Qiao Liang, Wang Xiangsui
Guerra senza limiti L'arte della guerra asimmetrica tra terrorismo e globalizzazione
Casa E...
262 downloads
2223 Views
810KB Size
Report
This content was uploaded by our users and we assume good faith they have the permission to share this book. If you own the copyright to this book and it is wrongfully on our website, we offer a simple DMCA procedure to remove your content from our site. Start by pressing the button below!
Report copyright / DMCA form
Qiao Liang, Wang Xiangsui
Guerra senza limiti L'arte della guerra asimmetrica tra terrorismo e globalizzazione
Casa Editrice LEG, 2001
GUERRA SENZA LIMITI: IL QUARTO LIBRO Guerra senza limiti è un libro famoso. Un libro reso famoso dagli apparati d'intelligence Usa, dai mass media e da tutti coloro che, specialmente negli Stati Uniti, hanno paura della Cina e del suo ruolo nel mondo. Un libro concepito nel 1996, pubblicato nel febbraio del 1999 e che già alla sua prima uscita trovava i riferimenti originali completamente cambiati. Era un libro innovativo e attuale quasi esclusivamente per le forze armate cinesi di due anni or sono. In questi due anni è stato smembrato, interpretato e tradotto in inglese in vari modi diventando oggetto di particolare attenzione per gli americani che nel 1999 si dovevano difendere dalle accuse cinesi per il bombardamento dell'ambasciata di Belgrado, nel 2000 subivano il primo attacco terroristico ad una unità militare della marina Usa e quest'anno hanno dovuto subire l'umiliazione dell'aereo spia EP-3E catturato e restituito a pezzi su un cargo russo mentre l'equipaggio è stato tenuto in ostaggio e restituito sempre a pezzi, psicologicamente parlando. Oggi il libro è diventato attuale per il mondo intero. Gli attacchi terroristici dell'11 settembre alle torri gemelle del World Trade Center di New York ed al Pentagono lo hanno riportato alla ribalta con la terribile accusa di esserne in qualche modo l'ispiratore o il teorizzatore. Fino ad oggi il pensiero degli autori era disponibile in tre versioni: 1) il libro originale, in lingua cinese, pubblicato da una casa editrice delle forze armate cinesi a febbraio del 1999; 2) un esteso sommario tradotto in un "inglese sinico" dall'Ambasciata Usa di Pechino in quattro tempi successivi e pubblicato on line da novembre 1999 a febbraio 2000; 3) una traduzione di una grande parte del libro in ottimo inglese, ma con qualche carenza di terminologia militare curata dalla CIA americana e pubblicata on line nel 2000. Questa edizione della LEG è la prima traduzione conosciuta in italiano e prende in esame le parti più significative della versione inglese della CIA. La traduzione dei testi è fedele, ma ho ritenuto che fosse necessaria una contestualizzazione per capire fino a che punto, nelle varie traduzioni e interpretazioni, si fosse mantenuto il sapore e il significato dell'opera originale. E fino a che punto le esigenze di informazione,
controinformazione e disinformazione che generalmente caratterizzano le organizzazioni militari cinesi e quelle d'intelligence di tutto il mondo avessero influito sui meriti o demeriti attribuiti all'opera originale. Senza la pretesa di scoprire tutta la verità e senza la velleità di svelare le vere intenzioni di chi ha scrìtto, tradotto, commentato, omesso, sorvolato, enfatizzato le varie parti del testo, questa versione in lingua italiana vuole aggiungersi e non sostituirsi alle precedenti. Intende poi integrarle sia in un quadro politico- strategico di riferimento sia in un quadro critico dei perìodi che hanno visto fiorire le varie interpretazioni e i vari commenti. Se si vuole questo può essere considerato il quarto libro, che, come il quarto vangelo (mi si perdoni l'accostamento), non è sinottico e neppure sempre concordante con i precedenti. Gli autori Una doverosa annotazione introduttiva meritano gli autori. Qiao Liang e Wang Xiangsui sono due Colonnelli superiori (grado equivalente ai Brigadier inglesi a metà fra i colonnelli e i generali); portano quattro stelle e fanno parte dell'Aeronautica Militare. Non sono tuttavia due tecnici o due piloti. Il primo lavora presso il Dipartimento Politico dell'Aeronautica e il secondo presso quello del Distretto Militare Aeronautico di Guangzhou (Canton) e la loro carriera si sviluppa tra incarichi presso le unità operative come Commissari politici o presso i Dipartimenti politici dei Comandi superiori come addetti al morale, alla disciplina, alla gestione del personale, alla supervisione dell'operato dei Comandanti e alle attività di propaganda. Gli ufficiali politici seguono un addestramento particolare e quelli destinati alle publicazioni interne ed esterne sono scelti in genere dalle facoltà umanistiche e psicologiche delle migliori università. Quando Francesco Sisci incontra Qiao Liang e Wang Xiangsui per intervistarli per "La Stampa" (primo approccio italiano in assoluto) nota che hanno un'apparenza innocua. Uno è rotondetto e uno ha un ampio riporto. Evidentemente lo stereotipo dei militari tutti guerrieri e tutti muscolosi ha influenzato l'aspettativa di Sisci, anche se lui sa bene che i due colonnelli la guerra non l'hanno mai vista. La loro guerra è fatta di concetti, di parole misurate, vagliate e soppesate prima da loro stessi e poi da tutti i loro superiori. In realtà sono due intellettuali delle forze armate e due scrittori affermati ma non mercenari, perché credono comunque in
quello che fanno e soprattutto credono nel proprio paese. I loro modelli sono senz'altro Mao, politico, statista, scrittore, poeta; Deng Xiaoping, commissario politico, pragmatico, stimolatore che disse: non importa che il gatto sia bianco o nero, basta che acchiappi i topi; Chi Haotian, ministro della difesa, commissario politico, strenuo fautore della riforma delle forze armate. Ma forse il loro modello intellettuale è probabilmente Mo Yan, anche lui commissario politico, scrittore di fama internazionale, autore del capolavoro Sorgo rosso. Essi si occupano dello sviluppo del pensiero militare e civile che abbia attinenza con la sicurezza del paese, E in Cina tutto ha a che fare con la sicurezza. Il quadro di riferimento cinese Per affermazione degli stessi autori l'idea del libro nasce nel 1996. In quel periodo in Cina è in atto una sorta di revisione strategica. La teoria maoista della guerra rivoluzionaria degli anni della vittoria comunista e quella della guerra popolare, adattata ed estesa alla visione globale delle guerre dei popoli contro l'imperialismo, avevano costituito le basi della dottrina strategica dal 1959 fino agli anni '80. In quel periodo, alla teoria politica della lotta di classe e contro l'imperialismo faceva riscontro una strategia politico- militare ben definita che richiamava alla mobilitazione, alle offensive tattiche in un quadro di difesa strategica. C'era anche l'idea che le basi rivoluzionarie per accerchiare il capitalismo fossero i popoli sfruttati dell'Africa e dell'America latina, così come le basi rurali rosse della rivoluzione lo erano state per le città cinesi dominate dai giapponesi o dai nazionalisti. Si era formata la concezione che l'unica guerra possibile fosse quella globale e che questa sarebbe stata evitata o addirittura vinta da parte cinese con un adeguato strumento strategico che garantisse la ritorsione: di qui lo sviluppo delle forze strategiche nucleari come unico strumento di proiezione di potenza e in misura strettamente necessaria (almeno nelle intenzioni) ad evitare l'aggressione con la minaccia di ritorsione. Con il nuovo corso di Deng Xiaoping e di Jiang Zemin la Cina ha dovuto abbandonare l'idea della guerra totale all'imperialismo e al capitalismo. La nuova strategia dichiarata dal regime cinese viene rivolta a costruire una base di potenza tale da non dover riservare alla Cina le umiliazioni dell'invasione e dell'occupazione. Accanto all'obiettivo di sempre -la
salvaguardia territoriale - la Cina moderna ritiene alla propria portata la leadership in Asia. Questo non è dovuto alla migliore situazione delle forze strategiche, nelle dimensioni attuali e nei trend futuri, o all'ammodernamento delle forze convenzionali o alla potenza socioeconomica. La ragione fondamentale sta nell'accettazione da parte della Cina di un nuovo ruolo globale creato dalla concomitanza dei cambiamenti del quadro mondiale e dalla diversa politica interna adottata. Una particolare attenzione viene quindi data alla capacità di prevenire e reprimere una eventuale guerra civile e i prevedibili disordini sociali. In campo militare, a partire dalla Guerra nel Golfo - 1991 - la Cina aveva dovuto constatare che nel nuovo ordine mondiale il rischio di sostenere un conflitto locale o regionale (o la possibilità di provocarlo e sostenerlo) senza dar luogo ad uno scontro globale era diventato concreto. Dalla natura delle operazioni contro l'Iraq e dagli armamenti impiegati, la Cina aveva dovuto prendere atto della completa inadeguatezza del proprio strumento militare a confrontarsi in simile ambiente tecnologico e operativo. Non si trattava soltanto di disponibilità di armi moderne, ma di procedure operative, tecniche, mentalità e preparazione dei Quadri, addestramento e qualità dei soldati. La Guerra del Golfo dimostra al mondo e soprattutto ai cinesi le capacità degli strumenti militari occidentali: il valore delle campagne aeree, della tecnologia, del professionismo militare e l'ambiguità e la forza dell'opzione "zero morti". Da quel momento la tecnologia diventa una chiave fondamentale della strategia cinese e il rovello dei dirigenti. È appunto a partire dal 1991 che la dottrina cinese, pur dichiarandosi sempre difensiva, rilancia con rinnovato vigore i tre imperativi; ammodernare, professionalizzare e regolarizzare ordinamento, addestramento e pianificazione operativa delle unità. Nel 1996 diventa anche evidente che l'obiettivo politico primario cinese, la riunificazione territoriale, può essere conseguito anche con i mezzi militari. La strategia dichiarata diventa nebulosa, ma si percepisce che si considerano strategie possibili a seconda delle circostanze, mezzi nuovi e vecchi impiegabili a seconda delle opportunità. Le possibili contraddizioni
fanno parte del gioco: esse stesse diventano strumenti strategici. Il primo libro Nel 1996, durante le manovre cinesi in occasione della crisi di Taiwan, i colonnelli sono in missione sulla costa antistante il canale di Formosa e discutono sulla situazione. Decidono di scrivere un libro che consenta alle forze armate cinesi di riflettere sul proprio futuro, ma soprattutto sul presente e il futuro del mondo. Mi sembra di vederli. E forse li ho visti discutere animatamente quasi litigando. Nel 1996 io ero in Cina da ormai tre anni e in quell'estate feci anche un istruttivo viaggio a Xiamen proprio di fronte a Qinmen (o Quemoy), l'isoletta sotto amministrazione Taiwanese, ad un tiro di schioppo, in senso letterale, dal continente. I tiri di schioppo (artiglierie contraeree) delle truppe taiwanesi avevano già provocato danni e morti nei pressi di Xiamen e sorprendentemente gli episodi erano stati trattati come incidenti e non come provocazioni o attacchi determinati. Le esercitazioni del '96, con le precedenti attività di destabilizzazione e propaganda in Cina e nella stessa Taiwan in relazione alle elezioni presidenziali taiwanesi, furono il banco di prova di una serie di iniziative strategiche e operative che la Cina da tempo aveva avviato. La revisione del programma dei missili di teatro, l'impulso fenomenale dato alle forze strategiche con il progetto Great Wall, l'ammodernamento della linea operativa di aerei da caccia, con l'acquisizione dei primi SU-27 dalla Russia, e delle difese contraeree con i missili S-300 russi, la finalizzazione dei progetti AWACS, delle contromisure elettroniche, del potenziamento delle forze speciali e anfibie, la costituzione delle forze d'intervento rapido e tutta una serie di predisposizioni d'intelligence erano soltanto i segnali di una revisione militare che la Cina stava perseguendo in maniera seria e determinata. Il nemico non era ovviamente esplicitato, ma era evidente che la priorità strategica della Cina rimaneva la riunificazione. E mentre Hong Kong e Macao erano praticamente già acquisite, il nodo rimaneva Taiwan. La Cina non aveva fatto mai mistero di non avere fretta nella riacquisizione dell'isola. Per certi versi era anche utile avere una parte di cinesi (perché sempre cinesi sono e i cinesi di tutto il mondo prima sono cinesi e poi taiwanesi, malesi, americani, italiani ecc.) in posizione avanzata nella tecnologia, nel commercio e nello sviluppo sociale. La presunzione della Cina comunista che Taiwan fosse una provìncia ribelle (temporaneamente
assente dall'elenco telefonico cinese - questa è la notazione che si legge sugli elenchi) e la pretesa ancora più singolare di Taiwan di considerare tutta la Cina comunista come una parte del proprio territorio temporaneamente indisponibile, facevano comodo a tutte e due le entità e promuovevano sia gli scambi commerciali non ufficiali sia gli scambi di insulti soltanto ufficiali. Il pericolo per questa situazione di equilibrio tutto orientale si manifestò con le avances degli indipendentisti taiwanesi che, sollecitati non poco da alcuni americani, giapponesi e coreani più interessati allo squilibrio che alle vere esigenze sia cinesi che taiwanesi, si dichiararono pronti a rinunciare alle pretese sul territorio continentale e alla costituzione di una nuova entità statale: un'altra Cina o una Cina e una Taiwan. Evidentemente questo non era, come ancora non è, accettabile da parte cinese e in quel periodo la Cina si vide costretta, ritengo suo malgrado, a mostrare i muscoli e fare la voce grossa. Ritengo, oggi come ritenevo cinque anni or sono, suo malgrado perché obiettivamente la Cina non era ancora nelle condizioni di mostrare muscoli. Al massimo poteva mostrare intenzioni, ma allo stesso tempo metteva più allo scoperto delle inefficienze e insufficienze che vera e propria forza operativa. Molti osservatori del tempo parlarono di bluff e gli stessi americani giudicarono molto negativamente lo show di forza, che più che altro era uno show di inadeguatezza. Sono sempre stato molto critico verso questa incapacità americana di cogliere quanto sia veramente pericoloso il mondo orientale e soprattutto come spesso sia assolutamente improprio e fuorviante giudicare atteggiamenti, comportamenti e le stesse operazioni militari asiatiche secondo il metro occidentale. La Corea e il Vietnam, ma le stesse campagne del Pacifico della Seconda guerra mondiale non sono riuscite, probabilmente per carenza di capacità antiretorica, a modificare questa tendenza. Nel 1996 la Cina lanciò un messaggio politico ed operativo veramente chiaro: Taiwan era (ed è) intoccabile. Dopo le esercitazioni dimostrative aeronavali e i lanci di missili vicino a Taiwan, la Xinhua (agenzia di stampa Nuova Cina) dichiarò che con tali manovre le forze armate avevano dimostrato di essere capaci di salvaguardare la sovranità nazionale, l'integrità territoriale, l'unità della Cina e di assolvere il sacro compito di difendere la madrepatria.
La Cina avrebbe riassorbito Taiwan con il tempo e con la calma, ma se costretta sarebbe stata pronta a sacrificare tutto quello di cui militarmente disponeva per riacquisire la sovranità sull'isola. E qui il messaggio tremendamente implicito del ministro della difesa Chi Haotian fu che l'obiettivo era l'isola e non i suoi abitanti e le sue risorse. L'isola come geografia a costo di avere sovranità su di un deserto o una Chernobyl. Il messaggio era talmente chiaro per i Taiwanesi che, fra allarmi antiaerei, attentati dinamitardi e crollo della borsa, desistettero da qualsiasi velleità. Meno chiaro fu per gli americani che ritennero di aver influenzato la leadership cinese spostando un paio di portaerei nell'area. Mentre si conducevano queste operazioni e queste prove di forza i due colonnelli Qiao e Wang non pensavano al controllo globale del mondo, ma alla stessa Taiwan nel momento in cui si dimostrava un avversario in grado di combattere in ambiente di alta tecnologia. Forse un riferimento indiretto e futuro era anche agli Usa, ma il problema fondamentale era come sciogliere il nodo di combattere una guerra in condizioni d'inferiorità tecnologica. Qualunque fosse stato l'avversario si trattava di capire se occorreva avviare una corsa contro il tempo, contro le risorse, ma anche contro le capacità oggettive oppure cercare un nuovo approccio globale. L'Aeronautica, che in Cina è anche responsabile della difesa aerea da terra, si rendeva conto più di ogni altra forza armata dell'inadeguatezza dei propri sistemi antiaerei e antimissili nei riguardi delle potenzialità Usa, ma anche delle stesse di Taiwan, Corea, Giappone e di tutti quelli che si erano attaccati alla locomotiva americana. In quegli anni di maggiore apertura del mondo cinese all'esterno, al confronto con gli altri paesi e soprattutto con l'esempio pratico delle capacità occidentali di condurre i conflitti asimmetrici, le nuove generazioni di militari cinesi erano tra le avanguardie di coloro che si interrogavano su come condurre conflitti in ambiente ad alta tecnologia. La Guerra del Golfo in varie forme critiche e celebrative già riempiva le biblioteche cinesi, ma si riferiva soltanto a fonti americane, con il difetto che il commento o l'emulazione cinese erano sempre riferiti a una fase precedente. Così i cinesi celebrano la vittoria dell'arma aerea mentre gli americani riflettono sulle lezioni apprese, i cinesi celebrano la
digitalizzazione delle unità di fanteria mentre gli americani l'abbandonano e così via. Per i cinesi la guerra limitata assume valore strategico. L'esigenza di prepararsi ad affrontare una guerra limitata nel tempo e nello spazio ma condotta con mezzi moderni è un obiettivo strategico e uno scopo per l'ammodernamento strutturale e degli equipaggiamenti. La guerra totale non è cancellata e giustifica lo sviluppo di armi strategiche nucleari e non. La guerra di popolo non è cancellata, ma sempre di più è demandata al sistema della mobilitazione di massa attraverso le organizzazioni delle forze armate popolari (milizie e riserve). La guerra limitata giustifica la costituzione di nuove forze armate, la riduzione delle forze, la graduale professionalizzazione, la costituzione di forze di reazione rapida. Su come condurre una guerra limitata il dibattito era allora come oggi estremamente vivace. C'è chi ritiene che si possano affrontare situazioni moderne soltanto con mezzi moderni. Altri però rammentano che per dotarsi di tecnologia e mezzi moderni sono necessarie conoscenze e risorse che attualmente la Cina non ha. Ecco quindi l'invito a considerare di combattere la guerra tecnologica con i mezzi di cui realmente si dispone e di qui la corsa alla ricerca di strategie, tattiche, stratagemmi per dimostrare che un tale evento si può affrontare. In quasi tutte le opinioni riportate sui vari argomenti si nota la ricerca della fusione delle tendenze moderne e occidentalizzanti degli aspetti tecnici e operativi relativi alla guerra moderna con la cultura/ necessità del ricorso a strategie e stratagemmi ereditati dall'antichità o semplicemente dalla tradizione. Ma il dibattito nel quale si inserisce il lavoro dei nostri colonnelli è già avanzato anche in termini di pensiero non convenzionale. Una delle prime e più autorevoli voci a tal proposito era stata quella del Maggior Generale Lu Linzhi, vice comandante dell'Accademia militare di Kunming, che nel 1995 (Jie fangjunbao 14 feb 1995) dichiarava che in una guerra limitata in condizioni di alta tecnologia la parte più debole non dovrebbe attendere l'attacco dell'avversario ma dovrebbe lanciare un attacco preventivo contro gli obiettivi vitali in profondità allo scopo di indebolire la superiorità tecnologica dell'avversario e minarne le capacità offensive. Diceva Lu: "In una guerra futura contro una aggressione, tutte le azioni nemiche volte a dividere il
nostro territorio e minacciare la nostra sovranità costituiscono in realtà il "primo colpò nel senso strategico. Perciò non appena l'avversario effettua le operazioni di radunata (spiegamento strategico) e altre operazioni contro di noi e la guerra appare inevitabile, noi dobbiamo lanciare l'attacco preventivo in tempo giusto. Nell'attacco preventivo occorre considerare molti fattori. I principali sono: 1. Lo scopo è indebolire la superiorità tecnologica e minare la preparazione offensiva avversaria. 2. Nella predisposizione dell'area della battaglia occorre considerare una zona di attacco estesa in senso tridimensionale. 3. Nello scegliere le forme di operazioni occorre considerare con particolare attenzione quelle di fuoco a distanza, le operazioni speciali e i sabotaggi". Il dado era evidentemente tratto e il 2 maggio sullo stesso giornale delle Forze armate appariva un articolo di Hong Shan dell'Università della difesa che scriveva: "la guerra moderna, specialmente quella di alta tecnologia, è un confronto fra i sistemi di due parti contrapposte. Per l'esito di tale confronto sono cruciali non solo la qualità e l'affidabilità dei sistemi operativi adottati ma anche il grado di danno che una parte può infliggere alle strutture e ai sistemi dell'altra. La Guerra del Golfo è stata una tipica guerra di distruzione strutturale. In una guerra di resistenza contro una forza superiore, la chiave della vittoria sta nel come modificare l'equilibrio fra superiore e inferiore. Nel passato il PLA si affidava principalmente alla dottrina della guerra protratta condotta nelle linee interne per acquisire la posizione da inferiore a superiore attraverso l'attrito graduale delle forze avversarie. Tuttavia, in una guerra locale in condizioni di alta tecnologia questo metodo non è più valido poiché l'esigenza di rapida decisione è significativamente più alta. Inoltre la tecnologia ed i metodi dell'attacco si sviluppano più in fretta di quelli della difesa. Di conseguenza, rimanere ancorati alla difesa passiva diventa inutile. Perché forze inferiori possano vincere quelle superiori è necessario seguire fermamente il principio "tu combatti nel modo tuo, io combatto nel mio e così conservo l'iniziativa". Dobbiamo essere coraggiosi neh" opporre la distruzione alla distruzione. Dobbiamo intraprendere azioni di combattimento positive e lanciare con determinazione attacchi distruttivi nelle parti interne dei sistemi di guerra e operativi avversari. Soltanto infliggendo danni strutturali all'intero sistema
nemico possiamo costringerlo a destinare una larga porzione delle proprie forze armate alla difesa, alleggerendo così la pressione di difesa dei nostri obiettivi strategici e riducendo e indebolendo efficacemente le capacità operative del nemico derivanti dalla sua superiorità tecnologica e di equipaggiamenti. Così possiamo modificare l'equilibrio delle forze sul campo di battaglia e l'intera situazione di guerra. Nello studiare il problema della guerra futura è necessario considerare a fondo le modifiche delle caratteristiche della guerra e dei suoi fondamenti materiali e tecnologici nonché l'impatto che ciò ha avuto sulle dottrine operative. Il punto più importante (di tali cambiamenti) è che la distruzione e l'anti- distruzione dei meccanismi di guerra e dei sistemi operativi è diventata l'azione principale dell'intero processo della guerra moderna. Il risultato della guerra è essenzialmente determinato dall'effetto della distruzione strutturale e dalle operazioni anti- distruzione". L'articolo concludeva: "in passato le operazioni del PLA erano improntate sulla dottrina della guerra di annichilimento. Nelle operazioni future in condizioni di alta tecnologia sarà sempre più difficile creare le condizioni che darebbero l'opportunità di condurre una guerra di annichilimento su larga scala. Anche se la distruzione delle forze avversarie impegnate nel combattimento attivo continua ad essere un obiettivo importante delle future operazioni, e senza rinunciare alla dottrina della guerra di annichilimento quando le condizioni sono favorevoli, dal punto di vista delle direttive operative dobbiamo dare più attenzione alla guerra di distruzione strutturale". Anche gli aspetti dell'information warfare non erano trascurati e il 7 marzo "Hu Xiuzhi, direttore della fabbrica militare 7425 di Nanjing, metteva in evidenza che la seconda rivoluzione dell'informazione, che ora sta avvenendo in tutto il mondo (la "superstrada dell'informazione"), è destinata ad influenzare lo sviluppo della difesa nazionale e cambiare le caratteristiche delle operazioni e l'organizzazione delle Forze Armate. A fronte di questa rivoluzione la Cina deve prestare grande attenzione alla ricerca teoretica se vuole vincere una guerra futura. Dopo la Guerra del Golfo una rivoluzione globale militare è diventata l'argomento centrale della discussione fra gli strateghi militari. Questa rivoluzione ha la propria punta di lancia nella tecnologia dell'informazione, nella tecnologia stealth e
negli attacchi di precisione a lunga distanza. È stato perciò apportato un altro storico cambiamento alla guerra convenzionale". Questo, in sostanza, è il background intellettuale prettamente cinese al quale devono fare riferimento i nostri autori prima ancora di mettersi a scrivere al computer. Un background che per essere espresso da autorevoli fonti è già una direttiva ufficiale: "pensate nuovo". I due colonnelli sanno poi che non possono ignorare la realtà operativa delle proprie unità. Anche lì vi è fermento. Dalla teorizzazione alla pratica il passo è sempre molto lungo e in genere penoso. Non per i cinesi che mentre teorizzavano nuove forme di lotta per combattere in condizioni d'inferiorità tecnologica sollecitavano dal punto di vista pratico ogni sforzo per inventare qualcosa. Nascevano quindi i cosiddetti nuovi metodi operativi. Con questa dizione vengono intese le procedure operative o tecnico- tattiche o logistiche che consentono di conseguire gli obiettivi. Il PLA era ed è nella fase di quadratura del cerchio: ha uno strumento militare numericamente enorme, completamente radicato sul territorio e fortemente integrato nel tessuto produttivo nazionale, non ha fondi, ma ha bisogno di ammodernamento strutturale e materiale, non ha personale qualificato, ma ha bisogno di alta tecnologia, non ha un avversario sufficientemente debole da considerare come nemico e deve considerarsi solo contro il resto del mondo, ha scadenze strategiche a breve termine e non ha tempo per predisporre gli strumenti necessari ad affrontarle. Il risultato è la ricerca affannosa di nuovi modelli operativi, procedimenti tecnico- tattici, sistemi di gestione e controllo che sostituiscano quelli vecchi non più adeguati o che permettano di impiegare i nuovi materiali acquisiti. Si escogitano metodi per effettuare il volo notturno senza apparati speciali, per contrastare la minaccia elettronica senza gli strumenti adatti, si inventano formule e slogan, nuove procedure e sistemi per accelerare l'addestramento e razionalizzare la gestione operativa delle unità, per ingannare, per mascherare. La quantità di invenzioni è enorme e lo sforzo del centro di discernere quelle utilizzabili da quelle inutili o dannose è reso difficile dalla dimensione da controllare. I metodi operativi sono sempre alla ricerca di una soluzione originale e geniale ad un problema fondamentale: assolvere un compito con i mezzi, le
procedure e i tempi disponibili. Sempre e tutti scarsi. Il libro viene scritto in tre anni. Non si può dire che sia un istant book. Tre anni di ricerche, di acquisizione di testi americani, di discussioni, di approvazioni e correzioni, di aggiunte ed emendamenti da parte dei superiori. Nel frattempo le ambasciate Usa in Kenya e Tanzania vengono attaccate: centinaia di morti e migliaia di feriti. La reazione americana su Kabul, la crisi asiatica, subito attribuita al finanziere Soros, al Fondo Monetario Interazionale e alla Banca Mondiale, la Bosnia, il Kosovo, il terrorismo checheno, l'implosione albanese, la jihad islamica dichiarata da Bin Laden contro gli Usa. Il mondo sembra impazzito. I contorni dei conflitti limitati in condizioni di alta tecnologia si fanno più confusi. Le crisi mondiali mettono in evidenza i ruoli sempre più determinanti di entità non statali e di organizzazioni non governative, legali o criminali. Le alleanze formali svaniscono di fronte alle esigenze di nuove forme di lotta. Il libro che nasce nel 1999 non può non considerare il mutamento della situazione e non può ignorare che qualsiasi proiezione futura diventa plausibile e credibile soltanto se è azzardata, estrema. Il libro nasce quasi in sordina, con uno scopo esclusivamente interno, almeno ufficialmente. Viene pubblicato solo in cinese. E un libro per i cinesi, esclusivamente per un pubblico interno e militare. È un libro di propaganda interna quindi, non nel senso di manipolazione, ma di sollecitazione del pensiero e della riflessione fra addetti ai lavori. I due colonnelli adottano un sistema di esposizione molto usato in Cina: cambiare delle ipotesi implicite in esplicite affermazioni. Pur facendo riferimento a scritti classici e tipici della cultura militare marxista, leninista, maoista, gli autori citano quasi esclusivamente pubblicazioni americane. Molto del pensiero dei due colonnelli è ispirato dai lavori dì Brzezinsky e Steven Metz. In particolare dall'articolo del 1995 di Metz e James Kievit dell'US Army War College Strategie Studies Institute "Strategy and the revolution in Military Affairs- From theory to policy". I lettori cinesi che non hanno familiarità con i testi occidentali possono aver sovrastimato l'originalità dell'opera, mentre quelli occidentali possono non apprezzare lo sforzo di ricerca e assimilazione da parte degli autori.
Nell'elaborare la propria idea di guerra senza limiti i due colonnelli sembrano non esprimere un proprio pensiero e tanto meno un pensiero ufficiale dell'apparato cinese sui problemi della sicurezza cinese. Si riferiscono ad una situazione generalizzata e si preoccupano del mondo, compresi gli americani. Non svelano nulla delle azioni cinesi negli ultimi dieci anni, ma sembrano soltanto trarre conclusioni da ciò che gli stessi americani hanno detto, scritto e fatto. Può sembrare un modo improprio di teorizzare, ma è invece estremamente coerente con la mentalità e la psicologia cinese. Uno dei trentasei stratagemmi della letteratura militare cinese dice di uccidere con il coltello di un altro. È esattamente quello che fanno sia gli autori sia l'apparato che li sostiene. Il secondo libro La teorizzazione di Qiao e Wang non avrebbe fatto una grande differenza se a maggio del 1999 non ci fosse stato il bombardamento Nato dell'ambasciata cinese a Belgrado. I primi a gridare alla guerra asimmetrica sono in realtà i cinesi stessi che non vogliono sentire ragioni: l'episodio è un attacco determinato e vile contro la Cina. I cinesi non hanno mai creduto alla versione dell'errore sul bombardamento di Belgrado. Una potenza come gli Usa, che fra l'altro per essere antagonista o partner deve essere tecnicamente e culturalmente degna, non può sbagliare un obiettivo, per fallimento dei sistemi di lancio così sofisticati o peggio ancora perché un oscuro impiegato ha sbagliato carta topografica. Una potenza come gli Usa può essere cattiva, ma non stupida, per cui l'ha fatto apposta. E l'ha fatto apposta usando mezzi e procedimenti asimmetrici e non convenzionali che possono sconfinare nell'illegalità come il bombardamento di una sede diplomatica. Gli americani che stanno ancora combattendo con i casi di spionaggio cinese negli Usa, i finanziamenti cinesi alla campagna per la rielezione di Clinton e la presenza cinese a Panama non possono sottostare alla campagna di criminalizzazione intentata dai cinesi e così nell'estate del 1999 il libro viene ripreso da CNN, VOA e BBC. Gli autori vengono intervistati da varie testate mentre il "New York Times" e il "Washington Post" accusano gli autori di promuovere il terrorismo. Qiao e l'editor Xiang Xiaomi nel numero di gennaio 2000 della rivista "World military Affairs" (Shijie
Junshi) negano fermamente l'accusa dicendo che il libro è stato mal compreso. A novembre, l'Ambasciata Usa a Pechino comincia a tradurlo e ne pubblica estratti in quattro tempi successivi finendo nel febbraio del 2000. Il traduttore (o forse traduttrice) dell'opera per l'ambasciata di Pechino è senz'altro cinese con una buona ma non eccezionale conoscenza dell'inglese e dei termini militari usati dagli autori. Il commento del traduttore è il seguente: "Guerra senza limiti è scritto in uno stile chiaro e pacato". Leggendo la sintesi pubblicata dall'Ambasciata Usa si ha questa sensazione di pacatezza e leggerezza. Non ci sono spunti polemici o accusatori neppure quando vengono fatti riferimenti concreti ad episodi scottanti come l'impiego di defolianti in Vietnam, l'aiuto Usa all'Iraq contro l'Iran, ecc. Un lieve accento sopra le righe si percepisce quando la traduttrice parla di George Soros, lo speculatore che gli autori ritengono responsabile di tutte le nefandezze finanziarie in Asia. La sintesi dell'Ambasciata merita una riflessione. Innanzitutto è opera di un interprete che comunque vive in Cina. Chi traduce e commenta sa che il sommario sarà di pubblico dominio, perciò ha delle regole da seguire e degli ordini da eseguire: 1) non può tradurre qualcosa che metta la Cina in imbarazzo; 2) non può svelare cose che siano sensibili per la sicurezza cinese; 3) non può offendere gli americani; 4) non si deve percepire alcuna animosità. Tutto questo è implicito e accettato. Gli stessi funzionari dell'ambasciata non sono disposti a creare incidenti diplomatici per traduzioni infelici o strumentali. Si opera in pratica una manipolazione indiretta, a fin di bene, ma sempre manipolazione. Il risultato è che in tutta la sintesi del libro si ha una sola chiave di lettura: gli autori non parlano di quello che ha fatto, detto o pensato la Cina. Non parlano nemmeno di quello che le forze armate cinesi dovrebbero fare. Le fonti sono soltanto americane, gli esempi sono soltanto ciò che gli americani e gli occidentali hanno fatto. Gli autori si limitano a trarre delle conclusioni indicando soltanto la limitatezza delle conclusioni stesse da parte americana e l'incongruenza del loro comportamento. Questa versione non può essere considerata una traduzione fedele
dell'originale e neppure una traduzione. L'operazione di sintesi o estrapolazione delle citazioni è tutta personale del traduttore/ commentatore. Essa va perciò considerata come una versione separata non attribuibile agli autori ma al traduttore stesso. Ne riporto qui di seguito alcuni stralci per indicarne la diversità, soprattutto nel tono e nei termini, dalla versione tradotta e pubblicata successivamente dalla CIA. La sintesi inizia dalla constatazione che la tecnologia è forse inutile. Facendo riferimento a qualcosa che evidentemente pesava sull'amor proprio cinese il testo riporta che "i tremendi caccia russi SU-27 non hanno mai visto una battaglia e il SU-35 è pronto, ma molti dubitano che sia un aereo di successo". Se lo scetticismo per la tecnologia ha buoni motivi nella incapacità di raggiungere gli Usa, l'ammirazione per il pensiero americano è fortemente capziosa e tipicamente cinese nel far intendere il negativo esaltando il positivo. "Armamenti di nuova concezione stanno manifestandosi ovunque. Ciò che è poco giusto è che gli Usa siano i leader anche in questo settore. Gli Usa usarono la polvere di ioduro d'argento e i defolianti per individuare i soldati sul sentiero Ho Chi Min durante la guerra del Vietnam. La combinazione di forza tecnologica e risorse finanziarie rende gli Usa impareggiabili in questo campo. Ma sebbene gli americani siano bravi nello sviluppare armi di nuova concezione essi non sono particolarmente bravi nello sviluppare nuovi concetti- arma, per impiegare le armi in maniera veramente originale. Questo richiede una capacità di pensiero filosofica e sistemica che non è un punto di forza degli americani che sono un popolo pratico bravo nello sviluppare nuove tecnologie". E ancora "secondo il nostro modo di pensare un crollo in borsa ben pianificato, un attacco con virus sui computer provocando l'incertezza del cambio delle monete del paese avversario e diffondere notizie false su internet sui leaders politici avversari possono essere tutti nuovi concetti- arma. Questo nuovo modo di pensare fa in modo che diventino armi anche cose normalmente a disposizione della popolazione civile". "Un principio filosofico cinese (che è anche un principio della guerra di Clausewitz, ndC), dice che quando un fenomeno raggiunge l'estremo in
una direzione il processo riprende in direzione opposta (wuji bifan). La tecnologia raggiunta è ormai al limite, il processo si sta invertendo e perciò sono necessari nuovi metodi". "La domanda su chi sarà il principale attore della prossima guerra trova risposta non tanto nei militari ma nei civili e in particolare negli hackers che già nel 1994 avevano condotto 230.000 attacchi ai computers del dipartimento della difesa americana". "Allo stesso modo sono da considerare come vere minacce alla sicurezza mondiale non tanto gli stati, quanto alcune organizzazioni non statali, fra le quali la Jihad islamica, le milizie civili americane, la setta Aum giapponese, e Bin Laden (che aveva appena fatto saltare le ambasciate Usa in Kenya e Tanzania, ndC). Uno stato che usi mezzi limitati ha grande difficoltà a sconfiggere organizzazioni non statali intenzionate ad usare tutti i mezzi senza alcuna limitazione. Questi attori non sono soltanto hackers, essi possono essere analisti di sistemi informatici, ingegneri di software, manipolatori di borsa, finanzieri che muovono vasti capitali internazionali, re dei mezzi di comunicazione e perfino editorialisti e anchor men delle televisioni. Questa gente ha proprie fedi altrettanto forti di quella di Bin Laden. In questa prospettiva, chi può negare che George Soros sia un terrorista finanziario?" "Il modo più originale di concepire la guerra del futuro non si limita a pensare alla guerra dell'infomazione o agli attacchi di precisione, ma si estende alle operazioni militari diverse dalla guerra e alle operazioni di guerra non militari. Quest'ultimo concetto è nato dalla individuazione americana dei loro interessi globali. L'esempio classico è l'atteggiamento americano di considerare il resto del mondo come il cortile di casa propria. Ma gli Usa non sono i soli: il cancelliere tedesco Kohl usò il marco per abbattere il muro di Berlino, Lee Tenghui approfittò della crisi finanziaria per svalutare il dollaro di Taiwan e attaccare il dollaro di Hong Kong. Nella crisi albanese fu evidente che gruppi finanziari stranieri finanziarono le opposizioni governative e controllando i media gettarono il paese nel caos. Non dobbiamo permettere che questo atteggiamento influenzi la nostra valutazione perché è certo che il mantenimento della pace, la lotta antidroga, la soppressione della violenza, l'assistenza militare, l'intervento
in casi di disastri naturali o nelle emergenze umanitarie e la lotta al terrorismo sono le questioni più importanti che l'umanità dovrà affrontare nei secoli ventesimo e ventunesimo". "La nuova concezione di guerra senza limiti non nasce dagli Usa perché il pensiero militare americano pur arrivandoci vicino non è stato in grado di fare il passo decisivo. Tuttavia è stato il pragmatico stile americano d'intervento nel mondo e i suoi sviluppi tecnologici che hanno permesso questa rivoluzione nel pensiero militare". "Il terrorismo usa metodi limitati per condurre una guerra illimitata. Uno stato che risponde con mezzi limitati (convenzionali e militari) si trova in svantaggio. Usare forze esorbitanti contro il terrorismo (il riferimento era ai missili americani sull'Afghanistan in risposta agli attacchi alle ambasciate del 1998, ndC) è spesso inefficace. L'attacco di Bin Laden alle ambasciate ha dimostrato che la guerriglia senza vincoli di regole è difficile da battere da parte di uno stato". "Il nuovo terrorismo non usa soltanto i metodi tradizionali come attentati esplosivi, rapimenti, omicidi, e dirottamenti aerei. Nuove tecnologie come il gas usato da Aum in Giappone hanno un effetto di terrore molto più vasto dello stesso aggressivo. I terroristi che usano nuove tecnologie possono essere chiamati nuovi terroristi". La Guerra del Golfo. "Se non fosse stato per essa gli americani non avrebbero avuto occasione di rinnovare la propria struttura. Essa tuttavia è stata la dimostrazione delle potenzialità delle forze aeree e della tecnologia. Gli americani tendono a impiegare armi di alto costo ed elevata tecnologia per ridurre al minimo le perdite umane. Solo una nazione ricca può permettersi questo. Durante la Guerra del Golfo aerei americani del costo di 25 milioni di dollari effettuarono migliaia di sortite contro l'Iraq lanciando missili guidati del costo fino a 1,3 milioni di USD ciascuno. Uno di tali bombardieri è come una montagna d'oro volante che vale molto di più dell'obiettivo. Per 161 giorni una lunga linea di rifornimenti ha portato 520.000 soldati e 8 milioni di tonnellate di materiali. La politica zero morti è stata quasi completamente rispettata con perdite di 148 morti e 458 feriti". Una cosa che probabilmente deve aver urtato la sensibilità degli Usa è la
semplice e serena considerazione che "i soldati americani sono diventati la materia più cara di tutte. Così costosa che il popolo americano teme che venga rotta come un vaso prezioso. Tutti coloro che hanno combattuto contro gli Usa hanno capito questa verità: se non puoi battere l'apparato militare Usa, uccidi i suoi soldati. Gli Usa vogliono la vittoria ma non le perdite". Un'altra considerazione molto pacata è che sui campi di battaglia di tutto il mondo "gli Usa hanno fatto mostra di tecnologia ma non di eccezionale uso dell'arte militare". "La Guerra del Golfo è stata una superba pubblicità per gli armamenti americani e gli Usa, essendo i maggiori venditori di armi nel mondo, devono averla apprezzata. Pensando alle alte tecnologie, alle tattiche noiose e ai costi eccessivi sembrava piuttosto un film di Hollywood con le sue trame semplici e non originali, ma con grandi effetti speciali". "Le concezioni sulla guerra a tutto spettro e sulle operazioni militari di non combattimento furono vicine a determinare una vera innovazione nel pensiero militare. Ma ufficiali dell'esercito americano con mentalità conservatrice riuscirono a tenere separate le operazioni militari di combattimento dalle operazioni di non combattimento. Così l'idea di un più ampio ruolo militare svanì fino a quando nell'edizione del 1998 degli elementi fondamentali del combattimento il concetto della guerra multidimensionale fu lasciato cadere: un passo avanti e due indietro". "Una grande nazione come gli Usa non è organizzata per una strategia integrata contro il terrorismo". "Le regole sono diverse a seconda dello stato che le impone". "Questo nuovo terrorismo è una sfida senza precedenti all'attuale ordine mondiale, ma solleva anche la domanda sulla ragionevolezza di tale ordine mondiale. Dobbiamo arrestare chi viola le regole ma dobbiamo anche cambiare alcune delle regole". "Per combattere coloro che infrangono le regole gli stati devono essere pronti a rompere essi stessi le regole. Noi possiamo vedere alcuni segnali di questa esigenza quando gli Usa impiegano i missili cruise per attaccare i terroristi e l'uso del governo di Hong Kong delle riserve di valuta estera e delle leggi amminstrative per combattere la speculazione. Ma ancora le contromisure adottate dagli stati
sono deboli e senza immaginazione. Alla fine i migliori insegnanti dei governi del mondo saranno questi terroristi vecchio stile che in nome della propria causa non hanno alcuna remora ad usare qualsiasi tattica". "In guerra non ci sono regole ma andamenti caratteristici. Ci sono andamenti che richiamano alla sezione aurea del 0.618 ma non ci sono andamenti costanti. Chi insiste su una strategia impostata sulla sezione aurea certamente perde". "Le guerre del futuro richiederanno cose che la maggior parte dei soldati non sono preparati a fare: vincere guerre non convenzionali e combattere battaglie fuori dai campi di battaglia. Da questo punto di vista perfino i generali Powell, Schwarzkop e Shalikashvili non sono moderni ma piuttosto militari tradizionalisti". "C'è un grande vuoto tra ciò che è convenzionale e ciò che è moderno. Un gap che può essere colmato soltanto da profondi pensatori. I soldati di oggi devono essere dei Machiavelli militari. L'origine della guerra senza limiti può essere trovata nel grande pensatore italiano del Rinascimento e ovviamente molto prima di lui nel pensatore militare cinese Han Feizi". "Guerra senza limiti significa superare i confini, le restrizioni e perfino i tabù che separano il militare dal non militare, le armi dalle non- armi e il personale militare dai civili. La combinazione dei vari metodi è il cocktail del Maresciallo. Vedere la combinazione dei soli mezzi militari è troppo ristretto. Per vincere le guerre di oggi bisogna impiegare tutte le risorse disponibili; inoltre occorre individuare l'andamento degli eventi per determinare la combinazione di mezzi e strategie più efficace". "Gli stati moderni sono influenzati da organizzazioni sovranazionali come l'Unione Europea, l'OPEC, l'IMF, la Banca Mondiale, il WTO e le organizzazioni delle Nazioni Unite. Inoltre sono determinanti le NGO, le corporazioni multinazionali, le associazioni professionali, Green Peace, il Comitato Olimpico, le organizzazioni religiose, quelle terroriste e i gruppi di hackers. Queste organizzazioni superstatali, internazionali e organizzazioni non governative stanno creando la nuova struttura di potere globale. Gli Usa agiscono tramite gruppi di organizzazioni e coalizioni di stati per salvaguardare i propri interessi". "La fiducia nella capacità delle organizzazioni superstatali di risolvere i
conflitti è sempre minore. Quello che si vede è la globalizzazione economica, l'internazionalizzazione delle politiche nazionali, il raggrupamento delle risorse informative e la compressione dei cicli d'innovazione tecnologica. Si nascondono i conflitti culturali e il rafforzamento delle NGO che portano in eguai misura vantaggi e svantaggi all'umanità". "Durante la crisi di Taiwan del 1996 la borsa crollò. Non era pianificato, ma se lo fosse stato?" "Nell'ideologia del globalismo, opposta all'isolazionismo, gli americani stanno espandendo la loro forza nella direzione di obiettivi illimitati. Questo porterà inevitabilmente alla tragedia. Un'azienda con capitale limitato e responsabilità illimitata è destinata al fallimento". "Con il nuovo secolo i soldati devono chiedersi: che cosa siamo? Se Bin Laden e Soros sono soldati, allora chi non lo è? Se Powell, Schwarzkopf, Dayan sono politici, allora chi è un politico? Questo è il quesito fondamentale del globalismo e della guerra nell'era della globalizzazione". Il terzo libro Il Foreign Broadcast Information Service (FBIS) è il servizio della CIA che raccoglie, traduce e divulga rapporti e materiale informativo in tutto il mondo. La traduzione dell'ambasciata Usa in Cina durò da novembre 1999 a febbraio 2000 e non aveva suscitato particolare interesse. Tutto sommato le reazioni più accese si erano determinate dalle sporadiche notizie stampa e dalle accuse dei giornalisti agli autori sulla base di traduzioni ed estrapolazioni estemporanee da parte dei media. La CIA cominciò a selezionare e tradurre il libro dopo che l'Ambasciata Usa aveva completato il suo primo sommario (una dichiarazione in tal senso si trova nel primo rapporto dell'Ambasciata). Le pubblicazioni on line dell'opera, capitolo per capitolo, iniziarono ai primi del 2000. L'interesse della CIA evidentemente non era grandissimo se impiegò quasi un anno per rendere accessibile in occidente e negli Usa una traduzione del libro. Sono note le difficoltà del servizio nel reperire traduttori qualificati di lingue orientali ed è anche vero che nello stesso periodo una mole enorme di scritti politico militari veniva prodotta in Cina da parte di personaggi molto più noti dei due colonnelli. Il solo professor Zhang Zhaozhong, direttore dell'Ufficio Scienze Militari,
Tecnologia, Istruzione e Ricerca dell'Università della difesa nazionale da marzo a settembre del 1999 pubblicò tre libri (ciascuno di circa 500 pagine) dai titoli evidentemente più allettanti: 1) Chi vincerà la prossima guerra?, 2) Quanto è lontana da noi la guerra?; 3) Chi è il prossimo obiettivo? Tuttavia è sorprendente vedere quali reazioni allarmate, disorientate, spaventate si registrano appena la traduzione della CIA è disponibile. L'editor che presenta la traduzione ovviamente non fa molto per invitare alla riflessione e certamente la CIA non ha le stesse esigenze di fair play dell'ambasciata Usa a Pechino. L'editor accusa esplicitamente gli autori di proporre tattiche per delle nazioni in via di sviluppo, la Cina in particolare, per compensare la loro inferiorità militare nei confronti degli Usa. "Il libro ha attirato l'attenzione della stampa cinese e occidentale per aver previsto l'impiego di una moltitudine di mezzi, militari e in particolare non militari, per colpire gli Stati Uniti durante i conflitti. Attacchi ai siti informatici, alle istituzioni finanziarie, terrorismo, media e la condotta di guerra urbana sono tra i metodi proposti". La lettura del testo tradotto dalla CIA rompe quella sensazione di pacatezza che il testo precedente aveva lasciato trasparire e la percezione americana è di una sorta di aggressione culturale dei cinesi agli Usa. Molti commentatori vi leggono accuse specifiche del tipo: la Guerra del Golfo è stata voluta e combattuta dagli Usa, con un apparato militare e con una coalizione ad hoc prettamente di stampo Usa. Le metodologìe, i concetti operativi, le stesse procedure tecniche erano tutte americane. Dopo la Guerra nel Golfo la revisione della strategia Usa e la ristrutturazione (contrazione e ammodernamento) è stata svolta esclusivamente in campo Usa. Gli Usa hanno teorizzato e avviato la guerra dell'informazione, gli esempi di primi hackeraggi sono Usa. La crisi asiatica è stata avviata dagli Usa e dagli speculatori americani: tutto questo è documentato e scritto dagli stessi americani, a partire dai loro Presidenti. E quello che ufficialmente gli americani non possono dire lo lasciano intendere: operazioni speciali, guerra psicologica, impiego di armi biologiche e chimiche e, non ultimo, il terrorismo sono mezzi usati dagli americani quando hanno voluto intervenire in maniera non convenzionale
nei vari angoli del mondo dall'Iraq all'Afghanistan e così via. Ciò che non si può dire ufficialmente non si può scrivere nel corpo del testo e allora lo si scrive nelle note. E così nelle note a pie capitolo si legge che Bin Laden ha costruito le caserme per gli americani in Arabia Saudita. Per gli stessi commentatori tutto questo è oltraggioso! Evidentemente la traduzione ha un taglio diverso dalla precedente e comunque cade in momenti diversi. Nel 2000 lo spionaggio cinese viene provato e il rapporto Cox è largamente diffuso. Un carico illegale di armi cinesi è fermato in California, a dicembre del 2000 si verifica l'attacco terroristico alla USS Cole, il 1" aprile del 2001 avviene il sequestro dell'aereo spia statunitense EP-3E. La battaglia per il WTO non è conclusa. Ce n'è abbastanza per attirare l'attenzione su una teorizzazione che sembra avverarsi come una profezia. Il Ten Col. Rich Holden, recensore di testi militari, raccomanda la lettura del libro come un must per tutti i militari di professione, ma soprattutto per gli addetti all'intelligence. Egli afferma che il libro insegna ai paesi sottosviluppati come la Cina a condurre una guerra totale contro gli Usa. Nell'agosto del 2000 la "Catholic Family News" definisce il libro un manuale di guerra che invoca l'impiego di mezzi finanziari, informatici, economici, chimici e biologici e lo stesso terrorismo. Il giornale, nel citare l'idea degli autori della guerra condotta da politici, scienziati e banchieri dice: "Questo modo di vedere la guerra è esattamente la ragione per la quale la Direzione dell'intelligence delle forze armate cinesi ha versato più di un milione di dollari al Comitato Nazionale Democratico per la rielezione di Bill Clinton e altri democratici nel 1996". Il 20 aprile del 2001 Davls Wood sul "San Francisco Chronicle" scrive: "La strategia della guerra senza limiti richiede una combinazione di terrorismo, manipolazione dei media, attacchi ai siti web, manipolazione delle borse per causare crolli finanziari, diffusione di virus informatici e altre armi non tradizionali. Scrivono i colonnelli Qiao Liang e Wang Xiangsui: noi crediamo che un bel mattino la gente si sveglierà per scoprire con sorpresa che alcune cose gentili e carine hanno cominciato ad assumere caratteristiche offensive e letali". Il 15 maggio 2001 il "China Reform Monitor" No. 380, lancia l'allarme che
la Cina, sulla scorta della strategia della guerra senza limiti, ha portato centinaia di attacchi su Internet a sostegno del pilota cinese Wang rimasto ucciso durante l'incidente dell'aereo spia Usa. La BBC e la CNN avrebbero citato fonti dell'FBI come origini dell'allarme. Meno emotivo, ma non di certo meno allarmato, è C. L. Staten, analista dell'Emergency Response & Research Institute (ERRI), che nota come il libro indichi vari modi per sconfiggere un nemico superiore (i mai nominati Stati Uniti). Egli nota acutamente che altrettanto problematico del fatto che gli strateghi cinesi sembrino esplorare piani per battere una superpotenza come gli Usa è il fatto che i concetti indicati dai colonnelli potrebbero quasi immediatamente essere adottati da un certo numero di stati canaglia, da non- stati e da organizzazioni terroristiche. Il 24 agosto del 2001 torna alla carica il gruppo di repubblicani che avevano contrastato la politica di Clinton di abbandono del Canale di Panama. La Cina ne aveva approfittato per avere in concessione delle importanti basi commerciali nell'area del canale e ora il libro dei colonnelli viene citato a dimostrazione che la Cina sta attuando una guerra senza limiti contro gli Usa. Il giornalista Scott Galupo si chiede: "Cosa stanno facendo i cinesi a Panama? La risposta può risiedere nel libro Guerra senza limiti, una guida per aiutare le nazioni in via di sviluppo come la Cina a compensare l'inferiorità tecnologica in una guerra contro gli Usa con tattiche come il terrorismo, il traffico di droga, gli attacchi informatici e il degrado ambientale". Dice Al Santoli del "China Reform Bulletin": "mentre manifestano grande rispetto e aperta ammirazione per la superiorità americana negli armamenti, nella logistica e nella dottrina militare, gli autori credono che la Cina possa sconfiggere gli Usa in un nuovo campo di battaglia...". Ovviamente dopo l'attacco terroristico a New York e Washington le speculazioni sulla matrice ideologica ed ispiratrice dell'attacco si sono rivolte di nuovo verso il libro dei colonnelli. Il 21 ottobre scorso Richard D. Fisher Jr. editor del "China Brief Newsletter" della Jamestown Foundation scriveva: "Mentre gli Usa fanno bene a cercare l'assistenza cinese in quella che sarà una lunga guerra contro il terrorismo, non dovrebbero farsi illusioni sul fatto che la Cina abbia gli stessi obiettivi
americani o che la Cina cessi di essere un avversario di lungo termine... Se Osama Bin Laden o i suoi alleati otterranno in futuro armi nucleari è probabile che molti componenti arriveranno tramite Pakistan o Iran e porteranno il marchio "Made in China". Bin Laden ha un fan club in qualche palazzo del PLA. Nel loro libro Guerra senza limiti, pubblicato nel 1999, due commissari politici esprimono ammirazione per le tattiche di Bin Laden". Ovviamente non c'è modo di verifìcare se tutte queste accuse siano vere e se quanto attribuito agli autori sia veramente scritto nel libro originale. Non c'è stata una traduzione ufficiale dei cinesi in lingua inglese e quello che stiamo leggendo è comunque orientato ad un pubblico e ad un particolare momento storico. Il terzo libro è quindi un'altra versione di quella che potrebbe essere la verità se si riuscisse a sapere cosa hanno scritto i due colonnelli. Per questa traduzione dobbiamo fidarci della CIA e per le vere intenzioni dobbiamo fidarci delle dichiarazioni degli autori in risposta alle accuse. A Francesco Sisci, Qiao e Wang hanno recentemente dichiarato: "Con il nostro libro non volevamo indicare ai terroristi le modalità di un attacco agli Usa, tutt'altro: volevamo avvertire gli americani di un grande pericolo che era alle porte, di un nuovo tipo di terrorismo che la tecnologia rende oggi possibile". Precedentemente, in un'intervista citata dal Jane's Information Group nel 2000 essi avevano detto: "Voi non troverete una sola parola su come la Cina dovrebbe usare la guerra del terrore. La guerra senza limiti è una spada a doppio taglio e non è diretta a pianificare la guerra nei riguardi di nessuna nazione in particolare". Durante l'intervista al "Washinton Post" del 1999 il Colonnello Qiao Liang rispose alla domanda se la Cina avrebbe accettato un mondo in cui gli Usa fossero la potenza dominante in questo modo: "Voi americani avete stabilito un sistema statale con tre poteri separati per evitare la tirannia, ma cosa state dando al mondo? Perché non potete dare democrazia e libertà al mondo? Non sto dicendo che tutto quello che gli Usa fanno è sbagliato, ma se fate qualcosa di sbagliato chi è in grado di correggervi?" Quarto libro Questo è il quarto libro. E come l'ultimo dei vangeli vuole essere diverso,
vuole tentare di presentare la verità da un'angolazione più oggettiva. La selezione dal terzo libro è forzata perché esso è l'unico disponibile in lingua occidentale e poi perché i meriti o i danni della propaganda o della controinformazione che possono aver alterato la versione originale sono poi quelli che ci riguardano da vicino. A prescindere dalle buone o cattive intenzioni degli autori e dei traduttori o dei commentatori ormai bisogna considerare che è questa la versione più diffusa e più accessibile al mondo intero e solo sulla base di questa si può dedurre se il libro sia un rischio per l'umanità in grado di comprenderla e come questo rischio possa tradursi in minaccia. A mio parere i timori americani che il libro si riferisca ad una ipotetica lotta Cina- Usa sono reali. Meno reali sono i timori che questa teorizzazione sia traducibile in pratica dalla Cina di oggi o dei prossimi venti anni. Ancora meno giustificati ritengo che siano i falsi pudori e le grida allo scandalo di chi vuole criminalizzare chi pensa. Ma lascio ai lettori il giudizio complessivo, cosciente che questo quarto libro fornisce un quadro complessivo sufficientemente ampio per consentire a ciascuno di formarsi una propria opinione. Di certo il messaggio generale dell'opera dei colonnelli è già stato recepito in ambito professionale militare statunitense da parte del Generale David L. Grange, Vice Presidente esecutivo della McCormick Tribune Foundation. Ritiratosi in pensione nel 1999 dopo aver comandato la 1A Divisione di fanteria Usa ed essere stato impiegato in Germania, Bosnia, Macedonia e Kosovo, Grange scriveva nel numero Inverno 2000 del "National Strategy Forum Review" un articolo dal titolo "Asymmetric warfare: old method, new concern". Come tutti gli americani che hanno attinto dal terzo libro, anche il Generale Grange ritiene che i colonnelli cinesi vogliano dettare le regole per fare la guerra agli Usa, ma analizza anche l'atteggiamento americano nelle varie occasioni di conflitto asimmetrico. Il suo pensiero, che so scaturire da esperienze e frustrazioni tipiche dei primi interventi militari in Bosnia e Kosovo, merita di far parte di questo quarto libro a dimostrazione che sono le situazioni a suggerire l'evoluzione del pensiero e che il pensiero rimane libero e rispettabile per tutto il tempo che rimane tale. Dice Grange: "La nostra risposta alle azioni
asimmetriche è stata generalmente quella di reagire con un atteggiamento difensivo, con decisioni assunte in preda al panico; oppure in alcuni casi abbiamo risposto poco efficacemente con attacchi aerei o missilistici, occasionalmente colpendo i non combattenti o coprendoci di vergogna con i media. Noi continuiamo a limitare le nostre stesse azioni con irrealistiche regole d'ingaggio, a prescindere dalla situazione. Inganno, operazioni psicologiche, guerra dell'informazione, disinformazione, softwar sono tutti ingredienti che non prevedono l'uso della forza ma che sono disponibili per la quarta generazione di guerrieri, e questi strumenti dovrebbero essere usati. Dobbiamo capire che la forza relativa è situazionale; è basata sul tempo, sulla velocità, sulla posizione e sulle condizioni del momento. Questi fattori intangibili sono più difficili da definire e possono fornire forza in circostanze diverse. La parte che è più carente di risorse o di sistemi di comando e controllo può compensare tali carenze con maggiore astuzia, forza morale, atteggiamento offensivo, sicurezza, sorpresa, flessibilità e capacità organizzativa per assolvere il particolare compito assegnato. Noi dobbiamo prevenire le azioni asimmetriche dell'avversario attaccandone la coesione e il ciclo operativo. Un avversario deve pianificare, ottenere supporto, muoversi, prepararsi, attaccare e riordinarsi durante ogni operazione o nella lotta per una causa. Noi possiamo farlo fallire agendo in un punto qualsiasi di tale processo prima della fase d'attacco. È tutta questione di conseguire un vantaggio di posizione, fisica o mentale, sull'avversario. I nostri avversari sono stati molto bravi nel conquistare vantaggi di posizione con le loro azioni asimmetriche contro il nostro dispositivo organizzativo e morale. Noi possiamo invertire questo vantaggio facendo lo stesso. Per infliggere una sconfitta più rapida ed efficace dobbiamo perseguire obiettivi asimmetici (negare, distruggere, disorganizzare, disgiungere, degradare) nei confronti dell'assetto organizzativo e morale avversario invece di adottare il nostro approccio tipico, prevedibile, convenzionale, diretto contro la forza fìsica. Prevenendo l'avversario nell'acquisizione del controllo della popolazione, impedendo alle organizzazioni l'uso di santuari, sconvolgendo il flusso del denaro e dei rifornimenti, negando l'uso dei media, denunciando la corruzione, svergognando la leadership,
rompendo le relazioni di potere si costringerebbe l'avversario alla difensiva e se ne romperebbe l'equilibrio. Tutto questo richiede iniziativa, dinamismo, capacità di pensare fuori dagli schemi, flessibilità e una mentalità vincente. I crimini contro l'umanità, le guerre locali e probabilmente i disastri mega- terroristici (biologici, chimici, nucleari e informatici) sono minacce degne di attenzione. Dobbiamo invertire la tendenza di questa quarta generazione di guerrieri impiegando azioni asimmetriche con una strategia preventiva. È questione di scegliere cosa essere: il cacciatore o la preda". La dimensione alla quale il Generale Grange si richiama è evidentemente ridotta rispetto a quella, globale, alla quale fanno riferimento i nostri colonnelli, ma la filosofia è la stessa. C'è lo stesso richiamo ad un nuovo modo di pensare. Se si vuole c'è persino più brutalità, ma è solo questione di linguaggio. Rimane da vedere quanto di questo nuovo modo di pensare sia realizzabile e a quale livello. Il Generale Grange si riferiva alle sue esperienze in Bosnia e Kosovo fino al 1999. Siamo ancora lì e nonostante gli sforzi i problemi sono gli stessi. Per quanto riguarda il livello globale e le misure descritte dai colonnelli si può già tentare di separare l'utopia dalla realtà. Utopia: né la Cina né alcun altro paese al mondo hanno la forza organizzativa di coordinare tutti i mezzi descritti nel libro e indirizzare gli sforzi in una sola direzione. Oggi il mondo cerca di coalizzarsi contro una minaccia specifica. Una causa che sembra unificante, ma c'è una parte del mondo che crede in un'altra causa anche se non condivide l'uso del terrorismo e bisogna tenerne conto. La parte del mondo che vuole combattere non è unita. Due, tre nazioni principali e poche altre nazioni minori e organizzazioni hanno risposto in maniera pratica alla chiamata. Gli stessi Stati Uniti trovano diffcoltà a coordinarsi nel proprio interno. Sono stati individuati 49 dipartimenti e agenzie statali che negli Usa si occupano di antiterrorismo. Ciascuna con un proprio bilancio, con propri scopi e con propri metodi. Ciascuna separata dalle altre. Il mito del coordinamento interagenzie è tale anche ora che lo stesso Presidente George Bush dirige personalmente le operazioni e fornisce le direttive unitarie. I presidenti sono uomini con potenzialità e limiti umani. Chiunque
abbia avuto a che fare con apparati burocratici statali può rendersi conto di quanto sia difficile il compito di dialogare con essi e di coordinarli. E il mondo non è fatto soltanto di Stati Uniti, ci sono altri stati importanti e meno importanti ma variamente coinvolti e interessati. E ci sono le superagenzie, le organizzazioni internazionali, governative e non, legittime e non, legali e non. La guerra globale, multidimensionale come la vedono i colonnelli, rimane quella che doveva essere nelle loro intenzioni: un esercizio teorico per sollecitare un cambiamento. Realtà: sono proprio le organizzazioni orizzontali, come quelle terroristiche moderne o come quelle criminali, ad avvantaggiarsi della teorizzazione della guerra senza limiti. Ma c'è di più: anche le organizzazioni o gli individui che conducono attività imprenditoriali o commerciali o finanziarie o qualsiasi altra attività che comporti il perseguimento di un fine in un ambiente ostile o soltanto competitivo possono trarre spunti di riflessione e innovazione dalla teorizzazione. Non a caso il libro parla spesso di speculazioni finanziarie come causa di danni superiori alle stesse guerre. Il messaggio finale non è limitato al fatto che il fine giustifica il mezzo, come diceva il buon Machiavelli, che tutto il mondo ha letto, e l'ancora miglior Han Feizi che nessuno da noi ha mai conosciuto. Oggi bisogna voler e saper impiegare tutti i mezzi a disposizione in varie combinazioni dinamiche a seconda dell'andamento del fenomeno o della situazione. Inconsapevolmente gli autori descrivono la logica del caos strutturato, la teoria del divenire costante, sempre mutevole e imprevedibile nei suoi effetti immediati, ma coerente con una direzione stabilita. Lo sviluppo dei frattali come metafora della nuova guerra globale, o di ogni altro fenomeno in divenire, è inconsapevolmente citato con la discussione sulla regola della sezione aurea e con l'avvertimento che in guerra non si può seguire la stessa regola per molto tempo. Il pericolo che organizzazioni criminali e terroristiche si mettano ad applicare il cocktail del Maresciallo è reale ed è particolarmente temibile nella misura in cui non ci vogliamo rendere conto che lo stanno già facendo da tempo. Per non averne più timore occorre riconoscerne i metodi e le potenzialità e combatterle con i mezzi legittimi più idonei. In questo i colonnelli sono d'aiuto.
Il pericolo che ogni organizzazione, di qualsiasi livello, si metta a sfruttare le leggi e i principi della guerra senza limiti per scopi e interessi particolari è altrettanto reale, ma non temibile, anzi altamente istruttivo ed educativo almeno per due ragioni: 1) le organizzazioni più potenti ci hanno già pensato e tengono ben nascosti sia gli scopi che i metodi. Oggi si trovano in posizione asimmetricamente molto favorevole e ingiustamente privilegiata proprio perché non si ha conoscenza delle loro strategie. Sapere migliora; 2) buona parte del mondo è convinta che bastino alcune regole fondamentali o dei sani princìpi per regolare la vita di ciascuno. Molti credono di essere influenti e di servire da buon esempio nei riguardi dei criminali e degli assassini e credono che la stessa società in cui vivono condivida il loro pensiero e le loro azioni. Questo ultimo libro può aiutarli a capire meglio l'ambiente in cui vivono e la propria funzione in tale contesto. Anche in questo i colonnelli aiutano. Se poi molti si dovessero scoprire inutili, raggirati o soltanto illusi la colpa non è certo dei colonnelli. Pochi al mondo sono consapevoli di vivere da prede. Ma non vittime di predatori che appartengono allo stesso mondo animale, che ne condividono i disagi e che in un certo senso predano per sopravvivere. Bensì vittime di cacciatori che vivono in un'altra dimensione sociale e usano armi e non- armi sovradimensionate alle possibilità di difesa della preda. Per questo pochi lottano, o lottano seriamente. I terroristi oggi sono cacciatori e possono sfruttare il doppio vantaggio sia di avere molte prede inconsapevoli che non lottano, non cooperano e che si rassegnano sia di avere contro poche prede consapevoli la cui capacità di lotta è minima. Se invece di perpetuare il gioco degli antagonismi fra stati ci si concentrasse sui veri avversari dell'umanità le prede si potrebbero trasformare in cacciatori. Questo quarto libro forse può aiutare ad interrompere il gioco. Generale Fabio Mini
PREFAZIONE Chiunque abbia vissuto l'ultimo decennio del ventesimo secolo non può non avere una consapevolezza profonda dei cambiamenti che sono avvenuti nel mondo. È indubbio, infatti, che nessun altro decennio nella storia sia stato caratterizzato da trasformazioni maggiori. Ovviamente le cause alla base di tali cambiamenti sono troppo numerose per poter essere qui menzionate, ma vi sono alcune ragioni che si impongono alla nostra attenzione. Una di queste è la Guerra del Golfo. Una sola guerra che ha cambiato il mondo. Un'affermazione del genere riferita a una guerra che si è verifìcata in un periodo limitato, in un'area circoscritta e che è durata solamente quarantadue giorni potrebbe sembrare esagerata. Tuttavia, questa è la realtà di fatto, e non è necessario elencare una per una tutte le nuove parole che sono divenute di attualità dopo il 17 gennaio 1991. Basti solamente citare l'ex- Unione Sovietica, la BosniaErzegovina, il Kossovo, la clonazione, la Microsoft, gli hackers, Internet, la crisi finanziaria del SudEst asiatico, l'euro e anche l'ultima e sola superpotenza mondiale, gli Stati Uniti. Esempi sufficienti, poiché costituiscono essenzialmente le questioni fondamentali che hanno interessato questo pianeta nell'arco dello scorso decennio. Ad ogni modo, ciò che intendiamo affermare è che tutte queste entità sono direttamente o indirettamente legate alla guerra. Guerra che noi non intendiamo tuttavia mitizzare, specialmente non una guerra impari come quella del Golfo, in cui la differenza nel potere reale delle parti coinvolte fu enorme. Anzi, semmai il contrario. Nella nostra attenta valutazione di questa guerra che ha cambiato il mondo intero in appena quindici giorni abbiamo rilevato un'ulteriore svolta, e cioè che è la guerra stessa ora ad essere cambiata. Abbiamo scoperto come, dall'epoca in cui le guerre si concepivano in termini di gloria e supremazia, sino ad oggi, quando ormai la fase culminante della storia della guerra e di quanto essa ha potuto creare si è conclusa, la guerra stessa, cui in origine spettava un ruolo fondamentale sullo scenario mondiale, è stata declassata in un colpo solo a una parte da attore di serie B.
Una guerra che ha cambiato il mondo alla fine ha cambiato la guerra stessa. È una considerazione veramente bizzarra e singolare, e tuttavia tale da indurre a profonde riflessioni. Ci riferiamo non ai cambiamenti negli strumenti, nella tecnologia, nelle modalità o nelle forme della guerra. Ciò che intendiamo è la funzione della guerra. Proviamo ad immaginare un attore insopportabilmente arrogante, la cui apparizione sulla scena ha modificato lo sviluppo dell'intera trama, che scopre improvvisamente di essere in realtà l'ultima persona scelta a rappresentare quel ruolo unico. E immaginiamo che, senza neppure aspettare la sua uscita di scena, gli venga annunciato che molto probabilmente non gli verrà più assegnato un ruolo di primo piano, o almeno non un ruolo monologante: che sensazione proverebbe in questo caso? Forse i soggetti più profondamente interessati da questa svolta sono gli americani, che probabilmente figurano tra coloro che vogliono assumere tutti i ruoli a disposizione, compresi quello di salvatori, vigili del fuoco, poliziotti mondiali, emissari di pace eccetera. In seguito all'operazione "Desert Storm", lo Zio Sam non è stato più capace di conquistare una vittoria onorevole. Che si trattasse della Somalia o della BosniaErzegovina, questa è stata l'incontrovertibile realtà dei fatti. In particolare, nell'azione più recente in cui gli Stati Uniti e la Gran Bretagna si sono alleati per sferrare un attacco contro l'Iraq, la scena, il metodo e gli attori sono rimasti gli stessi, ma non è stato possibile allestire lo stesso dramma sensazionale che aveva fatto tanto effetto otto anni prima. Di fronte a questioni politiche, economiche, culturali ben più complesse di quanto appaiano ai militari di tutto il mondo, i limiti dei mezzi militari che sino a quel momento non erano stati di ostacolo sono divenuti improvvisamente evidenti. Tuttavia, nell'epoca del principio per cui "la forza ha sempre ragione" - e gran parte della storia del ventesimo secolo rientra in questa fase - tali questioni non costituivano un problema. Ma le forze multinazionali al comando degli Stati Uniti hanno posto fine a questa fase nella regione desertica del Kuwait, dando così inizio a una nuova era. Al momento è ancora difficile capire se questa nuova era porterà alla
dismissione di grandi contingenti di personale militare, o se cancellerà la guerra dal mondo. Tutte queste eventualità sono ancora avvolte dall'incertezza. L'unico elemento certo è che da questo momento in poi la guerra non sarà più ciò che è stata tradizionalmente. Il che significa che, se in futuro l'umanità non avrà altra scelta che entrare in conflitto, non potrà più condurlo nei modi consueti. È impossibile negare l'importanza per il consorzio umano delle nuove motivazioni rappresentate dalla libertà economica, dal concetto di diritti umani e dalla consapevolezza della necessaria protezione dell'ambiente, ma è indubbio che le metamorfosi della guerra avranno una ricaduta più complessa. Diversamente, l'immortale volo della guerra non sarà più in grado di raggiungere il Nirvana. Quando la gente comincia ad entuasiasmarsi e a gioire propendendo per la riduzione di forze militari come mezzo per la risoluzione dei conflitti, la guerra è destinata a rinascere in altre forme e su di un altro scenario, trasformandosi in uno strumento di enorme potere nelle mani di tutti coloro che ambiscono ad assumere il controllo di altri paesi o aree. In tal senso esistono fondate ragioni per sostenere che l'attacco finanziario di George Soros all'Asia Orientale, l'attacco terroristico di Osama Bin Laden all'ambasciata militare in Sudan, l'attentato chimico alla metropolitana di Tokyo da parte dei discepoli di Aum Shiri Kyo e i disastri perpetrati ai danni della rete da personaggi come Morris Jr.. il cui livello di distruzione non è certo secondario a quello di una guerra, rappresentano una "semi- guerra", una "quasi- guerra" e una "sotto- guerra", vale a dire la forma embrionale di un altro genere di guerra. Comunque si scelga di definirla, questa nuova realtà non può renderci più ottimisti che in passato. Ciò perché la riduzione delle funzioni della guerra in senso stretto non implica affatto che quella guerra abbia cessato di esistere. Anche nella cosiddetta era postmoderna e postindustriale la guerra non sarà mai eliminata del tutto. È solo tornata a invadere la società in modi più complessi, più estesi, più nascosti e sottili. "Nulla è accaduto, ha solo subito una trasformazione profonda" come scrisse Byron nella poesia scritta per la morte di Shelley. La guerra che ha subito i cambiamenti della moderna tecnologia e del sistema di mercato verrà condotta in forme ancor
più atipiche. In altre parole, mentre si assiste a una relativa riduzione della violenza militare, allo stesso tempo si constata un aumento della violenza politica, economica e tecnologica. Tuttavia, indipendentemente dalle forme assunte dalla violenza, la guerra è guerra, e un cambiamento nella sua veste esteriore non le impedisce di mantenere i principi della guerra in sé. Se si riconosce che i nuovi principi della guerra non sono più quelli di "usare la forza delle armi per costringere il nemico a sottomettersi ai propri voleri", quanto piuttosto quelli di "usare tutti i mezzi, inclusa la forza delle armi e sistemi di offesa militari e non- militari e letali non letali per costringere il nemico ad accettare i propri interessi", tutto ciò costituisce un cambiamento: un cambiamento nella guerra e un cambiamento nelle modalità della guerra da ciò provocato. E dunque, cosa ha portato al cambiamento? In che direzione portano tali cambiamenti? Come devono essere affrontati? È questo è il tema che il nostro libro cerca di sviluppare e illustrare, ed è anche ciò che ci ha motivati a scriverlo.
PARTE PRIMA: IL NUOVO CONCETTO DI GUERRA [Scritto il 17 gennaio 1999, in occasione dell'ottavo anniversario dell'inizio della Guerra del Golfo) Per quanto grandi fossero gli antichi Stati, sono immancabilmente periti quando erano arsi dal desiderio per la guerra Sima Rangju La tecnologia è il totem dell'uomo moderno Non sorprende che l'uomo, agitato dalla calda brezza dell'utilitarismo, apprezzi più la tecnologia della scienza. L'epoca delle grandi scoperte scientifiche era già tramontata prima dei tempi di Einstein. L'uomo moderno è sempre più propenso a credere che tutti i suoi sogni possano realizzarsi nell'arco di una vita e, pertanto, puntando sul suo futuro, si prostra e si aspetta meraviglie dalla tecnologia e dalla potenza dei suoi mezzi. In questo modo, la tecnologia ha registrato sviluppi impressionanti e dirompenti in tempi relativamente brevi, offrendo innumerevoli vantaggi all'umanità, ansiosa di successi folgoranti e di immediate gratificazioni. Orgogliosamente noi chiamiamo tutto questo progresso tecnologico, non rendendoci conto che però, a questo punto, ci siamo già consegnati ad un'epoca tecnologica ottenebrata nella quale abbiamo perso i nostri cuori. Oggi, la tecnologia sta diventando sempre più abbagliante e incontrollabile. I laboratori di Bell e Sony continuano a sfornare nuovi giocattoli, Bill Gates propone ogni anno nuove "Windows", come altrettante finestre sul mondo, e "Dolly", la pecora clonata, dimostra che l'umanità ora sembra intenzionata a sostituirsi al Dio creatore. Il temibile caccia russo SU-27 non è ancora stato impiegato su un campo di battaglia e già è emerso il SU-35 ad occupare la ribalta, ma non è affatto certo che, una volta fatto il suo tempo sotto le luci dei riflettori, il SU-35 possa andare in pensione avendo reso un onorato servizio. La tecnologia è come un paio di scarpe magiche ai piedi della bambola meccanica dell'umanità. Dopo che la molla è stata caricata dagli interessi commerciali, la gente può solamente danzare volteggiando vorticosamente al ritmo che le scarpe
stesse hanno stabilito. Edison e Watt sono praticamente sinonimi di grandi scoperte tecniche e si potrebbe ritenere ragionevole adottare i nomi di questi esimi maestri della tecnologia per definirne l'epoca. Tuttavia, da quel momento, la situazione è cambiata e, viste le innumerevoli e svariate scoperte tecnologiche avvenute nell'ultimo secolo o poco più, è difficile che possa emergere una tecnologia che di per sé abbia una qualche importanza nel contesto della vita umana. Si può senz'altro dire che espressioni quali "epoca del motore a vapore" ed "epoca dell'elettrificazione" siano definizioni che rispecchiano le realtà di quel momento. Tuttavia, oggi, con tutti i tipi dì nuove tecnologie che incessantemente sfidano quelle già affermate - tanto che la gente ha a malapena il tempo di acclamarle per un attimo, sopraffatta da un'ondata più forte o più moderna di tecnologia - non si può più caratterizzare un'epoca con un'unica tecnologia o con un unico inventore. Per questo, se chiamassimo il nostro tempo "epoca del nucleare" o "epoca dell'informatica", comunque daremmo alla gente l'impressione che stiamo utilizzando un solo aspetto per caratterizzare l'intero contesto. Non vi è dubbio: la nascita della tecnologia informatica è stata positiva per la civiltà umana perché è l'unica cosa che, ad oggi, è in grado di infondere maggiore energia nella "peste" tecnologica liberata dal vaso di Pandora, offrendo, nel contempo, un magico amuleto come mezzo per controllare la tecnologia. Ora, però, non possiamo non interrogarci su chi avrà l'amuleto magico con cui dominare, a sua volta, la tecnologia informatica. Per dirla in termini pessimisti, ove tale tecnologia si dovesse sviluppare in una direzione incontrollabile dall'uomo, essa farebbe dell'uomo stesso la propria vittima. Tuttavia, perfino questa conclusione spaventosa è totalmente incapace di spegnere l'ardore che la gente prova per essa. La prospettiva ottimista che la tecnologìa informatica si manifesti con tutta la sua forza è estremamente seducente per l'uomo, assetato di progresso tecnico. Dopo tutto, le sue peculiarità di scambio e di condivisione rappresentano la luce dell'intelligenza che, come noi speriamo, permetterà all'umanità di superare la barbarie della tecnologia, benché questo non sia ancora sufficiente per
fare di noi quei futuristi che vedono gli alberi e non la foresta e che utilizzano il nome della tecnologia informatica per caratterizzare un'intera epoca. I suoi tratti distintivi sono esattamente ciò che le impediscono di sostituirsi alle varie tecnologie di cui già abbondantemente disponiamo, che stanno or ora emergendo o che presto nasceranno, e pensiamo in particolare alla biotecnologia, alla tecnologia dei materiali e alla nanotecnologia. Tecnologie che hanno tutte un rapporto di simbiosi con la tecnologia informatica nel cui ambito esse fanno reciproco affidamento promuovendosi vicendevolmente. Se analizziamo gli ultimi tre secoli, da tempo, nel regno della tecnologia, ci siamo abituati ad innamorarci ciecamente del nuovo scartando il vecchio, e la ricerca incessante di nuova tecnologia è diventata una panacea per risolvere tutti i difficili problemi dell'esistenza. Infatuati dal nuovo, ci siamo gradualmente smarriti. Proprio come, sovente, si commettono altri dieci errori per coprirne uno, per risolvere un problema difficile non esitiamo a farci carico di altri dieci problemi. Ad esempio, per disporre di un mezzo di trasporto più comodo, abbiamo inventato le macchine, ma, sulla scia di questa invenzione, è emersa una lunga serie di problemi: estrazione mineraria e fusione, lavorazione meccanica, estrazione del petrolio, raffinamento della gomma, costruzione delle strade, eccetera. Questi problemi, a loro volta, per essere risolti hanno richiesto una sequela di mezzi tecnici, finché, in ultima istanza, non siamo giunti all'inquinamento dell'ambiente, alla distruzione delle risorse, all'espropriazione dei terreni, agli incidenti stradali e a tutta una serie di questioni ancor più spinose. Alla lunga, facendo un bilancio tra l'obiettivo iniziale, ossia l'uso delle macchine per il trasporto, e questi problemi derivati, l'obiettivo iniziale pare quasi insignificante. In questo modo, l'espansione irrazionale della tecnologia fa sì che l'umanità continuamente perda di vista i suoi obiettivi nelle complesse ramificazioni dell'albero della tecnologia e, così facendo, si smarrisca dimenticando come tornare indietro, fenomeno che potremmo anche soprannominare "effetto di ramificazione". Fortunatamente, in quest'epoca, è nata la tecnologia informatica moderna. Possiamo dire con certezza che questa è la rivoluzione più importante della
storia della tecnologia. Il suo significato rivoluzionario non sta semplicemente nel fatto che è di per sé una tecnologia completamente innovativa, ma soprattutto nel fatto che si tratta di una sorta di legante in grado di penetrare capillarmente nelle stratificate barriere tra le tecnologie e di correlare tecnologie diverse che sembrano completamente avulse le une dalle altre. Grazie a questa sua capacità legante, non solo è possibile far nascere tante nuove tecnologie che, pur essendo un ibrido, sono sia una cosa che un'altra, ma anche adottare un approccio completamente nuovo nei confronti del rapporto tra uomo e tecnologia. Soltanto dalla prospettiva dell'umanità l'uomo può percepire chiaramente l'essenza della tecnologia come strumento, e soltanto allora può evitare di diventarne schiavo durante il processo di risoluzione dei difficili Problemi che deve affrontare nel corso della sua esistenza. L'umanità è Perfettamente in grado di sviluppare appieno i suoi poteri immaginativi in maniera da utilizzare continuamente nuove tecnologie per sostituire le vecchie quando queste, ormai sfruttate, hanno esaurito il loro potenziale. Oggi l'utilizzo indipendente di singole tecnologie sta diventando sempre più inconcepibile. La nascita della tecnologia informatica ha offerto possibilità infinite di combinazioni che si creano tra nuove tecnologie avanzate e che chiamano in causa vecchie e nuove tecnologie. Innumerevoli sono i fatti che ci hanno dimostrato come l'utilizzo integrato della tecnologia sia in grado di promuovere il progresso sociale, persino più della sua stessa scoperta. Ad una realtà di voci soliste, si sta attualmente sostituendo una realtà corale. La fusione generale della tecnologia sta guidando irreversibilmente la tendenza emergente alla globalizzazione, mentre la tendenza alla globalizzazione sta, a sua volta, accelerando il processo di fusione generale della tecnologia, e questa è la caratteristica fondamentale della nostra epoca. Tale caratteristica inevitabilmente proietterà le sue peculiarità su qualsiasi direzione della nostra epoca e, naturalmente, l'ambito della guerra non farà eccezione. Nessuna forza militare tesa all'ammodernamento può fare a meno di alimentarsi con nuove tecnologie, e le esigenze della guerra hanno sempre dato vita a nuova tecnologia. Durante la Guerra del Golfo, oltre
cinquecento tipi di nuove tecnologie avanzate degli anni Ottanta sono assurte agli onori della gloria, facendo apparire la guerra semplicemente come un teatro di sperimentazione per nuove armi. Ciò che tuttavia ha maggiormente colpito non sono state le armi in quanto tali, bensì la tendenza alla sistemizzazione dello sviluppo e dell'uso delle armi. I "Patriot" intercettavano gli "Scud" e sembrava semplice come sparare agli uccelli con un fucile, mentre, di fatto, servivano una moltitudine di dispositivi dislocati in più di metà del globo: una volta individuato un bersaglio con un satellite DSP, veniva trasmesso un allarme ad una stazione terrestre in Australia, segnale successivamente inviato al comando centrale a Riyad attraverso il comando statunitense di Cheyenne Mountain, dopodiché agli operatori dei "Patriot" veniva ordinato di assumere il dispositivo di attacco, il tutto in uno stadio di allarme di soli novanta secondi grazie ad una miriade di ripetitori e al coordinamento dei sistemi spaziali e dei sistemi C3I, un vero e proprio "sparo sentito in tutto il mondo". Il coordinamento in tempo reale di molte armi su grandi distanze ha creato una capacità di combattimento senza precedenti, e proprio questo era inimmaginabile prima della nascita della tecnologia informatica. Mentre si può dire che la creazione di singole armi prima della Seconda Guerra Mondiale era ancora in grado di scatenare una rivoluzione militare, oggi nessuna è capace, da sola, di dominare la scena. La guerra, nell'epoca dell'integrazione tecnologica e della globalizzazione, ha privato le armi del diritto di caratterizzare la guerra e, introducendo un nuovo punto di partenza, ha riallineato il rapporto tra armi e guerra, mentre la comparsa di armi di nuova concezione e, in particolare, la comparsa di nuovi concetti di armi, ha gradualmente reso indistinto il volto della guerra. L'attacco di un solo "pirata informatico" va considerato come un atto ostile o no? L'uso di strumenti finanziari per distruggere l'economia di un paese va visto come una battaglia? È stata la trasmissione da parte della CNN delle crude immagini del cadavere di un soldato americano per le strade di Mogadiscio a scuotere la determinazione degli americani a fungere da gendarmi del mondo, modificandone così la situazione strategica? E una valutazione delle azioni intraprese in tempo di guerra dovrebbe guardare ai mezzi o ai risultati? Ovviamente, se procedessimo
tenendo presente la definizione tradizionale di guerra, non vi sarebbe più modo di dare risposta a questi interrogativi. Nel momento in cui ci rendiamo conto che tutte queste azioni di non guerra possono essere i nuovi fattori costitutivi dello scenario di guerra del futuro, dobbiamo inevitabilmente trovare un nuovo nome per questa nuova forma di guerra, uno scenario che trascende qualsiasi confine e limite. In poche parole: una guerra senza limiti. E, se accettassimo tale definizione, ciò significherebbe che, nel contesto di questa guerra, tutti i mezzi sarebbero sempre pronti, le informazioni sarebbero onnipresenti e il campo di battaglia sarebbe ovunque, ma significherebbe anche che tutte le armi e la tecnologia potrebbero essere sovrapposte a piacimento, tutti i confini tracciati tra i due mondi, quello della guerra e quello della non guerra, quello del militare e quello del non militare, sarebbero completamente annientati e molti dei principi che attualmente presiedono al combattimento verrebbero modificati, tanto da dover forse persino riscrivere le regole della guerra. È tuttavia difficile sentire il polso del dio della guerra. Se vogliamo discutere di guerra, e soprattutto della guerra che scoppierà domani sera o dopodomani mattina, c'è solo un modo: definirne la natura trattenendo il respiro e cercando di percepire il polso del dio della guerra di oggi.
I. LA RIVOLUZIONE DELLE ARMI - UNA PREMESSA INEVITABILE Non appena i progressi tecnologici possono essere applicati a fini militari, laddove non sono nati per tali fini, paiono quasi subito obbligatori e spesso vanno anche contro la volontà dei comandanti scatenando cambiamenti o persino rivoluzioni nelle modalità del combattimento Engels La rivoluzione delle armi precede inevitabilmente di un passo la rivoluzione della concezione militare e, dopo l'introduzione di un'arma rivoluzionaria, l'arrivo della rivoluzione militare è solo una questione di tempo. La storia della guerra costantemente ci fornisce questa prova: le lance di bronzo o di ferro hanno portato alla nascita della falange della fanteria, mentre frecce, archi e staffe hanno dato vita ad una nuova tattica della cavalleria. I cannoni a polvere nera hanno generato tutta una serie di modalità moderne per condurre la guerra e, dal tempo in cui proiettili conicip) e fucili dominavano il campo di battaglia come avanguardia dell'era della tecnologia, le armi hanno subito impresso i loro nomi sul petto della guerra. Gigantesche navi rivestite di acciaio hanno inaugurato l'epoca delle navi da battaglia", poi è giunto il "carro armato" a far da padrone nella guerra terrestre, dopodiché l'aereo ha imperato nei cieli, sino alla nascita della bomba atomica, preannunciatrice dell""era nucleare". Oggi, una miriade di nuove armi tecnologicamente avanzate continua a proliferare, tanto che esse sono state consacrate come l'elemento più rappresentativo della guerra. Quando discutiamo di guerra futura, in un certo senso siamo già abituati ad utilizzare certe armi o tecnologie per descriverla, chiamandola "guerra elettronica", "guerra delle armi chirurgiche" e "guerra informatica". Seguendo la nostra orbita mentale, non ci siamo ancora accorti che un cambiamento impercettibile, eppure molto importante, si sta avvicinando a grandi passi. Nessuno ha il diritto di etichettare la guerra La rivoluzione delle armi prelude ad una rivoluzione della concezione militare. Ciò che è diverso rispetto al passato è il fatto che la prossima rivoluzione militare non sarà più guidata da una o due singole armi. Oltre che continuare a stimolarci a desiderare nuove armi e ad esserne affascinati, le numerose invenzioni
tecnologiche hanno anche rapidamente sradicato i misteri di ogni tipo di arma. In passato, tutto ciò che occorreva era l'invenzione di poche armi o dotazioni, come la staffa e la mitragliatrice "Maxim" e questo bastava per modificare la forma della guerra. Oggi, invece, servono più di cento tipi di armi per creare un determinato sistema offensivo che possa generare un impatto globale sulla guerra. Tuttavia, quante più armi si inventano, tanto più ristretto diventa il ruolo di una singola arma nella guerra, e questo è un paradosso intrinseco nel rapporto tra armi e guerra. In tal senso, a parte una guerra in cui si faccia uso esclusivo di armi nucleari, situazione che è sempre meno probabile e che potrebbe definirsi guerra nucleare, nessun'altra arma, anche quelle che, per loro natura, sono estremamente rivoluzionarie, ha il diritto di dare il suo nome alla guerra futura. Forse, proprio perché riconosciamo questo aspetto, oggi abbiamo espressioni del tipo "guerra high- tech" e "guerra informatica", espressioni il cui intento è quello di usare l'ampio concetto di tecnologia per sostituire il concetto di armi specifiche, utilizzando un approccio per tentativi al fine di chiarire un problema spinoso. Sembra tuttavia che questo non sia ancora il modo per risolverlo. Se infatti approfondiamo la questione, l'espressione "alta tecnologia", comparsa per la prima volta negli Stati Uniti nel campo dell'architettura, è di fatto un po'"vaga. Cosa costituisce l'alta tecnologia? A cosa fa riferimento? Se ragionassimo per logica, alto e basso sono solo concetti relativi. E comunque utilizzare un concetto estremamente mutevole in questa maniera irrazionale per designare la guerra, destinata ad evolvere all'infinito, costituisce in sé un problema notevole. Quando l'alta tecnologia di una generazione diventa, col passar del tempo, bassa tecnologia, siamo ancora pronti a ridefinire high- tech i nuovi giocattoli che continuamente fanno la loro comparsa? O è possibile che, nell'attuale esplosione tecnologica, possa crearci confusione e problemi designare e utilizzare ogni nuova tecnologia che venga alla ribalta? Per non parlare semplicemente della questione dello standard che si dovrebbe usare per stabilire se qualcosa è alto o non lo è. Quanto alla tecnologia in sé, ogni tecnologia ha i suoi aspetti specifici, il che significa, di riflesso, che ogni tecnologia ha i suoi limiti temporali. Ciò che ieri era "alto", oggi con tutta
probabilità è "basso"; mentre ciò che oggi è "nuovo", diventerà a sua volta il "vecchio" di domani. Rispetto al carro armato M-60, all'elicottero "Cobra" e al B-52, principali armi da combattimento degli anni Sessanta e Settanta, il carro armato "Abrams", l'elicottero armato "Apache", l'F-117, i missili "Patriot" e i missili cruise "Tomahawk" sono alta tecnologia. Tuttavia, di fronte al B-2, all'F-22, all'elicottero "Comanche" e al sistema radar di sorveglianza, acquisizione obiettivi e attacco "J- Stars", essi sembrano a loro volta superati. È come dire che il concetto di armi high- tech, concetto assolutamente mutevole, in modo del tutto naturale diventa il titolo da assegnare alla "promessa sposa". Poi, visto che "i fiori sbocciano ogni anno, ma la gente cambia", tutto ciò che resta è il guscio vuoto di un'etichetta, posta di volta in volta alla giovane che diventerà la prossima "promessa sposa". Quindi, nella catena della guerra, con i suoi collegamenti continui, ogni arma può passare dall'alto al basso e dal nuovo al vecchio in qualunque momento e in qualsiasi luogo, poiché la freccia del tempo non è disposta a fermarsi in alcun punto né nessun'arma può sedere a lungo sul trono dell'alta tecnologia. Stando così le cose, non possiamo non chiederci a quale tipo di alta tecnologia faccia riferimento la cosiddetta guerra high- tech. L'alta tecnologia, parlando in termini generali, non può diventare sinonimo di guerra futura, come neanche la tecnologia informatica, che è una delle alte tecnologie dell'epoca attuale e che sembra rivestire un ruolo importante nella composizione di tutte le armi moderne, è sufficiente a caratterizzare una guerra. Anche se, nelle guerre future, tutte le armi dovessero incorporare componenti informatiche ed essere totalmente computerizzate, non potremmo comunque designare tale guerra come guerra informatica. Al massimo, potremmo chiamarla semplicemente guerra computerizzata perché, senza nulla togliere all'importanza della tecnologia informatica, questa non può completamente soppiantare le funzioni e i ruoli di ciascuna tecnologia considerata singolarmente. Ad esempio, il caccia F-22, che indubbiamente già incorpora la tecnologia informatica, è pur sempre un caccia e il missile "Tomahawk" è pur sempre un missile. Non li si può
assommare e chiamarli armi informatiche né la guerra condotta utilizzando queste armi può essere definita guerra informatica. La guerra computerizzata in senso ampio e la guerra informatica in senso stretto sono due cose differenti. La prima si riferisce alle varie forme di guerra che sono perfezionate o accompagnate dalla tecnologia informatica, mentre la seconda fa essenzialmente riferimento ad una guerra in cui si impiega la tecnologia informatica per ottenere o distruggere informazioni. Inoltre, il mito contemporaneo creato dalla venerazione dell'informatica ci ha portati erroneamente a credere che essa sia l'unico astro nascente, mentre sulle altre il sole è già tramontato. Questo genere di mito può portare altro denaro nelle tasche di Bill Gates, ma non può cambiare il fatto che lo sviluppo della tecnologia informatica si fonda anche sullo sviluppo di altra tecnologia e che lo sviluppo della corrispondente tecnologia dei materiali è un vincolo diretto che grava sulle conquiste della tecnologia informatica. Lo sviluppo della biotecnologia, ad esempio, determinerà le sorti future della tecnologia informatica. Parlando di tecnologia bio- informatica, potremmo anche tornare ad un tema precedente e, anche in questo caso, proporre un piccolo assunto: se usiamo le bio- armi telecomandate dall'informatica per attaccare un biocomputer, questa guerra dovrebbe essere considerata una bio- guerra o una guerra informatica? Temiamo che nessuno sia in grado di rispondere in un'unica frase, ma è uno scenario che può benissimo verificarsi. In realtà, non è assolutamente necessario lambiccarsi il cervello per capire se oggi la tecnologia informatica crescerà forte e indomita, perché essa stessa è una sintesi di altre tecnologie e la sua prima comparsa, così come ogni suo progresso, rientrano in un processo di fusione con altre tecnologie, per cui la tecnologia informatica risulta parte di esse ed esse parte della tecnologia informatica, ed è proprio questa la caratteristica più peculiare dell'era della globalizzazione e dell'integrazione tecnologica. Naturalmente, come l'incisione di un sigillo d'acciaio, questa caratteristica può lasciare la sua impronta tipica su ogni arma moderna. Non stiamo affatto negando che, nella guerra futura, alcune armi avanzate potranno svolgere un ruolo decisivo. Tuttavia, come per la determinazione dell'esito di una guerra, ora è molto difficile che qualcuna di esse occupi una
posizione di assoluto predominio. Potrà essere decisiva, certo, ma non sarà la sola, e tantomeno resterà immutata, il che equivale a dire che nessuna può sfacciatamente imprimere il proprio nome su una determinata guerra moderna. "Combattere la guerra adatta alle armi di cui disponiamo" e "costruire le armi idonee alla guerra" Queste due frasi, "combattere la guerra adatta alle armi di cui disponiamo" e "costruire le armi idonee alla guerra", mostrano chiaramente la linea di demarcazione tra guerra tradizionale e guerra futura, oltre a indicare il rapporto esistente tra armi e tattica nei due tipi di guerra. La prima rispecchia l'adattamento involontario o passivo del rapporto tra uomo, armi e tattica in una guerra che si svolge in condizioni naturali, mentre la seconda suggerisce la scelta conscia o attiva da noi operata, in riferimento alla stessa asserzione, una volta raggiunto uno stato di libertà. Nella storia della guerra, la regola generale non scritta cui sempre abbiamo aderito è quella di "combattere la guerra adatta alle armi di cui disponiamo". Molto spesso accade che elaboriamo una tattica che risponda ad un'arma solo dopo esserne entrati in possesso. Poiché vengono prima le armi, seguite dalla tattica, l'evoluzione delle armi produce un effetto decisamente vincolante sulla sua evoluzione. Ovviamente, in questo contesto, vi sono fattori limitanti che riguardano l'epoca e la tecnologia, ma non possiamo dire che non sussista un rapporto tra questo e il pensiero lineare secondo cui ogni generazione di specialisti nella produzione di armi pensa solo alle prestazioni più o meno avanzate di una certa arma senza prendere in esame altri aspetti. Probabilmente, questo è uno dei fattori in grado di spiegare perché una rivoluzione delle armi immancabilmente precede una rivoluzione nelle concezioni militari. Benché l'espressione "combattere la guerra adatta alle armi di cui disponiamo" sia, per sua natura, essenzialmente negativa, in quanto ciò che sottace rispecchia una sorta di impotenza, non abbiamo alcuna intenzione di sminuire il significato positivo che oggi essa assume, e questo significato positivo è la ricerca della tattica ottimale per le armi a nostra disposizione. In altre parole, la ricerca di quelle modalità di combattimento che rappresentano il connubio migliore con determinate armi facendo in modo che esse rendano al massimo. Oggi, chi è impegnato in una guerra ha
consapevolmente o inconsapevolmente portato a termine la transizione di questa regola dal negativo al positivo. Il fatto è che ancora crediamo — erroneamente - che questa sia l'unica iniziativa che possa essere intrapresa dai paesi sottosviluppati, visto il loro stato di impotenza. Difficilmente ci rendiamo conto che gli Stati Uniti, la prima potenza mondiale, devono anch'essi affrontare questo genere di inadeguatezza. Anche se l'America è il paese più ricco del mondo, non necessariamente è in grado di utilizzare appieno le sue nuove armi, tutte tecnologicamente avanzate, per combattere una costosa guerra moderna. Semplicemente essa ha più libertà quando si tratta di scegliere e abbinare nuovi e vecchi dispositivi bellici. Se si riesce a trovare un buon punto di equilibrio, vale a dire la tattica più appropriata, allora l'abbinamento e l'impiego di armi della nuova generazione e delle generazioni precedenti non solo consentono di superare la debolezza delle vecchie armi, ma possono trasformarsi in un "moltiplicatore" per aumentarne l'efficacia. Il bombardiere B-52, del quale in molte occasioni si è detto che già da tempo era pronto ad andare tranquillamente in pensione, è ritornato al suo vecchio splendore una volta abbinato ai missili cruise e ad altre armi telecomandate di precisione, ed oggi le sue ali continuano a librarsi infaticabili nei cieli. Con l'equipaggiamento esterno di missili guidati all'infrarosso, ora l'aereo A-10 ha la capacità, che inizialmente gli mancava, di sferrare attacchi notturni e, abbinato all'elicottero "Apache", crea un connubio arricchente per entrambi, rendendo molto importante questa piattaforma per armi apparsa a metà degli anni Settanta. Ovviamente, "combattere la guerra adatta alle armi di cui disponiamo" non significa affatto inazione. Ad esempio, il mercato delle armi, oggi sempre più aperto, e i tanti canali di offerta hanno ampliato i margini di scelta delle armi, e la coesistenza massiccia di armi che abbracciano più generazioni ha fornito una base più ampia e più funzionale, rispetto a quanto sia mai avvenuto nelle epoche passate, per la combinazione di armi di diverse generazioni, per cui è sufficiente abbandonare la nostra abitudine mentale di trattare generazioni, usi e combinazioni di armi come se fossero punti fìssi per poter trasformare ciò che è superato in qualcosa di miracoloso. Se pensassimo di dover far affidamento su armi avanzate per combattere una guerra moderna,
credendo ciecamente negli effetti miracolosi di tali armi, in realtà ci potrebbe accadere di trasformare qualcosa di miracoloso in qualcosa di superato. Siamo in una fase in cui, nel campo delle armi, stiamo assistendo ad un balzo in avanti rivoluzionario, passando da sistemi d'arma simbolicamente legati alla polvere nera a quelli simboleggiati dall'informatizzazione, e questo periodo di alternanza nelle armi potrebbe essere relativamente lungo. Al momento, non siamo in grado di dire quanto potrebbe durare, ma ciò che possiamo affermare con certezza è che, finché questa alternanza non giunge a termine, combattere il tipo di guerra che si adatta alle armi di cui disponiamo rappresenterà per qualsiasi paese l'approccio più semplice per gestire il rapporto tra armi e combattimento, e questo vale anche per gli Stati Uniti, il paese con le armi più avanzate. Ciò che va sottolineato è che la cosa più basilare non è necessariamente quella che ha il futuro più roseo. Iniziative aggressive in condizioni negative sono solo un approccio specifico per un determinato momento, e non possono costituire in alcun caso una regola intramontabile. Nelle mani dell'uomo, il progresso scientifico è passato da tempo dalla scoperta passiva all'invenzione attiva e il concetto proposto dagli americani di "costruire le armi idonee alla guerra", vale a dire prima stabilire le modalità del combattimento, poi sviluppare le armi, ha scatenato il cambiamento più radicale nel rapporto tra armi e tattica mai registrato dall'avvento della guerra. In tal senso, il primo tentativo compiuto dagli americani è stato quello della "Air- land Battle", mentre il tentativo più recente è quello, attualmente molto noto e che ha suscitato un acceso dibattito, del "campo di battaglia digitalizzato" e delle "unità digitalizzate". Questo approccio indica che le armi ora sono state scalzate dal loro immancabile precedere la rivoluzione delle concezioni militari. Adesso, viene prima la concezione e le armi seguono, o le due si incoraggiano vicendevolmente ed il nuovo rapporto reciproco è costituito da un avanzamento in cui, a turno, entrambe fungono da forza trainante. Nel contempo, le stesse armi hanno prodotto cambiamenti di significato epocale e il loro sviluppo non si limita unicamente ai miglioramenti delle singole prestazioni, concentrandosi piuttosto sulle caratteristiche necessarie per collegarle e abbinarle ad altre armi. Pensiamo al caso dell'F-111, che
all'epoca rappresentava una categoria a sé stante perché era troppo avanzato e non vi era modo di abbinarlo ad altre armi, per cui non restava che accantonarlo. Ebbene, oggi quella lezione è stata assimilata e la corrente di pensiero che cerca di affidarsi ad una o due nuove armi tecnologicamente avanzate che costituiscono le "armi killer" con le quali far scomparire il nemico a questo punto è superata. "Costruire le armi idonee alla guerra", approccio che ha le peculiarità distintive di una epoca e le caratteristiche del laboratorio, può essere visto non solo come una scelta attiva, ma anche come il tentativo di affrontare eventi mutevoli rispettando un principio fondamentale e, oltre a rappresentare un importante progresso nella storia della preparazione alla guerra, implica anche la crisi potenziale della guerra moderna: personalizzare i sistemi d'arma in base a tattiche ancora in fase di esplorazione e studio è come preparare il cibo per un grande banchetto senza sapere chi vi parteciperà, ed il minimo errore può condurci molto fuori strada. A giudicare dai risultati dell'esercito americano in Somalia, incerto di fronte alle forze di Aidid, la forza militare più moderna non ha la capacità di controllare il clamore dell'opinione pubblica e non può affrontare un avversario che fa le cose in maniera non convenzionale. Sui campi di battaglia del futuro, le forze digitalizzate potrebbero trovarsi, con tutta probabilità, nella posizione di un grande chef in grado di servire deliziose aragoste con un filo di burro di fronte a guerriglieri che energicamente rosicchiano pannocchie. Non potrebbero che sospirare per La disperazione. Il "gap generazionale" nelle armi e nelle forze militari è forse una questione che richiede un'attenzione eccezionale. Quanto più ristretto è il divario generazionale, tanto più marcati sono i successi in battaglia della generazione meno recente. Viceversa, quanto più ampio diviene il gap, tanto meno ogni parte è in grado di trattare con l'altia e si può giungere al punto in cui nessuna delle due è in grado di sconfiggere il nemico. Esaminando gli esempi specifici di battaglie di cui disponiamo, noteremo che per le truppe high- tech è difficile far fronte alla guerra non convenzionale e alla guerra low- tech, e forse da questo potremmo desumere una regola, o quantomeno stabilire che si tratta di un fenomeno interessante che varrebbe la pena di studiare.
Armi di nuova concezione e nuevi concetti di armi Rispetto alle armi di nuova concezione, quasi tutte le armi che sinora abbiamo conosciuto possono definirsi armi di vecchia concezione. Il motivo per cui vengono definite vecchie è che le funzioni essenziali di queste armi erano la loro mobilità e la loro potenza letale. Anche congegni come le bombe telecomandate di precisione e altre armi high- tech simili in realtà non comportano nulla di più se non l'aggiunta di due elementi: intelligence e capacità strutturale. Dal punto di vista delle applicazioni pratiche, nessun cambiamento di aspetto può alterarne la natura di armi tradizionali, vale a dire il loro controllo da parte di soldati professionisti e il loro impiego su determinati campi di battaglia. Tutte queste armi e piattaforme per armi, che sono state prodotte seguendo la corrente di pensiero tradizionale, sono finite, senza eccezione, in un vicolo cieco nel loro sforzo di adattarsi alla guerra moderna e alla guerra futura. I desideri di utilizzare la magia dell'alta tecnologia per creare una certa alchimia nelle armi tradizionali in modo da poterLe completamente riprogettare sono, in ultima istanza, caduti nella trappola dell'alta tecnologia che comporta lo spreco infinito di fondi limitati e una corsa agli armamenti. Questo è il paradosso che deve essere inevitabilmente affrontato nel processo di sviluppo delle armi tradizionali: per garantire che le armi siano all'avanguardia, è necessario continuare ad incrementare le spese di sviluppo. Il risultato di questo continuo aumento è che nessuno ha abbastanza denaro per mantenere la posizione di testa. Ed il risultato ultimo è che le armi per difendere il paese in realtà diventano causa della sua bancarotta. Forse, gli esempi più recenti sono i più convincenti. Il Maresciallo Ogarkov, ex Capo di Stato maggiore sovietico, era profondamente consapevole della tendenza di sviluppo delle armi nell""era nucleare" e quando, al momento opportuno, ha proposto il nuovissimo concetto di "rivoluzione della tecnologia militare" era palesemente avanti rispetto ai suoi contemporanei. Tuttavia, il fatto di essere precursore nel suo modo di pensare non ha affatto portato il suo paese alla felicità, quanto piuttosto a risultati disastrosi. Non appena tale concetto, che, nello scenario della Guerra Fredda era visto dai suoi colleghi come un modo per imporre la cadenza al suo tempo, la corsa agli armamenti, che da un po'"era iniziata
tra Stati Uniti e Unione Sovietica, si intensificò ulteriormente. Allora però nessuno poteva prevedere che, in realtà, avrebbe portato allo scioglimento dell'Unione Sovietica e alla sua definitiva scomparsa dalla competizione tra superpotenze. Un potente impero è crollato senza che neanche un colpo fosse sparato, a corroborare vividamente i versi di una famosa poesia di Kipling secondo cui "Quando gli imperi crollano, non lo fanno con un fragore, ma con un gemito", il che non è stato vero solo per l'ex Unione Sovietica. Oggi, gli americani paiono seguire le orme dei loro antichi avversari, fornendoci una prova fresca del paradosso dello sviluppo delle armi che abbiamo suggerito. Man mano che i contorni dell'epoca dell'integrazione tecnologica diventano sempre più chiari, gli americani investono sempre più nello sviluppo di nuove armi ed il costo delle armi diventa sempre più elevato. Lo sviluppo dell'F-14 e dell'F-15 negli anni Sessanta e Settanta è costato un miliardo di dollari, mentre lo sviluppo del B-2 negli anni Ottanta è costato oltre 10 miliardi di dollari e lo sviluppo dell'F-22 negli anni Novanta ha superato i 13 miliardi di dollari. In base al peso, ogni B-2, che va da 13 ai 15 miliardi, costa circa tre volte di più del suo equivalente in oro. Armi costose come questa abbondano nell'arsenale statunitense. Pensiamo, per esempio, al bombardiere F-117A, al principale aereo da combattimento F-22 o all'elicottero armato Comanche. Il costo di ciascuna di queste armi supera o si avvicina ai 100 milioni di dollari, e questa quantità massiccia di armi con un rapporto costo/ efficacia irragionevole ha rivestito l'esercito americano con un'armatura sempre più pesante, spingendolo gradualmente verso la trappola delle armi high- tech in cui le spese continuano a salire. Se questo è ancora vero per i ricchi e arroganti Stati Uniti, per quanto tempo gli altri paesi, a corto di denaro, potranno proseguire lungo questo cammino? Come è ovvio, sarà difficile per chiunque andare avanti e naturalmente per liberarsi da questa impasse occorre sviluppare un approccio diverso. Proprio per rispondere a tale situazione sono emerse le armi di nuova concezione, ma ciò che ci pare ingiusto è che siano nuovamente gli americani alla guida di questa tendenza. Già nella guerra in Vietnam, la polvere di ioduro d'argento liberata sul "sentiero di Ho Chi Minh", che ha
provocato piogge torrenziali, e i defolianti cosparsi sulle foreste subtropicali hanno reso i "diavoli americani" leader assoluti sia nei metodi che nell'uso spietato delle armi di nuova concezione. A distanza di trent'anni, con il doppio vantaggio del denaro e della tecnologia, altri non sono in grado di potersi paragonare a loro in questo settore. Gli americani, tuttavia, non sono necessariamente leader indiscussi in tutto. I nuovi concetti di armi, che sono venuti dopo le armi di nuova concezione e che coprono un ambito più ampio, ne sono stati un prolungamento naturale, ma gli americani non sono stati in grado di primeggiare in questo campo, perché per proporre un nuovo concetto di armi non serve fare affidamento sul trampolino della nuova tecnologia, è necessario un pensiero lucido e incisivo. Orbene, questo non è uno dei punti di forza degli americani che, nel loro modo di pensare, sono schiavi della tecnologia. Gli americani immancabilmente fermano il loro pensiero al limite che la tecnologia non ha ancora raggiunto. E innegabile che onde subsoniche, nuove armi biologiche e chimiche, terremoti, tsunami e disastri climatici provocati dall'uomo siano tutte armi di nuova concezione e che presentino differenze notevolissime rispetto a quelle che noi normalmente chiamiamo armi, ma sono pur sempre armi il cui obiettivo immediato è quello di uccidere e distruggere, armi che sempre dipendono da tattiche militari, soldati e munizioni. In questo senso, non sono altro che armi non tradizionali i cui meccanismi sono stati modificati e la cui potenza letale e distruttiva è stata notevolmente amplificata. Parlare invece di un nuovo concetto di armi è cosa completamente diversa. Un nuovo concetto di armi e ciò che definiamo armi di nuova concezione sono due cose del tutto differenti. Sebbene possiamo dire che le armi di nuova concezione sono armi che trascendono l'ambito delle armi tradizionali, che possono essere controllate e manipolate a livello tecnico, che sono in grado di infliggere ferite materiali o psicologiche ad un nemico, di fronte al nuovo concetto di armi, esse sono pur sempre armi in senso stretto. E questo perché il nuovo concetto di armi è una visione delle armi in senso ampio, che le considera come mezzi che trascendono l'ambito militare, ma che possono comunque essere impiegate in operazioni di combattimento. In quest'ottica, qualsiasi cosa da cui l'umanità
possa trarre vantaggio è anche in grado di arrecarle danno, vale a dire che non vi è nulla al mondo, oggi, che non possa diventare un'arma, il che impone alla nostra interpretazione del concetto di armi di avere una consapevolezza che superi qualsiasi limite. Con gli sviluppi tecnologici che stanno strenuamente cercando di moltiplicare i tipi di armi, un progresso nel nostro modo di pensare può aprirci, in un sol colpo, le porte del regno delle armi. Per come noi la vediamo, un crollo del mercato azionario ad opera dell'uomo, un'invasione di virus nei sistemi informatici, come anche uno scandalo o una voce che provochi una fluttuazione dei tassi di cambio del paese nemico o ne esponga i leader in Internet, sono tutti scenari che possono rientrare nel novero delle armi di nuova concezione. Un nuovo concetto di armi indica la via da seguire alle armi di nuova concezione, mentre le armi di nuova concezione danno forme fisse al nuovo concetto di armi. Quanto alla inondazione di armi di nuova concezione, la tecnologia non è più il fattore principale e il vero fattore fondamentale è un nuovo concetto di armi. Ciò che va detto chiaramente è che il nuovo concetto di armi sta creando dispositivi che sono strettamente legati alla vita della gente comune. Supponiamo che la nostra prima affermazione sia: la comparsa delle armi di nuova concezione porterà sicuramente la guerra futura ad un livello difficilmente immaginabile per la gente comune o persino per i militari. Dovremmo poi aggiungere: il nuovo concetto di armi provocherà nella gente comune, come anche nei militari, grande stupore nel constatare che le cose ordinarie, quelle a loro vicine, possono anch'esse diventare armi con le quali ingaggiare una guerra. Siamo persuasi che alcune persone si sveglieranno di buon'ora scoprendo con stupore che diverse cose apparentemente innocue e comuni hanno iniziato ad assumere caratteristiche offensive e letali. La tendenza alle armi "meno cruente" Prima della comparsa della bomba atomica, la guerra viveva sempre un""epoca di carenza" rispetto alla capacità letale. Gli sforzi per migliorare le armi si sono essenzialmente concentrati sulla necessità di rafforzarne la capacità letale. Dalle "armi a leggera letalità", rappresentate dalle armi bianche e dalle armi da fuoco a colpo singolo, alle "armi pesanti", rappresentate da varie armi da fuoco
automatiche, la storia del loro sviluppo è quasi sempre stata un processo volto a rafforzarne continuamente la capacità letale. Le carenze prolungate hanno creato, tra i militari, una sete di armi con potenza letale ancora superiore, sete difficile da soddisfare. Poi, con una nuvola rossa raccoltasi sulla terra desertica del Nuovo Messico negli Stati Uniti, i militari sono stati finalmente in grado di ottenere un'arma di distruzione di massa che rispondesse ai loro desideri, un'arma che poteva non solo spazzare via completamente i nemici, ma anche ucciderne cento o mille volte di più. Questo ha fornito all'umanità capacità letali ben superiori alla domanda e, per la prima volta, in relazione alla capacità letale in guerra, si è avuto modo di risparmiare. I principi filosofici ci dicono che nel momento in cui qualcosa giunge al suo punto di arrivo, riprende il movimento in direzione opposta. L'invenzione delle armi nucleari, quest""arma ultraletale" in grado di spazzar via l'umanità intera, l'ha fatta sprofondare in una trappola esistenziale di sua fabbricazione. Le armi nucleari sono diventate una spada di Damocle sospesa sulla testa dell'umanità che la costringe a meditare: abbiamo veramente bisogno delle "armi ultraletali"? Qual è la differenza tra uccidere un nemico una volta e ucciderlo cento volte? Perché distruggere il nemico se ciò significa rischiare la distruzione del mondo? Come evitare che la guerra si trasformi nella rovina per tutti? Il prodotto immediato di questo pensiero è stato un "equilibrio del terrore" che comportava la "distruzione reciprocamente garantita", ma il suo prodotto derivato è stata la creazione di un meccanismo frenante per quel treno in corsa del miglioramento delle capacità letali delle armi, la cui velocità stava continuamente aumentando, di modo che lo sviluppo delle armi non sbandasse più all'impazzata lungo i binari delle armi leggere, delle armi pesanti e delle armi ultraletali ed avessimo maniera di trovare un nuovo approccio allo sviluppo delle armi non solo efficace, ma anche in grado di esercitare un controllo sulla loro potenza letale. Qualsiasi invenzione tecnologica importante avrà un background umano profondo. La "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo", approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1948, e gli oltre cinquanta accordi successivi ad essa correlati hanno sancito una serie di norme
internazionali in materia di diritti umani che riconoscono che l'uso delle armi di distruzione di massa - e in particolare delle armi nucleari - è una grave violazione del "diritto alla vita" e costituisce un "crimine contro l'umanità". Influenzata dai diritti umani e da altri nuovi concetti politici, oltreché dalla tendenza all'integrazione dell'economia internazionale, da domande intercorrelate e da posizioni politiche che vedono coinvolti gli interessi di varie forze sociali e politiche, la proposta del concetto di "preoccupazione fondamentale" per l'ambiente ecologico e, in particolare, di rispetto del valore della vita umana ha fatto sorgere dubbi sull'uccidere e il distruggere, dando vita ad un nuovo concetto di valore della guerra e ad una nuova etica della guerra. La tendenza alle armi "meno cruente" non è altro se non un riflesso, nella produzione e nello sviluppo delle armi, di questo grande cambiamento avvenuto nel background culturale dell'uomo. Nel contempo, il progresso tecnologico ci ha dato i mezzi per colpire direttamente i centri nervosi del nemico senza arrecare danno ad altro, offrendoci molte nuove alternative per ottenere la vittoria, e tutto ciò ci fa ritenere che la maniera migliore per risultare vincitori sia controllare, non uccidere. Si sono avuti cambiamenti nel concetto di guerra e nel concetto di armi, e l'approccio che prevedeva l'uso di un massacro incontrollato per costringere il nemico alla resa incondizionata ora è diventato reliquia del passato. Adesso, la guerra si è congedata dall'era del "tritacarne" delle campagne stile Verdun. La comparsa delle armi "a letalità di precisione" e delle armi non letali (non fatali) è un punto di svolta nello sviluppo delle armi che mostra, per la prima volta, come le armi si stiano sviluppando in una direzione "meno cruenta" e non "più forte". Le armi di precisione possono colpire un bersaglio, riducendo le perdite collaterali e, come un bisturi a raggi gamma è in grado di asportare un tumore praticamente senza perdita di sangue, hanno portato ad attacchi "chirurgici" ed altre nuove tattiche del genere, per cui azioni di combattimento poco appariscenti possono conseguire risultati strategici decisamente considerevoli. Per esempio, lanciando semplicemente un missile sulla traccia di segnale di un telefono cellulare, i russi sono stati in grado di far tacere per sempre Dudayev, una spina nel fianco per loro, e nel contempo hanno reso meno grave l'enorme
problema sollevato dalla piccola Cecenia. Le armi non letali possono efficacemente inibire le capacità di combattimento di personale e dotazioni senza perdita di vite umane. La tendenza insita in queste armi mostra che l'umanità sta superando il suo pensiero estremo, iniziando ad imparare a controllare la potenza letale di cui già dispone, ma che diventa sempre più eccessiva. Nel massiccio bombardamento durato oltre un mese durante la Guerra del Golfo, la perdita di vite umane tra i civili in Iraq è stata dell'ordine delle migliaia, numero di gran lunga inferiore a quello registrato nel massiccio bombardamento di Dresda durante la Seconda Guerra Mondiale. Le armi meno cruente rappresentano l'ultima scelta consapevole dell'umanità tra le varie alternative offerte nel campo delle armi. Scelta in virtù della quale, dopo l'introduzione dell'elemento della nuova tecnologia nelle armi, viene poi aggiunta la componente umana, dando così alla guerra una connotazione di gentilezza d'animo senza precedenti. Tuttavia, un'arma meno cruenta è pur sempre un'arma, ed il fatto che sia pensata per essere meno cruenta non significa che la sua efficacia sul campo di battaglia sia inferiore. Per neutralizzare le capacità di combattimento di un carro armato, è possibile utilizzare cannoni o missili per distruggerlo, ma è anche possibile impiegare un raggio laser per annientare la sua dotazione ottica o per accecare il suo equipaggio. Sul campo di battaglia, il ferito ha bisogno di più cure del morto, e le armi che non richiedono la presenza fisica dell'uomo possono ovviare alla necessità di prevedere dispositivi di protezione sempre più costosi, per cui senza dubbio chi sta sviluppando le armi meno cruente ha già effettuato calcoli sul rapporto costo/ efficacia di questa opzione. Le perdite possono privare il nemico delle sue capacità di combattimento creandogli una situazione di panico e facendogli perdere la voglia di combattere, e questo potrebbe essere considerato un modo utile per ottenere la vittoria. Oggi disponiamo di tecnologia sufficiente e possiamo elaborare tanti metodi più efficaci per scatenare la paura. Pensiamo, ad esempio, all'uso di un raggio laser per proiettare in cielo l'immagine di correligionari feriti, che sarebbe sufficiente a spaventarci soldati devotamente religiosi. Non vi sono più ostacoli alla costruzione di questo tipo di armi.
Basta aggiungere all'elemento tecnico un po'"più di immaginazione. Le armi meno cruente rappresentano un derivato del nuovo concetto di armi, e le armi informatiche ne sono un esempio eloquente. Che si tratti di armi ad energia elettromagnetica per la distruzione di massa o di attacchi morbidi con bombe logiche computerizzate, virus di rete o armi multimediali, tutte puntano a paralizzare e neutralizzare, non a uccidere esseri umani. Le armi meno cruente, che potevano nascere solo in un'epoca di integrazione tecnologica, rappresentano probabilmente la tendenza di sviluppo più promettente per le armi e, nel contempo, creeranno nuove forme di guerra o rivoluzioni nelle concezioni operative che oggi non possiamo neanche immaginare o prevedere. Esse rappresentano un cambiamento che, ad oggi, ha avuto le implicazioni più profonde nella storia della guerra e costituiscono lo spartiacque tra vecchie e nuove forme di combattimento. E questo perché la loro comparsa è stata sufficiente per relegare nell'era del "vecchio" tutte le euerre dell'epoca delle armi (bianche e da fuoco). Nondimeno, non possiamo neanche indulgere in romantiche fantasie sulla tecnologia credendo che, da questo punto in poi, la guerra sarà un confronto equiparabile ad un gioco elettronico. Persino una guerra simulata in una sala computer dovrà basarsi sulle effettive capacità globali di un paese. Se un colosso dai piedi di argilla dovesse presentarsi con dieci strategie per una guerra simulata, comunque non sarebbero sufficienti a fungere da deterrente per un nemico che, in termini di forza reale, è sicuramente più potente. La guerra è sempre il terreno della morte e della vita, il percorso della sopravvivenza e della distruzione, e persino la più piccola ingenuità non è tollerabile. Anche se un giorno tutte le armi dovessero diventare completamente umane, una guerra meno cruenta in cui si possa evitare lo spargimento di sangue resterebbe pur sempre una guerra. Forse, se ne potrebbe modificare il processo efferato, ma non vi è modo di cambiarne l'essenza, che è un'essenza di coercizione, e dunque non è neanche possibile alternarne l'esito crudele.
II. IL VOLTO DEL DIO DELLA GUERRA È DIVENTATO INDISTINTO Da sempre, nella storia, la guerra è in continuo mutamento Andre Beaufre Sin da quando l'uomo primitivo è passato dalla caccia agli animali al massacro dei suoi simili, egli ha equipaggiato la gigantesca belva della guerra e per l'azione e il desiderio di ottenere vari obiettivi ha portato i soldati a chiudersi in sanguinosi conflitti. È ormai universalmente riconosciuto che la guerra è cosa da soldati. Per diverse migliaia di anni, i tre elementi "hardware" indispensabili per qualsiasi guerra sono stati i soldati, le armi e un campo di battaglia. A congiungerli, vi era l'elemento "software" della guerra: la sua intenzionalità. Sino ad ora, nessuno ha mai messo in discussione il fatto che questi siano gli elementi essenziali della guerra. Il problema sorgerà quando scopriremo che tutti questi elementi, in apparenza saldissimi, sono cambiati talmente tanto che è impossibile controllarli perfettamente. Giunto quel giorno, il volto del dio della guerra sarà ancora altrettanto chiaramente distinguibile? Perché combattere e per chi? Parlando degli antichi greci, se ciò che narra il poema epico di Omero è realmente affidabile, lo scopo della Guerra di Troia era chiaro e semplice: valeva la pena combattere una guerra di dieci anni per la bella Elena. Quanto alle loro finalità, le guerre condotte dai nostri antenati erano relativamente semplici in termini di obiettivi da conseguire, nulla di complesso. E questo perché i nostri antenati avevano orizzonti limitati, le loro sfere di attività erano ristrette, le esigenze della loro esistenza erano modeste e le loro armi non erano abbastanza letali. In generale, solo se qualcosa non poteva essere ottenuto con mezzi normali, i nostri antenati si sarebbero avvalsi di strumenti straordinari per ottenerlo, e senza la benché minima esitazione. Proprio in tal senso, Clausewitz scrisse il suo famoso detto, professione di fede per diverse generazioni di soldati e statisti: "La guerra è la continuazione della politica". I nostri antenati combatterebbero forse per lo status ortodosso di una setta religiosa o probabilmente per una distesa di pascoli ricca di acqua e di erba rigogliosa. Non avrebbero nemmeno scrupoli ad andare in guerra per spezie, liquori o una relazione
amorosa tra un re e una regina. La storia trabocca di racconti di guerre per spezie e innamorati, di ribellioni per cose come il rum, racconti che ci lasciano sospesi senza sapere se ridere o piangere. E poi c'è la guerra che gli inglesi ingaggiarono contro la monarchia Qing per la difesa dei propri interessi nel commercio dell'oppio, la più grande attività nazionale di narcotraffico probabilmente mai registrata dalla storia. Da questi esempi, è chiaro che, prima dei tempi recenti, esisteva solo un tipo di guerra in termini di movente e di relative azioni. Passando ad un'epoca più recente, Hitler ha lanciato il suo slogan "conquistare spazio vitale per i tedeschi" - e i giapponesi il loro - costruire una cosiddetta "sferapiù ampia di co- prosperità per l'Asia orientale". Anche se, analizzando superficialmente questi slogan, è possibile pensare che gli obiettivi dovessero essere per qualche verso più complessi rispetto alle finalità di qualsiasi guerra precedente, nondimeno essi erano semplicemente ispirati dal desiderio delle nuove grandi potenze di spartirsi, ancora una volta, le sfere di influenza delle vecchie grandi potenze e di cogliere i vantaggi della conquista delle loro colonie. Oggi, invece, non è così facile stabilire perché si combatte. Un tempo, l'ideale dell""esportazione della rivoluzione" e lo slogan che invitava al "controllo dell'espansione del comunismo" erano appelli ad agire che suscitavano innumerevoli risposte. Ma, soprattutto dopo la fine della Guerra Fredda, quando la cortina di ferro che divideva i due grandi blocchi è improvvisamente crollata, questi appelli hanno perso di efficacia. L'epoca della netta contrapposizione tra schieramenti è finita. Chi sono i nostri nemici? Quali sono i nostri amici? Questi erano gli interrogativi fondamentali in riferimento alla rivoluzione e alla controrivoluzione, ed improvvisamente le risposte sono diventate complesse, confuse e difficilmente afferabili. Un paese che ieri era nostro avversario sta diventando nostro alleato, mentre, allo scoppio della prossima guerra, sul campo di battaglia potremmo scontrarci con un ex alleato. L'Iraq, che un anno prima aveva attaccato l'Iran per conto degli Stati Uniti nella guerra Iran- Iraq, l'anno successivo è divenuto esso stesso bersaglio di un feroce attacco militare americano. Un guerrigliero afghano addestrato dalla CIA diviene improvvisamente l'ultimo bersaglio di un attacco di missili cruise
statunitensi. Inoltre, Grecia e Turchia, membri della NATO, sono giunte quasi al conflitto varie volte per la controversia su Cipro, mentre Giappone e Corea del Sud, che hanno stipulato un trattato di alleanza, sono stati ad un passo da uno scontro aperto a causa di un'isoletta. Tutto ciò conferma ancora una volta il vecchio detto: "le amicizie passano, solo l'interesse personale resta". Il caleidoscopio della guerra, mosso dalle mani dell'interesse personale, presenta all'osservatore immagini continuamente cangianti. I progressi eccezionali della moderna tecnologia avanzata servono a promuovere la globalizzazione, intensificando ulteriormente l'incertezza legata alla scomparsa di alcuni interessi personali percepiti e alla comparsa di altri. I fattori scatenanti di una guerra possono essere i più svariati, dalla contesa per un territorio o per alcune risorse ad uno scontro fra credi religiosi diversi, dall'odio tribale ad una disputa ideologica, da una controversia su quote di mercato ad un conflitto di potere e autorità, dalla reazione contro l'imposizione di sanzioni ad una disputa derivante dal caos finanziario. Proprio perché si perseguono interessi diversi, le finalità della guerra sono divenute meno manifeste. È dunque più difficile affermare chiaramente perché si combatte. Chiunque abbia partecipato alla Guerra del Golfo affermerà senza dubbio di aver combattuto per riportare la giustizia nel piccolo, debole Kuwait. Eppure, la vera ragione della guerra era forse molto diversa dalla motivazione altisonante che per essa veniva fornita. Nascosti dietro l'ombrello offerto da questa motivazione magniloquente, non c'era bisogno di temere il confronto diretto con la luce. In realtà, ogni paese che ha partecipato alla Guerra del Golfo ha deciso di unirsi al "Desert Storm" solo dopo aver attentamente esaminato le proprie intenzioni e i propri obiettivi. Durante l'intero corso della guerra, tutte le potenze occidentali stavano combattendo per il petrolio, risorsa vitale. A questo obiettivo primario, gli americani hanno aggiunto l'aspirazione di creare un nuovo assetto mondiale "made in Usa" e, probabilmente, vi era anche un po'"di zelo missionario nel sostenere la giustizia. Per allontanare una minaccia reale, l'Arabia Saudita era disposta a infrangere i tabù musulmani e a "ballare coi
lupi". Dall'inizio alla fine, i britannici hanno reagito entusiasticamente ad ogni mossa del Presidente George Bush per ripagare lo Zio Sam dei problemi di cui si era fatto carico, per loro conto, nella Guerra delle Falkland. Infine, i francesi, all'ultimo momento, per evitare di veder svanire definitivamente la loro tradizionale influenza in Medio Oriente, hanno inviato truppe nel Golfo. Non è ovviamente possibile che una guerra condotta in siffatte condizioni potesse essere un confronto combattuto con un unico obiettivo. La somma degli interessi di ciascuno dei tanti paesi che vi hanno partecipato è servita a trasformare una guerra moderna come "Desert Storm" in una corsa al soddisfacimento di vari interessi personali sotto la bandiera di un interesse comune. Il cosiddetto "interesse comune", pertanto, si è semplicemente trasformato nel massimo comun denominatore dell'equazione della guerra che può essere accettato da ogni alleato coinvolto nello sforzo bellico. Poiché in una guerra paesi diversi sicuramente perseguono obiettivi differenti, per continuare insieme la guerra occorre tener presente l'interesse personale di ogni alleato. Ma non basta. Guardando alla situazione interna di un determinato paese, ogni gruppo di interesse nazionale sostiene in una guerra i propri interessi. Le interrelazioni complesse tra gli interessi personali non consentono di classificare la Guerra del Golfo come una guerra combattuta per il petrolio, come una guerra combattuta per un nuovo assetto mondiale o come una guerra combattuta per scacciare gli invasori. Solo pochi soldati sono in grado di capire un principio che ogni statista già conosce: la più grande differenza tra le guerre contemporanee e quelle del passato sta nel fatto che, in quelle contemporanee, lo scopo manifesto e quello sottaciuto sono spesso completamente diversi. Dove combattere? "In guerra!" Un giovane, zaino in spalla, si congeda dalla sua famiglia mentre le sue figlie e i suoi parenti, in lacrime, lo guardano allontanarsi. Scena classica dei film di guerra. Che il giovane parta a cavallo, in treno, in nave o in aereo, poco importa. L'importante è che la destinazione non cambia mai: il campo di battaglia arso dalle fiamme della guerra. Durante il lungo periodo che ha preceduto l'avvento delle armi da fuoco, i campi di battaglia erano piccoli e compatti. Un confronto ravvicinato tra
due eserciti poteva svolgersi su una piccola distesa di terra, su un passo di montagna o entro le mura di cinta di una città. Agli occhi del soldato moderno, il campo di battaglia che tanto incantava gli antichi è un bersaglio '"puntiforme" sulla mappa militare non particolarmente degno di nota. Un siffatto campo di battaglia non è fondamentalmente in grado di accogliere il grande spettacolo della guerra così come è stato allestito nei tempi recenti. La comparsa delle armi da fuoco ha portato a formazioni disperse e il campo di battaglia "puntiforme" è stato gradualmente trasformato in una linea di schermaglie. La guerra di trincea della Prima Guerra Mondiale, con linee lunghe centinaia di chilometri, serviva a portare al suo apogeo il campo di battaglia "puntiforme" e "lineare", trasformando, nel contempo, il campo di battaglia in un""area" con un'estensione di diverse decine di chilometri. Per quanti andavano in guerra a quei tempi, il nuovo campo di battaglia significava trincee, fortificazioni, reticolati, mitragliatrici e crateri di granate. Andare in guerra su questi campi di battaglia, che mietevano un altissimo numero di vittime, significava andare al "macello" o finire in un "tritacarne". Lo sviluppo eccezionale della tecnologia'militare sta costantemente preparando il terreno ad un'ulteriore espansione dirompente dello spazio di battaglia. Il passaggio dal campo di battaglia "puntiforme" al campo di battaglia "lineare" e la transizione dal campo di battaglia bidimensionale al campo di battaglia tridimensionale non sono stati così lenti come generalmente pensiamo. Potremmo dire che, in ciascun caso, la fase successiva ha pressoché incalzato la precedente. Quando i carri armati hanno iniziato a ruggire sulle trincee militari, gli aerei ad elica erano già equipaggiati di mitragliatrici e già era possibile lanciare bombe dagli zeppelin. Lo sviluppo delle armi non può, in sé e di per sé, indurre automaticamente mutamenti nella natura del campo di battaglia. Nella storia della guerra, qualsiasi progresso significativo è sempre dipeso, in parte, da un'innovazione attiva degli strateghi militari. Il campo di battaglia, legato alla terra per diverse migliaia di anni, si è improvvisamente trasformato in uno spazio tridimensionale. E ciò è dovuto anche in parte alle opere Tanks in the Great War 1914-18 del Generale J. F.C. Fuller e a Il dominio dell'aria di Giulio Douhet, ma anche alle operazioni ad amplissimo raggio
proposte e dimostrate sotto il comando del Maresciallo Mikhail N. Tukhachevsky. Erich Ludendorff è stato un altro che ha tentato di modificare radicalmente la natura del campo di battaglia formulando la teoria della "guerra totale" e cercando di unire in un tutto organico elementi del campo di battaglia ed elementi non del campo di battaglia. Sebbene egli non sia riuscito nel suo intento, è stato nondimeno precursore di un pensiero militare analogo che gli è sopravvissuto oltre mezzo secolo. Ludendorff era destinato a combattere solo su campi di battaglia come Verdun e i laghi Masuri. Il destino di un soldato è deciso dall'epoca in cui vive. A quei tempi, l'apertura alare del dio della guerra non poteva superare la gittata di un pezzo di artiglieria Krupp. Naturalmente, allora era impossibile lanciare una granata che, nel suo percorso parabolico, arrivasse dalle avanguardie alle retrovie. Hitler è stato più fortunato di Ludendorff e, venti anni dopo, disponeva di armi di gittata superiore. Ha infatti utilizzato bombardieri con motori Mercedes e missili telecomandati V-1 e V-2 per vanifìcare il record delle isole britanniche di non essere mai state raggiunte da un invasore. Hitler, né stratega né tattico, si basava sul suo intuito e, in guerra, ha reso meno netta la linea di demarcazione tra avanguardie e retrovie, ma non ha mai realmente capito il significato dello sfondamento del muro di divisione tra elementi del campo di battaglia ed elementi non del campo di battaglia. Forse questo concetto andava oltre la comprensione di un maniaco totale della guerra ed immaturo stratega militare. La rivoluzione, tuttavia, giungerà a noi, con tutta la sua forza, abbastanza presto. In questo caso, la tecnologia nuovamente precederà il pensiero militare. Benché nessun pensatore militare abbia ancora formulato un concetto molto ampio di campo di battaglia, la tecnologia si sta adoperando al meglio per allargare il campo di battaglia moderno in modo che divenga praticamente infinito: esistono satelliti nello spazio, sottomarini sott'acqua, missili balistici che possono raggiungere qualsiasi punto del globo, ed ora contromisure elettroniche vengono anche intraprese nello spazio invisibile dello spettro elettromagnetico. Persino l'ultimo rifugio della razza umana il mondo intimo del cuore - non può sottrarsi agli attacchi della guerra psicologica. Ci sono reti sopra le nostre teste e trappole sotto i nostri piedi.
Non abbiamo, dunque, possibilità di fuga. Tutti i concetti dominanti di larghezza, profondità e altezza dello spazio operativo già paiono fuori moda e obsoleti. Sulla scia dell'espansione delle facoltà immaginative dell'umanità e della sua capacità di dominare la tecnologia, lo spazio di battaglia viene allargato sino ai suoi limiti massimi. Nonostante la situazione appena descritta, il pensiero militare, trainato dalla tecnologia, è comunque restio ad assumere un atteggiamento immobilista di attesa. Poiché la tecnologia è già servita per dischiudere prospettive più promettenti al pensiero militare, non è certo sufficiente ampliare semplicemente l'area del campo di battaglia giungendo ad un convenzionale spazio "mesoscopico", ossia tra macroscopico e microscopico. È già chiaro che l'allargamento meccanico dell'attuale campo di battaglia non sarà il modus operandi per la futura trasformazione del campo di battaglia. L'opinione che "la futura tendenza all'espansione del campo di battaglia si rifletterà in guerre condotte in aree più profonde degli oceani e altitudini superiori dello spazio esterno" è soltanto un punto di vista superficiale ed una conclusione che si limita al livello della fìsica generale. Il vero cambiamento rivoluzionario del campo di battaglia nasce dall'espansione dello "spazio non naturale". Non è possibile guardare allo spazio dello spettro elettromagnetico come ad un campo di battaglia in senso convenzionale. Lo spazio dello spettro elettromagnetico è un diverso tipo di campo di battaglia che deriva dalla creatività tecnologica e dipende dalla tecnologia. In questo genere di "spazio creato dall'uomo", o "spazio tecnologico", i concetti di lunghezza, larghezza e altezza, o anche di terra, mare, aria e spazio esterno, hanno tutti perso significato, e ciò in ragione delle specifiche proprietà dei segnali elettromagnetici, proprietà in virtù delle quali essi possono permeare e controllare lo spazio convenzionale senza occuparlo. Possiamo anticipare che ogni importante modifica o ampliamento dello spazio di battaglia del futuro dipenderà dalla capacità di un certo tipo di invenzione tecnologica, o di una serie di tecnologie combinate, di creare uno spazio tecnologico assolutamente nuovo. Adesso, lo "spazio della rete" sta richiamando grande attenzione da parte dei militari. Lo spazio della rete è uno spazio tecnologico costituito da una combinazione distintiva di tecnologia elettronica, tecnologia informatica e
applicazione di design specifici. Se sosteniamo che una guerra condotta in questo spazio è pur sempre una guerra di cui la gente può controllare l'esito, lo "spazio nanometrico", che sta rapidamente emergendo sulla scia dello spazio della rete, lascia ben presagire per la realizzazione del sogno dell'umanità: una guerra senza il coinvolgimento diretto dell'uomo. Proprio ora, alcuni militari estremamente creativi e fantasiosi, avvalendosi delle nuove tecnologie, stanno tentando di introdurre nella guerra del futuro questi spazi di battaglia. Non è dunque lontano il tempo di un cambiamento radicale del campo di battaglia, teatro della guerra. Ben presto, una guerra in rete o una guerra nanometrica potrebbe diventare una realtà proprio in mezzo a noi, un tipo di guerra che nessuno, in passato, ha neppure immaginato. È probabile che sarà una guerra molto intensa, ma, in pratica, sarà senza spargimento di sangue. E comunque è possibile che, in un conflitto generale, essa sia in grado di stabilire il vincitore e il vinto. In un numero crescente di situazioni, questo tipo di guerra andrà di pari passo con la guerra tradizionale. I due spazi di battaglia - lo spazio convenzionale e lo spazio tecnologico - si sovrapporranno e si intersecheranno, risultando reciprocamente complementari, man mano che ciascuno si svilupperà nella sua direzione. Pertanto, la guerra contemporaneamente evolverà nelle sfere macroscopica, "mesoscopica" e microscopica, come pure in varie altre sfere definite dalle rispettive proprietà fisiche, che tutte, in ultima analisi, serviranno a creare un meraviglioso campo di battaglia senza precedenti negli annali della guerra umana. Allo stesso tempo, con il crollo progressivo della distinzione tra tecnologia militare e tecnologia civile, e tra soldato professionista e combattente non professionista, lo spazio di battaglia si sovrapporrà sempre più al non spazio di battaglia, contribuendo anche a rendere sempre meno chiara la linea di demarcazione tra le due entità. Campi prima isolati uno dall'altro ora sono collegati. L'umanità sta praticamente attribuendo ad ogni spazio il significato di campo di battaglia. Tutto ciò che occorre è la capacità di sferrare un attacco in un certo spazio, utilizzando determinati mezzi, per ottenere un certo obiettivo. Il campo di battaglia è dunque onnipresente e non possiamo non chiederci, visto che è possibile ingaggiare una guerra persino in una sala computer o in una Borsa
condannando un paese nemico ad un triste destino, quale sia il non spazio di battaglia. Se oggi un giovane richiamato in guerra dovesse chiedere: "Dov'è il campo di battaglia?", la risposta sarebbe: "Ovunque". Chi combatte? Nel 1985, la Cina ha ridotto drasticamente le sue forze armate di un milione di unità. A seguito di questo preludio, nel decennio successivo, tutte le più importanti nazioni del mondo hanno, a loro volta, ridotto ì propri organici. Secondo molti commentatori di questioni militari, il fattore principale che ha determinato la riduzione generale delle forze armate avvenuta in tutto il mondo è il seguente: con la fine della Guerra Fredda, i paesi che prima erano contrapposti ora sono ansiosi di godersi i frutti della pace, ma questi commentatori non si rendono ben conto che questo fattore è solo la punta dell'iceberg. I fattori che hanno condotto alla riduzione delle forze armate non si limitano affatto a questo aspetto. Un motivo più profondo sta nel fatto che, poiché l'onda della guerra basata sulla tecnologia informatica si ingrossa sempre più, occorrerebbe troppo impegno per creare opera troppo grandiosa - degli apparati militari professionisti su larga scala, forgiati e formati nelle linee di montaggio della grande industria e costituiti secondo le esigenze della guerra meccanizzata. Proprio per questo motivo, durante le riduzioni, alcuni paesi lungimiranti, anziché pensare essenzialmente a tagli di organico, stanno piuttosto ponendo maggior enfasi sul miglioramento della qualità del personale militare, sull'aumento di armi ad alta e media tecnologia e sull'aggiornamento del pensiero militare e della teoria della guerra. L'epoca dei "soldati forti e coraggiosi, eroici difensori della patria" è tramontata. In un mondo in cui persino l'espressione "guerra nucleare" diverrà forse gergo militare obsoleto, è probabile che un pallido, occhialuto studioso sia più adatto a diventare un soldato moderno rispetto ad un giovane muscoloso senza grosse pretese intellettuali. La miglior dimostrazione di questo è forse una storia, che circola negli ambienti militari occidentali, di un tenente che ha utilizzato un modem per mettere in ginocchio una divisione navale. Il contrasto tra i militari di oggi e quelli delle precedenti generazioni è evidente quanto quello già osservato tra le armi moderne e le loro antesignane, e questo perché i soldati moderni sono passati attraverso
la prova severa di un secolo, il ventesimo, di continuo progresso tecnologico e forse per l'influenza benefica della cultura pop mondiale (rock and roli, discoteche, Coppa del Mondo, NBA, Hollywood e così via). Che si parli di capacità fìsiche o intellettuali, il contrasto è netto. Anche se la nuova generazione di soldati nati negli anni Settanta e Ottanta è stata addestrata secondo lo stile "beast barracks" (letteralmente "caserme da bestie"), resa popolare dall'Accademia militare di West Point, è difficile che questi soldati perdano quella mitezza e quella fragilità che sono intrinseche nella società contemporanea. Inoltre, i sistemi d'arma moderni hanno permesso loro di restare lontani dai campi di battaglia convenzionali, attaccando il nemico da luoghi al di fuori del proprio campo visivo, senza dover quindi venire a contatto con gli spargimenti di sangue che inevitabilmente accompagnano lo scontro fisico. Tutto ciò ha trasformato ogni soldato in un gentleman che si tiene in disparte e, non appena possibile, evita la vista del sangue. Il soldato digitale sta assumendo il ruolo che prima apparteneva al guerriero "sangue e ferro", un ruolo che per migliaia di anni non era mai stato messo in discussione. Oggi, che è emersa questa nuova figura a rendere obsoleta la tradizionale divisione del lavoro tipica di una società caratterizzata dalla grande industria, la guerra non è più appannaggio esclusivo dei militari professionisti. Una tendenza alla civilizzazione ha iniziato a manifestarsi con chiarezza, sebbene la teoria di Mao Zedong secondo cui "ogni cittadino è un soldato" non ne sia stata in alcun modo responsabile. L'attuale tendenza non richiede una grande mobilitazione di persone. Al contrario, essa semplicemente indica che un'elite tecnologica di cittadini ha sfondato la porta ed è entrata, non invitata, rendendo impossibile ai soldati professionisti, con i loro concetti di guerra professionalizzata, eludere sfide Per qualche verso imbarazzanti. Chi ha maggiori possibilità di diventare leader indiscusso sul terreno sconosciuto della prossima guerra? Il primo sfidante, e il più famoso, è il "pirata" informatico. Questo personaggio, che generalmente non ha ricevuto alcun addestramento militare né è impegnato in alcuna professione militare, può con estrema facilità compromettere gravemente la sicurezza di un esercito o di un paese avvalendosi
unicamente delle sue competenze tecniche. Un classico esempio è citato nei regolamenti americani FM100-6 Information Operations. Nel 1994, un pirata informatico in Inghilterra ha attaccato il RADC (Rome Air Development Center) dell'esercito americano nello Stato di New York compromettendo la sicurezza di 30 sistemi e mettendone a repentaglio altri 100 e più. Tra i vari sistemi colpiti, hanno subito danni il KAERI (Korea Atomic Energy Research lnstitute) e la NASA {National Aeronautic and Space Administration). Ciò che ha stupito la gente non è stato soltanto il numero di sistemi colpiti dall'attacco, oltreché l'entità dei danni, ma anche il fatto che il pirata era in realtà un ragazzo di soli 16 anni. Ovviamente, un'intrusione di un teenager che sta solo giocando non può essere considerata un atto di guerra. Il problema è come sapere per certo quali danni risultano dai giochi e quali danni sono provocati da una guerra, quali atti sono azioni individuali di cittadini e quali atti rappresentano azioni ostili di combattenti non professionisti o, eventualmente, una guerra di pirati architettata e ingaggiata da uno Stato. Nel 1994, in tema di sicurezza vi sono state 230.000 intrusioni nelle reti della difesa americane. Quante di queste erano atti distruttivi organizzati da combattenti non professionisti? Probabilmente non avremo mai modo di saperlo. Proprio come la società raccoglie tutti i tipi di persone, i pirati possono avere qualsiasi forma e colore. Tutti i tipi di pirati, con background e valori diversi, si celano dietro la maschera offerta dalle reti: liceali curiosi, cercatori d'oro on line, dipendenti aziendali rancorosi, terroristi impenitenti e mercenari della rete. Nelle loro idee e nelle loro azioni, questi tipi di persone sono agli antipodi, ma si riuniscono nello stesso mondo della rete. Si occupano dei loro affari seguendo i loro personali giudizi di valore e le loro personali idee su ciò che ha senso, mentre altri sono semplicemente confusi e senza scopo. Per questi motivi, che si comportino bene o male, non si sentono vincolati dalle regole del gioco dominanti nella società in senso ampio. Usando i computer, per un verso o per un altro, possono ottenere informazioni dai conti altrui; soltanto per gioco possono cancellare dati preziosi ottenuti da altri con estrema difficoltà o, come il leggendario cavaliere errante solitario, possono utilizzare le loro sorprendenti capacità tecniche on line
per far propri i poteri diabolici della rete. Il governo di Suharto ha imposto una rigorosa censura alle notizie sulle aggressioni organizzate ai danni dell'etnia cinese che vive in Indonesia. Tali aggressioni sono state rese pubbliche per la prima volta da testimoni ispirati da un senso di giustizia. Risultato? L'intero mondo è rimasto profondamente sconvolto, ed il governo indonesiano e il suo esercito sono stati portati dinanzi alla sbarra della moralità e della giustizia. Prima di questo episodio, un altro gruppo di pirati che si faceva chiamare "Milworm" ha architettato in rete un'altra splendida messinscena. Per protestare contro i test nucleari indiani, sono penetrati nel sistema di protezione firewall della rete del centro indiano BARC ([Bhabhal Atomic Research Center), modificandone la home page e scaricando 5 MB di dati. Questi pirati, in realtà, si possono dire beneducati: sono arrivati fino ad un certo punto e non oltre, senza creare al loro avversario troppi problemi. A prescindere dai risultati diretti di questo genere di azioni, il loro significato simbolico è notevole: nell'era dell'informazione, l'influenza esercitata da una bomba nucleare è forse inferiore a quella esercitata da un pirata. Ancor più micidiali dei pirati - e di fatto più minacciose - sono le organizzazioni non statali, che solo a citarle fanno tremare l'Occidente. Queste organizzazioni, che hanno tutte, più o meno, un'impronta militare, sono generalmente guidate da una causa o da un credo estremista; pensiamo, ad esempio, alle organizzazioni islamiche che perseguono una guerra santa, alle milizie bianche negli Stati Uniti, alla setta giapponese di Aum Shinrikyo e, più di recente, ai gruppi terroristici come quello di Osama bin Laden che ha fatto saltare le ambasciate americane in Kenya e Tanzania. Senza dubbio, i vari atti, mostruosi e realmente folli, di questi gruppi sono i più probabili nuovi fattori scatenanti delle guerre contemporanee, più del comportamento di un singolo pirata solitario. Inoltre, quando uno Stato o un esercito nazionale (che rispetta determinate regole e fa soltanto un uso limitato della forza per conseguire un obiettivo limitato) si trova di fronte ad organizzazioni di questo genere (che non osservano mai le regole e non temono di scatenare una guerra illimitata utilizzando mezzi illimitati), avrà spesso molte difficoltà a prendere il sopravvento.
Durante gli anni Novanta, in concomitanza con una serie di azioni militari sferrate da soldati non professionisti e da organizzazioni non statali, abbiamo cominciato ad avere sentore di un tipo di guerra non militare condotto da una tipologia ancora diversa di combattente non professionista, una persona non equiparabile ad un pirata nel senso generale del termine, ma che non aderisce neanche ad un'organizzazione quasi militare. Può trattarsi di un analista di sistemi o di un ingegnere software, come anche di un finanziere con un ingente capitale mobile o di uno speculatore di borsa. Potrebbe anche essere un magnate dei mass media che controlla molti tipi di mezzi di comunicazione, un famoso editorialista o il conduttore di un programma televisivo. La sua filosofia di vita è diversa da quella di alcuni terroristi ciechi e disumani, ma spesso è incrollabile e la sua fede, in termini di fanatismo, non è inferiore a quella di Osama Bin Laden. Né gli mancano motivazione o coraggio per ingaggiare una battaglia in caso di necessità. Partendo da questi presupposti, chi può dire che George Soros non sia un terrorista finanziario? Proprio come la tecnologia moderna sta modificando le armi e il campo di battaglia, nello stesso tempo sta offuscando il concetto di partecipanti alla guerra. D'ora in poi, i soldati non avranno più il monopolio della guerra. L'attività terroristica globale è uno dei derivati della tendenza alla globalizzazione promossa dall'integrazione tecnologica. I combattenti non professionisti e le organizzazioni non statali stanno ponendo una minaccia sempre più grave alle nazioni sovrane, facendo di questi combattenti e di queste organizzazioni avversari sempre più difficili per qualsiasi esercito professionista. Rispetto a tali avversari, gli eserciti professionisti sono infatti giganteschi dinosauri ai quali, in questa nuova era, manca una forza commensurata alle loro dimensioni. I loro avversari, invece, sono roditori dalle straordinarie capacità di sopravvivenza, in grado di usare i loro denti affilati per tormentare la parte migliore del mondo. Quali strumenti e metodi si utilizzano per combattere? Quando si tratta di discutere di strumenti e metodi utilizzati per combattere le guerre future, occorre prestar fede alle opinioni degli americani, e non semplicemente perché al mondo gli Stati Uniti sono l'ultimo signore della montagna, ma soprattutto perché le opinioni degli americani in merito sono
realmente superiori alle opinioni dominanti negli ambienti militari di altri paesi. Così gli americani hanno sintetizzato le quattro forme principali che il combattimento della guerra assumerà in futuro: 1) guerra informatica, 2) guerra chirurgica, 3) operazioni congiunte e 4) operazioni militari diverse dalla guerra (dette in gergo "MOOTW"). Quest'ultima definizione è particolarmente appropriata e, da sola, basta a farci percepire la grande immaginazione, ma anche la grande praticità, dell'approccio americano, come pure a farci comprendere a fondo come è vista la guerra del futuro dagli occhi americani. A prescindere dalle operazioni congiunte, evoluzione delle tradizionali cooperazioni e delle operazioni coordinate, o persino delle operazioni aria/ terra, le altre tre delle quattro forme di combattimento di una guerra possono tutte considerarsi prodotti del nuovo pensiero militare. Il Generale Gordon R. Sullivan, ex Capo di Stato maggiore dell'esercito americano, ha asserito che la guerra informatica sarà la forma principale di combattimento della guerra futura e, per questo motivo, ha creato la forza più digitalizzata delle forze armate statunitensi e del mondo. Inoltre, ha proposto il concetto di guerra chirurgica, fondato sulla percezione che "alla base della futura guerra vi sarà una tendenza generale all'elaborazione delle informazioni e agli attacchi stealth a lungo raggio". Per gli americani, l'avvento delle nuove armi high- tech, come le armi telecomandate di precisione, il GPS (Global Positioning System), i sistemi C4I e gli aerei "Stealth", probabilmente consentirà ai soldati di superare l'incubo della guerra di logoramento. La guerra chirurgica, soprannominata dagli americani "attacco senza contatto" e dai russi "combattimento a distanza, è caratterizzata da dissimulazione, rapidità, precisione, alto livello di efficacia e poche vittime accidentali. Nelle guerre del futuro, il cui esito probabilmente si deciderà poco dopo l'inizio della guerra stessa, questo genere di tattica, che ha già dimostrato in parte la sua efficacia nella Guerra del Golfo, sarà probabilmente il metodo scelto con più convinzione dai generali americani. Tuttavia, l'espressione che realmente dimostra una certa creatività non è "guerra informatica" o "guerra chirurgica", quanto piuttosto "operazioni militari diverse dalla guerra". Questo particolare concetto si basa
evidentemente “sull'interesse del mondo”, costantemente richiamato dagli americani, ed il concetto implica un precipitoso travalicamento, da parte degli Stati Uniti, della loro autorità, classico esempio dell'atteggiamento americano "siamo responsabili del mondo intero, sin nei suoi angoli più reconditi". Tale conclusione, nondimeno, nulla toglie al nostro apprezzamento per questo concetto che, dopo tutto, per la prima volta consente di inserire una serie di misure necessarie per affrontare in maniera globale i problemi del ventesimo e ventunesimo secolo nella categoria delle "operazioni militari diverse dalla guerra", di modo che i soldati non vaghino nel buio e nell'incertezza, nel mondo che sta al di là del campo di battaglia. Pertanto, le "antenne del pensiero" dei soldati, per qualche verso inferiori, potranno svettare sino ai limiti di un più ampio concetto di guerra. Tra le misure necessarie, vi è lo sforzo per il mantenimento della pace, l'impegno per sradicare le droghe illegali, la soppressione delle rivolte, l'assistenza militare, il controllo degli armamenti, l'assistenza in caso di catastrofi, l'evacuazione dei cittadini cinesi residenti all'estero e la lotta contro le attività terroristiche. Il contatto con questo concetto più ampio di guerra non può che ridurre l'attaccamento dei soldati alla categoria di "operazioni militari diverse dalla guerra" nella quale, in ultima istanza, essi non saranno in grado di inserire il nuovissimo concetto di "operazioni di guerra non militari". E, quando ciò dovesse accadere, rappresenterà l'espressione di una comprensione che avrà un significato realmente rivoluzionario in termini di percezione della guerra da parte dell'umanità. La differenza tra i concetti di "operazioni di guerra non militari" e "operazioni militari diverse dalla guerra" è molto più profonda di quanto lascerebbe intendere una lettura superficiale e non è si limitata ad un semplice cambiamento dell'ordine di alcuni termini come in un gioco di parole. Il secondo concetto, quello di "operazioni militari diverse dalla guerra", può essere interpretato semplicemente come una definizione esplicita di missioni e operazioni condotte delle forze armate in assenza di uno stato di guerra. Il primo concetto, invece, vale a dire "operazioni di guerra non militari", amplia la nostra percezione di ciò che esattamente
costituisce uno stato di guerra a tutti i campi dell'attività umana, ben oltre, dunque, i contenuti racchiusi nell'espressione '"operazioni militari". Questo ampliamento è il risultato naturale del fatto che gli esseri umani useranno qualsiasi mezzo concepibile per conseguire i loro obiettivi. Benché sembri che gli americani siano all'avanguardia in tutti i campi della teoria militare, essi non sono riusciti a primeggiare nel proporre questo nuovo concetto di guerra, per quanto non possiamo non riconoscere che il pragmatismo di cui gli Stati Uniti hanno inondato il mondo, abbinato alle possibilità illimitate offerte dalla nuova alta tecnologia, hanno comunque contribuito fortemente alla nascita di questo concetto. Pertanto, quali mezzi (tra i tanti non convenzionali), in apparenza completamente avulsi dalla guerra, diverranno, in ultima istanza, quelli prescelti per questo nuovo tipo di guerra - "l'operazione di guerra non militare" - ingaggiato sempre più spesso nel mondo? In primo luogo, la guerra commerciale. Anche se possiamo dire che, una decina di anni fa, l'espressione '"guerra commerciale" era ancora un'espressione semplicemente descrittiva, oggi essa è realmente divenuta uno strumento a disposizione di molti paesi per muovere una guerra non militare. Nelle mani degli americani, che ne hanno fatto un'arte raffinata, può essere utilizzata con grandissima competenza. Tra i vari strumenti impiegati, vi sono l'uso del diritto commerciale interno sulla scena internazionale, l'introduzione e l'abolizione arbitrarie di barriere tariffarie, l'utilizzo di frettolose sanzioni commerciali, l'imposizione di embarghi sulle esportazioni di tecnologie fondamentali, l'applicazione della legge detta "Sezione speciale 301", la concessione del cosiddetto status di nazione maggiormente favorita (most favored nation), eccetera. Ciascuno di questi strumenti può avere un effetto distruttivo pari a quello di un'operazione militare. Al riguardo, l'embargo totale che dura da otto anni contro l'Iraq, iniziato dagli Stati Uniti, è l'esempio classico da libro di testo. In secondo luogo, la guerra finanziaria. Dopo la crisi finanziaria subita dal SudEst asiatico, nessuno potrà essere colpito da una "guerra finanziaria" più di quanto esso lo sia stato. Quell'area, infatti, non è stata semplicemente colpita, è stata completamente distrutta! Un attacco finanziario a sorpresa, deliberatamente pianificato e sferrato da detentori di
capitale mobile internazionale, è in ultima istanza servito per mettere in ginocchio un paese dopo l'altro, paesi che fino a poco tempo prima venivano salutati come "piccole tigri" e "piccoli draghi". La prosperità economica che una volta suscitava la costante ammirazione del mondo occidentale si è trasformata in depressione, ed è scomparsa come le foglie di un albero sono spazzate via in una sola notte dal vento d'autunno. Dopo un solo round del combattimento, le economie di una serie di paesi sono arretrate di dieci anni e, cosa ancora più drammatica, tale sconfitta sul piano economico ne ha fatto precipitare, sino quasi al completo cedimento, l'assetto sociale e politico. Le vittime del caos continuo non sono state numericamente inferiori a quelle di una guerra regionale e il danno arrecato al tessuto sociale è stato addirittura superiore. Le organizzazioni non statali, in questa loro prima guerra senza l'uso della forza militare, si stanno servendo di mezzi non militari per impegnare nazioni sovrane. La guerra finanziaria è dunque una forma di guerra non militare il cui potere distruttivo è almeno pari a quello di una guerra cruenta, ma nella quale, di fatto, non si versa alcuna goccia di sangue. La guerra finanziaria ora è venuta ufficialmente alla ribalta sulla scena della guerra, una scena per millenni unicamente occupata da soldati ed armi, con sangue e morte ovunque. Noi riteniamo che presto la "guerra finanziaria" diventerà sicuramente uno dei lemmi dei vari dizionari del gergo militare ufficiale, come pure crediamo che quando, rileggeremo i libri di storia sulla guerra del ventesimo secolo, il capitolo sulla guerra finanziaria sarà quello che più richiamerà la nostra attenzione. Il principale protagonista di questo capitolo non sarà uno statista o uno stratega militare, bensì George Soros. Naturalmente, Soros non ha il monopolio esclusivo dell'uso dell'arma finanziaria per combattere le guerre. Prima di Soros, Hellmut Kohl si è servito del marco tedesco per abbattere il Muro di Berlino, un muro che nessuno era mai riuscito a scalfire con le granate dell'artiglieria. Dopo che Soros ha iniziato le sue attività, Li Denghui ha usato la crisi finanziaria nel SudEst asiatico per svalutare il nuovo dollaro di Taiwan in maniera da sferrare un attacco al dollaro e alle azioni di Hong Kong, in particolare le "red chip" (ossia azioni di società quotate alla Borsa di Hong Kong, ma controllate da interessi esterni al paese). Inoltre, non possiamo non citare la
miriade di grandi e piccoli speculatori arrivati in massa a questo grande party per ingordi di denaro, tra cui Morgan Stanley e Moody's, che sono famose per i rapporti sul grado di solvibilità da loro emessi e che segnalano promettenti obiettivi di attacco agli squali del mondo finanziario. Queste due società sono tipiche di quelle entità che indirettamente partecipano al grande banchetto traendone i vantaggi. Nell'estate del 1998, dopo una guerra finanziaria combattuta per un intero anno, il secondo round di combattimenti della guerra è iniziato su un campo di battaglia ancor più esteso, e il round ancora prosegue. Questa volta, non sono solo i paesi del SudEst asiatico (che avevano subito una schiacciante sconfitta durante l'anno precedente) ad essere invischiati nella guerra. Anche due titani vi sono coinvolti - Giappone e Russia —, ragion per cui la situazione economica globale risulta essere ancora più fosca e difficile da controllare. Le fiamme hanno persino dato fuoco agli indumenti protettivi di chi si era inizialmente avventurato a scherzare col fuoco. Si dice che Soros e il suo "Quantum Fund" abbiano perso svariati miliardi di dollari solo in Russia e ad Hong Kong("). Così, abbiamo almeno una pallida idea dell'ampiezza del potere distruttivo della guerra finanziaria. Oggi, con le armi nucleari ormai divenute spaventosi accessori decorativi che, di giorno in giorno, perdono il loro reale valore operativo, la guerra finanziaria si è trasformata in un'arma "iperstrategica" che sta richiamando l'attenzione del mondo. Questo perché la guerra finanziaria, oltre ad essere estremamente distruttiva, è facilmente manipolabile e consente azioni dissimulate. Analizzando il recente caos in Albania, possiamo vedere con chiarezza il ruolo svolto da vari tipi di fondazioni istituite da gruppi transnazionali e miliardari con patrimoni in grado di competere con le ricchezze degli Stati. Queste fondazioni controllano i mezzi di comunicazione e le sovvenzioni alle organizzazioni politiche, neutralizzando qualsiasi resistenza delle autorità, il che porta al crollo dell'assetto nazionale e alla caduta del governo legittimamente eletto. Forse potremmo definire questo tipo di guerra come guerra finanziaria del "tipo fondazione". La frequenza e l'intensità sempre maggiori di questo tipo di guerra, e il fatto che sempre più paesi e organizzazioni non statali la stiano deliberatamente conducendo, sono motivi di preoccupazione e fatti che
dobbiamo affrontare apertamente. In terzo luogo, la nuova guerra terroristica rispetto alla guerra terroristica tradizionale. Data la scala ridotta della guerra terroristica tradizionale, le sue vittime potrebbero essere decisamente inferiori a quelle causate da una guerra o da una campagna convenzionali. Nondimeno, una guerra terroristica tradizionale ha una carica di violenza maggiore. Inoltre, dal punto di vista operativo, una guerra terroristica tradizionale non è mai subordinata ad alcuna regola tradizionale della società in senso lato, mentre, da un punto di vista militare, essa si caratterizza per l'uso di risorse limitate per combattere una guerra illimitata. Immancabilmente, tale caratteristica pone le forze nazionali in una posizione estremamente sfavorevole anche prima dello scoppio della guerra, in quanto, sempre tenute a rispettare determinate regole, esse possono unicamente utilizzare le loro risorse illimitate per combattere una guerra limitata. Questo spiega perché un'organizzazione terroristica composta unicamente da pochi membri inesperti e alle prime armi possa comunque destare forti preoccupazioni in una potenza come gli Stati Uniti ed anche perché "usare una mazza per colpire una formica" spesso risulti inefficace. La dimostrazione più recente ci viene data dall'episodio delle due esplosioni simultanee nelle ambasciate americane di Nairobi e Dar es Salaam. L'avvento di un terrorismo stile Bin Laden ha rafforzato l'impressione che una forza nazionale, indipendentemente da quanto sia potente, avrà difficoltà a prendere il sopravvento in un gioco senza regole. Anche se un paese si dovesse trasformare in un elemento terroristico, come ora stanno facendo gli americani, non sarà necessariamente in grado di ottenere il successo. Ad ogni modo, se tutti i terroristi limitassero le loro attività unicamente all'approccio tradizionale - vale a dire attentati dinamitardi, rapimenti, assassini e dirottamenti aerei -, non otterrebbero il massimo terrore. Ciò che realmente scatena il terrore nel cuore della gente è l'incontro di terroristi con vari tipi di nuove tecnologie avanzate che potrebbero trasformarsi in nuove superarmi. Abbiamo già un'idea di ciò che può riservarci il futuro, un'idea che sicuramente può destare preoccupazione. Quando i seguaci di Anni Sriinrikyo hanno cosparso il "Sarin", un gas
tossico, in una metropolitana di Tokyo, il numero delle vittime ha determinato solo in minima parte il sentimento di terrore. Quell'avvenimento ci ha costretti a prendere atto del fatto che la tecnologia biochimica moderna aveva già forgiato un'arma letale per quei terroristi che avessero voluto attuare una distruzione di massa dell'umanità. In contrapposizione ai killer mascherati che perpetrano eccidi indiscriminati di persone innocenti per generare terrore, il gruppo italiano della "Falange armata" è una categoria completamente diversa di organizzazione terroristica high- tech. I suoi obiettivi sono espliciti e i mezzi impiegati straordinari. La sua specializzazione consiste nell'irruzione in reti di computer di banche e di mezzi di comunicazione, nel furto di dati archiviati, nella cancellazione di programmi e nella divulgazione di false informazioni, vale a dire operazioni terroristiche classiche dirette contro reti e mass media. Questo tipo di operazione terroristica si serve della tecnologia più avanzata nei settori di studio più moderni e sfida l'umanità nel suo complesso, una guerra che potremmo definire "nuova guerra terroristica". Da ultimo, la guerra ecologica. Questa espressione si riferisce ad un nuovo tipo di guerra non militare in cui la tecnologia moderna serve per esercitare influenza sullo stato naturale di fiumi, oceani, crosta terrestre, ghiacci polari, atmosfera e strato di ozono. Utilizzando metodi che provocano terremoti e modificando le precipitazioni piovose, la temperatura atmosferica, la composizione dell'atmosfera, il livello del mare e le caratteristiche della luce solare, si danneggia l'ambiente fisico della terra o si crea un'ecologia locale alternativa, Forse, presto, un effetto El Nino o La Nina creato dall'uomo diventerà un ennesimo tipo di superarma nelle mani di alcune nazioni e/ o organizzazioni non statali. È più probabile che un'organizzazione non statale, ritenendo di non aver alcuna responsabilità nei confronti delle persone o delle società in senso lato, diventi il primo iniziatore di una guerra ecologica, vista la sua natura terroristica. Tra l'altro, le organizzazioni non statali hanno sempre dimostrato di non voler sottostare alle regole del gioco. Inoltre, poiché l'ambiente ecologico globale sarà spesso sull'orlo della catastrofe, visto che gli Stati lottano per lo sviluppo più rapido possibile,
sussiste un pericolo reale che un minimo aumento o una minima riduzione di qualsiasi variabile sia sufficiente per scatenare un olocausto ecologico. A prescindere dalle forme di guerra prima discusse, possiamo citare diversi altri strumenti e metodi utilizzati per combattere una guerra non militare, alcuni dei quali già esistono, mentre altri potranno esistere in futuro. Tra questi ricordiamo la guerra psicologica (divulgare notizie per intimidire il nemico e neutralizzarne la volontà), la guerra del contrabbando (gettare i mercati nel caos e attaccare l'assetto economico), la guerra dei mezzi di comunicazione (manipolare ciò che la gente vede e sente per orientare l'opinione pubblica), la guerra degli stupefacenti (ottenere rapidamente ingenti profitti illeciti disseminando il disastro in altri paesi), la guerra in rete (intrufolarsi in segreto e dissimulare la propria identità in un tipo di guerra dalla quale è pressoché impossibile proteggersi), la guerra degli standard tecnologici (creare monopoli fissando standard indipendenti), la guerra della menzogna (presentare un falso aspetto avente una forza reale agli occhi del nemico), la guerra delle risorse (depredare patrimoni saccheggiando scorte di risorse), la guerra degli aiuti economici (concedere apertamente favori cercando di controllare le cose in segreto), la guerra culturale (orientare tendenze culturali per assorbire quanti hanno punti di vista diversi), la guerra del diritto internazionale (cogliere la prima opportunità per introdurre regolamenti), eccetera. Ve ne sono infatti tanti altri, troppo numerosi da citare. In quest'epoca in cui la pletora di nuove tecnologie può, a sua volta, dar vita ad una pletora di nuovi strumenti e metodi per combattere una guerra (per non parlare delle varie combinazioni possibili e dell'uso creativo di questi strumenti e metodi), sarebbe semplicemente insensato e inutile elencare, uno per uno, tutti gli strumenti e i metodi. Ciò che conta è che tutti questi mezzi per combattere una guerra, insieme alle loro corrispondenti applicazioni, che sono entrati, che stanno entrando o che entreranno nel novero dei mezzi offensivi al servizio della guerra, hanno già iniziato a modificare lentamente la visione che tutta l'umanità ha della guerra. Di fronte ad una gamma pressoché infinita di alternative tra cui scegliere, perché vogliamo invischiarci in una rete che noi stessi abbiamo creato scegliendo e utilizzando mezzi di guerra limitati all'ambito della forza degli armamenti e della potenza militare? È
probabile che i metodi che non si caratterizzano per l'uso della forza degli armamenti né per l'uso della potenza militare e neanche per la presenza di vittime e spargimenti di sangue siano altrettanto efficaci se non addirittura di più, Per raggiungere gli obiettivi della guerra. E, di fatto, questa prospettiva ha portato a rivedere l'affermazione secondo cui "la guerra è politica con spargimento di sangue", portando anche, di riflesso, a modificare la visione tradizionale secondo cui la guerra condotta con la forza degli armamenti è il mezzo decisivo per risolvere un conflitto. Chiaramente, è proprio la diversità degli strumenti impiegati che ha ampliato il concetto di guerra. E ciò, a sua volta, ha comportato l'ampliamento delle sfere di attività legate alla guerra. Se oggi ci limitiamo ad una guerra in senso stretto, sul tradizionale campo di battaglia, in futuro ci risulterà molto difficile orientarci. Qualsiasi conflitto che scoppi domani o più avanti rientrerà in un concetto di guerra in senso ampio, ovvero un mix di guerra condotta con la forza degli armamenti e guerra condotta con altri mezzi. L'obiettivo di questo tipo di guerra andrà oltre il semplice "uso di mezzi che coinvolgano la forza degli armamenti per costringere il nemico ad accettare la propria volontà". Lo scopo sarà invece quello di "usare tutti i mezzi possibili mezzi che comportano la forza degli armamenti e mezzi che non la comportano, mezzi che coinvolgono la potenza militare e mezzi che non la coinvolgono, mezzi che provocano vittime e mezzi che non ne provocano - per obbligare il nemico a servire i propri interessi".
III. COSA CI GUADAGNEREBBERO GLI AMERICANI DA UNA RIVOLUZIONE DEL PENSIERO MILITARE? Il combattimento aereo è stato il fattore decisivo per la vittoria nella guerra contro l'Iraq... Le armi ad alto contenuto tecnologico sono state utilizzate in maniera efficiente, e non sono state solo il motivo principale per cui le truppe aeree e terrestri hanno dato eccellenti risultati in combattimento, ma anche la ragione più importante per la quale le forze delle Nazioni Unite sono state in grado di limitare enormemente vittime e incidenti L. Aspen Dalle campagne congiunte alla guerra dimensionale totale - un passo verso la piena comprensione Quando diciamo che la teoria militare americana è arretrata, lo è soltanto rispetto al livello avanzato della sua tecnologia militare. Considerando le forze armate di altri paesi, l'aspetto completamente tecnologico del pensiero militare americano occupa naturalmente una leadership insuperabile nella scala della guerra high- tech per quel che riguarda le ipotetiche guerre future. Forse la scuola di pensiero sovietica di Arjakov, la prima a parlare di "nuova rivoluzione militare", è l'unico esempio venuto alla luce. La "nuova rivoluzione militare" è vividamente rappresentata dall'incudine forgiata nella Guerra del Golfo. Non solo con le forze armate americane, ma anche con le forze armate del mondo intero, queste parole sono divenute uno slogan popolare e per qualche verso insulso. Visti certi slogan, e considerato il desiderio di tecnologia di altri, non è infatti questione che richieda grande sforzo. Gli unici che si impegnano moltissimo sono gli americani. Se vogliono garantire la loro leadership nel campo delle riforme militari, già avviate e che presto verranno concluse, per prima cosa devono colmare il gap esistente tra il pensiero militare e la tecnologia militare statunitense. In realtà, la polvere della guerra si è solo posata. Le forze armate americane, ancor prima di ultimare il ritiro delle truppe dal Golfo Persico, hanno già iniziato una "trasfusione di pensiero" dai vertici alla base. Ciò significa che, avviate le riforme della tecnologia militare, non saranno in grado di recuperare le lezioni perse di una verifica successiva utile alla riforma del pensiero militare. In ultima analisi, gli americani, incapaci di abbandonare completamente la loro propensione per
la tecnologia, sono ancora chiusi in questo strano circolo vizioso dal quale non riescono a liberarsi. Alcuni risultati da loro conseguiti vanno comunque a beneficio sia delle forze armate americane che di quelle di tutto il mondo, e pensiamo, da un lato, all'elaborazione del concetto di "campagna congiunta" e, dall'altro, alla formulazione del pensiero della "guerra dimensionale totale". Il concetto di "campagna congiunta" è stato inizialmente formulato nel primo numero della pubblicazione United States Armed Forces Joint Operations, edito nel novembre 1991 dalla Conferenza congiunta delle forze armate americane. Il concetto è chiaramente intriso delle nuove idee della Guerra del Golfo ed ha superato i confini delle famose "guerre cooperative" e "guerre contrattuali" già fuori moda, superando persino la teoria della "battaglia integrata aria/ terra" vista dagli americani come l'arma magica. La pubblicazione espone i quattro elementi chiave della "campagna congiunta" comando accentrato, parità delle forze armate, unificazione completa e profondità totale nella conduzione della battaglia. Per la prima volta, il regolamento chiarisce l'autorità di controllo e comando di cui è investito il comandante unificato dell'area di guerra, stabilisce che una qualsiasi tra le forze armate può assumere la leadership della battaglia a seconda delle varie situazioni, amplia il concetto di "battaglia integrata aria/ terra", estendendolo alla battaglia integrata terra, mare, aria e spazio, e pone l'accento sulla necessità della profondità nella conduzione della battaglia su tutti i fronti. Sotto il forte slancio impresso dalla riunione dei Capi di Stato maggiore congiunti americani, ogni forza armata si sta adesso accingendo a formulare i propri regolamenti militari allineandoli a quelli delle altre per rendere pubblica questa nuova procedura rappresentativa della direzione delle future guerre. Sebbene le forze armate abbiano formalmente accettato questo nuovo concetto, in privato continuano ancora a tenere presenti le proprie funzioni di base distintive, e soprattutto sperano di compiere un'unificazione che sia chiaramente delimitata, vale a dire un'unificazione che chiarisca ogni sfera di attività e autorità, compresi regolamenti e leggi, e la differenziazione protocollare. Shalikashvili, Capo dei Capi di Stato maggiore congiunti,
ritiene che ciò non stia ad indicare un compromesso tra i vari Capi di Stato maggiore. Approvando la pubblicazione dal titolo The Plan For a Joint Force in 2010, il "modello" per guidare le forze militari degli Stati Uniti nelle operazioni congiunte, egli risolutamente svolge il ruolo di un Mosè moderno alla guida delle forze armate americane per smantellare le recinzioni che separano le varie armi e procedere a grandi passi lungo il difficile cammino del reale compimento delle operazioni unificate integrate in un crepuscolo carico di dubbi. Anche se ciò accade negli Stati Uniti, paese che propaga e accetta facilmente il nuovo, la situazione è ancora molto più difficile di quanto Shalikashvili pensasse. Dopo il suo pensionamento, le critiche mosse al "piano congiunto" per le forze armate americane si sono gradualmente moltiplicate e lo scetticismo ha riconquistato terreno. Il Corpo dei Marines ritiene di "non dover venerare il (piano) congiunto e soffocare le corrispondenti discussioni future sull'organizzazione delle truppe", sostenendo che "l'uniformità del (piano) congiunto porterà alla perdita del carattere distintivo di ciascuna delle forze armate", il che contrasta decisamente con lo spirito americano che tende ad "enfatizzare la concorrenza e la diversificazione". L'Aeronautica ha espresso con tatto l'opinione che il "piano di unificazione entro il 2010 debba svilupparsi nella pratica ed incoraggiare la reciproca emulazione tra le forze armate" e che "in quest'epoca di cambiamento e sperimentazione il suo pensiero debba essere flessibile e non possa diventare rigido". In proposito, i punti di vista di esercito e marina sono simili ed hanno un grande potere per distruggere in un istante i faticosi sforzi di Shalikashvili. È dunque evidente che non solo nelle riforme dei paesi dell'Europa orientale si verificano situazioni in cui le politiche mutano quando cambia la persona che ne è responsabile. In veste di spettatori, noi, come è ovvio, possiamo semplicemente sacrificare un'ideologia valida a vantaggio di un gruppo ristretto, poiché l'essenza delle "campagne congiunte" e dei "piani congiunti" non sta certamente nella conferma o nell'espropriazione di un vantaggio militare, quanto piuttosto nel loro intento di consentire ad ognuna delle forze armate di giungere all'unificazione delle operazioni entro uno spazio di battaglia accentrato e di ridurre quanto più è possibile
gli effetti negativi dell'azione disgiunta di ogni corpo. Prima che venga trovato un modo per integrare realmente le forze, questa è ovviamente una tattica attuabile di una certa efficacia. Il limite di questo approccio valido sta tuttavia nel fatto che il suo punto iniziale e il suo punto finale sono entrambi scesi al livello della forza armata e non hanno permesso di ampliare la visione di "congiunto" a tutti gli ambiti in cui l'uomo possa produrre un comportamento di confronto. La pecca di questo pensiero, ora che siamo alla fine del ventesimo secolo, epoca in cui è già emersa un'idea, seppur vaga, del significato ampio della guerra, sta nel fatto che esso pare suscitare interesse, al punto che, se il concetto di "guerra a dimensione totale" non fosse stato proposto nella pubblicazione dell'esercito americano del 1993, The Essentials of War, saremmo semplicemente sbalorditi dall' “anemia” del pensiero delle forze armate americane. Dopo la tredicesima revisione del documento programmatico, vi è stato un notevole approfondimento delle varie sfide che le forze armate americane potrebbero trovarsi ad affrontare nei prossimi anni e, per la prima volta, si è affacciato il concetto completamente nuovo di "operazioni militari di non combattimento". Proprio per questo concetto la gente ha intravisto la possibilità di condurre una guerra posizionale totale, teoria per la quale l'esercito americano ha trovato un nuovo nome estremamente altisonante: "guerra dimensionale totale". Vale la pena di notare che la persona incaricata della revisione della pubblicazione dell'esercito americano del 1993, The Essentials of War, persona che ha dato prova di uno spirito decisamente innovativo, è stata il Generale Franks, uomo da molti tacciato di conservatorismo operativo quando la marina comandava la Settima Flotta. Se non fosse stato per alcuni avvenimenti successivi che hanno modificato l'orientamento del pensiero degli americani, questo comandante del Centro di dottrina e addestramento dell'esercito americano, che ha inizialmente assunto l'incarico dopo la guerra, avrebbe permesso alla storia del pensiero delle forze armate americane di compiere un passo avanti di portata epocale. Se il Generale Franks e gli ufficiali che hanno stilato i suoi regolamenti per le forze armate non sono stati capaci di riconciliare la profondissima discrepanza tra le due frasi "realizzazione di operazioni aria, terra e mare accentrate, supportate dall'intero teatro delle operazioni" e
"mobilitazione di tutti i metodi perfettamente controllati in ogni operazione possibile, sia di combattimento che di non combattimento, in maniera da portare risolutamente a termine qualsiasi missione assegnata con il minimo costo", frasi contenute in The Essentials of War, ancor meno sono stati in grado di scoprire che, a parte la guerra come operazione militare, esiste ancora la possibilità di realizzare operazioni di guerra non militari di gran lunga più ampie. Tuttavia, essi hanno perlomeno sottolineato che la "guerra dimensionale totale" dovrebbe possedere le caratteristiche precipue di "profondità totale, altezza totale, esposizione totale, durata totale, frequenza totale e metodi multipli", e proprio questo è l'aspetto più rivoluzionario della forma di battaglia in questione, un aspetto mai visto nella storia della guerra. È veramente un peccato che gli americani, o più specificamente l'esercito americano, abbiano interrotto questa rivoluzione troppo presto. In un caso di dissenso, Holder, ex Comandante di reggimento sotto il Generale Franks, che successivamente ha rivestito l'incarico di Comandante di cooperazione interarma del Centro di dottrina e addestramento dell'esercito americano (TRADOC), ha preso attentamente in esame l'idea del suo superiore. L'allora Tenente Generale Holder non era più il vigoroso Colonnello Holder del campo di battaglia. Quella volta, stava svolgendo il ruolo di portavoce dell'esercito per la tradizione conservatrice. La sua opinione era che "la convinzione che le operazioni non di combattimento abbiano una propria serie di principi non è benaccetta dalle truppe combattenti e molti ufficiali al comando sono contrari alla distinzione tra operazioni di non combattimento e operazioni militari nel significato che ad esse è stato inizialmente attribuito". Dopo la morte di Holder, "l'esercito è giunto ad un comune consenso sull'idea di considerare la differenziazione delle operazioni di non combattimento come una pratica sbagliata". Esso ritiene che scrivere nei regolamenti di base "operazioni militari di non combattimento" comporterebbe un indebolimento dell'enfasi tipicamente posta dalle forze armate sulle questioni militari e potrebbe anche creare confusione nelle loro operazioni. Visto che la situazione è andata in questa direzione, la rivoluzione del Generale Franks si è conclusa con un inevitabile fallimento. Su ispirazione
del successivo comandante del TRADOC, Generale Hartzog, il Generale Holder e il gruppo editoriale per la pubblicazione della versione del 1998 di The Essentials of War hanno infine apportato una sostanziale modifica al nuovo compendio introducendo, quale chiave fondamentale, "un unico principio a coprire tutti i tipi di operazioni militari dell'esercito". La loro prassi non consiste più nell'operare una distinzione tra operazioni di non combattimento e operazioni militari in generale, ma nel suddividere le operazioni in quattro tipi - attacco, difesa, stabilizzazione e supporto ripristinando la formulazione iniziale per le responsabilità delle operazioni di non combattimento come il salvataggio e la protezione, nonché ricostituendo la vecchia serie di operazioni di combattimento per consentire di porre correttamente i principi del combattimento accentrato e di scartare completamente il concetto di "guerra dimensionale totale". Apparentemente, questa è una scelta che comporta una semplificazione e una riforma radicale ottenute semplicemente tagliando il superfluo. In realtà, però, questo è un esempio americano di scarso discernimento. Mentre si elimina la confusione teorica creata dal concetto immaturo di "operazioni militari di non combattimento", nel compendio rivisto si abbandonano anche alcuni frutti ideologici, decisamente preziosi, involontariamente colti. Pare che in questa danza di un passo avanti e due indietro nessuno sia disposto a trarre lezioni dalle esperienze altrui. Nondimeno, sottolineare la mancanza di lungimiranza dell'esercito americano non equivale a dire che la "guerra dimensionale totale" non sia criticabile. Al contrario, vi sono chiare pecche in questa teoria sia dal punto di vista della sua connotazione che da quello della sua denotazione concettuale. Di fatto, l'interpretazione della battaglia data dalla "guerra dimensionale totale" è già molto più ampia di qualsiasi teoria militare precedente, ma, per quel che concerne il suo carattere intrinseco, essa non è ancora sfuggita alla categoria "militare". Ad esempio, il concetto di "operazioni di combattimento non militari" prima citato è molto più ampio, nel suo significato, delle operazioni di combattimento militari e può perlomeno essere assimilato ad ambiti e modelli di guerra comparabili estranei alla visione dei militari americani - e proprio in questo ambito ampio militari e politici del futuro potranno sviluppare fantasia e creatività
- con il risultato che non si può ritenere che realmente copra il significato dell'espressione "dimensionale totale". Per non parlare proprio dell'espressione "dimensione totale" utilizzata dall'esercito americano, per la quale, alla fine, non si è neanche riusciti a stabilire a quanti spazi dimensionali si riferisca e se ciascuno (spazio) è un elemento intercorrelato della guerra o ve ne sono simultaneamente due. Ciò significa che il concetto non è stato ancora elaborato o è in uno stato di caos. Se, tuttavia, ciò a cui la dimensione totale si riferisce non è riconciliabile, la natura del rapporto tra ogni dimensione, questo concetto originale con il suo ricco potenziale, non può essere, come è ovvio, pienamente introdotta. Di fatto, nessuno può ingaggiare una guerra in uno spazio tridimensionale a 360 gradi aggiungendovi tempo e altri elementi non fisici di dimensionalità totale, e qualsiasi guerra specifica avrà una sua particolare enfasi e verrà sempre ingaggiata entro una dimensione limitata, così come entro una dimensione limitata verrà conclusa. L'unica differenza sta nel fatto che, nel futuro prevedibile, le operazioni militari non rappresenteranno mai più l'intera guerra. Esse saranno piuttosto una dimensione all'interno della dimensione totale. Anche l'aggiunta di "operazioni militari di non combattimento", come proposto dal Generale Franks, non può portare alla dimensionalità totale. Solo aggiungendo tutte le "operazioni di combattimento non militari" che esulano dalle operazioni militari è possibile comprendere a fondo il pieno significato della guerra dimensionale totale. Ciò che va sottolineato è che questa ideologia non è mai emersa in alcuna ricerca teorica condotta dalle forze armate statunitensi dalla Guerra del Golfo in poi. Anche se questi concetti di "operazioni militari di non combattimento" e di "guerra dimensionale totale" sono ricchi di idee originali e già abbastanza vicini ad una rivoluzione ideologica militare nata dalla rivoluzione della tecnologia militare, possiamo dire che sono già giunti sull'orlo di un precipizio alla fine di un irto sentiero di montagna e che la cima della grande rivelazione è ancora lontanissima. Ma, a questo punto, gli americani si sono fermati e le lepri americane, che sempre hanno preceduto qualunque altro paese del mondo nel campo della tecnologia militare e dell'ideologia militare, hanno iniziato ad ansimare senza fiato. Poco importa che Sullivan o Franks
abbiano lasciato che la "lepre in fuga" riprendesse fiato con le tantissime tesi militari elaborate dopo la Guerra del Golfo. Gli americani ancora non riescono a lasciarsi alle spalle tutte le tartarughe. Forse, dunque, ora è giunto il momento per il Tenente Colonnello Lonnie Henley e per quegli americani che hanno messo in discussione la portata delle rivoluzioni militari degli altri paesi di farsi un esame di coscienza e chiedersi: perché non c'è stata una rivoluzione?
PARTE SECONDA: I NUOVI METODI OPERATIVI I soldati, pertanto, non hanno una posizione fissa, l'acqua non ha una forma costante, ed è un miracolo essere in grado di ottenere la vittoria in risposta ai cambiamenti del nemico Sun Tzu La direzione della guerra è un'arte simile a quella esercitata da un medico che visita un paziente Fu Le L'espressione "rivoluzione militare" è di moda quanto i campioni nell'NBA. A prescindere dal fatto che la nascita di qualsiasi novità comporta i suoi fattori di necessità, temiamo che ancor più essenziale sia il fatto che il fenomeno è associato alla propensione degli americani a creare mode. Gli americani, ai quali è sempre piaciuto avere la leadership del mondo in vari campi, sono bravissimi a confezionare in modo allettante qualsiasi potenziale novità e ad inondarne il mondo intero. Anche se molti paesi hanno manifestato preoccupazione di fronte all'invasione della cultura americana, e vi hanno opposto resistenza, tanti poi si sono piegati e ne hanno completamente assimilato i punti di vista in tema di rivoluzione militare. I risultati non sono difficili da prevedere: quando gli americani sono raffreddati, tutto il mondo starnutisce. Poiché Perry, ex Segretario del Dipartimento della difesa degli Stati Uniti, ha posto l'enfasi sulla tecnologia stealth ed era noto come il "padre della tecnologia stealth", nel momento in cui uno studioso cinese in visita gli ha posto la domanda: "Quali sono stati i risultati importanti ottenuti e i progressi teorici compiuti nella rivoluzione militare degli Stati Uniti?", senza pensare, lui ha risposto: "Ovviamente, la tecnologia stealth e la tecnologia informatica". La risposta di Perry rappresentava l'opinione della corrente principale dei circoli militari americani: la rivoluzione militare coincide con la rivoluzione della tecnologia militare. A giudizio di quelli come Perry, basta solo risolvere dal punto di vista tecnico il problema di permettere ai soldati, di fronte alla montagna, di sapere "cosa c'è dietro la montagna", e questo significa realizzare la rivoluzione militare. Osservare, considerare e risolvere problemi dal punto di vista tecnologico è tipico della mentalità americana. I suoi vantaggi e svantaggi sono entrambi molto evidenti,
proprio come i tratti caratteristici degli americani. Quest'idea che equipara la rivoluzione della tecnologia alla rivoluzione militare si è manifestata, in forma compiuta, con la Guerra del Golfo ed ha avuto un effetto e un impatto potenti sulle forze armate di tutto il mondo. In quella situazione, praticamente nessuno è stato in grado di mantenere una calma e una chiarezza sufficienti, e naturalmente nessuno si è reso conto che l'equivoco inizialmente creato dagli americani ora sta facendo equivocare al mondo intero una rivoluzione di portata mondiale. Lo slogan "costruire le forze armate con l'alta tecnologia" è come un tifone sul Pacifico, che sta devastando sempre più paesi, ed anche la Cina, sulla sua costa occidentale, sembra averne subito gli effetti nello stesso periodo. È innegabile che la rivoluzione della tecnologia militare sia la chiave di volta della rivoluzione militare. Eppure, non si può ritenere che essa rappresenti la rivoluzione militare nella sua interezza perché, al massimo, costituisce il primo elemento di questo violento mulinello in formazione. La massima incarnazione e il compimento finale della rivoluzione militare si hanno con la rivoluzione del pensiero militare, poiché non può restare al livello "terreno" della sola trasformazione della tecnologia militare e della formulazione del sistema. La rivoluzione del pensiero militare è, in ultima analisi, una rivoluzione nei metodi e nelle forme della guerra. La rivoluzione della tecnologia militare è raffinata come la riforma del sistema formulato, ma i loro risultati finali si basano su cambiamenti di metodi e forme della guerra e solo il completamento di questi cambiamenti è in grado di portare a compimento la maturazione della rivoluzione militare. Se stabiliamo che la rivoluzione della tecnologia militare è il primo stadio della rivoluzione militare, ora siamo nella seconda fase, decisamente importante, di questa rivoluzione. Avvicinarsi al completamento della rivoluzione della tecnologia militare significa, in larghissima misura, presagire l'inizio della nuova fase, il che pone problemi notevolissimi nello svolgimento del lavoro concettuale della prima fase: benché la rivoluzione della tecnologia militare ci abbia consentito di scegliere mezzi entro una gamma più ampia, essa ha anche fatto sì che, all'interno della stessa gamma, da tali mezzi siamo minacciati
(perché monopolizzare un tipo di tecnologia è molto più difficile che inventarne uno nuovo). Queste minacce non sono mai state presenti come oggi perché i mezzi sono diversi e infinitamente cangianti, il che realmente ci da l'impressione di vedere il nemico dietro ogni albero. Qualsiasi direzione, mezzo o persona può diventare in qualunque momento una potenziale minaccia per la sicurezza di un paese e, a parte la capacità di percepire nettamente l'esistenza della minaccia, è molto difficile aver chiara la direzione dalla quale essa proviene. Per lungo tempo, sia militari che politici sono stati abituati a ragionare in un certo modo, ossia a pensare che il fattore principale che pone una minaccia per la sicurezza nazionale sia la capacità militare di uno Stato nemico o potenzialmente nemico. Tuttavia, le guerre e i più importanti incidenti verificatisi durante l'ultimo decennio del ventesimo secolo ci hanno dimostrato in modo tranquillo e composto che è vero il contrario: le minacce militari spesso non sono più i fattori principali che minacciano la sicurezza nazionale. Anche se si tratta delle stesse antiche dispute tradizionali, degli stessi conflitti di nazionalità, degli stessi scontri religiosi, della stessa definizione degli ambiti di potere che hanno caratterizzato la storia dell'uomo, e tuttora rappresentano i fattori principali per i quali l'uomo ingaggia guerre da direzioni diverse, questi fattori tradizionali si stanno sempre più mescolando ad elementi quali l'appropriazione delle risorse, la contesa dei mercati, il controllo del capitale, le sanzioni commerciali ed altri fattori economici, tanto che, rispetto a questi ultimi elementi, quelli tradizionali stanno diventando fattori secondari. Il loro modello è nuovo e minaccia la sicurezza politica, economica e militare di uno o più paesi. Visto dall'esterno, il modello potrebbe non avere alcuna caratteristica militare, e pertanto, da alcuni osservatori, questi conflitti sono stati definiti "guerre secondarie" o "guerre analoghe". Ma la distruzione che esse portano nelle zone attaccate non è assolutamente secondaria rispetto alle guerre militari pure. In quest'ambito, ci basti ricordare nomi di folli come George Soros, Bin Laden, Escobar, [Chizuo] Matsumoto e Kevin Mitnickf). Probabilmente,
ormai non abbiamo modo di stabilire con precisione da quando i protagonisti dello scoppio di una guerra non sono più solo gli Stati sovrani, ma la setta giapponese di Shinrikyo, la mafia italiana, le organizzazioni terroristiche musulmane estremiste, i cartelli della droga colombiano o dell'area detta "Golden New Moon", figure sotterranee con intenti malvagi, finanzieri che controllano ingenti quantità di potenti fondi, come anche persone psicologicamente squilibrate fissate su un certo bersaglio, con personalità ostinata, carattere testardo, tutti potenziali fattori scatenanti di una guerra militare o non militare. Le armi utilizzate possono essere aerei, cannoni, gas tossici, bombe, agenti biochimici, così come virus di computer, browser di rete e strumenti finanziari derivati. In sintesi, tutti i nuovi metodi di guerra e i mezzi strategici offerti dalle varie nuove tecnologie possono essere utilizzati da questi fanatici per perpetrare tutte le forme di attacchi finanziari, attacchi a reti, attacchi a mezzi di comunicazione o attacchi terroristici. La maggior parte di questi attacchi non sono azioni militari. Eppure, sono indubbiamente assimilabili ad azioni belliche che costringono altri paesi a soddisfare gli interessi o le richieste dell'aggressore. Hanno la stessa forza distruttiva, se non una forza superiore, della guerra militare, ed hanno già generato gravi minacce per la nostra sicurezza nazionale come noi la intendiamo, minacce diverse dal passato e rivolte in molte direzioni. Vista la situazione, basta solo allargare leggermente il campo visivo per rendersi conto che la sicurezza nazionale basata sul regionalismo è ormai fuori moda. La principale minaccia alla sicurezza nazionale è già lungi dal limitarsi all'aggressione militare di forze ostili contro lo spazio naturale di un paese. In termini di gravita’ del calo dell'indicatore che misura la sicurezza nazionale, se confrontiamo la Thailandia e l'Indonesia, che per vari mesi hanno registrato una svalutazione di diverse decine di punti percentuali ed un'economia sull'orlo della bancarotta, con l'Iraq, che ha subito il doppio scacco degli attacchi militari e del boicottaggio economico, crediamo che non vi sia molta differenza. Persino gli Stati Uniti, unica superpotenza sopravvissuta alla Guerra Fredda, si sono resi conto che il paese più forte è spesso quello con il maggior numero di nemici e quello più minacciato. Per molti esercizi finanziari consecutivi,
nei rapporti sulla difesa nazionale degli Stati Uniti, tra le prime dieci minacce per la sicurezza della nazione, oltre "ai paesi regionali forti ostili agli interessi americani", si sono considerati anche "il terrorismo, le attività sovversive e le condizioni anarchiche che minacciano la stabilità del governo federale, le minacce alla prosperità e alla crescita economica degli Stati Uniti, il traffico illegale di stupefacenti e la criminalità internazionale", il che significa che la gamma di ricerca multispaziale delle possibili minacce alla sicurezza è stata ampliata. In realtà, non sono solo gli Stati Uniti, ma tutti i paesi che idolatrano la visione della sovranità moderna, ad aver già inconsapevolmente esteso i confini della sicurezza ad una molteplicità di campi, tra cui politica, economia, risorse materiali, nazionalità, religione, cultura, reti, geografia, ambiente, spazio esterno, eccetera. Questo tipo di "visione dell'ambito esteso" è una premessa per la sopravvivenza e lo sviluppo delle nazioni sovrane moderne, come anche per il loro tentativo di esercitare un'influenza nel mondo. Viceversa, l'idea di usare la difesa nazionale come obiettivo principale della sicurezza per un paese sembra di fatto un po'"superata, o perlomeno decisamente insufficiente. A far da contraltare alla "visione dell'ambito esteso", vi dovrebbe essere il nuovo concetto di sicurezza onnicomprensivo degli interessi nazionali, un concetto che sicuramente non si limita alla questione della sicurezza nazionale, bensì include nella rosa di obiettivi le esigenze di sicurezza di molte aree, tra cui sicurezza politica, sicurezza economica, sicurezza culturale e sicurezza delle informazioni del paese. Questa è una "visione ampia della sicurezza" che innalza il tradizionale concetto di dominio territoriale al livello dell'ambito degli interessi del paese. Il carico accresciuto di questa visione ampia della sicurezza certo rende più complesso l'obiettivo, nonché i mezzi e i metodi per conseguirlo. Pertanto, la strategia nazionale per garantire il conseguimento degli obiettivi nazionali di sicurezza, in particolare quella che viene generalmente chiamata grande strategia, richiede anche aggiustamenti che vanno al di là delle strategie militari e delle strategie politiche. Tale strategia tiene conto di tutti gli elementi che rientrano in ogni aspetto dell'indicatore sicurezza degli interessi dell'intero paese, oltre a
sovrapporre fattori militari e politici (volontà nazionale, valori nazionali e coesione nazionale) ad economia, cultura, relazioni estere, tecnologia, ambiente, risorse naturali, nazionalità e altri parametri prima di poter ottenere un "ambito esteso" onnicomprensivo, grande mappa strategica della situazione, che coniughi interessi nazionali e sicurezza nazionale. Chiunque si trovi davanti a questa mappa della situazione, improvvisamente avrà la sensazione di essere una goccia di acqua nel grande oceano: come è possibile utilizzare mezzi e metodi uniformi e singoli per coprire un'area tanto grande ed estesa, per realizzare interessi talmente complessi e persino in conflitto, per conseguire obiettivi tanto intricati e talvolta contraddittori? Per esempio, come si possono utilizzare i mezzi militari della "politica dell'attrito", descritta da Clausewitz, per risolvere la crisi finanziaria del SudEst asiatico? Oppure come si possono affrontare pirati informatici che vanno e vengono come ombre in Internet utilizzando lo stesso tipo di metodo? La conclusione è abbastanza evidente: non basta più avere una spada per difendere la sicurezza nazionale in maniera efficace e visibile. Un solo puntello non può sostenere un edificio vacillante. La volta della sicurezza di un edificio nazionale moderno è ben lungi dall'essere sostenibile dalla sola forza di un pilastro. La chiave per restare in piedi e non crollare sta, in larga misura, nella sua capacità di costituire una forza composita in tutti i campi legati all'interesse nazionale. Inoltre, se questa forza composita dovesse essere presente, è anche necessario che diventi il mezzo da usare per le operazioni effettive. Dovrebbe dunque essere un "grande metodo di guerra" che abbini tutte le dimensioni e i metodi nei due settori principali, militare e non militare, il che contrasta nettamente con la formula dei metodi di guerra proposta nelle guerre passate. Non appena è emerso questo grande metodo di guerra, è stato necessario introdurre una forma di guerra completamente nuova che racchiudesse e superasse tutte le dimensioni che influiscono sulla sicurezza nazionale. Tuttavia, se ne analizziamo il principio, non è complesso ed è semplicemente una questione di combinazione. "Il Tao ha prodotto l'uno, l'uno ha prodotto il due, il due ha prodotto il tre e il tre ha prodotto le decine di migliaia". Che si tratti del due, del tre o delle decine di migliaia, è sempre il risultato di una combinazione. Con la combinazione c'è
abbondanza, con la combinazione vi sono una miriade di cambiamenti e con la combinazione c'è diversità. La combinazione ha praticamente reso infiniti i mezzi della guerra moderna ed ha essenzialmente modificato la definizione di guerra moderna postulata nel passato: la guerra condotta utilizzando armi e mezzi operativi moderni. Ciò significa che, se l'aumento dei mezzi restringe gli effetti delle armi, d'altro canto amplia il concetto di guerra moderna. Temo che la maggior parte delle vecchie aspirazioni di vittoria in guerra con mezzi militari, laddove la scelta dei mezzi rispetto al campo di battaglia si è notevolmente ampliata, diventeranno vane e "marginali nella montagna". Ciò che devono fare militari e politici che cullano grandi ambizioni di vittoria è allargare il loro campo visivo, valutare il momento e cogliere la situazione, affidarsi al grande metodo di guerra e liberarsi dai miasmi della sua visione tradizionale: vai alla montagna e saluta il levar del sole.
I. NUOVE METODOLOGIE DEI GIOCHI DI GUERRA I grandi maestri delle tecniche belliche dei ventunesimo secolo saranno coloro che utilizzeranno metodi innovativi per riunire abilità diverse al fine di conseguire obiettivi tattici, operativi e strategici. Yier Ticrfude Tutto sta cambiando. Riteniamo che sia già arrivata l'epoca di una rivoluzione nei metodi operativi, in cui tutti i cambiamenti che l'esplosione tecnologica ha comportato, la sostituzione delle armi, lo sviluppo di nuove concezioni della sicurezza, la modificazione degli obiettivi strategici, l'indeterminatezza dei confini del terreno di scontro e l'espansione della portata e della gamma dei mezzi e del personale non militare coinvolto nella guerra saranno focalizzati su un unico punto. Questa rivoluzione non è alla ricerca di metodi operativi conformi a ogni tipo di cambiamento, quanto piuttosto di un metodo operativo comune a tutti questi cambiamenti. In altre parole sta scoprendo una nuova metodologia che si serve di un metodo unico per affrontare gli innumerevoli cambiamenti delle guerre future. Dissipare le nubi della guerra Chi ha mai assistito alla guerra del futuro? Nessuno. E tuttavia le sue varie scene sono già state descritte da molti profeti e si sono cristallizzate sui nostri schermi mentali come un popolare cartone animato. Dalla guerra di strangolamento dei satelliti in orbita nello spazio agli inseguimenti angolari dei sottomarini nucleari nelle profondità degli oceani, dalle bombe di precisione sganciate dai bombardieri stealth ai missili cruise lanciati da un incrociatore "Zeus Shield", esse coprono cielo e terra, e sono fin troppo numerose da elencare. Ma la più emblematica è la descrizione di un'esercitazione di manovre terrestri con truppe eseguita da un'unità digitalizzata dell'esercito Usa al Centro Nazionale di addestramento di Fort Irwin: "Con le unità digitalizzate del Centro che agivano come "blue troops", il computer continuava a inserire e processare informazioni trasmesse dai satelliti e dal sistema "Joint Star"; i primi aerei di early Worning monitoravano l'intero spazio aereo, e con i cacciabombardieri guidati da satelliti usavano missili di precisione per attaccare i bersagli. I reparti d'attacco e gli elicotteri si alternavano dando
inizio ad attacchi tridimensionali contro il nemico: i soldati della fanteria usavano computer portatili per ricevere ordini e sparavano con armi automatiche grazie a dispositivi per la mira montati sugli elmetti; e la scena più fantastica fu quella in cui un soldato attaccò cinque avversari in successione e guidò la potenza di fuoco della sua artiglieria e dei suoi piloti verso un gruppo di carri armati nemici dall'altra parte del crinale. I risultati apparvero sullo schermo del suo computer: i carri armati nemici erano già stati colpiti". Denominata "Esercito del ventunesimo secolo" e "truppe blu" con equipaggiamento completamente digitalizzato e condotta nel deserto del Mojave, questa esercitazione ebbe come risultato una vittoria, un pareggio e sei perdite, ma "Esercito del ventunesimo secolo" e le "truppe blu" persero con le "truppe rosse" dall'equipaggiamento tradizionale. Tuttavia, ciò non impedì al segretario della difesa Cohen di annunciare in un bollettino a esercitazione conclusa che in quell'occasione si era assistito a una rivoluzione militare. È evidente che la rivoluzione cui Cohen si riferiva è identica alla guerra concepita da quei profeti cui si è accennato. Il vincitore ama continuare a percorrere il sentiero che lo ha condotto alla vittoria. Come le forze armate francesi che decisero di uscire dalle trincee a Verdun per vincere la Prima Guerra Mondiale e sperarono che anche la guerra successiva si sarebbe ugualmente combattuta lungo la linea Maginot, anche le forze armate americane che riportarono una vittoria nella Guerra del Golfo sperano di proseguire secondo il mitizzato stile “Tempesta nel deserto” nel ventunesimo secolo. Sebbene nessuna manovra abbia ottenuto gloria pari a quella di Schwartzcopf, tutti i generali americani comprendono che le guerre nel prossimo secolo non possono essere semplici repliche della Guerra del Golfo. Per questo motivo hanno iniziato ad attuare sostituzioni degli armamenti prima ancora che si fosse dissipato il fumo della battaglia, e hanno modificato anche la teoria di combattimento originaria e il sistema organizzativo. I militari di tutto il mondo hanno individuato la struttura dell'esercito americano del futuro e la concezione dello stile di guerra americano ne Il concetto delle forze congiunte nell'anno 2010 e L'esercito del futuro. Considerando la
massiccia superiorità della potenza militare americana, ciò appare piuttosto insolito. Non si è immaginato ancora che il punto debole della visuale degli americani sarebbe comparso proprio lì. A tutt'oggi, le tendenze nello sviluppo degli armamenti delle forze armate statunitensi, i cambiamenti nella politica di difesa, l'evoluzione delle teorie di combattimento, il rinnovo degli ordinamenti e dei regolamenti e la visione degli alti comandanti seguono tutti rapidamente un'unica direzione. Affermano che i mezzi militari sono i mezzi definitivi per risolvere conflitti futuri e che gli scontri tra le nazioni porteranno alla fine allo scontro sul campo di due grandi eserciti. Stando a questa premessa, l'esercito americano chiede a se stesso di vincere le guerre quasi contemporaneamente in due aree di conflitto, e ha condotto una notevole preparazione in tal senso. Il problema è chi sta al Pentagono, come l'ex Capo dei capi di Stato maggiore congiunti Generale Bower, il quale riconobbe chiaramente che gli Stati Uniti stavano concentrando gran parte delle energie nel combattere ancora una volta "un genere di Guerra Fredda che non si sarebbe mai più verificata", e che molto probabilmente stavano usando la propria forza nella direzione sbagliata. Questo perché, alla fine del ventesimo secolo, l'orientamento internazionale si è delineato con chiarezza. L'epoca della guerra intesa come uso e movimento di armi e soldati, essendo ancora in atto in questa forma, non è ancora un capitolo chiuso, ma come concezione è già in parte obsoleta. In seguito all'aumento del numero di trattati internazionali che limitano la corsa agli armamenti e la proliferazione delle armi, le Nazioni Unite e le organizzazioni internazionali locali hanno ampliato il loro potere di intervento nelle guerre e nei conflitti territoriali e hanno relativamente fatto diminuire la minaccia militare alla sicurezza nazionale; diversamente, il continuo e massiccio emergere di nuova alta tecnologia andrà di fatto ad aumentare le possibilità di minacce non militari alla sicurezza nazionale. Inoltre, la comunità internazionale che non sa come regolarsi nel dover affrontare minacce di carattere non militare dotate di potenziale distruttivo di certo non inferiore a quello di una guerra vera e propria non può imporre limitazioni necessarie ed efficaci. Tutto ciò ha oggettivamente accelerato il verificarsi di guerre non militari, e al tempo stesso ha anche avuto come
conseguenza il fatto che le vecchie concezioni e i vecchi sistemi di sicurezza nazionale siano ormai sull'orlo della crisi. A parte gli attacchi terroristici sempre più intensi, nonché le guerre sferrate dagli hackers, quelle finanziarie e di virus informatici che domineranno la scena futura, vi sono anche i nuovi tipi di "guerre di nuova concezione" difficili da etichettare, ma che sono già sufficientemente rilevanti da rendere rapidamente obsoleta l'idea di poter garantire la sicurezza "resistendo al nemico sui confini nazionali". Non è che i circoli militari americani non abbiano considerato questo vantaggio nell'eliminare il nemico a fronte di minacce militari e non- militari, come si è visto facendo riferimento a vari rapporti annuali della difesa Nazionale emessi dal Dipartimento della difesa degli Stati Uniti. Tuttavia essi hanno rimandato la soluzione di quest'ultimo tipo di problema ai politici e alla CIA, cosicché si sono ritirati dalle guerre onnidimensionali ancora esistenti, dalle operazioni militari che non prevedono combattimento e da altre nuove concezioni. Hanno ristretto il loro margine di intervento a tal punto da essersi ridotti a un ruolo di vedetta appollaiati su di un albero carico di vari tipi di armi sofisticate appese ai rami come frutti, in solitaria attesa di un coniglio idiota e confuso che arrivi e ci sbatta contro. Ma, dopo che Saddam è finito KO ai piedi di quell'albero, chi è mai disposto a diventare il coniglio numero due? Considerata la mentalità dello "stare in guardia nell'oscurità ad armi in pugno", i soldati americani che hanno perso il loro antagonista storico con il crollo dell'ex- Unione Sovietica sono fortemente motivati a trovare una ragione che eviti loro di rimanere disoccupati. Questo perché, dai generali ai soldati semplici, dalla lancia dell'attacco allo scudo della difesa, dalle strategie principali ai metodi operativi minori, tutta l'attività dell'esercito americano è finalizzata a conseguire la vittoria in una guerra importante. Non è vero che i circoli militari americani e persino il Congresso furono colti da un senso di vuoto per aver perso il proprio obiettivo nel momento in cui non vi furono più due eserciti a fronteggiarsi. La conseguenza di quella nuova realtà fu piuttosto che, avendo perso un nemico, bisognava ancora crearne un altro. Dunque gli americani non possono lasciarsi sfuggire l'opportunità di sperimentare le loro armi quand'anche si trattasse di una zona minuscola come il Kossovo. I circoli militari americani, che
stanno indagando sempre più a fondo il problema insolubile dell'uso della forza o della sua eliminazione, dopo aver esteso i loro tentacoli dall'ambito della guerra al campo delle azioni militari senza combattimento, non sembrano più volersi spingere molto lontano e attualmente cercano di dare una forma alle guerre non militari. Ciò è forse dovuto a una mancanza di ricettività alle novità e forse anche ad abitudini di lavoro, ma ancor più probabilmente a una mentalità limitata. A prescindere dal motivo, il soldato americano restringe sempre il suo campo visuale alle nubi di guerra, e ciò è un dato incontrovertibile. Anche se gli Stati Uniti hanno l'onere di trovarsi ad affrontare la minaccia di questo tipo di guerra non militare e sono stati colpiti più volte, è tuttavia sorprendente come una nazione così grande non preveda una strategia e una struttura di comando unificate per gestire tale minaccia. E ciò che lascia così perplessi da non sapere se ridere o piangere è che, sorprendentemente, gli americani hanno quarantanove dipartimenti e uffici responsabili per le attività antiterrorismo, tra i quali però vi è scarsissima coordinazione e cooperazione. Altre nazioni non presentano un quadro migliore di quello degli Usa. Le ripartizioni dei costi e le linee di investimento fondamentali di varie nazioni per le esigenze di sicurezza sono ancora limitate unicamente ai settori militari, di intelligence e politici, mentre gli investimenti in altre direzioni sono esigui e irrilevanti. Per tornare all'esempio degli Stati Uniti, essi impiegano sette miliardi di dollari in fondi antiterrorismo, cioè solo un venticinquesimo della spesa militare complessiva, che ammonta a duecentocinquanta miliardi di dollari. Indipendentemente dai modi in cui ogni nazione si mostra sorda di fronte alla minaccia della guerra non militare, questo dato oggettivo sta minando l'esistenza dell'umanità passo a passo, espandendosi e diffondendosi in base a modelli e rapidità variabili. E non è necessario richiamare l'attenzione in tal senso, poiché la gente scoprirà che quando si insiste maggiormente sul richiamo alla pace e sul porre un freno alle guerre, ciò in gran parte avviene a causa della graduale trasformazione di alcuni elementi delle nostre vite pacifiche in armi letali in grado di distruggere la pace. Anche quelle regole auree e quei preziosi precetti che abbiamo sempre rispettato cominciano a rivelare una tendenza contraria e a divenire per
alcune nazioni uno strumento per sferrare attacchi contro altre nazioni, o un mezzo per colpire l'intera società per alcune organizzazioni e singoli individui. Il tutto può essere paragonato a uno scenario di questo tipo: quando c'è un computer allora c'è anche un virus; quando c'è valuta c'è speculazione monetaria; libertà di culto, estremismo religioso e confessioni eretiche; diritti umani comuni e sovranità nazionale; protezionismo commerciale e libero mercato; autonomia nazionale e unificazione globale; imprese nazionali e multinazionali; liberalizzazione e limitazione dell'informazione; condivisione della conoscenza e monopolio della tecnologia. In ognuno di questi ambiti è possibile che domani, in qualsiasi momento, scoppi una guerra in cui gruppi di persone diversi si trovino a combattere accanitamente. Il campo di battaglia è accanto a noi, e il nemico è in rete, solo che non c'è odore di polvere da sparo né di sangue. Tuttavia, è guerra ora come lo era prima, poiché anche questa risponde alla moderna definizione della guerra: costringere il nemico a soddisfare i propri interessi. È assolutamente evidente che nessun soldato di una nazione possiede una preparazione mentale sufficiente ad affrontare questo nuovo tipo di guerra che travalica completamente l'arena militare. Ciò nonostante, essa è una drammatica realtà che tutti i militari devono fronteggiare. Le nuove minacce richiedono nuove concezioni di sicurezza nazionale, e tali da richiedere un personale militare che abbia ampliato la propria visuale prima di ampliare il novero delle proprie vittorie. Si tratta di sgombrare la visuale da quella coltre di nubi che sino ad ora l'ha così limitata. La distruzione delle regole e l'ambito della perdita di efficacia Come mezzo estremo impiegato per risolvere conflitti di interesse e di sopravvivenza, la guerra è sempre stata la belva addomesticata del genere umano. Da un lato è lo spazzino della catena ecologica della società e dall'altro è anche la minaccia diretta alla sopravvivenza dell'umanità. Come possiamo stabilirvi un nuovo ordine senza esserne danneggiati? Negli ultimi millenni, e in particolar modo nel ventesimo secolo, si è sempre perseguito un obiettivo fondamentale durante gli intervalli che separavano le varie deflagrazioni belliche, e cioè fare il possibile per
chiudere la belva in gabbia. È per questo motivo che sono stati stesi innumerevoli trattati e regole. Dalla famosa Convenzione di Ginevra sino alla Carta delle Nazioni Unite e alla situazione odierna, si è cominciato a emanare risoluzioni relative alla guerra, si sono edificate barriere su barriere lungo i percorsi di guerre folli e cruente, e si sono volute utilizzare leggi e regolamenti internazionali per ridurre al minimo i danni inferti all'umanità, proibendo l'uso di armi biochimiche, l'uccisione indiscriminata di civili, non consentendo il maltrattamento dei prigionieri, limitando l'uso delle mine, eccetera, sino alla diffusa opposizione all'uso della forza militare o alla minaccia di impiegarla nel gestire le questioni nazionali. Tutte queste nuove regole vengono progressivamente accettate da tutte le nazioni. La più encomiabile di tutte consiste in una serie di trattati contro la proliferazione nucleare, la messa al bando dei test nucleari, la riduzione bi e multilaterale delle armi nucleari eccetera, che a tutt'oggi hanno consentito all'umanità di evitare un inverno nucleare. Alla fine della Guerra Fredda, tutto il mondo ne fu felice e credette che da quel momento si inaugurasse una "pace timorosa". Dopo che il generale Schwartzkopf usò la forza della "tempesta" per piegare Saddam sullo scenario del Golfo, il presidente George Bush si mostrò trionfante e dichiarò: "Il nuovo ordine mondiale ha appena superato la sua prima prova". Ricordava Chamberlain di ritorno da Monaco, allorché annunciò che l'umanità "si sarebbe unita in un mondo che aveva la speranza della pace". Quale fu il risultato? Che, come Chamberlain, anche George Bush cantò vittoria troppo presto. Indipendentemente dal fatto se quella fosse in realtà la fine della Guerra Fredda o della Guerra del Golfo, in nessun caso fu in grado di realizzare le promesse fatte dai politici al mondo intero e il nuovo ordine internazionale che era stato prefigurato. Il crollo della polarizzazione delle potenze ha avuto come conseguenza lo scatenarsi di guerre locali, che come belve fuggite dalle gabbie in cui erano rinchiuse straziarono e insanguinarono una dopo l'altra le nazioni e le regioni del Ruanda, della Somalia, del Bohei, della Cecenia, del Congo e del Kossovo. La gente a quel punto aveva scoperto ancora una volta come gli sforzi millenari in direzione della pace potessero crollare miseramente in un colpo solo. Il verificarsi di questo tipo di situazione è legato all'atteggiamento adottato
da ogni nazione nei confronti dell'istituzione di regole internazionali. Spesso il fatto che una nazione riconosca o meno tali regole dipende da quanto esse vi apportino o meno benefici. Le nazioni piccole sperano di usare le regole per proteggere i propri interessi, mentre quelle grandi tentano di utilizzarle per controllare altre nazioni. E quando tali regole non si accordano con gli interessi nazionali, generalmente la loro infrazione da parte di nazioni minori può essere corretta da quelle maggiori in nome del rispetto e dell'applicazione della legge. E tuttavia, quando sono i paesi più importanti a infrangere la legge, ogni volta la comunità internazionale si limita ad assistere contrariata, come avvenne ad esempio quando gli Stati Uniti imposero leggi sovranazionali a Panama, dove catturarono il capo di un'altra nazione e lo processarono a casa loro, o quando l'India ignorò il trattato che metteva al bando gli esperimenti nucleari e annesse la regione himalaiana del Sikkim con un'azione simile a quella dell'Iraq nei confronti del Kuwait. Ad ogni modo, in ogni questione esistono sempre un rivale imbattibile e un nemico naturale così efficacemente raffigurato nel detto popolare cinese: la salamoia produce il formaggio di soia, e una cosa sopraffa sempre un'altra. Nella comunità internazionale la partecipazione delle nazioni più importanti - a confronto con quelle deboli e ininfluenti -alla formulazione e utilizzazione delle regole e anche il mancato rispetto e Persino l'annientamento di quelle regole quando non siano vantaggiose, crea un contrasto nuovo con l'insorgere di quelle organizzazioni non statali che non riconoscono le regole e che scelgono come obiettivo specifico di distruggere l'ordine nazionale esistente. Nemici naturali della comunità internazionale, e specialmente delle grandi nazioni, nel minacciare la sopravvivenza dell'umanità, producono anche effetti non immediatamente riconoscibili sull'equilibrio della società e dell'ecologia. In altre parole, queste entità non statali funzionano come una forza socialmente distruttiva che sconvolge il normale ordine internazionale ma impedisce anche la distruzione della comunità internazionale da parte delle grandi potenze. Ad esempio si sono verificate intrusioni "di avvertimento" da parte di hackers anonimi nel sito web del Ministero della difesa nazionale indiano dopo che l'India aveva effettuato test nucleari, nonché un atto terroristico da parte del ricco Osama Bin Laden, dovuto alla sua lotta contro la presenza degli Stati
Uniti in Medio Oriente. Pur essendo per noi ancora difficile delineare gli effetti positivi e negativi di queste azioni, si può ugualmente stabilire che tutte sono accomunate da caratteristiche di irresponsabilità e distruttività che ignorano le regole internazionali. La conseguenza diretta dell'annientamento delle regole è che gli ambiti delineati da confini visibili o invisibili e riconosciuti dalla comunità internazionale perdono la loro validità. Ciò perché tutti i mandanti privi di potere nazionale che intraprendono azioni belliche non militari per dichiarare guerra alla comunità internazionale si servono di mezzi che trascendono la realtà delle nazioni, delle regioni e delle rispettive misure di difesa. I confini nazionali "visibili", lo spazio invisibile della rete, il diritto nazionale e internazionale, le norme comportamentali e i principi etici non possono ostacolarli in alcun modo. Non rispondono a nessuno e non sono condizionati da regole, e quando si tratta di selezionare i bersagli sono disposti a scegliere qualunque mezzo e a ricorrere a ogni tipo di strage. Poiché i loro movimenti sono segreti, sono in grado di nascondersi dietro a protezioni molto efficaci e di creare danni enormi con i loro gesti estremi, mostrandosi incredibilmente efferati negli attacchi indiscriminati ai civili. Tutto ciò viene comunicato in tempo reale nel mondo grazie all'ininterrotta attenzione dei media, che rafforzano sensibilmente gli effetti del terrorismo. Quando si combatte questa gente, non vi sono dichiarazioni di guerra, campi di battaglia definiti, combattimenti e uccisioni dirette, a viso aperto, e nella gran parte dei casi non vi saranno fumo, esplosioni e spargimenti di sangue. E tuttavia le distruzioni e i gravi danni inferti alla comunità internazionale sono certamente non inferiori a quelli di una guerra militare. In seguito alla progressiva scomparsa del vecchio terrorismo specializzato in rapimenti, uccisioni e dirottamenti, le nuove forze del terrorismo hanno fatto presto la loro comparsa e hanno riempito il vuoto lasciato dai predecessori molto rapidamente. Nel breve arco di tempo di poco più di dieci anni si sono trasformati da personaggi di origine sconosciuta in pericoli pubblici a livello mondiale, primi tra tutti i pirati informatici. La diffusione sempre più massiccia dei personal computer e in particolare lo sviluppo della rete Internet ha dato luogo ad azioni di pirateria premeditate che hanno messo sempre più a repentaglio l'ordine
sociale esistente. Questo genere di hackers è rappresentato da quei killer della rete che sottraggono informazioni, cancellano e modificano file, mettono in circolazione virus, trasferiscono capitali e distruggono programmi in rete. Per differenziarli dagli hackers non criminali forse andrebbero indicati con le definizioni molto più accurate di "banditi" o "tiranni della rete". Il potere che essi hanno di distruggere il mondo contemporaneo è sconvolgente. All'inizio, nel 1988, quando gli hackers cominciavano ad agire e la gente ignorava completamente la loro pericolosità, il piccolo "verme" creato da Robert Morris paralizzò completamente seimila computer del sistema informatico militare e civile in tutti gli Stati Uniti, compreso quelli dell'Ufficio di pianificazione a lungo termine" del Dipartimento della difesa, del Centro di difesa della Randa Corporation e dell'Università di Harvard. In seguito, questo genere di eventi iniziarono a verificarsi uno dopo l'altro nelle connessioni Internet tra nazioni e regioni. E da quando il governo degli Stati Uniti cominciò a prendere di mira seriamente i crimini informatici nel 1990, l'attività degli hackers non solo non ha avuto alcuna diminuzione, ma al contrario si è diffusa a livello globale con una micidiale carica incendiaria. È il caso di sottolineare che in seguito alle disposizioni sulla "guerra di informazione" dell'esercito americano, che ha equiparato gli eserciti di nazioni nemiche o gli avversari internazionali agli operatori non abilitati, il personale infiltrato, i terroristi, le organizzazioni non nazionali e le organizzazioni di intelligence straniere come le sei maggiori fonti di minacce informatiche, gli hackers con una formazione all'interno della pubblica amministrazione nazionale o militare avevano già cominciato a rivelare alcun indizi. Ciò non solo ha rafforzato notevolmente le formazioni d'assalto degli hackers, cosicché le azioni dei soggetti dispersi e isolati hanno avuto una rapida evoluzione su scala nazionale confluendo nell'attività dei "tiranni della rete", ma ha anche portato al crescente ampliarsi della minaccia informatica che tutte le nazioni devono affrontare, incluse quelle in cui esistono organizzazioni di hackers nazionali o militari. Di fronte a queste prospettive, anche J. Saiteerdou responsabile del reparto investigativo dell'FBI sui crimini informatici negli Stati Uniti, ha affermato
con un misto di fiducia e preoccupazione: "Datemi dieci hackers selezionati accuratamente e nel giro di novanta giorni sarei in grado di costringere questa nazione a deporre le armi e ad arrendersi". Se paragonato a questi "banditi della rete", gli hackers terroristi, il terrore delle bombe di Bin Laden appare più vicino all'eredità del terrorismo tradizionale. Tuttavia, ciò non ci impedisce di considerarlo come un militante tra le fila del nuovo terrorismo. Ciò perché, a prescindere dal suo background di predicazione religiosa persino eterodossa, e dalla sua volontà di opporsi al controllo delle superpotenze, nella figura di Bin Laden si possono intravedere le ombre di quei vecchi combattenti che fanno proclami vuoti, adorano i riflettori e si servono delle armi leggere come unico metodo, anche se per il resto non possono essere accomunati ai nuovi signori del terrorismo. Prima dei gravi attentati alle ambasciate americane di Nairobi e Dar es Salaam che sconvolsero il mondo, il nome di Bin Laden non era ancora entrato nella lista delle trenta organizzazioni terroristiche pubblicate dall'organizzazione internazionale contro il terrorismo, e anche se in precedenza gli erano già state attribuite molte uccisioni, era solo un "eroe senza nome" per il mondo islamico, poiché non le aveva rivendicate. Anche dopo che gli Americani avevano già lanciato contro di lui missili cruise e spiccato un mandato d'arresto, Bin Laden ha continuato a negare ripetutamente di essere implicato in quei bombardamenti. "Nascondersi e proteggersi", conseguire risultati sempre più consistenti e acquisire inaspettatamente una fama immeritata sono forse le prime e fondamentali caratteristiche delle nuove organizzazioni terroristiche sul genere di Bin Laden. Inoltre, avendo imparato a servirsi di mezzi economici e a sfruttare le scappatoie offerte dalla libera economia avviata dall'Occidente, queste organizzazioni hanno creato società di gestione finanziaria e banche e si sono immesse sul mercato del traffico e contrabbando di droga su larga scala, della rivendita di munizioni, della stampa di grandi quantitativi di valuta falsa, e possono contare sui contributi di seguaci religiosi per accumulare risorse di capitale ingenti e stabili. Su queste premesse, i tentacoli di queste nuove organizzazioni terroristiche si estendono ad aree ancor più vaste, e anche i mezzi vengono diversificati, come l'impiego massiccio di organizzazioni religiose ed
eretiche, al fine di sviluppare i propri sistemi di propaganda, l'istituzione di milizie antigovernative eccetera. La facilità con cui vengono raccolti i fondi garantisce che esse saranno in grado di ottenere e controllare grandi quantitativi di mezzi di alta tecnologia, e quindi uccidere un numero ancor maggiore di persone senza difficoltà. Nonostante gran parte degli attacchi che esse hanno sferrato sino ad ora abbiano colpito le nazioni ricche e occidentali, e in particolare quelle in grado di controllare altre nazioni, esse tuttavia costituiscono una minaccia comune all'ordine mondiale e alla comunità internazionale e rappresentano la distruzione delle regole comunemente riconosciute. Da elementi certi si può constatare che queste nuove organizzazioni terroristiche che si stanno sviluppando sono semplicemente delle onde nere che si agitano all'interno delle nuove attività di terrorismo globale. E vi sono conferme del fatto che esistono correnti torbide ancor più grandi che stanno risalendo in superficie delle quali non si sa ancora nulla. I protagonisti più recenti di questa nuova realtà sono gli speculatori finanziari internazionali. Anche se nessuno fino ad oggi ha catalogato questi signori eleganti e impeccabili tra le file del terrorismo, stando alle loro azioni e alle conseguenze disastrose che queste hanno causato in Inghilterra, Messico e SudEst asiatico, nessuno di loro - al pari dei "banditi" informatici e di Bin Laden - sfigurerebbe nel confronto con i terroristi. Si prenda Soros come il rappresentante dei grandi squali della finanza, forte di un volume di affari quotidiano che superava i centoventi miliardi di dollari in flottante: egli ha usato gli strumenti finanziari derivati e la regolamentazione della libera economia per modificare ripetutamente il suo atteggiamento e i suoi stratagemmi al fine di fomentare instabilità e causare un terremoto finanziario dopo l'altro. Come conseguenza, l'area delle nazioni danneggiate si è allargata gradualmente dal SudEst asiatico alla Russia e poi al Giappone, e infine all'Europa e agli Stati Uniti, che assistevano ai margini e che non potevano scappare grazie a un colpo di fortuna, cosicché l'ordine del sistema finanziario ed economico mondiale esistente era stato scosso alle radici e si era innescato un altro nuovo disastro per la società e la sicurezza internazionale. Considerando che le caratteristiche tipiche del terrorismo comprendono l'essere transnazionale,
occulto, senza regole e tremendamente distruttivo, è giustificato definire tali azioni terrorismo finanziario. A confronto dell'imponente apparato statale, i terroristi e le loro organizzazioni forse non meritano di essere presi in considerazione per il numero di persone o metodi, ma in realtà non vi è paese che osi prenderli alla leggera. Il motivo è che si tratta di gruppi di maniaci che non agiscono secondo regole. Un'organizzazione terroristica che possieda armi nucleari è decisamente più pericolosa di una nazione dotata delle medesime armi. Il credo di Bin Laden è "Se io muoio, non lascerò che gli altri vivano"; non si fermerebbe di fronte a nulla, e dunque per uccidere più di dieci americani annienterebbe nel sangue anche diverse migliaia di altri innocenti. La logica di Soros è "sono entrato in questa stanza per rubare i soldi perché la tua porta non era chiusa a chiave". In tal modo egli non deve assumersi la responsabilità della distruzione delle economie di altre nazioni e del sovvertimento dell'ordine politico altrui. Per Bin Laden, che si nasconde tra le pieghe del fondamentalismo islamico, per Soros, che si nasconde tra le foreste del libero mercato e per i pirati informatici, che si nascondono dietro alle finestre della rete, non esistono confini nazionali, e i confini stessi sono inefficaci. Ciò che essi vogliono è una distruzione gratuita e incontrollata all'interno di un contesto governato da regole, agire in maniera folle e scatenarsi in un contesto senza regole. Queste nuove forze terroristiche hanno costituito una sfida grave e senza precedenti all'ordine mondiale, e al tempo stesso ci hanno indotto a dubitare in una certa misura della logica produzione di un ordine prestabilito. Forse coloro che cercano di contrastare la distruzione delle regole e coloro che le rivedono svolgono entrambi un ruolo necessario. Ciò perché ogni sovvertimento delle regole comporta nuovi problemi che è necessario affrontare con rigore. In un'epoca in cui il vecchio ordine sta per essere eliminato, coloro che occupano posizioni di comando sono spesso i primi a eliminare le regole, oppure i primi ad adattarsi alla nuova situazione. Naturalmente, in questo senso, i nuovi terroristi hanno già sopravanzato la comunità internazionale. Il metodo migliore per agire contro un nemico che non rispetta le regole,
allora, è proprio quello di andare oltre le regole. Recentemente, trovandosi alle prese con nemici che comparivano e scomparivano nell'ambito della guerra non militare, gli americani hanno utilizzato i missili cruise, il governo di Hong Kong è ricorso a riserve di valuta straniera e a misure amministrative e il governo britannico ha infranto le convenzioni in maniera da consentire alle organizzazioni del suo servizio segreto di assassinare "legalmente" i leader delle nazioni straniere ritenuti terroristi. Il che evidenzia un aggiornamento delle regole e una modifica dei metodi operativi, ma anche le debolezze insite in un modo di pensare ottuso e in una metodologia univoca. Si è detto che gli americani hanno già deciso di impiegare i metodi degli hackers per scovare e bloccare i conti bancari di Bin Laden in varie nazioni, fondamentalmente allo scopo di sottrargli le fonti di capitale. E questo è senz'altro un passo avanti nel metodo operativo che trascende l'ambito militare. Ma bisogna riconoscere che in questo campo i terroristi vecchi e nuovi che si mantengono coerenti al principio di ricorrere a ogni mezzo possibile rimangono ancora i migliori maestri per i governi di ogni nazione. Il cocktail nella coppa del Grande Maestro Il re Wu della dinastia Zhou tremila anni fa e Alessandro il Grande più di duemila, di certo non avrebbero saputo immaginare cosa fosse un cocktail, e tuttavia furono entrambi maestri nell'arte di "creare cocktail" sul campo di battaglia. Proprio come nella preparazione dei cocktail, infatti, erano esperti nel combinare insieme due o più fattori di scontro, gettarli in campo e ottenere la vittoria.» 1 + 1 è la combinazione più elementare, e anche la più antica. Lunghe lance e scudi tondi possono preparare un soldato tanto per l'attacco quanto per la difesa e fornire un supporto per l'avanzata e la ritirata; due persone formano un'unità in cui "i soldati si coordinano l'uno con l'altro, per poi formare l'unità tattica minima". La coppia formata dal cavaliere Don Chisciotte e dal suo scudiero Sancho Panza indica come la divisione del lavoro del generale da quella del soldato semplice fosse già in atto, e così la "squadra" poteva partire per un lungo viaggio al fine di sconfiggere il male per amore della principessa. Una combinazione così semplice incarna la complessa teoria degli infiniti cambiamenti che si verificano sul campo di battaglia. Dalle armi fredde a quelle calde sino agli armamenti
nucleari e alla combinazione delle cosiddette armi ad alta tecnologia dei nostri giorni, lo strumento musicale nelle magiche mani del vincitore ha sempre accompagnato l'intera storia della guerra, influenzando segretamente l'esito di ogni conflitto. Re Wu attaccò Zhuo con trecento veicoli militari, tremila valorosi guerrieri e quarantacinquemila soldati in armature, uno spiegamento di gran lunga inferiore alle diverse centinaia di migliaia di soldati di fanteria del re Zhuo della dinastia Shang. Tuttavia questo piccolo esercito composto sia di veicoli che di soldati divenne la pietra angolare del regno Zhou, perché quella giusta combinazione aumentò grandemente la potenza del combattimento nella guerra condotta in territori desertici e divenne testimonianza della più antica guerra "combinatoria" che si sarebbe ritrovata tremilacentoventi anni dopo. E se questa era la situazione in Oriente, l'Occidente non faceva eccezione. La ragione per la quale Alessandro fu in grado di sconfiggere un grande esercito con un'unica decisiva battaglia ad Arbela consiste in alcuni cambiamenti che egli decise di apportare poco prima di entrare in battaglia, dove uno schema quadrato di sfondamento mutò fisionomia cogliendo l'avversario di sorpresa. Il suo metodo era molto semplice: la posizione della cavalleria si spostava all'indietro e in direzione obliqua lungo i fianchi della matrice quadra formando "una grande matrice quadra cava", cosicché la flessibilità della cavalleria e la stabilità dei fanti raggiunsero la combinazione ideale in un dispositivo di combattimento unico, in cui ognuno poteva sviluppare con la massima efficacia la propria forza individuale. Il risultato fu naturalmente che a levare il calice della vittoria fu Alessandro, la cui potenza militare era inferiore rispetto a quella dell'avversario. Se si esamina la storia militare sia dell'Oriente che dell'Occidente, non si trova mai l'espressione "combinazione" in nessuna delle descrizioni relative ai metodi operativi. Tuttavia, ognuno dei grandi signori della guerra di ogni epoca sembra aver conosciuto molto bene d'istinto questo principio. Il re Gustavo di Svezia fu il più ammirato innovatore militare all'epoca in cui cominciarono a diffondersi le armi da fuoco. E tutte le innovazioni che egli apportò ai dispositivi di guerra e agli spiegamenti delle armi ricorsero al metodo combinatorio. Ben presto Gustavo comprese
che far arretrare i lancieri e disporli in assetto di combattimento insieme ai soldati provvisti di armi da fuoco consentiva ai primi di coprire i secondi tra le varie sequenze di fuoco. E ciò sviluppò al massimo la potenza di entrambe le formazioni. Il re spesso mescolava raggruppamenti di cavalleria leggera, cavalleria pesante e soldati con armi da fuoco che si alternavano nell'iniziare l'assalto alla linea dei combattimenti preliminari del nemico in mezzo al denso fumo provocato dal fuoco dell'artiglieria pesante. Gustavo, in seguito, venne considerato "il primo esperto di artiglieria", e ben comprese le funzioni e gli effetti dell'artiglieria come fondamento dello scontro. Considerò l'artiglieria leggera come una combinazione di "artiglieria reggimentale" e di fanteria, consentendo all'artiglieria pesante di formare un esercito indipendente, mentre l'artiglieria leggera apparentemente separata e quella pesante formavano di fatto una combinazione perfettamente integrata su tutta l'estensione del campo di battaglia. E si può dire che gli effetti dell'artiglieria vennero sviluppati e perfezionati definitivamente proprio in quel periodo. Ad ogni modo, tutto ciò avvenne prima della comparsa di un esperto nella tecnica di artiglieria come Napoleone. Paragonato al Corso che portò sul campo di battaglia ventimila cannoni, Re Gustavo con i suoi duecento fucili non può che far pensare a "un piccolo mago in presenza di uno grande". Nei vent'anni tra il 1794 e il 1813, nessuno al mondo arrivò a conoscere così perfettamente la tecnica dei cannoni come Napoleone. Nessuno seppe capire altrettanto profondamente gli uomini al proprio comando; inoltre, nessuno come lui seppe combinare alla perfezione la forza micidiale dell'artiglieria e la manovrabilità della cavalleria, così come la lealtà e il coraggio del Comandante Davout e la nerezza del Comandante Murat nel creare una forza offensiva che avrebbe immediatamente indotto il nemico alla fuga, e che avrebbe trasformato l'esercito francese in una macchina da guerra senza rivali in Europa. E questa macchina venne impiegata da Austerlitz a Borodino per creare il mito della quasi incontrastata invincibilità di Napoleone. Il generale Schwartzkopf, artefice del miracolo di una guerra in cui perirono appena poco più di cento soldati, non può certo stare al pari dei
grandi maestri. Tuttavia, sembra che egli abbia beneficiato della stessa fortuna toccata agli altri grandi della tecnica militare. In realtà, nel suo caso, a contare veramente non fu la fortuna quanto piuttosto il fatto di trovarsi alla guida di un grande esercito moderno che, come in passato, attribuiva un'importanza ancor maggiore alla combinazione degli elementi essenziali della guerra. E questo perché nel corso degli anni Novanta le carte su cui Schwartzkopf poteva contare erano ben più numerose di quelle dei suoi predecessori. Per il generale, la soluzione per cacciare l'Iraq dal Kuwait, restituire all'Occidente la maggior fonte di greggio e rigenerare l'influenza americana in Medio Oriente dipendeva da quanto astutamente avrebbe saputo usare l'alleanza, manipolare i media, servirsi di embarghi economici e di altri metodi ancora. Al tempo stesso doveva sviluppare e riunire vari corpi dell'esercito, della marina, dell'aviazione, delle strutture spaziali, dell'elettronica eccetera di oltre trenta nazioni, creando così un unico pugno di ferro in grado di schiacciare Saddam. Schwartzkopf vi riuscì, e tuttavia il suo avversario, sorprendentemente, non ne fu affatto consapevole. Un grande esercito di diverse centinaia di migliaia di soldati, migliaia di cingolati e di svariate centinaia di aerei era come una massa di cemento non amalgamato, sabbia e acciaio disseminati lungo la linea del fronte, disposti in profondità per diverse centinaia di chilometri e che rimanevano fondamentalmente incapaci di sostenere gli aspri attacchi dei "pugni" americani, che combinavano perfettamente i componenti strutturali rendendoli solidi come cemento armato. Per di più, ostaggi occidentali furono dapprima catturati e poi rilasciati, seguiti da un errore dopo l'altro e il tentativo di spezzare l'isolamento politico e l'embargo economico ebbe scarso riscontro. Indipendentemente dal momento storico, tremila anni fa come alla fine del ventesimo secolo, sembra che tutte le vittorie rivelino un fenomeno comune: il vincitore è colui che ha saputo ottenere la giusta combinazione. Mentre è possibile aumentare sempre più i mezzi impiegati in guerra e apportarvi continui miglioramenti, cosicché la denotazione della guerra viene rapidamente amplificata, la sua connotazione ha cominciato ad assumere caratteri sempre più profondi. Ulteriori fattori mai comparsi in passato sono entrati a far parte della dimensione bellica attraverso la
combinazione di metodi vari e diversi. L'aggiunta di ogni nuovo elemento può causare cambiamenti nella modalità e nel tipo di conflitto sino a culminare in una rivoluzione militare. Se si rivede la storia della guerra, la comparsa di tutte le nuove componenti - che si trattasse di staffe, carabine, arme a retrocarica, polvere da sparo senza fumo, telefoni da campo, telegrafi, sottomarini, carri armati, aerei, missili, bombe atomiche, computer, armi non letali o sistemi di articolazione delle forze, sistemi di organizzazione dei comandi, tattiche a "branco di lupi", blitz, bombardamenti a tappeto, controffensive elettroniche e battaglie aria- terra - si è "combinata" con le componenti fondamentali preesistenti del combattimento, producendo realtà ibride vantaggiose e arricchendo così in varie misure il mondo della guerra. Negli ultimi vent'anni la tecnologia dell'informazione, i virus dei computer, Internet, gli strumenti finanziari derivativi e altre risorse, nonché la tecnologia dei mezzi militari dimostrano come sia difficile prevedere i possibili esiti ed effetti delle guerre di domani. Tuttavia, sino ad ora il metodo combinatorio degli elementi costitutivi della guerra, spesso, per la maggior parte dei soldati o degli alti ufficiali è una prassi inconsapevole. Perciò le loro combinazioni si fermano generalmente al livello delle armi impiegate, dei metodi di spiegamento e del terreno di scontro. Inoltre, le prospettive previste della guerra per lo più sono limitate all'ambito militare, in cui trovano soddisfazione. Solo alcuni geni militari di statura pionieristica possono rompere le convenzioni da soli, autonomamente, superando le limitazioni esistenti e trovando la giusta combinazione di tutti i mezzi a disposizione nella situazione contingente per eseguire il capolavoro senza tempo - il capolavoro bellico -, variandone unicamente le tonalità. Se si è detto che la combinazione è stata soltanto la formula vincente segreta di pochi geni, allora è sempre più evidente, giorno dopo giorno, che oggi la combinazione sta consapevolmente divenendo la tendenza di un metodo operativo, e che la guerra si sta muovendo in un ambito sempre più esteso e di vasta portata. Tuttavia, tutto ciò che è messo a disposizione dall'integrazione tecnologica consente la combinazione con uno spazio possibile ancor più illimitato, almeno all'apparenza. E si può dunque
affermare che chiunque sarà capace di creare un cocktail unico e gustoso per il futuro banchetto della guerra potrà esserne incoronato vincitore. Usare l'addizione per vincere è la combinazione vincente Ora tutte le carte sono state scoperte. Sappiamo già che la guerra non si mostrerà più nella sua forma originaria. In larghissima parte, la guerra non è nemmeno più guerra, quanto piuttosto uno scontrarsi in Internet, fronteggiare i mass media, attaccare e difendersi in transazioni di cambio a termine, insieme a tutta una serie di realtà che non abbiamo mai considerato come "guerra", e che potrebbero coglierci di sorpresa. Ciò significa che il nemico forse non sarà più quello importante in origine, e le armi e il terreno potrebbero non essere quelli originari. Non vi è nulla di definito, né lo è quanto può essere verificato. Il gioco è già cambiato, e bisogna continuare a verificare un nuovo tipo di metodo di combattimento in un contesto variamente incerto. Non si dovrà trattare di quel genere di ricetta che cura solo i sintomi e non la malattia, quanto piuttosto di un modo ibrido di imparare quanto più possibile dai successi altrui e di guadagnare vantaggio per poter ottenere una moltiplicazione dei risultati. E questo è il sistema della combinazione. A dire il vero avevamo già scoperto questa carta, ma di un'altra parola non abbiamo ancora parlato: somma. La somma (l'addizione, l'aggiunta) è il metodo della combinazione. Sul ring, un pugile che dall'inizio alla fine dell'incontro usa un unico metodo, un unico stile di boxe per colpire l'avversario è ovviamente un pugile che non sa mettere insieme diritti, colpi di punta, swing, e ganci per attaccare come un tornado. Si può dire che questo principio è estremamente semplice: uno più uno è maggiore di due. Il problema è che un principio così semplice da poter essere compreso perfino da un bambino in età prescolare è risultato sorprendentemente poco chiaro a molti dei responsabili nazionali della sicurezza e dello stato di pace o di guerra. Essi possono giustificarsi dicendo che si servono del metodo della boxe combinata per attaccare gli avversari. Non hanno mai dimenticato l'aggiunta di tecnologia a tecnologia, tattica a tattica, armi ad armi e misure con misure. Inoltre possono anche giungere con arroganza a conclusioni e combinazioni che non si possono considerare innovative. Ciò è sempre accaduto, da Alessandro Magno a Napoleone sino a Schwartzkopf. Essi
ignorano che non è la loro capacità di capire o meno le combinazioni a rappresentare la soluzione del problema. Ciò che veramente conta è capire quali elementi associare al fine di migliorare le combinazioni, e come combinarli. Infine, ma certamente non meno importante, è vedere se si è pensato o meno a combinare terreno e non- terreno, guerra e non- guerra, forze armate e non, il che significa più specificamente combinare l'aviazione formata da velivoli stealth e missili cruise con i killer della rete, la deterrenza nucleare, le guerre finanziarie e gli attacchi terroristici, o semplicemente combinare Schwartzkopf + Soros + Xiaomolisi + Bin Laden. È questa, dunque, la nostra vera mano di carte. Ma, che si tratti di combinazioni o di aggiunte, entrambe non sono che forme vuote. È solo quando vi si sommano il sangue e la crudeltà che la situazione può cominciare a farsi sconvolgente. Trovandosi ad affrontare questo concetto di guerra completamente nuovo, l'idea di guerra alla quale la gente si è abituata sarà stravolta. E anche alcuni dei modelli di guerra tradizionali e così pure la logica e le leggi ad essa relative saranno messe in discussione. L'esito dell'impatto non è il crollo della casa tradizionale, quanto piuttosto il disordine di una parte della nuova costruzione. Dal punto di vista della legge, in maggioranza si assisterà a un crollo. Sino a questo momento abbiamo già scoperto il motivo per cui non è stato possibile portare a compimento questa rivoluzione militare, a cominciare dalla comparsa dell'alta tecnologia sulla scena. Sotto il profilo della storia dell'uomo e della guerra, non vi è mai stata una rivoluzione militare che fosse dichiarata riuscita semplicemente in virtù della tecnologia o di altre rivoluzioni organizzative. Solo dopo aver dato un significato a questa rivoluzione del pensiero militare con i più alti risultati l'intero processo rivoluzionario potrà essere ultimato. Questa fase storica non fa eccezione, perciò, se questa nuova rivoluzione militare determinata dall'alta tecnologia potrà o meno completare tale processo, ciò dipenderà dalla strada percorsa in direzione della rivoluzione del pensiero militare. È solo ora, in questo momento storico, che è necessario staccarsi dalle
abitudini inveterate create da una filosofia della guerra che ha resistito per diverse migliaia di anni. A tal fine, è necessario poter cercare ausilio nel criterio della somma. E tuttavia, prima di ricorrervi, vanno superate tutte le pastoie della politica, della storia, della cultura e dell'etica e va messa in atto una riflessione approfondita, senza la quale non può esservi una profonda rivoluzione. In passato, anche Sun Tzu e Von Clausewitz si trincerarono dietro la barriera della sfera miliare, e solamente Machiavelli si avvicinò a questo pensiero. E poiché il pensiero formulato nel Principe e il suo stesso autore erano troppo all'avanguardia rispetto al loro tempo, per molto tempo furono disprezzati da cavalieri e governanti, naturalmente incapaci di comprendere che il principio di spingersi al di là di ogni limite e confine costituiva una rivoluzione ideologica che conteneva le premesse di una rivoluzione del pensiero militare. Allo stesso modo, a tutt'oggi, non sono stati capaci di capire questo punto fondamentale coloro che afferrano solo la logica del massiccio schieramento di truppe in campo, che credono che la guerra significhi solo ammazzare la gente e che i metodi operativi siano solo metodi per uccidere e che nient'altro nella realtà della guerra meriti attenzione. Gli americani in realtà non sono stati così ottusi da non mostrare la minima reazione di fronte a questo problema. Steven Metz e Thomas Kievit dell'Istituto strategico dell'Army War College degli Stati Uniti, che esposero il problema dell'ampiezza della banda di frequenza della nuova rivoluzione militare in effetti erano stati ricettivi al problema. Avevano scoperto il divario tra il pensiero militare delle forze armate americane e la reale minaccia che incombeva sulla sicurezza nazionale. Il fatto che il pensiero rimanga indietro rispetto alla realtà concreta - e tanto meno che non riesca a superarla non è certo un difetto esclusivo dei militari americani, ma è pur sempre un loro tratto tipico. Quando "un esercito si concentra eccessivamente su di una specifica tipologia di nemico", ciò può avere come conseguenza l'essere attaccati e sconfitti da un altro nemico che sfugge a quel campo visuale. Steven Metz e Thomas Kievit hanno giustamente espresso le loro preoccupazioni in tal
senso. Hanno evidenziato inoltre come "anche se i documenti ufficiali sottolineano il ruolo dell'esercito (inteso come l'insieme di tutte le forze armate americane, come specificano gli autori), è necessario superare il pensiero militare occidentale tradizionale per ampliare la visione dei conflitti futuri. Tuttavia, la maggior parte delle descrizioni di come le truppe digitalizzate del ventunesimo secolo condurranno la guerra fanno pensare a un conflitto corazzato che impieghi la nuova tecnologia per combattere con le nazioni del patto di Varsavia". È proprio perché l'esercito americano sta compiendo preparativi di guerra sulla base di questo tipo di pensiero militare che gli Usa sperano che la guerra si riveli conforme alle aspettative, con un nemico che "vada a sbattere il muso" contro i loro schieramenti. Questo ridicolo velleitarismo può apportare un solo tipo di prospettive future: "la gran parte dei piani di sviluppo delle attuali forze armate americane, come quelle dell'esercito per il ventunesimo secolo, sono tutti concentrati sul rapporto con un nemico dotato di armamento pesante convenzionale, e se all'inizio del prossimo secolo gli Stati Uniti incontreranno un nemico con un basso livello di tecnologia, o di livello intermedio o di potere equivalente, allora potrebbe insorgere il problema dell'ampiezza insufficiente della banda di frequenza". In realtà, anche prima dell'avvento del nuovo secolo le forze armate americane hanno già avuto problemi causati da un'insufficiente ampiezza della banda di frequenza provocata dalle tre tipologie di nemici delineate. Che si tratti dell'intrusione degli hackers, di una grave esplosione al World Trade Center o di un attentato dinamitardo di Bin Laden, tutti questi eventi eccedono di gran lunga le bande di frequenza comprese dall'esercito statunitense. Esso non è adeguatamente preparato ad affrontare questo genere di nemici dal punto di vista psicologico, in termini di provvedimenti, in particolare per quel che riguarda il pensiero militare e i metodi operativi che ne derivano. Ciò in quanto gli americani non hanno mai considerato mezzi contrari alla tradizione - e anzi hanno rifiutato di farlo - e di adottare sistemi operativi diversi dai mezzi militari. Il che naturalmente non consentirà loro di sommarle e combinarle in nuove misure e nuovi metodi. In realtà basterebbe ampliare di poco la visuale ed essere più spregiudicati
nel pensiero per potersi avvantaggiare degli stimoli offerti dai grandi quantitativi di nuova tecnologia e dei nuovi fattori emersi nell'epoca delle tecnologie integrate, mettendo così in moto il meccanismo di quella rivoluzione militare che si è arrugginito a causa dell'arretratezza del pensiero militare. E in tal senso appare molto profondo l'antico detto "un sasso che viene da un'altra collina può servire a levigare la giada di questa". Sarebbe auspicabile avere un certo coraggio e rimescolare completamente le carte che si hanno in mano, ricombinarle di nuovo e stare a vedere il possibile risultato. Immaginando che scoppi una guerra tra due nazioni sviluppate già in pieno possesso di tecnologia informatica, che si affidino entrambe a metodi operativi tradizionali, l'aggressore impiegherebbe generalmente i metodi della profondità, ampiezza, massima forza e tridimensionalità per lanciare una campagna di attacco contro il nemico. Il metodo di entrambi non andrebbe al di là del riconoscimento attraverso i satelliti, le contromisure elettroniche, gli attacchi aerei su larga scala insieme a quelli di precisione, manovre di aggiramento sul campo, sbarchi anfibi, aviolanci dietro le linee nemiche... Il risultato vittorioso non sarebbe tanto la sconfitta della nazione nemica quanto il ritorno a casa con le proprie armi e con le proprie penne. Tuttavia, usando il metodo della combinazione, lo scenario e la partita potrebbero presentarsi completamente diversi: se l'aggressore raduna segretamente grandi quantità di capitale senza che la nazione nemica se ne avveda, sferra un attacco furtivo contro i suoi mercati finanziari, e dopo aver causato una crisi finanziaria inserisce preventivamente un virus e un gruppo di hackers nel suo sistema informatico, mentre contemporaneamente lo colpisce telematicamente in maniera da paralizzare completamente la rete elettrica civile, la rete di direzione del traffico, la rete delle transazioni finanziarie, delle comunicazioni telefoniche e dei mass media, allora la nazione nemica potrebbe cadere nel panico sociale, nei tumulti di strada e nella crisi politica. Infine sarebbe la volta della massiccia sconfitta da parte dell'esercito, e i mezzi militari verrebbero usati gradualmente fino a costringere il nemico a siglare una pace disonorevole. Tutto ciò non rientra esattamente nel caso di cui parla Sun Tzu, in cui
"l'altro esercito viene piegato senza combattere", e tuttavia si può considerare come un "sottomettere l'esercito avversario per mezzo di operazioni di astuzia". Ed è molto chiaro quale dei due metodi a confronto sia superiore. Questa, tuttavia, è solo una linea di pensiero, ma certamente realizzabile. Basandoci su questa linea, non c'è che da agitare il caleidoscopio della somma per essere in grado di combinare un'inesauribile varietà di metodi operativi. Ad esempio: non- militari guerra finanziaria guerra commerciale trans- militari guerra diplomatica guerra di network militari guerra atomica guerra convenzionale guerra biochimica guerra ecologica guerra spaziale guerra elettronica guerra di guerriglia guerra terroristica guerra virtuale (di deterrenza) guerra ideologica Ciascuno di questi metodi operativi può combinarsi con tutti gli altri e formare un metodo del tutto nuovo. Intenzionale o meno, l'applicazione di metodi operativi combinatori che superano i confini di ambiti e categorie è già stata realizzata da molte nazioni nella pratica bellica. Ad esempio, le contromisure adottate dagli americani contro Bin Laden consistono in una guerra di terrorismo nazionale + guerra di intelligence + guerra finanziaria -+- guerra di network + guerra normativa. Un altro esempio è quanto hanno fatto le nazioni della NATO nell'affrontare la Yugoslavia nella crisi del Kossovo: deterrenza insieme all'uso della forza + guerra diplomatica (alleanza) + guerra normativa; in precedenza, le Nazioni Unite, soprattutto sotto la pressione degli Stati Uniti, hanno adottato come metodi operativi contro l'Iraq: guerra convenzionale + guerra diplomatica + guerra di sanzioni + guerra dei media + guerra psicologica + guerra di intelligence e così via. I sistemi adottati dal governo di Hong Kong durante la guerra per la sicurezza finanziaria mossa contro gli speculatori nell'agosto del 1998 sono stati: guerra finanziaria + guerra normativa + guerra psicologica + guerra dei media, e anche se il prezzo da pagare è stato molto alto il risultato finale di quella guerra fu molto positivo. Inoltre, i metodi impiegati in casi come quello della produzione di grandi quantitativi di renminbi falsi a Taiwan divennero automaticamente misure di guerra finanziaria + guerra di contrabbando. Da questi esempi si può constatare come l'applicazione di
metodi operativi aggiuntivi e combinatori possa portare a risultati straordinari. Se, a causa delle limitazioni delle misure e delle condizioni tecniche, chi affrontava una guerra in passato non poteva ancora combinare liberamente tutti i fattori che potevano favorire la vittoria, oggi la grande esplosione tecnologica guidata dalla tecnologia dell'informazione ha già reso realizzabile questo tipo di possibilità. Solo se ci sarà la volontà e se non si consentirà alle posizioni soggettive di allontanarsi dalle regole oggettive si potranno giocare le carte di cui si dispone con una serie di mani basate sul criterio di necessità, fino a vincere l'intera partita. Ciò nonostante, nessuno può scrivere una ricetta sicura per tutte le guerre future. Nella storia della guerra sono comparsi diversi tipi di metodi operativi, e la maggior parte è stata dimenticata col passare del tempo. Se ne vengono esaminate le cause, tutti questi metodi erano determinati sulla base di un obiettivo specifico, e nel momento in cui questo cessava di esistere anche il metodo operativo perdeva il suo valore. Perché un metodo operativo possieda davvero una sua vitalità dev'essere un "contenitore vuoto". Questo contenitore si basa solo sulla propria capacità di elaborazione di pensiero e sul principio di utilizzare l'immutabile per affrontare gli innumerevoli cambiamenti. La combinazione a cui ci si riferisce è precisamente questo tipo di contenitore vuoto, un contenitore vuoto di pensiero militare. Non è uguale a nessuno dei metodi operativi fortemente direzionati del passato, poiché solamente quando il contenitore è pieno di obiettivi e contenuti specifici comincia ad avere direzionalità e finalità. La chiave della vittoria in una guerra non è altro che tutto ciò che si può mettere in questo contenitore. Yue Fei, lo stratega militare cinese dell'epoca della dinastia Song, nel discutere il modo con cui impiegare i metodi operativi affermò che "la sottile eccellenza nell'applicarli sta nella risolutezza". E sebbene questa affermazione sembri alquanto astrusa, è di fatto l'unica spiegazione accurata della corretta applicazione della combinazione. Solo se si comprende questo punto si potrà raggiungere un metodo operativo che va al di là della molteplicità dei metodi. Ciò significa far convergere la miriade di metodi in uno solo. Ed è anche la fase finale dei metodi operativi. A parte la combinazione delle forme di trascendenza date dalla
libertà assoluta da ogni vincolo, non è possibile immaginare quali altri metodi operativi possano trascendere la rete delle combinazioni. La conclusione dunque è molto semplice, e tuttavia non nascerà certo da una mente semplice.
II. CERCANDO LE REGOLE DELLA VITTORIA: LA FORZA SI ALLONTANA DAL PUNTO DELL'ATTACCO NEMICO Di solito effettuo mosse a sorpresa: il nemico se le aspetta. Ma questa volta per attaccarlo mi muovo in maniera prevedibile. Di solito effettuo mosse prevedibili: il nemico se le aspetta. Ma allora questa volta per attaccarlo effettuo mosse a sorpresa. Li Shimin Per quanto ci si possa soffermare sul tema della combinazione, va detto che concentrare l'attenzione su questo punto non è sufficiente. È necessario approfondire ulteriormente il campo d'osservazione per scoprire se vi sia un segreto che riguarda la questione nella sua essenza. Se non si comprende il segreto di come condurre la tecnica della combinazione, sarà del tutto inutile sperimentare cento combinazioni in maniera incompetente. Nella storia della guerra non c'è vittoria conquistata senza fatica. In tutte le sue diverse versioni il libro Jun Yu (Dialogo militare) contiene termini quali direzione dell'attacco principale, principali obiettivi di attacco, azioni simulate e accerchiamenti che comportano una netta distinzione tra azioni principali e secondarie. Ciò che sta dietro a questi termini non è unicamente la considerazione della necessità di trarre il nemico in inganno o l'uso ponderato della forza: vi devono essere altre ragioni. Sia i generali famosi che hanno riportato innumerevoli successi che la gente comune hanno percepito a livello istintivo l'esistenza di fattori che si potrebbero definire come "regole della vittoria". Inoltre queste persone si sono avvicinate a tali regole migliaia di volte. Eppure, a tutt'oggi nessun comandante o filosofo ha mai avuto l'ardire di proclamare di aver scoperto queste regole, tanto che esse non hanno ancora neppure un nome. In realtà, le regole sono nascoste nella pratica militare degli uomini, e si può dire che ogni vittoria classica ha attestato l'esistenza di queste regole. Ciò nonostante, ogni volta non si vuole ammettere o non si osa affermare di avervi avuto a che fare, e piuttosto se ne attribuiscono gli effetti al misterioso favore del fato. Molte opere sulla storia militare che contengono "dichiarazioni a posteriori" propongono argomentazioni difficili da comprendere proprio in quanto descrivono gli effetti delle regole in termini
eccessivamente oscuri. Ma le regole della vittoria esistono veramente. Ci sono; e come un'ombra accompagnano ogni guerra umana. Il contendente che ne viene toccato attraversa l'arco di trionfo calpestando il dolore dei vinti. Ma anche gli stessi vincitori non hanno mai visto il loro vero volto. Conformarsi segretamente alla regola della sezione aurea "Tutto è questione di numeri". Seguendo questo pensiero, il filosofo Pitagora incontrò inaspettatamente una serie di misteriosi numeri semplici: 0,618. E alla fine scoprì la regola della sezione aurea, una formula matematica che indica la derivazione della cifra 0,618. Nei successivi duemilacinquecento anni questa formula è stata considerata dagli artisti come la regola aurea dell'estetica. Come è stato autorevolmente dimostrato dalla storia dell'arte, quasi tutte le opere d'arte considerate come capolavori, sia che fossero state create in maniera casuale o in base a una ricerca intenzionale, sono state tutte vicine o conformi a questa formula nei loro criteri estetici fondamentali. I popoli a lungo hanno provato meraviglia alla vista del Partenone, credendo che si trattasse dell'opera di un dio; attraverso calcoli e misurazioni, si scoprì che il rapporto tra le sue linee verticali e quelle orizzontali coincideva perfettamente con il rapporto di 1: 0,618. Nel suo libro Verx une Architecture, il grande architetto Le Corbusier stabilì anche la sua teoria più importante, quella del "modulor" in base alla regola della sezione aurea, una teoria che ha avuto una grande e profonda influenza sull'architettura di tutto il mondo. Purtroppo questa regola che Dio sembra aver creato per rivelare all'uomo un principio valido per ogni sfera dell'esistenza attraverso una dimostrazione specifica che non è mai uscita dall'ambito della creazione artistica. Ad eccezione di muse dotate di straordinari talenti, quasi nessuno ha compreso come questa regola aurea dell'estetica potesse diventare o sia effettivamente una regola da seguire anche in altri campi. Fu appena nel 1953 che J. Kieffer, un americano, scoprì che seguire fasi di sperimentazioni in base alla regola della sezione aurea rendeva possibile raggiungere lo stadio ottimale più rapidamente. La sua scoperta fu perfezionata dal matematico cinese Hua Luogeng e divenne il "metodo di ricerca ottimale" o "metodo dello 0,618". Per un certo periodo il metodo fu
divulgato in Cina e, da quanto sappiamo, questa campagna di divulgazione basata sulla tattica del tamtam produsse scarsi risultati, ma questo episodio dimostrò la possibilità di applicare la regola della sezione aurea in altri ambiti rispetto a quello artistico. In realtà già prima che emergesse l'idea di utilizzare intenzionalmente la regola della sezione aurea le persone l'avevano già ripetutamente applicata alle proprie sfere di interesse su base istintiva. E, naturalmente, la sfera militare non era stata esclusa. E non è difficile scorgerne il marchio nelle campagne militari e nelle battaglie più famose della storia. Senza guardare lontano, infatti, si possono constatare ovunque esempi conformi alla regola. L'ombra dello 0,618 si può individuare in molte forme, dall'arco della sciabola della cavalleria al vertice della traiettoria di un proiettile, di una granata o di un missile balistico, e dall'altezza ottimale per sganciare una bomba e dalla distanza di un aereo da bombardamento in picchiata al rapporto che intercorre tra la lunghezza della linea di rifornimento e il punto di svolta in un conflitto. Leggendo a caso alcune pagine della storia bellica, si resterà certamente sorpresi dal fatto che lo 0,618 è tenuamente riscontrabile nelle guerre antiche, moderne, cinesi e straniere. Nella battaglia di Yanlin tra Jin e Chu durante il periodo Primave e Autunni, il duca Li di Jin guidò una formazione militare all'attacco di Zheng. Le forze di Jin ebbero uno scontro decisivo con le forze Chu. Seguendo il consiglio di Miao Peghuan, un disertore dell'esercito di Chu, il duca Li usò una parte dell'armata centrale del suo esercito per attaccare l'ala sinistra delle forze di Chu, si servì di un'altra parte per attaccare l'armata centrale e usò l'armata superiore, quella inferiore, l'armata nuova e le forze dei nobili per colpire l'armata di destra dell'esercito nemico. Il punto scelto per l'attacco si trovava esattamente nella sezione aurea. Poco fa abbiamo menzionato la battaglia di Arbela tra Alessandro e Dario: i Macedoni scelsero come punto d'attacco la congiunzione dell'ala sinistra con il centro dello schieramento persiano. Sorprendentemente, quel punto era esattamente il "punto aureo" dell'intero fronte. Per centinaia di anni è stato difficile capire in che modo la cavalleria mongola di Gengis Khan riuscisse a dilagare come un uragano per tutto il continente eurasiatico. Fattori come la crudeltà dei barbari e l'astuzia e
mobilità della cavalleria non furono considerati risposte soddisfacenti. Che vi fossero altre ragioni significative? Come prevedibile, anche in questo caso la regola della sezione aurea mostrò ancora una volta il suo potere miracoloso: la formazione da combattimento della cavalleria mongola era diversa dalla tradizionale falange occidentale. Rispetto al loro schieramento a cinque file, il rapporto tra cavalleria pesante e cavalleria leggera era 2:3, due per la cavalleria pesante con armature e tre per la cavalleria leggera mobile, vale a dire ancora un esempio di sezione aurea! (o quasi, ndC). L'intuizione avuta da quel "pensatore a cavallo" fu assolutamente geniale; era ovvio che un'armata alla guida di un simile condottiero possedesse una forza di gran lunga superiore a quella degli eserciti europei che affrontava. Pur estremamente abili nell'applicare la regola della sezione aurea alla religione e alle arti, gli europei cristiani arrivarono a concepire la possibilità di applicarla ad altri ambiti in ritardo. Il generale olandese Maurice, che era stato il primo a trasformare la falange tradizionale mescolando gruppi equivalenti di soldati armati di moschetti e di picche, non capì questo punto, il fatto che si andava diffondendo la polvere da sparo i moschetti stavano progressivamente sostituendo le picche. Fu re Gustavo di Svezia a modificare questa formazione di un fronte forte con fianchi deboli, dotando il suo esercito del più forte potenziale di combattimento di tutta l'Europa del suo tempo. Ciò che ottenne fu un'aggiunta di 96 soldati armati di moschetti oltre allo squadrone composto di 216 soldati armati di picche e 198 di moschetto. Questa modifica valorizzò immediatamente l'uso delle armi da fuoco, divenendo così uno spartiacque tra le formazioni da combattimento dell'epoca delle armi fredde e delle armi calde. Va da sé che anche in questo caso nel rapporto tra 198 + 96 soldati armati di moschetto, e 216 armati di picca si intravede la regola della sezione aurea (o quasi, ndC). Ma c'è dell'altro. Si consideri come questa regola si sia ostinatamente "manifestata" per rivelare chiare indicazioni prima di essere riconosciuta come qualcosa di più che una regola delle arti. Napoleone attaccò la Russia nel giugno del 1812. In settembre, dopo aver fallito nel tentativo di eliminare l'esercito russo nella battaglia di Borodino, Napoleone entrò a
Mosca. A quell'epoca, non si era ancora reso conto del fatto che il suo genio e la sua buona stella lo stavano abbandonando a poco a poco, e che l'apogeo e il punto di svolta della sua carriera e della sua vita si stavano avvicinando contemporaneamente. Un mese dopo l'armata francese si ritirava da Mosca sotto pesanti nevicate. Vi furono tre mesi di vittoriosa avanzata e due di declino; sembra che, mentre guardava Mosca che bruciava, l'Imperatore dei francesi si trovasse sulla linea della sezione aurea. Sempre in giugno, centotrenta anni dopo, la Germania nazista lanciò il piano Barbarossa contro l'Unione Sovietica. Per due anni interi le forze tedesche mantennero il loro impeto offensivo. Fu nell'agosto del 1943 che ripiegarono alla fine dell'azione del Castello e da quel momento non sarebbero più state in grado di sferrare un attacco all'altezza di una vera e propria campagna militare contro le forze sovietiche. Forse anche questo fatto deve essere considerato come una semplice coincidenza: la battaglia di Stalingrado, che da tutti gli storici militari è considerata il punto di svolta nella guerra patriottica sovietica, ebbe luogo esattamente nel diciassettesimo mese della guerra, cioè nel novembre del 1942. E quello fu il "punto aureo" nell'asse temporale che comprendeva i ventisei mesi nel corso dei quali la parabola dell'esercito tedesco giunse alla sua fase calante. Si consideri anche la Guerra del Golfo. Prima della guerra, gli esperti militari stimavano che l'equipaggiamento e il personale delle Guardie Repubblicane di Saddam avrebbero fondamentalmente perso la loro efficacia nel momento in cui le perdite causate dagli attacchi aerei avessero raggiunto o superato il 30 per cento. Per portare le perdite dell'Iraq a questo punto critico, gli Stati Uniti estesero ripetutamente i tempi dei bombardamento. Quando la "Spada del Deserto" fu sguainata, le forze irachene avevano già perso il 38 per cento dei loro 4.280 carri armati, il 32 per cento dei loro 2.280 mezzi corazzati e il 47 per cento dei 3.100 pezzi di artiglieria; rimase all'incirca solamente il 60 per cento della potenza complessiva delle forze irachene. Attraverso questi dati scarni e crudi si intravede ancora una volta balenare la misteriosa luce dello 0,618 nel primo mattino del 24 gennaio 1991. La fase terrestre della Guerra del Golfo terminò cento ore dopo. Questi esempi di cui la storia è costellata rappresentano qualcosa di
realmente straordinario. Se considerati singolarmente, sembrano solo eventi fortuiti verificatisi uno dopo l'altro nel tempo. Ma il creatore non fa mai nulla senza una ragione. Se troppi avvenimenti evidenziano lo stesso fenomeno, li si può ancora ritenere casi fortuiti? No. A questo punto bisogna ammettere che esiste una regola. La grammatica della vittoria: la regola del secondario- principale Nella grammatica cinese vi è una struttura fondamentale che divide la frase in due parti, quella che modifica e quella centrale. Il rapporto tra le due è di apportare e subire la modifica, nel senso che la prima modifica la seconda e ne determina l'orientamento e le caratteristiche. In termini più espliciti la prima costituisce l'apparenza, e la seconda l'organismo. Solitamente determiniamo la differenza tra una persona o un oggetto rispetto ad un'altra persona o un altro oggetto non in base alla sua esistenza come organismo o meccanismo bensì in base all' aspetto, al modo in cui si presenta. Da questo punto di vista, inerente alla parola centrale, il modificatore dovrebbe essere considerato per lo più il centro di una frase o di un periodo. Si prenda l'esempio di "mela rossa". Prima di essere modificata da "rossa", "mela" si riferisce unicamente a un tipo di frutta in generale, e come tale è generico in natura. Ma "rossa" conferisce a questa mela una specificità che rende possibile determinare che essa "è proprio questa". Ovviamente, "rossa" ha un ruolo significativo in questo sintagma. Anche nel caso di "zona economica speciale", senza la parola "economica", "zona speciale" è solo un concetto di divisione geografica. Nel momento in cui viene modificato da economica, acquisisce un carattere e un orientamento particolare, divenendo ad esempio il punto di appoggio per l'impulso economico di cui Deng Xiaoping si è servito per riformare la Cina. Questa struttura è una modalità fondamentale nella grammatica cinese: è il principio del secondario- principale. Consiste nell'avere l'elemento principale modificato da un elemento secondario, marginale, ed è così diffusa nella lingua cinese che chi la parla non saprebbe farlo senza impiegarla. Questo perché, se vi fossero solo parole con funzione di soggetto in una frase, senza modifiche che vi impartiscano una direzione di senso, la frase mancherà di chiarezza a causa dell'assenza di elementi come il grado, il luogo e la modalità, che possono essere percepiti in maniera concreta. Ad esempio, se i modificatori in sintagmi
come "brava persona", "buona cosa", "edificio alto", "bandiera rossa" e "corsa lenta" vengono eliminati, allora i termini centrali diventeranno tutti parole neutre prive di riferimenti specifici. Come qui indicato, nella struttura secondaria- principale, l'elemento "secondario" paragonalo a quello "principale" è nella posizione di poter determinare qualitativamente la frase o il sintagma. In altre parole, in un certo senso possiamo seguire l'interpretazione in base alla quale nella struttura secondaria principale la parola centrale è l'entità principale, mentre il modificatore ha la funzione di elemento che orienta, e cioè l'elemento "principale" è il corpo dell'elemento "secondario", mentre l'elemento "secondario" è l'anima dell'elemento "principale". Se si stabilisce che il corpo è la premessa, il ruolo dell'anima ha ovviamente un significato decisivo. Il rapporto per cui l'entità principale è subordinata all'elemento che la orienta costituisce il fondamento della struttura secondaria principale. Al tempo stesso, essendo una delle forme strutturali del sistema di simboli che corrispondono al mondo oggettivo, essa sembra assimilabile a una legge che trascende l'ambito del linguaggio. Proseguendo in questa direzione, si vedrà ben presto che il rapporto secondario- principale esiste in misura considerevole non solo in sintagmi come "brava persona", "buona cosa", "edificio alto", "bandiera rossa" o termini militari come portaerei, missile cruise, velivolo stealth, trasporto truppe blindato, artiglieria semovente, bombe di precisione, forze a risposta rapida, guerra di aria- terra e operazione congiunta. Questo rapporto esiste infatti anche nel mondo al di fuori dell'ambito linguistico in mille diverse forme. Ed è questo il significato del nostro prestito (solo un prestilo, non una copia) di tale espediente retorico concepito solo all'interno del sistema dei linguaggi umani, ai fini della nostra teoria. Non intendiamo accostare arbitrariamente la guerra alla retorica, ma solo prendere a prestito il termine "secondario- principale" per enunciare l'elemento essenziale della nostra teoria: riteniamo infatti che questo rapporto secondario- principale esista in misura considerevole nella dinamica e nello sviluppo di molte cose, e che in questo rapporto sia l'elemento secondario anziché quello principale a rivestire spesso il ruolo determinante. Per il momento descriviamo questo ruolo come "modificazione dell'elemento principale da
parte di quello secondario" (questo non è il significato originario di questa struttura come espediente retorico, bensì un significato traslato come lo usiamo noi). Ad esempio, in una nazione la popolazione costituisce l'entità principale, mentre il governo è l'elemento che orienta, indirizza, dirige la nazione; nelle forze armate, l'entità principale è costituita dai soldati e dagli ufficiali di grado intermedio e inferiore, mentre i quartier generali del comando ne sono l'elemento direttivo; in un'esplosione nucleare, l'entità principale è l'uranio o il plutonio, mentre i mezzi per farli esplodere costituiscono l'elemento determinante per scatenare le reazioni a catena; in una crisi finanziaria come quella avvenuta nel SudEst asiatico, i paesi vittime rappresentano le entità principali, mentre gli speculatori finanziari sono gli elementi direttivi che generano la crisi. Senza le direttive fornite dal governo, la gente si ritroverebbe allo sbando; senza la guida dei vertici del comando i soldati non sarebbero che una massa disordinata; senza gli strumenti di bombardamento, l'uranio e il plutonio non sarebbero che un cumulo di minerali e senza le manovre fomentatrici degli speculatori finanziari i meccanismi di regolamentazione dei paesi vittime della crisi avrebbero dovuto consentire di evitare catastrofi finanziarie. In questo rapporto, se si accantona il fattore dell'interazione biunivoca, è ovvio quale sia l'elemento secondario, quale il principale e quale modifichi l'altro. Come indicato nella discussione precedente, questa struttura secondariaprincipale è una struttura asimmetrica. Perciò il rapporto tra i due elementi non è equilibrato. Sotto questo profilo, la situazione è molto simile a quella che concerne la regola della sezione aurea: 0,618 e 1 formano una struttura asimmetrica e un rapporto impari. E vi sono tutte le ragioni per considerarla come un altro modo di affermare la formula del secondarioprincipale, poiché in tale formula ciò che conta è l'elemento secondario, non quello principale. Il che vale anche per la regola della sezione aurea: ciò che conta è 0,618, ma non 1. Questo è il dato comune. E le leggi ci dicono che due cose dalle caratteristiche simili devono seguire regole simili. Se esiste una regola in comune per la sezione aurea e la struttura secondaria- principale, allora dovrebbe essere la seguente: 0,618 = deviazione verso l'elemento secondario Il caso forse più eloquente per illustrare questo punto è la storia delle corse di cavalli di Tian Ji. In una
situazione di complessiva inferiorità, il grande stratega militare Sur Bin fece la sua classica mossa, un valido esempio della saggezza cinese nell'azzardo. Cominciò facendo gareggiare il peggior cavallo di Tian Ji con il cavallo migliore di Qi. Dopo aver perso la gara, com'era inevitabile, si servì dei suoi cavalli medi e migliori per battere i cavalli medi e peggiori dell'avversario, assicurandosi così il vantaggio di due corse, necessario per conseguire la vittoria definitiva. Questo metodo che consiste nella strategia di perdere una volta e vincere due (elemento direttivo) per conquistare l'intera competizione (l'elemento principale) si può concepire come dotato di una tipica struttura secondaria principale. E il risultato finale dato dalla vittoria di due corse su tre si conforma perfettamente al rapporto aureo del 2:3. Qui dunque assistiamo alla perfetta convergenza e unità delle due regole: regola aurea = regola del secondario- principale La scoperta di una regola costituisce sia l'inizio che la fine dello studio di un problema. Fin tanto che si crede all'esistenza di un principio che viene definito regola del secondario- principale nel funzionamento di tutte le cose, si dovrà anche credere che questa regola, come quella della sezione aurea, toccherà anche la sfera militare e i fatti lo dimostrano. Si prenda la battaglia di Changshao tra Qi e Lu: nel confrontarsi sul terreno, l'esercito di Qi era molto aggressivo, ma le forze di Lu rimanevano immobili. Le truppe di Qi attaccarono per tre volte con tre turni di rulli di tamburi, ma non riuscirono a scompaginare il fronte delle forze di Lu, perdendo inevitabilmente slancio. Lo schieramento di Lu colse allora l'opportunità di sferrare il contrattacco, riportando la piena vittoria. Dopo la battaglia, il consigliere Cao Gui rivelò la ragione della sconfitta di Qi e della vittoria di Lu: la forza nemica "aveva mostrato un grande impeto al primo rullo di tamburi, si era indebolita al secondo ed era ormai esausta al terzo. E mentre essi erano ormai esauriti, i nostri erano ancora nel pieno delle forze, ed ebbero il sopravvento". L'intero svolgimento della battaglia può essere suddiviso in cinque fasi: il primo rullo di tamburi delle forze di Qi, il secondo e il terzo, il contrattacco e la volata delle forze di Lu. Dalla prima alla terza fase, Cao Gui adottò la strategia di evitare l'attacco nemico, in maniera che le forze di Qi superassero il punto aureo della propria potenza di attacco senza ottenere
risultati. Nel frattempo la forza di Lu scelse esattamente questo punto per il momento del contrattacco, confermando pienamente così la regola della sezione aurea su di un campo di battaglia di duemilasettecento anni fa (3:5 è quasi uguale a 0,618). È fuor di dubbio che a quell'epoca Cao Gui non poteva conoscere Pitagora e la sua teoria elaborata duecento anni dopo. Inoltre, anche se l'avesse conosciuta non sarebbe stato possibile calcolare con esattezza dove si trovava il punto di 0,618 nel mezzo di una battaglia. E tuttavia egli scoprì il punto della sezione guidato da un'illuminazione, rivelando un talento comune a tutti i geni militari. Annibale ebbe la stessa intuizione di Cao Gui durante la battaglia di Canne. Come lui, afferrò il segreto del declino della potenza offensiva dell'esercito nemico. Così, contrariamente alla logica, schierò le forze più deboli prese dalle formazioni galliche e iberiche al centro del fronte dove avrebbero dovuto essere schierati i reparti migliori, lasciando così le parti più deboli a sostenere l'attacco dei romani. Ma poiché queste non potevano reggere agli assalti, si formò gradualmente una rientranza a forma di mezzaluna, che - creata intenzionalmente o meno da Annibale - formò un enorme cuscinetto capace di assorbire l'impeto dell'esercito romano. E quando il loro slancio si affievolì a poco a poco a causa dell'allungamento del fronte e si esaurì proprio nel momento in cui si avvicinava alle file posteriori della formazione di Annibale, i cartaginesi, inferiori di numero ma più forti nella cavalleria, lanciarono rapidamente la cavalleria di fiancheggiamento per completare l'accerchiamento dei romani, facendo così di Canne un cimitero per settantamila uomini. Le due battaglie furono diverse, ma ebbero un meccanismo comune. In entrambe, la strategia dominante fu quella di sfuggire agli attacchi frontali e di smorzare l'impeto del nemico. Il sistema adottato fu quello di allontanarsi intenzionalmente dal combattimento frontale e il punto di declino della potenza d'attacco del nemico fu giustamente scelto come momento ottimale per il contrattacco da parte delle unità più appropriate. Il metodo operativo impiegato ovviamente si conformava alla regola della sezione aurea e del secondario- principale. Se questi due casi bellici non si considerano come fenomeni fortuiti o isolati, allora ancora una volta la regola della sezione aurea sembrerà
irradiare della sua luce un'ampia parte della storia della guerra. E ciò è stato forse ancor più evidente nella guerra moderna. Durante la Seconda Guerra Mondiale, tutta l'operazione di invasione della Francia da parte della Germania si basò sul principio essenziale delle due regole sin qui illustrate. Mosse tattiche come quella di promuovere i carri armati da subordinati alla fanteria ad armi principali, servendosi della guerra lampo come principale dottrina operativa una volta abbandonata la prassi bellica della Grande Guerra, e scegliendo le montagne delle Ardenne come principale direzione d'attacco delle forze tedesche -un'azione che colse di sorpresa non solo il nemico ma anche vecchi generali dell'alto comando germanico dalla mentalità ormai obsoleta - dovettero sembrare non ortodosse, e caratterizzate da un forte scarto verso l'elemento secondario. Fu questo scarto ad apportare un cambiamento fondamentale nel pensiero militare dell'intero esercito tedesco e a fare del sogno di Schlieffen di "spazzare la Manica" un incubo per gli inglesi a Dunkerque. Prima di allora, chi mai avrebbe potuto pensare che il progetto di quel miracolo sarebbe stato concepito da due ufficiali di grado relativamente basso, Manstein e Guderian? Durante lo stesso conflitto vi fu anche l'attacco giapponese a Pearl Harbor che fu simile all'operazione tedesca contro la Francia, un'operazione che si rivelò fortemente connotata nel senso della regola del secondario- principale. Isoroko Yamamoto si servì delle portaerei nello stesso modo in cui Guderian usò i carri armati. Idealmente Yamamoto considerava ancora le navi da guerra come la forza principale nelle battaglie navali decisive del futuro, ma giustamente e intelligentemente scelse le portaerei e gli aerei da queste trasportati come principali armi d'attacco contro la marina degli Stati Uniti. E, particolare ancor più interessante, non sferrò attacchi frontali contro l'estesa costa pacifica degli Stati Uniti continentali, ma al tempo stesso valutò attentamente il raggio d'azione della sua flotta congiunta, cioè il punto ottimale in cui poteva colpire. Fu così che scelse le Hawaii, che, nonostante l'importanza cruciale per il controllo dell'intero Oceano Pacifico, gli americani si rifiutarono di credere potessero costituire il luogo dell'attacco nemico persino dopo aver ricevuto informazioni sull'operazione da parte del controspionaggio. Va sottolineato che, nel primo scontro importante
Principi essenziali che avrebbe influenzato il futuro della guerra, Yamamoto, sostenitore delle battaglie navali decisive, scelse un attacco a sorpresa su Pearl Harbor anziché una vera battaglia navale alla quale aveva sempre pensato. E la conseguenza fu che conquistò la vittoria grazie alla mossa a sorpresa di colpire obiettivi secondari. Nonostante l'analisi sin qui condotta si dovrebbe comprendere come né la regola della sezione aurea né la regola del secondario- principale vadano interpretate in senso ristretto e letterale, quanto piuttosto sia necessario capirne il principio essenziale. Un terreno di scontro in rapida evoluzione non consentirebbe a nessun leader o comandante, né tempo a sufficienza né un'adeguata quantità di informazioni, per determinare accuratamente il punto della sezione aurea o il grado di scarto verso l'elemento secondario. Anche i due principi essenziali delle due regole, lo 0,618 e la "deviazione verso l'elemento secondario" non sono costanti in senso matematico, quanto piuttosto rappresentano le innumerevoli manifestazioni del dio della vittoria nel sempre mutevole corso della guerra, dei terreni di scontro e delle situazioni belliche in generale. A volte ciò si manifesta nella selezione dei mezzi. Ad esempio, durante la Guerra del Golfo, Schwartzkopf si servì di bombardamenti aerei come mezzi principali, mentre usò come forze di supporto l'esercito e la marina, che erano sempre stati le principali formazioni di combattimento. Alle volte emerge nelle scelte tattiche. Ad esempio, Donitz trasformò la guerra tra navi da battaglia in attacchi sottomarini alle navi mercantili e la sua tattica a "branco di lupi" costituì una minaccia ben più grave per la Gran Bretagna delle battaglie navali tradizionali. In altre occasioni appare evidente nella scelta delle armi; ad esempio l'artiglieria per Napoleone, i carri armati di Guderian, le portaerei di Yamamoto e le munizioni di precisione usate nell'Operazione Costa D'Oro, furono tutte armi principali in grado di decidere dell'esito della guerra. O, ancora, nella scelta del punto in cui sferrare l'attacco: durante la battaglia di Trafalgar, Nelson scelse saggiamente la retroguardia della flotta francese come punto principale, ottenendo così una vittoria che avrebbe portato alla nascita di un impero marittimo. Vi è poi la scelta delle opportunità di scontro. Ad esempio, nella quarta
guerra del Medio Oriente, Sadat scelse come D- day per l'attraversamento del Canale di Suez da parte delle truppe egiziane il 6 ottobre, il mese del Ramadan per i musulmani, dando inizio all'attacco nel pomeriggio, quando la luce del sole, spostandosi da ovest a est feriva gli occhi dei soldati israeliani, e demolì così il mito dell'invincibilità di Israele. Vi è poi lo schieramento diseguale di forze: ad esempio, prima della Prima Guerra Mondiale l'alto comando militare tedesco concepì il piano Schlieffen per invadere la Francia, progettando l'ardita mossa di schierare 53 delle 72 divisioni tedesche sul lato destro come principale forza d'attacco, e schierando le rimanenti 19 divisioni lungo l'esteso fronte del lato sinistro e del centro. In tal modo, quella esercitazione a tavolino divenne il più famoso piano bellico mai realizzato della storia. E, infine, l'uso di stratagemmi: nel 260 a. C. vi era una rivalità tra Qin e Zhao. Il re Zhaoxing di Qin non aveva fretta di arrivare allo scontro decisivo con il nemico, e seguì il consiglio di Fan Sui, attaccando prima Shandang a Han per privare Zhao del suo sostegno. Poi finse di voler negoziare la pace, e di conseguenza i nobili non sostennero più Zhao. Egli usò lo stratagemma di fomentare la discordia, cosicché il re di Zhao cacciò il generale Lian Po e nominò comandante lo stratega teorico di corte Zhao Kuo. Fu così che le Forze di Zhao furono battute a Changping; la vittoria di Qi e la sconfitta di Zhao in quella battaglia vanno attribuite allo stratagemma di Fan Sui piuttosto che alla debolezza dell'esercito di Qin. Bisogna anche prestare particolare attenzione allo studio di un altro fenomeno, cioè il fatto che un numero sempre maggiore di nazioni guardano al di là della sfera militare quando si trovano ad affrontare problemi fondamentali come le questioni politiche, economiche e di sicurezza nazionale. Essi si servono di altri mezzi per sostenere, potenziare o persino sostituire quelli militari, in maniera da realizzare obiettivi che non possono essere raggiunti dalla sola potenza militare. E questo è stato l'aspetto più importante della modificazione dell'elemento bellico principale da parte di quello secondario sulla base di una nuova concezione della guerra. Allo stesso tempo, ciò sta anche a indicare che nelle guerre future la struttura secondaria- principale formata da mezzi militari e da altri mezzi si
presenterà con sempre maggiore frequenza. Tutte le scelte illustrate sin qui avevano il carattere di una "deviazione verso l'elemento secondario". Come la regola della sezione aurea, quella del secondario- principale si oppone a tutte le forme di posizionamento parallelo, di equilibrio, di simmetria, di onnicomprensività e regolarità, e richiede invece di usare la spada per ferire il fianco. Solo evitando lo scontro frontale la spada potrà essere letale senza spezzarsi. Questa è la grammatica elementare della vittoria per l'antico discorso della guerra. E se si definisce la regola della sezione aurea come la regola dell'estetica nella sfera delle arti, allora perché non chiamare anche la regola del secondario- principale - la sua immagine speculare nella sfera militare - la regola della vittoria? L'elemento dominante e la cosa intera: l'essenza della struttura secondariaprincipale Tra le molte componenti interne di cui una cosa è composta, vi deve essere un certo elemento che assume una posizione di preminenza o dominante su tutti gli altri. Se il rapporto tra questo elemento e gli altri è armonioso e perfetto, sarà conforme alla formula dello 0,618:1 in alcuni punti, nonché alla regola del secondario- principale. In questo caso, infatti, "tutti gli elementi" costituiscono il corpo principale, cioè l'elemento principale; mentre "un certo elemento" serve come elemento direttivo, ed è quindi l'elemento secondario. Quando un oggetto ha acquisito una sua determinatezza specifica, gli elementi secondario e principale formeranno un rapporto dominante- subordinato. Quando due tori si scontrano, i tori costituiscono l'elemento principale, e le corna quello secondario. Quando due spade si cimentano l'una contro l'altra, esse costituiscono l'elemento principale, mentre il filo delle lame quello secondario. Ed è molto chiaro quale sia l'elemento dominante e quale il subordinato. Quando muti l'intenzione, un nuovo elemento dominante emergerà e sostituirà il vecchio per formare un nuovo rapporto secondario principale con tutti gli elementi esistenti. Cogliere il rapporto tra l'elemento dominante e gli altri elementi di un oggetto, equivale ad afferrare l'essenza della regola della sezione aurea e della regola del secondario- principale. Sulla base di questa concezione, si possono rapidamente stabilire cinque rapporti fondamentali tra tutti i complessi rapporti che caratterizzano la
guerra: quello tra le armi dominanti e tutte le altre armi; tra i mezzi dominanti e tutti gli altri mezzi; tra le forze dominanti e tutte le altre forze, tra la direzione dominante e tutte le altre direzioni, e tra l'ambito dominante e tutti gli altri ambiti. Il rapporto tra i cinque elementi dominanti e tutti gli altri elementi nei cinque ambiti costituisce essenzialmente il rapporto secondario- principale diffusamente presente nelle guerre. Si prenda ancora una volta l'esempio della Guerra del Golfo. Nell'Operazione "Desert Storm" le armi dominanti usate dalle forze alleate furono i velivoli stealth, i missili cruise e le bombe di precisione, mentre tutte le altre armi avevano un ruolo secondario. I mezzi dominanti furono i trentotto giorni consecutivi di bombardamenti aerei, mentre gli altri ebbero un ruolo di integrazione. La forza dominante fu l'aviazione, con tutte le altre limitate a un ruolo di integrazione. La direttiva dominante fu quella di colpire le Guardie Repubblicane come bersaglio di attacchi mirati, mentre tutti gli altri obiettivi sul terreno erano considerati secondari. E infine l'ambito dominante fu quello militare, mentre tutti i rimanenti fornivano un supporto complessivo sotto forma di sanzioni economiche, isolamento diplomatico e offensiva mediatica. Tuttavia, non è nostra intenzione limitarci a chiarire questo rapporto. Per coloro che sono impegnati in una guerra, ciò che conta di più infatti non è che le cose siano chiarite, bensì che questo rapporto sia compreso e riceva applicazione. Come è noto, le risorse belliche di tutti i paesi sono limitate. Perfino un paese potente come gli Stati Uniti deve pensare continuamente al rapporto costi- benefici (il principio del "minimo dispendio di energia"), a come combattere le proprie guerre in modi sempre più raffinati e a come produrre migliori risultati. Dunque per ogni nazione è assolutamente necessario stanziare e impiegare risorse per la guerra in maniera ottimale e strategica. Ciò richiede che si trovi un giusto metodo, cioè come applicare consapevolmente la regola del secondario- principale, che in realtà molte nazioni hanno già applicato inconsapevolmente. Dopo la dissoluzione dell'ex- Unione Sovietica, il potere militare della Russia è diminuito continuamente. Non solo la Russia ha perso il ruolo di superpotenza antagonista degli Usa, ma ha persino avuto difficoltà a salvaguardare la sicurezza nazionale. In queste circostanze, l'alto comando
russo ha modificato tempestivamente la sua strategia per il futuro pur trovandosi in una posizione difficile, rendendo le armi nucleari tattiche o anche strategiche gli armamenti dominanti che verrebbero impiegati per primi nel caso di una guerra contro la Russia. Sulla base di questa decisione ha anche modificato la distribuzione complessiva delle armi convenzionali e di quelle nucleari. Diversamente dalla Russia, essendo ormai gli Usa l'unica superpotenza mondiale, le forze armate americane hanno stabilito come loro nuovi obiettivi strategici per le tre forze armate (un esercito) "globalmente superiore", (una marina) "che si muove dal mare alla terra" e (un'aviazione) "impegnata a livello globale". Con queste premesse è stata selezionata una nuova generazione di armamenti che consiste di equipaggiamenti digitali, nuovi tipi di imbarcazioni da attacco anfibio e velivoli stealth a lungo raggio, che sembrano aver sostituito negli arsenali americani come armi dominanti i carri armati della serie M-1, le portaerei e gli aerei da combattimento F-16, tradizionalmente considerati come elementi vincenti. Come si può rilevare dai cambiamenti strategici operati dalla Russia e dagli Stati Uniti in relazione alle rispettive armi dominanti, sembra che la prassi di selezione in base al potere distruttivo sia ormai divenuta obsoleta. Il loro potere di distruzione non è che uno dei numerosi aspetti di performance tecnica. E ciò che appare più importante di quest'ultima è la considerazione fondamentale della finalità della guerra, gli obiettivi operativi e la sicurezza ambientale. Dunque le armi dominanti dovrebbero essere le più efficaci nel realizzare gli obbiettivi elencati. Inoltre, è necessario che esse si combinino in modo sistematico con altre armi, in maniera da definire l'elemento dominante di un sistema di armamento completo. Nel contesto della moderna tecnologia, le armi dominanti non sono più armi individuali, ma "sistemi d'arma" che sono anche componenti di più ampi sistemi. L'emergere di grandi quantità di alta tecnologia e il continuo modificarsi degli obiettivi della guerra hanno consentito ampiamente la selezione di armi dominanti e la loro combinazione con altre armi, e allo stesso tempo hanno anche reso ancor più complesso il rapporto tra armi dominanti e non. Gli stessi fattori influenzano anche l'uso dei mezzi bellici. Considerare
automaticamente l'azione militare come mezzo dominante e gli altri mezzi come elementi di supporto nella realtà della guerra è una posizione sempre più obsoleta. Forse, in un futuro non troppo lontano, i mezzi militari costituiranno solamente uno fra tutti i mezzi disponibili in guerre come quelle mosse contro le organizzazioni terroristiche alla Bin Laden. Forse per annientare Bin Laden una campagna condotta attraverso la rete finalizzata a strangolarlo finanziariamente si dimostrerebbe un mezzo più efficace dei missili cruise. E poiché i mezzi sono divenuti più complessi, è emersa una conseguenza inaspettata per tutti i militari, cioè l'estensione della guerra alla popolazione civile. Dunque la questione del rapporto tra la forza dominante e tutte le forze considerate in questo contesto comprende anche il grado di coinvolgimento dell'intera popolazione nella guerra, in aggiunta allo schieramento, dia distribuzione e all'uso delle forze militari nelle operazioni di combattimento. Poiché le attività di guerra o di quasiguerra dei soldati professionisti sono sempre più un fattore determinante per la sicurezza nazionale, il problema di quale sia la forza dominante nelle guerre future - un problema che non è mai stato tale - si è diffuso in tutto il mondo. Ne sono prova, ad esempio, gli attacchi ad opera di "banditi del web" contro i centri informatici del Ministero della difesa degli Stati Uniti e dell'India. Ogni azione di combattimento in generale, che si tratti o meno di un'azione bellica, o un'azione di guerra non militare, comporterà il problema di come selezionare accuratamente le principali direttrici operative e il principale punto d'attacco, cioè il determinare l'orientamento principale rispetto a tutti i fattori legati alla guerra, ai terreni di scontro e ai fronti. Questo è il problema più difficile anche per tutti quei comandanti che dispongono di buone armi, di molti mezzi e un personale sufficiente. Comunque, Alessandro, Annibale, Nelson e Nimitz come Sun Wu e Sun Bin nell'antica Cina furono abili nella scelta delle principali direzioni di attacco che avrebbero potuto cogliere completamente di sorpresa le forze nemiche. Questo aspetto fu rilevato anche da Liddell Hart, il quale definì la scelta della linea di minore resistenza e la direzione di azione meno prevedibile dal nemico come "strategia indiretta". Ma man mano che lo scenario della guerra si è ampliato, coinvolgendo la sfera politica, economica,
diplomatica, culturale e psicologica, oltre all'ambito terrestre, marittimo, aereo, spaziale ed elettronico, l'interazione tra tutti questi fattori ha fatto sì che la sfera militare non potesse più facilmente essere quella dominante in ogni guerra. La guerra dunque sarà condotta in ambiti non bellici. Questo concetto suona strano ed è difficile da accettare, ma vi sono sempre più segnali a indicare come sia questa la tendenza in vigore. In realtà anche nei tempi antichi la guerra non era sempre confinata a un unico ambito. La battaglia diplomatica di Lian Xiangru per "restituire la giada intatta a Thao" e la guerra virtuale condotta da Mo Zi e da Gongshu Ban furono classici esempi di come vincere o impedire una guerra con azioni non militari. Tale metodo volto alla risoluzione del problema bellico per mezzo di azioni che interessano diversi ambiti dovrebbe offrire spunti e intuizioni anche agli uomini dei nostri giorni. L'era dell'uso generalizzato delle tecnologie più sofisticate ci consente di ricorrere alla saggezza e ad ogni mezzo in misura sensibilmente maggiore rispetto ai tempi antichi, e dunque il sogno di ottenere vittorie militari in ambiti non militari e di vincere le guerre con mezzi non bellici oggi può diventare realtà. Se si vogliono vincere le guerre future, si dovrà essere ben preparati intellettualmente a quel nuovo scenario, cioè pronti a condurre una guerra che, proprio in quanto destinata a influenzare ogni aspetto della vita dei paesi coinvolti, potrebbe essere affrontata in un ambito non dominato da azioni militari. Ancora non è chiaro quali armi, mezzi e personale verranno impiegati in queste guerre, e in quale direzione esse saranno condotte. Quel che è certo è che qualunque sia la modalità della guerra, la vittoria appartiene sempre alla parte che sa usare correttamente la regola del secondario principale per cogliere il rapporto tra la "dominante" e "il tutto". Una regola, non una formula fissa La guerra è una realtà molto difficile da spiegare e capire. Ha bisogno del supporto della tecnologia, ma la tecnologia non può sostituire le condizioni psicologiche e gli stratagemmi; ha bisogno di ispirazione artistica, ma rifiuta il romanticismo e il sentimentalismo; e della precisione matematica, ma la precisione alle volte può renderla meccanica e rigida; necessita di astrazione filosofica, ma il semplice pensiero non aiuta a cogliere al volo le opportunità tra il ferro e il
fuoco. Questa però non è una formula della guerra. Nessuno ha la presunzione di poter affermare di possedere il metodo perfetto e nessuno è mai stato in grado di usare un solo metodo per vincere tutte le guerre. Ciò però non significa che non vi siano regole relative alla guerra; alcuni hanno visto il proprio nome figurare nella lista dei perenni vincitori perché hanno scoperto e saputo cogliere le regole della vittoria. Quei nomi dimostrano che le regole della vittoria esistono, anche se nessuno ne ha rivelato il segreto. Per molto tempo, quasi quanto l'intera storia della guerra, sono state considerate illuminazioni improvvise che hanno attraversato le menti dei condottieri più geniali, ma raramente ci si è resi conto che si celavano tra combattimenti cruenti segnati dal cozzare delle spade e dal fumo della polvere da sparo. In realtà, ogni regola è paragonabile a un foglio di carta, e ciò che conta è se si è in grado di bucarlo. La regola del secondario- principale è proprio come un foglio di carta. È allo stesso tempo semplice e complicato, fluttuante e stabile. Come spesso è avvenuto, un uomo dal tocco fortunato alle volte senza volerlo può bucarlo con un semplice colpetto e la porta della vittoria gli si spalancherà immediatamente davanti. È così semplice che si potrebbe esprimere attraverso una serie di numeri semplici o una regola grammaticale. Ed è così complicato che non vi si saprebbe trovare una risposta nemmeno essendo esperti nella matematica e nella grammatica. È come il fumo: difficile da afferrare. Ma è costante come un'ombra e accompagna ogni alba di vittoria. Di conseguenza, si consideri la regola del secondario- principale come un principio, ma non come un teorema. E si è ampiamente dato conto della relatività del principio. Tutto ciò che è relativo non andrebbe applicato in modo meccanico e non può essere misurato con precisione. La relatività non è il bianco assoluto, e perciò non teme l'eccezione del cigno nero. Comunque, attraverso lo studio della storia della guerra, si è stabilito che la regola del secondario- principale è una regola della vittoria, ma il modo in cui servirsene correttamente è un problema che ogni singolo agente dovrà determinare a seconda delle circostante particolari in cui si trova a operare. Il fenomeno dell'antinomia in guerra ha sempre disorientato chiunque
inseguisse la vittoria: coloro che agiscono contro le leggi falliranno certamente, ma anche coloro i quali si attengono alle pratiche prestabilite hanno scarse probabilità di vincere. "6x6=36: esistono stratagemmi nei numeri e numeri negli stratagemmi. Lo yin e lo yang sono coordinati. Le opportunità ci sono, ma non è possibile fabbricarle. Fabbricarle apposta non funzionerebbe. I "36 stratagemmi" rappresentano la rivelazione di come avvengono le cose. Indipendentemente dal numero di esempi bellici che si possono trovare per dimostrare che le cause delle vittorie in questione seguivano il principio dello 0,618, chi successivamente pianificherà una guerra, battaglia o scontro seguendo fedelmente la regola della sezione aurea proverà quasi certamente il sapore amaro della sconfitta. Che si tratti della regola della sezione aurea o di quella del secondario- principale, la chiave sta nel coglierne l'essenza e applicarne il principio, anziché seguirle in maniera meccanica, così come il leggendario Dong Shi emulò la bellezza di Xi Shi. Nella storia europea, nelle famose battaglie di Rossbach e di Lucerna gli aggressori in entrambi i casi ricorsero alla "formazione d'attacco diagonale" alla maniera di Alessandro Magno, ma i risultati furono completamente diversi. Nella battaglia di Rossbach i comandanti delle forze franco- austriache seguirono fedelmente la storia militare, effettuando movimenti di truppe e adottando formazioni di combattimento sotto lo sguardo di Federico il Grande. L'esercito francoaustriaco tentò di usare la formazione diagonale per attaccare l'ala sinistra delle forze prussiane. Come risultato, fu sconfitta pesantemente dai prussiani, i quali modificarono tempestivamente i loro schieramenti. Un anno dopo, a Lucerna, Federico si scontrò di nuovo con l'esercito austriaco, che era tre volte superiore al suo, e in quell'occasione fu brillante. Si servì anche lui della formazione d'attacco diagonale, ma riuscì ad annientare le forze austriache. È significativo e sorprendente che lo stesso metodo operativo abbia condotto ad esiti diametralmente opposti("). Questi avvenimenti dimostrano come non esista un metodo bellico infallibile e come anche le regole giuste non garantiscano immancabili vittorie. Il segreto della vittoria è di applicare correttamente le regole. Allo stesso modo, per quanto riguarda la regola del secondario- principale, ciò che conta è usare l'elemento secondario per modificare il principale, ma ciò
non significa che lo scarto verso l'elemento secondario sia sempre destinato a produrre una vittoria. Lo scarto verso l'elemento secondario consiste principalmente in una deviazione quanto a linee di pensiero e di principi essenziali, piuttosto che in una deviazione formale. Ad esempio, nella guerra reale, non è necessario che per essere conforme alle regole della vittoria ogni volta il punto d'attacco debba essere stabilito nel punto di deviazione secondo il principio dello 0,618. È possibile infatti che, di volta in volta, le regole della vittoria richiedano avanzamenti e conquiste frontali, cosicché in questo caso l'elemento "principale" è quello "secondario". Questa è la natura della guerra come arte; e questa componente artistica non può essere sostituita dalla matematica, dalla filosofia o da altre aree della scienza e della tecnologia. Dunque siamo certi che in questo senso la rivoluzione tecnologica dell'ambito militare non possa sostituire la rivoluzione nell'arte degli affari militari. Inoltre, è necessario sottolineare che anche il principio secondarioprincipale è inevitabilmente simile al principio di sorpresa- non- sorpresa sostenuto dagli antichi strateghi cinesi; e tuttavia i due non sono esattamente uguali. Gli strateghi antichi infatti raccomandavano l'alternanza di mosse a sorpresa con altre non a sorpresa in tempi diversi. Come disse Sun Tzu, "quando si combatte è necessario usare mosse prevedibili per raccogliere le forze e mosse a sorpresa per conseguire la vittoria. Combattere comporta solamente questi due tipi di mosse, che possono essere variate un infinito numero di volte”. L'elemento principale e quello secondario non sono due metodi che possono essere usati indipendentemente uno dall'altro, ma l'espressione di una legge oggettiva. La distinzione più importante è la seguente: è certamente vero che nella storia della guerra i casi di vittoria con mosse a sorpresa sono stati tutti straordinari grazie all'eccellente esecuzione dei loro piani, ma non tutte le vittorie sono state conquistate grazie alle mosse a sorpresa; al contrario, vi sono molti esempi di successi ottenuti grazie a mosse non a sorpresa. Il principio secondario- principale è diverso: dall'analisi risulta che in ogni vittoria vi è traccia della regola della vittoria, che questa sia stata ottenuta grazie a mosse a sorpresa o meno; ciò significa che la vittoria è l'effetto del principio secondario- principale dimostrato sia con modalità di sorpresa
che di non- sorpresa. Indipendentemente da quanto chiaramente vengano formulate le regole del secondario- principale o della vittoria, si può solo procedere all'applicazione in maniera imprecisa. Ma alle volte l'imprecisione è il modo migliore di raggiungere la chiarezza, poiché solo l'imprecisione si presta ad essere compresa nella sua totalità. Questa è la modalità di pensiero orientale, che in un modo del tutto particolare ha incontrato la saggezza occidentale nel punto aureo dello 0,618. Il risultato è che la logica, il ragionamento e la precisione occidentali da un lato e l'istinto, l'intuizione e l'oscurità orientali dall'altro hanno fornito la base su cui unire la sapienza militare dell'Oriente e dell'Occidente, e hanno dato vita alla regola della vittoria di cui si è discusso. Essa risplende luminosa, possiede il mistero dell'Oriente e il rigore dell'Occidente, come se le gronde del palazzo di Taihe fossero collocate, maestose e vibranti, su un colonna del Partenone nella loro maestosa intensità.
III. DIECIMILA METODI COMBINATI IN UNO: COMBINAZIONI OLTRE I LIMITI Le guerre di oggi avranno conseguenze sul prezzo della benzina, sul prezzo dei cibi nei supermercati e sul valore dei titoli in borsa. Causeranno anche un dissesto dell'equilibrio ecologico e invaderanno ognuna delle nostre case attraverso gli schermi televisivi. Alvin Toffler Capire le regole che portano a conquistare la vittoria argomento trattato nel capitolo precedente - non equivale certamente ad assicurarsi la vittoria più di quanto conoscere le tecniche della corsa su lunghe distanze equivalga a vincere la maratona. Scoprire le regole della vittoria può permettere di approfondire la conoscenza delle leggi della guerra e migliorare i parametri in base ai quali si praticano le arti militari. Ma sul terreno il vincitore di sicuro non avrà vinto per il fatto di aver individuato un maggior numero di regole. Il segreto sta piuttosto nell'afferrare realmente le regole della vittoria nel loro principio di fondo. In una possibile guerra futura le regole della vittoria saranno particolarmente esigenti con il vincitore. Non solo, come in passato, chiederanno di conoscere perfettamente tutti i modi più geniali di contendersi il primato sul campo. Imporranno ulteriori requisiti davanti ai quali la maggior parte dei combattenti si sentiranno confusi e risulteranno impreparati; la guerra sarà combattuta e vinta oltre il campo di battaglia, e la lotta per la vittoria si svolgerà su un terreno al di là del terreno di scontro. Facendo riferimento a questo significato specifico, anche figure militari attuali come Powell, Schwartzkopf o persino Sullivan (Capo di Stato maggiore dell'esercito degli Stati Uniti dal 1991 al 1995) o Shalikashvili non si possono considerare "moderni". Essi infatti appaiono piuttosto come un gruppo di militari tradizionali. Questo perché tra i soldati tradizionali e quelli che si possono definire come i soldati moderni si è già instaurato un grande divario. Nonostante non si tratti di un divario incolmabile, richiede pur sempre un salto, nei termini di un ripensamento militare radicale. Per molti militari
professionisti ciò rappresenta un traguardo che non potrebbero sperare di realizzare nemmeno se passassero il resto della vita a lavorarci sopra. In realtà si tratta di un processo molto semplice: il nuovo metodo che si è reso necessario consiste nel creare un perfetto Machiavelli militare. Raggiungere gli obiettivi con ogni mezzo, nobile o ignobile: è questa la più importante eredità spirituale del grande pensatore politico del Rinascimento. Ciò rappresentava una rottura e un progresso rispetto all'idea e alla tradizione in declino della cavalleria. Significava servirsi di mezzi anche generali, senza porre limiti al fine di realizzare un obiettivo; e ciò vale anche per la guerra. Anche se Machiavelli non fu il primo ispiratore di "un'ideologia del superamento dei limiti" (il cinese Han Feizi lo precedette fu il primo a formularla con maggiore chiarezza. L'esistenza di confini e limiti è un prerequisito necessario a differenziare tra loro gli oggetti. In un mondo in cui tutte le cose sono reciprocamente interdipendenti, il significato dei confini è puramente relativo. L'espressione "superare i limiti" significa andare oltre a ciò che è chiamato o considerato come un confine. Non importa se rientrano in una categoria fisica, spirituale o tecnica, o se vengono chiamati "limiti", "limiti definiti", "costrizioni", "frontiere", "regole", "leggi", "limiti massimi" o persino "tabù". In termini bellici, potrebbe trattarsi del confine tra ciò che costituisce il terreno di scontro e ciò che non lo è, tra ciò che costituisce un'arma e ciò che non lo è, tra stato e non- stato o sovrastato. Potrebbe anche includere confini tecnici, scientifici, teoretici, psicologici, etici, tradizionali, abituali e di altro genere ancora. In breve, racchiude semanticamente tutti i confini che delimitano la guerra all'interno di un ambito specifico. Il vero significato di questo concetto di superamento dei limiti che proponiamo è innanzitutto quello di trascendere le ideologie. Solo in un secondo momento, quando è iniziata l'azione, significa trascendere se necessario i limiti e i confini, quando possono essere trascesi, e selezionare i mezzi più appropriati, inclusi i mezzi estremi. Ciò non significa che a questi si debba ricorrere sempre e comunque. Quando si fa riferimento ai militari in quest'epoca di integrazione tecnologica, vi è in realtà un numero maggiore di aspetti particolari da considerare, un'abbondanza di risorse utilizzabili (comprendenti risorse materiali e
non), cosicché, indipendentemente dai limiti che i militari si trovano ad affrontare, vi è sempre un mezzo che può superarli, e molti più mezzi di quanti non ve ne fossero all'epoca di Machiavelli. Perciò i militari moderni, per essere in grado di superare il proprio modo di pensare, devono anche diventare più profondi e precisi nel loro approccio. Si è detto prima che il cocktail vincente dei grandi maestri della guerra furono le combinazioni. Alessandro il Grande e i re guerrieri della dinastia Zhou non sapevano certo cosa fossero i cocktail, ma conoscevano il valore dell'uso combinato delle cose. Nelle guerre del passato, tuttavia, la combinazione delle armi, dei mezzi, degli schieramenti in battaglia e degli stratagemmi era sempre condotta all'interno dei limiti relativi alla sfera militare. Quell'accezione ristretta del concetto di combinazione naturalmente oggi è del tutto inadeguata. Chi voglia vincere le guerre di oggi, o quelle di domani, e tenere la vittoria saldamente in pugno deve "combinare" tutte le risorse belliche a disposizione e servirsene come mezzi per perseguire la guerra. Ma nemmeno questo sarà sufficiente. Tali risorse dovranno essere combinate secondo i requisiti delle regole della vittoria. E nemmeno questo sarà ancora sufficiente, perché tali regole non possono garantire che la vittoria cadrà nel paniere come un frutto maturo; avrà ancora bisogno di una mano esperta che lo raccolga. Quella mano è appunto il concetto del "superare i limiti", sorpassare tutti i confini e conformarsi alle leggi della vittoria servendosi del metodo combinatorio. Si ottiene così un concetto completo, un metodo bellico interamente nuovo chiamato "guerra combinata modificata che supera i limiti". Combinazioni delle organizzazioni (combinare organizzazioni nazionali, internazionali e non- statali). A questo punto sembra di trovarsi di fronte a un altro paradosso: teoricamente "andare oltre i limiti" dovrebbe significare non avere nessun tipo di limitazione, andare oltre qualunque cosa, ma, in realtà, il superamento totale dei limiti è impossibile da realizzare. Qualunque superamento dei limiti è ipotizzabile solo con alcune restrizioni. Ciò significa che "andare oltre i limiti" non equivale di certo a "nessun limite", bensì all'espansione di ciò che è "limitato". Il che significa oltrepassare i
limiti intrinseci di una certa area o di una certa direzione e combinare le opportunità e i mezzi in più aree e direzioni, in maniera da raggiungere un obiettivo prestabilito. Questa è la nostra definizione di "guerra combinata che va oltre i limiti". Come metodo bellico caratterizzato principalmente dal concetto di "superamento dei limiti" il suo principio è di assemblare e mescolare più mezzi al fine di risolvere un problema su scala più vasta del problema stesso. Ad esempio, quando la sicurezza nazionale è minacciata, la risposta non è semplicemente questione di selezionare i mezzi per affrontare le altre nazioni sul piano militare, bensì di come risolvere la crisi attraverso l'impiego di "combinazioni sovranazionali". La storia insegna che lo stato- nazione è la più alta forma dell'idea di sicurezza. Per i cinesi, lo stato- nazione equivale perfino al grande concetto di tutto ciò che esiste sotto il sole. Oggi il significato del termine nazione nel senso della nazionalità o della geografia non è nient'altro che un piccolo nesso nel consorzio umano del "villaggio globale”. Le nazioni moderne sono sempre più influenzate dalle organizzazioni locali o mondiali come l'Unione Europea, l'ASEAN, l'OPEC, l'APEC, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, il WTO e la più importante di tutte, le Nazioni Unite. Oltre a queste, un vasto numero di organizzazioni multinazionali e non- statali di ogni ordine e grandezza come società multinazionali, associazioni commerciali, gruppi pacifisti e ambientalisti, il Comitato Olimpico, organizzazioni religiose e terroristiche, piccoli gruppi di hackers, si intersecano di continuo lungo i percorsi di una nazione. L'insieme di queste organizzazioni multinazionali, non- statali e sovranazionali costituisce un sistema di potere mondiale emergente. Forse non sono stati ancora in molti a rilevarlo, ma tutti i fattori sin qui illustrati ci stanno portando verso un'epoca di trasformazioni in cui la politica delle grandi potenze sta cedendo alla politica sovranazionale. La caratteristica principale di questa nuova era è la sua transitorietà: vi sono molti segnali in tal senso, e molti processi sono appena avviati. Una componente fondamentale è data dal potere nazionale, e un'altra da quello sovranazionale, multinazionale e non- statale; il verdetto finale in merito al
quale otterrà il ruolo principale sulla scena internazionale non è stato ancora emesso. Da un lato le grandi potenze fanno ancora la parte del leone. In particolare, la superpotenza a tutto tondo, gli Stati Uniti, le grandi potenze economiche come il Giappone e la Germania, l'astro nascente della Cina e quello calante della Russia stanno tutte cercando di esercitare la loro influenza sulla situazione generale. Ma sono consapevoli di non poter realizzare i loro obiettivi contando solo sulle proprie forze. L'esempio più tipico e più recente è il ricorso all'Euro per unificare l'Unione Europea. Questo poderoso processo è continuato sino ad oggi, ma è appena riemerso da un periodo di cattive acque. La direzione imboccata di recente e le prospettive a lungo termine non sono nette e definite; ovviamente, sono cose che accadono. Tuttavia vi sono alcuni indizi evidenti di una tendenza in atto: sta calando lentamente il sipario su di un'epoca in cui l'assegnazione della vittoria o della sconfitta decisiva dipendeva dalla prova di forza di uno stato contro l'altro. Diversamente, si sta lentamente levando il sipario su di un'era in cui la risoluzione dei problemi e la realizzazione degli obiettivi saranno possibili grazie all'impiego di mezzi sovranazionali su di uno scenario più ampio di quello nazionale. In base a questa considerazione, classifichiamo le "combinazioni sovranazionali tra i fattori essenziali della guerra illimitata. In questo mondo caratterizzato da influenze politiche, economiche, ideologiche, tecniche e culturali diverse che si compenetrano reciprocamente dove i network, i cloni, Hollywood, le hot girls, la pornografia in Internet e la Coppa del Mondo oltrepassano di continuo e senza alcuna difficoltà i demarcatori dei confini territoriali, è praticamente assurdo sperare di garantire la sicurezza e di perseguire interessi in senso strettamente nazionale. Solo un pazzo come Saddam Hussein potrebbe cercare di soddisfare la sua ambizione smodata attraverso un'occupazione territoriale immediata. I fatti indicano che questa linea d'azione alla fine del ventesimo secolo è palesemente anacronistica e condurrebbe certamente alla sconfitta. Nel perseguire anch'essi la difesa della sicurezza e gli interessi nazionali come grande potenza ormai matura gli Stati Uniti si sono comportati in
maniera molto più intelligente dell'Iraq. Dal giorno in cui si sono affacciati sulla scena internazionale, gli americani hanno continuato a impadronirsi di ciò a cui miravano con la forza o con l'astuzia, e i vantaggi che hanno ottenuto dagli altri paesi sono stati di gran lunga superiori di quanto si possa ipotizzare siano stati quelli che l'Iraq sperava di ottenere dal Kuwait. Le ragioni di questa realtà non possono essere spiegate unicamente dal principio che "il più forte ha sempre ragione" e non sono solamente un problema di infrazione delle norme e dei veti internazionali. Questo perché, in tutte le azioni esterne, gli Stati Uniti cercano sempre di acquisire il maggior numero di alleati, per non diventare un leader isolato senza sostegno. Fatta eccezione per paesi piccoli come Grenada e Panama, che sono stati presi con azione militare diretta, in gran parte dei casi gli Stati Uniti perseguono e realizzano i propri interessi ricorrendo a mezzi sovranazionali. Nell'affrontare il problema iracheno, ad esempio, il metodo impiegato fu caratterizzato da una tipica combinazione sovranazionale. Per tutta la durata dell'azione, gli americani agirono in collaborazione con altri partner, attraverso manovre condotte tra vari gruppi politici e ottenendo il sostegno pressoché unanime delle Nazioni Unite. Gli Usa convinsero la prima e più importante organizzazione internazionale del mondo a emettere una risoluzione sulla base di un pretesto da loro fornito, e trascinarono oltre trenta paesi nelle forze congiunte inviate contro l'Iraq. Dopo la guerra, gli Stati Uniti riuscirono nuovamente nei loro intenti organizzando un embargo economico nei confronti dell'Iraq che continua da allora, e si sono serviti di ispezioni agli armamenti per mantenere una costante pressione politica e militare sul paese, che lo ha condannato a un lungo isolamento politico e a una grave prostrazione economica. Dalla Guerra del Golfo, l'orientamento verso combinazioni sovranazionali in guerra e nei conflitti in generale è stato sempre più evidente. E quanto più recente è l'avvenimento, tanto più marcata è questa caratteristica e tanto più frequentemente impiegata come mezzo da un numero crescente di nazioni. Negli ultimi dieci anni questa tendenza ha fatto da sfondo a gravi disordini sociali internazionali. L'integrazione economica mondiale, l'internazionalizzazione della politica nazionale, la connessione in rete
delle risorse dell'informazione, la maggiore frequenza con cui si succedono nuove ere tecnologiche, l'occultamento dei conflitti culturali e il rafforzamento delle organizzazioni non- statali apportano alla società umana contemporaneamente benefici e inquietudini. Ecco perché le grandi potenze e anche alcune nazioni di media e piccola entità agiscono di concerto senza bisogno di un coordinamento preventivo, e individuano nelle combinazioni sovranazionali la strada da percorrere per risolvere i loro problemi. E’ proprio per questo motivo che le minacce che le nazioni moderne si trovano ad affrontare provengono più frequentemente da potenze sovranazionali, piuttosto che da uno o due paesi specifici. E contro tali minacce non vi è contromisura più efficace del ricorso a combinazioni sovranazionali. In realtà, non vi è niente di nuovo sotto il sole, poiché non si tratta di una scoperta recente. Sin dall'epoca Primavere e Autunni (770476 a. C.) e dal periodo degli Stati Combattenti (475-221 a. C.) e dalla guerra del Peloponneso (431-404 a. C), queste combinazioni erano già il più vecchio e classico dei metodi impiegati dagli antichi strateghi nell'Oriente e nell'Occidente. E a tutt'oggi quest'idea appare ancora affascinante. La combinazione sovranazionale del generale Schwartzkopf nella Guerra del Golfo si può definire una versione moderna della classica formula "alleanza + forze combinate". Dovendo evidenziare il divario tra tempi antichi e moderni si dovrebbe ricordare come per gli antichi l'idea portante fosse quella di combinare tra loro gli stati piuttosto che una serie di combinazioni verticali, orizzontali e reciprocamente sovranazionali, transnazionali e non- statali. I tre popoli antichi cui si è accennato non avrebbero potuto immaginare che il principio da essi adottato sarebbe rimasto invariato sino ai giorni nostri. Né, d'altra parte, avrebbero potuto ipotizzare i cambiamenti rivoluzionari verificatisi, dai mezzi tecnici all'attuale modo in cui quel principio viene impiegato. Il nuovo modello di combinazione di "stato + sovranazionale + transnazionale + non- stato" apporterà trasformazioni fondamentali alla fisionomia e all'esito finale della guerra, modificandone persino la natura intrinsecamente militare che è rimasta una verità incontestata, sin dall'antichità. Ciò che intendiamo con il termine generale di "combinazioni sovranazionali" è questo metodo in
grado di risolvere conflitti e di condurre la guerra non solo attraverso il potere nazionale, ma anche attraverso la combinazione di poteri sovranazionali, transnazionali e non statali. Dall'esame di alcuni precedenti riusciti, è prevedibile che d'ora in poi le combinazioni sovranazionali rappresentino l'arma più potente di una nazione che voglia realizzare i propri obiettivi di sicurezza nazionale e garantirsi interessi strategici in un ambito più ampio dei confini nazionali. Come unica superpotenza mondiale, gli Stati Uniti sanno servirsi della combinazione sovranazionale come arma meglio di chiunque altro e non si lasciano sfuggire l'occasione di inserirsi in organizzazioni internazionali che coinvolgano gli interessi americani. In altre parole, gli Stati Uniti hanno una visione coerente dell'attività di tutte le organizzazioni internazionali come strettamente legate agli interessi americani. Tali organizzazioni possono essere indifferentemente europee, americane, asiatiche, di altre zone ancora o mondiali: gli Stati Uniti riusciranno sempre ad entrarvi a far parte, e a manipolarle. Nel 1996 il rapporto del Dipartimento della difesa affermava con chiarezza: "Per proteggere e realizzare gli interessi degli Stati Uniti, il governo degli Stati Uniti deve avere la capacità di influenzare le politiche e le azioni degli altri paesi. Ciò richiede che gli Stati Uniti mantengano il proprio coinvolgimento oltreoceano, particolarmente in quelle aree in cui i loro interessi più importanti siano messi a repentaglio". Se si considera, ad esempio, l'istituzione dell'Organizzazione per la Cooperazione Economica Asia- Pacifico (APEC), l'idea iniziale di colui che la concepì, il Primo Ministro australiano Hawke, fu di includere solo i paesi asiatici, l'Australia e la Nuova Zelanda. Tuttavia, quest'idea incontrò immediatamente la strenua opposizione del presidente George Bush, e venne così ampliata ad includere gli Stati Uniti e il Canada. Contemporaneamente, per sondare la forza della cooperazione economica dell'Asia- Pacifico, gli Stati Uniti impiegarono notevoli risorse per spingere alcuni paesi asiatici a firmare accordi indipendenti con la North American Free Trade Area (NAFTA - Area nordamericana di libero mercato). Gli Stati Uniti quindi non solo vi si inserirono, ma giunsero anche a farne uscire altri paesi. Si può ben dire, dunque, che in quel caso abbiano usato una tattica a doppia combinazione.
Inoltre, i metodi e l'atteggiamento tenuto dagli americani nei confronti della crisi finanziaria asiatica vengono comunemente percepiti come un segreto accuratamente occultato. Quando arrivò la burrasca, gli Stati Uniti si opposero immediatamente alla proposta giapponese di istituire un fondo monetario asiatico e richiesero invece il potenziamento di un piano di soccorso con limitazioni attraverso il Fondo Monetario Internazionale di cui gli Usa sono tra i maggiori azionisti. Ciò implicava che i paesi asiatici sarebbero stati costretti ad accettare la politica di liberalizzazione economica promossa dagli Stati Uniti. Ad esempio, quando il Fondo Monetario Internazionale concesse un prestito di cinquantasette miliardi dì dollari alla Corea del Sud, ciò avvenne a condizione che la Corea aprisse completamente il suo mercato e mettesse a disposizione dei capitali americani l'opportunità di comprare le imprese coreane a prezzi incredibilmente bassi. E una richiesta di questo tipo è una rapina a mano armata che consente ai paesi sviluppati, Stati Uniti in testa, di ottenere accesso illimitato ai mercati di un altro paese, o di accaparrarsi e liquidare spazi al loro interno. Il che è molto simile a una forma dissimulata di occupazione economica. Se si collegano complessivamente i seguenti metodi usati dagli americani, si scoprirà quanto abilmente siano tutti invisibilmente collegati gli uni agli altri: gli attacchi dei franchi tiratori come Soros contro le finanze dei paesi asiatici; l'incremento decennale nei fondi generali americani da 810 miliardi a 5 trilioni di dollari, che continuano a crescere al ritmo di 30 miliardi al mese("); l'abbassamento del tasso di credito del Giappone, di Hong Kong e della Malesia nei momenti più critici da parte di Moody, Morgan Stanley, Standard & Poor; la preoccupazione di Greenspan per l'eventualità che il contrattacco del governo di Hong Kong contro i "fund raider", i predatori finanziari, possa cambiare le regole del gioco; l'eccezione alle regole della Federal Reserve Bank per aiutare la LTCM Corporation (Società per la gestione dei capitali a lungo termine) che aveva perso denaro speculando; i "no" che si udivano durante la fase di maggiore agitazione in Asia e il termine "secolo Asiatico" pronunciato sempre di meno giorno dopo giorno. Supponendo che tutti questi fattori siano stati combinati e usati per attaccare un bersaglio a lungo ambito, non si tratterebbe in definitiva di un esempio
riuscito di azione combinata con organizzazioni sovranazionali + organizzazioni transnazionali + organizzazioni non- statali? Pur non essendoci prove dirette che attestino che il governo degli Stati Uniti e la Federal Reserve abbiano accuratamente congegnato e impiegato quest'arma estremamente potente e occulta, stando agli indizi si può quantomeno affermare che alcune azioni abbiano goduto del loro incoraggiamento e tacito consenso. La soluzione dei problemi che si intendono discutere in questa sede non sta certo nell'eventualità che gli Stati Uniti abbiano usato intenzionalmente tale arma. Piuttosto, come superarma, è efficiente? La risposta è affermativa. Combinazioni degli ambiti (Combinazioni oltre il campo del terreno di scontro) Quello di "campo" è un concetto derivato dal concetto di territorio, e impiegato per definire la portata delle attività umane. In tal senso, un campo o ambito della guerra è una demarcazione del raggio d'azione di quanto la guerra comporta e comprende. Come nel caso del concetto di "combinazioni sovranazionali", l'idea di "combinazioni sovra- campo" che proponiamo è anche una forma abbreviata. Per la precisione, questi termini dovrebbero essere seguiti dalle parole "delle azioni in guerra" se si vuole esprimere compiutamente l'intento di questi concetti che andiamo costruendo e utilizzando. Ciò per chiarire il fatto che le opinioni sulle "sovra- combinazioni" determinate da un pensiero orientato al superamento dei limiti sono confinate al raggio d'azione della guerra e alle sue azioni correlate. Il concetto di "combinazioni sovra- campo" si colloca a metà strada tra quello precedentemente illustrato di "combinazioni sovranazionali" e quello di "combinazioni sovra- mezzi", che si vedrà a breve. Per quanto riguarda il nostro discorso, il concetto di "combinazioni sovra- campo" costituisce un nesso indispensabile nella linea di pensiero innovativa che sostiene il superamento dei limiti. Proprio come gli aerei hanno dovuto abbattere la barriera del suono per volare a velocità supersonica, chi è impegnato in una guerra deve uscire dai confini dei vari campi specifici se vuole accedere a una reale libertà di pensiero. Abbattere le barriere dell'ideologia è un prerequisito necessario per abbattere le barriere
dell'azione. Senza l'eliminazione delle prime, quand'anche fosse possibile un'azione assolutamente innovativa sulla base dell'intuizione, sarebbe comunque difficile raggiungere un'autentica serenità di pensiero. La teoria dell'esercito americano delle "operazioni onnidimensionali" (si veda il TRADOC Pamphlet 525-5) e le nostre "combinazioni sovra- campo" sono diverse nell'approccio ma ugualmente valide nei risultati (il termine "onnidimensionale" significa in tutti i campi). Tuttavia, le "operazioni onnidimensionali" dell'esercito Usa assomigliano più all'insolita pensata di un gruppo di militari brillanti, piuttosto che a un'idea costruita sulla base di una linea di pensiero che costituisce di per sé un'innovazione radicale. Così, dal momento che le idee non completamente sviluppate incontrano immancabilmente ogni genere di ostacoli, questa scintilla ideologica che avrebbe potuto innescare una rivoluzione nelle questioni militari purtroppo si è spenta molto presto. L'espandersi del raggio d'azione della guerra è una conseguenza inevitabile del sempre più esteso raggio d'azione dell'attività umana, in quanto le due sono correlate. La comprensione di questo fenomeno non è mai stata al passo con il fenomeno stesso: sebbene in passato Cao Gui (eroe del periodo delle Primavere e Autunni) e in tempi recenti John M. Collins (autore di Grande strategia: principi e pratica) abbiano avuto intuizioni lungimiranti e geniali che hanno evidenziato in varia misura il rapporto reciprocamente limitativo tra i vari ambiti della guerra, sino ad oggi la gran parte di coloro che sono stati impegnati in un conflitto hanno considerato tutti gli ambiti non militari in cui si trovavano ad operare come accessori rispetto alle esigenze militari. La loro visuale limitata e mentalità ristretta hanno confinato a un unico ambito lo sviluppo del terreno di scontro e i cambiamenti nella strategia e nella tattica. Nessuno ha infranto questo modello, da Kutuzov che incendiò Mosca prima di abbandonarla nel 1812 e distrusse così senza pietà più di metà del paese, seguendo una strategia che intendeva rafforzare le difese e far terra bruciata dei campi per respingere Napoleone, ai massicci bombardamenti di Dresda e alla distruzione nucleare di Hiroshima e Nagasaki che causò una strage infinita di civili per conseguire la vittoria militare assoluta, sino ai progetti di
"rappresaglia massiccia" e "distruzione reciproca assicurata". Oggi è giunto il momento di correggere questa tendenza errata. La grande fusione delle tecnologie sta spingendo i vari campi della politica, dell'economia, della dimensione militare, della cultura, della diplomazia e della religione a sovrapporsi l'un l'altro. I punti di contatto sono già pronti, e la direzione verso la fusione di questi campi è molto chiara, e ad essa va aggiunta l'importante influenza della coscienza dei diritti umani sulla moralità della guerra. Tutti questi fattori rendono sempre più obsoleta l'idea di confinare la guerra all'ambito militare e di valutare in termini di vittime l'intensità di un conflitto. La guerra oggi sta sfuggendo ai contorni dei massacri cruenti, e mostra piuttosto una tendenza verso un basso numero di vittime o persino verso l'assenza di vittime, nonostante un alto livello di intensità. Si tratta della guerra di informazione, della guerra finanziaria, commerciale, e di altre forme completamente nuove di guerra, nuove aree che si sono aperte nell'ambito bellico. In questo senso, oggi non esiste più un campo di cui la guerra non possa servirsi, e non vi è quasi nessun ambito che non abbia fatto proprio il modello offensivo della guerra. Nell'ottobre del 1987 la marina degli Stati Uniti attaccò una piattaforma petrolifera iraniana nel Golfo Persico. Quando la notizia raggiunse la Borsa di New York innescò immediatamente il peggior crollo azionario nella storia di Wall Street. Quell'avvenimento, che fu chiamato "lunedì nero", causò la perdita a Wall Street di cinquecentosessanta miliardi di dollari in valori nominali. Si trattò di una cifra pari alla perdita del prodotto interno lordo dell'intera Francia. Negli anni successivi le azioni militari hanno ripetutamente innescato disastri borsistici che hanno a loro volta portato il panico nell'economia. Nel 1995-96 la Cina continentale annunciò che avrebbe condotto lanci sperimentali di missili ed esercitazioni militari nello stretto di Taiwan. Non appena il tracciato dei missili si disegnò nel cielo, la borsa di Taiwan cominciò immediatamente a precipitare come una valanga. Sebbene questi due avvenimenti non siano esempi della combinazione sovra- campi di cui stiamo trattando, essi rientrano in particolare nella categoria dei gesti stupidi; gli esiti inaspettati che hanno prodotto, tuttavia, sono sufficienti a
stimolare la seguente riflessione: se si prendono intenzionalmente uno o più campi non correlati tra loro e li si combina in una sorta di tattica percorribile, il risultato non è forse migliore? Dal punto di vista della filosofia del superamento dei limiti, "combinazioni sovra- campi" significa combinare i diversi terreni di scontro. Ogni campo - come il campo militare — può costituire il principale ambito della guerra futura. Uno degli obiettivi delle "combinazioni sovra- campi" è infatti quello di considerare e selezionare quale campo sarà il principale terreno di scontro, il più favorevole per realizzare gli obiettivi della guerra. Dall'esperienza concreta del conflitto tra Stati Uniti e Iraq si può constatare come i quarantadue giorni di azioni militari della "Tempesta nel Deserto" siano stati seguiti da otto anni ininterrotti di pressione militare + blocco economico + ispezioni agli armamenti, il che costituisce un esempio di come gli Stati Uniti abbiano usato "combinazioni sovra- campi", per attaccare l'Iraq su nuovi terreni di scontro. Per non parlare degli enormi danni non militari causati all'Iraq dall'embargo economico, l'attacco al suo potenziale militare condotto attraverso la Commissione speciale delle Nazioni Unite per le ispezioni agli armamenti guidata da Butler, impegnata a verificare e eliminare grandi quantitativi di armi letali per diversi anni, che hanno già superato i risultati dei bombardamenti durante la Guerra del Golfo. Tutto ciò rende evidente che la guerra non è più un'attività confinata unicamente alla sfera militare, e che il corso di qualunque guerra potrebbe essere modificato o il suo esito determinato da fattori politici, diplomatici, culturali, tecnologici o altri fattori comunque non militari. A fronte della grande influenza dei conflitti militari e non militari in ogni angolo del mondo, solo se si infrangeranno vari tipi di barriere che esistono nei nostri modelli mentali, se si prenderanno i vari campi profondamente condizionati dagli stati di guerra e li si trasformeranno in assi nella nostra manica e si utilizzeranno così strategie di superamento dei limiti e tattiche volte a combinare tutte le risorse belliche, sarà possibile confidare nella vittoria. Combinazioni dei mezzi (Combinazione di tutti i mezzi disponibili militari e non militari) per condurre operazioni)
Durante una guerra tra due paesi, durante i combattimenti e le uccisioni tra due eserciti, è necessario usare mezzi particolari per intraprendere una guerra psicologica diretta alle famiglie dei soldati? Quando si protegge la sicurezza finanziaria di un paese, si può ricorrere all'omicidio per affrontare gli speculatori finanziari? Si possono effettuare attacchi "chirurgici" in assenza di una dichiarazione di guerra contro zone che producono droga o altri beni di contrabbando? Si possono predisporre fondi speciali per esercitare un'influenza maggiore sul governo e la legislatura di un altro paese attraverso azioni di lobbying? E l'acquisto o il controllo di azioni può essere usato per convertire i giornali e le stazioni televisive in strumenti della guerra mediatica? A parte la giustificabilità dell'uso dei mezzi, ovvero se questi siano o meno conformi alle regole morali generalmente riconosciute, un altro punto in comune tra le domande sopra elencate è che tutte riguardano l'uso dei mezzi in senso sovranazionale e sovra- campi. E rappresentano anche problemi che figurano in quelle che definiamo "combinazioni sovramezzi". Dovendo chiarire in cosa consistano queste combinazioni e perché abbiano motivo di esistere, va innanzitutto specificato cosa siano i mezzi. Domanda che non è praticamente tale. Tutti sanno che "a" è un metodo o uno strumento con il quale realizzare un obiettivo. Ma se grandi entità di vaste proporzioni come una nazione o un esercito o piccole come uno stratagemma vengono tutte impropriamente chiamate allo stesso modo "mezzi" - allora la domanda appare tutt'altro che semplice. La relatività dei mezzi è una questione che ha richiesto notevoli sforzi. Questa relatività è riscontrabile nel fatto che lo stesso elemento può essere un mezzo su un piano mentre su un altro può diventare un obiettivo. Se si parla di azioni sovranazionali, una nazione è un mezzo, ma quando si parla di azioni nazionali le forze - armate e non - di un'altra nazione sono un mezzo, e la prima nazione un obiettivo. Sviluppando ulteriormente questo ragionamento, mezzi diseguali sono come una serie di scatole inserite una dentro l'altra. Un mezzo a un certo livello è funzionale a un obiettivo più elevato, mentre contemporaneamente è esso stesso un obiettivo per i mezzi del livello immediatamente inferiore. Accantonando l'esame degli obiettivi, rimane la complessa questione di cosa si intenda per "mezzo". Si può
prendere qualunque oggetto ed esaminarlo da qualunque punto di vista e ad ogni livello e si capirà cosa sia un mezzo. Dal punto di vista dei vari ambiti, il campo militare, politico, diplomatico, economico, culturale, religioso, psicologico e dei media possono tutti essere considerati come mezzi. E gli ambiti possono essere ulteriormente suddivisi; ad esempio, in campo militare la strategia e la tattica, la deterrenza militare, le alleanze militari, le esercitazioni militari, il controllo degli armamenti, l'embargo delle armi, i blocchi armati sino all'uso stesso della forza sono tutti indubbiamente mezzi militari. E nonostante l'assistenza economica, le sanzioni commerciali, la mediazione diplomatica, l'infiltrazione culturale, la propaganda dei media, l'istituzione e applicazione di norme internazionali, il ricorso alle risoluzioni dell'ONU ecc. siano di pertinenza di ambiti diversi (politico, economico, diplomatico), gli statisti le usano ormai sempre più come veri mezzi militari. Quanto ai metodi, i metodi filosofici, tecnici, matematici, scientifici e artistici sono tutti usati dall'uomo per procurarsi benefici, ma possono anche essere impiegati come mezzi bellici. Si prenda, ad esempio, la tecnologia. La nascita e lo sviluppo della tecnologia dell'informazione, della tecnologia spaziale, della bioingegneria, e di tutte le nuove tecnologie fanno parte di una gamma di mezzi sempre più ampia. Un altro esempio è dato dalla matematica. L'influsso dei metodi matematici è presente ovunque nella terminologia militare, come nella disposizione di forze, nella quantità di base di munizioni (per prevederne il consumo), nei calcoli delle traiettorie, nella previsione di morti e feriti, nei raggi di combattimento e nel rendimento operativo. Inoltre, anche i metodi filosofici, scientifici e artistici sono efficaci nel sostanziare la sapienza e l'azione militare. Ecco perché si fa spesso riferimento all'ideologia militare, alla teoria e alla pratica militare come alla filosofia, alla scienza e all'arte militare. Liddell Hart, ufficiale britannico e teorico della guerra, definiva il termine strategia come "l'arte di usare mezzi militari per realizzare obiettivi politici". Da ciò si può constatare come il concetto di "mezzi" copra un'area molto vasta su diversi livelli, con funzioni che si sovrappongono tra loro, e dunque come non sia un concetto facilmente definibile. Solo se ampliamo
la nostra visuale e la nostra accezione del termine, e se affermiamo il principio che non vi è niente che non possa essere considerato come un mezzo possiamo evitare di dover affrontare troppe difficoltà contemporaneamente e trovarci smarriti nell'impiegare i mezzi. Durante la crisi del 1978, quando l'Iran occupò l'ambasciata americana e prese degli ostaggi, all'inizio gli Stati Uniti non seppero pensare ad altro che a un uso precipitoso dei mezzi militari. Solo dopo che questi fallirono si decisero a cambiare tattica, dapprima congelando i beni dell'Iran all'estero, poi imponendo un embargo sulle armi e infine sostenendo l'Iraq nella guerra contro l'Iran. In seguito vi aggiunsero anche negoziati diplomatici. Quando tutti questi canali furono impiegati insieme, la crisi giunse finalmente al termine. Ciò indica chiaramente che in un mondo la cui complessità è senza precedenti, la forma e la portata dell'uso dei mezzi sono anch'esse in una fase di continuo cambiamento, e un mezzo migliore impiegato da solo non garantirà maggiori vantaggi di vari mezzi usati in combinazione tra loro. Perciò, la combinazione dei mezzi sta divenendo sempre più necessaria. Ed è un peccato che non molti paesi ne siano consapevoli; mentre, sono quelle organizzazioni non- statali che perseguono interessi disparati che non risparmiano sforzi nella ricerca della giusta combinazione di mezzi. Ad esempio, la mafia russa per arricchirsi mette insieme omicidi, rapimenti a scopo di riscatti e attacchi di pirateria informatica contro i sistemi di sicurezza elettronica delle banche. Alcune organizzazioni terroristiche perseguono obiettivi politici combinando mezzi come lanci di bombe, cattura di ostaggi e incursioni in rete. Per intorbidire le acque e far venire i pesci a galla, i "compari" di Soros creano combinazioni di speculazioni sui mercati valutari, azionari e dei futures. Inoltre sfruttano anche l'opinione pubblica per riuscire a mettere insieme pezzi grossi come Merril Lynch, Fidelity e Morgan Stanley e i loro soci e a persuaderli a unire le forze sul mercato su vastissima scala per lanciarsi in una serie di spaventose guerre finanziarie. Gran parte di questi mezzi non sono di natura militare, pur avendo spesso una tendenza a dimostrarsi violenti, ma i metodi con i quali si combinano e con cui vengono usati di certo non mancano di fornire spunti su come usare efficacemente mezzi militari e non in un conflitto. Ciò in quanto, oggigiorno, valutare l'efficacia
di un particolare mezzo non è tanto questione di verificare a quale categoria appartenga o se si conformi o meno ad alcuni criteri morali, quanto piuttosto di accertare se si conformi o meno a un determinato principio. Ovvero: rappresenta il modo migliore per conseguire l'obiettivo desiderato? Fin tanto che soddisfa questo principio, allora è il mezzo migliore. Sebbene altri fattori non possano essere del tutto ignorati, essi devono comunque ottemperare al prerequisito di costituire un vantaggio per la realizzazione dell'obiettivo. Il che significa che ciò che le combinazioni sovra- mezzi devono sorpassare non sono gli altri mezzi, bensì i criteri morali o i normali principi relativi all'uso dei mezzi stessi. E tutto questo è ben più difficile e complesso della combinazione di determinati mezzi tra loro. Si possono abbandonare i tabù ed entrare nel regno della libera scelta dei mezzi - il regno del superamento dei limiti - solo se si completa il quadro del concetto di "superamento dei limiti”. Questo perché non possiamo conseguire gli obiettivi semplicemente attraverso mezzi predisposti. Abbiamo ancora bisogno di trovare il modo ottimale di conseguire i nostri fini, e un modo corretto ed efficace di utilizzare i mezzi. In altre parole, di scoprire come combinare mezzi diversi e crearne di nuovi per realizzare gli obiettivi. Ad esempio, in quest'epoca di integrazione economica se una società economicamente potente volesse attaccare l'economia di un'altra nazione colpendo contemporaneamente le sue difese, non potrebbe fare completo affidamento sull'impiego di mezzi prestabiliti come i blocchi economici e le sanzioni commerciali, o ancora le minacce militari e gli embarghi sulle armi. Dovrebbe invece correggere la propria strategia finanziaria, usare la rivalutazione o svalutazione delle divise come mezzo principale e combinare altri mezzi quali il garantirsi il controllo dell'opinione pubblica e cambiare le regole in misura sufficiente a provocare turbolenze finanziarie e crisi economiche nella zona interessata, indebolendone così il potere complessivo, incluso quello militare. Nella crisi finanziaria del SudEst asiatico assistiamo a un caso in cui la crisi ha portato a un calo nella febbrile corsa agli armamenti di quella regione. Dunque ciò attesta che questo fenomeno si - verificherebbe ancora, sebbene in quel caso non sia stato causato da una grande potenza che ha
modificato intenzionalmente il valore della propria valuta. Anche una potenza non ancora mondiale come la Cina ha già il potere di turbare l'economia del pianeta semplicemente cambiando le proprie politiche economiche. Se la Cina fosse una nazione egoista e non avesse tenuto fede alla parola data nel 1998 lasciando che il renminbi perdesse valore, ciò avrebbe sicuramente contribuito alle cattive sorti delle economie asiatiche. Avrebbe anche provocato un cataclisma nei mercati finanziari mondiali, con il risultato che anche la nazione debitrice numero uno, gli Stati Uniti, che contano sull'afflusso di capitali stranieri per sostenere la loro prosperità economica, avrebbero certamente subito pesanti perdite. E un simile esito sarebbe stato sicuramente migliore di un attacco militare. La realtà degli scambi d'informazione e degli intrecci di interessi sta ampliando continuamente il significato della guerra. Inoltre, ogni paese che abbia un ruolo decisivo detiene svariate capacità di minacciare altri paesi, e non solo attraverso mezzi militari. L'uso dei mezzi presi singolarmente produrrà un numero sempre minore di effetti. I vantaggi dell'uso combinato di vari tipi di mezzi diverrà sempre più evidente. Ciò ha spianato la strada alle combinazioni sovramezzi e all'impiego di questi tipi di combinazioni in azioni di guerra e di quasi- guerra. Combinazioni stratificate (combinare tutti i livelli del conflitto) Quando una guerra diviene una fase della storia, il corso della guerra emerge a poco a poco, come l'acciaio fuso che si raffredda gradualmente. Dai primi limitati scontri locali a campagne che consistono in battaglie collegate su ogni lato, sino a guerre che comprendono diverse campagne e sino alla possibilità che un conflitto possa diffondersi sino a diventare intercontinentale o mondiale; così una guerra procede grado per grado lungo una scala invisibile, e può anche percorrerla all'indietro. Ad ogni livello sono disseminati i gemiti dei feriti e i corpi dei morti, le bocche dei fucili dei vincitori levati in alto e le carabine dei vinti abbandonate, come tanti piani e stratagemmi, saggi oppure stolti. Se si comincia dall'ultima pagina della storia della guerra e la si sfoglia all'indietro capitolo per capitolo, si scoprirà che l'intero processo è un'accumulazione, e che tutti gli esiti finali sono il risultato di questo meccanismo. La vittoria è un processo di accumulazione, e così pure la sconfitta. Quanto alle due parti in lotta,
esse hanno seguito un'unica strada per giungere all'esito finale. La sola differenza sta in chi è salito per quelle scale per arrivare più in alto e chi invece vi è caduto. I trasalimenti e i cambiamenti repentini avvengono tutti quando il piede tocca l'ultimo scalino. E questa è praticamente una regola. Ma si dice che le regole vanno rispettate: sfuggirvi o infrangerle richiede prudenza. Il problema allo studio è precisamente come evadere o infrangere tali regole. Non tutte le guerre devono progredire gradualmente secondo una sequenza progressiva fino a che non abbiano raggiunto un momento fatale e culminante. Crediamo che quel momento possa essere creato. Ciò che occorre scoprire è il modo di poter creare continuamente quel momento per poi trasformarlo in una strategia, anziché dover attendere l'accumularsi delle varie fasi. Naturalmente, sappiamo che una sola battaglia non fa una guerra più di quanto un soldato non faccia un esercito. Ma non è questo il punto di cui discutere, quanto piuttosto come usare un determinato metodo per suddividere e superare tutte le varie fasi della guerra per poi collegarle e riassemblarle assieme. Ad esempio, si prenda uno scontro o un'azione sul piano tattico e la si combini direttamente con un'azione a livello operativo o strategico. Si potrebbe trasformare la guerra in una specie di drago dotato di torso, testa e arti interscambiabili da disporre a piacimento e far muovere liberamente in ogni direzione. Questo è ciò che intendiamo per metodo "delle combinazioni stratificate o sovra- livelli". Un livello è anche una forma di restrizione simile ai confini nazionali, territoriali e a quelli che delimitano i mezzi. Tutti sono limiti che devono essere valicati nella prassi della guerra sovra- combinata. Herman Khan divise la soglia della guerra nucleare in un certo numero di fasi. Fasi di questo tipo sono presenti anche in altre forme di guerra, ma se ci si attiene al pensiero di Khan si noterà che la sua individuazione di quarantaquattro livelli è troppo minuziosa e non facile da usare. Inoltre, avendo concentrato la sua classificazione soprattutto sull'intensità, Khan mancò di intuizione e di acume nell'esaminare la natura essenziale dei livelli della guerra. A nostro parere, se le separazioni tra i vari livelli della guerra sono operate sulla base dei due aspetti della scala bellica e dei corrispondenti metodi di guerra, allora tali livelli sono eccessivamente
semplificati e la distinzione in quattro livelli appare sufficiente. Su questo punto la nostra visione e quella di alcuni analisti militari americani sono fondamentalmente uguali, e differiscono solo nella formulazione. La nostra definizione specifica è quella descritta di seguito: Grande guerra - politica bellica strategia di guerra campagne - arte operativa battaglie - tattiche Il primo livello è quello della "grande guerra - politica bellica". In termini di scala, si tratta di azioni di guerra militari e non- militari con il sovranazionale come limite superiore e la nazione come limite inferiore. La funzione corrispondente è "politica di guerra", cioè quanto Collins chiama "grande strategia". Noi la denominiamo "politica di guerra" perché la strategia a questo livello implica principalmente gli stratagemmi politici per la guerra. Il secondo livello consiste nella "strategia di guerra". Le azioni militari di livello nazionale a questo livello includono anche azioni di guerra nonmilitari. La funzione ad essa corrispondente è "strategia", cioè l'insieme degli stratagemmi militari o bellici di una nazione. Il terzo livello è dato da "campagne - arte operativa". Rispetto alla scala, ciò si riferisce ad azioni di combattimento inferiori a una guerra ma superiori alle battaglie. La funzione corrispondente a questo livello è priva di nome, e spesso il concetto di "fare campagne" viene usato indiscriminatamente. Ovviamente ciò occulta tutte le implicazioni della portata e dei metodi delle operazioni di combattimento, perciò abbiamo preferito il termine "arte operativa" (zhanyì o arte bellica o arte della guerra). Selezionare una collocazione per questo livello inferiore alla strategia e superiore alla tattica richiederebbe un approfondimento del significato di arte della guerra. Il quarto livello è "battaglia - tattiche": si tratta di azioni di combattimento al livello più basso della scala. La funzione corrispondente è "tattica". Si nota immediatamente come a ognuno di questi livelli corrisponda una funzione di combattimento. Forse i militari tradizionali sono stati addestrati per tutta la vita a utilizzare al meglio queste funzioni e a combattere bene a qualsiasi livello. Ma per i soldati che si affacciano al nuovo millennio non è certo sufficiente limitarsi a praticare queste funzioni sui quattro livelli
prestabiliti. Devono studiare come eliminare quei livelli per vincere combinando tutti i fattori dalle azioni sovranazionali alle battaglie specifiche. Questa non è certo una missione impossibile: semplificando, come tentativo di accorpare politica di guerra, strategia, arte operativa e tattiche con i metodi, il principio della combinazione sovra- livelli non è altro che una questione di ruoli intercambiabili e facilmente trasponibili. Gli esempi si servono di un metodo strategico che è una sorta di azione nonmilitare per accompagnare la realizzazione di una missione tattica, o di un metodo tattico per realizzare un obiettivo sul livello della politica di guerra. Ciò perché la tendenza della guerra indica sempre più chiaramente che non è assolutamente vero che i problemi esistenti su di un livello possano essere risolti esclusivamente dai mezzi di quel livello o di un solo livello. Un metodo che impiega solo una minima parte delle risorse disponibili o che usa un cannone per eliminare un topolino, se funziona a dovere è un metodo praticabile. Bin Laden ha utilizzato un metodo di livello tattico limitato a due camion pieni di esplosivo ed è riuscito a minacciare gli interessi nazionali statunitensi a livello strategico, mentre gli americani possono solo raggiungere l'obiettivo strategico di proteggere la loro sicurezza interna rispondendo con rappresaglie sul piano tattico. Un altro esempio risale a guerre del passato, in cui l'unità minima di combattimento era la combinazione di uomo e macchina, e la sua utilità non andava oltre il livello della battaglia. Nelle guerre illimitate, per contro, la combinazione uomo- macchina assolve a funzioni di offesa multiple che toccano diversi livelli della scala della guerra, dalle battaglie alla politica di guerra. Un hacker e un modem possono causare al nemico danni e perdite quasi paragonabili a quelli di una guerra. Grazie alla potenzialità e alla segretezza del combattimento che supera i vari livelli, questo metodo di combattimento individuale raggiunge molto facilmente risultati sul piano della strategia e persino della politica bellica. E questa è l'essenza e il significato ultimo della combinazione sovralivelli. Nella guerra e nella guerra non- militare che siano principalmente nazionali e sovranazionali, non c'è territorio che non possa essere oltrepassato in guerra; non vi è mezzo che non possa essere impiegato né
metodi e territori che non possano essere combinati. L'applicabilità delle azioni di guerra alla tendenza della globalizzazione appare evidente nella parola "oltre". Questa parola è sufficiente per significare l'uso di "uno" riferito a diecimila", ma ciò che si intende per diecimila metodi combinati in uno è espresso precisamente dalla parola "oltre". E ancora una volta va sottolineato come la guerra combinata che supera i limiti sia innanzitutto un modo di pensare, e solo in seconda istanza sia anche un metodo.
IV. PRINCIPI ESSENZIALI I principi sono un codice dì condotta, ma non un codice assoluto George Kennan Nella storia della guerra, la prima persona cui va attribuito il merito di aver usato dei principi per sistematizzare i metodi di combattimento dovrebbe essere Sun Tzu. I principi da lui sostenuti, come ad esempio "conosci il nemico e conosci te stesso; in questo modo, in centinaia di battaglie, non sarai mai sconfitto", "colpisci quando il nemico è impreparato, coglilo di sorpresa" ed "evita il forte e colpisci il debole", sono ancora professioni di fede per gli strateghi moderni. In Occidente, 2.400 anni dopo, Napoleone avrebbe rivelato il suo reale desiderio di incidere il suo nome sul portone dell'Accademia Militare di Saint Cyr, scrivendo, un giorno, "un libro che descriva esattamente i principi della guerra e distribuirlo a tutti i soldati". Sfortunatamente, mentre combatteva e vinceva guerre non ha avuto tempo di scrivere e, una volta sconfitto, non ne ha più avuto voglia. Per un maresciallo che ha conseguito quasi cento vittorie nella sua vita, questo non dovrebbe essere né un grande né un piccolo rimpianto. Ma, essendo nato grand'uomo, gli è bastato lasciarsi dietro un brillante record di vittorie a beneficio dei posteri che volessero vagare alla ricerca della strada che l'aveva condotto al successo. Un centinaio di anni dopo, dalle guerre ingaggiate dal suo vecchio nemico che aveva scatenato il terrore nei britannici sia in vita sia dopo la sua morte, un generale britannico di nome J. F.C. Fuller ha enunciato cinque principi per condurre le guerre moderne, principi da cui sono discesi tutti i principi occidentali della guerra moderna. Sebbene, successivamente, i regolamenti militari di diversi paesi e vari teorici militari abbiano proposto questo o quello come principio della guerra, in realtà i diversi principi differiscono solo leggermente da quelli formulati da Fuller. E questo perché, dall'inizio delle guerre napoleoniche all'epoca antecedente alla Guerra del Golfo, a parte il continuo aumento della capacità letale e distruttiva delle armi, non vi è stato motivo per un cambiamento radicale della natura della guerra.
Ora, per tutto ciò che è successo durante e dopo la Guerra del Golfo, la situazione è cambiata. L'introduzione delle armi telecomandate di precisione, delle armi non letali e delle armi non militari ha fatto deragliare la guerra dalla sua corsa folle lungo i binari dell'aumento della potenza letale e distruttiva. Quegli avvenimenti hanno messo in moto il primo cambiamento del corso della guerra dagli albori della storia e ciò ha tracciato una nuova via per la guerra nel prossimo secolo, dando vita a principi con i quali i militari professionisti non hanno alcuna familiarità. Nessun principio può giacere su una fragile piattaforma in attesa del crollo. Ciò vale a maggior ragione per i principi della guerra. Indipendentemente da quale pensatore militare li abbia formulati, o da quale regolamento di quartier generale militare derivino, i principi sono tutti indubbiamente il prodotto di una ripetuta tempra nella fornace e sull'incudine della guerra. Se non ci fossero state le guerre del periodo Primavere e Autunni, non sarebbero esistiti i principi di Sun Tzu. Se non ci fossero state le guerre napoleoniche, non sarebbero esistiti i principi di Fuller. Allo stesso modo, se in tutto il mondo non ci fossero state grandi o piccole guerre militari, quasi militari e persino non militari, prima e dopo la Guerra del Golfo, non sarebbero esistite proposte di nuovi concetti come quelli formulati dagli americani ("operazioni dimensionali totali") o quelli da noi elaborati ("guerra combinata oltre i limiti"). E, ovviamente, i principi della guerra che emergono da questi concetti sarebbero fuori discussione. Per quanto ci rammarichi realmente il fatto che la teoria delle "operazioni dimensionali totali" sia morta sul nascere, siamo persuasi che la "guerra combinata oltre i limiti" non sarà confinata al livello della speculazione teorica. Anzi, vogliamo vederla incorporata nei metodi di combattimento con applicazione pratica. Anche se l'intento dell'ideologia "oltre i limiti" che noi sosteniamo è quello di scavalcare tutte le restrizioni, nondimeno sussiste un vincolo che va rigorosamente rispettato, ossia obbedire ai principi fondamentali quando si conducono azioni di combattimento. Un principio va infranto solo in situazioni eccezionali. Quando un pensiero profondo sulle regole della guerra si coagula per diventare un certo metodo di combattimento, con esso nasce un principio. È ancora molto difficile dire se questi metodi e principi di combattimento, ancora non collaudati in
una nuova serie di guerre, possano o meno diventare segnali in grado di indicare il cammino per la prossima vittoria. Ma proporre principi fondamentali è indubbiamente un processo teorico indispensabile per perfezionare un metodo operativo. Diamo dunque un'occhiata ai principi enunciati di seguito, in una breve panoramica, per vedere quale apporto possono offrire alla "guerra combinata oltre i limiti". Onnidirezionalità Sincronia Obiettivi limitati Mezzi illimitati Asimmetria Consumo minimo Coordinamento multidimensionale Controllo e correzione dell'intero processo Onnidirezionalità - osservazione e pianificazione a 360 gradi, uso combinato di tutti i fattori correlati L' “onnidirezionalità” è il punto di partenza dell'ideologia della "guerra illimitata" e ne rappresenta il presupposto. In quanto principio generale della guerra, ciò che chiede essenzialmente a chi conduce una guerra è di tenere nella debita considerazione tutti i fattori legati alla guerra "specifica" e, nell'osservare il campo di battaglia o un potenziale campo di battaglia, di elaborare piani, impiegare mezzi e combinare l'uso di tutte le risorse belliche che è possibile mobilitare per avere una visione senza punti oscuri, un concetto libero da ostacoli e un orientamento senza angoli ciechi. Nell'ottica della guerra oltre i limiti, non vi è più distinzione tra ciò che è o non è campo di battaglia. Gli spazi naturali, tra cui terra, mari, aria e spazio esterno, sono campi di battaglia, ma lo sono anche gli spazi sociali come il militare, la politica, l'economia, la cultura e la psiche. E lo spazio tecnologico che collega questi due grandi spazi è a maggior ragione un campo di battaglia sul quale tutti gli antagonisti non si risparmiano nel confronto. Una guerra può essere militare, quasi militare o non militare. Può utilizzare la violenza o non servirsene. Può essere un confronto tra soldati professionisti o un confronto tra nuove forze costituite principalmente da persone comuni o esperti. Queste caratteristiche della guerra oltre i limiti sono lo spartiacque tra essa e la guerra tradizionale, come anche la linea di partenza di nuovi tipi di guerra. In quanto principio molto forte applicabile ad una guerra reale, l'onnidirezionalità vale per ogni livello della guerra combinata oltre i limiti. A livello di politica bellica, essa si applica all'uso combinato dell'intera
potenza di combattimento di un paese, sino alla potenza di combattimento sovranazionale in un confronto intercontinentale o mondiale. Sul piano strategico, si applica all'uso combinato nella guerra delle risorse nazionali legate ad obiettivi militari. In termini operativi, si applica all'uso combinato, su un determinato campo di battaglia, di vari tipi di mezzi, e soprattutto di un esercito o di una forza assimilabile, per conseguire gli obiettivi della campagna. E, nella tattica, si applica all'uso combinato di vari tipi di armi, dotazioni e metodi di combattimento, e soprattutto di un'unità o di una forza assimilabile, per svolgere una data missione di una battaglia. Occorre tener presente che tutte le suddette combinazioni devono anche includere combinazioni intersecanti tra i rispettivi livelli. Infine, va detto con chiarezza che la portata delle operazioni di combattimento in ogni guerra specifica non sempre coprirà tutti gli spazi e gli ambiti. Il primo principio della guerra combinata oltre i limiti è infatti quello di ponderare l'onnidirezionalità e di cogliere la situazione del combattimento. Sincronia - conduzione di azioni in spazi diversi nello stesso arco temporale I mezzi tecnici impiegati nella guerra moderna, e in particolare la diffusione della tecnologia informatica, la comparsa di una tecnologia bellica a lungo raggio, la maggior capacità di trasformare il campo di battaglia, il collegamento tra vari campi di battaglia, dispersi o di diversa natura e destinati ad un continuo allargamento, nonché l'introduzione paritaria di varie forze militari e non militari nella guerra, sono tutti elementi che ne abbreviano notevolmente la durata. Pertanto, molti obiettivi che, in passato, dovevano essere raggiunti per fasi con una serie di campagne e battaglie, oggi possono essere raggiunti rapidamente in condizioni di simultaneità (simultaneità dell'evento, dell'azione e del completamento). Di conseguenza, l'accento posto sulla "sincronia" nelle operazioni di combattimento ora supera l'accento posto sulla "suddivisione in fasi". Dando per scontata la necessità di un'accurata pianificazione, la guerra oltre i limiti fa sì che i fattori principali della guerra dispersi in spazi diversi e diversi ambiti vengano a trovarsi nello stesso spazio temporale designato. Questi fattori ruotano attorno agli obiettivi della guerra, portando ad uno
sforzo di squadra e ad un attacco combinato ben organizzati per ottenere sorpresa, segretezza ed efficacia. Un'unica azione sincronizzata in profondità può durare quanto un'unica breve operazione di combattimento oltre i limiti, ma può essere sufficiente per decidere dell'esito di un'intera guerra. Ciò che qui intendiamo per "sincronia" non è "simultaneità" quasi al secondo, bensì "entro lo stesso arco temporale". In tal senso, la guerra oltre i limiti merita il nome di "guerra entro un arco di tempo prestabilito". Partendo da tale principio, le forze armate le cui capacità militari più si avvicinano a questo livello sono quelle americane. Grazie alle sue attuali dotazioni e alla sua tecnologia, un sistema informatico militare delle forze armate americane può, in un minuto, fornire dati su 4.000 bersagli a 1.200 aerei. Inoltre, viene fatto grande uso dei sistemi d'arma di attacco a lunga gittata. E questo ha indotto a proporre un'ideologia delle operazioni basata sull' "attacco simultaneo in profondità". In termini di spazio, le forze armate statunitensi stanno iniziando ad abbandonare il modello di azione con pressione graduale dalla periferia verso il centro e, in termini di tempo, stanno abbandonando il modello di combattimento obsoleto che prevedeva azioni sequenziali. Tuttavia, a giudicare da alcuni documenti resi pubblici dalle forze armate, sinora la linea di pensiero degli americani al riguardo è ancora confinata alla portata dell'azione militare e non è stata in grado di espandersi ai campi di battaglia oltre la sfera militare. Obiettivi limitati - definizione di un orientamento che guidi l'azione entro un raggio accettabile per i mezzi disponibili La limitazione degli obiettivi si intende in relazione ai mezzi impiegati. Pertanto, il principio di fissare obiettivi limitati significa che gli obiettivi devono essere sempre più ridotti dei mezzi. Nel momento in cui si fissano obiettivi, occorre sempre tener presente la possibilità di conseguirli. Non si devono perseguire obiettivi illimitati nel tempo e nello spazio. Solo se limitati gli obiettivi possono essere espliciti e pratici, e solo se limitati vi può essere funzionalità. Inoltre, una volta conseguito un obiettivo, si avrà l'elasticità per perseguire il successivo. Quando si fissano obiettivi, è necessario superare il desiderio di grandi successi. Bisogna invece perseguire consapevolmente obiettivi limitati e non considerare obiettivi che travalichino le proprie capacità, anche se si
tratta di obiettivi corretti. E questo perché ogni obiettivo conseguibile è limitato. Indipendentemente da quale sia il motivo, stabilire obiettivi che superano i limiti consentiti dai mezzi disponibili porterà soltanto a conseguenze disastrose. L'esemplificazione più tipica di un'espansione degli obiettivi è l'errore commesso da MacArthur nella Guerra di Corea. Dopo quell'errore, ve ne sono di simili commessi dagli americani in Vietnam e dai sovietici in Afghanistan, tutti errori che dimostrano come, indipendentemente dal tipo di azione e da chi la conduca, quando gli obiettivi superano i mezzi, la sconfitta è certa. Non tutti gli attuali statisti e strateghi sono chiari su questo punto. Il rapporto del Dipartimento della difesa americano del 1996 contiene questa premessa nelle parole del Presidente Clinton: "In quanto paese più potente del mondo, abbiamo un obbligo di leadership, e quando i nostri interessi, il nostro senso dei valori, saranno gravemente in pericolo, noi agiremo". Nel momento in cui Clinton pronunciava queste parole, ovviamente neanche lui sapeva che gli interessi nazionali e il senso dei valori sono obiettivi strategici appartenenti a due scale completamente diverse. Se possiamo affermare che i primi sono un obiettivo che la potenza americana è in grado di proteggere con l'azione, il secondo non è né un obiettivo alla portata della sua potenza né un obiettivo che gli Stati Uniti dovrebbero perseguire al di fuori del proprio territorio. L'ideologia del "numero uno del mondo", un'ideologia che corrisponde alì"isolazionismo," fa sempre tendere gli americani a perseguire obiettivi illimitati man mano che la loro potenza nazionale si rafforza. Ma questa è una tendenza che alla fine condurrà alla tragedia. Un'azienda con risorse limitate, ma sempre incline ad assumersi responsabilità illimitate, ha un unico e solo destino: il fallimento. Misure illimitate - tendenza ad un impiego illimitato di mezzi e criteri, ma ristretto al conseguimento di obiettivi limitati Qui si parla di misure illimitate in riferimento ad obiettivi limitati Q. La tendenza all'illimitatezza è una tendenza verso il continuo ampliamento del ventaglio di scelta e dei metodi di impiego dei mezzi e criteri. Non si tratta dell'uso smodato di mezzi, e tanto meno del loro impiego assolutistico o dell'uso di mezzi
assoluti. I mezzi illimitati per conseguire obiettivi limitati sono il confine ultimo. I mezzi e i criteri sono inscindibili dagli obiettivi. Parlando di mezzo illimitato e di criteri si intende che, per conseguire un determinato obiettivo, è possibile superare le restrizioni e scegliere tra vari mezzi. Ciò non significa che un mezzo possa essere scisso dagli obiettivi e utilizzato a proprio piacimento. Le armi atomiche, in grado di annientare l'umanità, sono state viste come mezzi assoluti proprio perché violano il principio che un mezzo deve servire per conseguire un obiettivo, ed infine sono state accantonate. I mezzi e i criteri illimitati, per dirla con Confucio, possono soltanto essere utilizzati "come ci aggrada, ma non oltre le regole", e qui per "regole" intendiamo obiettivi. L'ideologia oltre i limiti amplia "a piacimento" il ventaglio di scelta e i metodi di impiego dei mezzi, ma sicuramente non comporta l'espansione "a piacimento" degli obiettivi; significa solo impiegare mezzi oltre le restrizioni, oltre i limiti, per conseguire obiettivi limitati. Per converso, un generale intelligente non limita i suoi mezzi perché i suoi obiettivi sono limitati, cosa che, con tutta probabilità, porterebbe al fallimento nel momento in cui il successo è a portata di mano. Il limitato va dunque perseguito attraverso l'illimitato. L'avanzata di Sherman verso Savanna nella Guerra di Secessione americana non era una ricerca del combattimento, ma serviva a bruciare e a saccheggiare lungo tutto il percorso. Era un mezzo utilizzato per distruggere l'economia nell'area delle retrovie dell'esercito sudista, per far perdere alla popolazione del Sud e al suo esercito la capacità di resistere, conseguendo così l'obiettivo bellico nordista. Questo è un esempio di uso riuscito dì risorse illimitate per conseguire un obiettivo limitato. In contrapposizione a questo esempio, nella quarta guerra in Medio Oriente [la Guerra del Kippur, 1973], per conseguire l'obiettivo stabilito dai generali comandanti le unità di prima schiera, ovvero l'occupazione della Penisola del Sinai, il piano di battaglia del Comando supremo dell'esercito egiziano prevedeva semplicemente di sfondare la linea di Bar Lev e di consolidare il controllo sul Sinai. L'Egitto ha tentato di impiegare risorse limitate per conseguire un obiettivo limitato e i risultati sono ben noti:
l'Egitto si è lasciato sfuggire la vittoria proprio quando ormai l'aveva in pugno. Asimmetria - ricerca di nodi di azione in direzione opposta rispetto ai contorni dell'equilibrio della simmetria Il principio dell' "asimmetria" è un fulcro importante per comprendere le normali regole dell'ideologia oltre i limiti. Il suo suggerimento fondamentale è quello di seguire la linea di pensiero opposta all'equilibrio della simmetria e, seguendo tale linea, di sviluppare un'azione di combattimento. Dalla dislocazione e l'impiego delle forze, dalla scelta dell'asse principale di combattimento e del centro di gravita dell'attacco, sino a giungere alla distribuzione delle armi, in tutti questi aspetti occorre considerare in modo bilaterale l'effetto dei fattori asimmetrici e utilizzare l'asimmetria come mezzo per conseguire l'obiettivo. Poco importa che funga da linea di pensiero o da principio guida delle operazioni di combattimento, l'asimmetria si manifesta, in una qualche misura, in ogni aspetto della guerra. Comprendere e utilizzare il principio dell'asimmetria in modo corretto ci consente sempre di scovare e sfruttare i punti deboli del nemico. I principali elementi combattenti di alcuni paesi poveri, paesi deboli ed entità non statali hanno utilizzato tutti, contro avversari molto più potenti, metodi di combattimento asimmetrici ispirati alla strategia del "topo che gioca col gatto". In casi come la Cecenia contro la Russia, la Somalia contro gli Stati Uniti, i guerriglieri dell'Irlanda del Nord contro la Gran Bretagna e la Jihad islamica contro l'intero Occidente, vediamo senza eccezione il costante, saggio rifiuto del confronto testa a testa con le forze armate del paese forte. La parte più debole combatte piuttosto il suo avversario utilizzando la guerriglia (principalmente urbana), la guerra terroristica, la guerra santa, la guerra prolungata, la guerra in rete ed altre forme di combattimento. Nella maggior parte dei casi, la parte più debole sceglie come asse principale della battaglia quelle zone o quelle linee operative dove il suo avversario non si aspetta di essere colpito ed il centro di gravita dell'assalto è sempre un punto che provocherà un profondo shock psicologico nell'avversario. Questo uso dei mezzi asimmetrici, che crea potenza a nostro favore e fa sviluppare la situazione come vogliamo, è spesso estremamente efficace e,
sovente, fa sembrare un avversario che quale arma di combattimento principale utilizza forze e mezzi convenzionali come un elefante in un negozio di porcellane: non sa cosa fare e non è in grado di sfruttare la propria potenza. A parte l'efficacia di cui da prova quando viene utilizzata, l'asimmetria in sé è una regola dell'azione suggerita dalla regola aurea. Di tutte le regole, questa è l'unica che ci incoraggi ad infrangerle per poterle sfruttare, ed è anche una prescrizione efficace per una cura metodica ed equilibrata di malattie croniche del pensiero. Consumo minimo - uso della minor quantità di risorse di combattimento necessaria per conseguire l'obiettivo Il principio del consumo minimo stabilisce in primo luogo che la razionalità è più importante della parsimonia, in secondo luogo che l'entità del consumo di un combattimento viene decisa dalla sua forma e in terzo luogo che occorre utilizzare "di più" (maggior numero di mezzi) per ottenere "di meno" (minor consumo). La razionalità comporta due aspetti, ovverosia la definizione razionale degli obiettivi e l'uso razionale delle risorse. La definizione razionale degli obiettivi, oltre a specificare gli obiettivi che rientrano nel campo di applicazione dei mezzi che si intendono utilizzare, fa anche riferimento alla necessità di comprimere il carico degli obiettivi e, per quanto possibile, di renderli semplici e concisi. L'uso razionale delle risorse ovviamente significa l'uso del metodo più appropriato per conseguire un obiettivo e non la semplice imposizione di un vincolo di risparmio che persegue un unico scopo. Risparmiare, vale a dire utilizzare la quantità minima di risorse, ha senso solo se si rispettano i prerequisiti per il conseguimento di un obiettivo. Più importante della familiarità assoluta con i principi è il modo in cui i principi vengono applicati. Dipende dalla forma dell'operazione bellica scelta l'uso o meno della quantità minima di risorse di combattimento per conseguire un obiettivo. Della campagna di Verdun, gli storici di guerra dicono che ha avuto un effetto "tritacarne" perché ambedue le parti si sono lanciate in un'insensata guerra di logoramento. Viceversa, la Germania è stata in grado di spazzar via la forza comune anglofrancese dopo aver superato la linea Maginot perché è riuscita ad abbinare, in una guerra blitz, la minima durata, il
percorso ottimale e le armi più potenti. Pertanto, possiamo vedere come la chiave per ottenere realmente il "consumo minimo" sta nell'individuare un metodo di combattimento che utilizzi razionalmente le risorse a disposizione. Oggi, con obiettivi e mezzi che assumono forme molteplici e composite, come mai è successo nella storia, affrontare un obiettivo complesso in un unico ambito e con un solo mezzo non consentirà di colpire nel segno. Uno squilibrio tra mezzi e obiettivi inevitabilmente comporta un consumo elevato ed una scarsa efficacia. La linea di pensiero che permette di superare queste difficoltà è quella che afferma di utilizzare "di più" per ottenere "di meno", vale a dire di combinare le caratteristiche di superiorità di vari tipi di risorse di combattimento in diverse aree in maniera da creare una forma di combattimento completamente nuova che raggiunga l'obiettivo riducendo contemporaneamente al minimo il consumo. Coordinamento multidimensionale - Coordinamento e assegnazione di tutte le forze che possono essere mobilitate in campo militare e non militare per coprire un obiettivo In questo caso, il termine "multidimensionale" è un altro modo per definire ambiti e forze molteplici, e non ha nulla a che vedere con la definizione di dimensionalità in senso matematico o fisico. "Coordinamento multidimensionale" si riferisce al coordinamento e alla cooperazione tra forze diverse in ambiti differenti per conseguire un certo obiettivo. Alla luce di ciò, questa definizione non è affatto una novità. Spiegazioni simili si ritrovano in molti regolamenti di guerra, sia vecchi sia di recente pubblicazione. L'unica differenza, ed è una grande differenza, tra la nostra definizione e quelle spiegazioni sta nel fatto che, nell'ambito della guerra, i fattori non militari e non bellici sono introdotti in maniera diretta anziché indiretta. In altre parole, poiché qualsiasi ambito può diventare campo di battaglia e, in stato di guerra, si può utilizzare qualunque forza, dovremmo essere più propensi ad interpretare il coordinamento multidimensionale come coordinamento della dimensione militare con varie altre dimensioni nel perseguimento di un obiettivo specifico. Non è vero che in tutte le guerre l'azione militare va considerata come forma primaria di azione. Poiché la guerra si trova di fronte alla perequazione delle varie dimensioni, questo concetto diventerà
una formula per affrontare le questioni delle guerre future. Il concetto del coordinamento multidimensionale può essere stabilito solo entro il contesto di un obiettivo specifico. Senza un obiettivo, non possiamo parlare di coordinamento multidimensionale. Ma le dimensioni di un obiettivo determinano l'ampiezza e la profondità del coordinamento di ogni dimensione. Se l'obiettivo prestabilito è quello di vincere una guerra a livello di politica bellica, gli ambiti e le forze che vanno coordinati possono coinvolgere l'intero paese o essere persino sovranazionali. Da ciò possiamo desumere il principio generale secondo cui in una qualsiasi azione militare o non militare, a prescindere dalla profondità degli ambiti e dalla quantità di forze in campo, il coordinamento tra le varie dimensioni è assolutamente indispensabile. Ciò sicuramente non implica che in ogni azione è meglio mobilitare il maggior numero di mezzi. Al contrario, ciò che occorre è il limite. L'impiego di una quantità eccessiva o insufficiente per ogni dimensione farà soltanto sì che l'azione oscilli tra l'eccesso edematoso e il difetto raggrinzente, mettendo in fin dei conti a repentaglio lo stesso conseguimento dell'obiettivo. Quell'esempio di saggezza orientale che dice "superare il limite è negativo quanto non raggiungerlo" ci è utile per comprendere ed applicare questo principio. Tra l'altro, abbiamo urgentemente bisogno di ampliare la nostra visione delle forze che possono essere mobilitate, e segnatamente quelle non militari. Oltre a prestare attenzione, come in passato, alle forze convenzionali, dovremmo anche occuparci da vicino dell'impiego di "risorse strategiche" immateriali come i fattori geografici, il ruolo della storia, le tradizioni culturali, il senso dell'identità etnica, il dominio e lo sfruttamento dell'influenza delle organizzazioni internazionali, eccetera. Ma questo non è ancora abbastanza. Applicando tale principio, dobbiamo anche proporre un'azione oltre i limiti e, per quanto possibile, fare del coordinamento multidimensionale un approccio comune nelle normali operazioni, creando interconnessioni e combinazioni graduate ad ogni livello, dalla politica di guerra alla tattica. Correzione e controllo dell'intero processo - Durante tutto lo svolgimento di una guerra dall'inizio, attraverso la sua evoluzione, sino alla sua
conclusione, acquisizione continua di informazioni, correzione dell'azione e controllo della situazione La guerra è un processo dinamico pieno di casualità e creatività. Qualsiasi tentativo di subordinare una guerra ad una serie di idee entro un piano predefinito è quasi un'assurdità o un'ingenuità. Per non farsi sfuggire di mano l'iniziativa, occorre dunque avere un feedback e procedere a revisioni durante l'intero svolgimento della guerra, ossia mentre essa sta avendo luogo. Questo significa "aggiustamento e controllo dell'intero processo". Introdotto il principio della sincronia, non possiamo intendere l'aggiustamento e il controllo dell'"intera guerra" come un processo prolungato. Infatti, grazie ai mezzi high- tech moderni, esso può svolgersi in un batter d'occhio. D'altro canto, come abbiamo già avuto modo di ricordare, il tempo necessario per combattere una battaglia può bastare a determinare gli esiti di un'intera guerra e ciò può abbreviarla notevolmente, rendendo, per inciso, più difficile la revisione e il controllo. Oggi, con la tecnologia informatica che ha saldato tutto il mondo in una rete, il numero di fattori che intervengono in una guerra è di gran lunga superiore rispetto al passato. La capacità di questi fattori di offuscare le questioni della guerra, e la loro profonda influenza su di essa, significa che perdere controllo su uno degli anelli della catena può diventare come la proverbiale perdita di un chiodo di un ferro di cavallo che fatto perdere un'intera guerra. Pertanto, di fronte alla guerra moderna e alle sue esplosioni di nuova tecnologia, di nuovi mezzi e di nuovi teatri, l'aggiustamento e il controllo dell'intero processo stanno diventando sempre più una questione di perizia. Non è una sorta di tecnologia. Ciò che occorre per cogliere la situazione del campo di battaglia in continuo mutamento è un maggior uso dell'intuito anziché della deduzione matematica. Più importante dei cambiamenti continui della disposizione delle forze e del costante aggiornamento delle armi è l'intera serie di regole di combattimento che risulta dal trasferimento del campo di battaglia in ambiti non militari. L'esito di tutto ciò è che saremo spediti su un campo di battaglia inesplorato ad ingaggiare una guerra che non ci è familiare contro un nemico sconosciuto. Eppure, se vogliamo vincere, dobbiamo procedere all'aggiustamento e al controllo dell'intero processo, per quanto estraneo
esso ci paia. La "guerra combinata oltre i limiti" è questo uso di strani metodi di combattimento, completamente nuovi, per ingaggiare una guerra. Tutti i suddetti principi sono applicabili a qualsiasi guerra combinata oltre i limiti. Sicuramente una parte non ha la certezza della vittoria solo perché rispetta tali principi, ma violarli porta senza dubbio alla sconfitta. I principi sono sempre condizioni essenziali per la vittoria in una guerra, ma non le uniche. In assenza di un principio che garantisca la vittoria, esistono solo principi fondamentali, cosa questa che non dovremmo mai dimenticare.
CONCLUSIONE Informatizzazione e globalizzazione... hanno dato vita a diverse migliaia di aziende globali e decine di migliaia di organizzazioni internazionali e intergovernative. E. Laszlo L'umanità sta progredendo e non crede più che la guerra sia una potenziale corte d'appello Bloch In un'epoca in cui l'antico ideale della "famiglia" è sfruttato da IBM a scopi pubblicitari, la previsione dei futuristi non è più la "globalizzazione". Ed in un'epoca in cui siamo spronati dalla grande tendenza all'integrazione tecnologica proclamata ogni dove, agitati dalle correnti oceaniche alternativamente calde e fredde dello scontro e della fusione delle civiltà, preoccupati da guerre locali che scoppiano qua e là, da crisi finanziarie serpeggianti e dal buco dell'ozono sul Polo Sud, che inducono tutti, futuristi e visionari compresi, a sentirsi strani e fuori luogo, ebbene in quest'epoca stiamo lentamente passando dal crepuscolo del secolo ventesimo all'alba del secolo ventunesimo. L'integrazione globale è pervadente e profonda. Sotto la sua luce spietata, ciò che va inevitabilmente modificato o persino respinto sono le posizioni di autorità e i confini degli interessi che vedono i paesi come le principali entità. Il concetto moderno di "Stati nazione", emerso nel 1648 dalla pace di Westfalia, non è più l'unico concetto rappresentativo a dominare organizzazioni sociali, politiche, economiche e culturali. La creazione di tantissime organizzazioni metanazionali, transnazionali e non nazionali, sommata alle contraddizioni intrinseche tra un paese e l'altro, sta ponendo una sfida senza precedenti all'autorità, agli interessi e alla volontà delle nazioni. Nello stesso modo in cui la nascita della maggior parte degli Stati nazione è stata accompagnata da guerre efferate e sanguinose, durante la loro transizione alla globalizzazione, non vi è modo di evitare scontri tra potenti blocchi di interesse. I mezzi tuttavia sono diversi. Oggi, per sciogliere il "nodo gordiano" non abbiamo soltanto le spade, e per questo non dobbiamo comportarci come i nostri antenati che immancabilmente vedevano come risorsa ultima l'intervento della forza armata. Ora, qualsiasi mezzo politico, economico o diplomatico ha una forza sufficiente per
soppiantare il mezzo militare. L'umanità però non ha alcun motivo di ritenersene soddisfatta, perché non abbiamo fatto altro che sostituire, per quanto possibile, ad una guerra sanguinosa una guerra senza spargimento di sangue. Di conseguenza, pur limitando lo spazio di battaglia in senso stretto, abbiamo nel contempo trasformato tutto il mondo in un campo di battaglia in senso ampio e, su questo campo di battaglia, ancora combattiamo, saccheggiamo e ci uccidiamo come in passato, ma con armi più avanzate e mezzi più sofisticati, per cui la guerra, sebbene per qualche verso meno cruenta, resta sempre altrettanto brutale. In questa realtà, il sogno di pace dell'umanità è tuttora inafferrabile come sempre. Anche parlando in termini ottimistici, nel futuro prevedibile la guerra, cruenta o meno, non sarà cancellata rapidamente. Tutto ciò che dovrebbe accadere sarà in ultima istanza fugace e, pertanto, quello su cui possiamo e dobbiamo concentrarci è il modo per ottenere la vittoria. Dovendo confrontarci con una guerra in senso lato che si svolgerà su un campo di battaglia illimitato, non possiamo più fare affidamento sulle sole armi e forze militari per garantire la sicurezza nazionale in un senso strategico più ampio, né possiamo tutelare interessi nazionali stratificati. Ovviamente, la guerra sta trascendendo l'ambito dei soldati, delle unità militari e delle questioni militari per diventare sempre più appannaggio di politici, studiosi e persino banchieri. E dunque la conduzione di una guerra non è più cosa che riguardi unicamente i militari. Già all'inizio di questo secolo, Clemenceau affermava che "la guerra è una questione troppo seria per essere affidata ai militari". Tuttavia, la storia degli ultimi 100 anni ci insegna che neppure delegare la guerra ai politici è il modo migliore per risolvere questo importante problema. Noi ci rimettiamo alla tecnica confidando nella possibilità di trovare negli sviluppi tecnologici una valvola che ci permetta di controllare la guerra. Ma ciò che scoraggia la gente è che un intero secolo è trascorso e, sebbene la tecnologia abbia compiuto passi da gigante, la guerra resta sempre un cavallo non domato. Ancora ci aspettiamo meraviglie dalla rivoluzione della concezione militare, sperando che le armi high- tech e quelle non letali possano ridurre il numero delle vittime civili ed anche militari in maniera da contenere la
brutalità della guerra. La rivoluzione degli affari militari, insieme ad altre rivoluzioni, ha però modificato l'ultimo decennio del ventesimo secolo. Se il mondo non è più ciò che era inizialmente, la guerra è brutale quanto lo è sempre stata. L'unica differenza sta nel fatto che questa brutalità si è espansa attraverso i diversi modi in cui due eserciti si affrontano. Pensiamo al disastro aereo di Lockerbie, pensiamo ai due attentati di Nairobi e Dar es Salaam e pensiamo alla crisi finanziaria nell'Est asiatico. Non dovrebbe risultarci difficile capire cosa significa questo diverso tipo di brutalità. Questa è dunque la globalizzazione, la guerra nell'era della globalizzazione e, per quanto sia solo un aspetto, è pur sempre un aspetto allarmante di fronte al quale i soldati, a cavallo tra due secoli, dovrebbero forse chiedersi: "Cosa possiamo ancora fare?". Se quelli come Morris, Bin Laden e Soros possono considerarsi soldati delle guerre del futuro, chi non è un soldato? Se persone come Powell, Schwartzkopf, Dayan e Sharon possono definirsi politici in uniforme, chi non è un politico? Questo è l'enigma che la globalizzazione e la guerra nell'era della globalizzazione hanno posto ai militari. Benché i confini tra soldati e non soldati ora siano stati abbattuti, e l'abisso tra guerra e non guerra sia pressoché colmato, la globalizzazione ha creato intrecci e legami tra tutti i problemi più spinosi, e per risolvere questo enigma dobbiamo trovare la chiave, una chiave che dovrebbe aprire tutte le serrature, se queste sono poste sulla porta della guerra. E questa chiave dovrebbe essere adatta a tutti i livelli e a tutte le dimensioni, dalla politica bellica alla strategia, dalle tecniche operative alle tattiche, oltreché adattarsi alle mani di chiunque, dai politici e i generali ai soldati comuni. Per quel che ci riguarda, noi non riusciamo a pensare ad una chiave migliore della "guerra senza limiti".
POSTFAZIONE Questo libro è stato scritto in risposta alle manovre militari che hanno suscitato l'attenzione del mondo. Tre anni fa, Xiangsui ed io, entrambi coinvolti nelle manovre, ci siamo incontrati in una piccola cittadina del Fujian chiamata Zhao An. All'epoca, la situazione sulla costa sudorientale diventava di giorno in giorno più tesa, entrambi i lati dello stretto erano decisi ad una prova di forza e, a complicare le cose, si era aggiunta anche la task force di due portaerei americane. In quel momento, nubi minacciose si addensavano sulle montagne e la situazione militare ci metteva talmente sotto pressione che la gente improvvisamente cominciava ad "escogitare strategie in funzione di una situazione". Decidemmo dunque di scrivere questo libro, un libro volto a riassumere preoccupazioni e pensieri maturati da ciascuno di noi in merito alle questioni militari nei decenni passati e soprattutto nel decennio precedente. Non siamo in grado di riferire dettagliatamente di tutte le telefonate fatte, la corrispondenza scambiata e le notti trascorse insonni nei tre anni successivi: l'unica prova è questo volumetto. Dobbiamo in primo luogo scusarci con i lettori. Anche se siamo stati molto coscienziosi e ci siamo impegnati seriamente nella stesura di questo libro, nelle nostre idee, raffreddatesi sulla carta come stelle cadenti divenute meteoriti, tutti (noi compresi) potrebbero trovare degli errori e dei riferimenti non corretti. Sicuramente tutti (noi compresi) potremmo trovarvi degli errori e dei riferimenti a luoghi non corretti. Non pronunceremo parole di scusa quali "Facciamo appello alla vostra comprensione" per chiedervi di perdonarci. Preferiremmo piuttosto apportare correzioni nella seconda edizione (sempre che ve ne sia una). In occasione della pubblicazione di questo volume, vorremmo ringraziare sinceramente il Capo di Stato maggiore Cheng Butao e il Vicecapo di Stato maggiore Huang Guorong della casa editrice PLA Literature and Arts Publishing House per il loro continuo sostegno, grazie al quale questo libro ha potuto essere pubblicato in maniera estremamente rapida nei tempi ristretti a nostra disposizione. Vorremmo inoltre ringraziare Xiang Xiaomi, Direttrice del reparto editoriale incaricata della revisione delle prime copie,
che ha attentamente e scrupolosamente corretto le bozze dell'intero libro, come ha fatto per gli altri quattro che abbiamo pubblicato, dandoci molti suggerimenti estremamente preziosi. Non conosciamo modo migliore per esprimere i nostri ringraziamenti se non quello di manifestare il senso di profonda gratitudine che ci pervade. Infine, vorremmo anche ringraziare le nostre famiglie per i sacrifici fatti in vista del completamento di questo libro. Anche in questo caso si tratta di un sentimento intraducibile a parole. L'intero libro è stato manoscritto dal 2 marzo all'8 dicembre del 1998 a Gongzhufen - Baizhifang, Pechino. [Postfazione scritta il 1° febbraio 1999]
ALLA RICERCA DI LIMITI La fama di nefasta profezia che il libro aveva raccolto in America alla sua uscita, e che è stata ampiamente discussa nella prefazione elaborata in occasione della prima edizione, in questi tre anni è stata mantenuta e si è persino rafforzata. Essa è addirittura aumentata con la frustrazione derivante dal corso degli eventi bellici, dal terrorismo e sopratutto a causa della perdita di prestigio internazionale subita dagli Stati Uniti. La Cina e i cinesi appaiono sempre più nel mirino degli americani neoconservatori (abbreviato "neocons" che però assume un significato diverso in francese) e dei loro affiliati nel mondo. Perfino la messe di medaglie olimpiche di Atene, preludio a quella ancora maggiore delle prossime olimpiadi di Pechino, è vista come un nuovo pericolo. Sembra quasi che gli atleti cinesi, come gli imprenditori e i commercianti o come i membri delle triadi, siano le avanguardie di una minacciosa avanzata contro l'egemonia occidentale. Una supremazia che vorremmo non fosse mai intaccata a dispetto delle nostre pretese di solidarietà e di democrazia. E mentre l'Europa, più equilibrata in fatto di sicurezza, non ha ancora teorizzato la minaccia cinese in termini militari, l'America continua imperterrita a prospettare tale pericolo. Il libro dei colonnelli è il parafulmine di tutte le fobie in questo senso ed è proprio la specularità tra cinesi e americani, tra idee e controidee di questi due colossi mondiali, tra fatti e strumentalizzazioni a consentire una visione completa e complessa della guerra, con o senza limiti. Il libro è stato ripubblicato negli Stati Uniti con la prefazione di un analista conservatore, Al Santoli, che già nel 2000 aveva lanciato il disperato grido d'allarme: il pericolo giallo avanza! Tutto ciò che i colonnelli cinesi denunciavano possibile da parte di chi fa della guerra una vera e propria politica globale è stato ribaltato sulla Cina stessa. Allo scenario del terrore, promosso da quanti lo utilizzano a fini politici e da quanti con il terrore ci marciano, si tenta di affiancare quello più raccapricciante di miliardi di cinesi infilati dappertutto per acquisire il controllo mondiale. I cinesi accaparrano risorse, comprano a prezzi altissimi tutto il petrolio disponibile, le riserve di carbone, tutto lo scrap di
ferro, miniere e porti. Accaparrano e riciclano, comprano perfino i rifiuti e ci fanno imballaggi: gli imballaggi di tutto ciò che esportano. Questa è guerra. Il nemico avanza con armi in tanto letali in quanto non- armi. Per adesso i segnali d'allarme di alcuni politici e pseudo- economisti presentano la Cina come impero aggressivo. Ma il passo per farla diventare l'Impero del Male è breve. Guerra senza limiti è stato così riproposto agli americani nella sua minacciosa veste di vademecum del terrore asiatico come summa di tutti i guai che possono riversarsi sul mondo. "Leggete questo libro" è l'invito dell'editore statunitense attraverso la catena Amazon. "sarete sorpresi di apprendere che: 1) i due colonnelli cinesi dopo l'11 settembre sono stati salutati come eroi in Cina; 2) la propaganda di stato cinese sta facendo soldi con libri, video, film e videogiochi sul terrorismo glorificando l'attacco del debole contro il potente arrogante; 3) funzionari del partito comunista cinese dicono che il Presidente Jiang Zemin ha \isto e rivisto in modo ossessivo le immagini dell'attacco alle torri gemelle; 4) la traduzione della CIA dice che questo libro identifica gli Usa come principale nemico della Cina e fornisce i dettagli su come una nazione debole può distruggere l'America usando attacchi non ortodossi; 5) la Cina si sta preparando e incoraggia altri ad impegnare gli Usa in una guerra totale; 6) recenti rapporti indicano che la Cina ha assistito e continua ad assistere militarmente ed economicamente i Talebani e Al Qaeda, anche dopo l'11 settembre". E infine c'è l'inevitabile riferimento alla teoria del complotto: "i media e il Congresso stanno tenendo il coperchio chiuso su questo libro per evitare complicazioni commerciali tra Cina e Usa". Sulla scia di questi slogan si "scopre" che Al Qaeda si starebbe finanziando con speculazioni azionarie e obbligazionarie aiutata dai servizi segreti cinesi («Worldnetdaily» - maggio 2004). Lo asseriscono quotidiani australiani e americani sulla base delle rivelazioni del Colonnello superiore Xu Junping, che defezionò nel dicembre del 2000 mentre era in visita con una delegazione cinese a New York. Conferme verrebbero anche da Richard Hanssen, l'impiegato FBI che vendette una copia del software PROMIS al KGB e questo lo vendette a Bin Laden. Tutte fonti molto attendibili soprattutto per la loro lealtà. Il colonnello Xu avrebbe descritto riunioni di
Osama Bin Laden con agenti dei servizi cinesi per concordare la strategia di finanziamento di Al Qaeda in Cina e puntando sui titoli di società leader nei settori tecnologici e della difesa in Australia, Singapore e altre nazioni del Pacifico. "Miliardi guadagnati con il commercio illegale di droga assieme ai servizi cinesi sono riciclati nel mercato azionario attraverso banche in Australia, Giappone, Germania e Irlanda («Melbourne Sunday Herald»)". Così come sono state riprese da alcune fonti inglesi («The Sunday Times» - 25 maggio 2003) storie circa la fornitura di armi biologiche cinesi a Saddam Hussein nel 1995 sotto forma di medicinali. Ci sarebbero poi oltre 3.000 aziende americane che farebbero da copertura ad attività di spionaggio cinese negli Usa. E, infine, ci sono i missili: la Cina si sta armando per conquistare Taiwan e per tenere alla larga dal proprio settore sia gli americani sia i giapponesi («Associated Press» 31 luglio 2003). Non male come presentazione di un libro! Per fortuna, per i cinesi, non tutto quello che dicono i neocons è preso per oro colato. "Un altro di quei manuali della CIA. Che trucco commerciale!"; è il commento di un lettore (D. Hilbert) il 16 aprile 2003. Un altro lettore (Joseph J. Slevin) rimane sconcertato: "il libro è pedantesco, ma la descrizione della prima guerra del golfo e l'indicazione degli errori che avremmo dovuto non ripetere nella seconda è stupefacente!". E ancora un altro commenta: "... questa è una edizione con un'enfasi sul terrorismo e sulla paura maggiore del necessario. ... La vendita di questo libro è soltanto uno schema per fare soldi perché la traduzione della CIA è disponibile su internet...", gratis, ovviamente! Ho visto Qiao Liang e Wang Xiangsui a Pechino lo scorso novembre. Abbiamo cenato assieme: anatra laccata; ma soprattutto abbiamo parlato di Guerra senza limiti. Mi hanno scritto una lunga dedica su una copia della versione italiana e mi hanno donato una copia della versione originale. Erano frastornati dal clamore suscitato dalla loro opera e commossi dall'interesse italiano. "La Sua presentazione è un settimo del nostro libro... praticamente è il libro", dicono con la modestia e il rispetto che si addicono a due colonnelli nei confronti di un generale, ma anche con la sagacia di chi ha pesato, misurato e valutato l'intervento dello straniero su un testo che loro stessi non credevano avrebbe suscitato tante polemiche. Perché di
polemiche ne hanno avute anche all'interno. I colonnelli in Cina non hanno avuto onori da eroi, né diritti d'autore; non hanno avuto il permesso di andare all'estero a presentare la loro opera. Il loro presunto manuale di strategia antiamericana non ha avuto neppure l'onore di una traduzione ufficiale. Probabilmente sono stati "invitati" a fare meno allusioni dirette agli americani. Probabilmente hanno dovuto fare anche autocritica. È già abbastanza che non abbiano perso il posto. Ma uno se n'è andato dall'Aeronautica e l'altro è stato promosso più per anzianità che per meriti letterari. Il quadro minaccioso dipinto dall'editore americano svanisce di fronte alla semplicità di questi colonnelli e alla loro buona fede. E ognuna delle fobie indicate dalla propaganda americana perde di consistenza di fronte all'anatra laccata. I cinesi fanno soldi con i documentari sull" 11 settembre? Forse, ma non c'è bisogno di andare in Cina per vedere lo spettacolo indegno dello sfruttamento pubblicitario, mediatico, politico ed economico del disastro e di ciò che l'ha provocato. Il presidente Jiang Zemin, come milioni di cinesi, ha guardato e riguardato i filmati del' 11 settembre? Con ossessione? Forse. Con soddisfazione? Credo proprio di no. La Cina si beava dell'invincibilità americana perché vedeva in essa la proiezione di se stessa: nel tempo, con la misura del tempo e con l'entusiasmo di un popolo che ha riferimenti da grande. I simboli del potere mondiale distrutti dall'impatto di quattro aerei di linea dirottati in una nazione in cui i cieli e gli aeroporti sono tra i più protetti del mondo deve aver disturbato il sonno e annebbiato le speranze del capo di una nazione che sta in una fase di eccezionale sviluppo del traffico aereo. Una nazione dove milioni di persone ogni giorno si spostano con ogni mezzo e dove i radar non coprono che una minima parte dell'immenso territorio; dove i controlli aeroportuali interni sono ridicoli e dove esistono milioni di islamici in perenne rivolta. Più che il sogno soddisfatto di un uomo che vede il suo nemico in difficoltà Jiang Zemin deve aver vissuto l'incubo di un leader di una nazione che prima o poi dovrà affrontare un problema simile. I cinesi aiutavano i Talebani? Non dovrebbe meravigliare se si pensa che i Talebani avevano chiuso buona parte dei santuari afghani per i ribelli cinesi uyguri. Anche dopo l" 11 settembre? Anche questo non dovrebbe meravigliare. Certi rapporti non si eliminano facilmente come
dimostrerebbero i contatti tra le famiglie Bush e Bin Laden dopo l'11 settembre. Al Qaeda fa affari con i servizi segreti cinesi investendo sul mercato azionario? Se Osama Bin Laden e la sua famiglia continuano ad essere tra i più ricchi d'Arabia non è perché non conoscono le leggi della finanza mondiale. E dubito che abbiano bisogno di qualche colonnello dei servizi segreti cinesi per capire il mercato finanziario mondiale. Se i servizi segreti cinesi avessero esperienze eccezionali in finanza non lascerebbero le proprie borse interne a gestire pochi e pompati titoli. Con le borse locali milioni di risparmiatori e investitori cinesi ci hanno rimesso la camicia e molti dirigenti senza scrupoli il collo. La forza economica espansiva della Cina non è nelle blue chips di qualche borsa cinese, ma nel risparmio e nella capacità di produrre e spendere. Produrre dove la tecnologia avanzata (le fabbriche sono tutte nuove), il contenimento dei costi (materie prime, paghe, ammortizzatori sociali, pensioni) e la produttività (mano d'opera giovane e basso assenteismo) garantiscono assoluta concorrenzialità; spendere laddove il ritorno a lungo termine è assicurato (incluse le fonti di energia e le risorse strategiche, come ricerca, istruzione, inventiva, tecnologia e materie prime). Se i finanziatori di Al Qaeda investissero nelle borse cinesi non avrebbero migliori chances di quelle che hanno già a Taipei, Wall Street o Londra perdendo il vantaggio di confrontarsi con un mercato e con operatori conosciuti, appartenenti allo stesso club e persino amici. L'accusa che Al Qaeda collabori con i servizi segreti cinesi cade poi in un brutto momento per chi la lancia viste le critiche ufficiali ai servizi segreti americani di negligenza e inefficienza. Sugli incroci trasversali dei servizi segreti con ogni sorta di criminalità sono pieni gli archivi segreti e non segreti. Sparta non può ridere se Atene piange e né la CIA né i neocons possono certo gridare allo scandalo. I servizi dei potenti obbediscono a logiche non sempre chiare, ma che non dovrebbero mettere a repentaglio la sicurezza nazionale. La priorità dei servizi cinesi è sempre stata quella di prevenire e reprimere il terrorismo islamico interno e qual siasi separatismo. Non è un fatto ideologico, ma pratico: in Cina vivono milioni di islamici (Uyguri e Hui) riottosi e pronti alla ribellione e alla separazione di un territorio che copre larga parte dell'immenso paese e che comprende importanti risorse petrolifere. Il regime dei Talebani, grazie
anche ai suoi rapporti con i servizi pakistani - buoni alleati dei cinesi aveva contribuito a porre un freno alle velleità uygure. Cinesi islamici militavano (o militano) nelle fila di Al Qaeda a dispetto dei Talebani? Uomini dei servizi cinesi facevano parte della stessa formazione? Verrebbe da pensare ad infiltrazioni e alleanze necessarie al controllo piuttosto che all'improbabile sostegno cinese a dei terroristi di casa propria. Semmai il presunto triangolo Al Qaeda- Talebani- Servizi cinesi metterebbe in evidenza l'ambiguità dei rapporti tra Talebani e Al Qaeda con i primi attenti a non guastarsi i rapporti con Pakistan e Cina e la seconda intenta a mantenere una leadership della militanza islamica contro qualsiasi potente. Le accuse di collusione tra cinesi e Al Qaeda mirano a rafforzare la sensazione di minaccia globale cinese in un quadro in cui Al Qaeda è stata semplificata ed esemplificata come il Terrorismo. Questo quadro tuttavia non trova riscontro nella realtà di ciò che è avvenuto e finora accertato. I terroristi dell' 11 settembre con i cinesi non c'entravano. C'entravano con i sauditi, ma a questi non fa niente nessuno. In Cina, dal 1996 non ci sono attacchi terroristici islamici significativi. Se questo fosse dovuto alla collusione tra Al Qaeda e i servizi cinesi sarebbe soltanto una dimostrazione di efficienza nella logica di protezione del proprio sistema interno. Gli affari americani, gli ammiccamenti e le "negligenze" dei loro servizi non sono riusciti a fare altrettanto. 1 cinesi avrebbero protetto l'interno sostenendo la minaccia verso l'esterno? Tutto è possibile, visto che questa è sempre stata la logica dei potenti. Tuttavia la destabilizzazione della sicurezza internazionale e sopratutto dell'America è l'ultima cosa che potesse far comodo alla Cina. Se ci fosse mai un abbraccio con Al Qaeda in tal senso, sarebbe un abbraccio mortale. I missili. Certo, la Cina si sta riarmando. Da tempo, da molto prima dell'11 settembre persegue un ammodernamento strutturale e operativo senza precedenti. I budget ufficiali della difesa rendono soltanto in minima parte lo sforzo di ristrutturazione. Il riarmo della Cina è ufficialmente in chiave difensiva ma le unità di reazione rapida hanno sia compiti di ordine pubblico sia d'impiego rapido nelle fasi più dinamiche di azioni offensive. Tali azioni sono possibili per qualsiasi contingenza, dall'intervento interno
in Tibet e Xinjiang o Mongolia interna o Ningxia all'intervento, sempre "interno", su Hong Kong e Taiwan. Quest'ultima è la contingenza "interna" che ha maggiori vulnerabilità internazionali. La dottrina cinese non è cambiata in questi ultimi anni e Taiwan è un problema politico e militare con la potenziale capacità di trasformarsi in un conflitto aperto nel caso che la Cina percepisse come imminente l'indipendenza della sua "provincia". Il pericolo che l'isola di Taiwan, con l'aiuto degli Usa e dei loro "vassalli" Giappone e Corea del Sud, possa separarsi definitivamente e ottenere il riconoscimento internazionale conquistando un posto alle Nazioni Unite è visto dai cinesi come un attacco alla sovranità e all'integrità territoriale cinese alla stregua di un attacco armato alla parte continentale. Paradossalmente la guerra al terrorismo e la forma più superficiale e banalizzata della guerra "preventiva" adottata dagli Usa contro l'Iraq, forniscono a Pechino uno spunto ed una giustificazione per una guerra "preventiva" a causa di Taiwan sulla base di percezioni e di veri o presunti attentati alla sicurezza cinese. In tale quadro non deve meravigliare che la Cina abbia dato la priorità degli ammodernamenti alle armi strategiche e alle forze missilistiche. Soltanto alcuni anni or sono la Cina aveva 4 missili balistici intercontinentali e alcune decine di missili di teatro. Oggi ne ha decine di intercontinentali (attivi o attivabili in breve tempo) e centinaia di teatro. Il bilancio militare del 2003 è stato di 20 miliardi di dollari, ma in realtà si stima siano disponibili alla difesa da 45 a 65 miliardi di dollari. Nulla che possa competere con i 450 miliardi di dollari del bilancio americano di quest'anno, ma ha acquisito altri sottomarini russi che potrebbero chiudere gli accessi al proprio bacino meridionale da parte di vascelli statunitensi e giapponesi. Inoltre, nel 2003 ha acquistato dalla Russia armamenti per 2 miliardi di dollari raddoppiando il suo approvvigionamento annuale di armi da quel paese. La Cina ha fame di tecnologie per lo sviluppo futuro, ma è anche abbastanza pragmatica da rendersi conto che nel breve termine può tentare di colmare le deficienze ricorrendo ad armi di media sofisticazione purché idonee a salvaguardare le proprie esigenze regionali. La Cina si è anche opposta con una certa forza al progetto americano di difesa missilistica di teatro che l'avrebbe resa asimmetricamente vulnerabile a tutti i missili americani, taiwanesi,
giapponesi e coreani e avrebbe reso quei paesi invulnerabili ai propri. La guerra al terrore ha fatto passare in secondo piano questo progetto americano, ma la Cina sa che esso non è stato abbandonato e sta proseguendo. E allora si deve preparare a realizzare una propria rete di protezione missilistica e ad incrementare le proprie difese convenzionali. L'acquisizione recente dalla Russia di tecnologie laser ad alta energia potrebbe essere il segno di un pragmatico ricorso ad un potenziamento della propria capacità antimissili sia nel colpirli in avvicinamento sia nel disturbarli nella guida. Tutto questo è senza dubbio preoccupante, ma il fatto è che la Cina, come giustamente credono i neocons, è fermamente convinta che gli Stati Uniti costituiscano una minaccia a lungo termine alla sovranità cinese. Purtroppo le posizioni ideologicamente estremiste che gli stessi neocons esprimono in versione antiterroristica e anticinese non sono segnali distensivi. Lo sforzo riorganizzativo e bellico di Pechino, però, è proprio la dimostrazione che le forze armate cinesi non si stanno preparando ad un conflitto globale secondo i termini della "guerra senza limiti" teorizzati dai nostri colonnelli. Stanno piuttosto proseguendo con tenacia e rinnovato vigore il programma di riforme avviato circa trent'anni or sono. Il ritmo e la qualità dei risultati ottenuti in questi anni non dovrebbero essere tali da spaventare nessuno e l'ammodernamento militare (nonostante si trattasse di una delle quattro modernizzazioni indicate da Deng Xiaopitig) non ha certamente tenuto il passo con i progressi fatti in altri campi. Il complesso militare cinese, nonostante e perfino a dispetto dell'ardita elaborazione teorica dei colonnelli e di alcuni generali cinesi, va ancora nella direzione della separazione tra mezzi civili e militari, tra armi e non- armi, tra politica e sicurezza. Il pensiero strategico ufficiale cinese non prevede la guerra come integrazione di mezzi e teorie che i militari non riescano a controllare. Ed in tutti i campi in cui la guerra potrebbe diventare senza limiti e senza alcuna connotazione militare la Cina o è ancora tremendamente arretrata o va a rimorchio di progetti occidentali o addirittura ne è l'obiettivo. L'America, secondo i cinesi, conosce esattamente questa situazione e se tende a enfatizzare la minaccia militare cinese è perché intende decapitare la sua possibilità di sviluppo: questa la loro valutazione, non priva di logica.
Anche l'ideologizzazione del confronto non contribuisce alla chiarezza. I neocons si fanno un punto d'onore nel tracciare un semplicistico filo diretto tra nazifascismo, comunismo e fondamentalismo islamico e nel presentare tali ideologie come manifestazioni dello stesso asse del Male. La Cina è perciò nel mirino perché, come dicono, è, insieme a Cuba e Nord Corea, l'ultimo regime comunista sopravvissuto alla guerra fredda. Che la Cina sia comunista è un fatto accertato. Ha una costituzione comunista, un apparato comunista, sventola simboli comunisti. Tuttavia questi "comunisti" inseguono un sogno liberista e capitalista: la ricchezza, il profìtto, la supremazia. Il sogno dell'uguaglianza nella povertà è stato sostituito dal sogno di ricchezza da parte di chi può permetterselo, senza limiti. Lo stato, gli organi ufficiali, le corporazioni, le industrie che una volta erano di stato e che ora sono privatizzate - nella concezione come nella ripartizione degli utili - guidano questa corsa alla ricchezza. Le province più fortunate sono in testa, gli imprenditori più avventurosi e i funzionari meno sensibili agli scrupoli trainano anche gli altri. Chi è povero percepisce un miglioramento che è già una ricchezza perché non ha avuto mai niente, ma che non colmerà mai il baratro esistente tra chi ha e chi non ha. Un baratro che diventa ogni giorno più ampio e profondo. Questo nuovo comunismo cinese improntato all'ossimoro socialismo di mercato, molto simile all'altra contraddizione in termini coniata in Occidente democrazia di mercato, è nato quindici anni prima del crollo sovietico. E fino all'11 settembre 2001 non ha fatto paura. Tutti sanno, cinesi in testa, che nessun tipo di ideologia e governo diversi da quelli attuali avrebbero potuto permettere un recupero ed un'espansione del benessere interno come quella ottenuta negli ultimi trent'anni. Oggi questo comunismo così vicino all'ideale capitalistico puro è brandito come una minaccia ed è accomunato al terrorismo. Paradossalmente la stessa minaccia ideologica, totalitaria e comunista, che ai tempi di Mao esportava rivoluzione oggi viene individuata nei risultati che i cinesi stanno ottenendo con il perseguimento del modello capitalistico globale, esportando beni di consumo. Tutti, o quasi, i paesi che si basano sul libero commercio, sulle leggi della competizione, sul profitto e lo sfruttamento delle risorse si preoccupano dei risultati e delle prospettive cinesi nel commercio globale, nella concorrenza, nella libertà
d'iniziativa e nello sfruttamento delle risorse. Gli americani hanno calcolato che negli ultimi dieci anni l'America ha accumulato un disavanzo commerciale con la Cina di 600 miliardi di dollari e alcuni neocons chiamano tale disavanzo "un aiuto dato ai comunisti per crescere e minacciare gli Usa". E così hanno posto l'embargo sull'importazione di prodotti cinesi provenienti da Norinco, il colosso di stato cinese che produce dai missili alle biciclette. "Vendono giocattoli ai supermercati americani e missili a Teheran" è l'accusa probabilmente vera, ma non esente da ipocrisia. Nessuno gridava allo scandalo quando Norinco produceva soltanto armi e le vendeva a tutto il Medioriente, all'Africa e a mezza Asia. O quando triangolava forniture militari provenienti da paesi occidentali. Per cui nasce il sospetto che il problema non siano i missili, ma proprio i giocattoli. E qui s'inserisce la paranoia che senz'altro è stata innescata proprio dalla dottrina della guerra senza limiti e che il terrorismo ha fatto scatenare: i giocattoli sono i veri pericoli, gli elettrodomestici, le bacchette e gli involtini primavera. Queste sono le armi che usano gli ultimi comunisti per destabilizzare l'economia americana. Sono armi subdole proprio perché si avvalgono dei principi della democrazia di mercato e della concorrenza. E allora niente giocattoli cinesi. Non perché i bambini americani non ne abbiano assoluto bisogno, ma perché questa è la nuova guerra: totale, globale, senza limiti. Una guerra che però abbandona presto la paranoia e si espande all'insegna dell'enorme profitto che può dare l'assoluta mancanza di scrupoli. Norinco, ed è solo un esempio, produce 4.000 tipi di prodotti e molti di questi sono anche fabbricati da Thailandia, Malesia, Indonesia, Taiwan, Pakistan, Singapore, India, spesso sotto il controllo della criminalità asiatica. E così la quota di mercato americano resa indisponibile ai cinesi va ad attivare settori criminali e a sollecitare la concorrenza di altri paesi i quali, ovviamente, devono stare alle regole del mercato e abbassare i prezzi. È un gioco al massacro tra economie e sistemi sociali già sull'orlo della sopravvivenza che per reggere i ritmi della concorrenza imposti dagli importatori devono abbassare garanzie e paghe dei lavoratori. Strano "regalo ai comunisti" questi 600 miliardi di dollari: se dato ai cinesi porta ai bambini americani giocattoli innovativi, stimolanti e sicuri, garantendo agli importatori profitti tripli di quelli realizzabili se
fossero prodotti negli Usa. Se tolto ai cinesi porta ai bambini americani gli stessi prodotti, aumenta i profitti per gli importatori e ai bambini asiatici porta paghe dimezzate, lavoro minorile e schiavismo. Ma nel ciclo globale anche questo serve. Se non altro serve a soddisfare il bisogno occidentale di gridare allo scandalo, denunciare la violazione dei diritti umani e adottare a distanza, con dieci dollari all'anno, un bambino che muore di fame. Serve ad imporre altri embargo perpetuando un ciclo vizioso di sfruttamento. Prodotti provenienti dai laogai cinesi (i luoghi della "riabilitazione attraverso il lavoro coatto" dove lavorano i detenuti comuni, quelli politici e i dissidenti) o dalle fabbriche del sudore asiatiche non subiscono alcun embargo. E questo rende l'Occidente ancora meno credibile ai cinesi. Ma la Cina non ha alternativa al gioco. Almeno per ora. La Cina sa che "il regalo" del commercio estero porta valuta, ma sopratutto porta coesione interna e stabilità. Finché la concorrenza sarà rivolta all'esterno le dinamiche centrifughe di cui ha sempre sofferto il sistema cinese saranno sotto controllo. La Cina non ha bisogno dell'esterno soltanto per i soldi ma anche per guadagnare tempo. L'attuale regime non potrà durare in eterno e forse l'attuale politica non sarà quella destinata a guidare la Cina in questo millennio, ma sono gli unici sistemi che oggi possono far guadagnare tempo senza sconvolgimenti. Un tempo prezioso non tanto per conquistare il mondo, ma per conquistare e stabilizzare il proprio interno. Se dunque il fattore tempo è così determinante per la Cina in questo periodo storico da costituire un elemento della sua evoluzione, si deve comprendere come altri fattori più complessi e la loro somma possano influire sulla gestione degli affari del mondo soprattutto se superano ogni limite. A prescindere dalle strumentalizzazioni di cui il libro è stato oggetto, il merito acquisito dai colonnelli cinesi con il paradigma, e forse la metafora, della guerra senza limiti è anche nell'aver ampliato la prospettiva della lotta. Una lotta che in questi ultimi anni sembra aver assunto il monopolio dell'attività umana. Forse è esagerato chiamare tutto quanto guerra, ma in qualunque forma essa si esprima l'imposizione della volontà con la coercizione e la violenza rappresenta la bramosia di potenza per alcuni e la sopravvivenza per altri. Far passare la prima per la seconda, o viceversa, aggiunge complicazioni.
In modo paradossale, e certamente involontario, le critiche e l'accanimento nei riguardi del libro lo mantengono in vita divulgando così il messaggio più importante e più duraturo: la guerra senza limiti è una espressione della complessità, per capirla e gestirla occorrono strumenti culturali e capacità intellettuali articolate. La guerra senza limiti è fatta per chi sa comprendere la complessità, chi ha capacità d'ideazione di soluzioni multiple, multidimensionali, di elaborazione di cocktails, chi rifiuta la semplificazione eccessiva e chi ha capacità di controllo e gestione degli eccessi. L'espressione "senza limiti" evoca la mancanza di barriere, l'espansione verso l'infinitamente grande, in qualsiasi direzione. Dalla prima edizione di questo libro è successo di tutto e quasi tutto ciò che è successo stava nello schema intellettuale della guerra senza limiti, mostruosamente grande ed espansiva. Eppure l'attacco dell'11 settembre ha posto una drammatica enfasi su uno soltanto degli aspetti preconizzati da Qiao Liang e Wang Xiangsui, il terrorismo. Ed ha suscitato reazioni sorprendenti nel loro iperbolismo soltanto per gli aspetti militari. Un evento che è stato interpretato come manifestazione di una guerra globale non ha suscitato alcuna riflessione politica ed economica o sociale dello stesso livello. Ha invece innescato nella maniera più drammatica la corsa alla guerra tradizionale confermando quanto i colonnelli avevano detto sulla limitatezza dell'America nella individuazione delle possibilità d'azione di fronte ad una minaccia inaspettata. "Il loro limite concettuale sta nella tecnologia", hanno detto i colonnelli. "Gli americani pensano la strategia possibile sulla base della tecnologia di cui dispongono". E la "tecnologia" di reazione alla violenza di cui disponevano gli Stati Uniti il 12 Settembre del 2001 era quasi esclusivamente militare. Una tecnologia senza limiti di potenza, perché chiamata a misurarsi contro avversari tecnologicamente incomparabili, ma di dubbia efficacia di fronte al processo complesso e caotico che si veniva formando. Sono state iniziate due guerre frustranti perché inconcludenti nonostante l'enorme potenza dispiegata e ci sono stati altri attacchi terroristici ancora più frustranti perché prevedibili e perfino annunciati. C'è stata la débàcle della più potente e organizzata intelligence mondiale, l'ammissione di inefficienza degli apparati che dovrebbero guidare la sicurezza del mondo e
l'inadeguatezza degli strumenti tradizionali di fronte ad una minaccia che è soltanto una delle tante possibili. Si sono aperte nuove aree di crisi con la prospettiva di aprirne altre all'infinito; si è messa in moto una macchina militare che macina uomini e donne, giovani di vent'anni convinti di liberare il mondo, e che maciulla uomini, donne e bambini che aspettavano di riacquistare con la liberazione anche indipendenza, dignità e rispetto. La macchina economica ha ingoiato migliaia di miliardi di dollari. Da un lato ha incentivato e resuscitato alcuni settori degli armamenti e dall'altro ha sottratto risorse alla solidarietà mondiale o agli sfruttatori della solidarietà mondiale, a seconda dei punti di vista. Si è assistito alla preannunciata civilizzazione della guerra, alla privatizzazione dei conflitti e alla creazione di coalizioni dell'ultimo momento: con accordi verbali e impegni ambigui che hanno messo in crisi le stesse alleanze formali. Ma ancora una volta, si è manifestato soltanto uno degli aspetti e delle forme della guerra senza limiti. Anzi, le altre, infinite, forme di guerra e di superamento dei limiti sono state nascoste dai terrorismo e dalla guerra tradizionale avviata per combatterlo. Uno scontro che da una parte e dall'altra ha superato i limiti precedenti. Una lotta asimmetrica in cui la prima asimmetria è nella negazione della legalità dell'avversario. Da entrambi i lati si parla di criminali e non di nemici, di infedeli, di senzadio, di terroristi e non di combattenti. Una lotta asfittica, anche se potente, sempre a corto di risorse anche se ha superato dei confini di consumi e usure degli apparati bellici e della tenuta morale e psicologica degli interessati mai raggiunti prima. Una lotta che si percepisce abbia altre logiche oltre a quelle della sconfitta dell'avversario e che tuttavia si concentra sull'apparenza e sul superamento di ogni limite nell'apparenza. Il petrolio a quasi 50 dollari il barile, i rigurgiti nazionalisti in Cecenia, nel Caucaso, nei Balcani, la brutalità estrema assunta dal terrorismo, la destabilizzazione centroasiatica, l'insofferenza centro e sudamericana, la sofferenza africana, l'inconcludenza di tutte le operazioni cosiddette umanitarie iniziate negli ultimi dieci anni, la crisi delle alleanze, il ristagno economico, l'ampliamento della forbice tra ricchi e poveri, il superamento di ogni limite del deficit pubblico dei paesi ricchi e dell'indigenza di quelli
poveri, la corsa all'accaparramento delle risorse energetiche, l'intolleranza religiosa, l'estremismo fondamentalista islamico, cristiano ed ebraico, la sempre maggiore vulnerabilità dei sistemi di comunicazione ed informatici, la percezione d'insicurezza globale, la limitazione estrema della libertà di movimento, l'idolatria della Paura sono tutti segni che vengono soffocati da questa guerra. Ognuno di essi dovrebbe coprire l'agenda politica del mondo civile per i prossimi vent'anni alla ricerca di soluzioni e di prevenzione; invece è la guerra del terrore ad assorbire tutte le risorse e tutta l'attenzione lasciando pericolosamente scoperti tutti i settori della guerra senza limiti e dando spazio a chi di limiti, di qualsiasi natura, non se ne è mai posti. È forse un piano deliberato? Una cortina fumogena per coprire altri interessi e altre forme di lotta più remunerative? Molti la pensano così. La campagna elettorale dei democratici americani ha esplicitato, in forma propagandistica ma certamente documentata, il piano di una congregazione al potere di usare il terrore (e la guerra al terrore) per fare soldi e coprire le proprie inefficienze. È forse una semplificazione eccessiva, così come semplificazione eccessiva è la pretesa (vera o presunta) del terrorismo islamico di abbattere il sistema occidentale. Ma le semplificazioni eccessive sono gli strumenti per guadagnare il consenso sia delle masse democratiche, sia di quelle di fanatici. Il mondo, sempre più "massa" anche nella considerazione di chi gestisce il potere, non capisce la complessità, non la vuole e non l'ama. La semplificazione serve quindi a rafforzare il potere di chi non si pone limiti. La forza di Guerra senza limiti, di questo libro, sta nel presentare la complessità e le interazioni di una miriade di fattori, apparenti e nascosti, diretti e indiretti e di renderli comprensibili senza fare propaganda e manipolazione a sua volta. La forza di questo libro non sta tanto nella capacità di previsione del peggio, che qualsiasi cassandra riesce comunque a fare; sta nel fatto che mentre tutto ciò che viviamo e tutte le verità che verifichiamo anche dolorosamente sono state "semplificate" facendole partire dall' 11 settembre, questo libro è antecedente all'evento. La sua analisi non parte dalla guerra al terrorismo, non si lascia annebbiare da questo fatto contingente, ma l'anticipa partendo da dieci anni prima e da una guerra che tutti, compresi i colonnelli cinesi, in una eccessiva semplificazione, credevano finita anche se incompiuta.
Guerra senza limiti ha valore di riflessione più oggi di tre anni or sono proprio perché oggi andiamo perdendo la percezione della complessità e veniamo manovrati e limitati dalle nostre stesse paure rivolte ad uno solo, e forse neppure - oggettivamente e in prospettiva storica - il più importante, dei parametri. Guerra senza limiti parte dalla guerra del golfo del 1991 e oggi, mentre assistiamo alle carneficine quotidiane negli stessi luoghi, forse dobbiamo guardare ancora lì per riacquistare la capacità prospettica che in questi ultimi anni abbiamo perduto. Da qui forse possiamo verificare quanto delle riflessioni dei colonnelli sia da correggere e quanto serva ancora a preservarci dalla eccessiva semplificazione. I colonnelli avevano detto: "la guerra del golfo ha cambiato il mondo e ha cambiato la guerra stessa". Oggi siamo ancora coinvolti in quella guerra e nello stesso teatro. La guerra, dopo la "novità" di essere stata iniziata in forma "preventiva", è diventata quanto di più tradizionale e consueto ci sia mai stato: l'alternanza di una lotta colpo su colpo, azione e reazione, potenza e frustrazione, speranza e disperazione. In una involuzione drammatica, la guerra che aveva fatto entusiasmare i due colonnelli coi Forgia di potenza e di tecnologia, con la mancanza di contatto fisico tra i contendenti, con l'asimmetria dei mezzi è regredita verso i limiti inferiori dell'umanità. La guerra globale mostra la miriade dei lati peggiori: le azioni terroristiche contro civili inermi, contro bambini al loro primo giorno di scuola, i rapimenti, le decapitazioni, le torture, il disprezzo per l'avversario, la volontà di combattere senza uno scopo costruttivo e creativo, la menzogna, l'inefficienza. Che si tratti della stessa guerra di tredici anni or sono, è convinto il generale Wesley Clark, che in un suo recente libro (Vincere le guerre moderne, Bompiani 2004), sostiene che la prima guerra nel golfo non è mai finita e che dal 1991 è continuata sino ad oggi anche nella sua dimensione di lotta armata e di guerra guerreggiata. Egli indica in modo molto convincente le operazioni, aperte e segrete, condotte in questi anni dagli angloamericani e la serie di bombardamenti sull'Iraq che hanno mantenuto la guerra viva nella sua logica se non proprio nella scala. Lo scopo di abbattere il regime iracheno è sempre rimasto intatto e il casus belli o la dottrina della guerra preventiva invocata per scongiurare la
minaccia delle armi di distruzione di massa di Saddam non sono stati che trucchi per proseguire con nuove risorse ciò che era stato iniziato nel 1991 e non finito: la ripresa di un coitus interruptus. Lo stesso terrorismo islamico che tutti credono esploso con l'11 settembre si può far ricondurre a quella guerra. Secondo Osama Bin Laden la lotta contro gli Stati Uniti è per il ritiro degli infedeli dalla terra dei luoghi santi: casa sua, l'Arabia Saudita, governata da "traditori" che permettono la presenza di soldati "crociati" e perciò infedeli. Una presenza instaurata durante la guerra nel golfo e che negli anni è stata mantenuta per realizzare il sogno di quei neocons americani che intendono abbattere uno ad uno tutti i regimi islamici che costituiscono un ostacolo per la politica americana e quella israeliana. Coloro che perseguono il sogno, dichiarato, di favorire la rivoluzione popolare da parte di tutte le masse oppresse dal fondamentalismo islamico e dai regimi corrotti. Il sogno, anch'esso più volte dichiarato, di eliminare tutti gli scomodi intermediari nella gestione delle risorse energetiche mondiali. Un sogno che era un progetto di politica estera ed economica e che la parte più accanita dei think tank conservatori propugnava da anni. Nel 1992 Wolfowitz e altri elaborarono la teoria della guerra preventiva e dell'abbattimento a domino di tutte le "autocrazie islamiche". Ancora il 19 febbraio 1998 Donald Rumsfeld firmava insieme ad un gruppo di repubblicani neo- conservatori una lettera diretta al presidente Clinton (democratico) invitandolo, fra l'altro, a sostenere il Consiglio Nazionale Iracheno di Chalabi e a riconoscerlo come legittimo governo in esilio. La lettera diceva: "... l'Iraq è maturo per una vasta insurrezione popolare, dobbiamo approfittare di questa opportunità". Poco prima della guerra all'Iraq studiosi del Centro di Studi Strategici CSIS di Washington dimostravano, numeri alla mano, che la guerra era necessaria perché l'America è a corto di petrolio. Autorevoli commentatori anticipavano, con la vittoria sull'Iraq e il controllo occidentale dei pozzi iracheni, la riduzione del prezzo del petrolio a dieci dollari il barile. La guerra c'è stata, anzi ce ne sono state due, le rivoluzioni popolari contro i regimi islamici no. Chalabi è stato silurato dai suoi vecchi sostenitori e sono invece aumentate le opposizioni armate e violente nei confronti dell'Occidente. TI prezzo del petrolio, con il controllo occidentale dell'Iraq,
sta raddoppiando rispetto a un anno fa. Queste guerre e sopratutto quella del golfo stanno rivelando tutti i rischi della mancanza di limiti specialmente quando si agisce secondo schemi preconcetti e prospettive miopi. Esse hanno inoltre ridimensionato alcuni aspetti della prima guerra del golfo che avevano eccitato la fantasia di molti, colonnelli inclusi. "Le armi non daranno più il nome alle guerre", dicevano i nostri. Fatalmente il terrore, che è la nuova arma per eccellenza, non solo da il nome a questa guerra ma rischia di diventare la giustificazione e l'alibi per tutte le guerre presenti e future. "Non ci sarà più violenza militare ma altro tipo di violenza", dicevano i colonnelli e oggi alla violenza di tutti i generi si affianca, campeggiando, la violenza militare. Si sono ridimensionati anche altri concetti basilari: "Il nuovo ambiente di sicurezza vedrà un ruolo delle Nazioni Unite più dinamico". Mai come oggi questo organo supernazionale si è trovato inchiodato nella sua impotenza e dalla sua burocrazia. Ora si fanno sforzi per renderlo più aderente alle situazioni da affrontare e più dinamico, ma siamo ancora alle idee. Un altro elemento fondamentale della salutazione dei colonnelli era l'aggregazione di diversi interessi singoli che avevano portato "Desert Storm" a trasformare la guerra moderna iniin aggregato di interessi parziali sotto la bandiera dell'interesse comune. Entrambe le ultime guerre, ma anche quella più generale della guerra al terrorismo, hanno dimostrato che l'aggregazione di interessi singoli non è più sufficiente a garantire la partecipazione acritica degli alleati. L'interesse comune non si è manifestato di fronte ad evidenti forzature e a spinte unilateraliste dimostrando che anche le alleanze con i potenti hanno un punto di rottura. Accanto alla divergenza degli interessi si è verificata la caduta dell'interesse da parte dell'opinione pubblica nonostante i tentativi di mantenerlo alto con i richiami continui alla paura e alle minacce teoricamente possibili. La "guerra in diretta", la libertà dell'informazione indipendente, l'effetto CNN che avevano entusiasmato i colonnelli e tutti i fans della comunicazione, sono tragicamente scomparsi durante queste ultime guerre. Non sappiamo e non vediamo niente altro di ciò che ci viene fatto vedere da media controllati. La "guerra in diretta" è una
rappresentazione della guerra registrata e provata. E uno dei tanti "reality show" ctie ci vengono propinati. Gli stessi giornalisti "corrispondenti di guerra" non si azzardano a smentire le versioni ufficiali e spesso non hanno neppure libertà di movimento. Molti di loro vivono relegati in basi militari cullati dai PX iperforniti, dai Pizza party e dai cheeseburger magnificamente serviti dalle catene di fast food che gestiscono la logistica militare e civile nei teatri di guerra. Il loro impegno professionale si limita alla partecipazione a brienngs di routine forniti dalle autorità civili e militari e alla trasmissione di informazioni spesso né aggiornate né veritiere. I pacchetti delle informazioni ufficiali sono comprensibilmente confezionati per le esigenze della guerra e della sicurezza delle operazioni e non per l'informazione dell'opinione pubblica mondiale soprattutto se è composta da segmenti critici nei riguardi della guerra stessa. Senza una rilettura critica, una verifica oggettiva e un riconfezionamento delle informazioni la stessa opinione pubblica rischia di diventare l'obiettivo della guerra delle informazioni e della guerra psicologica che dovrebbero influenzare gli avversali o conquistare le menti e i cuori degli "occupati" o dei "liberati", a seconda dei punti di vista. L'opinione pubblica mondiale, o almeno la sua parte più intelligente e attiva, si è resa conto di questo e acquisisce informazioni per altri canali non ufficiali. I vasti movimenti di denuncia delle "menzogne" degli apparati governativi sono il prodotto di questa consapevolezza della discrasia fra la realtà e le versioni ufficiali. Sul piano prettamente tecnicomilitare si devono registrare alcuni fatti inaspettati. La Riorganizzazione delle forze armate statunitensi, che proseguiva la Rivoluzione negli affari militari (RMA) e che, secondo i colonnelli, avrebbe dovuto essere il sentiero guida dei nuovi strumenti militari non è sopravvissuta alla sua ideazione. È stata soppiantata e per molti versi rivoltata dalla Transformation di Rumsfeld. E anche questa, appena avviata, è già in crisi. La guerra tecnologica e la guerra strutturale a distanza che sembravano aver reso inutile le manovre delle armate sul terreno si sono rivelate dei miti. Il nostro Douhet è diventato il maestro di strategia non solo degli aeronautici di casa nostra ma anche di quelli americani e cinesi, ma la sua guerra senza limiti nella terza dimensione si è scontrata con i limiti delle
altre. La guerra aerea ha enormi potenzialità e le ha dimostrate abbondantemente anche in queste ultime guerre, ma non consente di acquisire il controllo sul territorio e di mantenere il potere. Distrugge, più o meno chirurgicamente, ma poi se il nemico deve essere rovesciato c'è bisogno di qualcuno che scenda dal cielo e si sporchi le mani. E anche quando ciò avviene il risultato non è garantito a prescindere dalla potenza utilizzata. O forse proprio a causa del tipo e quantità di potenza utilizzata. In Afghanistan, i Talebani sono stati battuti e ora il governo provvisorio cerca disperatamente di mettere in piedi un regime che controlli anche i trentadue signori della guerra e della droga che dopo il rovesciamento di fatto esercitano il potere. Gli stessi Talebani si sono riciclati in "resistenti" e molti di loro non solo fanno lotta attiva contro le forze della coalizione ancora presenti e contro i signori della guerra avversari, ma si affiancano a quei signori della guerra amici e alleati per controllare droga e potere. La comunità internazionale, come in altri teatri, deve aprire il portafoglio e chiudere gli occhi: missione compiuta, incredibile successo. In Iraq la sollevazione popolare contro Saddam non c'è stata. La guerra dall'alto non è bastata, l'occupazione manu militari non è stata sufficiente, la dissoluzione dell'esercito di Saddam e neppure la sua cattura sono state sufficienti. In mezzo a tutto il popolo afflitto da un regime nefando non si è trovato neppure uno che si prendesse la briga di abbattere la statua di Saddam. C'è voluto un marine per salire sul monumento e una troupe televisiva per inscenare la simbolica "indignazione popolare" e la "liberazione dal regime". Non sono bastate neppure le alchimistiche dichiarazioni di fine della guerra e di avvio della costruzione della pace a placare un avversario che non solo non era affatto maturo per rovesciare il proprio regime, ma che ora tenta di "maturare" rovesciando quello degli occupanti. È vero, si tratta di bande di terroristi, di milizie irregolari al soldo di criminali, di fuorusciti senza posto dove andare, senza padroni e senza fede, si tratta di forsennati aizzati e sostenuti da stati limitrofi, ma anche senza scomodare la guerra senza, limiti, in termini militari, essi sono il Nemico. Contro, chi credevano veramente di fare la guerra gli eserciti più potenti del mondo? Contro divisioni corazzate che si sono sempre volatilizzate? Contro fanti demotivati e male equipaggiati? Il vero Nemico
era invece quello che si è presentato dopo l'invasione e che si è alimentato della frustrazione e dell'inefficienza degli stessi liberatori. Un nemico e un aspetto della minaccia che gli attaccanti, in questa guerra perdurante da tredici anni, avevano sottovalutato e incredibilmente ignorato. Un nemico che ora bisogna combattere e che per combattere bisogna conoscere e riconoscere. Ma anche questo non avviene. Il nemico non è conosciuto e allora si semplifica: è al Qaeda, è Zaiqawi, è Al Sadr. Poi ci si accorge che nessuno di questi è in grado di controllare nessun altro, neppure se stesso, e di certo non controlla il caos. Ed è in questo caos che si moltiplicano i gestori di se stessi, gli imprenditori privati della violenza, i self- made men che senza rispondere a nessuno agiscono per nome e per conto di qualcuno. In questo caos il nemico non è riconosciuto come tale e quindi non ha diritti o legittimità e quindi neppure doveri. Tutto diventa criminale. E siccome ciò che vale per una parte dovrebbe valere anche per l'altra, sentirsi "liberatori" e sapersi considerati "criminali" proprio da coloro che si sono liberati non aiuta. Per questo la guerra tecnologica, a distanza e chirurgica, non basta. Ma non basta neppure lo schema tradizionale della guerra terrestre. Anche altre previsioni tecnico- operative molto stimolanti e logiche non si sono ancora avverate. Secondo i colonnelli la potenza del mezzo aereo si sarebbe anche espressa con l'impiego di elicotteri più potenti e veloci dei carri armati. Ebbene, in questa guerra c'è stata una fase in cui gli elicotteri sono stati costretti a non alzarsi neppure in volo. Ne sono stati abbattuti ventidue e la minaccia nei loro confronti non era quella sofisticata della contraerea ma quella, arcaica dei lanciarazzi così diffusi nel mercato degli eserciti dei poveri. Questa fase della guerra del golfo aveva anche l'opportunità di verificare uno dei sogni tecnologici dei colonnelli: l'impiego in combattimento della Divisione Digitalizzata. Doveva essere l'apoteosi di un gioiello tecnologico fatto di sistemi informatici e di sistemi d'arma integrati fino al singolo combattente. Migliaia di soldati dall'equipaggiamento sofisticato e sistemi d'arma avanzati comandati da un sistema di comunicazioni satellitari e guidati da dispositivi di sorveglianza, ricognizione e d'informazioni che consentivano ad ogni comandante e ad ogni soldato di conoscere esattamente il campo di battaglia e l'avversario. Purtroppo, la Divisione Digitalizzata (la 4a), dopo
aver aspettato inutilmente di sbarcare in Turchia, ha dovuto riguadagnare per mare la penisola arabica e si è schierata in Iraq quando Bagdad era stata già conquistata. La Divisione avrà poi l'onore di catturare Saddam, ma non con la digitalizzazione, bensì con una tradizionale caccia al topo. La 4a Divisione, l'unica e la prima digitalizzata, si ritirerà dall'Iraq a fine turno lasciando la situazione pressoché invariata e senza poter dimostrare l'efficacia dei suoi sofisticati sistemi in un ambiente di lotta quasi arcaico e contro un nemico sfuggente e impari. Durante la guerra all'Iraq lo sviluppo delle operazioni e gli aggiustamenti continui adottati nelle strategie hanno anche mostrato quanto inadatta sia la presunzione di concepire la guerra secondo parametri esclusivamente militari. E quanto, una volta commesso questo errore, siano nefaste le interferenze civili. Quanto gravi possano essere le conseguenze della separazione concettuale e organizzativa fra guerra e dopoguerra, tra militari e civili, tra amministratori e pacificatori. Il cosiddetto dopoguerra iracheno ha raggiunto l'apice nella contraddizione di tutti i principi classici relativi alla gestione post- confflittuale. Principi che hanno sempre visto il dopoguerra come parte integrante dello sforzo e dell'obiettivo bellico e che comunque erano già stati ignorati in tutte le operazioni del dopo Guerra Fredda. Si dice nell'Arte dei Marescialli di Sima Rangju (IV sec a. C.): "Quando occuperete gli stati dello scellerato non rovesciate i suoi altari, non cacciate, non distruggete le dighe, non incendiate gli edifici, non abbattete gli alberi. Non appropriatevi del bestiame, del grano, né delle fabbriche. Quando incontrerete i vecchi e i bambini lasciateli rientrare in casa senza far loro del male; quando vedrete degli adulti non li considerate dei nemici se non oppongono resistenza. Quanto ai nemici feriti, curateli e poi lasciateli andare." Non è affatto samaritanesimo e la ferocia di cui erano capaci gli eserciti cinesi antichi è proverbiale, ma è puro calcolo razionale e strategico. Dice Sun Bin (IV sec. a. C): "Chi spera di cambiare i costumi della nazione nemica imponendo alla sua popolazione ciò che è inaccettabile per essa non fa altro che opporre ai vantaggi del nemico i propri svantaggi e sta semplicemente perdendo tempo e sforzi". Un principio ovviamente da molti dimenticato e da altri mai conosciuto. Il calcolo, comunque, si estende dal livello politico strategico anche a quello
operativo e tattico. Dice infatti Sunzi (V sec. a. C): "Quando in un combatti mento di carri se ne sono catturati più di dieci, ricompensate coloro che hanno catturato il primo. Cambiate i loro stendardi e immetteteli nella battaglia insieme ai vostri... Trattate bene i prigionieri e prendetevi cura dì loro: questo è quello che si dice rafforzarsi per mezzo delle vittorie". Dopo la vittoria, o meglio la semplice dichiarazione di vittoria, in Iraq come in tutte le altre operazioni non si è operato alcun "rafforzamento" e dopo ogni esperienza militare si è invece avverato ciò che Sun Bin aveva già previsto e studiato: "Quando un esercito penetra in territorio nemico solente adotta delle politiche che possono essere chiamate come delle 5 gentilezze e concessioni e delle 5 durezze e coercizioni. L'armata che è gentile e remissiva, la prima volta che entra in territorio nemico perderà dignità e prestigio. La seconda volta avrà difficoltà a raccogliere le provviste locali. La terza volta perderà ogni possibilità di vincere una battaglia. La quarta dovrà andare senza cibo e la quinta non sarà in grado di assolvere il suo compito. L'armata che assume un comportamento duro e adotta politiche coercitive appena entra nel territorio nemico sarà considerata dalla popolazione locale come un invasore. La seconda volta sarà considerata un a forza del demonio. La terza la popolazione sarà terrorizzata. La quarta non sarà in grado di avere nessuna informazione affidabile e la quinta l'armata subirà grosse perdite. Perciò è assolutamente necessario combinare gentilezza con durezza, concessioni con coercizione, alternando l'una e l'altra a seconda dei casi". Questo bilanciamento è forse la parte più difficile da imparare nella guerra come in ogni altra attività umana. Ed oggi come non mai è difficile mantenere l'equilibrio a causa degli eccessi. Tra questi l'eccesso di semplificazione è un problema perché impedisce la conoscenza della complessità, ma il problema più importante nell'uso moderno della forza non è più la gestione della potenza, ma quella dell'eccesso di potenza. In ambito militare la cosiddetta dottrina Powell sull'uso di tutto ciò che si ha per sconfiggere l'avversario, di qualunque peso, non è più valida. È stato lo stesso Rumsfeld a dichiararne la fine, ritenendo che l'anticipazione dei tempi della manovra politica, strategica e tattica avrebbe consentito l'economia delle forze. Ma il motivo vero è che il mondo moderno non
sopporta più l'eccesso. Anzi non intende "sopportare" più niente. La gestione della potenza è quindi diventata gestione prioritaria degli eccessi di tutti i fattori che compongono la potenza stessa. La gestione dell'azione è diventata meno importante della gestione delle sue conseguenze e tra le conseguenze più pericolose c'è l'indeterminatezza del controllo sull'eccedente, su ciò che non era determinante e che comunque era disponibile e presente. Il confine tra successo e insuccesso sta nel sottile spazio fra iniziativa e azzardo, tra moderazione e timore. L'efficacia dell'informazione è minata dall'eccesso d'informazione, dalla ridondanza e all' overflow che influenzano e limitano le capacità di analisi. La forza morale è oggi funzione dell'obiettività e del realismo che devono mettere al riparo dall'ottimismo e dal pessimismo, dall'eccesso di fiducia in se stessi che porta invariabilmente alla presunzione, a sottostimare gli altri e ad umiliarli. La forza delle armi è gestione delle loro eccessive capacità rispetto a ciò che si vuole ottenere e anche rispetto agli effetti collaterali e indesiderati che invariabilmente producono. Non si capisce più perché si debba usare un martello per schiacciare una formica e non si accetta più che armi letali e pericolose per i nostri stessi contingenti di forze o per le popolazioni civili siano usate contro un avversario irrilevante e tecnologicamente inferiore. Così come non si accettano più né il terrorismo, neppure se strumento di sopravvivenza o ultima ratio di una giusta causa, né la repressione indiscriminata. Parole come mine antiuomo, armi di distruzione di massa, uranio impoverito, defolianti, bombe termobariche, terrorismo sono diventate inaccettabili nel lessico geopolitico ed in quello della stessa guerra. Non tanto per questioni etiche quanto perché si percepisce l'incapacità di gestione degli eccessi. Di fronte alla potenza illimitata e all'asimmetria del confronto materiale il terrorismo, invece, deve muoversi nella fascia degli eccessi. Non ha problemi di gestione perché non ha alcun progetto creativo, ma solo distruttivo e quindi il caos della mancata gestione è un "bonus" aggiuntivo. L'eccesso di potenza del terrorismo non è tecnologico o finanziario, ma di delirio mentale. L'attacco all'America è stato un eccesso di delirio che la natura degli effetti incontrollabili ha ulteriormente amplificato. L'attacco a Madrid esce dalla logica del risultato politico ed entra in quella del delirio,
fino al culmine delirante (ma fino a quando?) dell'attacco ceceno alla scuola dell'Ossethia. Essere soggetti agli eccessi altrui non significa tuttavia che si giustifichino i propri, né che questi ultimi siano efficaci nel prevenire o reprimere i primi. Gli eccessi servono ad accomunare nella disumanità piuttosto che a distinguersi da essa. Dall' 11 settembre in poi la gestione degli eccessi deve includere il fenomeno della paura. La paura naturale, quella comprensibile e giustificata dall'orrore degli eventi, che fa riflettere e richiama alle proprie responsabilità e la paura indotta, amplificata, irresponsabile che obnubila le capacita’ di riflessione, salutazione e decisione. Ed è su questi ultimi effetti che contano tutti coloro che hanno bisogno delle paure per alimentare il terrore e quelli che devono giustificare e condurre la guerra, qualsiasi guerra. La stessa teorizzazione dell'assenza di limiti è stata sfruttata come incitamento alla paura collettiva e quindi come giustificazione di misure restrittive della libertà e limitative del tenore di vita. Ma l'eccesso di paura finisce per fare Io stesso gioco del terrorismo. Basta leggere l'ultimo libro dei neocons Richard Perle e David Fruiti e la loro ricetta su come Estirpare il Male (Lindau-2004) per avere la lista di tutte le possibili modalità d'attacco da parte di qualsiasi essere Maligno. Modalità che erano state anticipate, con minore compiacimento e senza la morbosità dei due americani, dai nostri colonnelli. In questo eccesso ha ritrovato nuova linfa il catastrofismo che, contando sul potere paralizzante della paura, oltre ad elencare tutti i possibili scenari peggiori li ha fatti diventare reali. Esaminando le possibilità ed ignorando le probabilità, gli scenari del caso peggiore sono stati trasformati in elementi di politica interna e internazionale, in politica commerciale e in puro business. La guerra, in queste condizioni di terrore indotto, è così diventata il motore del potere politico e degli affari e il loro unico strumento: come attivatore di diiamiche di espansione e come assorbente di risorse che potrebbero essere destinate ad altri fini. L'enormità del bilancio della difesa americano per sostenere le guerre in corso e promuovere la trasformazione necessaria a sostenere le guerre future è soltanto una frazione minima delle risorse che comunque l'America assorbe dal resto del mondo. Eppure quando i neocons fanatici della guerra preventiva come Frum e
Perle si chiedono come pagare i costi della guerra trovano la soluzione in due provvedimenti: abbassare le tasse e aumentare il debito internazionale. Vale a dire pagare meno di tasca propria e prendere più soldi a prestito dal mercato finanziario. La considerazione alla base di questa procedura è che i tassi d'interesse del mercato finanziario sono infinitamente minori dei costi politici, sociali ed economici che si avrebbero aumentando le tasse interne. Ma ci sono degli altri vantaggi non proprio "accessori": il rastrellamento delle disponibilità finanziarie mondiali da parte dei paesi ricchi e potenti combinato con la destinazione della guerra rende interdipendenti e succubi della politica di guerra le economie e le finanze di tali paesi. L'attivazione del debito internazionale favorisce gli stessi sistemi bancari dei paesi forti e li vincola all'interdipendenza degli interessi. Interdipendenza che si verifica anche con gli interessi di coloro che traggono denaro da attività illecite e coloro che attraverso gli stessi canali finanziano il terrorismo. La destinazione del debito verso la guerra favorisce inoltre un complesso industriale e finanziario che basa la propria prosperità sulle risorse esistenti nelle parti del mondo più sensibili e instabili. Aree che solo con la guerra, la minaccia della guerra o con l'uso della forza si possono controllare, favorire e distruggere. Il rastrellamento delle risorse finanziarie mondiali per la guerra ha poi l'effetto di limitare la disponibilità delle stesse risorse per altri progetti o per altri interlocutori che forse potrebbero risolvere qualche problema. Sfortunatamente il ciclo è diabolico perché ineludibile se non usando misure drastiche che nessuno ha intenzione di adottare. Oggi gli Stati Uniti sono il paese maggior consumatore di beni e di risorse finanziarie mondiali. Tali risorse servono a mantenere la potenza e la loro potenza è anche la garanzia della "solvibilità". È questa potenza, di cui la parte militare è l'espressione più rassicurante per alcuni e inquietante per altri, perché visibile e facilmente credibile, che li rende clienti privilegiati di se stessi e del sistema globale che hanno creato. Ma tutto questo è un prodotto di eccessi, di potenza come di consumi, estremamente difficili da gestire senza che sfocino nel caos. Per ora un aiuto sostanziale alla gestione di tali eccessi è assicurato da un altro eccesso, quello della paura. La garanzia della solvibilità costituita dalla potenza militare per ora non è messa in
dubbio da nessuno proprio grazie alla paura. Tuttavia la credibilità della potenza è stata minata nelle ultime operazioni e con questa si è ridotta anche la "solvibilità" americana e dei suoi più fedeli alleati. Qualcuno ha già dimostrato apertamente la propria insofferenza verso questo "credito ad occhi chiusi". Paradossalmente è il terrorismo a dare una mano, ma il sistema si avvicina alla sclerosi. Se la paura dovesse scomparire o diminuire improvvisamente l'intero sistema potrebbe implodere o comunque avrebbe bisogno di una revisione generale. Non necessariamente vantaggiosa per chi da questo sistema sta traendo i vantaggi maggiori. Se Osama Bin Laden e tutti i terroristi che si dichiarano anti-occidentali volessero veramente la crisi dell'America, dell'Occidente e dei loro alleati "traditori dell'Islam" dovrebbero provare a costituirsi e patteggiare la cessazione delle attività. Ma anche il terrorismo islamico ha bisogno di un sistema a cui appoggiarsi per i propri interessi e questo probabilmente gli va bene. Oltre all'immagine espansiva e iperbolica dell'assenza di limiti verso l'infinito positivo, il sistema globale attuale offre alla guerra l'assenza di limiti verso l'interno, verso lo zero e oltre questo: verso l'infinito negativo. Le vicende afghane e irachene ci hanno mostrato che dopo la giustificata e comprensibile reazione punitiva nei confronti di chi materialmente sosteneva il terrorismo si è ripresa una lotta sorda e cieca fra appartenenti a culture e gruppi d'interesse diversi e fra appartenenti alla stessa cultura, alla stessa ideologia e agli stessi interessi. Comunque tutti mostrano la stessa indifferenza per l'uomo. La guerra non sembra appartenere più alla categoria delle soluzioni ma a quella dei problemi, non a quella delle risposte ma a quella delle domande, non a quella dei mezzi giustificati dai fini, ma a quella dell'assenza di fini, non a quella della creatività, ma a quella dell'assenza d'immaginazione, non alla scienza che studia i fenomeni e neppure all'arte che oltrepassa i fenomeni registrabili e ripetibili, non alla realizzazione di un progetto umano, ma alla sua distruzione. La guerra senza limiti in tutte le sue forme occulte e palesi, militari e "civili", pubbliche e private è oggi più che mai l'espressione dell'intolleranza nei riguardi di limiti e confini. L'uso della violenza materiale e psicologica, sociale e politica, economica e finanziaria, tradizionale e
multidimensionale è diventato predominante perché il sistema globale ha perduto elasticità ed equilibrio: un sistema di tolleranza zero. È stato il ricorso alla guerra e all'uso della forza in regime di tolleranza zero a portare alla teorizzazione della guerra preventiva nel senso di anticipazione della guerra su qualsiasi altro provvedimento ed evento. La guerra prima che si manifesti l'avversario, la guerra contro tutti perché se non si sa chi è il nemico tutti sono potenziali nemici. Ed è sempre lo stesso regime che ha determinato la compressione fino all'azzeramento della tolleranza necessaria nella fase successiva ai combattimenti: quella che dovrebbe essere sfruttata per costruire e ricostruire in maniera controllata e in sicurezza. Con la compressione di spazi e tempi che servivano anche per l'esame approfondito della situazione e per la ricerca delle soluzioni migliori, si è giunti all'estremo del tempo zero e all'eccesso del tempo minore di zero che è poi l'anticipazione. L'azione preventiva, come quella condotta in Iraq, perde il senso di evitare e diventa anticipazione sul necessario e sull'opportuno. E proprio l'anticipazione potrebbe diventare la nuova concezione della "guerra senza limiti" nel caso che la guerra all'Iraq ne fosse il paradigma. Nella guerra all'Iraq la dottrina della guerra preventiva è stata interpretata come compressione, fino all'anticipazione, di ogni fase a prescindere dal rispetto dei tempi e dalla necessità delle valutazioni. I tempi della guerra sono stati confusi con quelli della politica (inesistente) e della propaganda (esorbitante). C'è stata indebita pressione per accelerare l'impiego di unità impreparate, sono stati fissati tempi inaccettabili per le varie fasi dei combattimenti e sopratutto per le varie fasi della guerra. In un'orgia di "azione preventiva" sono state anticipate artificiosamente la valutazione della minaccia, l'inizio delle operazioni, la fine delle operazioni, l'occupazione manu militari e la fine della stessa. Sono state anticipate a livelli irrealistici la dichiarazione di vittoria, la pretesa di ritiro del contingente, la gestione di un'amministrazione civile impreparata e farraginosa, la fiducia su strutture di governo e su leaders assolutamente inaffidabili. La valutazione sulla reale situazione è stata "anticipata" al punto da farla diventare un esercizio onirico. Questa totale inadeguatezza di valutazione del fattore tempo ha creato una delle maggiori fratture tra gerarchia militare e gerarchia politica che si siano
verificate nella storia moderna durante una guerra. E anche questo è un eccesso che diventerà sempre più frequente e sempre più difficile da gestire. La mancanza di tolleranza ha tolto spazio al negoziato e all'astuzia che caratterizzavano la politica e la diplomazia; e politica e diplomazia sono infatti in acuta sofferenza, mentre dominano arroganza e rigidità. Ha tolto anche spazio e ragion d'essere al rischio, che è l'essenza del confronto politico ma anche dell'arte del comando. Tolleranza zero è anche rischio zero, zero morti (propri), zero responsabilità, zero coscienza. Di fronte alla minima difficoltà si ricorre subito all'azione violenta e distruttiva. Anzi si tende a precorrere la difficoltà, vera o presunta, con la violenza. Di fronte al rischio si preferisce invece l'inazione, magari camuffata da "azione di pace", spacciando l'impotenza, l'indifferenza e il disimpegno per quiete e pace. Tolleranza zero significa anche comprimere in maniera assurda i tempi della pazienza e dell'attesa, della riflessione, della valutazione, della preparazione, del compromesso, della dissuasione, della persuasione, del recupero e della ripresa. Di fronte all'imprevisto bisogna subito fare qualcosa, qualsiasi cosa. Si vogliono risultati immediati e successi immediati. A costo di manipolare la verità. Non può perciò meravigliare che la tolleranza zero sia anche verso gli errori, le debolezze e le incertezze. E che si manifesti anche nell'insofferenza per le critiche alle quali, in una spirale d'intolleranza, si risponde con l'arroganza e la ritorsione. Questo processo di eliminazione della tolleranza non è cominciato con il terrorismo islamico, ma con la fine della Guerra Fredda che ha fornito la simbologia più potente di abbattimento dei confini, dei limiti, dei muri. Un mondo di popoli divisi e immaturi a qualsiasi comprensione reciproca proprio a causa della divisione culturale, ideologica e fisica subita in quasi mezzo secolo, improvvisamente veniva ritenuto libero e omogeneo. Il primo "dividendo della pace" era appunto l'intolleranza verso le differenze, verso le opposizioni all'espansione dei vincitori e dei potenti. Non è un caso che la guerra nel golfo sia quasi contemporanea all'abbattimento del muro di Berlino e allo sfascio dell'impero sovietico o della Jugoslavia. Non è un caso che Milosevic ritenesse intollerabili le differenze bosniache, croate, albanesi e delle altre
entità non serbe proprio in quel momento e mentre si riteneva uno dei vincitori della Guerra Fredda. E nella stessa logica ricadono le espressioni estremiste contro i serbi. Intolleranza e arroganza che producono eccidi, massacri e instabilità. Sarà la stessa tolleranza zero a produrre, dieci anni dopo, le proposte inaccettabili di Rambouillet e la guerra per il Kosovo. Non è un caso che Saddam Hussein quando oltrepassava i confini del Kuwait pensasse di esercitare un proprio diritto perché illuso (o persuaso) di essere dalla parte di vincitori. Anche durante la Guerra Fredda il sistema mondiale era rigido. Sopratutto nei riguardi dell'alterazione dello status quo e degli interessi dei blocchi. Ma erano stati inventati controlli incrociati, metodi e pratiche che garantivano dei margini di tolleranza e gli equilibri fra le opposte minacce. Come era sempre avvenuto, la politica spaziava nella propria area d'influenza permettendosi di correre rischi anche con la prevaricazione violenta o di agire con cinismo indulgendo nella calcolata indifferenza, nella elusione dei problemi e nell'illusione di successo quando le soluzioni temporanee spostavano in altro tempo e in altro luogo lo stesso problema. E, come era sempre avvenuto, ci sono stati tempi e modi in cui la tolleranza anche nei confronti di eventi terribili ha dato spazio alla politica e alla diplomazia facendole diventare grandi. Oggi l'intolleranza si manifesta anche rispetto ai controlli, ai vincoli, alle leggi, all'etica e ai principi morali e religiosi, soprattutto degli altri. Tutto ciò che può limitare deve essere rimosso a favore di una libertà d'azione che può raggiungere il sopruso. Un argomento molto diffuso di questi tempi è che non si può più aspettare di venire attaccati per eliminare l'avversario. Anche se l'avversario non è quello giusto. Il generale Clark, molto critico nei riguardi della gestione del dopoguerra iracheno, non si è affatto meravigliato che la guerra fosse fatta all'Iraq. Si è rammaricato della strumentalizzazione di alcune informazioni, ma per lui la guerra era giustificata dal fatto che non era mai finita e che questa fase era stata preparata e persino "provata" per anni: da molto prima che il terrorismo diventasse una minaccia globale. Per Clark l'intollerabilità derivava dal fatto che non si doveva attendere oltre per finire una guerra già iniziata. Un intero sistema organizzativo era in movimento ozioso, girava a vuoto: un fatto meccanico. Se bisognava fare la guerra al terrorismo islamico, visto
che il terrorismo islamico è dappertutto e che una guerra in un paese islamico era già in atto, tanto valeva continuarla lì. Un fatto meccanico, appunto. Il vice presidente Dick Cheney, nel suo discorso alla Convention repubblicana di New York, ha detto in tono beffardo: "il candidato democratico Kerry vuole diventare comandante in capo delle forze armate americane, ma ha dimostrato di non avere la qualità essenziale per un comandante in capo: sostenere i propri uomini". Intendendo dire che criticando le ragioni politiche della guerra Kerry non si occupava del suo mestiere di comandante in capo e offendeva coloro che la guerra la combattevano (Cheney evidentemente ritiene i combattenti responsabili della guerra e non chi è perfino ricorso alle menzogne per scatenarla). Ed ha aggiunto: "... il candidato Kerry dice che bisogna aspettare di essere attaccati per reagire. Forse non sa che siamo già stati attaccati". Intendendo dire che un attacco terroristico di matrice islamica giustifica qualsiasi guerra contro qualsiasi paese islamico colpevole o no, colluso o no con i terroristi. Per Cheney l'intollerabilità sta nel fatto che il Presidente degli Stati Uniti si occupi di politica e che ci si debba far condizionare dalle responsabilità oggettive e dalla verità. In queste condizioni di totale assenza di margini per l'obiettività e la valutazione si toglie spazio alla politica e diventa naturale ricorrere alla guerra per tutto. Il tempo della politica diventa il tempo di guerra: la guerra senza limiti in cui qualcuno si occupa degli aspetti esteriori e qualcun altro di quelli sostanziali. E allora è giustificato ridurre l'elezione di un presidente americano alla scelta di un comandante in capo delle forze armate, che sappia motivare le truppe, mentre altri si occupano degli interessi reali. Così la politica diventa superflua e persino ingombrante se un attacco terroristico deve servire a giustificare qualsiasi guerra contro qualsiasi avversario. Come si vede, la tolleranza zero ha anche annullato la capacità di gestione delle crisi e la saggezza. Krisis in greco significa passaggio. La crisi è la transizione tra uno stato e quello successivo. Il mutamento comporta sempre crisi e ha bisogno di controllo. Anticipando le fasi della trasformazione si riduce il tempo della krisis, ma se non si hanno gli strumenti per gestire la transizione e capire la fase successiva si genera caos, squilibrio e distruzione.
Saggio è colui che sa e che sapendo può guidare. Il carattere cinese di "saggio" è composto da due ideogrammi che abbinano conoscenza e difetto. Saggio è colui che conoscendo i difetti propri e di ciò che lo circonda si rende conto degli squilibri: dei difetti da un lato e degli eccessi dall'altro. La saggezza è perciò la qualità fondamentale di chi deve guidare sopratutto durante le transizioni. In regime di assenza di limiti, di controlli, di tolleranza e di politica la krisis scompare e chi guida non ha bisogno di conoscere e saper riconoscere eccessi e difetti. Non deve essere saggio. Può essere inflessibile e stupido. Negli ultimi dieci anni, e più drammaticamente in questi ultimi tre, la guerra senza limiti si è configurata in maniera ancora più chiara, ma proprio perché espressione di complessità, non definitiva. Mentre osserviamo una o due delle sue manifestazioni percepiamo le altre attraverso una serie infinita di segnali e di disagi. Le proiezioni del passato da un lato si confermano e dall'altro costituiscono soltanto spiragli di ciò che sta avvenendo e che potrà avvenire. La sensazione più intensa è che la guerra stia pervadendo ogni angolo della mente umana e del nostro pianeta: che la guerra stia prendendo il sopravvento sull'uomo e sia permanente, senza fine. Fine intesa come termine di tempo e purtroppo anche senza scopo politico concreto, misurabile e conseguibile. L'assenza di limiti non è soltanto nella tecnologia, nella strategia, nelle capacità, nei mezzi, nella fantasia e nella crudeltà. Appare anche nei risultati. Sempre indefiniti, incerti, sempre immaturi. La stessa guerra al terrorismo appare oggi come una campagna ideologica all'interno di una guerra che non vuole finire e che non si vuole far finire o forse non si può far finire. L'eliminazione del fondamentalismo islamico non si presenta come un termine e un limite, ma come una tappa di un percorso che se non ci fosse stato il ricorso al terrore da parte di una sparuta minoranza islamica avrebbe proseguito nella stessa direzione utilizzando chissà quale altro appiglio. Viene da pensare che il percorso sia lo stesso da millenni e che le religioni, come le ideologie, servano proprio a questo: a fornire i motivi per la continuazione della lotta. E allora viene da pensare alle persecuzioni del cristianesimo, del giudaismo, dei protestanti e ai massacri dei preti buddisti, dei lama tibetani e degli imam islamici. Persecuzioni e massacri permanenti, continui, sincronici se visti
nel contesto globale e con sovrapposizione costante dei due ruoli da parte di ciascuno: carnefici e vittime. Se la fede, l'idea, la convinzione, l'espressione dell'anima e di quanto di più sublime riesce a qualificare l'uomo diventa soltanto un casus belli, non si può certo recriminare se l'interesse personale, l'ambizione, il delirio, l'ingordigia, la violenza, la prevaricazione e quanto di peggio riesce a qualificare l'uomo servano la causa della guerra. L'uomo sembra oggi trascinato verso queste due direzioni di eccessi. Se la guerra si trasforma in uno stato permanente e autogenerante chiedersi cosa c'è dopo la guerra non ha senso. Anche la pretesa che la guerra sia seguita dalla pace diventa utopica. Nella concezione di Clausewitz la guerra è la prosecuzione della politica. In quella orientale la guerra e la politica vanno di pari passo, equilibrandosi, integrandosi. In entrambe le concezioni, i risultati della guerra appartengono alla politica e all'umanità. La guerra senza limiti di questi ultimi tempi sembra invece muoversi nella direzione di negazione della politica e dell'umanità. Mentre il terrorismo ha perduto ogni connotazione politica ed è soltanto disumano anche il modello di guerra anticipata e intollerante ha mostrato la propria incapacità di generare alcunché e di concludere alcunché. Lo stesso dopoguerra diventa - parafrasando Clausewitz - la prosecuzione della guerra con altri mezzi. E così la guerra imbarbarisce. Come "barbari" erano coloro che stavano al di fuori della giurisdizione della legge imperiale e della civiltà della legge, la guerra senza limiti tende a porsi al di fuori e forse al di sopra della legge, dei principi etici e delle regole. L'imbarbarimento è evidente nei sistemi terroristici e criminali adottati anche nelle forme lecite della guerra d'insurrezione o di liberazione, ma un segnale preoccupante viene anche dalle pressanti istanze di revisione delle leggi internazionali. Le leggi della guerra, così faticosamente e molto parzialmente elaborate durante il ventesimo secolo, sono in discussione perché considerate stantie e superate. Ad esse si preferiscono leggi nazionali o religiose e quindi di parte. Leggi approvate sul tamburo e leggi arcaiche che evitano limiti scomodi. Si invocano leggi nuove non tanto perché si sente la necessità di porre maggiori vincoli all'arbitrio, ma perché quelle esistenti non riescono a legalizzare gli eccessi. Da una parte e dall'altra. Non riescono a
giustificare le incongruenze create ad arte da un sistema sclerotico. Mentre un atto terroristico viene dichiarato un atto di guerra, anzi come l'avvio di una guerra globale, si vorrebbero poi ignorare le leggi della guerra e tutte le loro implicazioni incluso il riconoscimento dello status di combattenti agli avversari e la salvaguardia dei civili. Le leggi in vigore non riescono a inserire nel quadro legale le esecuzioni sommarie, le decapitazioni, gli eccidi di civili e neppure le torture "a fin di bene", tendenti a far confessare delitti e peccati e ad individuare complici e mandanti (veri e presunti). Non riescono a giustificare gli eccessi della Sharia o a ripristinare le stesse pratiche che la Santa Inquisizione aveva imposto per estorcere confessioni indispensabili alla salvazione dell'anima o quelle che i regimi comunisti adottavano come inizio della rieducazione. Le leggi internazionali in vigore appaiono inadeguate perché proteggono tutti, militari e civili, includendo anche i "terroristi" e gli "infedeli", che a parere di molti non dovrebbero essere né l'uno né l'altro e neppure esseri umani. L'imbarbarimento è una china molto pericolosa. Porta a delegittimare l'avversario e a legittimare le stesse pratiche adottate dai terroristi, a dar sfogo alla vendetta, a legittimare la tortura e gli ordini di deprivare del sonno i prigionieri, di tenerli a digiuno e di farli processare da tribunali a senso unico. Esso apre una spirale di violenza fisica e psicologica e di odio che crea altra violenza di segno opposto e prelude alla disumanizzazione delle vittime innocenti come dei carnefici. La domanda su cosa ci sia oltre la guerra senza limiti diventa perciò legittima e assume il rango di problema escatologico soltanto se si recupera la figura dell'elemento fondamentale: l'Uomo. Se si ignora l'uomo la ricerca del fine ultimo della guerra si esaurisce nel nulla o nella perpetuazione di se stessa facendola appartenere all'ordine dei fini. Il recupero dell'uomo non può che passare per il recupero dei suoi limiti, ridimensionandone il delirio di onnipotenza alimentato dall'ignoranza e dalla stupidità. Occorre riappropriarsi di qualche limite che crei spazio per la tolleranza, per la politica, per l'assunzione di responsabilità, per la valutazione e l'assunzione dei rischi, per gli errori, per la riflessione sui fallimenti e per la soddisfazione del successo, per l'orgoglio di essere uomini quando si agisce da uomini e il pentimento di quando si agisce da
animali. Ciò significa recuperare la saggezza ed il tempo necessari alla gestione delle krisis, dei passaggi: primo fra tutti quel passaggio che è la vita e che senza conoscenza e coscienza dei limiti può tramutarsi in follia, stagnazione o regressione piuttosto che in evoluzione equilibrata. Significa comprendere e limitare gli eccessi in ogni direzione; quegli eccessi che oggi producono indifferentemente forme tanto sofisticate di guerra da farla sembrare sovrumana e altre forme tanto degradate da renderla simile alla lotta primordiale tra subumani. Lo spazio da recuperare è quello mediano tra questi eccessi per restituire umanità ad un fenomeno che non si potrà evitare, ma che almeno potrà essere ricondotto nei limiti dell'Uomo. Sono limiti che non hanno nulla di escatologico e che non hanno bisogno di alcun intervento divino per essere compresi e ripristinati. Sono limiti concreti che l'uomo stesso si può e deve imporre con leggi e accordi purché improntati al rispetto di se stessi e degli altri. Confrontandoci con il terrorismo e con le sue manifestazioni più crudeli il richiamo all'umanità può apparire inutile e addirittura utopico. Può essere percepito come debolezza o altra ipocrisia e perfino tacciato di viltà. È un rischio da correre. Perché i fautori dell'inflessibilità e della tolleranza zero usano proprio questi argomenti non per risolvere i problemi e "vincere" le guerre, che come si è visto non sono capaci di fare, ma per perpetuare la lotta e preservare l'ambiente più idoneo ai propri interessi. La speranza concreta di successo del recupero dei limiti e degli spazi per la tolleranza sta nel forte potere emulativo che caratterizza gli uomini, soprattutto se si riconoscono a vicenda come tali. L'umanità, la giustizia, il rispetto hanno un forte potere di emulazione. Il rispetto trascina rispetto, come l'umiliazione trascina altra umiliazione. Leggi impostate sul rispetto non possono che sollecitare altro rispetto e scoraggiare la violenza o almeno indirizzarla verso forme accettate e legittime. Il rispetto della legge, specie se una legge si fonda sul rispetto e l'umanità, non significa debolezza e soprattutto non significa impunità. Anzi, significa maggiore precisione e rigore nel perseguimento degli eccessi e dei crimini. Proprio perché gli eccessi sono riconosciuti e perché i limiti della legge individuano i confini tra lecito e illecito, giusto e ingiusto, legittimo e arbitrario. Certo, non c'è legge che possa impedire le nefandezze del delirio, ma il recupero
dell'umanità e la tolleranza possono prevenire la nascita dell'odio che è il primo passo verso il delirio. E possono impedire il contagio del delirio stesso. C'è infine da considerare che i destinatari principali del nostro rispetto siamo noi stessi. Quand'anche il recupero di umanità e coscienza, di politica e tolleranza non impedisse la violenza del delirio e le nefandezze della follia avrebbe il grande merito di restituire agli uomini che devono combattere tali deliri il rispetto di se stessi. Non è poco. Generale Fabio Mini
release created by Vojslav