KATHERINE KURTZ & DEBORAH T. HARRIS IL CERCHIO DEI DODICI (The Lodge Of The Lynx, 1992) Per i nostri zii, Sthepen e Jani...
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KATHERINE KURTZ & DEBORAH T. HARRIS IL CERCHIO DEI DODICI (The Lodge Of The Lynx, 1992) Per i nostri zii, Sthepen e Janie Carter e alla memoria di Gretchen e Marshall Fisher PROLOGO Nella fredda aria notturna stagnava una quiete che non faceva presagire nulla di buono. Il vecchio poteva sentire l'energia che si stava radunando nel cielo, sopra il tetto conico della torre; un vago fremito elettrico, che gli strappava i brividi e scivolava sulle braccia nude come un insetto invisibile. Dapprima non fu che un palpito nel silenzio, più lieve del volo di un pipistrello. Poi le pulsazioni acquistarono forza, diventando sempre più potenti. Di lì a poco, l'energia tambureggiava sulle lastre del tetto come un grande predatore alato in lotta per liberarsi dalle pastoie, trattenuto soltanto dalla forza di volontà di chi lo aveva evocato. Il semplice tentare quell'evocazione era un atto difficile e pericoloso. Dominare quel tipo di potere richiedeva un controllo perfetto, ottenibile solo attraverso lunghi anni di studio e d'indicibile sacrificio. La minima esitazione, la più lieve negligenza avrebbero potuto liberare prematuramente l'energia concentrata, facendola rimbalzare e provocando conseguenze disastrose sulla stessa torre in cui sedeva l'evocatore, circondato dai suoi dodici prescelti. Ma il venerabile Maestro Anziano che governava la torre era un esperto nell'assumere rischi calcolati. Aveva scelto il posto e gli accoliti con estrema cura. La camera dalla quale agivano occupava l'ultimo piano della torre, una massiccia struttura a dodici lati che dominava il maniero di cui faceva parte. Lugubre e isolato fra le cateratte e i crepacci dei monti Cairngorms, il castello era stato edificato in epoca vittoriana sopra le fondamenta di un broch scozzese dell'Età del Ferro e, nella torre, erano incorporate le pietre di quell'antica costruzione. Le sue origini preistoriche erano evidenti soprattutto nella camera superiore, dipinta d'un bianco spettrale e col soffitto sorretto da dodici travi di quercia nera che convergevano al centro, come raggi d'una ruota. Benché l'edificio fosse dotato di elettricità, le lampade a gas erano l'uni-
ca fonte d'illuminazione di quel locale. Fiammelle immobili sibilavano nei paralumi purpurei, irradiando una luce rossastra che gettava morbide ombre davanti alle dodici figure in tunica bianca, sedute a gambe incrociate intorno al perimetro della camera. Nessuna di quelle ombre si allungava però fino al largo cuscino scarlatto che occupava il centro del cerchio. Seduto su di esso, il Maestro biancovestito dirigeva il Lavoro, con le mani aperte a palmi in alto sulle ginocchia, la testa calva china in avanti e gli occhi chiusi. Il suo volto magnetico era simile a quello di una mummia. Di fronte a lui, sopra un tappetino di pelle di montone nera, c'era un mucchietto di pergamene ingiallite e screpolate dal tempo, ed era sulle pergamene che giaceva l'oggetto su cui si stava concentrando l'attenzione del vecchio: un collare celtico ricavato da ferro meteorico nero. La sua fattura risaliva alla stessa epoca del broch, e in essa risaltavano due ovali, simili a occhi di serpente, che brillavano come argento tra i nodi geometrici e le figure zoomorfiche abilmente incise. Concentrandosi sull'energia preistorica del collare, il vecchio allungò le mani verso di esso, quasi a scaldarle al fuoco, consapevole del pericolo che, a stento imprigionato nell'oscura consacrazione da lui imposta, gli accarezzava le dita. Anche con gli occhi chiusi, sentiva la sua potente influenza sulle energie degli elementi che si radunavano sopra la torre, avidi di scatenarsi. E ben presto si sarebbero liberati. Il momento era ormai vicino. Senza rilassare un istante il suo autocontrollo, il vecchio prese il collare con mani tremanti e se lo allacciò intorno al collo rugoso. Il freddo bacio del metallo sulla gola lo spinse ancora più addentro nella sua trance, ogni cellula del corpo era pervasa da quell'antica energia, e quando infine fu pronto sollevò di scatto le braccia, in un gesto d'invocazione e insieme di comando. Soltanto allora permise che, nella sua mente, apparisse l'immagine del lontano bersaglio di quel rito. A un'ottantina di chilometri da lì, il castello di Balmoral riposava sotto il gelido ma sereno firmamento stellato di una notte di novembre. Con la Regina e la famiglia reale a Londra per l'inverno, gli uomini della Guardia Scozzese cui era affidata la sorveglianza della tenuta eseguivano le ronde notturne con la rilassata efficienza di chi non aveva motivo di aspettarsi guai, ma era comunque preparato a tutto. Indossavano tute mimetiche e baschi neri, ed erano armati con l'ultimo modello di fucile Enfield, di tipo Bull-Pup.
Il caporale Archie Buchanan aveva appena finito il suo giro intorno al prato meridionale e stava tornando in ufficio con il fucile a tracolla, quando un movimento nel cielo lo indusse ad alzare lo sguardo. Ciò che vide lo spinse a fermarsi di colpo, corrugando le sopracciglia per lo stupore. Da ovest stava arrivando sul castello un fitto banco di nuvole nere, più veloci e vorticanti di qualsiasi temporale che avesse mai visto. I turbini di vapore oscuro ribollivano come gorghi in un calderone, pervasi da erratiche pulsazioni elettriche e, nello spazio di pochi attimi, avanzarono a coprire metà del cielo stellato. «Cosa diavolo succede?» mormorò Archie, perplesso. Un basso rombo di tuono rotolò sulla campagna, accompagnato dal crepitio di un fulmine che attraversò la nuvolaglia. Quel breve lampo di luce delineò altri due militari che stavano uscendo sul prato dall'ombra di un edificio, con lo sguardo alzato a osservare il cielo. «Ehi, Archie, hai visto che roba?» gridò uno di loro. «Da dove vengono queste nuvole?» Prima che Archie potesse buttare lì una risposta, una folgore di luce ultravioletta squarciò il cielo sopra il castello, accompagnata da un frastuono assordante. Il fulmine colpì la torretta a nord della grande torre quadrata con la violenza di un proietto di mortaio, producendo una devastante grandinata di tegole e di mattoni. L'onda d'urto gettò Archie lungo disteso al suolo. Mentre si trascinava freneticamente al riparo della siepe più vicina, cercando di proteggersi la testa dai calcinacci, riuscì soltanto a pensare che, nonostante quello che aveva visto, poteva trattarsi unicamente di una bomba dell'IRA. Il lamento intermittente della sirena d'allarme cominciò a risuonare e, una volta placato il fracasso dei detriti sparsi ovunque, si udirono voci e grida levarsi da vari punti del castello. Ci fu il rumore di stivali in corsa che si avvicinavano. Cautamente, Archie rialzò la testa e si guardò attorno, stringendo le palpebre contro il bagliore delle luci gialle d'emergenza che si erano accese nel castello e sul prato. «Archie? Stai bene, ragazzo?» chiese una voce accanto a lui, mentre una mano lo afferrava per una spalla. «Sì, ma lasciami riprendere fiato», mugolò Archie. Si voltò e vide la faccia di due suoi colleghi, spettinati e stravolti. «Gesù, ma cos'è successo?» domandò quello che si era chinato accanto a lui, mentre il collega si guardava attorno col fucile tra le mani e l'aria di
aspettarsi qualcos'altro. «Sembrava una dannata bomba!» Archie scosse il capo e lasciò che l'altro lo aiutasse a sedersi, tastandosi alla ricerca di ferite più gravi delle escoriazioni che sapeva di avere sulla testa e sulle braccia. Ancora stordito, si tirò rigidamente in piedi e, quando il suo sguardo si spostò sul castello, rimase a bocca aperta. Dove fino a poco prima c'era la torretta settentrionale, la bomba, o il «fulmine», aveva lasciato soltanto un moncone di macerie fumanti. A ottanta chilometri di distanza, dall'altra parte delle montagne, il vecchio in tunica bianca emise un lungo sospiro soddisfatto e assaporò il suo momento di trionfo. Le conferme dall'esterno potevano aspettare fino al mattino, quando i notiziari avrebbero indubbiamente dato ampio spazio alla cosa, ma lui non aveva dubbi che l'obiettivo fosse stato centrato. Lentamente si tolse l'antico collare e lo depose con cura sul mucchio di pergamene davanti a lui. Poi lasciò ricadere le braccia e s'inchinò profondamente, in atto di ubbidienza al Potere che aveva messo nelle sue mani il dominio del fulmine. I dodici accoliti s'inchinarono con lui e le loro ombre si unirono, mentre toccavano il pavimento con la fronte. Ma era un gesto di umiltà esteriore. Nella camera regnava un silenzio gravido di oscura esultanza, allorché gli accoliti si rialzarono e quindi s'inchinarono di nuovo, stavolta in omaggio a lui. Il vecchio accolse la loro manifestazione di deferenza annuendo orgogliosamente, e li congedò con un gesto della mano, aspettando che tutti fossero usciti prima di rilassarsi sul largo cuscino per esultare in privato e progettare la prossima occasione in cui avrebbe esercitato la sua arte... 1 Il tintinnio argentino dei finimenti risuonava nell'aria fredda di quel mattino di novembre, mentre i due uomini a cavallo s'avvicinavano alla sommità dell'altura boscosa che sovrastava la tenuta di Strathmourne House. Il purosangue grigio di Sir Adam Sinclair raddrizzò gli orecchi e sbuffò lievemente quando avvertì l'odore della scuderia, più in basso, e si sarebbe messo al trotto se il suo cavaliere non avesse tirato le redini con gentile fermezza. «Buono, Khalid. Poggia!» lo placò Adam. Il muscoloso castrone recalcitrò un poco, agitando la testa e scalpitando, avido di correre, poi si rassegnò a proseguire a un'andatura più tranquilla,
come se non ci fosse stata nessuna differenza di opinioni tra lui e chi lo montava. L'altro cavaliere, un giovanotto dai capelli ramati che portava occhiali dalla montatura d'oro, sorrise nel vedere l'abilità con cui il compagno dominava il cavallo. «Ah, il tocco del padrone», osservò, divertito. «Hai davvero un bellissimo animale, Adam. Dovresti lasciare che vi catturi entrambi sulla tela, uno di questi giorni... qualcosa di simile al ritratto di tuo padre con il suo cavallo grigio, quello che hai nel salotto.» E inclinò la testa, scrutando con occhio professionale l'uomo più anziano. «Che ne pensi?» continuò. «Ti piacerebbe un ritratto equestre come regalo di Natale?» La domanda strappò a Adam un sorriso compiaciuto. «Credi che la mano con cui tieni il pennello sopporterebbe lo sforzo? Se è così, sarebbe questo il regalo più gradito!» Peregrine Lovat staccò la mano destra dalle redini della cavalcatura, una giumenta marrone dal carattere mite, e piegò le dita guantate per mostrarne l'elasticità a Adam. «Oh, non preoccuparti della mia mano», disse allegramente. «È tornata come nuova, grazie all'attenzione con cui hai supervisionato il lavoro del chirurgo. In effetti sono tornato alla tavolozza già da una settimana, ormai, e non mi dà più che qualche fitta ogni tanto.» «Meglio non sforzarla troppo, però», lo avvertì Adam. «Quella brutta ferita rischiava di mettere fine alla tua carriera di pittore. Non vorrei che la tua impazienza di tornare al lavoro rovinasse tutto.» Peregrine riprese le redini, all'improvviso di nuovo consapevole del bendaggio protettivo che continuava a portare sotto il guanto quand'era impegnato in qualche attività faticosa. Il modo in cui si era procurato quella ferita gli faceva ancora accapponare la pelle, quando ci ripensava. Essere colpiti da una spada affilata non era esattamente una cosa comune. Tuttavia, era proprio la nitidezza di quel ricordo che l'aveva indotto a riprendere subito a dipingere, non appena gli erano stati tolti i punti di sutura e aveva potuto stringere il pennello tra le dita. Si morse pensosamente un labbro, cercando di mettere in parole il bisogno che lo aveva spinto a dipingere. «Non è impazienza», mormorò. «Forse mi sto sforzando più del dovuto, è vero, ma il fatto è che non voglio rischiare di dimenticare... certe cose. I disegni che sto eseguendo sono tutti collegati con ciò che è successo a Loch Ness.» Adam gli gettò uno sguardo indagatore da sotto la visiera del cap. I due si erano conosciuti poco più di un mese addietro, ma dal loro incontro, avvenuto per caso nella dimora di un'amica comune, era nata una collabora-
zione di genere unico e insospettabile. Senza il singolare talento psichico di Peregrine, di cui Adam aveva usufruito nei giorni che avevano preceduto i drammatici fatti di Loch Ness, la conclusione di quella vicenda sarebbe stata assai meno soddisfacente. Il giovane pittore non capiva ancora molto delle sue doti particolari, che andavano ben oltre quelle artistiche, ma ogni giorno imparava qualcosa; ed era ovvio che si era dato da fare più di quanto Adam si fosse aspettato. «Non ho ancora avuto il coraggio di farmi quell'autoritratto che tu, per stabilizzare il mio recupero psichico, mi avevi consigliato», disse Peregrine, intuendo la direzione dei pensieri del suo mentore. «Per qualche motivo mi sembra più importante, adesso, fare una registrazione pittorica di tutto ciò che ricordo di quella notte a Loch Ness. Ma la mia memoria pare in qualche modo legata alla ferita alla mano, come se questo fosse ciò che mi ha stimolato di più. Subito dopo aver ricevuto quel colpo di spada, infatti, tutte le mie impressioni mentali sono diventate chiare come il cristallo, fino all'ultimo dettaglio. E da quando la mano va meglio, quei ricordi hanno cominciato a svanire. Posso ancora richiamarli, però mi costa uno sforzo sempre maggiore.» Adam ora lo guardava attentamente, mentre i cavalli scendevano lungo l'ultimo tratto del sentiero. «Questa è una speculazione interessante. Cosa ti fa credere che non sia semplicemente a causa del trascorrere del tempo?» Peregrine si strinse nelle spalle con una smorfia. «Be', forse tu puoi richiamare i ricordi facendo ricorso all'ipnosi o a roba del genere, ma l'unico modo in cui sembra che io possa farlo è concentrandomi sulla ferita alla mano. E, poiché sta guarendo, ho pensato di disegnare quelle immagini prima che il ricordo sparisca per sempre.» Gli occhi scuri di Adam si accesero di divertimento. «Stai imparando più in fretta del previsto. Credo che mi piacerebbe dare un'occhiata ai disegni che hai fatto.» «Non so perché, ma l'avevo immaginato», replicò Peregrine, con un sorriso sereno di cui non sarebbe mai stato capace un mese prima. «Stamattina li ho messi in macchina, prima di venire da te. Mi sono detto che sarebbero stati un interessante oggetto di conversazione, dopo colazione.» Il rumore degli zoccoli d'acciaio sui ciottoli del cortile fece uscire dalla scuderia John, l'ex sottufficiale di cavalleria che si occupava dei cavalli di Adam. Con un sorriso e un gesto che era quasi un saluto militare l'uomo venne a prendere le redini, mentre Adam e Peregrine smontavano.
«Avete fatto una buona cavalcata lei e Mr. Lovat, signore?» domandò l'uomo, mentre Adam allentava la sella di Khalid. «Sì, ottima», rispose lui. «Abbiamo fatto un lungo giro, e Mr. Lovat ha perfino cercato di saltare un paio di staccionate... con successo, devo dire. Di questo passo, lo avremo allenato abbastanza da partecipare alla caccia alla volpe, per Natale.» Peregrine, che stava accarezzando il collo della giumenta, scosse il capo con un sorrisetto di imbarazzata modestia. «Temo che 'con successo' nel mio caso sia un termine molto relativo. È un miracolo se non sono ruzzolato a terra.» Adam ridacchiò, mentre i cavalli venivano portati al coperto, e Peregrine gli si affiancò attraversando a passi svelti il giardino sul retro della casa, verso la porta posteriore. Qui il giovane fece una deviazione per andare a prendere una cartella, dal sedile di una Morris Minor Traveler verde. Quando raggiunse Adam, nello spogliatoio, e appese il suo berretto da equitazione a un gancio accanto a quello del padrone di casa, questi si era già tolto gli stivali sostituendoli con pantofole di velluto, su cui era ricamata la fenice dei Sinclair, e si stava asciugando le mani con una salvietta ornata dallo stesso, elegante stemma. «Mentre ti lavi, questi li porto in soggiorno», disse, prendendo la cartella dei disegni di Peregrine. «Humphrey ha messo un altro paio di pantofole lì sulla panca. Se lasciassimo tracce di melma sui pavimenti, Mrs. Gilchrist non ci rivolgerebbe più la parola per una settimana.» Con un sogghigno, Peregrine si sfilò i guanti e sedette sulla panca per togliersi gli stivali infangati, poi si mise le pantofole. Dopo essersi lavato mani e faccia nel bagno adiacente, si passò un pettine fra i capelli e uscì nel corridoio di servizio, che portava al soggiorno principale del pianterreno. Humphrey, che da più di vent'anni era il maggiordomo di Adam, aveva già servito la colazione davanti alla larga finestra ricurva sul lato più soleggiato della stanza. Come sempre, il tavolo era coperto da un'immacolata tovaglia di lino scozzese, su cui erano disposte posate in argento antico e bicchieri di cristallo cinese. Adam stava versando del succo d'arancia fresco da una caraffa Waterford, e guardava i titoli sulla prima pagina del giornale del mattino. Humphrey aveva appena riempito di tè la tazza del padrone di casa. Entrambi gli uomini si voltarono all'ingresso di Peregrine. Adam alzò il bicchiere in segno di saluto, e Humphrey mise un'altra tazza d'argento davanti al posto dell'ospite.
«Buongiorno, Mr. Lovat. Posso versarle un po' di tè?» «Sì, grazie, Humphrey. Buongiorno.» «Sir Adam mi dice che lei ha portato l'ultimo dei suoi scatoloni giù alla dépendance», continuò il maggiordomo. «Spero che la sua nuova sistemazione sia soddisfacente.» Peregrine sorrise, mentre scostava la sedia Queen Anne e sedeva, spiegando il tovagliolo con un gesto rapido. Erano trascorse due settimane da quando aveva accettato l'invito di Adam di venire ad abitare nell'appartamento della dépendance, e già lo giudicava un gran miglioramento rispetto al caotico studio che aveva occupato a Edimburgo. «Più che soddisfacente, Humphrey», rispose, con convinzione. «Sa, credevo che avrei sentito la mancanza del chiasso e dell'affollamento della città. È strana la naturalezza con cui mi sto adattando alla vita di un gentiluomo di campagna. Qui c'è davvero spazio per respirare.» Quell'osservazione entusiasta fece sorridere sotto i baffi Adam, perché sapeva che lo spazio per respirare non era affatto ciò che Peregrine aveva in mente. A dire la verità, sospettava che il ritrovato senso di libertà del giovanotto fosse dovuto a un cambiamento avvenuto in lui, più che nell'ambiente da cui era circondato. Come psichiatra, Adam non vedeva certo per la prima volta un fenomeno di quel genere; il caso di Peregrine presentava sfaccettature che aveva incontrato fin troppo spesso. Benché al loro primo incontro fosse stato riservato e introverso, chiuso nella sua sofferenza come un falco in cattività, Peregrine aveva piano piano afferrato l'opportunità di allargare le sue ali. Anche adesso, benché non ne fosse consapevole, il giovane artista proseguiva sul percorso che l'avrebbe condotto a partecipare attivamente alla Caccia, come il falco di cui portava il nome. E se Adam non sbagliava a interpretare i sintomi, quel cammino ormai stava per essere completato. «Prendi uno scone, Peregrine», mormorò, mentre Humphrey offriva al giovanotto un cestino rivestito di lino. «Sono freschi. Mrs. Gilchrist li ha portati questa mattina apposta per quel simpatico giovanotto, Mr. Lovat. Evidentemente ha una cotta per te.» Peregrine aveva preso uno scone, ma ora si affrettò a toglierne un secondo dal cestino, prima che Humphrey lo offrisse ad Adam. «Allora sarà meglio che ne prenda un altro, eh?» disse, con un sorrisetto. «Non voglio che Mrs. Gilchrist sospetti che non li ho apprezzati. Le buone governanti valgono il loro peso in scones.» «L'hai detto, e non ne troverai una migliore in tutta la contea», annuì
Adam. «Fa più lei in tre mezze giornate alla settimana di quanto altre riuscirebbero a fare a tempo pieno. Senza di lei, non so cosa faremmo, Humphrey e io. Se si offrisse di lavorare anche per te, giù alla dépendance, non lasciartela scappare!» «Oh, stanne certo.» Mentre la conversazione svariava dagli apprezzamenti sui domestici alla cavalcata di quel mattino e alle nuvole in avvicinamento dal nord, gli scones sparirono lentamente, accompagnati da tazze di tè. Humphrey, che aveva visto la cartella deposta da Adam accanto alla porta, prelevò dal salotto adiacente un piccolo scrittoio in legno di rosa e lo mise accanto al tavolo, mentre i due mangiavano. «Suppongo che potremmo dare uno sguardo a quello che hai fatto, eh?» propose Adam al termine della colazione, quando Humphrey si fu ritirato in cucina. Peregrine finì di masticare l'ultimo boccone, si pulì in fretta le dita con il tovagliolo e girò la sedia verso il tavolino. Poi aprì la lampo della cartella e ne tolse parecchi fogli di carta per il disegno ad acquerello, di misure diverse. «La mia mano era ancora un po' troppo rigida per il lavoro a matita, quando ho cominciato, e i colori a olio ci mettono troppo ad asciugarsi», spiegò, porgendo un disegno a Adam. «Ma sono riuscito a buttare giù molti particolari fini anche così. Del resto, ho sempre pensato che l'acquerello è il modo migliore per catturare l'impressione dell'acqua sporca.» Il primo disegno mostrava tre figure accovacciate sotto la pioggia torrenziale nel parcheggio del castello di Urquhart, illuminato da una spettrale luce verdastra. Quelle di Peregrine e Adam erano forme appena delineate, viste da dietro. Ma la terza, che brandiva una lunga torcia elettrica del tipo usato dalla polizia, era l'ispettore capo Noel McLeod, che affiancava Adam nelle sue imprese esoteriche ormai da anni. La pioggia offuscava gli occhiali dalla montatura d'acciaio dell'ispettore e sgocciolava dai suoi baffi grigi, e sia lui che Adam indossavano quegli impermeabili verdi così comuni nelle campagne inglesi. Peregrine portava invece il suo solito soprabito in stile marinaresco. «Sì, ricordo questa scena», mormorò Adam con un sorriso, girando il foglio per leggere la scritta a matita che Peregrine aveva vergato sul retro: Due Maestri della Caccia e un volonteroso principiante. Il suo sorriso si spense quando il giovanotto gli porse il secondo disegno.
Aveva la stessa atmosfera verdastra del primo, ma il punto di vista si era spostato giù sulla riva di Loch Ness battuta dalla pioggia. Al centro di quella scena notturna, delineate dalla luce di un lampo, marciavano le silhouette di quattro uomini avvolti in mantelli neri con il cappuccio. I due al centro faticavano sotto il peso di una cassa metallica dalla forma arcaica. Quello che chiudeva la fila reggeva un grosso quadro incorniciato sopra la testa, come uno scudo. Il quarto uomo, che guidava la piccola processione, era mascherato come un boia e brandiva una spada. La luce si rifletteva sul grosso medaglione metallico appeso al collo e su un anello che portava alla mano destra, ma il bagliore rendeva confusi i dettagli dei due oggetti. Sopra di loro, vorticante come uno sciame di api irritate, incombeva una minacciosa nuvola di sferette verdi. Ciascuna delle sferette conteneva la spettrale impressione di un omuncolo con le dita artigliate e denti aguzzi come aghi. Sul retro di quel disegno Peregrine aveva scritto: La furia dei Sidhe. «Chi avrebbe mai pensato che esseri tanto piccoli fossero così mortali?» si chiese l'artista, scrutando il suo lavoro con un sospiro di meraviglia. «Il prossimo è ancora più strano, per chi non crede nei mostri.» Passò a Adam un terzo disegno ad acquerello. Questo rappresentava una scena notturna sul lago: due uomini a bordo di un motoscafo che accelerava verso una tempestosa distesa di acque nere. Davanti alla prua dell'imbarcazione era emersa dalle onde una grande forma serpentina. Gli occhi del rettile scintillavano in una testa da basilisco, mentre l'incredibile animale si preparava a colpire. Chiunque avesse guardato quel disegno lo avrebbe preso per l'illustrazione di copertina d'un romanzo dell'orrore; ma non Adam. Lui aveva assistito personalmente a quello spettacolo dalla spiaggia di Loch Ness sotto il castello di Urquhart... e tuttavia il pennello di Peregrine aveva tracciato molti più particolari di quanti chiunque ne avesse visti. Perché Peregrine Lovat aveva il dono di scorgere anche cose precluse allo sguardo della gente comune. Era una parte di quel talento che lo aveva reso un ritrattista famoso. La capacità di vedere oltre la semplice apparenza fisica dei suoi soggetti. Ed era stata questa «maledizione», così gli era apparsa un tempo, che lo aveva spinto a cercare l'aiuto di Adam. Imparando ad accettare il suo talento come un dono prezioso ora il giovane capiva ciò che Adam sapeva già: che la verità a volte andava oltre l'aspetto esteriore delle cose e le prove fisiche ammissibili in un tribunale. Vedere verità nascoste alla gente comune poteva essere pericoloso, natu-
ralmente. Gli ultimi due acquerelli di Peregrine lo testimoniavano. Uno rappresentava la parte superiore del corpo dell'uomo incappucciato e armato di spada, un'arma molto sofisticata opera di un armaiolo italiano. I dettagli erano buoni, e la lama stava per abbattersi nel fendente che Peregrine aveva dovuto fermare con una mano, mentre l'anello con la pietra rossa lì non era visibile, nascosto dall'elsa. «Qui ci sono maggiori particolari dell'anello e del medaglione del loro capo», spiegò Peregrine, consegnando a Adam l'ultimo disegno. «Ho dovuto concentrarmi a lungo, ma alla fine sono riuscito a vederli molto chiaramente.» La forma dei due monili era così ben cesellata da far pensare che fossero stati commissionati a un artista. Sulla gemma rossa fissata nel castone dell'anello d'oro era incisa la testa baffuta di una lince con le zanne irosamente scoperte. Sul medaglione discoidale, raffigurata in ombre grigie e nere, appariva la stessa identica incisione. La lunga bocca di Adam si strinse alla vista di quell'emblema, che risvegliava in lui ricordi tutt'altro che gradevoli. «Tu hai già visto questi oggetti, vero?» domandò sottovoce Peregrine, notando la luce dura negli occhi dell'amico. «Sì», confermò Adam. «In effetti, l'anello che tu hai disegnato è stato recuperato sulla spiaggia di Loch Ness. McLeod me lo ha mostrato, dopo che ti avevano suturato la mano.» «Ah», mormorò Peregrine. Distolse lo sguardo dal disegno. «E sai cosa significa?» Il sorriso di Adam era privo d'allegria. A Loch Ness, lui e McLeod si erano resi conto di quello che c'era dietro l'incursione dei quattro uomini, ma non ne avevano fatto parola. Tuttavia, se Peregrine si fosse unito alla Caccia, doveva sapere cosa si trovava ad affrontare. «Tu hai visto gli anelli che Noel McLeod e io ci mettiamo, quando siamo al lavoro. Molte Logge Nere fanno lo stesso. Questo è il simbolo della Lince.» Toccò l'illustrazione con un'unghia ben curata. «Diciamo pure che la Loggia della Lince è un nostro vecchio nemico.» Gli occhi azzurri di Peregrine si dilatarono, ma non disse niente. Dopo un momento, Adam continuò: «L'ultima volta che ci scontrammo con loro fu quindici anni fa. A quel tempo, il loro capo era un uomo di nome Tudor-Jones. Perdemmo tre membri della nostra Loggia di Caccia, prima di sventare l'operazione che la Loggia della Lince aveva progettato. Io m'ero illuso di aver eliminato
almeno la maggior parte dei loro adepti.» Peregrine impallidì un poco. «Eliminato?» mormorò. Il suo tono distolse Adam dai ricordi in cui era scivolato, e sorrise brevemente dell'espressione del giovane amico. «Scusa. Forse sarebbe più esatto dire che li abbiamo... tolti dalla circolazione. Ricordi la nostra conversazione in macchina, mentre andavamo a Loch Ness? Ti dissi che io e Noel e altri eravamo una specie di polizia dell'occulto. Be', l'analogia è vera sotto più di un aspetto. Come la polizia, anche noi dobbiamo far osservare la legge... nel nostro caso, la Legge dei Piani Interni. I membri delle organizzazioni tipo la Loggia della Lince mirano, come quelli di ogni banda criminale, ad avere ciò che non gli appartiene, e non si fermano davanti a niente. Il nostro compito è di fermare quella gente e metterli nelle mani della giustizia, prima che possano fare dei danni su vasta scala o addirittura al mondo intero. «Purtroppo, la loro efferatezza è tale che ci sono spesso delle perdite, da entrambi i lati», continuò sobriamente Adam. «Nel caso che vide protagonisti Tudor-Jones e i suoi accoliti, la maggior parte di quelli che agivano per conto della Loggia della Lince persero la vita. Ma questo non perché fosse nostra intenzione uccidere. Noi cerchiamo di far rispettare la legge, non di giustiziare chi la infrange. Il nostro scopo era di fermarli prima che violassero gravemente la Legge dei Piani Interni. Quando siamo costretti a usare la forza, cerchiamo di sfruttare lo stesso genere di forza usato dai nostri avversari... possibilmente rivolgendola contro di loro. Non è colpa nostra se a volte è una forza mortale.» Avrebbe potuto dire qualcos'altro, ma in quel momento ci fu un rapido bussare alla porta, seguito dal precipitoso ingresso di Humphrey che portava un piccolo televisore da tavolo. «Le chiedo scusa, signore, se irrompo in questo modo», disse voltandosi a mezzo, mentre s'affrettava verso la più vicina presa elettrica, «ma uno dei titoli di testa del telegiornale del mattino riguarda una cosa che può interessarle. Fra poco dovrebbero passare alla notizia vera e propria.» Depose il televisore su un tavolino di mogano, lo accese e regolò l'antenna. Da lì a poco, lo schermo fu riempito dalla facciata di un grande palazzo, mentre la voce di un giornalista della BBC accompagnava le immagini: «... la polizia dei Grampians sta indagando su una misteriosa esplosione avvenuta durante la notte nella tenuta del castello di Balmoral», informò l'uomo, mentre la telecamera faceva una panoramica sui prati ben curati. «L'esplosione ha gravemente danneggiato la torre baronale del ca-
stello, poco dopo la mezzanotte. Fortunatamente non ci sono stati feriti. Il capo della polizia William McNab non ha voluto fare commenti sulle possibili cause dell'esplosione, affermando che i fatti saranno meglio noti soltanto dopo un'accurata analisi delle macerie. La squadra della polizia scientifica di Aberdeen e un gruppo di esperti dell'esercito stanno esaminando il luogo in cerca di indizi.» La telecamera inquadrò la porzione del castello interessata, sull'ala nord, dove al posto della torretta si apriva uno squarcio annerito. Alcuni uomini in divisa dell'esercito e della polizia stavano perlustrando il prato sottostante, costellato di detriti. Poi l'inquadratura si spostò sul giornalista, tra le aiuole con il microfono in mano. «L'addetto stampa di Bukingham Palace ha dichiarato che nessun membro della famiglia reale risiede attualmente a Balmoral», continuò l'uomo, spostandosi in modo da avere l'edificio sullo sfondo. Indicò il moncone della torretta. «Le autorità stanno contemplando l'ipotesi di una fuga di gas, ma non hanno ancora scartato la possibilità di un attentato terroristico. Ad aumentare il mistero, ci sono diverse testimonianze secondo le quali a colpire il tetto del castello sarebbe stato un fulmine. Da parte della polizia e dei militari di guardia nella tenuta, non è ancora pervenuta nessuna dichiarazione. Così, finché le autorità non saranno in grado di fornire una spiegazione, le cause dell'esplosione sono destinate a rimanere un'incognita. Dal castello di Balmoral, Alan Cafferty per BBC News.» L'inquadratura si restrinse sui resti anneriti della torretta, da cui si levava ancora un filo di fumo, quindi tornò in linea lo studio con le notizie economiche da Londra. Adam indicò a Humphrey che poteva portare via il televisore, e si voltò verso Peregrine con aria perplessa. «Un mistero, infatti», mormorò. «Mi domando...» Invece di finire la frase, allungò una mano verso il telefono e batté il numero dell'ispettore capo Noel McLeod, veterano di molti «misteri» non risolti. Dopo il terzo squillo ebbe risposta. «Edimburgo, 7978», rombò una ben nota voce di basso all'altro capo della linea. L'espressione di Adam si rilassò. «Noel? Sono Adam. Non credo che tu abbia visto l'ultimo notiziario della BBC... oppure sì?» «Ti riferisci alla faccenda di Balmoral, eh? Sì, ne ho visto un pezzo. Mi stavo lavando i denti, quando Jane mi ha chiamato in soggiorno.» Adam si accorse di sorridere, al pensiero di McLeod che entrava in sog-
giorno con la bocca piena di sapone e lo spazzolino in mano. «Allora suppongo che tu non sappia ancora nient'altro. Cosa ne pensi?» «Il mio primo pensiero è stato 'Grazie al cielo, Balmoral è fuori dalla mia giurisdizione'», rispose McLeod. «Poi, però, quell'accenno al fulmine mi ha fatto venire un dubbio.» «Mmm. Anche a me», concordò Adam. «O almeno, mi sono chiesto chi siano questi testimoni non menzionati. Sembra strano che qualcuno attribuisca un fatto del genere a un fulmine, salvo che non abbia visto effettivamente l'accaduto. Potrebbe essere solo uno scherzo del temporale, ma non sono del tutto sicuro di poter fare un'affermazione del genere.» «Già.» La brusca risposta di McLeod indicò che stava digerendo ciò che Adam aveva detto... e non detto. «Be', penso he non ci sia nulla di male a dare un'occhiata sul posto, appena la stampa se ne sarà andata, se non altro per togliersi il dubbio.» «Precisamente quello che pensavo io. Se tu avessi il tempo, potremmo fare una scappata a Balmoral la settimana prossima.» «Non c'è problema», disse McLeod. «Ti richiamerò, appena avrò trovato qualche ora libera. Per caso stai pensando di portare anche il giovane Lovat?» «Se lui avrà voglia di venire», disse Adam, con un'occhiata interrogativa a Peregrine, che aveva ascoltato con attenzione e ora stava annuendo con energia. «In effetti», proseguì con un sorriso, «in questo momento è qui con me. Siamo stati a cavalcare insieme. Dalla faccia che ha, mi sembra di capire che per impedirgli di venire con noi dovrei legarlo al letto, lui e Miss Novembre di Playboy.» McLeod ridacchiò. «Nel frattempo», continuò Adam, «non vedo nessuna ragione perché tu non possa goderti il weekend in pace. Salutami tanto Jane. Bene... allora aspetto che mi chiami tu, fra qualche giorno.» McLeod disse ancora poche parole e lo salutò. Ma Adam aveva appena messo giù il ricevitore che l'apparecchio squillò. Sorpreso, rispose. «Pronto, qui Sinclair.» «Adam? Oh, apriti cielo, da quando rispondi personalmente al telefono di casa tua?» chiese una voce tenorile, altrettanto familiare agli orecchi di Adam quanto lo era quella di McLeod. «Sono Christopher. Senti, per caso hai visto il notiziario della BBC, questa mattina?» «Se ti riferisci all'incidente di Balmoral, ne ho appena parlato al telefono con Noel.»
«Ah, allora è sembrato strano anche a voi», rispose l'altro, in tono gioviale. «Be', possiamo parlarne di persona appena sarai qui, allora. Tu stai venendo, no?» «Naturalmente. Pensavo di uscire giusto dopo colazione, appena mi sarò cambiato», confermò Adam. «Suppongo che non ci siano state novità, dall'ultima volta che abbiamo parlato.» «No, non che io sappia.» «In questo caso, procederemo come abbiamo stabilito. Ah, a proposito», aggiunse Adam. «Per combinazione, qui con me c'è una persona che potrebbe esserci utile. Si tratta di Peregrine Lovat.» «Il pittore?» «Proprio lui. Ti dispiacerebbe se lo portassi con me?» «Dispiacermi? Buon Dio, no!» «Un attimo, che gli domando se ha altro da fare.» Adam sì volse a Peregrine, che si stava sforzando di mascherare la sua curiosità. «Be', che ne pensi? Hai qualche altro progetto per la mattinata?» «In effetti, pensavo di passare alcune ore affascinanti tirando fuori i libri imballati negli scatoloni», rispose Peregrine, sbattendo le palpebre dietro le lenti dalla montatura dorata. «Ma se questo è un invito, i libri possono attendere.» Adam ridacchiò. «Mr. Lovat dice che non ha impegni urgenti», riferì al suo interlocutore. «Ci vediamo al presbiterio, allora.» «Benissimo! Ti aspetto.» Mentre Adam rimetteva giù il ricevitore, Peregrine si sporse in avanti sulla sedia. «Ebbene, in che faccenda sono stato coinvolto?» «Oh, niente di troppo serio», rispose Adam. «Il gentiluomo che mi ha appena chiamato è padre Christopher Houston, un prete episcopale, vecchio amico della mia famiglia. Una sua ex parrocchiana si è lamentata con lui che l'appartamento in cui si è trasferita è infestato dagli spiriti. Mi ha chiesto di dare un'occhiata al posto.» Nel sentire la parola «spiriti», sulla faccia di Peregrine era subito apparsa un'espressione scettica. «Un momento, non guardarmi in quel modo», si affrettò a dire Adam. «Io ti riferisco solo quanto mi è stato detto. Non penso neppure per un minuto che sia veramente così. Christopher è già stato lì, e lui non crede che la faccenda richieda un esorcismo o cose del genere. D'altra parte, la giovane donna che vive in quella casa ha degli incubi da quando si è trasferita. Che la causa sia fisica oppure psichica, resta da vedere.»
«Ed è qui che puoi intervenire tu.» «È qui che posso intervenire io», annuì Adam. «Esamineremo la situazione con mente aperta. La giovane signora in questione potrebbe semplicemente essere stressata. O forse c'è qualcosa di sgradevole nell'atmosfera del posto. In ogni caso, non lasceremo irrisolta la faccenda.» «E io come potrei esserti utile?» volle sapere Peregrine. «Be', quando ho discusso il caso con Christopher», continuò Adam in tono discorsivo, «gli ho parlato di te, e ho accennato alla tua insolita capacità introspettiva come ritrattista. Christopher si è detto molto interessato a questo tipo di talento, e ha espresso il desiderio di vedere qualche tuo lavoro. Ho pensato che questa sarebbe stata non solo l'occasione di presentarti quello che considero un buon amico, ma anche l'opportunità, per te, di usare il tuo talento per uno scopo costruttivo.» «Vuoi che disegni ciò che vedrò in quell'appartamento?» Adam annuì. «Sempre che ci sia qualcosa da disegnare.» Entrambi gli uomini sapevano che non stavano parlando delle pareti o dell'arredamento. «Giusto.» Peregrine sorrise. «Dimmi solo quando vuoi che mi prepari a uscire.» «Be', Christopher abita a Kinross», lo informò Adam. «Ci aspetta per le dieci.» Peregrine guardò l'orologio, poi gli abiti che aveva addosso. «Buon Dio, Adam, tu dai i preavvisi più brevi di chiunque io conosca! Ho il tempo di farmi la barba?» «Se sarai molto veloce», suggerì Adam con una risatina. «Io lo sarò.» Peregrine buttò giù quanto restava del suo tè, e cominciò frettolosamente a rimettere i disegni nella cartella. «Non so tu come intendi presentarti», mormorò. «Qual è l'uniforme di rigore, per incontrare preti episcopali ed esplorare case infestate dai fantasmi?» «Oh, un look casual... ma mettiti la cravatta», rispose Adam, mentre il giovane artista andava alla porta e spariva nell'atrio. «Passo a prenderti alla dépendance fra mezz'ora», gli gridò dietro. «E non dimenticare l'album da disegno!» 2 Il ritmico tump-tump del rotore dell'elicottero echeggiava fra le pareti
granitiche dei monti Cairngorms, un po' attutito dalla neve che velava i picchi. Tre cervi dalla coda bianca, al pascolo sui radi cespi d'erica, sussultarono e presero la fuga giù per un pendio quando lo snello velivolo apparve da sopra la cresta e scese lentamente di quota. All'estremità più lontana della valle, sul fianco di una rupe, i raggi del sole mattutino illuminavano il tetto color ardesia e le arcuate finestre gotiche di un maniero vittoriano, costruito sopra un vertiginoso precipizio nel quale cadeva una lunga cascata spumeggiante. L'elicottero si diresse lungo il corso del fiume verso l'edificio, gettando la sua ombra spettrale sul fondo cespuglioso della valle. Davanti alla cascata salì di quota, fece un giro intorno alla torre centrale e poi scese come una libellula sull'erba del cortile anteriore, recintato da un muro. Il pilota spense il motore e uscì dalla carlinga con movimenti esperti e indifferenti, senza chinarsi sotto le pale che ancora stavano decelerando, mentre andava ad aprire il portello del compartimento passeggeri. Indossava una vecchia blusa e un casco di pelle marrone usati dai piloti mezzo secolo addietro, ma i suoi occhiali da sole erano costosi e alla moda. L'uomo che scese era pallido e assai meno atletico di lui, con radi capelli biondi pettinati all'indietro. Dall'aspetto e dall'espressione del viso avrebbe potuto essere un ricco dirigente d'azienda o un professore d'università. Il soprabito elegante faceva propendere per la prima ipotesi, e il completo grigio sotto di esso aveva decisamente più il sapore di Saville Road che delle polverose aule di una scuola. In effetti, Mr. Francis Raeburn frequentava entrambi quegli ambienti, anche se non aveva fatto quattrini in nessuno dei due. Quand'era costretto a fare qualche cenno sulla provenienza della sua non indifferente fortuna, si limitava a sorridere con aria imperscrutabile e mormorava qualcosa di vago su prudenti investimenti finanziari, oculate operazioni bancarie, e la sua appartenenza a una famiglia ricca. I suoi occhi grigi erano più illeggibili del solito quando si fermò sul prato a contemplare in silenzio le dimensioni dell'imponente edificio gotico. Dietro di lui, il pilota tornò nella carlinga per prelevare una bella borsa per documenti in pelle, che consegnò al suo datore di lavoro con atteggiamento deferente. «Ha bisogno d'altro, Mr. Raeburn?» L'uomo scosse distrattamente il capo e si mise la borsa sotto un braccio, voltandosi di nuovo a osservare la torre. «Per adesso no, Barclay. Si consideri in libertà per la prossima ora, ma
non si allontani troppo. Conoscendo il suo insaziabile appetito, le consiglio di andare nelle cucine e vedere se il cuoco ha qualcosa per lei.» Il pilota lo vide piegare lievemente all'insù un angolo della bocca, capì che quella era una battuta di spirito e sogghignò, annuendo per mostrare che la apprezzava. «Sì, signore, Mr. Raeburn!» Mentre il pilota rientrava nella carlinga per accertarsi che tutto fosse spento, Raeburn attraversò il prato a passi svelti. Il portone frontale dell'edificio si aprì mentre lui s'avvicinava, e un uomo vestito di quello che sembrava un saio monacale bianco lo accolse con un cenno del capo profondo quasi quanto un inchino. Senza dir parola l'uomo lo precedette rispettosamente nell'atrio e poi in un lungo corridoio tappezzato in pannelli di quercia. Sulla sinistra c'era un piccolo spogliatoio, contenente un armadio, un attaccapanni da cui pendeva un saio di lana bianca e uno specchio a figura intera. Raeburn si tolse il soprabito e la giacca, che consegnò all'accolito in attesa, prima di sedersi su uno sgabello e levarsi scarpe e calze. S'infilò il saio bianco sulla camicia e i pantaloni, recuperò la borsa portadocumenti e permise all'accolito di scortarlo nel corridoio principale. Una scala molto ripida li portò a un pianerottolo circolare sul quale si aprivano due porte. L'accolito bussò alla porta meridionale, attese di avere risposta dall'interno e fece passare Raeburn nell'opulenza di una biblioteca in stile vittoriano. La finestra principale della biblioteca era larga e ricurva, esposta a sud, fornita di vetri dipinti attraverso i quali la luce colorata si spandeva sui ricchi tappeti orientali che coprivano il pavimento. Le pareti non ricoperte dagli scaffali dei libri erano tappezzate in rosso e oro, e antiche tende di damasco pendevano ai lati della finestra. Al centro della stanza campeggiava un largo tavolo da biblioteca in mogano, con le gambe intarsiate da elaborate sculture. Seduto dietro il tavolo, su una comoda poltrona di velluto rosso, stava l'uomo che Raeburn era venuto a visitare. «Maestro Anziano», mormorò, chinando appena il capo ma senza distogliere lo sguardo dal suo ospite. Dopo averlo scrutato con occhi penetranti per qualche secondo, il vecchio alzò lentamente una mano artritica e fece cenno al nuovo venuto di avvicinarsi, indicandogli la sedia alla sua destra. «Si accomodi», disse con voce resa rauca e sottile dall'età. «Si sieda, e
mi faccia pure il suo rapporto.» Raeburn sedette, sistemò il saio e depose la borsa contro una gamba della sedia. «Ciò che devo dirle non le piacerà», lo avvertì. «Le nostre peggiori paure circa Geddes e gli altri sono state confermate. Sono tutti morti, e il tesoro è da considerarsi perduto.» Quando vide che l'espressione del vecchio non cambiava, Raeburn proseguì: «Barclay, come lei ricorderà, quella notte si trovava a bordo del furgone sull'altra riva del lago, in attesa di ricevere l'oro di Michael Scot e soprattutto il suo libro d'incantesimi. In base alle prove che sono stato in grado di raccogliere dopo quei fatti, sembra certo che la tempesta di luce verde notata da Barclay fosse la Caccia Selvaggia dei Sidhe. Devo concludere che loro siano i responsabili della morte dei quattro uomini e della perdita di ciò che essi avevano prelevato dalla caverna segreta». Il vecchio sbuffò, sprezzante. «Dunque, si direbbe che Geddes abbia pericolosamente sopravvalutato le virtù protettive dello Stendardo degli Elfi, da lui rubato ai MacLeod.» «Forse», replicò Raeburn. «Ma io non credo. Se lo stendardo ha fallito nel proteggere i nostri uomini, posso solo supporre che ciò sia stato per un cambiamento nelle condizioni fisiche dello stendardo stesso.Il nostro agente alla sede della polizia di Edimburgo mi ha riferito che lo stendardo, ma non la sua cornice, è stato restituito al capo del clan MacLeod, quella stessa notte al castello di Urquhart, da un altro membro della polizia di Edimburgo, l'ispettore Noel McLeod. Questo significa che la cornice e il vetro in cui era contenuto devono in qualche modo esser stati danneggiati prima che Geddes e gli altri potessero completare la loro fuga. E una volta privo della cornice, lo Stendardo è diventato un pericolo, più che una protezione.» «Si spieghi.» «Secondo la leggenda», continuò Raeburn, «se qualcuno che non fa parte del clan MacLeod sfiora lo stendardo anche con un dito, costui viene bruciato all'istante. La polizia dice che sul luogo è esplosa una bomba, ma io sospetto che la leggenda fosse vera. La cornice e il vetro sono andati in pezzi, forse in seguito all'intervento di questo ispettore McLeod, e il nostro uomo nell'agitazione ha dimenticato la maledizione. Ha cercato di afferrare lo stendardo e ne ha pagato il prezzo. Subito dopo, quand'è stato chiaro che toccare quell'oggetto significava la morte certa, ai tre superstiti non è rimasto che difendersi a mani nude contro lo sciame degli Elfi... che hanno fat-
to a pezzi uno di loro, per l'appunto Geddes.» Il Maestro Anziano ponderò in silenzio su quelle congetture per qualche momento, poi fissò il suo interlocutore con occhi brillanti. «Lei è sicuro che fra le vittime ci fosse anche Geddes?» domandò. «Oh, sì», rispose Raeburn. «Ne sono sicuro.» S'infilò una mano in una tasca dei calzoni e ne tirò fuori un bell'anello d'oro con incastonato un rubino sanguigno, uguale a quello che anch'egli portava all'anulare destro. Il sole trasse un bagliore dal disegno inciso sulla gemma: la testa stilizzata di una lince con le zanne scoperte. «Questo è l'anello di Geddes», disse al Maestro. «Dentro c'era ancora un dito mozzato quando l'ispettore McLeod lo ha infilato in un sacchetto di plastica. Fra gli altri reperti raccolti sul posto c'erano resti di cenere proveniente da un corpo umano, pezzi di carne appartenenti a un secondo corpo umano, i frammenti della cornice, e la Spada degli Hepburn. Il nostro agente alla polizia di Edimburgo è riuscito a procurarsi l'impronta digitale di quel dito, che ha poi confrontato con quelle dei nostri membri. Corrispondeva.» Il Maestro Anziano protese una mano solcata da vene bluastre. Quando Raeburn gli mise l'anello sul palmo, lo strinse fra le dita e chiuse gli occhi. Per alcuni secondi restò immobile, come immerso in una profonda concentrazione. Poi riaprì gli occhi, con un cupo cenno di conferma. «Sì, è l'anello di Geddes», disse. «Circa l'impronta di quel dito, voglio sperare che la polizia non possa eseguire lo stesso genere di confronto e identificarlo.» «Impossibile», lo rassicurò Raeburn con fredda certezza. «Geddes non era schedato. Da questo punto di vista, siamo al sicuro.» «E il suo medaglione?» «Quello non è stato trovato. Dev'essere caduto nel lago.» «E gli altri due uomini?» Raeburn inclinò la testa. «Barclay dice che due membri della squadra sono riusciti a saltare sul motoscafo e a metterlo in moto. Evidentemente erano riusciti a gettare a bordo anche la cassa. Lui ha visto il motoscafo allontanarsi dalla spiaggia sotto il castello, ma subito dopo c'è stato l'urto contro qualche ostacolo, nell'acqua. Dapprima Barclay non voleva dirmi ciò che ha visto, ma io penso di sapere cosa fosse... cioè proprio quello che uno può aspettarsi che la magia risvegli dagli abissi di Loch Ness. In ogni caso, il motoscafo si è spaccato ed è affondato, e i due uomini devono essere affogati. I loro corpi
non sono stati recuperati. In quanto alla pesante cassa che avevano preso dalla caverna degli Elfi... in quel punto il lago è profondo centinaia di metri.» L'espressione del Maestro Anziano era aggrondata. «Questo in che situazione ci lascia?» Raeburn scrollò le spalle. «La polizia ha diramato una versione ufficiale alquanto fumosa circa una possibile cellula di terroristi e una bomba esplosa per errore. Per spiegare l'affondamento del motoscafo, ipotizzano l'urto contro un tronco. Per quanto traballante sia questa spiegazione, nessuno ne ha una migliore, almeno ufficialmente. A questo punto il caso dovrebbe finire archiviato, se qualche parente dei nostri uomini non chiederà altre indagini... e possiamo escludere che questo avvenga. Dopotutto, chi mai potrebbe immaginare la verità?» «Quell'ispettore, forse, quel McLeod», suggerì il Maestro Anziano. Sul volto di Raeburn apparve una smorfia incerta. «Forse. Non mi sono dimenticato di lui. Per il momento ci ha reso un servizio, dato che la sua versione dei fatti allontana l'attenzione delle autorità dagli aspetti soprannaturali dell'accaduto. Ma i motivi per cui lo ha fatto non sono chiari. A mio avviso, costui potrebbe indagare ancora, in via non ufficiale.» «Anch'io la penso così.» Negli occhi slavati del vecchio ci fu un lampo di ostilità. «Quest'uomo è stato troppo coinvolto nelle attività preliminari di Geddes, per i miei gusti. Ha ficcato il naso all'abbazia di Melrose, dove Geddes aveva scavato per saccheggiare la tomba di Scot, poi al castello di Dunvegan dopo il furto dello Stendardo degli Elfi, e infine si trovava a Urquhart proprio sul più bello. E sempre accompagnato da quei due individui... Sinclair e quel giovane pittore.» Raeburn inarcò un sopracciglio. «Si potrebbe supporre che la presenza di McLeod sia stata casuale. Evidentemente lui è l'esperto della polizia nei casi in cui si sospetta l'attività di sette sataniche e simili. E Melrose è nella sua giurisdizione. In quanto al castello di Dunvegan, dato che anch'egli è un MacLeod, è probabile che a chiedere il suo intervento sia stato il capo del clan. L'intervento a Urquhart, però, è un'altra faccenda. Ho ordinato al nostro uomo a Edimburgo di tenere McLeod sotto sorveglianza.» «E Sinclair?» «Anche il suo ruolo nei fatti accaduti è aperto a ogni ipotesi. Ho eseguito qualche ricerca, e sembra che quest'uomo sia un noto psichiatra, ogni tanto usato dalla polizia come consulente. Varrebbe la pena di scoprire se il suo interesse nell'occulto è limitato alla curiosità professionale.»
«Sappiamo qualcosa anche di quel pittore?» Raeburn annuì. «In un certo senso, costui mi appare come il più pericoloso dei tre, proprio perché è così diverso da McLeod e Sinclair. Si chiama Peregrine Lovat e, a parte il fatto che è un protetto di Sinclair, è quello la cui presenza è più difficile da spiegare. Se avesse il doppio dell'età che ha, lo sospetterei di essere il capo di una Loggia di Caccia. Però è poco più di un ragazzo.» «È un ragazzo attraente?» domandò il Maestro, torcendo le labbra in una smorfia sprezzante. «Se la risposta è sì, forse non sarà necessario scavare troppo per sapere perché Sinclair lo ha preso sotto la sua protezione.» Raeburn sbuffò. «Questo spiegherebbe alcune cose, ma io non credo che sia la risposta. L'eminente dottor Sinclair ha una reputazione da difendere, e comunque gli si conoscono solo relazioni eterosessuali, benché non sia certo un donnaiolo. No, penso che dovremo cercare altrove i motivi della presenza di Lovat. Me ne occuperò io stesso.» «Lovat non merita la sua personale attenzione», sentenziò il Maestro Anziano. «Se vuole indagare su di lui, gli metta alle costole qualcun altro, uno del quale lei può fare a meno. Se vogliamo che i nostri piani procedano in orario, lei ha compiti più importanti da sbrigare.» «Mi stavo chiedendo una cosa.» Fra le bionde sopracciglia di Raeburn c'era una ruga pensosa. «E se la presenza di questi tre uomini non fosse una coincidenza? La effetti costoro sono adepti di qualche genere... e in tal caso potrebbero rappresentare una minaccia molto reale. Hanno certo visto il sigillo sull'anello di Geddes. Se ne sapessero abbastanza da riconoscere...» Il vecchio sbuffò. «Se fossero stati in grado di riconoscerlo per ciò che è, a quest'ora lo sapremmo. Comunque, se ci tiene, li tenga sotto sorveglianza. Se dovessero diventare un fastidio ci occuperemo di loro.» «Ma se fossero loro i responsabili del fallimento dei nostri quattro uomini a Urquhart...» «Le perdite che abbiamo avuto a Urquhart non sono di grande rilevanza, a conti fatti», disse il Maestro, con l'aria di considerare chiusa quella faccenda. «Cos'abbiamo perduto? L'oro di Scot? Un peccato, certo, ma abbiamo altri modi per procurarci i fondi. Gli incantesimi di quell'antico stregone? Chi può dire se fossero davvero potenti come racconta il folclore popolare? Non dimentichi che perfino Geddes, con le sue limitazioni, è stato capace d'intrappolare lo spirito di Michael Scot e costringerlo a rivelare l'ubicazione della caverna in cui aveva nascosto i suoi averi. Ci sareb-
be riuscito, se Scot avesse avuto davvero il potere e la conoscenza che la leggenda gli attribuisce? «In quanto a Geddes e ai suoi uomini», continuò, sprezzante, «dobbiamo rimpiangere la perdita di agenti incapaci di portare a termine una missione? No, la Loggia della Lince non ha lacrime da sprecare per gli inetti. Senza di loro saremo più forti. Comportiamoci come se non fossero neppure esistiti!» Stringendo l'anello con il rubino in una mano adunca, il vecchio si alzò dalla sedia e andò a un semplice tavolo di quercia situato in un'alcova, a sinistra della finestra ricurva. Sul tavolo c'era una piccola fornace elettrica portatile, con un assortimento di utensili e di stampi per realizzare forme di piombo. Il Maestro Anziano accese la fornace. Mentre si riscaldava, strinse il cerchietto dell'anello in una morsa, quindi impugnò un piccolo martello da gioielliere. Un colpo secco ridusse la pietra in una dozzina di schegge, come gocce di sangue cristallizzato, che raccolse sul palmo di una mano e mise in un mortaio. Un pestello elettrico gli permise di trasformarle in pochi secondi in una polvere rossa, che rovesciò in una fialetta e chiuse con un tappo di plastica. Poi tolse l'anello dalla morsa e lo gettò in un piccolo crogiuolo, che infilò nella fornace. Raeburn aveva osservato l'operazione dalla sua sedia. Quando il Maestro tornò verso di lui, si alzò a mezzo e prese destramente al volo la fialetta che l'altro gli gettò. «Questo per quanto riguarda Geddes», disse, mentre il vecchio sedeva di nuovo dietro il grosso tavolo. «E ora, in che modo procediamo?» «Esattamente come abbiamo stabilito», replicò con fermezza il Maestro Anziano. «Lo scopo resta inalterato. L'unica differenza è che ricorreremo ad altri mezzi.» «Vuol dire il collare Soulis?» chiese Raeburn, perplesso. «E perché no?» L'altro aprì un cassetto a un'estremità del tavolo e ne tolse una scatola oblunga di lucido frassino, che spinse verso Raeburn. Dopo uno sguardo incredulo al suo superiore, l'uomo dai capelli biondi aprì la fibbia della scatola e sollevò accuratamente il coperchio. All'interno, adagiato su un'imbottitura di seta scarlatta, c'era un pesante collare in ferro meteorico nero, inciso di simboli preistorici. Gli occhi slavati di Raeburn si dilatarono quando lo riconobbe, intimorito. «Impressionante, vero?» mormorò il vecchio. «Gli artigiani druidi che lo
costruirono erano dei veri maestri. Il potere degli elementi con cui l'hanno impregnato è forte quanto o più degli incantesimi di Michael Scot... ed è già in nostro possesso. Non ho forse detto fin dall'inizio che avremmo dovuto risvegliare la sua energia dormiente, e farne uso per i nostri scopi?» «L'ha detto», annuì Raeburn. «Ma dopo tanti secoli che nessuno osa farlo... il rischio...» «Rimane entro limiti accettabili», dichiarò il Maestro. «E sbaglia, dicendo che non viene usato da molti secoli. Come potrei evocare la sua potenza, se io personalmente non lo avessi già messo alla prova?» A quelle parole, Raeburn sollevò lo sguardo di scatto. «L'incidente di Balmoral? Me l'ero domandato. Chi è stato a nutrire il collare per fornirgli il potere, in quell'occasione?» «Un individuo senza importanza», rispose il Maestro con gelida indifferenza. «Un subalterno con ambizioni inadeguate alla sua posizione. Per il triplo sacrificio, però, dovremo avere qualcuno più importante. Spero che lei me lo abbia già trovato.» Raeburn aveva riassunto la sua aria efficiente. «Ho mai deluso le sue aspettative?» domandò, chinandosi a prendere la borsa sul pavimento accanto alla sedia. Sotto lo sguardo del Maestro Anziano, Raeburn aprì la borsa e ne tolse una fotografia in bianco e nero, che porse al superiore. Il vecchio la esaminò brevemente, prima di girarla e leggere la biografia scritta a macchina sul retro. Quando finì, guardò ancora per qualche secondo la foto, e poi la poggiò a faccia in su sopra la scatola contenente il collare. «Eccellente», mormorò. «Una scelta davvero appropriata. Avrà bisogno della mia assistenza?» «Forse mi sarebbe utile, sì», disse Raeburn. «I miei uomini sanno cosa mi aspetto da loro, e sono preparati a svolgere il loro ruolo non appena verrà il momento. Ma qui non si tratterà semplicemente di mettere una pallottola nella testa di una pedina non più utile. Se potrò contare su un sostegno extra, sarò molto più sicuro del successo.» Le labbra avvizzite del Maestro Anziano si piegarono in un freddo sorriso. «Naturalmente. Scelga un gruppo di dodici, a suo piacere.» 3 Il presbiterio della chiesa episcopale scozzese di St. Paul, a Kinross, era
un elaborato cottage vittoriano adiacente alla chiesa, ben lontano dalla strada, in mezzo a rigogliosi cespugli di rose. Mentre Adam entrava con la Range Rover sul sentiero di ghiaia davanti alla casa, evitando un triciclo giallo da bambini, Peregrine guardò pensosamente il cielo, che dalla loro cavalcata di quel mattino si era alquanto rannuvolato. «Credo che niente sia così mutevole come il tempo scozzese», disse. «Abbiamo fatto bene a uscire presto. Saremo fortunati se non dovremo tornare a casa sotto un brutto acquazzone.» Mentre Adam spegneva il motore, una figura energica in abito talare borghese e impermeabile uscì dalla porta principale della villetta, con una piccola borsa in mano. L'uomo li salutò con un gesto cordiale e scese dalla veranda, venendo loro incontro mentre smontavano dall'auto. «Lieto di vederti, Adam. Sono contento che tu sia riuscito a venire. Questo è Mr. Lovat, suppongo.» «Proprio lui», confermò Adam. «Peregrine, permettimi di presentarti padre Christopher Houston, un amico di vecchia data.» Peregrine studiò la nuova conoscenza mentre si scambiavano una ferma stretta di mano. Visto da vicino, Christopher appariva ancor più magro e allampanato, con una bocca larga facile al sorriso e capelli bruni ribelli al pettine come quelli di un ragazzino appena tornato da un campo da gioco. Indossava il clergyman con naturalezza, e i suoi occhi bruni, ai lati di un lungo naso arcuato, erano sorprendentemente acuti. Peregrine assunse un'aria che si augurava rispettosa e disse: «È un vero piacere fare la sua conoscenza, sir». «No, l'unico Sir qui è Adam. Io sono solo Christopher», precisò il sacerdote con franchezza. «Ciò che mio marito vuol dire, è che non c'è bisogno di essere così formali», intervenne una divertita voce femminile dietro le spalle di Christopher. «Il fatto che lui porti il colletto bianco non significa che lei debba essere cerimonioso... soprattutto se viene da noi in compagnia di Adam.» Colto un po' di sorpresa, Peregrine si trovò a guardare gli occhi grigioazzurri di una donna sui trentacinque anni. Attraente, più che graziosa, aveva con sé due bambine, la più grande sui cinque anni e l'altra una pupattola di due o poco più. Tutte e tre erano vestite come se stessero per uscire, con soprabito e berretto. «Mia moglie Victoria e le mie figlie, Ashley e Alexandra», disse affettuosamente Christopher. «Vicky, hai sentito anche tu le presentazioni?» «Sì.» Il sorriso mise in evidenza due fossette. «Benvenuto a Rosemount,
Peregrine. Ho già avuto occasione di ammirare alcuni dei suoi quadri... anche se non immaginavo che lei fosse così giovane. Dovrebbe avere almeno vent'anni di più, per la fama di cui gode!» Adam ridacchiò nel vedere il rossore di Peregrine, e lo prese per un braccio, riportandolo verso la macchina, mentre con il capo accennava a Christopher di seguirli. «La sua anima è molto più vecchia del corpo, Victoria», disse in tono casuale, «ma se vuoi parlare di pittura con lui dovrai aspettare il nostro ritorno. In ogni modo, mi sembra che tu e le bambine stiate uscendo.» Victoria guardò le figlie, che si erano incantate a fissare Peregrine con ingenua curiosità. L'innocenza dei loro volti sciolse l'imbarazzo del giovane artista, che fece qualche complimento a entrambe, le solite cose che si dicono ai bambini di quell'età, ed ebbe la soddisfazione di vederle sorridere. «Stiamo andando a casa di mia madre», spiegò Victoria. «Cioè, se le bambine la smetteranno di flirtare con Peregrine. Ma voi tre tornerete per l'ora di pranzo, vero?» attese che Christopher annuisse. «Benissimo. Ci vedremo più tardi, allora. Su, bambine, la nonna ci aspetta. E siamo già in ritardo.» «Anche noi arriveremo in ritardo, se non ci muoviamo», fece notare Christopher. «Stiamo solo aspettando te», ridacchiò Adam. «Coraggio, vecchio mio, salta in macchina.» Mentre saliva sul sedile posteriore, Peregrine decise che la famiglia Houston gli piaceva. Christopher gli consegnò la borsa, e lui la poggiò sotto il sedile accanto alla sua cartella. E mentre Adam usciva in retromarcia e discuteva con il sacerdote sulla strada migliore da prendere, il giovanotto scoprì di essere più curioso degli Houston che di quanto li aspettava a Edimburgo. Una cosa gli appariva chiara, di quei due. Aveva avuto la netta sensazione che tra di loro ci fosse più di quanto sembrasse a un primo sguardo. Benché la breve conversazione di fronte al presbiterio fosse stata semplice e superficiale, Adam aveva avuto un atteggiamento insolitamente aperto, da cui si capiva che non sentiva la necessità di stare sulle sue in presenza di quella coppia. E quel commento apparentemente casuale sul fatto che la sua anima era vecchia... Curioso di verificare la sua intuizione, almeno per quanto riguardava Christopher, Peregrine si rilassò contro lo schienale e abbassò le palpebre
finché le immagini fisiche davanti a lui si confusero in chiazze di movimento e di colori. Concentrò l'attenzione sulla nuca di Christopher, fece un profondo respiro e lasciò che la sua vista interiore prendesse il sopravvento... Non aveva ancora delineato la prima impressione quando la voce morbida di Adam s'intromise nella sua analisi. «Allora, vecchio mio», stava dicendo, rivolto al sacerdote. «Prima di fare la conoscenza di questa tua giovane ex parrocchiana, c'è qualcosa che pensi io debba sapere su di lei?» Peregrine uscì bruscamente dalla sua semi-trance e vide che Christopher Houston stava guardando pensosamente oltre il parabrezza. «Credo di averti già detto tutte le cose essenziali. Helena Pringle è una ragazza sensibile, ma non del tipo che si lascia andare a voli di fantasia. È per questo che ho subito rizzato gli orecchi, quando mi ha telefonato per dirmi che nel suo appartamento c'è qualcosa che non va.» «Ha detto di aver visto immagini, tipo manifestazioni psicofisiche?» domandò Adam. «No, grazie a Dio. Ma da quando sono stato da lei, ha avuto altri incubi... così sgradevoli che adesso ha paura di andare a dormire. Come ti ho detto, non penso che ci sia bisogno di un esorcismo vero e proprio, ma devo dirti che oggi ho portato con me alcune cosette, tanto per precauzione.» Nel parlare aveva fatto un cenno verso la sua borsa sul retro, ma l'uso della parola «esorcismo» aveva dato a Peregrine un brivido spiacevole. Alzò lo sguardo e incontrò gli occhi di Adam nello specchietto retrovisore. «Non preoccuparti», lo rassicurò Adam. «So di averti detto che non mi aspettavo niente di troppo serio, ma a Christopher piace tenersi pronto a ogni evenienza, e anche a me. Qualunque cosa faremo oggi, dubito che ci troveremo a scacciare demoni con l'uso di messali, incenso e candele. Tu però tieni gli occhi aperti, e stai pronto a disegnare qualunque cosa ti colpisca in modo particolare...» Nicholson Street era una zona abitata soprattutto da studenti dell'Università di Edimburgo. L'appartamento di Helena Pringle si trovava al primo piano di un grosso edificio fornito di terrazza, di fronte a una fila di piccoli negozi. Christopher li precedette su per due rampe di scale, e suonò alla porta di sinistra del pianerottolo. Quasi subito, dall'interno una voce di ragazza domandò: «È lei, padre Houston?» «Al tuo servizio, mia cara», rispose giovialmente Christopher. «Ho portato con me i rinforzi. Se dobbiamo andare a fondo nella cosa, sarà meglio
fare una vera indagine.» Helena Pringle aprì la porta. Era una giovane donna carina e grassottella, con una carnagione rosea e vaporosi capelli biondi. Fece uno sforzo per sorridere e li invitò a passare in salotto, ma Adam notò subito che aveva gli occhi ombreggiati per la mancanza di sonno. «Questo è il dottor Adam Sinclair», disse Christopher, passando alle presentazioni. «È uno psichiatra, specializzato in ipnoterapia. E questo è Mr. Lovat. Fra tutti e tre, dovremmo riuscire a risolvere il problema.» Helena gettò uno sguardo preoccupato a Adam, che si era spostato davanti alla finestra, e si tormentò nervosamente le mani. «Uno psichiatra?» mormorò. «Questo significa che ho dei disturbi mentali?» «Niente affatto», rispose Adam con un sorriso rassicurante. «Ma da quanto mi ha detto padre Houston, so che lei ha fatto dei sogni molto sgradevoli. Così abbiamo pensato che sia il caso di esaminare meglio questi incubi, per cercare di capire cosa li ha provocati. Con il suo permesso, proporrei di usare una leggera ipnosi per aiutarla a ricordare particolari che lei potrebbe aver dimenticato.» «Vuole ipnotizzarmi?» mormorò Helena, impensierita. «Le assicuro che non farò niente di quanto succede nei truculenti film dell'orrore che trasmettono a tarda sera», precisò lui, cercando di rassicurarla con il suo tono gioviale. «Non ho mai morso sul collo i miei pazienti.» Allo sguardo stupito di lei, sorrise e continuò: «No, sul serio, è una procedura perfettamente sicura e del tutto clinica. Lei avrà sempre il controllo di se stessa. La mia sola funzione sarà quella di una guida. Padre Houston starà con noi per tutto il tempo. Potrà anche tenerle la mano, se lei vuole». Nonostante il suo evidente sforzo di restare seria, Helena non poté impedire a un breve sorriso di affiorarle sulle labbra. «Io... capisco», mormorò. «Suppongo di sembrare sciocca, con le mie paure.» I suoi occhi azzurri si spostarono su Peregrine, che era rimasto in disparte non troppo a suo agio. «Anche lei è uno psichiatra?» gli domandò. «No, io...» «Mr. Lovat è un pittore», intervenne Adam. «Funge da mio assistente. Ha un vero dono per trasformare le impressioni psichiche in immagini concrete. E lei non deve sentirsi sciocca perché ha paura. Ma quando avrà capito meglio cos'è a spaventarla, penso che questa paura sparirà. Se permette, vorrei che Mr. Lovat eseguisse qualche disegno, mentre lei ci rac-
conta ciò che vede nei suoi sogni.» «Padre Houston...» La ragazza si voltò verso il sacerdote come in cerca d'aiuto, e lui le poggiò una mano su una spalla. «Non li avrei portati con me, se non pensassi che possono darti una mano», disse l'uomo con fermezza. «Te la senti di fare un tentativo?» Helena deglutì un groppo di saliva, poi annuì. «Va bene», disse con voce tremula. Riportò la sua attenzione su Adam. «Io non sono mai stata ipnotizzata, dottor Sinclair. Cosa vuole che faccia?» Adam aveva già dato un'occhiata alla stanza. Era ammobiliata in modo molto femminile, con un caminetto vecchio stile trasformato per accogliere un moderno bruciatore a gas. Il bagliore rossastro della griglia accesa si rifletteva sulla tappezzeria floreale e sugli scaffali disposti sulla parete di fronte. L'assortimento di piccoli ornamenti comprendeva una dozzina di piccoli prismi di cristallo davanti alla finestra, appesi a un filo di nylon. «Prima di tutto», iniziò Adam, «suggerisco di metterci a nostro agio. Posso darti del tu?» «Sì, naturalmente.» «Grazie. Allora, Helena, vorrei che intanto ti accomodassi su questa poltrona a destra del caminetto. Mmm... spero che non ti dispiaccia permettermi di usare uno di quei bei prismi davanti alla finestra. Sono proprio quello che ci vuole.» Guardando Adam che preparava la scena per il suo lavoro, Peregrine ricordò la sua prima esperienza con l'ipnosi. Come Helena Pringle, anche lui era stato tormentato da paure e spettri... finché Adam lo aveva aiutato a distinguere il dono che stava dietro quelle apparizioni. Si augurò che il caso di Helena potesse risolversi bene come il suo. Dopo aver tolto dal filo di nylon tutti i prismi salvo uno, Adam lo appese alla mensola del caminetto in modo che ne raccogliesse il bagliore rossastro. «Ora chiuderò le tende, per filtrare un po' la luce esterna», disse, tornando alla finestra. «Scoprirai che rilassarsi è più facile, se lasciamo la stanza in penombra.» Helena lo guardava con attenzione, rigida e piuttosto a disagio, così Christopher spostò una sedia accanto a lei e sedette. «Tranquilla, mia cara», mormorò. «Non c'è niente da temere, te lo garantisco. Ecco... teniamoci per mano, se questo ti rende più sicura.» Il religioso prese una delle piccole mani morbide della ragazza e la strinse fra le sue, accostando ancora la sedia finché le loro ginocchia si tocca-
rono. Peregrine nel frattempo era andato a sedersi su un'altra sedia presso la finestra, dove la luce era migliore per disegnare. Quella posizione lo toglieva inoltre dal campo visivo di Helena, cosicché sarebbe stato meno probabile che lui la distraesse. Stava preparando l'album da disegno e le matite, quando il modo apparentemente casuale con cui Christopher chiudeva la mano della ragazza fra le sue lo colpì, come se per qualche ragione fosse significativo. Lo osservò meglio. Poi il suo sguardo si spostò sulla mano destra del sacerdote. Fino a poco prima quell'anello non c'era, Peregrine ne era abbastanza sicuro. Lo zaffiro incastonato nell'oro era di forma quadrata, invece che ovale come quelli che aveva visto talvolta al dito di Adam e di Noel McLeod, e più piccolo, ma lui non dubitò che servisse allo stesso scopo. Buon Dio, è uno di loro pensò Peregrine, senza sapere se essere sconvolto o impressionato da quella scoperta, anche se non poteva dire di esserne troppo sorpreso. Fa le stesse cose di cui si occupa Adam... e adesso lo aiuta a guidare questa ragazza nella trance ipnotica, in modo che lei non si spaventi. È chiaro che hanno già lavorato insieme molte altre volte! Christopher aveva poggiato due dita sul polso di Helena per sentire le pulsazioni, e le parlava con voce troppo bassa perché Peregrine capisse le parole, ma la sua espressione era distaccata e serena come se stesse ascoltando una musica lontana. Mentre osservava il comportamento del sacerdote, davanti ai suoi occhi prese a scorrere un'altra scena. Era come se alla realtà si fosse sovrapposta la pellicola semitrasparente di un film. Solo sei settimane addietro uno scherzo ottico di quel genere lo avrebbe terrorizzato... e in effetti ne era stato terrorizzato. Ora, grazie a Adam, capiva di cosa si trattava e sapeva ciò che doveva fare. Si appoggiò allo schienale, socchiuse gli occhi dietro le lenti degli occhiali e mise a fuoco la sua visuale attraverso e oltre il corpo di Helena. Durante i profondi respiri che seguirono, il velo che aveva davanti agli occhi si schiarì abbastanza da consentirgli di distinguere delle immagini fantomatiche. Ignorando tutti gli aspetti più concreti della stanza, il giovane artista cominciò a mettere su carta la risonanza visiva di fatti che appartenevano al passato... La luce nel salotto era tenue, filtrata dalle tende che Adam aveva chiuso. Accorgendosi che Peregrine stava già disegnando qualcosa, Adam tornò davanti al caminetto e interrogò con lo sguardo Christopher. Quest'ultimo
annuì, e quando Helena alzò gli occhi verso di lui notò che la ragazza aveva un'espressione molto meno ansiosa di poco prima. Accettando quel piccolo progresso con la naturalezza nata dalla lunga pratica, Adam recuperò il prisma di cristallo dalla mensola e sedette di fronte alla giovane donna. Tenendolo appeso al filo di nylon lo lasciò pendere all'altezza degli occhi di lei. Le sue sfaccettature raccoglievano i bagliori della griglia a gas, filtrandone la luce ambrata in un arcobaleno giallo, rosso e verde. Quel vortice di colori attrasse lo sguardo di Helena come un magnete. «Ora, questo cristallo è tuo, Helena, perciò tu sai che in esso non c'è nulla di particolarmente misterioso o spaventevole», spiegò Adam con calma, girando il nylon fra i polpastrelli per far ruotare il prisma. «È semplicemente un centro focale, affinché tu possa fermare la tua attenzione su un singolo punto. Con questo metodo noi distraiamo la tua mente conscia, finché piano piano la tua mente inconscia non verrà in superficie, offrendoti il ricordo sempre più nitido dei particolari che hai bisogno di vedere. «Adesso vorrei chiederti di focalizzare tutta la tua attenzione sul cristallo. Guarda come gira e scintilla, guarda come riflette la luce. Lascia pure che il cristallo sia l'unica cosa che vedi, e ascolta solo la mia voce, come se tutti i rumori in sottofondo si allontanassero e tu potessi concentrarti completamente sul cristallo e su ciò che io ti dico.» Adam osservò il movimento degli occhi di lei, già catturati dai lievi bagliori del prisma, e passò a darle istruzioni più specifiche in tono quieto e discorsivo. «Così va bene, Helena. Rilassati e riposa serenamente. Qui sei al sicuro, stai comoda e tranquilla, e seduto accanto a te c'è padre Houston... «Ultimamente non hai dormito molto, vero? Devi essere stanca, molto stanca... immagino che tu non desideri altro che fare un buon sonno. Perché non ti riposi un poco? Basta che ti rilassi e lasci abbassare le palpebre... brava, così. Ti senti calda e al sicuro e insonnolita... molto, molto insonnolita...» La tensione abbandonò gradualmente la faccia e il collo di Helena. I suoi occhi si chiusero, e il respiro rallentò a un ritmo tranquillo e regolare. Adam abbassò il pendolo e si appoggiò allo schienale, continuando a esortarla al sonno e alla calma con voce monotona. Quando gli parve che il soggetto avesse raggiunto un livello di trance soddisfacente, i suoi suggerimenti cominciarono a deviare sulle loro necessità particolari. «Stai andando bene, Helena. Nel modo migliore, anzi. Sei un ottimo
soggetto. Puoi sentirmi chiaramente, non è così?» «Sì.» La risposta della ragazza fu appena un sospiro. «Perfetto», disse Adam nello stesso tono fiducioso e gentile. «Ora, in un certo senso, tu sei sveglia, pienamente conscia di ciò che ti circonda. Ma in un altro senso sei come seduta in un cinema, nell'attesa di vedere un film. Il film è la registrazione del sogno che hai fatto la notte prima di quella appena trascorsa. Fra un momento mi piacerebbe mandare sul tuo schermo questo film. Tu sei disposta a guardare il film e a dirmi quello che vedi?» La risposta giunse dopo una breve esitazione. «Sì.» «Eccellente», disse Adam in tono d'approvazione. «Ora conterò a ritroso a partire da cinque, proprio come ti sarà capitato di aver visto sullo schermo prima che il film cominci. Quando arriverò a uno, questo sarà il segnale d'inizio del tuo film, e tu mi descriverai tutto ciò che vedi sullo schermo. Cinque... quattro... tre... due... uno.» Le palpebre di Helena tremarono mentre vedeva dipanarsi quei ricordi, e dopo un momento fece un lungo respiro, senza riaprire gli occhi. «La stanza è questa, ma è diversa. C'è del ghiaccio sulla finestra. Il tappeto è rosso scuro invece di azzurro, e le sedie hanno lisci braccioli di legno. Le persone sono uscite, ma hanno lasciato qui le loro ombre. E le ombre sussurrano e scivolano avanti e indietro come spettri...» S'interruppe e un'aria costernata apparve sul suo viso. «È solo un film», le ricordò con calma Adam. «Tu puoi spegnerlo quando vuoi, ma di quello che vedi non c'è niente che possa farti del male. Padre Houston e io siamo qui. Tu non hai paura, no?» «Io... un poco», mormorò lei. «Allora ecco, stringi anche la mia mano», propose lui, prendendole la mano libera come Christopher aveva fatto con l'altra. «Ora sei del tutto al sicuro, in nostra compagnia. Perciò, appena sarai pronta, vorrei che tu tornassi al film e continuassi a dirci quello che vedi. Farai questo per noi?» Al suo timido assenso, le diede un colpetto rassicurante sulla mano. «Sei una brava ragazza. Ora, tu stavi dicendo qualcosa sulle ombre. Puoi dirmi cosa di queste ombre ti spaventa tanto?» Helena si mordicchiò un labbro. «Loro sono... così scure... come figure ritagliate nel cellophane nero. E non vogliono restare sui muri. Continuano a venire in mezzo alla stanza. Sono crudeli. Vogliono rompere le cose che non possono avere...» Stavolta a interromperla fu un lieve ansito di spavento. «Per ora può bastare», la fermò Adam, gettando uno sguardo a Peregrine
che stava disegnando rapidamente. «Non c'è niente da aver paura. È il momento di spegnere il film. Quando la luce si accenderà, sarà come se tu fossi andata in una stanza diversa... un posto dove ti senti tranquilla e al sicuro. Quale vorresti che fosse questa stanza?» «La mia vecchia camera, a casa dei miei genitori.» «Sarà lì che andrai, allora», disse Adam con fermezza. «Adesso la luce si è accesa. Cosa vedi?» Helena stava sorridendo, di nuovo rilassata. «Il mio letto, con la trapunta che mia madre ha fatto per me. Ai piedi del letto sono allineate tutte le mie bambole.» «Sembra proprio un bel posto sereno, Helena», approvò Adam. «Perché non ti sdrai sul letto e fai un pisolino? Nessuno ti disturberà, e non ricorderai niente di quello che sentirai. Fra poco io ti toccherò la fronte e ti chiamerò per nome, e allora ti sveglierai sentendoti fresca e riposata.» Helena sospirò e si abbandonò sulla poltrona con piccoli movimenti delle spalle, come una bambina che si rannicchiasse sotto una coperta. Soddisfatto nel vederla a suo agio, Adam le lasciò la mano e si raddrizzò, volgendosi a Christopher con espressione interrogativa. Anche il sacerdote lasciò la mano della ragazza, e scosse il capo. «Ombre nere sussurranti», borbottò. «Direi che l'atmosfera di questo appartamento è davvero oscurata da qualcosa. Mi chiedo cosa possa essere.» «Me lo chiedo anch'io», annuì Adam, pensosamente. «Però dubito che tireremo fuori molto di più da Helena, almeno restando a questo livello. Se pensassi che la cosa riguarda lei personalmente, potrei usare tecniche più aggressive, droghe e simili, ma non credo che sia raccomandabile in questo caso. Sospetto che la ragazza capri semplicemente delle risonanze di fatti accaduti qui, in questo appartamento, molto prima che lei vi si trasferisse... e ciò che lei capta suggerisce diverse interessanti possibilità. Per fortuna abbiamo a nostra disposizione altre risorse, oltre ai suoi sogni.» Così dicendo fece un cenno con il capo verso la finestra, dove Peregrine stava ancora disegnando. La matita del giovane artista correva sul foglio con gesti svelti e precisi. Dall'espressione della sua faccia, Adam comprese che era momentaneamente inconsapevole della realtà fisica di fronte a lui, e che la sua attenzione era tutta focalizzata sul compito d'isolare e catturare un'immagine significativa del passato. Christopher inarcò un sopracciglio, impressionato da quell'attività. «Lui può vedere cos'è successo qui?» domandò, incredulo. «E ha impa-
rato a fare questo in un mese soltanto?» Adam annuì. «Meno, in effetti. Fin dal primo incontro ho avuto il sospetto che in una vita passata sia stato un Cacciatore. All'abbazia di Melrose me ne sono convinto. Ora capisci, vero, perché desideravo che tu e Victoria aveste la possibilità di conoscerlo?» «Sì», rispose Christopher, con un sorriso meravigliato. «Sono molto impaziente di vedere cosa sta disegnando su quel foglio.» Giusto allora Peregrine buttò giù gli ultimi ritocchi, abbassò la matita e si appoggiò allo schienale della sedia. Un momento dopo i suoi occhi azzurri tornarono a fuoco su ciò che aveva davanti. Poi si schiarì la gola, fece un sospiro e abbassò lo sguardo sull'album fra le sue mani. «Adam!» esclamò. «Vieni a dare un'occhiata a questa roba!» Adam si alzò subito per accostarsi a lui, e dopo essersi accertato che la ragazza dormisse ancora Christopher gli tenne dietro. Appena ebbe in mano il disegno consegnatogli da Peregrine, Adam lo girò verso la luce e lo studiò con attenzione, mentre il sacerdote guardava da sopra una sua spalla. Il disegno mostrava il salotto di Helena visto dalla posizione di Peregrine, ma i mobili erano del tutto diversi, e avevano un aspetto assai meno civettuolo. Nella stanza c'erano inoltre un albero di Natale, in un angolo, e un largo paravento orientale che schermava in parte la finestra più lontana. La cosa più interessante erano però le due figure umane disegnate in primo piano. La meglio dettagliata era quella di un giovanotto dal volto intenso, con lunghi capelli neri, sciolti e lisci. Indossava un saio monacale scuro, con il cappuccio gettato indietro sulle spalle, e si era inginocchiato sul tappeto offrendo i polsi incrociati a un individuo più anziano, il quale glieli stava legando con un cordone che Peregrine aveva etichettato come «rosso». Alla legatura dei polsi assisteva un terzo uomo, anch'egli in saio, che si trovava sullo sfondo, qualche passo più indietro. Benché i suoi lineamenti fossero vaghi e indistinti, si poteva vedere con chiarezza che aveva un medaglione rotondo appeso al collo. «Guarda qui, Adam», disse Peregrine, indicando l'oggetto con la matita. «Dove hai già visto un medaglione come questo?» 4 L'espressione cupa sul viso di Adam non stupì Peregrine, ma Christo-
pher non poteva capirla. Con un sorriso perplesso il sacerdote li guardò entrambi. «Temo di non seguirvi, amici miei.» Si volse a Adam. «Allora, dove hai già visto un medaglione come questo?» «In fin troppi posti, ultimamente», rispose lui, preoccupato. «Se Peregrine è sicuro che quell'oggetto sia identico agli altri...» Al cenno d'assenso del giovane, continuò: «E l'ho rivisto anche in una serie di disegni che lui mi ha mostrato giusto questa mattina. Mi spiace doverti informare che la Loggia della Lince è tornata in attività». Christopher strinse le labbra, esalando un secco respiro dal naso. «Che gli angeli e i santi ci proteggano! Avevo avuto un dubbio del genere, vedendo accadere certi fatti. Ma chi avrebbe immaginato di inciampare su di loro qui, in un quartiere studentesco, a Edimburgo?» Adam fece una smorfia di contrarietà. «Devono pur reclutare nuovi accoliti da qualche parte. Cosa c'è di meglio che cercarli fra gli universitari, così inquieti e ambiziosi, avidi di aprirsi la strada a ogni costo?» Peregrine si accorse con qualche secondo di ritardo che Christopher aveva parlato come un uomo che di quegli argomenti ne sapeva già anche troppo. Sbatté le palpebre e lo guardò meglio. La sua aria da giovane sacerdote aperto e cordiale era scomparsa. All'improvviso l'uomo appariva mortalmente serio, non meno duro di Adam o di McLeod. Ricordando la sua ipotesi di poco prima, gettò uno sguardo furtivo all'anello che portava. Adam notò quello sguardo. «Mi sembra di capire che tu abbia intuito come stanno le cose», disse a Peregrine, restituendogli il disegno. «Mi chiedevo quanto ci avresti messo ad arrivarci. Sì, Christopher e sua moglie sono membri dello stesso gruppo di cui facciamo parte io e Noel. Hanno partecipato alla Caccia in numerose occasioni.» «Mai però in circostanze nelle quali c'entrasse la Loggia della Lince», precisò Christopher. «Quegli episodi risalgono a prima che Vicky e io ci unissimo al gruppo. Speravamo che i nostri predecessori avessero messo termine alle loro malefatte, una volta per tutte.» La sua bocca assunse una piega amareggiata. «Sembra che siamo stati troppo ottimisti.» Peregrine si aggiustò gli occhiali sul naso e tornò a guardare l'album che aveva in mano, confrontando ciò che aveva disegnato con l'aspetto attuale della stanza. Grato al giovane artista per averli riportati al presente, anche Adam si volse a guardare brevemente il salotto. «Be', mi chiedo quanto tempo sia passato da quando l'appartamento era arredato nel modo visto da Peregrine.»
Christopher annuì, tornando anche lui alle esigenze pratiche. «Mi sembra di ricordare che Helena abbia detto di averlo preso in affitto già ammobiliato, e che i mobili erano stati cambiati poco prima del suo arrivo. Scambierò due parole con Mrs. Beaton... è la padrona di casa. Lei saprà dirci anche chi fossero i precedenti inquilini.» «Nel frattempo», intervenne Adam, «questo appartamento resta un problema.» Riprese il disegno e lo guardò per un po'. «Il fatto che Peregrine abbia visto questa scena in particolare, con il giovane che si lascia legare i polsi, fa pensare che sia il momento culminante del rituale... e ci garantisce che qui non è avvenuto niente di più truce, come un omicidio. La morte infatti lascia tracce molto più profonde, e in tal caso Peregrine avrebbe disegnato un'altra scena.» Mentre il giovane artista annuiva con enfasi, Christopher prese il disegno e lo studiò più attentamente. «Allora non dobbiamo far altro che togliere di mezzo un semplice fantasma, come sospettavo fin dall'inizio. Secondo te questo è un rito d'iniziazione?» Adam annuì. «Possiamo supporre di sì, anche se è impossibile saperlo per certo. È pregno di negatività, visto che dietro c'è la Loggia della Lince, ma non richiede un intervento pesante, come altre delle situazioni che quella gente si è lasciata alle spalle. D'altra parte, l'aura rimasta qui è abbastanza forte da influire su Helena dopo quasi un anno, se l'albero di Natale ci dà un'indicazione sulla data. Qualunque ne sia la causa, ora dobbiamo occuparci dell'effetto. Tu cosa faresti, Christopher?» Fin dal loro primo incontro, Peregrine aveva dato per scontato che Adam fosse il capo. Fu sorpreso nel sentirgli chiedere il consiglio del sacerdote, ma ricordò che un buon capo doveva essere pronto ad affidarsi alla competenza degli altri. Prima di rispondere, Christopher rifletté qualche momento. «Fino a poco fa avrei detto che qui c'era bisogno di cambiare aria, spiritualmente... una semplice benedizione per alleggerire l'atmosfera. Ora, sapendo che è coinvolta la Loggia della Lince, penso che occorra qualcosa di più simile a un esorcismo. «Non il rito formale della Chiesa, però. La povera Helena lo troverebbe impressionante quanto la visione di qualche spirito disincarnato. No, piuttosto opterei per qualcosa di più sottile, qualcosa cui possa partecipare anche Helena. È importante che lei abbia fede in ciò che stiamo facendo, e questo lo otterremo meglio se lavoriamo insieme.»
La cerimonia che Christopher propose era gradevole e comprensibile, e non conteneva nulla che facesse pensare a qualcosa di diverso da una semplice benedizione purificatrice. Quando l'ebbe illustrata, Adam non esitò ad approvarla. «Penso che servirà ottimamente allo scopo», confermò al sacerdote. «Svegliamo la nostra giovane amica e spieghiamole ciò che va fatto.» Helena riaprì gli occhi non appena Adam le sfiorò la fronte, con Christopher che le stringeva la mano. «Allora, mia cara», disse il sacerdote, controllandole il polso. «Lieto di riaverti fra noi. Come ti senti?» «Io... io mi sento meglio», riconobbe lei, con un sorriso tremulo. Poi un'ombra di preoccupazione le attraversò lo sguardo. «Avete scoperto... siete riusciti a trovare qualcosa?» Adam annuì con un sorriso e tornò a sedersi, giocherellando con il prisma di cristallo. «In effetti, sì. E tu sei stata un soggetto utile e in grado di collaborare a dovere. Dopo aver esaminato i fatti, posso dire con certezza che gli incubi da cui sei stata tormentata hanno un'origine esterna alla tua psiche.» Helena sbatté le palpebre, come se non osasse credergli. «Allora non dipende da me!» «Decisamente no», le confermò Adam. «Salvo che non vogliamo darne la colpa alla tua sensibilità femminile. Ma ciò non riguarda la causa di questo fenomeno, bensì la tua capacità di percepirlo.» Vedendo lo sguardo perplesso di Helena, proseguì: «È un fatto accertato che gli oggetti fisici, e soprattutto le case, possono agire come recettori psicometrici, immagazzinando risonanze emozionali create da eventi passati», le spiegò. «Chiunque abbia una sensibilità poco superiore al normale può essere spiacevolmente influenzato da tali risonanze, e questo è il tuo caso.» Poiché Helena stava ancora guardando Adam con un certo stupore, Christopher le strinse la mano con un sorriso gentile. «Ciò che il dottor Sinclair vuol dire è che ci sono state molte sgradevoli emozioni collegate con la gente che abitava in questo appartamento prima di te, Helena. Vibrazioni negative, se preferisci dire così. Un po' come lasciare nelle stanze un cattivo odore. Una volta che esso si appiccica alle pareti, tende a restare lì finché non dai una buona ripulita al posto. Così, questo è esattamente ciò che faremo», proseguì con decisione, dopo che Helena ebbe speranzosamente fatto cenno di sì con il capo. «Daremo a
questo appartamento una buona ripulita emozionale. Solo che invece del detergente spray raccomandato dalla TV, noi useremo la forza spirituale.» Helena ridacchiò, suo malgrado. «Questa è la ricetta, mia cara», continuò Christopher. «Ora, io so che tu hai una Bibbia e un libro di preghiere. Pensavo non ti sarebbe dispiaciuto lasciarmeli usare, così non ho portato i miei. Me li andresti a prendere, mentre io tiro fuori le altre cose? Te ne sarei davvero grato.» Il religioso aprì la borsa e tirò fuori una stola sacerdotale di seta verde e un aspersorio d'argento che Peregrine immaginò contenesse dell'acqua santa. Helena prelevò da uno scaffale i libri richiesti e tornò a sedersi, mentre l'altro si metteva la stola intorno al collo e cominciava a sfogliare le sacre scritture. L'attenzione della ragazza si concentrò sul suo pastore, che mormorò qualcosa sui passi da leggere e dispose qua e là i nastri segnalibro colorati. Adam invece indicò a Peregrine di seguirlo nell'angolo più lontano della stanza. «Rimani qui e osserva», gli disse. «Tu sei il solo che può vedere la cosa cui diamo la caccia. Voglio che ti accerti che l'abbiamo tolta di mezzo.» «Ma come...» «Limitati a osservare», insistette Adam, alzando una mano per prevenire altre argomentazioni. «Quando lo avremo fatto, tu lo saprai.» Erano entrambi fuori dal campo visivo di Helena, tuttavia Adam mise molta cura nel nascondere ciò che estrasse da una tasca interna della giacca, cosicché lo stesso Peregrine poté darci appena un rapido sguardo. Era quello che Adam chiamava il suo dente di pietra, conico e scuro, curvo come una zanna di lupo, abbastanza piccolo da restare celato nel palmo di una mano. In realtà si trattava di un pezzo di calamita naturale, polarizzato magneticamente e spiritualmente per attrarre l'energia psichica maligna. Peregrine glielo aveva già visto usare all'abbazia di Melrose, per disperdere il residuo di influenze oscure lasciato da chi aveva profanato la tomba di Michael Scot per evocare la sua anima. Benché non avesse paura, Peregrine sentì che il suo cuore batteva più forte quando Adam si erse in tutta la sua statura, con gli occhi scuri che già assumevano una profondità ultraterrena, il dente di pietra strettamente chiuso nella mano. Chinò un momento la testa per appoggiare le labbra sul pugno, e nel rialzare lo sguardo in quello di Peregrine all'improvviso fu qualcosa di più del dottor Adam Sinclair, psichiatra, o di Sir Adam Sinclair, baronetto.
Al giovane artista parve che fosse cresciuto di qualche centimetro, mentre traeva un lungo respiro e usava l'estremità appuntita del dente per segnare prima se stesso e poi Peregrine con un simbolo protettivo. La sua seconda vista gli diede l'impressione che quel glifo tracciato nell'aria si espandesse intorno a lui come una gabbia di luce verdolina. Fatto ciò, Adam girò intorno alla stanza in senso orario, con aria indifferente ma segnando con lo stesso simbolo porta e finestre, per intrappolare il male e non lasciarlo sfuggire altrove. Christopher aveva nel frattempo invitato Helena a unirsi a lui in un momento di preghiera, inginocchiati fianco a fianco nello spazio fra le poltrone e il caminetto a gas. Quei mobili funsero da schermo per ciò che Adam stava facendo, benché Helena avesse chinato il capo, a mani giunte, e stesse guardando il suolo. Adam uscì per ripetere la stessa operazione nel corridoio, nella camera da letto e nel piccolo bagno dell'appartamento, e una volta rientrato si fermò nel punto iniziale del suo circuito, con il dente di pietra fra il pollice e l'indice della mano destra. Dopo qualche istante ripeté il giro del soggiorno, stavolta in senso antiorario, sfiorando con quel talismano tutte e quattro le pareti per esteso, in ogni punto che la sua mano potesse raggiungere. Peregrine, che guardava in silenzio quell'operazione, poté vedere i fantasmi del passato dissolversi sotto i suoi gesti come ombre nere risucchiate da un aspirapolvere. Ciò che rimase fu una specie di vuoto. Il male era stato spazzato via, ma quel nulla che ne aveva preso il posto non era qualcosa di piacevole. Era un'aura innaturale, che rendeva l'aria stantia e lasciava un sapore di polvere in bocca. Mentre Peregrine gettava a Adam uno sguardo interrogativo in cerca di una spiegazione, Christopher ruppe il silenzio. «Penso che ora possiamo cominciare», disse, alzandosi. Sollevò una mano e tracciò il segno della croce su Helena, intonando con voce vibrante: «Nel nome del Padre e del Figlio, e dello Spirito Santo, preghiamo, fratelli. Padre nostro, che sei nei cieli...» Dopo la preghiera ci fu la lettura di alcuni passi delle Sacre Scritture, un paio dei quali letti da Helena stessa, il cui scopo era richiedere l'intervento divino per tenere lontano il demonio e riportare la pace nella casa. Ascoltando le loro voci monotone con un orecchio solo, Peregrine si accorse che il vuoto rimasto nella stanza si riempiva di qualcosa di più fresco e vivo. Era come se la stanza fosse una tazza, che Adam aveva svuotata del veleno e ripulita, e che ora Christopher provvedeva a riempire con qualcosa di
luminoso che per qualche motivo alleviava la tensione della mente e del cuore. E tuttavia Christopher era soltanto uno strumento, l'operatore che distribuiva un servizio, non il padrone. La vera Autorità era più in alto di lui, e gli affidava il potere e il compito di elargirlo. Mentre Christopher sollevava l'aspersorio per spruzzare acqua santa nei quattro angoli della stanza, Peregrine dovette riconoscere che capiva i gesti del sacerdote ancor meno di quanto capiva ciò che aveva fatto Adam. La religione era un mistero per lui. Da bambino aveva imparato i gesti rituali e le formule del cristianesimo, ma la sostanza gli era sempre rimasta incomprensibile. Alla fine aveva concluso che quelle erano solo apparenze prive di contenuto. Ora però cominciava a non esserne tanto sicuro. Si stava ancora chiedendo cos'era che gli sfuggiva in quella faccenda, quando Christopher concluse il suo servizio. Helena stava sorridendo, dimentica di tutte le ansie e le paure, come se anche lei sentisse che l'atmosfera oppressiva di quell'appartamento si era sciolta. Christopher interruppe i ringraziamenti della giovane donna con un gesto amichevole, sorridendo. «Non ho fatto che il lavoro per cui mi sono votato al Signore, mia cara», le disse, tenendole una mano su una spalla. «Ora questo è il piccolo nido felice che meriti. In ogni modo, farò una scappata la settimana prossima per vedere come te la cavi. E non esitare a telefonarmi, se qualcosa ti preoccupa.» Si accomiatarono dalla ragazza, quindi scesero al pianterreno e suonarono alla porta della padrona di casa. Mrs. Beaton, una vedova dall'aria materna, salutò Christopher con una cordialità in cui si avvertiva un notevole sollievo. «È bello vederla qui, padre Houston. Ieri ero preoccupata per quella povera ragazza, ma ora che lei è andato a farle visita spero proprio che sarà più tranquilla.» La donna rispose senza difficoltà alle domande sui precedenti inquilini dell'appartamento. Quando Adam e i suoi compagni la salutarono, avevano una breve lista di nomi e la conferma che i mobili erano stati cambiati pochi mesi addietro. Usciti in strada scoprirono che il tempo era decisamente peggiorato. Raggiunsero l'auto sotto una fredda pioggia, fra rabbiose raffiche di vento. «Suppongo che dovessimo aspettarcelo», borbottò Christopher asciugandosi la faccia con un fazzoletto, appena furono al coperto.
Adam rilesse il foglietto che avevano ricevuto da Mrs. Beaton, lo piegò accuratamente e se lo mise in tasca. «Passerò questi nomi a Noel. Lui saprà come ottenere altre informazioni su questa gente. Che ora abbiamo fatto, Christopher?» Il sacerdote guardò l'orologio. «Siamo un po' in ritardo. Vicky ci aspetta per l'una, ma sicuramente non ha preparato nulla che non possa essere tenuto in caldo senza danni per un'ora o due. Perché?» «Oh, ieri Randall mi ha telefonato per dirmi che è riuscito a trovarmi un libro a cui sto dietro da tempo», rispose Adam, accendendo il motore. «Ti spiace se facciamo una piccola deviazione per passare dalla libreria?» «Già che abbiamo fatto trenta, facciamo pure trentuno», sospirò Christopher. «Ma non illuderti che sarà facile trovare un parcheggio... non di sabato, e con questa pioggia.» «Affidiamoci alla fortuna», ribatté Adam, e avviò nel traffico la Range Rover blu. La libreria in questione era all'estremità superiore di una lunga salita, in fondo al Royal Mile. Era l'ora di chiusura degli uffici, e c'era un traffico intenso di auto e di furgoni, quasi tutti con i fari accesi. Dopo due passaggi nella stessa zona, Adam rinunciò e fermò la macchina davanti a un passo carrabile. «Dovremo sfidare la sorte», disse, guardando su e giù per la strada alla ricerca di vigili urbani. «Non ci metterò molto. Christopher, posso affidarti il compito di restare nelle retrovie per affrontare il 'pericolo giallo'? Dubito molto che anche il più feroce guardiano del traffico multerebbe un uomo in abito talare.» «Che ingenua illusione! Posso solo prometterti che lotterò perché non ti portino via l'auto con un carro attrezzi», borbottò Christopher, aprendosi l'impermeabile per mettere meglio in evidenza il colletto bianco. «Ma se da questo passo carrabile dovesse uscire qualcuno, dovrò mettermi al volante e chissà se ci rivedremo mai più.» «In questo caso, spero tornerai a prenderci», disse Adam con un sorriso. «Vieni, Peregrine. Questa libreria potrebbe interessarti.» Il Parnassus Bookshop era un negozio labirintico e caldo, una specie di Caverna di Aladino piena di recessi, che conteneva libri di tutte le forme e dimensioni. Nell'aria c'era un gradevole odore di carta impolverata che ricordò a Peregrine le collezioni di antichi manoscritti contenute nella biblioteca universitaria di Oxford. Il suo sguardo cadde subito su una serie completa dei libri di favole di
Andrew Lang, dalle cui copertine stampate in oro risultava che era la prima edizione. Mentre si fermava ad ammirarli, una ragazza snella con lunghi capelli bruni e riccioluti uscì da dietro un bancone sul fondo del negozio e venne da quella parte. «Posso aiutarvi signori?» cominciò, poi il suo volto s'illuminò di un sorriso. «Oh, è lei, Sir Adam! Che piacere vederla. Papà non mi ha detto che sarebbe passato, oggi. E ha portato con sé un amico, vedo», aggiunse, voltandosi un attimo verso Peregrine per gratificarlo di uno sguardo interessato. «Miranda, se hai intenzione di flirtare con costui solo perché è più giovane di me, mi riterrò offeso a morte», la informò Adam con una risatina. «In ogni modo confesso che sì, l'ho portato qui io. È un amico... e inoltre un talento unico, se vuoi saperlo. Si chiama Peregrine Lovat, ed è un pittore ritrattista.» «Un artista?» Miranda ne fu interessata. «E ha mai fatto il ritratto a qualche personaggio famoso, Mr. Lovat?» Peregrine arrossì un poco a quella domanda, ma l'umore vivace della ragazza l'aveva già messo a suo agio. «Be', una volta ho buttato giù un ritratto della Regina Madre», rispose, con un sogghigno. «Ma l'ho copiato da una fotografia, perciò non sono sicuro che conti.» «Non lasciare che la sua falsa modestia ti porti fuori strada, Miranda», l'avvertì Adam. «Non ha ritratto membri della famiglia reale... non ancora, ma può annoverare fra suoi clienti molti titolati. Peregrine, questa è Miranda Stewart, la figlia del mio amico Randall.» Peregrine aveva già preso nota del volto piccante e dello scialle in stile romantico che la ragazza portava sulle spalle snelle, e le restituì uno sguardo intenso. «È un onore fare la sua conoscenza, Miss Stewart. Comunque, devo dirle che le facce famose non sono necessariamente le più interessanti.» Miranda gli scoccò uno sguardo da sotto le lunghe ciglia scure. «Ora non sono più sicura di cosa mi piacerebbe essere: famosa o interessante. Lei mi farebbe il ritratto in ciascuno dei due casi?» «Con piacere», disse Peregrine, e aggiunse: «Comunque, non vedo perché lei non dovrebbe essere entrambe le cose». Miranda rise, e Adam, non senza rammarico, approfittò di quella pausa per intervenire. «Per quanto mi dispiaccia interrompere la vostra conversazione, abbiamo lasciato padre Houston in divieto di sosta, e ho bisogno di
scambiare due parole con tuo padre. È qui?» «È nel magazzino», lo informò Miranda. «Se mi scusate un momento, vado a dirgli che ci sono visite.» La ragazza girò su se stessa facendo svolazzare la gonna pieghettata, e scomparve da un'uscita nel retrobottega. Quando fece ritorno era seguita da un uomo dai capelli grigi, con gli occhiali, che nel vedere i due nuovi venuti si affrettò loro incontro. «Adam!» esclamò. «Una bella sorpresa, in una mattinata uggiosa come questa.» «Tu mi lusinghi, Randall», ridacchiò Adam. «Forse avrei dovuto telefonarti, ma mi trovavo a passare nelle vicinanze e ho voluto farti un'improvvisata.» «E hai fatto bene», approvò l'anziano libraio. «Tu sai che sei sempre il benvenuto.» «Randall Stewart, Mr. Peregrine Lovat», li presentò Adam. «Peregrine è un mio caro amico.» Peregrine scrutò il padre di Miranda, mentre si stringevano la mano. Snello come la figlia, l'uomo aveva un volto finemente cesellato che gli dava un'aria da studioso sulla soglia della pensione. I suoi modi cortesi e misurati parlavano di una vita di garbate relazioni sociali. «Peregrine Lovat», mormorò Randall. «Il suo nome non mi è nuovo... ah, ci sono! Lei è il pittore ritrattista, non è vero? Quello le cui opere sono state così favorevolmente recensite sullo Scotsman.» Peregrine non nascose un lieve rossore. «I critici sono stati troppo generosi, signore.» «E lei è troppo modesto», replicò Randall. «Ho visto una mostra riservata alle sue opere, alla National Gallery. Gli elogi dei critici sono quanto mai meritati. È davvero un piacere conoscerla, Mr. Lovat.» Prima che Peregrine potesse elaborare una risposta adatta, l'uomo si rivolse a Adam. «Scusami, stavo dimenticando. Tu sei venuto per il Bartholomaeus, no? L'ho chiuso nella mia scrivania. Seguimi di sopra, e te lo darò... venga anche lei, Mr. Lovat. Miranda baderà al negozio, mentre noi facciamo due chiacchiere, non ti dispiace, mia cara?» I due lo seguirono lungo alcune rampe di scale fino a una mansarda spaziosa nella soffitta dell'edificio. Oltre alla pesante scrivania di quercia davanti alle finestre, c'era un paio di vecchie e comode poltrone, un caminetto a gas, un canterano e un lavandino in un angolo.
«La mia casa, quando sono fuori casa», spiegò a Peregrine. «Adam, tu e il tuo giovane amico gradite una tazza di tè?» «Temo di non avere molto tempo», si scusò lui. «Abbiamo lasciato Christopher di guardia alla macchina, con l'ordine di usare tutte le armi concesse a un prete se fosse aggredito da un vigile urbano, e Victoria ci aspetta per l'ora di pranzo. Inoltre, mi sembra di averti interrotto nel mezzo di qualche lavoro.» Nel dir così, fece cenno verso una macchina per scrivere che campeggiava sulla scrivania. Nel rullo c'era un foglio scritto per metà. «Non è niente che non possa aspettare qualche minuto», disse Randall, scrollando le spalle. «Una lettera all'editore del Sunday Times. Non apparirà nell'edizione di questa settimana, comunque.» «Un'altra lettera?» Adam inarcò un sopracciglio. «Ammiro la tua diligenza, Randall. Il tuo pezzo apparso sul Times della settimana scorsa era un'elegante apologia dell'istituzione della Massoneria.» Il libraio apparve compiaciuto. «Be', ti ringrazio. Questo è un elogio, detto da uno che non appartiene alla Massoneria... benché io sappia che sei un simpatizzante.» Poi la sua faccia tornò seria. «Devo confessare che sono preoccupato per gli attacchi che di recente sono stati fatti alla nostra fratellanza. Proprio l'altra notte, dei vandali hanno fatto irruzione nella Loggia massonica di George Street e danneggiato mobili e infissi. E ci sono stati altri incidenti...» La sua voce si spense. Scosse il capo. «Non so dove stia andando questo mondo. Certo, è chiaro che la gente non ha mai capito la natura della nostra istituzione. I nostri detrattori diffidano della riservatezza massone, che definiscono 'mania di segretezza'. Ma è solo così che possiamo garantire che personaggi ambiziosi non abusino delle nostre conoscenze. Perciò dobbiamo continuare a tenere segrete le attività della Loggia, sperando nello stesso tempo che quanto appare in pubblico basti a dimostrare le nostre buone intenzioni.» Adam stava annuendo. «Per citare una versione moderna di un passaggio di san Matteo: 'Non esibire all'attenzione altrui le tue buone azioni per farti notare, perché così facendo perderai il favore del Padre tuo che è nei cieli'. Tu sei un abile difensore della tua causa, Randall. Aspetterò di vedere la tua lettera nella prossima edizione del Sunday Times.» «In tal caso, dovrò proprio finirla», concluse Randall. «Ma ora lascia che ti mostri il Bartholomaeus.»
Facendo cenno a Adam di seguirlo, l'uomo girò intorno alla scrivania e aprì l'ultìmo cassetto in basso a destra. Peregrine guardò da dietro una spalla dell'amico, mentre il libraio tirava fuori un antico volume rilegato in pelle. «Questo è solo un fac-simile vittoriano dell'edizione del 1495 di Wynken de Worde», spiegò Randall. «Ma credo che lo si possa considerare una copia fedele dell'originale.» Adam lo aprì alla pagina del titolo, e lo tenne in modo che anche Peregrine potesse leggerlo: De Proprietatibus Rerum. «Riguarda le proprietà delle cose», tradusse Adam, ma mentre lui sfogliava le pagine, Peregrine si accorse che non era scritto in latino, bensì in inglese medievale. «È un'enciclopedia risalente al tardo medioevo», gli spiegò l'amico, notando la sua perplessità. «Fu scritta in latino da Bartholomaeus Anglicus, e più tardi tradotta da un certo John di Trevisa. È un compendio delle conoscenze dell'epoca, un miscuglio di scienza e filosofia, che oggi risulta interessante soprattutto per constatare l'evoluzione delle idee.» Adam sorrise a Randall Stewart nel richiudere il libro, e se lo strinse al petto come fosse un tesoro prezioso. «Grazie per avermelo trovato, Randall. So che non è stata un'impresa facile, e spero che nel comunicarmi il prezzo non sottovaluterai i tuoi sforzi. No, non dirmi la cifra adesso!» lo esortò, alzando una mano e scuotendo enfaticamente il capo. «Insisto che tu venga a Strathmourne la settimana prossima o appena troverai un pomeriggio, così berremo qualcosa e faremo due chiacchiere.» «Sarà un piacere», annuì Randall con un sorriso. «Giusto domani dovrò recarmi a Stirling per valutare una biblioteca. Sembra che sia una collezione di libri piuttosto grande, e il lavoro mi prenderà parecchi giorni. Che ne dici se ti dessi un colpo di telefono quando avrò finito? Se sarai in casa e non avrai altri impegni, potrei fare una deviazione per passare da te prima di tornare a Edimburgo.» «Mi sembra un'ottima idea», annuì Adam. «Allora aspetterò la tua telefonata.» Tornati al pianterreno, Adam e Peregrine attesero che Miranda incartasse il libro, quindi si accomiatarono cordialmente da lei e da suo padre. Una volta in strada, sotto la pioggia che ostacolava il traffico del Royal Mile, scoprirono che la Range Rover era scomparsa. Con una smorfia di disappunto, Peregrine si tirò su il colletto e guardò a destra e sinistra fra le file
di veicoli in marcia. Giusto in quel momento un clacson li fece voltare. «Ecco laggiù Christopher», indicò Adam. «Corriamo, o quest'acqua ci inzupperà fino all'osso!» Arrivarono al presbiterio più vicini alle due che all'una. Victoria li accolse sulla porta e li esortò a passare al riparo. «Santo cielo, questo vento viene dritto dal polo», commentò Christopher, mentre si toglievano i soprabiti bagnati. «Se continua così, nevicherà prima di sera. Scusa il ritardo, Vicky.» «Non importa», disse sua moglie. «La minestra è sul fornello, e la pietanza in forno. Accomodatevi in sala da pranzo, e comincerò a servirvi.» Da lì a poco, i quattro erano seduti davanti ai piatti in cui fumava una ricca zuppa scozzese, alla quale seguirono omelette con toast imburrati. Nel corso del pasto, Christopher raccontò alla moglie ciò che era successo a casa di Helena Pringle. Poi, incitato da Adam, Peregrine mostrò a Victoria il disegno che aveva fatto. Victoria lo studiò con aria pensosa per qualche momento, prima di restituirglielo. Il giovane artista notò, tutt'altro che sorpreso a quel punto, che all'anulare destro di lei c'era un anello con uno zaffiro uguale a quello del marito. «Suppongo che dovremmo considerare una fortuna essere inciampati su quello che potrebbe rivelarsi un indizio interessante», osservò la donna. «Pensate che questo individuo sia coinvolto nei fatti di Loch Ness?» Adam corrugò le sopracciglia. «Non scarterei questa possibilità.» Victoria annuì lentamente. «Qualunque cosa ci fosse nel libro di incantesimi di Michael Scot, la volevano al punto di rischiare la vita. Secondo te, cosa stanno cercando di ottenere?» «Mi piacerebbe saperlo», rispose Adam. «Ma sembra abbastanza chiaro che non intendono fermarsi davanti a niente per arrivare al loro scopo.» «Cosa mi dici dell'attuale incarnazione di Michael Scot?» domandò Christopher. «Quella ragazzina... come hai detto che si chiama, Talbot?» «Gillian Talbot.» Adam si strinse nelle spalle. «È ancora troppo presto per sapere qualcosa. Quando l'ho vista, all'ospedale, era in brutte condizioni... la sua personalità era sconvolta, a tutti i livelli. Ho lasciato un biglietto da visita a sua madre, proponendole i miei servizi nel caso non ci siano miglioramenti, ma finora non ho saputo niente. Se non avrò sue notizie entro la settimana prossima, comincerò a pensare al modo migliore di rimettermi in contatto con lei.» «Non potresti telefonarle?» domandò Victoria.
Adam fece una smorfia. «Devo andarci con i piedi di piombo nell'esporle il motivo del mio interesse, se non voglio rischiare di allontanarla. Cercherò il modo più adatto. Alla fine del mese andrò a Londra a prendere mia madre, che tornerà in Inghilterra per le feste. Se ne avrò il tempo, passerò nuovamente dall'ospedale. Vedrò cosa posso fare.» Mentre una raffica di pioggia tempestava contro i vetri della finestra alle sue spalle, Christopher guardò l'orologio e fece schioccare la lingua. «Cielo, abbiamo già fatto le tre. Scusami, Adam, ma temo di dover cominciare a preparare la chiesa. Ho un battesimo fra meno di mezz'ora.» «Anche per noi è il momento di andare», decise Adam, consultando Peregrine con un'occhiata. «Grazie per il pranzo davvero gustoso, Victoria. Posso contare di vedervi entrambi a Strathmourne House, domani sera?» «Non ci perderemmo mai una delle tue cene sociali, vecchio mio, neppure se ci fosse una bufera di neve», rispose Christopher con un sorriso. «Come dicono i postini nella lontana terra d'oltremare da cui giungerà tua madre: 'Né la pioggia, né la neve, né la grandine, né il vento, ci impediranno di recarci là dove il dovere chiama...'» 5 Le colline coperte di folta boscaglia a nord di Blairgowrie erano bianche per la neve appena caduta. Ripensando ai suoi ventisette anni di servizio come guardiacaccia, Jimmy McArdle non ricordava più di due o tre stagioni in cui la neve fosse arrivata così presto, quando mancava ancora una settimana all'inizio di dicembre. Quella gelida coltre avrebbe costretto i cervi a scendere a valle in cerca di erba prima del tempo. Sarebbe stato necessario portare delle balle di fieno extra nei soliti posti... e anche tenere gli occhi aperti per i bracconieri, attirati dalla possibilità di appostare i cervi in zone più accessibili. Fermandosi un momento sul sentiero imbiancato dalla neve, Jimmy aspirò con piacere l'aria fredda profumata di resina di pino, guardò il nero manto stellato sopra di lui, poi sfilò da tracolla il fucile e appoggiò un occhio al cannocchiale fissato sulla canna per osservare meglio lo splendore di Sirio, che sembrava palpitare di riflessi bianchi, rossi e verdi. Senza la luna in cielo, anche con il chiarore della neve, quella era una notte adatta ai cacciatori di frodo. Il suo fiato era una nuvoletta di vapore grigio quando abbassò il fucile e ascoltò pigramente i vaghi rumori notturni, assaporando l'immobilità e la solitudine delle colline.
Jimmy amava quei boschi, e gli piaceva aggirarsi a piedi fra le alture, specialmente d'inverno. Ma nella brutta stagione il freddo cominciava a irrigidirgli i muscoli e le articolazioni. Ancora qualche anno e sarebbe stato troppo anziano per quel lavoro. Avvertendo l'umidità che gli penetrava nelle ossa, Jimmy appoggiò su un sasso la torcia con il filtro rosso che portava abitualmente ma usava di rado, e tirò fuori da una tasca del soprabito la fiaschetta di brandy che rappresentava il suo toccasana contro i rigori dell'inverno. Con dita chiuse negli spessi guanti svitò il tappo e sollevò la fiaschetta alle labbra. Mentre il sapore del brandy gli riempiva la bocca, il silenzio della zona fu disturbato da un rumore che non sembrava molto diverso da un grido umano. Il rumore era risuonato da qualche parte più in alto, sul versante della collina, e non gli era parso il bramito di un cervo. Subito insospettito, Jimmy tese le orecchie e poté udire dei fruscii di vegetazione spostata nel sottobosco, a un centinaio di metri di distanza o poco più. Sull'altro lato della collina c'era una stradicciola non pavimentata che attraversava un terreno privato, ma a quell'ora nessuno avrebbe dovuto trovarsi da quelle parti, almeno per quanto ne sapeva lui. Jimmy s'affrettò a mettere via la fiaschetta, imbracciò il fucile, raccolse la torcia elettrica e si avviò da quella parte. Gli era stato ordinato di non cercare d'arrestare personalmente i bracconieri, perché mesi addietro c'erano stati degli spiacevoli incidenti nelle Highland e perfino un paio di omicidi, ma se fosse riuscito ad avvicinarsi abbastanza avrebbe potuto guardare gli intrusi attraverso il cannocchiale del fucile e cercare di capire chi fossero. La neve su cui stava camminando era farinosa, alta fino alla caviglia. Cercando di non farla scricchiolare sotto gli stivali per non tradirsi, Jimmy si spostò su per il versante, nell'ombra degli alberi. Era giunto a metà strada verso la dorsale della collina quando udì una specie di cantilena, in distanza, e per lo stupore si fermò, accigliato. Dopo qualche istante di silenzio quella vaga eco di voci umane riprese a farsi udire, come un lontano sussurro dal ritmo cantilenante. Lo strano coro, appena udibile, saliva e scendeva con la monotonia di un canto religioso, e Jimmy sentì un brivido lungo la schiena. Per qualche momento restò dove si trovava, incapace di decidersi a proseguire. Poi impugnò con fermezza il fucile e si costrinse ad andare avanti. Fra gli alberi cominciò infine a mostrarsi un vago bagliore rosso. Camminando quasi contro la sua volontà Jimmy giunse sulla dorsale della col-
lina e poco più in basso poté vedere una radura, che sebbene la conoscesse da quasi una vita gli apparve improvvisamente estranea in quella luce. Una dozzina di figure in saio monacale bianco con il cappuccio si erano radunate in circolo sull'erba. Nel centro, sopra la pietra piatta che in molte occasioni lo stesso Jimmy aveva usato come tavolo da picnic, c'erano altre due figure vestite nello stesso modo. Una stava in piedi, con le braccia sollevate, mentre l'altra era in ginocchio e teneva china la testa grigia, priva di cappuccio. Quattro piccoli fuochi rossi, sanguigni, erano accesi intorno al circolo, e da essi si levavano spirali di fumo nero e denso. Il rapido lingueggiare delle fiamme gettava ombre stregonesche sull'uomo inginocchiato. Guardandolo meglio Jimmy si accorse che costui aveva i polsi legati dietro la schiena. A un tratto, mentre il guardiacaccia osservava la scena come paralizzato dallo stupore, il canto corale tacque. Il vecchio non aveva opposto resistenza quando gli uomini lo avevano trascinato su per la collina nella neve appena caduta, né avrebbe potuto farlo. Avevano pensato a tutto. Fin dal momento in cui l'avevano messo fuori combattimento, da dietro, con un tampone di cloroformio premuto sulla bocca, non gli avevano lasciato scampo. Lui non sapeva neppure quanto tempo era passato, perché non gli avevano permesso di riaversi dall'effetto del cloroformio; una successione di iniezioni lo aveva mantenuto in stato confusionale. Ricordava di essere andato in bagno una volta o due e aver consumato un pasto di qualche genere poche ore prima, una scatoletta di minestra riscaldata e un bicchiere di vino rosso, ma oltre a questo nient'altro. Subito dopo il pasto gli era stata fatta un'altra iniezione, quindi lo avevano fatto salire sul retro di una grossa auto e stendere sul pavimento, con una coperta addosso. Benché si fosse sforzato di capire dove lo stavano portando, aveva dormito per quasi rutto il tempo, di un sonno popolato da incubi. Si era svegliato quando l'avevano tirato giù dalla macchina, stordito e dolorante, confuso per l'effetto della droga e pieno di paura. Erano in un posto alberato, un sottobosco fitto di sempreverdi che riempivano del loro odore la fredda aria notturna. Non aveva idea di dove fossero e di cosa intendessero fargli. Tutto ciò che sapeva era di essere impotente, nelle mani spietate di gente per cui la sua vita non valeva niente.
Una volta scesi dall'auto (gli era parso che ce ne fosse un'altra parcheggiata poco più indietro), la sola luce era stata quella delle torce elettriche di due uomini che facevano strada al resto del gruppo. Il vecchio aveva pensato che fossero almeno una dozzina, ma non poteva esserne sicuro. Gli uomini si muovevano in fretta ed erano vestiti tutti nello stesso modo, con quello che sembrava un saio bianco di qualche ordine religioso e i cappucci tirati avanti per nascondere la faccia. Non aveva mai visto chiaramente uno solo dei suoi catturatori. Questo gli aveva fatto sperare che lo avrebbero rilasciato, perché lui non sarebbe certo stato in grado d'identificare nessuno di loro. Ciò che cominciava a fargli temere il contrario era che avevano fatto indossare un saio dello stesso genere anche a lui. Dovevano averglielo messo in macchina, mentre era privo di sensi. Prima di mettersi in cammino gli avevano gettato sulle spalle un soprabito, e i suoi piedi nudi erano chiusi in un paio di stivali Wellington almeno due numeri troppo larghi. Ma sentiva che sotto il saio non gli avevano lasciato addosso nient'altro. Anche stordito dalla droga com'era, la logica gli diceva che questo non faceva presagire niente di buono, benché non si fossero lasciati vedere in faccia. Gli avevano tolto gli occhiali, e non riusciva a mettere bene a fuoco i dintorni, tuttavia sapeva che si stavano avvicinando alla sommità di una collinetta. Le mani dure che gli stringevano le braccia lo spinsero avanti fino alla cima, e poi giù verso una radura cinta da alti pini. Aperta e silenziosa sotto le stelle, la radura era una distesa uniforme di neve da cui emergeva solo una piattaforma di roccia grigia, al centro, larga quanto un'automobile. L'aria era gelida, e i suoi fantomatici catturatori non dicevano neppure una parola. Una morsa di paura lo attanagliò, e con un grido cercò di fuggire. I due che lo tenevano parvero non accorgersene neppure, e rintuzzarono facilmente le sue deboli contorsioni, spingendolo avanti fra gli alberi verso il centro della radura. Con gesti rudi gli piegarono dietro la schiena le mani intirizzite dal freddo e gliele legarono con un pezzo di corda, mentre qualcun altro gli sfilava gli stivali. Il gelido contatto della neve sotto i piedi nudi gli strappò un ansito, e la corda morse crudelmente la carne dei polsi. Lui strinse i denti per non gemere ancora quando lo fecero inginocchiare sulla neve che copriva la piattaforma di roccia, e due di loro gli restarono accanto per assicurarsi che non si muovesse da lì. Il freddo ora gli irrigidiva le ginocchia e attraverso il saio bagnato gli saliva fino alla testa, intorpidendo quel poco di lucidità che aveva ancora.
Con occhi vacui vide i suoi catturatori tracciare un largo cerchio di cenere sul candore della radura. Balenarono delle fiamme rosse allorché quattro piccoli fuochi furono accesi intorno al circolo, ciascuno alimentato da un uomo in saio bianco. Al segnale di un altro, che sembrava il capo, i quattro gettarono sui fuochi una manciata di polvere, e dalle fiamme si alzarono lente nuvole di fumo nero che salirono in alte spirali. L'odore del fumo era amaro, pesante come quello dell'oppio, e faceva prudere le narici. Il vecchio rabbrividì, e la paura si fece più dolorosa del freddo, perché le intenzioni di quegli individui gli apparivano ancor più oscure e funeste. I due che gli facevano la guardia indietreggiarono un poco, e il loro capo salì imperiosamente sulla roccia piatta. Il vecchio fece un ultimo debole tentativo di alzarsi, ma le gambe raggelate non gli risposero. Quello sforzo lo fece vacillare di lato, e sarebbe caduto se uno degli uomini non fosse venuto a tenerlo fermo. Mentre costui tornava a farsi indietro, il capo alzò le braccia sopra la testa e cominciò a recitare una litania monotona, in un linguaggio pieno di vocali e toni striduli che lui non riconobbe, anche se aveva qualcosa di familiare. I dodici che formavano il circolo gli fecero eco, ripetendo le sue parole con voci basse e lugubri, gelide quanto l'aria della notte. La litania si trasformò in un cantico, dal tono duro e aspro. Il fumo puzzolente dei fuochi entrava come veleno nelle narici del vecchio. Paralizzato nella mente e nel corpo ondeggiò, sul punto di svenire. Il coro salì di tono in un crescendo improvviso, poi tacque. Il capo incrociò le braccia sul petto e s'inchinò profondamente. Poi tolse da una tasca del saio qualcosa di scuro e metallico e s'inginocchiò davanti al vecchio, offrendogli la vista dell'oggetto sulle mani protese. Era un collare di metallo nero, intarsiato con primitivi disegni argentei arricchiti di piccole gemme rosse. Il vecchio lo guardò senza capire, finché due mani lo costrinsero ad alzare la testa e un'altra mano gli avvicinò al naso una fiala. L'odore pungente dell'ammoniaca gli schiarì la mente, e all'improvviso lui seppe con certezza cristallina cosa stava per accadere. Un'altra figura si mosse nella penombra, accostandosi al vecchio da dietro. Un gran dolore gli esplose nel cranio, ma la sua coscienza rimase lucida ancora per qualche battito di cuore, finché il respiro gli fu mozzato in gola e un fuoco rovente bruciò sotto il suo orecchio destro. Accovacciato fra i cespugli alla sommità dell'altura Jimmy McArdle, che osservava la scena attraverso il cannocchiale del suo fucile, ebbe un ansito
d'orrore quando il metallo lampeggiò e il sangue scaturì dal collo del vecchio, in rossi fiotti che bagnarono l'oggetto sulle mani protese dell'uomo davanti a lui. La sua bocca si aprì in un silenzioso grido d'agonia e il suo corpo sussultò, inarcandosi nelle mani degli aguzzini, ma nessuno di loro mostrò un filo di pietà. In pochi secondi il sangue aveva bagnato il suo saio, quelli degli uomini più vicini e la neve intorno a lui. Le contorsioni si fecero sempre più deboli. Paralizzato dall'orrore Jimmy vide il rosso liquido sgocciolare copiosamente dalle mani dell'individuo chino di fronte allo sventurato e dall'oggetto di metallo nero, che costui infine sollevò con gesto trionfante per mostrarlo ai suoi seguaci, mentre il corpo del vecchio ormai senza vita si afflosciava sulla neve insanguinata. Occorse qualche secondo perché Jimmy emergesse dallo sbigottimento. In un impeto di rabbia e di paura mise una pallottola in canna, e con sua gran costernazione l'otturatore scattò, sfuggendogli dalle dita. Il rumore metallico del meccanismo echeggiò nel silenzio della notte quasi come una fucilata. Giù nella radura le figure biancovestite s'irrigidirono, e invisibili nell'ombra dei cappucci le facce si girarono a scrutare gli alberi circostanti. A un gesto del capo, tre di loro lasciarono il circolo e corsero in direzione di Jimmy, scomparendo fra gli alberi. Terrorizzato, il guardiacaccia strisciò indietro, con il fucile fra le mani, pregando che non lo vedessero. Appena fu sul sentiero si alzò e fuggì nella boscaglia, correndo come se avesse la morte alle calcagna. 6 L'ultimo film della BBC di quel sabato notte finì poco dopo le due. Era un classico in bianco e nero del 1940, Il falco del mare, con Errol Flynn e Claude Rains. L'ispettore capo Noel McLeod della polizia di Edimburgo, dipartimento Lothian and Borders, attese che le ultime gloriose note della musica si spegnessero, mentre la parola fine campeggiava sullo sfondo della bandiera che sventolava sul mare, e premette il pulsante di spegnimento del telecomando, pensando con nostalgia che i vecchi film erano ancora i migliori. Sul divano accanto a lui, tanto sua moglie che il gatto di casa si erano addormentati. Gli venne da sorridere al pensiero della buona volontà con cui Jane aveva accettato di vedere quel film in sua compagnia, solo per cedere al sonno durante uno dei romantici interludi fra una battaglia navale e
un duello alla spada. Il grosso felino che lei aveva in grembo era invece, come tutti i suoi simili, capace di dormire a qualsiasi ora. McLeod, per contrasto, non aveva affatto sonno e la sua mente era lucida, stranamente inquieta. Nel corso della serata aveva cercato di distrarsi con l'uno o l'altro dei suoi numerosi hobby, dapprima colorando una delle sue anatre da richiamo, delle quali ne aveva già un paio di dozzine appollaiate sulla cornice che girava sopra le finestre del soggiorno, e quindi dedicandosi alla meno impegnativa arte dell'origami, il passatempo orientale della carta ripiegata a scopo decorativo. McLeod aveva imparato i rudimenti dell'origami da un collega della polizia giapponese, quando entrambi partecipavano a un corso sponsorizzato dall'FBI alla National Academy di Quantico, in Virginia. Da allora era diventato un abile praticante di quell'arte. Ma quella sera neppure le complicazioni dell'origami erano riuscite a rilassarlo. Il tavolino da caffè era coperto di carta di riso dai colori vivaci che aveva abbandonato a metà del lavoro. Qualcosa si agitava in fondo alla sua mente fin dall'ora del tè, senza che lui capisse cos'era. Stava pensando di uscire a respirare un po' d'aria, quando il telefono suonò. Lo squillo fece sussultare Jane, e il gatto fece un miagolio di protesta, disturbato. McLeod allungò un braccio davanti alla moglie per sollevare il ricevitore prima che suonasse di nuovo, chiedendosi quale crisi di lavoro stesse per piombargli fra capo e collo in piena notte. «Edimburgo 7978, qui McLeod», rispose, di malumore. «Ispettore McLeod?» La voce maschile all'altro capo della linea era molto sveglia nonostante l'ora, e questo incrementò i suoi sospetti che fosse una chiamata ufficiale. Era però una voce che lui non conosceva. «Sì», grugnì. «Con chi parlo?» «Sono il sergente Callum Kirkpatrick e chiamo dalla stazione di polizia di Blairgowrie», disse vivacemente l'altro. «Forse lei non si ricorda di me, ispettore, ma appartengo anch'io alla Loggia di Huntingtower, a Perth. Ci siamo conosciuti brevemente l'anno scorso, al consiglio generale. Mi spiace disturbarla a quest'ora, Fratello McLeod, ma qui pensiamo di avere un problema, e abbiamo bisogno di una persona della sua esperienza per consigliarci su come procedere.» Le parole di Kirkpatrick riportarono alla memoria di McLeod il consiglio generale di Huntìngtower. In effetti gli era stato presentato un sergente di polizia con quel nome: un tipo abbastanza simpatico, istruito e molto professionale, un patito dei film western americani, che faceva parte della
squadra olimpica della polizia di Tayside nelle specialità del tiro a segno con la carabina e la pistola libera. Ciò che gli diede uno spiacevole fremito di premonizione fu il fatto che Kirkpatrick si appellasse a lui come membro della Massoneria, oltreché come poliziotto e collega. Dato che faceva parte della Massoneria fin da quand'era ragazzo, McLeod sapeva che Kirkpatrick non avrebbe fatto cenno al loro legame di fratellanza senza un buon motivo. «Non è necessario che si scusi, Fratello Kirkpatrick», disse, assumendo un tono professionale. «Mi dica pure cos'è successo.» All'altro capo della linea ci fu una pausa, come se Kirkpatrick non sapesse bene come cominciare. Poi l'uomo spiegò in fretta: «Qui alla stazione di polizia abbiamo un guardiacaccia, un certo McArdle, che lavora nella tenuta di Baltierny. Si è presentato da noi giurando di... so che può suonare strano, a ogni modo sostiene di aver assistito a un sacrificio umano di qualche genere, nel mezzo della foresta di Baltierny. Magia nera, pensa». Kirkpatrick fece una pausa quasi di scusa, e McLeod trasse un lungo respiro e lo lasciò uscire lentamente. «È un'affermazione senz'altro grave», affermò in tono discorsivo, chiedendosi se la cosa era collegata alla sensazione che l'aveva disturbato tutta la sera. «Avete controllato la sua storia?» «Non ancora.» Kirkpatrick parve a disagio nel doverlo ammettere. «È una zona piuttosto difficile da raggiungere, e non è possibile andare a esaminarla prima di giorno. Devo però dire che considero McArdle un testimone affidabile. Lavora per Lord Baltierny da una quarantina d'anni, e fa il guardiacaccia da oltre vent'anni. In città gode di un certo rispetto.» Poi continuò: «Quando McArdle è arrivato qua, odorava fortemente di alcol. L'agente di turno è nuovo di Blairgowrie, e non lo conosceva. Ha pensato che a parlare fosse la bottiglia, e gli ha consigliato di andare a casa e dormirci sopra. Ma McArdle non ha voluto saperne, affermando di aver bevuto un sorso solo dopo, per calmarsi i nervi. Era così agitato che l'agente di guardia ha accettato di fargli il test del palloncino». «E allora?» lo incitò McLeod, sentendo che l'altro esitava. «Dal suo alito è risultato che aveva bevuto troppo poco per essere ritenuto anche solo un po' alticcio.» «Capisco», mormorò McLeod. «È stato allora che l'agente mi ha telefonato», proseguì Kirkpatrick. «Mi ha spiegato cosa stava succedendo, e quando sono arrivato qua ho interrogato personalmente McArdle.» Fece un sospiro. «Ispettore, io conosco
quest'uomo da dieci anni e so che non sta mentendo. E se avesse riferito la pura verità, se una setta di fanatici praticanti di magia nera avesse davvero ammazzato qualcuno... be', qui a Blairgowrie non siamo preparati per un'indagine di questo genere. Il massimo che ci è capitato è qualche furto, liti nei pub e cacciatori di frodo, ma non omicidi... soprattutto non omicidi in cui c'entrano i satanisti e gente simile. Prima di rischiare qualche stupido errore, mi è sembrato una buona idea telefonare a lei.» «Capisco, sergente», disse McLeod. «Comunque, prima di darle qualche consiglio avrei bisogno di altre informazioni. Cosa rende il suo uomo così sicuro di aver visto un rito di occultismo?» «Dice che i partecipanti indossavano un saio bianco, con il cappuccio che copriva la faccia. Dice di averli sentiti cantare in coro intorno alla vittima, prima dell'uccisione.» Kirkpatrick esitò. «Io ho ipotizzato che fosse una burla di studenti... uno scherzo ai danni di qualche matricola, o roba del genere.» «Sì, forse. Ma non credo che sia prudente supporre una burla. La testimonianza farebbe pensare il contrario. Forse dovrei venire io stesso lì a Blairgowrie.» «Speravo che dicesse questo», rispose con franchezza Kirkpatrick. «E le sarei grato se lo facesse. Detesto darle disturbo in una notte come questa, ma... quando potrebbe essere qui?» «Posso uscire di casa entro un quarto d'ora», disse McLeod. «In che stato sono le strade?» «Ieri sera è caduta almeno una decina di centimetri di neve, ma le strade principali sono transitabili. Qui disponiamo di veicoli a quattro ruote motrici, per recarci sul posto. C'è niente che possiamo fare nel frattempo, mentre attendiamo che lei arrivi?» McLeod si mordicchiò un labbro. «Cerchi solo di non far arrivare la notizia alla stampa, finché non sapremo cos'abbiamo per le mani. Suppongo che lì non abbiate nessuno con qualche esperienza in casi di omicidio.» «Temo di no, ispettore.» «Be', non importa. Di questo ci occuperemo solo se e quando sarà necessario. Se il suo testimone ha riferito esattamente i fatti», continuò cupamente, «non c'è bisogno di affrettarsi, per quanto riguarda la vittima. E i responsabili se ne saranno già andati da un pezzo.» Per qualche momento rifletté, poi: «C'è una persona che mi piacerebbe portare con me. Se sarà disponibile. Uno psichiatra amico mio, con una lunga esperienza in casi di questo genere. In effetti, è l'uomo che io chiamo
quando ho bisogno di un esperto. Ho lavorato con lui molte volte, e la sua consulenza potrebbe essere utile». «Se lei pensa che possa servire, non ho obiezioni», disse Kirkpatrick. «Prima dovrò mettermi in contatto con lui... ma questo è un mio problema, non suo», continuò McLeod. «In ogni caso, a Dio piacendo, dovrei essere a Blairgowrie entro tre ore al massimo. Ci vediamo lì.» Detto questo, riappese il ricevitore e guardò sua moglie. Seduta sul divano, Jane stava accarezzando distrattamente il gatto; inarcò un sopracciglio rossastro con l'aria di chi è abituato a rassegnarsi. «Non dirmi niente», lo precedette. «Se devi andare, vai. Ti metto del caffè in una bottiglia?» «Sì», annuì giudiziosamente McLeod. «Penso che sarà meglio.» Le passò un braccio intorno alle spalle, con un sorriso. «Sei un bravo soldato, Jane, ragazza mia. È un pezzo che desidero chiederti... sei già impegnata con qualcuno?» Lei gli mostrò ironicamente l'anulare della mano sinistra. «Sì, ma non preoccuparti... è un poliziotto, perciò sono spesso sola in casa, di notte.» McLeod la strinse a sé qualche momento, e la lasciò con uno sforzo. Mentre lei sì alzava e andava in cucina, con il gatto che le teneva speranzosamente dietro, lui prese di nuovo il telefono e compose il numero di Strathmourne House. Mentre Noel McLeod guardava il film della notte alla BBC, Adam Sinclair stava presiedendo la cena annuale i cui invitati erano alcune dozzine di membri della Societas Musica Escotia, un circolo di appassionati dediti alla sponsorizzazione della musica popolare scozzese. Era una cena di gala, con molti degli uomini in smoking o con il gonnellino di tartan del loro clan, e anche buona parte delle donne in abito folcloristico delle Highland, sciarpe di tartan e altri accessori in stile. Nel corso della lunga serata, dopo i discorsi dei conferenzieri, la consegna di alcune medaglie e l'esposizione dei programmi della società, gli ospiti avevano degustato un'ottima cena a base di specialità tipiche scozzesi, come il salmone all'uovo, il fagiano in salsa d'avena, la Creme auld Alliance, la torta di miele e altri caratteristici dolciumi locali. Ora il presidente della società stava facendo spostare i commensali nel salone, dove sarebbe stato servito il caffè e avrebbe avuto luogo l'intrattenimento musicale, come d'abitudine a opera di volontari selezionati fra gli ospiti. A un'estremità del salone era stato improvvisato un palco, su cui i
camerieri stavano disponendo alcuni strumenti musicali, mentre la gente prendeva posto sulle sedie nella parte riservata al pubblico. Fra loro c'era anche Adam. Mentre gli ultimi ospiti si mettevano a sedere, Lady Janet Fraser si piegò verso Adam e gli poggiò una snella mano ingioiellata su una spalla, con fare affettuoso. «Mio caro Adam, tu riesci sempre a organizzare degli intrattenimenti davvero speciali. La cena era eccellente», mormorò. «L'ospitalità è una forma d'arte non meno nobile della musica. Non sei d'accordo anche tu, Caroline?» Quella domanda era rivolta alla bionda dai lineamenti da elfo seduta alla sinistra di Adam. Lady Caroline Campbell le rispose abbassando le lunghe ciglia delicatamente colorate. «È proprio così», e scoccò a Adam uno sguardo malizioso. «Non riesco a capire come tu ci riesca. Dev'essere certo un problema, con il solo Humphrey ad aiutarti nei preparativi.» La non velata allusione che c'era sotto quella frase fece irrigidire un poco il sorriso di Adam. Dopo una sera trascorsa al fianco di Lady Caroline, desiderava che Janet non fosse così determinata nel fornirgli compagnia femminile, per quanto Lady Caroline si mostrasse amabile. La giovane donna aveva una pelle di porcellana e la flessuosità di una ballerina; gli smeraldi intorno alla sua candida gola erano appena un'ombra più chiari dell'abito verde bottiglia che indossava, e probabilmente valevano più di quello che sarebbe costato rifare il tetto di Strathmourne House. Nonostante la sua bellezza, nella risata di Lady Caroline c'era una nota acuta e vagamente disperata, dalla quale Adam intuiva che la giovane donna stava facendo uno sforzo eroico per essergli di buona compagnia. Era una reazione che lui incontrava fin troppo spesso. Difficilmente riusciva a dimenticare di essere considerato un ottimo partito sul mercato dei mariti. Non che ce l'avesse con Janet, per questo. Lei ci aveva provato. Sia lei che il marito, Matthew, erano suoi amici d'infanzia; condividevano con lui molti affetti e interessi, e poiché avevano un matrimonio perfetto, una delle maggiori ambizioni nella vita di Janet Fraser era quella di aiutare Adam a trovare la stessa felicità. Ma lui stava cominciando a stancarsi delle contìnue allusioni di Lady Caroline alle difficoltà della sua vita da scapolo, e anche se diede una risposta garbata alla sua osservazione si augurò che la musica mettesse presto fine alla conversazione. L'angolo nord-ovest del salone era dominato dalla presenza di un clavicembalo appartenuto alla nonna di Adam. Si trattava di uno strumento ele-
gante, la cui cassa di risonanza color miele era intarsiata di sottili arabeschi d'oro. Attorno a esso erano state poste in semicerchio alcune sedie, ciascuna dinanzi a un leggio porta-spartiti. Poco più indietro, ancora racchiusa nella sua copertura di velluto verde, c'era una grossa arpa celtica. Sulle spalle di Adam scivolò un'ombra. Si voltò e vide che Peregrine Lovat aveva poggiato una mano sullo schienale della sua sedia. Il giovane artista aveva una faccia preoccupata, mentre si chinava verso di lui. «Santo cielo, Adam, io non suono in pubblico da quando andavo a scuola», sussurrò, aggiustandosi la cravatta intorno all'elegante colletto ricamato. «Non so come ho potuto essere così idiota da lasciare che Julia mi convincesse.» Adam sorrise, e il suo sguardo corse a una snella giovane donna vestita di seta bianca, i cui capelli d'oro erano trattenuti da un nastro scozzese. Peregrine aveva conosciuto Julia Barret meno di un mese addietro, e da allora fra i due era nato un rapporto sempre più intenso, a testimonianza di quant'era cambiato Peregrine dal giovanotto represso e introverso che Adam ricordava dal loro primo incontro. «Questa è semplicemente una società di amanti della musica, non un pubblico di critici teatrali», cercò di rassicurarlo lui. «Ora rilassati, e ricorda che sei fra amici.» Peregrine alzò gli occhi al cielo, ma andò sul palco e sedette al clavicembalo, sistemandosi l'orlo del kilt con una naturalezza che gli sarebbe stata impossibile un paio di mesi prima. Un momento più tardi fu raggiunto da Julia, accompagnata da suo zio, Sir Alfred Barret, un distinto signore anziano che invece del kilt portava un semplice abito scuro, con occhi azzurri e argentei mustacchi ricurvi. «Amici e colleghi», esordì Sir Alfred, con una formalità temperata dal tono gioviale, «come membro più anziano del nostro trio di musici, ho il piacere d'informarvi che il programma che ci accingiamo a proporvi consiste in una selezione di componimenti di Anna Magdalena Bach. Prima di cominciare, voglio assicurarvi che faremo ogni sforzo perché le note da noi suonate corrispondano agli spartiti che abbiamo dinanzi.» Quella dichiarazione provocò alcune risate in sala. Con un umoristico inchino ai suoi colleghi e al pubblico, Sir Alfred sedette a un paio di metri dal clavicembalo e raccolse il suo strumento, un violoncello italiano fabbricato da un discepolo di Stradivari. Julia, indirizzando un sorriso di traverso a Peregrine, rimase al centro del palco, di fronte a un leggio, sul quale dispose un libro di musica rilegato in pelle nera. Ii pubblico fece udire
alcuni educati ssstt mentre i membri del trio si disponevano a iniziare la loro esibizione. Le tre canzoni che avevano scelto erano fra le preferite di Adam. Le precise note metalliche del clavicembalo e i vellutati ricami del violoncello furono un delicato sottofondo per la nitida voce da soprano di Julia, pura come quella di un fanciullo. Non ci furono discrepanze degne di nota da parte dei due strumentisti. Quando ebbero finito, la loro prestazione fu salutata da un applauso caloroso. «Coraggio, Janet», esortò Sir Matthew Fraser, mentre il battimani si smorzava e i tre si inchinavano al pubblico. «Se non sbaglio, ora tocca a te e a Caroline.» Lui e Adam si alzarono, quando le loro accompagnatrici lasciarono i loro posti con gli spartiti in mano e si spostarono fra le sedie. Caroline gettò uno sguardo accigliato e preoccupato al palco, dove Peregrine stava aiutando Julia a scoprire l'arpa e spostarla più avanti. «Spero che la ragazza abbia qualche esperienza come accompagnatrice», disse, con un tono che lo psichiatra in Adam giudicò fra scettico e invidioso. «Se non segue nel modo giusto le nostre voci, rovinerà tutto l'effetto.» «Non temere!» Janet rise. «Ho sentito suonare Julia in altre occasioni, e ti assicuro che ho la massima fiducia nelle sue capacità.» Guardando gli spartiti delle due donne, Adam aveva già visto che si preparavano a eseguire alcuni duetti basati su canzoni di Robert Burns. Ma sebbene fosse un ammiratore delle opere del famoso bardo scozzese, trovò la prima canzone alquanto deludente. Janet, che aveva poche illusioni sul suo talento di cantante, eseguì una prestazione abbastanza credibile, grazie all'entusiasmo che le diede, se non altro, una piacevole vivacità. Caroline, al contrario, sembrava determinata ad attaccare le note come per sconfiggerle, salendo sui toni da soprano più con aggressività che con stile. Ripensando alla lirica dolcezza della voce di Julia, Adam trasse un sospiro di rimpianto. Si stava facendo forza per sopportare il resto dell'esibizione, quando sentì un rispettoso tocco su una spalla. «Mi scusi l'intrusione, sir», mormorò Humphrey, «ma c'è una telefonata per lei. L'ispettore McLeod.» Adam uscì dal salone cercando di farsi notare il meno possibile, e si chiese cos'avesse costretto McLeod a chiamarlo a un'ora così tarda. Erano le due passate. Una volta in corridoio si affrettò verso la biblioteca e sedette alla scrivania, in attesa che Humphrey gli passasse la chiamata. Appena la luce si accese sull'apparecchio, sollevò il ricevitore.
«Salve, Noel. Scusa se ti ho fatto aspettare. Cos'è successo?» «Ancora non lo so con precisione», rispose la voce da basso di McLeod. «Mi spiace averti portato via ai tuoi ospiti, ma ho appena avuto una strana chiamata da un sergente di polizia di Blairgowrie, un certo Kirkpatrick. Uno dei guardiacaccia locali si è presentato alla stazione di polizia, qualche ora fa, dichiarando di aver assistito a un omicidio rituale, nella boscaglia della tenuta di Baltierny.» Adam ascoltò con interesse mentre l'amico gli forniva i particolari. «Ad ogni modo, ho detto al sergente Kirkpatrick che posso andare sul posto io stesso, nonostante l'ora, per vedere di dargli una mano», concluse McLeod. «Avevo idea di chiederti di venire, ma non sapevo che tu avessi ospiti. La cosa è abbastanza strana da avere qualche aspetto interessante per te, però potrebbe anche rivelarsi una perdita di tempo.» «Oh, non preoccuparti dei miei ospiti», lo rassicurò Adam. «Anzi, a conti fatti sono contento che tu mi abbia telefonato. Da come vanno le cose ultimamente, non possiamo scartare alla leggera nessun episodio di questo genere. Non ho ancora avuto la possibilità di parlarti di ciò che Christopher e io abbiamo scoperto a Edimburgo. Si tratta di una pista ormai fredda, ma sembra che i nostri amici della Lince si siano dati da fare laggiù, sotto le feste di Natale dell'anno scorso.» «Davvero?» chiese McLeod. «Forse non sarebbe una cattiva idea che tu venissi a Blairgowrie con me, allora. Potresti parlarmi di questa faccenda, durante la strada.» Un educato applauso proveniente dal salone ricordò a Adam le predatorie allusioni di Lady Caroline. Qualunque cosa ci fosse dietro la storia di quel guardiacaccia, all'improvviso il pensiero di un viaggio notturno in macchina a Blairgowrie gli sembrava una boccata d'aria fresca. «In effetti, la trovo una buona idea», affermò. «Del resto, per i miei ospiti è quasi l'ora di andarsene. Fra quanto puoi essere qui?» «Trenta, quaranta minuti... sempre che la strada non sia troppo innevata a nord del ponte.» «Bene. Questo mi lascia tempo più che sufficiente per cambiarmi. Possiamo prendere la Range Rover. Avvertirò Humphrey che ti lasci aperto il garage.» Detto questo, riappese. Con il telefono interno diede le necessarie istruzioni a Humphrey, poi tornò nel salone. Quando entrò, Julia, Janet e Caroline si stavano inchinando al pubblico. Andò loro incontro mentre lasciavano il palco.
«Vi chiedo umilmente scusa per non aver potuto assistere all'ultima parte della vostra esibizione, signore», disse. Poi, voltandosi verso il pubblico, si schiarì la gola e alzò la voce. «Amici, posso avere la vostra attenzione, per favore?» Mentre tutte le teste si voltavano verso di lui, Adam allargò le braccia con rammarico. «Signore e signori, mi dispiace interrompere questo amabile recital, ma è accaduto qualcosa che richiede la mia attenzione professionale. Vi prego di restare qui finché vorrete. Anzi, spero che vi sentirete liberi di continuare anche in mia assenza. Tuttavia, devo chiedervi di scusarmi.» Un mormorio di disappunto accolse il suo annuncio. Dopo un breve inchino, mentre s'incamminava verso la porta, Adam riuscì a intercettare lo sguardo di Peregrine nella sala affollata e gli indirizzò un cenno. Il giovane artista annuì, e si volse a mormorare qualche parola di spiegazione a Julia. Subito dopo raggiunse Adam nell'atrio, con gli occhi azzurri pieni di muta curiosità. «Mi ha appena chiamato Noel McLeod», gli spiegò lui, venendo subito al punto. «La polizia di Blairgowrie ha ricevuto la segnalazione di un guardiacaccia secondo il quale ci sarebbe stato un sacrificio umano nei boschi. Noel e io andremo da quelle parti per verificare l'accaduto. Ho pensato che forse non ti sarebbe dispiaciuto unirti a noi.» «Un sacrificio umano!» esclamò Peregrine. «Buon Dio, sì, verrò, se pensi che possa essere di qualche aiuto.» «A questo punto è troppo presto per dirlo», rispose Adam. «Lo stesso Noel ammette che potrebbe essere una perdita di tempo. Ma se non è così, e se quel guardiacaccia ha visto giusto... il tuo particolare talento potrebbe esserci utile. Devo avvertirti, però, che potresti trovarti davanti uno spettacolo sgradevole.» Adam tacque, guardandolo con aria d'attesa, e Peregrine scrollò risolutamente le spalle. «Se stai cercando di darmi il tuo grazioso permesso di andare a letto, lo apprezzo», disse con calma. «Tuttavia, mi hai anche dato l'impressione che gradiresti avere il mio contributo a ciò che tu e McLeod vi proponete di fare... e il sonno non è una buona scusa per sfuggire le responsabilità. Ciò non significa che non mi addormenterò per strada, o che non vomiterò se troveremo una scena troppo sanguinosa. Dovrai essere indulgente, in questo. Ma ogni mio miserabile fallimento non sarà imputabile alla mancanza di buona volontà.»
Era una dichiarazione che Peregrine non avrebbe mai fatto sei settimane addietro. «Bravo ragazzo», si complimentò calorosamente Adam. «Spero di non dover mettere alla prova il tuo stomaco. In ogni caso, sarò felice di avere la tua compagnia. Ora...» Si passò una mano sulla mandibola, riflettendo sugli aspetti pratici di ciò che li aspettava. «Noel sta arrivando in auto da Edimburgo, e sarà qui fra circa quaranta minuti. Questo ci lascia il tempo di indossare qualcosa di più adatto... e di far pace con le nostre accompagnatrici.» Peregrine fece una smorfia di rammarico. «Già, mi stavo scordando di Julia», ammise. «Vado subito a parlare con lei, e chiederò a Sir Alfred che provveda lui ad accompagnarla a casa...» Un'indaffarata mezz'ora più tardi, Peregrine era nell'atrio della dépendance dove abitava e si stava allacciando un paio di stivali pesanti, quando sentì il rumore di un'auto che si fermava all'esterno. S'infilò il suo impermeabile da marinaio sopra il giaccone, afferrò la cartella da disegno e uscì. La Range Rover blu di Adam era ferma al cancello. Il profilo dell'uomo seduto accanto a lui apparteneva indiscutibilmente a McLeod, con i suoi baffetti grigi e i tondi occhiali dalla montatura d'acciaio che riflettevano la luce dell'abitacolo. Peregrine chiuse la porta della dépendance, corse giù dalla breve scala e salì sul sedile posteriore della macchina, dalla parte del passeggero. Sull'altra metà del sedile c'era la borsa da medico nera di Adam, insieme a una cartella di nylon con la chiusura lampo su cui era scritto POLICE da entrambi i lati. McLeod si volse a sorridergli con espressione maliziosa. «Benvenuto a bordo, Mr. Lovat. Si è separato dalla sua accompagnatrice in termini ancora amichevoli?» «Più o meno», rispose Peregrine, mettendo la sua cartella sul sedile con le altre borse. «Ho spiegato alla signora che Adam mi ha chiesto di andare con lui perché il mio talento di disegnatore a volte risulta utile, sulla scena di un crimine. E lei è sembrata non prendersela molto.» «Questo è più di quanto ci si può aspettare dalla maggior parte delle donne», considerò McLeod, mentre l'auto ripartiva. «Se un giorno avesse voglia di sposarsi, le raccomando di tenere presente la sua Miss Barret.» 7 Benché il traffico avesse sciolto buona parte della neve, l'asfalto della
M90 era scivoloso sotto le ruote, mentre Adam guidava la Range Rover verso Perth, più a nord. Gli autotreni che venivano loro incontro sulla corsia diretta a sud, tagliando il buio con i fari, tenevano una velocità prudenziale. La neve ricominciò a cadere lenta e fitta poco prima che giungessero all'incrocio con la statale A93 per Blairgowrie, e sull'asfalto si formò uno strato insidioso. Attraverso lo scivoloso lavorio dei tergicristalli, McLeod scrutò accigliato nell'oscurità che avevano davanti. «Dio, che notte da cani», protestò. «Se continua di questo passo ci troveremo ad arrancare con la neve al ginocchio, quando saremo sulla scena del delitto.» «Auguriamoci che quel guardiacaccia conosca i suoi boschi tanto da ritrovare quel posto», disse Adam. «Altrimenti rischiamo di essere venuti qui solo per giocare a moscacieca.» «Già. Per non parlare della fine che faranno tutte le tracce», annuì McLeod. Dopo quel breve scambio di parole, nessuno disse altro. Peregrine cercò di recuperare un po' di sonno e anche McLeod si appisolò. Adam aveva la mente lucida, perché durante la cena aveva bevuto appena un bicchiere di vino, ma se fosse stato avvertito in anticipo non si sarebbe appesantito con un pasto di cinque portate. I suoi sensi profondi erano intorpiditi e poco utili in quelle condizioni, anche se sperava di giungere sulla scena del crimine in condizioni di maggiore percettività. L'orologio del cruscotto segnava le 4.53 quando furono alla periferia di Blairgowrie e Adam rallentò. Il cambiamento di velocità fu sufficiente a svegliare McLeod, che si raddrizzò e si passò una mano sulla faccia, guardando fuori in cerca di punti di riferimento. «Dopo la piazza, gira a destra», disse a Adam, indicando più avanti. «Bisogna prendere per Leslie Street. Ecco, da questa parte.» Svoltarono per una traversa male illuminata. «Ora la prima a destra, credo che si chiami Ericht Lane. Sì, è questa. La stazione di polizia è in fondo, sulla sinistra.» Anche Peregrine si svegliò all'ultima svolta, sbatté le palpebre per scacciare il sonno, si spinse gli occhiali sul naso e guardò fuori dal finestrino di sinistra. La stazione di polizia era un edificio edoardiano a un piano, di mattoni rossi, con due plafoniere simili a lampade a gas ai lati della porta. Il posteggio, praticamente vuoto, si trovava sul lato opposto della strada. Adam parcheggiò fra una Land Rover bianca della polizia e una jeep
gialla tutta infangata, con le ruote piene di terriccio e foglie. I tre la guardarono. «Che sia la macchina di quel guardiacaccia?» si domandò Peregrine. «In tal caso, ha fatto una bella corsa nei campi», commentò McLeod. «Andiamo a conoscere quest'uomo, e sentiamo cos'ha da dire.» Scesero dalla Range Rover e attraversarono il piazzale coperto di neve. La porta della stazione di polizia era chiusa. Sbattendo i piedi per liberarsi dalla neve, McLeod suonò il campanello. «Queste piccole stazioni di polizia solitamente restano vuote fra l'ora di chiusura dei pub e le sette di mattina», spiegò agli altri due. «C'è un'auto di pattuglia nelle strade, ma... ah!» All'interno si udirono dei passi e la porta fu aperta. L'agente che li accolse era alto e magro, con i capelli rossi e un naso prominente delle Highland. Sulle maniche dell'uniforme c'erano le tre V capovolte da sergente. Nel vedere McLeod, la sua faccia ossuta espresse sollievo. «Ispettore McLeod, benvenuto a Blairgowrie. Mi spiace averla fatta uscire di casa in una notte come questa.» «Ne abbiamo viste di peggiori», disse McLeod, con un'enfasi che non sfuggì a Peregrine, mentre Kirkpatrick si scostava per farli entrare. «Adam, Peregrine, questo è il sergente Callum Kirkpatrick. Sergente, questi sono il dottor Sinclair, del quale le ho parlato, e il suo assistente Mr. Lovat.» Kirkpatrick strinse la mano ai nuovi venuti. «Mi auguro di non avervi disturbati per niente, signori», disse, scuotendo la testa con aria dubbiosa, «ma se quello che mi ha riferito il guardiacaccia è vero, ci aspettano delle ore poco divertenti.» «Dov'è quest'uomo?» domandò McLeod. «McArdle, mi pare che si chiami, no?» «Sì, è giù nel reparto detenzione. Era un po' stanco, così gli ho detto di andare a sdraiarsi sul lettino di una cella in attesa del vostro arrivo. Volete leggere la sua testimonianza firmata, prima che vi conduca sul posto?» McLeod guardò Adam, che scosse il capo. «Sarebbe meglio fare due chiacchiere con McArdle», consigliò l'ispettore. «Vediamo se ci dice qualcosa di diverso da quello che ha detto a lei.» Kirkpatrick annuì. «L'esperto qui è lei, ispettore. Come vuole. Seguitemi.» Senza altri preamboli l'uomo li precedette lungo un corridoio e poi giù per le scale che portavano nel seminterrato. In fondo alle scale una porta metallica, aperta, dava su un piccolo atrio. Un agente in uniforme sedeva a
una scrivania stilla sinistra, con una rivista di computer fra le mani. Nel vederli entrare, l'uomo depose la rivista e si alzò, guardando McLeod e i suoi compagni con una certa curiosità. «Questo è l'agente Forsythe, che ha accettato di fare qualche ora di straordinario per aiutarci», lo presentò Kirkpatrick. Voltandosi al giovane subordinato, domandò: «McArdle è sveglio?» «L'ultima volta che ho guardato stava dormendo, sergente.» «Va bene, sveglialo e digli che le autorità di Edimburgo sono arrivate», gli ordinò Kirkpatrick. «Fra un momento veniamo anche noi, appena questi signori si sono tolti i cappotti. E, Davie...» «Sì, signore?» «Vedi se riesci a convincere quel dannato distributore, di sopra, a sputare fuori un po' di caffè.» «Sì, signore, farò del mio meglio.» Nel seminterrato c'era il riscaldamento acceso. Adam si tolse volentieri l'impermeabile e il giaccone di lana. Lasciarono gli indumenti appesi a un attaccapanni, quindi seguirono Kirkpatrick in un breve corridoio fra le celle. L'agente Forsythe venne loro incontro e indicò con il pollice la porta della prima cella. «È sveglio, signore, e scorbutico come prima», disse al suo superiore. «Ora vado a prendere il caffè.» Trovarono McArdle che s'infilava gli stivali, seduto sulla cuccetta. Era un uomo sulla cinquantina, con un naso bitorzoluto e occhi bellicosi su una barba scarmigliata sale e pepe. I suoi modi, quando Kirkpatrick fece le presentazioni, non erano esattamente cordiali. Dopo aver appreso che Adam era uno psichiatra aggrottò le sopracciglia e dichiarò, con voce piatta: «Io non ho bisogno di un medico. Né io, né quel poveraccio rimasto lassù nella neve... anche se nessuno mi crede». «Nessuno vorrebbe crederle», precisò McLeod, «perché sarebbe una cosa orribile, se vera. Ma se il sergente, qui, avesse un motivo per non crederle, non mi avrebbe chiamato. E io non penso che voi due... anche se lei non l'ho mai vista prima, non penso neppure per un momento che mi avreste fatto venire qui in piena notte senza una ragione. Il dottor Sinclair ha lasciato gli ospiti che aveva a cena per accompagnarmi.» Un po' rabbonito dalla burbera dichiarazione di McLeod, l'altro si grattò la barba. «Suppongo che sia una specie di strizzacervelli, no?» borbottò. Adam sorrise e prese la sedia che Kirkpatrick gli stava allungando dal corridoio, mettendola di fronte a McArdle. Peregrine era rimasto fuori dal-
la porta, ma in piena vista, mentre McLeod si teneva un po' in disparte lasciando che fosse Adam a dirigere l'interrogatorio. «Ebbene, Mr. McArdle, ammetto che è come dice lei», esordì Adam con aria cordiale. «In effetti, l'ispettore McLeod si serve di me come consulente nei casi che riguardano l'occulto e la psicologia della gente che commette crimini collegati all'occulto. Ma io mi occupo dei responsabili e delle vittime, più che dei testimoni... anche se posso aiutare un testimone a ricordare con più precisione cos'ha visto. Penso che sia questo che l'ispettore si aspetta da lei e da me.» McArdle lo scrutò insospettito. «Allora voi non credete che io sia fuori di testa?» «Niente affatto.» Adam sedette sulla sedia, e fu lieto di notare che Kirkpatrick era uscito, lasciandoli soli con il testimone. «Al contrario, sembra che lei abbia avuto la sfortuna d'inciampare su qualcosa di molto pericoloso... e penso che possa ricordare più di quello che ha detto al sergente. Mi piacerebbe aiutarla, in questo.» Nel parlare aveva estratto come per caso un orologio dalla tasca, e dopo avergli dato un'occhiata lo lasciò penzolare lentamente, appeso alla catenella. Gli occhi del guardiacaccia ne furono attirati. Continuando a farlo oscillare a destra e sinistra Adam proseguì, in tono discorsivo, abbassando la voce perché l'altro potesse concentrarsi meglio: «Ora, credo proprio che la sua esperienza di questa notte debba esser stata sconvolgente, Mr. McArdle. Avrebbe sconvolto chiunque. Io immagino che lei sia stato sveglio buona parte della notte. Data questa tensione, la cosa più importante è che ora lei cerchi di rilassarsi un poco». Lo sguardo di McArdle seguiva le ritmiche oscillazioni dell'orologio all'estremità della catenella, ma d'un tratto sbatté le palpebre e si accigliò, forse insospettito da ciò che Adam stava facendo. Con un sorriso indifferente lui intascò di nuovo l'orologio, senza però modificare il tono della voce, che era l'elemento su cui si basava per ottenere un effetto. «A questo scopo, vorrei chiederle di trarre un lungo respiro e di appoggiarsi indietro, con le spalle al muro. Quando esalerà l'aria, la lasci uscire proprio tutta», gli raccomandò, mettendo una certa enfasi sulla parola «tutta», affinché il tono sottolineasse l'istruzione. «Sì, proprio così. Si accorgerà anche lei che respirare a fondo aiuta a rilassarsi. E Dio sa se lei ha bisogno di rilassarsi dopo quello che ha passato stanotte, vero?» «Già», mormorò l'uomo. «Faccia un altro profondo respiro, se vuole... sì, così, e lo lasci uscire
lentamente... ora un altro... ancora un altro... le sembra di sentirsi più tranquillo, adesso?» Adam lo vide annuire. «Molto bene.» «Ora vorrei che tornasse con la memoria a ciò che ha visto nella foresta. Si accorgerà che ricordare gli avvenimenti nel giusto ordine in cui sono successi le sarà d'aiuto. Ma nessuna delle immagini che rivedrà le causerà angoscia. Sarà come guardare le vignette di un giornale a fumetti. Mi dica quando si sente pronto a ricordare com'è cominciata la cosa.» McArdle annuì, tenendo le mani callose in grembo. «Io... suppongo che Kirkpatrick vi abbia detto che io sono il guardiacaccia di Lord Baltierny da oltre vent'anni.» «Sì», rispose Adam. «E mi ha detto che è uno dei migliori.» «Be'... mi piace pensarlo.» McArdle trasse un altro lungo respiro. «Ad ogni modo, stanotte stavo andando su per la collina, nella parte boscosa a nord della tenuta, come faccio ogni notte da molti anni, quando ho sentito un rumore in distanza... una specie di verso rauco, come un grido, o un grugnito.» «Un cervo, forse?» McArdle scosse il capo. «Mai sentito un cervo fare un verso simile», rispose con voce piatta. «Un cacciatore di frodo, magari... questo è stato il mio primo pensiero. C'è una strada dietro l'altura, dove avevo sentito il grido, ma nessuno può passarci senza permesso, e certamente non a quell'ora.» «All'incirca, di che ora stiamo parlando?» domandò Adam. «Erano passate le undici da un pezzo, mi pare. Io avevo il fucile, così mi sono avviato su per la collina in direzione di questo rumore, per vedere chi fosse. Era piuttosto buio lassù, non c'era luna, ma io sono abituato a muovermi alla luce delle stelle in una notte così. E per qualche motivo ho avuto la sensazione che non fosse prudente usare la torcia. Un uomo che passa tanto tempo nei boschi sviluppa un certo istinto per le cose, con gli anni... e sono contento di aver usato questa precauzione, stanotte.» «Perché dice questo?» «Perché altrimenti quelli mi avrebbero visto!» rispose McArdle. «Per mia fortuna avevano acceso dei fuochi, così non potevano vedere bene nel buio. Ma ora sto andando troppo in fretta. Ancor prima di arrivare in cima all'altura e di vederli ho cominciato a sentire il canto.» «Un canto?» domandò Adam in tono discorsivo. «Non so in che altro modo chiamarlo», spiegò il guardiacaccia. «Era strano... come se mormorassero. Non ho capito una parola di quello che
dicevano, ma il suono di quel coro mi ha fatto accapponare la pelle...» L'uomo s'interruppe, il suo respiro accelerò, e gli occhi si misero a fuoco su qualcosa che Adam non poteva vedere. «Non lasci che il ricordo la turbi», lo esortò sottovoce Adam, con un'occhiata a McLeod, che si era appoggiato al muro e ascoltava attentamente. «Penso d'immaginare il genere di scena che lei sta cercando di descrivere. Ora non corre pericolo. Faccia un lungo respiro e lasci che la tensione esca insieme al fiato.» Quando il guardiacaccia si fu rilassato un poco, Adam continuò: «Ora vediamo se possiamo andare avanti. Lei ha sentito un canto. Era naturale che si spaventasse. È scappato via?» La faccia di McArdle s'irrigidì per l'indignazione. «Io non sono scappato! Non in quel momento, ad ogni modo. Chiunque fossero, quelle persone si trovavano nella tenuta di Lord Baltierny senza permesso. A quel punto ero abbastanza sicuro che non fossero bracconieri... avevano spaventato la selvaggina per chilometri! Ma era mio dovere chiarire quello che stavano facendo.» «Così è andato a dare un'occhiata più da vicino?» «Sì. Sono arrivato sulla dorsale della collina, più in silenzio che potevo. Da lì ho visto la luce dei loro fuochi fra gli alberi, in una radura più in basso, a un centinaio di metri dalla mia posizione. Non volevo che quelli mi vedessero... il loro modo di cantare mi aveva fatto venire la pelle d'oca, così sono strisciato fra i cespugli fino a un posto da cui potevo guardare con il cannocchiale del mio fucile. Non so cosa mi aspettassi di vedere, ma certo non quello...» L'uomo s'interruppe, e Adam gettò un breve sguardo a McLeod e Peregrine. Gli occhi grigi dell'ispettore erano cupi dietro le lenti rotonde, e la faccia del giovane artista, sopra il collo ripiegato del maglione, appariva un po' pallida. «Cos'ha visto?» lo incitò Adam. McArdle fremette leggermente. «Dovevano essere una dozzina», mormorò. «Indossavano tutti delle tuniche bianche con il cappuccio, come fossero monaci o roba del genere. Uno stava in mezzo, con le braccia sollevate in aria, e gli altri marciavano in circolo. Poi si sono fermati di botto, ed è stato allora che mi sono accorto che c'era anche un altro uomo, al centro, su questa larga roccia piatta. Era inginocchiato come se stesse male... ma dopo un po' ho visto che aveva i polsi legati dietro la schiena. Allora ho capito che stavano facendo qualcosa di illegale.»
«Cos'è successo?» domandò Adam. La sua voce era quasi un sussurro. «L'uomo che stava sulla roccia s'è avvicinato a quello con i polsi legati, e s'è inginocchiato davanti a lui. Aveva qualcosa in mano, forse una tazza, forse no, non potevo vederlo bene... e ha proteso l'oggetto verso l'altro. In quel momento uno degli individui disposti in circolo ha mandato un grido ed è corso avanti. Credo che abbia colpito alla nuca l'uomo legato. Poi ho visto lampeggiare del metallo... un coltello di qualche genere, suppongo... e il sangue è schizzato ovunque!» McArdle fece una pausa per deglutire. Il rumore del groppo di saliva si udì nel silenzio. «L'uomo con i polsi legati si agitava e scalciava, ma due degli altri lo avevano afferrato da dietro e non lo hanno lasciato cadere», proseguì il guardiacaccia. «Il suo sangue continuava a fiottare sopra l'oggetto che l'altro uomo teneva fra le mani. Gli avevano tagliato la gola, credo. Quando alla fine l'hanno lasciato cadere io... sapevo che era morto.» Adam teneva gli occhi fissi sul testimone. «Cos'ha fatto, allora?» domandò con voce neutra. Il guardiacaccia fece una smorfia, esitò e scosse il capo. «Io... questo non l'ho detto al sergente, ma non è stato perché avevo fatto scricchiolare un ramo che sono scappato via. Ero così disgustato di ciò che quelli avevano fatto, che ho provato l'impulso di sparargli. Ma l'otturatore mi è sfuggito mentre mandavo una pallottola in canna... ha fatto un rumore secco come un colpo di pistola! Io non ho aspettato di vedere se quei bastardi avessero sentito. Ho messo le gambe in spalla, e non mi sono fermato prima d'arrivare alla jeep.» L'uomo stava respirando affannosamente quando concluse la sua narrazione, e Adam si piegò avanti per poggiargli una mano su una spalla. «La prenda con calma, McArdle», lo rassicurò, dolcemente. «Lei non è in pericolo, adesso. Resti seduto e riprenda fiato. Chiuda gli occhi, se vuole. Lei merita un po' di riposo. Non ha niente di cui preoccuparsi, ora.» Il guardiacaccia annuì, ma quando Adam gli tolse la mano dalla spalla la sua faccia era ancora accigliata. «Hanno ucciso quel disgraziato davanti ai miei occhi», mormorò. «Avrei dovuto fare qualcosa, prima...» «Non c'era niente che lei potesse fare», dichiarò Adam con fermezza. «Voglio che lei ricordi questo, e che ci creda. Quando lei ha capito cosa stava succedendo, era già troppo tardi. Ha fatto bene a venire subito via e a informare la polizia.»
«Ma il sergente non mi crede...» «Le ha creduto abbastanza da far venire qui l'ispettore McLeod e me», lo interruppe Adam. «Come le abbiamo detto, era più il caso di non voler credere che una cosa del genere potesse succedere qui a Blairgowrie. Non è che il sergente dubitasse della sua parola. E nessuno la biasima per quello che è successo.» Vedendo che le sue parole avevano ottenuto l'effetto di placare i timori di McArdle, Adam cambiò argomento. «Ora, lei ricorda in che posto ha avuto luogo questo omicidio?» McArdle annuì. «Pensa di poterci condurre là?» «Certo.» La voce dell'uomo suonò decisa e sicura. «Bene», disse Adam. «Allora è quello che faremo, appena ci sarà un po' di luce. Lei ci porterà su quella collina, e noi vedremo cosa potremo trovare. Fino a quel momento», continuò, «vorrei che chiudesse gli occhi e ne approfittasse per dormire un po'.» Rafforzò quel suggerimento appoggiando una mano su una spalla di McArdle, e gli passò l'altra sulla fronte, sopra le palpebre che si erano già abbassate in risposta alla sua richiesta. «Si distenda, e dorma.» Con l'aiuto di McLeod, Adam aiutò l'uomo a sdraiarsi placidamente sulla cuccetta. «Ora lei si rilasserà e dormirà profondamente, senza fare brutti sogni. Si sveglierà quando io la chiamerò per nome, sentendosi fresco e riposato.» La sua mano rimase ancora un momento sugli occhi del guardiacaccia per assicurarsi che fosse davvero addormentato. Poi si raddrizzò e fece cenno a McLeod di seguirlo fuori dalla cella, dove Peregrine li aspettava. «Be', temo che mi abbia convinto», disse con calma. McLeod annuì, scuro in faccia. «È quello che penso anch'io.» «Ma come potete essere sicuri che non abbia avuto un'allucinazione?» domandò Peregrine. «Qui è pieno di contadini che vedono i dischi volanti, la notte, quando escono dal pub con lo stomaco pieno di birra.» «Per dirne una, quest'uomo non è un occultista», replicò Adam in tono paziente. «Non avrebbe le conoscenze necessarie per inventare una storia del genere, anche supponendo che sia una testa matta. E avete visto come si è agitato, quando ha descritto l'omicidio. Ero quasi sul punto di farlo uscire dalla trance. «Inoltre non ho dubbi che fosse in trance, e che stesse dicendo la verità... almeno quella che sapeva lui. Ci ha perfino confessato che stava per sparare ai criminali, e che non l'ha fatto solo perché l'otturatore gli è sfuggito fra
le dita... cosa che, a quanto pare, non aveva detto neppure a Kirkpatrick.» «Ma un sacrificio umano, Adam...» Peregrine era pallido. «Se questo è ciò che ha visto, cosa può significare?» «Significa, ragazzo mio, che qualcuno ha messo in movimento un piano molto pericoloso», rispose cupamente McLeod. «E noi faremo meglio a scoprire chi sia questa gente e cosa ha in mente, senza perdere troppo tempo.» L'ispettore gettò un'occhiata a McArdle, che stava russando, e scosse il capo. «Suppongo che dovrò parlare un momento con Kirkpatrick. Dovunque possa condurci questa faccenda, è cominciata qui nella sua giurisdizione, ed è meglio che sia lui a organizzare l'indagine ufficiale sul posto.» 8 Due delle piste da sci più frequentate della Scozia si trovano a nord di Blairgowrie: la Spittal of Glenshee e la Devil's Elbow, a metà strada per Braemar, famose per i Giochi Estivi delle Highland. Ma le due automobili che lasciarono la stazione di polizia di Blairgowrie poco dopo le sette di quel mattino non andavano così lontano. Kirkpatrick apriva la strada con la Land Rover bianca della polizia, con a bordo Jimmy McArdle, che faceva da navigatore, e un paio di agenti prelevati fra quelli entrati in servizio con il turno mattutino. Adam li seguiva con la sua Range Rover blu, sulla quale gli altri due passeggeri tacevano, nel grigiore antelucano, ciascuno immerso nei propri pensieri. A quell'ora, il panorama innevato a nord di Blairgowrie era velato da fitti banchi di nebbia. Con un po' di fortuna, al levarsi del sole si sarebbero alzati dal suolo, ma per il momento la guida era un problema, e Adam doveva concentrare tutta la sua attenzione sulla strada. Nei primi trenta chilometri del viaggio verso Baltierny gli accadde spesso di perdere completamente di vista la Land Rover di Kirkpatrick, che apriva la strada davanti a loro come un cane da caccia per il resto del branco. Quella similitudine aveva un aspetto preoccupante per Adam. Non avevano ancora identificato la loro preda, ma dopo aver sentito la storia del guardiacaccia non dubitava che fossero sulle tracce di qualcosa di oscuro e mortale. Non voleva balzare alla prematura conclusione che dietro ci fosse la Loggia della Lince, ma non era una possibilità da scartarsi, visto che quella tenebrosa organizzazione era tornata in attività. O forse il suo era solo un timore paranoico.
«Spero che questa dannata nebbia si alzi prima che arriviamo sul posto», grugnì McLeod, sforzandosi di non perdere di vista le luci di posizione dell'auto che li precedeva. «In queste condizioni c'è il rischio che McArdle non trovi neanche la tenuta di Baltierny... figuriamoci un sentiero fra i boschi.» Ma quando giunsero all'incrocio con una strada «B» e svoltarono a destra, la nebbia stava cominciando a diradarsi e lasciava intravedere fuggevoli squarci di cielo. La strada era resa insidiosa da uno strato di tenera morchia grigia, fortunatamente priva di ghiaccio, ma i sempreverdi che la fiancheggiavano erano carichi di ghiaccioli e la neve copriva ancora il terreno delle radure, alta un palmo e più. La strada «B» era a una sola corsia, con svolte a gomito ogni mezzo chilometro, tuttavia non incontrarono nessun altro veicolo durante la quindicina di chilometri che occorsero per arrivare alla carrareccia che serpeggiava fra i boschi, sulla sinistra. Un centinaio di metri più avanti i due veicoli si fermarono davanti a un lungo recinto di rete metallica e filo spinato, il cui cancello d'ingresso era chiuso da una catena. Imbacuccato nel suo parka, e soffiandosi le dita per scaldarle, McArdle scese dall'auto della polizia e aprì il lucchetto con una delle chiavi appese alla cintura. Spalancò il cancello per far entrare le due macchine, e stava per richiuderlo dietro di loro quando McLeod mise fuori la testa dal finestrino. «Meglio lasciarlo aperto, McArdle. Se dovessimo chiamare altro personale, voglio che possano entrare senza problemi.» McArdle si accigliò leggermente, ma fece come gli era stato detto. Una volta che fu di nuovo a bordo, le auto ripartirono. La carrareccia nella boscaglia era stretta e piena di curve, poco più di una coppia di solchi di ruote che passavano fra gli alberi, ma il terreno era solido. Ogni tanto si aprivano dei sentieri invitanti su entrambi i lati, tuttavia le auto tirarono diritto per circa quattro chilometri prima che quella della polizia sì fermasse in uno spiazzo fangoso sulla destra, largo appena quanto bastava perché i due veicoli potessero parcheggiare affiancati. Mentre spegneva il motore, Adam vide un sentiero che risaliva per il versante della collina, fra cespugli e querce. Gli uomini scesero, e prima d'incamminarsi indossarono scarpe da neve, soprabiti, berretti e guanti. Mentre si riunivano all'inizio del sentiero, Peregrine notò che uno degli uomini di Kirkpatrick aveva una macchina fotografica a tracolla, e che tutti e tre gli agenti di Blairgowrie controllavano le pistole. Anche McLeod era armato. Peregrine lo aveva visto tirare fuori una
Browning Hi-Power dalla borsa di plastica, infilare un caricatore nel calcio, e ficcarsi l'arma nella cintura dei pantaloni prima di chiudere la lampo del suo anorak nero. Adam, suppose, aveva con sé una protezione più esoterica, in una tasca interna del giaccone. In quanto a lui, le sue sole armi erano la matita e il blocco da disegno. «Sei sicuro che il posto è questo, Jimmy?» domandò Kirkpatrick. Il guardiacaccia s'impermalì un poco. «Dimentichi che perlustro questi boschi da prima che tu nascessi, Callum Kirkpatrick!» rispose irritato. «Il posto è questo, aspetta e vedrai. La radura di cui ho parlato è sul versante di questa collinetta. Voi statemi dietro, e attenti a dove mettete i piedi.» La parte più bassa del sentiero era fangosa e sdrucciolevole. Tutto intorno a loro i boschi frusciavano per lo sgocciolare della neve che si scioglieva e cadeva dai rami. Quel rumore dava sui nervi a Peregrine, mentre annaspava alle spalle di Adam e McLeod su per la pista innevata, con la cartella da disegno in mano. Nel suo petto c'era un nodo freddo di paura, ma si costrinse a tacere e far finta di niente. Il giovane non lo sapeva, ma quel suo disagio era pienamente condiviso da Adam, la cui tensione interna cresceva a ogni passo. Quella non era la prima volta che lui e McLeod si confrontavano con le conseguenze di un omicidio, ma di rado era stato così aggredito dalla premonizione che quel crimine fosse importante per lui personalmente. Mentre il gruppo oltrepassava la cresta della collina, il sole squarciò la nebbia che si stava alzando. Sotto di loro, sul versante settentrionale, c'era una radura circolare chiusa fra querce i cui rami spogli crepitavano appena nel vento leggero, e al centro... McLeod si fermò bruscamente sul sentiero, con un'imprecazione. Kirkpatrick mormorò qualcosa fra i denti. Adam restò immobile. Nel mezzo di quello spiazzo fra gli alberi, disteso a faccia in giù sulla neve sciolta, c'era il corpo di un uomo dai capelli grigi. Anche a quella distanza si vedeva la chiazza rosso scuro che lo circondava. «Va bene, sergente», disse McLeod, dopo un profondo respiro. «Questa è la sua giurisdizione e deve decidere lei, ma io credo che ci sia bisogno di una squadra della polizia scientifica.» «Sì. Quella e un'ambulanza», annuì Kirkpatrick. «Heriot!» «Signore?» L'agente con la macchina fotografica si fece avanti. «Lascia la macchina fotografica a me. Tu torna indietro e chiama per radio la base», ordinò Kirkpatrick. «Digli quello che abbiamo trovato, e chiedi che qualcuno telefoni a Perth per far venire un patologo e l'altro
personale necessario.» «Sì, signore.» Heriot gli consegnò la macchina fotografica e s'allontanò in fretta. McLeod lo seguì con uno sguardo pensoso. «Peccato che non ci sia modo di cifrare la chiamata», disse. «Ma suppongo che il telefono più vicino sia... a quanto, un'ora da qui?» Al cenno di conferma di Kirkpatrick, McLeod sospirò. «Be', non possiamo farci niente, suppongo. Tuttavia saremo fortunati se non avremo addosso metà della stampa scozzese per mezzogiorno. Prima che questo accada, comunque, suggerisco di andare avanti con molta attenzione per dare un'occhiata più da vicino e prendere qualche foto preliminare, nel caso che ci siano indizi che si perderebbero se la neve si sciogliesse.» «Giusto, ispettore. Jamison?» Kirkpatrick si volse all'altro agente. «Tu gira intorno alla radura tenendoti sulla sinistra. Bada a dove metti i piedi e, se trovi delle orme, stanne alla larga. McArdle dice che c'è un'altra strada dall'altra parte, e probabilmente è quella da cui sono arrivati e andati via i responsabili, visto che non sono passati dal cancello chiuso. Guarda cosa puoi trovare là, specialmente impronte di pneumatici.» Il giovane agente annuì e s'allontanò nella direzione indicata dal superiore. Kirkpatrick guardò McLeod. «Qualche altro suggerimento, ispettore?» Lui scosse il capo. «Andiamo a dare un'occhiata da vicino.» Al gesto d'invito di Kirkpatrick, McLeod s'incamminò per primo sul terreno irregolare, scendendo verso il bordo della radura. Il sergente gli teneva dietro, stando attento a mettere i piedi sulle sue impronte. Adam e Peregrine pensarono bene di rispettare la stessa precauzione, se non altro per non scivolare sul terreno insidioso, e la fila era chiusa da McArdle, che appariva riluttante ad avvicinarsi a qualcosa che non gli piaceva affatto. Anche vista dal bordo della radura, la scena che apparve ai loro occhi era molto sgradevole. Il cadavere avvolto nel saio giaceva bocconi, in parte sopra una roccia piatta incrostata di sangue congelato. Sotto quel bianco indumento monacale sembrava nudo. Aveva le gambe sporche di fango, e i polsi erano legati dietro la schiena con un bel cordone rosso. Anche i suoi capelli grigi erano impastati di sangue, e sulla nuca presentava una netta depressione. «Io l'avevo detto, ai poliziotti», borbottò McArdle a Peregrine. «Ma loro pensavano che me lo fossi inventato... come se qualcuno potesse inventarsi una cosa come questa!» Peregrine non lo ascoltava. Erano poco oltre il bordo della radura; il ser-
gente Kirkpatrick scattava una fotografia ogni tanto, e lui stava guardando ciò che restava del circolo di cenere tracciato sulla neve, quando senza preavviso un nero senso di violenza penetrò dentro di lui. Ad un tratto si trovò a respirare l'odore acre del sangue, misto a quello dolciastro di un incenso che non sembrava... del tutto incenso. Nello stesso istante gli giunse un'ondata di terrore, come se quella sensazione echeggiasse intorno al corpo della vittima. All'improvviso la radura fu piena di spettri, una fila d'immagini semitrasparenti sovrapposte alle figure solide di McLeod e Kirkpatrick. Raggelato dall'orrore, Peregrine contò una dozzina di individui in saio bianco che marciavano in cerchio attorno al cadavere rovesciato al suolo. In quel momento la consapevolezza dell'identità dell'uomo lo colpì come un pugno nello stomaco. Quella rivelazione fu così brusca e dolorosa che ansimò e vacillò indietro, annaspando ciecamente verso l'albero più vicino per non cadere. Allarmato dal suo ansito, Adam si voltò e vide il giovane artista appoggiato al tronco di una quercia, grigio in faccia, con gli occhi azzurri sbarrati dietro gli occhiali. Adam lo afferrò per un braccio e lo sostenne, prima che cadesse. «Ti sorreggo io, fatti forza», disse a bassa voce, circondandogli le spalle con un braccio e cercando il suo sguardo. «Vedo che non è solo il sangue. Fai un respiro profondo, rilassati, e dimmi cos'hai visto. Mr. McArdle, può lasciarci un po' d'intimità, per favore?» Mentre McArdle s'allontanava, borbottando qualcosa con aria aggrondata, Peregrine respirò a fondo e chiuse gli occhi, cercando di ubbidirgli. Per qualche momento non si mosse e non parlò, poi fu scosso da un tremito e fece uno sforzo per riaversi. «Mi spiace, Adam», iniziò, con voce roca. «Ho appena capito chi è quel poveretto, là in mezzo alla radura. È il tuo amico... l'anziano signore della libreria.» «Randall?» Adam restò qualche istante a bocca aperta, sbalordito. Si voltò e vide McLeod che continuava a camminare verso il cadavere congelato. Poi si accorse che il giovane artista vacillava. «Coraggio», mormorò, tornando a dedicarsi a lui. «Non avrai intenzione di svenire, no?» Peregrine scosse il capo e si tenne in piedi. «Non preoccuparti per me. Fra qualche momento starò meglio.» Lo guardò con una smorfia e aggiunse: «Potrei essermi sbagliato, Adam. Lo spero».
Adam si mordicchiò un labbro. Sfortunatamente non dubitava che l'amico avesse visto giusto. «So che te lo auguri», sussurrò. «Ma non puoi evitare di vedere ciò che vedi. Qualunque cosa sia successa, la colpa è solo di chi ha commesso il crimine. Ora aspetta qui. Sarà meglio che io avverta Noel.» Peregrine era ancora pallido per lo shock, ma riuscì ad annuire. Adam lo lasciò appoggiato all'albero e raggiunse McLeod e Kirkpatrick al centro della radura. I due poliziotti si erano chinati accanto al cadavere per osservarne le ferite, e il sergente stava scattando altre foto. Dall'aria distaccata e professionale di McLeod, Adam capì che non aveva ancora riconosciuto la vittima. Mentre s'avvicinava, Adam poté vedere la depressione sulla nuca dell'uomo, e comprese che era stato colpito più volte da dietro. Quasi tutto il sangue però doveva essere uscito dal profondo taglio in corrispondenza della giugulare destra, sotto l'orecchio. Senza parlare Adam si piegò accanto a McLeod per esaminare meglio il cadavere. Gli prese la testa fra le mani e con cura la girò, appena quanto bastava per vederne il profilo. Un'occhiata fu sufficiente per avere conferma della visione premonitrice di Peregrine. A denti stretti deglutì un groppo di saliva, poi si fece forza per dire ciò che doveva dire. «Mio Dio, io conosco quest'uomo», mormorò, scegliendo le parole a beneficio di Kirkpatrick e anche per preparare McLeod. «E lo conosci anche tu, Noel.» McLeod lo guardò con sorpresa. Si piegò in avanti, per vedere meglio la faccia che Adam teneva in parte rivolta verso di lui, e sedette sui talloni, ammutolito. «Gesù», sussurrò dopo qualche istante. «È Randall!» Kirkpatrick aprì la bocca come per dire qualcosa, ma poi diede un'occhiata alla faccia di McLeod e ci rinunciò. Adam abbassò gentilmente la testa di Randall sul terreno, e tirò fuori di tasca un fazzoletto con cui si asciugò il sangue dalle dita. Dopo una pausa di stupefatto silenzio, McLeod sedette sul bordo della roccia piatta, si tolse gli occhiali con una mano e si passò l'altra sulla faccia. «Scusate», mormorò. «Datemi un minuto per riprendere fiato.» Adam gli poggiò una mano su una spalla. Poi si rialzò e fece cenno a Kirkpatrick di raggiungerlo, a qualche passo di distanza. «Suppongo che uno di noi debba darle un'identificazione formale», dis-
se, lasciando McLeod al suo dolore per qualche minuto. «Il nome della vittima è Randall Stewart. Lui è... era, il proprietario di una libreria d'antiquariato, a Edimburgo.» «Edimburgo?» si sorprese Kirkpatrick. «Cristo, e come mai lo hanno portato qui?» «Non lo so», rispose Adam con voce piatta. «Ma immagino che non sia stato per sua scelta.» Quella frase suonò sciocca ai suoi stessi orecchi. «Randall era vedovo. Lascia una figlia di nome Miranda. Vivevano insieme in una villetta, a Mayfield...» Scuotendo il capo, Kirkpatrick prese nota dei dati che Adam gli dettò, circa il nome completo, l'indirizzo, la professione e i parenti di Randall Stewart a lui noti. Poi guardò il taccuino per qualche momento, soffiandosi sulle dita per scaldarle, e si lasciò sfuggire un'esclamazione di stupore. «Randall Stewart... mi chiedevo perché questo nome mi fosse familiare. Era uno storico della Massoneria, non è così?» «Infatti», confermò Adam. «Ha scritto una serie di articoli sulla Massoneria, di recente, per diversi giornali. Forse le sarà capitato di leggere alcune sue lettere al Times, nelle ultime settimane. Per lui, la difesa dell'istituzione della Massoneria era una specie di crociata...» La sua voce si spense. «Non sta pensando che potrebbero averlo ucciso per via dei suoi scritti sulla Massoneria?» domandò Kirkpatrick. «Francamente, a questo punto non so cosa pensare», rispose Adam. «Randall Stewart è sempre stato un uomo tranquillo, uno studioso... non il genere di persona che si fa dei nemici. Ma aveva dei fermi principi. Non è del tutto inconcepibile che le sue idee gli abbiano attirato dell'ostilità.» «Già», annuì Kirkpatrick. «Ma sembra una ritorsione un po' troppo drastica.» Guardò Adam, inclinando la testa. «Suppongo che lei non sia un fratello della sua Loggia, dottor Sinclair, vero? E neppure l'ispettore McLeod?» Adam fece un sorriso amaro, perché c'era una Loggia che lui condivideva con McLeod e Randall, anche se non una Loggia massonica. «No, io non appartengo alla Massoneria, sergente, anche se la rispetto. Mio padre e mio nonno erano Maestri Massoni.» «Ah, be', allora sarà almeno al corrente delle controversie che ci sono sempre state sulla nostra Fratellanza. Sfortunatamente abbiamo avuto degli spiacevoli scandali negli ultimi anni... accuse di corruzione e roba del genere. Ma si tratta di azioni illecite di individui isolati. Non hanno niente a che fare con le intenzioni reali della nostra organizzazione.»
«Questo è precisamente il motivo per cui Randall scriveva i suoi articoli e le lettere ai giornali», sospirò Adam. «Tutte le organizzazioni, comprese quelle religiose, sono composte di esseri umani, anche se ispirate da Dio. E ci sarà sempre chi tenterà di abusare dei privilegi che gli vengono dall'esserne membro.» Un fruscio di fronde sulla loro destra li informò del ritorno dell'agente Jamison dal suo giro di ricognizione. «Da questa parte non ho trovato niente di utile, sergente», gridò loro dal bordo della radura. «La strada c'è, ma è un tratturo fangoso come un porcile, con la neve sciolta che copre tutto. Ci sono passate delle macchine, sicuro, però non ho trovato impronte utilizzabili di nessun genere, né di pneumatici né di piedi.» Kirkpatrick alzò gli occhi al cielo, rassegnato. «E va bene, allora», ordinò al subordinato. «Torna alla macchina e resta pure là a scaldarti... e manda qui Heriot a darmi il cambio. Uno di noi starà di turno sul posto, finché arriveranno quelli della scientifica. Fece cenno al giovanotto di allontanarsi e tornò a voltarsi verso Adam, muovendo le spalle come per liberarsi della gelida umidità della zona. McLeod si era alzato e sembrava essersi ripreso. «Anche voi, signori, fareste bene a tornare alle automobili», consigliò Kirkpatrick. «Ci vorranno ore prima che arrivino i rinforzi. Portate con voi anche McArdle e Mr. Lovat. Nella Land Rover abbiamo del caffè. Fatevene dare un po' da Jamison. Io vi raggiungo fra qualche minuto.» Quelle parole erano dirette più che altro a McLeod. L'ispettore volse le spalle al cadavere con uno sforzo. In quel momento dimostrava tutti i suoi cinquantadue anni. «Questo mi ricorda di un'altra cosa che andrebbe fatta», disse, accigliato. «Dov'è Mr. Lovat?» «Sono qua», rispose una voce sottile. I tre si voltarono e videro Peregrine ancora appoggiato con le spalle alla quercia, ma con l'album da disegno e la matita già in mano. McArdle lo guardava incuriosito, lì accanto. Il giovane artista era ancora un po' pallido intorno alla bocca, ma la sua espressione era risoluta... e sembrava anche un po' seccato dall'invadenza del guardiacaccia. «Immaginavo che voi aveste bisogno dei miei servizi», dichiarò, cercando di esibire un tono professionale, «così ho pensato di cominciare, prima che il freddo m'intorpidisse troppo le dita. Ho bisogno di altri quindici o venti minuti, ma non c'è bisogno che stiate qui ad aspettarmi.»
«Ne sei sicuro?» domandò Adam. Peregrine scrollò le spalle e riprese a disegnare, anche se, notò Adam, evitava di guardare troppo direttamente il corpo di Randall Stewart. «Sì, andate pure. Il sergente resterà qui per un po', e poi ci sarà l'agente Heriot. Io vi raggiungo quando avrò finito.» 9 McArdle s'incamminò per conto suo, lieto di lasciarsi alle spalle la scena di quella radura, adesso che la sua storia era stata confermata, e senza dubbio ansioso di tornare a scaldarsi in macchina. Adam e un McLeod ancora un po' scosso lo seguirono più lentamente, voltandosi solo quando furono alla sommità dell'altura per gettare un ultimo sguardo in direzione di Peregrine, a malapena visibile tra gli alberi più in basso. Che il giovane artista avesse cominciato a disegnare, deciso ad aprirsi alle visioni che l'avevano quasi sopraffatto al suo arrivo sulla scena, era l'unica cosa positiva in quel mattino oscurato dalla tragedia. Per quanto Adam avesse voluto le informazioni che lui poteva dargli, non se la sarebbe sentita di chiedergli di mettersi al lavoro. La prima impressione di Peregrine era stata devastante; lo aveva sconvolto più di ogni altra esperienza avuta da quand'era sotto la sua tutela, e sapeva che l'amico non avrebbe mai rifiutato di esaudire qualsiasi sua richiesta, per quanto sforzo potesse costargli. Ma evidentemente Peregrine aveva deciso di sopportare la tensione di quell'esperienza paranormale, e si sentiva capace di portarla a termine da solo. Questo dimostrava che non era un pusillanime, e che si sentiva sempre più legato alla causa servita da Adam e dai suoi compagni. Da questo pensiero, se non altro, Adam trasse un po' di conforto. Nel frattempo, visto che McArdle li precedeva di una trentina di metri, avrebbe avuto modo di scambiare qualche parola in privato con McLeod. Dopo aver soppesato tutte le domande che si affollavano nella sua mente, Adam gettò uno sguardo in tralice all'amico. Questi se ne avvide e inarcò le sopracciglia, con una smorfia cupa e depressa. «Neppure nei miei incubi peggiori avrei immaginato una cosa del genere», mormorò. «Un membro della nostra Loggia di Caccia scannato come una pecora, e nessuno di noi ne ha avuto la minima premonizione mentre la cosa accadeva!» L'ispettore strinse i denti quasi selvaggiamente, e scosse il capo. «È ve-
ro, ieri mi sono sentito a disagio per tutta la sera... ma non ne ho mai sospettato la causa. Neppure quando Kirkpatrick ha telefonato.» «Non è colpa tua», lo confortò Adam. «Christopher e Victoria erano con me, a casa mia, e durante la cena nessuno di noi ha avuto la sensazione che stesse accadendo qualcosa di grave.» «È questo che non capisco», insistette McLeod. «Randall era uno di noi... un occultista addestrato. Aveva la possibilità di trasmettere una chiamata astrale, se fosse stato in pericolo. Perché non lo ha fatto?» «Sospetto che lo abbiano pesantemente drogato», ipotizzò Adam. «Non ha avuto il tempo di capire cosa stava succedendo. Probabilmente i suoi rapitori lo hanno tenuto in stato d'incoscienza fino all'ultimo. Da quanto ha detto il guardiacaccia, è chiaro che la morte di Randall era intesa come un sacrificio rituale. Dunque gli assassini hanno preso ogni precauzione per assicurarsi che niente andasse storto.» «Quei maledetti bastardi!» McLeod sputò la parola come se sapesse di bile. Quando guardò Adam i suoi occhi scintillavano di rabbia. «Chi diavolo è quella gente? Anche se Randall era troppo drogato per chiamare aiuto, un omicidio così brutale deve aver generato di per sé delle onde di shock. Perché non abbiamo sentito questo?» «Non lo so», rispose malinconicamente Adam. «È possibile che gli autori materiali dell'omicidio fossero gente non addestrata, che si è limitata a eseguire un gesto efferato senza smuovere nessun potere occulto. È altrettanto possibile che fossero, al contrario, così competenti da schermare l'aura del loro lavoro mentre lo eseguivano. Per il momento non possiamo saperlo. Semplicemente, non ci sono abbastanza prove.» «Ma perché Randall?» insistette McLeod. «È quello che mi sto chiedendo da quando lo abbiamo trovato», ammise Adam, in tono fosco. «Finora non ho una risposta soddisfacente. Ma una cosa è certa: Randall non è stato scelto a caso. Al contrario, è stato accuratamente selezionato da qualcuno che si è preso un sacco di disturbo per attirarlo in una trappola, lontano dalla protezione della sua famiglia e dei suoi amici.» «Attirarlo in una trappola?» McLeod si fermò e lo guardò. «Stai dicendo che hai una teoria su quello che è successo?» «Una teoria, sì», confermò Adam, «anche se mi viene in mente solo adesso. Ho visto Randall, sabato mattina. Avevo portato Peregrine con me alla libreria, per farglielo conoscere. Poco prima che ce ne andassimo, Randall mi disse che la domenica sarebbe dovuto andare a Stirling, per
cominciare a valutare una collezione di libri rari. Ora mi chiedo se non si trattasse di una montatura organizzata dai suoi rapitori.» «Be', almeno questo ci dà una traccia di qualche genere», disse McLeod, a denti stretti. «Di certo non abbiamo nient'altro su cui procedere. Metterò un paio di uomini al lavoro su questo indizio, appena tornato a Edimburgo. Dio sa che il povero Randall non era il tipo che tiene note scritte», aggiunse, scuotendo la testa. «Ma forse Miranda ricorderà nome e indirizzo del proprietario di quella collezione... sempre che questa tragedia non la sconvolga al punto di farle dimenticare tutto.» «Questo mi ricorda che qualcuno dovrà darle la notizia, prima che venga a saperla da un estraneo», mormorò Adam. «Christopher o Victoria sarebbero le persone più adatte, se potessi contattarli subito. Hai il cellulare con te?» «Sì. Ma gli Houston potrebbero non arrivare in tempo a casa sua, se devono partire da Kinross», suggerì McLeod. «Lasciami affidare l'incarico a Jane. Devo chiamarla, comunque. Quando le avrò detto cos'è successo, lei saprà cosa fare.» Prima di arrivare alle macchine, incrociarono l'agente Heriot, di ritorno sulla scena del crimine. L'agente Jamison era seduto nella Land Rover e prendeva delle note su un taccuino elettronico, parlando via radio con qualcuno. McArdle era sul sedile posteriore e stava bevendo caffè da un bicchiere di plastica, con aria stanca e irritata. «Tu vai avanti e chiama pure casa tua», disse Adam a McLeod, indicando la loro auto. «Io vedo se riesco ad avere un po' di caffè, dato che il nostro lo abbiamo finito mentre eravamo per strada.» McLeod grugnì un assenso e proseguì fino all'altra auto, dove restò a rimuginare sul sedile anteriore per quasi un minuto prima di tirar fuori il cellulare dalla borsa. Jane rispose subito e volle sapere cosa stesse facendo, ma lui rimase volutamente nel vago; da qualche tempo aveva dovuto accorgersi che un telefono cellulare non rappresentava una linea sicura. Jane pianse quando seppe che Randall Stewart era morto, ma promise che sarebbe andata subito a informare Miranda. McLeod le disse che le avrebbe dato i particolari di persona, avvertendola però che probabilmente avrebbe fatto tardi. Se Jane ricordava ciò che aveva udito della sua conversazione telefonica con Kirkpatrick, avrebbe messo insieme due più due e dedotto quello che era successo, ma lui sapeva che sua moglie non avrebbe aggravato con dettagli crudi e orripilanti la triste notizia che stava per dare alla figlia di Randall. Sarebbe stato qualcun altro, in seguito, a dirle com'e-
ra morto il padre... anche se lui si augurava disperatamente che nessuno lo facesse mai. Solo dopo aver spento il cellulare, resosi improvvisamente conto di avere le mani gelate, mise in moto la Range Rover per avviare il riscaldamento, poi rimise il cellulare e la pistola nella borsa, allungò le mani verso gli sbocchi dell'aria e il calore gli tornò nelle dita, anche se non nell'anima. Dopo un po' Adam lo raggiunse, con due bicchieri di caffè fumante e la notizia che i primi rinforzi sarebbero arrivati entro un'ora. Mentre sorseggiavano quella che McLeod definì la peggior sciacquatura di piatti che avesse mai bevuto, fece ritorno anche Kirkpatrick, che li salutò alzando una mano e proseguì verso la sua macchina, ma Peregrine non era con lui. Allorché fu trascorsa mezz'ora da quando avevano lasciato la scena del delitto, e ancora non si vedeva segno del giovane artista, Adam e McLeod cominciarono a preoccuparsi. «È un pezzo che sta lassù», disse McLeod, accigliato, dopo aver controllato l'orologio. «Non è che il nostro giovane Mr. Lovat ha addentato un osso troppo duro per i suoi denti?» Adam si strinse nelle spalle. «Se non sarà tornato fra cinque minuti, andrò a cercarlo. Mi è parso che se la cavasse bene... ma forse sono stato ottimista.» Proprio in quel momento Peregrine sbucò fra gli alberi in fondo al sentiero, con aria pallida e affaticata, ma trionfante. Trascinava i piedi nella neve sciolta e portava la sua cartella da disegno come se fosse di piombo, però si prese tutto il tempo necessario per ripulirsi gli stivali dal fango con uno stecco, prima di salire sulla Range Rover. Dopo aver chiuso lo sportello si strinse al petto la cartella e s'appoggiò allo schienale, abbassando le palpebre per qualche secondo. «Penso che i primi disegni siano sufficienti per l'indagine, ispettore», informò con voce rauca, «ma ne ho fatto qualcun altro...» La sua voce s'affievolì, e la testa gli ricadde in avanti. Dopo uno sguardo allarmato a McLeod, Adam si tolse un guanto e cercò in una tasca interna del giaccone la fiaschetta di brandy che portava sempre con sé in quelle escursioni. Svitò in fretta il tappo e la porse a Peregrine con un gesto che non ammetteva rifiuti. «Qui, bevi un buon sorso», gli ordinò. Debolmente Peregrine accettò la fiaschetta e se la portò alle labbra, con mani tremanti. Il primo sorso lo fece ansimare, ma riportò un'ombra di colore sulle sue guance pallide.
«Buttane giù un altro», lo esortò Adam. «Così, va bene. Ti senti meglio?» «Sì, credo di sì», rispose lui con voce più forte. «Ho i disegni qui, nella cartella. Gli ultimi sono soltanto per i vostri occhi. Ho dovuto cercare una scusa per non lasciarli vedere a quei poliziotti curiosi.» Adam rimise la fiaschetta in tasca e prese la cartella di Peregrine. Mentre questi appoggiava i gomiti sullo schienale del sedile anteriore, lui tirò fuori l'album e lo aprì sul cruscotto perché anche McLeod potesse vederne il contenuto. I primi disegni erano quelli che potevano essere usati per le comuni necessità dell'indagine, e riproducevano la scena del delitto vista da tre angolazioni diverse, con la precisione di una fotografia. Adam li guardò uno dopo l'altro, accigliato e annuendo fra sé. Ma quando giunse agli ultimi due, i suoi occhi si spalancarono per lo sbalordimento. Il primo mostrava Randall Stewart in ginocchio, con i polsi dietro la schiena, circondato da parecchi uomini in saio bianco che gli giravano attorno in cerchio, con i cappucci tirati sulla testa. Uno di loro era inginocchiato dinanzi a Randall, a testa china, dando le spalle al disegnatore, e protendeva verso la vittima un oggetto che restava nascosto dal suo stesso corpo, probabilmente la coppa o qualunque fosse la cosa che McArdle aveva visto. Gli uomini si trovavano leggermente più all'interno del cerchio tracciato con la cenere, e le facce di tutti quelli voltati verso il disegnatore, fuorché quella di Randall, erano oscurate da una spessa nebbia nerastra che celava i loro lineamenti, in contrasto con la nitidezza del resto del disegno. Quelle maschere di foschia furono sufficienti per confermare a Adam che l'omicidio era stato compiuto da adepti della magia nera. Ma ciò che attrasse subito il suo sguardo, ancor più dell'espressione inorridita di Randall, fu il fatto che ciascuno degli incappucciati portava un medaglione al collo e un anello, cosa che faceva pensare alla Loggia della Lince. L'ultimo disegno di Peregrine confermava i sospetti di Adam, ed era accentrato sul brutale e disumano momento dell'omicidio. Il giovane artista lo aveva rappresentato fin troppo bene. Lo sguardo di angoscia mortale sul volto di Randall era qualcosa che Adam avrebbe solo potuto augurarsi di non vedere mai, e che adesso non sarebbe più riuscito a dimenticare. L'immagine inquadrata era quella di Randall, visto a mezzo busto, e dell'individuo che gli si era avvicinato alle spalle, e i dettagli più importanti erano molto precisi. Una mano dell'uomo
impugnava quello che aveva tutto l'aspetto di un bisturi da chirurgo, e teneva lo strumento appoggiato sotto l'orecchio destro di Randall. l'altra mano, cui si aggiungevano anche le mani di un altro uomo fuori campo, stava piegando indietro la testa della vittima per esporre trucemente la gola. Da quell'angolazione non si vedeva il medaglione appeso al collo dell'uomo che stava per usare il bisturi, ma l'anello al dito medio della sua mano sinistra aveva un castone su cui era incisa la testa di una lince. Accanto a Adam, McLeod emise un grugnito simile al ringhio minaccioso di un mastino. «E così», mormorò a denti stretti, «la Loggia della Lince torna alle sue imprese di un tempo. Suppongo che questa sia la loro vendetta per ciò che è successo al castello di Urquhart.» «Me lo stavo domandando», replicò lentamente Adam Con una certa difficoltà distolse lo sguardo dal volto di Randall e lo riportò sulla mano armata di bisturi. «Cosa c'è da domandarsi?» Nella voce di McLeod c'era una nota incredula. «È la loro mossa, chiara e semplice.» «Sì, ma non credo che il movente sia la vendetta», rispose Adam, costringendosi a osservare il disegno con maggior distacco, sempre che gli fosse possibile. «Randall non ha partecipato, neppure indirettamente, ai fatti che hanno portato noi tre a quel confronto decisivo sulla riva di Loch Ness. Non vedo il motivo, semplicemente, per cui la Loggia della Lince dovrebbe averlo collegato a noi.» «Ma i nostri nomi erano sulla maggior parte dei giornali che hanno parlato della cosa... il mio, almeno», insistette McLeod. «Se la Loggia della Lince ha fatto indagini, può aver scoperto che Randall aveva agito insieme a noi, in passato...» «In questo caso è ancora più improbabile che lo abbiano ucciso per motivi di vendetta», disse Adam. «Pensaci, Noel. Se i nostri avversari ne sapessero abbastanza su di noi da capire che abbiamo interferito nei loro affari, perché occuparsi di Randall, quando noi due saremmo stati i bersagli più ovvi? Inoltre, se erano semplicemente interessati a prendere una vita in cambio di una vita, ci sono modi più spicci per eliminare un avversario che eseguire un omicidio rituale. «Invece hanno scelto un omicidio rituale... e ciò significa che il rito in se stesso era la cosa più importante. Se avessero immaginato per un istante che Randall era uno di noi», concluse, «non lo avrebbero affatto toccato, per non metterci in allarme. Questo mi porta a credere che non lo sapesse-
ro.» «E Randall, che Dio l'abbia in gloria, non avrebbe mai rivelato a nessuno che faceva parte del nostro gruppo, né avrebbe fatto i nostri nomi», confermò McLeod, pensosamente, «neppure per salvarsi la vita.» «A patto che avesse qualche scelta», lo corresse Adam. «Scommetto quello che vuoi che l'autopsia troverà abbondanti tracce di qualche droga nel suo sangue. Se Dio è stato pietoso, non si è mai reso conto di ciò che gli stava succedendo.» La smorfia che non poté trattenere mentre riordinava gli altri disegni suggerì a Peregrine che Adam non aveva molte speranze in proposito. Il giovane artista non ne aveva affatto, e anch'egli si accorse di aver contratto duramente la bocca. Lui aveva un'idea fin troppo chiara di quello che era accaduto a Randall Stewart. «In quanto a chi sia stato il responsabile», continuò Adam, indicando il primo disegno della serie, «il fatto che Peregrine non abbia potuto vedere le facce dei membri riuniti in circolo suggerisce che fosse presente almeno un adepto i cui poteri possono rivaleggiare senza difficoltà con i nostri. Chiunque sia quest'individuo, è abbastanza esperto nella sua arte da mascherare il suo lavoro anche agli occhi di chi saprebbe dove guardare.» Assalito da un dubbio improvviso, Peregrine fissò i due uomini più anziani. «Forse dipende da me», mormorò, a disagio. «Forse sono io che non so dove guardare.» «Oh, tu sapevi dove guardare», lo corresse Adam, rimettendo i fogli nella cartella. «Non avresti eseguito gli ultimi due disegni, se non avessi saputo esattamente cosa cercare.» Batté enfaticamente un dito sul bordo della cartella. «No, questi sono dei professionisti. E la loro professione non mi piace!» Quella dichiarazione generò un silenzio teso, proprio come Adam si era proposto. Solo dopo una decina di secondi McLeod si schiarì la gola. «E va bene. Ora sappiamo almeno a grandi linee chi... e il come è fin troppo chiaro. Quello che ancora io devo capire è il perché. Perché Randall?» Adam scosse il capo, guardando senza vederla la neve vergine fuori dal finestrino e cercando di non pensare alla faccia di Randall. «Vorrei poterti rispondere», mormorò. «Se scartiamo il motivo della vendetta, ne consegue che dev'essere stato scelto perché in lui c'era qualcosa che lo rendeva la vittima adatta... qualunque cosa i responsabili si fosse-
ro proposti. Se ne sapessimo di più sulle loro intenzioni... ciò che sta oltre il semplice omicidio rituale o il sacrificio, saremmo in grado di fare ipotesi sul perché sia stato scelto Randall. Ma per il momento...» Adam non disse altro, e Peregrine lo guardò, a disagio. «Allora, cosa possiamo fare, adesso?» «Buon Dio, vorrei saperlo», rispose Adam, sforzandosi di assumere un tono pratico. «Il fatto che l'arma del delitto sia un bisturi può far pensare che nella cosa sia coinvolto un medico. Ma questa è una supposizione inutile. Chiunque può procurarsi un bisturi. Senza qualche altra informazione, ci troviamo davanti il proverbiale ago nel pagliaio.» Peregrine non lo aveva mai visto così irritato con se stesso, come se la mancanza di dati fosse colpa sua. McLeod sospirò pesantemente e incrociò le braccia. «Be', suppongo che potrebbe essere peggio. C'è ancora l'autopsia, e il rapporto della scientifica. L'una o l'altra potrebbe darci una traccia.» Adam alzò la testa. Nei suoi occhi c'era una luce improvvisa che Peregrine non sapeva interpretare. Ma prima che l'amico aprisse bocca qualcuno bussò al finestrino dalla parte di McLeod. Quando questi premette il pulsante elettrico per farlo abbassare qualche centimetro, l'agente Jamison si chinò a parlargli. «Mi scusi, ispettore, ma la scientifica sta arrivando», disse. «Hanno appena oltrepassato il cancello, e ci informano che con loro ci sono dei giornalisti. Il sergente Kirkpatrick pensava che lei dovesse essere avvertito, signore.» McLeod trasse un lungo respiro e raddrizzò le spalle, con l'aria bellicosa di un lottatore in procinto di affrontare un avversario duro e rotto a tutti i trucchi. «Grazie per avermi informato, Jamison», rispose, annuendo. «Dica al sergente di non preoccuparsi. Se lui penserà alla scientifica, io provvederò a tenere a bada la stampa.» Dopo che Jamison si fu scostato, accennando un saluto, McLeod fece una smorfia e cominciò a rimettersi i guanti. «Be', è il momento di tornare a comportarci come professionisti. Questo è il classico caso con cui la stampa va a nozze. Gli uomini di Kirkpatrick sanno tenere la bocca chiusa, ma dovrò dire due parole a quel guardiacaccia. I giornalisti avrebbero una giornata campale, se riuscissero a farlo parlare.» Mentre l'ispettore usciva dall'auto, sbattendo lo sportello con decisione, Peregrine si tolse gli occhiali e li pulì con il fazzoletto. Gettò a Adam uno
sguardo pensieroso e se li infilò di nuovo, cercando di assumere l'aria professionale invocata dal loro amico. «Di solito quanto ci vuole per ottenere i rapporti di cui parlava McLeod?» Adam si strinse nelle spalle, controllando distrattamente nello specchietto retrovisore se stessero arrivando gli altri poliziotti e la stampa. «Da tre giorni a una settimana, dipende da quanti altri casi tengono occupato il patologo della scientifica. Noi faremo il possibile per accelerare le cose, naturalmente, ma... ah, ecco che sopraggiungono i rinforzi.» Mentre il primo veicolo della polizia veniva a fermarsi accanto a loro, Peregrine si grattò distrattamente la mandibola; poi tornò a volgersi all'amico, che si stava infilando i guanti con l'idea di uscire dall'auto. «Adam, so che questo forse non è il momento adatto», mormorò, «ma, visto che ne stavamo parlando ieri sera... qui non siamo molto lontani da Balmoral. Credi che valga ancora la pena di dare un'occhiata a quella torretta danneggiata dal fulmine, una volta che qui avremo finito?» Adam fece un sospiro, perplesso. «Forse converrebbe approfittarne. Però, a essere franco, non credo che dopo una notte insonne siamo nelle condizioni migliori per il genere di lavoro che dovremmo fare. Quel sopraluogo può essere rimandato di qualche giorno. In questo momento è più importante che io torni a casa. C'è Miranda che ha bisogno di essere confortata, possibilmente nel modo professionale che Noel ci ha appena raccomandato, e ci sono altri con i quali devo mettermi in contatto... nostri soci, insomma, che devo informare dell'accaduto.» «Come gli Houston?» «Fra gli altri, sì», annuì Adam, accigliato. «Anche se la vittima non fosse stato Randall, tutto questo conferma che la Loggia della Lince è di nuovo in azione. E se quella gente ha capito che noi gli siamo alle costole, e sapeva che Randall era uno di noi, allora sarà necessario che tutti stiano in guardia. In ogni caso, non dubito che abbiamo assistito appena all'inizio di quello che potrebbe rivelarsi un affare molto pericoloso.» 10 Era metà del pomeriggio quando McLeod decise che potevano lasciare Baltierny. Lui e Adam tornarono sul luogo del delitto con Kirkpatrick allorché un'ambulanza venne finalmente a prelevare il cadavere, mentre Peregrine, che aveva già visto più di quanto il suo stomaco potesse sopportare, li aspettava in macchina. Giunti nella radura, Adam e McLeod aiutaro-
no i due inservienti a caricare su una barella i resti mortali di Randall Stewart, chiusi in un sacco di plastica nera. Poi scesero di nuovo dalla collina. Secondo la procedura standard, il cadavere sarebbe stato trasportato alla morgue del Perth Royal Infirmary, dove avrebbero avuto luogo l'autopsia e gli altri esami della scientifica. Adam stabilì che probabilmente sarebbe passata una settimana, prima che il corpo fosse restituito alla famiglia per essere sepolto. Mentre gli inservienti facevano scivolare la barella attraverso la porta posteriore dell'ambulanza, lui cercò nella sua mente alcune parole di addio, ispirandosi a una preghiera che il defunto aveva amato molto. La compassione di Dio Onnipotente sia su di te, Randall Stewart, mio povero amico. La pace del Padre, la pace del Figlio, la pace dello Spirito Santo. Possa l'Arcangelo Michele avvolgerti nelle sue ali, e portarti dinanzi alla beata corte del Re dei Re, dove sarai riunito ai tuoi cari, per l'eternità. Nessuno parlò molto durante il viaggio di ritorno a Strathmourne. Adam e McLeod sembravano essersi ritirati nel mondo privato del loro lutto, e Peregrine sedeva con aria infelice sul sedile posteriore, sentendosi spiritualmente isolato dagli altri due. Avendo incontrato Randall Stewart solamente una volta, poteva solo immaginare vagamente ciò che provavano Adam e McLeod mentre tornavano a casa in quell'uggioso crepuscolo di novembre. Dopo un poco la stanchezza ebbe la meglio, e si appisolò. Si svegliò qualche tempo dopo, quando la Range Rover frenò al cancello posteriore della tenuta di Strathmourne, e lì Adam si accomiatò da lui, con modi bruschi che avrebbero potuto passare per freddezza, se Peregrine non avesse notato la preoccupazione che oberava la mente dell'amico. Dolorosamente consapevole di non poter fare niente per alleviarla, seguì con lo sguardo le luci posteriori dell'auto che si allontanavano nel buio. La sua espressione smarrita non era sfuggita a McLeod, che gettò un'occhiata a Adam mentre proseguivano verso la villa. «Non sono sicuro che il giovane Lovat capisca molto la situazione, Adam», disse pacatamente. «E se intendi davvero farlo partecipare alla Caccia, lasciarlo lì a farsi domande non lo aiuterà molto.»
«Non pensi che anch'io lo sappia?» Nella voce solitamente ben controllata di Adam c'era una nota di stanchezza. «Ora che Randall non c'è più, abbiamo un estremo bisogno di Peregrine. So bene che questa è stata una giornata dura per lui. Ma le spiegazioni dovranno aspettare un momento migliore. Adesso ho delle responsabilità più urgenti.» «Potrei restare qui e darti una mano... se tu volessi essere un po' più indulgente con te stesso», propose McLeod. Adam scosse il capo. «Grazie, ma no. Hai il tuo lavoro, e dovrai recuperare il sonno perduto se vuoi farlo bene. Come Maestro della Caccia, spetta a me contattare gli altri membri della Loggia e informarli della tragedia che ci ha colpito. Se non sono in grado di dar loro delle risposte, cercherò almeno di confortarli come potrò...» Entrato nella dépendance della tenuta, Peregrine si fermò nel piccolo atrio per togliersi l'impermeabile e il giaccone, poi andò in cucina. Eseguì tutti i movimenti necessari per mettere a bollire l'acqua per il tè, quindi si accasciò sulla poltrona più vicina cercando di non pensare a niente, e si slacciò gli stivali con mani che tremavano di stanchezza. Quel mattino aveva maledetto la seconda vista che aveva fatto di lui un involontario testimone di un omicidio così brutale. Una parte di lui soffriva ancora al ricordo delle immagini imprigionate sull'album da disegno... dimenticato nell'auto di Adam, ricordò all'improvviso, anche se non aveva nessuna fretta di recuperarlo. Ma per quanto spiacevole fosse stata quell'esperienza, ciò non gli impediva di riflettere che le sue capacità paranormali avevano fornito ai suoi amici informazioni sulla morte di Randall Stewart che non avrebbero potuto ottenere in nessun altro modo. Riesaminando il suo comportamento di quel mattino, si rimproverò per la debolezza che lo aveva fatto.vacillare. Si augurava solo di non aver indotto Adam a pentirsi di averlo coinvolto... perché, ora lo capiva, nel bene e nel male lui era coinvolto. Desiderava solo poter pensare a qualcosa di costruttivo da fare. Alla fine, troppo stanco per continuare a farsi domande, tolse la pentola dal fuoco senza preoccuparsi di fare il tè e si gettò sul letto. Con suo sollievo, quella notte non sognò nulla. Il mattino successivo si svegliò un'ora più tardi del solito, con la sensazione di essere riposato e abbastanza distaccato dai fatti accaduti. Ancora insonnolito si fece la doccia, la barba e si vestì senza ancora mettere al lavoro il cervello, e cominciò a svegliarsi solo quando uscì sulla veranda per
raccogliere l'edizione mattutina dell'Independent. Ma appena aprì il giornale, i titoli gli riportarono tutto l'orrore del giorno prima, e gli mostrarono la morte di Randall Stewart da un'angolazione che non gli era venuta in mente. OMICIDIO SATANICO IN UNA TENUTA DI CACCIA SCOZZESE, proclamava la prima pagina, in grassetto su sei colonne. E sotto, in lettere altrettanto spesse: UN DELITTO MASSONICO? Colto di sorpresa, Peregrine sbatté le palpebre. Poi s'affrettò a dare una scorsa all'articolo sottostante. La fotografia mostrava solo la radura ripresa dal bordo esterno, con un nastro giallo della polizia steso fra gli alberi e alcuni agenti in anorak nella neve. L'autore aveva però rimediato a quella mancanza con una descrizione verbale molto cruda della scena del delitto. L'articolo era reso ancor più sensazionalistico dall'affermazione che la morte di Randall Stewart dimostrava un chiaro collegamento fra la Massoneria e la pratica della magia nera. Ciò che Peregrine lesse fu sufficiente a farlo rientrare subito in casa alla ricerca del soprabito e delle chiavi della macchina. La sua piccola Morris Minor era parcheggiata nel garage sul retro della dépendance, dove l'aveva lasciata la domenica sera, e dopo una rapida retromarcia accelerò su per il vialetto facendo schizzare la ghiaia e il fango sotto le ruote. Pochi minuti dopo frenò davanti all'ala est della villa e balzò fuori, tenendo il giornale sotto un braccio. Il suo agitato uso del campanello gli procurò uno sguardo sorpreso e accigliato da parte di Humphrey. «Suppongo che Sir Adam non mi stia aspettando», disse Peregrine, con il fiato corto, «lei pensa che lo disturberò, a quest'ora?» Adam stava davanti alla finestra ricurva del soggiorno, dov'era abituato a fare colazione, quando sentì i passi che si avvicinavano nel corridoio. Il loro ritmo impetuoso gli rivelò subito chi fosse. Ancor prima che il giovane artista bussasse, si voltò e disse: «Entra pure, Peregrine». La maniglia si abbassò e l'ospite si precipitò nella stanza, brandendo il giornale spiegazzato. «Buongiorno», lo salutò Adam, con un angolo della lunga bocca piegato in un sorriso per nulla allegro. «Suppongo che l'Independent propenda per la stessa fantasiosa versione massonica dell'omicidio di Baltierny, proprio come il Times e lo Scotsman.» Quell'arida osservazione fece fermare Peregrine, che trasse un lungo respiro e annuì senza dir nulla, spostando lo sguardo sui due giornali aperti sul tavolo accanto ai resti della colazione mangiata solo in parte.
«Stavo per mandare Humphrey giù in paese, a vedere cosa ci offrono gli altri quotidiani», proseguì Adam. «Ma sembra che si possa concludere che tutti i principali giornali sono d'accordo sulle ragioni dietro la morte di Randall.» Peregrine, indignato, sbottò: «Dannazione, Adam, con che coraggio si abbassano a questo sensazionalismo da quattro soldi? Voglio dire, solo perché i massoni tengono i loro riti in privato non è lecito accusarli di satanismo. Non ci sono prove a sostegno di queste deduzioni. È tutto un cumulo di idiozie!» «Questo lo sai tu, e lo so io», disse Adam, stringendosi nelle spalle. «Ma attenersi ai pochi fatti noti non aiuta i giornali a vendere più copie.» Accigliato, Peregrine gettò il suo giornale su quelli di Adam. «Non c'è niente che tu possa fare per difendere la reputazione di Randall?» «Non subito», rispose Adam. «Alla lunga, spero che avremo la fortuna di scoprire i nomi degli individui che ci sono dietro questa faccenda, ma il fango gettato addosso ai massoni resterà. Del resto, ci sono abituati.» Adam teneva la voce bassa e sotto controllo, ma la sua anima era ancora in tumulto dopo quella che per lui era stata una lunga notte. Distolse i pensieri dalle persone che aveva dovuto contattare, e guardò meglio il volto pallido e intenso di Peregrine. «Non hai mangiato niente, questa mattina?» Il giovane artista scosse il capo. «In questo caso», disse Adam, sedendosi e sollevando il telefono, «permettimi di chiedere a Humphrey di portare un altro toast e una tazza di tè. Potrai riempirti lo stomaco mentre io telefono a Noel per sapere se ci sono nuovi sviluppi.» Per un momento Peregrine fu tentato di protestare, ma Adam stava già dando a Humphrey le istruzioni necessarie. Poi, mentre l'amico passava a una linea esterna e componeva il numero di McLeod, il giovane sedette di fronte a lui e si mise ad aspettare, allungando una mano verso un mezzo toast rimasto nel vassoio d'argento al centro del tavolo. Come Adam sperava, McLeod era nel suo ufficio alla sede centrale della polizia di Edimburgo. L'ispettore rispose quasi subito. «Oh, sì, ho visto quei dannati giornali», grugnì, in risposta alla domanda di Adam. «E se tu non avessi ancora visto i notiziari TV di questa mattina, t'informo che anche lì è la stessa solfa, con la differenza che loro tirano in ballo la corruzione in qualche ambiente governativo invece della magia nera. Questo significa che anche loro non sanno niente di niente. Non che noi siamo molto più avanti, al momento.»
«Non c'è stato nessun progresso?» «Nessuno, salvo che girare in cerchio non sia una forma di progresso. A peggiorare le cose, mi è stato ordinato di andare a Perth per tutto il giorno, per collaborare con le loro indagini. Hanno organizzato una conferenza stampa per le cinque di stasera. Prego Dio che per allora sia venuto fuori qualcosa di utile. In caso contrario, i mass media continueranno a macinare chiacchiere a ruota libera.» L'ispettore sospirò rumorosamente. «Nel frattempo, ho incaricato un paio di uomini di guardare nel negozio di Randall, nel caso che là ci sia qualcosa di utile. Spero che trovino la sua agenda degli appuntamenti in qualche cassetto, ma scommetto che l'aveva con sé nella sua macchina... dovunque questa sia finita. La stiamo cercando, ma penso che occorrerà tempo.» «Non hai ancora avuto occasione di parlare con Miranda?» «No, la poverina è ancora troppo sconvolta. Jane l'ha portata da noi ieri sera, dopo che un paio di sciacalli di settimanali scandalistici si erano presentati a casa sua, a Mayfield Terrace. Sapeva già che non si trattava di un incidente, e che suo padre era stato ucciso, perché nel pomeriggio la polizia aveva dovuto darle una notifica ufficiale, ma sia lei che Jane ignoravano i particolari. I due giornalisti glieli hanno forniti. Jane è stata costretta a chiamare il nostro medico di famiglia per darle un sedativo. Stamattina, quando sono uscito, la ragazza stava ancora dormendo, e io non ho avuto il coraggio di svegliarla.» «Così, Miranda è ancora a casa tua?» domandò Adam, applaudendo mentalmente la sensibilità della moglie di McLeod. «Sì. Una sua zia arriverà oggi in treno da Aberdeen, e terrà con sé Miranda fino al giorno del funerale, che ancora non sappiamo quando potrà svolgersi.» Adam guardò l'orologio. Erano le otto e venti: aveva dormito meno di cinque ore dopo il suo ritorno a Strathmourne. Mentre Humphrey entrava con il tè e il toast per Peregrine, si massaggiò il collo dolorante e cercò di non pensare alla stanchezza, perché aveva ancora molte cose da fare. «Va bene. Alle dieci di questa mattina dovrò fare il giro dei miei pazienti, in ospedale, e poiché ieri non ci sono andato oggi non posso mancare... ma appena avrò finito là, forse sarebbe una buona idea che facessi una scappata a casa tua per scambiare due parole con Miranda. Che ne pensi?» «Sì, suppongo tu abbia molto da fare, oggi», disse McLeod, «ma credo proprio che una tua visita potrebbe giovarle, in questo momento.»
«Allora passerò senz'altro», confermò Adam. «Se ti capita di parlare con Jane, nel frattempo, dille che la chiamerò prima di lasciare l'ospedale di Jordanburn, per avvertirla che sono per strada.» «D'accordo. Buon Dio, vedo che ho chiamate in arrivo su due linee diverse. Probabilmente sono i segugi della stampa. Sarà meglio che risponda. Ad ogni modo, cercherò di rimettermi in contatto con te questo pomeriggio, sul tardi.» «Bene. Grazie, Noel.» Adam riabbassò il ricevitore e si voltò verso Peregrine, che aveva ascoltato la conversazione. «Be', temo che il dovere mi chiami a Edimburgo», disse, con una smorfia. «Ti lascio alla tua colazione. È meglio che mi prepari a uscire.» In fretta Peregrine finì il toast che stava mangiando e bevve un rapido sorso di tè. «Non vuoi che ti accompagni?» si offrì volenterosamente. «Non oggi», rispose Adam, con lo spettro di un sorriso. «Mi sembra di ricordare che stavi lavorando al ritratto dell'ex sindaco di Edimburgo.» «Il mio lavoro può aspettare...» «No, non può», ribatté con fermezza Adam. «Qualunque cosa succeda, io sono sempre uno psichiatra con dei pazienti di cui occuparmi, e tu sei un artista con delle commissioni da portare a termine. Non preoccuparti», aggiunse seccamente. «Quando avrò bisogno di te, e accadrà di certo appena questo polverone si sarà abbassato, te lo farò sapere senz'altro.» Quelle parole rassicurarono Peregrine, e dopo aver fatto onore al tè e al toast di Humphrey, mentre Adam andava di sopra a cambiarsi, il giovanotto accettò che il maggiordomo gli scaldasse una colazione più sostanziosa. Poco più tardi, affondando il cucchiaio in un piatto di porridge fumante arricchito con miele e crema, l'aroma della pancetta che proveniva dalla cucina gli ricordò quanto tempo era trascorso dai sandwich stantii buttati giù il giorno prima. Aveva divorato il porridge, ed era a metà del piatto di uova e pancetta, quando Adam mise dentro la testa per salutarlo prima di uscire. La vista di Peregrine che mangiava con tanto appetito indusse il padrone di Strathmourne House ad alzare un pollice verso di lui, sorridendo, e questo aumentò il senso di benessere del giovanotto. Mentre i passi di Adam si allontanavano, Peregrine decise che appena finito il piatto di uova e pancetta (e forse, perché no, anche una seconda porzione), probabilmente sarebbe andato a lavorare al ritratto dell'ex sindaco di Edimburgo. Era un lavoro che gli stava riuscendo piuttosto bene.
All'esterno dell'edificio, visto che la Range Rover era ancora coperta del fango di Baltierny, Adam scivolò dietro il volante dell'esemplare più sportivo della sua piccola scuderia: una snella Jaguar XJ-S blu scuro. Le strade erano scivolose per la pioggia, ma c'era poco traffico. Arrivò in ospedale con un po' d'anticipo e fece il giro dei suoi pazienti, sostituendo alle preoccupazioni l'efficienza professionale. Per sua fortuna i pazienti erano in condizioni stabili, c'erano stati pochi nuovi ricoveri, e gli studenti di psichiatria che lo seguirono nelle corsie non si mostrarono curiosi della sua assenza del giorno prima. Anche se uno dei giornalisti lo aveva riconosciuto sulla scena del crimine e nell'articolo aveva fatto il suo nome. Verso mezzogiorno Adam aveva finito, e fu libero di passare alle cose che erano rimaste in un angolo della sua mente per tutta la mattina. Pranzò in fretta alla mensa dell'ospedale, solo perché sapeva di dover mangiare, chiamò Jane McLeod come aveva promesso, tornò brevemente in corsia per dare qualche altra istruzione agli infermieri, quindi prese un taxi e si fece portare a casa dei McLeod, in Ormidale Terrace. Jane venne ad aprirgli ancor prima che arrivasse al campanello. Mentre il taxi ripartiva, Adam entrò e chiuse la porta dietro di sé. Il clic della serratura automatica risuonò nel silenzio del vestibolo mentre lui scambiava un rapido bacio sulla guancia con la padrona di casa. «Hai avuto delle noie con i giornalisti, stamattina?» le domandò. «No, grazie al cielo», rispose Jane, con una scintilla bellicosa nello sguardo. «Finora sembra che non ci abbiano individuati. Ma devo confessare che ho avuto un tuffo al cuore quando ho visto una Black Maria fermarsi davanti alla porta. Mi aspettavo che tu venissi con una delle tue macchine.» Adam si tolse il soprabito. «Scusami. Ho pensato bene di non mettermi troppo in evidenza. Hai creduto che fossi un segugio alla caccia di scoop?» «Qualcosa del genere», rispose Jane. «Lascia che ci pensi io al tuo soprabito.» I due si avviarono nel corridoio. «Come sta Miranda?» domandò Adam. Jane fece un gesto vago. «Come ci si può aspettare, suppongo. Poco fa sono riuscita a farle mangiare un piatto di minestra, ma è ancora scossa. Verso la metà della mattina si è alzata ed è scesa dabbasso. Purtroppo è andata in soggiorno prima che io la sentissi arrivare, e a quel punto era ormai troppo tardi. Noel aveva gettato nel cestino il giornale di oggi, prima
di uscire, ma io non avevo ancora avuto il buonsenso di buttarlo via.» «Così ha visto i titoli», dedusse cupamente Adam. «So che prima o poi sarebbe successo», sospirò Jane, «ma avrei voluto almeno prepararla. Ora che ci sei tu, forse riuscirai a farla rilassare un poco.» «Ci proverò, stanne certa. Dov'è, adesso?» «Di sopra, nella camera degli ospiti. È tornata a letto. Vieni, ti faccio strada.» Miranda Stewart era seduta sul grosso letto d'ottone vecchio stile, con la schiena appoggiata ai cuscini e il copriletto tirato fin sotto il mento. Nel sentire la porta aprirsi aveva avuto un sussulto, ma quando vide chi era si rilassò un poco. Pallida in viso e con i grandi occhi scuri spalancati, sembrava più un passerotto intirizzito che la danzatrice zingaresca a cui l'aveva paragonata Peregrine giorni addietro. Adam sedette su una sedia accanto al letto, e prese una delle piccole nervose mani di lei fra le sue, forti e sicure. «Ciao, Miranda», la salutò dolcemente. «Non so dirti quanto sono addolorato per tuo padre. Ci mancherà moltissimo. È sempre stato un uomo buono e retto, il migliore che io abbia mai avuto il privilegio di conoscere.» Sul volto cereo della ragazza ci fu una contrazione. «Non è quello che dicono i giornali.» «No», mormorò Adam, con voce ferma. «Ma ciò che dicono i giornali è irrilevante per chi conosceva tuo padre personalmente. Non rigirare il coltello nella piaga pensando alle sciocchezze scritte da pochi ignoranti. Rifletti invece sulla certezza che, dove la vita e la reputazione di tuo padre sono ben conosciute, c'è molta gente impegnata a ristabilire la verità dei fatti.» «Ma niente di tutto questo ha senso», disse Miranda con voce flebile «Perché qualcuno può aver voluto uccidere mio padre, quando lui non ha mai fatto del male a nessuno in tutta la sua vita?» «A questo punto possiamo fare solo delle ipotesi», rispose Adam. «Ma la situazione cambierà appena avremo altri elementi. Per ora la polizia sta cercando di sapere il più possibile sul viaggio che tuo padre a fatto a Stirling. Non ricordi il nome della persona che si è messa in contatto con lui per fargli quella proposta?» Miranda sospirò e scosse il capo. «Non credo che mi abbia detto il nome. Ma...» «Ma?» la sollecitò Adam.
«Io... credo», continuò Miranda, incerta, «che fosse uno che aveva già incontrato prima.» Adam inclinò la testa di lato. «Un amico, vuoi dire?» «No... no...» Miranda inarcò le sopracciglia, sforzandosi di ricordare. «Solo un conoscente», decise, ancora dubbiosa. «Cosa te lo fa pensare?» domandò pacatamente Adam. «Il tono con cui papà parlava al telefono.» Incoraggiata dal tranquillo silenzio di lui, la ragazza continuò: «Eravamo insieme in negozio, giovedì pomeriggio. Circa un'ora prima della chiusura è suonato il telefono. Io ero sulla scaletta e stavo riordinando uno scaffale, così ha risposto papà. Dopo essersi presentato, ha detto: 'Oh, sì, naturalmente, ricordo'...». Cercò di rammentare le parole esatte. «Poi ha aggiunto: 'Sì, è stata... una bella conferenza', o qualcosa del genere. Ho pensato che fosse uno dei colleghi di papà. Ora vorrei avergli domandato chi fosse...» La sua voce vacillò e si spense. Gli occhi scuri si riempirono di lacrime, e Adam le strinse la mano, con un sorriso incoraggiante. «Non hai motivo di biasimare te stessa», la rassicurò. «Anzi, questa che mi hai dato è un'informazione preziosa.» «Davvero?» «Sì. Offre alla polizia una pista solida su cui investigare. L'ispettore McLeod sarà orgoglioso di te...» Adam lasciò Miranda più sollevata di come l'aveva trovata. Sceso al piano di sotto, in soggiorno, trovò Jane che stava servendo il tè a una donna snella dal volto morbido, la cui somiglianza con Randall Stewart era così marcata, da fargli intuire che era la zia di Miranda ancor prima che Jane facesse le presentazioni. Miriam MacLellan accolse le condoglianze di Adam con aria stoica, e gli espresse una commovente gratitudine per essersi interessato della nipote. Dopo aver offerto le sue prestazioni professionali per la futura tranquillità psichica della ragazza, Adam chiese a Jane il permesso di telefonare per un taxi, e quando la vettura sopraggiunse lasciò che la padrona di casa lo accompagnasse alla porta, ormai sicuro che la figlia di Randall fosse in buone mani. «Ti ringrazio di essere venuto», disse lei, a bassa voce. «È stato un piacere. A proposito, per che ora ti aspetti di avere notizie di Noel?» «Vorrei saperlo. Dubito che sarà a casa prima di mezzanotte.» Poi guardò di nuovo Adam e spalancò gli occhi. «Perché, hai qualche novità per
lui?» Adam fece un vago sorriso. «Miranda dice che suo padre era stato invitato a Stirling da qualcuno collegato con il commercio di libri. Se Noel chiamasse, digli che varrebbe la pena di incaricare uno dei suoi uomini di spulciare l'elenco del telefono e compilare una lista delle librerie d'antiquariato della regione...» Il taxi lo lasciò nel parcheggio dell'ospedale di Jordanburn, poi Adam salì sulla Jaguar e si mise stancamente in viaggio verso casa. Il buio stava chiudendo quel gelido crepuscolo di novembre, quando la potente automobile rallentò sul viale d'ingresso di Strathmourne. Parcheggiò la Jaguar in garage e si diresse a passi svelti alla porta principale. Il maggiordomo arrivò ad accoglierlo mentre si stava togliendo il soprabito e la sciarpa. «Salve, Humphrey», lo salutò Adam. «Ha chiamato qualcuno?» «Soltanto sua madre, sir», lo informò Humphrey. «Ha telefonato alle tre e mezzo, per confermare che arriverà a Londra giovedì prossimo, secondo il programma, ma con un diverso volo. Quello che ha prenotato è il volo 311 della British Airways, che atterrerà alle 9.14 del martino.» «Oh, bene, molto bene», disse Adam, prendendo nota del cambiamento. «C'è qualcos'altro?» «Sì, signore», rispose Humphrey. «Lady Sinclair mi ha incaricato di dirle che viene qui già sapendo che questa sarà una visita di lavoro.» Dall'enfasi che Humphrey mise nelle ultime parole Adam capì che il suo fidato maggiordomo stava ripetendo il messaggio nello stesso tono in cui gli era stato impartito, e questo poteva significare che Philippa Sinclair era già consapevole che c'erano guai nell'aria. Il fatto che sua madre avesse quella premonizione non fu affatto una sorpresa per Adam. Da lei aveva ereditato non solo geni e cromosomi. Le capacità di Philippa Sinclair erano, come quelle di Adam, più che notevoli, sia sul piano professionale che esoterico. Era stata lei, come adepta nei Misteri, a guidare il figlio nello sviluppo spirituale che aveva risvegliato i poteri della sua anima e della sua mente. All'età di settantacinque anni era ormai da tempo inattiva per dò che riguardava le pratiche esoteriche, ma continuava a occuparsi della sua clinica psichiatrica nella città in cui era nata, nel New Hampshire. Ora che la Loggia di Caccia era sottoposta a una minaccia diretta, Adam sapeva che la presenza di sua madre avrebbe aggiunto peso alle loro difese. Nello stesso tempo, però, non si faceva illusioni circa i possibili rischi.
In quel momento, il loro punto debole più grave era l'ignoranza. Anche mentre rispondeva alle domande di Humphrey su dove voleva che fosse servito il tè, la sua mente continuava a lambiccarsi sulle varie questioni concernenti la morte di Randall Stewart. L'assenza di informazioni lo faceva sentire come un falco incappucciato e in gabbia. Da qualche parte oltre la sua capacità visiva la preda stava correndo libera, e lui e i suoi compagni erano impossibilitati a mettersi in caccia. Il rintocco dell'orologio a pendolo, che al piano di sopra batteva la mezz'ora, incrinò i suoi pensieri. Uno sguardo all'orologio da tasca gli confermò che erano le cinque e mezzo. «Ripensandoci, Humphrey, prenderò il tè nel salotto anteriore», disse, prima che il maggiordomo sparisse in cucina. «Voglio vedere il notiziario scozzese delle cinque e tre quarti.» Il delitto Stewart fu l'argomento principale delle notìzie di cronaca, dopo la politica. Seduto in poltrona, Adam si dimenticò del tè che fumava sul tavolino al suo fianco. «Oggi sono proseguite le indagini sulla misteriosa morte di un membro della Massoneria», incominciò sobriamente il conduttore. «Randall Stewart, il cui corpo è stato ritrovato ieri mattina in una zona boscosa della tenuta di Baltierny, a nord di Blairgowrie, si pensa sia stato vittima di un bizzarro omicidio rituale. Il cadavere è stato scoperto da un guardiacaccia durante un suo giro d'ispezione, nella notte di domenica. Finora sul brutale omicidio si sono fatte soltanto speculazioni d'ogni genere, ma la polizia ha già alcune teorie sull'identità dei responsabili e sulle loro motivazioni. Ora ci colleghiamo con Perth, dove il nostro inviato George Gourlay ha assistito alla prima conferenza stampa ufficiale rilasciata dagli inquirenti.» L'inquadratura dello studio della BBC lasciò il posto all'immagine dell'ingresso di una stazione di polizia del Pertshire. Di fronte agli scalini c'era Noel McLeod, in compagnia di un paio di poliziotti in uniforme, mentre alcuni giornalisti protendevano i microfoni verso di lui. «No, non posso fare altri commenti sulle cause della morte», stava ripetendo McLeod, accigliato. «Per avere i risultati dell'autopsia e degli altri esami della scientifica, occorrerà ancora qualche giorno. Finché non avremo questi dati, non sarò in grado di rilasciare una dichiarazione ufficiale.» Un giovanotto snello si fece avanti e piazzò un altro microfono davanti alla faccia di McLeod, con l'aria di chi è deciso a non lasciarsi aggirare dai no comment. «Ispettore McLeod, lei è venuto fin qui da Edimburgo, non è così? Però questo omicidio è accaduto nella giurisdizione di Perth. Un bel
po' più a nord. Perché lei si sta interessando di questo caso?» Nell'espressione paziente di McLeod s'insinuò una sfumatura di prudenza, come se annusasse una trappola nascosta. «Quando la polizia è stata informata della presenza del cadavere, il sergente Callum Kirkpatrick, di Blairgowrie, mi ha chiesto di assistere alle prime indagini.» «Ha idea del perché ha chiamato lei, invece di rivolgersi a un ispettore della polizia di Perth?» «Il caso si presentava come un possibile omicidio rituale», rispose brevemente McLeod. «Il sergente Kirkpatrick sapeva che io avevo già trattato crimini di questo genere, affidati alla competenza della polizia di Lothian and Borders.» «Allora lei e il sergente Kirkpatrick vi conoscevate già, prima di questo caso?» chiese il giovanotto, con aria compiaciuta. «Anzi, più che conoscervi...» aggiunse, consultando il display di un'agenda elettronica, «non è forse vero che lei e il sergente, come Randall Stewart, fate parte dell'ordine della Massoneria?» Così è su quella pista che la stampa si sta muovendo! pensò Adam. «Non vedo cosa questo possa avere a che fare...» «Per favore, risponda alla domanda, ispettore. È una cosa che il pubblico ha il diritto di sapere, no? Lei e il sergente Kirkpatrick, come la vittima dell'omicidio, appartenete alla Massoneria?» «Sì, infatti», annuì McLeod, a denti stretti, e aspettò l'inevitabile colpo di grazia, che non si fece attendere. «Questo è molto interessante, ispettore», continuò il giornalista, a cui i colleghi stavano lasciando spazio. «Un poliziotto massone esce dalla sua giurisdizione chiamato da un altro poliziotto massone, allo scopo d'investigare sulla morte violenta di un terzo membro della Massoneria. Ha qualcosa da dire per commentare questa curiosa coincidenza?» McLeod lo fissò con una luce pericolosa negli occhi azzurri, pur mantenendo l'autocontrollo. «Se lei vuole insinuare che si stia cercando di coprire una cospirazione di qualche genere, dovrà cercarne le prove altrove. Innanzitutto, né il sergente Kirkpatrick né io sapevamo per certo che ci fosse davvero un cadavere, quando ci siamo recati insieme sul luogo indicato dal guardiacaccia, ed è stato solo allora che abbiamo scoperto l'identità della vittima. Da quel momento in poi, sia il sergente Kirkpatrick che io abbiamo fatto, e continueremo a fare, nelle nostre mansioni di rappresentanti della legge, tutto il possibile per scoprire e perseguire i responsabili. Se lo credessi fattibile, inviterei tutti i rappresentanti della stampa a dimostrare
lo stesso grado di professionalità.» Dopo quell'ultima frecciata si mosse avanti con tale decisione che il suo interlocutore fu costretto a scostarsi. La telecamera lo seguì fino alla sua auto, mentre l'inviato della BBC ricapitolava quant'era stato detto nella precedente conferenza stampa e chiudeva il collegamento. Mentre l'inquadratura tornava sullo studio, dove il conduttore passò a parlare dei cortei di protesta contro la tassa sul voto, Adam premette il pulsante rosso del telecomando e si appoggiò allo schienale della poltrona, a labbra strette, fissando lo schermo vuoto della TV e sforzandosi di padroneggiare la frustrazione che minacciava di travolgere il suo autocontrollo. Era già abbastanza tragico che un brav'uomo fosse morto per opera di individui malvagi, ma a questo si aggiungeva il fatto che le circostanze della sua morte alimentavano i pregiudizi contro un'istituzione a cui quest'uomo aveva lealmente dedicato la sua vita. Ora Adam stava cominciando a chiedersi se questa e altre teorie di cospirazioni a livello istituzionale fossero pilotate deliberatamente da qualcuno intenzionato a mascherare il vero motivo dell'omicidio... benché per onestà dovesse ammettere che anche questa ipotesi, come le altre, non aveva una base solida. E desiderò, non per la prima volta, che Randall avesse trovato il modo di comunicare con la Loggia di Caccia, prima che i suoi nemici lo mettessero a tacere per sempre. Ma Randall non lo aveva fatto, e nessun pio desiderio poteva metterci rimedio. Tuttavia, più a lungo le ipotesi fasulle avessero avuto spazio sui giornali, più c'era il rischio che la verità restasse inquinata per sempre, anche se alla fine la giustizia avrebbe prevalso. Il corpo che aveva ospitato la nobile anima di Randall Stewart era adesso un vuoto involucro, ma lo spirito era una realtà indistruttibile, accessibile seguendo le Leggi dei Piani Interni. Forse, soltanto forse, c'era qualcosa che Adam avrebbe potuto fare perché fosse fatta giustizia. Allungò una mano verso il telefono interno e chiamò Humphrey, in cucina. «Mi spiace informartene con un preavviso così breve», disse, «ma credo che stasera farò a meno della cena. Ti sarei obbligato se accendessi il fuoco in biblioteca. Questa notte avrò del lavoro da svolgere, e devo chiederti di fare in modo che io non sia disturbato... da nessuno.» 11
Una doccia calda e un cambio d'abito aiutarono Adam, a trovare l'energia necessaria per il lavoro di quella notte. Con calma, scivolando per gradi in uno stato di serenità e determinazione, indossò un paio di comodi pantaloni di flanella grigia, una camicia bianca e la sua veste da camera preferita, di morbido velluto blu. Le pantofole resero silenziosi i suoi passi quando scese tranquillamente lo scalone principale e si recò in biblioteca. Mentre il padrone di casa era al piano di sopra, Humphrey aveva messo un ciocco sulle braci del caminetto e acceso le due lampade d'ottone ai lati della mensola, per creare un'isola di calore e di luce. Un'altra piccola lampada sull'armadietto bar, in un angolo, forniva la stanza di uno sfondo delicatamente illuminato. Grato al maggiordomo che si occupava di lui con tanta sollecitudine, Adam chiuse piano la porta dietro di sé e girò la chiave nella serratura. Non che quel gesto fosse necessario per ciò che riguardava Humphrey, naturalmente. Consapevole dei suoi doveri, lo scrupoloso maggiordomo non si sarebbe mai sognato di mettere dentro la testa senza che il padrone lo chiamasse. Essere interrotto fisicamente era l'ultima preoccupazione diAdam, benché quel fattore andasse considerato. Restando rivolto alla porta, infilò una mano nella tasca destra della veste da camera e ne estrasse il suo skean dubh. Il piccolo pugnale, simile a uno spadino delle Highland in miniatura, era contenuto in un fodero di cuoio nero arricchito da strisce d'argento, e sempre in filo d'argento erano gli intarsi che ne coprivano l'impugnatura come una rete sottile. Dall'elsa alla gemma azzurra fissata all'estremità appuntita del fodero, lo skean dubh misurava appena sedici centimetri. Questo rendeva possibile nasconderlo in una tasca, o in una manica, o anche portarlo fissato al kilt, quando Adam indossava la tradizionale veste scozzese. Ai non iniziati esso sarebbe parso un grazioso ornamento nello stile folcloristico delle Highland, benché alquanto costoso. Ma nelle mani di Adam, quel particolare skean dubh era un'arma di potenza non indifferente. Ed era un utensile dai molteplici usi. Stringendo una mano sull'elsa e l'altra intorno al fodero, Adam sussurrò un'invocazione senza voce. Quindi snudò la lama e se ne portò la parte piatta alle labbra, intascando nello stesso tempo il fodero. Un sottile flusso d'energia scivolò giù lungo il suo braccio e s'irradiò dal metallo mentre lui muoveva la punta dell'arma, tracciando un pentacolo nell'aria dinanzi alla porta. Poi, con un gesto circolare in senso orario, sigillò l'invisibile stella da lui disegnata entro un cerchio largo circa un metro.
Fatto questo, baciò di nuovo la lama, appoggiò al petto la mano armata di pugnale e chinò la testa, in segno di omaggio alla Sorgente del potere da lui appena evocato. Quindi andò a ripetere la stessa operazione davanti al caminetto, perché la canna fumaria rappresentava un accesso alla stanza e un punto vulnerabile non meno della porta e delle finestre. L'ultima finestra che sigillò con il simbolo del pentacolo fu quella ricurva, nella parete occidentale. Humphrey aveva chiuso le due lunghe tende di broccato, che formavano un prezioso sfondo ricamato alla bella scrivania di mogano scuro e alla comoda poltroncina dietro di essa. Dopo aver reso omaggio alla Sorgente un'ultima volta, Adam rinfoderò lo skean dubh e se lo mise in tasca, voltandosi verso uno degli eleganti scaffali gotici alla sua sinistra. Su uno dei ripiani più alti c'era quello che poteva sembrare un fermacarte sferico, in cristallo di Caithness. Nelle sue trasparenti profondità brillava un diafano vortice di pulviscolo bianco e dorato, simile a una campanula imprigionata nel ghiaccio, e le sue mani ne accarezzarono la superficie satinata mentre prelevava l'oggetto per portarlo sul lato della stanza dove crepitava il fuoco. La sua poltrona preferita era al solito posto, sul lato sinistro del caminetto. Dopo averla avvicinata di più al calore del fuoco, Adam depose il fermacarte sferico su un piccolo tavolino in legno di rosa che spostò di fronte alla poltrona; poi spense le due lampade ai lati del camino e sedette. Con tutta calma cercò una posizione comoda, tenendosi eretto ma rilassato, mentre guardava il fuoco balenare in lenti riflessi attraverso le pareti ricurve del globo di cristallo. Focalizzando la sua attenzione sul centro dell'oggetto, alzò le mani in un gesto di supplica e trasse un lungo respiro, che poi lasciò lentamente uscire insieme alle parole di un inno all'Essere Supremo, antico di secoli. Accogli il mio devoto omaggio, o Signore, artefice della luce, eterno splendore del cosmo. Ti prego, guidami Tu nel cammino che ora mi accingo a seguire... La sua supplica era una richiesta di aiuto, ma nello stesso tempo un'offerta di se stesso al servizio della divinità, e rinnovava il voto senza riserve che lui aveva fatto innumerevoli volte nel corso non di una, ma di molte
vite. Al termine della preghiera giunse le mani e si sfiorò la punta delle dita con le labbra, chinando il capo a riverire la Presenza per la quale lui lavorava. Poi appoggiò le mani sulle ginocchia e si concentrò sul globo illuminato dal fuoco, facendone il punto focale del suo ingresso nella trance. «Così in Alto come in Basso», mormorò. «E così all'Interno come all'Esterno...» Il globo ingrandiva il guizzante bagliore del fuoco. Il pulviscolo bianco e dorato prendeva vita e colore dalle fiamme. Mentre Adam continuava a fissare l'interno del cristallo, quel refolo spiraliforme penetrò nella sua mente e rese superflua la visione fisica. Trasse un altro respiro e lasciò che i suoi occhi si chiudessero. Nelle profondità del suo spirito echeggiò un tintinnio improvviso, simile a un vetro che andasse in schegge, e d'un tratto fu risucchiato fuori dal suo corpo, su nella chiara notte cosmica dei Piani Interni, dove si trovò a guardare dall'alto il glorioso spettacolo di un'immensa galassia di stelle. Solo che le stelle non erano ferme, bensì in movimento, coinvolte nei gorghi luminosi di una danza cosmica. Adam si lasciò trascinare giù in quella danza da un cordone argenteo che lo collegava a essa. Il cordone era il filo lucente della sua vita, che sottile come tela di ragno partiva da lui e penetrava in quei vortici di stelle e di pianeti. Simile a un pescatore di perle che tornasse sul fondo del mare seguendo il cavo dell'ancora della sua barca, si lasciò guidare da quel filo in basso e sempre più giù, negli abissi della trance, finché raggiunse il cuore della spirale astrale. La transizione sui Piani Interni fu un rapido e gelido shock che lo lasciò come al solito disorientato, mentre i suoi sensi si stabilizzavano. Ma quand'ebbe ritrovato l'equilibrio, si accorse di essere all'inizio di un sentiero fluorescente, che conduceva dritto a un'immensa porta a due battenti incorniciata fra pilastri di nuvole e di fuoco, di luce e di tenebra. Il suo corpo astrale sembrava vestito con una vaporosa tunica bianca, e aveva i piedi nudi, in omaggio alla santità del terreno che calpestava. Alzò lo sguardo a quella soglia, dinanzi a uno spettacolo che non mancava mai di lasciarlo smarrito e senza fiato. Nel passato si era avventurato molte volte fino a quel luogo, ma il sacro timore che gli stringeva il cuore era sempre una cosa nuova e sconosciuta. Con le mani incrociate devotamente sul petto, Adam avanzò verso la porta e pronunciò la Parola di un Adeptus Major. Subito i titanici battenti si separarono per lasciarlo passare. Oltre la soglia si stendevano le labirintiche e immense profondità delle Camere delle Registrazioni Akashic, le
indistruttibili cronache di tutto ciò che era e sarebbe stato creato, nel passato, nel presente e nel futuro. I suoi recessi erano infiniti come la mente dell'Assoluto, e le creature di carne mortale potevano accedere soltanto ad alcuni di essi. Ma se gli fosse stato consentito, Adam ora si riprometteva di trovare la cripta in cui era contenuta la registrazione della vita dello spirito che lui aveva conosciuto come Randall Stewart. Randall Stewart. Il nome stesso diventò la stella polare, e Adam fu l'ago della bussola, attirato inesorabilmente lungo le spirali che scendevano nell'immensità di quel labirinto spettrale. I corridoi che si dipartivano in ogni direzione palpitavano di una luminescenza perlacea, ciascuno diverso dall'altro, eppure tutti uguali. Ovunque regnava un profondo silenzio, immobile ma non statico, perché scivolando giù lungo quei percorsi Adam era consapevole di un dinamismo che vibrava nell'aria e di un'energia che lo risucchiava sempre più avanti. Poi apparve un'arcata, e dall'impulso che lo fece deviare da quella parte capì che si stava avvicinando al traguardo. Nonostante quella certezza, o forse proprio grazie a essa, avanzò con pacata circospezione, come un modesto frate che si preparasse a entrare in un santuario... perché questo era: un museo dove riposavano immortali e incorruttibili le registrazioni delle molte vite vissute e ancora non vissute di Randall Stewart, legate insieme come i capitoli di un libro. Poiché Adam visualizzava la cosa in questa forma, fu con l'aspetto di un libro che la cronaca delle vite di Randall gli apparve, quand'ebbe oltrepassato la soglia. Il massiccio volume giaceva sopra un leggio di marmo bianco, rilegato d'oro e di gemme come si addiceva alla ricchezza del suo contenuto. Mentre Adam si avvicinava con reverenza al leggio, l'immobile ma fremente atmosfera della camera fu ravvivata da un'improvvisa ventata d'aria. Essa sollevò la copertina del grande libro come una mano invisibile. Nello stesso momento il luogo fu saturato da un senso di presenza, che lui riconobbe come appartenente a Randall, ma nella quale risuonavano toni e sfumature di cui non c'era mai stata traccia nel libraio di Edimburgo, allorché il suo spirito aveva vissuto in quell'incarnazione. Adam restò dov'era, componendo mentalmente tutte le domande che era venuto a porre. In risposta, le pagine del libro cominciarono a sfogliarsi, oltrepassando rapidamente le incarnazioni dei secoli passati e spalancandosi infine sul resoconto degli ultimi giorni della vita di Randall Stewart. La lettura non gli giunse in parole, ma sotto forma di violente impressioni.
Confusione... debolezza... una marea di paura che si sollevava... Sonno oscuro... neve bianca... improvvisa coscienza... terrore... un colpo che stordiva... l'agonizzante taglio di una lama affilata... e il rosso getto di sangue vivo. Ma tutto ciò non giunse nuovo a Adam, che se l'era aspettato. Poi, da sotto quel nebuloso tumulto di impressioni visive e di emozioni, emerse una nuova figura, vaga ma riconoscibile. Sebbene fosse fuori fuoco, essa era l'immagine di un pesante collare di fattura antica, in metallo nero. Un torc? Sì, la solidità della forma sembrava quella. Adam vide che era largo un palmo, intarsiato con una filigrana chiara che non si distingueva bene. La natura di quell'oggetto suggeriva un'origine druidica, celtica o pittica. Ciò che non richiedeva congetture era l'inconfutabile certezza, sia da parte di Adam sia della presenza-Randall, che il torc era un oggetto di potere. I disegni argentei intarsiati sembravano piegarsi e fluttuare, come se in essi stagnasse una forma di vita oscura e primigenia. Il sangue, quello di Randall Stewart, aveva attivato i poteri latenti del torc. Nutrito e rivitalizzato dal pasto, esso era pronto... e aspettava di essere usato. Lo spirito che Adam aveva conosciuto come Randall non poteva dare un nome all'attuale proprietario del torc, né agli individui che l'avevano rapito e ucciso. Non aveva idea del perché fosse stato scelto proprio lui come vittima sacrificale. Le Registrazioni restavano in silenzio su questi punti, semplicemente perché Randall non l'aveva mai saputo. Era necessario tentare un altro approccio. Allontanando la sua attenzione dall'omicidio, Adam la spostò sull'uomo che aveva invitato Randall a Stirling, quello che Miranda aveva ipotizzato fosse un conoscente di suo padre. Ma mentre alcune lettere si formavano sulla pagina del libro aperto sul leggio, prima che lui potesse leggerle sopra di esse cadde improvvisamente un'ombra. Opaca come un getto d'inchiostro essa coprì il nome, celandolo così completamente che non rimase nulla di visibile. L'origine di quell'interferenza, comprese, non si trovava nelle Camere delle Registrazioni, che erano inviolabili, bensì nella memoria stessa di Randall. L'effetto-ombra dimostrava l'intervento di un adepto della magia nera, un adepto fornito di un potere non indifferente. Era chiaro che quel personaggio non intendeva lasciar conoscere il nome ad altri. Questo, oltre agli elementi raccolti da Peregrine sul luogo del delitto,
suggeriva l'ipotesi che l'adepto nero e il misterioso conoscente di Randall fossero la stessa persona, oppure due persone entrambe facenti parte della Loggia della Lince. Il collegamento era troppo stretto perché fosse una semplice coincidenza. D'altra parte, se i responsabili erano riusciti a coprire le loro tracce sul piano astrale, forse un'indagine più terrena avrebbe potuto localizzare alcuni membri della Loggia. Se Jane McLeod aveva avvertito suo marito della possibilità che il padre di Miranda fosse stato attirato in trappola da un altro commerciante di libri d'antiquariato, la polizia stava ora mettendo insieme una lista di nomi. L'agenda di Randall avrebbe potuto essere un'altra fonte d'informazioni. Se fosse stata ritrovata. Nel frattempo assumeva una notevole importanza la scoperta di quel collare misterioso... forse l'oggetto che il guardiacaccia aveva indicato come «una tazza». Adam cominciò a convincersi che la natura del potere del torc era confermata dal fatto che il guardiacaccia aveva avuto difficoltà a vederlo bene, e che lo stesso Peregrine non era riuscito a raffigurarlo su uno dei suoi disegni. Se fosse stato al corrente della sua esistenza quand'erano sul luogo del delitto, avrebbe potuto indurre Peregrine a cercare di visualizzare il collare con la sua seconda vista. La cosa era possibile anche adesso; tuttavia, finché il giovane artista restava fuori dalla Caccia, c'era un limite all'impegno che Adam osava chiedergli. Questa constatazione rafforzò in lui il desiderio di vedere Peregrine in piena comunione con la Loggia di Caccia il prima possibile, perché non aveva dubbi che al giovanotto interessasse farne parte. Ma il potere di arruolare nuovi adepti non era nelle sue mani. Adam fece una breve pausa per inchinarsi mentalmente all'autorità di coloro ai quali rispondeva, sui Piani Interni. E ancor prima che avesse formulato consciamente quel desiderio, esso si tramutò nella muta richiesta di un'udienza e fu ascoltato da un'entità. Il suo cuore perse un battito, quasi che il tempo si fosse fermato per un periodo ignoto prima di ricominciare a scorrere. Poi nella cripta delle Camere delle Registrazioni entrò una fulgida saetta azzurrina. Fremente come l'argento vivo, quella cosa abbagliante dava l'impressione di una presenza di genere superiore. Nel riconoscerla, Adam chinò il capo e allargò le mani in atto di grata accettazione. Il Maestro si manifestava non in forma umana, ma come un pilastro di luce, così abbacinante da nascondere il resto della cripta. La voce dell'entità fu un sibilo penetrante come un trapano, che invece di passare attraverso
gli orecchi echeggiava nel centro della mente. Un predatore affamato sta appostando la preda, Maestro della Caccia. Cosa ti trattiene dal metterti sulle sue tracce? Nella domanda c'era qualcosa di pungente, come se il Maestro lo stesso rimproverando o mettendo alla prova. La perdita di un Cacciatore, rispose Adam, e il fatto che le tracce sono oscurate da un'ombra. Per prendere una creatura della notte, replicò il Maestro, può accadere che la Loggia debba cacciare al buio. Questo è vero, riconobbe Adam. Tuttavia è anche vero che il buio ci è ostile quanto un avversario umano. I Cacciatori rimasti hanno coraggio e volontà, ma non la forza che avevano prima di questa perdita. Osando appena respirare, attese la risposta del Maestro. Essa gli giunse volutamente poco decifrabile. Ciò che ne capì Adam fu che gli veniva lasciata la facoltà di spiegarsi meglio, ma con totale neutralità, senza presumere che le sue capacità di discernimento e di giudizio fossero superiori a quelle di un comune mortale. Consapevole dei propri limiti, lui si attenne a ciò che sapeva e diede forma alla sua richiesta. Non molto tempo fa, Maestro, un falco tormentato e dimentico delle sue capacità volle affidarsi alle mie cure. Era un falco cacciatore, con il raro dono della seconda vista, ma le sue ali erano state ferite da un'intera infanzia di percosse, e io mi adoperai per guarirlo e istruirlo. Benché fossi lieto di quel compito, non osavo sperare in progressi molto rapidi. Ma il falco reagì alle cure con inaspettata prontezza, e nel guarire superò ogni mia aspettativa. Le sue ali sono tornate forti. Benché sia ancora legato alla terra, la sua seconda vista è già chiara, e la sua volontà di balzare in volo si fa di giorno in giorno più forte, mentre ricorda la sua natura. Io l'ho messo alla prova più volte, e ora lui comincia a mettere alla prova se stesso, tanto da convincermi della sua vocazione. Di conseguenza chiedo il permesso di portarlo oltre la soglia dell'iniziazione, affinché sia ammesso fra i membri della Loggia di Caccia. Ci fu una pausa senza tempo, durante la quale Adam poté sentire le pulsazioni del suo cuore come il battito di ali in una gabbia. Il permesso non può essere concesso, in questo momento, disse nella sua mente la voce cristallina del Maestro. L'aspirante non è ancora libero di offrire la sua fedeltà alla Caccia. Prima dev'essere compiuto un atto doveroso nei confronti di un altro. Questa era una risposta del tutto inaspettata e Adam ne fu colto di sor-
presa. Dopo un'esitazione, domandò: Mi è concesso di essere informato dell'identità di quest'altro? Ti è concesso, rispose pacatamente il Maestro. È colui che era conosciuto come Michael Scot, e che ora nella vita terrena risponde al nome di Gillian Talbot. Ripensando ai fatti accaduti nel mese di ottobre, Adam capì che avrebbe dovuto prevedere qualcosa del genere. All'abbazia di Melrose, lo spirito di Michael Scot aveva scelto Peregrine come medium attraverso cui comunicare il luogo in cui si trovavano il suo tesoro e il libro di incantesimi; ma evidentemente anche per altri motivi. In quei giorni, Adam aveva creduto che Peregrine fosse soltanto il ricevitore passivo d'informazioni che erano state chieste allo spirito di quello stregone medievale, scelto perché si trovava lì. Ora, all'improvviso, sembrava che Scot non lo avesse scelto per semplice convenienza, e che la partecipazione di Peregrine non fosse stata affatto passiva. Per quanto nella sua attuale incarnazione Peregrine non fosse addestrato, la sua anima immortale era quella di un iniziato. Evidentemente Scot aveva visto in lui un adepto e aveva sollecitato il suo aiuto, e da parte sua Peregrine, a livello inconscio, doveva aver accettato. Nessuno capiva meglio di Adam la natura inviolabile del solenne legame che si era dunque formato fra loro. Che Peregrine fosse o no consapevole della natura della sua missione, e di dover agire di conseguenza, era un altro discorso. Io posso vedere il genere di legame che si è creato fra loro, disse gravemente Adam al Maestro. Ma Peregrine Lovat si sta appena svegliando alla consapevolezza delle sue capacità. Posso sapere cosa si richiede che lui faccia, per espletare il suo impegno? L'artista dovrà essere anche l'artefice. L'immagine spezzata deve essere riparata. Il tempio della luce deve essere ricostruito. I Maestri dei Piani Interni parlavano raramente in termini semplici. Con loro, un invito espresso in quel modo era spesso la chiave per affrontare un compito vasto e complesso che avrebbe richiesto tempo e riflessione. Mentre Adam taceva, ponderando su quell'enigmatica rivelazione, il Maestro parlò ancora. Bada, Maestro della Caccia, perché i Predatori diventano più forti. Essi cercano ora non solo le pecore, ma anche i Cacciatori. Un Cacciatore è già stato ucciso, e a un altro essi faranno la posta. Fai attenzione, perché uno non è perduto finché non viene trovato davvero. Il tono ficcante di quell'ultima sibillina dichiarazione fu accompagnato
da un'esplosione di luce troppo fulgida per essere guardata. Adam alzò le mani per ripararsi gli occhi, abbagliato, sospeso per un istante fra la visione e la cecità. Quando poté vederci di nuovo era solo, nelle Camere delle Registrazioni. Un battito di cuore più tardi le pareti della cripta si dissolsero, e si trovò a precipitare in un mare perlaceo. Riemerse alla superficie come un tuffatore in cerca d'aria, ansimando per il breve contraccolpo psichico che indicava il riunirsi dell'anima e del corpo. Per un poco restò seduto immobile, lasciando ai suoi sensi il tempo di tornare in contatto con la realtà che aveva intorno. Poi, con un brivido, riaprì gli occhi. Il fuoco nel caminetto si era trasformato in un rosso bagliore di braci semispente. Uno sguardo all'orologio sulla mensola lo informò che erano trascorse due ore da quand'era entrato in trance. Il suo corpo era irrigidito da quella lunga immobilità, come sempre gli accadeva dopo una discesa nei Piani Interni. Massaggiandosi la schiena intorpidita si alzò e andò ad aprire la porta, dopo aver sciolto il sigillo con cui l'aveva chiusa. Suonò per Humphrey, gli chiese di portargli un paio di sandwich e della cioccolata calda, e tornò a sedersi in poltrona, cercando di riflettere sui risultati del lavoro di quella notte. I particolari dell'esperienza svanivano già, allontanandosi nelle insondabili profondità psichiche sotto il livello della coscienza. Due fatti restavano però chiari e indelebili nella sua mente. Il primo era la rivelazione dell'esistenza del misterioso torc, il collare nutrito con il sangue di Randall Stewart, e il fatto che l'adepto responsabile di quell'omicidio avrebbe continuato a insidiare i Cacciatori. Il secondo era che il futuro di Peregrine Lovat come membro della Loggia di Caccia era in qualche modo legato al destino di Gillian Talbot. 12 Quella notte Adam, dormì di un sonno senza sogni, a conferma che il suo subconscio era occupato ad analizzare il significato delle parole del Maestro. Si svegliò alle otto in punto, più lucido e riposato di quanto si fosse mai sentito dopo la morte di Randall Stewart. Alle otto e mezzo era seduto a far colazione nel soggiorno, già vestito con il completo scuro e gilet per il suo solito giro di visite in ospedale. Aveva appena aperto l'edizione mattutina dello Scotsman, e Humphrey gli stava servendo il tè, quando suonò il telefono.
Humphrey depose la caraffa sul vassoio e andò senza fretta a sollevare il ricevitore, un po' accigliato alla prospettiva che il suo padrone fosse disturbato mentre stava facendo colazione. «Strathmourne House. Sì... oh, è lei, ispettore. Un momento, prego.» Il maggiordomo volse uno sguardo interrogativo in direzione di Adam. «È l'ispettore McLeod?» chiese quest'ultimo, mettendo da parte il giornale. Alzò una mano. «Per lui ci sono sempre, naturalmente.» Con un leggero inchino, Humphrey portò il telefono fino al tavolo e consegnò il ricevitore al padrone di casa. «Sono qui, Noel. Cos'è successo?» «Nessuna nuova catastrofe, perciò da questo lato puoi rilassarti», rispose la voce profonda di McLeod dall'altro capo della linea. «Una delle nostre unità mobili ha appena chiamato per fare rapporto. Hanno trovato la macchina di Randall.» «Dove?» «In uno stagno, meno di un chilometro a est di Boghall. Un contadino che stava cercando una pecora dispersa ha notato che dall'acqua spuntava qualcosa di metallico che la settimana scorsa non c'era. Quando l'ha riconosciuto come il paraurti posteriore di un'auto, ha chiamato la polizia. Per il momento il veicolo è ancora sott'acqua, ma l'abbiamo identificato grazie al numero di targa. Io mi sto recando sul posto con la squadra di recupero, nel caso dentro l'auto ci sia qualche indizio utilizzabile... aspetta un momento.» In sottofondo ci fu la voce di qualcuno che faceva una domanda a McLeod, e questi rispose: «Bene, d'accordo. Inseriscilo nel computer e guarda cosa ne esce... No, come faccio a saperlo? Usa la tua immaginazione!» Subito dopo l'uomo tornò in linea. «Scusa l'interruzione. Questo ufficio è come Piccadilly Circus, stamattina! Ah, ti ringrazio per avermi trasmesso quell'informazione che hai avuto da Miranda. Ho messo Cochrane al lavoro sulla cosa. Cercherà i nomi di chiunque, nella regione di Stirling, abbia qualche interesse nei libri d'antiquariato, sia fra i commercianti che i collezionisti. Quando avremo la lista, intendo far visita a queste persone per interrogarle.» In sottofondo ci furono voci e rumori. McLeod rispose ancora a qualche collega. «Non mi lasciano neanche telefonare in pace», borbottò poi, esasperato. «Sarà meglio che esca da qui, prima che m'imprigionino dietro una mura-
glia di scartoffie. Qual è il tuo programma per la giornata?» «Non troppo impegnativo», rispose Adam. «Alle dieci ho una conferenza all'ospedale, e poi il mio giro delle corsie. Ma per mezzogiorno e mezzo dovrei essere di ritorno a Strathmourne. In caso contrario, Humphrey saprà dove rintracciarmi. «Se avrò delle notizie, ti chiamerò. Spero che saranno buone. Ci sentiamo più tardi.» Dopo la colazione, che gli fu concesso di finire senza altre interruzioni, Adam mise il quaderno di appunti nella borsa di pelle ornata dal suo monogramma e uscì, diretto a Edimburgo. La conferenza andò liscia e la mattinata nelle corsie trascorse rapidamente. Tornò a casa per l'ora di pranzo e mangiò in biblioteca. Aveva appena finito la seconda tazza di tè, quando sentì che in soggiorno squillava il telefono. Poi suonò anche quello interno. «È l'ispettore McLeod, signore. Chiama da Boghall», lo informò la voce di Humphrey. «Ah, contavo che fosse lui. Passamelo, per favore.» «Sì, signore.» Quando il clic confermò che era in linea, Adam disse: «Sei tu, Noel?» «Sì, ma le notizie non sono delle migliori, perciò tieni a freno le tue speranze. La macchina di Randall è inutile, per quanto riguarda le indagini.» La voce di McLeod era chiaramente delusa. «Chiunque l'abbia buttata nello stagno, ha preso la precauzione di dare fuoco all'interno. La scientifica sta lavorando sulla carrozzeria, ma francamente dubito che troveranno granché. I nostri amici restano inafferrabili come fantasmi.» Inafferrabili come fantasmi... quell'immagine fece scattare un interruttore nella mente di Adam. «A proposito», disse. «Cosa mi puoi dire della lista di nomi che ti ho passato l'altro giorno, quella dei precedenti affittuari dell'appartamento infestato dai fantasmi?» «L'appartamento infestato?» McLeod sembrava perplesso. «L'appartamento dove abita l'ex parrocchiana di Christopher», precisò Adam. «Peregrine e io te ne abbiamo parlato, mentre tornavamo da Blairgowrie.» «Dannazione, me l'ero completamente dimenticato!» esclamò McLeod. «Cosa diavolo ne ho fatto del tuo foglietto? Devo averlo lasciato nell'altra giacca.» «Non voglio dire che ci sia necessariamente un nesso», riprese Adam,
scegliendo con cura le parole. «Ma in questo momento non possiamo permetterci di trascurare neppure l'indizio più insignificante.» «Certo», confermò McLeod. «Tornando in città passerò da casa a prendere quel foglietto, e metterò subito un uomo al lavoro sulla cosa. Grazie, Adam. Ci sentiamo più tardi.» Mentre riabbassava il ricevitore, Adam si trovò a riflettere cupamente che non avevano nessuna traccia su chi poteva aver ucciso Randall Stewart, né sulle ragioni che c'erano dietro la sua morte. Da qualche parte dev'esserci una chiave per capire questo delitto, si disse con fermezza. Forse nel meccanismo stesso dell'uccisione... Mentre ripensava alla scena del delitto, una nuova possibilità gli attraversò la mente. Ubbidendo a un impulso improvviso, aprì il cassetto destro della scrivania e tirò fuori la sua agenda. Una rapida scorsa all'indice gli procurò il numero telefonico che cercava. «Pronto, è il Royal Infirmary?» chiese, quando una piacevole voce con l'accento delle Western Islands gli rispose. «Sono il dottor Adam Sinclair. Può dirmi se il dottor David Di Capua è lì, oggi pomeriggio?» Meno di un'ora dopo, Adam fermò la sua Jaguar blu nel parcheggio del Perth Royal Infirmary. Si era goduto la veloce corsa da Strathmourne, anche se la nebbia lo aveva costretto a tenere chiusa la capote. Si rialzò il colletto per proteggersi dall'acquerugiola e s'affrettò verso l'ingresso più vicino. Il vasto complesso medico del Perth Royal Infirmary si era allargato oltre i confini dell'antico edificio di pietra grigia, e occupava tutta una serie di ali lunghe e basse. Sul lato settentrionale dell'ospedale, la sezione forense era unita al reparto di patologia. Seguendo i cartelli indicatori situati a ogni incrocio, Adam percorse alcuni lunghi corridoi, salì una scala e giunse infine a una porta su cui era scritto PATOLOGIA MEDICA e, sotto, SOLTANTO PERSONALE AUTORIZZATO. Adam girò la maniglia ed entrò. Nel corridoio interno c'era una moquette verde, e le pareti erano in quel pallido color mostarda che sembrava di rigore per gli ospedali di tutta la Scozia. La temperatura dell'aria in quel reparto era parecchi gradi più bassa che altrove, e l'odore di disinfettante colpiva le narici dei visitatori come un biglietto da visita. Non essendo del tutto estraneo a quel genere di odore, Adam cessò di captarlo a livello cosciente ancor prima di essere a metà del breve corridoio a T. Giunto all'incrocio, per poco non fu investito da una giovane assistente di laboratorio in camice verde, che svoltò l'angolo con un largo
vassoio di provette etichettate sulle braccia. La ragazza evitò per un capello la collisione con Adam, il quale aveva già allungato le mani per salvare il vassoio se le cose si fossero messe male. Non sembrò troppo influenzata dal sorriso e dalle scuse di lui, ma prima di ricordargli che lì era vietato l'ingresso agli estranei, il suo occhio esperto le disse che aveva davanti un medico. «Sta cercando qualcuno, dottore?» lo interrogò. «Sì, signorina. Io sono il dottor Sinclair, dello Jordanburn, e devo vedere il dottor Di Capua. Mi sta aspettando. Sa dirmi dove posso trovarlo?» L'aria di calma e di sicurezza che Adam, sprigionava riuscì finalmente ad ammorbidire un poco la ragazza. «Sì, sta finendo un'autopsia», rispose, e soffiò per togliersi dagli occhi una ciocca di capelli bruni. Gli indicò il corridoio di sinistra con un cenno del capo. «Il laboratorio è laggiù, seconda porta a destra.» «La ringrazio», disse Adam, e si allontanò in quella direzione. Una dozzina di passi svelti lo condussero alla porta in questione. La metà superiore era a vetri, e all'interno poté vedere di spalle un uomo magro e indaffarato che lui riconobbe come David Di Capua. Il nome non era scozzese, ovviamente. Il padre di Di Capua era stato un capitano dell'esercito italiano, catturato in Sicilia dagli alleati e subito internato in un campo per prigionieri di guerra situato in Scozia. Alla fine della guerra centinaia di quei prigionieri avevano preferito restare in Scozia, piuttosto che tornare in patria, a causa della disagiata situazione economica di quegli anni, fatto che spiegava la presenza di tanti cognomi italiani sugli elenchi telefonici del Perthshire, del Tayside e del Fife. Di Capua era basso e svelto di movimenti, con capelli tagliati molto corti e un profilo che ricordava quelli stampati sulle antiche monete romane. Adam era abituato a vederlo con indosso abiti da sera piuttosto costosi, poiché gli accadeva d'incontrarlo almeno una dozzina di volte all'anno alle cene della Scottish National Opera, della quale entrambi erano membri e generosi sostenitori. In qualche modo, comunque, il piccolo esperto di medicina legale riusciva ad apparire elegante anche con il camice verde e gli stivali Wellington prescritti dal regolamento per i laboratori di quel genere. In quel momento Di Capua era occupato con un cadavere di sesso maschile, sul quale stava lavorando con la metodica precisione di un orologiaio svizzero, inconsapevole di ciò che aveva attorno. Quando Adam bussò al vetro, tuttavia, si voltò subito, e nel riconoscere la faccia del visitatore sorrise, facendogli cenno di entrare con una mano chiusa in un guanto
da chirurgo. Adam aprì la porta e avanzò in un'atmosfera appesantita dall'odore della formalina. «Adam, è bello vederti!» esclamò il patologo. «Non mi aspettavo questo piacere prima del mese prossimo, quando daranno La Traviata.» Il cognome poteva anche essere italiano, ma l'accento era puro scozzese. «Salve, David.» Di Capua si tolse il guanto destro e spense il registratore in cui stava parlando, prima di scambiare una solida stretta di mano con il visitatore. «Allora, vecchio mio, come stai?» chiese allegramente. «E cosa ti porta fra le nebbie della piovosa Perth?» «Sono venuto a chiederti un favore professionale», rispose Adam. «Hai fatto bene», dichiarò Di Capua. «E stai pur certo che sarò felice di non deluderti. Ma lasciami indovinare. Riguarda l'autopsia di Randall Stewart, no?» Adam annuì. «Esattamente. Con il tuo permesso, vorrei dare un'occhiata preliminare al rapporto forense.» «Ah.» Di Capua esitò, pensosamente. «Be', il rapporto ufficiale non sarà pronto fino a domani mattina. Devo ancora aggiungerci i risultati del laboratorio e tirare le somme... però credo che sia già stato trascritto ciò che ho dettato al registratore.» «Non ho necessariamente bisogno del rapporto finito», precisò Adam. «In effetti, mi basterebbe dare un'occhiata alla tua trascrizione, e alle analisi del laboratorio.» Di Capua allargò le braccia. «Non vedo perché non ne avresti il diritto». E aggiunse: «Specialmente considerando che sul certificato di morte c'è la tua firma». Diede un'occhiata al cadavere dietro di lui. «Qui avrei ancora dieci minuti di lavoro. Perché non ti metti un momento a sedere nella sala medici, e non mi aspetti lì? Ti porterò il fascicolo appena mi sarò lavato le mani.» Adam andò nella sala medici, e la trovò occupata soltanto da un paio di interni che sembravano decisamente in disaccordo circa il trattamento ortopedico da effettuare su un paziente. Appena lo videro entrare, i due interruppero la loro discussione, con aria imbarazzata, e se ne andarono. Il caffè del distributore automatico era qualcosa che Humphrey e Mrs. Gilchrist avrebbero definito «così denso che versandolo a terra un topo ci resterebbe preso dentro». Dopo un sorso, gettò il bicchiere nel cestino e fece appello alla sua pazienza, aspettando
l'arrivo del collega. Un quarto d'ora dopo, Di Capua spinse la porta a molla e raggiunse il tavolo dove Adam si era seduto. Si era tolto il camice verde e gli stivali Wellington, e indossava un bel completo grigio e un paio di lucidissime scarpe italiane. La sua cravatta di seta grigia era tagliata da una sortile linea obliqua, dorata. Adam fu costretto ad ammirare il piccolo miracolo di pulizia personale con cui Di Capua era riuscito a non portare fuori dal laboratorio neppure un residuo dell'odore di formalina. «Ecco qua», disse il patologo, sedendo accanto a lui. Gli porse una cartella. «Non è una lettura piacevole... ma suppongo che questa non sarà una sorpresa per te.» Messi nero su bianco, i freddi fatti medici riguardanti l'assassinio di Randall Stewart assumevano un certo distacco clinico, cosa di cui Adam fu grato. La vittima era stata colpita tre volte alla nuca, con fratture dell'occipite provocate da due dei tre colpi. Di Capua faceva l'ipotesi che l'oggetto contundente fosse stato un martello. Come Adam aveva osservato sulla scena del delitto, la vena giugulare destra della vittima era stata tagliata con precisione chirurgica, cosa che aveva causato la rapida fuoruscita di molto sangue. Tuttavia l'opinione di Di Capua era che né i colpi alla nuca, né la ferita fossero stati la causa diretta della morte. Con sorpresa di Adam, Randall Stewart risultava strangolato con una garrotta. Accigliato, continuò a leggere il rapporto. Le tracce sulla carne del collo non erano apparse visibili a chi aveva osservato il cadavere nella radura, perché sottili e coperte dal sangue raggrumato. Lo strangolamento era stato effettuato con una corda di violino o di chitarra, girata tre volte intorno alla gola della vittima. Una volta stretta, la garrotta aveva spezzato la colonna cervicale e il midollo spinale, oltre a occludere la laringe. Di Capua ipotizzava che l'incisione della giugulare fosse stata fatta mentre la vittima stava morendo per effetto della garrotta, quando il cuore conservava ancora la capacità di pompare fuori dalla ferita una notevole quantità di sangue. I tre colpi al cranio, la garrotta, il dissanguamento, la scena cui il testimone oculare aveva assistito: tutto confermava una spietata procedura rituale. A disagio, Adam si sforzò di leggere i dettagli, in cerca di un frammento d'informazione che potesse aiutarlo a identificare l'origine del rito; perché solo sapendo qualcosa di più su di esso avrebbe potuto individuarne lo scopo, e quindi capire perché era stato scelto come vittima proprio Randall Stewart. Le altre analisi passarono al suo esame senza offrirgli l'importante indi-
zio in cui sperava. Di Capua aveva annotato la presenza di graffi e abrasioni, oltre a un principio di congelamento alle mani e ai piedi. Una serie di punture d'ago sulle braccia della vittima, e un'alta concentrazione di barbiturici nel sangue, indicavano che dopo la cattura il poveretto era stato tenuto sotto l'effetto di droghe. Ne aveva tracce anche nello stomaco, a testimoniare che gli era stata data un'altra dose di sedativi insieme al suo ultimo pasto. Il suo ultimo pasto... A questo punto Adam si mordicchiò un labbro, poi i suoi occhi si strinsero con improvviso interesse. L'ultimo pasto di Randall era consistito in una torta o focaccia di farina d'avena, accompagnata da un bicchiere di vino rosso. La focaccia era bruciacchiata, e insieme al vino c'erano tracce di... vischio? Focaccia d'avena bruciacchiata, e vino con dentro del vischio... quella combinazione, insieme al genere di ferite inflitte, fece suonare un campanello sul fondo della memoria di Adam. Lui cercò di portare quel ricordo alla luce, ma ottenne soltanto di ricacciarlo più in profondità. Avrebbe dovuto tornarci sopra con calma, più tardi. Quei particolari avevano qualcosa di familiare. Dopo essersi riproposto di considerare meglio la cosa, Adam richiuse la cartella con gli appunti del patologo e gliela restituì attraverso il tavolo. Di Capua la prese e inarcò un sopracciglio con aria interrogativa. «Ebbene?» chiese, vedendo che Adam non faceva commenti. «Questa roba ha qualche significato per te?» «Nulla di coerente, per ora», rispose Adam, pensosamente. «Con il tempo potrei riuscire a elaborare una teoria o due, ma al momento sono lontano da una spiegazione logica quanto lo sei tu.» «Temevo che avresti detto questo.» Di Capua fece una smorfia, poi scrutò il suo interlocutore e domandò: «Scusa se ti sembra che io m'intrometta, ma qual è il tuo interesse in questo caso? Non riesco assolutamente a capire perché proprio tu, fra tutti, uno psichiatra qualificato, sei arrivato per primo sulla scena di un omicidio a Blairgowrie». Adam fece un breve sorriso. «Non è un mistero, questo. Noel McLeod era stato convocato dalla polizia locale, che conosceva la sua esperienza in casi del genere, e lui ha chiamato me. Voleva il consulto di qualcuno che conoscesse la psicologia di gente capace di comportarsi in modo così bizzarro e anomalo. Come sai, ogni tanto io presto i miei servizi alla polizia, nelle vesti di consulente.»
«Be', bizzarro è sicuramente la parola giusta!» annuì Di Capua con un grugnito. «Nei quindici anni dacché lavoro nella medicina legale, non ho mai incontrato un caso del genere. I responsabili devono essere dei veri anormali... ma suppongo che sia per questo che te ne interessi anche tu, non è così?» Mentre Adam si stringeva nelle spalle, continuò: «Be', sono lieto che sia qualcun altro, e non io, a occuparsene da qui in poi. La procura di Perth riceverà il rapporto ufficiale dell'autopsia domani, e ne manderò una copia anche al tuo ispettore McLeod. Spero che sarà utile alle indagini. Ma dove si può cominciare a cercare della gente che fa cose di questo genere?» «Nelle catacombe, probabilmente, se ce ne fossero», sospirò Adam, anche se qualche vaga idea non gli mancava. Scosse il capo. «Ad ogni modo, devi sapere che io conoscevo la vittima. Questo è un altro dei motivi per cui McLeod ha chiamato me. Tu quando pensi che il corpo sarà restituito alla famiglia? Sua figlia vorrà vederlo seppellito quanto prima.» «Ahi, ahi! Questo sarà davvero un problema», ammise Di Capua, scuotendo il capo. «Il magistrato potrebbe voler trattenere il corpo per tutto il tempo che occorrerà a identificare i colpevoli ed effettuare un arresto.» «Il che significa settimane, forse perfino mesi.» «Be', il tribunale deve proteggere anche gli imputati, vecchio mio», ribatté Di Capua. «Come sai, chiunque sia accusato di omicidio ha il diritto di nominare un esperto e fargli effettuare un'autopsia della vittima... è una delle deliziose stranezze della legge scozzese.» «Già», mormorò cupamente Adam. «E qualche volta la legge, per citare Dickens, è una gran puttana.» Rivolse a Di Capua un sorriso melenso. «Ma imprecare sulle disgrazie della legge non servirà ad accelerare il funerale di Randall Stewart, eh? Del resto», aggiunse, con un'occhiata all'orologio sopra il distributore del caffè, «sarà meglio che vada, prima di mandare all'aria i tuoi programmi per il resto del pomeriggio. Porta i miei saluti a Catriona... e grazie per il tuo aiuto. Se mi venisse in mente qualcosa di utile per il tuo rapporto, ti darò un colpo di telefono.» 13 Quando arrivò a Strathmourne House, Adam non era ancora riuscito a delineare quel nebuloso ricordo, né ci riuscì durante la semplice cena che Mrs. Gilchrist gli aveva cucinato. Se la portò in biblioteca su un vassoio e, mentre mangiava, fissò intensamente gli scaffali, lambiccandosi il cervello
alla ricerca di un indizio su dove avesse già letto quei dettagli annotati nel rapporto di Di Capua. Al termine del pasto chiese a Humphrey di portargli un caffè, e si dispose a un'attiva serata di ricerche. La biblioteca di Adam, oltre a essere un luogo attrezzato per lo studio, era un deposito di testi rari, spesso molto pregiati. Suo padre e suo nonno avevano fatto collezione di libri d'antiquariato, accumulando una rispettabile quantità di volumi. Anche Adam era un collezionista, ma una volta passata sotto la sua custodia, la biblioteca aveva assunto connotati enciclopedici, in risposta ai suoi interessi più vasti ed eclettici. Gli scaffali ospitavano ancora tomi cuciti a mano, prime edizioni, manoscritti, vecchie pergamene e lettere autografe di famosi personaggi inglesi, perché assai raramente lui vendeva qualcosa, ma adesso c'era una gran quantità di libri moderni, manuali e testi scientifici su ogni argomento, e perfino molti tascabili, che rallegravano con la loro vicinanza la pesante sobrietà degli antichi volumi rilegati in pelle. Adam aveva una vaga idea di ciò che stava cercando, ma gli occorse quasi un'ora prima di arrivarci. Dopo aver tirato fuori, sfogliato e rimesso a posto dozzine di libri, lo sguardo gli cadde su un testo d'archeologia abbastanza moderno che attirò il suo interesse. Non aveva ancora avuto il tempo di leggerlo, ma ricordava di averne letto una recensione e un breve estratto sul Sunday Times qualche anno addietro, qualcosa circa un corpo mummificato trovato durante gli scavi in una torbiera a Lindow Moss, presso Manchester, e all'inizio creduto vittima di un omicidio piuttosto recente. In seguito era invece risultato che «l'Uomo di Lindow» era stato sacrificato durante un rito religioso oltre duemila anni addietro. Già leggendo il prologo, Adam portò il libro verso la sua poltrona preferita accanto al caminetto, accese la lampadina e cominciò a sfogliarlo. Trascorse l'ora successiva immerso nel resoconto di quegli scavi, ogni tanto interrompendosi per buttare giù delle note a matita a bordo pagina, oppure infilando dei segnalibri qua e là. Quando infine rialzò lo sguardo dall'ultima pagina, l'orologio a pendolo al piano di sopra stava battendo le dieci. Con un sospiro chiuse il libro e lo depose sul tavolino, massaggiandosi distrattamente una spalla e riassumendo dentro di sé i diversi fatti di cui aveva letto. Quando li ebbe riordinati mentalmente, si alzò e andò alla scrivania per comporre il numero telefonico dell'abitazione di McLeod. A rispondere fu l'ispettore, mentre in sottofondo si sentiva la TV accesa.
«Ho fatto una breve ricerca», lo aggiornò Adam, dopo averlo salutato. «Credo di essere inciampato su qualcosa che può essere collegato alla morte di Randall... non ai suoi assassini, purtroppo, ma almeno al meccanismo dell'omicidio. Pensi che avrai il tempo di passare dal mio ufficio all'ospedale, domani dopo pranzo, diciamo nel primo pomeriggio?» Lo Jordanburn Psichiatric Hospital, poi inserito nel complesso del Royai Edinburgh Hospital, si trovava al centro di Morningside, uno dei più antichi quartieri di Edimburgo, in vista di Blackford Hill. Il giorno seguente, tornando dalla mensa dell'ospedale dove aveva pranzato con due suoi studenti, Adam trovò l'ispettore Noel McLeod solidamente seduto sull'unica sedia del suo ufficio. Sulla scrivania c'era un origami, un cigno, abilmente costruito con la carta da lettere dell'ospedale. «Ehilà! Non mi aspettavo che venissi così presto», esclamò Adam; sorridendo al cigno mentre girava intorno alla scrivania per sedersi sulla poltrona. «Spero di non averti fatto aspettare molto.» «Be', dovevo fare qualcosa per ingannare il tempo», replicò McLeod un po' sulla difensiva, indicando l'origami. «Ma no, non sono qui da molto.» Incrociò le braccia e si appoggiò allo schienale. «Ed è meglio così, perché la curiosità mi stava uccidendo. Allora, cos'hai trovato?» Adam fece ondeggiare il cigno con un lieve colpetto delle dita, come un cavallo a dondolo. «Prima lascia che ti chieda una cosa: hai già ricevuto il rapporto dell'autopsia di Randall?» «Sì», rispose McLeod, accigliandosi. «Un fattorino me l'ha portato in ufficio stamattina, verso le undici.» «L'hai letto?» «Sì.» «E cosa te ne pare?» «È un modo molto brutto di morire per chiunque. Ma quando succede a un amico...» Scosse il capo, a denti stretti. «È quello che penso anch'io», mormorò Adam. «Ma non è questo che volevo dire.» McLeod gli scoccò un'occhiata penetrante. «E va bene. Cos'è che volevi dire?» «Ieri pomeriggio sono andato al Royal Infirmary di Perth. Il capo patologo è un mio amico, e mi ha lasciato dare un'occhiata in anteprima alle sue note. Dopo aver letto i dettagli clinici, e ripensando all'atmosfera che abbiamo visto sul luogo del delitto, sono rimasto con l'impressione di aver già letto da qualche parte un paio di quei particolari: la presenza di vischio
nel vino fatto bere alla vittima, e l'uso della garrotta. Partendo da lì, sono riuscito a trovare altri elementi.» Adam aprì un cassetto della scrivania e ne tirò fuori un libro rilegato dalla copertina rossa, con ancora qualche traccia di polvere. «Dai un'occhiata», disse, spingendolo attraverso la scrivania. McLeod prese il libro e si aggiustò meglio gli occhiali d'oro dalle lenti rotonde, prima di leggere il titolo: Vita e morte di un principe druido: la storia di una scoperta archeologica. Adam si piegò in avanti, con una luce fredda come l'inverno negli occhi scuri. «O quella gente ha letto questo libro, Noel, oppure ha seguito la stessa tradizione. Hanno fatto a Randall le stesse cose che sono state fatte all'Uomo di Lindow. Guarda dove ci sono i segnalibri. Ho sottolineato i passaggi più significativi e scritto note a bordo pagina.» Mentre McLeod sfogliava il volume, esaminando i brani che Adam aveva messo in evidenza, quest'ultimo gli illustrò a voce ciò che lui stava leggendo. «Dubito che sarebbe possibile imitare il sacrificio dell'Uomo di Lindow meglio di quanto è stato fatto a Randall», spiegò. «L'ultimo pasto dell'Uomo di Lindow fu una focaccia d'avena bruciacchiata e vino a cui erano state aggiunte foglie di vischio. La stessa roba fatta mangiare a Randall. L'Uomo di Lindow fu colpito tre volte alla testa, poi strangolato con la garrotta e infine dissanguato con un'incisione sulla giugulare destra. Esattamente la procedura dell'omicidio di Randall. L'uomo di Lindow fu deposto a faccia in giù in una pozzanghera d'acqua. Randall è stato lasciato a faccia in giù nella neve... una piccola variante, questa. «Entrambe le morti hanno il tipico profilo del triplo-sacrificio, quello fatto contemporaneamente ai tre principali dei celtici», proseguì Adam. «Gli autori di questo libro la definiscono una cerimonia druidica. Taranis era il Thor dei celtici, dio dei tuoni. Esus, il signore e maestro, era il corrispettivo di Odino, il Padre di Tutti. Teutates era il dio tutelare delle tribù... e per ciascuno di loro i sacrifici andavano eseguiti in un modo specifico. «I tre colpi alla testa erano il sacrificio a Taranis, poiché richiamavano la potenza dei suoi tuoni e il suo martello magico. E come avrai letto sul rapporto, sembra che con Randall sia stato usato un martello. La focaccia bruciacchiata è collegata anch'essa a un aspetto di Taranis, come portatore del fuoco celeste sotto forma di fulmini. Esus preferiva che le vittime a lui dedicate fossero impiccate a un albero, o strangolate. E dunque la garrotta esegue questa seconda parte dell'uccisione. Teutates era associato ai sacri-
fici nell'acqua. Qui la connessione è più tenue, perché probabilmente l'Uomo di Lindow fu messo a faccia in giù nell'acqua per simboleggiare l'affogamento, invece che nella neve. Del resto, a quel punto sia lui che Randall erano già morti.» McLeod aveva smesso di leggere mentre Adam parlava, e sul suo volto si era dipinta un'espressione inorridita. Quando l'amico tacque, l'ispettore scosse lentamente il capo, come stordito. «Mio Dio, quei bastardi si sono impegnati per farlo bene, il loro sporco lavoro», mormorò. «Ma perché?» Si accigliò. «Questo libro mette il sacrificio dell'Uomo di Lindow in un preciso contesto storico... e non c'è nessun rapporto fra i tempi odierni e l'epoca dei druidi. Voglio dire, perché la Loggia della Lince dovrebbe prendersi il disturbo di uccidere un massone del giorno d'oggi con un rito druidico?» «Questo mi ha dato da pensare», ammise Adam. «Ma credo di poter delineare una teoria almeno probabile.» «Quale sarebbe?» «Be', alcuni storici ipotizzano un antico collegamento fra i druidi e la Massoneria, affermando che c'è una continuità fra le due tradizioni.» «Io non ho mai sentito parlare di questa teoria, e io sono un Maestro Massone», batté un dito sul libro che aveva davanti. «Inoltre, questi archeologi dicono che la vittima era un principe.» «Ah, ma in certi contesti cerimoniali la regalità non era tanto una questione di discendenza genealogica, quanto il fatto che l'individuo fosse stato consacrato oppure introdotto a certi misteri sacri. Se supponiamo che questi storici abbiano ragione, ovvero che i massoni siano gli ultimi eredi dei misteri druidici, questo metterebbe un Maestro Massone allo stesso livello di un antico druido consacrato al ruolo principesco. Ecco dunque da cosa è stata guidata la scelta della vittima. Inoltre...» Adam fece una breve pausa, e prima di continuare soppesò bene le parole. «C'è una cosa di cui non ti ho parlato, perché non mi sentivo libero di discuterne per telefono. Ieri sera ho compiuto un viaggio iniziatico sui Piani Interni. Il mio proposito era di consultare le Camere delle Registrazioni Akashic per avere qualche indizio sull'identità degli assassini di Randall. Ciò che invece ho ottenuto è stata una visione concernente un manufatto... l'oggetto che il testimone oculare ha visto ma non è stato capace di descrivere... e poi c'è stato un inaspettato colloquio con il Maestro circa Peregrine. Ma di questo ti parlerò dopo.» «Di che manufatto di tratta?» volle sapere McLeod.
«Be', non ho potuto vederlo bene», proseguì Adam. «Mi è parso un collare, un antico torc... e questo rafforzerebbe la teoria di un legame con i druidi. Ho avuto l'impressione che fosse di fattura pittica, e noi sappiamo che le forme sacrificali pittiche filtrate fino ai druidi erano molto più sanguinose dei riti che questi ultimi praticavano. Se un manufatto di questo genere è finito in mano a qualcuno della Loggia della Lince, può darsi che la morte di Randall avesse lo scopo di risvegliare il potere dell'oggetto, qualunque sia questo potere, nutrendolo con il sangue sacrificale. È questo il senso che io vedo dietro l'uccisione di Randall.» «Dio, povero Randall!» mormorò McLeod, spingendo indietro gli occhiali per grattarsi il naso. «E pensi che abbiano avuto successo?» Adam si strinse nelle spalle, scuro in faccia. «Se è stato così... conoscendo la Loggia della Lince, mi aspetto che presto cercheranno di usare questo loro nuovo potere. Se invece hanno fallito, senza dubbio tenteranno con un altro sacrificio umano. In un modo o nell'altro qualcuno soffrirà per le loro azioni... a meno che non li fermiamo.» McLeod grugnì. «Lo vedo abbastanza improbabile, considerando che non sappiamo chi e dove sono. In ogni caso, dal punto di vista legale mancherebbero le prove per incastrarli.» «Lo so.» Adam non riuscì a mascherare la frustrazione. «Vorrei che ci fosse il modo di attirarli all'aperto. Combattere un nemico sconosciuto è praticamente impossibile.» Dopo un lungo momento di pausa, McLeod si mordicchiò un labbro. «Io un suggerimento lo avrei. Ma dubito che ti piacerà.» «Sentiamo.» «Forse è il momento», suggerì l'ispettore, «di offrire ai nostri amici un'esca invitante.» Nel dire questo assunse un'espressione che subito fece accigliare Adam. «Spero che tu non stia proponendo di rivelarti alla Loggia della Lince, vero?» McLeod allargò le braccia. «Hai un'idea migliore?» «La mia risposta è: niente da fare!» «Lo sapevo che avresti reagito così», sospirò McLeod. «Ascolta come potremmo sfruttare questa possibilità. Cochrane ha finito di compilare quella lista di antiquari e collezionisti di libri nella regione di Stirling. Penso che ci siano buone probabilità che uno di loro appartenga alla Loggia della Lince, o che almeno abbia un contatto con essa. Supponiamo che mentre vado a interrogarli io tenti un'indagine psichica, lasciando delibera-
tamente aperte le mie difese. Se uno di loro è un adepto, un'intrusione del genere non gli sfuggirà. E quando effettuerà una contromossa, noi avremo la traccia che cerchiamo.» «A patto che l'intera faccenda non ci esploda in faccia», ribatté Adam. «Quello che suggerisci è troppo rischioso. Abbiamo già perso Randall. Non possiamo permetterci di perdere anche te.» «Non possiamo neppure permetterci di stare seduti senza far niente», replicò McLeod. «Tu sei certo che la Lince colpirà ancora. Attraendo il loro fuoco, almeno lo distoglieremo da quelli che sono incapaci di difendersi.» «Non puoi essere sicuro che andrà così.» E vedendo l'espressione testarda di McLeod, Adam aggiunse: «Credimi, Noel, io desidero quanto te avere dei risultati... ma è troppo presto per entrare in gioco così apertamente. Porta pure avanti la tua indagine come vuoi, ma per l'amor di Dio non abbassare le tue difese, neppure per un istante. Questo è un ordine!» McLeod sospirò, poi annuì, rinunciando all'idea. «E va bene. Giocheremo questa partita come vuoi tu, per ora.» Prese il piccolo cigno origami e lo rigirò fra le dita. «Tornando su quelli meno abili a difendersi: poco fa hai accennato a Mr. Lovat. Spero che il Maestro non ti abbia scoraggiato.» «No, al contrario, desidera che ci siano altri progressi... o almeno, così credo. A volte è difficile capire i suoi pronunciamenti alquanto sibillini, devo dire.» Adam raccontò all'amico del suo incontro con il Maestro, e della sua certezza che gli ulteriori progressi di Peregrine fossero collegati alla risoluzione del caso di Gillian Talbot. «Ha detto: 'L'artista dovrà essere anche l'artefice. L'immagine spezzata deve essere riparata'. Se ne deduce che Peregrine dovrà partecipare attivamente alla ricostruzione psichica della ragazza Talbot. Io cercherò di contattare i genitori di lei la settimana prossima, quando andrò a Londra a prendere mia madre. Non sono sicuro di come potrò mettere quei due in contatto per organizzare il lavoro sulla mente della ragazza, ma suppongo che se non fosse possibile non mi sarebbe stato chiesto di farlo. Naturalmente 'possibile' non sempre significa 'facile'.» «Non è mai facile, se il Maestro non ti dà istruzioni in merito», grugnì McLeod. «Ma come si suol dire: quando il gioco si fa duro...» Guardò l'orologio, poi si alzò di scatto. «Gesù, ho una conferenza stampa fra mezz'ora! Mi terrò in contatto, Adam. Telefonami, se viene fuori qualche novità.» Il giorno successivo, tuttavia, non avvennero progressi di nessun genere,
e di positivo ci fu solo uno sviluppo burocratico: dopo lunghe consultazioni con la polizia, il magistrato accettò di far consegnare alla famiglia il corpo di Randall Stewart perché fosse sepolto. McLeod ne informò Adam, e questi e Christopher aiutarono i parenti a organizzare il funerale. Data la quantità di amici e conoscenti di Randall, Christopher stabilì di svolgere le onoranze funebri quel martedì nella cattedrale episcopale di St. Mary, invece che nella piccola chiesa di cui era il parroco, presso casa sua. Sei fratelli della Loggia di Randall ebbero l'incarico di portare la bara, e la Massoneria locale stabilì che il venerdì sera avrebbero tenuto una commemorazione per il fratello defunto, nella Loggia di Sorrow. «Verso la fine del mese, il 27, i fratelli organizzeranno un viaggio all'abbazia di Melrose, per l'annuale Passeggiata Massone», disse McLeod a Adam, dopo che ebbero preso gli ultimi accordi per il funerale. «Sarà per la vigilia di san Giovanni Evangelista, dopo il Giorno della Messa. Jane e io parteciperemo. Perché non vieni anche tu?» «D'accordo, ci sarò», decise Adam. «È il genere di commemorazione che a Randall sarebbe piaciuto.» Una volta stabilito quale parte avere in quegli eventi, comunque, Adam decise di non sprecare altro tempo ed energia rimuginando sulla mancanza di progressi nella ricerca degli assassini di Randall. Un rigoroso esame di coscienza lo convinse che non aveva trascurato nessun dato materiale emerso dalle indagini, così rivolse i pensieri al mistero più accessibile, benché non meno incomprensibile, riguardante Peregrine Lovat e la parte che questi poteva giocare nella faccenda di Gillian Talbot. Che Peregrine fosse ormai una figura chiave nella loro strategia contro le mosse della Lince, Adam non ne dubitava. Ma evidentemente era necessario che prima Peregrine dimostrasse i suoi meriti su scala cosmica, facendo quello che era in suo potere per aiutare la sfortunata ragazzina in cui si era reincarnato lo stregone medievale Michael Scot. Forse la chiave era la sopravvivenza dello spirito di Scot. Forse era per quello che il Maestro aveva posto come condizione per l'ammissione di Peregrine alla Loggia di Caccia il suo successo nel riparare la psiche sconvolta che erano Michael Scott e Gillian Talbot... e chissà quante altre persone materiali, passate e future. Molto bene, si disse. Avrebbe cercato i genitori di Gillian la settimana successiva, se questi non si fossero messi prima in contatto con lui. Nel frattempo c'erano altre cose che poteva fare per preparare la strada all'eventuale ingresso di Peregrine nella Loggia di Caccia. Fino a quel giorno Peregrine aveva incontrato soltanto quattro degli esoterici colleghi di A-
dam. Era tempo che facesse la conoscenza del quinto. 14 «Credo che Lady Julian ti piacerà», dichiarò Adam a Peregrine quel sabato mattina, mentre viaggiavano in auto verso sud, sotto un freddo e mutevole cielo di novembre. «Io la conosco da quand'ero un ragazzino di dodici anni, e la considero una specie di zia. Il suo ultimo marito era un uomo d'affari, sempre in giro in India e in Estremo Oriente, e con gli anni aveva messo insieme un'incredibile quantità di oggetti esotici. Per la maggior parte sono finiti in qualche museo, ma la sua vedova ha tenuto per sé i migliori. Lady Julian e Michael erano amici dei miei genitori, e lei e mia madre sono ancora molto vicine. E' anche una delle disegnatrici di gioielli più originali che io conosca... è per questo che ho incaricato lei di riparare il mio anello. La casa ti piacerà, e anche il suo lavoro.» «Sembra una persona interessante», annuì Peregrine. Poi tacque, sospettando che Lady Julian fosse più di una vecchia amica di famiglia esperta in gioielleria... perché lui sapeva che l'anello in questione non era un comune gioiello. Era stato quell'anello a salvargli la mano da una ferita ben più grave quella terribile notte al castello di Urquhart, e lui dubitava che Adam lo avrebbe affidato a un estraneo, salvo che fra loro non esistesse un genere di fiducia molto particolare. Questo gli lasciava intuire che in Lady Julian ci fosse più di quanto Adam avesse detto. Continuarono a chiacchierare di cose senza importanza, mentre Adam guidava la Range Rover attraverso gli eleganti sobborghi di New Town, finché girarono in una strada a mezzaluna lontana dal traffico caotico di Queen Street. A metà di una fila di villette edoardiane, Adam accostò al marciapiede e scese. Dietro una cancellata di ferro verde che delimitava il giardino, un sentiero lastricato conduceva a tre scalini di maiolica azzurra, sopra i quali campeggiava una porta laccata rosso acceso, cui facevano la guardia due feroci cani di granito in stile cinese. Poiché il cancello era aperto, i due proseguirono fino alla porta e, mentre Adam suonava il campanello, Peregrine si chinò ad ammirare una lama per pulire la suola delle scarpe fissata sulla destra dell'ingresso, modellata a forma di drago cinese. La porta venne aperta qualche momento dopo dalla dama di compagnia di Lady Julian, una robusta donna sulla cinquantina dall'aria pratica, con guance rubizze come due mele e occhi vivaci. «Buongiorno, Mrs. Fyvie», la salutò Adam con un sorriso. «Questo è
Mr. Lovat. Credo che Lady Julian mi stia aspettando.» Mrs. Fyvie li accolse con calore e si scostò dalla porta, facendo loro cenno di entrare. «Sì, Sir Adam, la sta aspettando. Accomodatevi, prego, e date a me i vostri soprabiti.» La donna li fece passare in un vestibolo in mattonelle rosse, dal quale partiva un largo corridoio tappezzato in damasco verde sul quale erano ricamati in oro fiori di loto. Due paraventi di seta gialla si fronteggiavano ai lati opposti del tappeto, ornati di uccelli multicolori, e un buddha a dimensioni naturali osservava placidamente gli ospiti da sotto il suo baldacchino medievale d'avorio cesellato. Mentre i due uomini si sfilavano soprabiti e sciarpe, un peloso gatto himalaiano uscì da dietro un vaso di bronzo contenente una felce, in un angolo, e venne a strusciarsi intorno alle caviglie di Peregrine. Mrs. Fyvie schioccò la lingua e lo mandò via, mentre appendeva gli indumenti. «Sciò, sciò, da bravo, smettila di riempire di peli le calze di questo giovanotto», lo rimproverò sorridendo, e tornò a volgersi ai visitatori. «Lady Julian vi attende in salotto. Se volete seguirmi, prego.» Il salotto era uno spazioso ambiente esposto a sud, sul retro della villetta. Tre finestre francesi ricurve offrivano un'ampia vista del giardino cinto da un muro, cosparso di rocce e arricchito da una vasca per i pesci rossi al centro. Nonostante le aiuole, il giardino aveva un'atmosfera alquanto triste, in quell'umida giornata di fine autunno. La stanza, per contrasto, era un profluvio di colori, di forme e di tessuti, messi insieme per creare un effetto di fiabesca opulenza. Il parquet del pavimento era protetto da numerosi tappeti orientali in tutte le sfumature di rosso, d'oro e di verde smeraldo. Le pareti erano coperte da una quantità di ventagli, arazzi cinesi in seta gialla e acquerelli incorniciati che l'occhio esperto di Peregrine riconobbe come stilisticamente appartenenti al periodo Edo. Per contrasto, le tende e le sopratende semitrasparenti che guarnivano le finestre, arricchite da pesanti ricami dorati, avevano un aspetto indiano o thailandese. Ogni tavolino o scaffale ospitava una collezione di curiosi oggetti e affascinanti opere d'arte. Soprammobili di antica cloisonné, intricate sculture d'avorio, di giada e d'alabastro, fragili vasi di porcellana traslucida, animali e figure umane in lacca multicolore, cofanetti di madreperla, fiori di ceramica arricchiti di gemme e scatole d'avorio intagliate con certosina abilità. Su tutto ciò si diffondeva il profumo del cinnamomo e del legno di sanda-
lo. Peregrine ebbe l'impressione di essere uscito dalla realtà d'ogni giorno per entrare in un palazzo incantato da fiaba orientale. Il genio di quella favola, Lady Julian, sedeva su una sedia a rotelle nel centro della stanza, una figuretta anziana e fragile con uno scialle indiano drappeggiato sulla testa e un altro sulle ginocchia. Alla vista dei visitatori il suo volto pallido s'illuminò d'un sorriso di benvenuto. «Salve, Adam, mio caro!» esclamò, sollevando verso di lui entrambe le braccia, appesantite da una quantità di braccialetti da cui si levò un tintinnio musicale. «Sono davvero felice che tu sia riuscito a venire, per rallegrare un po' questa giornata così uggiosa. E inoltre», aggiunse, strizzandogli l'occhio, «vedo che hai finalmente deciso di portare con te il giovane Mr. Lovat.» «Non ti ho detto che l'avrei fatto?» le ricordò Adam con una risata. Si portò alle labbra le mani di lei in un gesto d'affettuosa galanteria, quindi fece cenno all'amico di avvicinarsi. «Peregrine, permettimi di presentarti Lady Julian Brodie.» Con un sorriso esitante, il giovanotto venne avanti e si trovò sotto lo sguardo scrutatore di due luminosi occhi neri, saggi ma schietti come quelli di un bambino. L'amichevole cortesia che c'era in essi fece l'effetto di sciogliere la sua riservatezza e, nel restituirle lo sguardo, s'accorse di penetrare negli occhi di lei più a fondo di quanto avrebbe potuto supporre. Lady Julian, calcolò, dimostrava fra i sessanta e i settant'anni, ma sul suo volto si poteva ancora vedere chiaramente la ragazza che era stata un tempo; una bambolina bruna, elegante e vivace, dagli occhi ridenti. Di quell'età lontana aveva mantenuto la trasparenza della pelle e le sopracciglia arcuate, ma l'antica allegria si era dissolta con gli anni, portata via dal dolore di una tragedia che lui poteva soltanto intuire. Mentre s'inchinava verso la mano che gli veniva offerta, Peregrine s'accorse di paragonarla a un salice piangente cinese, delicato e contorto. «Lady Julian, è un onore», mormorò. La donna sorrise pensosamente, come se avvertisse l'analogia che aveva risvegliato in lui, e sul suo sorriso passò un'ombra. Poi il volto s'illuminò di nuova luce, improvvisa come un raggio di sole sbucato fra le nuvole. «Mr. Lovat, ero impaziente di conoscerla, fin da quando Adam mi ha parlato di lei, qualche settimana fa. Temo di non aver mai avuto l'occasione di vedere uno dei suoi dipinti, ma da ciò che ho letto sulle riviste sembra che possiamo aspettarci grandi cose da lei nel campo dell'arte.» Peregrine ebbe la buona grazia di arrossire. «Se si riferisce all'articolo
apparso sullo Scotsman giorni fa, credo che Mr. Callum sia stato troppo generoso, anche se non manco certo di apprezzare i complimenti.» «Io non stavo pensando a Mr. Callum», replicò serenamente Lady Julian. «Piuttosto, mi riferisco a ciò che mi ha detto Adam quand'è venuto a farmi visita..E non c'è bisogno di essere imbarazzato. Ho la massima fiducia nel gusto artistico di Adam.» Gli diede un colpetto cordiale alla mano e si volse all'altro uomo. «È davvero un giovanotto interessante, Adam. Ma stavo per chiedere a Grace di portarci qualche rinfresco. Preferite il tè o il caffè?» «Un po' di tè, se non le spiace», disse Adam. «E se posso farle una richiesta, probabilmente Peregrine non ha mai assaggiato un aroma come quello del tè verde che lei si fa mandare da Kwang-chow.» «Immagino che Grace possa provvedere», rispose lei. Il tè verde raccomandato da Adam risultò del colore della giada, con un sottile sapore di gelsomino. Fu accompagnato da sottili biscotti al miele incrostati di semi di sesamo, e da pasticcini all'anice, allo zenzero e ai fiori d'arancio. Mentre bevevano, la conversazione svariò dall'affermazione dell'agopuntura nella medicina occidentale alla provenienza del buddha di bronzo in un angolo del soggiorno e alla tecnica con cui i pittori giapponesi usavano il pennello. Peregrine si lasciò prendere tanto dall'ultimo argomento che dimenticò del tutto il motivo per cui Adam lo aveva condotto lì, finché Grace Fyvie arrivò per portare via il vassoio del tè e Lady Julian tornò a cose più attuali. «Sei stato un monumento di pazienza, Adam, mio caro», disse, «ma immagino che ora tu sia ansioso di riavere il tuo anello. Dammi un momento e te lo consegnerò.» Prima che i due uomini potessero offrirsi di assisterla, l'anziana donna manovrò la sedia a rotelle e si spinse fino a una scrivania finemente decorata all'altro lato della stanza. Quando fece ritorno, aveva in grembo una grossa scatola di legno scuro con borchie d'ottone, sul cui coperchio era inciso un drago rampante sullo sfondo di un panorama cinese. Quando aprì la scatola, dozzine di gemme d'ogni colore scintillarono sotto le sue dita. Frugò in uno dei piccoli scomparti interni per prelevare un bell'anello d'oro, in cui era incastonato uno zaffiro ovale. Lo porse a Adam con un gesto scherzosamente elaborato. Lui lo sollevò controluce per esaminarlo meglio, e il suo sorriso si fece subito molto più largo ed entusiasta. «Ah, Lady Julian, lei ha fatto un autentico piccolo capolavoro», dichia-
rò. «Se non ricordassi in che condizioni era, non riuscirei mai a capire che è stato danneggiato.» «La pietra, fortunatamente, non è stata colpita», spiegò Lady Julian, mentre Adam si metteva l'anello al dito. «È occorso un po' di lavoro, ma non ho dovuto rifare tutto il castone. Comunque, in futuro cerca di averne più cura.» Al suo tono di lieve rimprovero, Peregrine si agitò, a disagio, perché l'anello l'aveva lui, non Adam, quando la Spada degli Hepburn si era abbattuta su di esso. «La prego, non dia la colpa a Adam, signora», si sentì in dovere di dire. «Suppongo che lui non gliel'abbia detto, ma ero io a portare l'anello nel momento in cui è stato danneggiato.» Lady Julian lo guardò con un'espressione divertita che il giovane non riuscì a decifrare bene. «Oh, me l'ha detto», gli rispose. «È per questo che lui e io pensiamo che in futuro per lei sia consigliabile avere questo.» La donna aprì un altro scomparto interno della scatola. Peregrine sbatté le palpebre nel vederle tirar fuori un secondo anello. La pietra era uno zaffiro ovale tagliato a smeraldo, largo circa quanto quello di Adam. Il castone era liscio, ma il cerchietto era composto da due sottili e ben cesellati draghi cinesi, uno per lato. Benché questo gli desse un aspetto un po' diverso dall'anello dell'amico, la sua «presenza» psichica era molto simile. Peregrine lo guardò con occhi spalancati per la sorpresa, senza osare toccarlo. «Sicuramente non sarà per me», mormorò infine. «Al contrario», confermò Adam. «È tuo. Si tratta di un regalo, certo, ma... è un regalo che comporta certe responsabilità.» Quelle parole furono accompagnate da uno sguardo enfatico, il cui significato non andò perso per Peregrine. Visto che Lady Julian continuava a porgergli l'anello in silenzio, alla fine trovò il coraggio di allungare una mano e lo prese. «È molto bello», mormorò, rigirandolo fra le dita. «Io... vi ringrazio.» «Non te lo provi?» domandò Adam, divertito. «Oh, sì», annuì Peregrine, «naturalmente.» S'infilò l'anello al dito medio della mano destra, dove anche Adam portava il suo. La misura, scoprì, era perfetta. «Stupefacente!» esclamò. Si volse a guardare Lady Julian. «Lo ha fatto lei, non è vero? Ma com'è riuscita a indovinare la misura?» «Oh, non sono stata io a farlo, mio caro», lo corresse lei. «La pietra è
nuova, quella sì, ma l'anello è antico... molto antico. In quanto alla misura, l'ho leggermente modificata con l'esperta guida di Adam.» «E tu come facevi a conoscerla?» domandò Peregrine all'amico. Questi scrollò le spalle. «Non c'è niente di magico, vecchio mio. Mi sono preso la libertà di esaminare bene il tuo dito mentre ti ripulivo la ferita, quella notte al castello di Urquhart. Tu stavi, uh... guardando dall'altra parte, in quel momento, cosa per cui non posso biasimarti.» Peregrine ebbe un fremito al ricordo, ma la sua bocca si piegò in un sogghigno. «Già, suppongo che fossi alquanto preoccupato», ammise. «Ma lo sarebbe stato qualunque pittore, con la prospettiva di non poter più impugnare un pennello. Devo dire che stavi certamente guardando avanti.» Il giovane osservò ancora l'anello. Gli andava perfettamente a misura, ma sembrava stranamente pesante per le sue dimensioni, e così se lo tolse per studiarlo meglio. I draghi sui due lati del cerchietto avevano code che si attorcigliavano al centro, e le scaglie dei loro corpi erano finemente incise in ogni dettaglio. «Questo anello», iniziò, esitante, «ha per caso dei... dei...» «Dei poteri?» disse Adam. «No, nessuno, nella sua struttura fisica. Qualunque potere potrà impregnarlo in futuro, è una cosa che dipende da te.» «E io come potrò ottenere questo?» «Come ti ho già detto tempo fa», rispose Adam, «non è tanto una questione di fare qualcosa, quanto di diventare... e tu sei già ben avviato su questa strada. Ma se mi stai chiedendo una direzione in cui andare... Lady Julian?» La donna annuì saggiamente. «Sospetto che chieda qualcosa di più specifico. Se Peregrine lo vuole, io sono pronta a eseguire una lettura.» Peregrine guardò la padrona di casa, poi Adam, poi ancora lei. «Di che lettura sta parlando?» domandò. «Una specie di lettura della mano?» Lady Julian rise divertita, e ancora una volta Peregrine vide nei suoi occhi la fanciulla che era stata un tempo. «Suppongo che i non-iniziati la vedrebbero in questo modo. No, io le propongo di consultare I Ching.» «I Ching... vuol dire quel libro cinese?» «Tradotto rozzamente il titolo significa Libro dei Mutamenti», spiegò Adam. «Si dice che lo abbia scritto il leggendario imperatore cinese FuHsi nel IV millennio prima di Cristo. C'è gente che lo considera un libro di sacre scritture ma, interpretazioni filosofiche a parte, è uno dei più antichi e comuni metodi per la divinazione... o per i sortilegi. Generalmente l'indovino consulta l'oracolo gettando delle monete, oppure dei bastoncini co-
lorati. Lo schema secondo cui gli oggetti cadono contiene gli esagrammi, così chiamati perché le monete o i bastoncini vengono gettati sei volte. Le interpretazioni degli esagrammi sono contenute nel Libro dei Mutamenti.» Lady Julian confermò quella spiegazione con un cenno del capo, e riprese da dove Adam si era fermato. «Come oracolo, I Ching è unico, perché non ci dice se qualcosa di particolare sta per accadere. Piuttosto, dirige l'attenzione del postulante sulle scelte alternative a sua disposizione.» La donna sorrise a Peregrine e aggiunse: «Ho imparato l'arte dell'interpretazione dell'I Ching quando io e mio marito abitavamo a Hong Kong. Mi permetterebbe di guidarla attraverso una lettura?» Gli occhi di lei incontrarono quelli di Peregrine. In quel breve momento di contatto sentì di non avere segreti che lei non fosse preparata a condividere, se fosse stato necessario. Quella fiducia era contagiosa. «Naturalmente», le rispose. «Mi dica cosa vuole che faccia.» Lady Julian sorrise. «Prima di tutto, lasci che la introduca all'uso delle monete.» Infilò una mano sotto lo scialle che aveva in grembo e tirò fuori una borsa di seta spessa chiusa da un cordone. «In teoria qualsiasi moneta può andar bene, ma io preferisco queste.» La donna sciolse il cordone, e rovesciando la borsa fece uscire tre monete d'oro larghe quanto i pezzi da dieci pence, ciascuna con un foro quadrato al centro. Guardandole meglio, mentre lei le raccoglieva nel palmo di una mano, il giovanotto vide che avevano una faccia liscia e l'altra incisa con caratteri che gli parvero ideogrammi cinesi. «Queste monete furono coniate durante il regno dell'ultimo imperatore Manchu», spiegò Lady Julian, accarezzandone una fra il pollice e l'indice. «Le uso da molti anni. Sono sempre state amiche fedeli.» Quando le consegnò a Peregrine, le monete tintinnarono leggermente. «Le tenga chiuse fra le mani a coppa, mentre formula la domanda di cui vuole la risposta. Più specifica è la domanda, meglio è. L'altra cosa che deve tenere a mente è di rivolgersi allo spirito divinatorio dell'I Ching per invocarlo, senza dimenticare che questo spirito risiede simultaneamente dentro di lei. Quando si sentirà una cosa sola con l'oracolo... Adam direbbe 'centrato', getti le monete per sei volte sul tavolino che ha davanti. Io prenderò nota dei sei schemi, e alla fine le darò la risposta.» Peregrine annuì. Mise da parte l'anello, strinse le lucide monete d'oro fra le mani come gli era stato chiesto, quindi raddrizzò le spalle e chiuse gli occhi, respirando a fondo. Un senso di calma fluì nella parte cosciente del-
la sua mente, mentre lui faceva appello alle sue facoltà interiori. Continuò a trarre respiri ritmici, sempre più «centrato» e sereno, e in lui prese forma una domanda che gli appariva importante: Come posso servire i miei amici? Diede a se stesso il tempo di considerare altre possibili domande, ma ogni variazione conteneva lo stesso concetto basilare. Ovviamente quello era l'interrogativo di cui gli occorreva la risposta. La questione dell'invocazione fu più delicata, perché lui non sapeva bene se la natura dello «spirito» di cui aveva parlato Lady Julian fosse personale oppure animistica. Cercò di esaminare da diversi angoli quel concetto, ma alla fine lasciò perdere ogni incertezza e si limitò a offrire la sua volontà affinché fosse guidata. Io sono qui, disse all'oracolo. Mostrami ciò che devo fare. Aprì gli occhi e annuì per confermare che era pronto a eseguire il rituale. Adam spostò il tavolino più vicino a lui, e si protese per osservare mentre Peregrine gettava le monete per sei volte di fila, mentre Lady Julian prendeva nota degli schemi di ogni combinazione su sortile carta di riso. Quando il giovanotto finì, l'anziana donna mostrò loro il foglio su cui aveva disegnato un complesso esagramma composto di linee dritte, alcune intere, altre spezzate. Appoggiandosi allo schienale della sedia a rotelle, Lady Julian considerò il risultato con una luce astratta negli occhi neri. Poi parlò in tono misurato, elencando i diversi aspetti dell'esagramma. «La risposta alla domanda che lei ha pensato si trova nel cielo che sta in alto, il Chi-en, e nella palude sottostante, il Tui. Questi segni, presi insieme, sono il Lu, che significa 'camminare con cautela'. Il simbolo maggiore indica che c'è un pericolo sulla strada che conduce a un obiettivo desiderato. Il Libro dei Mutamenti dice: 'Il soggetto cammina sulla coda di una tigre'. E poi anche: 'L'uomo superiore discrimina fra l'alto e il basso, e offre la giusta stabilità alle anime delle persone'.» La donna fece una pausa, e la sua attenzione si concentrò su qualche particolare. Dopo un momento, continuò: «Lei ha un compito da eseguire, e nel farlo si troverà in pericolo. La discriminazione e la stabilizzazione... queste sono le chiavi per raggiungere il successo. Discriminare significa percepire i dettagli basilari nel mezzo della confusione. Stabilizzare significa agire con la capacità di un giudice, operando una correzione dove ci sono degli errori». Lady Julian fece un'altra pausa, come in attesa di qualche altra ispirazio-
ne. Mentre Peregrine aspettava ansiosamente, il volto di lei s'irrigidì come una maschera d'avorio. «Non riesco a vedere nient'altro», mormorò infine. «Il resto le apparirà chiaro quando il momento del giudizio sarà nelle sue mani. Ma stia attento. Qui c'è da temere qualcos'altro, oltre la tigre.» «La Loggia della Lince?» domandò Peregrine, prima di riuscire a controllarsi. Lady Julian fremette. «Loro sono i compagni dell'Ombra, e non rispettano le leggi, né quelle dell'uomo né quelle della natura», sussurrò. «Non c'è niente che non oserebbero fare per ottenere il potere...» La donna fu scossa da un tremito e tacque, chiudendo strettamente gli occhi. Osservandola meglio, Peregrine fu sconvolto nel vedere un improvviso luccichio di lacrime sulle sue guance. Spostò lo sguardo su Adam. Senza parlare, quest'ultimo appoggiò gentilmente una mano sul polso di Lady Julian. Lei mosse l'altra mano a coprire quella dell'amico e trasse un profondo respiro. Un momento più tardi riaprì gli occhi e, nel vedere l'espressione preoccupata di Peregrine, riuscì a sorridergli, sebbene a fatica. «Scusatemi, miei cari», disse, sottovoce. «Ci sono ferite che non si chiudono mai.» «Lady Julian ha perso suo marito nella nostra ultima campagna contro la Loggia della Lince», spiegò Adam. «E ho perduto anche una parte di me», aggiunse lei, guardando oltre Peregrine qualcosa che solo lei poteva vedere. «È successo quasi quindici anni fa. Ho sempre cercato di dirmi che questo era il prezzo che Michael ha dovuto pagare per la nostra vittoria. Ma ora che hanno ucciso Randall, e che la lotta è ricominciata...» La donna si voltò verso Peregrine. «Quando Adam mi ha chiesto di farle un anello, entrambi pensavamo che lei sarebbe stato un valido acquisto per la Loggia, pur non essendo addestrato. Ora sembra che lei ci trovi impegnati in una battaglia, con una falla nei nostri ranghi. Per la sua sicurezza, forse sarebbe meglio che si ritirasse fin d'ora, mentre è ancora in tempo.» Peregrine strinse i denti, e con gesto deliberato raccolse l'anello dal tavolino e lo strinse nel pugno. «Io non mi ritirerò, Lady Julian. Sei settimane fa ero quasi pronto per il suicidio, perché non potevo controllare il dono che mi è stato dato. Se non fosse stato per l'aiuto e i consigli di Adam, oggi sarei probabilmente morto o in manicomio. Se dicessi che non ho paura, mentirei spudoratamente. Ma la paura conta meno della possibilità di fare qualcosa di davvero meri-
tevole, nel corso della mia vita. E mi piace pensare di aver già dato qualche piccolo contributo.» Sulle labbra di Lady Julian ci fu un tremito, come se stesse per protestare ancora, ma Adam la precedette. «Peregrine sa ciò che vuol fare, amica mia», intervenne con fermezza. «È consapevole del pericolo. E finora ha già dato dei contributi tutt'altro che trascurabili. Il tempo, e Colui che È, decideranno ciò che sarà di noi.» A queste parole seguì un silenzio pesante, rotto solo dal tintinnio di un piccolo pendolo che batteva l'ora. Adam si voltò a guardare l'orologio con un sospiro, e Peregrine colse quel momento per infilarsi l'anello in tasca. «Bene, credo che sia l'ora di andare, mia cara amica», disse Adam in tono discorsivo, come se nulla fosse successo. «Questa sera passerà da Strathmourne una persona con cui dovrò discutere il preventivo per la ricostruzione del tetto di Templemor. Ma un'altra cosa, prima di andarcene... ha già pensato alla possibilità d'intervenire al funerale di Randall?» Lady Julian scosse il capo. «No. So che sarà martedì, ma non ho avuto il tempo di organizzarmi.» «Non c'è problema. Manderò Humphrey a prenderla, alle dieci e mezzo. Dopo la cerimonia, forse, avremo il tempo di fare due chiacchiere.» Quando i due uomini si furono accomiatati da Lady Julian, avviandosi lungo gli scalini della villetta, Peregrine strinse l'anello che aveva in tasca attraverso la stoffa della giacca e mantenne il silenzio. Aprì bocca solo quando furono fuori dal cancello, in strada. «Non mi metterò questo anello, Adam, finché non penserai che sono pronto», dichiarò, girando intorno alla Range Rover. «Ma voglio saperne di più. Lady Julian ha detto chiaramente che solo la pietra del castone è nuova. A chi apparteneva l'anello, prima di me?» Adam gli scoccò un sorrisetto da sopra la capote della macchina, mentre apriva la portiera. «La cosa non ti è sfuggita, eh? Non è difficile immaginarlo, comunque. L'anello apparteneva a Sir Michael Brodie, suo marito.» 15 Circondata da un parco ben tenuto, la villa chiamata Nether Leckie sorgeva sopra una morbida ondulazione del terreno, dietro un filare d'alberi che le facevano da schermo. Il grande edificio di pietra grigia era stato costruito da un industriale dell'epoca vittoriana, che aveva fatto fortuna producendo acciaio per i ponti di tutta la Scozia. Kippen, il paese più vicino,
si trovava circa venticinque chilometri a ovest di Stirling, il che rendeva Nether Leckie un posto tranquillo, ma non troppo lontano dalle comodità e dai vantaggi della città. Era una dimora che da qualche anno il suo attuale proprietario, Francis Raeburn, trovava perfettamente adatta alle proprie necessità. Il lunedì pomeriggio di quella settimana, Raeburn si era ritirato nell'intimità della biblioteca per esaminare il suo ultimo acquisto, appena recapitato per posta: un manoscritto anonimo del Xin secolo intitolato De Lapidibus. Prima dell'occupazione tedesca di Parigi, nel 1940, il manoscritto era stato di proprietà della Bibliothèque Nationale de France, a Parigi, della quale recava ancora il timbro e i dati della catalogazione. Il contatto di Raeburn non aveva voluto rivelare come fosse pervenuto nelle sue mani, e lui non glielo aveva chiesto. Aveva buone ragioni per credere che fosse stato scritto da uno studioso dell'epoca, che lavorava come scrivano al servizio dei Cavalieri Templari. Mentre lo apriva, Raeburn rifletté che lui era sicuramente una delle poche persone in grado di apprezzare quel manoscritto, sia per il contenuto che per il suo pregio di manufatto medievale. Ed era un reperto di valore eccezionale, frutto di lunghe ricerche, tanto che lui ne degustava il possesso con il piacere di un fine intenditore di vini. Accarezzò amorevolmente le pagine, apprezzando con le dita sensibili la patina accumulata nei secoli. Dietro di lui, il sole pomeridiano che entrava obliquamente dalle finestre, oltre le quali fili di nebbia scivolavano fra le colline di Gargunnock, si specchiava sui vetri che chiudevano gli scaffali colmi di libri. Dimentico di ogni altra cosa, Raeburn accese una lampada per illuminare meglio il manoscritto, ammirando l'abilità dello scrivano, la nitidezza delle parole latine e i margini, alcuni dei quali erano di per se stessi degni di nota. Stava ancora gongolando con occhi sognanti per la soddisfazione, e indugiava a studiare alcuni particolari artistici con una lente d'ingrandimento, quando fu distratto da un bussare alla porta. L'ingresso di Rajan, il suo cameriere indiano, fece apparire una smorfia seccata sulla faccia glabra di Raeburn. «Mi sembrava di aver detto chiaramente che non volevo essere disturbato», precisò con freddezza. La testa coperta dal turbante s'inchinò con misurato rammarico. «Le chiedo scusa, Mr. Raeburn, ma due agenti di polizia chiedono di lei. Dicono che desiderano parlarle brevemente. Ho controllato le loro credenziali e
li ho fatti passare nell'atrio. Il più anziano dei due è l'ispettore capo McLeod...» «McLeod?» L'aria seccata di Raeburn lasciò il posto a un certo interesse, temperato da un filo di sospetto. Con fare casuale chiuse il manoscritto che aveva davanti, borbottando: «Ci si aspetterebbe che questi rappresentanti della legge avessero la decenza di chiedere un appuntamento. Ad ogni modo, qualunque sia il motivo di questa visita senza preavviso, vediamo di sbrigarla il più in fretta possibile. Vai da questi signori e falli salire. Li riceverò qui». Rajan gli rivolse un inchino e uscì. Raeburn rimise il manoscritto nel suo involucro protettivo e lo chiuse nel cassetto superiore destro della scrivania. Mentre si passava il pettine fra i radi capelli biondi, dal corridoio provenne lo scalpiccio di passi che s'avvicinavano. Un deferente bussare alla porta annunciò il ritorno di Rajan, che fece entrare due uomini in impermeabile chiaro. «Questi sono i due signori della polizia, Mr. Raeburn», li presentò il cameriere, e si ritirò in corridoio, lasciando il padrone di casa in compagnia dei due indesiderati visitatori. «Buonasera, Mr. Raeburn», esordì il più anziano, facendosi avanti. Gli mostrò il distintivo. «Io sono l'ispettore McLeod, della polizia di Lothian and Borders, e questo è il mio collega, agente Cochrane. Se non le spiace, vorremmo porle alcune domande.» Raeburn approfittò del breve discorso introduttivo del funzionario per esaminarli entrambi. Cochrane era privo d'importanza per lui, dato che si trattava di un giovanotto neppure trentenne e senz'altro titolo che quello di «agente». L'ispettore McLeod, invece, non gli era affatto sconosciuto, almeno di nome e di reputazione, e meritava perciò di essere considerato meglio. Largo di spalle e robusto, appariva notevolmente in buona forma rispetto alla sua età, che giudicò intorno ai cinquant'anni. Gli occhi azzurri che brillavano dietro le lenti rotonde cerchiate d'oro erano insolitamente acuti. Ma questo non era tutto. Pur senza poter chiarire meglio quell'impressione, Raeburn avvertiva la lieve e indefinibile presenza di qualcos'altro. Incuriosito e reso cauto, si alzò dalla poltrona e porse la mano all'ispettore, con un gesto che quanti lo conoscevano bene avrebbero giudicato insolitamente affabile in un uomo come lui. «Francis Raeburn», si presentò con un sorrisetto misurato. «Non ho la più pallida idea del perché le autorità di polizia desiderino chiedermi qual-
cosa su qualsiasi argomento, ma se lei lo ritiene necessario, sarò lieto di offrirle la mia collaborazione.» La mano dell'ispettore, dalle dita tozze e ben curate, aveva una stretta solida. Raeburn la trattenne un momento più del necessario, valutando la possibilità di estendere in profondità le sue facoltà di percezione. Con sorpresa e costernazione avvertì però la netta impressione di un anello invisibile al dito medio della mano destra di McLeod, e un rapido sguardo mentre le loro mani si separavano gli confermò che l'uomo non portava nessun anello. Alla sinistra aveva una fede nuziale e l'orologio da polso, e l'unico altro ornamento visibile era una spilla da cravatta in oro. Ancor più incuriosito, Raeburn tornò a sedersi e indicò ai visitatori due sedie sul lato opposto della scrivania. «Prego, accomodatevi», sollecitò in tono casuale. «Ditemi pure in cosa posso esservi utile.» I due poliziotti sedettero sulle sedie indicate. Senza altri preamboli, McLeod tirò fuori da una tasca interna della giacca una fotografia, e attraverso la scrivania la porse a Raeburn. «Per cominciare, vorrei che lei desse un'occhiata all'uomo di questa foto e mi dicesse se lo riconosce.» Raeburn guardò la fotografia. Immortalava un uomo anziano, dai capelli grigi e con l'aria vagamente astratta dello studioso, ed era inconfondibilmente lo stesso individuo del dossier che aveva presentato al Maestro Anziano poco più di una settimana addietro. Scrutando l'immagine esibì un'espressione dapprima neutra, poi leggermente incerta, e infine inarcò le sopracciglia in modo vagamente perplesso. «È una faccia che ha qualcosa di familiare», disse a McLeod. «Non riesco a collegarla a un nome, ma posso dire di averla già vista da qualche parte...» Fece una pausa elaborata come frugando nella memoria, poi mandò un'esclamazione soddisfatta. «Ora ci sono! L'ho visto a Edimburgo... in un negozio di qualche genere. Mobili d'antiquariato?» E guardò speranzosamente McLeod. «Provi libri d'antiquariato», lo corresse l'ispettore. «Una libreria?» Raeburn ci pensò ancora, quindi la sua espressione s'illuminò. «Naturalmente!» esclamò. «Ora capisco di cosa si tratta. Il proprietario di quel negozio di libri, il membro della Massoneria assassinato in modo così eclatante... quand'è stato, la settimana scorsa? E come si chiamava... Stanley? No, Stewart. Randall Stewart! È lui, non è vero?» «Proprio così», confermò gravemente McLeod. Trasse un profondo re-
spiro. «Stiamo cercando di stabilire gli spostamenti di Mr. Stewart nella giornata di domenica, prima della sua morte. Da quanto ci dice la figlia, lasciò Edimburgo quel mattino verso le nove, si suppone per recarsi dalle parti di Stirling, dove aveva un impegno di lavoro, probabilmente la valutazione di una collezione di libri rari. Nessuno sa cosa gli sia successo dopo quell'ora, ma dato che si recava a Stìrling stiamo interrogando tutte le persone che potrebbero averlo visto in questa zona. «Il suo nome, Mr. Raeburn, figura nei registri di vendita di alcuni commercianti di libri», continuò. «A giudicare dal numero di spedizioni dirette a lei, la si può certo ritenere un appassionato di libri rari... e questo commercio era per l'appunto l'attività di Randall Stewart. Abbiamo pensato che sarebbe valsa la pena chiederle se è stato in contatto con lei, nella settimana che ha preceduto la sua morte.» L'ispettore scrutò Raeburn da sopra il bordo degli occhiali, e quest'ultimo sostenne tranquillamente il suo sguardo. «Temo di no. Non ho mai incontrato quest'uomo.» Allungò una mano sopra la scrivania per restituire la foto. «Pur essendo vero che compro libri rari con una certa frequenza, generalmente preferisco affidarmi alla competenza di agenti che trattano gli acquisti per me... ed evidentemente lei ha trovato il mio nome sui registri di uno o due di costoro. Voi dovete capire, signori, che il commercio di libri d'antiquariato è un territorio nel quale bisogna muoversi con le dovute cautele. Se il vostro Mr. Stewart ha contattato qualcuno, suppongo che sia stato uno dei miei fornitori... non me personalmente.» «Lo terremo presente», replicò McLeod, secco. Spostò il suo peso sulla sedia e continuò: «Passiamo a un altro punto: la questione della collezione che Randall Stewart progettava di valutare. Lei ha sentito niente circa una collezione di libri rari messa in vendita? Magari una vendita all'asta?» Raeburn scosse il capo. «Di nuovo, ispettore, temo che la risposta sia no. Ma del resto, come ho detto, io sono un collezionista, non un mercante. Le persone con cui dovrebbe parlare sono quelle che vivono con il commercio di libri d'antiquariato.» «Oh, lo stiamo facendo», annuì McLeod. «Non ne dubiti.» L'agente Cochrane aveva preso delle note su un taccuino. Fece una pausa e guardò il superiore, ma McLeod tenne i suoi occhi azzurri fissi sul padrone di casa. «Solo un'altra cosa per i nostri appunti, Mr. Raeburn. Lei potrebbe dirmi dove si trovava la notte di domenica 18 novembre?»
Raeburn si permise una lieve smorfia, come se considerasse un po' impertinente quella domanda. Poi si appoggiò allo schienale e assunse un'aria pensosa. «Il 18 novembre... vediamo, si tratta del weekend precedente a quello appena trascorso. Quel fine settimana ero a Glasgow, in visita a un amico. E, prima che me lo chieda, sì», aggiunse con un sorriso ironico. «Ho parecchi testimoni che possono confermarlo.» «Mi fa piacere, Mr. Raeburn. Può essere così gentile da darci il nome e l'indirizzo dell'amico in questione?» «Se lei pensa che sia importante.» Raeburn scrollò le spalle. «Ma spero che lei usi la necessaria discrezione, poiché si tratta di una signora.» Si volse all'agente Cochrane e disse: «Il nome è Ms. Angela Fitzgerald, Queen's Terrace, numero 23». Parlando gettò un breve sguardo a McLeod. L'ispettore sembrava abbastanza rassegnato e in apparenza soddisfatto delle risposte ricevute, ma nei suoi occhi azzurri c'era una luce che suggeriva qualcosa di diverso dalla semplice frustrazione professionale. Per una ragione che sul momento Raeburn non seppe approfondire, considerò improvvisamente la possibilità che McLeod appartenesse alla stessa Loggia massonica di Stewart. Un'altra occhiata alla spilla da cravatta dell'uomo gli confermò quello che evidentemente solo il suo subconscio aveva già notato: la spilla raffigurava una bussola contenuta in una sottile losanga. E così, l'ispettore è un massone, pensò Raeburn. Mi domando se non sia anche qualcos'altro. Il suo drammatico coinvolgimento nel disastro di Urquhart poteva senz'altro farlo supporre... anche se la sola appartenenza alla Massoneria bastava a giustificare alcune delle cose che Raeburn sapeva di lui. Forse l'impressione dell'anello invisibile alla mano destra era provocata da un anello massonico che, per qualche ragione, l'ispettore non portava sul lavoro. Il giovane agente, Cochrane, aveva doverosamente scritto il nome e l'indirizzo dati da Raeburn, e ora consegnò il taccuino a McLeod perché lo controllasse. Così, mentre l'attenzione di quest'ultimo era per il momento distratta, Raeburn tornò a guardargli ancora la mano destra. E le sue palpebre si strinsero. In quel breve contatto oculare, la sua seconda vista gli stava fornendo la vaga immagine dell'anello che l'uomo non portava: un cerchio d'oro con incastonato uno zaffiro azzurro... e stavolta ricevette anche la pulsazione di un potere di qualche genere, contenuto e incanalato da un
oggetto di controllo che doveva essere l'anello stesso. Quella scoperta bastò a far immediatamente ritirare la sonda mentale di Raeburn dietro le sue difese interne, e per mascherare la sorpresa finse di sfregarsi via un bruscolo da un occhio. L'anello che McLeod non portava al dito non era un semplice anello massonico! Benché nella sua immagine psichica fossero contenute anche delle risonanze massoniche, essa svelava un'iniziazione d'alto livello a qualche potente tradizione esoterica. Poteva perfino trattarsi di un anello portato dai membri di una delle perniciose e detestabili Logge di Caccia... il che avrebbe spiegato molte cose fino ad allora incomprensibili, specialmente sul disastro di Urquhart. Qualunque cosa fosse, quel McLeod non era affatto l'anonimo ispettore di polizia che sembrava essere. Mantenendo un atteggiamento assai lontano da ciò che provava in quel momento, Raeburn tornò a guardare il volto di McLeod. Il suo sondaggio psichico era stato rapidissimo, e l'uomo stava ora restituendo il taccuino al collega, in apparenza soddisfatto di ciò che aveva letto. «Allora, ispettore, c'è qualcos'altro che deve domandarmi?» chiese Raeburn in tono neutro. «Per ora no», rispose McLeod, alzandosi. «La ringrazio per il tempo che ci ha dedicato, Mr. Raeburn. Potremo trovarla qui, se avessimo bisogno di ulteriori informazioni?» Raeburn ridacchiò cordialmente, mentre tirava il cordone del campanello per chiamare Rajan. «Non si preoccupi, ispettore. Non ho fatto piani per trasferirmi all'estero. Le auguro buona fortuna con la sua indagine. Il mio cameriere vi accompagnerà alla porta.» Dopo che i due poliziotti se ne furono andati, Raeburn si accarezzò lentamente i corti capelli color paglia e rifletté sull'importanza della sua scoperta. L'arrivo di un Cacciatore in casa sua sollevava un insieme di domande difficili... sempre che, naturalmente, McLeod fosse veramente ciò che sospettava. Per dirne una, andava considerata la posizione di McLeod all'interno della sua Loggia. Raeburn dubitava che l'uomo fosse un Maestro della Caccia, ma ciò non escludeva che potesse rivelarsi un avversario formidabile. Il residuo di emissioni psichiche dell'anello ne era una prova sufficiente. Un'altra domanda pertinente concerneva le capacità particolari di McLeod. Di tutte le cose che avrebbe potuto essere, empatico o telepate, chiaroveggente o psicometrista, medium o divinatore, le prime tre sembravano improbabili, dato che l'uomo non si era accorto del suo sondaggio psichi-
co. Nello stesso tempo però Raeburn non poteva essere del tutto sicuro di non essersi tradito con qualche particolare che McLeod, dopo averci ripensato, avrebbe potuto identificare. In ogni caso, la presenza di un individuo come McLeod nelle forze di polizia era come una bomba a orologeria in attesa di esplodere. Se la bomba fosse esplosa troppo presto, c'era il rischio che danneggiasse seriamente un insieme di piani ben studiati. Eliminare McLeod sarebbe stato rischioso, questo era certo, ma non tanto rischioso come lasciarlo indagare in libertà. Il telefono sulla scrivania era a pochi centimetri dalla sua mano. Raeburn giocherellò con un fermacarte mentre metteva insieme tutte le variabili a cui poteva pensare, poi giunse a una decisione. Consultò un'agenda, sollevò il ricevitore e fece il numero della polizia di Lothian and Borders. Dopo tre squilli, gli fu risposto dal centralino. «Buongiorno», disse Raeburn. «Vorrei lasciare un messaggio per l'ispettore Napier. Quando arriva, dovrebbe per favore dirgli di chiamare suo zio...» La telefonata giunse circa un'ora dopo. Raeburn la prese in biblioteca, dov'era tornato dopo il tè per ammirare ancora il suo nuovo tesoro. «Napier», esordì una voce tenorile all'altro capo della linea. «C'è qualche novità?» «Sembra di sì», rispose pacatamente Raeburn. «Da dove chiama?» «Da un telefono pubblico, naturalmente. Da dove credeva che stessi chiamando?» Raeburn scartò quella domanda. «Abbiamo un problema.» «Me l'ero immaginato. Cosa c'è che non va?» «McLeod è stato qui. Lei ha un'idea del perché?» Silenzio. Poi: «Direi che è stata una visita di routine». «Così mi auguro. Ha detto che sta interrogando gente collegata al commercio di libri rari, alla ricerca di qualcuno che abbia visto Randall Stewart dalle parti di Stirling quella fatale domenica. Sono incline a credere che sia effettivamente così, ma ci sono degli elementi che mi inducono a supporre che sia un membro dell'opposizione. Anzi», si corresse Raeburn, «ne sono praticamente certo.» Napier grugnì fra i denti un'imprecazione oscena, poi chiese: «Pensa che McLeod sospetti di lei?» «Non posso dirlo con sicurezza. Ma non possiamo permettergli di diven-
tare un problema. Non a questo punto del gioco. Capisce cosa voglio dire?» All'altro capo della linea ci fu una pausa, quindi: «Capisco. Cosa vuole da me? Che gli organizzi un incidente?» «Niente di così scoperto. Occorre qualcosa che non desti sospetti.» Un'altra pausa. «Lei cosa suggerisce, allora?» «Voglio che mi procuri alcuni oggetti», disse Raeburn, prendendo nota a penna su un blocchetto di fogli. «Mi occorre qualcosa che porti la sua firma... un originale, non una copia. E... ah, sì, uno di quei bicchieri di plastica dei distributori di caffè, in cui McLeod. abbia bevuto. Pensa che sia possibile? Bene, questo dovrebbe essere sufficiente. Mi porti qui gli oggetti domani sera, e discuteremo la cosa nei particolari.» 16 La cerimonia funebre per Randall Stewart ebbe luogo il giorno dopo, nella grandiosità gotica della cattedrale episcopale di St. Mary, nel cuore di Edimburgo. Per Peregrine non fu un'esperienza dolorosa come le esequie cui aveva partecipato con Adam circa un mese addietro, ma in lui c'era un cupo senso di tragedia, perché era fin troppo consapevole della brutalità della morte di Randall, avendone visto il cadavere con i propri occhi. A differenza di Lady Laura Kintoul, la cui lunga e felice vita si era chiusa serenamente, lasciandole il tempo di preparare il trapasso e dire addio ai suoi cari, Randall era stato strappato alla vita prematuramente e i suoi ultimi pensieri erano stati di sofferenza e terrore. Peregrine lo aveva incontrato una volta sola, quel sabato mattina nel suo negozio, ma sapeva che Randall aveva contato molto per Adam, e che alleviare il dolore della perdita sarebbe stato difficile per coloro che lo avevano amato. Trovare i suoi assassini e consegnarli alla giustizia avrebbe aiutato in questo (e sventare qualunque malvagio proposito si fossero proposti con quel cruento sacrificio), ma non avrebbe riportato indietro Randall, né riempito il vuoto che la sua morte aveva lasciato. Rattristato da quei pensieri, Peregrine lasciò vagare lo sguardo per la chiesa mentre aspettava che il servizio cominciasse. Il catafalco cinto da corone di fiori era ancora vuoto, in attesa dell'arrivo della bara. L'organista stava suonando una fantasia di Pachelbel come preludio, e lui seguì la musica con una parte della mente, mentre i suoi occhi notavano facce conosciute fra la gente.
La cattedrale era affollata. Humphrey era arrivato poco prima con Lady Julian, e aveva parcheggiato la sua sedia a rotelle a lato della fila dove sedevano Adam e Peregrine, ritirandosi poi quietamente in disparte. L'anziana donna portava uno scialle di pizzo nero sui capelli d'argento, e teneva il capo chino, immersa nelle sue devozioni private. McLeod era arrivato quasi simultaneamente, in compagnia di una donna attraente dai capelli rossi che Peregrine non conosceva, ma che doveva essere la sua paziente consorte, Jane. I due si erano fermati più indietro, presso i ranghi dei fratelli massoni di Randall Stewart, benché McLeod non portasse a tracolla la fascia della Loggia. Il preludio dell'organo finì, e la famiglia Stewart fece il suo ingresso da una porta laterale per venire a sedersi nella prima fila. Con loro c'era Victoria Houston, che restò accanto a Miranda tenendola per mano. Quando era arrivato con Adam, Peregrine aveva visto Christopher sulla soglia della cattedrale, mentre aspettava l'arrivo del feretro in compagnia di altri due sacerdoti, un chierico che portava la croce e due ragazzini con le torce processionali. Miranda sembrava aver fatto appello al suo coraggio e cercava di tenersi eretta e composta, ma Peregrine si era sentito stringere il cuore nel vederla così pallida e mesta, e si domandò se sarebbe mai tornata a essere la vivace danzatrice tzigana che gli era parsa al loro primo incontro. Suonò un campanello. «Non sia turbato il vostro cuore!» esclamò padre Christopher Houston dalla porta della chiesa, citando il Vangelo di Giovanni, mentre veniva avanti seguito dal portatore della croce e dagli altri due chierichetti. Dietro di loro c'erano sei massoni in grembiule verde, con guanti di pelle e colletti azzurri, che portavano una bara coperta dalla bandiera con la croce di sant'Andrea bianca e blu, sulla quale era deposta una corona di rose rosse. Gli altri due sacerdoti chiudevano la fila. «Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me», continuò Christopher. «Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto.» Un posto... mentre gettava uno sguardo di tralice all'austero profilo di Adam, alzandosi con gli altri convenuti al passaggio della piccola processione, Peregrine si domandò se ci fosse posto per lui fra quelli che componevano la ristretta cerchia dei compagni di Adam. Ma come poteva presumere di riempire il vuoto lasciato dalla scomparsa di Randall? Per il resto del servizio si distrasse con quel pensiero, chiese a Dio di dargli il suo consiglio, lo pregò di benedire Randall e quelli che l'avevano amato, e si
augurò di essere all'altezza del lavoro che Randall aveva lasciato e che Adam e pochi altri continuavano a portare avanti. In quanto a Adam, non aveva nessun ruolo attivo da svolgere nel funerale e occupò il tempo offrendo il suo silenzioso tributo al defunto. Benché Randall Stewart fosse stato un compagno e un amico, lui e Adam non avevano rivelato apertamente il loro rapporto agli occhi altrui, perché una Loggia di Caccia, come la Massoneria, aveva buone ragioni per considerare il segreto una condizione necessaria per la sicurezza. Mentre il decano della cattedrale leggeva la preghiera di chiusura, Adam si scoprì a pregare che lui e gli altri membri della Loggia di Caccia riuscissero a superare senza troppi danni la difficile prova che li attendeva. «Oh, Padre di tutti, noi ti affidiamo coloro che non vedremo più su questa terra», recitò il decano. «Dona loro la pace, affinché la luce perpetua brilli su di essi, e nel tuo immenso potere accoglili presso la tua amorevole presenza. Nel nome di Gesù Cristo nostro Signore. Amen.» Seguì la benedizione del feretro. Le campane della cattedrale cominciarono a suonare mentre si formava la processione in uscita. Per desiderio della famiglia, la salma sarebbe stata cremata in privato quel pomeriggio, ma per il momento i sei massoni sollevarono di nuovo la bara e la portarono fuori, fra due file di confratelli rispettosamente schierati. Adam si lasciò condurre verso la porta dalla lenta processione, dietro il feretro e i familiari, mentre Peregrine lo seguiva; senza fretta, perché sotto il porticato della cattedrale si stava formando un po' di ressa a causa delle condizioni del tempo. Sporgendosi per guardare da sopra la testa di quelli più avanti, Adam vide ombrelli che si aprivano e raffiche di pioggia scrosciare sugli olmi di Palmerston Place. Dopo un rapido sguardo all'orologio da tasca, Adam si voltò a guardare la navata nella speranza che Humphrey non se ne fosse ancora andato, perché il programma prevedeva che il maggiordomo accompagnasse a casa Lady Julian e poi li raggiungesse alla veglia che si sarebbe tenuta nel negozio di Randall. Ma Humphrey doveva aver già portato fuori l'anziana donna da un'uscita laterale, perché non si vedeva da nessuna parte. «Vuoi che cerchi di raggiungerli prima che salgano in macchina?» si offrì Peregrine. «Varrebbe la pena di tentare», annuì Adam. «Nel frattempo io esco sotto il portico... e cercherò di fermare un taxi, se ne passerà uno.» Mentre Peregrine tornava indietro fra gli inginocchiatoi, Adam riportò la sua attenzione sulla gente in uscita e subito notò sul lato esterno della na-
vata un uomo, poco più anziano di lui, che indossava un soprabito militare e stava seguendo un altro individuo in uniforme. L'uomo si accorse del suo sguardo quasi nello stesso momento, e subito alzò una mano a salutarlo, facendo poi segno al collega che lo precedeva di andare pure avanti. Con un sorriso, Adam cambiò percorso e passò fra due file d'inginocchiatoi fino a portarsi sul passaggio laterale. Sul colletto del militare facevano bella mostra di sé i gradi di generale, e il berretto che aveva sotto un braccio era ornato da uno spesso cordone dorato. «Ehilà, Gordon», esclamò cordialmente Adam, porgendogli la mano. «Non ero sicuro che ti avrei visto qui.» Grigio di capelli e di occhi, il militare fece un sorriso che gli deformò i baffi tagliati a spazzola. «Potrei dire lo stesso di te, Adam. Ma tu conoscevi Randall per il suo lavoro di libraio, no?» «Sì, mio padre era uno dei suoi migliori clienti», rispose Adam, «e mi ha lasciato in eredità la passione per i libri rari, appena ho avuto l'età adatta per apprezzarli.» «Tuo padre ti ha reso un buon servizio», dichiarò Gordon. «Randall Stewart, che riposi in pace, era un uomo di solidi principi. Tu sapevi che prestò servizio nel mio reggimento durante la seconda guerra mondiale? Fu molto prima che mi arruolassi io, naturalmente, ma viene ancora ricordato come un ottimo soldato. E io so che era davvero un brav'uomo.» Sospirò. «Non ci sono molti come lui, al giorno d'oggi... ma forse è sempre stato così. La sua morte sarebbe stata dolorosa in ogni circostanza, tutti dobbiamo andarcene prima o poi, ma perderlo in questo modo...» Il generale scosse il capo, e con gesto automatico palpeggiò l'anello che portava al mignolo della mano destra. Lo sguardo di Adam fu attratto dallo scintillio scuro del castone, su cui era inciso un simbolo massone. L'espressione dell'altro si schiarì un poco quando notò l'occhiata di lui, e alzò l'anello per farglielo osservare meglio. «Continuo a sperare che un giorno o l'altro mi farai quelle domande. E sai a cosa mi riferisco, Adam. Sei circondato da massoni e hai sempre a che fare con loro... McLeod, per dirne uno, e io, e hai la tradizione di tuo padre e di tuo nonno, entrambi massoni del più alto grado.» Nello sguardo con cui Gordon accompagnò quelle parole c'era una sfida e un invito, ma anche un'ombra di rassegnazione, perché era una cosa di cui avevano già parlato altre volte. «Mi lusinga vedere che non rinunci a ricordarmi l'argomento, Gordon», rispose Adam, sorridendo. «Ma dimmi tu dove troverei il tempo. Con tutte
le responsabilità che già mi occupano la giornata, ho sempre pensato che farei una grave ingiustizia al tuo ordine se non partecipassi con tutto il mio impegno.» Il generale gli rivolse un sogghigno. «Pretendi da te stesso più di quanto gli altri si aspettano. Ma se dovessi cambiare idea, fammelo sapere.» Guardò verso l'uscita. «Be', penso che il mio autista abbia già portato la macchina in piazza, a quest'ora... Tempo da cani, oggi, eh? Posso darti uno strappo da qualche parte, o c'è Humphrey che si prende cura di te?» «In realtà», rispose Adam, «temo di aver affrettatamente spedito Humphrey ad accompagnare a casa Lady Julian, senza pensare che Peregrine Lovat e io saremmo rimasti bloccati dalla pioggia. Peregrine è andato a vedere se riesce a intercettarli prima che partano. In caso contrario dovremo andare alla veglia in taxi, e Humphrey ci raggiungerà più tardi, al negozio di libri.» Gordon annuì. «Se ti riferisci al giovanotto che ho visto seduto accanto a te durante il servizio, sta tornando giusto adesso.» «E sembra che non sia riuscito a trovare Humphrey», sospirò Adam, notando l'espressione rassegnata di Peregrine. «Sono sicuro che gli farà piacere sapere che non dovremo bagnarci. Peregrine, permettimi di presentarti una persona», disse, appena il giovanotto fu accanto a loro. «Gordon, questo è un mio buon amico, Mr. Peregrine Lovat. Peregrine, questo è il generale Sir Gordon Scott-Brown.» «Onorato di conoscerla, signore», mormorò Peregrine. «Gordon ci darà un passaggio fino alla libreria», lo informò Adam, incitandolo a proseguire verso l'uscita. Da lì a poco salirono tutti a bordo di una grossa Ford Granada azzurra. Mentre l'auto percorreva Princess Street e poi girava a sud sopra il ponte, proseguendo oltre la stazione di Waverley, Peregrine restò seduto in silenzio, sbattendo le palpebre e ascoltando Adam e il generale che parlavano del più e del meno. Il tragitto fino al negozio di Randall durò una decina di minuti, e quando furono scesi il giovanotto si voltò per seguire con lo sguardo l'auto che s'allontanava sotto la pioggia, mentre Adam si scuoteva via l'acqua dalle scarpe prima di entrare nella libreria. «Adam, quello era il generale Gordon Scott-Brown? Voglio dire, era lui?» «A quanto ne so, non ce n'è un altro», annuì Adam. Peregrine fischiò tra i denti, scuotendo il capo. «Ma è il capo delle forze armate scozzesi. Ho visto un suo ritratto al museo del reggimento, su al ca-
stello.» «Be', lui è il governatore del castello, e quello è il suo reggimento», replicò Adam, come se questo spiegasse tutto. «Andava da quella parte, è per questo che ha potuto darci un passaggio.» Peregrine cominciava ad abituarsi al fatto che Adam conoscesse una quantità di persone importanti. Anche lui, grazie al suo lavoro, ne aveva conosciuto qualcuna, ma qualcosa in quel particolare incontro gli parve insolito. La natura un po' estrosa della risposta dell'amico sembrava scoraggiare le domande serie, almeno per il momento, ma il giovanotto si trovò a chiedersi, mentre entravano nella libreria, se anche Sir Gordon fosse più di quello che appariva alla superficie. Quando furono dentro, trovarono subito McLeod, benché Jane non fosse più con lui. Dopo aver salutato i parenti di Randall Stewart, Adam lo prese in disparte per farsi aggiornare in breve sull'andamento delle indagini. L'ispettore non era di umore sereno. «Io e Cochrane abbiamo interrogato almeno una dozzina di persone, ieri», borbottò. «Ma per le informazioni che siamo riusciti a tirarne fuori, avremmo potuto risparmiarci il disturbo. Vorrei che qualche miracolo ci togliesse dai piedi la stampa. È già abbastanza duro il fatto di non riuscire a cavare un ragno dal buco, senza doverlo continuamente confessare a un branco di giornalisti assatanati.» Fece una pausa per addentare furiosamente un sandwich. «Se avessi vent'anni di meno», grugnì, mentre masticava, «mi farei trasferire al nucleo anti-sofisticazioni, così dovrei indagare solo sulle circostanze in cui vengono ammazzati pecore e bovini. Certi giorni non vedo l'ora di andare in pensione, credimi.» Adam sapeva bene che quelle dichiarazioni non dovevano essere prese sul serio, ma in quel momento condivideva la stessa frustrazione. Da lì a poco si separarono. McLeod aveva da fare in ufficio, Peregrine era atteso da un pomeriggio di lavoro al ritratto dell'ex sindaco di Edimburgo, mentre Adam doveva passare dall'ospedale per prendere accordi con il giovane psichiatra che si sarebbe occupato dei suoi pazienti nei due giorni che lui avrebbe trascorso a Londra. Sulla via del ritorno verso Strathmourne, poiché era già l'ora di pranzo, Adam chiese a Humphrey di fermarsi in un posto per comprare fish and chips, e Peregrine entrò a prenderne tre porzioni. Lui e Adam cominciarono a mangiucchiare le loro, seduti sul sedile posteriore, e Adam ne approfittò per mettere al corrente sia Peregrine che Humphrey sul programma del suo viaggio a Londra.
Adam aveva prenotato un posto sul volo di mezzogiorno per la capitale, e il giorno seguente, mercoledì, uscì di casa diretto all'aeroporto portando con sé una sola valigia. Humphrey lo condusse in macchina fino all'ospedale di Jordanburn, dove avrebbe avuto il tempo di fare il solito giro delle corsie. Sfortunatamente uno dei suoi pazienti più agitati aveva scelto quella mattina per manifestare energiche tendenze suicide, e il risultato fu che vennero le tre del pomeriggio prima che Adam potesse liberarsi. Humphrey non era tuttavia rimasto inattivo mentre il suo datore di lavoro affrontava quell'imprevista emergenza medica. Il volo successivo per Londra sarebbe partito alle tre e quarantacinque, e lui aveva provveduto a far spostare la prenotazione di Adam. Poi ricorse a tutta la sua abilità di conducente per districarsi nel traffico cittadino e raggiungere l'aeroporto in meno di tre quarti d'ora, appena in tempo per venire a sapere che l'aereo di Philippa Sinclair, anch'ella diretta a Londra, sarebbe arrivato in ritardo. Era già buio quando Adam atterrò a Heathrow, e una gelida nebbia aleggiava minacciosamente in prossimità delle piste. Appena entrò nel terminal, andò subito al più vicino monitor dei voli in arrivo, perché quel ritardo lo aveva portato oltre l'ora in cui era atteso l'aereo di sua madre. Con suo sollievo, un rapido sguardo ai numeri dei voli lo informò che a causa del ritardo sarebbe atterrato di lì a mezz'ora. Ringraziando il cielo di quella coincidenza, Adam ritirò la valigia e se la portò fino al bar dell'aeroporto adiacente alla sala degli arrivi internazionali, dove ordinò una tazza di tè e sedette a un tavolino. Oltre una vasta parete di cristallo rosato si vedeva la sala interna del bar. Sul lato opposto, la finestra panoramica che si apriva sul buio delle piste offriva lo spettacolo degli aerei che atterravano e decollavano, accompagnati dai sibili tonanti. Luci in movimento... laghi di tenebra... prima che Adam se ne accorgesse, i suoi pensieri scivolarono sul ricordo del suo recente viaggio nei Piani Interni, e sulle sibilline parole del Maestro circa il lavoro che attendeva Peregrine Lovat. L'immagine spezzata deve essere riparata... il tempio della luce deve essere ricostruito... Mentre ci rifletteva sopra, Adam si trovò a cercare di conciliare quelle esortazioni con l'interpretazione dell'esagramma dell'I Ching fatta da Lady Julian. «Discriminare» aveva detto la donna «significa percepire i dettagli basilari nel mezzo della confusione. Stabilizzare significa agire con la capacità di un giudice, operando una correzione dove ci sono degli errori.» Immagini spezzate. Confusione. Adam non aveva dubbi che entrambe le
sentenze dell'oracolo si riferissero alla distruzione di tutte le personalità soggiacenti a quella di Gillian Talbot, il devastato panorama psichico che lui aveva visto nella mente della ragazzina quand'era stato in contatto con lei, all'ospedale dov'era ricoverata. A ridurla in quel modo erano stati gli accoliti della Loggia della Lince, che avevano profanato il sepolcro di Michael Scot per costringere, ahimè troppo rozzamente, lo spirito dello stregone medievale a rivelare l'ubicazione della grotta in cui era nascosto il suo tesoro. L'immagine del tempio da ricostruire era certo un riferimento metaforico alla totalità dell'individuo... ma come ricostruire una rovina di quel genere? Nella sua mente apparve all'improvviso l'immagine di un'altra rovina, di natura più materiale: Templemor Tower, ora in corso di restauro. Non aveva molto in comune con il caso Talbot. Come restaurare una rovina? si domandò. In una struttura edile come un vecchio castello, è ovvio. Si comincia con la stabilità delle mura esterne... Stava ancora ruminando sulle possibili analogie di quell'intuizione, quando fu interrotto da un crepitio dell'altoparlante del terminal, e una voce femminile annunciò che il volo 214 della British Airways da Boston era appena atterrato. Adam si prese il tempo per finire il tè, sapendo che sua madre sarebbe stata trattenuta dalle formalità dell'immigrazione, dal ritiro bagagli e infine dalla dogana. Dopo venti minuti prese la valigia e si recò in uno dei negozi del terminal, dove acquistò alcune orchidee fresche. Quando uscì nel grande salone, in un punto da cui poteva tenere sott'occhio le porte della dogana, i primi passeggeri appena sbarcati dal volo da Boston cominciarono ad apparire nella zona incontri, dove numerose persone attendevano il loro arrivo. Con un po' d'impazienza Adam scrutò la gente che veniva da quella parte, e poco dopo la vide: una figura snella dai capelli platinati, con un soprabito rosso e un cappellino intonato, che incedeva a passi decisi scortata da un piccolo gruppo d'impiegati dell'aeroporto. In gioventù, Philippa Sinclair era stata una vera bellezza, e a settantacinque anni d'età riusciva ancora a essere una donna di bell'aspetto, elegante e perfettamente curata, con un volto liscio e limpidi occhi neri. Un giovanotto con la divisa della British Airways le camminava accanto, parlandole sottovoce e agitando le mani con fare conciliante, mentre dietro di loro un uomo di mezz'età con il camice della dogana stava discutendo con due fac-
chini in tuta gialla, uno dei quali spingeva il carretto con sopra i bagagli di Lady Sinclair. La donna sembrava ignorare con regale indifferenza gli sguardi curiosi dell'altra gente. Anche a quella distanza Adam poté vedere la calma risolutezza con cui procedeva, a testa alta. Sorridendo, perché era proprio da lei fare quel genere di entrate alla grande, Adam si mosse da quella parte e alzò una mano per attrarre la sua attenzione. Appena sua madre lo vide, la formidabile calma lasciò il posto a un sorriso smagliante. Con un rapido cambiamento di rotta, Philippa deviò verso di lui, mentre gli impiegati al suo seguito s'affrettavano a tenerle dietro. Quando s'incontrarono Adam l'abbracciò con forza, emozionato dal rivederla dopo tanti mesi, poi sorrise affettuosamente e le presentò le orchidee. «Buon Dio, Philippa», mormorò, guardandola da capo a piedi. «Non puoi andare in un posto senza creare un po' di confusione, vero?» La risposta della donna a quella domanda fu un lieve sorriso ironico. Dopo aver annusato il profumo dei fiori si alzò in punta di piedi e lo baciò su una guancia. Infine lo prese a braccetto e s'avviò con lui, gettando un'occhiata a quelli che le stavano dietro. «Sembra che qualcuno abbia perso una delle mie valigie, fra Boston e Londra», lo informò, con un misto di accento americano e delle Highland. «Le indagini sono in corso, ma finora nessuno ha capito dov'è andata a finire. Mi sono affidata a Mr. Martin, qui, perché la faccenda sia presto chiarita.» Lo sguardo che diresse al giovanotto in divisa nel dir questo fu però alquanto scettico. Benché fosse compassionevole per natura, Philippa non aveva nessuna pazienza con gli incompetenti. Il funzionario esibì un melenso sorrisetto di scusa e i suoi occhi rivolsero a Adam un muto appello alla comprensione. «Ci stiamo lavorando, Lady Sinclair», ribatté. «Sono davvero mortificato per l'inconveniente, ma non ho dubbi che la valigia salterà fuori molto presto. Se non è stata caricata su questo volo, a Boston, sarà a bordo del successivo. A questo punto non mi resta che chiederle il nome del suo albergo, e provvederò a fargliela recapitare non appena arriva.» «La ringrazio, lo apprezzerei molto», disse un po' acidamente lei, e gettò un'occhiata interrogativa a suo figlio. «Saremo al Caledonian Club fino a venerdì», precisò Adam, porgendo al funzionario una banconota e un biglietto da visita che sfilò da un portabiglietti d'argento con il suo monogramma. «Se per risolvere la situazione
occorresse più tempo, lo steward del club vi pregherà di recapitare la valigia alla mia residenza, in Scozia. Confido che questo non sarà un problema.» L'altro guardò il biglietto. «Niente affatto, Sir Adam. La ringrazio molto, e scusate di nuovo. È un piacere averla avuta con noi, Lady Sinclair.» Philippa gratificò il giovanotto con un cenno d'assenso abbastanza gelido e proseguì in direzione dell'uscita, mentre Adam si voltava per indicare al facchino di seguirli. Presero un taxi sotto la pensilina principale del terminal. Adam diede al conducente l'indirizzo, supervisione il carico delle valigie, pagò il facchino e quindi si rilassò sul sedile posteriore, guardando la madre con affetto, mentre l'auto si metteva in strada. «Spero che in quella valigia non ci fosse nulla d'insostituibile», disse. «Se finisse a Parigi senza che nessuno la reclami, potrebbero sospettare che sia una bomba dei terroristi arabi e distruggerla.» Philippa annuì distrattamente. «No, caro, dentro non c'è nulla d'importante; solo un assortimento di cosette personali delle quali posso anche fare a meno. Se ti sono sembrata troppo severa con quel giovanotto, è perché aveva insinuato che io l'avessi persa. Se c'è una cosa che non sopporto, è gente troppo pigra per fare il lavoro per cui viene pagata.» D'un tratto s'interruppe e scosse il capo, ridacchiando di se stessa. «Mio Dio, che irascibile vecchia signora sono diventata dall'ultima volta che ci siamo visti. Dovremmo stare insieme più spesso. Se pensassi di poter lasciare la gestione della clinica a qualcun altro, mi ritirerei in un cottage sull'isola di Arran e mi dedicherei alla coltivazione di petunie per gli anni che ancora mi restano!» Adam sorrise. «No, non lo farai mai. Tu hai bisogno di lavorare per vivere. Come me, del resto. Ma a proposito, come va la clinica?» Le spalle di Philippa si strinsero. «C'è sempre da fare. Più di prima, anzi. Ricoveriamo un gran numero di pazienti provenienti da altri ospedali. Probabilmente questo è dovuto alla nostra reputazione, che è sempre ottima. Ma ciò significa allargarsi e assumere altro personale. Negli ultimi mesi ho preso tre nuovi specialisti. Due sono psichiatri competenti, e il terzo dovrà farsi le ossa, ma ha del talento e m'interessa vedere dove saprà arrivare.» Dopo una pausa, la donna scrutò il figlio con attenzione. «E tu? Come vanno le cose, sul fronte interno?» «Se mi stai chiedendo come vanno all'ospedale, negli ultimi tempi non ci sono state novità, a parte un'altra rivoluzione nel National Health Service
che ci ha sepolti sotto un'infernale quantità di scartoffie. In quanto al resto...» Adam abbassò la voce. «Finora, quanto hai saputo della morte di Randall?» «Abbastanza da convincermi che nella cosa c'è più di quanto possa capire la polizia... a parte il tuo ispettore McLeod, naturalmente.» Il volto di Philippa si fece serio, e prima di continuare diede uno sguardo alla schiena del conducente. «Di questo sarà meglio parlare più tardi. Per ora, ti basti sapere che mi dispiace molto che tu abbia perduto un amico in questo modo.» Il Caledonian Club era l'abituale alloggio londinese di Adam. Una volta scesi dal taxi, lui e Philippa lasciarono il portiere a occuparsi dei bagagli e passarono nell'atrio. L'impiegato al banco conosceva Adam e gli venne incontro, con un sorriso di benvenuto. «Buonasera, Sir Adam.» «Buonasera, Tom. Questa è mia madre, Lady Philippa Sinclair. Credo che siano state prenotate due camere adiacenti per noi.» «Infatti, Sir Adam. Ho preso io stesso la prenotazione. Se non le spiace firmare il registro, prenderò subito le chiavi.» Mentre tornava dietro il banco, aggiunse: «C'è un messaggio telefonico per lei, signore. È stato ricevuto venti minuti fa». L'uomo gli consegnò due chiavi e un biglietto piegato in quattro. Adam lo aprì, girandolo verso la luce. Per Sir Adam Sinclair, urgente, c'era scritto, a mano. Novità importanti. Le chiedo rispettosamente di telefonarmi a casa, appena può. Humphrey. Senza dire niente, Adam passò il biglietto a Philippa, che mormorò: «Penso che farai meglio a chiamarlo». «Se è urgente, signore, può anche chiamare da questo apparecchio», propose Tom. «Grazie», annuì Adam. Compose il numero di Strathmourne House, e Humphrey rispose dopo un paio di squilli. «Salve, Humphrey. Ho appena prelevato mia madre all'aeroporto e ho avuto il messaggio che mi hai lasciato al club. Cosa c'è di nuovo?» «Una donna sta cercando di mettersi in contatto con lei, signore, per via di sua figlia», lo informò Humphrey, la cui abituale compostezza al telefono era velata d'eccitazione. «Mi ha lasciato il suo nome, Mrs. Iris Talbot.» La madre di Gillian Talbot! «Capisco», rispose Adam con calma, tenendo a freno l'emozione. «Sup-
pongo che stesse telefonando da Londra.» «Proprio così, signore. Ho qui il suo numero di telefono, se vuole prenderne nota.» Adam stava già cercando una penna sul banco. «Sono pronto, Humphrey, vai avanti.» Annotò il numero sul retro del foglietto dell'albergo e lo rilesse per farselo confermare da Humphrey. Dopo aver riappeso si volse a Philippa, che tuttavia lo precedette alzando una mano. «Vedo che la cosa ti interessa molto, e in quanto a me sto morendo per una tazza di tè. Puoi occuparti delle tue cose da qui, se vuoi, mentre io faccio portare su i bagagli.» «Non importa», disse lui, vedendo che il fattorino dell'albergo stava già arrivando con le valigie. «Posso telefonare dalla mia camera. Il tè ce lo facciamo servire di sopra.» Mentre seguivano il fattorino nell'ascensore e poi verso le loro camere, Adam ringraziò il cielo che Mrs. Talbot lo avesse chiamato proprio quella sera, anche se la cosa lasciava intuire un peggioramento nelle condizioni di Gillian. In ogni modo non avrebbe potuto scegliere un momento migliore. Quando fu da solo nella sua camera, si tolse il soprabito e chiamò il numero che Humphrey gli aveva dato. Rispose quasi subito la voce di un uomo, dal tono grave e preoccupato. «Buonasera», esordì Adam. «Sono il dottor Sinclair, dello Jordanburn Hospital di Edimburgo. Ho avuto un messaggio in cui mi si chiede di mettermi in contatto con Mrs. Iris Talbot...» «Il dottor Sinclair?» esclamò l'uomo, prima che lui potesse dir altro. «Oh, grazie al cielo. Aspettavamo la sua chiamata. Io sono George Talbot, il marito di Iris. Noi... riguarda nostra figlia, Gillian.» «Naturalmente. Ricordo bene il suo caso», disse pacatamente Adam. «Come posso aiutarla, Mr. Talbot?» «Ecco, si tratta di Gillian, dottore», rispose l'altro. «Quando lei ha parlato con mia moglie, il mese scorso, le ha detto... cioè, le ha lasciato capire che... se le condizioni di nostra figlia non fossero migliorate avremmo potuto rivolgerci a lei per un altro genere di terapia.» «Dunque, devo supporre che le condizioni di Gillian non sono migliorate, è così?» «No, affatto. Anzi, è peggiorata. I medici del Charing Cross hanno tentato di tutto, ma niente ha funzionato. Gillian scivola in un coma sempre più profondo. Noi abbiamo parlato con la dottoressa Ogilvy, quella che si occupa del caso, e lei è stata d'accordo di affidarci alla sua competenza pro-
fessionale. So che questo è chiederle molto, dottore, ma... lei pensa di poter visitare Gillian?» «Naturalmente, lo farò al più presto», gli assicurò Adam. «Per combinazione, proprio in questi giorni sono a Londra per una faccenda personale. Perché non ci accordiamo di vederci domani stesso, all'ospedale? Sarebbe meglio se fosse presente anche la dottoressa Ogilvy. A che ora è solita fare il suo giro nelle corsie?» «Generalmente arriva in camera di Gillian verso le dieci», rispose Mr. Talbot. «Ma se lei pensa che sia troppo presto...» «Alle dieci in punto va bene», confermò Adam. «Inoltre, se ne avrò la possibilità, vorrei portare con me un'altra psichiatra, una collega.» 17 Quando Adam andò nella camera adiacente, trovò sua madre rannicchiata su una grossa poltrona, scalza e con le gambe piegate sotto di sé come una ragazzina, intenta a bere il tè da una delicata tazza di porcellana. Il suo sorriso illuminò la stanza, mentre deponeva la tazza e ne riempiva una anche per lui. «Ebbene?» gli domandò. «Di che si tratta?» Adam sedette nella poltrona di fronte e accettò la tazza che gli veniva offerta, a cui aggiunse latte e un po' di zucchero. «Ricordi la ragazza Talbot di cui ti ho parlato per telefono qualche settimana fa, quella collegata alla faccenda di Michael Scot?» chiese, mescolando il tè. «Naturalmente.» «Be', i genitori si sono finalmente messi in contatto con me», spiegò Adam. «Vogliono che prenda in cura la figlia.» Philippa inarcò un sopracciglio, e l'impressione di fanciullesco abbandono lasciò il posto à un'aria professionale e attenta. «Da quello che mi hai detto, sono sorpresa che ci abbiano messo tanto.» Adam sorseggiò il tè. «Meglio tardi che mai. Spero solo che sia ancora possibile salvare la situazione.» «Certo non sarà facile.» Philippa si strinse nelle spalle con una smorfia eloquente. «Povera anima, passata e presente! Spero che quando questo mio involucro fisico sarà sottoterra da otto secoli, nessun miscredente cercherà di farvi rientrare il mio spirito!» Dopo una pausa, aggiunse: «Come pensi di spiegare la cosa ai genitori della ragazzina?» «Se vorranno una diagnosi formale», rispose Adam, «suppongo che definirò il problema come un 'disordine della personalità'... cosa che è abba-
stanza vera, del resto.» Scrollò le spalle. «Ad ogni modo, li inviterò a lasciarmi trasferire Gillian a Edimburgo. Mi è stato fatto capire che il mio nuovo amico dovrà essere coinvolto nella risoluzione del caso, e non posso portarlo a lavorare qui... specialmente perché non sappiamo ancora che genere di lavoro sarà. A parte questo, ho altre faccende che mi trattengono a Edimburgo.» «Su questo non c'è dubbio», concordò lei. «Be', non credo che i genitori si opporranno. Suppongo che si siano ormai convinti che tu rappresenti l'ultima speranza per la loro figlia.» Fece una pausa, poi aggiunse pensosamente: «Mi chiedo se la Loggia della Lince conosca l'esistenza di Gillian Talbot». Adam depose la tazza vuota e scrollò le spalle. «Difficile dirlo. Avrei potuto pensare che la sua esistenza fosse nota a quelli che hanno profanato il sepolcro all'abbazia di Melrose. Dovevano pur sapere che avrebbero costretto lo spirito di Scot a uscire dalla sua incarnazione attuale. E se un membro di quella squadra fosse sopravvissuto al massacro di Urquhart, potrebbe aver passato l'informazione ad altri agenti della Loggia. Per quello che vale.» «E cosa vale, questa informazione?» Adam fece una smorfia. «Vorrei saperlo. Nelle condizioni in cui si trova, Gillian non ha la minima importanza per loro. Ma la situazione potrebbe cambiare da un momento all'altro, se i nostri nemici sospettassero che può essere guarita. Dopotutto, almeno una delle sue personalità interne, quella di Michael Scot, ha conoscenze esoteriche che la Lince vuole. Se pensassero che desideriamo procurarcele noi, e magari ottenere degli indizi su ciò che loro si propongono di fare... questo basterebbe per indurli a eliminarla, piuttosto di evitare il rischio che ci passi queste informazioni.» «In altre parole», disse Philippa, «meno si sa in giro di questa faccenda, meglio è.» Adam annuì. «Non sono molto entusiasta di doverla trasferire a Edimburgo... benché questo sia necessario, se voglio lavorare su di lei abbastanza da ottenere un risultato. Però lassù sarà troppo vicina a ciò che la Lince sta progettando, qualunque cosa sia.» «Che ne pensi di metterla in una clinica privata?» suggerì Philippa. «Avresti maggiore sicurezza, più intimità, e saresti più libero di fare quello che vuoi.» «Qui siamo in Inghilterra, non in America», le ricordò lui. «Io devo lavorare all'interno di un sistema molto rigido. Finché la ragazzina è una pa-
ziente di una struttura pubblica, ci sono dei limiti su quanto io posso deviare dalle procedure standard. Il solo fatto di trasferirla in Scozia desterà fin troppe perplessità. E una volta che Gillian sarà là, dovrò farmi notare il meno possibile, mentre penserò a cosa fare con lei.» «In questo caso», replicò Philippa, «mi sembra che non sarebbe una cattiva idea se alcuni membri della Loggia di Caccia si assumessero l'incarico di sorvegliare la ragazzina, nel frattempo.» E guardò il figlio con espressione significativa. Adam sorrise. «Devo supporre che ti offriresti volontaria?» «Perché no?» «Già, perché no?» Adam guardò la madre con rispetto e affetto. «Ogni agente della Lince che vedesse in te una preda facile potrebbe avere una brutta sorpresa.» «Mi piace pensare di non aver perduto le mie capacità», disse lei, con un sorriso che si trasformò in uno sbadiglio, mentre si stiracchiava. «Buon Dio, scusa, ti assicuro che non è la tua compagnia. È stata una giornata lunga, e io ho bisogno del mio sonno di bellezza.» «Hai ragione! Sei ancora con il fuso orario di Boston!» esclamò Adam. «Avresti dovuto ricordarmelo prima.» Guardò l'orologio. «Io... be', non voglio costringerti, ma mi chiedevo se te la sentiresti di venire con me all'ospedale per vedere la nostra paziente, domattina alle dieci. I Talbot mi hanno permesso di portare una collega, ma la decisione spetta a te.» «Come se io potessi impigrire a letto quando siamo in gioco!» Negli occhi di Philippa ci fu una scintilla bellicosa che smentiva i suoi capelli bianchi. «Se dovrò essere il cane da guardia della ragazzina, meglio cominciare al più presto. In Scozia saremo sotto il fuoco nemico, e io non voglio lasciare niente al caso.» Adam e Philippa Sinclair non potevano saperlo, ma non erano i soli a fare piani a lungo termine in quella piovosa sera di novembre. Trecento chilometri a nord del confine scozzese, fra le rupi bianche di neve dei monti Cairngorms, dodici accoliti della Loggia della Lince in saio bianco sedevano a gambe incrociate nella torre del loro tetro castello, schierati in circolo attorno al loro capo e in attesa di un visitatore. Oltre il freddo sibilo del vento che frustava le antiche mura, il Maestro Anziano fu il primo a udire il rombo di un elicottero in avvicinamento. Distogliendosi dalle sue meditazioni, sollevò la testa calva e diresse uno sguardo penetrante alla figura in saio seduta più vicina alla porta.
La donna annuì docilmente e si alzò in silenzio, chiedendo il permesso di abbandonare il circolo con un gesto rituale e inchinandosi prima di uscire dalla camera. Quando fece ritorno, dieci minuti dopo, con lei c'era Francis Raeburn, anch'egli a piedi nudi e abbigliato come gli altri in un candido saio monacale. La donna aveva con sé un oggetto chiuso in un involto di seta scarlatta, che consegnò con reverenza al Maestro Anziano per poi tornare a sedere al suo posto. Con le mani giunte all'altezza dello sterno, il nuovo venuto avanzò fino al centro della camera e s'inchinò profondamente. «Maestro Anziano», salutò. Il Maestro lo guardò da capo a piedi, con espressione illeggibile sul volto glabro come una pergamena nella luce gialla delle lampade a gas. «Maestro della Lince», rispose, con voce arida e fredda, «mi consenta di darle il benvenuto in questa memorabile occasione... anche se lei è piuttosto in ritardo.» Quel lieve rimprovero mandò un fremito nell'atmosfera della camera, simile a una scintilla d'elettricità statica. Raeburn piegò la testa bionda e disse in tono compunto: «Mi scusi, Maestro. Io non ho il privilegio di controllare il tempo su questa regione». La sua era stata una frase neutra, una semplice constatazione di fatto, ma provocò una reazione fra gli accoliti, lungo il cui circolo parve correre un brivido. Il Maestro Anziano invece si limitò ad annuire impercettibilmente. «Ora che lei è qui, faccia il suo rapporto, prego.» «Certamente, Maestro Anziano», disse Raeburn, con un altro inchino. Raddrizzò le spalle, consapevole dell'invidia dietro gli occhi attenti di alcuni degli accoliti presenti, non pochi dei quali avevano i loro motivi personali per irritarsi dei suoi successi. Gli sviluppi recenti gli facevano pensare che avrebbe dovuto agire con accortezza, se voleva sperare di mantenere la sua posizione di preminenza. «Tutti noi conosciamo bene i nostri obiettivi, nell'attuale campagna», iniziò con voce morbida, infilando le mani nelle maniche. «Stando così le cose, non vedo motivo di ripeterli qui. Basti dire che il prossimo bersaglio è stato designato, unitamente all'ora e al luogo dell'esecuzione. Prima della fine di questa settimana, un altro pilastro del Tempio sarà caduto, e noi avremo ottenuto altro potere per dare concretezza ai piani del nostro Padrone.» Nel parlare, Raeburn non distolse i pallidi occhi azzurri dal volto incar-
tapecorito del Maestro. Ciò nonostante era ben consapevole di ciò che giaceva sul pavimento fra di loro: una pila di pergamene gialle ammucchiate su un tappetino di pelle di montone nera, e sopra le pergamene l'involto scarlatto contenente il collare che lui aveva appena restituito. Poteva quasi sentire fisicamente la sua potenza oscura, come una pulsazione di tuoni subsonici... potenza sigillata con il sangue, e che presto sarebbe stata incrementata da altro sangue. Il desiderio di riaverlo in suo possesso era come la smania di un drogato. Semi-intossicato dall'emozione, si riprese con uno sforzo, ricordando a se stesso che non aveva ancora finito il suo rapporto. «In breve», continuò, «i nostri piani stanno procedendo secondo il programma. C'è tuttavia una complicazione.» La faccia del Maestro Anziano s'irrigidì. «Si spieghi.» Raeburn sostenne lo sguardo del vecchio senza batter ciglio. «Prima, mi consenta di assicurarle che mi sto occupando del problema. Riguarda un ispettore di polizia di Edimburgo. Lei ricorderà che lo abbiamo menzionato nella nostra ultima conversazione, alcuni giorni fa.» Gli occhi del vecchio, incavati nelle orbite, assunsero una luce maligna, da rettile, mentre si umettava con la lingua le labbra sottili. «L'ispettore McLeod», sibilò. «Proprio lui», annuì Raeburn. «Ho avuto il dubbio piacere di una sua visita a casa mia, due giorni fa. Durante il colloquio, che concerneva una questione di semplice routine burocratica, mi sono preso la libertà di applicargli un certo... test. Ora sono in grado di confermare ciò che prima sospettavamo soltanto: l'ispettore McLeod è quasi certamente membro di una Loggia di Caccia.» Quella rivelazione inaspettata provocò una certa agitazione fra gli accoliti presenti, anche se nessuno osò far domande. Il Maestro Anziano mise a tacere il brusio con uno sguardo penetrante, prima di riportare la sua attenzione su Raeburn. «Lei dice di averlo sottoposto a un test. Spero che non sia stato così sciocco da tradirsi, mentre lo faceva.» «No.» Raeburn si permise un tono fiducioso. «L'ispettore ha una forza considerevole, ma scarsa sensibilità. Difficile da sopraffare, ma facile da manovrare. Stando così le cose...» fece una pausa, con un sorrisetto, «ho già sviluppato quello che promette di essere un buon metodo per toglierlo di mezzo... definitivamente.» Vedendo che aveva l'attenzione di tutti i presenti, spiegò loro ciò che a-
veva fatto. Quand'ebbe finito, il Maestro Anziano lo scrutò con sguardo calcolatore. «Sembra che lei abbia saldamente in mano la situazione», riconobbe freddamente, «almeno per ciò che riguarda McLeod. Ma lui non è il solo a cui dovremmo dedicare la nostra attenzione. Cosa mi dice di quell'intrigante di Adam Sinclair? Se lei ha ragione su McLeod, allora anche Sinclair è quasi sicuramente un Cacciatore... forse perfino il loro capo. Cos'ha fatto per impedirgli di andare in aiuto di McLeod?» Il sorriso di Raeburn era freddo quanto i suoi occhi. «Ho fatto un lavoro completo, Maestro Anziano. Sinclair è andato a Londra per qualche giorno. Anche se McLeod fosse abbastanza forte da resistere allo shock dell'assalto iniziale, non riuscirebbe a difendersi per più di poche ore senza un aiuto esterno. Neppure un uomo con capacità superiori a quelle di Sinclair potrebbe superare il fattore distanza nel tempo necessario.» «E cosa può dirmi di altri eventuali Cacciatori, molto più vicini a McLeod, che potrebbero interferire?» «Ovviamente non possiamo escludere questa possibilità», concesse Raeburn. «Ma finora Sinclair è l'unico che possiamo supporre abbia le capacità e l'addestramento necessario. Se ce ne fossero altri, per intervenire dovrebbero rivelarsi. E quelli che si riveleranno saranno, di conseguenza, i nostri prossimi bersagli.» Il vecchio scoprì i denti ingialliti in un sorriso crudele. «Soddisfacente. Lei mi ha persuaso, e merita fiducia nella missione che le è stata affidata. È pronto a presentarsi al nostro Padrone?» «Sono pronto», rispose Raeburn con energia, reprimendo un impeto d'emozione. «Allora, supplichiamo il nostro Padrone di rivelarsi a noi.» Dopo aver sollevato le mani in un imperioso gesto di comando, il Maestro Anziano girò uno sguardo freddo intorno a sé. Subito gli accoliti riuniti in cerchio si misero in ginocchio, prostrandosi fino a poggiare la fronte sul pavimento. Mentre il Maestro Anziano si alzava lentamente anche Raeburn s'inginocchiò, con il volto illuminato da un sorriso estatico. Dinanzi a lui, le braccia protese al soffitto, il vecchio iniziò a cantare con voce roca come quella di un corvo. Piano piano nell'atmosfera della stanza cominciò a roteare e prendere vita un'oscura energia. Senza smettere di cantare, il Maestro Anziano tolse il collare dall'involto scarlatto e lo presentò ai quattro punti cardinali, partendo dal nord e girando in senso antiorario. Con il cuore che gli batteva forte,
Raeburn s'inchinò ancor di più e sfiorò con la fronte le pergamene deposte sul tappetino di pelle di montone. L'odore di segreti vecchi di millenni era nelle sue narici quando si rialzò, fissando lo sguardo sul vecchio che lo sovrastava. Tutto intorno a lui gli accoliti facevano coro alla voce gutturale del loro capo in preghiera. Il canto si fece più acuto. Con un grido rauco il Maestro Anziano sollevò il collare sopra la testa di Raeburn, come una corona. «Vieni a noi, tu che sei temuto, tu che sei chiamato!» intonò. «Taranis il Tonante, noi ti supplichiamo di ascoltarci!» Qualcosa si mosse fra le pergamene ammucchiate sul tappetino nero. I fogli si sollevarono e si separarono come smossi da una folata d'aria, poi ricaddero con un sussurro. Con il cuore in gola Raeburn alzò la testa. I suoi pallidi occhi azzurri brillavano di un fuoco interno, e vacillò un poco sulle ginocchia mentre il Maestro Anziano girava intorno a lui per fermarsi alle sue spalle, sempre tenendo il collare sospeso sulla sua testa. «Discendi fra di noi, temuto signore», pregò il vecchio in un mormorio ansante. «Discendi, e guarda con favore questi tuoi servi. Io ti presento un fedele che desidera la comunione con la Tempesta. Esaminalo, io ti domando, e se sarà bene accetto ai tuoi occhi, ricevilo nella congrega di coloro che comandano il fulmine!» Così dicendo abbassò il collare intorno alla gola di Raeburn, da dietro. Questi trattenne il respiro e per l'emozione si sbiancò in faccia, nella luce delle fiammelle a gas. Nello stesso istante un profondo rombo tonante provenne dal basso. Come la vibrazione di un terremoto sotterraneo, il rombo salì dalla base della torre alla cima scuotendone le mura spesse e facendo cadere di lato quattro o cinque accoliti. Il Maestro Anziano mantenne l'equilibrio, con i piedi ben allargati al suolo e le braccia spalancate come per offrirsi a un abbraccio. «Benvenuto, Taranis!» gridò. «Salve a te, maestoso Tonante! Illumina i tuoi servi con un segno del tuo compiacimento!» Un'immobilità mozzafiato saturò improvvisamente la camera, come se tutta l'aria fosse stata aspirata via. L'istante successivo, un selvaggio fulmine di luce azzurra si alzò dal mucchietto di pergamene davanti alle ginocchia di Raeburn, piegandosi in un furioso arco fino al collare che gli cingeva la gola. Lui mandò un ansito, per metà di dolore e per metà di gioia, mentre il suo corpo s'irrigidiva come riempiendosi e avvampando in ogni cellula di quella luce.
Per un momento l'unico rumore nella stanza fu il crepitio dell'energia, che paralizzava ogni volontà. Poi, improvvisamente com'era apparsa, la folgore azzurrina palpitò e scomparve. Raeburn ricadde in avanti sulle mani, respirando a fatica. Poi si raddrizzò lentamente, sedette sui talloni, e alzò le mani a sfiorare il collare con espressione meravigliata ed esultante. «Il portatore del torc è stato accettato!» proclamò il Maestro Anziano. «Sia ringraziato il Tonante!» Raeburn si stava riprendendo in fretta. Con una luce di trionfo nello sguardo offrì le mani al Maestro Anziano, a palme in su. Il vecchio appoggiò le mani sulle sue, in un gesto di accettazione. «I costruttori hanno osato edificare un Tempio alla Luce», sussurrò il Maestro Anziano. «Nelle tue mani pongo il loro destino. Distruggi i costruttori, e il Tempio cadrà. Nell'assenza della Luce, allora, fiorirà la Tenebra...» Il giovedì mattina, a Londra, il cielo era coperto di nubi. Adam e Philippa fecero colazione all'europea, con cioccolata calda e croissant, prima di recarsi in taxi all'appuntamento al Charing Cross Hospital. Philippa aveva sostituito al soprabito rosso della sera prima un tailleur blu che le dava un aspetto professionale, mentre Adam indossava un completo grigio. Uscendo dal Caledonian Club, sentirono che nei soliti odori di Londra acqua del Tamigi e fumo di motori diesel - era mescolato un sentore di neve. Mentre il taxi girava intorno a Hyde Park e prendeva la Kensington High Street verso Hammersmith, evitando la zona di traffico più intenso, Adam si trovò a pensare all'incontro che lo attendeva con un misto d'impazienza e di preoccupazione. Proprio come le strade, anche l'atrio del Charing Cross Hospital brulicava di attività. Prendendo a braccetto Philippa, Adam la condusse oltre il banco dell'accettazione fino agli ascensori, mescolandosi al viavai dei medici, delle infermiere e dei tecnici. Scesero al primo piano e si accodarono alla gente che andava all'ala est, verso il reparto di pediatria, oltrepassando senza che nessuno li fermasse l'ingresso del corridoio principale. Il reparto era stato ristrutturato dopo l'ultima visita di Adam, un mese prima. Sulle pareti dei corridoi erano state dipinte allegre scene di circo equestre, in colori sgargianti. Mentre Adam e Philippa si dirigevano al bancone delle infermiere, una donna in uniforme azzurra alzò gli occhi
dalle cartelle cliniche che aveva davanti. La donna annuì con aria impassibile quando Adam estrasse la sua carta d'identità da una tasca interna e la poggiò sul bancone. Lo sguardo di lui era già corso alla targhetta con il nome, sul petto dell'infermiera. «Buongiorno, Mrs. Reynolds», la salutò, cortesemente. «Siamo venuti a vedere Gillian Talbot. Credo che la dottoressa Ogilvy ci stia aspettando.» Senza dir niente anche Philippa poggiò la sua carta d'identità sul banco, accanto a quella di Adam. L'infermiera esaminò entrambi i documenti, e il suo volto paffuto registrò una certa dose di rispetto mentre prendeva nota dei titoli accademici dei Sinclair. «È un piacere averla qui, Sir Adam... e anche lei, dottoressa Sinclair», disse, restituendo loro le carte d'identità. «Sì, mi è stato detto che sareste venuti... anche se non sapevamo che aveste lo stesso nome.» Adam sorrise. «In realtà non ho fatto nomi quando ho parlato con Mr. Talbot, ieri sera. Ho detto solo che avrei portato una collega, e senza dubbio mia madre lo è. I Talbot sono già qui? E la dottoressa Ogilvy?» «La dottoressa Ogilvy arriverà da un momento all'altro, Sir Adam», rispose l'infermiera. «Sta finendo il suo giro in corsia. E Mr. e Mrs. Talbot sono qui da un quarto d'ora. Se volete raggiungerli, sono nella camera in fondo al corridoio.» «A dire il vero», intervenne Philippa, «vorremmo prima dare un'occhiata alla cartella clinica di Gillian, se non le spiace, e ai referti dei suoi esami.» «Sì, dottoressa. Ho tutto qui», disse l'infermiera, estraendo una cartella da uno scomparto dietro il banco. Adam la ringraziò, prese la cartella e la aprì. Sul primo dei numerosi referti contenuti era appuntato un biglietto, vergato con la solita calligrafia quasi illeggibile dei medici, che diceva: Dottor Sinclair, ho pensato che le sarebbe stato utile esaminare questi documenti nell'attesa. Spero che le siano di aiuto. La firma, a stento decifrabile, era quella della dottoressa Ogilvy. Quel volontario gesto di collaborazione andava a onore del medico che si occupava di Gillian. Sollevato nello scoprire che non avrebbe dovuto perdere tempo a lisciare il pelo arruffato della sensibilità di un collega, diede una rapida scorsa alle analisi cliniche, mentre Philippa leggeva i documenti da sopra una sua spalla. Non gli occorse molto per rendersi conto che le condizioni della ragazzina erano molto peggiorate dal giorno in cui aveva potuto visitarla. «Di male in peggio, temo», disse cupamente a Philippa. «Grazie, Mrs.
Reynolds. Ora credo che andremo a vedere la paziente e a incontrare i Talbot.» Gillian era stata trasferita in una stanza privata. I suoi genitori sedevano su due sedie fra il letto e la finestra, tenendosi per mano e guardando la figlia con aria sconsolata. Quando Adam e Philippa entrarono dal corridoio, entrambi s'affrettarono ad alzarsi, con un nervosismo cresciuto durante le settimane della misteriosa malattia di Gillian. «Dottor Sinclair! Oh, grazie per essere venuto!» esclamò Iris Talbot, aggrappandosi a un braccio dell'uomo. «Questo è mio marito George. Credo che vi siate già parlati per telefono.» Iris Talbot era sempre come Adam la ricordava dal loro primo incontro, una bella donna dai capelli biondi, fra i trentacinque e i quarant'anni; ma i suoi piacevoli lineamenti cominciavano a rivelare il peso dell'ansia e delle notti insonni. Il marito era un uomo robusto, con occhiali cerchiati in tartaruga che gli davano l'aria di uno studioso e la fronte segnata da rughe di preoccupazione. «Naturalmente. Lieto d'incontrarla di persona, Mr. Talbot», lo salutò Adam, stringendogli la mano. «Questa è mia madre, la dottoressa Philippa Sinclair, che mi ha insegnato molto di ciò che so. Fra tutti e due, speriamo che arriveremo a chiarire la reale entità della malattia che ha colpito vostra figlia.» «Lo speriamo anche noi, dottore», disse fervidamente George Talbot. La sua stretta di mano era ferma, ma i suoi occhi continuavano a correre al viso immobile della figlia. «È stato molto duro non riuscire a far niente mentre Gillian si allontanava sempre più...» Tacque, prima che la voce si rompesse. Adam non faticava a capire la sua disperazione. Benché quando lui l'aveva vista, un mese addietro, fosse in quelle condizioni già da qualche giorno, allora aveva l'aspetto di una ragazzina sana e ben nutrita, in ottime condizioni fisiche. Ora, distesa sotto le coltri in quel letto d'ospedale, appariva fragile e disseccata, il volto smagrito aveva perso ogni colore, e le lentiggini risaltavano scure sulla pelle cerea. I capelli d'oro erano giallastri e appiattiti, e sulle palpebre chiuse c'erano sottili vene azzurre. Un tubicino per facilitare la respirazione era fissato con del cerotto su una guancia scavata, e dal braccio destro, immobilizzato contro la ringhiera del letto, un altro tubo saliva a una flebo appesa lì accanto, a testimoniare spiacevolmente che non era più possibile nutrirla per bocca. «Se solo qualcuno potesse raggiungerla», mormorò disperatamente Iris
Talbot. «George e io abbiamo fatto di tutto. Veniamo qui ogni giorno, ma...» Il suo gesto desolato rese chiaro che entrambi erano ormai sgomenti, per il loro fallimento nel comunicare con la figlia, ma la voce di Philippa ruppe quel doloroso silenzio come una corrente d'aria fresca. «Se questo può confortarvi, non credo che il problema sia la mancanza d'amore con cui vostra figlia viene accudita», disse. «Voi avete sicuramente fatto tutto il possibile. Non dovete incolparvi di qualcosa.» I Talbot si scambiarono un'occhiata, come sorpresi dal pacato intervento di Philippa. «Sono della stessa opinione», concordò Adam. «Non siete certo voi da biasimare, se finora Gillian non ha risposto alle cure. Suppongo che la dottoressa Ogilvy vi abbia già spiegato nei particolari le complicazioni che intervengono durante il trattamento di casi di comportamento autistico.» «Sì, l'ho fatto... sempre che in questo caso particolare si possa applicare una definizione clinica», dichiarò in quel momento una voce femminile dietro di lui. «E questa è una ragione in più per ricorrere all'aiuto di uno specialista del suo calibro.» Adam e Philippa si voltarono. Sulla soglia della camera c'era una donna alta e solidamente costruita, sulla cinquantina, con i capelli bruni striati d'argento. Due acuti occhi grigi considerarono i visitatori con amichevole ironia. «Il dottore e la dottoressa Sinclair, suppongo. Come state? Io sono la dottoressa Ogilvy.» Adam e Philippa trascorsero la mezz'ora successiva discutendo con la collega i particolari medici del caso di Gillian, e quindi condussero un breve esame neurologico. Dal punto di vista di Adam, quel consulto andò più a vantaggio di Mr. e Mrs. Talbot che della ragazzina stessa. Sia lui che Philippa conoscevano già fin troppo bene l'origine e la natura della malattia di Gillian, ma era importante che ottenessero la fiducia dei genitori della paziente e del medico che si era occupato di lei. Quando Adam ebbe fatto tutte le domande a cui riusciva a pensare, lasciò Philippa a parlare con i Talbot e prese in disparte la dottoressa Ogilvy per due parole in privato. «Apprezzo molto la sua collaborazione», le disse, con un sorriso. «Sono sicuro che lei avrà già trattato, in passato, con consulenti che si sono rivelati tutt'altro che d'aiuto.» La dottoressa Ogilvy scrollò le spalle. «Questo è un grande ospedale di
città, dottor Sinclair. I casi psichiatrici che ricoveriamo ogni giorno sono collegati alla droga, all'alcolismo e alle neurosi da stress. La maggior parte dei fanciulli che arrivano nel nostro reparto hanno buoni motivi per i loro disturbi mentali. Vengono da famiglie distrutte, sobborghi in cui regnano la miseria e l'ignoranza, case in cui la droga e la violenza sono all'ordine del giorno. I bambini autistici sono una rarità... e non è in questa materia che io sono specializzata. D'altra parte, Gillian non rientra neppure in questa casistica.» La donna sospirò. «Ho già visto casi di tutti i generi, compresi molti che non avrei saputo definire, come questo. Dato che onestamente non vedo modo di aiutare Gillian, sono lieta di lasciarla nelle mani di qualcuno che ha qualche possibilità di ottenere un risultato migliore.» Adam sorrise della sua franchezza. «La ringrazio della sua fiducia. Stia certa che farò tutto il possibile per meritarla.» «Lei è troppo modesto», lo schernì la dottoressa Ogilvy. «La sua reputazione l'ha preceduto, anche qui a Londra.» Si voltò a guardare i Talbot, che stavano ancora parlando con Philippa, e aggiunse: «A essere sincera, quando Mrs. Talbot mi disse di essere in contatto con lei, poco dopo il ricovero di Gillian, mi chiesi perché i Talbot non la avessero affidata alle sue cure fin da allora. Io sono una professionista ormai esperta, ma non esito ad ammettere che in questo caso non so dove mettere le mani.» Adam si strinse nelle spalle. «Non è un mistero. Quando vidi Gillian per la prima volta, mi sembrò chiaro che qui poteva avere le cure migliori, e vicino a casa, dove parenti e amici potevano venire a visitarla regolarmente. C'era sempre la possibilità che il contatto con le persone care la tirasse fuori da quello stato. Ma poiché questo non è accaduto, è tempo di cambiare strategia.» «Lei pensa di trasferirla in un altro ospedale?» «Sì, ma le assicuro che questo è solo per mia comodità personale», spiegò Adam. «Io esercito a Edimburgo, e non potrei venire qui ogni giorno per occuparmi di Gillian. Se i Talbot saranno d'accordo, vorrei raccomandare di trasferirla allo Jordanburn.» Sorrise. «Qui a Londra, probabilmente lo conoscete come il Royal Edinburgh Hospital. Il nome è stato cambiato qualche anno fa, ma le vecchie abitudini sono dure a morire per noi che abbiamo studiato là. In ogni caso, sia io che mia madre, la quale ha una considerevole esperienza con casi simili a quello di Gillian, lassù saremo in grado di dedicare alla fanciulla tutte le nostre attenzioni in un modo che altrove non ci sarebbe possibile.»
I Talbot, quando Adam presentò loro quella proposta, manifestarono qualche segno d'incertezza. Dopo averla ascoltata, li pregarono di lasciarli un momento soli per discuterla. Adam, Philippa e la dottoressa Ogilvy uscirono dalla stanza. Quando George e Iris Talbot li raggiunsero in corridoio, due minuti dopo, erano un po' pallidi ma risoluti. «Abbiamo pensato a ciò che ci ha detto, dottor Sinclair», iniziò Mr. Talbot. «E abbiamo deciso che sarebbe giusto affidare Gillian alle sue cure. Noi... ipotecheremo la nostra casa, se sarà necessario. Ciò che importa è solo che nostra figlia abbia la possibilità di guarire e condurre una vita normale.» Adam si rese conto di ciò che li rendeva esitanti. «Lei sta pensando alla spesa, Mr. Talbot? La prego di non preoccuparsi di questo. Provvederò io affinché tutte le prestazioni dell'ospedale rientrino nei rimborsi del National Health Service. Per quanto ci riguarda, io e mia madre vi offriamo gratuitamente i nostri servizi professionali. Diciamo che il caso di vostra figlia ci pone una sfida interessante.» Iris e George Talbot apparvero stupefatti e visibilmente sollevati. «Questo è incredibilmente generoso da parte sua, dottor Sinclair», incominciò George Talbot. «Io... io non so cosa dire...» «Salvo che ringraziarvi dal profondo del cuore!» esclamò sua moglie, ridendo e piangendo allo stesso tempo. «Ora sento che forse abbiamo davvero una speranza, malgrado tutto!» Philippa e Adam si scambiarono una rapida occhiata. La fiducia dei Talbot era toccante... e preoccupante. Da parte loro, sapevano che la battaglia per la sopravvivenza di Gillian era appena all'inizio. Troppe erano le cose che avrebbero potuto andare male. 18 Quello stesso giovedì mattina, l'ispettore McLeod fece solo una breve puntata al comando di polizia, a Edimburgo, prima di recarsi a Perth per un nuovo capitolo dei rapporti con il magistrato (e con la stampa) relativi all'omicidio di Randall Stewart. Uscì ancor prima dell'arrivo della posta, e così non fu visto da un collega che aveva un certo interesse nel tenere d'occhio i suoi spostamenti. L'ispettore Charles Napier era un uomo massiccio sui quarant'anni, con folti capelli neri e sopracciglia cespugliose che gli davano lo sguardo aggrondato di un rottweiler. Aveva fama di essere un tipo taciturno, ma quel-
la mattina parve meno riservato del solito, mentre passava fra le scrivanie dell'ufficio, fermandosi ogni tanto per dire qualche parola ai colleghi. Indugiando qua e là, fece in modo di trovarsi vicino all'ufficio di McLeod proprio quando l'impiegata che distribuiva la posta passò spingendo un carrello metallico nel quale c'erano pacchetti di lettere tenute insieme da grossi elastici. «Buongiorno, Miss Desmond», la salutò, con melensa galanteria. «C'è qualcosa per me?» «Sì, signore.» Mentre la donna frugava fra i pacchi di lettere, Napier poté verificare che la busta per la corrispondenza interna che aveva spedito il giorno prima si trovava ora fra quelle indirizzate a McLeod. «Ecco le sue, ispettore», disse l'impiegata, consegnandogli alcune lettere. «Molte grazie.» Sostando davanti alla porta per frugare fra le buste che gli erano state date, Napier vide l'impiegata entrare nell'ufficio di McLeod e deporre sulla scrivania il pacchetto di lettere. A questo punto, soddisfatto dei progressi del suo piano, andò in ufficio e attese gli ulteriori sviluppi. Ma quel giorno McLeod non fece ritorno in sede. Benché Napier fosse rimasto in ufficio con la scusa di sbrigare del lavoro arretrato, l'ora di pranzo e poi l'intero pomeriggio trascorsero senza che McLeod rientrasse. Alle cinque e mezzo Napier fu costretto ad ammettere che per quel giorno la sua vittima non si sarebbe vista. Il pensiero della telefonata che ora avrebbe dovuto fare non lo rendeva particolarmente felice. Alla fine mise da parte il lavoro rimasto, uscì dall'ufficio, timbrò il cartellino e scese al pianterreno. Quando fu nell'atrio, infilò una moneta in un telefono pubblico e compose il numero. La voce che gli rispose era umile e rispettosa, con un accento che un inglese avrebbe facilmente potuto identificare come indiano. «Qui Charles Napier», s'identificò lui. «Se mio zio è libero, vorrei dirgli due parole.» Pochi momenti dopo, la voce di Francis Raeburn fu in linea. «Ebbene?» «Tutto a posto, come lei ha ordinato», lo informò Napier. «Purtroppo sembra che l'evento desiderato non potrà aver luogo prima di domani. Oggi non è venuto in ufficio.» Ci fu una breve pausa, carica di contrarietà. «Molto bene», rispose freddamente Raeburn. «Ma non dimentichi il prezzo del fallimento.»
Il mattino seguente, McLeod si recò al lavoro con l'aria di uno cui non sarebbe dispiaciuto passare un bel weekend altrove. I colloqui e gli incontri del giorno prima a Perth non avevano aperto nessuno spiraglio sul caso Randall Stewart, e l'espressione della sua faccia non si schiarì al pensiero che gli altri casi di cui si stava occupando non avevano certo tratto giovamento da una giornata di lavoro andata persa. Quella riflessione fu odiosamente confermata quando aprì la porta del suo ufficio e vide la pila di fascicoli, stampati di computer, lettere, memorandum e rapporti che coprivano il piano della scrivania. McLeod restò sulla soglia, esaminando con aria cupa le scartoffie che lo aspettavano. Nello stesso momento l'agente Cochrane, rasato di fresco e con l'uniforme impeccabilmente stirata, attraversò il corridoio e si fermò a salutarlo. «Buongiorno, ispettore», disse allegramente. «Come vanno le cose con il magistrato?» «Non vanno», grugnì McLeod. Scrutò il subordinato e chiese: «Che mi dici del furto da Macintosh? Il sovrintendente mi ha tirato le orecchie, mentre salivo. Facciamo qualche progresso?» «Sembra di sì. Una parte della refurtiva è venuta fuori in un banco dei pegni, a Carlisle. La polizia locale si metterà in contatto con noi appena ne saprà di più», riferì Cochrane. Poi aggiunse: «Ho appena messo nel computer le mie note sugli interrogatori che abbiamo fatto a Stirling. Ne ho una stampata sulla mia scrivania, se vuole vederle». «Non adesso, grazie», rifiutò McLeod. «Lascia che prima mi liberi delle carte sotto cui il mondo cerca di seppellirmi.» Cochrane guardò la scrivania del superiore e sogghignò con aria di compatimento. «Sì, signore. Vedo.» «E quella è solo la cima dell'iceberg», lo informò McLeod, in un tentativo di prenderla sul ridere. «Ma se proprio insisti per renderti utile, potresti cercare di portarmi un bicchiere di caffè.» Ridacchiando, Cochrane si allontanò. Rimasto solo, McLeod chiuse la porta, tolse dal cuscino della poltrona alcune buste scivolate giù dalla scrivania e si sedette. Da dove cominciare? Con un sospiro mise le stampate del computer su una sedia, lì accanto, e ci appoggiò sopra anche alcuni fascicoli. Poi iniziò ad aprire la posta. Le prime lettere erano il solito miscuglio di cose senza importanza: un maxi-catalogo di una fabbrica di armi tedesca, un altro catalogo di una ditta americana specializzata in fondine e giubbotti imbottiti, un volantino
che annunciava l'inizio di un corso d'aggiornamento professionale già finito da un pezzo, una lettera che chiedeva la sua presenza a una riunione de «I cittadini e la nostra polizia di quartiere» e due lettere di assessori comunali preoccupati dalle sue dichiarazioni alla stampa circa il caso Stewart e la Massoneria. McLeod gettò il volantino e le buste vuote nel cestino della carta straccia, vergò un passarla all'Ufficio relazioni esterne sulla richiesta del Comitato di quartiere, e mise quelle dei due assessori nel cestino delle lettere a cui bisognava rispondere. Si prese due minuti per leggere un aggiornamento delle procedure di polizia per gli arresti collegati alla droga, chiedendosi dove fosse andato Cochrane a prendere il caffè, poi prese la busta successiva del mucchietto. Era una busta di notevoli dimensioni, con il suo nome battuto a macchina su un'etichetta autoadesiva e il timbro PERSONALE stampigliato in rosso. Non molto incuriosito la girò e, accorgendosi che era incollata solidamente, prese un tagliacarte e aprì un lato, separò le due metà per guardarci dentro, quindi la capovolse per rovesciarne il contenuto sul piano della scrivania. Con sua sorpresa, quello che ne uscì fu un lucido origami dorato che rappresentava un animale di qualche genere, lungo una quindicina di centimetri. McLeod sorrise, perché quello aveva tutta l'aria di un altro scherzo fra colleghi d'ufficio: la sua passione per l'origami era ormai nota in tutto il comando. Sullo scaffale alle sue spalle c'era una piccola collezione multicolore di origami fatti da altri, più qualcuno dei suoi migliori. McLeod lo raccolse, chiedendosi chi glielo avesse mandato. Capì subito di aver fatto un errore. Nello stesso momento in cui le sue dita si chiusero sulla carta dorata, una furiosa scarica d'energia gli risalì lungo il braccio. Violenta e rapida come una scossa elettrica, la scarica infuriò nel suo sistema nervoso, paralizzandolo dalla testa ai piedi. Frustato dallo shock il suo corpo si abbatté contro lo schienale della poltrona, mentre l'origami gli cadeva dalle dita intorpidite. L'interruzione del contatto fisico non mise termine a quell'assalto. Il mondo materiale intorno a lui si confuse, trasformandosi in un inferno nebuloso. Come in un incubo, McLeod si trovò a cadere all'indietro attraverso banchi di foschia crepitanti di fiamme. La sensazione di caduta terminò con un'altra abbacinante scossa elettrica. Lottò per ritrovare il controllo delle facoltà motorie, ma la sola immagine fisica che penetrava la foschia circostante era quella dell'origami, il piccolo oggetto che adesso stava sul
pavimento fra i suoi piedi, e che soltanto ora poteva vedere con chiarezza: una lince. Con un velenoso ronzio, simile al sibilare amplificato di un cobra, la lince-origami ardeva fulgida, emettendo aloni di fumo giallo. Mentre McLeod cercava di farsi indietro e lottava per sottrarsi al suo attacco, il fumo giallo si condensò in una forma felina con il muso baffuto e brucianti occhi rossi. La lince soffiò furiosamente, scoprendo le zanne e sputando saliva che bolliva come un acido. Prima che McLeod trovasse la forza di scostarsi, la figura di fumo gli balzò addosso e lo sommerse in un miasma irrespirabile. La nuvola gli aggredì gli occhi e i polmoni come un gas lacrimogeno pressoché insopportabile. L'intensità della sofferenza ruppe la sua paralisi. Con lo stomaco sconvolto dalla nausea annaspò ciecamente nella nebbia verso una tasca interna della giacca, e poco dopo la sua mano si strinse intorno all'unico oggetto che poteva salvarlo in quella situazione disperata. Caldo e solido, il contatto dell'anello da Cacciatore fu un balsamo per la sua mano. Il dolore era una corona di spine che gli stava stringendo la fronte con tale forza da fargli scoppiare il cranio. Ansimando penosamente, s'infilò l'anello al dito medio e si concentrò per fare appello alle forze che gli restavano e respingere così la ferocia omicida della lince. Per un terribile momento pensò che fosse troppo tardi. Poi, mentre i battiti del cuore scorrevano lenti, capì che la pressione sul suo cranio si era stabilizzata. Fece uno sforzo di volontà per contrastarla e la sentì allentarsi un poco. Sì, sembrava essersi alleggerita. Se solo fosse riuscito a... Una voce allarmata penetrò nella nebbia. «Signore! Ispettore McLeod, non si sente bene?» Le parole sembravano risuonare in mille echi. Quella marea di riverberi psichici rischiò di trascinare di nuovo McLeod nel caos. Due mani importune lo afferrarono per le spalle, imponendogli di reagire. McLeod cercò di focalizzare le sue facoltà sulla presenza che c'era oltre quelle mani. Costrinse i suoi occhi ad aprirsi e davanti a lui ondeggiò il volto sfocato di Donald Cochrane. Sbatté le palpebre e si accorse di non avere più gli occhiali. «Donald...» rantolò con uno sforzo. «Credo che sia meglio chiamare un'ambulanza», propose Cochrane, voltandosi verso il telefono. «No!» McLeod afferrò spasmodicamente una manica dell'agente. Una parte di lui era stupita di essere ancora seduto in poltrona, anche se gli
sembrava di scivolare giù. «Fra poco... starò meglio», riuscì a balbettare. «Non chiamare nessuno!» Vedendo che Cochrane esitava, aggiunse: «Questo non... non è un malore. Non ho bisogno di un medico!» Cercò di rafforzare l'ordine scuotendo il capo. Quel movimento lo fece quasi svenire. Sputacchiando la bile che gli era risalita in gola, ripeté: «Starò... meglio fra un minuto. Chiudi le tapparelle. Per favore, Donald!» Con suo sollievo, Cochrane fece quello che gli era stato detto. Quando il giovane agente tornò verso di lui, la nube asfissiante si era ritirata. La lince origami era ancora per terra, a poca distanza dalla sua poltrona. La forma di fumo doveva essere stata una manifestazione visiva dell'aggressione. «Chiudi la porta», mormorò, con un debole cenno, e mentre Cochrane ubbidiva lottò contro un'altra ondata di nausea. «Lo vedi quello?» ansimò, indicando la lince origami con un dito tremante. «Il fazzoletto di seta... qui nel taschino della giacca.» Fece un gesto vago verso di esso, ma non riuscì a coordinarsi abbastanza da estrarlo. «Avvolgilo con questo e raccoglilo... ma non toccarlo! Signore Iddio, non toccarlo...» Con gli occhi spalancati, Cochrane si accostò e prese il fazzoletto. Non sapeva niente delle attività esoteriche di McLeod, ma facendo parte della stessa Loggia massonica era nata fra loro una fiducia che non poteva permettergli d'ignorare un'invocazione alla loro fratellanza. Chinandosi verso la lince dorata, si protesse la mano con diversi strati di seta prima di tirarla su dal pavimento. «Cosa diavolo è questo affare?» mormorò, tenendola sospettosamente lontana da sé, a braccio teso. «Sembra come... uno dei suoi origami.» «Avvolgila bene e mettila nel cassetto», rantolò McLeod. «In questo momento non posso spiegarti.» Sentiva il dolore pulsare dietro i globi oculari, e si premette i pugni sulla fronte finché riuscì a pensare di nuovo. Gli effetti dell'aggressione erano ancora dentro di lui, e gli circolavano nella mente e nel corpo come un virus in attesa di sconfiggerlo con rinnovata violenza. Non posso lottare da solo contro questa cosa, pensò, stordito. Grazie a Dio è stato Donald a trovarmi, ma lui non può fare niente per me. Devo cercare aiuto da qualche altra parte. Adam sarebbe tornato da Londra dopo mezzogiorno, dunque troppo tardi per intervenire. McLeod deglutì un rigurgito di bile e cercò di pensare, anche se quello sforzo gli mandò rossi spasimi di dolore attraverso il cranio. Le sue condizioni sembravano peggiorare di nuovo. Un bicchiere di
plastica si materializzò davanti a lui, e con esso i suoi occhiali. «Questi le erano caduti», disse Cochrane, preoccupato. «Pensa che un po' di caffè le farebbe bene? È sicuro che non devo chiamare un medico?» McLeod allontanò il bicchiere con un gesto e mugolò: «No... nessuna delle due cose.» Trasse un lungo respiro e disse, più distintamente. «La mia agenda... chiama Christopher Houston.» Continuando a guardare il volto cinereo del superiore, Cochrane trovò il numero, prese il telefono e lo compose. All'altro capo della linea l'apparecchio squillò più volte, ma nessuno rispose. «Sembra che non siano in casa. Ispettore, lei sta male. Lasci che chiami un medico.» La stanza sembrava nuovamente invasa dalla nebbia. McLeod deglutì saliva e cercò debolmente di tenere il suo corpo sotto controllo. «Cerca Peregrine Lovat», mugolò, a denti stretti. «Telefona a Humphrey, a Strathmourne... il numero di Sinclair. Humphrey saprà dove trovarlo.» John Edward Muir, ex sindaco di Edimburgo, aveva un volto che in un'altra epoca sarebbe potuto appartenere a un capitano di ventura. Scostandosi un po' dal cavalletto per esaminare il suo lavoro con occhio critico, Peregrine notò con soddisfazione che stava rendendo giustizia allo spirito bellicoso e intraprendente che sentiva dietro i lineamenti apparentemente sobri dell'ex sindaco. Spostò di nuovo lo sguardo sul soggetto, che sedeva pochi passi più avanti vestito con l'abito cerimoniale, e lo esaminò meglio. «Mi scusi, signore, ma potrei chiederle di sollevare un po' la testa?» La seduta di posa aveva luogo nello studio di Muir, nell'elegante quartiere di Ravelston Dykes, a Edimburgo. L'ex sindaco fece come gli era stato chiesto, e sbatté le palpebre, sospirando. «Quanto ci vorrà ancora, prima che sia immortalato sulla tela?» volle sapere. «Questa è l'ultima volta che dovrà posare», lo rassicurò Peregrine, mescolando due colori con il pennello sulla tavolozza per ottenere la giusta sfumatura. Ritoccò accuratamente la linea della mandibola, schiarì un poco l'ombreggiatura sotto l'orecchio destro, controllò il risultato da due angolazioni diverse e annuì, rilassandosi. «Ci siamo, signore. Fra qualche momento potrà alzarsi e sgranchirsi le gambe, se vuole.» La porta dello studio si aprì, e la moglie di Muir entrò nella stanza, con aria un po' sorpresa. «Mi spiace interrompere la seduta, Mr. Lovat», si scusò. «Ma c'è al tele-
fono un certo agente Cochrane che chiede di lei.» Perplesso, perché non ricordava nessun agente di nome Cochrane, Peregrine depose pennello e tavolozza, si pulì le dita con uno straccio e seguì Mrs. Muir nel corridoio. Il telefono era lì, su un tavolinetto. Forse Cochrane era uno dei colleghi di McLeod, si disse. Ma perché McLeod avrebbe dovuto cercarlo a quell'ora? «Sono Peregrine Lovat.» «Sì, Mr. Lovat. Sono l'agente Cochrane», rispose la voce all'altro capo del filo. «Chiamo da parte dell'ispettore Noel McLeod. L'ispettore ha bisogno di lei immediatamente qui nel suo ufficio al comando di polizia. È una cosa della massima urgenza.» McLeod non lo avrebbe fatto chiamare se non fosse stata una cosa davvero importante. Ma perché non aveva telefonato lui stesso? Un campanello d'allarme squillò nella mente di Peregrine. «Qual è il problema?» domandò. «Può dirmi cosa sta succedendo?» «È una... È difficile spiegarlo per telefono, signore», tentennò Cochrane. «Sarebbe meglio se lei venisse subito qui e vedesse con i suoi occhi.» Cosa impedisce a McLeod di parlarmi personalmente? Sempre più perplesso, Peregrine si accigliò. Che sia successo qualcosa a Adam? «Va bene», rispose. «Dica all'ispettore che esco subito e che sarò lì al più presto.» Dopo aver frettolosamente fatto le sue scuse ai Muir, il giovanotto radunò i suoi attrezzi e scese, sistemandoli in macchina. Un rapido sguardo allo stradario gli confermò che la sede centrale della polizia era in Fettes Avenue, a circa tre chilometri da lì. Mentre metteva in moto la Morris Minor gli passavano nella mente immagini di disastri d'ogni genere e, incapace di concentrarsi sulla guida, s'inserì nel traffico con un'impetuosità che gli procurò sguardi indignati da parte di altri conducenti più tranquilli. Fu a destinazione in meno di dieci minuti. Dopo aver evitato per un capello una collisione con un furgoncino, svoltò nel parcheggio della stazione di polizia e trovò occupati tutti gli spazi. Imprecando e pregando Dio di tenere alla larga i vigili urbani, lasciò la Morris a cavalcioni di una doppia linea gialla e scese, affrettandosi verso l'ingresso principale. Era la prima volta che veniva al comando di polizia. Nell'atrio un agente seduto dietro il bancone lo vide entrare, e quando Peregrine si fu identificato telefonò al piano di sopra. Neppure un minuto dopo, un poliziotto dai capelli color sabbia all'incirca della sua età sbucò da una porta interna e alzò una mano a richiamare la sua attenzione.
«Mr. Lovat?» domandò. «Venga con me, per favore.» «Cos'è successo?» mormorò Peregrine, mentre lo seguiva verso le scale di servizio. Cochrane scosse il capo. «Non qui, la prego, Mr. Lovat. Tenterà di spiegarglielo l'ispettore... se ci riuscirà. Cerchi di non sembrare preoccupato mentre attraversiamo il corridoio.» L'agente non disse altro, e al piano di sopra precedette Peregrine attraverso un salone suddiviso in scomparti da numerose scrivanie, fino alla fila di porte all'estremità opposta. Quella che recava il nome di McLeod era la numero 5b, e all'interno si udiva suonare un telefono con insistenza. Cochrane bussò, aprì senza aspettare la risposta, quindi spinse dentro Peregrine e andò subito al telefono, perché evidentemente McLeod non era in condizione di rispondere. L'uomo giaceva piegato in avanti sulla scrivania, con la testa poggiata sul braccio destro. Mentre Peregrine chiudeva la porta, sbigottito, Cochrane sollevò il ricevitore. «Ufficio dell'ispettore McLeod», rispose in tono brusco. «No, temo che sia in riunione. Sono l'agente Cochrane. Posso esserle utile?» Mentre l'altro parlava al telefono, Peregrine s'avvicinò alla scrivania e scrutò ansiosamente McLeod. L'uomo era pallidissimo e aveva il volto contratto in una smorfia di dolore. Respirava con evidente fatica. Appena Cochrane riappese, il giovane artista si voltò verso di lui. «L'ispettore sta male», constatò, sottovoce. «Cosa gli è successo?» «Non lo so, mi creda», rispose Cochrane. «E non ha voluto che chiamassi un medico. Qualunque cosa sia, sembra che abbia a che fare con questo.» Aprì il cassetto sinistro della scrivania. «Ha detto che non bisogna toccarlo, se non con il fazzoletto.» Sempre più stupito, Peregrine sollevò un angolo del fazzoletto e vide quello che sembrava un origami fatto di carta dorata. Un secondo sguardo gli consentì di capire che raffigurava un animale, una lince. Una fredda morsa di repulsione gli strinse lo stomaco. Stando ben attento a non toccarlo, Peregrine ricoprì di nuovo l'oggetto e chiuse il cassetto, tornando a scrutare il volto di McLeod. «Ispettore», chiamò, poggiandogli una mano su una spalla. «Noel, sono io, Peregrine. Lei mi ha fatto chiamare, e ora sono qui. Per favore, riesce a dirmi cosa vuole che faccia?» McLeod non gli diede risposta. Sempre più preoccupato, Peregrine guardò Cochrane, che stazionava ansiosamente fra la scrivania e la porta. «Da quanto tempo è in queste condizioni?»
«L'ho trovato così mezz'ora fa», rispose l'agente. «Non può essere successo più di cinque o dieci minuti prima, perché mi aveva appena mandato a prendergli un caffè. All'inizio era in grado di parlare, però sono trascorsi dieci o quindici minuti dall'ultima volta che gli ho sentito dire una parola... poco prima che telefonassi a lei.» Nel vedere l'espressione di Peregrine, aggiunse: «In precedenza mi aveva chiesto di telefonare a padre Christopher Houston. Poi, visto che in casa non c'era nessuno, mi ha detto di fare il numero di Sir Adam Sinclair e di chiedere di lei al maggiordomo, Humphrey. L'ho pregato di lasciarmi chiamare un medico, ma non ha voluto saperne. Mi ha fatto promettere di non informare nessuno finché lei non fosse arrivato qui». Perché io? si domandò Peregrine, riportando la sua attenzione su McLeod. La risposta a cui poteva pensare era una sola: evidentemente McLeod aveva motivo di credere che lui sarebbe stato in grado di aiutarlo, laddove l'intervento di un medico invece non sarebbe servito a nulla. Era un pensiero preoccupante. Guardò la faccia dell'ispettore e lottò per respingere un impeto di paura e di incertezza. Dio, spero che tu abbia visto giusto, McLeod, pensò cupamente. Devo riflettere! Cosa farebbe Adam se fosse qui? Con uno sforzo mise ordine nei suoi pensieri, frugando nella memoria in cerca dell'immagine di Adam all'opera. Tutto ciò che gli venne in mente, però, fu l'anello di Michael Brodie. Dopo averlo ricevuto da Lady Julian, aveva preso esempio da Adam, che portava il suo sempre con sé, protetto in una minuscola borsa di seta cinese. Ora lo aveva in una tasca posteriore dei pantaloni, e l'impulso di metterlo al dito fu improvvisamente molto forte. L'idea in se stessa sembrava alquanto presuntuosa, specialmente visto che non era membro della Loggia di Caccia e non aveva avuto da Adam il permesso di portare l'anello come simbolo della sua appartenenza. Nello stesso tempo, però, era consapevole della crescente convinzione di aver bisogno dell'anello come punto focale, se voleva avere qualche speranza di assistere McLeod in quella situazione difficile. Uno sguardo alla mano destra dell'ispettore gli confermò che aveva il suo anello. Peregrine si disse che forse l'oggetto gli avrebbe permesso di collegarsi in qualche modo con l'amico, così da potersi affidare poi alla sua esperienza. Mordicchiandosi un labbro si portò una mano alla tasca e tirò fuori il piccolo involucro contenente l'anello. Stringendolo fra le dita, pregò in silenzio qualunque vestigia dell'anima di Sir Michael Brodie fosse rimasta
nel monile. Perdonami, Sir Michael, se questo non incontra la tua approvazione, disse mentalmente al marito di Lady Julian, ma l'ispettore ha bisogno di aiuto, e io non so cos'altro fare. Voltando le spalle a Cochrane, aprì rapidamente la borsetta di seta, che rimise in tasca, e s'infilò l'anello al dito medio della mano destra. Si era quasi aspettato una specie di scossa elettrica punitiva, e invece ciò che sentì fu un piacevole senso di calore che s'irradiava nella carne. Incoraggiato, si rivolse a Cochrane. «Vedrò adesso cosa posso fare per aiutarlo. Lei può fare in modo che nessuno ci disturbi?» Cochrane annuì e staccò dalle prese a muro le spine di entrambi i telefoni. «Per il momento è meglio scollegarli, così chi cerca l'ispettore penserà che non è in ufficio. Poco fa ho dovuto rispondere a tre o quattro chiamate, ma non mi piace raccontare balle. In questo modo, almeno, non rischiamo di procurargli delle difficoltà.» Peregrine tolse i fascicoli e gli stampati da sopra la sedia accanto alla scrivania, la avvicinò a McLeod e sedette, mentre Cochrane andava a mettersi di guardia presso la porta. Facendo appello a ciò che Adam gli aveva insegnato durante le loro sedute, si concentrò per scivolare in uno stato di semitrance, regolando la respirazione su un ritmo sempre più lento finché tutte le sue facoltà mentali furono come in equilibrio una con l'altra. In lui fluì gradualmente un senso di calma. Aveva l'impressione che lo stesso equilibrio si comunicasse a McLeod, almeno per quanto era possibile nel suo stato, e d'impulso alzò la mano destra, quella dell'anello, a sfiorare con la punta delle dita la fronte dell'amico, imitando il gesto ipnotico che aveva visto fare a Adam un paio di volte, in passato. «Si rilassi, Noel», mormorò. «Dorma... dorma profondamente.» Con sua sorpresa McLeod trasse un lungo respiro, come un tuffatore che si preparasse a saltare giù da un alto trampolino, e lo lasciò uscire pesantemente. D'istinto Peregrine respirò a ritmo con lui, cercando un contatto sia con la voce che con la mente. «Noel, sono Peregrine», disse in tono morbido. Gli prese il polso destro fra le dita e cercò le pulsazioni con un polpastrello. «Se riesce a sentirmi, cerchi di farmi capire come posso aiutarla. Mi mostri ciò che la fa soffrire.» La risposta non gli giunse in parole, ma sotto forma di contatto extrasensoriale. All'improvviso Peregrine vide sfumarsi e allontanarsi il mondo concreto, come sempre gli accadeva quando aveva delle visioni. Subito
dopo, quando entrò in funzione la sua seconda vista, fu come il sovrapporsi di due immagini, una reale e un'altra esoterica. Ciò che vide fu una massa di tentacoli grigi avviluppati intorno alla testa e al collo di McLeod, come un casco di spine. Peregrine ansimò, inorridito. I tentacoli non erano inerti. Nel loro groviglio poteva addirittura vedere una sorta di pulsazione, un ritmo interiore che andava di pari passo con i battiti del cuore di McLeod. Erano così strettamente attorcigliati fra loro, che riuscire a scioglierli sembrava impossibile. Mentre esitava, chiedendosi cosa fare, un palpito di comprensione si accese come una luce dietro i suoi occhi. Essa durò un breve istante, ma bastò a fargli capire che doveva concentrarsi sul suo anello, e subito un flusso di potere gli corse fino alla punta delle dita. Il potere sembrava provenire da una parte del suo essere della quale lui non aveva mai sospettato l'esistenza. Come reazione, l'anello stesso parve prendere vita, e la pietra del castone s'illuminò di una radiazione azzurra, simile a quella che aveva visto brillare nella gemma sull'elsa dello skean dubh di Adam sulla spiaggia di Loch Ness, sotto il castello di Urquhart, quando aveva usato il pugnale per tenere a bada la Caccia Selvaggia degli Elfi. Mentre la pietra azzurra continuava a brillare, Peregrine lasciò il polso di McLeod e avvicinò la mano alla testa, con un gesto istintivo. Ora poteva vedere il potere che circondava il suo anello come un'aureola sferoidale, larga circa un palmo, e senza esitare affondò le dita fra i tentacoli che avvolgevano l'uomo. La ripugnante massa spinosa si contorse e sfrigolò, emettendo una nuvola di fumo verdastro. Incoraggiato, Peregrine ne strappò via un'intera manciata. I tentacoli grigi aderivano alla sua mano e al polso, secernendo una sostanza che aggrediva la pelle come un acido, ma non sembravano fargli nessun danno reale. Stringendo i denti per quella sensazione spiacevole, li scosse via nel cestino della cartastraccia e li vide cadere bruciati e anneriti. Con una truce smorfia di soddisfazione si accinse a strapparne via un'altra manciata. Quand'ebbe tolto di mezzo tutti i tentacoli, McLeod stava già cominciando a respirare meglio, ma l'energia maligna che aveva creato quella massa aggressiva era ancora intorno a lui. D'intuito Peregrine seppe che la sua sorgente era il cassetto della scrivania, e ciò che conteneva. Finché il sortilegio della lince non fosse stato neutralizzato, McLeod sarebbe rimasto in balia della sua minaccia.
Aprì il cassetto e tolse il fazzoletto che copriva la lince dorata, chiedendosi se l'anello avrebbe agito su di essa come sopra i tentacoli spinosi. In via sperimentale avvicinò la mano destra al piccolo oggetto, ma subito un calore psichico equivalente a quello di una fornace gli investì la mano, costringendolo ad allontanarla di scatto. «Lo lasci stare!» ordinò una voce rauca accanto a lui, mentre un'altra mano chiudeva il cassetto. «Di questo è meglio che se ne occupi Adam» Peregrine si voltò e scoprì che McLeod aveva alzato la testa, un po' pallido in faccia e con gli occhi arrossati, ma lucido e padrone di sé. Richiamato dalla voce dell'ispettore, anche Cochrane si avvicinò a lunghi passi. «Ispettore!» esclamò, cercando di tenere la voce bassa. «Grazie al cielo si è ripreso. Ma cosa diavolo sta succedendo?» McLeod fece una smorfia penosa, come se avesse un terribile mal di capo. «Chiedimelo quando la testa smetterà di risuonarmi come un tamburo», mugolò, rialzandosi a sedere, e si premette le mani sulle tempie. «C'è qualcosa che posso fare per lei?» chiese Cochrane, a disagio. Lo sguardo di McLeod tornò al cassetto della scrivania che aveva appena chiuso. «Sì», grugnì. «Puoi prendere quella dannata cosa e chiuderla nella cassaforte dell'ufficio, finché Adam Sinclair non potrà venire a darci un'occhiata. Poi potresti vedere di trovarmi un paio di aspirine e un bicchiere d'acqua. E non dire una parola di quello che è successo, a nessuno!» Peregrine intercettò lo sguardo di Cochrane. «Non abbia paura, resto io con lui.» Con un cenno d'assenso Cochrane riavvolse la lince nel fazzoletto, quindi mise il tutto in una busta e la sigillò, scrivendoci il nome di McLeod; poi uscì dall'ufficio e chiuse la porta dietro di sé. Rimasto solo con McLeod, Peregrine domandò, scuro in faccia: «Sbaglio, o qualcuno ha cercato di ucciderla?» McLeod aveva gli occhi chiusi. Senza aprirli, annuì. «Non si sbaglia. Chiunque abbia mandato quella piccola lince voleva la mia vita. È l'equivalente psichico di una lettera bomba.» Peregrine contrasse la bocca in una smorfia. Una parte di lui accettava quella spiegazione senza far domande, un'altra parte si chiedeva cos'avrebbero dovuto fare adesso. «Adam dovrebbe essere qui verso l'ora di pranzo, se a Heathrow non ci sono stati ritardi per la nebbia. Vale a dire...» Peregrine consultò l'orologio da polso. «Fra una mezz'ora. Vuole che vada a prenderlo e lo porti qui?» «No, non lei. Chiunque abbia messo questa trappola, se ha visto lei en-
trare qui, potrebbe seguirla fuori», suggerì McLeod. «Daremo meno nell'occhio se ci andrà Cochrane. Gli dia il numero del volo di Adam e l'ora d'arrivo, e lasci che ci pensi lui.» 19 Per Adam, a Londra, prenotare il ricovero di Gillian Talbot allo Jordanburn era stata la parte più facile. Provvedere al trasporto si rivelò alquanto più problematico, poiché le direttive del National Health Board prevedevano che nei trasferimenti non d'urgenza fosse data una settimana di preavviso. Adam telefonò al Servizio Ambulanze per informarsi sulla possibilità di un anticipo sulla data del trasporto, e lavorando di pazienza e persuasione riuscì infine a fissare la partenza per il lunedì successivo. «In fondo, un ritardo di quattro giorni non è un problema», osservò Philippa, mentre lei e Adam si recavano in taxi all'aeroporto di Heathrow, verso le undici di quel venerdì mattina. «A questo punto, l'ultima cosa che vogliamo è che qualcuno colleghi Gillian a noi prima di avere il tempo di predisporre le difese basilari. Così, se a Edimburgo qualcuno sorvegliasse i nostri movimenti, non ci sarebbe molto da vedere.» L'aereo decollò in orario e atterrò a Edinburgh-Turnhouse poco dopo le dodici e trenta. Quel mattino, prima di lasciare il Caledonian Club, Adam aveva telefonato a Humphrey chiedendogli di farsi trovare all'aeroporto con la Bentley, in onore dell'arrivo di sua madre. Di conseguenza non fu sorpreso, dopo aver passato la dogana, di vedere la familiare figura del maggiordomo in attesa nel terminal. Solo con un certo ritardo notò che il robusto poliziotto dai capelli biondi accanto a Humphrey faceva parte del comitato di accoglienza. «Strano», ammise Philippa, quando se ne accorse. «O io ho violato qualche oscura legge d'immigrazione, oppure...» «Oppure è successo qualcosa», intervenne Adam. «Quello è l'assistente di Noel. Andiamo.» Madre e figlio si fecero strada fra i passeggeri che uscivano nella zona arrivi. Nel frattempo anche Humphrey e l'agente li avevano visti, e stavano venendo loro incontro con evidente fretta. «Agente Cochrane», disse Adam, mentre Humphrey accoglieva Philippa con un preoccupato cenno del capo. «La sua presenza qui dovrebbe farmi temere il peggio?» Dopo un'occhiata incerta a Philippa, Cochrane tornò a volgersi a Adam,
sorvolando sui saluti. «Non voglio allarmarla, signore, ma l'ispettore McLeod ha avuto... una specie d'incidente. Lui e Mr. Peregrine Lovat hanno deciso di mandarmi a prenderla.» L'agente abbassò la voce e gli riferì di come McLeod avesse avuto un preoccupante collasso dopo aver ricevuto con la posta uno strano origami. «Visto che in quel momento lei non era raggiungibile, signore, l'ispettore mi ha detto di chiamare Mr. Lovat», continuò Cochrane. «Mr. Lovat è riuscito a far stare meglio l'ispettore, che però non si è ancora ripreso completamente. Sia lui che Mr. Lovat pensano che ci sia urgente bisogno del suo aiuto. La mia auto è qui fuori. Posso portarvi direttamente ai nostri uffici, se volete.» Per Adam, la brutta sorpresa di sapere che McLeod aveva subito un attacco psichico era stata un po' mitigata dalla stupefacente rivelazione che Peregrine aveva in qualche modo partecipato alla difesa dell'ispettore. In ogni caso, il terminal affollato dell'aeroporto non era il luogo migliore per chiedere ulteriori ragguagli sull'accaduto. Si voltò a interrogare sua madre con un rapido sguardo. «Non preoccuparti di me», lo rassicurò Philippa. «Humphrey e io abbiamo un'esperienza di vecchia data con i bagagli e tutto il resto. Ti aspettiamo a casa o preferisci incontrarci da qualche altra parte?» «Non so bene quanto tempo ci vorrà», rispose francamente Adam. «È meglio che torniate a Strathmourne e mi aspettiate là. Più tardi vi darò un colpo di telefono per riferirvi come stanno le cose. Humphrey, per caso hai portato la mia borsa da medico?» «Sì, signore. È nel portabagagli della Bentley.» «Bene», annuì lui. «La macchina è qui fuori?» «È nel parcheggio delle limousine, signore. Vuole che vada a prenderle la borsa?» «Sì, se non ti spiace. Grazie.» «La mia macchina è giusto dietro la vostra», disse Cochrane. «Da questa parte.» Appena furono in macchina, Cochrane accese il lampeggiante azzurro e la sirena, e spinse il piede sull'acceleratore. Sotto l'ululato della sirena la conversazione era difficoltosa, ma con poche domande accurate Adam riuscì a farsi una buona idea delle condizioni di McLeod. Mentre Cochrane proseguiva raccontandogli cos'era successo dopo l'arrivo di Peregrine sulla scena, Adam aprì la sua borsa e preparò una siringa ipodermica. «Questo allevierà la nausea che lei mi ha descritto, e lo aiuterà a rilassar-
si», spiegò, in risposta allo sguardo interrogativo dell'agente, mentre rimetteva il cappuccio plastico sull'ago e imbeveva con l'alcol un pezzo di cotone idrofilo. «A volte viene usata per il trattamento dell'emicrania.» Infilò gli oggetti in tasca. Quando estrasse la mano, aveva fra le dita il suo anello di zaffiro. A qualche isolato dalla sede della polizia, Cochrane spense la sirena per non destare troppa attenzione con il suo arrivo. Mentre si fermavano in uno degli spazi liberi del parcheggio, Adam vide una Morris Minor a lui ben nota parcheggiata di fronte all'edificio su una doppia linea gialla. Sotto uno dei tergicristalli sbatteva al vento una multa. Inarcò un sopracciglio. Cochrane aveva notato la direzione del suo sguardo, e sorrise. «Oh, non è una vera contravvenzione, signore», disse, con aria indifferente. «O, meglio, è una multa, ma in bianco. Quando sono uscito per andare all'aeroporto ho visto una vigilessa che stava scrivendo, ma l'ho convinta a lasciar perdere. Prima che Mr. Lovat esca, provvederò io a togliere il modulo.» «Conoscendo l'inflessibilità dei vigili urbani, lei dev'essere dotato di una formidabile capacità di persuasione, Mr. Cochrane», esclamò Adam, spingendo la borsa medica sotto il sedile. «Mr. Lovat le deve un favore.» «Be', avrebbe potuto essere più difficile», ammise Cochrane, con un sorrisetto. «Ma in fondo la vigilessa è la mia fidanzata.» Entrarono nell'edificio da una porta laterale e salirono al primo piano con un ascensore di servizio. «L'ispettore ha detto che sarebbe stata una buona idea non passare dall'atrio principale», spiegò Cochrane, mentre uscivano dall'ascensore in un corridoio vuoto. «Da questa parte, signore.» Raggiunsero l'ufficio di McLeod senza incrociare nessuno. Anche così, Adam aveva la spiacevole sensazione che qualcuno li spiasse. Sapendo che, per quello, non c'era molto che potesse fare, attraversò il corridoio voltando le spalle alle altre scrivanie e attese che Cochrane bussasse alla porta. Un momento dopo questa fu aperta da Peregrine, che appariva un po' pallido, ma deciso dietro i suoi occhiali. Appena il giovane vide Adam, la sua faccia si schiarì. «Grazie al cielo!» esclamò, scostandosi per farli passare. McLeod era disteso all'indietro sulla poltrona, con i capelli in disordine, una salvietta umida sugli occhi e la cravatta allentata. Mentre i nuovi venuti entravano, tolse la salvietta e si rimise gli occhiali, indirizzando a Adam un sorriso contorto. «Bentornato», disse, raucamente. «Avrei preferito venire io da te, invece
di mandarti a prendere, ma ho le gambe molli come due stracci.» «Così mi è stato detto», annuì Adam, tastandogli il polso. «Sei fortunato a essere ancora fra noi. Dov'è l'oggetto che ha causato tutto questo?» Dopo aver saputo che l'origami era stato messo in cassaforte, Adam chiese a Cochrane di andarlo a prendere. Le pulsazioni di McLeod erano abbastanza regolari, ma troppo rapide, e la sua faccia era contratta dalla sofferenza. «Senza dubbio c'è lo zampino della Lince», disse, mentre Adam avvicinava una sedia e si sedeva. «Sì, infatti. Il metodo che hanno scelto porta la loro firma.» McLeod si lasciò togliere gli occhiali ed esaminare gli occhi, iniettati di sangue. «Dopo la conversazione che abbiamo avuto lunedì, posso immaginare cosa stai pensando. Ma ti giuro che non mi sono tradito con uno di loro, almeno che io sappia.» Adam accese una piccola lampadina da medico per illuminargli le pupille, cosa che strappò una smorfia a McLeod. «Scusa», mormorò. «Ho portato con me un analgesico per combattere il dolore, ma prima devo farti un paio di domande. Innanzitutto, qualcun altro ha toccato direttamente questo origami stregato, a parte te?» «No», rispose con sicurezza McLeod. «Bene. Dovrò aprirlo per vedere cosa c'è dentro. Ho bisogno di qualcosa per maneggiarlo... di materiale non conduttore, legno o plastica.» «Un paio di matite vanno bene?» propose Peregrine. «No, la grafite è un conduttore. C'è un tagliacarte di plastica in uno di questi cassetti?» McLeod scosse il capo prima che Peregrine potesse guardare nella scrivania, anche se quel movimento gli strappò una smorfia di dolore. «Che ne dici di due bacchette? La settimana scorsa mi sono fatto portare un pranzo cinese, e me ne sono avanzate un paio. Sono là dentro.» Adam allungò una mano al vasetto delle matite, che l'amico gli stava indicando, e svolse le bacchette dalla carta. Avevano un'estremità abbastanza appuntita. «Sì, queste vanno bene», decise. «Appena Mr. Cochrane torna con l'oggetto, cominceremo con la vivisezione. Peregrine, levagli la giacca e scoprigli una spalla. Devo fargli un'intramuscolare.» Mentre il giovanotto lo aiutava a spogliarsi, McLeod guardò la siringa che Adam aveva tolto di tasca. «Che roba è?» «Una cosa che ti aiuterà per il dolore e la nausea», spiegò lui, tirandogli su la manica della camicia fino alla spalla. Cercò un punto adatto e lo sfre-
gò con il cotone imbevuto d'alcol. «Dovresti sentire l'effetto quasi subito.» «Non mi metterà fuori combattimento, vero?» mugolò McLeod, senza accorgersi dell'ago che entrava nella carne. Adam scosse il capo e iniettò il liquido. «No, quello lo farò io. La cosa funzionerà meglio se lasci che ti metta a dormire per un po'.» «D'accordo», annuì McLeod, che già cominciava a rilassarsi sotto l'influenza del medicinale. «Attento, però, mentre maneggi quella lince di carta. È una cosa infernale!» Adam sorrise e si rimise in tasca la siringa, poi prese fra due dita il polso dell'amico per controllare le pulsazioni e gli passò brevemente l'altra mano sulla fronte. «Lascia che ora sia io a preoccuparmi di tutto, vecchio mio. È tempo che tu faccia un lungo respiro e vada a dormire. Chiudi gli occhi... così... lascia che il dolore si allontani. Ora piegati sulla scrivania e appoggia la testa sulle braccia.» Quando vide che McLeod respirava serenamente, Adam annuì e si volse a Peregrine. «Bene. Dunque, Cochrane mi ha dato un riassunto di quello che tu hai fatto qui», iniziò, gravemente. «Ma è chiaro che lui non poteva sapere cosa stava succedendo in realtà. Per fortuna, Noel lo aveva già abituato ai nostri metodi insoliti. Un giorno potrebbe essere una buona recluta. Prima che torni, però, forse dovresti dirmi cosa hai visto, con parole tue. Comunque, hai agito benissimo; grazie a te, Noel è riuscito a resistere finora.» Senza sapere perché, Peregrine si trovò ad arrossire come uno scolaretto sotto lo sguardo penetrante di Adam. L'elogio era meritato, ma lui stava navigando nell'incertezza. «Non sono sicuro di sapertelo spiegare chiaramente. Ho cercato d'immaginare cos'avresti fatto tu...» Il giovanotto descrisse più o meno ciò che era accaduto quando aveva focalizzato la sua vista interiore su ciò che stava affliggendo McLeod, i tentacoli grigi e spinosi che gli avvolgevano strettamente la testa, e com'erano bruciati dissipandosi mentre lui li strappava via a manciate. «Devo confessarti un'altra cosa, però», aggiunse, quand'ebbe finito quel breve resoconto. «Io... ho fatto ricorso all'anello di Michael Brodie.» E lo guardò con aria colpevole. «Perché questo ti preoccupa?» domandò Adam, scrutandolo da vicino. Evitando gli occhi dell'amico, il giovane artista mormorò: «Ti avevo detto che non lo avrei usato senza il tuo permesso». «È vero», annuì Adam. «Ma quella era una condizione posta da te, non da me.»
Peregrine sbatté le palpebre, con aria perplessa. «Il giusto comportamento», spiegò Adam con voce morbida, «non significa stabilire delle regole e attenersi rigidamente a esse. Al contrario, significa valutare una situazione e agire nel modo più corretto possibile. Ricorda la direttiva dell'I Ching: 'L'uomo superiore discrimina fra l'alto e il basso'. In questa circostanza hai stabilito giustamente di infrangere una regola minore in favore di una più importante.» La faccia di Peregrine si schiarì. «Allora non sei deluso di me?» «Deluso?» Il giovane artista appariva così compunto che Adam fu tentato di ridere. «No, di certo», gli assicurò con un sorriso. «Sorpreso, forse... ma tu sei una continua fonte di sorprese per Noel e per me, fin dai fatti di Melrose. E questo lo intendo come un complimento.» Vedendo che ora Peregrine sorrideva debolmente, aggiunse: «C'è qualcos'altro che senti di dovermi dire?» «Non credo... no, aspetta», riprese Peregrine. «C'è un'altra cosa. Dopo che Cochrane è uscito per venirti incontro, mentre aspettavo, ho fatto qualche disegno. Sono impressioni, più che immagini vere e proprie, ma mi avevano colpito e le ho buttate giù. Forse tu puoi capirci qualcosa.» Da una tasca interna della giacca il giovanotto estrasse alcuni fogli ripiegati, che una volta aperti si rivelarono essere disegni fatti su carta da lettere intestata del dipartimento di polizia. Un estraneo li avrebbe presi per un abbozzo d'arte surrealista, ma agli occhi esperti di Adam essi rappresentavano il sortilegio che aveva aggredito McLeod. Il primo disegno raffigurava due bicchieri di sottile plastica bianca, alcuni fogli di carta, un bisturi e una penna d'oca fornita di un antiquato pennino. Il secondo mostrava quattro pollici sanguinanti protesi sopra una tazza. Il terzo, la figura di un uomo circondato da un circolo di fascine ardenti. Messi insieme, come carte tratte da un insolito mazzo di tarocchi, puntavano verso una verità nascosta. «Non sembra che abbiano molto senso, vero?» «Al contrario», rispose pensosamente Adam, restituendogli i disegni. «Mi dicono molte cose.» Si sarebbe spiegato meglio, ma un lieve bussare alla porta annunciò il ritorno di Cochrane con la busta che conteneva la lince origami. «Scusi se ci ho messo tanto, signore, ma intorno c'erano altre due o tre persone, e non volevo sembrare troppo eccitato.» «Molto saggio», approvò Adam, e Cochrane gli consegnò la busta. La palpò leggermente, con quello sguardo lontano ormai così familiare a Pe-
regrine, quindi prese una delle bacchette e la infilò sotto il bordo per aprirla. Mentre gli altri due assistevano in silenzio, usò entrambe le bacchette per trasferirne il contenuto sul piano della scrivania e svolse il fazzoletto per esporre quello che c'era dentro. La lince di carta dorata brillò di riflessi quando Adam la toccò con le bacchette. Era la prima volta che vedeva una lince fatta con l'origami, e la giudicò confezionata alla perfezione, opera di qualcuno la cui abilità uguagliava o superava quella di McLeod. Il corpo aveva uno spessore da cui si capiva che conteneva qualcosa. Dopo aver appoggiato la lince sul fazzoletto, Adam disegnò un simbolo nell'aria con la mano in cui portava l'anello. Poi prese un righello di plastica dal vasetto delle matite. Usando quell'oggetto per tenere ferma la lince, cominciò delicatamente ad aprirle il ventre con una delle bacchette, con l'accuratezza di un chirurgo. Lentamente la carta si aprì. Era lucida solo all'esterno, ma di un colore dorato anche dentro. Adam portò allo scoperto due strisce di quello che sembrava il bordo di un bicchiere da caffè di sottile plastica bianca, e un pezzetto di carta vergata con curiosi simboli rossi. C'erano simboli anche sulla faccia interna della carta dorata, ma Adam esaminò per primi i frammenti di plastica. «Questi sembrano pezzi di bicchiere di un distributore di caffè», spiegò. «Usati indubbiamente da Noel qualche giorno fa, e recuperati dal suo cestino dei rifiuti.» «E quella striscia di carta?» domandò Peregrine, mentre Adam la apriva meglio. «C'è scritto qualcosa. Sono caratteri cuneiformi? E quell'inchiostro rosso si direbbe sangue.» Adam distese la striscia di carta con una bacchetta, accigliato. «Quello che c'è scritto qui e sulla carta della lince rappresenta la parte verbale dell'incantesimo», spiegò. «E il sangue è il mezzo preferito per attivarne il potere. In quanto alla dicitura sull'altro lato...» Girò la striscia di carta, rivelando una scritta in inchiostro nero. «Questa è la firma di McLeod!» esclamò Peregrine. «Proprio così», annuì Adam. «Il terzo legame per indirizzare il sortilegio su di lui.» Cochrane stava guardando quegli oggetti, al suo fianco. «Non mi piace per niente, signore. Quella firma è stata tolta da una lettera o da un rapporto ufficiale... è una cosa che viene da qui, da questo dipartimento.» Adam annuì. L'insieme di quegli oggetti testimoniava la probabile pre-
senza di un agente della Lince all'interno del comando centrale della polizia di Edimburgo. «Speravo di non dover considerare questa possibilità», si rivolse a Cochrane. «Se lei trovasse altre prove che conducono in questa direzione, le sarei grato se me lo facesse sapere.» «Può contarci, signore.» Adam lasciò che la striscia di carta s'incurvasse di nuovo, mentre prelevava un foglio bianco da un cassetto. Usando una bacchetta e il fazzoletto di seta per proteggersi le dita aprì su di esso l'origami e la striscetta di carta, con le scritte volte in alto, quindi li fissò al foglio con una spillatrice. «Non so se verrà bene, Mr. Cochrane, ma le sarei grato se mi facesse una fotocopia di questa roba, per studiarla in seguito», disse, consegnandogli il foglio «Pensa di poterlo fare? Stia ben attento a non toccare direttamente questi oggetti.» «Non c'è problema, signore», annuì Cochrane. «Potrà occorrermi un po' per trovare una fotocopiatrice libera. Suppongo che preferisca che nessun altro veda questa roba.» «Lei suppone giusto», confermò Adam. «Si prenda pure il tempo che sarà necessario. Varrà la pena di aspettare.» Una volta che Cochrane fu uscito per l'ultimo dei suoi incarichi, Adam controllò di nuovo il polso di McLeod. L'ispettore sembrava addormentato, ma i movimenti oculari dietro le sue palpebre gli rivelarono che in effetti era in trance, e pienamente consapevole di ciò che gli accadeva intorno. «Noel, spero di tirarti fuori da questa situazione in breve tempo», gli disse con calma. «Prima di cercare di muoverti, però, voglio proteggerti meglio. Sei d'accordo?» Senza aprire gli occhi, McLeod mormorò: «Sì». «Bravo. Ora dormi, profondamente.» Adam trasse un lungo respiro, chiuse gli occhi per innescare in sé uno stato di trance, e vi si lasciò scivolare rapidamente. Il mutare delle percezioni gli causò un momentaneo distacco dai suoi sensi fisici, ma dopo un altro respiro fu in grado di aprire gli occhi della mente al residuo psichico di ciò che era accaduto nelle ultime ore. L'immagine che captò fu quella di McLeod circondato da una siepe di spine, distanti da lui circa un braccio. Ombre simili a lingue di fiamma scura si muovevano sulle spine. Mormorando un'invocazione alla Luce, Adam uscì fuori dal suo corpo e raggiunse McLeod nel cerchio di rovi. Il potere fluiva da lui come una fontana. Focalizzando quel potere sulla mano destra tracciò nell'aria un simbolo
protettivo. Il movimento lasciò una traccia luminosa. Sibilando, le ombre si ritrassero dal segno che aveva eseguito. Adam approfondì la concentrazione e si mosse lungo il circolo, fermandosi a ogni quarto del percorso per tracciare ancora il simbolo; il suo consumo di energia era palpabile. Quando finì, stava tremando di stanchezza. Ma la circonferenza di simboli protettivi, una volta tracciata, reggeva fermamente. Soddisfatto della momentanea barriera difensiva, Adam uscì dal circolo. Il ritorno alla coscienza fu accompagnato da un familiare senso di vertigine. Appena quello stordimento ebbe termine, riaprì gli occhi. McLeod non si era mosso, ma la sua respirazione appariva più rilassata, anche se aveva la faccia di un colore cereo. Peregrine, accanto a loro, assisteva con espressione ansiosa. Nel vedere che Adam aveva rialzato la testa, domandò sottovoce: «Ora sta meglio?» «Non starà davvero bene finché il sortilegio non sarà stato neutralizzato», precisò Adam. «Ma questo non è ciò che intendo fare qui.» Restò seduto in silenzio, dando altri rinforzi alle difese di McLeod finché Cochrane fece ritorno con la fotocopia da lui chiesta. Sempre attento a proteggersi le dita con il fazzoletto di seta, Adam staccò dal foglio bianco la linceorigami e la striscia con la firma, e usò le bacchette per deporre gli oggetti dentro il fazzoletto, compresi i pezzi di plastica bianca, quindi li rinchiuse in un piccolo fagotto di seta e ficcò il tutto in una busta, che sigillò e si mise in tasca insieme alla fotocopia piegata in quattro. La fodera della sua giacca era anch'essa di seta, e lo avrebbe isolato da un eventuale contatto con ciò che portava. «E tempo di andare», disse Adam ai due giovani assistenti, dando uno sguardo all'orologio. «L'orario d'ufficio è finito, e nel prossimo quarto d'ora ci sarà abbastanza movimento da consentirci di uscire senza dare nell'occhio.» Peregrine prese soprabito e sciarpa. Adam si rivolse a McLeod, attraverso la soglia della sua trance ipnotica. «Tu sei con me, Noel? Annuisci, se puoi sentirmi. Sì, così, va bene. Ora ascoltami», continuò, in tono pressante. «Fra qualche momento noi lasceremo l'edificio. Quando io te lo dirò, tu tornerai pienamente consapevole e ricorderai tutto ciò che abbiamo detto, ma non mostrerai segni esteriori di sofferenza. So che stai ancora piuttosto male, ma resisterai al dolore per il tempo che ci sarà necessario a portarti alla tua macchina. Se qualcuno ti farà domande, dirai che hai un po' d'influenza...»
Rimisero la giacca a McLeod e gli infilarono anche il soprabito. Cochrane lo accompagnò fuori, chiuse la porta e lo scortò lungo il corridoio fino alle scale di servizio, esibendo un atteggiamento noncurante che Adam approvò con un cenno. Grazie alla suggestione post-ipnotica McLeod procedette attraverso il parcheggio senza che le sue gambe cedessero, anche se un paio di colleghi lo guardarono con aria perplessa. Mentre Cochrane andava a recuperare la borsa nera da medico nell'auto della polizia, Adam e Peregrine localizzarono la BMW nera nello spazio riservato all'ispettore e usarono le chiavi che lui aveva in tasca per aprirla. Con l'aiuto di Adam, McLeod si accasciò sul sedile accanto al conducente e abbandonò la testa sullo schienale, sospirando stancamente. Un momento più tardi Cochrane li raggiunse. Restituì la borsa a Adam e si chinò a guardare dentro dal finestrino, preoccupato per le condizioni del superiore. «Odio doverlo dire, signore», mormorò, nel tentativo di sembrare rassicurante, «ma lei non sembra abbastanza in forma per partecipare alla cerimonia del St. Andrew Day, stasera alla Loggia.» «Odio doverlo ammettere, ma probabilmente hai ragione», sospirò McLeod. «Spero sarai così gentile da presentare le mie scuse ai fratelli.» «Non ne dubiti, signore», assicurò Cochrane. «Ha qualche ordine per me, prima che io vada?» «Sì. Più tardi, quando avrai tempo, vai a farti una pinta di birra. Te la sei meritata.» 20 Adam si mise al volante della BMW e riportò McLeod a casa. Peregrine li seguì con la sua macchina. Jane McLeod accolse con un certo allarme la loro comparsa, ma suo marito si affrettò a tranquillizzarla con la scusa che Adam gli aveva suggerito alla stazione di polizia. «Sembra che il virus dell'influenza mi sia saltato addosso prima del tempo, quest'anno», la rassicurò, con un sorriso storto. «Adam dice che sopravvivrò, ma in questo momento la prospettiva non mi sembra molto attraente.» «Tuo marito non è il più docile dei pazienti», intervenne Adam, con una smorfia. «Ma questo suppongo tu lo sappia già. Se riuscirai a tenerlo a letto per un giorno o due, però, tutto dovrebbe passare.» «Ahimè, questo non sarà facile», replicò Jane, accigliata, prendendo
McLeod per un braccio e aiutando Adam a portarlo dentro. «Quest'uomo è impossibile, a volte. Ma ora filerai dritto a letto, Noel McLeod, e se qualcuno del tuo dipartimento telefonerà, gli dirò che ti sei stancato della vita di città e sei partito per i tropici!» «Se il mal di testa diventasse fastidioso, puoi dargli qualche aspirina», consigliò Adam. «Comunque, penso che la medicina migliore sarà il sonno. Vi telefonerò domattina, per sentire come sta.» Dopo aver visto McLeod sistemato a letto e aver chiamato Strathmourne per avvertire Humphrey e Philippa, Adam raggiunse Peregrine sulla Morris Minor. Il traffico era quello dell'ora di punta quando oltrepassarono il Forth Road Bridge per dirigersi verso casa, e per diversi chilometri Peregrine fu troppo occupato con la guida per dare voce alle molte domande che gli ronzavano nella testa come api. Ma quando si furono lasciati la città alle spalle, non poté trattenere quei pensieri. «Adam», azzardò, «da quel poco che ho sentito finora sulla Loggia della Lince, sembra che quella gente abbia sempre fatto ogni sforzo per tenere segrete le sue attività. Tuttavia questo attacco a McLeod è chiaramente opera loro. Perché credi che siano stati così noncuranti da lasciare praticamente il loro biglietto da visita?» Adam si voltò, distogliendosi dai pensieri privati in cui era immerso. «Non credo che si tratti di noncuranza, quanto di arroganza. La trappola tesa a Noel era progettata per essere mortale. Se avesse avuto successo, la causa sarebbe stata imputata a un attacco cardiaco o a un ictus. Nessuno che non sapesse dove cercare le prove avrebbe mai sospettato la verità.» «Ma di questo sortilegio che mi dici?» protestò Peregrine. «Era una lince, per l'amor di Dio! Chiunque lo abbia fatto doveva sicuramente sapere che sarebbe stato trovato.» «Sì, ma chi avrebbe capito cos'era?» domandò Adam. «Inoltre, chi conosce l'esistenza della Loggia della Lince? Assai pochi, puoi credermi. Mentre quasi tutti, al dipartimento di polizia, sanno della passione di McLeod per l'origami. Ne ha dozzine di esempi nel suo stesso ufficio. Da qualunque parte la guardi, il rischio per loro era minimo.» Fissando le luci delle auto che li precedevano, continuò: «Puoi immaginare anche tu come sarebbe andata. Qualcuno entra nell'ufficio di McLeod e lo trova morto dietro la sua scrivania. C'è subito un certo trambusto, che porta sulla scena tutti i colleghi dell'ufficio per vedere cos'è successo. Mentre la loro attenzione è accentrata sulla vittima, chi vuoi che faccia caso a un origami come tutti gli altri? E una cosa del genere può esser fatta
sparire facilmente, mentre il corpo viene portato via. Questo dev'essere stato il loro piano, suppongo.» Peregrine annuì. Non aveva alcuna difficoltà a immaginare la scena. «Per nostra fortuna, invece», riprese Adam, «e soprattutto per fortuna di McLeod, chi ha fatto tutto questo sembra aver sottovalutato le sue capacità di difesa. Noel, come avrai notato, è un uomo robusto e con molta forza di volontà. Questo è probabilmente ciò che i nostri avversari non hanno calcolato, e che lo ha salvato... o almeno, gli ha dato modo di resistere fino all'arrivo dei rinforzi.» Peregrine provò un brivido. «Io non avevo la minima idea che la situazione fosse così critica, quando sono corso qui», mormorò. «Non immaginavo niente del genere.» Adam sorrise. «Sei intervenuto con pieno successo. Lady Julian sapeva quello che faceva, quando ti ha dato l'anello di Michael.» Peregrine arrossì un poco a quell'elogio. Dopo un momento di silenzio, domandò incuriosito: «Secondo te, qual è il motivo di questo attacco improvviso? Voglio dire, perché adesso? Se avevano individuato McLeod fin dai fatti di Urquhart, non sarebbe stato più logico vendicarsi prima? E se hanno colpito lui, non saremo anche noi sulla loro lista nera? Chi sarà il prossimo?» «Non è detto che il loro ragionamento sia stato questo», rispose Adam. «Il fatto che non avessero una precisa idea delle capacità difensive di Noel può far pensare che l'abbiano individuato da poco tempo, e ciò significa che, almeno finché non capiranno che è sopravvissuto, continueranno ad avere una scarsa opinione anche di noi. La mia ipotesi è che negli ultimi giorni sia accaduto qualcosa che li ha convinti che sarebbe stato più sicuro eliminarlo. Quando si sentirà meglio, e io avrò studiato meglio questo», Adam si batté una mano sulla tasca della giacca, «riesamineremo tutti i suoi movimenti dal giorno della morte di Randall, e cercheremo di identificare un momento-chiave ...» Erano quasi le sette quando oltrepassarono il cancello di Strathmourne. Peregrine cominciava a sentire il peso della stanchezza. «Dio, è stata una giornata dura», mormorò, fermando l'auto alla porta laterale della villa. «La prima cosa che farò appena sarò alla dépendance è una doccia calda. E per cena, una tazza di fiocchi d'avena, se Mrs. Gilchrist non mi ha lasciato un po' di stovies.» Adam sorrise. Lo stovies, un saporito stufato a base di carne di manzo, cipolle e patate, era importante nella dieta nazionale scozzese quanto
l'haggis, e anche a lui piaceva molto. Nessuno lo faceva meglio di Mrs. Gilchrist, le cui materne premure per Peregrine spesso la spingevano a offrirgli anche le sue specialità culinarie. «Mi fa piacere che tu abbia parlato della cena», disse Adam, recuperando la sua borsa dal sedile posteriore. «Questo mi fa tornare in mente una cosa che avrei voluto chiederti oggi pomeriggio Hai già fatto progetti per domani sera? In caso contrario, potresti venire qui alla villa intorno alle sette, per un drink e la cena. Niente di molto formale. Tanto per farti conoscere da mia madre.» «Grazie, sarà un piacere», rispose Peregrine. «Ci vediamo domani sera, allora, se non prima.» Adam augurò la buonanotte al giovane artista e scese dalla macchina. Humphrey era sulla porta ad accoglierlo quando entrò in casa, e gli prese la borsa e il soprabito. «È bello rivederla a casa, signore», lo accolse il maggiordomo. «Spero che l'ispettore McLeod stia meglio.» «Sta abbastanza bene, per il momento, ma c'è ancora del lavoro da fare. Mia madre è in biblioteca?» «Sì, signore. Mi ha chiesto di servire la cena solo più tardi, quando avrete parlato.» Adam annuì. «Allora sarà meglio che vada da lei. Ma temo che dovrai rinunciare a preparare la cena, per stasera.» Nell'abituale imperturbabilità di Humphrey ci fu un filo di preoccupazione. «Parla seriamente, signore?» «Mai stato più serio.» «Capisco, signore.» Dopo una breve pausa, Humphrey domandò: «Nel frattempo gradirebbe un po' di tè caldo?» Adam trasse un sospiro di gratitudine e annuì. «Un suggerimento eccellente. Ma non portarlo subito. Quando saremo pronti, suoneremo.» Entrando in biblioteca, Adam trovò Philippa seduta davanti al caminetto con un libro in grembo, rilassata ma elegante in una veste da camera rossa e uno scialle di tartan con i colori dei Sinclair. Lui riconobbe il libro come una prima edizione, in tedesco, di Aion, di Carl Gustav Jung. In gioventù, Philippa aveva studiato con Jung. «Vedo che consulti un vecchio amico», osservò in tono discorsivo. Il sorriso di Philippa fu un palpito di luci lontane. «Allieva una volta, allieva sempre. E io odio perdere tempo, come tu sai. Con Gillian Talbot che arriva lunedì, ho pensato che sarebbe stato meglio rinfrescarmi la memoria
sulla fenomenologia dell'ego.» La donna prese un segnalibro, una sottile striscia di stoffa dorata, e lo inserì fra due pagine prima di mettere da parte il volume. «Sembri stanco, ma non depresso», constatò, scrutando il volto del figlio con gli acuti occhi scuri. «La crisi si è risolta bene, allora?» Con un lungo sospiro Adam sedette sulla poltrona di fronte e aprì una lunga scatola metallica, sul tavolino accanto a lui. L'interno era rivestito in seta azzurra, e fu lì che lui depose la busta con il fazzoletto di seta di McLeod e il suo pericoloso contenuto. «Grazie alla brillante azione di contenimento di Peregrine, e alla resistenza fisica di McLeod, ho potuto limitare i danni», replicò alla madre, con una smorfia. «Ma l'emergenza è tutt'altro che finita.» Chiuse la scatola. «Davvero?» Philippa inarcò un sopracciglio ricurvo. «In tal caso, forse faresti meglio a fornirmi tutti i particolari.» In poche parole, per quanto possibile, Adam la mise al corrente di ciò che era successo da quando si erano separati all'aeroporto, e le mostrò la fotocopia su cui apparivano le scritte dell'incantesimo. Philippa non fece commenti durante il suo resoconto, ma quando lui finì la sua faccia si era indurita come la maschera di una sfinge. «La scrittura è runica, non cuneiforme», spiegò, restituendogli la copia. «Probabilmente nordeuropea. L'incantesimo potrebbe essere La Tène, collegato a quel collare che mi hai descritto. Farò qualche ricerca per restringere le ipotesi, ma nel frattempo il sortilegio deve essere distrutto per rimuovere la minaccia da McLeod.» Guardò la scatola di legno con aria freddamente calcolatrice. «Neutralizzarlo, però, non sarà facile... specialmente dopo la fatica che tu hai già sopportato oggi. Hai intenzione di farlo stasera?» Adam si appoggiò allo schienale, sfregandosi gli occhi con una mano stanca. «Dev'essere neutralizzato stasera. E se stai pensando di farlo da sola, scordatene. Non fosse altro che per il legame fra me e McLeod, io sono il più qualificato. Ma ti sarò grato per la tua assistenza.» «Perché credi che abbia detto a Humphrey di non aver fretta di servire la cena?» chiese Philippa, con un cupo sorriso. «Spero che non avesse in programma di cucinare nulla di speciale per stasera. Per quanto mi dispiaccia cancellare una cena senza preavviso, temo che in questa circostanza non abbiamo scelta. Se vogliamo occuparci nel modo migliore di quello», aggiunse, indicando la scatola, «dovremo essere in possesso di tutte le nostre facoltà.»
Adam riconobbe quella verità con un cenno del capo. Il digiuno faceva parte dei preparativi di ogni lavoro di una certa entità, come quello che lui e Philippa si accingevano ad affrontare, perché i processi digestivi rubavano sangue al cervello, rallentando quelle funzioni mentali che a loro occorrevano affilate come rasoi. Ancor più critico in termini esoterici era l'effetto del cibo, il quale interferiva con l'elevazione della psiche sui piani superiori. In effetti, mangiare era raccomandato dopo un lavoro psichico di un certo peso, per riportare l'operatore a contatto con la realtà. «Ho già avvertito Humphrey di non preparare la cena», confermò Adam. «In ogni caso, credo che Mrs. Gilchrist abbia lasciato in frigorifero uno stufato di qualche genere. Sono sicuro che anche riscaldato sarà ottimo. E Humphrey capisce la nostra necessità del digiuno, quando c'è bisogno di mettersi al lavoro. Qualunque suo progetto culinario abbiamo mandato all'aria, anche lui sa che la sicurezza della Loggia di Caccia deve avere la precedenza.» Dopo aver bevuto una tazza di tè, i due sì ritirarono nelle loro stanze per fare una doccia e dedicarsi ai preparativi. Quando Adam tornò al pianterreno, un'ora dopo, indossava una veste da camera blu, morbidi pantaloni grigi, camicia bianca e pantofole, la sua tenuta preferita per mettersi al lavoro. Philippa aveva una vestaglia rosa. Mentre si avviavano giù per la stretta scala che scendeva nell'atmosfera odorosa della cantina, Philippa sollevò davanti a sé un'antica lampada a olio a forma di foglia di papiro, aggiungendo alla luce elettrica quel debole bagliore giallo e un odore di verbena. Dietro di lei, Adam portava la lunga scatola metallica contenente i resti della lince-origami. Giunti in fondo alla scala, Adam precedette la madre fra gli scaffali pieni di polverose bottiglie di vino, sotto il soffitto a volta della cantina. Sul fondo c'era una porta, anch'essa ad arco, sormontata dallo stemma araldico dei Sinclair: una fenice che prendeva il volo da un nido di fuoco. La porta era costellata di pannelli di legno variegato, ciascuno largo un palmo e decorato con un diverso disegno intarsiato. Dopo aver momentaneamente consegnato la scatola a Philippa, Adam appoggiò la mano destra su un pannello di legno rosato al centro della porta. Il piccolo quadrato di legno cedette sotto la pressione e si aprì all'insù, rivelando una cavità. Il pannello adiacente era in legno nero, e scivolò di lato al tocco di Adam, come il frammento mobile di un puzzle cinese. Lo spostamento secondo una precisa sequenza di altri pannelli mise infi-
ne allo scoperto un vano contenente una lucida chiave d'ottone. Adam la tirò fuori, mosse ancora qualche altro pannello e infine scoprì la serratura per cui la chiave era stata fatta. Adam girò la chiave nella serratura, si fece restituire la scatola da Philippa e restò indietro per richiudere la porta, mentre sua madre attraversava un breve vestibolo fino a un'altra porta ad arco. Dopo di essa c'era un locale identico per dimensioni alla cantina dei vini, le cui pareti bianche erano illuminate da una lampada perennemente accesa che pendeva da una catena di bronzo. Sotto la lampada c'era un altare a forma di doppio cubo alto circa un metro, appoggiato sopra un largo tappeto kelim e coperto fino alla base da una tovaglia azzurra. Sulla destra dell'altare, e volto verso di esso, c'era un pesante seggio di quercia dipinto in oro, con lo schienale ovale e il sedile imbottiti di un velluto dello stesso azzurro della tovaglia. Sulla destra della camera una porticina dava accesso a una piccola sacrestia. Philippa era già andata là dentro con la sua lampada, ma Adam si fermò davanti all'altare per presentare i suoi rispetti, già cominciando a concentrarsi per il lavoro che lo aspettava. Quando raggiunse sua madre, pochi minuti dopo, Philippa aveva sostituito la vestaglia rosa con una toga azzurro zaffiro, e stava usando una piccola pompa a mano di bronzo per riempire d'acqua una brocca di porcellana color crema. Dopo aver deposto la scatola, Adam indossò anch'egli una toga, abbottonandola fino al collo, e allacciò intorno alla vita una cintura dello stesso colore azzurro-zaffiro. Al medio della mano destra aveva già l'anello che rappresentava la sua vocazione di Adeptus Major, e ora mise intorno al collo la stola cabalistica degli adepti, nera sul lato destro e bianca sul sinistro, con una piccola croce di Malta rossa alla giunzione dei due colori, a ricordo dello stendardo Beauceant della sua eredità templare. In altre notti, per altri lavori, avrebbe potuto sovrapporre i due lati diversi della stola e mettersi quest'ultima sotto la cintura, a simbolizzare la Potenza e la Compassione, ovvero l'offerta del Re-Sacerdote che sacrifica se stesso alla divinità; ma quella notte lasciò pendere libere le estremità, perché lui era uno strumento di quella divinità, il Pilastro Centrale fra la Potenza e la Compassione, alla ricerca della ricostruzione dell'equilibrio distrutto dall'oscuro intervento della Loggia della Lince. Giungendo le mani davanti a sé, con l'anello di zaffiro a contatto delle labbra, recitò come una preghiera il motto adottato dai templari quando ancora erano soltanto nove «cavalieri poveri» in Terrasanta. Non a noi, Signore, e non noi, ma al tuo nome dà la Gloria!
Quando si volse verso Philippa, lei stava aspettando con la brocca di porcellana e una bacinella dello stesso materiale, e aveva su un braccio una candida salvietta di lino. Adam le si accostò e lasciò che lei gli versasse acqua sulle mani, aspirando la fragranza dei petali di rosa, poi si asciugò con la salvietta e offrì a lei lo stesso servizio. L'anello di Philippa, che scintillò alla luce della lampada, aveva la forma di uno scarabeo, il simbolo egiziano della vita eterna, e nel castone d'oro era fissato uno zaffiro. Il padre di Adam glielo aveva comprato poco prima del loro matrimonio, senza ancora sapere se fosse destinata a diventare un membro della Loggia di Caccia. La collana che le pendeva sul petto era stata un acquisto successivo, per celebrare la nascita di Adam, ma si trattava di un oggetto assai più antico, e il pendente rappresentava il dio Horus dalla testa di falco, che stringeva un disco solare fra due piume di struzzo. Il monile risaliva alla XXI dinastia egizia, e Sir Iain Sinclair non aveva mai saputo che l'anima che guardava il mondo attraverso gli occhi saggi del suo figlioletto ed erede avrebbe tesaurizzato quel pendente come simbolo di regalità e sacerdozio. Adam attese che Philippa si fosse asciugata, poi versò il contenuto della bacinella in uno scarico incassato nella parete, restituendo alla terra l'acqua che da essa proveniva. Mentre la madre portava altri oggetti nel tempio, lui tolse il suo skean dubh da una tasca dei pantaloni e se lo fissò temporaneamente sul davanti della cintura. Quando Philippa tornò, furono pronti. Dopo aver acceso un nuovo stoppino di cera d'api sulla lampada a forma di papiro, la donna rientrò nel tempio seguita da Adam, che aveva ripreso la scatola metallica. Stavolta si fermò subito oltre la soglia, lasciando che Philippa accendesse le candele di cera d'api in ciascuna delle nicchie rivestite di specchio sulle quattro pareti del tempio, e ricevendo mentalmente i responsi mentre lei si rivolgeva a ogni simbolo dipinto su di esse invocandone la protezione. Sulla parete orientale era affrescato un Albero della Vita, e la candela in quel punto occupava il posto del Kether, la Corona. Davanti a quella parete c'era un altare cristiano di tipo convenzionale, che però quella notte non avrebbero usato. La luce delle candele strappava piccoli bagliori argentei dal soffitto a volta, su cui era applicato un vasto mosaico di stelle. La donna finì il suo giro e spense la lampada, che depose in una nicchia accanto alla porta prima di avanzare fra l'altare e il seggio dorato. Si voltò verso oriente, s'inchinò profondamente in omaggio alla divinità che lei e Adam servivano, e si rivolse alla Presenza usando le parole del Salmo 74:
«Tuo è il giorno e tua è la notte, la luna e il sole tu li hai creati». Una lieve corrente d'aria si mosse nella camera, ravvivando le fiammelle delle candele che danzarono e brillarono più intensamente. Rialzandosi dall'inchino, Philippa si girò a sinistra verso Adam e alzò le braccia al livello delle spalle, con i palmi in alto. «Il Signore è nel Suo sacro tempio», annunciò. «Avvicinati con fede e riverenza, affinché la nostra opera possa trovare approvazione ai Suoi occhi.» Così invitato, Adam si accostò all'altare e poggiò un ginocchio al suolo, nell'atteggiamento di un cavaliere dinanzi al signore di cui era vassallo, con la scatola su un ginocchio. Mentre si rialzava, Philippa tolse la tovaglia azzurra dall'altare rivelando il fine drappo damascato che lo copriva. La donna ripiegò la tovaglia e la infilò in uno dei piccoli scaffali ricavati sotto lo scranno, dai quali tirò fuori un rettangolo di stoffa largo quanto la sommità dell'altare, che dispose sopra il lino bianco. Su di esso poggiò due piccole bacinelle d'argento contenenti sale e acqua, e dopo aver premuto il pollice e l'indice della mano destra nel sale sollevò fra le mani quella bacinella. «Io esorcizzo te, creatura di sale, nel nome del Dio vivente, nel nome del Dio santo, nel nome del Dio onnipotente. Che tu possa essere purificata alla presenza di Adonai, il quale è signore degli angeli e degli uomini.» S'inchinò leggermente e continuò: «Creatura della terra, adora il tuo Creatore. Possa tu essere consacrata al servizio della Luce. Possa tu volgere le spalle alla Tenebra e portare la purificazione a tutto ciò che sentirà il tuo santo tocco. Amen». Detto questo, Philippa depose la bacinella del sale, tracciò nell'aria il segno della croce e intinse due dita in quella dell'acqua. «Io esorcizzo te, creatura di acqua, nel nome del Dio vivente, nel nome del Dio santo, nel nome del Dio onnipotente. Che tu possa essere purificata alla presenza di Elohim Sabaoth, il quale è signore degli angeli e degli uomini.» Di nuovo Philippa s'inchinò, quindi sollevò la bacinella dell'acqua come aveva fatto con quella del sale. «Creatura di acqua, adora il tuo Creatore, e di conseguenza possa tu essere consacrata al servizio della Luce, nel nome di Colui che è sopra ogni nome, dinanzi al quale ognuno deve inginocchiarsi e ogni bocca esprimere elogi. Amen.» Dopo aver deposto il contenitore dell'acqua sulla sinistra dell'altare, la donna usò l'anello che aveva alla mano destra per tracciare prima una croce, poi un pentacolo, quindi un ankh nell'aria sopra il rettangolo di lino. Ai
sensi acutizzati di Adam quelle tre figure parvero restare sospese nel nulla. Quindi lui si fece avanti e poggiò la scatola metallica sopra l'altare. Fatto questo tolse lo skean dubh dalla cintura e si mosse verso sinistra fino a prendere posto davanti al seggio, mentre Philippa a sua volta aggirava l'altare in direzione opposta per restare direttamente di fronte a lui. Avvertendo la forza di lei che si aggiungeva alla sua, Adam snudò la lama dello skean dubh e depose il fodero e il pugnale ai due lati della scatola metallica, prima di sollevarne il coperchio. La busta color crema contrastava sulla seta blu del rivestimento interno. Lui ne aprì un lato e usando un angolo del fazzoletto di McLeod ne tirò fuori il contenuto, senza estrarlo dalla scatola. Un altro accurato colpetto dello skean dubh tolse di mezzo la seta ed espose alla luce della lampada appesa sull'altare i resti della lince-origami, la striscia di carta con la firma dell'ispettore e le due strisce di plastica bianca provenienti dal bicchiere da caffè. Ciascuna di quelle azioni era stata accompagnata dal fremito di un'energia invisibile centrata sulla scatola, che opponeva resistenza ostacolando i suoi gesti. Ben consapevole della tensione che si era improvvisamente creata su quegli oggetti, Adam protese la lama dello skean dubh sulla scatola e mormorò un'invocazione per ottenere protezione e guida. Mentre apriva se stesso alla Volontà Divina, invocando il Pilastro Centrale, la sua apprensione lasciò il posto a un meraviglioso senso di calma che avvolgeva tutto. Ancorato a quella calma, scivolò senza sforzo dalla preghiera alla trance profonda, e l'acutizzarsi delle sue percezioni gli offrì una vista chiarissima della malvagità che circondava il contenuto della scatola. Il male che ne essudava era come puzzo di zolfo. Tenendo quel vapore a bada con la mano sinistra, Adam depose lo skean dubh e raccolse la piccola bacinella di sale consacrato, invocando l'autorità di Colui il Cui nome era benedetto. Fu proprio quel nome che pronunciò sottovoce, mentre spargeva il sale sul contenuto della scatola. Con un sibilo corrosivo simile a quello di grasso bollente, la carta che formava la lince cominciò ad accartocciarsi. Nere bruciature ne divorarono i bordi dorati, allargandosi da una piega all'altra. Un improvviso sbuffo di fuoco ne scaturì, insieme a un refolo di fumo sporco. Mentre questo spiraleggiava in alto, Adam si trovò a guardare come attraverso una finestra apertasi nel fumo. Ciò che vide fu una biblioteca ammobiliata in stile vittoriano, dove quat-
tro figure nebulose erano riunite intorno a un tavolo al centro della stanza. Alla luce di un candelabro, uno dei quattro si passò un bisturi sul pollice sinistro e lasciò colare il sangue in una piccola giara di vetro già riempita in parte. Almeno uno degli altri tre aveva già fatto la sua offerta di sangue, e si premeva un pezzo di cotone sul polpastrello. Altri oggetti deposti sul tavolo testimoniavano che quella era la seduta in cui aveva preso forma l'incantesimo della lince. Di lato c'era una penna d'oca, e un riflesso dorato accanto al gomito del capo dei quattro individui rivelava la presenza della carta usata per la lince-origami. Aguzzando lo sguardo nella foschia, Adam cercò di vedere meglio la faccia del loro capo. Ci stava quasi riuscendo quando un'ombra nera a braccia spalancate apparve dinanzi a lui, con un collare metallico intorno al collo e impugnando un fulmine balenante in ogni mano. D'istinto Adam alzò una mano a tracciare un simbolo protettivo. La misteriosa figura scomparve in un lampo di luce bianca. Sentì Philippa mandare un ansito di sorpresa. Per qualche momento non poté vedere altro che un'immagine residua sulla retina. Quando la sua vista tornò normale, dentro la scatola metallica non restava più niente, a parte un puzzo di cenere e plastica bruciata. Anche il rivestimento interno di seta e di legno della scatola era in parte bruciato, lasciando a nudo il metallo. Per completare la purificazione, Adam, sparse dentro il contenitore anche l'acqua della bacinella. Se ne levò subito una nuvola di vapore, assai più di quanto il piccolo incendio e la scarsa quantità d'acqua avrebbero potuto far credere. Il puzzo di sangue e di zolfo si dissipò in fretta, lasciando il posto a una fragranza simile a quella della neve fresca. Quando anch'essa si dissolse, l'interno della scatola era vuoto e asciutto, un guscio di metallo tirato a lucido. Sospirando una parola di gratitudine, Adam si piegò in avanti per controllare ciò che era rimasto, spalancando le mani sulla scatola per sentire se il lavoro era stato completo. Poi s'inginocchiò con sollievo, sfinito, e appoggiò la fronte al bordo dell'altare offrendo alla Luce la sua muta riconoscenza per averlo assistito in quell'opera. Mezz'ora più tardi, dopo aver rimesso in ordine il tempio ed essersi tolti i paramenti rituali, Adam e Philippa risalirono al pianterreno e si fecero servire in biblioteca una sospirata cena, a base di stufato, pane francese e cioccolata calda. Seduta molto vicina al fuoco, perché ancora sentiva nelle ossa il freddo che seguiva inevitabilmente una difficile seduta di lavoro,
Philippa studiò il volto del figlio, cercando di capire come reagiva alla rivelazione che avevano avuto al termine del rito. Quando vide che lui non sembrava incline a parlarne, la donna mise da parte la tazza di cioccolata e gli appoggiò su un ginocchio una mano magra, percorsa da vene azzurrine. «Non mi sembri troppo soddisfatto dal lavoro di questa notte», gli disse sottovoce. Adam distolse lo sguardo dalle braci del focolare. «Mi sentirei meglio se ne sapessimo di più. Abbiamo neutralizzato la minaccia a Noel, ma questo non cambia il fatto che la sicurezza della Loggia di Caccia è stata infranta. Ci proveranno ancora, e allargheranno la loro rete appena capiranno che sono coinvolto io... e Peregrine. La situazione era già difficile quando i nostri avversari non sapevano di noi più di quanto noi sapessimo di loro.» Quella piatta constatazione strappò una smorfia a Philippa. «Non hai potuto vedere niente di quelli che si erano riuniti per fare l'incantesimo?» «Poco più di quello che già Peregrine aveva rappresentato sui suoi disegni», rispose Adam. «Erano in quattro, ed evidentemente tutti hanno contribuito a dare il sangue usato per scrivere l'incantesimo, ma non ho potuto vedere le loro facce. E verso la fine c'è stata un'altra cosa ad assicurarsi che io non vedessi niente... una cosa non umana. Non ho potuto vedere neanche questa... e non sono sicuro che mi sarebbe piaciuto, ma c'era di nuovo quel collare, il torc. E dei fulmini.» Scosse il capo, con un brivido. «È sempre la stessa storia, da qualunque parte la giri», rifletté. «Niente nomi, niente facce, solo un elenco di crimini sempre più lungo, ognuno più brutale e audace dell'altro... e ora, la prova che ci siamo imbattuti in qualcosa molto oscuro e potente, forse un elementale di qualche genere. Qualunque cosa stiano cercando di ottenere, si tratta di una cosa grossa. Se non apriamo uno spiraglio quanto prima, porteranno a termine il loro progetto... e forse travolgeranno anche noi.» Adam si richiuse in un silenzio preoccupato. Philippa si versò dell'altra cioccolata nella tazza e la sorseggiò con aria accigliata, mentre rifletteva. «Sono d'accordo con te che il tempo non lavora a nostro favore», riconobbe, dopo un poco. «Ma non lasciare che la tua frustrazione ti impedisca di vedere che l'attacco di oggi a McLeod è stato, in certa misura, un errore. Il fatto che lui sia sopravvissuto, quando chi ha disposto la trappola era convinto che non avrebbe avuto scampo, può offrirci la traccia che ci serve per arrivare a scoprire il resto del mistero.» «Spero che tu abbia ragione», disse Adam con un mezzo sorriso. «Se quella gente si è lasciata dietro altre tracce, mi auguro che possano portarci
da qualche parte.» 21 La sera successiva, dopo aver dormito fin oltre mezzogiorno e aver concluso assai poco il resto del pomeriggio, Peregrine salì in macchina e lasciò la dépendance per rispettare l'appuntamento a cena con Adam e sua madre. Humphrey lo stava aspettando sul portone della villa quando attraversò il cortile anteriore, sotto raffiche di nevischio. «Buonasera, Mr. Lovat.» Peregrine si scosse via la neve dalle scarpe, poi passò nell'atrio. «Ehilà, Humphrey. Che serataccia, eh?» esclamò dopo avergli consegnato sciarpa e cappello, mentre il maggiordomo aspettava che si levasse il soprabito. «Proprio così. Brutta per gli uomini e per le bestie.» Gli occhiali di Peregrine erano impiastrati di neve, quindi se li pulì con il fazzoletto. Poi si aggiustò meglio i capelli. «Ebbene, Humphrey, da che parte vado?» «Sir Adam e Lady Sinclair stanno prendendo un aperitivo nella Stanza Rosa, signore. Le faccio strada.» Rilassato, ma un po' in apprensione, Peregrine seguì Humphrey su per le scale e oltre il pianerottolo del primo piano, controllando di passaggio il suo aspetto in uno specchio. La Stanza Rosa gli piaceva, con la sua tappezzeria color tè su cui erano ricamate foglie di rosa, e i delicati mobili Luigi XIV. Ai suoi occhi d'artista richiamava un'atmosfera di tempi più sereni, quando quell'elegante salotto doveva aver servito da soggiorno per le signore e stanza per scrivere. Adam non ne faceva uso praticamente mai, ma Peregrine capì che ora l'aveva aperto perché doveva esser stato il salotto preferito di sua madre quando lei era ancora la padrona di casa. Più piccola della biblioteca e più intima dei due locali di soggiorno al pianterreno, la Stanza Rosa offriva un pigro e grazioso ambiente per conversare con tranquillità. Tenendo dietro a Humphrey lungo il corridoio verso la porta della Stanza Rosa, Peregrine diede un ultimo tocco al colletto della camicia e trasse un profondo respiro. Poi il maggiordomo bussò e annunciò il suo arrivo. «Ah, Peregrine, sei qui!» esclamò Adam. Depose un soprammobile di cristallo sulla mensola e venne verso di lui. «Entra, entra. Mia madre non vede l'ora di conoscerti.» Dietro di lui, il fuoco era acceso in un bel caminetto di marmo di Carrara
rosa. Seduta su una poltrona di velluto, c'era una donna snella dai capelli d'argento, eretta e composta, con occhi che ricordarono a Peregrine quelli di una delle figure femminili dipinte sui muri delle tombe egiziane. Un solo sguardo al suo volto lo convinse che, se anche lì ci fossero state altre cento persone, lui l'avrebbe subito riconosciuta come la madre di Adam. La somiglianza tra loro era forte, e colpiva anche per altri versi. Madre e figlio avevano la stessa figura alta ed elegante, e gli stessi lineamenti cesellati con finezza, ma in entrambi c'era soprattutto un'aria di vibrante intensità che traspariva dallo sguardo. Per un momento la seconda vista di Peregrine gli consentì di vedere intorno a lei quel sovrapporsi di immagini passate, che aveva imparato ad associare con quanti condividevano la stessa misteriosa vocazione di Adam. Ne fu un po' intimidito, tuttavia non fu una sorpresa scoprire che tra Adam e sua madre c'era in comune qualcosa in più del semplice aspetto fisico. Mentre ancora assimilava quella piccola ma significativa scoperta, si accorse che Adam stava facendo le presentazioni e prese la sottile mano che Philippa Sinclair gli aveva offerto. «Come sta, Lady Sinclair?» disse, piegandosi verso di lei. «Fin da quando Adam mi ha detto che sarebbe venuta, ero impaziente di fare la sua conoscenza.» Quel comportamento formale strappò un sorriso a Philippa. «E io sono lieta di conoscere lei, Mr. Lovat», rispose con calore la donna. «Adam mi ha mostrato alcune sue opere. In quest'epoca di immagini fatte al computer, è un piacere incontrare un artista che sa dipingere dei ritratti veri.» La sua voce era bassa, da contralto, con un leggero accento americano modulato da inflessioni e risonanze di altre lingue, e l'enfasi che aveva messo sulla parola «veri» era stata nitida. «Lei è troppo gentile, Lady Sinclair», si schernì Peregrine. «Ma in effetti io sono in debito con Adam per avermi dimostrato che in alcune persone c'è molto più di quanto si veda a occhio nudo.» Quella dichiarazione fu accompagnata da uno sguardo ammirato diretto a lei, e Philippa non riuscì a reprimere un impeto di sincero divertimento. «Touché», rise. «Questo è ciò che merito per averla stuzzicata con i miei complimenti. E ora che tutti sappiamo con chi abbiamo a che fare, forse Adam sarà così gentile da servirle da bere. Ma lei dovrà chiamarmi Philippa. Io continuo a illudermi che presto Adam farà passare il titolo di 'Lady Sinclair' a una nuova padrona di casa, qui a Strathmourne.» Adam alzò gli occhi al cielo, e Peregrine si trovò a sorridere con Philip-
pa, mentre lei gli faceva cenno di sedersi sulla poltrona di fronte. Mentre sorseggiava con piacere il MacAllan favorito di Adam, e continuava a studiare la personalità di sua madre, Peregrine si accorse di esserne stato sinceramente impressionato. Nonostante l'età, nella donna c'erano una vivacità e una forza che rifiutavano qualsiasi definizione troppo facile. Si sorprese a chiedersi se lei avesse mai incrociato la spada con la Loggia della Lince, e decise che se era stato così, doveva essersi dimostrata capace di difendersi. Dopo una mezz'ora di conversazione non impegnativa, la cena fu servita con semplicità in sala da pranzo, su un tavolo Regency apparecchiato con piatti Sevres, antiche posate d'argento e cristalli di Edimburgo. La prima portata fu una zuppa di datteri di mare, seguita da rombo alla brace in salsa Granville. Mentre mangiavano, godendosi sia il pasto che la compagnia, Peregrine chiese notizie di McLeod e seppe che l'ispettore riposava a casa sua e stava abbastanza bene. «Gli ho telefonato questa mattina», lo informò Adam. «La versione ufficiale è che si è preso l'influenza, e il medico gli ha consigliato qualche giorno di letto. In pratica, questo significa che rientrerà al lavoro martedì o mercoledì... prima, se farà a modo suo. Nel frattempo il giovane Cochrane porta avanti l'ufficio. Ma non prevedo nessun effetto collaterale.» «Be', è un sollievo», replicò Peregrine. «Quando parlerai con lui, portagli i miei saluti.» Dopo questo breve scambio, Philippa orientò la conversazione sulla pittura, ammettendo di essere una grande ammiratrice del realismo americano. Peregrine fu sorpreso e deliziato nel constatare che era molto aggiornata sull'argomento, e si trovò a discutere animatamente sui meriti di vari pittori americani, da Winslow Homer a John Sloan. «Il termine 'realismo' è più adatto di quanto molti critici si rendano conto», osservò Philippa con un tocco d'ironia, prendendo una fetta della torta di frutta che Mrs. Gilchrist aveva preparato per dessert. «Secondo i loro canoni, un pittore è realista se dipinge scene di vita quotidiana, invece di tutto ciò che richiama l'immaginazione allegorica. E questo è un errore. Pittori come Whistler o John Singer Sargent ci inducono a guardare oltre la superficie dei loro soggetti, a qualcosa di interiore... qualcosa di più reale, se vogliamo, di quello che mostrerebbe una fotografia. È qualcosa che la macchina fotografica non può riprendere... e per cui occorre l'occhio dell'artista ispirato.» «A proposito...» Adam si rivolse a Peregrine. «Hai finito di fare il ritrat-
to all'ex sindaco?» «Quasi», rispose lui sorridendo. Si pulì la bocca con il tovagliolo. «L'avrei finito ieri, se non avessi dovuto soccorrere Noel. Ho in programma l'ultima seduta per lunedì. Naturalmente non potrò consegnarlo prima di averlo fatto seccare e averlo protetto con uno strato di vernice damar, ma credo che l'ex sindaco ne sarà soddisfatto. So che sua moglie lo è. Dunque penso di poter considerare questo lavoro completato con buon successo.» Peregrine tornò a dedicarsi al dessert e, così facendo, non vide lo sguardo che il padrone di casa e sua madre si scambiarono attraverso il tavolo. «In questo caso», disse Adam, «avrei in mente di proporti un'altra commissione.» Peregrine rialzò la testa con aria perplessa, il cucchiaio sollevato a metà verso la bocca. «Perché ho la sensazione che tu non lo intenda in senso professionale?» Philippa sorrise e gettò un'occhiata penetrante al figlio. «Tanto vale che tu sia più chiaro, Adam», gli suggerì. «Hai già sprecato l'elemento sorpresa.» «Così pare», annuì Adam. «Immagino che tu non abbia dimenticato il nome di Gillian Talbot.» Peregrine abbassò il cucchiaio, gettando uno sguardo in tralice a Philippa. «Naturalmente.» «Non temere di parlare con franchezza», lo rassicurò Adam. «Mia madre sa tutto ciò che è successo all'abbazia di Melrose. Ad ogni modo», proseguì, mettendo da parte il tovagliolo, «l'altro giorno, mentre ero a Londra, i Talbot si sono finalmente messi in contatto con me, e hanno richiesto il mio intervento professionale su Gillian. Io e mia madre siamo andati a incontrarli all'ospedale, il giorno dopo. Il risultato di quel colloquio è che Gillian sta per essere trasferita al Jordanburn. Lei e sua madre saranno là lunedì.» Peregrine annuì, senza mostrare la minima reazione. «So che speravi in qualcosa del genere. Ma questo in che modo riguarda me?» «Ho in mente qualcosa di piuttosto sperimentale. Una volta che Gillian sarà sistemata allo Jordanburn, vorrei che tu venissi a visitarla e facessi alcuni disegni. Ho il sospetto che si riveleranno più che illuminanti, quando affronteremo il problema di ricostruire la sua personalità. Inoltre, essi potrebbero rivelarci il ruolo che tu stesso sei destinato a svolgere.» «Io?» Peregrine impallidì leggermente. «Ma io non so niente di...» «Lei può credere di non sapere niente», intervenne Philippa. «Ma penso
che Michael Scot, a Melrose, abbia reso chiaro che trova utile il suo talento. Adam è del parere, e io sono d'accordo con lui, che il suo contatto con lo spirito del defunto non sia stato casuale. Al contrario. Noi pensiamo che Scot abbia scelto lei come persona in grado di aiutarlo nel futuro... il suo futuro.» Peregrine guardò Philippa, poi di nuovo Adam. «Non lo so», disse, dubbioso. «La madre della ragazza cosa dirà di questo? Io non sono un medico.» Adam sorrise. «Sono sicuro che le daremo una spiegazione plausibile.» Mentre Peregrine era a cena con Adam e Lady Sinclair a Strathmourne House, un incontro assai meno amichevole aveva luogo nella biblioteca di una grossa dimora di campagna venticinque chilometri a est di Stirling. Gli invitati comprendevano Charles Napier, ispettore anziano di polizia a Edimburgo, il dottor Preston Wemyss, eminente medico, e Angela Fitzgerald, nota giornalista di Glasgow esperta di problemi sociali. A nessuno dei tre era stato offerto da bere. Ciascuno dei tre era decisamente a disagio sotto il freddo sguardo di disapprovazione del padrone di casa. Francis Raeburn, appena reduce da un incontro con il suo superiore, non era dell'umore di fare complimenti, quella sera. «Suppongo che non sia necessario soffermarsi sul fatto che Noel McLeod è ancora vivo, quando a tutti gli effetti dovrebbe essere morto», informò i suoi subordinati con rovente sarcasmo. «Il nostro fallimento nel neutralizzarlo ha creato complicazioni delle quali io, per dirne uno, avrei preferito fare a meno. Di conseguenza, non possiamo permetterci altri errori. Chiedo la vostra garanzia personale che non ce ne saranno più.» Raeburn fissò negli occhi i tre, uno dopo l'altro. Napier, inespressivo sotto le pesanti sopracciglia, scrollò le spalle e parlò a nome di tutti. «Come avremmo potuto sapere che si sarebbe rivelato così resistente a quell'incantesimo?» domandò, risentito. «Del resto, è stato lei a decidere la forma dell'attacco.» «Ma io mi affidavo a voi perché valutaste la vittima», sbottò Raeburn. «Voi avreste dovuto saperlo. Era il vostro compito quello di saperlo. Nessuno di voi è un novellino a questo gioco. Voi sapevate quali test applicare...» «Sul serio, Francis, era un rischio calcolato», protestò l'unica donna tra loro. «Se lei voleva la garanzia, avrebbe dovuto darci il tempo necessario per studiare a fondo la vittima.»
«Ovvero?» ribatté Raeburn. «Una settimana, un mese? Finché la Loggia di Caccia fosse arrivata in forze alla nostra porta? Le perdite di tempo sono un lusso che nel nostro lavoro non possiamo permetterci. O avete dimenticato che il Maestro Anziano è ancora meno paziente di me?» «Se il Maestro Anziano è così ansioso di risultati, forse dovrebbe occuparsi più direttamente di questa faccenda!» Angela Fitzgerald storse la bocca dura e sottile, mentre toglieva un immaginario peluzzo dalla blusa di seta grigia. «Questo McLeod non è sopravvissuto per caso, lo sai. Ha avuto aiuto da qualcuno dei suoi complici.» «Sì, quel dannato artista, Lovat», grugnì Napier. «Chi avrebbe supposto che quel bamboccio sofisticato avesse le conoscenze necessarie per intervenire? L'ho visto entrare nell'ufficio di McLeod con l'agente Cochrane... e anche lui è rimasto dentro per tutto il tempo. Non può esser stato completamente all'oscuro di quello che succedeva.» «Potrebbe esser stato lui a salvare McLeod, invece che Lovat?» Domandò Wemyss, parlando per la prima volta. Napier scosse il capo. «Se ne avesse avute le capacità, non sarebbe andato a chiamare Lovat e Sinclair. E il fatto che li abbia portati lì entrambi conferma che è Sinclair a guidarli. Se lui o Lovat mi verranno ancora tra i piedi...» «Non faccia minacce che non è in grado di mantenere», intervenne Angela. «Ancora non conosciamo la loro vera forza. Ciò che oggi abbiamo appreso, e che prima non sapevamo», continuò, voltandosi verso Raeburn, «è che abbiamo contro quasi certamente una Loggia di Caccia. McLeod è ancora vivo, d'accordo, ma l'operazione non è stata una sconfitta totale. Siamo riusciti a individuare due dei suoi compari.» Raeburn le elargì uno sguardo arroventato. «Questo lo intende come motivo di consolazione, o semplicemente come una scusa?» Wemyss, un uomo bruno e magro con la faccia di un furetto, aveva tolto di tasca una costosa penna stilografica d'oro e la rigirava nervosamente tra le dita. «Per l'amor di Dio, quello che è fatto è fatto!» sbottò. «Non vedo come le recriminazioni possano migliorare la nostra situazione, a questo punto.» «Sono dello stesso parere», concordò Angela. Volgendo gli occhi azzurri su Raeburn, aggiunse acidamente: «Visto che tre di noi sono così poco competenti, forse Francis sarà tanto gentile da suggerire cosa dobbiamo fare, adesso». Raeburn torse le labbra in una smorfia. «Dovrei condurvi per mano? È
questo che volete? Molto bene, suppongo che qualcuno debba farlo.» L'uomo si piegò in avanti e intrecciò le dita sul tavolo, fissandoli con espressione fredda. «L'unica cosa da fare è accertarsi che non ci siano altri fallimenti. La prossima volta che colpiremo, dovremo colpire duro. Vi lamentate del fatto che non vi ho dato il tempo di informarvi meglio su McLeod? Benissimo, ora questo tempo ve lo do. Voglio informazioni... dossier completi, non solo su McLeod, ma anche su Lovat, su Sinclair e su chiunque sembri intimamente collegato a loro. Voglio sapere chi incontrano, con chi parlano, con chi passano il tempo. E voglio che siate pronti ad agire appena vi darò il via.» «Lo dice come se finora fossimo stati con le mani in mano», osservò Wemyss, seccato. «Lasci che le ricordi che ho già messo qualcuno a tenere d'occhio sia la residenza di Sinclair che l'ospedale in cui lavora.» «Allora potrei suggerire», replicò Raeburn, «che è tempo che questi suoi impiegati comincino a guadagnarsi la paga.» Wemyss aprì la bocca per protestare ancora, indignato, ma nel vedere la faccia tempestosa di Raeburn cambiò idea. «D'accordo», intervenne Napier, con un'occhiata ai due colleghi. «Dobbiamo impegnarci a fondo. Ma cosa mi dice dell'azione in programma per venerdì prossimo?» «Sarà effettuata secondo il piano», rispose Raeburn. Angela Fitzgerald aggrottò le sopracciglia. «Non pensa che forse c'è un rischio? I nostri avversari correranno subito a indagare.» «Lasciamoli fare.» Raeburn scrollò le spalle. «Ogni traccia rimasta sul posto sarà sufficiente a riempirli di domande e tenerli occupati a lungo, mentre noi perseguiremo i nostri obiettivi altrove. In realtà, più distrazioni offriamo ai nostri amici, e meglio sarà. Quando avranno finito di annusare prove e reperti, i nostri piani saranno molto più vicini al completamento... Chi può dirlo?» aggiunse, con un sorrisetto. «Se possiamo contare che facciano la loro comparsa sul posto ogni volta che noi colpiamo, potremo usare la loro prevedibilità a nostro vantaggio.» 22 Si avvicinava l'ora del tè, quel lunedì pomeriggio, quando un'ambulanza entrò nel Royal Edinburgh Hospital, più comunemente conosciuto come Jordanburn. Mentre il conducente e il suo collega andavano ad aprire gli sportelli posteriori, due portantini dell'ospedale e un'infermiera dall'aspetto
matriarcale uscirono loro incontro. La paziente, pallida e immobile, distesa sulla barella che i cinque trassero fuori era una ragazzina di undici o dodici anni, con un intreccio di tubicini che uscivano da sotto la coperta blu in cui era avvolta. Insieme a lei scese dal veicolo una donna bionda, dal volto teso, sui trentacinque anni, il cui atteggiamento ansioso indicava chiaramente a chi si trovasse a passare di lì per caso che quella era la madre della ragazzina. Passante niente affatto casuale era una donna delle pulizie dell'ospedale, che in quel momento stava attraversando il parcheggio diretta alla fermata dell'autobus poco più avanti. Con i capelli color sabbia e gli occhiali neri, di un'età apparente tra i quaranta e cinquanta, indossava un comune soprabito di tweed sopra la tuta ospedaliera, e sotto un braccio portava una borsa voluminosa. L'attività risvegliata dall'ingresso dell'ambulanza non avrebbe provocato la minima attenzione da parte sua, se non fosse stata colpita dall'intervento di un medico in camice bianco che aveva subito raggiunto il personale dell'ospedale: un uomo alto e bruno dall'aspetto aristocratico, con le tempie spruzzate di grigio, la cui fotografia si trovava nella borsa della donna e le cui attività lei aveva avuto ordine di spiare. Il suo interesse si ravvivò, perché medici anziani come il dottor Adam Sinclair non andavano incontro ai comuni pazienti all'ingresso delle ambulanze. Rallentò il passo per frugare nella tasca del soprabito e si fermò ad accendere una sigaretta, tendendo le orecchie per captare qualche parola. I portantini si preparavano a portare dentro la paziente, mentre l'infermiera conversava sottovoce con il conducente dell'ambulanza e alcuni documenti cambiavano mano. Ma la voce musicale del dottor Sinclair fu più chiara delle altre nell'aria gelida, mentre andava incontro alla donna bionda. «Buonasera, signora Talbot», la salutò cordialmente. «Avete fatto un lungo viaggio, vero? Spero non sia stato troppo faticoso.» La donna bionda guardò ansiosamente il volto della fanciulla sulla barella dietro di lui e cercò di sorridere coraggiosamente. «Non troppo faticoso, grazie, dottor Sinclair. Ma sono lieta di essere finalmente arrivata.» «Bene. Il letto di Gillian è già pronto e la aspetta», la informò Sinclair, conducendo la madre della paziente dietro la barella. «Ripariamoci dal freddo e beviamo una buona tazza di tè.» La donna in tuta e soprabito aspettò di vedere il dottor Sinclair e la bionda sparire nell'astanteria, quindi proseguì verso la fermata dell'autobus. Quando fu sotto la pensilina, tirò fuori dalla borsa un taccuino con la matita fissata alla costola e prese nota del più recente sviluppo delle cronache
quotidiane che le era stato chiesto di compilare sulle attività professionali del dottor Adam Sinclair. A mezzodì del giorno successivo, Francis Raeburn era nella sua villa quando fu informato che era arrivato il dottor Preston Wemyss. Disse al cameriere di condurre il visitatore in biblioteca e andò a sedersi dietro la scrivania. Wemyss sopraggiunse con aria accigliata e poco cordiale, stringendo in una mano guantata una borsa di cuoio nero. Raeburn licenziò il cameriere con un gesto e guardò il subordinato da capo a piedi. «Lei è lodevolmente in orario», commentò. «Cosa mi ha portato?» Wemyss si voltò a controllare che il cameriere fosse uscito, prima di sedersi sulla sedia che Raeburn gli indicava. «Spero che lei non si aspetti miracoli», disse di malumore. La bocca di Raeburn registrò un fremito spazientito, ma evitò di replicare. Con gesto nervoso Wemyss si appoggiò la borsa sulle ginocchia e tolse i guanti, prima di comporre la combinazione della serratura e sganciare le fibbie d'ottone. Tolse dall'interno un fascicolo e lo porse al superiore attraverso la scrivania. «Se avessi voluto leggerlo integralmente, glielo avrei detto», gli fece osservare freddamente Raeburn. «Mi faccia un riassunto di ciò che considera importante.» Negli occhi scuri e ravvicinati di Wemyss ci fu un'espressione risentita. Tolse di tasca un fazzoletto di lino con le iniziali e se lo premette un poco sulle labbra, quindi riprese il fascicolo. «Per quanto posso dire io», riferì seccamente a Raeburn, «ci sono solo due sviluppi dei quali vale la pena parlare. Il primo è che Adam Sinclair e sua madre, che come lei sa è arrivata venerdì, ieri hanno pranzato insieme a un medico collega di lui, Sir Matthew Fraser, e a sua moglie Janet. Fraser è un chirurgo. L'occasione mi è parsa puramente sociale, ma ho incaricato una persona di tenerli d'occhio, tanto per essere più sicuro. L'altro sviluppo è che Sinclair ha ricoverato una nuova paziente.» Notando l'aria accigliata di Wemyss, Raeburn gli scoccò uno sguardo indagatore. «Sta suggerendo che questa è una cosa fuori dall'ordinario?» «Non ne sono sicuro.» Il cipiglio di Wemyss s'approfondì. «La paziente in questione è una dodicenne di nome Gillian Rose Talbot. Sinclair non ha pazienti così giovani, di solito. Quello che mi sembra strano è che la ragazzina non è di questo distretto. La mia informatrice è riuscita a dare un'occhiata alla sua cartella clinica, e ha scoperto che viene da Londra.»
«Londra? Effettivamente è una situazione insolita», concordò Raeburn. «Da cosa è affetta questa paziente?» «È in coma. Questo è un altro particolare strano», rispose Wemyss. «Sulla cartella non è indicato nessun trauma fisico, e non risulta che abbia un passato di disordini psichiatrici. Era stata ricoverata al Charing Cross Hospital il 28 ottobre scorso, non ancora in coma, ma inconsapevole di ciò che la circondava. Da allora le sue condizioni si sono deteriorate...» «Fermo!» lo interruppe seccamente Raeburn. «Ha detto il 28 ottobre?» «Proprio così.» «Mi faccia vedere quelle note», ordinò Raeburn. «Le tolga dal fascicolo.» Wemyss diede uno sguardo stupito al superiore, ma prelevò senza esitare le pagine richieste. Mentre stava per consegnargliele, Raeburn gliele tolse di mano senza complimenti e le sfogliò in fretta. «Molto interessante», mormorò, quando le ebbe lette un paio di volte. «Lei potrebbe essere inciampato su qualcosa di molto importante.» «Davvero? Si potrebbe spiegare meglio?» chiese Wemyss in tono irritato. Raeburn, invece, tornò a leggere il fascicolo senza accontentare la sua richiesta. Benché non si fosse aspettato che Wemyss capisse il significato di quella data, lui aveva già registrato nella sua mente il fatto che la ragazzina di nome Gillian Talbot era stata ricoverata in ospedale per un misterioso trauma psichico poche ore dopo che lo spirito dello stregone medievale Michael Scot era stato costretto a rientrare nei resti mummificati del suo corpo, all'abbazia di Melrose. Avrebbe potuto essere solo una coincidenza. Tuttavia... Raeburn restituì le pagine al suo subordinato. «Questa ragazzina m'interessa... se non altro perché sembra che interessi Sinclair. Veda di fare in modo che il suo contatto allo Jordanburn si procuri qualcosa fisicamente collegato a lei... magari una ciocca di capelli o dei frammenti di unghie. Un campione di sangue sarebbe la cosa migliore. Qualcosa, comunque, che Barclay possa usare come punto focale per una ricerca astrale. Voglio guardare nel passato di questa ragazzina... vedere che genere di storia personale è la sua.» «Cosa si aspetta di trovare?» domandò Wemyss, con espressione quantomai perplessa. «Non ne sono sicuro», rispose pensosamente Raeburn, anche se in effetti una certa idea l'aveva. «Le saprò dire di più quando ce ne sarà bisogno. Per
il momento mi procuri quei campioni... non più tardi di domani sera.» Mentre Raeburn studiava l'enigma di Gillian Talbot, Philippa Sinclair si trovava a Edimburgo e stava pranzando con Lady Julian nella serena e informale opulenza della sua villetta. Il loro fu un pasto alla cantonese, con zuppa Tesoro Dorato, scaloppine Giada Verde e frutta canditata in sciroppo di zenzero. Mentre piluccava il cibo con un paio di bacchette laccate, Philippa inarcò un sopracciglio verso l'amica, che conosceva da una vita. «Mi chiedo sempre perché i menu cinesi sembrano l'inventario di un gioielliere. Se non conoscessi già questi cibi non saprei se sono roba da mangiare o cose da portarsi addosso.» «Philippa, tu non cambi mai!» esclamò Julian con una risata. I suoi occhi neri scintillavano come gemme. «Be', sicuramente non stiamo diventando più giovani», rispose Philippa. «Fortunatamente non dobbiamo andare troppo lontano per cercare nuovi talenti. Adam sta diventando un abile reclutatore. A proposito, cosa ne pensi della sua ultima recluta?» «Il giovane Lovat?» L'espressione di Julian era allegra. «È un bel ragazzo, e inoltre mostra un talento assai promettente. Mi ricorda un poco Michael, sai.» «Sì, l'avevo immaginato», annuì Philippa. Fece una pausa, poi domandò: «È per questo che gli hai dato il suo anello?» «In parte.» Un'ombra di tristezza velò i lineamenti dell'amica, che ebbe un'esitazione prima di rialzare lo sguardo. «La Bibbia parla di eredi della carne e di eredi dello spirito», proseguì. «Tu hai avuto la fortuna che Adam è entrambe le cose per te. Michael e io non abbiamo avuto figli, ma quando ho conosciuto il giovane Peregrine... all'improvviso ho sentito che ero in presenza di una persona come Michael, se non per discendenza di sangue, almeno per lo spirito che c'è in lui. Gli ho dato l'anello nel nome di questa parentela. E non ho dubbi sul fatto che saprà meritarselo.» «Neppure io, ora», confermò Philippa, con un sorriso. «Spero che tu non abbia pensato che avessi delle riserve.» «No, affatto», rispose Julian. «Hai fatto bene a chiedermi ciò che volevi sapere. Ma qualcosa ti sta preoccupando. Hai voglia di parlarne?» Philippa scrollò le spalle. «Vorrei solo avere qualcosa contro cui puntare il dito. Non ha niente a che fare con Peregrine, o con il resto dei nostri compagni. Ad ogni modo, lui e Adam stanno per cominciare un esperimento, domani, con quella ragazza, Talbot.»
«Davvero?» Philippa fece un mezzo sorriso. «Il dono di quel giovanotto è davvero unico... riesce a visualizzare risonanze sia dal presente sia dal passato. Se la madre sarà d'accordo, Adam lo farà intervenire per eseguire disegni della piccola Gillian, nella speranza che lui possa isolare aspetti della sua personalità da usare in un procedimento successivo, per reintegrarla.» Julian inarcò un sopracciglio. «È possibile riuscirci?» «Be', questa è la sua teoria... anche se ti garantisco che si spinge molto oltre tutto ciò che mi è stato insegnato quando studiavo con Jung, prima della guerra. Lui incoraggiava i pazienti a disegnare ciò che vedevano in sogno, o nelle fantasie a occhi aperti. Spesso trovava che il risultato era un effettivo aiuto alla diagnosi, e quindi al trattamento e alla cura di certi disordini psichici.» «Capisco», disse Julian. «E Adam vuole che Peregrine tenti di eseguire disegni di questo genere?» Philippa ridacchiò. «Lo so, lo so, sembra campato in aria anche a me, che sono una psichiatra. Ma se funziona saremo sulla buona strada per capire come rimettere insieme i frammenti della personalità di Gillian... cosa che, oltre a offrirle la possibilità di una vita normale, ci consentirebbe di rimetterci in contatto con Michael Scot. Da quanto Adam mi ha detto, sono sempre più convinta che Scot sappia cosa c'è dietro questa resurrezione della Loggia della Lince.» «Be', se lo sa davvero, mi auguro che Adam riesca a mettersi presto in contatto con lui e che lo scopra», rifletté Julian. «Avevo sperato di non essere più di questo mondo, quando quelli fossero tornati a far danni.» «Anch'io, mia cara, anch'io», rispose Philippa, con un colpetto su una mano dell'amica. «Ma visto che non ce ne siamo ancora andate, non è una fortuna per Adam e questa giovane generazione di Cacciatori che siamo ancora qui, a offrirgli la nostra saggezza duramente conquistata?» Julian rise a quelle parole, e Philippa le fece eco, ma nella risata delle due anziane donne c'era un'ombra di tristezza che smentiva la loro allegria e rivelava una profonda preoccupazione per ciò che stava accadendo. Il mattino successivo, Philippa si recò allo Jordanburn insieme a Adam e Peregrine, e proseguì per la stanza di Gillian mentre il figlio portava l'amico nel suo ufficio. Peregrine era arrivato lì con la cartella contenente il ma-
teriale da disegno e una manciata di dubbi sui quali si era tormentato negli ultimi giorni, e quando furono soli in ascensore guardò Adam. «Devo confessarti una cosa», si decise a dire. «Forse te ne sarai accorto vedendo quanto ero poco ciarliero mentre venivamo qui, ma la realtà è che questa cosa mi rende piuttosto nervoso. Cos'hai detto a Mrs. Talbot, per convincerla a lasciarmi partecipare?» «Niente che non fosse la verità... o quasi», rispose Adam. «Le ho detto che sei un professionista, un mio collega, e che abbiamo già lavorato insieme altre volte. Le ho spiegato che fai uso del disegno come strumento di analisi, e che metti su carta le impressioni psichiche che ricevi da un paziente.» Dietro le lenti, Peregrine alzò gli occhi azzurri al cielo. Ma poiché la porta della cabina si era aperta per lasciar entrare un paio di infermiere, e Adam gli stava facendo segno che quello era il piano a cui dovevano scendere, si tenne in bocca quello che voleva dire finché non furono nell'ufficio di lui, dietro la porta chiusa. «Adam, non le avrai sul serio detto questo?» protestò, mentre il suo mentore si toglieva soprabito e sciarpa con aria noncurante e li appendeva in un armadietto accanto alla scrivania, da cui prese un camice bianco. «Perché no? È la verità, del resto. Non sono certo io il primo a dire che l'arte è un valido strumento della psichiatria, e che il disegno può darci preziosi indizi sulle condizioni dei pazienti. Vieni, indossa questo», aggiunse, porgendo a Peregrine un camice come il suo. «Sembrerai più professionale, se porterai l'uniforme.» Ancora poco convinto, Peregrine depose la cartella e fece quello che gli era stato detto. Mentre appendeva il soprabito accanto a quello di Adam e infilava il camice sul pullover, si volse a guardare l'amico, a disagio. «Questa bugia non se la berrà facilmente.» «Te lo detto, è già d'accordo.» «Scommetto che le basterà guardarmi in faccia per capire che non sono un medico», mugolò Peregrine. «Dal tuo tono, sì direbbe che pensi che abbia usato mezzi indebiti per convincere Mrs. Talbot ad accettare la tua presenza. È questo che stai pensando?» Peregrine sbatté le palpebre dietro le lenti. «Be', io...» «Siediti un momento, per favore», suggerì Adam. «Presumo che la tua incertezza emerga da un naturale nervosismo al pensiero di operare davanti a qualcuno che non hai mai incontrato prima. Però, se in te ci fossero dei
dubbi voglio dirti qualcosa sull'autorità e sulla responsabilità.» Peregrine ubbidì, sentendosi all'improvviso uno scolaretto recalcitrante. «È necessario chiarire bene alcune cose, prima che i nostri rapporti vadano avanti», continuò Adam, sedendosi sul bordo della scrivania. «Io non sono obbligato a giustificare le mie azioni con te, ma voglio che tu sappia qual è la posta in gioco, qui. Sia tu che io sappiamo che Gillian non può essere curata, a meno che non si riesca a riparare il danno che le è stato fatto. E sappiamo che tu potresti aggiungere un contributo molto reale alla cura che stiamo cercando. Se Iris Talbot sapesse ciò che sappiamo noi, approverebbe senza riserve la tua partecipazione. Ma lei queste cose non le sa, e noi non abbiamo né il tempo né il permesso di spiegargliele. Sei d'accordo?» «Sì», mormorò Peregrine. «E dunque, perché esiti?» insistette Adam. «Cosa conta di più: la libertà di scelta di Iris Talbot, che non ne sa abbastanza per scegliere, oppure la vita di Gillian, una vita già gravemente minacciata?» Peregrine alzò lo sguardo verso le due dita che Adam gli aveva presentato. «Be', la vita di Gillian, ovviamente, ma...» «Non possono esserci 'ma' in questo caso», lo interruppe con calma Adam. «Ascoltami bene. Quando uno ha un'autorità, prima o poi si trova obbligato a esercitarla in un modo che preferirebbe evitare, allo scopo però di servire una giusta causa. Sì, ho usato il mio potere di persuasione per convincere Iris Talbot ad accettare questo esperimento. Non ho usato la forza, ma ero pronto a farlo. Ho giocato sulla sua paura, invece. «Non è stata una decisione presa alla leggera, perché interferisce con la libera volontà di qualcun altro. Se agissi così per motivi di guadagno personale, non meriterei il potere e l'autorità di cui sono investito, e ne sarei subito privato da Entità che stanno molto più in alto di me. Secondo questa logica, però, commetterei un atto ingiusto non usando queste facoltà in circostanze che lo richiedono. Coloro che sono chiamati a svolgere compiti come i nostri devono essere in grado di riconoscere queste distinzioni e di accettarne le conseguenze. Lo capisci questo?» «Credo di sì», mormorò Peregrine. «C'è anche dell'altro», riprese Adam. «Ogni atto di una certa importanza comprende un elemento di rischio. A volte ti può succedere di mettere in pericolo la tua vita e il tuo buon nome, per il bene di qualcun altro. E allora è una questione di umiltà, non di orgoglio. Ma a volte corri il rischio di dover sacrificare la stima che tu hai di te stesso. E credimi, se ti dico che
non c'è fardello più spiacevole da portare.» Peregrine lo stava guardando negli occhi ora, e in lui cominciava ad apparire una luce di comprensione. «È quello che Lady Julian mi ha detto l'altro giorno», mormorò. «L'uomo superiore discrimina tra l'alto e il basso...» «Precisamente», annuì Adam, accigliato. «Solo che 'superiore' non significa rispetto ad altri, ma rispetto alle nostre debolezze.» Peregrine annuì, raddrizzò le spalle e raccolse la cartella da disegno. «Sì, ho capito. Ora sono pronto ad agire... se mi vuoi ancora come parte della squadra. Scusami, ti prego, se mi sono comportato come un poppante di prima categoria!» Gillian era stata messa in una camera singola. Quando Adam e Peregrine arrivarono, Philippa era presso la porta in compagnia di un'infermiera ed esaminava la cartella clinica. Iris Talbot stava invece sistemando un vaso da fiori sul tavolino ai piedi del letto, con l'aria di una persona determinata a darsi da fare in qualche modo. La donna si voltò all'ingresso dei nuovi venuti. «Buongiorno, Mrs. Talbot», la salutò Adam, con voce che trasmetteva una pacata professionalità. «Questo è Mr. Lovat, di cui le ho parlato ieri. Con il suo permesso, nel corso dei prossimi giorni lui passerà un po' di tempo con lei e con sua figlia.» Iris girò intorno al letto e andò loro incontro, protendendo timidamente una mano sottile. «Come sta, Mr. Lovat?» disse, un po' nervosa. «Lei è più giovane di quanto pensassi. Devo confessare che non capisco pienamente ciò che state per fare.» Stringendo la mano che la donna gli offriva, Peregrine fu colpito subito dalla sua aria stanca e dalle ombre scure intorno agli occhi, e la compassione gli diede una risolutezza e un'energia che fino a quel momento non aveva avuto. «Le confiderò un piccolo segreto, Mrs. Talbot», bisbigliò, in tono cospiratorio. «Neppure io lo capisco a fondo. Sono semplicemente grato al cielo se talvolta sembra funzionare. Non la biasimo se tutto questo la rende un po' perplessa.» Il sogghigno sbarazzino con cui Peregrine le strinse la mano sciolse la tensione di lei, e provocò la comparsa di un sorriso che restituì al suo volto la bellezza di un tempo. «Be', Mr. Lovat, qualunque genere di artista lei sia, ha il dono di mettere
la gente a suo agio. Le sono grata per aver accettato di occuparsi di mia figlia. Qualsiasi tipo di assistenza lei possa fornire, avrà la mia riconoscenza. Come pensa di cominciare?» Reprimendo un sorriso, Adam si ritirò accanto alla porta per fingere di esaminare i documenti di Gillian da sopra una spalla di Philippa, mentre Peregrine poggiava il suo materiale da disegno sul tavolino a rotelle accanto al letto. «Mi riscalderò eseguendo alcuni schizzi preliminari», spiegò il giovane artista. «Fatto ciò... be', dovrò aspettare e vedere che razza d'ispirazione mi viene. La prima volta potrebbe non succedere niente... non che questo sia un problema, comunque.» «Allora suppongo che dovrò riordinare i capelli di Gillian», si preoccupò Iris, spostandosi al capezzale della figlia. «Vorrei solo che lei l'avesse vista quand'era... lei. Era così vivace e graziosa...» «È ancora una fanciulla molto graziosa», le assicurò Peregrine, tirando fuori la matita. «Quando tutto questo sarà finito, forse lei mi permetterà di farle un vero ritratto, a olio. Il mio forte è il ritratto, come forse Sir Adam le avrà detto. Il lavoro di oggi non è un tipico esempio di ciò che faccio solitamente.» China accanto al comodino da notte, Iris aprì una grossa borsa di stoffa stampata a fiori e frugò brevemente nell'interno. «Strano. Non riesco a trovare il pettine di Gillian.» «Cos'è che non trova?» domandò Philippa, distogliendo lo sguardo dalla cartella clinica. «Il pettine di Gillian», rispose Iris, continuando a cercare. «Lo tengo sempre nella borsa con le altre cose, ma ora non lo vedo. No, non c'è. Dove può essere andato a finire?» Borbottando tra sé, la donna guardò dapprima nel comodino e poi sotto il letto. Mentre la seguiva con lo sguardo dalla porta, Adam avvertì all'improvviso un prurito dietro la nuca. Un'occhiata a Philippa gli confermò che quell'avvenimento all'apparenza innocuo aveva innescato anche in lei lo stesso sospetto. «Strano, davvero», ripeté Iris rialzandosi, con aria perplessa. «Sembra proprio che quel pettine sia svanito. Certo non è il genere di oggetto che qualcuno ruberebbe.» «Forse è caduto nel cestino dei rifiuti, o per terra, e un inserviente l'ha buttato senza badarci», suggerì Philippa. «Se volete scusarmi, chiederò alla capo-infermiera e sentirò cosa può dirmi.»
«Oh, non vale la pena che si dia tanto disturbo», protestò Iris, benché Philippa fosse già uscita in corridoio. «È soltanto un pettine. Se non salterà fuori, vorrà dire che ne comprerò un altro giù allo spaccio.» «Be', vedremo cosa riusciremo a scoprire», le disse Adam. «Nel frattempo, io avrei altri pazienti di cui occuparmi. Passerò a dare un'occhiata tra un'oretta, per vedere come ve la cavate.» Al banco delle infermiere, al pianterreno, Philippa non ci mise molto a ottenere alcune informazioni sull'inserviente che aveva fatto pulizia quel martino al primo piano. «L'infermiera anziana dice che si chiama Mrs. Lewis. Non ricorda il nome di battesimo», riferì a Adam poco dopo. «Sembra che lavori qui solo da poche settimane. Io non vorrei essere paranoica, ma in questa faccenda c'è qualcosa che non mi piace.» «Non piace neanche a me», annuì Adam. «Credo che telefonerò al responsabile della gestione dell'ospedale, e vedrò cosa può dirmi di questa Mrs. Lewis. Torniamo nel mio ufficio.» Le informazioni che Adam ottenne non lo rassicurarono affatto. «Mrs. Marjory Lewis lavora in questo ospedale da circa due settimane», riferì a sua madre. «Il suo curriculum menziona l'Edinburgh Royal Infirmary come suo ultimo posto di lavoro. Cosa interessante, un'ora fa si è data malata ed è andata a casa prima della fine del suo turno. Dobbiamo fare qualche ipotesi?» Philippa sbuffò. Il suo volto patrizio si era scurito a quelle notizie. «Quanto vuoi scommettere che all'Edinburgh Royal Infirmary non c'è mai stata nessuna Marjory Lewis? O che, se c'è stata, non era la stessa donna che lavora qui?» «Preferisco non scommettere. Mi chiedo cosa potrebbe vedere Peregrine di questa faccenda...» Dopo che Adam e sua madre se ne furono andati, Peregrine prese una delle due sedie che c'erano nella camera e la mise presso i piedi del letto di Gillian, spostando un poco il tavolo a rotelle. Gillian Talbot era una ragazzina molto graziosa, ma non la ragazzina dalle guance rosee apparsa nella visione che gliene aveva dato lo spirito di Michael Scot oltre un mese addietro. Gli faceva male al cuore vederla in quelle condizioni, così immobile che sembrava respirare a stento, pallidissima. Quale che fosse il leggendario personaggio del passato che si era reincarnato in lei, adesso quella fragile ragazzina era soltanto la vittima innocente delle ambizioni di alcuni
criminali spietati. Quella riflessione lo indusse ad apprezzare il fatto che Adam volesse fare tutto il possibile per cercare di riportarla alla normalità, prima che il suo organismo già indebolito soccombesse. Memore del suo impegno sedette e appoggiò l'album da disegno su un ginocchio, mordicchiando la parte posteriore della sua matita preferita. Ora vediamo un po', si disse, se la mia seconda vista vorrà mostrarmi qualcosa. Iris era andata a sedersi presso la finestra, fuori dal suo campo visivo. Nonostante ciò, Peregrine sapeva che lo stava scrutando con attenzione, intimorita e speranzosa insieme. Lui disegnò in modo meccanico alcuni particolari del letto per sciogliersi la mano e il polso; poi cominciò a buttare giù la scena che aveva davanti. Mentre il segno si faceva sempre più fluido, veloce come il giorno in cui per la prima volta aveva ritratto il volto di Gillian distesa in un letto d'ospedale a centinaia di chilometri di distanza, lasciò tornare la mente al sepolcro profanato dell'abbazia di Melrose e al corpo mummificato che un tempo aveva contenuto lo spirito di Michael Scot, e lo supplicò di rivelargli cosa voleva da lui. D'un tratto la visione si annebbiò, come se qualcuno gli avesse tirato un sipario di garza dinanzi agli occhi. L'esperienza lo aiutò a non perdere il controllo, e consapevole che si trattava di un cambiamento di prospettiva temporale trasse un lungo respiro e attese che la sua seconda vista si mettesse a fuoco. La foschia che gli velava lo sguardo si dissolse. Sbatté le palpebre e s'accorse che stava passando a un altro livello di percezione. La sua prima reazione fu di sorpresa, perché la scena che aveva di fronte era praticamente immutata. Gillian Talbot giaceva supina sotto le coltri, a occhi chiusi e nella stessa posa. Ma qualcosa, notò Peregrine, era diverso. Strinse le palpebre e cercò di capire cosa. Nello stesso istante un movimento attrasse la sua attenzione sulla sinistra. Girando la testa vide una doppia immagine della porta: una solida, l'altra semitrasparente, come il negativo di una foto sovrapposto alla sua stampa positiva. Mentre scrutava la doppia immagine, quella semitrasparente si mise in movimento come un film. La porta si aprì, e vide entrare nella camera una donna con gli occhiali e i capelli color sabbia, vestita della tuta grigia degli addetti alle pulizie. La donna chiuse la porta dietro di sé, e si guardò attorno. Sulla sua faccia comparve un'espressione soddisfatta. A giudicare dalla luce doveva essere mattino presto, e Mrs. Talbot non era ancora arrivata. La donna s'accostò al letto di Gillian e cominciò a guardarla, come se fosse alla ricerca
di qualcosa. Senza distogliere lo sguardo da lei, Peregrine passò a un foglio bianco e cominciò a disegnare un rapido schizzo della sua faccia. La donna guardò nel cestino dei rifiuti, quindi aprì lo sportello del comodino e vi frugò dentro, estraendone infine un pettine. Esaminò l'oggetto con l'aria di avere trovato ciò che voleva, se lo ficcò in tasca e poi, dopo un ultimo sguardo furtivo, si affrettò a lasciare la camera. Peregrine stava disegnando furiosamente, quando s'accorse che la scena era cambiata di nuovo. Gillian era sempre distesa sul letto, ma ora un uomo dai capelli grigi in camice bianco si stava chinando sul suo braccio destro, con una siringa ipodermica tra le mani. Dapprima temette che stesse iniettando alla ragazzina qualche sostanza sconosciuta, ma... no, la siringa si riempiva lentamente di sangue. L'uomo doveva essere un tecnico di laboratorio, che le prelevava il sangue per le analisi. Prima che lui potesse cominciare a mettere su carta anche quella scena, tuttavia, un grido soffocato di Iris Talbot lo distrasse dalla sua semi-trance costringendolo ad alzare lo sguardo. In un vortice d'immagini sovrapposte, vide che la donna osservava sua figlia a bocca aperta, indicandola con una mano. Allarmato, lui girò la testa verso il letto e si trovò di fronte due occhi azzurri spalancati. Gillian lo stava fissando dritto in faccia. L'impatto di quello sguardo fu come un pugno nello stomaco. Prima che Peregrine potesse mettere insieme due pensieri uno dietro l'altro, fu assalito da una marea di immagini in conflitto. Come una cascata di specchi rotti le immagini gli precipitarono addosso in una grandine di colori e di forme. Il giovanotto mandò un ansito e cercò di distogliere lo sguardo. La marea continuò a sommergerlo, colpendolo con impressioni così intense e confuse da dargli le vertigini. La matita gli sfuggì dalle dita e rimbalzò sul pavimento di linoleum, e lui mantenne a stento la presa sull'album da disegno. La sua determinazione di non soccombere gli diede la forza d'interrompere un'ultima grandinata d'immagini, dopo di che tutto fu improvvisamente immobile. Chiuse gli occhi e cercò di riprendere fiato, un po' sorpreso di essere ancora seduto sulla sedia. Stringendo tra le mani l'album attese che lo stordimento lo abbandonasse. Dopo qualche momento riuscì poi a sollevare le palpebre, e si accorse che davanti a lui c'era Iris, pallida ed eccitata. «Ha visto anche lei, Mr. Lovat? Ha visto?» gli domandò la donna, concitatamente. «Gillian ha aperto gli occhi! Ha visto anche lei, vero?» Peregrine annuì, e subito desiderò non averlo fatto. Strinse i denti e dis-
se: «Sì, ho visto». «Questo è stato il primo movimento volontario che abbia fatto da un mese!» continuò Iris, andando a chinarsi su Gillian, mentre un'infermiera metteva dentro la testa richiamata da quell'agitazione. «Mia figlia ha aperto gli occhi!» esclamò la donna anche a lei. «Chiami il dottor Sinclair e glielo dica, per favore! Io avevo paura di essermelo sognato, ma anche Mr. Lovat l'ha vista!» L'infermiera guardò Peregrine con aria interrogativa, e lui confermò con un cenno d'assenso. L'altra inarcò un sopracciglio e uscì di nuovo. Iris aveva preso una mano della ragazzina e gliela stava accarezzando. Peregrine vide però che Gillian non mostrava nessuna reazione. Aveva di nuovo gli occhi chiusi e sembrava ripiombata nel misterioso coma che la teneva prigioniera. «Mr. Lovat, lei pensa che questo significa che ne sta venendo fuori?» domandò Iris con voce tremula. «Non so cosa dirle», rispose lui. L'eco del caos mentale di cui aveva appena fatto esperienza era ancora così forte da fargli girare la testa. Richiuse l'album sui due disegni che aveva fatto e lo rimise nella cartella. «Credo che sia meglio aspettare Sir Adam e Lady Sinclair, e vedere cosa ne pensano loro.» Adam e Philippa, tuttavia, furono entrambi molto circospetti dopo aver ascoltato da Iris ciò che era accaduto. «È un segno incoraggiante... per quello che vale», concesse Philippa, dopo aver controllato le condizioni fisiche della ragazzina. «Ma non cediamo alla tentazione di attribuire troppo significato a una semplice reazione. Se in teoria è possibile che un paziente esca dal coma all'improvviso, in pratica un avvenimento così drammatico è molto raro. È troppo presto per alimentare questa speranza, Mrs. Talbot.» Iris si tormentava le mani. «Suppongo che lei abbia ragione», annuì, riluttante. «In ogni caso, non posso fare a meno di sentirmi più ottimista e fiduciosa.» La donna si volse a Peregrine con un sorriso intimorito. «Una settimana fa mi sarei risentita, se mia figlia avesse risposto a qualcuno che non fossimo stati io e mio marito. Ma non la penso più così. Al contrario, sono felice che per qualcuno sia possibile raggiungerla. Io non so cosa abbia fatto, Mr. Lovat, però le sono grata lo stesso. Lei continuerà a venire, vero? Per favore, dica che lo farà.» Peregrine sostenne il suo sguardo con fermezza, sorpreso dalla determi-
nazione che sentiva in sé. «Nessuno potrebbe tenermi lontano», le assicurò. «Capisco ciò che prova, Mrs. Talbot», intervenne Adam gentilmente. «Ma la prego di tenere a mente che ci sarà molto lavoro da fare, e non dobbiamo aspettarci miracoli...» Questo era tutto ciò che lui e Philippa erano disposti a dire in presenza di Iris Talbot. Peregrine saggiamente tenne la bocca chiusa finché non furono tutti e tre nell'ufficio di Adam. Solo allora diede voce ai suoi interrogativi. «Mrs. Talbot ha ragione?» domandò. «Gillian stava reagendo alla mia presenza?» «Così sembrerebbe», confermò Adam con un lieve sorriso, lasciandolo stupito. «Noi abbiamo già notato che la personalità precedente dello spirito di Gillian, ovvero Scot, ha scelto te, a Melrose, come soggetto più adatto con il quale comunicare. Evidentemente, malgrado tutto il danno che la sua anima ha sofferto, una forma di riconoscimento è ancora possibile, almeno per quanto ti riguarda. Con un po' di fortuna, questo ci darà una base concreta su cui costruire qualcosa, nei prossimi tempi.» Adam guardò Peregrine più da vicino. «Ora dicci quello che hai visto.» Peregrine fece una smorfia nel ripensarci. «Nulla di troppo chiaro, temo. È stato un po' come guardare un quadro di Picasso: tutte immagini fatte a pezzi e sparse attorno. Ho avuto l'impressione che i pezzi fossero ancora lì... ma che ammattimento ritrovarli e rimetterli al posto giusto!» Adam decise di lasciar perdere quell'argomento, per il momento. «Hai detto di aver fatto qualche disegno, se non sbaglio.» «Solo un paio», rispose Peregrine, consegnandogli l'album. «Niente che sia di molto aiuto per quanto riguarda Gillian, credo... ma posso dirvi cosa ne è stato del suo pettine. Non badate al primo disegno. L'ho fatto solo per scaldarmi.» Dopo aver aperto l'album, Adam diede un rapido sguardo al primo disegno e si concentrò sul secondo. «Questo è molto interessante.» Esaminò la figura dell'addetta alle pulizie. «Dai un'occhiata, mamma. Marjory Lewis, suppongo... sempre che questo sia il suo vero nome.» Mentre Peregrine li guardava con aria interrogativa, anche Philippa osservò il disegno. «Be', questo mette le cose sotto una luce nuova, no? Evidentemente qualcuno ci sorveglia molto più da vicino di quanto temessimo.» «Volete dire che la donna delle pulizie è una specie di agente della Log-
gia della Lince?» Peregrine apparve inorridito a quel pensiero. «Ma cosa potrebbero farsene del pettine di Gillian?» «Evidentemente si sono incuriositi di lei», rispose Philippa. «Vogliono sapere chi è... o era. Oltre a un campione di sangue, una ciocca di capelli è quanto di meglio potrebbero usare per portare avanti un certo genere d'indagine psichica... in questo caso, probabilmente, una ricerca sul passato esistenziale di Gillian.» Peregrine s'irrigidì, al pensiero dell'altra immagine che non aveva avuto il tempo di disegnare. «Adam, tu hai ordinato di fare un esame del sangue a Gillian? O lo ha richiesto lei, Lady Sinclair?» Il modo in cui madre e figlio si guardarono confermò a Peregrine che non avevano fatto niente del genere. «C'è stato anche un uomo in quella camera, stamattina presto», li informò Peregrine. «L'ho visto, dopo l'immagine dell'inserviente. Stava prelevando il sangue a Gillian. Se controllate, sono certo che troverete il segno recente di un ago sul suo braccio destro. Ho pensato che fosse normale routine... e poi Mrs. Talbot ha cominciato a gridare che la ragazzina aveva aperto gli occhi. Ma non era routine, vero?» Adam scosse il capo. Poi consegnò all'amico l'album aperto su una pagina bianca. «Disegna ciò che hai visto, Peregrine. Vedi se puoi dare una faccia a quell'uomo.» Peregrine guardò la pagina e sbatté le palpebre, ma la sua mano sembrò riluttante a muoversi verso la carta. «Io... non credo di poterlo fare, Adam», mormorò. «C'è qualcosa...» «Chiudi gli occhi e torna indietro con la memoria», gli ordinò Adam, poggiandogli una mano su una spalla e passandogli leggermente l'altra sulla fronte. «Fai un lungo respiro, come ti ho insegnato, e scendi nello stato di pre-trance in cui puoi lavorare con più efficacia. Disegna quello che vedi. Rilassati...» Mentre Peregrine respirava a fondo e cercava di fare ciò che Adam voleva, quest'ultimo gli lasciò la spalla e sedette. Gli occhi del giovane artista si riaprirono e la sua mano cominciò a muoversi sulla pagina, ma sebbene prendesse forma la figura di un uomo in camice bianco chino sul letto di Gillian, la matita continuava a evitare la sua faccia. «Concentrati sui lineamenti», gli sussurrò Adam in tono urgente. Tuttavia Peregrine non sembrava capace di vederli chiaramente, e quando uscì dalla trance scosse il capo, perplesso. «Non riesco a farlo, Adam. Non posso vederlo in faccia. È come se ci fosse un velo...»
«O uno scudo», intervenne Philippa, girando il disegno per vederlo meglio. «Così d'intuito, direi che Peregrine si è imbattuto in un membro della Loggia della Lince. Solo uno di loro saprebbe proteggere la sua identità mentre è all'opera.» «E adesso hanno il sangue e i capelli per effettuare una ricerca astrale», constatò Adam. «Se non sono dei completi incompetenti, domani a quest'ora sapranno chi è Gillian... e, cosa più importante, chi era.» «Possono riuscirci, usando solo il sangue e i capelli?» domandò Peregrine. Adam annuì. «Dipende dall'abilità di chi si occuperà dell'indagine... sì. Noi potremmo farlo. E poiché hanno saputo rivitalizzare il corpo di Scot e costringere il suo spirito a rientrarci, devo supporre che abbiano tutte le risorse necessarie... a meno che il loro esperto in materia non fosse uno di quelli che hanno perso la vita a Loch Ness. Ma un investigatore abile può scavare nel passato del suo soggetto.» «Be', se riuscissero a stabilire il collegamento tra Gillian Talbot e Michael Scot», domandò Peregrine, «poi cosa potrebbero fare?» «Speculare serve a poco», replicò Philippa, scura in faccia. «Una cosa è certa: qui nell'ambiente dell'ospedale non possiamo proteggere adeguatamente la nostra paziente. Se volete la mia opinione, suggerisco di trasferirla a Strathmourne il più presto possibile.» Adam si mordicchiò un labbro. «Quest'idea mi era già venuta. La sola domanda è: possiamo farlo senza alimentare troppi pettegolezzi?» «Alimentare pettegolezzi è l'ultimo dei nostri problemi», ribatté Philippa in tono pratico. «Abbiamo ventiquattr'ore di tempo prima che i nostri nemici scoprano il segreto di Gillian. Dopo, l'unico modo in cui potremo essere certi della sua sicurezza sarà che uno di noi monti la guardia nella sua stanza ventiquattr'ore al giorno. E ti assicuro che questo potrebbe alimentare dei pettegolezzi.» Adam ci pensò, accigliato. «Temo che sia fin troppo vero. Ad ogni modo, credo che Peregrine ci abbia dato lo spunto di una scusa plausibile per spostare Gillian dall'ospedale in un ambiente domestico.» «Ve l'ho dato?» Peregrine guardò Adam e poi Philippa. «Sì», confermò quest'ultima annuendo lentamente. «Ora che abbiamo avuto un cenno di reazione, potremmo affermare che vale la pena di vedere come la paziente reagisce in un ambiente domestico... e proporre Strathmourne, dove potrà essere controllata da entrambi i suoi medici curanti.» Guardò suo figlio. «Non mi hai detto che la tua Mrs. Gilchrist era un'infer-
miera, prima di andare in pensione?» «È così», annuì Adam. «Suppongo che tu stia proponendo di chiederle di fare servizio di assistenza in un'abitazione privata. La parte più difficile sarà convincere il personale dell'ambulanza a effettuare il trasferimento con così breve preavviso... ma vedrò cosa posso fare.» «Nel frattempo dovremo persuadere Mrs. Talbot.» Adam diede a Peregrine un'occhiata significativa. «Per quanto riguarda stanotte», continuò poi, rivolgendosi a sua madre, «ti sarei molto obbligato se facessi il possibile per sorvegliare la camera di Gillian.» 23 Quella stessa notte, nello scantinato di una villa nei pressi di Stirling chiamata Nether Leckie, Francis Raeburn e un selezionato manipolo di suoi subordinati sì riunirono per chiarire la questione circa Gillian Talbot. Erano presenti i tre che avevano collaborato con Raeburn alla preparazione della lince-origami una settimana prima, Napier, la Fitzgerald e Wemyss, oltre al magro e robusto individuo dai capelli neri di nome Barclay, le cui capacità andavano ben oltre il pilotaggio degli elicotteri. I cinque indossavano il saio nero con il cappuccio, che era la loro uniforme da lavoro, e ciascuno portava il medaglione d'argento e l'anello con rubino che erano l'emblema della piena appartenenza alla Loggia della Lince. Il luogo era ben attrezzato e riscaldato, con tre grossi bracieri di ferro nero che ornavano altrettante pareti, dipinte di bianco. Sulla quarta parete un affresco rappresentava una figura nerastra e senza faccia, vagamente umanoide, avvolta in nubi vorticose, con un'aureola di fulmini in ferro battuto situata nel punto dove avrebbe dovuto esserci la testa. Rivolto verso quel muro, di fronte a una fila di candele accese, il pilota Barclay sedeva su uno scranno di legno con la testa rovesciata all'indietro e gli occhi chiusi, in trance. Alla sua destra, da un piccolo braciere sostenuto da un tripode saliva una pigra spirale di fumo d'incenso. Lì accanto, su un tavolino, c'erano altri oggetti necessari per la serata di lavoro: altro incenso, un vassoio di vetro simile a un disco, una massa di capelli biondi grossa quanto un uovo e una siringa ipodermica da 10 cc piena di sangue scuro. A questo armamentario presiedeva Raeburn, con l'assistenza della ragazza dagli occhi duri, Angela Fitzgerald. All'altro lato, l'ispettore Napier aveva arrotolato la manica sinistra del pilota e gli stava legando un laccio di gomma alla parte superiore
del braccio, mentre Wemyss riempiva un'altra siringa da una fiala di opalescente liquido rosa. «Le ricordo che non potrà volare nelle prossime ventiquattr'ore», avvertì Wemyss, togliendo l'ago dalla fiala e consegnandola a Napier. Alla luce delle candele sollevò la siringa ed espulse fuori l'aria e qualche goccia di liquido. «Non avrò bisogno di lui fino a sabato», mormorò Raeburn, guardando Wemyss che con un po' d'alcol stava ripulendo l'interno del braccio di Barclay, in cerca di una vena adatta. «Questo 'volo' è molto più importante, per il momento. Se, come sospetto, la ragazza Talbot è l'incarnazione attuale di Michael Scot, questa sera potremo scoprire il modo di riavere ciò che è andato perduto a Loch Ness. Barclay era presente, quando il compianto Geddes rievocò lo spirito di Scot, a Melrose. Lui saprà se la percezione è reale. Procediamo, prego.» Senza ulteriori indugi, Wemyss infilò l'ago nella vena di Barclay e iniettò lentamente circa metà del contenuto della siringa; poi fece una pausa per sollevare una palpebra del soggetto. Napier si era alzato e reggeva Barclay per le spalle, cosicché era pronto quando l'uomo, dopo che Wemyss gli ebbe iniettato altra droga, fu scosso da alcuni sussulti e mugolò. «È quasi pronto», mormorò Wemyss, mentre gli occhi dell'altro si socchiudevano. «Barclay, può sentirmi?» «Sì.» Le pupille erano dilatate, lo sguardo di Barclay era fisso e fuori fuoco. Soddisfatto, Wemyss premette il pollice sullo stantuffo e gli diede un'altra piccola dose di droga. Poi estrasse l'ago, premette sulla pelle il cotone imbevuto d'alcol e gli fece ripiegare il braccio. «Quando vuole, Mr. Raeburn», annunciò. Con un sorriso, Raeburn si fece avanti, poggiò entrambe le mani sui braccioli del seggio e guardò gli occhi drogati. «Si sente bene, Mr. Barclay?» domandò sottovoce. La testa dell'uomo si mosse su e giù. «Mi sento bene, Mr. Raeburn.» «Ottimo.» Raeburn fece un passo indietro, e con l'aiuto di Angela Fitzgerald spostò un braciere di fronte al seggio, fin quasi a toccare le ginocchia di Barclay. Nello stesso momento, Wemyss e Napier presero l'uomo per le spalle e lo fecero piegare in avanti allargandogli le ginocchia in modo da avvicinare il braciere ancor di più. Raeburn sparse una manciata d'incenso sulle braci, e Barclay cominciò a inalare profondamente il fumo. Si trattava dello stesso
incenso, come Raeburn sapeva, che era stato usato quella notte all'abbazia di Melrose, e lo sguardo di riconoscimento che apparve negli occhi di Barclay confermò che anche lui lo sapeva. «Sì... sì...» sibilò Raeburn. «Hai riconosciuto l'odore, vero? Esso ti riporta indietro a quella notte, tra le rovine dell'antica abbazia. Tu sei là, adesso.» La sua voce si fece pressante. «Tu vedi quel vecchio sepolcro scoperchiato davanti a te, vedi il corpo mummificato e senti la presenza che quella notte fu richiamata su quei resti. E ora c'è qualcosa che ti aiuterà a contattare il bersaglio.» A un suo gesto, Angela Fitzgerald gettò nel braciere la piccola matassa di capelli d'oro. Mentre il puzzo di capelli bruciati si diffondeva nell'aria, Barclay lo aspirò un paio di volte, e attraverso il fumo i suoi occhi si misero a fuoco su qualcosa. «Cerca, chiama», lo esortò Raeburn. «Porta i due spiriti insieme e confrontali. La ragazza Talbot è l'attuale incarnazione di Scot?» «Sta venendo», ansimò Barclay. «Vicino... molto vicino. Non posso... ancora... vedere chiaramente. Aiutatemi.» Con un cenno del capo a Wemyss e Napier, Raeburn prese la fiala con il sangue e ne versò una goccia su ciascuno dei palmi di Barclay, mentre i due aiutanti gli tenevano le mani girate all'insù. Il resto del sangue fu vuotato sul disco di vetro, che la Fitzgerald aveva già piazzato sopra le braci. Il sangue cominciò a bollire, e alcune gocce sfrigolanti raggiunsero l'orlo e colarono sulle braci. Barclay inalò avidamente anche quest'odore, sfregando energicamente le mani una contro l'altra per incrementare il contatto. «Sì», disse a occhi chiusi, mentre si portava le mani alla faccia per annusare anche l'odore del sangue sui palmi. «Oh, sì, essi sono una sola cosa, la stessa cosa. Ma Scot è irritato. Avere la sua collaborazione non sarà facile. È potente, anche se fuori fuoco a causa delle condizioni del suo corpo attuale. Ma può essere usato. Su di lui può essere usata la coercizione. Sì... è sicuramente Scot. Non dobbiamo permettere che la Loggia di Caccia ottenga il suo aiuto. È un potente nemico... ma anche un potente schiavo... attenzione...» Piano piano l'uomo abbassò la testa finché penzolò in avanti esausto, poggiando la faccia sulle mani insanguinate. Quando fu chiaro che da lui non sarebbero giunte altre informazioni, Raeburn spostò il braciere e fece cenno a Wemyss e Napier di raddrizzare Barclay. Questi era ancora conscio, ma solo in parte, e Raeburn volse a Wemyss uno sguardo interrogativo.
«Sta bene?» «Starà meglio quando avrà dormito», rispose il medico, esaminando gli occhi di Barclay che s'abbandonava privo di forze contro lo schienale. «Per stanotte è andato. Lo porto a letto e lo faccio ripulire?» «Sì, lo porti via. Napier le darà una mano», annuì Raeburn. «Tra mezz'ora ci riuniremo in biblioteca per decidere come usare queste informazioni. Non credo che sia necessario muoverci prima di venerdì sera... niente dovrà interferire con quello. Ma credo che in futuro dovremo dedicare un po' di attenzione a Miss Gillian Talbot.» 24 Il giorno seguente, le campagne scozzesi si svegliarono sotto un cielo grigio e nebbioso, coperte dal manto di neve che era caduto quella notte su tutto il Paese, lasciando le Highland avvolte nella morsa dell'inverno. A Edimburgo, gli operai furono occupati per tutto quel venerdì a spargere sale sulle strade, mentre il traffico stentava sulla melma di neve e i pedoni lottavano eroicamente per non scivolare sul marciapiede. Nonostante le avverse condizioni del tempo, la Confraternita della Loggia massonica numero 213 si riunì normalmente per l'assemblea in programma quel venerdì sera, nel quartiere di Lochend, a Edimburgo. Il Maestro della Loggia fu uno degli ultimi ad arrivare, poiché sulla strada si era accodato a un vecchio taxi che, con l'asfalto innevato, rischiava di uscire di strada a ogni svolta e costringeva le altre auto a mantenere un'andatura lentissima. Quando finalmente l'uomo giunse all'ingresso del parcheggio privato della Loggia, con dieci minuti di ritardo sull'inizio dei lavori, era così irritato che annotò il numero di targa del taxi sul retro di una vecchia ricevuta del parcheggio, prima di fermare l'auto sul piazzale dietro l'edificio. L'uomo raccolse la sua borsa dal sedile accanto e s'incamminò sulla fanghiglia gelida, già cominciando a sbottonarsi il soprabito mentre entrava dall'ingresso posteriore. Il segretario della Loggia gli venne subito incontro, con in mano un foglietto di carta e un'espressione accigliata sulla faccia baffuta. «Ah, sei arrivato, finalmente!» esclamò il segretario. «Da mezz'ora e più c'è un uomo che continua a telefonare qui, chiedendo di te. Dice che lavora alle tue dipendenze... è un certo Murray. Questo è il suo numero. Vuole che lo richiami appena possibile.»
Alzando gli occhi al cielo, il Maestro della Loggia numero 213 prese il foglietto e guardò il numero, quindi s'avviò verso lo spogliatoio e toilette dei membri, con il segretario alle calcagna. «Adesso non ho tempo per questa faccenda, Robbie. Sono rimasto inchiodato finora dietro un maledetto taxi. Murray ha detto di cosa si tratta?» «Ha detto solo che è urgente», rispose Robbie. Il Maestro sospirò, levandosi il cappello. «E va bene, va bene! Lo chiamerò dal telefono a gettoni, mentre mi vesto. Di' alla gente, di sopra, che sarò lì per aprire la riunione della Loggia tra qualche minuto.» «Sì, Venerabile Maestro.» Mentre il segretario saliva per la scala di servizio, il Maestro entrò a passo di carica nello spogliatoio, appese il cappello a un gancio e gettò la borsa sulla sedia più vicina. Togliendosi il soprabito si domandò quale emergenza avesse indotto Murray a chiamarlo lì alla Loggia. Aprì la borsa e ne trasse fuori il grembiule di seta bianca, con il bordo e i simboli ricamati in azzurro, e se lo allacciò alla cintura, aggiustando meglio la frangia che indicava il rango di Maestro Massone. Poi mise il largo colletto di seta, la collana ingioiellata, e la fascia obliqua caratteristica di quella Loggia, con l'emblema di Maestro Eletto. Mentre s'infilava il copricapo e le mezze maniche azzurre, rilesse il numero di telefono, quindi s'infilò il biglietto in una tasca dei calzoni e ne pescò fuori una moneta da venti pence. Il telefono era fissato al muro presso la porta, l'uomo infilò la moneta nella fessura e compose il numero. L'apparecchio all'altra estremità della linea cominciò a suonare. Lui guardò l'orologio da polso, aggiustandosi la mezza manica sinistra. Fu in quel preciso momento che la porta si aprì, dietro di lui. Prima che potesse voltarsi a guardare chi era, un braccio robusto gli passò intorno alla gola e una mano gli premette un pezzo di stoffa sulla bocca e sul naso, impedendogli di gridare. L'odore chimico del cloroformio gli riempì le narici e gli irritò gli occhi. Ansimando semisoffocato cercò di gettarsi di lato nel tentativo di scrollarsi di dosso l'aggressore. Non era un uomo mingherlino, tuttavia l'individuo che lo teneva da dietro mantenne la presa con facilità e gli attanagliò duramente la gola, premendogli con forza sulla faccia il panno imbevuto di cloroformio. Mentre la sostanza chimica faceva il suo effetto, l'uomo piegò le ginocchia e la sua vista si annebbiò. Pochi secondi dopo, penzolava inerte tra le braccia del suo assalitore, ancora vagamente conscio, ma non più in grado
di lottare o chiamare aiuto. L'altro non lo lasciò cadere a terra, e gli tolse il panno dalla faccia per dare modo a un complice di applicargli un pezzo di nastro adesivo sulla bocca. Fatto questo, gli piegò i polsi dietro la schiena e glieli legò con qualche giro di nastro. Contemporaneamente il secondo assalitore gli infilò sopra la testa un cappuccio nero. I due lo afferrarono sotto le ascelle, lo trascinarono fuori dallo spogliatoio lungo il corridoio posteriore e quindi all'esterno, nella fredda sera, gettandolo senza complimenti sul sedile di un'auto in attesa: lo stesso taxi nero che lo aveva fatto tanto irritare pochi minuti prima, ma che lui non poté riconoscere. Il movimento in avanti del veicolo che ripartiva fu l'ultima cosa di cui l'uomo si accorse, prima di perdere del tutto conoscenza. Un chilometro più avanti, sul lato meridionale dell'altura di Calton Hill, a Edimburgo, una donna dall'aria accigliata sedeva da sola in un'auto in sosta fuori dal cancello incrostato di neve del cimitero di Old Calton Road. Tutt'intorno c'erano molte altre macchine parcheggiate, appartenenti alla clientela del pub aperto su Waterloo Place, a un tiro di sasso da lì. Più su lungo la collina, dietro il pub, sullo scuro cielo invernale si stagliavano i profili dei Crown Office Buildings e del monumento di Nelson. Sul lato opposto, la neve che copriva il suolo attutiva il rumore della motrice diesel di un treno in movimento dietro il cimitero, diretto alla stazione di Waverley. Le strade erano praticamente deserte; il cattivo tempo teneva la gente al coperto. Ma oltre il cancello del cimitero, tra le tombe presso l'alto muro perimetrale, una dozzina di figure si muovevano nervosamente nell'ombra di una cappella sepolcrale bianca di neve, soffiandosi sulle mani e battendo i piedi nell'attesa di un cenno del loro capo. Francis Raeburn camminava avanti e indietro di fronte a una consunta pietra tombale a forma di obelisco, alta quanto un uomo. Mentre si fermava per consultare l'orologio da polso, quello del campanile di una chiesa non molto lontana batté lentamente le otto. Mentre l'eco dell'ultimo tocco della campana si dileguava nel buio, due fari svoltarono l'angolo in fondo a Regent Road e un grosso taxi nero scese prudentemente dalla collina verso l'ingresso del cimitero. Quando il taxi fece lampeggiare gli abbaglianti, la donna seduta nell'auto parcheggiata sospirò di sollievo e rispose accendendo le luci di posizione. Il segnale fu raccolto anche da un uomo in attesa dietro il cancello del cimitero, che avvertì subito Raeburn. Questi si volse ai subordinati mormorando un ordine secco, e come un sol uomo essi cominciarono a toglier-
si cappelli e soprabiti, scoprendo il saio bianco che ciascuno indossava sotto. Mentre uno di loro radunava svelto gli indumenti del gruppo per ammucchiarli su una coperta distesa dietro la cappella, gli altri si tirarono sulla testa il cappuccio bianco sotto il quale le loro facce erano soltanto ombre. Quando Raeburn li raggiunse, togliendosi la sciarpa che aveva al collo, la luce di un lampione stradale poco distante strappò un freddo bagliore metallico al collare Soulis che gli cingeva la gola. La donna seduta nell'auto accese il motore, scostandosi dal marciapiede, e il taxi, che aveva atteso quella manovra, posteggiò pulitamente nel posto così lasciato libero e spense le luci. I due uomini vestiti di scuro usciti dagli sportelli posteriori guardarono la strada per accertarsi che nessuno avesse notato il loro arrivo, quindi tirarono fuori dal veicolo una forma inerte, incappucciata di nero, e in fretta la trasportarono di peso sotto l'arcata d'ingresso del cimitero. Uno degli accoliti di Raeburn in saio bianco, quasi invisibile tra la neve, venne loro incontro, aprì il cancello per farli entrare e lo richiuse alle loro spalle su cardini ben oliati. Altri due accoliti li raggiunsero per aiutarli a portare il pesante fardello umano su per il terreno in salita dell'altura, scivolando e inciampando nella neve. Ubbidendo ai cenni di Raeburn, posizionarono il prigioniero incappucciato con la schiena contro la lapide a forma di obelisco, legandolo con cordoni di seta scarlatta per tenerlo in posizione eretta. Fatto questo, gli uomini scesi dal taxi se ne andarono senza una parola. Anonimi e indistinguibili gli uni dagli altri sotto i loro cappucci bianchi, i seguaci di Raeburn si disposero in circolo attorno all'uomo legato alla pietra tombale, lasciando un posto vuoto di fronte a lui. Fu Raeburn a occupare quel posto. L'uomo infilò una mano sotto al saio e tirò fuori di tasca un medaglione discoidale, sul quale era incisa la testa di una lince, appeso a una catenella d'argento. Era l'unico monile del suo genere visibile lì quella sera, benché tutti portassero l'anello con il rubino del loro Ordine. Dall'ombra del copricapo, gli occhi azzurro pallido di Raeburn indugiarono un momento sul medaglione, poi l'uomo allungò una mano e tolse il cappuccio nero dalla testa del prigioniero. Questi fu un poco ravvivato dal contatto dell'aria fredda, e i suoi occhi castani annebbiati dal cloroformio contemplarono torpidamente le figure biancovestite intorno a lui. A stento si accorse di quello che venne avanti per appendergli il medaglione al collo. Con una smorfia impaziente, Raeburn annuì verso uno degli adepti, e re-
trocesse di nuovo al suo posto nel circolo. Senza dir parola, l'uomo in saio bianco a cui si era rivolto si fece avanti e strappò via il nastro dalla bocca del prigioniero, quindi spezzò una piccola fiala sotto il suo naso. Nel buio aleggiò per qualche momento un odore di ammoniaca. Con passi attutiti dalla neve l'uomo tornò tra i suoi compagni, lasciando negli occhi castani del prigioniero uno sguardo più lucido in cui la comprensione portava adesso una luce di paura. Raeburn sollevò di scatto le braccia, e nel vecchio cimitero sembrò cadere un'immobilità ancor più pesante, un'atmosfera che isolava il circolo degli accoliti dai rumori del traffico cittadino come sotto una cappa tenebrosa. Pigri fiocchi di neve svolazzavano nella gelida aria notturna, sciogliendosi al contatto della faccia attonita del prigioniero. Quando la tensione raggiunse l'acme, Raeburn alzò la testa e cominciò a cantare una rauca e sibilante invocazione, per chiamare a sé il potere che gli veniva trasmesso dal Maestro Anziano. La cantilena si disperdeva nell'aria del cimitero con il suono di manciate di ghiaia gettate al suolo. Il prigioniero cercò di muoversi, sforzò i cordoni che lo legavano alla pietra tombale, e dopo quel vano tentativo ansimò, terrorizzato. La voce di Raeburn continuò a risuonare raucamente fino all'ultima strofa dell'invocazione, e a questo punto le sue braccia s'allargarono come a comprendere il cielo in un abbraccio. «Vieni, possente Taranis!» esclamò. «Vieni a noi, questa notte, e sii nostro ospite!» All'improvviso l'aria nel circolo degli incappucciati parve prendere vita. Il cielo fu pervaso da un'agitazione oscura, addensato da una maligna attività. Mentre il buio si faceva più fitto, rapide vampe di luce balenarono da una nuvola all'altra, e i presenti poterono sentire il fremito dell'elettricità che faceva rizzare la peluria del viso e delle mani, come uno sciame di formiche sulla pelle. «Vieni, tu che sei il Signore dei Fulmini!» invocò Raeburn. «Vieni a ricevere il nostro omaggio! Accetta l'offerta posta dinanzi a te, il nostro dono sacrificale pronto per ardere!» La sua voce risuonava di avida aspettativa, e il tuono le rispose con un basso rombo subsonico, mentre le nuvole si radunavano in un'agitazione vorticosa. Guardandosi attorno selvaggiamente, il prigioniero si dimenò mandando grida stridule, ma non gli servì a nulla. Nello stesso istante, con un improvviso e assordante crepitio, un fulmine squarciò il cielo notturno e come la lingua di una vipera colpì il medaglione appeso sul petto della vit-
tima. Gli accoliti in saio bianco sussultarono e alzarono le mani a coprirsi gli occhi abbagliati dal lampo, quando la saetta sfrigolò in un furioso arco di luce bianco-azzurra. Impalato da quella lancia di energia pura il corpo della vittima si contorse come una marionetta spezzata, mentre sbuffi di fumo bluastro gli uscivano dal petto spargendo attorno il puzzo della carne e della stoffa bruciata. Nello stesso momento, il potere che pervase Raeburn lo abbracciò come in un parossismo sessuale. Con la faccia rivolta al cielo, l'uomo mandò un grido rauco, esultante, e aspirò profondamente l'odore del sacrificio. La vittima che sussultava appesa ai cordoni di seta ebbe un ultimo spasimo prima di abbandonarsi immobile, ma era la reazione riflessa di un corpo che non sentiva più il dolore. Errabondi aneliti di energia palpitarono intorno alla testa china per qualche secondo ancora, e poi si spensero. Una nuova tenebra discese, più oscura della precedente dopo la scomparsa di quel fuoco elementale, e per un lungo momento Raeburn continuò a fremere sull'orlo dell'estasi, intossicato dal bacio del potere. Le risonanze lasciate nell'aria dalla forza del fulmine empivano il suo corpo di una voluttà che non aveva mai immaginato. La trattenne a sé più a lungo possibile, con le mani strette al collare nello sforzo di prolungarla, e aprì gli occhi solo quando l'ultimo palpito di quel piacere si dissolse e uno dei componenti del circolo tossì. La figura senza vita della loro vittima pendeva dalla pietra tombale, e refoli di fumo si alzavano dalla profonda ustione scura che gli deturpava il petto. La collana e il medaglione erano semifusi, e un acre odore di bruciato aleggiava sulla scena. La neve si era sciolta nel raggio di alcuni passi, lasciando scoperto il terreno. Cautamente, dopo un cenno d'assenso da parte di Raeburn, uno dei presenti s'avvicinò alla vittima per esaminarla. Nella deferenza degli accoliti Raeburn notò la paura e il rispetto, ma anche una certa invidia, e assaporò la soddisfazione che questo gli dava. In distanza si udì il gemito di una sirena in avvicinamento, a testimonianza che l'esibizione pirotecnica sul cimitero non era passata inosservata. Raeburn andò a raccogliere soprabito, sciarpa e cappello, mentre uno dei presenti toglieva i resti del medaglione dal collo della vittima e un altro cominciava a sciogliere i cordoni di seta che lo legavano all'obelisco. Quando il corpo rotolò al suolo gli fu tolto anche il nastro che immobilizzava i polsi. Al termine di queste precauzioni, Raeburn permise a due degli intervenuti di scortarlo fino al taxi, mentre gli altri si disperdeva-
no silenziosi com'erano venuti. Quando la prima auto della polizia svoltò l'angolo di Waterloo Place, il cimitero di Old Calton Road era vuoto, a parte le spoglie dei defunti che lì riposavano da tempo e il corpo di un uomo appena ucciso dal fulmine. A Strathmourne, intanto, Adam e i suoi compagni erano ancora all'oscuro delle ultime manovre della Loggia della Lince. Nei due giorni precedenti si erano occupati della sicurezza di Gillian Talbot, e quel pomeriggio avevano provveduto a farla trasferire a Strathmourne per una nuova fase della terapia. La ragazzina si trovava ora in un'accogliente stanzetta dell'ala est, un tempo usata come salottino e nursery, mentre a sua madre era stata assegnata una delle camere per gli ospiti sullo stesso corridoio. Quella sera, per dare il benvenuto a Strathmourne a Iris Talbot e sottolineare l'atmosfera casalinga che speravano avrebbe contribuito alla guarigione di sua figlia, Philippa aveva organizzato una cenetta informale a cui partecipavano non soltanto Peregrine, per il quale Mrs. Talbot aveva sviluppato un'adorazione dopo aver osservato il suo effetto su Gillian, ma anche Christopher e Victoria Houston, giunti in auto da Kinross per rinforzare il gruppo. La volonterosa Mrs. Gilchrist aveva subito accettato di riassumere le sue antiche mansioni d'infermiera, e restò in camera accanto a Gillian mentre il resto della casa cenava. Quando i presenti, chiacchierando amabilmente del più e del meno, ebbero gustato gli antipasti e la zuppa allo stilton, il pollo alla Wellington e la torta alle prugne, Iris Talbot si sentiva già da un pezzo a suo agio in quel nuovo ambiente. Phiiippa stava per suggerire che si spostassero nel salotto del pianterreno per il caffè, quando suonò il telefono. «Ci pensa Humphrey», avvertì Adam, sorridendo a Iris che aveva avuto un sussulto. «Se non si tratta di un'emergenza, io non rispondo alle telefonate durante la cena.» L'apparecchio in fondo alla stanza emise un ronzio discreto, e lui alzò le braccia rassegnato. «Ma a quanto pare, di alcune chiamate devo occuparmene io. Perché voi non cominciate a spostarvi in salotto? Vi raggiungo tra qualche minuto.» Quella promessa si rivelò però troppo ottimistica, perché a parlargli fu la voce cupa di McLeod. «Tienti forte, Adam. Un uomo vestito con paramenti massonici è stato trovato morto nel cimitero di Old Calton Road, tra la ferrovia e Calton Hill. Sembra che sia stato colpito da un fulmine. Sto andando sul posto, e ho pensato che forse potresti raggiungermi... tu e il giovane Lovat, se è disponibile. Assicurati che porti il necessario per disegna-
re, nel caso che ci occorra la sua interpretazione.» Poco più di un'ora dopo, con Peregrine seduto ansiosamente accanto a lui, Adam fermò la Range Rover dietro una dozzina di veicoli della polizia parcheggiati sul lato nord di Waterloo Place, giusto di fronte all'ingresso del cimitero. Alcune transenne della polizia erano state messe davanti al cancello, e le luci lampeggianti dell'ambulanza ferma sul marciapiede rendevano spettrale la neve che continuava a cadere. «Questa faccenda è decisamente macabra», osservò Adam, mentre lui e Peregrine scendevano dall'auto. Con un grugnito d'assenso, l'amico si ficcò sotto un braccio l'album da disegno e lo seguì sull'altro lato della strada, cercando di non scivolare sulla neve e infilandosi un paio di guanti privi di dita. «Siamo qui su richiesta dell'ispettore McLeod», disse Adam all'agente in uniforme di guardia alle transenne, presentandogli la carta d'identità. «Può dirmi dove posso trovarlo?» «Sì, signore.» L'agente si voltò a indicare le luci di numerose torce elettriche tra le tombe, al livello superiore del cimitero. «È da qualche parte lassù. State attenti dove mettete i piedi... il terreno è sdrucciolevole.» «Grazie.» Lui e Peregrine aggirarono le transenne e s'avviarono oltre il cancello. Di passaggio, Adam notò che a terra, con ancora attaccato un lucchetto chiuso, c'era una catena, apparentemente tagliata da un paio di tronchesine. Più in alto, sul pendio, stagnava un odore dolciastro di carne bruciata. «Gesù Cristo!» mormorò Peregrine, con una smorfia di disgusto. Il giovanotto alzò una mano guantata a coprirsi la bocca e il naso,tossicchiando. Nello stesso momento Adam riconobbe la figura di McLeod in soprabito e cappello, tra quelle che si muovevano alla luce delle torce. Mentre alzava un braccio per richiamare la sua attenzione, l'ispettore guardò giù da quella parte e li vide. La sua faccia appariva pallida e cupa, quando venne loro incontro. «Ce ne avete messo di tempo!» protestò, anche se quel commento nasceva solo dal nervosismo, perché sapeva che erano arrivati prima possibile. «Il medico e il patologo della polizia mi stanno addosso da mezz'ora perché vogliono rimuovere il corpo, ma io volevo che voi vedeste le cose come le abbiamo trovate. Prepari la sua matita, Mr. Lovat.» Facendo cenno di seguirlo, li precedette in un labirinto di nastri gialli stesi dalla polizia tra due cappelle private. Quando ebbero girato intorno a quella di destra, Peregrine rischiò di scivolare alla vista del cadavere diste-
so scompostamente su un tratto di terreno più scuro e fangoso, ma andò comunque a fermarsi poco più avanti. Mentre guardava di nuovo il corpo, un freddo senso di violenza residua lo colpì come uno schiaffo in piena faccia. Il giovane fece un passo indietro, con il fiato mozzo. Adam e McLeod si voltarono a guardarlo, ma lui fece capire che non era niente e concentrò la sua attenzione sul cadavere. Lo sventurato dimostrava circa la stessa età di McLeod: un uomo d'aspetto imponente, che indossava i resti di un colletto e di un grembiule massonici, sporchi di fango, sopra un completo scuro. La causa della morte risultava abbastanza evidente, a giudicare dalla terribile ustione annerita che aveva al centro del petto, come se fosse stato colpito dalla rosa di un fucile da caccia. Frugandosi in tasca alla ricerca della matita, Peregrine aprì con l'altra mano l'album da disegno e trasse un paio di respiri profondi. Poi socchiuse le palpebre e cercò di vedere oltre quella scena gli eventi che l'avevano preceduta. Tenere a distanza la violenza era difficile, ma mentre raggiungeva un livello di percezione più profondo, ciò che aveva davanti prese vita, con la fantomatica trasparenza tipica della natura esoterica di ciò che stava vedendo. Davanti a lui, simili a spettri, c'erano dieci o dodici individui in saio bianco con il cappuccio, riuniti in cerchio attorno alla vittima com'era successo durante l'uccisione di Randall Stewart. I medaglioni con la testa di lince che quelli avevano indossato ora brillavano per la loro assenza, ma tutti avevano l'anello con il rubino alla mano destra, e le loro facce erano oscurate da qualcosa che non era soltanto il cappuccio. Quello che sembrava il capo portava un pesante collare di ferro nero che attrasse Peregrine come un magnete... ma quando lui cercò di metterlo meglio a fuoco i suoi dettagli scomparvero. Facendo appello alla sua capacità di concentrazione, cercò di disegnarlo in qualche modo, intorno a esso stagnava un'aura maligna, venefica. Ciò che Peregrine riuscì a captare furono dei pittogrammi fluidi, sfuggevoli, uniti in una configurazione di potere. Ma prima che quell'impressione potesse precisarsi meglio, un lampo accecante e doloroso gli esplose dietro i globi oculari, cancellando la visione. La sofferenza fu così intensa che si piegò in due, portandosi le mani alla faccia. Due braccia forti gli vennero in aiuto per impedirgli di cadere, e piano piano il giovanotto si riprese, ma anche soltanto pensare a quel misterioso collare gli dava la nausea e svegliava di nuovo il dolore agli occhi.
«Fatti forza», lo incoraggiò in un orecchio la voce di Adam. «Esci da ciò che ti sta causando questa reazione, qualunque cosa sia. Non ne vale la pena.» Dita ferme e fresche gli accarezzarono la fronte. Subito il dolore si alleviò. Peregrine respirò a fondo, osando piano piano aprire gli occhi, mentre l'amico scostava la mano. «Adam, credo che quel gruppo sia la stessa gente che ha ucciso Randall Stewart», mormorò cautamente, sorpreso di ritrovarsi ancora la matita e l'album tra le mani. «Il capo aveva qualcosa intorno al collo... una collana... forse un collare.» «Immaginavo una cosa del genere», mormorò Adam. «Ma per ora lascia stare. Non cercare di lavorare su quell'immagine. È un oggetto troppo ben schermato. Come ti senti?» Peregrine annuì. Il dolore si era placato, e adesso la sua vista funzionava normalmente. «Meglio. Tu... non vuoi che mi concentri sul loro capo, allora?» «Non a questo prezzo. Non ora. Non qui. Hai visto altre immagini, prima di dover rinunciare?» «Oh, sì», rispose Peregrine. «Dettagli di ogni genere...» La sua voce si spense quando abbassò lo sguardo sulla figura riversa ai piedi della pietra tombale. Rialzò l'album e impugnò saldamente la matita, ricominciando a disegnare. Adam e McLeod si scostarono di qualche passo, soddisfatti nel vedere che il giovane artista era di nuovo in possesso delle sue facoltà, ma pronti a soccorrerlo ancora se ne avesse avuto bisogno. Con l'aiuto di Peregrine avrebbero appreso qualcosa di utile sul delitto compiuto in quel luogo. Voltandosi verso Adam, McLeod raddrizzò le spalle. «Dunque, abbiamo ancora un membro della Massoneria ucciso in circostanze che possono essere descritte come insolite», borbottò. «Stiamo pur certi che domani i giornalisti avranno una giornata campale.» Adam fece una smorfia. Non stentava a immaginare i titoli. «Tu conoscevi quell'uomo?» domandò. «Soltanto di vista», rispose McLeod. «Il suo nome è... era, Ian MacPherson. Aveva una falegnameria a Lochend, dove si trova anche la sua Loggia.» Indicò il collare e il grembiule del defunto e si mordicchiò un labbro, pensosamente. «Suppongo che questa sera la sua Loggia avesse una riunione. La mia ipotesi è che l'abbiano rapito poco prima dell'inizio... forse dai locali stessi
della Loggia. Ho mandato là Donald Cochrane a prendere informazioni. Dato che è uno dei loro, per così dire, gli sarà più facile sapere qualcosa... ma non credo che ci sia molto da scoprire, là.» Fece una pausa e scosse il capo. «Non so, Adam. La morte di Randall è stata un brutto colpo, ma... ora le cose stanno diventando davvero preoccupanti. Se non arriviamo presto al fondo di questa faccenda, ci troveremo alle prese con una specie di pubblica caccia alle streghe. E quel che è peggio, quelli che si autonomineranno cacciatori si getteranno su tutte le piste sbagliate... a cominciare dalla Massoneria.» «Temo che sarà così», annuì sobriamente Adam. «Cos'altro puoi dirmi, per ora? MacPherson è stato veramente colpito da un fulmine?» McLeod si strinse nelle spalle, accigliato. «Questo è ciò che l'evidenza può suggerire. Innanzitutto c'è la bruciatura al centro del torace. Poi, il fatto che l'orologio di MacPherson è fermo alle otto e diciassette, il che ci dà l'ora della morte. Le monete che aveva in tasca sono mezze fuse; altro elemento già osservato su numerose vittime dei fulmini. Io non sono un medico, ma questo può bastare a convincermi.» Adam annuì, cupamente. «L'incidente sarebbe spiegabile più facilmente», continuò McLeod, «se fossimo ai tropici e in estate. Ma le tempeste elettriche non sono rare neppure nell'inverno scozzese. Vorrei poter credere che questo delitto sia l'opera di un maniaco di film, dell'orrore fornito di un qualche macchinario elettrico. Invece abbiamo un paio di testimoni che dichiarano di aver visto delle strane nuvole radunarsi sul cimitero, poco prima che il fulmine colpisse.» Lo sguardo di Adam si fece attento. «Mi chiedo perché questa faccenda mi ricorda ciò che è successo a Balmoral.» McLeod sbatté le palpebre. «Pensi che ci sia un nesso?» «Non lo so. Ma è un'ipotesi su cui varrebbe la pena indagare.» Avrebbe potuto dire di più, se in quel momento Peregrine non li avesse raggiunti in fretta, con un'espressione di disgusto e insieme d'eccitazione. «Guardate qui!» esclamò, mostrando loro il disegno che aveva fatto. Adam prese l'album e lo girò verso la luce. Il rapido schizzo mostrava MacPherson legato al piccolo obelisco al cui piede ora giaceva. Oltre al colletto e al grembiule da Maestro della sua Loggia l'uomo portava al collo anche un medaglione, appeso a una lunga catenella. Inciso su di esso c'era il muso di una lince infuriata. «Gli altri non portavano questi oggetti, stavolta», spiegò Peregrine, men-
tre il suo mentore guardava il disegno. «Avevano gli anelli, ma non i medaglioni. Ora non c'è più, naturalmente. Devono averglielo tolto dopo che il fulmine l'ha ucciso. Ma perché metterglielo addosso, a meno che...» «A meno che non fosse indispensabile per il loro rito», annuì Adam. «Sì, questo chiarisce il quadro. Il medaglione agisce come un richiamo, e attira il potere che i nostri avversari stanno cercando di scatenare nel mondo materiale.» «La croce segnata sul punto da colpire», concluse McLeod, a denti stretti, «altrimenti detta anche il Bacio di Giuda.» «Ma perché qui?» si chiese Peregrine. «Là, credo, c'è parte della risposta», disse Adam, indicando qualcosa. Peregrine vide che l'amico stava puntando il dito verso la pietra tombale dietro il corpo della vittima. Guardandola più da vicino, notò che sul piccolo obelisco era scolpito un simbolo curioso: un cerchio contenente un triangolo, dentro il quale c'era una mano, con un occhio al centro del palmo. «Se non sbaglio», chiese Adam, «questo è un antico simbolo massonico di protezione. Non è così, Noel?» Annuendo, McLeod passò una mano sulla pietra scolpita. «Sembra anche a me.» «Inoltre», proseguì Adam. «Sarei molto sorpreso se questo cimitero non fosse stato usato, in passato, per sepolture massoniche di una certa importanza. Se fosse così, direi che i nostri avversari stanno giocando su questi dettagli non solo per effettuare un sacrificio, ma anche per mettere alla prova la forza del loro potere.» Osservando di nuovo la scena del delitto, Adam si mise le mani sui fianchi e sospirò stancamente. «Penso che possiamo dare per certo che abbiano finito ciò che sono venuti a fare. Dovunque porti la pista che passa da qui, lungo di essa ci saranno altre vittime se non riusciamo a muoverci più rapidamente di loro. E per questo ci occorrono più informazioni. Noel, quando puoi farmi avere la trascrizione degli interrogatori che tu e Cochrane avete fatto a Stirling?» «Domani, suppongo», rispose McLeod. «Domenica, al più tardi. E farò in modo che tu abbia anche una copia del rapporto dell'autopsia di MacPherson, appena l'avranno fatta.» 25
All'alba del mattino successivo, la visibilità aerea sui monti Cairngorms era ridotta quasi a zero da fitti banchi di nebbia che stagnavano bassi. Procedendo per lo più in volo strumentale, Barclay, il pilota di Raeburn, mormorava commenti tra sé mentre spingeva l'elicottero oltre masse d'umidità bianca dall'apparenza così solida che sembrava di poterci camminare sopra, evitando i rari picchi innevati sporgenti sopra il livello della nebbia. Raeburn sedeva sul sedile accanto con aria impassibile, come in ascolto del sovrannaturale silenzio che l'elicottero disturbava con il suo volo. A un tratto un'apparecchiatura mandò una nota musicale, e su un largo display apparve il reticolo del loro punto d'atterraggio, con il radiofaro al centro. Il pilota si fidava ciecamente della sua elettronica, ma durante la discesa trattenne il fiato. Era come immergersi in una pentola piena di crema. Dopo alcuni preoccupanti secondi di cecità assoluta, sbucarono in una luce perlacea e poterono vedere un terreno livellato. Sotto di loro, quattro fari d'atterraggio illuminavano il cortile dell'antico maniero, bianco di neve. Un paio di minuti dopo, Raeburn attraversò frettolosamente il gelido spiazzo che separava l'elicottero dal portone dell'edificio, con la testa china sotto le pale rotanti e in mano la sua ventiquattrore di pelle nera. Una volta dentro, un paio di servi premurosi e poco ciarlieri lo aiutarono a liberarsi del soprabito e a indossare il saio bianco che sotto quel tetto rappresentava l'uniforme ufficiale. Così vestito, l'uomo si lasciò scortare ai piedi della scala che portava alla torre del Maestro Anziano. La salita costò un certo sforzo a Raeburn. Il volto pallido e ascetico mostrava cenni di fatica, mentre affrontava gli scalini uno alla volta. Aveva le gambe ancora deboli dopo aver fatto uso del collare, ma era una stanchezza nella quale lui vedeva prova della sua crescente attitudine al potere. Quando fu in cima, trasse un lungo respiro e bussò tre volte alla porta, poi la aprì. Il Maestro Anziano sedeva su alcuni cuscini al bordo del suo circolo di accoliti. Davanti a lui, sul tappetino di pelle di montone, c'era un manoscritto e su di esso un oggetto avvolto in seta scarlatta. L'atmosfera nella stanza circolare era gravida di aspettativa, e dodici paia di occhi brillavano d'impazienza alla luce delle lampade a gas. La faccia incartapecorita del Maestro Anziano era illeggibile; le sue pupille erano pozzi di tenebra in una ragnatela di rughe. Dopo essersi fermato appena un passo oltre la soglia, Raeburn chiuse la porta alle sue spalle e rivolse al Maestro Anziano un profondo inchino, ab-
bassando la testa quasi al livello delle ginocchia. Quando si raddrizzò, consapevole degli sguardi puntati su di lui, annunciò: «È fatta, Maestro Anziano. Taranis si è compiaciuto di accettare la nostra offerta». La nota di giubilo della sua voce echeggiò tra le antiche pietre. Il circolo fu percorso da un mormorio di commenti soddisfatti. Con aria d'approvazione, il Maestro Anziano fece cenno a Raeburn di avvicinarsi e annuì, mentre l'altro s'inginocchiava in atto di sottomissione di fronte a lui. «Benvenuto, figlio del Portatore di Tempesta. Oggi il Tonante ha posto la sua mano su di te.» Allungando un braccio sopra il manoscritto, il vecchio tracciò con il pollice un simbolo runico sulla fronte di Raeburn. Il suo dito era freddo e asciutto come la pelle d'un serpente, e l'uomo ebbe un brivido al contatto della sua gelida autorità. «Che sia registrato negli Annali dell'Ombra che l'agonia mortale del costruttore di templi è stata giudicata un sacrificio valido e accettabile», proclamò il Maestro Anziano con aspra soddisfazione. «Possa la sua forza vitale nutrire la tempesta che presto colpirà lo stesso Tempio con fulmini immortali. E possa venire presto l'ora in cui il Tonante in persona entrerà nel mondo attraverso la porta di carne preparata per riceverlo.» Quell'invocazione fu salutata con una risposta corale dal gruppo dei suoi accoliti. Soltanto Raeburn tacque, pallido e rigido nella luce giallastra delle lampade a gas. Il Maestro inarcò un sopracciglio privo di peli. «Figlio del Tonante», domandò. «Hai qualcos'altro da dire?» «Sì, Maestro Anziano», rispose Raeburn. «Ho qualcosa che riguarda tutti i presentì. Ho altre notizie sul gruppo di Caccia che sta cercando di infastidirci. A meno che io non mi sbagli di grosso, costoro potrebbero mettere in pericolo tutti i nostri piani.» Quella rivelazione provocò un'agitazione nervosa tra gli accoliti. Il Maestro Anziano contrasse le labbra raggrinzite in una smorfia scontenta. «Spiegati.» Raeburn rivolse al suo superiore un altro lieve inchino e sedette sui talloni. «Tutti qui siamo consapevoli che il nostro recente tentativo di neutralizzare un membro della Loggia di Caccia è stato sventato dall'intervento di un certo Sir Adam Sinclair, di Strathmourne. Abbiamo ragione di credere che costui sia in realtà il Maestro della Caccia», spiegò Raeburn. «Ciò che ora sappiamo è che questo Sinclair ha evidentemente potuto usare elementi scoperti da lui, da McLeod e da Lovat all'abbazia di Melrose, dopo la no-
stra rivitalizzazione dello stregone Michael Scot avvenuta il mese scorso, riuscendo a rintracciare l'incarnazione attuale di Scot. Molto presto, se non ci è già riuscito, Sinclair tenterà sicuramente di varcare il divario dei secoli per ottenere le conoscenze detenute da Scot.» Se aveva inteso generare una certa sensazione, Raeburn non fu deluso. Il Maestro Anziano si era irrigidito, mandando lampi dagli occhi, e il suo volto ossuto era deformato da una maligna smorfia di rabbia. «Com'è potuto accadere questo?» domandò. «Perché non ne sono stato informato prima?» «Queste notizie non erano in nostro possesso», rispose Raeburn, impassibile. «Fino a giovedì scorso nessuno di noi sospettava nulla, e poi è occorso qualche giorno per averne conferma.» «E chi è l'attuale incarnazione di Scot?» domandò il Maestro Anziano. «Una ragazzina di nome Gillian Talbot», disse Raeburn, notando la costernazione degli accoliti seduti in circolo. «Attualmente è ricoverata come paziente, in stato di coma, affidata alla supervisione medica di Sinclair. Uno dei nostri agenti ha notato il suo arrivo lunedì, all'ospedale di Edimburgo dove lavora Sinclair. Dato che solitamente Sinclair non cura bambini, la nostra agente si è incuriosita. Un'ulteriore indagine ha rivelato che la ragazzina è stata trasferita lì da un ospedale londinese, dov'era ricoverata in coma sin dal mattino successivo alla nostra operazione sul sepolcro di Scot. «Per facilitare l'indagine, ci siamo procurati campioni di sangue e di capelli della ragazzina, usandoli poi come legame psichico per una ricerca nel suo passato astrale. La ricerca ha confermato che questa Gillian Talbot è effettivamente l'incarnazione attuale di Scot. Per fortuna, a causa della prolungata separazione dell'anima di Scot dal corpo, la ragazzina non è al momento in quelle che potrebbero chiamarsi normali condizioni mentali. Ma se Sinclair riuscisse a riportarla alla normalità, non c'è dubbio che lei possiederebbe conoscenze passate le quali potrebbero danneggiare in modo significativo la nostra impresa attuale.» L'accolito alla sinistra del Maestro Anziano alzò una mano. La sua faccia era invisibile sotto il cappuccio. «Parla», ordinò il vecchio. «Maestro Anziano, è noto che le conoscenze di Scot sono contenute nel suo libro di incantesimi», cominciò la voce di una donna, il cui accento avrebbe potuto essere tedesco. «Tale libro giace ora nelle profondità di Loch Ness. Esso è fuori dalla nostra portata, e senza dubbio anche fuori
dalla portata di Scot, specialmente se l'anima di costui ora risiede nel corpo di una ragazzina.» «Salvo che, come Maestro della Caccia, Sinclair possa avere le risorse per recuperare quelle conoscenze direttamente da Scot, o dalle stesse Registrazioni», confutò il Maestro Anziano con voce acida. Il vecchio si appoggiò con cura le mani sulle ginocchia, volgendo sul circolo di accoliti lo sguardo duro dei suoi occhi acquosi. «Bah! Cosa credete di saperne, voi?» mugolò, con un ansito sibilante. «Il Führer stesso non sapeva niente. Si mosse troppo presto, senza padroneggiare la saggezza di Taranis, e il potere si volse contro di lui.» Una mano scheletrita, scossa da tremiti, si abbassò ad accarezzare la copertina del manoscritto. «Io non ho fatto quello sbaglio», mormorò, con lo sguardo perduto nel passato. «Per mezzo secolo ho studiato e mi sono sacrificato in modi che voi non riuscireste neppure a comprendere, e oggi capisco ciò che lui non capiva. Io posso chiamare l'ira di Taranis a squarciare il fragile sipario che trattiene l'avvento della Tenebra! Quando la via sarà aperta...» Un colpetto di tosse lo distrasse, e riportò lo sguardo su Raeburn. Scosse il capo, duro in volto come la pietra. «Non deludermi. Figlio del Tonante! Io non intendo veder messo a repentaglio tutto ciò che abbiamo fatto finora, quando il successo è ormai vicino. Fai in modo che questa ragazzina non sopravviva per diventare uno strumento nelle mani dei nostri nemici.» «Vorrei che fosse così semplice, Maestro Anziano», rispose cautamente Raeburn, avvertendo quanto fosse fragile l'equilibrio tra la normalità e la follia. «Ieri Sinclair ha trasferito sia la paziente che sua madre nella sua villa, a Strathmourne, per proteggerle meglio. Noi non sappiamo cos'abbia destato i suoi sospetti, ma purtroppo questo sposta la ragazzina fuori dalla nostra portata. Le difese in quel luogo sono insuperabili... abbiamo già tentato di penetrarvi, senza successo. L'unica nostra possibilità, visto che non possiamo entrare nella casa, è di indurre Sinclair a venire fuori.» «E questo a cosa servirebbe?» chiese una donna, la cui voce era colorita da un leggero accento francese. «Non dovremmo piuttosto supporre che Sinclair rafforzi le sue difese personali, quando esce di casa?» «Io non presumo di mettere alla prova le sue difese psichiche in una situazione del genere», replicò Raeburn con un sorrisetto, ritrovando un po' della sua sicurezza. «Ma quelle difese servono a poco contro un attacco di tipo più convenzionale.» «La pallottola di un assassino?» domandò l'uomo seduto a destra del
Maestro. «Questa è una delle opzioni da me considerate», annuì Raeburn. «Vi assicuro che la faccenda sarà risolta in tempo per prevenire una sua interferenza con la nostra prossima operazione.» «Cerca di fare in modo che sia così», grugnì il Maestro Anziano. «Sinclair sta diventando troppo scomodo. Nel frattempo, mi terrai informato di come progredisce il piano. È chiaro?» «Perfettamente, Maestro Anziano», disse Raeburn con un inchino. «Lei non sarà deluso.» «Le delusioni non mi piacciono. Da questa cosa può dipendere più della tua vita.» Girò di nuovo lo sguardo sui presenti, con occhi arrossati da una rabbia che sconfinava nella follia. Poi si schiarì la voce. «Ma basta parlare di questo. C'è da fare un lavoro che esige la massima concentrazione di tutti i presenti. Hai portato il collare?» «È qui, Maestro Anziano.» Raeburn appoggiò la ventiquattrore davanti a sé e fece scattare le fibbie. «E il medaglione?» «Ho anche quello.» Raeburn gli porse prima ciò che restava del medaglione usato a Calton Hill: un piccolo fagotto di seta scarlatta da cui pervenivano tintinnii metallici. Il Maestro Anziano lo svolse, esaminò i resti anneriti dell'oggetto e li passò alla donna seduta alla sua sinistra. «Provvedi che questo sia consegnato alla fornace», ordinò. La donna s'infilò il piccolo involto in una tasca del saio. «Sarà fatto, Maestro Anziano.» Raeburn si era intanto chinato di nuovo sulla ventiquattrore e ne estrasse il collare, anch'esso avvolto in un drappo scarlatto. Con una certa riluttanza lo depose sulle mani protese del vecchio, ancora isolato nella seta. «Ottimo. E ora cominciamo.» Il Maestro Anziano depose il collare sul pavimento davanti a lui, mentre l'accolito alla sua destra raccoglieva l'involto scarlatto da sopra il manoscritto poggiato sul tappetino nero. Mentre lo apriva con cura, le luci a gas strapparono uno scintillio giallo da un altro medaglione argenteo sul quale era inciso il simbolo della lince, gemello di quello usato da Raeburn al cimitero. Dal circolo degli accoliti si levò un'invocazione corale, allorché il vecchio lo prese per la catenella con le mani contorte dall'artrosi e lo sollevò all'altezza degli occhi. «Tutti venerano Taranis, Portatore dei Fulmini!» esclamò, con voce roca
come il gracchiare di un corvo. «A te, Signore delle Tempeste, noi consacriamo questo medaglione, nato dal ventre della terra e dal lavoro delle mani dei tuoi servi. Che il ferro vada a nozze con l'argento, coniugati dal fuoco elementale. Che l'argento sia inciso dal ferro e riceva le fiamme del cielo!» Così dicendo s'inchinò leggermente, e depose il medaglione da un lato. Dopo aver estratto dal suo involto il collare Soulis, lo prese a due mani sollevandolo in segno di offerta, quindi lo passò tre volte in circolo sopra il medaglione, in senso antiorario. All'ultimo passaggio abbassò le mani, in modo che i due oggetti venissero brevemente a contatto. Nel toccarsi essi emisero una scarica di scintille, con un lieve crepitio, ma ciò non parve fare nessun danno all'artefice di quella magia oscura. Quando le scintille si spensero, nell'aria stagnava un odore d'ozono. Il Maestro Anziano sollevò le braccia magre protendendo il collare sopra la testa di Raeburn in gesto d'offerta. «Sia lode a Taranis, artefice dei Fulmini!» esclamò. «A te, che cavalchi la tempesta, noi consacriamo ancora quest'uomo come tuo servo, araldo del tuo nome e portatore della tua opera. Consegna nelle sue mani il fuoco del cielo, ed egli ti onorerà con l'olocausto di molte vite, per la tua gloria!» Mentre il vecchio abbassava il collare toccando con esso la testa china di Raeburn, questi sussultò nel sentire il fremito dell'energia che gli pervadeva il cuoio capelluto. Come una scossa d'elettricità statica, essa gli scese lungo la spina dorsale e mandò tentacoli di brividi in ogni nervo del suo corpo, fino alle mani e ai piedi. Quella sensazione di piacere fu così intensa e pungente da sfiorare la soglia del dolore. Respirò a fondo, irrigidendosi, poi si rilassò con un lungo sospiro, mentre quell'istante di voluttà si dissipava. Nella sua mente restò un eccitante senso di mistero. La consapevolezza del potere che adesso aveva fu accompagnata da una voglia di esercitarlo quasi insostenibile, che tuttavia era dolce tenere a freno. Udì a stento la voce del Maestro Anziano che concludeva l'incantesimo, perché si era perso nella contemplazione di quell'estasi divina e nella possibilità di assaporarla ancora. Quando riprese il controllo di sé, con qualche difficoltà, si accorse che il vecchio gli presentava formalmente il collare. «Sia ringraziato Taranis», sussurrò, nel ricevere il monile dalle mani del suo superiore. «Accetto questo incarico e prometto che saprò esaudire la Sua volontà.»
Nel corso dei giorni successivi il cielo si schiarì, ma la temperatura rimase molto fredda. Dopo il drammatico omicidio del venerdì precedente a Calton Hill, che Adam non dubitava fosse opera della Loggia della Lince, aveva avvertito i membri del suo gruppo di non contattarlo, salvo in caso d'emergenza. Per precauzione, lui e McLeod si attenevano al loro lavoro di routine, lasciando Philippa a montare la guardia a Strathmourne e proseguire la terapia di Gillian Talbot con i mezzi della medicina convenzionale. Peregrine, allo stesso modo, si tratteneva entro i confini della tenuta e passava la maggior parte del giorno al capezzale di Gillian, eseguendo disegni che non mostrava volentieri a nessuno fuorché a Adam. Quest'ultimo era consapevole dell'atmosfera non certo serena che li circondava, ma non riusciva a mettere a fuoco nessuna minaccia reale. La trascrizione degli interrogatori fatti da McLeod era giunta sabato pomeriggio, consegnata personalmente dall'ispettore, ma non aveva gettato nuova luce sulla situazione. McLeod fece visita all'ufficio di Adam, allo Jordanburn, anche quel martedì, ma le uniche novità erano i nomi dei precedenti inquilini dell'appartamento ora occupato dall'ex parrocchiana di Christopher, Helena Pringle. «Purtroppo qui non c'è niente di significativo», lo informò McLeod, agitandosi a disagio sulla sedia. «Delle tre persone sulla lista della padrona di casa, il primo, John Lariston, in quel periodo era scapolo, ma poi si è sposato e trasferito a Londra, dove fa il dentista. L'ufficio postale ci ha fornito altri tre suoi indirizzi successivi, compreso l'attuale, nel Sussex. La sua vita sembra un libro aperto. Dubito che sia l'uomo a cui stiamo dietro.» «Sono d'accordo. Prosegui.» «Joseph MacKellar, il secondo inquilino, è un po' più problematico», continuò McLeod. «Mr. MacKellar è impiegato alla Bank of Scotland ed è stato trasferito alla filiale di Parigi due anni fa. Stiamo ancora cercando di avere il suo indirizzo. Ti farò sapere se troveremo qualcosa. Anche questo però non sembra un probabile candidato per ciò che Peregrine ha disegnato in quell'appartamento.» McLeod fece una pausa per consultare le sue note. «Resta solo l'inquilino che ha preceduto Helena Pringle, un certo Stephen Victor Geddes. Non abbiamo molto neppure su di lui. Quando abitava lì, era assistente di biologia part-time all'Università di Edimburgo. Ma ha lasciato il posto senza preavviso e non ha dato notizia di un successivo impiego. Stiamo ancora aspettando che il servizio sociale faccia delle ricerche per vedere se lavora.
In questo caso dovrebbero essere in grado di darci il suo attuale indirizzo. In caso contrario dovremo cercarlo con altri mezzi.» Adam annuì. «Penso che valga la pena di rintracciarlo, se non altro perché Peregrine ha visto un medaglione nei fatti accaduti in quella casa. Devo supporre che nessuno dei tre sia schedato?» «Non sotto questi nomi», rispose McLeod. «E non abbiamo motivo di sospettare che ne abbiano usati altri.» «Può rivelarsi un vicolo cieco», rifletté Adam. «Non lasciamolo perdere, comunque. Nel frattempo suggerisco di continuare a lavorare sull'incidente di Balmoral e sull'omicidio di Calton Hill. Non c'è ancora il rapporto dell'autopsia, immagino, altrimenti me ne avresti parlato.» «Mi è stato promesso per domani», rispose McLeod. «Pensi davvero che servirà a qualcosa?» Adam fece un sorriso storto. «Ci si può sempre sperare.» La sua speranza, invece, non risultò fondata. McLeod telefonò mercoledì; il rapporto gli era arrivato, ma era sempre più chiaro che gli elementi di prova disponibili sull'omicidio del Maestro Massone MacPherson non li avrebbero portati sulle tracce dei responsabili. Come Randall, era stato cloroformizzato e drogato dai suoi catturatori, ma qui finiva ogni somiglianza, a parte il fatto che erano entrambi massoni. La bruciatura sul torace della vittima lasciava supporre la presenza di un oggetto metallico rotondo appeso al collo (un ornamento diverso da quelli massonici, il cui profilo meno regolare era stato stampato sulla carne dall'intenso calore), ma sulla scena del delitto non era stato trovato nessun oggetto del genere. «Può essere stato il medaglione della Lince visto da Peregrine», azzardò McLeod. «Ma in tal caso i responsabili l'hanno recuperato, prima di andarsene. Sono incline a dar ragione a Peregrine, però non abbiamo prove. E comunque non c'è niente che si possa usare in un'indagine ufficiale. Non posso certo esprimere l'opinione che MacPherson sia stato colpito da un fulmine diretto deliberatamente.» «Questo, però, può essere proprio ciò che è successo», disse Adam. «E tendo a credere che sia anche quello che è accaduto a Balmoral. Hai saputo qualcos'altro su quel fatto?» «Non ancora. Ma conto di mandare Donald laggiù, domani, a procurarsi una copia del rapporto e le foto. Mi metterò in contatto con te appena avrò qualcosa in mano. Come stiamo andando con la giovane Talbot?» «Ancora niente. Peregrine ha fatto alcuni disegni molto interessanti, e nel frattempo proseguiamo con la terapia convenzionale. Spero di essere
pronto per un intervento più preciso entro una settimana.» «Sembra che dovremo tener duro ancora per un po', allora», commentò McLeod. Quella sera, Francis Raeburn convocò il suo pilota, Barclay, nella biblioteca della sua villa, a pochi chilometri da Stirling. «Il tempo stringe. Hai deciso come sistemare Sinclair?» Barclay si concesse un sorriso ferino, piazzando il suo corpo magro e robusto sulla sedia di fronte a Raeburn. «Domani a quest'ora sarà morto... oppure così gravemente ferito che il ricovero in ospedale sarà inevitabile. Poi ci penserà il dottor Wemyss, a completare l'opera.» «Sarà meglio che tutto vada liscio. Voglio che venerdì non ci siano interferenze. Sei sicuro che sembrerà un incidente?» «Sinclair guida veloce. E i pneumatici fanno brutti scherzi quando si corre. Sembrerà un incidente.» Giovedì, Adam decise di restare in casa per occuparsi di una serie di esami che sua madre Philippa aveva in programma di fare su Gillian. Il venerdì mattina, mentre si preparava a uscire di casa per recarsi all'ospedale, McLeod gli telefonò perché voleva vederlo in giornata per esaminare le foto e i rapporti che Cochrane si era procurato a Balmoral. «Non ho ancora avuto modo di guardare questo materiale», precisò McLeod. «Ma questa mattina Donald è arrivato in ufficio con l'aria del gatto che ha appena acchiappato il classico canarino.» «Sembra promettente», replicò Adam, sorseggiando il tè. «Che ne dici di pranzare insieme, sul tardi? Facciamo alle due da Pimpernel?» «Mi va bene», rispose McLeod. «Prenoti tu, o ci penso io?» «Non ti spiacerebbe farlo tu? Ieri sono rimasto a casa tutto il giorno per lavorare su Gillian con mia madre, perciò oggi dovrò recuperare il tempo con gli altri miei pazienti.» «D'accordo. Ci vediamo da Pimpernel, alle due.» Mentre saliva sulla Range Rover e metteva in moto, Adam era un po' preoccupato. Benché fossero le nove, il mattino era ancora così scuro che sembrava appena l'alba, a causa di una pesante nebbia che non si decideva ad alzarsi e a un cielo che minacciava pioggia. Non erano certo le condizioni di guida ideali, ma la Range Rover era fatta per condizioni di quel genere, e lui sapeva di essere un ottimo guidatore. Quando si fu lasciato alle spalle il tratto di strada ghiacciato e sdruccio-
levole e svoltò sulla statale, aumentò la velocità e regolò il cambio sul semiautomatico, perché aveva diverse cose a cui pensare. Fu per quel motivo che non notò in modo particolare l'uomo in motocicletta che gli stava dietro a una certa distanza, né la Mercedes gialla che gli si mise in coda quando passò sulla A90, le cui carreggiate erano separate da un guard-rail centrale, e fece viaggiare la Range Rover a una velocità di crociera intorno ai centoquaranta all'ora. Si stava avvicinando al Forth Road Bridge, quando l'uomo sulla motocicletta fece la sua mossa. Adam teneva la Range Rover blu al centro della corsia interna, e non fece molto caso alla grossa motocicletta italiana che si avvicinava rapidamente nello specchietto retrovisore. Prima che potesse spostarsi più a sinistra per lasciarla passare, la moto entrò nella zona morta tra i due specchietti, cosicché lui rimase dov'era, solo vagamente consapevole del mezzo a due ruote che stava per eseguire il sorpasso. Non vide il fucile da caccia a canne mozze che il motociclista estrasse da sotto il soprabito e puntò verso il pneumatico anteriore esterno della Range Rover, e non sentì il colpo quando l'uomo tirò il grilletto. Mentre il pneumatico della sua macchina esplodeva con un rumore secco, Adam si accorse solo con la coda dell'occhio del motociclista che lo sorpassava e si portava fuori pericolo; tutta la sua allarmata attenzione era per la Range Rover, che stava sbandando in modo incontrollabile con il cerchione che mordeva violentemente l'asfalto. Adam lottò con il volante, ma la ruota sinistra dell'auto andò a sbattere sul guard-rail esterno con un terribile baam! L'urto avrebbe dovuto farlo deviare di nuovo verso l'interno, ma il cerchione nudo dell'altra ruota si piantò trasversalmente nell'asfalto, e lui sentì che l'auto cominciava a ribaltarsi. Allora si tenne con tutta la forza al volante, pregando il cielo che il traffico alle sue spalle riuscisse a evitarlo invece di arrivargli addosso in una serie di tamponamenti a catena. Come al rallentatore, l'auto sbatté al suolo con la fiancata destra e ruotò di traverso, strisciando avanti in uno stridore di lamiera metallica che si lacerava e sfasciava, mentre aggrappato al volante Adam pendeva da un lato, tenuto fermo solo dalla cintura di sicurezza. Il parabrezza si era incrinato e si stava staccando, e attraverso di esso vide il guard-rail esterno della strada arrivargli addosso a una velocità terribile. L'impatto lo scaraventò contro la cintura di sicurezza torcendogli il braccio destro, e la spalla urtò contro qualcosa di duro. Ma il dolore che gli esplose nel cranio fu assai più forte, e tutto il mondo precipitò nel buio.
26 Adam lottò disperatamente per risalire dal nero abisso dell'incoscienza, spaventato dal terribile silenzio che sommerge chi è colpito da un trauma. Quando riaprì gli occhi stava ancora aggrappato al volante e pendeva tutto da un lato, appeso alla cintura di sicurezza di fronte al cruscotto della Rover, che era rovesciata sul fianco sinistro. In qualche modo, attraverso la nebbia di dolore che gli s'irradiava dalla testa e dalla spalla destra in ogni altra parte del corpo, seppe che doveva uscire da lì. L'odore di benzina lo rendeva urgente, e oltre il parabrezza squarciato era visibile il fumo che scaturiva dal cofano dell'auto. Una raffica d'aria fredda sulla spalla sinistra guidò il suo sguardo stordito al tettuccio apribile, che evidentemente si era staccato quando l'auto aveva cominciato a ribaltarsi. Costringendo la mano sinistra a girare intorno al volante, annaspò in cerca della chiave d'accensione finché riuscì a spegnere l'impianto elettrico, quindi puntellò il ginocchio sinistro contro il cruscotto. Fatto questo poté allungare una mano sul lato del sedile e premere il pulsante che staccava la cintura di sicurezza. Gli sfuggì un gemito di dolore quando il suo peso lo fece cadere in basso, ma aveva un braccio ancora uncinato al volante, e piano piano districò le gambe da sotto la colonna dello sterzo per mettersi in posizione eretta, con i piedi poggiati sulla portiera destra. Mentre spingeva una gamba e poi l'altra fuori del tettuccio, ansimando per le fitte di dolore che gli partivano da tutte le ossa, si trovò a guardare il traffico in arrivo. Alcune auto erano già ferme a lato della strada, e da esse stava scendendo qualcuno per soccorrerlo. Questo significava che non doveva essere rimasto incosciente per più di una manciata di secondi. Dopo essersi raddrizzato con una smorfia, nonostante il dolore che l'aveva fatto piegare in due, vacillò intorno alla parte anteriore dell'auto per guardare stupidamente il danno, spostandosi i capelli dalla faccia con una mano tremante che in quel gesto si arrossò di sangue. «Ehi, tutto bene?» gridò una voce di donna dietro di lui. Un po' stordito Adam si voltò e vide una bruna sui quarant'anni in un vivace completo rosso ricamato di campanelle natalizie che veniva in fretta verso di lui, ondeggiando su tacchi pericolosamente alti e con una piega preoccupata sulla bocca dipinta d'un rosso brillante.
«Dio, è fortunato a non essersi ammazzato», constatò la donna, guardando la macchina. «Lei sta sanguinando. Vuole che la porti da un medico?» Adam sbatté le palpebre fissando il sangue che gli imbrattava la mano, e il medico che era in lui gli disse che aveva riportato un trauma cranico, che c'era il pericolo di shock e che aveva sicuramente bisogno di cure mediche. «Forse dovrei aspettare un'ambulanza», udì se stesso dire. «Non voglio darle disturbo.» «Non sia sciocco. Potrebbe volerci un'ora prima che un'ambulanza arrivi qui. Venga. Lavoro proprio accanto al Royal Infirmary. Non si potrebbe trovare un posto più adatto.» Una vaga sensazione in fondo alla mente fu sul punto d'indurlo a rifiutare, ma quell'ospedale era il posto meglio attrezzato che ci fosse nella zona. Gli agenti di polizia feriti venivano portati là, se avevano una possibilità di cavarsela, e Adam conosceva numerosi medici che vi prestavano servizio. Quali che fossero le sue ferite, là avrebbe ricevuto le cure migliori. Mormorando un ringraziamento, temeva di essere già in stato di shock, lasciò che la donna lo accompagnasse alla Mercedes gialla ferma dietro il rottame della sua macchina, e reprimendo un gemito sedette nel posto accanto al conducente. Lei spostò il sedile indietro per dare più spazio alle sue gambe, gli allacciò la cintura di sicurezza e chiuse lo sportello. Mentre la donna andava sull'altro lato dell'auto, Adam girò lo specchietto retrovisore per esaminarsi la faccia. Le sue pupille non erano dilatate, ma il sangue usciva da due lacerazioni che avrebbero richiesto qualche punto di sutura, una sulla fronte e l'altra sul cuoio capelluto. Si tamponò le ferite con un fazzoletto da tasca di seta, e quel movimento gli mandò una fitta di dolore nella spalla destra. Mentre la sua benefattrice entrava in macchina, Adam si controllò le pulsazioni. Erano abbastanza regolari ma, ora che si dissipava il flusso di adrenalina causato dall'incidente, cominciavano a venirgli fuori dolori in tutti i muscoli del corpo. «Temo che lei abbia proprio distrutto la sua macchina», disse la donna, mentre metteva in moto e inseriva la Mercedes nel traffico. «Sa com'è successo?» «Mi è scoppiato un pneumatico», rispose lui. Appoggiò la testa allo schienale e chiuse gli occhi. «Senta, la ringrazio molto per quello che sta facendo.» «Pensi a me come una samaritana natalizia», replicò lei, con un sorrisetto che Adam non vide. «Perché non cerca di rilassarsi? La porterò all'o-
spedale più in fretta possibile.» Lui cercò di seguire quel consiglio, anche se sapeva che non poteva rischiare di addormentarsi. Non se aveva riportato una commozione cerebrale. Per qualche minuto fece il possibile per scivolare in una leggera trance, allo scopo di stabilizzare le pulsazioni e la respirazione, poi si lasciò cullare dal ronzio del motore e dai movimenti della macchina, cercando di ricostruire quello che era successo. La successione degli avvenimenti gli sembrava abbastanza chiara, ma c'era qualcosa che non tornava, qualcosa che non riusciva a mettere a fuoco. Stava ancora cercando di capire cosa, quando la Mercedes si fermò dolcemente e il motore tacque. La donna aveva posteggiato fuori dall'ingresso del pronto soccorso dell'ospedale, e stava già uscendo dall'auto per cercare aiuto. Con cautela, perché muoversi gli era difficile, Adam sganciò la cintura di sicurezza e aprì lo sportello. Era riuscito a mettere entrambi i piedi fuori, quando un inserviente arrivò con una sedia a rotelle. «Ora lei resti dov'è, signore, mentre io giro questa sedia, okay? tra poco starà meglio, vedrà.» La voce dell'uomo aveva un accento musicale, probabilmente giamaicano, e le sue mani erano delicate ma robuste. «Bene, signore. Ora cominci a girarsi da questa parte... bravo, proprio così!» Da quel punto in poi le cose si mossero più in fretta, specialmente quando Adam si fu identificato come un medico. La sua benefattrice era scomparsa durante la procedura di rìempimento dei moduli necessari, senza neanche dirgli come si chiamava, e ancora prima di accorgersene Adam si trovò disteso su un lettino nella stanza d'osservazione, in mutande, tremando sotto una sottile coperta, con una fascia per la misurazione della pressione intorno al braccio sinistro. Il medico che venne a esaminarlo era un'attraente brunetta dall'aria decisamente professionale, il cui accento suggeriva un'origine americana o canadese. Il nome sulla targhetta del camice verde da chirurgo era DOTTORESSA X. LOCKHART. Sembrò soddisfatta della pressione sanguigna e degli altri segnali neurologici, ma dopo averlo tastato dappertutto concluse che aveva alcune costole lesionate e forse anche una frattura alla clavicola. «La mando in radiologia, prima di occuparci di queste lacerazioni, dottor Sinclair», gli spiegò, cominciando a riempire il modulo, mentre l'infermiere, di nome Sykes, assisteva Adam facendogli infilare le braccia nelle maniche di un pigiama da ospedale. «Dobbiamo vedere meglio le costole e la spalla, e le sto prescrivendo anche una serie di lastre al cranio. Non credo che lì ci siano problemi, ma lei è rimasto svenuto, anche se solo per qual-
che secondo. Mr. Sykes le metterà qualcosa di provvisorio su quelle lacerazioni, mentre fa i raggi X, quindi la riporterà qui e provvederò io al resto.» Prima che Adam avesse il tempo di farle domande, la donna applicò il modulo alla sua cartella clinica e scomparve. Quando Sykes lo ebbe aiutato a infilarsi il pigiama, lui gli chiese un'altra coperta e quindi lo pregò di prelevare il suo anello dalla tasca dei pantaloni e consegnarglielo, prima di portarlo ai raggi X sul lettino a rotelle. Gli altri oggetti che aveva nelle tasche erano preziosi ma sostituibili, mentre l'anello no. Se lo mise al dito e girò il castone all'interno, mentre Sykes radunava gli altri suoi oggetti e li chiudeva in un armadietto. «Suppongo che non sia possibile fare una telefonata, prima di andare in radiologia, vero?» domandò Adam, mentre l'infermiere gli metteva addosso un'altra coperta e tirava su le sponde metalliche del lettino. «Temo di no. Prima andiamo, e prima lei avrà una diagnosi. Che ne dice di chiamare da qui, dopo che le avranno fotografato le ossa? Ci sarà da aspettare cinque o dieci minuti, mentre sviluppano le lastre.» «Buona idea», concordò Adam. Ma voleva telefonare al più presto, perché sospettava che la dottoressa Lockhart, scrupolosa come sembrava, intendesse tenerlo lì in osservazione anche per la notte... cosa indiscutibilmente giusta date le circostanze, ma che gli avrebbe complicato molto le cose. Rassegnato, restò disteso mentre l'infermiere lo spingeva fino al reparto di radiologia. Poi, troppo dolorante per mettersi a discutere con i tecnici, fece del suo meglio per facilitare il più possibile il loro lavoro. Se non altro, ora cominciava a pensare un po' più chiaramente. Dopo l'esame Sykes lo trasferì di nuovo sul lettino, poi, come gli aveva promesso, lo riportò in un'area di attesa e gli mise in mano il ricevitore di un telefono. «Se ricorda il numero a mente, Doc, glielo compongo io», si offrì l'infermiere. «Grazie. È 311-3131», disse Adam, portandosi il ricevitore all'orecchio. Sykes batté il numero e poi si allontanò di qualche passo, mentre l'apparecchio cominciava a squillare. «Comando di polizia», rispose una voce all'altro capo del filo. «Per favore, mi passi l'ispettore capo Noel McLeod. Sono il dottor Adam Sinclair.» Dopo una breve attesa mentre il centralinista trasferiva la chiamata, la voce bassa di McLeod si fece udire.
«Salve, Adam. Che c'è di nuovo?» «Temo che dovremo cancellare l'appuntamento a pranzo», rispose lui con voce un po' stanca, scegliendo le parole per non allarmare troppo l'amico. «Io ho... uh, alquanto rovinato la Rover... del tutto, in effetti. Sto bene, ma sono al Royal Infirmary. Sto aspettando che sviluppino le lastre che mi hanno fatto.» «Signore Iddio, cos'è successo?» volle sapere McLeod. «È esploso un pneumatico mentre stavo andando abbastanza veloce. Ho perso il controllo e ho capottato. Grazie a Dio ero sulla Rover. Probabilmente è stato questo a salvarmi la vita.» «Santo cielo», esclamò ancora McLeod. «Ti hanno fatto le lastre, hai detto. Hai qualcosa di rotto?» «Spero di no. La spalla mi duole molto, a causa della cintura di sicurezza, ma suppongo che di questo dovrei esserne lieto invece di lamentarmene. E ho alcune ammaccature e lacerazioni. Può essere che abbia una commozione cerebrale; sono svenuto per qualche secondo, perciò mi aspetto che stanotte vogliano tenermi qui. Senti, potresti chiamare casa mia e informarli dell'accaduto? Non voglio che vengano, perché non c'è niente che possano fare, e ti sarei grato se li tranquillizzassi.» «È quello che farò, stanne certo. Devo far recuperare la tua macchina?» Adam ridacchiò debolmente. Non aveva ancora pensato alla Range Rover rimasta sulla strada. «Buona domanda. Temo di averla lasciata sul posto. Una simpatica donna su una Mercedes ha insistito per portarmi all'ospedale, così non ho idea di quello che è successo a ciò che resta dell'auto. Mio Dio, non le ho neanche chiesto il nome; è sparita prima che potessi ringraziarla.» «Vedrò cosa posso scoprire. Dov'è successo?» «Sulla A90, poco più a nord del Forth Road Bridge. Temo che l'incidente sia stato abbastanza spettacolare. Per fortuna non ho coinvolto altri veicoli.» «Stai balbettando, dannazione», grugnì McLeod. «Assicurati che ti curino bene. Ora farò qualche telefonata, poi passerò a vedere come te la cavi, d'accordo?» Adam sbatté le palpebre, rendendosi conto che balbettava davvero. «Credo che sarebbe una buona idea. Dubito che potrai vedermi subito. Ho un paio di graffi che devono suturarmi. Ma suppongo che avranno finito con me tra un'ora o due.» «Sei sicuro di star bene?»
«Sì», rispose Adam, girando la testa mentre l'infermiere veniva avvicinato da un tecnico con la busta delle radiografie. «Ora devo lasciarti, Noel. Le lastre sono pronte, e stanno per riportarmi al pronto soccorso. Ci vediamo tra un paio d'ore.» Giacque stancamente sul lettino mentre l'infermiere riattaccava il ricevitore e appoggiava sul suo petto la grossa busta gialla. «Okay, torniamo dalla dottoressa Lockhart e facciamole vedere queste lastre», disse allegramente l'uomo, cominciando a spingere il lettino. «No, lasci giù questa roba, non abbia fretta», aggiunse, vedendo che Adam cercava di aprire la busta. Accigliato, Adam girò la testa. «Mr. Sykes, queste sono le mie lastre. E io sono un medico.» «Sì, signore. Allora saprà che un medico che vuole curare se stesso ha uno sciocco per paziente», sentenziò l'infermiere. «Inoltre non potrebbe vederle bene senza la lampada. Resista finché saremo in infermeria. Se la dottoressa Lockhart ancora non c'è, le appenderò io per lei.» «D'accordo», sospirò Adam, lasciando stare la busta. Sykes aveva appena avuto il tempo di sistemare le lastre davanti al vetro opacizzato, che la dottoressa Lockhart fece la sua comparsa, con una vaschetta di strumenti appena sterilizzati. Adam rialzò la testa per guardarli, ma tornò docilmente ad appoggiarla sul cuscino quando lei lo rimproverò con uno sguardo severo. La donna appoggiò la vaschetta sul tavolo accanto a lui e si voltò a guardare le lastre che Sykes aveva messo in posizione. Per prima cosa lesse la diagnosi del radiologo. «Cominci a preparare i tagli del dottor Sinclair, Mr. Sykes», disse all'infermiere. «E lei, dottore, faccia finta di essere un paziente come gli altri e di credere che so quello che faccio.» Mentre Adam restava disteso in silenzio, consapevole che da parte della dottoressa Lockhart non avrebbe avuto nessuna speciale concessione, studiò la figura snella di lei e la treccia nera che usciva da sotto il berretto chirurgico, cercando di farsi un'idea di che tipo fosse. Dopo un momento, Sykes, che si era infilato dei guanti sterili, avvicinò un altro tavolo, sul quale stavano una bacinella d'acciaio e dei disinfettanti, tolse i cerotti provvisori che aveva applicato a Adam poco prima e gli ripulì entrambe le lacerazioni. L'alcol bruciava, ma lui non distolse la sua attenzione dalla dottoressa Lockhart, che alla fine annuì e andò a un altro tavolo, cominciando a lavarsi le mani in una bacinella. «Be', sembra che lei non sia ridotto così male, dottore», disse, incon-
trando lo sguardo di lui in uno specchio. «Non ci sono fratture al cranio. Ad ogni modo, lei dovrà trascorrere la notte qui. Il rischio di una commozione cerebrale non può essere ignorato.» Adam fece un sospiro di rassegnazione. «Non mi sorprende, date le circostanze. Suppongo che se fossi al suo posto insisterei per fare lo stesso.» «Mi fa piacere che non mi costringa a litigare su questo punto.» L'ombra di un sorriso raddolcì la sua espressione severa. «Anche per quanto riguarda la spalla le è andata bene. Sulla clavicola destra c'è una linea sottile, un'incrinatura, ma non è una cosa seria... al massimo una seccatura. Per quanto riguarda le costole, sono ancora tutte intere. Ma dovrò metterle il braccio al collo, più che altro per ricordarle di non usare certi muscoli. E le prescrivo un analgesico a base di acido mefenamico per tenere sotto controllo l'infiammazione e il dolore. A parte questo, temo che non le resti che sopportare.» «Mi consolerò cercando di ricordare quanto sono stato fortunato», rispose lui con un sorriso faticoso. Con la coda dell'occhio vide i pezzi di garza insanguinata che s'ammucchiavano sul tavolo di Sykes, e si lasciò sfuggire una smorfia quando l'infermiere impugnò il rasoio per radergli i capelli intorno alla ferita. «Ci vada piano con quel rasoio, Mr. Sykes», gli raccomandò. «Il mio barbiere mi chiede 25 sterline alla volta, per tagliarmi i capelli come piace a me. Sono disposto a darle la stessa cifra se limiterà la rasatura al minimo.» «Non si preoccupi, dottor Sinclair.» L'infermiere scoprì i denti in un sogghigno. «Non la costringerò ad andare in giro con il cappello per due mesi. E la dottoressa Lockhart sutura meglio di una ricamatrice.» Mentre Adam lo guardava, cercando di capire se lo stesse prendendo in giro, la dottoressa Lockhart andò a ispezionargli la testa e fece capire a Sykes di muoversi. Nella stanza era entrato anche un altro infermiere, che svolse il panno verde in cui erano sistemati gli strumenti chirurgici; poi la grossa lampada sopra il capo di Adam venne accesa, facendo scintillare forbici emostatiche, lame affilate e aghi ricurvi già preparati con filo da sutura nero. La dottoressa Lockhart si spostò quasi fuori dal suo campo visivo, spezzò una fiala e cominciò a riempire una siringa. «Immagino che lo sappia, dottore, ma tra qualche secondo avvertirà una puntura», lo avvisò, mettendo via la fiala. «Presumo che lei non abbia nessun problema con un cc di lidocaina.» «Nessuno, che io sappia», rispose Adam.
Le dita di lei erano svelte e sicure. Gli avvicinò la siringa da dietro, in modo che lui non potesse vederla, e dopo la piccola anestesia locale continuò astutamente a bloccargli la vista delle lame e degli aghi con un gomito, finendo di cucirgli il taglio alla fronte quasi prima che lui se ne accorgesse. La ferita al cuoio capelluto richiese più tempo, perché l'epidermide lì era molto più dura, ma l'operazione non presentò difficoltà. Durante la pulitura Adam sentì solo pressione, nessun dolore, e quando lei cominciò con la sutura vera e propria chiuse gli occhi, per ripararsi dall'intensità della luce. «Non deve temere che mi addormenti sotto i ferri, dottoressa», le disse, mentre lei metteva il primo punto. «So che dovrò stare sveglio per qualche ora, finché saremo sicuri che il mio cervello sia ancora tutto intero. Comunque, le prometto che non mi toglierò subito i cerotti per supervisionare le sue cuciture.» «Apprezzo la fiducia», concesse lei, continuando a lavorare. «Mi parli pure, se vuole. Mi dica del suo incidente.» «Non c'è molto da raccontare», rispose Adam. «Mi è scoppiato un pneumatico mentre andavo a centoquaranta sulla statale, a nord del Forth Road Bridge. Per fortuna ero alla guida di una Range Rover... la macchina è distrutta, ma io sono qui.» «Le mie felicitazioni. Esercita a Edimburgo? Ha uno studio?» «Sì, allo Jordanburn... cioè, al Royal Edinburgh Hospital, per quelli della sua generazione. Si chiamava Jordanburn prima dei suoi tempi.» Lei ridacchiò. «Io non sono così giovane, dottore. Comunque, ho sentito anche altri chiamarlo con quel nome. Qual è la sua specialità?» Lui girò gli occhi cercando di vederla in viso. Oltre a essere efficiente, quella dottoressa Lockhart aveva il tono di chi possiede il senso dell'umorismo. Ed era piuttosto attraente. «La scandalizzerebbe sapere che sono uno psichiatra?» «Niente affatto. Per lavorare in un pronto soccorso bisogna avere nervi saldi, ma io non sono certa che avrei il coraggio di affrontare lo sguardo di un pazzo. È questo che fa lei? Lavora con i pazzi?» Chiudendo ancora gli occhi, Adam cercò di non ridere. «Se vogliamo dire così. E lei? Chirurgo?» «No, specialista di pronto soccorso. Sono qui con un contratto biennale per aiutare a metter su un centro traumatologico nei dintorni di Edimburgo. È un genere di clinica che comincia ad affermarsi anche su questo lato dell'oceano... ed era ora, credo.»
«Già, specialmente stamattina. Posso chiederle dove ha studiato?» «Stanford e USC», rispose lei. «La California è all'avanguardia in queste tecnologie. Dopo essermi specializzata in chirurgia generale, ho cominciato a studiare chirurgia ricostruttiva... il che significa che non le resteranno molte cicatrici da mostrare a ricordo della sua disavventura. Però sentivo la mancanza del lavoro sul campo, così sono passata al trattamento dei traumi. È emozionante operare sui pazienti che arrivano in un pronto soccorso, questo bisogna ammetterlo. Ogni giorno succede qualcosa di drammatico. Tutt'altra cosa che farsi raccontare i sogni di un paziente steso su un divano.» Adam fece una smorfia sentendo l'ago che gli entrava nella carne, anche se non gli faceva male. Una parte di lui pensava che avrebbe dovuto provare dolore. «Preferisco lavorare in condizioni meno caotiche», replicò. «Posso sapere per cosa sta la 'X'?» Lei sorrise. «Mi aspettavo che me l'avrebbe chiesto. Lo fanno tutti. Provi a indovinare.» «Se indovino in meno di tre tentativi, lei mi pagherà una cena, una volta o l'altra?» propose, socchiudendo un occhio per vederla contro la luce. «Sempre che io sopravviva, naturalmente.» «Oh, sopravvivrà. Ma non mi sembra una scommessa equa. Non la pensa così anche lei, Tony?» L'infermiere, Sykes, dall'altro lato di Adam, rise divertito. «Chi perde, paga. Ad ogni modo, spetta alla signora scegliere il ristorante. In questo modo, lei potrebbe cavarsela con una pizzeria se perde, o scegliere un ristorante di lusso se vince.» Lei sorrise e mise un altro punto di sutura. «Così potrebbe andare meglio, sì. Allora, dottor Sinclair, che ne pensa?» «Mi sta bene.» Adam chiuse gli occhi. «Il nome è... Xenia?» «No.» «Xante?» «Neppure. Lei è ancora molto lontano.» «Aspetti a dirlo. Ah, ora ci sono... Xanthippe, come la moglie di Socrate.» «Spiacente. Mi ricorderò di lei, quando non avrò i soldi per pagarmi la cena. Il mio nome è Ximena.» «Ah, la sposa del Cid», si ricordò Adam. «Bella e appassionata, se stiamo parlando della Loren... i suoi genitori devono essere persone molto ro-
mantiche.» Lei rise, divertita. «Bravo. È proprio da quel film che mia madre prese spunto. L'aveva visto poco prima della mia nascita. In realtà sul mio certificato di nascita c'è scritto Chimene, ma alle superiori l'ho cambiato con il nome originale spagnolo... un gesto di ribellione giovanile, suppongo. Comunque l'ho tenuto. Ed è sempre un buon spunto per attaccare discorso, come lei mi ha appena dimostrato.» «Non posso negarlo», mormorò Adam, guardandola ancora. «Questo fa sì che le sue iniziali siano X.L., cioè excel... E in effetti lei eccelle.» La donna stava eseguendo l'ultima sutura, ma si fermò per guardarlo. «Be', dottore, questo è gentile da parte sua. Forse lei è un po' sotto shock, ma questa è una delle cose più carine che un paziente mi abbia detto.» Adam sorrise. «Sto cercando di smentire il vecchio adagio che i medici sono pessimi pazienti.» «Be', consideriamo pure smentito il vecchio adagio.» Rimise gli strumenti sul vassoio. «Il ricamo è finito. Mr. Sykes, ricopra il tutto con un bel cerotto.» Quando Adam riaprì gli occhi, sempre abbagliato dalla lampada, la dottoressa Lockhart si era tolta i guanti e li stava mettendo sul tavolo degli strumenti. La donna spense la luce, quindi prese la cartella di Adam e cominciò a scrivere qualche nota. «Lei sta per chiedermelo, così glielo dico subito», mormorò, senza alzare lo sguardo. «Le ho messo otto punti di sutura sulla lacerazione anteriore, e sei su quella al cuoio capelluto. Avrei potuto metterne di meno, ma lei non ha bisogno di una cicatrice a nobilitarle la fronte. Le dia qualche mese per guarire, e nessuno saprà che c'è mai stata.» «Le sono molto grato», disse Adam con una smorfia, mentre Sykes gli applicava l'antisettico e i cerotti. Quando finì, l'infermiere lo aiutò a mettersi a sedere in modo che la dottoressa Lockhart potesse fissargli il braccio al collo, con un sostegno fatto di stoffa e strisce di nylon. Mentre si sdraiava di nuovo, esausto per lo sforzo che gli era costato muoversi, un tecnico di laboratorio mise dentro la testa, con un vassoio di provette tintinnanti tra le mani. «Dottoressa Lockhart, è questo il paziente da ricoverare?» domandò. «Sì, è questo», rispose lei. «Il dottor Sinclair è molto docile per essere un medico, quindi credo che non avrà obiezioni se vieni a vampirizzarlo.» La prospettiva di farsi prelevare il sangue indusse Adam a ripensare alla visita clandestina che qualcuno aveva fatto a Gillian Talbot, allo Jordan-
burn. «In effetti, devo obiettare», ribatté, a disagio. «Non credo sia necessario caricare di un'altra spesa il National Health con un inutile esame del sangue. Resterò qui solo per stanotte.» «Ma queste sono le regole dell'ospedale», gli fece notare il tecnico. «E io le ripeto che non è necessario», insistette Adam, dando un'occhiata alla dottoressa Lockhart. «Spero che non mi costringiate ad alzarmi e uscire da qui, per risparmiare i soldi dei contribuenti.» Con un sorriso, lei fece capire al tecnico di lasciar perdere. «Va bene così, David. Non è il caso di litigare. Il nostro paziente è uno psichiatra, e agli psichiatri non piacciono gli aghi. Ma a proposito di aghi, dottor Sinclair», continuò, scrivendo qualche altra cosa sulla cartella clinica. «Come andiamo con le vaccinazioni? Quand'è stata l'ultima volta che si è fatto l'antitetanica?» «Ho dei cavalli, dottoressa Lockhart. Di regola mi faccio l'antitetanica ogni gennaio degli anni divisibili per cinque. Per oggi possono bastarmi le punture d'ago che mi ha fatto lei.» «Come vuole», concesse la donna, scrollando le spalle. «Bene, Mr. Sykes, può portare il dottor Sinclair nella sua camera.» Mentre l'infermiere spingeva il lettino lungo il corridoio, con la dottoressa Lockhart che li seguiva diretta al banco dell'accettazione, Adam non fece caso alla presenza di un medico in camice verde che stava osservando il suo passaggio con aria contrariata. Il dottor Preston Wemyss non aveva previsto di essere chiamato in sala operatoria per un'appendicectomia urgente proprio quella mattina... non dopo aver manovrato con sottigliezza per farsi assegnare al pronto soccorso, allo scopo preciso di trattare personalmente quel particolare paziente. Era stata forse la più rapida appendicectomia che il dottor Wemyss avesse mai eseguito; e senza nessun rischio apprezzabile per la salute del malato, che adesso si stava riprendendo dall'anestesia. Ma non era stata abbastanza veloce da consentirgli di scendere al pronto soccorso prima che Angela Fitzgerald portasse dentro Adam Sinclair, dopo l'incidente stradale. Inoltre, la sfortuna aveva voluto che Sinclair se la fosse cavata con ferite molto più lievi del previsto, che avevano reso lecito l'intervento della dottoressa Lockhart. Lui era arrivato al pianterreno solo dopo che la donna aveva esaminato il paziente, mandandolo in radiologia, e a quel punto Wemyss non avrebbe potuto chiederle di lasciarlo nelle sue mani senza de-
stare dei sospetti. Questo non era un problema, tuttavia significava che lui avrebbe dovuto trovare un altro sistema per portare a termine il suo incarico. Wemyss seguì con lo sguardo l'infermiere che spingeva nell'ascensore il lettino di Sinclair, e aspettò che la dottoressa Lockhart sparisse in un altro locale del pronto soccorso. Poi, con aria casuale, s'incamminò verso l'infermeria dove Sinclair era stato curato. Quando fu sicuro che nessuno guardava da quella parte, si affrettò a entrare. Come aveva sperato, Sykes non era riuscito a trovare il tempo di pulire la stanza prima di portare il ricoverato al piano di sopra. Su un tavolo d'acciaio c'erano ancora resti di suture, i guanti da chirurgo e alcune garze inzuppate del sangue di Sinclair. Con un sorriso, Wemyss girò intorno al tavolo e ficcò le garze dentro uno dei guanti di gomma, che annodò e si mise in tasca. Quando uscì, s'avvicinò a un'infermiera di passaggio e le indicò la stanza. «Bisogna che qualcuno faccia subito pulizia là dentro, Miss Harper. L'infermeria dev'essere preparata per l'arrivo del paziente successivo, non appena quello precedente ha finito. Ci pensi lei, per favore.» Detto questo, fece ritorno nel suo ufficio per ispezionare ciò che si era procurato. Il suo piano iniziale non aveva avuto successo, cosicché ora avrebbe dovuto esaminare gli altri possibili modi per eliminare Sinclair, o almeno per diminuire le sue capacità di resistenza a un attacco esoterico. Ma in un modo o nell'altro, era deciso a far sì che Sinclair non sopravvivesse a quella notte. Adam, nel frattempo, era stato sistemato in una stanzetta anonima e stava guardando il soffitto. Era una stanza a due letti, ma per il momento l'altro non era occupato. Era libero di sedersi, se avesse voluto, però le costole e la spalla gli dolevano meno quando stava disteso, e ora che l'anestesia locale si stava esaurendo cominciavano a fargli male anche le ferite alla testa. Un'infermiera gli aveva portato l'analgesico prescrittogli dalla dottoressa Lockhart, ma le due grosse capsule gialle dovevano ancora cominciare a fargli effetto. Avrebbe potuto chiedere qualcosa di più forte, ma sapeva che un anestetico forte poteva confondergli le idee e diminuire le sue capacità di difesa in quell'edificio aperto a tutti. Adam chiamò a raccolta le sue scarse energie e si diede da fare. Erigere le barriere necessarie tutto intorno ai confini della stanza gli costò uno
sforzo non dappoco, perché il mal di capo peggiorava non appena cercava di concentrarsi. Ma dopo tre quarti d'ora, quando McLeod mise dentro la testa e sorrise nel vedere la faccia dell'amico, l'ispettore si accorse subito della potenza delle difese che lui aveva messo in atto. Fece un fischio tra i denti e chiuse la porta. «Ti sei dato da fare, qui dentro. Vero?» commentò, spostando una sedia metallica al capezzale di Adam. «Diavolo, hai un aspetto terribile. Come ti senti?» «Mi sento come lo straccio usato», grugnì Adam con una smorfia. Tenendosi stretto al petto il braccio che aveva al collo, usò l'altra mano per azionare il meccanismo che alzava la testa del letto. «Hai fatto quelle telefonate?» «Sì. Tua madre è preoccupata, naturalmente, ma ha capito subito che deve restare a casa per proteggere Gillian. Ho persuaso il giovane Lovat che deve rimanere là anche lui, per la stessa ragione. E ho informato gli altri. Tutti lavoreranno per mandarti la loro energia guaritrice, nei prossimi giorni.» Adam si permise un sospiro di sollievo. «Sei un amico, Noel, e un Secondo prezioso. Dio, questa non mi ci voleva. Non in un momento così delicato.» «Be', gli incidenti accadono. Se non altro, sei vivo. La tua macchina è stata trasportata in un deposito della polizia a nord del Firth. È ridotta un rottame. Ho parlato con Humphrey, e lui si sta occupando dei particolari e delle scartoffie dell'assicurazione, ma è chiaro che la Rover non è recuperabile.» Adam riuscì a piegare la bocca in un sorriso. «Non mi lamento. Ha fatto il suo dovere e mi ha salvato la pelle. Strano che sia scoppiato quel pneumatico, però. Devo aver colpito qualcosa.» «Spero che sia così», mormorò McLeod, serio. «Cosa vuoi dire?» Adam lo guardò. «Sai qualcosa che io non so?» McLeod scosse il capo. «No, no, ma tu stesso hai detto che questo è un momento delicato. E avresti potuto restare ucciso. Certe persone lo avrebbero trovato molto conveniente.» Un brivido fece fremere la peluria sulle braccia di Adam. «Vorrei che non lo avessi detto. Sono già abbastanza paranoico. Ho perfino rifiutato che mi facessero l'esame del sangue. M'era venuto a mente il prelievo che qualcuno ha fatto a Gillian. Avrebbero potuto organizzare un incidente stradale anche per lei. Qui dentro sono vulnerabile.»
«Forse non dovresti trascorrere la notte qui. Oppure potrei metterti un agente di guardia...» «Ora siamo entrambi paranoici», disse Adam, scuotendo la testa. «La realtà dei fatti è che ho avuto un trauma cranico, e devo restare sotto osservazione per ventiquattr'ore. Probabilmente non ho niente, ma la cosa migliore è che io trascorra la notte qui. Far venire mia madre significherebbe stancarla inutilmente. No, andrà tutto bene. Come hai notato anche tu, mentre entravi, ho speso un bel po' di energia per rendere questa stanza più sicura.» «Questo è vero. Allora pensi che nessuno ti stia insidiando, e che domattina potrai uscire senza problemi?» «Sì, salvo complicazioni mediche. Ti sarei grato se chiamerai Humphrey per dirgli di venire a prendermi verso le undici. Come puoi vedere, in questa stanza non c'è il telefono.» «D'accordo», annuì McLeod. «E dal momento che ti sei lasciato convincere a farti ricoverare, devo supporre che tu stia troppo male per occuparti del materiale raccolto a Balmoral, oggi pomeriggio.» Adam chiuse brevemente gli occhi. «Sì, supponi giusto. Pensi che avrai modo di portarmelo a casa domani sera, quando mi sarò un poco rimesso? Credo che anche Peregrine dovrebbe vederlo. E poi ne approfitteremo per fare il punto della situazione, tutti insieme.» «Ci penso io. C'è qualcos'altro che posso fare per te?» «Non mi viene in mente nient'altro.» «Allora ti lascio riposare.» McLeod si alzò e gli rivolse uno scherzoso saluto militare. «Cerca di farti una buona nottata di sonno, se riesci a trovare una posizione comoda. Ci vediamo domani.» Adam aveva saltato il pranzo, perché l'avevano portato in camera dopo le dodici, ma quando McLeod se ne fu andato suonò per l'infermiera e riuscì ad avere un sandwich e una tazza di tè. Poi dormì, anche se continuarono a svegliarlo ogni tanto per controllare le sue condizioni, finché la dottoressa Lockhart passò a visitarlo verso sera, prima dell'ora di cena. Nonostante quei pisolini a singhiozzo, il mal di testa era un po' diminuito trasformandosi in una vaga sensazione sotto i cerotti, ma quasi ogni altra parte del corpo gli doleva più di quel mattino. La dottoressa Lockhart lo autorizzò a prendere una dose maggiore di analgesico, poi gli augurò amichevolmente la buonanotte, raccomandandogli di dormire il più possibile, e proseguì nel suo giro. Dopo una cena leggera e altre due capsule gialle, Adam riuscì a prendere sonno di nuovo. Stava dormendo da poco più di un'ora quando cominciò a sognare. Dap-
prima pensò che l'uomo fosse Ian MacPherson, il massone colpito dal fulmine la settimana addietro, ma poi s'accorse che era un altro Maestro Massone. Anzi, i Maestri Massoni erano molti, tutti quanti abbigliati con il grembiule bianco e azzurro, il colletto e le mezze maniche, sul pavimento bianco e nero a scacchiera di un tempio massonico, occupati a svolgere una cerimonia. Benché lui non fosse massone e non avesse mai visto con i suoi occhi quel genere di cose, Adam seppe subito che era uno dei loro riti, perché il suo svolgimento aveva una quantità di punti in comune con la tradizione esoterica, diverso nella forma esteriore, ma uguale nel suo focalizzarsi verso la Luce. Il sogno proseguì. L'uomo che aveva dapprima preso per MacPherson, e che sembrava il Maestro di quella Loggia, stava leggendo da un grosso libro, attorniato da molti altri confratelli, forse una trentina, che ascoltavano con attenzione le sue parole. Adam non poteva udire ciò che l'uomo stava dicendo, ma sapeva che si trattava di un insegnamento sacro, il che era logico, visto che la Massoneria apparteneva alle universali Scuole del Mistero. All'improvviso il Maestro tacque, sussultando, e i suoi confratelli cominciarono a guardarsi attorno nel tempio della Loggia frugando con occhi spaventati l'aria vuota, la quale d'un tratto prese a caricarsi di energia statica. Adam capì quello che stava per succedere e cercò di avvertirli, ma era già troppo tardi. Con uno schianto assordante il soffitto esplose in fiamme, ci fu una grandine di tegole e travi e calcinacci, il tetto fu spazzato via e la stanza rimase esposta al cielo. Le nuvole si addensavano roteando sopra lo squarcio, e il fulmine che l'aveva colpito continuava a infuriare sull'edificio. Poi l'infernale crepitio cessò di botto e discese un silenzio terribile, rotto solo dalle grida e dai lamenti dei massoni feriti. A questo punto il sogno ebbe termine e Adam si svegliò, ansimando, con il cuore che gli batteva furiosamente. Pur confuso com'era, in lui non c'erano dubbi che aveva assistito a qualcosa di reale e di drammatico... una tragedia passata o futura, questo non lo sapeva. Se la cosa si era già verificata, c'era poco che lui potesse fare. Ma se quello era stato un sogno premonitore, allora esisteva la possibilità di intervenire e ridurre le conseguenze del disastro. Frugò nella memoria in cerca di un indizio su quale Loggia massonica fosse quella da lui sognata, sperando che le sue limitate conoscenze in materia potessero illuminarlo. Ma forse McLeod avrebbe potuto essergli d'aiuto in questo. Lui era un Maestro Massone; forse sarebbe stato in grado
d'identificare il luogo. Quella speranza gli diede la forza di alzarsi dal letto e vacillare verso l'armadio, mentre tutte le sue ossa protestavano con gemiti e scricchiolii. Dio, era incredibile quanto un corpo umano potesse irrigidirsi durante poche ore di sonno! Una parte di lui anelava una doccia bollente per placare i dolori, ma sapeva che avrebbe dovuto farne a meno. Tirò fuori la giacca dall'armadio, infilò il braccio sinistro nella manica e si coprì alla meglio il braccio destro appeso al collo, poi uscì in corridoio e andò verso la stanza delle infermiere alla ricerca di un telefono. L'infermiera di guardia, che stava mettendo a scaldare una pentola d'acqua, si voltò a guardarlo sbigottita. «Dottor Sinclair! Cosa sta facendo fuori dal letto? Tornì subito nella sua stanza!» «Devo fare una telefonata», spiegò Adam. «È importante. Posso usare questo apparecchio?» Si era già piegato sopra il bancone, allungando la mano sinistra ad afferrare il ricevitore del telefono. Se lo passò nella destra per tenerlo contro l'orecchio, e con la mano libera girò l'apparecchio verso di sé, cercando di placare l'infermiera con un sorrisetto di scusa. «Per avere la linea esterna si preme il nove?» domandò. «Sì, ma...» «Grazie.» Adam premette il nove, quindi il numero di casa di McLeod, ma l'altro apparecchio gli diede il segnale di occupato per ben cinque minuti di fila. Gli occorsero tre tentativi, mentre la capoturno si accigliava sempre più, e altre due sue colleghe assistevano con aria di disapprovazione alle bizzarrie di quel dottor Sinclair. Alla fine fu la moglie di McLeod che gli rispose. «Jane? Buonasera, sono Adam. C'è Noel?» «No, Adam, non c'è», rispose Jane. «È corso via dopo aver ricevuto una chiamata urgente. Ma prima di uscire ha telefonato a Mr. Lovat. Se avessi chiamato dieci minuti fa, lo avresti trovato in casa.» «Dannazione. Ha detto dove stava andando?» «Credo che l'abbia detto a Mr. Lovat, ma io ero nell'altra stanza e non ho sentito. Comunque dev'essere in qualche posto a nord di qui, perché so che ha chiesto a Mr. Lovat di raggiungerlo là... e Mr. Lovat abita nella tua tenuta, no?» «Sì», mormorò Adam. «Con il collega da cui era stato chiamato poco prima, Noel aveva parlato
di un'esplosione in una Loggia massonica. Santo cielo... Adam, credi che ci sia un nesso con quell'orribile fatto accaduto al cimitero? Pensi che Noel sia in pericolo?» «Non vedo perché dovrebbe», la rassicurò Adam. «Jane, sei sicura che non ti abbia dato qualche altro particolare?» «Mi spiace, Adam, ma lo sai anche tu quanto poco gli piaccia parlare del suo lavoro. Non vuole che io mi preoccupi.» «Già, è vero», sospirò Adam. «Quando tornerà a casa, Jane, oppure se dovesse telefonare, digli che mi chiami qui il più presto possibile, per favore. A qualunque ora della notte. Il centralino saprà in quale reparto passare la chiamata. Lo farai?» «Naturalmente, Adam. Tu come stai?» «Abbastanza bene, grazie. Mi raccomando, diglielo. Ora devo riattaccare. Scusa se ti ho disturbato a quest'ora.» Quando lasciò il ricevitore stava tremando, e la capoturno lo guardò con l'aria di chi ne ha avuto abbastanza. «Dottor Sinclair, ora devo insistere perché torni subito a letto. Non mi costringa a chiamare la dottoressa Lockhart. Tutto questo è molto irregolare.» «Mi scusi se ho infranto il regolamento, infermiera», disse lui con calma. «Era davvero importante, mi creda. E se più tardi dovesse chiamare l'ispettore McLeod, non importa a quale ora della notte, la prego di consentirmi di rispondere. Non so dirle quanto sia urgente. Per favore, può lasciare una nota scritta per le sue colleghe del turno successivo?» L'infermiera lo accontentò, con riluttanza. Adam attese che scrivesse l'appunto, poi lasciò che lo seguisse fino in camera, dove la donna indugiò per il tempo necessario a controllargli le pulsazioni e annotare qualcosa sulla sua cartella clinica, prima di tornare al suo posto. Quando fu rimasto solo, giacque a lungo con lo sguardo perso oltre il soffitto, incapace di prendere sonno. Nella sua mente le immagini oniriche di poco prima si ripetevano senza requie, e in lui cominciò a nascere il sospetto che il suo incidente stradale e quel sogno fossero in qualche modo collegati. 27 Quella stessa notte, a Dunfermline, Peregrine Lovat si trovò davanti una scena di caos e distruzione. Parte della Loggia massonica della città stava ancora bruciando; una mezza dozzina di autopompe erano impegnate a
spegnere i resti delle fiamme, mentre i vigili del fuoco frugavano tra le macerie in cerca di superstiti. La scuola dall'altra parte della strada era diventata una camera mortuaria provvisoria per le vittime, e quando fermò la sua piccola Morris Minor dietro la BMW nera di McLeod, un'altra ambulanza stava partendo con le luci lampeggianti e la sirena accesa. Preoccupato e un po' nervoso, perché non era mai stato sul luogo di un delitto senza Adam, Peregrine prese l'album da disegno e scese dall'auto. Schermandosi gli occhi con una mano contro il bagliore delle lampade ad acetilene, attraversò la strada e s'avvicinò a un agente in uniforme che sistemava delle transenne. «Mi è stato chiesto di presentarmi all'ispettore capo McLeod. Mi chiamo Lovat.» «Lo troverà da quella parte, Mr. Lovat», disse l'agente, indicandogli tra il fumo alle sue spalle. «Cerchi di non intralciare quelli che scavano tra le macerie in cerca di superstiti.» «Starò attento, grazie.» Peregrine si chinò sotto il nastro giallo che l'altro gli stava sollevando e poco dopo vide una familiare figura in soprabito grigio e cappello al centro di un gruppo di uomini in uniforme. La voce brusca di McLeod gli giunse sopra il fracasso dei motori in azione. «Voglio testimonianze scritte da parte di tutta la gente della zona che ha visto qualcosa... qualsiasi cosa. Chiaro?» stava dicendo l'ispettore. «Non m'importa se qualcuno racconterà roba che vi sembra priva di senso. Separeremo le sciocchezze dalle testimonianze valide quando saremo tornati in sede.» Gli uomini in uniforme si dispersero. Anche McLeod stava ormai per andarsene, quando vide Peregrine che si faceva strada nella sua direzione tra le barelle che ingombravano il marciapiede. «Finalmente», mugolò l'ispettore, accigliato, facendogli cenno di sbrigarsi. «Come mai ci ha messo tanto? È venuto a piedi? Coraggio, muoviamoci, vediamo di dare un'occhiata nell'interno.» Peregrine non si offese per i modi bruschi dell'amico. Ormai conosceva McLeod abbastanza da sapere che la sua apparente irascibilità era semplicemente un segno di preoccupazione... e i motivi di essere preoccupato non gli mancavano. Anche da fuori poteva avvertire i crudi e discordanti residui della violenza, una violenza voluta e programmata, che emanavano dalle viscere fumanti dell'edificio. Era una risonanza che stava cominciando a conoscere e a detestare, molto simile a quella che aveva sentito a Baltierny e a Calton Hill. Non ebbe
bisogno di chiedere a McLeod chi fossero i responsabili della distruzione che vedeva davanti a sé. La faccia quadrata dell'ispettore aveva l'espressione fosca di un pugile che si fosse appena rialzato dopo aver sopportato un colpo sotto la cintura da parte di un avversario sleale; e lo sguardo duro di chi è deciso a regolare il conto. McLeod salì la breve scalinata che portava all'ingresso principale della Loggia. Sulla porta fece cenno a Peregrine di spostarsi per lasciar uscire due agenti di polizia che trasportavano un corpo chiuso in un sacco di plastica nero, sopra una barella. Gli uomini erano coperti di polvere e di cenere, e avevano l'aria di aver già visto troppo per i loro gusti. «Dio, MacKinnon, ma quanti sono?» esclamò McLeod, incredulo. «Con questo, i morti assommano a diciassette. E undici sono i feriti già portati all'ospedale», lo informò uno dei due, scuotendo il capo. «L'unica notizia buona è che sembra che non ci sia più nessun altro sotto le macerie.» L'uomo fece un cenno con il capo al corpo chiuso nel sacco nero. «Questo poveretto dev'essere il Maestro della Loggia. L'abbiamo trovato sepolto da una tonnellata di detriti al piano di sopra, in una sala riunioni. Una delle travi gli è crollata addosso. Può darsi che non si sia neppure accorto di morire.» McLeod li lasciò proseguire con il loro carico e rimase lì a capo chino. Peregrine non capì se stesse riflettendo oppure pregando. Qualche secondo dopo l'amico si riscosse e raddrizzò le spalle. «D'accordo, Mr. Lovat», disse cupamente. «Le vittime sono state portate via tutte, a quanto pare. Ora è il nostro turno.» McLeod lo precedette oltre un breve vestibolo in un atrio molto spazioso. Il pavimento in listelli di legno era ingombro di calcinacci, tegole, pezzi di travi annerite e acqua. Sulla sinistra una bella scala portava a un mezzanino adesso privo di tetto e spalancato al cielo. Il puzzo di bruciato saturava l'aria. Nel vedere tutta quella distruzione, Peregrine provò una stretta al cuore. Non riusciva a immaginare l'effetto di quella scena su McLeod, che aveva avuto un legame di fratellanza con gli uomini morti lì dentro. «Daremo un'occhiata nelle varie stanze», suggerì McLeod. «E badi dove mette i piedi. Non voglio che cada in un buco e finisca all'ospedale come Adam. Siamo già rimasti in pochi.» Peregrine capì che si riferiva alla Loggia di Caccia, e quel «siamo» era la tacita conferma che McLeod lo considerava uno di loro. Un po' rincuorato da quella constatazione, si liberò dal senso di sgomento e cominciò a
pensare al da farsi. «Cerchiamo qualcosa in particolare», domandò, «oppure ci stiamo solo guardando attorno?» «Stiamo guardando, ragazzo mio. E se lei vede qualcosa, vorrei che me lo facesse sapere.» La porta in fondo all'atrio si apriva su una sala riunioni lunga quanto quell'intero lato dell'edificio. Chinandosi sotto lo stipite mezzo crollato e bruciacchiato, Peregrine seguì McLeod all'interno. Il locale era devastato, pieno di schegge di vetro e cornici di quadri fracassati. «Sembra una specie di galleria d'arte», mormorò sottovoce. «Già.» McLeod si fermò per raddrizzare il ritratto completo a grandezza naturale di un uomo dai baffi argentei, vestito con i paramenti di un Maestro Massone. «Questa Loggia ha una lunga storia. I suoi membri avevano riunito in questa sala oggetti e quadri vecchi di secoli...» La sua voce si spense. Fermandosi al suo fianco, Peregrine gettò un'occhiata esperta al ritratto. Benché fosse graffiato e sporco di fumo poté vedere che era ben eseguito. La faccia di quel Maestro del passato era forte e decisa; gli occhi azzurri che guardavano i suoi apparivano infinitamente tristi, come se l'uomo soffrisse per ciò che era accaduto. Il senso della sua presenza era così forte che il giovane artista cominciò a credere che non fosse solo la sua immaginazione. Noi siamo qui per dare aiuto, si trovò a dire mentalmente all'uomo del ritratto. Vorrei solo che tu sapessi ciò che è successo, e potessi dircelo. Accanto a lui, McLeod mandò un ansito improvviso e alzò una mano. Stupito, Peregrine si voltò a guardarlo. L'ispettore stava barcollando, e dietro le lenti rotonde i suoi occhi erano sbarrati, vacui, fuori fuoco. Aprì la bocca e la mosse. Per qualche secondo non emise nessun suono. Poi una voce sconosciuta uscì dalle sue labbra. «Un intruso ha infranto le nostre difese», rantolò. «Il vile servo di un vile padrone. Il tempio è stato profanato... marchiato con il segno di un antico nemico...» La voce rauca si smorzò in un gemito tremante. Peregrine guardava l'amico senza riuscire a capire cosa gli stesse succedendo. Poi ricordò che una delle particolari doti di McLeod era la capacità di agire da medium; lui stesso lo aveva visto accadere all'abbazia di Melrose, quando l'uomo aveva concesso allo spirito di Michael Scot di parlare attraverso il suo corpo. Ora, con ogni evidenza, stava permettendo a un antico membro di quella Loggia di fare la stessa cosa.
Un altro fremito scosse il corpo robusto di McLeod, che vacillò, e Peregrine lo sostenne per un braccio, incerto su ciò che gli conveniva fare. «Purificate il tempio!» ordinò la voce in tono urgente. «Trovate e rimuovete il segno della profanazione!» Qualcosa in quella richiesta accorata sembrava aver bisogno di una risposta. Con il cuore che gli batteva forte, Peregrine ritrovò la lingua. «Noi lo faremo!» promise. «Ma tu dimmi, ti prego, dove posso cercare!» Colui che parlava per bocca di McLeod gli rispose con un borbottio del tutto indecifrabile. Poi la testa dell'uomo scattò verso l'alto come se avesse ricevuto un montante sotto il mento. Peregrine lo vide sussultare, ansimando, e piegare le gambe di colpo. Il giovanotto fu svelto ad afferrarlo prima che cadesse malamente al suolo. Mentre lo teneva in piedi, barcollando da una parte e dall'altra, la vista gli si oscurò. Sul buio schermo della sua mente s'illuminò l'immagine di un pesante tavolo dal piano di marmo, simile a un altare. I lati del tavolo erano coperti da pannelli di legno lavorati a bassorilievo. Ciò che vide con assoluta nitidezza fu soprattutto il dettaglio del pannello centrale: un circolo che conteneva una stella composta da due triangoli intersecati, e che lui riconobbe come un noto simbolo ebraico, il Sigillo di Salomone. Il circolo era fiancheggiato da due colonne, ciascuna delle quali sormontata da un globo: quello di sinistra contenente la mappa del mondo, e quello di destra la mappa del cielo. Mentre tentava di visualizzare anche i pannelli adiacenti, McLeod grugnì come se avesse mal di pancia e sollevò la testa. Gli occhi dell'ispettore tornarono a fuoco. L'unica mano libera che la stretta di Peregrine gli lasciava annaspò in cerca di un punto d'appoggio, e trasse due o tre respiri con la forza di un mantice. «Cristo, come odio quando mi succede questo!» brontolò, con una voce che era di nuovo la sua. Aveva una faccia pallida, esangue, proprio come gli era accaduto tra le rovine dell'abbazia di Melrose quando lo spirito di Scot l'aveva lasciato. Peregrine cercò il suo sguardo e domandò: «Ce la fa a tenersi in piedi? Le suggerirei di sedersi, ma questo pavimento è coperto di schegge di vetro. Badi che sta appoggiando la mano su una cornice rotta, e rischia di tagliarsi». McLeod s'affrettò a togliere la mano e se la pulì sul soprabito, sempre appoggiandosi a Peregrine per tenersi in piedi. Per qualche secondo non fu capace di far altro che ansimare, mentre la faccia riprendeva un po' di colo-
re. «Va meglio?» domandò Peregrine. «Sì», annuì McLeod. Prima di lasciare il braccio del giovanotto si accertò che le gambe lo reggessero. «Sì, ora mi sento meglio.» Si massaggiò il collo con una smorfia. «Non dovrei fare una cosa del genere senza preparazione. Ma mi è piombata addosso all'improvviso.» «Quel riferimento al tempio ha qualche significato per lei?» volle sapere il giovanotto. «Quale tempio? Ho parlato di un tempio?» mormorò lui. «Non sempre ricordo ciò che dico, dopo queste prestazioni.» Peregrine gli ripeté doverosamente ciò che gli era uscito di bocca, parola per parola, e McLeod si mordicchiò le labbra mentre ci ruminava sopra. Alla fine annuì un paio di volte. «Sicuro, penso di poterle dire esattamente ciò che significa, e quello spirito ci ha dato delle chiare istruzioni. In un certo senso, tutto il lavoro fatto nelle Logge è svolto nel Tempio dei Piani Interni... ma ogni Loggia ha anche il suo tempio materiale, solitamente situato in uno dei piani superiori dell'edificio. È là che dobbiamo andare.» Si voltò a guardare il malconcio ritratto appoggiato al muro. La targhetta alla base della cornice identificava il soggetto per nome, JOHN JOSEPH ANDERSON, con le date degli anni in cui era stato Maestro della Loggia. Con un sorriso storto, McLeod alzò una mano a salutarlo. «Grazie per il buon consiglio, Venerabile Maestro. Mr. Lovat e io faremo del nostro meglio.» Nonostante i danni ai gradini e alla balaustra, la scala resse solidamente il loro peso. Il primo piano era illuminato da lampade ad acetilene, e c'era una squadra di vigili del fuoco che lavorava per mettere in sicurezza l'edificio, abbattendo pezzi di muro pericolanti e togliendo di mezzo detriti ancora fumanti. Dal vasto squarcio nero del soffitto penetrava un vento gelido che portava con sé piccoli fiocchi di neve. «Da questa parte», disse McLeod, indicando ciò che restava di una porta sul lato più lontano del pianerottolo. Il largo locale in cui entrarono era anch'esso illuminato da lampade ad acetilene. I due dovettero chinarsi per passare sotto ad alcune grosse travi cadute. Il pavimento appariva piuttosto pericolante: una caotica distesa di larghe mattonelle bianche e nere, fratturate e spaccate, in cui si apriva un grande varco sotto il quale si vedeva una stanza del pianterreno. Anche lì il fuoco aveva divorato mobili e infissi, ma sul lato est della sa-
la c'era quello che sembrava il centro vero e proprio della devastazione. Lì, il soffitto era crollato completamente e tegole e travi spezzate si ammucchiavano alte. Delle picche medievali e delle spade sbucavano dalle macerie, sulle quali le pale dei soccorritori avevano lavorato alacremente per estrarre il corpo del Maestro della Loggia. Due larghe lastre di marmo spuntavano da un mucchio di cenere e calcinacci, come le pagine di un libro aperto. «Quello sembra il posto che cerchiamo», disse McLeod, indicando il cumulo di detriti. «Andiamo a dare un'occhiata.» Portando con sé una lanterna, i due uomini si fecero strada cautamente verso il loro obiettivo. Viste da vicino, le due lastre si rivelarono per il piano superiore del tavolo di marmo, spaccato nel mezzo. I resti malconci dei pannelli laterali, di legno, erano coperti da una varietà di simboli che Peregrine pensò fossero massonici, scolpiti a bassorilievo. Tra essi c'era anche un Sigillo di Salomone. «Ho avuto la visione di un tavolo come questo, mentre lei era occupato con lo spirito di Mr. Anderson», mormorò Peregrine, chinandosi a toccare i due triangoli intersecati. «Questo simbolo, in particolare. Suppongo che il 'segno della profanazione' di cui ha parlato il nostro amico sia sepolto da qualche parte sotto questa roba.» «Sì. Vediamo se possiamo spostare un po' di rottami.» Prima lavorando a mani nude, e poi con le pale che i soccorritori non erano ancora tornati a recuperare, i due s'impegnarono a trascinare via i detriti precipitati sul tavolo. Quando non rimase altro che polverume bagnato e cenere ancora calda, procedettero più lentamente spazzando via con le pale mucchietti di calcinacci. Peregrine stava cominciando a chiedersi se avrebbero dovuto trascorrere lì tutta la notte, quando la sua pala rovesciò un oggetto che alla luce della loro lampada mandò un grigio riflesso metallico. Senza stare a pensarci allungò una mano per raccoglierlo, e l'oggetto gli colpì le dita con una scossa elettrica come se fosse collegato a un impianto ancora attivo. Con un grido il giovane ritrasse la mano e cadde goffamente a sedere all'indietro. «Peregrine, cosa diavolo...» Lui gli indicò il frammento di metallo che aveva scoperto, quasi troppo scosso per notare subito che per la prima volta da quando si conoscevano McLeod lo aveva chiamato con il nome di battesimo. «Quell'affare. Mi ha dato la scossa, quando ho cercato di toccarlo. Penso che sia la cosa che
stiamo cercando.» Si controllò le dita, con una smorfia. I polpastrelli gli dolevano ancora. Mentre si tirava in piedi, spazzolandosi via la polvere di dosso, McLeod si chinò a esaminare l'oggetto da vicino. Mentre lo guardava, si mise in tasca la mano destra e quando la tirò fuori aveva infilato al dito medio il suo anello con lo zaffiro. Con la mano così munita tracciò sopra l'oggetto metallico alcuni simboli, che sembrarono animare l'aria intorno a esso di una luce azzurrina. Fatto questo, estrasse di tasca anche un fazzoletto. «Bene, bene, bene», mormorò, mentre afferrava e sollevava l'oggetto tra le pieghe isolanti della stoffa. Quando Peregrine avvicinò la lampada, poté vedere che si trattava dei resti contorti e slabbrati di un disco d'argento, largo circa cinque centimetri. I suoi occhi si spalancarono per lo stupore, dietro le lenti. «È questo?» mormorò, incerto. «È il 'segno' che ci è stato detto di cercare?» «Me lo dica lei.» McLeod si strinse nelle spalle. «È questo?» Peregrine trasse un lungo respiro e socchiuse le palpebre, cercando di mettere a fuoco la sua seconda vista sull'oggetto. Il caos di segni sulla sua superficie assunse consistenza e si trasformò nella testa di un felino dalle zanne scoperte. «Signore Iddio, è un medaglione della Lince!» sussurrò. «Ormai li conosco bene, anche se da quando questa storia è cominciata non ne avevo mai avuto uno tra le mani.» McLeod fece un sogghigno lupesco e avvolse meglio l'oggetto nella stoffa. Poi tracciò un altro simbolo sul piccolo fagotto. «Be', ora ne abbiamo uno. E penso che basti a indicare chi sono i responsabili di questo massacro.» Porse l'oggetto a Peregrine. «Adam vorrà sicuramente vederlo. Dato che non so quando potrò passare a fargli visita, è meglio che pensi lei a consegnarglielo, dopo che sarà tornato a casa.» Peregrine annuì, avvolse intorno all'oggetto anche il suo fazzoletto e se lo mise in una tasca interna del soprabito. McLeod si guardò attorno per controllare che non stesse entrando nessuno, quindi allungò le braccia con le mani a palme in giù sopra i resti spezzati dell'altare. Per una dozzina di secondi mantenne quella posizione, mormorando sottovoce parole che a Peregrine parvero una preghiera. Poi alzò la mano destra a tracciare un pentacolo nell'aria. Il giovane artista avvertì un fremito e una sensazione di sollievo, come se una spina gli fosse stata estratta dalla carne. A un tratto l'atmosfera nei
loro immediati dintorni sembrò più luminosa e leggera. Gli tornò in mente il momento in cui, nell'appartamento di Helena Pringle, Adam aveva unito i suoi sforzi a quelli di Christopher Houston per spazzare via ogni influenza maligna. Dopo un altro breve momento di silenzio triste e pensoso, McLeod fece un sospiro e raddrizzò le spalle. «Ecco. Ora il confratello può riposare in pace.» 28 Tutto era tranquillo all'Edinburgh Royal Infirmary, dove Adam Sinclair giaceva sveglio e inquieto nel suo letto. Il sogno di quella sera l'aveva ridotto un groviglio di nervi. Le dieci erano venute e passate senza che McLeod si facesse sentire. Sapeva che avrebbe dovuto dormire un po', ma tra i dolori del corpo e le preoccupazioni che lo assillavano non riusciva a rilassarsi abbastanza. Un paio di volte si era imposto un esercizio che di solito lo faceva scivolare nel sonno, ma subito le immagini oniriche di qualche ora addietro l'avevano di nuovo assalito, ed era sempre più sicuro che si trattava dello stesso disastro che aveva costretto McLeod a uscire di casa. Intorno alle undici sentì passi e voci nel corridoio, quando le infermiere furono sostituite dalle colleghe del turno di notte. Aveva ormai abbandonato ogni speranza di dormire. Quando anche quei pochi rumori si dileguarono, il silenzio dell'ospedale cominciò a sembrargli opprimente. Dopo un altro quarto d'ora, incapace di sopportare quella suspense, scese di nuovo dal letto e s'infilò alla meglio la vestaglia assegnatagli dall'ospedale, tenendola ferma con la mano libera mentre barcollava verso la porta e sbirciava nel corridoio esterno. Le luci erano accese solo sul fondo, e la stanza delle infermiere sembrava vuota. Dalla toilette provenivano alcune voci basse; gli parve di capire che un altro paziente si era alzato senza permesso e fosse sul punto di essere rispedito a letto. Sospirando al pensiero dell'istinto da cane da guardia che tutte le buone infermiere sembravano avere, uscì dalla stanza con tutto il silenzio che i suoi muscoli doloranti gli consentivano e andò nella sala TV, con l'idea di vedere uno degli ultimi notiziari della giornata prima di essere scoperto e rimandato in camera. A quell'ora aveva la sala soltanto per sé. Lasciò la luce spenta (inutile pubblicizzare la sua presenza) e zoppicando andò a sedersi al tavolino su
cui stava il telecomando. Dopo aver cambiato stazione tre o quattro volte, con il volume al minimo, vide apparire la sigla dell'edizione della notte di BBC News. Il servizio d'apertura era dedicato a un disastro appena accaduto. Sullo schermo apparve il primo titolo: STRAGE NELLA LOGGIA MASSONICA DI DUNFERMLINE. DICIASSETTE MORTI E UNDICI FERITI PER UNA MISTERIOSA ESPLOSIONE. I sensi di Adam vacillarono per qualche istante, mentre i titoli meno importanti gli passavano davanti agli occhi. Appoggiò le mani ai braccioli come per sostenersi, finché il conduttore cominciò un resoconto dettagliato dell'accaduto. «Diciassette morti e undici feriti, questo il bilancio di un'esplosione che stasera ha distrutto il primo piano di una Loggia massonica, a Dunfermline, danneggiando seriamente anche il resto dell'edificio. L'incidente, sulle cause del quale la polizia sta ancora indagando, è avvenuto poco dopo le otto. Testimoni oculari dichiarano di aver visto ciò che sembrava essere un fulmine, oppure una sfera di fuoco, colpire dall'alto il tetto della Loggia...» Il servizio proseguì con le immagini del luogo riprese durante il lavoro di spegnimento dell'incendio. Adam fece una smorfia nel vedere il largo squarcio nella parte superiore dell'edificio, il fumo che usciva dalle finestre e le autopompe che innaffiavano i soccorritori per proteggerli dalle fiamme mentre entravano in cerca di superstiti. Non aveva dubbi che quello fosse il dramma che aveva visto in sogno. Ripensando all'ora capì che i due eventi erano accaduti simultaneamente. La telecamera passò a inquadrare un giornalista, sullo sfondo di uno scenario dove le fiamme erano state domate da un pezzo. «Data la natura controversa delle testimonianze oculari, la causa dell'esplosione sembra alquanto difficile da determinare. Abbiamo domandato alla polizia se l'ipotesi di un attentato terroristico può essere presa in considerazione. Questa è stata la risposta dell'ispettore capo Noel McLeod.» Adam si piegò in avanti, mentre appariva sullo schermo la faccia ben nota di McLeod, con una guancia sporca di cenere. Sembrava stanco e preoccupato, e disse soltanto poche parole, come se la sua mente fosse assillata da questioni più importanti che soddisfare la curiosità dei mass media. «Sì, alcuni elementi fanno pensare che l'esplosione non sia avvenuta all'interno dell'edificio bensì all'esterno, all'altezza del tetto», spiegò al giornalista. «Ma non abbiamo ancora scartato spiegazioni più convenzionali, come per esempio una fuga di gas.»
«Ispettore, non ci sono state rivendicazioni dall'IRA o da altre organizzazioni?» domandò la voce di una donna, fuori campo. Lo sguardo di McLeod si girò stancamente verso l'interlocutrice. «Ancora no. Ogni speculazione è valida. Ma per il momento quello che ci interessa è accertare che non ci siano altri corpi sepolti sotto le macerie.» «Gli esperti stanno cercando i resti di una bomba? Quando rilascerete una dichiarazione sulle cause del disastro?» domandò il primo giornalista. «Appena sarà completata la ricerca di eventuali frammenti sospetti tra i detriti, la stampa sarà subito informata», rispose pazientemente McLeod. «Bisogna sottolineare che l'esame dei reperti in un disastro di questa portata richiederà tempo. Per adesso non ho altre informazioni da darvi.» Mentre l'ispettore si voltava, l'inquadratura tornò allo studio e il conduttore fornì qualche notizia sui feriti ricoverati in ospedale. Adam stava pensando che quello poteva essere una ripetizione di ciò che era accaduto al cimitero di Calton Hill, ma su scala più grande. La Loggia della Lince stava compiendo una vera escalation, e a velocità allarmante. Spense la TV e restò a fissare lo schermo, soppesando il significato di quella serie di delitti in crescendo. Pochi minuti dopo era ancora distratto in quei pensieri quando la luce si accese e una voce femminile lo interpellò in tono esasperato. «Signore, cosa sta facendo qui? È quasi mezzanotte, e a quest'ora tutti i pazienti dovrebbero stare nel loro letto!» Adam sbatté le palpebre, si volse e vide che a sorprenderlo in flagrante era stata un'infermiera giovane e molto carina. Aveva i capelli rossi, un nasino impertinente, e un modo decisamente apprezzabile di muovere i fianchi mentre veniva dentro a passo di carica. La targhetta sul suo petto diceva J. BROWN RN. Giunta davanti a lui incrociò le braccia sul petto. «Devo dire che lei non ha una buona cera, proprio per niente. Se stava troppo male per riuscire a dormire, è stato sciocco da parte sua non avvertirci. Forse è il caso di darle qualcosa. Ora che ci penso, il farmacista dovrebbe essere già arrivato con i medicinali prescritti per la notte ai ricoverati di questo reparto. Perché non torna in camera sua, mentre io m'informo su cosa lo sta trattenendo?» Le articolazioni e i muscoli di Adam protestavano a ogni movimento. All'improvviso il pensiero del suo letto fu molto attraente. Ma prima doveva fare un'altra cosa. «Le prometto che sarò ubbidiente», disse, con un sorriso melenso. «Ma anche ai condannati a morte è concessa un'ultima telefonata.» «A quest'ora?»
«La prego», insistette. «È molto importante.» L'infermiera esitò un momento, poi scosse il capo e si rassegnò, come una madre davanti a un bambino fatto a suo modo. «E va bene. Ma una telefonata breve.» Dalla sala TV alla stanza delle infermiere, ogni passo fu una fatica. Sporgendosi sul bancone, Adam prese il telefono e compose il numero di McLeod. A rispondergli fu ancora Jane. «Salve, sono Adam. Senti, scusa se ti chiamo a quest'ora...» «Non importa, sono ancora alzata», lo interruppe Jane. «Sto aspettando che Noel rincasi.» «Non ha neppure telefonato?» «No. Probabilmente questo significa che ha molto da fare, su a Dunfermline.» Jane fece una pausa, poi domandò: «Hai sentito i notiziari della notte?» «Sì, è per questo che sto telefonando. Ho pensato che se Noel sarà trattenuto sul luogo del disastro ancora a lungo, è inutile che tu gli dica di chiamarmi quando rincaserà. Ci sentiremo domani. Sia lui che io avremo bisogno di dormire un po', se vogliamo affrontare i nostri problemi a mente fresca.» «D'accordo, Adam. Glielo dirò.» Mentre lui riappendeva, la porta dell'ascensore si aprì con un fruscio, e ne uscì un giovanotto in camice bianco sul quale spiccava l'etichetta FARMACIA. Aveva con sé un vassoio di medicinali suddivisi in buste individuali, su ciascuna delle quali c'era scritto il nome. Salutò l'infermiera dai capelli rossi, gratificandola con uno sguardo ammirato, e poggiò il vassoio sul bancone. «Ecco qua, mia dolce Jeanne», disse allegramente. «Questo è tutto ciò che ti devo, imbustato e catalogato.» La ragazza gli indicò l'orologio a muro. «Sei in ritardo di un quarto d'ora, Neil Redmond», lo redarguì severamente. «Il dottor Sinclair, qui, stava cominciando a pensare di ordinare qualcosa per conto suo.» «Ehi, non dare la colpa a me», si scusò Redmond. «Mentre stavo per venire qui sono stato bloccato dal dottor Wemyss, giù al pianterreno, e quel seccatore mi ha trascinato nel suo ufficio.» «Il dottor Wemyss? E cosa sta facendo qui, a quest'ora?» «Dev'essere nel turno di notte», ipotizzò il farmacista, stringendosi nelle spalle. «Aveva un diavolo per capello a causa di qualcuno del turno di giorno che ha frainteso i suoi ordini su alcuni pazienti, così mi ha costretto
a lasciare lì il vassoio, e mi ha rimandato nel dispensario per controllare le registrazioni. Se non fosse stato per questo, sarei arrivato qui puntuale per te come ogni sera, bella mia.» «Va bene, sei perdonato», disse l'infermiera dai capelli rossi, ammansita. Prese dal vassoio la busta con il nome di Adam e si rivolse a lui, con un sorriso. «Venga, dottor Sinclair. La telefonata l'ha fatta, e adesso è l'ora delle sue medicine.» Quando furono in camera Adam sospirò, sedendosi sul letto. Guardò appena le due capsule gialle che l'infermiera aveva tolto dalla busta, mentre gliele metteva in mano. Le buttò giù con un sorso d'acqua e si sdraiò. Nell'attesa che l'analgesico facesse il suo effetto palpeggiò pigramente il castone del suo anello e si voltò a controllare un'ultima volta l'incantesimo protettivo, che aleggiava nell'aria come un pallidissimo simbolo di luce azzurra visibile soltanto a lui. Pochi minuti dopo ebbe l'impressione che i dolori alle costole cominciassero a placarsi; le sue palpebre si fecero più pesanti, e piano piano la stanchezza lo risucchiò nei gorghi del sonno. Per oltre un'ora dormì profondamente senza sognare nulla, un quieto viaggio attraverso gli oscuri e tranquilli mari dell'incoscienza. Ma infine quella distesa immobile cominciò a incresparsi d'onde che divennero immagini. Dapprima vide scorrere via scene che non significavano nulla, in fila come quadri esposti in una galleria d'arte. Poi uno dei quadri si dilatò ad assorbirlo, e lui si trovò di colpo dentro un sogno straordinariamente vivido. Il punto di vista dal quale osservava il sogno era lo stesso da cui aveva guardato la realtà prima di chiudere gli occhi: lui giaceva supino sul suo letto d'ospedale, ma la tenda intorno al letto era stata tirata lungo la guida e chiusa, nascondendogli così alla vista la porta e tutto il resto della camera. L'unica luce era il vago riflesso di una lampada accesa da qualche parte fuori, in corridoio. Ma non si udivano rumori, e all'improvviso in lui penetrò la certezza di essere completamente solo lì, in quella versione onirica dell'ospedale. Ma il suo senso di solitudine era permeato da una vaga sensazione di minaccia. Con cautela si alzò a mezzo, puntellandosi su un gomito, e tese le orecchie. Dopo qualche momento poté udire un furtivo scalpiccio da qualche parte, nei dintorni della porta. Il rumore gli diede l'impressione di una creatura grossa e pericolosa che si muoveva nella penombra. Adam s'irrigidì nell'udirlo, allarmato da ciò che implicava. Per fortuna il suo corpo di sogno non era bloccato dai dolori che menomavano il corpo
fisico... ma una strana melassa gli rallentava i pensieri rendendo goffe e incerte le sue reazioni. In silenzio si alzò a sedere sul letto, cercando di strapparsi via quelle ragnatele dalla mente. Al medio della mano destra aveva l'anello, con il castone girato verso il palmo. Lo ruotò all'esterno, e vide la luce azzurra dello zaffiro allungarsi come un raggio di energia. L'indistinto scalpiccio lasciò il posto al rumore di una creatura che frugava e annusava, dall'altra parte della tenda... la quale era, comprese, la manifestazione materiale del suo incantesimo protettivo. E qualunque cosa fosse quella minaccia, si stava rapidamente avvicinando al suo nascondiglio. Un corpo urtò contro la tenda, sulla destra del letto. D'istinto Adam alzò la mano e tracciò un simbolo di potere nell'aria, tra lui e la cosa invisibile che stava cercando di insidiarlo. Con la repentina reazione tipica degli incantesimi protettivi, la tenda diventò traslucida. E nello stesso momento l'ombra si condensò in una presenza bestiale, tutta zanne e artigli, occhi lampeggianti e tenebra. Con un sibilo, la belva balzò verso il letto. L'incantesimo protettivo fiammeggiò azzurro, sprizzando nell'aria una pioggia di scintille. Per un momento la forma della creatura restò stagliata su quella griglia d'energia luminosa, robusta e felina, con i denti scoperti in un ringhio minaccioso. Poi emise uno stridulo ululato di dolore e indietreggiò, furente. Quello scontro di energie ostili aveva però fatto vacillare l'incantesimo protettivo. Uno dei simboli laterali s'indebolì e si spense. Fuori dal perimetro azzurro che stava collassando pericolosamente l'ombra animalesca si accucciò, preparandosi a un altro balzo. Adam sapeva quello che avrebbe dovuto fare, ma la sua volontà sembrava irretita nelle sabbie mobili di un'invincibile pigrizia. Prima che escogitasse qualche altra difesa, la belva attraversò i simboli semidistrutti e gli si avventò alla gola. L'impatto lo fece cadere disteso all'indietro, con tale violenza da mozzargli il fiato nei polmoni. Mentre ansimava in cerca d'aria e si divincolava, l'ombra dell'aggressore parve dilatarsi sopra di lui schiacciandolo sotto un'enorme massa di tenebra animata. Fu come essere avvolto da una coperta di piombo, il cui peso lo soffocava e cercava d'immobilizzargli le membra. Grugnendo per lo sforzo, Adam spinse da parte quel peso e in qualche modo riuscì a trascinarsene fuori. Subito però la tenebra ridistribuì la sua pressione, piombandogli addosso dall'alto e tentando di stritolarlo anche dai due lati. Il sangue gli pulsava nelle orecchie, la vista era sempre più annebbiata, e capì che non gli restava più molto tempo. Sentiva che le forze cominciava-
no a mancargli, e che una maligna oscurità lo aggrediva nella mente e nell'anima, mentre la bestia assaliva e indeboliva ancora le sue difese. Cercando disperatamente l'origine di quell'attacco, alla fine riuscì vagamente ad accorgersi di una presenza umana ostile, che controllava e dirigeva dall'esterno la bestia di tenebra. Quella scoperta gli consentì di concentrarsi su qualcosa di più concreto, e dopo essersi contorto a destra e a sinistra poté alzare le mani e compiere un secco gesto di comando. Subito dopo, con la poca aria che gli era rimasta nei polmoni, gridò la Parola che inviava quell'ordine nel mondo dell'invisibile. La nera pressione del sogno scoppiò in una repentina vampa di luce. L'esplosione strappò via l'ombra e scaraventò Adam indietro a roteare in vortici di luce così abbaglianti che dovette chiudere gli occhi per non restare accecato. La sensazione di precipitare ebbe subito termine con un urto stordente, il quale gli segnalò che la sua anima era finalmente tornata nel corpo. Quando aprì gli occhi, respirando a fatica, vide di nuovo intorno a sé le spoglie e silenziose pareti della stanza d'ospedale, vuota e in penombra. Aveva dolore al petto, e il cuore gli batteva come impazzito. Fece l'atto di alzarsi su un gomito, e la pugnalata di dolore alla spalla e su tutto il lato destro del corpo gli strappò un gemito acuto. Sofferente e confuso ricadde sul letto. Si sentiva debole e a pezzi, come se la lotta a cui era sopravvissuto fosse stata fisica invece che mentale. Per un poco respirò a fondo, per ancorarsi più solidamente nel mondo materiale, poi si girò piano piano sul lato sinistro del corpo e si alzò a sedere, stavolta senza sforzare la spalla malconcia. Con il cuore in gola girò uno sguardo stordito sulla stanza, e s'irrigidì quando vide un'irregolare chiazza di tenebra sotto la sedia accanto al letto. Il residuo psichico che esalava da essa puzzava di carogna. Con una smorfia di disgusto, Adam radunò i brandelli dell'energia che gli restava e ricostruì l'incantesimo protettivo che aveva installato quel giorno intorno al letto. Quand'ebbe finito era così debole che gli parve di svenire. Respirando a fatica si lasciò cadere indietro sul letto e cercò di schiarirsi la mente abbastanza da mettere due pensieri uno dietro l'altro. Una parte di lui voleva disperatamente tornare a dormire, ma sapeva che non poteva soccombere al sonno. Le sue reazioni psichiche erano lente e disorganizzate, come se lo avessero drogato. C'è qualcosa che non va, riuscì a pensare. L'acido mefenamico non do-
vrebbe fare questo effetto. Le prime due dosi non mi avevano dato alla testa. Possibile che la dottoressa Lockhart mi abbia cambiato la prescrizione? No, naturalmente! replicò indignata un'altra parte di lui. Ma la causa doveva essere ciò che aveva preso poco dopo la mezzanotte: non un antiinfiammatorio e analgesico, bensì un potente sedativo. Le capsule gialle gli erano sembrate uguali a quelle prese in precedenza, ma doveva ammettere di non averle guardate bene. Un brivido gli corse lungo la schiena mentre si rendeva conto che avrebbe potuto essere morto, ucciso non dall'attacco psichico ma da qualche sostanza chimica. Che non gli fosse stato somministrato un veleno lo si doveva solo alla suprema arroganza di chi aveva predisposto l'attentato... o forse alla necessità di non lasciare prove di un omicidio. Questo faceva presumere che ci fosse un agente della Lince nell'ambiente medico, oltreché tra i membri della polizia. Ad ogni modo, ora che lui conosceva il pericolo, non intendeva cedere al sonno finché non fosse tornato al sicuro entro i confini di Strathmourne. Con un grugnito di dolore si girò e raggiunse il pulsante per chiamare un'infermiera. Poco dopo la porta si aprì, e l'infermiera dai capelli rossi mise dentro la testa. «Cosa posso fare per lei, dottor Sinclair?» domandò, premurosa. «C'è qualcosa che non va? Non riesce a dormire?» «Che ore sono?» domandò lui. «Le cinque in punto.» «C'è una cosa che può fare per me», disse lui con uno sforzo. «Vorrei che mi aiutasse ad arrivare a un telefono. Appena mi sarò accordato per farmi venire a prendere dai miei familiari, intendo farmi dimettere.» Philippa Sinclair era già sveglia quando sentì il telefono squillare al pianterreno della villa. In quel suono c'era qualcosa di urgente. Scese dal letto e indossò una vestaglia di satin. Pochi momenti dopo il telefono interno sul comodino emise un ronzio. Lei sedette sul bordo del letto e sollevò il ricevitore. «Sì, Humphrey, che c'è?» domandò con calma. «È Sir Adam, signora. Chiama dall'ospedale.» «Ah, allora sarà meglio che me lo passi.» «Subito, signora.» Philippa sentì alcuni clic mentre Humphrey trasferiva la chiamata, poi in
linea ci fu la familiare voce di Adam, tesa e rauca per la sofferenza e lo stress. «Ciao, mamma. Scusa se ti chiamo a quest'ora. Ti ho svegliata?» «No, stavo per alzarmi. C'è qualcosa che non va?» «Io... uh, penso che non mi serva a niente trascorrere altro tempo in ospedale. Ho chiesto a Humphrey di venire a prendermi.» Le parole erano alquanto neutrali, ma dal tono trapelavano emozioni allarmanti. «Adam, tu stai bene?» domandò Philippa. «Ora sì. È sufficiente mandare qui Humphrey. Non preoccuparti.» «Capisco. Be', a quest'ora non ci sarà molto traffico. Vuoi che venga anch'io?» «No, non ce n'è bisogno. Ci vediamo tra un paio d'ore.» Humphrey arrivò all'ospedale poco dopo le sei, con un cambio di abiti completo. A quell'ora, e dopo aver bevuto parecchie tazze di caffè, Adam aveva constatato che buona parte dell'effetto del sedativo era scomparso; ma lo sforzo di vestirsi, anche con l'aiuto di Humphrey, lo stancò più del previsto. Dopo aver firmato i moduli necessari a farsi dimettere, non si oppose a essere portato fino alla Bentley su una sedia a rotelle. Quando fu sistemato sul sedile posteriore e l'auto partì, si concesse di rilassarsi un poco. Ma nel rispondere alle preoccupate domande di Humphrey sull'incidente si trovò a pensare a certe cose accadute nelle ultime ventiquattr'ore... non agli effetti, ma alle cause. «Humphrey, non vorrei che tu mi credessi scortese, ma sono davvero sfinito», disse, cercando una posizione più comoda. «Cercherò di fare un sonnellino.» «Naturalmente, signore.» Ma mentre Humphrey continuava a guidare verso casa e verso la sicurezza, Adam cercò di riflettere meglio sull'incidente. McLeod aveva espresso subito l'ipotesi che non fosse stato affatto un incidente... e lui, ancora sotto shock, aveva messo da parte quell'idea senza pensarci troppo. Ora invece gli sembrava di capire come fosse stato organizzato, e perché. Ricordava il motociclista che loaveva raggiunto rapidamente da dietro, e che lo aveva sorpassato nel momento in cui il pneumatico era esploso. Dubitava di poter provare qualcosa, ma avrebbe scommesso che a colpire il pneumatico fosse stato un proiettile sparato proprio da quel motociclista. E il tempestivo intervento della sua «buona samaritana»... anche questo
doveva esser stato parte della scena, per far sì che, se lui fosse sopravvissuto all'incidente, finisse nell'ospedale giusto, dove un altro membro della squadra avrebbe provveduto a dargli il colpo di grazia. «Credo che tu abbia ragione», concordò Philippa, quando le riferì queste deduzioni, dopo aver fatto colazione nel soggiorno. «Bisogna ammetterlo, tutto era stato ben pianificato. Se tu fossi stato un guidatore meno abile, le cose avrebbero potuto andare molto diversamente.» «Se fossi stato più accorto, non mi sarebbe successo proprio niente», mormorò Adam, accigliato, mentre si portava alle labbra una tazza di tè con la mano sinistra. «E ora sei irragionevolmente severo con te stesso», replicò lei. «Se il colpo è stato messo a segno come tu immagini, non avresti potuto fare molto per prevenirlo. Dopo essere sopravvissuto all'incidente non ti sei comportato male, considerato il tuo stato di shock. È chiaro che sospettavi che ci fosse qualcosa di strano, altrimenti non ti saresti opposto al prelievo del sangue.» «Il prelievo non avrebbe fatto la minima differenza», disse cupamente Adam, deponendo la tazza. «È ovvio che sono riusciti a usare qualcos'altro per il contatto psichico... probabilmente le garze insanguinate rimaste nell'infermeria dopo la sutura delle ferite. E se stai pensando alla dottoressa che mi ha curato, no... non credo affatto che lei sia coinvolta nel complotto.» Philippa scrollò le spalle, come a dire: non sono stata io a suggerirtelo. A disagio, Adam continuò: «Sono perfino riusciti a sostituire la medicina che mi avevano prescritto per la notte. E questo è preoccupante... mi chiedo come abbiano fatto». Philippa allargò le mani. «Forse riusciremo a scoprirlo, se è questo che ti assilla. Ora il suo effetto sembra svanito, ma certo hai ancora nel sangue qualche residuo di quella droga. Vuoi che ti faccia un prelievo e mandi Humphrey a consegnarlo allo Jordanburn?» Adam ridacchiò aspramente e alzò la mano sinistra a tastare la benda che aveva intorno alla fronte. «Potrebbe non essere una cattiva idea... anche se, a giudicare dall'effetto, direi che fosse un sedativo di qualche genere. Mi ha confuso la mente, e ha diminuito molto la mia capacità di resistenza.» S'interruppe per sbadigliare e sospirò. «Se l'aggressore avesse avuto successo, la mia morte sarebbe stata attribuita a un'emorragia cerebrale o qualcosa del genere, una conseguenza del trauma cranico di ieri mattina. Date le circostanze, se mi avessero trovato del Valium o del Librium nel
sangue avrebbero potuto pensare che l'avessi preso prima di uscire di casa.» «Credo che dovresti farti fare un'analisi del sangue, Adam», insistette Philippa, mettendo da parte il tovagliolo. «E vorrei vederti a letto quanto prima, per fare qualche ora di sonno. Inoltre, non mi piace per niente l'idea che la Loggia della Lince abbia dei campioni del tuo sangue. Mi viene da chiedermi cos'altro abbiano in programma... forse un secondo attacco, ora che il primo è fallito.» «Qui non possono raggiungermi, mamma», ribatté con calma lui. «Lo so. Ma prima o poi dovrai uscire.» «È vero. D'altra parte, ho degli impegni.» «Questo lo capisco», annuì Philippa. «Ma voglio che tu non corra rischi inutili. Promettimi che non ti esporrai nei prossimi giorni... almeno finché non ti sarai ripreso un poco. Neppure con tutta la migliore buona volontà», aggiunse, in tono pratico, «potresti andare alla caccia di quei malfattori con un braccio al collo e le costole che ti fanno male ogni volta che respiri.» «Non sono un'immagine molto eroica, eh?» disse Adam, con un sorriso stentato. «Non ti prometto niente, ma stai certa che così ridotto non potrò esagerare con le bravate.» «Dovrò accontentarmi di questo, immagino», sospirò Philippa. «Se ora hai finito la colazione, puoi dare inizio al tuo regime di buonsenso trasferendoti subito a letto. Tra qualche minuto salirò in camera tua per farti il prelievo.» 29 Quel sabato pomeriggio Adam si svegliò prima delle cinque, pieno di dolori muscolari, ma senza sintomi di mal di testa o confusione mentale. Stava cercando di capire se avesse la forza di alzarsi e scendere al pianterreno, quando Humphrey arrivò con la cena su un vassoio. «Ah, si è svegliato, signore!» esclamò il maggiordomo. «La sua signora madre mi ha chiesto di non lasciarla dormire oltre le cinque. Le dirò che lei si sta stiracchiando.» Adam non avrebbe definito «stiracchiamenti» i suoi cauti sforzi, ma dopo che Humphrey fu uscito fece un lento viaggio nel bagno, e quando Philippa sopraggiunse lo trovò rigidamente seduto al tavolino davanti alla finestra. «Allora, come ti senti?» domandò, mentre lui alzava il tovagliolo per in-
vestigare sul contenuto del vassoio. «Come se mi avessero preso a bastonate», rispose con una smorfia.«Non avresti dovuto lasciarmi dormire tanto.» «Ne avevi bisogno», replicò bruscamente lei. «E voglio che torni a letto appena avrai messo qualcosa nello stomaco.» Philippa poggiò una confezione di capsule gialle accanto al vassoio. «Questo è l'analgesico che ti è stato prescritto, e che anch'io ti raccomando. Ciò che hai avuto, nelle capsule di questa notte, è stata una dose di Valium sufficiente a metterti fuori combattimento per qualche ora. Almeno, questo è ciò che il laboratorio ha trovato nel tuo sangue. Sei stato fortunato a trovare la forza di reagire, o forse l'assassino ha attaccato quando l'effetto del Valium non era ancora al massimo.» Adam guardò la scatola dell'analgesico, su cui era stampigliato il timbro del Royal Edinburgh Hospital; estrasse dalla confezione due capsule gialle e le buttò giù con un sorso di succo d'arancia preso dal vassoio. La cena consisteva in uova strapazzate, pomodori alla griglia e funghi, con pane tostato e burro. Mentre impugnava goffamente la forchetta con la sinistra, gettò un'occhiata a sua madre. «Allora, aggiornami un po' su quello che è successo oggi», chiese, cominciando a mangiare. «Be', Peregrine e Noel hanno telefonato per sapere come stavi. Passeranno a farti visita domani, dopo pranzo. Tra le macerie della Loggia di Dunfermline hanno trovato questo.» Da una tasca del cardigan color malva, la donna tolse un oggetto avvolto in un panno di seta e due fazzoletti. Adam notò che anche lei portava il suo anello con il castone a forma di scarabeo. Abbassò la forchetta, mentre lei apriva l'involto. Tra la stoffa c'era un disco annerito largo cinque centimetri. «Non cercare di toccarlo», lo avvertì, quando lui si chinò per vederlo meglio. «Ora non è attivo, naturalmente, ma contiene un bel po' di energia residua. Potrai giocarci domani. Dapprima ho pensato che fosse argento, ma in effetti sembra un sandwich composto da uno strato di ferro, o acciaio, chiuso tra due d'argento. Io e Noel l'abbiamo controllato con una calamita, e risulta ferroso... proprio come quello che l'agente Cochrane ha trovato a Balmoral.» «Ha trovato nel castello uno di questi?» «Be', ciò che ne resta», rispose Philippa. «Quello che importa è che ora abbiamo un medaglione della Lince in nostro possesso, e un chiaro colle-
gamento tra il fulmine che ha colpito Balmoral e i due di Calton Hill e Dunfermline. Suppongo che quello di Balmoral sia stato una prova, per vedere se riuscivano davvero a controllare i fulmini... ed è ovvio che possono farlo. Ora mangia la tua cena, caro, prima che si raffreddi.» Mentre sua madre riavvolgeva i resti dermedaglione, Adam riprese a mangiare, ma la sua mente stava lavorando con intensità sulle implicazioni. Dopo qualche minuto Philippa accese la TV portatile per vedere un notiziario del pomeriggio. I titoli di testa erano dedicati quasi interamente alla situazione politica del Medio Oriente, ma la cronaca scozzese dedicava un buon quarto d'ora agli aggiornamenti su quella che era chiamata «la tragedia di Dunfermline». C'erano alcune brevi interviste, dove si ventilavano le ipotesi più diverse. Il portavoce della polizia di Dunfermline dichiarò che, non essendo state trovate tracce chimiche di esplosivi, l'incidente veniva trattato come una «possibile fuga di gas». Un ambientalista locale si disse convinto che l'incidente fosse stato causato da «forze naturali», e andò oltre affermando che era l'ora che la Scozia prendesse provvedimenti per ripulire l'ambiente, prima che l'inquinamento causasse altri e più gravi disastri. L'ultima intervista era con un ispettore di polizia fuori servizio, di nome Napier, che era stato invitato a commentare l'evidente nesso tra l'incidente della Loggia e quello del cimitero di Calton Hill della settimana precedente. La sua risposta, secondo l'opinione di Adam, fu ancora più estremista della precedente, benché espressa in termini che un ascoltatore distratto avrebbe considerato ragionevoli. «Non posso dire di essere uno di quelli che credono nella vendetta divina», commentò Napier, con un sorrisetto sardonico, «ma neppure io posso ignorare il fatto che questi recenti fulmini sembrano esser stati diretti con precisione contro membri della Massoneria. Se fossi un uomo religioso, sarei tentato di dire che questa gente ha fatto qualcosa per meritarsi l'ira di Dio. Forse dovremmo chiederci cosa possono aver fatto, ed eseguire delle serie indagini sulle loro cosiddette attività segrete.» Con quell'intervista si chiuse il servizio su Dunfermline, e malgrado la stanchezza Adam non riuscì a nascondere la sua indignazione. Quando Philippa spense il televisore, lui scosse il capo, accigliato. «Per quanto riguarda i massoni, dichiarazioni di questo genere sono le più stupide e dannose che qualcuno potrebbe fare», disse, spingendo di lato il vassoio. Philippa annuì. «Sembra quasi che qualcuno voglia scatenare una caccia
alle streghe contro di loro. Mi chiedo se Noel conosca l'intervistato. Probabilmente è un suo collega.» «Penso che gli farò una telefonata. Oltre a rassicurarlo sulle mie condizioni di salute, gli chiederò di vedere cosa può scoprire su questo ispettore Napier.» Prima di tornare a letto, Adam parlò brevemente sia con McLeod che con Peregrine. Quella notte dormì di un sonno senza sogni, ma la sua non fu una nottata tranquilla. Era consapevole di una presenza ferina che si aggirava intorno al perimetro della tenuta, mettendo alla prova le sue difese e cercando ripetutamente il modo di oltrepassarle. Tuttavia aveva detto la semplice verità a sua madre, affermando che niente poteva raggiungerlo entro i confini della villa. Strathmourne era ben protetta contro gli intrusi astrali non desiderati. La giornata di domenica si aprì con un mattino luminoso e gelido. Adam fu svegliato dal suono di campane in distanza, e scoprì di essere più rigido e dolorante del giorno addietro; ma mentalmente si era ripreso del tutto. Una lunga doccia calda gli alleviò molto i dolori, e potersi vestire di tutto punto per il pranzo domenicale insieme a sua madre e Mrs. Talbot, in completo grigio, gilet e cravatta blu, invece che in veste da camera, servì a tirarlo su di morale, anche se gli costò un certo sforzo fisico e dovette farsi aiutare da Humphrey. Il sostegno di tela e nylon per il braccio non migliorava la sua immagine, però gli dava un gran sollievo alla spalla destra, così lo indossò volentieri. Dopo pranzo andò a controllare le condizioni di Gillian, e trascorse una mezz'ora seduto al capezzale della ragazzina mentre sua madre le leggeva un libro, riflettendo su quell'anima intrappolata in un corpo sempre più fragile, e sperando che la vicinanza fisica gli ispirasse qualche terapia più efficace. Peregrine arrivò alle due in punto, e McLeod poco più tardi, quest'ultimo portando con sé il fascicolo dell'incidente di Balmoral. Humphrey li fece passare in biblioteca, dove Adam si era già sistemato sulla sua poltrona preferita accanto al caminetto, con le gambe allungate su uno sgabello. Philippa era rimasta al piano di sopra, per la seduta giornaliera di terapia di contatto con Gillian. «Suppongo che tua madre ti abbia già parlato di ciò che Donald Cochrane ha trovato», cominciò McLeod, aprendo il fascicolo sulle ginocchia e scartabellando tra i documenti alla ricerca di uno in particolare. «È una testa fredda quel ragazzo: si è tenuto sotto controllo per tutta l'indagine, e non una parola sull'episodio dell'origami... anche se scommetto che ardeva dalla voglia di chiedermi qualcosa. Quando questo polverone si sarà dissi-
pato, dovremo pensare seriamente alla possibilità d'illuminarlo un poco... e vedere come reagisce.» Trovò il documento che stava cercando, girò una pagina e lo consegnò a Adam, mentre Peregrine osservava in silenzio. «Ciò che importa di più è qui. Il resto è solo il rapporto ufficiale: i resoconti dei testimoni oculari, il rapporto della scientifica compilato dalla squadra artificieri e le dichiarazioni di alcuni tecnici dell'assicurazione intervenuti per valutare i danni all'edificio. Ci sono anche delle foto, ma non ci dicono molto. Ho portato tutto, in modo che tu abbia il fascicolo completo a tua disposizione se vorrai leggerlo più tardi, ma Donald ha messo in evidenza il punto chiave, credo.» Non so se sia significativo, aveva scritto Cochrane nel suo rapporto a McLeod, ma mentre mi aggiravo tra i detriti alla base della torretta, molto vicino al punto in cui il fulmine deve aver colpito, ho notato un piccolo oggetto metallico incastrato tra due pietre, sull'angolo. Parte di esso si era fuso, colando sulla pietra inferiore. Sembrava di peltro, o d'argento. Ho cercato di estrarre quello che ne restava con il mio temperino, ma era fuso nella fessura. Ho notato però che, qualunque cosa fosse, il residuo era fortemente magnetizzato (attraeva la lama del mio temperino, che magnetizzata non è). Mi è venuto da chiedermi se sia possibile che un oggetto del genere riesca ad attrarre un fulmine. «Non è riuscito a procurarsene un campione?» domandò Adam. «No. Era praticamente fuso con la pietra, come ci si può aspettare dopo esser stato colpito da un fulmine. Inoltre, c'erano un paio di militari con lui che gli mostravano il posto, e Donald non voleva risvegliare la loro curiosità.» «Sì, ha fatto bene», approvò Adam. «E mia madre ha detto che anche il medaglione di Dunfermline è molto magnetizzato.» McLeod annuì, ma Peregrine appariva sempre più preoccupato. «Adam, questo non ha senso. Non voglio discutere con l'evidenza... ma perché Balmoral? Non rientra nello schema.» «No, lo schema è venuto dopo», rispose Adam. «L'altra sera mia madre ha ipotizzato, e secondo me giustamente, che colpire Balmoral sia stato solo un tentativo sperimentale, per vedere se riuscivano a controllare i fulmini. O forse è stata una dimostrazione di forza, una mossa per mettere in riga il gruppo... e quand'è riuscita, i responsabili hanno saputo di essere pronti per colpire altri obiettivi.» «L'assassinio sistematico di diversi massoni», disse McLeod, con una
smorfia. «Sì, ma io credo che ci sia qualcosa di ben più oscuro dietro questa faccenda», proseguì Adam. «Se uno vuole semplicemente ammazzare della gente, non si prende un disturbo del genere, né affronta a cuor leggero il forte consumo di energia psichica che occorre per uccidere con l'uso del fulmine, di un elementale... anche se possiamo umanamente supporre che, in un momento di rabbia, qualcuno possa desiderare che un fulmine colpisca un avversario scomodo. Una pistola o una bomba sono meno faticose da usare, e più efficienti. «Tuttavia, il fatto che i nostri avversari si stiano accollando queste difficoltà, e l'alta spesa psichica che esse costano, dimostra che il loro scopo ultimo sta molto oltre una mera ostilità per la Massoneria. Ciò rende ancor più importante scoprire chi sono e cosa si propongono, prima che sia troppo tardi. Fortunatamente ora abbiamo uno dei loro medaglioni... e questo può essere l'elemento di cui avevamo bisogno. Peregrine, hai altri progetti per il pomeriggio?» Peregrine si piegò in avanti, eccitato. «Niente. Mi sono tenuto libero, nel caso avessi avuto bisogno di me.» «Bene. Allora vorrei che andassi a procurarmi delle carte geografiche», disse Adam. «Mi occorrono carte di grosse dimensioni, le più particolareggiate possibili, che coprano l'intera superficie della Scozia.» Peregrine fischiò tra i denti. «So in quali distributori di benzina vendono questo genere di carte stradali, ma probabilmente dovrò andare fino a Edimburgo per trovarne uno aperto, specialmente di domenica.» «Allora farai meglio a muoverti, prima che i distributori chiudano. Coraggio, vai.» Quando il giovane artista fu uscito, Adam cambiò faticosamente posizione sulla poltrona e si volse a McLeod. «Ora, per quanto riguarda questo ispettore Napier, che sembra così ansioso di mettere nei guai i tuoi confratelli massoni, cosa sai dirmi?» McLeod grugnì. «Buona domanda. Non so cosa passi per la testa di quell'uomo, ma ieri sera mi sono visto l'ultimo notiziario, dopo che mi hai chiamato. Ciascuno ha diritto di pensarla come vuole, naturalmente, ma un pubblico ufficiale nella sua posizione di solito ha il buonsenso di tenere per sé opinioni che sconfinano nella calunnia.» «Già, difficilmente avrebbe potuto dire qualcosa di più dannoso per i massoni», mormorò Adam. «Viene da chiedersi se non sia stata un'indiscrezione deliberata, calcolata per infiammare gli animi. Cos'hai trovato su
di lui?» McLeod si strinse nelle spalle. «Niente di particolare, temo. Questa mattina sono passato dall'ufficio e ho dato un'occhiata al suo fascicolo. Il profilo psicologico lo dipinge come un lavoratore assiduo. Conosci il tipo... uno che non brilla per il genio, ma porta avanti i compiti meno gradevoli. Ad ogni modo, anche lui ha le sue ambizioni. Dal fascicolo risulta che negli ultimi dieci anni ha fatto tutto il possibile per ottenere promozioni, finché oggi lo troviamo con il grado di ispettore.» «Dunque dici che in luì non c'è niente di speciale?» «Niente di niente. In effetti è un tipo così qualsiasi, almeno sulla carta, che questa in sé è quasi una stranezza. Sotto ogni aspetto è un solitario... non è sposato, non ha molti rapporti con i parenti. Non è particolarmente popolare con i subordinati, ma non ha neppure nemici. Il peggio che si può dire di lui è che è piuttosto scontroso e non sa stare agli scherzi.» «E per quanto riguarda il suo stato di servizio?» «Anche qui non c'è molto da dire. Fa il suo lavoro, e questo è tutto. Non è mai stato rimproverato, neppure per infrazioni dappoco. D'altra parte non ha mai ricevuto encomi.» McLeod fece una pausa e si accigliò. «A pensarci bene, questo è un po' strano per uno del suo grado e con la sua anzianità. Non mi sembra di conoscere altri ispettori che non abbiano ricevuto almeno un encomio ufficiale. Mi chiedo come il nostro Napier possa essere arrivato a questo punto della sua carriera senza far niente di notevole, nel bene o nel male.» «Mmm, sì, è come se avesse deliberatamente evitato di attrarre l'attenzione su di sé, pur lavorando per migliorare la sua posizione», commentò Adam. «L'istinto cosa ti dice?» «Il mio istinto dice che in quest'uomo c'è più di quanto mostra il suo fascicolo», rispose francamente McLeod. «Se non hai bisogno di me qui, penso che andrò ad annusare un po' in giro. Sappiamo che la Lince ha qualcuno nella polizia. Sto cominciando a sospettare che sia Napier.» Dopo che McLeod se ne fu andato, Adam approfittò di quella pausa per schiacciare un pisolino di cui aveva molto bisogno. Si svegliò due ore dopo, e si era appena seduto in biblioteca per bere una tazza di tè quando Peregrine fece ritorno a Strathmourne con le mappe stradali da lui chieste. «Ci crederesti che sono dovuto andare a sei diversi distributori di benzina, prima di mettere insieme la serie completa?» esclamò il giovanotto, brandendo il frutto del suo lavoro. «Non ho trovato le isole Orkney, perciò
mi auguro che da quelle parti non stia succedendo nulla di sporco. Dove le metto?» «Per ora appoggiale su quel tavolino», rispose Adam con un sorriso. «Hai mangiato qualcosa?» «Non dopo l'ora di pranzo. Perché?» «Bene. Allora resterai a digiuno per un'altra ora o due, perché ho del lavoro per te, e si tratta di operazioni che vanno effettuate a stomaco vuoto, almeno le prime volte, mentre impari. Te la senti di esercitare la mano all'uso del pendolo?» «Io?» La procedura non era sconosciuta a Peregrine, perché aveva visto Adam usare una specie di pendolo al castello di Dunvegan, insieme a delle carte stradali, per determinare dove si trovava lo Stendardo degli Elfi, da poco rubato. I suoi occhi si dilatarono un poco alla prospettiva di tentare lui stesso qualcosa del genere. «Sono disposto a provarci, naturalmente, ma spero che tu abbia intenzione di farmi da guida.» «È precisamente ciò che voglio fare», annuì Adam. «Prima dobbiamo fare qualche preparativo, però... innanzitutto abbiamo bisogno di spazio. Humphrey è andato a prendere quel medaglione dalla cassaforte. Appena ci raggiunge, ci sposteremo nella stanza da disegno.» La stanza da disegno sembrava fredda, dopo l'ambiente comodo e ben riscaldato della biblioteca. Muovendosi ancora con rigidità, Adam andò a sedersi su una cassapanca vittoriana presso il muro e diresse Humphrey e Peregrine mentre sgombravano il pavimento al centro del locale. Mentre gli altri due aprivano le carte stradali e le disponevano nella giusta posizione, Adam prese la scatola rivestita di seta portatagli dal maggiordomo e ne tolse ciò che restava del medaglione della Lince. L'oggetto giacque inerte nella sua mano, reso innocuo dallo schermo protettivo in cui Philippa lo aveva rinchiuso il giorno prima per rafforzare quello posto inizialmente da McLeod. Nonostante ciò, Adam avvertiva ancora un residuo stagnante della malvagità che aveva impregnato la sua costruzione. Con un po' di fortuna, se aveva ben giudicato le capacità potenziali di Peregrine al riguardo, quel medaglione li avrebbe messi in grado di rintracciare il collegamento psichico che ancora lo univa ai suoi costruttori. Mettendo momentaneamente da parte l'oggetto, Adam tolse dalla scatola un rotolo di filo di seta azzurra, e chiese a Peregrine di staccarne un pezzo lungo un braccio. Poi, mentre il giovanotto tornava ad assemblare le map-
pe, usò goffamente la mano sinistra per assicurarne un capo intorno al medaglione della Lince, ottenendo così un pendolo. Per qualche momento, arrotolandone l'estremità libera intorno a un dito, tentò di usare la mano destra per farlo oscillare, ma lo sforzo che subiva la spalla era troppo doloroso per ciò che lui aveva in mente. No, Peregrine avrebbe dovuto volare con le sue ali, in quell'esercizio. Rialzando lo sguardo vide che Peregrine aspettava davanti a lui, mentre Humphrey si era spostato accanto alla porta. Il tappeto di carte geografiche era adesso completo e mostrava tutta la Scozia in due dimensioni, con i contorni geologici indicati da diverse variegate sfumature marroni e verdi. Adam vide che i suoi due aiutanti avevano fissato le carte in posizione con pezzi di nastro adesivo sugli angoli. Rimise il pendolo nella scatola, ringraziò Humphrey dandogli il permesso di andare, e si rivolse a Peregrine. «Prendi una sedia e mettiti comodo un momento. È ora che la faccenda diventa tecnica.» «Doveva succedere, prima o poi.» Peregrine andò a prendere una sedia imbottita e la piazzò sul lato opposto della stanza. «D'accordo, sentiamo il peggio.» «Rilassati. Non sarà così difficile per te», lo rassicurò Adam con un sorriso. «Ora, una lezione rapida sulla teoria del pendolo. Per dirla in parole semplici, il pendolo funziona secondo il principio descritto dalla Legge delle Corrispondenze. Essa postula che il mondo dei simboli e il mondo degli oggetti materiali esistono in rapporto reciproco. In altre parole, ciò che esiste fisicamente può essere percepito simbolicamente da chiunque abbia le conoscenze adeguate. «Prendiamo la carta della Scozia che tu e Humphrey avete pazientemente costruito», proseguì, indicandola con la mano sinistra. «In un certo senso è soltanto carta stampata, ma in un altro è la diretta estensione di ciò che rappresenta. Ciò che occupa spazio nel mondo materiale, ha uno spazio equivalente nel mondo dei simboli... e per questa ragione è possibile localizzare l'uno secondo i termini dell'altro. Mi stai seguendo?» Peregrine annuì. «Mi gira un po' la testa, ma sì, credo di sì.» «Molto bene. In tal caso passeremo al punto successivo, il pendolo. Qualsiasi cosa, teoricamente, può essere usata come pendolo, a patto che mantenga in sé un'energia residua associata con la persona che manovra il pendolo oppure con l'oggetto che questi tenta di trovare. Noi utilizzeremo come pendolo quello che resta del medaglione della Lince da te trovato a Dunfermline.»
Adam indicò la scatola in cui c'era il medaglione legato al filo di seta. «E adesso cercherò di spiegarti cosa faremo. Per assolvere il compito per cui è stato costruito, cioè essere un punto di attrazione per il fulmine, questo medaglione dev'essere stato magicamente collegato alla persona che evoca il fulmine, probabilmente tramite un oggetto di potere. Io credo che questo oggetto sia il collare che hai visto a Calton Hill. Dove c'è il collare, c'è anche la persona che lo sta manovrando. Muovendoti sopra la carta geografica, e usando il pendolo per avvertire le corrispondenze, io spero che potrai localizzare la persona che si sta servendo del potere del fulmine.» Peregrine guardò la carta, piegò le labbra in una smorfia e gettò un'occhiata al medaglione. «D'accordo. Devo tenerlo in qualche modo particolare?» «Otterrai il contatto migliore se terrai un'estremità del filo tra il pollice e l'indice, stretto appena quanto basta per non lasciarlo cadere.» Cautamente, non dimentico della scossa che aveva avuto, Peregrine prese il filo di seta e sollevò il medaglione dalla scatola. Mentre lo guardava ruotare lentamente poté sentire uno strano fremito, come se l'oggetto discoidale avesse una vita propria. «Ti suggerisco di levarti le scarpe», consigliò Adam. «Questo ti aiuterà ad avere un collegamento fisico con la superficie della carta geografica e ciò che essa rappresenta. Poi cerca di svuotare la mente e di essere il più possibile passivo. Sarà il pendolo a portarti verso il punto.» Peregrine annuì e si tolse le scarpe di pelle marrone. Il fremito trasmesso dal pendolo diventò più forte. Ubbidendo ai consigli di Adam trasse qualche profondo respiro finché fu rilassato, poi si lasciò guidare dal movimento del pendolo che sembrava volerlo tirare dietro di sé, e oltrepassò il bordo della mappa portandosi sulla zona sud-orientale della Scozia. Mentre Adam, seduto sulla cassapanca, lo guardava, il giovanotto mosse qualche passo esitante sulla carta che crepitava leggermente sotto i suoi piedi, coperti solo dai calzini. Tenendo il pendolo a braccio teso davanti a sé, in modo che sfiorasse la superficie del territorio, lo seguì spostandosi piano piano verso nord-ovest. «Lo sento tirare da questa parte», riferì, senza guardarsi attorno. «Non sembra molto interessato a Edimburgo. Tende piuttosto in direzione di Falkirk... sì, l'attrazione qui sembra più forte. Più a ovest... più a nord... verso Stirling, forse...» Le oscillazioni del pendolo sembrarono stabilizzarsi quando Peregrine lo avvicinò a Stirling. Il giovanotto tratteneva il respiro, in attesa di vedere
cosa sarebbe successo. Ma proprio quando ormai pensava che si sarebbe fermato sentì un improvviso strappo e il pendolo ricominciò a ondeggiare, muovendosi disordinatamente avanti e indietro senza nessun obiettivo preciso. «Dannazione, credo di averlo perso!» mugolò Peregrine. «Non preoccuparti», disse con calma Adam. «E non forzare la ricerca. È importante restare passivo. Limitati a star fermo e aspetta. Chiudi gli occhi, se vuoi rilassarti di più. Quando il collegamento tornerà a farsi sentire, non cercare di anticiparlo o interpretarlo... segui solo quello che senti.» Con un cenno d'assenso Peregrine chiuse gli occhi e si concentrò, riportando la respirazione sotto controllo. La sua eccitazione si spense, lasciandolo di nuovo calmo e ricettivo. Piano piano tornò a spostare la sua attenzione sul pendolo. Dopo un paio di minuti avvertì una trazione con la punta delle dita, ancor più forte che in precedenza. Stavolta l'inclinazione sembrava portarlo verso nord, con una leggera tendenza a ovest. Fissando lo sguardo sull'orologio a forma di banjo appeso sulla parete più lontana della stanza, Peregrine scacciò dalla mente ogni speculazione sulla destinazione ultima del pendolo e si lasciò condurre. Dopo cinque minuti la trazione cessò, lasciando il pendolo a girare in tondo all'estremità del filo. «Ma qui non c'è niente!» si stupì Peregrine, abbassando gli occhi a guardare la carta. «In questa regione ci sono soltanto montagne.» «Va bene», intervenne Adam. «Torna sul bordo meridionale della mappa, e prova di nuovo.» Sotto la direzione di Adam, Peregrine ripeté il procedimento altre quattro volte, partendo da un punto cardinale sempre diverso. Ogni volta sperimentò la stessa iniziale e inconfondibile deviazione verso Stirling, prima che il pendolo gravitasse verso la spoglia regione al centro dei monti Cairngorms. «Molto strano», commentò Adam, dopo il quinto tentativo. «Se la mia diagnosi è corretta, abbiamo localizzato due diverse concentrazioni di potere. Mi incuriosisce particolarmente quella zona dei monti Cairngorms. Se in questi giorni sulle Highland non stesse nevicando, potremmo chiedere a Noel di organizzare una ricognizione aerea. Stando così le cose, dubito che dal cielo si possa vedere molto...» Mentre la sua voce si spegneva pensosamente, Peregrine lo guardò con aria interrogativa. «Cosa avresti in mente?»
«Forse un'escursione via terra nell'interno della Scozia», rispose Adam, guardando la carta. «Un fuoristrada con quattro ruote motrici dovrebbe farcela, su quei sentieri... anche se dopo aver perso la Range Rover dovremo affittarne uno, e io temo di non essere in condizione di guidare, con un braccio al collo. Ma se tu pensi di farcela, potremmo partire non appena le condizioni del tempo miglioreranno, e organizzarci per trascorrere un giorno o due in quella regione.» «Sicuro, io ci sto», esclamò Peregrine. «Nel frattempo, però, perché non indaghiamo a Stirling? È molto più vicino dei Cairngorms, e non c'è bisogno di un fuoristrada per arrivare là.» «È quello che stavo pensando anch'io», concordò Adam. «Per oggi, comunque, si è fatto tardi e io sento il bisogno di dormire un po'. Lasciami riposare questa sera, e domani mattina decideremo il da farsi.» 30 Dopo che Peregrine se ne fu andato, Adam restò per qualche tempo nella stanza da disegno; sedette in poltrona e rifletté pensosamente sulle carte geografiche e sull'enigma rappresentato dal comportamento del pendolo. Si stava appisolando, quando un lieve bussare alla porta lo distrasse dalle sue meditazioni. «Sei ancora qui?» chiese Philippa, mettendo dentro la testa. «Se stai pensando di trascorrere il resto della serata in questa stanza, forse sarà meglio accendere il fuoco.» «Inutile disturbare Humphrey. Stavo per trasferirmi in biblioteca», rispose, con un sorriso che si trasformò in una smorfia quando fece per raddrizzarsi. Ogni movimento improvviso gli mandava una fitta nelle costole. Philippa esaminò le carte che coprivano il pavimento ed elargì al figlio un'occhiata ironica. «A giudicare da quello che vedo, direi che ti sei dato molto da fare, qui dentro», osservò seccamente. «Oh, a lavorare con il pendolo è stato Peregrine», spiegò Adam. «Te ne parlerò a cena... oppure avremo a tavola anche Mrs. Talbot?» «No. Si è ritirata in camera sua davanti alla TV, portando con sé la cena su un vassoio. Penso che abbia paura di approfittarsi troppo della nostra ospitalità e darci disturbo... il che, stasera, è vero. Faccio servire la cena nella Stanza Rosa?» Alle sette e trenta cenarono frugalmente con pollo arrosto e insalata, e Adam evitò di toccare il vino in vista di ciò che progettava di fare più tar-
di. Philippa era impaziente di sentirsi raccontare ciò che Peregrine aveva fatto con il pendolo, e quando Adam finì il suo resoconto annuì con aria d'approvazione. «Il ragazzo sta crescendo, non è così?» commentò. «La decisione spetta a te, naturalmente, ma mi sembra che sia pronto... più che pronto, per presentarsi candidato all'iniziazione.» «Sono d'accordo.» «Al solstizio d'inverno non manca molto», continuò Philippa. «Quello sarebbe il momento più adatto.» «Sarebbe adatto, sì... tuttavia, prima di pensare a questo, vorrei farmi un'idea più chiara di quello che sta succedendo. Finora sono stati loro a guidare la danza. Non sappiamo neppure chi siano loro, salvo che si tratta della Loggia della Lince. Dobbiamo cominciare a passare all'azione, prendere l'iniziativa...» «La penso anch'io così», concordò Philippa. «Ma tieni a mente che non sei in buone condizioni fisiche. Non devi sottovalutare il costo che questo incidente sta richiedendo alle tue energie psichiche.» Adam sbuffò, palpeggiandosi la spalla destra. «Sono consapevole dei miei limiti, e non sono così orgoglioso da non chiedere aiuto, se è necessario. Del resto, se i nostri nemici pensano di avermi messo fuori combattimento, hanno fatto un errore. Peregrine ha suggerito di dedicare la nostra attenzione a Stirling, e ho riflettuto su questa possibilità. Credo di avere un'idea.» In poche parole Adam espose a Philippa ciò che aveva pensato. «Sembra promettente», riconobbe lei. «Non c'è dubbio che valga la pena di fare un tentativo. Vuoi un po' di quell'aiuto che dici di non essere così orgoglioso da rifiutare?» Adam scosse il capo, sorridendo. «Non stavolta... comunque grazie dell'offerta. Sto ancora lavorando sui particolari. Quando avremo preso il caffè, mi ritirerò in biblioteca e vedrò cosa posso fare.» «Va bene. Ma non dimenticare che sei convalescente, e non stare alzato fino a tardi.» Dopo cena, Adam si tolse la cravatta, sostituì le scarpe e la giacca con pantofole e veste da camera, e scese in biblioteca. La scatola con il medaglione della Lince era sulla scrivania. Da un cassetto estrasse un notes e la cartella con la trascrizione delle interviste eseguite da McLeod nella zona di Stirling. Le aveva già lette senza trovare niente d'interessante, ma stavolta aveva in mente un'altra procedura. Dopo essersi seduto più o meno comodamente alla scrivania, Adam tol-
se il braccio destro dal sostegno e si mise al lavoro. Con il gomito appoggiato al bracciolo della poltrona elencò sul notes i nomi di tutte le persone intervistate, ignorando il testo dei colloqui. Poi chiuse il fascicolo della polizia e lo gettò sul pavimento, per liberare il suo campo di lavoro. Fatto questo, estrasse da un cassetto una risma di cartoncini bianchi, una penna d'oca fornita di un antiquato pennino e una boccetta d'inchiostro indiano. Aprì la boccetta, mise da parte il tappo, e appoggiò di piatto la mano destra sul piano della scrivania, fissando la sua attenzione sullo zaffiro dell'anello. Per qualche momento restò immobile componendo i suoi pensieri in uno stato di calma, mentre lo scopo che si proponeva si cristallizzava in fondo alla sua mente. Piano piano quello scopo si fece più concreto, e lui attese di essere totalmente concentrato su di esso. Poi trasse un lungo respiro e prese la penna d'oca. Era così leggera che non pesava niente tra le sue dita. Immaginò che il pennino fosse una punta di luce fluorescente che illuminava uno strato di elementi invisibili nella matrice della materia inerte. Spostò un cartoncino bianco davanti a sé, intinse il pennino nella boccetta d'inchiostro e con cura scrisse il nome e l'indirizzo che apparivano in cima alla sua lista, sempre continuando a visualizzare un raggio che scaturiva dalla penna per illuminare la tenebra, come quello della torcia di un minatore. Creatore della Luce, supplicò in silenzio, rendi visìbile ciò che è invisibile. Rendi manifeste le cose che sono nascoste. Lentamente e con cura copiò ogni nome su un diverso cartoncino. Quando finì, ne aveva ventinove. Mentre aspettava che l'inchiostro si asciugasse sugli ultimi li studiò, lasciando che le risonanze di ogni nome riecheggiassero nella sua mente. Quando fu certo che l'inchiostro non macchiasse più, riunì i cartoncini e li mescolò tra loro più volte. Poi li distribuì sulla scrivania a faccia in giù, ordinandoli in cinque file di sei, con uno spazio vuoto all'angolo inferiore destro. Fatto questo, prese un coltello Exacto dal cestino sulla scrivania e lo usò per staccare una piccola striscia d'argento dal medaglione della Lince, attaccandola a un filo di seta. Chiuse gli occhi un momento, visualizzando l'immagine di quel pendolo come l'ago di una bussola, mirato sull'energia che lui voleva localizzare. Quindi, sollevando il pendolo sopra i cartoncini, con la sinistra, perché la spalla destra non avrebbe sopportato lo sforzo, si concentrò cercando di rimandare quell'argento dalla persona che gli aveva infuso la vita. Cominciando dall'angolo superiore sinistro della configurazione passò
con il pendolo sopra i cartellini. Per agire con metodo lo spostò in senso orizzontale negli spazi tra ogni fila, scrutandolo in cerca di un'oscillazione. Durante il primo passaggio, mentre si trovava tra la terza e la quarta fila, notò una deviazione verso un cartoncino della quarta fila, il terzo da sinistra. Ottenne la stessa deviazione anche mentre passava tra la quarta e la quinta fila. Annuendo tra sé, Adam prese una matita da un cassetto e ne infilò la punta sotto il cartoncino, tracciando un segno sotto la faccia nascosta. Poi depose la matita, mescolò di nuovo tutti i cartoncini senza guardare quello segnato e li dispose nuovamente sulla scrivania. Ripeté l'esplorazione con il pendolo e stavolta segnò il secondo cartellino da sinistra della seconda fila. Quando eseguì la stessa operazione per la terza volta, mise da parte il pendolo e raccolse il cartellino, soppesandolo tra le dita, quindi lo girò. I tre segni della matita erano tutti su di esso, accanto al nome, Francis Raeburn, e all'indirizzo: Nether Leckie, presso Stirling. Per qualche minuto Adam sedette immobile, accigliato, considerando l'importanza di quella rivelazione. Aver fatto emergere un nome non dimostrava ancora niente, ma era un buon motivo per credere che quel Raeburn fosse coinvolto in un modo o nell'altro. Che il pendolo cieco lo avesse indicato tre volte non poteva essere una coincidenza. E se Raeburn era l'uomo che dirigeva i fulmini, il responsabile della morte di Randall Stewart, di Ian MacPherson e dei massoni di Dunfermline, era dovere di Adam dargli la caccia, disarmarlo dei suoi poteri e consegnarlo alla giustìzia civile, se questo fosse stato possibile. Ma ciò che stava cominciando a emergere era solo un lato dell'intero quadro, e lui era ben consapevole di quanto fosse controproducente agire troppo presto o con prove troppo scarse. Pensosamente sollevò il ricevitore del telefono e compose il numero di casa di McLeod. «Noel, scusa se disturbo ancora la tua domenica, ma ho una traccia che penso valga la pena di seguire. Ho esaminato la trascrizione dei tuoi interrogatori nella zona di Stirling, collegandoli all'oggetto che tu e Peregrine avete trovato a Dunfermline. Credo che dovremo fare un'accurata e prudente indagine su un uomo di nome Francis Raeburn.» Mentre Adam Sinclair portava avanti i suoi esperimenti con le mappe e il pendolo, il dottor Preston Wemyss si stava recando a un incontro di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Rannicchiato miseramente sul sedile posteriore dell'elicottero di Francis Raeburn, trascorse l'ora e passa del volo
verso nord ripassando gli argomenti a sua discolpa, mentre le foreste di Balmoral coperte di neve scorrevano sotto di loro e più avanti apparivano i bianchi picchi dei monti Cairngorms. La testa gli doleva ancora per il cortocircuito di energia psichica che lo aveva colpito oltre ventiquattr'ore prima, durante il suo fallimentare tentativo di finire quello che Barclay aveva cominciato, e la paura di ciò che lo aspettava gli dava la nausea. Né Raeburn né Barclay gli avevano detto una parola dopo il decollo. Wemyss sapeva di essere caduto in disgrazia. Quando furono in vista del grigio maniero, quel poco di fiducia che aveva cercato d'infondersi si era sciolta, lasciando il posto alla disperazione. Mentre Barclay scendeva di quota per atterrare nel cortile posteriore (a Wemyss non sarebbe stata fatta neppure la cortesia di accoglierlo attraverso il portone), il medico capì che le sue giustificazioni sarebbero apparse tentativi di trovare una scusa. Il pensiero di affrontare la collera del Maestro Anziano indusse Wemyss a maledire ancora una volta la combinazione di sfortuna e di circostanze casuali che avevano consentito a Adam Sinclair di sopravvivere all'attentato. In retrospettiva, si rendeva amaramente conto che Raeburn non gli aveva fatto un favore lasciando a lui il compito di intervenire in ospedale, nel caso che Sinclair fosse uscito vivo dall'incidente. Gettò un'occhiata astiosa verso il sedile di Raeburn, consapevole di esser stato abilmente manipolato e messo in una posizione dove sarebbe stato obbligato a prendersi tutta la colpa, in caso di fallimento. Ma lamentarsi non sarebbe bastato a salvarlo, se il Maestro Anziano aveva già deciso di punirlo. Quando segui Raeburn e Barclay fuori dall'elicottero, aveva il cuore in gola. Il castello appariva più freddo del solito, entrando dalla porta posteriore. Il suo stomaco era attanagliato dalla tensione, mentre si toglieva le scarpe e indossava il saio bianco obbligatorio. Avviandosi verso l'incontro con il Maestro Anziano tastò nervosamente l'anello con il rubino alla mano destra, e si chiese per quanto ancora gli sarebbe stato concesso di portarlo. Dover salire a piedi nudi la scala a spirale non diminuì il freddo che gli permeava le ossa. Al piano della biblioteca, Raeburn lo lasciò proseguire da solo. Undici membri del Cerchio dei Dodici erano già al loro posto quando Wemyss entrò nella stanza in cima alla torre; anonimi nel loro saio di lana, le facce ombreggiate dai cappucci che nascondevano la loro espressione. L'atmosfera sembrava quella di un tribunale... e Wemyss rifletté che proprio di questo si trattava. Raddrizzò le spalle, cercando di non mostrare la paura che aveva addosso.
Pochi momenti dopo si udì uno scalpiccio e il Maestro Anziano entrò nella stanza, appoggiandosi pesantemente a un braccio di un accolito. Il suo volto incartapecorito non era mai sembrato più simile a un teschio, nella luce vacillante delle lampade a gas. Con le labbra pallide strette in una dura smorfia di contrarietà, raggiunse senza fretta il suo posto all'altro capo del circolo e sedette sul largo cuscino scarlatto a lui riservato. Mentre cercava la posizione più comoda il silenzio era assoluto, rotto solo dal fioco e nervoso ansito con cui Wemyss respirava. Il Maestro Anziano lasciò che quel silenzio si prolungasse ancora per qualche battito di cuore, quindi i suoi occhi neri come carboni fissarono con implacabile severità l'uomo magro dai capelli grigi di fronte a lui. «Dottor Wemyss.» La voce del Maestro Anziano fu come una corrente d'aria fredda nella stanza. «Questa è una circostanza che a me piace ancor meno che a lei. Il suo fallimento nel compito che le era stato assegnato mi costringe ad applicare un provvedimento adeguato. Lei si rende conto di quello che può costarci il suo errore?» Wemyss non disse niente, sapendo che non c'era niente che potesse dire. «Una settimana fa», continuò il Maestro, «lei è stato incaricato di rimuovere un certo ostacolo dalla nostra strada... l'uomo che ora sappiamo essere il capo di una Loggia di Caccia. Era un incarico che rifletteva non solo la vitale necessità del momento, ma anche il riconoscimento dei suoi meriti in quanto servitore della Lince... e tuttavia lei ci ha deluso. Io penso, dottore, che lei ci debba una spiegazione.» Il tono di quelle parole era stato pungente come il veleno. Wemyss rabbrividì, nonostante il suo sforzo di mantenere la calma. «Io... io ho preso ogni precauzione, Maestro Anziano, lo giuro», mormorò con voce incerta. «Il campione di sangue era sufficiente. Sono riuscito a sostituire le capsule prescritte per la notte a Sinclair con quelle da me preparate. L'uomo era già in precarie condizioni fisiche, e con tutto quel Valium in corpo...» «Valium!» Il Maestro Anziano sbuffò, sprezzante. «Se lei si era preso tutto quel disturbo, perché non ha riempito quelle capsule con un'appropriata dose di cianuro?» «Ma questo avrebbe fatto subito pensare a un caso di omicidio», protestò debolmente Wemyss. «Ero convinto che dovessimo usare solo metodi di attacco non identificabili con un'autopsia.» «Qualunque metodo venga usato», replicò bruscamente il Maestro Anziano, «io mi aspetto che un'operazione abbia successo. Avvelenandolo, lo
avrebbe se non altro tolto di mezzo. Lei ha invece scelto un altro metodo, e non ha ancora spiegato perché l'attacco psichico è fallito.» Sotto lo sguardo del vecchio, Wemyss vacillò. «Anche drogato, è riuscito a combattere. Eppure lo avevo quasi sopraffatto, ma... ha usato una Parola di Potere che io non mi aspettavo, e che non ho potuto fermare...» «Stupido incompetente!» La voce del Maestro Anziano schioccò come una frustata. «Sinclair è un Maestro della Caccia. Non capisce cosa significa questo? Lei era autorizzato a richiedere qualsiasi assistenza le fosse parsa necessaria. E invece ha voluto attaccarlo da solo. Perché?» Le labbra di Wemyss si mossero, ma non ne uscì parola. «Devo dirglielo io il perché?» gridò il Maestro Anziano. «È perché lei è troppo presuntuoso... ed era troppo avido di farsi attribuire il merito di quell'uccisione! Lei ha preferito affrontare il rischio dell'insuccesso, piuttosto di condividere il merito con qualcun altro. Molto bene, ora che ha fallito non condividerà con altri neppure la punizione.» Wemyss impallidì mortalmente, e alzò le mani in atto di supplica. «Pietà, Maestro Anziano!» sussurrò. «Abbia pietà di me, la prego!» «Pietà?» Negli occhi neri del vecchio brillò il disprezzo. «La pietà è il vizio di quegli stupidi sentimentali che credono che la Luce li salverà dall'Oscurità. È una delle prime cose che lei ha rifiutato, quando si è unito al nostro Ordine. Ora che mi ha deluso, come osa supplicare me di avere pietà?» Le gambe di Wemyss si piegarono. Con un gemito abbietto cadde in ginocchio e si coprì la faccia con le mani. Ci fu un silenzio di pietra, rotto solo dagli ansiti e dai singhiozzi del medico. Poi il Maestro Anziano fece un gesto ai due accoliti seduti vicino alla porta. «Portate questo verme lontano dai miei occhi», ordinò, con voce disgustata. «Spogliatelo dei simboli del suo rango, e che sia relegato al grado di Servo finché non avrò deciso cosa fare di lui.» I due accoliti si alzarono. Wemyss emise un lamento quando le loro mani lo afferrarono rudemente e lo trascinarono fuori dalla camera. Mentre i passi dei tre si allontanavano, il Maestro Anziano si fece aiutare a rialzarsi. Con faccia dura come il ferro, indicò ai suoi assistenti di scostarsi e uscì verso le scale. Francis Raeburn lo stava aspettando al piano di sotto, in biblioteca. Il Maestro Anziano raggiunse lentamente la sua poltrona e sedette, con una smorfia rabbiosa e scontenta. «Non devono più esserci fallimenti», mormorò.
«Non ce ne saranno», ribatté con fermezza Raeburn. «Non finché il Tonante deciderà di tenere fede al suo patto.» «Terrà fede al patto.» Il vecchio guardò l'uomo che aveva di fronte, e le sue mani si curvarono come artigli sul piano della scrivania. «Cos'altro pensa che mi tenga legato a questo miserabile corpo? Non certo l'amore della vita, ma la dedizione al servizio del nostro Oscuro Padrone. Da lui io riceverò la giusta ricompensa, quando giungerà l'ora del risveglio.» Si appoggiò allo schienale della poltrona, e il suo sguardo restò fisso sul volto di Raeburn. «Lei non tornerà a Nether Leckie. Dopo quest'ultimo confrattempo, i nostri nemici possono saperne già abbastanza da cercarla laggiù. Resterà qui, al sicuro, fino al momento del nostro prossimo attacco nel nome del Tonante.» 31 Il mattino successivo, poco prima delle undici, Peregrine andò a Strathmourne House per vedere come stava Adam. Era un lunedì grigio, nebbioso, e il giovanotto trovò il padrone di casa seduto a far colazione, non ancora sbarbato né vestito. Accettò una tazza di tè e dei biscotti da Humphrey, e mentre mangiava prestò orecchio con attenzione sempre più viva al racconto di Adam riguardo la scoperta della sera prima. «Raeburn, eh?» mugolò Peregrine, con mezzo biscotto in bocca. Agitò la mano con cui teneva il resto. «Giuro che questo nome mi fa suonare un campanello. Naturalmente non mi riferisco a Sir Henry Raeburn, il famoso pittore scozzese», si affrettò ad aggiungere. «Dev'essere qualcuno che ho sentito nominare di recente... dopo che tu e io ci siamo conosciuti.» I suoi occhi azzurri si persero sulla parete di fronte, mentre beveva un altro sorso di tè. Poi si accigliò. «No, non ricordo. Il nome ha risvegliato qualcosa nel fondo della mia mente, ma non riesco a identificarlo.» Adam aveva guardato il volto del giovanotto mentre si frugava nella memoria. Se Peregrine collegava il nome di Raeburn alla situazione in corso, ciò bastava a convincerlo che meritasse un'indagine. «Mi hai incuriosito», decise, mettendo da parte il tovagliolo con cui si era coperto il sostegno del braccio destro. «Finisci il tè e i biscotti, poi vediamo se riusciamo a tirare fuori ciò che hai sentito agitarsi nel fondo della tua memoria.» Con un sogghigno Peregrine si mise in bocca l'ultimo mezzo biscotto e
lo mandò giù con un sorso di tè. «Voilà», esclamò, ripulendosi le briciole dalle dita. «Sono pronto, se vuoi.» Commentando con un sorriso l'espressione dell'amico, Adam allungò la mano sinistra sopra il tavolo e gli poggiò le dita sulla fronte. «Chiudi gli occhi, ora... così, bravo. Fai un lungo respiro, lascialo uscire lentamente e ti sentirai rilassato. Piano piano comincerai a scivolare in un livello di trance superficiale, come accade quando usi la tua seconda vista. Sì, respira ancora. Così va bene...» Peregrine aveva visibilmente rilassato le spalle mentre Adam parlava, e dietro le lenti degli occhiali le sue palpebre erano chiuse. La testa cominciò a ricadergli dolcemente in avanti. «Sì, molto bene», continuò Adam sottovoce, togliendo la mano. «Ora riporta i pensieri al mese di ottobre, al nostro primo incontro, e da lì falli scorrere avanti, un giorno alla volta. Lascia che il nome di Raeburn sia una calamita che attrae la tua mente come l'ago di una bussola.» Peregrine annuì per mostrare che aveva capito, e Adam vide i movimenti oculari dietro le sue palpebre mentre eseguiva l'ordine. I secondi scivolarono via in un silenzio incrinato solo dal sibilo del gas nel caminetto della stanza. Poi il giovanotto trattenne il respiro, con un fremito. «Ci sono», disse, senza aprire gli occhi. «Il British Museum. È stato... lunedì 29 ottobre. Ero lì per esaminare delle mappe antiche. L'impiegato a cui tu mi avevi indirizzato, Mr. Rowley, stava parlando al telefono con un collega di nome Middleton. E nominò un certo Raeburn.» Le sue sopracciglia si corrugarono. «Qualcosa circa una Conferenza sulle Highland e le Isole. Io ebbi l'impressione che fosse accaduto un fatto spiacevole. Rowley disse: 'Mi spiace sentirtelo dire. In ogni modo, c'era anche Raeburn, non è così?... Già, be', dopotutto lui ha degli interessi finanziari a Inverness, a parte i suoi studi...'» La sua voce si spense. Pensando alla data, Adam capì che quella conversazione coincideva con il giorno in cui c'era stato il furto dello Stendardo degli Elfi al Castello di Dunvegan... e il collegamento tra il nome di Raeburn e Inverness, che si trovava poco a nord di Loch Ness, era una concomitanza troppo strana per essere casuale. Restava da vedere se il Raeburn di Peregrine e quel Francis Raeburn erano la stessa persona... «Questo è molto interessante», disse, tornando a guardare il giovanotto. «Ora conterò all'inverso da tre a uno. Quando arriverò a uno, voglio che ti risvegli dalla trance, rinfrescato e riposato, in pieno possesso dei ricordi
che hai appena richiamato alla mente. Tre, due, uno.» Anche Peregrine fu dell'opinione che la coincidenza del momento e del luogo non poteva essere casuale. «Dev'essere lo stesso Raeburn, Adam!» esclamò, eccitato. «Non ne siamo ancora sicuri», lo corresse Adam. «Ma intendo accertarmene. Vieni con me.» Cinque minuti dopo, Adam era dietro la sua scrivania, in biblioteca, e ascoltava il telefono squillare al numero telefonico di Londra che aveva chiamato. Peregrine si era seduto su una sedia di fronte a lui e assisteva in silenzio, con il mento poggiato sulle mani; riuscì quasi a sentire la voce dell'interlocutore, quando questi rispose, all'altro capo del filo. «Vorrei parlare con Mr. Rowley, per favore. Sono Sir Adam Sinclair.» Nella breve attesa che seguì, Adam diresse un sogghigno divertito a Peregrine. «Una delle cose positive di avere un titolo è la rapidità con cui si può passare attraverso gli intermediari», mormorò. «Oh, salve, Peter. Sì, anche a me fa piacere sentire la tua voce. No, non farò niente di speciale. Temo che il Natale mi sia arrivato addosso un po' di sorpresa, quest'anno. Ma spesso è così. «Senti, Peter, avrei bisogno della tua memoria. Come ricorderai, io non sono intervenuto a quella conferenza sulle Highland e sulle Isole, in ottobre. C'era per caso un tipo di nome Raeburn? Sì, Francis Raeburn... proprio lui. Abita a Stirling. Non mi sembri troppo compiaciuto.» Ascoltò attentamente per qualche minuto, ogni tanto annuendo ed emettendo mormorii di comprensione. A un certo punto allungò una mano a prendere una matita e scribacchiò delle note, che Peregrine cercò di leggere protendendosi e storcendo il collo. «Oh, sì, sono d'accordo», disse poi. «Interessanti credenziali, però. Sì, penso che dovrebbe. Sembra che avessimo avuto scopi analoghi, comunque. No, mi fa piacere saperlo. «Ascolta, Peter, io devo scappare, adesso. Ti sono molto grato per l'informazione. Sì, proprio così. No, se permetti sarò io a offrirti da bere, la prossima volta che passo da Londra. Giusto. Buon Natale anche a te, Peter.» Senza togliersi il ricevitore dall'orecchio, Adam premette un pulsante per finire la chiamata e subito batté un altro numero. «Adam», mormorò Peregrine, «cosa ti ha detto?» «Ti rispondo tra un minuto», replicò Adam, mettendosi un dito sulle labbra e indicandogli il ricevitore. «Buongiorno. Per cortesia, può passarmi
l'ufficio dell'ispettore capo McLeod? Sono Sir Adam Sinclair.» Peregrine si appoggiò allo schienale della sedia, mentre il centralino della polizia trasferiva la chiamata. «Salve, Noel. Sì, abbastanza bene tutto considerato, grazie», rispose Adam. «Senti, potresti chiamarmi tu da un altro telefono? Sì, sono a casa. Cinque minuti, d'accordo, fai con comodo. Bene.» Nei suoi occhi era apparso uno sguardo predatore. Rifiutò di lasciarsi distrarre mentre aspettava la chiamata. Sulla scrivania c'era però un secondo apparecchio che poteva essere collegato al primo come una derivazione, e Adam inserì la spina, cosicché, quando McLeod telefonò, consegnò a Peregrine un ricevitore affinché potesse partecipare alla conversazione. «Sì, sono io, Noel. Grazie per aver richiamato così sollecitamente», disse Adam. «Peregrine ci sta ascoltando su una derivazione, così non dovrò ripetere tutto due volte. Senti, uscendo dall'ufficio hai attratto l'attenzione di qualcuno?» «Buongiorno, Peregrine», rispose McLeod. «No, non credo. Napier è fuori, non so dove, tuttavia ancora non sappiamo per certo se la talpa è lui. In questo momento preferisco sospettare di tutti. Che novità ci sono?» «Qualcosa che riguarda il nostro Francis Raeburn, ragazzo mio», rispose Adam. «Peregrine ha ricordato qualcosa che lo coinvolge nel gioco.» «Oh. Di che si tratta?» Brevemente Adam gli riferì della conversazione telefonica udita dal giovanotto nell'ufficio del British Museum. «... così ho chiamato Rowley, per sentire se potevano essere la stessa persona. E lo sono. Sembra che durante una conferenza sulle Highland e sulle Isole, Raeburn abbia portato un attacco al vetriolo contro un altro conferenziere, così Rowley si ricorda di lui. Quello che ci importa, comunque, è che costui aveva qualche attività in corso nella zona di Loch Ness proprio nei giorni in cui c'è stata l'incursione nella Caverna degli Elfi. È tutto ancora molto circostanziale, certo, ma almeno è un punto di partenza.» «Lo penso anch'io. Ottimo lavoro, Peregrine.» «Grazie», mormorò l'altro. «Ho avuto anche alcune notizie accademiche», continuò Adam. «A sentire Rowley, Raeburn ha studiato letteratura medievale a Cambridge. Ha seguito anche un corso di antropologia e ha organizzato degli scavi archeologici in varie località. E sarei pronto a scommettere che ha fatto di più che approfondire gli studi su certi reperti, come la Spada degli Hepburn... an-
che se penso che sarebbe difficile dimostrare le sue responsabilità in tribunale.» «Già. Sembra che dovrò fare altre due chiacchiere con lui», intervenne McLeod. «Penso che avrò qualche domanda da fargli sul commercio dei libri rari. Ora che ci penso, credo che passerò da lui oggi pomeriggio stesso.» «Stai attento, Noel. Se lui è il nostro uomo...» «Okay, non preoccuparti, Adam. Ho un salutare rispetto per chiunque abbia costruito quella lince che mi è arrivata per posta. Ma anche se lui fosse il nostro uomo, dubito che oserà agire contro di me alla luce del sole, specialmente se arrivo su un'auto della polizia, con la scorta di Donald e un bel nastro rosso steso dal mio ufficio fino alla sua villa per mostrare dove sono andato. Ti chiamerò da Stirling, dopo aver parlato con lui.» Quando McLeod riappese, Peregrine rimase con Adam un altro po' e insieme specularono su ciò che l'ispettore avrebbe potuto scoprire, ma il giovanotto se ne andò prima di mezzogiorno. «C'è una recita natalizia, oggi pomeriggio all'Holyrood Palace», spiegò all'amico. «Uno spettacolo di beneficenza a favore del National Trust per la Scozia. Ho promesso a Julia che ce l'avrei portata... e dopo averla abbandonata la sera in cui siamo andati a Blairgowrie, sarà meglio che oggi non la deluda. Il teatro sarà splendido, tutto addobbato per il Natale.» Dopo che Peregrine lasciò Strathmourne, Adam andò a cercare sua madre Philippa, che stava facendo una seduta di terapia a Gillian; trascorse qualche minuto con Mrs. Talbot assicurandola che si sentiva meglio di quanto sembrasse, e poi decise che invece di pranzare avrebbe fatto un sonnellino. Si era ritirato in camera sua, e stava chiudendo le tende alle finestre, quando nel guardare fuori sul prato vide arrivare lungo il viale una bella Morgan sportiva, giallo brillante, con il tettuccio decappottabile nero. Cautamente socchiuse la tenda e dalla fessura seguì con lo sguardo l'auto, che venne a fermarsi davanti alla villa. Non conosceva quella macchina, e non gli sembrava che sua madre o Mrs. Talbot aspettassero ospiti. La sua sorpresa fu completa quando lo sportello si aprì, e ne vide scendere una giovane donna bruna e snella. Solo quando la nuova venuta fu sulla scalinata anteriore Adam capì perché non aveva registrato subito la sua identità. Il camice verde da chirurgo non rendeva affatto giustizia alla flessuosa figura della dottoressa Ximena Lockhart. Sogghignando come uno scolaretto, Adam lasciò ricadere la tenda e andò al telefono accanto al letto. Il pulsante che premette fu quello dell'appa-
recchio interno nell'atrio, al pianterreno, perché sapeva che Humphrey era già in cammino verso il portone d'ingresso. «Ah, bene, ti ho intercettato», disse Adam, quando Humphrey rispose. «Conosco la signora a cui stai per aprire. Per favore, dille che scenderò subito, e falla passare in biblioteca.» Il «molto bene, signore» del maggiordomo fu corretto e neutro come sempre, ma Adam credette di individuare un tono leggermente divertito. Supponeva di essergli sembrato un tantino ansioso... e in effetti lo era. Sentendosi all'improvviso molto più vivace, andò in bagno per pettinarsi e sospirò nel ricordare che non si era fatto la barba prima di scendere a colazione. Poi decise: all'inferno. Dopotutto lui era convalescente. E in quel periodo, un po' di barba sulla mandibola era il look di moda. Sogghignando alla faccia che vedeva nello specchio, si aggiustò il colletto della veste da camera e scese al pianterreno. Humphrey stava giusto uscendo dalla biblioteca e, nel salutarlo con un cenno del capo, gli rivolse il fantasma di un sorriso. «La dottoressa Lockhart è venuta a farle visita, Sir Adam», disse in tono formale. «Sì, grazie, Humphrey. Ti chiamerò, se avrò bisogno di te.» Lei era davanti al caminetto e stava guardando il quadro sopra la mensola, raffigurante una scena di caccia. I capelli bruni ricadevano lisci sulle spalle del soprabito nero, pettinati di lato e lievemente arricciati in fondo. La blusa a collo alto e la gonna erano in lana color crema. Si voltò quando sentì aprirsi la porta, e nei suoi intelligenti occhi neri ci fu una luce divertita e un accenno di sfida. «Dunque eccola qui, Sir Adam», esordì, inarcando un sopracciglio con aria di disapprovazione, ma sorridendo leggermente. «Posso sapere chi l'ha autorizzata a lasciare l'ospedale senza il permesso del suo medico curante? Cosa crede di essere, un medico di qualche genere, per caso?» Lui sorrise e s'infilò la mano sinistra nella tasca della vestaglia, restituendole lo sguardo con la stessa espressione. «Ha ragione, e devo chiederle scusa. C'era una faccenda urgente. Ma dato che dopotutto sono un medico di qualche genere, in effetti, e che lo è anche mia madre, che si trova qui per le festività, non mi è parso del tutto irragionevole tornare a casa. Come può vedere, seguo gli ordini del mio medico curante.» Sollevò la mano destra mostrandole il sostegno del braccio. «Ho dormito molto come lei mi ha ordinato, sia ieri che oggi... anzi, mi scuso per non aver ancora potuto radermi. E se ci fossero state complicazioni, giuro che le avrei tele-
fonato.» «Mmm.» Lei lo guardò criticamente, poi annuì appena. «Be', sembra che si stia riprendendo», concesse. «Ma avrebbe potuto restare all'ospedale fino al mio arrivo, almeno. Filarsela senza preavviso non è il modo migliore di portare a cena una signora.» «Oh, lungi da me dimenticare una scommessa persa», replicò Adam, invitandola a mettersi a sedere. «Posso chiedere a Humphrey di portare il tè, o del caffè? È un po' presto per un drink... a meno che lei non accetti di trattenersi a pranzo.» Lei sorrise e sedette, dopo essersi tolta il soprabito. «Mi piacerebbe approfittare, ma devo tornare in ospedale. Avevo bisogno di fuggire per qualche ora dalle follie pre-natalizie del pronto soccorso, così ho pensato di fare un salto da lei e vedere come sta. Una tazza di tè la berrei volentieri, però. La Morgan non è comoda con questo genere di tempo.» Con un sorriso, Adam andò al telefono e compose il numero della cucina. «Tè per due, Humphrey, per favore», ordinò. Poi andò a sedersi in poltrona di fronte alla sua ospite. «Si trova bene, con la Morgan?» domandò. «È una marca che mi è sempre piaciuta. Quand'ero all'università avevo una Plus Eight.» «Sul serio?» «Oh, sì. Era piuttosto malconcia, come spesso sono le auto degli studenti, ma quello che le mancava in comodità lo recuperava in grinta.» Lei sorrise. «Road and Track dice che l'infelicità è una Morgan sotto la pioggia. Forse perché non hanno mai provato una Morgan nella neve. È malsicura, piena di correnti d'aria, scivola qua e là come una slitta... ma il motore ruggisce meravigliosamente. Comunque sto pensando di comprare qualcos'altro per l'inverno, e tenere la bestia feroce per l'estate.» Lo guardò inclinando la testa. «Lei cosa guida, quando non va in giro distruggendo Range Rover?» «Oh, ho diversi ronzini nella mia scuderia», sogghignò lui. «La porterei a fare un giro della tenuta, ma non ho le racchette da neve adatte.» Alzò i piedi per mostrarle le pantofole. «Forse però lei ripasserà in una giornata migliore. Le mostrerò l'albero contro il quale sfasciai quella Plus Eight.» «È una variazione di 'venga, le farò vedere la mia collezione di farfalle?'», domandò lei, guardandolo dritto negli occhi. Adam si trovò a ridacchiare. Ximena Lockhart aveva un volto forte, più attraente che bello, con un'espressione franca e aperta che lui non aveva incontrato spesso nelle donne che aveva conosciuto. Un lieve bussare alla
porta, seguito dall'ingresso di Humphrey con il tè, gli risparmiò di dover rispondere. Stava per segnalare al maggiordomo di servire, non essendo certo che maneggiare un servizio da tè facesse parte dell'educazione standard di una laureata in medicina nata in California, ma Ximena Lockhart si mosse abilmente appena Humphrey depose il vassoio sul tavolino in legno di rosa, con l'aria di sapere perfettamente quello che stava facendo. «Amo gli oggetti d'antiquariato di cui si fa uso quotidiano», disse, spostando più vicino la teiera e la brocchetta in porcellana di Sevres. «Latte e zucchero?» «Sì, per favore. Due cucchiaini di zucchero.» «L'uomo dice due... e due per la signora. Lei sa, naturalmente, che ci ritroveremo entrambi con il diabete.» Mentre versava il tè, si fermò a guardare la forma delle tazze. «Sì, sono belle. Suppongo del periodo Regency, o posteriori di poco, forse prima epoca vittoriana. Nel disegno c'è però una netta influenza scozzese.» Adam annuì con aria d'approvazione, mentre lei gli indicava la tazza e la zuccheriera d'argento. Ximena Lockhart aveva buon occhio, oltre a una buona istruzione e un'intelligenza vivace... per non parlare delle sue non meno evidenti doti fisiche. «Giorgio IV, anno 1817», precisò lui. «Sono argenti fatti su ordinazione come regalo di nozze per una mia bis-bis-bisnonna. Questo è lo stemma della famiglia di lei, mentre dall'altra parte c'è lo stemma dei Sinclair.» Le indicò gli oggetti sul vassoio, mentre lei si rigirava tra le mani la brocca. «Ma lei, dove ha imparato a conoscere così bene i servizi da tè in argento?» «Mia nonna era australiana», spiegò Ximena Lockhart, rimettendo giù la brocca. «Non tutti gli yankee sono selvaggi incivili, sa?» «Mia madre sarebbe lieta di sentirglielo dire», ridacchiò lui. «È una yankee puro sangue... ceppo del New England. Anche lei una psichiatra, per sua conoscenza.» «Sì, sì, mi ha già detto che è un medico. Esercita qui?» «No, è venuta in Scozia solo per le feste di Natale. Dopo la morte di mio padre è tornata in America. Ha una clinica nel New Hampshire. Anch'io ho fatto un po' di apprendistato oltreoceano.» «Davvero? Dove?» Mentre finivano il tè, la conversazione passò sull'apprendistato dei medici, e Adam si trovò sempre più attratto dal modo di fare spontaneo della dottoressa Ximena Lockhart. Quando la donna guardò l'orologio, mezz'ora
dopo, e disse che era l'ora di andarsene, lui ne fu sinceramente rattristato, anche se il suo corpo dolorante agognava un po' di riposo. «Sono contenta di averle fatto visita, dottor Sinclair... una pausa rilassante, nel caos che c'è al pronto soccorso in questo periodo dell'anno.» «Allora dovrà tornare», replicò Adam, alzandosi subito dopo di lei. «E la prego... mi chiami Adam.» Lei lo guardò un momento, poi sorrise. «Affare fatto... purché lei ricambi», ribatté francamente. «E anche se si darà per disperso per quanto riguarda me personalmente, mi piacerebbe restare il suo medico curante almeno finché sarà il momento di levarle i punti.» Indicò la sua fronte. «Il che mi ricorda che vorrei darle un'occhiata sotto il cerotto, per vedere come stanno guarendo le suture. Posso?» «Il medico è lei», disse Adam e, ubbidendo al suo cenno, sedette. Il tocco di Ximena Lockhart era leggero mentre sollevava il cerotto per guardarci sotto, e la sua vicinanza gli dava un senso di serenità. «Sì, stanno guarendo bene», diagnosticò lei, dopo aver tolto del tutto i due cerotti. «La medicazione gliel'ha rifatta sua madre?» Lui sorrise perché, anche se sua madre aveva voluto guardare le ferite, a cambiargli il cerotto ogni giorno era stato Humphrey, che sapeva fare un po' di tutto. «È utile avere un medico in casa», si limitò a dire. Lei appallottolò i cerotti e li depose sul vassoio del tè, con un sorriso. «Be', tra il lavoro di sua madre e il mio, sarà pronto per togliere i punti tra pochi giorni. Nel frattempo lasci scoperte le ferite. Che ne dice se faccio una scappata qui un giorno o due prima di Natale, per levarle i punti? Non voglio che qualcuno la scambi per il mostro di Frankenstein, sotto le feste.» «Sono così brutto?» la stuzzicò lui. «Be', non dico che spaventerebbe un bambino», rispose diplomaticamente lei, «ma la seta nera fa un effetto migliore sulle sottovesti che infilata nella pelle.» Gli strinse leggermente entrambe le suture per controllare la presenza di siero. «Non ho fatto un brutto lavoro, con l'ago. Le fa male?» «Non molto», rispose lui, divertito. «È la spalla a darmi fastidio. Sono ancora piuttosto rigido.» «Be', continui a prendere l'acido mefenamico. Lei lo prende, no? Se n'è andato via dall'ospedale senza portare con sé la prescrizione.» «Non si preoccupi», la tranquillizzò lui. «Anche mia madre mi ha pre-
scritto quelle capsule, e io le inghiotto con ubbidienza.» «Bene... molto bene», mormorò lei, come se fosse stupefatta di sentirglielo dire. «Dovrò conoscerla, sua madre, se vorrò imparare come farmi rispettare da un medico-paziente. Ora però devo davvero andare. Grazie per il tè.» Mentre lei raccoglieva il soprabito, Adam si alzò e l'aiutò a indossarlo, pur usando una sola mano. «Qui lei è la benvenuta. Ma sono io che la devo ringraziare per la sua premura. Ho davvero apprezzato questa visita.» «Piacere mio», rispose lei. «I medici del pronto soccorso non fanno spesso visite a domicilio... e in dimore straordinarie come questa. Ma ci terrei a tornare, entro una settimana, per levarle i punti... a meno che lei non preferisca fare da solo.» «No, credo proprio che mi affiderò alle mani esperte della mia dottoressa», disse lui, accompagnandola alla porta. «È una scusa perfetta per riaverla qui.» «E la prossima volta mi mostrerà la sua scuderia?» scherzò lei, mentre usciva. «Sì, purché poi venga a vedere la collezione di farfalle.» Ximena rise divertita, e scese la scala esterna per raggiungere la macchina. Adam non la accompagnò perché gli scalini erano scivolosi di neve e lui indossava le pantofole, ma restò sulla porta finché la Morgan gialla e nera non fu scomparsa in fondo al viale. Poi tornò al primo piano. Adam si ritirò in camera sua per un sonnellino, di cui aveva molto bisogno, e si svegliò verso le quattro, con una certa fame. McLeod telefonò quando stava finendo di mangiare, ma le notizie che aveva erano scarse. «Sembra che il nostro uccellino abbia preso il volo», spiegò, mentre Adam si sforzava di distinguere la sua voce nel rumore del traffico. «Abbiamo parlato con il cameriere, e non ha saputo dirci altro che Raeburn è fuori per affari... affari strani, se vuoi il mio parere. Ad ogni modo, più tardi io e Donald faremo qualche ricerca in ufficio... vedremo cos'altro possiamo trovare sul passato di quest'uomo.» «Finora cosa avete saputo?» domandò Adam. «Poca roba, giusto qualcosa su Chi è e simili. Il suo nome è presente nell'elenco degli uomini d'affari; classificazione ampia quanto vaga. Sul Chi è risulta di discendenza scozzese, nato e cresciuto in Scozia. Farò altre ricerche di questo genere, e domani avrò qualche dato in più.»
Fu soltanto a metà del pomeriggio del giorno seguente che McLeod telefonò. Ma appena Adam sentì la voce dell'amico, il suo tono eccitato gli disse che aveva qualcosa d'interessante. «Preparati a offrirmi da bere, ragazzo mio», esordì l'ispettore. «Sapevo che c'era qualcosa di singolare in quel Raeburn, a parte il fatto che riesce antipatico a prima vista. Ho un conoscente alla St. Catherine House, a Londra, che può farmi delle ricerche sulle nascite e sulle registrazioni matrimoniali. Il nostro Mr. Raeburn non è nato in Scozia, e solo uno dei suoi genitori era scozzese. È nato a Londra, e in seguito i nonni materni lo hanno allevato a Stirling, nella villa chiamata Nether Leckie dove abita attualmente. Raeburn è in realtà il nome di sua madre.» «Non era sposata con suo padre, allora?» domandò Adam. «Oh, sposata lo era. Raeburn è figlio legittimo.» «Sento che stai per lanciare l'altra bomba. Chi era il padre?» «Che ne dici di un gallese, di nome David Tudor-Jones?» Un buon numero delle tessere del puzzle andarono improvvisamente al loro posto con un colpo secco. David Tudor-Jones aveva avuto il rango di Maestro della Loggia della Lince al tempo del predecessore di Adam, ed era stato il diretto responsabile della morte di Sir Michael Brodie, marito di Lady Julian. «Buon Dio», mormorò Adam. «Ti rendi conto di chi stiamo parlando?» «Già. Sembra che tua madre non sia la sola ad aver passato alla prole la sua vocazione e le sue conoscenze. Ero convinto che quella stirpe fosse stata troncata alla radice, anni fa.» «Anch'io.» I suoi occhi erano fissi sulla parete di fronte a lui, ma ciò che vedevano non erano i gigli e le spighe di grano della tappezzeria, bensì il corpo di Randall Stewart disteso in mezzo al sangue congelato, su un terreno nevoso a nord di Blairgowrie... e anche altre immagini più antiche, di quando era appena un giovane alle prime armi, come Peregrine, a lutto insieme ai membri della sua Loggia di Caccia per l'assassinio di Michael Brodie. «Allora, come procediamo?» domandò McLeod dopo una pausa rotta solo dal rumore del traffico in sottofondo. «Passiamo alla fase di Caccia», rispose Adam con fermezza. «Sto pensando al lavoro con il pendolo che Peregrine ha fatto domenica pomeriggio. Credo che si debba cercare in quella zona dei Cairngorms che lui ha messo in evidenza. Ora sappiamo perché ha indicato anche Stirling. Tu pensi di poterti prendere una giornata libera, domani?»
«Impossibile, con un preavviso così breve. Devo ancora svolgere del lavoro burocratico sul caso di Dunfermline. Dovrei essere in grado di liberarmi giovedì.» «Allora dovremo aspettare. Io dovrò probabilmente farmi vedere in ospedale. Non visito i miei pazienti da mercoledì scorso. E voglio che tu sia con me, se c'è una possibilità che la Lince abbia stabilito una nuova base da quelle parti.» «Sei sicuro che ce la farai, fisicamente?» volle sapere McLeod. «Dovrò farcela... e meglio in tua compagnia che senza di te. Mi porterò dietro Peregrine. Sarà un buon prologo alla sua iniziazione. A proposito, mia madre e io pensiamo di agire venerdì sera per rimettere insieme i pezzi di Gillian Talbot, e anche per portare ufficialmente Peregrine nella Loggia di Caccia. Possiamo contare sulla tua presenza?» «Non mancherei mai», rispose McLeod. «Allora stabiliamo per giovedì il nostro viaggio nel nord. Da quelle parti ha nevicato pesantemente. Che genere di auto preferisci? La tua Range Rover è destinata a una pressa, e per quel genere di terreno ci serve un fuoristrada con quattro ruote motrici.» «Che ne pensi di affittare tu qualcosa di adatto, e di passare a prendermi a casa giovedì mattina?» suggerì Adam. «La tua carta di credito ti consente di lasciare il deposito? Trasferirò tutta la spesa sulla mia, appena torniamo. Poi io e Peregrine ti riporteremo a casa giovedì sera.» «Mi sembra che possa funzionare», approvò McLeod. «A che ora vuoi che passi da te, giovedì mattina?» «Diciamo verso le sei. Chiederò a Humphrey di prepararci una buona colazione, prima di partire. Così potremo lasciarci alle spalle Perth prima dell'ora di punta del traffico mattutino. Nel frattempo, tienimi informato se ci fossero altre novità, domani. D'accordo?» Quando McLeod riappese, Adam chiese a Humphrey di portare un messaggio scritto alla dépendance, perché sapeva che Peregrine era fuori per eseguire un ritratto e sarebbe rientrato tardi. Quella sera lui e Philippa cenarono insieme a Mrs. Talbot, e più tardi si appartò con sua madre per metterla al corrente degli ultimi sviluppi della situazione e dei loro piani. Erano appena le dieci quando si ritirò in camera per andare a letto. Piano piano, tuttavia, si stava rimettendo in forze. Il mercoledì mattina riuscì ad annodarsi la cravatta senza aiuto per la prima volta dal giorno dell'incidente, e si sentiva quasi del tutto a posto quando Humphrey lo portò allo Jordanburn. Aveva scartato il sostegno per il gomito in stoffa e nylon,
sostituendolo con un meno evidente foulard di seta nera. In quel modo, coperto dal soprabito scuro che tenne sulle spalle anche in ospedale, il braccio al collo non fu troppo notato quando fece un rapido giro dei pazienti e tenne una piccola conferenza ai suoi studenti. Dopo pranzo, d'impulso, disse a Humphrey di portarlo al Royal Infirmary. Una Morgan gialla e nera attrasse il suo sguardo nel parcheggio riservato ai medici, così chiese al maggiordomo di fermare l'auto fuori dall'ingresso delle ambulanze e scese a dare un'occhiata all'interno del pronto soccorso. Il posto era pieno d'attività, come c'era da aspettarsi, e lui non riuscì a vedere Ximena. Riconobbe invece l'infermiere che lo aveva portato in camera il venerdì precedente. «Buon pomeriggio, Mr. Sykes», disse, quando il giamaicano alzò gli occhi verso di lui e lo salutò con un sogghigno. «Ehi, dottor Sinclair! Come se la passa? La dottoressa Lockhart ci è rimasta male quando lei se l'è svignata, la settimana scorsa. È venuto a farsi togliere i punti?» «Non ancora. Sono passato perché vorrei vedere un momento la dottoressa Lockhart. Pensa che sia raggiungibile?» «Mmm, credo che sia con un paziente. Se vuole, posso cercare di vedere per quanto tempo ne avrà.» Sykes andò a guardare dentro alcune infermerie, ma quando uscì dall'ultima, qualche minuto dopo, scosse la testa. «Mi spiace dirglielo, ma la dottoressa ha altri due pazienti in attesa», riferì. «Può darsi che lei riesca a dirle due parole se la prende al volo mentre passa, ma dovrà essere veloce. È venuto per pagare quella scommessa che ha perso, l'invito a cena?» «Be', un gentiluomo paga sempre i suoi debiti», rispose Adam, con un sogghigno. «Ma sembra che per stasera sarà difficile, eh?» «Mmm, temo di sì, Doc. Sotto le feste tutti cercano di avere delle mezze giornate libere, e uno dei nostri medici non si fa vedere da una settimana. La povera dottoressa Lockhart ha un gran daffare per coprire le assenze degli altri... mi creda, glielo dico sinceramente, è una vera stakanovista.» «Sì, è molto attaccata al lavoro», confermò lui in tono neutro. Ma qualcosa, nell'accenno di Sykes al medico assente, aveva risvegliato il suo interesse. «Chi è il collega che non si fa vedere? Forse lo conosco.» «È il dottor Wemyss. Probabilmente l'ha conosciuto quando è stato qui. Ma ecco che arriva la dottoressa Lockhart. Sia svelto, se vuole raggiungerla!»
Sykes tornò ai fatti suoi. Ximena era uscita da un'infermeria; in corridoio si guardò intorno in cerca di qualcosa e vide Adam. Gli rivolse un sorriso stanco e andò verso di lui, porgendogli la mano. «Salve, Adam. Una piacevole sorpresa, in una giornata piuttosto infernale. Cosa la conduce da queste parti?» «Ho pensato di farmi vivo sul lavoro, allo Jordanburn. Da ormai una settimana trascuravo i miei pazienti... Sykes mi stava dicendo che anche qui da voi c'è un collega che fa lo stesso.» «Ah, vuol dire il dottor Wemyss.» Lei annuì. «Sì, un tipo strano. Un buon medico, ma non dà confidenza a nessuno. Però stiamo cominciando a preoccuparci. Non si fa vedere da sabato. Lei come sta?» Lui scrollò le spalle, con un sorriso. «Sono sulla via della guarigione... e disposto a offrirle una cena stasera, se ha appetito.» «Ah, lei è crudele.» Ximena si concesse una smorfia sofferente. «Non nomini il mio appetito. Non ho ancora avuto il tempo di pranzare, e non riuscirò in nessun modo a liberarmi a un'ora decente, per andar fuori a cena. Forse prima della fine della settimana, se il dottor Wemyss torna all'ovile o ci mandano un sostituto.» «Purtroppo nei prossimi giorni sarò molto impegnato», disse Adam, un po' deluso. «Ma forse durante il weekend... Ha ancora intenzione di venire a togliermi i punti?» «Mi scusi, dottoressa Lockhart, ma qui siamo pronti», la chiamò in quel momento un'infermiera, mettendo fuori la testa da un'altra stanza. Ximena alzò gli occhi al cielo e le fece capire, con espressione frustrata, che aveva compreso. Poi guardò Adam. «Certo che verrò. Ma qui non c'è un attimo di pace. Cercherò di telefonarle, prima. Potrei doverle dare un preavviso dannatamente breve.» «Non c'è problema.» Parlando si erano spostati fino alla porta, e voltandosi verso il parcheggio delle ambulanze Adam vide Humphrey seduto alla guida della Bentley, in paziente attesa del suo ritorno. Ximena seguì il suo sguardo e lo riconobbe. «Quello non è il suo maggiordomo?» gli chiese. «Proprio lui. Al volante di uno dei ronzini della mia scuderia.» Adam esitò, notando l'espressione di lei. «Le avevo detto che vale la pena di visitarla.» «Una vecchia Mark VI!» mormorò Ximena, con un sorriso d'adorazione. «Sir Adam Sinclair, lei è perfetto, ma ora devo lasciarla. Le telefono, arri-
vederci!» Detto questo, la donna lo sorprese alzandosi in punta di piedi per scoccargli un bacetto su una guancia, e corse via, lasciando nei suoi occhi un'ultima immagine della coda di cavallo che ondeggiava sul colletto del camice verde. Sulla faccia di Adam doveva essere rimasto un sorrisetto sciocco, perché Sykes gli strizzò l'occhio con un sogghigno lupesco, mentre lui si riscuoteva dall'immobilità per uscire nell'aria fredda della strada. Durante il tragitto verso casa avrebbe voluto trattenere nella mente il volto di lei, ma si trovò invece a pensare al misterioso dottor Wemyss, che era stato visto sabato per l'ultima volta. Aveva già sentito quel nome. Gli occorse un po' per ricordare dove, in lieve stato di trance, ma mentre Humphrey guidava la Bentley nell'ultimo tratto di strada verso Strathmourne House, aveva ripescato dalla memoria la breve conversazione tra la graziosa infermiera dai capelli rossi e il farmacista che aveva portato nel reparto le capsule incriminate: qualcosa sul fatto che quest'ultimo era arrivato in ritardo perché il dottor Wemyss aveva insistito per fargli controllare certe registrazioni. Lo scambio dei medicinali doveva esser stato fatto in quella circostanza... e la scomparsa di Wemyss, il sabato, poteva far pensare che fosse lui il responsabile dell'attacco astrale della lince di tenebra durante la notte, il contraccolpo psichico forse lo aveva debilitato. Non c'erano prove più solide, ma avere un nome da dare al nemico che lo aveva attaccato era incoraggiante. Ora, se fosse riuscito a trovare un collegamento tra Wemyss e Raeburn... Quando giunse a casa telefonò a McLeod con l'idea di chiedergli di mettere Donald Cochrane a indagare su quel nuovo nome, ma l'ispettore era già uscito. Probabilmente era andato ad affittare il fuoristrada per il viaggio dell'indomani. Adam chiamò allora il Royal Infirmary per farsi dare il nome di battesimo di Wemyss, che scoprì essere Preston, e si ripromise di parlare della cosa a McLeod il mattino dopo, durante il loro viaggio verso nord. 32 La colazione che Adam consumò in compagnia di McLeod e di Peregrine, il mattino successivo, fu a base di porridge, uova e toast, con una dozzina di fette di pancetta che i tre si divisero equamente e gli immancabili scones di Mrs. Gilchrist. Era quello che ci voleva per affrontare una dura
giornata all'aperto. Philippa li raggiunse per partecipare alla discussione, ma si limitò a un grappolo d'uva, un toast e una tazza di tè. Poi consultarono le mappe stradali, stabilirono il percorso, e prima di uscire McLeod telefonò a Cochrane per metterlo sulle tracce del dottor Preston Wemyss. «Scopri tutto il possibile su di lui, ma senza sollevare la curiosità di nessuno, Donald», raccomandò McLeod al giovane agente. «Sembra che i suoi colleghi e conoscenti siano sul punto di denunciare la sua scomparsa, cosa che ci renderebbe le indagini più facili, ma finora noi non sappiamo se gli sia successo qualcosa. Scomparire non è proibito dalla legge. Però m'interessa sapere se troverai un collegamento tra lui e Raeburn.» «Ho capito, ispettore», rispose Cochrane. «Le auguro buona fortuna.» «Grazie, Donald.» Poco dopo le sette erano in strada. La Toyota Land Cruiser bianca che McLeod aveva preso a nolo non era comoda e spaziosa come la Range Rover, ma divorava i chilometri con facilità e se la cavava bene con le condizioni stradali atroci che cominciarono a trovare dopo Perth. Nella speranza di evitare le inclemenze del tempo invernale, presero verso ovest, invece di passare da Blairgowrie e da Braemar, e mantennero una buona media attraverso cittadine dai nomi storici come Pitlochry, Killiecrankie e Blair Atholl, aggirando la verde distesa della foresta di Atholl. Quando poi si addentrarono sulle salite tra i Grampians, a un certo punto la statale A9 curvò a nord verso Kingussie e Aviemore, e loro dovettero prendere a est su strade secondarie, evitando le scure profondità della foresta di Glen More e cercando il percorso migliore in direzione della zona identificata da Peregrine, nel mezzo dei monti Cairngorms. Dopo cinque ore di viaggio, verso mezzogiorno, abbandonarono quella che lì nelle Highland passava per una strada principale e si addentrarono in una strada che forse un tempo era stata asfaltata, ma adesso pullulava di buche e strati di ghiaccio. Da qui proseguirono, alla ricerca di una traversa probabilmente ancora più malridotta che sulla loro carta stradale si mostrava come una sottilissima linea marroncina. Finalmente essa si materializzò, proprio nel mezzo di una curva tra i burroni, e McLeod dovette frenare e tornare indietro in retromarcia prima di poter introdurre la Toyota nel ristretto spazio tra le due pietre miliari che ne segnavano l'inizio. La strada, a una sola corsia e pavimentata in sassi e fango, non tardò a sparire sotto la neve, emergendo allo scoperto solo a tratti come per deridere gli incauti viaggiatori. La trazione a quattro ruote della Toyota si rivelò
vitale, più che semplicemente necessaria, mentre proseguivano guardando ansiosamente oltre le curve e le alture pietrose. Più volte McLeod gettò un'occhiata a Peregrine, come per chiedergli se era sicuro che la zona fosse quella, ma il giovanotto lo rassicurò annuendo con fermezza. Dopo una mezz'ora in cui non videro segno di vita, giunsero a una recinzione di filo spinato chiusa da un cancello annerito, sul quale un cartello diceva PROPRIETÀ PRIVATA - VIETATO L'INGRESSO. Una catena rugginosa chiusa da un lucchetto e altri giri di filo spinato sopra il cancello davano al luogo un'aria spoglia e ostile. Dietro di loro le tracce dei pneumatici sulla neve si stavano già congelando, e benché fosse appena l'uria del pomeriggio, sotto le nuvole stagnava un prematuro crepuscolo. In quelle giornate d'inverno, nelle Highland settentrionali, non restavano più di due ore di luce prima che scendesse la sera. Sul parabrezza stava ora cadendo altra neve, e Adam allungò una mano per accendere i tergicristalli. «Voi che ne pensate?» domandò con calma, mentre il motore mormorava al minimo dei giri. «Penso», iniziò McLeod, con le mani poggiate sul volante, «che se vogliamo andare avanti, da qui in poi, dovremo andare a piedi. Penso anche che preferirei ingranare la retromarcia e tornare da dove siamo venuti. Questo posto non mi piace per niente.» «Non piace neanche a me», concordò Adam, e vide che Peregrine annuiva. «D'altra parte, non mi aspettavo nulla di diverso.» McLeod dovette retrocedere di una ventina di metri per trovare uno spazio dove lasciare l'auto, e manovrare mezza dozzina di volte avanti e indietro per girarla. Quando spense il motore, il silenzio dei monti Cairngorms che si addensò intorno a loro aveva il peso di un mantello umido e maleodorante. Per qualche secondo nessuno parlò, finché Adam si girò verso il sedile posteriore e chiese a Peregrine di dargli gli stivali da neve, e i tre si prepararono ad affrontare le intemperie. Peregrine teneva il capo chino mentre si allacciava gli stivali, ma vide McLeod controllare la sua Browning Hi-Power e infilarsi nelle tasche dell'anorak nero un paio di caricatori di riserva. Adam non si era messo il sostegno per il braccio, e quando furono scesi dall'auto McLeod lo aiutò a infilarsi un giaccone di pelle. Aveva preso con sé un piccolo binocolo Pentax, che si appese al collo prima di abbottonare lo spesso indumento, quindi si mise un pesante berretto bianco e un paio di guanti con il pelo all'interno. Peregrine sospettava che avesse con sé anche lo skean dubh. Senza dubbio Adam e McLeod portavano i loro anelli, dentro i guanti; anche il
giovane artista aveva il suo, in una tasca dei pantaloni. A parte questo, Peregrine era armato soltanto del suo istinto, di un piccolo album da disegno e di una matita. Aveva deciso di non portarsi dietro altro, nel caso che fosse necessario ritirarsi velocemente, ma si era infilato un paio di sottili guanti di cotone dentro quelli di pelle per non dover disegnare a mani nude, e aveva un comodo berretto Arran con i paraorecchi imbottiti. Anche McLeod era ben munito contro il freddo, e al suo solito armamentario aggiunse una macchina fotografica Polaroid. Appeso al collo portava un binocolo poco più grosso di quello di Adam. «Mi è venuto in mente che forse qualche foto ci sarà utile», spiegò, mentre chiudeva lo sportello dell'auto senza sbatterlo. «Con questa luce così debole non farò dei capolavori, ma tentar non nuoce. Ora vediamo quanto c'è da camminare. E tenete la voce bassa. Tra questi monti i suoni viaggiano più di quello che si può credere.» Il primo ostacolo era il recinto, ma non avevano intenzione di forzare il cancello. Si avviarono sulla sinistra lungo i pali piantati al suolo, finché trovarono un punto dove alcuni di essi avevano un po' ceduto. McLeod sollevò le chiavi della macchina un paio di centimetri sopra il filo spinato più alto e le lasciò cadere su di esso, senza produrre neppure una scintilla. «Be', almeno non è elettrificato», constatò, recuperando le chiavi. Poi afferrò il filo spinato superiore con entrambe le mani e lo tirò all'insù, premendo la suola di uno stivale su quello più basso. «Naturalmente potrei aver fatto scattare qualche altro allarme... nel qual caso non tarderemo ad accorgercene. Coraggio, voi due.» Un po' rigidamente Adam si chinò e strisciò attraverso il varco; giunto dall'altra parte aiutò Peregrine a seguirlo, quindi tenne aperto il filo spinato per far passare anche McLeod. Più avanti, la stradicciola coperta di neve si perdeva nel biancore di un'altura dirupata, salendo lungo un versante in una lenta curva a destra. «Io prendo la testa», disse McLeod, avviandosi. «Voi due state allerta.» L'uomo seguì la stradicciola su per l'altura, guardandosi attorno con attenzione, mentre Adam e Peregrine lo seguivano a una cinquantina di metri di distanza. Camminarono in silenzio per circa un chilometro, fino a un piccolo ponte di pietra che scavalcava un torrente quasi congelato, e si addentrarono sul fondo di una valle. Da qualche parte, più in alto, giungeva il gorgoglio dell'acqua che scorreva in mezzo al ghiaccio. Mentre avanzavano lungo un percorso in salita, Peregrine cominciò ad avvertire una strana corrente di vibrazioni nell'aria, come il rumore subsonico di un tuono lon-
tano. Un'occhiata a Adam gli confermò che lo sentiva anche lui... o forse era lo sforzo di quell'arrampicata. «Tutto bene?» domandò Peregrine. «Sì.» Adam strinse le labbra, scrutando a occhi socchiusi il territorio davanti a loro. Stava respirando pesantemente e aveva fitte di dolore alle costole e alla spalla, destra, mentre camminava piegato da una parte per bilanciare l'inclinazione del pendio. McLeod li stava aspettando in cima alla salita, chino tra i resti di un antico muro e con il binocolo puntato su qualcosa più a sinistra, vicino alla sommità di una cascata. Adam fece cenno a Peregrine di tenere giù la testa e i due salirono gli ultimi metri, andando ad accovacciarsi accanto all'ispettore. McLeod indicò quella che sembrava una struttura artificiale di qualche genere, apparentemente costruita in pietra. «Cosa pensate che sia?» domandò. «Forse un rifugio della Lince?» Senza rispondere, Adam si portò il binocolo agli occhi e cercò di mettere a fuoco il lontano edificio. Stava cadendo una neve sottile, ma anche tenuto conto di questo l'immagine sembrava stranamente indistinta. Pulì le lenti dall'umidità e regolò il fuoco per guardare ancora, ma non ottenne un risultato migliore. Accanto a lui McLeod grugnì un'imprecazione. «Anche tu, eh?» mormorò l'amico. «È inutile. Questo posto è così pesantemente protetto che sono riuscito solo a distinguere i contorni generali dell'edificio. Anche le foto che ho scattato non servono a molto. Ecco, guardate queste.» Tolse di tasca tre foto polaroid e le diede a Adam. I contorni della costruzione erano abbastanza chiari, considerando la distanza e le condizioni atmosferiche, ma l'edificio era così annebbiato che non si vedeva neppure se aveva delle finestre. «Vogliamo avvicinarci di più?» domandò Peregrine. «Non è il caso. Rischiamo di essere avvistati», suggerì Adam. Fin da lì poteva sentire l'arcana energia che aleggiava tra quelle mura torreggianti, un'energia che si protendeva a graffiargli i nervi come una lama contro la carne nuda. A distanza più ravvicinata quell'effetto sarebbe stato devastante, se non contrastato da un'energia opposta maggiore di quella che per il momento era in grado di padroneggiare. Nonostante ciò, non sapeva decidersi a dare l'ordine di ritirarsi prima di essersi fatta un'idea più chiara di quello che c'era lassù. «Tu cosa vedi, Peregrine?» domandò sottovoce, voltandosi verso il giovane artista. «Prova tu, e guarda se riesci a mettere a fuoco un'immagine.»
Passò il binocolo al giovanotto, che si tolse gli occhiali e per un poco guardò, armeggiando con la distanza focale. Non c'era verso di regolarla a sufficienza, come se un banco di nebbia stagnasse al centro dell'edificio, ma ebbe l'impressione che se fosse ricorso alla sua seconda vista avrebbe distinto particolari più nitidi. «Cercherò di disegnare qualcosa», propose, con una sicurezza che non era certo di avere. «Dopotutto, non è per questo che sono qui?» Mentre Adam e McLeod si scambiavano un'occhiata, si frugò nell'interno del soprabito in cerca del blocco da disegno, si tolse i guanti esterni con i denti e li ficcò in una tasca. Stava tirando fuori la matita, quando Adam gli mise una mano su un braccio. «Aspetta un momento, Peregrine», disse, mentre McLeod girava dietro di loro per mettersi alla sinistra del giovanotto. «Lascia che mettiamo una protezione su di te, prima di cominciare. Questa è una cosa diversa da ciò che hai affrontato finora.» Perplesso, ma fidandosi del loro giudizio, Peregrine si rimise gli occhiali e aspettò, con la matita tra le dita, mentre i due compagni gli appoggiavano le mani sulle spalle. Non capì le parole che Adam mormorò accanto al suo orecchio destro, ma sentì salire intorno a sé un'aura di calore non di natura fisica. Dopo un poco la mano di Adam gli batté un colpetto sulla spalla, segnalandogli che lui e McLeod avevano finito. «Va bene, ora provaci... ma stai attento», mormorò Adam. Peregrine annuì e sollevò lo sguardo verso la costruzione in cima alla valle. La nebbia che stagnava su di essa non era semplice umidità condensata. Trasse qualche profondo respiro, come un pescatore di perle che si preparasse a tuffarsi, e lasciò che la sua seconda vista si estendesse cautamente attraverso la foschia maligna che separava lui e i suoi protettori dalla fortezza dei loro nemici. Fu come addentrarsi a guado in un fiume inquinato. Poteva sentire la corruzione psichica come uno strato di sostanze venefiche a contatto della sua pelle. Rabbrividendo di disgusto fece uno sforzo di volontà per entrare nel cuore della nebbia. Davanti ai suoi occhi ci fu uno strano vortice, e d'un tratto, con sua sorpresa, ebbe una visione nitida del castello e dei terreni circostanti. Nello stesso istante di chiarezza, la presenza che sonnecchiava nell'interno dell'edificio si accorse dell'intrusione e la respinse con una furiosa esplosione d'energia. La forza di quella reazione fu come una frustata diretta ai suoi occhi. Mentre Peregrine ansimava, ritraendosi d'istinto, quella
forza ostile urtò contro il muro invisibile che Adam e McLeod avevano eretto. Ci fu uno schianto, una pioggia di scintille, e quindi tornò il silenzio. «Dannazione! Andiamocene di qui!» esclamò McLeod, tirandolo in piedi per un braccio e spingendolo giù per il pendio, mentre Adam si affrettava a seguirli. «Cercate di tenere la mente vuota il più possibile, e non guardate indietro!» I tre batterono in ritirata sotto la neve, lungo il percorso che avevano seguito poco prima. Quando arrivarono all'auto, tutti e tre ansimavano ed erano bagnati di sudore dentro i pesanti abiti invernali; Adam era bianco in faccia quanto il suo cappello, e si lasciò cadere a corpo morto sul sedile anteriore. Mentre McLeod saliva al volante e metteva in moto, sul sedile posteriore Peregrine annaspò con la cintura di sicurezza, già prevedendo una delle selvagge cavalcate di cui sapeva che l'ispettore era capace. «Tenetevi forte, voialtri», li avvertì McLeod, ingranando la marcia. La Toyota balzò avanti, scivolando e sbandando sulla neve finché McLeod inserì la trazione a quattro ruote. Il crepuscolo cominciava ad addensarsi, ma lui non osò accendere i fari per timore di rivelare la loro posizione, nel caso che fossero inseguiti. Adam si era tolto i guanti e si aggrappava alla barra del cruscotto con la mano sinistra, gli occhi chiusi e la testa china verso la mano destra. Dapprima Peregrine pensò che stesse solo cercando di riprendere fiato dopo quella corsa, ma poi s'accorse che la strana posizione della mano di Adam aveva lo scopo di consentirgli di premersi sulla fronte il castone dell'anello. «Adam?» osò sussurrare, mentre la macchina continuava a sobbalzare e ondeggiare. «Lascialo stare!» trovò il tempo di avvertirlo McLeod, a denti stretti, mugolando imprecazioni tra una curva e l'altra. «Ma cosa sta facendo?» «Ci protegge. Tu cerca di fare lo stesso.» «Ma come...» «Te l'ho detto... Devi svuotare la mente di ogni pensiero!» Quell'ordine non ammetteva repliche né ulteriori domande. Peregrine si appoggiò all'indietro e tentò docilmente di fare come gli era stato detto, immaginando la sua mente come uno schermo bianco. Era difficile, perché c'erano immagini che cercavano di apparire su di esso, e alcune di quelle immagini non erano per niente piacevoli... il che era probabilmente il motivo per cui doveva sforzarsi di non vederle. Poco più tardi, quando finalmente McLeod trovò una strada asfaltata e
poté spingere sul pedale del gas, Peregrine aveva imparato il trucco. E allorché imboccarono la A9 e cominciarono a filare via lisci verso sud, il giovanotto si stava quasi addormentando. «Ora siamo al sicuro», disse improvvisamente Adam, dopo che si furono lasciati alle spalle l'incrocio per Kingussie, oltre il quale la strada serpeggiava alle pendici dei Grampians. «Noel, credo che possiamo permetterci una pausa nella prossima piazzola di sosta, per qualche minuto. Peregrine, nel paniere dietro il tuo sedile ci sono dei sandwich e alcuni thermos di tè caldo.» Il sospiro di sollievo che giunse dalla parte di McLeod fece sospettare a Peregrine che il successo della loro fuga non fosse una conclusione scontata come aveva creduto. Tenne chiusa la bocca e aperti gli orecchi, mentre recuperava il paniere dal retro dell'auto e lo poggiava accanto a sé, per frugarci dentro e vedere cosa Humphrey aveva preparato per loro. Pochi minuti dopo apparve la sospirata piazzola di sosta, e McLeod fermò la Toyota. La neve aveva smesso di cadere. Quando l'ispettore spense il motore e si appoggiò allo schienale aveva un'espressione accigliata e pensosa. «Be', direi che la sorpresa l'abbiamo avuta. Passami un sandwich, Peregrine, ti spiace? La colazione di stamane mi sembra un ricordo d'infanzia, e ho una fame da lupo.» Un po' stupito, Peregrine mise un sandwich nella mano che l'amico allungava all'indietro, e ne consegnò un altro a Adam. Mentre i due cominciavano a mangiare lui ne prese uno al formaggio. Era ansioso di sentirli commentare ciò che avevano visto, ma non voleva farlo capire. S'accorse però che le mani di McLeod tremavano per la tensione, e quando passò a Adam uno dei thermos fu in realtà all'ispettore che si rivolse. «Vuoi un sorso di tè? Hai l'aria di averne bisogno.» Mormorando un ringraziamento, Adam riempì due bicchieri di carta con la bevanda calda e ne consegnò uno a McLeod. Quando l'ispettore ne bevve metà e si fu rilassato, con gli occhi chiusi e la nuca contro il poggiatesta, Adam si voltò verso Peregrine. «Bene. Prima di tirare le somme di quello che è successo, vorrei che tu mi dicessi ciò che hai visto.» Peregrine scosse il capo. Da oltre un'ora, fin da quando si erano lasciati alle spalle i monti Cairngorms, stava cercando di capire cosa avesse visto. «Sul serio, Adam, non saprei dirtelo con precisione. Era una cosa potente, ma diversa da quell'aura oscura che fino a oggi ho visto intorno a tutte le cose della Lince. Questa era viva... e ancora più maligna, se si può con-
cepire qualcosa del genere. Credo che dovrò pensarci meglio. In questo momento non riuscirei neanche a cominciare a disegnarla.» «Noel?» disse Adam. McLeod bevve il resto del tè e si rimise gli occhiali. Sembrava essersi ripreso. «Peregrine ha ragione. Qui c'è qualcosa di più al lavoro, oltre la Lince... qualcosa di tanto grosso che non ho intenzione di stuzzicare, almeno finché non avremo un'idea più chiara di cosa ci troviamo contro. Oh, non c'è dubbio che sia la Loggia della Lince a manovrare la faccenda... ma c'è una presenza dietro, più pesante. Può essere che nasca da qui la necessità dei sacrifici umani. In passato quella gente non è mai stata particolarmente orientata in questo senso.» «Sono d'accordo», annuì Adam. «Anch'io non sono in grado di fare ipotesi valide.» Guardò l'orologio sul cruscotto. «Penso che possiamo cominciare a rimetterci in viaggio. Noel, non vorresti lasciare il volante a Peregrine per il resto della strada? Sembri piuttosto sbattuto.» «Che ne dici, Peregrine, ragazzo mio?» mormorò McLeod, girando stancamente la testa verso il sedile posteriore. «Te la senti di portare l'autobus, da qui in poi?» «Naturalmente.» Il tono cameratesco dell'ispettore gli stava dicendo che ormai lui era membro a pieno titolo della squadra. Si scambiarono di posto e modificò la posizione del sedile e dello specchietto retrovisore, poi rimise l'auto in strada. Quando si girò a dargli un'occhiata, poco dopo, McLeod stava già russando piano. Per disturbarlo il meno possibile, mantenne un'andatura regolare ed evitò di parlare durante il resto del viaggio. Si chiese se anche Adam desiderasse dormire, ma ogni volta che gli diede un'occhiata di traverso, nel crepuscolo sempre più grigio, Adam stava guardando pensosamente oltre il parabrezza, con le braccia conserte sul petto. Giunsero a casa di McLeod alle otto di sera, ma mentre tornavano verso Strathmourne sulla Forth Road Bridge, Adam chiese a Peregrine di girare su una strada che conduceva a destra, e poco dopo fermò la macchina in uno spiazzo, sulla bassa e dirupata scogliera del Firth. Aveva ripreso a nevicare, e le luci della città di Edimburgo scintillavano come diamanti sul velluto nero della costa, alla loro destra. «È stata una giornata dura», disse Peregrine, dopo aver spento il motore. «Perché hai voluto fermarti qui?» Con un sospiro Adam guardò fuori nel buio, massaggiandosi la spalla dolorante. «È la vigilia del Solstizio d'Inverno. Quasi la fine dell'anno. Da tempo ho l'abitudine di venire qui, in questo periodo, per ricordare a me
stesso il significato di tutto questo... ciò che facciamo, lo scopo per cui lavoriamo.» Accigliandosi leggermente, anche Peregrine si voltò a guardare oltre le acque del Firth. «Non sono sicuro di capire.» «Davvero?» Adam tacque un momento e indicò fuori. «Ascolta il silenzio, Peregrine. Sentilo. È notte, e il mondo sta trattenendo il respiro. C'è un istante in cui tutto tace, e la notte scivola avanti in un manto di stelle a ricordarci quanto siamo piccoli nell'oscurità del cosmo. È allora che sentiamo il bisogno che la presenza divina torni presso di noi..» «Ah, vuoi dire la ricorrenza del Natale.» Adam sorrise. «Non esattamente. Oppure solo in parte. Lassù, oltre le luci fisiche della città che vediamo, brilla un diverso genere di Luce, come un vasto ombrello di pura energia bianca che avvolge l'intero pianeta. La fonte da cui si alimenta sta nel cuore degli uomini e delle donne di buona volontà i quali, specialmente in questo periodo dell'anno, volgono i loro pensieri e le preghiere verso l'avvento delia Luce. Sono persone di molte razze e di religioni diverse, ma tutte loro, ciascuna a suo modo, cercano una maggiore vicinanza con quella Luce, qualunque sia la forma esterna della loro richiesta. Ci sono alcuni versi di T.S. Eliot che lo esprimono bene. Credo che lui avesse capito. Chissà, forse era uno di noi. Dicono così: Oh, Luce invisibile, noi ti adoriamo! Troppo fulgida per gli occhi mortali... grazie per le piccole luci da te accese: la luce sull'altare della chiesa, la luce di chi veglia nella notte, la luce della finestra di una casa, la luce che si riflette sulle acque, e quella che brilla sul marmo scolpito. Il nostro sguardo è volto verso l'alto, e agogna la luce che scende dall'eterno. La luce vediamo, ma non da dove viene. Oh, Luce Invisibile, sia gloria a te! Mentre la sua voce si spegneva, Peregrine lo guardò con un sorriso. «Potrei quasi dipingerle, quelle luci. Mi sembrava di vederle, mentre ne parlavi. Come s'intitola questa poesia?»
«È un brano del dramma Cori da 'La Rocca'», rispose Adam. «La cosa importante, però, è che in questo periodo dell'anno milioni di esseri umani si preparano ad accogliere il ritorno della Luce. La rinascita del sole è una simbologia antica, molto più potente dei rituali consumistici che hanno luogo all'incirca negli stessi giorni per la ricorrenza del Natale... che comunque è un giorno arbitrario, poiché nessuno sa in che giorno sia nato l'uomo che sarebbe diventato il Cristo.» Peregrine sorrise. «Questo sembra un po' cinico, detto da un cristiano. Credevo che tu fossi devoto.» «Oh, lo sono. E in questa vita, in questo luogo, ho scelto di mettermi al servizio della Luce nella sua forma esteriore della cristianità. Essa fornisce un potente insieme di simboli per ciò che sta per accadere. Come ha detto Paolino da Nola? Vediamo se ricordo una traduzione decente... ah, sì. «'Perché è dopo il solstizio che Cristo, fattosi carne con il nuovo sole che trasforma la fredda stagione invernale concedendo agli uomini un'alba guaritrice, ha comandato alla notte di decrescere dinanzi al suo avvento ogni giorno di più'. «Ecco, vedi?» Adam sorrise. «Questa è la storia del solstizio in un contesto cristiano, e anche detta bene. Parlando seriamente, però, è importante sapere davvero che l'alleanza con la Luce va oltre le differenze religiose. O, certo, le religioni tradizionali servono, mandando all'insù raggi di luce psichica... chiunque può vederne alcuni, se volge la sua visione da quella parte, sopra i campanili delle chiese e cose simili. «Ma l'ombrello di buona volontà che ci sovrasta è più importante, chiunque siano le persone che hanno deciso di sostenerlo, qualunque sia la forma esteriore che assume la loro opera. In effetti, penso che si possa dire che questa è una delle cose importanti che fanno la Massoneria e altre organizzazioni quasi esoteriche: esse generano una sostanziale porzione dell'ombrello di luce bianca che protegge la coscienza psichica del mondo dalle ombre del male, riempiendo i varchi lasciati dalle religioni tradizionali.» Peregrine rifletté un momento su quell'immagine, poi annuì. «Allora, forse, la Loggia della Lince sta cercando di aprire dei buchi in questo ombrello. Forse è questo lo scopo dei fulmini. E se la prendono con i massoni perché anche loro contribuiscono a mantenere intatto l'ombrello di luce.» Stupito, Adam guardò Peregrine. Non aveva mai considerato la situazione in maniera così netta, ma forse era un punto di vista che aveva dei meriti. Dio sapeva che la cosa acquattata là, tra i monti Cairngorms, aveva in
mente qualcosa di più che eliminare dei massoni. «Sai, qui potresti aver visto giusto», disse sottovoce. «Dovrò pensarci meglio.» Represse uno sbadiglio. «E ora, credo che sia tempo di tornare a casa. Mia madre sarà ansiosa di sapere cos'è successo. Andiamo, voglio offrirti un drink.» Erano così affamati che si buttarono subito sui sandwich al prosciutto scaldati da Humphrey, mentre Philippa li interrogava sul loro viaggio tra i monti Cairngorms. Peregrine si sentiva sazio e insonnolito quando si rilassò in una delle poltrone della biblioteca, con due dita di MacAllan in un calice di cristallo. «Comunque, quella è l'ultima bevanda alcolica che potrai avere fino a nuovo ordine», lo informò Adam, sorseggiando il suo brandy. «E domani, dovrai restare a digiuno fin dopo mezzogiorno.» Mentre Peregrine lo guardava con stupore, Philippa rise e mise da parte il suo sherry. «Temo che Adam sia andato al punto troppo bruscamente, mio caro», lo rassicurò, dandogli uno schiaffetto su un ginocchio. «Stiamo pianificando la cosa ormai da una settimana, fin da prima dell'incidente di Adam, ma ovviamente nessuno si è preoccupato di parlarne a uno dei protagonisti più importanti. Domani pomeriggio cercheremo di risolvere la situazione di Gillian... con il tuo aiuto, naturalmente. Oltre a ciò, se tu sei d'accordo, vorremmo presentarti formalmente per l'iniziazione nel nostro gruppo. Ne hai già visto abbastanza da sapere che la nostra è una vocazione pericolosa. Ma se sceglierai di unirti a noi, avrai il nostro massimo aiuto e la nostra amicizia fino alla morte.» «E oltre», aggiunse Adam a bassa voce. Peregrine sentì che tutta la sonnolenza si dileguava, e nel guardare Adam ebbe un fremito di tensione improvvisa. Il suo mentore aveva un sorrisetto sulle labbra, e ovviamente si aspettava che lui dicesse qualcosa. «Io... non riesco a pensare a nulla di più desiderabile di ciò che mi avete generosamente offerto», disse con uno sforzo. Si volse verso Philippa. «Accetto, naturalmente. Spero solo di mostrarmi meritevole della vostra fiducia. Ma qualunque siano le capacità di cui la sorte mi ha dotato... sarò felice di metterle al vostro servizio.» «Bene, allora è deciso... anche se non sarà al nostro servizio», precisò Philippa, sorridendo. Prese di nuovo lo sherry. «Benvenuto nel nostro gruppo, mio caro.» La donna restò con loro ancora qualche minuto mentre ripassavano l'a-
spetto pratico dei loro piani per il giorno dopo, poi si ritirò in camera sua e li lasciò soli. Nessuno sapeva meglio di Adam che la prospettiva dell'iniziazione era preoccupante oltreché eccitante per il giovane falco in attesa di spiegare le ali, così non fu sorpreso quando Peregrine buttò giù il resto del suo drink, con uno sguardo determinato in cui c'era una luce di panico, e si voltò a fissarlo. «Adam, probabilmente mi giudicherai uno stupido», iniziò, con l'aria di chi fa una confessione, «ma solo ora mi viene in mente che non ho la minima idea di come prepararmi per questa cosa. Voglio dire, c'è qualcosa che devo fare? Qualcosa che devo studiare, o almeno su cui devo riflettere meglio?» Negli occhi scuri di Adam c'era molta serietà. «Per quanto riguarda la preparazione, credo che tu abbia già fatto un buon apprendistato. Inoltre, se ora mi fai queste domande significa che sei nella giusta disposizione mentale. Non posso raccomandarti nulla di meglio che continuare così... cercando nel tuo cuore e nella tua mente la volontà di offrire tutto te stesso al servizio di Colui che è la vera Luce.» «Ma un'iniziazione non è una specie di prova?» «Oh, sarai messo alla prova, se è questo che pensi», confermò Adam. «Ma non tanto circa le tue conoscenze, quanto allo scopo di raffinare il tuo spirito, così come un minerale prezioso viene purificato durante il procedimento di fusione.» «È un'ordalia, allora.» «Be', non nel senso di sofferenza e di angoscia. Ma sarai messo alla prova. Tuttavia non dovresti aver difficoltà a superarla, se ho giudicato correttamente il tuo potenziale... e sono sicuro che sia così.» «Capisco. È permesso chiedere quale forma avrà questa iniziazione?» «Oh, certo, puoi chiederlo», rispose Adam, con un sorriso. «La decisione su questo particolare non è stata soltanto mia. Abbiamo già parlato della tua affinità con lo spirito di Michael Scot, che ora risiede nella persona della giovane Gillian, e di come tutte le sfaccettature delle precedenti incarnazioni di lei dovranno essere reintegrate. Ebbene, la prova che è stata ordinata per te... la dimostrazione in cui darai prova di te stesso... è di aiutare a rimettere ordine nell'anima di lei.» Gli occhi di Peregrine si erano dilatati. «Adam, tu sai che niente mi piacerebbe di più che aiutare Gillian. Ma non posso fingere di sapere come.» «Lo saprai quando verrà il momento. Non aver paura di affidarti alle tue intuizioni. Il vero rito di passaggio ha luogo a un livello inferiore. Quale
sarà la forma che prenderanno per te le immagini interne, a questo punto io non posso prevederlo, ma una cosa so di poterti promettere: riceverai tutto quanto in simboli adatti a te. E non sarai solo. Noel e io saremo con te per guidarti, e saranno presenti altri di noi, di persona o in spirito, per sostenerti con le loro speranze e le loro aspirazioni.» «Be', questo è un sollievo», sorrise nervosamente Peregrine. «Ma c'è ancora un'altra cosa.» «Dimmi...» «Continuo a ripensare a quel giorno, quando andammo con padre Christopher a ripulire quell'appartamento a Edimburgo. Io guardai tutto ciò che voi due facevate, e mi accorsi che lo intendevate come un atto di adorazione. Ma devo dirti che non l'ho capito. Cioè, non credo di sapere come adorare. Quello che sento, anche in questo stesso momento, sembra richiedere un'espressione in qualche modo formale, ma... non so quali gesti fare, quali parole dire. Nel sentirti parlare di iniziazione e di purificazione dello spirito, capisco che si tratta di una circostanza molto impegnativa, ma... nella mia esperienza passata non c'è niente che mi suggerisce come devo comportarmi.» «Non è questione di comportamenti», lo rassicurò Adam, «ma piuttosto di diventare. I rituali e i gesti che noi facciamo durante il nostro lavoro hanno una certa importanza, è vero, tuttavia solo in quanto supporti esterni, dato che servono a richiamare ciò che è già presente nel nostro spirito. Se tu vuoi davvero una guida, ti suggerisco di ripetere quel lavoro sui sogni che il mese scorso ti ha aiutato a instradarti nella direzione giusta. E domani, vorrei che tu riposassi e trascorressi la giornata cercando di mettere su tela quei versi di T.S. Eliot, come hai proposto. Te ne darò una copia, prima che torni alla dépendance. Ti consiglio di leggerla prima di andare a letto, e di vedere quello che succederà.» 33 Peregrine portò il suo dipinto alla villa poco prima delle dieci di sera, il giorno seguente. Lo aveva realizzato ad acquerello, ispirandosi alle immagini della poesia, e pensava di aver catturato sulla tela le sensazioni risvegliate in lui dalla Luce esoterica nelle sue molteplici manifestazioni. Philippa venne a riceverlo sulla porta, e in biblioteca lo stava aspettando Noel McLeod, con un atteggiamento ancor più grave e compassato del solito, forse perché sentiva la solennità di quella circostanza. Da lì a poco
scese al pianterreno anche Adam, in compagnia di Christopher e Victoria Houston, e tutti si fermarono a osservare la tela, appoggiata su una sedia. L'umore dei presenti era impregnato di un senso d'aspettativa, come se fossero sul punto di officiare un sacrificio... cosa che, pensò Peregrine, poteva essere abbastanza vera. «Credo che il dipinto di Peregrine parli al nostro cuore di ciò che significa la giornata di oggi, il solstizio», disse pacatamente Adam dopo un poco, con il calore di un mentore e di un collega. «A questo proposito, Christopher e io crediamo che prima di tutto sarebbe giusto celebrare la Funzione della sera. Perciò vorrei che ci trasferissimo temporaneamente nella cappella, dove Christopher ci guiderà nelle nostre preghiere. Vogliamo andare?» Era la prima volta che Peregrine sentiva parlare di una cappella privata entro i confini della villa. Ancor più sorpreso fu quando si accorse che stavano scendendo nello scantinato. La sua perplessità doveva essere evidente, perché in fondo alle scale Adam lo prese in disparte per dargli una spiegazione. «La cappella esisteva già nel sottosuolo della casa che sorgeva in questo luogo, prima che Strathmourne fosse costruita. La sua presenza è stata tenuta segreta per innumerevoli generazioni, perché un tempo la si usava soprattutto come nascondiglio, e in genere qui venivano a rifugiarsi i preti che sfuggivano alle autorità secolari. I Sinclair hanno continuato a tenerla segreta per amore della tradizione, tuttavia quando mia madre si trasferì qui, dopo il matrimonio, decise di utilizzarla a pieno. Oggi è ancora una cappella cristiana consacrata, ma è anche il luogo dove talvolta la Loggia di Caccia si riunisce fisicamente, per il Lavoro che richiede un'elaborazione più formale.» Si voltò a guardare la porta dietro la quale gli altri erano già scomparsi. «Dovrebbero essere quasi pronti, ora... e puoi rilassarti. Questa è solo una Funzione della sera. L'iniziazione avrà luogo dopo, nella camera di Gillian... e qui.» Sorrise, sfiorando con un dito la fronte di Peregrine, poi lo esortò a proseguire nella cantina dei vini. McLeod li stava aspettando nel breve passaggio oltre la porta di fondo. La luce delle candele illuminava la cappella e il locale più piccolo sulla destra, dove Philippa e Victoria stavano preparando un paio di lampade a olio, mentre Christopher indossava una cotta bianca ricamata sopra una sottana azzurro-zaffiro. Il sacerdote rivolse un sorriso a Peregrine, aggiustandosi meglio una manica. «Porterò la santa comunione a tutti. Quando abbiamo il tempo di
predisporre le cose con calma, invece di reagire a una crisi, è nostro uso fare la comunione prima di impegnarci in un lavoro di gruppo, sia per fortificarci lo spirito che per affermare lo scopo comune del nostro rapporto. So che non appartieni alla chiesa in cui io sono stato ordinato sacerdote, ma spero che tu non abbia nulla in contrario a partecipare con noi.» «Be', se è sicuro che vada bene», mormorò Peregrine, un po' dubbioso, mentre l'altro aggiungeva una stola azzurra ai suoi paramenti. A rispondergli fu McLeod, non nel suo abituale tono brusco, ma con dolcezza, poggiando una mano su una spalla del giovanotto. «Ragazzo mio, non preoccuparti di niente fuorché di quello che va bene per te. Lo scopo che serviamo è sempre quello, sia che entriamo in questa cappella, che in una chiesa la domenica mattina. Quando il nostro gruppo si riunisce davanti a un altare, solo questo conta.» Philippa si volse a sorridergli, facendo scudo con una mano alla fiammella della sua lampada. «Noel ha ragione, mio caro. La Verità è una sola, anche se il nostro modo di servirla può assumere forme diverse.» «Ma ogni religione non afferma di essere l'unica depositaria della verità?» domandò Peregrine. Adam sorrise. «Questo non è il momento migliore per una discussione approfondita sull'argomento, perciò basti dire che i riti e le pratiche delle religioni tradizionali sono tutti intesi a onorare la Verità ultima, e che riconoscere questo fatto può essere una fonte di energia extra per quelli che fanno il nostro lavoro, al servizio della Verità. Ciascuno, poi, mentre affina la sua direzione spirituale, può anche sentire che la partecipazione attiva a una particolare religione serve a indicargli la strada più chiaramente. «Questo te lo offro solo come un suggerimento, senza proporre per te nessun sentiero specifico. Nel frattempo, comunque, spero che non ti sentirai a disagio ricevendo la comunione con noi secondo il rito episcopale.» Le due donne si avviarono nella cappella reggendo le lampade. McLeod le seguì, tallonato un po' goffamente da Peregrine che precedeva Adam, mentre Christopher chiudeva la fila. Il giovane artista trattenne il fiato quando furono sotto il soffitto a volta, con il suo firmamento stellato che sovrastava l'altare. Uno strano brivido lo fece esitare un momento. La sensazione era sia misteriosa che familiare... come se fosse entrato in un tempio sconosciuto ma per qualche motivo si sentisse a casa. Le donne deposero le lampade sull'altare, aggiungendo la loro luce a quella delle candele che palpitavano nelle nicchie murali, poi si scostarono per far posto a Christopher. Peregrine si fermò tra McLeod e Adam, for-
mando un semicerchio con loro. Dietro Christopher scorse lo scintillio di un calice e di una piccola tazza d'argento. Il sacerdote stava già sollevando le mani in un gesto di supplica che abbracciò tutti i presenti, e le parole che pronunciò parvero non tanto un rituale, quanto una premessa al lavoro che li aspettava. «La sera è alle nostre spalle, e davanti a noi c'è un nuovo giorno», proclamò in tono gioioso. «Prepariamoci a indossare un'armatura di luce, e ad allontanare l'opera delle tenebre.» La litania che seguì aveva la forma di una preghiera fatta di benedizioni e di suppliche, le cui risposte corali erano facili da seguire. Prendendo spunto dai compagni, Peregrine sentì i suoi dubbi e le sue incertezze dissolversi. Tutto ciò che ancora non sapeva, e che aveva necessità di sapere, lo avrebbe appreso con il tempo. Per il momento, era in pace. Quella serenità interiore si consolidò quando Christopher porse a ciascuno l'ostia consacrata, mentre Victoria lo seguiva con la coppa. Il sapore della farina e del vino sulla lingua gli portò una sensazione di comunanza con il resto del gruppo e di soddisfazione. Quando i due passarono oltre, lui giunse le mani e chinò il capo, contemplando quella pienezza di spirito, finché la voce di Adam lo richiamò al presente. «Peregrine», mormorò il suo mentore, imbarazzato nel dover disturbare la sua concentrazione, «abbiamo bisogno del tuo anello, ora.» Annuendo in silenzio lo tirò fuori della tasca e lo consegnò all'amico, che a sua volta lo passò a Christopher. Il sacerdote lo accettò con sobrietà, lo depose un momento sul palmo della sinistra e con l'altra vi tracciò sopra il segno della croce. Poi, tenendolo con entrambe le mani a coppa, lo sollevò verso l'altare e pregò ad alta voce. «Possente Dio, creatore e protettore di tutta l'umanità, rinnova la Tua benedizione su questo anello, strumento e simbolo della dedica al Tuo servizio, affinché colui che ora lo riceverà possa nello stesso modo ricevere la guida e la capacità di compiere il suo dovere secondo la Tua volontà, finché avrà vita.» La preghiera fu chiusa da un riverente «amen» corale della piccola congregazione. Christopher restituì l'anello a Adam con molta gravità, ma i suoi occhi castani sorrisero a Peregrine, come se quel momento fosse per lui fonte di gioia. «Adam terrà l'anello, per ora», spiegò al giovanotto. «Quando lo riceverai, il tuo diritto a portarlo sarà dichiarato da qualcuno molto più in alto di me.»
Girandosi poi verso l'altare, il sacerdote alzò ancora le mani per l'invocazione principale del servizio. «Oh, Sole della giustizia, prima sorgente della purezza e della Luce Eterna, scendi a illuminare coloro che giacciono nelle tenebre e all'ombra della morte.» La Funzione della sera si concluse con una preghiera che a Peregrine parve l'eco delle aspirazioni che c'erano in quel momento nel suo cuore, e il giovanotto chinò la testa sotto la benedizione finale di Christopher. Mentre si avviava con gli altri fuori della cappella, già pensando al compito che lo attendeva, ogni altra considerazione gli uscì dalla mente. Salendo le scale era tormentato dal volto cereo di Gillian e dal problema apparentemente insolubile del suo misterioso coma, ma questo non minava affatto il senso di pace che era sceso in lui durante il rito religioso. Tutto ciò che voleva era cercare di agire in qualche modo per ridarle la salute. Mentre attendevano di essere raggiunti da Christopher, che si stava cambiando, si radunarono in biblioteca e Peregrine recuperò il suo album da disegno. Poi seguirono Adam al primo piano della villa verso la camera di Gillian. Mrs. Gilchrist aveva avuto una serata di libertà e Iris Talbot stava dormendo nella stanza di fronte. Vedendo che Peregrine si voltava a guardare quella porta, Philippa sussurrò: «Non devi preoccuparti, Mrs. Talbot non si sveglierà. Quand'è andata a letto era tesa e preoccupata, e io le ho dato un po' di valeriana. Non saremo interrotti». Le tende erano aperte, e la luce argentea della luna si spandeva nella camera. Due candelieri accesi contribuivano a quell'eterea illuminazione, dando alla figura di Gillian, distesa sotto le coltri, l'aspetto fragile di una foglia morta del tutto indifesa. Guardando il volto smunto della ragazzina, quando Philippa chiuse la porta, Peregrine sentì che lasciarla più a lungo in quelle condizioni sarebbe stato fatale. Philippa tolse gli incantesimi protettivi che aveva messo intorno alla stanza e prese posto accanto all'ingresso, come una sentinella, dopo aver tracciato un simbolo sulla porta per sigillarla contro tutte le intrusioni. Adam spostò una sedia ai piedi del letto e indicò a Peregrine di sedersi lì. Christopher e Victoria presero posto su altre due sedie ai lati opposti del letto. McLeod rimase alla sinistra di Peregrine, mentre Adam si riservava di andare dove voleva, ma per il momento restò vicino al giovane artista. «Dunque, per quello che dovremo fare è innanzitutto necessario che io ti faccia cadere in trance», gli spiegò pacatamente. «In questo non c'è niente che tu non abbia già sperimentato, salvo che ti spingerò in una trance più profonda del solito. Tu appoggiati allo schienale e rilassati. Guarda un
punto della parete sopra il letto, e fissa la tua attenzione lì. Lasciati guidare dal suono della mia voce.» Peregrine fece come gli era stato detto, cercando una posizione comoda sulla sedia. Adam vide che respirava lentamente, senza nessuna traccia di stress o di apprensione sul volto, e la fiducia con cui il giovanotto si affidava a lui gli fece piacere. «Ora svuota la mente. E voglio che tu immagini di guardare il cielo notturno. Non ci sono nuvole, solo una moltitudine di stelle. Riesci a vederle?» «Sì.» Dietro le lenti, gli occhi azzurri di Peregrine si persero in uno sguardo lontano. «Bene», mormorò Adam. «Voglio che tu scelga una stella tra tutte quelle che vedi, e ne faccia il centro della tua attenzione. Ne hai trovata una?» «Sì.» La risposta di Peregrine fu debole ma chiara. «Ottimo. Tieni lo sguardo fisso su quella stella. Guarda come scintilla e palpita. La sua luce scende verso di te. Lascia che ti accompagni giù... nelle profondità della tua coscienza... sempre più giù...» Nel parlare, Adam sfiorò con le dita la fronte di Peregrine proprio al centro, sopra il naso. Gli occhi dell'amico si chiusero, e con un sospiro il suo corpo si rilassò contro lo schienale. «Così va bene», mormorò Adam. «Vai nel profondo... ancora più giù...» Mentre le sue esortazioni si susseguivano, Peregrine cominciò a mostrare i sintomi di una trance profonda. Soddisfatto nel vedere il soggetto allinearsi sul livello necessario a un'operazione di quel genere, Adam guardò McLeod. Quest'ultimo annuì, e con la mano destra tracciò un segno nell'aria sopra la testa del giovanotto. Poi raccolse il suo polso sinistro e gli controllò le pulsazioni. Peregrine sentì il battito del suo cuore sotto il dito di McLeod, e gli parve che la luce della stella da lui seguita si espandesse, avviluppandolo in un globo di radiazione protettiva. Adam era accanto a lui, di fronte a McLeod, ed entrambi ora indossavano ampie toghe azzurro-zaffiro. Lui invece era vestito con una semplice tunica bianca, la veste del postulante. Mentre tutto ciò si registrava nella sua mente, Adam parlò con voce insolitamente autoritaria, risonante e musicale. «Ora, che coloro i quali sono chiamati al servizio della Luce si facciano avanti, ed entrino nel Tempio del Signore.» Attraverso l'aura di luminosità che lo avvolgeva, Peregrine s'accorse di vedere altri esseri umani intorno a lui. Alcuni gli erano già ben noti. Si
trattava dei suoi compagni, anch'essi avvolti in fluttuanti tuniche color zaffiro. Tra loro notò Lady Julian, che in quel regno privo di restrizioni fisiche non era più legata alla sedia a rotelle, e c'erano altri uomini e donne che lui non conosceva. Ciascuno di loro" aveva un punto di luce sulla mano destra, al posto dell'anello che avrebbe avuto nel mondo reale. Sembrava che tutti costoro fossero sotto il porticato di un grande tempio classico, in marmo bianco. Oltre l'imponente soglia, Peregrine poteva vedere una scintillante colonna di luce, dalla quale emanava un senso di presenza, e comprese che si trattava di una Entità molto superiore e più autoritaria di Adam. Meravigliato, la guardò. Era felice di non essere solo. «Vieni», lo esortò Adam, al suo fianco. «Seguimi, e lascia che ti presenti al Maestro.» Intimidito ma non preoccupato, Peregrine si lasciò condurre su per la scala che portava all'ingresso del tempio, e giunti oltre la soglia Adam chinò rispettosamente il capo. Maestro, disse, rivolto all'Entità. Vengo a nome della Loggia di Caccia per presentarti quest'uomo, Peregrine Justin Lovat, come candidato per l'iniziazione. Il giovane falco ha aperto le sue ali, ed è pronto a dare la sua assistenza nel tentativo di risanare l'anima ora incarnata nel corpo di Gillian Talbot. Quando questo sarà fatto, chiedo che sia accolto come Cacciatore, affinché il nostro numero sia rafforzato contro la minaccia sospesa sulla terra affidata alla nostra sorveglianza. L'Entità all'interno del tempio sembrò farsi più alta, e la sua luce più attiva. Una voce senza sesso, più acuta di quella di Adam, parlò in tono gentile con una cristallina sfumatura di divertimento. Rassicurati, Maestro della Caccia. La tua richiesta di accogliere un nuovo membro è considerata con favore da noi e dal nostro Superiore. Ma sia chiaro che la guarigione della fanciulla Gillian deve precedere ogni altra cosa. Tu hai ben giudicato, nel capire che il candidato ha il talento necessario. Spetta ora a te portarlo dinanzi a Colui che ha facoltà di destare le capacità dormienti qui richieste. Esercitare nel modo giusto tali capacità è la prova che il candidato dovrà superare per divenire pienamente iniziato. Adam chinò ancora una volta il capo. Ho capito. Sarà fatto come tu chiedi. Il mandato che Adam aveva così ricevuto era importante. Una sola volta era comparso davanti al Maestro, per ricevere conferma della sua vocazione medica. In quell'occasione a presentarlo era stata sua madre Philippa, e
ripensando a quel giorno lontano ora poteva capire quanto la donna doveva essersi sentita umile e inadeguata. Trasse un lungo respiro, spostò la sua visione di nuovo sul mondo materiale e allungò una mano a prendere Peregrine per il polso destro. «La tua stella sta sorgendo», disse sottovoce al giovanotto. «Sorgi anche tu e seguila, non con il corpo ma con lo spirito. La sua luce è un raggio che ti attira fuori dal tuo corpo, verso il piano astrale...» Peregrine sentì un'improvvisa leggerezza, come se stesse fluttuando senza peso. Avvertiva la stretta di Adam sul polso destro, e si accorse che McLeod lo prendeva per l'altra mano. I due lo stavano portando in alto, lo aiutavano a dispiegare le ali e salire nel cielo. L'impressione di volare lo sopraffece. Chiudendo gli occhi anche alle visioni astrali, si abbandonò senza riserve alla guida dei suoi compagni, finché all'improvviso toccò il suolo con i piedi e si trovò in posizione eretta. Timorosamente si guardò attorno, e scoprì che tutto il resto della compagnia lo aveva seguito nel suo volo. Benché fosse immerso nel firmamento stellato, seppe che il suo orientamento fisico e spirituale era rivolto a oriente. Il gruppo di anime tra cui si trovava era sopra un'ampia piattaforma di fronte a un'immensa porta dorata a due battenti, su ognuno dei quali campeggiava un segno che lui, nel suo stato d'illuminazione, in qualche modo riconobbe come il Sigillo dell'Aria: un triangolo equilatero diviso in due da una linea trasversale. McLeod lasciò la mano di Peregrine e appoggiò un ginocchio al suolo. Il resto della compagnia, salvo Adam, fece lo stesso. Dopo aver trasferito la presa sulla spalla destra del giovane, Adam allungò l'altra mano a toccare il Sigillo dell'Aria. La Parola che pronunciò non fu riconosciuta da Peregrine come appartenente a una lingua terrestre, ma in risposta i due battenti si aprirono lentamente verso l'interno. Lo spazio oltre la soglia era fatto di luce pallidissima e aria in movimento. Quando Adam guidò Peregrine avanti, lasciandosi gli altri alle spalle, quell'aria diafana prese la forma di una tenda che ondeggiava sinuosamente alla brezza. Appena ebbero oltrepassato quella tenda, li avvolse un profumo d'incenso. Erano penetrati in una vasta sala dove aleggiava una radiazione dorata, nel centro della quale ruotava un pilastro di luce che sotto lo sguardo di Peregrine finì per assumere una forma vagamente umana, o angelica, fornita di immense ali che sembravano riempire la sala di vita con il vento del loro morbido agitarsi. Da un volto che non era maschile né femminile, ma androgino nella sua
suprema bellezza, due occhi simili a laghi d'oro vivente si abbassarono su di lui. Punti di fuoco viola erano intrecciati come un diadema alle ciocche di capelli dorati che fluttuavano intorno all'alta e nobile fronte. Peregrine sentì la pressione di Adam su una spalla e poggiò un ginocchio al suolo, vagamente consapevole che anche il suo mentore stava facendo lo stesso. Guardando all'insù, incantato da quegli occhi di luce, il giovane artista sentì formarsi in sé dei pensieri che non gli appartenevano, e che lo invitavano ad aprire il suo cuore e comunicare ciò che desiderava. La speranza da cui era mosso sgorgò in un flusso d'immagini, più che in forma di parole. Docile alla volontà che lo interrogava, dipinse il volto di Gillian Talbot sulla tela della sua mente, e poi visualizzò l'immagine dei resti mortali raggrinziti e mummificati di Michael Scot, che un tempo avevano contenuto lo stesso spirito. A questo aggiunse la visione del caotico panorama mentale da lui visto quando aveva cercato di contattare l'anima della ragazzina. Se in me c'è davvero un dono che mi consente di riparare a questo scempio, cercò di dire, mostrami come usare questo dono. Per me non chiedo niente. Ma se sarò giudicato meritevole, nel mio piccolo, ti supplico di consentire che io entri al servizio della Luce. Il fiero sguardo dell'angelo sembrava bruciare fin nelle profondità della sua anima, incapace di distogliere gli occhi Peregrine capì all'improvviso ciò che aveva inteso Adam, parlando di un processo di fusione e purificazione dello spirito. C'era dell'angoscia nella consapevolezza delle sue imperfezioni. Ma senza quella presa di coscienza, nessuna visione più alta era possibile. Umilmente prese atto che l'angelo aveva l'autorità di giudicarlo, e chinò il capo per dichiararsi pronto a essere scacciato, se questo era tutto ciò che lui meritava. Ma invece di essere rimandato indietro si trovò improvvisamente avvolto da due fulgide ali, che affogarono la sua visuale in un candore ineffabile. Torreggiando nella sua scintillante maestà, l'angelo si chinò su di lui e gli accarezzò le guance con mani dolcissime. Peregrine sollevò la testa, meravigliato e stordito, e come in sogno sentì due labbra che gli baciavano la fronte, mentre in lui parlava una voce melodiosa come pura musica. Possano i tuoi occhi vedere la via della guarigione... Potente come uno shock elettrico, il bacio dell'angelo fece vibrare ogni fibra del corpo di Peregrine. La sensazione, così intensa da oltrepassare il piacere e il dolore, fu tale che gli lasciò scintille di calore e d'estasi nelle
profondità dell'anima. Una incandescenza che era un'estensione del volere dell'angelo gli bruciava sulla fronte, riempiendolo di una gioia quale mai aveva provato in vita sua. Per un istante senza tempo, Peregrine smarrì il contatto tra la mente e il corpo. Confuso, con la psiche come abbagliata, ci mise un poco ad accorgersi che Adam e McLeod lo sorreggevano, ancorandolo al mondo reale e alla sua persona fisica, tutt'ora seduta sulla sedia. Sbatté le palpebre e scoprì che ora vedeva non un tempio sospeso nel cielo di una lontana dimensione eterea, ma i contorni assai più consueti della camera da letto di Gillian. Quando spostò lo sguardo sul volto della ragazzina, s'accorse però che la sua seconda vista era in piena attività, e che poteva vedere non solo il contorno fisico di Gillian, ma anche il suo aspetto astrale. Quell'immagine, esile e fragile quanto il corpo, stava vacillando in mezzo a un vortice di frammenti, come una bambina travolta da una bufera di specchi. I frammenti erano in continuo e folle movimento, e riflettevano un caos di forme. Malgrado ciò, quando Peregrine guardò con maggiore attenzione, poté notare che certi pezzi erano fatti per incastrarsi con certi altri, come le diverse tessere di un puzzle. Un po' di concentrazione gli bastò per vedere quegli schemi più chiaramente, scartando tutti gli altri dettagli fuorché gli elementi che li rendevano affini. Era possibile afferrare quei pezzi e riunirli assieme! Di questo fu subito certo. Tutto ciò che gli serviva erano gli strumenti giusti per farlo. «Adam», disse a voce alta, «ricordi che una volta ho descritto l'effetto della mia seconda vista come un insieme di pellicole trasparenti sovrapposte?» Adam scambiò un'occhiata con McLeod. «Sì, ricordo.» «Questa è la chiave per rimettere a posto i pezzi di Gillian», spiegò Peregrine. «I disegni che ho fatto erano un primo tentativo di identificare le maschere delle sue precedenti incarnazioni. Se potessi eseguirli sopra un supporto trasparente, potrei usarli come una matrice, per riunire i frammenti di quelle diverse personalità. Poi dovranno essere sovrapposti, allo scopo di reintegrare lo spirito come un tutto unico.» Adam annuì. «Ho capito.» «Hai qualcosa che io possa usare?» domandò Peregrine, stringendo la mano di Adam. «Del vetro, forse, o delle veline...» «Ho qualcosa di meglio», rispose Adam. «Giù nel mio studio ho della carta trasparente, del tipo che i conferenzieri usano per il proiettore. Pensi di farcela, se ti lascio solo e vado a prenderla?»
La risposta di Peregrine fu decisa. «Resisterò. Solo, non metterci troppo.» «D'accordo», promise Adam. «Noel resterà con te. Ti aiuterà, se ne avrai bisogno.» Philippa stava già togliendo il sigillo alla porta. Appena la via fu sgombra, Adam le passò accanto e scese in fretta al pianterreno. Una rapida ispezione nei cassetti della scrivania gli consentì di trovare la carta trasparente. Poi allungò una mano a prendere alcune matite da un vasetto e tornò di corsa al piano di sopra. Per tutta l'ora successiva e oltre Peregrine disegnò senza sosta, mentre i compagni gli davano in silenzio tutto l'aiuto possibile. Quando infine depose la matita, aveva realizzato sette ritratti, tra cui uno di Michael Scot e un altro di Gillian, ognuno dei quali raffigurava una delle precedenti incarnazioni della stessa anima. Il giovanotto era scosso e tremante, pallido per la stanchezza, e al termine del lavoro respirava a fatica. «Rilassati», lo esortò Adam, preoccupato. «Finora sei andato a meraviglia. È tempo che ti riposi un poco. Noel e io ci occuperemo dell'ultima parte del lavoro.» Adam depose con attenzione i sette disegni ai piedi del letto, in due file, di tre e di quattro. Stando di fronte a essi, lui e McLeod si riportarono a contatto del piano astrale e da quel punto di vista cominciarono a cercare nella marea di frammenti psichici, scegliendo i singoli pezzi dei vari ritratti come bambini che giocassero alla ricostruzione di un puzzle. A facilitare loro le cose c'erano però le immagini finite, che mostravano loro dove e come far combaciare i pezzi. Il numero delle schegge d'immagine che roteavano attorno diminuì mano a mano che i ritratti aumentavano di dimensioni. Mentre i due compagni lavoravano, Peregrine ebbe l'impressione che un filo simile a ragnatela si svolgesse dai disegni, andando a unirsi al corpo immoto di Gillian. Il corpo era stato abbandonato dallo spirito, ma a differenza della notte in cui l'anima della ragazzina era stata strappata via dal suo involucro di carne per andare a rianimare i resti di Michael Scot, tra le rovine dell'abbazia di Melrose, tutte le sfaccettature di quell'anima ora venivano ancorate una all'altra, e presto si sarebbero riunite in un tutto unico. Philippa stava controllando le funzioni organiche e muscolari che mantenevano in vita il corpo, mentre la sua proprietaria era assente. Alla fine tutti i frammenti furono presi e ordinati, e i sette diversi ritratti parvero completi. Ciascuno brillava di un'energia viva, e non era più una
mera immagine fisica bensì il glifo della maschera indossata dallo spirito durante l'incarnazione. Dopo aver riposato qualche momento per riprendere fiato, Adam si volse a guardare Peregrine. Il giovane artista aveva ripreso colore mentre gli altri due lavoravano, e ora rivolse all'amico uno sguardo interrogativo. «Fin qui, sembra che ci siamo», constatò Adam. «Ma qual è l'ordine temporale di queste reincarnazioni?» Corrugando le sopracciglia, Peregrine si alzò e per un poco studiò i disegni che aveva davanti, concentrandosi su di essi. Poi li depose uno sopra l'altro, finendo con quello di Gillian. Adam ubbidì a un suo cenno, scostando la sedia sulla quale il giovanotto era stato seduto, e quest'ultimo depose la piccola pila di fogli sul pavimento ai piedi del letto. Poi si fece indietro. Serio in volto Adam andò a fermarsi davanti ai fogli, con Peregrine alla sua destra e McLeod alla sua sinistra. Giunse le mani in preghiera, chinò il capo e fece uno sforzo di volontà per chiamare a sé tutta la sua autorità di guaritore. A Peregrine, che lo guardava, parve che Adam divenisse d'un tratto qualche centimetro più alto. Sollevando le mani giunte e quindi aprendo le braccia al cielo, prese l'aspetto di una delle sue precedenti incarnazioni che Peregrine aveva già avuto occasione di vedere e disegnare due mesi prima: un volto da falco, abbronzato, una veste di lino senza maniche, e in testa la doppia corona dell'Alto e Basso Egitto, con il disco solare chiuso tra due piume di struzzo... i paramenti di un Re-Sacerdote egiziano. «Nel Segno di Osiride, risorgi», intonò Adam, con una voce che non era la sua, tracciando quel segno nell'aria sopra i ritratti. «Che i molti divengano uno, e la completezza sia restaurata.» Mentre estendeva orizzontalmente le braccia sulla pila di fogli, una luce viola palpitò alla superficie di quello superiore. Dopo un momento il disegno parve fondersi con quella luminosità e scomparve. Davanti agli occhi di Peregrine una luce gialla avvolse il secondo disegno, si mescolò al bagliore viola e anche quel foglio si dissolse. Il terzo ritratto avvampò di un'aura azzurra, la quale fu seguita da altre quattro onde di colore: verde e arancione, indaco e rossa. Peregrine guardava affascinato mentre ogni disegno da lui realizzato si fondeva in quella corona di colori, ciascuno dei quali aveva aumentato l'altezza dell'insieme. Ciò che alla fine rimase fu una colonna di pura luce argentea, alta quanto un uomo, che aleggiava a un palmo di distanza dal pa-
vimento. I sette fogli di carta trasparente non c'erano più. L'immagine astrale di Adam era anch'essa svanita, ma il suo aspetto continuava ad apparire più che semplicemente umano. Unendo le mani davanti al petto salutò la colonna di luce con un inchino, poi le protese verso la ragazzina che giaceva sul letto dietro di essa. «L'involucro di carne attende di riceverti», dichiarò con voce calma e autoritaria. «Sii il benvenuto, o spirito, nella dimora che ti appartiene.» Peregrine si aspettava di vedere la colonna di luce avvicinarsi al corpo steso sul letto per fondersi in lui, ma con sua sorpresa essa rimase dov'era, pulsando come un cristallo vivente: un'entità soltanto spirituale, che necessitava di un tramite umano per poter comunicare. «Noel», disse Adam, «credo che ci sia bisogno di te.» L'ispettore annuì e si fece avanti, tra il letto e la colonna di luce. Dopo essersi tolto gli occhiali dalla montatura rotonda, se li mise in tasca e s'inchinò, a mani giunte. «Io mi offro a te», disse alla Presenza. «Tu hai la facoltà di usarmi, e di parlare con la mia voce.» Mentre l'uomo lasciava ricadere le braccia lungo i fianchi e chinava il capo in atteggiamento ricettivo e sottomesso, la colonna di luce si mosse avanti e lo avvolse. Lui s'irrigidì con un sussulto quando fu compenetrato dalla Presenza. Quando rialzò la testa, gli altri capirono subito che a guardarli attraverso i suoi occhi grigi era un'altra personalità, così come un'altra era la voce che uscì dalle sue labbra. Peregrine la riconobbe all'stante. L'aveva già sentita tra le spettrali macerie dell'abbazia di Melrose: era quella di Michael Scot. «La mia gratitudine è dovuta a tutti coloro che sono in questa stanza, ma soprattutto a voi due», iniziò l'alchimista medievale, rivolgendosi a Adam e a Peregrine. «Non solo per la meritoria opera di guarigione a mio favore, ma anche per aver impedito che il mio oro e il mio libro d'incantesimi fossero profanati da individui malvagi. Se c'è qualcosa che io posso darvi in cambio del grande servizio che mi avete fatto, domandatemelo ora, e vi sarà concesso.» Adam non ebbe bisogno di pensarci molto. Sapeva bene ciò che doveva chiedere, e il tempo era limitato. «Noi non chiediamo niente per noi stessi, fratello, ma ci occorre più conoscenza per impedire che i nostri comuni nemici portino a termine i loro piani malvagi. Essi hanno un potere oscuro. Puoi dirci se è una magia che hanno tratto dal tuo libro d'incantesimi?»
«No, non è da lì che proviene», fu la risposta. «Il potere che mi ha richiamato nelle mie spoglie mortali, all'abbazia di Melrose, è una magia tenebrosa, aliena, la stessa che portò alla morte l'incarnazione precedente a questa, oltre mezzo secolo fa...» La voce vacillò, come al ricordo di un vecchio dolore. Quando riprese a parlare, il suo tono era duro. «Il Signore delle Ombre in quei giorni era un uomo chiamato Hitler. La sua opera portò un grande danno all'ombrello di Luce. Se lui avesse avuto successo, avrebbe richiamato sulla terra la furia degli elementali più maligni...» Quell'accenno a Hitler non piacque a Adam, che provò un brivido. «È stata la magia di Hitler a richiamarti nei resti del tuo corpo?» gli domandò. «Non lo so», fu la risposta. «Ma giuro per tutto ciò che è santo che avrebbe potuto riuscirci. Il Signore delle Ombre aveva un libro di incantesimi...» «Hitler aveva un libro di incantesimi?» si stupì Adam, cercando di riflettere rapidamente. «Lo aveva», confermò la voce di Scot. «Ma non so cosa ne sia stato. Più di questo non posso dirti. Ti auguro buon lavoro, Maestro della Caccia. Ma ora, affinché la mia assenza dal corpo non guasti tutto ciò che avete fatto di buono qui, ti prego di lasciare che io ritorni alla mia incarnazione attuale e ne restauri la vita, che grazie a voi è libera di proseguire.» «Non voglio causarti altri problemi», concluse Adam. «Hai già sofferto fin troppo. Vai in pace, con la benedizione dei Sette, e segui il tuo destino. Il corpo che tu abiti sarà protetto, finché tu e lui non sarete abbastanza forti da continuare il vostro cammino da soli.» Detto questo, McLeod si voltò verso Gillian e protese le braccia sopra di lei. Un arcobaleno di luci colorate fluttuò intorno alla ragazzina per pochi secondi, spegnendosi poi piano piano. L'ispettore mandò un grugnito rauco e piegò le gambe, abbattendosi sulla spalliera ai piedi del letto, ma Adam e Peregrine furono sveltì a sostenerlo perché non si facesse male. Nello stesso momento Gillian ebbe una convulsione improvvisa e aprì gli occhi. Il suo sguardo stordito percorse la stanza e le facce sconosciute che aveva intorno. Si lasciò sfuggire un lieve ansito di paura e si addossò ai cuscini, troppo debole per far altro che guardare, e d'istinto Victoria sedette sul bordo del letto per stringerla tra le braccia e confortarla, mentre Christopher le prendeva una mano.
«No, no, piccola, non devi aver paura», la rassicurò Victoria, cullandola come una bambina e accarezzandole i capelli biondi. «So che tutto questo ti sembra strano, ma qui sei al sicuro. Sei stata malata per molto tempo, però presto starai meglio. Domani mattina potrai incontrare la tua mamma. Lei sarà felice di vedere che ti sei svegliata.» Philippa si stava già occupando degli aspetti medici della situazione; controllò il polso e le pupille di Gillian e poi si fece scudo del corpo di Christopher e iniettò un sedativo nel tubo della flebo già collegato al braccio destro della ragazzina. Mentre Adam aiutava McLeod a sedersi sul pavimento, poco più in là, e gli spezzava sotto il naso una capsula di ammoniaca, con Peregrine ansiosamente chino accanto a lui, Gillian gemette debolmente qualcosa, stringendosi a un braccio di Victoria. «Mamma?» sussurrò quasi senza voce, stentando a muovere le labbra pallide. «La tua mamma sta dormendo nella camera accanto», disse Victoria in tono rassicurante. «Ma ora non vogliamo disturbarla, vero? Ti ha vegliato giorno e notte, da quando ti sei ammalata, ed è molto stanca. Pensa alla sorpresa che avrà domattina, quando verrà qui e scoprirà che stai meglio.» Con l'aiuto di Adam e Peregrine, McLeod si tirò in piedi e malgrado la debolezza fu soddisfatto, quando vide che Gillian era uscita dal coma. Gli occhi azzurri di lei si stavano già annebbiando sotto l'effetto del sedativo che la faceva scivolare nel sonno, ma ora si trattava di un sonno controllabile, a differenza del suo stato precedente. Victoria continuò a cullarla e mormorarle rassicurazioni finché la ragazzina si addormentò contro una sua spalla. Quando la ebbero fatta nuovamente stendere sotto le coltri, Adam tirò fuori di tasca l'anello preparato per Peregrine. «Temo che la tua parte non sia ancora finita», disse al giovane artista, mostrandogli il monile. «Credo che non ci siano dubbi sul fatto che l'hai meritato, ma spetta a un'autorità più alta di me darti la qualifica ufficiale rappresentata da questo anello. Te la senti di fare un altro viaggio astrale?» Peregrine era un po' stordito, sopraffatto da ciò che aveva già visto e sperimentato quella notte, tuttavia si sforzò di annuire. Con un sorriso, Adam prese la mano destra del giovane amico e gli fece allargare le dita, attento a non premere sulla cicatrice appena guarita. «Noel, sei con me?» domandò, voltandosi a mezzo. McLeod si portò alla sinistra di Peregrine, confermando la sua presenza con un cenno del capo. «Bene», disse Adam a Peregrine. «Ora chiudi gli occhi e preparati a
scendere profondamente in trance.» Mentre il giovanotto ubbidiva, Adam abbassò le palpebre e si concentrò. «Peregrine Justin Lovat, sii benedetto ora e per sempre al servizio della Luce», mormorò. «Ricevi questo anello in memoria di chi lo portò prima di te, e sii lieto di essere membro di questa Loggia.» Detto questo, fece scivolare l'anello intorno al dito medio della mano destra di Peregrine. Un momento dopo i tre si trovarono nuovamente in spirito dinanzi al tempio astrale. Guardando se stesso, Peregrine vide che aveva indosso, come i suoi compagni, una morbida tunica azzurra. Stavolta erano girati verso sud, verso una porta rossa i cui battenti erano aperti, addobbata con due grandi tende cremisi. Il Maestro che li attendeva all'interno aveva l'aspetto di un angelo avvolto in un'armatura di luce rossa, con un diadema di fiamme scarlatte intorno alla fronte. Le penne delle sue ali si agitavano come lingue di fuoco, adorne di occhi di pavone, e teneva entrambe le mani sull'elsa di una spada fiammeggiante poggiata sul pavimento. Christopher e Victoria li raggiunsero nel tempio, fermandosi di lato come testimoni, e furono seguiti da Philippa e Lady Julian e altri che Peregrine non aveva mai incontrato fisicamente. Il Maestro approvò la loro presenza con un regale cenno del capo, sottopose Peregrine a un breve scrutinio, quindi rialzò la testa e i capelli color rame fluttuarono intorno alle sue spalle. Come già alla presenza dell'altro angelo, Peregrine ne udì la voce musicale solo a livello del pensiero. Ti affido al tuo mentore, che è un Maestro della Caccia. Egli ha fatto richiesta che fossi ammesso nella Loggia di Caccia, e si è fatto garante della devozione e della vocazione alla quale sei chiamato. Una cosa ancora tuttavia deve esserti chiesta: giuri tu fedeltà al Supremo, accettando il titolo di Suo guerriero allo scopo di mantenere la Sua pace? L'assenso di Peregrine fu fermo. Lo giuro. Allora, come Comandante Supremo del Dio degli Eserciti, noi ti accogliamo in Suo nome. Inginocchiati. Tremando per l'emozione, Peregrine s'inginocchiò al suolo, mentre il Maestro consegnava momentaneamente a Adam la spada di fiamma e gli prendeva le mani. Una sfera di luce incandescente nacque intorno alle dita del giovanotto, per poi restringersi e concentrarsi sull'anello, che mandò un bagliore fulgido. Questo anello sia il simbolo che le tue capacità sono al servizio giurato del Dio degli Eserciti, proclamò la voce che risuonava nella sua mente.
Che l'opera delle tue mani e del tuo cuore dia gloria a quel Nome, che sta sopra tutti gli altri nomi. Detto questo, il Maestro fece un passo indietro e protese una mano per farsi restituire la spada. Sollevò la splendente lama di fiamma e la poggiò leggermente su entrambe le spalle di Peregrine. Ogni tocco di quella magica spada gli mandò nelle vene una sensazione di energia allo stato puro. Il tocco finale fu così intenso che lui ne fu sopraffatto, e perse i sensi. 34 Quando riprese conoscenza, Peregrine s'accorse di essere disteso sul pavimento della camera di Gillian. Adam era chino accanto a lui e gli controllava ansiosamente le pulsazioni. Anche McLeod lo stava guardando con aria preoccupata, e appena vide che riapriva gli occhi emise un grugnito di sollievo. «Tutto bene. Si sta riprendendo», annunciò agli Houston e a Philippa, che attendevano poco più in là. Ripensando all'angelo con la spada di fiamma, Peregrine sbatté le palpebre, incapace di richiamare alla mente l'estasi che lo faceva sentire così sfinito, ma rilassato e in pace. «Bene», mormorò Adam. «Ora alzati, coraggio. Noel, dammi una mano, per favore.» Con l'aiuto dei due amici, Peregrine si rialzò. Un po' vacillante, diede un'occhiata al suo anello, mentre gli altri lo conducevano alla sedia più vicina. Gli sembrava che il castone brillasse più di prima, come se riflettesse la sua gioia; ma probabilmente era una sua impressione, il sintomo visibile che ora lui sentiva reale l'impegno preso, a un livello superiore a ogni previsione. Mentre chiudeva il pugno e si portava l'anello alle labbra, con un pensiero di gratitudine, si accorse che Adam e McLeod si erano voltati verso Christopher, il quale si era spostato presso il letto di Gillian con aria di attesa. Anche lui si alzò, allora, rivolgendo la sua attenzione al sacerdote. «Signore Iddio», iniziò Christopher, alzando le mani a benedire i presenti, «ora concedi ai Tuoi servi di andare in pace. Sia fatta la Tua volontà, e possano i nostri pensieri e le nostre azioni essere sempre accetti al Tuo sguardo.» Peregrine si unì al coro di «amen» dei suoi compagni. «Il lavoro di questa notte della nostra Loggia è concluso», continuò
Christopher. «Ciascuno di noi si prenda un meritato riposo, sotto la protezione di Colui che ci guida.» «Amen, e così sia», risposero gli altri. Si trattava, comprese Peregrine, di una formalità per mettere fine a quell'impegnativa serata, perché subito l'atmosfera si fece più leggera e tutti cominciarono a riordinare la stanza, preparandosi a uscire. Peregrine cedette all'impulso di intercettare Christopher, prima che seguisse la moglie in corridoio. «Padre... cioè, Christopher, puoi dedicarmi un momento?» lo fermò, esitante. «Non so bene come chiedertelo, ma... ti dispiacerebbe darmi la tua benedizione, prima di andare?» Quella richiesta strappò un sorriso al sacerdote, che stava per dargli una risposta scherzosa, ma poi si fece serio. «L'hai chiesto benissimo. E te la darò con tutto il cuore. Solo, ricorda che la benedizione che ricevi dalle mie mani non viene da me, ma dalla Luce che noi serviamo.» Mentre Christopher sollevava la mano destra, Peregrine s'inginocchiò davanti a lui e giunse le mani, a capo chino. Il tocco del sacerdote sulla sua testa fu un riflesso terreno di quello che aveva ricevuto dalle mani dell'Entità, la straordinaria creatura a cui pensava ancora come a un angelo, e i suoi occhi s'inumidirono di lacrime di gioia e gratitudine. «Possa la benedizione del nostro Padre Celeste essere con te e accompagnarti ovunque andrai, ora e sempre», recitò Christopher. Poggiò una mano su una spalla del giovanotto e con l'altra gli tracciò una croce sopra la testa. «Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.» «Amen», ripeté Peregrine, e mentre si rialzava non si preoccupò di asciugarsi le lacrime dagli occhi. Dopo essersi rinfrancati con una tazza di tè e dei sandwich in biblioteca, Christopher e sua moglie si accomiatarono da Philippa, e Adam li accompagnò fino alla macchina. Peregrine invece accettò la proposta di trascorrere il resto della notte alla villa, in una camera per gli ospiti. Quando il giovanotto augurò agli altri la buonanotte e si fu ritirato al primo piano, Adam s'avvicinò a sua madre e d'impulso le diede un bacio su una guancia. «È stata una notte indimenticabile, vero?» le disse, con un sorriso stanco. «Ora ho un'idea più precisa di cos'hai provato tu quando mi hai presentato come postulante, tanti anni fa. Mi sono mai ricordato di ringraziarti?» «Il ringraziamento migliore è stato ciò che hai fatto», replicò lei, con orgoglio. «Era questo che chiedevo nelle mie preghiere, quand'eri bambino...
esser per te l'insegnante di cui avevi bisogno, e aiutarti a crescere fino a vederti diventare membro della Loggia. Ma ora sono io a dover ringraziare te.» Con un sorriso lui la abbracciò e le baciò la fronte. «Stanotte abbiamo fatto un buon lavoro, vero?» «È proprio così», fu d'accordo lei, con uno sguardo espressivo. «E ora suggerisco di andarcene a letto, per digerire il tutto con un buon sonno. Io dormirò nella camera di Gillian. Probabilmente la piccola si sveglierà presto, domattina, e sa il cielo come potrò dare la notizia a sua madre senza che le prenda un colpo.» La previsione di Philippa non era esagerata, perché il mattino successivo Mrs. Talbot ebbe quasi uno svenimento per la gioia allorché fu informata che la figlia era uscita dal coma. Erano le sette e mezzo quando finì di vestirsi, e precipitandosi nella stanza di fronte trovò Gillian semidistesa sul letto, pallida e fragile ma con gli occhi aperti e colmi di lucida intelligenza. Philippa, che poco prima le aveva tolto il tubicino della fleboclisi, lasciò madre e figlia a celebrare la loro riunione con risate e lacrime e abbracci, e scese al pianterreno per prendersi una meritata tazza di tè in compagnia del figlio. «Gillian è sveglia, e Iris si sta occupando di lei», riferì prosaicamente a Adam. «Ho detto a Humphrey di lasciarle sole una mezz'ora e poi di salire a vedere cosa vogliono per colazione.» Adam annuì, accigliato. «Una piccola battaglia l'abbiamo vinta. Ma le sorti della guerra sono quantomai incerte, se vuoi il mio parere.» «Non me ne sono dimenticata. Sospetto però che tu stia già pensando alla nostra prossima mossa.» La donna sedette di fronte a lui, e il suo volto ancora attraente si fece pensoso. «Da quando sono arrivata, ho sentito qualcosa nell'aria... l'accenno di qualcosa di oscuro e pericoloso che avevo l'impressione di conoscere, anche se non riuscivo a capire cosa fosse. Entrambi sappiamo che non si tratta soltanto della Loggia della Lince.» Adam guardò sua madre con aria d'approvazione. «Continua.» «Ho riflettuto su quello che ha detto Michael Scot questa notte, quando ha definito Hitler il Signore delle Ombre e ha parlato del suo libro di incantesimi.» Philippa annuì. «Credo che sia vero. Anche altri adepti avevano avvertito l'influsso di Hitler, da lontano, ed è sicuro che fosse uno stregone iniziato alla Magia Nera, con abbastanza potere a disposizione da portare avanti le aspirazioni più selvagge e brutali. A mettergli i bastoni tra
le ruote fu Hess. Anche Hess era un esperto di Negromanzia, ma alla fine non poté più sopportare ciò che Hitler stava facendo. Fu per questo che volò segretamente in Scozia, nel 1941, quando il suo aereo precipitò e lui fu catturato.» Nel vedere lo stupore di Adam, Philippa inarcò un sopracciglio. «Non ti ho mai parlato di questa faccenda?» «No.» «Santo cielo. Be', ora è storia antica, ma mio zio, Eric Rhodes, parlò con Hess parecchie volte dopo la sua cattura. A quell'epoca io non ne sapevo niente, perché stavo facendo il mio internato, ma anni dopo vidi alcune trascrizioni dei colloqui psichiatrici. Ad ogni modo, mio zio era convinto che Hess fosse un pazzoide e un mitomane, mentre invece il cugino di Dougie Hamilton dichiarò sempre che la vera ragione per cui Hess venne in Scozia non era convincere Dougie a condurlo dal Re. In realtà Hess voleva innanzitutto portare fuori dalla Germania il libro di incantesimi di Hitler, un manoscritto che lui stesso aveva rubato in un monastero situato da qualche parte nel Nord Europa, ma la cui origine era celtica... forse druidica o pittica.» Adam s'irrigidì a quelle parole, ma lei parve non notarlo. «Comunque, nei circoli esoterici ben informati circolava la voce che quel manoscritto fosse in Scozia», proseguì lei. «David Tudor-Jones, il padre del nostro attuale avversario, ne venne a conoscenza in qualche modo e cercò di metterci le mani sopra. Tuttavia anime più sagge avevano già deciso che sarebbe stato più al sicuro in America, dove assai difficilmente gli agenti di Hitler sarebbero riusciti a recuperarlo. Il duca di Kent lo portò in Irlanda nella sua valigia diplomatica... senza avere la minima idea di cosa stesse portando. Ma Tudor-Jones riuscì a far mettere una bomba a bordo del suo aereo. Il povero Georgie si sfracellò su una montagna da qualche parte nei Caithness... sul monte Morven, credo, nell'agosto 1942. E il manoscritto andò perduto per sempre, insieme al più attraente e simpatico dei duchi inglesi.» Philippa guardò Adam con un sospiro triste, ma lui stava elaborando le parole di sua madre con una logica diversa, che le collegava alla loro situazione attuale. «Mamma, ho motivo di credere che quel manoscritto non sia stato distrutto», disse, con calma. «Tudor-Jones può aver fatto saltare l'aereo del duca, ma prima era già riuscito a trafugare il libro. Sono convinto che oggi ce l'abbia Francis Raeburn... o Francis Tudor-Jones, se vogliamo chiamar-
lo così. E lui ne sta facendo uso per i suoi scopi attuali. Oppure... no, non credo che quella gente l'abbia avuto a disposizione per tutto questo tempo, altrimenti lo avrebbe usato anche in passato. La Loggia della Lince non ha mai avuto a disposizione un potere così grande. La cosa più probabile è che qualcun altro l'abbia tenuto per sé fino a poco tempo fa. Qualcuno che all'epoca della seconda guerra mondiale...» Adam tacque, perché gli era sorto un dubbio così audace da mozzargli il fiato. «Buon Dio, non potrebbe trattarsi di Hess in persona?» Philippa guardò il figlio, incredula. «Non essere ridicolo, caro. Hess è morto in carcere. La notizia risale al 1987, se non ricordo male.» «Ed è morto davvero?» «Naturalmente.» «Già... nel carcere di Spandau è deceduto un individuo di cui si diceva che fosse Rudolf Hess. Ma un chirurgo che lo visitò alla fine degli anni '70 dichiarò che l'uomo detenuto a Spandau non poteva essere Hess, basandosi sull'assenza delle cicatrici che Hess aveva riportato durante la prima guerra mondiale. E qualche anno dopo, due diverse autopsie non trovarono traccia delle cicatrici che Hess avrebbe dovuto avere. Questo in seguito al fatto che il figlio di lui, un certo Wolf Rutger Hess, cercò di fare causa alle nazioni alleate responsabili della detenzione di Hess, affermando che il corpo restituito alla famiglia nel 1987 non era quello del padre.» Una profonda ruga era apparsa tra le sopracciglia di Philippa. «Ora che ne parli, anch'io ricordo di aver letto quella notizia. Sì... il nome di quel chirurgo era Thomas, credo. Hugh Thomas, un gallese. E mi sembra che David Irvine abbia scritto qualcosa, dopo la morte di Hess, circa i suoi spostamenti, tra il periodo in cui il suo aereo precipitò e la fine della seconda guerra mondiale.» Adam annuì. «Hess trascorse un po' di tempo nel Galles, dopo esser stato catturato, mentre il governo decideva cosa fare di lui. Per quanto possa sembrare incredibile, gli fu dato il permesso di andarsene in giro da solo... e fu durante quel periodo che Hess ebbe un notevole cambiamento di personalità. Solo che secondo me a cambiare non fu la sua personalità, ma l'uomo stesso. Questo fu ciò che disse Hugh Thomas.» «Mi chiedo se non sia stato Tudor-Jones a organizzare la cosa», continuò Adam, che era in vena di fare ipotesi. «E se avesse portato Hess in Scozia, insieme al manoscritto? E se fosse stato lui a organizzare quel rifugio che abbiamo visto tra i Cairngorms? Questo confermerebbe per lo meno l'idea che al fianco della Loggia della Lince ci sia qualcos'altro...
qualcosa di molto potente.» Philippa si strinse nelle spalle. «Se la metti così, certo, alcune domande intorno a questa faccenda avrebbero una risposta. Tuttavia...» Tacque, mordicchiandosi un labbro. «Ma Hess non può essere ancora vivo. Oggi avrebbe... santo cielo, più di cent'anni!» «Non sarebbe il solo ad aver superato il secolo», ribatté Adam. «Ma anche se mi sbaglio, e se il potere dietro tutto questo non è Hess, sappiamo con certezza che c'è di mezzo il figlio di Tudor-Jones. Francis Raeburn è uno di quelli che oggi tirano i fili. E se suo padre ha davvero trafugato il manoscritto, adesso è in mano a qualcuno che sa come usarlo...» Madre e figlio si guardarono, a disagio. «Il libro degli incantesimi di Hitler», constatò Philippa con voce piatta. «Signore Iddio, che razza di potere gli ha dato?» «Be', il potere di chiamare i fulmini, almeno», rispose Adam. «E comunque focalizzino questo potere, l'aggiunta di sacrifici umani gli ha fornito una dimensione che sarà molto difficile contrastare. Cos'ha detto Scot di Hitler? 'Se avesse avuto successo, avrebbe richiamato sulla Terra la furia degli elementali più maligni'.» Philippa sbuffò. «Sembra che i nostri avversari lo stiano già facendo, anche se su scala più modesta a paragone di Hitler. Ma stanno diventando più forti, non c'è dubbio. E il prezzo pagato in vite umane aumenta a ogni loro attacco. La domanda è: perché? Cosa sperano di guadagnare, a parte il gusto di seminare il caos? Anche se questo potrebbe essere già abbastanza, per quella gente.» Ma le speculazioni di quel mattino non li portarono un passo più avanti, e anche in seguito l'avvicinarsi delle feste natalizie non lasciò loro molto tempo per cercare qualche nuova apertura. Nei giorni seguenti Adam fece in modo d'informare dei suoi sospetti gli altri membri della Loggia di Caccia, ma lo spettro di un'ideologia taumaturgica hitleriana rappresentava una prospettiva troppo inattesa per molti di loro, e per essere esaminata richiedeva un cambiamento culturale dei punti di vista. Per i tre membri che erano arrivati a sfiorare di persona la faccia di quel potere oscuro, l'idea di affrontarlo senza maggiori informazioni era sgradevole al punto di paralizzarli. Adducendo la scusa di doversi riprendere dall'incidente stradale, Adam riuscì a dedicare parecchie ore al giorno a un lavoro di ricerca nella sua vasta biblioteca, ma non ne ricavò nulla di significativo. Tutto faceva pensare che fossero in stallo, obbligati ad aspettare che il nemico colpisse ancora... e anche così non c'era nessuna garanzia che sarebbe emersa una
traccia capace di condurli a una soluzione del problema. Nel frattempo c'erano da risolvere le situazioni pratiche della vita d'ogni giorno, e la complicazione molto reale di una ragazzina dodicenne sempre più vivace sotto il loro tetto. Dopo un lento inizio nella giornata di sabato, mentre tornava a nutrirsi di cibo vero e il suo corpo si rimetteva in forze, la giovane Gillian era rimbalzata verso uno stato di buona salute con magica rapidità. La domenica fu già in grado di scendere al pianterreno e presentarsi a colazione, e quel pomeriggio suo padre giunse in volo da Londra, dopo la telefonata con cui la sera prima sua moglie gli aveva dato l'emozionante notizia. Su invito di Adam, la famiglia Talbot si preparò a trascorrere un tradizionale Natale scozzese a Strathmourne, perché, anche se Gillian faceva progressi stupefacenti, Philippa avvertì i suoi genitori che la prognosi della ragazzina sarebbe stata più sicura se, prima di tornare a casa, un completo esame psichico avesse confermato che il pericolo era ormai sorpassato. Privatamente, sia lei che Adam erano riluttanti a lasciare Gillian priva della loro protezione finché era ancora vulnerabile, e intendevano prendere misure pratiche per rafforzare le difese della ragazzina, mascherandole come interventi terapeutici. Nel frattempo, sapere che era al sicuro nei confini della villa rappresentava un fardello in meno, visti gli altri problemi. Trascorsero la giornata di lunedì montando un albero di Natale in salotto, con gran divertimento di Gillian. Quel pomeriggio, dopo un sonnellino, la piccola paziente ormai sulla via del recupero proclamò che il suo desiderio natalizio era di essere presentata ai cavalli di Adam. Poiché Philippa non trovò nessuna controindicazione medica a quell'iniziativa, gli adulti dovettero arrendersi. Gillian convinse poi sua madre a lasciarla vestire di tutto punto, invece che con il pigiama e la veste da camera, perché intendeva far visita alla scuderia come si conveniva a una piccola lady. Philippa fece sapere che, stando così le cose, lei si sarebbe ritirata in camera sua per un meritato pisolino. Mentre i genitori di lei assistevano emozionati (il padre con una macchina fotografica in mano), Adam fece salire Gillian in groppa a Khalid e la condusse per tre o quattro giri intorno al cortile; poi montò dietro di lei e portò lo stallone grigio fuori, sul prato davanti alla villa, dove c'era lo spazio per passare al trotto. Peregrine era arrivato dopo pranzo dalla dépendance, con il suo album da disegno, e seguì i Talbot sul prato per fare qualche schizzo, mentre Adam spingeva il cavallo a un'andatura più vivace sul terreno erboso a fianco del viale. La ragazzina, nata e vissuta in città,
era in estasi. I due cavalleggeri avevano percorso un centinaio di metri lungo il prato, e stavano tornando indietro, quando una ruggente Morgan gialla con il tettuccio nero sopraggiunse sul viale d'ingresso. Con un sorriso, Adam tirò le redini e fece spostare Khalid sul bordo della strada, mentre Ximena rallentava fino a fermarsi e abbassava il finestrino. L'uomo si portò una mano alla visiera del berretto da cavallerizzo. «Buon pomeriggio, dottoressa Lockhart», la salutò. La donna fece una scherzosa smorfia di disapprovazione. «Lei dovrebbe essere in convalescenza.» «Oh, lo sono», rispose lui. «Lo siamo entrambi. Questa giovane amazzone è Miss Gillian Talbot, che si sta allenando per le prossime Olimpiadi di dressage.» «Vedo», disse Ximena. «Piacere di conoscerti, Gillian. Come va?» Gillian arrossì e nascose la faccia contro la giacca di Adam. «Miss Gillian è un po' timida, temo. Ma la prego, prosegua per la villa. Non mancheremo di raggiungerla là.» Con un sorriso indulgente, Ximena ingranò la marcia e si allontanò. Appena fu fuori portata di udito, Gillian si volse e sollevò due occhi azzurri pieni di serietà verso Adam, mentre lui incitava Khalid a muoversi. «Dottor Sinclair, quella è la sua fidanzata?» «Be', non esattamente», rispose lui. «Ma un giorno potrebbe anche diventarlo. L'ho conosciuta solo una decina di giorni fa. È un medico. In effetti, è quella che mi ha rappezzato la testa.» «Mmm. È carina», concesse Gillian. «Meglio sbrigarsi, allora. Mia madre dice che un gentiluomo non deve mai far aspettare una signora.» «Non è prudente, infatti», ridacchiò Adam, manovrando le redini intorno a lei. «Ma sbaglio, o stai cercando di convincermi a mettere Khalid al trotto? E va bene, allora, ragazza mia. Reggiti forte, e proveremo il brivido della velocità.» Quando giunsero alla villa, Ximena stava già scendendo dall'auto. Mentre Adam smontava, lasciando Gillian in sella, Peregrine prese lo stallone per le redini. «È questa la tua bella dottoressa?» gli domandò, sottovoce. «Proprio lei. È venuta a levarmi i punti, suppongo», disse Adam. «Ti spiace riportare Gillian e Khalid nel recinto?» «Sarà un piacere», sorrise Peregrine. «Andiamo, Gillian. Dovrai aiutarmi a rimettere questo bestione grigio nella stalla, okay? Ma prima, credo
che tuo padre voglia farti qualche foto in sella.» «Oh, sarebbe bello, sì, Mr. Lovat», esclamò Iris Talbot accarezzando il collo di Khalid, mentre George si affrettava a immortalare quel momento. «Gillian, ti sei ricordata di ringraziare il dottor Sinclair?» Mentre i quattro si allontanavano, Adam si tolse il berretto e se lo mise sotto un braccio, ravviandosi distrattamente i capelli con una mano. Quel gesto gli consentì di accertarsi che i cerotti fossero ancora al loro posto, incamminandosi verso Ximena. «Una dei miei pazienti, con i genitori», spiegò, mentre lei chiudeva lo sportello della macchina. «In realtà, nell'ultima settimana è stata una paziente di mia madre... senza la quale non avrei saputo come fare, con quello che mi è successo. E lei ha finalmente una serata libera? Oppure è capitata qui alla mordi e fuggi, come l'ultima volta?» Ximena sospirò pesantemente, seguendolo su per la scala d'ingresso e in casa. Aveva i capelli sciolti, ma quando si sbottonò il soprabito nero Adam vide che sotto indossava un camice da laboratorio. «Mordi e fuggi, temo. Devo essere al lavoro tra meno di due ore.» «Ancora a corto di personale, allora?» domandò Adam, facendola passare in biblioteca. «Temo di sì.» Lei si lasciò aiutare a sfilarsi il soprabito. «Mi piacerebbe proprio sapere cos'è successo al dottor Wemyss. Non è bello da parte sua farci lo scherzo di sparire proprio sotto le feste, quando tutti stanno già facendo gli straordinari. Avremo una pausa giovedì, però... se ci arriverò viva.» Ximena tolse da una tasca del camice un involto di tela verde che aveva l'aria di contenere strumenti chirurgici pronti per l'uso, evidentemente intenzionata a mettersi al lavoro. Con un sorriso, Adam andò al telefono sulla scrivania. «Lasci almeno che faccia portare un po' di tè, allora. Ha l'aria di averne bisogno.» «Bene, ma dica al suo maggiordomo di servirlo in una tazza di coccio, con un po' di latte e due cucchiaini di zucchero», replicò lei. «L'argenteria mi piace, ma oggi pomeriggio non avrei il tempo di apprezzarla.» Adam trasmise l'ordine, si tolse i cerotti e andò a sedersi sotto la lampada che Ximena aveva girato verso una sedia, accanto alla scrivania. «Mi spiace di averla trascinata qui per una cosa da poco», disse, aiutandola a tenere fermo l'involto verde che lei stava aprendo. «Avrebbe dovuto telefonarmi. A levarmi i punti poteva pensarci mia madre... o magari avrei fatto da solo.»
«Sta scherzando? E perdermi lo spettacolo di Sir Adam in braghe da cavallerizzo? Giri la fronte verso la luce, non voglio rischiare di cavarle un occhio proprio oggi.» Trattenendo un sorriso, Adam fece quello che gli veniva detto, e vide la fila di pezzetti di seta nera diventare sempre più lunga sul panno verde, come tanti piccoli ragni, finché ci furono tutti e quattordici. Dopo i primi, lei gli aveva immobilizzato la testa tra gli avambracci, per tenerla ferma mentre lavorava. Non aveva parlato molto, ma a lui quel silenzio era parso rassicurante invece che goffo, e sotto le mani di lei era riuscito a rilassarsi. «Ecco, li abbiamo tolti tutti», mormorò lei, spostandogli indietro i capelli e premendo con le dita per stimolare la fuoruscita di qualche goccia di siero. «Sì, le ferite sono guarite bene. Tra pochi mesi le sarà difficile vedere il segno della sutura.» Adam stava cercando d'immaginare cosa sarebbe successo se le avesse passato un braccio intorno alla vita, quando un discreto bussare alla porta annunciò l'arrivo di Humphrey con il tè. Sospirò, mentre il maggiordomo entrava, e sollevò il panno verde con le forbici e le pinze. Lei non disse niente, avvolse di nuovo gli strumenti, se li rimise in tasca e sedette stancamente sulla poltrona di fronte a lui, lasciando che Humphrey deponesse il vassoio con le due tazze che aveva portato. «Ah, povera la mia schiena», mormorò, quando il maggiordomo fu uscito, rilassandosi contro lo schienale imbottito. «Oggi non ho fatto altro che correre avanti e indietro... e il mio turno è cominciato alle sei.» Sorridendo Adam allungò un piede ad agganciare uno sgabello e lo spostò davanti a lei. Ximena portava scarpe di gomma bianche, da infermiera, fatte per essere comode e silenziose. Sulla maggior parte delle donne non sarebbero state affatto eleganti, ma in lei riuscivano ad avere qualcosa di professionale e di sportivo insieme. «Metta su i piedi per qualche minuto, e si rilassi», le suggerì. «Scommetto che se l'è meritato.» «Può dirlo forte», annuì lei, appoggiando i talloni sullo sgabello. «Mmm, ora va meglio. Suppongo che lei usi l'ipnosi nel suo lavoro. È così?» «In effetti, abbastanza spesso. Perché me lo domanda?» «Lo fa davvero?» Lei lo guardò con nuovo interesse, sorseggiando il tè. «È vero che dieci minuti sotto ipnosi equivalgono a parecchie ore di sonno?» «A volte. Dipende dal soggetto.»
«E io sarei un buon soggetto?» «Non lo so. È interessata a scoprirlo?» Lei guardò il suo orologio, poi scosse il capo con rammarico. «Dannazione! Mi piacerebbe provarci, ma oggi non credo di avere il tempo.» Bevve ancora qualche sorso facendo una smorfia per la temperatura del tè. «Dio, non vedo l'ora che questa scarsità di personale sia risolta! Io voglio prendermi una giornata di riposo, giovedì, qualunque emergenza ci sia. Credo che dormirò ventiquattr'ore di fila.» Ximena lo guardò, inclinando il capo «Suppongo che quella cena lei potrebbe offrirmela giovedì sera. Che ne pensa?» Il sorriso di Adam lasciò il posto a un'espressione di disappunto quando ricordò che giovedì era la vigilia di san Giovanni Evangelista. «Ximena, mi dispiace», si scusò, onestamente. «Non c'è niente che mi piacerebbe di più, ma giovedì sera dovrò andare all'abbazia di Melrose per una cerimonia chiamata la Passeggiata Massone. Io non sono un massone, ma un mio caro amico che aveva un alto rango nella loro organizzazione è stato ucciso, il mese scorso. La sua Loggia e altri conoscenti vogliono celebrare il suo ricordo. La Passeggiata si tiene da un centinaio d'anni sempre nella stessa data, o forse duecento anni, e credo che il povero Stewart vi partecipasse da almeno cinquant'anni. È una cosa che significava molto per lui.» «Stewart...» mormorò lei. «Non sta parlando di Randall Stewart, il massone ucciso in modo misterioso tra le colline, più a nord?» Adam s'irrigidì un momento, come se in lui tornasse il dubbio, già scartato fin dal primo giorno, che la dottoressa Lockhart fosse in qualche modo coinvolta nella faccenda. Dopotutto Wemyss c'era dentro, e i due lavoravano nello stesso ospedale. Ma poi si ricordò che quel nome era stato sui giornali per molti giorni. «Sì, proprio lui. Suppongo che abbia letto della cosa, o ne abbia sentito parlare alla televisione», rispose, cautamente. «Ad ogni modo, lei capirà che non posso mancare.» «Sì, certo», mormorò lei, comprensiva. «Mi spiace, Adam. Voglio dire... perdere un amico in un modo così orribile. È stato lei a trovare il corpo, no? Ora ricordo perché il suo nome mi sembrò familiare quando venne al pronto soccorso. Lo avevo letto sui giornali.» «Sì, io... a volte lavoro come consulente per la polizia», ammise lui, abbassando lo sguardo sulla sua tazza di tè. Fra loro ci fu una pausa di silenzio, ma l'atmosfera restò calda e amiche-
vole. Poi Ximena tolse i piedi da sopra lo sgabello e si piegò in avanti. «Adam, mi dica pure se sono sfacciata, ma... se non le sembra un'intrusione da parte mia, sarei onorata se mi lasciasse venire con lei, giovedì sera.» Lui rialzò lo sguardo, sorpreso. «Sul serio le piacerebbe venire? Posso chiederle perché?» Le mani di lei, dalle dita forti e prive di anelli, si strinsero intorno alla tazza. Il suo sguardo si abbassò sul pavimento tra loro due, e vi apparve un'ombra d'imbarazzo. «Potrei dirle che uno dei motivi è la sua compagnia, la possibilità di stare con lei, e questo sarebbe la verità, perché lei mi piace molto. Ma a parte questo... be', mio padre e mio nonno, ed entrambi i miei fratelli, sono massoni, in America. In realtà, quando questa storia è apparsa sui giornali, ho ritagliato alcuni articoli e li ho spediti a mio padre. Ricordavo di aver visto dei libri scritti da Randall Stewart sugli scaffali di casa nostra, quand'ero una ragazzina, e so cosa significa la Confraternita per la mia famiglia.» Sospirò e scosse il capo. «Comunque, se è così che i suoi confratelli scozzesi hanno deciso di onorarlo, sarei fiera di partecipare. Solo come spettatrice. So che io non potrei marciare con gli altri, non essendo massone.» Lentamente Adam si concesse di sorridere, mentre ogni dubbio che poteva ancora avere si dissolveva. «In questo siamo in due», disse, sottovoce. «Ma se lei vuole venire davvero, e ha il coraggio di affrontare il freddo di una serata invernale, per non parlare del viaggio di andata e ritorno, allora le sarei molto grato per la compagnia.» Il suo sorriso si accentuò. «In effetti c'è un ristorante abbastanza decente all'albergo, sulla piazza di Melrose. Se le va, poi potremmo cenare là.» Ximena annuì con un sorriso. Poi guardò di nuovo l'orologio, inarcò le sopracciglia e si affrettò a bere il resto del tè. «Devo proprio andare», si scusò, alzandosi. «Probabilmente c'è già una fila di gente che perde sangue sul pavimento del corridoio, in attesa del mio ritorno. Mi piacerebbe davvero vedere una vigilia di Natale che fosse una silent night, holy night, come dice la canzone. Qui in Scozia andate in chiesa, la notte di Natale?» «Di solito io ci vado», rispose lui, aiutandola a infilare il soprabito. «Quest'anno, ora che abbiamo qui la famiglia di Gillian, penso che dovrò rinunciarci. Avremo altro da fare. Ma metto sempre una candela accesa sul davanzale della finestra. È una vecchia usanza celtica... la luce accesa per Giuseppe e Maria che stanno cercando un posto dove trascorrere la notte...
e forse un simbolo della rinascita della Luce, in questo periodo dell'anno. Questo lo fanno anche dalle sue parti?» «No, ma mi piace. Forse accenderò una candela a una finestra dell'ospedale.» «Mi permette di offrirgliene una?» domandò lui, con un sorriso. Lei inclinò la testa. «Vuole farlo davvero?» «Certamente.» Adam andò a uno scaffale, prese una candela votiva contenuta in un vasetto azzurro e gliela consegnò. «Buon Natale.» «Buon Natale», rispose lei. Gli appoggiò una mano su una spalla e si alzò in punta di piedi per sfiorargli le labbra con un bacio. Adam le passò un braccio intorno alla cintura mentre l'accompagnava alla porta, e nessuno dei due disse altro. Ma una volta fuori, appena emersero dal porticato, Ximena lo guardò nel suo modo franco e diretto. «Allora, a che ora devo aspettarla, giovedì?» gli chiese, mentre s'incamminavano verso la macchina. «Facciamo alle quattro e mezzo? Dovrò accompagnare i Talbot all'aeroporto, il loro volo per Londra partirà alle quattro. Poi verrò direttamente a casa sua. A proposito, dove abita?» «Blackett Place, numero quindici», rispose lei, sedendosi al volante. «Vedrà la macchina fuori. E io cosa dovrò aspettarmi?» «Be', non la Bentley, temo... non per una serata a Melrose, dove il tempo sarà probabilmente orribile. Ma ho affittato una Toyota, nell'attesa di procurarmi un'altra Range Rover... una comune Land Cruiser bianca.» «Oh, crudele!» esclamò lei. «Non mi mostrerà quella Bentley?» «Non le ho mostrato neppure la mia collezione di farfalle, se è per questo», ribatté lui, con un sogghigno. «Suppongo che questo la obbligherà a tornare qui.» «Mmm, lo suppongo anch'io», sorrise lei, mentre girava la chiave e il motore prendeva vita con un ruggito. 35 Il giorno di Natale si presentò fin dal mattino grigio e coperto, ma non freddo. Peregrine si fece vedere alla villa verso le undici, e trovò Gillian in mezzo a una quantità di regali accanto all'albero, in salotto, intenta a sfogliare un libro illustrato dedicato ai cavalli, dono di Adam e di Philippa. Gli occhi azzurri di lei s'illuminarono alla vista del giovane artista, per il quale aveva sviluppato un attaccamento da sorella minore, e subito si alzò
per abbracciarlo. In quegli ultimi tre giorni, mentre facevano conoscenza, aveva preso a chiamarlo «Falco», e sebbene non ricordasse niente dei due mesi trascorsi in coma, sembrava intuire in qualche modo che lui aveva avuto a che fare con il suo risveglio dalle tenebre. «Buongiorno, zio Falco!» esclamò, piantandogli un bacio entusiasta su una guancia. «Babbo Natale ha portato un sacco di regali anche a te?» «Oh, diciamo che mi ha portato tutto ciò di cui avevo bisogno», rispose lui, sorridendo a Adam mentre si districava dall'abbraccio della ragazzina per mettere giù la voluminosa borsa che aveva con sé. «Ma credo che per sbaglio abbia dimenticato qualcosa a casa mia.» Aprì la borsa e ne tolse una piccola scatola avvolta in carta da regalo, con il nome di Gillian su un'etichetta. «Questo è per te», disse a Gillian con un sorriso. «Buon Natale.» Era un braccialetto: una catenella d'oro bianco con un pendente a forma di angelo. Gillian ne fu deliziata, e si affrettò a protendere la mano sinistra per farselo mettere al polso. «Oh, grazie, zio Falco! È meraviglioso!» «Mr. Lovat, è davvero un bellissimo regalo», concordò Mrs. Talbot. «Ma non avrebbe dovuto essere così generoso, davvero.» Peregrine accettò l'accusa stringendosi nelle spalle. «Forse no», concesse. «Ma mi sembrava un oggetto adatto a lei.» Il giovanotto aveva regali anche per il resto della compagnia. Per i Talbot, un ritratto a matita di Gillian, con i grandi occhi spalancati e pieni di vita. «È uno studio per un ritratto a olio», spiegò. «Quando lo avrò fatto, ve lo porterò personalmente a Londra.» Per Philippa, aveva una spilla con un ovale d'avorio sul quale c'era un ritratto in miniatura di Adam, dipinto come un gentiluomo dell'epoca vittoriana. Lei disse solo: «Grazie Peregrine», ma i suoi occhi brillavano di gioia quando si appuntò la spilla sul colletto della blusa. Il regalo per Adam era contenuto in una scatola di legno: un cavallo di bronzo, alto una trentina di centimetri. Adam si concesse un fischio d'apprezzamento quando lo tolse dalla protezione di stoffa e lo guardò più da vicino. «Ma questo è Khalid!» esclamò, sbalordito. «Proprio lui», confermò Peregrine. «È stato realizzato sulla base di alcuni miei disegni da uno scultore di Londra, un mio amico. Gliel'ho commissionato dopo i fatti del castello di Urquhart. Spero che ti piaccia.»
«Se mi piace? È stupendo. Non so proprio come ringraziarti.» «E sto ancora lavorando a quello studio equestre di cui avevamo parlato, simile al ritratto di tuo padre sul suo cavallo grigio. Speravo di riuscire a finirlo per oggi, ma troppe altre cose si sono accumulate.» Adam ridacchiò: «Tutte scuse, tutte scuse!» e porse a Peregrine il regalo che gli avevano fatto lui e Philippa. Era un set di acquerelli cinesi in una scatola finemente laccata, completo di mortaio di bronzo e pestello per mescolare i colori. «Sono contenta che ti piaccia, mio caro», disse la donna, vedendo l'espressione della sua faccia. «Lo ha trovato per noi Lady Julian, attraverso un antiquario che conosceva bene suo marito. Ho avuto ordine di dirti che quelli sulla scatola sono simboli cinesi della fortuna... e ti auguriamo che ti accompagni per ogni giorno della tua vita.» Poco dopo sopraggiunse Humphrey con una leggera colazione di metà mattina a base di champagne, e Peregrine si scusò dicendo che doveva partecipare anche a un altro pranzo. «Sono stato invitato dallo zio di Julia, a casa loro», spiegò a Adam sulla porta, mentre si salutavano. «Julia vorrebbe che restassi un paio di giorni, ma ormai ho deciso che non posso perdermi la partita di caccia, domani, se il tempo lo permetterà. Vorrei che venissi anche tu.» «Oh, vedrò quello che posso fare», disse Adam. «Ma preferirei approfittare delle ore in cui non ci sarà nessuno in casa per fare alcune ricerche in biblioteca. Tu non hai idea delle distrazioni che ci sono quando una ragazzina dodicenne se ne va in giro per tutta la casa... non che io mi lamenti della rapidità con cui si sta rimettendo in salute. In ogni caso, John cavalcherà con te e vedrà che tu non ti metta nei guai. E so che Gillian e i suoi genitori sono impazienti di seguire la caccia in macchina. Sarà un'esperienza nuova per loro.» Peregrine annuì. «Lo sarà anche per me... o almeno è un ritorno. Dio, non partecipo a una caccia da quando andavo all'università.» «Non a cavallo, almeno», precisò Adam, con un sorriso. L'umore di Peregrine tornò sobrio mentre l'amico lo seguiva fino alla sua Morris. «Abbiamo fatto qualche progresso?» gli domandò. «Nessuno di cui valga la pena parlare. Sto lavorando su una teoria, basata su una cosa che Scot ha detto l'altra notte, ma finora non posso affermare che mi porterà da qualche parte. Sfortunatamente siamo ancora in una posizione che ci costringe ad aspettare le mosse dei nostri avversari... e non è una strategia molto raccomandabile. Preferirei un attacco preventivo,
se potessi scegliere. Ma non posso rischiare la Loggia di Caccia in quella che, affrontandola senza l'adeguata preparazione, potrebbe rivelarsi una missione suicida.» Con una smorfia Peregrine aprì l'auto e mise la borsa sul sedile posteriore. «Be', io sono a tua disposizione per quando penserai che siamo pronti. E se mi succedesse qualche contrattempo, te lo farò sapere subito.» Si separarono così, con Peregrine che cercava di recuperare il suo umore natalizio e Adam che tornava al ruolo di sereno padrone di casa. Il giorno successivo, quando vide partire i cacciatori (Peregrine e lo stalliere a cavallo, e i Talbot e Philippa a bordo della Toyota, con Humphrey al volante), Adam si ritirò tra i suoi libri. Verso mezzogiorno, il campanello d'ingresso lo distolse dalle sue meditazioni. Era McLeod, con una bottiglia di MacAllan. La stapparono e sorseggiarono il brandy, seduti davanti alla finestra ricurva della biblioteca da cui si godeva la vista del prato spolverato di neve. «Vorrei avere qualche buona notizia a cui brindare», disse cupamente McLeod, sollevando il bicchiere. «Ma la nostra preda sembra scomparsa nelle profondità della terra, e per quanto mi sforzi non riesco a sentirne l'odore. Per quanto riguarda il dottor Wemyss, è stata aperta una pratica di persona scomparsa, ma finora non è emerso niente. L'unica cosa interessante è che dal punto di vista professionale la sua carriera è anonima e incolore quanto quella del nostro ispettore Napier.» «Quest'ultimo cosa sta facendo?» volle sapere Adam. «Mi piacerebbe che emergesse qualcosa a suo carico, almeno abbastanza da tenerlo in una cella mentre ci occupiamo dei suoi compari.» «Piacerebbe anche a me», grugnì McLeod. «È un tipo che non ti guarda negli occhi neanche quando ti saluta, passandoti accanto. Ma non ho in mano niente... niente che potrebbe convincere gli Affari Interni ad aprire un fascicolo su di lui.» «Peccato.» Brevemente i due discussero la teoria del nesso con Hitler, che lasciò entrambi preoccupati e a disagio. Alla fine McLeod vuotò il suo bicchiere e si alzò, raccogliendo sciarpa e soprabito dal divano. «Credo che sia meglio tornare a casa. Stasera abbiamo a cena la famiglia di Jane, e io devo farmi vedere. Hai ancora idea di venire giù a Melrose con noi, domani sera?» «Sì, ma non con voi. Ti avrei telefonato», si scusò Adam, mentre andavano alla porta. «Porterò con me la dottoressa Lockhart... sì, proprio lei. Mi ha già fatto visita a casa un paio di volte. Ci vedremo là. Che ne dici di
bere qualcosa tutti insieme al Burt's Hotel, verso le sei?» «Ottima idea», concordò McLeod. «Così potrete tenere compagnia a Jane, mentre i massoni passeggiano. Verrà anche Peregrine?» «No. Quando gliene ho parlato, ha accennato a qualche impegno con Julia.» «Be', è giusto così», rispose McLeod. «Dopotutto lui non era un conoscente di Randall. E mi fa piacere che frequenti quella ragazza. Credi che parleranno di matrimonio?» Adam si strinse nelle spalle. «Finora Peregrine non mi ha parlato di progetti a lungo termine. Ma non possiamo escludere niente. Oggi è molto diverso dal giovanotto di due mesi fa.» «Già. E tu ne sei il primo responsabile», annuì McLeod. «Credo che la cerimonia dell'altra notte sia stata qualcosa di molto speciale per lui.» «Ora quello che dobbiamo fare è cercare di tenerlo in vita», rifletté Adam, con un filo di cinismo. «Questo non è certo il momento che avrei scelto per portare qualcuno nel nostro gruppo... ma sembra che non abbiamo troppa scelta su questo genere di cose, no?» «No, ma finora siamo sempre riusciti a venirne fuori.» McLeod fece per salire in macchina, poi si fermò. «Sai, Adam, può darsi che sia un sospetto paranoico, ma non vorrei che la cerimonia di domani sera a Melrose inneschi la prossima mossa dei nostri avversari. Voglio dire, ci saranno... be', almeno un centinaio di massoni in un sol posto. Un evento pubblico. E misure di sicurezza quasi inesistenti.» «Hai un motivo per sospettare qualcosa?» domandò Adam. «No. È solo un pensiero che mi è venuto. Se pensassi che possono attaccarci, non porterei Jane. Ma non sarà una cattiva idea tenere gli occhi ben aperti.» «Lo terrò presente», annuì Adam. Per il resto della giornata, tuttavia, non provò nessuna sensazione di pericolo imminente. Restò a leggere in biblioteca fino al crepuscolo, e stava accendendo le luci quando la Toyota apparve sul viale d'ingresso diretta verso il garage, per sbarcare i reduci dalla caccia, infreddoliti e affamati. Da lì a poco dinanzi alla villa giunsero anche John e Peregrine, al trotto sull'erba spolverata di neve. In groppa dietro Peregrine, con le braccia strette intorno a lui, cavalcava Gillian, rossa in viso e sorridente. Nell'ora che seguì, tutti ebbero da fare per sistemare i cavalli, togliersi il fango dagli stivali Wellington, trasferire Gillian al piano di sopra per un bagno e rinfrancarsi lo stomaco con tazze di tè caldo. Mrs. Gilchrist aveva
preparato uno stufato delizioso, e cenarono alla luce dell'albero di Natale, seduti davanti al camino del salotto, mentre Peregrine e Gillian ridevano con i genitori di lei ripercorrendo i momenti più divertenti della giornata di caccia, e Adam e Philippa ascoltavano con indulgenza. Quando si ritirarono nelle loro stanze, più presto della solita ora, Adam era stanco come se avesse partecipato alla caccia lui stesso, e scivolò in un sonno senza sogni appena la testa toccò il cuscino. Il giorno seguente si rivelò ancor più grigio e nel pomeriggio nubi temporalesche giunsero dalla parte di Glasgow, così Adam decise di accompagnare i Talbot all'aeroporto con un po' di anticipo sul previsto. La loro partenza da Strathmourne fu un momento insieme triste e lieto, perché Gillian tornava a casa ormai guarita. Peregrine venne a salutarla e le portò un acquerello che la raffigurava in sella a Poppy, e anche Philippa era un po' commossa quando la Toyota si allontanò dalla scalinata d'ingresso. Adam giunse all'aeroporto venti minuti prima del decollo, accompagnò i Talbot nel terminal, si assicurò che non avessero problemi e li salutò, poi andò a Blackett Place per prelevare Ximena. La trovò già pronta, con pantaloni di lana grigia, stivali da neve, blusa di pelle e uno spesso soprabito con i bordi di pelliccia. Si scambiarono un casto bacio sulla porta di casa, quindi lei rientrò per prendere la sciarpa, i guanti e il berretto, prima di seguirlo verso la Toyota. «Ebbene, dimmi qualcosa di più su questa Passeggiata Massone», gli chiese lei, mentre si dirigevano a sud sulla A7, dopo essersi scambiati le solite battute di spirito su come andavano le cose all'ospedale. Ximena era riuscita a dormire qualche ora in più ed era di buon umore. Il vento trascinava raffiche di nevischio quasi orizzontali attraverso la strada, ma al suolo c'era appena uno strato bianco di cinque o sei centimetri; un inconveniente per i tergicristalli, non per le quattro ruote motrici della Toyota. «Be', questa è la prima volta che ci vado», ammise Adam. «Ma da quanto mi è stato detto, partecipano massoni di tutte le Logge del meridione. Si raduneranno alla Loggia massonica di Melrose, gireranno tre volte in processione alla luce delle torce intorno a Merkat Cross e proseguiranno per l'abbazia, dove qualcuno terrà un discorso patriottico. Poi una cornamusa suonerà Flowers of the Forest in memoria di tutti quelli che sono morti per difendere la Scozia, e torneranno a Merkat Cross, dove il Maestro della Loggia dichiarerà sciolta la riunione. Tutto qui. Ci vorrà circa un'ora.» «Sembra una bella cosa. Vorrei che mio padre fosse qui per vederla. Ultimamente la Massoneria ha avuto una cattiva stampa, non è vero? Ancor
prima che il tuo amico fosse ucciso.» «Sì, è così. Un mio caro amico del dipartimento di polizia è un massone attivo, e ha dovuto mettere a tacere un sacco di maldicenze. Te ne parlo perché stasera conoscerai lui e sua moglie.» «Ma perché qualcuno vorrebbe attaccare i massoni?» domandò lei. «Si sforzano di fare qualcosa di buono. Certo non fanno niente di male.» «Be', sono d'accordo. Uno degli argomenti usati dai loro detrattori è che i massoni sfruttano i loro contatti per favoritismi al limite dell'illegale, assegnando contratti e appalti ad altri massoni. Questo può essere vero in alcuni casi, essendo la natura umana quella che è, ma i massoni che conosco affermano che la preferenza massone entra in gioco solo quando le altre qualifiche sono in parità. E se si tratta di scegliere tra un non massone sconosciuto e un massone che abbia aderito a un codice noto di autoregolamentazione... forse non è irragionevole dare la preferenza al secondo.» Lei sbuffò. «In America ho sentito critiche del genere, solitamente fatte da qualcuno che non aveva un codice di autoregolamentazione. I massoni fanno anche della beneficenza, inoltre, perché per alcuni è come un'estensione della loro religione.» «Non ti do torto. In effetti, anzi, credo che la Massoneria riempia i vuoti lasciati dalle religioni tradizionali, contribuendo all'esistenza di quell'ombrello di buona volontà, se così vogliamo chiamarlo, generato dalle persone rette di tutto il pianeta, il quale contribuisce a tenere lontano il male.» «Tu allora vedi il male come una forza tangibile?» domandò lei. «Lo si può anche vedere così», confermò lui, pensando a ciò che aveva visto nei Cairngorms. «In generale, però, penso che ciò che percepiamo come male, nel mondo, sia piuttosto l'indifferenza, o l'eccesso di preoccupazioni egoistiche. Esso è non tanto le cose che l'uomo fa, quanto quelle che non si cura di fare. Io tendo a credere che la maggior parte della gente vorrebbe fare solo ciò che è giusto.» Adam, rallentò quando svoltarono sulla A6091, seguendo il cartello stradale che indicava Melrose. «Ma non stiamo ad addentrarci in una discussione filosofica sul male. Spero che t'interesserà vedere un po' di folklore scozzese, anche se la ragione per cui veniamo qui è triste. Sei mai stata a Melrose?» «No, non ho avuto il tempo di perlustrare la regione. Da quando sono arrivata qui, nel giugno scorso, non ho fatto che lavorare.» «Be', dovresti tornare da queste parti quando ci sarà più luce», suggerì Adam, oltrepassando il Waverly Castle Hotel in direzione di Merkat Squa-
re. «Le Eildon Hills sono uno dei posti più ameni del meridione, e nei dintorni ci sono altre abbazie storiche: Dryburgh, Jedburgh e Kelso. Sono siti archeologici spettacolari. Ma io ho una predilezione per Melrose.» Merkat Square era un parcheggio triangolare, più che una piazza. A un'estremità c'era Merkat Cross, e Adam individuò la BMW di McLeod giusto fuori del Burt's Hotel. Fu lì che fermò la Toyota. Trovarono Noel e Jane McLeod già seduti a bere qualcosa nel bar del pianterreno, e McLeod alzò una mano a chiamarli mentre Adam e Ximena si scuotevano via la neve dagli stivali. McLeod indossava il grembiule e il colletto da Maestro Massone sotto la giacca, mentre Jane aveva un elegante completo di tweed. «Vi stavamo aspettando», li salutò McLeod, facendo un rapido cenno al barista. «Avete giusto il tempo di buttare giù un punch bollente, prima di tornare ad affrontare il freddo. Bene... lei dev'essere l'intrepida dottoressa Lockhart, che ha rappezzato la testa del nostro Adam», disse, porgendo la mano a Ximena. «Noel e Jane McLeod, la dottor Ximena Lockhart», li presentò Adam, dopo aver scambiato un bacetto sulla guancia con Jane. «Stasera ci siamo ripromessi di non parlare di lavoro. Ximena ha avuto una settimana dura sotto Natale, e oggi è la sua prima occasione di tirare un po' il fiato.» «Non la invidio», disse Jane a Ximena, stringendole la mano. «Anche Noel ha un lavoro che non gli dà tregua.» Chiacchierarono del più e del meno per una ventina di minuti, con McLeod che ogni tanto si scusava per salutare qualche massone o dargli un'opinione sull'ordine di marcia, consigliando nel frattempo i tre compagni sul posto migliore da cui assistere. Poi si separò da loro e uscì con gli altri massoni che stavano lasciando il bar. Dopo aver finito i drink, anche Adam, Ximena e Jane uscirono, si misero berretti e guanti e andarono a ripararsi dal vento sull'altro lato di Merkat Cross. Un'auto bianca e blu della polizia era ferma lì accanto per regolare il traffico, ma a causa del tempo la folla sembrava composta quasi solo da partecipanti, e si stava riunendo alla luce delle torce davanti alla Loggia massonica, dove alcuni suonatori di cornamusa si stavano scaldando le mani. Alle sei e mezzo, la processione cominciò a muoversi verso Merkat Cross in doppia fila, un assortimento di uomini dai vent'anni ai novanta e oltre, vestiti nei più diversi generi di abbigliamento invernale ma per la maggior parte con i paramenti massoni in evidenza. A guidarla c'era un giovanotto bruno e robusto con una spada sguainata (un Tyler, spiegò Xi-
mena con l'aria di sapere certe cose), mentre alcuni vigili urbani affiancavano le file armati di palette segnaletiche e la banda suonava una marcia che Jane identificò come Merry Masons. C'erano cinque o sei cornamuse e altrettanti suonatori di tamburo, tutti con l'aria infreddolita. La fila dei massoni in marcia occupava tutta la piazza quando i primi cominciarono a girare intorno a Merkat Cross in senso antiorario, tenendo alte le torce. McLeod era nelle posizioni centrali e camminava accanto a un Donald Cochrane dall'aria pensosa. Alcuni indossavano il kilt, cosa che Ximena trovò strana, ma la varietà dei loro abbigliamenti massonici rifletteva la tradizione di dozzine di Logge diverse, e la processione formava così un caleidoscopico movimento di forme e di colori. Jane sorrise e prese a braccetto Adam e Ximena, quando il Tyler cominciò a uscire da Merkat Cross e s'avviò sulla strada che portava alla vecchia abbazia, pochi isolati più in là. «Sarà meglio spostarci verso l'abbazia. Così troveremo un buon posto per guardare. Non staranno là molto, perciò dobbiamo far presto.» Mentre Adam e le due donne s'incamminavano rapidamente giù per Abbey Street, seguendo i massoni verso le rovine dell'abbazia illuminate in fondo alla strada, un uomo che aveva assistito dall'ombra accanto al Burt's Hotel passò con fare casuale tra una BMW nera e una Toyota Land Cruiser bianca posteggiate davanti all'albergo, fermandosi con una mano poggiata su quest'ultima come per controllarsi una scarpa; poi depositò qualcosa di argenteo nella neve accumulata sul cofano presso un tergicristallo. La catenella che arrotolò intorno alla base del tergicristallo penzolò con un'estremità dentro la fessura del cofano. L'oggetto non doveva scivolare via, né essere individuato. Un rapido gesto per spostare due manciate di neve e il tutto fu ben nascosto. L'uomo si allontanò. Svoltò in un'altra strada che andava verso l'abbazia e, quando nessuno dalla piazza poté vederlo, prese a correre, per informare il suo compagno del cambiamento del piano prima che fosse troppo tardi. Decidere quale delle due macchine scegliere gli era costato qualche minuto di riflessione, perché entrambe lo interessavano, ma era sicuro di aver scelto un bersaglio migliore di quello previsto all'inizio. Giunse alla cancellata di ferro che chiudeva parte del terreno dell'antica abbazia in rovina giusto mentre la cima della processione massonica entrava attraverso l'ingresso meridionale.
Altra gente si stava riunendo lungo il vecchio cimitero abbandonato sul lato sud dell'abbazia. La banda di cornamuse oltrepassò il cancello continuando a suonare, mentre l'uomo che aveva la cornamusa principale si era spostato in coda alla lunga fila, con lo strumento sotto un braccio. Il riflesso dorato dei lampioni stradali gettava lunghe ombre dietro le pietre tombali corrose dai secoli, mentre il nevischio che continuava a cadere scintillava in quella luce e imbiancava il cappello di un uomo dal soprabito in pelo di cammello, che si era portato al riparo del casotto del guardiano a pochi metri dall'ingresso principale. L'ispettore Charles Napier s'affrettò verso l'uomo in attesa, tirandosi su il colletto del soprabito. Raeburn era un carattere rigido e inflessibile, ma era certo che avrebbe approvato il suo cambiamento al piano originale. Il rumore dei passi sulla neve appena caduta fece voltare Raeburn, che nel vedere l'ispettore ebbe un moto di sorpresa e di contrarietà. «Perché diavolo è venuto qui?» sibilò. «Il medaglione è al suo posto?» «Oh, è a posto», rispose Napier, soffiandosi dentro i guanti per scaldarsi le mani. «Ma non nell'abbazia. Sinclair è qui. L'ho visto scendere dalla macchina, in piazza. C'è anche McLeod, come prevedevamo, ma Sinclair è un bersaglio migliore.» Raeburn sembrava non credere alle proprie orecchie. «Sta dicendo che si è preso la libertà di cambiare bersaglio?» Napier continuò a guardarlo negli occhi con fermezza, anche se era difficile fronteggiare la rabbia di Raeburn. «Possiamo colpire i massoni quando vogliamo. Con Sinclair, invece, forse non avremo più un'occasione come questa. Dovrebbe essere una vittima molto più nobile. E senza il Maestro, la sua Loggia di Caccia resterà fuori gioco per molto tempo... abbastanza perché i piani del Maestro Anziano vadano a compimento.» Raeburn aveva un'espressione fosca, e guardò l'altro uomo come se avesse voluto strangolarlo. «Mi auguro che quell'uomo stavolta non la scampi, Mr. Napier», disse infine, a denti stretti. «Se qualcosa andasse storto, entrambi dovremo affrontare l'ira del Maestro Anziano, ma le assicuro che io gli chiarirò da che parte sta la colpa.» «Se lei farà la sua parte con quel collare», replicò Napier, indicando il monile che Raeburn portava sotto la sciarpa, «intendo reclamare il merito per aver eliminato Sinclair. Ora venga, dovremo fare la posta alla macchina, per essere pronti quando lui se ne andrà.»
Nella navata dell'abbazia di Melrose, le ultime note di Flowers of the Forest si spensero tra le granitiche mura in rovina, mentre la neve cadeva sottile nella luce dei piccoli fari accesi qua e là. Dopo il breve discorso commemorativo, i massoni cominciarono a uscire dalle arcate prive di porta, avviandosi su un lato del cimitero e fuori dal cancello che chiudeva la zona archeologica, per tornare a Market Square lungo la strada che conduceva di fronte alla Loggia massonica. Adam e le due donne si avviarono anch'essi da quella parte, tagliando per una scorciatoia, in compagnia di un giovane agente che Adam aveva conosciuto durante la sua precedente visita a Melrose. Emersero dalla traversa in tempo per vedere la processione aggirare di nuovo Merkat Cross. Prima di giungere alla Loggia, il Tyler si fermò e fu raggiunto da due uomini armati di falci, mentre le cornamuse cominciavano a suonare Merry Masons, e i tamburi davano il ritmo di marcia. In fondo alla strada erano in attesa tre Maestri di Loggia, il più anziano dei quali si appoggiava al braccio di un altro. Giunti davanti al terzetto, i massoni si tolsero il cappello e le due file parallele invertirono la marcia all'interno, passando sotto le falci incrociate dei due uomini. Le cornamuse e i tamburi invece si fermarono sotto un'arcata, e continuarono a suonare mentre i partecipanti si disperdevano al centro della piazza. «Be', a Randall sarebbe piaciuto», disse Jane, quando i tre s'incamminarono verso l'altro lato di Merkat Place per aspettare suo marito. «È stata una cerimonia semplice e dignitosa, anche se penso che il tempo abbia tenuto a casa molta gente. Ad ogni modo, i suoi confratelli gli hanno detto addio con grande affetto. Lei che ne dice, Ximena?» «Mi è piaciuto. Sono felice che Adam mi abbia permesso di venire. Lei e Noel cenate con noi?» «La ringrazio, mia cara, ma ora voglio portare a casa mio marito e staccare il telefono», rispose Jane con franchezza. «Questa è la prima sera che abbiamo per noi, da settimane, e ho intenzione di approfittarne. Adam, se stai meditando di servire a Noel una nuova crisi proprio stasera, duelleremo all'ultimo sangue qui sulla neve!» Adam ridacchiò, passando un braccio intorno alle spalle di Ximena. «Giuro che non interferirò nella notte di lussuria che hai pianificato. Ma Noel questo lo sa?» «Se mi ha guardato bene in faccia, lo sospetta», replicò allegramente lei. «Capisco. Allora suppongo che lo trascinerai via senza neanche un ultimo drink con noi, o magari un caffè?»
«Niente da fare», dichiarò Jane. «Ho una bottiglia di champagne in frigorifero, e non voglio che Noel mi si addormenti addosso. È stato bello conoscerla, Ximena. Spero proprio che in futuro ci vedremo ancora.» Detto questo, Jane si avviò lungo il parcheggio. A metà strada prese a braccetto suo marito, che si stava avvicinando, e lo dirottò verso la loro BMW nera. McLeod alzò una mano a salutarli mentre loro passavano tra le macchine, stringendosi nelle spalle come a dire che la situazione era fuori dal suo controllo, ma aveva uno sguardo melenso sulla faccia e non si oppose quando Jane lo spinse in auto sul sedile del passeggero e andò a mettersi al volante. Adam stava ridacchiando quando lui e Ximena entrarono nell'albergo cercando la sala ristorante. «Dev'essere difficile vivere con un poliziotto», osservò lei, quando si furono seduti. «Oh, credo che abbiano trovato un accordo abbastanza soddisfacente», rispose lui. «Sono sposati da quasi trent'anni. Ah, vedo che oggi sul menu c'è la cacciagione. Te la raccomando senz'altro.» Un'ora dopo avevano spazzato via una cena più che adeguata, accompagnandola con un paio di bicchieri di Cabernet Mondavi, su richiesta di Ximena. Adam si sentiva sazio e rilassato quando uscirono in cerca della macchina. Dopo aver fatto salire Ximena, si tolse il soprabito in pelle e lo gettò sul sedile posteriore. La maggior parte dei massoni avevano lasciato il paese o erano a cena a casa loro, e Merkat Square era ormai praticamente deserta. «Be', è stata proprio una bella giornata.» Anche Ximena si era tolta il soprabito, prima di allacciare la cintura. «Melrose è una cittadina molto graziosa. Mi piacerebbe tornare di giorno e visitare meglio le rovine dell'abbazia.» Mentre Adam accendeva il motore e usciva dal parcheggio, accelerando poi davanti alla Loggia massonica, non fece caso alla Mercedes nera che usciva dal parcheggio alle loro spalle. «La primavera è il periodo migliore», consigliò, ingranando la seconda. «Un giorno o l'altro riempiremo un cestino da picnic e approfitteremo di una domenica di bel tempo... se la tua Morgan avrà ancora fiato in corpo. Oppure prenderemo uno dei ronzini della mia scuderia.» «E va bene, Adam Sinclair!» esclamò lei. «La tua noncuranza di baronetto inglese di campagna è proprio terribile! Sentiamo, allora: quante macchine hai nella tua scuderia, e quali, visto che definisci la tua Bentley un 'ronzino'?»
«Be', la Range Rover che hai visto, quella non ce l'ho più», iniziò Adam, rivolgendole un sorrisetto. «E il fattore della mia tenuta a volte d'estate mi funge da autista con una Land Rover, che però è piuttosto malmessa. Ci sono alcuni trattori assortiti e altri macchinari semoventi. Poi c'è la Old Humber Estate che Humphrey usa per andare al mercato...» «Ora mi stai prendendo in giro. Sono certa che hai qualcosa di particolare, che eviti deliberatamente di menzionare perché non si addice alla tua dignità. Dev'essere una decappottabile sportiva di qualche genere. Confessa, di che si tratta?» «Ecco, a dire il vero...» All'improvviso il rombo di un tuono lo fece sobbalzare, insieme a un senso di pericolo così netto che gli mozzò il fiato. Sulla campagna scozzese stava nevicando, i tergicristalli andavano avanti e indietro, e lui strinse le palpebre scrutando il cielo oltre il parabrezza. Le nuvole che poco prima formavano una distesa grigia uniforme erano diventate nere come l'inchiostro e turbinavano proprio sopra di loro. Poco più avanti, a nord, un fulmine si ramificò nell'aria con un crepitio feroce. Fu in quell'istante che Adam vide il riflesso argenteo tra la neve ammucchiata sul cofano, alla base di un tergicristallo. Spense i tergicristalli e li riavviò un paio di volte nel tentativo di far spostare l'oggetto, ma inutilmente. Era una sottile catenella, avvolta intorno a qualcosa, e nel guardarla la sensazione di pericolo lo prese alla gola. «Ximena, salta fuori!» gridò Adam, colpendo con una mano i pulsanti di rilascio delle cinture, ma senza premere il freno. «Esci dalla macchina più in fretta che puoi! C'è una bomba a bordo!» La parola «bomba» scosse la giovane donna come nient'altro avrebbe potuto fare. Mentre Adam allungava un braccio per aprirle lo sportello, guardando freneticamente le nuvole sopra di loro, Ximena si stava già spingendo all'esterno buttandosi fuori, con un tuffo che la fece rotolare nella neve sul lato destro della strada. Adam armeggiò con il suo sportello e si gettò dalla macchina ancora in movimento, proprio mentre un accecante bagliore si abbatteva dal cielo avvolgendo il veicolo in una terribile fiammata bianco-azzurra. 36 Il silenzio invernale fu dilaniato da un'esplosione che scosse il terreno, e la Toyota saltò in aria con un boato di lamiere che si squarciavano. Roto-
lando in un fossato qualche metro fuori strada, Adam si coprì la testa con le braccia mentre rottami e pezzi di vetro cadevano nella neve tutto intorno a lui. Ci fu un'altra grandinata di frammenti infuocati quando scoppiò il serbatoio della benzina. Poi salì di tono il ruggito delle fiamme chimiche. Adam aveva un fischio negli orecchi, e per un poco non fece che tossire. Quando rialzò la testa era scosso e stordito. Una colonna di fumo nero ribolliva nel cielo dalla carcassa della Toyota, illuminata dalle fiamme giallastre della benzina in fiamme. «Ximena!» chiamò, raucamente. «Ximena, come stai? Mi senti?» Non ebbe subito risposta, ma vide una figura sporca e spettinata barcollare fuori dai cespugli e venire verso di lui. Nel frattempo la macchina stava scivolando lentamente sulla neve del pendio a sinistra della strada, e d'un tratto finì con le ruote in una buca, poi si rovesciò di fianco e andò a fermarsi più in basso, sempre continuando a bruciare. «Io sto bene, credo», ansimò Ximena, chinandosi accanto a lui. «E tu? Dio, era davvero una bomba? Ma chi ha messo una bomba nell'auto?» «Qualcuno che non è riuscito a mettermela sotto l'albero.» Ansimando Adam la prese per un braccio e la portò con sé al riparo di un tronco coperto di edera. Aveva fitte di dolore a un'anca. «E penso che gli lascerò credere che sono morto.» Stringendo le palpebre per scrutare nel buio della strada non illuminata dalla Toyota in fiamme, Adam cercò di chiarirsi le idee. Nel momento in cui il fulmine aveva colpito non gli era sembrato che ci fosse traffico, né davanti a loro né dietro, ma ora stavano sopraggiungendo delle auto da entrambe le direzioni. La zona in cui si trovavano era poco distante dal terreno del Waverley Castle Hotel. Con un po' di fortuna avrebbero potuto trovare un taxi e andarsene da lì, prima che qualcuno si facesse avanti per cercarlo e dargli il colpo di grazia. La Toyota stava intanto appiccando il fuoco a un paio di grossi cespugli. Un paio di macchine si fermarono e i conducenti scesero volonterosamente, con l'idea di guardare se ci fossero esseri umani imprigionati tra le lamiere in fiamme. Tenendo per mano Ximena e incitandola a tenersi bassa, la condusse via nel buio senza rientrare sulla strada, e approfittando della vegetazione i due si allontanarono senza che nessuno li vedesse. Giunsero all'hotel in breve tempo, e da lì telefonarono per un taxi. Dieci minuti dopo si lasciarono nuovamente alle spalle la cittadina di Melrose. La Toyota non aveva smesso di bruciare quando il taxista rallentò sullo stesso tratto di strada, ma nel frattempo erano sopraggiunti un paio di vei-
coli di soccorso e un vigile del fuoco stava usando un estintore. Adam guardò la scena dal finestrino posteriore del taxi finché scomparve alla vista, e quando furono all'incrocio con la A68, che avrebbe dovuto portarli a nord, verso Edimburgo, disse all'autista di prendere a sud. «A Newcastle c'è un aeroporto, non è vero?» gli chiese. «Sì, signore.» Il taxista lo guardò nello specchietto. «C'è un bel pezzo di strada, da qui. Saranno almeno... uh... centoventi chilometri.» «Cento sterline bastano?» «Con o senza ricevuta?» «Senza.» «Allora bastano.» «Bene. Ci porti là.» Scosso da un brivido, sia per il freddo che per lo shock, passò un braccio intorno alle spalle di Ximena per confortarla e per scaldarsi, e cercò di pensare, mentre il taxi accelerava verso sud sulla A68. Fortunatamente Ximena intuiva quale fosse il suo umore, oltre al fatto che era inopportuno parlare in presenza dell'autista, e mantenne il silenzio per tutto il viaggio, benché dal suo sguardo fosse evidentissimo che ribolliva di domande. I suoi avversari avevano cercato ancora una volta di ucciderlo. Non doveva esserci stata premeditazione, visto che non potevano aver saputo che lui si sarebbe recato a Melrose quella sera, tuttavia ci avevano provato. Il tipo dell'attacco e il mezzo usato facevano pensare che la loro idea fosse quella di colpire i massoni riuniti là per la loro passeggiata annuale della vigilia di San Giovanni Evangelista, proprio come aveva sospettato McLeod Ma qualcuno si era accorto della presenza di Adam Sinclair e aveva cambiato il piano all'ultimo momento, decidendo di assassinare lui. Questo significava che ora lo temevano. Forse avevano pensato che stesse cercando di procurarsi degli alleati tra la gente che la Loggia della Lince stava cercando di distruggere... sì, questa poteva essere una risposta. Quando il taxista fermò l'auto davanti all'aeroporto di Newcastle sul Tyne, era passata mezzanotte, ma Adam aveva formulato un piano d'azione. Lasciò Ximena ad aspettare in taxi e andò nel piccolo terminal per informarsi sui voli in partenza. Newcastle non era certo Heathrow, né Edimburgo Turnhouse, ma non ebbe difficoltà a prenotare due posti su un aereo del mattino dopo. Quando tornò al taxi, dopo aver prelevato un po' di contante dal bancomat del terminal, chiese al conducente di portarli all'hotel dell'aeroporto e gli lasciò un extra di 20 sterline. L'impiegato al banco finse di credere alla sua storia dell'incidente di macchina dove avevano perso
tutto il loro bagaglio e consegnò loro la chiave di una camera a due letti, al terzo piano. Solo allora, quando furono finalmente soli e con la porta chiusa, Ximena ruppe il silenzio. I suoi occhi erano ancora dilatati e increduli, dopo la tensione di quelle ultime ore. «Adam Sinclair, io ho sentito raccontare di trame complicate per portarsi a letto una donna, ma ti assicuro che avresti potuto evitare di organizzare tutte queste peripezie», sospirò, gettandosi stancamente a sedere su una sedia davanti al tavolo rotondo ai piedi del letto. Lui andò ad aprire il mini bar presso la porta del bagno e ci trovò delle lattine di Coca-Cola. «Qualcosa da bere?» domandò. «Qualsiasi cosa, purché non dietetica. Adam, cos'è successo?» Lui prese una seconda Coca-Cola, chiuse lo sportello con un piede e zoppicò fino al tavolo. Non disse niente finché non strappò la linguetta e bevuto un lungo sorso. «La cosa è collegata al mio lavoro di consulente della polizia», spiegò, sperando di avere un tono convincente. «C'è un'inchiesta in corso, perciò non sono libero di parlarne con altri. Ma ti assicuro che non avevo motivo di sospettare un'escalation di questo genere, altrimenti non ti. avrei portata con me. Mi spiace che tu ci sia andata di mezzo.» L'ultima frase era l'unica del tutto vera. «Be', cose simili non si possono prevedere. Non te ne faccio una colpa. Per fortuna ne siamo usciti vivi.» Fece una pausa. «C'entra l'IRA?» «No.» Lui scosse il capo. «Sono criminali di diverso genere. Senti, io devo fare un paio di telefonate. Perché non ti fai una bella doccia e ti ripulisci? Quando ne saprò di più, potrò dirti qualcos'altro.» «D'accordo.» Quando la porta del bagno si fu chiusa dietro di lei e l'acqua cominciò a scorrere, Adam prese il telefono e compose il numero di McLeod, augurandosi che Jane non dicesse sul serio quando aveva parlato di staccarlo. Ma l'apparecchio suonò e suonò senza che nessuno rispondesse, come aveva temuto. Riappese e chiamò Strathmourne. Sua madre stava dormendo, ma quando seppe cos'era successo la mente le si schiarì all'istante. «Dunque ascolta: voglio che domani tu finga di essere una madre a lutto», le chiese lui, dopo averle spiegato il suo piano. «Non ho potuto chiamare Noel per raccontargli l'accaduto, così, appena ti sembrerà l'ora adatta, vorrei che ti facessi portare da Humphrey in città, nel suo ufficio, e che tu lo prendessi in disparte per dirgli privatamente che sono ancora vivo. Non è prudente che tu gli telefoni là, a causa della talpa alla sede della polizia.
La linea potrebbe non essere sicura. «Se tu non riuscissi a contattarlo, McLeod verrà a sapere tutto nel modo più lungo e difficile... o dall'autonoleggio, perché l'auto era affittata a suo nome, o dal rapporto di polizia che gli arriverà sulla scrivania circa un'auto saltata in aria a Melrose... e capirà da solo cosa c'è dietro. Per lui però sarà più facile se saprà la verità prima che questo accada. Non so se Peregrine avesse in programma di rientrare a casa questa notte, ma dovresti cercare d'informare anche lui.» «Ho capito, caro. Penserò a tutto io. Ma nel frattempo cosa pensi di fare?» «Rientrerò a Edimburgo nell'anonimato più completo possibile, con mezzi che i nostri avversari non si aspettano. Non ho ancora stabilito i particolari, ma posso dirti che cercherò di essere alla stazione di Waverley domattina a una certa ora. Prima chiamerò qualcuno su una linea sicura, e gli chiederò di contattare telefonicamente Noel, per dirgli a che ora comincerà la festa per l'ultimo dell'armo, a casa di suo fratello. Sottraendo due ore a quell'orario, avrete l'ora a cui sarò alla stazione di Waverley. È tutto chiaro?» «Naturalmente, caro. Qualcos'altro?» «Niente cui riesca a pensare in questo momento.» Adam si girò verso la porta del bagno, Il rumore dell'acqua corrente non si udiva più. «Ora devo lasciarti. Ho una donna bella e intelligente, e finora molto comprensiva, che sta per uscire dal bagno. E temo che vorrà non poche spiegazioni.» «Be', non metterla di cattivo umore raccontandole cose sgradevoli, caro», gli consigliò Philippa. «Sì, mamma. Ci vediamo domani, un bacio.» Ximena apparve pochi minuti dopo, avvolta in un accappatoio con il monogramma dell'albergo e i capelli arrotolati in un asciugamano. Adam pensò che non aveva mai visto una donna così affascinante e attraente, da tutti i punti di vista. Ma in quel momento non aveva neppure la forza di alzarsi dalla sedia. «Hai l'aria di aver urgente bisogno di una doccia anche tu», constatò lei, cominciando ad asciugarsi i capelli. «C'è qualcosa che vuoi dirmi, ora che hai fatto le tue telefonate?» «Prima mi farò quella doccia», disse lui, approfittando dell'occasione di rimandare l'inevitabile ancora per un po', e si alzò. Rimase sotto l'acqua finché i suoi muscoli irrigiditi cominciarono a rilassarsi e la mente gli si schiarì. Quando ne emerse, un quarto d'ora dopo, si
sentiva quasi umano. Quella nuova disavventura gli aveva procurato qualche altra escoriazione, ma a parte il livido all'anca e un peggioramento del dolore alla spalla, ne era uscito abbastanza bene. Ximena era seduta contro i cuscini del letto e guardava la TV, ma appena lo vide arrivare la spense, e batté una mano sul letto accanto a lei con un gesto che non ammetteva repliche. «Okay, ci ho pensato», gli disse, guardandolo con franchezza disarmante mentre lui saliva sul letto al suo fianco. «È ovvio che tu non vuoi parlare di ciò che è accaduto stasera, e probabilmente io non voglio saperne troppo. Abbiamo rischiato di essere ammazzati... e questo mi ha messo in corpo una paura dannata. «Così vorrei che mi tenessi stretta finché i miei nervi non smetteranno di tremare, e io mi convincerò che questa è una cosa con cui posso convivere, se cederò alla tentazione di frequentarti ancora. E poi voglio fare all'amore con te... perché, visto il tuo sistema di vita, temo che potrei non avere un'altra possibilità.» A quel punto l'autocontrollo di Ximena cedette, e Adam si trovò ad asciugare con i suoi baci le lacrime che lei aveva lottato per trattenere... divertito, lusingato, e anche un po' incredulo che quella giovane donna gli stesse già tanto a cuore. Più tardi, mentre si lasciava cullare dalla marea soddisfatta tra la veglia e il sonno, si chiese dove tutto ciò lo avrebbe portato, e decise che qualunque cosa fosse accaduta non avrebbe permesso che lei soffrisse a causa della loro relazione. Dormì un sonno senza sogni, e il mattino dopo, quando la luce del sole che filtrava dalla finestra lo aiutò a svegliarsi, sentì i rumori di Ximena nel bagno e l'aroma di una tazza di tè accanto al letto. Fu con grande riluttanza che la vide andare via un'ora dopo, con un volo del mattino per Edimburgo. «Ti telefonerò, appena tutto si sarà risolto», le promise quando si separarono, nel terminal. «Nel frattempo, tu non hai visto niente e non sai niente.» Lei non capì il motivo di quelle raccomandazioni, ma si fidava di lui abbastanza da non mettersi a discutere. Adam attese di veder decollare il suo aereo, poi andò a un telefono pubblico e chiamò l'ufficio di McLeod. Da quando aveva parlato con sua madre, la sera prima, aveva cercato di escogitare un modo per mettere sull'avviso il suo «secondo in comando»... sempre che McLeod fosse riuscito a capire l'oscuro messaggio che gli avrebbe dato su una linea telefonica della polizia.
«L'ispettore McLeod, per favore», chiese al centralino. «McLeod», rispose la voce familiare poco dopo. «Non mostrarti sorpreso», dichiarò Adam, con tutta l'enfasi che poté mettere in quell'ordine. «Sei ancora il comandante in seconda.» Detto questo, riappese il ricevitore. A meno che la linea non fosse monitorata in continuazione, nessuno poteva aver sentito quelle parole, e anche in tal caso non ne avrebbero compreso il significato. Si augurava che McLeod l'avesse capito, invece. Relegando quel problema in fondo alla mente, perché preoccuparsi non sarebbe servito a niente, diede una scorsa a due quotidiani del mattino mentre aspettava l'aereo per Glasgow, in cerca di un accenno all'incidente accaduto a Melrose la sera prima. Nel frattempo McLeod aveva riagganciato il ricevitore in preda a una gran perplessità. La voce era sicuramente quella di Adam, ma quel messaggio incomprensibile... «Buongiorno, ispettore», lo salutò Cochrane, dalla porta dell'ufficio. «Ha già saputo di questa macchina esplosa per una bomba, ieri sera, su una strada poco fuori Melrose?» McLeod sbatté le palpebre. «Di che si tratta, Donald?» «È tutto nei rapporti che sono arrivati questa notte», chiarì Cochrane, consegnandogli alcuni fax. «Dev'essere successo dopo che me ne sono andato. La polizia di Melrose parla di un'esplosione. Non sanno chi ci fosse nell'auto, ma si suppone che nessuno sia sopravvissuto. La squadra antiterrorismo sta portando la macchina all'esame della scientifica.» Accigliato, McLeod sfogliò i rapporti. Lo stupore gli fece inarcare le sopracciglia quando lesse la descrizione della Toyota Land Cruiser bianca. Si aggiustò gli occhiali sul naso. «Gesù Cristo, questa è la macchina che ho affittato per Adam!» sussurrò. Con qualche secondo di ritardo, la sua mente cominciò a sommare i fatti e capì cosa significava la telefonata di poco prima. Adam non era morto nell'esplosione della Toyota, ma evidentemente voleva far sembrare che fosse fuori combattimento. McLeod si passò una mano sulla faccia, ringraziando silenziosamente il cielo che l'attentato fosse andato a vuoto, mentre Cochrane lo guardava con preoccupazione. «Sta dicendo che quella era l'auto di Sir Adam?» domandò il giovane agente. «Già», mormorò McLeod un po' scosso, senza osare guardarlo negli oc-
chi per timore di tradirsi. «Dammi qualche minuto, Donald, ti spiace? E cerca di sapere qualcos'altro ... dove hanno portato la macchina, e così via.» Venti minuti dopo, quando McLeod mise insieme una versione artefatta dell'accaduto e si fu adattato al ruolo che doveva recitare, Cochrane bussò di nuovo alla porta e gli riferì ciò che aveva scoperto. A denti stretti, McLeod prese il cappello e il soprabito e uscì con il giovane agente, ufficialmente per recarsi al deposito dove l'auto era stata portata, ma in parte anche per allontanarsi da occhi troppo curiosi. La notizia si era già sparsa in tutto il palazzo, e lui si sentì seguito da sguardi di simpatia e di pietà mentre andavano all'ascensore. Stava uscendo dal comando di polizia quando vide che una Bentley blu si era fermata lungo il marciapiede, e che Humphrey ne scendeva per aprire lo sportello posteriore sinistro. «Oh, Dio, è la madre di Adam», mormorò. «Donald, vai tu a prendere la macchina, ti spiace?» Mentre Cochrane s'allontanava verso il parcheggio, ovviamente sollevato dal non dover partecipare a quell'incontro, Philippa uscì dalla vettura. Era vestita di nero, e dietro di lei, nell'ombra del sedile posteriore, McLeod poté vedere Peregrine Lovat, anche lui in un sobrio abito scuro. Dalla loro espressione era impossibile capire se sapessero che lui sapeva... o anche solo se loro sapessero. Pensavano davvero che Adam fosse morto? Mentre rifletteva su come affrontare quella delicata circostanza, lì all'aperto, sotto lo sguardo di chi osservava dalle finestre degli uffici, Philippa aprì le braccia e si strinse a lui, nascondendogli la faccia contro il bavero della giacca e mormorando: «Non mostrare una reazione sorpresa, Noel McLeod, ma lui è vivo e vegeto. Mi ha telefonato da Newcastle questa notte. Fai pure finta di piangere, consolando una madre in lutto». McLeod era così sollevato che i suoi occhi s'inumidirono realmente; poi s'affrettò a ritirarsi sul sedile posteriore della Bentley con Philippa e Peregrine per qualche minuto, mentre Humphrey chiudeva lo sportello e restava di guardia fuori. «Così preferisce tenere segreto il fatto che è ancora vivo, e vuole che tu lo aiuti», concluse Philippa, dopo avergli spiegato il piano di Adam. «Pensi che sia possibile?» «Sì, dovrò muovere alcune pedine, ma... certo, si può fare.» Quando ebbero stabilito gli ultimi particolari, McLeod uscì dalla vettura, seguito da Peregrine. «Dovremo continuare a recitare anche davanti a Donald», avvertì il gio-
vanotto, mentre si avviavano verso la macchina della polizia in cui Cochrane attendeva. «Di lui mi fido, e alla fine gli dirò come stanno le cose, ma nel frattempo, per la sicurezza di Adam, è meglio che a sapere la verità siamo soltanto noi. Questo significa che dovremo passare attraverso tutta la sceneggiata dell'ispezione alla macchina. Cercheremo di non smentire la versione ufficiale che parla di una bomba, e non di un fulmine, come probabilmente la Lince si augura che avvenga.» Il rottame della Toyota che esaminarono nel cortile del deposito li aiutò a sostenere la versione della morte di Adam, perché la macchina era ridotta così male che nessuno avrebbe potuto sopravvivere a quell'inferno. Il calore intenso aveva fuso alcuni sportelli, distrutto i vetri e piegato perfino il massiccio telaio. L'interno era totalmente bruciato. Vi stagnava un pesante odore di plastica e di stoffe carbonizzate, nonostante l'esposizione alle intemperie e all'azione chimica degli estintori. E c'era un puzzo di sostanze animali che proveniva non dalla carne umana, bensì da un soprabito in pelle e da una giacca di camoscio, appena riconoscibili tra i resti anneriti dei sedili. L'esterno della macchina fornì qualche altro interessante elemento. Esaminando il cofano, McLeod trovò i resti quasi irriconoscibili del medaglione della Lince, così fuso e contorto che risultò impossibile rimuoverlo. «Sapete», osservò Cochrane, scrutando insospettito quel reperto, «sembra uguale a quello che ho trovato a Balmoral. Secondo voi non può essere stato un fulmine a colpire questa macchina?» «Non lo so», rispose stancamente McLeod. «Per ora, credo che sia meglio lasciare la cosa alla squadra artificieri. Torniamo in ufficio. Devo fare alcune telefonate.» Adam, frattanto, dopo essere atterrato a Glasgow, era occupato a passare il più possibile inosservato prima di tornare a Edimburgo. I suoi abiti erano alquanto malconci dopo aver fatto la conoscenza del fango e dei cespugli tra cui si era trascinato, e inoltre aveva freddo, così si fece portare da un taxi in un negozio dove vendevano abbigliamento militare e acquistò un paio di pantaloni mimetici, un maglione da sommergibilista a collo alto, e un anorak verde-cachi del tipo usato dalle Forze Speciali. I suoi stivali da neve erano ancora intatti. Quando a questo aggiunse un berretto da marinaio nero, tirandosi giù i paraorecchi intorno a una faccia dove ormai aveva una barba di ventiquattr'ore, non aveva più nulla dell'elegante e sofisticato Sir Adam Sinclair che amici, e nemici, avrebbero riconosciuto all'istante. Gli indumenti che si era
tolto li portò con sé in due sacchetti di plastica da supermarket, sperando che quel tocco domestico lo facesse apparire meno minaccioso. Anche così, la gente tendeva a lasciargli strada con molta cura mentre attraversava l'atrio della stazione centrale di Glasgow. Era alquanto in anticipo per il treno che l'avrebbe portato a Edimburgo, ma gli occorreva un po' di tempo per fare una telefonata importante. Quello stesso giorno, diverse ore dopo la prima telefonata di Adam, McLeod ne ricevette una seconda altrettanto difficile da decifrarsi, questa a opera di un uomo che Adam aveva contattato per affidargli quell'incarico. «Noel, vecchio mio, speravo di trovarti in ufficio», lo interpellò una voce rauca dal tono allegro. «Senti, mio fratello mi ha incaricato di dirti che sei invitato a cena lunedì sera, prima della festa per l'ultimo dell'anno. Se ti farai vedere intorno alle otto, quella sarebbe l'ora ideale.» «Sì, d'accordo. Grazie per l'invito», rispose McLeod, guardando il suo orologio. Erano quasi le sei. «Non mancherei mai.» «E fai bene», disse la voce. «Ci vediamo.» Dopo aver riattaccato il ricevitore, McLeod sbuffò rumorosamente e andò a prendere cappello e soprabito. Anche Peregrine e Cochrane si alzarono e presero le loro cose, seguendolo alla porta. «Signori, questa è stata una giornata pesante e credo che sia ora di andarcene a casa», annunciò McLeod a uso di chi era a portata d'orecchio. Chiuse la porta del suo ufficio e girò la chiave. «Non so voi, ma io ho bisogno di bere qualcosa.» Fu solo dopo che i tre ebbero preso l'ascensore che l'ispettore Napier raccolse cappello e impermeabile e s'affrettò a seguirli di corsa giù per le scale. Quel mattino, vedere la sofferenza di McLeod per la morte di Sinclair era stato soddisfacente come poche altre cose, dopo le cocenti delusioni degli ultimi attentati finiti male. L'eccitazione diede a Napier la velocità necessaria a precederli fuori, attraversò il parcheggio e si mise alla guida della sua Mazda azzurra. Quando McLeod e Peregrine uscirono, li vide salire a bordo della BMW dell'ispettore, mentre Cochrane se ne andava per conto suo con un'altra macchina. Napier pedinò la BMW nera per tutta la strada fino alla stazione di Vaverley. Attese con impazienza in divieto di sosta mentre Peregrine andava dentro, e lo vide uscire pochi minuti dopo in compagnia di un uomo alto, che indossava roba di taglio militare e si muoveva in modo stranamente simile a Adam Sinclair... solo che non poteva essere lui. Adam Sinclair era
morto. Oppure no? Quel dubbio improvviso scatenò in Napier un attimo di panico, perché se Sinclair non era morto, allora lui si trovava in un brutto guaio. Con il cuore in gola, manovrò nel traffico dell'ora di punta per avvicinarsi alla BMW e guardare più da vicino l'uomo con il cappello nero seduto sul retro... e ci stava riuscendo quando McLeod svoltò bruscamente a destra e accelerò, dileguandosi oltre un paio di autobus quasi fermi. Imprecando, Napier cominciò a pestare sul clacson per avere via libera, ma davanti a lui venne a fermarsi anche un taxista, che lo guardò storto. Quando poté finalmente girare a destra, un paio di minuti dopo, le sue ricerche della BMW furono tempo perso. Ma quell'individuo era Sinclair! Napier sapeva che il suo fiuto di poliziotto non lo stava ingannando. Non aveva idea di come quell'intrigante fosse riuscito a sopravvivere all'esplosione che gli aveva ridotto la macchina un cartoccio, ma il come non era importante, adesso. L'amara realtà era che aveva potuto uscirne vivo! E che lui avesse fatto rapporto o no su quello che aveva visto, quando la notizia fosse giunta al Maestro Anziano, il che era inevitabile, ci voleva poco a prevedere chi sarebbe stato il capro espiatorio. No, molto meglio dirlo subito a Raeburn e cercare di salvare la situazione. Forse lui avrebbe potuto seguire Sinclair e McLeod, quella sera, e ammazzarli... magari insieme a quel Lovat, per finire in bellezza. Con la fronte bagnata di sudore sotto il cappello, Napier accostò presso una cabina telefonica, piazzò un lampeggiante azzurro sul tettuccio dell'auto e scese, frugandosi in tasca con dita tremanti alla ricerca del numero di telefono confidenziale che Raeburn gli aveva dato la sera prima. Poteva sentire le pulsazioni cardiache nelle tempie mentre aspettava con il ricevitore premuto su un orecchio, e quando la voce di una donna gli rispose, si presentò e chiese di Mr. Raeburn. «Buonasera, signore. La chiamo perché ho... uh, una notizia non molto buona.» All'altro capo della linea, un appartamento in affitto intestato a una signora nella zona più elegante della città, Francis Raeburn ascoltò il rapporto del subordinato con crescente freddezza. «Capisco», disse, quando Napier finì. «E lei è sicuro che fosse Sinclair?» «Vorrei non esserlo», replicò cupamente l'ispettore. «Già», mormorò Raeburn. Per qualche momento rifletté. «Va bene. Ci penso io. Lei sta chiamando da casa sua?»
«No, signore. Da un telefono pubblico, a duecento metri dalla stazione.» «D'accordo. Vada a casa. Non faccia niente. Eviti ulteriori contatti, nel caso che loro la stiano sorvegliando. È chiaro che hanno recitato questa mascherata a nostro beneficio. Lei si faccia un drink e si rilassi. Provvederò io a risolvere questa situazione prima di domani.» «Sì, signore. Grazie, Mr. Raeburn.» Quando Napier chiuse, Raeburn andò avanti e indietro per qualche momento, accigliato, senza guardare la donna che lo aspettava in camera da letto. Poi tornò al telefono e compose un numero. «Qui Raeburn», disse alla voce rude che gli aveva risposto. «Chieda a Mr. Scharf e Mr. Delaney di venire qui da me. Subito, se non le spiace. Ho un incarico per loro.» Quella notte, in un piccolo albergo di Minto Street, che McLeod aveva già usato come residenza sicura per testimoni a rischio, lui e Peregrine ascoltarono il racconto di Adam sugli avvenimenti della sera prima, il suo punto di vista sulla situazione e il piano che aveva perfezionato con altri dettagli dopo aver telefonato a sua madre. «Hai ragione», commentò McLeod, quando Adam finì. «E io conosco gli uomini giusti da avvicinare. Dobbiamo esporre la cosa a ufficiali di polizia d'alto grado, che siano anche massoni e preparati ad accettarne gli elementi esoterici. Oggi mi sono scritto alcuni nomi, mentre aspettavamo tue notizie, ma non volevo fare altre mosse prima di aver parlato con te, tanto per essere certo di aver capito bene. Possiamo occuparcene di persona domattina, e cominciare a mettere in movimento gli ingranaggi.» Più tardi fecero in modo di assicurarsi una buona nottata di sonno, e il mattino successivo si recarono al comando di polizia. McLeod e Peregrine erano vestiti nel solito stile sobrio, mentre Adam, con il suo anorak verdecachi e il berretto nero, sembrava un agente mascherato da camionista. Erano appena passate le nove, quando entrarono in auto nel parcheggio e un agente in uniforme fece cenno a McLeod di abbassare il vetro. «Non perda tempo a scendere di macchina, ispettore», gli disse, chinandosi accanto al finestrino. «Abbiamo un grave fatto di sangue al Forth Bridge... un ufficiale di polizia assassinato. In modo molto sgradevole, a quanto pare. Qualcuno ha detto che sembrerebbe un'esecuzione in stile massonico.» McLeod si scurì in faccia, e Adam si piegò verso il finestrino per sentire meglio. «Sappiamo già chi è la vittima?» domandò McLeod.
«Ho sentito dire che sì tratta di Charles Napier.» Con un grugnito d'assenso, McLeod ingranò la retromarcia e uscì dal parcheggio. Dopo aver girato da Fettes Avenue su Comely Bank chiese a Adam di piazzare sul tettuccio il lampeggiante azzurro, e Peregrine si tenne forte preparandosi a un'altra delle cavalcate di McLeod. Adam mise fuori il lampeggiante mentre l'auto prendeva velocità su Craigleith Road, e poco dopo rallentarono con uno stridio di gomme all'incrocio con Queensferry Road. «Be', dato quello che ormai sappiamo di Charles Napier, non posso dire che mi dispiaccia che a finire in una tomba sia lui, stavolta, invece di un altro massone», commentò McLeod, sterzando bruscamente tra il traffico che si fermava per lasciarli passare. Sul rettilineo premette il gas a tavoletta, e la BMW rombò sulla corsia di sorpasso verso ovest. «Non gli ho mai augurato di fare una brutta fine, però.» «Pensi davvero che sia stato qualche massone?» domandò Adam. «No, naturalmente. Ma la cosa può prendere una brutta piega, se qualcuno ha confezionato l'omicidio in modo da farlo credere. Se il delitto fosse davvero in stile massone, dovrebbero aver legato la vittima tra la linea dell'alta e quella della bassa marea. Probabilmente, dunque, durante la bassa marea di questa notte. A parte questo, non posso prevedere cos'altro abbiano escogitato gli assassini.» Nei dieci minuti successivi McLeod illustrò agli altri due i particolari delle punizioni previste e specificate nei giuramenti che tutti i massoni pronunciavano durante il rito di iniziazione, nel caso tradissero la Confraternita. «Non che queste punizioni siano mai state applicate alla lettera, a quanto ne so», precisò, mentre giravano su Edinburgh Road. «Sono sempre stato convinto che le punizioni siano solo sovrastrutture verbali per dare peso e serietà ai giuramenti. Posso però dirvi che in passato ci sono stati notevoli esempi di cosiddette esecuzioni massoniche. Solo che poi sono risultate commissionate da non massoni, proprio perché la vittima era un massone e gli si voleva far sperimentare personalmente l'orrore di quel simbolismo alquanto truce.» McLeod gettò un'occhiata a Peregrine, nello specchietto. «Non sarà uno spettacolo divertente, ragazzo mio... forse anche peggiore di quello the abbiamo visto a Blairgowrie. Ma se questo può farti sentire meno triste per lui, ricorda che probabilmente è stato Napier a inviarmi quella lince e a cercare di uccidere Adam ieri sera. Sai, mi era sembrato di averlo visto, a
Melrose, ma mi sono detto che non poteva essere lui. Era solo un'ombra senza volto, dietro l'angolo del Burt's Hotel.» «Lui o un altro, aveva avuto l'ordine di piazzare quel medaglione nella navata dell'abbazia, dove un fulmine avrebbe potuto uccidere numerosi massoni», spiegò Adam. «Però hanno visto me, e deciso che io ero un bersaglio più allettante. Suppongo che dovrei esserne lusingato...» Più avanti poterono vedere il Forth Bridge, più piccolo e stretto del moderno ponte a sei corsie che veicolava il grosso del traffico sull'altra sponda del Firth of Forth. McLeod schiacciò il freno all'ultima curva, prima che la strada ci passasse sotto, e vide che sul lato occidentale erano già ferme una dozzina di auto della polizia. Sulla spiaggia, giusto sotto il ponte, c'erano quindici o venti uomini in uniforme che s'aggiravano lungo la riva. McLeod imprecò tra i denti mentre fermava la BMW accanto a una grossa Ford Granada, anch'essa nera. «Questa è la macchina del sovrintendente capo, anche lui un massone d'alto rango», borbottò, prima di scendere. «Sono anni che non lo vedo andare di persona sul luogo di un delitto. E lui non è sulla mia lista. Molti avranno una giornata dura, oggi.» In silenzio e a denti stretti, McLeod precedette gli altri due oltre i nastri gialli stesi dalla polizia e giù sulla spiaggia, giusto sotto il ponte, dove un telo di plastica copriva tutto fuorché una mano di quella che evidentemente era la vittima. Donald Cochrane era tra quanti discutevano sottovoce lì accanto, e stava rispondendo alle domande di un ufficiale in uniforme. Quando vide McLeod avvicinarsi seguito da Peregrine e Adam, e dopo aver guardato due volte quest'ultimo con l'aria di non credere ai propri occhi, mise termine al colloquio in tutta fretta e venne verso di loro. «Mi fa piacere che siate qui», disse sottovoce. «Ma Sir Adam...» «Le spiegheremo più tardi», mormorò Adam. «Allora, cos'è successo?» Cochrane fece una smorfia, a significare che avrebbe preferito non vederlo, e si rivolse a McLeod. «Sotto quel telo c'è l'ispettore Napier, signore. Chiunque l'abbia ucciso, ha copiato le pene classiche della Massoneria. Ma lui non è mai stato un massone, anzi ci detestava...» McLeod grugnì un assenso. «Be', almeno stavolta non si tratta di uno di noi.» Poi si grattò il mento. «In un certo senso, però, è peggio, perché sarà contro di noi che punteranno il dito.» «Lo stanno già facendo, signore», lo informò Cochrane, gettando uno sguardo verso il funzionario con cui stava parlando poco prima. «Un assistente del sovrintendente capo ha già cominciato a chiedermi dov'ero ieri
sera, e perché non ero alla Loggia.» «Torna da lui, allora, ragazzo mio, e tienimelo lontano mentre diamo un'occhiata alla vittima.» E andò verso il cadavere coperto dal telo. Peregrine e Adam lo seguirono, quest'ultimo scrutando le facce degli uomini che li circondavano e consapevole di essere osservato con vari gradi di interesse o di ostilità. Peregrine trovava la situazione ancor più sgradevole della scena del crimine visitata altre volte con i due amici... forse perché stavolta il semplice fatto di essere in compagnia di un massone gli stava procurando occhiate penetranti, come se lui fosse uno dei sospetti. Il corpo non era ancora stato spostato, ma alcuni membri della scientifica si accingevano a farlo, poiché la marea saliva. Come McLeod aveva predetto, la vittima era stata legata mani e piedi a quattro paletti piantati nella sabbia, a metà tra la linea della bassa e quella dell'alta marea. Ma Peregrine distolse lo sguardo con una smorfia quando s'accorse che il corpo era stato anche sgozzato e sbudellato. Adam si era accostato a McLeod per guardare meglio, ma non c'era bisogno di avvicinarsi troppo per vedere che si trattava proprio di Charles Napier. Era difficile stabilire quale delle ferite avesse causato la morte. Dallo squarcio all'addome gli intestini erano usciti, finendogli tra i piedi, e la gola era tagliata da un orecchio all'altro. L'espressione incredula e angosciata rimasta sulla sua faccia suggeriva l'idea che si fosse accorto di ciò che stavano per fargli, almeno negli ultimi momenti prima della morte. «Gesù», mormorò McLeod. Ricoprì con il telo la faccia del cadavere e distolse lo sguardo, scosso. Adam fece un cenno a Peregrine mentre la squadra della scientifica veniva avanti con una barella e il sacco in cui mettere il corpo, ma il giovane artista, benché un po' pallido, stava osservando la scena con rigido interesse, forse dimentico di ciò che aveva davanti agli occhi e mentalmente proteso verso immagini appartenenti alla sera prima, che più tardi avrebbe messo su carta. Adam si era già reso conto che alcuni ufficiali di polizia in divisa, sicuramente non massoni, stavano guardando McLeod come se meditassero sulla possibilità di un collegamento tra lui e un delitto di quel genere. Irritato andò a prendere McLeod per un braccio e lo condusse poco più in là. Peregrine li seguì subito. «Ho idea che qui tiri una brutta aria», mormorò Adam. «I tuoi colleghi si stanno dividendo in due campi opposti. Credo che sarà meglio cercare l'appoggio di quei tuoi superiori massoni, di vedute più larghe, di cui mi hai parlato ieri sera.»
«Troppo tardi, ci hanno già presi di mira», rispose McLeod, indicando un uomo dai capelli grigi e d'aspetto molto distinto che stava venendo verso di loro, circondato da una falange di ufficiali in uniforme, alcuni dei quali armati fino ai denti. «Qualunque cosa succeda, non dite niente a meno che non siate interrogati, e non fate opposizione.» I tre restarono dov'erano in attesa degli altri. L'uomo dai capelli grigi scrutò Adam e Peregrine quando venne a fermarsi davanti a loro, mentre gli altri si allargavano tutto intorno. Non portava l'uniforme, ma Adam suppose che fosse il sovrintendente capo accanto alla cui macchina avevano parcheggiato. McLeod sostenne il suo sguardo senza batter ciglio mentre l'altro lo salutava con un cenno del capo, togliendosi un guanto e sbattendolo con impazienza sull'altra mano. «Ispettore capo McLeod», disse con calma, fissandolo con occhi grigi come le acque del Firth alle sue spalle. Adam notò che portava un anello di tipo massone, alla mano da cui si era tolto il guanto. «Fratello McLeod. Mi auguro che lei non c'entri niente con questa spiacevole faccenda.» «Spero che lei non abbia dubbi al riguardo, signore», replicò McLeod, senza batter ciglio. «Già, certo», borbottò l'uomo. «Comunque, non ho mancato di notare che ultimamente, ogni volta che è successo qualcosa a dei nostri confratelli, sembra che lei fosse sempre sulla scena... con questi suoi amici. Vorrei che voi tre veniste con noi senza fare storie, ma sono più che disposto a farvi dichiarare in arresto, se preferite.» «Verremo senza far storie, signore», annuì McLeod. «Saggia decisione.» L'uomo guardò Adam. «Lei è Sir Adam Sinclair, vero? Correva voce che lei fosse morto ieri sera.» «Sì, sono Sinclair», ammise lui. «E non sono morto, ovviamente.» «Così pare. E non posso fare a meno di chiedermi se c'è un nesso tra il fatto che lei non sia morto, e Napier sì. E lei è Lovat, il pittore», continuò, voltandosi verso Peregrine. Questi non disse niente e si limitò ad annuire, sperando di non avere l'aria di uno che sta nascondendo qualcosa. «Molto bene.» Indicò quattro poliziotti con l'uniforme nera degli esperti di armi. «Allora andrete con questi ufficiali, e io vi raggiungerò tra qualche ora. Ispettore Crawford, per favore, vada con loro.» Un altro uomo in borghese si unì ai quattro che scortarono McLeod, Adam e Peregrine a un furgone della polizia parcheggiato sulla strada. Mezz'ora dopo entrarono da un ingresso posteriore del comando di polizia e
scesero nel seminterrato dell'edificio, dove furono lasciati in una stanza chiusa, che a Peregrine sembrava fin troppo simile a una cella. «Che sta succedendo? Che intenzioni hanno?» domandò il giovanotto, quando il clangore delle porte che si chiudevano in fondo al corridoio si fu spento nel silenzio. Mentre Adam si portava un dito alle labbra e scuoteva il capo, McLeod indicò alcune protuberanze negli angoli della stanza e rese chiaro che si trattava di microfoni. «Dobbiamo aspettare, ragazzo mio», cercò di rassicurarlo l'ispettore. «Non preoccuparti, siamo in buone mani.» I tre si disposero ad attendere, e ne approfittarono per cercare di appisolarsi, perché Adam aveva già accennato al fatto che il sonno sarebbe stato un bene prezioso quando le cose avessero cominciato a muoversi. Peregrine si trastullò con l'idea di disegnare ciò che aveva visto alla spiaggia, ma laggiù c'era stata una presenza che non voleva essere riconosciuta attraverso la seconda vista, forse lo stesso Raeburn, e il giovane artista rinunciò all'idea, almeno fino a quando non avesse potuto provarci in una situazione per lui meno rischiosa. Verso l'una, il funzionario di nome Crawford portò loro dei sandwich e del caffè, e li scortò uno alla volta ai gabinetti in fondo al corridoio, ma rese chiaro che aveva avuto l'ordine di non parlare con loro. Erano le due quando il sovrintendente capo fece il suo ingresso insieme a un uomo della stessa età, non appartenente alla polizia, che McLeod riconobbe come un massone d'alto rango di Edimburgo, facente parte dei Grandi Ufficiali della Scozia. «Prego, non si alzi, Mr. McLeod», disse quest'ultimo, indicando ai tre di restare seduti mentre lui e il sovrintendente capo si sedevano al tavolo di fronte a loro. «Suppongo che lei sappia chi sono io, ma nel corso di questo colloquio preferirei lasciar stare i nomi. Non userò gradi massonici o della polizia, e voi potrete chiamarmi semplicemente 'Sir'. D'accordo?» Detto questo, Sir depose un registratore tascabile sul tavolo di fronte a loro. McLeod scambiò un'occhiata con Adam, il quale annuì per indicargli che a lui andava bene. «D'accordo... Sir.» «Grazie.» L'uomo accese il registratore e si appoggiò allo schienale, fissando McLeod. «Ora, ai nostri superiori non è sfuggito che nelle ultime settimane si sono verificati dei fatti molto strani, accentrati intorno alla
morte di un certo numero di nostri confratelli. Cosa interessante, lei e i suoi amici qui presenti siete sempre capitati sul posto. Questo ci induce a sospettare che di questi avvenimenti ne sappiate più di quanto avete detto ad altri. Forse sarete così gentili da darmi una spiegazione.» McLeod si agitò a disagio sulla sedia. Il suo giuramento massone lo obbligava a rispondere, ma adesso che il momento era venuto non sapeva bene fino a che punto rivelare i fatti. Adam si era aspettato una cosa del genere fin da quando il sovrintendente capo li aveva avvicinati, sotto il ponte, e nel vedere che l'amico aveva qualche difficoltà a scegliere le parole adatte, decìse d'intervenire. «Scusate se m'intrometto», disse, con un'occhiata a McLeod, «ma, come persona maggiormente responsabile di quanto ci attribuite, sono forse il più qualificato per chiarire certi aspetti della situazione di cui stiamo parlando. Se non siamo già venuti spontaneamente a parlarne con voi, è solo perché noi stessi eravamo ancora alla ricerca di una spiegazione. Non voglio fingere neppure per un istante che quanto sto per dirvi suoni logico, o almeno credibile... ma spero che voi, e quelli a cui riferirete», aggiunse, indicando il registratore, «vogliate prendere in considerazione le mie parole.» Detto questo, Adam poggiò i gomiti sui braccioli della sedia e intrecciò le dita davanti all'addome. Peregrine notò che portava il suo anello. Lo zaffiro scintillava azzurro sullo sfondo del maglione nero, sottolineando la sua autorità, almeno agli occhi del giovanotto. «Dunque, i giornalisti hanno spesso ventilato l'ipotesi di un intervento supernaturale... e l'ispettore McLeod ha cercato di indirizzarli in altre direzioni, perché questo è il suo lavoro, da un certo punto di vista. Non è lecito che sia io a entrare nei particolari, ma coloro che hanno preso di mira la Massoneria lo hanno fatto a causa della natura della sua opera esoterica nel mantenere intatto il Tempio... cioè l'edificio che i nemici della Massoneria stanno cercando di distruggere. «Oh, certo», continuò, vedendo la luce di stupore negli occhi dei due uomini, «benché, ovviamente, io non sia introdotto ai dettagli intimi dei vostri misteri sacri, non essendo un massone, sono tuttavia consapevole del genere di lavoro che portate avanti. In effetti, io e i miei compagni siamo impegnati in un'opera molto simile... non uguale alla vostra, ma certamente complementare. È per questo che ci siamo resi conto fin dall'inizio del pericolo che incombeva su di voi e sui vostri confratelli, negli ultimi due mesi... un pericolo che in questo periodo noi abbiamo lavorato per identificare
e contrastare.» Vedendo che ora aveva tutta l'attenzione dei due uomini, Adam proseguì mettendoli al corrente di ciò che lui e i suoi compagni erano riusciti a sapere sulle attività della Loggia della Lince, illustrando la teoria di come i medaglioni energizzati agivano come localizzatori per richiamare i fulmini. Omise solo le sue speculazioni personali sulla possibile identità del Maestro Anziano che all'apparenza dirigeva la Loggia della Lince, e non menzionò l'esistenza della Loggia di Caccia. Quando terminò il suo resoconto, entrambi gli ascoltatori apparivano colpiti e accigliati. Sir guardò il sovrintendente capo, poi si rivolse a Adam. «Come lei ha premesso, tutto questo sembra incredibile, ma io non mi sento abbastanza competente da prendere una decisione a nome della Confraternita. Se ora volete scusarci, torneremo da voi il più presto possibile.» Così dicendo, l'uomo spense il registratore e si alzò. Il sovrintendente capo aprì la porta e i due uscirono, richiudendola con un tonfo alle loro spalle. «Dannatamente severo da parte loro», mugolò Peregrine. «Si comportano come se fossimo criminali.» «Rilassati, Peregrine», rispose Adam. «Tutto questo è nuovo per loro. Noi abbiamo avuto settimane per abituarci gradualmente all'idea. Non dubito, comunque, che porteranno ai loro superiori le notizie apprese da noi.» E indicò i microfoni. «Poi suppongo che avremo udienza da qualcuno in grado di prendere decisioni.» Così, si disposero ad aspettare ancora. Intorno alle sette arrivarono altri sandwich, e ci fu un altro viaggio ai gabinetti. Poco prima delle otto riapparve il sovrintendente capo. «Sono stato incaricato di chiedervi di venire con me, senza far domande. Ho anche istruzione di assicurarvi, tuttavia, che non saranno presi provvedimenti nei vostri confronti. C'è una persona che desidera parlare con voi.» Quelle parole erano state pronunciate in tono affabile, ma la situazione stava cominciando a dare sui nervi a Peregrine. Il giovanotto gettò uno sguardo incerto a Adam, ma l'espressione di quest'ultimo fu studiatamente neutra. McLeod però si accorse del suo disagio. «Non preoccuparti, ragazzo mio», gli sussurrò, mentre prendeva cappello e soprabito. «Ti assicuro che non sei atteso da niente di peggio che quattro chiacchiere e una tazza di caffè» 37
Venti minuti dopo, i tre amici erano seduti, con gli occhi bendati, nel retro di un furgone che viaggiava verso una destinazione ignota. Peregrine era in qualche modo rassicurato dalla vicinanza di Adam e McLeod, ma tutta quella segretezza gli appariva incomprensibile. Al volante c'era il poliziotto di nome Crawford, e i quattro uomini con l'uniforme nera delle Forze Speciali erano seduti insieme a loro. Si sentiva indifeso, impotente, benché quegli individui fossero stati cortesi e distaccati. Avrebbe voluto credere di non essere in pericolo (e in effetti, Adam e McLeod non si mostravano affatto preoccupati), però il comportamento della polizia gli sembrava irritante quanto infantile. Viaggiarono per quasi due ore, lungo un percorso che avrebbe potuto condurli in qualsiasi località della Scozia o perfino in Inghilterra, e quando finalmente il furgone si fermò, Peregrine cominciava ad avere i crampi. Fu con sollievo che sentì lo sportello posteriore aprirsi e la carezza gelida dell'aria esterna, anche se non aveva idea di cosa li aspettava adesso. Fecero uscire per primo Adam. Poi mani robuste guidarono Peregrine sul retro del veicolo e lo aiutarono a scendere. Sentì della ghiaia sotto i piedi, e trasse un sospiro di sollievo quando qualcuno dietro di lui slegò la benda e gliela tolse. Sbattendo le palpebre nella luce dei fari di un'auto ferma dietro il furgone, vide che erano davanti a una scala di pietra che portava all'ingresso di un grosso edificio. Recuperò gli occhiali dalla tasca e se li mise per guardarsi attorno. L'edificio aveva l'aspetto di una palazzina di caccia vittoriana o edoardiana, circondata da un filare di conifere scure; nell'aria c'era l'odore dei pini e della neve. Un gorgoglio suggeriva l'idea che da qualche parte scorresse un torrente impetuoso. McLeod saltò giù dal furgone dietro di lui, già senza la benda, e alzò un pollice con fare rassicurante, prima di rimettersi gli occhiali anche lui. La loro scorta chiuse il furgone, poi li condusse su per la scala coperta di neve. «Non essere allarmato, qualunque cosa tu veda», mormorò Adam a Peregrine. «Ti assicuro che io sono tranquillo.» All'interno furono accolti da un uomo vestito come un maggiordomo, che li esaminò da capo a piedi, scambiò qualche parola sottovoce con la loro scorta, e li precedette lungo un ampio corridoio, fino a una spaziosa stanza tappezzata in legno che per aspetto e dimensioni sembrava una sala di caccia.
Una delle pareti era ornata con numerose teste di cervo imbalsamate e altri trofei, ma Peregrine non era nello stato d'animo adatto ad ammirarli. Mentre la scorta li esortava a proseguire, i suoi occhi erano solo per i dodici uomini seduti come in un tribunale sull'altro lato di un lungo tavolo, piazzato davanti a un monumentale caminetto di pietra grigia. Tutti indossavano colletti e grembiuli massonici sopra gli abiti, compresi tre o quattro che portavano uniformi della polizia, uno dei quali era di grado molto elevato. Crawford e il sovrintendente capo sedevano a un'estremità, e all'altra c'era il massone che li aveva interrogati. Al centro, nel posto più dignitoso, stava un uomo dai capelli bianchi con acuti occhi azzurri, che vestiva i paramenti di Grande Maestro Massone. «Venerabile Maestro», disse il sovrintendente capo, mentre il gruppetto si fermava. «Le presento Fratello Noel McLeod, Sir Adam Sinclair e Mr. Peregrine Lovat.» «Grazie per essere venuti, signori», disse il Maestro. «Credo di aver già incontrato fratello McLeod a una Grande Loggia. Sir Adam, conoscevo abbastanza bene suo padre e suo nonno.» Adam fece un cenno d'assenso con il capo, ma non disse nulla. A un segnale del Maestro, due membri della scorta che li aveva condotti lì da Edimburgo presero delle sedie e le disposero dietro Adam, McLeod e Peregrine. Poi i quattro uomini in uniforme nera uscirono dalla sala, lasciando i tre da soli di fronte a quel tribunale massonico. Il Maestro unì le mani sul tavolo, ma non li invitò a sedersi. «Signori, ho ascoltato la registrazione del vostro colloquio con il nostro stimato fratello. Dato che siete venuti di vostra volontà per renderci un servizio, siete i benvenuti tra noi. Prima di procedere, però, devo insistere che niente di quanto sarà detto esca da queste mura... neppure il fatto che questo incontro ha avuto luogo. Fratello McLeod è già legato dal suo giuramento a mantenere il silenzio, ma devo avere la sua assicurazione, Sir Adam, e la sua, Mr. Lovat. Volete giurare sul Libro delle Leggi Segrete di rispettare queste condizioni?» «Sì», dichiarò Adam. Peregrine deglutì e ritrovò la voce. «Va bene», mormorò. A un cenno del maestro, Crawford prese una Bibbia da un'estremità del tavolo e la presentò prima a Adam e poi a Peregrine. Quando i due vi ebbero poggiato sopra una mano ripetendo il giuramento del silenzio, il Maestro indicò loro che potevano sedersi e rivolse la sua attenzione su Adam. «Ora, ci dica qualcosa di più sul pericolo che lei ha constatato, e sull'al-
leanza che propone per mettervi riparo», ordinò gravemente. Rispondendo a quell'invito, Adam ripeté le informazioni che aveva già dato nel colloquio precedente, e quindi delineò una strategia basilare su come procedere. Il Maestro restò in silenzio per qualche momento, poi guardò McLeod. «Lei concorda con ciò che Sir Adam ci ha appena detto?» «Sì, signore, sotto ogni aspetto», confermò lui. «Sir Adam è un uomo onesto e onorato, e io lo conosco bene. Ha riferito i fatti con molta precisione.» «Capisco», disse il Maestro. «Essendo un Maestro Massone, lei come raccomanda di agire in questa situazione?» «Venerabile Maestro, mi è chiaro, come penso lo sia a lei, che prima uniamo le nostre forze e maggiori possibilità avremo di sventare i piani del nostro comune nemico», propose francamente McLeod. «Sir Adam non è un principiante nel lavoro esoterico. Lui sa di cosa parla. Di conseguenza voglio esortare la Confraternita ad allearsi con quelli che sono alle sue dipendenze. E raccomando che sia dato a lui l'onore di dirigere le nostre forze combinate.» Il Maestro inarcò un sopracciglio. «La sua è una proposta impegnativa, fratello McLeod. Si rende conto di cosa sta suggerendo?» «Me ne rendo conto, Venerabile Maestro.» «Capisco.» Il Maestro spostò lo sguardo su Adam. «E lei, Sir Adam... è preparato a fare ciò che propone McLeod, ovvero comandare una forza unita, formata dalla sua gente e dalla nostra?» «Se questa proposta incontra la vostra approvazione, sì, sono pronto», rispose Adam. I due uomini si guardarono negli occhi. A Peregrine parve che ognuno prendesse le misure dell'altro. Non fu sorpreso quando, dopo un lungo momento, fu il Maestro a distogliere lo sguardo, come soddisfatto di ciò che aveva visto. «Sono incline ad accettare la proposta di fratello McLeod... e la sua», si rivolse a Adam. «Ma il mio ufficio richiede che menzioni certe... difficoltà che andranno superate. Ha mai considerato l'idea di diventare un massone?» «Sì, ci ho pensato», ammise Adam. «Se lei conosceva mio padre e mio nonno, deve anche sapere che ognuno di loro mi avrebbe presentato volentieri, se lo avessi chiesto.» «E perché non lo ha mai fatto?»
«Le esigenze della mia professione, unite agli altri miei impegni, sono tali che ho sempre preferito non diventare membro di un ordine al quale non potrei offrire tutto me stesso, come sarebbe doveroso», spiegò francamente Adam. «Una riserva commendevole», annuì il Maestro. «Come risponderebbe, però, se le fosse offerta la possibilità di rendere un unico servizio al nostro ordine, valido quanto un'intera vita di servizi minori? Questa però è una domanda che dovrebbe presentare lei stesso, Sir Adam, perché io non ho la facoltà di fargliela.» Lentamente Adam si alzò. McLeod fece lo stesso, indicando però a Peregrine di restare seduto. «Venerabile Maestro», cominciò Adam con calma. «Di mia libera scelta e per mia volontà, io chiedo che mi sia fatto il grande onore di essere ammesso nella Confraternita della Massoneria, a un livello tale che mi sia possibile rendervi questo servizio.» Mentre Peregrine assisteva perplesso, il Maestro rivolse a Adam un sorriso soddisfatto e annuì. «È disposto ad accettare gli obblighi della nostra Confraternita, secondo le leggi e le usanze?» Il loro non era un semplice scambio di cortesie, comprese d'un tratto Peregrine. Che Adam accettasse di essere membro della Massoneria era il fattore chiave che consentiva ai confratelli di attribuirgli il comando delle loro forze riunite. «Fatti salvi gli obblighi da me contratti dinanzi a un altro tribunale, sì, io sono disposto», dichiarò Adam. Il Maestro si alzò, fece un cenno a Crawford e si rivolse a Peregrine, che sbatté le palpebre. «Temo di doverle chiedere di lasciarci, ora, Mr. Lovat», gli disse, in tono gentile ma autoritario. «Fratello Crawford la condurrà in biblioteca. I suoi compagni si riuniranno a lei quando qui avremo finito.» Visto che Adam lo esortava anch'egli con un cenno, Peregrine si rassegnò a ubbidire. Un po' riluttante seguì Crawford in biblioteca e quando fu lasciato solo non poté far altro che camminare avanti e indietro per quasi un'ora. Alla fine sentì dei passi che si avvicinavano, Crawford aprì la porta e fece entrare McLeod e Adam. «Prima che tu me lo domandi», disse quest'ultimo a Peregrine, «sappi che sono stato accertato dalla Massoneria con il rango di Maestro Massone, e mi sono stati concessi tutti i simboli esteriori e gli obblighi relativi. Il Maestro, che tra l'altro è il Grande Maestro di tutta la Scozia ed era buon
amico di mio padre, mi ha informato che la mia posizione nella Confraternita è quella di 'massone a vista'. Sembra che non sia una cosa inconsueta, e comunque risparmia un bel po' di tempo.» McLeod commentò con un sogghigno lo sguardo stupito di Peregrine. «Grazie a un permesso speciale del Grande Maestro, Adam ha la facoltà di dirigere le risorse messe a disposizione dalla Confraternita della Massoneria, oltre alle nostre», lo informò. «Ma ora vieni, torniamo nell'altra sala», disse Adam con un sorriso. «Mentre noi parlavamo, il maggiordomo ha messo al lavoro il personale di cucina e ora ci aspetta una cena calda, prima di metterci a far piani sul serio. E ci voleva, perché un paio di sandwich non sarebbero sufficienti per quello che ci attende questa notte. Ora che abbiamo trovato i rinforzi, la partita può cominciare!» Nel frattempo, Francis Raeburn stava cercando di spiegare al suo superiore cos'era andato storto a Melrose. Giunto poco prima a bordo dell'elicottero, ancora eccitato dalla buona riuscita dell'esecuzione di Napier e dal modo brillante con cui aveva indirizzato le prime indagini della polizia sulla pista massone, non era affatto disposto ad accollarsi il biasimo per gli errori di giudizio di Napier. «Tuttavia era lei ad avere la responsabilità dei fulmini», obiettò il Maestro Anziano con voce rauca. «Perché ha accettato il cambiamento del piano?» «A quel punto, l'opportunità di realizzare il piano originale era già sfumata», rispose Raeburn in tono ragionevole. «Quando Napier mi ha informato di ciò che aveva fatto, era troppo tardi per recuperare il medaglione e posizionarlo nell'abbazia, prima che i massoni ne uscissero. Data la situazione, la cosa più logica era proseguire con il piano modificato da Napier. Il colpo sulla macchina di Sinclair è stato preciso e potente. Non so spiegarmi come l'abbia previsto in tempo per sfuggirgli, ma attaccarlo così, senza i dovuti preparativi, non è stata una mia scelta.» «Sprechi, errori...» mugolò il Maestro Anziano con irritazione. «Avremmo potuto offrire decine di vite a Taranis... e questo Sinclair ci è scappato ancora una volta...» «Temo che si rivelerà necessario per noi sfuggire a lui, Maestro Anziano», azzardò Raeburn, a disagio. «Questa mattina si è fatto vedere sul luogo delle indagini, come avevo previsto... lui, McLeod e Lovat. Sfortunatamente i massoni sembrano aver trovato un nesso tra quei tre e i fatti che
sono costati la vita a molti loro confratelli nelle ultime settimane. Tutti e tre sono stati presi in custodia dalla polizia prima che potessi occuparmi di loro. Avevo sperato che fossero stati arrestati, cosa che li avrebbe tenuti fuori dai piedi per un po', ma i miei agenti non hanno confermato nessuna misura del genere da parte delle autorità. In apparenza non sono imputati di niente... e ciò mi porta a credere che siano in custodia della Massoneria, piuttosto che della polizia. Non ho potuto indagare oltre.» «Ciò significa che i massoni stanno ascoltando quello che Sinclair ha da dire, e che è solo questione di tempo prima che lui li convinca a diventare suoi alleati», dedusse il Maestro Anziano. «Ah, è astuto, questo Maestro della Caccia. Verrebbe da chiedersi se sia stato lui, o uno dei suoi, a cercare d'introdursi nel nostro perimetro difensivo la settimana scorsa.» «Dobbiamo presumere di sì», confermò Raeburn. «E in tal caso torneranno, probabilmente con i rinforzi.» «Già, ed entro i prossimi due giorni, se sperano di utilizzare la potenza della luna piena», replicò il Maestro Anziano. «Dobbiamo fare i preparativi per assicurarci che Taranis sia pronto a riceverli... e a ottenere un sacrificio ancora più grande per la sua gloria!» Quella notte, Adam tenne una riunione con i suoi nuovi alleati per istruirli sui particolari e definire la forma che avrebbe preso l'aiuto dei massoni nel prossimo attacco al nemico. Il Maestro aveva deciso che la notizia dell'azione in corso non uscisse dal circolo dei presenti e di pochi altri partecipanti selezionati, anche se era stato diramato l'ordine generale di fornire loro la massima collaborazione. Dopo cena, il vasto locale assunse l'atmosfera di un centro di comando, con carte geografiche sparse sul tavolo insieme a elenchi di uomini e materiali. McLeod era molto occupato, come luogotenente di Adam, nell'opera di collegamento con i massoni, tra i quali c'erano parecchi suoi conoscenti. Peregrine, che era privo di un passato militare e aveva un'esperienza esoterica relativamente scarsa, si tenne dapprima in disparte, limitandosi a guardare e ascoltare, con l'impressione di essere la ruota di scorta. Ma alla prima occasione si scusò e andò a sedersi in una camera per gli ospiti, dove cominciò a disegnare ciò che aveva visto sotto il ponte. Ne ricavò un disegno che McLeod, il mattino dopo, definì un ritratto praticamente fotografico di Francis Raeburn, o Tudor-Jones, occupato a supervisionare la sanguinosa esecuzione di Napier. La cruda brutalità della scena disegnata sottolineò, in un modo che le pa-
role non avrebbero potuto, ciò che Adam aveva cercato di spiegare ai massoni sulla spietata ferocia del nemico, e rese foschi gli umori dei partecipanti alle discussioni di quel mattino. Verso le undici, Peregrine cominciava finalmente a sentirsi parte dell'operazione, anche se non sapeva se essere più sorpreso di come procedevano le cose, che avevano già il ritmo rapido di una missione militare, o di se stesso per aver accettato tutto così prontamente. «Mi sembra di aver capito l'aspetto esoterico della faccenda», confidò a Adam dopo la riunione mattutina, mentre si servivano una tazza di tè da una grossa teiera, in un angolo della sala. «O almeno, capisco ciò che bisognerà fare... credo. Ma voi state parlando anche di un attacco fisico al castello. Questi uomini non sono qualificati. Chi ne avrebbe l'esperienza è troppo anziano, mentre i giovani non hanno mai fatto cose del genere. Perfino io me ne sono reso conto.» Adam appoggiò la tazza accanto a un telefono e girò una sedia per mettersi a sedere. «Sì, anch'io ci ho pensato. E credo di conoscere l'uomo che può darci una mano.» Mentre Peregrine lo guardava con aria interrogativa, lui prese il telefono e compose un numero. Il generale Sir Gordon Scott-Brown fu sorpreso di sentire la sua voce. «Adam!» esclamò, compiaciuto. «Come stai, vecchio mio? Mi hai preso al volo mentre uscivo per andare in chiesa, ma sono felice di dedicarti qualche minuto. Cosa posso fare per te?» «Avrei bisogno di incontrarti personalmente. Sulla piazza.» Una breve pausa all'altra estremità del filo rivelò che l'interlocutore aveva preso atto della parola chiave massonica. «Capisco», replicò Gordon, con voce diversa. «Sì, credo che si possa fare. Quando pensi che andrebbe bene?» «Il più presto possibile. So che è un preavviso molto breve, ma è importante... per la salvezza dei Figli della Vedova.» «Sì, questo lo capisco. È chiaro che stai parlando sul serio. Che ne dici dell'una in punto, al castello?» «Non so come ringraziarti, Gordon.» «Il piacere è mio. In effetti, potremmo accelerare le cose se mandassi un'auto a prenderti», continuò Sir Gordon. «Diciamo verso mezzogiorno?» «Ah... io non sono a casa, Gordon», disse Adam, che all'improvviso ricordò di non sapere neppure dove fosse. Non che questo gli fosse importato qualcosa, nelle ultime dodici ore.
«Be', dimmi dove sei e ti manderò la macchina lì», propose Sir Gordon. Sentendosi un po' sciocco, Adam coprì il ricevitore e si girò verso il padrone di casa, che esalava sbuffi di fumo dalla sua pipa, chino su una mappa. «Sir Neville, posso sapere dove mi trovo? Ho preso un appuntamento con Gordon Scott-Brown, e lui vuole mandare una macchina a prendermi.» «Gordon?» L'anziano gentiluomo sorrise e andò a prendere il ricevitore dalla mano di Adam, senza smettere di fumare la pipa. «Ciao, Gordon. Sono Neville Stephenson. Sì, Sinclair è a casa mia. Ti dirà tutto lui quando vi vedrete. Sì, sì, sta bene.» Fece una pausa, annuì continuando a sbuffare fumo, e grugnì ancora un assenso. «Be', potrei mandartelo io con un autista, Gordon... mmm, sì, sicurezza, capisco. Sì. Bene, se lo vuoi lì all'una sarà meglio che mandi subito il tuo uomo. Sì. Sì, glielo dirò.» Stephenson restituì il ricevitore a Adam, ma il generale aveva già riappeso. «Be', ha sentito anche lei. Penso che il suo autista sarà qui prima di mezzogiorno. Domandi a Cromarty di trovarle dei vestiti puliti e un rasoio. Lei è un po' malmesso per incontrarsi con un generale, specialmente di domenica.» Adam riagganciò il telefono, passandosi una mano sulla mandibola. «D'accordo», annuì, anche se non ne aveva affatto voglia. «Però lei non ha risposto alla mia domanda.» «Eh?» «Mi è concesso sapere dove mi trovo, o dovrò portare una benda sugli occhi anche quando uscirò da qui?» Stephenson sbatté le palpebre, poi le sue labbra s'allargarono in un sogghigno intorno al bocchino della pipa. «Santo cielo, nessuno gliel'ha ancora detto?» «No, e io sono stato troppo occupato per domandarlo.» Mentre Stephenson gli spiegava in che località fossero, Adam dovette sorridere. Non erano troppo lontani da Strathmourne, solo un po' più a ovest. Appena poté liberarsi dal loquace Stephenson, andò a radersi e fece una doccia, ma quando l'auto mandata dal generale lo portò via, poco più tardi, indossava ancora gli abiti di taglio quasi militare del giorno prima, per meglio sottolineare la natura della sua visita. Con una carta geografica e un blocco notes tra le mani, buttò giù qualche altro appunto mentre l'autista in uniforme dell'esercito lo portava verso sud. Stava ricominciando a nevicare, e sembrava che il tempo sarebbe ancora peggiorato.
Verso l'una, l'auto girò sul selciato sdrucciolevole del Royal Mile, attraversò la spianata coperta di neve del Castello di Edimburgo e passò sul ponte levatoio, tra le impeccabili guardie vestite col tartan verde degli Hunting Stewart, che scattarono sull'attenti. Un alfiere stava aspettando Adam per condurlo nell'ufficio del generale del reggimento, dove Sir Gordon lo accolse con una calorosa stretta di mano in stile massonico, sorridendo ampiamente. «Questo avvenimento va festeggiato», commentò Sir Gordon, osservando l'amico da capo a piedi. «Permettimi di offrirti le mie più vive congratulazioni. Vorrei chiederti come sei giunto alla decisione di entrare nella Confraternita, ma dal tuo insolito abbigliamento e da quanto mi hai accennato per telefono, suppongo che ci siano argomenti più urgenti di cui parlare.» «Le due cose sono collegate», rispose Adam, sedendo con lui a un tavolino in un angolo dell'ufficio. «È proprio per questo che sono qui.» Dopo aver aperto la carta geografica, Adam gli spiegò la situazione senza omettere niente di ciò che aveva già detto al Grande Maestro e ai suoi collaboratori. Sir Gordon ascoltò in accigliato silenzio mentre lui gli illustrava le sue necessità più pressanti. Venti minuti dopo, negli occhi acuti del militare c'era una luce di apprezzamento per ciò che l'amico gli aveva proposto. «Cominciamo con la ricognizione aerea... che al momento sembra la mossa strategica più urgente», disse, guardando il suo orologio da polso. «Fra un paio d'ore perderemo la luce del giorno... e comunque ci vorrà di più per organizzare la cosa. Se non ci saranno gravi peggioramenti delle condizioni atmosferiche, posso avere un paio di elicotteri in aria alle prime luci di domattina. Tra le operazioni di salvataggio in montagna e le manovre militari, abbiamo mezzi aerei tutto l'anno.» Guardò Adam con un sogghigno. «Alcuni di quei ragazzi della RAF sono specializzati nelle ricognizioni aeree della vita selvatica. Potrebbero perfino individuare una lince o due.» Adam ridacchiò, annuendo. «Ti ringrazio, Gordon. Sapevo di poter contare su di te.» «È tutto parte del servizio. Ora, circa questi altri articoli della tua lista, certo non posso assegnarti l'esercito», precisò, inarcando un sopracciglio. «Non ufficialmente, almeno. In via del tutto ufficiosa, però...» Sir Gordon si grattò il mento, ci pensò un poco e annuì. «Sì. Ho l'uomo che fa per te. E dopo non dovrai preoccuparti che qualcuno faccia troppe domande. Tu
dimmi solo dove e quando vuoi che questi rinforzi si facciano trovare.» «A proposito del dove, c'è una cosa che vorrei chiederti», disse Adam. «Ci serve una località in cui fare base, per il mio contingente civile, nella zona dei Cairngorms. Hai qualche suggerimento?» «Non c'è problema», annuì Sir Gordon. «Ho accesso a un casotto di caccia presso Drumguish, a quaranta chilometri dal posto di cui stiamo parlando.» Controllò la carta e segnò il punto con un cerchietto. «Qui. C'è anche una pista per gli elicotteri. Andrebbe bene?» «Sarà l'ideale. Ma sei sicuro che non avrai dei problemi, in seguito? Data la natura dell'operazione, è essenziale che i partecipanti non ne facciano parola.» «Questo va bene anche ai miei uomini», gli assicurò Sir Gordon con aria grave. «Penserò io a tappare le falle. Consideralo il mio contributo personale all'operazione. Ora, quando vuoi che i miei uomini siano sul posto?» «Domani a mezzogiorno sarebbe troppo presto?» domandò Adam. «Domani notte sarà luna piena, il che potrà esserci utile sotto vari aspetti.» «Va bene. L'azione di domani figurerà ufficialmente come un'esercitazione di salvataggio in montagna, e per il resto... be', sarà tutto finito prima che qualcuno pensi di fare domande. Inoltre abbiamo già in programma delle manovre militari nel nord per la settimana prossima, e questo coprirà gli ordini di requisizione di materiale che dovrò emanare.» Sir Gordon fece una pausa e sorrise. «Sai, tra l'aurora boreale e i soliti fuochi artificiali dell'ultimo dell'anno, non dovrai preoccuparti del fracasso quando entrerete in azione. A Noel la coincidenza piacerà, visto che probabilmente toccherebbe a lui spiegare le cose alla stampa, se finisse per trapelare qualcosa.» Adam sorrise. «Farò tesoro del tuo ottimismo, Gordon... e del tuo aiuto. Se riusciremo a concludere questa operazione, buona parte del merito sarà tuo.» «Niente affatto, vecchio mio», si schernì Sir Gordon. «Io vorrei solo potervi dare una mano personalmente. Invece, proprio mentre voi vi starete divertendo laggiù, mia moglie e io saremo a un elegante cenone per l'ultimo dell'anno... sai cosa si aspetta la gente dai generali, no? Ma sarò con voi in spirito, te l'assicuro.» Prima di lasciare l'ufficio del generale, Adam fece parecchie telefonate, e poi pregò Sir Gordon di fare un'altra chiamata per lui, dopo che se ne fosse andato. «Si chiama dottoressa Ximena Lockhart», spiegò, consegnandogli un
foglietto con il nome e l'indirizzo. «Non ho il suo numero di telefono, ma dovresti trovarla al Royal Infirmary o a questo recapito. Non identificarti. Dille solo che ti ho chiesto di chiamarla, che io sto bene, e che le telefonerò appena posso... nella speranza di augurarle un felice anno nuovo.» Risalito in macchina, l'autista lo portò a Kinross per incontrare Christopher Houston. Poi andarono a Strathmourne, dove Adam prese quello che, sotto sua richiesta, sua madre gli aveva preparato. «Mi affido a te per tenere sotto controllo la situazione sul piano astrale», le disse, baciandola su una guancia, prima di risalire in macchina. «Puoi contare su di me, caro. Buona caccia!» Quella notte stessa, dopo aver fatto tutti i preparativi per partire di buon'ora il mattino successivo verso il casotto di caccia di Sir Gordon, Adam riunì la sua squadra di massoni nella sala della villa di Stephenson e presentò loro Christopher, che la sera dopo avrebbe diretto la loro visualizzazione dal campo base. «L'immagine migliore che posso suggerirvi di visualizzare», spiegò loro, «è quella di una cupola o un ombrello protettivo di luce bianca che circonda e protegge il pianeta. Questo è ciò che il vostro lavoro nelle Logge massoni aiuta a sostenere, ed è ciò su cui voi dovrete concentrarvi quando assaliremo i nostri avversari. Nelle stesse ore, come sapete, i vostri confratelli di tutta la Scozia s'impegneranno per rafforzare quella stessa immagine in termini meno specifici, offrendo sentimenti di pace e buona volontà, mentre l'anno vecchio lascia il posto a quello nuovo. Il loro lavoro darà forza a ciò che cercheremo di fare, ma loro da soli non possono ottenere il risultato... questo è un compito che spetta a noi.» Si mossero il mattino dopo secondo il piano, a bordo di una carovana di Land Rover, jeep e altri fuoristrada a quattro ruote motrici: una dozzina di veicoli in tutto, con oltre quaranta uomini. Cercarono di evitare di sembrare un convoglio mentre si dirigevano a nord su strade secondarie, per passare poi sulla A9. Giunsero al casotto di caccia di Drumguish prima delle undici e lì attesero, mangiando sandwich preparati dalla cucina di Sir Neville Stephenson e bevendo tè caldo dai thermos. Nonostante l'ora, la temperatura stava calando e il vento tagliava la faccia. Passeggiando sotto il porticato anteriore dell'edificio, Adam cercò di non preoccuparsi della neve, ma non poteva fare a meno di chiedersi se i loro avversari avessero il potere di manipolare il tempo.
Dopo mezzogiorno, due elicotteri Wessex gialli con l'emblema delle Squadre di Salvataggio scesero da un cielo di piombo. Il maggiore dei SAS che saltò giù da uno di essi, corse verso di loro sotto le pale ancora in movimento, aveva una grossa busta sottobraccio e sembrava già informato di tutto. «Sto cercando Sir Adam Sinclair», disse, guardando Adam come se lo confrontasse con la descrizione avuta. «Sono io», gli confermò lui. Il maggiore sorrise e gli strinse la mano alla maniera massonica. «Le porto gli auguri del generale, signore. Sono Ian Duart. Credo che lei abbia chiesto foto aeree della zona in questione... e di fare un certo lavoro. Se mi dice dove vuole che ci mettiamo, dirò ai miei uomini di scaricare l'equipaggiamento.» «Grazie, maggiore. Mr. Crawford e Mr. Lovat si occuperanno dei suoi uomini», disse Adam, prendendo la busta che l'altro gli offriva. «Nel frattempo vorrei che lei e il suo secondo mi raggiungeste dentro, così daremo un'occhiata a queste foto e faremo il punto della situazione.» A un cenno di Duart, dagli elicotteri sbarcarono una dozzina di uomini dei SAS e i piloti. Mentre scaricavano l'equipaggiamento cominciò a cadere un nevischio sottile; Duart e un capitano di nome Kinsey entrarono nell'edificio e sparsero su un tavolo mappe e foto aeree, davanti a Adam e a McLeod. Gli altri massoni si affollarono nell'interno o restarono sulla porta per osservare i preparativi dei militari. «Mi è stato detto di aspettarmi che le foto risultassero sfocate, così ho trovato materiale proveniente da una vecchia ricognizione aerea», precisò Duart, sovrapponendo alla mappa un foglio trasparente. «Questa foto è stata presa circa un anno fa. Qualunque cosa sfochi oggi le foto, a quel tempo non c'era. Comunque potete vedere che l'accesso al castello è protetto da queste alture.» Indicò due zone semicircolari con un dito. «Se la sicurezza del posto non è affidata a un completo idiota, avrà appostato degli uomini su queste dorsali con tutta la potenza di fuoco di cui possono disporre.» Adam annuì, anche se non si aspettava che la loro maggiore preoccupazione sarebbero state le armi convenzionali. «Ho motivo di supporre che l'obiettivo da noi cercato si trovi dentro questa torre. L'edificio risale all'epoca vittoriana, e ciò significa che non è stato costruito per opporre una difesa reale. La torre però è molto più antica, e presumo che abbia mura spesse fino a sei metri alla base.» «Difficile, ma non impossibile», annuì Duart. «Lei è preoccupato di e-
ventuali danni alla torre?» «No, voglio solo arrivare a chi è rintanato là dentro, chiunque sia. Preferisco che questa struttura non sia abbattuta prima di avere modo di vedere cosa stiano organizzando nel suo interno. Ma non credo che avrò molta scelta, se si trattasse di proteggere l'incolumità della nostra gente.» «Capito.» Il maggiore esaminò nuovamente la carta con l'aria di revisionare i suoi piani, annuendo tra sé, poi guardò ancora Adam e McLeod. «C'è un'altra cosa che dovreste sapere. Io non ho mostrato le foto a nessuno, ma il pilota che ha sorvolato la zona giura di aver visto un elicottero qui, sul piazzale accanto al castello.» «Non mi sorprende», disse Adam, senza batter ciglio. «Lo terremo presente.» «Bene», concluse Duart. «Lasciatemi parlare con i miei uomini, e poi vedremo se il tempo ci permetterà di procedere con gli elicotteri.» Verso le due, i militari di Duart erano pronti a muoversi, ma la neve aveva preso a cadere fitta e fu chiaro che per quel giorno usare gli elicotteri era fuori discussione. Duart era rassegnato a dover usare i veicoli civili, e un suo sergente aveva già scelto tre Land Rover e una jeep per il trasporto della truppa. Mentre gli uomini dei SAS trasferivano l'equipaggiamento sui veicoli, Kinsey incaricò uno dei suoi uomini di consegnare a Adam, Peregrine e McLeod mimetiche invernali. Con addosso uniformi bianche, copristivali e berretti dello stesso colore, i tre non furono più distinguibili dal resto del gruppo. Poi si ritirarono in una camera da letto del primo piano insieme a Christopher. Il sacerdote somministrò loro la comunione e li benedisse, prima di accompagnarli fuori. Erano ormai passate le tre, in quell'ultimo giorno di dicembre, quando il piccolo convoglio si mise in viaggio sotto la neve verso le pendici dei monti Cairngorms. La luce stava scemando rapidamente allorché la colonna uscì di strada per l'ultimo tratto di pista sulle alture dirupate. La neve stava smettendo di cadere, e c'era vento. Guardando fuori dal finestrino mentre il veicolo sobbalzava tra le buche, seduto tra Adam e McLeod, Peregrine non sapeva se essere spaventato o eccitato al pensiero dello scontro imminente. In ogni caso, gli faceva piacere che Adam lo avesse giudicato adatto a prendervi parte. Giunsero alla recinzione di filo spinato senza incontrare nessuna opposizione. Quando la jeep si fermò davanti al cancello e Duart mandò un sergente ad aprirlo, Peregrine si accorse di uno sgradevole crepitio subliminale dell'aria intorno a loro, che non c'era stato durante la visita precedente.
Allarmato si piegò verso il parabrezza, scrutando fuori. «Adam, lo senti questo...» «Sì, lo sento», confermò Adam. «Lui sa che siamo qui. Ma non trascurare di avvertirmi, se vedi qualcosa. Non posso stare attento a tutto.» Il sergente era già al lavoro sulla catena. Pochi momenti gli bastarono per tagliarla, quindi la gettò via e spalancò il cancello per lasciar passare il convoglio. «Voi senza dubbio capite», mormorò McLeod mentre il militare risaliva sulla jeep, «che così è come suonare il campanello alla porta, no?» «Non possiamo farci niente» replicò Adam. «Da qui in poi dobbiamo andare avanti senza ripensamenti.» Le auto oltrepassarono il cancello e cominciarono a inerpicarsi lentamente sul versante coperto di neve, a luci spente. Quando superarono il ruscello, non incontrarono la minima resistenza fisica, ma Adam avvertì una crescente tensione nell'aria, un'energia che si preparava a reagire, come un brontolio di tuoni basso oltre l'orizzonte. I difensori di quel posto, ne era certo, stavano solo aspettando il momento giusto. Procedendo con la dovuta cautela si fermarono poco prima dell'altura dalla cui sommità i tre amici avevano fatto la ricognizione precedente. Duart scese per fare segnali a mano agli altri, e dietro di loro i veicoli spensero i motori, mentre gli uomini uscivano. Adam e McLeod smontarono dal fuoristrada guardandosi attorno con attenzione, seguiti da Peregrine. McLeod aveva un mitra H-K MP5 appeso al collo, come i militari dei SAS, e la sua Browning Hi-Power nella fondina sotto il parka. Adam appariva disarmato, ma Peregrine sapeva che non lo era. Ih quanto a lui, il giovane artista aveva un album da disegno e una matita in una tasca interna del parka, e sotto i guanti portava il suo anello, come i due compagni. Era già praticamente buio. Sull'intera zona stagnava un sudario di tenebra fitta, ma attraverso le nuvole non molto spesse cominciava a vedersi il riflesso della luna, appena sorta dai Grampiàhs, a sud-est. Non nevicava più da qualche minuto, anche se questo non aveva migliorato la visibilità. Fu dato l'ordine di muoversi. Gli uomini dei SAS si divisero in tre squadre di quattro, una delle quali rimase indietro con i civili mentre le altre due si allargavano. Peregrine restò insieme a Adam e McLeod, annaspando e scivolando nella neve in direzione del loro obiettivo. Appena la luce della luna si fece più intensa, riuscì a intravedere il profilo nero del castello. Alle finestre si scorgevano due o tre pallide luci, ma nessuna attività, e nulla sembrava giustificare le precauzioni che stavano prendendo.
Il gruppo del quale Peregrine e Adam facevano parte era giunto a poco più di duecento metri dalla salita che conduceva al portone vittoriano incastonato nel muro di cinta, quando il giovane artista fu all'improvviso aggredito e sopraffatto da una gelida sensazione di paura, così animalesca che gli venne quasi da vomitare. Nello stesso momento un crepitio di spari squarciò il buio sull'altro lato della piccola valle tagliata dal torrente, presso la base del castello. Dopo qualche violenta raffica le armi tacquero. Mentre Duart e i suoi uomini si gettavano al coperto Adam indietreggiò di qualche passo e gridò a Peregrine e McLeod di seguirlo. Appena furono tornati indietro, l'ondata di paura si ritrasse immediatamente, come se fossero emersi da un pantano psichico. Sporgendo la testa a osservare di nuovo il castello, Peregrine toccò un braccio di Adam. «Lo vedi anche tu?» sussurrò, in tono urgente. «Cosa dovrei vedere?» «È difficile descriverlo», mormorò lui con una smorfia, stringendo le palpebre. «Credo che si tratti di uno di quei... uh, buchi nell'ombrello astrale di cui parlavi. È proprio sopra il castello.» «Un buco?» domandò Adam. «Vuoi dire un vero buco?» «Be', sì. Però è più denso di un buco... come se fosse coperto da un telone, o da un'enorme ragnatela...» Mentre Adam valutava quell'inattesa notìzia, Duart li raggiunse tenendosi basso tra le rocce innevate. Dalla parte del castello avevano ricominciato a sparare. «Siamo bloccati, più avanti», li informò. «Oltre al fuoco delle loro armi automatiche, intorno all'edificio c'è una zona di tenebra molto strana. Quando si tenta di addentrarsi in quel buio è come camminare in una specie di melassa velenosa che prende alla gola. Lei non può fare qualcosa?» «Sì, può darsi», rispose Adam. «Dica ai suoi uomini di stare indietro.» Mentre Duart si allontanava per eseguire, Adam si sfilò il guanto destro e lo mise in tasca. Quando tirò fuori la mano aveva in pugno lo skean dubh, e la gemma sull'impugnatura del piccolo pugnale era illuminata da un bagliore azzurro uguale a quello del suo anello. Dopo aver indicato a Peregrine e a McLeod di dargli spazio, tolse il fodero dello skean dubh, ficcandoselo in una tasca, poi baciò la lama con atto reverente, si piegò in avanti e tracciò un largo pentacolo nella neve, con una delle punte orientata verso il castello. Quand'ebbe chiuso il simbolo in un cerchio vi entrò, inginocchiandosi, e inchinò la testa premendosi la lama del pugnale sulla fronte.
Creatore della Luce, offri la Tua forza e la Tua guida a coloro che operano per eseguire la Tua volontà, pregò in silenzio, concentrandosi sulle sue intenzioni. Tu, ministro della grazia, difendici affinché le barriere opposte dalle tenebre siano infrante, e l'Avversario sia schiacciato dinanzi alla potenza della Luce. Un profondo silenzio parve calare intorno a loro, benché gli spari secchi dei fucili e le raffiche di mitra continuassero a punteggiare la notte di lampi giallastri. Adam rialzò la testa e protese le braccia verso McLeod e Peregrine, in un muto invito a unirsi a lui. Senza esitare il giovanotto s'inginocchiò alla sua sinistra, mentre McLeod prendeva posto a destra. E non appena ebbero chinato il capo e chiuso gli occhi come stava facendo lui, entrambi furono assorbiti nello spazio senza confini del piano astrale. Non erano gli unici venuti a riunirsi lì. Avvolti nelle fluttuanti toghe color zaffiro del loro ordine c'erano altri membri della Loggia di Caccia: Philippa, Victoria, Lady Julian e altre persone che Peregrine aveva incontrato soltanto in quella dimensione immateriale durante la sua iniziazione. E c'era Christopher, che fungeva da guida all'eterogenea schiera dei massoni riuniti con lui a molti chilometri da lì, religiosamente concentrati nell'offerta della loro armonica energia. L'intero gruppo appariva riunito dinanzi al portale di un tempio che Peregrine non aveva mai visto, costruito con immense fronde verdi e ombre maestose. Dietro i convenuti Peregrine avvertì la presenza di moltissimi altri massoni, visibili solo sotto forma di un bagliore pulsante, che stavano contribuendo alla forza dell'insieme con un'offerta più vaga fatta di semplice buona volontà. La grande porta del tempio era lucida e nera come il carbone, e punteggiata di mobili germogli di luce verde e gemme smeraldine. Adam si fermò dinanzi ai due battenti e alzò la mano destra a tracciare nell'aria con l'anello un simbolo luminoso, lo stesso che Peregrine aveva già visto durante la sua iniziazione. Quando pronunciò con voce sonante la Parola, i battenti si dischiusero senza rumore rivelando pesanti tende verdi. Il vento che le faceva ondeggiare portava con sé un profumo di terreno fertile smosso di fresco. Adam precedette gli altri nella sala oltre le tende, un locale di forma irregolare in cui sorgevano colonne fatte di tronchi d'albero umidi e vivi. La Presenza che campeggiava al centro del salone era un'ombra densa, dalla quale sembravano fluire ruscelli di luce verde come acqua da una sorgente. Adam poggiò un ginocchio al suolo, e tutti quelli che erano entrati dietro
di lui fecero lo stesso, chinando il capo. Signore della Terra, recitò in silenzio Adam, come Maestro della Caccia e servo della potenza della Luce, vengo a cercare aiuto per i Figli della Vedova, i seguaci di Salomone, il Costruttore di Templi. Questa notte noi stiamo affrontando in battaglia i servi dell'Oscurità, i quali vogliono distruggere il Tempio che tu stesso ordinasti di costruire nel nome di Adonai, benedetto Egli sia. Ma il Nemico si rintana nella terra, anche se le stesse rocce invocano giustizia, continuò. Noi ti supplichiamo, abbatti il loro diabolico rifugio, e squarcia il velo di tenebra in cui si sono avvolti, affinché la luce del Signore degli Eserciti possa incombere sopra di loro. Adam chinò la testa, protendendo le braccia in segno di supplica. Mentre Peregrine aspettava, senza il coraggio di alzare lo sguardo, la Presenza scivolò avanti e avvolse Adam in un'aura di bagliori verdi. La strana luce continuò a espandersi fino a raggiungere i confini del tempio. Investito da quell'ondata di potere Peregrine fu spazzato via da lì, e per un poco provò la sensazione di volare. Poi tutto si fermò di nuovo, in un momento di vertigine. Quando riaprì gli occhi, il giovanotto era di nuovo all'interno del suo corpo fisico, scosso da brividi e infreddolito nell'aria di quella sera d'inverno. Ma non era passato un secondo che a quei tremiti se ne aggiunse un altro, molto più vibrante, che sembrava provenire dal sottosuolo. Il tremore sismico s'intensificò, e a esso si aggiunsero scosse sussultorie che percossero le alture. Il crepitio di sassi che precipitavano divenne un rombo di slavine. Poi, mentre Peregrine si portava istintivamente le mani alle orecchie, un tuono squarciò l'atmosfera, come un jet che superasse la barriera del suono, e il terreno sembrò abbassarsi di colpo sotto i suoi piedi. 38 Peregrine ricadde al suolo per un contraccolpo più psichico che fisico. Mentre ansimava nello sforzo di ritrovare l'equilibrio, l'opaco baldacchino di tenebra che copriva il castello fu improvvisamente illuminato da una rete di bagliori verdi. Viticci di radiazione smeraldina sottili e vibranti emersero dalla superficie del suolo, sviluppandosi come un tappeto di rampicanti appena nati. I viticci s'ispessirono e si ramificarono, germogliando come se la fioritura di un'intera primavera avvenisse in un momento. Ani-
mati dall'energia della terra stessa, i verdi tentacoli aggredirono la tenebra come edera in crescita selvaggia sul muro di un giardino. Ovunque la verde e scintillante energia si espandeva, essa metteva radici affondandole profondamente nel tessuto dell'oscurità. Mentre quella vegetazione reticolata cresceva sempre più forte, il buio cominciò a crepitare come calcina secca, e frammenti di tenebra opaca si spezzarono e caddero in putrefazione. Ma coloro che avevano fabbricato quella difesa di vischiosità oscura lottarono per sostenerla e ripararla. Sbilanciato dalla furiosa controffensiva di energia ostile, Adam sentì che perdeva il controllo e vacillò. La nebbia nera ricominciò a infittirsi, torbida e maleodorante sotto il cielo notturno. Tremando per lo sforzo, puntò lo skean dubh verso il castello e inviò una silenziosa richiesta d'aiuto ai ranghi dei confratelli massoni. Sentì l'energia di McLeod unirsi alla sua, calda e confortante, ma d'un tratto una grande colonna di tenebra sgorgò dal sottosuolo e coprì la torre del castello, annientando tutti i progressi fatti dalla luce verde. Adam strinse i denti e si lanciò di nuovo sul piano astrale, spingendosi in spirito dinanzi al suo diretto superiore, il Comandante Supremo di tutti gli Eserciti del Cielo. La sua supplica senza parole non restò inascoltata. Tornando indietro, stordito, si ritrovò in ginocchio tra McLeod e Peregrine, le cui mani lo sostennero mentre la vertigine annientava momentaneamente il suo equilibrio. E l'ansito di Peregrine lo indusse ad alzare lo sguardo verso nord, dove anche McLeod stava indicando: la cortina baluginante dell'aurora boreale si era aperta, lasciando passare l'esercito del cielo già alla carica. Spade d'argento si sollevavano intorno a una nobile bandiera. Cantando fieramente nel venire avanti, i guerrieri cavalcavano nel pallore lunare vestiti di armature lucenti, in sella a poderosi destrieri da battaglia le cui criniere brillavano come oro fuso, strappando scintille con gli zoccoli dalle cime dei monti Cairngorms e facendo tremare la terra. Mentre la loro colonna si portava sopra il castello, i cavalieri del cielo cominciarono ad aprire grandi varchi nel materiale nero che avvolgeva la torre e proteggeva i suoi abitanti. Dove le loro spade colpivano con lampi di fuoco, le ombre fremevano e si ritiravano. Adam poté sentire l'oscurità farsi indietro, e puntò ancora lo skean dubh verso il castello, richiamando tutto il potere che i confratelli avevano messo nelle sue mani, per proiettarlo avanti lungo la lama del piccolo pugnale.
E nel castello, all'interno della stanza alla sommità della torre, il Maestro Anziano cadde in ginocchio con un grido di dolore. Il collasso dell'armatura psichica dell'edificio scosse la torre fino alle fondamenta. Due degli accoliti più vicini accorsero in suo aiuto, ma lui li allontanò agitando le mani adunche, gli occhi neri densi di rabbia. «Non c'è tempo per questo!» sbottò. «Dovete preparare nuove difese. La vittoria sarà nostra!» Senza bussare, Raeburn si precipitò nella stanza. Aveva il collare intorno alla gola, e la sua faccia era sporca di fango. Il saio bianco che indossava era strappato su una spalla. Con i pallidi occhi azzurri ancora pieni d'agitazione per ciò che aveva visto fuori, guardò la vasta macchia rossa sul petto del saio del Maestro Anziano, e il corpo senza vita di Wemyss riverso in una pozza di sangue, non lontano dal manoscritto poggiato sulla stuoia di pelle di montone nera. I polsi di Wemyss erano legati dietro la schiena con il cordone scarlatto che gli aveva tenuto la testa all'indietro quando la lama sacrificale gli aveva squarciato entrambe le giugulari. Il coltello giaceva accanto al manoscritto: non il bisturi affilato che Wemyss aveva usato sulle sue vittime, ma un'arma antica, annerita, risalente all'epoca del collare. Raeburn poteva ancora sentire l'energia residua della morte di Wemyss, che era stata d'aiuto, ma non abbastanza per rinsaldare le difese della torre. «Il terremoto psichico ha fatto crollare una sezione dell'ala ovest», riferì in tono neutro, distogliendo lo sguardo da Wemyss. «L'edificio adesso è aperto a un attacco da quel lato. Ho appostato là i miei uomini e i servi, con gli Uzi dell'arsenale, e ho ordinato di tenere la posizione a tutti i costi, ma se saremo attaccati fisicamente in forze da quella parte, non potranno reggere a lungo.» «Allora lei deve andare ad aiutarli», ordinò freddamente il Maestro Anziano. «Prenda quattro uomini da qui, e piazzatevi alla base della torre.» Fece un gesto di comando ai quattro accoliti più vicini alla porta. «Torni dai suoi uomini e resti là. Costruisca una trappola tra le rovine e piazzi un medaglione in quel punto. Se i nostri nemici riusciranno a sfondare le difese, richiami il fulmine e li distrugga.» Quell'ordine era come una sentenza di morte per i loro uomini, oltreché per il nemico. Raeburn strinse le palpebre. «Maestro Anziano», disse con voce piatta, «lei capisce che questo significa il suicidio per noi, no?» «Solo se non riuscirete a respingere il nemico dall'ala ovest, come vi ho ordinato», replicò il Maestro Anziano. «Questo sarà un incentivo per lei e i
suoi uomini. Ora vada! Io ho altro di cui occuparmi.» Il vecchio gli indicò la porta con un gesto secco, imperioso. Raeburn esitò un momento, con l'aria di avere non poche obiezioni a un ordine del genere. Poi girò su se stesso e uscì svelto com'era entrato, seguito in silenzio dai quattro uomini. Mugolando imprecazioni sottovoce, il Maestro Anziano fece un cenno agli accoliti rimasti, chiedendo loro di mantenere il posto. Avendone mandati quattro con Raeburn, nel circolo ne restavano soltanto otto, ma erano i migliori e i più esperti; non lo avrebbero deluso. «Ora», disse, protendendo le mani artritiche verso di loro, «siamo ancora lontani dall'essere sconfitti, come i nostri avversari scopriranno tra breve. Vedremo come reagiranno i Cacciatori, quando le loro prede si trasformeranno in predatori invisibili...» Con il «buco nero» visto da Peregrine ormai sotto controllo, e una fragile pezza di luce applicata all'ombrello protettivo dove c'era stato quel varco (grazie ai pertinaci sforzi di Christopher con la sua squadra di massoni al casotto di caccia), i militari dei SAS adesso potevano passare all'azione. L'esercito celeste si era ritirato dietro la baluginante cortina dell'aurora boreale, e il castello era completamente visibile nel pallido chiarore della luna piena. Muovendosi con rapidità e precisione, Duart e i suoi uomini cominciarono ad avanzare. Adam, McLeod e Peregrine li seguivano a breve distanza, tenendosi bassi dietro ogni riparo per evitare le fucilate. L'ala ovest aveva riportato seri danni dalla scossa di terremoto, e ora si presentava come un buon obiettivo per un attacco militare. La salita era meno aspra di quello che avevano temuto, cosparsa di macigni e spunzoni di roccia. Lo scambio di colpi d'arma da fuoco proseguì da entrambi i lati, mentre Duart faceva allargare due squadre sfruttando tutte le sporgenze dietro cui i militari potevano ripararsi. Nell'aria c'era un forte odore di cordite. Quando raggiunsero il muro di cinta, che in quel punto era alto solo un metro e mezzo, brevi raffiche di mitra colpirono il cemento mandando i calcinacci sugli uomini accucciati nel buio più indietro. «Dannazione, credo che possano inchiodarci qui», mugolò McLeod. Si sporse con cautela e sparò due raffiche tre-più-tre, come i militari, in direzione del varco nel muro dell'ala ovest. Ci fu il gemito delle pallottole che rimbalzavano qua e là, e un paio di avversari reagirono sparando verso di loro. McLeod si tenne basso, impre-
cando tra i denti, e aspettò un'altra opportunità di sparare. Quello scambio di raffiche alternate andò avanti per dieci minuti, finché improvvisamente dalla parte dell'edificio smisero di sparare. Quando gli ultimi sporadici echi di colpi si spensero, uno spettrale silenzio dilagò nella zona. In distanza, sul lato orientale del castello, si udivano ancora degli spari, ma lontani e stranamente attutiti. «Sta succedendo qualcosa», mormorò McLeod, girandosi da una parte e dall'altra come per captare il più piccolo rumore. «Sentite questo cambiamento nell'aria?» Adam annuì, senza parlare. Mentre il suo sguardo perlustrava i dintorni, cominciò ad accorgersi di un fantomatico fremito di movimenti dietro un mucchio di neve, oltre il muro di cinta. Poi ebbe l'impressione di una creatura animalesca e zannuta che si preparava a balzare. Mentre gridava un avvertimento agli uomini su entrambi i lati, ci fu un rapido fruscio e qualcosa superò il muro con un gran salto, piombando in mezzo a loro. Un uomo gridò e cadde all'indietro, muovendo le braccia come se fosse aggrappato a un mostro invisibile... cosa che, in effetti, era vera. Il suo parka fu squarciato e sul suo petto apparvero quattro ferite parallele sanguinolente, come quelle lasciate dagli artigli di un grosso felino. Mentre quelli che gli stavano attorno si alzavano, confusi e senza capire dove fosse il nemico che li assaliva, ci fu un nuovo vortice di movimenti invisibili e altri due membri della squadra caddero urlando. «Attenti!» gridò McLeod. «Ne arriva un altro!» Adam era già in piedi. Impugnando lo skean dubh nella destra protese le braccia davanti a sé per proteggersi, mentre un peso invisibile gli precipitava addosso dalla cima del muro. Un caldo alito animale gli sfiorò una guancia quando zanne invisibili addentarono l'aria a un capello dalla sua faccia. Scaraventò di lato l'aggressore con la pressione degli avambracci incrociati e poi balzò dalla parte opposta, mentre McLeod, imprecando, sparava una raffica di tre pallottole nel punto dove avrebbe dovuto essere il torace della creatura. Ci fu un assordante ululato felino e l'entità si volse con furore verso McLeod. Adam approfittò di quel momento di respiro per spostare la sua mente sul piano astrale. Subito i loro nemici diventarono visibili, sotto forma di enormi linci con gli occhi ardenti e musi baffuti. «Noel, aiutami!» ansimò. «Peregrine, usa la tua seconda vista!» Stordito, appoggiato al muro dove un urto lo aveva fatto cadere, Peregrine udì la voce del suo superiore e si rialzò. Cercando di capire qualcosa
nel panico che dilagava tutt'intorno, lottò per raddrizzarsi e strinse le palpebre, per mettere a fuoco lo sguardo oltre il mondo visibile, come gli era stato ordinato. «Le vedo!» gridò, quando la natura delle bestie che li avevano aggrediti gli fu chiara. «Cosa devo fare?» Invece di rispondere, Adam alzò lo skean dubh sopra la testa e pronunciò una Parola di comando che risuonò come una campana d'allarme. In risposta a essa fiammeggiò un lampo di luce ultraterrena. Mezzo accecato, Peregrine si passò una mano sugli occhi e scoprì che le sue percezioni erano passate completamente sul piano astrale. Quando si voltò a guardare Adam gli sfuggì un ansito di sbalordimento, perché l'aspetto del suo mentore era cambiato del tutto. La tuta mimetica invernale e il berretto con i paraorecchi che Adam aveva indossato come ogni altro membro della squadra erano scomparsi. Al loro posto portava adesso l'elmo di un guerriero medievale, e una tunica azzurro-zaffiro sopra la cotta di maglia che nel buio riluceva come l'argento. Lo skean dubh si era trasformato in una lunga spada a due tagli con l'elsa dorata. La mano con cui la impugnava, pur chiusa in un guanto metallico, era ornata da un anello che brillava come la stella della sera. E non era stato soltanto Adam a cambiare così. Mentre McLeod si faceva sotto sulla destra, Peregrine vide che anch'egli era protetto da un'armatura scintillante. Abbassò lo sguardo su se stesso e s'accorse di essere bardato in modo simile, con al fianco una spada priva di fodero che sembrava chiedere di essere impugnata. Prima che il giovanotto potesse far domande su quella strana trasformazione, Adam sollevò la spada e si avventò contro la più vicina delle linci. Mentre la creatura si voltava per fronteggiare l'attacco, McLeod corse avanti ad aiutare gli uomini aggrediti da altre due belve. Un momento dopo lo stupore di Peregrine lasciò il posto a una gran voglia di agire. Non più frenato da dubbi e paure, sganciò la spada dalla cintura e caricò una delle linci che stava azzannando uno dei militari di Duart. Il suo primo fendente colpì a un fianco la creatura. Con un ruggito essa si voltò di scatto, aggredendolo con artigli che grondavano veleno. La sua tunica azzurra ne fu strappata, ma la cotta di maglia lo riparò dalla furia di quegli unghioni. Lui colpì ancora, stavolta alla testa, e la sua lama aprì un terribile squarcio nel muso della bestia. Invece di indietreggiare, però, essa attaccò con l'impeto di un cinghiale e lo colpì con una spallata. Lui cadde al suolo con un urto che gli fece uscire
il fiato dai polmoni. Prima che riuscisse a tirarsi in piedi, la creatura gli piombò addosso con tutto il suo peso, inchiodandogli la spada contro il petto e costringendolo a restare supino. Il sangue gli ruggiva nelle orecchie. Raucamente gridò in cerca d'aiuto. La pressione sul torace divenne così forte che sentì scricchiolare pericolosamente le costole. Sibilando con trionfale ferocia, la creatura alzò una larga zampa per artigliarlo al volto, ma d'un tratto si contorse e indietreggiò, con la spada di Adam infilzata tra le spalle. Stridendo e ruggendo, la lince si contorse per liberarsi dalla lama. A denti stretti Adam tenne l'arma con entrambe le mani e spinse la punta ancora più a fondo. Senza smettere di lottare la grande bestia mandò un ululato spettrale e crollò su un fianco. Un istante dopo esplose in uno sbuffo di fumo e scomparve. Peregrine stava ansimando; si passò una mano sulla faccia e chiuse gli occhi. Quando li riaprì vide che Adam si chinava verso di lui sullo sfondo pallido del cielo scozzese, e non aveva più l'aspetto da guerriero medievale. «Ben fatto», lo rassicurò, dandogli una pacca su una spalla. «Hai combattuto bene.» «Non quanto avrei voluto», bofonchiò lui, mentre Adam controllava le condizioni fisiche del militare salvato dall'intervento del giovane artista. «Come sta?» «Perde sangue, ma dovrà resistere, per ora», rispose Adam, andando subito a chinarsi su altri due feriti. Peregrine si tirò su, guardandosi attorno ansiosamente. «Dove sono finite le altre linci? Sono scappate?» «Quelle che ci stavano attaccando qui, sì», rispose la voce di McLeod, dall'ombra. «Le abbiamo colpite, e la loro energia psichica si è scaricata. Ce la fai a muoverti?» Peregrine trasse un profondo respiro. Il petto gli faceva ancora male, ma con un certo sollievo scoprì che non aveva riportato ferite. «Credo di sì. Ma cadere di schiena su queste pietre non è stato entusiasmante.» McLeod sorrise e gli porse una mano. Quando Peregrine si fu tirato in piedi, vide che gli uomini feriti erano cinque o sei, e che uno aveva perso i sensi. Più avanti, Duart e altri militari si erano raggruppati e si stavano muovendo verso l'ala ovest. Due massoni accovacciati ai lati sgranavano raffiche di mitra per coprirli. Peregrine s'affrettò a chinarsi allorché alcuni proiettili rimbalzarono tra
le rocce a pochi metri da lui. Strisciando sulla destra, si sporse a guardare verso il portone del grande edificio e vide due uomini dei SAS spalancarlo a calci, dopo aver sparato a lungo sulla serratura, e poi spostarsi di lato mentre un terzo gettava dentro qualcosa. Il violento whuump della granata scosse anche gli uomini rimasti fuori; subito dopo Duart e un paio di militari corsero dentro oltre il portone mezzo scardinato, sparando raffiche a destra e a sinistra, e gli altri attraversarono il cortile per seguirli. Raeburn era di guardia all'ingresso della torre con Barclay e i quattro accoliti, quando sentì l'esplosione alla porta dell'ala ovest. La granata era troppo lontana per rappresentare un pericolo imminente, ma la cosa non gli piacque, e capì che era solo questione di tempo prima che gli attaccanti arrivassero fin lì. I suoi uomini avrebbero risposto al fuoco con la massima decisione, tuttavia non potevano opporre resistenza a gente così organizzata e ben armata. «Quel bastardo di Sinclair si è portato dietro l'esercito», grugnì cupamente Barclay, stringendo l'Uzi che aveva appeso a una spalla. «Ve l'ho detto che non era un'operazione di salvataggio, stamattina, quando sono passati quegli elicotteri.» «Sì, e io l'ho detto a lui», rispose Raeburn, guardando nervosamente la porta in fondo al corridoio che comunicava con l'ala ovest. «Ma forse possiamo ancora salvare qualcosa. Ora lei vada, e faccia quello che abbiamo deciso.» Con un secco cenno d'assenso, Barclay corse via lungo il corridoio che s'allontanava ad angolo retto dall'ala ovest. Gli accoliti si guardarono a disagio, forse sospettando quello che aveva progettato, ma Raeburn sapeva che non avrebbero osato sfidarlo... non mentre portava il collare e aveva un medaglione carico. Li lasciò lì, con l'ordine di difendere la posizione, e si avviò su per la scala a spirale che portava alla cima della torre. Trovò la stanza circolare in condizioni drammatiche. Cinque degli otto accoliti rimasti al Maestro Anziano giacevano sul pavimento, morti oppure in stato comatoso. Gli altri, ancora seduti al loro posto, erano pallidi e scossi, tremanti per lo sforzo di poco prima. Il Maestro Anziano stava chino sul manoscritto e con un dito magro sfiorava una pagina ingiallita, mormorando aspramente tra sé. Appena vide entrare Raeburn, però, smise di borbottare e si alzò, con occhi che brillavano d'eccitazione infossati nelle orbite ossute. «Lei!» ansimò con voce rauca. «Cosa sta facendo, qui? Perché non è al
suo posto?» Raeburn non perse tempo a rispondere a quelle domande. Fronteggiando con decisione il suo superiore, disse: «L'ala ovest è già nelle loro mani. Sinclair e i suoi uomini saranno qui tra poco. Ho pensato di venire ad avvertirla». Il Maestro Anziano respirava a fatica, con la faccia contorta da una rabbia feroce. «Perché viene a dirmi cose che già so?» lo aggredì. «Lei doveva mantenere la posizione, doveva ubbidire ai miei ordini!» «Con tutto il rispetto, Maestro Anziano», gli tenne testa Raeburn, «non credo che il Signore delle Ombre ci chieda di sacrificarci tutti in un inutile atto di sfida, solo perché i Cacciatori ci hanno messo alle strette. L'elicottero è nel cortile posteriore, pronto per decollare. Ho mandato Barclay a scaldare il motore. Venga, possiamo portarla in salvo.» La faccia del Maestro Anziano si contorse. «Che razza di proposta è questa? La battaglia non è ancora perduta!» «No, la battaglia è perduta», lo contraddisse Raeburn. «Ma la guerra può ancora essere vinta... se ce ne andiamo subito.» «Vigliacco!» ringhiò il Maestro Anziano. «Tutto questo è colpa sua! Lei aveva l'ordine di richiamare il fulmine prima di permettere che questa fortezza fosse invasa. Perché mi ha disubbidito?» «Perché sarebbe stato un inutile spreco di risorse», replicò Raeburn, irritato, avanzando di qualche passo. «Non capisce? Se ci faremo ammazzare renderemo un servizio soltanto a Sinclair. Sacrificarsi è una cosa, suicidarsi, un'altra.» Un filo di bava colò dalle labbra esangui del Maestro Anziano. «Traditore!» gridò. «Tu non meriti di essere chiamato Figlio di Taranis. Restituiscimi il collare!» Raeburn alzò istintivamente una mano alla gola e sfiorò il collare, freddo contro la sua carne e pieno di energia. Poi raddrizzò le spalle e scosse il capo. «Se lei non vuole venire, mi dia il manoscritto e mi permetta di portarlo al sicuro.» Gli occhi del Maestro Anziano mandarono lampi. «Così è questo che meditavi!» strillò. «Speravi di convincermi a darti il manoscritto del Führer, o di portarmelo via con l'inganno. Sei proprio come tuo padre! Lui era convinto di riuscirci, ma si sbagliava... e anche tu!» Il vecchio fece un gesto secco con una mano. Dalle dita gli scaturì un lampo di fiamma nera che andò a colpire il collare, causando un bruciore
così intenso a Raeburn che questi se lo strappò via di dosso, gridando. L'oggetto rotolò nel sangue accanto al corpo senza vita di Wemyss, e mentre il Maestro Anziano si chinava a raccoglierlo, scivolando nel sangue, Raeburn tolse di tasca anche il medaglione e glielo scaraventò addosso, irosamente. Poi balzò ad afferrare il coltello sacrificale. Per un momento esitò, guardando il manoscritto, ma il Maestro Anziano si accorse delle sue intenzioni e si voltò con un grido, stringendo il collare. Quell'implicita minaccia gli mise le ali ai piedi, così si voltò e fuggì di corsa giù per le scale. Nell'ala ovest non si muoveva più nessuno. Mentre Duart e cinque dei suoi uomini la perlustravano sistematicamente, muovendosi verso la torre, dall'esterno continuavano a provenire raffiche e spari isolati. Adam girò un angolo e si fermò. «Ascoltate! Cos'è questo rumore?» McLeod si voltò. «Sembra quell'elicottero di cui avevamo parlato. Duart! Sul retro! Credo che alcuni dei nostri uccelli stiano prendendo il volo!» Con un cenno Duart spedì fuori quattro uomini, che uscirono in fretta. Adam disse: «Va' con loro!» e McLeod li seguì. Nel frattempo Duart era giunto in fondo al corridoio, alle soglie della torre, e là trovò tre uomini in saio bianco distesi scompostamente al suolo. Erano morti di morte violenta, ma non per mano degli assalitori. Una porta spalancata dava su una scala a spirale, e Duart stava già salendone cautamente i primi gradini, mentre un suo sergente controllava i tre corpi per assicurarsi che fossero davvero senza vita. «Ci siamo, non è così?» sussurrò Peregrine, un po' pallido sotto il cappuccio mimetico bianco, indicando la sommità della scala. «Quasi», annuì Adam. Lo oltrepassò per raggiungere i due uomini dei SAS. «Resta dietro di me.» La torre era a due piani, illuminata soltanto dalla luce della luna che entrava attraverso le feritoie situate lungo la spirale della scala. Al primo piano trovarono una camera da letto, vuota, e una stanza arredata come una biblioteca. Adam e Peregrine aspettarono sul ballatoio che Duart e l'altro militare le controllassero entrambe, poi continuarono a salire dietro di loro. Piano piano una luce gialla cominciò ad apparire più in alto, e Adam sussurrò a Duart di rallentare. Nella tromba delle scale l'aria stessa era densa di intenzioni ostili, ma a quel punto spettava all'esperienza di Adam prendere l'iniziativa. Dopo aver oltrepassato il maggiore dei SAS, fece strada cautamente lun-
go la curva che portava all'ultimo pianerottolo, dove la luce gialla di alcune lampade a gas usciva dalla porta aperta di una stanza. Qualcosa di metallico giaceva al suolo subito oltre la soglia, un medaglione della lince, non del tutto inaspettato, e la sua presenza lo avvertì che almeno uno di quelli che attendevano là dentro era intenzionato a lottare con tutti i suoi mezzi. In silenzio si volse a Peregrine e ai due militari, fece un passo indietro e fece loro cenno di tenersi a distanza. Come Cacciatore, sapeva bene quanto fosse pericolosa la preda stretta all'angolo; come Maestro della Caccia aveva l'obbligo di catturare quella preda, con il minor danno possibile per i suoi compagni Cacciatori e quelli sotto la loro protezione. Duart pensava di essere lui a difendere Adam e Peregrine, ma in realtà chi li proteggeva tutti era Adam. «Da qui in poi ci penso io», disse a Duart. «Voi due scendete di nuovo alla base della torre, con Mr. Lovat.» «Adam, cosa...» cominciò Peregrine. «Fa' come ti dico», lo interruppe lui, in tono che non ammetteva repliche. «Quello che succederà da ora in poi è una responsabilità soltanto mia.» I tre scesero con evidente riluttanza, ma non prima che Duart avesse messo una Browning Hi-Power nella mano sinistra di Adam, con la sicura tolta, senza dire una parola. Con l'arma in una mano e lo skean dubh stretto nell'altra, Adam raddrizzò le spalle e in silenzio affidò se stesso e i suoi compagni alla protezione della Luce, poi si avvolse nel mantello di autorità che lo proclamava non solo Maestro della Caccia, ma anche Difensore della Pace. Considerato ciò che gli occupanti di quella torre erano già stati in grado di fare, Adam non dubitava che potessero anche vedere oltre alla sua forma fisica. Ora però aveva un'idea più concreta della sorgente dei loro poteri, ed era certo di avere i mezzi per affrontarli. Fu con serenità, dunque, che salì gli ultimi tre scalini e si fermò a un passo dalla soglia della stanza. Il suo avversario sedeva su un cuscino scarlatto su un lato del locale: una figura calva, ossuta e rattrappita, che indossava un saio bianco macchiato di sangue sul petto. Intorno giacevano almeno una dozzina di corpi, tutti vestiti nello stesso modo, uno solo dei quali era l'origine di tutto quel sangue. Erano morti tutti quanti, poiché essudavano la traccia psichica lasciata dallo spirito appena trasmigrato nell'Oltremondo, e probabilmente si trattava di coloro che avevano lanciato l'attacco delle linci.
Ma i tre più vicini a lui, due donne e un uomo, avevano cordoni scarlatti legati intorno alla gola, ed erano stati evidentemente strangolati da poco. Adam poté sentire il potere che il loro assassino aveva assorbito dal loro sacrificio. I tre giacevano con la testa su piccoli cuscini, le braccia allargate in segno di resa. Ma a preoccuparlo di più era l'oggetto che il vecchio aveva in mano. Le sue dita adunche stringevano contro il petto sporco di sangue uno spesso fascio di pergamene ingiallite. Il collo ossuto era cinto da un pesante monile di ferro meteorico nero, sulla cui superficie spiccavano simboli pittici lucidi come argento. Adam lo aveva già intravisto in una visione, e ora sapeva di doversi guardare dall'oscuro potere che emanava. Avvertendo la malefica energia che collegava il collare agli incantesimi contenuti nel manoscritto, si chinò a deporre sul pavimento la pistola, inutile lì dentro, e poi si raddrizzò, senza distogliere lo sguardo dal vecchio. Era davvero Rudolf Hess? Nulla in lui consentiva di capirlo. «Tu sei il Maestro Anziano?» lo interrogò con fermezza. Due feroci occhi neri lo fissarono da quel volto incartapecorito, color della cenere. «Sono io», sussurrò il vecchio avvolto nel saio bianco. «Allora, con l'autorità di cui mi ha investito il Consiglio dei Sette, e come Maestro della Caccia, ti ordino di rinunciare alla tua carica, e di consegnare i manufatti e gli oggetti di potere che sono nelle tue mani.» «Come osi, tu?» sibilò istericamente il Maestro Anziano, alzandosi con mosse rabbiose e incerte. «Come osi fare simili richieste a me, nella mia casa? Cedere il mio potere a te? Non credo proprio! Non finché ho ancora il modo di decidere il mio destino. Qui risiede il mio potere!» Con una risata maniacale puntò un pollice verso il collare che gli cingeva la gola. «E lì!» Il vecchio indicò il medaglione della lince che stava sul pavimento tra di loro, torcendo le labbra in un sogghigno. Poi fece un passo indietro e sollevò le braccia in un gesto teatrale, come per evocare un demone. Nello stesso istante Adam fu svelto a oltrepassare la soglia della stanza. Mentre l'aria intorno a loro si caricava con il ronzio di un'energia minacciosa, appoggiò deliberatamente un piede sulla catena del medaglione. Guardando dritto negli occhi il Maestro Anziano, puntò lo skean dubh sul disco di ferro e argento, ed esclamò una Parola. Una luce azzurra scaturì dalla lama, dalla gemma sull'impugnatura e dall'anello al medio della mano destra, e con un gemito acutissimo l'oscura ondata di potere nell'aria
vacillò e collassò, ronzando come una dinamo rotta. Con i denti scoperti in un ringhio, il Maestro Anziano guardò Adam, stavolta consapevole dell'autorità astrale che c'era intorno alla sua semplice presenza fisica. «La partita è finita, vecchio», disse Adam con calma. «Colui che io servo non permette che le tue mani mi rechino danno. Conosco la sorgente e la misura del tuo potere. Una volta ancora, ti chiedo di deporre gli oggetti che hai rubato e di cui hai abusato, e di sottometterti all'autorità della Luce.» «Tu non puoi giudicare me», sbottò il Maestro Anziano, stringendo gelosamente il manoscritto. «Io ho speso la vita per impadronirmi dei segreti scritti qui... gli incantesimi che il Führer aveva compreso solo in piccola parte. E il traguardo finale è vicino. Taranis mi ha eletto suo vendicatore contro i semplici mortali presuntuosi, che giocano come bambini con ciò che non riescono a capire.» «Il tuo Taranis ha promesso di farti continuare a vivere in un altro corpo, vero?» indagò Adam, che aveva intuito qualcosa di simile. «Il corpo di un uomo giovane... dentro il quale il tuo spirito potrà trasmigrare appena sarai fornito di tutto il potere necessario. È questo il tuo scopo?» Invece di rispondere, l'altro si mosse verso una porta interna, dandogli le spalle. «Fermati, Hess!» esclamò Adam. Il Maestro Anziano si voltò di scatto. «Non chiamarmi con quel nome», replicò, sprezzante. «Tu non sai niente.» «È per questo che uccidi?» lo interrogò lui. «Per accumulare il potere che dovrebbe servirti a trasportare il tuo spirito in un altro corpo? E sul libro degli incantesimi di Hitler c'è scritto come fare?» «Proprio così», sogghignò il vecchio. «Io almeno avrò un premio, come vedi, a differenza di te, che ubbidisci a un padrone assai più avaro. Perché cercare la Luce, quando la Tenebra è così generosa nell'offrire la sua ricompensa? Ad ogni modo, tu non sei degno di giudicare me.» «Non sono venuto per giudicarti, ma solo per portarti davanti a chi ti giudicherà. Consegnami il libro di incantesimi e quel monile druidico.» Fremendo, il Maestro Anziano scosse il capo. I suoi occhi saettarono qua e là come se cercasse una via di fuga. «Sono miei!» sussurrò. «Nessun altro li avrà... mai!» «Né tu, né quegli oggetti lascerete questa stanza», ribatté con forza Adam. «Metti giù il manoscritto e il collare.»
Le spalle del Maestro Anziano si abbassarono. Per un attimo parve che stesse per cedere. Con un movimento rigido si piegò in avanti e depose il manoscritto al suolo. Poi guardò con un sogghigno il medaglione carico che Adam teneva sotto uno stivale, e d'improvviso afferrò il collare con entrambe le mani, alzando lo sguardo al cielo. «Colpisci, Taranis!» gridò acutamente. «Colpisci, Tonante! Nutriti con la morte dei tuoi nemici che io ti offro in sacrificio!» Sopra la torre rotolò il tuono, e all'esterno cominciò ad accendersi un terribile crepitio. Ma non fu il medaglione, stavolta, ad attirare il fulmine. Sollevando di scatto le mani in un gesto di richiamo, Adam aveva fatto appello al potere astrale, traendolo sopra di sé come un bozzolo protettivo, e anche il medaglione che giaceva ai suoi piedi ne restò avvolto e isolato. Subito dopo, con uno schianto apocalittico e un'esplosione di luce abbagliante che squarciò il soffitto, il fulmine colpì dritto come una lancia l'unico bersaglio che ormai gli era rimasto... il ferreo monile intorno al collo del Maestro Anziano. In un attimo, così rapidamente che lo sguardo stentò a registrarlo, Adam vide il rigido corpo del vecchio avvampare in un lenzuolo di fiamma, con un'espressione insieme d'estasi e di dolore, mentre Taranis lo chiamava a sé e il collare fondeva. Indietreggiò in fretta sul ballatoio delle scale, riparandosi gli occhi con le mani. Fece appena in tempo, perché il gas delle lampade a muro riempì la stanza ed esplose con tale forza che parte del pavimento crollò. La violenza dello scoppio gettò Adam contro la balaustra del pianerottolo, cui si aggrappò per non ruzzolare giù dalla scala; ma nello stesso momento un lampo assai diverso si accese, aprendo un varco dimensionale nel tessuto del cielo sopra la torre. Mentre lui si ritraeva, abbagliato, un magico fuoco sgorgò dall'alto e percorse la stanza per purificarla in ogni angolo, senza fretta e con cura. All'interno di quel fuoco, Adam ebbe l'impressione di scorgere i suoi alleati astrali, che agitavano le spade di fiamma a colpire e spazzare via la corruzione, finché dove prima c'erano le ombre maleodoranti di Taranis restò soltanto una fulgida luce gloriosa. Le pagine del manoscritto furono risucchiate all'insù in una folle spirale di fogli ardenti, che ricadendo svanirono come i fuochi artificiali sparati nelle città, mentre iniziava l'anno nuovo. Infine, in un ultimo palpito di luce, il varco nel cielo si chiuse e tra le nubi non rimase che il pallido disco della luna.
Sul retro del castello, nel silenzio seguito alla fine della sparatoria, McLeod e gli uomini dei SAS guardavano impotenti le luci dell'elicottero che si allontanava nella notte. Kinsey venne accanto a McLeod, gettò via un caricatore vuoto del suo H-K MP5 e ne infilò un altro nell'arma. «Dannazione», mugolò tra i denti. «Già, questa non ci voleva», annuì McLeod. Il velivolo aggirò un'altura e scomparve verso oriente. Uno dei sergenti stava già usando il walkie-talkie per chiamare la base e far alzare in volo i loro elicotteri, ma le probabilità che intercettassero i fuggiaschi in una notte di maltempo erano praticamente zero. Stavano per rientrare nell'edificio quando le nuvole sopra di loro ribollirono all'improvviso, e con un crepitio apocalittico un fulmine colpì la torre. Lo spostamento d'aria li fece cadere sulla neve, mentre tutto intorno precipitavano tegole e altri detriti. All'interno, alla base della torre, non appena tornò il silenzio, Peregrine si rialzò e corse a guardare nella tromba delle scale. Dietro di lui Duart e i suoi uomini avevano l'aria allarmata, e uno di loro si mise subito in comunicazione radio con quelli rimasti all'esterno. «Cristo, cos'è stato?» mormorò Duart, con voce rauca per l'emozione. «Lovat, non vada lassù. Questa torre potrebbe crollarci addosso da un momento all'altro.» Ma Peregrine aveva già oltrepassato la soglia e si affrettò su per le scale, inciampando tra i detriti che le ingombravano. Arrivò sul ballatoio del primo piano, dove poco prima lui e Adam avevano aspettato che gli altri controllassero la libreria e la camera da letto. Ora il vento entrava da quella parte, perché tutto il muro esterno della libreria era crollato. Pallido per la preoccupazione, il giovanotto alzò lo sguardo verso ciò che restava della scala... e gridò di sollievo, quando una figura alta in tuta mimetica invernale uscì dalla polvere e dal fumo dell'ultimo piano. «Adam!» Ancora un po' instabile sulle gambe, Adam lo raggiunse e si sedette sull'ultimo gradino, dopo avergli dato una pacca su una spalla. «Io sto bene. Di sopra è tutto a posto.» «Ma cos'è successo? C'è stata un'esplosione terribile.» Adam fece un mezzo sorriso. «Il padrone della torre ha chiesto al suo oscuro signore di venire a nutrirsi... e lui lo ha fatto. Non nel modo che il nostro amico sperava. L'uomo non dovrebbe mai stringere strani patti con gli elementali.»
«Era questo il nostro nemico, un elementale?» domandò Peregrine. Adam annuì. «Taranis, l'elementale dell'aria, secondo la cosiddetta Vecchia Religione. Ad ogni modo, Taranis non è certo il dio dell'equilibrio. E una volta sbilanciata la sua energia, quelli che a un livello superiore avevano contribuito allo sbilanciamento sono scesi a fare le pulizie di casa.» «Coloro che abbiamo visto nel cielo?» si stupì Peregrine. «Un'altra unità dello stesso esercito», rispose Adam con una risatina. «Hai dato un'occhiata lassù?» Quando Peregrine alzò la testa a guardare il cielo, oltre il tetto squarciato, poté vedere ciò che aveva sperato: il baldacchino astrale si contraeva sopra il castello, richiudendo il buco. I veli di luce costruiti da Christopher e dagli altri Cacciatori si stavano addensando nel varco e lo coprivano con strati sempre più spessi, ricostruendone l'integrità. A sostegno del loro lavoro c'era quello di molti altri, sparsi in tutto il mondo, che davano forza all'ombrello di Luce mentre cominciava l'anno nuovo: la buona volontà di uomini e donne d'ogni paese. «Penso che per stanotte i fuochi artificiali siano finiti», disse Adam, rialzandosi. «Nel frattempo sarà meglio scendere. Sono ancora un medico, e c'è gente che ha bisogno di me.» Nel cortile, Duart aveva riunito i suoi uomini davanti al portone principale. Alcuni di loro si stavano già occupando dei feriti. Tra i colpi d'arma da fuoco e lacerazioni d'altro genere, pochi erano illesi, ma nessuno aveva perso la vita. Il maggiore dei SAS si girò quando Adam uscì dall'edificio e gli rivolse un secco saluto militare, poi scambiò con lui un'energica stretta di mano in stile massonico, da confratello a confratello. McLeod andò incontro a Adam e a Peregrine, e i tre si guardarono con aria stanca. Era stata una giornata pesante. «Raeburn?» domandò Adam sottovoce. McLeod scosse il capo. «È riuscito a fuggire. Ma, benché lo conosca poco, credo che avremo ancora notizie di lui.» Qualche minuto più tardi si udì un rumore di elicotteri in avvicinamento, e i fari dei due Wessex apparvero sopra le alture. Adam visitò rapidamente i feriti, si accertò che le prime cure fossero adeguate, poi s'incamminò verso uno degli elicotteri atterrati sul cortile bianco di neve. Il Grande Maestro stava scendendo, e il suo sguardo si soffermò con un certo stupore sui danni che il castello aveva riportato. «L'operazione è stata condotta a termine, signore», lo informò Adam, stringendogli la mano. «I confratelli hanno fatto il loro dovere nel modo
migliore.» «Ma chi era il capo di quella gente... lo ha scoperto?» «Un vecchio, ed è morto insieme a quasi tutti i suoi seguaci.» Adam si strinse nelle spalle. «Occorrerà tempo per identificarli tutti. Ma le Logge Massoni possono riprendere tranquillamente il loro lavoro. L'ombrello di luce è stato riparato.» «L'ombrello di luce... riparato?» L'uomo sbatté le palpebre. «Sì. Almeno per il momento, signore», confermò Adam, già pensando ad altro. Poi vide il pilota che scendeva dalla carlinga del Wessex e si scusò, avviandosi verso di lui. «Tenente, avrei bisogno di un favore personale», disse, prima che l'uomo si allontanasse dallo sportello aperto del velivolo. «Può collegarmi con la rete telefonica, attraverso la vostra radio?» «Be', certo, se proprio vuole...» «Sì, per favore.» Posandogli una mano sulla spalla, Adam, con un sorriso stanco, gli fece cenno di risalire sull'elicottero. Dopo aver chiamato Strathmourne e il Castello di Edimburgo, c'era una giovane dottoressa bruna, in città, che aveva urgente bisogno di sentirsi augurare buon anno. RINGRAZIAMENTI Per l'impagabile aiuto, vorremmo ringraziare di cuore le seguenti persone: il sergente Graham Brown, l'agente Alan Jeffries e l'agente Ian Richardson, della polizia di Edimburgo, dipartimento Lothian and Borders, per i chiarimenti riguardo le procedure standard della polizia scozzese; il dottor Richard Oram, che anche questa volta ci ha fornito interessanti nozioni sulla storia e l'archeologia scozzese; Mr. Kenneth Fraser, per il prezioso aiuto alla biblioteca della St. Andrews University; Mrs. Edith Rendle, per i consigli sulle procedure della giustizia scozzese; il dottor Ernan J. Gallagher, per i chiarimenti riguardo tematiche mediche, e il dottor A.V.M. Davidson, per le informazioni sulle strutture ospedaliere scozzesi; Scott MacMillan, per la sua esperienza di armi, procedure di polizia e automobili; Peter Morwood, per i consigli sulle tecniche militari, soprattutto sui SAS; Bob Harris, per l'assistenza durante le ricerche storiche e la stesura del romanzo. E, ancora una volta, intendiamo ringraziare il personale del St. Andrews Tourist Information Bureau, in particolare Rhona McKay, per gli inesauribili sforzi per metterci a disposizione informazioni squisitamente locali non contemplate da nessuna guida turistica.
FINE