MATTHEW REILLY LE SEI PIETRE SACRE (The Six Sacred Stones, 2007) Per John Schrooten, un vero e grande amico
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MATTHEW REILLY LE SEI PIETRE SACRE (The Six Sacred Stones, 2007) Per John Schrooten, un vero e grande amico
Una battaglia mortale, tra padre e figlio, uno lotta per tutti, l'altro per uno. Anonimo (da un'iscrizione ritrovata in un antico tempio cinese nella Gola di Wu, Cina centrale) Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia. Arthur C. Clarke La fine di tutte le cose è vicina. 1 Pietro, 4, 7 PROLOGO IL RITUALE OSCURO
MEZZANOTTE, 23 SETTEMBRE 2007, LUOGO: SCONOSCIUTO In una camera buia, sotto una grande isola nell'angolo più remoto del mondo, si stava celebrando un antico rituale. Una pietra d'oro d'inestimabile valore - di foggia piramidale, con un cristallo sulla punta - fu collocata nella sua sede. Poi si levò un mormorio, un antico incantesimo, che non si udiva da migliaia di anni. Non appena pronunciate quelle parole, un grande raggio azzurro squarciò il cielo stellato e illuminò la pietra di vertice piramidale. Unici testimoni di quel rituale, cinque uomini dal volto torvo. Al termine, il capo del gruppo annunciò in una radio satellitare: «Il rituale è stato celebrato. In teoria, il potere del Tartarus è stato annullato. Dobbiamo accertarcene. Domani uccidete uno di loro in Iraq». L'indomani, all'altro capo del mondo, in un Iraq devastato dalla guerra, un soldato dei reparti speciali australiani di nome Steve Oakes cadde in un'imboscata a bordo della sua jeep, un agguato tesogli a un posto di controllo da un gruppo di rivoltosi. Sei aggressori mascherati lo trucidarono con una micidiale sventagliata di mitra, crivellandogli il corpo con oltre duecento proiettili. I suoi assassini non furono mai trovati. Che un soldato alleato potesse morire durante l'occupazione dell'Iraq non era certo una novità. Lì erano già stati uccisi 3200 militari americani. Stranamente, tuttavia, dal marzo del 2006 non era caduto un so-
lo australiano in combattimento in nessuno dei conflitti in atto nel mondo. Infatti, era cosa risaputa tra i soldati alleati di stanza in Iraq che i militari australiani avevano una fortuna eccezionale. Negli ultimi diciotto mesi erano scampati a ogni sorta di attacco e imboscata; in alcuni casi, quasi per miracolo. Invero, quella loro capacità di scampare a quasi ogni tipo di pericolo era così nota tra i compagni d'armi americani che era considerato prudente stare a fianco di un australiano durante un conflitto a fuoco. Ma, con la morte del soldato speciale Steve Oakes il 24 settembre 2007, quella fortuna eccezionale finì in un bagno di sangue. Il giorno seguente, un messaggio cifrato fu consegnato a uno degli uomini più potenti del mondo. Il testo diceva: TRASCRIZIONE PROTETTA 061-7332/1A CLASSE LIVELLO: ALFA-SUPER CONFIDENZIALE PER A-1 25-SETT-07 INIZIO MESSAGGIO PROTETTO: Ucciso soldato speciale australiano Oakes in Iraq. Il potere del Tartarus è stato annullato. Qualcuno è entrato in possesso dell'altra pietra di vertice. La partita è di nuovo aperta. Ora dobbiamo trovare le Pietre. FINE MESSAGGIO PROTETTO.
LA MONTAGNA DELLA STREGA MONTAGNA DELLA STREGA, NEI PRESSI DELLA GOLA DI WU, REGIONE DELLE TRE GOLE, PROVINCIA DI SICHUAN, CINA CENTRALE, 1° DICEMBRE 2007 Sorretto da un'imbracatura appesa a una lunga corda e immerso nel buio quasi completo, il professor Max Epper accese un candelotto luminoso, rischiarando la camera sotterranea in cui penzolava.
«Mio Dio...» mormorò. «Mio Dio...» La camera mozzava il fiato. Scavata nella solida roccia, era un cubo perfetto, enorme, forse di quindici metri di lato. E ogni centimetro quadrato delle pareti era tappezzato d'iscrizioni: ideogrammi, simboli, glifi, figure. Doveva stare attento. Nella luce ambrata della fiaccola vide che nel pavimento proprio sotto di lui c'era un pozzo perfettamente in linea con l'apertura nel soffitto. Si spalancava su un abisso nero e senza fondo. In certi ambienti, Max Epper era conosciuto col nome in codice di «Stregone», un soprannome che gli calzava a pennello. A sessantasette anni, con la barba bianca e lunga, gli occhi azzurri e liquidi che brillavano di entusiasmo e intelligenza, sembrava un mago Merlino dei giorni nostri. Professore di Archeologia al Trinity College di Dublino, si diceva che, tra le sue varie imprese, avesse fatto parte in passato di una squadra internazionale segreta che aveva ritrovato - e rimontato - il Vertice Aureo della Grande Piramide di Giza. Saltando giù sul pavimento, Merlino sganciò l'imbracatura e guardò in adorazione le pareti tappezzate d'iscrizioni. Riconobbe alcuni dei simboli: ideogrammi cinesi e anche qualche geroglifico egizio. Era prevedibile: tanto tempo prima quel tunnel era appartenuto ed era stato progettato dal grande filosofo cinese Lao Tse. Oltre a essere un venerando pensatore, Lao Tse era un grande viaggiatore, famoso per essersi avventurato fino in Egitto, nel IV secolo a.C. Nel centro esatto del muro principale campeggiava un grande altorilievo che Merlino aveva già visto:
Noto come il «Mistero dei Cerchi», non era stato ancora decifrato. Secondo alcuni, era una rappresentazione del sistema solare, ma tale ipotesi presentava un problema: intorno al sole ruotava un pianeta di troppo. Merlino aveva visto quel simbolo forse una dozzina di volte in giro per il mondo - in Messico ed Egitto, persino nel Galles e in Irlanda - e sotto molteplici forme: da semplici graffiti sulle pareti di roccia a raffinate incisioni sopra antiche entrate, ma nessuna di quelle rappresentazioni si avvicinava alla bellezza e alla complessità di quella che gli si parava adesso dinanzi agli occhi. Era un esempio di straordinaria raffinatezza. Incastonato di rubini, zaffiri e giada, ogni cerchio concentrico era orlato d'oro. Sfavillava nel bagliore della potente torcia di Merlino. Appena sotto l'altorilievo c'era una specie di nicchia, alta e stretta: forse mezzo metro di larghezza e due di altezza, ma poco profonda, incassata una cinquantina di centimetri nella parete di roccia viva. A Merlino ricordò una bara in posizione verticale, incassata nel muro. Fatto strano, la parete posteriore era curva. Sopra la nicchia era scolpito un piccolo simbolo che gli fece spalancare gli occhi per la gioia:
«Il simbolo della Pietra di Lao Tse...» disse con un filo di voce. «La Pietra Filosofale. Mio Dio. L'abbiamo trovata.» Circondato da tutto quell'antico sapere e da quell'inestimabile tesoro, Merlino tirò fuori una sofisticata radio UHF Motorola e disse nel microfono: «Tank. Non ci crederai. Ho trovato l'anticamera ed è straordinaria, a dir poco. C'è anche una porta sigillata, che suppongo dia accesso al sistema di trappole. Siamo vicini. Molto vicini. Ho bisogno che scendi quaggiù e...» «Merlino», giunse la risposta. «Abbiamo appena ricevuto una chiamata dalla nostra vedetta giù al molo, sullo Yangtze. L'esercito cinese sta venendo a curiosare. Una pattuglia di cannoniere, nove unità, sta entrando nella nostra gola. Sta venendo in questa direzione.» «È Mao. Come ha fatto a trovarci?» domandò Merlino. «Non è detto che sia lui. Forse è una normale pattuglia», giunse in risposta la voce di Yobu Tanaka, soprannominato «Tank». «Il che forse è anche peggio.» Era risaputo che le pattuglie militari cinesi attaccavano le spedizioni archeologiche da quelle parti in cerca di bustarelle. «Quanto tempo abbiamo prima che arrivino?» domandò l'anziano professore. «Un'ora, forse meno. Credo sarebbe prudente da parte nostra andarcene prima che arrivino.» «Sono d'accordo, amico mio», convenne Merlino. «Sarà meglio sbrigarci. Scendi quaggiù e porta altre luci. E di' a Chow di accendere il computer: voglio cominciare a registrare delle immagini da inviare su.»
* La camera sotterranea in cui si trovava Merlino era situata nella regione delle Tre Gole, in Cina, in un'area che gli si addiceva alla perfezione. Il motivo era che l'ideogramma cinese wu significava «stregone» o «strega», secondo il contesto, ed era spesso usato nei nomi che traevano origine dalle caratteristiche geografiche del luogo: la Gola di Wu, la seconda delle tre famose Gole; Wushan, l'antica città fortificata le cui mura un tempo s'innalzavano sulle rive del fiume Yangtze; e naturalmente il monte Wushan, il colossale picco di oltre 3200 metri di altezza che torreggiava sulla camera di Merlino. Traduzione: la Montagna della Strega. La Gola di Wu e i suoi dintorni erano celebri per la loro storia: santuari, templi, incisioni come la Tavola di Kong Ming, e grotte scavate nella roccia come la Grotta di Giada di Neve. Di tutto ciò oggi non restava quasi più nulla, sommerso com'era dalle acque dell'immenso lago lungo più di cinquecentosessanta chilometri che si era formato sotto le gigantesche pareti della diga delle Tre Gole. L'area era nota, tuttavia, anche per certi accadimenti insoliti. Come una Roswell nel cuore della Cina, per centinaia di anni era stata il sito di non pochi strani avvistamenti: fenomeni celesti inspiegabili, sciami di stelle cadenti e manifestazioni simili alle aurore boreali. Si sosteneva persino che un terribile giorno del XVII secolo dalle nubi fosse piovuto sangue. La Gola di Wu era sicuramente ricca di storia. Ma ora, nel XXI secolo, quella storia era stata sommersa in nome del progresso, inghiottita dalle acque dello Yangtze quando il grande fiume, sbarrato dalla più colossale opera costruita dal genere umano, salì di livello. Ora l'antica città di Wushan giaceva sotto quasi cento metri di acqua. Anche le acque dei torrenti che un tempo confluivano nello Yangtze tramite spettacolari gole laterali erano state impoverite
dal bacino della diga: quelle che in passato erano state impressionanti forre di acque spumeggianti alte oltre centoventi metri ora non erano niente più che gole alte trenta metri tra le cui pareti scorrevano placide acque. I piccoli villaggi di pietra che un tempo erano stati edificati sulle rive di quei piccoli fiumi, già molto isolati dal mondo esterno, ora erano stati completamente cancellati dalla storia. Ma non da Merlino. In una gola in parte allagata, nel cuore dei monti a nord dello Yangtze, aveva trovato una montagna solitaria che sorgeva in posizione più sopraelevata e, in essa, l'entrata al sistema di grotte. Di aspetto antico e primitivo, il piccolo villaggio non era che un gruppetto di capanne fatte di pietre coi tetti spioventi di paglia. Era stato abbandonato tre secoli prima e, secondo la gente del luogo, era infestato dagli spettri. Adesso, grazie alla futuristica diga che si trovava a centosessanta chilometri di distanza, il villaggio disabitato era sommerso dall'acqua sino al ginocchio. L'entrata al sistema di grotte non era risultata protetta né da trappole esplosive né da elaborati cancelli. Anzi, era stato proprio il suo aspetto molto ordinario a nasconderla per oltre duemila anni. Merlino aveva trovato l'entrata dentro una piccola capanna di pietra che si ergeva sulle pendici del monte. Un tempo abitata dal grande filosofo cinese Lao Tse - padre del Taoismo e maestro di Confucio -, quella capanna dall'aspetto modesto conteneva un pozzo di pietra con un parapetto di mattoni. E in fondo al pozzo, nascosto sotto uno strato di acqua nera e torbida, c'era un falso pavimento... sotto il quale si trovava quella magnifica camera. Merlino si mise al lavoro. Tirò fuori un potente computer portatile Asus, lo collegò a una fotocamera digitale ad alta risoluzione e cominciò a scattare foto-
grafie alle pareti. A mano a mano che la fotocamera acquisiva le immagini, sullo schermo del portatile di Merlino scorreva una serie di calcoli in rapida successione. Era al lavoro un programma di traduzione: un complesso database la cui compilazione aveva richiesto a Merlino molti anni di lavoro. Conteneva migliaia di simboli antichi, provenienti da una moltitudine di Paesi e culture. Era anche in grado di eseguire traduzioni approssimative, proponendo l'ipotesi migliore quando il significato di un simbolo era ambiguo. Ogni volta che la fotocamera digitale fotografava un simbolo, quello veniva analizzato dal computer, il quale forniva una traduzione. Per esempio:
TRADUZIONE ELEMENTI: shi tou (pietra) si (tempio) TRADUZIONE SEQUENZA COMPLETA: «Il Tempio di Pietra» IPOTESI TRADUTTIVE: «Santuario di Pietra», «Tempio di Pietra del Sole Nero», «Stonehenge» (Cfr. Rif. ER:46-2B) Fra gli altri glifi e altorilievi presenti sulle pareti, il computer individuò il concetto filosofico più famoso di Lao Tse, il Taijitu:
Il computer tradusse: «Taijitu; rif.: Tao Te Ching. Rif. colloq. occidentale: 'Yin-Yang'. Simbolo comune della dualità di tutte le cose: gli opposti contengono l'origine l'uno dell'altro: p. es., nel
bene c'è un po' di male e nel male c'è un po' di bene». Altre volte, il computer non trovava nessun record precedente di un simbolo:
NESSUN RISCONTRO IMMAGINE TRAD SEQUENZA: SCONOSCIUTA CREATO NUOVO FILE In questi casi, creava un nuovo file e lo aggiungeva al database, così che il simbolo in questione fosse presente qualora fosse stato ritrovato di nuovo. In entrambi i casi, il computer di Merlino ronzava, immagazzinando le immagini, famelico. Dopo qualche minuto di analisi, una traduzione in particolare attirò la sua attenzione. Il testo diceva: IL 1° PILASTRO* DEVE ESSERE COLLOCATO ESATTAMENTE 100 GIORNI PRIMA DEL RITORNO. IL PREMIO SARÀ LA CONOSCENZA**. --------------TERMINI AMBIGUI: * «barra», «blocco di diamante» ** «saggezza»
«Il Primo Pilastro...» mormorò Merlino. «Oh, santo cielo.» Dieci minuti dopo, mentre il professore continuava a inserire altre fotografie nel computer, una seconda figura si calò nella camera. Era Tank Tanaka, un giapponese di corporatura tozza dell'Università di Tokyo, un socio di ricerca di Merlino in quel progetto nonché un amico di vecchia data. Con occhi castani dall'espressione dolce, il viso tondo e gentile e le tempie striate di grigio, Tank era il professore che ogni studente di storia avrebbe voluto avere. Quando saltò giù sul pavimento, il computer di Merlino emise un forte bip, avvertendoli di una nuova traduzione. I due vecchi professori lessero il testo sullo schermo.
L'ARRIVO DEL DISTRUTTORE DI RA L'ARRIVO DEL DISTRUTTORE DI RA VEDE L'AVVIO* DELLA GRANDE MACCHINA** E CON ESSO IL LEVARSI DEL SA-BENBEN. RENDETE OMAGGIO AL SA-BENBEN, TENETELO NASCOSTO, TENETELO VICINO, PERCHÉ ESSO SOLO GOVERNA I SEI E SOLO I SEI HANNO IL POTERE DI PREPARARE I PILASTRI E CONDURVI AI SANTUARI E COMPLETARE COSÌ LA MACCHINA PRIMA DEL SECONDO ARRIVO***.
LA FINE DI TUTTE LE COSE È VICINA. TERMINI AMBIGUI: * «inizio», «innesco» o «messa in moto» ** «Meccanismo» o «Mondo» *** «il Ritorno» CFR. RIFERIMENTO: Rif. XR:5-12 iscrizione parziale ritrovata nel monastero di Zhou-Zu, Tibet (2001) «Il Sa-Benben...?» domandò Tank. Merlino spalancò gli occhi per l'emozione. «È un nome poco usato per il frammento più in alto e più piccolo del Vertice Aureo della Grande Piramide. Il Vertice completo era detto il Benben. Ma la punta è speciale, perché è diversa dagli altri frammenti, che sono tutti di forma trapezoidale. È una piramide in miniatura e quindi, in buona sostanza, un piccolo Benben. Di qui il nome: SaBenben. Il suo nome occidentale è un po' più suggestivo: Pietra di Fuoco.» Merlino fissò il simbolo sopra la traduzione. «La Macchina...» mormorò. Esaminò bene la traduzione, leggendo il riferimento in fondo. «Sì, sì, l'ho già vista. Era su una tavola di pietra frantumata rinvenuta nel Tibet settentrionale. Ma, a causa dei danni, solo la prima e la terza riga erano leggibili: 'L'arrivo del Distruttore di Ra' e 'E con esso il levarsi del Sa-Benben'. Ma questo è il testo completo. Questo è un momento memorabile.» Merlino si mise a parlottare rapidamente fra sé: «Il Distruttore di Ra è il Tartarus, la Macchia Solare del Tartarus... ma il Tartarus è stato evitato... Ma... ma se l'Evento del Tartarus avesse dato inizio a qualcos'altro, a qualcosa che non abbiamo previsto... E, se la
Pietra di Fuoco che governa le Sei Pietre Sacre dà loro il potere, allora è alla base di tutto... dei Pilastri, della Macchina, e del Ritorno del Sole Nero... oh, Cristo santo!» Con uno scatto, spalancò gli occhi. «Tank, l'Evento del Tartarus di Giza era collegato alla Macchina. Non ci ho mai pensato... cioè, avrei dovuto farlo... avrei dovuto capirlo fin dal principio, ma ho...» Un'espressione sconvolta gli attraversò il volto. «Quando avverrà il Ritorno, secondo i nostri calcoli?» Tank alzò le spalle. «Non prima dell'equinozio di primavera dell'anno prossimo: il 20 marzo 2008.» «E la collocazione dei Pilastri? C'era un accenno al Primo Pilastro. Ah, ecco qui: 'Il 1° Pilastro deve essere collocato esattamente 100 giorni prima del Ritorno. Il Premio sarà la conoscenza'.» «Cento giorni», ripeté Tank, facendo i calcoli. «Merda... ma è il 10 dicembre di quest'anno...» Merlino disse: «Tra nove giorni. Mio Dio, sapevamo che l'ora si stava avvicinando, ma questo è...» «Max, mi stai dicendo che abbiamo solo nove giorni per collocare il Primo Pilastro? Non lo abbiamo ancora nemmeno trovato...» Ma Merlino non lo stava più ascoltando. Aveva lo sguardo vitreo, fisso nel vuoto. Si voltò. «Tank, chi altri è al corrente di tutto questo?» L'altro si strinse nelle spalle. «Solo noi. E, credo, chiunque abbia visto l'iscrizione. Sappiamo della tavola in Tibet, ma hai detto che era solo un frammento. Sai dov'è finito?» «Il Centro per i beni culturali cinese ne ha rivendicato la proprietà e l'ha riportato a Pechino. Da allora nessuno l'ha più visto.» Tank scrutò il volto accigliato di Merlino. «Pensi che le autorità cinesi abbiano ritrovato gli altri frammenti della tavola e l'abbiano rimessa insieme? Pensi che sappiano già di questo?» Merlino scattò in piedi. «Quante cannoniere hai visto risalire lungo la gola del fiume?»
«Nove.» «Nove. Non mandi nove cannoniere per una normale azione di pattuglia o per un semplice viaggio di collaudo e addestramento. I cinesi sanno tutto, e ora stanno venendo qui a prenderci. E, se sanno di questo, allora sapranno anche del Vertice Aureo. Merda! Devo avvertire Jack e Lily.» Estrasse in fretta e furia un libro dallo zaino, mettendosi a sfogliare le pagine e annotare numeri sul suo taccuino. Quand'ebbe finito, afferrò la radio e chiamò l'imbarcazione di sopra. «Chow! Presto, trascrivi questo messaggio e pubblicalo subito sulla bacheca elettronica.» Dopodiché Merlino gli comunicò una lunga serie di numeri. «Okay, ecco fatto, sbrigati! Invialo subito... presto!» Una trentina di metri sopra Merlino, un burchio, vecchio e mal ridotto, ballonzolava tra le capanne semisommerse dell'antico villaggio sperduto tra i monti. Era all'ancora di fianco alla capanna di pietra che dava accesso alla camera sotterranea. Nella cabina principale, uno zelante specializzando di nome Chow Ling digitò il codice di Merlino e lo pubblicò, tra l'altro, anche su un sito web dedicato ai film del Signore degli Anelli. Quand'ebbe finito, chiamò Merlino alla radio. «Il codice è stato inviato, professore.» La voce di Epper giunse attraverso l'auricolare: «Grazie, Chow. Bel lavoro. Ora voglio che invii per e-mail a Jack West tutte le immagini che ti ho trasmesso. Dopodiché cancellale tutte dal disco fisso». «Cancellarle?» fece eco Chow, incredulo. «Sì, tutte quante. Tutte quelle che puoi prima che arrivino i nostri amici cinesi.» Chow si diede da fare e, battendo febbrilmente sui tasti, inviò e poi cancellò le incredibili immagini di Merlino.
Tanto era preso dal suo compito che non vide passare alle sue spalle, lungo la strada sommersa del villaggio, la prima cannoniera dell'esercito Popolare di Liberazione. Una voce aspra proveniente da un megafono lo fece sobbalzare sulla sedia: «Eh! Zou chu lai dao jia ban shang! Wo yao kan de dao ni. Ba shou ju zhe gao gao de!» Traduzione: «Ehi, tu! Esci in coperta! Resta bene in vista! Mani in alto!» Cancellando in fretta e furia l'ultima immagine, Chow obbedì agli ordini, si scostò dalla scrivania con un calcio e uscì sulla coperta di prua dell'imbarcazione. La cannoniera al comando della pattuglia torreggiava su di lui. Era di tipo moderno, veloce, coi fianchi mimetizzati e con un pesante cannone prodiero. Sul ponte erano allineati soldati cinesi armati di fucili d'assalto Colt Commando di fabbricazione americana, le canne corte puntate su Chow. Che imbracciassero moderne armi americane era un cattivo segno: significava che erano soldati scelti, reparti speciali. La fanteria cinese ordinaria era dotata soltanto di vecchi e pesanti fucili d'assalto Tipo 56, la versione cinese dell'AK-47. Non erano soldati ordinari, quelli. Chow alzò le mani... una frazione di secondo prima che qualcuno sparasse e la metà superiore del suo corpo esplodesse, crivellato da una gragnola di fori sanguinanti, e fosse scaraventato all'indietro con brutale violenza. Merlino accese il suo radiomicrofono. «Chow? Chow, ci sei?» Nessuna risposta. Poi, d'improvviso, l'imbracatura che prima lo aveva tenuto sospeso nel pozzo risali sibilando nel soffitto come un serpente spaventato. «Chow!» chiamò Merlino nella radio. «Che cosa stai...»
Qualche secondo dopo, l'imbracatura riapparve... ... con dentro il corpo di Chow. A Merlino si gelò il sangue nelle vene. «Dio mio, no...» mormorò, lanciandosi in avanti. Pressoché sfigurato dalla pletora di ferite di pallottola, il corpo di Chow giunse al livello di Merlino. Con un tempismo quasi perfetto, la radio si accese all'improvviso. «Professor Epper», esordì una voce in inglese. «Sono il colonnello Mao Gong Li. Sappiamo che è laggiù e stiamo scendendo. Non faccia il furbo o farà la stessa fine del suo assistente.» Con precisione chirurgica, i soldati cinesi si calarono a corda doppia nella camera. Nel giro di due minuti, Merlino e Tank furono circondati da una dozzina di uomini armati. Il colonnello Mao Gong Li si calò per ultimo. A cinquantacinque anni, era un uomo corpulento ma con una postura perfetta, dritto come un fuso. Come molti uomini della sua generazione, gli era stato messo patriotticamente il nome del presidente Mao. Non aveva nessun soprannome operativo tranne quello che i suoi nemici gli avevano affibbiato dopo i fatti di piazza Tienanmen, nel 1989, da maggiore anziano: il Macellaio di Tienanmen. Nella camera calò il silenzio. Mao fissò Merlino con occhi truci. Quando infine parlò, lo fece in un inglese chiaro e serrato. «Professor Max T. Epper, nome in codice Merlino, ma da alcuni conosciuto col soprannome di 'Stregone'. Canadese di nascita, ma professore di Archeologia al Trinity College di Dublino. Coinvolto nell'alquanto insolito episodio accaduto in cima alla Grande Piramide di Giza il 20 marzo 2006. «E il professor Yobu Tanaka, dell'Università di Tokyo. Estraneo all'episodio di Giza, ma un esperto di civiltà antiche. Signori, il vostro assistente era un giovane uomo, brillante e dotato di talento.
Potete vedere quanto tenga a uomini del genere.» «Che cosa vuole?» volle sapere Merlino. Mao fece un sorriso gelido, a fior di labbra. «Ma come, professor Epper, voglio lei.» Merlino aggrottò le sopracciglia. Non si aspettava quella risposta. Mao fece un passo avanti, fissando la grande camera che li circondava. «Tempi grandiosi ci attendono, professore. Nei prossimi mesi, sorgeranno imperi e cadranno nazioni. È in momenti come questi che la Repubblica Popolare Cinese ha bisogno di uomini di grande erudizione, di uomini come lei. Ecco perché ora lavora per me, professore. E sono certo che col giusto tipo di persuasione - in una delle mie camere di tortura - mi aiuterà a trovare le Sei Pietre di Ramses.» PRIMA MISSIONE IL VIAGGIO DELLA PIETRA DI FUOCO
AUSTRALIA 1° DICEMBRE 2007 NOVE GIORNI PRIMA DELLA PRIMA SCADENZA GREAT SANDY DESERT, AUSTRALIA NORDOCCIDENTALE, 1° DICEMBRE 2007, ORE 08.30
Il giorno in cui la fattoria fu attaccata da una forza schiacciante, Jack West Jr. aveva dormito fino alle sette del mattino. Di regola, si alzava intorno alle sei per vedere l'alba, ma la vita era piacevole in quei giorni. Il suo mondo era stato in pace per quasi diciotto mesi, perciò aveva deciso di saltare quell'alba del cavolo e di farsi un'altra oretta di sonno. I bambini, naturalmente, erano già in piedi. Lily aveva fatto venire un amico e compagno di scuola per le vacanze estive, Alby Calvin. Chiassosi e vispi come due grilli, spesso indaffarati a combinare qualche bricconata, non avevano fatto altro che giocare negli ultimi tre giorni, esplorando di giorno ogni angolo della vasta fattoria, e osservando di notte le stelle col telescopio di Alby. Che Alby fosse parzialmente sordo contava poco per Lily o Jack. Nella scuola per studenti superdotati che frequentavano a Perth, Lily era un asso in lingue e Alby in matematica, ed era tutto ciò che contava. A undici anni, Lily conosceva già sei lingue, di cui due antiche e una dei segni. L'aveva appresa senza difficoltà, una cosa che in effetti lei e Jack avevano fatto insieme. Quel giorno le punte dei suoi bellissimi lunghi capelli neri erano tinte di rosa elettrico. Dal canto suo, Alby aveva dodici anni, era di colore, portava un paio di occhiali dalle lenti spesse e parlava con una lieve inflessione arrotondata, per quanto i segni fossero sempre necessari ogni volta che doveva far comprendere ulteriori emozioni o l'urgenza di una faccenda. Sordo o no, Alby Calvin non era da meno di nessuno. West se ne stava sulla veranda, a torso nudo, intento a sorseggiare una tazza di caffè. Di statura media, con gli occhi azzurri e i capelli neri tutti scarmigliati, aveva lineamenti duri ma attraenti a modo loro. Un tempo era stato considerato il quarto miglior soldato dei reparti speciali del mondo, l'unico australiano in una classifica dominata dagli americani.
Ma non era più un soldato. Dopo aver capeggiato un'ardita missione durata dieci anni per ritrovare il leggendario Vertice Aureo della Grande Piramide in ciò che restava delle Sette Meraviglie del Mondo Antico, adesso era un cacciatore di tesori più che un guerriero, più abile a evitare le grotte protette da trappole esplosive e a decifrare antichi enigmi che a uccidere gente. La missione del Vertice Aureo, che si era conclusa sulla cima della Grande Piramide, aveva temprato il rapporto di West e Lily. Poiché i genitori della bambina erano morti, Jack l'aveva cresciuta... con l'aiuto di una squadra di soldati internazionale a dir poco fuori del comune. Poco dopo la fine della missione del Vertice, l'aveva adottata legalmente. E da quel giorno di quasi due anni prima aveva vissuto lì in splendido isolamento, lontano dalle missioni, lontano dal mondo, limitandosi ad andare a Perth quando la scuola di Lily lo richiedeva. Quanto al Vertice Aureo, giaceva in tutto il suo splendore dietro la sua fattoria, in una miniera di nichel abbandonata. Un paio di mesi addietro, West era stato turbato dall'articolo di un giornale. Un soldato dei reparti speciali australiani di nome Oakes era caduto in Iraq, ferito a morte in un'imboscata, il primo australiano morto in combattimento in quasi due anni. La notizia aveva destato molta preoccupazione in West perché era uno dei pochi al mondo che conosceva bene il motivo per cui nessun australiano era caduto in battaglia negli ultimi diciotto mesi. Aveva a che vedere con la Rotazione del Tartarus del 2006 e il Vertice Aureo: grazie a un antico rituale che aveva celebrato allora, aveva assicurato all'Australia un'invulnerabilità che sarebbe dovuta durare molto tempo. Ma ora, con la morte di quel soldato, quel periodo di invulnerabilità pareva finito. Anche la data della morte dell'uomo lo aveva colpito: 24 set-
tembre. Il giorno dopo l'equinozio d'autunno. West stesso aveva celebrato il rituale del Tartarus sulla cima della Grande Piramide il 21 marzo 2006, il giorno dell'equinozio di primavera, quando il sole è allo zenit e il giorno e la notte hanno la stessa durata. Gli equinozi di primavera e d'autunno erano due eventi astronomici che avvenivano in momenti opposti dell'anno. Opposti ma identici, pensò West. Yin e yang. Qualcuno, da qualche parte, aveva compiuto un'azione durante l'equinozio d'autunno che aveva neutralizzato il Tartarus. West fu scosso dai pensieri da una piccola sagoma marrone che gli tagliò la visuale a est. Era un volatile, un falco, che attraversò il cielo velato, ad ali spiegate. Era Horus, un falco pellegrino e suo fido compagno. Si posò sulla cancellata accanto a lui, emettendo strida rauche verso est. West volse lo sguardo in quella direzione appena in tempo per vedere un nugolo di puntini neri all'orizzonte, che volavano in formazione. A circa cinquecento chilometri di distanza, nei pressi della città marittima di Wyndham, erano in corso esercitazioni militari, le esercitazioni biennali di Boomerang che l'Australia svolgeva con gli Stati Uniti. Su vasta scala, coinvolgevano tutti i rami delle forze armate di entrambe le nazioni: marina, esercito e aeronautica. Ma quell'anno, e solo quello, le esercitazioni avevano in serbo una sorpresa: per la prima volta in assoluto partecipava anche la Cina. Nessuno si faceva illusioni. Sotto l'egida della neutrale Australia, che aveva relazioni commerciali di rilievo con la Cina e rapporti militari di lunga data con gli Stati Uniti, le due superpotenze erano impegnate a prevalere l'una sull'altra. Sulle prime, gli Stati Uniti avevano rifiutato la partecipazione della Cina, ma i cinesi avevano esercitato una notevole pressione commerciale
sull'Australia a tale riguardo e gli australiani avevano pregato gli americani di accettare. Ma per fortuna, pensò West, quelle faccende non lo riguardavano più. Si voltò a osservare Lily e Alby che scorrazzavano intorno al granaio, sollevando nubi di polvere coi piedi, quando il computer in cucina fece bip. Bip, bip, bip, bip. E-mail in arrivo. Una caterva. Jack entrò in casa, continuando a stringere la tazza di caffè, e controllò il monitor. Era appena arrivata più di una ventina di e-mail di Max Epper. Jack fece clic su una, e si trovò a fissare la foto digitale di un antico simbolo inciso. Cinese, a giudicare dall'aspetto. «Oh, Merlino», sospirò. «Che è successo adesso? Hai dimenticato di nuovo di prendere con te il disco fisso di scorta?» Era già accaduto in passato. Merlino doveva fare una copia di riserva di qualcosa e avendo dimenticato di portare con sé un secondo disco fisso aveva inviato a Jack per e-mail le fotografie che voleva mettere al sicuro. Con un lamento, West andò su Internet e aprì una chat del Signore degli Anelli, dove inserì il suo nome utente: STRIDER101. Di lì a poco apparve una bacheca elettronica poco frequentata. Era così che Jack e Lily comunicavano con Merlino: nascosti dietro l'anonimato di Internet. Se Merlino stava inviando una caterva di e-mail, era probabile che avesse inviato anche un messaggio di spiegazione tramite la chat. Come volevasi dimostrare, l'ultimo messaggio lasciato sulla bacheca era di GANDALF101: Merlino. West fece scorrere il messaggio, aspettandosi di leggere le solite scuse impacciate di Merlino... ma ciò che vide lo lasciò di stucco. Numeri. Un sacco di numeri, intervallati da parentesi e barre:
(3/289A5/5) (3/290/-2/6) (3/289A8/4) (3/290/-8/4) (3/290/-1/12) (3/291/-3/3) (1/187/15/6) (1/168/-9/11) (3/47/-3/4) (3/47/-4/12) (3/45/-163) (3/47/-1/5) (3/305/-3/1) (3/3O4/-8/10) (3/43/1/12) (3/30/-3/6) (3/15/7/4) (3/15/7/3) (3/63/-20/7) (3/65/5/1-2) (3/291/-14/2) (3/308/-8/11) (3/232/5/7) (3/290/-1/9) (3/69/-13/5) (3/302/1/8) (3/55/-4/11-13) (3/55/-3/1) Jack aggrottò le sopracciglia, incuriosito. Era un messaggio in codice di Merlino, un codice che era noto solamente ai componenti fidati della loro squadra. Era una cosa seria, quella. Jack si affrettò a prendere un libro tascabile dallo scaffale poco lontano - lo stesso romanzo che Merlino aveva utilizzato per scrivere il messaggio in Cina - e si mise a sfogliare le pagine, decifrando il messaggio in codice. Scrisse in fretta e furia una serie di parole sotto ogni riferimento numerico fino a che non ebbe il messaggio completo. E gli si gelò il sangue. (3/289A5/5) (3/290/-2/6) (3/289A8/4) (3/290/-8/4) (3/290/-1/12) FILA VIA FILA VIA SUBITO! (3/291/-3/3) (1/187/15/6) (1/168/-9/11) PRENDI PIETRA FUOCO (3/47/-3/4) (3/47/-4/12) (3/45/-163) (3/47/-1/5) E MIO LIBRO NERO (3/305/-3/1) (3/304/-8/10) E SCAPPA (3/43/1/12) (3/30/-3/6) NUOVA EMERGENZA
(3/15/7/4) (3/15/7/3) GRAVE PERICOLO (3/63/-20/7) (3/65/5/1-2) NEMICI IN ARRIVO (3/291/-14/2) (3/308/-8/11) (3/232/5/7) (3/290/-1/9) VEDIAMOCI PRIMA POSSIBILE ALLA (3/69/-13/5) (3/302/1/8) GRANDE TORRE (3/55/-4/11-13) (3/55/-3/1) IL PEGGIO STA ARRIVANDO «Porca...» fece Jack a denti stretti. Alzò di colpo la testa e guardò fuori della finestra: Lily e Alby stavano ancora giocando vicino al granaio. Poi vide il cielo tinto di rosa dietro di loro, splendido nella luce del mattino... che si riempiva di figure, decine e decine di figure da cui uscivano paracadute che si gonfiavano sopra di loro, rallentandone la caduta. Paracadutisti, a centinaia. Che puntavano verso la sua fattoria.
West si precipitò fuori dalla porta, gridando: «Ragazzi! Correte qui! Presto!» Lily si girò, perplessa. Alby la imitò. West aggiunse, sia a voce sia col linguaggio dei sordomuti: «Lily, prepara una valigia! Alby, raccogli le tue cose! Ce ne andiamo tra due minuti!» «Ce ne andiamo? E perché?» volle sapere Alby. Ma Lily conosceva bene l'espressione dipinta sul volto di West. «Perché dobbiamo farlo», rispose a voce e a segni. West rientrò di corsa nella fattoria e martellò all'uscio delle due camere degli ospiti. «Zoe! Sky Monster! Siamo di nuovo nei guai!» Dalla prima camera uscì Sky Monster, un neozelandese, grande e grosso, buon amico e pilota fisso di West. Con la folta barba nera, il pancione e le sopracciglia cespugliose,
Sky Monster non era proprio un bel vedere di prima levata. Aveva un nome vero, ma nessuno a parte sua madre pareva conoscerlo. «Abbassa la voce, Cacciatore», borbottò. «Che c'è?» «Stanno per invaderci», rispose West, indicando fuori della finestra. Con gli occhi impastati di sonno, Sky Monster guardò fuori e vide il nugolo di paracadute che oscurava il cielo del mattino. Spalancò gli occhi. «Stanno per invadere l'Australia?» «No, solo noi. Questa fattoria. Vestiti e va' all'Halicarnassus. Preparalo per il decollo immediato.» «Ricevuto», disse il neozelandese, filando via proprio mentre si apriva la porta della seconda camera degli ospiti, rivelando qualcosa di molto più gradevole. Zoe Kissane uscì dalla stanza, con indosso un pigiama di riserva che West le aveva prestato. Con gli occhi azzurri come il cielo, i capelli biondi corti e il viso picchiettato qua e là di lentiggini, era una vera bellezza irlandese. Era anche in licenza dallo Sciathan Fhianoglach an Airm, il famoso commando di soldati scelti dell'esercito irlandese. Reduce della missione del Vertice Aureo, lei e West erano molto legati e, secondo alcuni, lo stavano diventando sempre di più. Anche le punte dei suoi capelli erano rosa elettrico, ciò che restava di un'acconciatura di capelli fatta con Lily il giorno prima. Apri la bocca per parlare, ma West si limitò a indicare la finestra. «Be', non si vede tutti i giorni», commentò. «Dov'è Lily?» Jack s'infilò nella sua stanza, raccattando cose qua e là: una giacca da minatore di cotone, un elmo da pompiere e un cinturone con doppia fondina che si allacciò alla vita. «A prendere le sue cose. Alby è con lei.» «Oh, Dio, Alby. Che cosa...» «Lo portiamo con noi.» «Stavo per dire: che cosa diremo a sua madre? 'Ciao, Lois, si, i ragazzi hanno trascorso un'estate fantastica, sono scampati a una
forza d'invasione di paracadutisti.'» «Qualcosa del genere», ribatté Jack, precipitandosi nel suo studio e uscendo un secondo dopo con una grande cartella di pelle nera. Quindi passò di corsa davanti a Zoe, dirigendosi verso la porta di servizio della fattoria. «Prendi le tue cose e raduna i ragazzi. Ce ne andiamo tra due minuti. Devo andare a prendere la punta del Vertice Aureo.» «La cosa...?» fece Zoe, ma West si era già precipitato fuori, seguito dal colpo secco della porta che si chiudeva. «E prendi anche i cifrari!» giunse di lontano la sua voce. Un secondo dopo, Sky Monster uscì tutto trafelato dalla sua camera, allacciandosi il cinturone e stringendo un casco da pilota. Anche lui sgusciò davanti a Zoe - con un burbero «'Giorno, Principessa» - prima di uscire a passi pesanti dalla porta di servizio. E d'improvviso Zoe si rese conto della situazione. «Porca...» disse a denti stretti, tornando di corsa nella sua camera. Jack West attraversò di gran carriera il cortile posteriore della fattoria e s'infilò nell'entrata di una vecchia miniera abbandonata scavata in una collinetta lì vicino. Percorse a passo svelto una galleria buia, guidato dalla luce di una torcia a stilo attaccata all'elmo da pompiere, finché, dopo un centinaio di metri, non raggiunse un'ampia grotta contenente... ... il Vertice Aureo. Alta quasi tre metri, sfavillante e dorata, la piramide in miniatura che un tempo sormontava la Grande Piramide di Giza possedeva una forza, una presenza che incuteva soggezione a Jack ogni volta che la vedeva. Il Vertice era attorniato da parecchi altri manufatti provenienti dalla precedente avventura di Jack, manufatti che erano tutti collegati in un modo o nell'altro con le Sette Meraviglie del Mondo Antico: lo specchio del Faro di Alessandria, la testa del Colosso di
Rodi. Ogni tanto Jack si recava lì, si sedeva e fissava i tesori d'inestimabile valore che aveva raccolto nella grotta. Ma non quel giorno. Quel giorno prese una vecchia scala a libro, salì di fianco al Vertice Aureo e tolse con cura il frammento superiore, l'unico frammento che aveva esso stesso la forma di una piramide, la Pietra di Fuoco. Era un manufatto di piccole dimensioni, con la base grande forse come un libro. Sulla punta c'era un minuscolo cristallo trasparente, largo poco meno di tre centimetri. Tutti gli altri frammenti del Vertice possedevano cristalli simili al centro, e tutti e sette erano allineati in verticale quando il Vertice era montato. West infilò la Pietra di Fuoco nello zaino e ripercorse in fretta la galleria d'accesso. Mentre correva, innescò una serie di scatole nere montate sui puntelli di legno disseminati lungo il percorso, e spie rosse si misero a lampeggiare. Giunto alla trave più esterna, attivò un'ultima scatola e prese un piccolo comando a distanza che era stato lasciato sulla scatola a tale scopo. «Non avrei mai voluto farlo», disse con voce venata di tristezza. Premette il pulsante DETONAZIONE sul comando e nella galleria riecheggiò una serie di boati sordi via via che le cariche esplodevano, a partire da quelle più interne. Dopodiché, con un sibilo spaventoso, l'entrata principale della miniera eruttò un'enorme nube di polvere. L'esplosione dell'ultima carica provocò uno smottamento della collinetta, facendo rovinare detriti, sabbia e rocce sulla bocca della miniera. Jack si girò e tornò di corsa alla fattoria. Se avesse avuto il tempo di guardare indietro, avrebbe visto l'enorme nube di polvere disperdersi. E, quando si fosse dispersa del tutto, al suo posto non avrebbe visto che una collina, una banale collina coperta di roccia e sabbia non diversa da una dozzina di altre sparse qua e là nei dintorni.
Jack tornò alla fattoria appena in tempo per vedere Sky Monster filare via a bordo di un pick-up, diretto a sud, alla volta dell'hangar. I paracadute stavano ancora scendendo dal cielo e molti erano quasi arrivati a terra ormai. Erano centinaia. Alcuni portavano chiaramente uomini armati; altri, più grandi, trasportavano oggetti di grandi dimensioni: jeep e camion. «Madre di Dio...» mormorò Jack. Zoe stava spingendo Lily e Alby fuori dalla porta di servizio della fattoria. «Hai preso i cifrari?» gridò West. «Ce li ha Lily!» «Da questa parte, al granaio!» West fece loro segno di seguirlo. I quattro corsero insieme, due adulti e due bambini, che si affannavano con zaini ed equipaggiamenti, sorvolati da Horus. Correndo, Alby vide le pistole di West. Jack notò l'espressione sconvolta sul suo volto. «È tutto okay, ragazzo. Queste cose ci capitano di continuo.» Quando giunse alla grande porta del granaio, fece entrare gli altri prima di cercare con gli occhi il pick-up di Sky Monster che sfrecciava verso sud costeggiando uno sperone collinare e sollevando un polverone al suo passaggio... Ma poi un paracadutista gli tagliò la visuale del pick-up, un soldato cinese armato fino ai denti che atterrò sul terreno polveroso e ruzzolò con abilità, liberandosi del paracadute e tirando fuori un fucile automatico. Dopodiché si mise a correre dritto verso la fattoria. Un altro uomo atterrò dietro di lui. Poi un altro, e un altro ancora. West deglutì. Lui e gli altri erano tagliati fuori da Sky Monster. «Merda, merda», sospirò. Quindi s'infilò nel granaio mentre un altro centinaio di paracadutisti atterrava da ogni lato della fattoria.
La strada d'accesso est Pochi secondi dopo, le porte del granaio si spalancarono di colpo e due veicoli a trazione integrale di dimensioni compatte si riversarono fuori rombando. Sembravano usciti da un film di Mad Max. Erano «Light Strike Vehicle» Longline, o LSV: dune buggy a due posti ultraleggere con grosse gomme fuoristrada, sospensioni a braccio oscillante e una scocca dalla linea slanciata composta soltanto di roll-bar e montanti. Jack e Alby erano nel primo veicolo, Zoe e Lily nel secondo. «Sky Monster!» chiamò West nel radiomicrofono legato al collo. «Siamo tagliati fuori! Dovremo raggiungerti in autostrada! Prenderemo la strada d'accesso est e il passaggio sul fiume.» «Ricevuto», rispose la voce di Sky Monster. «Ci vediamo in autostrada.» «Jack», si aggiunse la voce di Zoe. «Chi sono questi tizi e come diavolo hanno fatto a trovarci?» «Non lo so», rispose West. «Non lo so. Ma Merlino sapeva che stavano arrivando. Ci ha avvertiti...» Proprio allora una raffica di proiettili crivellò la strada sterrata davanti al veicolo di Jack. West strinse forte lo sterzo e attraversò la nube di polvere. I colpi erano partiti da un grosso fuoristrada che scendeva rombando dalla distesa desertica a nord. Era un caratteristico mezzo a sei ruote, un trasporto truppe blindato WZ-551 costruito dalla China North Industries Corporation per l'esercito cinese. Dotato di corazzatura pesante e di una torretta Dragar di fabbricazione francese sulla cima, l'autoblindo aveva la forma di una scatola con un muso piatto inclinato simile a una prora. La torretta montava un micidiale cannone da 25 mm e una mitragliatrice coassiale da 7,62 mm. Era il primo di molti autoblindo in arrivo dal Nord. Jack ne con-
tò sette... nove... undici al seguito, più un numero maggiore di mezzi più piccoli, jeep e camion, tutti pieni zeppi di soldati armati. Stessa cosa da sud: uomini e mezzi erano atterrati lì, si erano sbarazzati dei paracadute e ora puntavano a nord verso la strada d'accesso est. Un'armata di veicoli stava calando su di loro da nord e da sud. «Jack!» giunse la voce di Zoe. «Quei blindati sembrano cinesi!» «Lo so!» Accese lo scanner radio e captò la frequenza di trasmissione delle esercitazioni di Boomerang. Una voce stava gridando: «Unità Rosso Tre! Rispondete! Siete troppo fuori rotta per questo lancio! Ma che diavolo state facendo?» Astuto, pensò West. I suoi aggressori volevano far credere che si trattasse di un lancio di esercitazione andato storto. Valutò le alternative. La strada d'accesso est portava al fiume Fitzroy, un corso d'acqua che scorreva da nord a sud e che in quella stagione - la stagione delle piogge - era in piena. Era attraversato da un unico ponte. Di là del fiume c'era una vecchia autostrada che - in un tratto rettilineo - faceva da pista d'atterraggio privata di West. Se i loro mezzi fossero riusciti ad attraversare il fiume prima che le forze nemiche li intercettassero, avrebbero potuto raggiungere l'autostrada, dove li attendeva Sky Monster. Ma una rapida occhiata alla duplice colonna che puntava verso di lui da nord e da sud rivelò una pura e semplice verità: sarebbe stata un'impresa disperata. La dune buggy di West percorreva rombando la polverosa strada est. Sul sedile del passeggero Alby stringeva il roll-bar, gli occhi spalancati dal terrore. West lanciò un'occhiata al bambino. «Scommetto che non hai mai vissuto un'esperienza come questa a casa di un altro amico per l'estate!»
«Mai!» gridò Alby nonostante la furia del vento. «Sei uno scout, Alby?» «Si!» «E qual è il motto degli scout?» «Siate pronti!» «Appunto! Ora, giovanotto, scoprirai perché ti è proibito giocare sui passaggi del bestiame o sul ponte.» Le due dune buggy sfrecciavano a tutta birra sulla strada polverosa... con le due orde di inseguitori che calavano da entrambi i lati, convergendo su di loro in formazione a V e sollevando nuvoloni di polvere al loro passaggio. «Zoe! Passa in testa!» gridò West. La donna obbedì, portando il veicolo davanti a quello di Jack, proprio quando i due mezzi passarono a tutta velocità su una grata per il bestiame. Quando la dune buggy sfrecciò sulla grata, tuttavia, West sterzò a sinistra, investendo in pieno un basso palo indicatore con la scritta PASSAGGIO BESTIAME. Al palo era collegato un cavo nascosto che scattò al passaggio del mezzo, innescando un meccanismo invisibile che sparò un centinaio di chiodi a sei punte sulla strada dietro la dune buggy in fuga. Alby si voltò e vide i chiodi a forma di stella rimbalzare e aprirsi a ventaglio sulla strada proprio quando la prima jeep inseguitrice con gli occupanti che sparavano a tutto spiano - finì dritta nel campo di chiodi. L'aria fu lacerata da una serie di boati quando tutte e quattro le gomme della jeep scoppiarono e il mezzo slittò capottando e scaraventando gli uomini in ogni direzione. Una seconda jeep fece la stessa fine, ma le altre schivarono il campo disseminato di chiodi, aggirando tra i sobbalzi il tratto sospetto di strada. Alby le vide schiantarsi, prima di volgersi verso West, che gridò nonostante il vento: «Siate pronti!»
Poi si volse indietro e vide gli autoblindo WZ-551, più lenti delle jeep, raggiungere il tratto coperto di chiodi... Ma con gli pneumatici antiforatura si limitarono a passarvi sopra rombando, senza danno. Proseguendo l'inseguimento. Al volante della dune buggy, Zoe continuava a monitorare le frequenze con lo scanner radio di bordo. Un secondo dopo lo schianto delle due jeep, captò delle voci che parlavano in mandarino su una frequenza militare protetta. «Jack!» chiamò nel suo microfono. «Ho i cattivi su UHF 610.15!» A bordo del suo veicolo, Jack passò sul canale segnalato e udì le voci dei suoi nemici. «Si dirigono a est su due mezzi...» «Unità Terra Sette è all'inseguimento...» «Unità Terra Sei è diretta al ponte...» «Comando. Qui Unità Terra Due. Siamo alle loro calcagna. Prego ripetere istruzioni per la cattura...» Si aggiunse un'altra voce, più pacata, con un chiaro tono di comando: «Unità Terra Due, qui Black Dragon. Le istruzioni per la cattura sono le seguenti: prima priorità, la Pietra di Fuoco; seconda priorità, la bambina e West, entrambi devono essere catturati vivi. Tutti gli altri prigionieri devono essere giustiziati. Non devono esserci testimoni delle nostre azioni qui». A quelle parole, West lanciò un'occhiata ad Alby. E poi a Zoe, alla guida del veicolo in testa. Un conto era sapere che, se tutto fosse finito male, tu avresti salvato la pelle; ben altro conto che le persone che ti erano care non ce l'avrebbero fatta. «Hai sentito?» domandò Zoe via radio. «Sì», rispose West, stringendo le mascelle. «Ti prego, portaci via di qui, Jack.»
* Mentre le dune buggy di Jack e Zoe sfrecciavano verso est, un autoblindo di comando cinese giunse alla fattoria, scortato da parecchie jeep. Il blindato si fermò con una slittata e scesero due uomini, un cinese e un americano. Sebbene il primo fosse chiaramente più vecchio, entrambi gli uomini portavano il grado di maggiore sul colletto. Il maggiore cinese era Black Dragon, lo stesso che aveva parlato per radio. Autoritario e collerico, era noto per la sua fredda e metodica efficienza; era un uomo che sapeva portare a termine un lavoro. L'americano era alto, grosso e forte, e indossava l'uniforme fatta su misura di un operativo delle forze speciali USA. Aveva i capelli a spazzola e gli occhi freddi di uno psicopatico. Il suo nome in codice era «Sciabola». «Isolate la fattoria», ordinò Black Dragon all'unità di paracadutisti più vicina. «Ma state attenti a eventuali trappole improvvisate. Il capitano West è senza dubbio un uomo pronto a eventualità come questa.» Sciabola non disse nulla. Si limitò a fissare la fattoria abbandonata, come se stesse assimilando ogni suo dettaglio. Il ponte sul fiume Il ponte era più avanti, forse a due chilometri di distanza: un vecchio ponte di legno a corsia unica. West lo vide profilarsi proprio quando tre autoblindo e cinque jeep cinesi si fermarono con una slittata davanti al ponte, sbarrando il passo. Un blocco stradale. Sono arrivati prima loro. Merda. L'autoblindo al comando abbassò il cannone sulla torretta in
modo minaccioso. In quel preciso momento, quattro jeep cinesi raggiunsero i veicoli di West, due per lato. I soldati sulle jeep parevano schiumare di rabbia e, sballottati dal terreno accidentato, cercavano di puntare i fucili alle gomme di West. «Jack!» gridò Zoe alla radio. «Jack...!» «Non lasciare la strada! Qualunque cosa tu faccia, non lasciare la strada finché non raggiungi i mulini a vento!» Più avanti, due altissimi mulini a vento fiancheggiavano la strada, a metà distanza tra loro e il ponte. Un'esplosione rimbombò dietro la dune buggy di West - sì e no a un metro di distanza - scavando una buca nella strada. Un colpo di cannone sparato dall'autoblindo. «Cristo!» esclamò Jack volgendosi verso Alby. «Fammi un piacere, ragazzo. Non raccontare a tua madre questa parte delle tue vacanze.» Il mezzo di Zoe raggiunse i mulini che fiancheggiavano la strada, e vi passò in mezzo con un'accelerata, seguito dappresso dal veicolo di Jack e Alby... con le quattro jeep cinesi sempre alle calcagna. Jack passò tra i mulini, mentre le jeep li affrontarono in modo diverso: una sterzò sulla strada vera e propria e s'infilò a tutta velocità tra i mulini, le altre tre si allontanarono e li sorpassarono dall'esterno e... D'improvviso, la prima jeep sparì alla vista. Così pure quella che la seguiva a ruota nonché quella che aveva sorpassato a tutta velocità il mulino sull'altro lato della strada. Le tre jeep scomparvero semplicemente nel nulla, come inghiottite dalla terra. Era andata proprio così, infatti. I veicoli erano caduti in trappole per tigri indiane: grandi fosse nascoste nel terreno accanto ai mulini, uno stratagemma ideato da Jack proprio per una fuga come quella.
«Zoe! Presto! Fammi passare avanti, e poi segui esattamente la mia direzione!» Jack sorpassò come un lampo la dune buggy di Zoe e poi, con una brusca sterzata, uscì di strada lanciandosi sul terreno stepposo e accidentato. Zoe lo seguì dappresso, sterzando a sinistra, tallonata ora dall'unica jeep cinese che era rimasta. Sfrecciarono tra i sobbalzi sul terreno coperto d'arbusti, il fiume davanti, il blocco stradale alla loro destra. «Segui esattamente la mia direzione!» ripeté West nel suo microfono. Si lanciò giù per un terrapieno in direzione del fiume Fitzroy, verso morte certa. Era impossibile attraversare le rapide con la sua dune buggy: era troppo bassa. Ciò nonostante, si lanciò nel fiume. A tutta birra. Il veicolo piombò nel Fitzroy, sollevando una spettacolare fontana di spruzzi su entrambi i lati quando fendette l'acqua, insolitamente bassa, e attraversò un tratto del letto del fiume stranamente liscio: un guado di cemento nascosto. Quando la dune buggy di Jack raggiunse e risalì rombando l'altra sponda del fiume con un balzo di un metro, il mezzo di Zoe toccò l'acqua, proprio nel momento in cui l'ultima jeep cinese l'affiancava. Zoe raggiunse il guado e seguì esattamente la direzione di Jack. Ma la jeep inseguitrice non lo fece, e il guado era volutamente stretto, un ponte di cemento a pelo d'acqua che aveva una larghezza sufficiente a far passare un'auto. La jeep cinese precipitò nel fiume e si schiantò tra gli spruzzi, mentre il mezzo di Zoe proseguiva la corsa, risalendo con un sobbalzo l'altra sponda. Nel vedere le due dune buggy attraversare tranquillamente il fiume a nord, i soldati cinesi che bloccavano il ponte saltarono nelle jeep e negli autoblindo e si lanciarono all'inseguimento. Se non che il ponte crollò completamente sotto la prima jeep.
In un groviglio di travi e puntoni di legno - spezzati in precedenza -, la jeep piombò nel fiume, lasciando il resto dei veicoli sull'orlo del precipizio, senza più niente da attraversare. I cinesi fecero dietrofront e si precipitarono verso lo strettissimo guado, ma, ora che l'ebbero trovato e attraversato, i due veicoli di Jack stavano già sfrecciando a tutta velocità sull'autostrada. L'aeroplano per la fuga Mentre Jack e Zoe fuggivano verso est, facendo scattare trappole sparachiodi e attraversando a tutta velocità ponti nascosti, anche Sky Monster aveva avuto il suo bel da fare. Era arrivato con la jeep proprio a sud della fattoria, dov'era scomparso in una baracca incuneata nel fianco di una collina, una collina che - se vista da vicino - era in realtà un'enorme struttura nascosta da una rete mimetica. Un hangar. Nel quale c'era un imponente 747 nero. Se si osservava bene il ventre dell'aeroplano, si poteva ancora leggere una scritta: PRESIDENT ONE - AIR FORCE OF IRAQ: HALICARNASSUS. Era un aeroplano che un tempo si trovava in un hangar segreto fuori Bassora, uno dei numerosi 747 che erano stati disseminati in località segrete in giro per l'Iraq, pronti a portare al sicuro Saddam Hussein nell'Africa Orientale in caso d'invasione. Saddam, venne fuori, non fu mai in grado di usare quell'aeroplano particolare. Ma nel 1991, messo con le spalle al muro dalle forze nemiche e abbandonato dai suoi stessi uomini, Jack West Jr. ci riuscì. Ora era il suo aeroplano, l'Halicarnassus. L'Halicarnassus uscì rombando dall'hangar e percorse una larga pista di rullaggio in terra battuta che attraversava il tumultuoso fiume Fitzroy tramite un guado di cemento sommerso pochi chilometri a sud del ponte di fortuna.
Una volta sul guado, Sky Monster deviò il mastodontico 747 a sinistra e imboccò l'autostrada, puntando a nord. L'enorme aeroplano percorse rombando l'autostrada nel deserto, un bestione nero che accelerò sull'asfalto baluginante, finché Sky Monster non vide le due dune buggy di Jack e Zoe imboccare la strada con una brusca sterzata, poche centinaia di metri più avanti. Dalla coda dell'aereo una rampa si abbassò sul manto stradale, schizzando scintille, e - con l'enorme aeromobile che continuava a prendere velocità - le due dune buggy, dopo averlo incrociato, fecero un testa-coda e salirono a tutta birra sulla rampa entrando nella stiva, seguite dappresso dalla minuscola figura di Horus. Non appena il secondo veicolo fu a bordo e bene assicurato con una rete di ancoraggio, la rampa si sollevò e l'aeroplano accelerò fino alla velocità di decollo, sollevandosi lentamente ed elegantemente dall'autostrada deserta e abbandonando la fattoria... ormai pullulante di mezzi e soldati cinesi. West entrò a grandi passi nella cabina di pilotaggio dell'Halicarnassus. «Non siamo ancora fuori pericolo, capo», disse Sky Monster. «Aerei non identificati in arrivo. Quattro. Sembrano intercettori J9. Versioni cinesi del Mig.» West tornò di corsa nella cabina principale, dove Zoe stava allacciando le cinture di sicurezza dei ragazzi. «Zoe!» gridò. «Ai posti di combattimento.» Pochi secondi dopo, Jack e Zoe sedevano con le cinture allacciate nelle torrette montate sulle ali dell'Halicarnassus. L'aereo era dotato anche di torrette girevoli sotto il ventre e sul tettuccio che Sky Monster poteva controllare dalla cabina di pilotaggio. «Non possono farci saltare in aria, vero?» domandò Sky Monster nell'interfono. «Distruggerebbero la Pietra di Fuoco.» «È fatta quasi tutta d'oro», rispose West. «Resisterebbe a quasi tutto tranne all'incendio dei serbatoi del carburante. Se fossi in loro, abbatterei il nostro aereo e conterei di recuperarla tra i rotta-
mi.» «Fantastico. Stanno arrivando...» Quattro intercettori J-9 cinesi sfrecciarono nel cielo all'inseguimento dell'Halicarnassus, ruggendo sopra il deserto e lanciando missili. Dalle ali dei caccia partirono quattro piccoli dardi aerei, seguiti da spiraleggianti code di fumo. «Lanciare le contromisure!» ordinò West. «Lancio contromisure!» riferì Sky Monster. Premette una serie di pulsanti e in un attimo dal ventre dell'Halicarnassus furono sganciate numerose bombe di paglia antiradar. Tre dei missili abboccarono ed esplosero senza danno contro i falsi bersagli. West centrò il quarto e ultimo, disintegrandolo con un colpo di cannone. «Sky Monster! Preparati all'azione! Rawson's Canyon. Gettiamo l'amo e speriamo che Super Betty funzioni ancora. Dai! Dai! Dai!» Con una virata, l'Halicarnassus scese in picchiata e sfrecciò sopra il vasto deserto. Due degli intercettori si lanciarono all'inseguimento, gli altri due rimasero in quota. L'Halicarnassus raggiunse un territorio pieno di canyon, un vasto e arido altopiano fiancheggiato da basse mesas e colline. S'infilò a tutta velocità nel Rawson's Canyon, un canalone lungo e stretto che terminava in un'angusta gola tra due mesas. Tecnicamente, tutto quel territorio era zona militare, ma nessuno a parte Jack West Jr. metteva piede da quelle parti da anni. L'Halicarnassus sfrecciò a bassa quota tra le due mesas, a poco più di trenta metri dal suolo, tallonato dai due intercettori cinesi. I caccia aprirono il fuoco. Jack e Zoe risposero sparando a raffica dalle torrette girevoli. I proiettili traccianti sfrigolavano nell'aria tra gli inseguiti e gli inseguitori, il paesaggio poco più di una macchia sfocata che sfrecciava follemente. Poi Zoe prese bene la mira e martellò l'intercettore a sinistra con
una raffica di traccianti che finirono dritto nelle prese d'aria. Il caccia sobbalzò all'istante, eruttando fumo nero, prima di rollare pericolosamente a sinistra, espellere il seggiolino eiettabile e schiantarsi a ottocento chilometri all'ora contro la parete del canyon. Il caccia rimanente seguitava a sparare, ma Sky Monster continuava a virare di qua e di là tra i confini angusti del canyon, in mezzo a una gragnola di proiettili che sfioravano sfrigolando il velocissimo aereo nero, scalfendone le estremità alari senza colpire niente di vitale. Poi l'Halicarnassus arrivò in fondo al canalone e infilò come un razzo la strettissima uscita, proprio quando Jack gridò: «Sky Monster! Fa' saltare Super Betty! Ora!» E con un colpo secco Sky Monster fece scattare un interruttore sulla console di comando con la scritta LANCIO SUP BET. Dietro di lui, trenta metri più giù, il solenoide piazzato su un potente esplosivo che era rimasto indisturbato sul suolo desertico per molti mesi scattò. Era una grossa carica di RDX, che si basava sul principio della Bouncing Betty, una mina terrestre «a balzo». Una volta innescata, provocava un'esplosione preliminare che faceva balzare la bomba principale a circa trenta metri d'altezza. Tre secondi dopo, la carica principale esplose, proprio come una Bouncing Betty, ma molto più grande. Come un aereo. Pieno di shrapnel. La Super Betty. Un'enorme carica esplosiva a forma di stella detonò nell'aria sulla scia dell'Halicarnassus in fuga, proprio sulla traiettoria del secondo intercettore lanciato a tutta velocità. Pallette di shrapnel investirono in pieno il caccia, colpendo il tettuccio, conficcandosi nel vetro rinforzato, incrinandolo con un centinaio di ragnatele. Altre pallette s'infilarono nelle prese d'aria dell'intercettore, devastando le parti interne dell'aereo.
All'espulsione del pilota seguì l'esplosione del caccia, che si disintegrò in una spettacolare palla di fuoco. «Non davo una controllata a Betty da mesi», disse West. «Meno male che funzionava ancora.» E con ciò l'Halicarnassus s'impennò nel cielo. Dove lo attendevano gli ultimi due intercettori. Ormai Sky Monster li aveva portati a nord-ovest, verso la costa e, quando l'Halicarnassus lasciò l'Australia e sfrecciò sopra l'oceano Indiano, i due intercettori lo attaccarono. Con missili, cannoni: con tutto quel che avevano. West e Zoe risposero al fuoco con altrettanta violenza finché Jack non centrò un caccia con un colpo di cannone e... non rimase a secco. «Il cannone di destra è andato!» gridò nell'interfono. «A te come va, Zoe?» «Ho ancora qualche colpo», rispose lei mentre sparava all'intercettore. «Ma non molti... merda! Li ho finiti anch'io!» Avevano esaurito le munizioni e c'era ancora un caccia nemico. «Oh, Cacciatore...!» fece Sky Monster in ansiosa attesa. «E ora che facciamo, lanciamo sassi?» Jack fissò l'ultimo inseguitore: il caccia volava dietro di loro, aspettando, studiando, arretrando un po', come se percepisse che c'era qualcosa che non andava. «Merda. Merda, merda, merda», imprecò a denti stretti. Slacciò la cintura del sedile della torretta e tornò di corsa nella cabina principale, cercando in fretta una soluzione. E gli balenò un'idea. Accese la radio della cuffia auricolare. «Sky Monster. Portaci in verticale. Più che puoi.» «Cosa? Che hai in mente?» «Vado nella stiva di dietro.» Sky Monster tirò la barra di comando e l'Halicarnassus s'im-
pennò nel cielo. Sempre più su... Con una cabrata, l'intercettore si lanciò all'inseguimento. Nonostante l'inclinazione dell'aereo, Jack raggiunse barcollando la stiva, agganciò una corda di sicurezza al suo cinturone e infine aprì la rampa di carico posteriore. Nella stiva entrò ululando il vento e fuori del portello Jack vide l'intercettore subito dietro e sotto di loro, incorniciato dall'oceano turchino. Aprì il fuoco. Proiettili traccianti entrarono sfrigolando nella stiva, schiantandosi con un tonfo contro le travi d'acciaio che circondavano Jack proprio quando questi diede un calcio a una leva di bloccaggio, la leva che teneva ferma la sua dune buggy. La rete di ancoraggio a molla si ritrasse all'istante con uno schiocco e il veicolo rotolò giù, precipitando nel vuoto. Visto dall'esterno, doveva sembrare davvero molto strano. L'Halicarnassus che volava in verticale inseguito dall'intercettore, con la dune buggy che cadeva d'improvviso dal 747 e... ... sfiorava il caccia cinese. L'intercettore virò all'ultimo momento, levandosi di mezzo. Il pilota sogghignò, fiero dei propri riflessi. Riflessi che, tuttavia, non furono tanto pronti da evitare o schivare la seconda dune buggy che precipitò fuori dalla stiva dell'Halicarnassus un secondo dopo! Il secondo veicolo colpì in pieno il muso del caccia, che precipitò nell'oceano, catapultando il pilota un attimo prima che l'intercettore e la dune buggy si schiantassero nell'acqua con due tonfi spettacolari. Nel cielo, l'Halicarnassus si raddrizzò, ritrasse la rampa e si diresse a nord-ovest, mettendosi in salvo. «Cacciatore», giunse la voce di Sky Monster dall'interfono. «E
ora dove si va?» Nella stiva, a Jack tornò alla mente il messaggio di Merlino: VEDIAMOCI PRIMA POSSIBILE ALLA GRANDE TORRE. Accese l'interfono. «Dubai, Sky Monster. Fa' rotta per Dubai.» * Nella fattoria di West, i soldati cinesi piantonavano ogni cancello. I due maggiori, Black Dragon e Sciabola, attesero sulla veranda che un elicottero atterrasse sulla piazzola per la svolta davanti a loro. Dall'elicottero scesero due persone, un americano più maturo oscurato dalla sua guardia del corpo, un marine sui vent'anni di origini asio-americane. L'uomo più maturo salì sulla veranda con aria disinvolta, senza essere controllato dalle guardie. Nessuno osò fermarlo. Sapevano tutti chi era e il notevole potere che esercitava. Era un uomo del Pentagono, un colonnello americano sulla sessantina, in forma, molto in forma, con un torace a botte e occhi azzurri gelidi come il ghiaccio. Per postura e portamento, sarebbe potuto passare per Jack West vent'anni dopo. Il marine che gli faceva da guardia del corpo, sempre all'erta, era conosciuto col nome in codice di Katana. Sembrava un cane d'attacco umano. Black Dragon accolse l'uomo più anziano con un inchino. «Signore», disse il maggiore cinese. «Sono fuggiti. Abbiamo portato una forza enorme ed eseguito gli atterraggi alla perfezione. Ma erano, be', erano...» «Preparati», finì l'uomo più anziano. «Erano preparati a questa eventualità.» Passò davanti ai due maggiori ed entrò nella fattoria. Si aggirò senza fretta nella casa abbandonata di West, studiando-
la, fermandosi ogni tanto a esaminare attentamente qualche cianfrusaglia: una fotografia incorniciata, appesa alla parete, di West con Lily e Zoe a un parco acquatico; un trofeo di danza vinto da Lily su una mensola. Si soffermò più a lungo su una foto della Grande Piramide di Giza. Black Dragon, Sciabola e la guardia del corpo, Katana, lo seguivano a debita distanza, attendendo con pazienza suoi eventuali ordini. L'uomo più avanti con gli anni prese la foto di West, Lily e Zoe al parco acquatico. I tre avevano un'espressione felice, sorridevano davanti all'obiettivo, sotto il sole. «Bene, Jack...» disse l'anziano colonnello, fissando la fotografia. «Stavolta mi sei sfuggito. Diffidi ancora del mondo al punto di avere un piano di fuga. Ma stai perdendo colpi. Ci hai scoperto tardi e lo sai.» Fissò i volti raggianti nella foto e storse la bocca in un ringhio. «Oh, Jack, hai imparato ad apprezzare i piaceri della casa; hai trovato persino la felicità. È questo il tuo punto debole. Sarà la tua rovina.» Mollò la cornice, che cadde sul pavimento andando a pezzi, e poi si voltò verso i due maggiori: «Black Dragon. Chiami il colonnello Mao. Lo informi che non abbiamo ancora recuperato la Pietra di Fuoco, ma che ciò non deve impedirgli di portare avanti la sua parte del piano. Gli comunichi di cominciare l'interrogatorio del professor Epper, senza pietà». «Agli ordini.» Con un inchino, Black Dragon si allontanò qualche passo per parlare nel suo telefono satellitare. Sotto lo sguardo dell'uomo più anziano. Dopo un minuto circa, Black Dragon chiuse la comunicazione e ritornò. «Il colonnello Mao le manda i suoi saluti e la informa che eseguirà i suoi ordini.» «Grazie», disse l'altro. «Ora, se non le spiace, Black Dragon, si spari alla testa.» «Cosa?» «Si spari alla testa. Jack West è fuggito a causa del suo malde-
stro attacco. Vi ha visto arrivare e così ha tagliato la corda. Non posso tollerare fallimenti in questa missione. È colpa sua e ora pagherà con la vita.» Black Dragon balbettò. «Non... non posso farlo...» «Sciabola», tuonò l'uomo più anziano. Veloce come un fulmine, l'energumeno di nome Sciabola tirò fuori la pistola e sparò alla tempia del maggiore cinese, che cacciò fuori uno schizzo di sangue. Black Dragon cadde come un sacco sul pavimento del soggiorno di Jack West, senza vita. Il colonnello americano non batté ciglio. Si girò con aria indifferente. «Grazie, Sciabola. Ora chiami i nostri a Diego Garcia. Li informi di mettere sotto sorveglianza satellitare l'intero emisfero australe. L'obiettivo è un contatto aereo, un Boeing 747, nero con un profilo stealth. Utilizzi tutte le impronte aeree per individuarlo: transponder, scia di condensazione, infrarossi, tutto quanto. Trovi quell'aereo. E, quando lo avrà fatto, me lo comunichi. Non vedo l'ora che il capitano West riveda il suo amico giamaicano.» «Sissignore.» Sciabola uscì di corsa. «Katana», aggiunse l'anziano colonnello rivolgendosi alla sua guardia del corpo. «Mi lasci solo un momento, prego.» Con un cenno deferente del capo, il marine asio-americano lasciò la stanza. Rimasto solo nel soggiorno della fattoria di West, l'uomo tirò fuori il suo telefono satellitare e compose un numero. «Signore. Sono Wolf. Hanno la Pietra di Fuoco e stanno fuggendo.» * Mentre tutto ciò accadeva in Australia, altre cose stavano succedendo in giro per il mondo. A Dubai, un pilota di aereo da carico americano di mezza età che aveva passato la notte nella città del golfo fu barbaramente
strangolato nella sua camera d'albergo. Lottò contro i suoi tre aggressori, annaspando e tirando calci e pugni, ma inutilmente. Quando fu morto, uno dei suoi aggressori digitò un numero di cellulare. «Il pilota è pronto.» Rispose una voce. «West è in viaggio. Continueremo a tenerlo d'occhio, e vi comunicheremo quando entrare in azione.» Il pilota morto si chiamava Earl McShane, di Fort Worth, Texas, un trasportatore della TransAtlantic Air Freight. Non era un tipo particolarmente degno di nota: forse la cosa più importante che aveva fatto nella vita fu dopo l'11 Settembre, quando aveva scritto al quotidiano locale denunciando «gli sporchi musulmani che avevano fatto questo» e reclamando vendetta. Nello stesso momento, nell'agreste Irlanda - a County Kerry, per la precisione - un'unità speciale di dodici uomini nerovestiti stava muovendo su una fattoria isolata. Nel giro di sette minuti era tutto finito. Erano riusciti nel loro scopo. Tutte e sei le guardie della fattoria erano state eliminate e tra gli aggressori che lasciarono la fattoria annerita c'era un bambino di undici anni di nome Alexander. Dal canto suo, l'Halicarnassus sfrecciava sopra l'oceano Indiano, alla volta del golfo Persico. Ma non volò lì direttamente. Seguì una rotta tortuosa comprendente uno scalo per la notte in un campo d'aviazione abbandonato in Sri Lanka, nell'eventualità che i cinesi avessero previsto la loro rotta di salvataggio. Ciò significava che giunsero a Dubai col buio, a tarda sera del 2 dicembre. A bordo dell'Halicarnassus era tutto tranquillo. Erano accese solo un paio di luci. I due bambini dormivano nelle cuccette di bordo, Zoe si era appisolata su un divano nella cabina principale e
Sky Monster era nella cabina di pilotaggio, intento a fissare le stelle, il volto illuminato dai quadranti della strumentazione. In uno studio nella coda dell'aereo, tuttavia, una luce era accesa. La luce dell'ufficio di Jack West. Da quando erano decollati da Sri Lanka - la prima volta che si era sentito veramente in salvo - West aveva letto con attenzione i documenti della cartella nera che aveva preso poco prima di abbandonare la fattoria: un vecchio raccoglitore nero pieno zeppo di appunti, ritagli, grafici e fotocopie. Era il «libro nero» di Merlino, quello che il vecchio professore gli aveva ordinato di prendere. Durante la lettura, gli occhi di West si spalancarono dallo stupore. «Oh, mio Dio, Merlino. Perché non me l'hai detto? Oh... mio... Dio...» UN INCONTRO FRA NAZIONI
DUBAI, EMIRATI ARABI UNITI 2 DICEMBRE 2007 OTTO GIORNI PRIMA DELLA PRIMA SCADENZA TORRE BURJ AL ARAB, DUBAI, EMIRATI ARABI UNITI, 2 DICEMBRE 2007, ORE 23.30
Il Burj al Arab è uno degli edifici più spettacolari al mondo. A forma di gigantesco spinnaker, è un'opera stupefacente sotto quasi ogni aspetto. Alto ottantasei piani, ospita l'unico hotel a sette stelle al mondo. All'ottantesimo piano, sporge - da sotto un ristorante girevole - un eliporto che è stato praticamente progettato per scattare fotografie. Una volta il campione di golf Tiger Woods ha giocato alcuni colpi su quella piattaforma, e Andre Agassi e Roger Federer hanno giocato a tennis. È la struttura più nota della nazione araba più moderna al mondo, gli Emirati Arabi Uniti. Una grande torre, direbbe qualcuno. La grande torre, direbbe Merlino. Poco dopo l'arrivo a Dubai - l'Halicarnassus era atterrato in un aeroporto militare - West e il suo gruppo erano stati portati in elicottero al Burj al Arab, dove furono alloggiati niente meno che nella suite presidenziale, un vasto ed elegante complesso di camere da letto, salotti e saloni che occupava tutto il settantanovesimo piano. Il trattamento regale non era senza motivo. Gli Emirati avevano partecipato come soci alla prima missione del Vertice Aureo, una missione che aveva visto una coalizione di piccole nazioni sfidare la potenza degli Stati Uniti e dell'Europa, e avere la meglio. Uno dei membri più eroici della squadra di West in quella missione era stato il secondogenito di uno degli sceicchi più anziani degli Emirati, lo sceicco Anzar al Abbas. West, Zoe, Sky Monster e, soprattutto, Lily erano ospiti sempre graditi a Dubai. Inutile a dirsi, Alby fu molto colpito. «Oh...» fece ammirando lo stupefacente panorama dalle vetrate. Lily si limitò ad alzare le spalle. Era già stata lì. «Io prenoto il letto a due piazze!» gridò, correndo in una camera da letto. Il campanello della porta suonò, benché fosse quasi mezzanotte.
West aprì la porta... E vide lo sceicco Anzar al Abbas e il suo seguito. Con la barba folta, il ventre pronunciato, la pelle olivastra profondamente segnata dagli anni, e paludato in un tradizionale caffetano e copricapo arabo, l'anziano e regale sceicco sembrava uscito direttamente da Lawrence d'Arabia. «L'ora è tarda e il capitano Jack West Jr. arriva precipitosamente», esordì Abbas con voce profonda. «Ho un brutto presentimento.» West annuì, scuro in volto. «Grazie di nuovo per l'ospitalità, signor sceicco. Entri, prego!» Abbas entrò, il caffetano ondeggiante, seguito dai suoi sei assistenti. «Vi porto i saluti di mio figlio Zahir. Adesso lavora come capo istruttore nel nostro centro di addestramento per le unità speciali nel deserto, insegnando ai nostri combattenti migliori molte delle strategie che ha appreso da lei. Mi ha pregato di informarvi che arriverà il più presto possibile.» West camminò con lo sceicco. «Temo che la situazione sia seria, molto più seria di quanto sia mai stata. Una volta ci siamo alleati per combattere contro le brame di uomini egoisti, ora, se le ricerche di Merlino sono corrette, dobbiamo affrontare una minaccia di gran lunga più sinistra. Merlino non è ancora arrivato, ma immagino che ci darà ulteriori chiarimenti quando sarà qui.» Negli occhi di Abbas guizzò un lampo. «Non lo sa?» «Cosa?» «Quello che è capitato a Max Epper, Merlino.» West s'irrigidì. «Cos'è successo?» «Lo abbiamo captato da una conversazione radiosatellitare cinese la notte scorsa. Merlino è stato arrestato ventiquattro ore fa dalle forze cinesi poco lontano dalla diga delle Tre Gole. Temo che non arriverà qui molto presto.» West riuscì solo a sbarrare gli occhi. «Merlino ha lasciato questo fascicolo a casa mia», disse West,
dopo essersi accomodato con lo sceicco in uno dei salotti della suite. Erano presenti anche Zoe e Sky Monster, oltre a Lily e a un Alby piuttosto confuso. Cosa significativa, il seguito dello sceicco Abbas era stato lasciato in un'altra stanza. «Nel fascicolo sono riassunte le ricerche che ha svolto su una serie di sei pietre dette le 'Pietre di Ramses' e il rapporto che hanno con sei blocchi rettangolari noti come i Pilastri del Mondo o, talvolta, i Pilastri di Visnu.» «Visnu?» fece eco Abbas, riconoscendo la parola. «Come in...» «Sì», confermò West. «Come in 'Sono Visnu, il Distruttore del Mondo'. Merlino ha dedicato tutta la vita allo studio delle Pietre di Ramses. La missione, durata dieci anni, tesa a individuare le Sette Meraviglie del Mondo Antico e, grazie a queste, il Vertice Aureo, non era che una missione secondaria per lui. È questo lo studio che ha consumato tutta la sua vita. «E ora è stato arrestato in Cina nello stesso momento in cui le forze cinesi attaccavano la mia fattoria, apparentemente segreta, in Australia. I cinesi sanno. Del suo lavoro e che abbiamo la Pietra di Fuoco, la punta del Vertice Aureo.» Abbas aggrottò le sopracciglia. «Il Vertice ha un'importanza maggiore? Oltre all'Evento del Tartarus?» «Da ciò che ho letto la notte scorsa, ne ha molta più di quanto possiamo immaginare», rispose West. «Il raggio di sole che ha colpito il Vertice durante la Rotazione del Tartarus era solo l'inizio.» A quel punto West parve chiudersi in se stesso, assorto nei pensieri. Alla fine disse: «Mi serve più tempo per esaminare il lavoro di Merlino e fare alcune telefonate. Dopodiché dovremo convocare un incontro. Un nuovo incontro fra nazioni interessate. Mi dia un giorno per studiare tutto questo e poi vediamoci qui per quello che potrebbe essere l'incontro più importante della storia dell'umanità».
* West dedicò tutto il giorno seguente a leggere e passare in rassegna i voluminosi appunti di Merlino. Gli scritti di Epper erano disseminati di nomi. West ne conosceva alcuni, altri no. Tank Tanaka, per esempio, lo conosceva. Tank era un collega giapponese di vecchia data di Merlino; West lo aveva incontrato in numerose occasioni. Altri li conosceva appena, come «i Terribili Gemelli», Lachlan e Julius Adamson, due geni della matematica scozzesi di cui Merlino era stato insegnante a Dublino. Persuasivi, esuberanti e molto amati dal professore, i gemelli funzionavano come un solo cervello e in coppia formavano, si sarebbe potuto dire, la forza matematica non computerizzata più formidabile del mondo. Nel tempo libero si divertivano a sbancare i tavoli di blackjack dei casinò di Las Vegas semplicemente utilizzando la «scienza dei numeri». Un riepilogo preparato da Merlino richiese quasi tutta l'attenzione di West. Era praticamente una rappresentazione dei pensieri di Epper, un insieme di grafici, elenchi e postille scritte a mano dal vecchio professore.
West riconobbe alcuni dei termini presenti sul riepilogo, come Sa-Benben e Abydos. Abydos era un sito archeologico egiziano poco conosciuto ma immensamente importante. Era stato sacro agli antichi egizi dai primordi sino alla fine della loro civiltà, abbracciando circa tremila anni. Vi sorgevano templi di Seti I e di suo figlio, Ramses II, e ospitava alcuni dei primi santuari d'Egitto. Jack aveva già visto anche il Mistero dei Cerchi, ma non aveva idea di che cosa significasse. Altre cose, tuttavia, gli risultavano del tutto nuove. La «Grande Macchina». I Sei Pilastri. Che potessero essere diamanti grezzi di forma allungata era sicuramente interessante.
Gli oscuri riferimenti alle uova Fabergé e all'immersione titanica in fondo alla pagina... be', lo gettavano nella completa confusione. Nonché, naturalmente, gli strani grafici sparsi qua e là. Usando il riepilogo come punto di riferimento, proseguì la lettura. Tra gli appunti di Merlino trovò alcune foto digitali d'iscrizioni nella pietra in una lingua che non vedeva dai tempi della missione delle Sette Meraviglie. Era una lingua conosciuta come la «Parola di Thoth», dal nome del dio egizio della sapienza. Misteriosa e indecifrabile, era una lingua che sfuggiva a ogni tentativo di traduzione, persino da parte dei computer più moderni. Si era spesso creduto che nei suoi tratti di tipo cuneiforme fosse custodita una conoscenza magica segreta. Storicamente, una sola persona al mondo sapeva leggerla: l'Oracolo dell'Oasi di Siwa in Egitto. Quella persona, dotata a quanto pareva di poteri magici, era nata con la facoltà di leggere la Parola di Thoth. Una lunga stirpe di Oracoli si era succeduta fino all'epoca attuale e, sebbene i suoi insegnanti e amici lo ignorassero, Lily era una di loro. Era la figlia dell'Oracolo di Siwa, un uomo perfido e viziato che era morto poco dopo la sua nascita. Fatto molto singolare per un Oracolo, tuttavia, Lily aveva un gemello. Come Jack aveva scoperto durante la missione del Vertice Aureo, la bambina aveva un fratello di nome Alexander - antipatico e viziato come suo padre - anche lui capace di leggere la Parola di Thoth. Dopo la missione, Alexander era stato portato di nascosto a County Kerry, in Irlanda, dove faceva una vita tranquilla. Jack fece tradurre da Lily molte delle iscrizioni in Thoth degli appunti di Merlino. Erano quasi tutte prive di senso per lui, ma alcune erano a dir poco strane: un'iscrizione in Thoth, per esempio, affermava che l'antica città mesopotamica di Ur, famosa per la sua
enorme ziggurat, era una copia esatta del «Secondo Grande Tempio-Santuario» o qualunque cosa fosse. Jack mostrò a Lily anche un'importante iscrizione nella Parola di Thoth che aveva trovato negli appunti di Merlino:
Lily esaminò la complessa serie di simboli e alzò le spalle. «Dice: Con la mia amata, Nefertari, io, Ramses, figlio di Ra, sorveglio il più sacro dei santuari. In eterno noi lo sorveglieremo. Grandi sentinelle, col nostro terzo occhio, noi tutto vediamo.» «Col nostro terzo occhio?» ripeté Jack corrugando la fronte. «Dice così.» «Nefertari era la moglie preferita di Ramses II», osservò Jack. «E insieme sorvegliano il santuario più sacro, qualunque cosa sia. Grazie, piccola.» Lily sorrise. Adorava quando lui la chiamava così. Quella sera, sul tardi, l'antiporta della suite presidenziale si aprì e Lily corse tra le braccia di un uomo che stava sulla soglia. «Orsacchiotto! Orsacchiotto! Sei venuto!» L'uomo era una versione più bassa e giovane dello sceicco Abbas. Era il secondogenito del grande sceicco, Zahir al Anzar al Abbas, nome in codice «Saladino», ma ribattezzato «Orsacchiot-
to» da Lily. Basso, grassoccio e barbuto, aveva una voce grande come il suo cuore, un cuore davvero grande. Lo accompagnava un uomo più alto e più magro, dal viso ossuto: un tiratore scelto un tempo conosciuto come «Arciere», e ora come «Spilungone», come era stato ribattezzato da Lily. Israeliano di nascita, Spilungone era stato un membro del Mossad, ma, in seguito a un certo... scontro... con l'agenzia durante la caccia al Vertice Aureo, era divenuto una persona non gradita in Israele. Infatti, era noto che il Mossad gli aveva messo una taglia sulla testa per quel che aveva fatto in quel periodo. Scambiò i saluti con Zoe, Sky Monster e, quando riuscirono a stanarlo dal suo studio, con West. Lily disse a Orsacchiotto: «E questo è il mio amico Alby. È un genio della matematica e del computer». «Piacere di conoscerti, Alby», disse Orsacchiotto con voce tonante. «Spero che le tue intenzioni con la mia piccola Lily siano pure. No, mettiamola nell'altro modo: se le spezzi il cuore, ragazzo, t'inseguirò fino in capo al mondo.» Alby deglutì. «Siamo solo amici.» Orsacchiotto sorrise, strizzando l'occhio a Lily. «Allora, giovane Alby, parteciperai alla nostra impresa?» Lily rispose: «I genitori di Alby sono in Sud America in questo momento e non sono raggiungibili col telefono. Alby doveva stare con noi alla fattoria. Ora credo che verrà con noi ovunque andremo». «Allora, Cacciatore!» esclamò Orsacchiotto. «Che cos'è che ti affligge stavolta?» «Potrebbe essere peggio di quanto credi, Orsacchiotto. Molto peggio. Il Tartarus è stato neutralizzato, e c'è gente pronta a tutto pur di mettere le grinfie sulla Pietra di Fuoco. Ce la siamo vista brutta.» «Vi hanno scovati in Australia?» «Sì. Ho indetto una riunione, per rimettere insieme la squadra originale. Capellone è l'ultimo. Sta arrivando dalla Giamaica.»
«E Merlino?» «È fuori gioco per ora, ma mi ha inviato abbastanza informazioni per cominciare. Con l'aiuto di Lily sono riuscito a decifrare alcune delle sue scoperte recenti.» Orsacchiotto volse gli occhi su Lily. «Davvero? Quante ne conosci ora, piccola?» «Cinque, più la lingua dei segni.» «Brava», fece lui. «Non smettere mai di imparare. Non smettere mai di affinare il tuo talento.» Orsacchiotto volse di nuovo lo sguardo verso West, scuro in volto. «Ho un messaggio da parte di mio Padre. Alla riunione di domani saranno presenti alcuni altri Paesi. Diversi dai sette originali. La notizia è trapelata, a quanto pare.» West corrugò la fronte. Le cose stavano correndo troppo, a un ritmo che sfuggiva al suo controllo. Era come se stesse ancora cercando di riprendersi. Tirò fuori diverse copie di un sunto di cinque pagine che aveva trovato in mezzo agli appunti di Merlino e le allungò agli altri. «Questo è un sunto che consegnerò a tutti alla riunione di domani. Riguarda il lavoro di Merlino. Leggetelo in anticipo. Così vi stupirà di meno.» E poi, abbracciandoli tutti con lo sguardo - tutti i suoi amici, amici che avevano stabilito un forte legame nel corso di una missione lunga, difficile e apparentemente impossibile -, sorrise. «Sono contento che siamo di nuovo tutti insieme.» LA RIUNIONE, TORRE BURJ AL ARAB, 4 DICEMBRE 2007 L'indomani, a mano a mano che arrivavano nella suite presidenziale, alle delegazioni fu consegnata l'informativa di cinque pagine. Era un gruppo bizzarro di rappresentanti nazionali.
Delle sette nazioni originali che avevano finanziato la prima missione di West per trovare il Vertice Aureo, ne erano presenti solo quattro ora: Australia (West), Irlanda (Zoe), Emirati Arabi Uniti (Orsacchiotto) e Nuova Zelanda (Sky Monster). Merlino, in rappresentanza del Canada, era disperso in Cina. Avendo perso un uomo durante la prima missione, la Spagna non aveva accettato di inviare un altro delegato a quell'incontro. E l'inviato della Giamaica, Capellone, non era ancora arrivato. Stranamente. «Stiamo ancora aspettando Capellone e pochi altri», annunciò West. «Pertanto, nell'attesa, prendete conoscenza dell'informativa, prego.» Così fecero. L'informativa era intitolata: Le Sei Pietre di Ramses e i Pilastri del Mondo. LE SEI PIETRE DI RAMSES E I PILASTRI DEL MONDO del prof. Max T. Epper Trinity College, Università di Dublino
Il Mistero dei Cerchi La fine del mondo preoccupa l'umanità fin dalla notte dei tempi. Per gli indù, Visnu distruggerà la terra. I cristiani temono l'apo-
calisse profetizzata nell'ultimo libro della Bibbia. Niente di meno che san Pietro in persona scrisse: «La fine di tutte le cose è vicina». Temo sia molto più vicina di quanto pensiamo. Il matrimonio fra la luce e l'oscurità Il nostro piccolo pianeta non è nel nulla. Esiste insieme col sole e con gli altri pianeti del nostro sistema solare. Certe civiltà antiche conoscevano questi rapporti: i maya, gli aztechi, gli egizi, nonché le popolazioni neolitiche della Britannia; tutte queste vedevano configurazioni nel cielo notturno. E, come ho scoperto io stesso durante l'Evento del Tartarus del 2006, la terra è direttamente collegata col nostro sole. Il sole dà la vita. Fornisce la luce che attiva la fotosintesi e la temperatura moderata che permette ai nostri fragili corpi di vivere senza che il sangue si ghiacci o bolla nelle vene. Questa, tuttavia, è una situazione più delicata di quanto ci rendiamo conto. Per parafrasare il filosofo cinese Lao Tse, nulla esiste di per sé. Perché ci sia vita, ci deve essere equilibrio. L'equilibrio comporta l'esistenza armoniosa di due elementi, di quella che i filosofi chiamano «dualità». Ma non solo devono esserci due cose di tutto - uomo, donna; caldo, freddo; luce, oscurità; bene, male - ma dentro il bene deve esserci un po' di male, così come dentro il male deve esserci un po' di bene. Questo concetto non è stato mai illustrato meglio che nel famoso Taijitu, lo Yin-Yang. Perciò che cosa significa questo concetto di dualità nel contesto del nostro sistema solare? Significa che: Il nostro sole non esiste di per sé. Ha un gemello, un opposto, un corpo invisibile di materia oscura noto come «campo del punto zero». Questo campo sferico vaga
nelle regioni esterne del nostro sistema solare come un buco nero itinerante, e più che possedere un'energia negativa è del tutto privo di energia. Assorbe la luce ed è indescrivibilmente gelido. Scinde l'ossigeno a livello molecolare. In sintesi, è un tipo di energia che è la nemesi della vita così come la conosciamo. E, se questo campo del punto zero - questo Sole Nero, se preferite - dovesse mai passare nel nostro sistema solare, distruggerebbe tutta la vita sulla terra. Osservate la figura all'inizio di questo articolo. È un'incisione rinvenuta in ogni angolo del mondo, da Abu Simbel in Egitto a Newgrange in Irlanda, fino al Perù in Sud America. Si chiama il «Mistero dei Cerchi». Una rapida occhiata porta l'osservatore a concludere che rappresenta il nostro sistema solare, col sole al centro e coi nove pianeti che orbitano intorno a esso. Non esattamente. Se osservate bene, noterete che il Mistero dei Cerchi contiene dieci pianeti in orbita intorno al sole. Presenta anche - alquanto misteriosamente - uno strano corpo nero all'esterno delle orbite dei dieci pianeti, pari al sole centrale per dimensioni. È mia convinzione che il Mistero dei Cerchi sia in effetti una rappresentazione del nostro sistema solare, ma non come lo conosciamo oggi. È una rappresentazione del nostro sistema solare com'era tanto tempo fa. Trascurate i pianeti per un momento e fissate gli occhi sul corpo nero che si trova all'esterno dei cerchi. Dev'essere questo il centro della nostra indagine. Perché rappresenta il gemello oscuro del nostro sole, che ora si sta avvicinando, portando con sé la nostra distruzione. La Macchina Ma è stato progettato un meccanismo per prevenire la nostra distruzione.
Purtroppo la conoscenza indispensabile per la nostra salvezza per il funzionamento di questa «Macchina» -, che era nota agli antichi, è andata perduta da tanto tempo tra guerre, secoli bui, cacce alle streghe e olocausti. Ciò nonostante, i grandi della storia hanno conservato frammenti di questa conoscenza: Lao Tse e il suo famoso allievo, Confucio; Ramses II, il potente faraone, e il suo sacerdote-architetto Imhotep II; Cleopatra VII, la sventurata regina d'Egitto; re Pakal, il grande sovrano maya; e, in epoca più recente, Isaac Newton, nella sua ossessiva ricerca dei segreti dell'alchimia. In tutti i loro scritti c'è un elemento comune. La Macchina è sempre rappresentata da questo simbolo:
Il vero significato di questa figura resta tuttavia vago. Le Sei Pietre di Ramses Di tutti questi straordinari personaggi che sapevano di tale Macchina, è stato Ramses II - il più grande dei faraoni, più grande anche di Cheope, architetto della Grande Piramide - a lasciarci la maggior parte delle informazioni e a trovare in verità la chiave per risolvere il mistero. La Sei Pietre Sacre. Sei pietre che, in suo onore, oggi chiamiamo le «Pietre di Ramses». Sono: 1. La Pietra Filosofale 2. L'Altare del Gemello Oscuro del Tempio di Ra (Stonehenge) 3. Le Tavole Gemelle di Thutmoses
4. La Pietra Sacrificale dei maya 5. La Pietra Veggente della Tribù Meridionale (Delfi) 6. Il Bacile di Ramses II Nel suo tempio di Abydos, in un angolo remoto dell'Egitto meridionale - non molto lontano dal famoso elenco di settantasei faraoni inciso nel muro -, Ramses lasciò una tavola che citava le «Sei Pietre Guida del Gemello Oscuro di Ra». Sebbene sia possibile che Ramses abbia visto tutte queste pietre, è improbabile. Si ritiene tuttavia che tutte e sei le pietre si trovassero un tempo in Egitto, comprese quelle di Stonehenge e dei maya. In ogni caso, sembra che Ramses possedesse una conoscenza avanzata di questi manufatti e che di tutti i faraoni soltanto lui l'abbia messa per iscritto. Queste Pietre Guida, scrisse, una volta «pervase dal Sa-Benben» avrebbero fornito «la conoscenza necessaria» quando «il Gemello Oscuro di Ra fosse tornato per compiere la propria vendetta sul mondo». Come si può immaginare, questo ha confuso gli egittologi per molti anni. Ra era il sole. Chi o cosa era allora il Gemello Oscuro di Ra? Un altro sole? C'è voluta l'ingegnosità tecnologica dell'astronomia moderna per scoprirlo: il Sole Nero che si sta avvicinando ora al nostro sistema solare. Che cosa fanno dunque le Sei Pietre di Ramses? Perché Ramses le chiamò «Pietre Guida»? Semplice: ci guidano alla Macchina. E la Macchina salva il nostro pianeta. Credevamo che i nostri guai fossero finiti quando montammo il Vertice Aureo sulla cima della Grande Piramide, ma ci sbagliavamo, stavamo soltanto completando un requisito indispensabile per questo, l'evento principale: abbiamo «caricato» il Sa-Benben. E perciò ora il Sa-Benben è stato caricato dal sole ed è pronto a interagire con le Sei Pietre. È mia convinzione che, quando il Sa-
Benben entrerà in contatto con ciascuna Pietra Sacra, quella pietra fornirà elementi unici per comprendere l'arrivo del Sole Nero e il funzionamento della Macchina che salva la terra. La fine di tutte le cose è vicina. Ma la partita non è ancora chiusa. * Una porta sbatté con un forte colpo e i delegati in riunione alzarono gli occhi dai fogli. «Ah-ha! Ecco mio figlio!» Lo sceicco Abbas saltò in piedi e abbracciò l'attraente giovane che era entrato nella sala. Era il capitano Rashid Abbas, comandante del primo reggimento militare degli Emirati Arabi Uniti. Primogenito dello sceicco, era un uomo di straordinaria bellezza: la mascella ben cesellata, la pelle scura orientale e gli occhi turchini. Il nome in codice era altisonante: «La Scimitarra di Allah», o «Scimitarra» per brevità. «Padre», disse abbracciando Abbas con affetto. «Scusa il ritardo, stavo aspettando il mio amico qui con me.» Scimitarra indicò il suo compagno, che era entrato nel salone in modo quasi invisibile, eclissato dalla presenza luminosa di Scimitarra. Era un tipo fine e preciso, con la testa calva e un lungo naso da topo. Esaminò la sala con un colpo d'occhio, cogliendo ogni dettaglio. Sembrava una faina: nervosa e sospettosa. Scimitarra disse: «Padre, lascia che ti presenti Abdul Rahman al Saud dell'apprezzato servizio segreto reale del Regno dell'Arabia Saudita. Nome in codice: 'Avvoltoio'». Avvoltoio fece allo sceicco Abbas un profondo e lento inchino. Lily prese in antipatia Abdul a prima vista. Il suo inchino era troppo profondo, troppo ossequioso, troppo misurato. Quanto a Scimitarra, lo aveva già visto una o due volte; e adesso come allora notò che Orsacchiotto si ritirò in un angolo della sala all'arrivo del suo attraente fratello maggiore. Lily ebbe l'impressione che la presenza dell'affascinante fratello avesse un chiaro ef-
fetto negativo sul più giovane e corpulento Orsacchiotto. Le fece prendere in antipatia anche Scimitarra. Anche Jack era infastidito, ma per ragioni diverse. Non si aspettava che Scimitarra portasse con sé una spia saudita, il primo degli ospiti non invitati dello sceicco Abbas. «Avvoltoio?» domandò. «L'Avvoltoio Sanguinario della prigione di Abu Ghraib?» Abdul s'irrigidì visibilmente. Così anche Scimitarra. Durante le indagini ufficiali sugli orrori commessi nella famigerata prigione irachena, risultò che gli agenti del servizio segreto saudita avevano compiuto torture che ai soldati americani era stato fatto divieto di imporre. Uno di quegli agenti sauditi aveva compiuto sevizie tanto atroci da guadagnarsi il soprannome di «Avvoltoio Sanguinario». «Ho visitato quella prigione molte volte, capitano West», rispose Avvoltoio con voce grave, guardando Jack dritto negli occhi, «ma non nel periodo in cui sono avvenute quelle atrocità.» «Sono disposto a fare da garante di quest'uomo», interloquì Scimitarra stizzito. «Ne abbiamo passate tante insieme, durante le due guerre del Golfo e tra l'una e l'altra. Le voci su Abu Ghraib sono menzogne senza fondamento. È quasi un fratello per me.» A quelle parole, Lily vide Orsacchiotto chinare gli occhi. Avvoltoio disse: «Porto informazioni che sono sicuro saranno utili a lei e alla sua causa. Per esempio, conosco i piani dei cinesi». Quello attirò l'attenzione di West. «Ah, sì?» Il telefono squillò. Zoe rispose e si rivolse a West. «Jack. Il direttore dell'hotel. Dice che ci sono un paio di persone di sotto che vorrebbero esser ricevute da te. Dice che sono americani.» Di lì a poco, la porta della suite si aprì rivelando due uomini: il primo era un signore alto e brizzolato in abito completo; il secondo era un uomo più giovane in abito borghese che nascondeva a malapena il fisico da militare. Un soldato. Dalla sua poltrona, lo sceicco Abbas riconobbe l'uomo più vec-
chio. «Guarda guarda, attaché Robertson? Che cosa...?» Jack rimase tra i due americani e i rappresentanti in riunione impedendo il passaggio. «Presentatevi. Subito.» Il più anziano non batté ciglio. «Capitano West, mi chiamo Paul Robertson, attaché speciale dell'ambasciatore americano qui negli Emirati Arabi Uniti. Questo è il tenente Sean Miller, del Corpo dei marine degli Stati Uniti, nome in codice 'Astro'. Siamo venuti qui per esprimere la... preoccupazione... del nostro Paese per le recenti attività cinesi, sia militari sia archeologiche, con la speranza di potervi aiutare in qualche modo.» Attaché speciale pensò Jack, significa agente della CIA. «E in che modo può aiutarmi?» I rapporti di Jack con gli Stati Uniti d'America erano un po' tesi. La missione che aveva svolto per individuare le Sette Meraviglie del Mondo Antico era stata in diretto contrasto con un influente gruppo di americani noto come il Gruppo Caldwell, che a quel tempo trovava ascolto presso il presidente. C'erano state alcune vittime, tra cui persone che stavano molto a cuore a Jack. Robertson rimase impassibile, freddo come il marmo. «Sappiamo, per esempio, dove i cinesi tengono il suo amico, il professor Epper.» West si fece subito da parte. «Prego, accomodatevi.» In quel preciso momento, un aereo da carico Boeing 767 senza finestrini decollò dall'aeroporto internazionale di Dubai. Sulle fiancate campeggiava la scritta TRANSATLANTIC AIR FREIGHT. Ai comandi c'era il capitano Earl McShane. I rappresentanti di sei nazioni erano seduti nella suite presidenziale del Burj al Arab: Australia, Irlanda, Nuova Zelanda, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Stati Uniti d'America. «Avete letto tutti il documento informativo», esordì West. «Ecco la traduzione di un'iscrizione che ho ricevuto da Merlino poco
prima che fosse catturato dalle forze cinesi.» West distribuì un altro documento. Sulla prima pagina c'era la traduzione di Merlino inviata dalla Cina: L'ARRIVO DEL DISTRUTTORE DI RA L'ARRIVO DEL DISTRUTTORE DI RA VEDE L'AVVIO* DELLA GRANDE MACCHINA** E CON ESSO IL LEVARSI DEL SA-BENBEN. RENDETE OMAGGIO AL SA-BENBEN, TENETELO NASCOSTO, TENETELO VICINO, PERCHÉ ESSO SOLO GOVERNA I SEI E SOLO I SEI HANNO IL POTERE DI PREPARARE I PILASTRI E CONDURVI AI SANTUARI E COMPLETARE COSÌ LA MACCHINA PRIMA DEL SECONDO ARRIVO***. LA FINE DI TUTTE LE COSE È VICINA. TERMINI AMBIGUI: * «inizio», «innesco» o «messa in moto» ** «Meccanismo» o «Mondo» *** «il Ritorno» CFR. RIFERIMENTO: Rif. XR:5-12 iscrizione parziale ritrovata nel monastero di Zhou-Zu, Tibet (2001) «Come vedete, questa decrittazione allude alla Grande Macchina e all'importanza del Sa-Benben», disse West. «Il 'Secondo Arrivo' cui allude è l'arrivo del Sole Nero.»
«Il Sole Nero, o Stella, questo portatore dell'apocalisse, perché gli astronomi non lo hanno individuato prima?» domandò lo sceicco Abbas. «Secondo Merlino», rispose West, «si trova su uno spettro luminoso a noi sconosciuto, perciò non possiamo vederlo con nessuno dei nostri telescopi, in nessuno spettro, come gli infrarossi, gli ultravioletti o UVB. La sua presenza è stata verificata soltanto da ciò che ci nasconde alla vista. «Da quel che ho letto, sembra che vaghi nei confini esterni del nostro sistema solare secondo un'orbita ellittica strettissima. Quando si avvicina, cosa che non avviene molto spesso, all'incirca una volta ogni sei milioni di anni, è coperto dalla rotazione di Giove, che blocca le sue radiazioni mortali. Ma, anche se non fosse così, il Sole Nero non sarebbe visibile a occhio nudo. «In ogni caso, ora è vicino e questa volta - a quanto pare emergerà da dietro Giove, e sarà allora che le cose si metteranno davvero male. Sarà allora che il nostro pianeta sarà esposto alla sua costante emissione di energia del punto zero di tipo radiante... a meno che non costruiremo questa Macchina. La Macchina, a quanto pare, invia una risposta di compensazione che neutralizza il flusso di energia del Sole Nero, salvando la terra. Si torna sempre all'equilibrio, all'armonia.» «Andiamo, Jack», interloquì Zoe. «Ascoltati. Vuoi farci credere seriamente che ci sia una specie di corpo celeste malvagio nello spazio deciso a distruggere la terra?» «Non è malvagio, Zoe. C'è e basta. Chiamalo come vuoi, antimateria, una singolarità, un buco nero itinerante. Alla fine, si tratta di vuoto negativo. Un buco ad altissima densità che vaga nello spazio. Non è malvagio e non ci odia. Ci troviamo soltanto sulla sua traiettoria.» Spilungone domandò: «Eppure un tempo, in qualche luogo, qualcuno ha costruito una Macchina qui sulla terra che è collegata in qualche modo col Sole Nero. Stai parlando di una tecnologia avanzata, Jack? Di una tecnologia aliena?»
Jack abbassò il capo. «Non lo so. Merlino non lo dice.» Avvoltoio rifletté ad alta voce: «'Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia.' Arthur C. Clarke». «Come facciamo a ricostruire questa Macchina, allora?» domandò lo sceicco Abbas, riportando la conversazione in argomento. «E perché la Cina è tanto interessata a costruirsela da sola? Possibile che i cinesi non si rendano conto che una coalizione mondiale sarebbe il modo migliore per farlo?» «Come sempre, sceicco, lei va al nocciolo della questione», osservò West. «Andate per favore alla seconda pagina del documento.» Tutti obbedirono. Era la fotocopia del sunto di Merlino.
West richiamò la loro attenzione al centro della pagina. «Per rispondere alla sua prima domanda, sceicco: come facciamo a ricostruire la Macchina? Osservate i Sei Pilastri disegnati da Merlino e descritti come 'diamanti grezzi di forma oblunga'. Altrove, tra i suoi appunti, afferma che ognuno di questi Pilastri ha suppergiù le dimensioni di un mattone. Dice pure che...» «Un diamante delle dimensioni di un mattone?» lo interruppe Scimitarra, incredulo. «Già uno solo sarebbe più grande del Cullinan, il diamante più grande che sia mai stato trovato, e avrebbe un valore inestimabile. E sostiene che ce ne sono sei.» «Sì, sei. Merlino dice pure che ogni Pilastro deve essere 'purificato' dalla Pietra Filosofale prima di essere inserito nella Macchina, sostenendo che 'dobbiamo procurarci sia il Sa-Benben sia la Pietra Filosofale' e che 'sono al centro di tutto'. «La vedo così: per ricostruire la Macchina, dobbiamo inserire i Sei Pilastri - purificati dalla Pietra Filosofale - in questa misteriosa Macchina onnipossente. «Il che mi porta alla sua seconda domanda, Abbas: perché i cinesi vogliono farlo da soli? Vogliono farlo da soli perché sembra che chiunque inserisca un Pilastro nella Macchina riceve un premio. «Potete leggere i premi elencati da Merlino: conoscenza, calore, visione, vita, morte, potere. Cosa siano in realtà questi premi, non lo so. Suppongo che Merlino lo sappia, ma non c'è nessun accenno alla loro reale natura nei suoi appunti. Ma a giudicare da quello che i cinesi hanno già fatto - la cattura di Merlino in Cina e il tentativo di rubarmi il Sa-Benben - immagino che i premi siano assai remunerativi.» West lanciò un'occhiata penetrante ai due americani, Robertson e Astro. Robertson si schiarì la voce. «Non sono al corrente delle ricerche del mio Paese al riguardo, perciò non chiedetemelo nemmeno. Ma, sì, gli Stati Uniti non vogliono che la Cina ottenga i vantaggi che lei ha descritto.»
«Non mancheremo di discutere presto con qualcuno delle ricerche del suo Paese», disse West tagliente. «Un momento, un momento», si frappose Zoe. «Devo fare qualche passo indietro. Le Sei Pietre di Ramses più il Sa-Benben ci forniscono informazioni su questa Macchina. La Pietra Filosofale, una volta caricata dal Sa-Benben, purifica i Sei Pilastri, che poi devono essere inseriti nella Macchina? E quanto sarà grande?» West picchiettò l'indice sulla figura che rappresentava la Macchina:
Dopo aver letto gli appunti di Merlino negli ultimi giorni, aveva pensato molto alla Macchina: a quel disegno e alle note che Merlino vi aveva scritto intorno. Alla fine rispose: «Merlino non dice che cosa sia o quanto sia grande la Macchina. Ma ho una teoria». «Quale?» West si volse verso Zoe. «Credo che la 'Macchina' sia un altro nome per chiamare il nostro pianeta.» Indicò il disegno. «Questo cerchio è la terra; e questi triangoli neri sono luoghi sulla terra, sei luoghi in cui i Sei Pilastri - correttamente 'purificati' o attivati devono essere posizionati, così da rimettere in funzione la Macchina prima che il Sole Nero emetta la sua scarica mortale.» «Buon Dio...» mormorò una voce. Jack disse: «Sì. E, se non ricostruiamo questa Macchina per l'ora prefissata, il nostro pianeta sarà distrutto. Signori, la fine del mondo è davvero vicina». * Lo sceicco Abbas mormorò: «La fine del mondo...»
Girò gli occhi nella stanza, ma vide che l'americano, Robertson, non era stato colpito dalla conclusione di Jack; e nemmeno Scimitarra e il suo collega saudita, Avvoltoio. Jack aggiunse: «Ricorderà che nel suo articolo Merlino accennava al corpo nero raffigurato nel Mistero dei Cerchi. Sosteneva che fosse una Stella Oscura, un gemello del nostro sole, il suo opposto. Accennava anche al fatto che il Mistero dei Cerchi rappresenta il nostro sistema solare con dieci pianeti invece che nove». «Sì...» «Oggi, il nostro sistema solare è composto da nove pianeti più una cintura di asteroidi tra Marte e Giove», spiegò Jack. «Ma forse non è stato sempre così. Più avanti nel suo articolo, Merlino ipotizza che la cintura di asteroidi tra Marte e Giove fosse un tempo un pianeta non molto diverso dal nostro. Se un pianeta dovesse essere distrutto in qualche modo, i suoi frammenti si addenserebbero in una fascia di asteroidi fluttuanti simile a quella che è stata trovata fra Marte e Giove.» La sala rimase in silenzio. «Sì», aggiunse Jack, leggendo nei loro pensieri. «È già accaduto in passato.» «Signore e signori», proseguì, «dobbiamo mettere insieme le nostre risorse e contrastare questa minaccia. Dobbiamo rimettere in funzione la Macchina prima che arrivi la Stella Oscura. «Ma al momento mancano troppe tessere di questo puzzle, per esempio quando arriverà questa Stella Oscura e, quindi, entro quando dev'essere ricostruita la Macchina. Merlino conosce gran parte delle risposte a queste domande, ma immagino che anche i vostri ricercatori ne conoscano qualcuna. Per non parlare dei premi e dell'interesse della Cina in questa faccenda e di qualunque cosa possa sapere.» Jack squadrò i presenti. «Devo sapere che cosa sapete.» Calò un silenzio imbarazzante. Era ora che alcuni di loro rivelassero i loro segreti.
Qualcuno tossì, schiarendosi la voce. Era la spia saudita, Avvoltoio. «La mia famiglia, la Casa di Saud, possiede uno di questi Pilastri che lei ha descritto», rivelò. «Si tratta in effetti di un grande diamante grezzo, di forma oblunga, traslucido a vedersi, ma sempre strabiliante a guardarsi. Lo custodiamo da generazioni, in un luogo sicuro. Altri diamanti identici sono custoditi dalle due grandi Case di Sassonia-Coburgo-Gotha e Oldenburg. Non so, tuttavia, dove si trovino gli altri tre.» «Grazie», disse Jack annuendo. L'attaché americano Robertson si schiarì la voce. «Sono autorizzato a rivelare che gli Stati Uniti d'America sono in possesso di una delle Pietre di Ramses che lei ha descritto: la Pietra Sacrificale dei maya. Sono anche autorizzato a mettere questa Pietra a disposizione di qualunque operazione multinazionale volta a impedire l'arrivo del Sole Nero.» Furono offerte altre informazioni, ma tirate le somme sembrava che l'unico che ne sapesse più di tutti sulla Macchina, sulle Pietre e sui Pilastri era il professor Max T. Epper. «Dobbiamo liberare Merlino dai cinesi», disse Jack. «Signor Robertson, è ora che paghi la sua tassa d'ammissione.» Robertson disse: «Il professor Epper è detenuto nella prigione di Xintan, un isolato penitenziario tra i monti della provincia di Sichuan, nella Cina centrale. È classificato come prigioniero di classe D: molto prezioso ma che può essere sottoposto a interrogatorio pesante». «Vuol dire tortura», corresse Orsacchiotto. Scimitarra aggiunse: «Xintan è anche una fortezza. Nessun uomo che vi sia entrato contro la propria volontà ne è mai uscito vivo». «Le cose cambieranno presto», disse West. Avvoltoio confermò le parole di Scimitarra. «Non si entra nel braccio delle torture della prigione di Xintan e se ne esce come se niente fosse. È molto più che fortificata: è inespugnabile.»
Robertson dichiarò in tono grave: «Gli Stati Uniti avrebbero serie riserve a partecipare a un blitz contro la Cina, soprattutto se dovesse essere così aggressivo. Se il tenente Miller qui presente fosse catturato in territorio cinese durante un raid del genere, finirebbe in prima pagina su tutti i giornali...» «Allora non venite», lo interruppe bruscamente Spilungone da un angolo della stanza. Reduce della prima missione, Spilungone dubitava seriamente di quegli intrusi apparentemente ben intenzionati. Jack aggiunse: «Affronteremo le questioni logistiche a tempo debito. Nient'altro? C'è ancora qualcuno che ha qualcosa da offrire?» La sala tacque. La riunione era finita... Ma poi una mano si alzò, titubante. Una manina, in fondo alla sala. Alby. Paul Robertson si girò e disse: «Be', se ora ascoltiamo le domande dei bambini, posso andarmene. Ho parecchie cose da fare». Jack non fu così sprezzante. Anzi, trovò molto coraggioso da parte di Alby alzare la mano, visti gli ospiti che lo circondavano. «Che c'è, Alby?» «Credo di potervi aiutare con una cosa negli appunti di Merlino», rispose il bambino sia a voce sia coi segni. «Che cosa di preciso?» Jack si stupì che Alby usasse il linguaggio dei sordomuti, visto che non era necessario in quella circostanza. «Qui», rispose il bambino. «Dove dice: ''Immersione ed emersione titanica (dic 2007)'. Non è un riferimento al Titanic, la nave. Si riferisce all'immersione e all'emersione della luna di Saturno, Titano, dietro il pianeta Giove. 'Immersione titanica' ed 'emersione titanica' sono termini utilizzati dagli astronomi per descrivere questo fenomeno. È molto raro, ma quando Giove e Saturno sono allineati - e lo saranno fino al prossimo marzo - si verifica due volte
la settimana.» «E quando la terra, Giove e Saturno saranno di nuovo allineati di preciso?» domandò Zoe. Alby si strinse nelle spalle. «Forse fra tre o quattrocento anni.» Abbas tossì. «Notevole.» «Eccome.» Jack lanciò un'occhiata ad Alby, e scoprì che questi lo guardava dritto negli occhi. Il bambino disse coi segni: C'è dell'altro. Jack fece cenno di aver capito - dopo - prima di dire agli ospiti: «Grazie, Alby. Il tuo è un ottimo contributo e qualcosa che immagino Merlino saprà chiarire». Accanto ad Alby, Lily diede all'amico un colpetto col gomito, orgogliosa. In quel momento accaddero due cose: il campanello della porta suonò e il telefono dello sceicco Abbas emise un cicalio. L'anziano sceicco rispose a voce bassa: «Sì...» mentre Jack andava ad aprire. Alla porta c'era un fattorino, con un pacco per Jack: una cappelliera griffata, addirittura. Sul biglietto d'accompagnamento c'era scritto: Per Jack. Dalla Giamaica. Con la fronte corrugata, Jack aprì la scatola e, alla vista del contenuto, inorridì. «Oh, no. Capellone...» Nella scatola c'era una testa mozza. La testa mozza del suo amico giamaicano, nonché reduce della missione del Vertice Aureo, V.J. Weatherly, nome in codice «Capellone». In quel preciso momento Abbas aggrottò le sopracciglia al telefono. «Buon Dio. Chiamate l'hotel. Fate sfollare tutti. Subito!» Si girarono tutti nella stanza quando l'anziano e barbuto sceicco terminò la telefonata e alzò gli occhi. «Dobbiamo abbandonare immediatamente l'edificio. Sta per essere colpito da un aeroplano.» Jack batté le palpebre e richiuse la scatola col coperchio prima che qualcun altro vedesse il suo contenuto. «Un co...?»
Poi ululò una sirena. Un allarme dell'hotel. Luci d'emergenza rosse si accesero quando una voce parlò dagli altoparlanti interni, prima in arabo e poi in inglese: «Tutti gli ospiti sono pregati di evacuare l'hotel. Questa è un'emergenza. Tutti gli ospiti sono pregati di evacuare l'hotel e di radunarsi nell'area di parcheggio all'esterno.» Tutti si scambiarono sguardi preoccupati quando la voce proseguì in altre lingue. E poi i telefoni si misero a squillare. Prima quello di Robertson, poi quello di Avvoltoio. «Che succede?» domandò Jack ad Abbas. Lo sceicco era bianco in volto. «Dicono che un aereo decollato poco fa dall'aeroporto di Dubai ha abbandonato il piano di volo ed è uscito dal corridoio aereo regolare. È diretto qui, verso questo edificio.» Jack s'irrigidì. «Non può essere un caso. Tutti fuori! Presto! Ci vediamo all'Halicarnassus! Sbrigatevi!» Sfollarono tutti la stanza: Abbas fu portato fuori dai suoi gorilla; Robertson uscì da solo. Il marine, Astro, rimase e, rivolto a Jack, domandò: «Come posso essere d'aiuto?» Jack era già scattato in azione. «Zoe! Orsacchiotto! Portate i ragazzi fuori di qui! Devo prendere le cose di Merlino. Spilungone, dammi una mano! Tenente» - aggiunse rivolgendosi ad Astro «può aiutarmi anche lei. Un altro paio di mani mi farebbe comodo.» Fu allora che West guardò fuori delle grandi vetrate panoramiche della suite presidenziale. E restò a bocca aperta. Vide un aereo da carico Boeing 767 virare nel cielo e poi rimettersi in assetto orizzontale in rotta di collisione con la torre Burj al Arab. «Oh, merda», sibilò a denti stretti.
* Se fosse stato possibile guardarlo da vicino, si sarebbe potuta leggere la scritta TRANSATLANTIC AIR FREIGHT sul fianco dell'aereo da carico lanciato ad alta velocità. E, sebbene il pilota registrato sul piano di volo fosse Earl McShane, non era lui quello seduto ai comandi. Era un uomo solo pronto a morire... per una questione d'onore. Il 767 puntò sulla torre. Nell'hotel, la gente correva in ogni direzione. Gli ascensori straripavano. Le scale antincendio erano gremite di ospiti in fuga, alcuni in abito da sera, altri in pigiama. In alto, sull'eliporto, un elicottero decollò e si allontanò a tutta velocità dall'edificio. Gli altoparlanti tuonarono: «Questa è un'emergenza. Tutti gli ospiti sono pregati di evacuare l'hotel...» Zoe e Orsacchiotto si precipitarono fuori dall'uscita antincendio ed entrarono nella hall dell'hotel, tenendo Lily e Alby per mano. «Questa è follia», mormorò Zoe. «Pura follia.» Uscirono a rotta di collo nel sole del mattino, nella ressa di gente che si accalcava. Più in alto, nella suite presidenziale, Jack, Spilungone e Astro furono gli ultimi a mettersi in salvo. Erano occupati a raccogliere febbrilmente tutti gli appunti e i libri di Merlino in un paio di borsoni sportivi. Quand'ebbero finito, si precipitarono fuori dalla suite. West fu l'ultimo a uscire, gettando un'occhiata alle spalle in tempo per vedere l'aereo da carico profilarsi minaccioso proprio davanti alla vetrata. Dopodiché l'aeroplano s'inabissò sotto la vetrata e un secondo dopo Jack senti l'edificio sconquassarsi in un modo che avrebbe voluto non sentire mai più.
Visto dal di fuori, il Boeing 767 colpì la torre Burj al Arab come un missile a circa due terzi della sua altezza, intorno al cinquantesimo piano. L'aereo esplose all'istante in una palla di fuoco, un meteorite fiammeggiante che sfondò come un'eruzione vulcanica il lato opposto della torre che s'innalzava sul lungomare. L'edificio tremò violentemente e ondeggiò, eruttando un'enorme colonna di fumo che richiamò alla mente il lugubre ricordo delle torri del World Trade Center, quella terribile ora dell'11 Settembre prima che crollassero. «Siamo bloccati!» gridò Spilungone dall'ingresso delle scale antincendio. «Non possiamo scendere!» West si girò. Il mondo gli stava letteralmente crollando sulla testa. La torre oscillava di qua e di là. Una nube di fumo nero saliva davanti alle vetrate, nascondendo il sole. «Su!» esclamò. «Dobbiamo andare su.» Pochi minuti dopo, i tre uscirono correndo sull'eliporto della torre Burj al Arab in preda alle fiamme. La costa di Dubai si allungava sotto di loro: una piatta distesa di deserto che incontrava le acque del golfo Persico. Il sole era rosso sangue, velato dal fumo. «È assurdo!» gridò Astro. «Benvenuto nel mio mondo», gridò di rimando West mentre spalancava la porta di un magazzino sul ciglio dell'eliporto. D'improvviso, la torre oscillò, le travi stridettero. «Cacciatore! Non abbiamo molto tempo!» urlò Spilungone. «L'edificio sta per crollare!» «Lo so! Lo so!» West rovistò nel magazzino. «Eccoli!» Lanciò qualcosa fuori dalla porta, nelle braccia di Spilungone: una specie di zaino. Un paracadute.
«Misure di sicurezza per un eliporto così in alto», spiegò West, uscendo con altri due paracadute. Uno lo lanciò ad Astro. «Di nuovo, benvenuto nel mio mondo.» Si allacciarono i paracadute sulle spalle e corsero verso il bordo della piattaforma, priva di parapetto e vertiginosamente alta, ottanta piani sopra il mondo. L'intelaiatura d'acciaio della torre stridette ancora una volta. L'aria circostante cominciò a surriscaldarsi. Stava per crollare... «Giù!» gridò West. Insieme, i tre si lanciarono dall'edificio in fiamme, precipitando nel vuoto, la torre sotto di loro una macchia sfocata che sfrecciava veloce... ... un istante prima che l'intero terzo superiore del Burj al Arab si staccasse dal resto dell'edificio e si rovesciasse! L'enorme guglia della torre - l'eliporto e gli ultimi trenta piani cadde di lato lentamente come un albero abbattuto, piegandosi nel punto in cui era stata colpita dall'aeroplano, prima di staccarsi dalla struttura principale e cadere giù, dietro le tre minuscole figure che si erano lanciate dall'eliporto un secondo prima. Ma poi, d'improvviso, i tre paracadute si aprirono sopra le tre figure, che si allontanarono dalla cuspide della torre. Volarono verso terra quando la guglia ora capovolta si schiantò nel mare con un tonfo fragoroso. L'indomani, quello spettacolo incredibile sarebbe apparso sui giornali di tutto il mondo, le immagini della torre decapitata. Il colpevole: uno scontento e solitario americano, Earl McShane, che non vedeva l'ora di vendicarsi dell'11 Settembre. Accidenti, aveva anche scritto al suo giornale locale dopo l'11 Settembre gridando vendetta. E perciò aveva deciso di vendicarsi a modo suo su un Paese islamico nello stesso identico modo in cui i terroristi islamici avevano attaccato gli Stati Uniti: lanciando un aereo nella loro torre più alta e conosciuta.
Fortunatamente, tutti i giornali riferirono che, grazie alla professionalità del personale dell'hotel, alle perfette procedure di evacuazione e alla rapida - quasi preventiva - risposta alla notizia dell'arrivo di un aereo da carico, il malvagio attacco non aveva mietuto nessuna vittima. Alla fine, l'unica vittima era stata l'attentatore suicida, McShane. Naturalmente, nelle ore che seguirono l'attacco, tutto il traffico aereo della regione fu sospeso fino a nuovo avviso. I cieli degli Emirati Arabi restarono insolitamente vuoti per tutto il giorno successivo, tutti i voli cancellati. Tranne uno. Un solo aeroplano fu autorizzato a decollare da un aeroporto militare di massima sicurezza alla periferia di Dubai. Un 747 nero, diretto a est, in rotta per la Cina. Il primo aereo a decollare il giorno seguente fu un jet Lear di proprietà dello sceicco Anzar al Abbas, con a bordo tre passeggeri: Zoe, Lily e Alby. Dopo un breve scambio di parole tra West e Alby sulla pista della base militare il giorno prima, fu deciso che la squadra si sarebbe divisa li: Zoe e i due bambini sarebbero partiti per l'Inghilterra, nella direzione opposta. SECONDA MISSIONE LA FUGA DALLA CINA
CINA 5 DICEMBRE 2007 CINQUE GIORNI PRIMA DELLA PRIMA SCADENZA SPAZIO AEREO SOPRA LA CINA SUDOCCIDENTALE, 5 DICEMBRE 2007 L'Halicarnassus sorvolò le cime dell'Himalaya ed entrò nello spazio aereo cinese. La vernice radar-assorbente e i fianchi a geometria poligonale irregolare gli avrebbero garantito l'invisibilità a qualunque sistema radar locale. Tali caratteristiche, tuttavia, non gli avrebbero evitato di esser rilevato da altri sistemi, più sofisticati, di tipo satellitare. Subito dopo il decollo dell'Halicarnassus, Jack si era rivolto ai due acquisti più recenti della sua squadra, il marine americano, Astro, e la spia saudita, Avvoltoio, dicendo: «Okay, signori. È ora che mi riveliate quel che sapete. L'argomento è la prigione di Xintan». Il giovane tenente americano rispose con una domanda. «È sicuro che questa sia un'azione assennata?» chiese con tono ragionevole. «Mi sembra che se la cavi bene anche senza questo Merlino. Perché non andiamo subito a cercare le Pietre e i Pilastri? Correre dietro a Merlino potrebbe solo servire a inimicarsi i cinesi.» Jack rispose: «So solo quello che Merlino mi ha detto o ha scritto. L'enorme bagaglio di cognizioni che ha nella testa su questo
argomento è l'unica cosa che ci aiuterà a venire a capo di tutto questo. Vale la pena d'inimicarsi i cinesi solo per questo. Ma c'è anche un altro motivo». «E quale sarebbe...?» «Merlino è un mio amico», rispose Jack secco. Come lo era Capellone, e guarda cosa gli è capitato. Cristo. «E vorrebbe rischiare la nostra testa e la reputazione delle nostre nazioni solo per salvare un suo amico...» «Si», lo interruppe Jack, impassibile. L'immagine della testa di Capellone in quella scatola gli balenò alla mente, un amico che non era riuscito a salvare. «Questa si che è lealtà», osservò Astro. «Rischierebbe tutto quanto anche per me se mi ficcassi nei guai?» «Non la conosco ancora così bene», rispose Jack. «Glielo dirò più avanti, se sopravvive. Ora, torniamo alla prigione.» Avvoltoio spiegò alcune mappe e foto satellitari che si era procurato dai servizi segreti sauditi. «I cinesi tengono il professor Epper e Tanaka nel penitenziario di lavori forzati di Xintan, un carcere di sicurezza di Livello 4 che si trova nella regione remota della provincia di Sichuan. «Xintan è una struttura speciale per prigionieri politici e detenuti di massima sicurezza. I prigionieri vengono impiegati per scavare gallerie e viadotti per le strade ferrate cinesi ad alta quota, come la linea ferroviaria Qinghai-Tibet, la cosiddetta ferrovia sul 'Tetto del Mondo'. I cinesi sono i migliori costruttori di ferrovie del mondo: hanno costruito strade ferrate sopra, sotto e attraverso la regione più montuosa del pianeta, gran parte delle quali collega le province cinesi al Tibet.» A quel punto, il fratello di Orsacchiotto, Scimitarra, prese la parola. «Stanno sfruttando la nuova ferrovia per sommergere il Tibet di lavoratori cinesi, nel tentativo di schiacciare la popolazione locale col semplice peso del numero. È una nuova forma di genocidio; un genocidio compiuto con un'immigrazione schiacciante.» Jack squadrò Scimitarra. Non sarebbe potuto essere più diverso
dal fratello più giovane. Mentre Orsacchiotto era grassoccio, barbuto e rozzo, Scimitarra era magro, ben rasato e colto. Aveva gli occhi celestini, la pelle olivastra e un accento di Oxford. Il tipico principe arabo moderno. Jack notò che aveva inserito la costruzione della ferrovia cinese in un contesto politico. «Comunque sia», proseguì Avvoltoio, «costruire ferrovie comporta molti pericoli. Molti prigionieri muoiono in corso d'opera e vengono semplicemente sepolti nel cemento. Epper, tuttavia, è stato portato a Xintan perché quel penitenziario dispone di una stanza per gli interrogatori.» «Camere di tortura?» domandò West. «Camere di tortura», confermò l'altro. «Xintan è tristemente noto per il braccio delle torture», aggiunse Astro. «Adepti della Fulan Gong, contestatori universitari, monaci tibetani. Sono stati tutti 'rieducati', come dicono i cinesi, a Xintan. Il punto è che, grazie alla sua particolare posizione geografica, Xintan è un luogo perfetto per un centro interrogatori. Vede, Xintan sorge sulla cima non di una ma di due vette adiacenti, soprannominate 'Le Corna del Diavolo'. «Xintan Uno, il carcere principale, sorge sulla vetta più grande ed è raggiunto da una ferrovia ad alta quota che entra direttamente nel penitenziario tramite un enorme cancello di ferro.» «Sembra Auschwitz», osservò Spilungone. «È simile, ma non del tutto», specificò Astro. «Dopo aver fatto scendere un carico di nuovi prigionieri nel carcere principale, la ferrovia prosegue attraverso Xintan Uno, uscendo da un altro cancello sul lato opposto. Lì la ferrovia attraversa un lungo ponte fino a Xintan Due, la sezione più piccola, il braccio delle torture, che sorge sulla seconda vetta. La ferrovia entra a Xintan Due tramite un terzo massiccio cancello, dove finisce. A parte questo cancello, non ci sono altre uscite da Xintan Due.» «Come Auschwitz», ripeté Spilungone. «Sotto questo aspetto, sì, lo è, giudeo», l'apostrofò Avvoltoio. Seduto lì accanto, Orsacchiotto alzò gli occhi di scatto. «Avvol-
toio. La rispetto come amico di mio fratello. Le chiederei pertanto di rispettare il mio amico. Si chiama Cohen, Arciere o Spilungone. Non lo chiami più 'giudeo'.» Avvoltoio si scusò con un profondo inchino, di nuovo nel suo modo lento e calcolato... che si rivelò offensivo più che rammaricato. «Chiedo umilmente scusa.» Astro interruppe il silenzio imbarazzante con altre informazioni: «Secondo i nostri servizi segreti, i cinesi hanno anche un elicottero da caccia a Xintan nel caso qualcuno riesca a evadere». «Che tipo di elicottero da caccia?» volle sapere Jack, piegando la testa di lato. «Una fottutissima cannoniera Hind», rispose Astro, «il tipo di elicottero con cui non scherzare. Capitano West, dicono che i prigionieri di Xintan Uno possono sentire le grida delle vittime delle torture a Xintan Due dall'altra parte della valle. Se c'è un complesso in cui nessuno vuole entrare, è Xintan Due. Nessuno è mai evaso da lì vivo.» «Mai?» «Mai», ribadì Astro in tono deciso. Quello era accaduto molte ore prima. Adesso, entrando nello spazio aereo cinese, Scimitarra si precipitò nell'ufficio di West e disse: «Cacciatore! Abbiamo appena ricevuto una comunicazione dagli americani. Un messaggio intercettato dall'Agenzia per la sicurezza nazionale. I cinesi trasferiscono il suo amico Merlino oggi. Fra un'ora». West balzò in piedi. Era una cattiva notizia. Anzi pessima. Merlino e Tank stavano per essere trasferiti da Xintan Due a Xintan Uno. Da lì dovevano essere portati in treno sotto scorta armata a Wushan. La loro presenza era stata richiesta dal colonnello Mao Gong Li in persona. «A che ora?» domandò West entrando nella cabina principale. «Il treno parte da Xintan Due a mezzogiorno!» esclamò Astro
dalla sua postazione. «Possibile che sappiano del nostro arrivo?» volle sapere Scimitarra. «È sicuramente possibile», rispose Avvoltoio. «Dopo la fuga, piuttosto fragorosa, dall'Australia del capitano West di quattro giorni fa e il disastro aereo a Dubai di ieri, eccome se crederanno che stiamo covando qualcosa.» Scimitarra osservò: «Ma i cinesi non possono certo credere che qualcuno pensi davvero di prendere d'assalto Xintan». «Sky Monster!» chiamò West all'interfono. «Arrivo previsto a Xintan?» Dall'impianto interfonico giunse in risposta la voce di Sky Monster: «Manca poco, ma penso che arriveremo per mezzogiorno». «Devi farcela», disse West. La situazione stava precipitando molto più in fretta del previsto. Si era aspettato di avere più tempo per mettere a punto un piano. Andò verso il tavolo centrale e fissò le mappe di Astro del complesso di Xintan costruito sulle vette dei monti. «Il trasferimento interno è il punto debole. Il ponte tra Xintan Due e Xintan Uno. È li che possiamo prenderli.» «Il ponte?» fece Astro, avvicinandosi. «Forse non ha udito bene quello che abbiamo detto, capitano. Quel ponte è all'interno del complesso. Non sarebbe meglio cercare di prendere Epper e Tanaka dopo, quando sono sul treno all'esterno del perimetro della prigione?» Jack era intento a studiare le mappe, a elaborare un piano. «No. Assegneranno ulteriori guardie per la tratta esterna, soldati probabilmente, ma per il trasferimento interno si limiteranno a usare le guardie carcerarie, normali guardie carcerarie.» Si morse le labbra. «Non sarà facile - anzi sarà molto dura, sempre che vada tutto liscio - ma è quella la nostra unica occasione, il momento per liberarli.»
PENITENZIARIO DI LAVORI FORZATI DI XINTAN, PROVINCIA DI SICHUAN, CINA SUDOCCIDENTALE, ORE 11 .59 Affacciate sul paesaggio montuoso, sopra la coltre di nubi, le due strutture di cemento grigio erano arroccate sulle cime dei monti vicini l'uno all'altro, come due castelli in un mondo fantastico. La struttura più grande, Xintan Uno, era alta cinque piani, tozza e massiccia. Era abbarbicata sulla vetta, aggettata sullo strapiombo, come se un dio avesse appena lasciato cadere sulla cima una mattonella di plastilina da una grande altezza. Fatta quasi completamente di cemento grigiastro - il contributo del comunismo all'architettura - era munita di tre altissime torri che svettavano nel cie-
lo. L'edificio più piccolo, Xintan Due, sorgeva a sud del suo fratello maggiore. Era alto soltanto tre piani e aveva un'unica torre. Ma le dimensioni ridotte sembravano soltanto dargli un aspetto più austero, più sicuro della propria autorità. Non occorreva che fosse grande per incutere paura. Le due strutture erano collegate da un lungo ponte ferroviario ad arco, lungo più o meno un chilometro e sospeso su una gola frastagliata profonda centinaia di metri. Quel giorno, la gola era nascosta da una coltre di nubi basse che serpeggiava tra i due monti come un fiume di nebbia lattiginosa. Là in alto, isolato e silenzioso a parte il sibilo del vento tra i monti, lo scenario sarebbe stato meraviglioso se non fosse stato per il puzzo di morte e disperazione che lo ammantava. A mezzogiorno in punto, i giganteschi cancelli di ferro di Xintan Due si aprirono con gran rumore, rivelando il treno della prigione. Coi fianchi di ferro nero e coi finestrini rinforzati da grate a eccezione di quelli delle locomotive alle estremità del convoglio di cinque carrozze, pareva una feroce bestia corazzata. Fermo davanti al cancello, sbuffava come un toro, eruttando vapore, tra i brontolii della macchina anteriore. I due prigionieri furono condotti alla carrozza centrale. Indossavano stracci e bende sugli occhi, e più che camminare strascicavano i piedi, braccia e gambe incatenate. C'erano soltanto loro due: Merlino e Tank. Erano circondati da guardie carcerarie dal volto inespressivo, quindici in tutto, il numero standard per i trasferimenti interni. Tutte le guardie sapevano che a Xintan Uno due plotoni interi di soldati erano in attesa di scortare i prigionieri nel trasferimento esterno. Merlino e Tank furono caricati nella terza carrozza, dove le catene delle gambe furono bloccate con un lucchetto ad anelli imbullonati al pavimento.
Dopodiché la porta scorrevole della carrozza si chiuse fragorosamente e con un fischio il treno blindato si mosse fra altri sbuffi di vapore tanto che, uscendo dai cancelli, pareva un mostro malvagio vomitato dalle viscere dell'inferno. Il treno cominciò il breve viaggio sul lungo ponte ad arco, un puntino sullo sfondo dei monti selvaggi della Cina, proprio quando due oggetti simili a uccelli comparvero nel cielo, in rapida discesa, oggetti che avvicinandosi persero l'aspetto di uccelli e presero quello di uomini... due uomini vestiti di nero con le ali. Jack West Jr. piombò giù dal cielo come un fulmine, il volto coperto da una maschera da alta quota e un paio di ali in fibra di carbonio ultratecnologiche, denominate Gullwings, attaccate alla schiena. Le Gullwings erano un dispositivo a inserimento rapido progettato da Merlino per l'Aeronautica degli Stati Uniti molti anni prima. Veloci, silenziose e furtive, erano in sostanza un aliante monoposto dotato anche di piccoli propulsori ad aria compressa che permettevano di planare per un tempo più lungo. Alla fine l'aeronautica americana aveva deciso di non utilizzarle, ma Merlino aveva conservato numerosi prototipi che West teneva a bordo dell'Halicarnassus per situazioni come quella. Al fianco di West sfrecciava, in tenuta simile, Spilungone. Erano entrambi armati fino ai denti, le varie fondine stipate di pistole, mitragliette e granate e, nel caso di Spilungone, un lanciarazzi anticarro portatile Predator. Il treno attraversava con gran rumore il lungo e alto ponte. Un chilometro più avanti incombeva la gigantesca struttura di Xintan Uno, le rotaie che terminavano davanti a un muro di cemento armato alto trenta metri senza nemmeno un'apertura a eccezione dell'imponente cancello di ferro. Ma mentre il treno sfrecciava sul ponte, avvicinandosi a Xintan
Uno, le due figure alate scesero in picchiata, volando rasente le cinque carrozze blindate, fino a raggiungere a poco a poco la carrozza di testa, la locomotiva. Nessuno si accorse del loro arrivo: le guardie di Xintan Uno avevano cominciato a prendere alla leggera il tratto interno del viaggio. D'altronde, non si era mai registrata un'evasione nella storia del carcere. Pertanto nessuno era effettivamente incaricato di sorvegliare il treno mentre attraversava il ponte. Una volta raggiunta la locomotiva in volo radente, West e Spilungone richiusero le ali e atterrarono sul tetto della motrice, cadendo perfettamente in piedi. Dovevano agire in fretta. Il treno aveva già percorso quasi due terzi del breve viaggio e ora i cancelli dell'edificio principale incombevano davanti a loro. West tirò fuori le pistole Desert Eagle e balzò sul muso della locomotiva, facendo saltare i finestrini dei due macchinisti. I vetri andarono in frantumi e Jack s'infilò in un finestrino, atterrando nella cabina di guida. I macchinisti - due soldati cinesi - si misero a gridare e cercarono di prendere le armi. Non ci riuscirono mai. Quando Spilungone entrò nella cabina, trovò i due cinesi morti e West ai comandi del treno. «Predator», gridò West nonostante il vento che ora entrava ululando dal parabrezza andato in pezzi. Spilungone caricò il lanciarazzi anticarro, se lo mise in spalla e lo puntò fuori dei finestrini rotti. «Pronto!» gridò. E poi, con perfetto tempismo, i cancelli di ferro di Xintan Uno si aprirono, pronti a ricevere il treno coi prigionieri da trasferire. A quel punto West abbassò la leva dell'acceleratore. * Quando i cancelli si aprirono con un muggito, i due plotoni di
soldati cinesi in attesa sulla banchina di destinazione di Xintan Uno si girarono, pensando di vedere il treno blindato azionare i freni e rallentare con uno sbuffo di vapore. Quello che videro invece fu l'esatto contrario. Il treno irruppe a tutta velocità attraverso la grande entrata, accelerando fra gli stretti confini del passaggio ad arco e sfrecciando davanti al binario di raccordo. Dopodiché una scia di fumo uscì come un baleno dal parabrezza anteriore rotto della motrice: la scia di fumo di un missile anticarro Predator, un missile che puntò dritto contro... ... l'altro cancello di Xintan Uno. Il cancello di uscita. Il missile si schiantò contro il cancello di ferro ed esplose. Fumo e polvere si levarono in ogni direzione, inghiottendo la banchina, offuscando ogni cosa. Le enormi porte esterne si deformarono tra gli scricchiolii, storcendosi e allentandosi al centro. Era tutto ciò di cui West aveva bisogno poiché un secondo dopo il treno le sfondò a folle velocità con un boato, divellendole dai grossi cardini, prima di uscire nella luce grigia del giorno, fuggendo a tutto vapore dal carcere arroccato sulla vetta del monte. Sulle prime i cinesi rimasero di stucco, ma, quando si ripresero, reagirono con brutale violenza. Nel giro di quattro minuti, due elicotteri di piccole dimensioni Kamov Ka-50 d'assalto rapido di fabbricazione russa - si staccarono dal suolo di Xintan Uno e si lanciarono all'inseguimento del treno in fuga. Dopo un altro minuto, un elicottero ancora più grande decollò da Xintan Due. Era una cannoniera Hind Mi-24, anch'essa di fabbricazione russa ma di gran lunga superiore, uno degli elicotteri più temuti del mondo. Irta di cannoni, torrette, erogatori di armi chimiche e razzi, era dotata di una singolare cabina di pilotaggio a
doppia cupola, nonché di una stiva per il trasporto truppa che quel giorno ospitava dieci soldati delle truppe d'assalto cinesi armati fino ai denti. Una volta fuori dalle mura del carcere, l'elicottero abbassò il muso e si lanciò tuonando all'inseguimento del treno di West. L'ultima fase della risposta cinese fu elettronica. Il complesso di Xintan possedeva due torri di guardia piazzate sulla ferrovia alcuni chilometri a nord del carcere, torri che il treno avrebbe dovuto superare. Le guardie di entrambi i posti di controllo furono tempestate di telefonate ma, stranamente, nessuna rispose. In entrambi i luoghi la scena era la stessa: tutte le guardie giacevano a terra, prive di conoscenza, le mani legate con manette di nylon. I compagni di West erano già stati lì. * Il treno blindato sfrecciava tra i monti a folle velocità, tra le folate di neve che entravano dai finestrini anteriori rotti. Passò sferragliando davanti alla prima torre di guardia, sfondando la sbarra come fosse uno stuzzicadenti. Ai comandi c'era Spilungone, intento a scrutare con gli occhi il paesaggio: a sinistra la montagna coperta di neve, a destra uno strapiombo di trecento metri buoni. Il treno girò intorno a uno sperone di roccia sul lato sinistro e d'improvviso si profilò una seconda torre di guardia, al di là della quale svettava un lunghissimo ponte di ferro. «Cacciatore! Ho un contatto visivo col ponte esterno!» gridò Spilungone. West si era sporto dal parabrezza rotto, per piazzare una specie di mortaio e dare un'occhiata dietro di loro, in direzione del complesso carcerario. Rientrò nella cabina di guida. «Abbiamo degli elicotteri alle calcagna. Due d'assalto e un gros-
so e maledetto Hind...» «Tre elicotteri?» Spilungone si voltò. «Ma Astro non aveva detto che tenevano solo un elicottero a Xintan, l'Hind?» «A quanto pare, ai suoi servizi segreti ne sono sfuggiti due», rispose West sarcastico. «Spero sia l'unica cosa su cui si è sbagliato. È inutile preoccuparsi ormai. Il congegno è piazzato e in mano tua. Portaci solo a quel ponte prima che qualcuno sull'Hind capisca chi siamo e decida che vale la pena far saltare il ponte per fermarci. Tienimi al corrente. Ho del lavoro da fare.» A quel punto West afferrò un microfono dal quadro strumenti, accese l'interfono del treno e si mise a parlare in mandarino: «Attenzione, a tutte le guardie a bordo del treno! Attenzione! Ora abbiamo il comando di questo mezzo. Tutto quello che vogliamo sono i prigionieri...» Nelle cinque carrozze del treno, tutte le guardie cinesi alzarono gli occhi alla voce proveniente dall'interfono. Tra tutti, solo un altro alzò la testa di scatto e restò a bocca aperta per lo stupore, l'unico che riconobbe quella voce. Merlino. Era tutto sporco di sangue, coperto di lividi e senza forze. Ma gli occhi gli s'illuminarono al suono della voce del suo amico. «Jack...» mormorò. «... Non intendiamo farvi del male. Ci dicono che molti di voi fanno soltanto il proprio lavoro, che siete uomini con moglie e figli. Ma, se ci ostacolate, sappiate che avrete a pentirvene. Ora attraverseremo il treno, perciò datevi una possibilità di scelta: deponete le armi e avrete salva la vita. Alzate le armi contro di noi e siete morti.» L'interfono si spense. Nella cabina di guida, West spalancò la porta intercomunicante tra la locomotiva e la prima carrozza. Poi, con una mitraglietta MP-7 in un pugno e una Desert Eagle nell'altro, entrò nel convoglio.
Le tre guardie della prima carrozza avevano dato retta all'avvertimento. Stavano appoggiate alle pareti, i fucili Tipo 56 ai piedi, le mani in alto. West camminò guardingo, con le armi spianate, quando d'un tratto una delle guardie tirò fuori una pistola e... Bang! La guardia fu scaraventata contro la parete della carrozza, inchiodata dalla potente Desert Eagle di West. «Vi avevo avvertito di non alzare le armi», disse alle altre a voce bassa. Indicò con un cenno del mento una cella lì vicino. «In gabbia, subito.» Le quattro guardie della seconda carrozza furono più furbe. Avevano teso una trappola. Per prima cosa avevano tagliato la luce, piombando il vagone nel buio; poi avevano nascosto uno dei loro uomini nel soffitto sopra il passaggio intercomunicante mentre gli altri fingevano di arrendersi. West entrò nella carrozza, barcollando col movimento del treno, e vide tre di loro con le mani in alto che gridavano: «Pietà! Pietà! Non ci spari!» sviando la sua attenzione dall'uomo nascosto sopra la porta. E poi, senza essere visto da West, l'uomo allungò la mano, puntandogli la pistola alla testa... Jack guardò in su di scatto. Troppo tardi. Il vagone tremò violentemente, colpito dall'esterno da una potente raffica di mitragliatore. Gli elicotteri cinesi erano arrivati, e avevano aperto il fuoco contro il treno che correva a tutta velocità! La guardia aggrappata al soffitto fu scaraventata giù e, mancando West di un capello, rovinò a terra con un tonfo sordo. A quel punto le altre tre guardie tirarono fuori le proprie armi e nella carrozza immersa nel buio scoppiò un putiferio di lampi stroboscopici, con Jack West nel bel mezzo di tutto, che sparava in ogni direzione con entrambe le armi - tirandosi in disparte e spa-
rando a sinistra, a destra e in basso - finché al termine di tutto, quando tornò il buio e il fumo si disperse, non rimase che lui. Truce, andò avanti: nella carrozza successiva. La carrozza dei prigionieri. Nello stesso momento, all'esterno, i due elicotteri provenienti da Xintan Uno avevano raggiunto il treno in fuga e lo stavano attaccando con una gragnola di colpi sparati dai cannoni da 30 mm che montavano. Spilungone passò davanti alla seconda torre di guardia, sfondando la sbarra prima di sfrecciare a tutta velocità sul lungo ponte ad arco collegato al resto della ferrovia. Sul ponte, alla completa mercé dei cinesi. Un elicottero calò come un falco sulla locomotiva... proprio quando Spilungone innescò il congegno simile a un mortaio piazzato sul tetto della cabina di guida. Il congegno scattò con un rumore smorzato, scagliando qualcosa nell'aria proprio sopra il treno in corsa. Era una grande rete di nylon con grossi pesi attaccati agli angoli. Si aprì a ventaglio sopra l'automotrice come una gigantesca ragnatela... una ragnatela progettata per abbattere gli elicotteri. La rete s'infilò tra le pale dell'elicottero di testa, imbrigliandole all'istante. I rotori emisero uno stridio agghiacciante e con un sobbalzo si fermarono. L'elicottero s'inclinò, trasformandosi in un aliante con la stessa aerodinamica di un mattone. Cadde nel burrone sotto il ponte, precipitando sempre più giù prima di schiantarsi sul fondo con un'esplosione spaventosa. Spilungone mollò i comandi del treno per un momento per prendere il lanciarazzi Predator e caricarlo con l'ultima granata con propulsione a razzo. Quando tornò ai comandi, si ritrovò a fissare l'enorme cannoniera cinese, l'Hind, che volava accanto al ponte, parallelamente alla locomotiva.
«Oh, merda», sibilò Spilungone a denti stretti. La cannoniera sganciò un razzo da uno degli scomparti laterali: un missile non mirato al treno, ma al ponte; un missile che avrebbe impedito a West di liberare Merlino e Tank. Che avrebbe perso la vita anche qualche guardia non interessava ai generali cinesi che avevano ordinato di lanciare il missile. «Cazzo...» Spilungone accese la radio: «Cacciatore! Vogliono far saltare in aria il ponte...» «Allora va' più forte», giunse la risposta. «D'accordo!» Spilungone abbassò la leva dell'acceleratore sino in fondo. Il missile sparato dall'Hind colpì il ponte proprio nel centro, nella struttura a traliccio che formava l'apice dell'arco, nemmeno un secondo dopo essere stato superato dal treno in corsa. La detonazione del missile scagliò una pioggia di travi e putrelle nel burrone. Ma il ponte resse... lì per lì. Il treno lo percorse a tutta velocità, a un centinaio di metri dall'altra sponda e dalla salvezza offerta da una galleria. E poi si udì uno stridio terrificante. Lo stridio caratteristico delle travi di ferro che si torcono. E infine, quasi al rallentatore, il grande ponte prese a oscillare e tremare, e dal centro verso l'esterno cominciò a cadere a pezzi nel burrone. * Era una scena incredibile. Il treno blindato che sfrecciava a tutta velocità verso il lato est sul ponte che cedeva lentamente, crollando dal centro. Ma il treno fu un soffio più veloce. Raggiunse la testa del ponte e infilò come un fulmine la galleria meno di un secondo prima che i binari dietro l'ultimo vagone - la
locomotiva di coda - precipitassero nel baratro, scomparendo per sempre. A bordo del treno, Jack raggiunse la terza carrozza, il vagone di detenzione, proprio quando tutte le luci si spensero di colpo. Le guardie non avevano intenzione di arrendersi senza combattere e ora, nel buio della galleria, l'interno del treno era immerso in un'oscurità pressoché completa. Jack calò gli occhiali per la visione notturna sul casco, entrò nella carrozza e, col mondo colorato di verde fosforescente, scorse... ... due massicce guardie cinesi che si facevano scudo con Merlino e Tank, puntando le pistole alle tempie di entrambi i professori con gli occhi bendati. Nessuna delle due guardie portava occhiali per la visione notturna e aguzzavano freneticamente gli occhi nel buio: non avevano bisogno di vedere al buio per uccidere i propri ostaggi. Quando udirono aprirsi la pesante porta intercomunicante, una delle due gridò: «Gettate le armi o gli facciamo saltare le...» Due spari. Entrambe le guardie caddero come sacchi vuoti. Un foro in fronte. Jack non si fermò mai, avanzando a grandi passi, imperterrito. Le altre due guardie nella carrozza non ebbero tanto fegato, e Jack si affrettò a spingerle in una cella vuota prima di bloccare la porta posteriore del vagone con un'ascia: non voleva essere seccato da altri nemici. Dopodiché scivolò accanto a Merlino, gli strappò la benda dagli occhi e guardò inorridito l'amico pestato a sangue. «Merlino, sono io. Cristo, che cosa ti hanno fatto...» Il volto dell'anziano amico era coperto di tagli ed escoriazioni. Sulle braccia e sul petto erano evidenti i segni di scosse elettriche. La lunga barba canuta era tutta impiastrata di sangue secco. «Jack!» singhiozzò. «Oh, Jack. Mi dispiace! Mi dispiace di averti tirato addosso questo guaio. Credevo che sarei morto qui!
Non avrei mai pensato che saresti venuto a cercarmi!» «Avresti fatto la stessa cosa per me», ribatté Jack gettando uno sguardo ai grossi anelli imbullonati al pavimento cui erano legate le catene alle gambe di Merlino e di Tank. «Non festeggiare troppo presto. Dobbiamo ancora riportare a casa la pelle.» A quel punto Jack tirò fuori un cannello ossidrico portatile dal cinturone, lo accese e si mise al lavoro. * Il treno sfrecciava a folle velocità nella galleria. Nel frattempo, il secondo elicottero volò avanti, precipitandosi verso l'uscita della galleria sull'altro versante del monte. Arrivò prima del treno, librandosi minaccioso davanti alla bocca della galleria, i cannoni pronti e puntati verso la locomotiva in arrivo. Ma, prima che il treno sbucasse dalla galleria, uscì qualcos'altro. Un missile Predator. Uscì dalla bocca della galleria come un fulmine, seguito da una lunga scia di fumo, prima di centrare in pieno l'elicottero, facendolo esplodere in un milione di pezzi e sparire dal cielo. E poi il treno sbucò sferragliando dal traforo e piegò a sinistra, seguendo la direzione della ferrovia che serpeggiava tra i monti. Ma l'inseguitore più accanito era ancora in partita. La cannoniera Hind. Inseguì Spilungone dietro ogni curva, volando parallelo al treno in corsa, martellando senza pietà la locomotrice con un fuoco di fila. Di punto in bianco, il cannoneggiamento cessò. Spilungone corrugò la fronte, confuso. Che dia...? Si udirono dei rumori sordi sul tetto. In men che non si dica, un'ombra s'infilò in uno dei finestrini anteriori rotti ed entrò nella cabina di guida!
Due stivali colpirono Spilungone al petto, gettandolo a terra. Dannazione! Ma che stupido! capì mentre ruzzolava. Sono guardie... dei vagoni di coda. Devono essere arrivate strisciando sul tetto... La guardia che atterrò per prima nella cabina tirò fuori la pistola, ma Spilungone le sferrò un violentissimo calcio, proprio sul ginocchio, spezzandoglielo all'indietro. L'uomo lanciò un grido di dolore, dando a Spilungone il secondo che gli serviva per tirare fuori la pistola e sparargli una volta, due, tre, al petto... Dal tetto giunsero altri rumori sordi. Spilungone si rialzò... appena in tempo per vedere altre tre paia di stivali saltare giù sul parascintille della locomotiva, impedendogli di vedere i binari più avanti: un lungo tratto rettilineo che terminava con una brusca curva a sinistra. Oltre la quale un pendio di neve compatta scendeva ripidamente. «Cacciatore!» chiamò nel radiomicrofono. «Come vanno le cose là in fondo?» «Ho trovato Merlino e Tank. Devo solo liberarli.» «Qui ho ricevuto visite, per poco mi facevano la pelle! Sono arrivati dal tetto, dai vagoni di coda! Dobbiamo lanciarci subito!» «Fallo», disse West con voce tranquilla. «E poi torna qui.» Spilungone sapeva che cosa doveva fare. Abbassò la leva dell'acceleratore sino in fondo... e la velocità del treno aumentò nettamente. Quindi incastrò una granata tra l'acceleratore e i freni e strappò la linguetta. Ora quello era un biglietto di sola andata. Si precipitò dunque nel treno, sbattendo la porta d'intercomunicazione dietro di sé... ... proprio quando la granata esplose, facendo a pezzi i comandi... ... un momento prima che l'intera cabina di guida fosse devastata da una raffica di pallottole e altre guardie irrompessero attraverso i finestrini anteriori. Entrarono con le armi spianate, il comandante - il Capitano della
Guardia, un uomo più anziano, più esperto e più agguerrito degli altri - cieco dalla rabbia per quello sfrontato assalto al suo treno. * Ora il treno sfrecciava sulla ferrovia, pressoché fuori controllo e diretto verso la stretta curva a sinistra che non sarebbe riuscito a prendere a quella folle velocità. Spilungone irruppe nel terzo vagone, quello dei prigionieri, dove trovò West inginocchiato accanto a Merlino e Tank, il cannello ossidrico acceso. Tank era libero, ma West era ancora occupato a tagliare le catene che bloccavano le gambe di Merlino al pavimento. Il Capitano della Guardia si precipitò, furibondo, nella prima carrozza, incurante del treno fuori controllo: non potendo rallentarlo, voleva dare la caccia agli intrusi. Trovò due dei suoi uomini rannicchiati lì in una cella e ascoltò le loro patetiche scuse prima di piantare una pallottola in testa a ciascuno dei due per la loro codardia. E poi riprese la caccia. Il cannello ossidrico di West ardeva mentre tagliava le catene di Merlino. «Ci siamo quasi...» disse West, il volto illuminato dal bagliore del magnesio. Il dondolio del treno si stava facendo più forte. «Non c'è rimasto molto tempo, Jack...» «Ancora... un... secondo...» La porta della carrozza si spalancò... rivelando il Capitano della Guardia! Spilungone e West si girarono di scatto. Il Capitano della Guardia stava sulla porta, sogghignante. Strinse più forte la pistola.
Ma non fu necessario, perché era già troppo tardi. Proprio allora il treno raggiunse la curva. * Purtroppo la neve non era abbastanza profonda e la base di ghiaccio fece scivolare il treno serpentiforme sino in fondo al declivio innevato. Verso il ciglio dello strapiombo. Viaggiando ora all'indietro, la locomotiva di coda fu la prima a precipitare nel vuoto, trascinando col proprio peso prima uno, poi due, poi tre vagoni giù con sé... West presagì il pericolo un secondo prima che accadesse. Sentì il caratteristico strattone degli ultimi tre vagoni del treno la locomotiva e le ultime due carrozze regolari - che precipitavano nello strapiombo un secondo prima che la sua carrozza sbandasse paurosamente e... «Aggrappatevi a qualcosa!» gridò agli altri, compreso Merlino che non era ancora libero dalle catene. Il vagone precipitò nel vuoto. Il mondo si mise in verticale. Tutto ciò che non era inchiodato a terra cadde per tutta la lunghezza della carrozza, compreso uno degli uomini del Capitano della Guardia. Con un grido, lo sventurato soldato cadde a piombo nella vettura, colpendo la pesante porta di ferro sul fondo con un crac agghiacciante. Il Capitano della Guardia e il compagno rimasto furono più pronti di riflessi: quando il vagone precipitò, mollarono entrambi le armi per avere le mani libere e si lanciarono ruzzoloni in una cella poco lontano e in alto ora che la carrozza si trovava in posizione verticale. West e Spilungone si aggrapparono alle sbarre della cella più vi-
cina, stringendo Merlino e Tank, prima che il vagone si fermasse di botto. Chissà come, la caduta dell'intero treno nello strapiombo si era arrestata di colpo con uno stridore terrificante. Sebbene non potessero vederlo, la locomotiva di testa del treno era andata a cozzare contro un enorme masso sul ciglio del precipizio dove si era incastrata, reggendo l'intero treno sospeso nel vuoto, su un baratro di trecento metri. West si affrettò a valutare il nuovo pericolo: Spilungone, Merlino, Tank e lui erano a metà della carrozza a precipizio nel vuoto. Il Capitano della Guardia e il suo compagno erano più su, vicino all'estremità superiore, appoggiati alla parete ora orizzontale della loro cella, poco lontano dalla porta intercomunicante che portava all'esterno, verso l'alto, verso la salvezza. Un suono stridulo echeggiò nel vagone. Con uno scossone l'intero treno precipitò di un metro. Blocchi di neve piovvero davanti ai finestrini sbarrati. L'automotrice più in alto stava scivolando, un metro alla volta. West e Spilungone si scambiarono un'occhiata. Echeggiò un altro scricchiolio, ma di altra natura: il suono di un accoppiatore di metallo che si torceva sotto il peso del treno sospeso nel vuoto. «Stiamo per precipitare», disse West rivolto a Spilungone. «Va' su! Presto!» «E tu?» Spilungone accennò col capo alle catene di Merlino. Le gambe dell'anziano professore erano ancora imprigionate. «Va' e basta!» ordinò West. «Non me ne vado senza di lui! Muoviti! Qualcuno deve uscire vivo da qui!» Spilungone non si prese la briga di discutere. Si limitò a prendere Tank e a issarlo su per il vagone, utilizzando le sbarre delle celle come i pioli di una scala. Si arrampicarono sul lato sinistro del corridoio centrale del vagone, passando davanti al capitano quando uscì dalla cella sulla
destra, stordito e senz'armi. West si rimise al lavoro sulle catene di Merlino col cannello ossidrico. Doveva fare in fretta. Un altro stridore metallico. Altra neve scivolò davanti al finestrino. Il treno precipitò un altro metro. La fiamma penetrò ancora un po' nelle catene prima di tagliare sfrigolando l'ultimo pezzetto e liberare Merlino. «Forza, amico mio», lo incoraggiò West. «Dobbiamo sbrigarci.» Guardarono su e videro Spilungone e Tank scomparire dietro la porta intercomunicante... ma fecero anche in tempo a vedere il capitano pararsi davanti a loro, con in mano grossi pugnali, e bloccare il passaggio. «Da questa parte», disse West portando giù Merlino. «Giù?» fece il professore. «Fidati di me.» Raggiunsero la porta in basso della terza carrozza proprio quando lì vicino risuonò un altro stridore metallico. Con un crac l'accoppiatore che collegava la loro vettura con quella sottostante si sganciò e i due vagoni inferiori, più la locomotiva di coda, caddero nel vuoto. Le tre vetture precipitarono per un tempo che parve infinito, inghiottite dal baratro senza fondo, prima di schiantarsi violentemente contro le rocce frastagliate in fondo al burrone. La locomotiva esplose in una palla di fuoco e fumo nero. «Non abbiamo tempo da perdere», disse West a Merlino. «Da questa parte.» Appesi per le dita, uscirono dondolandosi sul lato inferiore della carrozza, i piedi penzoloni trecento metri sul tetto del mondo, prima di issarsi su per l'esterno del terzo vagone di detenzione sospeso nel vuoto, utilizzando qualunque sporgenza come appiglio: le sbarre dei finestrini, i cardini, le maniglie, qualunque cosa. Si arrampicarono su per il fianco della terza carrozza, alla svelta, Jack che aiutava Merlino. Raggiunsero lo spazio vuoto tra il loro
vagone e quello successivo insieme col Capitano della Guardia e col suo compagno - che risalivano dall'interno del treno - e perciò Jack e Merlino proseguirono, scalando l'esterno della seconda vettura più in fretta che poterono fino a raggiungerne la sommità e a inerpicarsi sulla sua superficie superiore piatta... ... appena in tempo per vedere il Capitano della Guardia issarsi e mettersi in salvo nella terza (e ultima) carrozza sopra di loro, con alle spalle il suo compagno più giovane che stava ancora aspettando di seguirlo Fu allora che il capitano vide West. E una luce malvagia gli brillò negli occhi. Allungò la mano per arrivare all'accoppiatore, sebbene il suo uomo fosse ancora sul vagone in basso. La giovane guardia gridò «No!» quando capì quel che stava per accadere, ma West si limitò a proseguire, aggrappandosi a una grata con un salto mentre gridava a Merlino: «Max! Salta e aggrappati alle mie gambe!» Merlino saltò subito e si aggrappò alla cintola di Jack quando... Il Capitano della Guardia sganciò l'accoppiatore. Il secondo vagone precipitò all'istante. Portando con sé la guardia più giovane, gli occhi sbarrati ingoiati dal baratro, la bocca spalancata in un grido muto sino alla fine. Ma West e Merlino erano ancora in partita: West che penzolava dal fondo della prima carrozza, con Merlino aggrappato alla sua cintura! «Max, presto, arrampicati su di me!» gridò Jack. Merlino si issò con rapidità ma poca agilità sul corpo dell'altro, usando a un certo punto le ali in fibra di carbonio ripiegate sulla schiena di Jack come appigli. L'espressione sul volto del Capitano della Guardia era eloquente. Scoppiava dalla rabbia. No, non sarebbe accaduto di nuovo; lo avrebbe impedito. Rientrò nel vagone e prese ad arrampicarsi... in fretta e furia. Ora la meta della corsa era l'altro accoppiatore.
«Corri, Jack! Corri!» gridò Merlino. «Ti raggiungo!» West s'inerpicò su per il fianco esterno dell'ultimo vagone, mentre il Capitano della Guardia risaliva in fretta e furia il corridoio interno. I due uomini si muovevano con rapidità, arrampicandosi con le mani e coi piedi su per la carrozza a precipizio. «Spilungone!» chiamò West nel radiomicrofono senza interrompere la scalata. «Dove sei?» «Siamo quassù, sullo strapiombo, ma abbiamo un problema...» West sapeva di quale problema si trattava. Lo vedeva anche lui. L'elicottero Hind incombeva proprio sopra di lui, a poca distanza dalla cima della rupe, e poco lontano dalla locomotrice pericolosamente inclinata e sospesa sul ciglio dello strapiombo. Li aspettava al varco, se fossero riusciti a mettersi in salvo. Non mollare, pensò. Finché sei vivo, ce la puoi fare. Proseguì la scalata, arrampicandosi su per la carrozza in posizione verticale, agile come una scimmia. Infine s'inerpicò sull'ultima sporgenza e si alzò in piedi... proprio mentre il Capitano della Guardia sbucava dalla porta più in alto. Jack lo aveva battuto; era arrivato primo con appena due secondi di vantaggio. Avanzò di un passo per tirare un violento calcio al capitano cinese... Ma nella mano del nemico comparve una pistola. Jack si bloccò quando gli apparve tutto chiaro: ecco perché aveva vinto la gara. Il Capitano della Guardia aveva perso tempo per raccattare durante l'arrampicata una pistola caduta a terra. Oh, merda... pensò Jack. Merda, merda, merda. Rimase lì, immobile sull'estremità orizzontale della carrozza capovolta, i vestiti sferzati dal vento turbinoso proveniente dall'elicottero. Senza pensare, alzò le mani. «Hai perso!» sputò il Capitano della Guardia in inglese con un ghigno, mentre la testa di Merlino faceva capolino da dietro gli stivali di Jack. La guardia alzò il cane della pistola.
«Merlino...» disse Jack. «È ora di prendere il volo.» Con ciò, proprio mentre il Capitano della Guardia tirava il grilletto della pistola, le mani alzate di Jack afferrarono di scatto la barra di sicurezza dell'accoppiatore sopra di lui e la sganciarono... ... staccando dalla locomotiva la carrozza su cui loro e il capitano si trovavano! * Il Capitano della Guardia strabuzzò gli occhi. Jack li aveva appena condannati tutti a morte. La carrozza precipitava giù per la vertiginosa parete a strapiombo sfocata dalla folle velocità. Ma, nel frattempo, Jack era già scattato in azione. Afferrò Merlino e lo strinse forte con le braccia, gridando: «Aggrappati a me!» mentre premeva qualcosa sulla propria corazza. Le Gullwings si spiegarono di scatto dall'unità compatta che Jack portava sulle spalle e i due uomini si staccarono subito dal vagone in caduta verticale, prima volando verso il basso e poi verso l'alto con una bellissima planata, lasciando che il capitano precipitasse da solo e andasse incontro alla morte con un grido disperato. Con Merlino aggrappato al petto, Jack colse una corrente ascensionale e si allontanò planando dalla ferrovia e dalle vette gemelle su cui era arroccata la prigione di Xintan. «Astro?» chiamò West nel microfono. «Abbiamo bisogno di un recupero più giù sulla ferrovia. Va bene vicino alla fattoria che abbiamo visto prima?» «Ricevuto, Cacciatore», giunse la risposta. «Prima devo andare a prendere Spilungone. Poi veniamo a recuperarvi.» Spilungone era nella neve fino al ginocchio, con a fianco un Tank stremato. Stavano accanto alla locomotiva del treno, inclinata sul ciglio del precipizio, l'unica vettura rimasta.
Purtroppo, sopra di loro incombeva minacciosa la cannoniera Hind. Una voce dal megafono ordinò in inglese: «Voi due! Fermi dove siete!» «Come volete», rispose Spilungone. L'elicottero atterrò sul campo di neve, sollevando una bufera in miniatura con le pale. Dalla stiva sbarcarono in fretta e furia dieci soldati cinesi, che corsero in mezzo alle folate di neve, affrettandosi a circondare Spilungone e Tank. Dalla cabina di pilotaggio, i due piloti videro Spilungone alzare le mani un secondo prima che la bufera in miniatura coprisse l'intera scena con una coltre bianca. Ecco perché i piloti non videro mai il campo di neve che circondava la cannoniera prendere vita quando tre figure spettrali spuntarono da sotto il manto candido, in tuta mimetica bianca e mitragliette MP-7 spianate: Astro, Scimitarra e Avvoltoio. I tre uomini vestiti di bianco s'impadronirono senza difficoltà della cannoniera sguarnita; dopodiché Avvoltoio puntò l'enorme cannone a sei canne dell'elicottero sulla squadra di dieci uomini a terra e col megafono intimò loro di gettare le armi. Inutile dire che obbedirono. Qualche minuto dopo, l'equipaggio e i soldati dell'elicottero tremavano come foglie sul campo di neve, con indosso solo la biancheria intima, l'elicottero che si alzava in volo senza di loro, pilotato da Astro e Scimitarra, con Avvoltoio alla postazione di tiro principale e Spilungone e Tank al sicuro nella stiva. Era l'ultimo punto del piano di Jack: i cinesi avrebbero avuto bisogno dell'elicottero per atterrare lassù... perciò loro avrebbero potuto rubarlo per la seconda parte della loro missione in Cina. UN ANTICO MISTERO LE PIETRE DI SALISBURY
PIANA DI SALISBURY, INGHILTERRA 5 DICEMBRE 2007 CINQUE GIORNI PRIMA DELLA PRIMA SCADENZA PIANA DI SALISBURY, INGHILTERRA, 5 DICEMBRE 2007, ORE 03.05 L'Honda Odyssey noleggiata sfrecciava sulla A303, sola nella notte. Nel chiarore di una lucente luna piena, la campagna del Wiltshire si stendeva a perdita d'occhio ai lati della strada, immersa in una spettrale luce azzurrognola. Al volante c'era Zoe, con Lily e Alby al suo fianco. Dietro sedevano i due giovani uomini che erano andati a prendere lei e i ragazzi a Heathrow: i fratelli Adamson, Lachlan e Julius. Erano gemelli, identici come due gocce d'acqua, alti e magri, con un viso amichevole picchiettato di lentiggini, i capelli rossi e un forte accento scozzese. Entrambi indossavano una semplice T-shirt, l'uno nera, l'altro bianca. Sulla maglietta nera di Lachlan campeggiava la scritta HO VISTO IL LIVELLO DELLE MUCCHE mentre quella bianca di Julius affermava IL LIVELLO DELLE MUCCHE NON ESISTE. Avevano anche l'abitudine di finire le frasi l'uno dell'altro. «Zoe!» aveva esclamato Lachlan nel vederla.
«Che bello rivederti!» disse Julius. «Ehi, sembra una missione segreta.» «È una missione segreta?» volle sapere il fratello. Julius aggiunse: «Se lo è, non credi che Lachy e io dovremmo avere dei nomi in codice, sai, tipo Canesciolto o Pollo?» «Mi piacerebbe farmi chiamare Biade», disse Lachlan. «E io Bullfighter», fece l'altro. «Blade? Bullfighter?» «Piuttosto rudi e roboanti, eh?» domandò Julius. «Ci stavamo pensando mentre ti aspettavamo.» «Chiaro», fece Zoe. «Che ne dite di Castore e Polluce? Romolo e Remo?» «Oh, no! I nomi di gemelli no», disse Lachlan. «Tutto tranne quelli.» «Scusate, ragazzi, ma c'è solo una regola quando si tratta di nomi in codice.» «E quale sarebbe?» «Non sei mai tu a scegliertelo», rispose Zoe con un sorriso. «E a volte il tuo nome in codice può cambiare. Guardate me, ero conosciuta come Mary la Sanguinaria, finché non ho incontrato questa bambina.» Accennò col capo a Lily. «E ora tutti mi chiamano Principessa. Abbiate pazienza, avrete i vostri nomi in codice al momento opportuno. Perché, sì, questa missione è segretissima.» Ora correvano verso ovest sulla A303, alla volta di un luogo al quale li aveva portati proprio Alby. Aeroporto militare alla periferia di Dubai. Due giorni prima. Poco dopo lo schianto dell'aereo da carico di Earl McShane contro il Burj al Arab. Jack West era sulla pista, chino sopra Alby e Lily, mentre uomini armati e agenti della CIA che si spacciavano per attaché parlavano ai telefoni cellulari e un'enorme colonna di fumo s'innalzava in lontananza nel cielo sopra il Burj al Arab. «Fammi capire meglio, Alby», disse Jack.
Durante la riunione, Alby aveva decifrato uno degli appunti più enigmatici di Merlino: il riferimento all'«immersione ed emersione titanica». Ma aveva lasciato intendere a Jack che ci fosse dell'altro. Alby rispose: «Conosco anche il significato di uno dei simboli presenti nel sunto di Merlino». Jack tirò fuori il foglio.
«Il simbolo in fondo a destra», indicò il bambino. «Accanto al riferimento all''immersione titanica'.» «Sì...» annuì West. «Non è un simbolo. È una pianta.» «Di cosa?» Alby alzò lo sguardo verso West, serio in volto. «È una pianta di
Stonehenge.»
L'Honda arrivò in cima a un'altura e d'improvviso il circolo di grandi pietre si profilò sulla piana. Zoe si sentì mancare il fiato. Era già stata lì parecchie volte, naturalmente. Come chiunque altro nel Regno Unito. Ma le dimensioni del sito, la sua assoluta maestosità la coglievano sempre di sorpresa. Stonehenge. Per dirla in parole semplici, Stonehenge lasciava a bocca aperta. E, poiché ne era affascinata da molto tempo, Zoe ne conosceva tutte le leggende: che quel circolo megalitico era un antico calendario; o un antico osservatorio; che le «rocce blu» - le pietre di dolerite alte due metri, molto più piccole ma di gran lunga più famose, che formavano l'arco interno a ferro di cavallo - erano state trasportate nella piana di Salisbury intorno al 2700 a.C. da una tribù sconosciuta dei monti Preseli a più di duecentoquaranta chilometri di distanza nel lontano Galles. Ancora adesso molti credevano che le rocce blu trattenessero il calore anche nelle gelide notti d'inverno.
Sarebbero trascorsi altri centocinquant'anni, intorno al 2570 a.C, prima che gli spettacolari triliti fossero eretti intorno a quel tempio megalitico in miniatura di roccia blu. Ma la data era importante: nel 2570 a.C. il faraone egizio Cheope stava completando la sua famosa opera nella piana di Giza in Egitto, la Grande Piramide. Nel corso degli anni, Zoe lo sapeva, i cosmologi e gli astrologi avevano cercato di collegare Stonehenge con la Grande Piramide, ma senza successo. L'unico collegamento che aveva trovato conferma erano le datazioni molto ravvicinate della loro costruzione. Altre particolarità di Stonehenge la incuriosivano. Come il raro cianobatterio che cresceva sui grandi triliti stessi. Una varietà di lichene che era una vera stranezza, un insolito ibrido di alga e fungo che cresceva soltanto sulle coste aperte al mare; eppure Stonehenge distava ottanta chilometri dal mare più vicino, il canale di Bristol. La sostanza simile al muschio conferiva alle pietre un aspetto screziato e discontinuo. E poi, naturalmente, c'erano le teorie inspiegate sull'ubicazione del sito: il modo singolare in cui il sole e la luna sorgevano sopra il 51° parallelo; nonché il numero insolitamente elevato di siti neolitici che percorrevano in lunghezza le Isole Britanniche sullo stesso grado di longitudine di Stonehenge. In definitiva, si poteva dire solo una cosa di Stonehenge con un certo grado di certezza: per oltre 4500 anni aveva resistito alle offese del vento, della pioggia e del tempo stesso, offrendo una ridda di domande e pochissime risposte. «Okay», disse Zoe mentre guidava. «E ora, che si fa? Qualcuno ha un'idea?» «Un'idea?» fece eco Lachlan. «Che ne dici di questa? Non ci sono precedenti per quello che intendiamo fare. Nel corso degli anni, molti studiosi e svitati hanno collegato Stonehenge col sole e con la luna, con vergini e druidi, con solstizi ed eclissi, ma mai con Giove. Se l'ipotesi di Merlino è fondata e la Pietra di Fuoco mantiene ciò che promette, allora vedremo qualcosa che non si vede da
oltre 4500 anni.» Julius gli diede manforte: «Posso aggiungere che i signori dell'English Heritage non vedono di buon occhio quelli che scavalcano il cordone a Stonehenge e vanno a spasso fra le pietre, men che meno dei pazzi come noi che vogliono celebrare antichi rituali occulti. Ci saranno gli addetti al servizio di vigilanza». «Quelli lasciali a me», ribatté Zoe. «Tu occupati solo del rituale oscuro.» I gemelli tirarono fuori di nuovo gli appunti di Merlino, ed esaminarono la mappa di Stonehenge:
«Nei suoi appunti, Merlino afferma che la Pietra di Ramses a Stonehenge è la Pietra dell'Altare», disse Julius. «E il Grande Trilite? È il simbolo di Stonehenge.» «No, convengo anch'io con la Pietra dell'Altare», disse Lachlan. «È il punto focale della struttura. È fatta anch'essa di roccia blu, eretta nello stesso periodo del circolo originale di roccia blu, perciò è più antica dei triliti. E, per nostra fortuna, è ancora lì.» Oltre 4500 anni fa, Stonehenge era stato saccheggiato dagli abitanti del luogo in cerca di pietre da usare per costruire muri o macine. Quasi tutte le rocce blu del tempio megalitico erano sparite. Erano rimasti i triliti più grandi: coi loro sei metri di altezza (sette nel caso del Grande Trilite), erano troppo grandi e i contadini del luogo non erano riusciti a spostarli. Lachlan si rivolse ad Alby e domandò: «Tu cosa ne pensi, ra-
gazzo?» Alby alzò lo sguardo, sorpreso che gli fosse stato chiesto un parere. Era convinto che, poiché erano due bambini, lui e Lily erano stati portati lì senza un ruolo attivo, affidati alla custodia di Zoe. «Allora?» insistette Lachlan ansioso. «Jack West pensa che tu sia un ragazzo sveglio e si sa che è un buon giudice. E la qui presente Zoe non frequenta perdenti... cioè, ehi, guarda noi.» A quelle parole Lily inarcò un sopracciglio. Julius aggiunse: «E non sei stato tu a capire il nesso tra l'emersione titanica e Stonehenge?» Alby deglutì. Lily lo rassicurò con un sorriso. Si era abituata da un pezzo a essere trattata da persona adulta. «Io, ehm...» farfugliò Alby. «La pietra che stiamo cercando deve incastrarsi in qualche modo con la Pietra di Fuoco. Non vedo come la Pietra di Fuoco possa concretamente incastrarsi sul Grande Trilite. Ma la Pietra dell'Altare, se raddrizzata, sarebbe al centro della struttura. L'altra cosa da ricordare è che Titano emerge a nord-est...» «Ah, sì, sì. Ottima osservazione», convenne Julius. Avevano già considerato quel punto. Come Alby aveva spiegato in poche parole alla riunione che si era tenuta a Dubai, l'emersione e l'immersione di Titano avvenivano soltanto quando la terra, Giove e Saturno erano allineati, un evento che si verificava più o meno ogni 5000 anni e che - chiaramente non per puro caso - si stava verificando proprio ora. A dire il vero, la luna più grande di Saturno, Titano, «emergeva» prima del passaggio di Saturno stesso, spuntando da dietro l'enorme massa di Giove. Subito dopo, Saturno scompariva di nuovo dietro Giove. A causa dell'inclinazione dell'orbita di ciascun pianeta intorno al sole - la sua eclittica - tale movimento ascendente e discendente avveniva otto volte durante il mese di allineamento dei pianeti. Osservati da Stonehenge, prima sarebbe comparso Giove all'orizzonte nordorientale, poi Titano e infine Saturno.
«Perché dunque è tanto importante questa emersione titanica?» domandò Zoe. «Che cosa c'entrano Titano, Giove o Saturno col Sa-Benben e col Sole Nero?» «Il nesso col Sa-Benben è chiaro», rispose Julius. «È il nesso tra Stonehenge e la Grande Piramide che la gente sta cercando da secoli. La nostra teoria è semplice: la Piramide è un tempio dedicato al nostro sole. Stonehenge è un tempio dedicato al Sole Nero.» «E i due sono sicuramente collegati geograficamente», soggiunse Lachlan. «Sai come sono state trasportate le rocce blu alla piana di Salisbury dai monti Preseli nel Galles?» «Sì, Lachlan», rispose Zoe paziente. «Ho due lauree in archeologia, io. L'unica disciplina che non ho studiato è Cosmologia Strampalata del Neolitico Britannico in cui, è chiaro, ti sei specializzato tu.» «Allora saprai del rettangolo formato dalle quattro Pietre della Stazione originarie che un tempo circondavano Stonehenge?» «Sì.» «Io no», fece Lily. Per illustrare il punto, Lachlan aprì un libro e mostrò a Lily uno schema di Stonehenge. Allineate intorno al tempio megalitico circolare erano quattro pietre note come le «Pietre della Stazione». Formavano un rettangolo perfetto 5x12.
Lachlan continuò: «Ora, se tracciamo una diagonale in questo rettangolo, il semplice teorema di Pitagora ci dà come risultato un triangolo rettangolo coi lati 5, 12 e 13». Disegnò un triangolo sull'illustrazione con una matita.
«Mi segui?» domandò. «Finora...» rispose Lily. «È un bel triangolo, no?» «Credo di si.» A quel punto Lachlan tirò fuori una carta geografica del Regno Unito. Indicò Stonehenge in fondo alla carta e poi vi tracciò lo stesso triangolo coi lati 5, 12 e 13, utilizzando Stonehenge come vertice del triangolo con la base parallela all'equatore.
«Il triangolo coi lati 5, 12 e 13 rivela l'ubicazione originaria delle rocce blu nel Galles. I monti Preseli», proseguì Lachlan. «Per essere una tribù primitiva, se ne intendeva parecchio di geografia. Se ne intendeva così tanto che alcuni credono abbia ricevuto un aiuto dall'esterno.» «Pensavo volessi dimostrare un collegamento tra Stonehenge e la Grande Piramide», l'apostrofò Zoe.
Lachlan sorrise e strizzò l'occhio a Lily. «Ricordi che ti ho detto che era un bel triangolo?» «Sì...» «Bene, se prolunghi così l'ipotenusa di questo bellissimo triangolo...»
«... guarda che cosa attraversa.» Lachlan passò a un planisfero e le fece vedere con precisione. «Non è possibile...» disse Lily, quando vide il risultato finale.
La freccia attraversava direttamente l'Egitto, proprio all'altezza del delta del Nilo... di Giza.
«Stonehenge e la Grande Piramide di Giza», concluse gonfio d'orgoglio. «Finalmente uniti.» «Il che ci porta al secondo collegamento», aggiunse Julius. «Il collegamento tra tutto questo e Titano, Saturno e Giove. Vedete, non è tanto Titano, Saturno o Giove che conta, quanto ciò che si nasconde dietro di essi.» «Dietro di essi?» domandò Lily. Lachlan fece un largo sorriso. «Sì. Abbiamo controllato i dati che ci avete inviato da Dubai, i dati degli appunti di Merlino sul Sole Nero e sulla sua velocità di avvicinamento. A quanto pare, si sta avvicinando a noi da dietro Giove. Di qui l'importanza di questo evento astronomico, l'emersione di Saturno da dietro Giove. Ha un valore incalcolabile, per dirla in parole povere, perché ci permetterà, per la prima volta, di vedere il terribile Sole Nero.» «Come?» volle sapere Zoe, torcendosi nel sedile del conducente. «Conosci il concetto di spazio-tempo?» domandò Julius. «O più precisamente di curvatura dello spazio-tempo», specificò Lachlan. «Si, ottima precisazione, fratello», disse Julius. «Grazie.» «Più o meno», rispose Zoe. «L'attrazione gravitazionale di un pianeta curva lo spazio che lo circonda. Una volta l'ho sentito paragonare a un foglio di gomma molto elastico su cui poggiano delle biglie...» «Esatto», confermò Lachlan. «E ogni biglia produce una lieve depressione nel foglio di gomma, indicando la curvatura dello spazio-tempo. Perciò, se tu fossi a bordo di un'astronave che passa accanto a questi pianeti, la tua traiettoria si curverebbe in realtà passando davanti a ciascun pianeta, a meno che non aumenti l'energia.» «Sì.» Julius proseguì: «Be', è la stessa cosa con la luce. Anche la luce si curva mentre attraversa i campi gravitazionali dei pianeti e delle
stelle». Gli fece coro Julius: «E i pianeti grandi come Giove la curvano più di quelli piccoli come Mercurio». «Esatto», confermò il fratello. «Perciò stanotte, mentre osserveremo Giove da Stonehenge, e vedremo Saturno emergere da dietro il pianeta, noi riusciremo, sia pure per un secondo, grazie alla particolare curvatura della luce intorno a quei due pianeti, a intravedere la porzione di spazio dietro Giove.» Zoe corrugò la fronte. «E se il Sa-Benben viene collocato in quel momento - collocato sulla Pietra di Ramses di Stonehenge - che cosa accade allora?» Julius e Lachlan si guardarono in faccia. E poi si girarono verso Zoe, alzando le spalle in sincronia. «È quello che scopriremo», rispose Julius. L'auto sfrecciò nella notte. STONEHENGE, 5 DICEMBRE 2007, ORE 03.22 Parcheggiarono sulla banchina ghiaiosa della strada, a qualche centinaio di metri dal tempio megalitico. La luna splendeva sulla vasta piana come un grande riflettore, rischiarando l'immensa spianata che si stendeva a perdita d'occhio. Stonehenge si trovava all'incrocio tra la A303 e una strada laterale più piccola. Due addetti al servizio di vigilanza stavano di guardia vicino alle pietre immerse nell'ombra, i profili disegnati dal chiaro di luna. Videro l'Honda fermarsi, ma non indagarono: quelli che venivano da Londra spesso si fermavano ad ammirare le pietre mentre si sgranchivano le gambe. Zoe si avvicinò, fino a una cinquantina di metri dalle due guardie e poi alzò di scatto un oggetto squadrato dotato di impugnatura e grilletto, che aveva tutta l'aria di un'arma, mirò ai due uomini e gridò: «Ehilà!»
Le guardie si voltarono. Zoe tirò il grilletto. Dal congegno balenò un lampo, seguito da un cupo boato sonico, e le due guardie si afflosciarono a terra come marionette cui avessero tagliato i fili, prive di sensi. «Che diavolo è quello?» domandò Julius, raggiungendo Zoe. «E dove possiamo procurarcene uno anche noi?» fece eco Lachlan. «Storditore LaSon-V», rispose Zoe. «È un paralizzatore non letale. Un lampo laser seguito da una scarica sonica. Progettato in origine per essere usato a bordo degli aerei dagli 'sceriffi dell'aria' per immobilizzare i dirottatori senza rischiare di rompere un finestrino con un colpo di pistola e depressurizzare la cabina. La scarica sonica è sufficiente di solito per mettere al tappeto un soggetto aggressivo, ma il lampo laser lo abbaglia anche. Niente postumi tranne un forte mal di testa. Alcuni pensano che sia stato questo a disorientare l'autista della principessa Diana poco prima del fatale incidente d'auto.» «D'accordo...» disse Julius. «Con questa nota di allegria, mettiamoci al lavoro.» Nel recinto di fil di ferro che circondava il tempio megalitico fu aperto un varco e Zoe e i gemelli spinsero dentro in tutta fretta un carretto a mano pieno zeppo di attrezzature, coi ragazzi al seguito. Raggiunsero le pietre e si fermarono un momento, intimiditi. Gli altissimi pilastri di roccia svettavano nel cielo, stagliandosi al chiaro di luna: possenti, sinistri, antichi. Il più grande di tutti, il pilastro solitario del Grande Trilite, s'innalzava fino all'imponente altezza di 7,9 metri, con una «lingua» di pietra conica sulla sommità che indicava l'architrave che un tempo lo sormontava. «A che ora compare Titano?» domandò Zoe. «Giove dovrebbe già profilarsi all'orizzonte», rispose Alby, montando un impressionante telescopio sul prato tra le antiche pietre cadute. «Titano emergerà dietro il pianeta alle 3.49 del mattino, Saturno due minuti dopo, e poi, durante l'emersione, apparirà
uno iato tra Saturno e Giove.» «Ed è allora che vediamo il nostro Sole Nero.» «Esatto.» Zoe diede un'occhiata all'orologio da polso. Erano le 3.25. «Sbrighiamoci. Abbiamo venticinque minuti.» Alla luce della torcia a stilo, Julius studiò una pianta più recente di Stonehenge, che mostrava la disposizione delle pietre ancora erette:
«Tre dei cinque triliti centrali sono ancora intatti», osservò. «Un pilastro del Grande Trilite è ancora in piedi, e un altro è quaggiù, a destra. Potrebbe essere un problema.» «E la Pietra dell'Altare?» domandò Lachlan. «È caduta.» «Qual è?» volle sapere Zoe. «Questa qui.» Lachlan passò svelto fra le pietre torreggiami fino a una pietra che era caduta, una grande lastra orizzontale, semisepolta nell'erba all'interno dell'anello centrale di megaliti. Era lunga più o meno due metri e mezzo, piatta e sottile. Accanto si trovava una piccola buca rettangolare. Lachlan esaminò una delle estremità e gridò: «C'è una cavità! Di forma quadrata. Forse venti per venti centimetri». «Combacerebbe col Sa-Benben», osservò Zoe. Fissò la lastra orizzontale, stupita di ciò che stava per dire. «Okay, allora. Raddrizziamola.»
Si mossero con rapidità ma con prudenza, non volendo danneggiare i millenari megaliti. La Pietra dell'Altare fu imbracata e poi issata con delicatezza da un argano azionato da un motore diesel. Nel frattempo, Lily vuotò la buca nel terreno vicino alla base della Pietra dell'Altare. Alby era occupato a puntare il telescopio a nord-est dell'orizzonte. «Vedo Giove!» esclamò. Attraverso il telescopio vide un puntino arancione sospeso sull'orizzonte, perfettamente allineato col cerchio esterno di architravi di Stonehenge e con la sua famosa Pietra del Tallone. «Fate in fretta!» gridò Zoe rivolta ai gemelli. «Non intendo fare in fretta con un tesoro nazionale», ribatté Julius indignato. Lentamente, molto lentamente, l'argano raddrizzò la grande lastra di pietra, sollevandola in posizione verticale finché - con un tonfo che fece sobbalzare Julius - non scivolò di colpo in basso, infilandosi nella buca dov'era stata collocata in origine, più di quattromila anni prima. Zoe diede un'occhiata all'orologio. Le 3.48. Mancava solo un minuto. Fu allora che tirò fuori qualcosa dallo zaino. La punta del Vertice Aureo. Il Sa-Benben. La Pietra di Fuoco. Era uno spettacolo meraviglioso. Luccicava nella notte, tra gli sfavillii delle facce dorate e dell'apice cristallino. Zoe salì su una scala a libro fino alla sommità della Pietra dell'Altare di nuovo ritta. Vide la rientranza sulla cima piatta del megalite; vide che, sì, coincideva alla perfezione con le dimensioni della base della Pietra di Fuoco.
«E sia...» mormorò. «La Grande Piramide e Stonehenge. Vediamo che cosa sapete fare.» Con timore reverenziale, collocò la Pietra di Fuoco nella cavità della Pietra dell'Altare e, d'improvviso, l'antico megalite mutò completatamene d'aspetto: assomigliava a un obelisco in miniatura, circondato dai triliti del tempio megalitico, guardiani nel cuore della notte. L'orologio di Zoe segnò le 3.49. «Vedo Titano...» annunciò Alby. Attraverso il potente telescopio, la luna più grande di Saturno era appena un puntino dietro il grande disco arancione che corrispondeva a Giove. Emergeva da dietro il gigante gassoso, come una stella molto fioca. Passarono due minuti. «E vedo Saturno... uau!» Un puntino più grande emerse, molto lentamente, da dietro Giove, gli anelli a malapena visibili, prima di innalzarsi sopra l'orizzonte del pianeta e aprire uno iato tra i due corpi celesti. A quel punto Stonehenge, silente e misterioso per oltre 4500 anni, si risvegliò. Un fascio di luce invisibile, scaturito dal Sole Nero, tagliò l'orizzonte, sfiorò la Pietra del Tallone in linea retta e attraversò il cerchio esterno di architravi prima di trafiggere la Pietra di Fuoco collocata sulla sommità della Pietra dell'Altare centrale. La Pietra di Fuoco splendette di luce viva. L'avvolse una sfolgorante luce viola, che illuminò il cerchio di triliti di un chiarore sovrannaturale. Sei raggi di quella intensa, abbacinante luce viola scaturirono dalla Pietra di Fuoco come i raggi di una ruota e colpirono alcuni dei pilastri dei triliti. Zoe e gli altri non poterono far altro che guardare attoniti lo spettacolo di luci, uno spettacolo che non si vedeva da oltre 4500
anni. E poi accadde qualcos'altro. I licheni sulla superficie dei triliti - lo strano ibrido alga-fungo che non aveva nessuna ragione di crescere così tanto nell'entroterra - cominciarono ad accendersi di un verde pallido. E d'improvviso, mentre la fioca luminescenza dei licheni si combinava con le incrinature e le intaccature dei pilastri stessi, sui triliti cominciarono a formarsi delle immagini che prima non si distinguevano. Zoe sgranò gli occhi, incantata. Le immagini avevano un'aria stranamente familiare; ricordavano i continenti della terra... ma non erano proprio identici. Erano in qualche modo diversi, i profili delle coste distorti. Sembrava che su un paio di triliti fossero raffigurati i contorni dei continenti.
«È il mondo», disse Lachlan con un filo di voce. «Si combina tutto per formare una mappa della terra, com'era milioni di anni fa.» «Cosa?» fece Zoe a bassa voce, senza rendersene conto. Lachlan indicò con un cenno del capo le immagini luminescenti sui megaliti. «Sono i continenti del nostro pianeta. Sono nella loro attuale posizione, ma prima che gli oceani salissero e dessero loro gli attuali profili costieri. Chiunque l'abbia fatta, l'ha fatta tanto tempo fa.» Zoe puntò di nuovo l'attenzione sulle immagini luminose, e vide
che l'altro aveva ragione. C'era l'Africa... E quell'altra ricordava vagamente l'Asia... La pietra raffigurante l'Africa era trafitta da due dei raggi di luce color viola simili a laser: il primo vicino all'estremità orientale, il secondo nella punta più meridionale. «Presto, le foto!» ordinò Zoe. «Fotografateli, prima che si fermi!» I gemelli si affrettarono a impugnare le fotocamere digitali, e si misero a scattare foto delle pietre illuminate e dei raggi di luce. «E questi due?» domandò Zoe, indicando i due pilastri che sembravano raffigurare i profili dei continenti. «Oceani, suppongo», rispose Julius. «Ma è difficile capire quali siano, dato che le coste sono diverse. Il pianeta ha tre oceani principali, il Pacifico, l'Indiano e l'Atlantico. Forse un terzo oceano era raffigurato su uno dei pilastri caduti. Il che ha senso. Nessuno ha mai capito perché Stonehenge ha dieci pilastri. Ciò lo spiegherebbe: sette continenti e tre oceani.» Zoe batté le palpebre. Porca miseria... A quel punto Alby esclamò: «Sta scomparendo! Saturno sta scomparendo!» Un secondo dopo, su tutto calò il buio. La luce viola della Pietra di Vertice si spense e il grande cerchio di pietre si dileguò di nuovo nell'ombra. Zoe fissò i gemelli e i bambini. «Scommetto che è la prima volta che lo vedete.» Riapri in fretta e furia la scala a libro per salire a prendere la Pietra di Fuoco. «Forza, qui abbiamo finito. Lachlan, Julius: abbassate la Pietra dell'Altare, rimettetela nel punto esatto in cui era. E poi sgommiamo. Merlino e Jack non crederanno ai loro occhi.» Quando i due addetti alla sorveglianza ripresero i sensi un paio d'ore dopo, malfermi sulle gambe e storditi, trovarono Stonehenge
intatto, apparentemente inviolato. C'erano molte orme tra i megaliti centrali, segno di uno strano andirivieni, ma non mancava nulla. A parte la buca in cui era stata eretta la Pietra dell'Altare - che era stata vuotata del terriccio - ogni cosa era al suo posto, per fortuna. L'indomani gli abitanti del luogo avrebbero riferito di una strana luce porporina emessa da quell'area, ma sarebbero stati presto liquidati. Ogni anno c'erano almeno una dozzina di avvistamenti di UFO nella piana di Salisbury e un sacco di altri resoconti stravaganti. E così, allo spuntare dell'alba, Stonehenge si stagliò ancora una volta contro il cielo, imponente e muto, continuando a fare la secolare guardia a quell'antico luogo. TERZA MISSIONE JACK WEST JR. E LA PIETRA FILOSOFALE
CINA 5 DICEMBRE 2007 CINQUE GIORNI PRIMA DELLA PRIMA SCADENZA MONTI DI SICHUAN, CINA, 5 DICEMBRE 2007, ORE 17.35 Più o meno mentre Zoe e i gemelli erano incantati davanti al me-
raviglioso spettacolo di luci a Stonehenge, Jack e Merlino stavano sorvolando le aspre e selvagge montagne della Cina centrale nella stiva dell'elicottero Hind che avevano rubato, consapevoli che una buona parte dell'esercito Popolare di Liberazione Cinese - pressappoco un milione e duecentomila uomini - si stava mobilitando in quel preciso momento per dare loro la caccia. Con loro erano Spilungone, Orsacchiotto, Astro, Scimitarra, Avvoltoio e un ferito, Tank Tanaka. Sky Monster aveva diretto l'Halicarnassus a sud, appena oltre il confine birmano, dov'era in paziente attesa di recuperare il resto della squadra. «È assolutamente indispensabile che troviamo la Pietra Filosofale», disse Merlino a Jack quando si trovarono soli in un angolo della stiva. Mangiava con grande rumore e appetito un boccone mentre indossava abiti puliti. «Mi hanno dato quell'impressione, i tuoi appunti», convenne Jack. «Perciò è lì che stiamo andando. È anche per questo che abbiamo dovuto prendere questo elicottero.» Jack ragguagliò Merlino sulla riunione di Dubai, sulla nuova coalizione di nazioni che li aiutava in quella missione - compresi gli Stati Uniti e l'Arabia Saudita - e, soprattutto, che cosa avevano dedotto finora dalle ricerche di Merlino. «Ma devo sapere di più, Max», concluse. «I tuoi appunti erano ottimi, ma non potevamo mettere insieme tutti i pezzi.» «Sì, sì...» «Per esempio dove dice che il Sa-Benben e la Pietra Filosofale sono al centro di tutto. Perché?» Merlino alzò la testa di scatto. «Mio Dio, Jack, non hai portato con te la Pietra di Fuoco, vero? Non possiamo permettere che tutte e due le pietre cadano nelle mani dei nostri nemici.» «No, non l'ho portata», rispose Jack. «Ce l'ha Zoe. In Inghilterra. È andata a Stonehenge con la Pietra di Fuoco, i gemelli e i ragazzi.» «Ti sei messo in contatto coi gemelli? Oh, ottimo», disse Merli-
no con un profondo sospiro. «E Stonehenge. Stonehenge e il SaBenben. Ma, un momento, bisogna farlo durante l'emersione di Tit...» «Risolto.» Merlino fissò il cielo, e sorrise. «Avrei voluto esserci per vederlo. Sono contento che ci sei arrivato.» «Non sono stato io. È stato l'amico di Lily, Alby.» «Ah, Alby. Un piccolo genio. E un ottimo amico per Lily. Quando le cose si faranno più difficili, avrà bisogno di compagni come lui...» La voce di Merlino si spense, e una profonda tristezza gli velò gli occhi. Mentre parlava, Jack esaminò i segni della tortura sul volto dell'anziano professore, i lividi e le ferite, il sangue essiccato sulla barba. Merlino aveva passato brutti momenti in quella prigione. «Oh, Jack», disse Merlino. «La situazione è grave. Gravissima. Non assomiglia a niente di ciò che abbiamo già affrontato.» «Raccontami tutto.» «Il mondo ha raggiunto un punto critico della sua esistenza. È giunto il momento di una svolta, un banco di prova, un momento in cui la terra può rinnovarsi o essere distrutta. La Rotazione del Tartarus era solo l'inizio, nient'altro che il primo passo verso una catastrofe molto più grande.» «L'arrivo di questo Sole Nero?» sollecitò Jack. «L'arrivo del Sole Nero è solo una parte. Ci sono molte cose inspiegate nel nostro mondo, Jack, e con l'arrivo del campo del punto zero, di questo Sole Nero, molte sveleranno il loro fine. La Grande Piramide e il Vertice Aureo sono solo l'inizio. Stonehenge. Nazca. L'isola di Pasqua. Tutti i pezzi andranno al loro posto ora, con l'arrivo del Sole Nero. L'unione di antiche cose. Ma la cosa da temere di più, come sempre, è l'uomo stesso.» «Perché?» Merlino rispose: «Fammi fare un passo indietro». Prese un foglio dai suoi appunti, e indicò un disegno che Jack ricordava di aver già visto:
Merlino proseguì: «Questo è il simbolo della Grande Macchina. Ora, come hai dedotto in maniera corretta dai miei appunti, la Macchina è semplicemente il nostro pianeta. Come il disegno mostra, in sei luoghi del nostro pianeta si trovano sei santuari sotterranei, di forma piramidale e capovolti, ma giganteschi, tutti puntati verso il centro della terra. Osserva le piramidi capovolte nel disegno, coi Pilastri rettangolari bianchi che sporgono da esse. «Anche se in questo disegno la Macchina è rappresentata come una struttura bidimensionale piatta, dovremmo immaginarcela in tre dimensioni, coi Sei Vertici situati appena sotto la superficie della terra, disposti intorno al pianeta sferico. In questo modo». Merlino fece uno schizzo:
«Ora, in ognuno di questi luoghi deve essere collocato un Pilastro purificato. I Pilastri sono diamanti grezzi di forma oblunga che nessuno sa dove siano.» «Non proprio nessuno», obiettò Jack. «Ci stiamo lavorando.» «Ah, bene. Ora, veniamo alle Pietre di Ramses, e al ruolo straordinario che hanno in questa difficile impresa. Le chiamiamo 'Pietre di Ramses' ma il loro vero nome è in realtà 'Pietre Guida'. Le Sei Pietre Guida del Gemello Oscuro di Ra. Perché, quando ognuna entra in contatto col Sa-Benben caricato dal Sole, rivela qualcosa della Macchina. «Per esempio, a Stonehenge: quando il Sa-Benben è collocato
sulla cima della Pietra Guida che sta lì durante l'emersione di Saturno sopra Giove, saranno rivelati i luoghi dei Sei Vertici. Come ciò avvenga di preciso sul sito di Stonehenge, non lo so. Se è andato tutto bene, ora Zoe lo sa.» «E la Pietra Filosofale?» domandò Jack. Merlino scartabellò nuovamente i suoi appunti fino a che non trovò un'altra immagine:
«Questa è un'incisione della Pietra di Lao Tse, altrimenti detta la Pietra Filosofale», spiegò l'anziano professore. «Osserva il Vertice piramidale sospeso sulla sommità e la cavità rettangolare all'interno. «Per purificare un Pilastro, occorrono tre cose: il Sa-Benben, la Pietra Filosofale e uno dei Pilastri. Infili il Pilastro nell'incavo della Pietra Filosofale, chiudi il coperchio e poi collochi il Sa-Benben sul coperchio. Così il Pilastro è purificato e pronto per essere inserito in uno dei Sei Vertici.» «È per questo che il Sa-Benben e la Pietra Filosofale sono al centro di tutto...» osservò Jack, comprendendo. «Esatto. La Pietra di Ramses più importante è la Pietra Sacrificale dei maya: quando è unita al Sa-Benben, indicherà le date astronomiche entro cui i Pilastri devono essere collocati sui Vertici. Ora, so già che i Sei Pilastri devono essere collocati in due tempi diversi: i primi due entro la prossima settimana o giù di li; gli ultimi quattro in un secondo tempo, più o meno fra tre mesi, poco prima dell'equinozio del 20 marzo 2008, quando il Sole Nero farà il suo tanto atteso ritorno.»
Jack si senti girare la testa. Sembrava davvero un momento di immani proporzioni: stelle, Pilastri, Vertici, date astronomiche. In un angolo remoto della mente ricordò che gli americani avevano detto di essere in possesso della Pietra Sacrificale dei maya. Snebbiando la mente, fissò di nuovo l'attenzione su Merlino. «Perché dunque in tutto questo l'uomo è la cosa da temere di più?» Merlino sospirò. «A causa dei premi», si limitò a rispondere. «I premi. 'A colui che colloca ciascun Pilastro va un premio favoloso.' Così si legge sui muri di Abydos. È lì che ho trovato l'elenco dei sei premi sotto un'incisione di Ramses II e di suo padre Seti I: un'incisione che gli studiosi hanno sempre liquidato come una semplice decorazione. I sei premi elencati erano: conoscenza, calore, visione, morte, vita e potere.» Merlino si fece scuro in volto. «Jack, cosa siano di preciso i premi, nessuno lo sa, ma, a detta di tutti, sono di immenso valore. Per esempio, credo che calore sia una fonte di energia straordinaria, una fonte di energia inesauribile; e che conoscenza sia una grande scoperta che non abbiamo ancora fatto.» Jack ascoltava Merlino con attenzione. D'improvviso l'interesse degli Stati Uniti e dell'Arabia Saudita per il successo della sua missione aveva più senso, per non parlare del violento assalto della Cina alla sua fattoria per appropriarsi della Pietra di Fuoco. Proprio in quel momento una luce rossa d'emergenza illuminò la stiva e un segnalatore acustico si mise a suonare ripetutamente. L'interfono sopra la testa di Jack gracchiò. «Cacciatore, stiamo arrivando nella regione delle Tre Gole», annunciò la voce di Astro. «Arrivo previsto tra nove minuti, e stiamo per apparire sui loro radar come una grossa, fottuta insegna luminosa. Spero tu abbia ragione.» «Avanti», fece Jack. «Ci conviene prepararci. L'obiettivo è ben difeso e siamo nell'elenco locale dei più ricercati, perciò dovremmo attaccare in modo duro e rapido. Stammi attaccato. È ora di finire ciò che abbiamo cominciato, è ora di prenderci la Pietra Filo-
sofale.»
SISTEMA DI TRAPPOLE DI LAO TSE, SOTTO LA MONTAGNA DELLA STREGA, PROVINCIA DI SICHUAN, CINA CENTRALE, 5 DICEMBRE 2007 Il colonnello Mao Gong Li imprecò ad alta voce. Erano passati quattro giorni da quando aveva catturato Max Epper e lo aveva spedito a Xintan per essere interrogato, e i suoi soldati cinesi avevano fatto pochi progressi nel sistema di gallerie sotterranee che proteggeva la leggendaria Pietra di Lao Tse.
Progressi che erano stati ostacolati più che altro da numerosi dispositivi antintrusione: trappole esplosive. Mao si maledisse. Avrebbe dovuto saperlo. Da oltre tremila anni le tombe cinesi erano famose per i loro ingegnosi meccanismi protettivi: per esempio, il mausoleo dell'imperatore Qin, situato a Xi'an - dove si trovava il famoso esercito di guerrieri di terracotta cinesi -, era dotato di balestre automatiche e «caditoie», da cui un tempo si rovesciavano sugli incauti archeologi olio e pece bollenti. Ma le trappole che proteggevano quel sistema erano molto più sofisticate, superiori a qualunque cosa Mao avesse visto, tanto astute quanto mortali. Aveva già perso nove uomini, tutti in modi atroci. Le prime tre vittime non erano nemmeno riuscite a superare la soglia del sistema di trappole: la porta cilindrica incassata nel muro. La porta aveva ruotato di colpo, rovesciando sugli uomini intrappolati all'interno un liquido puzzolente e caustico; un liquido che, ora Mao lo sapeva bene, era una miscela rudimentale di acido solforico. Perciò i suoi uomini avevano aperto la porta facendola saltare con l'esplosivo al plastico C2 ed erano entrati in una camera interna, la cui unica uscita era un piccolo passaggio simile a un condotto sul lato opposto. Così la vittima successiva si era messa ventre a terra e a strisciare nel condotto, quando era stata infilzata fino al cuore da una punta di ferro che era sbucata da un foro dall'aria innocua nel pavimento. Aveva trapassato in modo lento e doloroso il corpo dell'uomo da parte a parte, fuoriuscendo dalla schiena. Altri due uomini avevano fatto una fine simile - da altri due fori nel pavimento del cunicolo - prima che il capo tenente di Mao ebbe l'idea di otturare i fori letali col cemento a presa rapida. Così avevano richiesto il cemento - alla fine era giunto dalla diga delle Tre Gole a centosessanta chilometri di distanza - e, dopo un'attesa di due giorni, avevano superato lo strettissimo cunicolo.
Ma avevano perso altri uomini nella camera successiva: un lungo e sontuoso corridoio in discesa fiancheggiato da statue di terracotta mute. Lì uno dei soldati di Mao era morto quando uno dei guerrieri di terracotta con la bocca spalancata aveva vomitato d'improvviso un getto di mercurio in faccia al malcapitato. L'uomo aveva cacciato grida lancinanti quando il mercurio gli si era appiccicato agli occhi. Il denso liquido gli aveva ostruito tutti i pori del volto, avvelenandogli piano piano il sangue stesso. Era perito fra atroci sofferenze poche ore dopo. Era stato portato altro cemento a presa rapida. Che era stato rovesciato nella bocca di ogni guerriero di terracotta nel grande corridoio, tappandogliela, prima che gli uomini di Mao andassero avanti. Solo per veder morire quasi subito un altro soldato quando una statua aveva sparato una freccia dalla propria orbita nell'occhio dello sventurato. Quando un terzo soldato aveva versato il cemento nella statua vicina, era riuscito a schivarne il letale meccanismo di difesa: una rudimentale bomba a frammentazione, innescata da una piccola quantità di polvere da sparo nascosta negli occhi della statua. Una gragnola di piccole sfere di piombo era esplosa dalle orbite del guerriero di terracotta, mancando per un soffio il soldato, che tuttavia aveva barcollato all'indietro... ... scivolando sul pavimento bagnato e giù per tutta la lunghezza del corridoio in pendenza prima di precipitare alla fine della galleria... e sparire alla vista dei suoi compagni d'armi, inghiottito dal buio. Di lì a poco avevano scoperto che era precipitato in un profondo e buio abisso sotterraneo alla fine del corridoio, un abisso dalla profondità insondabile. E non erano andati oltre. Ecco perché quel mattino presto era stato trasmesso l'ordine a Xintan di riportare lì Merlino e Tank, per vedere se riuscivano a scoprire i segreti del sistema di trappole di Lao Tse.
Il villaggio sommerso Le quattro sentinelle cinesi lasciate in superficie, sul sistema di trappole, alzarono tutte gli occhi al cielo al rombo di un elicottero in arrivo, rilassandosi quando videro che era uno dei loro: una cannoniera Hind con le insegne dell'esercito Popolare di Liberazione. Il grosso elicottero atterrò su un eliporto galleggiante annidato tra le capanne di pietra semisommerse, sollevando detriti e spruzzi d'acqua tra i vicoli dell'antico villaggio. Le sentinelle raggiunsero senza fretta l'elicottero, i fucili ad armacollo... solo per vedere il portello laterale della cannoniera spalancarsi e tutto d'un tratto trovarsi a fissare le bocche di fucili d'assalto Tipo 56 e mitragliette MP-7. Con indosso le uniformi dell'esercito cinese dell'equipaggio dell'elicottero, Jack West Jr. e la sua squadra erano arrivati. La camera d'ingresso C'erano altre due sentinelle cinesi di basso grado nella camera d'ingresso: la stessa camera che Merlino aveva contemplato estasiato appena quattro giorni addietro, prima che fosse catturato da Mao, prima che Mao assassinasse il suo gentile amico, Chow. D'improvviso, una strana granata argentata cadde nel pozzo e rimbalzò sul pavimento della camera, mancando il grande buco nel centro, ma spingendo le due sentinelle a girarsi. Scoppiò. Un lampo riempi l'antica camera, abbacinante, ed entrambe le sentinelle caddero in ginocchio, stringendosi gli occhi e urlando, accecate, le retine quasi bruciate. La cecità non sarebbe stata permanente, ma sarebbe durata due giorni interi. Dopodiché Jack si calò nel pozzo d'entrata, piombando nella camera, il tonfo degli stivali sul pavimento di pietra, la pistola
spianata. Accese il radiomicrofono. «Le guardie sono fuori combattimento. La camera è sgombra. Venite giù.» Fu solo allora che notò i sacchi mortuari. Erano nove: soldati che i cinesi avevano perso dentro il sistema di trappole. Quando Merlino e il resto della squadra lo raggiunsero nella camera - Spilungone che legava e imbavagliava le due guardie che piagnucolavano, Merlino che restava senza fiato per il tanfo dei sacchi mortuari - Jack esaminò la parete principale della camera d'ingresso. Mirò la splendida incisione incrostata di gioielli del Mistero dei Cerchi, larga tre metri e stupefacente. E, proprio sotto l'incisione, una nicchia alta e stretta con le pareti curve. Sopra il vano era scolpito il piccolo simbolo della Pietra Filosofale che aveva già visto, sormontato dal Sa-Benben:
La porta curva era grande più o meno come una bara, e su un lato c'erano tre leve di ferro e l'ideogramma cinese per la parola «dimora».
La volta di quello spazio strettissimo era stata chiusa in maniera grossolana col cemento; probabilmente per tappare un tubo da cui cadeva un liquido letale. «Non proprio elegante», commentò Jack. «Ma efficace.»
Merlino scosse la testa. «Questo sistema è stato progettato dal grande architetto cinese Sun Mai, un contemporaneo di Confucio e, come lui, un ex discepolo di Lao Tse. Sun Mai era un ottimo artigiano, un uomo di raro gusto. Costruiva anche castelli, fortificazioni e così via, perciò era molto adatto a questo compito. E Mao come lo affronta? Col cemento. Col cemento. Oh, com'è cambiata la Cina nel corso dei secoli.» «Il sistema di trappole», disse Jack grave, fissando l'oscurità oltre la nicchia-porta aperta. «Ci sono degli studi? Tipo la disposizione delle trappole?» «Non puoi studiare le trappole di questo sistema in anticipo», rispose Merlino. «È dotato di molteplici soglie, che si varcano risolvendo un enigma in loco.» «Enigmi in loco. Ciò che amo di più...» «Ma enigmi relativi alle opere di Lao Tse.» «Oh, di bene in meglio.» Merlino esaminò la porta bloccata dal cemento e la camera dall'altra parte, poi indicò con un cenno del capo i sacchi mortuari. «A quanto pare, i nostri rivali cinesi hanno incontrato qualche seria difficoltà. Se mi avessero fatto le domande corrette durante l'interrogatorio, forse sarei stato più utile.» «Allora qual è il trucco?» domandò West. Merlino sorrise. «Qual è il contributo di Lao Tse più famoso alla filosofia?» «Lo Yin-Yang.» «Sì. Il concetto di dualità. L'idea che ci sono due aspetti di ogni cosa. Le coppie elementali. Bene e male, luce e buio, e così via. Ma c'è dell'altro: ogni coppia è collegata. Nel bene, c'è un po' di male e, nel male, un po' di bene.» «Il che significa...» lo sollecitò Jack. Merlino non rispose. Lasciò che lo capisse da solo. «... se ci sono due aspetti di ogni cosa, allora ci sono due ingressi in questo sistema», concluse West. Merlino annuì. «E quindi?»
L'altro corrugò la fronte. «Il secondo ingresso è collegato a questo ingresso?» «Bravo, amico mio. Trenta e lode.» Merlino andò a grandi passi verso il pozzo circolare nel pavimento, quello che era in linea col pozzo di entrata nel soffitto e sbirciò giù. «Questo sistema di trappole ha davvero un secondo ingresso. Laggiù.»
«Il sistema di tunnel che si dirama da questa camera è detto la Via del Maestro», disse Merlino. «Un secondo sistema di tunnel situato di sotto è detto la Via del Discepolo.» «Come sono collegati allora?» «Semplice. Si devono percorrere contemporaneamente. Due persone, una per tunnel, attraversano a turno le rispettive trappole, disattivandole a vicenda.» «Stai scherzando...» West era scampato a molti sistemi di trappole nel corso degli anni, ma non aveva mai incontrato una cosa del genere. «È l'esercizio di fiducia supremo», spiegò Merlino. «Mentre percorro il tunnel superiore, innesco una trappola. La trappola non
è disattivata da me, ma da te nel tunnel inferiore. La mia vita è nelle tue mani. Poi avviene il contrario: tu inneschi una trappola, e io devo salvare te. Ecco perché i nostri amici cinesi hanno incontrato tante difficoltà lì dentro. Non sanno della via d'accesso inferiore. Perciò usano il cemento e la forza bruta, e nella solita maniera cinese» - fece un cenno nella direzione dei sacchi mortuari «sopportano le perdite e fanno scarsi progressi. Alla fine ce la fanno, ma a costo di molte vite umane e di molto tempo.» Jack si morse il labbro, pensando. «D'accordo. Spilungone, tu e Scimitarra andate a cercare l'ingresso inferiore. Io entrerò in questo con Astro e Merlino. Tank, tu rimani qui con Orsacchiotto. Tienti in contatto radio con Avvoltoio su nell'elicottero, perché ho il sospetto che dovremo battercela alla svelta. Tutti d'accordo. Pronti. Entriamo.»
La porta cilindrica (inferiore) Pochi minuti dopo, West udì la voce di Spilungone nell'auricolare: «Abbiamo trovato la seconda entrata. Circa diciotto metri più giù. Una porta stretta, tagliata nella parete del pozzo. Identica alla vostra, ma intatta. La parte superiore non è ostruita da cemen-
to». «Entrate», ordinò West. Giù nel pozzo, Spilungone e Scimitarra erano appesi alle funi davanti a una stretta porta cilindrica scavata nella parete del pozzo verticale. Il pozzo stesso sprofondava sotto di loro in un nero abisso senza fondo. Guidato dalla torcia del casco, Spilungone scese dalla fune e varcò la porta... ... solo per vederla girare d'improvviso intorno a sé sul suo asse. Le pareti concave ruotarono di novanta gradi sigillando l'apertura, e lui si ritrovò intrappolato nella nicchia grande come una bara, bloccato su ogni lato, senza nessuna via di fuga. Lo assalì la claustrofobia. Il respiro affannoso gli echeggiò nelle orecchie. La luce della torcia era troppo vicina alle pareti strettissime. Poi qualcosa gorgogliò nel vuoto sopra di lui e gli si gelò il sangue. «Ehm, Jack...» Più su, nell'entrata della Via del Maestro, Jack valutò le tre leve di ferro nella parete, l'una sopra l'altra, accanto all'ideogramma cinese per la parola «dimora»: nessuna delle tre presentava segni o incisioni; erano completamente lisce. «Ehm, Jack...» giunse la voce di Spilungone. «Qualunque cosa tu debba fare lassù, ti prego, falla in fretta.» «Tira l'ultima leva in basso», ordinò Merlino. «Presto.» West obbedì e... ... e in quello stesso momento, giù nell'entrata di Spilungone, una lastra di pietra scivolò attraverso la volta e il cilindro ruotò altri novanta gradi, in un'altra camera dall'altra parte, un stanza di pietra di forma cubica. Varcò svelto la micidiale porta cilindrica e disse: «Sono passato.
Grazie, ragazzi. Scimitarra, tocca a te». Nel tunnel superiore, West si volse verso Merlino. «Come facevi a saperlo?» «Una famosa massima di Lao Tse», rispose l'anziano professore. «'Pensando, attieniti alle cose semplici. Nel conflitto, sii equo e generoso. Dimorando, fallo vicino al terreno.' Visto che il nostro indizio era 'dimora', ho scelto la leva che era più vicina al terreno.» «Ben fatto.» Dopo aver fatto passare Scimitarra nello stesso modo, West, Merlino e Astro varcarono la porta che si era aperta davanti a loro, la trappola bloccata dal cemento dei soldati di Mao. Il cunicolo I due gruppi di uomini si ritrovarono in stanze cubiformi identiche. Quattro guerrieri di terracotta a grandezza naturale - perfetti in ogni dettaglio - stavano agli angoli di ciascuna stanza. In quella di West, le bocche erano state tappate col cemento, mentre in quella di Spilungone erano spalancate, il fondo buio e insondabile. «Non avvicinatevi alle statue», avvertì Merlino. In fondo a ciascuna stanza si apriva un cunicolo a livello del pavimento. Nemmeno due metri quadri e simile a un tubo, era l'unica uscita della stanza di pietra. West sbirciò nel suo condotto: si addestrava per un centinaio di metri, forse di più. Per tutta la sua lunghezza erano disseminati fori grandi come palle da tennis tagliati nel pavimento, tutti chiusi col cemento. «Punte di ferro», sentenziò Merlino. «Spilungone?» «C'è un cunicolo quaggiù, vicino al pavimento. Sembra lungo e, a quanto pare, possiamo attraversarlo solo stando ventre a terra. Ci sono un sacco di fori sul pavimento.»
Jack rispose: «Occhio a quei fori. Sparano punte di ferro». Merlino trovò un'iscrizione sopra il cunicolo, con accanto una sola leva questa volta, che poteva essere alzata o abbassata. L'iscrizione diceva:
«Genio», disse Merlino. «È l'ideogramma cinese per la parola 'genio'.» Alle estremità della leva c'erano due immagini: l'incisione di un bellissimo albero sopra e il disegno di un semplice seme sotto. «Ah...» fece Merlino, annuendo. «'Vedere le cose in un seme, questo è genio.' Un'altra massima di Lao Tse. Abbassa la leva, Jack.» West obbedì. «Okay, Spilungone, dovresti essere al sicuro», comunicò Merlino via radio. «Dovresti essere al sicuro?» Scimitarra aggrottò le sopracciglia, gettando uno sguardo a Spilungone. «Questa situazione mi preoccupa un sacco.» «È un esercizio di fiducia. Ti preoccupa solo se non ti fidi dei tuoi amici.» Scimitarra guardò di sbieco Spilungone per un lungo istante. «Secondo le mie fonti, è stato il Vecchio Maestro in persona a metterti quell'enorme taglia sulla testa.» A quel nome Spilungone s'irrigidì. Il «Vecchio Maestro» era il soprannome di una leggenda del Mossad, il generale Mordechai Muniz, ex capo del Mossad di cui, secondo molti, anche a riposo, era ancora la figura più influente; il burattinaio che tirava i fili di coloro che in apparenza comandavano. «Sedici milioni di dollari», rifletté Scimitarra. «Una bella taglia, una delle più alte in assoluto. Il Vecchio Maestro vuole infliggerti
una punizione esemplare.» «Ho preferito la lealtà verso tuo fratello alla lealtà verso il Mossad», ribatté Spilungone. «E forse è per questo che siete diventati tanto amici. Mio fratello pensa troppo spesso col cuore e non con la testa. Pensare così è da stupidi e da deboli. Guarda dove ti ha portato.» Spilungone pensò a Orsacchiotto su nella camera d'ingresso. «Darei la vita per tuo fratello, perché credo in lui. Ma tu no. Perciò mi chiedo, primogenito dello sceicco, in che cosa credi?» Scimitarra non rispose. Scuotendo la testa, Spilungone si chinò e s'infilò nel basso cunicolo, avanzando striscioni. Era un compito difficile, estremamente claustrofobico. Le pareti anguste e umide gli sfioravano le spalle. Quindi strisciò sul primo foro nel pavimento, trattenendo il respiro, in attesa che... ... ma non saltò fuori niente. Scimitarra lo seguì dappresso e i due percorsero il cunicolo sui gomiti fino a che non sbucarono in un posto dove ci si poteva alzare di nuovo in piedi, all'inizio di un corridoio che scendeva ripidamente. Sulla parete alle loro spalle, sopra l'uscita del cunicolo, c'era una leva uguale a quella che West aveva tirato, con accanto l'ideogramma cinese corrispondente alla parola «conoscenza». Sopra la leva c'era l'immagine di un orecchio; sotto, quella di un occhio. Spilungone riferì ciò a Merlino e West. «La risposta corretta è l'orecchio», rispose Merlino. «Siccome siete nella Via del Discepolo, i vostri sono enigmi di Confucio, il discepolo più dotato e fidato di Lao Tse. Confucio disse: 'Se ascolto capisco, se vedo ricordo'. La conoscenza deriva quindi dall'ascolto. Per quanto riguarda noi, grazie ai muratori di Mao, questa volta non ci occorre il vostro aiuto.» La galleria dei guerrieri
Ci volle un po' di tempo, ma poi West e la sua squadra superarono il basso cunicolo. Ora, come Spilungone e Scimitarra, stavano in piedi all'inizio di un magnifico corridoio in declivio. Era meraviglioso, col soffitto sorretto da modiglioni alto almeno sei metri e grandi statue di guerrieri, ciascuna alta due metri e munita di una specie di arma. Il corridoio sembrava stendersi per oltre cento metri, digradando bruscamente ma senza gradini, sprofondando nelle viscere della terra. Il pavimento era umido e scivoloso. Le lampade a batteria lasciate dagli uomini di Mao erano allineate lungo le pareti come le fioche luci di una pista d'atterraggio. E poi, in lontananza, West udì qualcosa provenire dalla fine di quella lunghissima galleria. Voci. Seguite dal tremolio di luci e torce chimiche. Erano il colonnello Mao e i suoi uomini, bloccati da una trappola in fondo alla galleria. Li avevano raggiunti. * Astro apparve a fianco di West e insieme aguzzarono gli occhi nell'oscurità, nella direzione delle voci. Senza dire una parola, tirò fuori una granata, a strisce gialle questa volta. West si volse e la vide. «Non voglio nemmeno sapere che cosa contiene.» «CS-II. Un tipo di gas lacrimogeno/nervino, con un fumo di copertura», spiegò Astro. «È un po' più potente del solito tipo di gas CS che si usa quando ci sono di mezzo degli ostaggi. Pensato per situazioni come questa, quando si deve sfondare una forza nemica che blocca un passaggio ma senza volere per forza ucciderla. Ma se vuoi farlo...»
«Le lacrime e la perdita di coscienza vanno bene, tenente», lo interruppe West. «Non mi piace uccidere qualcuno se non ne sono costretto. Max, kit ossigeno.» Con ciò, West prese il suo caratteristico elmo da pompiere e vi attaccò la maschera antigas e la bomboletta d'ossigeno. Gli altri fecero lo stesso. Poco dopo, tre granate a strisce gialle rimbalzarono lungo il corridoio, in mezzo alla forza cinese di Mao radunata alla fine del passaggio che si apriva sul precipizio. Lampi e boati. Gas sibilante e un fumo denso inghiottirono la dozzina di soldati cinesi, che si misero subito a tossire tra i conati di vomito e le lacrime irrefrenabili degli occhi. Nel corridoio saturo di fumo e gas, tre figure avanzarono come spettri. Con indosso maschere antigas e con movimenti rapidi, West, Astro e Merlino s'infilarono tra i cinesi che urlavano e cadevano a terra come mosche, privi di sensi. Ciò nonostante, Jack approfittò dell'occasione per sferrare al colonnello Mao un colpo secco col calcio della sua Desert Eagle quando gli passò davanti, rompendogli il naso e facendolo stramazzare a terra. Quindi raggiunse il punto dove il pavimento del corridoio si apriva su un abisso senza fondo. «Madre di Dio...» mormorò. Mao e i suoi uomini avevano montato un generatore diesel e alcune luci ad arco per illuminare l'ambiente, e ora, nella foschia del gas, l'enorme spazio che si spalancava davanti a Jack aveva un'aura mistica, quasi sovrannaturale. Davanti a lui si apriva un enorme baratro, forse trenta metri di diametro e dalla profondità insondabile. Sul lato opposto si stagliava un muro di pietra liscio a strapiombo. Era letteralmente crivellato di fori rotondi; centinaia di fori disposti a griglia, ognuno
grande come la mano di un uomo. E nel centro esatto del muro c'era una piccola galleria quadrata, che si addentrava di più nella montagna.
Sul ciglio del baratro, Jack lanciò con un calcio una pistola cinese nel vuoto. Precipitò nel buio. Un lungo silenzio. Poi, alla fine, si udì un clangore. «Oh...» fece West sottovoce. «Jack!» chiamò una voce sia nell'auricolare sia da qualche parte lì vicino. «Quaggiù!» Jack guardò giù e vide Spilungone e Scimitarra fare capolino da una cornice identica una ventina di metri sotto la sua. Gli unici collegamenti tra le gallerie e il magnifico muro traforato erano una coppia di strettissime cornici, una per ciascun corridoio. Quella di West, più in alto, correva lungo il breve muro di sinistra; quella di Spilungone, più in basso, correva lungo quello di destra. Lungo le strettissime cornici c'erano altri fori grandi come una mano: appigli, immaginò Jack, ma di tipo letale. Sopra ogni foro, notò, era inciso un piccolo simbolo cinese. «Un classica trappola tombale cinese», osservò Merlino. «Il
modo più facile per scoprire un predatore di tombe nell'antica Cina era quello di individuare chi aveva la mano mozza. Quei fori sono tagliole per le mani. In alcuni ci sono appigli, che ti aiutano ad arrampicarti. Tutti gli altri contengono lame a forbice con un meccanismo a molla. Se sai quali sono quelli sicuri, passi. Se non lo sai, perdi una mano e con ogni probabilità precipiti e muori.» «Dov'è l'aiutino?» domandò West. «È qui», rispose Merlino, avvicinandosi a una tavola sul muro. Tradusse a voce alta: «'Qui, dove due sentieri diventano uno, dove il maestro diventa l'allievo e l'allievo diventa il maestro'». Alla fine della tavola c'era un'altra incisione enigmatica.
«'La più grande ricchezza'», tradusse Merlino. «Qual era, secondo Lao Tse, la più grande ricchezza?» si domandò ad alta voce. «Ah...» fece sorridendo. Richiamò alla memoria l'antico assioma del vecchio filosofo: La salute è il massimo bene, la semplicità è la più grande ricchezza, la fiducia è la miglior compagna, il non-essere è la gioia più alta. «È la semplicità», rispose. Come volevasi dimostrare, il primo degli appigli sulla cornice di sinistra riportava il simbolo per la parola «semplicità»: Anche il terzo, e il quinto e molti altri ancora. «Dai!» incalzò Merlino. «Dai! Dai! Dai!» Senza indugio e fidandosi dell'amico, Jack infilò la mano nel primo foro... ... e trovò un appiglio. Quindi fece un passo avanti, lungo la cornice, sopra il baratro
sotterraneo, nero e senza fondo. Spilungone chiamò: «Abbiamo trovato un'iscrizione anche noi: 'La via più nobile per arrivare alla sapienza'». Seguendo West dappresso, Merlino disse: «Questa è facile. Cerca l'antico simbolo cinese per la parola 'riflessione'. È un detto di Confucio: 'Vi sono tre vie per arrivare alla sapienza. La prima è con la riflessione, che è la più nobile. La seconda è con l'imitazione, che è la più semplice. La terza è con l'esperienza, che è la più amara'». Un secondo dopo, Spilungone annunciò: «Trovato. È sopra ogni secondo o terzo foro». «Usa solo quei fori, Spilungone», gli raccomandò West. «Se usi uno degli altri, perderai una mano. Ci vediamo dall'altra parte.» Alla fine, Jack raggiunse il muro bucherellato, e notò che ancora una volta ogni foro era sormontato da un'iscrizione. Era una vista frastornante, e agli occhi di un profano sarebbe apparsa del tutto incomprensibile. Ma seguendo i fori che riportavano l'ideogramma per la parola «semplicità», scoprì un percorso continuo che terminava al foro quadrato nel centro del muro. Attraversando in arrampicata libera la parete scivolosa, sopra il baratro nero come la pece, disegnò un percorso tortuoso dal lato sinistro, mentre Spilungone e Scimitarra seguivano una via simile dalla cornice inferiore destra:
Nel frattempo, Mao e i suoi uomini giacevano sul pavimento del corridoio, tra i deboli gemiti di alcuni soldati sul punto di riprendersi. West, Merlino e Astro arrivarono al foro quadrato, dove furono presto raggiunti da Spilungone e Scimitarra. «A quanto pare, da qui si prosegue insieme», osservò Jack. Piegò una torcia chimica, accendendola, e la lanciò dentro il buio cunicolo, rivelando un altro tunnel lunghissimo, di forma quadrata questa volta, abbastanza ampio da essere percorso carponi, e che si perdeva lontano nell'oscurità. «E ora che si fa?» si domandò. E con ciò s'inerpicò nel foro quadrato e, guidato dalla torcia dell'elmo e da un'altra torcia chimica, scomparve nel passaggio.
La caverna della torre Dopo aver percorso carponi circa duecento metri, Jack sbucò in una specie di camera nascosta nel buio, dove poté alzarsi in piedi senza difficoltà. Si levò la maschera antigas. Per qualche motivo, tuttavia, la torcia non poteva penetrare il buio che lo circondava. West riuscì a scorgere una specie di lago subito dinanzi a sé, ma nessun muro. Solo una grande oscurità, un'oscurità senza fine. Doveva essere un ambiente molto grande. Accese una torcia chimica, ma non svelò un gran che.
Sparò un bengala con la pistola lanciarazzi... «Ohi...» fece sottovoce. Ai suoi tempi, Jack West Jr. aveva visto delle caverne grandi, compresa una nelle montagne sudoccidentali in Iraq che ospitava i leggendari Giardini Pensili di Babilonia. Ma anche quella caverna sfigurava al confronto di questa. Ci vollero altri sette bengala per illuminarla tutta. La caverna che West vide era immensa, al di là dell'immaginazione; di forma grossomodo circolare e almeno cinquecento metri di diametro. Era anche un capolavoro di scienza della costruzione: era una grotta naturale, senza dubbio, ma modellata dal lavoro degli uomini - decine di migliaia di uomini, secondo Jack - per essere ancora più impressionante di quanto fosse in origine. Otto colossali pilastri di pietra sorreggevano l'altissima volta. Chiaramente, un tempo erano state stalattiti calcaree che, nel corso di migliaia di anni, si erano unite alle corrispondenti stalagmiti che s'innalzavano dal pavimento della caverna, formando massicce colonne che sostenevano il soffitto. Ma, in qualche momento del passato, un esercito di operai le aveva foggiate in meravigliose colonne lavorate, con tanto di finte gallerie di guardia. Ma a dominare la scena era la colonna al centro della grotta. Più grande delle altre e interamente opera dell'uomo, assomigliava a una splendida torre, una grande torre fortificata di venti piani, che s'innalzava fino all'altissima volta, cui si congiungeva. Era di gran lunga la colonna lavorata più finemente: presentava molte gallerie, entrate fortificate, feritoie e, alla base, quattro scalinate di pietra che portavano a quattro entrate diverse. La torre e le altre colonne erano circondate da un lago perfettamente immobile di un liquido scuro simile all'olio: non era certo acqua. Brillava fioco nella luce dei bengala di Jack. Da dove stava lui fino alla torre in mezzo alla caverna, si snodava una lunga fila di passatoi alti due metri: una specie di ponte, che doveva senza
dubbio riservare qualche brutta sorpresa. «Mercurio liquido», disse Astro, sollevando un attimo la maschera antigas per annusare le esalazioni del lago. «Lo si sente dall'odore. Estremamente tossico. Ti occlude i pori, ti avvelena attraverso la pelle. Non caderci dentro.» Quando raggiunse West e gli altri, Merlino declamò: «Nella stanza più alta della torre più alta, nella parte più bassa della grotta più bassa, è lì che mi troverai. «Confucio», aggiunse. «Dal terzo libro delle massime eterne. Non l'avevo mai capito veramente fino a ora.» Poco lontano da loro, un arco di ferro rosso e nero sormontava il primo passatoio. Sull'arco era inciso un messaggio in antichi caratteri cinesi: Un viaggio di mille miglia comincia con un passo. Perciò anche quest'ultima sfida comincia, e finisce, con un passo. Merlino annui. «Appropriato. 'Ogni viaggio comincia con un passo' è un'espressione attribuita sia a Lao Tse sia a Confucio. Gli storiografi non sono sicuri su chi dei due l'abbia detta. Perciò qui, dove i loro due sentieri diventano uno solo, c'è solo una citazione.» «Dove sta il tranello allora?» domandò Scimitarra. West osservò i passatoi, la torre e la grande caverna, il cui scopo divenne chiaro. «La trappola consiste nel correre contro il tempo», rispose a bassa voce. «Oh, Dio, hai ragione», confermò Merlino. Astro corrugò la fronte. «Cosa? Che razza di trappola è?» «Una bella grande», rispose l'anziano professore.
«Che di solito comincia con un passo», aggiunse West. «Il primo passo fa scattare la trappola. Poi devi entrare e uscire prima che la trappola completi la sequenza. Per superarla, devi essere preciso e veloce. Suppongo che, non appena uno di noi mette il piede sul primo passatoio, parte la sequenza.» Si volse verso Merlino. «Max?» Merlino rifletté un momento. «'Nella stanza più alta della torre più alta, nella parte più bassa della grotta più bassa.' Suppongo sia lassù, nella stanza più alta della torre. Credo che da qui abbiamo bisogno della tua abilità e velocità, Jack.» «Ma non mi dire», ribatté l'altro sarcastico. Si tolse gli indumenti pesanti, fino a rimanere in T-shirt, pantaloni da lavoro, stivali e la parte inferiore della maschera antigas, lasciando scoperti solo gli occhi. Il braccio sinistro di metallo brillava nella luce fioca. Si mise di nuovo in testa l'elmo da pompiere e strinse una fune in mano. Tenne addosso anche il cinturone con le due fondine. «Va da solo?» domandò Scimitarra, sorpreso e, forse, un po' sospettoso. «Per questa prova, la cosa più importante è la velocità», rispose Merlino. «E, in un posto come questo, non c'è uomo al mondo più veloce di Jack. Da qui, deve andare da solo. È l'unico che può riuscirci.» «E già», fece West. «Spilungone, se ti sembra che sono nei guai, sarebbe gradita una mano.» «Puoi contarci, Cacciatore.» Con ciò Jack si volse verso la lunga fila di passatoi che si snodava verso la colossale torre. Tirò un profondo respiro. Quindi si mise a correre, sulla prima pietra. La fuga Aveva appena messo il piede sul primo passatoio che tutta la ca-
verna prese vita. Prima una fila di stalattiti - grandi come un uomo - cominciò a cadere dalla volta, piovendo sui passatoi a un soffio da Jack West. Jack correva a rotta di collo, dimenando le braccia e le gambe mentre attraversava come un fulmine le pietre che s'innalzavano due metri sopra il lago di mercurio, tra i tonfi sordi dei missili appuntiti che precipitavano alle sue spalle, alcuni colpendo i passatoi, altri cadendo nel lago circostante. Ma riuscì a correre più veloce delle pietre acuminate. La gragnola di stalattiti era molto frastornante, pensata per costringere l'intruso a mettere un piede in fallo, ma Jack riuscì a mantenere la concentrazione e i nervi saldi durante la volata di duecento metri. Raggiunse la scalinata ai piedi della torre con un ultimo scatto, salì due gradini alla volta e giunse davanti a un'altissima entrata ad arco... proprio quando una cascata in miniatura di un acido color ambra si rovesciò sulla soglia. Con una capriola, Jack si tuffò nella torre un attimo prima che cadesse l'acido corrosivo. Si volse a guardare... e vide che la lunga fila di passatoi cominciava a immergersi nel lago! «Oh, la vedo brutta...» Alla velocità con cui scendevano, Jack calcolò che aveva circa quattro minuti prima che scomparissero del tutto nel lago di mercurio, bloccandogli l'unica via di salvezza. «Jack...!» lo incalzò Merlino. «Le ho viste!» ribatté lui. Guardò in su e nella luce della torcia del suo elmo vide che la torre era completamente cava: un altissimo pozzo cilindrico che s'innalzava sinistro nel buio soprastante, con una fila di appigli per le mani e per i piedi scavati in un lato. Col fiato grosso, si arrampicò su per la scala fatta d'appigli, notando alcune nicchie di dimensioni adatte a un uomo durante la scalata. Stranamente, sopra ogni nicchia era inciso l'ideogramma
cinese per la parola «rifugio». Uno scricchiolio lo spinse ad alzare lo sguardo. Lo stridore tipico di una pietra che ruzzola, seguito da un debole sibilo... Jack s'infilò nella nicchia più vicina proprio quando un masso di due tonnellate precipitò sibilando nel pozzo della torre, occupandolo da una parete all'altra e sfiorando per un pelo il naso di Jack, rintanato nella piccola nicchia. Una volta passato, Jack riprese la scalata e in altre due occasioni trovò «rifugio» nelle nicchie prima che i massi precipitassero nel pozzo, preceduti soltanto da uno scricchiolio. «Perché devono mettere tutte queste trappole per difendere i loro tesori...» mormorò. Ma poi, dopo un minuto di arrampicata, raggiunse la cima della torre, là dove si congiungeva con la volta della gigantesca caverna, e si trovò a entrare in uno spazio appena sopra la volta della grotta. Si tirò in piedi in una bellissima camera quadrata, non molto diversa dalla camera d'ingresso che era vicino alla superficie. Le pareti erano tappezzate di bassorilievi finemente lavorati: incisioni del Mistero dei Cerchi e del simbolo che rappresentava la Macchina; e contro un muro, sopra una bassa e buia nicchia, un'immagine della Pietra Filosofale. C'erano altre incisioni, compresa una di quattro re seduti sul trono spalla a spalla e fiancheggiati da cinque guerrieri in piedi, ma Jack le lasciò perdere. Andò alla nicchia e contemplò un piccolo altare di pietra su cui troneggiava uno dei manufatti più belli e raffinati che avesse mai visto in vita sua. La Pietra Filosofale. Non era molto grande, ma la semplice purezza delle sue linee incuteva rispetto. Era laccata nell'antico modo cinese: i lati neri lucidi erano di un
profondissimo nero e striati di rosso. Le strie rosse erano punteggiate di pagliuzze d'oro. Composto da due pezzi, il corpo della pietra aveva una sezione trapezoidale, con una cavità rettangolare nella superficie superiore. Il secondo pezzo, il coperchio, era più piccolo, un blocco quadrato perfettamente liscio, e - notò Jack - della stessa misura della base della Pietra di Fuoco. Sbirciando nella nicchia, Jack vide che la volta era cava, come la canna di un camino. Perciò, con un balzo, allungò la mano e afferrò la Pietra di Lao Tse, tuffandosi fuori dalla nicchia... ... un secondo prima che quella - ma non l'altare - fosse inondata da una cascata di acido solforico che defluì da una grata nel pavimento. Jack filò via, infilando la Sacra Pietra nello zaino e tornando indietro a rotta di collo. Si precipitò giù per il pozzo della torre, riparando nelle cavità del muro quando piovevano altri massi - ora più di prima - come se il sistema di trappole sapesse che la Pietra era stata rubata e stesse facendo ogni sforzo per fermare il ladro in fuga. Jack scese giù per gli appigli nel muro e giunse in fondo proprio mentre un altro masso precipitava nel pozzo. Con un salto atterrò nell'entrata principale, la cui cortina acida si era ormai fermata, dove vide di sfuggita i passatoi che si abbassavano, quando d'improvviso il masso lo sfiorò con un sibilo, colpendolo di striscio alla spalla e facendogli perdere l'equilibrio. Con suo grande orrore, cadde, cercando disperatamente un appiglio senza trovarlo. E così precipitò nel buio del pozzo alla base della torre... Solo per essere afferrato per il polso da una mano. Appeso per il braccio, West guardò in su e vide il volto rigato di sudore di Spilungone. «La mano è arrivata, capitano West», disse torvo. «Forza. Ancora uno sforzo.»
Quando uscirono dalla torre, videro che i passatoi erano ormai a trenta centimetri dalla superficie di mercurio e che stavano scendendo rapidamente. «Corri!» gridò Spilungone. Attraversarono correndo il lago di mercurio, con una coordinazione quasi perfetta, saltando di pietra in pietra, mentre i passatoi continuavano a scendere. A dieci metri dalla meta, le pietre raggiunsero il livello del liquido e Spilungone gridò: «Continua a correre! Non mollare, Jack! Non mollare!» Jack era quasi allo stremo delle forze, il cuore che gli martellava forte nella testa, la bile che gli risaliva in gola, il respiro affannoso sotto la mascherina. E poi i piedi fecero cic ciac nel mercurio e, con un terribile senso d'impotenza, West sentì le ginocchia cedere e capì che non poteva farci nulla: stava per cadere a faccia in giù nel lago di mercurio, a tre passi dalla salvezza! Barcollante e senza fiato, crollò in avanti... solo per sentire Spilungone arrivargli a fianco con un balzo, infilargli un braccio sotto l'ascella e trascinarlo sugli ultimi tre passatoi fino a che entrambi non si abbandonarono sul terreno solido, fermandosi con una scivolata sul ventre proprio ai piedi di Merlino. «Dio mio!» esclamò Max, aiutando Jack ad alzarsi in piedi. Grondante di sudore e senza fiato, sorretto soltanto da Merlino e Spilungone, Jack respirò a pieni polmoni. Quando infine riuscì di nuovo a parlare, pronunciò solo tre parole, meravigliose: «L'ho presa». * Jack e la sua squadra avrebbero lasciato la Cina alla fine della giornata, dopo essere usciti dal sistema di trappole attraverso la galleria inferiore - evitando così gli uomini di Mao - e aver incon-
trato l'Halicarnassus al confine birmano. Di nuovo al sicuro a bordo dell'aereo, Merlino e Tank furono portati dritto in infermeria per essere medicati da Spilungone. Sky Monster disse a Jack: «Cacciatore, ho appena ricevuto una chiamata da Zoe. Ha detto che la missione a Stonehenge è andata benissimo e che ha una valanga di dati per Merlino». «Ottimo», commentò Jack, gli abiti ancora sporchi di sangue, polvere e schizzi di mercurio. «Fai rotta per l'Inghilterra e richiama Zoe. Dille d'inviare qualunque immagine ritiene sia necessario che vediamo in anticipo.» «Punto di rendez-vous?» «Dille che stiamo arrivando, ora e luogo saranno comunicati in seguito. Dovremo fare il giro lungo.» «Ricevuto.» «Astro, chiama i tuoi capi americani e fa' sì che spediscano la Pietra Sacrificale dei maya in Inghilterra. E se sanno dove si trova qualche altro Pilastro - cosa di cui sono sicuro - digli di portare anche quello.» «D'accordo.» «Oh, e di' al tuo amico della CIA, Robertson, che abbiamo bisogno che eserciti un po' d'influenza coi vecchi amici dell'America, la Casa di Sassonia-Coburgo-Gotha, e che faccia sì che portino il loro Pilastro.» «La Casa di Sassonia-cosa?» ripeté Astro confuso. «Lui capirà.» «Okay...» fece lui, dirigendosi alla console di comunicazione. Jack si volse verso Avvoltoio, sedendosi poco lontano. «Ho bisogno anche del Pilastro della Casa di Saud, Avvoltoio.» L'altro si alzò in piedi. «Sapevo che avevi fama di essere un tipo impudente, capitano, ma questo, questo rasenta l'insolenza. Hai una bella faccia tosta.» «Altroché!» West si diresse a poppa, in direzione della sua cabina. «Ora, se non vi spiace, vado impudentemente a fare una doccia e poi vado impudentemente a cuccia. Svegliatemi quando arrivia-
mo nell'Europa dell'Est.» Qualche minuto dopo, Jack giaceva tutto rinfrescato nella sua cuccetta, gli occhi spalancati nel buio, quando gli venne in mente una cosa. Premette il pulsante dell'interfono sopra il lettino. «Sì, Cacciatore?» giunse la voce di Sky Monster dalla cabina di pilotaggio. «Hai già parlato con Zoe?» «Ho finito di parlare con lei un secondo fa.» «Puoi richiamarla per me e dirle di riferire questo messaggio a Lily? 'Papà ti vuole bene e gli manchi tanto. Buona notte.'» «Certo, amico.» Jack spense l'interfono e in pochi secondi piombò in un sonno profondissimo. Sognò molte cose - quasi tutti ricordi, alcuni felici, altri orribili ma soprattutto sognò Lily, il suo volto sorridente e la casa che avevano messo su insieme in un angolo remoto nel Nordovest dell'Australia... UNA BAMBINA DI NOME LILY PARTE TERZA
AUSTRALIA MARZO 2006 - DICEMBRE 2007
I MESI SUCCESSIVI AL TARTARUS GREAT SANDY DESERT, AUSTRALIA NORDOCCIDENTALE, MARZO 2006 - DICEMBRE 2007 Nei mesi successivi alla Rotazione del Tartarus del marzo 2006, i componenti della squadra di Jack fecero ritorno ai rispettivi Paesi di origine, con l'eccezione di Spilungone, poiché nella sua patria, Israele, era stato dichiarato persona non gradita in seguito alla sua partecipazione alla missione. Era stato ora con Jack, ora con Merlino, ora con Orsacchiotto. Si dovevano presentare rapporti, riprendere carriere. Dopotutto, non era così frequente che un soldato professionista sparisse per una missione di dieci anni, e una simile assenza doveva essere spiegata ai vari uffici pubblici. A tutti loro furono concesse, per esempio, promozioni retroattive. Naturalmente, la dispersione della squadra ebbe un forte impatto su Lily, poiché quella squadra di soldati era la cosa che somigliava di più a una famiglia che lei avesse mai conosciuto. Si sentiva come Frodo alla fine del suo libro preferito, Il Signore degli Anelli. Avendo portato a termine una grande missione che aveva cambiato il destino della terra, ora tutti loro dovevano riprendere la solita vita; e la solita vita come poteva più soddisfare chi aveva partecipato a un'avventura come quella? Peggio ancora, come potevano avere a che fare con gente comune che non conosceva né poteva conoscere le grandi imprese che avevano compiuto nel loro interesse? Fortunatamente, la squadra andava a trovare spesso lei e Jack alla fattoria; e una volta che ebbe il proprio telefono cellulare - che bel giorno, quello - Lily si tenne in contatto con loro tramite SMS. E naturalmente, ogni volta che era possibile, li andava a trovare: Orsacchiotto a Dubai, Capellone in Giamaica, Merlino ovunque fosse, e Zoe in Irlanda.
Zoe. I momenti preferiti di Lily erano, naturalmente, quando Zoe andava a trovarla in Australia. Ma all'inizio non era stato facile, poiché un tenente colonnello dal cuore di pietra dell'esercito irlandese - ignaro del ruolo eroico che Zoe aveva avuto nella missione delle Sette Meraviglie - aveva insistito perché Zoe si riqualificasse e rientrasse nello Sciathan Fhianoglach an Airm. Gente comune, sospirò Lily. Puah. Naturalmente, West era consapevole di ciò. In verità, certe volte anche lui si sentiva così. La soluzione era semplice. Dovevano trovare nuove imprese con cui tenersi occupati. Il che andava bene a West, pensava Lily, poiché Merlino inviava spesso loro quesiti e rompicapi per e-mail. Cose del tipo: «Jack, puoi trovarmi la tribù Neetha, nel Congo?» Oppure: «Puoi procurarmi una traduzione autorevole degli Indovinelli di Aristotele?» O ancora: «Puoi trovarmi tutti i nomi degli uomini uccello dell'isola di Pasqua?» Ma poi, proprio quando non riusciva più a trovare compiti interessanti, Jack ne offrì a Lily uno sorprendentemente nuovo per il quale era impreparata. La scuola. Poiché era piuttosto difficile riuscire a trovare delle scuole nei deserti settentrionali dell'Australia, Lily fu mandata in un prestigioso collegio per bambini dotati a Perth. Prestigioso o no, i bambini sono bambini e, per una bambina che era cresciuta come figlia unica in mezzo a soldati speciali in una fattoria isolata in Kenia, la scuola si dimostrò un'esperienza dura e frastornante. Naturalmente, Jack sapeva che sarebbe stato così, ma sapeva pure che era necessario. Quanto fosse dura, tuttavia, divenne chiaro al primo incontro
genitori-insegnanti. Con indosso un paio di jeans, una giacca che gli nascondeva il fisico muscoloso e guanti da lavoro che gli celavano la mano artificiale, Jack West Jr. - commando, avventuriero e possessore di due master in storia antica - era seduto su una bassa sedia di plastica davanti a un piccolo banco di plastica dietro il quale c'era la consulente d'orientamento di Lily, una donna occhialuta di nome Brooke. Un «consulente d'orientamento», era stato spiegato a Jack, era semplicemente un insegnante incaricato di controllare i progressi scolastici generali di Lily. Il lunghissimo elenco di osservazioni di Brooke strappò a Jack un sorriso dietro l'apparente espressione interessata. «Lily mette in imbarazzo la sua insegnante di latino in classe. La corregge di fronte agli altri studenti. «Ha voti eccellenti in tutte le materie, con una media del nove, ma ho l'impressione che possa fare di più. Sembra che si limiti a fare il necessario per prendere un voto, non quello di cui è veramente capace. Il nostro programma di studi è il più avanzato del Paese, eppure lei sembra, be', annoiarsi. «È molto selettiva con gli amici. Sta in compagnia di Alby Calvin, il che è ottimo, ma, da ciò che ho visto, sembra non abbia nessuna amica. «Ah, e ha fatto piangere il giovane Tyson Bradley torcendogli il polso all'indietro con una strana presa. L'infermiere scolastico dice che per poco non gli ha rotto il braccio.» West era al corrente. Il giovane Tyson Bradley era un comune e odioso bulletto, che un giorno aveva cercato con le minacce di costringere Alby a dargli il denaro della merenda. Lily era intervenuta e, quando Tyson le si era avventato alla gola, lei lo aveva afferrato per il polso e glielo aveva torto all'indietro, costringendolo a inginocchiarsi, e rompendogli a momenti il braccio... proprio come West le aveva insegnato a fare.
Il giovane Tyson non aveva dato più fastidio né ad Alby né a Lily. Fu a quell'incontro che West conobbe la madre di Alby, Lois Calvin. Era una dolce e timida donna oriunda degli Stati Uniti, che viveva a Perth col marito, un dirigente minerario. Ansiosa e nervosa, era sempre preoccupata per il figlio. «Quell'orribile allenatore lo terrorizza», si lamentò con Jack prendendo un caffè. «Sinceramente, non capisco perché un bambino gentile come Alby dovrebbe praticare uno sport. E se prende un colpo in testa? Mio figlio sa fare cose straordinarie in matematica - cose che i suoi insegnanti non possono nemmeno sognare di fare - e tutto questo potrebbe essere distrutto da una ferita alla testa in una partita di calcio. Ma quel tremendo allenatore sostiene che lo sport è obbligatorio e non riesco a convincerlo a esonerare Alby.» Lois era una donna deliziosa ed era chiaro che adorava Alby, ma Jack aveva l'impressione che ingigantisse le cose... fino a che più tardi, quella sera, non conobbe anche lui l'allenatore: il signor Naismith. Il signor Todd Naismith era una montagna di muscoli che indossava pantaloncini da tennis troppo stretti e una polo che metteva in rilievo i grossi bicipiti. Agli occhi di un bambino, sarebbe sembrato un gigante; agli occhi di Jack, non era che una versione più grande di Tyson Bradley: un bullo cresciuto. Il mastodontico allenatore parve valutare la taglia e la statura di West quando si sedette. Dopodiché tirò fuori la scheda di Lily, palleggiando nel contempo una palla da softball con fare distratto. «Lily West...» esordì, leggendo con attenzione la scheda. «Ah, si. Come ho fatto a dimenticarlo? Non ha voluto partecipare a una partita di dodgeball un giorno. Ha detto che era un gioco stupido e che io ero un 'povero idiota con la fissa per lo sport che non sapeva un accidente del mondo reale', se ricordo bene.»
Mio Dio, pensò Jack. Questo non lo sapevo. «Caspita», disse. «Chiedo scusa se...» «Come atleta non vale molto, sua figlia», proseguì il signor Naismith imperterrito, interrompendolo. «Ma a detta dei suoi insegnanti è un'allieva molto brillante. Ora, essere studiosi è una cosa, e infatti questa scuola si concentra sullo studio. Ma, resti fra noi, a me piace lo sport. E lo sa perché?» «Non riesco a immaginarlo...» «Perché crea una mentalità di squadra. Squadra. L'idea di altruismo. Se le cose si mettessero male e i suoi amici si trovassero con le spalle al muro, Lily saprebbe reagire e rischiare per loro? Io saprei farlo, lo so, me l'ha insegnato lo sport.» Jack sentì le mascelle stringersi, sapendo bene che cosa aveva fatto Lily nell'interesse di imbecilli come lui. «Ma davvero?» ribatté scandendo le parole. «Altroché», ribadì Naismith continuando a palleggiare la palla e... Con la rapidità di un fulmine, Jack afferrò la palla a mezz'aria e la strinse nella mano destra inguantata tra le loro facce, gli occhi gelidi fissi su quelli del massiccio allenatore. «Signor Naismith. Todd. Mia figlia è una brava bambina. E non vedo problemi coi suoi concetti di lealtà e spirito di squadra. Chiedo scusa per l'offesa che potrebbe averle recato. Ha preso da me la sua testardaggine. Ma del resto...» West strinse la palla nella mano meccanica... e, con un lieve scricchiolio, la fece a pezzi, pezzi filacciosi che gli scivolarono tra le dita e caddero a terra, seguiti dall'involucro di cuoio della palla. Il signor Naismith sgranò gli occhi, tutta la sua sicumera svanita in un istante. «... forse dovrebbe provare a suscitare il suo interesse a un livello più intellettuale. Forse così otterrà un risultato migliore. Ah, e, signor Naismith - Todd -, se il suo amichetto, Alby Calvin, non vuole giocare a pallone, lo lasci stare. Sta mettendo in agitazione sua madre. Questo è quanto.»
Con ciò, Jack se ne andò, lasciando Todd Naismith lì come un baccalà, a bocca aperta. * E così Lily viveva in funzione delle vacanze e dei fine settimana, quando poteva tornare alla fattoria e rivedere i suoi vecchi amici. Le visite di Merlino erano il punto culminante, anche se col passare dei mesi cominciarono a diradarsi. Era al lavoro, diceva, su un progetto molto importante, un progetto su cui aveva lavorato tutta la vita. Lily era entusiasta di leggere i suoi appunti, pieni com'erano di antichi misteri e simboli, e in qualche occasione aiutò Merlino a tradurre anche alcune incisioni scritte nella Parola di Thoth, un'antichissima lingua che soltanto lei e un'altra persona al mondo sapevano decifrare. Merlino portò con sé alla fattoria due volte il suo socio di ricerca, Tank Tanaka. Lily trovava Tank simpatico. Intelligente, affettuoso e divertente, la seconda volta portò a Lily un giocattolo dal suo Giappone, un piccolo cane robot prodotto dalla Sony Corporation, chiamato Aibo. Lily si affrettò a ribattezzare il cane Sir Baubau e a usarlo per spaventare Horus. Con una piccola modifica Merlino potenziò i sensori di movimento agli infrarossi di Sir Baubau, facendo sì che abbaiasse se rilevava un movimento, anche al buio. Era fatto apposta per sfidarsi con Alby: lo scopo del gioco era strisciare davanti al vigilissimo cane robot senza farsi scoprire. Tank aveva anche un tatuaggio sull'avambraccio che Lily trovava molto interessante: era un carattere giapponese nascosto dietro una bandiera del Giappone. Sempre molto curiosa delle lingue, la bambina lo aveva cercato un giorno su Internet, ma senza risultato. Ma c'era un'altra cosa di Tank che la colpiva: una grande tristezza in lui, un'espressione vuota nei suoi occhi che Lily aveva notato
fin dal primo momento. Quando gli chiese che cosa aveva, Tank rispose raccontandole della sua infanzia. «Ero un bambino, più o meno della tua età, quando il mio Paese entrò in guerra contro l'America. Vivevo a Nagasaki, una bellissima città. Ma, quando la guerra prese una brutta piega per il mio Paese e l'aeronautica americana si mise a bombardare le nostre città, i miei genitori mi mandarono via, a vivere coi miei nonni in campagna. «I miei genitori erano a Nagasaki il giorno in cui gli americani sganciarono la loro terribile bomba sulla città. I miei genitori non furono mai ritrovati. Erano stati annientati, ridotti in polvere.» Lily sapeva bene che cosa voleva dire perdere i propri genitori non aveva mai conosciuto nessuno dei suoi - e così si formò un legame speciale tra lei e Tank. «Non sono molto grande», disse con voce grave, «ma una delle cose più importanti che ho imparato nella vita è questa: anche se non potrà mai sostituire quella vera, puoi farti una nuova famiglia coi tuoi amici.» Tank la guardò con tenerezza, gli occhi lucidi. «Sei troppo saggia per la tua giovane età, piccola Lily. Vorrei tanto vedere il mondo come te.» Lily non afferrò bene l'ultimo commento di Tank; ciò nondimeno sorrise. E lui parve gradirlo. Dopo ogni visita di Merlino la lavagna nello studio di West straripava di appunti. Dopo una di queste visite, vi era scritto questo: THUTMOSES V Sacerdote rinnegato del regno di Akhenaten; monoteista; Rivale di Ramses II; da lui esiliato sotto la minaccia di esecuzione.
Notare l'elemento nel nome egiziano «moses» che significa «figlio di» o «nato da»; questo elemento è di solito seguito da un elemento teoforico, o divino. Conclusione: «moses», «mosis» o «meses» = «figlio di»: Ramses = Ra-moses = figlio di Ra. Thutmoses = Thothmoses = figlio di Thoth! DOVE SI TROVANO LE TAVOLE GEMELLE DI THUTMOSES? Chi lo sa!! Tempio di Salomone → arca foederis → Menelik → Etiopia Ricerca dei Templari in Etiopia nel 1280 d.C. → chiese di Lalibela? Simboli templari ovunque. Le Tavole sono in Etiopia? TRIBÙ DEI NEETHA • Tribù isolata della Repubblica Democratica del Congo / Regione dello Zaire; guerresca; molto temuta dalle altre tribù; cannibali. • Tutti gli appartenenti sono affetti da deformità congenite, una variante della Sindrome di Proteo (crescita ossea del cranio, tipo l'Uomo Elefante). • Scoperta per caso da HENRY MORTON STANLEY nel 1876; i guerrieri neetha uccisero diciassette uomini della sua spedizione; Stanley si salvò per miracolo; anni dopo,
provò a ritrovarli, ma stranamente non riuscì a localizzarli. • Probabilmente la stessa tribù in cui s'imbatte l'esploratore greco GERONIMO durante la spedizione nell'Africa centrale nel 205 a.C (Geronimo accennò a una tribù con spaventose deformità facciali nelle giungle a sud della Nubia. Fu ai Neetha che rubò il globo trasparente che in seguito fu usato dall'Oracolo di Delfi.) • ESPERTO PIÙ FAMOSO: DOTTORESSA DIANE CASSIDY, antropologa della USC Ma tutta la sua spedizione di 20 uomini è scomparsa nel 2002 mentre cercava i Neetha nel Congo. • La Cassidy trovò questo graffito in una grotta nel Nord dello Zambia e lo attribuì agli antenati dei Neetha:
• Sembra raffigurare un vulcano vuoto col Globo di Delfi sulla sommità ma il suo significato resta oscuro. E infine gli appunti che più incuriosirono Lily: ISOLA DI PASQUA (in lingua nativa Rapa Nui: «L'ombelico del mondo») COORD: 27° 09' S, 109° 27' O CULTO DELL'UOMO UCCELLO (Tangata Manu)
• Rito annuale che si teneva nei pressi del Rano Kau, il vulcano più a sud dell'isola di Pasqua, durante il quale un giovane campione gareggiava per conto del suo capotribù; • ogni campione doveva raggiungere a nuoto l'isolotto di Motu Nui, prendere il primo uovo di sterna della stagione e tornare indietro attraverso le acque infestate di squali. Il patrono del vincitore diventava l'Uomo Uccello, o Capo dei Capi, fino all'anno successivo. GLI INDOVINELLI DI ARISTOTELE Una serie di strani assiomi lasciati da Aristotele come «regole di vita» per i suoi discepoli. Che Aristotele ne sia l'autore è un punto controverso, poiché non si trova nessuna correlazione nelle sue opere. Cominciano con: Qual è il numero perfetto di bugie? (Uno, perché per sostenere una bugia è necessario dirne altre) Qual è il numero perfetto di occhi? (Di nuovo, uno, l'Occhio Onniveggente d'Egitto) Qual è la vita migliore da vivere? (La vita ultraterrena: caposaldo della teologia cristiana) Qual è la direzione della Morte? (Ovest: origine egiziana) Lily amava in modo particolare leggere da cima a fondo i libri di West sull'isola di Pasqua; poteva fissare per ore e ore le grandi sta-
tue, i famosi moai, che guardavano l'orizzonte dal brullo paesaggio di quell'isola lontana, la più lontana sulla terra. Non era infrequente per West trovarla addormentata in un angolo del suo ufficio, con un libro aperto in grembo. In quelle occasioni la tirava su con gentilezza e la portava nella sua camera, dove la metteva a letto. L'arrivo di Alby nella vita di Lily portò non solo svago e divertimento, ma anche nuove letture. Sebbene Lily fosse appassionata del Signore degli Anelli da molto tempo, fu Alby a farle conoscere un maghetto di nome Harry Potter. Lily divorò la serie di Harry Potter e la rilesse di continuo. Infatti, ogni volta che viaggiava - sia quando andava e tornava da scuola, sia quando andava oltreoceano a trovare i suoi compagni d'avventura - la serie di Harry Potter le faceva sempre compagnia. Sempre. Ma, come sempre, la più grande fonte di mistero per Lily - anche dopo che era stata adottata da lui - era Jack West Jr. Durante l'avventura delle Sette Meraviglie, Lily aveva imparato molte cose su Jack, ma nulla sulla sua famiglia. Ricordava di aver udito per caso una volta Zoe e Merlino parlare di suo padre. A quanto sembrava, Jack West Sr. era americano, e non andava d'accordo col figlio. Per irritare suo padre, che voleva che Jack si arruolasse nell'esercito degli Stati Uniti, Jack era entrato nell'esercito australiano, grazie alla nazionalità di sua madre. Così un giorno, a colazione, Lily gli domandò a bruciapelo: «Papà? Hai una famiglia?» Jack sorrise. «Sì, certo.» «Fratelli o sorelle?» «Una sorella.» «Più grande o più piccola?»
«Più grande. Di due anni. Anche se...» «Anche se cosa?» «Anche se non è più grande di me ora. Si chiamava Lauren. Non è più grande di me perché è morta quando aveva trent'anni.» «Oh. Come è morta?» chiese Lily. «È morta in una sciagura aerea.» Jack fissò lo sguardo lontano. «Un aereo di linea, un incidente.» «Eravate legati?» «Eccome se lo eravamo», rispose Jack, scuotendosi dai ricordi. «Sposò anche il mio migliore amico. Era in marina e si chiamava J.J. Wickham.» «E i tuoi genitori?» «Divorziarono quando Lauren e io eravamo adolescenti. Mia madre insegnava al liceo. Storia. Una donna intelligente e tranquilla. E mio padre, be'...» Lily attese, trattenendo il respiro. Jack spinse lontano lo sguardo per un momento. «Era con l'esercito degli Stati Uniti, conobbe mia madre qui, durante le esercitazioni. Aveva buone possibilità di salire di grado, e voleva salire sempre di più. Ambizioso. Era anche intelligente, molto intelligente, ma pieno di spocchia: disprezzava chiunque non fosse colto quanto lui, lo trattava con arroganza, compresa mia madre. Ragion per cui alla fine si sono separati. Ora lei non lo vuole più vedere.» «Sei rimasto in contatto con lei?» Lily non aveva mai conosciuto la madre di Jack. Lui rise. «Certo che sì! È solo che... non vuole che mio padre sappia dove si trova, perciò la vedo di rado. In effetti, volevo chiederti se ti andrebbe di venire con me la prossima volta che vado a trovarla. È molto impaziente di conoscerti.» «Davvero? Mi piacerebbe un sacco!» esclamò Lily, ma poi si rabbuiò. «E tuo padre? Non lo vedi mai?» «No», rispose Jack in tono reciso. «Non siamo mai andati d'accordo. Francamente, non voglio più vederlo.»
Sebbene Jack non fosse più in servizio attivo, l'esercito non lo aveva mai lasciato del tutto in pace. Una volta, verso la fine del 2006, un generale australiano andò a trovarlo nella sua fattoria e gli fece un sacco di domande sulla missione del Vertice Aureo. Il generale gli chiese anche se sapeva dove si trovava un certo Sea Ranger. Tale Sea Ranger, dalle informazioni che Lily riuscì a racimolare, era una specie di pirata dei giorni nostri che batteva la costa orientale dell'Africa a bordo di una grande nave. Jack gli rispose che non vedeva tale Sea Ranger da molti anni. Ma ciò che a Lily interessava di più di West era il suo rapporto con Zoe. Quando Zoe riuscì finalmente a recarsi in Australia più spesso, Lily era entusiasta... soprattutto di vedere quanto stessero diventando amici Zoe e Jack. Erano tutti sorrisi quando parlavano sulla veranda o andavano a fare una passeggiata insieme al calar del sole. A Lily piaceva anche fare cose da ragazze con Zoe - mettersi lo smalto sulle unghie dei piedi, pettinarsi i capelli a vicenda, tingersi le punte di rosa elettrico - ma, più di ogni altra cosa, adorava come Zoe rendeva Jack felice. Una volta le chiese se era innamorata di Jack. Zoe si limitò a sorridere. «L'ho amato dal primo momento. Ma, be'...» «Ma...?» le chiese Lily con gentilezza, ma lei non rispose, limitandosi a fissare il vuoto, gli occhi velati di lacrime. Lily lasciò correre, ma più d'una volta s'immaginò Jack e Zoe sposati, cosa che le riempiva il cuore di gioia perché a quel punto Zoe sarebbe stata ufficialmente la sua mamma. Il Natale del 2006 fu un'occasione che Lily avrebbe ricordato per molto, molto tempo. Lei e Jack lo trascorsero a Dubai, nella torre Burj al Arab, con
tutta la squadra che aveva trovato le Sette Meraviglie e il Vertice Aureo. C'erano Orsacchiotto e Spilungone, nonché Capellone, che era giunto fin dalla Giamaica, Zoe e Sky Monster, Merlino e Tank. Tutta la famiglia al completo, di nuovo insieme. Lily scoppiava di gioia. Passò gran parte della settimana successiva con Spilungone e Orsacchiotto, a visitare il palazzo del padre di quest'ultimo. Lì conobbe il fratello maggiore di Orsacchiotto, Scimitarra, ma questi la trattò come una bambina, e a lei non piacque molto. Quello che le piacque molto invece fu l'officina demolizioni di Orsacchiotto dietro le stalle del palazzo. Esperto artificiere, Orsacchiotto teneva esplosivi d'ogni specie in quel luogo. A Lily mostrò anche una strana sostanza schiumosa che aveva ricevuto da Merlino: si chiamava Blast-Foam ed era prodotta dai famosi Sandia Laboratories negli Stati Uniti. Spruzzata su una granata con una bomboletta, quella schiuma era in grado di assorbire l'esplosione della granata stessa. Le mostrò anche come si usava l'esplosivo al plastico C2: un esplosivo ad alto potenziale e a corto raggio utilizzato dagli archeologi sui siti più delicati. Poteva far saltare piccole sezioni di roccia senza danneggiare i reperti circostanti. «Può anche far saltare le serrature», mormorò Orsacchiotto all'orecchio di Lily. «Ecco perché Cacciatore ne tiene sempre una piccola quantità in uno scomparto del braccio artificiale, e perché io ne tengo un po' qui dentro.» Indicò l'anello di bronzo decorativo che gli teneva ferma la folta barba. «Non parto mai senza.» Lily fece un largo sorriso. Orsacchiotto era proprio un tipo in gamba. * Una settimana dopo, la squadra celebrò il Capodanno sulla pista dell'eliporto della torre Burj al Arab, guardando uno spettacolo pi-
rotecnico nel cielo arabo insieme con molti potenti amici e soci dello sceicco Abbas. Sebbene dovesse essere a letto, Lily uscì di soppiatto in camicia da notte e pantofole e spiò gli invitati dal magazzino dell'eliporto. Le donne erano in abiti sfavillanti - anche Zoe, che secondo Lily era bellissima - e gli uomini in eleganti smoking o caffetani arabi. Anche Jack era in smoking, cosa che Lily trovò molto divertente. Non gli donava affatto e pareva metterlo molto a disagio, ma lo rendeva assai bello. L'ultimo a presentarsi alla festa di Capodanno, poco prima di mezzanotte, fu il cognato di Jack, J.J. Wickham. Wickham aveva qualche anno più di Jack ed era estremamente attraente, coi capelli corti castani e con la mascella ispida. Tutte le donne sulla pista gli lanciavano occhiate di sbieco al suo passaggio. Lo accompagnava un uomo di colore oltremodo alto e magro di nome Solomon Kol. Aveva la pelle nera come l'inchiostro e gli occhi buoni. Camminava a grandi falcate, stando un po' curvo, come per ridurre la sua notevole statura. Lily fissò i due uomini, aggrottando le sopracciglia, assalita da una strana sensazione. Le sembrava di aver già visto entrambi ma non riusciva a fare mente locale. «Guarda un po' chi è arrivato! Sea Ranger!» esclamò Orsacchiotto, stringendo la mano di Wickham con calore. «Ciao, Zahir», salutò Wickham a bassa voce. «Scusa, ora ti chiami Orsacchiotto, non è vero?» «Esatto, ed è un nome di cui vado fiero. È un grande onore essere ribattezzati dalla piccola Lily. Spero che anche tu abbia questo onore un giorno o l'altro.» Lily sorrise dentro di sé. Adorava Orsacchiotto. «Wick», fece West, avvicinandosi. «Sono contento che tu sia riuscito a venire. E, Solomon, vecchio amico mio, come te la passi?» L'altissimo africano fece un largo sorriso. «Ci manchi in Kenia,
Cacciatore. Devi tornare a trovarci presto. A Magdala manca moltissimo la piccola Lily. Muore dalla voglia di vedere quanto è cresciuta.» «Oh, eccome se è cresciuta», disse Jack. «E in questo momento è nascosta in quel magazzino laggiù. Lily! Ora puoi venire fuori.» Lily uscì, a capo chino, in camicia da notte e pantofole. Jack le pose una mano sulla spalla. «Lily, non so se ricordi Solomon. Abitava accanto alla nostra fattoria in Kenia, e veniva a trovarci spesso. Ora le dà un'occhiata lui per noi, caso mai dovessimo tornare.» «Santo cielo, come sei cresciuta, piccola!» esclamò Solomon. «Tra un po' sarai alta come me!» Anche Wickham fissava Lily, ma in silenzio, con aria triste. Quindi si volse verso Jack e disse: «Non posso trattenermi a lungo. Ho di nuovo il governo alle calcagna. Ma ho pensato di fare un salto per salutarti». Jack disse: «Sono venuti a chiedere di te il mese scorso. Contrabbando d'armi. Hanno detto che hai arraffato una spedizione d'armi americana per sbaglio». «Oh, non è stato uno sbaglio. Sapevo benissimo che cos'era», ribatté Wickham. «E sapevo benissimo dov'erano dirette quelle armi.» «Sta' attento, Wick», l'ammonì Jack. «Quello che per uno è un crociato, per un altro è un pirata.» «Adesso mi danno del pirata?» «Tu continua ad arraffare spedizioni d'armi della CIA dirette ai signori della guerra africani e presto ti ritroverai tutta la Settima Flotta a setacciare l'oceano Indiano alla ricerca delle tue chiappe.» «Ci provassero», ribatté Wickham. «L'esercito americano non è invincibile. Voglio dire, cavolo, guarda quello che ha fatto uno stupido come te!» Jack sorrise. «Ti dico solo di stare in guardia.» «Lo farò. Chiamami se capiti a Zanzibar», disse Wickham. «Ti offro una birra.»
E infine cominciarono i fuochi d'artificio di mezzanotte. Visti dall'eliporto del Burj al Arab erano uno spettacolo mozzafiato. Un caleidoscopio di colori illuminò il cielo del deserto, tra le esclamazioni di stupore degli ospiti lì radunati. Ma, quando Lily staccò gli occhi dallo straordinario spettacolo pirotecnico e si voltò, J.J. Wickham non c'era più. Un paio di giorni dopo, quando si trovarono da soli, Lily chiese a Jack di lui. «È un brav'uomo», disse West. «Un uomo onesto che è stato mandato davanti alla corte marziale dalla marina degli Stati Uniti per aver fatto la cosa giusta.» «Cos'ha fatto?» «Più che altro cosa non ha fatto. Wick era un comandante in seconda a bordo di un sottomarino della marina degli Stati Uniti, un piccolo battello classe Sturgeon che operava al largo di Diego Garcia, la base americana nell'oceano Indiano che perlustra la costa orientale dell'Africa. «Comunque, pochi anni dopo l'abbattimento del Black Hawk in Somalia, la sua unità intercettò un sottomarino classe Kilo non registrato in rotta verso un porto privato di un signore della guerra somalo: pirati russi a bordo di un vecchio sottomarino russo, che contrabbandavano armi. Il comandante di Wick gli ordinò di portare una squadra d'abbordaggio sul Kilo e di riportarlo a Diego Garcia. «Quando salì a bordo del Kilo, però, Wick trovò una dozzina di missili Stinger americani e un agente della CIA molto fuori dai gangheri. Risultò che la CIA stava destabilizzando l'Africa orientale armando tutti i signori della guerra.» «E quindi che fece?» domandò Lily. «Wick obbedì agli ordini. Con una piccola squadra catturò i pirati russi, prese il comando del sottomarino russo e lo riportò a Diego Garcia. «Ma, a metà strada, ricevette un segnale di priorità assoluta dal
quartier generale della marina, che gli ordinava di riconsegnare il sottomarino all'agente della CIA e di dimenticare tutto. «Wick restò di sasso. I pezzi grossi in patria stavano davvero appoggiando quell'operazione. Perciò prese una decisione. La misura era colma, secondo lui e, poiché non aveva più una famiglia di cui preoccuparsi, avrebbe fatto qualcosa. E così fermò il sottomarino nel cuore dell'oceano Indiano, scaricò tutto l'equipaggio compreso il furibondo agente della CIA - in un gommone e li lasciò alla deriva. «Sapendo che l'aspettava la corte marziale, offri a tutti i suoi uomini a bordo del sottomarino la possibilità di andarsene; a dire il vero, li spronò a farlo, a pensare alle loro carriere. Quasi tutti lo ascoltarono e lasciò alla deriva anche loro, a bordo di gommoni con radiofari di guida. «E così, con un equipaggio minimo, Wick si è tenuto il sottomarino russo e ha cominciato a usarlo da quel giorno, svolgendo un proprio servizio di pattuglia al largo della costa africana e servendosi di numerose e vecchie stazioni di rifornimento per sottomarini della seconda guerra mondiale come basi. È stato processato da una corte marziale per diserzione e insubordinazione e condannato in contumacia a venticinque anni di carcere militare. Su di lui pende ancora un mandato di cattura.» «Allora è un pirata?» «Per gli africani è un eroe, l'unico che tiene testa ai signori della guerra, intercettando le loro spedizioni d'armi. A loro porta anche provviste, gratis e senza obblighi. Lo chiamano Sea Ranger, il 'ranger del mare'. Purtroppo, ruba gran parte delle provviste alle navi da carico occidentali, perciò le marine americana e britannica lo considerano un pirata.» Lily si accigliò. «Quando l'ho visto la notte di Capodanno, mi sembrava, non so, un viso noto. Come se lo avessi già visto.» «Lo hai già visto infatti.» «Davvero? E quando?» «Quando eri molto piccola e vivevi in Kenia. Muovevi appena i
primi passi e Wick aveva appena cominciato a navigare col suo sottomarino personale. Era latitante, perciò gli permisi di nascondersi con noi per un po'. «Giocava a nascondino con te, a cucù, cose del genere. Ti piaceva da morire. Ora che sei ufficialmente mia figlia, lui è ufficialmente tuo zio. Vive perlopiù a Zanzibar, al largo delle coste del Kenia e della Tanzania. Ma, ovunque sia lui e ovunque siamo noi, saremo sempre una famiglia.» E così la vita di Lily proseguì - alla fattoria con Jack e a scuola con Alby, e con Zoe e Merlino quando andavano a trovarli - fino a quella bella giornata d'estate in cui il cielo si riempì di paracadute. IL SECONDO INCONTRO ALLA RICERCA DEI TEMPLI-SANTUARIO
INGHILTERRA 9 DICEMBRE 2007 UN GIORNO PRIMA DELLA PRIMA SCADENZA BASE SOTTOMARINA K-10, ISOLA DI MORTIMER, CANALE DI BRISTOL, INGHILTERRA, 9 DICEMBRE 2007, ORE 21.45
«Papà!» Con un salto Lily si gettò tra le braccia di West mentre questi entrava a lunghi passi nel laboratorio centrale della base sottomarina K-10, dopo un viaggio di tre giorni per arrivare in Inghilterra. Situata su un'isola spazzata dal vento allo sbocco del canale di Bristol, la K-10 era stata una stazione di rifornimento e riparazione per le navi della marina degli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale. Dopo il conflitto, in segno di ringraziamento nei confronti degli americani, gli inglesi avevano concesso loro di continuare a utilizzare l'isola. Era l'unica base americana sul suolo britannico rimasta fino ai giorni nostri. Nel sistema di classificazione americano, era una base di Livello Alfa, il livello di sicurezza più alto, e con Diego Garcia nell'oceano Indiano era l'unica base al di fuori dell'America continentale a detenere missili SLBM: missili nucleari balistici lanciati da sottomarino. Circa una dozzina di persone correva di qua e di là nel laboratorio ultratecnologico: Zoe e i ragazzi; i gemelli con le T-shirt del «livello delle mucche»; due commando sauditi, di guardia a una piccola cassa viola ai loro piedi - Avvoltoio andò dritto da loro - e Paul Robertson, il diplomatico nonché spia americana che avevano conosciuto a Dubai, che era arrivato con un grosso zaino Samsonite. Quando Lily vide Merlino - le piaghe e le ferite ancora visibili mollò Jack e abbracciò l'anziano professore. West andrò dritto da Zoe. «Ehi, e allora?» «Siamo stati molto occupati mentre vi aspettavamo. I dati di Stonehenge sono assolutamente sbalorditivi.» Jack lanciò un'occhiata a Robertson. «Ha portato la Pietra Sacrificale dei maya?» «È arrivato circa un'ora fa da solo. Con la Pietra maya in una grossa cassa.» «Non ha portato anche il Pilastro?» «No. Ha detto che gli americani non ne possedevano uno.»
«Mmm. Cos'aveva detto del Pilastro di Sassonia-Coburgo?» «A quanto pare, lo sta portando qui niente meno che un membro della Famiglia Reale britannica. Il signor Robertson ha chiaramente una certa influenza.» «Puoi scommetterci. E quei due gorilla sauditi laggiù?» domandò Jack. «Hanno portato il Pilastro della Casa di Saud, con tanto di guardie annate.» Zoe si girò, esitante. «Jack, possiamo fidarci davvero di questi tipi?» «No», rispose lui. «Per niente. Ma ora sono eccezionalmente disponibili e ci serve il loro aiuto. La domanda si presenterà più avanti: quanto leali saranno allora? Per ora, tieni la pistola sottomano.» In quel momento, le porte esterne del laboratorio centrale si spalancarono e una giovane donna molto attraente entrò a grandi passi, scortata da due tozze guardie del corpo in cui Jack riconobbe subito uomini del SAS britannico. Paul Robertson esclamò: «Oh! Iolanthe! Mi stavo chiedendo se sarebbe venuta lei...» Accennò un bacio sulle guance della giovane donna. Jack notò che lei teneva nelle mani un astuccio di velluto viola grande come un portagioie... o un Pilastro. Lily fissò la donna, incantata. Era bellissima. Forse sui trentacinque anni, aveva capelli neri lunghi fino alle spalle che sembravano curati da un professionista, un trucco impeccabile con le sopracciglia perfettamente disegnate e straordinari occhi verdi, occhi penetranti cui sembrava non sfuggisse nulla. Più di ogni altra cosa, tuttavia, quella giovane donna possedeva una grande sicurezza di sé: una pacata ma assoluta convinzione di avere il diritto di essere li. Lily non aveva mai visto nulla di simile. Robertson fece le presentazioni. «Miss Iolanthe Compton-Jones, le presento il capitano Jack West.» Jack notò che Robertson aveva presentato Jack a lei, una forma-
lità del protocollo diplomatico che significava che la donna gli era superiore. Iolanthe Compton-Jones gli strinse la mano con vigore. Nel mentre, lo squadrò da capo a piedi, con un sorriso compiaciuto. «Il Cacciatore», disse, assaporando la parola. «La sua fama la precede.» «Miss Compton-Jones.» «Mi chiami Iolanthe. Sono il Custode ufficiale dell'Archivio privato reale della Casa di Windsor, un ruolo che esiste da quasi settecento anni e che può essere ricoperto solo da un consanguineo del monarca.» «Nonché da una persona di talento», soggiunse Robertson. «Una persona in cui la regina possa riporre tutta la propria fiducia.» Iolanthe ignorò il complimento e porse a West il cofanetto di velluto. «Sono stata incaricata di consegnarle questo di persona.» Jack aprì il cofanetto e, nel vedere il prezioso oggetto, soffocò un'espressione di stupore. Era la prima volta che vedeva uno di quei leggendari Pilastri e il suo splendore lo prese in contropiede. Adagiato in un vano rivestito di velluto e fatto su misura dentro l'astuccio, era un diamante grezzo delle dimensioni e della forma di un mattone. Ma non brillava come tutti i diamanti che aveva già visto. Era anzi opaco, traslucido, più simile a un pezzo di ghiaccio che a un diamante. Ciò nondimeno era lo stesso mozzafiato. Robertson disse: «La principessa Iolanthe è l'emissaria della Casa di Windsor in questa operazione». «Principessa Iolanthe?» balbettò Lily. «Lei è una vera principessa?» Iolanthe si volse e guardò Lily come se la vedesse per la prima volta. Fece un sorriso cordiale e si accovacciò con un'eleganza che Lily non aveva mai visto. «Ehi, ciao. Tu devi essere Lily. Ho sentito parlare molto di te. Anche tu hai origini praticamente reali e molto più antiche delle mie. È un piacere conoscerti.» Si strinsero la mano. Lily si fece tutta rossa, attorcigliandosi
nervosamente i capelli dalle punte rosa intorno alle dita. «E, sì, suppongo di essere una principessa, tecnicamente parlando», aggiunse Iolanthe. «Sono imparentata alla lontana con la Famiglia Reale, cugina di secondo grado del principe William.» «Non è possibile...» Accanto a Lily, Zoe roteò gli occhi, al che Iolanthe la notò. «Oh, e lei è...?» domandò con gentilezza. «Zoe Kissane, commando irlandese. Non ho sangue blu, mi spiace.» Lily s'inserì subito. «Anche Zoe è una principessa, sa. Be', il suo soprannome è 'Principessa'.» «Davvero?» fece Iolanthe, lanciando un'occhiata alle punte rosa dei capelli biondi di Zoe, prima di dire, impassibile: «Decisamente pittoresco». Jack vide i lampi negli occhi di Zoe e si affrettò a intervenire. «Dovrebbe sapere meglio di chiunque altro che i nomi sono importanti», disse. «Si possono fare molte cose con un nome, compreso nascondere il proprio passato. Oggi, ci avete portato il Pilastro della vostra famiglia, che detiene questo oggetto da molto più tempo di quanto non detenga il suo nome attuale.» Gli occhi di Iolanthe lampeggiarono quando capì dove l'altro voleva arrivare. Jack si girò verso Lily. «Vedi, la Casa di Windsor - il nome con cui il mondo conosce la Famiglia Reale britannica - esiste solo dal 1914. Ma, sebbene il nome sia recente, la Casa è molto, molto antica. Un tempo era nota come la Casa di Tudor, poi di Stuart, e quindi nell'Ottocento come la Casa di Sassonia-Coburgo-Gotha, un nome molto teutonico che non solo tradiva gli stretti legami della Famiglia Reale britannica con le Corone d'Europa, ma che divenne anche fonte di grave imbarazzo durante la prima guerra mondiale. Per salvare la faccia, la Famiglia Reale britannica cambiò il proprio nome, assumendo quello della sua tenuta preferita, Windsor.» «Vi chiamate come una casa?» domandò Lily incredula.
Iolanthe serrò i denti. «Il bel capitano dice cose giuste, in effetti.» E poi aggiunse a bassa voce: «E sta chiaramente sempre al fianco della sua gente», e fece un cenno col capo in direzione di Zoe. «Ancora una volta, la sua fama la precede, capitano.» Jack annuì. La battaglia non dichiarata per il controllo di quella stanza era finita. Perciò si girò verso gli altri e disse: «Bene, gente. Muoviamoci. Apriamo tutti i nostri forzieri». La base possedeva parecchi laboratori d'analisi, due dei quali - i Lab 1 e 2 - erano camere sterili, con due finti specchi inseriti nei muri. Nel Lab 1, Merlino aveva poggiato la Pietra Filosofale su un banco di lavoro. Nel Lab 2, la seconda camera sterile, anche la Pietra Sacrificale dei maya fu sistemata su un banco. Grossa e dura, con un incavo triangolare sul lato superiore - una cavità che un tempo corrispondeva alla perfezione a una lama triangolare usata per la decapitazione - nonché ricoperta ovunque di spaventose iscrizioni maya dedicate ai sacrifici umani, aveva un'aria molto sinistra. Nell'ultimo, il Lab 3, i gemelli avevano montato parecchi proiettori pronti a mostrare le stupefacenti riprese di Stonehenge. Prendendo la Pietra di Fuoco dalla mano di Zoe, West esordì: «Prima di purificare i Pilastri, dobbiamo sapere dove e quando devono essere collocati. Partiamo dal Lab 3. Lachlan, Julius: potete iniziare». * Le luci si spensero e, sotto gli occhi del pubblico in reverenziale silenzio, Julius e Lachlan riprodussero le riprese video dello spettacolare rituale di Stonehenge. La luce viola tremolò sul volto di Jack quando vide la Pietra di Fuoco illuminarsi in mezzo al cerchio buio di pietre antiche. Julius commentò: «Osservate le figure sulle pietre, formate dalle
intaccature, dai licheni e dalla luce della Pietra di Fuoco. Le esamineremo più nei dettagli in seguito, ma per il momento...» A quel punto, dalla Pietra di Fuoco scaturirono i sei raggi di luce viola, che colpirono come un laser alcuni dei pilastri del tempio megalitico, l'uno dopo l'altro. E poi finì tutto - Stonehenge piombò di nuovo nel buio - e Julius fermò la riproduzione e proiettò alcune fotografie digitali sullo schermo. «Okay», cominciò. «Ora esaminiamo tutto quanto in modo un po' più sistematico. Questo è l'aspetto del trilite prima dello spettacolo di luci...» Proiettò una foto digitale:
«Durante il rituale, però, quando i raggi di luce della Pietra di Fuoco lo hanno colpito e i licheni si sono illuminati, è apparso così:
«Osservate il pilastro di destra», prosegui Lachlan. «E notate
come si distingue chiaramente il profilo costiero del continente africano. Potete vedere anche il mar Mediterraneo più in alto. Il mar Rosso, che si è formato in epoche geologiche più recenti, non esiste ancora.» Lachlan si affrettò a descrivere a grandi linee la teoria dei gemelli secondo cui le figure sui megaliti rappresentavano i continenti e gli oceani com'erano milioni di anni prima, prima che lo scioglimento delle calotte glaciali e l'innalzamento dei livelli del mare in tutto il mondo definissero i profili attuali delle coste. «E il profilo sul pilastro di sinistra?» domandò Robertson da un punto nel buio. Julius rispose: «Quello è un po' più difficile. Come potete notare, raffigura solo un tratto di oceano, ma non abbiamo ancora capito quale». Lachlan proseguì: «Noterete inoltre sul pilastro di destra tre puntini luminosi. Sono i punti colpiti dai raggi di luce. Li abbiamo numerati 1, 2 e A... mentre il numero 6, come vedete, è sul pilastro di sinistra. Questo è l'ordine in cui i raggi di luce hanno colpito i megaliti». «L'ordine in cui i Pilastri devono essere collocati», concluse Merlino. «Sì», confermò Julius. «Esatto. È ciò che pensiamo.» «Sono contento che gli anni che ho dedicato allo studio di questa materia incontrino la vostra approvazione, Julius», lo apostrofò Merlino con un sorriso a fior di labbra. «Oh, si, scusa», disse Julius. «Ecco un altro trilite colpito dai raggi 3 e 5:
«Anche in questo caso, stiamo ancora cercando di scoprire dove si trovano con precisione questi punti. Come potete vedere, i profili delle coste sono antichissimi - raffigurano la terra com'era centinaia di milioni di anni fa - perciò non corrispondono a nessuno dei profili attuali. Pertanto, come nell'esempio precedente, non abbiamo ancora trovato le ubicazioni corrispondenti.» Lachlan proseguì: «In ogni caso, in base alle ricerche del professor Epper, ciascuno di questi puntini luminosi rappresenta un Vertice, o un angolo, di una gigantesca Macchina con Sei Vertici...» Julius finì per lui: «... Provate a immaginare due piramidi unite per le basi, che formano un ottaedro all'interno del globo terrestre». Merlino lo interruppe. «Una precisazione, ragazzi. Raffigurano niente di meno che le ubicazioni di sei grandi templi-santuario, strutture sotterranee di una grandiosità che non possiamo nemmeno tentare d'immaginare. È in ciascuno di questi templi-santuario che si deve collocare un Pilastro purificato.» Julius annuì. «Sì, scusa, ottima precisazione.» «Dove si trovano quindi?» domandò brusco Robertson. «Il primo sembra che sia da qualche parte in Egitto...» «Fuochino», fece Lachlan. «Quelli in Africa sono i più facili da calcolare, grazie alla relativa stabilità della forma del continente nel corso dei millenni. La formazione di immagini GPS e la fotografia satellitare si sono rivelate molto utili.» «Per non parlare di Google Earth», aggiunse Julius. «Oh, si, anche Google Earth», confermò il fratello. «Alla fine, in
base ai dati, il primo sito si trova nell'Egitto meridionale, poco lontano dal confine sudanese. Ma...» «Ma cosa?» domandò Scimitarra, sospettoso. Julius fece una smorfia. «Ma c'è un problema con la nostra analisi. Abbiamo esaminato i dati più volte, e resta un problema. Il primo sito, a quanto pare, si trova sotto un lago.» «Un lago?» fece eco Avvoltoio. «Sì, il lago Nasser, nel profondo Sud dell'Egitto», rispose Lachlan. «Uno dei laghi più grandi al mondo.» Il fratello aggiunse: «E, purtroppo, non possiamo essere più precisi di così coi dati che abbiamo a disposizione. Non sappiamo come farete a trovare l'esatta ubicazione del tempio-santuario sott'acqua, men che meno il suo ingresso». Un mormorio di delusione serpeggiò nella sala, e i gemelli - notò Lily - parvero vergognarsi un po' di non aver fatto di meglio. Provò compassione per loro. Ma poi una voce si levò dal buio. La voce di Jack West Jr. «Di quale parte del lago si tratta?» «Della parte meridionale», rispose Lachlan. Jack annuì. «Grazie, signori. Bel colpo. Credo di sapere dove si trova il primo tempio-santuario.» * «Dove?» si affrettò a chiedere Avvoltoio. «Sì, dove?» fece eco Iolanthe, girandosi di scatto sulla sedia. Jack si alzò e andò a esaminare da vicino l'immagine sullo schermo. «Il lago Nasser non è un lago naturale», spiegò, fissando la fotografia del primo trilite. «Tecnicamente, fa parte del Nilo. È un lago creato dalla diga di Assuan nel 1971; si estende per circa trecentoventi chilometri verso sud. Potrebbe benissimo aver coperto l'entrata di un'antica struttura sotterranea.
«La diga è stata costruita inoltre dai sovietici, dopo che gli Stati Uniti se ne tirarono fuori all'ultimo momento.» Lanciò un'occhiata a Robertson. «La sua costruzione fu un teatro della Guerra Fredda per conquistare la lealtà dell'Egitto. Dopo un periodo iniziale segnato da molto entusiasmo e tante promesse, durante il quale gli americani eseguirono estesi rilevamenti dell'area, gli Stati Uniti decisero di punto in bianco di non voler più andare avanti col progetto. Forse i loro topografi non avevano trovato quello che cercavano.» Robertson rimase impassibile. Jack volse lo sguardo nella sua direzione. «Voialtri lavorate al progetto Sole Nero da un sacco di tempo.» Robertson si strinse nelle spalle. «Chi non ha dei segreti?» Jack soffermò lo sguardo su di lui prima di proseguire, prendendo un foglio dalla cartella nera di Merlino e sistemandolo sulla lavagna luminosa:
«Ecco una scansione degli appunti di Merlino. È un'incisione ritrovata sul sarcofago di Ramses II, scritta nella Parola di Thoth. Tradotta dalla mia dotta collega» - indicò con un cenno Lily «dice: Con la mia amata, Nefertari, io, Ramses, figlio di Ra, sorveglio il più sacro dei santuari. In eterno noi lo sorveglieremo. Grandi sentinelle, col nostro terzo occhio, noi tutto vediamo.
«Col nostro terzo occhio, noi tutto vediamo. Questa frase non mi tornava fino a poco fa.» «Di cosa parli?» volle sapere Astro. «Nella parte più meridionale del lago Nasser si erge uno dei più grandi monumenti dell'Egitto, le quattro colossali statue sedute di Ramses II ad Abu Simbel. Sono alte più di venti metri ognuna: gigantesche. «All'epoca di Ramses, sorgevano sulle rive del Nilo al confine tra l'Egitto e la Nubia come monito a eventuali invasori: 'Ecco la potenza del re d'Egitto. Pensateci due volte prima di entrare nelle nostre terre'. «Abu Simbel, come si chiama, è anche il monumento più lontano in Egitto: la sua distanza dai principali centri egiziani di Tebe e del Cairo è impressionante. Ciò è diventato anche oggetto di molte congetture. Perché costruire un monumento tanto maestoso così lontano dai centri della tua civiltà? «Il punto è che esiste un secondo gruppo statuario ad Abu Simbel», prosegui Jack, «a circa un centinaio di metri dalle quattro famose statue di Ramses II. È un tempio più piccolo, scavato nella roccia, dedicato a Nefertari, la moglie preferita. Il secondo tempio consiste di alcune grandi statue di Nefertari, che puntano anch'esse lo sguardo verso il lago. «Questi due gruppi di statue gigantesche sono sopravvissuti fino ai giorni nostri, sulle rive del Nilo, oggi lago Nasser. Ma non si limitano a sorvegliare il vecchio confine. Secondo questa iscrizione del sarcofago di Ramses, sorvegliano il più sacro dei santuari. Il tempio-santuario.» Nella stanza calò il silenzio quando la portata delle sue parole cominciò a fare presa. «Come fanno queste statue a rivelare la posizione del santuario, dunque?» domandò Avvoltoio. «Col loro terzo occhio», rispose Jack sorridendo. «Oh, Jack...» fece Merlino. «Sei un genio.» «Cosa? Che vuoi dire?» volle sapere Scimitarra.
Con gli occhi che gli brillavano Jack rispose: «Suppongo che, se andiamo ad Abu Simbel e calcoliamo con precisione la direzione dello sguardo del terzo occhio di ciascun gruppo di statue - di Ramses e di Nefertari -, il punto d'intersezione indicherà la posizione del primo tempio-santuario».
La Pietra Sacrificale dei maya Il gruppo si trasferì nel Lab 2, dove la Pietra Sacrificale dei maya troneggiava sul banco di lavoro. Entrarono in fila nella stanza di osservazione che guardava dentro il laboratorio. Facendo strada, Merlino disse: «Oltre all'ubicazione dei templisantuario, dobbiamo sapere anche le date entro cui i Pilastri devono essere collocati. «Ora, nella camera d'ingresso di Lao Tse, in Cina, Tank e io abbiamo scoperto questo riferimento alla collocazione del Primo Pilastro: IL 1° PILASTRO DEVE ESSERE COLLOCATO ESATTAMENTE 100 GIORNI PRIMA DEL RITORNO. IL PREMIO SARÀ LA CONOSCENZA. «Avevamo calcolato in precedenza che il Ritorno - il pieno ritorno del Sole Nero, quando la sua orbita lo porterà ai confini esterni del nostro sistema solare - sarà il giorno dell'equinozio di primavera dell'anno prossimo, il 20 marzo 2008. Lavorando a ritroso, quindi, abbiamo dedotto che il Primo Pilastro - debitamente
purificato - dovrà essere collocato entro il 10 dicembre, alla luce del Sole Nero, ossia durante un'emersione di Titano». «Il 10 dicembre», ripeté Spilungone caustico. «Domani.» «Sì.» «Se ce la facciamo, sarà per un pelo, eh?» Merlino si strinse nelle spalle mentre andava alla porta. «Quando un antico sapere va perduto, a volte è per sempre. Siamo stati molto fortunati finora. Tank e io sapevamo della scadenza del 2008, perciò pensavamo di avere più tempo. Ci siamo stupiti che la collocazione dei primi due Pilastri dovesse avvenire così presto, e con così largo anticipo rispetto agli ultimi quattro. Zoe? Hai portato la Pietra di Fuoco?» Zoe tirò fuori il prezioso manufatto dallo zaino e lo porse a Merlino. Il vecchio professore uscì quindi dalla stanza d'osservazione e, passando attraverso una porta simile a una camera d'equilibrio, entrò nel Lab 2, dove c'era solo la Pietra Sacrificale. Sotto gli occhi fissi del gruppo dietro il finto specchio, Merlino portò la piccola piramide d'oro sopra la Pietra Sacrificale. Due videocamere digitali ad alta definizione ronzavano sommessamente, registrando la scena attraverso il vetro. Altre quattro videocamere erano all'interno del laboratorio con Merlino, dove riprendevano la Pietra Sacrificale da ogni angolo. Le due Pietre non potevano essere più diverse: la Pietra di Fuoco era d'oro, incredibilmente liscia e sfavillante; la Pietra Sacrificale era ruvida e segnata, tutta ricoperta di macchie scure. Eppure sembravano in qualche modo collegate. Forgiate dalla stessa mano. La superficie superiore della Pietra Sacrificale presentava un incavo di forma quadrata che combaciava alla perfezione con la base della Pietra di Fuoco. «Okay», giunse la voce di Merlino dall'interfono nella camera d'osservazione, «ora collocherò la Pietra di Fuoco sulla Pietra Sacrificale...»
Piano piano e con timore reverenziale, sollevò la piccola piramide sopra la Pietra Sacrificale... ... e la calò nell'incavo. Mentre fissava la scena attraverso la finestra, Jack si sorprese a trattenere il respiro. La Pietra di Fuoco s'incastrò nell'incavo alla perfezione, ora tutt'uno con la Pietra Sacrificale. Merlino fece un passo indietro. Nulla accadde. E poi il cristallo sulla punta della Pietra di Fuoco prese a scintillare. Un ronzio sinistro si levò dalle Pietre unite. Quindi, di colpo, il ronzio cessò. Silenzio. Nessuno si mosse. Ma poi, in meraviglioso silenzio, alcuni simboli sulla Pietra Sacrificale - singoli simboli in mezzo a dozzine di altri incisi sulla sua superficie - presero a brillare di una luce abbagliante, l'uno dopo l'altro. S'illuminava un solo simbolo - in perfetto silenzio - prima di spegnersi, e poi se ne accendeva un altro, e un altro ancora. Una specie di sequenza. Nel frattempo, i gemelli annotavano in fretta ogni simbolo che s'illuminava. «Numeri ed ere maya», disse Merlino nell'interfono. «S'illuminano soltanto i simboli numerici delle date. Date cruciali.» L'intera sequenza durò circa quaranta secondi, prima che la luce abbagliante si spegnesse ed entrambe le antiche Pietre riprendessero il loro aspetto normale. Mezz'ora più tardi, dopo che Merlino, Tank e i gemelli ebbero visto e rivisto le riprese video dell'evento e macinato i numeri, Merlino annunciò: «La data della camera di Lao Tse è corretta. Il
Primo Pilastro dev'essere collocato quando Titano emergerà domani, poco prima dell'alba, il 10 dicembre. Il Secondo Pilastro dev'essere collocato tra una settimana, il 17 dicembre, sempre quando Titano emergerà». «Siete assolutamente sicuri dei vostri calcoli?» domandò Robertson. Tank rispose: «Sì, il calendario maya è stato sincronizzato col nostro da molto tempo. È uno dei calendari primitivi più facili da calcolare». «E le altre quattro date?» insistette Robertson. «Sono tutte un po' più lontane», rispose Merlino. «Fra tre mesi, più o meno concentrate nei dieci giorni immediatamente precedente il Ritorno stesso nel marzo 2008. A quanto pare, dobbiamo affrontare due distinti periodi d'intensa attività, uno ora, un altro più avanti. Se sopravviviamo alla collocazione dei primi due Pilastri la prossima settimana, potremo tirare un po' il fiato, prima di dover affrontare fra tre mesi un'altra faticaccia per collocare quattro Pilastri nell'arco di dieci giorni.» Jack disse: «Perciò, se non ci va bene questa settimana, per noi la partita dell'anno prossimo è già chiusa?» «Esatto», rispose Merlino. Nella stanza calò il silenzio mentre ognuno dei presenti si rendeva conto delle implicazioni. «Okay, allora...» concluse Jack. «La prossima fase, dunque, è purificare i Pilastri che abbiamo. Il che ci porta all'ultimo laboratorio.»
La Pietra Filosofale
Da ultimo, il gruppo si trasferì nel Lab 1, dove la Pietra Filosofale campeggiava fiera e silenziosa sul banco di lavoro. Ancora una volta, il gruppo più numeroso rimase nella stanza di osservazione mentre Merlino, Avvoltoio e Spilungone entravano nel laboratorio vero e proprio: Merlino con la Pietra di Fuoco, Avvoltoio col cofanetto di velluto contenente il Pilastro di Saud, e Spilungone con l'astuccio di cotone vellutato di Iolanthe contenente il Pilastro britannico. Di nuovo, le videocamere ripresero ogni cosa. Ma nessuno si rese conto di essere sotto l'occhio di una videocamera di sorveglianza piazzata nella camera di osservazione. In una stanza buia, in un altro luogo della base sull'isola, qualcun altro li stava osservando. Nel laboratorio, Avvoltoio aprì l'astuccio di velluto e pose il Pilastro della sua famiglia sul banco di lavoro. Spilungone fece la stessa cosa con quello di Iolanthe. L'uno accanto all'altro, i due Pilastri erano pressoché identici: due diamanti grezzi grandi come un mattone, di dimensioni straordinarie, opachi e traslucidi. Come Jack sapeva, tutti i diamanti avevano quell'aspetto prima di essere tagliati da un esperto e lucidati fino a brillare. Sapeva pure che quei due esemplari superavano di gran lunga qualsiasi altro diamante trovato in precedenza sulla terra. Il più grande diamante mai ritrovato era il Cullinan, un'enorme gemma estratta in Sudafrica nel 1905. Tagliato in nove pezzi più piccoli, dal Cullinan I al Cullinan IX, la gemma più grande - il Cullinan I - era grande come una palla da baseball e ormai faceva parte dei gioielli della Corona britannica. Fu solo allora che Jack notò un'altra cosa. Fatto strano, entrambi i Pilastri presentavano una cavità ovoidale vuota al loro interno, una piccola camera che sembrava contenere una specie di liquido. Trasparente e incolore.
«Ma com'è possibile...» disse a bassa voce. «Non si può spiegare», rispose Iolanthe al suo fianco. «Sfugge a ogni spiegazione.» «Che cosa non si può spiegare?» domandò Lily. West rispose: «I diamanti sono fatti di carbonio puro che sottoposto a un'enorme pressione e calore si è cristallizzato. Ciò fa del diamante uno dei materiali più duri e densi che si conosca». Zoe aggiunse: «La parola 'diamante' deriva dal greco, adamàs, passato poi nel latino, che significa...» «Invincibile», terminò Lily. West proseguì: «Il che significa che in un vero diamante, sottoposto a una pressione così spaventosa durante la sua formazione, non dovrebbe mai esserci una cavità, meno che mai piena di liquido». Accese l'interfono. «Avvoltoio. Sai per caso che tipo di liquido c'è nel diamante?» Dall'interno del laboratorio, Avvoltoio rispose: «Da un'analisi dei nostri scienziati pensiamo sia un isotopo di elio allo stato liquido, conosciuto come elio-3, He-3». Lachlan osservò sottovoce: «Una sostanza che non si trova sulla terra, anche se è stato rinvenuto allo stato solido sulla luna. Apollo 13 ne ha riportati dei campioni». «Davvero curioso», commentò Jack. Notò un'altra cosa sui due Pilastri. Sulla superficie superiore piatta di ciascuno c'era un segno. Su quello di Avvoltoio era una sola linea orizzontale: Su quello di Iolanthe ce n'erano quattro. Anche Jack sapeva contare in Thoth: quelli erano il Primo e il Quarto Pilastro. Nel laboratorio, Merlino si avvicinò alla Pietra Filosofale, portando la Pietra di Fuoco. Poi, con fare solenne, inserì il manufatto nella sezione quadrata piatta sul coperchio della Pietra Filosofale. Entrò con uno scatto. «Okay.» Fece un cenno ad Avvoltoio. «Inserisci il tuo Pilastro
nella Pietra Filosofale.» L'altro fece un passo avanti e sollevò il diamante oblungo sopra l'apertura rettangolare dell'antico manufatto. Le dimensioni dell'apertura e del Pilastro coincidevano alla perfezione. Con entrambe le mani, Avvoltoio infilò il Pilastro orizzontalmente nella cavità, appoggiandolo su un lato, con la superficie superiore piatta e lunga a livello del bordo dell'apertura. Quindi si fece indietro e, con l'aiuto di Merlino, sollevò con prudenza il coperchio e - con la Pietra di Fuoco ora inserita - lo rimise a posto. Jack teneva lo sguardo fisso sulla scena. Così pure Paul Robertson e Iolanthe accanto a lui. Il coperchio si richiuse, coprendo il Pilastro. Ora i due pezzi della Pietra Filosofale erano uniti: l'antico manufatto era coronato dalla Pietra di Fuoco e conteneva il Pilastro saudita. Tutti i presenti attesero in silenzio. Nessuno sapeva che cosa comportasse quella cosiddetta «purificazione»... Un lampo accecante li fece sobbalzare tutti quanti. Scaturì dalla fessura tra il coperchio della Pietra Filosofale e la sua base trapezoidale, ma illuminò tutto il laboratorio. I presenti indietreggiarono, facendosi schermo agli occhi. Dalla Pietra Filosofale continuava a uscire una luce bianca, abbacinante. Al suo interno stava avvenendo non si sa quale straordinaria trasformazione. Il cristallo sulla punta della Pietra di Fuoco splendeva come un faro viola. Alle spalle di West, Tank disse sottovoce: «Nel corso dei secoli, alla Pietra Filosofale sono sempre state attribuite capacità di trasformazione. Alcuni dicono che possa compiere il processo di alchimia o, come gli scienziati direbbero oggi, la trasmutazione degli elementi: l'ossessione di Isaac Newton per questa proprietà era
notoria. Secondo altri, poteva mutare l'acqua in un elisir che conferiva l'immortalità. La parola chiave è sempre stata 'mutamento'. Un incredibile, sbalorditivo mutamento». E infine, con la stessa rapidità con cui era apparsa, la luce accecante della Pietra Filosofale si spense, come pure la luce viola sulla punta della Pietra di Fuoco. Tornò il silenzio. La luce normale. Tutti batterono le palpebre. Nel laboratorio, la Pietra Filosofale giaceva inerte, senza vita, eppure emanava energia, potere. Alla fine Merlino e Avvoltoio usarono delle pinze per sollevare con cautela il coperchio. Il coperchio si aprì... ... e mostrò il Pilastro ancora nella Pietra. Merlino tirò fuori il diamante dalla cavità e restò a bocca aperta. Mentre prima il Pilastro era opaco e traslucido, adesso era perfettamente trasparente, come vetro o cristallo. E il liquido intrappolato al suo interno, prima incolore, adesso era argento sfavillante. Il Primo Pilastro era stato trasformato. Era stato purificato. * «Non abbiamo tempo da perdere», disse Jack percorrendo spedito i corridoi della base. «Dobbiamo portare questo Pilastro purificato al tempio-santuario di Abu Simbel entro l'alba.» Affrettando il passo per non restare indietro, Iolanthe ansimò: «Capitano, capitano, la prego! Ci sono altre questioni riguardo ai Pilastri di cui dobbiamo parlare!» «Può farlo in viaggio per l'Egitto», ribatté Jack, dirigendosi alla porta. «Vengo con voi?» «Viene con noi?» fece eco Zoe.
«Eccome.» Le cose cominciarono a precipitare. In un hangar poco lontano dalla pista della base, l'Halicarnassus si stagliava in tutto il suo splendore, grande e nero, immerso nelle luci ad arco. Le porte dell'hangar si aprirono e una gelida tempesta atlantica infuriò all'interno, il muso dell'aereo sferzato da vento e pioggia. La squadra di Jack attraversò di gran carriera l'hangar fino alla scaletta del 747. I componenti fissi e fidati: Merlino, Zoe, Orsacchiotto e Spilungone. E i nuovi acquisti: Avvoltoio, Scimitarra, Astro e ora Iolanthe. Nonché i bambini: Lily e Alby. Questa volta, Jack aveva deciso che sarebbero andati con lui. In Egitto, patria della Parola di Thoth, aveva la sensazione che avrebbe avuto bisogno delle capacità linguistiche di Lily. Gli unici che non andarono furono Tank e i gemelli, Lachlan e Julius Adamson. Sarebbero rimasti sull'isola di Mortimer, dove avrebbero proseguito gli studi, cercando d'individuare gli altri templi-santuario. In un ufficio, in qualche altra parte dell'isola, il colonnello americano conosciuto come Wolf segui su un monitor a circuito chiuso l'arrivo all'Halicarnassus degli undici membri del gruppo di West diretto ad Abu Simbel. Ai suoi lati c'erano, come sempre, i suoi due uomini più giovani, Sciabola e Katana. La porta alle loro spalle si aprì ed entrò Paul Robertson. «Che cosa ne pensa, colonnello?» domandò. Sulle prime, Wolf non rispose. Continuò a guardare Jack sul monitor. «Judah aveva ragione», rispose alla fine. «West è in gamba. È molto bravo a risolvere gli enigmi: Abu Simbel è stato un colpo di
genio. Sguscia anche come un'anguilla. Ha avuto la meglio su Judah a Giza ed è sfuggito all'assalto di Black Dragon in Australia.» «Iolanthe?» domandò Robertson. «Bisogna sorvegliarla come un falco», rispose Wolf. «Forse ora sembrano disponibili, ma le Grandi Case d'Europa agiscono sempre nel proprio interesse. Hanno sicuramente i loro piani in proposito. Ne stia certo, ci volteranno le spalle non appena converrà loro.» «Vuole che dia ad Astro e Avvoltoio istruzioni particolari?» domandò Robertson. «Per quanto riguarda Astro, no di certo. In questa fase, Astro non deve avere assolutamente nessun rapporto con noi. Deve assolutamente ignorare il suo ruolo in questa faccenda, altrimenti West lo scoprirà quasi di certo. Per quanto concerne il saudita, sa che lo teniamo d'occhio.» «E la missione ad Abu Simbel per collocare il Primo Pilastro?» domandò Robertson. «Ci conviene intervenire?» Wolf rifletté un momento. «No. Non ancora. Non è il primo premio che ci interessa. È il secondo. Perciò abbiamo interesse a che il capitano West riesca a collocare il Primo Pilastro. Possiamo imparare anche noi dalla sua esperienza.» Wolf si volse verso Robertson, con un luccichio negli occhi. «Lasciamo che sia il giovane West a collocare questo qui, e poi, quando avrà finito, catturi quel piantagrane e tutta la sua cricca e me li porti.» Sotto le raffiche di pioggia, l'Halicarnassus decollò dall'isola di Mortimer nel canale di Bristol. Mentre l'aereo faceva rotta per l'Egitto con una virata, dalla base sull'isola fu trasmesso un altro messaggio, ma nulla che fosse collegato con Jack, Wolf o Iolanthe. A coloro che erano in grado di decifrarlo, il messaggio diceva: PRIMO PILASTRO PURIFICATO CON SUCCESSO.
WEST DIRETTO AD ABU SIMBEL NELL'EGITTO MERIDIONALE PER COLLOCARLO. FATE QUEL CHE DOVETE. QUARTA MISSIONE IL PRIMO VERTICE
ABU SIMBEL, EGITTO 10 DICEMBRE 2007 IL GIORNO DELLA PRIMA SCADENZA
SPAZIO AEREO SOPRA IL DESERTO DEL SAHARA, 10 DICEMBRE 2007, ORE 01.35 L'Halicarnassus volava verso l'Egitto meridionale, sfrecciando nel cielo notturno, in corsa contro l'arrivo dell'aurora. Nonostante l'ora tarda, a bordo dell'aereo ferveva una grande attività: Jack e Iolanthe erano occupati a controllare la configurazione di Abu Simbel e i suoi dintorni; Merlino, Zoe e Alby erano alle prese con calcoli matematici e astronomici; mentre Lily, Spilungone e Orsacchiotto studiavano il lago Nasser. «Allora, quando dobbiamo collocare il Pilastro, di preciso?» domandò Jack. Merlino picchiettò con la penna su alcune carte astronomiche. «Di nuovo, tutto dipende da Giove. Secondo queste carte, Titano emergerà alle sei e dodici del mattino, ora locale, intorno all'alba. «Sarà difficile vedere Giove a causa della luce del sole nascente; perciò dovremo utilizzare un telescopio all'infrarosso. Inoltre, l'evento durerà meno di quello che Zoe ha visto a Stonehenge perché siamo a una latitudine diversa: all'alta latitudine di Stonehenge, la Pietra di Fuoco ha ricevuto una scarica obliqua, quasi radente, dal Sole Nero. Ma ad Abu Simbel saremo molto più vicini all'equatore e quindi più perpendicolari al Sole Nero, e di conseguenza riceve-
remo un colpo più diretto. Ciò significa che sarà anche più breve; durerà circa un minuto.» Jack annuì. «Alle sei e dodici, dunque.» Merlino domandò: «A che punto sei con la localizzazione del tempio-santuario?» «Abbiamo un candidato, credo.» Jack girò un libro verso Merlino e gli altri così che vedessero. Illustrava i due massicci templi dedicati a Ramses II e a sua moglie Nefertari, ad Abu Simbel. Il tempio più grande era costituito da quattro statue di Ramses alte venti metri, tutte sedute sui troni, mentre la facciata del secondo tempio - a un centinaio di metri di distanza dal primo presentava sei figure alte sei metri: quattro di Ramses e due della moglie preferita. Entrambi i gruppi statuari guardavano il lago Nasser in direzione di uno strano gruppetto di isole di forma piramidale che s'innalzavano sopra la superficie piatta del lago. «Quello che dobbiamo ricordare di Abu Simbel è che non sorge nel luogo originario», disse Jack. «Quando i sovietici costruirono la diga di Assuan negli anni '60, sapevano che il lago che si sarebbe formato avrebbe sommerso le statue. Pertanto l'UNESCO fece trasferire le opere monumentali in una posizione più sopraelevata, mattone per mattone, pezzo per pezzo. Eressero le statue più in alto, rispettando quasi esattamente l'allineamento originario.» «Quasi esattamente?» fece eco Astro, allarmato. «Vuoi dire che le statue non sono più allineate in modo corretto? Se non lo sono...» «Sono sfasate di un paio di gradi», lo interruppe Jack con voce calma. «Ma si sa di questa discrepanza, perciò possiamo tenerne conto. Potete vedere la differenza in questa immagine: le posizioni originarie e odierne delle statue.»
«Non sembrano così grandi», commentò Astro. «Lo sono. Fidati.» L'aereo volava verso sud. A un certo punto del viaggio, Iolanthe scomparve negli alloggi dell'equipaggio a poppa per cambiarsi e mettersi qualcosa di più pratico. Non appena se ne fu andata, Avvoltoio si volse verso West. «Cacciatore. Vorrei parlare un secondo con te. Ci si può fidare dell'emissaria inglese?» Jack si girò, guardando in fondo all'aereo. «Neanche per sogno», rispose. «È qui per rappresentare la sua famiglia, la Casa Reale, così come tu sei qui a rappresentare la tua, il Regno dell'Arabia Saudita... perciò mi fido di lei non più di quanto mi fidi di te. Al momento, noi siamo utili a lei e lei è utile a noi. Ma, non appena non lo saremo più, taglierà la corda.» «O ci taglierà la gola», interloquì Zoe. Il marine americano, Astro, corrugò la fronte, confuso. «Scusami, ma di che cosa stai parlando? Grandi Case? Case Reali?» Rispose Spilungone. «Quando siamo andati alla ricerca delle Sette Meraviglie del Mondo Antico, eravamo in competizione con gli Stati Uniti da un lato, e il Vecchio Continente dall'altro: Francia, Germania, Italia e Austria. Anche la Chiesa cattolica, esperta di cose antiche, ha partecipato alla coalizione europea.» «Pensala come uno scontro fra ricchi da generazioni e ricchi da poco tempo», spiegò Jack. «L'America rappresenta i nuovi ricchi, che hanno fatto fortuna di recente; l'Europa i ricchi da sempre,
quelli che hanno ricevuto la loro fortuna tramite eredità, proprietà terriere, blasoni di famiglia. Ricorda Jane Austen: un gentiluomo non lavora, si gode la rendita delle sue terre.» Astro arrossì. «Non ho letto Jane Austen al liceo...» Spilungone aggiunse: «Sebbene ci piaccia pensare che oggi l'Europa sia un mosaico di moderne democrazie governate dal popolo e per il popolo, è una pia illusione. Quasi il cinquantacinque percento dell'Europa continentale appartiene a tre famiglie: i Sassonia-Coburgo del Regno Unito - i quali, tramite guerre e matrimoni, ottennero le terre dell'antica famiglia d'Asburgo d'Austria e Germania -, i Romanov di Russia e gli Oldenburg di Danimarca, la dinastia reale più scaltra della storia. Grazie a molteplici matrimoni, il sangue danese scorre forte in quasi tutte le Case d'Europa, e pertanto la Famiglia Reale danese controlla da sola un quarto dell'Europa continentale». «I Romanov di Russia?» ripeté Astro in tono interrogativo. «Credevo che la Famiglia Reale russa fosse stata sterminata nel 1918 dai bolscevichi.» «Niente affatto», smentì Spilungone. «Due dei bambini sopravvissero, Anastasia e Alessio. E alle famiglie reali non piace veder deporre altre famiglie reali: si prendono cura di se stesse. I figli superstiti dello zar Nicola II trovarono protezione presso i reali danesi a Copenhagen e alla fine convolarono a nozze in buone famiglie. Anche se non usano più titoli ufficiali come zar, i Romanov esistono ancora, pur tenendosi lontano dai riflettori.» A quel punto Spilungone lanciò un'occhiata ad Avvoltoio, che se ne stava seduto un po' troppo in silenzio in un angolo. «Naturalmente, c'è un'altra Casa Reale piuttosto antica che ha una grande influenza nel mondo oggi: la Casa di Saud in Arabia. Ma non è molto stimata dalle Grandi Case d'Europa: dalla sua ascesa dal nulla nel Settecento, è sempre stata considerata dalle Case europee alla stregua di una bizzarra tribù i cui membri si atteggiavano a nobili. Nemmeno la scoperta del petrolio nell'Arabia nel XX secolo valse loro il rispetto che tanto desideravano.»
«Quelli che sono ricchi da generazioni rispettano solo quelli come loro», osservò Jack. Avvoltoio tacque, ma dallo sguardo si capiva che era d'accordo. «Quindi, queste Case Reali... qual è il loro legame con la Macchina?» volle sapere Astro. «Pensa alla nobiltà nella storia, risalendo fino alle tribù primitive», suggerì Merlino. «Che cosa rendeva una famiglia tribale più degna di rispetto delle altre?» «La forza. La loro capacità di combattere a favore della tribù.» «Certe volte, sì», convenne Jack. «Ma non sempre.» Astro si strinse nelle spalle. «Che altro allora?» Rispose Merlino. «Il più delle volte era la famiglia in possesso di un qualche tipo di talismano sacro a essere ritenuta la famiglia capotribù. Poteva essere uno scettro, una corona o una pietra sacra. La capacità di combattere era spesso secondaria alla capacità di custodire un manufatto sacro.» Jack aggiunse: «Macbeth uccide Duncan e gli usurpa lo scettro, così Macbeth, in quanto possessore dello scettro, diventa re». Merlino gli diede manforte. «E le Tre Grandi Case d'Europa hanno sempre posseduto qualcosa che le rendeva più grandi delle altre Case Reali...» «I Pilastri», scattò Astro, comprendendo. «Esatto», confermò Merlino. «E la conoscenza che ne deriva: conoscenza ereditaria, passata di generazione in generazione, sull'uso e sullo scopo di quei Pilastri.» Jack aggiunse: «E il fatto che la nostra principessa Iolanthe sia l'attuale Custode dell'Archivio personale reale significa che è una detentrice chiave di quella conoscenza». Astro domandò: «Se ci sono soltanto tre Case europee, significa allora che ci sono soltanto tre Pilastri?» «Credo di sì», rispose Merlino. «Ma...» «... ma ciò non significa che non sappiamo dove siano gli altri tre», lo interruppe Iolanthe dalla porta in fondo alla cabina principale.
Si girarono tutti. Iolanthe era il ritratto della calma e, a quanto sembrava, non si era minimamente offesa che le stessero parlando alle spalle. Con indosso ora una giacca color crema, stivali Oakley e pantaloni da lavoro attillati, rientrò nella cabina e scivolò su un divano vuoto. «Se posso partecipare alla discussione», si scusò. «Nel corso della storia la gente comune ha cercato attivamente qualcuno da ammirare; qualcuno di più alto lignaggio, di sangue blu, di sensibilità superiore. Le famiglie reali, quelle che sono disposte ad assumersi l'obbligo di proteggere sia il popolo sia certi importanti manufatti. E, poiché è risaputo che lo standard di onore delle famiglie reali è più alto, ci si può fidare di loro. «Le persone comuni, d'altro canto - sapendo in cuor proprio di essere troppo volubili, troppo avide, per essere fedeli a una simile concezione dell'onore -, cercano una famiglia di gran lustro che lo faccia. E così i forti comandano, e i deboli obbediscono, per propria scelta. È l'ordine naturale delle cose; è così da quando gli uomini hanno cominciato a camminare eretti.» Lily fissò Iolanthe. I forti comandano, e i deboli obbediscono. Aveva già udito quelle parole: pronunciate da uno squilibrato sacerdote del Vaticano di nome Francisco del Piero, l'uomo che aveva cresciuto suo fratello gemello, Alexander, col fine di farne un governante crudele e dispotico. Merlino aveva udito quelle parole, e anche lui fissava Iolanthe con sguardo attento. Astro disse: «Se la gente ama così tanto le famiglie reali, perché la democrazia ha tanto seguito? Guardi l'America». Iolanthe soffocò una risata. «Guardi l'America? Be', capitano, negli ultimi due secoli il vostro Paese ha marciato in modo chiaro e costante verso la monarchia. «Il punto è che i vostri governanti non hanno nessun talismano,
nessun tesoro da custodire per conto del vostro popolo. Perciò vi ritrovate con sfrontati usurpatori che cercano di fondare un regno: il padre dei Kennedy voleva istituire una dinastia di presidenti Kennedy: John, poi Robert, poi Edward. Negli ultimi anni, la famiglia Bush - aiutata dai suoi amici della Casa di Saud - è riuscita a fondare una dinastia, e difatti progetta di insediare un terzo Bush sul trono. Ma non ha nessun talismano, e perciò nessun regno. Anche se, forse, alla fine di quest'avventura, ce l'avrà, e così prenderà posto al tavolo delle Grandi Case d'Europa.» Jack interloquì: «Così al momento a questa gara partecipiamo noi, i buoni, aiutati dagli aspiranti nuovi ricchi dell'Arabia Saudita e dell'America; voi, le dinastie reali europee; e la Cina, appoggiata da chissà chi. Dove s'inseriscono, quindi, gli Emirati Arabi Uniti in questa concezione del mondo?» «I ricchi dell'ultima ora, ecco tutto», commentò Iolanthe. «Una misera tribù del deserto che solo da poco tempo si è ritrovata seduta su enormi giacimenti di petrolio.» Alzò le spalle a mo' di scuse rivolte a Orsacchiotto e Scimitarra. «Senza offesa.» Orsacchiotto borbottò: «Milady, per dirla con le parole della mia giovane amica, Lily, vada a farsi friggere». «E gli altri Paesi?» si frappose Jack. «Come l'Australia, per esempio.» «È ancora una colonia britannica», rispose Iolanthe, liquidando la domanda. «La Cina?» «Una nazione di funzionari corrotti e di un miliardo di contadini ignoranti. Grassi, lenti e tronfi. Ora che arrivano al livello dell'Occidente, noi saremo su Marte.» «L'Africa?» «Le terre di schiavi del mondo. Oggi inutile, essendo stata già saccheggiata fino all'osso. Al giorno d'oggi le nazioni africane sono come le prostitute, pronte a vendere se stesse e i propri eserciti a chiunque paghi con valuta pregiata.» «Il Giappone?»
«Un caso interessante, poiché i giapponesi sono in una categoria sui generis nel mondo. Anche il cittadino giapponese più comune ha un profondo senso dell'onore. Ma l'orgoglio è il loro punto debole. Il Giappone è la nazione più razzista sulla terra: i giapponesi sono sinceramente convinti di essere superiori a tutte le altre razze. Questo li ha cacciati nei guai nella seconda guerra mondiale.» «Ma il Giappone ha una famiglia reale», obiettò Zoe. «La dinastia reale ininterrotta più antica del mondo.» «Questo è vero», convenne Iolanthe. «Ma, purtroppo, oggi quella famiglia non è che un teatrino. La capitolazione del Giappone alla fine della seconda guerra mondiale segnò il primo sterminio dei tempi moderni di una legittima famiglia reale. Gli americani non solo umiliarono Hirohito davanti al suo popolo, ma gli tolsero crudelmente il potere. Gli portarono via il talismano.» A quelle parole Jack corrugò la fronte. Quella gli era nuova. Si sporse. «E cosa sarebbe questo talismano?» «Una cosa che non sono ancora disposta a rivelarle, mio coraggioso Cacciatore.» Iolanthe scoccò a Jack un sorriso malizioso. «Forse dovrà ricorrere ad altri metodi per carpirmi questo piccolo segreto... forse potrebbe corteggiarmi. In alternativa, potrebbe chiederlo al suo collega americano qui presente.» Accennò col mento ad Astro. Jack inarcò un sopracciglio in direzione dell'americano. «Allora?» «Che ne so?» rispose l'altro. Iolanthe riprese: «In ogni caso, sebbene possano affermare il contrario e dire che sono migliorati, i giapponesi non hanno dimenticato quella terribile onta. E un popolo tanto orgoglioso porta rancore per molto tempo. Volgi le spalle al Giappone a tuo rischio e pericolo». Per un momento, tutti tacquero. «Il mondo è complicato», concluse Iolanthe sottovoce, quasi fra sé. «Le guerre si vincono e si perdono. Gli imperi sorgono e cadono. Ma, in tutti i libri di storia, il potere è sempre stato soggetto a
costanti mutamenti, passando di continuo da un impero all'altro: dall'Egitto alla Grecia fino a Roma; o, più recentemente, dalla Francia sotto Napoleone all'Impero Britannico fino all'attuale egemonia americana. Ma ora - con l'avvio della Macchina - sarà diverso. Il passaggio di potere cesserà. Perché questa è l'unica volta nella storia che il potere assoluto finirà nelle mani di un'unica nazione. Per sempre.» * Un paio d'ore più tardi, la cabina principale era immersa nel buio e nel silenzio. L'unica persona ancora al lavoro era Jack, intento a studiare una carta dell'Africa alla luce di una lampada da scrittoio, con Horus appollaiato sullo schienale della sedia. Tutti gli altri si erano ritirati a poppa per dormire un po' prima della giornata campale che li attendeva... tranne Lily. Dormiva come un sasso sul divano accanto a Jack. Horus lanciò uno strido. Jack alzò gli occhi e vide Iolanthe sulla porta della cabina principale, con indosso una larga tuta da ginnastica, i capelli scompigliati dal sonno. «Chi comanda è solo», disse lei. «A volte.» «Mi hanno detto che lei ispira lealtà a quelli che la seguono.» Iolanthe si sedette. «Mi limito a lasciare che la mia gente pensi con la propria testa. Pare che funzioni.» Iolanthe lo fissò un momento, osservandolo da vicino nel buio, come se stesse valutando quello strano individuo di nome Jack West Jr. «Sono pochi quelli che sanno pensare con la propria testa», osservò lei. «Lo sanno fare tutti», s'affrettò a ribattere Jack.
«No. Non è vero. Non tutti sanno farlo», ribadì lei sottovoce, distogliendo lo sguardo. Jack cambiò argomento. «Prima ha accennato al fatto che forse sa dove si trovano gli altri Pilastri...» Iolanthe si scosse dalle sue fantasticherie e gli sorrise, inarcando un sopracciglio. «Può darsi.» «Solo che abbiamo il Pilastro saudita, contrassegnato con una sola linea, e il suo, contrassegnato con quattro linee, il che indica che sono il Primo e il Quarto Pilastro. Avremo presto bisogno del Secondo, entro una settimana.» «Sempre che sopravviviamo a oggi.» «Siamo ottimisti e supponiamo di sì», ribatté West. «Dove si trova?» Iolanthe si alzò, toccandosi il labbro superiore con la lingua. «Secondo le mie fonti, il Secondo Pilastro si trova nelle giungle dell'Africa centrale, fanaticamente e gelosamente protetto dalla stessa tribù che lo custodisce da oltre duemila anni, i Neetha.» «Ho fatto ricerche sui Neetha. Cannibali. Pericolosi.» «Capitano, 'pericolosi' non descrive i Neetha nemmeno lontanamente. Nemmeno 'cannibali'. 'Carnivori' sarebbe meglio. I normali cannibali ti uccidono prima di mangiarti. I Neetha non ti concedono questo onore. Si ritiene che un migliaio di profughi ruandesi in fuga dal genocidio del 1998 si sia perso nella giungla e abbia scoperto per caso la terra dei Neetha. Non è tornato nessuno. Entrare nel territorio dei Neetha è come cadere in una ragnatela.» «Un'altra domanda», disse Jack. «Che cosa sa dell'ultima Pietra di Ramses, il Bacile di Ramses II? Merlino non sa dove si trovi.» «Nessuno lo sa», si limitò a rispondere Iolanthe. «Il Bacile è scomparso dalla storia tanto tempo fa.» «Sa quali sono le sue proprietà?» «No. Non ne ho la minima idea.» Iolanthe si girò per andarsene. «Non mi fido di lei, lo sa», le disse Jack alle spalle. «Non dovrebbe farlo», ribatté lei, senza voltarsi. «Non dovrebbe farlo.»
Usci dalla cabina e Jack riprese a leggere. Nessuno dei due si era accorto che Lily si era svegliata durante la loro conversazione. E che aveva udito ogni parola. * Un'ora dopo, le luci a bordo dell'aereo si accesero e l'interfono fece un trillo. «Sveglia, gente!» squillò allegra la voce di Sky Monster. «Jack, ho individuato un tratto di autostrada circa quaranta chilometri a ovest di Abu Simbel. Non c'è altro che il deserto. Non posso atterrare sull'autostrada a nord: è occupata da parecchie colonne di pullman turistici. Partono la mattina presto ogni giorno per raggiungere Abu Simbel poco dopo l'alba. La strada a ovest dovrebbe essere abbastanza lunga da fare da pista e abbastanza lontana da permetterci di arrivare e andare via senza farci vedere.» «Grazie, Monster», disse Jack, alzandosi. «Portaci là.» ABU SIMBEL, EGITTO MERIDIONALE, 10 DICEMBRE 2007, ORE 04.00 Nelle prime luci dell'alba le enormi statue di Ramses il Grande si stagliavano come giganti racchiusi per sempre nella pietra. Torreggiavano sulla squadra di West e sui suoi veicoli, schiacciandoli. Mentre Zoe si era servita di metodi non letali e silenziosi per neutralizzare le guardie di Stonehenge, li Jack non era andato tanto per il sottile. Le due guardie del Dipartimento delle antichità egizie che erano di ronda sul celebre sito turistico si erano arrese in un attimo di fronte alle canne di quattro fucili mitragliatori. Ora giacevano legate e imbavagliate nella guardina. Jack era davanti alle quattro statue di Ramses, mentre Merlino
stava a un centinaio di metri di distanza, di fronte al tempio più piccolo di Nefertari. Era presente tutta la squadra, a eccezione di Sky Monster e Spilungone: erano rimasti a bordo dell'Halicarnassus e ora volteggiavano nel cielo, sorvegliando l'area e attendendo la richiesta di recupero. «Telemetri», ordinò West, e furono tirati fuori due telemetri laser, uno per ciascun gruppo statuario. «Sarà un problema?» domandò Zoe accennando alla seconda statua di Ramses II. In un lontano passato, la testa si era staccata ed era rovinata a terra. «No», rispose Jack. «Nell'antico Egitto, contavano da destra a sinistra. Il 'terzo occhio' è quello lì.» Indicò con l'indice la seconda statua da destra. Con l'aiuto di Orsacchiotto, Astro si calò a corda doppia dalla sporgenza rocciosa sopra la statua in questione, stringendo nella mano libera uno dei telemetri. Al tempio di Nefertari, Scimitarra fece lo stesso, aiutato da Avvoltoio: anche lì il «terzo occhio» era sulla seconda statua da destra, la statua di Nefertari. Mentre loro si mettevano in posizione, West si girò e fissò lo sguardo sul lago Nasser. Il grande bacino si stendeva fino all'orizzonte, scuro e silente, dominato da quella calma innaturale tipica dei laghi artificiali. Sulle acque aleggiava bassa la nebbia. La riva opposta formava una grande ansa, e davanti al litorale del lago Jack riuscì a scorgere a fior d'acqua una serie di isolotti di forma piramidale. Sulle pendici di quasi tutte quelle isole e lungo tutto il litorale, Jack lo sapeva, c'erano geroglifici d'ogni specie che l'UNESCO non era stata in grado di salvare dalla risalita delle acque. Proprio come la diga delle Tre Gole in Cina. Astro e Scimitarra erano in posizione. La testa di pietra davanti ad Astro era semplicemente colossale, persino più grande di lui.
«Montate i telemetri nelle orbite», ordinò West. «Assicuratevi che siano perfettamente allineati con la direzione dello sguardo delle statue.» Astro obbedì - e lo stesso fece Scimitarra davanti alla sua statua -, utilizzando dei morsetti per fissare il proprio telemetro all'orbita della statua. Quand'ebbero finito, West ordinò di regolare leggermente i dispositivi, due gradi a nord, per tenere conto del lieve disallineamento di Abu Simbel a opera dell'UNESCO. «Okay, accendeteli.» I telemetri furono attivati... ... e d'improvviso due raggi laser rettilinei schizzarono dalle orbite del terzo occhio, sfrecciando sopra il lago, fendendo la nebbia, scomparendo in lontananza... ... solo per convergere in un punto a circa due chilometri di distanza, su uno degli isolotti rocciosi piramidali che affioravano sulle acque del lago Nasser poco lontano dall'altra riva. «Oh, mio Dio», mormorò Merlino. «L'abbiamo trovato.» Senza indugio, due gommoni Zodiac furono gonfiati e lanciati in acqua. Avvoltoio e Scimitarra rimasero a riva come retroguardia mentre Jack e gli altri sfrecciavano a bordo dei gommoni. Nel giro di dieci minuti, le due imbarcazioni raggiunsero l'isola piramidale, avvolta dalla nebbia. Intorno ai due gommoni si formò un ampio cerchio di coccodrilli del Nilo, i musi a fior d'acqua, gli occhi che brillavano nella luce delle torce della squadra, fissi sugli intrusi. Mentre si avvicinava, Zoe scrutò la cima dello scoglio. A livello dell'acqua, la base dell'isola era perpendicolare, quasi a picco, mentre più in alto diventava meno ripida. «La superficie sembra quasi scolpita a mano», osservò. «Come se qualcuno avesse scalpellato la roccia per darle la forma di una piramide.»
Merlino disse: «Gli archeologi hanno studiato a lungo la forma di queste isole, quando erano ancora colline, prima che si formasse il lago. Ma, no, le analisi hanno dimostrato che non sono state scolpite affatto: questa è la loro forma naturale». «Strano», commentò Lily. «Ehi! Ho una lettura sonar...» gridò Astro dal suo gommone, che traboccava di ogni sorta di georadar e scandagli di profondità. «No, un momento», sospirò. «Niente. Un lettura di vita. C'è qualcosa giù sul fondo. Forse un coccodrillo... aspettate, questo è meglio, il georadar ha trovato una cavità ai piedi dell'isola proprio sotto di noi.» «Affiancate i due gommoni e ancorateci alla base dell'isola», ordinò Jack. «E poi tirate fuori il tubo d'aria e il portello d'attracco. Astro, Orsacchiotto: mettetevi le tenute. Avete il compito di chiudere l'entrata.» Venti minuti dopo, uno strano congegno si frapponeva tra i due gommoni all'ancora: un tubo di gomma gonfiabile cavo che scendeva nell'acqua come un condotto verticale aperto in alto. Astro e Orsacchiotto - in tenuta completa da sommozzatore e armati di lanciarpione per i coccodrilli - si tuffarono all'indietro nelle acque nere come l'inchiostro, le torce accese. A novanta metri sotto le imbarcazioni, toccarono il letto del lago, nel punto in cui si univa con la base della piramide di roccia. Sciabolarono le torce sulla superficie dell'isola, rivelando centinaia di immagini scolpite nella superficie rocciosa. Erano quasi tutte comuni incisioni egizie: geroglifici e figure di faraoni che davano la mano agli dei. «Jack», chiamò Astro nel microfono del respiratore, «abbiamo trovato delle incisioni. Un sacco.» Orsacchiotto passò un georadar portatile sulla parete tappezzata d'immagini. Come un apparecchio radiografico, poteva rilevare grotte o cavità dietro la superficie della parete. «Ci sono! Ho trovato una cavità dietro questa incisione!»
Astro puntò la torcia sulla sezione sospetta della parete, e si ritrovò a illuminare un'incisione che aveva già visto:
Il simbolo della Macchina. «Avemmo dovuto immaginarlo», disse. «Trovata.» * Astro e Orsacchiotto si affrettarono a fissare una specie di tenda sul punto in cui il fondo del lago e la parete dell'isola piramidale s'incontravano, coprendo l'incisione della Macchina. A forma di cubo, la tenda era un portello d'attracco portatile ad apertura variabile della marina degli Stati Uniti, un regalo che West aveva ricevuto da Sea Ranger. Generalmente impiegata per collegare i sottomarini gli uni agli altri, era un'unità d'attracco dalle pareti di gomma che funzionava da camera d'equilibrio: una volta fissata in un posto e sigillati i bordi, si riempiva d'aria - gonfiandosi come un pallone ed espellendo l'acqua - in modo tale da avere un «ambiente d'attracco» asciutto tra due punti sott'acqua. Ciascuna delle sei facce del cubo era dotata di entrate rimovibili, una delle quali era collegata in quel momento al tubo che risaliva serpeggiando fino ai gommoni. Una volta piazzata l'unità, imbullonati gli angoli al fondo del lago e all'isola piramidale stessa, Jack accese una pompa, riempiendo d'aria il tubo e l'unità d'attracco. Il portello d'attracco si gonfiò e d'improvviso s'apri la via per calarsi giù nel tubo - perfettamente asciutto - e accedere alla parete dell'antica isola piramidale.
Jack si calò giù nel tubo di gomma, aggrappandosi agli appigli incorporati, scendendo piano piano nel cuore del lago Nasser. Portava con sé un respiratore ma non lo indossava. Era una precauzione, caso mai il portello d'attracco si sgonfiasse oppure si riempisse inaspettatamente d'acqua. In un marsupio portava anche il Primo Pilastro purificato. In testa indossava il suo inseparabile elmo da pompiere. Giunse in fondo al tubo d'entrata e mise piede - grazie all'unità d'attracco piena d'aria - sul fondo del lago Nasser. Gli stivali affondarono in una ventina di centimetri circa d'acqua, acqua che faceva da ventosa sul fondo dell'unità cubiforme. La parete esposta dell'isola piramidale gli si parò dinanzi agli occhi, rocciosa, irregolare e bagnata. Era ricoperta di incisioni, un caleidoscopio di immagini in cui il disegno della Macchina si perdeva con facilità. Jack fissò il simbolo della Macchina.
Era un'incisione piuttosto larga, più o meno delle dimensioni di un tombino stradale. E i sei rettangoli all'interno raffiguranti i Sei Pilastri sembravano a grandezza naturale, le stesse dimensioni del Pilastro che Jack teneva nel marsupio. A differenza di tutti gli altri, tuttavia, il rettangolo più in alto era scavato, rientrava nell'incisione. «Una toppa», disse Jack ad alta voce. Tirò fuori il Pilastro dallo zaino, e lo avvicinò alla rientranza rettangolare. Le dimensioni combaciavano alla perfezione. «Non lo saprai mai se non ci provi...» E così si protese col Pilastro e lo infilò nel rettangolo...
... e d'improvviso l'intera incisione circolare ruotò sul suo asse, come una ruota, e rientrò nel muro, rivelando un tunnel buio e rotondo. Jack fece un passo indietro dallo stupore, col Pilastro ancora in pugno. «Jack? Tutto bene laggiù?» gli domandò la voce di Zoe nell'orecchio. «Come sempre», rispose. «Scendi giù. Ora viene il bello.» Il tunnel di Sobek Lo stretto tunnel oltre l'entrata circolare grondava umidità ed era scivoloso. Un gocciolio echeggiava da qualche parte al suo interno. Con una torcia chimica tra i denti e guidato dalla luce dell'elmo, Jack si addentrò strisciando per circa cinque metri nel claustrofobico passaggio prima d'imbattersi nel primo ostacolo: un enorme coccodrillo, lungo almeno cinque metri, che gli sbarrava la strada e gli ghignava a meno di un metro di distanza. Jack si bloccò. Era una bestia gigantesca, un enorme mostro preistorico. I denti spaventosi sporgevano dai bordi del muso, tra possenti sbuffi. Jack puntò la torcia dell'elmo oltre il grosso coccodrillo, in fondo al tunnel, e ne vide altri, forse ancora quattro in fila per tutta la lunghezza dello strettissimo passaggio. Deve esserci un'altra entrata, pensò. Una crepa da qualche parte sopra il livello dell'acqua dentro cui i coccodrilli strisciano. «Ehi, Jack?» chiamò Zoe, entrando nel tunnel dietro di lui. «Qual è l'ostacolo?» «Un bestione tutto denti.» «Ah.» Jack aguzzò le labbra, pensando. Nel frattempo, Zoe lo raggiunse e puntò la torcia oltre West. «Ah, non stavi scherzando.»
Poi, d'improvviso, lui disse: «Fa troppo freddo». «Eh?» «È troppo presto per loro, hanno il sangue ancora troppo freddo per essere un pericolo.» «Di che cosa stai parlando?» «I coccodrilli sono animali a sangue freddo. Un coccodrillo, soprattutto così grosso, deve riscaldare il sangue, di solito al sole, per compiere un movimento qualunque. Questi qui fanno paura, certo, ma per loro è troppo presto a quest'ora del mattino, troppo freddo, perciò non potranno essere aggressivi. Possiamo passarci accanto strisciando.» «Ora sì che stai scherzando.» In quel momento furono raggiunti da Orsacchiotto e Merlino. «Qual è il problema?» domandò Orsacchiotto. «Quelli là», rispose Zoe accennando col mento alla fila di coccodrilli davanti a loro. «Ma niente paura, il qui presente capitan Coraggio crede che possiamo superarli strisciando.» Orsacchiotto sbiancò in volto all'istante. «Stri-strisciando...?» Merlino fissò i coccodrilli, annuendo. «A quest'ora del giorno, hanno il sangue ancora troppo freddo. L'unica cosa che potrebbero davvero fare ora è mordere.» «È proprio quello che mi preoccupa», ribatté Zoe. Jack guardò l'orologio. Erano le 5.47 del mattino. «Non ci resta altra scelta», concluse. «Abbiamo venticinque minuti per raggiungere il Vertice, il che significa che dobbiamo superare queste bestie. Io vado.» «Ehm, Cacciatore», lo trattenne Orsacchiotto. «Lo sai... be'... lo sai che ti seguirei ovunque. Ma... ma già non mi piacciono da lontano i coccodrilli e qui sono...» Jack annuì. «D'accordo, Zahir. Nessuno è del tutto senza paura, nemmeno tu. Questa volta non vieni. Non lo dirò a nessuno.» «Grazie, Cacciatore.» «Zoe? Merlino?» Capì che avevano le stesse remore.
Zoe fissò il tunnel con un'espressione risoluta. «Non puoi farlo da solo. Ti seguo.» E Merlino aggiunse: «Ho lavorato tutta la vita per vedere cosa c'è dietro quei coccodrilli. Col cavolo che mi fermeranno!» «Andiamo allora», disse Jack. Avanzando striscioni nel buio, raggiunse il primo coccodrillo. Il grande rettile lo faceva apparire piccolo e gracile. Quando Jack arrivò a faccia a faccia con la bestia, quella spalancò le fauci massicce, mostrando dal primo all'ultimo dente, ed emettendo un rauco borbottio d'avvertimento. Jack si fermò, tirò un profondo respiro, e infine si buttò, strisciando davanti alle fauci dell'animale, scansandolo e scivolando contro la parete curva del tunnel. Gli occhi arrivarono a livello di quelli del coccodrillo... e Jack vide che quegli occhi, freddi e duri, stavano seguendo il suo passaggio centimetro per centimetro. Ma l'animale non attaccò; si limitò a strisciare le zampe. Jack passò accanto al coccodrillo contorcendosi e senti la flaccidità del suo gonfio ventre quando lo sfiorò coi pantaloni. E poi d'improvviso si trovò a fianco della coda irta di punte, e la superò. Jack liberò il respiro che stava trattenendo. «Ho superato il primo», annunciò nel microfono della cuffia auricolare. «Zoe, Merlino. Avanti, venite.» La scalinata di Atum In quel modo, Jack, Zoe e Merlino strisciarono sino in fondo al lungo e stretto tunnel, sgusciando sul ventre accanto a cinque enormi coccodrilli del Nilo. Alla fine del passaggio, sbucarono in cima a un pozzo di pietra quadrato con una scalinata che scendeva nell'oscurità. La scalinata piegava avanti e indietro a mano a mano che scendeva. Le pareti di ogni caposcala erano tappezzate di geroglifici,
comprese altre incisioni più grandi del simbolo a forma di ruota della Macchina. Jack scese la prima rampa di scale e giunse sul primo pianerottolo... ... dove il simbolo della Macchina rientrò nel muro mediante un meccanismo invisibile e rivelò un grande buco, un buco che avrebbe potuto vomitare ogni genere di liquido letale... ... ma poi il Pilastro nelle mani di Jack emise un tenue bagliore e il buco si richiuse all'istante. Jack scambiò un'occhiata con Merlino. «A quanto pare, non superi queste trappole se non possiedi il Pilastro.» «Non senza grande difficoltà», convenne l'anziano professore. Ripresero a scendere le scale. Su ogni caposcala, il simbolo circolare della Macchina si apriva per poi richiudersi quando percepiva il Pilastro nella mano di West. Sempre più giù. Merlino contò i gradini durante la discesa, fino a che non giunsero in fondo, dove i gradini finivano davanti a un grande passaggio ad arco di pietra. Era alto sei metri, imponente, e dava su un nero impenetrabile. Merlino fini di contare: «267». Jack si affacciò sull'arco e fissò nel buio. Una lieve brezza gli colpì il volto, fredda e pungente. Percepì un grande vuoto davanti a sé, perciò tirò fuori la pistola lanciarazzi e sparò nell'oscurità. Quindici bengala dopo, si ritrovò sotto l'arco, a bocca aperta. «Madre di Dio», disse col fiato sospeso. La sala della Macchina L'arco alto sei metri sotto cui Jack stava sembrava microscopico in confronto allo spazio che si spalancava di sotto.
L'arco si trovava in cima a una colossale scalinata - cinquecento gradini, forse di più - che scendeva in una sala dal pavimento piatto di almeno centoventi metri di altezza e centocinquanta di larghezza. La gigantesca scalinata si stendeva per tutta la larghezza della sala, da parete a parete, come un enorme versante di gradini perfettamente squadrati. Il soffitto di quella enorme camera sotterranea era sorretto da una selva di meravigliose colonne, tutte intagliate secondo lo stile pittorico egizio, con le sommità decorate con foglie di loto rosse, blu e verdi. Doveva essere una quarantina di pilastri, tutti allineati in file regolari. «Tale e quale il tempio di Ramses II a Karnak...» commentò Merlino a bassa voce. «Forse il tempio di Ramses era una copia costruita in onore di questo», suppose Zoe. In cima alla grande scalinata, Jack ebbe l'impressione di guardare un campo di gioco dagli spalti più in alto di un moderno stadio di football. Ma c'era un'altra cosa. In fondo alla sala mancava la quarta parete, quella di fronte alla scalinata. Oltre la selva di colonne decorate, non c'era assolutamente nulla: il pavimento lucido finiva di colpo con uno spigolo, una balconata senza balaustra larga centocinquanta metri, che si affacciava su uno spazio ancora più grande e più buio. Ma dal loro punto di vista in cima alla gradinata, Jack e gli altri non riuscirono a vedere che cosa c'era in quello spazio più grande, così scesero i gradini, come formiche sullo sfondo della gigantesca sala. A metà discesa, Jack vide che cosa c'era nello spazio più grande. Si fermò di colpo. «Ci servono altri bengala», mormorò.
Il Primo Vertice della Macchina Jack, Merlino e Zoe percorsero il grande pavimento della sala, attraversando la foresta di altissime colonne, prima di arrivare nel punto in cui terminava, su un abisso sotterraneo ancora più grande. Un'immensa voragine si apriva dinanzi a loro. Nera e profonda, larga almeno trecento metri, precipitava senza fine nel buio più impenetrabile che Jack avesse mai visto. E sospesa al soffitto piatto di pietra di quel baratro era una piramide colossale - capovolta - perfettamente tagliata e, a giudicare dal suo aspetto, delle stesse identiche dimensioni della Grande Piramide di Giza. Era antica oltre ogni dire, oltre ogni cosa il genere umano potesse sperare di costruire. Le facce rifulgevano di riflessi bronzei. A Jack rammentò la Piramide Rovesciata del Louvre a Parigi: la bellissima piramide di vetro capovolta sospesa su una più piccola. Resa famosa dal bestseller Il codice Da Vinci, la sua costruzione era avvolta nella leggenda massonica e neopagana. Gli tornarono alla mente anche i Giardini Pensili di Babilonia, scavati in una gigantesca stalattite naturale in un'immensa caverna
nell'Iraq meridionale, e gli venne fatto di pensare che forse i Giardini erano stati costruiti in onore di quella piramide. In ogni caso, le incredibili dimensioni della piramide facevano apparire piccola la sala in cui Jack, Merlino e Zoe si trovavano, la stessa che sin li era parsa colossale. «Jack. Zoe. Ecco a voi la Macchina», annunciò Merlino. Jack guardò l'orologio. Erano le 6.02 del mattino. L'equinozio di Giove era alle 6.12. Avevano tenuto un buon tempo. La radio di Jack gracchiò. «Cacciatore, siete ancora vivi là sotto?» domandò Orsacchiotto in preda all'ansia. «Ci siamo. Abbiamo trovato la Macchina.» «Sky Monster ha appena chiamato. Ha rilevato una vasta forza di mezzi terrestri in arrivo da Assuan. Oltre un centinaio di mezzi in colonna dietro pullman turistici.» «Arrivo previsto?» volle sapere Jack. «Tra un'ora, forse meno.» Jack fece alcuni calcoli mentali. «Ce ne saremo già andati per allora. Per un pelo.» Mentre Jack parlava via radio, Zoe e Merlino esaminarono le pareti della sala. Erano letteralmente tappezzate di immagini: migliaia e migliaia di bellissime e complesse incisioni. Ne riconobbero alcune, come il Mistero dei Cerchi, il simbolo circolare della Macchina, e persino lo schema inciso di Stonehenge. Ma altre erano completamente nuove:
Zoe s'affrettò a tirar fuori una fotocamera digitale Canon ad alta risoluzione e si mise a scattare di qua e di là, cercando di fotografare il maggior numero possibile di incisioni. «Quella è Ur!» esclamò Merlino, indicando con l'indice la penultima figura. «Davvero?» fece lei. «È la pianta dell'antica città di Ur, in Mesopotamia. Era nota per due porti fortificati, uno a ovest, l'altro a nord: li puoi vedere chiaramente nell'incisione. Prima della costruzione della Grande Piramide, la ziggurat di Ur era la costruzione più alta del mondo. E sai che cosa significa 'Ur'?» «No, dimmi.» «Luce. La Città della Luce.» In bella mostra al centro della parete c'era un'enorme piastra di ossidiana levigata. Ogni sua incisione era bordata d'oro e anche la cornice riccamente ornata sembrava ricavata da un'unica placca d'oro quadrata:
«Oh, mio Dio, i Sei Vertici...» disse Merlino col fiato sospeso. «Il simbolo ripetuto sulla sinistra, un triangolo rovesciato che sormonta un rettangolo, è Thoth e significa 'vertice'. Questa incisione descrive tutti e sei i Vertici. La farò decifrare da Lily.» Zoe scattò parecchie fotografie alla piastra e poi girò lo sguardo nell'incredibile sala fino a posarlo sulla piramide che, sospesa sopra l'abisso, sfidava la gravità. «Merlino, chi ha potuto costruire un posto come questo?» domandò. «Nessun uomo del mondo antico, ma nemmeno di quello moderno, avrebbe potuto fare una cosa del genere.» «Hai ragione», convenne il professore. «Perciò chi avrebbe potuto farlo? Visitatori extraterrestri? Alcuni ritengono di si: oltre il settanta percento della gente crede che la terra sia stata visitata dagli alieni in un qualche momento della storia. E, se esistono, forse gli alieni hanno visitato il nostro pianeta e hanno costruito queste strutture. Ma non condivido tale teoria.» «E la tua qual è?» «Lui pensa che siano state costruite dagli uomini», rispose Jack, mentre li raggiungeva girando gli occhi sulle pareti. «Ehi, è Ur.» «Dagli uomini?» ripeté Zoe, corrugando la fronte. «Ma pensavo sostenessi che nessun uomo antico o moderno avrebbe potuto...» «Proprio così. Ma non ho escluso una superrazza di uomini antichi», ribatté Merlino. «La teoria della superciviltà antica», spiegò Jack. «Si», confermò Merlino. «La teoria secondo cui la nostra non è la prima civiltà progredita che è fiorita sul nostro pianeta. Secondo
cui nel corso degli eoni, tra gli impatti di asteroidi, comete e Soli Neri, esseri umanoidi si sono evoluti molte volte sugli animali, sono prosperati e infine si sono estinti, solo per evolversi di nuovo milioni di anni dopo.» «Pensi che tutto questo sia opera di una precedente civiltà umana?» domandò Zoe. «Sì. Una civiltà umana superprogredita, molto più progredita di quanto siamo noi oggi. Be', non hai notato che tutte le porte e i gradini che abbiamo incontrato fin qui sono tutti adatti alle nostre proporzioni? Non è una semplice coincidenza. Che una civiltà aliena costruisca gradini adatti agli esseri umani sarebbe una coincidenza astronomica. No, questa struttura - questa meravigliosa struttura - è stata costruita da mani umane tanto, tanto tempo fa.» «Esseri umani che per quanto progrediti non sono riusciti a evitare l'estinzione», osservò Zoe. «Forse sono stati uccisi da qualcos'altro», suppose West. «Può darsi che siano stati spazzati via da un asteroide errante mentre costruivano quest'opera.» Merlino annuì. «Possono accadere un sacco di cose in cento milioni di anni. Possono nascere, evolversi, prosperare ed estinguersi intere specie in questo lasso di tempo. Al contrario, l'Homo sapiens moderno ha solo cento milioni di anni. Ehi, se non altro la gente che ha costruito questa Macchina stava cercando di scampare al futuro ritorno del Sole Nero.» «Merlino, scusa se t'interrompo, ma vieni a dare un'occhiata qui, per favore.» Jack si era avvicinato all'orlo della balconata e stava osservando con un binocolo la colossale piramide rovesciata. La punta della piramide era a livello della balconata, ma era ancora a novanta metri di distanza. «L'apice è tronco», osservò, allungando il binocolo a Merlino. «La punta è piatta.» «Come la Grande Piramide?» domandò Zoe. «Grossomodo, ma più piccola. Molto più piccola», rispose l'anziano professore. «È grande più o meno come...» - lanciò un'oc-
chiata al Pilastro nelle mani di Jack, - «... quello.» «Allora come facciamo a collocarlo lì?» volle sapere Zoe. «Nello stesso modo in cui siamo arrivati qui, suppongo», rispose Jack, indicando il pavimento ai suoi piedi. Lei guardò giù... e vide il simbolo della Macchina inciso nel pavimento di marmo sotto gli stivali di Jack. Ancora una volta, i rettangoli erano a grandezza naturale. Jack infilò il Pilastro purificato nella cavità rettangolare a ridosso del baratro. Un secondo dopo echeggiò un cupo rimbombo. Jack si girò di scatto a sinistra, poi a destra, ma non riuscì a individuare nessuna origine chiara di quel suono. Merlino e Zoe fecero lo stesso. E poi Jack lo vide. Vide un ponte strettissimo sbucare dalla parete dell'abisso proprio sotto di lui. A mano a mano che si allungava, si sollevava, come un ponte levatoio che va su anziché giù, una lunga passerella senza parapetto. Accompagnato da un gran fragore, salì sempre più in alto sino a fermarsi con un forte boato proprio davanti a West, una lunghissima lingua di pietra che formava un mezzo ponte sull'abisso sotto i suoi piedi fino... all'apice rovesciato della piramide. «Notevole...» commentò Jack. Stringendo il Pilastro purificato, Jack West Jr. mise il piede sul ponte, minuscolo in confronto con l'immensità della sala, dell'abisso e della colossale piramide. Lo strapiombo dalle pareti rocciose sembrava quasi senza fondo, inghiottito da un nero impenetrabile. Jack si sforzò di non pensarci e di guardare dritto davanti mentre si avvicinava alla gigantesca piramide di bronzo. Merlino e Zoe lo seguirono con gli occhi passo passo. Alla fine Jack arrivò al termine del ponte, sotto il vertice della piramide capovolta...
... proprio mentre l'orologio segnava le 6.11 del mattino. * Sopra, sulla superficie del lago, le prime luci dell'alba cominciavano a spuntare all'orizzonte. Alby aveva montato il telescopio sull'isola a forma di piramide, appena sopra i due gommoni ballonzolanti. Era chino sull'oculare quando esclamò: «Saturno è appena emerso su Giove! Lo iato sta arrivando... ora!» L'orologio di Jack segnò le 6.12. Dopo tutta la grandiosità della sala e della sua scalinata, della grande piramide e dell'enorme abisso, Jack trovò strano che la punta della colossale struttura fosse così piccola se vista da vicino... D'un tratto, la piramide si mise a ronzare. Era un mormorio cupo... una potente e profonda vibrazione che risuonava in tutta la caverna. Jack spalancò gli occhi. «Capitano West», giunse la voce di Alby dalla radio. «Titano è appena emerso. Ora hai circa un minuto per collocare il Pilastro.» «Grazie», rispose Jack. «Non so come, ma me lo sentivo che stava comparendo.» In piedi sul ciglio del ponte allungato, sopra un abisso d'imprecisata profondità, esaminò la punta della ronzante piramide di bronzo. Come aveva notato dalla balconata, la gigantesca piramide non terminava con un vertice triangolare a punta. Era piatto, invece. La grande struttura terminava con una piccola sezione tronca di forma quadrata larga sì e no una spanna, come se la minuscola pietra di coronamento fosse stata tagliata al tempo dei tempi. Nella punta quadrata era scavato un buco anch'esso quadrato,
una cavità che, Jack vide subito, combaciava con le dimensioni del suo Pilastro. «Merlino?» chiamò via radio. «Mi hai detto tutto? Non devo eseguire nessun rituale?» «Non che io sappia», rispose Merlino. «Limitati a inserire il Pilastro nella piramide.» «Okay, allora...» Jack diede un'ultima occhiata all'orologio. Erano ancora le 6.12. A quel punto, stringendo il Pilastro con entrambe le mani, sospeso su un abisso senza fondo nelle viscere della terra, inserì il Pilastro purificato nella cavità. * Il Pilastro scivolò nella piramide... ... e si bloccò subito all'interno, metà dentro e metà fuori. Il ronzio sinistro cessò all'istante. Calò il silenzio. Jack trattenne il respiro. E poi, di colpo, il Pilastro di diamante trasparente, ora bloccato nella punta della piramide, prese vita, accendendosi di un'intensa luce bianca. Jack si girò barcollando, facendosi schermo agli occhi. L'accecante luce bianca illuminò tutta la caverna, mostrando per la prima volta la profondità dell'abisso che si apriva sotto di lui. Superava ogni immaginazione, le pareti che scendevano a strapiombo più giù della luce sfolgorante del Pilastro. Ma poi, con un boato spaventoso, un fascio di luce bianca simile a un raggio laser guizzò dalla punta della piramide e scese nell'abisso, sfrecciando verso il centro della terra. Jack non riuscì a vedere bene: la luce era troppo forte. Poi, di colpo, il laser risalì nel Pilastro e nella piramide e, con la stessa rapidità con cui era cominciato, l'evento finì, e la caverna piombò di nuovo nel buio... a parte la pallida luce ambrata dei
bengala di Jack. Scoprendosi gli occhi, West guardò in alto la gigantesca piramide, insieme intimorito e incantato dall'antico meccanismo. E vide il Pilastro. Ora pulsava di luce, il nucleo liquido che emetteva un palpitante bagliore soffuso. E poi, a poco a poco, uno strano tipo di testo cominciò ad apparire su tutte le superfici trasparenti del Pilastro: simboli bianchi. Jack li riconobbe all'istante. La Parola di Thoth. La misteriosa lingua scoperta in Egitto che soltanto gli Oracoli di Siwa sapevano decifrare: Lily e suo fratello gemello, Alexander. D'improvviso, gli tornò alla mente il premio che si riceveva con la collocazione del primo Pilastro. La conoscenza. Quei simboli trasmettevano un qualche tipo di sapere, un sapere estremamente avanzato. Una conoscenza per cui le nazioni avrebbero ucciso. Allungò la mano per prendere il diamante. Non appena lo toccò, udì un rumore secco e il meccanismo di bloccaggio della piramide lasciò cadere nelle sue mani il Pilastro ora risplendente di simboli bianchi. Jack lo esaminò e notò subito che una piccola porzione piramidale del Pilastro era stata rimossa, recisa, dall'estremità superiore. Stupito, guardò in alto... e vide che ora la grande piramide di bronzo rovesciata era di nuovo completa. In qualche modo, durante l'abbacinante spettacolo di luci, aveva tagliato e trattenuto una sezione del Pilastro di diamante come pietra di coronamento, completando così la propria perfetta forma triangolare. «Notevole...» commentò Jack, abbassando lo sguardo sulla cavità piramidale appena formatasi nel diamante. «Merlino», disse nel microfono. «Siamo nella merda...» «E lo dici a me?»
Jack infilò il Pilastro sfavillante nello zaino. «Be', tutto sommato, è andato tutto abbastanza liscio.» «Sì, cosa molto rara per noi...» cominciò Merlino, ma il segnale fu interrotto bruscamente e sostituito da un lungo ronzio monocorde. A Jack si gelò il sangue nelle vene. Non era una semplice perdita di segnale. Quella avrebbe prodotto delle scariche o un friggio. Un ronzio monocorde significava un'altra cosa. West si girò e vide Merlino sul ciglio della balconata, con le mani alzate. Al suo fianco, Zoe stava facendo segno a Jack di correre. West tornò indietro a rotta di collo sul ponte, stringendo lo zaino sotto un braccio come un pallone da football, e accendendo il microfono in corsa. «Astro! Lily! Alby! Siete ancora in volo?» Nessuna risposta. Solo il ronzio. Raggiunse Merlino e Zoe. Il professore fissò il Pilastro nascosto nello zaino, mentre Zoe gli andava incontro. «Jack. Tutte le comunicazioni sono bloccate. È arrivato qualcun altro.» * Emersero dal lago ai lati dei due gommoni: uomini in muta e autorespiratore, armati di fucili mitragliatori MP-5. Dodici in tutto. Sommozzatori. «Merda!» imprecò Astro. «Il segnale del sonar di prima. Non era un coccodrillo: era un uomo.» «Silenzio», intimò il capo sommozzatore con voce controllata e un perfetto accento di Eton. «Giù le armi e mani in alto.» Astro e Orsacchiotto obbedirono. Soldati britannici, pensò Astro. Forse SAS o Royal Marines. Si girò per folgorare Iolanthe, ma lei non batté ciglio. I sommozzatori si issarono a bordo dei gommoni, le mute ba-
gnate fradicie, le armi luccicanti. Orsacchiotto spinse d'istinto Lily e Alby dietro di sé. Il capo sommozzatore si avvicinò a Iolanthe, levandosi la maschera e l'autorespiratore. Era giovane, con la mascella quadrata e il volto butterato. «Tenente Colin Ashmont, milady. Royal Marines. La stavamo aspettando. E, secondo gli ordini, abbiamo monitorato i segnali radio del capitano West finché non abbiamo sentito che ha collocato il Primo Pilastro.» «Ottimo lavoro, tenente», si complimentò Iolanthe, andando a fianco dei sommozzatori britannici. «West è giù con altri due: il vecchio ci serve ancora, la donna no.» Porse ad Ashmont la sua cuffia auricolare, proprio quando questi spense il trasmettitore di disturbo legato sul fianco. Parlò nel microfono. «Capitano Jack West. Qui i Royal Marines. Non ha scampo. Lo sa lei e lo sappiamo noi. Consegni il Pilastro.» «Vada a farsi fottere», giunse la risposta dalla radio. Ashmont sorrise. Quindi guardò Lily e Alby mentre aggiungeva: «Consegni il Pilastro, capitano, altrimenti ucciderò i bambini. Prima il ragazzo». «Okay. Stiamo arrivando.» Pochi minuti dopo, Iolanthe, Ashmont e tre dei suoi uomini erano dentro l'unità d'attracco agganciata alla base dell'isola rocciosa, gli occhi fissi nel tunnel pieno di coccodrilli. All'altro capo del passaggio c'erano Jack, Zoe e Merlino. «Faccia uscire il vecchio col Pilastro!» gridò Ashmont. «Come si chiama, soldato?» domandò Jack con voce controllata. «Ashmont. Tenente. Quinto Reggimento, Marines di Sua Maestà.» «Lei ha minacciato mia figlia e il suo amico, tenente Ashmont. Gliela farò pagare cara.» «Non mi spaventa, capitano West», rimbeccò Ashmont con arroganza. «Ho sentito parlare di lei, e conosco quelli come lei. Qualcuno può pensare che sia in gamba, ma per me lei è uno sca-
pestrato, indisciplinato e irresponsabile. Lei è solo un cane selvatico di una colonia che dovrebbe essere tenuto più stretto al guinzaglio. Ho intenzione di uccidere il bambino solo per principio. Ora faccia passare il vecchio col Pilastro o darò l'ordine.» Jack allungò lo zaino a Merlino, il quale strisciò dentro il tunnel infestato di coccodrilli per la seconda volta quella mattina. Di nuovo, i grossi rettili grugnirono in segno di protesta, ma non attaccarono. Mentre Merlino attraversava striscioni il tunnel, Jack gridò: «Iolanthe. Mi ha deluso». «Mi spiace, Cacciatore», rispose lei. «Il sangue non è acqua. Soprattutto il sangue blu.» «Lo terrò presente.» Alla fine, Merlino sbucò dal tunnel e si trovò davanti i tre marine britannici armati di fucile. Ashmont gli strappò lo zaino, vide il Pilastro che brillava all'interno, e lo porse a Iolanthe. «Sali, vecchio.» Accennò col mento alla scala che riportava in superficie, ai gommoni. Merlino protestò: «Ma...» «Muoviti!» Con riluttanza, Merlino si arrampicò su per la scala. In piedi davanti all'entrata del tunnel, Iolanthe guardò dentro e vide West e Zoe dall'altra parte. Stringeva il Pilastro nelle mani, sfiorando con le dita la nuova cavità piramidale su un'estremità. «Si goda la tomba, capitano.» Con ciò infilò l'estremità massiccia del Pilastro scintillante nel simbolo aperto della Macchina, che ruotò immediatamente sull'entrata sigillando l'antico tunnel con un rimbombo, e intrappolando dentro Jack e Zoe. * Iolanthe, Ashmont e gli altri marine si arrampicarono su per la
scala e tornarono a bordo dei gommoni. Quando furono tutti su, Ashmont ruppe il sigillo dell'unità d'attracco, che si allagò all'istante, sommergendo di nuovo l'entrata del complesso sotterraneo. Dopodiché spinse Lily e Merlino sul primo gommone, lasciando Alby, Orsacchiotto e l'americano, Astro, sul secondo. Il tenente inglese si rivolse a Iolanthe. «Che ne facciamo di loro?» «Teniamo la bambina e il vecchio. Gli altri non ci servono.» «D'accordo», grugnì Ashmont. Ammanettò alla svelta Orsacchiotto, Astro e Alby al loro gommone, tagliò le cime che lo ancoravano al suo e all'isola e infine sparò tre colpi in rapida successione nei fianchi di gomma dell'imbarcazione. Agli spari Lily gridò. Il secondo gommone prese subito a sgonfiarsi - e ad affondare con Orsacchiotto, Astro e Alby ammanettati allo scafo! Il grande cerchio di coccodrilli che erano rimasti in agguato intorno alle due imbarcazioni prese ad agitarsi. «Chissà, se siete fortunati, annegherete prima che i coccodrilli vi attacchino», osservò Ashmont. «In caso contrario, spero non farete una morte troppo atroce.» «Quando sarà, la auguro certamente a lei», rimbeccò Orsacchiotto. «Brutto bastardo.» «Alby!» gridò Lily, gli occhi gonfi di lacrime. Il bambino era pietrificato dalla paura. Girava la testa di qua e di là, fissando ora il gommone che affondava, ora il grande cerchio di coccodrilli. «Addio», disse Ashmont. Con ciò avviò il motore del gommone e si allontanò a tutta velocità nel chiarore dell'alba, alla volta del porto di Abu Simbel, abbandonando Orsacchiotto, Alby e Astro al loro destino. Il gommone cominciò a imbarcare acqua da ogni lato. Sull'imbarcazione che stava affondando, Alby si sentiva come
un passeggero del Titanic: incapace di fermare l'inesorabile affondamento della sua nave e destinato a morire molto presto. «Okay», disse Orsacchiotto col respiro accelerato dall'ansia. «Che cosa farebbe Cacciatore? Avrebbe un'altra bomboletta d'ossigeno nascosta nel cinturone, giusto? O un cannello ossidrico per tagliare queste manette.» «Non abbiamo nessuno dei due», osservò Astro caustico. Orsacchiotto pensò alla piccola quantità di esplosivo al plastico che teneva nascosta nell'anello di bronzo che gli teneva ferma la barba, ma, no, era troppo potente per le sue manette. Gli avrebbe fatto saltare anche la mano. Un grosso coccodrillo passò a poca distanza, sciaguattando nell'acqua e facendo schioccare la coda. «Come stai, ragazzo?» domandò Astro ad Alby. «Spaventato a morte.» «Sì. Anch'io», ribatté l'altro. L'acqua cominciò a traboccare dai bordi dell'imbarcazione che sì stava sgonfiando, riversandosi all'interno. Il gommone cominciò ad affondare più in fretta. L'acqua arrivò alle ginocchia di Alby, poi alle cosce. Un improvviso sciaguattio alle sue spalle fece girare Alby di scatto, in tempo per vedere un enorme coccodrillo balzare fuori dall'acqua e avventarsi contro di lui, a fauci spalancate. Ma uno sparo lacerò l'aria e l'enorme rettile ricadde a metà balzo, contorcendosi, colpito a un occhio da Astro. «Porca...» fece Alby senza respiro. «Oh, mio Dio. Oh, mio Dio...» L'acqua gli arrivava alla cintola ormai. L'imbarcazione era affondata quasi del tutto, pericolosamente inclinata nell'acqua. Orsacchiotto andò accanto ad Alby. Si strappò via l'autorespiratore e lo porse al bambino, sebbene non fosse attaccato a nessuna bombola d'ossigeno. «Prendi, mettitelo. Forse ti darà più tempo. Mi spiace, ragazzo. Mi spiace che non siamo riusciti a fare di più
per te.» E infine, con un'ultima ondata, il gommone danneggiato si riempi completamente d'acqua e colò a picco... ... portando giù con sé Orsacchiotto, Astro e Alby. * Sott'acqua. Trattenendo il respiro, Alby si sentì trascinare giù per il polso dal gommone. Nell'acqua torbida riuscì a scorgere solo la parete rocciosa dell'isola a poca distanza. Con la coda dell'occhio vide i coccodrilli in agguato, sospesi nel vuoto, che si limitavano a seguire con gli occhi la lenta caduta del gommone. E infine, come in una scena al rallentatore, l'imbarcazione toccò il fondo, sollevando un cumulo di limo, e uno dei rettili si lanciò all'attacco. Il rettile scivolò giù nell'acqua, spinto dalla possente coda, puntando su Alby, a fauci spalancate. Alby cacciò un grido muto sott'acqua quando lo vide avventarsi contro di lui e... ... fermarsi. Morto stecchito, a un palmo dal volto di Alby. Le fauci si fermarono proprio davanti agli occhi sgranati di Alby, il quale vide solo allora il grosso pugnale K-Bar - il pugnale di Orsacchiotto - piantato nella parte molle sotto la mascella inferiore del coccodrillo. Orsacchiotto si era proteso con la mano libera e l'aveva piantato nella gola del rettile, appena in tempo. Ma poi Alby vide gli occhi dell'omone grande e grosso: spalancati e iniettati di sangue, ormai senz'aria. Quel balzo, a quanto sembrava, era stato l'ultimo gesto di Orsacchiotto su quel mondo. Si abbandonò visibilmente. E poi un secondo coccodrillo calò dall'altro lato, puntando di
nuovo su Alby, la preda più piccola, e questa volta il bambino capì che non aveva scampo. Orsacchiotto era spacciato, Astro troppo lontano. Il grosso rettile si avventò su di lui, spalancando le fauci. A corto d'aria e ora anche di eroi, Alby chiuse gli occhi e attese la fine. * Ma la fine non arrivò. Non ci fu nessuna esplosione di dolore, nessuna azzannata. Alby aprì gli occhi... e vide Jack, in tenuta da sommozzatore, lottare con l'enorme coccodrillo, che si dimenava e azzannava di qua e di là. Poi, d'improvviso, qualcuno gli infilò svelto in bocca l'erogatore di un autorespiratore e il bambino respirò a pieni polmoni. Zoe galleggiava nell'acqua al suo fianco, anche lei in tenuta da sommozzatore. Dopodiché si precipitò al fianco del corpo abbandonato di Orsacchiotto e infilò l'erogatore anche nella bocca di lui. Nel frattempo, la lotta tra Jack e il coccodrillo era diventata un combattimento all'ultimo sangue, in un vortice torbido di bolle. Poi d'un tratto Alby vide il coccodrillo azzannare la mano sinistra di Jack... solo per vedere, due secondi dopo, Jack tirare fuori la mano dalle fauci dell'enorme rettile! E, proprio quando Alby rammentò che la mano sinistra di Jack era fatta di metallo, vide la testa del coccodrillo esplodere sott'acqua in una nube rossa. Mentre l'azzannava, Jack doveva aver piazzato una granata nelle fauci del rettile. In quel momento, Zoe sparò un colpo alle manette di Alby e fece la stessa cosa con quelle di Orsacchiotto e Astro. Jack andò al fianco del marine americano e condivise con lui il proprio erogatore, e Alby si ritrovò guidato verso la superficie, vivo chissà come.
Affiorarono insieme e guadagnarono l'isola rocciosa a nuoto, dove Jack aiutò Alby a inerpicarsi sulla china, all'asciutto, finché non fu al sicuro sul fianco meno ripido. Poi aiutò Orsacchiotto e Astro, e infine Zoe. Jack fu l'ultimo a tirarsi fuori dall'acqua, tenendo d'occhio i coccodrilli... ma, per fortuna, erano quasi tutti occupati a sbranare il cadavere del compagno ora senza testa. Jack si abbandonò sull'isola, respirando a pieni polmoni. «Come... come avete fatto a uscire?» boccheggiò Alby. «C'erano coccodrilli nel tunnel d'entrata», rispose West. «Erano entrati da un altro ingresso dall'altra parte, un piccolo crepaccio nella roccia prodotto con ogni probabilità da una piccola scossa di terremoto in passato. Siamo usciti da lì.» Poi West si tirò sui gomiti, volgendo di nuovo lo sguardo verso il lago. «Sono tornati ad Abu Simbel?» «Sì», rispose Alby. «Hanno preso Lily?» «E Merlino. Sei arrabbiato, West?» Jack strinse i denti. «Alby, 'arrabbiato' non esprime nemmeno lontanamente come mi sento in questo momento.» Accese la radio. «Avvoltoio! Scimitarra! Mi ricevete?» La radio tacque. Nessuna risposta. «Ripeto! Avvoltoio, Scimitarra! Siete ancora al molo?» Di nuovo, nessuna risposta. Silenzio assoluto. Jack imprecò. «Dove diavolo sono finiti?» * Nel frattempo, il gommone rubato del tenente Colin Ashmont stava arrivando al porto non lontano dalle grandi statue di Abu Simbel, scortato da altri due gommoni più piccoli, che erano stati gonfiati al largo e adesso erano occupati dagli altri undici membri della sua squadra di Royal Marines. Il primo gruppo di pullman turistici era appena arrivato in un
parcheggio a poca distanza dal porto. Dai pullman scesero frotte di turisti di ogni nazionalità - tedeschi, americani, cinesi, giapponesi - che si sgranchirono le gambe fra uno sbadiglio e l'altro. Ashmont fece scendere Lily e Merlino dal gommone, e li spinse verso due SUV Suburban di colore bianco coi finestrini fumé parcheggiati poco lontano. Iolanthe fece strada, camminando con l'aria di chi aveva molta premura, portando con sé lo zaino di West contenente il Pilastro. Mentre Lily e Merlino erano condotti ai due SUV britannici, alcuni turisti del pullman più vicino andarono loro incontro. Erano i classici turisti giapponesi: quattro uomini di una certa età armati di fotocamere Nikon appese al collo, gilet multitasche e sandali con calzini bianchi. Uno dei giapponesi si rivolse ad Ashmont. «Buon giorno, signore! Mi scusi! Dove statue?» Ashmont, che ora indossava una T-shirt sopra la muta, lo ignorò e tirò dritto, passandogli davanti. Lily voleva gridare ai giapponesi, urlare... ... ma poi vide il primo giapponese seguire Ashmont con gli occhi, occhi pieni di determinazione, e Lily capì di colpo che c'era qualcosa che non andava, lì. Che non andava affatto. I quattro anziani turisti giapponesi erano disposti in semicerchio intorno alle auto di Ashmont. Col cuore in gola, Lily li scrutò in faccia e vide solo occhi d'acciaio ed espressioni truci. E poi, di sfuggita, intravide l'avambraccio di uno dei giapponesi... e un tatuaggio, un tatuaggio che aveva già visto: una bandiera giapponese sopra un simbolo. «Tank...» disse ad alta voce. «Oh, no. Oh, no... Merlino! Giù!» Si gettò addosso al confuso professore, abbrancandogli le gambe e buttandolo a terra prima che il «turista» giapponese più vicino ad Ashmont aprisse il gilet da fotografo e rivelasse sei candelotti di C4 legati al petto con una cinghia. E poi il vecchietto dallo sguar-
do gentile premette col pollice un pulsante nel palmo ed esplose. * Quattro violentissime esplosioni squarciarono l'aria quando tutti e quattro i kamikaze giapponesi scomparvero in identiche palle di fumo, fiamme e brandelli umani. I finestrini delle auto nel raggio di venti metri scoppiarono simultaneamente, rovesciando una grandinata di vetri sull'area. Ashmont ricevette un colpo durissimo. Fu scaraventato contro il fianco del suo SUV con terribile violenza e rimbalzò a terra come una bambola di pezza. Tre dei suoi uomini, quelli più vicini ai kamikaze, furono uccisi sul colpo. Tutti gli altri furono scaraventati in ogni direzione. Iolanthe era più lontana e quindi più riparata dalla detonazione: l'onda d'urto la scagliò solo cinque metri indietro, facendola cadere a terra con violenza, dove sbatté la testa e perse i sensi. Ruzzolando a terra addosso a Merlino, Lily sentì un caldo rovente sulla schiena - come una frustata sulla pelle nuda - e poi qualcosa che bruciava; ma la sensazione durò poco, perché un secondo dopo la bambina sprofondò nell'incoscienza. In effetti, l'unico a uscire dall'attacco senza un graffio era stato Merlino, grazie al tempestivo intervento di Lily, che lo aveva buttato giù, evitandogli l'esplosione. Con le orecchie che gli fischiavano, alzò la testa, e vide che Lily gli stava addosso, con la camicetta in fiamme! Si sfilò da sotto il suo corpo e si affrettò a spegnere il fuoco con la sua giacca. Quindi la tirò su - priva di sensi e abbandonata - e rimase lì immobile, a bocca aperta, in mezzo a quella carneficina: il fumo, le auto danneggiate e brandelli insanguinati dei Royal Marines di Ashmont. Un grido lancinante squarciò l'aria e Merlino si girò di scatto. Poco lontano, i veri turisti dei veri pullman avevano visto le terrificanti esplosioni e, temendo un attentato come quello che era
avvenuto presso il tempio funerario di Hatshepsut, nel 1997, risalirono sui pullman in preda al panico. Merlino girò lo sguardo intorno e lo posò su Iolanthe e sullo zaino che giaceva a terra poco lontano da lei. Portando Lily sul fianco, il professore corse verso il corpo di Iolanthe e raccolse lo zaino. Quindi montò in uno dei SUV di Ashmont, avviò il motore e uscì dal parcheggio con una sgommata. «Sky Monster! Sky Monster!» gridò Merlino nel radiomicrofono mentre fuggiva a tutto gas da Abu Simbel, diretto a sud. Il segnale era chiaro. Il trasmettitore di disturbo di Ashmont doveva essere andato distrutto nell'attentato. «Merlino! Dov'eri finito? Sto cercando di contattarti da venti min...» «Sky Monster, è finita male!» si sfogò Merlino. «Gli inglesi ci hanno presi alla sprovvista e poi sono stati presi alla sprovvista loro! Ora Lily è svenuta e Jack è stato chiuso dentro il santuario, e Alby, Orsacchiotto e Astro sono stati lasciati a morire in fondo al lago coi coccodrilli! Oh, povero Alby...» «Alby sta bene», giunse un'altra voce alla radio. La voce di Jack. Jack stava facendo il giro intorno all'altro lato dell'isola piramidale, costeggiando l'orlo più basso, seguito dagli altri. «È con me. Anche Orsacchiotto, Astro e Zoe. Stiamo tutti bene. Che è successo, Merlino?» «Quattro uomini, giapponesi, si sono fatti saltare vicino alle macchine che Ashmont aveva pronte per la fuga», giunse la risposta. «Era un'imboscata. Li stavano aspettando. Era come se volessero distruggere il Pilastro. Sono in una delle macchine inglesi adesso, diretto a sud, lontano dalla città.» «E Iolanthe e il Pilastro?» «Lei è stata scaraventata a terra, così ho preso il Pilastro. Non so se sia morta o viva.»
«D'accordo», fece Jack. «Voglio che ti allontani da lì il più possibile, fin dove Sky Monster può venire a prenderti. Sky Monster, Spilungone: dovete lanciarci un gommone così che possiamo tornare a riva e raggiungere Merlino...» Fu interrotto dalla voce di Sky Monster. «Ehm, Cacciatore, non credo sia possibile...» Volteggiando nel cielo di Abu Simbel, Sky Monster scrutava il grande bacino del lago Nasser e l'autostrada che portava in città dal Nord. Spilungone sedeva al posto del secondo pilota al suo fianco, anche lui con gli occhi fissi sul paesaggio. «... È questo che stavo cercando di dirvi», spiegò Sky Monster. «Ecco perché stavo cercando di contattarvi. Il secondo convoglio che abbiamo visto prima ora è a circa cinque chilometri dalla città. Sta scendendo in fretta da nord e non è formato solo da pullman turistici. I pullman sono una copertura. È un convoglio militare: veicoli d'assalto, jeep blindate, autoblindo Humvee, camion per il trasporto truppe. Penso sia l'esercito egiziano: deve aver ricevuto una soffiata da qualcuno. Arriveranno in città tra quattro minuti.» Sky Monster e Spilungone guardarono giù l'autostrada che scendeva da nord, un sottile nastro nero sul monotono giallo del deserto. Lì videro correre il convoglio. I pullman turistici aprivano la pista, sollevando una nube di polvere dietro di sé quando toccavano il ciglio della strada, una nube che nascondeva le dozzine di veicoli militari: camion, Humvee e jeep dotate di mitragliatrici. Nel complesso, il convoglio sembrava composto da una cinquantina di mezzi e forse da trecento uomini. «Siamo proprio nella merda», commentò Sky Monster a bassa voce. * «Okay, allora», disse Jack. «Il piano non cambia. Merlino, tu fi-
la via: vattene da qui, prendi l'autostrada e dirigiti verso il confine sudanese. Sky Monster può venire a prenderti da qualche parte laggiù. Vi seguiremo come meglio potremo e cercheremo di raggiungervi.» «Okay...» confermò Merlino poco convinto. Sky Monster interloquì: «Cacciatore, sta' pronto. Ti sto mandando due pacchi. Un paio di regali di Natale in anticipo». Dall'isola, Jack guardò su e vide la sagoma scura dell'Halicarnassus inclinarsi in virata nel cielo che albeggiava. Poi vide il grosso 747 scendere giù, a malapena trenta metri dalla superficie del lago e, quando passò rombando, lanciare qualcosa dalla rampa di carico posteriore: qualcosa cui era attaccato un paracadute. Con un tonfo l'oggetto cadde in acqua a circa cinquanta metri dall'isola di Jack. Non appena toccò l'acqua, l'oggetto si liberò del pallet e si gonfiò rapidamente... rivelandosi un gommone Zodiac nuovo fiammante con tanto di motore fuoribordo. «Buon Natale», disse Jack. Pochi minuti dopo, West e gli altri solcavano le acque del lago Nasser, tornando alla riva occidentale. Toccarono terra a circa tre chilometri dalle grandi statue di Abu Simbel, in un isolato porto di pescatori. Il gommone si era appena fermato con una scivolata sulla fatiscente banchina, che un secondo pallet appeso a un paracadute lanciato dall'Halicarnassus atterrò con leggerezza nel deserto, circa duecento metri più avanti. Sul pallet c'era una compatta Land Rover Freelander a trazione integrale - donata all'Halicarnassus dagli inglesi dell'isola di Mortimer - spogliata del superfluo e modificata per compiti militari. Con al volante Spilungone. «Serve un passaggio?»
La piccola Freelander partì con una sgommata. Jack sedeva nel sedile del passeggero con Spilungone al volante. Pigiati dietro come sardine c'erano Astro, Alby, Orsacchiotto e Zoe: rannicchiati in mezzo a una mucchio di fucili e lanciarazzi Predator che Spilungone aveva portato con sé. Jack provò di nuovo a contattare via radio il resto della squadra. «Scimitarra! Avvoltoio! Rispondete!» Nessuna risposta. Avevano il compito di proteggere la banchina, pensò Jack, ma Merlino non li aveva menzionati quando aveva riferito dell'attacco suicida. Scimitarra e Avvoltoio erano assenti ingiustificati, il che era sospetto. Il piccolo SUV attraversò il deserto a tutto gas, sollevando un nuvolone di polvere, alla volta dell'autostrada che scendeva a sud. Là, Jack e gli altri avrebbero potuto vedere l'inseguimento da vicino: la Suburban bianca di Merlino alla testa del convoglio di torpedoni, jeep, camion e Humvee dell'esercito egiziano. «Se non altro, riusciremo a salvare il Pilastro», disse Jack rivolto a Spilungone. «La conoscenza che custodisce è inestimabile.» «Che ne dici di salvare noi?» ribatté Spilungone. «Solo Lily conta. Il resto di noi è secondario. Se non noi, dobbiamo salvare lei. È più importante di tutti noi.» Guardò Spilungone, torcendo la bocca. «Mi dispiace, amico.»
«È bello sapere qual è il tuo posto nel piano.» Jack accennò alla scena davanti a loro. «Vedi quel bus là davanti, quello in coda al convoglio?» «Si...» «Lo voglio.» Merlino guidava come un pazzo. Stringeva il volante del SUV rubato così forte che le nocche erano bianche, mentre girava ansiosamente gli occhi in tre direzioni diverse: la strada davanti a lui, il convoglio inseguitore alle sue spalle e il posto del passeggero al suo fianco, dove Lily giaceva abbandonata, sballottata da ogni buca del fondo stradale, gli occhi chiusi, il viso coperto di sangue e graffi. I mezzi che lo inseguivano stavano guadagnando terreno, ingrandendosi nello specchietto retrovisore del SUV. Due minacciosi Humvee dotati di torrette sul tetto stavano per affiancare il SUV a destra e a sinistra. «Sky Monster!» gridò. «Dove sei?» «Qui!» Un rombo spaventoso lacerò l'aria. Senza preavviso, l'enorme pancia nera dell'Halicarnassus passò rombando sopra l'auto di Merlino e atterrò sull'autostrada davanti a lui, abbassando allo stesso tempo la rampa di carico posteriore... proprio davanti al SUV in corsa. «Okay! Ora rallento un po'! Sali a bordo!» gridò la voce di Sky Monster. Il grosso 747 nero rollava sull'asfalto alla bellezza di centotrenta chilometri orari, le ali protese oltre la banchina polverosa della strada, sfrecciando davanti alla fila di macchine. Merlino schiacciò a fondo l'acceleratore. Il SUV fece un salto in avanti, puntando dritto verso la rampa spalancata del jumbo. A quel punto, i due Humvee alle sue spalle aprirono il fuoco. Una raffica di scintille investì l'auto e l'aeroplano, nonché la sti-
va aperta. I finestrini posteriore e laterali del SUV andarono in mille pezzi. Merlino si chinò, coprendosi la faccia. Ma non staccò gli occhi dalla rampa dell'Halicarnassus. Il SUV prese a traballare e slittare, ma Merlino lo tenne sotto controllo e con un'accelerata finale raggiunse la rampa a colpo sicuro, salendo e infilandosi come un razzo nella stiva posteriore dell'aereo, dove andò a sbattere bruscamente contro la parete anteriore! La macchina si fermò con un sobbalzo, finalmente in salvo. «Oh, mio Dio, ce l'ho fatta!» esclamò. «Cristo, Merlino, ce l'hai fatta!» gli fece eco Sky Monster. «Cavolo, credevo che l'avresti mancata di un metro! Sei un asso del volante, Fangio...» Merlino si volse per controllare Lily e vide che apriva gli occhi, debolmente. «Ehilà! Che gioia vedere che ti stai sve...» Fu interrotto da un violento sobbalzo quando la macchina fu colpita da uno degli Humvee egiziani che lo aveva seguito dritto su per la rampa di carico! Merlino fu scaraventato in avanti. Frastornato, si girò di scatto e vide l'intruso. Reagì d'istinto. Inserì la retromarcia e schiacciò il pedale dell'acceleratore. Il SUV balzò indietro e cozzò contro l'ignaro Humvee, ricacciandolo giù per la rampa e fuori dall'aereo, di nuovo sotto il sole, dove lo sventurato mezzo sobbalzò sulla strada e, coi freni bloccati, capottò di lato ruzzolando. Due macchine lanciate all'inseguimento riuscirono a evitarlo prima che un terzo mezzo - un grosso camion per il trasporto truppe - lo investisse proprio nel fianco e distruggesse entrambi. «Sky Monster!» gridò Merlino dalla stiva. «Tira su la rampa e vola via!» «Subito, Merlino!»
I motori dell'Halicarnassus rombarono più forte, preparandosi al decollo. Nello stesso momento, la rampa posteriore si sollevò e attraverso l'apertura che si chiudeva lentamente Merlino vide il convoglio che li inseguiva: un'orda ringhiosa di mezzi muniti d'armamento pesante. Ma poi, con la rampa quasi chiusa, vide il convoglio aprirsi al centro per consentire a un Humvee di passare in testa: un mezzo con un lanciarazzi montato sul tetto. L'autoblindo sparò: un singolo, letale razzo che tagliò l'aria. Merlino strabuzzò gli occhi al pensiero che quel razzo potesse entrare nella stiva ed esplodere, e invece il missile virò di lato e scomparve alla sua vista. Il professore tirò un sospiro di sollievo. Un colpo mancato. Ma, con suo grande orrore, un secondo dopo capì che non lo era affatto. Proprio in quel momento uno dei due motori di destra dell'Halicarnassus fu colpito con un boato. * Fu un colpo diretto: il razzo centrò il motore di destra esterno dell'Halicarnassus, mandandolo in mille pezzi con una densa colonna orizzontale di fumo nero. «Mi ha fottuto di lato!» gridò Sky Monster, facendo scattare una serie di interruttori, scaricando carburante che il motore esploso avrebbe potuto incendiare e tagliando tutte le linee di alimentazione così che il fuoco non si estendesse ai serbatoi all'interno dell'ala. Guardò fuori del finestrino destro della cabina di pilotaggio. Il motore era un groviglio di lamiere contorte e fumo. Avrebbe dovuto disfarsene. Era ancora possibile decollare, ma con tre soli motori sarebbe stato molto più difficile: sarebbe stata necessaria una pista più lunga. Ormai il danno era fatto.
L'aereo rallentò. E il convoglio che li inseguiva accelerò. Era una scena incredibile. Un jumbo 747 che sfrecciava su una grande autostrada nel deserto, inseguito da un'orda di mezzi militari che correvano a più di cento chilometri all'ora, come un branco di iene alle costole di un bufalo indiano ferito. Quando giunse a tiro, il convoglio attaccò. Naturalmente, la prima strategia fu sparare alle ruote dell'Halicarnassus, ma erano protette da una serie di carter di kevlar e le pallottole si limitarono a rimbalzare. Perciò gli inseguitori adottarono una seconda strategia, più spietata. Con un'accelerata il primo camion si portò sotto l'ala sinistra del 747, dove sganciò il telone del tetto per rivelare un plotone di soldati delle forze speciali egiziane armati fino ai denti. Senza indugio, applicarono una tecnica standard per prendere d'assalto un aereo: salirono sulla cabina di guida del camion e da lì balzarono sull'ala nel punto più basso, nel punto in cui si saldava alla fusoliera dell'Halicarnassus. Sky Monster guardava impotente dalla cabina di pilotaggio. «Oh, dannazione, dannazione, dannazione.» Si precipitò al finestrino dall'altra parte e vide un intero torpedone di soldati infilarsi sotto l'ala di destra con altri uomini che uscivano da un portello sul tetto, preparandosi ad assaltare da quel lato. «Merda, merda, merda...» Merlino arrivò nella cabina con Lily. «Che succede?» «Abbiamo perso il motore quattro e ora ci stanno assaltando passando per le ali!» rispose Sky Monster. «Non possiamo difenderci da questo! Sono come mosche che non riesco a scrollarmi di dosso.» «Ma devi fare qualcosa...!»
«Merlino, non ho mai sentito parlare di piloti che si sono già trovati in questo genere di situazione! Sto facendo del mio meglio!» «Siamo in grado di decollare?» «Si, ma ci servirà una pista lunghissima.» Sky Monster si mise a far oscillare violentemente l'aereo di qua e di là. Sull'ala, i soldati egiziani barcollarono e lottarono per non perdere l'equilibrio, cercando qualcosa cui aggrapparsi. Uno di loro cadde dall'ala con un grido e si schiantò sulla strada di sotto. Ma ritrovarono subito l'equilibrio, e il torpedone sotto l'ala di destra cominciò a vomitare altri soldati. L'Halicarnassus - in corsa sull'autostrada nel deserto, incapace di decollare - era sotto assedio. Nella cabina di pilotaggio, Merlino spiegò in fretta e furia una cartina. «Tra circa quattro chilometri questa autostrada diventa un lungo tratto rettilineo di circa tre chilometri. Ma dopo questo comincia a serpeggiare tra le colline sino al confine sudanese.» «È la pista che ci serve», commentò Sky Monster. «È l'unica che abbiamo.» In preda all'ansia, Sky Monster continuava a fissare fuori del finestrino di destra. «Merlino, pensi di poter guidare questo affare per un paio di minuti?» domandò, alzandosi di scatto. «Guidare?» Merlino sbiancò. «Non so nemmeno guidare molto bene una macchina, Sky Monster.» «Be', è ora d'imparare. Su, presta attenzione, ti mostro come si fa...» Un paio di chilometri dietro l'Halicarnassus, l'ultimo torpedone del convoglio militare egiziano marciava tranquillo nel posto assegnato, tutti gli occhi dei soldati a bordo incollati sulla spettacolare scena più avanti. Nessuno notò la piccola Land Rover Freelander - ora guidata da Orsacchiotto - scivolare dietro il pullman sulla strada; né avvicinarsi a poco a poco al suo paraurti posteriore; né le tre figure di
West, Spilungone e Astro arrampicarsi sul cofano del SUV e salire su per la scala attaccata dietro il grosso torpedone. Le tre piccole figure percorsero in punta di piedi il tetto del veicolo in corsa, facendo una breve pausa per lanciare due granate stordenti di Astro in un portello. Un secondo dopo, mentre tutti gli occupanti del pullman perdevano i sensi e il veicolo cominciava a sbandare e uscire di strada, West si stese sul ventre e allungò la mano giù, togliendo la sicura dalla porta anteriore e infilandosi dentro, seguito dagli altri due compagni. A bordo del torpedone, con indosso la maschera antigas, West tolse l'autista privo di sensi dal posto di guida e si mise al volante. Esaminò la strada davanti a sé: al di là del convoglio vide l'Halicarnassus in corsa sputare fumo nero dall'ala destra e i cattivi in piedi su entrambe le ali vicino alla fusoliera. Astro controllò il resto del pullman. Era gremito di uomini accasciati sui sedili, tutti soldati di fanteria. «Sono dell'esercito egiziano», disse, afferrando l'uniforme del soldato più vicino. «Come quelli di un sacco di Paesi africani, a volte l'esercito egiziano offre i propri servigi dietro compenso», commentò Jack. «Se hai abbastanza quattrini e le conoscenze giuste, ti puoi comprare dei tirapiedi locali per un giorno o due. È chiaro che i nostri avversari hanno appoggi molto altolocati. Adesso, se non vi spiace, è ora di sgombrare la strada e buttare giù dal nostro aereo quei brutti bastardi. Spilungone, non ho più bisogno di questo parabrezza.» Spilungone fece un passo avanti e sparò una raffica di mitragliatore contro il parabrezza, che andò in frantumi e volò via. Nel veicolo entrarono folate di vento. «Signori», disse Jack, levandosi la maschera antigas. «Le gomme.» Col vento che ora infuriava nel pullman, West schiacciò il peda-
le dell'acceleratore, lanciandosi a più di centoquaranta chilometri orari e sorpassando il convoglio, mentre Spilungone e Astro sparavano coi mitragliatori dal finestrino anteriore aperto agli pneumatici posteriori degli altri torpedoni. Le gomme scoppiarono e, colti alla sprovvista, i mezzi slittarono follemente di coda, uscendo di strada e finendo sulla banchina di sabbia mentre il pullman di West li superava, tirando diritto. Al quarto torpedone finito fuori strada, uno degli autoblindo egiziani notò il pullman impazzito di West e puntò la torretta nella sua direzione... proprio mentre Spilungone centrava il mezzo nemico con un missile Predator. L'Humvee esplose, sollevandosi completamente in aria prima di capovolgersi e ruzzolare nella sabbia. Un'altra jeep li vide e rivolse la torretta nella loro direzione, ma West la speronò col torpedone, mandandola fuori strada con un testacoda come se fosse un giocattolo. «Orsacchiotto!» chiamò via radio. «Seguici! Ti facciamo scudo fino alla rampa di carico dell'Halicarnassus!» Al volante della Freelander, Orsacchiotto gridò: «Ricevuto!» Al suo fianco, Zoe e Alby tenevano gli occhi inchiodati sul pullman rubato di Jack e sugli altri veicoli del convoglio nemico più avanti. Adesso erano ad appena sessanta metri dall'Halicarnassus... sul quale potevano vedere una dozzina di uomini armati, sei su ciascuna ala, che si assembravano vicino ai portelli. Tra loro e il 747 in fuga si frapponevano altri quattro pullman e un paio di autoblindo, tutti ai lati dell'aeroplano, infilati sotto le ali. Udirono Jack nel torpedone rubato gridare nella radio: «Sky Monster! Rispondi! Devi aprire la rampa posteriore!» Stranamente, nessuno rispose. *
In quel preciso momento, i soldati egiziani sull'ala sinistra dell'Halicarnassus riuscirono a forzare il portello. Lo spalancarono e... ... uno sparo squarciò l'aria! Il primo soldato fu scaraventato via da un micidiale colpo di fucile. Tutti gli altri soldati si gettarono a terra in cerca di riparo quando videro la faccia ringhiosa di Sky Monster sull'entrata che armava un fucile Remington calibro 12, preparandosi a sparare di nuovo. «Giù dal mio aereo, brutti bastardi!» tuonò il barbuto neozelandese. Non si era accorto che l'auricolare della cuffia gli penzolava inutilmente dall'orecchio: si era staccato quando lui si era precipitato laggiù. Nello stesso momento, nella cabina, Merlino guidava l'aereo in fuga; lo faceva malissimo, ma in simile frangente qualunque pilota era meglio di niente. «Dannazione!» imprecò Jack. «Non riesco a contattare Sky Monster, così non posso aprire la rampa.» Fissò l'Halicarnassus dal torpedone in corsa, scervellandosi su un altro modo per salire a bordo, quando d'improvviso Astro si sporse e disse: «Posso dare un suggerimento?» Così dicendo, tirò fuori una strana arma da una fondina sulle spalle e la porse a Jack. Pochi secondi dopo, Jack e Astro si ritrovarono in piedi sul tetto del torpedone lanciato a folle velocità, solo che questa volta fissavano la gigantesca deriva di coda dell'Halicarnassus da sotto l'aeroplano. Astro teneva nelle mani la sua strana arma. Era un'arma tipica dell'unità d'élite del Corpo dei marine degli Stati Uniti, la Forza di ricognizione dei marine: un Armalite MH12A Maghook. D'aspetto simile a un mitra Thompson a doppia impugnatura, il
Maghook era un rampino magnetico ad aria compressa munito di un cavo ad alta resistenza lungo quarantacinque metri. Trovava impiego sia come un normale rampino - con gli uncini simili alle marre di un'ancora - sia come rampino magnetico, con la potente testa magnetica che poteva attaccarsi a qualunque superficie metallica. La versione «A» era nuova, più piccola del Maghook originale, più o meno delle dimensioni di una grossa pistola. «Ne ho sentito parlare, ma non ne ho mai visto uno», commentò Jack. «Non parto mai senza», disse Astro, sparando il Maghook in alto, verso la deriva della coda dell'Halicarnassus. Con un sibilo, il rampino magnetico fendette l'aria, tirandosi dietro il cavo come una coda. Il rampino sbatté contro l'altissima coda dell'aereo e rimase attaccato, saldamente incollato alla grande deriva d'acciaio dal magnete. «Stringi forte», disse Astro mentre passava a Jack il Maghook e premeva un pulsante con la scritta RIAVVOLGIMENTO. In un batter d'occhio, Jack fu sollevato dal tetto del pullman in corsa e issato in alto dal potente riavvolgitore del Maghook. Giunto a livello della deriva di coda dell'aereo, si arrampicò su uno degli stabilizzatori laterali. Una volta al sicuro, afferrò di nuovo il Maghook e si accinse a rilanciarlo ad Astro, così che potesse raggiungerlo... Ma il marine non ebbe mai l'occasione di farlo: in quello stesso momento, il suo torpedone fu speronato di lato da uno dei pullman egiziani, uno scontro così violento che gettò Astro a gambe all'aria e, a momenti, giù dal tetto. Al volante del veicolo, Spilungone lanciò un'occhiata a destra... e si ritrovò a guardare dritto negli occhi fiammeggianti d'ira dell'autista dell'altro pullman. L'uomo puntò una pistola Glock contro Spilungone... ... proprio mentre questi tirava fuori un lanciarazzi Predator come risposta e, impugnandolo come una pistola, sparava.
Sfondando il vetro, il razzo attraversò la porta automatica e perforò il torpedone nemico. Un secondo dopo, il mezzo egiziano che correva al fianco del suo brillò di una luce accecante prima di scoppiare come un petardo in un milione di pezzi. A bordo dell'Halicarnassus, Sky Monster piantonava il portello sinistro aperto, tra le raffiche di vento, il fucile puntato e pronto a sparare a chiunque avesse il coraggio di fare capolino all'interno. D'improvviso, due soldati sull'ala sinistra gli schizzarono davanti agli occhi. Sky Monster sparò ma li mancò: erano stati troppo veloci e, per un momento, si chiese che cos'avessero avuto in mente di fare: non avevano ottenuto nulla con quella mossa. Ma poi gli balenò alla mente che qualcosa avevano ottenuto invece: avevano attirato la sua attenzione. Quasi immediatamente, il portello dell'ala sinistra alle sue spalle esplose verso l'interno e fu assaltato dai soldati delle forze speciali egiziane. Nella cabina infuriò altro vento. Uno, due, tre soldati irruppero, i fucili AK-47 spianati e pronti a fare a brandelli Sky Monster colto completamente alla sprovvista... Una raffica di mitra rimbombò nella cabina. Sky Monster era pronto ad accasciarsi sotto una sventagliata di pallottole, ma a cadere furono i tre intrusi, massacrati in un bagno di sangue. Si girò di scatto e vide chi aveva sparato: Jack, in piedi sull'ala sinistra, con in pugno la Desert Eagle ancora fumante. Doveva aver sparato da dietro Sky Monster, da sopra la spalla. Tirò un sospiro di sollievo, solo per vedere il volto di Jack riempirsi d'orrore. «Monster! Attento!» Confuso, si girò di scatto e vide uno dei tre egiziani caduti, ferito ma vivo, raccattare alla svelta una pistola e puntarla contro di lui a distanza ravvicinata. L'egiziano tirò il grilletto... proprio quando dal nulla un fulmine marrone gli sfrecciò davanti e disar-
mò l'avversario in un batter d'occhio. Era Horus. Il piccolo falco di Jack - che era rimasto a bordo dell'Halicarnassus durante la missione ad Abu Simbel - aveva strappato la pistola dalle dita insanguinate dell'egiziano! Jack passò davanti a Sky Monster e con un calcio buttò fuori dal portello destro l'egiziano sbigottito. E d'improvviso calò il silenzio nella cabina, un breve attimo di tregua. Horus si posò sulla spalla di Jack, consegnandogli la pistola del soldato. «Ben fatto, amico», disse Jack, tornando a grandi passi da Sky Monster e rimettendo l'auricolare nell'orecchio del barbuto pilota. «Se tu sei quaggiù, chi sta guidando?» «Merlino.» «Merlino sa andare a malapena in bicicletta», scherzò Jack. «Torna su, mi devi aprire la rampa posteriore: dobbiamo far salire a bordo gli altri. Proteggerò io le entrate quaggiù.» «Jack, aspetta! Devo dirti una cosa! Presto finirà la strada! Con tre soli motori abbiamo bisogno di una pista più lunga per decollare e questo tratto di strada è la nostra ultima speranza.» «Quanto tempo ci resta?» «Un paio di minuti, al massimo. Jack, che cosa faccio se... se non tutti fanno in tempo a salire a bordo?» Jack rispose con un tono serio: «In questo caso, porta Lily, Merlino e il Pilastro via di qui. È questa la priorità». Pose una mano sulla spalla di Sky Monster e la strinse. «Ma se tutto va bene, non sarai costretto a farlo.» «Ricevuto», disse l'altro, precipitandosi di nuovo su per le scale, diretto al ponte superiore. * Dopo il primo tentativo fallito, gli egiziani raddoppiarono i propri sforzi per espugnare il 747: altri due torpedoni s'infilarono sotto l'ala destra fumante dell'Halicarnassus, marciando in fila india-
na e rigurgitando uomini armati che correvano sui tetti dei due mezzi prima di balzare sull'ala. Dove incapparono in Jack. Piegato su un ginocchio, seminascosto dal portello dell'ala e sferzato dalle raffiche di vento, Jack prese a far fuoco contro i soldati della squadra d'assalto. Ma, non appena ne abbatteva uno, un altro prendeva il suo posto. Non poteva reggere per molto tempo, e gettando un'occhiata indietro da sopra la spalla vide una curva più avanti sull'autostrada. Oltre la quale si stendeva un lungo rettilineo. La loro ultima speranza di fuga. Sarà meglio che t'inventi qualcosa, Jack... Una grandinata di pallottole si conficcò nel portello sopra di lui e Jack vide la seconda ondata di soldati egiziani e, con suo grande orrore, vide pure che portavano scudi corazzati leggeri, come quelli usati dai reparti antisommossa della polizia, con tanto di fori per vedere. Merda. Sparò un colpo, e il primo soldato che apparve sull'ala stramazzò lungo disteso, colpito a un occhio, attraverso il foro dello scudo. Questa situazione sta sfuggendo completamente di mano, pensò. Ma poi vide la strada dietro di loro e uno sguardo di totale disperazione gli offuscò il volto. Da Abu Simbel erano arrivati i rinforzi dei nemici... ... in forma di sei elicotteri Apache americani che sorvolavano l'autostrada, rombando nella caligine prodotta dal calore. Sotto di loro marciava un'altra armata di mezzi militari, americani questa volta. «Merda», imprecò fra i denti quando l'elicottero in testa sparò due missili Hellfire nella sua direzione. «Sky Monster...!» Sky Monster si precipitò nella cabina di pilotaggio dell'Halicarnassus e scivolò nel sedile del comandante, premendo allo stesso
tempo il pulsante APERTURA RAMPA DI CARICO. La rampa posteriore del 747 si abbassò all'istante, schizzando scintille quando toccò la strada che scorreva veloce. A quel punto la voce di Jack gli esplose nell'orecchio: «Sky Monster! Lancia i falsi bersagli, subito! Presto!» L'altro premette un pulsante con la scritta FALSI BERSAGLI... e due oggetti simili a mortaretti partirono all'istante dalla coda dell'aereo, sfrecciando nel cielo. Il primo missile Hellfire colpì uno dei due falsi bersagli ed esplose in modo innocuo in alto sopra l'Halicarnassus. Il secondo missile - confuso dai falsi bersagli ma non del tutto ingannato - sfrecciò accanto a loro e si schiantò sulla strada a un soffio dall'ala destra del 747, facendo tremare violentemente l'intero aeroplano e distruggendo a momenti i due torpedoni delle forze speciali egiziane che assediavano quell'ala. Era il caos. Il caos totale. E, in mezzo a quel pandemonio, l'aeroplano e i suoi inseguitori presero un'ultima curva, imboccando l'ultimo tratto rettilineo di strada in Egitto. * Era un pandemonio ovunque. Sky Monster gridò al radiomicrofono: «Ragazzi, qualunque cosa abbiate in mente di fare, fatela subito, perché la strada è quasi finita!» Mentre il pullman prendeva l'ultima curva dietro l'Halicarnassus, Spilungone vide un terzo torpedone egiziano infilarsi senza farsi notare sotto l'ala sinistra dell'aereo con un gruppo di uomini sul tetto. Chiamò il compagno che lo seguiva nella Freelander. «Orsacchiotto! Devi raggiungere la rampa da solo! Devo fermare quel pullman!»
«Ricevuto!» rispose Orsacchiotto. Con un'accelerata l'altro scartò a sinistra, lasciando il SUV di Orsacchiotto proprio davanti alla rampa già spalancata dell'Halicarnassus, a una trentina di metri di distanza. Correndo a tutto gas, il pullman di Spilungone speronò l'avversario, facendolo sbandare di coda. Le gomme uscirono di strada e finirono sulla banchina ghiaiosa, dove persero la presa e, completamente fuori controllo, il torpedone capottò in modo agghiacciante, ruzzolando più volte in un nuvolone di polvere, fumo e sabbia. Orsacchiotto pigiò sull'acceleratore della Freelander - con Zoe e Alby sempre a bordo con lui -, gli occhi inchiodati sulla rampa di carico dell'Halicarnassus. Il piccolo SUV sfrecciava sull'autostrada, guadagnando terreno sull'aereo, quando d'improvviso Alby urlò: «Attento!» e Orsacchiotto sterzò appena in tempo per evitare un micidiale speronamento dell'autoblindo nemico sulla destra. Il veicolo egiziano li mancò per un pelo e usci di strada a tutta velocità, ruzzolando nella sabbia. «Grazie, ragazzo!» gridò Orsacchiotto. In quel momento, il cellulare di Zoe squillò. Credendo fosse Merlino o uno degli altri, rispose a squarciagola: «Sì!» «Oh, pronto», esordì gentile una delicata voce femminile all'altro capo della linea. «Sei tu, Zoe? Sono Lois Calvin, la mamma di Alby. Chiamavo solo per sapere come vanno le cose, lì alla fattoria.» Zoe sbiancò. «Lois! Ah... ciao! Le cose vanno... alla grande...» «Alby è lì?» «Com... eh?» farfugliò Zoe, cercando di elaborare la stranezza di quel tipo di telefonata in quel tipo di situazione. Alla fine, si limitò a passare il telefono ad Alby. «È tua madre. Ti prego, acqua in bocca.» Un missile sfrecciò sopra di loro. «Mamma...» rispose Alby.
Zoe non udì la conversazione all'altro capo, solo Alby dire: «Stiamo facendo una gita in jeep... mi sto divertendo un mondo... va bene... sì, mamma... okay, mamma, ciao!» Chiuse il telefono e lo restituì a Zoe. «Sei stato in gamba, ragazzo», si complimentò Zoe. «Mia mamma si sarebbe preoccupata da morire se avesse saputo dove sono ora», disse Alby. «Anche la mia», borbottò Orsacchiotto portando il SUV proprio sotto la coda dell'Halicarnassus e preparandosi a salire su per la rampa. D'improvviso, furono urtati con spaventosa violenza sul lato sinistro da un altro Humvee che nessuno di loro aveva visto. La Freelander fu scaraventata con brutalità a destra, non più allineata con la rampa dell'aereo, e inchiodata dall'Humvee contro il grande fianco di uno dei due torpedoni egiziani impegnati nell'assalto all'ala destra dell'aereo. «Maledizione!» imprecò Orsacchiotto. Sull'ala destra dell'Halicarnassus, Jack era ancora alle prese con la squadra d'assalto delle forze egiziane. Stava sparando all'impazzata - sorvolato da Horus nelle vicinanze - quando vide comparire all'improvviso la Freelander da sotto la coda del 747 in corsa, schiacciata contro uno dei pullman egiziani da un autoblindo molto più grosso. Stranamente, il suo primo pensiero fu per Alby, l'amico di Lily: era ancora a bordo del SUV. D'improvviso, in un angolo remoto della mente, Jack si rese conto che il destino di Alby era legato a quello di Lily, che in qualche modo lui le dava sostegno, forza, e in quel preciso momento Jack capi che non poteva permettere che al bambino capitasse qualcosa. Zoe e Orsacchiotto, loro potevano badare a se stessi, Alby no. E così entrò in azione. «A dopo», disse rivolto a Horus. «Gradirei molto la tua copertu-
ra, se possibile.» Proprio allora altri due soldati egiziani - muniti di scudi antisommossa - cercarono di salire sull'ala destra nel preciso momento in cui Jack balzava fuori dal suo riparo, sparava a entrambi attraverso i fori degli scudi e, con un'unica abile mossa, raccoglieva uno degli scudi dei soldati morti e saltava giù... sul tetto del primo torpedone egiziano che marciava sotto l'ala! E lì gli si pararono davanti ben sette soldati delle forze speciali egiziane, lì per lì sbalordite di essere attaccate da un solo uomo. Fu allora che Horus piombò in mezzo alla mischia, ad artigli protesi, sferrando tre unghiate al volto del primo soldato e facendo perdere l'equilibrio al secondo. L'intervento del falco diede a Jack il secondo che gli serviva, poiché non aveva in programma di restare su quel tetto molto tempo. Stringendo lo scudo antisommossa in una mano, girò su se stesso e si calò davanti al parabrezza del torpedone, attaccando nel mentre il rampino del Maghook di Astro al bordo anteriore del tetto. Si calò davanti al parabrezza del pullman in corsa - sotto gli occhi esterrefatti dell'autista - ma proseguì, infilando lo scudo di kevlar sotto la schiena, a mo' di tavola da surf, quando toccò la strada, e scomparendo sotto il paraurti del grosso torpedone! Disteso sullo scudo, Jack scivolò sotto il pullman per tutta la sua lunghezza, usando il cavo del Maghook per controllare la scivolata. Nel frattempo, afferrò la Desert Eagle e sparò a ogni parte meccanica vitale che riusciva a vedere: gli assali, l'impianto elettronico, i cavi dei freni, i manicotti dei liquidi, così che, quando sbucò da sotto il paraurti posteriore, il veicolo egiziano aveva già cominciato a sbandare, fuori controllo, allontanandosi dall'aereo e uscendo di strada. Ma la folle scivolata di Jack non era ancora finita. Il secondo torpedone egiziano - quello al quale era inchiodato il
SUV di Orsacchiotto - seguiva il primo e così Jack s'infilò anche sotto quello, continuando a slittare sullo scudo. Sotto il secondo mezzo, premette un pulsante sul Maghook, che si riavvolse rapidamente. Da lì sotto Jack vide le ruote della Freelander a un paio di metri di distanza e, più in là, le grosse gomme dell'Humvee. Puntò la pistola di lato e sparò tra le ruote del SUV, colpendo gli pneumatici dell'autoblindo, forandoli. L'Humvee perse immediatamente il controllo e scivolò via, non prima che due dei soldati che lo occupavano saltassero a bordo della Freelander e assalissero Orsacchiotto. Benché stesse lottando contro due uomini, Orsacchiotto allontanò il SUV dal pullman e lo diresse di nuovo verso la rampa posteriore dell'Halicarnassus, ora che la strada era libera. Zoe si sporse per dare manforte a Orsacchiotto che lottava coi due aggressori, ma il SUV sobbalzò violentemente: se fossero stati colpiti in quel momento, si sarebbero schiantati contro uno dei montanti della rampa di carico. Anche Orsacchiotto parve giungere a quella conclusione. Afferrò saldamente i due aggressori e per un breve istante incontrò gli occhi di Alby e Zoe. «Andatevene di qui», ringhiò. E poi, prima che potessero fermarlo, si lanciò fuori dalla macchina in corsa, portandosi dietro i due soldati egiziani! Piombarono sulla strada insieme, tra ruzzoloni e capitomboli, anche se Orsacchiotto aveva fatto si che i suoi aggressori subissero il peggio della caduta. Alby si girò e li vide allontanarsi sull'autostrada, gli occhi gonfi di lacrime, mentre Zoe s'infilava nel posto di guida e prendeva il volante: ora la strada fino alla rampa era libera. Zoe schiacciò a fondo l'acceleratore. La Freelander raggiunse la rampa a tutta velocità, entrando nella stiva come un razzo e andando a sbattere contro la Suburban bian-
ca già a bordo, ma finalmente in salvo. Da sotto il secondo pullman egiziano, continuando a slittare sullo scudo antisommossa, Jack aveva visto Orsacchiotto ruzzolare sulla strada coi suoi due aggressori, nonché la Freelander sfrecciare nella stiva dell'Halicarnassus. D'improvviso, qualcosa gli attraversò il campo visivo: il fianco di un torpedone, con la porta anteriore aperta, che marciava proprio accanto a lui. Jack afferrò la pistola... solo per vedere Astro affacciarsi sulla porta aperta del suo nuovo pullman, disteso sul predellino. «Jack! Dammi la mano!» Trenta secondi dopo, Astro tirava fuori Jack da sotto il torpedone e lo prendeva a bordo del mezzo che aveva rubato, dove Spilungone era ancora al volante. Dopo aver aiutato Jack ad alzarsi, Astro attaccò svelto una carica esplosiva magnetica al veicolo egiziano e gridò: «Vai!» Spilungone li portò a distanza di sicurezza quando la carica detonò facendo saltare in aria l'intero fianco del pullman egiziano. La voce di Sky Monster giunse all'improvviso nell'auricolare di Jack: «Cacciatore! Dove diavolo sei? Tra dieci secondi devo dare potenza o non saremo più in grado di decollare!» Jack guardò l'aereo davanti a sé, e capì: era troppo lontano. Lui, Spilungone e Astro non avrebbero mai fatto in tempo a raggiungerlo. Poi l'eco sorda di un boato attirò la sua attenzione e Jack si volse a guardare... e vide un razzo Hellfire sfrecciare sull'autostrada, all'inseguimento dell'aereo in fuga. «Monster», rispose. «Non riusciamo a raggiungervi.» «Cosa?» Anche Spilungone e Astro lo udirono, e si scambiarono un'occhiata. E poi si udì la voce di Lily: «No, papà! Ti aspetteremo...» «No, tesoro. Devi fuggire. Ti troverò, Lily. Te lo prometto. Ma,
credimi, devi fuggire da qui. Noi non siamo così importanti come te. Tu devi sopravvivere. Tu, Zoe, Merlino e Alby... voi dovete proseguire la missione e trovare il Secondo Pilastro e collocarlo nel Secondo Vertice. Chiamate i gemelli, fatevi aiutare da loro. Questa è la vostra missione ora. Ti voglio bene. Dai, Sky Monster, vai.» Spense la radio e si volse verso Spilungone: «Ferma il pullman». Avendo udito ogni cosa, Spilungone si limitò a fissarlo con uno sguardo interrogativo. «Di traverso. Sulla strada. Subito», ordinò Jack. Spilungone obbedì, fermando il pullman di traverso con uno stridore di gomme, sbarrando completamente la strada. L'Halicarnassus proseguì la corsa sull'asfalto, prendendo velocità e scomparendo nella caligine prodotta dal calore. «E ora, signori», disse Jack, «gambe!» Jack, Spilungone e Astro abbandonarono il torpedone, attraversando la strada a rotta di collo e tuffandosi nella sabbia proprio mentre il missile destinato all'Halicarnassus lo colpiva in pieno. Il mezzo esplose: una palla di fuoco che s'innalzò nel cielo come un fungo, con una pioggia di lamiere contorte. Sporco di sabbia, sangue e sudore, Jack alzò la testa e vide l'Halicarnassus sfrecciare verso sud, rimpicciolendo sempre di più fino a che, in modo penosamente lento, non si staccò dal suolo, spinto dai tre motori rimasti. In meno di un minuto, una mezza dozzina di Humvee con equipaggio americano si fermò con una slittata intorno a lui. I sei Apache pattugliavano il cielo sovrastante, sollevando una tempesta di sabbia. Jack si tirò in piedi, gettando le armi e alzando le mani dietro la testa quando il primo soldato - un americano - gli andò incontro a grandi passi e senza proferire parola lo colpì in faccia col calcio del fucile. E un velo nero calò sugli occhi di Jack.
BASE SOTTOMARINA K-10, ISOLA DI MORTIMER, CANALE DI BRISTOL, INGHILTERRA, 10 DICEMBRE 2007, ORE 06.00 Alla base sottomarina dell'isola di Mortimer, sei soldati del SAS britannico stavano di guardia a un piccolo edificio al margine del complesso, i volti torvi sotto la pioggia torrenziale. Nell'edificio annesso, i Terribili Gemelli, Lachlan e Julius Adamson, lavoravano indefessamente a due computer vicini. Lachlan disse mentre batteva sui tasti: «Hai presente quel triangolo rettangolo coi lati 5, 12 e 13 che collega Stonehenge alla Grande Piramide di Giza? Il suo angolo retto tocca in effetti un'isola poco lontana da qui, l'isola di Lundy...» D'improvviso, Julius balzò indietro dal suo computer e tirò un pugno nell'aria. «Ci sono! Ho trovato il Secondo Vertice!» Scostò la sedia con un calcio per consentire al fratello e a Tank Tanaka di vedere il suo monitor. Sullo schermo c'era una fotografia digitale di uno dei triliti di Stonehenge, scattata durante lo spettacolo di luci:
La foto era circondata da un collage di immagini satellitari dell'Africa meridionale, di mappe del capo di Buona Speranza e anche da una finestra aperta su Google Earth. Julius sorrise, indicando il numero «2» alla base del trilite. «È
nei pressi della Montagna della Tavola.» «A Città del Capo?» domandò Lachlan. «Ne sei sicuro?» volle sapere Tank. «Sicurissimo. È a circa cinque chilometri dalla Montagna della Tavola», rispose Julius. «Là, tra le colline e i monti. È una regione coperta da una fitta foresta, disabitata e molto difficile da raggiungere. Sono io il più bravo!» Fece un sorriso trionfante proprio mentre il cellulare di Tanaka squillava. Questi si tirò in disparte e rispose, sottovoce. «Pronto? Ah, konichiwa...» Lachlan disse a Julius: «Lo sai, questo non significa in nessun modo che tu sei superiore a me. Il numero 2 era un gioco da ragazzi. Il profilo dell'Africa saltava agli occhi. Sto ancora cercando di capire dove si trova in realtà la costa del numero 3. Non corrisponde a nessuna delle coste attuali sulla terra». In un angolo, Tank corrugò la fronte al telefono. «Eh?» Julius intrecciò le mani dietro la testa fingendosi compiaciuto. «Forse posso darti qualche lezione privata di analisi topografica un giorno o l'altro, caro fratello. Ehi, sai, questo potrebbe essere il mio nome in codice: 'Analizzatore'.» «Sì, certo. Così possiamo abbreviarlo in 'Anal'. Ti conviene inviare quell'ubicazione a Jack e Merlino, Anal. Saranno contenti.» «D'accordo.» Julius batté su alcuni tasti e poi premette giulivo INVIA. Nel frattempo, Tank concluse la telefonata con un secco: «Yoroshii, ima hairinasai». Chiuse il telefono e tornò dai gemelli. «Ehi, Tank», disse Julius. «Pensi che mi starebbe bene il nome in codice 'Analizzatore'?» Tank fece un triste sorriso. «Sarebbe assai appropriato, giovane Julius.» «E allora, chi sta arrivando?» gli domandò Lachlan. «Scusa?» «Lo hai appena detto al telefono: 'Yoroshii, ima hairinasai'. Si-
gnifica: 'Okay, ora potete venire'.» Tank corrugò la fronte. «Parli il giapponese, Lachlan?» «Un po'. Ho avuto una storia con una giapponese specializzata in scienze...» Julius lo riprese. «Non hai avuto una storia con lei! Vi sentivate in una chat!» Lachlan divenne rosso. «C'era un legame tra noi, Anal. Il che la qualifica come storia...» Di colpo, la porta dello studio si spalancò e una delle guardie del SAS fu scaraventata dentro da una raffica di colpi col silenziatore. Il sangue schizzò sui muri e sugli occhiali di Lachlan. Il corpo senza vita della guardia cadde a terra con un tonfo. Dopodiché nello studio fecero irruzione sei uomini vestiti di nero. Avanzarono furtivi, con equilibrio e postura perfetti, i fucili mitragliatori MP-5SN muniti di silenziatori premuti contro la spalla alla maniera delle forze speciali, gli occhi dietro gli occhiali di protezione allineati lungo le canne. Mentre cinque degli intrusi tenevano sotto tiro i gemelli, il capo della squadra andò dritto da Tank e si levò gli occhiali, rivelando il volto di un giovane giapponese. «Professor Tanaka, fuori c'è un elicottero. Che ne facciamo di questi due?» Due fucili puntati alla testa dei gemelli si prepararono a sparare. Lachlan e Julius s'irrigidirono, col fiato sospeso. Per un istante che parve durare un'eternità, Tanaka fissò i due brillanti giovani, come se stesse decidendo la loro sorte: lasciarli vivere o morire. Infine rispose: «Possono essere ancora molto utili. Li portiamo con noi». E, con ciò, Tank uscì impettito dalla stanza, con passo deciso, facendo strada. Spintonati nella sua direzione, i gemelli lo seguirono fuori dall'edificio, passando accanto ai corpi delle guardie del SAS, tutte morte, con un colpo alla testa.
SPAZIO AEREO AFRICANO, 10 DICEMBRE 2007, ORE 09.30 Vomitando fumo dal motore di destra danneggiato, l'Halicarnassus solcava con difficoltà i cieli dell'Africa. Il paesaggio sottostante era un tappeto ondulato di colline ricche di vegetazione. Erano in viaggio da quasi due ore dopo la drammatica fuga da Abu Simbel e adesso stavano sorvolando il confine tra l'Uganda e l'Africa orientale. Il piano attuale era quello di dirigersi verso la loro vecchia base e di riorganizzarsi. Zoe e Merlino entrarono nella cabina di pilotaggio, dove Sky Monster era seduto da solo ai comandi. Lily e Alby erano di sotto, piombati in un sonno profondo dopo quella mattinata al cardiopalmo. «Hai chiamato?» domandò Zoe. «Ho una notizia buona e una cattiva», disse Sky Monster. «Quale preferite sentire per prima?» «Quella buona», rispose Merlino. Sky Monster annuì. «Okay. È appena arrivato un messaggio dall'Inghilterra, dai gemelli. Qualcosa che riguarda il Secondo Vertice.» Merlino si precipitò a un computer poco lontano e lesse il messaggio. «Città del Capo. La Montagna della Tavola. Oh, quei ragazzi sono proprio formidabili. Ottimo lavoro, ragazzi. Ottimo lavoro!» Zoe si rivolse a Sky Monster. «E la cattiva notizia?» «Abbiamo quasi finito il carburante e il Kenia è appena diventato una zona off-limits.» «Cosa?» «Come mai?» «Una decina di minuti fa ho cominciato a captare segnali aerei che vanno da nord a sud secondo schemi a griglia su e giù per il confine tra Kenia e Uganda. Che vanno perfettamente da nord a sud, il che significa che sono aeroplani pilotati da computer, il che
significa a sua volta che sono aerei spia senza pilota. Predator.» «Ma gli unici ad avere aerei spia Predator sono gli Stati Uniti e i sauditi...» cominciò Merlino. «E il carburante?» s'informò Zoe. «Per quanto tempo ancora possiamo volare?» Sky Monster fece una smorfia. «Ho dovuto scaricarne un sacco su quell'autostrada quando il nostro motore è stato colpito. A occhio e croce direi che abbiamo abbastanza carburante per arrivare in Ruanda, o forse sulla riva tanzaniana del lago Vittoria. Un'altra ora al massimo. Poi entriamo in riserva.» «Dovremo atterrare in Ruanda?» domandò Zoe. «Possiamo atterrare o schiantarci», rispose l'altro. «In un caso o nell'altro, saremo a terra da qualche parte in Africa entro un'ora.» Zoe scambiò un'occhiata con Merlino. L'anziano professore disse: «Abbiamo sette giorni per raggiungere il Secondo Vertice. Ma prima dobbiamo trovare il Secondo Pilastro, e Iolanthe ha detto che si trova presso la tribù dei Neetha nella Repubblica Democratica del Congo. Avremo bisogno di un elicottero a un certo punto, ma possiamo raggiungere il Congo via terra passando per il Ruanda». «Passando per il Ruanda?» fece eco Zoe. «Scusa se te lo ricordo, Max, ma il Ruanda è ancora classificato come il posto più pericoloso sulla terra, seguito a ruota dal Congo.» Merlino afferrò una carta dell'Africa centrale e la srotolò sulla console della cabina di pilotaggio. «Siamo qui, sopra l'Uganda, appena a nord del lago Vittoria», disse Sky Monster.
Merlino indicò col dito le vaste regioni meridionali della Repubblica Democratica del Congo: occupavano tutta la parte sinistra della carta geografica. «Il Congo è quasi completamente giungla. Giungla fittissima. Poche strade, nessuna pista per un 747 comunque. Forse possiamo rubare un elicottero in Ruanda; le Nazioni Unite hanno lasciato dozzine di depositi di provviste laggiù.» «Ci servirà aiuto», aggiunse Zoe. «Provviste, lingua, usi locali. Solomon?» Merlino annuì. «Sì, Solomon. Lo chiamerò dalla fattoria in Kenia. Vedo se ce la fa a filarsela in Ruanda con le provviste e tutto quello che riesce a prendere.» Sky Monster aggiunse: «Vedi se riesce a portare un po' di combustibile per aviogetti, già che c'è. Non voglio abbandonare il mio aereo in Ruanda. Merita qualcosa di più». Zoe vide l'espressione sul volto del compagno: abbandonare il suo fidato aereo in uno dei Paesi più violenti dell'Africa sarebbe stato un duro colpo per lui. Ma poi Sky Monster disse: «Svelti, ragazzi. Vi conviene prendere tutto ciò che vi serve, perché, tra circa quarantacinque minuti, atterriamo». QUINTA MISSIONE IL CONTINENTE NERO
AFRICA 10 DICEMBRE 2007 SETTE GIORNI PRIMA DELLA SECONDA SCADENZA
IN QUALCHE LUOGO IN AFRICA, 10 DICEMBRE 2007, ORE 11.00
Buio, silenzio, pace. Poi, d'un tratto, una fitta lancinante alla mano destra svegliò Jack West di soprassalto. Spalancò gli occhi... ... e si ritrovò disteso sulla schiena sopra una grossa lastra di pietra, in fondo a una profonda fossa quadrata, con le braccia allargate... e un enorme uomo nero che gli conficcava un grosso chiodo nel palmo destro a martellate! L'uomo batté di nuovo il martello e sotto gli occhi inorriditi di Jack il chiodo gli attraversò il palmo da parte a parte, conficcandosi in un piccolo ceppo di legno infilato nella pietra sottostante. Il sangue schizzò dalla ferita. Il respiro di Jack si fece più rapido. Girò di scatto la testa verso il braccio sinistro e scoprì che era stato già inchiodato a un altro ceppo incastrato nella pietra: la mano sinistra meccanica indossava ancora il guanto di cuoio. Le gambe erano legate. Fu allora che si rese conto della situazione in tutto il suo orrore. Lo stavano crocifiggendo... Su una lastra di pietra, in fondo a una fossa Dio solo sapeva dove. Col respiro sempre corto, girò gli occhi nella fossa. Era profonda, circa sei metri, con le pareti di roccia a strapiombo, e il mondo oltre l'orlo del pozzo appariva buio, illuminato dalla luce del fuoco, come una grotta o una miniera di qualche tipo. A quel punto il muscoloso uomo di colore che gli inchiodava la mano alla pietra gridò: «Si è svegliato!» e quattro uomini si affacciarono sulla fossa, guardando giù. Jack non sapeva chi fossero due di loro, una coppia di soldati americani: il primo era un giovane tarchiato con grandi occhi impassibili; il secondo era un piccolo asio-americano con indosso un'uniforme di fatica. Riconobbe il terzo uomo. Era un cinese, più maturo, con gli occhi fiammeggianti d'ira. Era il colonnello Mao Gong Li dell'eserci-
to Popolare di Liberazione, che Jack aveva visto l'ultima volta nel sistema di trappole di Lao Tse, mezzo soffocato da una granata fumogena. Jack ricordava vagamente di avergli tirato un pugno mentre gli passava davanti correndo. Il quarto, tuttavia, era un uomo che Jack conosceva molto bene. E West intuì, correttamente, che i due soldati più giovani erano i suoi lacchè. Biondo e con gli occhi azzurri, il quarto uomo era un colonnello americano che era conosciuto col nome in codice di «Wolf». Jack non lo vedeva da anni ed era molto contento di ciò. Wolf fissò dall'alto Jack - inerme sulla schiena, inchiodato al pavimento di pietra - con una strana espressione dipinta sul volto. Infine sorrise. «Ciao, figliolo.» «Ciao, papà», rispose Jack. L'uomo che lo fissava dall'alto era Jack West Sr. * Jonathan West Sr. - Wolf - fissava il figlio dal bordo della fossa. Alle sue spalle, non visto da Jack, si estendeva il cantiere di un'enorme miniera sotterranea. Al suo interno, centinaia di etiopi, smunti ed emaciati, sgobbavano con picconi e pale su un'altissima parete terrosa, rimuovendo secoli di dure concrezioni da ciò che sembrava un complesso di antichi edifici di pietra. «Isopeda isopedella», scandì Wolf, la voce che echeggiava nella vasta miniera. Jack non rispose. «Il comune ragno cacciatore», aggiunse Wolf. «Un ragno, nativo dell'Australia, dal corpo grande e dalle zampe lunghe. Simile alla tarantola per dimensioni e nomea generale, si sa che può raggiungere i quindici centimetri e passa.» Jack continuò a tacere. «Ma, nonostante il terribile aspetto, il ragno cacciatore non è letale. In realtà, non è per niente pericoloso. Il suo morso provoca
poco più di un passeggero dolore locale. È fasullo, un impostore; un animale che cerca di nascondere la propria generale inefficacia apparendo grande e forte, proprio come te. Non mi è mai piaciuto il nome in codice che ti sei scelto, Jack.» Una goccia di sudore colò sulla fronte di Jack, che si abbandonò sulla schiena in fondo alla fossa. «Dove sono i miei amici?» volle sapere, la gola impastata e riarsa dalla sete. Stava pensando a Spilungone, Orsacchiotto e Astro, che non erano riusciti a darsi alla fuga dopo l'inseguimento di Abu Simbel. A quel punto, Wolf si scostò e rivelò Astro al suo fianco. Jack vide il giovane marine americano attraverso la vista appannata. Sembrava stesse bene e, soprattutto, non era ammanettato. Non disse nulla; si limitò a fissare freddamente Jack dall'alto. Astro era sempre stato dalla parte di Wolf? pensò Jack. Era una possibilità di cui aveva sempre tenuto conto. Ma, no, Astro gli aveva dato l'impressione di essere un uomo onesto e leale. Era impossibile che fosse una talpa. «E gli altri due?» «Non ti preoccupare per la loro sorte», rispose Wolf. «Vivranno sicuramente più a lungo di te, ma non di molto. Stavamo parlando dei difetti del nome in codice che ti sei scelto, figliolo.» «Non l'ho scelto io. Non ti scegli il nome in codice.» Wolf distolse lo sguardo. «Come sta tua madre?» domandò a sorpresa. «Nonostante tutti i miei sforzi, non riesco a scovarla. È come se non volesse farsi trovare.» «Chissà perché», rispose Jack sarcastico. Spiegare che cos'era andato male nel matrimonio dei suoi genitori significava capire il padre di Jack. Dotato di un fisico possente e di una mente brillante, Jack West Sr. era un uomo intellettualmente vanitoso, convinto della propria superiorità in ogni campo. Come stratega, non temeva confronti negli Stati Uniti: i suoi metodi erano sfrontati, cattivi e, soprattut-
to, vincenti. Tali risultati non facevano altro che rafforzare il suo senso di onnipotenza. Ma, quando la sua cattiveria si era infiltrata nel suo matrimonio e si era trasformata in violenza, la madre di Jack aveva lasciato Jack Sr. e, facendolo infuriare ancora di più, aveva presentato istanza di divorzio a un tribunale australiano: un tribunale australiano. Dopodiché la madre di Jack era scomparsa e ora risiedeva nella sperduta città di Broome, in un angolo remoto dell'Australia occidentale, poco lontano dalla fattoria di Jack. Soltanto Jack e pochi altri erano al corrente di quel luogo. Wolf alzò le spalle. «Adesso non ha nessuna importanza. Ma, quando sarà tutto finito, intendo farmi un dovere di trovarla.» «Se solo potesse vederci ora...» disse Jack. «Sei stato bravo a battere il maresciallo Judah nella corsa alla ricerca delle Sette Meraviglie del Mondo Antico», dichiarò Wolf. «Era scaltro, quel Judah. Ma dovevi proprio scagliarlo nel motore di un aereo a reazione?» «Perlomeno non l'ho crocifisso.» Il volto di Wolf s'indurì. «Judah lavorava per me. Proprio come, tanto tempo fa, avresti potuto fare tu. Tutto sommato, il suo insuccesso, per quanto increscioso, non è stato totale. Il Tartarus era solo l'inizio. Una missione molto più grande - l'annullamento del Sole Nero e la conquista dei suoi premi - è ora alle porte. E, come entrambi sappiamo, il potere del Tartarus è stato neutralizzato di recente dai nostri comuni nemici, la Fratellanza di Sangue giapponese.» Jack non lo sapeva, e dall'espressione del suo volto dovette essere evidente. Wolf fece un largo sorriso. «Non lo sapevi? Del controrituale che hanno eseguito durante l'equinozio d'autunno, presso la seconda Grande Piramide sotto l'isola di Pasqua, l'isola che sta agli antipodi di Giza? Alcuni di noi vogliono dominare il mondo, Jack, altri come te vogliono salvarlo, altri ancora, come i nostri amici
giapponesi fissati con l'onore, vogliono distruggerlo. «Sono stati loro a lanciare l'aeroplano nella torre Burj al Arab, a Dubai, nel tentativo di distruggere la Pietra di Fuoco. Sono stati loro a tendere l'imboscata ai tuoi uomini vicino al porto di Abu Simbel con gli attentatori kamikaze. La paura non li spaventa. Anzi, come per i loro antenati kamikaze, la gloriosa immolazione di se stessi è il massimo dell'onore.» Con una smorfia di dolore, Jack accennò a Mao. «Quindi l'America e la Cina si sono coalizzate in questo? L'attacco dei cinesi alla mia fattoria, le torture cui Merlino è stato sottoposto da quel bastardo?» Mao s'irrigidì visibilmente. Wolf non batté ciglio. «Purtroppo, non rappresento più l'America», rispose Wolf. «Dopo il fallimento di Judah con le Sette Meraviglie, il Gruppo Caldwell è stato sciolto dall'Amministrazione. «No, il nostro piccolo gruppo di preoccupati patrioti ritiene che i governi americani conservatori non abbiano spinto abbastanza il ruolo dell'America di unica superpotenza rimasta su questo pianeta. L'America deve governare questo pianeta col pugno di ferro, non con la diplomazia o il compromesso. Facciamo quello che vogliamo. Non dobbiamo chiedere il permesso. «Quanto alla Cina, be', non è un segreto che i cinesi vogliono farsi strada nel mondo, essere rispettati per l'enorme peso che hanno. Il Gruppo Caldwell ha con loro rapporti di reciproco vantaggio. Abbiamo molto da offrirci l'un l'altro: noi abbiamo informazioni, loro forza.» Jack si rivolse a Mao: «Ehi, Mao. Ti taglierà la gola non appena non gli servirai più». «Correrò il rischio, capitano West», rispose Mao in tono gelido. «Si reputi fortunato che non mi consenta di tagliare la sua su due piedi.» «Allora chi sono?» domandò Jack accennando col mento ai due uomini accanto al padre. Wolf indicò prima l'asio-americano. «Lui è Katana, marine degli
Stati Uniti, ma ora in prestito alla CIEF.» La CIEF, pensò Jack cupo. Tecnicamente, era la Commanderin-Chief's in Extremis Force, ma in realtà era l'esercito privato del Gruppo Caldwell. Quindi Wolf cinse le spalle dell'uomo più grosso con un braccio. «E questo giovanotto, Jack, lui è il tuo fratellastro, l'altro mio figlio. Unità speciali dell'esercito, e ora anche CIEF. Nome in codice: 'Sciabola'.» Jack squadrò il giovane dagli occhi spalancati accanto a suo padre. Grande, grosso e fiero, Sciabola lo guardava con occhio torvo. A giudicare dall'età, Jack suppose che fosse nato quando Wolf era ancora sposato con sua madre: un altro motivo per disprezzare il padre. «Lui è diverso da te», disse Wolf. «È ricco di talento, determinazione e risorse. Ma per molti riguardi è anche una versione migliore di te: è un soldato più bravo, un killer più disciplinato. È inoltre più obbediente, anche se questo si potrebbe attribuire al suo livello superiore di educazione.» «Proprio quello che hai sempre desiderato», l'apostrofò Jack con un'altra smorfia di dolore. «Il tuo mastino personale. Allora cosa c'entra con tutto questo?» Indicò la posizione in cui si trovava. «Non potevi limitarti a spararmi?» Wolf scosse la testa. «Oh, no. No, no, no. Vedi quell'uomo dietro di te, Jack? Quello che ti ha inchiodato alla lastra? È un etiope cristiano. Infatti ora ti trovi in Etiopia.» Etiopia? «L'Etiopia è uno strano Paese, con un miscuglio di fedi religiose non meno strano», rifletté Wolf. «Il cristianesimo è insolitamente forte da queste parti, portato qui nel Medioevo dai Templari. Le famose chiese di Lalibela sono una testimonianza della loro presenza. E sapevi che, secondo certe leggende, l'Etiopia è l'ultimo nascondiglio dell'Arca dell'Alleanza, trafugata direttamente dal Tempio di Salomone? «L'islamismo è professato in alcune zone, ma cosa ancora più
strana è che in questo Paese esiste una classe inferiore di ebrei. Come molte altre popolazioni ebraiche in altri luoghi del mondo, sono vittime di terribili persecuzioni per via della loro fede. «Infatti, in questa miniera, la maggior parte dei nostri minatori schiavi sono etiopi ebrei. Le guardie, tuttavia, sono etiopi cristiani, ed è qui il significato che sta dietro il tuo metodo di esecuzione. «Le nostre guardie sono devotissimi cristiani, Jack. Difatti a Pasqua, ogni anno, scelgono uno di loro per la parte di Cristo e lo crocifiggono così come sei stato crocifisso tu ora. Morire in questo modo è un grande onore.» Jack sentì un brivido corrergli lungo la schiena. «Le mie guardie mi temono, come è meglio che facciano», proseguì Wolf. «Fanno bene la guardia perché temono le conseguenze del fallimento. Tutte le guardie di questa miniera sanno pure che tu sei il mio primogenito. Far uccidere il mio primogenito in questo modo li terrorizza. Sono come Dio... che sacrifica il proprio figlio, dandogli la morte più crudele. La tua morte farà di me un dio ai loro occhi.» «Fantastico», disse Jack con voce roca. Nel frattempo, aveva notato l'etiope col martello arrampicarsi su per una scala scavata nella parete della fossa, e squagliarsela in fretta e furia. Wolf non aveva finito. «Osserva la lastra di pietra su cui sei disteso, figliolo. È una delle dozzine che sono state gettate in questa fossa negli ultimi trecento anni. Proprio ora, giaci su strati e strati di etiopi cristiani crocifissi prima di te. Non morirai per la crocifissione: si sa che è una morte lenta, questa, che a volte richiede tre giorni. No...» In quel momento, Jack udì un suono stridulo e sinistro e, d'improvviso, un'enorme lastra di pietra scivolò sull'angolo del bordo superiore della fossa, spinta su rulli da una squadra di guardie etiopi. Il lastrone quadrato combaciava alla perfezione con le dimensioni della profonda fossa.
«... sarai schiacciato e così diventerai un altro strato della straordinaria fede di questo popolo.» Jack spalancò gli occhi. La lastra era già a metà strada sull'apertura. Stavano per gettarla nella fossa. Stavano per gettarla nella fossa ora. Merda. Stava accadendo tutto troppo rapidamente. Jack prese a respirare più in fretta. Girò gli occhi in ogni direzione, e vide la mano destra, sporca di sangue e inchiodata alla lastra sotto di lui. La lastra sotto di lui. Gli si rivoltò lo stomaco solo a pensarci: l'immagine di tutti quegli etiopi crocifissi in passato, schiacciati tra dozzine di lastre impilate l'una sull'altra. «Addio, Cacciatore», intonò Wolf, mentre la lastra lo nascondeva alla vista del figlio. «Eri davvero un bravo soldato, un vero talento. Credimi se ti dico che è un grande peccato. Avremmo potuto combattere fianco a fianco e saremmo stati invincibili. Ma ora, a causa delle scelte che hai fatto, come il ragno che porta il tuo nome, devi essere schiacciato. Addio, figlio mio.» La lastra coprì completamente la fossa e mentre Jack gridava «No!» la squadra di etiopi tirò via i rulli di legno che la tenevano sollevata sopra il pozzo e, d'improvviso, la grossa lastra precipitò per sei metri buoni - nella fossa, i bordi di pietra che stridevano contro le pareti - prima di schiantarsi sul fondo con un boato che rimbombò in tutta la miniera. * Wolf guardò giù la lastra che aveva stritolato il figlio. La pietra era caduta di traverso, come faceva quando si schiantava su un corpo umano. Nei giorni successivi, si sarebbe abbassata piano piano sul corpo di Jack West Jr., schiacciandolo del tutto. Poi, con un'alzata di spalle, girò i tacchi e si diresse all'ascensore
della torre di servizio che portava fuori dalla miniera. Mao, Sciabola e Katana lo seguirono. Astro no, invece. Drogato e stordito, barcollò sulle gambe, sorretto da due etiopi che si erano tenuti lontano dagli occhi di Jack. «Padre», fece Sciabola, indicando Astro. «Che ne facciamo di lui?» Wolf si fermò e fissò Astro per un momento. «Un'azione inutile dei nostri nemici negli Stati Uniti... una mossa penosa di un'Amministrazione senza midollo che ha fatto causa comune con queste piccole, patetiche nazioni. Ma non devono esserci prove che abbiamo ucciso un militare americano. Portatelo con noi. Quando si riprenderà, potrà scegliere: se unirsi a noi o morire.» «E gli altri due?» domandò Katana sottovoce. «Il cecchino israeliano e il secondogenito di Anzar al Abbas?» Wolf si fermò un momento. «L'israeliano è ancora di sopra?» «Sì.» «C'è una grossa taglia sulla sua testa. Sedici milioni di dollari per la precisione. Il Mossad l'ha messa su di lui dopo che si è rifiutato di obbedire agli ordini dei suoi superiori ai Giardini Pensili. Il suo destino è segnato: consegniamolo al Vecchio Maestro e reclamiamo la taglia. Sedici milioni di dollari sono sedici milioni di dollari. E poi quel vecchio bastardo di Muniz e il Mossad potranno torturarlo tutto il tempo che vorranno.» «E il secondogenito di Abbas?» Sull'altro lato di quel grande spiazzo, contro la parete più lontana, una piccola gabbia medievale penzolava sopra un'ampia pozza di liquido gorgogliante. Imprigionato dentro la gabbia, tre metri sopra quella pozza scura, c'era Orsacchiotto. Era coperto di sporco, sangue e lividi dopo il ruzzolone sull'autostrada in Egitto, ma era ancora vivo e vegeto. Teneva le mani aperte, bloccate dalle manette che erano agganciate a loro volta alle sbarre della gabbia.
Il liquido che gorgogliava nella pozza era una miscuglio di acqua e arsenico. Sebbene quella non fosse tecnicamente una miniera d'oro, di tanto in tanto i minatori trovavano tracce d'oro nelle pareti e usavano il liquido con l'arsenico per separarlo dalla terra. Lo usavano anche per punire chiunque fosse sorpreso con dell'oro nascosto addosso: i ladri venivano calati, dentro le gabbie, nella pozza, dove annegavano nel denso liquido nero. Con grande stupore delle guardie, Wolf e i suoi uomini non sembravano interessati all'oro e permettevano di buon grado alle guardie di tenere tutto il prezioso metallo che veniva scoperto dai minatori schiavi. No, Wolf e i suoi leccapiedi erano interessati a qualcos'altro, una cosa che secondo un'antica leggenda era nascosta da qualche parte nelle strutture di pietra torreggianti che delimitavano le pareti del misterioso complesso sotterraneo. Wolf fissò la penosa figura di Orsacchiotto, nella gabbia sospesa sopra la venefica pozza. «Che le guardie lo sacrifichino al loro dio. Non serve più a nessuno.» E con quelle parole Wolf se ne andò. Giunse all'ascensore della torre di servizio, dove incontrò due figure nascoste nell'ombra. Una delle due fece un passo avanti. Era Avvoltoio. «Americano», esordi con aria furtiva. «Il mio governo comincia a perdere la pazienza. Siete arrivati ad Abu Simbel troppo tardi e il Pilastro è volato via. Conosceva il nostro accordo: a noi il Primo Pilastro - col premio - e a voi il secondo.» «Conosco l'accordo, saudita», rispose Wolf. «Avrete il Primo Pilastro, ma non prima che noi avremo messo le mani sul Secondo. Conosco i suoi metodi, Avvoltoio: si sa che volta le spalle ai suoi alleati quando ha conseguito i suoi scopi, ma non i loro. E voglio essere sicuro della sua lealtà fino al termine di questa missione. Il
Primo Pilastro non è in nostro possesso ora - ce l'ha Max Epper ma sarà facile averlo. È il Secondo che costituisce un problema più immediato.» «Perché?» volle sapere Avvoltoio. «L'aereo del capitano West è stato visto l'ultima volta diretto a sud, in Africa. Stanno andando a cercare il Secondo Pilastro, nella tribù dei Neetha, nell'Africa centrale. Ma i Neetha sono difficili da trovare.» «Epper è convinto di poterli individuare», obiettò l'altro. «Perciò, se troviamo lui, troveremo i Neetha e, con loro, il Pilastro. Questo dovrebbe convenire alla Casa di Saud, poiché, quando cattureremo Epper, avremo il vostro Pilastro. Ecco perché ora mi aiuterà: chiami il suo governo e faccia aprire le casse e offrire a ogni nazione africana tra il Sudan e il Sudafrica qualunque cifra per ingaggiare i loro eserciti e perlustrare ogni strada, ogni fiume e ogni confine nell'Africa centrale. Con Cacciatore morto e Merlino in fuga, non dovrebbe essere difficile trovarlo. È ora di troncare le loro attività.» Wolf entrò nell'ascensore della torre di servizio e, accompagnato da Mao, Sciabola e Katana, risalì sfrecciando la parete della miniera, lasciando giù Avvoltoio e il suo compagno. Uscì dal complesso a livello del terreno mediante un passaggio di terra battuta a settanta metri dal pavimento dell'enorme grotta. Quando uscirono a grandi passi dalla miniera, Katana domandò sottovoce a Wolf: «Le conoscenze di Epper basteranno a trovare i Neetha?» Wolf continuò a camminare. «Max Epper è la massima autorità mondiale in questo campo, e finora le sue conclusioni sono coincise con le nostre. Se dovesse fare un passo falso o morire, ci riguarderà poco; ricorreremo ai nostri studi. E inoltre abbiamo l'aiuto del nostro esperto in materia.» Wolf uscì nella luce del giorno - superando molte altre guardie etiopi - e scorse, seduta e sorridente sul sedile posteriore della sua
auto, miss Iolanthe Compton-Jones, Custode dell'Archivio personale reale del Regno Unito. L'ultima volta era stata vista al porto di Abu Simbel, priva di sensi. * Avvoltoio e il suo compagno rimasero alla base dell'ascensore, sul pavimento della miniera. L'uomo che stava con Avvoltoio aveva chiesto di rimanere lì ancora qualche minuto prima di andare via. I due attraversarono a grandi passi il suolo della miniera e si fermarono davanti alla gabbia sospesa sopra la pozza di arsenico. Orsacchiotto era rannicchiato nella piccola prigione medievale con le mani ammanettate. Sembrava un animale in gabbia. Di lassù non era riuscito a vedere Avvoltoio e il suo compagno mentre parlavano con Wolf davanti all'ascensore. Perciò, quando li vide avvicinarsi all'improvviso, scambiò la loro presenza per un salvataggio. «Fratello!» esclamò. Il compagno di Avvoltoio - Scimitarra, il fratello maggiore di Orsacchiotto - alzò lo sguardo a Orsacchiotto, restando impassibile. Orsacchiotto strattonò le sbarre. «Fratello, presto, liberami! Prima che tornino...» «Non torneranno», disse Scimitarra. «Per un po' no, comunque. Non prima che questa miniera abbia rivelato il suo segreto.» Orsacchiotto s'irrigidì, e smise di strattonare le sbarre. «Fratello, non sei venuto a liberarmi?» «No.» Camminando, Scimitarra si avvicinò alla fossa dove West era stato ucciso, guardò giù con un'espressione indolente, e vide il lastrone che aveva schiacciato Jack West. Tornò alla pozza di arsenico. «Fratello, hai sempre avuto una terribile pecca. Ti allei coi deboli. Anche quando andavi a scuola
difendevi i mingherlini e i gracili. È una cosa nobile ma in definitiva stupida. Non c'è futuro in una via del genere.» «E qual è la tua strategia, fratello?» domandò Orsacchiotto, la voce vibrante d'ira adesso. «Io mi schiero coi forti», rispose Scimitarra, gli occhi spenti. «Lo faccio per il bene della nostra famiglia e della nostra nazione. Non c'è futuro nella tua alleanza con le piccole nazioni del mondo. Il tuo è un sogno infantile, cose per favole e racconti per bambini. Solo un'alleanza coi potenti, con quelli che comandano, recherà un vantaggio agli Emirati.» «Così col tuo subdolo amico saudita qui presente ti sei schierato con questi americani rinnegati?» Orsacchiotto lanciò un'occhiata di disprezzo ad Avvoltoio. «Il colonnello americano e i suoi alleati cinesi ci sono utili per il momento. Wolf usa i cinesi, e i cinesi stanno sicuramente usando lui, e noi usiamo tutti loro. Questo accordo presenta i suoi rischi, ma è sempre meglio della tua coalizione di moscerini.» «Preferisco stare in una coalizione di moscerini che in una coalizione di banditi», ribatté Orsacchiotto. «Ricorda, fratello, che i disonesti non mantengono la parola neanche fra di loro. Quando le cose andranno a rotoli, i tuoi alleati non resteranno al tuo fianco. Ti abbandoneranno in un secondo.» Scimitarra fissò Orsacchiotto, sinceramente incuriosito. «Tu stimi questa gente?» Accennò alla fossa. «Il tragico capitano West? L'israeliano che stanno mandando in pasto al Mossad proprio adesso? La volgare figlia dell'Oracolo di Siwa: una bambina che crede sia un suo diritto imparare e ti disonora rivolgendosi a te col nome di un grasso personaggio da cartone animato?» «Sono diventati la mia famiglia, e ora mi rendo conto che per me lo sono più di te.» «Non c'è niente di onorevole in questo modo di vivere, Zahir. È un affronto per tutte le tradizioni cui teniamo. I musulmani non aiutano gli ebrei. Le ragazze non vanno a scuola, né si rivolgono ai musulmani con soprannomi irriverenti. Il mondo che costruirò im-
porrà di nuovo le tradizioni. Ristabilirà gli antichi concetti di onore. È chiaro che non c'è spazio per te in un mondo come questo, ecco perché devi morire.» «Almeno morirò per i miei amici. Tu, fratello mio, morirai solo.» «Capisco.» Scimitarra abbassò gli occhi e fissò il terreno. «Così sia.» Cominciò ad allontanarsi. «Per il rispetto che porto a nostro padre, gli dirò che sei morto con onore, Zahir, facendomi scudo col tuo corpo contro un proiettile nemico. Gli eviterò l'onta della tua morte. Ti lascio ai selvaggi.» Dopodiché, con Avvoltoio al fianco, Scimitarra salì sull'ascensore della torre di servizio e sfrecciò in alto, lasciando la miniera. «Fa' come vuoi, fratello mio», gli disse dietro Orsacchiotto. «Fa' come vuoi.» E così fu abbandonato nella grande miniera sotterranea, in una gabbia medievale sospesa sopra una pozza di liquido maleodorante, a meno di quaranta metri dalla fossa dove il suo buon amico, Jack West Jr., aveva trovato una morte violenta per mano di suo padre. Minuscolo in confronto alle enormi dimensioni della miniera, abbandonato dal proprio fratello, e ora completamente solo nel buio, Orsacchiotto si mise a piangere. PROVINCIA DI KIBUYE, RUANDA, 10 DICEMBRE 2007, ORE 10.35 Sotto una pioggia battente, in riserva e con solo tre motori funzionanti, l'Halicarnassus atterrò senza farsi vedere su un tratto di autostrada nella remota provincia di Kibuye, a sud-ovest del Ruanda. A terra, la rampa posteriore del 747 si spalancò e sbarcò come una freccia la Freelander, con Zoe, Merlino e i bambini a bordo. Portarono con loro il computer portatile di Merlino, uno scanner radio multifrequenza, alcune taniche di benzina e un paio di pisto-
le Glock. Trenta minuti prima, era stata inviata una richiesta d'aiuto a Solomon Kol, in Kenia. Sempre aggiornato sui rischi locali e sui luoghi d'incontro più sicuri, Solomon aveva dato loro appuntamento in una rimessa abbandonata delle Nazioni Unite, numero 409, alla periferia della città ruandese di Kamembe, situata nella provincia più a sud-ovest del Paese, Cyangugu. Sky Monster, tuttavia, non seguì il resto della squadra. Rimase col suo amato aeroplano, da solo, con una coppia di fondine alla cintola e un fucile da caccia in spalla. Intendeva restare con l'Halicarnassus e attendere alcuni soci di Solomon che dovevano portargli del carburante per l'aereo, sufficiente per sorvolare il lago Vittoria fino alla vecchia fattoria in Kenia. E così, con la Freelander che si allontanava a tutta velocità, Sky Monster rimase sotto l'Halicarnassus, da solo tra le colline ruandesi. In lontananza, echeggiò un ululato. Merlino, Zoe, Lily e Alby correvano su una remota autostrada ruandese. Mentre Zoe guidava, l'anziano professore teneva acceso lo scanner radio, cercando d'intercettare qualche segnale. Poco dopo aver lasciato l'Halicarnassus, lo scanner captò una trasmissione militare che ordinava a tutte le forze pubbliche di cercare una Land Rover compatta proprio come la loro, con a bordo passeggeri proprio come loro: una donna bionda, un vecchio con la barba, un probabile terzo uomo, e due bambini. Zoe imprecò. Aerei spia senza pilota che perlustravano i cieli del Kenia. Forze ruandesi che rastrellavano il Paese in cerca di loro. Sembrava che tutta la feccia dell'Africa fosse alle loro calcagna. Non era del tutto inesatto. Zoe ignorava che sei ore prima, su istruzioni di Avvoltoio, dalle casse del Regno dell'Arabia Saudita erano state eseguite transazioni milionarie sui conti bancari di una dozzina di corrotti regimi
africani tanto poveri quanto disperati. Ogni transazione era seguita da un messaggio: Trovate un Boeing 747 nero che doveva compiere un atterraggio d'emergenza da qualche parte nell'Africa centrale. A bordo dovrebbero esserci almeno due fuggitivi occidentali: un vecchio con una lunga barba bianca, una donna bionda con le punte dei capelli rosa e probabilmente un terzo uomo, un pilota neozelandese. Con loro dovrebbero esserci anche due bambini: una bambina egiziana, anche lei coi capelli colorati di rosa, e un bambino di colore con gli occhiali. Ogni nazione africana che parteciperà alle ricerche riceverà 50 milioni di dollari semplicemente per i propri sforzi. Al paese che troverà i fuggitivi e catturerà vivi il vecchio e la bambina andranno 450 milioni di dollari. Grazie a una taglia di mezzo miliardo di dollari, avevano davvero una dozzina di regimi africani alle costole nel posto più pericoloso del pianeta. * Africa. Nell'era dei satelliti GPS e dei viaggi rapidi in aereo, è facile dire che il mondo è piccolo, ma è l'Africa che dimostra quanto sia falsa questa affermazione. L'Africa è grande e, nonostante secoli di esplorazione, gran parte delle regioni centrali ricoperte di giungle resta ignota all'uomo moderno. I territori esterni - come la Nigeria coi suoi giacimenti di petrolio e il Sudafrica con le sue miniere di diamanti - sono stati depredati tanto tempo fa dalle nazioni europee, ma la natura avara e cattiva del suo entroterra ha resistito alla penetrazione occidenta-
le per oltre cinque secoli. Con l'isolamento nasce il mistero, e i misteri dell'Africa sono tanti. Come, per esempio, la tribù dei Dogon del Mali. Benché primitivi, i Dogon sanno da secoli che la stella di Sirio è in realtà un sistema ternario: ha due stelle compagne, invisibili a occhio nudo, stelle conosciute come «Sirio B» e «Sirio C». Grazie ai telescopi, gli astronomi moderni hanno fatto questa scoperta soltanto alla fine del XX secolo. Le antiche leggende orali dei Dogon affermano inoltre che le stelle sono in realtà soli, stupefacente che una tribù primitiva ne sia a conoscenza. Come sia possibile che i Dogon sappiano ciò che sanno è uno dei grandi misteri dell'Africa. Il punto è che non sono l'unica tribù africana a custodire antichi e insoliti segreti. Nel cuore del grande continente nero si trova un minuscolo Stato conosciuto come Ruanda. Ricco di colline e giungle, si estende per meno di duecento chilometri e starebbe senza difficoltà nel Connecticut, uno degli Stati più piccoli degli Stati Uniti. Naturalmente, ora il mondo sa degli ottocentomila Tutsi massacrati dal gruppo etnico degli Hutu nell'arco di un mese nel 1994: un atroce e violento genocidio nel quale gli assassini usarono machete e randelli muniti di un grosso chiodo in testa detti masus. In un solo mese, il dieci percento dei sette milioni e mezzo di ruandesi fu eliminato dalla faccia della terra. Meno note sono tuttavia le condizioni dei sopravvissuti al genocidio: molti dei Tutsi che non furono trucidati ebbero le braccia mutilate a colpi di machete dagli Hutu. Oggi non è raro vedere persone del luogo senza un braccio o un avambraccio che fanno il loro lavoro quotidiano. Povero in canna, decimato da una carneficina senza precedenti e privo di risorse naturali, il Ruanda è stato ripudiato come un turpe
esempio del peggio della natura umana. In un continente già nero, era un buco nero. Quella notte la Freelander rimase parcheggiata dietro una chiesa abbandonata nel Sud della provincia di Kibuye, nascosta sotto rami e un telone sporco. La chiesa faceva paura. I muri erano crivellati di pallottole e imbrattati di sangue. Dal 1994 nessuno si era dato la pena di ripulirli. Zoe era dietro l'edificio, e scrutava nel buio, impugnando un fucile mitragliatore MP-5. Merlino e i bambini erano seduti nella chiesa. «Durante il genocidio, i Tutsi fuggirono in chiese come questa», spiegò Merlino. «Ma spesse volte i preti locali erano in combutta con gli Hutu e le chiese diventavano trappole in cui gli abitanti del villaggio cadevano spontaneamente. I preti trattenevano i Tutsi all'interno promettendo loro l'incolumità, avvisando nel contempo le temutissime pattuglie. Si presentava quindi una pattuglia che trucidava tutti i Tutsi.» I bambini guardavano i fori delle pallottole sporchi di sangue nei muri che li circondavano, immaginando gli orrori che erano avvenuti li dentro. «Non mi piace questo posto», disse Lily, rabbrividendo. «Allora, Merlino», fece Zoe dalla porta, cambiando volutamente argomento. «Dimmi qualcosa. Che cosa significa tutto questo? Dopo che avremo finito con tutti i Pilastri, le Pietre Sacre e i Vertici sotterranei, che cosa accadrà?» «Che cosa accadrà?» ripeté Merlino. «L'apocalisse, il Giorno del Giudizio, la fine del mondo. Ogni religione ha il proprio mito dell'apocalisse. Che sia l'arrivo dei quattro cavalieri o un grande giorno in cui ognuno sarà giudicato, da quando gli uomini hanno messo piede su questo pianeta, tutti hanno immaginato che un giorno finirà tutto male. «Ciò nonostante - in qualche modo - siamo stati chiamati a so-
stenere questa prova, la prova delle prove, questo sistema di Vertici costruito da una civiltà progredita in un lontano passato che ci permetterà di scongiurare tale fine terribile, se siamo all'altezza del compito. A proposito... Lily, potresti dare un'occhiata a questo, per favore?» Prese la fotocamera digitale di Zoe e cercò nella memoria una fotografia che lei aveva scattato nel Primo Vertice, quella di una placca d'oro che avevano visto sulla parete principale.
«Riesci a tradurre queste righe?» domandò a Lily. «Certo», rispose la bambina. «Sembra un elenco, un elenco di... hai carta e penna?» Esaminando l'immagine della placca, buttò giù una traduzione: 1° Vertice La Grande Sala d'Osservazione 2° Vertice La Città dei Ponti 3° Vertice Il Labirinto di Fuoco 4° Vertice La Città delle Cascate 5° Vertice Il Regno dei Signori del Mare 6° Vertice Il Santuario più Grande di Tutti «È una descrizione di tutti e sei i Vertici...» osservò Zoe. «Nonché forse la descrizione più chiara dell'immenso compito che dobbiamo affrontare.»
«Una città di ponti? Un labirinto di fuoco?» domandò Lily a mezza voce. «Che cos'è un labirinto di fuoco? Caspita...» Fece riflettere anche Merlino. «Lily, puoi prendermi il Pilastro, per favore, quello che è stato modificato ad Abu Simbel?» Lily tirò fuori il manufatto dallo zaino. Aveva ancora un aspetto straordinario: non era più opaco ma trasparente, col liquido centrale luminescente, e con la misteriosa scritta bianca sulla superficie cristallina. «Riconosci la scrittura?» domandò Merlino. Lily scrutò attentamente il Pilastro... e spalancò gli occhi. Girò il capo verso il canuto professore. «È un dialetto della Parola di Thoth», rispose. «Un dialetto molto più complesso, ma è sicuramente Thoth.» Esaminò la scritta bianca da vicino. Dopo un minuto concluse: «Sembra un insieme di istruzioni, schemi e simboli raggruppati in formule». «Conoscenza...» disse Alby. «Esatto», convenne Merlino. «Il premio per essere riusciti a collocare il Primo Pilastro nel Primo Vertice. Gli altri premi sono calore, visione, vita, morte e potere. Queste formule che vedi su questo Pilastro caricato sono una specie di conoscenza segreta tramandataci dai costruttori della Macchina.» Lily prese un altro foglio e ricopiò la scritta del Pilastro. E poi, con Alby, cominciò a tradurla. Zoe andò al fianco di Merlino e accennò ai due bambini. «Se la cavano bene.» «Sì. L'importante è fargli coraggio, perché ci sarà da aver paura.» «Più di quanta gliene hai messa tu coi racconti del genocidio ruandese?» Merlino avvampò. «Oh. Sì. Mmm.» «Non importa. Senti, c'è un'altra cosa che mi preoccupa.» «Cosa?» «Tu.» «Io? Cosa c'è?» domandò Merlino, confuso.
Zoe lo stava fissando con un'espressione strana, quasi divertita. Quindi per tutta risposta prese il nécessaire da toilette e tirò fuori un paio di forbici e un rasoio. «Oh, no, Zoe...» protestò Merlino poco convinto. «No...» Dieci minuti dopo, Merlino era di nuovo seduto coi bambini, solo che adesso era sbarbato e la massa di capelli canuti solitamente lunghi rapata a zero. Sembrava un'altra persona; più magro, più allampanato. «Sembri una pecora tosata», ridacchiò Lily. «Mi piaceva la mia barba», disse lui. La bambina non riuscì a trattenere un altro risolino. «D'accordo, Lily», intervenne Zoe, stringendo le forbici. «Accomodati sulla poltrona da barbiere. Tocca a te.» «A me?» Lily sbiancò in volto. Cinque minuti dopo era seduta accanto a Merlino, anche lei a capo chino, i capelli tagliati corti corti, le punte rosa sparite. Fu Merlino a ridacchiare questa volta. Anche Alby. «Lily, sembri un ragazzo...» «Chiudi il becco, Alby», borbottò la bambina. «Scusami, ma ho dovuto farlo, piccola», disse Zoe, raccogliendosi i capelli dietro la testa con le mani. «Vuoi tagliare i miei?» Lily obbedì, tagliando controvoglia le punte rosa dei lunghi capelli biondi di Zoe, e rovinando l'acconciatura che avevano fatto insieme in momenti più felici. Quand'ebbe finito, Zoe somigliava a una rockettara punk coi capelli corti. «Forza, è ora che cerchiamo di dormire un po', tutti quanti», disse Zoe. «Merlino, tu fai il primo turno di guardia. Io faccio il secondo.» Con ciò ciascuno di loro si cercò un cantuccio sul pavimento e, con Merlino di guardia alla porta di servizio, si rannicchiarono nella sperduta chiesa ruandese, un luogo che puzzava di morte. *
Lily si svegliò con un grido soffocato da una mano che le tappava la bocca. Era Zoe. «Ferma, siamo nei guai.» Con gli occhi spauriti, Lily si guardò intorno. Erano ancora nella chiesa abbandonata. Poco lontano, Alby era rannicchiato sul pavimento, senza fiatare. Di Merlino non c'era traccia. Attraverso una finestra sporca e rotta Lily vide i primi bagliori azzurri dell'alba... Una figura passò davanti alla finestra. Un uomo di colore con indosso una tuta mimetica e un casco, nonché armato di machete. «Sono arrivati pochi minuti fa», bisbigliò Zoe. Merlino apparve al fianco di Zoe, tenendo la testa bassa. «Sono in quattro e hanno un technical parcheggiato accanto all'edificio.» «Technical» era il nome di un camioncino molto diffuso in Africa, un grande pick-up con una mitragliatrice montata sul pianale posteriore scoperto. Merlino aggiunse: «Indossano vecchie uniformi. Forse sono ex militari che il governo non poteva permettersi di pagare, e ora una banda di stupratori». Nella terra desolata che era adesso il Ruanda, si aggiravano bande di stupratori: predatori umani in cerca di donne e bambini in fattorie e villaggi isolati. Era noto che terrorizzavano intere città, a volte per tutta una settimana. Zoe torse le labbra prima di dire: «Prendi i bambini e aspetta davanti alla porta di servizio. Preparati a correre al camioncino». «Al camioncino?» «Sì.» Zoe si alzò, lo sguardo deciso. «Tanto abbiamo bisogno di un'altra macchina.» Parecchi minuti dopo, il capo della banda di stupratori girò intorno all'angolo della facciata della chiesa.
Magro ma muscoloso, indossava una logora uniforme di fatica dell'esercito con la camicia aperta sul petto. Il casco, tuttavia, non era d'ordinanza: era un casco blu su cui spiccava la scritta UN in lettere cubitali bianche; un macabro bottino che era molto apprezzato dai criminali ruandesi. Quell'uomo aveva ucciso qualcuno che faceva parte di un contingente di pace delle Nazioni Unite. Il capobanda scivolò quatto sotto il porticato della chiesa, brandendo un machete nel pugno... «Cerchi qualcosa?» L'uomo girò su se stesso e vide Zoe sulla porta principale della chiesa abbandonata. Sulle prime rimase sbalordito da ciò che vide: una donna, una donna bianca. Poi socchiuse gli occhi con un'aria malvagia. Chiamò i suoi compari in kinyarwanda. Gli altri tre giunsero correndo dal camioncino e quando videro Zoe l'accerchiarono. Zoe batté il piede sulla tavola di legno - il segnale che Merlino e i bambini attendevano per fuggire dalla porta sul retro - e poi fece un passo avanti, al centro del cerchio di stupratori. Accadde tutto in pochi secondi. Il capobanda si avventò contro Zoe, proprio mentre lei, fulminea, gli tirava un pugno tremendo alla gola. L'uomo crollò in ginocchio, incapace di respirare, al che gli altri tre si lanciarono all'attacco. Ma con un turbine di mosse Zoe sferrò un calcio al petto di uno, rompendogli le costole, spaccò il naso a un altro con una violenta gomitata e infine percosse l'ultimo all'inguine con un colpo del machete del secondo uomo, impugnato come una mazza da baseball. Con un urlo lancinante l'uomo stramazzò per terra. In pochi secondi, era tutto finito. I quattro ruandesi giacevano ai piedi di Zoe, contorcendosi dal dolore. «Ve la siete cavata a buon mercato», disse mentre il pick-up si fermava con una slittata poco lontano, ora guidato da Merlino coi bambini seduti dietro.
Raccolse i machete della banda, tolse la camicia militare al capo - oltre al casco blu delle Nazioni Unite - e salì a bordo del camioncino, che partì con una sgommata, avendo alle spalle le prime luci dell'alba. * Più tardi, quel mattino, Zoe e gli altri sfrecciarono nella provincia di Cyangugu a bordo del pick-up armato. Al volante c'era Zoe, che ora indossava la camicia militare che aveva levato al capo dalla banda di stupratori, mentre sul sedile del passeggero sedeva Merlino, con le spalle dritte e in testa il casco delle Nazioni Unite. Sembravano un ufficiale superiore delle Nazioni Uniti scorrazzato per il Paese dall'autista donna. Ai bordi della strada giacevano le carcasse abbandonate delle jeep militari, spogliate degli pneumatici e dei cerchioni. Un numero angosciante di donne prive di un braccio era occupato a cucinare davanti alle case. I bambini diguazzavano nelle fogne a cielo aperto. Gli uomini del posto giacevano privi di sensi sugli scalini d'ingresso, già ubriachi prima di mezzogiorno. Uno di loro, notò Zoe, aveva un telefono cellulare sporco agganciato alla cintura. Il telefono irrintracciabile fu acquistato con facilità e, quando il gruppo arrivò in prossimità della città di Kamembe, Lily provò a chiamare il cellulare di Jack. Lo mise in viva voce, così che anche gli altri sentissero. Il telefono squillò una volta... Clic. «Pronto...?» Sembrava Jack. «Papà!» esclamò Lily. «No, non sono il tuo papà, Lily. Ma è un piacere conoscerti finalmente. Sono tuo nonno, Jonathan West Sr., e mi spiace informarti che ho ucciso tuo padre un giorno fa. Grazie per la telefonata, comunque. Ora i miei uomini possono triangolare la tua po-
sizione.» Lily premette in fretta e furia il tasto di fine chiamata, pallida come un cencio. Zoe scambiò un'occhiata con Merlino. «Hanno ucciso Jack...» Strappò il telefono dalla mano di Lily e provò a chiamare Orsacchiotto e Spilungone, ma entrambe le chiamate furono deviate a una casella vocale: per qualche motivo, i loro telefoni erano spenti. «Jonathan West Sr...» disse Merlino con un filo di voce. «Wolf. Mio Dio, è lui a capo dell'operazione. E ora sa dove siamo... il che significa che capirà che stiamo andando a cercare i Neetha.» Zoe distolse lo sguardo, la mente affollata da una ridda di pensieri. Jack è morto, e noi siamo nel cuore dell'Africa, da soli e braccati... Accanto a lei, Lily fissava il vuoto, gli occhi vitrei. E poi scoppiò in singhiozzi, lunghi, disperati, strazianti. Alby le cinse le spalle con un braccio. «Non possiamo mollare», disse Merlino con voce dolce ma ferma. «Jack non avrebbe voluto che mollassimo. Dobbiamo restare concentrati e trovare i Neetha e il Secondo Pilastro.» Zoe tacque a lungo, la mente ancora in subbuglio. In un sol colpo, aveva scoperto che l'uomo che amava era morto e che un'enorme responsabilità le era ricaduta sulle spalle - i Neetha, i Pilastri, l'incolumità di Lily e Alby - e non era sicura di potercela fare. Voleva piangere anche lei, ma sapeva di non poterlo fare davanti agli altri. Ma poi Lily parlò e Zoe tornò alla realtà con un battito delle palpebre. «Mi dispiace», disse la bambina. «Non volevo che scoprissero dove siamo...» «Non ti dispiacere, tesoro», la rassicurò lei con dolcezza. «Volevamo tutti chiamarlo.» Lily guardò Zoe, le guance rigate di lacrime. Lei ricambiò lo
sguardo e poi la bambina si gettò fra le sue braccia e scoppiò in un pianto dirotto, stringendola con tutte le sue forze. Abbracciate, Zoe volse gli occhi sulla strada davanti a loro. Le montagne ricoperte di giungla del Congo si profilavano all'orizzonte, verso ovest. Il Congo era molto più aspro del Ruanda, più boscoso, più impenetrabile. Lì da qualche parte vivevano i Neetha, una tribù misteriosa nota per i volti deformati e la sfrenata ferocia, i guardiani del Secondo Pilastro. E ora, da sola e senza Jack, Zoe doveva trovarli. Intorno alle due del pomeriggio arrivarono alla periferia di Kamembe, dove trovarono rapidamente la rimessa abbandonata delle Nazioni Unite. Sembrava una discarica. La recinzione a rete metallica alta tre metri era rotta in diversi punti e a ridosso di un vecchio cancello c'era un cartello malandato: NAZIONI UNITE - RIMESSA 409: RIPARAZIONE E RIFORNIMENTO VELIVOLI. Attraverso la recinzione, Zoe vide un paio di autocisterne appoggiate sui mattoni, le gomme e le parti vitali sparite da tempo, e un paio di elicotteri Huey arrugginiti privi di pattini d'appoggio. Un uomo sbucò da dietro l'elicottero più vicino. Un altissimo uomo di colore. Zoe puntò il fucile... «Zoe? Sei tu?» La giovane donna tirò un sospiro di sollievo e, per la prima volta dopo giorni, sorrise. Era Solomon Kol. Solomon era accompagnato da due facchini, che trasportavano taniche di carburante appese ad aste sulle spalle. «Questi sono amici miei», spiegò Solomon. «Hanno portato il carburante per il vostro aeroplano. Siamo qui da stamattina presto e cominciavamo a chiederci se foste caduti in un agguato.»
«Quasi», ironizzò Merlino. «Abbiamo portato anche qualcosa da mangiare», aggiunse Kol sorridendo. «Oh, Solomon», fece Zoe, «che bello rivederti.» Sedettero e mangiarono dentro la rimessa delle Nazioni Unite. «Un mio amico ha un Fokker, per irrorare le colture. Ci ha portati qui in aereo stamattina, e ci ha scaricati un paio di chilometri a est di qui», disse Solomon. «Nei villaggi che abbiamo attraversato corre voce di un annuncio dato dalla rete radiofonica governativa. Parlava di una forte ricompensa per colui o coloro che trovavano un gruppo di fuggitivi bianchi che si riteneva fossero in Ruanda. I nostri nemici hanno lanciato una grande rete per prendervi e si fanno aiutare dalla gente comune...» «Ehi! Credo di aver capito...» scattò Alby interrompendolo. Era rimasto seduto in disparte, senza smettere di studiare il Primo Pilastro caricato. Era diventata una specie di ossessione per lui, capire che cosa significavano i simboli luminosi di quel manufatto. Con l'aiuto di Merlino e Lily, aveva capito il senso di alcuni, ma ora aveva trovato un altro collegamento. Merlino e Zoe guardarono nella sua direzione. «Cosa c'è, Alby?» domandò l'anziano professore. Alby mostrò il Pilastro di forma oblunga e trasparente con la cavità piramidale a un'estremità. Indicò le quattro facce lunghe. Tutte presentavano la scritta bianca luminosa. «Osservate questa faccia, questa specie di reticolo. È una varietà allotropica del carbonio: una struttura estremamente complessa di atomi di carbonio, molto più complessa di qualunque altra struttura conosciuta oggi.» «Che cosa significa?» domandò Lily. «Il carbonio è il costituente fondamentale dei diamanti, il materiale più duro sulla terra. Anche la fibra di carbonio è durissima, ma leggera: si usa per rinforzare gli aerei da combattimento e le
auto da corsa. Forte e leggera. Il titanio, l'acciaio sono forti, sì, ma sono pesanti. Questa struttura, tuttavia, è diversa: una lega di carbonio straordinariamente forte e leggera allo stesso tempo.» «Una conoscenza scientifica...» commentò Merlino a mezza voce. «È una conoscenza scientifica.» «Hai decifrato qualche altra faccia?» volle sapere Zoe. «In modo parziale. Questa qui sembra la rappresentazione di Sirio e delle sue due stelle compagne. La seconda stella è mostrata come un campo del punto zero, la stessa materia di cui è fatto il Sole Nero.» «Che bello sapere che questo può capitare anche altrove nell'universo», commentò Merlino. «L'altra faccia del Pilastro è ancora più pazzesca», proseguì Alby. «Be', sembra una spiegazione del problema dell'espansione dell'universo.» «Oh, mio Dio...» Merlino spalancò gli occhi. «Sei sicuro?» «Il problema dell'espansione di cosa?» domandò Lily. Merlino spiegò: «È generalmente accettato che il nostro universo si espande. Il problema che gli astrofisici e i teorici hanno dovuto affrontare, però, è che si dovrebbe espandere più rapidamente di quanto faccia in realtà. Ciò ha portato gli scienziati a concludere che c'è un'energia negativa o forza da qualche parte nello spazio che tiene insieme l'universo - che lo tiene legato, per così dire rallentando in tal modo la sua espansione. La scoperta degli elementi fisici di questa energia negativa ti farebbe vincere il premio Nobel domani». Lily fece un sorriso ad Alby. «Ti conviene cominciare a scrivere il discorso.» «Non credo che trovare un antico Pilastro e decifrarlo valga come scoprire qualcosa», scherzò Alby. Merlino proseguì: «Il punto è che queste sono cognizioni straordinarie; una conoscenza straordinaria. La scoperta di Alby è, in sostanza, la spiegazione dello stato di equilibrio dell'universo; l'equilibrio finora inspiegabile di un universo che si espande dal Big
Bang ma che è tenuto perfettamente sotto controllo da una forza contraria. Questo è un momento memorabile. Una conoscenza avanzata che ci è tramandata da una civiltà passata estremamente generosa...» Un urlo trafisse l'aria, echeggiando tra le colline. Un urlo raggelante. Si zittirono tutti mentre puntavano lo sguardo sulla campagna ruandese. La scoperta di Alby aveva fatto loro dimenticare per un attimo dove si trovavano. Quando tutto tornò quieto, Merlino disse: «M'interesserebbe molto sapere che cosa dice l'ultima faccia del Pilastro. Ottimo lavoro, Alby, sei stato molto bravo. Jack lo diceva sempre che eri un bambino speciale. Lily è fortunata ad avere un amico come te». Alby s'illuminò. Zoe aveva seguito l'intero scambio di parole con grande curiosità: concentrarsi su quei problemi ed enigmi era un buon modo per distogliere il pensiero dalla perdita di Jack. Si sporse e disse: «Se questo premio è la conoscenza dunque, in cosa consisterà il prossimo, il calore?» Tutti gli occhi si puntarono su Merlino. «In qualcosa di analogamente avanzato, suppongo. Ma in qualche modo diverso dalla pura conoscenza come questa. Un tempo conoscevo un accademico che era interessato alle Pietre di Ramses, un collega del MIT di nome Felix Bonaventura. «Bonaventura era interessato principalmente al secondo premio. Secondo lui, calore significava energia, una fonte di energia di qualche tipo, dal momento che tutte le nostre fonti di energia richiedono la produzione di calore: il carbone, il vapore, la combustione interna, nonché l'energia nucleare. Ma, se potessimo produrre calore o movimento senza che sia necessario un combustibile, avremmo una fonte illimitata di energia.» «Stai parlando del moto perpetuo?» domandò Alby incredulo. «Era proprio quello, stando a Bonaventura, il secondo premio», rispose Merlino. «Il segreto del moto perpetuo.»
«La Cina ucciderebbe per una cosa del genere», osservò Zoe. «Si sta avvelenando con l'inquinamento prodotto dalla combustione del carbone.» «Anche l'America», aggiunse Alby. «Non avrebbe più bisogno del petrolio del Medio Oriente.» «Tutto il mondo cambierebbe», disse Merlino. «I sauditi e i loro vasti giacimenti di petrolio non sarebbero più necessari. Il carbone diventerebbe inutile. Be', la guerra così come la conosciamo muterebbe. Sapete che alla fine della seconda guerra mondiale i nazisti usavano cavalli e carri perché avevano finito la benzina? Come premio, una fonte pulita di calore cambierebbe radicalmente il mondo, non c'è dubbio.» Durante il pomeriggio, Solomon e Zoe si misero a riparare uno degli elicotteri Huey nella rimessa delle Nazioni Unite. A differenza delle autocisterne, i motori degli elicotteri erano più o meno intatti e, quando a un elicottero mancava un pezzo, potevano recuperarlo quasi sempre da un altro. Nel tardo pomeriggio, Solomon tornò dall'elicottero, pulendosi le mani con uno straccio. «Signori e signore. Il vostro elicottero è pronto.» Merlino scattò in piedi. «Andiamo a cercare i Neetha.» REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO, 11-14 DICEMBRE 2007 Il vecchio e arrugginito elicottero Huey delle Nazioni Unite sorvolava i monti ricoperti di giungle del Congo orientale, sempre senza pattini di appoggio. Ai comandi c'era Zoe, con a fianco Merlino, occupato a sfogliare tra una caterva di mappe, appunti e il computer portatile. «Un paio di anni fa Jack ha fatto per me alcune ricerche sui Neetha», disse, trovando una pagina in mezzo agli appunti:
TRIBÙ DEI NEETHA • Tribù isolata della Repubblica Democratica del Congo / Regione dello Zaire; guerresca; molto temuta dalle altre tribù; cannibali. • Tutti gli appartenenti sono affetti da deformità congenite, una variante della Sindrome di Proteo (crescita ossea del cranio, tipo l'Uomo Elefante). • Scoperta per caso da HENRY MORTON STANLEY nel 1876; i guerrieri neetha uccisero diciassette uomini della sua spedizione; Stanley si salvò per miracolo; anni dopo, provò a ritrovarli, ma stranamente non riuscì a localizzarli. • Probabilmente la stessa tribù in cui s'imbatte l'esploratore greco GERONIMO durante la spedizione nell'Africa centrale nel 205 a.C (Geronimo accennò a una tribù con spaventose deformità facciali nelle giungle a sud della Nubia. Fu ai Neetha che rubò il globo trasparente che in seguito fu usato dall'Oracolo di Delfi.) • ESPERTO PIÙ FAMOSO: DOTTORESSA DIANE CASSIDY antropologa della USC Ma tutta la sua spedizione di 20 uomini è scomparsa nel 2002 mentre cercava i Neetha nel Congo. • La Cassidy trovò questo graffito in una grotta nel Nord dello Zambia e lo attribuì agli antenati dei Neetha:
• Sembra raffigurare un vulcano vuoto col Globo di Delfi sulla sommità ma il suo significato resta oscuro. «Ehi, ho visto quel graffito!» esclamò Zoe. «Era nel...»
«... Primo Vertice», finì Merlino. «Il che suggerisce un chiaro collegamento tra la nostra ricerca e i Neetha. La chiave, tuttavia, è Geronimo.» Consultò il database nel suo computer portatile. «Geronimo... Geronimo... ah, eccolo qui!» Aveva trovato la voce che cercava: la scansione di una pergamena, scritta in greco. «Che cos'è?» domandò Lily. «È una pergamena che era conservata nella Biblioteca di Alessandria, scritta dal grande maestro ed esploratore greco Geronimo.» Anni prima, Merlino e Jack avevano riportato alla luce una vasta raccolta di pergamene sui monti dell'Atlante; una raccolta che, risultò, apparteneva alla leggendaria Biblioteca di Alessandria, creduta distrutta per molto tempo, dopo che i romani bruciarono la famosa biblioteca. Dopo mesi di meticoloso lavoro, Merlino era riuscito a importare con uno scanner tutte le pergamene nei suoi numerosi computer. «Geronimo era un uomo davvero fuori del comune. Non solo era un grande maestro, ma era anche un esploratore senza confronti: l'Indiana Jones del mondo antico. Insegnò al fianco di Platone all'Accademia, ed ebbe come discepolo niente meno che Aristotele. Fu anche colui che rubò il Globo di Delfi ai Neetha e lo portò in Grecia, dove in seguito l'Oracolo di Delfi lo usò per predire il futuro.» «Il Globo di Delfi?» ripeté Zoe, ai comandi dell'aereo. «Ti riferisci alla Pietra Veggente di Delfi? Una delle Sei Pietre Sacre?» «Sì», rispose Merlino. «Geronimo lo rubò ai Neetha, ma, da ciò che ho studiato di lui, ebbe sempre intenzione di restituirlo. Ecco perché scrisse questa pergamena: sono istruzioni dettagliate per trovare i Neetha, così che il Globo potesse essere restituito un giorno.» «Fu mai restituito?» domandò Zoe. «Dopo aver visto il suo potere, i greci non vollero darlo indietro», rispose Merlino, «ma, nei suoi ultimi anni di vita, Geronimo
s'intrufolò nella grotta-tempio dell'Oracolo, prese la Pietra Veggente e fuggì dalla Grecia in barca. Prima di addentrarsi nel Sud dell'Africa, si fermò ad Alessandria, dove depositò queste pergamene nella Biblioteca. Non fu mai più rivisto.» Merlino si rivolse a Lily. «Riesci a tradurre questa pergamena?» La bambina si strinse nelle spalle. Il greco antico era una passeggiata per lei. «Certo. Dice: NELLA VALLE DEI GUARDIANI ARBOREI LÀ DOVE S'INTERSECANO I TRE TORRENTI MONTANI PRENDETE QUELLO SINISTRO LÀ ENTRERETE NEL REGNO OSCURO DELLA TRIBÙ CHE ANCHE IL GRANDE ADE TEME». «La tribù che anche il grande Ade teme?» ripeté Zoe. «Affascinante.» Solomon interloquì: «La reputazione dei Neetha è così spaventosa che è entrata nella leggenda. Molti africani raccontano storie di orchi neetha per spaventare i bambini: cannibalismo, sacrifici umani, giovani massacrati». «Ci vuol ben altro che una storia di paura per spaventarmi», disse Lily con la voce adulta migliore che le riuscì. «Allora, cos'è la 'Valle dei Guardiani Arborei'? Sembra un punto di partenza.» «Arboreo vuol dire 'dell'albero'», osservò Alby. «I Guardiani degli Alberi?» Merlino stava consultando di nuovo il suo database. «Sì, sì. Ho già incontrato un accenno a una valle come questa. Eccolo. Ahha...» Lily si sporse, e vide il titolo di un libro sullo schermo, un vecchio romanzo di avventure dell'Ottocento intitolato Attraverso il Continente Nero, di Henry Morton Stanley. «Stanley scrisse molti libri sulle sue spedizioni in Africa, quasi
tutta robaccia romanzesca», spiegò Merlino. «Questo qui, però, narrava per filo e per segno il suo viaggio veramente straordinario attraverso il continente africano, da Zanzibar sulla costa est a Boma sulla costa ovest. Stanley partì da Zanzibar con una spedizione di 356 persone e, più di un anno dopo, sbucò sull'estuario del fiume Congo in prossimità dell'Atlantico con solo 115 sopravvissuti, tutti sul punto di morire d'inedia. «Durante il viaggio, Stanley raccontò di molti combattimenti con le tribù indigene, compreso uno scontro particolarmente cruento con una tribù che ricorda i Neetha. Subito prima di quella battaglia Stanley raccontò di aver attraversato la giungla di una valle sperduta in cui gli alberi erano stati scolpiti in magnifiche statue, altissime statue di uomini, alcune alte più di venti metri. «Una valle come questa non è stata mai trovata, un fatto increscioso che servì solo a rafforzare l'opinione storica generale che Stanley si fosse inventato gran parte delle sue avventure.» «Quindi...?» lo incalzò Zoe. «Quindi ritengo che Stanley dicesse la verità; ha solo riportato le indicazioni sbagliate... cosa che faceva molto spesso. Ecco perché nessuno ha mai trovato questa valle. Ma, se riusciamo a ricostruire il vero percorso di Stanley dai punti di riferimento e dalle caratteristiche del terreno, forse potremmo essere fortunati.» «Non posso dire di avere un piano migliore», convenne Zoe. «Nemmeno io», aggiunse Lily. «Facciamolo.» * Il Congo. Un tempo noto come Zaire, ma ribattezzato Repubblica Democratica del Congo nel 1997, il Congo è il terzo Stato più grande dell'Africa, grande quasi quanto l'India. Ciò nonostante, solo il tre percento del suo vasto territorio è coltivato; il restante novantasette percento è giungla, in gran parte inesplorata. È una terra aspra - dai pericoli del grande fiume Congo alle fitte
giungle brulicanti di serpenti e iene, per non parlare delle catene di vulcani attivi nel selvaggio Sud-est -, il cuore nero del Continente Nero. Seguendo le indicazioni di Merlino, Zoe puntò a sud. Volarono per quattro giorni, facendo scalo ogni tanto in una rimessa abbandonata delle Nazioni Unite per rubare viveri e carburante, fino a che non entrarono nella regione meno popolata del Paese - forse dell'intero continente -, l'altopiano del Katanga nel profondo Sud. Punteggiato di vulcani, montagne e lussureggianti valli fluviali, era tanto spettacolare quanto sperduto. Gigantesche cascate precipitavano da crepacci nelle rocce. Alimentati da una perenne umidità, gli strati di foschia che ammantavano le valli aleggiavano tutto il giorno. Ai comandi dell'elicottero, Zoe accese lo scanner radio per poter monitorare continuamente tutte le frequenze, militari e commerciali, così da tenere d'occhio qualunque attività radio nell'area: pattuglie dell'esercito congolese, personale delle Nazioni Unite e forse... «... Wolf, qui Spadone. Ho appena captato un segnale anomalo a sud di Kalemie. Impronta di Huey. Potrebbero essere loro...» «... Verificare...» rispose la voce di Wolf. Gli uomini di Wolf erano alle loro costole. Poi, verso la fine del quarto giorno, dopo aver seguito una dozzina di piste false, Merlino scorse una montagna che Stanley aveva menzionato nel suo libro, una montagna con due cascate. «Eccola!» esclamò eccitato nonostante il rombo dei motori. «Zoe! Taglia a sud-ovest!» Zoe obbedì, scendendo e sorvolando la valle fluviale coperta d'alberi che era alimentata da tre piccoli torrenti di montagna, ognuno dei quali affluiva da valli fluviali ancora più fitte d'alberi. «Portaci giù, dove i tre fiumi s'intersecano», disse Merlino ad alta voce.
Atterrarono sulla sponda del fiume. L'elicottero senza pattini si posò con delicatezza sulla pancia. Poi, guardinghi, scesero dal velivolo. Fu Lily a scorgerli per prima. «Che forte...» esclamò col fiato sospeso, guardando la giungla poco più avanti. Alby sopraggiunse al suo fianco. «Come... oh, mio Dio...» Restò a bocca aperta. Davanti ai loro occhi, sotto una coltre di foschia, si estendeva una foresta di altissimi alberi. Grigi e spettrali, s'innalzavano fino a sessanta metri, le fronde più elevate intrecciate a formare una volta che il sole non riusciva a penetrare. Ma furono i tronchi - enormi - a catturare l'attenzione dei bambini. Ogni tronco - erano dozzine, fila dopo fila, tutti di almeno nove metri di diametro - era stato meravigliosamente scolpito nelle figure di uomini. Alcuni raffiguravano vecchi capi, altri guerrieri e sacerdoti. Avevano tutti un aspetto severo, fiero e bellicoso. Ed erano tutti vecchi, molto vecchi. Gli imponenti alberi erano scoloriti dall'età e strangolati da un intrico di piante rampicanti, le quali sembravano avvolgere le figure come le spire di un gigantesco serpente. Le grandi sculture si perdevano nella nebbia, un esercito di sentinelle che al tempo stesso facevano la guardia. L'aria era ferma, la fitta giungla silente. Merlino andò al fianco di Lily, e le pose una mano sulla spalla. «La Valle dei Guardiani Arborei», disse sottovoce. «Oh, mio Dio. L'abbiamo trovata.» «E ora dove andiamo?» domandò Solomon, comparendo al loro fianco. Alby teneva la fotocamera digitale di Zoe appesa al collo. La sollevò e fece una serie di foto a scatto continuo dell'incredibile
foresta di statue. Merlino recitò a memoria la pergamena di Geronimo: «'Nella Valle dei Guardiani Arborei / là dove s'intersecano i tre torrenti montani / prendete quello sinistro.' Sembra chiaro. Procediamo verso l'intersezione dei tre torrenti qui vicino e prendiamo il ramo sinistro». «Quello sinistro?» fece Solomon. Lily sorrise. «Non credo che faccia paura, Solomon. In latino, sinister significa sia che fa paura sia che sta a sinistra. Prenderemo il tributario che sta a sinistra.» Mentre gli altri ammiravano incantati la sterminata foresta di statue, Zoe era occupata a esplorare la sponda del fiume risalendo la corrente. Qualcosa aveva attirato la sua attenzione a una cinquantina di metri in quella direzione e voleva vedere che cosa fosse. Seguì un'ansa del fiume... e si fermò di colpo. Non meno di trenta barche fluviali erano ammassate davanti a lei, sfasciate e semisommerse nel fiume. Relitti di vari tipi e periodi: alcuni di imbarcazioni recenti, altri di motovedette della seconda guerra mondiale, altri ancora più vecchi: barche fluviali dell'Ottocento del tipo utilizzato da Henry Morton Stanley. C'era anche una coppia di idrovolanti distrutti e un elicottero rotto coi contrassegni dell'esercito angolano. Zoe s'irrigidì. Era un cimitero di veicoli che erano arrivati in quel luogo e non se n'erano più andati. «Oh, merda. Siamo caduti in una trappola.» Si girò e gridò: «Lily! Merlino! Tornate all'elico...» Fu in quel momento, tuttavia, che il loro elicottero esplose. * L'esplosione rimbombò in tutta la valle.
Merlino, Solomon e i bambini si girarono di scatto e videro l'elicottero scoppiare in un'enorme palla di fuoco. Zoe tornò indietro correndo lungo la sponda del fiume, fissando il relitto in fiamme del velivolo. Poi un ramo si spezzò con uno schiocco sull'altra sponda e Zoe si girò in tempo per vedere una figura scura scivolare fuori dall'acqua e scomparire nel fogliame. Un indigeno. E Zoe capi. I Neetha erano stati scoperti nel corso dei secoli, forse molte volte. Da esploratori, per caso, anche da una pattuglia angolana, a quanto sembrava. Ma, se nessun estraneo che trovava la tribù riusciva a fuggire per raccontare al mondo di loro, allora i Neetha sarebbero rimasti per sempre avvolti nella leggenda. E quale modo migliore di distrarre un visitatore appena arrivato di quegli alberi magnificamente scolpiti? Le grandi statue attiravano l'attenzione del visitatore mentre i sabotatori della tribù facevano affondare la barca o mettevano fuori uso l'elicottero. E ora hanno preso in trappola anche noi, pensò. «Cristo. Come ho potuto essere così... oh, dannazione.» Emersero dal fogliame ai piedi dei grandi alberi lavorati: indigeni dalla pelle scura, i volti coperti di pittura di guerra bianca, gli occhi gialli iniettati di sangue. Dalla fronte e dalla mascella protrudevano orribili escrescenze ossee, che davano loro un aspetto raccapricciante, per niente umano. La Sindrome di Proteo, pensò Merlino. Deformità provocate dall'alimentazione e aggravate da anni di accoppiamenti tra consanguinei. Erano forse sedici e impugnavano archi e pistole. Avanzavano in modo lento, guardingo, ma deciso. Avvicinandosi da ogni parte, Zoe, Solomon e Merlino formarono d'istinto un cerchio intorno ai due bambini. «Credo che la nostra ricerca sia finita», disse Solomon sottovoce. «A quanto pare, i Neetha hanno trovato noi.»
SESTA MISSIDNE LA TRIBÙ CHE L'ADE TEME
REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 15 DICEMBRE 2007 DUE GIORNI PRIMA DELLA SECONDA SCADENZA
IL REGNO DEI NEETHA, PROVINCIA DI KATANGA, CONGO,
14 DICEMBRE 2007, ORE 19.30 Circondati dai guerrieri neetha, Zoe e il gruppo furono costretti a marciare su per il ramo sinistro del fiume: una camminata tortuosa in mezzo al fitto fogliame e davanti a una serie di rapide rocciose. A un certo punto della marcia, Merlino incespicò in una radice e cadde; si tirò in ginocchio solo per trovarsi una spada premuta alla gola, una guardia neetha che lo agguantava nella chiara convinzione che fosse stato un tentativo di fuga. «Quwanna wango», sibilò il Neetha. Merlino s'irrigidì mentre il suo rapitore gli premeva con lentezza la lama sulla gola, tracciando una sottile linea di sangue. Zoe e gli altri trattennero il respiro... ma d'improvviso la guardia mollò Merlino con un brutale spintone. Nessun altro mise un piede in fallo di lì in poi. Al calar della sera, giunsero sotto una grande rupe che s'innalzava al di sopra della giungla. Dinanzi a loro si parò un ampio crepaccio nella parete naturale per il resto piena, un'impressionante gola larga forse venti metri. Era chiusa da un'imponente struttura artificiale, un enorme forte illuminato da torce fiammeggianti e fatto di grandi massi cubiformi. Centinaia di zanne d'elefante affilate fiancheggiavano una ripida scalinata di pietra che saliva alla costruzione, tutte rivolte all'esterno, minacciose. L'unico varco nella struttura era una grande entrata alla base. Alta almeno sei metri, era stata costruita a guisa di fauci spalancate d'animale. Un fiume impetuoso sgorgava dalla sua metà inferiore, precipitando in un canale al centro della scalinata di pietra, così da nascondere il passaggio. Dieci guerrieri neetha presidiavano il basamento di fronte all'entrata. Con loro, ringhiando, grugnendo e strattonando le catene, c'erano delle iene. «Iene addomesticate?» mormorò Zoe con raccapriccio mentre salivano i gradini. Merlino rispose sottovoce: «Geronimo sosteneva che i Neetha
usavano le iene come cani da caccia, ma i suoi resoconti furono bollati come troppo fantasiosi. Diceva che allevavano le iene sin da cuccioli e che le addestravano con un crudele metodo a base di maltrattamenti e stenti». Solomon sibilò: «Se fosse possibile addomesticare una iena, sarebbe un aiuto prezioso. Il loro fiuto non ha rivali. Non potresti mai sperare di sfuggire a un branco che ti dà la caccia». «Una trappola giù al fiume. Navi e aerei distrutti. Iene come cani da guardia», rifletté Zoe. «Ma in che diavolo ci siamo cacciati?» Strinse la mano di Lily un po' più forte. Giunsero alla grande entrata in cima alla scalinata. Una delle sentinelle suonò un corno e d'improvviso un ponte di legno dotato di scalini si abbassò dall'interno della struttura ad arco, scavalcando il fiume impetuoso che scaturiva dalla bocca spalancata dell'entrata. Schiacciati dall'enorme arco, circondati dalle terribili guardie, Zoe e i suoi compagni salirono sul ponte levatoio e scomparvero dentro il passaggio, entrando nel regno dei Neetha. Sbucarono nel crepaccio. Ai loro lati, rocce s'innalzavano a strapiombo fino al cielo. In cima alla gola, a centoventi metri d'altezza, gli alberi della foresta pluviale erano stati piegati di proposito, costretti a crescere verso l'interno così da formare una volta sopra la gola, coprendola. A un osservatore che l'avesse sorvolata, la gola - già nascosta fra tre vulcani spenti - sarebbe stata indistinguibile dal mare verde di alberi sovrastanti. Di giorno, immaginò Zoe, la luce doveva filtrare a chiazze attraverso la volta di fronde, ma in quel momento era trafitta da sottili fasci di luce lunare, che gettava nella gola un inquietante chiarore bluastro. Mentre fissava le altissime pareti col naso all'insù, Lily notò uno strano movimento: un gocciolio continuo che colava dalle rocce frastagliate, alimentando le macchie di rampicanti avvinghiati alle
pareti. Tra le piante serpentine c'erano serpenti veri d'ogni specie: pitoni maculati delle rocce africani, mamba neri e vari altri che scivolavano dentro e fuori da ogni orifizio. «Li vedete?» domandò senza fiato. Alby annuì con vigore. «Uh-hu.» Serpeggiando, la gola si perdeva nell'oscurità brumosa, sbarrata da forti di pietra che impedivano agli intrusi di camminare in linea retta. In modo simile, sul fondo della gola erano sparse sostanze che ostacolavano il passaggio. Era perlopiù acqua, un flusso veloce che alla fine defluiva dall'entrata. Ma lungo il percorso quel flusso attraversava due fitti canneti, tre pantani e una palude maleodorante popolata da numerosi coccodrilli del Nilo seminascosti. Quando il gruppo uscì dal passaggio, la guardia in testa suonò un altro corno e una squadra di schiavi fece girare una grande ruota dentata piazzata in uno dei forti a monte. Di colpo, davanti alla squadra di Zoe affiorò una serie di pietre nascoste sott'acqua, che fornirono subito un passatoio a zig-zag per continuare ad attraversare la gola senza ostacoli. «Questi qui ci sanno fare parecchio», commentò Solomon, «per essere una tribù di cannibali non toccata dalla civiltà.» «Non toccata dalla nostra civiltà», lo corresse Merlino. Zoe domandò sottovoce: «Merlino, che cosa accadrà?» L'anziano professore lanciò un'occhiata furtiva ai bambini, per assicurarsi che non udissero. «Stiamo andando incontro alla morte, Zoe», rispose. «L'unica domanda è quanto tempo i Neetha ci terranno vivi prima di mangiarci un pezzo per volta.» Ma poi fu spinto avanti dalle guardie e così continuarono ad attraversare la gola immersa nel buio, superando varie fortificazioni fino a che, dopo un'ultima curva, non sbucarono in uno spazio più grande, illuminato dalla luce lugubre di un fuoco. «Dio del cielo...» esclamò col fiato sospeso quando vide il regno dei Neetha.
Erano giunti in un punto in cui la gola ne incontrava una più piccola - un'intersezione a T di due gole strette fra tre vulcani spenti - e d'improvviso si ritrovarono in un vastissimo spazio. Un grande lago si estendeva in mezzo a ciò che si poteva descrivere soltanto come un antico villaggio scavato nelle pareti dell'enorme intersezione tra le gole. Non avevano mai visto nulla del genere. Le pareti erano costellate di dozzine di strutture di pietra, alcune ad altezze vertiginose, con dimensioni che variavano da piccole capanne a una grande torre indipendente che s'innalzava dalle acque del lago stesso. Alle capanne più in alto si accedeva con una serie di scale, mentre una ragnatela di ponti di corda sospesi nell'aria collegava le strutture della gola più piccola a sinistra. Per Zoe, era l'abilità di costruire ponti l'aspetto più straordinario di quella popolazione: i ponti di corda, i passatoi di pietra nascosti su cui aveva camminato all'entrata, aveva visto anche una serie di ponti levatoi che davano accesso alla torre in mezzo al lago.
«Merlino, sono stati loro a...» «No, non sono stati loro a costruire questo posto», rispose Merlino. «Si sono solo trasferiti qui. Come fecero gli aztechi a Teotihuacan.» «Allora quale civiltà è stata?» «La stessa che ha costruito la Macchina, immagino. Guarda quel...» Erano arrivati nella piazza principale del villaggio e Merlino stava guardando a destra, in direzione del lago. Zoe si girò. «Guarda cosa...» S'interruppe. Dall'altra parte dello specchio d'acqua sorgeva una struttura incredibile. Era colossale, letteralmente scavata nel cono del vulcano spento che si trovava sull'altro lato della gola. Sembrava un moderno stadio, un'arena gigantesca. All'interno era visibile una serie di muri circolari: una specie di labirinto. E dal centro esatto del labirinto circolare s'innalzava, come l'ago di una meridiana, una strettissima ma altissima rampa di pietra alta almeno dieci piani. Composta di centinaia di gradini e priva di parapetto, la rampa aveva una larghezza sufficiente per una sola persona e saliva precariamente fino a una bassa porta trapezoidale scavata nella roccia sull'altro lato del labirinto. La difficoltà era chiara: solo se si riusciva a raggiungere il centro del labirinto si poteva salire la misteriosa rampa. Zoe notò un'altra cosa di quel villaggio: un isolotto triangolare sorgeva al centro del lago, al centro esatto di ogni cosa, come se fosse il punto focale dell'intera intersezione di gole. Sull'isola si ergeva un aggeggio di bronzo simile a un tripode che a Zoe ricordò una specie di inclinometro d'altri tempi. E su un piedistallo accanto all'«inclinometro», sollevato così che tutto il villaggio vedesse, troneggiavano due oggetti molto sacri. Un pilastro di vetro affumicato e uno splendido globo di cristal-
lo. Anche Merlino li vide e tirò un forte respiro. «Il Secondo Pilastro e la Pietra Veggente.» Non poterono osservare l'isolotto sacro a lungo, tuttavia, poiché proprio allora le loro guardie li condussero a una profonda fossa semicircolare lontano dalla piazza principale: dentro c'erano due piattaforme di granito quadrate che s'innalzavano sei metri sopra il letto fangoso della fossa. Nel fango, fissando Lily e Alby con occhi inespressivi, si aggiravano due grossi coccodrilli. Furono calate due passerelle e il gruppo fu spinto con la punta della spada sulle lastre di granito: le due ragazze su una, i due uomini e Alby sull'altra. Ciascuna piattaforma simile a una torre era più o meno a tre metri dal bordo e a due l'una dall'altra, perciò era impossibile fuggire. Entrambe portavano i segni di spaventosi colpi d'ascia e macchie di sangue sulle superfici. Le passerelle furono tolte. Intorno alle piattaforme si era radunata una folla: gente del villaggio curiosa, tutti affetti da deformità ossee al volto, e tutti con gli occhi incollati sui prigionieri e intenti a parlottare animatamente tra di loro. Ma poi il mormorio cessò e la folla si aprì al passaggio di una fila di torce fiammeggianti e all'arrivo di qualcuno d'importante. Dodici uomini, guidati da un individuo obeso che indossava pelli d'animale ricoperte di armi, teschi e ornamenti. La faccia pingue era ripugnante, sfigurata dalle deformità. Tra le armi agganciate alla cintura, Merlino notò un fucile Winchester dell'Ottocento. Il capotribù. Con indosso le armi e i teschi di quelli che la sua stirpe ha sconfitto nel corso dei secoli. Mio Dio... Lo scortavano sette uomini più giovani, tutti impettiti e fieri. Saranno i figli, pensò Merlino. Gli altri quattro uomini del gruppo erano diversi: tre erano chiaramente guerrieri; magri e muscolosi, con lo sguardo fiero e il volto imbiancato di pittura di guerra.
Il quarto e ultimo uomo, tuttavia, era diverso. Era vecchio, grinzoso e gobbo, con le deformità facciali più raccapriccianti di tutti. Anche lui aveva il volto imbiancato e possedeva gli occhi più terrificanti che Merlino avesse mai visto in vita sua: quel vecchio gobbo aveva malsane iridi giallastre che fissavano con uno sguardo folle tutto e niente. Era lo stregone dei Neetha. Furono spogliati delle loro cose davanti allo stregone. Sotto gli occhi del capotribù, lo stregone frugò tra gli oggetti, prima di sollevare in alto il Primo Pilastro trasparente. «Nehaka!» gridò. «Neehaka... ooh, neehaka...» fece eco la folla sottovoce. «Neehaka bomwacha Nepthys! Hurrah!» Merlino non aveva idea di che cosa dicesse. Ma poi, dall'altra piattaforma, udì Lily dire: «Parla in Thoth. Neehaka significa nee: 'Il Primo', e haka: 'Grande Pilastro'. Il Primo Grande Pilastro. Bonwacha significa 'pervaso' o 'impregnato'. 'Il Primo Grande Pilastro è stato pervaso da Nepthys'». «Nepthys è un altro nome del Sole Nero», mormorò Merlino. «È un nome greco.» A quel punto lo stregone tirò fuori la Pietra Filosofale e la Pietra di Fuoco dallo zaino di Lily e spalancò ancor di più gli occhi. Scoccò un'occhiata a Merlino e ringhiò una raffica di parole. Lily tradusse con voce incerta: «Vuole sapere come hai trovato i grandi strumenti di purificazione». «Dopo molti anni di studi e di ricerche, rispondigli.» Con voce tremante, la bambina riferì. Lo stregone tirò un forte respiro e borbottò qualcosa, gli occhi sempre spalancati. Lily si rivolse a Merlino e disse: «È sorpreso che io parli Thoth. Lo ritiene profetico. È uno stregone e pensa che anche tu lo sia...» Lo stregone la zittì con un grido. Quindi si girò di scatto e chiamò qualcuno. La folla si aprì di
nuovo e una donna si fece avanti dalle ultime file del gruppo. Quando la vide, Lily spalancò la bocca. Anche Merlino. Era una donna bianca, sui cinquantacinque anni, coi capelli biondo cenere e con un viso affilato dall'aria abbattuta, sfiancata. Vestiva come le altre donne neetha: pelle d'animale e gioielli primitivi. Merlino domandò col fiato sospeso: «Dottoressa Cassidy? Dottoressa Diane Cassidy?» A quelle parole la donna alzò gli occhi di scatto, come se non sentisse parlare inglese da molto, molto tempo. Lo stregone ringhiò qualcosa in direzione della donna e quella abbassò subito il capo. Ecco che cosa ne era stato della dottoressa Diane Cassidy, esperta dei Neetha. Aveva trovato la tribù perduta e in cambio loro l'avevano fatta schiava. Lo stregone le parlò con tono brusco. Lily seguì lo scambio di parole. «Lui la chiama 'l'Ottava Moglie del Capo Supremo'. Non si deve fidare di me. Vuole che sia lei a tradurre.» Lo stregone si girò e guardò Merlino con occhio torvo, parlando in modo brusco e svelto. Diane Cassidy tradusse piano e sottovoce in inglese. «Il grande stregone, Yanis, desidera sapere se siete venuti qui per rubare il Pilastro dei Neetha.» «Oh, no», rispose Merlino. «Niente affatto. Siamo venuti qui per supplicarvi di farci usare il vostro Pilastro, di prestarcelo per salvare il mondo dal Sole Nero, quello che il vostro stregone chiama 'Nepthys'.» La donna tradusse. A quella risposta, l'anziano stregone barcollò, sconvolto oltremisura. Quando si riprese, sputò un'altra raffica di parole. La dottoressa Cassidy tradusse: «Yanis dice che Nepthys governa come vuole. Tale è il suo diritto divino. Chi siete voi per nega-
re a Nepthys il suo volere?» Merlino rispose: «Sono uno dei pochi che desidera salvare il mondo». Lo stregone sbraitò qualcos'altro. «Yanis dice che, se Nepthys desidera distruggere il mondo, allora questo è ciò che Nepthys vuole. Sarà un privilegio per noi essere vivi quando scatenerà la sua divina potenza. Yanis non parlerà più con te.» E con ciò lo stregone girò su se stesso e se ne andò infuriato, portandosi dietro tutti i loro oggetti, compresi la Pietra di Fuoco, la Pietra Filosofale e il Primo Pilastro. * Lily e gli altri furono lasciati seduti sulle nude piattaforme di pietra, ad attendere per il resto della serata. Indifesi e spauriti. Lo stregone si era ritirato in un grande edificio simile a una fortezza a nord delle piattaforme, il cui retro dava sul lago centrale. Munito di dozzine di zanne d'elefante rivolte all'esterno, questo tempio fortezza era sorvegliato da quattro sacerdoti dipinti di bianco armati di lance. Alcuni portavano anche pistole al fianco. Merlino disse: «Monaci guerrieri. I guerrieri neetha migliori entrano nella casta sacerdotale. Lì ricevono un addestramento speciale in combattimento e nell'arte della furtività. Una volta Geronimo disse che, ora che scoprivi di avere un sacerdote neetha alle costole, avevi già la gola tagliata». Per tutta la serata, gli abitanti del villaggio formarono capannelli davanti ai misteriosi prigionieri, fissandoli con aria sciocca e incuriosita come se fossero animali in gabbia. I bambini guardavano Alby con particolare curiosità. «Che cosa dicono?» domandò Alby, nervoso. «Sono incuriositi dai tuoi occhiali», rispose Lily. Le donne puntavano il dito in direzione di Zoe, bisbigliando fra di loro. «A causa dei tuoi pantaloni multitasche e dei capelli corti,
non sanno bene se sei una donna o un uomo», spiegò la bambina. Ma poi sopraggiunse un gruppo di uomini e le donne e i bambini neetha si sparpagliarono qua e là, e l'atmosfera intorno alle piattaforme mutò. Erano chiaramente uomini della tribù di condizione elevata e si raccolsero davanti alla piattaforma di Lily e Zoe, indicandole con le dita e con gesti come commercianti di cavalli. Era chiaro che il tipo più grande era il capo del gruppo, e il resto il suo seguito. «Che cosa dicono?» domandò Merlino, preoccupato. Lily corrugò la fronte. «Stanno parlando di Zoe e di me. Quello grosso dice che non vuole Zoe, poiché è molto probabile che sia stata già toccata, qualunque cosa voglia dire...» All'improvviso, il Neetha più grosso gridò qualcosa in direzione di Lily, parlando in fretta. Lily aggrottò le sopracciglia, presa alla sprovvista. Scosse la testa e rispose: «Eh, no. Niha». Gli uomini si misero subito a confabulare sottovoce tra di loro. «Lily, che cosa ti ha chiesto?» volle sapere Merlino. «Mi ha chiesto se ho un marito. Gli ho risposto di no, naturalmente.» «Oh, santo cielo», mormorò l'altro. «Avrei dovuto aspettarmelo...» S'interruppe quando l'energumeno scoppiò in una fragorosa risata e tornò all'edificio più grande del villaggio, seguito a mota dai suoi uomini. «A che cosa si riferiva?» domandò Lily a Zoe. «È meglio che tu non lo sappia», rispose la donna. Era notte fonda e tutto il villaggio dormiva quando Lily si svegliò e vide una processione di monaci guerrieri guidati dallo stregone attraversare il lago tramite i ponti levatoi e, tenendo in alto le torce accese, dirigersi verso il grande labirinto circolare sull'altro lato. Uno di loro, notò Lily, portava la Pietra di Fuoco con riverenza,
le braccia tese. Un altro portava la Pietra Filosofale con pari adorazione. Alle sue spalle, un terzo monaco guerriero portava il Primo Pilastro. Lily notò che Zoe era già sveglia: era stata di guardia. Sottovoce, richiamarono l'attenzione di Merlino e degli altri sulla piattaforma di fianco, svegliandoli. Sotto gli occhi di tutti, lo stregone si staccò dal gruppo più grande e salì sull'isola sacra triangolare al centro del lago, tramite un ponte di pietra che affiorava sulla superficie increspata. Il Globo di Delfi e il Secondo Pilastro troneggiavano sul piedistallo. Con fare reverenziale, lo stregone sollevò il Globo di Delfi dal piedistallo e lo porse a uno dei suoi monaci, che tornò svelto a unirsi alla processione. Lo stregone rimase sull'isola, dove fu raggiunto dai due sacerdoti che portavano la Pietra Filosofale e la Pietra di Fuoco. Lily e gli altri guardarono intimoriti quando, con grande solennità, lo stregone depose il Pilastro del suo popolo - il Secondo Pilastro - nella Pietra Filosofale. Quando la Pietra di Fuoco fu appoggiata sul coperchio, un familiare lampo bianco scaturì dall'interno della Pietra Filosofale e, quando lo stregone tirò di nuovo fuori il Pilastro dei Neetha, il diamante non era più scuro e opaco. Il blocco rettangolare era perfettamente trasparente. Purificato. Lo stregone sembrava un uomo che avesse appena visto il suo dio. A cerimonia conclusa, ripose il Secondo Pilastro sul suo piedistallo. Quindi porse la Pietra di Fuoco e la Pietra Filosofale ai suoi monaci, i quali le portarono - col Primo Pilastro - nel labirinto, mentre lui aspettava sull'isola sacra. Circa venti minuti dopo, i monaci guerrieri uscirono con le due Pietre e il Primo Pilastro sulla strettissima rampa di scale che s'innalzava dal centro del labirinto.
«Sanno attraversarlo...?» domandò Lily, confusa. «I labirinti erano molto comuni nel mondo antico», rispose Merlino. «Il labirinto d'Egitto, il palazzo di Knossos. Ma questi labirinti non sono pensati per essere impenetrabili. Ognuno possiede una soluzione segreta e, purché tu la conosca, puoi attraversare un dato labirinto piuttosto in fretta.» Zoe aggiunse: «Molto spesso, solo i membri delle famiglie reali o i sacerdoti reali conoscevano la soluzione. È un modo astuto per nascondere in un luogo sicuro i propri tesori ai cittadini comuni». I monaci salirono la grande scalinata e poi scomparvero nella porta trapezoidale su in cima, entrando in una specie di sancta sanctorum dove le due Pietre - la Pietra di Fuoco e la Pietra Filosofale - e il Primo Pilastro sarebbero stati al sicuro. Poi si levò una cantilena. Le fiamme delle torce danzavano. Dopo qualche minuto, un barlume di luce comparve nel cielo attraverso un varco perfettamente tagliato nella volta di alberi che copriva la gola... in un punto a perpendicolo sul sancta sanctorum. Uno dei monaci doveva essere salito all'interno e uscito sulla sommità del vulcano duecento metri più in alto. D'improvviso, il barlume di luce fu sostituito da un bagliore viola assolutamente ultraterreno. «È il Globo», mormorò Merlino. «Devono aver portato anche la Pietra di Fuoco sulla cima. Hanno messo il Globo sulla Pietra di Fuoco e liberato la sua energia speciale.» «E che cos'è?» domandò Solomon. «La capacità di vedere il Sole Nero», rispose Alby con un'aria solenne. «Guardate.» Indicò col dito lo stregone, ancora sull'isola triangolare, intento a guardare in una lente, una lente che era puntata in alto... nella direzione del bagliore viola del Globo di Delfi su in alto, sulla cima del vulcano. «Un telescopio», disse Alby. «Un telescopio senza tubo come quello costruito da Hooke nel Seicento. Non è necessario che un telescopio abbia un tubo; bastano due lenti, una in fondo e una in
cima, poste alla giusta distanza focale. Solo che questo telescopio senza tubo è enorme, grande come quel vulcano.» «Un telescopio progettato per uno scopo», dedusse Merlino. «Per vedere il Sole Nero.» Quasi che l'avesse udito, lo stregone gridò per la gioia, l'occhio incollato sulla lente. «Nepthys!» esclamò. «Nepthys! Nepthys!» E poi cantilenò qualcosa nella sua lingua. Lily ascoltò, infine tradusse: «'Grande Nepthys. I tuoi leali servi sono pronti per il tuo arrivo. Vieni, immergici nella tua luce mortale. Liberaci dalla nostra esistenza terrena...» «La vedo brutta...» commentò Zoe. «Perché?» «Perché lo stregone non ha nessuna intenzione di salvare il mondo dal Sole Nero. Vuole che venga. Vuole liberare il suo campo del punto zero sulla terra. Più di ogni altra cosa, questo uomo vuole morire per mano del suo dio.» * Lily si addormentò di nuovo, ma, poco prima dell'alba, accadde qualcos'altro. Erano passate molte ore da quando lo stregone e i suoi monaci avevano concluso le loro attività notturne riportando i manufatti sacri del loro popolo nei loro posti abituali: il Globo di Delfi e il Secondo Pilastro (ora purificato) erano stati posati di nuovo sopra il piedistallo sull'isola triangolare, accanto all'antico inclinometro. Dopodiché i sacerdoti si erano ritirati nel loro tempio fortezza e nel villaggio era calato il silenzio... un silenzio che era durato fino a che Lily non fu svegliata da una serie di colpetti. «Uh?» Alzò gli occhi impastati di sonno. ... e vide un giovane neetha che le lanciava dei sassolini. Si tirò su a sedere. Basso di statura, doveva avere una ventina d'anni e, se fosse sta-
to possibile eliminare la deformità alla tempia sinistra, si sarebbe potuto descrivere come un ragazzo di bel viso. «Ciao?» fece lui titubante. «Parli la mia lingua?» domandò Lily, stupita. Lui annui. «Poco. Sono studente di Ottava Moglie del Capo», rispose lentamente, pronunciando ogni parola con attenzione. «Lei e io entrambi oppressi in tribù, così parlare molto. Io ho molte domande per te. Molte domande.» «Per esempio?» «Com'è tuo mondo?» Lily piegò il capo da un lato, guardando meglio quel giovane neetha, e si raddolcì. In mezzo a tutta la ferocia sfoggiata da quell'antica tribù guerriera c'era il più comune degli individui, un giovane gentile e curioso. «Come ti chiami?» domandò. «Io sono Ono, settimo figlio di Capo Supremo Rano.» «Io sono Lily. Parli molto bene la mia lingua.» Ono s'illuminò d'orgoglio. «Sono bravo studente. Mi piace imparare.» «Anche a me», disse Lily. «Sono brava nelle lingue. La tua è antica, sai.» «Questo io so.» Ono, risultò, era un giovane molto curioso che voleva sapere molte cose sul mondo esterno. Il concetto di volo, per esempio, lo incuriosiva. Qualche anno prima, aveva dato una mano a mettere fuori uso un idrovolante giù alla foresta di statue. Dopo che lo sfortunato equipaggio dell'aereo era stato catturato e alla fine ucciso e mangiato, aveva esaminato l'aereo per ore. Ma, nonostante tutti i suoi sforzi, non era riuscito a capire come potesse un oggetto così pesante volare come un uccello. In modo simile, aveva una radio - la radio di Zoe, presa dalle sue cose - e chiese a Lily come potesse un oggetto come quello permettere a due persone di parlare a grande distanza.
Lily fece del proprio meglio per rispondere alle sue domande e, più parlava con lui, più scopriva che Ono non era solo curioso ma anche dolce e gentile. «Puoi parlarmi della tua tribù?» domandò. Lui sospirò. «Neetha hanno lunga storia. Potere nella tribù dipende, come dire, da equilibrio tra famiglia reale e sacerdoti di Pietra Sacra. «Mio padre capo perché famiglia forte da tanti anni. Capo forte rispettato da Neetha. Ma io penso mio padre crudele. Anche miei fratelli crudeli. Corpo grande ma cervello piccolo. Ma qui forti ottengono tutto ciò che desiderano: donne sane, cibo migliore, perciò forti continuano a comandare. Picchiano deboli e portano via a loro: animali, frutta, figlie. «Ma anche sacerdoti guerrieri hanno potere perché sorvegliano labirinto. Dentro loro fortezza, da molto giovane età, loro studiano e imparano incantesimi e anche arti di combattimento così, quando diventano adulti, sono assassini.» Lily squadrò il tempio fortezza poco lontano. Con l'altissima merlatura, le zanne d'elefante e i ponti levatoi incuteva molta paura. Domandò: «La fortezza è l'unico modo per raggiungere il labirinto e l'isola sacra?» Ono annuì. «Sì. Durante secoli, clan dominante e classe sacerdotale hanno trovato... proficuo... onorare reciproco potere. Famiglia reale ordina gente di onorare sacerdoti, mentre sacerdoti approvano matrimoni reali e appoggiano clan dominante punendo chiunque attacca reali.» «Qual è la punizione per chi attacca un reale?» domandò Lily. «È condannato a labirinto», rispose Ono, volgendo lo sguardo all'enorme struttura circolare dall'altra parte del lago. «Animali in agguato lì. A volte accusato è braccato lì dentro da sacerdoti; a volte da iene; altre volte, uomo condannato è lasciato vagare per labirinto fino a morire di fame o uccidersi per disperazione. Nessun uomo mai fuggito da labirinto.»
Ono spinse lontano lo sguardo, triste. «Cara Lily. Io non sono forte. Io piccolo, ma ho mente pronta. Ma mente pronta non vale niente qui. Dispute risolte su Pietra di Combattimento.» Accennò col capo alla grande piattaforma quadrata che si trovava fra la lastra di Lily e l'isola triangolare sul lago. «Non potevo sperare di sconfiggere miei fratelli in lotta, così mi sono ridotto a vivere in ombra. Vita in mia tribù non è vita felice, Lily, anche quando sei settimo figlio di capo.» Ono abbassò la testa, e Lily lo guardò con tenerezza. Ma poi, d'improvviso, qualcosa tintinnò nelle vicinanze e Ono si alzò. «Arriva alba. Villaggio si sveglia. Devo andare. Grazie per conversazione, cara Lily. Mi spiace per te, per giorno che ti aspetta.» Lily si drizzò a sedere. «Il giorno che mi aspetta? Che cosa intendi dire?» Ma Ono era già scappato via, dileguandosi nell'ombra. «Che cosa mi aspetta?» domandò di nuovo. * Spuntò il giorno. Colonne di luce trafissero la volta d'alberi che copriva le gole dei Neetha mentre una grande folla si accalcava intorno alle due piattaforme dei prigionieri. Il guerriero grande e grosso che la sera prima aveva squadrato Lily e Zoe ora stava dinanzi alla folla. Al suo fianco stava il pingue capo dei Neetha, con aria fiera e compiaciuta di ciò che stava per avvenire. Il massiccio guerriero si rivolse alla gente con voce forte e tonante che Lily tradusse sottovoce: «Sudditi del Capo Supremo Rano, il nostro grande e nobile re, campione del labirinto, conquistatore di uomini bianchi e padrone di una donna bianca, ascoltate le mie parole! Come primogenito del nostro illustre capo, io, Warano, volendo seguire le orme del mio insigne padre, pretendo
questa donna bianca!» Lily strabuzzò gli occhi. Cosa? Questo brutto Neetha pretende Zoe? «A meno che tra voi non ci sia qualcun altro che abbia il coraggio di sfidarmi per averla, io la porterò, ora e subito, nel mio letto e la considererò mia moglie!» La folla tacque. Nessuno, a quanto pareva, aveva il coraggio di sfidare quel gigante. Lily scorse Ono dietro la folla, e lo vide abbassare il capo, con aria triste. Notò anche Diane Cassidy, che si allontanava inorridita, tappandosi la bocca. Poi Lily si volse verso Zoe... solo per vedere che aveva il viso bianco come un cencio. E infine capì. Quell'uomo non voleva Zoe. Voleva lei. A Lily si gelò il sangue nelle vene. La folla continuò a tacere. Il figlio maggiore del capo se la mangiava con gli occhi, le labbra appena dischiuse su ripugnanti denti giallastri. Sua moglie? Ma ho solo undici anni! gridò dentro di sé. «Ti sfido io per lei», disse una voce calma in inglese, scuotendo Lily dai pensieri. Si girò. E vide Solomon in piedi sulla sua piattaforma, magro e allampanato, ma con atteggiamento nobile e determinato. «Mi oppongo alla tua pretesa», dichiarò. Il primogenito del capo - Warano - si girò lentamente verso Solomon. Era chiaro che non si aspettava nessuno sfidante. Squadrò Solomon da capo a piedi prima di sbuffare a mo' di scherno e gridare qualcosa a gran voce. Diane Cassidy tradusse: «Warano dice: 'E sia. Alla Pietra di
Combattimento!'» * Furono calate delle passerelle, che Warano e Solomon percorsero salendo sulla Pietra di Combattimento: la grande piattaforma quadrata al margine del lago centrale. Era una piattaforma più bassa delle lastre dei prigionieri, a malapena trenta centimetri dalla superficie dell'acqua. Ai lati erano appostati parecchi coccodrilli, sempre vigili. Gli abitanti del villaggio corsero a frotte a occupare i posti sui gradini che fiancheggiavano la Pietra di Combattimento, per assistere alla cruenta lotta. Sulla pietra furono lanciate due spade. Lily guardò inorridita Solomon raccogliere la sua lama e impugnarla nel modo sbagliato, come se non avesse mai brandito in un momento di collera una spada in vita sua... cosa che, per quanto Lily ne sapeva, era probabilmente vera. Dal canto suo, Warano impugnava la spada con una mano e la mulinava con movimenti agili e fluidi: era ben addestrato. Ono apparve accanto alla piattaforma di Lily e disse dalla distanza di tre metri che li separavano: «Questa follia. Anche se uomo magro batte Warano, lui condannato al labirinto per avere ucciso figlio di re. Tuo amico è bravo a combattere?» Gli occhi di Lily si stavano gonfiando di lacrime. «No.» «Allora perché uomo magro sfida Warano per te?» Lily non sapeva rispondere. Si limitò a guardare Solomon, in piedi sulla Pietra di Combattimento, pronto a battersi per lei. Alla domanda di Ono rispose Zoe. «Dalle nostre parti, a volte difendi i tuoi amici, anche quando non puoi vincere.» Ono corrugò la fronte. «Non vedo nessun senso in ciò.» In quel momento, si levò il rullo di un grande tamburo e il pingue capo dei Neetha prese posto in un palco reale che si affacciava sulla Pietra di Combattimento e tuonò: «Battetevi!»
Era lo spettacolo più orripilante che Lily avesse mai visto. Warano si avventò contro Solomon con un turbine di potenti colpi, e Solomon - il dolce, gentile Solomon che le faceva fare cavalluccio sul ginocchio quando era piccola - li parò come meglio poté, barcollando all'indietro verso il bordo della Pietra di Combattimento. Ma era una lotta impari, era chiaro. Gli occhi spiritati e malvagi, con cinque furiosi colpi di spada Warano disarmò Solomon e senza batter ciglio lo trapassò con la lama, che fuoriuscì, insanguinata, dalla schiena dell'avversario. Lily spalancò la bocca. Solomon cadde in ginocchio, infilzato dalla lama. Volse lo sguardo verso Lily e, guardandola negli occhi, mormorò in un rantolo: «Mi dispiace, ci ho provato», un momento prima che Warano lo decapitasse. Il corpo di Solomon crollò a terra, senza testa. La folla esultò. Le lacrime scorrevano sulle guance di Lily. Zoe l'abbracciò, stringendola forte al petto. Merlino e Alby erano sulla loro lastra, impietriti dall'orrore. Warano alzò i pugni con aria di trionfo, gli occhi di un pazzo, prima di usare con disinvoltura il corpo di Solomon per togliere il sangue dalla lama. Infine tirò un calcio al cadavere e lo gettò giù dalla Pietra di Combattimento, dandolo in pasto ai coccodrilli. «Ci sono altri sfidanti?» ruggì. «C'è qualcun altro che ha il coraggio di battersi con me ora?» La folla di indigeni applaudì. Lily singhiozzò. Ma in quel momento, in un angolo remoto della mente, udì una strana voce provenire dalla radio di Ono: «... captato un'impronta di calore residuo circa mezz'ora fa. Appena trovato. Sembra un elicottero Huey a terra, contrassegni delle Nazioni Unite. Vicino a
una strana foresta. Invio coordinate, signore...» Le acclamazioni si spensero e d'improvviso calò il silenzio intorno alla Pietra di Combattimento. Un lungo silenzio. L'unico rumore che si udiva erano le fauci dei coccodrilli che facevano a brandelli il corpo di Solomon. «Non c'è nessuno dunque!» gridò di nuovo Warano, subito tradotto dalla dottoressa Cassidy. «Ottimo! Mi prenderò la mia nuova moglie e me la spasserò...!» Ma si alzò una voce. «Ti sfido io.» Questa volta era Zoe. A quelle parole la folla di Neetha rimase di stucco. Non avevano mai visto niente del genere. Una donna che sfidava il figlio di un re. Un mormorio concitato serpeggiò tra la gente sbigottita. «A meno che il figlio del capo non sia troppo codardo per combattere con una donna», aggiunse Zoe. Percependo la tensione del momento, Diane Cassidy si affrettò a tradurre le parole di Zoe e la folla ammutolì. Zoe diede a Warano il contentino, gridando: «Se mi batte, Warano potrà avere due mogli bianche». Quando la dottoressa tradusse, gli occhi di Warano s'accesero come due lampadine. Possedere una donna bianca era il massimo, ma possederne due... «Portatela qui!» ordinò. «Quando l'avrò battuta, la terrò, ma come un padrone tiene un cane.» Liberata dalla sua piattaforma, Zoe percorse la lunga tavola che dava accesso alla Pietra di Combattimento. Una volta salita sulla pietra, l'asse fu ritirata e lei si ritrovò a faccia a faccia con l'enorme Warano. Con indosso soltanto una maglietta, i pantaloni multitasche e gli
stivali, non era una figura molto imponente. Ma nelle spalle asciutte e muscolose si celava una forza insospettata. Di fronte al primogenito del capo dei Neetha, arrivava con la testa all'altezza delle sue spalle. Il grosso guerriero nero torreggiava su di lei. Con un calcio Warano lanciò la spada di Solomon nella sua direzione, rivolgendole parole di scherno nella propria lingua. «Ah, è così?» Zoe raccolse la spada. «Ma non credo che tu abbia mai incontrato una donna come me, brutto figlio di puttana. Facciamo due salti.» Con un ringhio, Warano balzò in avanti, menando un poderoso colpo di spada dall'alto in basso che Zoe parò con una certa difficoltà prima di scansarsi di fianco. Warano barcollò e si girò, soffiando come un toro. Attaccò di nuovo Zoe, martellandola con una serie di affondi, che lei parò disperatamente l'uno dopo l'altro, la spada che tremava in modo spaventoso sotto ogni violento colpo. Il Neetha era chiaramente più forte, e sembrava che acquisisse sicurezza dopo ogni gragnola di colpi. Zoe stava facendo tutto il possibile per difendersi, al punto di non essere riuscita ad attaccare nemmeno una volta. Agli occhi della folla di Neetha, era uno scontro facile. Ma a mano a mano che combattevano - e Zoe continuava a parare tutti gli affondi di Warano - divenne presto chiaro che non sarebbe stato affatto facile. Cinque minuti divennero dieci, poi venti. Mentre seguiva il combattimento col cuore in gola, Lily notò che Zoe teneva duro, parando colpo su colpo per poi ritirarsi e attendere l'attacco successivo. E, poco per volta, gli attacchi di Warano si fecero più lenti, più faticosi. Sudava abbondantemente, affaticato. E a Lily tornò alla mente un film che aveva visto con Zoe una
volta: un documentario su un incontro di pugilato fra Muhammad Ali e George Foreman in Africa. Foreman era molto più grosso, più forte e più giovane di Ali; ma Ali aveva tenuto duro ai suoi colpi per otto round, lasciando che Foreman si sfiancasse nel frattempo, e poi Ali attaccò... E Zoe attaccò. Mentre Warano faceva un altro stanco affondo, Zoe si scostò di fianco, veloce come un fulmine, e gli piantò la spada dalla lama corta nel grosso collo, proprio nel pomo d'Adamo, fino all'impugnatura. Il gigante s'irrigidì. La folla intera spalancò la bocca. Il capotribù saltò in piedi. Lo stregone si girò verso i monaci e annuì. Alcuni sacerdoti si allontanarono alla svelta. Warano vacillò sulle gambe malferme sopra la Pietra di Combattimento, vivo ma incapace di muoversi, muto a causa della spada conficcata nella gola, gli occhi sbarrati che fissavano increduli lei, quella donna - quella donna! - che chissà come l'aveva battuto. Zoe rimase ferma davanti al gigante, guardandolo dritto negli occhi. Poi, lentamente, gli tolse la spada dalla mano destra paralizzata e gliela mise davanti agli occhi inorriditi. Si rivolse alla folla. «La spada nella gola è per tutte le bambine che quest'uomo ha 'sposato' nel corso degli anni.» Diane Cassidy tradusse sottovoce. La folla guardò in sbalordito silenzio. «E questo è per il mio amico che ha ucciso oggi», aggiunse Zoe, afferrando l'impugnatura della spada conficcata nella gola di Warano e spingendo il Neetha indietro verso il bordo della Pietra di Combattimento, dove cadde di peso. Dopodiché Zoe gli buttò con un calcio le gambe paralizzate giù dal bordo, lasciando che Warano vedesse impietrito dal terrore il coccodrillo più vicino adocchiarle. Con uno scatto spaventoso, il
rettile balzò fuori dal fango e si avventò con le fauci spalancate sui suoi piedi, strappandoglieli con un morso. Sopraggiunse un secondo coccodrillo e, prima che il Neetha fosse trascinato nel lago di fango, riuscì a vedere i due coccodrilli che gli strappavano le gambe dal corpo, mangiandoselo letteralmente vivo. Il sangue dell'uomo schizzò sulla Pietra di Combattimento prima che i coccodrilli lo tirassero sotto e le acque torbide tornassero calme. «Porcaccia miseria!» esclamò Alby, rompendo il silenzio che era seguito. Il capotribù saltò in piedi nel palco, livido di rabbia. Il suo primogenito era morto, ucciso da una donna. Ma lo stregone al suo fianco aveva mantenuto la mente lucida. Con voce stridente, gridò qualcosa nella sua lingua. Diane Cassidy tradusse: «Un membro del clan reale è stato ucciso! Conoscete tutti la pena per un simile oltraggio! L'assassino deve affrontare il labirinto».
Sulla Pietra di Combattimento furono calate le passerelle e Zoe si ritrovò immediatamente circondata dai monaci guerrieri. Mollò la spada e fu subito spinta giù dalla pietra con la punta delle lance e condotta al tempio fortezza, l'unico punto di entrata al grande labirinto. Lo stregone era accanto a Zoe davanti al portone del tempio fortezza. «Questa donna ha versato sangue reale!» esclamò. «Ecco la sua pena: è condannata al labirinto, dove sarà braccata dalle iene. Se gli dei, nella loro eterna saggezza, le consentiranno di uscire sana e salva dall'altra parte, allora non ci è dato negare ai grandi dei la loro volontà.» «È un concetto vecchio come il mondo!» esclamò Merlino con disprezzo. «Siccome non può fuggire dal labirinto, si supporrà che gli dei l'abbiano condannata a morte. È come gettare una donna accusata di stregoneria in un fiume e dire che, se annega, non è una strega. È una situazione senza via d'uscita per lei e di vittoria certa per il sacerdote che afferma di avere un legame col divino.» Stando a debita distanza, Diane Cassidy disse in tono ufficiale a Zoe: «Il labirinto ha due entrate, una a nord, un'altra a sud. Ha anche molti vicoli ciechi. Entrambe le entrate hanno percorsi diversi che portano al centro. Sarai fatta entrare dal lato nord: qualche minuto dopo, quattro monaci guerrieri entreranno con le iene. Per vivere, dovrai farti strada fino al centro del labirinto e da lì attraversare la metà meridionale fino all'uscita a sud. Questo è l'unico modo per sopravvi...» Lo stregone ringhiò qualcosa in direzione di Zoe. Diane tradusse: «Lo stregone vuole sapere se hai un'ultima richiesta». Zoe distolse lo sguardo dal portone del tempio fortezza e guardò Lily e Merlino sulle loro piattaforme, gli occhi spalancati dall'orrore, nonché Alby... quando d'improvviso scorse una cosa appesa al collo del bambino. «A dire il vero, sì, ho una richiesta», rispose.
«Sì?» «Vorrei essere accompagnata nel labirinto da qualcuno del mio gruppo: il bambino.» Merlino e Lily esclamarono all'unisono: «Cosa?» Alby si puntò il dito al petto: «Io?» Diane Cassidy corrugò la fronte per lo stupore, ma riferì la richiesta di Zoe allo stregone. Il Neetha lanciò un'occhiata alla piccola figura di Alby e, non vedendo nessun pericolo in lui, fece di sì con la testa. Il bambino fu prelevato dalla sua piattaforma e spinto sulla scalinata del tempio fortezza, dove raggiunse Zoe. «Zoe...?» «Fidati di me, Alby», fu tutto ciò che disse quando il portone del tempio si aprì sferragliando, sollevato da catene. Poco prima che i due fossero portati dentro, Zoe gridò dietro a Lily: «Lily! Continua ad ascoltare la radio del tuo amico!» «Eh?» fece la bambina. Ma il grande portone del tempio fortezza si era già chiuso con un rombo sinistro alle spalle di Zoe e Alby. Due pesanti ponti levatoi furono calati e loro li attraversarono, giungendo al margine del grande labirinto circolare. Volsero lo sguardo al villaggio, a Lily e Merlino sulle piattaforme, agli abitanti del villaggio sugli spalti simili a un anfiteatro intorno a loro, e all'isola sacra dove troneggiavano il Globo e il Secondo Pilastro. Un ringhio li fece girare. Quattro sacerdoti guerrieri uscirono da una gabbia scavata nella parete poco lontana, tenendo alle catene grosse iene maculate. I quattro canidi ansimavano e tiravano - sembravano affamati, proprio per occasioni come quella - e ringhiavano e tentavano d'azzannare, schizzando bava dalle fauci. «Spiegami bene perché mi hai portato con te», insistette Alby sottovoce. «Perché sai leggere le mappe meglio di me.»
«Perché so fare cosa?» «E perché hai la mia fotocamera digitale appesa al collo», aggiunse Zoe, lanciandogli un'occhiata eloquente. «E nella mia fotocamera c'è la soluzione di questo labirinto.» «Come?» Prima che Zoe potesse rispondere, furono portati all'entrata dell'estremità nord del labirinto: un grande arco nell'anello di pietra più esterno. La lavorazione del muro era notevole: una roccia color marmo senza nessun segno di giuntura visibile. In qualche modo la durissima roccia eruttiva era stata tagliata e levigata in quell'incredibile configurazione, un'opera troppo sofisticata per una tribù primitiva africana. Lo stregone si rivolse alla folla dall'altra parte del lago, invocando a gran voce: «O potente Nepthys, oscuro signore del cielo, portatore di morte e distrazione, i tuoi umili servi affidano questa spargitrice di sangue reale e il suo compagno al tuo labirinto. Fa' di loro ciò che vuoi!» E con ciò Zoe e Alby furono spinti sotto l'arco e nel labirinto, l'antico labirinto dal quale nessun condannato era mai uscito vivo.
Il labirinto dei Neetha Una pesante porta si chiuse con un boato alle loro spalle e Zoe e Alby si ritrovarono in un lunghissimo corridoio a cielo aperto dalle pareti bianche che curvava in entrambe le direzioni. Sui muri alti tre metri del labirinto si stagliava, innalzandosi dal centro, la spettacolare rampa di pietra che saliva al vulcano, nel santuario interno dei sacerdoti. In quel momento, sulla rampa c'erano dieci sacerdoti guerrieri, di guardia al sancta sanctorum nell'improbabile caso che Zoe e Alby arrivassero al centro. Avevano tre possibilità di scelta. Sinistra, destra o - attraverso un varco nel successivo muro circolare - dritto. Tuttavia, il pavimento fangoso del varco era ostruito dal ripugnante scheletro in decomposizione di un grosso coccodrillo che non era riuscito a uscire dal labirinto. Mezzo divorato, alla carcassa erano ancora attaccati brandelli di carne putrescente. Che cosa diavolo ha mangiato un coccodrillo? pensò Alby. E poi gli balenò la risposta.
Altri coccodrilli. Ce ne sono altri qui dentro... «Presto, da questa parte», lo sollecitò Zoe, tirando Alby verso sinistra. «Dammi la fotocamera.» Il bambino si levò la fotocamera dal collo e gliela passò. Mentre correvano, Zoe sfogliò le immagini in memoria, ripercorrendo a ritroso la loro avventura africana: fotografie della foresta di alberi scolpiti dei Neetha, del Ruanda, fino al lago Nasser e Abu Simbel e... le fotografie che Zoe aveva scattato nel Primo Vertice. Le immagini dell'immensa piramide di bronzo sospesa comparvero sul piccolo schermo della fotocamera, e poi gli scatti delle pareti nell'enorme galleria a colonne, compresa la fotografia della piastra d'oro. «Eccola», fece Zoe, mostrandola ad Alby. «È questa qui.» Il bambino guardò la fotografia mentre percorrevano a gran velocità il lungo corridoio curvo:
La foto mostrava due strani cerchi circolari scavati nella parete rocciosa. Immagini di un labirinto. Di quel labirinto. Una mostrava il labirinto vuoto, l'altra due percorsi: uno da nord, l'altro da sud, i quali finivano entrambi al centro. Alby scosse la testa. Coi suoi dieci cerchi concentrici e con la stretta rampa dritta che si diramava dal centro verso destra, assomigliava certamente al loro labirinto... «È probabile che quello stregone e i suoi sacerdoti abbiano questa stessa incisione da qualche parte», suppose Zoe. «Ecco come fanno a entrare e uscire da qui.» «Zoe! Aspetta! Fermati!» gridò Alby, fermandosi di colpo. «Che c'è?» «Secondo questa immagine, abbiamo preso la direzione sbaglia-
ta!» «Di già?» Esaminando il piccolo schermo della fotocamera, controllarono l'incisione che mostrava il percorso da seguire per attraversare il labirinto. Erano andati subito a sinistra, percorrendo il cerchio più esterno... «Avremmo dovuto scavalcare la carcassa di quel coccodrillo e prendere il cerchio successivo», spiegò Alby. «Guarda. Questa via porta solo a un paio di vicoli ciechi. Presto! Dobbiamo tornare indietro prima che liberino le iene!» «Sono contenta di averti portato con me», disse Zoe con un sorriso. Tornarono indietro correndo fino alla grande entrata, dove videro di nuovo la carcassa semidivorata del coccodrillo. La scavalcarono. «Ora andiamo a sinistra!» disse Alby. Presero quella direzione, correndo a rotta di collo lungo il corridoio curvo. Videro l'altissima rampa che torreggiava su di loro avvicinarsi, con un passaggio ad arco semicircolare alla base, che avrebbero potuto attraversare se volevano. «No!» gridò Alby. «Vai a destra, nel cerchio successivo!» Un boato. Echeggiò in tutto il labirinto. Subito seguito dai latrati delle iene e dallo sciaguattio di zampe nel fango. «Hanno appena liberato le iene», disse Zoe. Si misero a correre nel labirinto. A perdifiato lungo i corridoi curvi, udendo spesso le iene di là dei muri. Ogni tanto, incontravano una fossa piena di acqua torbida e fetida, abitata da un coccodrillo o due. Nei pressi c'erano spesso resti umani; anche scheletri di coccodrilli, di quei rettili che non erano
stati in grado di uscire dalla trappola prima di morire di fame. Li rasentavano o li scavalcavano, senza avere il coraggio di rallentare... anche se una volta Zoe raccolse un lungo e grosso osso di coccodrillo da uno scheletro. Continuarono a correre. La rampa centrale si faceva sempre più vicina. «Zoe», fece Alby. «Che succederà se ce la facciamo a uscire da qui? Non ci uccideranno in un altro modo?» «No, se accadrà quello che penso», rispose lei. «Dovevo farci guadagnare un po' di tempo. Ecco perché ci ho messo tanto a far fuori quel figlio di puttana di principe.» Alby era sconvolto. «Ci hai messo tutto quel tempo di proposito? Perché? Che cosa accadrà?» «Stanno arrivando i cattivi.» «Credevo che i cattivi ci avessero già catturato.» «Quelli più cattivi, allora. Quelli che ci hanno inseguito in Egitto e che hanno ucciso Jack. Sono quasi arrivati. E, quando arriveranno e attaccheranno i Neetha, avremo qualche probabilità di cavarcela. Per allora dovremo essere fuori dal labirinto e pronti a battercela.» Nel villaggio principale, Lily era sola sulla sua alta piattaforma di pietra. Ono era seduto lontano da lei, ma il più vicino possibile. D'improvviso, la radio appesa al collo del ragazzo gracchiò. «... Capo Squadra Terra, qui Wolf, rispondete.» «... Qui Capo Squadra Terra. Sì, signore?» «... Katana, state attenti. Mentre lei e Spadone allungavate il collo per vedere quei grossi alberi scolpiti, abbiamo rilevato alcune impronte di calore venire verso di voi. Impronte umane, una dozzina circa, che si avvicinavano di soppiatto ai vostri elicotteri da est.» «... Grazie per l'avvertimento, signore. Ce ne occuperemo. Katana, chiudo.» Lily si girò verso Merlino, seduto sull'altra piattaforma. Aveva
udito anche lui. «Gli uomini di Wolf...» commentò. «Sono quasi arrivati...» Zoe e Alby correvano nei lunghi corridoi curvi del labirinto, con lui che dava le indicazioni e lei che stava attenta ai pericoli. Stranamente, mentre correvano, Zoe premeva forte l'osso di coccodrillo contro il muro, graffiandolo. La rampa al centro si avvicinava piano piano e, subito dopo aver attraversato uno dei dieci passaggi tagliati nella base, si ritrovarono d'improvviso in uno spazio perfettamente circolare con due entrate e, stupendosi entrambi li per lì, la base della rampa stessa. Erano al centro del labirinto. Alby guardò in su l'altissima rampa. Gli scalini salivano da lui fino alla cima vertiginosa del vulcano vuoto, ed erano larghi abbastanza per una sola persona alla volta e senza nessun tipo di parapetto. Era presidiata da monaci guerrieri dallo sguardo feroce e armati di lancia. Alla base della rampa, al centro esatto dell'intero labirinto, campeggiava un podio di marmo lavorato. Vi era incisa una specie di elenco, scritto nella Parola di Thoth:
Vista la posizione centrale del podio, Alby immaginò che le incisioni fossero importanti, così si affrettò a scattare alcune foto prima che Zoe lo tirasse per la mano. «Presto, dobbiamo ancora attraversare la seconda metà, e abbiamo sempre quelle iene alle calca...» Una macchia marrone la fece cadere a terra, strappandola da Alby.
Il bambino cadde all'indietro, spalancando la bocca quando vide la grossa bestia a cavalcioni su Zoe. Una iena. Era davvero grossa, con un orribile pelo brunastro, tutto picchiettato, e le tipiche zampe posteriori sottili della iena. Ma non era sola. Il branco doveva essersi diviso durante la caccia. Zoe ruzzolò sotto le fauci ringhiose della bestia. E poi la scaraventò con un calcio contro il muro marmoreo del labirinto. L'animale guaì, ma fulmineo si avventò di nuovo su di lei, le fauci digrignate... solo per impalarsi sull'osso di coccodrillo nella mano destra tesa di Zoe. La donna estrasse l'arma, lasciando che la iena si afflosciasse senza vita sul pavimento. Alby sgranò gli occhi. «Ma è tutto vero...» «Cavolo se lo è», disse Zoe, di nuovo in piedi. «Scommetto che a tua madre non piacerebbe vedertelo fare. Andiamo.» Al villaggio, Lily udì un'altra comunicazione tramite la radio di Ono. «... Sciabola, qui Katana. Neutralizzati estranei che si avvicinavano al nostro elicottero. Indigeni. Pericolosi. Stavano cercando di sabotare il velivolo. Abbiamo trovato l'entrata alla loro base... a est della foresta scolpita; una specie di portone fortificato; difeso molto bene. Avremo bisogno di altri rinforzi.» «... Ricevuto, Katana. Stiamo arrivando, seguendo il vostro segnale.» Lily alzò gli occhi, inorridita. Con Zoe e Alby nel labirinto, e lei e Merlino intrappolati su quelle piattaforme, gli uomini di Wolf stavano arrivando al portone principale per assalire il regno dei Neetha. Correvano a rotta di collo nel labirinto. Zoe e Alby non avevano il coraggio di fermarsi. Ora stavano
cercando la via d'uscita nella metà meridionale del labirinto, allontanandosi dalla rampa centrale. S'imbatterono in altre fosse torbide infestate di coccodrilli, in un paio di buche profonde, e anche in altri resti umani. A metà strada, un'altra iena li raggiunse, ma Zoe la colpì sul muso col teschio di un coccodrillo, usando i denti del cranio come un seghetto per squarciare la tempia della iena che ringhiava. La bestia ululò e si tirò indietro, il muso coperto di sangue. Ripresero a correre, finché, grazie alla brillante guida di Alby, non entrarono nel cerchio più esterno del labirinto e non percorsero a perdifiato la lunghissima curva fino a un altissimo passaggio ad arco identico a quello che avevano varcato per entrare nel labirinto. L'entrata sud. Zoe si fermò sei metri prima. «Non possiamo uscire dal labirinto troppo presto», disse. «Dobbiamo aspettare che il tempo sia giusto.» «E quando sarà?» domandò Alby. Proprio in quel momento, il boato tipico di una granata rimbombò da qualche parte nel complesso di gole dei Neetha. «Ora», rispose Zoe. «Quelli più cattivi sono appena arrivati.» L'unità CIEF di Wolf assaltò il portone principale dei Neetha, comandata dal marine di nome Katana e da un uomo dei Delta di nome Spadone, con l'appoggio di non meno di cento soldati dell'esercito congolese armati di AK-47. Praticamente assoldati col denaro saudita, i soldati congolesi erano di fatto un esercito mercenario, e Katana lo usò come tale, come carne da cannone. Li lanciò all'assalto delle difese principali dei Neetha all'entrata della gola: una serie di trappole esplosive e di postazioni nascoste che fecero fuori un esploratore o due, ma che furono presto neutralizzate dal numero schiacciante dei soldati che avanzavano. Alcuni Neetha erano armati di fucili, ma erano quasi tutti vecchi
e tenuti male: non potevano competere con le armi moderne della forza d'invasione. E così l'esercito di Wolf avanzò nel sistema di gole, uccidendo guardie neetha a destra e a manca. I Neetha combattevano come pazzi, senza concedere niente agli avversari, difendendosi fino all'ultimo. Caddero molti soldati congolesi, sotto colpi di fucile o di arco, ma erano troppo numerosi e bene addestrati, e in breve tempo si riversarono nella piazza principale del villaggio. Quando ebbe inizio l'invasione del complesso di gole, intorno alle piattaforme dei prigionieri scoppiò il pandemonio. Gli abitanti del villaggio - fin lì smaniosi di sapere l'esito della caccia nel labirinto - fuggirono in ogni direzione. Così anche i membri del clan reale, che corsero a prendere le armi. Tutti i monaci guerrieri che erano rimasti vicini alle piattaforme si precipitarono a cercare riparo nel tempio fortezza, attraversando il primo ponte levatoio e attestandosi nella torre centrale: la struttura di quattro piani che si ergeva sul lago, a metà strada fra il tempio e l'altra sponda. Quanto a Lily e Merlino, furono semplicemente abbandonati a se stessi sulle piattaforme. Non poterono fare altro che assistere impotenti alle esplosioni e alle sparatorie che rimbombavano nella gola, sempre più forti e vicine. Ma poi Lily notò un movimento dall'altra parte del lago. Vide lo stregone e due monaci precipitarsi sull'isola triangolare al centro del lago e raccogliere i tre oggetti sacri che stavano lì: il Globo di Delfi, il Secondo Pilastro e il congegno d'osservazione simile a un inclinometro. Dopodiché si girarono e corsero verso la sponda opposta, raggiungendo uno stretto sentiero accanto al muro esterno del labirinto proprio quando... ... Zoe e Alby uscirono a rotta di collo sullo stesso sentiero, sbucando dall'ombra dal lato sud del labirinto!
Mancò poco che Lily si mettesse a gridare per la gioia. Sono riusciti ad attraversare il labirinto... Scoppiò una mischia, con Zoe che disarmava i due monaci guerrieri prima di colpire in faccia lo stregone con l'impugnatura di una lancia, scaraventandolo a terra, privo di sensi. A quel punto Lily vide Zoe e Alby raccogliere in fretta e furia i tre oggetti sacri e... Un tonfo secco. Lily si girò di scatto a quel rumore. E vide Ono davanti alla sua piattaforma, con una tavola in piedi stretta nella mano, come se fosse pronto a gettarla sul vuoto fino a lei. In modo simile, Diane Cassidy era vicino alla piattaforma di Merlino, anche lei con una tavola in mano. Entrambi impugnavano vecchie pistole con la mano libera. Nel caos che li circondava - guerrieri neetha che correvano alle difese, granate che esplodevano, colpi di armi da fuoco che sibilavano in ogni direzione - nessuno si curava dei prigionieri. Ono s'affrettò a dire: «Piccola Lily! C'è tunnel di fuga nascosto in torre dei sacerdoti su isola! Vi farò strada... se ci portate con voi». «Affare fatto», accettò Lily. Ono non comprese. «Sì. Sì», s'affrettò ad aggiungere la bambina. «Vi portiamo con noi.» Due tonfi secchi. Le due assi caddero sulle piattaforme e Lily e Merlino le discesero a precipizio, finalmente liberi. Mentre correvano verso il tempio fortezza, Merlino vide Zoe e Alby dall'altra parte del lago, che correvano nella stessa direzione, portando con sé gli oggetti sacri dell'isola. «Zoe!» gridò. «Alla torre centrale! Alla torre dei sacerdoti! È un'uscita!» «D'accordo!» gridò Zoe di rimando.
Aveva appena pronunciato quelle parole che una potente esplosione rimbombò sopra la grande cascata all'estremità settentrionale della gola dei Neetha. La volta di alberi piegati che nascondeva la gola prese fuoco e una pioggia di rami e tronchi in fiamme precipitò sul lago sottostante, dalla bellezza di centoventi metri d'altezza. E poi, con un rombo terrificante, due elicotteri Black Hawk della CIEF piombarono giù dal varco che si era aperto, in perfetto volo stazionario - il muso su e la coda giù - direttamente sopra la torre dei sacerdoti! Erano Black Hawk modificati conosciuti col nome di Defender Armed Penetrator, o DAP, sebbene le loro uniche modifiche fossero il numero di armi che trasportavano. Brulicavano di cannoni, razzi e lanciamissili. Dai due DAP partirono due razzi che colpirono in pieno entrambe le postazioni di difesa strategiche dei Neetha. Le torri di pietra andarono in pezzi, i guerrieri scagliati nel lago. Gli ostacoli nella gola principale furono eliminati così da permettere ai soldati congolesi appiedati d'invadere il villaggio senza incontrare resistenza. Anche il tempio fortezza dei sacerdoti fu colpito da un razzo sparato dal cielo. In un attimo, le fiamme divamparono da tutte le finestre di pietra alte e strette della fortezza, e un momento dopo le enormi porte corazzate si spalancarono vomitando i monaci guerrieri in preda alle fiamme, che si precipitarono giù per le scalinate e si gettarono nel lago... dove le fiamme si spensero, ma dove i pazientissimi coccodrilli erano in agguato. Un'orgia di grida, schizzi, sangue. Seguito a ruota da Lily, Ono e Diane Cassidy, Merlino corse a perdifiato verso il tempio fortezza, schivando frecce e pallottole... ... solo per essere bloccato sulla scalinata del tempio da tre imprevisti ostacoli: il pingue capo dei Neetha e due dei suoi figli, tutti armati di fucili a pompa, puntati sul gruppetto di Merlino in fuga.
Il capotribù ringhiò parole feroci in direzione di Ono e della dottoressa, e quelli abbassarono subito le pistole. «Cos'ha detto?» domandò Merlino sottovoce. «Dice che non possiamo andarcene», rispose Diane. «Dice che io sono sua, che gli appartengo. Quando tutto questo sarà finito, dice che mi darà una lezione a letto, e che frusterà a sangue Ono.» La donna guardò il capotribù con occhio torvo. «Non ci saranno più lezioni nel tuo letto», sibilò con tono di sfida, puntando di scatto la pistola e sparando due volte - con occhio esperto - in fronte ai due figli del re. I due uomini si accasciarono, cacciando uno schizzo di sangue da dietro la testa, morti prima ancora di toccare terra. Sbalordito, il capotribù alzò di scatto il fucile, solo per ritrovarsi a fissare la canna della pistola di Diane Cassidy. «Ho atteso questo momento per anni», disse lei. Uno sparo echeggiò nell'aria. La pallottola attraversò il naso del capo dei Neetha, sfondandolo fino al cervello, provocando un fiotto di sangue che gli imbrattò tutto il volto. Il grasso re crollò di peso sugli scalini del tempio fortezza, scivolando giù, la materia cerebrale che gli usciva dal cranio fracassato. Il Re dei Neetha era morto. Diane Cassidy fissò il cadavere in fondo alle scale con un'aria insieme disgustata e trionfante. Merlino raccolse il fucile del capotribù e afferrò Diane per la mano. «Venga! È ora di andare.»
I ponti levatoi e la torre Il gruppo di Merlino attraversò correndo il tempio fortezza dei sacerdoti neetha. Gli sembrava di attraversare un museo dell'orrore gotico. Scheletri insanguinati penzolavano da strumenti di tortura, pentole fumanti ribollivano di liquidi ripugnanti, antiche iscrizioni tappezzavano i muri. Salirono di gran corsa una rampa di scale e giunsero a un lungo ponte levatoio che portava alla torre centrale in mezzo al lago. Un secondo ponte si allungava dalla torre stessa, unendosi al centro col loro, già abbassato. «Da questa parte!» esclamò Ono, correndo sul ponte. Il gruppo lo seguì a ruota. Ma, a metà strada, una voce fece fermare Merlino di colpo. «Epper! Professor Max Epper!» Merlino si girò... e vide Wolf vicino alla Pietra di Combattimento, gli occhi puntati su di lui. «L'abbiamo trovata, Max! Sapeva che l'avremmo fatto! Questa volta non se la caverà! Mio figlio non c'è riuscito, perciò come potrebbe riuscirci lei?» Wolf alzò qualcosa, mostrandolo a Merlino. Un elmo da pompiere ammaccato e consumato, su cui spiccava
il distintivo FDNY PRECINCT 17. L'elmo di Jack. Al suo fianco, Merlino udì Lily restare senza fiato a quella vista. «L'ho visto morire, Epper!» gridò Wolf. «Mio figlio! Avete esaurito gli eroi! Perché continuare a fuggire?» Merlino serrò i denti d'istinto. «Non del tutto», sibilò a bassa voce, prendendo Lily per la mano e correndo dentro la torre. Dall'altra parte del lago, anche Zoe e Alby si stavano dirigendo verso la torre centrale nell'enclave dei sacerdoti. Stavano correndo lungo uno stretto sentiero sulla sponda del lago alla volta di un piccolo forte addossato alla parete della gola, quando una nuova ondata di uomini di Wolf irruppe nel villaggio, questa volta da nord, da sopra la cascata. Calandosi a corda doppia dalle rupi, arrivarono due dozzine di soldati congolesi e americani, coperti da un Black Hawk. Alby stava guardando in su quella nuova ondata di aggressori quando d'improvviso un monaco guerriero comparve sul tetto del piccolo forte dinanzi a lui e sparò - chi l'avrebbe mai detto - un razzo Predator al Black Hawk! Il razzo colpì il bersaglio e, sospeso a mezz'aria sopra il lago, l'elicottero esplose, andando in pezzi. Sputando fumo, cadde in picchiata nell'acqua con uno spaventoso tonfo poco lontano dalla torre. «Cristo, questi Neetha devono aver ammassato un arsenale con tutte le armi che hanno trovato», commentò Zoe. Quando il Black Hawk si schiantò, il monaco guerriero che aveva sparato si dileguò, forse per andare a ricaricare il lanciarazzi. Ciò offrì a Zoe e ad Alby l'occasione che aspettavano per correre verso il forte, precipitarsi dentro e salire le scale di pietra interne. Al piano di sopra, giunsero davanti a un mezzo ponte di pietra che si allungava verso la torre centrale. Appoggiato su numerosi pilastri, il ponte era studiato per collegarsi col ponte levatoio della torre centrale completamente abbassato, come in quel momento.
Poi, mentre guardavano dall'altra parte di quel doppio ponte, scorsero Merlino sulla soglia della torre, che li chiamava agitando le braccia. «Da questa parte! Presto!» gridò mentre, di punto in bianco, il ponte levatoio cominciava a sollevarsi. Merlino parve sorpreso. Non era stato lui; era stato qualcun altro. «Corri!» gridò. «Corri!» ripeté Zoe ad Alby. Insieme, uscirono allo scoperto correndo a rotta di collo sul ponte, tra i fischi delle pallottole, i boati delle esplosioni e un razzo Predator che li mancò per un soffio, l'aria tagliata dalla sua scia di fumo prima di colpire il forte addossato alla rupe alle loro spalle ed esplodere. Il forte saltò in aria, scagliando rocce e macerie in ogni direzione. Ma il monaco guerriero armato di lanciarazzi che stava sul tetto era già sceso... e uscì come un fulmine dal piccolo forte correndo dietro a Zoe e ad Alby, nel tentativo di attraversare il ponte e raggiungere la torre. Il ponte levatoio si stava alzando... trenta centimetri sopra il bordo del mezzo ponte. Sessanta centimetri... novanta... Zoe e Alby ce l'avevano quasi fatta. Il monaco correva a perdifiato alle loro spalle. Zoe e Alby arrivarono col ponte levatoio di legno sollevato più di un metro. Zoe tirò su il bambino e lo lanciò con tutte le sue forze verso il ponte. Alby volò nell'aria e sbatté col petto contro il bordo del ponte levatoio. Restò senza fiato ma trovò un appiglio e si aggrappò, piegato in due sul bordo che si sollevava. Con Alby al sicuro, Zoe spiccò un salto dall'orlo del ponte di pietre, le braccia tese, e si aggrappò al bordo con le dita, emettendo un sospiro di sollievo. Finché il monaco guerriero che la seguiva non spiccò un salto a sua volta verso il ponte levatoio e, non riuscendo più a raggiunger-
lo, si aggrappò alla vita di Zoe! Lei sobbalzò, tirata giù dal peso supplementare, ma non mollò la presa, le dita bianche mentre stringeva il bordo del ponte che saliva. Superando i venti gradi, trenta, poi quarantacinque... Piegato sul bordo, il Secondo Pilastro stretto in una mano, Alby vide Zoe sotto di sé, alle prese col monaco guerriero. Si spostò goffamente, destreggiandosi col Pilastro, così da essere in grado di aiutarla... ... quando - pam! - d'improvviso l'enorme ponte levatoio si fermò con un violento contraccolpo che catapultò Alby, sbilanciato com'era, su per il bordo e giù ruzzoloni per il ponte, dritto nella torre! Alby ruzzolò giù, stringendo il Pilastro come meglio poteva. Ma, proprio alla fine della caduta, atterrò di peso sulla base di pietra del ponte sollevato a metà e gli sfuggì il Pilastro, che volò via rimbalzando, attraversando la torre e ruzzolando sull'altro ponte levatoio, quello che riportava al villaggio. Alby fissò inorridito il Pilastro trasparente che si fermava sull'altro ponte, proprio nel punto di giunzione col ponte levatoio del tempio fortezza. «Alby!» gridò una voce. Il ragazzo si girò e vide Merlino in fondo alla rampa di scale che scendeva nel pavimento alla sua destra. Lily era con lui. Ma poi Alby udì altre voci, e volse lo sguardo verso il Pilastro appena in tempo per veder entrare nel tempio, oltre il manufatto, un drappello di soldati dell'esercito congolese, comandati da un marine asio-americano. Il Pilastro giaceva esattamente a metà strada fra loro e Alby. Poi un grido di dolore di Zoe lo spinse a girare sulle ginocchia. Vide le sue dita aggrappate al bordo del ponte sollevato a metà scivolare piano piano. E scomparire... Sta accadendo tutto troppo in fretta, gridò la sua mente. Troppe scelte, troppe variabili. Fuggire con Lily, afferrare il Pilastro o
aiutare Zoe... E d'improvviso tutto si zittì e il tempo, per Alby Calvin, rallentò. Nel silenzio della sua mente, Alby fece una scelta. Delle tre azioni, poteva compierne due. Poteva correre a prendere il Pilastro e tornare da Merlino e Lily nella torre... ma non poteva fare ciò e aiutare anche Zoe. Con quella scelta, lei sarebbe caduta nel lago infestato di coccodrilli e sarebbe morta. Oppure sarebbe potuto andare ad aiutare Zoe e, con lei, raggiungere Merlino e Lily... ma ciò avrebbe significato lasciare il Pilastro a quegli intrusi. E la cosa avrebbe potuto avere conseguenze mondiali. Conseguenze planetarie, pensò. Il Pilastro o Zoe. Una scelta poteva potenzialmente salvare il mondo. L'altra avrebbe salvato una sola vita: la vita di una donna che stava a cuore a lui e a quelli che gli erano cari, Lily, Merlino e Jack West. Non è giusto! pensò furibondo. Non è una scelta che un bambino dovrebbe fare! È troppo grande. Troppo importante. E così Alby fece una scelta. Una scelta che avrebbe avuto conseguenze di vasta portata. Il tempo riprese a scorrere normalmente e Alby saltò in piedi e tornò indietro, verso il ponte levatoio semisollevato, verso Zoe. Si arrampicò su per il ponte di legno inclinato, aggrappandosi con le unghie. Raggiunse le dita di Zoe, aggrappate al bordo, proprio mentre erano lì lì per perdere la presa... ... e le agguantò una mano con tutte e due le sue, tirandola con tutte le sue forze. Sotto di lui, Zoe guardò su di scatto e una rinnovata speranza le illuminò il viso. Dopodiché, sapendo che una mano era saldamente aggrappata, usò l'altra per allentare la stretta del monaco guerriero che le penzolava dalla cintura e se ne liberò con un calcio.
Il sacerdote precipitò urlando, cadendo con un tonfo nell'acqua sottostante prima che le sagome di numerosi grossi coccodrilli convergessero su di lui e lo tirassero sotto. Infine, con l'aiuto di Alby, Zoe si issò sopra il bordo del ponte. «Grazie, ragazzo.» «Dobbiamo tagliare la corda.» Da seduti, scivolarono insieme giù per il ponte, atterrando in piedi dentro la torre... appena in tempo per vedere gli uomini dell'esercito congolese raccogliere il Pilastro sull'altro ponte levatoio e consegnarlo a Katana. «Dannazione. Il Secondo Pilastro...» sibilò Zoe. Alby imprecò sottovoce, ma aveva fatto la sua scelta. «Da questa parte», disse con voce ferma, spingendo Zoe giù per la scala di pietra all'interno della torre, nel punto in cui Merlino e Lily attendevano con Ono e Diane Cassidy. Lily gridò: «Presto! C'è un tunnel di fuga quaggiù. Andiamo!» Alby fece per seguire Zoe giù per le scale, ma proprio in quel momento accadde la cosa più inaspettata di tutte. Alby fu colpito. * Era sul punto di seguire Zoe giù per le scale quando d'improvviso qualcosa lo colpì con violenza alla spalla, scaraventandolo con una giravolta all'indietro di un metro, contro il muro poco lontano. Alby crollò a terra, frastornato, in stato di choc, la spalla destra un'esplosione di dolore che non aveva mai provato prima. Guardò giù e scoprì che tutta la spalla sinistra era bagnata di sangue. Il suo sangue! Vide Zoe in fondo alle scale; la vide tentare di salire a prenderlo, ma era troppo tardi - gli uomini dell'esercito congolese e il marine asio-americano stavano irrompendo nella torre - e Merlino fu costretto a tirare Zoe di nuovo giù dalle scale e spingerla nel tunnel di fuga.
Lasciando Alby seduto lì contro il muro, stordito, insanguinato e inorridito, e ora alla mercé del marine degli Stati Uniti che gli andava incontro. * Buio, umido e stretto, il tunnel di fuga conduceva a nord. Corsero nel suo spazio angusto, Ono che faceva strada impugnando una torcia accesa sopra la testa. Era seguito da Lily, Diane Cassidy, con Merlino e Zoe che chiudevano la fila. «Oh, Dio! Alby!» gridò Zoe correndo. «Abbiamo dovuto lasciarlo!» disse Merlino con sorprendente fermezza. «Credo sia stato colpito...» «Wolf non può essere così cattivo da uccidere un bambino. E noi dovevamo squagliarcela. Se ci catturasse, ci ucciderebbe tutti quanti! Che cosa sei riuscita a scoprire sull'isola sacra?» «Abbiamo preso il Globo e l'apparecchio d'osservazione, ma abbiamo perso il Secondo Pilastro!» rispose. «Alby ha preferito salvare me. Gli uomini di Wolf hanno preso il manufatto prima di catturare lui.» Merlino continuava a correre a perdifiato. «Quando avrà finito coi Neetha, Wolf e il suo esercito di farabutti avranno entrambi i Pilastri, oltre alla Pietra di Fuoco e alla Pietra Filosofale. Avranno tutto quello che serve per celebrare il rituale nel Secondo Vertice e in tutti i Vertici successivi. È un disastro!» Si precipitarono su per una lunga rampa di scale e giunsero davanti a una porta di pietra nascosta tagliata in una piccola grotta, la fine del tunnel di fuga. Uscendo dalla grotta, si ritrovarono sulle rive del grande fiume nella giungla che alimentava la cascata dei Neetha. A sud, tre vulcani dominavano una valle di verde ininterrotto: salvo per un varco appena aperto nella volta, la gola dei Neetha era completamente nascosta dalla giungla.
Nell'udire grida e spari si girarono di scatto. A circa un centinaio di metri dalla grotta, infuriava un'altra battaglia sulla riva del fiume. Due piloti dell'esercito congolese erano impegnati a difendere con tutte le loro forze un grande idrovolante da circa una trentina di monaci guerrieri neetha. L'idrovolante - o, più precisamente, l'«idrovolante a scafo» - era un modello molto vecchio, un'imitazione sovietica del classico Boeing 314 «Clipper». Grosso e pesante, con un ponte di volo superiore e una cabina passeggeri inferiore, era dotato di quattro propulsori a elica montati sulle ali e di un grosso scafo che affondava nel fiume. Vecchi ed economici, falsi Clipper come quello erano diffusi in quelle regioni dell'Africa dove le uniche piste di atterraggio erano i fiumi. Proprio in quel momento quel Clipper brulicava letteralmente di guerrieri neetha. Si arrampicavano sui lati, saltavano sulle ali, camminavano sul muso e picchiavano sul parabrezza della cabina di pilotaggio con le mazze. Zoe andò al fianco di Merlino, vedendo tutto quel fermento sopra il grosso idrovolante. L'anziano professore la vide socchiudere gli occhi. «Non starai pensando...» «Puoi scommetterci», ribatté prendendogli il fucile del capotribù. Così, mentre i due piloti congolesi sparavano all'impazzata, difendendo l'aereo dai numerosi aggressori neetha, cinque figure nuotarono senza far rumore né farsi vedere intorno alla coda dell'idrovolante fino al lato aperto. Zoe fece strada, uscendo dall'acqua e raggiungendo il portello. Lo aprì... solo per ritrovarsi all'improvviso davanti a un monaco guerriero neetha dai denti giallastri! L'indigeno alzò svelto l'arco... proprio mentre, con una mano sola, Zoe puntava il fucile sul monaco e lo toglieva di mezzo con un colpo. Un minuto dopo, continuando a brandire il fucile del capotribù,
salì svelta nella cabina di pilotaggio, appena in tempo per vedere il secondo pilota congolese dell'aereo venir tirato fuori di peso dal parabrezza anteriore rotto, tra le grida. Due monaci neetha fecero a pezzi il malcapitato proprio lì sul muso dell'aereo. Quando ebbero finito, i due assassini si accovacciarono per infilarsi nella cabina, solo per ritrovarsi a fissare dritto nella canna del fucile di Zoe. Rimbombarono due spari. I due monaci volarono giù dal muso dell'aereo, cadendo nelle acque del fiume. Zoe scivolò nel sedile del pilota mentre gli altri si accalcavano dietro di lei. Con Ono al fianco, Merlino tenne d'occhio la scala a chiocciola che portava al ponte passeggeri inferiore, coprendo le scale con un AK-47 che aveva preso di sotto. «Sai pilotare questo coso?» domandò Lily a Zoe. «Sky Monster mi ha dato qualche lezione.» Zoe esaminò la schiera impressionante di quadranti davanti a sé. «Non è molto diverso da un elicottero... credo.» Premette il pulsante di accensione. I quattro grossi turbomotori dell'idrovolante si accesero rombando. Il pilota rimasto - occupato a sparare inutilmente dal portello rivolto verso la sponda del fiume - fu preso del tutto alla sprovvista quando le turboeliche del Clipper si misero a girare e presero velocità. La sorpresa fu la sua fine. Perché, quando si girò a quel rumore, fu colpito da sei frecce scoccate dai Neetha, e cadde giù dal portello. E mentre l'aereo cominciava a prendere il largo, la decina di monaci guerrieri neetha rimasti che l'assalivano dalla riva del fiume corse in massa sulla passerella, che cadde nell'acqua dietro l'aereo che si allontanava.
Il vento infuriava attraverso il parabrezza rotto della cabina di pilotaggio quando Zoe spinse la barra di comando e sentì l'idrovolante sollevarsi sotto di sé. Le onde del fiume cominciarono a scorrere sotto la prua dell'aereo, sempre più velocemente, finché d'improvviso non si staccarono e Zoe sollevò in volo l'idrovolante. Sorrise, tirando un sospiro di sollievo. «Santo cielo, credo che ce l'abbiamo fatta...» Dalla cabina giunsero degli spari e Zoe si girò di scatto. Merlino stava sparando con l'AK-47 ai fanatici monaci guerrieri neetha decisi a salire sul ponte superiore dalla scala. Era praticamente un attacco suicida: si lanciavano sopra i morti, tra grida e urla, cercando di tirare tutte le frecce che potevano. Se avesse potuto vedere l'aereo dall'esterno, Zoe sarebbe rimasta di stucco: parecchi Neetha erano ancora sul tetto, dove avanzavano striscioni verso la cabina aperta. In quello stesso momento, altri due guerrieri su un'ala si stavano preparando a gettare - in un atto suicida - una grossa rete in un propulsore. Così fecero, e, con un violento sobbalzo meccanico, la grossa corda s'impigliò in modo irreparabile nella turboelica. Con un'eruzione di fumo nero, il motore si bloccò completamente. All'improvvisa perdita di potenza l'aeroplano s'inclinò in maniera paurosa. I due Neetha furono sbalzati giù dall'ala e precipitarono nel vuoto, incontro alla morte. Zoe si girò nel sedile appena in tempo per vederli cadere mentre agitavano le braccia disperatamente. Lottò per richiamare l'aereo. «Ma che cos'ha questa gente?» gridò. Diane Cassidy rispose: «Difendono il loro regno con folle accanimento. Se, morendo, un guerriero neetha può impedire la fuga a un intruso, allora avrà un posto assicurato in cielo». «Quindi il nostro aereo è infestato di fanatici suicidi», concluse Zoe. «Chissà se...» Fu interrotta da una serie di spari. Stranamente distanti. «Merlino!» chiamò.
«Non sono io!» rispose Merlino gridando dalla scala. «Hanno smesso di provare ad assaltare il ponte superiore. Poco fa sono scesi tutti di sotto.» Altri spari lontani. E d'improvviso Zoe vide un altro propulsore montato sull'ala esplodere con un'eruzione di fumo nero, le eliche bloccate. Alla fine capì che cosa stava succedendo. «Oh, Cristo. Stanno sparando ai motori dai portelli laterali. Vogliono farci precipitare così.» «Se prima non danno fuoco a tutto il carburante nelle ali!» ribatté Merlino. Altri spari lontani. «Merda, merda, merda...» imprecò Zoe. Stringendo la barra di comando, si accorse che l'aereo cominciava a rispondere a fatica. Non c'è scampo, pensò. Non puoi fermare qualcuno che è deciso ad abbattere il tuo aereo in questo modo. «Siamo fregati», urlò. Come in risposta al suo commento, la radio gracchiò d'improvviso. «Zoe! Siete voi sul Clipper? Qui Sky Monster!» «Sky Monster!» Zoe afferrò la cuffia auricolare. «Sì, siamo noi! Dove sei?» «Sono proprio sopra di voi», giunse la risposta. * Mentre il grosso Clipper sorvolava la giungla, un aereo ancora più grosso calò sopra l'idrovolante, da una quota più alta. L'Halicarnassus. «Scusate se ci ho messo tanto ad arrivare», disse Sky Monster. «Sono dovuto passare per il Kenia!» «Come hai fatto a trovarci?» domandò Lily. «Ne parliamo più tardi!» tagliò corto Zoe. «Sky Monster, di sotto abbiamo un gruppo di passeggeri arrabbiati che stanno cercando
di abbattere l'aereo dall'interno. Abbiamo bisogno di un recupero, subito!» «Ricevuto. Vedo che siete senza parabrezza. Siete tutti interi?» «Sì.» «Allora facciamo il cane che annusa. Zoe, accelera a quattrocento nodi e poi manda tutti fuori.» «Ricevuto.» «Cos'è il cane che annusa?» domandò Lily. «Lo scoprirai», rispose Zoe, girandosi bruscamente. Di sotto echeggiarono altri spari. I due aeroplani volavano sopra la giungla congolese in formazione, il piccolo Clipper sovrastato dal grande 747. Dopodiché l'Halicarnassus superò l'idrovolante e, con la rampa di carico aperta, si abbassò davanti alla cabina di pilotaggio del Clipper. Dalla cabina dell'idrovolante, Zoe vide l'enorme sezione caudale dell'Halicarnassus calare davanti a sé, occupandole la visuale. La rampa di carico posteriore era spalancata, a pochi metri dal muso del suo aereo. «Okay, Sky Monster!» gridò nel microfono. «Fermo lì, ci avviciniamo e mando tutti fuori!» Accelerò e accostò piano piano l'idrovolante alla rampa dell'Halicarnassus, fino a che il muso del Clipper non toccò letteralmente il bordo della rampa. Quindi gridò: «Okay! Merlino, prendi Lily, Ono e la dottoressa Cassidy e andate!» Merlino non se lo fece ripetere due volte. Salì svelto sul quadro strumenti e uscì sul muso del Clipper, sotto la sferza del vento, tra i due aeroplani! Aiutò a uscire Lily, Ono e Diane Cassidy, e dopo una breve corsa sul muso del Clipper saltarono sulla rampa dell'Halicarnassus, finendo nella relativa calma della stiva posteriore del 747.
Nella cabina dell'idrovolante era rimasta solo Zoe. Inserì il pilota automatico e mollò i comandi, salendo sul muso dell'aereo proprio mentre i Neetha riuscivano a far esplodere un altro motore. L'idrovolante beccheggiò in modo spaventoso. Era troppo tardi per tornare indietro. Zoe spiccò un salto, buttandosi sulla rampa del 747 nel preciso momento in cui l'idrovolante si abbassò, precipitando in picchiata. Zoe atterrò in modo sgraziato, picchiando gli avambracci sul bordo della rampa. Tentò di afferrare un montante idraulico con le dita, ma le sfuggì, e con suo grande orrore si sentì scivolare giù dal bordo della rampa e cadere nel grande cielo azzurro... ... quando non meno di tre paia di mani l'agguantarono per le braccia tese. Merlino, Lily e Ono. Tutti e tre l'avevano vista spiccare il salto dall'idrovolante beccheggiante, aggrapparsi al montante idraulico con una mano e infine perdere la presa. E così tutti e tre si erano precipitati a salvarla, facendo un tuffo per afferrarle le mani nello stesso tempo. Ora la tenevano stretta, tutti insieme, mentre sotto Zoe, molto più giù, l'idrovolante senza pilota cadeva in picchiata e - col suo carico di fanatici monaci guerrieri neetha - si schiantava nella foresta, esplodendo in un gigantesco fungo di fumo e fiamme. Merlino, Lily e Ono issarono Zoe nella stiva mentre Diane Cassidy chiudeva la rampa. Rimasero tutti seduti lì sul pavimento per un momento, nel meraviglioso silenzio della stiva. «Gra-grazie, ragazzi», ansimò Zoe. «Ringrazi noi?» fece Merlino incredulo. «Tu ringrazi noi? Zoe, ti sei vista negli ultimi giorni? Hai ucciso un guerriero sulla Pietra di Combattimento, hai superato un labirinto inviolabile, hai portato un aereo gremito di Neetha fuori da quell'inferno e a momenti perdevi la vita per assicurarti che ci mettessimo tutti in salvo. «Sinceramente, Zoe, non ho mai visto una cosa del genere.
Quello che hai fatto è straordinario. Jack West Jr. non è l'unico vero eroe che conosco. Da quando lui non c'è più, tu ti sei dimostrata alla sua altezza. Sei davvero fantastica.» Zoe chinò il capo. Non aveva nemmeno pensato a ciò che aveva fatto. Si era limitata a farlo. Lily l'abbracciò forte. «Sei stata grandissima, Principessa Zoe. Potere donna al massimo! Grrrr!» E, per la prima volta dopo un po' di giorni, Zoe sorrise. Nel villaggio dei Neetha, con la semplice forza delle armi, gli uomini di Wolf avevano conquistato la città. Gli abitanti e i monaci guerrieri erano stati radunati e costretti in ginocchio, legati con manette di nylon e sorvegliati da soldati congolesi. Katana si avvicinò a grandi passi a Wolf. «Signore, l'abbiamo preso», annunciò gonfio d'orgoglio, facendosi da parte per rivelare l'uomo dei Delta che stringeva il Secondo Pilastro. A quella vista gli occhi di Wolf brillarono. Prese il Pilastro purificato e lo tenne con riverenza davanti al volto. «Abbiamo trovato anche questo giovanotto.» Katana spinse avanti Alby, che si stringeva la spalla ferita. «Si chiama Albert Calvin. Afferma di essere un amico della figlia di Jack West.» Wolf squadrò il bambino sotto i suoi occhi e soffocò una risata. «Gli faccia curare la ferita. Ora viene con noi.» Katana fece un cenno a un medico prima di proseguire: «Sciabola è salito nel sancta sanctorum sul labirinto. Dice di aver trovato la Pietra di Fuoco, la Pietra Filosofale e il Primo Pilastro, tutti appoggiati su altari. Li sta portando giù». «Eccellente», disse Wolf. «Eccellente. I Neetha li hanno presi alla squadra di Max Epper. Si sta rivelando un'ottima giornata, questa.» Si girò di scatto verso Katana. «E il Globo, la Pietra di Delfi?» «Sparita, signore. Col professor Epper e il suo gruppo.»
Wolf sbuffò. «Vivo o no, Epper non sarà contento. Perché sa che ora abbiamo tutti gli assi del mazzo: i primi due Pilastri, la Pietra Filosofale e la Pietra di Fuoco.» «C'è un'altra cosa, signore», aggiunse l'altro. «Sì?» Katana fece un cenno a qualcuno, e dalla folla fu spinto avanti un altro prigioniero. Wolf inarcò le sopracciglia, sorpreso. Era lo stregone dei Neetha. Le mani nodose del vecchio erano ammanettate, ma gli occhi fiammeggiavano d'ira. «E tu come potresti aiutarmi?» domandò Wolf, sapendo che era improbabile che il vecchio stregone lo comprendesse. Con sua grande sorpresa, il Neetha gli rispose. Ma non in Thoth. Gli rispose in una lingua che Wolf riconobbe: greco, greco antico. «Il Secondo Vertice della Macchina», disse lo stregone parlando in greco lento ma perfetto. «Io l'ho visto. Vi porterò lì.» Wolf trasali per lo stupore, e un sorrisetto gli affiorò sulle labbra. «Katana, Spadone, mettete in moto gli elicotteri e chiamate i nostri a Kinshasa. Comunicate di preparare un aereo per Città del Capo. È ora di andare a prendere il nostro fottuto premio.» * Mentre l'Halicarnassus volava verso sud-est in tutta pace, Zoe e gli altri raggiunsero Sky Monster sui sedili subito dietro la cabina di pilotaggio. Ono e Diane Cassidy furono presentati e Sky Monster raccontò che cosa gli era successo dopo che lo avevano lasciato in Ruanda. «Dopo che i ragazzi di Solomon mi hanno portato un po' di carburante, sono andato in volo alla vecchia fattoria in Kenia, dove ho fatto un controllo completo dell'aereo e rifornimento. Ho fatto anche montare un motore nuovo fiammante.»
«Hai motori a reazione di scorta là?» domandò Zoe. «Può capitarmi di... trovarne... mentre viaggio e di metterli da parte per i tempi difficili», si difese Sky Monster imbarazzato. «Comunque sia, ho tracciato tutti i decolli rapidi nell'Africa centrale e ho individuato questi congolesi sullo scanner satellitare - a bordo di alcuni Clipper e sotto scorta di un paio di elicotteri degli Stati Uniti - tutti diretti in questa regione. Ho immaginato che vi avessero scovato, e così li ho seguiti da lontano. Poi, quando vi ho visti decollare nell'altra direzione, ho capito che ai comandi non poteva esserci che Zoe.» «Ah! ah!» fece Zoe, sarcastica. Sky Monster domandò: «Ehi, dov'è Solomon? Voglio ringraziarlo per il carburante che mi ha mandato». Zoe scosse la testa. «È morto per difendermi», rispose Lily, gli occhi bassi. «Oh», fece Sky Monster. «E Alby?» «Lascia perdere», rispose Zoe, massaggiandosi le tempie. Era chiaro che non aveva ancora superato quel trauma. «Speriamo non sia morto anche lui.» Lanciò uno sguardo a Lily mentre lo diceva, e incontrò i suoi occhi. La bambina non disse nulla. Mentre parlavano, in un angolo Merlino batteva sulla tastiera di un computer, pubblicando un messaggio cifrato sulla bacheca elettronica del Signore degli Anelli di cui lui, Lily e Jack si servivano per comunicazioni del genere. Se Jack era vivo in qualche modo, alla fine sarebbe andato a vedere su quella bacheca. «Credi che papà sia ancora vivo?» domandò Lily, andando alle spalle di Merlino mentre scriveva. «Anche se quell'uomo ci ha mostrato il suo elmo?» L'anziano professore si volse a guardarla. «Tuo padre è un uomo molto forte, Lily. L'uomo più forte, testardo, brillante, leale, premuroso e difficile da ammazzare che io conosca. Per quanto mi riguarda, Jack West non è morto finché non vedo il suo cadavere immobile coi miei occhi.»
Le sue parole non parvero incoraggiare Lily. Merlino si limitò a sorridere. «Non dobbiamo mai rinunciare alla speranza, piccola. La speranza che i nostri cari siano vivi, la speranza che il bene prevalga sul male in questo epico scontro. Nonostante i potenti avversari e la lotta impari, la speranza è tutto ciò che abbiamo. «Non perderla mai, Lily. Nel profondo del loro cuore, persone cattive come Wolf non hanno speranza e così la sostituiscono con la cupidigia: la cupidigia di predominio, di potere... e se mai riescono a conquistare tale potere sono felici solo perché poi tutti gli altri sono sventurati come loro. Abbi sempre speranza, Lily, perché la speranza è ciò che fa di noi persone buone.» Lily lo fissò. «Quel tipo, Wolf, al telefono mi ha detto che è mio nonno, il padre di Jack. Com'è possibile che papà sia così buono e Wolf così cattivo?» Merlino scosse la testa. «Non so spiegarlo. La strada che una persona prende nella vita è spesso determinata dalle cose più strane, più fortuite. Jack e suo padre si assomigliano per molti versi: hanno entrambi una volontà di ferro e un'intelligenza fuori del comune. Jack agisce soltanto per il bene comune, mentre suo padre solo per se stesso. In un certo momento della loro vita, ciascuno dei due ha imparato a comportarsi in questo modo.» «E io come sarò allora?» domandò Lily nervosa. «Voglio essere come papà, ma sembra che non sia scontato. Non voglio fare la scelta sbagliata quando è importante.» Merlino le sorrise, arruffandole i capelli. «Lily, non posso neanche lontanamente immaginare che tu faccia la scelta sbagliata.» «E ora quel Wolf ha preso Alby», disse la bambina. «Si», fece Merlino. «Si...» In quel momento, qualcosa emise un bip nella cabina di pilotaggio e Sky Monster andò a controllare. Due secondi dopo urlò: «Ma che dia...?» Zoe e gli altri corsero nella cabina per vedere che cosa lo aveva sconvolto.
Trovarono Sky Monster col dito puntato sulla mappa aerea satellitare dell'Africa meridionale. Dozzine di puntini rossi riempivano il cielo sopra il confine settentrionale del Sudafrica. Altri puntini blu fiancheggiavano la costa occidentale al largo di Città del Capo. «Che succede?» domandò Zoe. «Guarda tutti quei puntini», rispose. «Quelli rossi rappresentano velivoli militari, quelli blu navi da guerra. E su tutte le frequenze ripetono lo stesso messaggio: l'aeronautica militare sudafricana ha interdetto lo spazio aereo sudafricano a tutto il traffico aereo straniero, militare e commerciale. Contemporaneamente, la marina ha formato un perimetro intorno a Città del Capo, la Montagna della Tavola e metà del capo di Buona Speranza.» Indicò un paio di puntini colorati di bianco sull'oceano a sud del capo. «Questi puntini bianchi sono le uniche navi civili che sono state autorizzate a entrare in porto, circa un'ora fa. A giudicare dai loro transponder, sono motopescherecci registrati in Sudafrica di ritorno dall'oceano Indiano. Sono gli unici che possono rientrare. Ora tutte le rotte marittime sono chiuse.» «Ma dobbiamo arrivare a Città del Capo entro domani sera», protestò Zoe. Sky Monster ruotò nel sedile. «Mi dispiace, Zoe, ma non possiamo farlo, non senza essere abbattuti. I nostri nemici ci hanno completamente tagliato fuori. Devono aver corrotto il governo sudafricano con una barca di soldi. Detesto dover essere io a dirtelo, ma non possiamo raggiungere Città del Capo.» SETTIMA MISSIONE IL SECONDO VERTICE
INGHILTERRA - SUDAFRICA 10 DICEMBRE 2007V SETTE GIORNI PRIMA DELLA SECONDA SCADENZA (QUATTRO GIORNI PRIMA) TENUTA DI ENMDRE, LAND'S END, INGHILTERRA, 10 DICEMBRE 2007 Lachlan e Julius Adamson sedevano con un'espressione tetra nella biblioteca chiusa a chiave della tenuta di Enmore, una proprietà isolata a sud-ovest dell'Inghilterra, nelle vicinanze di Land's End. La luce rossa lampeggiante di un sensore di movimento supersensibile li fissava dall'alto, rilevando ogni loro spostamento, riferendo ai loro sequestratori giapponesi che erano ancora lì dove dovevano essere. Sedevano con lo zaino di Lily e nient'altro. Nella sacca erano rimasti soltanto i suoi giocattoli: qualunque altra cosa di valore avevano, era stata sequestrata dai giapponesi. Ogni tanto, i sequestratori andavano da loro per chiedere di spiegare un grafico sul loro computer o un'e-mail che Merlino aveva scritto sulla Macchina. Tank Tanaka era sempre gentile, ma brusco, gli occhi duri e ge-
lidi, concentrati su uno scopo che i gemelli non riuscivano a comprendere. Solo una volta Lachlan riuscì a scuoterlo dalla trance. «Oh, Tank! Perché fai tutto questo, amico? Non pensi ai tuoi amici, come Merlino e Lily?» Tank li aggredì verbalmente, gli occhi che lanciavano fiamme. «Amici? Amici! Il concetto di amicizia è niente di fronte all'umiliazione di una nazione. Nel 1945 il mio Paese è stato disonorato, non solo sconfitto in battaglia, ma bastonato come un cane sotto gli occhi del mondo intero. Il nostro Imperatore, mandatoci da Dio stesso, l'ultimo della stirpe reale più lunga del pianeta, è stato spogliato delle sue vesti e del suo titolo, e il suo tesoro più sacro rubato. Questa è un'onta che nessun giapponese ha mai dimenticato.» Julius obiettò: «Ma il Giappone è di nuovo forte. Uno dei Paesi più ricchi e progrediti del mondo». «I robot e l'elettronica non possono restituirti l'onore, Julius. Solo la vendetta può farlo. Ho studiato questa Macchina per vent'anni, sempre pensando alla vendetta. Nel profondo dell'animo, tutti i giapponesi sono d'accordo con me, ed esulteranno quando la nostra vendetta sarà rivelata.» «Ma saranno tutti morti», protestò Julius. «Se ci riuscirai, tutta la vita del pianeta sarà distrutta.» Tank alzò le spalle. «La morte non è tale se porti con te il tuo nemico.» Qualche volta, in assenza di Tank, le guardie giapponesi conversavano in presenza dei gemelli, supponendo che, in quanto gaijin, i due non capissero il giapponese. In una di quelle volte, mentre scriveva sul suo computer per loro, Lachlan captò con discrezione la conversazione. «Che cosa dicono?» domandò Julius sottovoce. «Dicono che hanno appena ricevuto notizie dal 'loro uomo nell'unità di Wolf', un certo Akira Isaki.» «Isaki?»
«Chiunque sia, non è leale a Wolf. Lavora per questi bastardi. Ha appena chiamato per dire che - oh, merda - che Jack West è morto e che ora Wolf si sta dirigendo nel Congo, alla ricerca del Secondo Pilastro. Questo Isaki si rifarà vivo quando sarà tutto finito per dire a questi qui se devono entrare in azione o no.» «Cacciatore è morto?» domandò Julius. «Credi sia vero?» «Non so cosa pensare. Ma una cosa è certa: abbiamo poco tempo. È ora di tagliare la corda.» Dodici ore dopo, nel cuore della notte, una delle guardie giapponesi andò a controllarli. Uno dei sensori aveva rilevato la rottura di una finestra, ma il rilevatore di movimento indicava che i gemelli erano ancora nella biblioteca e si muovevano poco, forse immersi nel sonno. La guardia aprì la porta della biblioteca e si fermò di colpo. Era vuota. I gemelli erano spariti. L'unico oggetto che si muoveva era il piccolo cane robot di Lily, Sir Baubau, che scorrazzava avanti e indietro sulle zampette di metallo, abbaiando muto alla guardia sbalordita. Suonò l'allarme e le guardie accesero i riflettori, ma, quando Tank e i suoi uomini si misero a cercare i gemelli, quelli erano già a bordo di un pick-up che sfrecciava verso est, lontano da Land's End. «E ora dove andiamo?» domandò Julius, i capelli scompigliati dal vento. Lachlan fece una smorfia, pensoso. «Mi viene in mente solo un posto dove possiamo andare.» COMPLESSO MINERARIO IN QUALCHE LUOGO IN ETIOPIA, 10 DICEMBRE 2007
Mentre Zoe stava guidando il gruppo nelle regioni selvagge del Congo, e i gemelli fuggivano dalle grinfie della Fratellanza di Sangue giapponese di Tank in Cornovaglia, Orsacchiotto stava languendo nella misteriosa miniera etiope, in una gabbia medievale sospesa su una pozza di arsenico. Sei ore dopo la sconvolgente morte di Jack West - e dopo che suo fratello, Scimitarra, aveva lasciato Orsacchiotto a morire - la giornata lavorativa finì e le guardie etiopi cristiane responsabili della miniera condussero i minatori etiopi ebrei negli alloggi sotterranei: grotte dalle pareti terrose con tavolacci per letti e stracci per coperte. Pane ammuffito e una sbobba disgustosa serviti per cibo. Una volta messi sotto chiave i minatori schiavi, la trentina di guardie cristiane si radunò intorno alla pozza di arsenico e si mise a fissare il prigioniero, Orsacchiotto. Accesero torce. Intonarono canti. Batterono un grande tamburo. Eressero una croce cristiana a grandezza naturale e la incendiarono. Quindi ebbe inizio la danza tribale. Quando la croce cominciò a bruciare, tutte le altre torce furono spente, così che fosse l'unica sorgente di luce nella grande caverna: illuminava l'enorme grotta con un suggestivo bagliore arancione che danzava sulle torri di pietra semisepolte nelle altissime pareti terrose. Orsacchiotto guardava dalla gabbia inorridito. La sua ora, a quanto sembrava, era giunta. Lanciò uno sguardo triste alla profonda fossa a una trentina di metri dalla pozza di arsenico, la fossa dove Jack aveva trovato la morte. Poi, con un sobbalzo, la gabbia cominciò d'improvviso a scendere verso la pozza fumante lungo le catene cigolanti. Al bordo dello stagno, un paio di guardie etiopi stava calando la gabbia, girando la manovella di un tamburo.
Le altre guardie si misero a salmodiare in fretta. Sembrava il Padrenostro, in latino, recitato freneticamente: «Pater Noster, qui es in caelis, sanctificetur nomen tuum...» La gabbia scese. Orsacchiotto strattonò le sbarre. «Pater Noster, qui es in caelis, sanctificetur nomen tuum...» La gabbia era a soli tre metri dalla pozza ribollente di liquido nero. «Pater Noster, qui es in caelis, sanctificetur nomen tuum...» Due metri e mezzo, due... Orsacchiotto cominciò ad avvertire il calore della pozza, il vapore bollente che gli risaliva tutt'intorno. «Pater Noster, qui es in caelis, sanctificetur nomen tuum...» La salmodia continuò. La danza continuò. Il tamburo continuò a rimbombare. E la gabbia di Orsacchiotto continuò a scendere. E, mentre scendeva, il prigioniero dardeggiava gli occhi tra la pozza ribollente sotto di lui, la folla esaltata di guardie che salmodiavano e ballavano, e la croce fiammeggiante che torreggiava su tutti loro... e da qualche parte in mezzo a quella sarabanda infernale, sotto il rimbombo del tamburo, gli parve di udire un altro rumore, una specie di boato, ma non riuscendo a individuarne l'origine lasciò perdere. «Pater Noster, qui es in caelis, sanctificetur nomen tuum...» La pozza era ad appena un metro sotto i suoi piedi ora, le esalazioni lo inghiottivano. Grondava di sudore e, con la morte che si avvicinava e nessuna via di scampo, Orsacchiotto si mise a pregare. La nerboruta guardia etiope che aveva inchiodato col martello Jack West alla croce orizzontale adesso era a capo del rito sacrificale, battendo sul grande tamburo con fervore. Spalancò gli occhi di gioia quando la gabbia di Orsacchiotto
scese a poche decine di centimetri dalla letale pozza. Si mise a battere più forte sul tamburo, aumentando la frenesia della folla... proprio quando un grosso chiodo, sbucato dal nulla, sfrecciò nell'aria e si conficcò dritto nel suo occhio destro, penetrandogli nel cervello per quindici centimetri, uccidendolo sul colpo e scaraventandolo a terra. Il tamburo smise d'improvviso di rimbombare. Tutto si fermò. La danza, la salmodia, la frenesia. Anche gli uomini che stavano calando la gabbia di Orsacchiotto smisero di girare la manovella. Silenzio. Le guardie si voltarono. Per vedere un uomo in piedi dietro di loro, accanto alla croce in fiamme, illuminato in modo sinistro dalla luce del fuoco, una figura letteralmente imbrattata del suo sangue: sul volto, sugli abiti e, ben visibile, sulla ferita fasciata con un fazzoletto alla mano destra. Appena risorto, da sotto una grossa lastra di pietra in fondo a una profonda fossa, era Jack West Jr., ed era livido di rabbia. * Se l'uccisione di Jack West per mano di suo padre aveva ispirato paragoni con Cristo agli etiopi cristiani fondamentalisti, ora la sua resurrezione li raggelò. Il fatto che avesse già disarmato in silenzio quattro di loro durante la frenetica danza e che ora impugnasse una pistola nella mano sana servì solo a convincerli ancora di più che quell'uomo aveva qualità divine. Tranne che per una cosa. Jack West Jr. non era un dio misericordioso. A Jack ci erano volute sei ore, sei lunghe ore di misurati spostamenti e dolorosissimi movimenti, per liberarsi.
Bloccare la lastra di pietra era stato atroce. Quando il grosso blocco era scivolato sulla fossa, Jack aveva cercato in fretta una soluzione: l'unica cosa che possedeva in grado di reggere il peso di una lastra del genere era il suo avambraccio di titanio. E così, nel momento preciso in cui la lastra scivolò sull'apertura, Jack strinse i denti e tirò con tutte le sue forze la mano sinistra artificiale inchiodata a terra. Il chiodo si smosse appena, ma al primo strattone West non riuscì a tirarlo fuori. La lastra cadde nella fossa... proprio mentre Jack riusciva, con un altro strattone, a liberare la mano di metallo sinistra, con tutto il chiodo. Il lastrone precipitò giù, e Jack alzò il braccio artificiale, perpendicolare al corpo, chiuse il pugno e piegò le gambe di lato quando - con un tonfo pauroso - la lastra si schiantò sul pugno di metallo, schiacciandogli due dita. Ma il braccio resse e la pesantissima pietra cozzò contro l'indistruttibile avambraccio di titanio. Il lastrone si fermò di colpo a un centimetro dal naso di Jack e a chiunque avesse guardato giù nella fossa sarebbe sembrato che era stato completamente schiacciato dall'enorme lastra di pietra. Jack, tuttavia, aveva le gambe piegate a sinistra del corpo mentre la testa era girata a destra, la mano destra ancora inchiodata al pavimento, che era a pochi centimetri dal lastrone soprastante. Da lì, Jack aveva bisogno soltanto di coraggio, forza e tempo: il coraggio di afferrare, con la mano vera, il chiodo che vi era conficcato; la forza di stringere il pugno intorno alla testa del chiodo e di fare leva contro il blocco di sotto; e il tempo per farlo senza fare a pezzi la propria mano o morire di dolore. Tre volte svenne per lo sforzo, non sapeva per quanto tempo. Ma, dopo due ore di quella atroce sequenza di movimenti, riuscì finalmente a divellere il chiodo e a liberare la mano. Dopo una serie di profondi respiri d'iperventilazione, usò i denti per estrarre il chiodo dal palmo insanguinato.
Stretto fra i denti, il chiodo venne via con uno schizzo di sangue. Jack si sfilò svelto la cintura dai pantaloni e coi denti fece un laccio emostatico. A quel punto perse di nuovo conoscenza, per un'ora intera questa volta. Si svegliò al suono di canti, danze e tamburi. «Pater Noster, qui es in caelis, sanctificetur nomen tuum...» Ora doveva risolvere il problema della lastra che aveva addosso. Gli serviva solo una crepa nella pietra. La trovò vicino al punto in cui la mano destra era stata inchiodata. Nella crepa infilò un pezzo di esplosivo al plastico C2 grosso come una gomma da masticare: esplosivo ad alto potenziale e a corto raggio che teneva in uno scomparto segreto del braccio artificiale e che usava per far saltare le serrature delle porte nemiche in caso di cattura. Il C2 esplose - il boato lontano udito da Orsacchiotto - e una lunga crepa aprì a zig-zag la lastra per tutta la sua lunghezza, spezzandola perfettamente in due. La metà sulla destra di Jack cadde di piatto sul pavimento della fossa, aprendo uno stretto varco in cui sgusciare. Dopo una serie di prudenti contorsioni, usci quasi tutto, salvo per il braccio sinistro artificiale, che rimase sotto la lastra, tenendola sollevata dal pavimento. Una brutta situazione: non c'era modo di sollevare la metà sinistra della lastra per liberare il braccio di titanio. Perciò fece l'unica cosa che poteva fare. Si limitò a slacciare l'avambraccio artificiale dal bicipite e ruzzolò fuori. E così Jack si ritrovò in fondo alla fossa, con un braccio intero e uno monco, al suono di canti e tamburi... solo che adesso era libero. Un altro pezzo di C2 spezzò la metà della lastra sopra l'avambraccio artificiale, liberandolo. Jack si affrettò a riattaccarlo e legò stretto un fazzoletto intorno al palmo destro ferito.
Infine si arrampicò su per la scala nel muro della fossa e cominciò la sua guerra in solitaria contro le guardie della miniera di suo padre. * Di fronte alla torma di guardie, Jack sembrava l'angelo della morte. Aveva gli occhi iniettati di sangue e un cerchio di sangue raggrumato intorno alla bocca, sangue colato dal chiodo che si era strappato dalla mano coi denti. Ma era ancora un uomo contro trenta. Fu allora che mostrò la mano artificiale. Impugnava un estintore, che aveva preso dall'ascensore della torre di servizio. Con un gesto improvviso spruzzò un getto bianco di anidride carbonica sulla croce in fiamme, spegnendola e precipitando la miniera nel buio. Buio totale. Le guardie si fecero prendere dal panico, si misero a urlare. Poi si udì un rumore di piedi, tanti piedi, e... ... di colpo, le fioche luci d'emergenza della miniera si accesero, mostrando Jack nella stessa posizione di prima, accanto alla croce... ... ma ora con un esercito alle sue spalle. Un esercito di parecchie centinaia di schiavi minatori che aveva liberato dagli alloggi sotterranei prima di affrontare le guardie. Le espressioni dipinte sui volti dei minatori erano eloquenti: odio, rabbia, sete di vendetta. Sarebbe stata una lotta senza pietà per vendicare il loro crudele trattamento, per pareggiare i conti di mesi, anni di schiavitù. Con un grido lancinante, la folla di schiavi minatori si lanciò in avanti, all'attacco delle guardie. Fu una carneficina.
Alcune guardie tentarono di prendere le armi da una rastrelliera poco lontana, ma furono intercettate, gettate a terra e massacrate di calci. Le altre furono agguantate da una miriade di mani e scaraventate nella pozza di arsenico. Alcune guardie tentarono di fuggire verso l'ascensore - l'unica via d'uscita dalla miniera - ma furono assalite da parecchie decine di minatori che le aspettavano al varco con assi chiodate. Furono picchiate a morte. Nel giro di pochi minuti, tutte le guardie erano morte e la miniera era immersa in un lugubre silenzio nelle fioche luci d'emergenza. Jack si affrettò a liberare Orsacchiotto dalla gabbia. Una volta libero e a terra, Orsacchiotto fissò Jack inorridito. «Per Allah, Jack, hai un aspetto da schifo.» Coperto di sangue, sporco e ridotto allo stremo, Jack fece un sorriso sghembo. «Già...» Infine si accasciò tra le braccia di Orsacchiotto e perse i sensi. * Jack si svegliò con la meravigliosa sensazione della luce calda del sole sul volto. Aprì gli occhi e si ritrovò sdraiato su una branda in una guardiola appena all'interno dell'entrata superiore della miniera, i raggi del sole che entravano in diagonale dalla finestra. Aveva una fascia pulita sulla mano destra e il volto lavato. Indossava anche indumenti nuovi: un qualche tipo di abito tradizionale etiope. Socchiudendo gli occhi, si alzò e uscì cauto dalla guardiola. Orsacchiotto lo accolse sulla soglia. «Oh, il risveglio del guerriero. Sarai contento di sapere che ora questa miniera è nostra. Abbiamo fatto fuori le guardie di sopra con l'aiuto dei minatori, i quali - va detto - sono stati più che entusiasti di assalire i loro sequestratori.»
«Ci scommetto», disse Jack. «Dove siamo in Etiopia?» «Non ci crederai.» Uscirono dall'ufficio e si ritrovarono sotto un sole splendente. Jack osservò il panorama. Arido, brullo e cespuglioso, con un terreno color ruggine e colline senza alberi. E sparse qua e là tra alcune colline sorgevano delle strutture edifici di pietra -, edifici finemente lavorati, alti almeno cinque piani, che erano stati scavati nella roccia viva e incastonati in enormi buche delimitate da muri di pietra. Uno degli edifici, notò Jack, era stato scolpito a forma di croce con quattro bracci di uguale misura, una croce templare. «Sai dove siamo?» domandò Orsacchiotto. «Sì», rispose Jack. «Siamo a Lalibela. E queste sono le famose chiese di Lalibela.» «La missione è andata in fumo», disse Orsacchiotto amareggiato. Era passato poco tempo e i due uomini erano seduti al sole, con Jack che si curava la mano destra ferita. Tutt'intorno, i minatori giravano liberi; chi se ne andava, chi mangiava qualcosa, chi saccheggiava gli uffici superiori in cerca di indumenti e bottino. «Siamo stati sparpagliati ai quattro venti», proseguì Orsacchiotto. «Tuo padre ha rispedito Spilungone al Mossad, deciso a intascare la taglia sulla sua testa.» «Oh, merda...» esclamò Jack. «Ho visto Astro andare via con lui, mi sembra.» «Sì.» «Timeo americanos et dona ferentes», borbottò Jack. «Non so, Jack», disse Orsacchiotto. «Da quel che ho visto, Astro non sembrava, be', lui. E, durante la missione, mi è sembrato un giovane buono, non un cattivo. Non esprimerei un giudizio troppo affrettato a suo riguardo.» «Ho sempre tenuto in gran conto la tua opinione, Zahir. Considera sospeso il giudizio, per il momento. E di Wolf cosa mi dici?»
«È partito sulle tracce di Merlino, Zoe e Lily, per scovare l'antica tribù e mettere le mani sul Secondo Pilastro.» «I Neetha...» dedusse Jack, pensando. Fissò il vuoto per un momento. Infine disse: «Dobbiamo raggiungere Lily e gli altri. Assicurarci che abbiano quel Pilastro e collocarlo in tempo nel prossimo Vertice». «Hai bisogno di riposo», lo rimproverò Orsacchiotto. «E di un dottore.» «E di un lamierista», aggiunse l'amico, toccando le due dita di metallo semischiacciate della mano sinistra meccanica. Orsacchiotto propose: «Ci conviene andare nella nostra vecchia base in Kenia, la fattoria. È a solo un giorno di macchina da qui ed è a sud. Là puoi farti medicare e riparare il braccio. Dopodiché puoi partire per le regioni centrali del continente». «Io posso?» fece West. «Noi possiamo, no?» Orsacchiotto lo fissò. E poi puntò lo sguardo lontano. «Ti lascerò alla fattoria in Kenia, Cacciatore.» Jack tacque. «Non posso lasciare il mio amico a soffrire nelle celle del Mossad», aggiunse, volgendo di nuovo lo sguardo sull'amico. «Il Mossad non perdona niente. E non dimentica mai gli agenti che hanno disobbedito agli ordini. Anche se la fine del mondo è vicina, non abbandonerò Spilungone a una morte atroce in carcere. Non permetterebbe mai che una simile sorte capitasse a me.» Jack si limitò a ricambiare il suo sguardo. «Capisco.» «Grazie, Jack. Ti accompagnerò in Kenia e là le nostre strade si divideranno.» Jack annuì di nuovo. «Sembra un piano...» Proprio in quel momento, tuttavia, una delegazione di una dozzina di etiopi ebrei si avvicinò. Il portavoce, un uomo d'aspetto dignitoso, stringeva un fagotto nelle mani, avvolto in un pezzo di iuta. «Mi scusi, signor Jack», esordì a capo chino. «In segno di grati-
tudine, gli uomini volevano offrirle questo.» «Che cos'è?» domandò West, sporgendosi. «Oh, sono le pietre che suo padre ci ha fatto cercare nella miniera», rispose l'uomo, in tono pratico. «Le abbiamo trovate tre settimane fa. Ma non l'abbiamo detto né a lui né alle sue guardie. Così le abbiamo nascoste e abbiamo continuato a scavare come se non le avessimo mai trovate, in attesa di essere salvati, in attesa di lei.» Suo malgrado, Jack scosse la testa con un sorriso. Non riusciva a crederci. «E, poiché ci ha liberati, desideriamo donare le pietre sacre a lei, come segno della nostra gratitudine. Pensiamo che lei sia un uomo buono, signor Jack.» Il portavoce degli schiavi minatori ebrei gli porse il fagotto di iuta. Jack guardò l'uomo negli occhi mentre lo accettava. «Vi ringrazio sinceramente. E inoltre chiedo scusa al suo popolo per la crudeltà di mio padre.» «Lei non è responsabile delle sue azioni. Buona fortuna, signor Jack, e, caso mai dovesse aver bisogno di aiuto in Africa, ci chiami. Verremo.» E con ciò la delegazione se ne andò. «Mi venga un colpo!» esclamò Orsacchiotto. «A fare del bene ci si guadagna sempre...» Accanto a lui, Jack svolse con delicatezza il panno di iuta, e trovò due tavole di pietra, grandi più o meno come una cartella, e chiaramente antiche. Su entrambe era incisa una mezza dozzina di righe, scritte nella Parola di Thoth. «La Tavole Gemelle di Thutmoses», disse Jack senza fiato. «Santo cielo.»
SAVANA KENIOTA, 11 DICEMBRE 2007, SEI GIORNI PRIMA DELLA SCADENZA Jack e Orsacchiotto percorrevano a gran velocità la sconfinata savana keniota a bordo di un vecchio camion che avevano preso nella miniera di Lalibela. Orsacchiotto era al volante mentre Jack, seduto nel sedile del passeggero, fissava le due antiche tavole. «Cacciatore. Cosa sono quelle lì?» Con gli occhi inchiodati sulle tavole, Jack rispose: «Non mi crederesti se te lo dicessi». Orsacchiotto gli scoccò un'occhiata. «Provaci.» «Okay. Le Tavole Gemelle di Thutmoses sono una coppia di lastre di pietra che un tempo appartenevano a Ramses il Grande, intorno al 1250 a.C. Si trovavano su un altare sacro nel suo tempio preferito di Tebe, il tesoro più prezioso del suo regno. Ma furono trafugate negli ultimi anni di vita di Ramses, rubate dal tempio da un sacerdote rinnegato.»
«Ammetto che non ho mai sentito parlare prima di queste tavole», confessò Orsacchiotto mentre guidava. «Dico male?» «Oh, ne hai sentito parlare. Solo che le conosci con un altro nome. Vedi, le Tavole Gemelle di Thutmoses sono comunemente note come i Dieci Comandamenti.» «I Dieci Comandamenti!» esclamò Orsacchiotto. «Stai scherzando! Le due tavole di pietra con le leggi di Dio che Mosè ricevette sul monte Sinai?» Jack ribatté: «O che ne dici di due antiche tavole di pietra su cui erano incise antiche conoscenze rubate da un sacerdote egiziano di nome Mosè nel tempio di Ramses a Tebe e portate di nascosto sul monte Sinai dopo essere fuggito dall'Egitto? «E, tanto per essere precisi, originariamente la tavola era una sola», aggiunse. «Secondo l'Esodo, Mosè la ruppe in due. E presentava solo cinque comandamenti, non dieci: le tavole sono identiche, contengono lo stesso testo. Che Dio abbia consegnato le tavole a Mosè sul monte Sinai, o che Mosè le abbia rivelate ai suoi proseliti per la prima volta sul monte Sinai, è dubbio.» «Ah, sì?» «Be', ti faccio una domanda: chi era Mosè?» Orsacchiotto si strinse nelle spalle. «Un pastore ebreo che fu abbandonato dalla madre alla corrente del fiume e che fu cresciuto come fratello di...» «... Ramses II», finì Jack. «Conosciamo tutti la storia. Che Mosè visse durante il regno di Ramses il Grande è probabile. Che fosse un ebreo è improbabile, dato che 'Mosè' è un nome egiziano.» «'Mosè' è un nome egiziano?» «Sì, infatti, in senso stretto, è solo metà nome. Mosè è un nome di origine egizia - da Moses - e significa 'nato da' o 'figlio di'. In genere è unito a un elemento teoforico riferito a una divinità. Perciò Ramses - o, scritto in un altro modo, 'Ra-moses' - significa 'Figlio di Ra'. «Come tale, è estremamente improbabile che 'Mosè' fosse in ef-
fetti il nome dell'uomo che chiamiamo Mosè. Sarebbe come chiamare uno scozzese Mc o un irlandese O' senza aggiungere il nome di famiglia: McPherson, O'Reilly.» «E allora come si chiamava?» «Gli studiosi più moderni sono convinti che il nome completo di Mosè fosse Thutmoses: il figlio di Thoth.» «Come nella Parola di Thoth?» «Proprio lo stesso. E come tu e io sappiamo molto bene, Thoth era il dio egizio della sapienza. Della sapienza sacra. Questo ha portato molti studiosi a dedurre che l'uomo che chiamiamo Mosè era in realtà un sacerdote egizio. Molto di più, era un sacerdote molto influente; un grande oratore, un capo carismatico. Ma c'era un grosso problema. Professava una concezione eretica della religione.» «Quale?» «Monoteista», rispose Jack. «L'idea che esiste un solo dio. Nel secolo antecedente l'ascesa di Ramses al trono, l'Egitto era stato governato da un particolare faraone di nome Akhenaten. Akhenaten è passato alla storia come l'unico faraone egiziano che predicava il monoteismo. Naturalmente, non durò molto tempo. Fu assassinato da un gruppo di sacerdoti, sacerdoti pieni di risentimento che per secoli avevano detto agli egiziani che c'erano molte divinità da adorare. «Ebbene, se consideri il Mosè biblico, noterai che professava un'idea molto simile: un unico dio onnipotente. È molto probabile che Mosè fosse uno dei sacerdoti di Akhenaten sopravvissuto alla sua caduta. Ora, ragionaci sopra, se questo sacerdote carismatico s'imbattesse in un paio di tavole di pietra incise da una civiltà progredita precedente, non pensi che potrebbe sfruttarle per dare forza alla sua predicazione? Per dire ai suoi proseliti: 'Guardate che cosa Dio vi ha mandato nella sua infinita saggezza! Le sue leggi immutabili!'» «Capisci che, se hai ragione, le lezioni di catechismo non saranno mai più le stesse», disse Orsacchiotto. «Che cosa c'entra dun-
que tutto questo con le remote chiese di pietra in Etiopia?» «Bella domanda. Secondo il racconto biblico, i Dieci Comandamenti erano custoditi nell'Arca dell'Alleanza, l'arca foederis, in una cripta speciale nel cuore del Tempio di Salomone. Be', nei film, Indiana Jones trova l'Arca nell'antica città egizia di Tanis, ma, secondo gli etiopi, Indy si sbagliava. «Gli etiopi affermano da oltre settecento anni che l'arca foederis si trova sulla loro terra, portata lì direttamente dal Tempio di Salomone da cavalieri europei nel 1280 d.C, gli stessi cavalieri europei che costruirono le chiese di Lalibela. A quanto pare, gli etiopi avevano ragione.» «Perciò, se sulle tavole non è inciso il decalogo di Dio, che cosa c'è scritto?» domandò Orsacchiotto. Jack fissò le incisioni sulle due tavole che teneva sulle gambe. «Qualcosa di altrettanto importante: le parole di un rituale che deve essere eseguito nel Sesto e ultimo Vertice della Macchina, quando il Sole Nero sfiorerà la terra. Le Tavole Gemelle di Thutmoses contengono un testo segreto che salverà tutti noi.» Attraversarono il Kenia, diretti a sud, sfrecciando sulle autostrade fino a che non raggiunsero la cima di un ultimo colle e non apparve la vecchia base: una grande fattoria poco lontana dal confine con la Tanzania. A sud, sull'orizzonte lontano, il cono del Kilimangiaro svettava maestoso nel cielo. E ad attenderli sulla veranda della fattoria c'erano due uomini bianchi. Uno indossava una T-shirt nera, l'altro una bianca. Sulle magliette campeggiavano le scritte: HO VISTO IL LIVELLO DELLE MUCCHE! e IL LIVELLO DELLE MUCCHE NON ESISTE. Erano i gemelli. Horus era appollaiato sull'avambraccio di Lachlan. Quando vide Jack, emise strida di gioia e gli volò dritto sulla spalla. «Quando siamo arrivati qui stamattina, il tuo piccolo amico ti
stava aspettando», disse Julius. «Hai un falco davvero fedele», osservò Lachlan. «Il migliore del mondo», convenne Jack, sorridendo all'amico pennuto. «Il migliore del mondo.» * Entrarono nella fattoria. «Abbiamo un sacco di cose da raccontarti...» anticipò Lachlan mentre camminavano, ma Jack alzò un dito e andò nel suo vecchio studio. Li forzò un'asse di legno e tirò fuori da sotto il pavimento una scatola da scarpe piena di mazzette di dollari americani e un kit di pronto soccorso del SAS australiano. Prese una siringa dal kit e la riempi con una droga denominata Andarin: «Supersiero», come preferivano chiamarla gli uomini del SAS. Era una potente miscela di adrenalina e cortisolo puro. Era una droga di combattimento, studiata per smorzare il dolore e fornire una scarica adrenalinica, così che un soldato ferito - come Jack in quel momento - potesse superare uno scontro col nemico. Jack se la iniettò nel braccio e batté subito le palpebre. «Oh, questa roba è una bomba.» Si scusò coi gemelli. «Scusate, ragazzi. Avevo bisogno di qualcosa che mi tirasse su finché non sarà tutto finito. Bene, raccontatemi tutto.» Si accomodarono nel soggiorno della fattoria abbandonata, dove i gemelli raccontarono tutto d'un fiato quello che avevano scoperto durante l'ultima settimana. Riferirono a Jack l'ubicazione del Secondo Vertice: a sud della Montagna della Tavola a Città del Capo, in Sudafrica. Lo misero al corrente di Tank Tanaka e della missione della fratellanza giapponese di vendicare il disonore nazionale subito nella seconda guerra mondiale... con un suicidio di massa a livello planetario. Riferirono anche di aver carpito la preziosa informazione
che tale fratellanza giapponese si era infiltrata nell'unità CIEF di Wolf con uno dei loro uomini, un certo Akira Isaki. Mentre attendevano che qualcuno arrivasse alla fattoria, i gemelli si erano inseriti abusivamente in un database dell'esercito americano e avevano scoperto che c'era davvero un soldato statunitense di nome A.J. Isaki - Akira Juniro Isaki -, un marine che era stato distaccato alla CIEF. Lachlan spiegò: «Isaki è nato negli Stati Uniti nel 1979 da una coppia nippo-americana che...» «... a detta di tutti erano persone molto simpatiche», proseguì Julius. «Il punto è», riprese la parola Lachlan, «che i suoi nonni - i nonni paterni - erano giapponesi purosangue e durante la seconda guerra mondiale furono imprigionati in un campo d'internamento californiano...» «Orribili, quei campi. Una macchia nella storia americana...» «Ma, quando i genitori del piccolo A.J. morirono in un incidente automobilistico nel 1980, A.J. Isaki fu cresciuto dai nonni...» «Dai nonni giapponesi purosangue, ora pieni di rancore, membri della Fratellanza di Sangue. A.J. entrò nei marine, dove fece rapidamente carriera nella forza di ricognizione, e alla fine fu distaccato - dietro sua domanda - alla CIEF nel 2003.» «Il suo nome in codice è Katana», aggiunse Lachlan. «Katana», ripeté Jack, ricordando vagamente il marine asioamericano che Wolf gli aveva presentato nella miniera etiope, quando era stato inchiodato sul fondo della fossa. «Siete ancora online?» Julius piegò la testa di lato. «L'astronave Enterprise è alimentata da cristalli di dilitio? Certo che siamo online.» Porse il computer portatile a Jack. West batté su alcuni tasti. «Dobbiamo scoprire se Merlino e Zoe sono riusciti a procurarsi il Secondo Pilastro dai Neetha. Speriamo che mi abbiano lasciato un messaggio su Internet.» Aprì la chat del Signore degli Anelli, inserì il suo nome utente -
STRIDER101 - e la password. Sullo schermo si aprì un'altra pagina e Jack si accigliò: «Niente». Nessun messaggio. Il messaggio di Merlino sarebbe arrivato sulla bacheca cinque giorni dopo. Lachlan disse: «C'è un'altra cosa». «Cosa?» «Da quando siamo arrivati, abbiamo tenuto sotto controllo tutte le frequenze militari, in cerca di notizie di te e degli altri. Nelle ultime ventiquattro ore, un nutrito gruppo di nazioni africane ha fatto decollare in tutta fretta le proprie forze aeree. C'è stata anche una catena di blocchi aerei nel Sud del continente: prima lo Zimbabwe e il Mozambico, poi l'Angola, la Namibia e il Botswana. È vietato il traffico aereo commerciale. Qualcuno sta chiudendo tutti i corridoi aerei per il Sudafrica.» Jack rifletté. «Il prossimo Vertice si trova sotto la Montagna della Tavola a Città del Capo, dite?» «Un po' a sud da lì, sì», rispose Lachlan. «Dobbiamo arrivare là», disse Jack, saltando in piedi. «Dobbiamo arrivare là prima della scadenza.» «Che vuoi dire?» domandò Julius. «A mio modo di vedere, le cose possono andare in due modi: primo, Merlino, Lily e Zoe prendono il Pilastro e vanno a Città del Capo; il che significa che arriveranno là coi nemici alle calcagna.» «E il secondo?» Jack si morse il labbro. «Il secondo è il quadro peggiore: è Wolf che prende il Pilastro e va a Città del Capo col manufatto. Se lo colloca nella sua sede, tanto meglio: salverà il mondo ancora per un po'. Ma, come hai appena detto, l'unità CIEF di Wolf è stata compromessa dalla Fratellanza di Sangue giapponese. Almeno un membro della sua squadra, questo Katana, è un traditore... e non vuole affatto che il Pilastro sia collocato. Vuole distruggere il mondo, lavare l'onta che macchia l'onore del Giappone. E, se Ka-
tana fa parte della squadra di Wolf a Città del Capo, allora farà sì che non riescano a collocare il Pilastro.» «Il che sarebbe grave», osservò Lachlan. «Tanto grave da segnare la fine del mondo», aggiunse Julius. «Già», fece Jack. «Perciò, nell'uno o nell'altro caso, dobbiamo andare a Città del Capo, ad aiutare Merlino e - non posso credere a quel che dico - ad aiutare Wolf.» Julius domandò: «Ma come facciamo ad arrivare in Sudafrica in sei giorni senza aereo?» Jack guardò fuori della finestra. «Conosco solo un uomo che potrebbe aiutarci, ma non abbiamo un attimo da perdere.» Si alzò. «Avanti, ragazzi. Andiamo a Zanzibar.» AEROPORTO INTERNAZIONALE DI NAIROBI, 11 DICEMBRE 2007, ORE 18.00 SEI GIORNI PRIMA DELLA SCADENZA Quella sera Jack era sulla pista dell'Aeroporto Internazionale di Nairobi, pronto a salire su un aereo charter privato, un piccolo Cessna che aveva pagato tutto in contanti, più un bigliettone da mille dollari per assicurarsi che il pilota non facesse domande. Il pilota keniota prese il denaro senza batter ciglio. Pagamenti del genere non erano rari per chi si recava a Zanzibar. Mentre i gemelli salivano a bordo, Jack rimase sulla pista con Orsacchiotto. «È giunto il momento di salutarci, credo.» «È stato un onore e un privilegio servirti, Jack West Jr.», disse Orsacchiotto. «L'onore è stato per me, amico mio.» «Quando rivedi Lily, salutala con affetto da parte mia.» «Lo farò.» «Mi spiace di non poter venire con te da qui in poi. Ma non posso abbandonare Spilungone a...» «Capisco», lo interruppe Jack. «Se potessi, verrei con te.»
Si guardarono negli occhi per un lungo momento. Infine Jack fece un passo avanti e abbracciò forte l'arabo. «In bocca al lupo, Zahir.» «Anche a te, Cacciatore.» E poi si staccarono e Jack segui con gli occhi Orsacchiotto che si allontanava con passo deciso sulla pista. In piedi sulla scaletta dell'aereo, si domandò se avrebbe mai più rivisto il suo amico. ZANZIBAR, AL LARGO DELLA COSTA DELLA TANZANIA, 11 DICEMBRE 2007, ORE 23.45, SEI GIORNI PRIMA DELLA SCADENZA Era quasi mezzanotte quando Jack e i gemelli arrivarono a Zanzibar a bordo del Cessna. Zanzibar. Una piccola isola al largo della costa orientale dell'Africa, nel XIX secolo era stata il covo di pirati, mercanti di schiavi e contrabbandieri; un rifugio decadente e senza legge per coloro che rispettavano poco la legge. Nel XXI secolo, poco era cambiato. A eccezione degli sfarzosi hotel sul lungomare che accoglievano i turisti di ritorno dal Kilimangiaro, Zanzibar conservava il suo secolare squallore: pirati dei nostri giorni si nascondevano nelle bettole di quartieri malfamati mentre i pescatori sudafricani frequentavano le bische e i bordelli, comprando per due soldi i servigi delle giovani native africane tra una mano di blackjack e l'altra. Le vecchie grotte dei pirati sparse qua e là lungo l'impervia costa orientale dell'isola erano ancora usate. Era a quella impervia costa orientale che Jack e i gemelli erano diretti a bordo di una vecchia Peugeot, alla volta di un faro da tempo abbandonato arroccato su un lontano promontorio. Attraversarono un cancello di filo spinato e percorsero un lungo passo carraio ricoperto d'erbacce fino alla porta principale del faro.
Non si vedeva anima viva nei paraggi. «Sei sicuro che sia il posto giusto?» domandò Lachlan nervoso. Toccò la pistola Glock che Jack gli aveva dato. «Sono sicuro», rispose Jack. Fermò la macchina, scese e andò alla porta del faro. I gemelli lo seguirono, squadrando l'anello di erba incolta che avvolgeva la base della struttura. Jack tamburellò sulla porta tre volte. Nessuna risposta. La porta non si aprì. Nessun rumore a parte il frangersi delle onde. «Chi va là?» tuonò inaspettata una voce con accento africano alle loro spalle. I gemelli si girarono di scatto, Lachlan con la pistola puntata. «Lachlan, no!» Con un balzo in avanti Jack abbassò la pistola. L'intervento salvò la vita del ragazzo. Erano circondati. Chissà come, mentre erano alla base del faro, non meno di dieci tanzaniani - tutti di pelle nera, con indosso uniformi di fatica militari blu scuro e armati di fucili d'assalto M-16 nuovi fiammanti - li avevano sorpresi alle spalle. Senza il minimo rumore. Jack riconobbe il capo del gruppo. «Inigo, sei tu? Sono io, Jack. Jack West. Questi sono amici miei, Lachlan e Julius Adamson, due smanettoni scozzesi.» Il tanzaniano ignorò completamente la presentazione di Jack. Si limitò a guardare i due gemelli con occhio torvo. «Smanettoni?» domandò, corrugando la fronte. «Esperti di computer?» «S-sì», confermò Lachlan, deglutendo. Il tanzaniano non smise di corrugare la fronte. Aveva una fila di tatuaggi in rilievo tradizionali sulla fronte. «Giocate a Warcraft su Internet?» volle sapere. «Ehm, sì...» rispose Julius. L'africano indicò le T-shirt col riferimento al «livello delle muc-
che». «Il livello delle mucche. Giocate il videogame per computer, Diablo II?» «Be'... sì...» D'improvviso, il volto aggrondato dell'altro si spianò in un largo sorriso, su una fila di grandi denti bianchi. Si girò di scatto verso Jack e disse: «Cacciatore, ho sentito parlare del 'livello delle mucche' di questo gioco, ma mi venga un colpo se sono riuscito a trovarlo!» Si girò di nuovo verso i gemelli. «Mi mostrerete voi due come trovarlo, voi due... cowboy!» Jack sorrise. «Anch'io sono contento di rivederti, Inigo. Ma ho paura che siamo un po' di fretta. Dobbiamo vedere Sea Ranger. Subito.» * Furono accompagnati dentro il faro, dove, invece di salire, scesero: prima attraverso un vecchio scantinato coperto di polvere, poi attraverso un deposito sotterraneo. Li si trovava una scala nascosta che scendeva ancora più giù, penetrando nel cuore del promontorio prima di sbucare in una grande caverna a livello del mare. In qualche momento del passato - forse da pirati dell'Ottocento la grotta era stata fornita di due moli di legno e di alcune baracche. In tempi più recenti, invece, Sea Ranger aveva montato generatori e luci, nonché ampliato i moli con prolungamenti in cemento armato. Al centro di tutto, ormeggiato a uno dei moli con la torretta che svettava, faceva bella mostra di sé un sottomarino classe Kilo. Jack era già stato li, perciò non fu molto sorpreso da quella scena piuttosto impressionante. I gemelli, tuttavia, rimasero di stucco. «Sembra la Batcaverna...» commentò Lachlan. «No, molto meglio...» osservò Julius. Un passaggio tortuoso come un fiume sboccava nell'oceano e, a
metà strada, un frangiflutti mobile proteggeva la grotta dal mare mosso all'esterno. Dalla caverna si poteva uscire soltanto con l'alta marea: con la bassa marea, gli scogli affioravano lungo il passaggio tortuoso. J.J. Wickham aspettava in piedi sul molo in fondo alla scala: ex comandante in seconda della marina degli Stati Uniti, cognato di Jack West Jr., nome in codice «Sea Ranger». Si abbracciarono. Non si vedevano da quella festa di Capodanno a Dubai. «Jack, che cosa sta succedendo?» domandò subito Wickham. «Negli ultimi giorni, metà continente africano è andato giù di testa. I sauditi hanno offerto mezzo miliardo di dollari a qualunque Paese trovi due persone che assomigliano un sacco a mia nipote e al tuo mentore.» «I sauditi...?» ripeté Jack ad alta voce. Avvoltoio, pensò. Brutto figlio di... Ciò spiegava il blocco dei corridoi aerei nel Sud del continente: solo i sauditi potevano permettersi di pagare tutti quei Paesi africani. «I sauditi sono in combutta con mio padre...» aggiunse ad alta voce. Tutto tornava. Il Gruppo Caldwell e i sauditi avevano rapporti di lungo corso basati sul petrolio. E se il secondo premio - calore era ciò che Merlino sospettava, il moto perpetuo, allora i sauditi avevano un enorme interesse a ottenerlo. In tutto quel tempo, non aveva combattuto solo contro suo padre, ma contro una triplice minaccia: il Gruppo Caldwell, l'Arabia Saudita e la Cina, tutti alleati insieme. Si volse verso Wickham. «È una situazione complicata che si è fatta ancora più complicata. Devo raggiungere subito Città del Capo entro sei giorni, di nascosto, e non posso farlo in aereo. Ti racconterò il resto in viaggio.» «C'è sotto tuo padre?» «Sì.»
«Non dire altro», tagliò corto Wickham, già in marcia verso il sottomarino. «I suoceri possono essere delle rogne, ma quell'uomo è il suocero più rompipalle che ti possa capitare.» Jack segui Wickham. «I nostri nemici cercheranno i sottomarini. Hai qualche tipo di copertura?» L'altro continuò a camminare. «In effetti, sì.»
AL LARGO DEL CAPO DI BUONA SPERANZA, 16 DICEMBRE 2007, ORE 17.55, IL POMERIGGIO PRECEDENTE LA SECONDA SCADENZA Cinque giorni dopo, Jack e i gemelli si trovarono a doppiare capo Agulhas, avvicinandosi al punto d'incontro fra l'oceano Indiano e l'oceano Atlantico. Città del Capo sorgeva a nord-ovest, su una penisola naturale montuosa che si affacciava sull'Atlantico. Avevano fatto un buon tempo da Zanzibar, viaggiando fino a metà della costa orientale africana sulla superficie dell'oceano nel sottomarino diesel-elettrico classe Kilo, da lui ribattezzato Indian Raider, «predone indiano». La ragione di tanta speditezza era la copertura che Wickham aveva realizzato di recente per mimetizzare il suo sottomarino russo lungo settantaquattro metri. La parte superiore di un vecchio motopeschereccio sudafricano -
sventrato del motore e dei macchinari pesanti - era stata montata sul dorso del sottomarino. Con l'avvento dei satelliti in grado d'individuare le scie in mare, Wickham aveva deciso di recente che gli serviva un ulteriore livello di mimetizzazione, e aveva avuto l'idea di una «copertura» da montare sul suo sottomarino. Quindi, un paio di mesi addietro, quando una ciurma di pescatori sudafricani ubriachi fradici, in porto per una sosta dopo sei settimane in mare, aveva picchiato una delle prostitute più carine in città, Sea Ranger e i suoi uomini avevano deciso d'insegnare loro un po' di buone maniere. I pescatori avevano ricevuto una bella lezione e, mentre giacevano privi di sensi in un vicolo malfamato, Wickham aveva rubato loro la nave e l'aveva portata nella sua grotta. Lì era stata spogliata, sventrata e infine issata su catene, pronta per una missione come quella. In rotta per Città del Capo, Jack raccontò a Wickham la sua epica avventura fin lì: il superamento del sistema di trappole in Cina, la decifrazione di Stonehenge, la scoperta dell'incredibile Primo Vertice nei pressi di Abu Simbel e poi l'inseguimento in pullman di un Boeing 747 nel deserto. Gli raccontò anche delle Sei Pietre di Ramses, dei Sei Pilastri e dei Sei Vertici della Macchina, e in che modo tutti e sei i Pilastri dovevano essere collocati prima dell'arrivo del Sole Nero. Nel frattempo, i gemelli si stavano affiatando molto bene con la ciurma di marinai tanzaniani di Wickham, mostrando loro qualche trucco col computer, nonché come accedere al livello delle mucche di Diablo II, una scoperta che lasciò i marinai a bocca aperta e che valse finalmente ai gemelli i loro soprannomi: i «Cowboy». Singolarmente, Lachlan divenne «Manolesta», mentre Julius «Pistolero». Adoravano i loro nomi in codice. Periodicamente, durante il viaggio, Jack controllava la bacheca del Signore degli Anelli in cerca di messaggi da parte di Merlino, Zoe o Lily.
Per cinque giorni, non apparve nulla. Ma poi, all'inizio del sesto e ultimo giorno, quando Jack si collegò nonostante lo sconforto, trovò un messaggio ad attenderlo, inviato dall'utente GANDALF101. Per poco Jack non balzò dalla sedia. Il messaggio era stato inviato appena un'ora prima: una sfilza di numeri; un messaggio cifrato che poteva arrivare solo da Merlino, Lily o Zoe. Erano vivi! Si girò e prese svelto la serie di libri che aveva comprato all'aeroporto di Nairobi, sei tascabili e un cartonato. L'intera serie di Harry Potter. La chiave del cifrario di Jack e dei suoi amici era una serie di libri. La maggior parte dei cifrari utilizza tre cifre per individuare le parole in un libro: il codice «1/23/3» significa «pagina 1, riga 23, parola 3». Per Jack non era abbastanza sicuro. Perciò aveva aggiunto un'altra cifra all'inizio, per indicare da quale libro di Harry Potter proveniva il codice. Pertanto «2/1/23/3» significava «Libro 2 (Harry Potter e la Camera dei Segreti), pagina 1, riga 23, parola 3». Jack si mise a decifrare il messaggio sulla bacheca elettronica. Quando ebbe finito di sfogliare le pagine dei romanzi, ottenne: MISSIONE NELLA GIUNGLA UN DISASTRO. WOLF CI HA TROVATI E ORA HA ENTRAMBI I PILASTRI, PIETRA FILOSOFALE E PIETRA DI FUOCO. RON FATTO PRIGIONIERO. KINGSLEY SHACKLEBOLT MORTO. RESTO DI NOI SALVO SULLTPPOGRIFO ORA, MA
CHIUSO TUTTO TRAFFICO AEREO SUDAFRICA. OPZIONI ESAURITE E SPERIAMO TU SIA VIVO. PER FAVORE RISPONDI. Jack vacillò a quel messaggio. Le sue peggiori paure si erano avverate. Wolf aveva il Secondo Pilastro. Che fosse lui a collocarlo nel Vertice era sconvolgente ma non catastrofico: Jack voleva solo salvare il mondo dalla distruzione e, chiunque il giorno seguente avesse inserito il Secondo Pilastro nella sua sede, lo avrebbe salvato per altri tre mesi, fino a che non fosse stato necessario occuparsi degli altri quattro Vertici. Ma, come ora sapeva, Wolf aveva Katana, con un piano suicida in mente, nella sua squadra. «Oh, la vedo brutta», commentò Jack ad alta voce. «Molto, molto brutta.» Fissò la riga KINGSLEY SHACKLEBOLT MORTO e sospirò. Kingsley Shacklebolt era un mago alto e nero del quinto libro di Harry Potter, da cui il loro nome in codice per Solomon Kol. Così Solomon era stato ucciso. Dannazione. Ma ancora peggio era la riga precedente: RON FATTO PRIGIONIERO. Naturalmente «Ron» era il nome in codice di Alby: proprio come Ron era il miglior amico di Harry Potter, così Alby lo era di Lily. Wolf aveva preso Alby. Era raro che Jack lanciasse una secca imprecazione, ma quella volta lo fece: «Cazzo». Sfogliando i libri di Harry Potter, si affrettò a scrivere una risposta e infine fece clic su INVIA. Il messaggio era: ANCORA IN PARTITA.
IN VIAGGIO PER CITTÀ DEL CAPO CON FRED E GEORGE E SIRIUS BLACK. NON POSSO ANCORA RISCHIARE DI CHIAMARVI. LO FARÒ QUANDO POSSO. CONTENTISSIMO CHE SIATE SALVI. RIPRENDERÒ RON O MORIRÒ NEL TENTATIVO. Nascosto sotto la falsa copertura, l'Indian Raider filava a tutta forza verso Città del Capo. Come previsto, fu l'ultima imbarcazione di una dozzina di motopescherecci sudafricani a essere autorizzata a rientrare nelle acque sudafricane quel pomeriggio. Dopodiché le rotte marittime furono chiuse. E, mentre il sole volgeva al tramonto e Città del Capo si ritrovava isolata dal mondo, la notte della seconda scadenza ebbe inizio. * Alla fine, l'Indian Raider raggiunse la costa orientale del capo di Buona Speranza, una penisola dalla costa frastagliata con valli e monti ricoperti di foreste. Battuta tutto l'anno dai venti taglienti dell'Antartico, e ricca di gole impraticabili, era un luogo inospitale e, anche ai nostri giorni, disabitato. Annidata alle falde della grande Montagna della Tavola sul versante opposto della penisola, sorgeva la moderna Città del Capo. In quel momento, due dozzine di navi da guerra della marina militare sudafricana formavano un perimetro semicircolare intorno alla città, sbarrando gli arrivi dal mare. Ancorati a ridosso della costa rocciosa, a circa un miglio dall'ultima villa sul mare, c'erano alcuni vascelli americani senza contrassegni e uno yacht privato coi contrassegni sauditi che era arri-
vato parecchi giorni prima. In una campana d'immersione sotto i vascelli, soldati della CIEF in tenuta da sommozzatore erano indaffarati a togliere una cortina di alghe marine da un'antica entrata di pietra tagliata nella parete rocciosa della costa. Era l'entrata principale del Secondo Vertice. Ma, come Jack sapeva, poiché il Secondo Vertice ricalcava la pianta dell'antica città di Ur - o sarebbe più esatto dire che era Ur a ricalcare quella del Vertice, molto più antico - c'era una seconda entrata, che arrivava da est prima di scendere e collegarsi al Vertice dal Nord. «Deve essere qui da qualche parte», disse Lachlan, tenendo d'occhio il GPS del sottomarino. «Sto scandagliando la costa in cerca di cavità o rientranze», aggiunse Sea Ranger. «Ma dobbiamo stare attenti col sonar attivo. Se qualcuno lo sente, scoprirà che siamo qui.» Stava scandagliando il litorale sott'acqua con segnali sonar, segnali che tornavano di rimbalzo all'Indian Raider... a meno che non sparissero dentro un'apertura nella roccia. «Signore!» esclamò un addetto all'ecoscandaglio. «Anomalia sonar nella costa, posizione 351. Profondità cinquantadue metri.» Sea Ranger si avvicinò. Anche Jack e i gemelli. «Ha senso», osservò Julius. «I livelli del mare sono molto più alti oggi di quanto fossero in passato. Un'antica entrata oggi sarebbe sott'acqua.» «Andiamo a dare un'occhiata», disse Sea Ranger. «Attivare telecamera anteriore esterna.» Un monitor s'illuminò, mostrando il mondo sottomarino nello spettrale verde della visione notturna, grazie alla telecamera montata sulla prua del sottomarino. Sul monitor, passarono pesci, anche uno squalo o due. Le alghe marine ondeggiavano pigre nella corrente e, dietro tutto ciò, scorreva la parete rocciosa della costa...
«Laggiù!» esclamò d'improvviso Sea Ranger, indicando un punto nero sfocato sullo schermo. Jack si avvicinò e spalancò gli occhi. «Mettere a fuoco», ordinò Sea Ranger. L'immagine migliorò, divenne più nitida. E nel mentre Jack capì che l'avevano trovata. Sullo schermo sotto i suoi occhi, parzialmente nascosta da trecce di alghe marine che si attorcigliavano, c'era un'antica entrata riccamente decorata, di dimensioni grandi, di forma perfettamente quadrata e magnificamente tagliata nella roccia viva. «Porca miseria... ci siamo.»
L'entrata orientale del Secondo Vertice L'Indian Raider sganciò la copertura del motopeschereccio e s'immerse. Avanzando piano piano, il sottomarino si fece largo tra la cortina di alghe marine che ondeggiavano davanti all'antico ingresso e si addentrò nel buio. I fasci di luce dei due fari di prua trafissero la torbida oscurità. Sul monitor all'interno della torretta, Jack vide un tunnel quadrato perdersi nel buio, che perforava le fondamenta stesse del capo. Sea Ranger tenne gli uomini in stato d'allerta, ordinando di manovrare il sottomarino in modo lento e cauto, e di usare ora il so-
nar attivo senza restrizioni. A quel punto Jack scorse sul monitor qualcosa che aveva già visto: colonne. Alte e maestose colonne di pietra che sorreggevano un soffitto piatto tagliato nella roccia. Ciò nonostante, lo spazio tra le colonne era sufficiente a far passare il sottomarino di settanta metri. «Questo posto deve essere enorme...» mormorò Sea Ranger. «Avresti dovuto vedere l'ultimo», ribatté Jack. Un muro di scalini si parò dinanzi a loro. Proprio come il Primo Vertice di Abu Simbel, era una colossale rampa di gradini, a centinaia, tutti larghi come la sala di colonne che stavano attraversando. Solo che in quel Vertice salivano invece di scendere, salivano ed emergevano dall'acqua. «Signore, ho individuato la superficie», annunciò l'addetto al sonar. «C'è un'apertura lassù, in cima alla gradinata.» «Andiamo a vedere cosa c'è là sopra», disse Sea Ranger, scambiando un'occhiata con Jack. L'Indian Raider risali con eleganza la spettacolare sala sommersa, scivolando in silenzio davanti alle colossali colonne, e seguendo l'inclinazione della gigantesca gradinata coperta dall'acqua. Alla fine venne a galla. La torretta dell'Indian Raider emerse silenziosamente da una massa d'acqua ferma, l'acqua del mare che grondava dallo scafo. Si ritrovò in un bacino cinto di muri largo un centinaio di metri. Sembrava un porto in miniatura, un quadrilatero, con muri a due lati e con la grandissima scalinata che emergeva dall'acqua sul terzo. Sul quarto lato sorgevano alcuni edifici di pietra, semisommersi. Il piccolo porto era avvolto dal buio. Ma una pallida luce giallastra faceva capolino in lontananza, in cima alle scale, rischiarando l'ambiente. Era una caverna gigantesca, la volta alta quasi duecento metri. Il portello della torretta si spalancò e Sea Ranger e Jack usciro-
no, fissando sbalorditi l'immensa caverna buia che circondava il loro piccolo sottomarino. Wickham tirò fuori un lanciarazzi, ma Jack lo fermò. «No! Wolf è già qui.» Accennò alla pallida luce giallastra sopra di loro: il risultato di bengala già sparati in qualche altro posto della grotta. Pochi minuti dopo, raggiunsero la riva in una barca a remi e, con Sea Ranger e i gemelli al fianco e Horus appollaiato sulla spalla, Jack sbarcò sulla grande collina di gradini e cominciò a salire. Quando ebbero raggiunto la cima e visto ciò che c'era oltre. Jack spalancò la bocca per lo stupore. «Che Dio ci aiuti», esclamò con un filo di voce.
Una città sotterranea si estendeva dinanzi a lui. Una città intera. Una selva di palazzi di pietra, alti e sottili come torri, si allungava per almeno cinquecento metri. Tutti collegati da ponti: alcuni di altezza vertiginosa, altri bassissimi, altri ancora fatti di ripide sca-
linate di pietra. Canali d'acqua sommergevano le «strade» fra i palazzi, acqua del mare che nel corso dei millenni era penetrata dalle due entrate della grotta e aveva allagato la città. Quella selva di torri era sovrastata da un'enorme ziggurat, una grande piramide a terrazze che s'innalzava proprio al centro della città fantasma. Proprio come nell'antica Ur, pensò Jack. Sulla cima della ziggurat spiccava una struttura molto singolare: una specie di scala altissima e sottilissima che saliva in verticale dalla cima della ziggurat fino alla volta rocciosa della caverna a sessanta metri di altezza. Là dove la scala toccava la volta, una fila di maniglie simili a pioli conduceva al rosone centrale della caverna, un rosone che mozzò il fiato a Jack. A lato della città sotterranea si stagliava un'altra piramide capovolta: di bronzo e immensa, tale e quale quella che Jack aveva visto ad Abu Simbel. Era sospesa alla volta della caverna, come una specie di astronave sopra la città, grande il doppio della ziggurat sottostante. Dal suo punto di vista, Jack non riusciva a vedere nessun palazzo sotto la piramide. Suppose quindi che fosse sospesa sopra un abisso senza fondo, come quella di Abu Simbel. Ma, al contrario di quella di Abu Simbel, questa piramide era circondata dalla sua città implorante, una copia esatta dell'antica città mesopotamica di Ur. Jack si domandò se i Sei Vertici fossero in qualche modo diversi, santuari unici nel loro genere che completavano una piramide rovesciata centrale: Abu Simbel aveva un'enorme sala panoramica che si affacciava sulla sua piramide; questa qui aveva una città con ponti spettacolari inginocchiata al suo cospetto. D'improvviso, echeggiarono grida e rumori meccanici e Jack guardò in alto. Erano giunti dall'altra parte della caverna. Una rampa di ripidi scalini saliva sul fianco della torre più vici-
na. Jack salì fino alla cima della torre, dove fu premiato con una vista panoramica dell'immensa caverna nonché un'idea della sua posizione in quella corsa per la vita o la morte. Le cose non sembravano messe bene. Li, su un tetto al centro della grande caverna, giunto chiaramente sul luogo un po' di tempo prima e circondato dagli uomini del suo esercito quasi privato, c'era Wolf. Jack imprecò. I suoi avversari avevano fatto molta più strada di lui nel labirinto. Ancora una volta partiva in svantaggio. E poi, tra le file di soldati subito dietro Wolf, Jack scorse una piccola figura e provò un tuffo al cuore. La vide di sfuggita, ma l'immagine gli s'impresse subito nella mente: a capo chino, un braccio legato al collo, terrorizzato e solo, c'era un piccolo bambino di colore con gli occhiali. Era Alby.
IL SECONDO VERTICE, SOTTO IL CAPO DI BUONA SPERANZA, SUDAFRICA, 17 DICEMBRE 2007, ORE 02.55 Pensando ad Alby, Jack studiò l'immane compito che l'attendeva. Prima valutò la posizione di Wolf, dall'altra parte della caverna. Dovevano essere entrati dal «porto» occidentale principale qualche tempo prima, poiché si trovavano su una torre più o meno a metà strada fra il loro porto e la ziggurat. Un bel vantaggio iniziale. Ma, osservandoli meglio, Jack corrugò la fronte. Sembrava che i soldati di Wolf fossero occupati ad appoggiare lunghe passerelle sul tetto davanti a loro per poi attraversarle di corsa fino alla torre successiva. Jack osservò la propria situazione e capì subito il motivo di quello strano modo di procedere. La torre su cui stava non aveva il tetto. In effetti, tutte le torri che vedeva erano senza tetto. Erano completamente cave, come ciminiere. Ciò nonostante, fatto strano, quasi ogni tetto era collegato ad altri due o tre tetti mediante la vertiginosa rete di ponti sospesi. «Oh, cavolo», esclamò Jack, comprendendo. «È un enorme si-
stema di trappole.» Tutti i tetti che Jack riusciva a vedere da lì erano uguali. Su ognuno c'era un trampolino di pietra che si allungava dal bordo del tetto fino al centro di questo, sopra il nero vuoto della torre. Il trampolino era circondato da altre tre sporgenze più corte simili a passatoi, ognuna situata esattamente a metà distanza tra il trampolino centrale e gli altri tre bordi del tetto. Ma per raggiungere una delle tre sporgenze più corte occorreva un bel salto di un metro e mezzo. Jack esaminò il tetto su cui si trovava. Inciso sul trampolino di pietra c'era un testo nella Parola di Thoth. Anche sui trampolini più corti c'era un'incisione simile. «Come funziona?» domandò Sea Ranger. «Domanda e risposta», rispose Jack. «Questa incisione qui, sul trampolino, è la domanda. Devi saltare su quello più corto con la risposta esatta. Se indovini, il trampolino reggerà il tuo peso.» «E se sbagli?» volle sapere Lachlan. «Se sbagli, suppongo che non regga il tuo peso e precipiti nella cavità della torre.» Sea Ranger guardò giù nel vuoto nero della torre di fronte a loro. Le pareti erano perpendicolari e lisce. Sarebbe stato impossibile venirne fuori arrampicandosi, se non eri già morto precipitando su qualcosa di letale. Jack disse: «Immagino che i puntoni che sorreggono i trampolini più corti sono fatti di materiale friabile. Sembrano robusti, ma non lo sono». «Ma devi rispondere in modo corretto a ogni indovinello sino alla fine del percorso», obiettò Julius. «Ci scommetteresti la testa sulla tua capacità di rispondere a tutti quegli indovinelli in modo corretto?» Ma Jack non lo stava più ascoltando. Fissava il vuoto. «Gli indovinelli», pensò ad alta voce. «Gli Indovinelli di Aristo-
tele...» Si girò di scatto verso Sea Ranger. «Hai un telefono satellitare sul Raider, con capacità video? Dobbiamo chiedere aiuto a un esperto.» Naturalmente, Sea Ranger aveva parecchi telefoni satellitari a bordo del Raider. Aveva anche alcune piccole videocamere montate su elmi cui si potevano collegare. Li fece portare lì. Porgendone uno a West, disse: «Jack, se fai una chiamata con quel coso, tutti quelli nei paraggi dotati anche solo di un semplice scanner scopriranno che siamo qui». «Credimi, scopriranno che siamo qui molto presto. E, se vogliamo uscire vivi da qui, ci serve aiuto.» Con ciò Jack chiamò l'Halicarnassus col videotelefono. * Quando la console del telefono satellitare dell'Halicarnassus si mise a squillare all'improvviso, a bordo tutti si scambiarono sguardi allarmati. Zoe prese su il telefono e rispose, cauta: «Pronto?» «Zoe! Sono io!» «Jack!» Si scambiarono svelti i saluti e una Lily pazza di gioia raccontò tutto d'un fiato la loro avventura in Africa, finendo col violento assalto delle forze di Wolf al regno dei Neehta e con la cattura di Alby e del Pilastro da parte di suo padre. Merlino si avvicinò al microfono. «Jack, è stato fantastico ricevere il tuo messaggio. Non sapevamo se eri vivo. Ma ora siamo in serie difficoltà. Non possiamo entrare in Sudafrica. Siamo bloccati su una pista d'atterraggio nel deserto del Kalahari, nel Botswana, subito a nord del Sudafrica, mentre Wolf è andato a cercare il Secondo Vertice. Tu dove sei?!» «Sono nel Secondo Vertice», rispose Jack.
Merlino spalancò gli occhi. «E mi occorre tutto il vostro aiuto.» Pochi secondi dopo, Merlino, Zoe e Lily erano radunati intorno al monitor del videotelefono, gli occhi incollati sulle immagini provenienti dalla videocamera montata sull'elmo di Jack. Alla vista della città sotterranea, Merlino mormorò col fiato sospeso: «La città dei ponti...» ma Jack richiamò la loro attenzione sulle parole incise in Thoth sul trampolino del primo tetto:
«Lily?» fece Jack. La bambina tradusse svelta il testo: «Dice: 'Qual è il numero perfetto di bugie?'» Al fianco di Lily, Merlino corrugò la fronte. «Il numero perfetto di... un momento...» Ma poi, dalla destra della bambina, Zoe scattò: «Ehi! Ho già visto quell'incisione!» «Dove?» volle sapere l'anziano professore. Fu Jack a rispondere al telefono: «Da qualche parte nel regno dei Neetha, immagino. Insieme con altre incisioni, incisioni che ricordavano numeri forse». «Sì», confermò Zoe. «Sì. Campeggiavano là, al centro del labirinto. Impresse su un magnifico podio di marmo bianco. Ma come fai a saperlo, Jack?» «Perché questo è uno degli indovinelli di Aristotele.» «Certo», assentì Merlino. «Certo...» «Non capisco», disse Zoe. Jack spiegò: «All'Accademia, in Grecia, Aristotele era il discepolo migliore di Geronimo, lo stesso che scoprì i Neetha. Ha senso che Geronimo abbia raccontato dei Neetha e di ciò che aveva scoperto al suo discepolo prediletto. Gli Indovinelli di Aristotele non sono affatto di Aristotele; sono di Geronimo. Indovinelli che
Geronimo scoprì quando stava coi Neetha, indovinelli che suppongo si sia fatto tradurre da qualcuno di loro». «Qual è il numero perfetto di bugie allora?» domandò Lily. «Uno», rispose Merlino. «Conoscete il vecchio detto: 'Se dici una bugia, presto ti ritroverai a dirne un'altra per sostenere la prima. Ma, se riesci a dirne solo una, è perfetto'.» Nell'immensa caverna del Secondo Vertice, Jack esaminò le incisioni sui tre trampolini corti dinanzi a lui. «Ne sei sicuro, Merlino?» «Sì.» «Ci scommetteresti la testa?» «Sì.» «Ci scommetteresti la mia?» «Ehm... be'... io, cioè, io penso...» «Va bene, Max. Non sono stupido», disse Jack. «Mi legherò una corda in vita prima di saltare.» Guardò il piccolo trampolino sulla sua destra: c'era un taglio orizzontale sulla superficie. Uno solo. La sporgenza sembrava sospesa sul nero vuoto sottostante. Jack aveva ancora con sé il Maghook in miniatura di Astro, perciò si assicurò il cavo alla vita e passò la pistola a Wickham. «Buttiamoci», disse. E poi, senza pensarci due volte, spiccò un salto sopra il vuoto, verso la sporgenza più corta a destra... * Jack atterrò a piè pari sulla pietra, che resse il suo peso. Si ritrovò sulla stretta pedana, sopra il buio vuoto centrale della torre. Con un altro balzo, arrivò alla base di un lungo ponte a gradini che saliva al tetto della torre successiva. «Ehi, Cowboy», chiamò a gran voce i gemelli alle sue spalle.
«Andate a prendere una vernice spray dal Raider e poi seguiteci, segnando le pietre corrette via via che avanziamo. Oh, e, se qualcosa va storto, dovrete prendere il nostro posto, superando coi balzi queste pietre.» Lachlan e Julius deglutirono insieme. Tornarono di corsa al sottomarino a cercare un po' di vernice. E così Jack attraversò il labirinto di altissimi ponti - saltando di pietra in pietra - guidato dalle risposte agli indovinelli che gli giungevano nell'auricolare. «Qual è il numero perfetto di occhi...?» «Uno», rispose la voce di Merlino. «L'occhio onniveggente che appariva sulle pietre di vertice.» «Qual è la vita migliore da...» «La vita ultraterrena», rispose pronto Merlino. «Salta sulla pietra che dice 'due'.» Era a buon punto, seguito a ruota da Sea Ranger e dai due gemelli, che attraversavano correndo i ponti e le torri cave. Mentre avanzavano attraverso il vertiginoso labirinto della città, Jack guardò dall'altra parte della caverna, cercando di valutare i progressi di Wolf; e con suo grande sgomento vide che questi avanzava altrettanto spedito, se non di più. Poi, d'improvviso, una raffica di colpi cominciò a rimbalzare sui muri sopra la sua testa. Avvertiti dalle sue trasmissioni radio, gli uomini di Wolf lo avevano individuato e ora gli sparavano ogni volta che riuscivano a prendere la mira tra la fitta foresta di torri e ponti. Jack e Sea Ranger raggiunsero un trampolino che s'infilava in una delle torri cave. Dentro la torre si trovarono di fronte a un'altra triplice scelta, solo che lì non c'era nessuna incisione sulle tre pietre disponibili. Lily si affrettò a tradurre l'iscrizione sul trampolino principale. «Qual è la direzione della Morte...» «È ovest», rispose Merlino. «La direzione del sole che tramonta.
Gli antichi egizi ritenevano che il sole nascesse ogni giorno a est e morisse ogni sera a ovest. Ecco perché seppellivano sempre i morti sul lato ovest del Nilo. La risposta è 'ovest'.» Jack saltò sulla pietra che si trovava a ovest. La sporgenza non cedette e West salì di corsa il ponte della torre successiva, seguito da Sea Ranger. Erano a metà strada dalla ziggurat al centro della città quando d'improvviso udirono delle urla e Wolf gridare: «Okay! Katana e Spadone! È tutto vostro! Correte! Correte!» Jack sbirciò da dietro l'angolo di un palazzo, e vide la squadra CIEF di Wolf salire in fretta e furia la scalinata sulla facciata della ziggurat. Sullo sfondo della monumentale struttura, sembravano formiche. Dannazione, no! pensò Jack. Avevano raggiunto la ziggurat per primi, e ora si dirigevano verso la scala che saliva al soffitto da cui pendeva la grande piramide. Jack vide Wolf col figlio, Sciabola, e con Alby sui gradini della ziggurat col grosso dei soldati della CIEF. E poi vide due uomini staccarsi dalla testa del gruppo principale, e correre su per la ziggurat: il primo sembrava un caucasico e indossava l'uniforme di un agente dei Delta; il secondo sembrava asiatico e indossava la tipica tuta mimetica della forza di ricognizione dei marine. Katana. Il traditore. E, benché fosse ancora molto indietro, Jack proseguì la corsa come meglio poté. Mai fermarsi, pensò. Mai mollare. Correva su e giù per i ponti come se avesse le ali ai piedi. Spadone e Katana si arrampicavano sulla scala, sempre più su. Jack superò altri indovinelli, con l'aiuto a distanza di Merlino e Lily, sempre sotto il tiro degli uomini di Wolf di guardia alla ziggurat. Spadone e Katana raggiunsero la cima della scala, e si avventu-
rarono lungo il soffitto dell'enorme caverna, aggrappati ai pioli con le mani sopra la città sotterranea. Il percorso dal porto a ovest condusse Jack in una grande curva che piegava a nord e rasentava la piramide sospesa. Li Jack scoprì che c'era in effetti un altro abisso scavato nelle viscere della terra sotto l'immensa piramide di bronzo. Raggiunse una torre al margine estremo della città, vicino all'abisso stesso - il lato a nord della torre proseguiva perfettamente nella parete dell'abisso - e da lì ebbe una vista completa della piramide stessa. Seguì con gli occhi i due uomini della CIEF che si aggrappavano una mano dopo l'altra a una fila di maniglie scavate nel fianco della piramide. Penzolando sopra il baratro apparentemente senza fondo, scesero piano piano verso la punta della piramide. A quel punto Jack si rese conto, inorridito. Era troppo lontano. Era arrivato troppo tardi. Non sarebbe arrivato in tempo fin lassù: non c'era modo che potesse raggiungere la ziggurat, superare in qualche modo gli uomini di Wolf e poi arrampicarsi sulla scala e sul fianco della piramide e impedire a Katana di attuare il suo piano, qualunque fosse. I due uomini della CIEF raggiunsero la punta rovesciata della piramide... e Jack seguì con lo sguardo incantato l'uomo dei Delta di nome Spadone che agganciava un'imbracatura da arrampicata all'ultima maniglia e, penzolando da essa, usava le mani, ora libere, per tirare fuori dal marsupio... il Secondo Pilastro. Purificato e pronto per essere inserito nella sua sede. Sulla ziggurat, anche Wolf seguiva rapito la scena, gli occhi sfavillanti di gioia. Con lui c'erano Sciabola e due guardie che tenevano fermi Alby e lo stregone dei Neetha. Una ridda di possibilità ronzava nella mente di Wolf. Il premio sarebbe stato suo: calore. Secondo il suo capo ricercatore, il professore del MIT, Felix Bonaventura, era calore generato
dal segreto del moto perpetuo. Energia senza combustibile. Energia illimitata che poteva alimentare reti elettriche, aeroplani e automobili, senza carbone, gasolio o benzina. La stretta alla gola dell'America da parte dei sauditi sarebbe stata spezzata; l'intero Medio Oriente sarebbe diventato irrilevante. Fu naturalmente in quel preciso momento, mentre Wolf fissava la scena in estasi, che accadde la cosa più imprevedibile di tutte. Davanti agli occhi inorriditi di Wolf, sotto la punta della piramide - mentre Spadone preparava il Pilastro - Katana tirò fuori un coltello K-Bar e tagliò la gola di Spadone, strappandogli il Pilastro dalle mani in un'unica azione. Spadone si afflosciò all'istante, il sangue che gli usciva a fiotti dallo squarcio al collo e gocciolava nell'abisso come una macabra cascata. Dopodiché Katana gli tagliò senza pietà l'imbracatura e l'agonizzante agente dei Delta precipitò dalla punta della piramide, nel baratro senza fondo, inghiottito dall'oscurità. «Ma che diavolo...?» esclamò Wolf. «Katana!» Dalla sua posizione sulla torre più vicina, anche Jack vide Katana uccidere Spadone. «Oh, mio Dio...» mormorò quando vide l'uomo precipitare nel vuoto. Sotto la piramide, Katana penzolava nella sua imbracatura, stringendo il Pilastro in una mano. Lo sollevò per farlo vedere a Wolf e gridò a gran voce: «Benvenuto alla fine del mondo, Wolf! Un mondo che si è compiaciuto dell'umiliazione del mio popolo! Ora quel mondo sparirà! Il Giappone non è stato mai sconfitto!» «Katana! No!» gridò Wolf con quanto fiato aveva in corpo. L'altro ringhiò: «Sei avido! Tu vuoi il potere terreno. Non c'è potere più grande su questo pianeta della capacità di distruggerlo. Ora vedrai quel potere e scoprirai, alla fine, chi ha vinto la guerra!»
Alzò il braccio che impugnava il Pilastro, preparandosi a lanciarlo nell'abisso. «Ci vediamo all'inferno!» gridò a gran voce. E, con quelle ultime parole cariche d'odio, Katana lanciò il Secondo Pilastro nel baratro. * Katana lasciò cadere il Pilastro... nel preciso momento in cui qualcuno gli piombò addosso con un tonfo, aggrappato a una specie di corda. Era Jack, appeso all'estremità del Maghook di Astro, dopo essersi lanciato dalla sua torre, a sessanta metri di distanza! Non potendo ricorrere a nient'altro, aveva sparato il rampino magnetico nel fianco della piramide sperando in Dio che avesse proprietà magnetiche. Le aveva, e la testa magnetica del rampino si attaccò alla piramide e Jack si lanciò - sopra l'abisso senza fondo, disegnando un incredibile arco di sessanta metri - fino alla punta proprio mentre Katana lanciava a gran voce l'ultimo insulto a Wolf e mollava il Pilastro... Che Jack afferrò al volo... un nanosecondo prima di sbattere contro Katana stesso e fermarsi di colpo, impigliandosi nell'imbracatura del folle marine! Cercando disperatamente di aggrapparsi a una maniglia, fu costretto a sganciare il Maghook, che si riavvolse verso la città, lasciandolo aggrappato a Katana sotto la punta della piramide. Katana era cieco dalla rabbia. Schizzava fiamme dagli occhi per quella intromissione nel momento del suo trionfo. Gli tirò un pugno in faccia così violento che Jack volò all'indietro. Sbalzato dalla testa, l'elmo con la videocamera precipitò nell'abisso, volteggiando. Jack riuscì solo a mantenere la presa sul Pilastro con la mano destra mentre si teneva aggrappato all'imbracatura sul petto di Katana con la sinistra.
Penzolando nel vuoto, Jack guardò su negli occhi di Katana... e vide che il folle giapponese non aveva ancora finito. Guardando Jack con occhio torvo, si mise a slacciare la fibbia centrale dell'imbracatura. «Oh, non vorrai...» fece Jack. Voleva eccome. «Moriremo comunque entrambi!» gridò Katana. «Tanto vale morire ora!» E, con quelle parole, riuscì a slacciare la fibbia, proprio mentre Jack con un ultimo balzo in avanti si arrampicava sul corpo di Katana e tendeva il braccio verso la punta della piramide e, nel momento stesso in cui la fibbia si apriva e i due uomini precipitavano, infilò di forza il Pilastro nel vertice della piramide. E poi precipitò, con Katana, senza più stringere il Pilastro, dalla punta della piramide, che vide diventare sempre più piccola, inghiottito dalle pareti a strapiombo dell'abisso. E così Jack West Jr. e il pazzo di nome Katana caddero nel baratro che si apriva sotto la piramide del Secondo Vertice della Macchina, un baratro che per quanto ne sapessero scendeva fino al centro della terra. * Mentre le due minuscole figure scomparivano nel buio abisso, il misterioso meccanismo dell'imponente struttura prese vita in modo fragoroso e spettacolare. Dapprima si udì un tamburellio sinistro, poi un boato assordante che scosse l'intera caverna. Infine un fascio di luce accecante simile a un raggio laser scaturì dall'apice della piramide e sfrecciò giù nell'abisso, prima di essere risucchiato un secondo dopo nella punta della piramide. Silenzio. La combinazione di quell'antico spettacolo e della caduta di Katana e Jack colpì gli spettatori in modi diversi.
Wolf. Lì per lì sconvolto dalla riapparizione di Jack, si era ripreso in fretta e dopo lo spettacolo di luci aveva mandato Sciabola a riprendere il Pilastro, ora carico, dalla piramide e, con esso, il premio, il segreto del moto perpetuo. Una volta recuperato il Pilastro e in mano sua, Wolf uscì dalla città sotterranea. Qualcuno gli chiese che cosa dovevano fare col ragazzo, Alby, al che lui liquidò la faccenda con un gesto della mano. «Lasciatelo qui», rispose prima di uscire a grandi passi coi suoi uomini, abbandonando Alby, da solo, sulla cima della ziggurat al centro della città. Sea Ranger e i gemelli. Erano immobili sul tetto della torre da cui Jack si era lanciato pochi secondi prima. Sea Ranger fissava la scena, assimilando quello che era appena accaduto. I gemelli avevano la bocca aperta. Horus, che era appollaiato sulla spalla di Lachlan, volò nell'abisso. «Ce l'ha fatta...» mormorò Lachlan, incredulo. «Quel figlio di puttana c'è riuscito. Ha inserito il Pilastro nella sua sede.» Julius scosse la testa. «Dovremmo chiamarlo SuperJack.» «Puoi dirlo forte», convenne Sea Ranger, guardandosi intorno. Nessuno di loro aveva visto Alby tra il labirinto di edifici. «Forza, ragazzi», disse Wickham. «Non possiamo rimanere qui. Dobbiamo uscire dal tunnel prima che gli amici di Wolf mandino un cacciatorpediniere a chiuderlo. Muoviamoci.» Tornarono svelti all'Indian Raider. «E Horus?» domandò Lachlan per strada. «Il suo destino è con Jack», rispose Wickham cupo. «Lo è sempre stato.»
Alby. In piedi sulla cima della ziggurat al centro dell'enorme città sotterranea, abbandonato dai suoi rapitori e con l'oscurità che cominciava a calare su di lui a mano a mano che i bengala si spegnevano, provò un disperato senso di solitudine. La vista di Jack che precipitava nel vuoto lo aveva profondamente sconvolto: fin lì Jack era sembrato indistruttibile, immortale, ma ora non c'era più, inghiottito da quell'enorme abisso, morto. E, con quel pensiero, una gelida paura s'insinuò nel cuore di Alby quando capì che sarebbe morto lì, in quella enorme caverna buia, da solo. Lì, sull'antica ziggurat avvolta in un buio sempre più fitto, si mise a singhiozzare in modo sommesso. Merlino, Zoe, Sky Monster e Lily. Seguirono tutto sul monitor del videotelefono. Prima dalla videocamera dell'elmo di Jack e poi da quella di Lachlan, videro inorriditi le minuscole figure di Jack e Katana precipitare dalla punta dell'immensa piramide, giù nell'abisso, prima di scomparire. «Papà...!» urlò Lily, avvicinandosi con un balzo al monitor. «No! No, no, no...!» «Jack...» Gli occhi di Zoe si gonfiarono di lacrime. Sky Monster indicò lo schermo. «Guardate, ha inserito il Pilastro prima di cadere! Ce l'ha fatta! Quel pazzo ce l'ha fatta...!» Ma poi suonò una sirena nella cabina di pilotaggio e Sky Monster andò a controllare. «Zoe! Merlino! Aerei sudafricani in arrivo! F-15! Dobbiamo tagliare la corda!» Nonostante le lacrime, Zoe e Merlino si precipitarono nelle torrette delle ali, lasciando Lily con gli occhi fissi sul monitor - sola, impietrita e inebetita - a cercare fra strazianti singhiozzi un segno, qualunque segno, che suo padre fosse ancora vivo, pur sapendo in cuor suo che non era possibile. «Oh, papà...» singhiozzò di nuovo. «Papà...»
E poi l'Halicarnassus accelerò e si alzò in volo, diretto a nord questa volta, lontano dall'Africa meridionale, di nuovo in fuga. E in quel momento, in preda ai dubbi e alla paura, capirono che dovevano affrontare il resto delle prove della loro missione - la collocazione degli ultimi quattro Pilastri nel marzo del 2008 - da soli, senza Jack West Jr. RINGRAZIAMENTI Scrivere un romanzo può essere un'esperienza un po' solitaria: trascorri mesi e mesi da solo alla tastiera, perduto nel mondo che hai creato. Si dà il caso che io lo trovi immensamente divertente, ecco perché scrivere romanzi per me è il lavoro più bello del mondo. Ma quando decidi di scrivere un libro che contiene ideogrammi cinesi e gergo militare giapponese, devi chiedere aiuto, ed è qui che devo ringraziare le numerose persone che mi hanno dato una mano lungo la strada. Come sempre, mia moglie Natalie è la prima a leggere i miei scritti e le sue osservazioni continuano a essere tanto acute quanto garbate. Avendo letto tutte le bozze dei miei libri, nonché tutte le mie sceneggiature, ormai è una lettrice di manoscritti di grande esperienza! Ringrazio il mio vecchio amico John Schrooten, che ha letto (anche) questo romanzo sugli spalti del campo di cricket di Sydney, in attesa che iniziasse la partita. Quando la partita è cominciata, lui ha continuato a leggere, il che è stato un buon segno! Un grande amico, e una persona eccezionale. Per la consulenza tecnica, sono grato a Patrick Pow per avermi fornito gli antichi ideogrammi cinesi; e a Irene Kay per avermi messo in contatto con Patrick. Per i consigli sulla lingua cinese, ringrazio Stephanie Pow. Non conoscendo il giapponese, devo ringraziare anche Troy McMullen (nonché sua moglie e sua cognata) per il loro aiuto.
Ho letto molti libri mentre facevo delle ricerche per Le sei pietre sacre: da testi sullo spazio e sui campi del punto zero, a libri più esoterici su Stonehenge e su altri luoghi antichi. Innanzi tutto, vorrei menzionare in modo particolare le opere di Graham Hancock, che adoro e che raccomando vivamente a chiunque voglia vedere la storia mondiale da un punto di vista poco convenzionale; e, in secondo luogo, un gioiellino di libro dal titolo Stonehenge, di Robin Heath. È in questo libro che ho letto per la prima volta la teoria che collega Stonehenge alla Grande Piramide mediante una serie di triangoli rettangoli. Desidero anche esprimere i miei sentiti ringraziamenti a Peter e Lorna Grzonkowski per le generosissime donazioni in favore della Bullant Charity Challenge: i gemelli di questo romanzo, Lachlan e Julius Adamson, si chiamano come i loro nipoti. E inoltre Paul e Lenore Robertson, due sostenitori di vecchia data del mio lavoro, e un'altra coppia che si prodigano molto in beneficenza, per la donazione non a una ma a due cene di beneficenza dell'ASX-Reuters! Paul, spero non ti dispiaccia se ti ho trasformato in un cattivo e mellifluo agente della CIA che fa il doppio gioco! Infine, ringrazio The Wags, un bel gruppo con cui gioco a golf il mercoledì pomeriggio, per la generosa donazione a nome di Steve Oakes, capofila di questa accozzaglia di gente. In cambio della loro benevola elargizione, ho chiamato uno dei personaggi all'inizio di questo libro Oakes... e l'ho immediatamente crivellato di pallottole. Come dicono i ragazzi, a nessuno piace vederlo, ma questi sono i pericoli che si corrono a far chiamare un personaggio col tuo nome in un libro di Matthew Reilly! A tutti gli altri, famiglia e amici, come sempre, grazie per il vostro continuo incoraggiamento. BIBLIOGRAFIA Non ho mai inserito una bibliografia nei miei romanzi, ma per
questo libro ho pensato che avrei dovuto farlo, poiché spazia in moltissimi campi di studio (dall'antico Egitto alla Cina, alla tratta degli schiavi africana, dallo spazio ai campi del punto zero, fino alla complessità e alla storia dei diamanti). Come romanziere, devo sapere un po' di tutto: ammetto senza difficoltà che non sono un esperto di astronomia o di astrofisica, ma cerco di documentarmi il più possibile così che i miei personaggi lo siano. Non ho diviso questa bibliografia in fonti principali o secondarie - alcune potrebbero essersi limitate a fornirmi delle informazioni per un unico punto del mio romanzo, ma non per questo sono meno valide, a mio avviso; dopotutto, potrebbe essersi trattato di un punto molto importante - né è presentata secondo un particolare ordine di importanza. È qui così che i lettori che sono interessati a certi aspetti del libro possano semplicemente approfondirli. CHETAM, DEIRDRE, Before the Deluge: The Vanishing World of the Yangtze's Three Gorges, Palgrave Macmillan, New York, 2002. HESSLER, PETER, River Town: Two Years on the Yangtze, Harper Collins, New York, 2001. STEEL, DUNCAN, Rogue Asteroids and Doomsday Comets, John Wiley & Sons, New York, 1995. SOBEL, DAVA, The Planets, Fourth Estate, London, 2005 (trad. it.: Pianeti, Rizzoli, Milano, 2005). HAWKING, STEPHEN W., A Brief History of Time, Bantam Press/Transworld, London, 1988 (trad. it.: La grande storia del tempo, BUR, Milano, 2006). THOMAS, GORDON, Gideon's Spies: The Secret History of the Mossad, St Martin's Press, New York, 1999. BRYSON, BILL, A Short History of Nearly Everything, Doubleday, London, 2003 (trad. it: Breve storia di (quasi) tutto, TEA, Milano, 2008). HEATH, ROBIN, Stonehenge, Wooden Books, Glastonbury, 2000 (trad. it.: Stonehenge, Macro Edizioni, Cesena, 2003).
NORTH, JOHN, Stonehenge: A New Interpretation of Prehistoric Man and the Cosmos, The Free Press, New York, 1996 (trad. it.: Il mistero di Stonehenge, Piemme, Casale Monferrato, 2001). GUEST, ROBERT, The Shackled Continent, Macmillan, London, 2004. HOCHSCHILD, ADAM, King Leopold's Ghost, Macmillan, London, 1999 (trad. it.: Gli spettri del Congo, Rizzoli, Milano, 2001). THOMAS, HUGH, The Slave Trade: The History of the Atlantic Slave Trade 1440-1870, Simon & Schuster, New York, 1997. MILTON, GILES, White Gold: The Extraordinary Story of Thomas Pellow and North Africa's One Million European Slaves, Hodder & Stoughton, London, 2004. WATSON, PETER, A Terrible Beauty, Weidenfeld & Nicholson, London, 2000. SCARRE, CHRIS (edited by), The Seventy Wonders of the Ancient World, Thames & Hudson, London, 1999 (trad. it.: Le settanta meraviglie del mondo antico, Logos, Modena, 2007). The World's Last Mysteries, Reader's Digest, Reader's Digest Services, Sydney, 1978. BALFOUR, IAN, Famous Diamonds, William Collins & Sons, London, 1987 (trad. it: Diamanti famosi, Mondadori, Milano, 1987). BAUVAL, ROBERT, Secret Chamber, Century, London, 1999 (trad. it.: La camera segreta, TEA, Milano, 2005). HANCOCK, GRAHAM, Underworld, Michael Joseph/Penguin, London, 2002 (trad. it.: Civiltà sommerse, TEA, Milano, 2005). HANCOCK, GRAHAM, The Sign and the Seal: A Quest for the Lost Ark of the Covenant, William Heinemann Ltd, London, 1992 (trad. it.: Il mistero del sacro Graal, Piemme, Casale Monferrato, 2007). HANCOCK, GRAHAM, Fingerprints of the Gods, William Heinemann Ltd, London, 1995; Century, London, 2001 (trad. it.: Impronte degli dei, Fabbri, Milano, 2005).
BAIGENT, MICHAEL; LEIGH, RICHARD; LINCOLN, HENRY, The Holy Blood and the Holy Grail, Jonathan Cape, London, 1982; Century, London, 2005 (trad. it.: Il santo Graal, Mondadori, Milano, 2003). BAIGENT, MICHAEL; LEIGH, RICHARD, The Elixir and the Stone, Random House, London, 1997 (trad. it.: L'elisir e la pietra: la grande storia della magia, Fabbri, Milano, 2005). MARSHALL, PETER, The Philosopher's Stone, Macmillan, London, 2001 (trad. it.: I segreti dell'alchimia, Mondadori, Milano, 2001). KNIGHT, CHRISTOPHER; LOMAS, ROBERT, Uriel's Machine, Century, London, 1999 (trad. it.: La civiltà scomparsa di Uriel: il mistero delle più antiche origini della scienza, Fabbri, Milano, 2005). PICKNETT, LYNN; PRINCE CLIVE, The Stargate Conspiracy, Little, Brown & Co, London, 1999 (trad. it.: Il complotto Stargate, Sperling & Kupfer, Milano, 2002). HALL, MANLY P., The Secret Teachings of the Ages, Jeremy P. Tarcher/Penguin, New York, 2003; original text, 1928. UNGER, CRAIG, House of Bush, House of Saud: The Secret Relationship Between the World's Two Most Powerful Dynasties, Gibson Square Books, London, 2004. FINE