulla masca di sinistra e sembrava che il vento stesse girando di due quarte verso terra. Era vero che l'Africaine i denti li aveva ancora e che lo Staunch e l'Otter avrebbero potuto assestare qualche bel colpetto in un combattimento ravvicinato, ma anche così... Scoppiò a ridere forte e in quel momento si udì il signor Cotton esclamare: «Oh, magnifico, signore, magnifico! Davvero ben fatto». Stephen sollevò tutta intera la calotta cranica e la tenne alta per un momento, scrutandovi dentro con un'espressione di trionfo contenuto; un momento durante il quale il pubblico ebbe modo di gettare uno sguardo orripilato e affascinato insieme nell'orrenda cavità dove il signor Cotton stava adesso ripescando frammenti di schegge con un paio di pinze di osso di balena. Mentre il chirurgo stava così lavorando e una lunga scheggia trasversale smuoveva quelle profondità, una voce terribile, cupa, lenta e spessa ma riconoscibile per quella di Colley, parlò da dietro lo scalpo spelato e penzolante. «Jo, passa quel fottuto gerlo, Jo!» A quel punto il pubblicò praticamente svanì e le facce degli ultimi amanti dell'orrido assunsero virtualmente lo stesso colore di quella di Colley; i superstiti si rianimarono tuttavia quando i chirurghi ebbero sistemato la calotta d'argento sul foro, connettendola alle ossa craniche circostanti, riportato lo scalpo nella sua sede naturale, ricucito il tutto e, dopo essersi lavati le mani nella botte dell'acqua in coperta, ebbero rimandato il loro paziente nell'infermeria. Un brusio ammirato si diffuse su tutta la nave e Jack, facendo un passo avanti, disse: «Credo di potermi rallegrare con voi, signori, per il successo di una manovra così delicata?» I chirurghi si stizzirono, protestarono, affermarono che non era niente di così straordinario, qualsiasi persona competente avrebbe fatto altrettanto e a ogni buon conto, soggiunsero con una sincerità che avrebbe certamente messo una gran paura addosso al povero Colley, non era il caso di rallegrarsi fino a quando l'inevitabile crisi non si fosse manifestata. Non si poteva affermare che un'operazione avesse avuto pieno successo, se il paziente non fosse sopravvissuto almeno alla crisi, superata la quale, la causa della morte avrebbe potuto essere attribuita a una quantità di altri Patrick O'Brian
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fattori. «Ah, spero proprio che sopravviva!» esclamò Jack, lo sguardo ancora fisso sulle vele lontane. «Colley è un marinaio di prim'ordine, un uomo serio, bravo, e sa puntare un cannone non meno bene degli altri. E ha un mucchio di figli, se ben ricordo.» Tutto verissimo. Tom Colley, quando non era ubriaco, poteva essere considerato un membro prezioso, anche se attaccabrighe, della sua squadra; era cresciuto sul mare, per lui era istintivo saper tesare, terzarolare e stare alla ruota ed era un piacere vederlo ballare: la nave non sarebbe più stata la stessa senza di lui. Ma dietro questo pur valido ragionamento si agitava qualcosa che un osservatore ben disposto avrebbe forse definito una forma di misticismo e altri, probabilmente più illuminati, superstizione bruta. Per nulla al mondo Jack avrebbe voluto farlo sapere in giro, ma intimamente faceva dipendere il successo della campagna dalla guarigione del marinaio e viceversa, e, a giudicare dal comportamento dell'Astrée e dell'Iphigenia lontane laggiù, Colley aveva qualche probabilità di risorgere. Se Hamelin si fosse trovato lì e la sua insegna fosse sventolata sull'Astrée invece che sulla Vénus, forse l'atteggiamento dei francesi sarebbe stato diverso? Quelle due navi avrebbero rischiato la battaglia per distruggere a qualsiasi costo ogni speranza del comandante della Boadicea? Da quanto Jack credeva di sapere del commodoro francese, c'era da dubitarne.
* «Un documento impressionante», commentò il governatore Farquhar, restituendo a Stephen la copia dell'atto di scomunica di Napoleone da parte di Pio VII, la Grande Scomunica,* [* Al termine di un lungo periodo di profondi attriti fra la Chiesa e Napoleone, dopo l'ultimatum di quest'ultimo che intendeva imporre il diritto di nomina di un terzo dei cardinali, l'adozione papale del Codice napoleonico, l'abolizione del celibato ecclesiastico e degli ordini religiosi, papa Pio VII promulgò, il 10 giugno 1809, la bolla di scomunica contro chi perpetrava violenze ai danni della Santa Sede. Napoleone reagì facendo arrestare, meno di un mese dopo, lo stesso pontefice e il segretario di Stato. (N.d.T.)] non ancora resa pubblica ma valida a tutti gli effetti, autenticata dal sigillo del vescovo. «E, sebbene qualche espressione non sia proprio ciceroniana, nell'insieme è l'atto di Patrick O'Brian
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condanna più terribile che mi sia mai capitato di vedere. Se fossi un cattolico, dover avere a che fare con il miserabile così bollato, mi creerebbe un tremendo disagio di coscienza. Il vescovo non ha fatto nessuna difficoltà, presumo?» Stephen sorrise e Farquhar riprese: «Come vorrei che non aveste tanti scrupoli! Questo documento sarebbe del più grande valore per il ministero. Sarà di sicuro possibile farne un'altra copia?» «Non dovete preoccuparvi del ministero, mio caro signore», disse Stephen, «sanno della sua esistenza, lo sanno molto bene; è un segreto non molto ben mantenuto, ve lo posso assicurare. Ma in ogni caso non devo mettere in pericolo la mia fonte d'informazione e mi sono impegnato a darlo alle fiamme dopo averlo mostrato a tre sole persone a Mauritius.» Avvolse il documento grondante maledizioni nel suo fazzoletto e lo infilò sotto il risvolto della giacca. Farquhar fissò con cupidigia la protuberanza, ma si limitò a dire: «Ah, se vi siete impegnato...» poi entrambi rivolsero la loro attenzione ai foglietti di carta sui quali avevano annotato i punti di cui discutere. L'elenco di Stephen era tutto cancellato, mentre sulla lista di Farquhar ne rimaneva uno, ma, a quanto pareva, era un argomento difficile da affrontare. Il governatore fece una pausa, rise e disse: «Questo appunto è scritto in una forma che non può assolutamente andare bene. Sono certo che voi la troverete offensiva. Mi ero annotato qui, senza necessità devo aggiungere, di ricordarmi di chiedervi una spiegazione... oh, certamente non una spiegazione ufficiale, mi capite, dell'attività così... diciamo euforica?... del commodoro. Davvero dà l'impressione di credere che i nostri piani per l'invasione di Mauritius possano essere realizzati nonostante lo spaventoso disastro dell'Ile de la Passe. L'entusiasmo del commodoro ha contagiato, o forse dovrei dire convinto, Keating, e i due corrono continuamente di qua e di là, giorno e notte, a dispetto dell'evidenza. naturalmente io lo assecondo al massimo delle mie possibilità; d'altronde non oserei fare altrimenti da quando il commodoro ha assunto quelle che definirei dimensioni epiche, da quando incute una soggezione maggiore dello stesso Giove. È capace di entrare in questa stanza e dire: 'Farquhar, mio caro signore, vogliate essere così gentile da far tagliare tutti gli alberi più alti dell'isola e di mettere immediatamente al lavoro i carpentieri. L'Africaine deve avere i suoi alberi all'alba di giovedì al più tardi'. E se ne scappa via di corsa. Io tremo e obbedisco. Ma quando Patrick O'Brian
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penso che i francesi hanno sette fregate e noi una, più un miserando relitto, e quando considero i cannoni in loro possesso e li paragono ai nostri, be', confesso che sono preso da stupore». E, preso da stupore retrospettivo, fissò lo sguardo nel vuoto. Per colmare quel vuoto, Stephen osservò che il numero dei cannoni contava meno della precisione con cui venivano puntati e dello zelo con cui erano serviti dai loro equipaggi; soggiungendo che, se anche l'Africaine non fosse stata in grado di combattere, i suoi cannoni erano disponibili per gli altri velieri fino da quel momento. «Verissimo», disse il governatore, «ma vi confesserò che mi è venuta in mente un'altra spiegazione, forse non degna di considerazione tuttavia, dell'attività travolgente del commodoro: mi è sorto il dubbio che il comandante Aubrey sia in possesso di qualche informazione incoraggiante di cui non sono al corrente. Non prendete in senso sbagliato le mie parole, dottor Maturin, vi prego.» «Non sia mai, mio caro signore», protestò Stephen. «No, non gli ho riferito niente che non abbia riferito anche a voi. La risposta è da cercarsi su un piano completamente diverso. Per come vedo la cosa, il commodoro Aubrey è giunto all'intima convinzione che noi abbiamo una superiorità sui nostri avversari che non è di ordine materiale. È convinto che non saranno più loro a prendere l'iniziativa e che, per dirla con le sue parole, sebbene non manchino di navi, di capacità marinare e nemmeno di coraggio, essi manchino di determinazione. Non hanno cioè un vero desiderio di impegnarsi in combattimento, di rischiare il tutto per tutto, e ritiene che al commodoro Hamelin manchi inoltre l'intuito per afferrare il momento decisivo, il colmo di marea della sua campagna. È convinto che Hamelin sia più interessato a catturare le navi della Compagnia che non a conquistare allori quando li ha a portata di mano. Ha citato la vostra osservazione sulla fortuna, un'osservazione che ha molto apprezzato, sostenendo che Hamelin troverebbe diabolicamente difficile afferrarla per i capelli, perché la signora in questione l'ha già superato.» «Ho fatto quell'osservazione in un contesto molto diverso», fece notare Farquhar, ma Stephen, seguendo il filo del suo discorso, continuò: «Non sono uno stratega, ma conosco bene Jack Aubrey. Ho un grande rispetto per il suo giudizio su questioni navali e trovo la sua fiducia, il suo intuito, del tutto persuasivi. Possono anche giocare in lui fattori irrazionali», soggiunse, perfettamente consapevole del motivo delle frequenti visite di Jack all'ospedale e della sua gioia smodata per la ripresa di Colley, «fattori Patrick O'Brian
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quali i presentimenti dei marinai e simili, sui quali tuttavia una mente logica non deve soffermarsi». «Dunque voi siete convinto», disse il governatore con una certa esitazione, «e lo sarò anch'io, allora, anche se con minore partecipazione. Ma perlomeno non pensate che voglia muoversi prima che l'Africaine sia pronta a prendere il mare? Non credete che, in una situazione a tal punto rischiosa, possa decidere di lanciarsi all'attacco come un venturiero dei mari, come il cavaliere senza macchia e senza paura, per affrontare da solo sette avversari?» «Direi di no», rispose Stephen, «ma non posso assicurarvelo. E ora, signore», disse, alzandosi, «devo pregarvi di darmi licenza di partire. La scialuppa mi sta senza dubbio aspettando e sarò rimproverato aspramente se non mi affretto.» «Vi rivedrò presto?» «Sì, a Dio piacendo. Questo viaggio mi porterà soltanto sul capo sudoccidentale di Mauritius, il Brabant, dove mi devo incontrare con due ufficiali delle truppe irlandesi e con un altro signore. Credo di potervi promettere che il commodoro e il colonnello Keating non avranno grandi problemi con i cattolici più osservanti che fanno parte della guarnigione del generale Decaen, quando se li troveranno di fronte.» Mentre attraversavano insieme il vestibolo, soggiunse a voce bassa, dando qualche colpetto alla protuberanza sulla giacca: «Questo è molto più facile da trasportare dell'oro e tanto più efficace». Sul portone furono quasi investiti dal signor Trollope, che aveva salito i gradini della Residenza a quattro alla volta. Si riprese in tempo, lanciò un'occhiata di rimprovero a Stephen, si scappellò e disse: «Vi chiedo scusa, eccellenza, ma sono incaricato dal commodoro di porgervi i suoi ossequi; potrebbe avere settecentocinquanta negri prima del colpo di cannone della sera? Dovrei anche ricordare al dottor Maturin che aveva chiesto l'esploratore per le ore quattro e venticinque minuti». Stephen guardò l'orologio, emise una specie di cupo ululato e partì di corsa in direzione del porto dove il Pearl of the Mascarenes, il più veloce esploratore dell'isola, scalpitava al suo ormeggio.
* La domenica all'alba i due marinai nel posto di segnalazione, alto sopra Patrick O'Brian
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Saint-Denis, stavano soppesando le probabilità che ci fosse il budino di strutto e uva sultanina a pranzo; la domenica precedente, al pari di tutti gli uomini della Boadicea e dell'Africaine, dello Staunch e dell'Otter, erano rimasti senza quella leccornia a causa del ritmo frenetico di lavoro negli arsenali e sembrava che non dovesse andare meglio quel giorno. La forte brezza di terra fece volare i codini sugli occhi dei due marinai che li strinsero automaticamente fra i denti mentre si sporgevano per sbirciare in basso, dove le squadre di operai negri, di marinai, di artificieri e di soldati erano già all'opera come tante formiche: a giudicare dalla loro attività febbrile, il budino della domenica era probabile come una torta nuziale. Perfino la carne di manzo non era per nulla certa. «Ci rifileranno qualche porcheria forestiera un'altra volta», brontolò William Jenkins, «e fredda per giunta, ci puoi scommettere. Accidenti come si agita Riccioli d'Oro, ci fa lavorare come schiavi, ci fa. Senza budino per due domeniche di seguito! E a Simonstown era più o meno come qui. Presto, presto, presto! E guai a fare trucchi con l'orologio.» Riccioli d'Oro era il soprannome di Jack Aubrey in marina e l'altro marinaio, Henry Trecothick, che aveva navigato con lui quando i riccioli erano davvero d'oro, non di quel biondo spento dal sole, ebbe l'impressione che Jenkins stesse superando un po' i limiti e ribatté freddamente: «Ha un sacco di lavoro da fare, no? E lui non si tira indietro. Però è vero che a uno gli piace un pasto caldo, è più naturale e... Bill, che cos'è secondo te quella vela laggiù?» «Laggiù dove?» «Nord nord-est: doppia ora la pùnta. Giusto dietro le isole. Ha ammainato la maestra.» «Non vedo niente.» «Che razza di leccapalle con gli occhi foderati di prosciutto da bagnarola olandese sei, Bill Jenkins! Dietro le isole!» «Dietro le isole? Perché non l'hai detto subito? È un peschereccio, ecco che cos'è! Non li vedi i remi? Non ce li hai gli occhi?» «Passami il cannocchiale, Bill», disse Trecothick. E dopo aver osservato a lungo: «Non è un peschereccio. Stanno remando come se avessero il demonio alle calcagna, dritto nel letto del vento come se fosse una corsa da mille sterline, nessun peschereccio ha mai remato così». Un pausa. «Te lo dico io che cos'è, Bill Jenkins, è quel vecchio esploratore, il Pearl, o come diavolo si chiama.» Patrick O'Brian
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«Tu e le tue fanfaluche, Henry! Il Pearl non deve rientrare nemmeno con la prossima marea... che cos'è, un tuono? Due gocce di pioggia non...» «Che Dio mi strafulmini, ha issato un segnale! Muovi quelle tue chiappe lardose, Bill Jenkins! Nemico in vista e... scacchi rossi e bianchi, che cos'è? Rotta a nord. Bill, vola giù a chiamare il signor Ballocks! Io preparo i segnali. Muoversi! Muoversi!» Il segnale fu issato, tuonò il cannone e il posto di segnalazione di SaintPaul ripeté a Saint-Denis: Nemico in vista diretto a nord. «Grazie, signor Bates», disse Jack. «Sarò in coperta fra un istante.» Sul cassero trovò tutti gli ufficiali immobili a fissare l'asta della bandiera lontana. «Preparatevi a salpare, signor Johnson», disse Jack. Poi si mise a fissare anche lui la collina. Trascorsero due minuti buoni senza nessun altro messaggio e Jack disse all'allievo addetto ai segnali: «Ripetete a Saint-Denis: Staunch e Otter fare vela immediatamente. Seguire movimenti dell'ammiraglia. Si accostò al coronamento e chiamò l'Africaine: «Signor Tullidge, ho posto per cinquanta volontari, non di più». I marinai dell'Africaine brillavano meno per la loro disciplina che per la loro smania di dare una lezione ai francesi, e cominciarono una lotta disordinata e furiosa per conquistare quei cinquanta posti, dopodiché i vincitori, guidati da un poderoso aiuto del nostromo dalla faccia di babbuino, si calarono sulla scialuppa o raggiunsero la Boadicea nuotando vigorosamente mentre l'ormeggio scorreva fumando nell'occhio di cubia e la nave si muoveva sospinta dalla buona brezza di terra. Le vele si spiegarono numerose, la fregata acquistò abbrivo e il vento favorevole la portò verso capo Bernard, l'alto promontorio che nascondeva alla vista l'oceano a nord di Saint-Denis così come la città stessa. Con i coltellacci spiegati a dritta e a sinistra, la Boadicea sollevava un'onda prodiera che lambiva di spuma bianca i parasartie di maestra, ma anche così il capo si avvicinava con tediosa lentezza e Jack trovò un sollievo alla sua impazienza grazie alla distrazione offerta da un parapiglia verificatosi a bordo quando si sparse la voce che gli uomini dell'Africaine avrebbero avuto i cannoni prodieri di dritta. Voci alterate e irose giunsero dal castello di prua, uno schiamazzo quale raramente si sentiva a bordo della Boadicea e che turbò la quiete sacra di una nave da guerra ben governata. Il nostromo si affrettò a venire a poppa, parlò con il comandante in seconda e Seymour, attraversato il cassero, si avvicinò a Jack, che stava fissando il Patrick O'Brian
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posto di segnalazione nella speranza di qualche informazione più precisa, si schiarì la voce e disse: «Vi chiedo scusa, signore, ma gli uomini della squadra del signor Richardson credono di dover cedere i loro cannoni e con tutto il rispetto desiderano far presente che la trovano una cosa un po' dura». «Radunate gli uomini a poppa, signor Seymour», disse Jack, il cannocchiale ancora puntato sull'asta dei segnali ormai al limite del suo campo visivo. Quando richiuse con uno scatto lo strumento e si girò, vide a mezzanave l'intera coperta gremita di uomini il cui rispetto, per quanto genuino, era per il momento molto poco visibile sotto la scorza di rabbia per la palese ingiustizia che stavano per subire. «Una bella congrega di vecchie pettegole siete, parola mia», disse Jack seccato, «vi bevete una sciocca diceria che non contiene un briciolo di verità e vi azzuffate fra voi come pescivendole. Guardate Eames, laggiù con il naso pesto e di domenica per giunta. E tutto questo prima ancora di sapere se si tratta solo di una corvetta dispersa o se il nemico sarà tanto gentile da aspettare al largo finché non avrete finito di bisticciare. Ora vi dirò come stanno le cose: se avremo la fortuna di combattere, ogni squadra servirà il cannone al quale è abituata. Questo è semplicemente giusto. Ma se un uomo della Boadicea dovesse essere ferito, allora sarà sostituito da uno dell'Africaine e, se andremo all'abbordaggio, quelli dell'Africaine saranno i primi ad abbordare la nave francese. Questo è quanto, ed è giusto dal principio alla fine. Signor Seymour, siate così gentile da far distribuire sciabole e asce agli uomini dell'Africaine.» Sì, era giusto, fu l'opinione generale e, per quanto i marinai della Boadicea continuassero a non vedere di buon occhio quelli dell'Africaine, perlomeno cominciarono a usare con loro maniere più civili, anche se restarono piuttosto freddi: niente insulti, niente pugni, solo qualche sgambetto o uno spintone «accidentale» dato di proposito. E finalmente la fregata doppiò capo Bernard, passandogli così radente che una galletta lanciata dalla nave sarebbe andata a finire sui malefici scogli. E mentre lo doppiava e davanti alla nave si aprivano nuovi orizzonti, si sentì un rombo di cannoni pesanti che ruggivano molto distanti a nord. «Salite in testa d'albero, signor Richardson», disse Jack, «e riferitemi che cosa vedete.» L'allievo scomparve in alto mentre Saint-Denis compariva alla vista: lo Patrick O'Brian
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Staunch non era ancora uscito del tutto dal porto e l'Otter lo sopravanzava di appena un miglio. Jack aggrottò la fronte e stava per chiamare l'allievo addetto ai segnali quando vide che le due navi stavano spiegando altre vele. Era vero che nessuna delle due era ancora pronta per un'eventuale azione, pronta a salpare da un momento all'altro come lo era al contrario la Boadicea, e da almeno ventiquattr'ore; era vero che la maggior parte dei loro uomini era stata probabilmente a terra, impegnata negli arsenali, ma ciò nondimeno il commodoro non si sentiva contento di loro e stava meditando un rabbuffo. «Che io mi stia mettendo in cattedra?» si domandò e la risposta «È probabile» aveva appena preso forma nella sua mente quando Lentiggine, dopo aver perlustrato con scrupolo l'orizzonte lontano a nord, gridò: «Ponte! Signore, credo di vedere tre navi a due quarte sulla masca di sinistra!» E quasi a conferma delle sue parole il tuono lontano ricominciò a brontolare. Ogni uomo a bordo tendeva l'orecchio spasmodicamente per tentare di penetrare nella zona di silenzio al di là della musica del sartiame e dello sciabordio dell'acqua; e ogni uomo a bordo udì lo sparo di un moschetto, debole, ma certamente non distante quanto i grossi cannoni. Di nuovo la vedetta allertò il ponte, riferendo, forse con un po' di ritardo, la presenza di un esploratore a un paio di miglia, quasi invisibile sullo sfondo della barriera corallina, che a remi stava arrancando controvento mentre continuava ad annunciare che il nemico era in vista, sottolineando il segnale con un colpo di moschetto. «Accostate, signor Seymour.» Mentre la Boadicea avanzava, il Pearl issò il fiocco e la vela di maestra, si mise con il vento al traverso e si portò al largo della scogliera e dei suoi isolotti, cosicché, quando i due velieri si incontrarono, stavano correndo entrambi velocemente su rotte parallele e si poté procedere senza perdere un minuto a trasferire il dottor Maturin sulla fregata. Le capacità marinare di Stephen erano abbastanza note alla Boadicea e non ci fu bisogno di dare disposizioni particolari. Non c'era tempo per un bansigo, ma una ghia fece la sua comparsa alla varea del pennone di maestra e ora, mentre la fregata e il Pearl continuavano a correre a pochi piedi di spuma bianca e agitata fra loro, Bonden, in posizione all'impavesata del Pearl, afferrò la cima, legò strettamente Stephen, gli raccomandò di «fare piano» e gridò: «Issate adesso, forza!» Si lanciò quindi nel vuoto e con l'agilità di un gatto si arrampicò sulla murata della Patrick O'Brian
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Boadicea per essere pronto a ricevere il dottore quando fosse arrivato a bordo. Aveva calcolato esattamente il rollio e tutto sarebbe andato bene se Stephen, probabilmente con l'idea di tenersi in equilibrio, non si fosse attaccato alle sartie del Pearl. Un serrapennone allentato gli si arrotolò immediatamente alle gambe che ciondolavano e lo avvolse in un intrico di cordame a lui ignoto e dal quale non riuscì in nessun modo a liberarsi. Il mare era grosso e per un attimo parve che Stephen dovesse arrivare a bordo in due pezzi. Un agile marinaio del Pearl accorse in suo aiuto e, a discapito del sartiame della sua nave, tagliò le cime e liberò Stephen; purtroppo lo fece nel momento esatto in cui i marinai della Boadicea, rendendosi conto che rischiavano di fare a pezzi il loro chirurgo, mollarono tutto facendo precipitare Stephen in una paurosa curva discendente al termine della quale andò a sbattere contro la nave, poco al di sotto della linea di galleggiamento. A quel punto, incitati dalle grida, lo issarono di nuovo, ma Stephen rimase bloccato sotto il parasartie e il successivo forte rollio lo fece affondare di parecchi piedi nell'acqua. Sfortunatamente per Stephen non aveva che amici a bordo e una grande parte di questi si precipitarono in suo aiuto; mani robuste lo tirarono in diverse direzioni per le braccia, per le gambe e per i capelli e solo l'intervento d'autorità del commodoro riuscì a salvarlo. Arrivò finalmente a bordo più morto che vivo, insanguinato per i graffi dei denti di cane; gli fecero rigettare una certa quantità d'acqua che aveva bevuto, lo trasportarono sottocoperta e gli tolsero gli abiti di dosso. «Ecco, ecco qui, va tutto bene ora», gli disse Jack, fissando ansiosamente la sua faccia e parlandogli con quel tono di voce compassionevole e protettivo che ha irritato molti malati fin dentro la tomba. «Non c'è un momento da perdere!» gridò Stephen, saltando su all'improvviso. Jack lo costrinse con una forza irresistibile a sdraiarsi di nuovo e con lo stesso tono suadente gli disse: «Non stiamo perdendo tempo, vecchio Stephen. Nemmeno un momento. Non agitarti adesso, va tutto bene, è tutto passato». «Oh, che tu possa marcire all'inferno, Jack Aubrey!» protestò Stephen e poi, con forza ancora maggiore: «Killick! Killick! Miserabile farabutto, del caffè, per amor del Cielo! E una ciotola di olio d'oliva! Ascoltami, Jack», riprese, divincolandosi e riuscendo alla fine a mettersi a sedere, «devi Patrick O'Brian
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forzare le vele, spiegare tutto, correre, precipitarti! Ci sono due fregate laggiù che stanno cannoneggiando una nostra nave e una delle due fregate, la Vénus, ha perduto alberi, sartie... Bonden ti darà i particolari: e tu puoi prenderla, se solo ti spiccerai e non te ne starai là a fissarmi come un talpone paralitico!» «Passare parola per il mio timoniere», chiamò Jack e a Stephen disse: «Ci stiamo già spicciando, sai». Nominò le vele che in quel momento stavano sospingendo la Boadicea verso la battaglia lontana e gli assicurò che non appena avesse lasciato la brezza di terra per entrare nella regione del vento di sud-est, avrebbe serrato la maestra e issato le vele di straglio, perché allora avrebbero avuto il vento al giardinetto e non proprio in poppa; Stephen doveva ricordare che la presenza del comandante in coperta non era necessaria a far avanzare la nave, quando si era tanto fortunati da avere autentici marinai come ufficiali. La comparsa di Bonden e di Killick con l'olio di oliva impedì a Stephen di replicare: si mise a frugare nel mucchio di indumenti bagnati, tirò fuori il suo orologio e lo immerse nell'olio. «È sopravvissuto a parecchie brutte immersioni, speriamo che sopravviva anche a questa. Ora, Barret Bonden, io farò al commodoro un succinto rapporto sulla situazione e voi lo integrerete con i particolari tecnici.» Si concentrò, poi riprese: «Devi sapere che ieri sera ero sul punto più alto del capo Brabant, a picco sul mare, e stavo conversando con alcuni gentiluomini, i quali mi hanno detto fra l'altro, e questo non devo ometterlo, che la Bellone, la Minerve e l'Iphigenia sono in riallestimento, con tutti i cannoni a terra e non saranno pronte a riprendere il mare prima di quindici giorni e anche più. Bonden era a una certa distanza...» «A una gomena, signore», chiarì Bonden. «... quando ho notato una nave che proveniva da Port Louis e sembrava diretta alla Réunion. Uno dei gentiluomini, che era stato sul mare per molti anni, ha assicurato che si trattava di una nave della Compagnia delle Indie. Ha indicato il suo aspetto di nave mercantile e la presenza di un ponte posteriore supplementare, di una piattaforma...» «Casseretto», borbottò Bonden. «... l'infallibile marchio delle vostre navi della Compagnia; e ha osservato che sarebbe stato veramente strano se Monsieur Hamelin, che si trovava a Port Louis, si fosse lasciato sfuggire una simile preda. E difatti poco dopo abbiamo avvistato la Vénus e una fregata più piccola...» «Scusate, signore», disse Bonden, «la Uenus e una corvetta.» Patrick O'Brian
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«Quella piccola aveva tre alberi», ribatté Stephen seccamente. «Li ho contati.» «Sì, signore; ma era solo una corvetta.» E, rivolto a Jack, Bonden continuò: «La corvetta da sedici cannoni Victor, signore». «Be', non importa. Hanno inseguito il presunto veliero della Compagnia, la Vénus più veloce dell'altra. E poi, con nostra sorpresa, si è scoperto che la nave della Compagnia non era affatto della Compagnia. Ha abbassato o ripiegato una quantità di vele; ha lasciato che la Vénus si avvicinasse e poi le ha scaricato addosso una gragnuola di palle, spiegando nello stesso tempo una bandiera che indicava come fosse una nave da guerra.» Jack guardò Bonden, il quale disse: «La Bombay, signore; una nave della Compagnia costruita in un cantiere locale e acquistata dalla marina nel 1805. Mio cugino George ha navigato sulla Bombay come aiuto cannoniere. Ha detto che teneva bene il mare, ma che era una lumaca. Ventiquattro cannoni da diciotto, due lunghi da nove e quattordici carronate da ventiquattro». «A quel punto», riprese Stephen, «la Vénus si è ritirata, aspettando la sua compagna, e la Bombay l'ha inseguita. Il sole era tramontato: siamo scesi dalla scogliera, abbiamo raggiunto l'esploratore e là ho affidato la condotta delle operazioni a Bonden.» «Be', signore», raccontò Bonden, «io lo sapevo che per voi era importante saperlo in fretta, perciò siamo sgusciati attraverso il passaggio dell'Olandese senza quasi un graffio, anche se la marea era bassa, abbiamo raggiunto la scia della Victor e l'abbiamo attraversata col buio poco prima che spuntasse la luna e ci siamo portati sopravvento con tutte le vele a riva e anche di più. Noi eravamo parecchio più avanti, correvamo a nove, dieci nodi quando si è levata la luna e abbiamo visto la Uenus avvicinarsi a poco a poco alla Bombay, sette nodi contro i suoi sei, forse; al principio della seconda comandata, quando la terra non si vedeva più già da un bel po', quella si è affiancata e si sono urtate forte. Bisognava che vi dicevo, signore, che la Bombay aveva a bordo un bel mucchio di giubbe rosse e anche sulla Uenus c'erano parecchi soldati, un sacco di uomini in coperta. Be', insomma, alla Uenus non gli è piaciuto mica tanto e si è portata fuori tiro, per trincare di nuovo il bompresso, mi pare. E però dopo due giri della clessidra si è tirata su di spirito e siccome il vento era girato di due quarte ha spiegato i coltellacci e si è fatta avanti. Durante la diana hanno cominciato un combattimento con tutte e due che correvano con i Patrick O'Brian
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controvelacci e i coltellacci di sinistra; ma a quell'ora noi si era già così lontano che non ce l'ho fatta a vedere per bene come andava. La Uenus l'ho vista perdere il parrocchetto e il picco e la Bombay ha perso gli alberi di gabbia di maestra e di mezzana e i suoi trevi erano maciullati di brutto; ma continuava a fare rotta per Saint-Denis e finché l'abbiamo vista chiara ne restituiva per quante ne prendeva e la corvetta era ancora una lega e più a poppa.» Mentre Bonden parlava, la Boadicea cominciò a sbandare a sinistra: aveva lasciato la brezza di terra e aveva incontrato il vento da sud-est, un vento gentile quel giorno, gentile in modo inopportuno. A dispetto di ciò che aveva detto sulle doti marinare dei suoi ufficiali, Jack salì in coperta non appena Bonden ebbe terminato il suo racconto, controllando automaticamente la forza di vele rispetto a quella del vento e trovandola leggermente fuori proporzione: al pari di molti altri, il giovane Johnson aveva l'idea errata che più vele a riva significassero maggiore velocità e nel suo zelo stava appaiando eccessivamente la nave. Jack non voleva però che il cambiamento avesse l'aria di una critica e prima di dare il comando chiamò la vedetta. «Che cosa si vede?» «Si vedono gli scafi, signore! Una fregata pesante, una nave della Compagnia e una corvetta o forse una fregata armata a senale. Tutte battono bandiera francese, signore; insegna di comando di squadra sulla fregata pesante. Non sparano più dai quattro colpi. La fregata ha perso gli alberi di gabbia, tutti e tre. Anche la nave della Compagnia. La corvetta è intatta, mi pare.» Jack annuì, camminò avanti e indietro e disse a Johnson che forse sarebbe stato meglio ammainare il controfiocco per non sforzare la nave, si mise a tracolla il cannocchiale e si accinse ad arrampicarsi sulle sartie, su, fino alla coffa di maestra e ancora più su fino alle crocette, più lento di vent'anni prima, ma tuttora a un passo più che decente. Tutto ciò che la vedetta aveva riferito era vero; ma ciò che non aveva saputo trasmettergli era l'atmosfera della scena lassù a nord, così lontana che il tremolio dell'aria a tratti restituiva alle navi i loro alberi e a tratti li portava via; per capire l'atmosfera Jack si era arrampicato sul suo osservatorio aereo. Dopo aver dato un'occhiata allo Staunch e all'Otter, entrambi un paio di miglia a poppa e sempre più distanziati dalla Boadicea, si dedicò a un esame prolungato della situazione. Le due navi francesi avevano certamente preso la Bombay, ridotta ai soli fusi maggiori; la Vénus aveva tuttavia pagato uno Patrick O'Brian
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scotto salato, avendo perduto non solo l'albero di gabbia e quello di parrocchetto, ma anche una buona parte di quello di contromezzana. La corvetta non aveva riportato nessun danno. A bordo della Vénus ferveva l'attività e Jack credette di capire che stavano preparandosi a issare un nuovo albero di parrocchetto: certamente avevano lapazzato una bella asta lunga di specie imprecisabile a ciò che restava dell'albero di contromezzana. Fra le navi si vedeva un andirivieni di scialuppe; la distanza era troppo grande per esserne sicuri, ma sembrava che si stesse trasferendo una certa quantità di uomini in entrambe le direzioni, come se non si trattasse solo di traghettare i prigionieri. Hamelin aveva forse intenzione di dare un equipaggio alla nave catturata? Non era affatto impossibile: avendo fatto vela dal porto di origine, era probabile che avesse raddoppiato il suo equipaggio grazie agli uomini prelevati dalle altre navi, per non parlare dei soldati di Port Louis. Se avesse potuto fare a meno di un numero di uomini sufficiente a servire i quaranta cannoni della Bombay e se avesse avuto l'ardire di farlo, la situazione sarebbe mutata radicalmente. Dentro di sé Jack non dubitava affatto della vittoria, ma non bisognava assolutamente che quella convinzione prendesse forma di parole sia pure inespresse; bisognava che restasse confinata a quella specie di rosea luminosità interiore che si era diffusa in lui fin da quando aveva ripreso l'Africaine e che ora gli riempiva il cuore. Uno stato d'animo che Jack riteneva un suo segreto assoluto anche se in realtà era chiaro a tutti a bordo, da Stephen Maturin al mozzo di terza classe con le adenoidi che chiudeva il ruolo equipaggio. Lasciando perciò da parte quel suo fondamentale ottimismo, si accinse a esaminare con freddezza gli elementi che avrebbero potuto contrastarlo e perfino impedirlo. Il primo era il vento. La brezza da sud-est stava diminuendo; già sul mare al mascone di dritta si stavano formando le zone di superficie liscia che annunciavano la consueta calma di mezzogiorno, che avrebbe potuto lasciarlo senza l'abbrivo necessario per manovrare o costringerlo ad avanzare con estrema lentezza dritto verso il fuoco incrociato della Vénus e della Bombay, dando il tempo a Hamelin di apprestare una velatura di fortuna che gli avrebbe permesso una capacità di manovra almeno doppia dell'attuale. Il secondo elemento era il possibile arrivo di rinforzi. Jack non aveva una grande opinione dello spirito di iniziativa del commodoro francese, ma Patrick O'Brian
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Hamelin non era comunque uno sciocco, assolutamente no. All'alba, trovandosi in quella situazione, con la Réunion incombente a sud, era praticamente certo che avrebbe inviato la sua lancia più veloce a Mauritius per chiedere rinforzi. Al suo posto lui lo avrebbe sicuramente fatto nel momento stesso in cui la Bombay aveva ammainato la bandiera. Mentre rifletteva su questi problemi, il quadro a nord si fece più chiaro. Le scialuppe erano state issate a bordo, la Victor, tutte le vele a riva, stava rimorchiando la Bombay e la Vénus, spiegati il trinchetto e la maestra, correva col vento in fil di ruota. E in quel momento una trinchettina comparve sulla Bombay. Il vento era ancora abbastanza forte laggiù e le tre navi stavano facendo i tre nodi, mentre la Boadicea, con tutto il suo nobile spiegamento di vele, arrivava a malapena ai cinque e mezzo. «Però non c'è molto che io possa fare in proposito», rifletté Jack. Il poco che poteva fare lo fece. Avendo finito Plymouth Point, il motivetto più sicuro per attirare il vento, si era messo a fischiettare a casaccio, quando si accorse che Sophia aveva invaso i suoi pensieri, presente con straordinaria chiarezza. «Se questa non si chiama superstizione!», disse a se stesso, sorridendo con singolare dolcezza in direzione dell'Inghilterra. «Avrei giurato che stesse pensando a me.» Il sorriso era ancora sulla sua faccia quando ridiscese sul ponte, tanto che Seymour si sentì incoraggiato a chiedere se doveva far sgombrare per l'azione. «Quanto a questo, signor Seymour», rispose Jack, dando un'occhiata al mostrarombi, «potrebbe essere un po' prematuro. Non dobbiamo tentare la sorte, sapete. Signor Bates, siate così gentile da gettare il solcometro.» «Gettare il solcometro, sissignore», ripeté l'allievo, schizzando all'impavesata di sinistra con un mozzo e un marinaio. Il mozzo reggeva il mulinello, il marinaio la clessidra da trenta secondi; Bates lanciò il solcometro, e quando la barchetta tornò a galla, gridò: «Via!» e il marinaio avvicinò la clessidra agli occhi mentre il mozzo teneva alto il mulinello con solennità ieratica. Il solcometro si allontanò a poppa e i nodi scorsero veloci fra le dita di Bates. «Ora!» gridò il marinaio, l'allievo bloccò la sagola, la riavvolse. Bates attraversò il ponte per annunciare: «Cinque esatti, prego, signore». Jack annuì e guardò in alto alla piramide bianca e torreggiante, alla manica antincendio sulle coffe che stava annaffiando le vele fin dove arrivava il getto, ai secchi che venivano issati sulle crocette per bagnare i velacci Patrick O'Brian
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affinché potessero sfruttare la più piccola spinta, poi disse: «No, signor Seymour. Se gli dei non saranno ben disposti, ci ritroveremo ad avere più tempo di quanto vorremmo. Sarebbe un peccato spegnere i fuochi della cucina così presto; perciò mandate gli uomini alle mense ai sei colpi e visto che sono rimasti senza budino domenica scorsa, oggi avranno doppia razione di prugne. Solo metà razione di grog, però e niente di più». Le facce degli uomini alla ruota, del quartiermastro al governo della nave, del sottufficiale addetto ai segnali e dei marinai poppieri che si trovavano lì vicino si fecero impenetrabili. Jack, continuando a passeggiare avanti e indietro, soggiunse. «Il resto verrà tenuto per la cena, vento, tempo e nemico permettendo. E, signor Seymour, dal momento che abbiamo una certa fretta e il pranzo sarà anticipato, non ci sarà funzione religiosa oggi; credo invece che potremo procedere alla rivista generale. Signor Kiernan», disse poi, con un cenno al sottufficiale dalla faccia di babbuino, «farete radunare gli uomini dell'Africaine sul castello.» Da quel momento in poi il tempo volò a bordo della Boadicea. Tutti i marinai, i quali non si aspettavano certamente quell'evento solenne che aveva luogo la domenica, mai però, mai quando ci si apprestava a combattere, si sarebbero dovuti presentare, un'ora prima del solito, lavati, rasati e con la camicia pulita, davanti al proprio allievo, all'ufficiale e infine al commodoro in persona. E tutti desideravano inoltre brillare di fronte agli uomini dell'Africaine. Lungo tutto il passavanti e sul castello di prua i marinai, a coppie, si pettinavano e intrecciavano a vicenda i codini, rapidi e silenziosi mentre gruppi impazienti di uomini si affollavano intorno al barbiere, sollecitandolo a fare più in fretta, più in fretta; e fanti di marina ansiosi sbiancavano col gesso e lucidavano sotto il sole cocente. L'ispezione risultò una cosa piuttosto ben fatta, con gli ufficiali in alta uniforme e la spada al fianco che accompagnavano il commodoro nel lento procedere lungo le linee di marinai nei loro abiti migliori: e quelli dell'Africaine, le barbe lunghe e le camicie sporche, ci rimasero piuttosto male. Ma la cerimonia fu sciupata in parte dalle distrazioni offerte da quanto stava succedendo laggiù a nord, dove l'alzana della Bombay si era spezzata e dove la Victor stava facendo una fatica infernale per passargliene un'altra; la Vénus, che in un primo momento se ne era allontanata, aveva poi risalito il poco vento che c'era, per darle una mano, e soprattutto la vasta distesa di oceano fra la Boadicea e le navi francesi si era ridotta in modo sorprendente. Perfino con il commodoro in coperta, Patrick O'Brian
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pochi, a parte i fanti di marina rigidi sull'attenti, avevano resistito alla tentazione di sbirciare verso nord e di scambiarsi commenti; e quando il comandante Aubrey fu sceso sottocoperta per l'ispezione della cucina e del corridoio con il comandante in seconda, il signor Trollope fu costretto a richiamarli all'ordine e a prendere i nomi dei più loquaci per una futura punizione. Non appena la rivista generale fu terminata, i fischietti del nostromo e dei suoi aiutanti trillarono per mandare gli uomini alle mense. Ogni uomo a bordo sapeva che il comando Sgombrare i ponti per l'azione sarebbe seguito entro brevissimo tempo, dato che il vento si era rafforzato notevolmente nell'ultima mezz'ora e bisognava decidere all'istante se combattere con gli abiti migliori addosso e perdere, se non il manzo, certamente il budino con doppia razione di prugne. La maggior parte optò per il budino: lo mangiarono sul ponte, accanto ai cannoni, stando ben attenti a non sporcarsi le camicie immacolate, i solini di seta e le brache con i nastri applicati alle cuciture. Non avevano ancora mandato giù l'ultima briciola quando arrivò l'atteso comando. I gamellini scomparvero e gli uomini, qualcuno ancora con il boccone in bocca, si dedicarono al compito familiare di sgombrare i ponti da prua a poppa e quando tutto fu pronto, attesero in piedi ai posti di combattimento, guardando ora il nemico ora le due navi di conserva ancora distanti a poppa. In quel momento Stephen salì sul cassero con un piatto di sandwich. Il dottor Maturin era una benedizione del Cielo per l'equipaggio della Boadicea: non soltanto avvicinava il commodoro con una libertà impossibile a chiunque altro a bordo, ma gli rivolgeva anche domande che nessuno al di fuori di lui avrebbe mai espresso, domande che ricevevano risposte civili in luogo di un severo rabbuffo. Di non ascoltare le conversazioni private in omaggio alle buone maniere nessuno si preoccupava più da molto tempo e sul cassero si fece subito silenzio, perché non andasse perduta nemmeno una parola scambiata fra il commodoro e il dottore. Stephen non li deluse nemmeno quella volta. «Signor mio», disse, «quale splendore vedo intorno a me: ricami dorati, splendide brache, feluche. Consiglio caldamente un sandwich. Staremmo forse contemplando un attacco?» «L'idea mi ha attraversato la mente, devo ammetterlo», rispose Jack. «Mi spingerò anzi fino ad affermare che temo il conflitto sia ormai Patrick O'Brian
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inevitabile. Immagino si noti, dottore, che i ponti sono stati sgombrati per l'azione?» «Ma certamente. Non ho solcato gli oceani per tutti questi laboriosi anni senza apprendere il significato di questo disordine selvaggio, le cabine scomparse, le mie carte, i miei campioni ficcati malamente in qualche recesso. Per questo sono qui, per avere un po' di pace. Santi numi, come sono vicine! Sarebbe indiscreto chiedere che cosa succederà adesso?» «Per dir la verità, dottore, al momento sono diviso fra due possibilità. La corvetta ha mollato l'alzana e sta dirigendosi su Mauritius con tutte le vele che ha, senza dubbio per eseguire il comando del suo commodoro, mentre quest'ultimo sta avvicinandosi alla Bombay. Ora, se la loro preda è stata armata, se Hamelin ha mandato un numero sufficiente di uomini a bordo della Bombay per servire i cannoni, allora il suo piano è di attaccarci con entrambe le navi e in questo caso noi dovremo passare fra di loro facendo fuoco con entrambe le bordate. Ma se non l'ha armata e se sta solo coprendo la ritirata della Victor con questa manovra, allora significa che ci attaccherà da solo. E in quel caso dobbiamo portarci rapidamente alla sua prua, o al suo giardinetto se virerà di bordo, e prenderla andando all'abbordaggio, così da non sciupare il suo scafo e nemmeno quelle preziose aste che vedo in coperta. Ancora dieci minuti e sapremo che cosa intende fare. Se non metterà a collo la trinchettina quando starà per raggiungere la Bombay così da mettersi in panna a fianco a lei, vorrà dire che non l'ha armata e che deve combattere da solo. Vedetta!» gridò, «che cosa si vede a nord?» «Niente, signore, a parte la corvetta! Orizzonte libero da tutte le parti. La corvetta ha perduto il controvelaccino e ne sta inferendo un altro.» Seguì un silenzio prolungato a bordo della Boadicea: gli uomini accanto ai cannoni fissavano la nave francese al di sopra della barricata di brande o attraverso i portelli aperti; le reti di protezione sopra le loro teste creavano un disegno rettangolare sul ponte; il vento sibilava e sospirava fra le sartie. I minuti passarono. Dieci minuti. Poi un brusio generale si levò da tutta la nave. La Vénus non aveva messo a collo la trinchettina e aveva ormai superato la Bombay. Una brutta nave la Vénus, con i suoi tronconi di alberi, ma era pericolosa, decisa e i portelli erano tutti aperti; aveva a bordo cannoni pesanti e i suoi ponti erano gremiti di uomini. «Signor Seymour», disse Jack, «vele di gabbia e trinchetto soltanto e ricaricare i cannoni a mitraglia. Nemmeno un tiro contro lo scafo, spazzate Patrick O'Brian
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i ponti, ma lo scafo deve restare intatto. Mi avete sentito laggiù?» gridò con voce tonante. «Gli equipaggi dei cannoni che colpiranno lo scafo saranno frustati! Signor Hall, portatemi alla sua prua.» Sempre più vicino. L'opinione che Jack si era fatto di Hamelin migliorò: il francese stava puntando tutto su un passaggio così ravvicinato, prima di essere costretto a virare, che la sua bordata avrebbe causato danni irreparabili alla Boadicea: puntando tutto, perché dopo la virata la Vénus, senza altre vele da spiegare, non sarebbe più riuscita a prendere abbrivo sulle nuove mure e avrebbe dovuto restare lì per essere bombardata a morte. Ancora più vicini nel silenzio assoluto, a un tiro di pistola ormai. I cannoni di prua della Vénus tuonarono, la virata cominciò e un istante prima che il fianco della nave fosse pienamente visibile, Jack disse: «Tutto a sinistra!» La Boadicea si mosse rapida, sbandando bruscamente, e la colossale bordata della Vénus non riuscì ad abbattere nessun albero. Il pennone di parrocchetto colpito, due aste di coltellaccio volate via, qualche sartia tranciata, la gru di capone disintegrata e la grande ancora che pendeva libera fu il bilancio dei danni: ma Hamelin aveva perduto la sua scommessa. «Caricate a vista a prua», disse Jack, e immediatamente la trinchettina imbrogliata rallentò la velocità mentre la fregata si addentrava nel fumo del nemico. La Vénus accostò fin quasi ad avere il vento in fil di ruota, presentando la poppa alla Boadicea. «Date una mano con l'imbroglio!» comandò Jack. «Signor Hall, non puntate sul giardinetto ma portatemi al mascone.» La Boadicea si lanciò in avanti e fu chiaro che si sarebbe accostata alla Vénus prima che i francesi avessero tempo di ricaricare. «Gli uomini dell'Africaine si preparino ad abbordarla a prua!» gridò. «I marinai della Boadicea a poppa! Noi attaccheremo il cassero. E daremo a quelli dell'Africaine un minuto di vantaggio, badate a quello che dico. Pronti vicino ai cannoni!» Jack sguainò la spada. «Bonden, dove sono le mie pistole?» Vide Killick al suo fianco con un paio di scarpe vecchie in mano e una giubba sul braccio. «Non potete andare all'abbordaggio con le vostre migliori scarpe con la fibbia d'argento, vostra signoria, e nemmeno con l'uniforme numero uno», continuava a ripetere Killick in tono acuto e arrabbiato. «Non vi ci vorrà più di un minuto per cambiarvi.» «Scempiaggini», disse Jack. «Tutti vanno in alta uniforme, perché non Patrick O'Brian
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dovrei andarci anch'io?» I soldati della Vénus facevano fuoco dalla poppa, ma era ormai troppo tardi. La Boadicea si affiancò, Jack ordinò: «Fuoco». E la mitraglia spazzò la coperta della Vénus ad altezza d'uomo mentre nella spessa nube di fumo i rampini volavano in aria e i gabbieri correvano ad assicurare strettamente i pennoni della nave francese; le masche delle due navi si urtarono e Jack ruggì: «Africaine! Avanti!» Un attimo dopo le due fregate erano affiancate da prua a poppa. Per un intero minuto Jack rimase fermo alla testa dei suoi arrembatoli mentre i fanti di marina dietro di lui imbracciavano i fucili come se fossero in una parata e gli uomini sulle coffe bersagliavano i cannoni del nemico. Un lungo minuto di confusione e di urla a prua, il crepitare delle pistole e il ruggito di una carronata che gli uomini dell'Africaine avevano girato contro la parte centrale della Vénus. Poi Jack gridò: «Boadicea! Seguitemi!», scavalcò d'un balzo ciò che restava della barricata di brande, saltò sulle sartie dell'albero di maestra, tranciò la rete di arrembaggio, vibrò un fendente a una testa comparsa sotto di lui e piombò sul cassero della Vénus, seguito da una massa di uomini urlanti. I marinai francesi a mezzanave stavano affrontando l'attacco furioso degli uomini dell'Africaine e Jack vide davanti a sé uno schieramento di soldati; un istante prima che i suoi uomini irrompessero sul cassero, un piccolo caporale spaurito si lanciò contro di lui puntandogli contro la baionetta. Bonden afferrò la canna, gli strappò di mano il moschetto, abbatté tre uomini con il calcio e ruppe l'allineamento nemico. Sul cassero, alle spalle dei soldati, giacevano numerosi corpi di ufficiali e in quell'attimo di pausa a Jack sembrò di vedere l'uniforme di comandante della marina francese. Poi gli uomini a poppa sul passavanti di sinistra, guidati da un giovane ufficiale, si voltarono e contrattaccarono con un tale impeto che gli uomini della Boadicea furono respinti fino alla ruota del timone e nei minuti che seguirono ci fu una mischia furiosa, sciabolate, colpi di pistola, calci, assalti, fendenti. Ma gli uomini della Vénus non potevano resistere agli arrembatoli, schiacciati, soffocati dal loro stesso numero, sfiniti dopo la lunga battaglia della notte e dalle fatiche successive, scoraggiati dalla vista dell'Otter e dello Staunch che si stavano avvicinando rapidamente e dalla certezza della sconfìtta. Una squadra di croati, moralmente poco partecipi allo scontro, si infilò nel boccaporto di maestra non più sorvegliato, imitata da Patrick O'Brian
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altri che cercavano ugualmente di mettersi al sicuro sottocoperta. I francesi rimasti sul passavanti tentarono un ultimo disperato attacco e un marinaio basso e tarchiato armato di coltello abbrancò Jack alla vita. Jack lo colpì sulla faccia con l'elsa della spada, lo calpestò, liberandosi e là, nello spazio libero accanto alla cavigliera a piè d'albero, vide un ufficiale che porgeva la spada con l'elsa in avanti e indicava con un gesto il mozzo che a poppa stava ammainando la bandiera. Al di sopra della colossale acclamazione che si propagò dal cassero della Vénus fino alla Boadicea, Jack ruggì: «Cessate il fuoco, laggiù! Laggiù a prua, Africaine, cessare il fuoco! Si è arresa!» I combattenti si divisero, fissandosi l'un l'altro con sguardi inespressivi, poi si allontanarono lentamente; la tensione estrema si allentò e si spense con straordinaria rapidità; poco dopo un nuovo rapporto si era già stabilito in una specie di primordiale contatto sociale: gli uomini non potevano più colpirsi a vicenda. Jack accettò la spada dell'ufficiale con un cortese inchino del capo e la passò a Bonden. L'uomo che aveva calpestato si rialzò senza guardarlo in faccia e si diresse incespicando verso i suoi compagni rimasti in piedi dove la battaglia li aveva lasciati o che si erano radunati in piccoli gruppi accanto all'impavesata sottovento, silenziosi, come se l'atto di resa avesse prosciugato ogni loro energia. Dalla Boadicea continuavano a levarsi le acclamazioni, e il baccano pieno di esultanza veniva riecheggiato dalla Bombay, distante un quarto di miglio: aveva issato di nuovo i suoi colori e l'equipaggio stava saltando e agitando le braccia e urlando a squarciagola lungo l'impavesata e sulle coffe. «Il commodoro Hamelin?» domandò Jack all'ufficiale, il quale indicò con un gesto uno dei corpi che giacevano accanto alla ruota.
* «Mi è dispiaciuto per Hamelin», disse Jack mentre cenava con Stephen, una cena a tarda ora. «Anche se, a ben pensarci, un uomo non può desiderare di meglio.» «Quanto a me», replicò Stephen, «desidero certamente di meglio: un proiettile di mitraglia nel cuore non corrisponde esattamente alla mia idea di felicità, e intendo fare di tutto per evitarlo. Vedo tuttavia che il Patrick O'Brian
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dispiacere non ha effetto sul tuo appetito: è l'ottava cotoletta quella che stai trangugiando. E nemmeno noto, e la cosa mi colpisce molto, quella reazione di malinconia che ho così spesso osservato in te.» «È vero», ammise Jack, «una battaglia rende meravigliosamente chiaro l'animo finché dura; ma in seguito la nera bestia ti è addosso. Il conto del macellaio, i funerali, le lettere da scrivere alle vedove degli uomini, tutto da rimettere a posto, annodare e impiombare, azionare le pompe... ci si sente sfiniti, svuotati, morti come acqua in una gora; succede anche per altri motivi, certo. Stavolta però è diverso. È vero che ce la siamo cavata senza nessun danno o quasi, ma non è questo il punto. Il punto è che lo scontro di oggi è solo il principio della vera battaglia. L'Africaine sarà in grado di prendere il mare martedì: con le aste che si stanno preparando a Saint-Paul e quelle che abbiamo preso oggi, la Vénus e la Bombay non ci metteranno molto di più a essere pronte, raddoppiando le squadre: gli scafi sono già più o meno a posto, sai. Ciò significa quattro magnifiche fregate, più la Windham, tre buone corvette e tutte le navi da trasporto armate, mentre loro hanno soltanto l'Astrée e la Manche pronte a salpare. La Bellone e la Minerve devono essere certamente a far carena e l'Iphigenia e la Néréide serviranno a ben poco anche quando saranno state riparate. Hanno perso il loro commodoro e il comandante dell'Astrée, perlomeno, non è certamente un genio. E che ne è del loro morale? No, lascia che te lo dica, Stephen: alla fine della settimana Keating e io porteremo a termine il nostro piano e sarà quella la vera azione navale, quella che io chiamo una battaglia; e non m'importa se dopo mi verrà il malumore.» «Bene, amico mio», disse Stephen, «politicamente Mauritius era pronta a cascarci in grembo come una prugna matura o come un mango anche prima dell'Ile de la Passe. Ora che tu hai riparato il disastro e hai fatto anche di più, credo che potrai installare il governatore Farquhar a Port Louis entro una settimana dallo sbarco delle nostre truppe.»
CAPITOLO X «Sei stata molto molto presente nei miei pensieri tesoro mio, anche più del solito», scrisse Jack, continuando la sua lettera a puntate a Sophia, una lettera che era andata raggiungendo la mole attuale fin dal giorno in cui la Leopard aveva salpato da Saint-Paul per il Capo, il suo ultimo contatto con l'ammiraglio, «e ti avrei certamente scritto prima, se non fossimo stati così Patrick O'Brian
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tremendamente occupati. Da lunedì mattina stiamo correndo di qua e di là, con tutti gli uomini al lavoro di giorno e di notte, per mettere la squadra in condizione di prendere il mare, uno stridere di seghe, un martellare, un trillare di fischietti dei nostromi quali non hai certamente mai sentito in tutta la tua vita. Il povero Trollope, un ufficiale attivo ma di temperamento bilioso, si è preso un colpo di sole, mentre un fabbro negro che aveva lavorato diciotto ore di fila è svenuto e quando è stato trasportato via era diventato grigio. Ma finalmente è tutto finito e adesso siamo in mare e la terra scompare alla vista mentre il sole si leva...» - Jack guardò sorridendo fuori della vetrata di poppa della Boadicea e sulla sua scia, a due gomene di distanza, vide la Vénus, le vele di madreperla nella luce crescente; dietro la Vénus si distingueva l'Africaine e lontano sottovento le ultime tre navi da trasporto. In quanto nave ammiraglia, la Boadicea avanzava al centro della squadra, con la Bombay e la Windham in testa, lo Staunch, l'Otter e la Grappler distanti sopravvento, mentre sottovento erano le navi che trasportavano le numerose truppe - «... e formiamo una squadra piuttosto rispettabile. È vero che qualche nostro albero farebbe sgranare gli occhi in un arsenale, ma servirà ugualmente allo scopo; può darsi che non siano belli, ma serviranno. Abbiamo preso molte aste della Bombay e della Vénus, ed è stata una faticaccia infernale portarle in porto: avevo promesso agli uomini che l'altra metà della razione di grog sarebbe stata distribuita per cena e tutto sarebbe andato bene, se non avessero trovato il modo di introdursi nel deposito del rum del nemico. Signore Iddio, Sophia, le nostre navi sembravano un branco di porci indemoniati sulla via del ritorno, con sette marinai della Boadicea e sette dell'Africaine ai ferri e la maggior parte degli altri troppo ubriachi per andare a riva. Per fortuna l'Otter rimorchiava la Bombay altrimenti non so se saremmo riusciti a rientrare con entrambe le prede sane e salve. In quelle condizioni qualunque brigantino francese avrebbe potuto riprendercele senza nessuna fatica. «La mattina seguente quasi tutti gli uomini erano sobri e ho fatto loro una predica molto severa sul vizio bestiale dell'ebbrezza; ma temo che l'effetto delle mie parole (e si è trattato di parole tuonanti, posso assicurartelo) sia stato sciupato dall'accoglienza che ci hanno fatto a terra. Razzi, fuochi del Bengala che non si vedevano quasi per via del sole ma ugualmente graditi, cannoni che sparavano a salve da tutte le fortificazioni e tre tripli urrà in tutto il porto. Il governatore, un uomo eccellente e Patrick O'Brian
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deciso, con una solida testa sulle spalle e che sa che cosa vuol dire collaborazione, è stato così contento alla vista delle due fregate che abbiamo catturato che avrebbe certamente fatto ubriacare di nuovo gli uomini, pur essendo egli stesso un bevitore di tè, se non gli avessi fatto presente che dovevamo falciare il fieno finché c'era il sole. Il colonnello Keating davvero non stava più in sé dalla contentezza e si è espresso nel modo più gentile; è stato d'accordo con me sulla necessità assoluta di battere il ferro finché era caldo. «Con uno zelo insuperabile ha incitato gli ufficiali dello stato maggiore e gli altri posapiano ed è riuscito a far arrivare le truppe a bordo con tutto il loro equipaggiamento e in buon ordine. Perché, mia cara (poiché tu sola leggerai questa mia, e quando tutto sarà finito, comunque), la nostra intenzione è di sbarcare a Mauritius dopodomani, e abbiamo buone speranze che l'invasione avrà successo.» Lanciò un'occhiata furtiva a Stephen Maturili mentre scriveva queste parole, così contrarie a tutti i princìpi del suo amico e a tutti i suoi ripetuti avvertimenti; Stephen, cogliendo il suo sguardo, gli domandò: «Hai forse bisogno di un incoraggiamento, amico mio?» «Sarebbe gradito», rispose Jack. «Allora ti dirò che il comandante della nave Jefferson B. Lowell...» «Il brigantino a palo, Stephen. Era un brigantino a palo americano; e di grandi qualità veliche, anche.» «Bah! È stato così gentile da parlarmi dei tassi di cambio della carta moneta di Mauritius accettati da lui e dagli altri suoi colleghi che commerciano con Saint-Louis. Prima del nostro arrivo lo scambio era più o meno alla pari, poi era sceso del ventidue per cento al di sotto della parità e ha continuato a subire variazioni a seconda delle vicende della campagna, per risalire al novantatré dopo l'Ile de la Passe. Adesso le banconote di Mauritius non vengono accettate assolutamente e si esigono pagamenti in oro. Ecco ciò che si può definire una testimonianza fredda e oggettiva.» «Sono lietissimo di saperlo, Stephen: grazie davvero.» Jack tornò alla sua lettera e Stephen al suo violoncello. «Sono sicuro che Keating si sarebbe dato un gran daffare in ogni caso, tanto è il suo zelo per la nostra campagna comune, e mai l'esercito e la marina hanno collaborato così bene da quando sono state inventate le navi; ma ora si è impegnato due, tre volte di più a causa di una certa Patrick O'Brian
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inquietudine per ciò che ha saputo dagli ufficiali dell'esercito che abbiamo liberato sulla Vénus. Parlavano di un generale Abercrombie che avrebbe dovuto prendere il comando e di una forza considerevole che era stata radunata da tutte le parti dell'India. È difficile capirci qualcosa in quello che dicono, perché il loro colonnello era stato ucciso in combattimento e gli ufficiali di grado inferiore avevano raccolto solo voci, pettegolezzi; ma l'idea generale è che avrebbero dovuto riunirsi a Rodriguez con parecchi reggimenti da Fort William e truppe dal Capo per poi portarsi tutti insieme alla Réunion; il che, a ben pensarci, è un'assurdità. Ma Keating era molto preoccupato lo stesso: 'Se qualche vecchio babbuino di generale pensa di venire un'altra volta a tirarmi fuori il pane di bocca appena è imburrato', grida con grande foga, 'giuro che venderò il mio brevetto al maggiore offerente e il servizio può andare a...! Essere defraudati della gloria dopo aver fatto tutta la fatica, sarebbe troppo, assolutamente troppo!' E mi ha raccontato un'altra volta dell'assedio di non so quale città indiana: Keating aveva dato l'assalto alle mura, respinto decine di sortite, praticato una breccia e stava per prendere d'assalto la città quando era comparso un palanchino da cui era sceso un generale che aveva assunto il comando, dato l'ordine di attaccare, scritto un dispaccio in cui si attribuiva tutto il merito della vittoria, dopodiché era stato promosso e aveva ricevuto l'ordine del Bagno e accresciuto i suoi titoli nobiliari. Keating ha aggiunto qualche considerazione piuttosto critica sull'ordine del Bagno e su certi vecchi signori che farebbero qualsiasi cosa pur di procurarsi quel misero nastro, commenti che non ti ripeterò dato che sono un po' troppo scottanti.» Jack fece una pausa, meditando sul modo di combinare «scottanti» con «bagno», per creare un effetto particolarmente spiritoso, ma il suo talento non andava in quella direzione e, dopo aver masticato la penna per un po', riprese: «E nemmeno io sono riuscito a tirar fuori qualcosa di molto sensato dal povero Graham, della Bombay. Era stato in una spedizione contro i pirati nel golfo Persico e non appena rientrato, con un equipaggio ridottissimo, aveva ricevuto l'ordine di prendere immediatamente a bordo una grande quantità di soldati e di incontrarsi con la Illustrious, da settantaquattro cannoni, immediatamente a sud del canale fra le Andamane e le Nicobare. Aveva avuto solo guai dall'inizio della traversata: una falla sotto il gavone di prua dopo appena dieci giorni di navigazione... obbligato a rientrare in porto, con il vento sempre contrario e le pompe in azione... gli uomini stanchi... ritardi a non finire Patrick O'Brian
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dell'arsenale... mancato il primo appuntamento, mancato il secondo... lui stesso sofferente per una febbre... si era diretto verso Saint-Louis dove pensava di trovare noi impegnati nel blocco... catturato dopo uno scontro lungo e piuttosto cruento. Temo che il caldo, lo sfinimento, le ansie e la battaglia gli abbiano sconvolto le meningi, perché il poveretto si è arreso a una corvetta scambiandola nel buio per una fregata di seconda classe. (Vero però che era armata a nave: si trattava della nostra vecchia Victor, da sedici cannoni, ma un vero guscio di noce, in realtà.) Stephen era d'accordo con me circa le sue facoltà mentali e lo ha riempito fino ai boccaporti di pozioni oppiacee, gli ha rasato la testa e gli ha applicato le sanguisughe prima che salpassimo. Ma in ogni caso, non sono riuscito a sapere se aveva ricevuto l'ordine di recarsi a Rodriguez, perciò è quasi certo che Keating abbia fantasticato su una chimera, come si suol dire. Dal momento però che questa lo rendeva così ansioso di far trovare il fatto compiuto (vale a dire l'isola conquistata e il governatore di Sua Maestà installato) a un generale avido di onori in agguato, e dal momento che la sua smania andava d'accordo con la mia di prendere il mare prima che i francesi avessero finito di riparare la Minerve e la Bellone (si mormora che qualcuno, un realista o un papista o entrambe le cose, le avesse danneggiate con qualche macchina infernale, anche se dubito che perfino uno straniero possa essere tanto malvagio), be', devo dire che l'ho incoraggiato non poco con la sua chimera». «Stephen!» chiamò, al di sopra del cupo lamento del violoncello, «come si scrive chimera?» «Molto spesso con 'eh', credo. Le hai parlato della mia procellaria detta 'puzzolente'?» «Non ti sembra che 'puzzolente' sia un termine di livello piuttosto basso per la mia lettera?» «Che Dio ti benedica, amico mio, una madre di due bambine in fasce non arriccerà certamente il naso. Ma puoi mettere 'uccello pelagico' se lo trovi più gentile.» La penna grattò la carta, il violoncello cantò con voce profonda; un allievo bussò alla porta. Riferì che era stata avvistata una vela al mascone di dritta e aggiunse che da una toppa strana che aveva sul parrocchetto si pensava fosse la Emma. «Aye, non c'è dubbio», disse Jack. «Ha impiegato pochissimo tempo davvero. Grazie, signor Penn.» La Emma era stata richiamata da un esploratore dalla sua posizione al largo di Rodriguez, ma non era attesa Patrick O'Brian
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prima del giovedì seguente. «Tom Pullings sarà a bordo fra poco», disse a Stephen, «dobbiamo trattenerlo a pranzo. Dopo tutto quell'andirivieni al largo di Rodriguez sarà contento di assaggiare carne di montone fresca.» Chiamò Killick: la sella del montone del giorno prima doveva essere pronta ai cinque colpi precisi, insieme con una mezza dozzina di bottiglie di Constantia rosso e un budino affogato. Mentre parlavano di Thomas Pullings, delle sue mediocri prospettive, dei suoi reali meriti, del suo probabile appetito, l'allievo ricomparve, senza fiato e con gli occhi sbarrati: lo Staunch aveva appena segnalato quattro vele in vista dirette a nord. «Che dice la Emma?» domandò Jack. «Non lo so, signore.» «Allora siate così gentile da scoprirlo», disse il commodoro con una certa asprezza. La Emma, a quanto pareva, non aveva niente da dire. Nessun nemico in vista sventolò sull'albero di trinchetto, nessun colpo di cannone per attirare l'attenzione della nave ammiraglia; eppure la Emma, con un comandante che era un vero marinaio, si trovava più vicina a quelle quattro vele dello Staunch. La conclusione era ovvia: le quattro vele erano della Compagnia delle Indie... a meno che, rifletté Jack mentre una morsa di ghiaccio gli serrava il cuore, a meno che non si trattasse di vascelli da guerra inglesi. Uscì pensieroso dalla cabina, salì in coperta, fece segno all'Africaine che sarebbe uscito dalla formazione e strinse il vento per avvicinarsi alla Emma. Fino a quel momento la Boadicea, con poche vele a riva, aveva adattato la sua velocità a quella delle navi da trasporto, ma ora i velacci si spiegarono e con un buon vento lasco, cominciò a correre come una puledra purosangue, la scia bianca e lunga, l'onda prodiera alta fino all'occhio di cubia e con gli spruzzi che arrivavano a poppa dal castello iridescenti nel sole. L'umore generale si alzò di tono, si udirono le risate dei mozzi e dei gabbieri più giovani che correvano a riva per aprire i controvelacci, ma bastarono pochi comandi insolitamente secchi e veementi per frenare le espressioni più chiassose della loro allegria. I marinai poppieri e quelli di mezza nave si mossero silenziosi come topi, camminando ostentatamente in punta di piedi quando non potevano essere visti; quelli prodieri si scambiarono gomitate e strizzatine d'occhio e quelli a riva mormorarono: «Attenti ai groppi, ragazzi», con un sorrisetto d'intesa. Poche cose riuscivano a passare inosservate su una nave da guerra Patrick O'Brian
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e sebbene soltanto la sentinella dei fanti di marina e uno o due membri del picchetto avessero visto Jack e il colonnello Keating tornare a bordo dopo la cena d'addio del governatore Farquhar, tutta la nave sapeva che il comandante «aveva alzato il gomito», che era «più brillo del vecchio Noè», che era stato riportato «in carriola ruggendo che voleva una donna, una donna nera, nella sua branda», e sorridevano con indulgenza, bisbigliandosi a vicenda citazioni dalla sua omelia sul vizio bestiale dell'ubriachezza mentre lo sentivano domandare con voce tonante se bisognasse aspettare il prossimo turno di guardia perché quella mura fosse tesata sulla sua caviglia. La Boadicea stava ora fendendo l'onda lunga con un bel movimento vibrante di vita e raggiungeva senza fatica i dieci nodi e, per quanti non erano tormentati da truci presagi, era un piacere sentirla correre a quella velocità. «Mi ero immaginato proprio così la vita sul mare», osservò il signor Peter, un raro visitatore del cassero, che passava la maggior parte delle sue giornate in un buco senz'aria e ingombro di carte, dividendo il suo tempo fra il mal di mare e il lavoro. «Non lo trovate inebriante, signore?» «Certamente, è come un bicchiere di champagne», disse Stephen e il signor Peter sorrise, guardando con aria significativa il colonnello Keating, giallastro in viso e con gli occhi socchiusi contro il sole. Era stato il colonnello infatti ad aver fatto ritorno alla nave su una carriola, lui a gridare con quanto fiato aveva in gola: «Onore alla copulazione!» La Boadicea e la Emma si stavano avvicinando l'una all'altra alla velocità composta di sedici nodi e ogni minuto che passava l'orizzonte a oriente arretrava di un altro miglio. Ben presto la vedetta avvertì il ponte che le quattro vele segnalate dallo Staunch erano in vista; poi ne furono avvistate altre due: due navi dirette a est nord-est e un sospetto di velacci al di là. Sei navi almeno: era quasi impossibile che si trattasse di navi della Compagnia. Jack camminò avanti e indietro, la faccia sempre più scura, si tolse la giacca, prese in prestito il cannocchiale di Seymour e salì in testa all'albero di trinchetto. Era quasi arrivato lassù, con le sartie che gemevano sotto il suo peso e con il vento che gli faceva sventolare i capelli a nordovest, quando udì la vedetta borbottare: «Sedici, diciassette... ma è una fottuta armada! Un'invincibile fottutissima armada. Ehilà sul ponte!» «Non importa, Lee», disse Jack, «lo vedo da me. Spostatevi.» Si sistemò Patrick O'Brian
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sulle crocette, puntò il cannocchiale a est nordest e là scoprì la più grande concentrazione di navi da guerra che avesse mai visto nell'oceano Indiano. E in quell'istante, per assestare il colpo di grazia alle sue speranze, riconobbe l'Illustrious, un vascello a due ponti che issava l'insegna di ammiraglio di squadra. La Emma era vicina ormai. Da un pezzo si erano scambiate i nominativi e ora la Emma stava accostando sottovento con il suo rollio pesante, mentre la fregata metteva a collo il parrocchetto. Jack lanciò un ultimo lungo sguardo alla flotta, navi da guerra e da trasporto, poi ridiscese in coperta con i movimenti di chi discende le scale di casa sua pensando non agli scalini, ma ai suoi guai. Si stava infilando la giacca quando Pullings salì a bordo; e il contrasto fra l'espressione raggiante dell'ufficiale, il bagliore dei denti bianchissimi sulla faccia abbronzata e quella cupa del commodoro avrebbero colpito un osservatore molto meno attento di Stephen. Tuttavia, la mera forza del sorriso di Pullings, il suo evidente piacere, suscitarono un sorriso in risposta, un sorriso che si fece un poco più accentuato alla vista di un grosso sacco che veniva issato dalla scialuppa della Emma., l'amatissimo e familiare sacco della posta. «Nessuno è accolto meglio del postino, signor Pullings», disse Jack, invitandolo nella cabina. «Da dove venite, Tom?» gli domandò una volta là. «Dritto dalla nave ammiraglia, signore», rispose Pullings, come se quella fosse la notizia più bella del mondo. «La nave dell'ammiraglio Bertie?» domandò Jack, la cui mente riluttante aveva tentato di proporgli un'ipotetica forza destinata a Giava, forse, con un diverso vice ammiraglio, senza alcuna responsabilità al Capo, un semplice ammiraglio di passaggio. «Proprio così, signore», affermò Pullings allegramente. «E mi ha dato questo per voi.» Tirò fuori dalla tasca un Naval Chronicle con le orecchie alle pagine nel quale era infilata una lettera ufficiale; tenne il segno con il pollice, la lettera a mezz'aria, senza realmente consegnarla, e disse: «Nessuna notizia da casa, allora, da quando ci siamo visti l'ultima' volta?» «Non una parola, Tom», rispose Jack, «non una parola da quando abbiamo lasciato il Capo; e le lettere che abbiamo ricevuto là erano illeggibili. Non una parola da quasi un anno.» «Dunque sono il primo», esclamò Pullings con infinita soddisfazione, «il Patrick O'Brian
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primo ad augurare a voi e alla signora Aubrey tutta la gioia del mondo!» Afferrò la mano inerte e incerta di Jack e gliela strinse fino a paralizzarla, gli mostrò la pagina stampata, leggendo ad alta voce: «'Ad Ashgrove Cottage, Chilton Admiral, Hants, la consorte del comandante Aubrey, della Boadicea, un figlio ed erede...'», lesse, seguendo col dito le parole. «Date qui», esclamò Jack. Afferrò il foglio, scorse la pagina sotto la luce con estrema attenzione: «'Ad Ashgrove Cottage, Chilton Admiral, Hants, la consorte del comandante Aubrey, della Boadicea, un figlio...' Che il demonio mi sprofondi all'inferno! Dio benedetto, Signore Iddio...! parola mia, sul mio onore... che io sia dannato e ridannato... Killick! Killick! Una bottiglia di champagne, presto! Passare parola per il dottore... ecco qua, Killick... che Dio ci benedica tutti quanti! Ah, ah, ah!» Killick prese la manciata di monete e le intascò con uno sguardo di grandissimo sospetto, poi uscì dalla cabina, le labbra strette con aria di disapprovazione. Jack saltò su dalla sedia, si mise a passeggiare avanti e indietro, l'animo colmo di felicità, di amore, di appagamento e di una nostalgia acutissima. «Vi ringrazio, Pullings, vi ringrazio con tutto il cuore della notizia che mi avete portato.» «Sapevo che sareste stato contento, signore», disse Pullings. «Noi lo sapevamo, la signora Pullings e io, quanto lo desideravate un maschio. Le bambine sono una bella cosa, questo è sicuro, ma non è proprio lo stesso, non le si può avere sempre intorno e non si sa mai che cosa diventeranno. Ma un maschio! Il nostro ragazzo, signore, se mai avrò un comando mio, me lo porterò in mare non appena si sarà messo i pantaloni, questo è certo.» «Spero che la signora Pullings e il giovane John stiano perfettamente bene», si informò Jack; ma prima che potesse apprendere qualcosa di più sul loro conto, Stephen entrò seguito dal sacco della posta. «Stephen», annunciò Jack, «Sophia ha avuto un figlio maschio!» «Aye? Già, già», disse Stephen, «Poverina. Ma deve essere per te un motivo di grande sollievo.» «Be'», disse Jack arrossendo, «non ne avevo idea, capisci.» Rapidi calcoli avevano già stabilito che la lontana meraviglia senza nome era stata concepita la vigilia della sua partenza e ciò lo rendeva vergognoso, perfino confuso. «Bene, mi rallegro con te», riprese Stephen, «e spero con tutto il cuore che la cara Sophia stia bene. Perlomeno», osservò, mentre guardava Jack Patrick O'Brian
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armeggiare con il sacco della posta, «questo renderà il titolo di baronetto più gradito: gli darà uno scopo.» «Signore Iddio, ma che cosa sto facendo?» gridò Jack. «Gli ordini prima di tutto.» Lasciò cadere il sacco, ruppe il sigillo della lettera dell'ammiraglio, trovò le parole che si aspettava di leggere e che gli chiedevano di procedere con la massima rapidità per raggiungere la nave ammiraglia a Rodriguez o al largo di Rodriguez non appena ricevuti gli ordini. Rise e disse: «Se c'è un titolo di baronetto nell'aria, certamente non sta volando da questa parte. Sono stato sostituito». Salì in coperta, dette l'ordine per il segnale che avrebbe modificato la rotta della squadra, allontanandola da Mauritius, e un altro per far distribuire una razione straordinaria di rum all'equipaggio. All'espressione attonita di Seymour replicò con il tono più indifferente possibile che gli era nato un figlio maschio, aveva appena avuto la notizia. Ricevette le congratulazioni del cassero e molti sguardi gentili da parte dei marinai più vicini, e invitò il colonnello Keating a bere un bicchiere nella cabina. La bottiglia non tardò a fare la sua comparsa e le lettere vennero distribuite; porgendo il suo pacchetto a Keating, Jack disse: «Spero, colonnello, che le vostre notizie siano belle come le mie, per controbilanciare il resto; perché siete stato un profeta di sventure troppo bravo davvero e temo che a Rodriguez ci sia un generale ad aspettarvi, così come un ammiraglio sta aspettando me». Detto questo, si diresse con le sue lettere nel giardinetto, il suo ritiro privato e tranquillo, lasciando il colonnello immobile, pallido e tremante di indignazione. Poco prima di cena ricomparve e trovò Stephen solo nell'alloggio del comandante. Pullings aveva appreso da poco la destinazione della squadra e, rendendosi conto che un po' di discreto ritardo da parte sua avrebbe permesso al commodoro di portare a termine i suoi piani e di mietere onori e gloria, si era ritirato vicino al coronamento e lì era rimasto, accanto all'asta della bandiera, maledicendo il suo zelo inopportuno. «Spero che anche tu abbia ricevuto notizie buonissime, Stephen», disse Jack, accennando col capo alla pila di lettere aperte accanto a Stephen. «Accettabili, sì, grazie; ma niente che possa procurarmi una gioia paragonabile alla tua. Tu emetti luce, fratello, una luce rosea. Prego, dimmi come sta Sophia.» «Dice che non si è mai sentita meglio in vita sua, giura che è stato facile come imbucare una lettera, trova che quell'ometto le è di grande conforto, Patrick O'Brian
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un'eccellente compagnia. Sì, lo so che tu stravedi per i bambini più o meno come il vecchio Erode, Stephen, ma...» «No, no, non sono affatto cocciutamente, automaticamente contro di loro, anche se ammetto senza difficoltà che li trovo per la maggior parte superflui, niente affatto necessari.» «Se non ci fossero i bambini non ci sarebbe neanche una generazione futura.» «Tanto meglio, considerando lo stato in cui abbiamo ridotto il mondo in cui dovrebbero vivere, il ceppo sanguinario e vorace da cui derivano e la società malvagia e disumana che li formerà. Ammetto, però, qualche eccezione: la replica di una creatura come Sophia, per esempio, e arriverei a dire perfino una come te, può essere considerata una cosa buona. Ma temo di averti interrotto.» «Stavo soltanto per dire che forse ti farebbe piacere sapere come Sophia lo descrive. Sembra che sia un bambino straordinario, eccezionale.» Stephen ascoltò con una decente mostra di compiacimento: avvertì l'aroma della carne arrostita e della cipolla fritta, udì il tamburo battere Heart of Oak * [* Canto patriottico scritto nel 1759 da David Garrick (e musicato da William Boyce) per celebrare alcune vittorie della Royal Navy. (N.d.T.)] per annunciare il pranzo nel quadrato e il suo stomaco invocò il cibo; ma il flusso di parole non accennava a finire. «Non puoi capire, Stephen, come un figlio maschio possa estendere il futuro di un uomo», concluse finalmente Jack, «Adesso sì che vale la pena di piantare un noce! Anzi, potrei perfino pensare a un'intera foresta di querce.» «Anche le bambine potrebbero raccogliere le tue noci, giocare sotto le tue querce e i loro pronipoti le abbatterebbero.» «No, no. Non è affatto la stessa cosa. Ora, grazie a Dio, potranno avere una dote e perciò un giorno si sposeranno con qualche individuo untuoso che magari si chiamerà Snooks... devi ammettere, Stephen, che non è affatto la stessa cosa.» Stavano per suonare i cinque colpi quando Jack fu interrotto dall'arrivo di Pullings, ancora abbattutissimo, e del colonnello, ancora tremante di rabbia; ai cinque colpi in punto Killick annunciò: «Pranzo pronto», con un gesto del pollice che voleva essere cerimonioso e tutti si trasferirono nella cabina dove si consumavano i pasti. Pullings mangiò il suo montone in silenzio, con scarso appetito; il Patrick O'Brian
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colonnello Keating, sebbene gli fosse concesso dall'uso nella marina di parlare liberamente alla tavola del commodoro, rimase quasi altrettanto muto, non volendo sciupare quell'occasione di gioia dando libero corso all'espressione dei suoi sentimenti che pure faceva fatica a trattenere; Stephen era immerso nelle sue riflessioni, anche se di tanto in tanto diceva qualcosa nelle pause dell'allegro monologo di Jack. Quando il lungo pasto fu terminato, quando il re, la signora Aubrey e il giovane Stupor Mundi ** [** L'espressione («meraviglia del mondo») fu usata dallo storico medievale inglese Matthew Paris per definire Federico II. (N.d.T.)] furono festeggiati con numerosi bicchieri di porto tiepido e quando gli ospiti furono usciti all'aria aperta per dissipare i fumi del vino, disse a Jack: «Non so che cosa ammirare di più, se la forza del tuo istinto filorampollesco o la tua grandezza d'animo di fronte a questa delusione. Non molti anni fa tu avresti messo il cannocchiale all'occhio cieco, come si suol dire, non avresti tenuto conto degli ordini e avresti preso Mauritius prima che l'ammiraglio Bertie sapesse che cosa stavi combinando». «Be', io sono deluso», spiegò Jack, «devo confessarlo; e in un primo momento, quando ho fiutato quali fossero le intenzioni dell'ammiraglio, ho avuto una gran voglia di fare rotta a ovest per un po'. Ma non si può, capisci, un ordine è un ordine, tranne che in un caso su un milione, e questo non era uno di quei casi. Mauritius cadrà comunque fra una settimana o giù di lì, indipendentemente da chi sarà al comando e da chi si prenderà la gloria.» «Keating non è di animo così filosofico.» «Keating non ha appena saputo di aver avuto un figlio maschio, ah, ah, ah! Questa è per te, Stephen!» «Keating ne ha già cinque di maschi e gli costano non poco oltre a essere stati una delusione per lui. La notizia di un sesto figlio non avrebbe addolcito la sua indignazione a meno che non si fosse tratto di una bambina, l'unica cosa che desidera. Strano, stranissimo: di una simile passione non trovo neppure un'eco quando scruto nel mio petto.» L'indignazione del colonnello Keating fu condivisa da tutta la Boadicea e dalle altre navi. Era opinione generale che il commodoro fosse stato defraudato dei suoi diritti, derubato di ciò che era suo, trattato ignobilmente se non pugnalato alle spalle. Non si trovava un solo uomo in tutta la squadra che non sapesse che due navi della Compagnia delle Indie catturate si trovavano a Port Louis, insieme con un gran numero di prede Patrick O'Brian
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quasi altrettanto preziose, e che la comparsa, una comparsa assolutamente inutile, di un vascello da settantaquattro cannoni, di otto fregate, di quattro corvette e di dodici reggimenti almeno di aragoste, avrebbe ridotto la quota di quelli che avevano fatto tutta la fatica a mezza pinta di birra leggera, e forse neanche a quella. L'indignazione, i mugugni crebbero e mentre le due flotte convergevano lentamente per incontrarsi a Rodriguez, la temperatura salì al punto che quando i cannoni della Boadicea spararono a salve per il saluto all'ammiraglia, il cannoniere disse, senza per questo essere rimproverato dagli ufficiali presenti: «E magari fossero caricati a mitraglia, brutta...» Quando l'ultimo cannone ebbe fatto fuoco e prima che la nave ammiraglia cominciasse a rispondere al saluto, Jack disse: «Ammainare l'insegna. Calare la lancia». Poi, di nuovo semplice capitano di vascello, entrò nella cabina e chiese le sue brache, la feluca e l'uniforme numero uno per recarsi dall'ammiraglio. Aveva passato un brutto momento quando la sua insegna era stata ammainata, ma nessuna insegna di commodoro poteva sventolare in presenza di una nave ammiraglia, a meno di non ricevere l'omaggio piuttosto raro di un invito esplicito a non ammainarla; ma sottocoperta non ricevette nessuna consolazione. L'indignazione di Killick per l'ingiustizia subita dal commodoro, infiammata dalla razione supplementare di grog fatta distribuire a tutto l'equipaggio, si riversava adesso sulla vittima principale di quell'ingiustizia e, con la sua antica voce aspra, lo aggredì: «Non ce l'avete nessuna uniforme numero uno, signore. È tutta a buchi e insanguinata, e per forza, visto che ve la siete portata a farvela rovinare sulla Vénus che sarebbe bastato due minuti per cambiarsela. Per il cappello basterà un colpetto...» e qui sputò sul ricamo della feluca e lo sfregò con la manica, «ma lo dovrete portare di traverso per via dei buchi dei topi. E per giubba e brache io di meglio non so fare... ci ho rimesso le vecchie spalline... e se qualche figlio di scoreggia di Gosport saltato su che non doveva saltare su si prova a dire che non gli garba, può andarsene...» «Muoversi, muoversi!» lo interruppe Jack, «presto con le mie calze e quel pacchetto e non startene lì a borbottare tutto il giorno!» Lo stesso cupo risentimento era evidente anche nella ciurma della lancia che trasportò il comandante Aubrey fino all'Illustrious; evidente nell'atteggiamento arcigno del suo timoniere, nel colpo perfido del mezzo marinaio che si portò via una buona spanna di pittura e nel riserbo inespressivo con il quale vennero accolti i saluti amichevoli dei marinai Patrick O'Brian
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che sbirciavano dai portelli del ponte inferiore. L'ammiraglio Bertie se l'aspettava; sapeva benissimo ciò che stava facendo ed era corazzato contro qualsiasi reazione eccettuato il buonumore. Fin dall'inizio adottò un atteggiamento di gioviale bonomia, con un gran numero di risate cordiali; parlò come se fosse la cosa più naturale del mondo incontrare una pronta e volenterosa acquiescenza, senza traccia di malanimo o di collera. Le Istruzioni Navali attestavano chiaramente che questo avrebbe dovuto incontrare e che qualcosa di meno della totale abnegazione, di una condotta perfetta, avrebbero reso il subordinato passibile di punizione; ma tutta la sua lunga vita nella marina aveva dimostrato come esistesse un abisso fra la Rovai Navy nelle carte e la Royal Navy nella realtà e, anche se un capitano di vascello con un'anzianità elevata doveva essere sottomesso a un ammiraglio al pari di un allievo appena salito a bordo, accadeva normalmente che un commodoro maltrattato, frustrato potesse rendere le cose estremamente difficili per il suo oppressore, pur mantenendosi nei limiti della legalità: egli stesso aveva usato l'ostruzionismo abbastanza sovente da sapere quali danni potesse fare. Era preparato a incontrare gli accorgimenti più astuti o le espressioni del più violento dissenso (il suo segretario era là per annotare ogni parola troppo rabbiosa); ma non incontrò niente del genere. Fu preso alla sprovvista, si sentì a disagio. Sondò un po' più in profondità, chiedendo se Aubrey non fosse sorpreso di vedere tante navi venute a portare a termine ciò che lui aveva cominciato e quando Jack, con pari giovialità, rispose che non lo era affatto, che maggiore era il numero delle navi minore sarebbe stato lo spargimento di sangue, una cosa che tanto gli ripugnava così come a tutte le persone di giusto sentire, e maggiore compagnia maggiore allegria era il suo motto, l'ammiraglio lanciò al segretario un'occhiata, per vedere se anche il signor Shepherd condivideva il suo sospetto che il comandante Aubrey si fosse rifugiato, lietamente rifugiato nel vino. Un sospetto destinato a cadere. Non appena i comandanti della flotta si furono riuniti a bordo della nave su richiesta dell'ammiraglio, Jack fece un quadro della situazione lucidissimo e convincente, con tutti i fatti, con tutte le cifre immediatamente disponibili. Alle osservazioni ansiose sulle note difficoltà di uno sbarco a causa della barriera corallina intorno a Mauritius, sulla tremenda risacca e sulla scarsità di buoni ancoraggi, Jack replicò con una carta, un piccolo capolavoro di idrografia, che mostrava l'Ile Plate e la Patrick O'Brian
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Grande Baie, realizzata con tripli rilevamenti al sestante e doppie misurazioni allo scandaglio, una carta che mostrava ampie possibilità di ormeggio e ancoraggi per settanta navi oltre a spiagge riparate per un numero di uomini molto elevato. Jack terminò la sua esposizione osservando che, data la stagione ormai avanzata, si permetteva di suggerire un'azione immediata. Di questo l'ammiraglio non era affatto sicuro; molto prima che il comandante Aubrey fosse venuto alla luce, spiegò, la sua vecchia nutrice gli aveva insegnato: più si ha fretta, meno si deve agire in fretta. Avrebbe preso in considerazione la cosa, in seria considerazione, certamente, e si sarebbe consultato con il generale Abercrombie e con gli ufficiali del suo stato maggiore. Quando la riunione ebbe termine, trattenne Jack per un po', allo scopo di scavare nel suo animo; poiché i casi erano due: o Aubrey era di una docilità inconcepibile, e non era certamente questa la fama che si era fatto, oppure aveva qualche asso nella manica. L'ammiraglio si sentiva a disagio, aveva la sensazione che Jack, nonostante la corretta deferenza, lo stesse giudicando con un certo distacco e con qualcosa di non troppo dissimile da un malcelato e divertito disprezzo; e, consapevole di non essere certamente una nullità, trovava la cosa estremamente sgradevole. Inoltre l'ammiraglio Bertie aveva invariabilmente incontrato l'ostilità di quelli che aveva soppiantato, un'ostilità che gli aveva dato una giustificazione retrospettiva; ma qui di ostilità non c'era traccia, c'era soltanto un'allegria che non accennava a scomparire e perfino benevolenza. Lo rendeva nervoso e nel salutare Jack, gli disse: «A proposito, Aubrey, avete agito in modo corretto ammainando l'insegna, naturalmente, ma dovrete issarla di nuovo non appena metterete piede a bordo della Boadicea». L'ammiraglio Bertie era ancora più inquieto al momento di raggiungere la sua cabina per la notte. Mentre infatti la flotta era rimasta all'ancora nella rada di Rodriguez in un andirivieni di scialuppe e scambi di visite fra le navi, il signor Peter era venuto a salutare il suo quasi parente signor Shepherd. Peter aveva riferito di aver conversato a lungo con il dottor Maturin, un uomo più semplice, più ingenuo di quanto gli avessero fatto credere, in particolare aveva parlato con lui dopo il recente arrivo della grande quantità di lettere e di notizie da casa. Dalle osservazioni casuali di Maturin, alcune delle quali ben poco discrete, Peter era giunto alla convinzione che il generale Aubrey, padre del commodoro e membro del parlamento, stesse manovrando nascostamente e con molta abilità, che Patrick O'Brian
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fosse sul punto di cambiare schieramento, che avesse ottimi rapporti con il ministro e non era affatto improbabile un suo insediamento in una carica grazie alla quale avrebbe potuto elargire onori e protezione, se non nello stesso Consiglio dell'ammiragliato. Stephen aveva avvelenato troppe fonti di informazioni segrete per ricavare grande soddisfazione da quell'elementare esercizio, ma in effetti la storiella servita sottobanco era perfetta per le orecchie che la ascoltarono pochi minuti dopo la partenza di Peter. Spiegava l'atteggiamento noncurante di Aubrey che tanto aveva sconcertato l'ammiraglio: sì, un uomo con tali alleati doveva essere trattato con molta cura. La mattina seguente un consiglio di guerra al quale parteciparono i comandanti e gli ufficiali dell'esercito più alti in grado esaminò il piano di attacco concepito da Jack e dal colonnello Keating. La richiesta del generale Abercrombie di rimandare le operazioni, sostenuta con forza da tutto il suo stato maggiore, fu messa da parte con altrettanta foga dall'ammiraglio in persona. Il generale parve stupito e perfino offeso: il vecchio gentiluomo corpulento rimase a fissare nel vuoto con uno sguardo di stolida ostilità negli occhi sporgenti, come se non capisse del tutto ciò che era successo, ma dopo aver ripetuto le stesse cose per lo spazio di circa tre quarti d'ora cedette alle insistenze dell'ammiraglio; e il piano, praticamente senza modifiche importanti, venne accettato sia pure di mala grazia. Mezz'ora più tardi la nave ammiraglia salpava, i velacci spiegati a una buona brezza che l'avrebbe portata verso la costa nord di Mauritius, all'Ile Plate e alle spiagge sopra Port Louis.
* La conquista di Mauritius si svolse con calma, fra marce e contromarce dei reggimenti così tecnicamente perfette da dare soddisfazione ai generali di entrambi gli schieramenti. I fanti sudarono abbondantemente, ma pochi di loro sanguinarono. Erano stati sbarcati senza difficoltà e avevano presentato al generale Decaen un problema insuperabile. La sua numerosa milizia gli servì a ben poco: la maggior parte dei suoi membri aveva letto i volantini di Stephen, molto di loro avevano già visto copie del previsto proclama del governatore Farquhar ed erano assai più interessati alla ripresa dei loro commerci al momento completamente strangolati che non alla prosperità dell'impero di Bonaparte. Le truppe irlandesi erano Patrick O'Brian
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chiaramente disamorate, le forze regolari francesi inferiori di numero nella proporzione di uno a cinque e le navi bloccate da una flotta di gran lunga superiore. L'unica preoccupazione di Decaen fu di trattenere l'avanzata del generale Abercrombie finché la sua resa non soddisfacesse alcuni arcani requisiti di ordine militare, così da poter giustificare in patria la sua condotta e ottenere termini onorevoli a Port Louis per se stesso e per i suoi uomini. Riuscì nell'impresa in modo mirabile e Abercrombie lodò in modo particolare la sua ritirata in buon ordine la sera del giovedì, quando i suoi battaglioni delle ali ridiscesero il pendio della Terre Rouge e della Montagne Longue con un dietrofront a passo di carica davvero perfetto. «Ottimi soldati!» commentò il generale. Mentre tali gesti venivano compiuti nelle campagne, gli emissari andavano e venivano tranquillamente e, sebbene Port Louis fosse nominalmente ancora francese, Stephen Maturin raggiunse l'ospedale militare senza dover fare il solito giro tortuoso; e là trovò McAdam sulla veranda. «Come sta oggi il nostro paziente?» domandò. «Bah! La notte l'ha trascorsa abbastanza bene grazie alla vostra tisana», rispose McAdam, senza eccessivo compiacimento tuttavia. «E l'occhio mi sembra che stia migliorando. È il collo che mi preoccupa molto: la ferita non si rimargina e stamattina è ancora peggio del solito. Nel sonno si tocca la fasciatura. Il dottor Martin suggerisce di cucire lembi di pelle sana su tutta la zona compromessa.» «Martin è uno sciocco», disse Stephen. «La cosa che ci preoccupa davvero è la parete arteriosa stessa. La soluzione è riposo, bende pulite, lenitivi e tranquillità mentale: il fisico ha tutta la forza per riprendersi. È ancora molto agitato?» «No, è calmo, stamattina; e dormiva ancora quando ho fatto il mio giro di visite.» «Molto bene, molto bene. Allora non dobbiamo disturbarlo, non c'è niente come il sonno per operare guarigioni. Tornerò verso mezzogiorno e porterò il commodoro con me. Ha una lettera di Lady Clonfert arrivata dal Capo e desidera consegnargliela lui stesso e dirgli quanto la flotta abbia ammirato la sua nobile difesa della Néréide. McAdam fece una smorfia. «Credete che sia un'imprudenza?» domandò Stephen. Il suo collega si grattò perplesso: non avrebbe potuto dirlo con certezza... Clonfert era molto strano in quei giorni... non si confidava più... rimaneva Patrick O'Brian
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in silenzio ad ascoltare il rombo dei cannoni un'ora dopo l'altra. «Forse sarebbe meglio se voi lo vedeste prima da solo. Potremmo capire se l'eccitazione non sarà eccessiva per lui e in quel caso il commodoro potrà vederlo. Potrebbe anche essere un toccasana per lui una vostra visita. È sempre contento di vedervi», soggiunse McAdam in uno slancio di generosità che controbilanciò immediatamente chiedendo in tono sarcastico: «Suppongo che quel vostro Gran Caprone Aubrey stia pavoneggiandosi avanti e indietro sulla spiaggia, padrone del mondo. Come vanno le cose laggiù, a proposito?» «Più o meno come era nelle previsioni. Il signor Farquhar è sbarcato dall'Otter e oso dire che la capitolazione sarà firmata prima dell'ora di cena.» Parlarono per un po' degli altri feriti della Néréide: alcuni erano in via di guarigione, altri in punto di morte. Il giovane Hobson, un aiuto del nocchiere che era stato evirato verso la fine della battaglia, era spirato quella notte, contento di morire. Stephen annuì e per qualche minuto osservò due gechi sulla parete, prestando solo in parte attenzione a ciò che McAdam gli stava dicendo sulla teoria del chirurgo francese a proposito dell'impossibilità di salvare i pazienti quando la molla vitale si era rotta. Dopo una lunga pausa Stephen disse: «McAdam, voi conoscete questo aspetto della medicina più di me: che cosa pensate di un paziente senza nessun danno fisico, nessuna lesione tangibile, il quale ha perso ogni interesse per la vita? Che prova disgusto del mondo? Uno studioso, diciamo, che ha curato la pubblicazione delle opere di Livio, Tito Livio, la sua unica passione e oggetto di studio. Un giorno si imbatte nei libri perduti di Livio, se li porta a casa e lì scopre che non ha l'energia, l'animo di aprire nemmeno il primo di quei libri: non lo interessano più i libri perduti di Livio, e nemmeno quelli conosciuti, e nessun'altra opera né autore, se è per questo. Non lo interessano. Non li apre nemmeno. E capisce che ben presto non lo interesseranno più nemmeno le sue funzioni vitali. Mi capite? Avete mai visto casi del genere?» «Certamente sì. E non sono nemmeno rari, perfino in uomini che vengono costretti comunque a essere attivi.» «Qual è la prognosi? Come interpretate la natura di questa malattia?» «Credo di capire che possiamo esprimerci senza badare alle buone maniere?» «Naturalmente.» Patrick O'Brian
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«Quanto alla natura della malattia, be', credo che inizi quando il paziente percepisce il vuoto che lo ha sempre circondato e, così facendo, precipita in un pozzo. Talvolta la percezione del vuoto è discontinua, ma se non lo è, allora, stando alla mia esperienza, ne consegue la morte spirituale, che può precedere quella fisica di dieci anni e anche più. Da quel pozzo profondo può succedere che si tiri su, diciamo così, attaccandosi all'uccello.» «Volete dire che rimane capace di amore?» «Nei rapporti fra uomini e donne preferisco parlare di concupiscenza; ma chiamatela pure come volete: il desiderio, il desiderio ardente di una femmina può risolvere il caso, purché sia davvero ardente. Nei primi stadi del male, tuttavia», concluse, guardando storto i gechi, «l'oppio può essere utile.» «Vi auguro una buona giornata, dottor McAdam.» Mentre scendeva verso il porto nel caldo sempre più opprimente, Stephen superò due giovani pazienti, due allievi della Néréide: uno dei due con una gamba amputata al ginocchio, l'altro con una manica vuota appuntata sulla petto. «Signor Lomax!» gridò. «Sedetevi immediatamente. È una follia: vi salteranno i punti. Sedetevi subito su quella pietra, tenete l'arto sollevato.» Il giovane Lomax, pallido come uno spettro, sostenuto dalla gruccia e dal compagno, saltellò fino alla pietra per montare a cavallo posta all'esterno di una casa che doveva essere abitata da gente ricca e si sedette. «Sono solo altre cento iarde, signore», protestò. «Ci sono tutti i nostri compagni della Néréide. Di laggiù, dietro l'angolo, si vede la nave e noi dobbiamo salire a bordo appena isseranno i nostri colori.» «Sciocchezze», disse Stephen. Ma dopo aver riflettuto qualche istante, bussò alla porta e poco dopo uscì con una sedia, un cuscino e due robusti negri preoccupati e premurosi. Sistemò Lomax sulla sedia, opportunamente imbottita, e i due uomini lo trasportarono fino all'angolo della strada dove un gruppetto di sopravvissuti in grado di muoversi stava contemplando la fregata, stretta fra le navi della Compagnia, i mercantili e le navi da guerra che affollavano la rada di Port Louis. Qualcosa della loro vitalità lo contagiò. «Signor Yeo», disse a un ufficiale con una fasciatura che gli copriva quasi tutta la faccia, «voi potreste farmi un grandissimo favore, se voleste essere così gentile. Sono stato costretto a lasciare sulla vostra nave un cuscino, un rullo imbottito molto prezioso e vi sarei davvero grato se voleste dare ordine di cercarlo dappertutto quando sarete a bordo. Ne ho già parlato all'ammiraglio e al commodoro, ma...» Fu Patrick O'Brian
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interrotto da un'acclamazione sulla destra, grida festanti che si propagarono mentre la bandiera francese veniva ammainata e che raddoppiarono quando i colori inglesi sventolarono sulla cittadella. Anche i sopravvissuti della Néréide gridarono, voci deboli e sottili che si persero nelle salve di artiglieria e poi nel cupo rombo dei cannoni della flotta. «Non lo scorderò, signore», disse Yeo a Stephen con una stretta di mano. «Passare parola laggiù! Bisogna recuperare il rullo imbottito del dottore!» Stephen riprese il cammino, ormai nel centro della città, dove le persiane chiuse comunicavano un'impressione di morte e dove i pochi bianchi nelle strade si aggiravano angosciati, come se ci fosse un'epidemia di peste; soltanto i negri, la cui sorte difficilmente poteva cambiare in peggio, mostravano una certa vivace curiosità. Stephen si occupò di alcune faccende, poi si incontrò con Jack al luogo dell'appuntamento. «La resa è stata firmata, deduco?» domandò. «Sì», rispose Jack, «e i termini sono molto onorevoli: sfileranno con la bandiera, la miccia accesa, al rullo dei tamburi, tutti gli onori militari; e non saranno presi prigionieri. Dimmi, come hai trovato Clonfert? Ho la lettera di sua moglie in tasca.» «Non l'ho visto stamattina: stava dormendo. McAdam dice che le sue condizioni sono stazionarie. Dovrebbe farcela, credo, se non ci saranno complicazioni, ma naturalmente rimarrà orribilmente sfigurato. Questo inciderà sul suo stato d'animo e lo stato d'animo è importantissimo in questi casi. Propongo che tu aspetti all'ombra degli alberi vicino al cancello mentre io lo visito insieme con McAdam. Potrebbe non essere in condizioni di riceverti.» Si avviarono su per la salita, parlando della cerimonia. «Farquhar si è meravigliato moltissimo che tu non sia stato invitato», raccontò Jack. «Ha detto che la tua opera ha salvato innumerevoli vite e che l'offesa deve essere riparata, che dovrai avere il posto d'onore al pranzo ufficiale. L'ammiraglio è rimasto impressionato, si è profuso in salamelecchi, ha detto che avrebbe fatto immediatamente tutto ciò che era in suo potere, che ti avrebbe menzionato con il massimo rispetto nel suo dispaccio; e poi è corso via svelto come un ragazzo per andare a scriverlo il suo dispaccio, moriva dalla smania di farlo fin dall'alba. E puoi immaginare che cosa sarà quel documento, ah, ah, ah! Più o meno sono tutti così; ma è certo che Patrick O'Brian
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occuperà un'intera Gazette.» «Chi lo porterà in patria?» «Oh, suo nipote, direi, o uno dei suoi comandanti preferiti. Da cinque anni a questa parte non ci sono state notizie altrettanto belle da riportare; significa essere ricevuti a corte, parole gentili e una ricompensa da parte del re, pranzo al Guildhall,* [* Sede, dal 1128, della Corporazione della Città di Londra, è stata spesso il luogo in cui si sono celebrati banchetti e altre cerimonie ufficiali. (N.d.T.)] privilegi di qui e di là: una promozione, naturalmente, o una nomina importante. Affiderò a quel fortunato le mie lettere per Sophia: si può star sicuri che volerà addirittura il cane, con notizie così gradite.» I pensieri di Jack volarono nello Hampshire ed erano ancora là quando Stephen disse, alzando la voce: «Ripeto, quale credi che sia la nostra prossima destinazione?» «Eh? Ah, Giava, senza dubbio, per dare un colpetto agli olandesi.» «Giava, oh, davvero. Ascoltami, ora: qui ci sono i tuoi alberi, qui c'è una panchina. Farò presto.» Il cortile dell'ospedale era in uno strano stato di disordine: non la solita confusione che seguiva una sconfitta, con la gente che approfittava del vuoto di potere per arraffare tutto il possibile, ma qualcosa di assolutamente diverso. Stephen accelerò il passo quando udì la voce roca dall'accento settentrionale di McAdam gridare e si fece strada fra un assembramento sotto la veranda. McAdam era ubriaco, ma non tanto da non poter stare in piedi, non tanto da non riconoscere Stephen. «Fate largo, laggiù!» gridò. «Fate largo al grande medico di Dublino! Venite, venite a vedere il vostro paziente, dottor Maturin, grandissima bagascia!» Nella stanza dal soffitto basso le imposte socchiuse contro il sole di mezzogiorno rendevano il sangue di Clonfert quasi nero: non una grande pozza, ma non ne era rimasto molto nel suo corpo minuto e consunto. Giaceva supino, le braccia aperte e ciondolanti, il lato rimasto incolume del volto straordinariamente bello e grave, perfino austero. La benda era stata strappata dal collo. Stephen si chinò su Clonfert per cercare una sia pur minima traccia di battito del cuore, poi gli chiuse gli occhi e gli coprì il viso con il lenzuolo. McAdam era seduto sul bordo del letto e piangeva, la sua furia svanita con le urla rabbiose, e fra i singhiozzi raccontò: «Sono state le acclamazioni a svegliarlo. Perché gridano? mi ha chiesto, e io gli dico: i francesi si sono Patrick O'Brian
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arresi. Aubrey verrà qui e voi riavrete la vostra Néréide. Mai, perdio, fa lui, non da Jack Aubrey: McAdam, correte a vedere se arrivano. E appena ho messo il piede fuori della porta lui lo ha fatto, perdio, lo ha fatto». Un lungo silenzio, poi soggiunse: «Il vostro Jack Aubrey lo ha distrutto. Lo ha distrutto Jack Aubrey». Stephen riattraversò il cortile sotto il sole abbagliante e Jack, all'ombra degli alberi, si alzò in piedi speranzoso. Il suo sorriso svanì quando Stephen gli disse: «È morto». Ripercorsero in silenzio le vie della città. Una città più viva adesso, con le botteghe che si riaprivano, gli uomini che affiggevano i proclami, la gente che camminava numerosa per le strade, compagnie di soldati in marcia, gruppi di marinai, code che si formavano davanti ai bordelli, parecchi ufficiali francesi che salutavano puntigliosamente, accettando meglio che potevano la sconfitta. Stephen si fermò per inginocchiarsi al passaggio del Santissimo Sacramento portato al letto di un morente, solo un prete e un ragazzo con la campanella. «Voglio sperare che non abbia sofferto», disse alla fine Jack a voce bassa. Stephen annuì, alzò su Jack i suoi occhi chiari, senza espressione e guardò con distacco obiettivo l'amico, alto, quasi massiccio, pieno di vita e di salute, prospero e, al di sotto del dispiacere sincero ma moderato, anche felice e perfino trionfante. Pensò: non è giusto prendersela col toro perché la rana è scoppiata, il toro non ha nessuna comprensione della cosa. E tuttavia disse: «Senti, Jack. Io non ho un grande interesse ad assaporare questa vittoria. Nessuna vittoria, in realtà. Ci vedremo al pranzo ufficiale».
* Il pranzo non fu niente a paragone di quelli che si davano normalmente alla residenza del governatore durante l'amministrazione del generale Decaen: molti suoi cuochi e tutti i suoi servizi da tavola erano scomparsi nel breve interregno e un proiettile di mortaio vagante aveva distrutto una parte del muro. Ciò nonostante i piatti creoli costituirono un piacevole contrasto con il vitto spartano degli ultimi giorni e soprattutto la cerimonia offrì l'occasione ideale per fare discorsi. Succede qualcosa, rifletté Jack, succede qualcosa agli ufficiali che raggiungono i gradi più elevati, qualcosa che li manda in solluchero all'idea di rizzarsi sulle zampe posteriori e produrre lunghe frasi misurate Patrick O'Brian
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con pause ancora più lunghe fra l'una e l'altra. Parecchi gentiluomini si erano già alzati per rivolgere complimenti prolungati a se stessi, ai loro amici, alla loro nazione e in quel momento il generale Abercrombie stava cercando faticosamente di alzarsi a sua volta, con un fascio di fogli in mano. «Vostra Eccellenza, my Lords, ammiraglio Bertie, signori. Noi siamo qui riuniti», due battute di silenzio, «in questa felice, ehm, occasione», altre due battute, «per festeggiare ciò che forse potrebbe essermi consentito di definire un'impresa ineguagliabile di operazioni combinate, di una combinazione, appunto, di valore, di organizzazione e, posso affermarlo, di indomita volontà.» Pausa. «Non mi attribuisco personalmente nessun merito.» Grida di «No, no!» e applausi. «No. Il merito va interamente», pausa, «a una giovane dama di Madras.» «Signore, signore!» gli sibilò l'aiutante di campo, «avete saltato due pagine, siete arrivato alla battuta scherzosa.» Occorse un po' di tempo al generale per riuscire a recuperare il suo elogio di Abercrombie e di tutti i presenti, e nell'intervallo Jack guardò ansiosamente l'amico, uno dei pochi abiti neri nella sala, seduto alla destra del governatore. Stephen detestava i discorsi, ma per quanto più pallido del solito, sembrava in grado di resistere e Jack notò con piacere che oltre al suo stava anche bevendo furtivamente il vino versato nel bicchiere dell'astemio governatore. Il generale riprese a tuonare, giunse al finale, si accorse che si trattava di un falso finale, si interruppe, ricominciò e si accasciò sulla sedia, si guardò intorno con aria di trionfo e bevve come un cammello che avesse un vasto deserto davanti a sé. Un deserto che minacciava di non rimanere tale, perché l'ammiraglio Bertie, fresco e arzillo, si alzò, pronto a parlare per una buona mezz'ora: e alle sue prime parole sull'impossibilità di uguagliare la splendida eloquenza del generale Jack si sentì morire. I suoi pensieri vagarono durante i complimenti dell'ammiraglio ai vari corpi che avevano costituito la forza britannica ed era sul punto di costruire una cupola per il suo osservatorio di una concezione particolarmente brillante in cima alla collina di Ashgrove Cottage - poiché aveva naturalmente acquistato il colle e abbattuto gli alberi sulla sommità - quando udì la voce dell'ammiraglio Bertie assumere un tono diverso e mellifluo. «Nel corso della mia lunga carriera», stava dicendo l'ammiraglio, «sono stato costretto a dare molti ordini, i quali, sebbene sempre intesi al bene Patrick O'Brian
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del servizio, ripugnavano talvolta alla mia sensibilità. Perfino un ammiraglio, infatti, può avere una sensibilità, signori.» Doverose risate, alquanto flebili. «Ma ora, con il permesso di sua eccellenza, mi concederò il piacere di darne uno più congeniale allo spirito del vero marinaio britannico.» Una pausa, un colpo di tosse nell'improvviso silenzio carico di autentica tensione, poi, a voce ancora più stentorea, riprese: «Io qui chiedo e comando al comandante Aubrey di portarsi a bordo della Boadicea non appena terminato di pranzare per ricevere là i miei dispacci per l'Ammiragliato e recapitarli a Whitehall con la massima diligenza possibile. A questo comando, signori», e alzò il bicchiere, «voglio aggiungere un brindisi, il nostro brindisi tradizionale: riempiamo i calici fino all'orlo, fino al capo di banda, e beviamo all'Inghilterra, alla patria e alla bellezza. E che Jack Aubrey il Fortunato possa raggiungerle al più presto con un buon vento e tutte le vele a riva!» FINE TABELLE DI CONVERSIONE MISURE DI LUNGHEZZA 1 pollice
2,54 cm
1 piede (12 pollici) 1 iarda (3 piedi) 1 braccio (2 iarde) 1 miglio (di terra; 1760 iarde) 1 miglio (nautico; 2026 iarde) 1 lega (3 miglia nautiche)
30,5 cm 0,914 m 1,829 m 1,609 km 1,853 km 5,559 km
MISURE DI CAPACITÀ 1 pinta
0,568 1
1 quarto (2 pinte) 1 gallone (4 quarti) 1 barile (36 galloni)
1,136 1 4346 1 163,65 1
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MISURE DI PESO 1 oncia 2835 g 1 libbra (16 once) 0,453 kg 1 hundredweight (112 libbre) 50,80 kg 1 tonnellata (inglese; 20 hundredweight) 1016 kg
GLOSSARIO DEI TERMINI MARINARESCHI Abbattere Far ruotare la nave intorno al suo asse verticale in modo che essa sia investita dal vento dal lato diverso dal precedente e in modo che nell'evoluzione ponga la poppa nella direzione del vento stesso; impropriamente si dice anche: virare in poppa. Abbattuta Atto dell'abbattere. Impropriamente detta: virata in poppa. Abbisciare Disporre una cima in ampie spire in modo che si possa svolgere senza difficoltà. Addugliare Disporre in duglie. Alberetto Nome specifico del fuso superiore di ogni albero; è distinto dalle vele che vi corrispondono: alberetto di velaccino, alberetto di velaccio, alberetto di belvedere. Albero Nome generico e comprensivo della struttura primaria destinata a sorreggere la velatura; è distinto dalla sua posizione longitudinale (albero di trinchetto, albero maestro o albero di maestra, albero di mezzana) e dalle vele che, tramite i pennoni, vi sono connesse: albero di parrocchetto, albero di gabbia, albero di contromezzana, etc. Amantiglio (detto anche mantiglio) Cima o catena destinata a sostenere parti mobili dell'alberatura: amantiglio del pennone, amantiglio del boma, etc. Anca Parte laterale della nave, ove la murata è maggiormente incurvata e quindi in prossimità della prua e della poppa: anca di prua, anca di poppa. Apostolo Parte superiore di ogni scalmo della zona prodiera delle navi munite di bompresso. Il nome è rimasto indipendentemente dal numero, che originariamente era di dodici. Patrick O'Brian
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Armo Designa il tipo di alberatura e di vele delle quali è dotata una nave. Quando riferito a una piccola imbarcazione, ne indica invece l'equipaggio {armo di lancia) e talvolta anche il capo di questo, ovvero il timoniere. Asta v. bastone. Atterraggio Avvicinamento alla costa. Aurico Tipo di armamento, o armo, costituito da vele trapezoidali per tre lati inferite, cioè fissate, sull'alberatura e da vele triangolari. Baglio Ogni trave lievemente ricurva (con la convessità verso l'alto) che congiunge le murate di una nave e concorre a sostenere un ponte. Banda Indica genericamente ciascun lato della nave. In locuzioni specifiche (come capo di banda) ne designa un elemento strutturale e la zona corrispondente. Bando Nell'espressione in bando significa completamente rilasciato, non legato, né trattenuto. Bastone Ogni asta che serva a tenere spiegata una vela. Prende il nome dalla vela cui serve; bastone di fiocco, bastone di coltellaccio, bastone di scopamare, etc. (Ma anche asta di fiocco...) Battagliola Sorta di ringhiera metallica costituita da aste verticali (candelieri) e catenelle posta al limite di un ponte di coperta ove non vi sia la protezione dell'impavesata. Battello Denominazione generica di piccole imbarcazioni a remi di varia forma e destinate a diversi usi e servizi. Batteria Nella marineria velica ha designato ogni fila di cannoni disposta lungo il fianco della nave, donde le locuzioni specifiche: ponte di batteria, batteria di dritta, etc. Beccheggio Oscillazione longitudinale della nave impressale dal moto ondoso. Belvedere Nome specifico di una vela dell'albero di mezzana. Bigo Nome marinaresco di ogni asta di carico o gru. Bigotta Elemento di un rudimentale paranco privo di pulegge usato per tendere il sartiame. È costituita da un pezzo di legno durissimo tagliato in forma ovoidale e munito di tre o quattro fori ove è passata una fune (detta Patrick O'Brian
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corridore) che nello stesso modo è disposta in un identico pezzo corrispondente. Con la trazione del corridore le bigotte tendono ad avvicinarsi. Bilancella Piccola tartana con un solo polaccone. Bolina Cima di manovra usata per distendere il lato sopravvento di una vela quadra. Siccome le boline erano particolarmente messe in forza quando la nave procedeva con un moto che si avvicinava alla direzione del vento, il loro nome è divenuto indicativo dell'andatura corrispondente: andare di bolina, in bolina, etc. Boma (pl. borni) Grossa asta orizzontale connessa tramite uno snodo (detto trozza) a un albero e destinata a tenere esteso il lato inferiore (o bordarne) di una randa. Bombarda Nave a vela con due alberi: quello di maestra con vele quadre a mezzanave e quello di mezzana con vele auriche molto vicino alla poppa. Munita di bompresso con più fiocchi. Bompresso Albero molto inclinato o quasi orizzontale che fuoriesce dalla prua dei velieri e che consente lo spiegamento di diversi fiocchi. Bonnetta Designazione generica delle vele di straglio. Bordarne Lembo o lato inferiore di qualsiasi vela. Bordare Mettere in tensione una vela. Bordata Sparo simultaneo dei cannoni di una batteria. Bordeggiare Navigare con il vento alternativamente a dritta e a sinistra in modo da procedere verso la parte da cui esso spira. Bordo Fianco di una nave e, per estensione, la nave stessa in locuzioni come: sottobordo, etc. Indica, tuttavia, anche il tratto di rotta che viene percorso mantenendo costante l'angolo tra essa e la direzione del vento. Bovo Veliero armato a tartana e munito di un piccolo albero di mezzana con vela aurica o latina. Bozza Pezzo di fune o di catena per trattenerne provvisoriamente un altro finché non sia stabilmente fissato. Bozzello Apparecchio per il rinvio di funi, costituito da una cassa munita di gancio o di anello e contenente una o più pulegge. Braca Legamento, in genere semiavvolgente, per sollevare, spostare o Patrick O'Brian
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trattenere in posizione oggetti voluminosi o pesanti. Nel linguaggio marinaresco la braca (più raramente braga) designa apparati di ritenzione permanente come braca di scialuppa, braca d'affusto (quest'ultima era appunto destinata a trattenere i cannoni al termine del rinculo conseguente allo sparo). Bracciare Tendere i bracci dei pennoni per disporli secondo quanto richiesto dall'andatura della nave, ossia dalla direzione del suo moto rispetto a quello del vento. Braccio Designazione specifica, benché comprensiva, di ogni sistema di funi connesso alle estremità di ciascun pennone per ruotarlo e trattenerlo nella posizione richiesta dall'andatura della nave. Il braccio è altresì un'unità di misura, corrispondente a m 1,829, usata per le profondità marine. Bracciolo È un elemento angolare di congiunzione posto tra i bagli e gli scalmi. Brigantino Veliero con due alberi a vele quadre (di trinchetto verso prua e di maestra a poppa) e bompresso. Sull'albero di maestra era ordinariamente inferita anche una randa. Quando vi era un terzo albero (di mezzana con vele auriche) si parlava di brigantino a palo. Cabestano Nome marinaresco dell'argano, ossia dell'apparecchio di trazione con asse verticale impiegato sulle navi per l'ancoraggio e per altre manovre richiedenti grande forza. Cala Ogni locale della nave destinato a deposito. Candeliere Elemento di sostegno verticale delle battagliole. Cappa Andatura di minima velocità o virtualmente stazionaria assunta dai velieri per resistere al maltempo; era fatta con vele ridotte (vele di cappa): mettersi alla cappa, prendere la cappa, etc. Spesso confusa con la panna. Carronata Corto cannone navale in ghisa. Cassero Negli antichi velieri parte (generalmente rialzata) del ponte di coperta compresa tra l'albero di maestra e la poppa. Castello Negli antichi velieri estremità prodiera rialzata del ponte di coperta. Caviglia Cavicchio mobile posto in un foro in un apparato (detto Patrick O'Brian
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cavigliere e situato presso ogni albero) perché vi siano fissate drizze, scotte e altre cime di manovra. Si dice altresì caviglia ciascuna delle maniglie o impugnature disposte radialmente attorno alla ruota del timone per manovrarla più saldamente. Caviglia è anche il cavicchio conico con cui si divaricano i legnoli, ossia gli elementi ritorti con i quali è costituita una cima, per farvi giunte o gasse. Chiesuola Protezione della bussola di rotta. Chiglia Grossa trave che costituisce l'asse strutturale di ogni nave. Posta in basso, al centro della carena, è spesso confusa con questa. Cima Generico nome marinaresco di ogni fune o corda di media dimensione; quelle più piccole sono dette sagole e quelle maggiori gomene o gherlini. Civada Parte centrale del bompresso da cui prendono nome attrezzature e vele che hanno relazione con esso: picco di civada, pennone di civada, vela di civada, etc. Coffa Piattaforma di legno collocata alla sommità del fuso maggiore di ogni albero. Collo A collo: posizione di una vela che riceve il vento dalla parte anteriore della nave e che non esercita forza propulsiva, contribuendo anzi all'arretramento. Colombiere Parte di ogni albero compresa tra la coffa e la testa di moro. Coltellaccino Vela di straglio di forma trapezoidale affiancata ai velacci quando il vento è debole. Coltellaccio Vela di straglio di forma trapezoidale affiancata alle gabbie. Comandata Denominazione del turno di guardia sulle navi in navigazione o in porto. Contro Nel linguaggio marinaresco, in composizione con altre parole, indica contiguità, adiacenza, sovrapposizione di vele o di parti dell'attrezzatura: controfiocco, controranda, controvelaccio, etc. Corsa Guerra navale fatta da un veliero privato, ma munito di un'autorizzazione sovrana (patente di corsa), contro il traffico marittimo di uno Stato nemico. Patrick O'Brian
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Corvetta Nave da guerra con un solo ponte di batteria, che era quello di coperta. Armata in genere con tre alberi a vele quadre, poteva averne anche due ed essere quindi contemporaneamente un brigantino, come la Sophie. Crocetta Telaio formato da barre di legno (dette costiere e traverse) destinato tramite le sartiette di velaccio a dare rigidità all'alberetto. Deriva Scostamento di una nave dalla sua rotta quando viene investita da una corrente che non è parallela od opposta al suo moto. Dormiente Grossa trave corrente all'interno lungo ogni bordo della nave, destinata al rinforzo delle murate e al sostegno del ponte di coperta. Draglia Ogni fune (oggigiorno d'acciaio) su cui vengono inferiti, cioè fissati, i fiocchi o le vele triangolari di straglio. Sono però dette draglie anche le funi delle battagliole. Drizza Ogni fune con cui si alza e si trattiene in posizione una vela. Le drizze sono distinte dalle vele relative: drizza di fiocco, drizza di controfiocco, drizza di randa, etc. Duglia Spira in cui viene disposta una cima tenuta pronta per la manovra. Falchetta Bordo superiore delle piccole imbarcazioni su cui sono posti gli scalmi per i remi. Famiglio Nel linguaggio marinaresco designa genericamente l'addetto ai servizi di alloggio e quindi ha un'accezione analoga a quella di maggiordomo o di cameriere. Feluca Veliero a due alberi con vele latine e qualche fiocco. Filare Nel linguaggio marinaresco significa lasciare scorrere una cima o una qualsiasi fune. Fil di ruota Si dice del vento quando investa la nave dalla parte posteriore e con direzione parallela al suo asse longitudinale. Fileggiare Indica lo sbattere delle vele quando ricevono il vento parallelamente alla loro superficie. Fiocco Ogni vela triangolare, inferita, cioè fissata, lungo un solo lato e posta anteriormente all'albero o a quello più prossimo alla prua, quando ve Patrick O'Brian
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ne sia più di uno. Fonda L'espressione alla fonda si riferisce a una nave che è legata con un'ancora al fondo marino. Fregata Veliero da guerra con due ponti di batteria e armato con tre alberi a vele quadre. Fuso Designazione generica e comprensiva di ogni tronco delle alberature composte. Gabbia Nome specifico di una vela dell'albero di maestra. Gabbiere Nome generico di ogni marinaio addetto alle manovre delle vele e più specificamente di quello che per esse saliva sull'alberatura. Gaettone Turno di guardia di durata diversa dagli altri. Gaffa Asta di legno munita di un uncino per afferrare funi o anelli nelle manovre di accosto, ossia di avvicinamento delle imbarcazioni alle navi o alle banchine. Gallòcia Piccolo apparato di legno o di metallo costituito da un fuso parallelo al piano di impianto e da uno o due sostegni, posto in luogo e in modo che vi possa essere data volta, cioè che vi si possa fissare, una cima di manovra. Gassa Nel linguaggio marinaresco l'anello, o occhio, fatto più o meno stabilmente in una fune di qualsiasi dimensione. Gavone Locale di deposito situato nella parte inferiore dello scafo. Gherlino Grossa fune generalmente usata per gli ormeggi e minore delle gomene. Ghia Nel linguaggio marinaresco nome generico di ogni fune adibita al sollevamento dei pesi; può essere semplice, ossia passata in un bozzello o in una sola via (con una sola puleggia), o doppia e in tal caso forma un paranco. Giardinetto Anca poppiera della nave ordinariamente munita di una sorta di balconatura decorata con piante (donde il nome). La voce è poi passata a indicare genericamente le zone poppiere della nave e quanto venga o si trovi nella loro direzione: vento al giardinetto, etc. Giornale di chiesuola Brogliaccio su cui sono minuziosamente annotate tutte le manovre e le evoluzioni della nave. Patrick O'Brian
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Goletta Nave con due alberi inclinati a poppa e dotati di vele auriche e bompresso. Il tipo fondamentale (tuttora in uso nel diporto) ha avuto molte varianti: nave goletta, con tre alberi, quello di trinchetto a vele quadre e gli altri due a vele auriche, e bompresso; goletta a palo, con tre alberi tutti a vele auriche e bompresso; brigantino goletta, con due alberi, quello di trinchetto a vele quadre e l'albero maestro a vele auriche, e bompresso. Gomena Grossissima fune usata per ormeggio, tonneggio o rimorchio. Gratile Fune disposta a rinforzo di ogni lato di una vela; in quelle auriche e nei fiocchi può designare particolarmente il lato lungo cui sono inferite, cioè fissate. Grisella Fune tesa orizzontalmente fra le sartie per costituire una scala per la salita dei gabbieri sugli alberi. Imbrogliare Raccogliere le vele quadre a festoni mediante alcune funi predisposte, dette imbrogli. Le vele auriche sono raccolte con imbrogli che ne contengono la discesa sul boma. Impavesata Parapetto in legno che limita il ponte di coperta e, nella maggior parte delle antiche navi, costituito all'interno dai cassoni nei quali erano riposte le brande. Impiombare Fare una gassa a una fune o congiungerla con un'altra mediante intrecciamento dei legnoli (v. caviglia). Intregnare Inserire tra i legnoli (v. caviglia) di una cima una sagola in modo da riempire i loro interstizi e da renderne liscia la superficie esterna. Lancia Leggera imbarcazione a remi (ma talvolta dotata di una vela latina o a tarchia) usata dalle antiche navi per i servizi di bordo. Landa Grossa spranga metallica attraverso la quale ogni sartia è collegata allo scafo. Lapazzare Riparare o consolidare una parte dell'alberatura (come un pennone o un alberetto) mediante lapazze, ossia grosse tavole longitudinalmente incavate. Lasco Si dice del vento che investe la nave a poppavia del traverso. Gran lasco indica una direzione di provenienza ancor più prossima alla poppa. Latina Vela triangolare superiormente inferita in un pennone inclinato Patrick O'Brian
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e connesso all'albero poco oltre la sua metà e inferiormente trattenuta da una mura e da una scotta. Madiere Elemento dell'ossatura trasversale di ogni scafo in legno costituito dal collegamento fatto immediatamente al di sopra della chiglia fra gli staminali dei due lati. Maestra Di maestra sono detti l'albero e la vela maggiori di ogni veliero. Maestro Sinonimo di albero di maestra (albero maestro). Maniglione Nel linguaggio marinaresco denominazione generica di ogni anello metallico apribile con la rimozione del perno passante nelle sue estremità appositamente rinforzate e forate. Marciapiedi Funi stabilmente distese sotto i pennoni sulle quali si spostavano i gabbieri per compiere le manovre. Masca Denominazione specifica dell'anca prodiera di una nave, più comunemente detta moscone. Analogamente a giardinetto, la voce è passata a indicare la corrispondente zona della nave e quanto si trovi o provenga in direzione di essa: mare al mascone, etc. Mastra Indica sia il battente, o riparo, posto attorno a ogni apertura del ponte di coperta per ostacolare l'entrata dell'acqua, sia l'apertura con robusto collare fatta in esso per il passaggio degli alberi. Matafione Piccola fune con la quale si contiene la parte di vela sottratta al vento quando si prendono i terzaroli. Mezzanave Nel linguaggio marinaresco designa la zona che si trova alla metà della lunghezza della nave. La voce entra in molte locuzioni specifiche. Mezzana Di mezzana è l'albero situato a poppavia di quello di maestra e lo stesso nome generico prende tutto ciò che abbia attinenza con esso (vele comprese). Mozzo Ragazzo che apprende il mestiere di marinaio ed è addetto ai servizi più umili e ingrati. Mura Ogni cima, o fune, che tiri una vela verso prua. Murata Nome generico e comprensivo del fianco della nave, con speciale riguardo alla sua parte emersa. Patrick O'Brian
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Nave Nell'antico linguaggio marinaresco nome generico del veliero a tre alberi con vele quadre e bompresso. Usato anche come sinonimo di vascello. Il veliero che, verso poppa, aveva un quarto albero (con vele auriche) era detto a palo (dalla denominazione di quest'ultimo albero). Navicello Veliero a due alberi, dei quali il primo, molto inclinato a prua, con una vela trapezoidale bordata (v. bordare) in testa all'albero di maestra, che ha vela latina o aurica. Aveva anche un'asta per il polaccone. Nocchiere Ufficiale che sovrintendeva alla condotta e al governo marinaresco della nave. Nostromo Primo coadiutore del nocchiere, dirigeva l'esecuzione delle manovre disposte da lui o dal comandante. Ombrinale Foro praticato alla base dell'impavesata per far defluire l'acqua dal ponte di coperta. Ordinata Elemento della struttura trasversale dello scafo che dalla chiglia raggiungeva i dormienti. Le ordinate, numerosissime, erano costituite da vari pezzi denominati staminali, scalmi e scalmotti (v. scalmo). Ormeggiare Legare la nave alla banchina o, tramite l'ancora, al fondo marino. Orzare Avvicinare la prua della nave alla direzione del vento. Si dice anche andare all'orza o venire all'orza. Pagliolo Piano di calpestio che può essere posto in diverse zone di un grande scafo o in prossimità del fondo di uno minore; distinto da un ponte per la sua esiguità strutturale e perché non si distende con continuità da una parte all'altra dello scafo stesso. Panna Posizione di arresto in mare di una nave ottenuta con un'opportuna regolazione delle vele di modo che alcune tendano a farla indietreggiare mentre le altre, compensando l'effetto di queste, tendano a farla avanzare. È spesso confusa con la cappa. Pappafico Altro nome del velaccino. Paramezzale Rinforzo longitudinale della chiglia. Paranco Apparecchio destinato alla moltiplicazione della forza di trazione costituito da un sistema di carrucole a una o più pulegge. Patrick O'Brian
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Paratia Elemento continuo di separazione verticale all'interno di uno scafo o a delimitazione delle sue sovrastrutture, come il cassero e il castello. Parrocchetto Nome di una vela dell'albero di trinchetto. Paterazzo Grossa fune (ora d'acciaio) che fa parte del sartiame e che concorre a sostenere lateralmente e verso poppa l'albero di gabbia. Patta d'oca Sistema di funi (in genere tre) disposte a raggiera per distribuire le sollecitazioni di una trazione. Pennacchio Puntone di rinforzo posto al di sotto del bompresso detto anche buttafuori di briglia. Pennello Nome specifico di una bandiera da segnalazione avente forma trapezoidale allungata e inferita, cioè fissata, lungo la base maggiore. Pennone Lunga e robusta asta connessa alla sua metà a un albero tramite uno snodo, detto trozza, e destinata a sostenere superiormente le vele quadre. Ogni pennone prende poi nome dalla sua vela: pennone di gabbia, pennone di parrocchetto, etc. Picco Asta connessa alla sua estremità anteriore a un albero e destinata a sostenere superiormente una randa aurica. Poggiare Allontanare la prua dalla direzione del vento. Si dice anche andare alla poggia o venire alla poggia. Polacca Veliero con velatura varia e mista (cioè con vele quadre, auriche, etc.) e per questo detto anche mistico. Polaccone Vela triangolare disposta a prua di un albero a vela latina e sostenuta da un'asta detta spigone. Ponte Ogni struttura continua orizzontale che si estenda da una parte all'altra dello scafo; quello superiore a ogni altro è detto di coperta o semplicemente coperta. Pontone a biga Zatterone munito di una sorta di gru (biga) in genere usato per sollevare grossi carichi e per porre in posizione i fusi maggiori degli alberi dei velieri. Puntale Elemento centrale di sostegno situato fra i ponti. Quadrato Locale di raccolta e di ritrovo degli ufficiali dei velieri. Quarta Ognuna delle 32 suddivisioni della tradizionale rosa della Patrick O'Brian
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bussola nautica e quindi ampia 11° 15'; è detta anche rombo. Quartiermastro Sugli antichi velieri l'ufficiale incaricato sovrintendere alle guardie e di avviare i gabbieri alle manovre.
di
Randa Vela trapezoidale inferiormente inferita, cioè fissata, sul boma, anteriormente all'albero e superiormente sostenuta dal picco. Riggia Barra metallica che collega l'orlo della coffa all'albero sottostante e che vi scarica la trazione delle sartie di gabbia e di velaccio. Rilevamento Angolo sotto il quale un oggetto è traguardato rispetto al nord (rilevamento azimutale) o rispetto all'asse longitudinale della nave (rilevamento polare). Ritenuta Fune o paranco che limita o impedisce le oscillazioni accidentali di parti dell'attrezzatura o che trattiene o guida vele o altri carichi durante l'ammainata, ossia la discesa. Riva A riva, nel linguaggio marinaresco, designa tutto quanto sia in alto sull'alberatura. Non si riferisce mai alla costa. Rollio Oscillazione trasversale della nave impressa dal moto ondoso. Ruota Organo di governo del timone, ma anche elemento costruttivo e parte dello scafo: ruota di prua, ruota di poppa. Saettia Veliero con tre alberi a vele latine. Salpare Propriamente levare l'ancora dal fondo marino; è però usato anche nel senso di mollare gli ormeggi, cioè di sciogliere i legamenti con i quali una nave è trattenuta alla banchina. Sartia Fune (oggigiorno d'acciaio) che dallo scafo o da un'altra robusta struttura (come la coffa) sale a un albero per sostenerlo lateralmente. Sbandare Verbo che indica l'azione della nave che si inclina lateralmente per effetto del vento sulle vele. Scalandrone Scala o passerella mobile per salire sulle navi dalle imbarcazioni di servizio o dalle banchine. Scalmo Elemento centrale delle ossature trasversali di una nave; quelli superiori si dicono scalmotti. Se è riferito a piccole imbarcazioni indica il cavicchio fissato nella falchetta su cui è fissato e fa forza un remo. Scarroccio Deviazione laterale dalla rotta per effetto del vento o del moto ondoso. Patrick O'Brian
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Sciabecco Veliero con tre alberi e bompresso, armato con vele latine, ma anche con vele quadre o di forma mista. Scialuppa Nome generico e comprensivo delle imbarcazioni di servizio, poco usato nel linguaggio marinaresco. Scopamare Vela di straglio posta lateralmente al trinchetto. Scotta Fune di manovra per tendere verso poppa qualsiasi vela; ogni scotta prende nome dalla vela cui è connessa: scotta di randa, scotta di fiocco, etc. Sentina La parte più bassa all'interno di uno scafo. Sequaro Può indicare sia il modo di trattenere una fune di manovra sia la parte di essa che resta sempre a disposizione di chi deve maneggiarla. Serrare Raccogliere e legare strettamente le vele alle parti delle attrezzature che le sostengono. Solcometro Strumento per misurare la velocità di una nave. Nei tempi antichi era costituito da un apparecchio che, predisposto per restare stazionario nel punto in cui era stato lanciato in acqua, con l'allontanamento della nave svolgeva una sagola con nodi opportunamente distanziati: dal numero dei nodi passati nell'unità di tempo si ricavava la velocità. È per questo che tuttora, nell'uso marittimo, si usa esprimere la velocità in nodi, ossia in miglia nautiche percorse in un'ora. Sopravvento Indica tutto ciò che si trovi dalla parte dalla quale spira il vento. Sottovento Indica tutto ciò che si trovi nella parte verso la quale spira il vento. Spigone Asta leggera sulla quale erano inferite alcune vele di straglio. Staminale Elemento inferiore delle ossature trasversali delle navi. Straglio (detto anche strallo) Fune (oggigiorno d'acciaio) che sostiene gli alberi verso prua. Siccome per lo più su di esso erano inferite, cioè fissate, le vele sussidiarie spiegate quando il vento era debole, tutte le vele di tal genere ne hanno preso nome, indipendentemente dal luogo in cui venivano poste. Straorzare Avvicinare la prua alla direzione del vento in modo eccessivo e involontario, in genere per effetto di una velatura Patrick O'Brian
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incompatibile con l'intensità del vento stesso. Tangone Sulle antiche navi l'asta laterale protesa fuori della murata cui venivano legate le imbarcazioni di servizio durante le soste e tramite la quale i marinai salivano a bordo. Tarchia Tipo di vela trapezoidale inferita, cioè fissata, all'albero lungo il suo lato prodiero e sostenuta da un'asta (detta struzzo o livarda) inclinata, che dal piede dell'albero sale fino al vertice poppiero della vela stessa. Tartana Veliero a un solo albero con una grande vela latina e talvolta con un fiocco o un polaccone. Terrazzano Nel linguaggio marinaresco designava gli uomini inesperti di navigazione e in genere imbarcati a forza. Terzarolo Propriamente porzione di vela che può essere serrata per ridurne la superficie. Tali porzioni sono usualmente distinte in mani, numerate nell'ordine in cui si prendono, ovvero in cui avviene la riduzione progressiva. Terzo Con l'espressione al terzo s'intende un tipo di vela trapezoidale superiormente sostenuta da un pennone connesso all'albero a un terzo della sua lunghezza. Testa di moro Elemento di giunzione e di connessione dei fusi degli alberi. Tonneggiare Spostare o far avanzare una nave tirandola da terra. Trabaccolo Veliero con due alberi portanti vele al terzo e talora con polaccone; in qualche caso con una randa in luogo di una delle vele al terzo. Traverso Con l'espressione al traverso si indica tutto ciò che si trova in una posizione la cui congiungente forma un angolo retto con l'asse longitudinale della nave. Trevo Nome generico della vela bassa di maestra e del trinchetto. Trinca Salda e stabile connessione, in genere metallica, tra due parti dell'attrezzatura. Trincarino Primo corso esterno, in genere più largo degli altri, del fasciame di un ponte e specialmente di quello di coperta. Patrick O'Brian
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Trincatimi Stretta legatura fatta con più passaggi di fune o di catena. Trinchettina Nome specifico del più basso e più interno dei fiocchi. Trinchetto Nome specifico della più bassa delle vele quadre dell'albero che da essa prende nome. Tromba Nel linguaggio marinaresco, nome generico della pompa. Trozza Connessione a snodo che unisce agli alberi pennoni, borni e picchi. Varea Estremità di qualsiasi attrezzatura orizzontale, come pennoni, borni, tangoni, etc. Vascello Propriamente veliero a tre ponti di batteria. Velacciere Veliero a tre alberi, con quello di trinchetto a vele quadre e quelli di maestra e di mezzana con vele latine. Velaccino Nome specifico di una delle vele superiori dell'albero di trinchetto. Velaccio Nome specifico di una delle vele superiori dell'albero di maestra. Virare Far ruotare la nave intorno al suo asse verticale in modo che essa venga a essere investita dal vento dalla parte opposta alla precedente e facendo passare la prua nella direzione del vento stesso. Virata Atto del virare. Zavorra Materiale pesante (pietrame o ferraglia) posto sul fondo di una nave per aumentarne la stabilità. Navigare in zavorra significa procedere senza carico di merci o di passeggeri. ALBERATURA - 1. Albero di trinchetto. - 2. Albero di maestra. - 3. Albero di mezzana. - 4. Albero maggiore di trinchetto. - 5. Albero di parrocchetto. - 6 e 7. Alberetto di velaccino e di controvelaccino. - 8. Albero maggiore di maestra. - 9. Albero di gabbia. - 10 e 11. Alberetto di gran velaccio e di controvelaccio. - 12. Albero maggiore di mezzana. - 13. Albero di contromezzana. - 14 e 15. Alberetto di belvedere e di controbelvedere. 16. Bompresso. - 17 e 18. Asta di fiocco e di controfiocco. - 19 Picco. - 20. Boma. - 21. Pennacchio. - 22. Buttafuori di crocetta. - 23. Contropicco. -24 . Pennone di trinchetto. - 25. P. di basso parrocchetto. - 26. P. di Patrick O'Brian
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parrocchetto volante. - 27 e 28. P. di velaccino e di controvelaccino. - 29. Pennone di maestra. - 30. P di bassa gabbia. - 31. P. di gabbia volante. - 32 e 33. P. di gran velaccio e di controvelaccio. - 34. Pennone di mezzana. 35. P. di bassa contromezzana. - 36. P. di contromezzana volante. - 37 e 38. P. di belvedere e di controbelvedere. SARTIAME - 39. Straglio di trinchetto. - 40, 41 e 42. S. di parrocchetto, di velaccino e di controvelaccino. - 43. Straglio di maestra. - 44,45 e 46. S. di gabbia, di gran velaccio e di controvelaccio. - 47. Straglio di belvedere. 48, 49, 50. S. di contromezzana, di belvedere e di controbelvedere. - 51. Sartie maggiori. - 52. Sartie di gabbia. - 53. Sardelle di velaccio. - 54. Paterazzi. - 55. Paterazzetti. - 56 e 57. Draghe del fiocco e del controfiocco. - 58 e 59. Brighe del bompresso. - 60. Venti del pennacchio. - 61. Brighe. VELE - a. Trinchetto. - b. Basso parrocchetto. - c. Parrocchetto volante. d. Velaccino. - e. Controvelaccino. - f. Maestra. - g. Bassa gabbia. - h. Gabbia volante. - i. Velaccio. - k. Controvelaccio. - l. Bassa contromezzana. - m. Contromezzana volante. - n. Belvedere. - o. Controbelvedere. - p. Trinchettina. - q. Fiocco. - r. Controfiocco. - s, t, u, v, w, x. Vele di straglio. - y. Randa.
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