Doppio Misto. Autobiografia Di Coppia Non Autorizzata Cover unamed autobiografia di coppia non autorizzata
Sandra e Cla...
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Doppio Misto. Autobiografia Di Coppia Non Autorizzata Cover unamed autobiografia di coppia non autorizzata
Sandra e Claudio. Una coppia esemplare? Due genitori esemplari? Forse. Un libro per dimostrarlo.
Claudio Bisio e Sandra Bonzi sono marito e moglie. Lui è attore di teatro, cinema, varietà (tra i film: Mediterraneo, 1991; Puerto Escondido, 1992; Sud, 1993; Nirvana, 1997; Asini, 1999; La cura del gorilla, 2006; Manuale d'amore 2, 2007;
Amore, Bugie e Calcetto, 2008; a teatro: Monsieur Malaussène, 1997; I bambini sono di sinistra, 2003; Grazie, 2005; Coèsi se vi pare, 2006; Seta, 2007). In televisione ha partecipato a Mai dire gol e Le iene; dal 2000 è l'anima di Zelig. Lei è giornalista, un passato nella comunicazione tra cinema e televisione (Mediaset, Sky, Disney Channel, AlbaChiara Produzioni), un presente da acrobata tra tentativi di lavoro, due fantastici figli (con tanto d'indotto) e - soprattutto - un (amato) marito
ingombrante. Lui dissemina calzini e panni sporchi per casa. Lei li raccoglie e si chiede: "Che male ho fatto per meritarmi tutto questo?". Lui non ha idea di come sia fatto un supermercato. Lei lì ci passa la vita. Lui ricorda a memoria tutte le formazioni del Milan dalle origini a oggi. Lei la data del loro primo bacio. Lui le dice: "Ti trovo bella così". Lei gli risponde: "Così come, eh?". Lui, dopo anni di matrimonio, ancora non la capisce. Lei, dopo anni di matrimonio, ancora non lo capisce. Eggià. L'amore. La coppia. La famiglia. Ma Claudio Bisio e Sandra Bonzi ci mettono il sale di una storia che attinge generosamente alla realtà di tutti i giorni e non rinuncia all'universalità dell'invenzione, quasi ad assicurare il destino che li ha voluti insieme. Ecco allora spuntare due personaggi (Carla e Gigio) che fanno da ignari testimoni
e riannodano passato e presente, raccogliendo le confidenze di Sandra e Claudio: dalle certezze dei sogni della giovinezza ai ben più incerti destini generali che si trovano a condividere oggi. Contro chi lancino la palla Sandra e Claudio in questo singolare doppio misto non è difficile presumere: la coppia ideale che forse non hanno mai incontrato, la coppia disgraziata che spesso hanno incontrato, la coppia innamorata che vorrebbero continuare a incontrare, la coppia che coppia non è ancora diventata, insomma tutti gli uomini e le donne che non hanno perso l'abitudine di guardare con humour al modello di Adamo ed Eva.
CLAUDIO BISIO SANDRA BONZI
DOPPIO MISTO
Nota degli autori
Questa è la storia di Claudio, nato a Milano il 19 marzo 1957 e di Sandra, nata a Bolzano il 29 settembre 1963. Tutti i fatti e i personaggi descritti in questo libro non sono frutto di pura fantasia, ma è stata spesso invertita una data, mutato un nome, modificato un luogo. In questo modo, dice il nostro avvocato, siamo in una botte di ferro. Speriamo non sia come quella di Attilio Regolo.
Indovina chi viene a cena
Lei
Milano, 15 ottobre 2008
La mia amica Carla, finalmente a Milano. "Sono qui per un convegno. Ci vediamo?" Avrebbe potuto essere una serata speciale. Le premesse c'erano tutte. Da vera single incallita, non la sfiora nemmeno il pensiero che la cosa possa essere un po' complessa... Che ne faccio dei bambini? Li surgelo fino a domani? Trovare una baby-sitter senza un mese d'anticipo è come sperare di infilare i sei numeri del Superenalotto. Inutile spiegarglielo. E fortemente a rischio di polemiche provare a dirle che anche l'ipotesi "Claudio-che-sta-con-i-bambini" non sarebbe stata percorribile: come al solito, sarebbe rientrato tardi. L'ho invitata da me. I ragazzi avrebbero mangiato un po' prima e li avrei spediti a letto, così noi avremmo avuto tutto il tempo per una cena
con chiacchiere non-stop. L'idea era questa. Ma ovviamente non avevo fatto i conti con la variabile impazzita (Claudio), che cinque minuti fa mi ha telefonato annunciando che stasera avrebbe finito prima del previsto e sarebbe venuto a cena "con una sorpresa". Panico. Le sue sorprese sono sempre pericolose. L'ultima volta si è presentato con la sua "mitica quinta D": era riuscito a mettere assieme una ventina di cinquantenni improponibili "ma tutte le pizzerie erano piene". Per non parlare di quando è arrivato preceduto da sette scatoloni: con la scusa che Marco, all'epoca anni sei, sicuramente a breve sarebbe stato assalito dalla smania di emulare Stewart Copeland, aveva comprato una batteria, con tanto di maxi rullante e doppio crash (mai nome è stato più appropriato!). Nel frattempo avrebbe cominciato a prendere lezioni lui... Non ho avuto il coraggio di dirgli che la sorpresa questa
volta ce l'avevo anch'io, e che l'avrebbe trovata a casa. Carla. L'ha vista una volta sola, al nostro matrimonio. Chi se non lei poteva farmi da testimone? La mia amica storica. Da sempre mio riferimento, mio punto fermo. Irrinunciabile. La sorella maggiore che non ho mai avuto. Strizzacervelli, spazzina dell'inconscio. Analista freudiana per anni, poi junghiana, quindi lacaniana e infine approdata alla bioenergetica. Lavora con le coppie, quelle in crisi. Sarà per questo che è rigorosamente e felicemente single. L'incontro fra lei e Claudio, lasciamo perdere. Carla, grazie alle mie lettere, sapeva tutto di lui. Claudio di fronte a chiunque si occupi di psiche vacilla. Si sente scannerizzato. Arranca, incapace di nascondersi dietro la sua consueta logorrea. "Interessante," era stato il suo commento, "si vede che è single."
"Perché?" avevo domandato io piccata. "Be', una che mette la canotta il 23 agosto è sicuramente un po' zia..." Ovviamente avevamo litigato. Nella sua visione da uomo di Neanderthal, le donne single certamente non sono felici, sono decisamente un po' acide e, senza ombra di dubbio, zie. A nulla vale ricordargli l'elenco di suoi amici single che nei momenti di crisi cita come maestri di vita, riferimenti assoluti, simboli di un'esistenza tutta sesso-droga-rock'n'roll che lui (ahimè) ha dovuto abbandonare. Naturalmente non per sopraggiunti limiti d'età, bensì per l'allegra macchina da guerra messa assieme negli anni. Cioè noi. Io, Anna e Marco. La sua famiglia.
Lui
Adoro fare le sorprese a Sandra. Ogni volta che mi presento a casa con una novità la vedo trasalire, cambia addirittura
colore. Spesso non riesce neppure a trovare le parole per esprimere la sua gratitudine per questa nostra vita che, grazie a me, è così poco scontata. Forse è questo il segreto della nostra inusuale "tenuta" di coppia. Se penso alla nostra cerchia di amici non ne trovo uno che non sia divorziato, risposato o, peggio ancora, separato in casa. D'altronde così va il mondo, vedi i nostri politici, cattolici e non, quasi tutti fautori del Family Day, separati, divorziati o con matrimoni annullati dalla Sacra Rota. Ma pensiamo a stasera. Un paio di giorni fa mi ha telefonato Gigio dall'Australia dicendo che sarebbe arrivato oggi a Milano e, fuso o non fuso, voleva vedermi subito. L'ho invitato a cena. Sandra non l'ha mai visto, ma gliene ho parlato tanto che è come se lo conoscesse. Sono praticamente trent'anni che vive laggiù, dalla fine del Liceo. Volevamo cambiare il mondo. Poi è finita che io mi sono iscritto ad Agraria e lui è andato tra koala e canguri. A proposito, devo informarmi dopo quanti anni gli esami vanno
in prescrizione. Prima o poi mi laureerò, me lo sento. Già pregusto questa bella serata a tre: io, il mio migliore amico e la donna con cui ho scelto di condividere la vita. Sarà divertente ed emozionante guardarci negli occhi, senza intrusi, senza le solite garrule amiche di Sandra tutte figli, mariti noiosi e lavori frustranti. Una serata dedicata interamente a me, ai miei amarcord e a Gigio. Non mi faccio uno spinello da trent'anni. Chissà se Gigio porterà del fumo, ce l'aveva sempre così buono.
UNA COPPIA
"L'amore non fa la brutta copia, Benjamin, lo sai benissimo, ogni volta è subito in bella, direttamente." [...] "Te, io ti amerò fino alla fine dei miei giorni."
"Accontentati di amarmi ogni giorno." DANIEL PENNAC, La prosivendola
Tutto è iniziato così
Lui
Oggi è uno di quei giorni che si meritano un asterisco. Uno di quei giorni da evidenziare in verde smeraldo, o giallo canarino, o arancione Anas. Di più, uno di quei giorni in cui mettere un post-it a futura memoria all'angolo destro della pagina. Forse basterebbe un'orecchia. Insomma, ho deciso di tenere un diario. Il vero motivo per cui ho deciso di tenere un diario, caro diario, è che ieri Sandra me ne ha regalato uno. Non è proprio un diario, è un quadernetto nero tenuto insieme da un elastico. Lei ne ha uno uguale e mi ha detto: "Qui ci scriveremo i nostri pensieri, le nostre emozioni", poi ha parlato in
ordine sparso di memoria, relazione, luogo privato... l'unica cosa che mi è risultata chiara è che lei non leggerà mai quello che scriverò. Sandra e io ci conosciamo da appena tre settimane e l'altro ieri mi ha proposto di trasferirmi da lei. "Solo perché è più pratico, così non devi tornare a casa alle tre del mattino e poi svegliarti alle sette per andare all'Università..." ha minimizzato. Solo un fatto pratico. Ma io l'ho capito, è stracotta. Ho preso tempo. Due ore. Il giorno dopo ero da lei col cambio di residenza fatto e una copia di tutte le sue chiavi, cassetta delle lettere e cantina comprese. L'ho vista stupefatta dalla mia efficienza. Fra l'altro, con un solo, piccolo gesto ho reso felici molte persone. I miei genitori, per esempio, hanno stappato una bottiglia di Dom Pérignon del '69 che tenevano in frigo dal giorno del mio diploma: se la sono scolata. A canna. E io che li credevo astemi. Mia sorella più piccola, che finalmente avrà
il bagno tutto per sé, si è messa a piangere dalla gioia. I condòmini, che si lamentavano continuamente perché (ogni tanto) lasciavo aperta la porta dell'ascensore, mi hanno aiutato a portare gli scatoloni... Insomma, diciamo che è stata una scelta condivisa. Ho chiesto ai miei se volevano conoscere Sandra, magari una domenica a pranzo: "Nonononononò," mi hanno risposto, "per carità! Non vogliamo mettere becco nei tuoi filarini". Mi trattano ancora come un adolescente, anche se ho trent'anni. Sì, sono un pochino fuori corso, per via del militare, della politica... e di Sandra. Ok, la conosco solo da tre settimane, ma è colpa sua se non ho dato Agronomia. Riuscivo a pensare solo al trasloco. Sì, perché io sono fatto così: o tutto, o niente. O bianco, o nero. O trasloco, o studio. E una questione di concentrazione, di dedizione... di pigrizia, forse. E comunque la mia mamma è stata grande. Pensa, mi ha dato un regalo per Sandra, anche se non la conosce. Ed è un regalo prezioso: lo so bene perché è la Vaporella che le avevo
comprato per Natale. Con tanto di bidoncino di acqua distillata da dieci litri e una confezione da dodici di Merito-l'appretto con-il-manico. Che mito, mia mamma! Chissà se Sandra sarà all'altezza...
Lei
All'inizio ero entusiasta. L'avevo voluto io. Ho persino insistito. Claudio stava così bene dalla mamma, che ogni mattina gli faceva trovare il caffè sul comodino e con il sorriso sulle labbra trasformava il mucchio di biancheria lanciata sul divano la notte prima in una fantastica pila di vestiti stirati e profumati. "Perché non vieni a vivere da me?" gli avevo chiesto, incauta. Avevo anche preparato due quadernini uguali, uno per me e uno per lui, due diari segreti: uno spazio dove mettere nero su bianco le nostre emozioni, poter riflettere con calma sulla nostra relazione. Una sorta di "luogo privato" che alla lunga
(o alla corta) diventerà la memoria di questa storia. Non so se ha capito, ma ha accettato. E arrivato. E ha occupato ogni spazio possibile. L'invasione non è stata dichiarata in maniera programmatica, ma subdolamente realizzata nei fatti. In pochissimo tempo la mia lavatrice è esplosa; se non provvedo io, della carta igienica c'è sempre soltanto il rotolo di cartone; la bolletta telefonica è cresciuta a dismisura; il mio stereo è sempre occupato da dischi a me sconosciuti; il televisore è perennemente acceso. Perenne mente. Per non parlare degli armadi e dei cassetti. Pieni. Con la mia raffinata lingerie che soffoca in mezzo ai suoi orrendi calzini spaiati. Ma soprattutto, è la casa nel complesso che ne è risultata stravolta. Riuscivo a tenerla in ordine con pochissimo sforzo, aiutata - confesso - dalla visita settimanale del mio angelo custode, la signora Pina. All'improvviso, sembra che senza la colf
tutti i giorni sia il caos, caos di cui - peraltro - sembro essere consapevole solo io. Lui è serafico e sorridente. Non c'è che dire, porta buon umore e sesso. Ma occupa tutto. Perché dalla casa alla mia vita il passo è stato brevissimo. Non so come sia successo, ma non ho più tempo per me. Gli aperitivi con gli amici? La mia lettura serale? La ginnastica mattutina? Il lungo, infinito bagno con pedicure-manicure-capelli-ceretta? Le cene con i colleghi? Le telefonate fiume con le amiche? Gli inviti all'ultimo minuto? Tutto finito. Con perfetto tempismo, la sera arriva quando ho appena riempito la vasca. Spesso in compagnia di amici ("Venite da me che si fa una cenetta tutti insieme..."). Oppure da solo. Sente il profumo del bagnoschiuma appena versato e intuisce. Mi dribbla e mi anticipa. Dopo aver seminato lungo il corridoio tutto ciò che aveva addosso, si infila nella vasca. Generoso, mi invita a condividerla. E l'impeto passionale ci travolge e prosegue poi in camera felicemente per ore. Questa è la sua idea della convivenza. E sarebbe anche la mia, se non fosse che poi qualcuno deve
alzarsi, svuotare la vasca, pulire il bagno, raccattare scarpe e vestiti, far partire la lavatrice, cucinare, apparecchiare, sparecchiare, stendere (perché nel frattempo la lavatrice è finita) e (portiamoci avanti) stirare. Un qualcuno che, ovviamente, non è mai lui. E mentre lui pregusta una chiusura di serata in stile Nove settimane e mezzo, io mi sento tanto Carmen Maura in Che ho fatto io per meritare questo?!
Supermercato
Lui
La convivenza con Sandra procede a gonfie vele. Il letto è comodo, la cucina è abitabile e luminosa, il tinello - Sandra ride tutte le volte che lo chiamo così - è accogliente.
Se uno vuole proprio cercare dei difetti... ne trova, senza troppa fatica. Il televisore, per esempio, ha pochi pollici, quindi l' indice medio del nostro ascolto si è notevolmente assottigliato, praticamente è un mignolo... Sto pensando seriamente di abbandonare Agraria per scrivere battute. Mi ci sento portato. Ecco l'ultima che ho scritto a Sandra sullo specchio del bagno: "L'amore è avere una ra gazza per mano, ricordandosi che di mani se ne hanno due!". Non l'ho più vista. Per una settimana. Dice che è un periodo di lavoro intenso. Ma io non sono stupido. Secondo me ci è rimasta male. Non tanto per il contenuto della frase, perché mi sembra sufficientemente spiritosa, quanto per la forma. Perché io, con il mio perfezionismo, tra sfumature, ombreggiature ed effetto rilievo, le ho fatto fuori cinque rossetti,
tre matite per gli occhi e una confezione di fondotinta. Allora sabato, per farmi perdonare, ho deciso di invitarla all'Esselunga. Anche perché, fra le altre poche decine di difetti di quella casa, c'è pure il frigorifero. Non il frigo in sé. Anzi, a vederlo da fuori fa la sua porca figura. Dipinto a mano in un acceso blu Savoia , punteggiato di animaletti variopinti dotati di calamita, che però nulla può contro la forza centrifuga causata dall'apertura della porta, motivo per il quale le più deboli e meno dotate di artigli fra quelle care bestioline schizzano con violenza per la tangente. Risultato: sul frigo sono rimasti solo l'elefante, l'ippopotamo e il leone; mentre gazzella, fringuello, topolino e cagnolino sono sparpagliati su armadietti, gambe di tavolo, tostapane, insomma, su qualsiasi superficie metallica nel raggio di un paio di metri dal suddetto oggetto refrigerante. Ma il vero problema di quel frigo bluette si manifesta in tutta la sua evidenza appena lo apri. Vuoto.
Pieno fuori, vuoto dentro. A parte due solitarie fettine di bresaola e un pezzetto di brie ammuffito. Allora le ho proposto: "Sabato gran festa! Si va al super!". Ho cominciato a prepararmi psicologicamente dal venerdì sera. Mi ero addirittura riproposto di andare a letto presto. Poi, si sa come vanno queste cose: un cinemino, un dopocinemino sui Navigli, due chiacchiere... sono tornato a casa alle sei. Poco male, ho pensato, si va nel pomeriggio. Ottimo orario, faremo una grande spesa mentre tutti i vecchi staranno facendo il pisolino e le famiglie saranno al parco con bambini in bicicletta e cani al guinzaglio. Col senno di poi devo annotare che negli ultimi anni le abitudini delle famiglie sono mutate. Va be', poco male. Perché essere sempre, per forza, controcorrente come i salmoni? Siamo umani, animali sociali e socievoli, portati per la vita in comunità. "La spesa del sabato pomeriggio può essere intesa come un rito collettivo," sentenzio parcheggiando in terza fila, "il supermercato è la nostra moderna agorà. " E mentre
faccio queste riflessioni mi sento molto filosofo greco. Per associazione di idee mi vengono in mente la Grecia, l'estate... e ho un'improvvisa voglia di Greek salad (che in cucina è un po' la mia specialità) e allora via!, verso il reparto formaggi per acquistare dell'ottima feta... Non è stata tanto l'ora di fila a debilitarmi, in fondo ho chiacchierato amabilmente con un sacco di persone: anziani, meno anziani, molto più anziani, che ogni volta venivano chiamati e mi passavano avanti... No, è stato scoprire che ognuno di loro aveva acquistato (chissà quando) un tagliandino con un numero di una speciale lotteria, per cui loro venivano estratti e io no. Ecco, essere escluso da questa specie di riffa mi ha un po' deluso. Fra l'altro, da un paio di scaffali avevo notato dei cartelli con dei quiz. Alcuni obiettivamente facili. Saranno domande trabocchetto, ho subito pensato. Proviamo, mi sono detto. "6!" ho urlato a un commesso davanti a un cartello che diceva: "3x2". Ed effettivamente ho vinto qualcosa: mi ha riempito
di pannoloni per incontinenti. Peccato che non abbiamo bambini né genitori anziani: ma le lotterie sono così, non puoi sapere in anticipo se e tanto meno cosa vincerai. Confesso, erano anni che non frequentavo un grande magazzino del cibo. Ricordavo lunghi scaffali bulgari (non con la maiuscola dorata, ma con la minuscola dell'Est) illuminati da neon sfrigolanti che offrivano litanie di pelati e tonno in scatola, rosari di cracker e fette biscottate. Ora invece ci sono i reparti del fresco, da cui provengono effluvi estasianti: la salumeria, la pescheria, i polli arrosto... E poi si vendono anche libri, rasoi, torce elettriche. Mi esalto. Decido di rimpolpare la casa della mia amata e di rianimare tutti i comparti di quel benedetto frigorifero, freezer compreso. La vedo scomparire nel corridoio "Igiene e cosmesi". Nel frattempo io mi faccio i miei bei tornanti di fila che neanche il Pordoi, dispongo in un preciso disordine
(adoro gli ossimori quasi quanto gli ossobuchi) il mio bottino sul "tappeto rullante" in attesa del verdetto, che arriva quando ancora non ho deciso se chiedere otto o dieci sacchetti. I miei acquisti vengono sparati in una vasca ahimè troppo piccola per contenere tutto quello scatolame, che infatti straborda nell'altra vasca, cade per terra... intorno a me, si affollano casalinghe assatanate con l'intento di aiutarmi. In realtà, assomigliano più a delle ninfomani: mi si strusciano, mi offrono i loro sacchetti mostrando generosi décolleté, con la scusa di aiutarmi a raccogliere i pacchi caduti mi sottopongono glutei inguainati in provocanti tubini. Pago, circondato da natiche, tacchi a spillo, calze a rete... mi viene in mente uno spunto per un telefilm, per ora ho chiaro solo il titolo: Casalinghe disperate... ottima idea. Dovrò parlarne con il mio agente, penso, quando all'improvviso vedo Sandra fuori dal supermercato, sul marciapiede: ha il naso appiccicato alla vetrina e mi scruta con quello sguardo multiplo che solo lei sa fare. In questo
momento esprime ammirazione come sempre -, invidia, perché ce l'ho fatta brillantemente senza di lei, ma soprattutto gelosia, per tutte quelle donne sconosciute che mi circondano con eccessivo affetto.
Lei
Che sabato divertente... Siccome non è stupido, Claudio si rende benissimo conto che se per lui la convivenza è stata sicuramente un grande passo avanti, per me è stata una discesa agli inferi. Temendo di sentirsi elegantemente invitare a portare le sue cose altrove, tenta di partecipare alla gestione di quella che una volta era la mia casa, la mia cuccia, il mio rifugio, e che oggi a stento riconosco. Aveva deciso, quindi, che saremmo andati insieme al super.
"Va bene," ho detto, "ma sarebbe meglio scegliere un orario intelligente: è sabato e al super ci sarà il mondo." Si è alzato alle due del pomeriggio. Eravamo all'Esselunga di viale Papiniano alle quattro, che come è noto è l'orario peggiore. Una bolgia. Evidentemente, Claudio non entrava in un supermercato dagli anni settanta: è andato a discutere perché i carrelli non erano "accessibili", in quanto legati alla catenella; si è perso e sono dovuta andare a recuperarlo, chiamata all'altoparlante dalla direzione; ha fatto una fila di un'ora al banco dei formaggi, perché non sapeva che oggi bisogna prendere il numerino... E non è tutto. Ha fatto una spesa "selettiva", nel senso che ha selezionato frutta, verdura fresca e tutto ciò che di sano c'era nei paraggi e... l'ha lasciato lì. Tutto il resto l'ha comprato. Tutto, specialmente se precotto, surgelato, insaccato, gasato. Meglio ancora se geneticamente modificato e dai colori vivaci. Decisamente sua ogni offerta 3x2, pannoloni per incontinenti compresi: "Tanto prima o poi serviranno, no?".
Alla cassa, con quattro carrelli straripanti, è accaduto il peggio. Lì ci vuole esperienza. La lotta, non dichiarata ma non per questo meno reale, fra te che devi riempire i sacchetti e la cassiera che ti lancia sempre più velocemente i tuoi acquisti dopo avergli fatto fare il b ip non è roba per dilettanti. E guerra vera. Il segreto sta nell'organizzazione scientifica del carrello. E quindi, nella disposizione della montagna di spesa sul nastro scorrevole. Ma di tutto ciò Claudio non sapeva - ovviamente - nulla. Consapevole che i rudimenti della spesa si possono acquisire soltanto con l'esperienza, con una scusa l'ho lasciato solo alla cassa e mi sono goduta la scena dalla strada... Dopo un'ora era ancora lì, sommerso da sacchetti, ma anche misericordiosamente circondato da un gruppetto di clienti che, da un lato impietosite dalla sua inettitudine, dall'altro desiderose di liberare il blocco che ostruiva la cassa, lo stavano aiutando... Abbiamo dovuto fare tre viaggi con la Panda per portare
la sua spesa a casa, ma ha avuto il coraggio di rinfacciarmi di aver esagerato con shampoo, balsami, maschere per capelli sfibrati, che tanto lui non usa...
Pausa di riflessione
Lei
Non ci credo. Sono alle Maldive, su un'assurda lingua di corallo bianco sospesa in un mare che sembra finto tanto corrisponde all'idea che uno ha di "mare turchese". Volevo una pausa di riflessione? Uno stacco totale dal quotidiano e in particolare da Claudio? Be', adesso ce l'ho. Beatitudine allo stato puro. Se la Grecia è il posto ideale per la "pausa di riflessione" delle ventenni, le Maldive sono perfette quando gli anni sono quasi trenta.
La malinconia della separazione si è dissolta nel momento stesso in cui ho messo piede in questo paradiso terrestre. Stronza? No. Però la distanza mi ha aiutata a ridimensionare l'intera vicenda. Essere dall'altra parte del globo, immersa in un mondo completamente diverso che va avanti inconsapevole dei miei guai, ha allargato la prospettiva e cambiato il punto di osservazione. C'è un universo al di là di lui, e io me lo sto godendo. Ci siamo lasciati? Questo è il posto migliore per leccarsi le ferite. E ho deciso che questa volta non mi sarei fatta fregare. Qui niente telefono, non corro il rischio di incontrarlo, e so prattutto non c'è niente, ma proprio niente, che mi riporti lì, nel grigiore di Milano e nella tragicommedia di un rapporto che mi stava snervando. Ho passato i primi due giorni a dormire e crogiolarmi al sole, fare il bagno, mangiare cocco e ananas, leggere e cospargermi
di creme. Insomma, in quarantott'ore mi sono riconciliata con la vita. Per la verità mi sono anche ustionata, ma non importa. Ho quindi iniziato a guardarmi intorno. E mi sono resa conto che, a parte coppiette in luna di miele e numerose tessere argento arrivate qui in pullman, l'unico contatto umano possibile era quello con lo staff. Ho vinto la pigrizia e ho deciso che avrei frequentato un corso di catamarano: non sapevo esattamente cosa fosse, ma l'istruttore pareva convinto che io fossi particolarmente portata. Alex. Figo da contratto, se no non li prendono. Alto, biondo, occhi azzurri, austriaco, ventisei anni, sorriso da spot pubblicitario. Un cliché, ho subito pensato. Ma chissenefrega, è stato il pensiero immediatamente successivo. Uno che a un certo punto della vita si trasferisce su un'isola in mezzo all'Oceano Indiano a insegnare catamarano è
un genio. Dunque mi sono iscritta. Ero l'unica. Confesso che mi sono impegnata molto, anche se Alex ha dovuto ben presto ricredersi circa la mia spiccata predisposizione per il mondo della vela in generale e del catamarano in particolare. Solo salirci su è stata un'impresa. Ma è andata bene lo stesso. Ho scoperto che è molto, ma molto, più bello farsi portare a veleggiare fra un'isola e l'altra, soprattutto verso il tramonto, quando il sole cala a picco nel mare e ritrovare la via del ritorno risulta particolarmente difficile. La mossa era stata chiarissima. E non mi era sfuggito il fatto che stavamo veleggiando mooolto oltre la barriera corallina. Ma, ormai calata nel ruolo, avevo deciso di vivere un po' di adolescenza fuori tempo massimo. E poi, quale migliore occasione per dare una rinfrescata al mio tedesco? Va detto che la conversazione non era un granché, ma è
stato chiaro da subito che non era quello l'obiettivo del biondino. (E forse nemmeno il mio.) Dalle poche parole scambiate, ho capito che alle Maldive lui era arrivato da pochissimo e che quella era in realtà la prima uscita fuori dalla baietta dell'isola. Urca, ho pensato. Qui sguazzano squali, mica carpe. Ma tramortita dall'aria e dal sole ho deciso di fidarmi. Dopotutto era un istruttore, no? Fra l'altro, oltre a essere bello come un dio greco, aveva tutta l'aria di sapere il fatto suo. "Vuoi fare un salto su quell'isola deserta?" Mi sono subito vista protagonista di un romantico sogno stile Laguna blu, io nei panni di Brooke Shields e lui in quelli di Christopher Atkins. Ho sorriso: 'fanculo Milano, mi sono detta, io mi trasferisco qui. Do le dimissioni per telefono e rimango con il dio greco. Temo però di essere stata precipitosa.
Perché nel momento in cui stavo mentalmente calandomi nel ruolo di Brooke, Alex, prima ancora di arrivare, era già al cento per cento in quello di Christopher e mi è saltato addosso: peccato che la sua gamba si sia incastrata in un groviglio di cime. Allora si è aggrappato alla vela, ottenendo come unico risultato di precipitare in acqua, seguito nell'ordine da me e dal catamarano. Insomma, abbiamo scuffiato. Niente di particolarmente grave, se non che, nel tentativo di raddrizzare la barca, Alex ha sottovalutato il viluppo di vele e cime nel quale mi dibattevo. Risultato: un occhio nero e dodici punti alla gamba - senza anestesia. Non posso stare al sole e il dio greco è imbronciato. Lui.
Lui
Che bello scrivere su un quadernetto che nessuno leggerà mai le tue impressioni, i tuoi stati d'animo - persino alcune
riflessioni che tu ritieni profonde - senza temere di essere considerato goffo, banale, non all'altezza: Sandra è scema. Spiego. Il nostro rapporto, dopo i primi assestamenti logistico-esistenziali, stava andando a gonfie vele (ahi!). Mi sembrava di avere ben salda tra le mani la barra del timone (ahi, ahi!) e di aver chiara la rotta (no, basta!). Finché ha potuto tenermi sotto la sua ala protettrice, Sandra è stata davvero perfetta: una stimolante chioccia dagli occhi verdi che pagava le cene con la scusa che le avrebbe messe in nota spese (anche se so che non lo ha mai fatto), che mi spronava a lasciar perdere l'inutile rincorsa di una laurea che non è mai stata la mia ambizione e mi incoraggiava invece a perseverare nella carriera di attore, che aveva capito essere il mio vero sogno. Questo fino all'estate scorsa, quando mi hanno proposto un tour in tutta Italia con un monologo teatrale - da me scritto e interpretato - sulla condizione femminile alle soglie del
terzo millennio: storia emblematica di una donna che intuisce fin dal nome impostole dai suoi improvvidi genitori che la sua vita sarà tutta in salita. Titolo eloquente: Guglielma, che vita di melma. Una specie di recital molto divertente imperniato sulla canzone che dà il titolo all'intero spettacolo e che comincia così: E allora basta parlare di Marta, di Margherita e di Mariù. Niente più Beatles né Mario Tessuto, 'fanculo Lisa dagli occhi blu. Perché se Lisa si chiamava Guglielma, vorrei vedervi scovare una rima per lei. Mica puoi dire che tirava di schelma, che la pompelma era il frutto che lei preferì. Però che sfiga, che vita di melma, sentirsi Guglielma e chiamarsi cosi. Sandra non ha mai amato questo lato del mio repertorio. Chiamiamolo il lato B, che lei definisce "a dir poco lepido"
(la prima volta che me l'ha detto ho dovuto cercare sul vocabolario per capire quanto dovevo offendermi). Quando poi ha saputo che quest'estate avrei girato con una rockband tutta al femminile, si è rabbuiata. Ma la zampata finale devo averla data quando le ho fatto un bel discorso (sono bravissimo a fare i bei discorsi) che partiva dal concetto decisamente piccolo-borghese di tradimento e in cui citavo in ordine sparso Roland Barthes ( frammenti di un discorso amoroso), Wilhelm Reich ( La rivoluzione sessuale) e Francesco Alberoni ( Innamoramento e amore) , attraversando duecento anni di storia mondiale (dalla Rivoluzione francese alla perestrojka) e approdando alla decisione alquanto unilaterale di concedermi un'estate di libertà (e uguaglianza e fratellanza) senza per questo considerarmi fedifrago o cornificatore.
Ci saremmo rivisti a settembre, "più convinti e innamorati di prima... vero, amore?". Ricorderò sempre Sandra assumere tutti i colori più opachi dell'iride, deglutire una, due, tre volte, e infine annuire con un sorriso muto. Sorvolo sull'estate mitica che ho passato, primo perché sono un signore e poi perché rischierei la galera. tre mesi dopo, la mia dolce metà mi comunica (con molta meno prosa) che sente il bisogno di una pausa di riflessione e che andrà a fare una vacanza da sola. 'Ottimo', dico io, che avevo ancora qualche conto in sospeso con la batterista. Io non sono geloso, davvero. Lo ammetterei. Quello che non sopporto sono le bugie e tutto il ciarpame di balbettii e sotterfugi che le bugie portano con sé. Morale, il giorno del suo rientro a Milano vado a prendere Sandra all'aeroporto: ero sereno, consapevole che lei aveva vissuto un'esperienza tutta sua di cui probabilmente non le avrei chiesto niente e che avremmo ricominciato la nostra
storia con rinnovato entusiasmo. Esce per ultima, appoggiandosi a due stampelle di legno dall'aria piuttosto primitiva e scortata da due hostess. Ha una gamba fasciata. "Che ti è successo?" le chiedo preoccupatissimo. E lei: "Niente, ho fatto un corso di catamarano...", e mentre sussurra quel sostantivo che mai prima le avevo sentito pronunciare (in verità non conoscevo neppure la sua passione per la vela), diventa paonazza, inciampa e quasi mi rovina addosso trascinando con sé le due incolpevoli hostess, che tuttavia si guardano e ridacchiano. A quel punto capisco, quindi, per alleggerire l'atmosfera che si è fatta davvero pesa, con la mia solita verve le dico: "Hai avuto una storia con il maestro di catamarano, eh furbetta?". Sandra mi aggredisce con insulti irripetibili, mi lancia contro una stampella come se io fossi un austriaco dinamitardo e lei un Toti risorgimentale, dopo di che crolla svenuta e viene subito circondata da una ventina di passeggeri che mi guardano
come se fossi il mostro di Firenze. Ancora oggi, che tra noi è tutto risolto e davvero ci amiamo più di prima (come del resto avevo previsto), ci sono parole che nessuno dei due può pronunciare: tipo "bolina", "scarrocciare", "mezzo marinaio"... ma soprattutto "CATAMARANO"!
Lui
Perché l'ho fatto? Cosa mi è saltato in mente? Per me era semplicemente un gioco, per passare il tempo, forse anche per conoscersi un po' di più, ma non così tanto... Consiste nel riempire l'alfabeto con i nomi delle ex fidanzate: Anna, Barbara, Cecilia, Daria, Emilia... hai anche un'Evelina? Scartata, non te ne fai niente, ne basta una per lettera. Ti manca una F? E allora via, a cercare una Fiorenza, una Fiorella, una Fabrizia. Requisito minimo, il bacio con la lingua. Uno stupido e innocuo gioco estivo tra maschi in via
di sviluppo. L'ho riesumato in una serata particolarmente coccolosa tra me e Sandra, dopo qualche bicchiere di vino, e allora via!, uno io e uno lei: Anna, Aldo; Betty, Bruno; Cinzia, Carlo... Fino alla G era stato un pareggio a punteggio pieno che mi aveva sì stupito, ma anche inorgoglito. Be', ho scelto una piuttosto richiesta, ho pensato. Alla H c'è stato il sorpasso: Hans. Cacchio, dimenticavo la sua origine tedesca. A me mancava una Heidi, una Hélène, una Hilde. Ma dimenticavo anche il suo anno di studio in Inghilterra, ed ecco allora saltar fuori un John e un Carl,persino un Willie,uno Yorick e uno Zed. Sarà stata pure parecchio richiesta, ma lei ha sempre risposto: "Presente!". Non voglio neanche pensare che forse il suo insegnante di catamarano era tra quei nomi esotico-austroungarici. Ha rapidamente riempito l'alfabeto e ha esclamato gioiosa: "Vinto! Qual è il premio? Claudio? Claudio... che fai?". Sarà stato il vino, l'emozione, la stanchezza, o forse la rabbia
per aver perso: sono svenuto.
Lei
Oggi ho un mal di testa feroce. Ieri sera ho bevuto un po' troppo. Ma il peggio è che ho passato la notte al pronto soccorso con Claudio. La testa mi girava come una trottola e ho fatto una fatica tremenda per non scoppiargli a ridere in faccia... Lui era serissimo. A casa era caduto dal divano e aveva sbattuto la testa sul tavolino. Si era fatto un taglietto sulla fronte che sicuramente necessitava di almeno quattro punti di sutura, secondo lui. Secondo me sarebbero bastati gli Steril Strip e una bella notte di sonno. Ma lui niente, ha voluto che lo portassi all'ospedale. Una fatica. Se mi avessero fermata, altro che test del palloncino: sarebbe bastato arrivarmi a un metro per capire che avevo superato
tutti i limiti consentiti. Nella sala di attesa Claudio era silenzioso, evidentemente preoccupato per quel taglietto. Per cercare di distrarlo, gli ho detto che nel gioco dei nomi avevamo dimenticato la X. Mi ha guardata preoccupato. "Xijan, un ragazzo cinese che ho conosciuto a Londra!" gli ho detto entusiasta. E svenuto. E il taglio si è allargato. Per fortuna eravamo all'ospedale.
Siamo incinti Milano, 15 aprile 1995 Cara Carla, aiuto! Ieri ho avuto la conferma. Sono incinta. INCINTA! Lo sospettavo. Non tanto per il ritardo. Da un paio di settimane avevo
una fame da lupo e, soprattutto, tette da sballo... la mia misera prima misura era miracolosamente lievitata trasformandosi in una quarta. Sono andata in farmacia e ho comprato dieci test di gravidanza. Così, tanto per essere sicura. L'ho fatto sei volte. Ogni volta, lo stesso pallino. A quel punto - sei su sei - ho considerato la cosa come certa. Quando è arrivato Claudio ho allineato i test sul tavolo della cucina. "Meno male che eri sterile, eh?" All'inizio non capiva, poi è scoppiato a ridere. Felice. Felicissimo. "Ecco da dove veniva la miracolosa quarta..." E saltato fuori che da sempre desiderava avere figli (plurale?), ma anni di sesso "a rischio" senza conseguenze lo avevano convinto di non essere in grado di procreare. E io, sempre così attenta alla contraccezione, gli avevo creduto. Pensa te. Comunque, ha spento la sigaretta annunciando che quella sarebbe stata la sua ultima, mi ha intimato di stendermi sul divano mentre lui preparava la cena (sogno o son desta?), ha
svuotato nel lavello tutte le bottiglie di vino e birra che avevamo in casa, ha dichiarato di voler andare a Bolzano per conoscere i miei e chiedere la mia mano, ha chiamato il concessionario Peugeot per sapere quanto costa una station-wagon, è sceso all'edicola per comperare "Secondamano" e ha iniziato a spulciare gli annunci delle case in vendita. "A occhio e croce mancano nove mesi," ho provato a dire. Niente da fare. Bisognava prepararsi con anticipo. "Ampio anticipo," ho sottolineato. Ha deciso che la nostra dieta doveva cambiare: basta schifezze, solo frutta, verdura, pesce e carne: "Il ragazzo va costruito". Il ragazzo? Prima che potessi rendermene conto aveva tracciato i primi trent'anni della sua vita, tra altissime prestazioni scolastiche e - ovviamente - molto, moltissimo, calcio con futuro assicurato in serie A e un probabile (oserei dire certo) titolo di campione del mondo.
"E se fosse una bambina?" ho azzardato. Neanche a dirlo, sarebbe stata fighissima e super intelligente, un incrocio tra Claudia Schiffer e Rita Levi Montalcini: speriamo non con la bellezza della Rita e l'intelligenza della Claudia, ho pensato. Ho deciso che la prima cosa da fare era aprire un conto in banca per il fagiolo che avevo in pancia: viste le premesse, una bella e lunga analisi freudiana non gliela eviterà nessuno. Nel frattempo, Claudio aveva cambiato obiettivo. Dal fagiolo la sua attenzione si era misteriosamente spostata su di me, o meglio sul mio torace, e il suo volto aveva assunto la forma di un grande punto interrogativo: "Ma le tette ti rimarranno per sempre così, vero? Perché lo sai, sotto la quarta non può essere vero amore...". Baci Sandra
Lui
Ho fatto un sogno. Picconavo un imene a forma di muro di Berlino, con tanto di graffiti e check-point. E le pietruzze di questo muro, una volta frantumato, sbriciolato, venivano portate a casa da una folla festante in segno di riconoscenza e come ricordo del fausto giorno. Non so interpretare i sogni, ma mi sento di poter dire che la figura del "picconatore di imene" è una classica immagine maschile che denota potenza sessuale ma anche forza fisica; fatica e risultato; distruzione e riproduzione. Il fatto che molta gente si sia portata a casa il frutto della mia picconatura è un chiaro segno di proliferazione, quasi biblico: "Andate e moltiplicatevi". Insomma, tutta roba bella. Il fatto che nella foga io abbia perso il piccone è l'unico neo di un sogno altrimenti perfetto. Va be', a parte questo, mi sento davvero potente e la notizia
avuta ieri della mia prossima paternità è sicuramente una concausa non secondaria del mio stato d'animo, e forse pure del mio sogno. E dire che ero convinto di essere sterile. Questa mia convinzione non si basava su motivazioni scientifiche, ma nasceva da un banale calcolo statistico. In un ventennio di attività sessuale... diciamo costante, plurima e approfondita, non mi era mai capitato di mettere incinta una ragazza. E ne ho corsi di rischi! Voglio ricordare persino a me stesso che durante la mia gioventù non si parlava ancora di Aids. Così avevo maturato l'idea di essere sterile: convinzione che mi ha reso sempre più spregiudicato ma mai casto. Scherzi del destino. Forse non era ancora il momento, forse il mio corpo non si sentiva maturo per la procreazione e secerneva spermatozoi lenti, fallati (il concetto di spermatozoo fallato mi fa ridere, dovrei scriverci su un monologo). O forse erano sterili tutte le donne con cui sono stato. Oppure
prendevano la pillola di nascosto perché non si fidavano della mia capacità di gestire il coitus interruptus. Basta piangere sul seme versato, l'importante è che diventerò papà. Bisogna smettere di fumare, di bere... e l'alimentazione dovrà essere bilanciata. Quanti amici ho visto ingrassare durante la gravidanza della propria compagna! E poi bisogna pensare al piccolino. Mi hanno detto che il Milan ha un'ottima scuola calcio, ma da che età li accetteranno? E se fosse femmina? Be', per fortuna anche da noi, finalmente, il calcio femminile sta prendendo piede... ( Il calcio che prende piede, ottimo spunto per un altro monologo... il mio prossimo recital è quasi fatto!) E poi devo coccolare Sandra, che fra l'altro sta mettendo su delle tette stratosferiche. Lei si è accorta che le apprezzo molto, ed è convinta che secondo me questo stato di grazia sia irreversibile. In realtà so benissimo che è una condizione
transitoria legata alla gravidanza. Ed è per questo che, anche se lei ancora non lo sa, io ho già deciso di fare tanti, tanti, tanti figli!
Ti presento i miei
Lei
Sono appena rientrata da Bolzano: Claudio ha conosciuto i miei genitori, mio fratello Stefano e la sua ragazza norvegese, Irene. Credo di aver perso un paio di chili per lo stress. Avevo cercato di organizzare tutto al meglio. Era infatti una situazione ad alto rischio. In un solo botto, dovevo fare una serie di comunicazioni per nulla neutre: 1) rivelare che già da un po' convivo con un uomo. Viste le idee piuttosto tradizionali di mio padre, non è poco; 2) ammettere che l'uomo
in oggetto era colui che avevano di fronte, e cioè l'esemplare maschile in assoluto più lontano dal loro modello di genero ideale. Tenuto conto che mio padre da sempre sogna di vedermi accasata - chissà perché - con un ingegnere, sarebbe stato più prudente sorvolare sul fatto che Claudio non solo non è laureato (potevo spacciarlo a fatica per laureando), ma che di mestiere fa l'attore. Il peggio che potesse capitarmi, diciamolo. Dopo di che, come se tutto questo non fosse abbastanza, avrei dovuto annunciare la mia gravidanza. Prima di partire avevo convinto Claudio a evitare di dire anche questo: l'avrei fatto in un secondo tempo, per telefono. Avevo optato, quindi, per una visita lampo ("Siamo in giro per lavoro e passiamo da Bolzano...") e per un pranzo formale in un ristorante. Meno rischioso. E invece, fatte le presentazioni, Claudio prima ha ordinato wurstel bianchi - che per ore ha chiamato "viusterl", suscitando il palese disgusto del cameriere rigorosamente di lingua
tedesca -, poi ha alzato il boccale di birra e ha annunciato la lieta novella. Gelo. A mio padre è caduto lo stinco di maiale. A me è andato di traverso il pezzetto di Brezeln che avevo appena ingoiato. La situazione è stata salvata dal sorriso di mia madre e da Stefano, che cercava di tradurre a Irene cosa era appena stato detto. A quel punto ho fatto segno al cameriere che avevamo molta fretta e che dovevano un po' darsi una mossa. Ma Claudio aveva bevuto la sua terza birra ed era partito con un monologo sulla paternità dei teatranti e sull'adattabilità dei bambini ai loro ritmi di vita. Per essere più chiaro ha citato i gruppi circensi che - come gli attori - hanno diritto a iscrivere i propri figli nelle scuole delle città che visitano in tournée. Gelissimo.
I miei lo guardavano allibiti cercando di visualizzare il loro potenziale nipotino (o nipotina) alle prese con maestri e compagni diversi ogni due o tre mesi. Loro che da Bolzano non si sono mai mossi. Nel tentativo di spostare la conversazione verso temi più neutri, ho provato a concentrare l'attenzione su Irene e sul suo processo di adattamento alla vita in un paese non suo. Non l'avessi mai fatto. Confondendo la Norvegia con l'Olanda, patria di una ex fidanzata, Claudio si è lanciato nel racconto (da brivido) di un Natale passato a casa dei potenziali suoceri. Loro parlavano l'inglese e il tedesco, ma lui no. Allora aveva iniziato una simpatica conversazione in lingua olandese, utilizzando l'unica frase che conosceva, utilissima durante un suo viaggio alle Cicladi ma decisamente fuori luogo durante un pranzo natalizio: "Neem jij de pil?, Prendi la pillola?". Milano, 25
maggio 1995 Caro Gigio, è un bel po' che non mi faccio vivo, d'altronde anche tu non è che mi scrivi spesso. Ho incontrato per strada tua sorella, ma sono stato vaghissimo, come se non avessimo mai avuto una storia, anche perché lei era con un pilone di mischia del Calvisano... Mi ha detto che lavori in un'agenzia immobiliare di Perth. Non sono un esperto in geografia, ma mi pare che tra Sydney e Perth ci siano parecchie centinaia di chilometri. Cosa vuol dire? Che ti sei trasferito? Sydney ti stava stretta? Va' che sei ben strano: da vendere il "Quotidiano dei lavoratori" agli studenti della Bovisa a vendere case agli impiegati australiani mi sembra ci sia un bel salto. D'altronde, è proprio quello che fanno i canguri (il bel salto!). Vedi che non ho perso il mio sense of humour, eri tu che mi chiamavi "simpatico umorista" prendendomi per il culo. Be', sappi che ora quell'appellativo è diventato il mio slogan in serate di cabaret che hanno un discreto successo.
Ti ricordi quella ragazza che mi ha vomitato in macchina e che poi io, con grande senso civico e sprezzo del pericolo, ho invitato al cinema a vedere Gli intoccabili? Be', contro ogni logica e previsione, ci siamo toccati durante tutto il film. Ora aspettiamo un bambino e lo scorso fine settimana sono andato a conoscere i suoi genitori. Sono di Bolzano, mezzi tedeschi. Sandra, così si chiama, ha un fratello che sta con una norvegese. Seduto al tavolo, mi sembrava di essere a una riunione della Cee. Per fortuna ricordavo alcune parole in olandese che mi aveva insegnato Mieke, la bionda ballerina di Wuppertal (che non è in Olanda, lo so, ma è lì che ha studiato danza), e le ho sciorinate facendoli ridere a crepapelle (proprio vero che le lingue nordiche si somigliano tutte). Quando ho brindato alla nascita del loro primo nipote li ho visti impallidire, forse perché temevano che la distanza tra Milano e Bolzano non gli avrebbe permesso di vederlo quanto avrebbero voluto. Per tranquillizzarli ho spiegato loro che
noi attori (non ho neanche accennato ad Agraria per non confondergli troppo le idee) siamo praticamente apolidi e abbiamo il diritto di far frequentare ai nostri figli le scuole delle città in cui ci troviamo. Bolzano ha un bel teatro, dove io ho recitato più volte, ma anche Trento, Pergine, Mori e persino Bressanone! Non mi sono sembrati sufficientemente rassicurati, ma li capisco. Sarei anch'io un tantino diffidente nei confronti di uno sconosciuto che mi comunicasse al primo incontro di aver ciulato (probabilmente più volte) mia figlia e di averla messa incinta, senza accennare nemmeno vagamente a un matrimonio riparatore. Be', a pensarci bene uno così come minimo lo prenderei a calci nel sedere. Ciao Claudio
Fiori d'arancio
Lei
Chi l'avrebbe mai detto? Ce l'abbiamo fatta. Ci siamo sposati. Io non ero convinta ("Non porterà sfiga, eh?"), ma poi Claudio mi ha spiegato che, avendo le coppie di fatto meno diritti di quelle sposate, se fossimo morti senza il burocratico atto la nostra bambina (notizia: sarà una bambina e si chiamerà - l'abbiamo deciso a Ferragosto - Anna) per legge non sarebbe stata affidata immediatamente ai nonni, bensì temporaneamente ai servizi sociali, in attesa di verificare l'effettiva rete di parentela in sua dotazione. Ho capitolato. L'idea che la mia pupa potesse essere "temporaneamente" affidata a chissà chi solamente perché alla sua mamma era sembrato superfluo confermare allo stato che amava suo padre era intollerabile. Decisione presa a metà luglio mentre Claudio era in tournée, sposati quattro settimane dopo. "Meglio non avere troppo tempo per l'organizzazione," aveva detto. "Avrà tutto un sapore meno finto."
Va bene. Avevo tentato però di spiegargli che, il 23 agosto, nella campagna toscana (troppo facile farlo a Bolzano o a Milano) non ci sarebbe venuto nessuno. "Faremo una cosa intima." Infatti, così è stato. Non c'era nemmeno mio fratello. Era in Norvegia in vacanza. D'altro canto, un matrimonio di solito viene annunciato con ampio anticipo e gli invitati hanno il tempo di organizzarsi. Noi, in pieno periodo vacanziero, abbiamo dato un preavviso di circa due settimane. Ma la cosa che ha reso il tutto molto complesso è stata il fatto che, mentre io pianificavo, Claudio - fra una tappa e l'altra della tournée - ha pensato di fare lo stesso. Insomma, abbiamo messo in piedi due matrimoni paralleli che in comune avevano solo gli invitati, la data, la location e - ovviamente gli sposi. Tutto il resto no. Mentre io avevo assegnato a Carla, la mia testimone, il compito di prendere le fedi nuziali (tradizionali, oro bianco, semplici), lui aveva identificato un paio di anelli tribali che
avrebbero dovuto richiamare l'ancestralità del gesto ("A noi laici ci manca un rito") e contemporaneamente rendere unico il nostro sì. Mentre io avevo organizzato un quartetto d'archi per addolcire la breve e burocratica celebrazione civile, lui aveva contattato un gruppo di quaranta percussionisti di Bahia in tournée in Italia. Mentre io cercavo un ristorante e definivo il menu, lui aveva già convinto i nostri amici Gianni e Cristina a ospitare la festa nel loro agriturismo. Mentre io sceglievo i fiori, lui aveva messo a punto l'illuminazione tutta a base di candele. E quando è arrivato, raccontandomi fierissimo cosa aveva fatto, ho respirato profondamente e ho deciso che l'iniziativa non andava repressa, l'uomo non andava demoralizzato e quindi il nostro matrimonio sarebbe stato la somma di quanto avevamo messo assieme. A parte le fedi, ovviamente. Su quello sono stata irremovibile. Avremmo usato la classica
vera. Quindi, disdetto il ristorante e accettato di fare una grigliata dai nostri amici, affidata al quartetto d'archi la copertura della cerimonia e della prima parte della festa - i brasileiros si sarebbero occupati della seconda-terza parte -, abbiamo pronunciato il fatidico sì di fronte a una vicesindaco scollacciata e un po' delusa sia dall'estrema intimità dell'intera vicenda che dall'assenza di un vero e proprio abito da sposa. "Passi la bizzarria di sposarsi in sottoveste," era stato, del resto, il commento di mia madre, "e va bene che il bianco sarebbe stato provocatorio... ma dovevi scegliere proprio il verde pisello?" Come spiegarle che a Milano nessuno ti prepara un abito da sposa in due settimane, men che meno a cavallo tra luglio e agosto? Avevo dovuto accontentarmi di quello che avevo trovato in saldo. "Sei un bellissimo fagiolino. Se me lo dicevi mi adeguavo
e riciclavo il costume di Hulk," mi aveva rassicurata Claudio. E dopo il sì serale ci siamo trasferiti da Gianni e Cristina. Abbiamo mangiato e bevuto, bevuto e danzato al ritmo delle percussioni brasiliane che hanno tenuto sveglia tutta la vallata. A un certo punto non ce la facevo più e sono andata a stendermi nella colombaia, la stanza più romantica della colonica. Devo essermi addormentata. Mi sono svegliata avvolta da una nuvola di fumo e da un odore di bruciato. La romantica illuminazione tutta candele non era evidentemente l'ideale per una casa di campagna con travi in legno e massetto in canniccio. Aveva sicuramente preso fuoco qualcosa. Non c'era tempo per scendere e chiedere aiuto. Ed era inutile urlare: giù nell'aia erano in corso le prove generali del Carnevale di Rio. Sono volata a prendere un estintore che ricordavo di aver visto fuori dalla stanza. Immobile, Claudio mi guardava e urlava parole incomprensibili. Ho premuto con tutta la mia forza, spegnendo sì l'inizio
d'incendio ma riempiendo l'intera stanza - e quindi anche Claudio - di schiuma. Stremata, senza scarpe e decisamente impaurita, ho cercato tra la schiuma colui che poche ore prima era diventato mio marito (lo dicevo io, che il matrimonio porta sfiga...) e che nel giro di cinque mesi sarebbe diventato padre della pupa che avevo in pancia. Quando finalmente è riemerso, immaginavo una scena stile Via col vento, un bacio lunghissimo in mezzo alle rovine dell'incendio... "Amore, ero venuto a cercarti per dirti che è finita la sangria... Non è che verresti giù a prepararne un altro po'?" Per fortuna, la bombola non era finita e il getto di schiuma è stato più che soddisfacente. San Filippo, 24 agosto 1995 Caro Gigio, mi rendo conto che il preavviso era troppo breve e che il viaggio sarebbe stato piuttosto lungo, ma uno sforzo in più per venire a farmi da testimone potevi farlo!
L'amica del cuore di Sandra c'era. Si chiama Carla ed è psicologa. O psicanalista. O addirittura psichiatra. Insomma, di quelli che ti guardano e ti analizzano. Io in quei casi do il peggio di me. Mi sforzo di essere simpatico ed esagero. Ho il terrore delle pause, dei vuoti, dei silenzi. E dico e faccio cazzate. Alla sua semplice domanda: "Come mai avete deciso di sposarvi così in fretta?", mi sono incartato in uno sproloquio su amore e burocrazia, maternità e anagrafe, eredità e coppie di fatto... La verità è che i miei suoceri mi hanno imposto un matrimonio riparatore entro l'estate - in modo che il frutto del peccato non fosse troppo evidente -, meglio se lontano da Milano e da Bolzano, in campo neutro diciamo, e con pochi, pochissimi testimoni oculari. "Una proposta che non si poteva rifiutare" avrebbe detto Al Pacino. Ho accettato. L'intimità della cerimonia è stata violata da una querula vicesindaco (il sindaco era giustamente in ferie) che dopo essersi
fatta scattare alcune foto ricordo con gli sposi per l'album del piccolo comune toscano le ha messe in rete, sulla homepage del sito holiday-in-tuscany.com. Morale, avremo la copertina di un importante settimanale zeppo di tette-vip e, a questo punto, dei nostri fiori d'arancio. Pensando alla reazione del padre di Sandra ho organizzato in fretta e furia una fuga un viaggio di nozze a New York. "E la sposa come sta?" mi chiederai. Sandra in questo periodo è, diciamo, lievemente irascibile. Passa repentinamente da lunghe dormite (soprattutto diurne) a scatti d'ira (quasi sempre nei miei confronti). Ho chiesto lumi a un amico medico: mi ha detto che è un classico. Occorre assecondarla in tutto e farsi scivolare addosso eventuali atteggiamenti o frasi che normalmente porterebbero a grandi liti ultramotivate. Abbozzare, insomma. E io abbozzo, cazzo se abbozzo! Pensa che, pur avendo avuto un tour estivo fino alla vigilia
del matrimonio, avevo deciso di pensare a tutto io. Non andava bene niente: dalla musica al ristorante, dagli addobbi agli inviti. Persino gli anelli mi ha contestato. Ma il momento in cui ho dovuto chiamare a raccolta tutto il mio self-control è stato quando, dopo aver cotto centinaia di bistecche e salsicce al barbecue, affumicato e mezzo arrostito pure io, mi sono accorto che era finita la sangria (l'unica cosa di cui si era occupata la mia dolce metà. Come sbuccia le pesche lei...). Setaccio tutta la casa - con ansia crescente, visto il suo stato - e dopo un'affannosa ricerca la trovo nella colombaia: si era appena svegliata, con i segni del cuscino ancora sulla guancia. Le chiedo dolcemente se pensa di poter tornare tra gli invitati e rimpolpare di frutta la caraffa di vino e lei per tutta risposta estrae un estintore che teneva nascosto chissà dove e mi schiuma addosso tutto il suo contenuto. Io rimango lì, come una statua di sale, cercando di ricordare a memoria il numero di telefono di quel signore, conosciuto
anni fa in palestra, avvocato civilista, specializzato in divorzi... quando vengo distratto da schiamazzi provenienti dall'aia. Sono i carabinieri di Scandicci che, allertati dai residenti della Val di Pesa, stanno chiedendo i documenti ai nostri (pochi) ospiti e sequestrando i tamburi (tanti) della mitica, ma fino ad allora misconosciuta, Mi toca samba. Mi giungono brandelli di frasi urlate: "Proprietà privata... Mandato di perquisizione", "Suolo pubblico... Atto dovuto!", "Diritto alla privacy! ", "Sequestro! ", e mi rendo conto che mio padre e mio suocero - complice la sangria (ecco chi l'aveva finita!), in poche ore sono diventati superamici - stanno litigando con il maresciallo dei carabinieri. Prendo Sandra per mano e così come siamo, lei scalza e con l'estintore in mano, io tutto bianco di schiuma, usciamo dal retro di quella bella casa colonica e ce ne andiamo a trascorrere la nostra prima notte di nozze in un bed&breakfast. "Notte", si fa per dire. Quando dopo una doccia e un lungo
bacio riappacificatore ci infiliamo sotto le lenzuola, il sole è già alto. Ciao Claudio
Trasloco
Lui
Ce l'ho fatta! Abbiamo traslocato, finalmente. Che bella sensazione! Una casa nuova, un nido per il pulcino che sta per nascere... Ci sono ancora tanti scatoloni da aprire, ma faremo con calma. Sono molto orgoglioso di come ho organizzato questo trasloco. Sandra era fuori gioco per via del pancione, così ci ho pensato io. Ho telefonato a un gruppo di vecchi amici, gli "Smontini Brothers", che si occupano di scenotecnica e hanno
due grandi furgoni e un camion. Sono stati gentilissimi e mi hanno anche fatto un buon prezzo. Ma dopo che la data era stata fissata, sono stato contattato per una serata in Sicilia. Non potevo perderla - al Sud faccio ancora un po' fatica, dunque ogni occasione per seminare è buona. Così ho impacchettato i miei effetti più personali e ho dato precise indicazioni agli Smontini. La serata poi è saltata perché l'organizzatore è stato arrestato. Aveva venduto, in nero, alcune date di un certo Migliavacca, cantante catanese sconosciuto sui cui manifesti, sotto una sua foto in controluce nella posa di Yuppi du, stava scritto "Migliavacca" piccolissimo, "Il" abbastanza piccolo, "Celentano" a caratteri cubitali, "del Sud" praticamente illeggibile. Di questo piccolo incidente non ho fatto cenno a Sandra, anche perché, tornato a casa, l'ho trovata seduta per terra, in salotto, assorta, quasi in trance. Accanto, alcuni miei scatoloni
aperti dei quali stava ammirando il contenuto: le mie collezioni di fumetti, le medaglie di mio nonno al valor militare (ha fatto la guerra di Crimea), i miei appunti universitari. Teneva stretta fra le mani una mia vecchia scarpetta da calcio e sbirciava la pagella della seconda elementare. Che tenera! Chissà a cosa pensava? Appena ha avvertito la mia presenza ha cambiato espressione, ho intravisto una smorfia di dolore... Le contrazioni! L'ho fatta sdraiare sul divano ancora incellofanato e sono corso a prepararle un bel bagno caldo... a proposito: "Amore, hai idea di come si faccia partire questo boiler?".
Lei
Sono morta. Ho la schiena a pezzi. Voglio divorziare. Oppure uccidere Claudio. Ho traslocato due giorni fa. Sola. Con un tempismo da Nasa, lui è riuscito a organizzarsi
una data a Marsala proprio in occasione del trasloco. Non solo. Ha convinto il suo agente che non valeva la pena prendere l'aereo. Il costo del biglietto avrebbe eroso gran parte del cachet. Morale: per una serata, cinque giorni di assenza. "Il lavoro è lavoro," ha detto quando ho provato a protestare. "E poi, stai tranquilla: pensano a tutto quelli del trasloco." Probabilmente le ditte di traslochi vere, non certo il trio di metallari di Vaprio d'Adda che ha ingaggiato lui e il cui boss ha subito messo in chiaro: "Uè sciura, lunedì alle otto tutto imballato, eh!, che noi quelle robe lì mica le facciamo!". Per cinque lunghi giorni non ho fatto altro che togliere e rimettere, impacchettare e spacchettare, chiudere e aprire, salire e scendere per sistemare soprattutto le sue cose. L'ultimo trasloco lo avevo fatto utilizzando la mia vecchia 127. Stavolta c'è voluto un camion. Non me ne facevo una ragione:
la cucina e gran parte dei mobili li abbiamo comprati nuovi, da dove arrivava tutta quella roba? Poi ho capito. Claudio ha una capacità di accumulo di gran lunga superiore alla media. Tiene tutto. Ma proprio tutto. Le centinaia di spillette che ha accumulato negli anni, da quelle con la foglia di marijuana a quelle con la faccina di Mao, da Herbalife al cavallino della Ferrari. Le agende dalle medie a oggi, nessuna esclusa. La raccolta di francobolli e le medaglie del nonno. Le scarpette da calcio: tutte, dalle prime (numero 34) alle ultime (numero 45). L'intera raccolta di Tex. Non solo i libri dell'Università, ma perfino gli scatoloni con gli appunti: a chi e a che cosa mai serviranno? Ha conservato anche le pagelle, da quella della primina (perché lui è andato a scuola un anno prima...) fino a quella della quinta liceo. Non ho resistito. Le ho lette. Tutte. Era una vera schiappa, soprattutto in educazione fisica:
non ha mai preso più di sei... Ho pure sfogliato i suoi temi. Uno in particolare mi ha fatto sorgere qualche dubbio sull'intelligenza del futuro padre della creatura che ho in pancia.
20 luglio 1969 Tema L'allunaggio Svolgimento Che forte. Le impronte sono proprio grandi, devono avere almeno un 50. Saltellavano al rallentatore per far vedere che si pesa meno, come dice la canzone: "La metà della metà". E poi gli scafandri! Ho letto che sono fatti apposta per fare la pipì. Ma uno non la poteva fare prima di partire, come dice sempre mia mamma? Tito Stagno urlava e io mi sono divertito un casino a vedere il Lem che ripartiva a razzo. Peccato solo che Armstrong non si è portato dietro la tromba, altrimenti vedevi che suonatine ci piazzava dentro!
Voto: due Mi sono venute le contrazioni. Ma a chi ho giurato eterna fedeltà? Aiuto. "Distenditi e non ti muovere," ha detto Claudio appena tornato, "adesso ti preparo un bel bagno caldo e poi qualcosa da mangiare." Stavo quasi per pentirmi di aver pensato al divorzio e all'omicidio, quando dal bagno è giunta la fatidica domanda: "Amore, hai idea di come si faccia partire questo boiler?". Ho mantenuto la calma. Mi sono alzata. Ho percorso il corridoio zigzagando tra i suoi scatoloni e ho girato una chiave. Quella del bagno. Sono certa che, dopo una settimana chiuso lì dentro, l'idraulica per lui non avrà più segreti.
L'uomo sulla luna
Lui
Il patto era che ognuno di noi avrebbe disfatto i propri scatoloni. L'ho infranto. Il patto. E anche lo scatolone con scritto "temi, poesie, riflessioni riflesse". Ho cominciato dalle elementari. Mi è saltato subito all'occhio un tema dal titolo: L'UOMO SULLA LUNA Ieri sera ho visto alla televisione il primo uomo sulla luna. La maestra ce l'aveva detto: "Guardatelo e scrivete le vostre impressioni". Veramente gli uomini erano tre. "Ma perché sono tutti maschi? Perché non c'è neanche una femmina?" ho chiesto. "Perché l'astronauta è un mestiere per uomini", ha risposto mio papà. A me non mi sembra giusto. Noi femmine non siamo meno intelligenti o meno coraggiose degli uomini. Anzi.
In classe le femmine sono le più brave. E anche a casa non mi sembra molto diverso: io sono sicuramente più intelligente di mio fratello. Da grande organizzerò una spedizione sulla luna solo di amiche. Voto: dieci. Nel leggerlo ho provato un misto di tenerezza e terrore. Tenerezza per quella bimba che scrive a me mi e che si prende ugualmente dieci (a me non è mai capitato. Di prendere dieci). Terrore per la donna che si porta dentro quella protofemminista e che io ho incautamente sposato. Ma quante cose non so di lei!
LUI E LEI
Quante cose che non sai di me
Quante cose che non puoi sapere Quante cose da portare nel viaggio insieme [...] Quante cose che non sai di me Quante cose devi meritare Quante cose da buttare nel viaggio insieme. LUCIANO LIGABUE, Gli ostacoli del cuore
Mar Ligure, 18 marzo 1977
Caro Gigio, ho fatto una cazzata. Sono passate solo poche ore da quando ti ho salutato dal finestrino. All'inizio sembrava un viaggio normale, un tranquillissimo Milano-Genova di seconda classe. Mi ero vestito nel modo più casual possibile: jeans, maglietta Fruit of the Loom a maniche corte, maglione blu legato in vita, giubbotto
e piccola borsa con grande tracolla. Già durante il tragitto avevo avuto una sensazione strana, come di essere osservato. A Porta Principe scendo con aria furtiva e nonscialante, ma nel breve tratto da lì al porto mi ritrovo intruppato con dei ragazzi vestiti esattamente come me; poi il nostro gruppo si unisce naturalmente ad altri drappelli, tutti di sesso maschile, tutti più o meno della stessa età e vestiti rigorosamente in jeans, maglietta e giubbotto... Eravamo già in divisa senza saperlo, e dire che il servizio militare sarebbe iniziato solo il giorno dopo. Ora mi trovo sul ponte di prua del traghetto per Olbia. Ci siamo soltanto noi, un migliaio, del Nord, destinazione Macomer. Reclute, burbe, spine... sto acquisendo nuove identità. Ti ricordi ieri sera, quando tutti mi prendevano in giro dicendo: "Beato te che te ne vai in Sardegna!"? Be', a quanto pare Macomer sta alla Sardegna che tu immagini - Costa Smeralda, Agha Khan e bikini al sole - come Buccinasco alle Isole Galapagos. Mi dicono che Macomer si trova su un altopiano
costantemente sferzato dal vento, senza vegetazione e con gli avvoltoi che volteggiano a bassa quota in cerca di cibo. Ci si arriva con un trenino a scartamento ridotto, che non chiude neppure le porte tanto va piano. Mi sa che ho fatto una enorme cazzata. Perché ho stupidamente rinunciato al "rinvio-per-motivi di-studio-sperando-in-un-congedo-permanente-per-esubero" e non ho fatto come te? Come fanno tutti. E perché ho pensato di risolvere i problemi sentimentali facendo il militare? Problemi sentimentali, poi... solo perché ho preso un filotto di due di picche? O forse il vero motivo è che la politica mi ha deluso... posso dire sottovoce che gli Indiani metropolitani mi sembrano dei pirla? Dovevo prendere un traghetto per avere il coraggio di dirlo? Mi stanno guardando tutti. Sono l'unico che scrive. Mi prenderanno per intellettuale. O per fighetta. Accanto a me,
ci sono dei bergamaschi che si sono dipinti il tricolore sulla fronte con scritto "W IL '57!". Sembrano felici, bevono birra e cantano. Tutto sommato, gli Indiani metropolitani non sono poi così pirla. Ciao Claudio
Bolzano, 18 marzo 1977
Carissima Carla, come ti invidio! A Bologna, sola. Non vedo l'ora di iscrivermi anch'io all'Università e andarmene da casa. Be', prima devo fare il liceo... anzi, prima devo finire le medie. Sono appena tornata da Moena, in Val di Fassa. I genitori della Nico hanno un appartamento lì e mi avevano invitata a sciare durante i tre giorni di Carnevale. Non è stato facile convincere i miei, li conosci - "E i compiti? Quando li fai?" -, per fortuna poi la mamma della Nico
li ha convinti. Appena arrivate, la Nico mi ha presentato i suoi amici di cui mi aveva tanto parlato. Sono molto più grandi di noi, alcuni di Lugo, altri di Padova. Hanno casa lì da anni e quindi si conoscono tutti bene. Ho finalmente visto il famoso Marco... Sulle piste, poi, è stato divertentissimo. Abbiamo riso e fatto i cretini. Ho quasi rischiato di rompere gli sci facendo il trenino! I ragazzi hanno bevuto la grappa e hanno voluto che la assaggiassi anch'io: a me ha fatto veramente schifo (ma non l'ho detto, eh!). Poi ci hanno invitate in discoteca. La mamma della Nico (molto, ma molto, più facile da convincere dei miei) ha detto: "Se stasera finite i compiti, domani potete andare: ma alle undici a casa". Pensa che io non ero mai stata a ballare! La sera dopo siamo uscite dieci minuti prima dell'appuntamento per metterci il mascara e il rossetto. E poi abbiamo camminato tutti assieme fino alla discoteca.
Ti confesso che all'inizio ero un po' agitata. Ma poi ho visto che non c'erano passi precisi, tipo le feste di Happy Days, ma che ci si muoveva abbastanza a caso... E allora mi sono buttata. Avevo una sete terribile e sono andata a prendermi una Coca. Proprio allora, il dj ha messo un lento: si è avvicinato Pietro (un amico di Marco che ha diciannove anni) e mi ha chiesto se volevo ballare. Panico. Ma non mi ha nemmeno dato il tempo di rispondere. Mi ha presa per mano e siamo andati sulla pista. Mi ha abbracciata stretta stretta e abbiamo iniziato a muoverci lentamente. Ero lì che pensavo che in fondo non era così complicato e che me la stavo cavando egregiamente, quando all'improvviso mi ha baciata. Meno male che era buio, perché ho sentito che diventavo tutta rossa. Ma la cosa più pazzesca è che a un certo punto lui ha aperto le labbra e con la lingua ha aperto le mie. Uno schifo.
Sembrava che volesse farmi la pulizia dei denti. Ma soprattutto non sapevo bene che fare. Gli ho pulito i denti anch'io. Per fortuna il lento è finito. Da quel momento, però, Pietro mi è stato appiccicato e nessuno si avvicinava a noi: ci lasciavano volutamente soli! Poi mi ha portata a bere un'altra Coca. Che effettivamente ci voleva... Mentre mi parlava pensavo solo alla sua lingua e a che cosa avrei dovuto fare se ci avesse riprovato. Me ne sono andata in bagno. (Le ragazze fanno così, in Happy Days.) Dopo un po' la Nico è venuta a chiamarmi: erano le dieci e mezzo, dovevamo (finalmente) tornare a casa. Marco e Pietro ci hanno accompagnate. A piedi, mano nella mano. La mia scivolava, tanto era sudata! Ero imbarazzatissima, non sapevo che dirgli. Ti amo proprio non mi veniva. Baci da schifo
mi sembrava eccessivo. Per fortuna domani parto, non ho il telefono e vivo sotto un pon te, quindi non potrai mai rintracciarmi rischiava di essere maleducato. Meno male che la strada era breve. Arrivate sotto casa, il bacio di addio, sempre con la lingua. Forse mi ero un po' abituata e quindi mi ha fatto meno schifo, solo che è durato un'infinità e dopo un po' mi faceva male la mandibola. Con la coda dell'occhio ho cercato la Nico, ma era accartocciata con Marco. Prima di addormentarci avrei voluto chiederle com'è questa cosa dei baci, poi però ho lasciato stare, avrei fatto una figuraccia. Ma tu riesci a spiegarmela? Come si fa, esattamente? Sono certa, certissima, che Pietro abbia sbagliato tutto con questa storia della lingua! Non posso credere che Rhett baci Rossella in quel modo... Ti prego, rispondimi presto!
Sandra
unamed Bolzano, 29 marzo 1978 Cara Carla, sono arrivata a scuola e uno dei "grandi" ha annunciato nel megafono: "Oggi assemblea d'istituto!". Noi avremmo avuto tema in classe... Be', è stata una mattinata fantastica. Per fortuna, in ascensore mi ero messa la gonna a balze nera che mi ha prestato la Nico. Sua sorella l'ha presa in un mercatino a Firenze, è lunga, un po' trasparente. Bellissima. Mia madre quando me l'ha vista su la prima volta ha fatto una scena, ha detto che sembravo una zingara. Allora, come mi capita abbastanza spesso, stamattina sono uscita di casa vestita come vuole lei e mi sono cambiata in ascensore. Ero perfetta per l'assemblea. E infatti Roberto mi ha notata. Be', va detto che ho fatto di tutto perché succedesse. Eravamo in aula magna, seduti per terra. Lui sul palco, bello come il sole, capelli lunghetti (un po' sporchi, per la verità), camicia bianca con il colletto alla coreana, jeans e Clarks blu. Ovviamente, circondato da ragazze che di tanto in tanto lo sbaciucchiavano, gli accarezzavano i capelli, gli sussurravano all'orecchio o gli accendevano la sigaretta. Lui non mi conosce perché sono una primina e quelli di quinta nemmeno ci guardano. Non ci si capiva granché. Alcuni chiacchieravano, altri giocavano, altri ancora fumavano o si baciavano, o si erano chiusi nelle aule a spaccare i banchi... Erano in pochi ad ascoltare. Per la verità, quelli che parlavano erano abbastanza noiosi. Hanno ripetuto un'infinità di volte le stesse cose. Per di più, sul palco c'erano solo ed esclusivamente maschi. O meglio, c'erano anche tante ragazze, ma nessuna di loro prendeva la parola. Mi sembrava di essere a casa mia, quando mio padre dice che l'uomo ha la meglio in tutti i campi, dallo sport alla scienza. Solo la danza classica - secondo lui - è un territorio femminile: le donne sono più graziose. Possibile che anche a scuola funzionasse così? Nel frattempo la Nico - che era seduta dall'altra parte dell'aula - mi stava facendo cenno di raggiungerla. Mi sono alzata e ho scavalcato una marea di corpi. Naturalmente mi hanno vista tutti. Ma soprattutto mi ha vista lui, Roberto, che si è interrotto e ha annunciato al megafono: "C'è una compagna che vuole parlare. Vieni pure qui". Gelo. Volevo morire. Cosa potevo dirgli? Non avevo scuse credibili. E mentre mi avvicinavo al palco come un automa, con le gambe che mi tremavano fortissimo, cercavo di farmi venire in mente qualcosa di molto brillante da dire. Ma mi venivano in mente solo l'Innominato e fra Cristoforo, sui quali avremmo dovuto fare il tema in classe... Come sospesa in una bolla, sono arrivata al palco e Roberto mi ha dato il megafono con un sorriso. Non ti dico il filo di voce che mi è uscito... Ma
soprattutto, non ho la più pallida idea di che cosa ho detto. So solo che alla fine c'è stato prima un silenzio imbarazzato e poi un lungo applauso partito proprio da Roberto, che ha anche detto: "La compagna ha ragione. E da qui che dobbiamo riprendere il dibattito". E, passato il megafono a un compagno di classe, mi ha sussurrato: "Ti va se andiamo a mangiarci un panino?"... Uhauu, ho pensato, e l'ho seguito. Ma alla fine mi ha proprio delusa. Non mi ha fatto nemmeno una domanda, ha parlato solo e sempre di lui, lui, lui. Lui e basta. Poi, accorgendosi finalmente di me, mi ha espresso la sua "totale condivisione per la battaglie delle compagne per la loro emancipazione che deve necessariamente passare attraverso una loro più libera sperimentazione delle relazioni, una maggior conoscenza del loro corpo, abolendo falsi pudori e antichi pregiudizi...". Quando ha provato a baciarmi, gli ho detto che la mia personale sperimentazione non passava necessariamente dalla sua bocca. Mi manchi Sandra Milano, 29 marzo 1978 Caro Gigio, ma come, io torno a Milano per congedarmi, per festeggiare i miei ventun anni - visto che i venti li ho fatti di guardia a una polveriera in Sardegna -, e tu te ne vai in Australia? Un anno sabbatico? Ma che significa? Ho guardato sul vocabolario: "Periodo di interruzione nella carriera lavorativa di una persona preso allo scopo di dedicarsi a una particolare attività o di esaudire un desiderio, per esempio scrivere un libro, o scalare l'Everest". E poi che cacchio scali l'Everest, che soffri di vertigini. Ma se tu non hai mai lavorato in vita tua? Scusa il tono sarcastico, ma in questo momento avrei proprio bisogno di un amico con cui sfogarmi. L'anno in Sardegna non mi è servito a capire cosa fare da grande. Mi raccomandasti all'unico colonnello democratico degli Alpini, che ha sparato: "Dopo il Car in Sardegna, con una mia parolina la destinazione sarà piazza Novelli o, mal che vada, Malpensa". Da Macomer mi hanno spedito diretto a Perdasdefogu, provincia di Nuoro, base Nato in via di smantellamento "ma ancora strategica nell'area del Mediterraneo", parola di generale plurinquisito. Il mio compito era sorvegliare una serie di depositi di munizioni. E sai qual è il santo patrono del paese? Santa Barbara! Ufficialmente è una caserma punitiva per gli ufficiali. Il motto del nostro battaglione era: "A s'inimigu parare, a sa justizia fuire", che si può tradurre con: "Affrontare il nemico, sfuggire la giustizia". Adesso voglio pensare al mio futuro. E prima ancora al presente. Per esempio, ti confesso che una delle cose che mi sono mancate di più in questo interminabile anno è il mio letto. Bene, oggi scopro che i miei l'hanno dato a mia sorella, e così pure la mia camera, che tanto io ero via. "Sì, ma ora sono tornato." "Non vorrai far cambiare camera a tua sorella proprio adesso, che fra due mesi ha la maturità..." No, non voglio far cambiare camera a mia sorella proprio adesso, che fra due mesi ha la maturità: mi sono arrangiato nella sua ex microstanzetta, anzi, in una parte, perché l'altra è stata adibita a stireria. Ho come l'impressione che mia madre vedrebbe di buon occhio una mia sistemazione altrove. O forse si aspettava che mettessi la firma? Quando le ho telefonato per dirle
raggiante: "Mamma, è finita la naia!", lei mi risposto: "Di già?". E dalla lontana Australia ti interessa sapere qualcosa dei nostri vecchi compagni di liceo? Ti ricordi la mitica quinta D, dove quello più a destra era della Figicì? E quando tirammo a sorte per decidere la facoltà a cui iscriverci, per non riversarci tutti nelle facoltà umanistiche, da cui sarebbero usciti solo dei parolai del cazzo? Quando formammo il governo ombra della quinta D e a me toccò il ministero dell'Agricoltura, e per questo poi mi iscrissi ad Agraria? Io! Che odio la campagna, sono allergico alle graminacee, detesto gli insetti e l'odore degli animali mi fa star male! Be', la metà di noi ha cambiato facoltà, due si sono iscritti alla Bocconi e dieci a Scienze politiche, cinque sono andati a lavorare nell'azienda di papà e le ragazze per lo più si sono sposate o hanno fatto Lettere. O Filosofia. O Lingue. Tu sei in Australia a fare il "sabbatico" e io sono rimasto indietro di quattro esami: Mineralogia, Anatomia animale comparata, Idraulica agraria ed Estimo, che non so nemmeno che cazzo sia. In realtà volevo parlarti di Giulia. Come sai, avevo deciso di partire militare perché mi aveva chiesto del tempo per riflettere. Infatti non l'ho chiamata né le ho scritto per un anno intero. Ieri, appena tornato, la cerco a casa ma mi dicono che è a scuola al collettivo femminista. Be', penso, le faccio una sorpresa, vado a prenderla all'uscita. Vengono fuori tutte alla spicciolata. Appena mi vedono ridacchiano tra loro additandomi, allora piglio in disparte Luisa, che per me ha sempre avuto un debole, e scopro che: a) all'interno del collettivo femminista Giulia ha raccontato tutto di noi due, del nostro rapporto, di quello che ci dicevamo, di quello che ci facevamo... Anche cose molto intime, tipo che se mi accarezzava la nuca in un certo modo facevo le fusa, rumorosissime, proprio come i gatti. E che dopo la prima mi addormentavo russando che era un piacere, insomma, cose anche false; b) l'estate scorsa, quando sarebbe anche potuta venire a trovarmi, è stata in Grecia con un'amica per "capire meglio se stessa", e laggiù tra retzina, canne e nudismo si è divertita un casino e ha conosciuto certi pescatori greci che "altro che una e poi dormire"... e tutti i giorni facevano grigliate di pesce portato dai pescatori che venivano apposta dalle isole vicine e vedevano l'alba dalla spiaggia... Be', pare che tra lei e la sua amica si siano fatte tutte le Cicladi e parte del Dodecaneso. Ora, tu conosci la mia totale condivisione delle battaglie delle compagne per la loro emancipazione, che deve necessariamente passare attraverso una loro più libera sperimentazione delle relazioni, una maggior conoscenza del loro corpo, abolendo falsi pudori e antichi pregiudizi... ma Giulia, anche se è tua sorella fattelo dire, è proprio una zoccola. Ciao Claudio Bolzano, 20 aprile 1979 Cara Carla, ho deciso. Voglio fare la scrittrice. Anzi, la giornalista. Meglio ancora, la reporter di guerra. Voglio vivere tutto fino all'ultimo respiro. Bere la vita fino all'ultima goccia. Voglio indimenticabili e appassionatissime storie d'amore. Voglio respirare libertà. Appena finite le superiori me ne vado da questo buco di città dove mi manca l'aria. Ho scoperto che es-
iste un'associazione che organizza scambi culturali di un anno in vari paesi del mondo: in sostanza, il quarto anno di scuola lo farei all'estero. Ci pensi? Troppo bello. Io, across the universe! Tua Sandra Milano, 20 aprile 1979 Caro Gigio, ho deciso. Voglio fare l'attore. Sai come l'ho capito? Ultimamente ho ripreso i contatti con quelli del nostro vecchio centro sociale, che secondo te era un covo di intellettuali frustrati e reduci dell'oratorio nostalgici della messa beat. A ogni modo, mi hanno chiesto di cosa volevo occuparmi, ma la commissione biblioteca era già avviata, quella degli asili nido mi sembrava fuori dalla mia portata, il giornalino del quartiere aveva la sua bella redazione al completo. Morale, ho proposto la creazione di un collettivo teatrale di cui mi hanno subito fatto presidente (al momento sono anche l'unico membro). Dovrei mettere su un corso di teatro e uno spettacolino per le scuole della zona, magari di burattini. Vedremo. Claudio Sunningdale, 20 ottobre 1981 Cara Carla, sono qui da tre mesi e sono veramente felice. Certo, un po' faticoso, ma bellissimo. La fatica naturalmente è legata alla lingua. Sono arrivata che sapevo dire a malapena: "My name is Sandra. I'm Italian. I don't understand English" e all'aeroporto di Luton, al momento del controllo passaporti, mi sono piazzata - da brava italiana - davanti all'unico sportello dove non c'era la coda. Con l'aria della viaggiatrice consumata ho mostrato il passaporto. L'addetto mi guardava con aria interrogativa: "Dog? Cat? Parrot? Rabbit?". Un test d'ingresso? "Cane, gatto," ho risposto preoccupata, perché le altre due parole proprio non le avevo mai sentite. Mi hanno rispedita indietro. Mi ci è voluto un po' per capire che quello sportello era riservato a chi viaggia con animali domestici... Sono stata catapultata in una vita totalmente inglese, e non è facile. Torno da scuola con dei mal di testa tremendi. Devo avere pazienza. Me lo avevano detto. Sto anche cercando di trovare informazioni sui sikh. Non ne so nulla e non vorrei fare gaffe. Nancy, la figlia della coppia che mi ospita, ha abbracciato quella religione. "Sorry, Nancy is sikh," mi hanno detto appena arrivata. Mi è spiaciuto si scusassero. Mi sa che temevano di trovarsi di fronte una fondamentalista cattolica. Fatto sta che tutta la prima settimana è rimasta chiusa nella sua stanza, probabilmente meditando, nutrendosi esclusivamente di riso in bianco, tè e verdure al vapore. Poi, terminata questa sorta di quaresima, è riemersa. Pallida, ma molto punkeggiante e con la musica di Nina Hagen sempre a palla. Bizzarra religione. Mi piacerebbe saperne di più. Nancy non fa altro che portarmi ai party e presentarmi gente. Che non capisco. Ha un giro vorticoso di boy-friend che faccio fatica a memorizzare. Qui è davvero tutto molto diverso da Bolzano. Pensa che sua madre, appena lei ha compiuto quattordici anni, l'ha portata dalla ginecologa e le ha fatto prescrivere la pillola. "You never know," mi ha detto. O così ho capito. Però mi sembra strano che esista l'anticoncezionale "Si sa mai". Dopo i party, poi, non si torna a casa: si rimane lì a
dormire, e i genitori non ci sono mai. Si limitano a telefonare per sapere se va tutto bene. Un altro mondo, eh? Credo che la mia prima volta sarà inglese: le cose qui mi sembrano più easy... Take care! Sandra xxx Milano, 20 ottobre 1981 Caro Gigio, ricordi quel corso di teatro che dovevo organizzare? L'insegnante che ho trovato è un esule argentino alto, biondo, che gira per Milano con pantaloni larghi e sandali e collane ai piedi e braccialetti al collo. Un tipo alternativo, diciamo così. Dietro suo suggerimento, con molta ironia e qualche dubbio sulla sintassi, l'ho chiamato: Corso di "Conosci te stesso". Non hai idea di quante iscrizioni abbiamo ricevuto. Solo ragazze. A quel punto, mi spiaceva lasciare quel marpione unico uomo. Mi sono iscritto anch'io. E lì ho conosciuto Marta. Ti descrivo il nostro incontro. Interno sera. Buio. Molto concentrato, eseguo insieme agli altri un esercizio per "sentire" lo spazio che ci circonda. Vagolo con le braccia tese in avanti stile sonnambulo e mi ritrovo fra le mani qualcosa di morbido, ma al tempo stesso bello sodo: il seno di Marta, una ragazza più grande di me che fa la professoressa di italiano (di ruolo!) e che si è iscritta al corso probabilmente per conoscere se stessa. E invece conosce me. Al buio. E amore a prima vista. Anzi, a primo tatto. Marta mi accompagna a casa in macchina (prima o poi dovrò decidermi a prendere la patente). Si fa tardi. Molto tardi. Ci stiamo salutando, e qui la botta: "Perché non vieni a dormire da me?". Silenzio. Io deglutisco più volte. E il mammone che lotta col viveur; il boyfriend che cerca di soffocare il boy-scout. "Ok, però faccio un salto su a prendere una cosa. Torno subito." Marta mi guarda, interrogativa. Io, con strane smorfie, le faccio intendere che tornerò carico di oggetti sadomaso, droghe, contraccettivi-ritardanti-per-lui-stimolanti-per-lei. In realtà devo avvertire la mamma che dormirò fuori (per la prima volta!). Sì, caro Gigio, nonostante l'anno di militare in Sardegna e la mia ultramaggiore età, non ho mai dormito tutta la notte fuori casa. Diciamo che non ce n'era mai stata l'occasione. Mentre salgo con l'ascensore scrivo un bigliettino tenero ma deciso, rassicurante ma sintetico, affettuoso ma esaustivo: Mamma, dormo fuori. Entro in casa. Tutte le luci accese. Mia madre è in corridoio. Agitatissima. "Ti sembra l'ora? " Io sono su un altro pianeta, mi esce un sorriso ebete e mi limito a mostrarle il bigliettino. Lei: "Mi su no chel fieu chi, cusa g'ha in te la testa! Vai da tuo padre e senti cosa ti dice lui". Mio padre, che stava dormendo alla grande, si sveglia, legge e urla a mia madre che è rimasta in corridoio: "Vedi?, non devi preoccuparti. Dice che dorme fuori". E si gira dall'altra parte. Mia madre, messa in minoranza, capisce finalmente che sono cresciuto, e allora apre quel cassetto che per anni ha tenuto chiuso a chiave, ne estrae un pacchettino che mi porge dicendo con enfasi: "Questo è il regalo che mi ero ripromessa di darti la prima volta che avresti dormito fuori casa". Lo apro, è una sveglia. Io non commento, ringrazio e mi incammino verso il mio destino di adulto. Quindi, col sorriso sempre più ebete, salgo in macchina di Marta e vado. Verso
casa sua, penso. E invece no. Marta vive in una comune femminista. Anche famosa: la leggendaria casa di via Sabotino. Sei stanze, corridoio, bagno e cucina. Le sei stanze sono praticamente sei monolocali in ognuno dei quali vive una ragazza membro del collettivo. Sei impianti stereo, sei minilibrerie, sei radio, sei letti. Matrimoniali! Naturalmente, ogni ragazza ha una sua vita autonoma e spesso un ragazzo che si porta a casa. Io entro intimorito. "Non preoccuparti. C'è altra gente, ma si fa i cazzi suoi," mi sussurra Marta. "E anch'io mi farò i miei! " urlo senza motivo. "Bene, ma adesso calmati," implora lei, già pentita di quell'invito forse troppo avventato. Chiedo di andare in bagno. "In fondo a sinistra." Inforco l'ultima porta a sinistra - a tentoni perché è tutto buio -, la apro, accendo la luce e vedo un ragazzo nudo che sta pulendo il bagno con una ramazza. "Cosa ci fai qui?! Al buio, con una ramazza, a quest'ora?" Sono le quattro del mattino. E lui: "Mbe', m'ero fatto un bagno, ho schizzato per tera e mò je stò a dà 'na ripulita". Oddio. Un romano. E attacca a parlare della sua infanzia, della sua città che non gli è mai piaciuta, di come ha conosciuto Lisa, la sua ragazza (terza porta a destra), allo stadio a vedere l'Inter, la loro squadra del cuore... Oddio, un romano interista! Non posso farla se qualcuno mi guarda: non ci riuscirei neppure se fosse la mia mamma, figuriamoci un estraneo che mi ramazza i piedi. Parlando dell'Inter, per giunta. Quel po' di notte che rimane la passo tra la stanza di Marta (e il suo amore non platonico) e il tentativo di fare pipì in un bagno occupato a turno da: ragazza che si specchia per farsi una maschera di fango (h 4.40); ragazzo tarchiatello con slip maculato che scoprirò essere un mio ex compagno di rugby e ci facciamo una bella chiacchierata in mutande seduti sul bordo della vasca (h 5-6); ragazza che si depila ascoltando i Matia Bazar (h 7.00). A quel punto suona la sveglia che mia madre aveva sadicamente puntato. Marta mi guarda con disgusto e si volta dall'altra parte (era il suo giorno libero). Io mi lavo i denti con della terra fangosa e salata e mi ritrovo nel traffico della metropoli con la sensazione di aver superato la linea d'ombra della giovinezza e un dolore lancinante alla vescica che mi fa correre dalla mamma per tornare finalmente in una casa dove di bagni ce ne sono due, il dentifricio sa di dentifricio e nella mia camera c'è una grande bandiera del Milan. Claudio Milano, 11 luglio 1982 Caro Gigio, due notizie. La prima è che ho deciso di tentare l'esame di ammissione alla Scuola d'arte drammatica del Piccolo Teatro. La seconda, ma questa dovresti saperla anche tu, è che oggi abbiamo vinto i Mondiali! Gliele abbiamo proprio suonate a quei crucchi. Tre a uno: Rossi, Tardelli, Altobelli. "Campioni del mondo! Campioni del mondo! Campioni del mondo!" urlava Nando Martellini. Be', ti confesso: sono sceso in piazza. Non succedeva dal 25 aprile 1976. Caroselli con le auto e le bandiere, tutto corso Buenos Aires, corso Venezia e poi piazza Duomo. Che spettacolo! Non mi ero mai sentito così vicino al tricolore. E come quelli che, poco avvezzi a compiere un gesto, una volta che l'hanno imparato non smettono
più di ripeterlo, io mi sono ritrovato a sventolare questo bandierone alto tre metri per ore e mi sono anche arrampicato sulla statua del leone urlando: "Kartoffen kaputt!"... E tutti che mi applaudivano ridendo. Non so perché l'ho fatto, davvero. C'era la gioia per la vittoria ma anche la rabbia per il militare, per Giulia che mi ha lasciato senza un perché, per i miei che ancora mi fanno menate se torno a casa tardi la sera, per l'Università che non finirò mai, per il mio futuro che sta sempre più spalmandosi sul presente - senza forma, senza identità -, per questa follia del teatro che se non va in porto non so proprio cosa fare... E visto che, come sempre nei momenti importanti della mia vita, tu non ci sei - da codardo, hai messo un paio di oceani fra te e la tua terra, fra te e il tuo passato, fra te e me -, allora lo urlavo anche in faccia a te: "Non passa lo straniero, bom bom! ". E giù bocce di vino e gesti dell'ombrello alla Germania occidentale, ai Teteschi ti Cermania. Ho anche improvvisato, sempre dall'alto della statua, la barzelletta di quello che continua a ripetere: "Puonciorno, io tetesco ti Cermania", e uno gli fa: "Ma perché continua a ripetere 'tedesco di Germania'?". "Perché ti solito tutti tire me 'tetesco ti merda'!"E tutti giù a ridere! Che serata, Gigio. Ora però mi ha preso la ciucca triste. Sto piangendo da più di un'ora. Mi sa che questa lettera non te la spedisco. Milano, 12 luglio 1982 Carissima, sono arrivata ieri e sono ospite della mia amica Robi. Te la ricordi? E una vera strega: si diletta di astrologia ed è bravissima. Prima di fare qualsiasi cosa consulta gli astri e, di solito, ci azzecca. E a Milano per frequentare un corso di fisioterapia e le ho chiesto ospitalit per un paio di giorni, il tempo di trovare una sistemazione per settembre. Che bello! Già respiro un'altra aria. "Le stelle ti sono propizie," mi ha detto la Robi dopo aver sfogliato uno dei suoi libroni. "Due giorni e hai trovato casa. Ma non farti spaventare da un leone." "Un leone?" "Evidentemente incontrerai qualcuno nato sotto il segno del Leone." Io sono della Bilancia e con i Leoni vado d'accordo. Ottimo, ho pensato. E poi qui sembra esserci tutto quello che voglio: cinema, teatri, locali, mostre... VITA! Ieri sera, per l'appunto, avevo deciso di chiudere la mia prima giornata milanese andando al cinema. Non è stata una grande pensata. Ho dovuto un po' modificare l'idea paradisiaca che mi ero fatta di Milano. Ho deciso di lasciare Bolzano perché voglio scegliere il mondo. Mi manca l'aria, non solo in famiglia, ma soprattutto in città. Sono stufa di vivere in gabbie mascherate da identità culturali, mi disgusta dover scegliere se essere italiana o tedesca, sono esasperata da una terra divisa tra chi la chiama "Heimat"e chi "patria". Per questo ho scelto Milano. Più grande. Più cosmopolita. Città di cultura e di grandi passioni civili, città europea per eccellenza. E soprattutto, sede di importanti quotidiani, fatto non secondario per me che voglio fare la giornalista. Be', immagina cosa ho provato quando, riemersa dalla metropolitana in piazza Duomo, ho visto il cielo coperto da tricolori e il sagrato invaso da pazzi scatenati con il volto dipinto di verde-biancorosso. Canzoni, urla e fischi, coretti razzisti del tipo: "Non passa lo straniero, bom bom!".
Trombette e poi clacson a non finire. A un certo punto ho addirittura visto un gruppo di cretini che, attorno a un leone avvolto da un enorme tricolore, applaudivano e urlavano: "Kartoffen kaputt!". Mi sono spaventata. Non ho nemmeno cercato di capire che cosa fosse successo. Sono corsa a casa. Non farti spaventare da un leone... Te l'avevo detto che la Robi è una strega! Be', ho aspettato che tornasse e le ho raccontato che cosa era successo. Ha riso come una matta: "Sei l'unica a non saperlo! L'Italia ha vinto i Mondiali. Contro la Germania". Ok, touchée. Giornalista sportiva non se ne parla. Un grande abbraccio Sandra Milano, 22 novembre 1983 Caro Gigio, mi hanno preso ! Nonostante ci fossero dieci posti e duecento domande, non fossi raccomandato e avessi fatto un provino da schifo. Non so cosa mi è successo, tu conosci la mia verve, la mia simpatia, il mio ottimismo. Be': la mattina dell'esame è saltato fuori tutto il mio spleen. Ho cantato Vedrai vedrai, di Luigi Tenco, una delle canzoni più tristi che conosca. E anche malino l'ho cantata, con il groppo in gola: "Vedrai vedrai, che non sono finito sai, forse non sarà domani, ma un bel giorno cambierà". L'insegnante di recitazione è una giovane sudamericana che l'italiano lo parla poco e lo capisce ancora meno. All'inizio ci ha fatto lavorare sugli animali. Una mattina siamo andati tutti insieme allo zoo: ognuno doveva scegliersi un animale da osservare nei mesi a venire. Io, subito polemico sull'esistenza stessa degli zoo, ho dichiarato che non ci avrei mai più messo piede: come animale avrei scelto il cavallo, lo avrei osservato nella fattoria di un mio amico poco fuori città (una balla. Tanto, ho pensato, il cavallo è facile da fare). La mattina poi, a scuola, si deve improvvisare e "vivere lo spazio da animale" svolgendo un tema: come si muove... come mangia... come reagisce agli stimoli esterni... L'altra mattina il tema era: come dorme. E lì ho capito di essermi fottuto con le mie mani. Per farti capire meglio la mia figura di merda, devo prima raccontarti come mi mantengo alla scuola di teatro. Per un periodo ho venduto enciclopedie ai Cral delle fabbriche, continuo ad accettare supplenze occasionali, do ripetizioni di chimica. Nell'ultimo mese non ci sono state supplenze e il distributore delle enciclopedie è fallito... però ho conosciuto una ragazza, una ballerina olandese molto carina, che insegna danza e a volte fa piccole coreografie in un locale di via Durini, il Moulin Rouge. Lei sapeva che avevo bisogno di soldi... morale: sono tre settimane che ballo come "boy" nello spettacolo di un certo Charles Albert, un travestito che canta in playback un medley di mezz'ora che va da Moonlight serenade (dove io faccio il marinaio) a tutto il repertorio di Josephine Baker, Liza Minnelli e via di Kitsch in Kitsch, passando per Mina, Patty Pravo e chiudendo con Donatella Rettore (dove io faccio il cobra, che come ben sai non è un serpente). Lo spettacolo di Charles Albert inizia dopo la mezzanotte e, fra una cosa e l'altra, non sono mai a casa prima delle tre. Secondo te, quando mi sono trovato alle nove di mattina a dover improvvisare ("vivere", come dicono gli insegnanti) il cavallo che dorme per tre ore in quella bella sala
riscaldata, con quel bel parquet accogliente, cos'ho fatto? Con grande naturalezza, mi sono accucciato e mi sono addormentato per davvero (immediatamente, giurano i miei compagni, e poco dopo è partito anche un sonoro rantolo... sai, per via di quella famosa deviazione del setto nasale che non ti ha fatto dormire un'estate intera in campeggio). Quando si è trattato di verbalizzare quello che avevamo vissuto, quelle merde dei miei compagni mi hanno chiesto: "Ma i cavalli non dormono in piedi? Dove l'hai visto un cavallo che si sdraia e russa in quel modo?". Per farla breve: improvvisazione sul cavallo, voto due. Ora scappo che c'è una puledra che mi aspetta. Claudio PS Ma come dormono i canguri? Milano, 22 novembre 1983 Cara Carla, credo di potermi ormai considerare una milanese a tutti gli effetti: corro, quindi sono. Questo sembra essere il motto della città. E io mi sono adeguata. Come ben sai, avevo una gran voglia di andare a vivere da sola: il monolocale con la Robi cominciava a starmi stretto. Tutto bene, eh, ma non sempre tempi ed esigenze combaciavano. Solo che per prendere casa avevo bisogno di un lavoro fisso: come si fa a pagare l'affitto con le lezioni private o i lavoretti da hostess e baby-sitter? Dal momento che dopo un anno di Università ormai ho capito come funziona, ho deciso di smettere di frequentare e di cercarmi un lavoro: be', grazie ad amici di amici ce l'ho fatta! E ho trovato anche una casa! Be', forse "casa" è una parola grossa, diciamo un armadio a muro piuttosto capiente. Ma è tutto mio. Non so spiegarti bene cosa faccio, comunque sono stracontenta perché ho un contratto per un anno con buone garanzie di rinnovo. Sto lavorando nell'ufficio stampa di una televisione (pensa, io che la tv non la guardo mai!). Sono tutti perennemente di corsa e al telefono, neanche fossero in un pronto soccorso. Il pranzo si chiama "colazione" e la cena "pranzo". Io non lo sapevo. Che provinciale, eh? Ci si dà sempre del tu. Gli orari sono inesistenti, nel senso che la gente pare non abbia altro da fare se non lavorare. Unica concessione (durante la pausa "colazione"), faticosissimi corsi di aerobica per mantenersi in forma. A chiusura di giornata si va a prendere l'aperitivo, che io però - dato l'orario - trasformo facilmente in cena. Ho dovuto modificare un po' il look: qui ci tengono molto. Non ti viene detto, lo capisci da sola. Forse non quando ti fanno trovare quotidianamente sulla scrivania riviste di moda... e forse neppure quando, al posto dei buoni pasto, solo a te danno dei buoni parrucchiere, ma sicuramente lo capisci quando il tuo capo ti dice: "Bella la fantasia del tuo vestito... sarebbe perfetta per il mio divano di Rapallo!". Un grande bacio Sandra Milano, 10 giugno 1984 Caro Gigio, volevo aggiornarti sulla mia storia con Marta, la prof di ruolo. Ho scoperto che ha un bel cinque anni più di me, il che non è gravissimo. La cosa peggiore è che sa, ha visto, ha letto un sacco di cose. E ogni tanto mi fa domande tipo: "Hai visto If? E Conoscenza carnale? Hai presente quella scena di Cinque pezzi facili?". (Io adotto un criterio quasi matem-
atico: ogni tre no, dico un sì. Ma m'incarto lo stesso.) Oppure mi regala dei libri, e questo è bello. Solo che poi mi interroga, e questo è meno bello. Tempo fa mi parlava di Hermann Hesse. Io le ho confessato di non aver mai letto niente di lui. Il giorno dopo mi ha portato Siddharta. L'ho letto subito, quindi le ho detto che mi era piaciuto molto (vero, fra l'altro). Il giorno dopo si è presentata con Il gioco delle perle di vetro. Cacchio, saranno milleduecento pagine fitte fitte. Devo stare attento a come parlo. Inoltre, Marta ha un sacco di vita vissuta. Pensa che, quando c'è stato il colpo di stato in Cile, lei era a Santiago con alcuni compagni di Lotta Continua e sono stati per diversi giorni prigionieri di Pinochet, liberati infine grazie all'ambasciatore italiano. Ricordo di averlo persino letto sui giornali. E io di cosa potrei parlarle? Mi ricordo benissimo il giorno del colpo di stato in Cile: ero a fare una gara di motocross nel Cuneese. Ma questo non gliel'ho detto. A proposito, non te l'avevo detto, ho scoperto che non vive nella comune femminista di via Sabotino. In realtà abita in un monolocale di ringhiera, sui Navigli. Quella sera, la nostra prima sera, lo aveva ceduto a un'amica che voleva un po' di vera privacy (come non capirla?). La casa di Marta è piccola e con il bagno sul ballatoio, ma è fighissima. Piena di libri, sistemati in cassette di legno che, una sull'altra, formano un'immensa libreria. Tante foto sue, ovunque. Quasi tutte in bianco e nero (che lei sviluppa e stampa). Il letto è un materasso appoggiato su di un'asse di truciolato che, sorretta da quattro montanti di legno, permette di ricavare un paio di utilissimi cassettoni. L'ha costruito Amato, il suo ex. Che per fortuna è un participio passato. Fa l'attore. "Devo farvi conoscere. Anche tu vuoi fare l'attore, no? Magari può darti qualche consiglio." Quando fa così non la sopporto. Oltretutto, sopra il letto c'è un enorme collage fatto di ritagli di giornali, foto di lei, foto di lui, foto di loro due in vacanza, foto di loro due in Cile, autoscatto di loro due nudi... Una sera, mentre facevamo l'amore, ha osato dirmi: "Ti vedo distratto, come se pensassi ad altro!". Certo!, avrei voluto risponderle, vorrei vedere te, concentrarti con Amato che ti guarda con quel suo ghigno sarcastico come a dire: "Tutto quello che stai facendo o stai per fare, io l'ho fatto prima e meglio di te". Non è facile. E comunque, voto a quella performance: due. Ciao Claudio Milano, 15 agosto 1984 Caro Gigio, Marta è veramente strana. Ha deciso di cambiare casa: "Ho trovato un monolocale, però stavolta col bagno, dietro a Sant'Ambrogio: mi aiuti a rimetterlo a posto?". Potevo dirle di no? Tre mesi ci abbiamo messo. Mi sentivo un vero magùtt. Uscivo la mattina all'alba, con la scusa delle lezioni all'Università, e tornavo la sera tardissimo: ufficialmente, perché stavo preparando un saggio per la scuola del Piccolo. Quando mia madre ha saputo della storia con Marta non l'ha presa tanto bene. Sa che è più grande di me e che è una professoressa. Una notte ho dormito fuori e il giorno dopo mi ha accolto con un uovo sbattuto: "Come sta il mio gigolò?". Si sentiva spiritosissima. E convinta che mi faccia mantenere. Se sapesse che passo la giornata a scrostare muri (c'era una tappezzeria orrenda)... Insomma, dopo tre
mesi, sabato scorso abbiamo inaugurato la casa e ho dormito da lei. "Dormito" è una parola grossa. No, non è come pensi, non è stato a causa delle mie lunghe e appaganti pratiche amorose. Ho dormito poco perché non ci sono i doppi vetri - l'avevo detto che ci volevano e che non erano solo voglia di isolamento piccolo-borghese! -, motivo per il quale siamo stati partecipi di tutte le chiacchiere che si sono svolte alle colonne di San Lorenzo fino alle cinque di mattina e che hanno dolcemente passato il testimone alle campane della basilica di Sant'Ambrogio. Adesso capisco la faccia sconvolta del padrone di casa quando ci lasciò le chiavi per fuggire a Manarola e "trascorrere lì in serenità gli ultimi anni della sua vita". Ne aveva quaranta! Bene, dopo quella prima (e unica, ahimè) notte trascorsa da lei, Marta mi comunica che ha deciso: parte con un'amica e fa il giro del mondo. Starà via un anno. Un anno sabbatico, precisa. Io tra me e me ho pensato: vorrà scrivere un libro. O scalare l'Everest. Ma non l'ho detto. "Ecco un piccolo regalo per non farmi dimenticare." E tira fuori da sotto il letto un parallelepipedo pesantissimo: Alla ricerca del tempo perduto, di Marcel Proust, sette volumi più un ottavo con nota del traduttore e apparati critici a cura del curatore... "Va', che fra un anno ti interrogo!" Ciao, ora scappo, che la lettura mi sta appassionando... ho iniziato da Sodoma e Gomorra. Claudio Mykonos, 15 agosto 1984 Cara Carla, questa vacanza doveva essere solo mia e della Nico. "Come ai vecchi tempi," ci eravamo dette. "Come quando abbiamo fatto l'InterRail dopo la maturità. Quindici giorni con zaino e sacco a pelo. Io e te, senza freni inibitori." Peccato che, quando già era tutto organizzato, mi abbia comunicato che si era fidanzata con un tal Luca: "Non sarebbe carino se ci raggiungesse a Santorini per la seconda settimana? Sempre che tu non abbia niente in contrario, naturalmente". Non mi sembrava carino affatto: era ovvio che sarebbe stata una vacanza completamente diversa. Ma la Nico quando si innamora è così. Perde la testa. Poi magari dopo un mese (ed è già tanto) non ne può più, però per quel mese esiste solo lui, il Romeo di turno. Eravamo a Ios, totalmente nude nel cuore del Mediterraneo, su un'isola che si popola solo dopo le cinque del pomeriggio, in un clima di trasgressione perenne, circondate da ragazzi di tutto il mondo (nudi pure loro) belli come angeli, ma lei era costantemente alla ricerca di un telefono: non voleva correre il rischio di mancare l'appuntamento con Luca e quindi ogni sera sentiva la necessità di chiamarlo per ribadire luogo e orario dell'incontro. In piena fase d'innamoramento, trovava quel paradiso che è la piazzetta di Ios poco rilassante (be', in effetti...) e mi ha convinta a trasferirci. Siamo andate ad Antiparos. Nudismo, motorini, sole, grigliate sulla spiaggia con un gruppo di tedeschi provvisti di tavole da windsurf, che, dopo aver provato a insegnarci a solcare le acque in posizione verticale, tentavano giustamente di avviare una relazione orizzontale. L'ho vista vacillare. Ma niente. La spedizione serale alla ricerca di un telefono - alla quale dovevo, non si sa perché, partecipare anch'io -
aveva stroncato ogni velleità da parte dei teutonici, poco inclini all'attesa. Quindi siamo andate a Santorini per recuperare Luca. Inutile dire che l'aereo è arrivato con un giorno di ritardo e che lui, nervosissimo, si è immediatamente rivelato una bella palla. Un precisino che con la Nico che conosco io non c'entra niente. "E quel che ci vuole per me," mi rassicurava lei. "Finalmente un uomo a cui affidarmi. Un punto fermo per bilanciare il mio perenne ondeggiamento." Io il suo ondeggiamento lo adoro. Luca ha subito deciso che dormire in spiaggia non era cosa, che il nudismo era fuori discussione e che Santorini non era l'isola giusta: "Troppo casino". Leggasi: "Troppa concorrenza". Saremmo andati a Mykonos. Mancavano quattro giorni al rientro in Italia. La Nico ha retto due giorni. Poi ha prevalso l'ondeggiamento. Adesso siamo qui, nuovamente con le tette al vento, a goderci l'ultimo giorno di ferie, passando dal gin tonic alla tequila bum bum nel tentativo di dimenticare una vacanza sbagliata. "Ma perché è così difficile trovare uomini belli, sensibili e affettuosi?" mi chiede. "Semplice," rispondo. "Guardati intorno. Hanno già tutti un fidanzato." Un bacio Sandra Milano, 29 settembre 1985 Caro Gigio, Marta mi ha scritto una lunga lettera. Da San Francisco. Dice che mi ama ancora tantissimo ma che non torna. A San Francisco è come se avesse trovato l'America. 'Sti cazzi. Scrive che la maggior parte delle idee per cui ha lottato laggiù sono realtà: i diritti dei gay, delle donne, degli artisti. Sta imparando ad andare in surf: "Un'esperienza unica! Tu e le onde, due forze contrapposte che se unite con armonia danno origine a una risultante che è una curva. Ecco, quella curva per me è la vita". Secondo me si è fatta un acido di troppo. Comunque, ha presentato domanda per insegnare italiano alla Berkeley University. E tornata a Milano un paio di mesi fa per prendere alcuni libri, salutare i genitori, sbrigare un po' di faccende burocratiche tra cui la scuola. Dice che non mi ha telefonato per non farmi soffrire. "Ora scappo perché dobbiamo andare in Baja California. Sai, in questo periodo le correnti sono più favorevoli a Sud. I'm running. See you soon!" Ma come cazzo si fa? Dalle prigioni di Pinochet alla California... Le donne, valle a capire. Tempo fa ho conosciuto Rocco Tanica, tastierista di un gruppo musicale fighissimo, Elio e le Storie Tese. Ci siamo incontrati in un locale dove loro facevano un concertino e io provavo a intrattenere il pubblico con storielle un po' inventate e un po' no. Quelle vere, tipo la prima notte che ho dormito fuori casa, facevano ben più ridere. Quando poi racconto che vivo ancora con i miei ridono tutti. Ben strana la gente. Be', con Rocco ci siamo visti un paio di pomeriggi per scribacchiare qualcosa: forse canzoni, forse monologhi... ancora non sappiamo bene cosa ne verrà fuori. Ci siamo raccontati un bel po' di cose, anche di quelle tristi, ma cercando sempre il lato divertente. Le donne per ora l'hanno fatta da padrone. Ho raccontato a Rocco di Marta, guarda cosa ne è venuto fuori: E quella volta, una domenica di ottobre, già l'autunno ci moriva addosso e io fumavo sigarette amare, e tu come uno specchio rotto riflettevi quell'immagine sbiadita del ricordo del
frammento del brandello del profumo di quell'angolo d'estate e mi dicesti: "Voglio vivere la vita come un alito di vento che, inseguito dall'aurora, già racchiude le speranze di un domani tutto mio che mi appartenga, e come donna accarezzare nuovi scampoli d'assenza", io dicevo: "Sì capisco, vuoi gli scampoli d'assenza", ma pensavo: "Puttana". Poi gli ho raccontato di Giulia, tua sorella, di cui, mi spiace dirtelo, non ho più notizie. Che sia rimasta in Grecia con l'amica? Insomma, avremmo scritto una strofetta anche pensando a lei: Così pensasti, decidesti e mi annunciasti: "Quest'estate vado in Grecia con Giovanna, mi preparo a carezzare nuovi scampoli d'assenza", io ti dissi: "Scusa cara, cosa cazzo ti prepari per l'estate, siamo a ottobre, è quanto meno prematuro"; tu piangesti tutta notte e al mattino ti svegliasti, gli occhi pesti, ripiangesti e mi dicesti: "Siamo onesti, vuoi che resti per tarpare le mie ali e impedirmi di volare, e come donna accarezzare nuovi scampoli di assenza", io ti dissi: "No, prudenza, non potrei vederti senza quei tuoi scampoli di assenza", questo dissi ma pensavo dentro me che tu e Giovanna in Grecia ci andavate solo per sentirvi... "Puttana". Ma la vera novità è che stasera gli Elii sono al Rolling Stones per un concerto, io ci vado di sicuro e Rocco mi ha proposto di salire durante i loro bis e provare a improvvisare questo nostro brano con la musica. Io gli ho contestato che non c'è una rima, come si fa a cantarlo? Ma lui mi ha spiegato che in America vanno molto di moda i rapper, ragazzi - soprattutto neri - che parlano con sotto una base musicale. Ne sai qualcosa tu? Be', con la faccia tosta che mi ritrovo gli ho detto di sì. Per la verit gli ho detto: "Perché no?". Quindi stasera ci provo. Poi ti farò sapere com'è andata. Ciao Claudio Milano, 30 settembre 1985 Cara Carla, ho deciso. Fuggo in Grecia. Destinazione Cicladi. Ho voglia di "scampoli d'assenza", amori sulla spiaggia e leggerezza non stop. La decisione l'ho presa assieme alla Manu ieri sera, che tra l'altro era pure il mio compleanno. Siamo andate a un concerto. Il gruppo non lo conoscevamo, ma era l'unico che c'era e il nome era perfetto per noi: Elio e le Storie Tese. Ci siamo divertite un sacco. Elio e le Storie Tese sono geniali. Un po' misogini, ma grandiosi. Al momento dei bis, il tastierista ha detto: "Adesso vorrei provare insieme a un amico un pezzo ancora in fase di elaborazione". Be', sembrava scritto per me. Parlava della Grecia. E di una tizia, fighissima, che molla il fidanzato - che doveva essere una vera palla per prendere una boccata d'aria, recuperare per l'appunto qualche "scampolo d'assenza" e, assieme a un'amica, se ne va nelle Isole Egee. La descrizione del viaggio, anche se fatta dal fidanzato piuttosto risentito, mi ha entusiasmata. Non vedo l'ora di vivere la vita come un alito di vento e archiviare una volta per tutte quello stronzo di Sergio. E iniziare finalmente un nuovo capitolo della mia vita. Oltretutto, ho anche traslocato! Ho trovato un bilocale: a questo punto non ci sono più scuse... devi venire a trovarmi! Non solo. Quando sarai a Milano per quel corso che seguirai all'Istituto Riza potrai stare da me! Il trasloco non è stato facile, mi ha
aiutato la Manu. Avrebbe dovuto aiutarmi Sergio, ma... L'altro ieri, come da copione, mi telefona. Affranto, mi spiega che non può darmi una mano con il trasloco. Sta male, malissimo (lui...). Vorrebbe separarsi, ma l'idea di far soffrire i due figli lo distrugge (giusto, ma avrebbe potuto pensarci prima di tampinarmi). Non sa cosa fare. La moglie (per niente scema) ha mangiato la foglia e fa continue scenate in preda alla paranoia. Stanno attraversando un periodo bruttissimo, ma il rapporto con lei gli ha dato, e ancora gli dà, tanto (fino al giorno prima lo aveva dichiarato "esaurito"). In lacrime, mi ha detto che se non ci fossero i figli avrebbe meno paura, ma, visto che i figli ci sono, mi supplica di non cercarlo più. Naturalmente mi ha detto anche che quello che ha provato con me non lo aveva mai provato con nessuna [sic!], ma che continuando a vedermi rischia di mandare definitivamente in crisi il rapporto familiare, di far stare male tre persone, e non se la sente. Allo stesso tempo, però, ha paura di pensare che non mi sentirà né vedrà mai più. Insomma, un'accozzaglia di banalità. Ma io, niente. Ho tentato di leggere il sottotesto. Mi sono ostinata a considerare quella telefonata non un chiaro ed esplicito benservito, ma una complessa e disperata richiesta d'aiuto. Mi sono aggrappata ad alcune parole isolandole dal contesto e trasformando l'inequivocabile benservito in un vero e proprio messaggio d'amore romantico. Un disastro. Meno male che la Manu mi ha trascinata con Roberta a cena da Susanna, dove - complici diversi litri di alcol - le mie fedeli amiche sono riuscite a farmi vedere la luce, a liberarmi dalla mia "insana passione" per questo stronzo. Sposato. E vecchio. Mi hanno convinta. Non l'avrei più cercato. 'Fanculo. Abbiamo brindato. Ai miei ventidue anni, ma soprattutto alla saggezza ritrovata. Il giorno dopo (per la verità, qualche ora dopo), io e la Manu abbiamo fatto il trasloco. Puoi immaginare in che condizioni. Fatto sta che ieri, mentre ero circondata dagli scatoloni, hanno suonato alla porta. Era lui. Dileguatosi al momento del bisogno, si era prontamente palesato a trasloco avvenuto, e soprattutto come se non mi avesse mai fatto quella telefonata. Varcata la soglia del mio rifugio con una bottiglia di vino, ne ha immediatamente intravisto il potenziale erotico: "Auguri, amore! Non ti ricorda Ultimo tango a Parigi?". Gli ho sbattuto la porta in faccia. E l'ho cacciato definitivamente dalla mia vita. Ma siccome queste decisioni vanno sostenute, ho telefonato alla Manu che, serafica, ha sentenziato: "Serve un rito catartico. Troviamo un concerto e andiamo a scaricare tutte le tensioni". Be', Elio e le Storie Tese sembravano perfetti... E lo sono stati. Un abbraccio Sandra PS Ma come sono i tuoi pazienti? Fai solo terapia di coppia? Chissà che palle... Milano, 20 febbraio 1987 Cara Carla, ieri sera ho conosciuto un tipo. Ma devo spiegarti dall'inizio. Da qualche mese, è nata Polpa Pronta, cioè io, Manu, Susanna e Roberta. Abbiamo preso in gestione il mercoledì sera della Stella Alpina, ex bocciofila milanese in zona Bocconi. Facciamo musica dal vivo con gruppi che spaziano dal rock al ragamuffin, e chi più ne ha, più ne metta. Prezzo
politico all'entrata con consumazione very popular: basta rucola e bresaola, solo pane, salame e vino a schiovere. La Manu procura i gruppi, Susanna si occupa dell'allestimento, Roberta di vino e vettovaglie, io dell'ufficio stampa e delle pierre. Tutte e quattro poi animiamo la serata. Risultato: un successone. Indotto: chiudiamo alle tre del mattino, felici ma in condizioni pietose. Ancora non abbiamo capito che noi non dovremmo bere. O forse l'abbiamo capito, è solo che se non bevessimo non ci divertiremmo così tanto. Peccato però che, delle quattro, io sia l'unica che nel giro di poche ore deve rendersi presentabile e varcare la porta dell'ufficio. La doppia vita non è uno scherzo. Chissà come faceva, Clark Kent. Ieri giornata d'inferno, non ero riuscita a mangiare niente. Arrivata alla Stella Alpina, il gruppo era già lì per fare il sound-check e Susanna, alle prese con l'ennesimo naufragio sentimentale, era al terzo bicchiere. Prima che arrivasse la gente, ci siamo fiondate a turno in bagno a cambiarci per la serata: tre minuti per metterci giù da battaglia. Insomma, tra un saluto e un bacio, un amplificatore da spostare e il microfono che non si trovava, due chiacchiere e una sigaretta, ho bevuto senza accorgermene non so quanto vino. Ma tutto è filato liscio fino a quando con la coda dell'occhio ho visto entrare Marco. Non lo vedevo da mesi. Sono corsa in bagno per il restauro. Poi, con nonchalance e atteggiamento da "guarda-come-sto-bene-molto-ma-moltomeglio-di-quando-stavo-con-te-vedi-un-po'-tu-che-cosa-ti-sei-perso-brutto-pezzo-di-merda", mi sono avvicinata apparentemente tranquilla, con un sorriso solare. In fondo quello era il mio territorio. Sono stata brillante, spiritosa e provocante. Ho bevuto e parlato come una macchinetta. L'ho trovato ingrassato e noioso (come ho fatto a star male per lui?), lui mi ha trovata uno schianto, infatti (porco) ci ha anche provato. Grazie al terzo gin tonic, sono riuscita a essere devastantemente ironica. Una fatica. Avrei voluto corrergli dietro e dirgli che stavo scherzando. Invece ho resistito. Stoica. Quando ho girato i tacchi, però, ho capito che ero lì lì per crollare. Non qui, mi sono detta. Dovevo assolutamente sedermi e prendere una boccata d'aria. Sono uscita e, cercando di non perdere l'equilibrio, mi sono infilata in quella che pensavo essere la mia macchina. Non ho fatto in tempo a entrare che la testa ha iniziato a girare, mi ha avvolta un ronzio e... Insomma, ho vomitato l'anima. Sul tappetino. Rialzata la testa, ho sentito una voce: "Ciao, io sono Claudio". Claudio? Per fartela breve, non era la mia macchina. Era la sua. O meglio, quella di suo padre. Volevo morire (be', poco ci mancava). Non male come inizio, eh? Mi sono scusata e ho cercato di alzarmi per ripulire il tutto, ma uscendo dalla macchina il terzo gin tonic si è fatto sentire e... Insomma, un vero disastro. Lui, nel tentativo di sdrammatizzare, mi ha aiutata a ricompormi e mi ha allungato un biglietto da visita dicendomi: "La mia macchina è sempre a tua disposizione". Una vergogna... Oggi l'ho chiamato e mi sono scusata. Ho scoperto che parla tantissimo (un vero logorroico), vive ancora con i suoi (aiuto!), è iscritto ad Agraria (fuori corso, I presume...), vorrebbe fare l'attore (no comment) ed era la prima volta che veniva alla Stella Alpina (e immagino anche l'ultima).
Mi ha proposto di andare a vedere Gli intoccabili. Ma devo passare a prenderlo io: suo padre la macchina non gliela molla più... Ti racconterò. Un bacio Sandra Milano, 20 febbraio 1987 Caro Gigio, ce l'ho fatta. Dopo infinite peripezie che non sto a raccontarti, sono riuscito anch'io a prendere la patente! Per festeggiare, ho chiesto a mio padre di prestarmi la sua auto almeno per una sera. Tu non sai quanto sia fiero e geloso della sua automobile. Da quando è in pensione, il suo unico hobby è costruire optional per l'auto e tenerla pulita. La usa pochissimo, ma questo è secondario. Per strada mi guardavano tutti. Al mio passaggio sentivo degli "oooh" di meraviglia. Sarà stata la mia guida sportiva? Sarà stato il modello dell'auto, ormai quasi da collezionista? (Un'Alfa Romeo 1300 Super, la mitica Giulietta, quella di tanti film polizieschi, che era guidata sia dai poliziotti che dai banditi.) Oppure sarà stato il colore, amaranto, che qui a Milano chiamano più prosaicamente tra sù de ciùc, vomito d'ubriaco? Mi sono tornate in mente le parole del poeta, John Belushi: "Abbiamo il pieno di benzina e un pacchetto di sigarette, possiamo andare in capo al mondo". Be', io non fumo e la spia della benzina cominciava a lampeggiare, ma quel senso di libertà assoluta lo stavo provando comunque. Insomma, dopo alcune piacevolissime ore inizio a pensare che sarebbe bello fermarsi in un posto: per avere la sensazione di aver fatto qualcosa, ma anche per sperimentare quel fatale parcheggio per il quale ho dovuto ripetere sei volte l'esame di patente B, col foglio rosa che nel frattempo mi era scaduto (ma avevo detto che non ti avrei tediato con le peripezie burocratico-amministrative)... Idea! Passo a prendere Antonio! Un po' per bullarmi, un po' perché lui conosce la Milano by night molto più di me e saprà certamente consigliarmi dove andare a concludere la serata. Infatti: sta giusto uscendo per andare in un "nuovo locale pieno di carne fresca", citazione testuale. Ci troviamo in una stradina buia tra la Bocconi e Coni Zugna. Intravedo un buco fra le auto parcheggiate proprio davanti al locale. Che dirti? Ho messo in folle, un piccolo fiato, una lieve sospensione, pregustando la facile manovra che mi avrebbe collocato di diritto tra coloro che "sanno guidare". In quella sublime pausa tra un avanti e un indietro, si è infilato un tamarro, con una panza da dieci birre al dì e un catenone al collo con scritto "Marco forever". Faccia da interista, per capirci. Mi avvicino e provo a dire: "Marco, c'ero prima io!", ma quello si spruzza del deodorante sotto le ascelle, poi in bocca, infine sul pube e, senza degnarmi di una risposta, si infila soddisfatto alla Stella Alpina (è il nome del locale). Io reingrano la prima, faccio altri tre giri della circonvallazione, quella supergrande, passando da via Molise, Ortomercato e piazzale Corvetto prima di trovare un posto libero... proprio davanti al locale. Era quello lasciato da Marco, che se ne stava andando alquanto abbacchiato. E questo mi ha messo subito di buon umore. "Beccati 'sto niet, biondino sovrappeso!" Siamo entrati e Antonio è scomparso, pareva conoscere molto bene l'ambiente, compresi la fauna femminile e tutti gli anfratti che il locale offriva. Va be',
penso, ora gironzolo un pochino, poi riporto la Giulietta nel box, altrimenti con questa umidità mi si arrugginisce e poi mi tocca passare la notte a darci di Sidol (di cui mio padre mi aveva prudentemente e abbondantemente fornito). Sono ancora perso nei miei pensieri quando vedo tra la folla una ragazza che barcolla. Molto carina, alta, gamba lunga con minigonna plissettata vedo-non-vedo. Urca, con 'sto freddo!, penso, dev'essere davvero ganza. Facendo finta di ballare la seguo, lei esce dal locale con la sua camicetta leggerina di chiffon e basta, e io col mio giaccone imbottito. Punta diritta alla mia macchina. Che mi abbia visto? Che voglia fare la spiritosa? Si piega verso la portiera e fa per aprirla. Cazzo, devo prendere una decisione. La sveglio, chiamo la polizia, le apro la portiera... fra l'altro, in quella posizione si intravedono delle autoreggenti... Apro la portiera. Senza farmi notare. A distanza. Caro Gigio, non pensare di cogliermi in castagna dicendo: "Ma come, la Giulia 1300 con l'apertura a distanza? Ma quando mai?". Certo, è un prototipo brevettato e installato personalmente da mio padre. Insomma, lei apre la portiera e si catapulta dentro. Be', ho pensato, vedi, con l'auto è tutta un'altra cosa! Si fanno incontri di questo tipo. Sentivo che la mia vita, con la patente e con la Giulietta di papà, aveva finalmente preso la piega giusta. Metto la testa dentro e vedo... il disastro. Con un solo conato era riuscita a sporcare sedili davanti, sedili dietro, sedili laterali (sono degli strapuntini che ha aggiunto mio padre); cruscotto, cloche, specchietto retrovisore, poggiatesta, tappetini e l'intera pedaliera. A voler trovare il lato buffo della faccenda, potrei dirti che ora il colore dell'interno era come quello dell'esterno. Intuisco il suo imbarazzo e allora per metterla a suo agio faccio il galante, le do il mio biglietto da visita - quello che mi hanno regalato i miei, con su scritto "Laureando in Agraria" - e le dico: "Se un domani ti va di bere qualcosa, chiamami: la mia macchina è sempre a tua disposi...". A quel punto parte un secondo getto che mi inonda pantaloni, scarpe e giaccone, e capisco che è giunta l'ora di accomiatarsi. Senza una parola. Ero convinto che non l'avrei mai più sentita in vita mia. Invece oggi mi ha telefonato, per scusarsi. Era a terra, poverina. Si sentiva l'alito fin dalla cornetta del telefono. Ha voluto sapere un sacco di cose. Di me, della mia famiglia, dei miei studi, delle mie aspettative. L'ho invitata al cinema, a vedere Gli intoccabili. Gli intoccabili. Oddio, non mi prenderà mica alla lettera? Ciao Claudio UNA FAMIGLIA Lo giuro. Sulla testa dei miei figli. SILVIO BERLUSCONI Abbiamo partorito Lei È nata Anna! Che esperienza emozionante, incredibile. Incomprensibile finché non la vivi. Ne sono uscita svuotata e, allo stesso tempo, invasa da una splendida sensazione di onnipotenza. Il travaglio l'ho fatto in casa, assistita dalle mie due fantastiche ostetriche Francesca e Rossana, poi siamo andate all'ospedale e dopo due ore ero nuovamente nel mio letto, con
Anna fra le braccia. E Claudio?, ti domanderai. Sì, fisicamente c'era. La sua presenza, però, è stata abbastanza inutile. Ovviamente non glielo dirò mai, lo ferirei nel profondo: ci sono voluti secoli di analisi per convincere gli uomini a starci accanto nel momento fatidico... Certo, sono contenta che ci fosse, ma più per lui, per il suo rapporto con Anna, per la profonda emozione che la nascita di un figlio ti procura... Detto questo, l'unica cosa che avrebbe dovuto fare non l'ha fatta. Io e Francesca glielo dicevamo da mesi: "Ricordati di fare il pieno". Il travaglio lo avremmo fatto a casa, ma essendo io una primipara attempata meglio essere pronte per un eventuale trasferimento in ospedale. Niente di drammatico, ma comunque da tenere in conto. Ovviamente il serbatoio era a secco. In ospedale ci sono dovuta andare a piedi, a dilatazione completa ormai avvenuta. Come se non bastasse, nonostante la partecipazione al corso pre-parto i massaggi di Claudio erano veramente insopportabili. Quando l'ostetrica mi sfiorava, mi dava un sollievo incredibile; arrivava lui e urlavo dal dolore... lo avrei strozzato. Pur di non essere presente all'ultima fase del travaglio ha sbrinato il frigo e si è scolato lo champagne per il brindisi. E quando Francesca, appena tagliato il cordone ombelicale, gli ha messo tra le braccia Anna, è sbiancato ed è svenuto. Stremato. Lui. Fra l'altro, se a parto avvenuto non si fosse fiondata da noi mia madre, temo che adesso la casa sarebbe nel caos, il frigorifero vuoto e io in piedi a cucinare e a stirare: Claudio non si è reso minimamente conto che forse dovrei essere un po' accudita e coccolata, viziata e aiutata. Sembra più stravolto di me. Cammina dondolando e si siede a fatica, come se i dieci punti di sutura li avessero dati a lui. Però mi fa tenerezza. Così orgoglioso e fiero! Sta avvertendo lui tutti i parenti e gli amici. Immagino entri molto nel dettaglio perché sta al telefono ore e ore... Lui Ho partorito. Cioè, abbiamo partorito, io e Sandra. E secondo te, "lei" poteva scegliere un parto normale come tutte? Nooo! In casa! Alle soglie del terzo millennio! E per convincermi che era la cosa più giusta ha messo in atto un poderoso lavaggio del cervello che ha avuto il suo apice in un corso pre-parto molto particolare, dove non erano loro, le ostetriche, a spiegarti delle cose, ma tu a dire perché avevi scelto questo specifico tipo di parto così in controtendenza. Una specie di autocoscienza collettiva a coppie. Sembrava un centro di alcolisti anonimi dove, dopo interminabili minuti di silenzio, uno o una alzava la mano e raccontava la propria esperienza, farcita di precedenti parti in ospedale condotti da infermiere kapò, in stanze fredde e anonime, con il padre lontano a fumare nervosamente sigarette che sono pure cancerogene e per smaltire i cui filtri occorrerebbero millenni. Quindi, durante i parti tradizionali non solo saremmo stati inutili, ma addirittura dannosi. A noi stessi e all'ambiente. A nulla è valso sussurrare che io nemmeno fumo. Avevano vinto loro, mi avevano convinto. Alla fine del corso sono stato nominato responsabile della comunicazione. Non dal centro, no, da Sandra. Visto che lei era già fin troppo protagonista dell'evento, io dovevo cuccarmi le tele-
fonate ai parenti, agli amici e pure alle amiche, spiegando con cognizione di causa il perché e il percome di questa stravagante scelta (stravagante lo dico io, ovviamente, per lei era la più ovvia, la più naturale). "La gravidanza non è una malattia!" Mi sembra ancora di sentirla. La telefonata più difficile è stata quella con la sua amica Antonella che aveva partorito in clinica con una puntura epidurale. Io fino a pochi mesi fa non sapevo neppure cosa fosse, l'epidurale. Ora lo so: "È una specie di anestesia locale che evita i dolori delle doglie, ma che spesso, togliendo sensibilità, riduce le contrazioni e conduce al cesareo, magari di quelli chenon-toccano-il-muscolo, non-rovinano-l'estetica e con-una-bella-anestesia-non-senti-niente!". L'ho imparato quasi a memoria. Antonella mi ha mandato a cagare. Come darle torto? Ma il peggio è venuto dopo il parto - "E nata in casa? Perché? Non avete fatto in tempo? Non ve n'eravate accorti? C'era sciopero degli ospedali? Mi spiace" -, più che altro per spiegare che Anna, in realtà, non è nata in casa. Per fortuna, infatti, le ostetriche di questa associazione sono sufficientemente avvedute, e dunque al primo problema optano per il trasporto in ospedale. Ma io che ne sapevo di questo "protocollo"? Mi sono sentito insultare perché non avevo fatto il pieno. Ma come, il bello del parto in casa è quello di stare a casa, appunto, senza bisogno di automobile... "Che inquina," avrei potuto aggiungere, ma non l'ho fatto. Ho capito che in questi casi il ruolo del padre è quello del parafulmine, o meglio del capro espiatorio, per cui se l'ostetrica la massaggiava era tutto un sorriso, se lo facevo io erano smorfie di dolore... e così via. Per fortuna, mi avevano lasciato una bella boccia di spumante in frigo. Appena Anna è nata me la sono scolata tutta d'un fiato. Me l'ero strameritata. Anche se non me la sono neppure goduta perché fra la stanchezza, la tensione, e forse lo spumante troppo ghiacciato, appena mi hanno dato la bimba da tenere in braccio sono andato giù come Cassius Clay colpito da un gancio di Frazier. Scusa diario, squilla il telefono... "Sì, tutto bene, abbiamo partorito ieri... sì, in casa, cioè, alla Macedonio Melloni... certo che è un ospedale... No, a casa fino all'ultimo, poi... non in macchina, a piedi... E che mancava la benzina... Siamo andati a piedi, poi io sono tornato... sono svenuto... Sì, dieci punti... No, non a me, a lei... Lei sta benone... ma che epidurale... Non è una malattia... Non sono malato... Sì, sono svenuto ma la gravidanza non è una malattia... Ma che Mattia, malattia. Ma no, Anna. Certo che è una femmina... C'è mia suocera... mi sa che stanno dormendo. Come chi? Tutti. E io sto parlando con te!... Come 'chi sono'?... Ma chi parla, scusi? Ah, guardi, ha sbagliato numero..." L'anniversario Lei Oggi è l'anniversario del nostro primo incontro. Io ovviamente me ne ricordavo benissimo. Claudio no. Dice che non posso pretendere che lui memorizzi quattro date diverse - il primo incontro, la separazione, la riappacificazione, il matrimonio - e reclama la semplificazione: o si festeggia il matrimonio, o si sceglie una data simbolica... E poi sostiene che festeggiare gli anniversari è piccolo-borghese. Ma in ogni caso perché io, invece, me le ri-
cordo sempre tutte? E non è che siano ricordi sfocati, no. Potrei descrivere esattamente come eravamo vestiti e persino le condizioni atmosferiche. Tutto, ma proprio tutto. E la stessa memoria maniacale che Claudio ha per il calcio: può snocciolare senza un inciampo tutte le formazioni del Milan, dalle origini a oggi. Perché? Mi aspettavo una sveglia con bacino, il caffè a letto, due coccole e una cena a lume di candela. Pura fantascienza. Ho dovuto svegliarlo a mezzogiorno e dirglielo. Forse sono stata un po' brusca, ma ogni volta ci casco e nella mia follia romantica mi illudo sempre che se lo ricordi. Invece no. Ogni volta la stessa storia. Ho visto lo sguardo perso e l'occhio assente, nel disperato tentativo di accedere mentalmente al file "calendario" e cercare di capire come dribblare nel full-booked e ricavare un buco per "l'anniversario". Teme la mia crisi isterica, con conseguente sfinimento lamentoso e borbottio risentito. Piuttosto, cancella uno dei suoi impegni irrinunciabili: la lezione di tennis, la palestra, lo stadio con gli amici. Ormai lo so. E infatti, sornione, ha allungato le mani e mi ha detto che avremmo passato la serata fuori. Aveva pensato a tutto lui. Gli ho creduto. Mi sono fiondata a fare il tagliando: ceretta, pedicure, manicure, make-up e messa in piega. Poi mi ci sono volute due ore di prove per decidere che cosa indossare, dallo slip alla scarpa. Alle otto è passato a prendermi. In moto. Ho salutato i duecento euro dati al parrucchiere e mi sono dovuta pure cambiare: via il vestitino da urlo e al suo posto i soliti jeans, maglione informe e casco integrale. "Va bene anche la serata sportiva," ho pensato, "piuttosto che niente..." E vero, non mi aveva detto che saremmo stati soli. Però non aveva detto nemmeno che ci saremmo ritrovati in un rumorosissimo pub a bere birra e mangiare tacos insieme ad altri venti energumeni: era il raduno annuale dei suoi amici ex rugbisti... Buon anniversario. Lui Oggi è stata una giornata particolarmente faticosa, di quelle che non finiscono mai, e quando finiscono ti chiedi come hai fatto ad arrivare sino in fondo e ti fai i complimenti per come ci sei arrivato, tutto sommato sano e salvo. Cominciamo da ieri notte, serata a Nonantola, in una discoteca. "Come 'discoteca'? Io non lavoro nelle discoteche, lo sai... non sono adatto..." Il mio manager: "Ma questa è una discoteca molto particolare, fanno teatro, performance, reading di poesie... L'anno scorso hanno letto persino Dante. Vedrai, ti troverai bene". Galeotto fu Dante e chi lo lesse. Il ragazzo che mi accompagna in macchina si affiderebbe al navigatore satellitare anche per andare a pisciare. A un certo punto mi stava facendo andare a sbattere contro un guardrail causa indecisione se uscire o meno dall'autostrada dopo che la voce stentorea e lievemente balcanica gli aveva intimato: "Alla prossima girare a destra... girare a destra... a destra...", riferendosi però allo svincolo per La Spezia di alcune centinaia di metri più avanti e non all'uscita di Lucca verso la quale l'idiota aveva supinamente puntato. Dopo di che gli ho intimato di spegnere quel malefico aggeggio. Non potevo però impedirgli di consultare (prima di partire e a macchina ferma) un program-
mino al computer chiamato romanticamente Route 66 che gli consigliava di passare da Mantova causa lavori sulla Al. "Mantova?! Nonantola è attaccata a Modena ! Mi fai passare da Verona? Allunghiamo di cinquanta chilometri!" Ma il mio manager mi dice sempre che il driver è lui, la sua specificità lavorativa va rispettata... (In realtà, le parole esatte che usa sono: "Bisius: ofelé fa il tò mestè, tàs e andersen!".) Non ho idea di come possa essere andata la lettura di Dante, so soltanto come sono andato io a parlare della "sindrome di Quo", dopo che il dj aveva gelato la pista sudata con un "E ora Bisio ci farà ammazzare dalle risate con Queeeella vaaaacca di Noooonna Paaapera!" urlato da dietro la consolle... Al ritorno impongo la via più breve, ma effettivamente a Reggio Emilia ci fanno uscire per lavori sulla quarta corsia. Morale, entro in casa alle ore 5.35, mi tolgo subito le scarpe per non svegliare Sandra e Anna, mi infilo a letto e cerco di riposare almeno un po' perché nel pomeriggio avrò un incontro con Gino & Michele per parlare della prossima edizione di Zelig e non mi sono minimamente preparato... Vengo però svegliato di soprassalto da una voce garrula che sicuramente non è a conoscenza (né vuol esserlo) del dramma di Nonantola: "Sai che giorno è oggi? Il 20 febbraio! E cos'è successo il 20 febbraio?" urla aprendo rumorosamente finestre e imposte. Passo in rassegna prima le date storiche: la presa della Bastiglia è in luglio, la Liberazione in aprile, il compleanno di mia madre in settembre; poi quelle private: compleanno di Anna in gennaio, il nostro matrimonio in agosto... cedo! "Il nostro primo bacio, ti ricordi? In macchina, in piazza Napoli, con i vetri appannati..." Cacchio, lei si ricorda (e pretende di festeggiare) tutti gli step: primo bacio, primo petting, prima ciulata, prima volta che mi ha detto "ti amo", prima volta che le ho detto "anch'io"... Balbetto con la voce impastata: "Ma certo che me ne ricordo, anzi, stasera chiama la baby-sitter che ho già prenotato un posticino...". Sono salvo, ci è cascata: la vedo sorridere soddisfatta. Il "posticino prenotato" non era una bugia: era il Neon di via Vavassori Peroni, zona Lambrate, vicino alla ferrovia, una zona che prima o poi sarà riqualificata (spero). Ho semplicemente omesso di dirle che il 20 febbraio è anche l'anniversario della fondazione della mitica ASR (Associazione sportiva rugby Milano)... E stata una serata piacevolissima. Credo che Sandra abbia apprezzato il fatto di essere l'unica donna, e quando è partita la classica gara di rutti e io l'ho guardata aveva gli occhi lucidi, sembrava quasi sul punto di piangere... invece poi mi ha sorriso e con un poderoso rutto è riuscita a dire: "Grazie per la serata, amore". E' nato Lei È nato! Marco, il nostro secondo (e, con tranquilla risolutezza, direi anche ultimo) figlio. Che poi, a dirla tutta, per circa mezz'ora si è chiamato Giacomo... Siamo arrivati al parto senza aver deciso il nome, ma con una rosa di papabili tra cui scegliere appena lo avremmo visto. E così è stato. Quando è nato aveva la faccia da Giacomo, ma subito dopo, osservan-
dolo meglio, abbiamo capito che no, era un piccolo, fantastico Marco. E così è stato. E nato in casa. Con Anna avevamo optato per una via di mezzo: travaglio in casa, parto in ospedale e, dopo due ore, di nuovo nel lettone casalingo. Una mediazione per placare le ansie del mondo. Avevo un bel dire e spiegare che la medicalizzazione "a priori" del parto non ha senso, che grazie alle conoscenze mediche e sanitarie oggi il parto in casa rappresenta una valida alternativa, che io mi sento più tranquilla, con due ostetriche tutte per me, libera di muovermi come voglio, più che pronta ad andare in ospedale in caso di necessità. Niente da fare. Mi guardavano tutti come se fossi una pazza che, di fronte alla sfavillante modernità dell'epidurale, dell'ossitocina e del parto programmato, optava per una modalità oscurantista e medioevale. Con la seconda gravidanza ho deciso che avrei fatto come volevo io. In casa. Stop. A essere sincera, nemmeno con Claudio è stato facile... Dopo una serie di lunghe oserei dire infinite - chiacchierate rassicuranti, sembrava convinto. Peccato, però, che il bimbo fosse podalico... "Vedi? E un segno: è pigro e vuole il cesareo," ha sentenziato Claudio, consapevole che un parto podalico non si sarebbe fatto in casa. Io, testarda, ho replicato che lo avremmo fatto girare. Sei trattamenti di agopuntura: niente. Lunghe sedute di moxa: niente. Solo delle gran bruciature ai piedi perché Claudio, nonostante gli avessero spiegato esattamente dove appoggiare il carboncino, ogni tanto sbagliava... "Te l'ho detto: cesareo," insisteva speranzoso. Prima di cedere alla pigrizia del ragazzetto che avevo in pancia, ho deciso di passare alle maniere forti: sarei andata a farmi fare "la manovra". Me lo avrebbero, cioè, girato manualmente, come si usava fare abbastanza comunemente in passato. Oggi quest'arte non viene più insegnata e poche, pochissime, ostetriche la conoscono... D'altronde, perché rinunciare a un redditizio e comodo cesareo? Io non ho visto nulla (la pancia era schermata da un telo verde), se non Claudio che è più volte sbiancato e, ovviamente, svenuto. Più tardi ha confessato di aver visto Alien muoversi nel mio pancione... In ogni caso, Marco era finalmente in pole position. E mi sono attrezzata. Le ostetriche mi avevano dato una lista di cose da preparare e l'ho affidata a Claudio, che, a mano a mano che provvedeva al reperimento, mi domandava se fossi proprio proprio ma proprio sicura... Quando sono iniziate le doglie, ha portato Anna da sua madre ed è arrivato giusto tre minuti dopo il parto. Che cosa avrà fatto in quelle ore lo sa solo lui: la nonna abita a dieci minuti da casa nostra... Mah. Lui Questa volta Sandra non mi ha fregato. Mi sono bastati i lunghi mesi di gestazione, e poi le ultime settimane in giro per ospedali a cercare di far fare una capriola a un bimbo che puntava i piedi (in senso letterale) e probabilmente non ne voleva sapere di uscire, almeno non quando volevano le ostetriche, ma soprattutto non gettandosi a capofitto (sempre in senso letterale) verso l'ignoto. Questa volta no. Avevo organizzato tutto. Mia madre mi aspettava con il brasato pronto nel congelatore da settimane, dell'ottimo Nebbiolo, pane,
coperto... il dolce l'avrei portato io, fresco, almeno quello. La scusa ufficiale era Anna: la primogenita non doveva assistere alle sofferenze della madre per poi vedersi davanti quell'affanno che le porterà via mezza stanza, mezzo affetto dei genitori e metà dei giochi! La vera ragione era il futuro della nostra famiglia. Tempo fa avevo letto di una statistica da cui risulta che il settantacinque per cento dei padri che assiste al parto nel giro di un anno lascia moglie e figli, vuoi per trovare donne nubili giovani e senza prole, vuoi per darsi irrimediabilmente alla macchia, vuoi per inseguire la felicità in un fiero rapporto omosessuale. Da mia madre ci sono stato dodici ore, temendo di incappare anche solo per sbaglio in qualche scampolo di travaglio. A ogni modo, con o senza di me, è nato. Il 2 maggio del '99, quasi come l'euro. Tre chili e sei, meglio dell'euro. Sul nome avevamo qualche dubbio. O Carlo, come Marx. O Federico, come Fellini. O Marco, come Van Basten. La mamma a un certo punto aveva buttato lì: "E se lo chiamassimo Giacomo?". "Comechi?" ho incalzato io. "Come Leopardi?" ha abbozzato timidamente lei. "O come AldoGiovannie!" ho rintuzzato io. L'ho vista vacillare. "Pensa a Carlo," le ho detto, "come Jung, Santana, ma anche come Aznavour o Ancelotti. O a Federico, come Garcia Lorca, Chopin, ma anche come il Barbarossa. O a Marco, come Bellocchio, Twain, ma anche come il Subcomandante o la moneta tedesca..." L'ho stesa. Si chiama Marco. Toro ascendente Leone. Generato da un Pesci (io) e una Bilancia (Sandra). Mica male: acqua e aria che creano terra e fuoco. Staremo a vedere. Staremo a vedere anche come reagirà Anna, sua sorella, un piccolo Capricorno (ancora terra!). Per ora lo abbraccia, lo stringe forte, forte, forte... "Anna, piano! Così gli fai male!" "Lo allatto io!" "No." "Allora gli insegno la canzoncina." "Va bene, la canzoncina puoi insegnargliela" ("così magari si addormenta pure," pensiamo noi). "Lo sceriffo-ffo ha due baffi-ffi, un cappello-llo, due stivalili, due pistole che quando sparano fanno pim, pum,paaammm!" "Uèèèhhh!" "Anna, l'hai svegliato!" "Uèèèhhh!" Sì, staremo a vedere. Sudoku notturno Lei "Stanotte ci penso io," aveva detto. "Quando si svegliano, non ti muovere: vado io. Sono il papi, no?" Ogni notte da cinque anni a questa parte, il papi non sente nemmeno per sbaglio le urla stile sirena che a turni alternati i nostri figli emettono regolarmente a intervalli di due ore. Cinque anni. Cinque anni che non faccio una notte (una notte?), anzi due ore di sonno filato. Io. Da quando è nata Anna e, a seguire, Marco, il mio famoso sonno di piombo è diventato una veglia leggerissima. Sento ogni minima variazione del loro respiro. Dalla nostra camera riesco a capire se uno dei due si è scoperto. Misteri della maternità. "Prima" ci volevano tre (sì, tre) sveglie, puntate a distanza di cinque minuti una dall'altra, per svegliarmi la mattina. Adesso basta una puzzetta fatta nel cuore della notte nella stanza a fianco. Claudio no. A lui non è successo. Anzi. Sembra che dorma meglio di prima. Mesi di coliche, dentizioni
difficili, raffreddori e bronchiti, febbri e tossi: niente. Lui non sente niente. Misteri della paternit. Oltretutto i nostri figli, contrariamente a quanto ci hanno raccontato negli incontri post-parto - il day after, insomma, quando guardi negli occhi le altre madri e leggi la tua stessa disperazione -, non hanno ancora trovato la via del loro letto. Hanno optato per il nostro. La mia notte, quindi, è un continuo girovagare da una camera all'altra, cercando di coccolare, calmare, riaddormentare e, soprattutto, riaccompagnare a turno i bambini nei rispettivi giacigli. Un inferno. Ma ieri sera, rassicurata dalle parole di Claudio, mi sono addormentata serena, pregustando un lungo, ininterrotto sonno ristoratore. Illusa. Dopo due ore, una manina mi tastava le tette. Era Marco, anni due. Non se n'è ancora fatto una ragione e di notte prova subdolamente a rientrare in possesso di ciò che considera suo. Al mio fianco, Claudio dormiva beato. Così mi sono alzata e sono andata a stendermi con Marco nel suo letto. E ovviamente mi sono addormentata. Ma quasi subito mi ha svegliato un sussurro all'orecchio: "Non è giusto... perché dormi con lui e non con me?". Claudio? No, Anna. Trattenendo il respiro per paura che Marco si svegliasse, sono salita nel letto a castello e mi sono sdraiata vicino a lei. Si è addormentata in un nanosecondo. Stavo già pensando alle possibili tecniche di levitazione per tornare nel mio letto senza muovermi, quando ho sentito Marco che mi chiamava sottovoce. Sono ridiscesa a fargli i grattini, droga dall'effetto certo. Ma si era appena addormentato quando Anna si è svegliata vomitando. Sul piumone. Erano le tre del mattino: ma perché i bambini vomitano sempre e solo a questi orari terrificanti? L'ho lavata e le ho cambiato il pigiama, poi mi sono messa nel suo letto e l'ho coccolata finché non si è riaddormentata. Quindi, con movenze da contorsionista, mi sono sfilata dal suo abbraccio, ho preso il piumone e l'ho portato in bagno, dove è arrivato Marco: "Mi scappa la popò". Dopo di che gli ho lavato il sedere, sperando di poter rimettermi subito a letto; a quel punto però lui aveva sete e voleva il biberon con la camomilla. Erano le cinque. Mentre andavo in cucina sono passata davanti alla porta della mia camera: Claudio russava. Dopo la camomilla e la fiaba della Pimpa, Marco è crollato. Ma Anna aveva caldo e voleva togliersi il pigiama. Le sei. Tolto il pigiama e recuperato Winnie Pooh, anche lei è sprofondata nel sonno. E io, finalmente, mi sono trascinata fino al mio letto. Due ore dopo, la sveglia. "Buongiorno, amore! E andata bene stanotte, no? Non si è svegliato nessuno..." Non immaginavo che una sveglia, benché scagliata con violenza, potesse fare tanto rumore. Lui Certe volte Sandra non la capisco. Oggi abbiamo litigato furiosamente. Solo perché sono stato sincero. Ha un sacco di pregi, ma ogni tanto è davvero invidiosa. Che colpa ne ho se quando sono di turno io i bambini non si svegliano e fila tutto liscio? Che ci posso fare se sono riuscito a dormire una notte intera con due bambini piccoli nell'altra stanza? No, non mi sento affatto in colpa. Lei, piuttosto, dovrebbe. Ha distrutto la sveglia che mi aveva regalato
mia madre la prima volta che ho dormito fuori e, quando l'ho messa alle strette, pur di non darmi ragione ha finto di fare lavatrici tutto il giorno sostenendo che Anna aveva vomitato nel sonno e io non me n'ero neppure accorto. Non si fa così. Si parte Lei unamed Possibile che ogni volta che si parta per un viaggio, breve o lungo che sia, dobbiamo litigare? La sceneggiatura è sempre la stessa, potrei scriverla a occhi chiusi. Innanzitutto, l'orario della partenza. Lo fissiamo insieme, e io mi organizzo. Faccio la valigia, acquisto il necessario... e incastro i preparativi nel sudoku della mia vita. Lui no. Odia programmare, dice. Quindi improvvisa. Si prepara sempre all'ultimo minuto. E ovviamente mi coinvolge. Non trova i calzini (pare si divertano a spostarsi da soli), mi accusa di avergli nascosto il rasoio (da quasi dieci anni in bagno, cassettino di sinistra), si lamenta perché il suo maglione preferito è scomparso (dopo aver sostato per giorni sotto il letto, credo si sia tuffato da solo in lavatrice). Mi costringe a correre da una parte all'altra interrompendo la preparazione della mia valigia. Così, quando il taxi è sotto casa e io sono ancora in mutande, lui serafico si avvia sentenziando che sono sempre la solita, perennemente in ritardo. Non ha assolutamente idea di quanto possa essere faticoso organizzare un viaggio. Lui si è limitato a non prendere impegni per il periodo e a fare la sua valigia. Ma finge di avere il totale controllo della situazione: "Hai preso i documenti? Passaporto e biglietti aerei?". Stiamo andando in treno a Camogli per il weekend. Ne avevamo parlato a lungo. Avevamo deciso di tornare in un posticino a picco sul mare dove, in un agosto assolato - tutti e due mentalmente incintissimi anche se io ero solo di quattro mesi -, avevamo scelto il nome della nostra bimba. Ma lui, ovviamente, pensa di essere in partenza per New York. La scena madre arriva, di solito, al momento di portare le valigie in albergo. Lui ha sempre un borsino minimo, modello chihuahua; io mi trascino dietro un sanbernardo, decisamente sovrappeso. Secondo me, partire per un weekend o per un mese è uguale: se piove? Se mi macchio? Se fa freddo? Se mi ammalo? Se si rompe un tacco? Se finisco il profumo? Insomma, porto la casa. Claudio, invece, porta l'iPod e lo spazzolino. Guarda e commenta. Per lui è dalla valigia che si riconosce un vero viaggiatore. Poi passa a rievocare le sue avventure in India (aveva vent'anni in meno, un piccolo particolare che sembra aver rimosso) e le innumerevoli tournée teatrali che l'hanno portato su e giù per la Penisola sempre e solo con uno zainetto. Io, annoiata e stremata, disfo la valigia, prendo il mio libro, l'astuccio delle creme e vado a rilassarmi al sole. E attendo. Bastano dieci minuti e inizia la litania delle richieste: "Hai portato tu, vero?, il dentifricio? E il bagnoschiuma? L'ombrello? Le ciabattine? Il costume? Le creme solari? Qualcosa per il mal di testa?...".
Lui Sono reduce da un weekend decisamente romantico e rilassante. Anche se, confesso, era iniziato nel peggiore dei modi. Da tempo avevo promesso a Sandra che avremmo festeggiato il nostro anniversario nello stesso luogo in cui eravamo stati allora. Ma dimenticavo che per Sandra i nostri anniversari sono almeno una decina. Io, che intendevo banalmente l'anniversario di nozze, avevo preso i biglietti per New York. Lei invece si riferiva all"'anniversario-della-scelta-del-nomedi-nostra-figlia" e così si era immaginata un fine settimana allo Stella Maris di Punta Chiappa, in Liguria. Il misunderstanding si è chiarito solo durante la preparazione della valigia che per Sandra, da sempre, è un'attività complicatissima da affrontare con grinta, tempo e concentrazione. Le dedica un'intera giornata, quasi sempre quella precedente la partenza. Urla, strepita, a volte sta delle mezz'ore davanti allo specchio, immobile, con in mano due vestitini perfettamente identici, e quando ne ha scelto uno lo indossa e non trova le scarpe giuste (dopo averne provate una trentina). Riprende l'altro vestito, quello identico, a cui ha finalmente abbinato le scarpe giuste. E questo "le" è da intendersi come articolo determinativo femminile plurale che sorregge le numerose paia di scarpe giuste o possibili, o anche solo eventuali. La mia colpa - perché una colpa c'è sempre, ed è quasi sempre mia - è quella di dimostrare nella preparazione della valigia una facilità e una dimestichezza che sono un insulto nei suoi confronti. Dice lei. Costretto a barattare il ponte di Brooklyn con Punta Chiappa (anche se temo che i biglietti aerei non siano di quelli rimborsabili), resta il problema di "chi le porta" queste maledette valigie. Notare che contro il mio borsone, che da quanto è vuoto si potrebbe benissimo chiamare borsino, lei fa scendere in campo la Samsonite più grande che abbiamo... "Altrimenti le cose si stropicciano, e allora è inutile che porti tutta questa roba!"... E lo dice anche! Ma quando ha scelto quella pesante valigia rigida aveva ovviamente dimenticato che per andare a Punta Chiappa occorre lasciare la macchina a San Martino e percorrere una scalinata nella roccia di circa seimila gradini. Li ho contati, scendendo con la sua valigia sulla spalla (stile portatore-nero-della-giungla). Appena arrivati, mi seggo e cerco una salvietta per asciugarmi il sudore... No, c'è da disfare la valigia: reparto scarpe, reparto creme, reparto costumi... otto interi e sei due pezzi... "Ma se non lo porti mai, il pezzo sopra " Lei non risponde, anzi, si lamenta che se al dentifricio non ci pensa lei... Quando sa benissimo che in tournée non sono mai rimasto senza (e negli ultimi vent'anni ho girato la Penisola in lungo e in largo!). Ma, appurato che per due giorni sarebbe ridicolo portare due tubetti, mentre io mi adatto ai suoi al sale marino, al limone o alla salvia che dopo esserti lavato i denti ti sembra di aver mangiato un tacchino al forno -, lei dileggia e rifiuta i miei dentifrici definendoli "allopatici" come fosse un insulto. Ed è solo per questo che io da sempre lascio a casa il mio Paperino's e le permetto di portare il suo Homeodent. No, lei non ci sta, si arrabbia, prende il suo telo da mare (l'unico), uno degli otto libri che ha portato
(di quelli che io non leggerò mai), una manciata di creme e se ne va al mare. Io lascio passare questa erinni, mi sdraio sul letto e mi prende il mio solito attacco di sinusite da stress, stanchezza e vento sulla fronte. Quando la raggiungo, la trovo beata su una roccia, in topless, che ascolta il mio iPod. Devo addirittura urlarle: "Avresti qualcosa per il mal di testa?". Patatine e piselli Lei Possibile che nel momento del bisogno Claudio non ci sia mai? Ieri, mentre pulivo serafica le carote, un'innocente bambina di sei anni (nello specifico Anna, mia figlia, ma anche sua figlia) si è avvicinata e mi ha chiesto: "Scusa mamma, ho capito la storia dei due semini che si incontrano e formano un bambino... ma il semino del papà come fa a entrare nella pancia della mamma?". Lo sapevo. Ero certa che prima o poi questa domanda sarebbe arrivata. Sarebbe stata cosa buona e giusta dirottarla verso il padre. Che se la sbrigasse lui! Ma naturalmente Claudio non c'era. Non c'era nemmeno un mese fa quando - sempre mentre preparavo la cena - era partita a tradimento la prima raffica di domande di Anna, seguita dallo sguardo interrogativo di Marco, anni tre, che normalmente non degna di alcuna attenzione le attività della sorella e si fa gli affari suoi. Ma quella sera no. C'era anche lui e voleva sentire. "Come nascono i bambini?" Avevo deciso di non dire bugie e di rispondere in modo chiaro senza addentrarmi troppo nei particolari. Come tutti i genitori della Storia che si sono trovati davanti alla prima, fatidica questione scottante (la prossima sarà: "Babbo Natale esiste davvero?", ma in confronto sarà una passeggiata), ho pensato che mentire fosse sbagliato. Ho cominciato con le api e i fiori (facendo un po' di confusione, lo ammetto, ma speravo di annoiarli e quindi confonderli) e poi sono passata a mamma e papà, ai due semini che si incontrano, si uniscono e formano un piccolo, piccolissimo bambino che pian piano cresce nella pancia della mamma. Ho semplificato cancellando dentro di me tutti i dubbi di carattere politically correct (genitori single, inseminazione artificiale, banca del seme ecc.) e ho cercato di convogliare la loro attenzione sul fatto che se "per fare il fiore ci vuole il seme", per fare un bimbo ce ne vogliono due. E allo scopo di scongiurare il pericolo di domande più precise ho fatto un clamoroso strappo alla regola: dieci minuti di cartoni prima di andare a letto, anche se non era sabato. Pensavo di essermela cavata. Di non dover riaprire la discussione almeno per i prossimi anni. Invece no. Anna era di nuovo lì, sguardo inquisitorio che non ammetteva replica. E dietro di lei, di nuovo, Marco. La faccenda era spinosa. Difficile bluffare. Ho preso tempo. Ho promesso che dopo cena, dopo dieci eccezionali minuti di dvd, dopo che si fossero lavati i denti e infilati il pigiama, ci saremmo messi nel lettone e lì gli avrei spiegato tutto, ma proprio tutto. Intanto il mio cervello lavorava febbrilmente. Ho consultato libri e saggi pedagogici. Contavo sull'arrivo di Claudio, e ho anche sperato in un terremoto o in un altro evento straordinario che mi sollevasse dall'onere. Se i negozi fossero stati ancora aperti sarei
corsa a comprare il desideratissimo cane. Il momento della verità però è arrivato. I cartoni non avevano raggiunto lo scopo. No. Sono arrivati tutti e due, con il pigiammo e lo sguardo interrogativo. Coraggio, ho pensato, non devo mentire ma posso semplificare. Con il valido ausilio di metafore quali piselli, patatine, semini e casette nella pancia, ho spiegato come si fanno i bambini. A ogni domanda ho risposto con pacatezza e ho inquadrato la cosa all'interno di un grande, grandissimo atto d'amore. Alla fine ero sudatissima e stremata, ma fiera di me. Marco, tramortito dal peso della conoscenza, si era addormentato. Anna, apparentemente serena, mi ha chiesto di accompagnarla nel suo letto. In quel momento idilliaco è arrivato Claudio. Mi ha raggiunta in punta di piedi nella camera dei bimbi per il bacio della buonanotte e, con il tono suadente di chi entra in un mondo da fiaba al sapore di zucchero filato, mi ha fatto capire che la parte migliore della serata se la sarebbe cuccata lui, stendendosi a fianco di quel frugolino dolce e caldino in pole position per il mondo dei sogni. Ma i bambini possono giocare brutti scherzi... "Papi, ma non ti sei vergognato a infilare il pisellino nella patatina della mamma per ben due volte?" Buonanotte, amore... Lui Che giornata! Sveglia alle sei e mezzo per prendere l'aereo delle otto: alle undici, udienza dal papa! Non io personalmente, era un incontro fra il pontefice e il cinema italiano. Era prevista la presenza di produttori, registi, attori eccetera eccetera. Pare che persino lui in Polonia abbia recitato e scritto commedie (o drammi). Un quasi collega, insomma. Si prospettava una giornata faticosa ma interessante. Invece avrei dovuto capire che niente sarebbe stato facile. Avrei dovuto intuirlo dallo sciopero dei taxi a Milano, e poi dalla nebbia a Fiumicino: "Ahò, nun se vedeva 'na nebbia così da trentanni," mi dice il tassista. "E mo' 'ndo la porto?" "Ehm... del Vaticano," balbetto io, non sapendo quale preposizione articolata usare; "nel" mi sembrava troppo invasivo, "col" troppo complice, "sul" troppo sovrastante... "Ho un appuntamento dal papa." Il tassista scuote la testa, inserisce la tariffa TADE (Turisti Americani, Deficienti Europei) e imbocca la Cristoforo Colombo. Dopo innumerevoli deviazioni causa lavori per la terza linea della "mètro" (così dicono a Roma), imbocchiamo via della Conciliazione. Finché il tassista, visibilmente scettico sul mio appuntamento con il papa, mi dice: "Ahò, io più in là de così nun posso arrivà!" e mi molla in piazza San Pietro in mezzo a frotte di turisti filippini. Ci metto un bel po' a individuare l'entrata giusta, ormai il mio abbondante anticipo si è trasformato in un lieve ritardo. Finalmente, sulla destra vedo un portoncino presidiato da un paio di guardie svizzere con tanto di alabarda. Parlano solo tedesco, dunque provo a scandire lentamente: "Cinema... papa... incontro...". Scorrono un elenco, mi scrutano e poi uno dichiara: "Sì, tu essere Zeffirelli". "No, che Zeffirelli, sono Bisio! Guardi bene..." "Ah, certo, per forza: o Bisio, o Zeffirelli." Non so se offendermi o esserne orgoglioso. Solo dopo intuisco che ciò che io e il Franco abbiamo in comune è solo il ritardo e dunque annuisco con un sorriso che
possa apprezzare persino una guardia svizzera, firmo un foglio ed entro in Vaticano. Ora, non pretendevo che mi scortassero, ma certo non mi aspettavo che mi lasciassero al mio destino indicandomi un ascensore in fondo a un corridoio buio e facendo un due con la mano che poteva benissimo essere anche un segno di vittoria. Arrivo al secondo piano e mi trovo in un cortile interno. Un trionfo di tonache. Tonache nere svolazzanti e breviari aperti in mano, tonache porpora infrattate negli angoli a parlottare, tonache in un'auto nera d'epoca che lentamente si avvia verso l'uscita, tonache che sciamano ai lati di un piccolo plotone di guardie svizzere che marcia deciso in fila per due... Capisco che anch'io devo attraversare il cortile. Lo faccio, quasi in apnea, sapendo di essere osservato. Ah, dimenticavo di descrivere il mio abbigliamento. Per la prima volta in vita mia, sono stato ore davanti allo specchio chiedendomi: "Meglio casual? No, più formale. Ma non troppo... Lui sarà sicuramente in bianco. Io, be', eviterei i colori vivaci, anzi starei sul nero, al massimo un fumo di Londra, o uno spigato...". Alla fine ho messo il vestito con cui mi sono sposato, l'unico elegante che ho, ma per il viaggio ho aggiunto un cappotto tipo pastrano color militare e uno zainetto della Smemoranda contenente i pochi effetti personali utili per una giornata fuori casa (un libro, l'agenda, i documenti, lo spazzolino... ma perché è passato di moda il borsello?). Sempre a gesti, altre guardie svizzere mi fanno capire che devo salire di un altro piano e percorrere un lungo corridoio in fondo al quale vedo finalmente una fila di stand pieni di abiti borghesi e altri zainetti (intuisco dalle fogge e dai colori essere quelli dei miei colleghi del cinema). Faccio per togliermi il cappotto, ma un altro (e sicuramente alto) prelato mi sussurra che non c'è tempo, mi scaraventa con cristiana decisione dentro una grande stanza affrescata, e richiude la porta dietro di me. Io mi trovo a due metri dal papa che sta dando udienza a duecento suore africane. La mia entrata è così brusca che tutte si girano a guardarmi. Io mi genufletto (come quando facevo il chierichetto) e, a testa bassa, mi dirigo - sempre col mio zainetto in spalla verso un'altra porta esattamente dietro lo scranno del papa. Finalmente trovo i miei colleghi: Lionello Cerri (colui che mi aveva convinto a partecipare), Silvio Orlando, Margherita Buy... ci sono pure Lino Banfi e Nicoletta Braschi con un velo nero... Non mi è chiaro chi e con che criterio abbia fatto il cast. Perso in questi miei pensieri, non mi accorgo che il papa è già entrato e sta ascoltando un cardinale che ci presenta a uno a uno. Io, sempre a testa bassa, mi sento ancora osservato; mi sembra che guardi solo me, e forse è davvero così. Poi, uno alla volta, veniamo chiamati per un saluto personale. I miei compagni si muovono con gesti ragionati, un po' meccanici ma sicuramente studiati. Capisco che sono stati edotti su un preciso cerimoniale a me totalmente sconosciuto (maledetti lavori per la "mètro"!). Cerco di sbirciare, intravedo alcuni che si inchinano, altri che accennano un bacio all'anello... Il tempo stringe, sento pronunciare il mio nome, ho le mani sudate... Mai mi sono sentito così impreparato, così a disagio, così fuori luogo. Pochi passi e sono davanti al papa: inchino o baciamano?, o
piuttosto una virile stretta di mano? La mia naturale tendenza all'ecumenismo fa sì che io non rinunci a niente di tutto ciò. Sempre col pastrano e lo zainetto in spalla (a saperlo, potevo evitare di mettere il vestito del matrimonio), con decisione gli prendo la mano, avvicino la testa come per baciarla e contemporaneamente faccio un affondo, piegando bene anche la gamba dietro, come ricordo di aver studiato in un seminario sulla commedia dell'arte. In questa goffa posizione, sento la flesciata del fotografo ufficiale che immortala questo indimenticabile momento. Mi ci vorranno mesi, forse anni, per riacquisire quel minimo di autostima necessaria nel mio mestiere. Per fortuna ora torno a casa, penso durante tutto il viaggio di ritorno, e ritroverò i miei amati bambini che mi danno sempre così tanta carica... Entro in casa, ormai tardi, con passo felpato. Marco dorme, che angelo! Anna invece è a letto ma ancora sveglia. Faccio cenno a Sandra che voglio pensarci io: adoro sentire i bambini che si addormentano tra le mie braccia, mi dà un senso di sicurezza, di pace, di serenità. "Papi, ma non ti sei vergognato a infilare il pisellino nella patatina della mamma per ben due volte?" Della mia risposta, lo so, mi pentirò per il resto della vita. In tournée Lei È partito. In tournée. Finalmente. L'ultimo mese è stato un inferno. La presenza di Claudio in casa non passa inosservata. Mai. Certo, fa simpatia, ma anche un gran casino... Si sveglia quando ormai il resto della famiglia è - silenziosa, per carità - all'ammazzacaffè; ha un concetto di ordine tutto suo e continua a considerare impercorribile il tragitto bagno-lavatrice, optando per la più colorata scia di biancheria abbandonata per terra... Ma prima di una tournée la situazione precipita. Diciamo che la nostra vita è cadenzata dalle sue tournée. Nel senso che io vivo aspettandole. Il prima e il dopo sono due parentesi da dimenticare. Anche questa volta il copione è stato seguito alla lettera. Noi tutti in punta di piedi cercando di essere pressoché invisibili, lui prove e ansia, depressione e successiva esaltazione, orari rigorosamente notturni (ma perché la creatività non si può esprimere dalle nove alle diciotto?), stress da promozione mentre lo spettacolo è ancora da scrivere, delirio valigia. Poi, finalmente, la partenza. Coccole, ricerca del calzino mancante, abbracci, litigata per la T-shirt bucata buttata a sua insaputa ("Proprio quella che indosso a ogni debutto!"), inverosimili dichiarazioni di fedeltà assoluta e totale, valigie con abbigliamento da adolescente inquieto preparate - ovviamente - all'ultimo momento con fuori Sergio (Rocco Tanica) che aspetta da un quarto d'ora, lacrime dei bambini, ultimo bacio, sventolio di fazzoletto come nei migliori telefilm di quart'ordine... Ahhh! E ora posso tirare il fiato. A parte le telefonate, che alterneranno dichiarazioni d'amore impensabili nella quotidianità del rapporto a filippiche sulla fatica dei viaggi e la scomodità dei letti d'albergo, davanti a me ho un mese (sì, solamente un mese, ma meglio di niente) fatto di bambini, casa, lavoro. Una passeggiata. Una pausa necessaria
prima di ritrovarlo e dover fare i conti con i postumi da tournée... Dopo un mese insieme a Elio e le Storie Tese, prevedo un'aria molto gggiovane, e un'estate costretti a cantare Shpalman fino alle quattro del mattino! Lui Mi sento rinato. Finalmente si sta realizzando un sogno che covavo da tempo e che nemmeno a te, amato diario, ho mai confessato: fare la rockstar! In questo momento mi sento un po' come Stanley Tucci in Shall we dance?, il grigio impiegato precocemente stempiato che monta la parrucca fluente e si tuffa nella danza. Ebbene, io sto facendo di meglio: canto! E con Elio! Un mio mito da sempre... "Ditemi perché se la mucca fa mu il merlo non fa me!" Favoloso. In casa mi guardano con occhi straniti quando davanti allo specchio faccio finta di avere in mano un gelato a filo (il gelato, caro diario, è il microfono dei cantanti, quello con la dinamica giusta, mica le "spilline", i "collarini", gli "archetti" che si usano in televisione) e provo a piegarmi sfiorando il pavimento con le ginocchia, alla Elvis. Mio figlio dice che è un gesto vecchio, vecchio come la giacca con le frange che ho appena comprato. Io invece dico che è vin-tage. E intonatissima al nostro sound, che sfrutta vecchi standard ma con groove innovativi, melodie e armonie che stanno tra Joe Jackson e Frank Zappa, passando da James Taylor e i Beatles, senza disdegnare campionamenti degli Enigma, Battisti ed Edoardo Vianello. Il trash che diventa cult attraverso il kitsch, che per noi è un must. E non ho ancora detto niente. Fra l'altro, dovrei ripassare un po' il mio inglese. L'altra sera Elio mi dice a bruciapelo: "Ti va di fare con me una cover di Think?". Io gli ho risposto "Yes!" con entusiasmo. E allora lui parte cantando: "You'd better think," poi mi guarda e mi fa: "Translate!". "Traduci!" E io: "Tu meglio pensa". E tutti giù a ridere. E lui ancora: "Think about," e io: "Pensa intorno". Ancora risate... E lui: "I ain't no psychiatrist, I ain't no doctor with degrees...". E io, cantando a squarciagola: "Io non sono psichiatra, non sono dottore con brillantina...". Si fermano tutti, increduli, poi Faso mi toglie la parrucca da Elvis e mi chiede: "Ma dove la vedi la brillantina, a parte su questo topo morto che ti sei messo in testa?". E io, un po' giustificandomi: "...eh, l'ha cantato lui: Aim no doctor... non sono un dottore, with... con, the... la, grease... brillantina". Caro diario, non ho mai visto ridere così degli umani, e dire che di mestiere faccio il comico. Se penso agli sforzi di tanti autori per scrivere cose divertenti! Confesso che, nonostante una carriera pluridecennale da comico in servizio permanente effettivo, i miei spettatori non hanno mai sghignazzato così di gusto. Non sono cretino, per un attimo ho pensato che ridessero di me, allora li ho messi alla prova: "Che c'è da ridere? Brillantina, grease, ci hanno fatto anche un film con John Travolta, l'ho pure visto, non era male...". Tra le lacrime, Civas (Elio proprio non ce la faceva, aveva le convulsioni) mi dice: "Non ha detto grease, ma degrees, degreesl". E io: "Ah, ok, 'di brillantina'!". Cristian fa un lancio con la batteria e riparte la musica... Caro diario, ancora oggi, dopo dieci repliche, Think è il pezzo forte del concerto, gli Elii ogni
sera continuano a ridere come la prima volta... sento che sarà una grande estate di musica e comicità (volontaria e non). Bricolage man Lui "I giovani di oggi non sono più quelli di una volta." Potrebbe averlo detto mio padre qualche decennio fa, invece no. E esattamente quello che penso io oggi. Osservo i miei figli, li vedo concentrati e abili nello smanettare con un joypad, ma appena si tratta di impugnare una sgorbia, imbracciare una pialla, inforcare un pappagallo (ma il pappagallo si inforcai... Perché, la pialla forse si imbraccia?), insomma, quando si deve "andar di gomito" - come diceva mio nonno, che di mestiere cardava la lana -, ecco che i miei ragazzi bofonchiano a testa bassa e cercano di infrattarsi negli angoli. Ieri però, una bella domenica di inizio primavera, tutto è cambiato. Ho trovato un paio di quadretti che avevo fatto incorniciare tempo fa e che erano misteriosamente scomparsi. Chiamo a rapporto Anna e Marco - già in tenuta da Parco Lambro, equipaggiati di rollerblade, monopattino, pallone, frisbee, boomerang, elicottero radiocomandato - e urlo: "Cambio di programma!". Prendo la cassetta degli attrezzi, con la quale io stesso non ho molta dimestichezza, e... disastro. La maniglia si rompe e tutti i chiodini, le viti, i bulloni e qualsiasi altra cosa fosse dentro quella dannata cassetta si sparge non in mezzo alla stanza (troppo facile), ma negli angoli più nascosti, sotto i mobili, addirittura sopra gli scaffali. Un'esplosione. Anna e Marco mi guardano, io pure. Restiamo zitti e immobili per quella che mi sembra un'eternità. Abbasso gli occhi sulla mia mano, che stringe ancora saldamente la maniglia, e scoppio a ridere. Anche loro ridono. "Dai, raccogliete tutto prima che la mamma se ne accorga!" Anna e Marco smettono di ridere. Minacciano di chiamare Sandra. Mi chino a raccogliere e li invito quanto meno ad aiutarmi a ricatalogare e a suddividere chiodini da legno e tasselli da muro, cacciaviti a croce e cacciaviti a taglio, chiavi a bussola e chiavi a stella, brugole piccole e brugole grandi. Quale migliore occasione per riavvicinare alla manualità questi bambini così poco avvezzi al fai-da-te? "Ora, Marco, vuoi dirmi la differenza tra martello e mazzuolo?" "Vedi? Fai tanto il ganassa con Halo... Venite qui, guardate come si fa: visto che il quadro è piccolo, basta prendere un chiodino di ferro e un martelletto. Ecco." Toc. Toc. Toc. "...Ma papi. È tutto storto!" "Infatti. Il muro è di quelli antichi, belli resistenti. Lo abbiamo scoperto con la pratica. Ci vuole quindi il chiodo d'acciaio. Eccolo qui. Se è ben temperato - e questo sicuramente lo è, visto quanto l'ho pagato -, non si piegherà mai e poi mai: puoi picchiare finché vuoi." Boink! Boink! Boink! "Ahia!" "Papi, si è rotto!" "Te l'avevo detto che non si piegava! Qui dev'esserci un mattone di quelli di una volta, cotti uno per uno nella fornace. Sono i più resistenti. Allora, quel buchino - si fa per dire 'buchino' - che abbiamo fatto si chiama 'invito'. E ora, il trapano: abbiamo qui un bel tassello di otto millimetri, quindi ci vorrà la punta dell'otto! Passatemela, please!" "L'otto non c'è. Abbiamo solo il sei e il dieci." "Be',
ragazzi, stiamo semplicemente rispettando la legge di Murphy." "?" "?" "Ve la spiego un'altra volta, ora basta fare un buco col sei..." Tchvwwssssss! "Fatto, vedete? Questa nuvola di polvere rossa è il mattone. Ora, intanto che voi andate a prendere una scopettina per pulire prima che arrivi la mamma, io allargo il buco con uno scalpello e un mazzuolo." "Papi, il mazzuolo non ce l'abbiamo." "Ma come, fino a un minuto fa non sapevi neppure cosa fosse il mazzuolo, e ora sai già con sicumerica certezza che non ce l'abbiamo!?! Passatemi una mazzetta, allora!" "Non c'è nemmeno quella, abbiamo solo quel martelletto per i chiodini piccoli..." "Va bene, non importa ! Faccio a mano, vedete? Basta spingere con tutto il corpo su questo bel chiodone che funge da scalpello, strofinare girare e spingere col palmo della mano, strofinare girare e spingere..." Amph! Amph! Amph! "Papi, però se io pulisco e tu continui a sporcare non vale! Altro che polvere, adesso il mattone lo hai addirittura sciolto!" "Ma che dici, i mattoni non si sciolgono!" "Marco, quello non è mattone. E papà: sta sanguinando... " E Anna sviene. A forza di "strofinare girare e spingere", mi sono bucato il palmo della mano. Adesso, dopo ventiquattr'ore, sono ancora qui, tutto fasciato. Ho dovuto fare l'antitetanica, di nascosto per non allarmare Sandra. Però: che bella domenica! Continuo a trovare scuse per passare dal salotto e rimirarmi quei due quadretti appesi così, in modo apparentemente casuale e buttato via, ma Anna, Marco e io sappiamo quanto lavoro, quanto amore, quanta sapienza, quanta fatica ci siano dietro. Rinuncerei a tutte le tournée della mia vita in cambio di domeniche come questa. Lei Di solito li nascondo. Quadri e poster, intendo. Li infratto dove posso, per avere il tempo di decidere con calma su che parete appenderli. E poi, munita di trapano, agisco. Non è mania dell'ordine la mia, ma una precisa strategia. Se Claudio li trova in giro, si mette in testa di mostrare al mondo le sue abilità da bricolage man. Detto fra noi, è un vero disastro. Nella vita, del resto, non si può avere tutto: è simpatico e porta tanto buon umore in casa, ma per il bricolage non è tagliato. Non glielo si può dire, però. Si offende. Ci rimane male. Sembra che si metta in discussione la sua virilità, perché pare che il bricolage sia, nella sua intima essenza, profondamente maschio. Ieri avevo dimenticato in giro due quadretti, piccoli piccoli. Una delizia. Claudio purtroppo non è in tournée e quindi vagola per casa a orari per me imprevedibili. Li ha visti e gli si è illuminato l'occhio. Ha convocato i bimbi e con fare professionale ha recuperato la valigetta degli attrezzi. Poi ha tenuto una prolissa lezione teorica, che dopo un quarto d'ora aveva steso Anna e Marco. Ma lui niente. Ha impugnato il martello e ha massacrato il muro in più parti. Provando e riprovando, con chiodi di varie misure, ma mai adeguati. Stizzito e isterico, dava ordini e contrordini alla manovalanza, cioè ai bambini. Alla fine, dopo aver sudato e sbuffato come un capodoglio spiaggiato, con mio profondo sollievo ce l'ha fatta. Ridicolmente storti, isolati e per nulla valorizzati, i quadretti sono stati posiz-
ionati strategicamente in modo da coprire le voragini nel muro. Stremato ma soddisfatto, a quel punto ha preteso il pellegrinaggio, le esclamazioni di apprezzamento e i complimenti. E dopo aver sparso chili di intonaco sul pavimento, chiodi, martello e valigetta in mezzo al corridoio, si è esibito nel ruolo del "ferito". Lo sforzo, infatti, gli aveva lasciato indelebili segni sui palmi delle mani (ma come lo teneva il martello?). E così, piagato dalle stigmate, ha tediato noi tutti pontificando sull'importanza del lavoro manuale... Ma quando comincia la prossima tournée? Tète-à-tète Lei Sono disperata. Sono certa, certissima che Claudio abbia un'altra. Lo sapevo che, prima o poi, sarebbe successo. E - ingiustamente, diciamolo - circondato da belle donne. Ogni tanto mi domando perché la natura sia così stoltamente prodiga: basterebbe fare un po' di selezione naturale. Una rupe Tarpea al contrario non guasterebbe, secondo me. Giusto per riequilibrare. Oppure, si potrebbe disperdere queste giovanotte sulla crosta terrestre con un po' più di criterio. No. Tante e concentrate tutte qui. Attorno a me. O meglio, attorno a mio marito. Ieri sera, grazie a un'organizzazione ferrea - baby-sitter prenotata da mesi, bambini allertati, cena pronta -, siamo usciti a cena. Noi due da soli. Non lo facciamo mai. Avevo scelto un ristorantino intimo, dove chiacchierare tranquilli senza l'assillo di camerieri eccessivamente solleciti e con la certezza di non incontrare qualcuno che conosciamo. Siamo arrivati, e in effetti c'erano pochissimi clienti, quasi tutte donne. Bene, ho pensato, proprio quello che ci vuole per un bel tète-à-tète. Davvero tutto perfetto, a parte il fatto che Claudio era assente. Stava lì, seduto di fronte a me, ma era come se non ci fosse. Lui, tradizionalmente logorroico da sfinimento, si limitava a rispondere con frasi smozzicate. Faceva quasi fatica a parlare, a concentrarsi su quello che gli dicevo. "C'è qualcosa che ti preoccupa?" ho chiesto. Ha detto di no. Poco convinto e per niente convincente, ha negato anche quando gliel'ho chiesto la seconda volta. In macchina, tornando a casa, ho tentato la via del grattino sulla nuca, che di solito funziona. Scioglie e predispone. Niente. Gentile ed educato, ha scrollato la testa come se ci fosse una mosca che gli dava fastidio. "Ti amo," gli ho sussurrato. "Anch'io," ha risposto. Ma così, senza trasporto. Se gli avessi detto che mi ero dimenticata di portare le giacche in tintoria avrei ottenuto lo stesso effetto. Arrivati a casa, mentre spesavo la baby-sitter si è piazzato davanti alla televisione e ha iniziato a guardarla assorto, come se volesse mettere un muro tra me e lui, impedendoci di parlare. Sono andata a letto. Affranta e preoccupata. Dopo dieci minuti mi ha raggiunta e, del tutto inaspettatamente, abbiamo fatto l'amore. Ma lui non c'era. Non era lì con me. Era distaccato e lontano. Sono certa che stava pensando ad altro. A un'altra. Ho provato a parlargli di noi, del nostro rapporto. Lui non ha risposto. Si era addormentato. Ho passato la notte a rigirarmi nel letto, distrutta.
Lui Ieri giornata tremenda: mercoledì di Coppa ma Sandra, per farmi una sorpresa, aveva prenotato baby-sitter e ristorante minimalista (nel senso di piccolo locale con piccole porzioni, ma grande conto). Tornato a casa, scopro pure che il Milan ha perso. Meno male che almeno ho ciulato. Prova costume Lei Dramma. Forse un po' tardi per prendere i dovuti provvedimenti, sono andata incontro alla più temuta prova dell'anno, l'angosciosa "prova costume". Fino a primavera inoltrata, le microsicurezze faticosamente costruite durante l'anno grazie a specifici accorgimenti (luci basse, specchio fumé, maglioni XXL) mi illudono di essere una quarantenne senza infamia né gloria. Dignitosa. Presentabile. Ma poi arriva la prova costume, che, oltre a essere masochismo puro, lascia pochissimi margini alla contraffazione. Anche perché i costumi sono ormai fili interdentali che - fra l'altro - non giustificano né il loro costo, né le spese per l'indotto: cerette radicali, massaggi e creme, lampade, abbonamenti in palestra, analista fisso due volte alla settimana. Anche quest'anno è andata così. Ovviamente. E infatti risaputo che con l'età non si migliora, anzi. Ma io mi illudo sempre e spero nel miracolo. Che puntualmente non accade. Di certo, poi, la pubblicità che impone come riferimento modelle bioniche sicuramente messe a punto in laboratori segreti non mi aiuta, come del resto il finto disinteresse di Claudio per l'intera vicenda: "Sei bella così! "... Ma che frase è? E soprattutto, che cosa sottintende? "Così" come? Non risponde. Peggio, prova a spiegare e inevitabilmente aggiunge il carico, scatenando drammi interiori per lui inimmaginabili. "Potresti andare un po' in palestra." Allora vuol dire che sono molliccia? "No, però il movimento fa bene!" Ma la mia vita è tutta un movimento: corri al lavoro, scappa a far la spesa e trascina con te pesi che superano di gran lunga i bilancieri professionali, segui i bambini e assecondali in interminabili giri in bicicletta... "Fai qualche massaggio!" Ma allora confermi il cedimento muscolare in atto! "Hai quarant'anni, non puoi avere il fisico di una ventenne!" Be', il mio fisico immaginario, non quello sconfessato dal malefico specchio, è fermo proprio lì, forse anche per effetto delle tonnellate di interviste a coetanee famose apparentemente inalterabili nel tempo. Anzi, direi tendenzialmente votate a un artificiale miglioramento. "Sì, ma tu sei vera." E allora? Devo forse gioire della tetta modello flùte? "Vuoi andare dal chirurgo plastico?" L'ho sempre sospettato che la mia prima misura da coppa di champagne gli stava stretta... Lui E' iniziata. Come tutti gli anni, puntuale come la primavera (o l'autunno)... la crisi preestiva di Sandra. Passa l'inverno ad anelare la stagione calda, in cui ci si può finalmente spogliare, e quando ci siamo ecco la crisi, che di anno in anno peggiora in maniera, direi, es-
ponenziale. Non voglio fare la vittima, ma io ho sei o sette anni più di lei (non ricordo con esattezza, o non voglio ricordare). Cosa dovrei dire? Che sto perdendo i capelli? No, non posso dire neanche quello! E una specie di mia condanna (o assoluzione?). Sta di fatto che, forse proprio a causa di questa mia, diciamo così, stempiatura precoce, a vent'anni ne dimostravo quaranta. Ora che ne ho cinquanta, ne dimostro sempre quaranta. Sono un quarantenne da quarant'anni. Da ragazzino dicevano che avevo la riga in mezzo un po' larga, poi che ero la mente più lucida del nostro teatro. Quando si gioca a "se fosse...", io so già che se fossi uno scrittore sarei Calvino, se fossi un monte sarei il Calvario, e via facetizzando. Persino Michelle Hunziker si beccò un applauso a scena aperta dopo che io, un po' bastardo, avevo rivelato che lei si tingeva i capelli - "Si vede benissimo la ricrescita!" -, e lei aveva ribattuto: "Sì, ma almeno da me la ricrescita si vede!". Boato. Per quale motivo ora dovrei consolare una, tutto sommato, splendida quarantenne? Aver scoperto che sua figlia (anni dieci!) ha la pelle più liscia della sua non mi sembra un motivo sufficiente. Una sera abbiamo sfiorato la rissa solo perché io (un po' per tranquillizzarla, un po' perché lo credo davvero) le ho detto: "Sei bella così". Ha dato in escandescenze: "Così come? Eh?! Non rispondi! Non sai cosa rispondere, ti sei tradito! 'Così', carino, non è un'accezione positiva. Ti ho sentito, sai, commentare con i tuoi amici... 'Com'è quella lì?' 'Mah, così così' sottintendendo che era un ciospo!". Niente da fare, quando parte con questi ragionamenti si avvita su se stessa e non riesci a farla smettere. Allora provi a dirle quello che pensi che lei voglia sentirsi dire, tipo: "Potresti andare un po' in palestra", oppure: "Vuoi andare dal chirurgo plastico?". Peggio. Sarà che sono reduce da un mese intero di tournée con Elio e le Storie Tese, ma quando risento la loro Cara ti amo non posso non pensare che l'abbiano scritta per noi: LUI: Usciresti con me domani sera? LEI: Sono stanca, forse ho già un altro impegno. LUI: Be', poco male, così vedo i miei amici. LEI: Sono libera. LUI: Mettiamola sul sesso. LEI: Ho bisogno d'affetto. LUI: Mettiamola sull'affetto. LEI: Ciuliamo. LUI: Io sono come sono. LEI: Cerca di cambiare. LUI: Sono cambiato. LEI: Non sei più quello di una volta. Per fortuna, la loro canzone si chiude con "Evviva l'amooore!".
Vacanza a Ibiza Lui Ci sono stato, finalmente. A Ibiza. Con moglie e figli. Che è come far visitare una fabbrica di cioccolato a un diabetico, o invitare un sordo a un concerto dei Genesis. C'è anche un nome mitologico per tutto questo: supplizio di Tantalo. Che in realtà è la versione ancora più sadica del famoso detto popolare: "Chi ha il pane non ha i denti, chi ha i denti non ha il pane". Qui si avrebbero tutti e due (pane e denti), ma si annullano a vicenda. Voglio dire, la moglie bella, innamorata, che ami - e i tuoi figlioli - simpatici, solari, espansivi - starebbero bene a Casina loro, nell'eventualità di un tuo viaggio a Ibiza. Che poi non è detto che sia solo tramonti, discoteche e pasticche. Ci sono anche albe, alcol e fighe... a volerli cercare. Mi hanno raccontato di una discoteca che inizia ad animarsi verso le tre del mattino e dove alle otto viene fatta scorrere un'intera parete per far entrare i raggi del sole, che così accecano i volti sfatti dalla notte, con il trucco sciolto dal sudore... uno spettacolo orripilante, dicono. Una figata, penso io, che alle otto e mezzo sto scaldando il latte di riso della mia bambina intollerante ai prodotti di vacca (un segno, una coincidenza, un monito?) e preparando il tè verde dell'amata moglie, secondo la quale è una droga persino la teina contenuta nelle bustine di tè Lipton. E a me non resta che fantasticare... Dopo la discoteca torno a dormire, col sole già alto. E contro tutti i bioritmi naturali, dormo fino a pomeriggio inoltrato soffocando i sensi di colpa cattocomunisti che deprecano l'ozio, l'improduttività, la pigrizia, l'ignavia... Mi sveglio al tramonto pronto per un aperitivo a Punta Sa Belìn. Un paio di mojito in letti a baldacchino con gioiose spagnole in lunghi caftani che, senza voler sapere nulla di me, mi raccontano barzellette sporche in catalano. E io rido con loro senza sapere perché, così, per empatia. Poi tutti a cambiarsi per la sera. Io alloggio in un alberghetto sul mare dove ci sono solo ragazze, di ogni nazionalità: giovani e formose ma istruite. Anche nei miei sogni più inconfessabili mi piace pensare che siano tutte studentesse universitarie che, in una specie di ultima estate prima di diventare medici, architetti, avvocati, vogliano solo divertirsi. Una lunga estate di addio al nubilato prima di affrontare le serie e impegnative prove della vita. E io le ho incontrate proprio in quei giorni di massima eccitazione, le sento ridere nelle loro camere, fare la doccia e comunicare fra loro in tante lingue diverse. "Anche questa," pensa il mio Io musone, "è cultura! Anzi, se non è cultura questa... cultura viva, per giuntai Cultura in movimento!" E con questi pensieri tra l'erotico e il sociologico mi riaddormento, con un sorriso stampato e un filo di bavetta che scivola su una guancia. Vengo svegliato di soprassalto da una pallonata di mio figlio: "Papi, giochiamo?". "Lascia stare il papà, non vedi che faccia gonfia? Ha dormito tutto il giorno." Stasera cucino io
Lui Oggi è stato un grande giorno. Per la prima volta dopo anni mi sono impossessato della cucina. Ho fatto felici i bambini, ho dato un po' di respiro a Sandra e ho dimostrato a me stesso e al mondo intero di avere un'altra dote finora sopita: il pollice rosso, che sarebbe il corrispettivo del pollice verde nel settore culinario (rosso di sugo, ma anche di sangue, quando affettando velocemente le verdurine per il soffritto ci si affetta anche uno strato di pelle). In realtà l'ho fatto soprattutto per i bambini, costretti da una mamma biologica, biodinamica e forse anche bioenergetica a pucciare nel latte biscotti che non si imbevono, contraddistinti da uno spiacevolissimo retrogusto allo yogurt rancido... Ah, "latte", si fa per dire: latte di riso, of course, quello dolciastro che fa un po' vomitare ma che è molto più digeribile. Al posto della mitica Nutella (non è pubblicità occulta, semmai è palese) gli rifila "malto di nocciole" (un succedaneo viscido e appiccicoso che sembra una caramella mou andata a male... e questa non è pubblicità negativa, è la pura verità!). Ma soprattutto, ci vuole tutta la fantasia femminile, tutta l'oscurità introversa dello yin concentrato per usare un frigorifero come dispensa contenente soltanto germogli di soia, tè deteinato e nocciole snocciolate. Oggi però, finalmente, ho cucinato io. Avevo un giorno libero e avevo deciso di dedicarlo interamente ai bambini. Era la tipica giornata uggiosa milanese carica di polveri sottili. Secondo Sandra se fossimo usciti in bicicletta avremmo dovuto girare con mascherine, occhiali, guanti, meglio se con uno scafandro. Quindi, in casa. Certo, in casa, ma a fare cosa? "No television, no PlayStation", questo è il motto di Sandra. Tempo fa avevo provato ad aggirare l'ostacolo prendendo ai bimbi un Xbox, ma non c'è cascata. Lei fa di ogni erba un fascio: la clausola "no PlayStation" va estesa anche a tutte le forme di console: conosciute e sconosciute. Ecco allora l'idea: le polpette! Mamma fuori dalle scatole e noi tre in cucina da soli. "Uova: chi le rompe?" "Io!" "No, io!" "Non litigate, ne metteremo un paio in più, così l'impasto si amalgamer meglio. Latte!... Ma che fai, Marco? Non quello di riso, quello vero, di mucca, muuuu!" "Ma la mamma cosa dirà?" "Non se ne accorgerà nemmeno. E poi pane grattugiato." "Non ce n'è." "Meglio, lo grattugiamo noi... Anna, attenta alle dita... troppo tardi... be', vai in bagno a prendere dell'alcol e un cerottino... oh, non farti vedere dalla mamma! Come 'non c'è l'alcol'? C'è solo tintura madre di calendula? Allora mettici quella. Attenta al tappino che è difett... no! Pazienza, le polpette verranno più saporite." Insomma, è stata una magnifica giornata, in cui mi sono sentito finalmente un bravo papà. Ho messo a letto i bambini felici e satolli e ora, sulla mia poltrona preferita, mi sto sparando un dvd strameritato. Chissà cosa sta facendo Sandra... Lei Quando me l'ha detto ho cercato di controllare la muscolatura facciale. Non bisogna tarpargli le ali. Ma le conseguenze dell'evento mi erano chiarissime. "Stasera cucino io," ha
detto. "Basta con i tuoi passatini di verdura, oggi si mangiano le polpette!" Le polpette sono il suo piatto forte. O meglio, sono il piatto, cioè l'unico che sa fare. Ed è convinto di farle benissimo. Buone sono buone, non c'è che dire. Ma non è che il risultato sia di quelli da Gambero Rosso. Normalissime polpette, nemmeno ripassate nel sugo. Ma va bene. Succede così di rado che Claudio si metta a cucinare che non va assolutamente ostacolato, anzi, incoraggiato e gratificato. Il problema vero è che quando lui si mette ai fornelli la cucina esplode come un'eruzione vulcanica. Il numero di pentole, ciotole, taglieri, coltelli, forchette e mestoli che usa lascerebbe pensare all'organizzazione di una cena di otto portate per sei persone. Invece no. Fa le polpette. Nemmeno un'insalatina di contorno. Però guai a farglielo notare. Dice che lo castro, lo inibisco, gli rovino con spirito ipercritico un'iniziativa che varie volte ho sollecitato, ma che all'atto pratico mi auguro non venga mai presa. Verissimo. Perché so che poi in cucina troverò la devastazione modello tsunami. Chiedergli di mettere a posto? "Ho cucinato..." mi risponde. Alla fine mi arrendo: rimetto in sesto la cucina, apparecchio e in un nanosecondo preparo anche della verdura e riso al vapore, giusto per completare l'opera. Poi finalmente chiamo tutti a cena. E lì capisco che anche i miei figli, anni undici e otto, sono in fondo dei piccoli nemici. Se normalmente guardano con aria schifata e critica qualsiasi cosa io gli proponga, di fronte alle polpette preparate dal papà si sciolgono. Sembra che siano reduci da anni di privazioni, costretti a una dieta da tristi erbivori, obbligati a nutrirsi di bacche e semi. Dimenticano le impegnative paste al forno, le torte salate e tutto ciò che quotidianamente mi invento per loro. Esaltano, invece, le normalissime polpette. Schivano la verdura (che mangio tutta io), declamano l'abilità culinaria del loro fantastico papi, ridono e scherzano invece di mugugnare come al solito. Sereni si alzano e si ritirano, ubbidienti come mai, in camera. Claudio, aria tronfia e sorrisetto da volpino, va a vedere un dvd. E io - mentre sparecchio, carico la lavastoviglie e riordino la cucina - sento la polpetta che non va né su né giù... Una domenica in campagna Lei Riemergo da un weekend infernale. "Perché non facciamo un fine settimana lungo con gli amici nel nostro fienile in Toscana?" aveva detto Claudio. "Tu parti venerdì con i bambini e io vi raggiungo sabato in giornata." Ho accettato. Per prima cosa ho intavolato una trattativa con gli insegnanti di Anna e Marco per fargli saltare il venerdì... Ho giocato la carta dell'aria fetida e dei polmoni assediati dal PMlO fuori legge da sempre a Milano. Poi sono passata alla supplica. Infine, ho sfoderato un evergreen "problemi familiari". Ha funzionato. Da sempre, gli insegnanti di Anna e Marco temono di vedermi scaricata per una giovanissima e bionda velina. E quindi cedono. Poi sono passata al trasloco, cioè alle valigie e alle vettovaglie indispensabili in una casa che sta quasi sempre chiusa, usata solo d'estate. Ho quindi optato per la triangolazione Milano, Arenzano (dove avrei recuperato la mia amica Antonella e prole) e
Barberino Val d'Elsa. Partenza alle nove del mattino. Fino in Liguria tutto bene. A Lucca è scattata l'otite a Marco. Tachipirina e urla. Poi è montato l'ingorgo, causa interminabili lavori per la terza o quarta corsia. Con Antonella abbiamo deciso di saltare i venti chilometri di coda e tentare vie alternative. E, ovviamente, nel dedalo di stradine di campagna sprovviste di segnaletica, ci siamo perse. A quel punto erano le sette di sera e noi, indomite, abbiamo continuato ad avanzare nella tundra, fronteggiando le richieste di cibo e di acqua che provenivano dai sedili posteriori, mentre il buio scendeva, i mariti continuavano a telefonare (ma perché hanno inventato il cellulare?), la temperatura esterna si abbassava e, siccome la sfiga ci vede benissimo, il cielo iniziava a scaricare secchiate d'acqua stile monsone. Miracolosamente, alle nove siamo arrivate a casa. Temperatura esterna 2°. Temperatura interna -5°. Nervosissima, ho provato a smanettare con la caldaia, ho aperto il gas e... Niente. Finito. Ho maledetto il bombolone di gpl della campagna e rimpianto il metano non stop della città. Nel frattempo, i bambini piangevano per la fame, a Marco era salita la febbre e Claudio ha iniziato a telefonare per sapere come fare la pasta alla carbonara... Sotto la pioggia e con Claudio al cellulare ("Ma le uova vanno cotte o no?"), mi sono avviata alla ricerca di un vicino misericordioso che mi prestasse una stufetta elettrica. Trovata. Solo che appena l'ho attaccata è saltata la luce. La dannata stufa era difettosa. L'unico modo per scaldare la casa, a quel punto, era il camino. Ma, ovviamente, la legna era fuori, completamente fradicia. Erano le dieci e mezzo, faceva un freddo cane e i bambini erano isterici e affamatissimi. Ho chiamato l'omino della legna e, stranamente, senza dover promettere favori sessuali, è arrivato con un carico di un quintale. Grazie al cielo ho fatto la boy-scout e il fuoco sono riuscita ad accenderlo. Intanto Claudio, al cellulare, mi chiedeva se era meglio usare gli spaghetti o le bavette. Alle undici, dopo aver dato un pezzo di pane e formaggio ai bambini, li abbiamo messi in un lettone. La temperatura era salita a nove gradi e io e Antonella abbiamo deciso di fare i turni per mantenere il fuoco acceso tutta la notte. All'alba ho chiamato la società del gpl, la quale ha garantito di venire a farci il pieno in tempi super-rapidi a patto che pagassimo il doppio. Ho accettato entusiasta. La prima fiammella mi ha commosso, l'acqua calda mi ha rilassato, nel primo pomeriggio il riscaldamento funzionante - integrato dal caminetto acceso non stop - è riuscito a portare la temperatura a diciotto gradi. Sembrava di essere all'Equatore. A quel punto è squillato il cellulare. Era Claudio. Voce roca di chi si è appena alzato. Non aveva digerito bene, "ma, tranquilla baby, fra un po' arrivo e risolvo tutto io". Non credevo che il fuoco potesse sciogliere un cellulare tanto in fretta. Lui Sono mediamente preoccupato. Stavo parlando al telefono con Sandra quando all'improvviso si è interrotta la comunicazione e adesso il numero non è più raggiungibile. Sarà mica successo qualcosa? Già la sua voce mi sembrava piuttosto alterata, quasi a colpe-
volizzarmi di qualcosa che davvero non saprei. E semplicemente partita ieri mattina con i bambini verso quell'oasi di quiete che è riuscita a riconciliarmi con la natura: il nostro fienile in Toscana. Purtroppo durante l'inverno ci andiamo raramente. Immerso nel verde del Chianti, tra vigne e uliveti, ci si arriva con uno sterrato un pochino faticoso - ci ho lasciato una manciata di marmitte -, ma quando sei lì hai la pace, il silenzio, l'armonia della campagna unita ai comfort del terzo millennio: telefono, adsl, parabola, nonché un sistema di riscaldamento a gas con tanto di termostato che ti permette di impostare la temperatura mite in ogni ora del giorno. In teoria si potrebbe pure, grazie a un modernissimo timer collegato alla linea telefonica, programmarne l'accensione a distanza, ma bisognerebbe prima leggersi un libretto di istruzioni ponderoso come il Mahabharata e dotato di tutte le traduzioni immaginabili (sanscrito e swahili compresi) tranne quella in italiano. Io sogno di andarci a vivere, in quel fienile, e prima o poi lo farò. Per ora, ci limitiamo a qualche weekend rubato. Dico "rubato" perché, causa traffico sulla Al (intesa come autostrada), conviene partire il venerdì, facendo saltare la scuola ai bambini. Ora saranno almeno due mesi che non mettiamo piede in quella casa, per cui ho deciso di forzare un po' la mano e questo fine settimana ho spinto donne e bambini a precedermi in campagna. Ho subito captato un sentimento ingiustamente ostile nei miei confronti: "Vuoi avere la casa libera il venerdì sera per invitare i tuoi amici a fare bagordi!". In realt non ci avevo neanche pensato, ma quando Sandra me l'ha buttata lì mi sono detto: perché no? C'era pure la partita della Nazionale. Ho invitato amici che con la routine familiare non riesco mai a vedere. Mi sono pure fatto un mazzo tanto a preparare la cena per tutti. Carbonara. Non la facevo da anni, non ricordavo neppure se le uova vanno messe crude o meno, se sia meglio il grana o il pecorino, quale pentola sia la più adatta e se prendono meglio il sugo gli spaghetti o le bavette. Per fortuna la tecnologia ha inventato il telefono cellulare, così sono riuscito a fugare ogni dubbio con la sapiente consulenza del mio amore. Ma ora perché non risponde? Natale con i tuoi Lui Sono commosso. Mia mamma, con gli occhi lucidi, mi ha ringraziato per il suo regalino. Non eravamo partiti benissimo. Il primo pacchetto che le avevo messo tra le mani, con le slitte stilizzate, conteneva una pipa in radica. E gli occhi di mia mamma, questo va detto, non erano diventati meno lucidi, anzi. Praticamente piangeva. Tutta colpa di Sandra; lei compra nastri e carta da regalo e guai a chi si avvicina quando impacchetta. Tutto lei deve fare! Anche i regali dei miei parenti... persino quello di mia madre! E i criteri con i quali usa una carta invece che un'altra li conosce solo lei. Voglio dire: se tutta la mia famiglia ha pacchetti con slitte stilizzate, ma di quella carta avanza un ritaglio che va giusto bene per un altro regalo, lei non ci pensa su due volte, lo usa. E poi ci si confonde. Proprio quello che è accaduto
con la pipa, palesemente destinata a suo fratello - l'unico che la fuma, e la cui famiglia ha avuto coerentemente tutti regali impacchettati in carta con su enormi e variopinte palle di Natale, altro che slitte! A proposito di palle di Natale, mi viene in mente la battuta del mio amico Gianni, grande cabarettista, che apre il suo spettacolo fingendo di essere un professore: "Pierino!, lascia stare le palle di Natale!... E tu, Natale, stai composto!". Nota: fare uno spettacolo citando tutte le migliori battute degli altri comici dicendo: "E come dice il mio amico...". Secondo me si riesce anche a eludere la Siae. Va be', gaffe con mia madre a parte, è stato davvero un grande Natale. I bambini si sono così divertiti che oggi, probabilmente dall'emozione, hanno trentotto di febbre, tutti e due. Il periodo prenatalizio invece è per me decisamente il più stancante. Mi sono dovuto sorbire tutte le cene sociali, gli aperitivi, le tombole di beneficenza che un personaggio come me non può evitare. E mentre io mi facevo il mazzo a sorridere a destra e a manca, Sandra era in giro a fare shopping. Io gliel'ho anche detto: "Guarda che sotto Natale costa tutto il triplo, non puoi aspettare i saldi?". Lei, palesemente in difficoltà, ha trovato la scusa che così sotto l'albero non ci sarebbe stato nulla. "Certo," ho ribadito io, "perché non ci sappiamo organizzare! Se con meno smania di consumismo avessimo comprato i regali di Natale a gennaio scorso, adesso non staremmo qui a parlare di albero vuoto." Ma ormai è andata. Sono anche riuscito, benché in extremis, a comprarle un profumo. Fosse stato per lei, mentre era in giro a far compere se lo sarebbe preso da sola. "Eh no," le ho detto, "ci sono dei riti che vanno rispettati. Il regalo per te lo prendo io, e dev'essere una sorpresa." Lei va matta per i profumi, in particolare gliene piace uno... che non ricordo nemmeno come si chiama. Meglio così. L'effetto sorpresa è assicurato. Sono stato due ore davanti agli scaffali, non pensavo esistessero così tante marche. Alla fine gliene ho preso uno francese: "Pour homme". Lei unamed Ho deciso. Mi converto e divento musulmana. Chissenefrega del velo (anzi, a pensarci bene, con Anna che si avvia verso l'adolescenza, il burqa potrebbe essere una bella idea...). Almeno salto il Natale. Un incubo che inizia a tormentarmi verso Ferragosto. Ogni anno mi ripeto che sarà diverso, che riuscirò a organizzare una fuga. E invece niente. Da sempre la vigilia la passiamo dai suoi con tutta la sua famiglia. E in una sera vengono annullati 364 giorni di sane abitudini. Anna e Marco lo sanno e non attendono altro. E un complotto familiare. Se infatti la mamma di Claudio è convinta che io sia una sciamana sadica e che nutra i miei figli di semi e radici (se non sono ancora morti di stenti è solo perché vivono di rendita sulla sua cena della vigilia), mia cognata mi vede come una tedeschissima signorina Rottermeier che priva i suoi adorati nipoti di qualsiasi genere di conforto, dalla Coca-Cola alle merendine del Mulino Bianco, dalle patatine fritte agli hamburger, dai giocattoli di plastica ai videogiochi.
Questo in effetti è vero. Il Natale quindi si trasforma, per loro, in un momento di riscatto. L'occasione per strappare i due pargoli alle grinfie della madre-matrigna e bulimicamente risarcirli. Non a caso, il 25 dicembre, da sempre, Anna e Marco hanno la febbre. "L'emozione," dice Claudio. "L'overdose," dico io. La tradizione natalizia prevede che sia io a comprare i regali. Tutti. Per Anna e Marco, per i miei, per mio fratello, sua moglie e i suoi bambini. Non solo. Anche per Claudio, per i suoi, per sua sorella, suo cognato e i loro tre figli. E come dimenticare zio Paolo, che è solo e passa il Natale con noi? Il suo unico interesse è la pesca, in compenso adora i cioccolatini, ma solo quelli fondenti, quelli belgi che si trovano esclusivamente da Peck, nel brulicante centro di Milano. Solo se - e sottolineo il se - non se lo dimentica e se i negozi restano aperti fino a un'ora che gli è comoda, Claudio compra un regalo per me. Di solito un profumo. Sbagliato. Da vent'anni uso l'Eau D'Issey, ma lui non se lo ricorda. Mai. Comunque, mentre andiamo in macchina a casa dei suoi, regolarmente mi domanda: "Allora, per papà cosa abbiamo preso?". Il classico "noi" coniugale che significa "tu da parte mia". Inutile aggiungere che i regali non mi limito a comprarli: sono sempre io che li impacchetto, scrivo i biglietti, li nascondo. Sempre. Infatti il 24 sono stremata. Claudio intanto gestisce le pierre della famiglia, passando da un aperitivo natalizio all'altro. Ma la beffa è che ogni anno, quando i regali vengono aperti, sua madre si rivolge a lui e, con sguardo sognante e la lacrima pronta a rotolare giù, dice: "Oh, Claudio! Non avresti dovuto darti tanto disturbo". E lui si commuove. Settimana bianca Lei Sembra impossibile, ma siamo arrivati in montagna. Sono già esausta e la prospettiva di una lunga settimana sulle piste da sci mi sprofonda nel terrore più cupo. L'idea della preparazione mattutina, della corsa all'affitto degli sci e della coda per l'acquisto dello skipass, è tollerabile solo in vista della consegna dei bambini al maestro di sci. Peccato che tutto ciò debba avvenire entro le nove del mattino. Poi, io sarei pronta per tornare a letto. Purtroppo, però, la realizzazione del mio sogno è intralciata da Claudio, che avendo scoperto lo sci in età adulta vive ancora l'intera esperienza con l'eccitazione e l'instancabilità di un bambino di sei anni: gli impianti li chiude lui. Ma tutto questo a partire da domani. Per ora devo semplicemente riprendermi dalla partenza. Come al solito. Perché naturalmente l'incubo non è stato il viaggio in sé: tre ore di vomito alternato di Anna e Marco in fondo ormai sono una passeggiata. E la partenza che ogni volta mi uccide. L'operazione del caricare la macchina richiede minimo due ore. Nella prima ora Claudio compone un simpatico puzzle di roba per bambini nel bagagliaio (credo che Maria Antonietta viaggiasse più leggera di Anna). Poi prova ad aggiungere - imprecando - tutto il resto. Toglie e rimette. Rimette e toglie. Sperimentando ogni combinazione possibile e immaginabile. Quindi mi chiama, gridando che non si parte più.
Questo succede immancabilmente. Nessuno ci crede, ma lui replica con convinzione sempre lo stesso copione. Io allora devo scaricare tutti i bagagli e ricaricarli in modo razionale. Mi basterebbero tre minuti, ma non posso umiliarlo così platealmente e quindi tergiverso un po', fingendo delle difficoltà che almeno in parte riescano a mitigare la sua frustrazione. Ed è qui che comincia la ricerca della chiave della macchina. "Dove l'abbiamo messa?" Dal momento che la macchina è sua, la domanda andrebbe posta utilizzando il singolare, ma normalmente sorvolo con eleganza. Dopo una perquisizione metodica dei cassetti di casa, e aver sfoderato una conoscenza approfondita dell'intera Sacra famiglia fino alle terze generazioni, Claudio ritrova la chiave nella tasca della giacca. Mi ordina di far salire i bambini in macchina subito, ma poi traffica venti minuti per "accertarsi" di aver preso il caricabatteria del telefonino che è sicurissimo di aver messo dentro lo zainetto posizionato in fondo al bagagliaio. Segue furioso scaricamento e ricaricamento delle valigie e delle suppellettili varie. Finalmente tutto è ammucchiato a casaccio dentro il bagagliaio e quel che rimane fuori viene infilato a forza in ogni spazio disponibile davanti e dietro: doposci e caschi, bottigliette d'acqua e panini per il viaggio, copertina di Linus e pigiami. Nel frattempo, da ore legati al sedile posteriore, Anna e Marco iniziano un benevolo bisticcio che degenera puntualmente in una rissa furibonda. Li placo allungando una tavoletta di cioccolato e loro subito impiastricciano tutto, in particolare il giaccone di Claudio... Lui Lo sapevo. È toccato ancora a me. Il tapiro. No, non quello vero, il nostro tapiro familiare. Spiego. Un paio di mesi fa ricorreva il compleanno di Anna. E fin qui. Quest'anno ha espresso il desiderio di festeggiarlo con tutta la sua classe. E fin qui. Preferibilmente al bowling di via Padova. No, fin lì? Non pensavo esistessero luoghi simili. Un arredo postmoderno tra il pop e il Kitsch stile Ikea, però in alluminio. Luci da discoteca vintage tipo stroboscopiche ma virate al country, con faretti multicolori da festa di paese. Insomma, un orrore. Il prezzo forfettario della festa prevedeva anche un simpatico regalo finale alla festeggiata e uno a sua madre da parte del bowling medesimo (scopro tra l'altro dalla fattura che il proprietario era proprio Bowling, Antonio Bowling, detto "'O strike" per la sua facilità nel fare a botte e stendere gli avversari con un solo colpo). Il tulipano di vetro destinato a Sandra è finito nel cassonetto (differenziato, ovviamente) prima ancora di passare da casa. Tento quindi di descrivere il simpatico gadget omaggiato alla festeggiata. Una statuetta in ceramica alta circa venti centimetri raffigurante un angelo poggiato su di un trespolo in posa da civetta, con colori che vanno dal rosa pastello al pervinca pastello fino al pastello pastello. Le uniche note di (vero) colore sono le ali di un rosso sgargiante tendente al blu cobalto sgargiante fino al fucsia megaultra sgargiante (tipo pantaloncino elastico da ciclista della Mercatone Uno). Ma, attenzione!, potevano le suddette ali essere di ceramica come il resto della statuina? Certo che no. Sono ali in metallo
stampato male e fissate alla schiena dell'angelo con una sottile molla che le fa vibrare al minimo spostamento d'aria. La bimba, che di suo è timida e riservata, se l'è tenuta in camera per una settimana, poi, dopo essersi ripetutamente tagliuzzata i polpastrelli, è scoppiata in lacrime urlando: "Non la voglio la statuetta ! Mi fa male! Mi fa paura ! Mi fa schifo!". Bene, è diventata il nostro "tapiro". Ci sembrava che buttarla via avrebbe portato male (perché poi?) e d'altronde lasciarla in carico ad Anna avrebbe potuto presto condurla all'isteria (una bambina così tranquilla). Dunque, a turno, se la becca chi di noi quattro fa o dice qualcosa che dagli altri è considerato scorretto, disdicevole, sconsiderato. E questa volta è toccata a me, solo perché, pronti a partire per la settimana bianca, con tanta roba che basterebbe pure per il mese azzurro, l'anno verde, il lustro porpora... mi sono permesso di controllare se avevo preso il caricabatterie. No. Non mi sembra giusto, però ho già pronta la contromossa: mi tengo l'orrida statuetta per tutta la settimana in cui siamo in albergo, ma appena torniamo a casa farò notare il mio giaccone (semi)nuovo con la sua bella patacca di cioccolato che con la signorilità che mi contraddistingue ho fatto finta di non vedere. Se non salta fuori il colpevole (e data la proverbiale omertà della mia famiglia, è l'ipotesi più probabile) una settimana cadauno di tapiro alato non gliela toglie nessuno. Ah, ah! "Lassù sulle montagneee, tra boschiii e valli d'ooor!" La dura vita dell'artista Milano, 12 febbraio 2005 Cara Carla, non ne posso più. A sentire Claudio, il suo è un lavoro faticosissimo, senza orari, con spostamenti continui che lo costringono a pernottare in alberghi sempre diversi, a mangiare in ristoranti sconosciuti. "Una vita d'inferno!" dice lui. Una figata, penso io. Quando ci telefona da un set cinematografico dice sempre che è a pezzi, il letto è scomodissimo e i cestini del catering lo stanno facendo ingrassare. Al suo ritorno, però, scopro che - chissà come - è riuscito a trovare il tempo per andare al cinema e vedere tutti i film in circolazione, giocare regolarmente a tennis e farsi nominare socio onorario del locale Tennis Club. E poi il suo è un mondo fatto di relazioni, cene e riunioni, telefonate fiume e chiacchiere durante la pausa colazione. Insomma, un incrocio incessante di persone, volti e parole. Così, appena rientra a Milano, comincia la clausura. E tutti noi dobbiamo assecondarlo, cancellando qualsiasi attività sociale avessimo mai pianificato. Per non parlare poi delle donne... Passi per la moltitudine di sinuose mannequin e fotomodelle con gamba affusolata, sedere marmoreo e tette autoreggenti che popolano giornali, riviste, spot pubblicitari e telegiornali. Finché se ne stanno lì, riesco a tenere botta. Il problema, però, è che essendo ovunque - in televisione, al cinema, sui giornali, nella mia città, nel mio ambiente di lavoro - sono anche nel mondo di Claudio. A questo non ero pronta. Diciamocelo: l'avrei messo in conto se avessi sposato Brad Pitt. Ma il dramma vero, Carla, è che quelle lì me le ritrovo anche per casa. Belle da metterti in soggezione, tanto da non riuscire a negare loro nulla. Qualsiasi cazzata dicano, annuisco convinta: come potrebbe, un simile miracolo della natura, non avere ragione? Anna e Marco
le fissano in adorazione; la donna di servizio mi ignora ed esaudisce, anzi anticipa, ogni loro desiderio. Unico dato positivo: i vicini hanno smesso di essere scorbutici. E Claudio mi prende in giro, dice che sono gelosa... Non credo di avere tutti i torti: andare in giro con lui è diventato un inferno. Entriamo in un qualsiasi ristorante e, immancabilmente, il cameriere gli chiede: "Ma perché non è venuto con Michelle o con Vanessa?". Be', vorrei dire, mi spiace, ma perché ci sono io, no?! E Claudio che fa? Sorride. Dice che "magari la prossima volta...". Insomma, tu cosa ne pensi? Credi che dovrei anch'io provare - come sostiene lui - a "fare gruppo" e a "creare un clima positivo"? E dove? All'Associazione genitori della scuola dei bambini? Mah... Baci Sandra Raffreddore Lui Tutto è iniziato tre giorni fa. Ero andato a raccogliere le olive... In Toscana abbiamo una sessantina di piante e ci produciamo il nostro olio. Che ci costerebbe meno se lo comprassimo dal più caro produttore del mondo, viaggio aereo compreso, ma vuoi mettere... la soddisfazione di seguire la pianta che, potata e concimata a dovere, dà il suo bel frutto, che maturato al punto giusto, raccolto e franto dà la sua goccina di olio... è impagabile. Solo che ci vuole qualcuno che faccia tutte queste cose. E se per la potatura e la concimazione abbiamo un omino esperto, per la raccolta e la frangitura non vogliamo delegare nessuno. Continuo a usare il plurale a sproposito, diciamo che è un plurale maiestatis (si dirà poi così?), insomma, quel "noi" va letto come un "io", perché in quelle poche settimane della raccolta delle olive la mia amata metà ha sempre cose più importanti da fare. Morale, l'oneroso onore tocca sempre a me. Ma quest'anno è stata più dura del solito. Ho dovuto zigzagare tra le date di una tournée teatrale che mi ha portato da Trieste a Terni, da Recanati a Imperia, e incastrarci la raccolta delle olive. Te la faccio breve: nell'unica giornata possibile c'era il diluvio universale e la protezione civile era in stato d'allerta per Tevere in piena e Bisio sull'albero. Anch'io, come tutti gli eroi, ho il mio tallone d'Achille: la gola. Grazie a una madre correttamente conservativa contro tutte le teorie (e pratiche) anni sessanta, che vedevano nella tonsillectomia una tappa fondamentale della crescita del bambino, ho ancora le tonsille. La posizione di mia madre era molto semplice: "Se ci sono, a qualcosa serviranno"... Più pragmatica che ideologica. E io le sono riconoscente per questa scelta. Non mi ha fatto togliere nessun pezzo di carne - che poi era carne della sua carne, fra l'altro partorita con dolore. Insomma, sono uno sano, sto bene, sono un ottimista... ma quando mi prende la gola è la fine. Ormai lo so. Mi conosco. Inizia che sembra un semplice raffreddore, però lo sento quel pizzicorino in gola che la mattina dopo mi porterà le placche e la febbre alta. L'altra notte sono tornato a casa in condizioni pietose, ho persino faticato a svegliare la mia mogliettina che, sembra lo faccia apposta, quando c'è un'urgenza le prende sempre il sonno pesante. Per fortuna, una volta sve-
glia, non ha potuto non rendersi conto della gravità della situazione: sono tre giorni che mi cura come si deve e ora finalmente sto davvero bene. Sono solo un po' debole... "Sandra, mi porti il televisore vicino al letto che sta iniziando la partita! Sandraaa!" Lei Per ore avevo finto di non accorgermene. Claudio continuava a rigirarsi nel letto senza la minima discrezione, anzi, con il palese intento di svegliarmi senza essere costretto a chiamarmi. Ho tenuto duro. Poi, alle tre del mattino, ha ceduto. Ha acceso la luce e con gli occhioni da bue a due centimetri dal mio naso, ha detto: "Sto malissimo". Inizia sempre così. Di norma è un raffreddore. Mal che vada, la solita influenza stagionale. Da quando lo conosco non ha avuto altro. Ma basta e avanza. Secondo lui, dovrei balzare giù dal letto, indossare il camice, infilarmi guanti di lattice e mascherina verde, trasformare la camera da letto in una stanza sterile perfettamente attrezzata del reparto di terapia intensiva. Era evidente che si trattava di un semplice raffreddore, ma non potevo dirlo. Adesso poi che c'è la sindrome da pandemia, era ovviamente certo di essere il primo uomo in Europa ad aver contratto il virus H5N. Non credergli sarebbe stato come mettere in discussione la sua intelligenza e il mio amore per lui, sottovalutare la gravità della cosa e ambire a rimanere vedova. Significava essere un'egoista senza ritegno e macchiarsi del grave reato di omissione di soccorso. Da manuale è scattata l'adozione del tono da mamma. Ma non di una mamma qualsiasi, no. Della sua. E poi l'erogazione di una serie di rimedi casalinghi: tisana, polentina di semi di lino per sciogliere la tosse, spremuta d'arancia per la vitamina C, vapori balsamici e oli essenziali. Ma non è bastato. Lui è convinto che omeopatia, fitoterapia e rimedi della nonna siano efficaci solo per malattie di poco conto: cioè quelle degli altri. Secondo lui, i suoi raffreddori richiedono necessariamente gli antibiotici, perché potrebbero evolvere in polmoniti fulminanti. Oppure scatenare una serie di reazioni a catena che determinerebbero il distacco della retina o della prostata. Allora sono passata al tono di "quella che sa". Quella competente. All'inizio si è rilassato. Era ciò di cui aveva bisogno: una decisa ed energica infermiera stile Misery non deve morire. Ma, ovviamente, il raffreddore non passa nel giro di un'ora e quindi ricomincia la solfa. A quel punto mi sono giocata l'ultima carta, quella dell'insulto. Ha reagito lamentando la scarsa comprensione, ricordando le promesse fatte davanti alla vicesindaco scollacciata ("Nella buona come nella cattiva sorte"), recitando la parte del malato gravissimo, poi ha improvvisato un finto svenimento. Io ho abboccato. Ho rinunciato definitivamente al sonno, accantonato lavoro, impegni e tutto il resto. L'ho curato. Non ho fatto altro per tre giorni, alla fine dei quali lui si è rialzato garrulo e sereno. E io sono crollata. Ovviamente sola, ingurgitando i miei granuli omeopatici come fossero mentine. Weekend intelligente
Lei Sono in treno. Sto rientrando da Venezia con Anna (che ronfa serena e stremata). Ci siamo fatte un weekend di sole ragazze: bellissimo. L'idea è stata mia. Quando si hanno due figli non è per niente semplice riuscire a dedicare le giuste attenzioni a ognuno dei due. "Perché non organizzare un fine settimana divisi?" ho detto l'altra sera. Claudio ha accettato. io ho proposto ad Anna di andare a Venezia, dove lei non era mai stata; Claudio invece ha convinto Marco (che puntava a Londra o Barcellona) a restare a Milano, ma a girarla tutta, "dal Cenacolo alle palle del toro in Galleria, dalle guglie del Duomo alla Loggia dei Mercanti, dal Panino giusto al Castello Sforzesco". "Il Panino giusto?" ho ripetuto io incredula. "Bisogna mescolare il sacro al profano," mi ha spiegato Claudio con convinzione. "E i simboli sono simboli. Non si discutono." Il nostro weekend è stato stancante ma bello. Abbiamo girato Venezia in lungo e in largo, tra calli e campi, ponti e chiese. Siamo arrivate al tramonto, Anna non credeva ai suoi occhi: era proprio come le avevo detto, con i vaporetti, le gondole e tutto il resto. Dopo esserci fatte una doccia e preparate con calma (mascara e lucidalabbra anche per la ragazzetta), senza l'assillo degli uomini di casa, siamo andate al ristorante. io mi sono fatta un bel cicheto e un paio di sarde in saor come antipasto, poi un risotto al nero di seppia innaffiato da un fantastico prosecco. Anna era disgustata dai miei denti neri, e quando sono uscita lievemente barcollante ha subito telefonato a Claudio: ma per fortuna il cellulare era staccato. Il giorno dopo l'ho svegliata di buon'ora: "Forza! Mettiamoci in moto, abbiamo un sacco di cose da vedere!". Prima di affrontare la lunga marcia, ho cercato di chiamare Claudio, ma invano. Probabilmente anche loro erano già per musei. Siamo andate in piazza San Marco, ho portato Anna alla basilica e a Palazzo Ducale, siamo salite sul Ponte dei Sospiri e le ho raccontato la leggenda da cui ha preso il nome. E naturalmente non potevamo non andare alla Scuola grande di San Rocco e al Ghetto. Da brave turiste abbiamo fatto il giro del Canal Grande su una gondola provvista di un loquacissimo gondoliere che, invece di corteggiarci come da contratto, ci ha spiegato tutto (ma proprio tutto) del suo mezzo: dal peso agli otto tipi di legno utilizzati per la costruzione, dall'inclinazione alle felse, una sorta di copertura per proteggere gli amanti da occhi indiscreti... Sono riuscita a interromperlo solo quando siamo passate sotto il Ponte di Rialto. Poi tappa alle Mercerie per un po' di sano shopping: c'è voluta più di un'ora per trovare la maschera giusta per Anna... Infine, abbiamo chiuso la giornata con la romantica passeggiata delle Zattere (dietro promessa di un gelato gianduia e panna). Anna era cotta, l'ho riportata in albergo a braccia. Non si è svegliata nemmeno per cenare. E ora eccoci qui, arrivate quasi a Milano. Sono proprio curiosa di sapere che cosa hanno fatto i ragazzi... Lui
Sandra a volte è geniale e imprevedibile. Le voglio bene, anzi la amo, anche per questo. Qualche giorno fa ha proposto di dividerci per un fine settimana, lei con Anna e io con Marco. Loro sarebbero andate a Venezia. E noi? Marco ha provato a buttar lì Londra, Barcellona... Quando ho capito che la successiva sarebbe stata Las Vegas, l'ho fermato. Saremmo rimasti a Milano, a scoprire la nostra città. Prima di tutto abbiamo spento il cellulare per non avere la tentazione di chiamare o di rispondere ad amici che avrebbero potuto fuorviarci. Il telefonino è la nostra moderna sirena di Ulisse, e noi dobbiamo avere il coraggio di farci legare per resisterle... sono frasi di Sandra che io condivido in pieno ma sulle quali quando sono con lei, chissà perché, mi sento in dovere di fare dell'ironia, così, per puro spirito di contraddizione. Ma perché non trovo mai il coraggio di dirle quanto mi abbia cambiato la vita, quanto sia fondamentale nella crescita dei bimbi, quanta serenità mi abbia regalato? Perché noi uomini abbiamo un senso del pudore così forte da rasentare l'omertà? Be', tornando al nostro weekend, il venerdì sera abbiamo fatto tutti i compiti per la settimana successiva. Per addormentarci, anziché contare le pecore, abbiamo ripassato le tabelline, come un mantra. Divertentissimo. E istruttivo. Sabato siamo andati a vedere il Cenacolo, e poi Torre Velasca, Duomo, Castello Sforzesco e Mura Spagnole. Nel pomeriggio, mostra degli espressionisti a Palazzo Reale. Di fronte alla Natura morta con agnello morto di Kokoschka, Marco ha esclamato: "Mamma, che impressione!, sono proprio impressionisti". "No," l'ho corretto io. "Questi sono gli espressionisti." "Ah, d'accordo," fa lui. "Mamma, che espressione!" Quanto abbiamo riso. Il giorno dopo è stata la volta della gita fuori porta: abbazia di Chiaravalle, Certosa di Pavia, giro in bicicletta nel parco del Ticino e per cena un bel pesce al vapore facendoci una lunga chiacchierata tra uomini, dove - finalmente a tu per tu, liberi dalla presenza indiscreta delle femmine - sono riuscito a fargli un discorso schietto su amore, sesso, prevenzione, malattie veneree, rispetto della donna... Non sarò mai abbastanza grato a Sandra per l'opportunità che mi ha dato. A proposito, chissà la nostra metà del cielo cos'ha fatto? Milano, 15 aprile 2006 Caro Gigio, disastro! Sandra legge il mio diario. Da tempo lo sospettavo, ma ora ne sono certo. Ho messo un capello (non mio, ovviamente) a sigillo del quadernetto e non l'ho più trovato. E un metodo di indagine infallibile. L'ho letto sul Manuale delle Giovani Marmotte. Ma io sono più furbo di lei. Marco e io abbiamo passato un weekend chiusi in casa a mangiare Speedy pizza e giocare alla PlayStation (se ti capita, prova Grand thief auto. La grafica è davvero eccelsa). Siamo finalmente riusciti a portare a termine un intero campionato di Proevolution Soccer. Andavamo a letto alle tre e ci alzavamo a mezzogiorno facendo colazione sotto il piumino... Uno sballo. Diciamo che nel diario (che lei leggerà) ho lievemente edulcorato la realtà. Ti abbraccio (piano, perché a forza di darci con il joypad mi fa ancora male l'avambraccio) Claudio
Vasco Lui Sono anni che inseguo Vasco. Nel frattempo i figlioli crescono e cominciano a conoscere alcune canzoni del Blasco a memoria, grazie a un cd quasi perennemente inserito nell'autoradio. E se la bimba preferisce le melodiche Sally e Silvia, il piccolo se potesse bloccherebbe il repeat su Buoni e cattivi. L'unico modo per accontentare tutti è mettere Albachiara. Se aspetto un altro po' ci andranno loro a un suo concerto, e io rimarrò ancora a bocca asciutta, penso mentre leggo sul giornale la data fatidica: "Sabato 15 settembre, stadio Dall'Ara, Bologna". Siamo in zona compleanno-di-Sandra, che da anni mi tormenta perché la porti a un concerto di Vasco. Quale regalo migliore? Due telefonate ed è fatta. Con cosa si va a Bologna? In macchina, che bisogna lasciarla in un parcheggio lontano e poi al ritorno non si trovano i taxi? In treno, che dopo una certa ora non ce ne sono più? Certo che no. Si va in moto! "Ma caro, hai quasi cinquant'anni!" "E allora? Vasco quanti ne ha?" "Cosa c'entra, lui canta!" "E io guido!" Lo so, non è una gran risposta, ma ormai è deciso: moto. Il viaggio d'andata è una passeggiata, ci becchiamo pure il tramonto sulla pianura Padana, che non sembra ma ha il suo fascino. Comincia il concerto e... sai dove ci mettono? Hai presente sotto al palco, dove stanno il servizio d'ordine, i fotografi accreditati e gli amici? Be', lì. Sentendo l'invidia e forse anche l'odio di quelli oltre la transenna, a pochi centimetri da me, che probabilmente erano lì dalla mattina, comincio a godermi lo spettacolo. Poi mi cade l'occhio su un ragazzo che dà le spalle al palco, e tuttavia segue in perfetto sincrono tutti gli spostamenti di Vasco, anche quando corre lungo le due pedane che si protendono in mezzo al pubblico. Mi affascinano i suoi movimenti: a volte leggiadri, quasi una danza, altre volte scatti da velocista (e comunque, tenuto conto della durata del concerto, mi viene da pensare più a un maratoneta). Non capisco come faccia a seguire Vasco come un'ombra, anzi ad anticiparlo... poi capisco: segue l'occhio di bue (che infatti si chiama anche "seguipersona"). E osserva, scruta, protegge. A un tratto spicca un balzo felino e si lancia sul bordo del palco dando delle gran manate a qualcosa che brucia: era una semplice stellina di Natale. Il ragazzo-chesegue-il-seguipersona si fa gettare dell'acqua sulle mani che fumano e fanno "cssssss", come in un fumetto. Si guarda le bruciature, poi alza gli occhi al cielo. Tipo padre Pio. Finito il concerto, grazie ai miei intrallazzi arriviamo al camerino del signor Rossi, ma non un Rossi qualsiasi... "Quel" Rossi lì. Ci guardiamo negli occhi, di cosa parliamo? Di musica, di teatro, di televisione, del mio o del suo lavoro? No, di moto. E la mia rivincita. Guardo Sandra come per dirle: Hai visto?, lui non canta soltanto, va pure in moto! E se vuoi saperla tutta, anch'io non vado solo in moto, canto pure! E ci ho la sua stessa età. Poi, gasato, inforco la mia dueruote e imbocco la via del ritorno - molto più lunga dell'andata anche perché solo a Roncobilaccio capisco di aver preso la direzione sbagliata. E insomma, per una notte, durante quel lunghis-
simo viaggio interrotto da soste-caffè a ogni autogrill, tra birre, Camogli e ragazze che fischiettavano Toffee, mi sono sentito davvero vent'anni di meno. PS Ci metterò un mese a riprendermi da quel viaggio, ma questo a Sandra non va detto. E neanche a Vasco. Lei Se i buddisti hanno ragione e ci sarà una prossima vita, io voglio essere una rockstar. Senza figli, ovviamente. Senza quella maledetta cartina di tornasole che possono essere due ragazzetti, sì adorabili, ma fin troppo sinceri. Sarò amata, adorata, osannata, reclamata, protetta, viziata, cercata, idolatrata. Dalla vita spericolata, oltretutto. Anche se già un viaggio in moto alle due del mattino da Bologna a Milano a metà settembre si può tranquillamente definire "spericolato". Forse no, la definizione corretta è "azzardato". Un'inutile provocazione al fato. Siamo andati al concerto di Vasco. Io e Claudio. In moto. Io la odio la moto. Mi fa paura. Soprattutto se guidata da uno che racconta di "essere stato un motociclista", quando invece secondo me ha scoperto questa passione in tarda, tardissima età. Chiamasi crisi da andropausa. Ognuno la gestisce come può. Chi con il Viagra, chi mollando moglie e figli, chi scorrazzando con una moto. Messa così, la moto mi era sembrata il male minore... Siamo partiti. Il viaggio verso Bologna è stato abbastanza piacevole, ma il ritorno... Dopo aver visto a un metro di distanza il mio mito adolescenziale Vasco e cantato a squarciagola il repertorio, ho passato due ore e mezzo aggrappata con le unghie alla schiena di Claudio sussurrando la cinquettiana Non ho l'età. Non si sa mai, non volevo scatenare l'ironia degli dèi, che solo per il gusto dell'inutile provocazione avrebbero potuto causare un precoce assideramento o un maledetto colpo di sonno (e conseguente caduta dalla moto). Il sacrificio è servito. Ce l'abbiamo fatta a tornare a casa. Claudio, stremato, è collassato a letto. Io mi sono fatta una doccia canticchiando Bollicine e Vado al massimo. Poi, ancora nel mood molto "giovane" della groupie fuori tempo massimo, ho indossato una minigonna che giaceva abbandonata da anni nell'armadio. Ho svegliato i bambini con l'aria della mamma-per-caso e sono corsa a preparare la colazione. Gasata. Sì, un po' sfatta e reduce stile Siamo solo noi, ma insolitamente cinguettante. E bastato un attimo. Anzi, sono bastati uno sguardo e un casuale commento assonnato di Anna per smorzare ogni entusiasmo e illusione. "Mamma, che ti è successo? Sei cresciuta!" ha detto, ignara dei milioni di euro che io, da quel momento in avanti, avrei iniziato a versare a un analista." Questa gonna ti sta veramente troppo corta..." Stramilano Lui L'ho fatta. Non una Stramilano qualsiasi. No, la prima. 1971. "Non hai il fisico," mi dicevano tutti con un sorriso ironico. "Quello che conta è la volontà," rispondevo io. Ricordo ancora il momento della partenza. Ero il numero 610. "Seicentodieci," dicevo io. "Sei uno zero," dicevano gli altri. Una sensazione stupenda. Uomini, donne, bambini, vecchi che nem-
meno si conoscevano... tutti insieme, uniti per una marcia non competitiva. "Non importa quando arrivi, basta arrivare," ci ripetevamo tra di noi per rincuorarci. Sono cose che fanno bene. Ti risollevano il morale. Eravamo in 4508. Quattromilacinquecentosette scattarono al via come cani dietro una lepre. Allora volete la guerra, pensai, e mi misi al loro inseguimento. Corsi, spinsi, calpestai. Al quarto chilometro ero tredicesimo. Avevo davanti due del Kenya, un marocchino, un senegalese, tre tunisini, due egiziani e un nigeriano. E due di Bergamo. Ma potevo considerarmi terzo, visto che i primi dieci non avevano il numero e correvano solo perché pensavano di essere inseguiti dai due di Bergamo. Fu il rifornimento a fregarmi. Mi diedero un limone, dello zucchero e del succo di frutta. Io invece avevo ordinato pizzoccheri in salsa di noci, stracotto d'asino, scamorza al forno, frutta, amaro, caffè e un tavolo all'ombra. Discutemmo a lungo. Il maitre (lui voleva che lo chiamassi "commissario di corsa") fu irremovibile. Ripresi a correre, ma i primi erano ormai lontani. "Non hai il fisico!" "Sei uno zero!"... Queste parole mi risuonavano in testa quasi a scandire il ritmo della corsa. Mi guardai intorno. Nessuno ce l'aveva, il fisico. Non c'erano più begli atleti magri e muscolosi, armoniosi come gazzelle, falcate ampie, muscoli tesi e volti lucidi di sudore... epigoni degli eroi greci. Se n'erano andati avanti, a combattere la loro battaglia. Di fianco a me c'erano solo pance, gambe, culi che di eroico non avevano niente: l'altra faccia dell'atletica. Non vedevi un muscolo in giro nemmeno a pagarlo. Era solo carne, grasso, ossa, sudore. Un ballo infernale. Non bello da vedere. E difatti cercavo di non guardare. Non è facile correre in un ambiente così. Proseguii stringendo i denti e chiudendo gli occhi. E corsi, corsi, corsi. Mi fermò una voce fredda che mi diceva: "Niente da dichiarare?". Stavo già per rispondere: "Sì, è stata dura, ma ce l'ho fatta...", quando aggiunse: "Favorisca il passaporto". Era un doganiere svizzero che non voleva assolutamente essere chiamato "commissario di corsa". Si sfiorò l'incidente diplomatico. Caro diario, so che tu sei fondamentalmente sedentario, ma se domenica 4 aprile ti capiterà di passare da viale Tibaldi e di vedere qualcuno seduto a un tavolino all'ombra che, mangiando pizzoccheri in salsa di noci, stracotto d'asino, scamorza al forno, frutta, amaro e caffè, sussurra sprezzante a tutti i passanti: "Non hai il fisico. Sei uno zero"... sappi che quello sono io. Lei Domani è il compleanno di Claudio (cinquanta, sì, cinquant'anni) e mi ci sono voluti arrovellamenti di non poco conto per trovare l'idea regalo... I bambini spingevano ovviamente verso un acquisto da palese conflitto d'interessi: Marco: "Un iPod". "Ma se ce l'ha già..." "Sì, però io no," mi faceva notare lui. "Allora un abbonamento a San Siro per vedere le partite del Milan." "Ma se non ci va mai..." "Sono certo che gli piacerebbe e... anche a me! Oppure un pc." "Ma se lui usa solo Mac..." "Sì, ma un sacco di giochi - anche istruttivi, eh, mamma? -su Mac non girano." "Giochi?" "Sì, il papà li adora," insisteva subdolo. Anna: "Un cavallo". "Un
cavallo? Ma sei matta? E poi il papà non fa equitazione." "Ma potrebbe sempre iniziare..." suggeriva lei dalla sua camera tappezzata di poster equini. "E un motorino?" "Ma perché? Ha già la moto!" "Perché forse uno scooter più tranquillo potrebbe sempre fargli comodo," insinuava la ragazzina in procinto di raggiungere la fatidica età di accesso alle due ruote. Insomma, non se ne veniva fuori. Chiedere a Claudio sarebbe stato un disastro. Oltretutto, in quest'ultimo mese è stato insopportabile. Sentendosi sfuggire tra le mani gli ultimi scampoli di giovinezza, e dovendo affrontare il fatidico passaggio, si è aggrappato ai ricordi... A nulla sono valse le mie rassicurazioni: "Sei più interessante adesso di vent'anni fa". "Lo dici solo perché mi ami." Effettivamente... perché se no? "Sharon Stone e Madonna compiono cinquant'anni l'anno prossimo e già progettano feste memorabili." "Insieme al loro chirurgo plastico?" Non c'è stato verso. Lui generalmente così positivo, lui che vede sempre il bicchiere mezzo pieno, proprio non ci riesce a farsene una ragione. Ma il peggio è stato la litania dei ricordi. E mi riferisco in particolar modo alla sua Stramilano, quella del 1971. Ce l'aveva già raccontata, la leggendaria impresa. Ma nell'ultimo mese ogni possibile riferimento - seppur vago - diventava occasione irrinunciabile: una fettina di limone trovata in frigo era lo spunto per parlare del piacere incommensurabile che può dare in situazioni estreme come quella. Anna doveva ripetere storia? "Stai per caso studiando i greci? Ci siete arrivati al concetto di maratona?" Insomma, uno sfinimento. Anche perché, col tempo, il racconto aveva a poco a poco trasformato un evento personale - in verità abbastanza imbarazzante - in un'epopea, che non corrispondeva in nulla alla realtà. Quando poi ieri si è palesato con calzoncini corti e canotta, deciso ad avviare una preparazione atletica che lo portasse a bissare la prodezza a distanza di oltre trent'anni, mi sono sentita male. L'ho visto cianotico e agonizzante, stile Morandi all'arrivo a New York. Ho provato a spiegargli che rischiava di lasciarci le penne. E lui ha citato Linus. Che non so quanti anni abbia, ma mi sembra di capire che passi la vita a correre. Claudio no. Dovevo entrare in azione io. E la mia unica possibilità era stimolargli una nuova passione, più consona all'età. Scartati ramino e tressette, acquerello e ceramica, Carla mi ha dato la soluzione: un bel corso di cucina. Prenderò due piccioni con una fava: evito l'infarto al marito e appendo il grembiule al chiodo! La figlia cresce Lui Caro diario, con te posso esprimermi liberamente e consegnarti tutte le mie paure più nascoste, e anche quei pensieri non troppo "politicamente corretti" che difficilmente confesserei ad anima viva. L'altra sera, io e Sandra eravamo in quel torpore che precede il sonno ma che basta una carezza, un massaggino alla schiena "che mi fa molto male... ecco, lì... no, più giù..." per far degenerare una tipica situazione SD (sweet dreams) in un'altra HN (hot night). Insomma, con il desiderio che aumentava proporzionalmente all'attivazione del sis-
tema meccanico-idraulico, nel bel mezzo di una crescita globale, rilevata da tutti i sismografi subalpini e dai satelliti a scansione termica, quindi sicuramente anche da lei, Sandra se ne salta su con questa frase sibillina: "Certo che anche Anna sta proprio crescendo...". Il cuore ha smesso di pompare sangue verso i corpi cavernosi per convogliarlo tutto al cervello. Ho avuto un piccolo mancamento, non rilevato solo perché ero sdraiato. Qual è il nesso tra i nostri pre-preliminari (bruscamente interrotti) e l'eventuale crescita (ancora tutta da dimostrare) della piccola Anna? Quali perverse associazioni mentali ci hanno portato da una situazione ultra-adulta, potenzialmente X-rated, al pensiero di uno scricciolo innocente, puro come l'acqua di sorgente, che ha appena perso un ennesimo dentino che il solerte topolino ha scambiato con cinque euro? (Che fra l'altro, cacchio, sono diecimila lire del vecchio conio!) Vorrei proprio conoscere i passaggi mentali, logici o illogici, che hanno condotto a quella frase... Solo in un telefono senza fili praticato da sordomuti in vena di scherzi si può passare in modo così repentino di palo in frasca. E qui non stiamo parlando di Roma o di Toma, ma di MIA FIGLIA! Mentre tutti questi pensieri si rincorrevano tra le anse del mio cervello, sono riuscito con una calma che non credevo di possedere e un tono di voce senza intenzioni (a volte mi dimentico di essere davvero un ottimo attore) a dire semplicemente: "Uhm, crescendo?". Non l'avessi mai fatto. E partita una discussione infinita su donne e liberazione sessuale, maschilismo e padri padroni, frasi tipo "Ma tu oggi a Woodstock ce la lasceresti andare? Eh? E all'Isola di Wight?", "Ma da sola neanche da Tiziano Ferro la manderei... ha dieci anni!" "Undici suonati." Come una furia si è alzata dal letto, è andata nel mio studio ed è tornata gettando sul cuscino (dove fino a un attimo prima c'era la mia faccia) La rivoluzione sessuale di Wilhelm Reich, Porci con le ali di Rocco e Antonia, e altri libri da me sottolineati e commentati in altri tempi. "Ma non ti sei accorto andando in giro con lei di come la guardano i maschi, anche adulti, alcuni anche tuoi amici?" mi ha urlato in faccia. Per spirito di polemica, ma anche per autodifesa, mi sono trovato costretto a rivalutare il burqa e a giurare a me stesso di cambiare amici. Risultato: all'alba eravamo ancora in cucina a discutere di amore libero e teoria orgonica, mentre il bollitore emetteva il suo fischio d'altri tempi... "Valeriana o camomilla?" Pausa di riflessione. "Tutt'e due non si può?" Lei Ho sentito l'alluce, quello di Claudio, irrigidirsi nel momento in cui, sospirando, ho detto: "Certo che Anna sta proprio crescendo...". Eravamo accoccolati nel lettone, gambe intrecciate e tenerezza incombente. Il cambio di atmosfera si è sentito. Non solo la postura meno rilassata, ma anche il respiro sospeso: è stato quello il campanello d'allarme. E poi la voce. Un sibilo venuto da lontano, molto, molto lontano. Dal Medioevo, temo. "Crescendo?" ha sussurrato. "Be', sì. Secondo me stanno iniziando i primi spaesamenti preadolescenziali," ho proseguito io serafica, inconsapevole del dramma che stavo scatenando. A quel punto ho avvertito
il gelo e lentamente ho visto sollevarsi come d'incanto l'ipocrita velo del maschio illuminato per portare alla luce la vera essenza dell'uomo, quello delle caverne. Il talebano che si nasconde dentro ogni essere di sesso maschile, occultato da istruzione, cultura, esperienza politica e analisi freudiana, tenuto a bada più o meno bene nella relazione di coppia e nelle relazioni sociali, è esploso senza alcun contenimento. L'idea - mai contemplata prima - che sua figlia sta crescendo, e quindi avviandosi verso quel magico mondo fatto anche di sesso, lo ha letteralmente steso. Nel senso che è proprio sbiancato e svenuto. Non me ne sono accorta subito. Pensavo scherzasse. Soprattutto quando ha iniziato a parlare della possibile rivalutazione del burqa e a stilare una lista di nostri amici maschi single da considerarsi, a questo punto, infrequentabili. A nulla è valso tentare di ricordargli la sua, di adolescenza... Anzi. Direi che è stato un autogol: è proprio perché se la ricorda benissimo che è terrorizzato. La sua bambina! Quel musetto, quell'esserino ninnato e coccolato, quel sederino amorevolmente pulito e impacchettato in pannolini multistrato avrebbe preso, in breve tempo, la sua strada. Ma questo era abbastanza tollerabile. Il problema era che quella strada si sarebbe, molto probabilmente, incrociata con quella di giovani maschi. Ipotesi da non prendere nemmeno in considerazione. Da ostacolare con forza, mettendo in atto tutte le strategie possibili. Le mie proteste e i miei ricordi, la mia naturale propensione a sperare che in futuro "la dia" serenamente e consapevolmente, secondo tempi che saranno - spero - solo suoi, non hanno fatto altro che peggiorare la situazione. Un baratro. Un buco nero di ansia dalle radici molto profonde e lontane con le quali non ero pronta a confrontarmi. Ed eccomi qui, a preparare una tisana a base di camomilla e valeriana, mentre disperata mi chiedo: ma l'avranno scritto un libro sulla preadolescenza di rimbalzo dei padri di figlie femmine? Alla ricerca di Mary Poppins Lui Non riesco a dimenticarla. Sandra non lo sa, non lo saprà mai, ma da quando se n'è andata (ormai saranno dieci anni) non passa giorno che non pensi a lei. Intendiamoci, in questi dieci anni ne ho avute altre - direi una quindicina -, ma nessuna è stata come lei. Si faceva chiamare Asmait, era una etiope mulatta. Il nome è la contrazione di Axum ait che significa" Stele di Axum". Mi disse di essere la nipote di Ailé Selassié, ex imperatore d'Etiopia. E io le ho creduto. Non avevo motivo per non farlo. Suo padre (uno degli innumerevoli figli dell'imperatore abissino) all'avvento di Menghistu era stato incarcerato per parecchi anni. Lei era fuggita, aveva chiesto asilo politico prima in Inghilterra, poi in Francia e infine in Italia. Aveva un paio di fratelli in Giamaica, dove la sua famiglia era ancora molto amata. Non dimentichiamo che il Negus Neghesti (che vuol dire "re dei re") è stato anche capo spirituale dei Rastafari. E se Bob Marley e Peter Tosh adoravano suo nonno, non potevo io essere semplicemente affascinato da lei? Dal suo profilo principesco? Quando la sentivo cantare
sotto la doccia mi ricordava Sade; quando la vedevo uscire la sera, in minigonna, con un filo di trucco, pareva Naomi Campbell. E io, avrei mai potuto essere il suo Briatore? Abbiamo sdoganato Battisti, Nietzsche, Pound, Fini, Buontempo, il tricolore, l'inno di Mameli... quando ci riapproprieremo anche di "Faccetta nera, bell'abissina, aspetta e spera che già l'ora s'avvicinai"? Rivedo quegli occhi da gatta, neri e profondi, quel naso lievemente aquilino, sefardita direi, quelle mani affusolate, scattanti, nervose, con quelle unghie così ben curate... chi lo avrebbe detto che da noi cambiava i pannolini di mia figlia? Ebbene sì, Asmait è stata la nostra prima baby-sitter, fuggita in modo rocambolesco, lasciando dietro di sé una bolletta telefonica di due milioni di vecchie lire con telefonate fiume a Londra, Los Angeles, Kingston (vedi che forse aveva ragione? Era davvero la nipote del Negus e comunicava ancora con i giamaicani... da casa mia, a mie spese d'accordo, ma che importa? Non mentiva su tutto, questo importa!). Andando via avrebbe potuto anche prendere a picconate i muri, frantumare i lampadari, rubarci quei pochi soldi che tenevamo in casa, e invece no. Ha preferito andarsene così, in silenzio (tranne quando parlava al telefono. Cazzo, ho fatto il calcolo: per accumulare due milioni in un bimestre devi farne di telefonate!). A noi bastò cambiare la serratura, pagare la bolletta e aspettare che la ferita si rimarginasse. Sì, fu una ferita, anche per Sandra, ne sono sicuro. Ma non ne abbiamo più parlato. E uno dei pochi argomenti tabù tra di noi. Una ferita, dicevo, perché un abbandono è sempre un abbandono. E ti chiedi dove hai sbagliato, cosa avresti potuto fare o dire di diverso. O non fare, o non dire. Da allora ne sono passate di baby-sitter: ragazze alla pari, collaboratrici domestiche... Dalla irlandese che si perse con la carrozzina (e Anna dentro) senza avere con sé il nostro indirizzo né un numero di telefono, alla molisana che odiava il sole, il mare, gli animali (e probabilmente anche i bambini), fino alla brasiliana che studiava per diventare consulente finanziario e parlava sì in inglese ai nostri figli (come da noi richiesto) ma solo di subprime, stock exchange e dow Jones... Insomma, nessuna ha mai eguagliato Asmait. Ma ora sento che ci siamo. Mi sono ritagliato un mesetto di pausa dal lavoro, ho preso in mano la situazione e... non voglio eccitarmi per niente ma questa mi sembra la volta buona. Mi è bastato scorrere il suo book per capi... ops, hanno suonato alla porta. Il cuore mi batte forte. Dovrebbe essere lei, Samantha. Au revoir! Lei Mi ha lasciata. Così, da un giorno all'altro. Ha varcato la porta con due valigie annunciando che il nostro percorso di vita comune terminava lì. "Devo capire cosa voglio fare veramente nella vita." Non era la prima volta che venivo lasciata, ovvio. Ma la disperazione è stata assoluta. Panico. Avrei dovuto capirlo. Da un po' il nostro rapporto non era più quello di una volta. Parlavamo meno. E anche con i bambini era meno affettuosa. Che strazio. Non ne posso più delle baby-sitter. Anche se queste mitologiche chimere rappresentano il nostro
biglietto per la libertà, l'appiglio per continuare a credere che l'illusione non sia perduta, che non sia cambiato nulla. Cioè che tu, ex ragazza-in-carriera, tutta lavoro-aperitivibresaola-con-rucola, autoreggente, cinema e sesso on-therocks, attualmente madre di due figli - di fatto vedova bianca, in quanto compagna di un uomo perennemente assente -, magica padrona di casa, rappresentante di classe (ma anche membro dell'Associazione genitori e della Commissione mensa, nonché valida manovalanza alla festa di Natale e fine anno), cuoca attenta, donna informata e al passo con i tempi, sì, proprio tu, sia sempre la stessa. Quella che riesce a passare con leggerezza e soavità dal ruolo di amante-che-non-si-rende-conto-delle-ore-che-passano a quello di madre che ogni mattina si alza alle sette meno un quarto e inizia la lotta. Lotta talmente feroce per cui alle undici sei così stanca da pensare che sia quasi ora di cena. Ma le leggendarie baby-sitter spesso sono un bene teorico e un peso pratico, nella maggioranza dei casi una figlia in più. Tante, troppe, hanno attraversato la mia vita lasciando sempre un segno profondo: quello dell'assenza nel momento del bisogno. Le mie baby-sitter si sono tutte laureate, mentre io coprivo le loro assenze - ovviamente giustificatissime - facendo saltare riunioni e appuntamenti di lavoro. Le ho aiutate a uscire di casa, ad affrancarsi dai genitori e a vincere le paure garantendo loro il necessario supporto economico, spesso con prestiti ai quali non si è mai più nemmeno accennato. Ho fornito sostegno psicologico e fatto da consigliera sentimentale, curando ferite e asciugando lacrime, mentre i miei figli, invece di essere a letto, saltavano e ballavano allegramente per casa. Ho cucinato, apparecchiato e sparecchiato con i bambini che mi zompettavano intorno, mentre la baby-sitter di turno risolveva i suoi innumerevoli psicodrammi al cellulare (il mio, ovviamente). Ho organizzato le mie uscite in base al calendario di queste inafferrabili creature, slalomando tra i loro molteplici impegni: esami universitari, cene con amici, weekend lunghi, indispensabili incontri di riappacificazione con ex fidanzati, impegni al centro sociale e corso di tai chi. Per anni non sono uscita il sabato sera, perché loro esclusivo appannaggio. Le loro ferie non hanno mai coinciso con le mie: una volta sola mi sono azzardata a chiedere a Jamilah se il suo viaggio a Marrakech non potesse farlo coincidere con la nostra settimana bianca, ma lo sguardo che mi ha lanciato - stile martire legata al palo prima che accendano il fuoco - mi ha convinta che non era il caso di insistere e le ho pure pagato il volo. Ho provato extracomunitarie (dalla Somalia al Centroamerica, passando per le Filippine e lo Sri Lanka), ragazze alla pari (irlandesi, francesi, svedesi, brasiliane), universitarie e tate sarde. Mi sono affidata ad agenzie, annunci su internet, consigli di amiche-diamiche-di-amiche. Tutto inutile: nel giro di un mese finisco per essere io a occuparmi di loro, oltre che dei bambini. Claudio sostiene che non so sceglierle. Lo facesse lui il benedetto colloquio! Lui che dell'intera vicenda baby-sitter coglie solo il frequente avvicendarsi di volti e lingue diversi, nel quale si confonde e per ore parla del Guatemala a Sakij, la svedese ap-
pena arrivata, convinto che sia Rory, la messicana che se n'è andata due settimane fa, offesa perché avevo cercato di spiegarle, con tutta la delicatezza possibile, che l'abuso di peperoncino era sicuramente l'unica causa delle continue coliche di Marco, anni otto. "Ci penso io," ha detto a un certo punto Claudio. Un mese fa, per la precisione. Ancora di baby-sitter nemmeno l'ombra. Nel frattempo, sembra che a casa nostra si sia trasferito l'intero cast di Veline. L'età avanza Lui Finalmente un periodo eccezionale. Appena passati i cinquanta, sto scoprendo cosa significa vivere. Molti anni fa, quello che sto provando sarebbe stato classificato come edonismo reaganiano (perché poi "reaganiano"?). Paul Nizan ha scritto: "Avevo vent'anni. Non permetter mai a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita". Be', aveva ragione. L'età più bella della vita è la mia. Di adesso. Veramente lo dicevo anche dieci anni fa, ma questo dimostra solo il mio innato ottimismo e che per me l'hic et nunc non è una teoria ma una pratica. Oggi posso ancora avere dei sogni, anche piccoli, e realizzarli. Per esempio, ho sempre desiderato una bella chitarra acustica, ma prima non avevo i soldi per comprarla, poi non avevo il tempo per suonarla. Oggi ho tutti e due. Soldi e tempo. Mi sono comprato un'Ovation. L'altra sera ho tirato fuori i vecchi spartiti di Lucio Dalla, ho fatto riascoltare ai miei figli il vecchio vinile di DallAmeriCaruso e poi l'abbiamo cantato tutti insieme, a squarciagola. E stato uno dei momenti più intensi del mio rapporto con Anna e Marco: quando hanno capito da soli che la scelta del loro nome non era stata casuale. Al solo ricordo mi commuovo... E la luna è una palla ed il cielo è un biliardo, quante stelle nei flipper sono più di un mi liardo. Marco dentro a un bar, non sa cosa farà, poi c'è qualcuno che trova una moto, si può andare in città. Nota: devo trovare il modo di trasferire tutti i miei longplaying sull'iPod. E la moto! Da ragazzino non si poteva, era troppo pericoloso. Poi ho avuto un Morini usato, con l'accensione a spinta - ho fatto più chilometri a piedi spingendolo che in sella... Ora, dopo che l'amato Morini mi ha lasciato definitivamente, mi sono comprato una Honda con accensione elettronica, e anche una bella tuta in pelle con i rinforzi (in realtà quella me l'ha regalata un amico di un amico di Valentino Rossi)... Anzi, per essere sincero l'idea di comprarmi la moto mi è venuta dopo che mi hanno regalato la tuta. Sono fatto così, se mi regalano qualcosa per principio la uso. E dopo aver fatto il giro dell'isolato con la tuta, esserci andato a prendere a scuola i bambini - una volta me la sono messa anche per andare da Castorama -, ho capito che la morte della tuta da moto sarebbe stata una moto. Così l'ho comprata. Nuova. E sono felice. Caro diario, non pensare che io sia diventato un borghesuccio con la pancetta e un po' di calvizie (be', quella sì, c'è sempre stata, e più di un po'). Mi sento rinato anche dal punto di vista fisico. Per esempio, ho ripreso le arti marziali. Sto preparando l'esame per la cintura nera di karate che avevo abbandonato venticinque anni fa e ho conosciuto un maestro di
kung fu eccezionale. Non pensare a Bruce Lee (che fra l'altro anche la critica puzzona sta rivalutando), pensa piuttosto a Tarantino, a Hero... e poi il maestro mi ha pure invitato a un seminario di tecniche di depurazione e ringiovanimento con un naturopata, consulente olistico, che ha studiato in India la medicina tradizionale ayurvedica. Ora sto davvero bene, anzi ti devo lasciare perché ho il corso di bachata... Lei Claudio mi preoccupa. Gli sta succedendo qualcosa. Dopo anni di inattività fìsica, è tutto un andare e venire dalla palestra. Parla solo di jogging e squash. Ipotizza di riprendere karate, ma forse anche il basket. Passa intere nottate a scaricare musica, dai Nomadi ai Nirvana, dai Clash alle Vibrazioni, ai Subsonica. Ha ripreso in mano la chitarra dimenticata da secoli e, munito di spartiti consunti, obbliga l'intera famiglia a cantare "Hanno ammazzato Pablooooo"... Non solo. Compare con jeans a vita bassissima, modello inguinale, impensabili a sedici anni, figuriamoci a cinquanta con i rotolini ormai fossilizzati. Ha abbandonato i maglioncini girocollo della mamma e indossa tutto felice felpe con scritte giganti, quelle che usa suo nipote, anni quattordici. In testa non mette più i soliti berrettini di lana modello Qualcuno volò sul nido del cuculo. No, li ha sostituiti con dei panettoni modello rapper. Ha comprato un'altra moto. Ma non un comodo Vespino, un enduro. E tutta l'attrezzatura necessaria, compresa la tuta integrale, quella nera modello motociclista vikingo. Adesso sta studiando il percorso della Parigi-Dakar. Ha deciso che la danza è la sua vita e ha cominciato a prendere lezioni di balli latinoamericani, dalla salsa alla rumba, riscoprendo pure la dimenticata lambada. Improvvisamente è tutto insalatine e pesce, verdurine e fettine ai ferri, frutta e sashimi. Guarda con disgusto i fritti nella rosticceria sotto casa. Prima li adorava. Anzi, erano da sempre oggetto di accese discussioni tra di noi. Ha dichiarato di non essersi mai preso abbastanza cura di sé e di avere intenzione di tuffarsi nel magico mondo delle beauty farm, con massaggi e bagno turco, sauna e oli ayurvedici, peeling e bagni di fieno. Non capisco. La mia amica Antonella, calabrese, dice di guardarmi le spalle e assoldare un investigatore privato. Carla dice di stare tranquilla e guardarmi American beauty... L'apribottiglie Lei Non siamo fatti per vivere assieme. Uomini e donne, in generale. Io e Claudio, in particolare. Abitiamo in questa casa da più di dieci anni: io la conosco in tutti i suoi angoli e pertugi. So esattamente che cosa c'è nel frigorifero, nei miei cassetti, in quelli di Claudio e in quelli dei bambini. Posso trovare a occhi chiusi l'armadietto dei medicinali e la scatola dove tengo il lucido da scarpe. Saprei dire al volo su quale ripiano della dispensa sta la passata di pomodoro. Lui no. Lui, ogni volta che deve fare la valigia, si aggira con lo sguardo a punto di domanda e con passo incerto, come se fosse lì di passaggio: "Dove sono i calzini blu?". Ha
solo calzini blu e da sempre sono nel secondo cassetto della sua cabina armadio. Ma lui non li trova. Mai. Si nascondono. Come il rasoio con relativa schiuma da barba e la benedetta racchetta da tennis che regolarmente si infila, guarda un po', nell'armadio insieme al borsone con le scarpe, i pantaloncini e la maglietta. Ma il peggio di sé Claudio lo dà quelle mattine in cui si alza fischiettando e dolcemente mi sussurra all'orecchio: "Dormi ancora un po', tesoro. Ci penso io alla colazione per i bimbi". Io mi illudo e gli credo. Sto per riaddormentarmi quando inizia, prima in tono soft e poi in un crescendo sempre più isterico, la sequenza di urla: "Dov'è il caffè? Dov'è lo zucchero? Dove sono i biscotti? Dove sono le tazze? Dove sono i cucchiaini? Ma soprattutto, dov'è il frigorifero?". A quel punto mi alzo e lo trovo incazzato. Lui. Sostiene che mi diverto a spostare le cose. Il frigorifero è lì dal trasloco. Ha solo cambiato colore. Stamattina, dopo un inizio di giornata che qualsiasi tribunale avrebbe riconosciuto come attenuante in un processo per omicidio, ha deciso che doveva "riappropriarsi della casa". Detta così, poteva anche sembrare una bella idea. Finalmente - ho pensato - proverà a sistemare le sue centinaia di T-shirt che, anche se vecchissime e bucate, non si possono buttare ("Sei matta? Con questa ho girato Puerto Escondido!"). Oppure affronterà il suo cassettino del bagno, una sorta di buco nero dove so di poter trovare tutto ciò che è misteriosamente sparito, dalla confezione di aspirine al caricabatteria del cellulare, persino la mia lima per le unghie e le chiavi della cassetta della posta. Oppure metterà mano alla cantina, straripante dei suoi pesantissimi scatoloni rigorosamente sigillati che - stile coperta di Linus, ma per nulla morbidi e ben più ingombranti - si è trascinato dietro fin da quando è venuto a vivere da me ("C'è dentro la mia vita. Vuoi forse che la butti via?" Sia mai. Teniamoci tutti gli appunti vecchi di trent'anni. Per carità). Oppure riordinerà il garage, così pieno di cianfrusaglie accatastate a casaccio da rendere impossibile il reperimento di un martello quando è necessario. No. Consapevole di essere in errore e di doversi imbarcare in un'impresa difficilmente liquidabile in poche ore, opta per la strategia dell'attacco: "Guarda il mio comodino com'è in ordine! [l'ha appena svuotato ficcando tutto nel cassetto] Sul tuo hai sempre cinquesei libri [è invidioso perché leggo più di lui], la sveglia [se no come faccio a portare i ragazzi a scuola in orario, eh?], caramelle, matite, foglietti per appunti, occhiali da sole. E secondo me anche una vecchia cicca masticata! [vero. Ma cosa c'entra?]". Poi passa in bagno dove - lo ammetto - le mie creme tendono a sconfinare sui suoi ripiani. Ma siccome oltre a questo non ha molto altro a cui appigliarsi, comincia a contestare il criterio che ho adottato per la sistemazione di libri, cd e dvd. E a nulla vale ricordargli che se non li avessi sistemati io, saremmo ancora con gli scatoloni chiusi da più di dieci anni. A quel punto, ormai sull'orlo di una crisi isterica, comunica che i testi di teatro, musica e cinema li riorganizza lui. Circonfuso da una nuvola di polvere, la vita della casa e della famiglia gli si è svolta intorno, in punta di piedi. Indisturbabile. Indisturbato. Dopo otto ore in cui aveva riorganizzato a stento due scaffali, ho
pensato che lo sforzo andava comunque premiato. Mi sono presentata con una bottiglia di Tignanello. "Grande idea, Sandra. Dov'è l'apribottiglie?" "Nel cassetto vicino al forno." "Non è vero. E sempre stato qui, nella credenza." "Non più, amore. Ha cambiato posto circa dieci anni fa." Lui Dopo i cinquanta (intesi come anni) è il momento di fare bilanci, che per me vuol dire mettere ordine nel passato. Ordine mentale, ma anche ordine pratico. Stamattina mi sono svegliato con questa idea in testa: mettereordine. Ci sono tanti tipi di ordine, lo so. C'è l'"ordine pubblico", ma ci sono anche scuole "di ogni ordine e grado", ci sono locali "di infimo ordine", ma ci sono anche questioni di "ordine morale", ci sono "ordini professionali", "ordini religiosi", ma anche diversi "ordini di grandezza", i militari gridano "agli ordini!" e i politici approvano l'"ordine del giorno". Insomma, per mettere ordine in questo guazzabuglio di significati e di interpretazioni, ho cercato sul vocabolario l'esatto significato del lemma, che è: "disposizione, collocazione di ogni cosa nel luogo che le compete, secondo un determinato criterio: mettere, rimettere in o. i vestiti nell'armadio; tenere in o. la scrivania, tenerla ordinata; mettere, fare o. in casa, in una stanza, riordinarla; anche fig.: mettere o. nella propria vita". Ecco, di questo ho bisogno, di mettere ordine nella mia vita. Stiamo sempre parlando di un ordine che sicuramente non coincide con l'idea che ne ha la mia dolce metà. È anche un modo per riappropriarmi della casa. A volte la pigrizia (mia) e l'esuberanza (sua) fanno sì che Sandra organizzi ogni angolo a sua immagine e somiglianza. Cioè, un allegro casino. Sparpaglia le fatture sul tavolo della cucina, mentre io le riunirei in apposite cartellette. Cambia periodicamente posto agli oggetti. Così. "Per far sì che la mente stia sempre sveglia." La sua, forse. Perché la mia, di questa continua caccia al tesoro, si stanca e basta. Lei si diverte a dirmi: "Fuoco, fuochino... acqua... acqua... oceano!". Come i bambini. Forse per lei è una specie di gioco amoroso. Mi vede come il suo Papageno che, imbracciato il glockenspiel, deve superare prove sempre più fantasiose. A volte sto al gioco, spesso mi annoio e qualche volta mi incazzo. Come oggi. Finalmente ho scoperto perché da anni non riuscivo a trovare un libro. Lei sostiene di averli sistemati in ordine alfabetico. E invece no! Sono ordinati per colore. E più forte di lei. Quando vede un bel tomo blu di Prussia lo deve allontanare il più possibile da quel tenue ocra dell'Astrolabio. Poco importa che l'autore sia sempre Watzlawick. Insomma, mi sono rimboccato le maniche e ho ricominciato da capo. Dalla A. E mi sono incastrato quasi subito. I Cenci, della collezione di teatro Einaudi, lo metto accanto all'Eliogabalo di Adelphi solo perché sono stati scritti entrambi da Artaud? Non è meglio tenere il teatro a parte? Ma allora anche la saggistica. E la varia... Dopo alcune ore sono ancora alla B, a chiedermi, tra la polvere, se L'anima di Hegel e le mucche del Wisconsin, evidente raccolta di saggi, vada insieme al dvd di Novecento e a Castelli di rabbia oppure no.
Sandra, impietosita, arriva con una boccia di vino. "Ottimo," dico io, una pausa ci vuole. Prendo l'apribottiglie e... ma sulla credenza non c'è. "Dove l'hai messo, amore?" "Acqua... fuochino..." Ora quel Tignanello fa bella mostra di sé sulla parete (ex) bianca della sala. Ma anche Pollock aveva una moglie come Sandra? Notte da Oscar Lei Pare brutto, lo so, ma ieri notte mi sono aggiudicata la statuetta: miglior interprete femminile dell'anno. Avevo avuto una giornata infernale. La sera prima ero andata a letto alle due e dopo cinque ore di sonno mi sono dovuta alzare per portare a scuola i bambini. Una giornata sempre di corsa. Arrivata a casa, aspiravo solo a un bagno caldo e a una bella e sana dormita. Ma avevo sottovalutato il volpino. Che tiene il conto. Ed evidentemente era la notte sì. L'ha presa alla larghissima. Fiori. Tanti. Non me li regala mai. Quando lo fa, lo guardo con sospetto: qualcosa da farsi perdonare? Il secondo campanello d'allarme è stato lo sparecchio: in un battibaleno ha fatto tutto lui. Ha perfino seguito i ragazzi nella quotidiana tragicommedia che è l'andata a letto: denti, pigiama, lettura. Poi la chiacchiera con la figlia preadolescente e la soluzione dei dubbi esistenziali del piccolo che, inevitabilmente, si manifestano dopo il bacio della buonanotte, mai prima. Di solito è una trafila che tocca a me. Ieri ci ha pensato lui. Stranissimo. Poi, invece di cazzeggiare per ore con i suoi amici via chat, facendo pasticci e mettendo fuori uso il computer (ovviamente il mio), si è profumato e si è messo in posizione ergonomicamente interlocutoria. Urca. L'ultimo, chiarissimo segnale sono stati i complimenti. Io ero un vero carciofo. So di poter essere meglio, con tutti gli opportuni restauri. Ma ieri sera no. Mancavano solo la babbuccia e il pigiamone in flanella, ma per il resto ero l'identikit della casalinga asessuata, versione respingente. In casi come questi mi rendo conto che la sessualità maschile è proprio diversa dalla nostra. La messa in moto del desiderio è spesso indipendente dal soggetto che gli uomini si trovano di fronte. Giarrettiere e calze velatissime? Pelle liscissima da ceretta appena fatta? Capello e trucco perfetti? Cazzate. O meglio, elementi che servono a noi per entrare nella parte. A loro, spesso, basta che tu dia qualche segno di partecipazione: uno sguardo, un accavallamento stile Sharon Stone, una parolina sussurrata all'orecchio. Se il meccanismo è in moto, è senza possibilità di ritorno. Realizzato che sarebbe stata una serata diversa da come l'avevo prevista, ho accantonato il programmino vasca da bagno-letto-libro-nanna. Dirgli che ero stanca avrebbe aperto un contenzioso con muso. Reprimerlo avrebbe portato a una crisi dai risvolti imprevedibili. Meglio assecondarlo e portare a casa il risultato in fretta in modo da assicurarsi un po' di ore di sonno. Anticiparlo e dribblarlo, illudendolo che sia lui a condurre la cosa: questa la strategia. Smessi i panni della moglie in acrilico, ho indossato quelli della Bellucci ultima versione e adottato lo sguardo conturbante di Scarlett Johansson. Ovviamente non ho dimentic-
ato il tono suadente e rassicurante, giurando e spergiurando che John Holmes era un dilettante in confronto... Lui Io le donne non le capisco. Ieri sono tornato a casa con dei fiori. Per lei. Mi sembrava un gesto carino: non lo faccio quasi mai. Lascia stare che me li avevano regalati. Mi è sembrato comunque bello che appena mi sono trovato fra le mani un mazzo di fiori praticamente nuovo (una volta tolto il biglietto con scritto "With compliments, Seat-Pagine gialle") io abbia pensato a lei. Non so bene come accada, ma quando la miccia delle buone azioni si accende parte una reazione a catena quasi inarrestabile. Mi è venuto naturale sparecchiare (non lo faccio mai per non umiliarla, per non ostentare la mia rapidità nello scrollo della tovaglia e la mia perizia nel posizionare i piatti nella lavastoviglie). Ho anche messo a letto i bambini raccontando quelle storie misteriose che solo io so raccontare e che a loro piacciono tanto (praticamente tutte le trame di CSI) e che li fanno piombare in un sonno curioso, a occhi aperti, quasi sbarrati direi. Ma non mi sono fermato lì. Un posto in paradiso me lo sono sicuramente guadagnato quando ho trovato le. parole giuste per farle dei complimenti senza offenderla, per lusingarla senza risultare ironico o, peggio ancora, sarcastico. E non è stato facile, visto che ieri sera era veramente un carciofo. Ebbene, ancora adesso non capisco cosa le sia successo. Si è repentinamente trasformata, ha cominciato ad accavallare le gambe in modo vorticoso. Tempo di spegnere la luce ai bambini, che hanno reagito solo con una lieve dilatazione della pupilla (palpebre sempre rigidamente spalancate), e di mettere in moto la lavastoviglie con un colpo di tacco, e lei si è presentata truccata, con velami a spacco che nemmeno sapevo possedesse, e mi ha sussurrato all'orecchio sconcezze che tiravano in ballo la buonanima di John Holmes. Non avrei mai creduto che dopo anni di matrimonio, un decennio di convivenza e due bambini che crescono a vista d'occhio, si potesse provare ancora così tanto piacere. Con la stessa persona, intendo. E dire che mi ero immaginato una serata completamente diversa. Ora che ci penso, tutte quelle mie premure servivano a bilanciare a livello inconscio la partita di Champions League in televisione che fin dalla mattina pregustavo di vedere. Ma di fronte a tanto fuoco non ci si può sottrarre ai doveri coniugali. Il Milan (come del resto il paradiso) può ben attendere. Ben strane le donne, però. Message in the bottle Milano, 15 ottobre 2008 Caro Claudio, sono una merda d'uomo, sì. Grandissssima merda, hai perfettamente ragione. Unacosacosìnonteladovevopropriofare, sono assolutamente d'accordo con te. Ma se ci pensi, io non ti ho mai fatto altro che bidoni... sempre e solo bidoni. Perché sarei dovuto cambiare proprio adesso? E poi la colpa è anche tua. Per trent'anni mi hai trattato come un mito, un incrocio fra Mick Jagger, Jack Kerouac e Rodolfo Valentino: avventure, libertà, vita vissuta
pericolosamente momento per momento senza legami, carpe diem, sesso, droga e rock'n'roll e tutta quella roba lì. Io ho provato ad accennarti qualcosa in qualche rara telefonata. Non nelle lettere, quelle le ho copiate tutte dai poeti della beat generation - cercavo di essere all'altezza delle aspettative. Ma tu niente. Da quell'orecchio non ci volevi sentire. E io stesso, lo ammetto, un po' me ne compiacevo. Ma purtroppo non è andata proprio così. Sì, c'è anche stato un periodo (breve, troppo breve) di sesso, droga e rock'n'roll, ma, prima cosa, nelle consuete percentuali ( 1 % , 1%, 98%), e poi è finito subito. Claudio, mi spiace, ma è giunto il momento che tu lo sappia: peso centodieci chili, sono pelato, ho due ernie, un'infiammazione cronica al nervo sciatico, sono sposato - una lattiginosa australiana di altrettanta mole -, ho due figli che parlano solo inglese - mi chiamano maccaroni, simpaticissimi ma mi chiamano maccaroni -, lavoro come impiegato di quarto livello al catasto di Sydney (non credo tu abbia molta dimestichezza con i livelli degli impiegati, ma ti assicuro che non è niente di che... una vita tra le scartoffie). Ecco, te l'ho detto. E ti garantisco che è meglio saperlo così che toccarlo con mano. Non avresti retto. Ma dato che non volevo farmi vedere, però vederti sì (quanta nostalgia!), ho deciso di farti solo mezzo bidone. Io alla tua serata ci sono venuto. Tu non mi hai visto, ma c'ero. Mi sono comprato due birre e mi sono arrampicato sull'albero di fianco a casa tua. Quello davanti alla finestra del salotto. E mi sono goduto la serata. Ecco: dire "arrampicato" è un attimo. Non rende l'idea. Per avere un'idea più precisa di com'è andata, ti pregherei di riconsiderare alcune cose che ti ho detto prima: tipo centodieci chili, due ernie e infiammazione al nervo sciatico. A proposito, una curiosità: che cazzo di albero è? E possibile "Faggio resinoso spinato"? Comunque, alla fine ti ho visto. Fantastico! Sei in forma smagliante, fisico asciutto, tonico... non sei invecchiato per niente. Va be', sembravi un cinquantenne già a vent'anni... ci voleva poco! Un po' come quel cinese che si siede sulla riva del fiume e aspetta di veder passare i cadaveri dei suoi nemici. Ci hai visti passare tutti, eh? Casa fantastica (sono certo che non l'hai arredata tu. Troppo buon gusto. E mezz'ora per trovare il cavatappi è cosa che desta sospetti sulla tua casalinghitudine). Due figli favolosi. E che bel rapporto hai con loro ! Ti guardano come se fossi un dio. Ti adorano proprio. Fantastici. Ma... Eh sì, c'è un "ma". E neanche piccolissimo. Sai che non sono il tipo che gira intorno alle cose. Tua moglie non va. Non è per te. Ci saranno sicuramente tante cose che vi hanno unito, adesso però il rapporto è alla frutta. Si vede. Troppo tedesca. E rigida, astiosa, una zia, se capisci cosa voglio dire. Prima te la levi di torno e meglio è. Se fossi in te, darei invece un'occhiatina un po' più attenta alla baby-sitter. Intanto è molto più carina, e poi si fa un culo così, non è stata ferma un attimo: cucina, pulisce, con i tuoi figli è affettuosissima ed è sicuramente sensibile al tuo fascino. E tu al suo. Si vede pure quello. Anche se non le hai rivolto la parola per tutta la serata. So che sei molto religioso e che quindi per te sarebbe difficile (a proposito, in Australia mi è capitato fra le mani un giornale in cui c'era la tua foto col papa:
troppo l'inchino, il bacio dell'anello e la stretta di mano. Bastava una delle tre! Ci vuole un po' di dignità anche davanti al papa. E poi quello zainetto! Sembravi un papa-boy invecchiato di colpo!) Ma dai retta a me, fuori dai coglioni l'arpia, dentro la baby-sitter! Vedrai che ti cambia la vita. Spero che non ce l'avrai con me per quello che ti ho detto. Ti lascio questa lettera, la prima vera lettera che ti abbia mai scritto, fuori dalla porta di casa, infilata nella bottiglia di birra. Messaggio da naufrago. Se le correnti (le onde) vorranno, ci rincontreremo. A presto Gigio Sandra e Claudio ringraziano Grazie a Gigio Alberti, amico prezioso che si è prestato al nostro gioco regalandoci il finale. Grazie ad Antonio Orlando che con "GQ" ci diede il "la". Grazie ad amiche e amici, parenti, conoscenti, ex fidanzati/ e e alle nostre innumerevoli baby-sitter: insomma, a tutti coloro a cui abbiamo rubato pezzi di vita, battute, incidenti di percorso. In particolare, e in rigoroso ordine alfabetico, un grazie (probabilmente loro malgrado) a: Graziosa e Massimo Agosti, Marina Alessi, Andalo, l'antroposofia, Manuela Biliotti, Roberta Bovo, Alessandro Capanna, il catamarano, Sabrina Ciuffardi, Darfo Boario Terme, Gabriella Delai, Nerina Fiumanò, le Gasthaus, Roberta Ghedina, il gin tonic, Gino e Michele, Ibiza, Intercultura, Steven Jobs, La Luna Nuova, Antonella Lo Feudo, Susanna Magistretti, Alice Manidi, l'ospedale Macedonio Melloni, Edoardo Ongaro, Ortisei, Carla Palugan, il Pantanal, Il paradiso degli orchi, il Paretaio, Francesca Parigi, Margherita Pedranzini, il cardinale Poupard, Guia Pozzi, Punta Chiappa, Patrizia Russo Cardone, Tania Sachs, Romana Sarti, Tignano, Maurizio Totti e Paola, Karol Wojtyla. Grazie ad Alberto Rollo per averci convinto a crederci. Grazie a Giovanna Salvia e a Carlo Buga per averci sopportati e condotti per mano attraverso il magico mondo dell'editoria, con le sue regole, i suoi a capo, le sue consecutio... Grazie infine all'amico A. Cicconi che ci ha inviato questa battuta: "Ho un amico talmente povero che invece delle impronte digitali ha quelle analogiche", ma che con tutta la buona volontà non siamo riusciti a inserire da nessuna parte. Stampa Grafica Sipiel Milano, ottobre 2008