A mia moglie Maria Ausilia
Francesco P. Branca
Fondamenti di Ingegneria Clinica Volume 2
Ecotomografia con la collaborazione di Fabiano Bini Annunziata D’Orazio Franco Marinozzi Sonia Rubegni Andrea Scorza Sergio Silvestri
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FRANCESCO PAOLO BRANCA Professore ordinario di Misure Meccaniche, Termiche e Collaudi Facoltà di Ingegneria Università di Roma “La Sapienza”
ISBN 978-88-470-0738-3
e-ISBN 978-88-470-0739-0
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Ringraziamenti
Desidero inaugurare questo volume con i ringraziamenti, non per consuetudine, ma perché sento un obbligo profondo nei confronti di tutti coloro che nel corso degli anni mi hanno sostenuto nel concludere questa fatica e che, a vario titolo, hanno contribuito affinché questo libro giungesse all’onore della stampa. Anche se non è usuale manifestare i propri momenti di debolezza e spesso di stanchezza, desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato a superarli e tra questi innanzi tutto gli studenti che regolarmente, ormai da qualche anno, all’inizio del corso di Strumentazione Biomedica, mi chiedevano quando sarebbe uscito “il libro”. La mia risposta, in buona fede, era sempre la stessa: l’anno prossimo. Mi sono reso conto che non vi era più tempo per soddisfare il sempre crescente desiderio di completezza e di ulteriore approfondimento e che ormai la “risposta” doveva essere data: ed ecco il libro. Ma oltre agli studenti devo un sentito ringraziamento ai miei Collaboratori: Fabiano Bini, Annunziata D’Orazio, Franco Marinozzi, Sonia Rubegni, Andrea Scorza e Sergio Silvestri, per la grande mole di ricerche compiute e per il tempo dedicato alle molte discussioni di approfondimento su argomenti non sempre presenti nella letteratura del settore. Desidero inoltre manifestare la mia riconoscenza al prof. Carlo Castellano, Presidente dell’Esaote Biomedica, che mi ha consentito un proficuo colloquio con i progettisti della sua azienda; al dott. Giovanni Ferrara, magistrato, per il supporto più psicologico che professionale e che, ormai da anni, ha voluto seguire di persona quasi settimanalmente il procedere dei “lavori”, incoraggiandomi alla rapida conclusione dell’opera; e infine all’amico e collega prof. Tullio Bucciarelli, Preside della Facoltà di Ingegneria di Roma “La Sapienza” che, convinto assertore dell’importanza del nuovo settore disciplinare dell’Ingegneria Clinica, ha contribuito alla revisione del capitolo dedicato all’analisi dei segnali. E infine un ringraziamento è dovuto alla Casa editrice Springer che, avendo riconosciuto l’impegno dell’autore e l’importanza dell’argomento, ha voluto presentare questo testo con un’ottima veste editoriale. FRANCESCO PAOLO BRANCA
Autore e collaboratori
Francesco Paolo Branca Professore ordinario di Misure Meccaniche, Termiche e Collaudi, docente di Strumentazione Biomedica presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Roma “La Sapienza”. Fondatore dei Corsi di Laurea in Ingegneria Clinica e di Laurea Specialistica in Ingegneria Biomedica presso la medesima Facoltà. Ha svolto attività di progettazione e realizzazione di strumentazione biomedica. Svolge ricerche nel campo degli ecotomografi, dei relativi trasduttori e della normativa nel campo della strumentazione biomedica.
Fabiano Bini Dottore di Ricerca in Misure Meccaniche per l’Ingegneria, svolge la sua attività presso il Dipartimento di Meccanica e Aeronautica della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Roma “La Sapienza”. Attualmente svolge ricerche sul collaudo e sulla verifica delle prestazioni delle sonde ecografiche e nella caratterizzazione di tessuti biologici mediante ultrasuoni.
Annunziata D’Orazio Dottore di Ricerca in Energetica. Ha svolto ricerche in termofluidodinamica numerica e sperimentale anche in condizioni non convenzionali. Si occupa di impianti tecnologici per gli ospedali. Si interessa di modellistica per la fluidodinamica del sangue. Svolge ricerche nell’ambito di apparati ecotomografici per la diagnostica clinica.
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Autore e collaboratori
Franco Marinozzi Professore associato di Misure Meccaniche, Termiche e Collaudi. Docente di Strumentazione Biomedica presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Roma “La Sapienza”. Attualmente svolge ricerche nella progettazione delle sonde, nel collaudo degli ecotomografi e nella caratterizzazione di tessuti biologici mediante ultrasuoni. È responsabile di un servizio di ingegneria clinica.
Andrea Scorza Dottore di Ricerca in Misure Meccaniche per l’Ingegneria. Attualmente svolge ricerche sulla progettazione di oggetti test per verifica delle prestazioni di ecotomografi Real Time e Color Doppler e nel settore della normativa delle apparecchiature biomedicali.
Sonia Rubegni Disegnatrice, esperta nell’informatica grafica e nell’impiego di software per il disegno tecnico e la progettazione di apparati sperimentali per la ricerca nel campo della strumentazione biomedica. Fornisce la sua collaborazione in un servizio di ingegneria clinica.
Sergio Silvestri Professore associato di Misure Meccaniche, Termiche e Collaudi. Docente di Strumentazione Biomedica presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università “Campus Bio-Medico” di Roma, svolge ricerca nel campo dei ventilatori polmonari, dei defibrillatori e dei dispositivi test per apparecchiature diagnostiche. È responsabile di un servizio di ingegneria clinica.
Prefazione
Circa dieci anni or sono cominciai la stesura del primo volume di Fondamenti di Ingegneria Clinica, ma trascorsero più di tre anni prima che i miei studenti disponessero finalmente del testo. Quando mi accinsi alla redazione del secondo volume era ferma la volontà di completare l’opera in meno tempo; ora mi accorgo, invece, di aver impiegato circa sei anni. I motivi ? ... Sono numerosi, di diversa natura e – almeno così credevo – di scarso interesse per il lettore, perché attinenti ad ambiti diversi da quelli scientifici e tecnologici. Tuttavia, riflettendo sull’opportunità di trattare argomenti, per così dire, non strettamente tecnici, mi sono reso conto che tale timore è ingiustificato, come probabilmente traspare dalle righe che seguono. Questo libro è dedicato alla tomografia e più precisamente ai tomografi, cioè alle macchine che consentono di estrarre immagini dall’interno del corpo umano. Come si accenna nel primo capitolo, tali macchine possono essere assai diverse e le loro prestazioni dipendono dalla fisica che è alla loro base. I tomografi assumono una specificazione che richiama proprio la fisica sulla quale è fondato il loro funzionamento: pertanto esistono tomografi a raggi X meccanici o computerizzati (che utilizzano ancora i raggi X, ma estraggono l’immagine con l’ausilio di un computer), tomografi a risonanza magnetica, tomografi che impiegano sostanze radioattive o ancora, tra gli altri, tomografi che utilizzano oscillazioni meccaniche a bassa energia, ovverosia ultrasuoni. Allo stato attuale sembra che questi ultimi apparecchi – gli ecotomografi – siano quelli che arrecano il minore danno al paziente ed è questo, verosimilmente, il motivo della loro grande diffusione. Si tratta di macchine forse uniche per i grandi vantaggi che presentano rispetto a tutte le altre. Hanno peso e ingombro contenuto, sono facilmente trasportabili, forniscono immagini di elevata risoluzione e offrono prestazioni eccezionali, poiché rilevano assieme all’immagine anatomica dei vasi sanguigni anche gli aspetti fluidodinamici del sangue: infatti consentono di conoscere all’interno del vaso non solo la velocità dei globuli rossi ma anche la sua distribuzione nella sezione esaminata, e ciò senza l’introduzione di liquidi di contrasto. Tutti i rilevamenti si eseguono con estrema facilità senza alcun “trauma” per il paziente. Non ultimo è il vantaggio rappresentato dal costo, assai moderato in rapporto a quello di qualsiasi altro tipo di tomografo. All’inizio ritenevo che la trattazione degli ecotomografi fosse meno impegnativa e che sarebbe stato sufficiente dedicarle un paio di centinaia di pagine al massimo, in modo da destinare le rimanenti alla descrizione e all’esame di altri tomografi (principalmente TAC, RMN e PET). Ma questo proponimento si rivelò irrealizzabile in seguito alla lunga, laboriosa e approfondita analisi della
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bibliografia disponibile, condotta sia sui testi didattici o didattico-scientifici, sia sulle pubblicazioni scientifiche apparse dai primi anni settanta (cioè dall’epoca in cui entrarono in normale esercizio clinico i primi ecotomografi) fino ai giorni nostri. Ben presto i miei Collaboratori e io ci rendemmo conto che buona parte dei testi dedicati alle “apparecchiature biomedicali” destinava agli ecotomografi poche decine di pagine, che la trattazione del tema nei diversi testi era sovente assai simile, che molti argomenti importanti non venivano affrontati affatto e che, soprattutto, era spesso difficile trarre conoscenze esaurienti in ordine al funzionamento e alle prestazioni delle apparecchiature e al significato delle grandezze fisiologiche rilevate. Peraltro è stata riscontrata anche l’esistenza di testi pregevoli interamente dedicati all’ecotomografia: alcuni1 di elevato valore scientifico, ma di difficile consultazione didattica, altri 2 di ottimo livello didattico e con trattazione ampia, ma a livello essenzialmente divulgativo, altri ancora3 contenenti anche qualche indicazione di carattere progettuale. Anche questi ultimi, tuttavia, forniscono un quadro eccessivamente schematico o addirittura insufficiente su argomenti essenziali per una buona conoscenza del funzionamento degli ecotomografi (come trasduttori piezoelettrici, piezoceramiche, formazione e caratteri del fascio ultrasonoro, focalizzazione, scansione, Eco-Doppler, Color e Power Doppler), sugli aspetti realizzativi e, soprattutto, su quelli progettuali con riferimento alle prestazioni attese. È stato anche rilevato che alcuni aspetti fondamentali, come la digitalizzazione a partire dal convertitore di formato (scan converter), erano semplicemente citati, senza fornire alcun cenno sul loro principio di funzionamento, probabilmente per la necessità di introdurre strumenti analitici di non facile esposizione. Da quanto sopra accennato sono derivate non poche perplessità, concernenti soprattutto due aspetti fondamentali: a chi è destinato questo libro e quale deve essere la sua funzione (e, di conseguenza, come esso si colloca in rapporto all’attuale letteratura internazionale in termini di completezza di argomenti trattati e di livello di trattazione). La risposta al primo quesito è stata per me la più facile: questo libro è destinato ai miei studenti e agli studenti di altre Università che condividono la nostra entusiasmante passione di trovare nuovi strumenti per comprendere il funzionamento della “macchina umana” e gli inconvenienti cui va incontro nel corso della sua vita. Da ciò deriva l’orientamento assunto nella redazione del testo, che è prevalentemente rivolto alla formazione della cultura di base necessaria per la progettazione degli ecotomografi, più che alla generica informazione. Certamente non si può af-
1 In particolare, Angelsen BAJ (2000) Ultrasound Imaging Waves, Signals and Signal Processing, Vols. I & II. Emantec AS. 2 Tra gli altri: Hedrick WR, Hykes DL, Starchman DE (2005) Ultrasound Physics and Instrumentation, 4th ed. Mosby. Kremkau FW (2002) Diagnostic Ultrasound. Principles and Instruments. Saunders. Szabo TL (2004) Diagnostic Ultrasound imaging: inside out. Academic Press. 3 Per esempio, Fish P (1990) Physics and Instrumentation of Diagnostic Medical Ultrasound. Wiley.
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fermare che la lettura o lo studio di questo testo consenta al neo ingegnere clinico di affrontare la progettazione di una nuova apparecchiatura; ciò potrà accadere dopo parecchi anni di esperienza nel settore. Lo scopo è, piuttosto, offrire un quadro complessivo e organico dell’argomento, ponendo a disposizione dello studente il bagaglio di strumenti analitici e di fondamenti teorici, tecnologici e applicativi, indispensabili per affrontare i principali problemi che si presentano nella progettazione di un ecotomografo. In realtà, per illustrare i principi di funzionamento di un ecotomografo Real Time e Color Doppler, sarebbero stati sufficienti solo tre capitoli di questo testo (l’ottavo, l’undicesimo e il dodicesimo). Ma, per comprendere a fondo i concetti in essi contenuti, è indispensabile la conoscenza propedeutica sia di argomenti di natura analitica, sia di elementi di fisica dei fenomeni, sia di aspetti tecnologici relativi a molti settori del sapere scientifico, che vengono proposti e illustrati nei rimanenti nove capitoli. Ciò ha comportato la necessità di offrire un livello di trattazione di tipo universitario e al tempo stesso di assicurare una panoramica completa, che consentisse di raccogliere in un unico testo i principali argomenti della fisica e della tecnologia necessari per l’innovazione e la proposta di idee nuove. Per raggiungere questo obiettivo, nella trattazione di ciascun argomento si è scelto di prediligere innanzi tutto l’aspetto fisico del fenomeno, ricorrendo allo strumento analitico quando indispensabile. Si è avuto dunque cura di guidare il lettore, evitando per quanto possibile di introdurre formule non giustificate, o perché derivanti da conoscenze di base o perché riportate da articoli scientifici di cui peraltro si è avuto cura di citare sempre in nota la fonte. Per non appesantire il testo, sono stati talvolta riportati in nota anche alcuni passaggi nello sviluppo dei calcoli (spesso noiosi, ma non sempre evidenti). Un’altra scelta è stata quella di rendere il testo autosufficiente. Per affrontare più agevolmente gli argomenti che sono alla base del funzionamento degli ecotomografi, è stato perciò necessario trattare alcuni temi importanti di carattere propedeutico in modo monografico, in particolare nel secondo, nel nono e nel decimo capitolo. Il capitolo 2 è dedicato alla piezoelettricità. Pressoché tutti i testi dedicati agli ecotomografi riportano cenni più o meno ampi su tale tema; non sorprende che in alcuni casi tali cenni siano caratterizzati da eccessiva sommarietà, ma ciò può comportare la trasmissione di nozioni fuorvianti. Così, per esempio, è molto frequente l’impiego della struttura a esagoni regolari del quarzo β per descrivere, in modo didatticamente efficace, la nascita del fenomeno piezoelettrico, e tale modello è utilizzato anche in questo testo. Ma è anche indispensabile ricordare che il quarzo β ha modestissime qualità piezoelettriche e, pertanto, non viene mai adoperato. La varietà correntemente utilizzata è il quarzo α, che avendo una struttura a esagoni dissimmetrici possiede una polarizzazione intrinseca anche in assenza di azioni esterne. Ma ciò che ha più rilievo è il fatto che occorre conoscere la struttura dei materiali piezoelettrici per poterla interpretare e quindi poter operare, nella progettazione delle sonde, la scelta migliore tra i numerosi coefficienti e costanti che caratterizzano il
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comportamento del piezoelemento, dei quali è necessario conoscere l’origine e la definizione. Lo scopo di questo capitolo è pertanto mettere il ricercatore in condizione di operare la scelta ottimale tra le decine di diversi parametri che compaiono nei data-sheet dei Costruttori. Il capitolo 9 è dedicato alla dinamica dei fluidi, che – benché spesso trattata sinteticamente anche in testi di buon livello – è fondamentale per l’interpretazione delle immagini costruite a partire dall’effetto Doppler e, quindi, anche di quelle Color Doppler. Questo argomento riesce di difficile assimilazione per studenti e ingegneri che non hanno nel proprio curriculum un corso di idraulica o fluidodinamica (come accade, per esempio, a ingegneri elettronici, informatici o gestionali). Per tale motivo, pur facendo riferimento agli aspetti strettamente attinenti alla fluidodinamica del sangue, si è ritenuto di svolgere la trattazione in modo da fornire anche alcuni concetti fondamentali della dinamica dei fluidi. Il capitolo 10 ha per oggetto l’analisi dei segnali: questo argomento fa parte del bagaglio tipico degli ingegneri che si occupano, tra l’altro, di telecomunicazioni o di trattamento delle immagini, ma non è sempre presente nella cultura di base degli ingegneri. D’altra parte non è immaginabile affrontare le problematiche relative al Doppler Pulsato e al Color Doppler senza disporre di qualche nozione sull’elaborazione dei segnali. In questo caso lo strumento analitico è essenziale e lo sforzo compiuto nel presentarlo è consistito nell’utilizzare per quanto possibile un’esposizione piana con l’ausilio di figure appositamente progettate e assolutamente originali, che consentono di fissare le idee molto più di quanto non sia possibile con lo scritto. A questo punto è d’obbligo una considerazione sui cosiddetti “errori” che, come al solito, sono uso dividere in due categorie: quelli “veniali”, di carattere manifestamente tipografico (la seconda ristampa del primo volume ne ha eliminate alcune decine), e gli altri, più gravi, da attribuire solamente all’autore, che possono riguardare interpretazioni non corrette di fatti fisici, oppure “improprietà” nell’esposizione dei diversi argomenti. Ma a tale proposito è quanto mai opportuna una precisazione: per molti argomenti, e in special modo per quelli attinenti a schemi di principio, tecnologia, modalità di funzionamento di blocchi funzionali eccetera, la bibliografia tecnica è totalmente assente o inaccettabilmente sommaria. È verosimile che ciò sia dovuto al fatto che queste conoscenze fanno parte del know-how delle Aziende costruttrici, particolarmente parsimoniose nel fornire informazioni tecniche sui loro prodotti; talchè sarebbe impossibile procedere all’acquisto di un ecotomografo sulla base delle prestazioni indicate nella documentazione di vendita, in quanto in essa vengono riportati generici aggettivi (altissima definizione, altissime prestazioni, larga banda del segnale, dimensioni considerevolmente ridotte ecc.) che, notoriamente, non sono numeri e sono invece presenti nella descrizione di prestazioni comuni praticamente a tutti gli ecotomografi (che certamente non testimoniano una competizione tecnologica). Pertanto tutte le informazioni relative all’architettura costruttiva, con i relativi schemi a blocchi funzionali, e ai principi di funzionamento presenti nel testo sono ottenuti da
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rilievi sperimentali condotti nel Laboratorio di Misure Meccaniche e Termiche dell’Università di Roma “La Sapienza” e, successivamente, confrontati e confermati dai progettisti della Esaote Biomedica con i quali esiste un rapporto di collaborazione. Tutto ciò premesso, con la solita e usurata frase, chiedo scusa anch’io in anticipo ai lettori per eventuali errori o omissioni, aggiungendo che, mai come in questo caso, sono ansioso di ricevere severe critiche a vantaggio del rigore scientifico, tecnologico e didattico, e cioè fondamentalmente a vantaggio dei giovani lettori e dell’istituzione universitaria. Da più parti si sentono e si leggono parole come qualità, competitività, ricerca, innovazione e altre ancora, che dovrebbero indicare la strada per rilanciare la nostra economia e rendere meno pesanti le preoccupazioni che derivano dal bilancio dello Stato. E invero il nostro Paese ha necessità, nel continuo confronto con gli altri Paesi europei, dell’ingegno e dell’entusiasmo dei giovani, preziosa e forse unica risorsa in grado di incrementare il valore aggiunto della tecnologia dei nostri prodotti. La sorgente più feconda sono i giovani cui può solamente associarsi l’esperienza di chi è meno giovane. La mia speranza e l’energia necessaria per completare quest’opera hanno avuto origine proprio dalla pressione dei giovani e in particolare dei miei studenti, ai quali questo libro è prevalentemente dedicato: ho sentito forte il dovere di non deludere le loro aspettative. Solamente il tempo potrà dire se l’impegno profuso non sarà stato vano.
Roma, giugno 2008
FRANCESCO PAOLO BRANCA
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CAPITOLO 1 Principi generali sulla tomografia ...........................................................
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1.1 Introduzione (1); 1.2 Che cos’è la tomografia (2); 1.3 Tomografo assiale computerizzato (9); 1.4 Tomografo a risonanza magnetica nucleare (13); 1.5 Tomografo a ultrasuoni (ecotomografo) (39); 1.6 Confronto tra l’ecotomografo clinico e il SONAR (42); 1.7 Altri tipi di tomografi (44)
CAPITOLO 2 La piezoelettricità ..................................................................................... 45 2.1 Introduzione: cenni storici (45); 2.2 Esperimenti dei fratelli Curie (47); 2.3 Generalità sui cristalli (55); 2.4 Il quarzo (62); 2.5 Il vettore polarizzazione P (69); 2.6 Il comportamento elastico (75); 2.7 Le costanti piezoelettriche (78); 2.8 Le ceramiche piezoelettriche (91)
CAPITOLO 3 Le onde e i sistemi oscillanti ..................................................................... 111 3.1 Onde longitudinali e trasversali (111); 3.2 Esempi sul meccanismo di propagazione (112); 3.3 L’equazione delle onde (115); 3.4 Onde periodiche (124); 3.5 Grandezze acustiche caratteristiche (130); 3.6 L’oscillatore elementare (138); 3.7 L’oscillatore smorzato (141); 3.8 Circuiti elettrici oscillanti (149); 3.9 Il quarzo come circuito risonante (164)
CAPITOLO 4 La propagazione degli ultrasuoni ............................................................. 181 4.1 Gli ultrasuoni nel corpo umano (181); 4.2 La diffusione (182); 4.3 Le formule (187); 4.4 Fenomeni di trasmissione della radiazione (192); 4.5 Attenuazione e assorbimento delle onde ultrasonore (198); 4.6 Il coefficiente di assorbimento α (200); 4.7 Meccanismo di rilassamento (201); 4.8 Assorbimento nei tessuti biologici (205); 4.9 Rilievo sperimentale dell’impedenza e dell’attenuazione (208); 4.10 Emivalore (212); 4.11 Determinazione dell’intensità dell’eco: perdite per riflessione (213); 4.12 Principi di teoria della non linearità (216)
CAPITOLO 5 La formazione del fascio ultrasonoro ....................................................... 231 5.1 Introduzione (231); 5.2 Campo sonoro generato da un cristallo piezoelettrico (236); 5.3 Rappresentazione di Fourier e direttività del trasduttore (251); 5.4 Direttività del piezoelemento circolare (259); 5.5 Rappresentazione del campo ultrasonoro (265); 5.6 Focalizzazione dell’energia acustica: caratteri generali (270); 5.7 Campo ultrasonoro di un piezoelemento alimentato con eccitazione pulsata (291); 5.8 Rappresentazione del campo ultrasonoro pulsato (297)
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CAPITOLO 6 La sonda elementare ................................................................................ 301 6.1 Introduzione (301); 6.2 La misura della sensibilità (303); 6.3 Struttura della sonda elementare e cause di perdita di sensibilità (306); 6.4 Parametri connessi con la sensibilità del trasduttore (308); 6.5 Note sulla larghezza di banda (316); 6.6 Il problema dell’adattamento dell’impedenza (325); 6.7 Smorzamento delle oscillazioni del piezoelemento: backing (334); 6.8 Adattamento dell’impedenza elettrica (339); 6.9 Problemi relativi all’adattamento delle impedenze elettriche per un trasduttore piezoelettrico (341)
CAPITOLO 7 Un sonar diagnostico ............................................................................... 359 7.1 Introduzione (359); 7.2 Introduzione ai sistemi pulse-echo (362); 7.3 Sistemi pulse-echo (388); 7.4 Schema a blocchi di un ecotomografo A-Mode (392); 7.5 Trasmettitore (394); 7.6 Blocco attenuatore-limitatore (397); 7.7 Ricevitore (398); 7.8 Dispositivo di visualizzazione (display) (410); 7.9 Clock e master synchronizer (410); 7.10 Applicazioni cliniche dell’A-Mode (411)
CAPITOLO 8 La formazione dell’immagine ecografica ................................................. 415 8.1 Introduzione (415); 8.2 Principio di funzionamento di un ecotomografo BMode (415); 8.3 Geometria della scansione manuale (420); 8.4 Realizzazioni dei primi ecotomografi B-Scan statici (424); 8.5 Schema a blocchi dell’ecotomografo B-Scan (428); 8.6 Problemi relativi alla visione: range dinamico (431); 8.7 Problemi relativi alla scansione: aspetti generali (437); 8.8 Scan converter digitale e ecotomografo Real-Time (444); 8.9 Rappresentazione M-Mode (463); 8.10 Scansione elettronica e sonde a schiera (469); 8.11 Sonde a schiera monodimensionale (linear e convex array) (472); 8.12 Array anulari (483); 8.13 Direttività dei trasduttori a schiera (o cortina) lineare (490); 8.14 L’immagine BMode nei moderni ecotomografi Real-Time (514); 8.15 Conclusioni (527)
CAPITOLO 9 Meccanica dei fluidi ................................................................................. 529 9.1 Generalità (529); 9.2 Fluidi ideali e fluidi reali (531); 9.3 Il “fluido” sangue (535); 9.4 Leggi del moto dei fluidi (543); 9.5 Regimi di moto (552); 9.6 Curve, diramazioni, lunghezze di sviluppo (563); 9.7 Flusso nei grandi e piccoli vasi (564); 9.8 Flusso pulsatile (568); 9.9 Ancora sulla reologia (574); 9.10 Istogrammi delle velocità (576)
CAPITOLO 10 Elaborazione del segnale Doppler ............................................................ 579 10.1 Introduzione (579); 10.2 Funzioni periodiche (579); 10.3 Sviluppo in serie di Fourier con funzioni sinusoidali (580); 10.4 Rappresentazione vettoriale mediante funzioni esponenziali complesse (587); 10.5 Integrale di Fourier: sviluppo di funzioni non periodiche e di segnali impulsivi (591); 10.6 Trasformata di Fourier discreta (DFT) (597); 10.7 Elementi di analisi dei segnali nel pre-processing (600); 10.8 Generalità sull’analisi dei segnali: parametri fondamentali e
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caratteristiche dei segnali (601); 10.9 Densità della potenza associata allo spettro di frequenze (619); 10.10 Autocorrelazione e cross-correlazione (622)
CAPITOLO 11 Eco-Doppler ............................................................................................. 627 11.1 Introduzione (627); 11.2 Effetto Doppler (628); 11.3 La misura della velocità dei globuli rossi (636); 11.4 Modelli di aggregazione dei globuli rossi (637); 11.5 Principali metodi per misurare la velocità tramite effetto Doppler (640); 11.6 Strumentazione di base CW con uscita acustica (644); 11.7 Strumentazione con uscita su monitor (grafica) (646); 11.8 Il segnale Doppler espresso in notazione complessa (649); 11.9 Demodulazione direzionale: demodulatore in quadratura (654); 11.10 Analisi spettrale nel CW Doppler (658); 11.11 Filtro di parete (662); 11.12 Schema a blocchi di un CW con rilevamento della direzione della velocità (663); 11.13 Doppler pulsato (PW Doppler) (664); 11.14 Pulsed Doppler multigate (675); 11.15 Strumenti duplex (678); 11.16 L’analisi spettrale nel PW Doppler (679); 11.17 Il fenomeno dell’aliasing (691); 11.18 Metodo dello zero crossing e sue applicazioni (699)
CAPITOLO 12 Color Doppler e Power Doppler ................................................................ 705 12.1 Introduzione (705); 12.2 Generalità sull’uso del colore nei sistemi CFI (706); 12.3 Modalità di impiego del colore (710); 12.4 Color Doppler e angiografia (711); 12.5 Limitazioni del Color Doppler (713); 12.6 Il fondamento della costruzione dell’immagine Doppler a colori (714); 12.7 Il Doppler a colori nei sistemi duplex (716); 12.8 Tecniche di stima della velocità nell’indagine Color Doppler (722); 12.9 Stima mediante funzione di autocorrelazione (723); 12.10 Interpretazione dell’autocorrelazione nel dominio delle fasi (Phase Domain Correlation, PDC) (736); 12.11 Stima nel dominio del tempo (Time Domain Correlation, TDC) Cross-correlazione (740); 12.12 Valutazione dell’intervallo di tempo τ mediante cross-correlazione (742); 12.13 Vantaggi del metodo di autocorrelazione nel tempo (746); 12.14 Meccanismo di formazione della linea di vista Color (747); 12.15 Power Doppler (757); 12.16 Costruzione e caratteri dell’immagine Power Doppler (757); 12.17 Vantaggi del Power Doppler (PDI) rispetto al Color flow (760)
Bibliografia essenziale .............................................................................. 765 Indice analitico ......................................................................................... 767
Capitolo 1 Principi generali sulla tomografia
1.1 Introduzione “Quando Galileo e Aristotele vanno d’accordo su un punto, è facile la decisione dei medici; ma quando essi sono di opinioni diverse, è molto difficile metterli d’accordo”. Nella lunga e affascinante storia della medicina questo antico motto riflette bene i due fondamentali modi di procedere per la conoscenza della natura: il pensiero (ovvero la logica, impersonata da Aristotele) e l’esperienza (la conoscenza diretta, impersonata da Galileo). Per più di venti secoli ragionamento e esperimento si sono “avvicendati” nella valutazione diagnostica: sono questi due importanti momenti che conducono il medico sulla strada della verità che, quando ha per oggetto il corpo umano, riesce comunque ardua e, talora, di esito incerto. Tutta la storia della medicina nell’ultimo secolo è stata di fatto rivolta allo sviluppo della tecnologia perché questa costituisce un supporto potente per la diagnosi, cioè per la conoscenza attraverso i sintomi. Ma cosa sono i sintomi? Letteralmente la parola sintomo deriva dal greco συ´μπτωμα e ha il significato principale di accidente o sventura. Di fatto, nella pratica del medico, essi sono riferiti dal paziente o mostrano la loro evidenza all’osservazione. Ma com’è possibile “osservare” i sintomi, quando sono silenti e interni alla “macchina uomo”? In tal caso, vi è una sola strada da percorrere: andare a vedere. Tradizionalmente, per ottenere l’evidenza di ciò che accade entro un corpo occorre aprirlo: il medico deve diventare chirurgo. Questa modalità di verifica dei segni silenti è giustamente giudicata invasiva e, peraltro, spesso non accettabile, sia per i costi e i rischi, sia perché in generale dannosa per il paziente. È però possibile percorrere un’altra strada: cioè “vedere” senza “invadere”, ottenendo un’immagine di ciò che si trova all’interno del corpo umano, ossia praticando una sorta di fotografia della parte che interessa osservare senza dover tagliare. Gli evidenti vantaggi di questo modo di procedere hanno determinato un enorme progresso tecnologico della strumentazione biomedica e lo sviluppo del cosiddetto settore immagini. L’importanza di questo settore è dimostrata dal fatto che – con larga approssimazione – in un presidio ospedaliero il costo delle apparecchiature utilizzate nella diagnostica per immagini incide per circa il 50 per cento sul costo dell’intero parco apparecchiature. Sono oggi disponibili diversi tipi di strumenti destinati alla diagnostica per immagini che funzionano basandosi su altrettanti principi fisici: in gran parte dei casi, la “fotografia” che si vuole ottenere è prodotta utilizzando radiazioni
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
in grado di penetrare nel corpo umano, alcune delle quali sono già state descritte nel volume 1 (radiazione X). A tal fine si può ricorrere anche ad altri tipi di radiazioni, come le onde elettromagnetiche a radio frequenza o radiazioni γ, impiegate in particolari apparecchiature che utilizzano fenomeni nucleari. In questo volume, tuttavia, sono trattate esclusivamente le apparecchiature che forniscono immagini dell’interno del corpo umano impiegando le radiazioni ultrasonore, che attualmente sembrano le meno pericolose in relazione ai danni che il paziente subisce ogni qual volta dal suo corpo viene estratta un’immagine1. Inoltre il mercato di tale strumentazione è molto esteso e tuttora in grande espansione: secondo stime relative al 2003 sono installati in tutto il mondo circa 150.000 apparecchi diagnostici a ultrasuoni, per un totale di circa 135 milioni di ecografie per anno; solo per la strumentazione prodotta nel 2003, la spesa è stata pari a 3 miliardi di dollari (laddove per la tomografia computerizzata si prevedevano 2 miliardi di dollari nel 2006), confermando l’avvenuto sorpasso della strumentazione diagnostica a ultrasuoni sulla radiologia tradizionale. Nelle prossime pagine saranno illustrati i metodi e i mezzi con i quali si ottengono le immagini diagnostiche definite tomografie e le apparecchiature che le producono, i tomografi. Per una migliore comprensione, si richiamerà la storia dei progressi che hanno infine condotto agli attuali tomografi. Pertanto si presenteranno dapprima gli strumenti più antichi: i tomografi meccanici; questi sono ormai impiegati assai raramente, ma si prestano bene a illustrare il concetto di taglio, cioè del piano fisico al di sopra del quale si immagina di scattare la “fotografia”. Questa immagine, peraltro, ha caratteri e aspetto diversi da quelli delle comuni fotografie; per tale motivo, al fine di interpretarla correttamente, conviene illustrare l’origine di tale diversità spiegando su quali principi è fondata. Partendo da questa breve presentazione della tomografia, si introdurrà il lettore all’arte della lettura di un’immagine tomografica.
1.2 Che cos’è la tomografia Quando si esegue una radiografia tradizionale di un qualsiasi distretto corporeo, l’immagine raccolta sul film fotografico è rappresentativa dell’assorbimento differenziale subito dalla radiazione X nell’attraversare l’oggetto dell’indagine. La misura in cui ciascuna radiazione viene assorbita dipende dal coefficiente di assorbimento μ: a seconda dell’entità di tale assorbimento, la radiazione fuoriesce dal corpo attenuata e colpisce il film fotografico determinando su di esso un annerimento che è tanto maggiore quanto minore è stata la sua attenuazione. L’informazione così raccolta non tiene alcun conto della quota relativa dei diversi tessuti attraversati, nel senso che se la radiazione nel procedere entro il corpo incontra prima il tessuto biologico A, di coefficiente di assorbimento μA, e successivamente incontra il tessuto B, di coefficiente μB, 1 A tutt’oggi forse non è corretto affermare che gli ultrasuoni impiegati nell’ecotomografia non danneggino il corpo umano; ma, se pure danno esiste, questo appare di gran lunga inferiore a quello prodotto dai sistemi che utilizzano radiazioni ionizzanti.
Capitolo 1
(a)
· Principi generali sulla tomografia
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(b)
Figura 1.1. In (a) è visibile il piano tomografico sul quale è ottenuta l’immagine tomografica rappresentata in (b)
produrrà sulla lastra un annerimento pressoché identico a quello che produrrebbe se incontrasse prima il tessuto B e poi il tessuto A. Il film fotografico quindi rappresenta comunque la somma di diversi strati di cui si può considerare costituito il corpo in esame, senza fornire alcuna informazione sulla loro posizione rispetto alla direzione lungo la quale si propaga la radiazione. Per esempio, l’esecuzione di una radiografia toracica in posizione frontale consente di individuare la presenza di un corpo estraneo in un polmone, ma non fornisce informazioni sufficienti per individuare la sua posizione: non consente infatti di stabilire se il corpo estraneo si trova in prossimità della parte anteriore di una costola o di quella posteriore; cioè con una sola radiografia non è possibile stabilire a quale quota si trovi l’oggetto. In questo semplice caso, la posizione potrà essere individuata eseguendo una seconda radiografia ponendo il paziente in posizione laterale, anziché frontale. Per individuare la posizione del corpo estraneo eseguendo una sola radiografia, sarebbe necessario selezionare lo strato o quota2 ove esso si trova, eliminando tutti gli altri strati che si trovano in posizione superiore o inferiore rispetto al corpo estraneo, in quanto, al fine della sua individuazione essi apportano informazione nulla. L’esempio descritto ha valore meramente didattico al fine di introdurre il concetto di strato. Per rispondere alle necessità diagnostiche occorre dunque poter estrarre, per così dire, la fotografia dello strato, ossia rappresentare l’aspetto anatomico di ciò che vi è contenuto. Si desidera cioè disporre di un’immagine fotografica corrispondente a ciò che si potrebbe osservare dopo aver tagliato il corpo in due parti. In termini inusuali, ma più vicini alla realtà, al concetto di taglio deve essere attribuito il significato di “fetta”, definita come la quantità di materia contenuta tra due piani paralleli posti tra loro a una distanza pari allo spessore dello strato. Nella figura 1.1a è rappresentata una testa sezionata assialmente da un piano detto piano tomografico o piano di taglio, mentre nella figura 1.1b è rap2
È valutata rispetto a un piano di riferimento che, di solito, è quello sul quale è poggiato il paziente.
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presentata la visione “fotografica” di ciò che si vedrebbe se fosse asportata la parte superiore al piano di taglio. Per quanto attiene al riferimento, occorre definire la posizione del piano di taglio rispetto al corpo umano, per esempio rispetto all’asse testa-piedi. Si osserva che in queste condizioni la giacitura del piano è ortogonale a tale asse: si parla allora di tomografia assiale. Il piano può essere scelto anche con orientazione diversa, in relazione alle necessità diagnostiche e alla possibilità di ottenere piani comunque orientati. Tale possibilità è strettamente connessa ai dispositivi utilizzati, a seconda dei metodi impiegati, che possono essere in prima istanza classificati sulla base dell’orientamento del piano di taglio rispetto all’asse di riferimento testa-piedi, in particolare: piano tomografico che ha giacitura contenente tale asse; piano tomografico che ha giacitura (generalmente) ortogonale a tale asse. Il primo tipo di tomografia è il più antico ed è realizzato con tomografi meccanici che forniscono il radiogramma di uno strato direttamente su pellicola fotografica (tomografia tradizionale). Il principio di funzionamento di questi apparecchi, chiamati stratigrafi, è illustrato nella figura 1.2. Il tubo RX e la cassetta radiografica, entro la quale è contenuta la pellicola (vedi volume 1), sono collegati da un’asta S incernierata su un perno A, che si trova a una certa quota dal tavolo porta-paziente T. Il perno giace sul piano di
· ·
Figura 1.2. Rappresentazione schematica del dispositivo meccanico che realizza la stratigrafia con paziente fermo: l’asta S, collegata sia al tubo sia alla cassetta radiografica, è incernierata in A, in modo che una sua oscillazione di angolo α (pendolamento) produca un analogo spostamento della pellicola radiografica, sia pur in direzione opposta. Si riconosce che solo gli oggetti situati nel piano della cerniera A (piano tomografico o di taglio) vengono proiettati efficacemente sulla lastra: infatti le loro proiezioni, durante il pendolamento, mantengono sempre la stessa posizione nella lastra e pertanto la impressionano in maggior misura.
Capitolo 1
· Principi generali sulla tomografia
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Figura 1.3. Immagine di un tomografo RX telecomandato.
taglio. Quando il tubo RX si muove, per esempio da sinistra verso destra, l’asta compie un angolo α (angolo di pendolamento), mentre la cassetta si muove da destra verso sinistra entro un apposito contenitore G. Si osserva ora che le proiezioni degli oggetti che giacciono nel piano di taglio (per esempio il punto A) durante il pendolamento occupano nella pellicola una posizione immutata, cioè A′ e A′′. La proiezione di qualsiasi altro oggetto (per esempio il punto B), che si trovi su piani diversi dal piano di taglio, all’inizio del pendolamento occupa nella lastra la posizione B′ alla destra di A′ e, al termine, la posizione B′′ alla sinistra di A′′. Ne consegue che il punto B lascia sulla lastra una traccia assai più debole di quella lasciata dal punto A. Si suole dire che la traccia lasciata da B è stata “cancellata”: infatti, nel tempo di pendolamento, tale traccia viene cancellata dai fotoni X (che pervengono sulla sua traiettoria producendo il corrispondente annerimento), mentre la traccia lasciata da A viene rinforzata, poiché tutti i fotoni nel corso dello spostamento della lastra vedono A sempre nella medesima posizione, cioè al centro della lastra. Il tomografo meccanico – ancorché con diverse modalità di moto relativo tra tubo e lastra, allo scopo di rendere più efficace l’azione di rinforzo sopra descritta – è ancora in uso presso molti presidi ospedalieri. Nella figura 1.3 è mostrata un’immagine di un recente modello “telecomandato” nella quale è visibile l’asta tomografica. Le prestazioni di tali tomografi sono limitate poiché il potere risolutivo dell’immagine è necessariamente modesto per effetto dell’operazione di cancellazione che, quale che sia la modalità scelta, opera sull’intera superficie della pellicola fotografica interessata dall’immagine.
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Figura 1.4. Fantoccio a squadra (a) con scala radiopaca per la determinazione del piano tomografico (quota massima di 24 cm); nel particolare (b) sono messe in evidenza le tacche di piombo (per semplicità di rappresentazione il numero delle tacche è stato ridotto).
Nelle figure 1.4 e 1.5 viene descritto un procedimento (e lo strumento necessario per la sua esecuzione) per verificare le prestazioni di uno stratigrafo, sia individuando la quota del piano di taglio, sia valutando la qualità dell’immagine ottenibile, in termini di potere risolutivo oltre che di efficacia della cancellazione.
Figura 1.5. Impiego del fantoccio a squadra per la determinazione del piano tomografico (a). In (b) è riportato, a titolo di esempio, un particolare della lastra radiografica ottenuta con l’applicazione del fantoccio: le tacche nettamente visibili sono situate in prossimità del piano tomografico (indicato con la linea tratteggiata); si osserva l’effetto di cancellazione sulle altre tacche.
Capitolo 1
· Principi generali sulla tomografia
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Uno speciale fantoccio a squadra è costituito da 96 tacche di piombo con passo di 2,5 mm, che, inglobate in resina per una quota totale di 240 mm, realizzano una scala radiopaca (figura 1.4). Il fantoccio viene posto sul tavolo porta-paziente del tomografo (figura 1.5a), al di sotto del quale si può osservare la pellicola radiografica rispettivamente all’inizio e alla fine del pendolamento con angolo di ampiezza α. Nella figura 1.5b è riportata l’immagine sulla lastra radiografica: si osserva la sfumatura o cancellazione della suddivisione che aumenta man mano che ci si allontana dal prefissato piano tomografico (o di taglio). Al fine di valutare l’entità della perdita del potere risolutivo dovuta allo strisciamento, è stata riportata la cifra di piombo corrispondente alla quota del piano di taglio come si otterrebbe sulla pellicola con tubo fermo. A causa delle loro limitate prestazioni in termini di potere risolutivo, i tomografi meccanici sono sempre meno utilizzati, ma la descrizione del loro principio di funzionamento consente di introdurre efficacemente il concetto di taglio o strato nella sua pratica realizzazione.
1.2.1 Limiti della tomografia meccanica I limiti della tomografia meccanica si manifestano essenzialmente nel tipo di immagine che consentono di realizzare: cioè nella capacità di rendere relativamente nitido un solo strato di dato spessore e relativamente grigi, ossia sfumati (ma non omogeneamente), tutti gli altri strati. Questa condizione è tuttavia la migliore raggiungibile da questi apparecchi, in quanto una cancellazione totale potrebbe essere ottenuta solo a prezzo di notevoli complicazioni costruttive, per realizzare complessi moti relativi tra tubo e cassetta. La cancellazione degli strati superiori e inferiori al piano di taglio costituisce di fatto un “rumore di fondo” dal quale non è possibile estrarre alcuna informazione diagnostica utile. In altri termini, si ottiene una “fotografia” relativamente nitida del piano appartenente allo strato prescelto con un fondo grigio che diminuisce la nitidezza dell’immagine utile; ciò determina una marcata riduzione del potere risolutivo dell’immagine stessa. Questi difetti sono intrinseci degli stratigrafi meccanici in generale, e non possono essere eliminati se non cambiando completamente il principio di funzionamento. Lo sviluppo della tomografia ha condotto a un sostanziale miglioramento della qualità dell’immagine a partire dagli anni settanta, mediante l’utilizzo di due diverse tecniche, entrambe caratterizzate dal fatto che l’immagine tomografica non è di tipo diretto – come quella fornita dai tomografi meccanici – ma ricostruita utilizzando un computer; inoltre le immagini prodotte appartengono di norma a un piano tomografico ortogonale all’asse testa-piedi. Il primo tomografo che è stato in grado di fornire tali immagini utilizza ancora la radiazione X e prende il nome di tomografo assiale computerizzato (TAC). Il secondo tipo di tomografo, comparso successivamente, impiega per la formazione dell’immagine radiazioni elettromagnetiche a radiofrequenza, che vengono eccitate per effetto del verificarsi del fenomeno della risonanza magnetica nucleare (RMN). Un terzo tipo di tomografo utilizza una radiazio-
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ne ultrasonora, che produce l’immagine ecotomografica che, a differenza di quelle ottenute dalle due apparecchiature precedenti, è un’immagine di tipo diretto, vale a dire costruita per mezzo della radiazione medesima, modulata dagli oggetti (organi anatomici) entro i quali essa penetra e dai quali viene riflessa. A differenza dell’immagine tomografica ottenuta con lo stratigrafo, l’immagine ecotomografica è assiale, cioè dello stesso tipo di quella dei tomografi TAC e RMN per i quali l’immagine giace sullo stesso piano dell’apertura a ventaglio della radiazione che l’ha generata (figura 1.6). Oggetto di questo libro sono i principi fisici sui quali è fondata la formazione dell’immagine ecotomografica, nonché gli aspetti tecnologici che ne consentono la realizzazione con particolare riferimento a tutto ciò da cui dipende la qualità dell’immagine. Al fine di comprendere i caratteri che definiscono la singolarità dell’immagine ecotomografica, e delle modalità per mezzo delle quali l’ecotomografo la “estrae” dall’interno del corpo umano, si ritiene opportuno riportare sinteticamente i principi sui quali è fondato il funzionamento dei primi due tomografi assiali (TAC e RMN). Ciò consente di cogliere un primo carattere che distingue lo stratigrafo tradizionale e l’ecotomografo dalla RMN e dalla TAC: infatti i primi due forniscono l’immagine per mezzo della modulazione della ra-
Figura 1.6. Esempio di tomografo assiale computerizzato (TAC).
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Figura 1.7. Principio di funzionamento della TAC. (a) L’immagine della TAC (slice) è ricostruita a partire dai segnali provenienti dai sensori durante la rotazione (continua) del telaio intorno al paziente. (b) Nella TAC moderna raffigurata sono visibili il lettino porta-paziente e il gantry, cioè l’involucro contenente il sistema solidale tubo RX-detettori che ruota intorno al paziente.
diazione incidente (raggi X e raggi ultrasonori), mentre nei secondi l’immagine è ricostruita per mezzo di un’elaborazione di carattere analitico effettuata con processore a valle della modulazione della radiazione incidente.
1.3 Tomografo assiale computerizzato Il principio sul quale è fondato il funzionamento del tomografo assiale computerizzato è il seguente: un tubo RX viene fissato su un telaio che può ruotare intorno a un asse, generalmente pressoché coincidente con l’asse testa-piedi del paziente, tradizionalmente individuato con l’asse Z (figura 1.6). Sul medesimo telaio, da banda opposta rispetto al tubo RX, viene fissata una schiera composta da centinaia di sensori di radiazione X allo stato solido3, tipicamente 700÷1000, ciascuno dei quali fornisce in uscita un segnale elettrico proporzionale all’intensità della radiazione che lo ha colpito. Il fascio RX, la cui forma è mostrata nella figura 1.6, ha uno spessore che può essere variato (per esempio nell’intervallo 1÷5 mm) ed è collimato, dapprima, in uscita dalla bocca raggi e, successivamente, sulla schiera dei detettori in modo da individuare, nell’attraversare il paziente, uno strato (taglio) dal quale si estrae l’immagine. Nella realizzazione pratica il telaio è posto in un contenitore, chiamato gantry, munito di un’apertura centrale (ove viene allocato il letto portapaziente) intorno alla quale esso può ruotare per 360 gradi (figura 1.7). La modalità operativa, attraverso cui vengono estratti i segnali utili per la costruzione dell’immagine operata dal processore, è la seguente (figura 1.7a): 3
Di solito materiali ceramici di ossidi di terre rare, originariamente cristalli fotoscintillatori e fotodiodi.
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Figura 1.8. L’immagine dello strato può essere ottenuta tramite una matrice di N = r2 pixel, in cui ciascun elemento μi è legato al coefficiente di assorbimento (medio) μ nel pixel.
Capitolo 1
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il telaio ruota con continuità attorno all’asse Z, acquisendo informazioni un certo numero di volte per ogni grado percorso; cioè il tubo RX viene alimentato con impulsi in alta tensione, a ciascuno dei quali corrisponde la presenza del fascio collimato che, colpendo i detettori, consente l’estrazione di tanti segnali elettrici quanti sono i detettori che formano la schiera. A ogni impulso si acquisisce, pertanto, una vista e un corrispondente profilo radiografico fornito dal segnale elettrico proveniente dai singoli detettori componenti la schiera. Così, per esempio, se si lanciano 4 impulsi per ogni grado di rotazione, si ottengono 1440 viste o proiezioni per giro che, nel loro insieme, costituiscono una scansione dalla quale può essere estratta l’immagine dello strato. Per comprendere come sia possibile ricavare tale immagine si può, in prima istanza, ragionare come segue: immaginando di sovrapporre allo strato una griglia composta in generale da m righe e r colonne , ciascun elemento (per esempio quadrato se m = r: vedi figura 1.8) è rappresentativo di un pixel, entro il quale si ammette che il coefficiente di assorbimento lineare μ sia costante, e ciò è tanto più vero quanto più piccolo è il pixel. Si riconosce subito che questa griglia non è altro che una matrice che può essere scelta di 256 ×256 o 512 ×512 pixel, a seconda della necessità di risoluzione dell’immagine e della capacità di calcolo del microprocessore, in rapporto al tempo di calcolo necessario per mostrare l’immagine. I valori più diffusi sono: 700 detettori, 4 viste per grado, matrice 512 ×512 pixel, tempo di una scansione 1,5 ÷ 2 secondi 4. Il problema consiste nell’individuare il valore di μ per ogni pixel e quindi, in definitiva, nel conoscere la mappa degli assorbimenti cui è legato, come nella radiologia tradizionale, il corrispondente valore di grigio; la conoscenza della distribuzione del livello di grigio di ciascun pixel consente la costruzione dell’immagine. Questa, pertanto, può essere pensata come una matrice che permette di assegnare a ciascun pixel il valore del coefficiente μi , con indice i = 1÷N. Con riferimento alla figura 1.8a, indicato con j ciascun angolo di rotazione del tubo radiogeno rispetto al paziente, il “ventaglio” di raggi X inviato verso i detettori può essere scomposto in singoli “raggi” identificati dall’indice k. Giova rilevare che, per non appesantire la notazione, spesso si sceglie di individuare il pixel con un solo indice i che va da 1 a N, piuttosto che con una coppia di indici ciascuno variabile da 1 a r; deve conseguentemente valere la relazione N = r2. Attesa la circostanza che ciascun raggio X intercetta porzioni differenti di superficie (e quindi di pixel) appartenenti alla sezione anatomica indagata, il contributo all’attenuazione complessiva causato dall’elemento di indice i è dato dal contributo del valore locale μi del materiale attraversato dal raggio X medesimo, pesato per un fattore wij che deve tenere conto della porzione di pixel di indice i coinvolto nella formazione della proiezione Pj, durante la scansione secondo un angolo j-esimo. In pratica, il valore di wij è proporzionale all’area ABCDEF riportata in rosso in figura. Quanto riferito è sintetizzato dalla seguente espressione:
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Nelle TAC di ultima (IV) generazione tale tempo è ridotto a 0,33 secondi.
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N
Pj = ∑ w ij ⋅ μ i i =1
[1.1]
che in forma matriciale si scrive P = W⋅ Ω
[1.1bis]
ove si è indicata con Ω la matrice dei μ individuati a mezzo dell’unico indice i. Con riferimento alla figura 1.8b, i singoli valori Pjk della proiezione corrispondono ai segnali all’uscita di ciascun detettore k-esimo durante la scansione jesima. Spesso ci si riferisce al profilo radiografico, cioè all’insieme di tutti i Pjk ottenuti durante una scansione, con il simbolo Pj. Pertanto, al fine di calcolare i valori μi è necessario invertire la matrice W dei fattori peso: Ω = W −1 ⋅ P
[1.2]
Dalla figura 1.9 si riconosce che il termine noto del sistema di equazioni è rappresentato proprio dai profili radiografici Pj ottenuti durante la scansione che il telaio compie attorno al paziente. Si osserva infine che il dato sperimentale che fornisce la macchina è solo il Pj dal quale è possibile estrarre l’immagine della sezione prescelta esclusivamente per mezzo di un calcolo. La tecnica dell’inversione della matrice W, tuttavia, è di fatto non praticabile poiché, considerando per esempio una matrice immagine di 256 × 256 pixel e una matrice di scansione di eguali dimensioni, si dovrebbe invertire una matrice con più di 2564 elementi! Per ovviare a tale difficoltà, vengono utilizzati algoritmi assai più efficienti. Tra questi, quelli più utilizzati sono la retroproiezione filtrata e la doppia trasformata di Fourier, che non si tratteranno in questo testo. Il metodo della soluzione del siste-
Figura 1.9. Ottenimento dei profili Pj con una scansione di 360 gradi.
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(a)
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(b)
(c)
Figura 1.10. Immagine della prima tomografia assiale (a), ottenuta nel 1971 con il primo tomografo (b) inventato da Godfrey Hounsfield (c).
ma lineare è stato riportato perché è di fatto il più intuitivo e, soprattutto, perché è stato il primo utilizzato da Godfrey N. Hounsfield nel 1971, per ottenere la prima immagine anatomica della sezione di un cranio (figura 1.10).
1.4 Tomografo a risonanza magnetica nucleare 1.4.1 Premessa Il tomografo a risonanza magnetica nucleare5 (RMN) e il tomografo assiale computerizzato (TAC) possono considerarsi simili solo per alcuni aspetti relativi all’estrazione di immagini dalle informazioni contenute in determinati segnali elettrici: infatti, mentre nella TAC le varie tipologie di tessuti sono differenziate per effetto della loro diversa densità, nella RMN tale discriminazione non si fonda solo sulla densità protonica, ma principalmente su parametri temporali (T1 e T2), dai quali dipendono fortemente le caratteristiche dell’immagine. Questi parametri sono quantità misurabili che si manifestano stimolando il materiale biologico dall’esterno. Tale fatto è generale in fisica: se si desidera conoscere il comportamento di un sistema ed estrarre informazioni sulla sua struttura, sia essa biologica o d’altra natura, occorre perturbarne l’equilibrio e studiare le modalità con le quali esso viene recuperato al cessare della perturbazione. Analogamente ad altri tipi di tomografi, anche quello a RMN fornisce immagini dell’interno del corpo umano, cioè “fotografie” di una sua sezione corrispondente, in realtà, a uno strato di un determinato spessore, e quindi a un volume di materia. Pertanto, a differenza delle altre modalità tomografiche, ove l’immagine viene estratta per effetto della modulazione di una radiazione proveniente dall’esterno (raggi X e ultrasuoni), nel caso della RMN questa viene costruita a partire da segnali elettromagnetici che provengono dal volume stesso dello strato, eccitato da opportune stimolazioni esterne. 5
Da alcuni anni il tomografo a risonanza magnetica nucleare viene chiamato tomografo a risonanza magnetica o semplicemente risonanza magnetica. L’aggettivo “nucleare” è stato infatti eliminato in quanto ricordava tecnologie dedicate a scopi diversi da quelli medico-diagnostici.
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Figura 1.11. Rappresentazione grafica dello spin (I) e del momento magnetico (μm) di un protone che ruota in senso antiorario (a) e orario (b). Orientamento assunto da un ago magnetico e da un protone immersi in un campo magnetico di induzione B (c). Individuazione dell’angolo θ tra la direzione del campo magnetico di induzione B e il momento magnetico μm (d).
1.4.2 Richiami sulla fisica del nucleo. La magnetizzazione netta M Il protone, che possiede una massa a riposo di 1,672·10–27 kg e ha una carica elettrica di 1,602·10–19 C, ruota intorno al proprio asse: quest’ultima caratteristica viene rappresentata in fisica mediante una grandezza vettoriale che assume il nome di momento angolare intrinseco o spin, solitamente indicata con la lettera I, e specificamente riferita alla sola massa che ruota. L’orientamento di I è quello dell’asse di rotazione, mentre il suo verso è determinato dal senso di rotazione. La carica elettrica associata alla massa del protone produce un effetto indicato con μm, un vettore che rappresenta il momento magnetico 6 come se si trattasse di una spira percorsa da corrente o dell’ago magnetico di una bussola. Nella figura 1.11 sono rappresentati i due vettori attribuiti a un protone che ruota intorno al proprio asse in senso antiorario (figura 1.11a) e orario (figura 1.11b). Il vettore μm viene chiamato momento magnetico, per distinguerlo da quello associato a una carica elettrica che ruota non su se stessa ma su un’orbita: in quest’ultimo caso si parla di momento magnetico orbitale, parametro che non interessa la RMN. Se si immergono entro un campo magnetico di induzione B sia il protone sia l’ago di una bussola, è possibile verificare che i loro momenti magnetici si
Il momento magnetico del protone μmP è legato al momento magnetico del nucleo μ mN dalla relazione μ mP = 2,79 μ mN . Ma μ mN = 5,05·10–27 J/T; pertanto μ mP = μ m = 1,408 ·10–26 J/T. 6
Capitolo 1
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Figura 1.12. Orientamento degli spin dei protoni in un bicchiere d’acqua in assenza (a) e in presenza (b) di un campo magnetico esterno.
orientano allineandosi secondo le linee di flusso di B, così come è mostrato nella figura 1.11c: il vettore μm e l’ago della bussola assumono orientamento parallelo al campo B. Quanto detto sopra è vero per il “sistema macroscopico” costituito dall’ago della bussola, ma a livello microscopico si osserva, come viene meglio quantificato in seguito, che alcuni μm hanno orientamento parallelo alla direzione di B, mentre altri hanno orientamento opposto, ossia antiparallelo. L’energia potenziale magnetostatica E del dipolo μm dipende dall’angolo che esso possiede rispetto alla direzione del campo B di modulo B0 (figura 1.11d), secondo la relazione E(θ) = − μ m ⋅ B = − μ m cos θ ⋅ B0
[1.3]
Si osserva che per θ = 0° (posizione parallela) l’energia potenziale E(θ) è minima e vale –μm·B0, mentre essa risulta massima per θ = 180° (posizione antiparallela) e vale μm·B0. Ne deriva che l’energia ΔE che occorre fornire a un protone di momento magnetico μm, per passare dallo stato parallelo a quello antiparallelo, è espressa dalla ΔE = E max − E min = 2μ m B0
[1.4]
Occorre ora ricordare che lo spin I è quantizzato, cioè può assumere soltanto un insieme di valori discreti, multipli interi o semi-interi della quantità h/2π, dove h è la costante di Planck. Nel caso del protone, esso può assumere solamente i valori I = +1/2·(h/2π) o I = –1/2·(h/2π). Di solito viene omessa la
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Figura 1.13. Livelli energetici di sistema di spin in presenza di un campo magnetico esterno.
quantità costante h/2π e si dice che lo spin per il protone è m = +1/2 o m = –1/2, ciò corrisponde al fatto che, convenzionalmente, viene attribuito al valore +1/2 e –1/2 la rotazione rispettivamente antioraria e oraria, come indicato nella figura 1.11a,b. Nel caso più generale, entro un determinato volume di materia, per esempio l’acqua contenuta in un bicchiere, in condizioni di equilibrio termodinamico con l’ambiente esterno, sono presenti protoni, e quindi spin, orientati casualmente in tutte le direzioni (figura 1.12a), con configurazioni variabili e perciò energeticamente indistinguibili. In queste condizioni non è possibile rilevare all’esterno alcun campo magnetico, poiché i singoli μm si annullano l’un l’altro (figura 1.12a); ma se si pone il bicchiere all’interno di un campo magnetico costante B, di modulo B0, i due stati di spin acquistano rispettivamente energia Emax ed Emin, secondo la [1.3]. La figura 1.12b rappresenta la saturazione energetica degli spin in presenza di campo magnetico esterno. L’effetto del campo magnetico è quindi quello di rendere non equivalenti le direzioni dello spazio. Dire che lo spin di un protone, o più generalmente di un nucleo, tende ad allinearsi parallelamente al campo magnetico esterno, anziché antiparallelamente, equivale ad affermare che lo stato di orientazione parallelo è energeticamente favorito, perché è quello cui corrisponde lo stato di minore energia potenziale e cioè θ = 0 ed Emin = –μmB0. Nella figura 1.13 si osserva quindi che la presenza di B causa la nascita di due sottopopolazioni di spin (m = +1/2 e m = –1/2). La sottopopolazione a livello energetico basso è numericamente di poco superiore rispetto a quella a livello alto. La statistica di Boltzmann consente di calcolare il numero di spin che si trovano a livello di bassa energia indicati con n – rispetto al numero di
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quelli che si trovano al livello di energia più alta indicati con n + , come riportato nell’espressione ΔE − n+ = e kT [1.5] n− Sviluppando la [1.5] in serie di Taylor (ricordando che e–x ≅ 1–x) e limitandosi ai primi due termini, si ottiene hγ B0 n+ ΔE ≅1− = 1 − 2π n− kT kT
[1.6]
in cui il termine ΔE = 2μmB0 è stato espresso, come si preciserà meglio in seguito (vedi eq. [1.10]), in funzione di h, costante di Planck (6,6·10 –34 J·s), e γ/2π, costante giromagnetica (pari a 42,57 MHz/T per l’idrogeno). Se si assume, per esempio, un campo magnetico esterno di modulo B0 = 1T, a una temperatura media del corpo umano pari a 37 °C (310 K), essendo la costante di Boltzmann k = 1,38·10–23 J/K, si ottiene un valore del rapporto n+/n– corrispondente a circa 1–7·10–6 = 0,999993. Ciò significa che, nelle condizioni sopra descritte, al livello di energia più alto ci sono 7 spin su un milione in meno rispetto al numero di spin che si trovano a livello energetico più basso. In altri termini, per ogni milione di protoni al livello energetico alto, ve ne sono un milione più circa 7 a livello energetico basso. Questa situazione, detta di equilibrio termico, è stabile, nel senso che in media per ogni spin che cambia il suo stato dal livello alto a quello basso, ve n’è un altro che lo cambia dal livello basso a quello alto7. Dalla relazione [1.6] emergono due importanti osservazioni. La prima riguarda l’effetto della temperatura, il cui incremento rende le due sottopopolazioni tanto più equidistribuite quanto più essa è elevata, ciò che rende non osservabile all’esterno alcun campo magnetico. La seconda è che, a parità di temperatura (come di fatto avviene nel corpo umano, che si trova mediamente a 310 K), le due sottopopolazioni differiscono tanto più quanto più elevato è il valore di B. Dalla [1.5] e dalla [1.6] deriva, inoltre, l’importante circostanza per la quale in un sistema di spin in equilibrio termico, per effetto di un campo magnetico esterno, compare un momento magnetico netto8 M, o magnetizzazione netta, rilevabile dall’esterno, sul quale è fondato il principio di funzionamento del tomografo a risonanza magnetica nucleare.
7 Per avere un’idea dell’eccesso del numero di protoni al livello energetico basso a 37 °C, è sufficiente ricordare che il peso molecolare dell’acqua è 18 e contiene 6,022·10 23 molecole (numero di Avogadro) e che, pertanto, in un grammo di acqua (1/18 del numero di Avogadro, con due atomi di idrogeno per molecola) sono presenti circa 6,7·10 22 protoni. 8 La magnetizzazione M è la media di tutti i momenti magnetici μ . Si tratta di una quantità vettom riale in quanto caratterizzata da modulo e direzione.
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1.4.3 Il metodo: i tempi di rilassamento Come si è accennato all’inizio di questo capitolo, il metodo più utilizzato per conoscere il comportamento di un sistema oggetto di indagine scientifica consiste nell’alterare il suo stato di equilibrio. Per esempio, un sistema di molecole sottoposto a sollecitazione risponde in un determinato modo: dall’analisi della risposta è possibile dedurre informazioni sulla natura e sulla struttura delle molecole. Nel caso che qui interessa la perturbazione può essere applicata all’unica grandezza misurabile, cioè alla magnetizzazione netta M: tale perturbazione equivale a deflettere M, cioè a fargli abbandonare la sua direzione naturale allineata al campo esterno, passando così dalla situazione descritta nella figura 1.14a a quella, per esempio, della figura 1.14b, dove si osserva che la deflessione di M ha determinato la comparsa di una componente Mxy sul piano X-Y e ha fatto diminuire la componente Mz sull’asse Z orientata secondo B. L’estrazione di un’immagine di tipo tomografico dal corpo oggetto dell’indagine è fondata sul controllo delle modalità di ritorno del sistema perturbato alle iniziali condizioni di equilibrio. Tale ritorno avviene entro un tempo proporzionale a due costanti di tempo, denominate in letteratura con la notazione T1 e T2: da esse dipende il carattere dell’immagine estratta e il suo contenuto diagnostico. Il valore delle costanti T1 e T2 deriva dall’evolversi di due diversi processi fisici che riguardano le modalità di ritorno all’equilibrio iniziale del vettore magnetizzazione netta M. Il tempo di riequilibrio della componente verticale Mz (t) è proporzionale alla costante di tempo T1, mentre quello della componente orizzontale Mxy (t) è proporzionale alla costante di tempo T2. L’intervallo di tempo necessario per il riequilibrio viene computato a partire dal termine dell’impulso RF, che eccita la risonanza magnetica, ed è chiamato tempo di rilassamento. In particolare T1 è definito tempo di rilassamento longitudinale, in quanto riferito alla componente M z lungo l’asse Z, mentre T2 è detto tempo di rilassamento trasversale, in quanto riferito alla componente Mxy , giacente sul piano XY ortogonale all’asse Z.
Figura 1.14. (a) Vettore magnetizzazione netta M e (b) componenti sul piano X-Y Mx, My e Mz sull’asse Z quando viene deflesso dalla direzione di B per effetto dell’applicazione di un campo magnetico B1 generato da una bobina il cui asse giace sul medesimo piano X-Y. (c) Ribaltamento di M sul piano X-Y per effetto di un’appropriata intensità dell’impulso generato dalla bobina RF.
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Il problema sperimentale, relativo all’alterazione dello stato di equilibrio iniziale, consiste nel fatto che provocare il cambiamento della direzione di M significa applicare, in direzione diversa da Z, un campo magnetico di intensità sufficiente a che ciò si verifichi. Essendo il modulo di B, B0, dell’ordine di 10 000 G (gauss), il campo deflettente dovrebbe essere dello stesso ordine di grandezza; tuttavia, per ottenere deflessioni di M di ampiezza predeterminata, vi è un modo assai più economico e più finemente controllabile dal punto di vista tecnico: esso consiste nell’utilizzare la risonanza, cioè quel fenomeno assai diffuso in natura per mezzo del quale si possono ottenere cospicue modificazioni di un sistema fisico con apporti molto modesti di energia dall’esterno, purché questa venga fornita con determinate modalità. Si supponga per il momento di aver ottenuto, per mezzo della risonanza (come illustrato nel paragrafo successivo), il ribaltamento di M sul piano X-Y rispetto alla posizione di equilibrio iniziale sull’asse Z (figura 1.14c) e di osservare come il sistema così perturbato ritorni all’equilibrio primitivo. Per il momento non interessano le modalità con le quali M si muoverà nello spazio per percorrere il cammino necessario a compiere la rotazione di 90 ° (in questo caso in senso antiorario), interessano solamente il tempo necessario e la legge temporale secondo la quale tale rotazione verrà compiuta. Sperimentalmente si osserva che il ritorno alla configurazione di equilibrio iniziale avviene secondo una legge esponenziale cioè, indicando con M z (t) il generico valore della componente vettoriale lungo l’asse Z della magnetizzazione M (crescente in funzione del tempo), si ha che t ⎛ − ⎞ M z (t) = M 0 ⋅ ⎜ 1 − e T1 ⎟ ⎠ ⎝
[1.7]
essendo T1 la costante di tempo rappresentativa del tempo di rilassamento longitudinale del sistema di spin e M 0 il valore di M quando esso è allineato lungo l’asse Z. L’espressione [1.7] è tipica dei sistemi del primo ordine (vedi cap. 3), cioè dei sistemi fisici in cui lo scambio di energia avviene tra due luoghi, in uno dei quali ha sede l’energia disponibile, mentre nell’altro l’energia viene dissipata. Ciò significa che la [1.7] è valida solamente se il sistema di spin è in grado di scambiare energia con l’ambiente circostante e cioè, nel caso che qui si descrive, se l’energia potenziale del sistema di spin, espressa dalla [1.3], può fluire verso la struttura costituente il reticolo molecolare, struttura che viene solitamente indicata con il termine lattice. La costante di tempo T1 fornisce una misura della rapidità dello scambio di energia nel sistema spin-reticolo, altrimenti chiamato tempo di rilassamento spin-reticolo. Il suo valore è correlato sia al tipo di tessuto sede del fenomeno della risonanza, sia al suo stato (normale o patologico). L’andamento di M z(t) in funzione del tempo è mostrato nella figura 1.15, dove viene specificamente definito il tempo T1, cioè il tempo necessario affinché la magnetizzazione M z(t) raggiunga circa il 63 per cento
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Figura 1.15. Definizione della costante di tempo T1.
del valore finale di equilibrio9. A tale proposito, se nella [1.7] si pone per esempio t = 5T1, si osserva che essa diviene 5T ⎛ − 1⎞ M z (5 T1 ) = M 0 ⋅ ⎜1 − e T 1 ⎟ = M 0 ⋅ 1 − 0, 0067 ≅ M 0 ⋅ 0, 993 ⎠ ⎝
(
)
[1.8]
In base alla [1.8], dunque, dopo un tempo pari a 5T1, M z (t) differisce di circa 0,007 dal valore M 0 , in altri termini è coincidente con la direzione di B a meno del 7 per mille. In conclusione emerge un primo risultato: la perturbazione del sistema ha posto in rilievo l’esistenza del tempo di rilassamento longitudinale T1 del sistema di spin. La dipendenza di tale parametro dal tipo di tessuto biologico è riferibile principalmente al suo contenuto di acqua e proteine. Il valore di T1 è compreso nell’intervallo 0,1÷1 s. Viene ora da domandarsi se il solo parametro T1 sia sufficiente a estrarre tutte le informazioni necessarie per costruire un’immagine diagnosticamente utile; come sia possibile, inoltre, estrarre un segnale elettrico rappresentativo dell’andamento della M(t) al fine di calcolare il valore di T1; come sia possibile, infine, conoscere la distribuzione volumetrica dei protoni che evolvono nel tempo 5T1 verso l’equilibrio termodinamico. Per comprendere come ciò avvenga, è necessario illustrare il meccanismo della risonanza magnetica del nucleo e le modalità di estrazione dei segnali elettrici che hanno origine per effetto di tale risonanza.
9 Nel seguito della trattazione l’espressione “costante di tempo” viene talora considerata come sinonimo di “tempo”.
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1.4.4 Risonanza magnetica del nucleo Nella descrizione dei fenomeni di interazione tra campo magnetico esterno B e momento μm, si è finora sottaciuto il fatto che l’azione di orientamento operata da B sui μm non ottiene come risultato finale quello di orientare i μm allineandoli perfettamente con le sue linee di flusso, come indicato nella figura 1.13. All’atto dell’applicazione del campo magnetico, infatti, nell’orientarsi nella direzione del campo (partendo dall’orientamento caotico dovuto all’agitazione termica) i μm iniziano a precedere, in modo analogo a quanto accade a un corpo rotante, il cui momento angolare precede se immerso nel campo gravitazionale (si pensi, per esempio, a una trottola). Nella figura 1.16 sono riportati due casi estremi: il protone, che precede rispetto alla direzione del campo magnetico esterno, e la Terra, che precede per effetto del campo gravitazionale prodotto dal Sole e dalla Luna sulla maggiore massa presente nella fascia equatoriale. In definitiva, la presenza di un campo esterno produce su un corpo rotante (dotato di spin) un moto di precessione dell’asse di rotazione, che descrive una traiettoria circolare attorno alla direzione del campo (assieme al suo momento angolare I, nel caso di un corpo dotato di sola massa, e anche al suo momento magnetico, se alla massa è associata una carica elettrica). Nel caso del protone tale traiettoria viene percorsa con una determinata pulsazione, indicata con ω L, ove il pedice L sta per Larmor. La frequenza f0 = ω L /2π è detta frequenza di Larmor e il suo valore dipende dall’intensità B0 del campo magneti-
Figura 1.16. Moto di precessione con frequenza angolare ω L per un protone di momento magnetico intrinseco μm per effetto della presenza di un campo magnetico esterno B (a); moto di precessione della Terra per effetto del campo gravitazionale del Sole e della Luna (b).
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co esterno B. Osservando la figura 1.16, si intuisce che, se si desidera variare l’orientamento di μm, ossia l’angolo θ tra μm e la direzione di B, è necessario variare il raggio della traiettoria di precessione dell’asse, cioè modificare l’energia potenziale del sistema, come si deduce immediatamente dalla [1.3]. Per ottenere ciò occorre fornire energia dall’esterno, operazione che può essere attuata in modo efficiente se il sistema di spin10 viene irradiato da un’onda elettromagnetica la cui frequenza sia pari a quella di Larmor: si tratta della frequenza di risonanza magnetica nucleare. È immediato comprendere che, una volta individuata la modalità per mezzo della quale trasferire energia al sistema di spin, variandone in modo opportuno la quantità, è possibile variare di conseguenza l’energia potenziale acquisita dal sistema e quindi l’angolo θ (come si evince dalle relazioni [1.3] e [1.4]). Per esempio, si supponga di voler trasferire al sistema di spin l’energia potenziale massima per la quale il momento μm viene ribaltato di 180°, cioè in direzione antiparallela. A tale scopo è necessario preventivamente individuare un parametro che sia specifico della materia oggetto dell’irraggiamento, cioè della specie nucleare oggetto dell’esperienza. Tale parametro può essere individuato, per esempio, ponendo a rapporto i due momenti intrinseci, magnetico e angolare, cioè γ = μm /I, e assumendo i moduli dei due vettori γ=
μm
⎡ s −1 T −1 ⎤⎦ h ⎣ m⋅ 2π
[1.9]
Se ci si riferisce alla specie nucleare acqua, poiché il nucleo dell’idrogeno possiede un solo protone, per ciascuno dei protoni degli atomi di idrogeno della molecola di H2O (vedi nota 8), si ha m = ±1/2; pertanto dalla [1.9] deriva μm = γ ⋅ m ⋅
1 h h =γ⋅ ⋅ 2π 2 2π
[1.10]
La [1.10], sostituita nella [1.4], porta alla nota espressione ΔE = 2μ m ⋅ B0 = γ ⋅
h ⋅ B0 2π
[1.11]
Nella [1.11] ΔE rappresenta, quindi, l’energia da fornire allo spin affinché passi dal livello energetico basso a quello alto, ossia ruoti μm di 180°, mentre B0 è il modulo di B. Inoltre, se si sostituisce al valore ΔE il corrispondente valore espresso in termini di frequenza f0 di Larmor, a partire dalla relazione di Stark-Einstein ΔE = h· f0, si ha ΔE γ f0 = = ⋅ B0 [1.12] 2π h 10
Si indica con questa espressione una popolazione di protoni che precedono caoticamente, come rappresentato in figura 1.12b.
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Tabella 1.1. Valori della costante giromagnetica per alcune sostanze Sostanza 1 H 2 H 13 C
γ/2π [MHz/T] 42,57 6,53 10,71
Sostanza F 23 Na 31 P 19
γ/2π [MHz/T] 40,05 11,26 17,23
dalla quale, ricordando che è sempre ω = 2πf, deriva la relazione fondamentale ω L = γ ⋅ B0
[1.13]
La [1.13] esprime la condizione di risonanza magnetica nucleare, che afferma che la pulsazione di precessione ω L dipende, tramite il parametro γ specifico del materiale irradiato, dal campo B0. La grandezza γ è detta costante giromagnetica ed è definita dalla [1.9] che, tenuto conto del valore di μm (vedi nota 6), fornisce il valore di 2,6753·10 8 =267,53·10 6 Hz/T=267 MHz/T (dove T è il simbolo del tesla). Dalla [1.13] si ricava 2πfL = γΒ0 e, quindi, fL = γ /2πB0 ; per B0 = 1T, si ha allora fL = γ /2π = 267,53/2π = 42,57 MHz/T. Nella tabella 1.1 sono riportati i valori di γ /2π per alcune sostanze di interesse per la RMN.
Figura 1.17. Moto di precessione di un protone di momento magnetico μm che compie la traiettoria circolare con frequenza angolare ω L : μ Z (fissa) e μ X (rotante sul piano X-Y), componenti lungo gli assi Z e X (a). Moto di precessione delle due sottopopolazioni di protoni, con spin parallelo e anti parallelo, che ruotano tutti con la medesima frequenza angolare, ma caoticamente, attorno all’asse Z. Componente M Z uguale per tutti gli spin e componenti M XY individuali per gli spin appartenenti alle due sottopopolazioni (distinte con i colori rosso e verde) che, per effetto del loro moto caotico, forniscono risultante nulla sul piano X-Y (b).
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Figura 1.18. Moto di precessione degli spin paralleli e antiparalleli eccitato da un campo magnetico B1 prodotto da una tensione a radiofrequenza alla frequenza di Larmor: si osservi la differenza rispetto alla figura 1.12b.
La relazione fondamentale [1.13] consente di rendere evidente la realtà fisica relativa al sistema di spin in equilibrio termodinamico con l’ambiente e immerso in un campo statico esterno di modulo B0. La presenza del campo infatti, come sopra accennato, fa precedere tutti i nuclei: ciascuno di essi precede indipendentemente dall’altro, seppure alla medesima pulsazione (risonanza) ω L e comunque nello stesso verso, in condizioni energetiche sia di basso sia di alto livello. Per tale motivo, lo schema illustrato nella figura 1.13 assume un aspetto più aderente alla realtà fisica nella figura 1.16a. È opportuno illustrare meglio il fenomeno della precessione caotica dei singoli spin e del rifasamento operato per effetto dell’apporto di energia dall’esterno del sistema. A tale scopo, occorre riferirsi alla figura 1.17. Nella figura 1.17a è rappresentato, in successivi istanti di tempo, il singolo protone per mezzo del suo momento magnetico μm, che precede intorno alla direzione di B (assunta tradizionalmente come asse Z) alla velocità angolare ω L. La proiezione di μm sull’asse Z (μz) è fissa e non precede, mentre la componente sul piano trasverso μxy precede anch’essa alla velocità angolare ω L. Si consideri ora un sistema di spin i cui protoni siano pensati per semplicità come coincidenti in un unico punto: l’origine della terna XYZ di riferimento (figura 1.17b). È possibile rappresentare la precessione sia degli spin paralleli sia di quelli antiparalleli mediante le superfici di due coni che hanno il vertice in comune: il cono superiore forma il luogo di precessione degli spin paralleli (n–), mentre il cono inferiore forma quello degli spin antiparalleli (n+). La statistica di Boltzmann consente di individuare la magnetizzazione netta M, pertanto ogni considerazione deve riguardare solamente il cono superiore
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che è quello dal quale essa ha origine. Poiché i diversi μm precedono caoticamente attorno all’asse Z, le loro proiezioni μxy sul piano X-Y si annullano l’un l’altra; pertanto in questo piano non è rilevabile alcun campo magnetico risultante, mentre permangono le proiezioni μz sull’asse Z, che sono quelle che determinano la magnetizzazione Mz . Se ora, esternamente al sistema di spin, viene posto un avvolgimento RF (antenna trasmittente e ricevente) il cui asse giaccia sul piano X-Y (figura 1.18), alimentato con un segnale a radiofrequenza ωRF tale che ωRF = ω L, il campo magnetico oscillante da esso prodotto, normalmente noto in letteratura con B1, interagisce con il sistema di spin e produce su di esso i seguenti effetti.
·
La magnetizzazione netta M (figura 1.19), per effetto del campo B1, ortogonale a B, inizia a precedere alla frequenza ω L percorrendo la spirale (rossa) e deflettendosi verso B1 per effetto dell’energia potenziale che, in virtù della risonanza, incrementa il suo valore. Pertanto tutti gli spin iniziano il passaggio dal livello energetico basso a quello alto. Se il tempo di applicazione della RF è tale da trasferire energia nella misura occorrente affinché tutti gli spin che si trovano a livello basso (n–) si portino a livello alto (n+), si verifica che M passa dalla posizione iniziale coincidente con +Z a quella finale coincidente con –Z, compiendo una rotazione di 180°. Il tempo di azione della RF per attuare questo ribaltamento viene indicato con t180 o tπ . Il percorso compiuto da M è chiaramente osservabile nella figura 1.20, dove sono individuati i coni che, a partire da apertura nulla con magnetizzazione al valore massimo sull’asse +Z, divengono sempre più aperti fino a degenera-
Figura 1.19. Modalità di ribaltamento del vettore magnetizzazione netta M che, per effetto dell’applicazione dell’impulso B1 alla frequenza di Larmor, a partire dalla direzione di B, inizia a precedere seguendo una traiettoria elicoidale. A seconda dall’energia trasferita dall’impulso RF, M può essere ribaltato di un angolo qualsiasi e in particolare di 90° o 180°. In figura si osservano le posizioni del ribaltamento di 90° (vettore rosso) e 180° (vettore bianco).
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Figura 1.20. In questa figura viene posta in rilievo l’azione combinata dei due campi B e B1 sul vettore M; mentre questo vettore percorre la traiettoria elicoidale a frequenza 42,57 MHz, il suo estremo descrive una traiettoria circolare compiendo un ciclo alla frequenza indotta da B1 di 426 Hz. Si osserva che M viene ribaltato con continuità da 0 a π, percorrendo la traiettoria elicoidale tracciata in colore azzurro, e da π a zero seguendo la traiettoria di colore verde.
·
re in un disco per M ruotato di 90°. La magnetizzazione M continua sul percorso a spirale, descrivendo coni invertiti di ampiezza sempre minore, fino ad annullarsi allorquando diviene coincidente con l’asse –Z. Da tale posizione, essendo esaurita l’energia trasferita dall’antenna RF nel tempo t180, M inizia il ritorno alla condizione di equilibrio termodinamico sotto l’effetto del campo B, sempre presente, percorrendo a ritroso, lungo la stessa spirale, la strada compiuta all’andata. Nel corso di questo secondo ribaltamento di 180° il sistema di spin restituisce all’ambiente circostante l’energia ricevuta per compiere il primo ribaltamento: trattasi del rilassamento spin-reticolo T1 al quale si è già accennato. Si osserva ancora che, per effetto del campo B1, tutti gli spin che costituiscono la magnetizzazione M, richiamati e raggruppati dall’impulso RF, acquistano energia e ruotano, tutti in fase, alla pulsazione ω L. Così, per esempio, se viene lanciato dalla bobina RF un impulso di durata tπ/2, corrispondente al ribaltamento di M di π/2, si ottiene il risultato finale rappresentato dalla figura 1.14c, nella quale Mz è annullata mentre Mxy sul piano X-Y è massima ed è composta dalla somma coerente di tutti i μm del sistema di spin che ruotano, raggruppati insieme (e cioè tutti con la medesima fase), alla pulsazione ω L.
È ora necessario riflettere sul fatto che il campo B1 eccita gli spin alla pulsazione di risonanza ω1 = γ ·B1, che ha valore molto minore di ω L = γ ·B0, poiché è B1<
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Ciò significa che, mentre ruota intorno a Z alla frequenza di Larmor, la magnetizzazione M compie un angolo di nutazione deflettendosi dall’asse Z all’asse X alla frequenza di f1 ≅ 426 Hz, come illustrato nella figura 1.20, dove per maggiore chiarezza è stata mostrata una ω L esageratamente bassa. Dalla figura 1.20 risulta evidente che la magnetizzazione netta precede contemporaneamente sia attorno a B (asse Z) sia attorno a B1 (asse X): per cui si verifica che M, a ogni ciclo completo alla frequenza fL, corrispondente al compiere la spirale di andata (da +Z a –Z) e ritorno (da –Z a +Z), compie altresì un ciclo completo alla frequenza f1 “disegnando” il cono con asse centrato su B1. Per quanto attiene alla possibilità di fare ruotare M di un prefissato angolo θ, per esempio θ = 90°, si rileva che ciò si ricava immediatamente dalla nota relazione tra fase e tempi θ = ω ·t; infatti θ=
π
2
= ω 1 ⋅ t π /2
[1.14]
dove il tempo tπ/2 di applicazione della RF alla pulsazione ω 1 = 2π · f1 vale quindi t π /2 =
π 1
⋅
2 ω1
=
π
1 1 = 2 2π ⋅ f1 4 ⋅ f1 ⋅
[1.15]
La [1.15] per f1 ≅ 426 Hz conduce alla soluzione tπ /2 ≅ 0,6 ms. Si è quindi giunti all’importante conclusione che è possibile ribaltare la magnetizzazione netta M di un qualsiasi angolo, applicando a un distretto anatomico (volume di indagine) un campo magnetico in radiofrequenza per un tempo t, ottenibile direttamente dalla [1.15], e di intensità dipendente essenzialmente dalla massa interessata al fenomeno della risonanza.
1.4.5 Tempo di rilassamento trasversale T2 e segnale RMN Alla luce di quanto riportato nei precedenti paragrafi, è ora necessario analizzare nel dettaglio ciò che si verifica a seguito del ribaltamento del vettore magnetizzazione M sul piano X-Y. È stato osservato che esso viene richiamato dal campo esterno B entro un tempo pari a T1, detto anche tempo di rilassamento longitudinale. Dopo l’estinzione dell’effetto dell’impulso a RF si osservano su questo piano due distinti fenomeni dei quali il primo, già accennato, che dà luogo all’espressione del tempo T1, dipende essenzialmente da B, mentre il secondo, del quale si riferisce nel seguito, viene espresso per mezzo di un altro tempo, che indicheremo con T2, e che invece è largamente indipendente da B. Si deve preliminarmente osservare che mentre M percorre la spirale, come indicato nella figura 1.20, la sua componente M xy (t) sul piano XY percorre una spirale come indicato nella figura 1.21a e nel contempo essa induce nella bobina RF una f.e.m. che diminuisce la sua ampiezza esponenzialmente nel tempo con una costante di tempo che indicheremo con T2*. Il segnale prelevabile ai capi della bobina RF, indicato nella figura 1.21b, costituisce il segnale dovuto alla risonanza
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Figura 1.21. Andamento temporale della proiezione di M sul piano X-Y che induce nella bobina RF una f.e.m. a frequenza di Larmor che costituisce il segnale Free Induction Decay (FID), estratto per effetto della risonanza magnetica. Tale segnale è alla base della costruzione delle immagini RMN.
magnetica detto Free Induction Decay (FID)11 ed è di fondamentale importanza sul piano clinico poiché a partire da esso si costruiscono le immagini tomografiche ottenute per mezzo del fenomeno della risonanza magnetica nucleare. L’attenuazione esponenziale della sua ampiezza è dovuta a tre diverse cause. 1. La perdita di coerenza di fase dei singoli spin indotta dalle disomogeneità microspaziali del campo magnetico B, per effetto delle quali gli spin hanno frequenze leggermente superiori o inferiori alla ω L , che a essi competerebbe se il campo statico B fosse idealmente uniforme. Tale effetto è comunque eliminabile poiché costituisce un errore di frequenza a carattere sistematico. 2. Un’ulteriore perdita di coerenza di fase indotta dalle più o meno intense interazioni spin-spin, sperimentate dai singoli spin per effetto dell’ambiente molecolare circostante. Tale processo, che altera il valore del campo magnetico effettivo che agisce su ogni singolo nucleo, si verifica secondo una costante di tempo T2 (tempo di rilassamento trasversale o di rilassamento spinspin) che dipende dal tipo di tessuto sede del fenomeno della risonanza. 3. Il simultaneo rilassamento longitudinale, per effetto dello scambio di energia tra spin e reticolo, che si verifica secondo la costante di tempo T1 anch’essa tipica del tessuto. L’intensità del segnale FID, pertanto, si attenua secondo una costante di tempo T2* che può essere definita dalle relazione 1 / T2* = γΔ B0 + 1 / T2
[1.16]
avendo indicato con ΔB0 le disomogeneità del campo magnetico statico B. 11 Letteralmente Free Induction Decay significa decadimento libero della tensione indotta: libero in quanto si verifica in assenza di campo magnetico trasverso.
Figura 1.22. Il vettore magnetizzazione M viene ribaltato di 90° sul piano X-Y dall’impulso lanciato dalla bobina RF (a). M inizia a precedere seguendo la traiettoria elicoidale richiamato dal campo B0 . (b) Per effetto della disomogeneità di B0 e dell’interazione spin-spin, mentre percorre traiettorie elicoidali, M tende a orientarsi lungo B0 e la sua intensità sul piano X-Y inizia a ridursi (c). La componente Mz (vettore di colore giallo) diviene sempre più intensa (d) fino a quando, essendo completamente sfasati, gli spin non forniscono più alcun contributo alla componente Mxy (e), mentre essi, continuando a ruotare sempre più richiamati dal campo B0 , incrementano la sola componente M z (f, g,h). In condizioni di trasmissione, la bobina RF funziona per attuare il ribaltamento a 90°. L’intervallo di tempo trascorso tra i fenomeni mostrati in (a) e in (e) è pari a 5T2* (estinzione della componente xy). Da (a) ad (h) si riconosce il completo recupero della componente z (tempo 5T1).
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Per tali motivi gli spin vanno incontro a una progressiva perdita di fase, per la quale la loro risultante vettoriale sul piano XY si estingue e il campo magnetico da essi prodotto, che è massimo nel momento di applicazione di B1 al tempo tπ/2 (figura 1.22a), diviene nullo per effetto della perdita di coerenza (figura 1.22e) secondo una costante di tempo T2*. Tutto ciò premesso, detto Mxy il valore della componente di M ribaltato sul piano XY al tempo tπ/2, il valore Mxy(t) di Mxy per t > tπ/2 si estingue nel tempo con una legge del tipo M xy (t) = M xy ⋅ e
−
t T2*
[1.17]
Il tempo T2* è sempre minore o al massimo uguale a T1 (il suo valore è spesso compreso nell’intervallo 0,04÷0,1 s). Le modalità per mezzo delle quali con costante di tempo T2* si estingue la componente Mxy(t) definita nella figura 1.21 sono riportate nella fig. 1.22, dalla quale si possono riconoscere sia la modalità di estinzione di Mxy(t), secondo il tempo T2*, sia la definizione del tempo T1, entro il quale si verifica l’intero processo di ricostituzione della Mz(t) al valore iniziale M0. In particolare: – la magnetizzazione Mxy, che nella figura 1.21a si osserva con il suo valore massimo, decresce progressivamente secondo la [1.16]; – contemporaneamente, per effetto della presenza del campo B, la magnetizzazione Mz viene richiamata alla posizione iniziale (antecedente all’applicazione dell’impulso RF); – compaiono pertanto lungo l’asse Z le componenti μz dei diversi spin che, pur perdendo la coerenza sul piano XY a causa del loro diverso moto di precessione, manifestano la medesima componente lungo l’asse Z che non ruota e la cui somma è proprio Mz. Nella figura 1.22b,c,d si osserva la progressiva diminuzione di Mxy fino alla sua estinzione (figura 1.22e, dove Mxy è la risultante delle proiezioni dei vari μm sul piano XY, rappresentate in nero) e il corrispondente incremento della componente Mz. Con il procedere del tempo si osserva (figura 1.22f,g) che, mentre la componente Mxy è estinta, la componente Mz continua a crescere fino a raggiungere il suo valore antecedente l’applicazione dell’impulso (figura 1.22h). Occorre tuttavia osservare che il segnale FID così ottenuto non è utilizzabile ai fini della formazione dell’immagine, poiché esso deve essere depurato degli effetti sistematici dovuti alle disomogeneità del campo statico B0 . Infatti il segnale FID corretto è solamente quello per il quale la diminuzione esponenziale dell’ampiezza è dovuta esclusivamente alla perdita di coerenza degli spin per effetto dell’ambiente molecolare del tessuto circostante e non anche per effetto delle disomogeneità di B: in altri termini nella [1.16] occorre eliminare γ ΔB 0. A tale scopo è necessario introdurre il concetto di sequenza. Una sequenza è costituita dall’insieme di modalità di applicazione degli impulsi RF che, disturbando l’equilibrio energetico degli spin e generando una magnetizzazione trasversale, consentono il rilevamento strumentale del segnale di risonanza (FID).
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Figura 1.23. Schematizzazione delle sequenze di impulsi applicati per mezzo della bobina RF in trasmissione e dell’eco ricevuto dalla medesima bobina in fase di ricezione. TE: tempo di generazione dell’eco a seguito dell’emissione dell’impulso a 90° e di quello a 180°. TR: tempo di ripetizione dell’impulso a 90°.
Si faccia riferimento alla figura 1.23. Al lancio del primo impulso a 90° si verificano i fenomeni così come descritti nella figura 1.22 a,b,c,d (che per comodità vengono schematicamente ripetuti nella figura 1.24). A partire da un certo istante nel quale la distribuzione spaziale è, per esempio, quella della figura 1.22d, viene applicato un impulso a 180° talché la medesima distribuzione spaziale ribaltata vede gli spin che continuano a ruotare nel medesimo senso, per effetto del ribaltamento, ma convergono ripristinando la coerenza di fase perduta nel tempo antecedente l’applicazione dell’impulso a 180°. Si ottiene in tal modo il recupero totale della coerenza, cui corrisponde la comparsa di un segnale chiamato eco o meglio spin-eco, che si differenzia dal segnale FID per il fatto che inizia da zero, raggiunge il suo valore massimo e torna al valore zero (impulso simmetrico). Occorre rimarcare che tutte le descrizioni che seguono riguardano esclusivamente il segnale spin-eco; in altri termini, il segnale FID non viene mai adoperato per la costruzione dell’immagine. L’ampiezza del segnale spin-eco è inferiore a quella del segnale originario perchè nel corso dell’operazione di inversione vi è stato comunque trasferimento di energia per effetto del rilassamento spin-spin e quindi perdita di coerenza nella precessione dei protoni. La sintesi dei fenomeni che consentono di mettere in rilievo la diversa natura dei tempi T2* e T2 è chiaramente indicata nella figura 1.25. Essa ripete, per quanto attiene alle sequenze, lo schema della figura 1.23, ma pone in rilievo le caratteristiche del segnale eco, che può essere ripetuto un certo numero di volte, per cui da un singolo impulso iniziale sono prodotti più
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Figura 1.24. Ribaltamento del vettore magnetizzazione M nel piano trasverso XY a seguito dell’emissione dell’impulso a 90°. Progressiva perdita di coerenza degli spin nel piano XY. Emissione dell’impulso a 180° e progressivo rifasamento degli spin fino alla focalizzazione completa. Tale segnale viene chiamato eco o, più generalmente, spin– eco.
Figura 1.25. Schema della sequenza degli impulsi applicati per dedurre il decremento di ampiezza del segnale spin–eco al fine della determinazione della costante di tempo T2. In figura sono rappresentate entrambe le costanti di tempo T2 e T2* e la rispettiva genesi. T2 e T2* sono definite dal decadimento del segnale al 37 per cento del suo valore massimo.
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echi, che consentono, nel loro insieme, di individuare il tempo T2. Si ha infatti dopo il primo impulso di ribaltamento a 90° il corrispondente segnale FID caratterizzato dalla costante di tempo T2*. Si osserva che l’ampiezza è istantaneamente la massima disponibile, poiché all’atto dell’emissione dell’impulso tutti gli spin sono intrinsecamente in fase. All’estinzione del primo impulso si invia l’impulso di ribaltamento a 180° a seguito del quale nasce, come sopra descritto, il primo eco. Successivamente viene emesso un secondo impulso a 180° che dà luogo a un secondo eco, la cui ampiezza è minore del precedente. La linea che raccorda i valori massimi dei diversi echi è una curva esponenziale decrescente (curva inviluppo), caratterizzata dalla costante di tempo T2. In sostanza, questo decremento di ampiezza è quello rappresentativo dell’azione del tessuto biologico sulla perdita di coerenza: il tempo T2 è quindi un parametro intrinseco del tessuto. Per estrarre dal segnale FID il tempo T1, si utilizzano tecniche analoghe a quella descritta per la misura del tempo T2, che non vengono qui descritte atteso il carattere sintetico della presente illustrazione. A conclusione di quanto finora riferito si può finalmente fornire la relazione tra l’intensità I del segnale complessivo e i parametri che lo caratterizzano, in particolare le due costanti di tempo T1 e T2. In definitiva si ha pertanto l’espressione I = ρ ⋅ K ⋅e
−
TE T2
TR ⎞ ⎛ − ⋅ ⎜ 1 − e T1 ⎟ ⎠ ⎝
[1.18]
dove: K è una costante strumentale che dipende dal guadagno degli amplificatori; ρ è la densità protonica che è diversa per ciascun organo rappresentato; TE e TR sono tempi rappresentativi della particolare sequenza di eccitazione e ricezione del segnale FID (e, in particolare, TE rappresenta la durata entro la quale si manifestano uno o più echi, mentre TR è il tempo di ripetizione degli impulsi che eccitano la risonanza). Come accennato precedentemente, si chiama sequenza la distribuzione temporale di TE, TR e di altri intervalli di tempo, che nel loro insieme stabiliscono la cadenza delle operazioni necessarie per eccitare la risonanza magnetica entro un determinato strato, nonché per ottenere una determinata utilizzazione dei tempi T1 e T2, dai quali dipende il carattere dell’immagine e, in particolare, il contrasto. Si possono progettare molti tipi di sequenze, ciascuna delle quali conferisce un certo aspetto all’immagine e la cui scelta dipende dalle necessità diagnostiche (figura 1.26). Senza entrare nei dettagli della descrizione di queste sequenze (ciò che esula da questa sommaria illustrazione del tomografo RMN), occorre riflettere sulla circostanza che nell’equazione [1.18] sono contenuti tutti gli elementi per estrarre un’immagine. Infatti i processi di rilassamento longitudinale e trasversale costituiscono la base sulla quale si fonda il meccanismo del contrasto che consente la differenziazione degli organi anatomici. Altro fattore importante, sebbene in misura minore, è la densità protonica ρ, che contribuisce
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Figura 1.26. Esempi di immagini tomografiche del cervello umano in condizioni fisiologiche normali “pesate” per ottenere un diverso contrasto rispettivamente in T1 (a) e T2 (b).
alla descrizione degli organi, oltre agli accennati tempi TE e TR, con i quali si possono realizzare sequenze “pesate” in T1 e T2 con percentuali diverse per ottenere immagini con diverso contrasto a seconda dagli aspetti diagnostici che si intendono porre in evidenza. Per quanto infine attiene alla generazione dell’immagine, questa è fondata sul fatto che il segnale RMN è rappresentato da un’oscillazione smorzata nel tempo ed è, quindi, una funzione del tempo f (t). La trasformata di Fourier (vedi capitolo 10) fornisce una funzione della frequenza f (ω) (spettro) alla quale è associabile per ogni ω dello spettro un livello di grigio ed è quindi possibile attraverso i diversi livelli di grigio rappresentare un’immagine.
1.4.6 Individuazione dello strato Per costruire l’immagine occorre conoscere le coordinate spaziali dei luoghi ove gli atomi, per effetto della risonanza, forniscono i predetti tempi T1 e T2, ai quali deve essere associata, pixel per pixel, la scala dei grigi. Infatti, i tempi T1 e T2 sono strettamente connessi al tipo di materiale biologico che li ha generati e pertanto la descrizione grafica del loro valore equivale a rappresentare, per il tramite della scala dei grigi, i materiali medesimi.
1.4.7 Codifica della posizione Le coordinate di ciascun pixel dell’immagine si ottengono mediante un sistema ausiliario di tre campi magnetici, mutuamente ortogonali, generati da altrettante bobine specializzate, dette bobine di gradiente, di norma indicate con Gx, Gy e Gz, ciascuna delle quali produce un campo magnetico la cui intensità cre-
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Figura 1.27. Individuazione dello strato tomografico: lungo l’asse Z viene individuata la quota Z1 dello strato F1 ove è presente l’intensità del campo magnetico (B0+GZ Z1) cui corrisponde la frequenza di Larmor ω Z1 = γ (B0+GZ Z1). Solamente gli spin appartenenti a F1 sono soggetti al fenomeno della risonanza magnetica, mentre quelli al di fuori di tale strato non possono fornire alcun contributo alla formazione dell’immagine.
sce linearmente nelle tre direzioni X, Y e Z. In particolare la Gz, che genera un campo che si sovrappone al campo statico B, consente di selezionare il taglio tomografico (o fetta) sede della rappresentazione tomografica ortogonale all’asse testa-piedi del paziente (asse Z). Con riferimento alla figura 1.27 si osserva che lungo l’asse Z, ove viene individuata la fetta, è presente il campo costante B, il campo di gradiente Gz che si somma a B e l’asse delle radiofrequenze RF. Si supponga di scegliere la fetta F1, corrispondente all’ascissa Z1. Il relativo campo magnetico vale B0+GZ Z1, cui corrisponde una pulsazione di Larmor ω Z1 = 2πf Z1 = γ (B0 + GZ Z1): cioè solamente gli spin eccitati alla ωZ1 subiscono la risonanza. Quindi, affinché risuonino solamente i protoni appartenenti alla fetta F1, occorre fornire alla bobina RF un’eccitazione che abbia pulsazione angolare ωZ1 individuata dall’ascissa Z1 sull’asse delle RF. In tal modo, solamente i protoni appartenenti alla F1 forniscono il segnale RMN, mentre quelli esterni alla fetta non possono fornire alcun contributo in quanto, essendo fuori risonanza, precedono caoticamente. Stabilita la posizione della fetta, occorre individuare le coordinate x,y di ogni pixel sulla sua superficie e assegnare a ciascuno di essi l’appropriato li-
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Figura 1.28. Codifica in fase: sul piano tomografico viene applicato il gradiente Gy1. (a) Il vettore Mxy della figura 1.21a, appartenente al primo pixel, ruota dell’angolo ϕ1 e allo stesso tempo i vettori Mxy, appartenenti ai pixel successivi, ruotano di angoli ϕ di ampiezza via via crescente in relazione al maggior valore dell’intensità del campo magnetico, che cresce nella direzione dell’ordinata y per effetto del gradiente. (b) Per ciascuno dei 128 gradienti applicati in successione, la bobina RF raccoglie il corrispondente segnale FID. (c) Elaborazioni operate su segnale eco per la formazione dell’immagine.
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vello di grigio al fine di costruire l’immagine. A tale scopo si possono seguire diversi procedimenti: viene qui sommariamente descritto quello oggi più diffuso, noto come metodo della doppia trasformata di Fourier (2DFT). Dopo aver scelto la fetta per mezzo del gradiente Gz, viene applicato per un certo intervallo di tempo il primo di n gradienti Gy , che verrà impiegato esclusivamente nella fase di lettura. Durante questo tempo gli spin in posizione con coordinata y maggiore (figura 1.28) precederanno più velocemente di quelli in posizione con coordinata y minore. Infatti, essendo ϕ = ω t ed essendo costante il tempo t di esposizione al gradiente Gy di tutti gli spin appartenenti alla fetta, risulta ϕ = ω·costante; ma ω cresce con l’intensità del gradiente, per cui risulta che la fase cresce al crescere della y, cioè tutti gli spin che hanno la medesima fase sono spazialmente individuati dallo stesso valore della coordinata y: il gradiente Gy pertanto codifica la fase. Nell’intervallo di tempo nel quale viene attuata la codifica di fase, nella bobina RF non viene prelevato alcun segnale: tale stadio viene chiamato di preparazione, in quanto è utile solamente per individuare coordinate e ad esso non è associata alcuna altra operazione. Trascorso il tempo di preparazione, Gy viene interrotto e gli spin torneranno tutti a precedere alla stessa velocità, ma per effetto dell’azione di Gy resteranno sfasati di angoli che rispecchiano le loro posizioni lungo l’asse Y. In queste condizioni gli spin vengono successivamente assoggettati al gradiente lungo la direzione X, ove essi assumono frequenza di precessione crescente al crescere della x lungo l’asse X (figura 1.28b). Tale gradiente è detto anche gradiente di lettura, perché è nel corso della sua presenza che viene prelevato il segnale eco. Il valore di detta frequenza è pertanto esclusivamente dipendente dal valore di tale ascissa. Si realizza così una codifica della frequenza che conserva anche gli sfasamenti, codificati secondo la loro coordinata y lungo la direzione Y. Il procedimento descritto viene ripetuto n volte, variando per ciascuna di esse il valore del gradiente Gy . Se, per esempio, si progetta di costruire un’immagine di 128 ×128 pixel, n = 128 e occorre quindi effettuare 128 diverse applicazioni del gradiente Gy, al termine di ciascuna delle quali viene realizzata anche l’applicazione di Gx e quindi il prelievo del segnale RMN eco ai capi della bobina RF (figura 1.28c). Con riferimento alla figura 1.29, per ognuno dei 128 valori di Gy, ai capi della bobina ricevente è presente il segnale eco complesso che contiene tutte le frequenze in ampiezza e fase appartenenti a ogni elemento di volume di cui si può immaginare costituita la fetta. Questo segnale viene campionato (figura 1.28c) dando luogo a una matrice di segnali di dimensione12 128 × 128 celle. Poiché i dati vengono letti nella direzione X, e si sono effettuate 128 letture dei valori campionati, ne deriva la costituzione di una matrice alle cui righe corrispondono i 128 valori dell’eco derivanti dalla lettura dei dati lungo la dire12 Per semplicità non si è tenuto conto della differente dimensione delle matrici nel dominio del tempo e della frequenza, cioè prima e dopo la doppia trasformata di Fourier, come conseguenza delle limitazioni imposte dal teorema di Nyquist.
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Figura 1.29. Formazione dell’immagine RMN. I segnali eco raccolti nella fase di lettura costituiscono una matrice 128 × 128, sulla quale viene operata la doppia trasformata di Fourier (2DFT). Viene quindi costruita l’immagine RMN, associando a ogni elemento della 2DFT il relativo valore di livello di grigio.
zione X, mentre nella direzione Y si sono allo stesso tempo costituite 128 colonne, ciascun elemento delle quali differisce dal sottostante (o soprastante) per un diverso valore della fase del segnale. Se ora sulla matrice viene effettuata la trasformata di Fourier sia sulle righe sia sulle colonne (cioè la doppia trasformata di Fourier), ciascun elemento della matrice è individuato, nelle sue coordinate x e y, rispettivamente dalla codifica in frequenza (asse X) e dalla codifica in fase (asse Y). Pertanto, poiché in questo modo risulta individuata in ampiezza e fase la frequenza di precessione di ciascun elemento, è possibile assegnare il corrispondente valore di livello di grigio, talché l’elemento della matrice può essere trasformato in pixel. In definitiva si ottiene che l’immagine RMN risulta estratta dalla fetta prescelta per effetto della doppia applicazione della trasformata di Fourier.
1.4.8 Caratteri dell’immagine tomografica RMN Le immagini estratte con il metodo della risonanza magnetica hanno un carattere particolare nel senso che possono assumere valori di contrasto anche molto diversi a seconda del “peso” che, per mezzo di appropriate sequenze, viene attribuito ai tempi di rilassamento T1 e T2. Anche altri aspetti diagnostici possono essere posti in evidenza utilizzando diverse sequenze. Occorre infatti considerare che, a differenza di quanto si verifica con la tomografia tradizionale o assiale, dove l’immagine dipende da un solo parametro, cioè la densità ottica, nel caso dell’RMN questa viene costruita per mezzo di tre parametri: densità protonica ρ, T1 e T2. Il segnale RMN è quindi multiparametrico e a ogni
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scelta del peso dei tre parametri corrisponde un diverso carattere dell’immagine. L’argomento è assai vasto: nella scelta più opportuna di questi parametri si manifestano la competenza e la professionalità dell’operatore. Infine, poiché l’immagine RMN dipende dalla relativa mobilità dei dipoli magnetici, riesce molto difficile rappresentare le ossa, a differenza di quanto si verifica con la TAC che, di fatto, rappresenta una particolare modalità di utilizzazione dei raggi X. In definitiva la tomografia RMN è particolarmente adatta per rappresentare tessuti con presenza prevalente di acqua. La sua applicazione per eccellenza si realizza, infatti, nel rilevamento di immagini del sistema nervoso.
1.5 Tomografo a ultrasuoni (ecotomografo) Come si è già accennato, esiste un’altra categoria di tomografi che utilizzano una radiazione di natura esclusivamente meccanica: la radiazione ultrasonora. Gli ultrasuoni, cioè i suoni che nella comune classificazione hanno frequenza superiore ai 20 kHz, sono radiazioni a bassa energia e poco penetranti, pertanto essi vengono pressoché totalmente riflessi. La radiazione riflessa porta in sé l’informazione del corpo e del sito dal quale è stata riflessa e, pertanto, contiene gli elementi necessari per la ricostruzione del corpo riflettente, compresa la sua forma. I trasduttori che emettono la radiazione ultrasonora e che ricevono la quota parte riflessa dagli ostacoli che essa incontra nel cammino all’interno del paziente, utilizzano la piezoelettricità e costituiscono la parte fondamentale del tomografo a ultrasuoni, chiamato anche ecotomografo. Occorre subito notare che tra le radiazioni utilizzate per ottenere immagini tomografiche, la meno pericolosa è quella meccanica. Va inoltre osservato che la tomografia ultrasonora consente di ottenere immagini a costo molto più basso rispetto ai sistemi che utilizzano radiazioni elettromagnetiche; questo è il motivo fondamentale sia del grande sviluppo di tale metodica, sia dell’elevata tecnologia raggiunta nella costruzione degli ecotomografi. A causa della grande diversità della frequenza delle radiazioni utilizzate, le caratteristiche dell’immagine fornita da un ecotomografo sono assai diverse da quelle delle immagini prodotte dai tomografi a raggi X o a risonanza magnetica. La tomografia a raggi X, tradizionale o assiale computerizzata, consente di realizzare immagini che si avvicinano molto all’aspetto fotografico della sezione di interesse, per effetto del potere risolutivo elevato, dovuto alla lunghezza d’onda della radiazione X, che conferisce all’immagine un aspetto anatomico molto prossimo a quello reale. Anche l’immagine RMN è più definita di quella ecotomografica, sebbene in questo caso la definizione abbia un legame non correlato alla frequenza di Larmor. Infatti, in questo caso la risoluzione spaziale e il contrasto dell’immagine dipendono da numerosi fattori, tra i quali principalmente lo spessore dello strato, l’intensità dei gradienti, la sequenza utilizzata (nell’ambito della quale è rilevante la scelta dei tempi T1 e T2 , negli intervalli TE e TR). Nel caso dell’ecotomografia, l’aspetto è meno definito e spesso occorre un po’ di pratica per riconoscere nell’immagine prodotta con ultrasuoni l’anatomia della sezione realizzata.
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Figura 1.30. Confronto tra immagini ecografiche di un feto ottenute, rispettivamente, con un ecotomografo dei primi anni sessanta (a) e con uno di più recente costruzione (b) (vedi anche figura 8.8).
In taluni casi, come negli esempi di immagini ecografiche fetali mostrate nella figura 1.30, l’interpretazione è immediata. L’immagine della figura 1.31a mostra invece una sezione del cuore ove sono individuabili, con l’aiuto dello schema a fianco riportato (figura 1.31b), il ventricolo destro e l’atrio destro. Meno chiaro appare invece il cuore sinistro, il cui ventricolo, a un occhio non esperto, potrebbe apparire come “parzializzato”. In realtà un diverso posizionamento del trasduttore fornirebbe un’immagine più chiara anche del cuore sinistro. L’operatore esperto nell’osservazione delle immagini ecotomografiche posiziona la sonda in modo da porre in rilievo la parte di interesse. Lo schema più semplice possibile per un ecotomografo è costituito da quattro blocchi (figura 1.32). Si riconosce immediatamente l’importanza del trasduttore, che è l’elemento generatore e ricevitore della radiazione ultrasonora. Gli altri blocchi sono: un generatore di impulsi, che eccita nei tempi previsti il cristallo piezoelettrico; un elaboratore di segnali, che amplifica ed elabora il segnale costituito dall’eco riflesso; un monitor sul quale viene presentato il ri-
Figura 1.31. Esempio di immagine ecotomografica di un cuore umano (a) e sua rappresentazione schematica (b).
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Figura 1.32. Schema del principio di funzionamento di un ecotomografo. La sonda S, eccitata dal generatore di impulsi, emette un’onda ultrasonora che investe il cuore posto a distanza L (a). La medesima sonda riceve l’eco di ritorno e trasferisce il segnale all’elaboratore (b).
sultato dell’elaborazione. In prima istanza, tale risultato è fondamentalmente un’immagine non ricostruita, cioè ottenuta utilizzando direttamente l’informazione originata dalla riflessione di un’onda ultrasonora focalizzata in un piccolo spazio del corpo riflettente. Il principio sul quale è fondato il funzionamento di un ecotomografo è schematizzato nella figura 1.32. Il generatore di impulsi (figura 1.32a) invia l’eccitazione elettrica alla sonda S, il cui cristallo emette un impulso ultrasonoro che viene lanciato nel corpo umano (in questo caso nel cuore). L’impulso riflesso dal corpo, cioè l’eco, ritorna verso il medesimo trasduttore e vi giunge dopo un tempo t = 2L /c, dove L è la distanza tra l’organo riflettente e il trasduttore e c è la velocità del suono nel mezzo (figura 1.32b). A questo impulso viene associato, alla profondità L, un punto o una traccia luminosa sullo schermo di un monitor. Terminato il ciclo di andata e ritorno del primo impulso, ne viene lanciato un secondo che, seguendo lo stesso iter del precedente, viene rappresentato anch’esso sullo schermo del monitor. Se vengono lanciati n impulsi con le medesime modalità, si presentano sul monitor le n tracce luminose degli echi riflessi dall’ostacolo riflettente, il quale pertanto compare raffigurato sullo schermo del monitor.
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La frequenza di ripetizione degli impulsi o PRF (Pulse Repetition Frequency), cioè il tempo che occorre attendere affinché ciascun impulso compia il percorso completo (emissione, tragitto nella materia, riflessione da parte dell’ostacolo, tragitto di ritorno), dipende da quanto dista l’ostacolo dalla sorgente di emissione: quanto maggiore è la distanza, tanto maggiore è il tempo necessario per completare il tragitto e tanto più bassa è la PRF. La possibilità di variare la PRF consente altre importanti applicazioni (trattate nei capitoli 11 e 12), tra le quali la rappresentazione di immagini dinamiche, cioè di organi in movimento, come le valvole cardiache. È interessante ricordare che il principio di funzionamento descritto è sostanzialmente identico a quello del SONAR (SOund Navigation And Ranging) e anche del RADAR (RAdio Detection And Ranging). In particolare l’ecotomografo rappresenta un’evoluzione del sonar, apparecchiatura a ultrasuoni che fornisce immagini di corpi fissi o mobili al di sotto della superficie del mare (scogli, banchi di pesci, sommergibili) (figura 1.33a). Nel caso del sonar, le distanze percorse dall’impulso ultrasonoro possono essere di molte migliaia di metri e le potenze richieste dal trasduttore sono dell’ordine delle decine di kilowatt, mentre nel caso dell’ecotomografo sono al massimo dell’ordine del decimo di watt. Il radar funziona anch’esso sullo stesso principio, ma in questo caso l’impulso è costituito da una radiazione elettromagnetica, la portata è di centinaia di chilometri e oltre, con potenze impegnate di migliaia di kilowatt (figura 1.33b).
1.6 Confronto tra l’ecotomografo clinico e il SONAR Entrambe le apparecchiature utilizzano il medesimo principio fisico e hanno analoghe finalità: misurare la distanza esistente tra la sorgente della radiazione ultrasonora e un ostacolo all’interno di un mezzo nel quale la velocità del suono sia elevata (per esempio l’acqua). Nel caso del sonar l’ostacolo è in genere uno solo (un fondale, un sommergibile o, più pacificamente, un banco di pesci). In particolare questa applicazione è caratterizzata da: – assenza di problemi derivanti dall’attraversamento di più ostacoli da parte della radiazione; – dimensioni dell’ostacolo dell’ordine di qualche metro; – distanze dall’ostacolo variabili da poche decine a diverse migliaia di metri. L’ultima circostanza impone l’impiego di elevate energie associate agli impulsi ultrasonori, tanto più elevate quanto maggiore è la distanza dall’ostacolo da rilevare. Nella scelta della frequenza dell’impulso, occorre valutare, in relazione al potere risolutivo desiderato, l’attenuazione prodotta dal mezzo di trasmissione (l’acqua di mare), nel tragitto di andata e ritorno dall’ostacolo. Nei sonar recenti, ad alta risoluzione, viene scelta la frequenza massima di 50 kHz cui corrisponde una λ ≅ 0,03 m, ma l’attenuazione è molto forte. Infatti, per tale frequenza, l’acqua di mare a 15 °C ha un coefficiente di attenuazione di circa 0,01 dB/m; pertanto alla distanza, per esempio, di un miglio marino
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Figura 1.33. Immagini ottenute mediante l’impiego di un sonar (a) e di un radar (b). In (a) è rappresentata l’orografia di un fondale marino; i puntini luminosi in (b) rappresentano le imbarcazioni presenti in un ampio tratto di mare.
(1853 m) l’eco viene attenuato di 2 · 1853 · 0,0137 dB, quindi il rapporto tra le intensità I2 dell’eco e I1 del segnale inviato è pari a I2 /I1 ≅ 200 · 10–6 e la potenza acustica che deve essere irradiata dal piezoelemento utilizzato nel sonar è dell’ordine della decina di watt al cm2 (o meno per frequenze inferiori). Nel caso dell’ecotomografo, poiché il potere risolutivo assiale deve essere dell’ordine del decimo di millimetro, la frequenza richiesta è assai più elevata. Per esempio alla frequenza di 7,5 MHz, λ ≅ 0,2 mm e l’attenuazione è pari a circa 1 dB/cm·MHz; ciò significa che, per compiere osservazioni a una profondità di 3 cm rispetto alla pelle del paziente (range R = 6 cm), si ha un’attenuazione di (1 dB/cm · MHz) (6 cm · 7,5 MHz) = 45 dB; quindi il rapporto I2 /I1 vale 31·10–6. Sebbene il caso esemplificato costituisca un limite superiore nelle applicazioni cliniche più comuni, si osserva come l’intensità dell’eco sia, nel caso specifico, dello stesso ordine di grandezza di quello del caso citato per il sonar (per poteri risolutivi paragonabili nelle applicazioni dei due casi); tuttavia la differenza sostanziale consiste nel fatto che nel caso del sonar la potenza acustica in trasmissione può essere molto elevata (limitata solo dalla tecnologia utilizzata), mentre nel caso dell’ecografo clinico la potenza massima che può essere irradiata non può superare i limiti di sicurezza per il paziente. Si ha pertanto che il valore dell’intensità I2 dell’eco è critico per l’impiego clinico mentre non lo è per l’impiego marino.
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1.7 Altri tipi di tomografi Per completare questa breve rassegna, occorre accennare ad alcune particolari apparecchiature che forniscono immagini con caratteristiche assai diverse da quelle viste precedentemente. Si tratta della cosiddetta γ-camera, nella quale la formazione dell’immagine è affidata ai raggi γ, e ancora di un particolare tipo di “tomografo” chiamato PET (Positron Emission Tomography), nel quale l’immagine deriva dall’emissione di positroni (“elettroni positivi”). Questo tipo di apparecchiature, che richiedono nozioni di medicina nucleare, non fanno parte degli argomenti trattati in questo volume e sono qui menzionati a solo scopo informativo. Le immagini ottenute da queste macchine presentano un maggiore carattere volumetrico: mentre un’immagine radiografica è derivata dai coefficienti di attenuazione, un’immagine ricostruita col tomografo PET rappresenta piuttosto una mappa di distribuzione della radioattività proveniente dall’interno del paziente. Le informazioni cliniche dei tomografi PET e γ-camera, hanno specifica utilità nella ricerca di neoplasie. Recentemente sono stati costruiti tomografi complessi, nei quali TAC e PET sommano le loro informazioni in un’unica immagine. Naturalmente esistono altre applicazioni della PET, tra le quali lo studio dell’attività del cervello umano durante lo svolgimento di diverse attività (visione, ascolto, pensiero, sforzo di memoria e lavoro): l’interpretazione di queste immagini tomografiche – ottenute iniettando per via endovenosa un “tracciante” (per lo più 2-deossi-2[18F] fluoro-D-glucosio) – richiede competenza ed esperienza specifiche.
Capitolo 2 La piezoelettricità
2.1 Introduzione: cenni storici La vasta letteratura riguardante la piezoelettricità è costituita per un verso da trattati molto specialistici, per un altro da descrizioni eccessivamente semplificate che non forniscono un quadro sufficientemente aderente alla realtà fisica. Il presente capitolo intende collocarsi a metà strada tra questi due estremi. Un eccessivo rigore teorico, che peraltro solo uno specialista della materia avrebbe potuto apprezzare, avrebbe comportato un appesantimento della trattazione non giustificato dagli scopi di questo testo. L’obiettivo principale del capitolo è piuttosto fornire i concetti di base relativi al fenomeno della piezoelettricità cui è necessario riferirsi nella progettazione di un trasduttore piezoelettrico per applicazioni ecotomografiche. Pertanto l’approfondimento è stato condotto fino al livello necessario per interpretare in modo corretto i numerosi parametri che i costruttori di piezoelementi riportano nella letteratura tecnica. Nonostante si sia privilegiato l’aspetto tecnologico, non si è mancato di offrire un’idea della complessità dei fenomeni piezoelettrici per consentire al lettore interessato di approfondire i numerosi aspetti che troppo spesso vengono omessi in altri tipi di trattazioni introduttive. Sebbene il fenomeno fosse conosciuto già nell’antichità (è menzionato da Teofrasto alla fine del IV secolo a.C.), le prime descrizioni accurate risalgono probabilmente all’inizio del Settecento, quando si riconobbero le curiose proprietà della tormalina, che quando è riscaldata dalla brace attrae la cenere, mentre la respinge una volta raffreddata. Nel 1747 Linneo osservò, forse per primo, come tale capacità della tormalina avesse origine elettrica; nove anni dopo Franz Aepinus ipotizzò una relazione tra l’effetto elettrico e il calore, non intuendo però il legame con le variazioni di temperatura, individuato invece da John Canton che nel 1760 scoprì anche l’esistenza di altre “preziose pietre” che esibivano fenomeni elettrici se sottoposte a un gradiente di temperatura. Nel 1801 René-Just Haüy, dopo aver formulato la prima teoria sulla struttura dei cristalli, ne pose le caratteristiche cristallografiche in relazione con il fenomeno, gettando le basi per una sua corretta interpretazione fisica. Poiché ogni pezzo di tormalina mostrava le medesime caratteristiche del cristallo intero, Haüy ipotizzò l’esistenza di “celle elementari polari”, vale a dire molecole polarizzate organizzate secondo le forme proprie del cristallo cui appartengono, in accordo col sistema cristallografico. Così come si verifica nel cristallo intero, ogni molecola polare nel cristallo “eccitato” dispone di due poli desi-
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gnati da Haüy come vitreo (positivo) e resinoso (negativo). Le molecole polarizzate, attaccate le une alle altre senza lasciare alcun interspazio, costituiscono il continuo del cristallo e pertanto solo quelle che si affacciano sulle sue superfici esterne manifestano l’effetto elettrico, poiché le altre, contrapponendosi, annullano mutuamente il loro effetto. Haüy scoprì una fondamentale proprietà riguardante la simmetria delle strutture e l’attività elettrica: i cristalli asimmetrici mostrano proprietà elettriche se sottoposti a gradienti termici, mentre ciò non avviene per i cristalli simmetrici. Molti scienziati approfondirono il fenomeno della piroelettricità, sia per confermare che esso è indotto solo da variazioni della temperatura, sia per porre in relazione il fenomeno e la sua entità con il tipo di cristallo. In particolare David Brewster (che per primo introdusse il termine piroelettricità nel 1824) studiò sistematicamente una grande varietà di minerali per mezzo di una speciale apparecchiatura da lui progettata e costruita e affermò che la tormalina mantiene la propria elettricità così come la mantengono i magneti e che in essa esiste una doppia polarità; ciò concordava con la proposta di Haüy di considerare il cristallo piroelettrico come un aggregato di molecole bipolari, così come un magnete è composto di magnetini bipolari. Nel 1860 William Thomson propose una spiegazione del fenomeno piroelettrico sulla base della teoria di Haüy dei cristalli bipolari, affermando che essi posseggono intrinsecamente lo stesso tipo di polarizzazione che Faraday aveva dimostrato prodursi temporaneamente nei solidi e nei liquidi non conduttori (dielettrici), con intensità diversa a seconda delle temperature; egli spiegò tra l’altro che lo stato elettropolare eccitato nel cristallo piroelettrico induce una carica superficiale perfettamente bilanciata dalla matrice circostante. Thomson suggerì inoltre che la polarizzazione nel cristallo fosse permanente, cioè presente anche se il cristallo appare elettricamente neutro. Nel 1878, sulla base dell’analogia tra elettricità polare e magnetismo polare (e quindi sulla base della teoria di Maxwell dell’elettromagnetismo), egli predisse l’esistenza di un effetto piroelettrico inverso, vale a dire il manifestarsi di una variazione di temperatura per effetto di un’applicazione di cariche elettrostatiche (allora chiamata “elettrificazione”). Il meccanismo che associa gli effetti elettrici e quelli termici, che è alla base del comportamento termoelettrico della tormalina, non emerse tuttavia chiaramente finché, grazie agli esperimenti dei fratelli Jacques e Pierre Curie sulla piroelettricità, non si poté affermare l’idea fondamentale che l’effetto elettrico aveva origine a partire da fenomeni che implicano una deformazione, più che da un effetto diretto del calore. I Curie ritenevano che la piroelettricità fosse un effetto secondario rispetto a quello meccanico di contrazione ed espansione, e cioè che fosse il cambiamento di forma (determinato da una sorgente termica) a dar luogo alla comparsa di cariche elettriche; secondo tale ipotesi, una deformazione comunque prodotta avrebbe provocato la comparsa di cariche elettriche. Per provare la correttezza di questa idea, i fratelli Curie condussero un esperimento che portò alla scoperta della piezoelettricità e i cui risultati furono presentati nel 1880: la compressione di alcuni cristalli asimme-
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Figura 2.1. Esemplare di elettrometro di Kelvin-Dolezalek (per gentile concessione del Museo di Fisica di Sardegna, http//:www.museodifisica.it).
trici lungo determinate direzioni produce polarità elettrica; invertendo il segno della sollecitazione si ottiene un effetto elettrico di segno opposto nella medesima direzione; i materiali amorfi, al contrario, non esibiscono alcun effetto elettrico dovuto alla pressione.
2.2 Esperimenti dei fratelli Curie 2.2.1 L’elettrometro di Kelvin - Dolezalek Prima di descrivere gli esperimenti condotti per dimostrare l’effetto piezoelettrico, a partire dall’idea che le cariche elettriche comparivano su determinate facce di certi tipi di cristalli a causa di deformazioni a questi imposte, conviene fornire alcune notizie su funzionamento e prestazioni dello strumento utilizzato dai fratelli Curie, l’elettrometro di Kelvin-Dolezalek. Un esempio di questo strumento, all’epoca assai diffuso per la misurazione delle differenze di potenziale, è mostrato nella figura 2.1. Nella figura 2.2a è illustrata la struttura dell’elettrometro, mostrato per chiarezza privo di due dei quattro quadranti riportati nella figura 2.2c. I quadranti sono ottenuti suddividendo una scatola cilindrica metallica, mediante due tagli perpendicolari, in quattro settori uguali; i quadranti diametralmente opposti sono collegati elettricamente tra di loro ed entrambi a un elettrodo (A o B), in modo da ottenere due elettrodi fissi SS e S′S′, reciprocamente isolati. Un disco metallico a settori (o una lamina sagomata a forma di otto), costituisce l’equipaggio mobile dello strumento (figura 2.2a) ed è sospeso all’interno delle due coppie di scatole per mezzo del filo W, cui è solidale uno specchietto R. L’angolo θ di torsione del filo, e di rotazione della lamina, è misurato mediante la deflessione di un sottile fascio luminoso riflesso da R su una scala trasparente (metodo della leva ottica). Detta Kt la costante di torsione e
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Figura 2.2. Elettrometro a quadranti. (a) Spaccato dello strumento, (b) sezione verticale, (c) connessioni elettriche. In (a) si notano due dei quattro quadranti S e S′, l’equipaggio mobile e lo specchio R solidale al filo W (sistema ottico di rilevazione dell’angolo di torsione θ).
C la coppia applicata al filo, si ha per piccole rotazioni C = Ktθ. L’equipaggio mobile può essere completamente isolato rispetto alle scatole cilindriche oppure connesso a una coppia di esse. Inizialmente, in assenza di forze elettrostatiche, l’equipaggio mobile è disposto nella posizione centrata come mostrato nella figura 2.2c e l’area affacciata con ciascuna coppia di quadranti è uguale. Quando i quadranti e l’equipaggio mobile sono caricati, e cioè le loro superfici, con modalità diverse, vengono elettrizzate con cariche elettriche, nascono tra le superfici affacciate forze elettrostatiche le cui componenti tangenziali costituiscono una coppia di torsione; lo specchietto R viene messo perciò in rotazione fino a che la coppia di reazione elastica non eguaglia la coppia prodotta dalle forze elettrostatiche. Detta CE la coppia elettrostatica, l’equilibrio è raggiunto per un angolo θ tale che CE = C = Ktθ. La valutazione della coppia dovuta alle forze elettrostatiche è alla base del funzionamento dello strumento. Questo può essere fatto funzionare a carica costante, caricando le due coppie di quadranti e l’equipaggio mobile con una determinata carica elettrica prefissata, o a potenziale costante, collegando le coppie e l’equipaggio mobile a una differenza di potenziale (ddp) costante. In una delle diverse modalità di utilizzo di questo elettrometro, l’equipaggio mobile è completamente isolato dai quadranti e collegato a una sorgente di ddp relativamente elevata, tale che – dette VD la ddp dell’equipaggio rispetto a terra e VS e VS′ le ddp possedute dai quadranti (sempre rispetto a terra) –
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risulta VD >>VS e VD >>VS′. La misura di una ddp tra due punti A e B (si faccia riferimento alla figura 2.2c) si può eseguire collegando i due punti con le coppie di quadranti S e S′, mentre l’equipaggio mobile isolato è posto a potenziale elevato. La misura viene in tal caso chiamata eterostatica. Facendo ora riferimento alla figura 2.2b – detti r il raggio del disco mobile, d la distanza di questo dai bordi della scatola cilindrica, ε0 la costante dielettrica del vuoto, V1–V2 la differenza di potenziale da misurare – si dimostra che θ ≅ ε0r2 VD (V1–V2)/Kt d = Kp (V1–V2). Con riferimento alla figura 2.2a, detti L la lunghezza del raggio della leva ottica e λ lo spostamento della linea luminosa sulla scala G, e ricordando che se lo specchietto ruota di θ il raggio riflesso ruota di 2θ, si ha che λ = L2θ = L2 ε0 r2VD (V1–V2)/Kt d. Considerata la sensibilità dello strumento, pari alla derivata dλ /d(V1–V2), si ottiene dλ /d(V1–V2) = 2LVD ε0 r 2/Ktd = 2LKp = costante e perciò lo strumento è lineare con sensibilità costante; tale sensibilità può essere resa assai elevata incrementando il valore della grandezza elettrica VD , che può elevarsi fino ai limiti della rigidità dielettrica consentita dai parametri geometrici, e diminuendo il valore della costante di reazione elastica Kt , che può essere ridotta impiegando un filo lungo e sottile. Pertanto con l’elettrometro di Kelvin-Dolezalek si possono misurare agevolmente ddp dell’ordine di 10–4V. È ora possibile descrivere gli esperimenti condotti dai fratelli Curie a dimostrazione della loro ipotesi sull’origine della piezoelettricità, che hanno altresì consentito la determinazione quantitativa del coefficiente piezoelettrico1 d del quale si parlerà diffusamente nel seguito.
2.2.2 Effetto piezoelettrico diretto Un campione di cristallo di quarzo è posto tra due piastrine di rame (elettrodi) perpendicolari a uno degli assi elettrici2 del cristallo e tutto il gruppo, cristallo più elettrodi, viene elettricamente isolato dall’ambiente circostante in modo che le cariche indotte non trovino facile via di fuga. Tramite un morsetto isolato, che può stringere le due piastrine di rame, viene applicata una forza di serraggio F al cristallo. Gli elettrodi del cristallo di quarzo vengono poi connessi secondo due diversi schemi circuitali. Nel primo (figura 2.3a) l’elettrodo B è collegato alla terra T e l’elettrodo A al settore S dell’elettrometro. L’altro settore S′ è connesso a un polo di una pila Daniell, il cui secondo polo è connesso a terra assieme all’elettrodo B. Nella figura 2.3a non compare il circuito di elettrificazione dell’equipaggio mobile, alimentato a tensione elevata. Nella disposizione circuitale descritta, la deflessione dell’equipaggio mobile è proporzionale alla differenza di potenziale applicata ai settori S′ e S: tale ddp è quella che si raccoglie tra le facce del cristallo di quarzo e che si può cal1 Così riportato nella memoria originale; nel seguito esso verrà riportato come costante piezoelettrica, secondo la convenzione internazionale (vedi nota 47). 2 Con questo termine i fratelli Curie indicavano un asse polare a simmetria binaria, concetti che saranno chiariti tra breve.
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Figura 2.3. (a) Primo esperimento dei fratelli Curie: sono riportati l’elettrometro a quadranti SS′, la pila Daniell D e il piezoelemento sollecitato da una forza di compressione F sulle sue superfici A e B; all’azione di compressione corrisponde una deflessione direttamente proporzionale dell’equipaggio mobile. (b) Secondo esperimento sulla piezoelettricità: l’equipaggio mobile è connesso a uno dei due elettrodi (A) del piezoelemento; i quadranti sono elettrificati separatamente (elettrometro in configurazione “a carica costante”); tale esperienza mostra che sulle facce del quarzo piezoelettrico sottoposto a compressione si raccolgono cariche di segno opposto. Riprodotta da S. Katzir (2003) The Discovery of the Piezoelectric Effect. Arch Hist Exact Sci 57; 1 (riproduzione autorizzata).
colare per mezzo della relazione θ = KP(V1–V2), ponendo V1 pari alla ddp fornita dalla pila Daniell, cioè V1 = VS′–VT, e V2 pari alla ddp ai capi degli elettrodi del quarzo, cioè V2 = VS–VT, per cui V1–V2 = VS′–VS. Poiché la ddp VS′ rispetto a terra fornita dalla pila Daniell è costante e stabile, la deflessione θ risulta proporzionale alla ddp VS sul cristallo e quindi in definitiva proporzionale alla forza di serraggio F. I fratelli Curie comprovarono in tal modo che è la deformazione subita dal cristallo per effetto della forza F a causare la comparsa delle cariche ±Q all’origine della ddp misurata. Il cosiddetto effetto piezoelettrico diretto si può perciò descrivere, stante la proporzionalità tra le cariche Q e la differenza di potenziale misurata, con l’espressione Q = dF
[2.1]
dove d è una costante appropriata (detta costante piezoelettrica). Nella seconda disposizione circuitale, mostrata nella figura 2.3b, l’elettrodo B è ancora connesso a terra, mentre il secondo elettrodo A è ora connesso all’equipaggio mobile dell’elettrometro. I quattro settori, tra loro completamente isolati, vengono separatamente elettrificati con una carica elettrostatica trasferita da apposita sorgente. Attesa la circostanza che tutto il sistema è elettricamente isolato dall’ambiente, si può assumere che in queste condizioni l’elettrometro funzioni nella modalità precedentemente citata di carica costante. In tal caso, sollecitato il quarzo con forza di serraggio F, l’elettrodo A induce sull’equipaggio mobile la carica ±Q e per effetto della carica costante esistente nei settori si producono forze elettrostatiche per le quali l’equipaggio mobile ruota di un certo angolo θ. Se ora, a parità di forza applicata, si inverte il collegamento, collegando l’equipaggio mobile all’elettrodo B e ponendo l’elettro-
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do A a terra, il fenomeno già descritto si verifica in senso contrario, poiché nell’elettrodo B sono presenti cariche di segno opposto rispetto a quelle presenti sull’elettrodo A, e l’equipaggio mobile ruota ora di –θ. Questa esperienza completa la precedente, confermando che un cristallo di quarzo sollecitato sulle due superfici esterne da forze a esse ortogonali (e parallele a un asse elettrico), si carica con cariche di segno opposto che si raccolgono sulle superfici stesse. Con gli esperimenti descritti i fratelli Curie dimostrarono la legge empirica sulla piezoelettricità, e cioè che esiste una relazione diretta tra la quantità di carica elettrica prodotta nel cristallo e la variazione di pressione su di esso esercitata, che tale relazione è lineare3 e che ogni cristallo possiede una costante caratteristica d. Tuttavia il fenomeno piezoelettrico deve essere quantificato per passare da una legge empirica a una legge fisica. Infatti nelle esperienze descritte essi misurarono una ddp che per loro era noto fosse proporzionale alla carica elettrica; restava non nota la costante di proporzionalità poiché non era conosciuta la capacità CS del sistema quadranti-equipaggio mobile. Perciò i Curie progettarono ed eseguirono altri esperimenti utilizzando la medesima strumentazione, ma modificandola secondo la disposizione circuitale mostrata nella figura 2.4 e di seguito descritta; inoltre, dovendo procedere a misurazioni di un coefficiente del quale a priori si ignorava quanto fosse piccolo, essi utilizzarono una particolare modalità di applicazione delle forze che consentiva di ottenere all’origine una maggiore sensibilità. Una piastrina di quarzo è posta tra due elettrodi di rame ortogonali a un asse di simmetria elettrico. Un elettrodo A viene connesso alla terra T, mentre l’elettrodo B viene connesso sia a un condensatore cilindrico C sia al settore S dell’elettrometro; l’altro settore S′ dello strumento viene connesso al polo positivo di una pila Daniell, il cui secondo polo è a terra. In questa esperienza il cristallo viene caricato con forze parallele al piano degli elettrodi come mostrato nelle figure 2.4 e 2.5; questa modalità di carico consente per il taglio di quarzo usato dai fratelli Curie una maggiore sensibilità rispetto a quella che si manifesta nell’esperienza precedente 4, poiché se si applica una forza F nella direzione y, talché si verifichi una diminuzione di dimensioni della piastrina nella direzione x, si ottiene una quantità di carica sulla superficie di maggiore estensione yz, tanto maggiore quanto più piccolo è x rispetto a y, secondo la relazione Q = dFy/x. Nota la forza F applicata, il calcolo della costante presuppone la valutazione della carica Q. La difficoltà di tale procedimento consiste nel fatto che mediante misure di ddp la carica Q è nota se è nota la capacità del sistema nel quale la ddp si manifesta, in questo caso la capacità CS dell’elettrometro. Poiché tale capacità è incognita, occorre condurre misure differenziali in modo da poter prescindere dal suo valore. Lo schema della figura 2.4 differisce perciò da quello della figura 2.3a per la presenza di una capacità C, posta in parallelo al 3 Una relazione di tipo quadratico descrive il fenomeno della elettrostrizione che si verifica in corpi isotropi. 4 Come sarà chiarito nel seguito, le costanti d nei due casi sono uguali e opposte.
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Figura 2.4. Esperimento dei fratelli Curie, per la misura della costante piezoelettrica d. Il condensatore di capacità variabile C è posto in parallelo con il piezoelemento posto tra i due elettrodi A e B. L’elettrometro a quadranti SS′ è collegato per un quadrante all’elettrodo B del quarzo e per l’altro alla pila Daniell D. Riprodotta da S. Katzir (2003) The Discovery of the Piezoelectric Effect. Arch Hist Exact Sci 57; 1 (riproduzione autorizzata).
quarzo oggetto della misura, che essendo costituita di un numero discreto di condensatori identici può essere variata in maniera controllata. L’esperimento viene condotto in due fasi, nelle quali l’elettrometro è impiegato come strumento di zero. Nella prima fase il cristallo viene caricato con un peso noto W1 (composto di pesi noti discreti, così da poter variare il carico in modo controllato), per cui il quarzo rende disponibile una carica Q1; ne consegue una ddp ai capi del parallelo costituito dallo strumento e dal condensatore V = Q1/(CS+C). Se a parità di peso W1, e dunque a parità di carica Q1, si incrementa la capacità variabile, la ddp V decresce. Per un determinato valore C1, l’equipaggio mobile si stabilizza nella posizione media tra i due settori, corrispondente a θ = 0, il che implica una ddp nulla; in tali condizioni (prima misura di zero), si può affermare che ai capi del parallelo costituito dal quarzo e dai condensatori la ddp è pari a quella fornita dalla pila Daniell VD. Si può perciò scrivere Q1 = VD (CS+C1) e, ricordando che la carica Q1 si manifesta in virtù dell’applicazione del carico W1, si ha anche per la [2.1] dW1 = VD (CS+C1).
Figura 2.5. Modalità di carico del quarzo utilizzato dai fratelli Curie: al diminuire delle dimensioni lungo x rispetto a quelle lungo y, la quantità di carica superficiale in yz risulta maggiore.
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Nella seconda fase la capacità C = C1 viene rimossa, per cui la ddp misurabile risulta V = Q1 /CS. Vengono poi gradatamente tolti alcuni pesi (il che significa diminuire la carica messa a disposizione dal cristallo) fino a quando l’equipaggio mobile non assume nuovamente la posizione θ = 0, relativa a un peso finale W2<W1, per la quale si può di nuovo affermare che la ddp è pari a quella fornita dalla pila Daniell (seconda misura di zero). Si può allora scrivere Q2 = VDCS , e perciò dW2 = VDCS . La variazione di carica tra i due casi, dovuta alla differenza dei pesi che hanno sollecitato il cristallo, è dunque pari a ΔQ = Q2–Q1 = (CS+C1–CS)VD = C1VD, dove le grandezze al secondo membro sono tutte note. Si può perciò scrivere per la variazione di carica che si verifica per una variazione di peso ΔW = W1–W2 (variazione unitaria di carica) d=
ΔQ ΔW
[2.2]
le cui dimensioni sono manifestamente coulomb/newton. La quantità di carica generata dal cristallo per unità di peso d è tipica di ciascun cristallo. La tecnica sperimentale adottata dai fratelli Curie era assai raffinata: nel determinare solo differenze di quantità, e non quantità in assoluto, essi superarono le difficoltà che sarebbero derivate dalla misura della capacità CS del sistema. L’unica necessità era quella di conoscere esattamente la capacità C dei condensatori campione, che essi calcolarono a partire dalla semplice configurazione dei condensatori cilindrici. Questi erano fabbricati con le due armature poste assai vicine, in modo tale da eliminare (in gran parte) gli errori dovuti all’effetto dei bordi. Va inoltre osservato che essi misurarono le ddp con il metodo dello zero (misure di zero): con tale procedimento, non solo eliminarono l’errore di lettura intrinseco alle misure “a deviazione”, ma evitarono anche di dover conoscere la curva di graduazione dell’elettrometro. Con le precauzioni descritte, essi calcolarono per primi il valore della costante piezoelettrica d per il quarzo e la tormalina, pari rispettivamente a 6,3·10–8 e 5,4·10–8 statcoulomb/dyne 5. Se si confrontano questi dati con quelli determinati in epoca recente 6 si rileva che essi differiscono non più del 6 per cento!
2.2.3 Effetto piezoelettrico inverso Per quanto attiene la scoperta dell’effetto piezoelettrico inverso, furono sempre i fratelli Curie a progettare ed eseguire le prove per la dimostrazione della sua esistenza, ma la proposta e la giustificazione teorica fu del premio Nobel (1908) Lippman, che nel compiere studi sulle interrelazioni tra fenomeni meccanici e fenomeni elettrici scoprì che i fenomeni elettromeccanici ammetto5 Unità rispettivamente di carica e di forza nel vecchio sistema cgs elettrostatico: 1statcoulomb = 3,35·10–8C e 1 dyne = 10–5N. 6 Per esempio in H. Jaffe, D. A. Berlincourt (1965) Piezoelectric Transducers materials. Proceedings of IEEE 53; 10.
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Figura 2.6. Esperimento dei fratelli Curie sull’effetto piezoelettrico inverso. La barra di materiale piezoelettrico Q, collegata per un estremo al telaio e per l’altro al coltello C2, è dotata per quasi tutta la sua estensione longitudinale di due elettrodi collegati al generatore elettrostatico M. All’applicazione del campo elettrostatico, la barra si allunga, spostando il coltello C2, e dunque l’estremo B del braccio, con fulcro sul coltello C1, dalla iniziale posizione orizzontale di equilibrio. All’estremo opposto della bilancia è posta una linea di fede grazie alla quale è misurabile lo spostamento verticale del braccio dovuto al campo elettrostatico applicato. Riprodotta da S. Katzir (2003) The Discovery of the Piezoelectric Effect. Arch Hist Exact Sci 57; 1 (riproduzione autorizzata).
no sempre un effetto inverso dimostrando la loro reversibilità. Già Thomson aveva ipotizzato che anche l’effetto piezoelettrico dovesse presentare l’effetto inverso; tuttavia quella proposta era ancora a livello di intuizione, mentre Lippman dimostrò teoricamente l’esistenza dell’effetto piezoelettrico inverso e i fratelli Curie progettarono e costruirono gli strumenti per la conferma sperimentale. Un primo dispositivo prevedeva un cristallo al quale veniva applicato un campo elettrico per produrre una dilatazione che, impedita, avrebbe dovuto dar luogo a una forza; questa, agendo a sua volta su un altro cristallo, avrebbe dovuto produrre per effetto piezoelettrico diretto la presenza di cariche dovute essenzialmente alla dilatazione impedita del primo cristallo. A causa di gravi difficoltà nel mantenere elettricamente isolati i due sistemi, l’esperimento non diede risultati soddisfacenti e i due fratelli progettarono pertanto un secondo dispositivo sperimentale, assai più semplice, il cui disegno originale è mostrato nella figura 2.6. Esso consiste essenzialmente in una bilancia a un braccio, al cui estremo è posta una linea di fede osservabile attraverso un dispositivo ottico. Il braccio, il cui fulcro è su un coltello C1, è mantenuto orizzontale grazie a un secondo coltello C2, collegato al telaio per il tramite di una lunga barra di cristallo piezoelettrico, la cui dimensione trasversale è 60 volte più piccola di quella longitudinale. Sulle superfici lunghe della barra, e per una estensione poco più piccola della barra medesima, sono posizionati (da bande opposte) due elettrodi, a loro volta collegati a un generatore di tensione di tipo elettrostatico. La presenza di una scarica tra le sfere dei manipoli isolati del generatore testimonia che un ben determinato valore della ddp prodotta è stato raggiunto e che
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Figura 2.7. Cristalli di quarzo (US Department of Agriculture).
quindi un valore ben definito del campo si è stabilito tra i due elettrodi della barra di quarzo. Durante la scarica essa si allunga e tale allungamento è misurabile tramite l’estremo del braccio, che si sposta rispetto alla posizione dell’equilibrio. Resta quindi misurabile anche l’allungamento della barra piezoelettrica rapportata al campo elettrico applicato.
2.3 Generalità sui cristalli Il termine cristallo si riferisce a un solido, delimitato da facce piane, nel quale gli atomi sono organizzati in una struttura spaziale ove un determinato “motivo” geometrico viene ripetuto nell’intero corpo. La figura 2.7 mostra alcuni cristalli di quarzo. In un cristallo gli atomi possono essere pensati come strutturalmente collegati tra loro in piccoli gruppi, tutti identici tra loro, egualmente e regolarmente orientati nelle tre direzioni dello spazio; ogni gruppo può essere concepito come confinato entro un parallelepipedo. Esso costituisce il più piccolo parallelepipedo attorno al quale il cristallo può essere costruito ed è di solito indicato come cella elementare. Gli spigoli della cella elementare sono paralleli agli assi cristallografici. La struttura atomica che si sviluppa nello spazio, organizzata in celle elementari, è detta reticolo. All’interno del cristallo è possibile disegnare piani sui quali cadono punti corrispondenti delle singole celle elementari, arrangiati in righe e colonne; alcuni di tali piani costituiscono le facce del cristallo. La periodicità che si riscontra nel reticolo implica l’importante concetto di simmetria. Essa può essere geometrica o riferita a qualche proprietà fisica del cristallo ed è rilevata rispetto a un suo elemento geometrico: un piano, un asse o un centro. In generale la simmetria può essere osservata se compiendo sul cristallo una data operazione, detta di ricoprimento, questa lascia il cristallo in uno stato microscopicamente non distinguibile rispetto alla condizione di partenza. La più semplice operazione di ricoprimento nel cristallo è la traslazione; si possono poi avere riflessioni rispetto a piani7, rotazioni intorno 7 Il piano di simmetria divide il cristallo in due metà identiche e speculari; a ogni punto posto a una certa distanza a destra del piano, corrisponde un punto, posto alla stessa distanza a sinistra, con identiche caratteristiche.
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ad assi8, inversioni rispetto a punti9, o composizioni delle precedenti10. Si chiama asse polare un asse che non sia perpendicolare a un piano di simmetria o a un asse di simmetria pari. Sulla periodicità del reticolo, e sulle diverse condizioni di simmetria che possono essere rilevate in esso, è fondata la classificazione dei cristalli nei sette sistemi cristallografici11, a partire dai sette tipi di poliedri che possono riempire completamente lo spazio12. Come sarà meglio illustrato in seguito, nessun cristallo appartenente a una delle 11 classi che posseggono un centro di simmetria può essere piezoelettrico, mentre tutte le classi che posseggono assi polari sono classi piezoelettriche.
2.3.1 Sistemi di riferimento nei cristalli Gli assi cristallografici sono usualmente assi di simmetria, oppure sono normali a piani di simmetria, oppure costituiscono l’intersezione tra facce significative del cristallo. Tali assi sono in genere indicati con a, b, c, oppure con a1, a2, a3, o anche con x1, x2, x3; di norma l’asse con più alto grado di simmetria è scelto come asse z13. Le grandezze importanti per il cristallografo sono gli angoli tra gli assi (che non sono necessariamente tra loro ortogonali) e le intersezioni con essi di ciascuna faccia14. In definitiva, gli assi cristallografici sono direzioni rispetto al cristallo, la cui scelta è in genere fatta in modo da rendere la specificazione delle facce il più semplice possibile. Il sistema di riferimento ortogonale X, Y, Z dei fisici, che verrà nel seguito adottato, è più adatto a rappresentare le forze che dall’esterno sollecitano il cristallo e lo stato di tensione e deformazione che ne consegue. A ogni sistema cristallografico è associato, oltre al sistema di assi cristallografici, un sistema di riferimento ortogonale. Nel sistema trigonale, cui appartiene il quarzo α che verrà ampiamente descritto nei paragrafi seguenti, i due sistemi di riferimento non coincido8 Un asse di rotazione è asse di simmetria a n posizioni di ricoprimento (dove n è un numero intero) se dopo una rotazione di 2π/n attorno a esso la nuova posizione del cristallo è identica a quella di partenza. Gli assi possono essere binari, ternari, quaternari o senari, se la condizione di “non cambiamento” si manifesta, rispettivamente, dopo rotazioni di 180, 120, 90 o 60 gradi (corrispondenti agli angoli formati tra loro dalle posizioni di ricoprimento). 9 Il centro di simmetria divide a metà tutte le rette passanti per due punti opposti identici posti sulla superficie del cristallo. 10 Si cita qui solamente la composizione di rotazioni e traslazioni parallele all’asse, che è detto asse di simmetria elicogiro. 11 Questi sono: cubico, tetragonale, rombico, monoclino, triclino, esagonale, trigonale. Tutti i dettagli descrittivi riguardo tali sistemi possono essere trovati nei testi di cristallografia. 12 Essi costituiscono per il corrispondente sistema la classe cosiddetta oloedrica, vale a dire quella di più alta simmetria e che possiede tutte le facce geometricamente possibili. In altre classi la struttura atomica è tale per cui alcune facce non saranno formate; la cosiddetta classe emiedrica possiede la metà delle facce possibili. 13 Nel sistema esagonale gli assi sono quattro. 14 Le intersezioni m , m e m di un piano cristallografico, in particolare una faccia, con gli assi cristal1 2 3 lografici forniscono l’orientazione del piano. I piani possono avere intercette m1/h, m2/k, m3/l, dove i cosiddetti indici di Miller sono numeri interi piccoli, per cui l’orientazione di un piano può essere rappresentata con notazione
; si ricordi quanto accennato riguardo il numero di facce possibili.
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Figura 2.8. Sistemi di riferimento. Gli assi cristallografici x1, x2, x3 e z del cristallo di quarzo sono riportati in (a) insieme agli assi y1, y2, y3, a essi ortogonali. Il sistema di assi ortogonali X, Y, Z in cui l’asse X coincide con un asse elettrico x1, l’asse Y con il rispettivo asse meccanico y1 e l’asse Z è l’asse ottico z, è riportato in (b) insieme con l’estrazione della lamina illustrata in (c), dove è anche messo in evidenza il sistema di riferimento della lamina stessa.
no. Va detto fin d’ora che vi è un terzo sistema di riferimento: alle parti di cristallo che vengono estratte da un cristallo madre, i cosiddetti tagli, è associato un sistema di riferimento a essi solidale che è il più adatto a descriverne lo stato di sollecitazione elettrica e meccanica, come verrà illustrato nel seguito. Esso ha un assetto “naturalmente” legato alle forme semplici assunte dai tagli (lamine, barrette, dischi, ecc.) che non coincide con il sistema X, Y, Z strettamente correlato alla struttura del cristallo. Un esempio dei differenti sistemi è mostrato nella figura 2.8. Un discorso a parte sarà fatto per le ceramiche piezoelettriche di fabbricazione industriale.
2.3.2 Simmetria e piezoelettricità Si consideri una cella elementare cubica come quella schematizzata nella figura 2.9. Se a partire dal punto O della figura 2.9a si traccia un vettore da O verso a e poi se ne inverte il senso verso a′ (operazione di inversione), si osserva che esso punta in entrambi i casi al medesimo tipo di carica (positiva nel disegno). Questa proprietà si verifica per qualsiasi linea venga tracciata congiungente cariche del reticolo e passante per O, che risulta perciò essere centro di simmetria. Peraltro si osserva che, considerando la posizione delle cariche positive e quella delle cariche negative, il loro baricentro coincide con il punto O; l’effetto elettrico è perciò nullo e non si può manifestare alcuna po-
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Figura 2.9. Reticolo centrosimmetrico. (a) Inversione del vettore Oa in Oa′: esso punta allo stesso tipo di carica e ciò si verifica per tutti i vettori che collegano O alle altre cariche del reticolo. In assenza di sollecitazione esterna, i baricentri delle cariche positive e negative coincidono. (b) Stesso reticolo sollecitato: i baricentri delle cariche positive e negative coincidono ancora.
larizzazione. Se il medesimo reticolo centrosimmetrico viene ora sottoposto a due forze opposte, come mostrato nella figura 2.9b, la cella si deforma, ma il baricentro delle cariche positive e quello delle cariche negative anche in questo caso coincidono, per cui si ha ancora polarizzazione nulla. Si consideri ora il reticolo della figura 2.10a con una distribuzione di cariche poste ai vertici di un esagono; la cella presentata non è centrosimmetrica, poiché non esiste un punto, ancorché immateriale, all’interno del reticolo per il quale invertendo il vettore Oa in Oa′, come precedentemente descritto, si perviene a puntare cariche identiche. Se il reticolo non viene deformato da una forza, il baricentro delle cariche negative e quello delle cariche positive coincidono entrambi con il punto O (sia le cariche positive sia quelle negative sono ai vertici di triangoli equilateri uguali, le cui mediane si incontrano tutte nel centro O), e pertanto non esiste polarizzazione.
Figura 2.10. Reticolo non centrosimmetrico (quarzo β). In (a) inversione del vettore Oa in Oa′: il segno delle cariche si inverte e in assenza di sollecitazione esterna, i baricentri delle cariche positive e negative coincidono. In (b) quarzo β sollecitato da forze di compressione F nella direzione y: i baricentri delle cariche positive e negative non coincidono, producendo una polarizzazione netta P parallela all’asse di sollecitazione. In (c) quarzo β sollecitato da forze di compressione F nella direzione x.
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Se il reticolo viene sollecitato dalle forze F e F′= –F lungo la direzione y, esso si deforma, accorciando la distanza tra le cariche positive nella medesima direzione. Se si collegano tra loro le cariche positive e negative, esse formano i triangoli come mostrato nella figura 2.10b. Le mediane del triangolo relativo alle cariche positive si incontrano in un punto G+ (baricentro delle cariche positive) che giace sulla direzione y, ma al di sotto del baricentro delle cariche negative G–; i due baricentri non coincidono dopo la deformazione e perciò si ha un momento di dipolo orientato15 da G– a G+. Se si sollecita il cristallo parallelamente all’asse x, si ottiene la configurazione descritta nella figura 2.10c. In tale configurazione il momento di dipolo non nullo è in verso opposto rispetto al caso precedente, coerentemente con il segno della deformazione, mentre è nullo nella direzione x di applicazione della forza F. Si può quindi concludere che la piezoelettricità nasce nei cristalli che non posseggono un centro di simmetria; si può inoltre affermare in generale che se si applica la sollecitazione in una direzione, può nascere una polarizzazione P ≠ 0 lungo una diversa direzione del reticolo cristallino e che invertendo il verso della sollecitazione si inverte anche il verso della polarizzazione16. I fenomeni analizzati si possono riportare in forma sintetica come di seguito illustrato. Se si indica con il simbolo Tj la sollecitazione, che può essere di trazione (o compressione) o di taglio, applicata lungo la direzione j, e si indica con Pi la polarizzazione che ne deriva lungo la generica direzione i, esse sono legate da una relazione del tipo17 Pi = d ij Tj
[2.3]
avendo indicato con dij le costanti di proporzionalità piezoelettriche, le cui dimensioni risultano essere coulomb/newton. Una relazione analoga descrive il legame esistente tra la deformazione Sj, lineare o angolare rilevabile lungo la direzione j, e il campo elettrico Ei presente nella generica direzione i, per cui si ha S j = d ij E i
[2.4]
15 La convenzione adottata per i dipoli elettrici è analoga a quella stabilita per i dipoli magnetici, dove l’orientamento del momento di dipolo va dal polo sud (negativo) a quello nord (positivo). 16 È questa “direzionalità” (anisotropia) che distingue la piezoelettricità dall’elettrostrizione (che si manifesta nei corpi isotropi). 17 L’usuale notazione tensoriale a due indici per la sollecitazione meccanica e per la deformazione elastica, del tipo Tij e εhk rispettivamente, comporta tensori delle costanti elastiche e piezoelettriche di ordine superiore al secondo; per poter rappresentare tali tensori in forma di matrici, si utilizza nella teoria della piezoelettricità la notazione compatta adottata in questo volume. Si tenga conto che, in generale, la piezoelettricità è fenomeno inerente i corpi anisotropi e si noti che all’aumentare del grado di simmetria il numero delle costanti elastiche tra loro indipendenti passa da 21 (la matrice elastica è in ogni caso simmetrica) a 3, relativamente al sistema cubico, fino a 2 per il corpo solido isotropo (per il quale, come noto, le due costanti indipendenti utilizzate sono il modulo di trazione o di Young e il coefficiente di Poisson).
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La relazione [2.3] esprime l’effetto piezoelettrico diretto così come lo descrissero Jacques e Pierre Curie; la costante piezoelettrica è indicata con la lettera d poiché essi utilizzarono nel primo esperimento la lettera δ dell’alfabeto greco. La relazione [2.4] esprime l’effetto piezoelettrico inverso, così come era stato ipotizzato da Thomson, quindi chiaramente previsto da Lippman e infine confermato sperimentalmente dai fratelli Curie. Da quanto fin qui esposto, emerge chiaramente che la piezoelettricità è prodotta dalla deformazione del reticolo cristallino, indipendentemente dalla causa che l’ha provocata. Se la deformazione del reticolo viene provocata dall’azione di grandezze meccaniche, si manifesta l’effetto piezoelettrico diretto; viceversa, se la deformazione avviene per l’azione di grandezze elettriche, si manifesta l’effetto piezoelettrico inverso. È opportuno rilevare che la relazione [2.3] descrive il contributo alla polarizzazione della sollecitazione meccanica e che la contestuale applicazione di un campo elettrico18 comporterà “l’usuale” contributo elettrico alla polarizzazione. Analogamente la relazione [2.4] esprime quella parte di deformazione inerente l’applicazione di un campo elettrico; se contemporaneamente si applica una sollecitazione meccanica si avrà “l’usuale” contributo elastico alla deformazione. Questo aspetto verrà ulteriormente sviluppato nell’analisi dei vincoli del piezoelemento. La piezoelettricità, caratterizzata da effetto diretto ed effetto inverso, è reversibile come l’effetto Faraday per l’elettromagnetismo. Va notato a questo proposito che le costanti piezoelettriche che compaiono nelle relazioni [2.3] e [2.4] sono le stesse; tale uguaglianza si ricava da considerazioni termodinamiche, che possono qui essere solo accennate19. Considerando un cristallo piezoelettrico inserito in un campo elettrico di intensità E e nel contempo sottoposto a una sollecitazione meccanica T, compariranno all’interno di esso una polarizzazione P e una deformazione S. Se il campo elettrico e la sollecitazione sono variate di quantità infinitesime dE e dT rispettivamente, si avrà perciò una corrispondente variazione di energia interna del cristallo. Applicando il metodo dei differenziali esatti alle relazioni [2.3] e [2.4], si trova che la costante dij relativa alla relazione [2.3], e pari a (∂P/∂T)E, è uguale alla costante dij relativa alla relazione [2.4] e pari a (∂S/∂E)T. Le espressioni [2.3] e [2.4] che definiscono l’effetto piezoelettrico diretto e inverso richiedono una specificazione della costante piezoelettrica attraverso gli indici ij poiché, come è emerso dall’osservazione delle figure 2.10b e 2.10c, la polarizzazione può comparire sia nella medesima direzione di applicazione della forza sia in direzione ortogonale a essa. In generale in un cristallo una causa applicata in una direzione produce un effetto in un’altra direzione20. Sembra utile inserire qui qualche richiamo riguardo alla notazione tensoriale utilizzata in piezoelettricità, per evitare confusione al lettore abituato a diver18
Ovvero la sua comparsa come effetto secondario. Per i dettagli riguardo l’applicazione dei potenziali termodinamici al fenomeno della piezoelettricità, si rimanda il lettore ai testi di termodinamica. 20 Esattamente come si verifica per l’elasticità lineare. 19
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se notazioni per le grandezze elastiche. Se una determinata causa C e un corrispondente effetto E sono grandezze vettoriali, e il legame tra di esse è lineare, la relazione tra le componenti e1, e2 ed e3 degli effetti prodotti e le componenti c1, c2 e c3 delle cause richiede l’uso di 9 coefficienti Aij, così come è illustrato dalla relazione: e1 = A11c1 + A12 c 2 + A13c 3 e 2 = A 21c1 + A 22 c 2 + A 23c 3 e 3 = A 31c1 + A 32c 2 + A 33c 3
[2.5]
che si può esprimere in forma sintetica utilizzando la notazione degli indici ripetuti per indicare la sommatoria al variare dell’indice, con l’espressione: e i = A ij c j
i, j = 1,2,3
[2.6]
Le nove componenti Aij formano un tensore di ordine 2 così come cj ed ei sono tensori di ordine 1; le grandezze scalari, come la temperatura, sono tensori di ordine 0. Nella relazione [2.6], i tensori cj ed ei hanno diversa natura rispetto al tensore Aij: i primi sono grandezze fisiche, mentre il secondo rappresenta la caratteristica del materiale. È bene ricordare che così come un vettore non varia al variare del sistema di riferimento, poiché rappresentativo di una grandezza fisica, mentre variano le componenti che lo descrivono, egualmente i coefficienti della matrice che lega cause ed effetti mutano al variare del sistema di riferimento, mentre il tipo di risposta del materiale è intrinseco a esso. La relazione [2.3], può scriversi in forma estesa nel modo seguente: P1 = d11T1 + d12 T2 + d13 T3 + d14 T4 + d15 T5 + d16 T6 P2 = d 21T1 + d 22 T2 + d 23 T3 + d 24 T4 + d 25 T5 + d 26 T6 P3 = d 31T1 + d 32 T2 + d 33 T3 + d 34 T4 + d 35 T5 + d 36 T6
[2.7]
In essa compaiono le tre componenti del vettore polarizzazione lungo le tre direzioni X, Y, Z del sistema di riferimento ortogonale introdotto nei paragrafi precedenti; per quanto riguarda le sei componenti Tj della sollecitazione nello stesso sistema ortogonale, si faccia riferimento alla figura 2.11 dove gli assi X, Y, Z sono indicati con i numeri 1, 2, 3: T1, T2, T3 rappresentano rispettivamente le componenti di trazione o compressione usualmente indicate con σxx, σyy e σzz, mentre T4, T5, T6 rappresentano gli sforzi di taglio, usualmente indicati con τyz, τzx e τxy, giacenti rispettivamente nei piani yz, zx e xy e generati da coppie con asse parallelo rispettivamente all’asse X, Y, Z. La relazione [2.7] può essere espressa con notazione matriciale, ponendo in evidenza la matrice delle 18 costanti piezoelettriche così come viene riportata di norma nella letteratura del settore; la stessa notazione può essere impiegata per esprimere la
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Figura 2.11. Sistema di riferimento associato al cristallo costituito da tre rette ortogonali che si intersecano in un’origine O. Per convenzione l’asse X è diretto verso l’osservatore, l’asse Y è ortogonale all’asse X e l’asse Z è diretto verso l’alto e parallelo all’osservatore, in modo da individuare una terna destra.
relazione che descrive l’effetto piezoelettrico inverso, per la quale la matrice delle costanti piezoelettriche appare in forma trasposta, come viene riportato esplicitamente nella S1 d11 d 21 d 31 S2 d12 d 22 d 32 E1 S3 d13 d 23 d 33 = ⋅ E2 S4 d14 d 24 d 34 E3 S5 d15 d 25 d 35 S6 d16 d 26 d 36
[2.8]
Si noti che nella costante dij il primo indice, i, riguarda una grandezza elettrica, mentre il secondo indice, j, riguarda una grandezza meccanica; a differenza di quanto avviene per le costanti elastiche, in questo caso non è vero che dij = dji.
2.4 Il quarzo Il quarzo e la tormalina furono i cristalli sui quali i fratelli Curie compirono le prime determinazioni della costante d; in particolare, per mezzo del quarzo fu confermato sperimentalmente l’effetto piezoelettrico inverso. La sua utilizzazione è oggi limitata ad alcune applicazioni industriali per le quali è fondamentale l’indipendenza delle prestazioni elettromeccaniche dalla temperatura (oscillatori elettronici e campioni secondari di tempo). Esso tuttavia viene qui descritto nelle sue caratteristiche cristallografiche perché ben si presta a com-
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pletare l’illustrazione dei fenomeni piezoelettrici dei quali si è fatto cenno nei paragrafi precedenti. Il quarzo (SiO2) è un minerale di densità pari a 2,65 g/cm3 che occupa il settimo posto nella scala di Mohs delle durezze21 e fonde a 1710 °C (alla pressione di 1 bar). Il quarzo possiede numerose forme cristalline: in particolare, se la cristallizzazione avviene sotto i 573 °C, il minerale si presenta nella fase chiamata α-quarzo, mentre se cristallizza tra 573 e 800 °C, si presenta nella fase chiamata β-quarzo; queste sono le due forme di interesse per quanto riguarda le applicazioni piezoelettriche. Poiché il quarzo non possiede un piano di simmetria, esso è enantiomorfo, in entrambe le fasi α e β: esistono cioè per ciascuna specie due tipi, detti destro e sinistro, che sono uno l’immagine speculare dell’altro. Il quarzo α, di maggiore interesse per le applicazioni pratiche, appartiene al sistema trigonale, mentre il quarzo β appartiene al sistema esagonale. Il sistema trigonale ha un asse di simmetria ternario (asse ottico o asse principale); nel quarzo esistono anche tre assi di simmetria binari. Come asse Z viene scelto l’asse ternario, come asse X uno degli assi binari (assi elettrici) e come asse Y uno ortogonale ai primi due (asse meccanico), in modo da formare una terna destra22. All’interno del cristallo esistono una simmetria geometrica, data dalla disposizione spaziale di atomi e molecole, e una simmetria delle cariche, che deriva dalla disposizione spaziale degli ioni. Come si è osservato nella figura 2.10, la sussistenza o meno delle proprietà elettriche deriva dalla presenza di momenti di dipolo che possono o meno annullarsi tra loro per mezzo di somme vettoriali. La totale assenza di cariche elettriche in un cristallo è quindi dovuta al bilanciamento completo dei dipoli disposti nello spazio. Gli esempi normalmente utilizzati nella letteratura didattico-scientifica sono riferiti alla simmetria geometrica propria della struttura del quarzo β, benché in tale configurazione l’effetto piezoelettrico sia molto debole 23. Al fine di evidenziarne il legame con la piezoelettricità, sono illustrate nel seguito le caratteristiche della disposizione spaziale del quarzo cristallino 24. Nella figura 2.12a,b è mostrato come esempio il tetraedro elementare alla base della struttura del quarzo β (il tetraedro alla base del quarzo α è caratterizzato da una disposizione degli atomi meno regolare); al centro di esso è situato un atomo di silicio, connesso con quattro atomi di ossigeno, posti ai vertici. Nella figura 2.12c,d si osserva la proiezione del cristallo secondo piani ortogonali all’asse Z, che è un asse non polare di simmetria roto-traslazionale (asse elicogiro), lungo cui il cristallo si sviluppa; si nota nella figura 2.12c che ogni atomo di ossigeno sul vertice del tetraedro è connesso con due atomi di
21 La scala di Mohs è composta di dieci livelli, corrispondenti ad altrettanti materiali, ciascuno dei quali scalfisce i precedenti ed è scalfito dai seguenti: talco, gesso, calcite, fluorite, apatite, ortoclasio, quarzo, topazio, corindone, diamante. 22 Almeno per quanto riguarda la forma destrogira. 23 Solo la costante d è diversa da zero. 14 24 La figura 2.12 è stata ottenuta grazie al software di elaborazione e visualizzazione di molecole XtalDraw, ideato da Kurt L. Bartelmehs dell’Università del Texas.
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Figura 2.12. Strutture cristalline del quarzo. (a) Tetraedro elementare con orientazione generica con atomi di ossigeno ai vertici (in arancio) e di silicio al centro (in azzurro) disposti come nel quarzo β. (b) Tetraedro elementare con facce in evidenza. (c, d) Struttura cristallina del quarzo β: vista perpendicolare all’asse di simmetria senaria c (diretto verso l’osservatore perpendicolarmente al foglio); gli assi a, h e c sono paralleli ai lati della cella elementare Si3O6, che in forma semplificata corrisponde a SiO2. In (c) sono mostrati lo sviluppo del reticolo e i legami tra le molecole, in (d) tetraedri elementari ed esagoni regolari; esagoni regolari possono essere costruiti sia con i lati dei tetraedri sia con i legami silicio-ossigeno. (e, f) Struttura cristallina del quarzo α: vista perpendicolare all’asse di simmetria ternaria c. (e) Sviluppo del reticolo e legami tra le molecole; (f) tetraedri elementari ed esagoni irregolari; esagoni irregolari possono essere costruiti sia con i lati dei tetraedri sia con i legami silicio-ossigeno. (g) Elica percorsa in senso antiorario dagli atomi di silicio nel caso dell’esagono del quarzo β; (h) elica percorsa in senso antiorario dagli atomi di silicio nel caso dell’esagono del quarzo α .
silicio e che i tetraedri sono tra loro interconnessi unicamente per un vertice (figura 2.12d). Il quarzo β ha nel piano XY, ortogonale all’asse Z, una struttura costituita da moduli a esagono regolare, come quella specificata nella figura 2.12d; su un esagono regolare sono anche disposti i tre atomi di silicio e tre dei sei atomi di ossigeno costituenti la cella elementare Si3O6. Lungo l’asse Z il cristallo si sviluppa secondo eliche (non riportate in figura), o tutte destre o tutte sinistre, sulle quali giacciono gli atomi di silicio e di ossigeno. Poiché ogni atomo di ossigeno costituisce un vertice di un tetraedro e ogni atomo di silicio ne costituisce il centro, anche i tetraedri si sviluppano lungo un’elica. Nella figura 2.12e,f la proiezione secondo il piano ortogonale all’asse Z, asse ottico lungo il quale non si rileva alcun effetto piezoelettrico e che è anche l’asse dell’elica lungo cui si sviluppa il cristallo, è riportata per il quarzo α. Nella figura 2.12e si rileva come la disposizione degli atomi di silicio e ossigeno nella cella elementare sia caratterizzata da minore regolarità rispetto al caso precedente e ciò risulta evidente osservando anche gli esagoni della figura 2.12f, costruiti con gli spigoli dei tetraedri, che in questo caso risultano esagoni irregolari. La disposizione spaziale lungo un’elica degli atomi di silicio è evidenziata nella figura 2.12 g,h . Si noti che nel caso del quarzo β l’esagono co-
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Figura 2.13. Quarzo β: assi di simmetria (tratteggiati) e proiezioni dei momenti di dipolo sul piano XY.
stituito dai tre atomi di silicio e tre di ossigeno è quello riportato nella grande maggioranza dei testi, al fine di porre in rilievo l’intersezione in un punto dei dipoli che hanno risultante pari a zero nel piano; va ribadito che i momenti di dipolo in figura sono proiezioni nel piano XY di momenti di dipolo esistenti nello spazio, relativi a coppie di ioni positivi e negativi disposti lungo la struttura elicoidale del cristallo. Dal punto di vista geometrico, questa cella elementare possiede 6 assi binari di simmetria25 (tratteggiati nella figura 2.13). Dal punto di vista della disposizione spaziale delle cariche elettriche però, il cristallo non possiede simmetria rispetto agli assi passanti per i punti medi dei lati: se lo si ribalta lungo uno di questi tre assi, uno ione positivo (Si) va a corrispondere con uno ione negativo (O). Questa mancanza di simmetria è la causa geometrica della piezoelettricità, come è stato illustrato nei paragrafi precedenti. Lungo le diagonali dell’esagono sono diretti i vettori rappresentativi dei momenti di dipolo p1, p2, p3, la cui lunghezza (intensità) è proporzionale proprio alla lunghezza di tali diagonali. Come già accennato, la piezoelettricità esibita dal quarzo β è di modesta entità, e quindi di scarso interesse pratico a fini industriali; inoltre, anche se per motivi di immediatezza didattica nei testi è spesso riportata la struttura β, il quarzo cristallino a temperatura ambiente, e fino a 573 °C, è presente nella fase detta α, meno regolare, che mostra uno spiccato effetto piezoelettrico. Si noti che nel caso del quarzo α il cristallo possiede tre assi binari di simmetria, due dei quali (a e h) sono indicati nella figura 2.12, mentre il terzo forma con essi un angolo di 120°: infatti, se si impongono rotazioni di 180° attorno a tali assi, il cristallo rimane identico a se stesso. L’asse Z (indicato in figura come asse c) è asse di simmetria ternario, poiché il cristallo resta identico a se stesso dopo rotazioni di 120° intorno a esso. Il fatto che gli esagoni costruiti con i tre atomi di silicio e i tre di ossigeno posti ai vertici, mostrati per esempio nella figura 2.12e, siano irregolari, comporta che gli assi dei dipoli 25
Cioè assi tali che una rotazione di 180 gradi attorno a essi ripete la figura.
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Figura 2.14. Struttura cristallina del quarzo α. (a) Dipoli risultanti di un gruppo di tre tetraedri posti in rilievo nella figura 2.12e: vettori relativi ai momenti di dipolo d1, d2, d3, proiezioni d21 e d31 dei dipoli d2 e d3 lungo la direzione di d1 e proiezioni d2o, e d3o lungo la direzione ortogonale; la somma vettoriale dei momenti di dipolo è non nulla per cui si ha un momento di dipolo risultante diverso da zero. Per chiarezza di rappresentazione i vettori d1, d2, d3 sono applicati ai vertici dell’esagono irregolare in corrispondenza degli atomi di ossigeno. (b) Effetto della deformazione del quarzo α sui momenti di dipolo elementari: stato indeformato evidenziato in nero, stato deformato evidenziato in rosso.
non si incontrino in un punto, come risulta dalla figura 2.14a, e che la loro somma vettoriale sia diversa da zero; ciò giustifica la polarizzazione naturale del quarzo α illustrata nella stessa figura, che riporta i vettori rappresentanti i momenti di dipolo presenti all’interno dell’esagono. Proiettando tali vettori ed eseguendo le somme vettoriali si può calcolare il momento di dipolo risultante netto per ciascuna cella esagonale (polarizzazione spontanea). La deformazione dell’esagono dissimmetrizza ulteriormente la disposizione degli ioni causando una polarizzazione indotta (figura 2.14b): se il cristallo viene deformato, premendolo per esempio lungo la direzione del dipolo d2, la variazione delle distanze tra gli ioni produce una variazione dei dipoli elementari, e perciò un momento di dipolo indotto si sovrappone alla polarizzazione spontanea. L’asse Z risulta non piezoelettrico, poiché una deformazione imposta lungo di esso non altera la disposizione geometrica degli ioni nel piano XY, ma si limita a modificare il “passo” delle eliche. La matrice delle costanti piezoelettriche risulta perciò26 2, 3 − 2, 3 0 −0, 67 0 0 C d ij = 0 0 0 0 0, 67 4, 6 ⋅10 −12 N 0 0 0 0 0 0
[2.9]
26 Per mostrare la non idoneità del quarzo per impieghi relativi ai trasduttori per ecotomografia, basti pensare che per una piezoceramica – per esempio la PZT-5A per la quale la costante d33 vale 374·10–12C/N (vedi tabella 2.6) – le costanti piezoelettriche sono circa 160 volte maggiori.
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Per il quarzo solo due costanti piezoelettriche sono tra loro indipendenti: d11 e d14; infatti d11 = 2,3·10–12C/N, d12 = –d11, d14 = 0,67·10–12C/N, d25 = –d14, d26 = 2d11. Si osserva ancora che sono nulle tutte le costanti appartenenti alla terza colonna e alla terza riga: le prime perché costituiscono i contributi alla polarizzazione derivanti da una sollecitazione assiale lungo Z, che come già osservato non è un asse piezoelettrico; la seconda perché, atteso il fatto che lungo l’asse Z non può comparire alcuna polarizzazione per effetto della distribuzione spaziale dei dipoli del quarzo, devono essere necessariamente nulli tutti i contributi alla componente P3 della polarizzazione.
2.4.1 I tagli La matrice delle costanti piezoelettriche, così come quella delle costanti elastiche e delle suscettività dielettriche, varia al variare del sistema di riferimento 27. Per una data trasformazione del sistema di riferimento, alcuni effetti, in particolare piezoelettrici, assenti nel sistema originario potrebbero presentarsi e, viceversa, alcuni effetti indesiderati per qualche applicazione pratica potrebbero sparire 28. Se da un cristallo madre, in particolare quarzo (sia naturale sia sintetico29), viene estratto un campione sotto forma di lamina rettangolare e a questo si associa il suo riferimento X′, Y′, Z′ per così dire naturale, con gli assi paralleli rispettivamente alla lunghezza l (length), alla larghezza w (width) e allo spessore t (thickness), le diverse trasformazioni di coordinate sono realizzate fisicamente dalle diverse orientazioni dei differenti tagli. Le norme che riguardano la descrizione dei diversi tagli (che evidenziano le rotazioni attorno agli assi necessarie a portare la lamina nella sua configurazione finale, quella in cui è stata tagliata), possono essere reperite nella letteratura specializzata30. Nel quarzo sono possibili molti tagli, alcuni dei quali sono riportati nella figura 2.16 31, ciascuno dei quali presenta specifiche caratteristiche in rapporto alle prestazioni richieste. Si hanno, per esempio, i cosiddetti tagli X, in cui la normale t alla faccia di maggior estensione è parallela all’asse X e la lunghezza l (lato lungo) è parallela all’asse Y, oppure i tagli X–5°, in cui l’angolo tra la lunghezza l e l’asse Y (cioè la rotazione attorno allo spessore t) è di 5° in senso orario. Un taglio X e un taglio Y sono mostrati nella figura 2.15.
27 A proposito delle leggi di trasformazione di un tensore, in particolare del secondo ordine, per una trasformazione lineare di coordinate, il lettore può consultare i testi di algebra lineare. 28 Per chiarire il concetto, si faccia il confronto con il comportamento elastico di un corpo isotropo e si ricordi che nel sistema di riferimento costituito dagli assi principali gli sforzi di taglio si annullano. 29 Il quarzo sintetico, o coltivato, ha caratteristiche e prestazioni del tutto simili al quarzo naturale. Esso viene fatto crescere in apposite autoclavi a temperatura di circa 400 °C e pressioni di 1000 bar. Si producono cristalli sintetici del peso di circa 10 N in un tempo di circa 2 mesi. 30 ANSI/IEEE Std 176-1987, Standard on Piezoelectricity. 31 La figura è puramente esemplificativa poiché, per esempio, al variare del cristallo (destro o sinistro), possono variare le definizioni degli assi o dei tagli, dal momento che nella letteratura scientifica e in quella tecnica fornita dai produttori le convenzioni adottate non sono univocamente stabilite.
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Figura 2.15. Lamina in taglio X (a) e lamina in taglio Y (b). Per entrambe sono evidenziati il riferimento del cristallo e i nuovi assi solidali al taglio.
Figura 2.16. Differenti tagli ottenibili da un cristallo di quarzo α.
Capitolo 2
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Un taglio molto utilizzato è il taglio AT, costituito da una lamina estratta con la lunghezza parallela all’asse X e la larghezza w inclinata di 35° 15′ rispetto all’asse Z. Questo taglio ha la particolare caratteristica di avere un coefficiente di espansione termica dell’ordine di 10–6 °C–1, cioè praticamente nullo. Il suo principale impiego è previsto nella costruzione degli oscillatori elettronici, che pertanto risultano particolarmente stabili in frequenza. Spesso la forma geometrica è circolare invece che rettangolare e questo tipo di oscillatori si trova in un gran numero di applicazioni, come per esempio nel clock del computer. A puro titolo di esempio, e per porre in rilievo quanto accennato riguardo ai coefficienti delle matrici, si noti che, per il taglio X della figura 2.15a, la matrice [2.9] diviene 0 0 0 0, 67 − 4, 6 0 C d ij = 0 0 0 0 0 0 ⋅10 −12 N − 2, 3 0 2, 3 − 0, 6 0 0
[2.10]
La struttura cristallina rende conto della variabilità con l’orientamento (anisotropia) sia delle caratteristiche piezoelettriche sia di quelle meccaniche, considerando il quarzo come un materiale elastico, perciò deformabile e in grado di vibrare. Prima di procedere alla trattazione di tali aspetti, è utile anticipare che il prelievo delle grandezze elettriche dal piezoelemento nel caso di effetto piezoelettrico diretto, o la loro applicazione nel caso di effetto inverso, richiede che su determinate coppie di facce opposte del cristallo venga applicato un elettrodo. Ciò comporta che il piezoelemento divenga il dielettrico di spessore t e costante dielettrica ε = ε0εr, (essendo ε0 = 8,854·10–12 F/m la costante dielettrica del vuoto e εr la costante dielettrica relativa al vuoto) all’interno di un condensatore le cui armature sono gli elettrodi stessi. Ciò implica che la polarizzazione P, che intenzionalmente non è stata specificata meglio fino a questo momento e che deve ovviamente attribuirsi al dielettrico, venga modificata per la presenza delle armature. È necessario pertanto definire con maggiore dettaglio il significato di polarizzazione in un dielettrico e ciò comporta un richiamo ai diversi valori E0 ed E che, tra le armature del condensatore, assume il campo elettrico rispettivamente nel vuoto e nel dielettrico.
2.5 Il vettore polarizzazione P 2.5.1 Dielettrici polari e apolari: interpretazione microscopica Un dielettrico è un materiale isolante che introdotto tra le armature di un condensatore, ne incrementa la capacità di εr volte rispetto a quella corrispondente al vuoto. I fenomeni all’interno del dielettrico, che vanno sotto il nome di
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Figura 2.17. Molecole polari e non polari. In (a) e (b) struttura atomica, momenti di dipolo e momento di dipolo risultante (pari a 6,2·10–30 C·m) della molecola dell’acqua. In (c) la presenza dei due dipoli p1 e p2, uguali e opposti, produce un momento di dipolo risultante nullo per la molecola di CO2.
polarizzazione, sono legati a modifiche subite dalle molecole che lo costituiscono per effetto di azioni meccaniche dovute alla presenza di un campo elettrico esterno E. La polarizzazione è in sostanza dovuta al fatto che le molecole possono presentarsi, dal punto di vista elettrico, prive oppure dotate di un momento di dipolo intrinseco. Nel primo caso il baricentro delle cariche positive (cioè dei nuclei degli atomi costituenti la molecola) e quello delle cariche negative (elettroni) coincidono. Se una molecola di questo tipo (cioè dotata di un centro di simmetria) viene immersa in un campo elettrico, le cariche positive e negative sono soggette a forze uguali e opposte. La molecola si deforma e i due baricentri danno luogo a un dipolo il cui momento tende a orientarsi secondo la direzione del campo E 32. La nascita dei due poli, prima coincidenti, consente di denominare la molecola come polarizzata per deformazione. Nel caso delle molecole prive di centro di simmetria, esse si presentano in natura come già intrinsecamente polarizzate poiché possiedono un momento di dipolo non nullo dovuto alla loro costituzione. Caso tipico è la molecola H2O dell’acqua, la cui disposizione spaziale degli atomi è illustrata nella figura 2.17a. Al suo interno esistono due dipoli p1 e p2, ciascuno composto da una delle due cariche negative dell’ossigeno con la carica positiva di uno dei due atomi di idrogeno, che si sommano vettorialmente per formare il momento di dipolo risultante P. Se tale molecola polare viene immersa in un campo elettrico, essa si orienta secondo le linee di forza del campo dando luogo a uno stato di polarizzazione per orientamento. Poiché l’agitazione termica orienta in modo casuale ogni molecola, i dipoli naturali si annullano l’un l’altro e un effetto di polariz-
32 Questo è vero in media. Detto p il momento di dipolo medio su n molecole, si definisce polarizm zabilità per deformazione media il rapporto αd = pm /E.
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zazione netta non si manifesta macroscopicamente se non con l’applicazione di un campo elettrico esterno. Molecole a struttura simmetrica non sono polarizzabili; così per esempio la molecola della CO2 consente la formazione di due dipoli p1 e p2, mostrati nella figura 2.17c, orientati nella medesima direzione ma in verso opposto, per cui è assente la polarizzazione naturale. L’orientamento delle molecole polari in presenza di un campo elettrico E ha origine da una azione meccanica su di esse: il campo elettrico agisce sui dipoli naturali pi applicando loro un momento torcente τ i = pi × E, di intensità pari a pE sinθi, ove θi è l’angolo formato dal momento di dipolo pi con il campo E. La configurazione di equilibrio si raggiunge in condizioni di energia potenziale U = –pi ·E minima33 e cioè quando sinθi = 0, il che si verifica per pi ed E paralleli e perciò per momento torcente τ i nullo. In realtà la condizione descritta è ideale, poiché i dipoli molecolari non si allineano perfettamente con le linee del campo elettrico esterno, sia per la presenza dell’agitazione termica, sia perché i campi elettrici dei singoli dipoli (quelli prodotti dalla deformazione della molecola e quelli relativi al momento naturale), interagiscono tra loro, producendo un campo che localmente può anche essere di intensità superiore a quella del campo esterno. Per descrivere lo stato di polarizzazione globale, si può pensare di attribuire a ogni molecola il momento medio pm nella direzione del campo esterno. Riguardo la valutazione del momento medio, si consideri che ogni singolo dipolo ha una componente pcosθi nella direzione del campo; la media pesata su tutte le possibili orientazioni, dove i pesi sono costituiti dalle probabilità di ciascuna orientazione34, è pari a una funzione, detta di Langevin, che per valori piccoli del rapporto pE/KT si può porre nella forma pm = p2E/3KT = α oE nella quale compare la costante di polarizzabilità per orientamento αo, che è inversamente proporzionale alla temperatura T. Per quanto riguarda la polarizzazione per deformazione, si può introdurre la corrispondente costante di polarizzabilità αd che, a differenza di quella per orientamento, è generalmente indipendente dalla temperatura. Se n è il numero di molecole per unità di volume, si può scrivere per l’intensità di polarizzazione P P = np m
[2.11]
le cui dimensioni sono coulomb/metro quadrato; considerando le dimensioni del momento di dipolo elettrico, essa è anche definita come dipolo elettrico per unità di volume. Nella relazione [2.11], il momento di dipolo medio è ormai comprensivo dei due meccanismi microscopici alla base della polarizzazione, cioè è la somma (αo+ αd )E dei due contributi.
La condizione di minimo si scrive 0 = dU/dθ ≡ τ. Si ricordi che il numero di molecole che alla temperatura T posseggono l’energia U è proporzionale alla quantità eU/(KT), dove K indica qui la costante di Boltzmann. 33 34
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2.5.2 Richiami sui dielettrici: il piezoelemento come condensatore Dal punto di vista macroscopico, ciò che si rileva in un dielettrico immerso in un campo elettrico, per esempio uniforme, è la comparsa di una distribuzione superficiale di cariche che si affacciano verso l’esterno del dielettrico stesso. Si ricordi che il dielettrico di cui si parla è il cristallo piezoelettrico che, fornito degli elettrodi necessari per applicare o rilevare le grandezze elettriche, va considerato interposto tra due armature. Si consideri ora un condensatore piano nel quale le superfici A delle armature siano molto maggiori della distanza t esistente tra di esse, in modo che le linee del campo elettrico siano parallele e dirette ortogonalmente alle superfici. In questo caso, se viene applicata una ddp tra le armature in assenza di dielettrico, su di esse compare una densità di carica superficiale σ = Q/A e il modulo del campo elettrico generato vale E 0 = σ/ε0 . Quando tra le armature viene inserito un dielettrico di costante dielettrica relativa εr, nel condensatore carico si ha una diminuzione dell’intensità del campo, che diviene E = E0/εr = σ/ε e un aumento di capacità. L’introduzione del dielettrico può essere interpretata come una variazione della costante dielettrica, per cui la distribuzione di cariche σ genera il nuovo campo E. D’altra parte l’introduzione del dielettrico dà luogo a una seconda distribuzione di cariche σP sulle sue superfici e, poiché le cariche interne a esso si annullano le une con le altre (figura 2.18b), rimane attiva la sola σP (bilanciata dalle cariche appartenenti alle armature metalliche del condensatore, come mostrato in figura 2.18c), che produce un campo elettrico di intensità Ep , parallelo e opposto al precedente. Il campo elettrico risultante all’interno del dielettrico è perciò35 di intensità pari a E = E 0–E p = (σ–σP)/ε0. Si può cioè assumere ancora il vuoto tra le armature e considerare il campo elettrico all’interno come generato da una distribuzione di cariche (σ–σP) per cui risulta E = (σ–σP)/ε0. La differenza tra la densità di carica σ sulle armature nel caso di condensatore vuoto e quella σP nel caso di condensatore con dielettrico interposto è fornita dalla relazione36 σ–σp = σ/εr, dalla quale si ricava σp = σ(1– εr–1) = (εr–1)σ/εr. Poiché è E 0 = E εr e E0 = σ/ε0, si ottiene σ/εr = E ε 0 e perciò si può scrivere anche σp = (εr–1)ε0E. Per quanto attiene a σP, e con riferimento alla figura 2.19, si consideri un elemento di volume di area dA, all’interno della lastra di dielettrico di spessore t. Le cariche superficiali ±q = ±σP dA formano un dipolo dielettrico di modulo qt = σPdV, essendo dV l’elemento di volume dV = tdA. Si deduce che σP è
35 In realtà il campo E può portare a una redistribuzione delle cariche che generano il campo esterp no E0 e a una sua variazione, per la quale anche la polarizzazione risulta modificata; dopo un transitorio trascurabile, nel sistema si stabilisce uno stato di equilibrio nel quale l’intensità del campo risultante E risulta dalla somma vettoriale tra il campo elettrico in assenza di dielettrico (dovuto a una distribuzione di cariche libere che lo generano, come quella esistente con dielettrico inserito) e il campo elettrico totale delle cariche polarizzate. 36 In altri termini, il campo nel dielettrico E = E /ε è frutto della differenza tra il campo E dovuto alla 0 r 0 densità di carica σ (nel vuoto) e quello Ep dovuto alla densità di carica σp dovuta alla polarizzazione.
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Figura 2.18. Polarizzazione nei dielettrici. In (a) campo elettrico E nullo tra le armature di un condensatore scarico. In (b) densità di carica σ e conseguente campo E0 = σ/ε0 non nullo in virtù dell’applicazione di una ddp tra le armature. In (c) diminuzione del campo elettrico E<E0 dovuto ai fenomeni di polarizzazione all’interno del dielettrico interposto tra le armature, il cui effetto è la generazione di un campo indotto Ep che si oppone a E0.
pari al modulo del momento di dipolo per unità di volume e cioè uguaglia l’intensità P del vettore polarizzazione P e perciò, posto χ = εr–1, si ha
(
)
P = ε r − 1 ε 0 E = χε 0 E
[2.12]
Questa relazione è l’equazione fondamentale per i dielettrici, perché pone in relazione una quantità misurata sperimentalmente, la costante dielettrica, con la polarizzazione P, che è una quantità calcolabile teoricamente a partire dalle proprietà microscopiche del dielettrico. Ricordando quanto stabilito per i meccanismi molecolari della polarizzazione, si osserva che per il coefficiente χ, detto suscettività dielettrica, vale la relazione εo χ = n(αo+αd ); la suscetti-
Figura 2.19. Intensità del vettore polarizzazione. Le cariche superficiali +q = +σpdA e –q = –σpdA danno luogo a un dipolo elettrico di intensità qt, dove t è lo spessore del materiale.
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vità dielettrica è la costante di proporzionalità37 tra polarizzazione e campo elettrico e fornisce una indicazione circa la capacità del materiale di polarizzarsi sotto l’azione di un campo esterno. La densità di carica σ presente su un’armatura del condensatore di normale n può rappresentarsi per mezzo del vettore spostamento elettrico D 38, le cui dimensioni sono coulomb/metro quadrato ⎞ ⎛σ D = σ n = ⎜ + σ p ⎟ n = ε 0E + P ⎠ ⎝ εr
[2.13]
nella quale si è tenuto conto che P = σp n e E = (σ–σp)n/ε0. Ricordando quanto stabilito a proposito della suscettività dielettrica, si ha infine D = ε 0E + ε 0 χE = ε 0 (1+ χ)E = ε 0 ε r E
[2.14]
Si noti che la suscettività dielettrica lega il vettore polarizzazione al campo elettrico risultante e non al campo elettrico esterno, che potrebbe essere definito forzante. I fenomeni descritti dalle relazioni precedenti valgono in condizioni di equilibrio. Quando viene applicato un campo elettrico, la distorsione delle molecole e l’orientamento dei singoli dipoli non si verificano istantaneamente (per quanto il primo fenomeno sia molto più veloce del secondo), ma in un tempo finito. L’allineamento dei dipoli 39 avviene cioè con un ritardo τ, detto costante di tempo dielettrica, rispetto all’istante di applicazione del campo e ciò si traduce in un transitorio della suscettività dielettrica (o della permettività) fino al raggiungimento del valore di saturazione, che è il valore costante che compare nella relazione [2.12]. La costante di tempo, detta anche tempo di risposta a un andamento a gradino del campo elettrico, è una misura degli attriti interni al sistema. Se si applica un campo elettrico variabile nel tempo, in particolare secondo un andamento sinusoidale, gli attriti interni ostacolano il corrispondente riallineamento dei dipoli40, per cui l’andamento nel tempo della polarizzazione presenta un ritardo in fase δE rispetto al campo e ciò si traduce in definitiva in un fenomeno di perdita, detto di perdite dielettriche 41. 37
A meno della costante dielettrica del vuoto. O vettore induzione dielettrica che viene qui introdotto poiché compare nelle condizioni di vincolo elettriche del piezoelemento che caratterizzano, come sarà chiarito più avanti, le grandezze riportate nella letteratura tecnica. 39 Cioè il loro rilassamento al valore di equilibrio. 40 Sui vari meccanismi microscopici proposti per spiegere il ritardo nella risposta a un’eccitazione si rimanda il lettore ai testi specialistici. 41 Esso può rappresentarsi mediante una permettività complessa; analogamente si possono introdurre una rigidità complessa, per rappresentare i fenomeni di attenuazione delle onde elastiche, e delle costanti piezoelettriche complesse, per rappresentare le dissipazioni durante la trasformazione da energia meccanica a elettrica (e viceversa) in un elemento piezoelettrico. 38
Capitolo 2
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L’energia perduta per unità di volume del materiale, durante un ciclo del campo elettrico, è misurata dall’area racchiusa dal ciclo di isteresi che rappresenta la risposta P = P(E) di un dielettrico reale, sede di attriti interni, a un’eccitazione variabile E; il rapporto tra l’energia dissipata e quella elettrostatica immagazzinata a ogni ciclo (diviso per 2π) è detto fattore di dissipazione dielettrica ed è pari a tan δE42. Quanto sin qui richiamato sulla polarizzazione di un dielettrico immerso in un campo riguarda ovviamente i dielettrici isotropi, per i quali la polarizzazione è parallela al campo e i coefficienti (permettività e suscettività dielettriche) sono quantità scalari. Nei cristalli anisotropi si avranno tensori di ordine 2 εij e χij . All’aumentare del grado di simmetria del cristallo, il numero di coefficienti tra loro indipendenti diminuisce; in particolare, solo il sistema triclino e monoclino presentano coefficienti non nulli per h ≠ k. Per i sistemi trigonale ed esagonale sono non nulli χ11, χ 22 = χ11, χ33.
2.6 Il comportamento elastico Si è già avuto modo di affermare come il quarzo sia poco adatto alle applicazioni relative alla costruzione di sonde ecografiche e che materiali artificiali, in particolare le ceramiche piezoelettriche, di cui si tratterà diffusamente nel seguito, risolvono in modo ampiamente soddisfacente le necessità derivanti dall’impiego clinico. Il quarzo tuttavia ben si presta a illustrare il comportamento elettromeccanico dei materiali piezoelettrici in genere e i parametri dai quali esso dipende; per tale motivo, vengono qui fornite ulteriori informazioni sulla sua struttura, sulle sue prestazioni e applicazioni, con particolare attenzione ai modi di vibrazione che possono presentarsi. Le conclusioni possono essere estese ad altri cristalli e alle successive applicazioni delle ceramiche piezoelettriche. Prima di descrivere i principali modi di vibrazione dei differenti tagli di quarzo, è necessario ricordare che, in base alla teoria elastica e adottando le convenzioni usuali nel settore della piezoelettricità, una deformazione Sh nella direzione h è legata alla componente di sollecitazione Tk nella generica direzione k da una relazione del tipo S h = s hk Tk
[2.15]
nella quale si è utilizzata la regola degli indici ripetuti. La relazione [2.15] rappresenta la legge di Hooke generalizzata; il tensore elastico è simmetrico e Analogamente, si possono definire il fattore di dissipazione meccanica δM e quello di dissipazione piezoelettrica δP che tengono conto dei cicli di isteresi elastica e piezoelettrica rispettivamente, per i quali la risposta a un’eccitazione variabile è sempre ritardata in fase, sia essa una risposta elastica, del tipo S = S(T), oppure una risposta piezoelettrica, per esempio P = P(T). Tali fattori sono importanti ai fini della progettazione anche dal punto di vista termico, poiché le perdite di energia costituiscono in definitiva una sorgente interna di calore.
42
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quindi, per le costanti cosiddette di cedevolezza, vale s hk = skh. Analogamente si può scrivere la relazione inversa Th = c hk S k
[2.16]
mediante la matrice simmetrica delle costanti elastiche di rigidità; le due matrici sono una l’inversa dell’altra. Le costanti elastiche tra loro indipendenti sono sei43.
2.6.1 Il quarzo come oscillatore: i modi di vibrazione Il modo di vibrazione di un solido elastico è il complesso di moti oscillatori che in esso si possono verificare. Infatti, a seconda della forma geometrica e dei rapporti esistenti tra le dimensioni, delle condizioni di vincolo e di sollecitazione, nonché delle caratteristiche elastiche del materiale, l’onda, o le onde, longitudinali e/o trasversali, si propagano lungo l’elemento vibrante in determinate direzioni e con determinate velocità44. Le forme caratteristiche dei piezoelementi utilizzati come oscillatori sono lamine, barrette prismatiche e cilindriche, dischi. Tali semplici geometrie presentano, tra gli altri, modi di oscillazione che possono descriversi come oscillazioni compressionali di barre in direzione della lunghezza, oscillazioni trasversali o compressionali che si propagano in direzione dello spessore (shear o extensional thickness mode) di piastre o dischi, oscillazioni flessionali di barre o piastre (flexural mode), oscillazioni trasversali con il piano di shear parallelo al piano della piastra (countoured o face shear mode). Nella figura 2.20 sono illustrati alcuni casi esemplificativi; inoltre la tabella 2.1 riporta, per i modi di vibrazione descritti, i principali tagli utilizzati, le frequenze tipiche di oscillazione e la corrispondente relazione che lega la frequenza di oscillazione libera alle dimensioni dell’oscillatore. A causa dell’anisotropia del cristallo, e in ragione delle matrici delle costanti elastiche45 e piezoelettriche, tali modi di vibrazione possono essere eccitati piezoelettricamente in maniera differente per uno stesso taglio e i differenti tagli risultano più o meno adatti a ottenere un modo di vibrazione o un altro. Una vibrazione compressionale può essere ottenuta sia applicando un campo
43
In particolare si ha c22 = c11, c23 = c13, c24 = –c14, c55 = c44, c56 = c14, c66 = (c11–c12)/2. Una trattazione completa ed esaustiva della teoria della propagazione di onde elastiche in corpi isotropi e anisotropi esula dall’ambito di questo testo; per una esauriente spiegazione della teoria e per i dettagli relativi al comportamento delle semplici forme geometriche descritte qui, il lettore può riferirsi ai testi di teoria dell’elasticità e di meccanica delle vibrazioni. 45 I corpi anisotropi possono presentare costanti elastiche che correlano deformazioni angolari a sollecitazioni lineari e viceversa oppure deformazioni angolari e coppie di taglio giacenti su piani perpendicolari. Il quarzo α è caratterizzato da costanti c14 e c56 diverse da zero. Le costanti chk (h ≠ k) che esprimono interazioni mutue tra tipi diversi di deformazione compaiono nelle relazioni riguardanti gli accoppiamenti tra diversi modi di vibrazione; particolari tagli di quarzo presentano rapporti di Poisson nulli, il che permette di eliminare alcuni modi di vibrazione indesiderati. 44
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Figura 2.20. Modi di vibrazione di lamine di quarzo: (a) oscillazione compressionale in lunghezza di una barra (extensional length); (b) oscillazione trasversale di una barra lungo lo spessore (thickness shear); (c) oscillazione flessionale in lunghezza di una barra (length-width flexure); (d) oscillazione trasversale nel piano di una piastra. Modificata da www.ndk.com (con autorizzazione di NDK).
elettrico oscillante parallelo alla direzione di vibrazione (effetto longitudinale, usato per esempio per produrre oscillazioni di spessore in piastre sottili), oppure perpendicolare a essa (effetto trasversale, usato per esempio per otte-
Tabella 2.1. Modi di vibrazione di lamine di quarzo: tagli usati e frequenze di oscillazione Modo Taglio di vibrazione *
Frequenze tipiche di oscillazione (kHz)
Formula per la frequenza di oscillazione libera (kHz), dimensioni geometriche (mm)
LengthExtensional
+5 °X
40÷200
2730/ l
AT-fondamentale AT–III armonica AT–V armonica AT–VII armonica AT–IX armonica BT-fondamentale
800÷80000 20000÷90000 40000÷130000 100000÷200000 150000÷230000 2000÷35000
1670/t
1÷35 4÷100 250÷1000 80÷500 300÷1100
5700 t/12 5000 w/12 3080/ l 2070/ l 460/ l
Thicknessshear
Length-width- XY flexure NT CT DT Face-shear SL
* La dizione inglese è quella comunemente adottata nel settore. ** L’intero n rappresenta l’ordine dell’armonica.
1670 n/t ** 2560/t
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nere oscillazioni in lunghezza di barre, piazzando gli elettrodi su facce perpendicolari allo spessore). A loro volta, oscillazioni di taglio possono essere ottenute per mezzo di un campo elettrico sia parallelo all’asse di taglio, sia parallelo al piano del taglio. Se si applica una differenza di potenziale oscillante lungo l’asse X (asse elettrico) di una lamina in taglio Z, la lamina sollecitata vibra con la stessa frequenza in regime di oscillazioni forzate e l’ampiezza delle oscillazioni diviene massima quando la frequenza della tensione eccitante è quella di risonanza46, dipendente esclusivamente dallo spessore. Poiché la tensione applicata produce vibrazioni anche lungo l’asse Y (asse meccanico), vi sarà una seconda frequenza di risonanza, in genere più bassa; per aumentare il distacco tra le due frequenze, si tende a estrarre lamine di piccolo spessore. Non procederemo oltre nella descrizione dei modi di vibrazione dei differenti tagli poiché, come si è già accennato, questi non vengono attualmente usati in ambito ecografico principalmente a causa dei numerosi accoppiamenti indesiderati tra i diversi modi di vibrare e tra le armoniche superiori di ciascun modo; ciò che preme sottolineare è che la frequenza di risonanza dipende unicamente dalle dimensioni, e in particolare dallo spessore t della lamina (se si tratta di thickness mode), secondo una relazione del tipo f = costante/t. Le caratteristiche del quarzo come oscillatore sono perciò estremamente costanti nel tempo, dipendendo al più da un controllo accurato della temperatura (a questo proposito si ricorda il valore estremamente basso del coefficiente di dilatazione termica per il taglio AT).
2.7 Le costanti piezoelettriche Prima di procedere oltre, va fatta qualche precisazione in merito alla simbologia in uso nella letteratura scientifica sulla piezoelettricità. Poiché si tratta di fenomeni meccanici ed elettrici, spesso si adoperano simboli usuali per questi settori. Così nel settore meccanico è tipico indicare le sollecitazioni con i simboli σ e τ, il modulo di Young (cioè la rigidezza del materiale, che si misura in N/m2) con il simbolo E e le deformazioni lineari (che rappresentano variazioni di distanze per unità di lunghezza e sono, perciò, adimensionali) con il simbolo ε, talché la legge di Hooke si scrive σ = E ε = E Δl/l. Nel settore elettrotecnico alla lettera σ corrisponde la densità superficiale di carica, le cui dimensioni sono C/m2, alla lettera ε corrisponde la permettività ε = ε0 εr che si misura in F/m e infine alla lettera E corrisponde il campo elettrico, le cui dimensioni sono V/m . Le norme che riguardano la descrizione dei fenomeni piezoelettrici 47 definiscono la simbologia del settore che è stata qui rispettata. Nella
46
Cioè quella di oscillazione libera per cui si instaurano nella lamina onde stazionarie. In particolare: ANSI/IEEE Std 268-1982 American National Standard Metric Practice; IEEE Std 177-1978 Standard Definitions and Methods of Measurements for Piezoelectric Vibrators; IEEE Std 178-1958 (R1972) Standards on Piezoelectric Crystals: Determination of the Elastic, Piezoelectric, and Dielectric Constants of Piezoelectric Crystals - The Electromechanical Coupling Factor; IEEE Std 179-1961 (R1971) Standards on Piezoelectric Crystals: Measurements of Piezoelectric Ceramics. 47
Capitolo 2
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Tabella 2.2. Simboli e unità di misura delle costanti elettroelastiche Simbolo
Unità di misura [SI]
T S E D, P
N/m2 m/m V/m C/m2
Cedevolezza elastica Rigidezza elastica Permettività dielettrica
s c ε
m2/N N/m2 F/m
Costante piezoelettrica di strain Costante piezoelettrica di stress II Costante piezoelettrica di strain II Costante piezoelettrica di stress
d e g h
C/N o m/V C/m2 o N/V·m V·m/N o m2/C V/m o N/C
k QM = 1/tanδM QE = 1/tanδE
– – –
v ρ
m/s kg/m3
Stress Strain Campo elettrico Spostamento elettrico, Polarizzazione
Fattore di accoppiamento piezoelettrico Fattore di qualità meccanico Fattore di qualità elettrico Velocità elastica Densità
tabella 2.2 vengono riportate le grandezze fondamentali che compaiono nelle equazioni utilizzate per l’interpretazione e la progettazione dei piezoelementi. Alcune di esse sono già state introdotte, mentre altre saranno presentate nei paragrafi che seguono48.
2.7.1 Piezoelemento libero o vincolato Come già accennato, in questa sede viene messo in rilievo il contributo alle grandezze elettriche (polarizzazione e campo elettrico) e meccaniche (deformazione e sollecitazione) dovuto al solo effetto piezoelettrico. Infatti, per quanto riguarda tensione meccanica e deformazione, è presente un contributo puramente elastico, poiché il piezoelemento è anche un corpo deformabile; viceversa, poiché il piezoelemento è anche un dielettrico, la sua polarizzazione può originare, oltre che da un effetto piezoelettrico diretto (cioè dall’applicazione di una sollecitazione meccanica), anche da un usuale effetto dielettri-
48 In particolare, verranno meglio caratterizzati nel capitolo 3 il fattore di qualità meccanico Q , e il M fattore di qualità elettrico QE. Il primo descrive il comportamento dell’elemento come oscillatore meccanico ed è definito come il rapporto tra l’energia meccanica fornita e quella dissipata in un ciclo di funzionamento in condizioni di risonanza meccanica, per cui in tali condizioni si può porre 1/tanδM = QM; ricordando quanto accennato nelle note 41 e 42, esso è anche il rapporto tra parte reale e parte immaginaria della cedevolezza complessa. Il secondo fattore di qualità descrive il comportamento dell’elemento come oscillatore elettrico ed è definito come rapporto tra l’energia elettrica fornita e quella dissipata in un ciclo di funzionamento in condizioni di risonanza elettrica, per cui in tali condizioni si può porre 1/tanδE = QE; ricordando quanto riportato nella nota 41, esso è anche il rapporto tra la componente reale e quella immaginaria della permettività complessa.
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Figura 2.21. Piezoelemento meccanicamente vincolato: la morsa impone al cristallo una deformazione prestabilita.
co determinato dall’esistenza di un campo49. Le equazioni [2.3] e [2.4], che rappresentano in forma tensoriale l’effetto piezoelettrico diretto e inverso, richiedono perciò qualche considerazione ulteriore, poiché esse sono state presentate senza specificazioni circa le condizioni di vincolo del piezoelemento50. La relazione [2.3], in particolare, è rigorosamente valida in assenza di campo elettrico 51 (nella pratica, se gli elettrodi sono cortocircuitati). Applicando una tensione meccanica al piezoelemento in tali condizioni, nascono una polarizzazione di origine piezoelettrica (senza alcun contributo dielettrico) e una deformazione elastica, legata alla tensione dall’usuale legge di Hooke generalizzata; in essa le costanti elastiche vanno intese misurate a campo elettrico costante (in particolare nullo). La relazione [2.4] è rigorosamente valida in assenza di tensioni (meccaniche) esterne, vale a dire per un piezoelemento libero di deformarsi52 poiché accoppiato a un mezzo, per esempio aria, di grande cedevolezza (in pratica, sem-
49
In generale si può comunque essere in presenza di effetti secondari. Per esempio, in presenza di un effetto elastico (una tensione produce una deformazione), si è comunque in presenza di un effetto piezoelettrico (una deformazione dà luogo a una polarizzazione); questo, a sua volta, comporta comunque un effetto dielettrico (le cariche di polarizzazione danno origine a un campo elettrico), il quale modifica lo stato di sollecitazione meccanica, a meno che (come si vedrà tra breve) il cristallo non venga cortocircuitato. 50 Nella letteratura corrente vengono riportate le relazioni costitutive complete, per un piezoelemento privo di perdite, nelle quali compaiono le diverse variabili che di volta in volta risultano più comode a seconda delle condizioni al contorno più adatte per descrivere il problema; per esempio, con riferimento all’equazione [2.3], la relazione costitutiva completa risulta Pi = dijTj +ε0 χTik Ek. A parere dell’autore la descrizione che segue è a vantaggio della semplicità di esposizione. 51 Dette anche condizioni di piezoelemento elettricamente libero. 52 Dette anche condizioni di piezoelemento meccanicamente libero.
Capitolo 2
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plicemente appoggiato su un supporto). Se un campo elettrico viene applicato in tali condizioni, nasce una deformazione di origine piezoelettrica (senza alcun contributo elastico) e una polarizzazione di origine dielettrica, legata al campo mediante le suscettività dielettriche, che vanno intese misurate in condizioni di tensione costante (in particolare nulla). Si pone ora la domanda di cosa accada se al piezoelemento è impedita la deformazione53 mediante l’accoppiamento a un mezzo di rigidità molto elevata (nella pratica per esempio le ganasce di una morsa, che impongono al piezoelemento stesso dimensioni costanti, come mostrato nella figura 2.21). Se, nelle citate condizioni di vincolo, è applicato un campo elettrico, esso dà origine per effetto piezoelettrico inverso a una tensione meccanica bilanciata dalle ganasce della morsa (che determina assenza di deformazione e, quindi, di contributo elastico). Per effetto dielettrico il campo dà anche origine alla polarizzazione P, legata a esso da suscettività dielettriche, che vanno intese misurate a deformazione costante (in particolare nulla). Le costanti piezoelettriche che legano il campo elettrico alla tensione meccanica sono diverse dal caso di cristallo libero54; si ha perciò una relazione del tipo Tj = − e ij E i
[2.17]
nella quale la costante e ha le dimensioni pari a C/m2. Riferendosi ancora all’effetto piezoelettrico diretto, se in assenza di campo elettrico si impone ora una deformazione S stabilita, essa dà origine a una polarizzazione P (per la quale non vi è contributo dielettrico) e a una tensione elastica T; questa è bilanciata dal vincolo che sta imponendo la deformazione ed è legata a essa dalla legge di Hooke, nella quale le rigidezze sono da intendersi misurate a campo elettrico costante (in particolare nullo). La polarizzazione è legata alla deformazione ancora da una legge lineare in cui compaiono le costanti eij secondo la Pi = e ij S j
[2.18]
Le costanti dij ed eij sono tra loro legate, tramite costanti elastiche, dalle e ij = d ih c hjE
d ij = e ih s hjE
[2.19]
dove compaiono le costanti di rigidità e cedevolezza misurate a campo elettrico costante55. 53
Cioè se esso è meccanicamente vincolato. Per il quarzo, per esempio, le costanti indipendenti sono due: e11 = 0,173 C/m2 e e14 = 0,04 C/m2. 55 Le costanti elastiche possono essere misurate anche in caso di polarizzazione costante (in particolare nulla) e in tal caso il piezoelemento si dice elettricamente vincolato. Questa condizione può essere ottenuta isolando il piezoelemento da tutti i conduttori, in modo che la polarizzazione dovuta alla tensione meccanica sia neutralizzata dal campo depolarizzante dovuto alla dislocazione delle cariche sulle superfici del dielettrico. 54
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Figura 2.22. Dislocazione di cariche sulle superfici A e A′ all’origine del vettore polarizzazione per effetto della deformazione imposta dalle ganasce della morsa.
Il caso descritto si presta a chiarire la condizione di cristallo elettricamente libero. La deformazione produce una distribuzione di carica superficiale ±σP sulle facce del piezoelemento, ove la sollecitazione è applicata, come si riconosce nella figura 2.22. Tale distribuzione di cariche dà luogo a una polarizzazione cui è associato il campo elettrico E0 , che a sua volta modifica, attraverso la suscettività dielettrica χ, la polarizzazione fino al suo valore finale. In definitiva, lo stato di polarizzazione interna, che nasce a partire dalla deformazione imposta al cristallo, non dipende esclusivamente da essa. Nella figura 2.23 è mostrato il meccanismo di generazione del campo elettrico E nel dielettrico sottoposto a sollecitazione T. Esso è dato dalla somma del vettore E0 , dovuto alle cariche superficiali di polarizzazione ±σP e del vettore E′, dovuto alle ulteriori cariche di polarizzazione prodotte nel dielettrico dal campo E0 stesso (secondo l’usuale meccanismo che si verifica una volta che un dielettrico sia inserito tra due armature56). Per annullare il campo elettrico netto E = E 0 + E′ (di intensità E = E 0–E′) che si manifesta all’interno del cristallo (e ottenere una condizione sperimentale corrispondente alle già citate condizioni di campo elettrico costante, in particolare nullo), le cariche sulle superfici A e A′ vengono eliminate cortocircuitando gli elettrodi, che divengono equipotenziali. In queste condizioni, si può affermare che la polarizzazione interna del cristallo è interamente dovuta al solo contributo della deformazione imposta S, che è quello che interessa poiché relativo al solo effetto piezoelettrico. La condizione sperimentale di campo elettrico costante (in particolare nullo) è indicata mediante il simbolo E ad apice della grandezza alla quale si riferisce; questa è la notazione qui adottata. La medesima notazione vale tra l’alS tro per le costanti dielettriche relative, indicate con il simbolo ε(r)ij quando misurate in condizioni di deformazione costante o impedita S = 0, e viceversa con
56 Si osservi che, nel caso descritto e illustrato nella figura 2.23b, le armature del condensatore non sono costituite dagli elettrodi posti a contatto con il piezoelemento ma il loro ruolo è svolto, nei confronti del volume interno di cristallo, dagli strati di cariche superficiali di polarizzazione ±σP.
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Figura 2.23. Generazione del campo elettrico per effetto diretto: (a) piezoelemento meccanicamente scarico e corrispondente campo elettrico nullo; (b) dislocazione di cariche all’interno del piezoelemento, dovute alla deformazione, e campo elettrico netto E, dovuto all’effetto piezoelettrico e all’effetto dielettrico; (c) elettrodi cortocircuitati e campo elettrico risultante E nullo.
il simbolo εT(r)ij quando misurate in condizioni di piezoelemento libero di dilatarsi senza alcun vincolo. Per tale motivo, le costanti εS e εT vengono spesso indicate nelle tabelle come costanti libere o vincolate; la loro conoscenza fornisce indicazioni essenziali per la progettazione e il dimensionamento dei piezoelementi per applicazioni ultrasonore; quando non specificato, la costante dielettrica è in genere misurata in condizioni di piezoelemento libero. La condizione di corto circuito è anche chiamata di cristallo elettricamente libero poiché l’assenza di cariche superficiali 57 fa sì che, se il cristallo viene meccanicamente compresso, la dislocazione di cariche all’interno dovute alla deformazione (e la polarizzazione che a esse compete) non viene alterata. In tali condizioni di assenza di contropolarizzazione prodotta dalle cariche superficiali viene, in genere, misurata la costante elastica del cristallo. La differenza tra i valori di εS e εT può essere di qualche punto percentuale, ma può accadere che essi differiscano anche per un fattore 2. Nel caso del niobato di litio (LiNbO3), per esempio, si ha εT11 = 74,3·10–11 F/m e εS11 = 38,9·10–11 F/m; differenze elevate tra le due costanti dielettriche sono comuni nelle piezoceramiche 58. L’opportunità che tale differenza sia più elevata possibile, emerge dall’osservazione della relazione59
(
εS = ε T 1 − k 2
)
[2.20]
nella quale compare una nuova costante k, detta fattore di accoppiamento elettromeccanico, che sarà esaminata nel seguito. Essa ha grande importanza nella fabbricazione, o nella scelta, di piezoelementi di elevate prestazioni come 57 Che può peraltro essere ottenuta anche lasciando trascorrere abbastanza tempo perché esse vengano neutralizzate da cariche libere presenti nello spazio circostante. 58 Nel quarzo, per campi elettrici paralleli all’asse X o all’asse Y, la differenza tra le costanti dielettriche vale 2d11e11+d14e14 (in generale si ha χTik = χSik+eijdjk) e perciò esso presenta nei suoi vari tagli valori non elevati del fattore di accoppiamento. 59 Si può consultare, per esempio, P.N.T. Wells (1977) Biomedical Ultrasonics. Academic Press, London.
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quelli utilizzati nei trasduttori degli ecotomografi: rappresenta, infatti, la misura dell’efficienza con la quale l’energia elettrica e meccanica si trasformano l’una nell’altra, all’interno del piezoelemento, per effetto piezoelettrico diretto e inverso, escludendo le perdite. Alla luce di questa prima definizione, si intuisce l’importanza di ottenere valori elevati del fattore di accoppiamento e dalla relazione [2.20] emerge il motivo per il quale è opportuno disporre di piezoelementi con un elevato valore di εT.
2.7.2 Le costanti d ed e Si consideri ancora il caso esemplificativo di una lamina di quarzo ottenuta con taglio X, mostrata nella figura 2.24. La lamina può essere sollecitata mediante compressione con forze uguali e contrarie nella direzione X, parallela allo spessore, oppure nella direzione Y, o infine lungo la direzione Z. Nel primo caso, le forze esercitano una pressione sulle facce di superficie maggiore A e la relazione [2.3], tenendo conto che P1 = Q1/A e T1 = F1/A, si trasforma, facendo riferimento al sistema ortogonale XYZ, nella60 Q1 = d11 F1
[2.21]
Il fatto che la forza F1, applicata lungo l’asse 1, faccia comparire sulla superficie A (Z0Y) a esso ortogonale la carica Q1 e su quella opposta la carica –Q1, è descritto dalla costante d11. Nel secondo caso la medesima lamina viene sollecitata da una forza F2 lungo l’asse 2 e le superfici della lamina assumono cariche di segno opposto rispetto al caso precedente in virtù del fatto che, come si è già avuto modo di stabilire 61, per la costante d12 risulta d12 = –d11. Nel caso infine di sollecitazione con una forza F3 lungo la direzione 3, coincidente con l’asse ottico, non si ha alcun effetto piezoelettrico, poiché le corrispondenti costanti sono tutte nulle. Dalla [2.21] si deduce che la costante piezoelettrica d ha il significato fisico di una carica raccolta su una superficie per unità di forza applicata, cioè di una sensibilità di carica. Nella pratica dell’impiego tecnologico della piezoelettricità, relazioni come la [2.3] e la [2.4] non possono essere direttamente applicate, poiché la grandezza misurabile generalmente utilizzata è la differenza di potenziale, a cui è sensibile, in particolare, la strumentazione elettronica che costituisce nel suo insieme un apparecchio ecografico. La ddp V1, resa disponibile per effetto dell’applicazione della forza F1 e misurabile sugli elettrodi posti sulle facce del cristallo ortogonali all’asse 1, vale V1 = Q1/C = d11F1/C; essa è cioè proporzionale alla forza applicata sulle medesime facce tramite il coefficiente d11/C. Per quanto attiene all’effetto piezoelettrico inverso, descritto dalla relazione [2.4],
60 Il segno della carica non è indicato; si ricordi che le sollecitazioni sono positive se sono sollecitazioni di trazione. 61 Si sta facendo riferimento alla matrice [2.9].
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Figura 2.24. Effetto piezoelettrico diretto. (a) Lamina di quarzo sollecitata mediante compressione in direzione 1 e polarizzazione in direzione 1. (b) Lamina di quarzo sollecitata mediante compressione in direzione 2 e polarizzazione in direzione 1.
poiché S1 = Δt/t e V1 = tE1, si può scrivere V1 = Δt/d11, per cui la V1 è la ddp che, imposta al cristallo, provoca la variazione di spessore Δt. Se il cristallo è libero, lo spostamento comprime il mezzo nel quale il piezoelemento è immerso, dando origine alla perturbazione sonora; nel seguito la V1 assumerà pertanto il nome di tensione di trasmissione Vt (la costante dij per questo motivo prende spesso il nome di costante di trasmissione). Viceversa, il comportamento di un piezoelemento nei riguardi di sollecitazioni esterne (come quella prodotta da un eco ultrasonoro) è denominata condizione di ricezione. Tali diverse condizioni sono indicate nello schema della figura 2.25. Effetto diretto Nella figura 2.25, il piezoelemento superiore rappresenta l’effetto diretto, per il quale le grandezze applicabili sono una tensione T (F/A) o una deformazione S (Δt/t). Una tensione meccanica come grandezza di ingresso rispecchia l’usuale condizione per cui un piezoelemento è investito da un’onda ultrasonora e ciò produce come grandezza in uscita la polarizzazione P; ciò si traduce nella già citata [2.3] (come già detto rigorosamente valida in condizione di piezoelemento elettricamente libero) che, con notazione matriciale compatta, si può porre nella forma P = d·T. Dal punto di vista del bilancio delle forze, la sollecitazione T è equilibrata, istante per istante, dalla reazione elastica opposta dal piezoelemento libero di deformarsi secondo l’usuale S = sE T. Diversa è la condizione sperimentale per l’applicazione di una deformazione S come grandezza di ingresso; questa infatti non può essere applicata se non per il tramite di una sollecitazione T, per cui occorrerà per esempio applicare una forza di serraggio al piezoelemento di spessore t tra le ganasce della morsa della figura 2.21 e imporre una deformazione S = Δt/t. La sollecitazione T e la deformazione S sono ovviamente al solito legate dalla legge di Hooke generalizzata T = cE S. Il fatto che S sia stata ottenuta per mezzo di una sollecitazione esterna diviene ininfluente nelle condizioni indicate, poiché la reazione
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Figura 2.25. Schema delle principali grandezze in gioco durante le fasi di trasmissione e ricezione nel piezoelemento libero e vincolato.
elastica del cristallo è di fatto equilibrata dalle ganasce della morsa. Naturalmente la carica superficiale così ottenuta dipende dall’entità di S e quindi, per il tramite della reazione elastica, dalla sollecitazione T. Pertanto il trasferimento dalla grandezza deformazione in ingresso alla grandezza polarizzazione in uscita è rappresentato dalla costante e, chiamata costante piezoelettrica di stress (piezoelectric stress constant), secondo l’equazione [2.18] che, con notazione matriciale compatta, si può porre nella forma P = e·S. La costante piezoelettrica di stress fornisce la misura della polarizzazione ottenibile per deformazione unitaria, ma è anche indicativa della capacità di un piezoelemento di sviluppare sforzi; le sue dimensioni possono esprimersi, oltre che in C/m2, anche in N/V·m. Effetto inverso Nella parte inferiore della figura 2.25 è rappresentato l’effetto inverso, nel quale vengono applicate al piezoelemento grandezze elettriche e si ottengono in uscita grandezze meccaniche. In particolare, si rileva la tensione T nel caso di deformazione impedita, poiché il piezoelemento serrato tra le ganasce della morsa sviluppa una forza che viene equilibrata dalla reazione vincolare; una deformazione S può invece manifestarsi liberamente nel caso di piezoelemento libero, rappresentabile come un pistone che premendo il mezzo circostante
Capitolo 2
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dà origine in esso a una perturbazione (per esempio l’onda ultrasonora). Questo secondo caso di effetto piezoelettrico inverso trova applicazione nella costruzione dei trasduttori per ecografia, poiché la deformazione S è la sorgente dell’onda ultrasonora; l’effetto piezoelettrico diretto è invece utilizzato, come già detto, per la ricezione degli ultrasuoni, che si manifestano come variazioni di pressione nel mezzo e applicano al piezoelemento una tensione T. Si è già rilevato come nell’effetto piezoelettrico inverso le costanti dij (di strain) ed eij (di stress) siano le medesime dell’effetto diretto. Nel caso di piezoelemento vincolato, un campo elettrico applicato E produce una dislocazione di cariche all’interno del dielettrico in quanto esse subiscono la forza F in modulo pari a qE; essendo imposta la lunghezza t e impedita la deformazione, tale forza è scaricata sulle ganasce della morsa. L’equazione che lega la grandezza in uscita T a quella in ingresso E è pertanto la [2.17], che con notazione matriciale compatta, si può porre nella forma T = –e·E, per cui si conferma il significato della costante e anche come indice della capacità di un piezoelemento di sviluppare sforzi. L’effetto piezoelettrico inverso con piezoelemento vincolato non trova applicazioni nella costruzione di sonde ecografiche, mentre viene utilizzato nel campo degli attuatori e cioè di quei dispositivi che sviluppano forze che devono essere note con grande accuratezza e finemente regolabili. L’effetto piezoelettrico inverso è invece utilizzato in ambito ecografico nel caso di cristallo non vincolato poiché, in tali condizioni, il piezoelemento agisce come generatore (con le medesime modalità di un altoparlante), con la deformazione S e il campo elettrico E legati dalla relazione [2.4], che riscritta in forma compatta risulta S = –d·E.
2.7.3 Le costanti g e h È stato osservato che il significato fisico della costante d è quello di una sensibilità di carica e che nell’impiego pratico risulta più utile una sensibilità in tensione elettrica, cioè un indice che esprima quale ddp è prelevabile dal piezoelemento quando una determinata forza, o una determinata pressione se ci si riferisce alla superficie, agisce su di esso. Tale tensione V1 = Q1/C deve essere prelevata dagli elettrodi che, unitamente al piezoelemento, costituiscono il condensatore di capacità C = ε0 εr A/t, di sezione A e altezza t, per cui si può scrivere V1 = d11F1t /εT11 A = g11p1t, utilizzando la pressione p1 e la nuova costante piezoelettrica g, che assume il nome di costante piezoelettrica in tensione (piezoelectric voltage constant) e ha le dimensioni [g] = Vm/N = m2/C. Essa assume spesso anche il nome di costante piezoelettrica di pressione, poiché è possibile ottenere per suo tramite la ddp messa a disposizione da un piezoelemento di dimensioni note per una data pressione applicata, nella fattispecie una pressione acustica; ciò giustifica per g l’ulteriore denominazione di costante piezoelettrica di ricezione. Essa è legata alla costante piezoelettrica d per mezzo della costante dielettrica, misurata in condizioni di sollecitazione costante, dalla seguente relazione:
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d ij = ε ihT g hj
· Ecotomografia [2.22]
Se il piezoelemento opera sia in trasmissione sia in ricezione è desiderabile che siano elevati i valori sia di g sia di d. In fase di trasmissione, quando il piezoelemento funziona da “motore”, è auspicabile ottenere elevate deformazioni per unità di tensione elettrica applicata e dunque disporre di una costante d di valore elevato; in fase di ricezione, quando il piezoelemento funziona da “generatore”, sono desiderabili elevati valori della costante g, che permettono di ottenere elevate ddp in risposta a sollecitazioni anche deboli. Peraltro è anche vantaggioso disporre di un elevato valore della costante dielettrica; infatti, come sarà chiarito nei capitoli successivi, il piezoelemento è connesso durante il suo funzionamento ad altri elementi (come i cavi), che possono considerarsi come capacità poste in parallelo rispetto a esso e che tendono, perciò, ad abbassare la ddp rilevabile in uscita; un’alta costante dielettrica del piezoelemento diminuisce l’intensità di tale effetto. Analoghe considerazioni possono farsi in condizioni di piezoelemento vincolato, per il quale si può scrivere, riguardo alla tensione elettrica, V1 = e11S1t/εS11 = h11S1t. La costante piezoelettrica h, che al pari di g rappresenta una sensibilità in tensione, è legata alla costante e dalla relazione e ij = ε ihS h hj
[2.23]
e assume anch’essa il nome di costante piezoelettrica di stress. A conclusione di questi brevi cenni sulle costanti piezoelettriche, si osserva che, utilizzando le costanti g e h, si possono scrivere per l’effetto diretto rispettivamente le relazioni, qui riportate in forma compatta E = − g⋅T
E = − h⋅ S
[2.24]
che valgono rigorosamente in condizioni di spostamento elettrico nullo62. L’applicazione di una tensione T a un piezoelemento meccanicamente libero comporta, oltre all’effetto piezoelettrico descritto dalla prima delle relazioni [2.24], anche una deformazione elastica, legata alla tensione T da costanti di cedevolezza sijD, misurate a spostamento dielettrico costante. Analogamente l’applicazione di una deformazione comporta, oltre all’effetto piezoelettrico descritto dalla seconda delle relazioni [2.24], anche la comparsa di una tensione T (sul vincolo) legata alla deformazione da rigidezze sDij . Per quanto riguarda l’effetto inverso, si può scrivere per un elemento meccanicamente libero e vincolato, rispettivamente:
62 Per i dettagli relativi alle differenti condizioni al contorno, si può consultare W. Cady (1964) Piezoelectricity - An introduction to the theory and applications of electromechanical phenomena in crystals. Dover Publications, New York.
Capitolo 2
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S = g⋅D
T = − h⋅D
[2.25]
Nella pratica, le costanti g e d sono applicabili a corpi vibranti senza vincolo laterale, mentre le costanti h ed e sono direttamente applicabili ai corpi vibranti lateralmente vincolati.
2.7.4 Il fattore di accoppiamento elettromeccanico k Come si è avuto modo di accennare, il fattore di accoppiamento elettromeccanico k rappresenta in qualche modo un fattore di merito adatto a rappresentare la bontà delle prestazioni di un piezoelemento, soprattutto per quanto riguarda la sua attitudine a oscillare in maniera prevalente in una determinata direzione. Esso esprime il fatto che un materiale piezoelettrico trasforma solo una certa frazione k2 dell’energia elettrica (o viceversa meccanica) applicata in energia meccanica (o viceversa elettrica) disponibile sulla sua superficie; il valore di tale frazione è compreso nell’intervallo 0 ≤ k <1. Esistono varie definizioni per tale parametro, sia nella letteratura scientifica, sia nella documentazione tecnica fornita dai produttori. In quella qui riportata è più evidente il significato fisico. Detta U l’energia fornita e Ur l’energia raccolta, i fattori elettromeccanici, rispettivamente per effetto inverso e per effetto diretto, sono definiti dai rapporti k 2inverso = U r, meccanica U elettrica
k d2iretto = U r,elettrica U meccanica
[2.26]
Nelle definizioni non compaiono esplicitamente i pedici i e j per semplicità di notazione, ma va sempre tenuto presente che, a seconda del tipo di cristallo63 o del taglio con cui esso è ricavato, si ottiene una risposta nella generica direzione j a una sollecitazione applicata nella generica direzione i. Pertanto nelle tabelle viene fornito, per le diverse configurazioni geometriche e le diverse caratteristiche del cristallo, il fattore piezoelettrico k2ij il cui valore dipende anche dalle condizioni di vincolo elastico ed elettrico. Si consideri per esempio il fatto che i piezoelementi utilizzati nel trasduttore per ecografia possono essere assunti, in prima approssimazione 64, come liberi di deformarsi per entrambe le fasi di ricezione e trasmissione. Infatti, come viene riferito nei capitoli seguenti, in fase di trasmissione un impulso elettrico produce oscillazioni meccaniche libere, alla frequenza naturale del piezoelemento; in fase di ricezione,
63
In realtà ciò si applica anche alle piezoceramiche, per le quali però i possibili accoppiamenti tra le generiche direzioni sono molto più limitate in numero, poiché ciascuna di esse viene progettata e prodotta in modo da fornire per quanto possibile quel determinato modo di vibrare. 64 Ai fini del punto qui affrontato, non si prendono in considerazione tutti i complessi aspetti tecnologici per i quali le condizioni al contorno, meccaniche ed elettriche, per il piezoelemento non sono modellabili in maniera semplice.
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invece, un impulso meccanico dovuto a un eco ultrasonoro produce oscillazioni della ddp prelevabile agli elettrodi del piezoelemento. Come è illustrato nel seguito per le piezoceramiche, con riferimento alla loro matrice piezoelettrica e a forme geometriche e modalità di eccitazione tipiche dei trasduttori attualmente utilizzati, le relazioni [2.26] si traducono in particolari combinazioni delle costanti elastiche, dielettriche e piezoelettriche (poiché esse compaiono nelle espressioni relative alle rispettive forme di energia). Senza entrare in dettagli non necessari, può essere utile aggiungere qualche ulteriore considerazione. Con riferimento all’effetto inverso, l’energia immagazzinata a causa della deformazione meccanica può essere valutata misurando l’energia elettrica fornita in condizioni di cristallo libero per ottenere tale deformazione e sottraendo da essa la misura dell’energia elettrica fornita in condizioni di cristallo vincolato, necessaria per caricare il cristallo come nella situazione precedente, essendo quest’ultima solo energia di campo elettrico. Viceversa, con riferimento all’effetto diretto, l’energia elettrica immagazzinata può essere valutata come differenza tra l’energia meccanica fornita necessaria per produrla e quella fornita in condizioni di cristallo elettricamente libero (elettrodi cortocircuitati) fino a che non si sia ottenuta la stessa deformazione. Da tali considerazioni si chiarisce il legame espresso dall’equazione [2.20]. Il fattore k appena descritto si specifica nel cosiddetto kmat, cioè relativo al materiale piezoelettrico in sé. I diversi kij del materiale si riferiscono a un corpo piezoelettrico nel quale la deformazione sia uniforme; ciascuno di essi può essere calcolato per particolari geometrie, per così dire adatte, e per determinate condizioni di vincolo elettrico e meccanico. Il cosiddetto fattore di accoppiamento effettivo, denominato keff , si riferisce invece a un corpo piezoelettrico deformato non uniformemente e soprattutto a un piezoelemento considerato come corpo risonante. Mentre nel caso di piezoelemento non in condizioni di risonanza l’energia elastica è uniforme e non altrimenti impegnata, nel corpo risonante non tutta l’energia elastica è immagazzinata e accoppiata tramite dielettrico, poiché in esso esistono onde stazionarie. La geometria del piezoelemento influenza fortemente il fattore di accoppiamento effettivo. Un corpo con una determinata geometria può entrare in risonanza in diversi modi, in relazione al numero intero di lunghezze d’onda costituenti le onde stazionarie contenute tra le superfici che delimitano il cristallo. Le dimensioni e la forma del piezoelemento definiscono il modo di vibrare, con riferimento alle coordinate X, Y e Z solidali al cristallo, e cioè definiscono tra quali coppie di facce si stabilisce la vibrazione fondamentale e quali sono le altre direzioni di oscillazione. Nella dinamica del piezoelemento come oscillatore elettromeccanico 65, è necessario fare riferimento al fattore di accoppiamento keff, che tiene conto del fatto che raramente un piezoelemento oscilla in una sola direzione e che ciò diminuisce l’efficienza dello scambio di energia elettromeccanica nella direzione di interesse (che è quella lungo la quale si
65
Per il quale si hanno perciò i relativi fattori kij in regime dinamico.
Capitolo 2
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desidera produrre lo spostamento Δtt in trasmissione e lungo la quale si abbia in ricezione uno spostamento Δtr contenente le informazioni necessarie alla costruzione dell’immagine). L’energia viene ripartita in numerosi modi vibratori e tale dispersione rispetto alla direzione “utile” prescinde in questa analisi dai fenomeni dissipativi. Si può dimostrare che il fattore di accoppiamento effettivo keff dedotto dal comportamento dinamico del piezoelemento e che tiene conto di tutti i modi di vibrare del cristallo contemporaneamente presenti e delle armoniche superiori, è valutato mediante la relazione 2 k eff = ⎡⎣ f02p − f02s ⎤⎦ f 02p
[2.27]
nella quale compaiono la frequenza risonante serie f0s e la frequenza risonante parallelo f0p, le cui origini e definizioni sono oggetto dei capitoli seguenti. Dal valore di k2eff dipende il dimensionamento elettrico dei filtri e la banda passante della catena elettronica di amplificazione dell’ecografo.
2.8 Le ceramiche piezoelettriche 2.8.1 Generalità Le ceramiche sono costituite essenzialmente di argille, cioè da materiale finemente disperso con particelle di dimensioni dell’ordine del micrometro. Il costituente base è il caolino (silicato idrato di alluminio Al2SiO3(OH)4), insieme al quale si trovano altri minerali, in particolare ossidi di titanio, ferro e bismuto, in forme cristalline o parzialmente cristalline. A temperatura ambiente si può ottenere una massa plastica modellabile che, mediante idoneo trattamento termico di cottura (l’originario significato del termine greco κ ε´ραμος è terra da ardere, terra cotta) si trasforma in un materiale duro e fragile (tipico di oggetti di uso corrente: ceramiche, terrecotte, maioliche, grès, porcellane ecc.). Basandosi su tali caratteristiche, sono state fabbricate ceramiche utilizzando come costituenti ossidi metallici che manifestano proprietà piezoelettriche. La prima piezoceramica sviluppata (1950) era costituita da titanato di bario (BaTiO3), ossido ferroelettrico, cioè in grado di mantenere una polarizzazione residua anche dopo la rimozione del campo elettrico esterno. Questa proprietà è analoga a quella dei materiali ferromagnetici, che manifestano un campo magnetico macroscopico in virtù del fatto che le zone di Weiss di cui sono costituiti presentano un orientamento preferenziale in una determinata direzione. I materiali ferroelettrici, a somiglianza di quelli ferromagnetici, sono costituiti da zone o domini composti di cristalli non centrosimmetrici, ciascuno dei quali mostra una polarizzazione secondo una determinata direzione. A temperatura ambiente BaTiO3 presenta una struttura cubica: ciascun vertice del cubo è occupato da atomi di bario; all’interno del cubo si riconoscono due tetraedri con una faccia in comune, sui vertici dei quali sono posti sei atomi di
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Figura 2.26. Molecola di BaTiO3. (a) Struttura relativa a temperature inferiori alla temperatura di Curie: l’atomo di titanio è in posizione non centrosimmetrica, corrispondente a uno stato di polarizzazione naturale. (b) Struttura relativa a temperature superiori: l’atomo di titanio si trova in posizione centrosimmetrica, corrispondente a uno stato di polarizzazione nulla. (c) Vista laterale della cella elementare di BaTiO3, per temperature inferiori alla temperatura di Curie, con dettaglio della posizione non centrosimmetrica dell’atomo di titanio.
ossigeno; sulla verticale di due vertici opposti, non giacente sulle basi coincidenti dei due tetraedri, è posto un atomo di titanio (figura 2.26a). La posizione degli atomi della struttura vista da una direzione ortogonale alla faccia rivolta verso l’osservatore è mostrata nella figura 2.26c, dove si riconosce che, rispetto alla posizione centrale (evidenziata nella figura 2.26b), l’atomo di titanio è spostato verso l’alto di 0,12 Å; in virtù di questo spostamento nasce una polarizzazione naturale. Se dalla temperatura ambiente il cristallo si porta al di sopra di una determinata temperatura critica, detta temperatura di Curie (che per il titanato di bario è di circa 130 °C), il cristallo assume l’aspetto della figura 2.26b (in cui l’atomo di titanio si sposta verso il basso occupando la posizione centrata) e divenendo centrosimmetrico perde la sua polarizzazione. Un insieme di cristalli che hanno un medesimo orientamento del momento di dipolo forma una regione di allineamento locale chiamata dominio ferroelettrico. Poiché all’interno della ceramica i domini assumono orientamento casuale, non si manifesta all’esterno alcun momento di dipolo risultante (si faccia riferimento all’origine degli assi nella figura 2.27b). Affinché si abbia un momento di dipolo risultante non nullo, è necessario orientare i domini lungo una direzione prevalente. Ciò si ottiene applicando alla piastrina di ceramica due strati metallizzati, che costituiscono gli elettrodi, e alimentandoli con una tensione continua dell’ordine del kV, in modo che la ceramica sia esposta a un campo elettrico che di solito viene scelto nell’intervallo 1÷4 MV/m. Il campo viene mantenuto sia mentre la ceramica viene riscaldata fino a una temperatura di poco inferiore alla temperatura di Curie, sia mentre la ceramica si raffredda lentamente fino alla temperatura ambiente.
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Attraverso tale trattamento di polarizzazione (poling), i domini con i dipoli elementari già allineati al campo esterno si estendono a spese degli altri e i dipoli vengono mediamente orientati nella direzione e nel verso del campo polarizzante. Al termine del raffreddamento, raggiunta la temperatura ambiente, il campo elettrico viene soppresso e la maggior parte dei dipoli rimane bloccata nella nuova configurazione, con un dipolo risultante residuo che determina uno stato di polarizzazione permanente: la ceramica è divenuta una piezoceramica; l’aspetto della nuova configurazione è mostrato nella figura 2.27b. Sebbene nelle ceramiche la polarizzazione sia meno intensa che nel cristallo singolo, esse presentano alcuni vantaggi: – sono più semplici da costruire, specialmente in grandi dimensioni o in grandi quantità; – la composizione chimica può essere facilmente variata (si tratta in realtà di soluzioni solide) in funzione delle prestazioni richieste; – possiedono elevata resistenza meccanica; – si possono foggiare in forme diverse prima della sinterizzazione; – non vi è necessità di controllare o verificare l’orientamento dei cristalli, poiché la polarizzazione avviene nella fase finale del processo. Rispetto ai cristalli piezoelettrici non ferroelettrici, le ceramiche presentano valori più elevati di permettività e di fattore di accoppiamento k. Dell’importanza di quest’ultimo fattore si è già trattato (vedi par. 2.7.4). Un’elevata permettività assume grande rilevanza nei trasduttori utilizzati per convertire in segnali elettrici sollecitazioni meccaniche e deformazioni, specialmente quando il limite alle basse frequenze è determinato dall’impedenza (elettrica) di uscita, interamente proporzionale alla permettività. Valori tipici per le permettività delle ceramiche ferroelettriche alla temperatura ambiente sono compresi nell’intervallo 500÷2000 C/V·m. Tutte queste caratteristiche rendono le ceramiche piezoelettriche particolarmente idonee alla costruzione di trasduttori per impiego clinico nell’ecotomografia. La polarizzazione spontanea è espressa dal valore del momento di dipolo per unità di volume, o dalla carica per unità di superficie perpendicolare alla direzione della polarizzazione stessa, che è normalmente parallela a un determinato asse del cristallo; essa si manifesta solo in 10 delle 21 classi di cristalli senza centro di simmetria66 e la sua intensità dipende dalla temperatura (è il fenomeno definito piroelettricità da Brewster, vedi p. 46). Se si indica con p una costante piroelettrica67, con PS la polarizzazione spontanea e con ΔT l’incremento di temperatura, la piroelettricità può sintetizzarsi nell’espressione ΔPS = pΔT. Il titanato di bario è un cristallo piroelettrico con costante p negativa, per cui al crescere della temperatura, il valore della polarizzazione PS decresce fino a PS = 0 in corrispondenza della temperatura di Curie (130 °C).
66
In particolare quelle che possiedono un unico asse polare. Si può porre in generale pi = ∂Psi/∂T dove la variazione differenziale è da intendersi calcolata a tensione meccanica Tj e a campo elettrico Ei entrambi nulli.
67
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Figura 2.27. Ceramica piezoelettrica. (a) Ciclo di isteresi: la polarizzazione aumenta con il campo elettrico imposto; per campi dell’ordine dei kV/m la polarizzazione raggiunge il valore di saturazione Psat; al diminuire del campo E la polarizzazione diminuisce, raggiungendo il valore nullo non in corrispondenza del campo elettrico nullo, per il quale assume il valore PR, detto di polarizzazione residua, ma in corrispondenza di un campo EC opposto al precedente e detto campo elettrico coercitivo; l’entità del campo coercitivo dipende dal tipo di materiale. (b) Meccanismi microscopici di polarizzazione per intensità crescente del campo esterno di una ceramica sottoposta a un trattamento di poling: in assenza del campo i domini sono orientati casualmente in tutte le direzioni, mentre per basse intensità del campo esterno il movimento dei cosiddetti muri di Bloch estende i domini con i dipoli elementari allineati con esso a spese degli altri; per intensità maggiori i dipoli vengono mediamente orientati nella direzione e nel verso del campo polarizzante, finché il processo di allineamento è completato e a un ulteriore aumento dell’intensità del campo esterno non corrisponde alcun effetto sull’intensità della polarizzazione.
Tra i materiali piroelettrici alcuni materiali manifestano il fenomeno della ferroelettricità per il quale il verso della polarizzazione spontanea PS può essere invertito applicando un campo elettrico opposto. L’inversione della polarizzazione può riconoscersi misurando l’isteresi ferroelettrica. In un cristallo ferroelettrico, mano a mano che viene incrementata l’intensità del campo elettrico, i domini iniziano ad allinearsi nella direzione positiva mentre cresce rapidamente la polarizzazione, come illustrato nella figura 2.27a, nella cui didascalia è descritto l’intero processo. A un certo livello elevato di campo elettrico, la polarizzazione P raggiunge il valore di saturazione Psat. Quando il campo ritorna a zero, alcuni domini rimangono allineati e pertanto il cristallo è sede di una polarizzazione residua PR; la polarizzazione non si annulla fino a quando l’intensità del campo esterno non raggiunge il valore EC , che assume il nome di campo coercitivo. Se il campo viene ulteriormente incrementato verso valori negativi, la polarizzazione raggiunge la saturazione negativa. Quindi, una diminuzione del campo elettrico fino a zero, una nuova inversione di esso e il successivo incremento
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verso valori positivi realizzano la chiusura del ciclo di isteresi. Per il BaTiO3 il valore di Psat a 23 °C è di 0,26 C/m2 mentre il valore di PR è di 0,2 C/m2 per una ceramica monocristallina68. La stabilità della polarizzazione residua è strettamente legata al valore del campo EC . Nel BaTiO3, come peraltro si verifica in altre ceramiche, la polarizzazione residua può decrescere nel tempo, analogamente a quanto si verifica nei materiali ferromagnetici. Per incrementare la stabilità della polarizzazione, vengono introdotte delle impurità nell’impasto delle ceramiche al fine di bloccare le zone ferroelettriche.
2.8.2 Comportamento piezoelettrico delle ceramiche Dal punto di vista piezoelettrico, le piezoceramiche si comportano come i cristalli naturali, con la differenza che in esse esiste una direzione particolare, che è quella lungo la quale la ceramica è stata polarizzata. Questa direzione è assunta per convenzione come asse Z del sistema di assi di riferimento descritto nei paragrafi precedenti, ove gli assi X, Y e Z sono rappresentati nelle costanti piezoelettriche con i pedici 1, 2 e 3, mentre i pedici 4, 5 e 6 rappresentano le sollecitazioni di taglio rispettivamente attorno agli assi 1, 2 e 3. Esiste pertanto una simmetria polare per la quale gli assi 1 e 2 sono identici; per semplicità di rappresentazione, dunque, nelle ceramiche ci si riferisce abitualmente solo alle direzioni 1 e 3, mentre le costanti piezoelettriche sono rappresentate, al pari di quanto stabilito per i cristalli, con due indici: il primo rappresenta la direzione elettrica, il secondo la direzione meccanica. A causa dell’unicità della direzione di polarizzazione, un campo elettrico applicato a un piezolemento ceramico nella direzione 3 (cioè nella medesima direzione lungo la quale è stato polarizzato), avrà come effetto un allungamento lungo la direzione 3 e una contrazione in tutte le direzioni a essa perpendicolari, mentre un campo elettrico opposto al precedente avrà come effetto una contrazione nella direzione 3 e un’espansione in tutte le direzioni a essa ortogonali. Queste deformazioni permangono fino a quando permane l’applicazione del campo elettrico. La matrice delle costanti piezoelettriche dij per le ceramiche è la matrice [2.28]69, nella quale le costanti non nulle sono cinque, mentre quelle indipendenti tra loro sono tre, di cui giova ripetere il significato:
0 0 0 0 0 0 d 31 d 32=331 d 33
68
0 d 24=15
d15 0
0 0
0
0
0
[2.28]
Per ceramiche policristalline la polarizzazione residua varia tra 0,02 e 0,08 C/m2. Per quanto riguarda la matrice delle costanti elastiche per le ceramiche PZT, si ha s22 = s11, s33, s12 , s23 = s13, s44, s66 = 2(s11–s12); le permettività dielettriche sono ε22 = ε11, ε33. 69
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La costante d33 rappresenta sia la polarizzazione, indotta lungo la direzione 3, per unità di sollecitazione applicata nella stessa direzione, sia la deformazione per unità di campo elettrico applicato ancora nella direzione 3. La costante d32 rappresenta sia la polarizzazione, indotta lungo la direzione 3, per unità di sollecitazione applicata nella direzione 2, sia la deformazione, indotta lungo tale asse, per unità di campo elettrico applicato nella direzione 3. Si nota che in questo caso è d32 = d31. La costante d31, a sua volta, rappresenta la polarizzazione lungo la direzione 3, per unità di sollecitazione applicata nella direzione 1, oppure la deformazione lungo tale direzione, per unità di campo elettrico applicato nella direzione 3. La costante d15 rappresenta la polarizzazione, indotta lungo l’asse X, per unità di sforzo di taglio con asse parallelo all’asse Y, e parimenti la deformazione di taglio (modo di shear sul piano XZ), per unità di campo elettrico applicato parallelo all’asse X. Infine d24 rappresenta sia la polarizzazione lungo l’asse Y per unità di sforzo di taglio con asse parallelo all’asse X, sia la deformazione di taglio (modo di shear sul piano YZ) per unità di campo elettrico applicato parallelo all’asse Y. Si nota che in questo caso è d24 = d15. Assieme alle costanti dij, e con le medesime modalità e convenzioni per gli indici, si definiscono tutte le altre grandezze caratteristiche della piezoelettricità che, applicate al caso delle ceramiche piezoelettriche si riducono agli indici ij = 31, 33 e 15. Al fine di stabilire il valore numerico di alcune grandezze, come le costanti e oppure g, o il fattore di accoppiamento elettromeccanico k, si può far riferimento alle tabelle riportate nella diffusa letteratura tecnica. Un particolare commento richiede il fattore di accoppiamento elettromeccanico k, per l’importanza che esso riveste nell’individuazione dei diversi modi di vibrare dei piezoelementi, a seconda delle loro forme geometriche e dimensioni, in rapporto alla direzione di polarizzazione. I valori riportati nella documentazione tecnica (data sheet) fornita dai costruttori di ceramiche piezoelettriche sono generalmente valori massimi teorici. Tipicamente le ceramiche possono convertire dal 30 al 75 per cento dell’energia a esse fornita, in forma elettrica o meccanica, a seconda degli elementi costituenti la ceramica stessa e dalla direzione delle forze coinvolte. Un alto valore di k è generalmente desiderabile per avere alta efficienza nella conversione di energia, ricordando peraltro che non sono comprese in questo parametro né le perdite elettriche, né quelle meccaniche; in un elemento ben progettato e costruito, l’efficienza può raggiungere valori anche superiori al 90 per cento.
2.8.3 Geometria e modi di vibrare Si è più volte accennato al fatto che nella progettazione di un piezoelemento che consenta di realizzare le migliori prestazioni, sia in condizioni di ricezione sia in condizioni di generazione di un’onda ultrasonora (come nel caso delle sonde ecografiche), occorre conoscere il comportamento dinamico del piezoelemento, cioè la sua attitudine a oscillare prevalentemente in una determinata direzione. Nelle condizioni di normale applicazione, è auspicabile che il piezoelemento (naturale o ceramico) vibri in un’unica direzione: questa vibra-
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zione è detta modo fondamentale. Solo per particolari geometrie è possibile eliminare le armoniche superiori della frequenza fondamentale e ottenere inoltre un’unica direzione di vibrazione, rendendo in definitiva kmat = keff . Tali geometrie particolari, per determinate condizioni di vincolo (il criterio è quello di rendere uniforme lo stress in condizioni di risonanza e antirisonanza), sono così utilizzate per caratterizzare il materiale piezoelettrico, poiché mediante misure del keff è possibile risalire alle varie costanti elastiche, dielettriche e piezoelettriche. Se, come usualmente si verifica, keff ≠ kij, il piezoelemento vibra anche in altre direzioni e si stabiliscono al suo interno modi spuri, che possono causare artefatti nella riproduzione delle immagini, oltre a provocare perdite di energia, cui corrisponde in ultima analisi un incremento di temperatura che va evitato. Il modo principale di vibrazione è strettamente correlato alla geometria del piezoelemento e tale correlazione viene presentata facendo uso di convenzioni specifiche del campo delle piezoceramiche. Così come stabilito per i possibili tagli del quarzo, relativamente a una barra a sezione rettangolare, le tre dimensioni lunghezza, larghezza e spessore per geometrie non circolari sono indicate rispettivamente con l, w e t; per geometrie circolari, le dimensioni che caratterizzano i dischi sono il diametro d e lo spessore t, mentre il diametro d e la lunghezza l caratterizzano i cilindri allungati (rod). L’asse Z (asse 3) del sistema di riferimento della piezoceramica è parallelo alla direzione di polarizzazione, indipendentemente dall’aspetto geometrico del piezoelemento (cioè dai rapporti relativi tra le dimensioni). In relazione ai rapporti reciproci tra le dimensioni, si possono sommariamente classificare i più importanti modi di vibrare come segue. Quando la larghezza w e la lunghezza l sono molto maggiori dello spessore t, si ha un modo di vibrare denominato plate mode, mentre nel caso di cilindri se lo spessore t è minore del diametro (t<0,2d) si ha il cosiddetto disc mode; se la lunghezza l è molto maggiore dello spessore t e della larghezza w e la larghezza w è maggiore dello spessore t, si ha un modo di vibrare denominato beam plate mode; nel caso in cui la lunghezza l sia molto maggiore dello spessore t e della larghezza w si ha il cosiddetto bar mode, mentre nel caso di cilindri se la lunghezza è maggiore del diametro (l>3d) si ha il cosiddetto rod mode. Nei casi citati gli elettrodi del piezoelemento sono applicati su facce perpendicolari all’asse Z di polarizzazione residua, permettendo per esempio vibrazioni estensionali lungo lo spessore (thickness mode)70 o estensionali nelle altre due direzioni (length or width transversal mode e planar mode); gli elettrodi possono anche venire applicati parallelamente alla direzione della polarizzazione permanente (per esempio per ottenere i cosiddetti shear mode). Le modalità di vibrazio-
70 Nella letteratura cui si riferiscono le case costruttrici di trasduttori per ecotomografia è indicato con la dizione thickness mode l’oscillazione lungo la direzione di applicazione del campo elettrico: in questo caso, per un piezoelemento rettangolare, come quelli che costituiscono le sonde a schiera (vedi cap. 8), il lato corto deve avere dimensioni inferiori al 70 per cento della distanza tra i due elettrodi. In proposito vedi, per esempio, N. De Jong, J. Souquet, G. Faber, N. Bom (1985) Transducers in medical ultrasound: part two. Vibration modes, matching layers and grating lobes. Ultrasonics, 23: 176-182.
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Figura 2.28. Condizioni di vincolo ed eccitazione delle più diffuse geometrie di piezoceramiche e relativi modi di vibrazione.
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ne elencate sopra in maniera del tutto generale, richiedono una maggiore specificazione, soprattutto per quanto riguarda il tipo di sollecitazioni meccaniche applicate e le modalità di applicazione del campo elettrico, relativamente al tipo di deformazione del piezoelemento. Nel seguito vengono sintetizzate le più diffuse modalità di impiego dei piezoelementi ceramici. Nella figura 2.28 vengono riportate alcune tra le principali configurazioni geometriche dei pie-
Tabella 2.3. Caratterizzazione elettromeccanica e fattori di accoppiamento per i piezoelementi della tabella 2.2 Fattore di accoppiamento del materiale
k l31 =
d 31 s11E ε 33T
Condizioni elastiche al contorno
Elemento risuonatore
Condizioni elettriche al contorno
Tutte le componenti di sollecitazione sono nulle, eccetto per T1
Piastra con E costante lunghezza alla fS perpendicolare a Z, spessore parallelo a Z
Tutte le Barra E costante componenti di affusolata alla fS s d 33 − d sollecitazione con larghezza s w sono nulle, parallela a Z k 33 = 2 2 ⎛ T d 31 ⎞ ⎛ E s13E ⎞ eccetto per T1 e ⎜ ε 33 − s E ⎟ ⎜ s33 − s E ⎟ T3; componente ⎝ 11 ⎠ ⎝ 11 ⎠ di deformazione S1 = 0 E 13 31 E 11
k l33 =
kP =
d 33 E T s33 ε 33
k 31 2 ⎛ s12 ⎞ ⎜⎝ 1 + s ⎟⎠ 11
t k t = k 33 =
k15 =
Tutte le componenti di sollecitazione sono nulle, eccetto per T3
e 33 S c D33ε 33
e15 S c D44ε 33
Modo risuonante LEt Espansione longitudinale in length, campo elettrico trasversale LEp Espansione longitudinale in width, campo elettrico parallelo
Barra o cilindro con lunghezza parallela a Z
E costante alla fS
LEP Espansione longitudinale in length, campo elettrico parallelo
Tutte le Disco con componenti di spessore sollecitazione parallelo a Z sono nulle, eccetto T1 = T2
E costante alla fS
PEt Espansione planare, campo elettrico trasversale in thickness
Tutte le componenti di deformazione sono nulle, eccetto per S3
Piastra o disco con spessore parallelo a Z
D costante alla fP
TEp Espansione in thickness, campo elettrico parallelo
Tutte le Piastra con componenti di Z nel piano deformazione della piastra sono nulle, eccetto per S3
D costante alla fP
TSt Taglio in thickness, campo elettrico in thickness
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Figura 2.29. Rapporto kmat/keff. Andamenti in funzione di keff per diversi modi di vibrazione: kp per il disco, k31 e k33 per la barra, kt e k15 per la piastra. Modificata, con autorizzazione, da H. Jaffe, D. A. Berlincourt (1965) Piezoelectric Transducer Materials. Proceedings of IEEE 53; 10. © 1965 IEEE.
zoelementi, utilizzate per realizzare i modi di vibrazione desiderati 71 (di cui è annotata la sigla descrittiva); sono inoltre illustrate le relative modalità di sollecitazione elettrica e meccanica ed è indicato il corrispondente fattore di accoppiamento elettromeccanico, il cui valore è riportato nella successiva tabella 2.3. In questa tabella i kmat sono riferiti alle condizioni di sollecitazione e di vincolo elastico, alle condizioni di vincolo elettrico72 e infine al corrispondente modo di vibrare, per i piezoelementi illustrati nella figura 2.28. Nella tabella compare il coefficiente kp che si riferisce all’accoppiamento elettromeccanico relativo alle due direzioni X e Y, complanari e perpendicolari a un campo elettrico applicato parallelo allo spessore di una lastra o di un disco; se sussiste isotropia nel piano, l’espansione parallela a esso è libera da accoppiamenti indesiderati con altri modi di vibrare e ciò è di notevole importanza pratica, poiché permette una valutazione immediata delle proprietà delle ceramiche piezoelettriche fabbricate in forma di piccoli dischi sottili. In merito alla relazione tra kmat e keff , dal grafico della figura 2.29, si osserva che è sempre keff < kmat per tutti i fattori di accoppiamento, con una differenza
71 Le denominazioni utilizzate in questo testo per le geometrie dei piezoelementi e per i modi di vibrazione sono abbastanza diffuse nella letteratura tecnica, che riporta però anche tipi diversi di denominazione e di convenzioni (in alcuni articoli, per esempio, è adottata la convenzione secondo la quale lo spessore t e la direzione 3 coincidono). 72 In tabella è riportata la condizione di spostamento elettrico D costante, che non è stata precedentemente citata poiché si è sempre fatto uso della grandezza polarizzazione P. Posto che per i materiali ferroelettrici la costante dielettrica è così grande che le due grandezze tendono ad assumere lo stesso valore numerico, per tutte le considerazioni riguardanti le diverse formulazioni della teoria della piezoelettricità il lettore può riferirsi alla letteratura specializzata.
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che può essere anche dell’ordine del 10 per cento. Dall’osservazione degli andamenti riportati in figura emergono considerazioni importanti dal punto di vista della scelta del piezoelemento: in particolare che, poiché k t è preferibile rispetto a kp, è conveniente costruire piezoelementi che oscillino in thickness mode piuttosto che in plate mode; dal momento che, a parità di keff , il kt se ne discosta meno rispetto al fattore kp. I fattori di accoppiamento possono raggiungere valori di circa 0,9 per alcune ceramiche piezoelettriche; sono dell’ordine di 0,3÷0,4 per alcuni piezoelementi naturali, mentre per il quarzo l’ordine di grandezza è pari a 0,1 (per tale motivo il quarzo non viene utilizzato, come già ricordato, per la produzione di onde ultrasonore nei sistemi ecotomografici).
2.8.4 Componenti dei piezoelementi ceramici Come si è visto, le ceramiche sono costituite da miscele di ossidi metallici e possono essere modellate, prima che la loro forma sia stabilizzata mediante particolari trattamenti ad alta temperatura. Le ceramiche piezoelettriche sono miscele di materiali caratterizzati da strutture cristalline, dette perovskitiche, simili a quella presentata nella figura 2.26. I materiali più utilizzati sono: il titanato di calcio CaTiO3 , il titanato di bario BaTiO3 , il titanato di piombo PbTiO3 , nonché il titanato-zirconato di piombo Pb(TiZr)O3 . Differenti proporzioni degli ossidi metallici componenti corrispondono alle varie ceramiche PZT (piombo-zirconio-titanio), di cui esistono diverse famiglie (PZT4, PZT5A, PZT5H 73, solo per citarne alcune). Queste famiglie di ceramiche possiedono valori molto elevati delle costanti dielettriche e piezoelettriche e offrono la possibilità di progettare piezoelementi con caratteristiche specifiche, in funzione delle prestazioni richieste. Ciò viene di norma ottenuto mediante drogaggio con ioni. La formula più generale dei PZT è del tipo Pb(Ti(1-x)Zrx)O3; le caratteristiche piezoelettriche cambiano notevolmente al variare di x. Le ceramiche PZT sono soluzioni binarie solide di PbZrO3, non ferroelettrico e a struttura ortorombica, e di PbTiO3, ferroelettrico a struttura tetragonale di perovskite: la struttura è quindi di tipo perovskitico, con uno ione Ti4+ o Zr4+ (ma possono essere anche altri ioni, come Sn, Nb ecc.) che occupa la zona centrale del cubo in modo casuale. Mentre ad alte temperature PZT ha la struttura cubica della perovskite ed è paraelettrico, raffreddato al di sotto della soglia di Curie (rappresentata nella figura 2.30a) subisce una transizione di fase e assume una struttura di tipo tetragonale (zona A del diagramma) oppure romboedrico (zona B), acquisendo in entrambi i casi proprietà ferroelettriche74. Nella fase tetragonale la polarizzazione spontanea è lungo una direzione75 <100>, mentre nella zona romboedrica essa è orientata nella direzione
73
Il PZT5-H ha diversi nomi commerciali, per esempio Motorola 3203HD, Ferroperm PZZI e TRS 600. Per i dettagli relativi alle proprietà fisiche delle diverse strutture cristalline sia per approfondimenti sul diagramma delle fasi delle piezoceramiche si rimanda il lettore ai trattati specialistici. 75 Per quanto affermato circa gli indici di Miller si rinvia alla nota 14. 74
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Figura 2.30. (a) Diagramma delle fasi per un PZT. (b) Prestazioni piezoelettriche dei PZT: andamenti sperimentali del fattore di accoppiamento kp e della permittività εr al variare della composizione percentuale di Pb e Zr in un PZT. Modificata, con autorizzazione, da A. J. Moulson, J. M. Herbert (1990) Electroceramics: materials, properties, applications. Chapman & Hall.
<111>. La maggior parte delle proprietà, come le costanti piezoelettriche e dielettriche, mostrano significative anomalie in corrispondenza della linea di separazione tra le due zone, che assume il nome di confine della fase morfotrofica (o MPB, Morphotropic phase boundary). A temperatura ambiente entrambe le fasi hanno una composizione nella quale le quantità in massa di zirconio e titanio stanno tra loro nel rapporto 52 : 48. Il grafico sperimentale della figura 2.30b mostra come le prestazioni dei PZT migliorino significativamente in corrispondenza di tale composizione percentuale. In particolare il valore del kp raggiunge e supera il 70 per cento, mentre il valore della costante dielettrica relativa raggiunge valori circa tripli rispetto a quella dei singoli composti. Per ottenere particolari prestazioni, la ceramica PZT può essere modificata mediante drogaggio con ioni aventi valenza diversa da quelli che compongono il reticolo, per cui si possono ottenere famiglie di PZT cosiddetti76 hard e soft. I PZT hard sono drogati con ioni come K+, Na+ per il sito A, e Fe3+, Al3+ e Mn3+ per il sito B 77. I PZT hard manifestano di norma bassi valori di costante dielettrica, modeste perdite elettriche e bassi valori delle costanti piezoelettri76 Tale notazione si riferisce alle caratteristiche del ciclo di isteresi; un PZT di tipo soft ha un ciclo di isteresi di forma quadrata e un basso valore del campo coercitivo, mentre un PZT di tipo hard ha un più alto valore del campo coercitivo ed è quindi più difficile da polarizzare e depolarizzare. 77 La struttura perovskitica è descritta da una formula del tipo (AB)O e le dizioni sito A e sito B si 3 riferiscono a questa notazione. Per esempio, nel titanato di bario BaTiO3, il sito A è il bario e il sito B è il titanio. Nel caso dei PZT si ha una formula del tipo A(B′B′′)O3, per esempio Pb(TiZr)O3.
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che. I PZT soft, essendo drogati con ioni quali Al3+ per il sito A e Nb5+ e Sb+ per il sito B (il che comporta vacanze nel sito A del reticolo), hanno elevata costante dielettrica, elevate perdite, elevati valori delle costanti piezoelettriche e sono facilmente polarizzabili e depolarizzabili 78. Sono utilizzati quando occorrono elevate proprietà piezoelettriche, come nel caso delle sonde ecografiche.
2.8.5 Compositi: ceramica più polimeri L’utilizzo di compositi piezoceramici deriva dal fatto che le proprietà desiderate per il piezoelemento spesso non sono ottenibili da materiali singoli come piezoceramiche o piezopolimeri. Nei trasduttori elettromeccanici, per esempio, è auspicabile rendere massima la sensibilità del piezoelemento, diminuire nel contempo la densità (al fine di ottenere un buon accoppiamento con l’acqua) e ancora disporre di un piezoelemento flessibile e meccanicamente adattabile a superfici curve (per ottenere una focalizzazione ottimale). La risposta a queste esigenze può essere ottenuta costruendo trasduttori a partire da materiali compositi, nei quali siano presenti piezoelementi e polimeri, sfruttandone le differenti proprietà. I compositi sono costruiti imprigionando la ceramica piezoelettrica (fase attiva) entro una matrice polimerica (supporto passivo). Le proprietà del composito dipendono dall’interconnessione meccanica tra le due fasi, dal volume percentuale della ceramica e dalla sua distribuzione spaziale all’interno del composito. La densità, l’impedenza acustica, la costante dielettrica e le proprietà piezoelettriche, come il fattore k t , cambiano al variare della frazione percentuale della fase ceramica in quella polimerica. Nel caso di applicazioni relative alla fabbricazione di sonde ecografiche, la percentuale di PZT nel polimero è del 20÷25 per cento in volume.
2.8.6 La fabbricazione dei PZT La fabbricazione di una piezoceramica PZT inizia con la preparazione delle polveri, cioè da una miscela stechiometrica degli ossidi costituenti. Nel caso del titanato-zirconato di piombo essi sono ossido di piombo PbO, ossido di titanio TiO2 e ossido di zirconio ZrO2 , miscelati nel rapporto 2:1:1. A essi vengono aggiunti altri composti minerali di Al, Nb, Sb ecc., a seconda del drogaggio che si desidera attuare. Nella figura 2.31 sono schematizzati gli stadi di lavorazione per la preparazione della miscela di polveri, ottenuta macinando i materiali di provenienza con mulini a palle, generalmente in umido mediante aggiunta di etanolo, e con composti di zirconio per ridurre la contaminazione a opera delle sfere di acciaio del mulino. La dimensione massima delle particelle dopo la macinazio-
78
Vedi R. Piticescu et al (2005) Preparation and characterisation of Pb(Zr0.52Ti 0.48)0.975 Nb0.025 O3 ceramics: Modelling the device. Journal of European Ceramic Society 25; 12: 2491-2494.
104
Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
Figura 2.31. Fabbricazione di PZT: diagramma di flusso delle fasi di lavorazione per la produzione delle polveri.
ne deve essere inferiore al micrometro, affinché nel trattamento successivo possano verificarsi le reazioni in fase solida attraverso la diffusione atomica. Dopo una fase di essiccazione, si procede con lo stadio di calcinazione, il più delicato e importante, cioè di riscaldamento a temperatura elevata (ma ben inferiore alla temperatura di fusione) per espellere i composti organici, le parti volatili, l’acqua ecc. eventualmente rimasti nella miscela. Durante la calcinazione è importante che si completi il processo di cristallizzazione e si formi la perovskite, perciò il trattamento viene effettuato in aria a circa 800 °C. La temperatura di calcinazione influenza le proprietà elettromeccaniche del prodotto finale: quanto più è elevata, tanto maggiori sono densità e omogeneità del piezoelemento; vi è tuttavia un limite determinato dal fatto che, per temperature superiori a 800 °C, si verificano cospicue perdite di piombo che implicano una diminuzione delle prestazioni elettriche. Pertanto, per ottenere le migliori proprietà elettriche e meccaniche, la temperatura di calcinazione deve essere scelta oculatamente. Dopo la calcinazione, il materiale si presenta raggrumato e deve essere nuovamente macinato, sia al fine di raggiungere un’appropriata densità, sia per immettere nella massa macinata un legante che consenta di modellarla in forme opportune. Il legante viene successivamente eliminato scaldando fino a temperature di 500÷600 °C la ceramica preformata, con un gradiente di riscaldamento dell’ordine di 1÷2 °C/minuto, il che consente ai gas di fuoriuscire
Figura 2.32. Fabbricazione di PZT: foto di ceramica preformata e sinterizzata con in evidenza l’elettrodo d’oro depositato; l = 23,1 mm, w = 19,15 mm, t = 0,5 mm.
Capitolo 2
· La piezoelettricità
105
dalla forma lentamente, evitando fratture o fessurazioni. Successivamente la massa preformata viene sinterizzata, cioè pressata in modo tale da assumere la consistenza di un materiale molto duro, ma non fragile, in grado di subire operazioni di taglio mediante lame sottili che attuano la segagione di piezoelementi di dimensioni e geometrie desiderate. La sinterizzazione si attua tra i 1200 e i 1300 °C in aria o, meglio, in atmosfera ossidante. Poiché, per temperature superiori a 800 °C, durante il processo si verificano perdite di Pb, per le ceramiche tipo PZT, PbTiO3 ecc., occorre che nel corso della sinterizzazione il campione sia mantenuto in un crogiuolo sigillato contenente vapori saturi di PbO. Successivamente alle operazioni di taglio vengono depositati, su superfici opposte, gli elettrodi sotto forma di uno o più strati di metallo di Ti, Au e Ag (per uno spessore il cui ordine di grandezza è inferiore al micrometro). In tal modo tra le due superfici può essere applicato un campo elettrico costante dell’ordine di 0,6 ÷1 kV/mm, per ottenere la polarizzazione del piezoelemento. Questa operazione può essere compiuta in aria o in olio di silicone, a temperatura ambiente o a temperature più elevate, a seconda del materiale e della sua composizione. Il processo di polarizzazione orienta parzialmente i domini e, per effetto del non completo allineamento delle diverse zone lungo la direzione del campo elettrico imposto, la polarizzazione complessiva risultante è più bassa di quella della singola zona. Dopo la sinterizzazione e la deposizione degli elettrodi, il materiale assume l’aspetto mostrato nella figura 2.32. Il processo illustrato presenta un certo grado di incertezza per le numerose variabili che intervengono; la varietà delle modalità di esecuzione, anche in relazione alla sequenza dei diversi stadi, testimonia la continua ricerca per far sì che ceramiche appartenenti allo stesso lotto abbiano prestazioni elettromeccaniche il più possibile simili tra loro. Tra gli ostacoli più rilevanti che si oppongono a tale obiettivo, vi sono la presenza di impurezze nel materiale di partenza e le perdite di piombo nel corso del procedimento di sinterizzazione: ciò produce sostanziali alterazioni delle proprietà elettromeccaniche del prodotto finito. Ne risulta che, all’interno del medesimo lotto, le proprietà elastiche possono variare più del 5 per cento, quelle piezoelettriche più del 10 per cento e quelle dielettriche più del 20 per cento. Per questi motivi la ricerca sui procedimenti per la produzione di piezoceramiche è tuttora in pieno sviluppo.
2.8.7 Quadro riassuntivo delle prestazioni Le tabelle che seguono, relative a piezoceramiche di largo impiego, sono state inserite al solo scopo di fornire degli ordini di grandezza per i parametri descritti nei paragrafi precedenti; sono riprese dalla letteratura scientifica del settore 79 e, benché datate, costituiscono un utile quadro di riferimento. Per la
79 In particolare, H. Jaffe, D. A. Berlincourt (1965) Piezoelectric Transducers materials. Proceedings of IEEE 53; 10.
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106
· Ecotomografia
progettazione di dispositivi piezoelettrici, invece, si dovrà fare riferimento alla letteratura tecnica fornita dalle case produttrici. Nella tabella 2.4 sono elencate alcune ceramiche attualmente utilizzate con le relative prestazioni; le loro caratteristiche elettromeccaniche sono riportate nelle tabelle successive (se non altrimenti specificato, i valori devono considerarsi relativi a 25 °C). Tali caratteristiche sono alla base delle scelte che occorre effettuare nella progettazione e nella costruzione dei trasduttori per impiego clinico ecotomografico; i criteri di scelta dei materiali utilizzati in tale ambito verranno descritti nel capitolo 6.
Tabella 2.4. Materiali piezoceramici e principali caratteristiche di interesse Elevato accoppiamento piezoelettrico Alta percettività Bassa percettività Alta velocità acustica Alto Q meccanico Basso Q meccanico Stabilità nel tempo
PZT-5H PZT-5H PbNb2O6 ; PZT-7A; Na0,5K0,5NbO3 Na0,5K0,5NbO3 PZT-6B, PZT-8 PbNb2O6 PZT-6A, PZT-6B
Stabilità in temperatura di N1
PZT-6A, PZT-6B
Tabella 2.5. Proprietà delle ceramiche piezoelettriche comunemente usate
PZT-4 PZT5A PZT-5H PZT-6A PZT-6B PZT-7A PZT-8 PZT-2 BaTiO2 95w% BaTiO3, 5w% CaTiO3 PbNb2O6 Pb0,6Ba0,4Nb2O6 Na0,5K0,5NbO3*
kp
k31
k33
k15
kt
T ε33 /ε0
S ε33 /ε0
T ε11/ε0
S ε11/ε0
–0,58 –0,60 –0,65 –0,42 –0,25 –0,51 –0,50 –0,47 –0,36
–0,33 –0,34 –0,39 –0,25 –0,145 –0,30 –0,295 –0,28 –0,21
0,70 0,705 0,75 0,54 0,375 0,66 0,62 0,63 0,50
0,71 0,685 0,675 — 0,377 0,67 — 0,70 0,48
0,51 0,49 0,505 0,39 0,30 0,50 0,44 0,51 0,38
1300 1700 3400 1050 460 425 1000 450 1700
635 830 1470 730 386 235 600 260 1260
1475 1730 3130 — 475 840 — 990 1450
730 916 1700 — 407 460 — 504 1115
–0,33
–0,19
0,48
0,48
0,38
1200
910
1300
1000
–0,07 –0,38 –0,46
–0,045 –0,22 –0,27
0,38 0,55 0,605
— — 0,645
0,37 — 0,46
225 1500 496
— — 306
— — 938
— — 545
* Sinterizzato a caldo.
Capitolo 2
· La piezoelettricità
107
Tabella 2.6a. Proprietà delle ceramiche piezoelettriche comunemente usate 10–12 C/N d33 d31 d15 PZT-4 PZT5A PZT-5H PZT-6A PZT-6B PZT-7A PZT-8 PZT-2 BaTiO2 95w% BaTiO3,
5w% CaTiO3 PbNb2O6 Pb0,6Ba0,4Nb2O6 Na0,5K0,5NbO3*
e33
m2/C e31 e15
s33
E
s11
E
10–12 m2/N s44 s66 s33D s11D s44D E
289 –123 496 15,1 –5,2 12,7 15,5 12,3 39,0 32,7 7,90 10,9 19,3 374 –171 584 15,8 –5,4 12,3 593 –274 741 23,3 –6,5 17,0 189 –80 — 12,5 — — 71 –27 130 7,1 –0,9 4,6 150 –60 362 9,5 –2,1 9,2 218 –93 — — — — 152 –60 440 9,0 –1,9 9,8 190 –78 260 17,5 –4,3 11,4
18,8 20,7 13,0 9,35 13,9 13,9 14,8 9,5
16,4 16,5 10,7 9,0 10,7 11,1 11,6 9,1
47,5 43,5 — 28,2 39,5 — 45,0 22,8
44,3 42,6 27,8 24,0 27,8 29,6 29,9 23,6
9,46 8,99 9,2 8,05 7,85 8,5 9,0 7,1
14,4 14,1 10,1 8,8 9,7 10,1 10,7 8,7
25,2 23,7 — 24,2 21,8 — 22,9 17,5
149
9,1
8,6
22,2 22,4
7,0
8,3
17,1
–58
242 13,5 –3,1 10,9
85 –9~ — 220 –90 — 127 –51 306
— — —
— — —
— 25,4 — — — — 11,5 — 11,3 10,1 8,2 27,1
— — —
21,8 — — — 10,9 — 6,4 7,6 15,5
* Sinterizzato a caldo.
Tabella 2.6b. Proprietà delle ceramiche piezoelettriche comunemente usate 1010 N/m2 c33E
c11E
c33D
c11D
PZT-4
11,5
13,9
15,9
14,5
PZT5A PZT-5H PZT-6A PZT-6B PZT-7A PZT-8 PZT-2 BaTiO2 95w% BaTiO3,
11,1 11,7 13,1 16,3 13,1 — 11,3 14,6
12,1 12,6 — 16,8 14,8 — 13,5 15,0
14,7 15,7 15,5 17,7 17,5 — 14,8 17,1
12,6 13,0 — 16,9 15,7 — 13,6 15,0
15,0
15,8
17,7
15,9
— — —
— — —
— — —
— — —
5w% CaTiO3 PbNb2O6 Pb0,6Ba0,4Nb2O6 Na0,5K0,5NbO3* * Sinterizzato a caldo.
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108
· Ecotomografia
Tabella 2.7. Proprietà delle ceramiche piezoelettriche comunemente usate * QM PZT-4 PZT5A PZT-5H PZT-6A PZT-6B PZT-7A PZT-8 PZT-2 BaTiO2 95w% BaTiO3, 5w% CaTiO3 PbNb2O6 Pb0,6Ba0,4Nb2O6 Na0,5K0,5NbO3 **
Costanti in Punto QE frequenza (m/s) di Curie °C N1 N3t
Densità 103 kg/m3
Calore Conducibilità specifico termica J/kg·°C W/m·°C
500 75 65 450 1300 600 1000 680 300
250 50 50 50 110 60 250 200 100
1650 1400 1420 1770 1920 1750 1700 1680 2200
2000 1890 2000 2140 2225 2100 ---2090 2520
328 365 193 335 ~350 ~350 300 370 115
7,5 7,75 7,5 7,45 7,55 7,6 7,6 7,6 5,7
420 420 420 420 420 420 420 420 500
2,1 1,5 1,5 2,1 2,1 2,1 2,1 2,1 3,5
400
170
2290
2740
115
5,55
500
3,5
11 250 240
100 100 70
— 1915 2570
— — —
570 260 420
6,0 5,9 4,46
— — —
— — —
* Per le costanti in frequenza si faccia riferimento alla relazione f = cost/l per i differenti modi di vibrare del piezoelemento, in cui l è la dimensione lineare che governa la risonanza; il valore delle costanti in frequenza è pari alla metà della velocità di propagazione di un’onda longitudinale nella stessa direzione. ** Sinterizzato a caldo.
Tabella 2.8a. Proprietà delle ceramiche piezoelettriche comunemente usate Resistenza statica a trazione (MPa)
Rateo di resistenza dinamica a trazione (MPa)
Variazione di N1 per decadi di tempo
PZT-4
75,85
24,14
+1,5%
PZT5A PZT-5H PZT-6A PZT-6B PZT-7A PZT-8 PZT-2 BaTiO2 95w% BaTiO3,
75,85 75,85 75,85 75,85 75,85 75,85 75,85 51,72
27,58 27,58 24,14 24,14 24,14 24,14 24,14 20,69
+ 0,2% +0,25% <0,1% <0,1% -0,08% +1,0% +0,6% +1,1%
51,72
20,69
+0,5%
5w% CaTiO3 PbNb2O6 Pb0,6Ba0,4Nb2O6 Na0,5K0,5NbO3* * Sinterizzato a caldo.
— — —
Capitolo 2
· La piezoelettricità
109
Tabella 2.8b. Proprietà delle ceramiche piezoelettriche comunemente usate Variazione di kp per decadi di tempo
Variazione di ε33T per decadi di tempo
Variazione di N1 da – 60 a 85 °C
Campo elettrico alternato (rms) di depolarizzazione 25 °C kV/cm
PZT-4
– 2,3%
– 5,8%
4,8%
>10
PZT5A PZT-5H PZT-6A PZT-6B PZT-7A PZT-8 PZT-2 BaTiO2 95w% BaTiO3,
– 0,2% – 0,35% – 0,2% – 0,2% – 0,0% – 2,0% – 1,8% – 2,5%
– 1,0% – 1,5% – 0,6% +2,0% 14,8 – 5,0% – 2,8% – 4,1%
2,6% 9,0% < 0,2% < 0,2% 2,9% ~2,0% 1,5% 19,0%
~7 ~4 ~8 >10 >10 >15 >10 ~4
– 1,8%
– 0,8%
~18,0%
~4
— — —
— — —
— 2,5% 3,3%
>10 — —
5w% CaTiO3 PbNb2O6 Pb0,6Ba0,4Nb2O6 Na0,5K0,5NbO3* * Sinterizzato a caldo.
Tabella 2.8c. Proprietà delle ceramiche piezoelettriche comunemente usate* Costante di tempo dielettrica (s)
PZT-4 PZT5A PZT-5H PZT-6A PZT-6B PZT-7A PZT-8
25 °C >100 >2000 >2000 >10 >100 >10 >100
100 °C ~5,0 ~1800 >2000 ~0,15 ~1,5 ~0,5 ~2,0
200 °C ~0,07 ~250,0 ~1000,0 ~0,002 ~0,03 ~0,03 ~0,01
PZT-2 BaTiO2
>100 >150
~2,0 ~0,5
>100 >1000 >1000 ~50
95w% BaTiO3,
5w% CaTiO3 PbNb2O6 Pb0,6Ba0,4Nb2O6 Na0,5K0,5NbO3*
Campo elettrico alternato (rms) per tan δE = 0,04 (kV/cm)
Polarizzazione 10–6 (C/cm2)
~0,03 ~0,002
25 °C 3,9 (17 %) 0,45 (11%) 0,3 (5%) 3,2 11,0 2,6 tan δE = 0,015 a 6kV/cm (8%) 1,8 1,0
100 °C 3,3 0,45 0,2 2,8 5,0 1,3 tan δE = 0,03 a 6kV/cm (8%) 1,6 0,8 (75 °C)
~0,3
~0,002
1,7
1,0 (75 °C)
8
~500 ~50 —
~10 ~1 —
>6,0 1,4 (17%) —
— — —
— — ~30
30 38 33 30 15 42 25
40 8
* I numeri tra parentesi danno l’incremento in εT33 in corrispondenza del campo elettrico indicato. ** Sinterizzato a caldo.
Capitolo 3 Le onde e i sistemi oscillanti
3.1 Onde longitudinali e trasversali Il trasferimento di energia tramite onde che si propagano in un mezzo elastico costituisce il meccanismo alla base della generazione, trasmissione e ricezione del suono. Quando una perturbazione che eccita lo stato di quiete di un mezzo elastico è percepita come stimolo dall’orecchio, questo viene trasmesso al cervello che lo interpreta come suono. Le caratteristiche fisiche della perturbazione che produce la sensazione del suono sono generalmente esprimibili in termini di intensità e di contenuto in frequenza. Con riferimento a quest’ultimo, si può per esempio riconoscere in una perturbazione a carattere impulsivo (come quella generata da un colpo di pistola) un elevato contenuto in frequenza, mentre in un’onda ad andamento periodico, come quella generata da una corda di violino (che oscilla alla sua frequenza di risonanza e alle armoniche superiori) è più facilmente individuabile anche una singola frequenza. Affinché l’orecchio umano percepisca un suono, è necessario che l’onda di pressione che si stabilisce nel mezzo elastico sia caratterizzata da intensità e frequenza (o un insieme di frequenze se il suono non è puro) all’interno di un determinato intervallo che è quello di sensibilità proprio dell’orecchio. In particolare, sono definite suoni tutte quelle onde di pressione in un mezzo elastico la cui frequenza è compresa tra 20 e 20 000 Hz1, mentre le onde di pressione che hanno frequenza inferiore o superiore a tale intervallo vengono chiamate, rispettivamente, infrasuoni e ultrasuoni. Nel caso della corda di violino della figura 3.1, le onde da essa generate sono prodotte comprimendo e rarefacendo l’aria circostante, mentre ogni elemento costituente la corda si sposta trasversalmente rispetto alla sua configurazione di quiete oscillando su un piano. Poiché tutti gli elementi costituenti la corda vibrano secondo una direzione ortogonale all’asse della corda, lungo il quale la perturbazione si propaga, l’onda all’interno della corda è detta trasversale; nella figura 3.8 è possibile osservare i movimenti trasversali di una corda e la perturbazione che viaggia lungo di essa. Gli spostamenti degli elementi costituenti la corda producono compressioni ed espansioni del mezzo in cui essa
1 In realtà questo intervallo di frequenze è più ridotto e, in particolare, la parte superiore dell’intervallo (alta frequenza) si riduce notevolmente con l’età dell’individuo.
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
Figura 3.1. Generazione di onde acustiche: la sollecitazione dell’arco genera le onde trasversali nelle corde del violino, mentre la vibrazione di queste (e della cassa armonica) genera onde longitudinali, di cui sono illustrati i fronti di avanzamento nell’aria circostante.
è immersa (aria), poiché ciascuna particella gassosa, sospinta dalla corda, si muove rispetto alla sua posizione di equilibrio sospingendo a sua volta la particella che le è contigua. Il moto è in questo caso trasmesso, da particella a particella, nella stessa direzione nella quale si manifestano le forze elastiche del mezzo. Tali oscillazioni, che hanno la medesima direzione di quella della propagazione, ortogonale all’asse della corda, sono chiamate longitudinali. I mezzi elastici solidi possono essere sede di onde sia longitudinali sia trasversali; i fluidi, per i quali l’entità delle forze di taglio può essere trascurata, sono prevalentemente sede di onde longitudinali. I tomografi a ultrasuoni impiegano essenzialmente onde longitudinali, poiché – prescindendo dai modi di vibrazione del trasduttore piezoelettrico – i mezzi elastici di interesse sono principalmente i tessuti attraversati dalla perturbazione ultrasonora. Si darà pertanto maggiore rilievo all’osservazione dei meccanismi di propagazione di onde longitudinali e la trattazione analitica sarà sviluppata essenzialmente per questo caso, sebbene alcune conclusioni siano da considerarsi valide anche per il caso generale.
3.2 Esempi sul meccanismo di propagazione Una caratteristica peculiare dei fenomeni oscillatori o ondulatori consiste nel trasporto di energia e quantità di moto senza che a esso sia associato un trasporto di materia. Infatti l’energia associata a una deformazione del mezzo elastico non resta localizzata, ma si trasmette da punto a punto (e tale trasmissione costituisce la propagazione della perturbazione) senza che le particelle, in moto oscillatorio continuo intorno alla loro posizione di riposo, viaggino con essa.
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
113
Figura 3.2. Meccanismo di propagazione di un’onda longitudinale. (a) Pendolo di Newton, utilizzato per illustrare la propagazione in un mezzo discreto. (b) Grandezze caratteristiche della propagazione del suono in un mezzo elastico: velocità di propagazione c, pari al rapporto tra spazio Δx percorso dalla perturbazione e tempo impiegato a percorrerlo Δt; velocità v della particella nella sua oscillazione intorno alla posizione di equilibrio. δt è la durata dell’impulso, mentre δx è la sua estensione spaziale.
Per chiarire il meccanismo di propagazione di un’onda longitudinale 2, è utile ricorrere ad alcuni esempi. Si consideri per cominciare il pendolo di Newton, rappresentato nella figura 3.2, nel quale sono sospese alcune sfere d’acciaio identiche, ciascuna mediante una coppia di fili di cotone, in modo tale da restare a contatto l’una con l’altra lungo la stessa linea orizzontale. Sollevando la prima sfera B1 fino alla posizione B0 e lasciandola ricadere, l’urto su B2 è trasmesso fino alla sfera Bn , che viene lanciata verso destra nella posizione Bn0; in assenza di attriti interni (isteresi) nelle sfere ed esterni nell’aria, la sfera Bn si solleva tanto quanto è stata alza2 Gli esempi hanno carattere puramente didattico e sono destinati a esprimere schematicamente l’essenza del fenomeno di propagazione.
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Figura 3.3. Meccanismo di propagazione di un’onda longitudinale. Dispositivo utilizzato per illustrare la propagazione in un mezzo continuo.
ta la sfera B1, poiché ciascuna sfera intermedia, compressa per effetto dell’urto ricevuto dalla vicina di sinistra, reagisce respingendo la vicina di destra. La successione di sfere compresa tra B2 e Bn–1 può essere sostituita da una barra metallica, illustrata nella figura 3.3, che trasmette l’impulso senza spostarsi poiché le diverse fette infinitesime, delle quali si può immaginare costituita, oscillano rispetto alla posizione di riposo con una velocità di oscillazione v, di seguito indicata come velocità della particella. Tale velocità è diversa dalla velocità c con la quale la perturbazione si propaga dall’inizio al termine della barra, come è illustrato nella figura 3.2b. Il rapporto v/c è rappresentativo della dilatazione subita dal mezzo elastico durante la perturbazione (questo aspetto sarà chiarito più avanti). Un secondo esempio, utile per illustrare il meccanismo di trasmissione di un’onda longitudinale, è rappresentato nella figura 3.4. Una lunga molla elicoidale formata con un filo d’acciaio di diametro 10÷20 volte inferiore a quello delle spire, viene tesa orizzontalmente. Si supponga, in prima approssimazione, che la molla abbia lunghezza infinita e se ne osservi un tratto nell’intervallo AB (figura 3.4a). Se, come illustrato nella figura 3.4, si comprime un pacchetto di spire nel punto A della molla e successivamente lo si abbandona a se stesso, si potrà osservare che il pacchetto di spire compresse si sposta a partire dal punto A coinvolgendo spire via via più vicine al punto B. Essendo la molla di lunghezza infinita, la perturbazione continuerà a viaggiare nella medesima direzione senza attenuarsi, a condizione che il filo sia perfettamente elastico e non siano presenti attriti dovuti al mezzo nel quale la molla è immersa. Se la molla fosse di lunghezza finita, la perturbazione subirebbe riflessioni in corrispondenza dei suoi estremi (in relazione alle condizioni di vincolo, come sarà chiarito in seguito) e il pacchetto di spire compresse tornerebbe indietro a partire
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
115
Figura 3.4. Meccanismo di trasmissione di un’onda longitudinale. La perturbazione, rappresentata dall’addensamento s′ delle spire, si propaga lungo una molla di lunghezza infinita e passo s.
dal punto B, coinvolgendo spire via via più vicine ad A. La velocità con cui la perturbazione si propaga – che si deduce dallo spazio Δx percorso dal “pacchetto” di spire nell’intervallo di tempo Δt – è c = Δx /Δt. Questo semplice esperimento mette in evidenza come la propagazione di una perturbazione in un mezzo elastico avvenga con particelle che oscillano attorno a una posizione di riposo. In assenza di perturbazione la singola spira dista dalla successiva di una quantità s (passo della molla) e in presenza di perturbazione di una quantità s′ ≠ s; una volta passata la perturbazione, la spira ritorna alla distanza s. Ogni punto materiale appartenente alla spira varia la sua posizione nello spazio da una configurazione di riposo, relativa alla distanza s, a una configurazione perturbata, relativa alla distanza s′. La variazione s–s′ e la successiva s′–s costituiscono un’oscillazione e – noto il tempo nel quale questa avviene – è possibile determinare la velocità v, già definita come velocità della particella. Questo valore non deve essere confuso con la velocità con cui si propaga il pacchetto di spire, che è pari a c, come si è già visto in precedenza.
3.3 L’equazione delle onde Nei paragrafi precedenti è stato illustrato il meccanismo di propagazione delle onde meccaniche in un mezzo elastico ed è stato osservato che esse possono essere longitudinali o trasversali. Le modalità con cui un’onda elastica si propaga sia nello spazio sia nel tempo – e in particolare la sua velocità di propagazione – dipendono dalla natura del mezzo. Di seguito viene descritto, per il caso particolare delle onde longitudinali, il procedimento analitico che conduce all’equazione caratteristica delle onde che si propagano in un mezzo solido oppure in un mezzo fluido incomprimibile (acqua) o comprimibile (gas).
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Figura 3.5. Schema di principio per la formulazione dell’equazione di propagazione di onde longitudinali nei solidi: l’elementino δx si sposta di una quantità ξ e si dilata di δξ.
3.3.1 Propagazione nei solidi Si supponga di voler studiare la propagazione di una perturbazione in una barra metallica del tipo di quella rappresentata nella figura 3.3, di lunghezza AB e sezione uniforme, la cui massa per unità di volume sia ρ. Il passaggio dell’onda longitudinale lungo la barra è rappresentato dalle oscillazioni di ogni particella della barra nella direzione della sua lunghezza. Con riferimento alla figura 3.5, si consideri un piccolo elemento di volume racchiuso tra i due piani in P e Q, distanti una quantità infinitesima δx; al passaggio dell’onda longitudinale, l’elemento di volume considerato subisce una deformazione tale da spostare i piani da P in P′ e da Q in Q′. Detto ξ lo spostamento subito dal piano in P e ξ+δξ lo spostamento subito dal piano in Q, si ha che P′Q′ = x+δx+ξ+δξ–(x+ξ) = δx+δξ; perciò l’allungamento subito dall’elemento di volume rispetto alla condizione di riposo è (δξ+δx)–δx. Conoscendo il modulo di Young E del materiale di cui è composta la barra metallica, è possibile dedurre, tramite la legge di Hooke e facendo tendere δx → 0, la tensione meccanica T(x) che sollecita ciascuna sezione della barra presa in esame T(x ) = lim E δ x →0
allungamento lunghezza iniziale
= E lim
δ x →0
( δx + δξ ) − δx = E ∂ ξ δx
∂x
[3.1]
La massa contenuta nell’elemento di volume P′Q′, identica a quella ρAδx contenuta nell’elemento PQ, viene accelerata di una quantità ∂2ξ/∂t2 dal passaggio della perturbazione meccanica e pertanto, applicando la seconda legge della dinamica, è soggetta a una forza F = ρ Aδx
∂2 ξ ∂t 2
= ma
[3.2]
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
117
Tale forza F è la causa della variazione del volume, che passa da PQ a P′Q′, ed è pari alla tensione meccanica netta agente sul volume stesso, cioè alla differenza tra le tensioni agenti rispettivamente sulle facce in Q′ e P′, moltiplicata per la superficie A della sezione della barra; per cui
(
)
F = TQ ' − TP ' A
[3.3]
Ricordando che la distanza tra le due facce è infinitesima e utilizzando l’usuale notazione dx per esprimere la variazione infinitesima, si può porre (TQ′–TP′) = [∂T(x)/∂x]dx . È quindi possibile scrivere il bilancio delle forze agenti sul volumetto, cioè dell’azione esercitata dal passaggio della perturbazione (onda) e della reazione elastica esercitata dalle tensioni meccaniche generate all’interno del materiale ρ dx
∂2ξ ∂t
2
(
)
= TQ ' − TP' =
∂ T(x) ∂x
dx
[3.4]
Il termine che rappresenta l’incremento di tensione meccanica tra le ascisse P′ e Q′ è fornito dalla [3.1] e pertanto la [3.4] diviene ∂T(x ) ∂x
dx =
∂ ∂x
∂ξ ⎛ ∂ξ ⎞ ⎜⎝ E ⎟⎠ dx = E 2 dx ∂x ∂x 2
[3.5]
per cui si ottiene ∂2 ξ
=
∂t 2
E ∂2 ξ ρ ∂x 2
[3.6]
= c2
[3.7]
Posto E ρ
si ha ∂2 ξ ∂t 2
= c2
∂2 ξ ∂x2
[3.8]
dove c è la velocità con la quale si propaga la perturbazione meccanica entro la barra T (mentre ∂ξ /∂t è la velocità delle particelle). Si osservi che il meccanismo di propagazione delle onde interessa soprattutto le proprietà elastiche del mezzo e la sua inerzia. A parità di modulo di Young, quanto più elevata è la densità, e dunque l’inerzia, tanto minore è la velocità con la quale la deformazione si propaga entro il mezzo; d’altra parte, a parità di densità, quanto
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più grande è il modulo di elasticità E, tanto maggiori sono le forze elastiche generate dalla deformazione δξ. Pertanto la velocità c di propagazione dell’onda di perturbazione risulta inversamente proporzionale alla massa specifica ρ del mezzo nel quale l’onda si propaga. L’integrazione dell’equazione [3.8] fornisce lo spostamento ξ delle particelle in funzione del tempo t e della posizione x, se si conosce l’andamento nel tempo di ξ(x0,t) per un determinato valore x0 dell’ascissa x; pertanto la [3.8] è la legge di propagazione dello spostamento ξ. Per sostituzione, si può verificare che qualsiasi espressione della forma ξ(x , t) = f (x − ct) + g(x + ct)
[3.9]
in cui f e g rappresentano due funzioni qualunque, soddisfa l’equazione della propagazione [3.8]. La funzione f rappresenta un’onda progressiva che viaggia con velocità costante c nel verso delle x crescenti positive, e infatti lo spostamento subito dal punto x0 all’istante t0 è uguale al valore dello spostamento nel punto x1 = x0+cΔt all’istante t1 = t0+Δt poiché
(
)
f (x 1 , t1 ) = f (x1− ct1 ) = f ⎡⎣ x 0 + c Δ t − c t 0 + Δ t ⎤⎦ = f (x 0 − ct 0 ) = f (x 0 , t 0 ) [3.10] La funzione g, invece, rappresenta un’onda regressiva che viaggia nel verso opposto alla medesima velocità c.
3.3.2 Propagazione nei fluidi La legge di propagazione di una perturbazione in un fluido (liquido o gas) assume la stessa forma di quella dedotta per i solidi ma, come si è già accennato, sono diverse le grandezze da cui dipende la velocità di propagazione c. Per scrivere l’equazione di propagazione delle perturbazioni in un fluido elastico, si può procedere nello stesso modo seguito per lo studio della propagazione nei solidi, facendo riferimento alla figura 3.6. Il cono di un altoparlante, alimentato da un oscillatore a una data frequenza, si muove alternativamente rispetto alla sua posizione di riposo, comprimendo e rarefacendo l’aria all’interno di un tubo, molto lungo e aperto all’altro estremo, talché non possano verificarsi riflessioni. Si consideri il moto delle particelle3 d’aria tra due piani P e Q posti ortogonalmente alla direzione di propagazione x, la cui origine è solidale al telaio dell’altoparlante. Si supponga che tale moto si verifichi solamente nella direzione dell’asse x e che la velocità e lo spostamento delle particelle siano identici in tutti i punti giacenti su uno stesso piano ortogonale alla direzione di propagazione. Si consideri ora il cilindretto di sezione unitaria A e lunghezza dx della figura 3.7 posto a di-
3
La definizione di particella fluida verrà fornita nel capitolo 9.
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
119
Figura 3.6. Propagazione di onde longitudinali nei fluidi: un altoparlante, alimentato da un oscillatore e posto all’estremità di un tubo aperto di lunghezza molto maggiore del proprio diametro, comprime e rarefa l’aria, le cui variazioni di pressione in un punto lungo l’asse sono rilevate da un manometro M e riportate su carta millimetrata, in modo da ottenere l’andamento temporale p(t).
stanza x dall’origine O e si analizzi il moto della massa di fluido in esso contenuta, cioè confinata nel tubo tra i piani P e Q distanti dx. Al passaggio della perturbazione i piani in P e Q si muovono rispettivamente in P′ e Q′; detto ξ lo spostamento subito dal piano in P e ξ+dξ lo spostamento subito dal piano in Q, la distanza tra i piani P e Q dopo lo spostamento diviene P′Q′ = dx+dξ. La massa di gas contenuta nel cilindro di sezione A tra P′ e Q′ è la medesima di quella contenuta nello stesso cilindro tra P e Q (per il principio di conservazione della massa) ed è pari a ρAdx. Detta p la pressione acustica, pari alla differenza (algebrica) tra la pressione in un punto del fluido e la pressione P0 ivi esistente in assenza di perturbazione, la forza agente sull’elemento di volume P′Q′ è A(pP′ –pQ′) essendo pP′ –pQ la differenza di pressione4 esistente tra P′ e Q′. 4 Si è qui già tenuto conto del verso di una sollecitazione di compressione, che è sempre quella della normale interna, e si sta considerando uniforme la pressione in assenza di perturbazione.
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Applicando la seconda legge della dinamica, l’equazione del moto è ρ0 Adx
∂2 ξ ∂t
2
(
)
= A pP ' − pQ ' = − A
∂p ∂x
dx
[3.11]
e quindi si ottiene ρ0
∂2 ξ ∂t
2
=−
∂p
[3.12]
∂x
Con riferimento alla figura 3.7, la variazione relativa di volume rispetto alle condizioni di riposo è una dilatazione che viene indicata con θ e che risulta pari a θ = lim
(
)
A dx + dξ − Adx Adx
dx →0
=
∂ξ ∂x
[3.13]
Per il coefficiente di compressibilità (o di comprimibilità) χ di un fluido5, nell’ipotesi di piccole perturbazioni per cui valga θ <<1, si può porre χ=−
θ
p
[3.14]
per cui sostituendo θ = ∂ξ/∂x si ottiene ∂p ∂x
=−
1 ∂2 ξ χ ∂x 2
[3.15]
che, posto nella [3.12], fornisce l’equazione di propagazione delle onde longitudinali in un fluido comprimibile ∂2 ξ ∂t 2
=
1 ∂2 ξ χρ0 ∂x 2
[3.16]
Essa ha la stessa forma di quella trovata nel caso di onde longitudinali nei solidi; posto infatti 1 χρ0
= c2
[3.17]
5 Date l’entità dei disturbi che qui si considerano e le frequenze caratteristiche del fenomeno, per cui si può ammettere che non vi siano significativi scambi di calore tra una particella e le altre, il coefficiente di compressibilità considerato è quello adiabatico isoentropico χ = –(1/V)(∂V/∂P)S , dove P rappresenta la pressione P0+p.
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
121
Figura 3.7. Schema di principio per la formulazione dell’equazione di propagazione di onde longitudinali nei fluidi.
si ottiene ancora ∂2 ξ ∂t 2
= c2
∂2 ξ ∂x 2
[3.18]
Nel termine relativo alla velocità di propagazione compare il modulo di compressibilità 1/χ del gas, che ha significato analogo al modulo di Young E del solido elastico. L’equazione [3.13] è espressa in termini di spostamento ξ della particella, ma si può immediatamente mostrare che anche l’andamento delle pressioni p, quali sono quelle misurate dai trasduttori di pressione di figura 3.6, è regolato da un’equazione della stessa forma. Infatti, se ci si riferisce alla velocità delle particelle v = ∂ξ /∂t, poiché per la [3.14] è ∂ξ = − pχ ∂x
[3.19]
e derivando rispetto al tempo si ottiene ∂p ∂ ∂ξ = −χ ∂t ∂ t ∂x
[3.20]
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122
· Ecotomografia
si può allora scrivere ∂v
= −χ
∂x
∂p
[3.21]
∂t
Derivando nuovamente rispetto al tempo, si ricava ∂2 v
= −χ
∂x ∂ t
∂2p
[3.22]
∂t 2
D’altra parte, dalla relazione [3.15] si ha ∂2 ξ ∂x
= −χ
2
∂p
[3.23]
∂x
che, sostituita nell’equazione delle onde [3.16], fornisce ∂2 ξ ∂t
2
=−
1
χ
χρ0
∂p ∂x
=−
1 ∂p ρ0 ∂ x
[3.24]
e poiché ∂2 ξ ∂t
∂v
=
2
∂t
[3.25]
si ottiene ∂v ∂t
=−
1 ∂p ρ0 ∂ x
[3.26]
1 ∂2 p ρ0 ∂x 2
[3.27]
la [3.26] derivata rispetto a x fornisce ∂2 v
=−
∂x ∂ t
Per confronto con la [3.22] si ricava −χ
∂2 p ∂t 2
=−
1 ∂2 p ρ0 ∂x 2
[3.28]
e dunque ∂2 p ∂t 2
=
1 ∂2 p χρ0 ∂x 2
[3.29]
per la quale la pressione acustica obbedisce alla stessa legge di propagazione dello spostamento ξ della particella.
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
123
È già stato osservato che, se la propagazione delle perturbazioni è sufficientemente rapida, talché mentre varia il volume tra un tratto di fluido e i tratti contigui non vi sia scambio di calore, si può ammettere che la trasformazione termodinamica subita dal fluido, in particolare da un gas, sia adiabatica (e isoentropica, in assenza di attriti e dissipazioni). Pertanto nell’ipotesi di gas perfetto – ricordando che con p si è indicata la pressione acustica e con P e P0, rispettivamente, il campo di pressione in presenza della perturbazione p e il campo di pressione indisturbato – la trasformazione è rappresentata dalla P V γ = costante
[3.30]
nella quale compare il rapporto tra i calori specifici a pressione e volume costante γ = C p /C v . Differenziando rispetto alla pressione si ricava VdP + γ P dV = 0
[3.31]
1 dV 1 ⋅ = d P V γP
[3.32]
da cui −
Si ha pertanto per il coefficiente di comprimibilità adiabatica χ = –θ/p di un gas perfetto χ=
1
[3.33]
γP
e per la velocità del suono (dopo alcuni passaggi) si ottiene c=
1 χρ0
=
γ P0 ρ0
[3.34]
che, detta Mx la massa molare, R0 la costante universale dei gas e T la temperatura assoluta, e ricordando P 1 = RT ρ Mx 0
[3.35]
si può scrivere c= γ
R 0 T0 Mx
[3.36]
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124
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3.3.3 Esempi di calcolo della velocità di propagazione Le formule precedentemente fornite si possono applicare ad alcuni casi esemplificativi, per disporre di qualche ordine di grandezza. Nel caso di un’asta di acciaio, per la quale la velocità di propagazione del suono si calcola in base alla relazione c = (E /ρ)1/2, il modulo di Young E è pari a circa 2·1011 N/m2, mentre la densità ρ è pari a 8000 kg/m3. Pertanto risulta 2 ⋅1011 N/m2 = 5000 m / s 8000 kg/m3
c=
[3.37]
Nel caso dell’acqua, per la quale la velocità di propagazione del suono si determina in base alla relazione c = (1/χρ)1/2, il modulo di compressibilità χ è pari a 5,099·10–10 m2/N, mentre la densità è ρ = 1000 kg/m3. Pertanto risulta c=
5, 099 ⋅10
− 10
1 = 1400 m / s m / N × 1000 kg/m3 2
[3.38]
Nel caso dell’aria a 0 °C, per la quale la velocità di propagazione del suono si calcola in base alla relazione [3.36], valgono i parametri R0 = 8,3 J K–1mol–1, Mx = 29·10–3 kg mol–1 e γ = 1,4. Pertanto risulta c = 1, 4 ×
8, 3 J K −1mol −1 × 273 K ≅ 331 m / s 29 ⋅10 −3 kg / mol
[3.39]
3.4 Onde periodiche In molti casi la perturbazione prodotta in un punto O di un mezzo elastico lineare non è una deformazione di breve durata, ma un moto vibratorio periodico. Mano a mano che le vibrazioni vengono generate, esse si propagano nel mezzo elastico dando origine a un’onda periodica, che pertanto è caratterizzata da onde equispaziate e uguali tra loro che viaggiano nella medesima direzione con la stessa velocità c. L’intervallo di spazio tra un’onda e la successiva è detto lunghezza d’onda λ, mentre il ritardo di tempo con cui ciascuna onda elementare si ripete è detto periodo T; conseguentemente lo spazio percorso dalla perturbazione nel tempo T è pari alla lunghezza d’onda e, detta c la velocità di propagazione dell’onda nel mezzo, si ha λ = cT =
c f
[3.40]
Capitolo 3
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125
avendo indicato con f la frequenza con cui oscilla la sorgente O della perturbazione sonora; come si verifica per la propagazione per onde, un punto P a distanza x dalla sorgente si muove come si muoveva quest’ultima con un ritardo rispetto a questa di τ = x /c, e in tal caso si nota in P un’oscillazione permanente ritardata rispetto a quella della sorgente. Il caso più semplice di onda periodica, ma anche il più comune, è quello in cui il mezzo lineare, supposto illimitato nella direzione x (direzione di propagazione dell’onda diretta), ha nel punto O una sorgente che oscilla di moto sinusoidale (e in effetti la funzione sinusoidale rappresenta la soluzione tipica dell’equazione delle onde). Lo spostamento ξ della particella in corrispondenza della sorgente (x = 0) sia ⎛ 2π ⎞ t ⎝ T ⎟⎠
ξ(0, t) = ξ 0 sin ⎜
[3.41]
la soluzione dell’equazione [3.8], essendo in questo caso la funzione f rappresentata dalla [3.41], si può scrivere come ⎡ 2π ⎛ x ⎞ ⎤ ⎜t− ⎟⎥ ⎣ T ⎝ c⎠⎦
ξ(x , t) = ξ 0 sin ⎢
[3.42]
oppure, tenendo conto della lunghezza d’onda λ e della pulsazione ω = 2π/T, si può scrivere anche come ⎡
⎡ ⎛ t x⎞⎤ ⎛ t x ⎞⎤ − ⎟ ⎥ = ξ 0 sin ⎢2π ⎜ − ⎟ ⎥ = ξ 0 sin ωt − kx ⎝ T cT ⎠ ⎦ ⎣ ⎝ T λ⎠⎦
ξ(x , t) = ξ 0 sin ⎢ 2π ⎜
⎣
(
)
[3.43]
La soluzione [3.43] rappresenta un’onda sinusoidale progressiva che, per effetto della propagazione, è sfasata di un angolo ϕ = –kx = –2πx/λ; per tutti i valori di x = mλ risulta ϕ = –2mπ, si ha cioè che per multipli interi della lunghezza d’onda si verifica concordanza di fase. Il fattore k = 2π/λ che compare nella [3.43] è chiamato vettore (o numero) d’onda, mentre il segno indica il verso di propagazione della perturbazione periodica, che è nel verso delle x crescenti (onda progressiva) se esso è negativo; un’onda che viaggi nel verso delle x decrescenti è detta onda regressiva. Un’onda elastica che si propaga in un mezzo può viaggiare allontanandosi dal punto di origine della perturbazione (sorgente), si tratta in tal caso di un’onda diretta, o viceversa avvicinandosi a essa, si tratta allora di un’onda riflessa. Tale precisazione è necessaria per distinguere le onde alla cui propagazione è associato un trasporto di energia dalle onde stazionarie, per le quali alcune particelle restano fisse nello spazio (i punti dove ciò si verifica si chiamano nodi), mentre altre oscillano sempre con ampiezza massima (e ciò si verifica sempre in corrispondenza dei ventri). La posizione di nodi e ventri non varia
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con il tempo: corrispondentemente nelle onde stazionarie l’energia non viene trasferita da un luogo a un altro ma è interamente confinata in corrispondenza dei ventri.
3.4.1 Onde stazionarie Al fine di comprendere le modalità con cui un’onda stazionaria si stabilisce in un mezzo elastico, è necessario esaminare, seppure con alcune approssimazioni, come l’onda progressiva diretta venga riflessa in virtù dei vincoli imposti. In particolare, le condizioni al contorno per un sistema elastico possono prevedere fondamentalmente due tipologie di vincolo: fisso e cedevole. Si consideri la fune appesa al soffitto della figura 3.8 per la quale, scuotendo l’estremo libero, è possibile generare un’onda trasversale che viaggia lungo di essa verso l’alto (onda progressiva). A seconda del vincolo con cui è stata appesa la fune, si osserverà che l’onda riflessa è concorde o invertita rispetto a quella incidente. Nel caso di vincolo fisso (figura 3.8a) l’onda viene riflessa ribaltata di 180 gradi (rispetto all’asse della corda), mentre un fenomeno del tutto opposto si verifica nel caso di vincolo cedevole (estremo libero di traslare) come riportato nella figura 3.8b. Tale comportamento è dovuto alla reazione che il vincolo esercita sulla fune, una volta che l’onda raggiunga l’estremità vincolata; se l’estremità è fissa, il vincolo reagisce con una forza uguale e opposta a quella trasmessa dalla fune e per tale motivo l’onda riflessa è invertita rispetto a quella incidente; nel caso di estremo libero, e quindi di vincolo cedevole, questo esercita sulla fune solo una forza parallela alla propagazione e pertanto lo spostamento subito dall’estremità è origine di un’onda riflessa concorde con
Figura 3.8. Riflessione di un’onda trasversale. (a) Inversione di fase dell’onda riflessa in corrispondenza del vincolo fisso. (b) Onda riflessa concorde con l’onda incidente in corrispondenza del vincolo cedevole.
Capitolo 3
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127
Figura 3.9. Generazione di un’onda stazionaria. (a) Due onde periodiche, di uguale ampiezza e frequenza, si propagano nello spazio in direzioni opposte (l’onda progressiva è indicata in rosso, quella regressiva in blu) e assumono posizioni diverse in tempi successivi t 1, t2, t3; (b) la loro composizione produce un’onda stazionaria, i cui nodi e ventri hanno posizione fissa lungo l’asse di propagazione ma ampiezza variabile nel tempo.
quella incidente. Questo fenomeno sarà ampiamente discusso quando si tratterà della riflessione sonora. Con riferimento alla figura 3.9, affinché in un mezzo si stabilisca un’onda stazionaria6 è necessario che vi siano due onde periodiche di uguale ampiezza e frequenza che si propaghino in direzioni opposte. Ciò può essere realizzato facendo interferire l’onda periodica progressiva diretta con la corrispondente onda riflessa, che viaggia in senso opposto, per cui l’onda risultante è
(
)
(
ξ = ξ1 + ξ 2 = ξ 0 sin ω t − kx + ξ 0 sin ω t + kx
)
[3.44]
Utilizzando le formule di prostaferesi si ottiene ξ = 2ξ 0 sin ωt cos kx
[3.45]
nella quale l’ampiezza di oscillazione risulta pari a 2ξ0 coskx, ed è quindi variabile nello spazio. Questa interferenza dà luogo a un susseguirsi di zone, fisse nel tempo e nello spazio, in cui l’ampiezza dell’oscillazione è nulla, interval-
6 In questo esempio tale onda è trasversale, ma i concetti esposti sono del tutto generali e pertanto validi anche per le onde longitudinali.
128
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late da zone dove l’ampiezza assume valore massimo; l’onda risultante perciò resta fissa nello spazio mentre gli elementi materiali oscillano nel tempo. Tale circostanza si verifica, per esempio, pizzicando una corda di violino vincolata agli estremi; in essa si generano onde periodiche dirette e inverse della stessa frequenza e ampiezza che, per i vincoli imposti, danno luogo a un sistema di onde stazionarie. Si è già accennato al fatto che i punti nei quali le particelle restano ferme durante la propagazione di un’onda stazionaria (nodi) occupano sempre la medesima posizione lungo l’ascissa curvilinea della corda. A metà distanza tra due nodi successivi si trovano i ventri, ove si verifica lo spostamento massimo delle particelle. La distanza tra nodi (o ventri) successivi è pari a metà della lunghezza d’onda λ dell’onda progressiva e pertanto la distanza tra un nodo e il ventre adiacente è pari a λ/4. Affinché nel mezzo elastico si instauri un’onda stazionaria, è necessario che quest’ultima sia compatibile con le condizioni di vincolo; in particolare, in corrispondenza a vincoli fissi si devono riscontrare dei nodi, mentre in prossimità di estremi liberi si osserveranno dei ventri, come illustrato rispettivamente nella figura 3.8a e 3.8b. Da quest’ultima considerazione emerge che, affinché sulla corda di violino si stabiliscano onde stazionarie, vi deve essere un ben determinato rapporto tra la lunghezza L della corda e la lunghezza d’onda λ dell’onda stazionaria; si deve cioè verificare che essa sia almeno L ≅ λ/2 o multipli interi di tale valore per cui L ≅ nλ/2. In definitiva si devono instaurare almeno due nodi, in corrispondenza dei vincoli fissi, separati da almeno un ventre. Ricordando quanto anticipato nel capitolo precedente, anche un corpo cilindrico può essere sede di una onda stazionaria longitudinale, diretta lungo l’asse del cilindro stesso, come può accadere in una lamina di cristallo piezoelettrico di spessore t, eccitato da un segnale elettrico per mezzo di elettrodi posti sulle sue basi. In tale circostanza, supponendo che le estremità del cilindro siano libere (oscillazioni in thickness, in condizioni di tensione T costante), in loro corrispondenza si dovranno riscontrare dei ventri. Anche in questo caso per il rapporto tra lo spessore t del cilindro e la lunghezza d’onda λ dell’onda stazionaria deve essere nλ ≅ 2t. Per n = 1, si avranno due ventri in corrispondenza delle due basi libere e un nodo sulla sezione media del cristallo. Per esempio, per un cristallo piezoelettrico cilindrico di spessore t = 2mm, poiché deve essere t=
λ
2
=
c 2f
[3.46]
e poiché si può assumere per c un valore pari a 4000 m/s, la frequenza propria di oscillazione risulta f=1MHz. Come illustrato nella figura 3.10, all’interno del cristallo cilindrico si stabilisce un regime di onde stazionarie in virtù delle riflessioni in corrispondenza delle due basi, che costituiscono le superfici di discontinuità del mezzo; essendo queste libere di oscillare, l’onda meccanica presenta due ventri (positivo e negativo) in loro corrispondenza, mentre all’interno, nella zona centrale
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
129
Figura 3.10. Disco piezoelettrico libero di espandersi in thickness. La curva degli spostamenti relativi al sistema di onde stazionarie presenta due ventri in corrispondenza delle basi, che esperiscono lo spostamento massimo allontanandosi simmetricamente rispetto al nodo posto in mezzeria e distante da esse circa λ/4.
del cristallo (che coincide con una distanza dalle basi pari a λ/4), si ha un nodo. Come si è già avuto modo di osservare, la base del cilindro, che presenta oscillazione di ampiezza massima (in assenza di smorzamento), esercita sull’aria circostante una pressione anch’essa oscillante, costituendo perciò una sorgente di perturbazione per il mezzo gassoso.
3.4.2 Riassunto delle grandezze fondamentali Conviene ora riassumere le grandezze definite sin qui nel caso di eccitazione sinusoidale di onde longitudinali. Con riferimento a un’onda elastica longitudinale (in particolare in un mezzo fluido) avente periodo T, velocità di propagazione c, lunghezza d’onda λ = cT, densità ρ e coefficiente di compressibilità χ, le grandezze sin qui definite sono: velocità di propagazione c =
1 χρ
⎡ ⎡ ⎛ t x⎞⎤ ⎛ x⎞⎤ elongazione ξ = ξ 0 sin ⎢2π ⎜ ± ⎟ ⎥ = ξ 0 sin ⎢2π f ⎜ t ± ⎟ ⎥ c⎠⎦ ⎝ ⎣ ⎣ ⎝ T λ⎠⎦ velocità di vibrazione v = dilatazione θ =
⎡ ⎛ t x⎞⎤ ∂ξ 2π = ξ 0 cos ⎢2π ⎜ ± ⎟ ⎥ T ∂t ⎣ ⎝ T λ⎠⎦
[3.47]
⎡ ⎛ t x⎞⎤ 2π v ∂ξ = ± ξ 0 cos ⎢ 2π ⎜ ± ⎟ ⎥ = ± λ ∂x c ⎣ ⎝ T λ⎠⎦ θ χ
pressio one acustica p = − = ∓
1 2π χ λ
⎡
⎛ t x⎞⎤ ± ⎥ ⎝ T λ ⎟⎠ ⎦
ξ 0 cos ⎢ 2π ⎜
⎣
A partire da tali definizioni, sarà possibile dedurre altre due grandezze fondamentali per lo studio delle modalità di propagazione delle onde ultrasono-
Fondamenti di Ingegneria Clinica
130
· Ecotomografia
re nei mezzi elastici, quali quelli coinvolti in indagini diagnostiche mediante ecotomografi: l’impedenza acustica Z e l’intensità acustica I. Nelle relazioni sopra riportate la dipendenza dallo spazio è espressa per mezzo dell’unica variabile x. Ciò significa che l’onda si propaga lungo x e, per un fissato istante, l’ampiezza dell’onda è costante in un piano ortogonale a x e non dipende dalle rimanenti coordinate y e z. Le onde fin qui descritte si dicono onde piane, poiché le superfici in corrispondenza delle quali le particelle del mezzo presentano il medesimo spostamento (e si manifesta quindi la medesima pressione) sono piani nello spazio. Le onde piane sono un’entità astratta, poiché per generarle sarebbe necessaria una sorgente infinitamente estesa; tuttavia esse costituiscono un’utile e intuitiva rappresentazione della propagazione di una perturbazione meccanica in regioni limitate di spazio, nelle quali si può assumere che il valore della pressione in un dato istante non vari significativamente nel piano ortogonale alla direzione di propagazione.
3.5 Grandezze acustiche caratteristiche 3.5.1 Impedenza acustica Riprendendo per comodità le espressioni per pressione acustica e velocità di oscillazione
(
1 p = ∓ kξ 0 cos ωt ± kx χ
(
v = ωξ 0 cos ωt ± kx
)
)
[3.48]
si consideri che la pressione acustica p è la causa del moto della particella, rappresentato dalla sua velocità v. Il rapporto Z, tra la pressione acustica p e la velocità v che ne consegue, si chiama impedenza acustica specifica; essa rappresenta un caso particolare di impedenza meccanica ed è in generale una variabile complessa Z=
p = R + jX v
[3.49]
Infatti, come si è avuto modo di accennare 7, nei fenomeni reali, in presenza di dissipazioni, la risposta a una sollecitazione non è istantanea, ma ritardata rispetto a essa. Nei fluidi reali l’effetto di una sollecitazione di pressione variabile nel tempo si ripercuote sulla velocità delle particelle con un ritardo che è caratteristico per ogni fluido. Se la pressione è una funzione sinusoidale del tempo, la velocità delle particelle è ancora una funzione sinusoidale nel tempo, ma con uno sfasamento dovuto agli attriti. Come per altri tipi di isteresi, 7
Si ricordi, per esempio, quanto affermato per le costanti dielettriche complesse.
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
131
si rende quindi necessaria una rappresentazione del rapporto tra pressione e velocità per mezzo di un numero complesso, che ben si presta a contenere informazioni sia riguardo l’ampiezza sia riguardo la fase. Le dimensioni dell’impedenza acustica specifica sono newton per secondo al metro cubo (Ns/m3) e l’unità di misura è il rayl (1 rayl =1 kg m–2 s–1). Essa ha il medesimo significato fisico dell’impedenza elettrica – rapporto tra la causa agente (campo elettrico, misurato per mezzo di una differenza di potenziale) e l’effetto prodotto, che si manifesta nel moto degli elettroni che costituiscono la corrente elettrica – e dell’impedenza meccanica – in genere rappresentata dal rapporto tra la forza agente su un elemento di un sistema meccanico e la velocità che esso acquisisce per effetto della forza applicata. Per un’onda piana, per esempio progressiva, in un mezzo privo di perdite, per cui si abbia risposta istantanea e siano perciò valide le relazioni [3.47], l’impedenza acustica specifica8 si riduce a Z=
p k 1 = = = ρc χω v χc
[3.50]
nella quale si è utilizzata la relazione c2 = 1/ρχ: la quantità reale espressa dalla [3.50] è detta impedenza caratteristica. Le due formulazioni [3.49] e [3.50] coincidono quindi solo nel caso di un mezzo ideale, privo di dissipazioni al suo interno, nel quale un’onda piana viaggia senza attenuarsi. Nel prossimo capitolo verranno esposti i meccanismi responsabili dell’attenuazione subita da un’onda in un mezzo dissipativo, mentre nel prosieguo di questa trattazione si continuerà a trattare di mezzi ideali in assenza di attenuazione. La relazione [3.49] mostra che l’ampiezza di oscillazione della pressione acustica è legata a quella della velocità delle particelle attraverso il fattore ρc, e cioè tramite costanti caratteristiche del mezzo. Durante un’indagine ecotomografica vengono attraversati dal fascio ultrasonoro differenti mezzi; nel corso di tale attraversamento in fase di trasmissione si verificano fenomeni importanti, in particolare la riflessione e la diffusione acustica, sui quali è fondata la formazione dell’immagine ecografica in fase di ricezione; le proprietà di riflessione e trasmissione ultrasonora dipendono dall’impedenza acustica dei mezzi attraversati e pertanto occorre conoscerne il valore. Per calcolare l’impedenza acustica dei mezzi più importanti, dai quali dipende la trasmissione delle onde ultrasonore nel corpo umano, si può utilizzare la relazione [3.50], che fornisce per l’aria (ρ = 1,3 kg/m3 e c = 330 m/s) il valore 400 rayl e per l’acqua (ρ = 1000 kg/m3 e c = 1400 m/s) il valore 1,4·106 rayl. L’impedenza acustica dell’acqua è quindi 3500 volte superiore a quella dell’aria. Ne consegue che un’onda avente determinate frequenza e ampiezza
8 Nel caso non sussista possibilità di confusione, si utilizzerà nel seguito l’espressione impedenza acustica omettendo il termine “specifica” e indicandola, comunque, con Z.
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· Ecotomografia
Tabella 3.1. Grandezze caratteristiche per materiali di interesse clinico in ecografia Materiale Grasso Neuroni Sangue Rene Fegato Milza Muscoli Osso Aria (0 °C) Acqua dolce (25 °C) Acqua di mare Quarzo PZT-5A Oro
Densità (kg·m–3)
Velocità del suono (m·s–1)
Impedenza acustica specifica (106 kg·m–2·s–1 = Mrayl)
950 1030 1025 1040 1060 1060 1070 1380-1810 1,29 988 1025 2650 7750 19290
1440 1540 1570 1557 1547-1585 1556-1575 1542-1626 2700-4100 330 1497 1531 5750 4350 3240
1,37 1,59 1,61 1,62 1,64-1,68 1,65-1,67 1,65-1,74 3,75-7,4 0,0004 1,48 1,569 15,2 33,71 62,5
da: B. Angelsen (2000) Ultrasound Imaging - Waves, Signals, and Signals Processing. Emantec, Norway.
(e quindi una certa velocità delle particelle) esercita una pressione acustica 3500 volte più grande nell’acqua che nell’aria. Nella tabella 3.1 sono riportati i valori di c e Z per i materiali di interesse clinico. Nei calcoli per la progettazione delle sonde ultrasonore è usuale il multiplo 106, cioè il megarayl (Mrayl). Tabella 3.2. Parametri di campo acustico per onda ultrasonora in acqua, alla frequenza di 1MHz e intensità 1W/cm2 Conducibilità termica Accelerazione di picco Spostamento di picco Pressione di picco Velocità di picco Lunghezza d’onda
0,60 W/m·K 7·105 m/s2 0,018 μm 0,18 MPa 12 cm/s 1,5 mm
Si osserva che il valore di c per l’acqua è diverso da quello precedentemente fornito perché occorre tenere presente l’influenza della temperatura. Ancora con riferimento all’acqua, nella tabella 3.2 vengono riportati alcuni parametri di campo acustico in acqua per un’onda ultrasonora di frequenza e intensità pari, rispettivamente, a 1 MHz e a 1 W/cm2.
3.5.2 Energia delle particelle Le onde elastiche trasportano energia. Tale energia è in ciascun punto costituita dalla somma dell’energia cinetica delle particelle del mezzo dotate di velocità v e dell’energia potenziale immagazzinata nel mezzo a causa della sua deformazione elastica.
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
133
L’energia potenziale EP i di un elemento fluido, il cui volume in condizioni non perturbate sia Vi e che abbia subito un incremento di volume dV = Vi dθ, può essere calcolata tra gli estremi Vi e V dall’integrale –∫pdV, dove il segno negativo indica che l’energia potenziale cresce quando viene sviluppato lavoro sull’elemento fluido per l’azione di contrazione prodotta da una pressione acustica positiva. Ricordando che p = –θ/χ e che dV = –χVidp, si ha p θθ 1 1 Vi 2 E Pi = ∫ − pχ Vi dp = χ Vi p2 = ∫ Vi dθ = θ 2 2 χ 0 0χ
[3.51]
per cui, poiché θ = ∂ξ/∂x, l’energia potenziale dell’unità di volume EP è pari a 1 ⎛ ∂ξ ⎞ EP = c2ρ⎜ ⎟ 2 ⎝ ∂x ⎠
2
[3.52]
per un’onda sinusoidale, tenuta presente la [3.47], risulta ⎡ ⎛ t x⎞⎤ E P = 2π 2 ρξ 20 f 2 cos2 ⎢ 2π ⎜ ± ⎟ ⎥ ⎣ ⎝ T λ⎠⎦
[3.53]
Per quanto attiene all’energia cinetica EC posseduta dall’unità di volume, essa vale 1 ⎛ ∂ξ ⎞ EC = ρ⎜ ⎟ 2 ⎝ ∂t ⎠
2
[3.54]
che, ricordando l’espressione della velocità di vibrazione [3.47], fornisce la medesima espressione [3.53] relativa all’energia potenziale. L’energia totale ETOT = EP+EC dell’elemento di volume unitario è pari pertanto a ⎡ ⎛ t x⎞⎤ E TOT = 4π 2 ρξ 20 f 2 cos2 ⎢2π ⎜ ± ⎟ ⎥ ⎣ ⎝ T λ⎠⎦
[3.55]
mentre l’energia contenuta in un cilindro di sezione A e lunghezza λ risulta λ ⎡ ⎛ t x⎞⎤ E = 4π 2 ρ Aξ 20 f 2 ∫ cos2 ⎢2π ⎜ ± ⎟ ⎥ dx = 2π 2 ρ Aξ 20 f 2 λ = 2π 2ρ Aξ 20 f c 0 ⎣ ⎝ T λ⎠⎦
[3.56]
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134
· Ecotomografia
e questa energia costante si propaga avanzando di una quantità pari a λ nel tempo T = 1/f. Per calcolare la potenza media, o flusso di energia acustica9 Φ, occorre dividere la [3.56] per il tempo T, ottenendo in tal modo la relazione Φ = 2π 2 ρ Aξ 20 f 2 c = 2π 2 Aξ 20 f 2 Z
[3.57]
per la quale, rispetto all’attitudine a trasmettere onde elastiche, i diversi mezzi sono caratterizzati, a parità di frequenza e ampiezza, dalla loro impedenza.
3.5.3 Intensità acustica L’intensità acustica I è definita come il flusso di energia per unità di superficie normale alla direzione di propagazione e si misura in W/m2; si ha pertanto Ι=
Φ
A
= 2π 2 f 2 ξ 20 Z =
ω
2
2
ξ 20 Z
[3.58]
Ricordando che nel caso ideale l’impedenza acustica può porsi p/v = ρc, la relazione [3.58] può essere espressa come Ι=
ρ cω 2 ξ 20
2
=
ρ cv 20
2
=
p20 p2 = 0 2ρ c 2Z
[3.59]
in questa forma, più frequentemente utilizzata nelle applicazioni, compaiono le ampiezze massime della velocità v0 e della pressione acustica p0. La relazione [3.59] può essere utilizzata per valutare alcuni ordini di grandezza, che aiutano a comprendere meglio i fenomeni che interessano la generazione, trasmissione e ricezione delle onde ultrasonore. Conviene tuttavia fornire qualche esempio anche nel campo delle frequenze udibili, per rendersi conto della necessità di un’apposita scala per la misura delle grandezze riguardanti fenomeni acustici e ultra-acustici, cioè la scala dei decibel (dB). La massima intensità sonora tollerabile dall’orecchio umano a 1000 Hz è circa 1 W/m2, corrispondente a un’ampiezza ξ0 dello spostamento di una particella fluida in aria (la cui densità a temperatura ambiente è ρ = 1,19 kg /m3) pari a
ξ0 =
1 2πf
2Ι 1 2 × 1 W/m2 = = 1,1 ⋅10 −5 m 3 3 ρ c 6, 28 ⋅10 Hz 1,19 kg/m × 330 m/s
[3.60]
9 Definito come la quantità di energia che nell’unità di tempo attraversa una superficie normale alla direzione di propagazione.
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
135
Se si considera invece l’intensità minima che alla stessa frequenza l’orecchio può percepire (soglia di udibilità), che è approssimativamente pari a 10–12W m–2, si ha che il corrispondente spostamento è ξ0 = 1,1·10–11m, inferiore al diametro di un atomo di idrogeno! Se si vuole calcolare il valore della pressione sonora nei due casi considerati, si utilizza ancora la [3.59] nella forma p = 2Ιcρ = 2ΙZ
[3.61]
dalla quale si calcolano la pressione sonora pmax per la massima intensità tollerabile dall’orecchio umano, che risulta p max = 2 × 1,19 kg / m3 × 330 m/s × 1 W/m2 ≅ 28 N/m 2 ≅ 3⋅10 −4 bar
[3.62]
e la pressione sonora pmin per la soglia di udibilità, che vale pmin = 2 ×1,19 kg/m3 × 330 m/s ×10−12 W/m2 ≅ 28 ⋅10−6 N/m2 ≅ 310 ⋅ −10 bar [3.63] per cui il rapporto tra le due pressioni sonore è pari a 106. Da questo esempio possono emergere due considerazioni: la prima attiene alla circostanza che in acustica esistono grandezze il cui campo di variazione è assai ampio, dell’ordine di 105÷106, mentre la seconda è relativa al fatto che spesso si ha interesse a stabilire se un suono (o ultrasuono) è più intenso o più debole rispetto a un altro, piuttosto che conoscere il valore assoluto della pressione sonora. Qualora si definisca un’intensità di riferimento, per esempio la soglia di udibilità I0 = 10–12 W/m2, è possibile esprimere le intensità I come multipli di essa. Al fine poi di poter operare con una scala ridotta, e utilizzare anche numeri più grandi e maneggevoli nei calcoli di prima approssimazione, si può utilizzare, invece del rapporto I/I0, il logaritmo in base 10 di esso e costruire una nuova unità di misura chiamata bel e indicata con B così definita I (bel ) = log10
Ι ( W / m2 ) Ι0
[3.64]
( W / m2 )
Pertanto, se un suono è 10 volte più intenso di un altro per cui è I /I0 = 10 e quindi log1010 = 1, si dice che le due intensità differiscono di 1 bel = 1B. Per le applicazioni pratiche l’unità B è troppo grande e perciò si preferisce adoperare la sua decima parte e definire quindi il decibel (dB) I (decibel ) = 10 ⋅ log10
Ι ( W / m2 ) Ι0
( W / m2 )
[3.65]
136
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· Ecotomografia
Tabella 3.3. Intensità sonore riferite a “rumori” comuni Sorgente sonora Decollo di un jet a circa 10 m Decollo di un jet a circa 20 m, colpo di arma da fuoco a bruciapelo (a circa 30 cm) Propulsore jet a circa 30 m, colpo di arma da fuoco a 1 m Decollo di un jet a 100 m, gara automobilistica, colpo di cannone, tuono, pistola sparachiodi Sirena d’ambulanza (a circa 1 m), clacson a circa 1 m, concerto rock Musica rock amplificata, martello pneumatico Sega circolare su mattoni, ruggito di leone (a circa 6 m) Tosaerba a circa 1,5 m Orchestra (75 elementi) a 7 m Traffico cittadino a 15 m Parlato a 1 m Traffico di periferia, temporale, ufficio poco rumoroso Biblioteca Auditorio vuoto, bosco Studio di registrazione Respiro Riferimento
Intensità (W·m–2)
Livello (dB) 160
103
150 140
130
1
120 110 100
10–3
10–6
90 80 70 60 50
10–9
10–12
40 30 20 10 0
nel caso di un suono per cui è I /I0 = 10 si ha che a esso corrisponde la misura di 10 dB mentre se un suono è 10 volte meno intenso di un altro si ha I /I0 = 10–1 e quindi la sua misura in decibel è pari a –10 dB. Sono assai diffuse le tabelle delle intensità sonore, ordinate in maniera crescente ed espresse in decibel, riferite a determinate tipologie di “rumore” considerati di riferimento perché noti e ricordati da ogni persona, in quanto facenti parte della comune esperienza di tutti i giorni (tabella 3.3). In questo caso si stabilisce una scala in decibel a partire dalla soglia di udibilità pari a 10–12W/m2, corrispondente al livello 0 poiché il suo valore, espresso in decibel, è 10 log10 (10–12/10–12) = 0 dB. Si deve osservare che i valori in decibel riportati nella tabella 3.3 sono riferiti all’intensità, e quindi alla potenza acustica. Se occorre conoscere la misu-
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
137
ra in decibel della pressione sonora si deve tenere presente che essa è legata all’intensità sonora da relazione quadratica e pertanto il rapporto tra le pressioni di due livelli sonori si esprime con p(dB) = 10 log10
p2 p = 20 log10 2 p0 p0
[3.66]
Se due suoni (o ultrasuoni) hanno pressione sonora che differisce per esempio di un fattore 2, vale a dire se è p2 /p1 = 2, il valore misurato in dB di tale rapporto vale 20 log10 2 = 20 (0,301) ≅ 6 dB; se si hanno due suoni (o ultrasuoni) che hanno intensità sonora che differisce di un fattore 2, e cioè I2/I1 = 2, si ha che in decibel tale rapporto vale 10 log102 = 10 (0.301) ≅ 3dB; similmente, se due suoni hanno intensità il cui rapporto è I2/I1 = 0,5, e cioè si verifica che un suono ha intensità pari alla metà dell’altro, si ha 10 log100,5 ≅ –3dB. Il segno “–” indica che vi è attenuazione. Questi due casi, per quanto banali, sono utili per riflettere sulla circostanza che ogni 3 dB l’intensità sonora si raddoppia (o, se il segno è negativo, si dimezza); quindi, per esempio, 3 raddoppi sono pari a 9dB. In riferimento all’attenuazione, si deve osservare che in un grafico, in cui venga rappresentato l’andamento dell’intensità in funzione della frequenza (si riferirà di ciò in relazione alla banda passante delle sonde), il punto ove l’intensità relativa è la metà di quella massima (che è un punto significativo assunto in molte circostanze come particolare riferimento) è rappresentato da –3 dB, e lo stesso punto a –3 dB viene spesso indicato sulle curve di risposta in frequenza degli amplificatori audio per definirne la banda passante. In quest’ultimo caso viene riportato il rapporto di potenza elettrica, disponibile ai capi della bobina mobile dell’altoparlante, in funzione della frequenza; il punto –3 dB rappresenta chiaramente l’erogazione di metà della potenza di regime, e tale parametro viene riportato perché è correlato al fatto che l’orecchio umano percepisce inequivocabilmente che vi è una variazione di intensità sonora se essa diminuisce o aumenta di circa la metà.
Figura 3.11. Variazione di intensità acustica tra due punti dello spazio: proprietà additiva della notazione in decibel.
138
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La notazione in decibel è particolarmente utile non solo quando esistono livelli di riferimento, come nei casi citati nella tabella 3.3, ma anche quando occorre confrontare intensità (o potenze) in due punti di un campo acustico (cioè nella regione dello spazio interessata da fenomeni acustici). Anche in tal caso si può assumere come riferimento l’intensità in un punto del campo e misurare, in rapporto a essa, la variazione di livello in dB in altri punti del campo. Un altro importante vantaggio della notazione notazione in decibel è che le variazioni di intensità lungo il cammino di un fascio, in particolare ultrasonoro, sono additive, come viene illustrato nell’esempio che segue. Con riferimento alla figura 3.11, si supponga che un trasduttore emetta un fascio ultrasonoro di intensità I0 e che, dopo un certo tragitto, al punto 1 l’intensità del fascio sia diminuita al 10 per cento del valore iniziale, mentre al punto 2 sia diminuita del 50 per cento del valore I1; complessivamente, ciò corrisponde a una diminuzione del 95 per cento rispetto all’intensità iniziale. Al punto 1 corrisponde perciò un’attenuazione rispetto all’origine di –10 dB, mentre al punto 2 corrisponde un’attenuazione rispetto al punto 1 di circa 3 dB, cioè un’attenuazione rispetto all’origine pari a circa 13 dB.
3.6 L’oscillatore elementare È stato osservato che il meccanismo di propagazione delle oscillazioni in un corpo elastico è dovuto al fatto che l’energia elastica, immagazzinata per effetto di una deformazione, viene successivamente trasformata in energia cinetica delle particelle, che risultano animate da velocità v. Qualsiasi moto oscillatorio10 può verificarsi se, per così dire, esistono due luoghi fisici ove l’energia possa essere immagazzinata, per cui è possibile immaginare il sistema oscillante come costituito da due serbatoi e l’oscillazione come fisicamente rappresentata dal continuo travaso di energia dall’uno all’altro. Un corpo elastico (molla) cui sia applicata una massa (m) costituisce un oscillatore armonico, nel quale l’energia potenziale immagazzinata dalla molla all’atto della sua prima deformazione imposta dall’esterno, è convertita in energia cinetica della massa a essa connessa e viceversa. Questa trasformazione energetica avviene senza soluzione di continuità allorquando nel continuo travaso tra inerzia ed elasticità (e viceversa) non vi sia energia perduta, cioè non intervengano fenomeni dissipativi. Per descrivere analiticamente il moto della massa m, è necessario analizzare le caratteristiche meccaniche dei componenti elementari del sistema oscillante; facendo riferimento al modello meccanico di figura 3.12 e considerando le relazioni di equilibrio tra le forze
10 Nel linguaggio comune la parola “oscillazione” è considerata sinonimo di “vibrazione”. In realtà nel linguaggio tecnico-scientifico il termine oscillazione viene utilizzato per designare fenomeni il cui andamento nel tempo sia prevalentemente sinusoidale e/o con modesto contenuto armonico: si parla infatti di oscillatore armonico. Il termine vibrazione viene invece riferito a fenomeni periodici ricchi di contenuti armonici: si parla infatti di vibrazioni associate al rumore e al multivibratore che, fornendo un’uscita ad andamento periodico ma con fronti rapidi, è assai ricco di armoniche.
Capitolo 3
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Figura 3.12. Oscillatore elementare costituito da massa e molla: sono illustrate la configurazione di equilibrio relativa alla posizione x = 0 e la configurazione corrispondente alla massima elongazione s0 della molla relativa all’istante t0 = 0, assunto come origine dei tempi.
esplicate da ciascun componente elementare, si perviene alla caratterizzazione dinamica del sistema. La caratteristica elastica della molla viene definita per mezzo di un coefficiente di rigidezza k, indicato nella figura 3.13a. La rigidezza k rappresenta la forza F che occorre applicare alla molla per ottenerne un allungamento (o un accorciamento) unitario s. La massa (m) esprime la resistenza11 F che un dato corpo oppone a ogni cambiamento dal suo stato di moto o di quiete; pertanto, come illustrato nella figura 3.13b, essa rappresenta la forza F necessaria a imprimerle un’accelerazione unitaria. È necessario osservare che mentre la definizione di massa è rigorosamente aderente alla realtà fisica, in quanto essa risulta direttamente dalla seconda equazione della dinamica, non altrettanto può dirsi per la rigidezza della molla, che non si può considerare costante e indipendente dall’entità dell’allungamento o accorciamento (s), se non nei limiti dell’elasticità lineare. Ciò significa che la retta rappresentata nella figura 3.13a è nella realtà una curva, che si discosta tanto più dall’andamento lineare quanto maggiore è l’elongazione s. Ciò tuttavia non inficia la correttezza del modello che consente di dedurre l’equazione del moto della massa m. Infatti, come illustrato nella figura 3.12, se si sposta la massa m dalla posizione di equilibrio di una quantità s0 e all’istante t0 la si abbandona, la molla tesa richiama la massa, che a partire da tale istante inizia a salire a spese dell’energia potenziale elastica immagazzinata dalla molla nel corso dello spostamento s0. A ogni istante t>t0, la forza esercitata dalla molla e quella dovuta all’inerzia del corpo si equilibrano secondo la ms = − ks
11
Il termine resistenza è qui utilizzato per esprimere “impedimento”.
[3.67]
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
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Figura 3.13. Componenti elementari di un oscillatore ideale. La molla in (a) rappresenta l’elasticità del sistema; alla massa in (b) è attribuita l’inerzia.
che diviene s +
k s=0 m
[3.68]
Poiché (k/m) = s–2 sono le dimensioni di una pulsazione al quadrato, si può porre k/m = ωn2 nella [3.68], ottenendo la ben nota equazione dei moti armonici s + ω 2n s = 0
[3.69]
La soluzione della [3.68] può essere espressa12 da s(t) = A cos(ω n t + ϕ)
[3.70]
nella quale A è l’ampiezza dell’oscillazione, ϕ è la fase che identifica la posizione della massa m al tempo t0 e infine ωn è la pulsazione (o frequenza angolare); questa può essere espressa come 2πfn, dove fn è la frequenza dell’oscillazione compiuta dalla massa e quindi, in definitiva, la frequenza dell’oscillatore meccanico. Per determinare il valore di A e ϕ è necessario conoscere le condizioni iniziali del sistema. Nel caso in esame all’istante t0 = 0, assunto come origine dei 12
A questo punto si considera che il coefficiente k sia costante.
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
141
tempi, la massa m occupa la posizione s0 con velocità iniziale nulla s·(t0) = 0 m/s e perciò si ricava s(t) = s0 cos(ω n t)
[3.71]
L’oscillatore meccanico descritto ha carattere permanente, nel senso che esso oscilla indefinitamente, essendo stata esclusa per ipotesi qualsiasi perdita nel trasferimento dell’energia tra i due serbatoi (energia cinetica ed energia elastica); l’ampiezza dell’oscillazione, di pulsazione ωn = (k/m)1/2, rimane perciò costante nel tempo. La frequenza angolare ωn, e quindi la frequenza di oscillazione naturale (da cui il pedice n) fn , è tanto più alta quanto maggiore è la rigidezza della molla rispetto alla massa; ciò significa che corpi che debbano oscillare ad alta frequenza (ultrasuoni) sono caratterizzati da massa contenuta (e quindi, generalmente, da piccole dimensioni) ed elevata rigidezza. Le frequenze degli ultrasuoni utilizzati in ecotomografia variano, grosso modo, nell’intervallo 1÷20 MHz; pertanto le dimensioni geometriche degli oscillatori hanno spessori dell’ordine di 0,2÷1mm e, corrispondentemente, masse di qualche decina di milligrammi, mentre le rigidezze sono dell’ordine di 108÷1011N/m.
3.7 L’oscillatore smorzato Il modello presentato nella figura 3.12 non tiene conto della realtà fisica, nella quale non è possibile eliminare le perdite, dovute sia agli attriti interni al
Figura 3.14. Componenti elementari di un oscillatore reale. Lo stantuffo premente un fluido viscoso rappresenta le perdite per attrito.
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Figura 3.15. Oscillatore elementare smorzato costituito da massa, molla e smorzatore. (a) Configurazione di equilibrio relativa alla posizione s = 0. (b) Configurazione corrispondente alla massima elongazione s0 della molla relativa all’istante t0 = 0, assunto come origine dei tempi.
filo con il quale è costruita la molla (perdite per isteresi meccanica), sia agli attriti esterni costituiti dalle resistenze del mezzo nel quale l’oscillatore meccanico si trova immerso. L’esistenza delle perdite implica che l’ampiezza dell’oscillazione non rimane costante nel tempo: essa infatti diminuisce a ogni ciclo, secondo una legge che deve essere determinata. Al modello di figura 3.12 va pertanto aggiunto un elemento che rappresenti gli attriti, e quindi le perdite13, così come indicato nella figura 3.14. La resistenza incontrata dalla massa durante il suo moto può essere rappresentata da un nuovo coefficiente14 r, chiamato coefficiente di attrito viscoso. Esso è numericamente pari alla forza F (uguale e contraria alla forza smorzante) che è necessario applicare allo stantuffo dello smorzatore di figura 3.14 affinché questo si muova con velocità unitaria. In altre parole, la forza smorzante rappresentativa degli attriti e delle perdite, in generale è proporzionale alla velocità con la quale si muove lo stantuffo, se questa non è elevata. Il modello meccanico di figura 3.12 si trasforma pertanto in quello della figura 3.15. Per ricavare la legge di moto della massa m, si procede in maniera analoga a quanto fatto per il modello senza smorzamento. Inizialmente si sposta la massa m di una quantità s0 e all’istante t0 la si lascia libera. Per quanto riguarda l’equilibrio delle forze agenti sulla massa, si osserva che alla forza di richiamo elastico della molla, che tende a riportare la massa m nella posizione di riposo (s = 0), si oppongono sia la forza d’inerzia (della massa) sia la forza eser-
13 L’energia meccanica perduta si trasforma in calore; ogni oscillatore meccanico, o di qualsiasi altra natura, durante l’oscillazione si riscalda e ciò si verifica anche nei trasduttori per ecografia (sonde); in alcune soluzioni costruttive il problema dello smaltimento del calore non è di banale soluzione. 14 La lettera r è utilizzata nella letteratura italiana, la lettera c in quella anglosassone.
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
143
citata dallo smorzatore. L’equazione del moto nel caso di vibrazioni libere15 smorzate pertanto risulta d 2s ds = − r − ks 2 dt dt
[3.72]
d 2s ds + r + ks = 0 2 dt dt
[3.73]
m che può scriversi come m
La [3.73] è un’equazione differenziale ordinaria lineare omogenea del secondo ordine a coefficienti costanti, la cui soluzione è del tipo s(t) = A1e x1t + A 2e x 2t
[3.74]
dove A1 e A2 sono costanti da determinare in base alle condizioni iniziali, mentre x1 e x2 sono le radici dell’equazione caratteristica x2 +
r k x+ =0 m m
[3.75]
il cui valore è dato dalla relazione x1,2 = −
r r2 k r ± − =− ± Δ 2 2m 2m 4m m
[3.76]
dove con Δ si è indicato il termine discriminante in quanto da esso dipende il tipo di moto che anima la massa m. Sostituendo le radici x1 e x2 fornite dalla [3.76] nella soluzione [3.74] si ricava s(t) = e
−
r ⋅t 2m
(A e 1
Δ ⋅t
+ A 2e −
Δ ⋅t
)
[3.77]
che descrive tre tipi diversi di moto, discriminati dal valore di Δ. Se le caratteristiche meccaniche del sistema sono tali che Δ>0, cioè r2 k > 2 m 4m
15
Per “libere” si intende in assenza di una forzante esterna.
[3.78]
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144
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per cui l’azione smorzante espressa dal primo termine prevale sulle azioni di richiamo elastiche, le radici dell’equazione caratteristica [3.75] sono, come noto, reali e distinte. Ricordando le formule di Eulero e ± jx = cos x ± j sin x
[3.79]
e applicandole alle funzioni seno e coseno iperbolici, si ottiene
( ) sin x = − j sinh ( jx ) e = cosh ( jx ) ± sinh ( jx ) cos x = cosh jx
[3.80]
± jx
per cui si ha s(t) = e
−
r t 2m
{(
)
⎡ A + A cosh 2 ⎣⎢ 1
( Δ t )⎤⎦⎥ + (A − A ) sinh( Δ t )} 1
2
[3.81]
La [3.81] può essere semplificata ponendo A1+A2 = B1 e A1–A2 = B2. I valori di B1 e B2 sono determinati dalle condizioni iniziali (all’istante t0 = 0) in termini di spostamento e velocità della massa. Poiché nel caso in esame lo spostamento dalla posizione di riposo vale s0 e la massa possiede velocità nulla s·(t 0) = 0, la [3.81] si trasforma nella s(t) = e
−
r t 2m
⎡ s0 ⎢ cosh ⎣
( Δ t ) + 2mr Δ sinh( Δ t )⎤⎥⎦
[3.82]
dalla quale si deduce che il moto della massa risulta smorzato, in quanto il termine e–(r/2m)t è un esponenziale decrescente nel tempo, e che lo smorzamento è tanto più marcato quanto più elevato è il valore del coefficiente r rispetto a quello della massa m. Ciò significa, come era da attendersi, che il tempo necessario alla massa per ritornare alla posizione iniziale (s = 0) è tanto maggiore quanto maggiore è r. Il comportamento aperiodico del sistema si evince dall’andamento delle funzioni iperboliche sinh e cosh, per il quale la massa tende alla posizione di equilibrio statico asintoticamente in un tempo (teoricamente) infinito, come mostrato nella figura 3.16a per il caso Δ >0. Se il termine rappresentativo dell’azione smorzante degli attriti eguaglia il contributo dovuto all’elasticità secondo la r2 k = 2 m 4m
[3.83]
le radici dell’equazione caratteristica [3.75] sono reali e coincidenti, per cui la soluzione [3.80] si specializza nella
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
145
s(t) = s0e
−
r t 2m
⎛ r ⎞ ⎜⎝ 1 + 2m t ⎟⎠
[3.84]
costituita dal prodotto di una funzione lineare e di una funzione esponenziale decrescente. La massa tende a raggiungere la posizione di equilibrio statico asintoticamente in un tempo (teoricamente) infinito, ma con rapidità maggiore rispetto al caso precedente, poiché l’esponenziale negativo predomina sulla funzione lineare. Il moto, ancora aperiodico, è il più breve tra tutti i moti aperiodici possibili e viene perciò definito aperiodico critico (mostrato nella figura 3.16a per il caso Δ = 0), mentre il valore di r per cui esso si verifica, fornito dalla [3.83], si chiama smorzamento critico rc per il quale risulta rc = 2(km)1/2. Si possono pertanto distinguere i moti aperiodici per i quali r>rc, come nel caso precedente, e i moti oscillatori smorzati per i quali r
r r = rc 2 km
[3.85]
Figura 3.16. Evoluzione libera di un sistema del secondo ordine: spostamento della massa m in funzione del tempo t (normalizzato rispetto al periodo T dell’oscillazione libera non smorzata). (a) Classi di moto del sistema individuate dal discriminante Δ: moto aperiodico (Δ>0), aperiodico critico (Δ = 0), oscillatorio smorzato (Δ<0) e oscillatorio non smorzato (Δ<0, r = 0). (b) Oscillazioni libere in assenza di smorzamento (in azzurro) e in caso di smorzamento non nullo (in rosso); la curva inviluppo tratteggiata in nero rappresenta il decadimento dell’ampiezza delle oscillazioni.
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fa sì che a valori di r maggiori, minori o uguali a rc corrispondano valori di ζ rispettivamente maggiori, minori o uguali a 1. Se le caratteristiche meccaniche sono tali che Δ<0, cioè r2 k < 2 m 4m
[3.86]
il discriminante dell’equazione caratteristica può scriversi come Δ = (–1)(–Δ), _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ con –Δ>0, e le sue radici complesse e coniugate risultano +j√(–Δ) e –j√(–Δ); le radici dell’equazione caratteristica [3.75] sono perciò complesse e coniugate e assumono la forma x 1,2 = −
r r k r2 ± j −Δ = − ±j − m 4m 2 2m 2m
[3.87]
e la soluzione [3.80] può essere riscritta, considerando le relazioni di Eulero
( sinh ( j
) ( − Δt ) − Δ t ) = j sin ( − Δ t )
cosh j − Δ t = cos
[3.88]
nella seguente forma s(t) = e
−
r t 2m
⎛ ⎞ r s0 ⎜ cos − Δ t + sin − Δ t ⎟ ⎝ ⎠ 2m − Δ
[3.89]
Il moto della massa è di tipo oscillatorio smorzato poiché la sua ampiezza, per la presenza dell’esponenziale negativo, decresce nel tempo e finisce quindi con l’annullarsi asintoticamente. Ricordando che r = 2(km)1/2ζ e osservando che –Δ = ωn2(1–ζ2), la [3.89] può scriversi come ⎤ ⎡ ζω s(t) = e −ω n ζ t s 0 ⎢ cos ω s t + n sin ω s t ⎥ ωs ⎦ ⎣
( )
( )
[3.90]
dove compare la pulsazione naturale del sistema smorzato o pulsazione propria ωs = ωn(1– ζ2)1/2. La storia temporale del moto [3.89] della massa m è riportata nella figura 3.16a nel caso Δ<0. Nella figura è stato posto in rilievo quale sia il ruolo dell’attrito r nei tre casi di discriminante positivo, negativo o nullo. Se infatti esso ha valore tale da invertire il segno di Δ, le funzioni aperiodiche sinh e cosh si trasformano in funzioni periodiche, l’energia può rimbalzare tra i due serbatoi di energia e il sistema diviene quindi oscillante. In tale circostanza le forze d’inerzia ed elastiche sono preponderanti rispetto a quelle d’attrito, la cui presenza produce una riduzione dell’ampiezza tra un ciclo e il
Capitolo 3
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147
successivo16. Qualora il coefficiente di attrito viscoso assuma valore nullo, il sistema risulta del tutto equivalente a quello di un oscillatore non smorzato, come si osserva ponendo r = 0 nella [3.87], che diviene identica alla legge del moto di un oscillatore armonico ⎛ k ⎞ s(t) = s0 cos ⎜ t ⎟ = s0 cos(ω n t) ⎝ m ⎠
[3.91]
L’introduzione nel modello di oscillatore dell’elemento smorzante della figura 3.14 consente pertanto di stabilire che sono possibili per la massa quattro classi di moto: aperiodico, aperiodico critico, oscillatorio smorzato, oscillatorio non smorzato. Nella figura 3.16a sono rappresentate le quattro classi del moto. I moti descritti rappresentano le oscillazioni libere del sistema quando questo venga perturbato rispetto alla condizione di equilibrio e successivamente lasciato a se stesso. Se ora si considera il caso nel quale la massa m venga sollecitata dall’esterno con un’azione forzante, per esempio una forza periodica del tipo f(t) = F0sinωt, l’equilibrio delle forze si scrive m
d 2s ds + r + ks = F0 sin ωt 2 dt dt
[3.92]
Questa equazione differenziale ammette come soluzione di regime un’integrale particolare del tipo s(t) = M·sin(ωt+ϕ), dove M e ϕ sono, rispettivamente, l’ampiezza e la fase dell’oscillazione della massa sottoposta alla forzante F0sinωt; tale integrale particolare costituisce la soluzione di regime, cioè per tempi sufficientemente grandi per cui si sia esaurito il transitorio (soluzione dell’equazione omogenea associata). L’ampiezza M e la fase ϕ dipendono dai coefficienti costanti dell’equazione differenziale. In particolare si può dimostrare che M=
F0
( k − mω ) + r ω 2
2
tgϕ =
2
= 2
F0 mω 2n 2
⎛ ω2 ⎞ ⎛ ω ⎞ ⎜⎝ 1 − ω 2 ⎟⎠ + ⎜⎝ 2ζ ω ⎟⎠ n n
2ζω ω n rω = 2 2 ω k − mω 1− 2
[3.93] 2
[3.94]
ωn
16 L’entità dello smorzamento può essere valutata osservando la riduzione di ampiezza tra una oscillazione e la successiva, per mezzo del parametro δ = ln(An/An+1), detto decremento logaritmico, dove An è l’ampiezza della n-esima oscillazione. Esso risulta δ = ζωnT = 2πζωn/ωs = 2πζ/(1-ζ2)1/2.
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Il moto del sistema forzato, al variare della pulsazione corrente ω della forzante, e per diversi valori dello smorzamento r, può essere descritto dai grafici di ampiezza e fase riportati nella figura 3.17 in termini adimensionali, il che li rende applicabili a qualsiasi sistema del secondo ordine che sia individualmente caratterizzato da m, r e k. Ciò può ottenersi individuando il rapporto di amplificazione A = M·k /F0 tra l’ampiezza massima M dell’oscillazione, che si ottiene con una forzante di pulsazione ω, e l’ampiezza F0 /k dell’oscillazione, che si ottiene con una forzante di pulsazione nulla. Un secondo parametro adimensionale è individuato dal rapporto u = ω/ωn tra la pulsazione della forzante e quella di oscillazione libera del sistema non smorzato ωn. Ampiezza adimensionale e fase dell’oscillazione risultano perciò A=
1
(1 − u ) + (2ζu ) 2
ϕ = − arct
2
2ζ ⋅ u 1 − u2
2
[3.95]
[3.96]
Relativamente ai ben noti andamenti di figura 3.17 vale la pena riportare alcune osservazioni. Per u = 1 il sistema è caratterizzato da ϕ = –π/2 ed è perciò definito in risonanza di fase. L’ampiezza dell’oscillazione è massima (per cui si parla di risonanza di ampiezza) per u = (1–2ζ2)1/2, vale a dire per pulsazioni ω inferiori alla pulsazione
Figura 3.17. Risposta in frequenza dei sistemi del secondo ordine al variare dello smorzamento. (a) Ampiezza normalizzata dello spostamento in funzione della pulsazione normalizzata. (b) Andamento della fase dello spostamento ancora in funzione della pulsazione normalizzata.
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149
libera del sistema smorzato ωs. Per ζ = 0 (ωs = ωn) le due condizioni di risonanza coincidono e l’ampiezza dell’oscillazione è infinita. All’aumentare di ζ il picco di risonanza in ampiezza Amax decresce; in particolare risulta approssidi pulsazioni mativamente17 Amax ≅ Au=1 = 0,5/ζ, e si verifica in corrispondenza _ _ via via minori. In corrispondenza del valore ζ = 0,5√2 = 0,707 l’amplificazione per risonanza è praticamente eliminata, l’andamento di A diviene piatto e il sistema risponde al variare della frequenza della forzante esterna in modo unitario per un ampio intervallo di frequenze. La banda passante del sistema – cioè l’intervallo di pulsazioni per il quale il fattore di amplificazione è tale che |AdB|≤ 3 dB, vale a dire per il quale l’ampiezza delle oscillazioni non cresce o diminuisce più del 30 per cento rispetto al valore che si ottiene per pulsazione nulla della forzante – presenta un massimo proprio per tale valore ζ = 0,707. Infine, se in tali condizioni il sistema viene eccitato dall’esterno a frequenza ω ≅ 5ωn, il fattore di amplificazione è praticamente nullo; il sistema cioè non risponde per ω >5ωn e pertanto si comporta da filtro passa basso.
3.8 Circuiti elettrici oscillanti Nell’ambito della trattazione sui sistemi del secondo ordine, è pratica comune rappresentare il comportamento di qualsiasi sistema, che sia in grado di accumulare energia sotto almeno due diverse forme, mediante uno schema equivalente a parametri concentrati, un esempio dei quali è stato presentato nella figura 3.15. Come si è mostrato nei paragrafi precedenti per un sistema meccanico rappresentato da parametri concentrati massa-molla-smorzatore, un sistema siffatto è in grado, sotto certe condizioni, di manifestare variazioni cicliche di alcune delle sue grandezze caratteristiche. Per i sistemi meccanici tali grandezze sono per esempio energia cinetica e potenziale elastica, per i sistemi elettrici possono essere energia capacitiva ed energia induttiva: in entrambi i casi, se ciò accade, il sistema si comporta da oscillatore ed è possibile stabilire un’analogia elettrica per cui il sistema oscillante è rappresentato con un circuito elettrico denominato circuito oscillante. Normalmente si ricorre a tale modello o per sistemi elettrici (in cui i parametri circuitali del modello corrispondono effettivamente alle caratteristiche elettriche del sistema) o per sistemi meccanici (in cui ai parametri circuitali R, L e C del modello elettrico corrispondono grandezze di natura meccanica quali, rispettivamente, le resistenze viscose, la massa e la cedevolezza); tale modellizzazione costituisce solo un primo e approssimativo approccio alla descrizione e allo studio della realtà fisica in esso schematizzata ed è in genere valido solo in alcune condizioni. 17
Si osserva che, dal punto di vista analitico, la massima ampiezza di oscillazione Amax si ottiene calcolando l’espressione [3.95] per u = (1–2ζ2)1/2 da cui si ricava A = Amax = 0,5/[ζ·(1–ζ2)1/2]. Da ciò si deduce che allorquando ζ<1 è lecito confondere Amax con il valore di A in corrispondenza di u = 1.
150
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Nel seguito si farà riferimento a sistemi elettrici (perciò le principali grandezze utilizzate saranno la differenza di potenziale V e l’intensità di corrente I); tuttavia, per quanto detto in precedenza, le conclusioni cui si perverrà sono del tutto generali e applicabili anche a sistemi di tipo meccanico.
3.8.1 Circuito risonante serie Un primo tipo di circuito oscillante, illustrato nella figura 3.18, è caratterizzato dal fatto che ogni elemento passivo ha il terminale d’uscita connesso al terminale d’ingresso del successivo, in modo da formare una sorta di catena, o serie, per cui il modello è denominato circuito risonante serie. Nella figura 3.18a questo circuito appare costituito fondamentalmente da due parti: a sinistra si trova un generatore di tensione V, il quale fornisce la sollecitazione forzante; a destra è invece situato il ramo risonante, che definisce, con i suoi parametri, le proprietà caratteristiche del sistema e la sua risposta dinamica. Se una causa agente esterna tende a modificare lo stato di equilibrio del sistema, questo generalmente reagirà tendendo a impedire, per quanto possibile, il cambiamento; tale comportamento è caratterizzato da un’impedenza Z che, come si è già stabilito, è il rapporto tra la forzante e il suo effetto e indica perciò quanto il sistema si oppone alla variazione del proprio stato in seguito a una perturbazione esterna. Quantunque il concetto di impedenza sia già stato accennato nelle pagine precedenti per i sistemi meccanici (impedenza acustica specifica), si ritiene opportuno riprenderlo e approfondirlo qui, per meglio adattarlo ai meccanismi sui quali è fondata la risonanza di sistemi che sono al tempo stesso elettrici e meccanici.
Figura 3.18. Circuito risonante serie. (a) Circuito elettrico costituito da: generatore di tensione V; amperometro G per la misura di corrente I; ramo serie contenente gli elementi passivi L, R e C. (b) Sistema meccanico massa-molla-smorzatore, nel quale: il generatore di tensione V è sostituito da (equivale a) una forzante F; la corrente I è sostituita dalla velocità s• assunta dalla massa.
Capitolo 3
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151
3.8.2 Impedenza elettrica e circuito risonante serie La parola impedenza deriva evidentemente dal verbo “impedire” cui, in senso lato, può essere attribuito il significato di ostacolare il verificarsi di un’azione. Se l’impedimento è “infinito” l’azione ha effetto nullo, anche se essa non si estingue e permane come causa agente: questa particolare circostanza viene più chiaramente illustrata nel seguito. Se l’impedimento è nullo, l’azione consente il verificarsi di un effetto pieno e cioè caratterizzato da ampiezza infinita anche per sollecitazioni trascurabili. Per valori finiti dell’impedenza, l’effetto si manifesta con la massima intensità consentita dall’entità della causa agente. L’impedenza può essere pertanto considerata come una sorta di “misura” dell’effetto che è possibile ottenere in relazione a una causa di determinata intensità. Si può perciò definire in qualche modo come il rapporto Impedenza =
Causa Effetto
[3.97]
l’introduzione del quale potrebbe suscitare qualche perplessità, poiché se esso è valido per la definizione di impedenza infinita, può risultare ambiguo nel caso di impedenza zero18. D’altra parte le applicazioni della [3.97] a fenomeni fisici appaiono immediate, come mostrato nella tabella 3.4: Tabella 3.4. Classificazione di impedenza Grandezza Causa/Effetto
Unità di misura
Impedenza meccanica Impedenza elettrica Impedenza acustica specifica
N/(m·s–1) V/A N·m–2/(m·s–1)
Forza/Velocità = F/v ddp/Corrente = V/I Pressione/Velocità = p/v
Benché dagli esempi riportati emerga chiaramente il concetto fisico di impedimento, non è evidente quale sia la sua natura e con quale modalità esso si manifesti. Infatti sono possibili due diversi meccanismi, dissipativo e reattivo. In un fenomeno dissipativo, l’energia connessa con la causa agente e fornita al sistema (in particolare al circuito elettrico a esso equivalente) è trasformata in calore all’interno del circuito nel quale essa realizza le azioni per le quali il circuito è stato progettato. In un qualsiasi circuito elettrico gli elettroni che scorrono entro il conduttore metallico sotto l’effetto della causa agente, cioè del campo elettrico fornito dal generatore, urtano continuamente contro gli atomi costituenti il reticolo cristallino del conduttore, ponendoli in vibrazione. Questa vibrazione si smorza trasformando l’energia meccanica in energia termica in virtù della quale il conduttore si scalda. In questo caso il rap-
18 Si noti come Z = 0 possa corrispondere sia a un effetto estremamente accentuato rispetto alla causa che lo ha provocato (sistemi causali), sia a un effetto finito in corrispondenza di una causa nulla (negazione del principio di causalità).
152
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porto tra causa (ddp) ed effetto (corrente) definisce la misura della resistenza all’avanzamento che gli elettroni incontrano nel conduttore, per cui risulta Z=R=
V I
[3.98]
nella quale [R] = [Ω]. L’energia fornita dal generatore viene dissipata nel circuito di resistenza elettrica R e trasformata in calore Q per effetto Joule secondo la nota relazione Q = RI2
[3.99]
dove [Q] = [J]. In un fenomeno a carattere reattivo la corrente nel circuito viene limitata senza che vi sia perdita di energia in uscita dal sistema (dissipazione). Si consideri per esempio il semplice circuito di figura 3.19, ove il generatore G alimenta un avvolgimento (induttanza L) connesso tra i morsetti a e b con una tensione alternata Vsin(ωt), e si faccia l’ipotesi che il circuito, composto integralmente di conduttore di rame, abbia resistenza nulla e cioè che non vi siano fenomeni dissipativi. Il generatore che fornisce la tensione V fa circolare nell’induttanza L una corrente I alternata con pulsazione ω. Ortogonalmente all’asse dell’avvolgimento, le spire del quale costituiscono fisicamente l’induttanza, si genera un campo magnetico le cui linee di flusso variano in sincronia con la corrente. Il conduttore è con esse concatenato e perciò diviene sede di una f.e.m. autoindotta, che si oppone alla variazione della V imposta dal generatore secondo la legge di Lentz e = –dΦ/dt. Questa forza elettromotrice avversa di natura interna – che istante per istante equilibra la V imposta dall’esterno e che è tanto maggiore quanto più rapida è la variazione di flusso (cioè quanto più grande è ω) – limita la corrente I imposta dal generatore. Essa rappresenta l’inerzia
Figura 3.19. Circuito con carico induttivo L. La reazione della bobina, dovuta alla variazione di flusso magnetico Φ concatenato, si oppone alla tensione V imposta dal generatore G, con un effetto di riduzione della corrente I nel circuito senza flussi energetici in uscita dal sistema.
Capitolo 3
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153
del sistema, che si oppone alla variazione del suo stato e nasce come reazione alla perturbazione imposta dall’esterno. L’impedenza associata a tale reazione, detta reattanza (nel caso descritto, reattanza induttiva), non è associata ad alcuna dissipazione e risulta pari a Z = XL = ωL
[3.100]
dove L è un parametro definito dal rapporto tra flusso Φ generato e corrente I circolante nel circuito; esso dipende dai parametri geometrici della bobina, cioè in ultima analisi dal concatenamento delle linee di flusso con il circuito. Un ragionamento analogo può essere condotto in relazione alla reattanza offerta da un condensatore, pertanto indicata come reattanza capacitiva, che risulta Z = XC =
1 ωC
[3.101]
dove la capacità C è un parametro dipendente dalla geometria e dalle caratteristiche del materiale dielettrico, nel più volte citato esempio di condensatore piano, secondo la ben nota C = ε0εr
S d
[3.102]
L’impedimento complessivo allo scorrere della corrente nel circuito è fornito in generale dai contributi dissipativi e dai diversi contributi reattivi (capacitivi e/o induttivi). Appare ora chiaro come sia opportuno rappresentare l’impedenza con un numero complesso, la cui parte reale R corrisponde alla quota parte di impedimento dissipativo, mentre la parte immaginaria corrisponde all’impedimento reattivo e capacitivo, secondo la Z = R + jX
[3.103]
dove X = XL+XC è la reattanza complessiva19. Rammentando le equazioni di Eulero e le modalità di rappresentazione dei numeri complessi, si noti come la parte reattiva, coefficiente dell’unità imma_ _ _ _ _ ginaria j = √–1, sia posta sempre a 90 gradi, in anticipo o in ritardo, rispetto alla parte reale. Nella figura 3.20, ciò è illustrato nel piano vettoriale di ArgandGauss, nel quale la resistenza R è la componente reale dell’impedenza, mentre – La notazione Z denota il numero complesso, per il cui modulo si useranno, d’ora in poi, sia la no– tazione Z sia quella |Z | .
19
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Figura 3.20. Rappresentazione di numeri complessi nel piano di Argand-Gauss. I numeri reali R e X rappresentano le componenti, rispettivamente reale e immaginaria, dell’impedenza complessa. La moltiplicazione di un numero complesso per +j ruota il vettore in verso antiorario di 90 gradi, portandolo in anticipo di tale angolo rispetto alla posizione di partenza; viceversa, il vettore viene ruotato di 90 gradi in verso orario se moltiplicato per –j, che lo porta perciò in una posizione finale in ritardo di tale angolo.
la componente immaginaria è costituita dal vettore jωL, ruotato in anticipo di 90 gradi nel caso di reattanza induttiva, e dal vettore –j/ω C, ruotato in ritardo di 90 gradi nel caso di reattanza capacitiva. Con riferimento a un circuito serie comprendente R, XL e XC (come nella figura 3.21), la legge di Ohm si scrive V = Z⋅ I
[3.104]
Z = R + j(X L + X C )
[3.105]
⎡ ⎛ 1 ⎞⎤ V = ⎢ R + j ⎜ ωL − ⎥⋅ I ωC ⎟⎠ ⎦ ⎝ ⎣
[3.106]
dove
e quindi in definitiva
Il circuito serie di figura 3.21a è sufficiente per il momento per trarre alcune deduzioni di carattere generale sul fenomeno della risonanza, che nella fattispecie viene indicato con il nome di risonanza del circuito serie o più semplicemente risonanza serie. Se il generatore di tensione E è un generatore ideale, la sua f.e.m. equilibra – – – – – – istante per istante le tre cadute di potenziale VR = RI , VL = jωLI , VC = –jI /ω C; si può pertanto tracciare rispetto alla corrente I il diagramma vettoriale riporta– – to nella figura 3.21b, dal quale, se VL = –VC , cioè jωL = +j/ω C, si ottiene la ben nota condizione di risonanza
Capitolo 3
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Figura 3.21. Circuito risonante serie. (a) Ramo LRC in serie e relative cadute di tensione dei componenti passivi. (b) Corrente circolante e cadute di tensione VR , VL e VC alla risonanza rappresentate sul piano di Argand-Gauss.
1
ω=
[3.107]
LC
La pulsazione ω fornita dalla relazione [3.107] è la pulsazione di oscillazione naturale del sistema non smorzato ω0S, detta pulsazione di risonanza del – – circuito serie. Dal punto di vista fisico, affermare che vale per le ddp VL = –VC equivale ad affermare che l’induttanza del circuito mette a disposizione una f.e.m. di autoinduzione che è esattamente uguale, in ciascun istante, alla tensione richiesta dal condensatore per caricarsi; ciò significa che l’effetto “inerziale” della corrente dell’induttanza viene esattamente equilibrato dalla reazione dielettrica del condensatore e che il circuito diviene un oscillatore con frequenza di oscillazione libera pari a f0S =
ω 0S
2π
=
1
[3.108]
2π LC
Se la parte dissipativa rappresentata dalla resistenza R è nulla, l’oscillatore è permanente; viceversa, se R ≠ 0 l’oscillazione viene via via smorzata e si annulla in un tempo tanto più breve quanto più grande è R. Giova osservare che le espressioni da [3.104] a [3.107] sono vettoriali e che pertanto, se si desidera conoscere il modulo dell’impedenza complessa Z, occorre ricordare che il modulo di un numero complesso è fornito dalla radice quadrata della somma dei quadrati delle componenti, reale e immaginaria, secondo la 2
⎛ 1 ⎞ = R2+ X L + X C Z = R + ⎜ ωL − ωC ⎟⎠ ⎝ 2
(
)
2
[3.109]
Fondamenti di Ingegneria Clinica
156
· Ecotomografia
per cui la [3.104] si riscrive
(
V = R2 + X L + X C
)
2
I
[3.110]
La fase ϕ, o angolo di sfasamento in anticipo o in ritardo tra tensione applicata e corrente circolante nel circuito, è in relazione al rapporto tra la componente immaginaria e quella reale dell’impedenza secondo la tgϕ =
X L+ X C R
[3.111]
In caso di risonanza, essendo XL = –XC , tgϕ = 0 e in tali condizioni il comportamento del circuito è puramente resistivo; ciò significa che alla risonanza la tensione è sempre in fase con la corrente e che il sistema non oppone inerzia alla sollecitazione, mentre le perdite sono rappresentate da quelle ineliminabili dovute alle resistenze ohmiche del circuito. – – L’equazione [3.110] in questo caso si scrive semplicemente V = R 0S I , dove la resistenza R 0S è quella in condizioni di risonanza serie 20 e l’intensità I della corrente assume il valore massimo I 0 per cui I0 =
V R0S
tgϕ = 0
[3.112]
3.8.3 Circuito risonante serie e sue proprietà Ancora con riferimento al circuito della figura 3.21, nel quale il generatore E consenta di fornire una ddp del tipo E = E0sinωt = E0sin(2πft) con f variabile entro un determinato intervallo, se si misura la corrente I che scorre nel circuito al variare della frequenza, in modo da costruire una curva I(f), si ottiene un andamento del tipo indicato nella figura 3.22. Il valore massimo della corrente si verifica alla frequenza di risonanza ed è pari al rapporto V/R 0S ; per frequenze inferiori a quelle di risonanza, alle quali X C >X L 21, la corrente è sfasata in anticipo rispetto alla tensione (tgϕ>0) e il circuito manifesta un comportamento capacitivo; viceversa, per frequenze supe-
20 Se allo schema a parametri concentrati (dove R, L, e C rappresentano rispettivamente pure resistenze, induttanze e capacità) si sostituiscono componenti reali, la resistenza R comprende anche le resistenze equivalenti dei componenti reattivi, variabili con la frequenza, e può essere perciò considerata costante e pari al valore alla risonanza solo in un intervallo limitato di frequenze intorno a tale condizione. 21 La condizione di risonanza si scrive ω L = 1/ω C; per ω>ω prevale il comportamento induttivo 0S 0S 0S dell’impedenza, poiché XL = ωL>1/ωC = XC. Viceversa, a frequenze minori il contributo dell’induttanza è minore di quello capacitivo.
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
157
Figura 3.22. Circuito risonante serie: curve di risposta in frequenza. In azzurro e rosso andamenti rispettivamente di modulo e fase dell’impedenza, in verde modulo della corrente. Alla frequenza di risonanza si verificano il massimo dell’intensità di corrente, il minimo dell’ impedenza e l’annullarsi della sua fase.
riori a quelle di risonanza, la reattanza induttiva XL supera quella capacitiva XC e pertanto la corrente è sfasata in ritardo rispetto alla tensione. Tracciando i corrispondenti andamenti del modulo e della fase dell’impedenza si nota che il modulo raggiunge il valore minimo alla risonanza, dove la corrente è massima, mentre la fase assume i valori maggiori (positivi) alle alte frequenze, dove il – contributo preponderante è quello induttivo (XL = jωL), e i valori minimi (mas– simi negativi) alle basse frequenze, dove il contributo di XC = –j/ωC è il più significativo. Si riconosce altresì che alla risonanza la fase è nulla e ciò si verifica sia in circuiti ideali, in cui R0S = 0, sia in circuiti reali nei quali R0S ≠ 0. A questo riguardo occorre dire (come accennato nella nota 20) che, se la resistenza RS del circuito assumesse valore R0S costante al variare di ω, la corrente I manifesterebbe il suo massimo valore sempre in corrispondenza di ω0; poiché tuttavia in un circuito effettivo, costituito di componenti non ideali, RS varia con la frequenza (per effetto dell’autoinduzione del conduttore), questa circostanza in generale non si verifica. Ciò comporta che la frequenza per la quale si ha il valore minimo dell’impedenza non coincide sempre con la frequenza di risonanza (intesa come frequenza alla quale si ha fase nulla). Dalle curve di risonanza della figura 3.22 si rileva la capacità del circuito di selezionare tra oscillazioni a frequenza diversa; in particolare nel circuito scorre la corrente con la massima ampiezza se la pulsazione ω è pari a ω0S, mentre mano a mano che ci si allontana da questa, verso valori sia superiori sia inferiori, l’ampiezza della corrente circolante (cioè del segnale che costituisce la risposta alla sollecitazione) decresce progressivamente, fino ad annullarsi per ω <<ω0 o per ω >>ω0 . Il circuito risonante ha quindi la caratteristica di operare una discriminazione tra le diverse eventuali frequenze del segnale di sollecitazione, favoren-
Fondamenti di Ingegneria Clinica
158
· Ecotomografia
do la propria frequenza di risonanza più di ogni altra. In termini molto generali, la curva di risonanza è rappresentativa di una sorta di filtro che privilegia in modo diverso le frequenze componenti un segnale, cioè risponde a esse con diverse ampiezze della corrente: in particolare la risposta è non nulla per un gruppo di frequenze attorno alla frequenza di risonanza, mentre il sistema non risponde affatto a frequenze sufficientemente diverse da questa. Occorre ora rendere quantitativo il concetto di risposta e cioè stabilire quali, tra le infinite frequenze comprese nell’intervallo entro il quale la risposta è non nulla, abbiano un’ampiezza che possa essere ritenuta utilizzabile a fini pratici, quale sia il valore massimo della curva di risonanza e quanto tale curva sia più simile a un picco o viceversa a un plateau nell’intorno del massimo. Tali informazioni sulla forma della curva di risposta sono sintetizzate in alcuni parametri, in particolare la banda passante B e il fattore di qualità Q.
3.8.4 Banda passante e fattore di qualità Per chiarire questi concetti e per comprenderne l’importanza per le applicazioni relative al funzionamento delle sonde ecografiche, si faccia riferimento alla figura 3.23. Nella figura 3.23a due circuiti, che differiscono per la componente resistiva, risultano caratterizzati da differenti valori massimi della corrente circolante e anche da diverse snellezze del picco di risonanza. Nella figura 3.23b due circuiti, che hanno pari resistenza e differente reattanza, risultano caratterizzati dalla stessa intensità massima di corrente ma da una diversa snellezza della forma del picco di risonanza. Dunque la resistenza serie R0S incide sul valore massimo I0 della risonanza, mentre a parità di valore massimo, la parte reattiva incide sull’acutezza o larghezza della curva. Il fattore di qualità Q rappresenta il rapporto tra la componente reattiva della potenza e quella resistiva (rappresentativa delle perdite) in condizioni di risonanza, come si è avuto modo di accennare e sarà ribadito più avanti. La curva di risonanza risulta tanto più acuta quanto più la componente reattiva (ωL = 1/ωC, dato che si è in condizioni di risonanza), palleggiata tra induttanza e condensatore, è maggiore di quella resistiva, cioè quanto più è elevato il fattore di qualità Q=
ω 0L
R0S
=
1 ω 0CR 0 S
[3.113]
Quanto sia pronunciato il picco di risonanza è connesso alla capacità del circuito di amplificare frequenze intorno a quella di risonanza in un intervallo tanto più esteso quanto più la curva è piatta, e viceversa tanto più stretto quanto più il picco è pronunciato. Facendo riferimento all’aspetto filtrante, in quest’ultimo caso potrà passare attraverso il filtro una banda di frequenze tanto più ridotta quanto più acuta è la curva di risonanza del circuito. Il fattore di qualità è stato definito con riferimento alla risposta in frequenza di un sistema elettrico, ma è un concetto applicabile in modo generale ai si-
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
159
Figura 3.23. Circuito risonante serie: risposta in frequenza al variare dei parametri del circuito. (a) Effetto della componente resistiva: curve di risonanza di due circuiti identici eccetto che per la R0S che nel caso della curva rossa è la metà di quella della curva blu; la curva rossa descrive perciò un circuito per il quale il coefficiente Q risulta pari al doppio, così come si verifica per l’intensità massima di corrente. (b) Effetto della componente reattiva, che nel caso della curva blu è la metà di quello della curva rossa; la curva rossa descrive perciò un circuito per il quale il coefficiente Q risulta pari al doppio, mentre l’intensità massima di corrente risulta uguale.
stemi del secondo ordine descritti nel paragrafo 3.7. Si ricordi inoltre quanto stabilito riguardo alle analogie elettriche per sistemi meccanici e al concetto di circuito equivalente. A seconda del sistema in esame, le prestazioni desiderate possono essere diverse e ciò si traduce in un diverso valore ottimale per il Q del sistema. Per esempio un valore elevato di Q del circuito è auspicabile in ambito elettrotecnico, laddove il circuito debba essere selettivo, per esempio per il progetto di radioricevitori. Viceversa, per le applicazioni che riguardano i piezoelementi, intesi come dispositivi per generare o ricevere perturbazioni ultrasonore, sono auspicabili bassi valori di Q, per allargare il più possibile il campo di frequenze cui il dispositivo è in grado di rispondere. Esso deve poter ricevere segnali in una larga gamma di frequenze ed essere perciò il meno selettivo possibile. Per rendersi subito conto del perché di questa esigenza, basti pensare che l’assorbimento degli ultrasuoni da parte dei materiali biologici attraversati dal fascio avviene in modo selettivo in relazione al tragitto compiuto; come si vedrà nel capitolo 4, le alte frequenze vengono assorbite in misura maggiore rispetto a quelle basse e perciò si verifica che un segnale ultrasonoro inviato nella fase di trasmissione alla frequenza centrale22 (per esempio pari a 5MHz) subisce, durante l’attraversamento di andata e ritorno, un assorbimento differenziale tale da giungere come eco riflesso al trasduttore in ricezione in 22
Si chiarirà meglio questo concetto più avanti.
160
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· Ecotomografia
un intervallo di frequenze centrato intorno a circa 3MHz. La larghezza di banda B relativa a frequenza ricevuta e frequenza trasmessa deve essere sufficientemente ampia e quindi il Q del circuito elettrico equivalente deve essere sufficientemente basso. Ciò costituisce un ulteriore fattore di esclusione del quarzo dall’utilizzo in ambito ecografico, poiché esso è caratterizzato da QM>20 000 rispetto alle piezoceramiche, che sono costruite in modo da ottenere valori di Q dell’ordine di qualche decina; per esempio, la piezoceramica PZT-5A presenta QE = 50 e QM = 75, che sono 400 volte più bassi di quello del quarzo. Si è in questo caso indicato il Q del circuito come QE e Q M, poiché – considerando un piezoelemento come un materiale elastico posto in vibrazione ed essendo questo sede sia di dissipazioni dielettriche sia di dissipazioni meccaniche – è necessario prevedere, in modo analogo a quello appena esaminato, un fattore di qualità meccanico Q M, la cui definizione viene fornita nel paragrafo successivo. Come mostrato anche nella tabella 3.5, nella costruzione di sonde per ecografia diagnostica il QE è in genere dello stesso ordine di grandezza 23 del Q M. Nei cataloghi, dove sono riportate le prestazioni del piezoelemento, viene indicato esplicitamente il Q M, da cui infatti dipende la banda complessiva di frequenze passanti del piezoelemento utilizzato 24, mentre il QE è generalmente espresso per mezzo del fattore di dissipazione dielettrica25 tanδE = 1/QE (si veda anche par. 2.5.2). La presenza nei cataloghi di entrambi i parametri si rende necessaria perché da essi dipendono le perdite complessive del sistema26. Il concetto di banda di frequenze passanti, o più semplicemente di banda passante, viene meglio chiarito attraverso l’identificazione, nella curva di risonanza, di due particolari valori dell’ampiezza I della corrente che siano una determinata frazione della corrente massima Imax. Con riferimento alla figura 3.24 (e di nuovo al circuito serie mostrato nella figura 3.21), si considerino ora i punti M e N sulla curva, per cui si hanno27 le
23 Infatti, per applicazioni diverse dalla diagnostica, è possibile rilevare materiali piezoceramici per cui il QM è anche un ordine di grandezza superiore rispetto al QE, come per esempio per PZT 7A e PZT 6B. Si veda, per ulteriori approfondimenti, J.A. Gallego-Juàrez (1989) Piezoelectric ceramics and ultrasonic transducers. J Phys E Sci Instrum 22: 804-816. 24 Come si è accennato nel capitolo precedente, si possono definire fattori di qualità dielettrici, meccanici e piezoelettrici, la cui definizione, misura e importanza nel descrivere le prestazioni di un piezoelemento è ancora oggetto di discussione. Essi sono in relazione a circuiti elettrici equivalenti, che sono differenti se si considera, per esempio, il piezoelemento come componente di un circuito elettrico (per esempio negli oscillatori al quarzo) oppure come trasduttore elettroacustico. 25 Si avvisa il lettore che nei data sheet il fattore di dissipazione dielettrica è talvolta indicato con il simbolo tanδ (senza pedice). 26 Secondo la teoria lineare della piezoelettricità, valendo Q = 1/tanδ e Q = 1/tanδ , le perdite comM M E E plessive per effetto piezoelettrico risultano essere pari a tan δP = tanδM+tanδE . Per ulteriori dettagli si veda anche E. Fukada, K. Nishiyama (1972) Piezoelectric Properties in Polarized Poly(vinyl Fluoride). Japanese Journal of Applied Physics 11; 1. 27 Tale scelta dei punti significativi (punti fiduciari) corrisponde a quella di considerare valori di potenza erogata che siano la metà della potenza massima (per tale motivo B viene indicata con l’espressionene full width half maximum); si noti che si può definire diversamente la banda passante considerando il dimezzamento delle intensità invece di quello delle potenze.
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
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Figura 3.24. Banda passante B di circuito risonante. La larghezza di banda è ottenuta a partire dalla cosiddetta frequenza centrale f0 e dalle due frequenze corrispondenti a un’ampiezza del segnale inferiore di 3dB al valore massimo. In (a) è riportata la risposta in frequenza in scala lineare, in modo da evidenziare che la banda passante non è simmetrica rispetto alla frequenza centrale; in (b) la risposta in frequenza è riportata in scala logaritmica, che è la scala più adatta a rappresentare l’intero intervallo di frequenze ed è quella comunemente utilizzata. _ _
intensità IM = IN = I0 /√2 , alle quali corrispondono le frequenze indicate rispettivamente con f1 e f2 e uno scarto di frequenza B = f2–f1, tanto più piccolo quanto più acuta è la curva che definisce la sopracitata banda passante. Questa, denominata anche larghezza di banda, è legata al fattore di qualità Q dalla relazione notevole f B = 0S [3.114] Q nella quale si è indicato con f0S la frequenza di risonanza serie, e che offre un modo immediato per ottenere il valore di Q = f0S /B una volta che sia stato determinato sperimentalmente il valore di B. Poiché la larghezza di banda è proporzionale allo scarto di pulsazione, si può anche scrivere la relazione28 ω 2 − ω1 =
ω0
Q
[3.115]
La relazione [3.115] risulta assai utile perché consente, come sarà mostrato nel seguito, di porre direttamente a confronto la larghezza di banda con le dissipazioni che si manifestano nel sistema, e ciò indipendentemente dal tipo di
28
Ben nota nei trattati di radiotecnica.
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162
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sistema risonante, sia esso di tipo elettrico (circuito RLC), oppure di tipo meccanico (massa, molla e smorzatore, m, k, r).
3.8.5 Circuito risonante parallelo Nella definizione del coefficiente di accoppiamento elettromeccanico, fornita nel secondo capitolo, compaiono le due frequenze di risonanza, ivi denominate frequenza di risonanza serie f0S e frequenza di risonanza parallelo f0P. Quest’ultima è riferita a un circuito nel quale i componenti R, L e C vengono collegati in modo tale che ai capi di ciascuno di essi sia applicata la medesima ddp e realizzano pertanto il circuito parallelo illustrato nella figura 3.25a. – Nella figura si riconosce che, al posto del generatore ideale di tensione E del circuito serie, viene inserito un generatore ideale di corrente I e di conseguenza il parametro che varia in tal caso è la ddp applicata ai capi del parallelo. Inoltre, poiché è sempre valida la [3.104], ne deriva che, per una corrente im– – posta costante, la ddp V varia come l’impedenza Z secondo la relazione V = Z⋅ I
[3.116]
– Nel circuito parallelo l’impedenza complessa Z risulta Z=
1
[3.117]
⎛ 1 1 ⎞ + j ⎜ ωC − ωL ⎟⎠ RP ⎝
mentre il suo modulo vale Z=
1 1 ⎛ 1 ⎞ + ⎜ ωC − 2 ωL ⎟⎠ RP ⎝
2
[3.118]
dove compare la resistenza parallelo RP, che, come nel caso del circuito serie, tiene conto di tutte le perdite resistive, comprese quelle relative ai componenti reattivi L e C. Mentre nel circuito serie la RS è di norma modesta poiché rappresenta la resistenza dell’avvolgimento che realizza l’induttanza L (idealmente si dovrebbe avere RS = 0), nel circuito parallelo RP ha un valore elevato, dovendo rappresentare la resistenza dovuta alle perdite (leakage) tra un’armatura e l’altra di un condensatore (idealmente si dovrebbe avere R P = ∞). – – Per quanto concerne le correnti I C 0 e –I L 0 , che percorrono i due componenti reattivi in condizioni di risonanza, si noti che esse sono uguali in modulo, ma opposte in segno (in proposito, si faccia riferimento alla rappresentazione nel piano di Argand-Gauss della figura 3.25c); perciò tali correnti rimbalzano
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
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Figura 3.25. Circuito RLC risonante parallelo. (a) Ramo LRC in parallelo. (b) Correnti circolanti nei componenti passivi: gli elementi reattivi C e L sono attraversati da elevate correnti uguali e opposte (IC0 e IL0), mentre l’elemento dissipativo RP è attraversato dalla corrente I fornita dal generatore ideale di corrente. (c) Diagramma di Argand-Gauss relativo a I C 0 , IL0 e I alla risonanza. (d) Curve di risposta in frequenza: in azzurro e in rosso andamenti, rispettivamente, di modulo e fase dell’impedenza; in verde modulo della tensione. Alla frequenza di risonanza si verificano il massimo dell’intensità di tensione, il massimo dell’impedenza e l’annullarsi della sua fase.
tra i due serbatoi di energia – induttanza e capacità – della maglia chiusa, realizzando in questo modo la condizione di oscillazione. Il circuito rappresentativo di tale situazione è mostrato nella figura 3.25b, ove si osserva che l’unica corrente che il generatore fornisce è la I che scorre e si dissipa su RP, mentre le correnti reattive realizzano, in termini di corrente, un diagramma analogo a quello che nella figura 3.21b rappresentava la tensione. – – Nella figura 3.25c, V 0 = RPI è la ddp comune ai capi del parallelo in condi– – zioni di risonanza e I C 0 = –I L 0 sono le correnti anzidette, per le quali valgono I C 0 = jω 0CV0 = jω 0CR P I = jQ I
I L0 = −
jV0 ω0 L
=−
jR P ω0 L
I = − jQ I
[3.119]
[3.120]
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· Ecotomografia
da cui è evidente, come era da attendersi, che esse sono tanto più ampie quanto più sono basse le perdite rispetto all’energia reattiva. Una terza osservazione riguarda l’alimentazione dei due circuiti serie e parallelo rispettivamente con un generatore ideale di tensione o di corrente; poiché per il circuito serie vale Q = 1/ωCRS e per il circuito parallelo è Q = ω CRP, a parità di Q la resistenza serie RS è piccola rispetto alla componente reattiva, mentre la RP parallelo è elevata. Perciò la corrente che circola in condizioni di risonanza attraverso quest’ultima RP = RSQ2 è relativamente indipendente dalla ddp che si manifesta ai capi di esso 29, mentre il contrario accade nel circuito serie. Tornando alle frequenze di risonanza f0S in circuiti serie e f0P in circuiti parallelo, si noti che nel caso ideale (assenza di perdite RS = 0 nel circuito serie e RP = ∞ nel circuito parallelo), poiché la condizione di risonanza è determinata in entrambi i casi dalla eguaglianza delle due impedenze reattive jωL e 1/jω C e perciò è espressa dalla relazione ω 20 P LC = 1
[3.121]
la ω0P, pulsazione angolare alla risonanza, ha il medesimo valore numerico di quella serie ω0S fornito dalla condizione [3.107], a parità del prodotto LC. Tutto ciò premesso, il grafico relativo alla risonanza parallelo, omologo di quello relativo alla risonanza serie di figura 3.22, è riportato nella figura 3.25d. Si osservi il comportamento principalmente induttivo per frequenze ff0P. Per f = f0P la fase dell’impedenza si annulla, mentre l’andamento “a campana” del suo modulo Z presenta un massimo ed è analogo a quello della tensione V ai capi del parallelo, essendo valida la relazione [3.116] e considerando IC costante. Va detto infine che in assenza di perdite il modulo ZS vale zero nel circuito serie per f = f0S, mentre risulta infinito nel circuito parallelo per f = f0P.
3.9 Il quarzo come circuito risonante Gli accenni sopra riportati circa il funzionamento di circuiti risonanti serie e parallelo sono importanti per comprendere il funzionamento di un piezoelemento che, inserito in un circuito ed eccitato elettricamente, fornisce una risposta elettrica in virtù delle sue caratteristiche piezoelettriche. Tale risposta è caratterizzata da alcune frequenze significative, ciascuna rappresentativa di una condizione di funzionamento, in quanto a tali diverse frequenze si fa spesso riferimento nei data sheet dei piezoelementi cui ci si deve riferire per dedurre o rilevare le loro prestazioni. Come più volte accennato, una piastrina di quarzo opportunamente tagliata, sulle cui superfici sia stato applicato un sottile strato metallico (dell’ordine 29
Si veda anche il secondo capitolo del primo volume.
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
165
di qualche micrometro), costituisce nello stesso tempo un condensatore e un corpo elastico che, se sollecitato, viene posto in vibrazione. Applicando agli elettrodi un generatore di f.e.m. alternata, come illustrato nella figura 3.26a, la piastrina vibra meccanicamente (per effetto piezoelettrico inverso), reagendo con una tensione elettrica V tra i due elettrodi in virtù della dislocazione di cariche dovuta alla deformazione (per effetto piezoelettrico diretto). Di conseguenza nel circuito circola una corrente I e il generatore eroga tutta la potenza che occorre per mantenere in oscillazione la piastrina. L’ampiezza dell’oscillazione della lamina varia al variare della frequenza della f.e.m. imposta e diviene massima in corrispondenza della risonanza meccanica, che dipende dalle dimensioni geometriche e dal tipo di taglio della lamina. Al variare della frequenza della f.e.m., variano sia la tensione V sia la corrente I ai capi dei morsetti A e B della figura 3.26a e si è sperimentalmente verificato che la variazione della tensione V e della corrente I a frequenze vicine a f0S è analoga a quella che si avrebbe se ai morsetti A e B fosse collegato un circuito, mostrato nella figura 3.26b, fisicamente composto da tre elementi circuitali L, R0S, C collegati in modo da costituire un ramo risonante serie. Il circuito così costituito si comporta, per un certo intervallo di frequenze intorno alla f0S, in modo equivalente al quarzo di figura 3.26a una volta che venga inserita in parallelo una capacità C0, che rappresenta l’effettiva capacità del cristallo con gli elettrodi, e che per tale motivo viene spesso indicata nei circuiti come capacità statica. Gli elementi R0S, C e L sono quindi i parametri concentrati nel circuito elettrico equivalente che rendono conto delle proprietà meccaniche della piastrina. Si dimostra infatti che essi sono legati ai parametri concentrati meccanici, rappresentativi a loro volta rispettivamente di smorzamento, elasticità e inerzia della piastrina, con i quali si può descrivere il suo stato di moto oscillatorio; è tale stato di moto che dà luogo alla corrente piezoelettrica che scorre nel ramo R0S, L, C di figura 3.26b e che è massima alla frequenza per cui è massima la velocità delle particelle.
Figura 3.26. (a) Quarzo piezoelettrico inserito come oscillatore in un circuito. (b) Circuito equivalente del quarzo piezoelettrico in condizioni di risonanza; il modello è valido solo in corrispondenza di ciascuna frequenza di risonanza e solo se è possibile associare il cristallo a un generico sistema discreto a 1 grado di libertà (un solo modo di vibrare: per esempio, thickness).
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Occorre riflettere sulla circostanza che in un circuito reale, nel quale siano inseriti i reali componenti elettrici, la comune condizione di risonanza [3.121] di palleggiamento tra energia elettrostatica ed energia elettromagnetica in assenza di perdite è praticamente irrealizzabile, poiché non è possibile raccogliere l’energia elettrostatica da un dielettrico in assenza di conduttori che fisicamente realizzino il circuito. D’altronde, la resistenza R0S rappresentativa delle dissipazioni meccaniche potrà essere sensibilmente diminuita migliorando le tecniche di montaggio30, ma non completamente annullata. La frequenza di risonanza in corrente del ramo serie f0S = 1/2π(LC)1/2 coincide con la frequenza a cui la velocità delle particelle in vibrazione è massima (frequenza di oscillazione libera della lamina in assenza di smorzamento)31; ricordando quanto stabilito nel paragrafo 3.7, la corrispondente pulsazione coincide con la pulsazione ω0(1–2ζ2)1/2, alla quale è massima l’ampiezza di oscillazione (nel circuito serie R0SLC essa è la pulsazione alla quale si verifica la massima caduta di potenziale attraverso il condensatore) solo per smorzamento nullo (o equivalentemente per resistenza R0S nulla). Il condensatore C0, posto in parallelo nel circuito equivalente del quarzo, rappresenta le effettive caratteristiche dielettriche della lamina e la sua presenza influenza il comportamento del cristallo alle diverse frequenze, per cui la frequenza di risonanza del ramo serie f0S non coincide con la frequenza di risonanza fr dell’intero circuito. A frequenze più basse di f0S il ramo R0SLC ha reattanza capacitiva e la presenza di C 0 non ha altra azione che diminuire il valore della reattanza capacitiva complessiva; in corrispondenza della frequenza di risonanza serie f0S , il ramo R0SLC del circuito si riduce alla sola resistenza R0S in parallelo alla reattanza32 1/ω 0C0. Quando la frequenza della f.e.m. supera il valore f0S, il ramo serie presenta reattanza induttiva e incrementando ulteriormente la frequenza si giunge al valore fr, per il quale si annulla la fase dell’impedenza complessiva del circuito, che risulta perciò puramente resistiva. Un valore caratteristico f0P della frequenza33 è quello per il quale la reattanza (induttiva) del ramo serie diviene uguale, in valore assoluto, a quella costituita dalla connessione in serie delle due capacità C e C 0, il cui valore è quindi pari a C′ = CC 0 /(C+C 0), mentre la resistenza R0S è nulla. La frequenza f0P, che corrisponde alla frequenza di oscillazione naturale del circuito della figura 3.27b, considerato privo di perdite, rende infinita la reat-
30
Le resistenze viscose possono essere attribuite al montaggio e all’aria circostante il piezoelemento. Tale frequenza è denominata nella letteratura scientifica del settore come motional (series) resonance frequency. 32 In tali condizioni l’impedenza ha comportamento ancora capacitivo. Nel caso in cui il piezoelemento venga impiegato come temporizzatore (per esempio, clock per PC), le perdite resistive devono necessariamente essere contenute, in altri termini la resistenza R0S è trascurabile rispetto alla reattanza capacitiva. 33 Nella letteratura scientifica del settore, tale valore viene denominato parallel resonance frequency (lossless). 31
Capitolo 3
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Figura 3.27. Modelli circuitali del quarzo piezoelettrico. (a) Condizioni di risonanza meccanica f 0S (C e L possiedono reattanze eguali e opposte). (b) Condizioni di risonanza f0P (reattanza complessiva infinita, in assenza di perdite), per cui C 0′ e L′ hanno reattanze eguali e opposte; in caso di perdite non nulle la condizione di risonanza fP è quella di massima resistenza complessiva.
tanza complessiva (corrente complessiva nulla) del circuito equivalente del quarzo. Per perdite resistive non nulle, la reattanza complessiva di tale circuito è semplicemente pari a quello della capacità C0 del cristallo e la frequenza fP viene anche detta di massima resistenza. La condizione di risonanza per la frequenza f0P si scrive f0P =
1 2 π LC '
=
1 CC 2π L 0 C0 + C
= f0S 1 +
C C0
[3.122]
dalla quale si può concludere che è sempre f0P>f0S. La differenza tra f0P e f0S è generalmente inferiore all’1 per cento, in relazione al rapporto di capacità C0 /C 34. Esso rappresenta il rapporto tra l’energia immagazzinata nel sistema elettrico e quella immagazzinata nel sistema meccanico. Il rapporto di capacità dipende dalle costanti dielettriche, elastiche e piezoelettriche del materiale; esso risulta inoltre legato sia al Q M sia alle perdite meccaniche. Un secondo valore della frequenza per il quale l’impedenza del circuito equivalente del quarzo presenta fase nulla, e perciò si manifesta come puramente resistiva, è detta frequenza di antirisonanza fa. In assenza di perdite resistive R0S le frequenze di risonanza e antirisonanza coincidono rispettivamente con quelle di minima e massima impedenza per il circuito equivalente
34 Per le piezoceramiche il rapporto C /C è compreso in genere tra 2 e 40: ciò significa che, in prima 0 approssimazione, la differenza percentuale tra f0P e f0S può variare tra l’1 e oltre il 20 per cento. In proposito, il lettore può consultare: IEEE (1966) Standard Definitions and Methods of Measurement for Piezoelectric Vibrators (p. 18).
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168
· Ecotomografia
Figura 3.28. Risposta in frequenza del piezoelemento e individuazione delle sei frequenze di risonanza. (a) Modulo dell’impedenza |Z|. (b) Fase dell’impedenza ϕ. Le curve in blu si riferiscono al caso ideale, in assenza di perdite. Le curve in rosso si riferiscono al caso reale, con perdite R 0S non nulle. Nel caso ideale f0S = fZmin e f0P = fZmax, mentre nel caso reale f0S ≠ fZmin ≠ fr e f0P ≠ fZmax ≠ fa.
del quarzo, denotate fZmin (o fm) e fZmax (o fn). Se invece si considerano tali perdite, l’espressione approssimata35 della frequenza fZmin per cui si ha il minimo dell’impedenza è pari a
f Z min ≅ f0 S 1 +
C ⎡ C2 ⎤ ⎢1 − 1 + 4R 20 S 0 ⎥ 2C 0 ⎢ LC ⎥ ⎣ ⎦
[3.123]
mentre l’espressione approssimata della frequenza fZmax per cui si ha il massimo dell’impedenza è pari a
35 Le relazioni approssimate dalla [3.122] alla [3.126] sono tratte da IEEE (1966) Standard Definitions and Methods of Measurement for piezoelectric vibrators (p. 18). Esse sono valide a condizione che C 0 /C>10 e Q MC/C0 = 1/ω 0S C 0 R 0S >10.
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
f Z max ≅ f 0S 1 +
169
C ⎡ C2 ⎤ ⎢1 + 1 + 4R 20S 0 ⎥ 2C 0 ⎢ LC ⎥ ⎣ ⎦
[3.124]
Per le frequenze di risonanza e antirisonanza valgono rispettivamente le seguenti relazioni approssimate
fr ≅ f0S 1 +
C ⎡ C2 ⎤ ⎢1 − 1 − 4R 20 S 0 ⎥ 2C 0 ⎢ LC ⎥ ⎣ ⎦
[3.125]
fa ≅ f0S 1 +
C ⎡ C2 ⎤ ⎢1 + 1 − 4R 20 S 0 ⎥ 2C 0 ⎢ LC ⎥ ⎣ ⎦
[3.126]
Dalle precedenti relazioni emerge che lo scarto tra le sei frequenze anzidette dipende dal valore di R0S oltre che da L, C e C0: in particolare (figura 3.28) si osserva subito che se R0S = 0 non vi è più distinzione tra le frequenze di impedenza minima fZmin, risonanza serie f0S e risonanza fr, così come coincidono la frequenza corrispondente a impedenza massima fZmax , quella di risonanza parallelo f0P e la frequenza di antirisonanza fa. Gli andamenti delle diverse frequenze, espresse nelle relazioni dalla [3.122] fino alla [3.126], vengono meglio specificati nel paragrafo che segue.
3.9.1 Il quarzo come circuito risonante serie-parallelo Al crescere del valore delle perdite rappresentate da R0S, la fr si manifesta per valori via via maggiori di fZmin e fa per valori via via minori di fZmax. Nella figura 3.29 è mostrata la curva di risonanza per il circuito serie-parallelo, analoga a quella tracciata per il circuito serie e per quello parallelo separatamente. Sia la curva relativa alla variazione del modulo sia quella della fase dell’impedenza possono pensarsi composte dai relativi andamenti di Z e ϕ dei circuiti serie e parallelo. Come si deduce dall’andamento del diagramma delle fasi, le frequenze fr e fa per le quali ϕ = 0 sono separate. Nella figura 3.30 è posta in evidenza la non coincidenza tra tali frequenze e quelle relative a minimo e massimo dell’impedenza. Nella figura 3.30a sono riportati sia l’andamento del modulo dell’impedenza Z sia quello della fase ϕ in funzione della frequenza, mentre nella figura 3.30b sono mostrati gli andamenti delle frequenze caratteristiche del piezoelemento al variare della resistenza R0S, rappresentativa delle perdite meccaniche. Si nota che per R0S nulla, e in pratica anche per valori bassi di R0S (circa 100÷200 Ω nella figura), le frequenze fZmin e fr coincidono con f0S, mentre le frequenze fZmax e fa coincidono con f0P.
170
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· Ecotomografia
Figura 3.29. Circuito risonante serie-parallelo: curve di risposta in frequenza. Andamenti di modulo (curva azzurra) e fase (curva rossa) dell’impedenza; in corrispondenza di fr e fa si ha un comportamento resistivo del sistema.
Da un certo valore in poi (pari a circa 500 Ω nella figura 3.30), gli scostamenti si manifestano con sempre maggiore evidenza: fZmin e fZmax divergono l’una dall’altra e viceversa f r e f a convergono tra loro; in corrispondenza di un valore elevato delle perdite (2280 Ω nel modello) f r = f a e viene annullata la distinzione tra le due frequenze.
Figura 3.30. Frequenze di risonanza nel quarzo piezoelettrico. (a) Modulo e fase dell’impedenza: sono evidenziate le quattro frequenze di risonanza (fZmin , fr , fa , fZmax ). (b) Andamento delle frequenze di risonanza al variare della resistenza R0S. Da A. Janshoff, H. Galla, C. Steinen (2000) Piezoelectric Mass-Sensing Devices as Biosensors - An Alternative to Optical Biosensors? Angew Chem Int Ed 39.
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
171
Figura 3.31. Barretta di ceramica piezoelettrica. Il valore della frequenza di risonanza e il numero e tipo di modi di vibrare dipendono fortemente dalle dimensioni l, w e t.
3.9.2 Significato e utilizzo delle frequenze fr , fa , fZmin e fZmax Ciascuna delle frequenze sopra definite, benché sia stata presentata in riferimento al cristallo utilizzato come oscillatore all’interno di un circuito, viene impiegata nella descrizione e nella quantificazione delle prestazioni di un piezoelemento per il progetto di un trasduttore ecografico36, il cui funzionamento non è in generale fondato su condizioni di risonanza (come si vedrà nei capitoli seguenti). Si è più volte accennato al fatto che la geometria dell’elemento piezoelettrico ne determina i diversi modi di vibrare. Essi possono essere contemporaneamente presenti e combinarsi tra loro, dando luogo al valore della frequenza di risonanza f0S . Se ci si riferisce per esempio a una barretta di ceramica piezoelettrica, quale quella mostrata nella figura 3.31, la sua curva di risonanza in prossimità di fr presenta un andamento allargato con un picco minimo poco pronunciato; ma se da essa si estrae un blocchetto di pari larghezza w e spessore t, ma di lunghezza 10 volte inferiore, la curva diviene meno appiattita, con un picco alla frequenza fr più pronunciato e quindi mostrando un comportamento più vicino a quello del tipo indicato nella figura 3.30a. Peraltro, se si misura la frequenza fa nelle due diverse condizioni geometriche, si potrà osservare che il suo valore nei due casi non è molto diverso e ciò perché la frequenza di antirisonanza per le ceramiche dipende molto dallo spessore t e non viene influenzata dai diversi modi di vibrare. Si osserva ancora che per una data piezoceramica il valore di fa rimane pressoché costante mentre la fr decresce significativamente fino a quando essa non è completamente polarizzata; ciò significa che, se nel tempo il piezoelemento 36 La trattazione teorica del cristallo come trasduttore è diversa da quella del cristallo come risuonatore, per esempio per quanto riguarda lo smorzamento, che nel primo caso è attribuito alle perdite per radiazione (rappresentate dal rapporto tra le resistività acustiche del mezzo e del cristallo) e nel secondo è attribuito alle perdite nel cristallo e al montaggio.
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· Ecotomografia
cambia il suo stato di polarizzazione, cambia anche la sua frequenza di risonanza con evidente diminuzione di efficienza della sonda. La determinazione delle frequenze di risonanza e antirisonanza è importante poiché a esse è legata la costante di accoppiamento meccanico k, nelle diverse espressioni kt, kP, k33 ecc., note le quali possono essere calcolate le costanti caratteristiche del materiale piezoelettrico. I valori dei coefficienti di accoppiamento vengono determinati una volta che fr e fa siano state misurate sperimentalmente sui campioni dei piezoelementi37. A puro titolo di esempio delle relazioni presenti nella letteratura tecnica, si riporta la relazione che fornisce il valore del kt del materiale k 2t =
⎛ π f −f ⎞ tg ⎜ 0 P 0 S ⎟ 2 f0 P ⎝ 2 f0 P ⎠
π f0 S
[3.127]
e la già menzionata relazione per il coefficiente di accoppiamento efficace relativo a una forma generica 2 k eff =
f02P − f02S f02P
[3.128]
Si noti che le frequenze usualmente misurate sono quelle di reattanza nulla fr e fa o quelle di impedenza minima e massima fm e fn. La letteratura specializzata fornisce le procedure di misura di tali frequenze, e i limiti di validità delle relazioni utilizzate (la cui disamina esula dagli obiettivi di questo testo). Come accennato nel precedente capitolo, solo quando non sono presenti armoniche superiori per un dato modo di vibrare il fattore di accoppiamento efficace eguaglia il fattore di accoppiamento materiale. Per bassi fattori di accoppiamento, indicando con Δf la differenza f0P –f0S, le relazioni [3.127] e [3.128] si riducono rispettivamente a kt2 ≅ π2Δf/4f0P e k2eff = 2Δf/f0P e perciò si ha anche kt2 ≅ π2k2eff /8. Come si è avuto modo di stabilire, il fattore di qualità meccanico è il rapporto tra una delle componenti reattive e quella resistiva in condizioni di risonanza, nelle quali il palleggiamento di energia avviene tra l’elasticità e l’inerzia della lamina. Alla frequenza di risonanza f0S, per cui si ha il massimo della corrente piezoelettrica e anche il massimo di velocità di vibrazione delle particelle, tutta l’energia meccanica immagazzinata si trasforma durante un ciclo da elastica a cinetica e viceversa, mentre l’energia dissipata è a ogni ciclo reintegrata a opera della forzante. Ciò premesso, si definisce QM come il rapporto (a meno di un fattore 2π) tra l’energia immagazzinata nel sistema (somma di energia cinetica ed elastica) e quella dissipata durante un ciclo, secondo la 37 La letteratura tecnica riporta le relazioni di calcolo per i fattori di accoppiamento sia in termini di fr e fa , sia in termini di fm e fn. Si ricordi che per bassi valori delle perdite le frequenze caratteristiche praticamente coincidono.
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
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1 1 mv 20 mv 20 m 2 π mω 0 2 2 Q M = 2π T 2 = 2π T 2 2 = = r ∫0 r v (t)dt ∫0 r v 0 cos (ω 0 t)dt r T
[3.129]
essendo, in questo caso, m e r i parametri concentrati del sistema meccanico a un grado di libertà rappresentativi dell’inerzia e degli attriti del piezoelemento con la sua propria geometria. Ricordando che la pulsazione naturale del sistema meccanico è stata ora indicata con ω0S e riportando le espressioni di ampiezza e fase dello spostamento [3.95] e [3.96] in forma adimensionale A=
1
(1 − u ) + (2ζu ) 2
ϕ = − arct
2
2
[3.130]
2ζu 1 − u2
alla frequenza di risonanza per la quale è u = 1 si ottiene A = 1/2ζ. Ricordando ancora che per il fattore di smorzamento vale ζ = r/2(km)1/2 si ottiene per il fattore di qualità meccanico 2ζ =
1 m k r m
=
1 QM
[3.131]
che risulta perciò anche pari al fattore di amplificazione QM = A. La larghezza di banda B (relativa alle oscillazioni meccaniche) è legata al fattore di qualità dalla relazione QM =
fo B
[3.132]
dalla quale si deduce che, essendo richiesta nelle applicazioni ecografiche una larghezza di banda B la più ampia possibile, il corrispondente valore del QM richiesto in questo caso non deve essere elevato. Poiché il valore di QM dipende dallo smorzamento, è possibile ottenere approssimativamente la sua misura contando il numero di oscillazioni compiute dal piezoelemento quando questo venga eccitato da un impulso: il numero di tali oscillazioni è tanto più piccolo quanto maggiore è lo smorzamento e cioè quanto minore è il valore di QM.
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174
· Ecotomografia
Se si stabilisce un’ampiezza minima oltre la quale le oscillazioni possono considerarsi trascurabili ai fini pratici, per esempio il 4 per cento del valore massimo s0, si può determinare questo numero dall’equazione [3.82] dalla quale si osserva che il decadimento dell’ampiezza delle oscillazioni è espresso dal termine esponenziale decrescente e(–rt/2m). L’intervallo di tempo Δt necessario per l’estinguersi dell’oscillazione si può ottenere ponendo −r
A oe 2 m Ao
⋅Δt
=
4 100
[3.133]
e facendo il logaritmo di entrambi i membri, per cui si ha Δt = −
2m ln 0, 04 r
[3.134]
Il numero di cicli ncicli compiuti nell’intervallo Δt, essendo T il periodo di oscillazione, è pari al rapporto Δt/T e perciò a ncicli = −
2m m ω ln 0, 04 = − ⋅ 0 S ln 0, 04 rT r π
[3.135]
Ponendo in evidenza il rapporto mω0 /r = QM, si ottiene ncicli = −
QM π
ln 0, 04 ≅ 1, 025 Q M
[3.136]
Figura 3.32. Oscillazioni smorzate. (a) Andamento nel tempo dell’ampiezza di oscillazione (linee continue) e relative curve di estinzione (linee tratteggiate) per tre diversi valori dello smorzamento. (b) Valori corrispondenti del fattore di qualità e individuazione delle bande passanti.
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
175
che dimostra come il valore di QM individui con buona approssimazione il numero di oscillazioni smorzate compiute dal sistema, prima che la loro ampiezza cada al di sotto del 4 per cento. Ricordando che il decremento logaritmico è δ = ln(An/An+1) = ζωnT si ha anche38 QM = π/δ. Nella figura 3.32a sono riportate a titolo di esempio le oscillazioni smorzate, per tre diversi valori di smorzamento, e le relative curve di estinzione. Nella figura 3.32b sono riportati i corrispondenti valori del fattore di qualità QM e sono evidenziate le larghezze di banda39, di cui si osserva il progressivo dimezzamento in relazione al progressivo raddoppio di QM. Nel capitolo 6 i concetti ora esposti saranno ripresi, ampliati e applicati a casi specifici, riferiti al comportamento dei trasduttori impiegati nell’ecotomografia. Per alti valori del fattore di qualità QM, il sistema risulta poco smorzato e contemporaneamente poco sensibile a frequenze che si discostino, seppure di poco, da quella della risonanza; poiché il quarzo ha un QM maggiore di 20 000 si comporta da filtro altamente selettivo, ovvero tende a risuonare (nel senso di un’amplificazione delle oscillazioni rispetto alla deformazione statica) solo se opportunamente eccitato alla frequenza di risonanza (il che, come già osservato, lo rende inadatto alle applicazioni ecotomografiche). Viceversa per bassi valori di QM, come nel caso della ceramica PZT 5A, per la quale QM = 75, il sistema è sensibile a un più ampio spettro di frequenze; inoltre, essendo maggiore lo smorzamento, la sua ampiezza massima di oscillazione alla risonanza risulta limitata, il che ne riduce le possibilità di rottura. Pertanto al fine di ampliare la banda passante del cristallo, nonché aumentarne la robustezza, è necessario provvedere a incrementare lo smorzamento e adottare valori di QM i più bassi possibile.
3.9.3 Interpretazione fisica del circuito serie-parallelo Quando una differenza di potenziale è applicata al cristallo, l’energia immagazzinata nella capacità C0 (che è la capacità dielettrica del cristallo meccanicamente vincolato) è energia elettrica immagazzinata a deformazione costante; l’energia immagazzinata nella capacità C rappresenta il lavoro compiuto durante la deformazione. Si è già affermato che a basse frequenze il cristallo di quarzo ha un’impedenza di tipo capacitivo, costituita praticamente dal parallelo tra la capacità C0 e quella C del ramo serie; in tali condizioni la deformazione indotta per efPoiché QM = 1/2ζ e ζ = δ/(4π2+δ2)1/2, risulta QM = (4π2+δ2)1/2/2δ; e si può porre QM ≅ 2π/2δ = π/δ, nel caso in cui δ ≤1. 39 La scelta di riportare nella figura 3.32b sull’asse delle ordinate il rapporto v/F (in modulo) è da ri0 condursi a quanto osservato per i circuiti elettrici oscillanti (analogia elettrica): come esposto nelle pagine precedenti, il rapporto F/v rappresenta l’impedenza meccanica e assume valore minimo alla risonanza meccanica del piezoelemento, essendo la forza F e la velocità v corrispondenti alla tensione V e alla corrente I in un circuito risonante serie (figura 3.18), ciò risulta conveniente quando si voglia individuare per via grafica (si veda anche la figura 3.24) sia la banda passante sia il fattore QM , come in questo caso. 38
176
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· Ecotomografia
fetto piezoelettrico inverso segue la ddp di alimentazione e il comportamento del cristallo è simile a quello di un condensatore nel quale la distanza tra le armature varia in fase con l’alimentazione. Per elevati valori della frequenza di alimentazione, l’inerzia meccanica della lamina non consente che le oscillazioni di questa seguano le troppo veloci variazioni di sollecitazione elettrica e perciò non si verifica più variazione di distanza tra gli elettrodi deposti sul cristallo; l’impedenza del dispositivo è ancora quella di un condensatore piano, di capacità costante C0, la corrente che fluisce attraverso il quarzo è interamente dovuta all’effetto dielettrico e quella dovuta all’effetto piezoelettrico (corrente nel ramo serie) è nulla. Per valori intermedi della frequenza, il sistema si comporta come due oscillatori (uno meccanico e uno elettrico) accoppiati strettamente. Alla risonanza meccanica, corrispondente alla massima velocità di oscillazione della lamina, sugli elettrodi del cristallo si genera una grande quantità di cariche elettriche per effetto piezoelettrico, in fase con quelle inviate dal generatore di alimentazione: l’energia elettrica immagazzinata nel condensatore è in fase con l’energia cinetica posseduta dal cristallo. In tali condizioni di impedenza minima del ramo serie, e di corrispondente massima corrente dovuta all’effetto piezoelettrico, si verifica praticamente anche il minimo di impedenza complessiva del dispositivo e di massima corrente per il circuito in cui è inserita la lamina di quarzo. Il massimo di ampiezza di oscillazione della lamina si verifica a una pulsazione inferiore, come si è già stabilito trattando dei sistemi del secondo ordine. Se, al contrario, le cariche prodotte a seguito della vibrazione meccanica sono in opposizione di fase con quelle fornite dall’alimentazione, e cioè se la lamina oscilla in opposizione di fase con l’eccitazione elettrica, si riscontra il minimo di corrente che fluisce attraverso il quarzo (cioè il massimo di impedenza totale) e ciò si verifica praticamente in corrispondenza dell’antirisoFigura 3.33. Circuito equivalente del quarzo: risposta in frequenza di modulo, in (a), e di fase, in (b), del circuito e dei rami componenti. Le curve in verde si riferiscono all’impedenza totale del circuito, mentre le curve in arancio rappresentano l’impedenza del ramo serie; le curve in azzurro rappresentano la corrente totale che scorre nel circuito, mentre le curve in fucsia e rosso si riferiscono rispettivamente alla corrente nel condensatore C 0 (effetto dielettrico) e alla corrente nel ramo serie (che rappresenta la velocità delle particelle); le curve in blu si riferiscono alla caduta di potenziale attraverso il condensatore C (che rappresenta lo spostamento delle particelle). I parametri (C 0 = 1,0; C = 10,0; L = 1,0; R = 0,2) sono stati scelti al fine didattico di evidenziare gli andamenti e non sono rappresentativi del cristallo. Si nota come in corrispondenza della risonanza meccanica (f0S = 5,03·10–2 Hz) si verifica il massimo di velocità di oscillazione e il massimo di corrente nel ramo serie (curva in rosso della figura a); il massimo di ampiezza di oscillazione (curva blu nella figura a) si verifica per una frequenza f amp pari a f0S (1–2ζ2)1/2, dove ζ2 = CR2/8L (famp = 4,77·10 –2 Hz). In corrispondenza dell’antirisonanza, la corrente che attraversa il condensatore C0 è uguale in modulo, ma in opposizione di fase, a quella che attraversa il ramo serie (curve in fucsia e in rosso); la corrente totale manifesta un minimo (curva in azzurro della figura a), mentre l’impedenza totale un massimo (curva in verde della figura a). Ad alte frequenze, non si ha più oscillazione meccanica (curve in blu e in rosso della figura a) e la corrente Itot è costituita dalla sola corrente I0 dovuta all’effetto dielettrico (curva in fucsia della figura a).
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
177
nanza. In queste condizioni, la corrente che fluisce nel ramo serie (ramo meccanico), cioè quella dovuta all’effetto puramente piezoelettrico, è uguale e opposta a quella che fluisce attraverso C0, cioè a quella dovuta alle proprietà puramente dielettriche del quarzo; l’energia risulta in tal modo “palleggiata” tra i due rami, analogamente a quanto si è osservato riguardo al circuito risonante parallelo.
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Figura 3.34. Risposta in frequenza di una ceramica piezoelettrica in termini di modulo (in blu) e fase (in rosso) dell’impedenza elettrica. Dati sperimentali ottenuti nel Laboratorio di Misure Meccaniche e Termiche del Dipartimento di Meccanica e Aeronautica, Facoltà di Ingegneria, Università di Roma “La Sapienza”.
Quanto affermato risulterà più chiaro dall’osservazione della figura 3.33 relativa al circuito di figura 3.26 (e ai suoi componenti), la cui impedenza complessiva è fornita dalla relazione 1 1 1 = + = jωC 0 + Z tot Z 0 Z S
1 ⎛ 1 ⎞ R 0 S + j ⎜ ωL − ωC ⎟⎠ ⎝
[3.137]
In aggiunta agli andamenti delle risposte in frequenza di figura 3.33, ottenuti dalle espressioni analitiche dell’impedenza del circuito di figura 3.26, si riporta nella figura 3.34 la risposta in frequenza, ottenuta per via sperimentale, di una ceramica piezoelettrica, in termini di modulo e fase dell’impedenza elettrica. Ne deriva, inoltre, che i valori riportati nelle tabelle alla fine del capitolo 2 e il significato dei parametri espressi alla fine di questo capitolo, possono essere utili solo per un primo orientamento progettuale, perché quelli utilizzati sono forniti dalle società costruttrici delle diverse ceramiche, cui viene assegnata una sigla commerciale senza porre alcuna indicazione della composizione. I dati necessari per la progettazione del trasduttore riguardano in particolare le grandezze riportate nella tabella 3.5. L’osservazione di tali dati consente di constatare che essi si riferiscono a grandezze per la maggior parte diverse da quelle che di norma vengono considerate nella letteratura scientifica didattica del settore.
Capitolo 3
· Le onde e i sistemi oscillanti
179
Tabella 3.5. Parametri d’impiego industriale per una partita di piezoceramiche l × w × t (mm) fm (MHz) fn (MHz) kt (%) Cp @1kHz (nF) Cp @2fn (nF) tanδ @1kHz tanδ @2fn ε33 @1kHz ε33 @2fn QM (%) Zmax (Ω) Zmin (Ω)
48,0 × 5,9 × 0,301 6,660 7,769 55,41 32,20 9,51 0,018 0,136 3817 1127 57,8 36,56 0,15
Dati su piezoceramiche in fornitura, dove fm è la frequenza di risonanza, fn è la frequenza di antirisonanza, kt è il coefficiente di accoppiamento elettromeccanico, Cp @ 1kHz è la capacità della piezoceramica misurata a 1kHz; Cp @ 2fn è la capacità misurata a una frequenza pari al doppio dell’antirisonanza fn ; tanδ @ 1kHz è il fattore di perdita dielettrico misurato a 1kHz; tanδ @ 2fn è il fattore di perdita dielettrico misurato a una frequenza pari al doppio dell’antirisonanza fn ; ε33 @ 1kHz è la costante dielettrica relativa a 1 kHz; ε33 @ 1kHz è la costante dielettrica misurata a 1kHz; ε33 @ 2fn è la costante dielettrica relativa a due volte la frequenza di antirisonanza, Q M è il fattore di merito, Zmax è la massima impedenza elettrica della piezoceramica, Zmin è la minima impedenza elettrica.
Capitolo 4 La propagazione degli ultrasuoni
4.1 Gli ultrasuoni nel corpo umano Quando un fascio ultrasonoro1 penetra nella materia, in particolare nel corpo umano, incontra diversi strati di tessuto, ciascuno caratterizzato da una propria massa specifica ρ e da una velocità di propagazione del suono 2 c. In altri termini ciascun organo si comporta in modo diverso rispetto agli ultrasuoni perché diverso è il prodotto ρc, cioè l’impedenza acustica caratteristica. Su tale diversità è fondata la formazione dell’immagine ecografica. Come per qualsiasi perturbazione che si propaghi in un mezzo, anche per il fascio ultrasonoro si verifica una diminuzione dell’intensità lungo il suo percorso attraverso il corpo umano. In prima istanza, tale attenuazione dell’intensità del fascio ultrasonoro può essere attribuita a due categorie di cause: le condizioni al contorno geometriche, che provocano fenomeni di riflessione, diffusione 3 e rifrazione, e i fenomeni di carattere dissipativo (assorbimento). Tra le prime va annoverata anche la circostanza per la quale, nel caso di onde sferiche, la potenza sonora erogata della sorgente 4 si distribuisce su superfici sempre maggiori e pertanto l’intensità dell’onda di pressione diminuisce con il quadrato della distanza dalla sorgente stessa, mentre la sua ampiezza diminuisce con la distanza r. I fenomeni di riflessione e rifrazione si verificano in corrispondenza delle discontinuità costituite dalle superfici di separazione tra due mezzi caratterizzati da diverse impedenze Z. Tali superfici rappresentano un ostacolo alla propagazione dell’onda ultrasonora nella direzione utile; pertanto determinano in questa direzione una perdita di energia che, non pervenendo nel luogo dove è primariamente indirizzata, non può contribuire alla formazione dell’immagine ecografica. 1 Tale termine è stato utilizzato nel capitolo precedente senza una precisa definizione e nell’illustrare i concetti relativi alle onde si è fatto riferimento al caso di onde piane di estensione infinita (che in realtà non esistono in natura). Il concetto di fascio prenderà forma nei capitoli successivi, a partire dal capitolo quinto. 2 La velocità di propagazione è qui assunta indipendente dalla frequenza. 3 In generale, assume il nome di energia diffusa tutta l’energia non incidente; come si vedrà in seguito, se la lunghezza d’onda della radiazione è molto minore dell’ostacolo investito, la diffusione ha luogo secondo le leggi della riflessione. 4 Tra le cause geometriche attribuibili alla sorgente rientrano anche la forma del fascio ultrasonoro e l’entità della focalizzazione dell’energia acustica.
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
Soprattutto nel caso di onde piane, i fenomeni a carattere dissipativo sono i principali responsabili dell’attenuazione e consistono nella conversione dell’energia acustica in calore. Gli echi5, generati in corrispondenza delle superfici di separazione tra i differenti organi incontrati lungo il tragitto dall’onda ultrasonora, “descrivono” le superfici che li hanno riflessi; poiché tali echi sono modulati dalla geometria e dall’impedenza degli organi che li hanno generati, la loro analisi consente di ricostruire la morfologia degli organi medesimi: in ciò consiste l’immagine ecografica. L’attenuazione che la perturbazione ultrasonora subisce nel suo cammino di andata (dalla sorgente verso l’ostacolo) e di ritorno (quando viene riflessa dall’ostacolo e ritorna verso la sorgente) è significativa ed è tanto maggiore quanto maggiore è la sua frequenza. L’ampiezza dell’eco dipende dalla profondità alla quale esso viene generato e può essere di 6÷8 ordini di grandezza inferiore a quella dell’onda inviata; pertanto, al fine di poter utilizzare l’eco per la formazione dell’immagine, tale ampiezza deve essere molto amplificata, come si chiarirà nel capitolo 7.
4.2 La diffusione Nello studio dei fenomeni che si verificano in corrispondenza della superficie di separazione tra due mezzi, quando essa è investita da una radiazione cosiddetta incidente, si osserva in generale che una parte dell’intensità viene riflessa nel primo mezzo, mentre la rimanente parte – solitamente definita radiazione trasmessa o rifratta – penetra nel secondo mezzo. I fenomeni di trasmissione o riflessione sono manifestazioni macroscopiche, indicate generalmente con il termine diffusione (scattering), di fenomeni che interessano la radiazione a livello microscopico. Nonostante possa presentarsi in diversi modi, il fenomeno è unico e consiste nell’immagazzinamento e nella pressoché istantanea riemissione della radiazione da parte delle particelle che compongono i materiali costituenti la superficie di separazione tra i due mezzi. La riemissione di parte dell’energia della radiazione incidente può avvenire in tutte le direzioni dello spazio e, in generale, in direzione diversa da quella di propagazione, dando origine a fenomeni di interferenza.
4.2.1 Diffusione laterale delle radiazioni Si consideri un fascio di radiazioni, che si propaga all’interno di un mezzo6 in una determinata direzione, e si osservi ciò che accade al di fuori di tale fascio, per esempio nel punto P della figura 4.1; si può constatare che i diversi ostaco-
5
Si chiama eco la quota parte di energia acustica riflessa dall’ostacolo nella direzione della sorgente e che ivi perviene in un intervallo di tempo tale da essere sufficientemente distinta dal segnale inviato, come si approfondirà nel capitolo 6. 6 Si suppone un mezzo a bassa densità, come un gas rarefatto, in cui le molecole siano distribuite caoticamente a una distanza reciproca molto maggiore della lunghezza d’onda della radiazione primaria.
Capitolo 4
· La propagazione degli ultrasuoni
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Figura 4.1. Radiazioni diffuse da ostacoli (sorgenti secondarie) investiti da una radiazione primaria. Nei punti P esterni al fascio primario, a distanza da esso molto maggiore della lunghezza d’onda, giungono radiazioni diffuse con una distribuzione delle fasi caotica, a causa della caotica distribuzione spaziale degli ostacoli e perciò statisticamente non si verifica né interferenza costruttiva né distruttiva. Le zone esterne al fascio risultano pertanto illuminate con intensità inferiore a quella che si ha nella direzione di propagazione, ma senza che si verifichi l’alternanza di luce e buio tipica dei pattern di interferenza; nel caso di gas densi o di solidi e liquidi, in direzione (e verso) differente da quella di propagazione predominano invece fenomeni di interferenza distruttiva.
li colpiti ed eccitati dalla radiazione, che chiameremo primaria, riemettono energia in tutte le direzioni. Nel punto P pervengono radiazioni che possono essere o meno in fase tra loro; il cammino compiuto dalle radiazioni diffuse è molto più grande della lunghezza d’onda λ della radiazione primaria e, a seconda della posizione della particella che le ha diffuse, differisce di frazioni di λ. Pertanto alcune radiazioni arrivano prima di altre, per tale motivo le fasi delle radiazioni che giungono in P sono molto diverse tra loro; può accadere che alcune di esse interferiscano costruttivamente e altre distruttivamente, cosicché in media si ottiene che la regione di punti P esterni alla radiazione primaria risulta da essa “illuminata” (si veda in proposito anche il capitolo 5). Il motivo per cui un raggio di luce è visibile a un osservatore posto al di fuori della sua direzione di propagazione è proprio la presenza di corpuscoli, analoghi a quelli illustrati nella figura 4.1, che diffondono l’energia della radiazione primaria in tutte le direzioni; un raggio di sole che penetra in un ambiente buio risulta visibile per la presenza di questo pulviscolo. Se l’ambiente fosse vuoto, il raggio non sarebbe visibile a un osservatore posto al di fuori della radiazione. Occorre rimarcare che il fenomeno descritto è prodotto da ostacoli di dimensioni maggiori della lunghezza d’onda, con una distribuzione nello spazio disordinata e variabile nel tempo in modo caotico, mentre in generale la dimensione delle particelle diffondenti (scatteratori) è minore della lunghezza d’onda della radiazione primaria. Quest’ultimo caso, che viene illustrato nel seguito, fu studiato da Lord Rayleigh (nel 1871), che analizzò per primo la diffusione di un
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raggio solare in termini di oscillatori molecolari e, utilizzando un argomento fondato sull’analisi dimensionale, concluse correttamente che l’intensità della luce diffusa è proporzionale a λ–4, cioè alla quarta potenza della frequenza. Per tale motivo la diffusione prodotta da particelle più piccole della lunghezza d’onda (per esempio minori di λ /15) viene chiamata Rayleigh scattering; essa si verifica quando una radiazione ultrasonora, caratterizzata per esempio da una frequenza di 5 MHz (e cioè da una lunghezza d’onda λ = 0,3 mm), incontra uno o più globuli rossi di dimensioni di circa 7 μm.
4.2.2 Diffusione delle radiazioni nella direzione di propagazione primaria Il caso in cui il punto di osservazione P si trovi all’interno del fascio primario è illustrato nella figura 4.2. Le radiazioni secondarie, a partire dalle particelle diffondenti fino a raggiungere il punto P, procedono in fase con il fascio incidente, e quindi tra loro: pertanto le perturbazioni arrivano in P più o meno in fase e interferiscono quindi in modo costruttivo. Tale condizione si verifica indipendentemente dalla quantità di scatteratori presenti e dalla loro distribuzione più o meno caotica nello spazio interessato dalla radiazione primaria. Ne deriva che, sostanzialmente, la radiazione diffusa in questo caso si somma costruttivamente nella direzione di propagazione della radiazione primaria, come illustrato nella figura 4.3.
4.2.3 Diffusione speculare delle radiazioni Si consideri ora il caso nel quale una radiazione incidente colpisca un sistema organizzato, cioè avente una distribuzione non caotica di molecole o atomi, per esempio un corpo all’interno del quale questi occupino posizioni fisse e determinate, attorno alle quali possano solamente oscillare. Si supponga inoltre che la predetta radiazione abbia lunghezza d’onda λ più piccola delle dimensioni degli aggregati di atomi o molecole costituenti il corpo. Il fenomeno
Figura 4.2. Radiazioni diffuse da ostacoli (sorgenti secondarie) investiti da una radiazione primaria. Nel punto P interno al fascio primario nel verso di propagazione, giungono radiazioni diffuse in fase tra loro e perciò i fenomeni di interferenza rilevati in P sono di tipo costruttivo.
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Figura 4.3. Radiazioni diffuse da ostacoli (sorgenti secondarie) investiti da una radiazione primaria. (a) Onda sinusoidale piana, direzione di propagazione e fronti d’onda (in linea continua sono rappresentati i picchi massimi, in linea tratteggiata i picchi di minimo); (b) fronte d’onda sferico emesso da un primo scatteratore investito dal fronte d’onda piano; (c) fronte d’onda sferico emesso in fase con il precedente da un secondo scatteratore investito dall’onda piana; (d, e) fronti d’onda diffusi dalle due sorgenti secondarie sovrapposti in fase e onda risultante pressoché piana.
che si verifica in questo caso si manifesta a livello macroscopico come riflessione e rifrazione dell’onda incidente. Nella figura 4.4 è illustrato il fenomeno della riflessione che si verifica in virtù di un’eccitazione successiva e coerente di una serie di sorgenti secondarie ordinate e vincolate alla loro posizione spaziale. La radiazione incidente pone in oscillazione in sequenza le particelle diffondenti che, a loro volta in sequenza, riemettono la radiazione, producendo un fronte d’onda riflesso costituito dall’inviluppo delle onde sferiche successivamente generate da ciascuno scatteratore. Ciascuna particella viene eccitata in sequenza e l’ordine della configurazione spaziale consente una riemissione coerente 7: l’onda riflessa risulta coerente, così come lo è l’onda incidente, e tutti gli scatteratori contribuiscono alla sua costruzione. Questo tipo di diffusione viene definita speculare, in quanto le vibrazioni dei milioni di atomi si combinano in un’unica ben definita radiazione (fascio riflesso) analogamente a quanto si verifica, nell’ambito dell’ottica geometrica, in corrispondenza di uno specchio. La riflessione speculare nasce dall’ordine temporale di eccitazione e dall’ordine spaziale delle sorgenti secondarie: se quest’ultimo non viene rispettato, la riflessione speculare viene persa a livello globale, pur rimanendo valida localmente a livello macroscopico. È questo il
7 In ottica si definiscono tra loro coerenti le onde luminose caratterizzate dalla stessa frequenza e lunghezza d’onda e a spostamento di fase costante. Solo le onde luminose coerenti e armoniche mostrano fenomeni di interferenza, mentre la luce incoerente non manifesta alcun fenomeno di interferenza poiché con la sovrapposizione si sommano solo le intensità luminose.
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Figura 4.4. Radiazioni diffuse da ostacoli (sorgenti secondarie) investiti da una radiazione primaria: riflessione speculare. L’ordine spaziale degli scatteratori investiti dall’onda piana genera un’onda piana come sovrapposizione e inviluppo di onde sferiche.
caso delle superfici scabre nelle quali gli elementi di superficie riflettente variano orientamento, per cui – sebbene per ogni singolo elemento si verifichi la riflessione speculare – il fenomeno complessivo risultante è la diffusione dei raggi luminosi in tutte le direzioni, come si può osservare nella figura 4.5a,b che illustra la differenza tra diffusione speculare e non. Se si trattasse di radiazione luminosa, nelle condizioni della figura 4.5a si potrebbe osservare un’immagine (specchio riflettente), mentre la mancanza di coerenza rappresentata nella figura 4.5b consentirebbe solo la diffusione della luce.
Figura 4.5. Diffusione di raggi luminosi da una superficie. (a) Riflessione speculare del fronte d’onda incidente da una superficie liscia riflettente. (b) Moltitudine di riflessioni tra loro incoerenti del fronte d’onda primario da una superficie scabra.
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4.3 Le formule Nei paragrafi precedenti, gli aspetti fisici della diffusione sono stati descritti in termini qualitativi. Diversi autori hanno compiuto studi di tipo quantitativo, prendendo in considerazione parametri attraverso i quali dedurre informazioni circa la composizione della struttura molecolare del corpo oggetto della diffusione. Nel seguito vengono sinteticamente presentate le formule relative ai due casi estremi, definiti in riferimento alla lunghezza d’onda della radiazione. In particolare questa condizione viene descritta a partire dal fattore ka, dove k = 2π/λ è il numero d’onda e a è la dimensione caratteristica dell’ostacolo diffondente. Si omettono qui le dimostrazioni delle formule, per le quali si rimanda ai testi specializzati.
4.3.1 Ostacoli di dimensione maggiore della lunghezza d’onda Il fenomeno viene schematizzato con un’onda piana di intensità I i che colpisce una superficie sferica di raggio a per la quale si abbia ka>>1 (vale a dire a >>λ), come mostrato nella figura 4.6; l’onda ultrasonora viene riflessa specularmente e, a distanza r dal centro della sfera, la radiazione riflessa ha intensità I r . L’entità della riflessione è proporzionale all’intensità dell’onda incidente secondo un coefficiente rp, detto coefficiente di riflessione, che è funzione della differenza di impedenza tra i due mezzi che la superficie sferica delimita e separa, come si chiarirà nei prossimi paragrafi. Si può dimostrare che il fronte d’onda riflesso è anch’esso una superficie sferica e che il rapporto tra l’intensità dell’onda riflessa (detta anche retrodiffusa o backscatter) e quella dell’onda incidente vale Ir π a 2 2 rp = Ii 4 π r 2
[4.1]
Figura 4.6. Riflessione di una radiazione primaria di intensità I i da parte di ostacoli di dimensioni maggiori della lunghezza d’onda (ka>>1). Sono riportate la distanza r dal centro della sfera al punto nel quale viene rilevata l’intensità Ir , la particella sferica diffondente di raggio a, la zona colpita dalla radiazione e l’angolo di riflessione (speculare) γ .
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La relazione [4.1] mostra che l’intensità riflessa dipende, oltre che dal coefficiente di riflessione rp , dall’inverso del quadrato della distanza e dal quadrato del raggio della sfera. Pertanto, non potendo agire direttamente sul valore del coefficiente 8 rp , dalla relazione [4.1] si deduce che, fondamentalmente, la strada più praticabile per aumentare l’intensità dell’onda riflessa9 consiste nell’incrementare l’intensità di quella incidente, ciò che fortunatamente si può ottenere mediante la focalizzazione del fascio ultrasonoro (tale aspetto verrà descritto nel capitolo 5).
4.3.2 Ostacoli di dimensione molto minore della lunghezza d’onda Il fenomeno della diffusione viene schematizzato in questo caso considerando una radiazione ultrasonora, di dimensione pari a 2b, incidente su una superficie sferica di raggio a (ostacolo) per la quale sia verificata la condizione ka<<1 (Rayleigh scattering), come illustrato nella figura 4.7. La relazione esistente tra la pressione acustica ps dovuta alla radiazione diffusa e quella pi della radiazione incidente è stata ricavata10 nel 1968. Nella formulazione si indicano con ρm e ρs rispettivamente la densità del mezzo in cui si propaga la radiazione incidente e la densità dell’ostacolo sferico, con Km e Ks i rispettivi moduli di compressibilità11 e con θ l’angolo tra la direzione della radiazione incidente e la direzione individuata dal punto di incidenza e il generico punto P del campo posto alla distanza . Il rapporto tra le pressioni acustiche della radiazione diffusa ps e di quella incidente pi è dato da
(
)
⎛ K ⎞⎤ ps k 2 a 3 ⎡ 1 − ρs / ρ m =− cos θ + ⎜ 1 − m ⎟ ⎥ ⎢3 pi Ks ⎠ ⎥ 3 ⎢ 1 + 2ρs / ρm ⎝ ⎣ ⎦
[4.2]
mentre il rapporto tra le due intensità è come al solito Is ⎛ p s ⎞ = I i ⎜⎝ p i ⎟⎠
2
[4.3]
Si ritiene opportuno in questa sede accennare al problema del calcolo della sovrapposizione del campo incidente e di quello diffuso dall’oggetto. L’equazione che descrive il campo totale non è risolubile direttamente, ma lo diviene
8
Infatti rp dipende dalla natura delle superfici riflettenti (per esempio tessuti biologici). Si ricordi che l’informazione necessaria alla costruzione dell’immagine ecografica è contenuta negli echi provenienti dai tessuti 10 P.M. Morse, K.U. Ingard (1968) Theoretical Acoustics. McGraw Hill, New York. 11 Il modulo di compressibilità K (o modulo di comprimibilità) ha lo stesso significato del modulo di Young ed è definito come l’inverso del coefficiente di comprimibilità χ. 9
Capitolo 4
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189
Figura 4.7. Diffusione di una radiazione primaria da parte di ostacoli di dimensioni minori della lunghezza d’onda (ka<<1). Sono riportate la sezione retta del fascio ultrasonoro, la particella sferica diffondente di raggio a e la distanza a cui viene rilevata la pressione acustica diffusa. L’andamento della regione di diffusione è puramente illustrativo, dato che esso è variabile con le caratteristiche del mezzo e delle sorgenti secondarie.
sotto alcune ipotesi. Un’approssimazione sovente utilizzata consiste nel ritenere l’ampiezza del campo diffuso trascurabile rispetto a quella del campo incidente (approssimazione di Born). In tal caso divengono trascurabili i fenomeni di multiple scattering 12. Secondo un’altra possibile approssimazione (di Rytov) si considera modesta la variazione di fase subita dall’onda incidente nell’attraversare l’oggetto; ciò è verificato in oggetti che possiedono proprietà acustiche poco differenti da quelle del mezzo circostante. È possibile dimostrare che per oggetti molto piccoli, e in particolare di dimensioni minori della lunghezza d’onda, le due approssimazioni forniscono risultati pressoché coincidenti e prossimi al valore teorico. Dalle relazioni [4.2] e [4.3] si ottiene la conferma che l’intensità della radiazione retrodiffusa dipende dalla quarta potenza della frequenza e dalla sesta potenza della dimensione dell’ostacolo; inoltre, se l’ostacolo è una sfera rigida per cui è ρ s / ρ m→ ∞ e Ks /Km→ ∞, tenendo conto della [4.2] la relazione [4.3] si trasforma nella Is k 4 a 6 = Ii 9 2
⎡ 3 cos θ ⎤ ⎢1 − 2 ⎥ ⎦ ⎣
2
[4.4]
L’andamento dell’intensità Is della radiazione diffusa è riportato sotto forma di diagramma polare nella figura 4.8, nel caso di una sfera dotata della
12 Casi particolari di multiple scattering sono i fenomeni di riverbero e aberrazione del fronte ultrasonoro. Per una trattazione più approfondita sul multiple scattering, si veda anche B. Angelsen (2000) Ultrasound Imaging, II. Emantec, Trondheim, Norway.
190
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Figura 4.8. Diffusione di Rayleigh da una sfera rigida per radiazione incidente monocromatica: intensità della radiazione diffusa al variare dell’angolo d’osservazione θ (diagramma polare) nel caso di sfera con comprimibilità pari a quella del mezzo e densità maggiore.
stessa compressibilità del mezzo, ma più densa di esso; dalla figura risulta che la sfera riemette una quota parte della radiazione incidente con una direttività analoga a quella di un dipolo oscillante. La teoria di Lord Rayleigh, espressa dalla relazione [4.4], stabilisce che una piccola sfera rigida emette secondo due lobi caratterizzati dal valore massimo della pressione rispettivamente in corrispondenza di zero e di 180 gradi; pertanto l’intensità massima della radiazione retrodiffusa Is si verifica lungo la direzione θ = π e vale
Figura 4.9. Diffusione di Rayleigh da una sfera rigida per radiazione incidente monocromatica a frequenza costante: intensità della radiazione diffusa al variare dell’angolo d’osservazione θ (diagramma polare) nel caso di sfera con densità pari a quella del mezzo e comprimibilità maggiore.
Capitolo 4
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Is 25 k 4 a 6 = Ii 36 2
[4.5]
D’altro canto le relazioni [4.2] e [4.3] – valutate nel caso in cui le densità del mezzo e dell’ostacolo siano uguali (vale a dire ρs/ρm→1), ma la sfera sia più compressibile del mezzo (ovverosia Ks /Km<1) – conducono a un diagramma come quello riportato nella figura 4.9, caratteristico di un’emissione monopolare. Occorre ora osservare che nel caso di riflessione speculare il rapporto Ir /Ii, descritto dalla relazione [4.1], non dipende dalla frequenza, mentre la sezione efficace ai fini del backscattering, cioè il rapporto σ tra la potenza retrodiffusa e l’intensità incidente, vale σ totale = 2π a 2
[4.6]
nel caso di diffusione di Rayleigh la sezione efficace è invece13 σ totale =
( )(
7 π a2 k4 a4 9
)
[4.7]
Tale sostanziale differenza tra le intensità retrodiffuse che si osservano nei due casi è dovuta al fatto che la sferetta di dimensioni piccole rispetto a λ irradia in tutte le direzioni, contrariamente a quanto si verifica nel caso della riflessione. Si ricorda infine, seppure semplicemente a titolo di informazione, il multiple scattering, un particolare fenomeno strettamente dipendente dalla presenza di piccole disomogeneità all’interno dei tessuti, che determina nell’immagine ecografica una trama di fondo (tissue texture), dal caratteristico aspetto granuloso, denominata speckle. Questa trama non corrisponde alla reale microstruttura del tessuto e costituisce un vero e proprio disturbo 14 che riduce la capacità dell’osservatore di risolvere i dettagli. Tale fenomeno dipende non solo dal mezzo investigato, ma anche dalle caratteristiche proprie della radiazione incidente e quindi, in definitiva, dall’ecotomografo e dal suo funzionamento. Per tale motivo esso è in genere discusso in letteratura nell’ambito della trattazione relativa alla qualità dell’immagine ecografica e, in particolare, all’insieme dei difetti che in essa sono riscontrabili e che vanno generalmente sotto il nome di artefatti.
13 G.S. Kino (1987) Acoustic Waves: Devices, Imaging, and Analog Signal Processing. Prentice-Hall, Englewood Cliffs, NJ. 14 Per un approfondimento relativo alla natura e alla caratterizzazione dello speckle si rimanda, per esempio, a J.G. Abbott, F.L. Thurstone (1979) Acoustic speckle: theory and experimental analysis. Ultrasonic imaging, I: 303-324.
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4.3.3 Diffusione da ostacoli di dimensioni paragonabili alla lunghezza d’onda Le espressioni analitiche formulate per questo tipo di diffusione (diffractive scattering) sono state proposte in tempi relativamente recenti, sotto approssimazioni analoghe a quelle già riferite per la teoria di Born e nel caso di una sfera di raggio a tale che ka ≅ 1. A tale riguardo la letteratura del settore15 riporta formule che si riferiscono alla pressione sonora ps diffusa dalla sfera e, spesso, a un altro parametro σd(θ); quest’ultimo è definito come la frazione della potenza relativa a un’onda piana progressiva, incidente su un ostacolo sferico, diffusa per unità di angolo. Per quanto riguarda l’utilizzo nell’ambito dei sistemi ecotomografici, tali espressioni hanno valore di primo orientamento, atteso il fatto che le condizioni effettive di una sonda operante sul corpo umano sono in genere assai diverse da quelle dedotte da un modello; per il loro studio si rinvia, pertanto, alle pubblicazioni specialistiche che riportano le predette relazioni, qui menzionate solo per completezza di informazione.
4.4 Fenomeni di trasmissione della radiazione Da quanto fin qui esposto appare evidente la complessità dei fenomeni di backscattering che partecipano alla formazione dell’immagine ecografica. Gli ordini di grandezza delle dimensioni degli ostacoli investiti dalla radiazione ultrasonora si estendono in un intervallo molto ampio: dai pochi micrometri dei globuli rossi (per i quali si può assumere sussista il Rayleigh scattering), alle frazioni di millimetro delle disomogeneità nei tessuti biologici (per le quali si ha diffractive scattering), fino ai vari centimetri degli organi addominali (per i quali il fenomeno osservato è la diffusione speculare). In definitiva emerge che, a seconda delle dimensioni delle sorgenti secondarie, si hanno effetti cospicui sulle caratteristiche dell’immagine; inoltre, poiché tutti i predetti effetti possono verificarsi contemporaneamente, l’immagine ecografica risulta certamente diversa da paziente a paziente, a parità di distretto anatomico indagato. L’ecografo deve pertanto essere dotato di comandi che consentano all’operatore di adattare l’immagine e di ottimizzarne la qualità in rapporto al singolo paziente. Poiché questo testo si propone principalmente di fornire una descrizione fisica dei fenomeni che serva da orientamento per la loro pratica e finale applicazione in un ecotomografo, nelle pagine seguenti verrà approfondito con maggiore dettaglio il caso della diffusione speculare, che è alla base della costruzione dell’immagine ecografica, in relazione alle sue peculiari caratteristiche di immagine tomografica.
15 Il lettore può consultare le seguenti pubblicazioni. D.K. Nassiri, C.R. Hill (1986) The differential and total bulk acoustic scattering cross-section of some human and animal tissues. JASA 79(6): 20342047. D.K. Nassiri, C.R. Hill (1986) The use of angular acoustic scattering measurement to estimate structural parameters of human and animal tissues. JASA 79(6): 2048-2054. J.J. Faran (1951) Sound scattering by solid cylinders and spheres. JASA 23(4): 405-418.
Capitolo 4
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4.4.1 Riflessione per strutture di dimensioni maggiori della lunghezza d’onda: rifrazione e lenti acustiche Come è stato accennato, quando un’onda ultrasonora incontra la superficie di separazione tra due mezzi, uno caratterizzato da impedenza Zi = ρici e l’altro da impedenza Zt = ρtct, se la lunghezza d’onda λ è molto minore della dimensione caratteristica delle asperità superficiali, parte dell’onda incidente viene riflessa, e pertanto torna indietro con uguale velocità di propagazione c i , e parte viene trasmessa nel secondo mezzo, nel quale si propaga con velocità c t, come illustrato nella figura 4.10. In tali condizioni valgono le stesse leggi dell’ottica geometrica, che stabiliscono le relazioni tra gli angoli di incidenza θi, di riflessione θr e di trasmissione θt che rispettivamente le onde incidente, riflessa e trasmessa formano con la normale n alla superficie di separazione S tra i due mezzi. Il rapporto n = ci /ct tra la velocità di propagazione nel mezzo, ove viaggia l’onda incidente (i), e
Figura 4.10. Riflessione e rifrazione delle onde sonore. (a) Fronti d’onda incidente (rosso), riflesso (azzurro) e trasmesso (verde) e angoli di incidenza θi, di riflessione θr e di rifrazione θt. (b) Dimostrazione grafica del legame tra i suddetti angoli. (c) Angoli di incidenza, riflessione e rifrazione nel caso di velocità di propagazione nel primo mezzo maggiore che nel secondo. (d) Caso di velocità di propagazione nel primo mezzo minore che nel secondo.
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quella di propagazione nel mezzo, ove viaggia l’onda trasmessa (t), si chiama indice di rifrazione. L’angolo d’incidenza e l’angolo di rifrazione (si faccia riferimento alla figura 4.10b) stanno nel rapporto definito dalla relazione OP = per la quale n=
c i Δt c t Δt = sin θ i sin θ t
[4.8]
c i sin θ i = c t sin θ t
[4.9]
mentre vale16 sinθi = sinθr , per cui l’onda incidente e l’onda riflessa formano lo stesso angolo con la normale alla superficie di separazione tra i due mezzi. Dalla relazione [4.9] si osserva che, per angoli di incidenza piccoli, θi e θt stanno tra loro come le rispettive velocità di propagazione. Ciò significa che, se la velocità di propagazione è maggiore nel mezzo nel quale viene trasmessa l’onda, questa forma con la normale alla superficie di separazione un angolo maggiore di quello dell’onda incidente. Per quanto riguarda le energie trasportate dalle onde trasmesse o riflesse, si osserva che il loro rapporto è strettamente dipendente dal valore delle impedenze Zi e Zt del mezzo ove esse si propagano. I coefficienti r e t, rispettivamente di riflessione e trasmissione – che consentono di calcolare la quota parte di energia acustica riflessa dalla superficie di separazione tra primo e secondo mezzo e quella che invece la attraversa entrando nel secondo mezzo – si calcolano partendo dalla considerazione che la velocità v delle particelle e la pressione sonora p non subiscono discontinuità all’interfaccia; dal punto di vista fisico, ciò corrisponde al fatto che i due mezzi rimangono in contatto intimo e che ogni punto appartenente all’interfaccia tra i due mezzi appartiene sia all’onda riflessa sia all’onda trasmessa (cioè il fronte d’onda è continuo). Queste condizioni sono soddisfatte se le componenti normali alla superficie di separazione della velocità della particella dell’onda incidente, riflessa e trasmessa sono legate dalla relazione v i cos θ i − v r cos θ r = v t cos θ t
[4.10]
e se le pressioni acustiche dell’onda incidente, riflessa e trasmessa sono tali che pi + pr = pt
[4.11]
per cui la pressione acustica sulla superficie di separazione è unica. Tenendo presente che è p = Zv = ρcv, se nella relazione [4.10] si sostituisce alla velocità il rapporto p/Z e si ricorda che è θi = θr, si ottiene
16
L’indice di riflessione è ci /cr = 1.
Capitolo 4
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195
pi p p cos θi − r cos θi = t cos θ t Zi Zi Zt
[4.12]
Il sistema delle equazioni [4.11] e [4.12] consente di ricavare i coefficienti r e t; per le onde di pressione il coefficiente di riflessione rp e di trasmissione tp della pressione valgono rispettivamente rp =
pr Z t cos θi − Z i cos θ t = pi Z t cos θi + Z i cos θ t
[4.13]
tp =
2Z t cos θi pt = pi Z t cos θi + Z i cos θ t
[4.14]
che, se l’onda ultrasonora incide normalmente, per cui si ha θi = θr = 0, si trasformano nelle rp =
pr Z t − Z i = pi Z t + Z i
[4.15]
tp =
2 Zt pt = pi Z t + Z i
[4.16]
Dalle equazioni [4.15] e [4.16] si deduce che, se Zi = Zt, rp = 0 e tp = 1 (il che vuol dire che non vi è riflessione e che l’energia viene totalmente trasmessa), mentre se Zt>Zi, rp è positivo e non vi è cambiamento di fase (si faccia riferimento a quanto stabilito nel capitolo 3) tra l’onda incidente e quella riflessa; viceversa se Zt
p20 2Z
[4.17]
nel quale è indicato con p0 il valore massimo della pressione acustica, corrispondente al valore massimo dello spostamento ξ0 come definito nel capitolo 3. Poiché, per la conservazione dell’energia, deve risultare Ii = Ir + I t
[4.18]
dove Ii, Ir e It sono le componenti normali alla superficie rispettivamente dell’intensità acustica incidente, riflessa e trasmessa, e poiché l’espressione precedente può essere riscritta come
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Ir I t + Ii Ii
[4.19]
1 = rI + t I
[4.20]
1= si ottiene
Considerando la relazione [4.17], e sostituendo la [4.13] nella [4.19], si ottengono rispettivamente i coefficienti di riflessione rI e di trasmissione tI relativi all’intensità acustica I ⎛ Z cos θ i − Z i cos θ t ⎞ rI = r = ⎜ t I i ⎝ Z t cos θ i + Z i cos θ t ⎟⎠ tI =
2
It I 4Z i Z t cos θ i cos θ t =1− r = Ii Ii Z t cos θ i + Z i cos θ t
(
[4.21]
)
2
[4.22]
Per θi = θr = 0, le relazioni [4.21] e [4.22] si specializzano nelle I ⎛Z −Z ⎞ rI = r = ⎜ t i ⎟ Ii ⎝ Z t + Z i ⎠ tI =
2
4 Z iZ t It = 2 Ii Z t+ Zi
(
)
[4.23]
[4.24]
Al riguardo occorre specificare che i rapporti tra le pressioni acustiche pr e pt , che compaiono nelle [4.15] e [4.16], riferite ai coefficienti rp e tp, sono rapporti tra ampiezze dell’onda di pressione; tali rapporti dipendono dal cambiamento di fase che si verifica in corrispondenza della superficie di separazione e a essi non è associato alcun significato energetico. Tabella 4.1. Coefficienti di riflessione acustica per diverse interfacce Interfaccia riflettente Grasso-muscolo Grasso-rene Muscolo-sangue Osso-grasso Osso-muscolo Tessuto molle-acqua Tessuto molle-aria Tessuto molle-PZT5 Tessuto molle-olio di ricino
Riflettività rI 0,0107 0,0064 0,0058 0,489 0,412 0,0023 0,999 0,798 0,0043
Dati ripresi da W. Hedrick, D. Hykes, D. Starchman (1995) Ultrasound Physics and Instrumentation. Mosby - Year Book.
Capitolo 4
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197
Diverso è il caso dei coefficienti rI e tI, definiti come rapporti tra intensità, la cui somma è sempre uguale all’unità. Infatti le intensità rappresentano flussi di energia attraverso una superficie (si ricordi che l’intensità si misura in watt al metro2) e pertanto, per il principio di conservazione, la somma dei flussi trasmessi e riflessi deve uguagliare il flusso incidente. Per disporre di un esempio quantitativo, si può calcolare il valore dei coefficienti rp e tp nel caso di interfaccia tra aria e muscolo; dai dati della tabella 3.1 risultano le seguenti impedenze: Zaria = 430 rayl, Zmuscolo = 1,70·106 rayl; perciò, applicando le [4.15] e [4.16], si ottiene rp =
Z t − Z i 1, 70 ⋅10 6 − 430 = 0, 999 = Z t + Z i 1, 70 ⋅10 6 + 430
[4.25]
tp =
2Z t 2 ⋅1, 70 ⋅10 6 = 1, 999 = Z t + Z i 1, 70 ⋅10 6 + 430
[4.26]
che indicano semplicemente come l’ampiezza dell’onda di pressione riflessa e trasmessa siano rispettivamente 0,999 e 1,999 volte quella della pressione incidente, analogamente a quanto avviene nel biliardo, dove se la massa della biglia in moto è maggiore di quella della biglia colpita, la velocità impressa a quest’ultima sarà maggiore di quella della biglia incidente (e viceversa). Il calcolo delle intensità mediante le relazioni [4.23] e [4.24] fornisce invece 2
2
⎛ Z − Z ⎞ ⎛ 1, 70 ⋅10 6 − 430 ⎞ rI = ⎜ t i ⎟ = ⎜ ⎟ = 0, 999 ⎝ Z t + Z i ⎠ ⎝ 1, 70 ⋅10 6 + 430 ⎠ tI =
4Z i Z t
=
4 ⋅1, 70 ⋅10 6 ⋅ 430
(Z + Z ) (1, 70 ⋅10 + 430) 2
t
i
6
2
= 0, 001
[4.27]
[4.28]
per cui si conferma che la somma dei flussi uscenti (riflesso e trasmesso) è pari al flusso entrante (incidente), di modo che tale somma normalizzata al flusso entrante assume valore unitario17, e che il flusso globale di energia per unità di superficie è nullo. Il dato numerico che generalmente viene preso in considerazione nei calcoli è quello relativo al coefficiente rI, mentre il coefficiente tI si calcola direttamente come tI = 1–rI. Nella tabella 4.1 sono riportati i coefficienti rI per diverse interfacce riflettenti di interesse ecografico. Si osserva in particolare l’elevato valore di rI per la coppia tessuto molle-aria, pari al 99,9 per cento. Questo dato indica che la quasi totalità dell’onda ultrasonora che attraversa il tessuto molle viene riflessa se incontra l’aria; ciò assume particolare rilievo rispetto all’accoppiamento 17
Approssimato al millesimo nel precedente esempio numerico.
198
Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
tra il generatore di ultrasuoni (sonda ecografica) e la pelle del paziente, quando tra essi è interposta aria. Un valore elevato di riflettività si osserva anche per la coppia tessuto molle-PZT5 (cioè per l’accoppiamento diretto tra generatore di ultrasuoni e pelle); in questo caso solo il 20 per cento circa del fascio ultrasonoro generato penetra nel corpo del paziente. Per incrementare l’energia trasmessa (cioè ottenere bassi valori del coefficiente di riflessione), occorre adattare l’impedenza del cristallo generatore (che presenta alti valori) a quella della pelle del paziente (caratterizzata da bassa impedenza), vale a dire interporre tra i due un terzo mezzo di propagazione. A tale scopo, viene inserito tra il cristallo emettitore e la superficie della pelle uno strato adattatore in quarto d’onda che consenta di trasmettere la quasi totalità del fascio ultrasonoro nell’interno del corpo del paziente, come si vedrà con maggiore dettaglio nel capitolo 6.
4.5 Attenuazione e assorbimento delle onde ultrasonore Con il termine attenuazione si intende in generale il decremento dell’ampiezza (o dell’intensità) di un segnale, indipendentemente dalle cause che l’hanno prodotto. Nel caso che qui interessa, ci si riferisce all’ampiezza dell’onda di pressione di una radiazione ultrasonora che si propaga in un mezzo disomogeneo e che nel corso del suo viaggio in esso subisce un’attenuazione riconducibile sostanzialmente a due cause: una definibile di carattere geometrico e l’altra di carattere termico. Per quanto attiene alla prima causa, si è osservato nel precedente paragrafo che l’energia dell’onda ultrasonora può essere riflessa o diffusa. Riflessione e diffusione sono aspetti di un medesimo fenomeno, cioè la ridistribuzione dell’energia in direzioni diverse da quella della radiazione primaria incidente18. Il motivo dell’attenuazione deriva quindi dal fatto che viene sottratta energia alla radiazione primaria, in quanto proiettata in direzioni diverse da quella di interesse. Per quanto concerne la seconda causa, essa ha origine diversa in quanto deriva dall’azione meccanica dell’onda ultrasonora sul tessuto biologico, cioè da forze che agiscono su masse in un mezzo viscoso: vi è pertanto trasformazione di energia meccanica in energia termica. L’attenuazione dovuta agli effetti dissipativi, che assume il nome di assorbimento, deriva dalla trasformazione di energia meccanica in calore all’interno del mezzo. Da quanto esposto, sembrerebbe logico che le due distinte cause di attenuazione venissero quantitativamente contraddistinte con due diversi coefficienti, di attenuazione e di assorbimento, specifici per ogni tipo di materiale. In realtà una tale distinzione non è usualmente riportata nella letteratura del settore e ciò è spesso causa di confusione come sarà riferito nel paragrafo 4.8.
18 Si deve osservare che anche in questo caso l’energia meccanica si trasforma comunque in calore, senza tuttavia aver contribuito alla formazione dell’immagine.
Capitolo 4
· La propagazione degli ultrasuoni
199
Di seguito vengono descritti i fenomeni alla base delle trasformazioni di energia meccanica in energia termica che avvengono mentre l’onda di pressione procede nel mezzo di propagazione. In particolare essi sono: – quelli dovuti alla viscosità del mezzo; – quelli dovuti alla conduzione termica; – quelli che derivano dalla struttura molecolare della materia, noti in letteratura come fenomeni di rilassamento. I fenomeni legati alla viscosità del mezzo e alla sua conducibilità termica sono stati indagati per primi, rispettivamente, da Stokes nel 1854 e da Kirchhoff nel 1868, nell’ambito della cosiddetta teoria classica dell’assorbimento del suono. Tale approccio si fonda su una descrizione a livello macroscopico del mezzo, che è inteso come un continuo le cui proprietà fisiche, quali densità, compressibilità, pressione, temperatura, sono definite indipendentemente dai dettagli relativi alla struttura molecolare. La teoria classica, tuttavia, non è in grado di rendere conto di tutti i meccanismi alla base dei fenomeni di assorbimento e, dunque, di giungere a una corretta deduzione per via teorica del coefficiente di assorbimento α; essa è stata perciò completata mediante studi riguardanti il livello microscopico (dei quali si tralascia qui la descrizione19), che hanno condotto alla comprensione del meccanismo di rilassamento, dovuto a scambi di energia a livello molecolare. Le perdite dovute alla viscosità si verificano in presenza di moto relativo tra porzioni adiacenti del mezzo, cioè tra particelle in movimento durante le compressioni ed espansioni nella trasmissione dell’onda sonora, e costituiscono perdite per attrito. Le perdite per conduzione di calore derivano dagli scambi di energia termica tra zone calde (in compressione) e zone fredde (in espansione). Gli scambi di energia a livello molecolare riguardano la conversione di energia cinetica molecolare in energia potenziale (per esempio per riarrangiamenti della struttura molecolare) e in energia di associazione e dissociazione tra specie ioniche differenti, nonché la redistribuzione dell’energia cinetica tra i vari gradi di libertà (che comprendono anche le energie di vibrazione e rotazione, e non solo quelle di traslazione) delle molecole poliatomiche. Ciascuno di questi processi è caratterizzato da un tempo di rilassamento che quantifica il tempo necessario affinché abbia luogo il processo di scambio di energia tra il campo ultrasonoro e le molecole del mezzo. Tale tempo può essere trascurabile o meno in relazione al tempo caratteristico del fenomeno, che in questo caso è il cosiddetto ciclo acustico (vale a dire il periodo dell’onda di pressione). Per esempio il ciclo acustico può essere breve rispetto al tempo di rilassamento del processo di conversione dell’energia, immagazzinata nel mezzo durante la fase di compressione, in energia cinetica di vibrazione delle molecole (durante la fase di espansione): ciò vuol dire che parte dell’energia sarà restituita con ritardo, il che si traduce in una tendenza al livel-
19 In proposito, il lettore può consultare, per esempio, C. Cercignani (1975) Theory and Application of the Boltzmann Equation. Elsevier, New York.
Fondamenti di Ingegneria Clinica
200
· Ecotomografia
lamento della pressione e, dunque, in una riduzione dell’ampiezza dell’onda via via che essa procede nella direzione di propagazione.
4.6 Il coefficiente di assorbimento α Come si è anticipato, nella grande maggioranza dei casi la dinamica del mezzo di propagazione delle onde ultrasonore è quella di un sistema del primo ordine, in quanto il mezzo è di norma costituito da materia con comportamento elastico (molla), nella quale si verificano fenomeni di dissipazione di diversa natura (smorzatore), le cui azioni smorzanti sono preponderanti rispetto a quelle di inerzia. Perciò, l’andamento lungo la direzione di propagazione dell’onda sonora dell’intensità I (ci si riferisce per esempio a un’onda piana) decresce secondo una legge esponenziale del tipo20 I = I0 e −αI x
[4.29]
dove αI è il coefficiente di assorbimento riferito all’intensità e x il tragitto percorso dall’onda ultrasonora. In termini di pressione, o di ampiezza della velocità delle particelle, l’assorbimento si può esprimere come p = p0 e
−α p x
[4.30]
nella quale αp = αI /2. Le dimensioni di αp e αI sono quelle dell’inverso di una lunghezza e i due coefficienti si misurano usualmente in cm–1. Dalle relazioni [4.29] e [4.30] si ricava αI =
1 I0 ln x I
αp =
1 p0 ln x p
[4.31]
per le quali i coefficienti αp e αI possono essere riportati in neper al centimetro (il valore in neper di un rapporto è quello del suo logaritmo naturale); ricordando quanto stabilito riguardo la scala dei decibel e applicando nelle relazioni [4.31] le regole algebriche di conversione da logaritmo naturale a decimale, si ha anche α I (Np/cm) =
α p (Np/cm)
( )
1 1 log I 0 / I 1 α I (dB/cm) = = α I (dB/cm) 4, 34 0, 434 10 x log e
(
)
[4.32]
1 log p 0 / p 1 = α p (dB/cm) = α I (dB/cm) = x 8, 686 log e
20 Si può far riferimento al primo volume (par. 11.10), nel quale la legge di decadimento esponenziale, che ha natura del tutto generale in presenza di fenomeni dissipativi, è ottenuta dalla relazione differenziale dI = –α Idx, ma in rapporto al numero di fotoni x che hanno interagito con la materia attraversata.
Capitolo 4
· La propagazione degli ultrasuoni
201
le espressioni [4.32] esprimono pertanto la conversione da neper al centimetro a decibel al centimetro per i coefficienti di assorbimento sopra definiti21. Il problema consiste ora nell’individuare il valore di αI a partire dai meccanismi citati, poiché il valore del coefficiente di assorbimento è di primaria importanza nella progettazione del trasduttore ultrasonoro.
4.7 Meccanismo di rilassamento Il fenomeno del rilassamento22 deriva dall’impossibilità, che si manifesta in molti campi della fisica, che alla causa agente di una perturbazione consegua un effetto simultaneo, esistendo sempre un ritardo tra la causa e l’effetto. Tale ritardo è descritto da un parametro, generalmente indicato come costante di tempo, correlato alle caratteristiche dei corpi oggetto del fenomeno. Lo studio della risposta del sistema sede del fenomeno, in particolare un sistema del primo ordine, consente di ottenere analiticamente il ritardo in funzione dei componenti fisici del sistema stesso. Per esempio i processi di carica o di scarica di un condensatore, che all’istante t0 venga posto in connessione con una sorgente esterna di valore V0 , si verificano secondo le ben note leggi t ⎛ − ⎞ v (t) = V0 ⎜1 − e τ ⎟ ⎟⎠ ⎜⎝
v (t) = V0 e
−
t τ
[4.33]
nelle quali τ è la costante di tempo. Nel caso di un circuito elettrico che presenti al suo interno una resistenza R e una capacità C, la costante di tempo che caratterizza il dispositivo è definita dal prodotto RC. Il valore V0 è raggiungibile solo asintoticamente, ma si può facilmente verificare che il condensatore raggiunge una ddp che differisce da V0 dello 0,67 per cento dopo un tempo pari a circa 5τ. In modo del tutto analogo, il trasferimento di energia dell’onda di pressione alle particelle del fluido avviene con ritardo rispetto alla causa agente; lo spostamento ξ della particella si verifica in ritardo rispetto alla pressione acustica p che lo genera. Anche in acustica questo ritardo viene chiamato tempo di rilassamento ed è genericamente indicato con la costante di tempo τ. I fenomeni sopra accennati, assieme a quelli riportati nel paragrafo 4.6, si verificano nel tempo di rilassamento caratteristico di ciascuno di essi e sono alla base della degradazione che, per il secondo principio della termodinamica, caratterizza gli scambi energetici e si traduce a livello macroscopico in un’attenuazione dell’onda sonora. La costante di tempo è definita come il tem-
21 Espressioni analoghe alle [4.32] sono sovente utilizzate anche in elettrotecnica, nell’ambito delle linee di trasmissione. 22 A rigore, con il termine rilassamento ci si riferisce al livello microscopico, al quale avviene la ripartizione dell’energia cinetica molecolare tra i vari gradi di libertà, ma si può estendere il concetto anche a livello macroscopico nel momento in cui si abbia un ritardo tra causa ed effetto.
202
Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
po necessario affinché l’ampiezza dell’onda di pressione si riduca al 36,7 per cento del valore iniziale23 (si ponga t = τ nella relazione [4.33]).
4.7.1 Effetto della viscosità sul coefficiente α Gli effetti della viscosità nella propagazione dell’onda, analogamente a quanto riferito per i sistemi del primo ordine, possono essere espressi da un termine contenente il prodotto di un coefficiente di smorzamento di tipo viscoso r (le cui dimensioni sono kg s–1m–1) per la derivata rispetto al tempo della dilatazione θ. Tenendo presente quanto stabilito nel capitolo precedente per la dilatazione θ, la pressione sonora può essere espressa come ⎛ ∂θ ⎞ p = − ⎜ ρ0 c 2 θ + r ⎟ ∂t ⎠ ⎝
[4.34]
Assumendo come condizione iniziale che al tempo t = 0 sia applicato al mezzo un gradino di pressione pari a p0, la soluzione della [4.34] porta alla p θ = 02 ρ0 c
⎛ − ρ0c2 t ⎞ r − 1⎟ ⎜e ⎝ ⎠
[4.35]
dalla quale si deduce che θ tende al valore di equilibrio con una costante di tempo τ pari a r τ= [4.36] ρ 0c 2 ciò significa che tale valore di equilibrio sarà raggiunto (a meno dello 0,67 per cento) dopo un tempo pari a 5τ. Questo ritardo definisce fisicamente il tempo di rilassamento del fenomeno viscoso ed è una causa intima di dissipazione per attrito dell’onda ultrasonora. Al fine di trovare il legame esistente tra la costante di tempo e l’assorbimento dell’onda di pressione, si può riscrivere l’equazione di propagazione delle onde piane aggiungendo il termine che tenga conto degli effetti della viscosità e quindi, attraverso la costante ρ0c, del tempo τ. Procedendo come nel capitolo precedente, avendo cura di considerare ora la relazione modificata [4.34], si ottiene l’equazione24 2 r ⎛ ∂ ⎞ ⎛ ∂2ξ ⎞ ∂2ξ 2 ∂ ξ c = + [4.37] ⎟ ⎜ 2 2 ρ 0 ⎜⎝ ∂ t ⎟⎠ ⎝ ∂x 2 ⎠ ∂t ∂x la cui soluzione può essere ricercata nella forma 23 Per maggiori approfondimenti in merito ai sistemi del primo ordine, si rimanda a F.P. Branca (1974) Misure meccaniche. ESA - Edizioni Scientifiche Associate, Roma. 24 Per maggiori approfondimenti, è possibile consultare J. Blitz (1963) Fundamentals of Ultrasonics. Butterworths, London.
Capitolo 4
· La propagazione degli ultrasuoni ξ(x , t) = ξ 0 e
203 −αη x
j ωt − kx ) e(
[4.38]
Il valore di αη in funzione della pulsazione ω della radiazione e del tempo di risposta τη (dove il pedice η indica che il processo al quale ci si sta riferendo è quello della dissipazione viscosa) risulta 1 2 ⎤2 ⎡ ω 1 ⎢ 1 + ωτ η − 1 ⎥ αη = c 2 ⎢ 1 + ωτ 2 ⎥ ⎥ ⎢ η ⎦ ⎣
( ) ( )
[4.39]
Confrontando la soluzione [4.38] con i risultati del capitolo precedente, nel quale si è considerato il mezzo ideale, si osserva come, al termine immaginario j(ωt–kx), che rappresenta la propagazione dell’onda, si sia affiancato il termine reale αηx, che ne testimonia l’attenuazione durante la propagazione stessa. Ricavando nuovamente l’impedenza acustica specifica come rapporto tra pressione acustica e velocità delle particelle, si ottiene, derivando la [4.38] rispetto al tempo e rispetto allo spazio,
p = v
−
1 ∂ξ 1 1 χ ∂x = k − jα η α η + jk = ∂ξ ωχ jωχ ∂t
(
)
(
)
[4.40]
che conferma quanto anticipato nel capitolo 3: in presenza di attenuazione, l’impedenza acustica specifica risulta una grandezza complessa, non più coincidente con l’impedenza caratteristica del mezzo ρc, che si ottiene ponendo α = 0 nella relazione [4.40] secondo la p k 2π / λ T Tc 2ρ c 2ρ/ f = = = = = = cρ λ v ωχ 2π f χ λχ c/f
[4.41]
Perciò nel caso di onde periodiche, con p e v grandezze sinusoidali, se non vi è attenuazione, pressione e velocità sono in fase e il loro rapporto è un numero reale. Se il mezzo è dissipativo, il rapporto tra pressione e velocità è un numero complesso, nel quale il termine immaginario testimonia lo sfasamento tra causa ed effetto a opera del ritardo associato al rilassamento. In genere, per fluidi poco viscosi, il tempo di rilassamento è molto piccolo e, anche per elevati valori di ω, si può considerare ω τη<<1, per cui, sviluppando in serie di Taylor la funzione [1+ (ω τ η )2]1/2, l’espressione [4.39] si riduce alla αη ≅
ω 2τ η
2c
[4.42]
Fondamenti di Ingegneria Clinica
204
· Ecotomografia
che, ricordando la [4.36], diviene αη ≅
ω 2r
[4.43]
2ρ 0 c 3
Questa importante relazione mostra che, se il parametro r è indipendente dalla frequenza, il coefficiente di assorbimento αη è proporzionale al quadrato della frequenza angolare. Si può dimostrare che r è funzione della viscosità dinamica η (il cui significato verrà ancora illustrato nel capitolo 9) del mezzo di propagazione, secondo la relazione25 r=
4 η 3
[4.44]
Sostituendo la relazione [4.44] nella [4.43] si ottiene per αη αη =
2 ω2 η 3 ρ0 c 3
[4.45]
che è valida ogni qualvolta si possa ammettere ω τη<<1, ovvero per fluidi non molto viscosi come quelli che si incontrano nelle applicazioni cliniche dell’ecografia (si noti che ηsangue = 0,4 kg m–1 s–1 , ηacqua = 1 kg m–1 s–1 , ηolio = 500 kg m–1s–1 , ηglicerina = 1500 kg m–1 s–1).
4.7.2 Effetto della conduzione del calore sul coefficiente α Il fenomeno di conduzione del calore prodotto dall’onda di pressione acustica e causa di attenuazione ha origine dal fatto che nel corso della compressione il mezzo fluido si riscalda; ciò dà luogo a un gradiente di temperatura locale che determina un flusso termico verso zone in cui la temperatura è più bassa per effetto della dilatazione (prodotta dall’onda di rarefazione). Il processo è manifestamente irreversibile e la degradazione introdotta causa l’attenuazione dell’onda di pressione. Il coefficiente di attenuazione dovuto a tale effetto termico ha la forma γ −1 1 ω2 κ α cp = [4.46] 3 cp 2 ρ0 c
(
)
nella quale κ è il coefficiente di conducibilità termica e γ = cp /cv è il rapporto tra il calore specifico a pressione costante e quello a volume costante. 25 Essa si ricava considerando il flusso comprimibile e irrotazionale e assumendo la cosiddetta ipotesi di Stokes (valida rigorosamente per gas monoatomici), per la quale il valore della pressione nel fluido in moto è pari a quello del gas all’equilibrio. Per ulteriori dettagli sui coefficienti di viscosità, il lettore può consultare, per esempio, G. Batchelor (2000) An introduction to fluid dynamics. Cambridge University Press.
Capitolo 4
· La propagazione degli ultrasuoni
205
Nei liquidi il contributo della conduzione di calore all’assorbimento è molto minore di quello dovuto alle forze viscose; pertanto è legittimo ammettere che l’effetto della viscosità e quello della conduzione di calore siano indipendenti. Conseguentemente il coefficiente α dovuto a questi due meccanismi può essere ottenuto sommando la [4.45] alla [4.46], ricavando in tal modo α=
(
) κ⎞
⎛4 γ −1 η + ⎜ cp 2ρ 0 c 3 ⎝ 3 ω
2
⎟ ⎠
[4.47]
La relazione [4.47] esprime il coefficiente di assorbimento α secondo la teoria classica. I valori di α sono stati calcolati e misurati per alcune sostanze, in particolare gas (argon, elio, ossigeno, azoto, aria ecc.) e liquidi (glicerina, mercurio, acetone, acqua, acqua di mare ecc.). Essi differiscono di qualche punto percentuale per i gas e di oltre il 20÷30 per cento per i liquidi e non vengono di seguito riportati perché di modesto interesse per le finalità di questo testo.
4.8 Assorbimento nei tessuti biologici I valori del coefficiente di assorbimento α relativi ai tessuti biologici sono ottenuti tutti per via sperimentale e numerosissimi ricercatori si sono dedicati a questa attività, producendo altrettante proposte di valori per l’assorbimento; in talune circostanze, questi valori possono differire tra loro anche del 10÷40 per cento, a seconda delle condizioni sperimentali e delle tecniche di misura adottate. A ciò occorre aggiungere che nelle metodologie di misurazione, impiegate per determinare α, risulta assai complesso discriminare le cause di attenuazione dovute alle condizioni al contorno (cioè quelle relative alla diffusione e alla riflessione) da quelle proprie dell’assorbimento, che invece riguardano solo la trasformazione dell’energia cinetica in calore. Per tale ragione, come accennato nel paragrafo 4.5, supponendo predominante il contributo dovuto a queste ultime e compensando, ove possibile, gli effetti dovuti alla diffrazione della sorgente, nonché gli effetti geometrici dovuti alla propagazione per onde sferiche dell’impulso ultrasonoro generato dalla sorgente stessa, si suole confondere il coefficiente di attenuazione con il coefficiente di assorbimento, utilizzando comunque sempre il medesimo simbolo α. In altre parole il coefficiente di assorbimento α, riportato nelle tabelle reperibili nella letteratura specialistica, va inteso come somma di un termine αa, che tiene conto dell’assorbimento, e di un termine αs, che tiene conto della diffusione (scattering). Il termine αs è tanto più importante quanto più il mezzo è disomogeneo, anche se non comporta comunque un errore apprezzabile. La relazione [4.47] mostra una dipendenza di α dal quadrato della frequenza angolare; tale proprietà è in genere confermata dai rilievi sperimentali relativi a mezzi omogenei, anche se presenta alcune eccezioni. Per quanto riguarda mezzi non omogenei, quali sono i tessuti all’interno del corpo umano, il co-
Fondamenti di Ingegneria Clinica
206
· Ecotomografia
Tabella 4.2. Valori della costante di attenuazione (in intensità) μ nei tessuti umani Materiale μ·10–2 [Np/(cm·MHzn)] Sangue 4,6 Grasso 15 Cervello 14 Milza 7 Fegato 16 Reni 24 Muscoli (lungo le fibre) 66 Muscoli (normalmente alle fibre) 26 Cranio 230 Aria a 25 °C e 1 atm 230 Acqua 0,05
n 1,3 1,2 1,2-1,46 1,6 1,1 1 1 1 1,7 2 2
μ[dB/(cm·MHzn)] (*)
0,2 0,65 0,5 0,3 0,7 1 2.9 1,12 10 10 0,0022 * I valori della terza colonna coincidono con il coefficiente di attenuazione valutato a 1 MHz. Da S. Webb (1988) The Physics of medical imaging. Adam Hilger, Philadelphia.
efficiente di assorbimento α di varie sostanze, misurato nel range 1÷10 MHz, mostra invece una dipendenza dalla frequenza del tipo α(f ) = μ f n
[4.48]
nella quale μ e n sono due costanti26 che dipendono dalla natura del mezzo (e che, per quanto accennato in precedenza, variano al variare delle condizioni di misura). Il valore dell’esponente n è solitamente compreso tra 1 e 2. La costante μ prende il nome di costante di attenuazione e viene in genere espressa in neper al centimetro per megahertz elevato a n (Np/cm MHzn). A tale proposito la tabella 4.2 riporta i valori della costante μ (espressa sia in Np/cm MHzn, sia in dB/cm MHzn) e dell’esponente n per alcuni tessuti biologici di interesse clinico27. Osservando i valori della tabella 4.2, si deduce che la maggior parte dei tessuti molli mostra una dipendenza dalla frequenza approssimativamente di tipo lineare (n circa unitario); in particolare, avvalendosi della [4.32] e della [4.48], si può esprimere la conversione della costante di attenuazione da Np/cm MHzn a dB/cm MHzn come α(f )
fn
= μ (dB/cm⋅MHz n ) = 4, 34 μ (Np/cm⋅MHz n )
[4.49]
Nel grafico della figura 4.11 è ancora riportato il coefficiente di assorbimento α(f) per alcuni tessuti biologici.
26 La costante d’attenuazione μ viene in genere riportata nelle tabelle espressa in decibel al centimetro o neper al centimetro alla frequenza di 1MHz. 27 Per quanto riguarda il valore della costante μ dell’acqua (relativo all’intensità), molti autori riferiscono il valore 0,025·10–2[Np/(cm·MHz2)].
Capitolo 4
· La propagazione degli ultrasuoni
207
Figura 4.11. Coefficiente di assorbimento α(f) in funzione della frequenza per tessuti biologici di interesse clinico. Modificata, con autorizzazione, da Anthony Brinton Wolbarst (1993) Physics of Radiology. Appleton & Lunge, Norwalk, Connecticut.
Le tabelle reperibili in letteratura si presentano spesso in forma analoga alla tabella 4.2 e riportano la costante μ insieme all’esponente n; talvolta la costante di attenuazione μ viene presentata in termini di decibel al centimetro (dB/cm) perché si fa riferimento alla relazione [4.48] modificata, nella quale α = μ (f/f1)n, dove f1 è una frequenza di riferimento (in genere pari a 1 MHz)28; a volte, infine, viene riportato il valore del coefficiente α in dB/cm unitamente al valore della frequenza alla quale è stato misurato (ma senza indicazioni sull’esponente n). Per orientarsi tra i diversi modi di presentare i dati (che, come si è già accennato, possono differire anche significativamente a seconda della procedura e delle condizioni della misura), si può fare riferimento all’espressione [4.48] alla quale, implicitamente o esplicitamente, i dati si riferiscono. Nella pratica comune, per tessuti del corpo umano, la dipendenza di α dalla frequenza viene considerata pressoché lineare, mentre per materiali come l’acqua e altri tipi di tessuti biologici, l’energia viene sottratta alla perturbazione ultrasonora più rapidamente e α è espresso come dipendente dalla frequenza al quadrato. Nei calcoli di prima approssimazione si assume per i tes28 Infatti in tale caso μ assume le stesse dimensioni di α (dB/cm), mentre nella [4.48] μ = dB/cm MHzn. Per maggiori dettagli si può consultare anche B. Angelsen (2000) Ultrasound Imaging I. Emantec, Trondheim, Norway.
Fondamenti di Ingegneria Clinica
208
· Ecotomografia
suti molli un valore di μ(dB/cm·MHz) pari a 0,8. Con tale valore, la perdita di intensità calcolata in decibel per un segnale ecografico, per esempio di 2,5 MHz lungo un tragitto x pari a 6 cm attraverso un tessuto molle, vale
( I – I) 0
(dB )
= 0, 8
dB dB f x = 0, 8 2, 5 MHz⋅ 6 cm = 12 dB cm MHz cm MHz
[4.50]
Nel caso in cui la dipendenza del coefficiente di attenuazione dalla frequenza sia quadratica, il suo valore a una data frequenza può essere determinato dalla relazione [4.48], moltiplicando il valore della costante di attenuazione μ per il quadrato della frequenza che si sta utilizzando. Per esempio, se si desidera conoscere il valore di α alla frequenza di 20 MHz nel caso di acqua distillata, si dovrà operare come segue α (dB/cm) = 4, 34 μ ( Np/cm) f 2 = 0, 0022
dB cm MHz
dB (20 MHz) = 0, 88 cm 2
2
[4.51]
valore confermato dal grafico riportato nella figura 4.11.
4.9 Rilievo sperimentale dell’impedenza e dell’attenuazione La determinazione sperimentale dell’attenuazione acustica ha importanti applicazioni nella caratterizzazione agli ultrasuoni dei tessuti biologici e nella verifica non distruttiva dei materiali. Per alcuni di questi materiali, inclusi i tessuti molli del corpo umano, l’attenuazione cresce con la frequenza secondo una relazione del tipo [4.48], dove μ e n (1 ≤ n ≤ 2) sono due costanti dipendenti dal materiale. Basandosi su tale legame, la misura dell’attenuazione acustica si riduce quindi alla stima di μ e n. La misurazione di α e dell’impedenza del materiale è tradizionalmente realizzata impiegando il cosiddetto metodo a trasmissione, nel quale due trasduttori ultrasonori (utilizzati rispettivamente come trasmettitore T e ricevitore R) sono posti uno di fronte all’altro in un recipiente contenente acqua, come illustrato nella figura 4.12. L’onda ultrasonora prodotta dal trasmettitore T viene registrata inizialmente tramite il ricevitore R, quando tra le due sonde vi è solo acqua. Successivamente tra i due trasduttori viene inserito il campione P di materiale da caratterizzare e viene registrata una seconda onda ultrasonora. A seconda della modalità di misura utilizzata, la forma dell’onda può essere quella di un impulso ultrasonoro (pulse)29 o quella di un treno sinusoidale (burst) di una certa durata, ottenuto a sua volta con un’eccitazione elettrica costituita da un pacchetto sinusoidale di pari durata.
29 Come verrà illustrato nei capitoli successivi, esso è ottenuto come una breve sequenza di cicli sinusoidali, costituendo la risposta (fortemente smorzata) del piezoelemento a un’eccitazione elettrica impulsiva.
Capitolo 4
· La propagazione degli ultrasuoni
209
Figura 4.12. Apparato sperimentale per determinare impedenza acustica e coefficiente di attenuazione di un campione di materiale (provino P) con il metodo a trasmissione. Il trasmettitore di segnali invia un burst di eccitazione composto di 10 cicli al trasduttore piezoelettrico T e contemporaneamente invia un segnale di sincronizzazione all’oscilloscopio, dove viene visualizzato l’istante di invio. Il trasduttore invia un burst ultrasonoro che viaggiando in acqua e attraversando il provino giunge attenuato al trasduttore piezoelettrico R che trasduce l’onda ultrasonora in un segnale elettrico che, inviato a un ricevitore, viene registrato e visualizzato sull’oscilloscopio.
L’impedenza viene valutata misurando separatamente la densità ρ del provino e la velocità c e applicando la relazione Z = ρc. La densità si misura secondo il metodo tradizionale della determinazione separata del volume e della massa del provino; la velocità c si deduce, nota la distanza d tra trasmettitore e ricevitore, valutando la differenza tra i tempi di volo t1 (in presenza di sola acqua) e t2 (in presenza del provino di spessore t). Infatti t1 =
d c acqua
t2 =
d−t t + c acqua c provino
[4.52]
perciò ⎛ 1 1 ⎞ − t1 − t 2 = t ⎜ ⎟ ⎝ c acqua c provino ⎠
[4.53]
Se l’onda ultrasonora è costituita da una sequenza non brevissima30 di cicli d’oscillazione, tipicamente 10 o 20 (burst a banda stretta, come sarà più chia-
30 Occorre però porre attenzione a che non sia troppo lunga, per evitare che al trasduttore in ricezione arrivino sovrapposti i segnali dovuti alle riflessioni multiple alle interfacce tra acqua e provino.
Fondamenti di Ingegneria Clinica
210
· Ecotomografia
ro in seguito)31, i tempi di volo sono valutati sulla scala dei tempi dello schermo di un oscilloscopio come l’intervallo tra istante di partenza del pacchetto fornito dal generatore, segnalato dal sincronizzatore (trigger), e istante individuato dal segnale corrispondente all’arrivo del primo dei 10 cicli. Per quanto riguarda la misura dell’attenuazione del materiale costituente il provino, è possibile impiegare lo stesso apparato schematizzato nella figura 4.12, ma occorre considerare i coefficienti di trasmissione tp all’interfaccia acqua-provino e provino-acqua. Il coefficiente di trasmissione globale, relativo alle due interfacce, che l’onda ultrasonora percorre nell’attraversare il provino è dato da 2 t p, acqua -provino ⋅ t p, provino-acqua = t ap =
4 Z acqua Z provino
(Z
acqua +
Z provino
)
2
[4.54]
con evidente significato dei simboli. Siano P1 l’ampiezza dell’onda di pressione fornita dal generatore, P2 e P2′ quella dell’onda ricevuta (e registrata) dal ricevitore rispettivamente in assenza e in presenza del provino all’interno della vasca. Poiché vale la relazione P2 = P1 e
− α acqua d
[4.55]
che rappresenta l’onda registrata dal ricevitore in assenza del provino, dalla P2′ −α t α 2 e ( acqua provino ) = t ap P2
[4.56]
insieme alla [4.55] si ricava il valore di α. La misura è ripetuta per diverse frequenze al fine di ottenere l’andamento α(f); le due costanti μ e n sono ricavate generalmente secondo una stima ai minimi quadrati. Nel grafico della figura 4.13 sono riportati i valori dell’attenuazione di alcuni materiali ottenuti, trascurando il contributo t αacqua che compare nella relazione [4.56], secondo la
()
α (dB/mm) f =
⎤ ⎡ P (f ) 2 20 log ⎢ 2 t ap f ⎥ t ⎦ ⎣ P2′ (f )
()
[4.57]
31 Il caso di misura mediante impulso ultrasonoro non è qui descritto. Il lettore può consultare AAVV (1995) Methods for specifying acoustic properties of tissue mimicking phantoms and objects. Stage 1. American Institute of Ultrasound in Medicine (AIUM), Maryland. In tale pubblicazione sono anche descritte modalità di misura mediante apparati sperimentali che impiegano un unico trasduttore utilizzato come trasduttore e ricevitore (modalità pulse-echo).
Capitolo 4
· La propagazione degli ultrasuoni
211
Figura 4.13. Attenuazione di onde longitudinali al variare della frequenza da parte di differenti materiali. Resina epossidica araldite D+HY956 e hycar ETBN; resina epossidica araldite D+HY956 e hycar CTBN; resina epossidica CY221+HY2966 e hycar CTBN; pura resina epossidica CY221+HY2966; × resina epossidica araldite D+HY956. Modificata da N.T. Nguyen, M. Lethiecq, B. Karlsson, F. Patat (1996) Highly attenuative rubber modified epoxy for ultrasonic transducer backing applications. Ultrasonics 34 (6): 669-675.
dove lo spessore t è espresso in millimetri. Sebbene questo sia il metodo più utilizzato, per la sua semplicità e ragionevole accuratezza, esso difficilmente offre valori accurati per i parametri μ e n, poiché la stessa α (f) può essere interpolata in modo equivalente da curve associate a diversi valori di μ e n. Inoltre, per evitare una sovrastima del valore di α, è necessario considerare gli effetti delle riflessioni alle interfacce tra il campione e l’acqua; ciò comporta la valutazione accurata del coefficiente tap (o equivalentemente del coefficiente rap di riflessione all’interfaccia acqua-campione), che può essere ottenuto comparando lo spettro di ampiezze ultrasonore riflesse dal campione con quello invece prodotto da un piatto di alluminio di impedenza caratteristica rigorosamente nota. Infine occorre evitare che le ampiezze dei segnali impiegati siano eccessive onde prevenire l’insorgere di effetti non lineari. Un’altra difficoltà è dovuta alle dimensioni finite sia della sorgente sia del ricevitore acustico, che determinano fenomeni di diffrazione e di variazione della geometria del fascio ultrasonoro, il che produce ulteriori cambiamenti in ampiezza e fase dello spettro del segnale ricevuto. Sebbene un discreto numero di ricercatori abbia studiato l’effetto della diffrazione, fornendo relazioni correttive da inserire nel calcolo di α (o più propriamente di quella parte di α che dipende dalla propagazione), l’osservazione sperimentale ha posto in evidenza che gli effetti della diffrazione possono essere considerati trascurabili allorquando la velocità di propagazione nel materiale di riferimento e quella nel mezzo indagato siano poco dissimili. La difficoltà di misurare con accuratezza l’attenuazione è confermata dalla letteratura scientifica del settore, dove frequentemente sono riportati, per una stessa sostanza analizzata, valori che differiscono tra loro anche di un fattore due o più.
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212
· Ecotomografia
4.10 Emivalore Al fine di compiere valutazioni di prima approssimazione, nelle applicazioni pratiche viene spesso utilizzato un parametro, detto emivalore, meno accurato dell’attenuazione in dB/cm. L’emivalore – x è la lunghezza, espressa in cm, del tragitto compiuto dalla radiazione che provoca una riduzione del 50 per cento del valore iniziale di un certo parametro, per esempio dell’intensità. Se si considera l’intensità I0 posseduta dalla radiazione in x = 0, l’emivalore si ottiene imponendo che il tragitto compiuto – x sia tale che Ix =
I0 2
[4.58]
in generale, se è noto il numero m di strati emivalenti (o HVL, Half value layer) presenti entro un certo spessore di tessuto, la riduzione di intensità si deduce immediatamente dalla I=
I0 2m
[4.59]
Nella tabella 4.3 sono riportati gli strati emivalenti per alcuni tessuti di interesse biologico a diverse frequenze. Si osserva, per esempio, che alla frequenza di 1 MHz l’emivalore nell’osso è 0,2 cm: perciò in un centimetro di osso sono compresi 5 emivalori; ciò significa che, dopo 1 cm di tragitto al suo interno, l’intensità dell’onda ultrasonora si è ridotta di un fattore 25 e risulta I=
I0 2
5
=
I0 = 0, 031 I 0 32
[4.60]
pari circa al 3 per cento di quella iniziale. Se invece si considera 1 cm di grasso e si vuole conoscere quale sia l’attenuazione subita da un’onda ultrasonora di 1 MHz nell’attraversarlo, si osserva che, poiché per il grasso l’emivalore vale 5 cm e in 1 cm ci sono 0,2 emivalori (per cui m = 0,2), l’intensità dell’onda si è ridotta di un fattore pari a 1/20,2 = 0,87 e cioè l’intensità residua è l’87 per cento di quella iniziale I0. Ciò premesso, se si misura l’attenuazione in decibel, poiché la riduzione di intensità di un fattore 2 (che si verifica in uno strato emivalente) corrisponde a un’attenuazione di 3 dB, tale attenuazione corrisponde allo spessore di uno strato emivalente; perciò, per esempio, a una riduzione di intensità pari a 9 dB corrisponde uno spessore di materiale composto da 3 strati emivalenti. Nel caso sopra citato dell’attenuazione nell’osso, il valore espresso in decibel al centimetro corrispondente a 5 emivalori vale pertanto 3(dB/emivalore) ⋅ 5 emivalori = 15 dB
[4.61]
Capitolo 4
· La propagazione degli ultrasuoni
213
Tabella 4.3. Spessori (cm) degli strati emivalenti per alcuni tessuti a diverse frequenze Frequenza Materiale Aria Acqua Sangue Osso Cervello Grasso Fegato Muscolo Tessuti (media)
1 MHz 0,25 1360 17 0,2 3,5 5 3 1,5 4,3
2 MHz 0,06 340 8,5 0,1 2 2,5 1,5 0,75 2,1
5 MHz 0,01 54 3 0,04 1 1 0,5 0,3 0,86
10 MHz – 14 2 – – 0,5 – 0,15 0,43
Da W. Hedrick, D. Hyles, D. Starchman (1995) Ultrasound Physics and Instrumentation. Mosby -Year Book.
L’impiego dello strato emivalente consente anche di calcolare l’intensità di una radiazione ultrasonora a una qualsiasi profondità all’interno del corpo umano. Si supponga, per esempio, di utilizzare un trasduttore da 2 MHz per indagare nell’addome di un paziente a una profondità di 15 cm (corrispondente alla localizzazione del rene) imponendo un’intensità I0 pari a 5 mW/cm2. Dalla tabella 4.3 si ricava che l’emivalore medio per i tessuti alla frequenza di 2 MHz è pari a 2,1 cm e poiché in 15 cm vi sono circa 7,14 emivalori, alla profondità di 15 cm l’intensità I vale I=
I0 2
m
=
5 mW / cm 2 2
, 714
= 0, 0354
mW cm
2
≅ 35
μW
cm 2
[4.62]
Al medesimo risultato si perviene ricordando che lo spessore di un emivalore corrisponde a un’attenuazione di 3 dB, perciò l’attenuazione dovuta a 7,14 emivalori è pari a 3(dB/emivalore) · 7,14 = 21,42 dB; ponendo per l’intensità residua 21, 42 dB = 10 log
5 mW / cm 2 I
[4.63]
risulta I=
5 mW/ cm 2 21,42 dB 10 10
≅ 0, 0360
mW cm
2
= 36
μW
cm 2
[4.64]
4.11 Determinazione dell’intensità dell’eco: perdite per riflessione La determinazione dell’attenuazione dell’onda ultrasonora esaminata nei paragrafi precedenti non tiene conto del fenomeno di maggiore rilievo, che si verifica all’atto della riflessione dell’ultrasuono ogni qualvolta questo incon-
214
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· Ecotomografia
tra nel suo tragitto una variazione dell’impedenza. Ai fini della formazione dell’immagine, ciò che ha importanza è la quota parte di energia riflessa che perviene al trasduttore dopo aver percorso il tragitto di andata e ritorno, relativa alla particolare riflessione che si verifica in corrispondenza dell’ostacolo oggetto dell’indagine. È opportuno ricordare che la quota parte dell’energia riflessa, a prescindere dai fenomeni di assorbimento, dipende dall’interfaccia tra le due superfici di separazione; alcuni valori di tale quota parte sono presentati nella tabella 4.1, nella quale è possibile osservare la grande variabilità del coefficiente di riflessione. Occorre sottolineare che le interfacce poco riflettenti richiedono che gli amplificatori degli ecotomografi abbiano elevate prestazioni in termini di sensibilità, al fine di raccogliere echi poco intensi32. Per prevedere l’intensità dell’eco di ritorno è necessario pertanto considerare l’effetto combinato dell’attenuazione (considerata nella sua globalità), della quale si è trattato finora, e della riflessione, che determina l’interazione del fascio ultrasonoro con l’organo bersaglio dell’indagine, ma anche con gli altri tessuti incontrati lungo il percorso. Le perdite per attenuazione sono valutate in termini di decibel, mentre la riflessione viene descritta in termini percentuali (tabella 4.1). Per esprimere le perdite per riflessione in termini di decibel è necessario riprendere l’espressione [3.65], relativa alla definizione di dB, porre 100 al posto di I0 e la percentuale di riflessione rI(%) al posto di I e invertire il rapporto I /I0 , in modo da eliminare il segno negativo (poiché la parola “perdita” ha di per sé il significato di riduzione di intensità del segnale eco che giunge al trasduttore e che deve essere sommato con il medesimo segno alle altre perdite). Si ha pertanto perdita per riflessione (dB) = 10 log10
100 I0 = 10 log10 rI (%) Ir
[4.65]
Se, per esempio, si vuole determinare quale attenuazione (perdita) produca l’interfaccia muscolo-osso la cui riflettività, come risulta dalla tabella 4.1, è pari al 41 per cento, si ha perdita per riflessione muscolo-osso (dB) = 10 lo og10
100 = 3, 87 dB 41
[4.66]
Si consideri ora il semplice caso della figura 4.14 che descrive le perdite, sia per attenuazione sia per riflessione, dell’intensità I0 di un fascio ultrasonoro di frequenza 2,5 MHz che, emesso da un trasduttore, attraversa 6 cm di muscolo e incontra l’interfaccia muscolo-osso. 32 In particolare gli amplificatori utilizzati sono del tipo a basso rumore LNA (Low noise amplifier) che consentono l’estrazione dal rumore di segnali deboli.
Capitolo 4
· La propagazione degli ultrasuoni
215
Figura 4.14. Diminuzione di intensità di un fascio ultrasonoro a 2,5 MHz che attraversi 6 cm di muscolo e 0,5 cm di osso: le perdite sono dovute a fenomeni sia di assorbimento sia di riflessione all’interfaccia muscolo-osso.
Assumendo un valore medio di 1,3 dB cm–1 MHz–1 per la costante di attenuazione, la perdita per assorbimento nei 6 cm di muscolo, relativi al percorso di andata, vale 1, 3
dB 2, 5 MHz ⋅ 6 cm = 19, 5 dB cm MHz
[4.67]
alla quale occorre aggiungere i 3,87 dB per la riflessione sull’osso, calcolati mediante la relazione [4.66], e infine i 19,5 dB relativi al tragitto di ritorno; per l’esempio considerato si ha una perdita complessiva di circa 42,87 dB. Per comprendere quanto sia difficile ottenere echi dalla struttura interna dell’osso, può essere utile calcolare l’intensità di un eco proveniente da una struttura interna distante 0,5 cm dall’interfaccia osso-tessuto molle. In tale caso occorre aggiungere al risultato precedente le perdite dovute all’attraversamento di 0,5 cm di osso. Assumendo un valore minimo di 14,2 dBcm–1MHz–1,3, si ottiene perdite nel tessuto osseo (dB) =14, 2
dB cm MHz
(2, 5 MHz)
1,3
1,3
0, 5cm = 23, 36 dB [4.68]
per il solo tragitto di andata e, pertanto, l’attenuazione complessiva all’interno dell’osso sarà di circa 46 dB. Questo valore risulta maggiore delle perdite prodotte dall’attraversamento di 6 cm di tessuto muscolare e ciò rende ragione del motivo per cui il tessuto osseo viene, per quanto possibile, escluso dalle indagini ecografiche.
Fondamenti di Ingegneria Clinica
216
· Ecotomografia
4.12 Principi di teoria della non linearità 33 Fino alla metà del secolo scorso gli studi condotti nel campo degli ultrasuoni erano fondati sull’assunzione che la propagazione in un mezzo delle onde ultrasonore fosse lineare. Infatti, nel corso delle campagne sperimentali le distorsioni osservate nell’onda propagata venivano imputate alla possibile non linearità introdotta dai componenti dell’apparato sperimentale o dall’incapacità della sonda di trasmettere un segnale che avesse una sola componente armonica. Tuttavia, successivamente, nonostante lo sviluppo tecnologico e il conseguente miglioramento delle caratteristiche metrologiche degli strumenti di misura e dei generatori di segnale, si osservò che la forma d’onda continuava a essere distorta. Si intuì quindi che ciò dovesse essere necessariamente causato dal mezzo e, in particolare, dal fatto che il legame pressione-densità è non lineare ed è rappresentabile come uno sviluppo in serie di Taylor, in cui solo il primo termine è lineare. Da evidenze sperimentali è noto34 che i processi acustici sono pressoché adiabatici, essendo trascurabile lo scambio termico tra una particella di fluido e l’altra, data la rapidità con la quale si sviluppa il fenomeno. In tale condizione (considerando il mezzo privo di perdite), l’entropia del fluido rimane costante. Nel caso di perturbazione acustica in un fluido, la relazione isoentropica che lega la variazione di pressione a quella di densità viene espressa in termini di espansione di Taylor nell’intorno del valore di densità ρ0 che si verifica in assenza di perturbazione (pressione acustica nulla) ⎛ ∂P ⎞ 1 ⎛ ∂ 2P ⎞ P = P0 + ⎜ ⎟ ρ − ρ 0 + ⎜ 2 ⎟ 2 ⎝ ∂ρ ⎠ ⎝ ∂ρ ⎠ ρ
(
0
)
(ρ − ρ ) + 2
0
[4.69]
ρ0
L’espansione [4.69] è valida sotto le ipotesi di fluido omogeneo, isotropo e perfettamente elastico, soggetto a compressione ed espansione adiabatica quando siano considerati assenti gli effetti dissipativi dovuti alla viscosità o alla conduzione del calore. Se l’ampiezza della perturbazione è piccola, lo sviluppo [4.69] può essere troncato al primo ordine, analogamente a quanto si è fatto nel capitolo 3, utilizzando la variazione del volume invece di quella della densità, secondo l’approssimazione lineare 33 Nei paragrafi che seguono sono anticipati concetti e citate applicazioni che presumibilmente il lettore non è ancora in grado di apprezzare pienamente. Nonostante ciò, si è preferito inserire qui alcune considerazioni sui fenomeni di non linearità, e sulle problematiche e opportunità che essi presentano dal punto di vista della costruzione dell’immagine, poiché essi sono strettamente attinenti ai fenomeni di propagazione delle onde oggetto del presente capitolo. Il lettore potrà comunque avvantaggiarsi sin d’ora della trattazione, per poi tornare su questi paragrafi dopo la lettura dei capitoli più specificamente dedicati all’illustrazione dei sistemi ecotomografici (in particolare, i capitoli 6, 7 e 8). 34 Lawrence E. Kinsler, Austin R. Frey, Alan B. Coppens, James V. Sanders (1982) Fundamentals of acoustics, third edition. Wiley.
Capitolo 4
· La propagazione degli ultrasuoni ⎛ ∂P ⎞ ⎝ ∂ρ ⎟⎠
P = P0 + ⎜
217
(ρ − ρ )
[4.70]
0
ρ0
Nel caso di perturbazioni di ampiezza finita, per cui non siano più trascurabili i termini di ordine superiore al primo, posto al solito p = P– P0 per la pressione acustica e ρ′ = (ρ–ρ0)/ρ0, si ha ⎛ B⎞ 1 1 p = Aρ′ + B ρ′ 2 + ... + o ρ′ n = ρ0 c 20 ρ′ + ρ0 c 20 ⎜ ⎟ ρ′ 2 + ... + o ρ′ n 2 2 ⎝ A⎠
( )
( )
[4.71]
dove l’ultimo termine al secondo membro rappresenta i termini infinitesimi di ordine superiore, c0 la velocità di propagazione nel mezzo indisturbato, ρ0 la densità in assenza di perturbazioni e B/A il cosiddetto parametro di non linearità del secondo ordine. Per l’acqua a 30 °C tale parametro assume35 un valore pari a 5,2 e, dal momento che l’acqua è il principale costituente dei tessuti molli, non sorprende che il parametro non lineare a essi relativo sia dello stesso ordine di grandezza. Per i tessuti con elevato contenuto d’acqua, come fegato, cervello e muscolo, il parametro B/A assume valori compresi tra 6,5 e 7,5; minore è il contenuto d’acqua, maggiore è il valore assunto dal parametro di non linearità B/A, che aumenta proporzionalmente alla concentrazione di soluto nei materiali di interesse biologico. Uno degli effetti della non linearità è che la velocità di propagazione dell’onda diviene dipendente dalla pressione, e perciò dalla velocità delle particelle, secondo la relazione ⎛ 1 B⎞ v (z) c (z) = c 0 + ⎜1 + ⎝ 2 A ⎟⎠
[4.72]
dove z è la coordinata lungo la direzione di propagazione e v(z) è la velocità delle particelle. La relazione [4.72] rende conto della distorsione dell’onda. Infatti, poiché c(z) ∝ p, quando si ha una pressione maggiore (in una zona di compressione) la propagazione avviene in maniera più rapida, mentre nella zona meno compressa la propagazione è più lenta. Quindi, se nel mezzo si propaga un’onda sinusoidale, il picco positivo si propaga con una velocità c+(z) = c0 + Δc, mentre quello negativo con una velocità inferiore pari a c–(z) = c0–Δc; ciò conduce a una distorsione dell’onda nel dominio del tempo (come mostrato nella figura 4.15), che si traduce nella generazione di armoniche superiori nel dominio della frequenza. In particolare, il profilo dell’onda di pressione tende ad assu-
35
James F. Greenleaf (1986) Tissue characterization with ultrasound 1. CRC Press.
218
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· Ecotomografia
Figura 4.15. Distorsione e attenuazione di un’onda di pressione sinusoidale, durante il tragitto in un mezzo dissipativo e non lineare, in funzione del tempo (e perciò della distanza percorsa). (a) L’onda è emessa da una sorgente all’istante t = 0; (b) in virtù della diversa velocità di propagazione tra le zone compresse e quelle rarefatte, il fronte d’onda viene distorto fino alla formazione di un fronte d’onda d’urto; (c) il fronte d’urto aumenta di intensità; (d) le componenti in alta frequenza vengono attenuate (regione di stabilizzazione); (e) lontano dalla sorgente, la forma d’onda ritorna sinusoidale, benché attenuata. Modificata, con autorizzazione, da D.H. Evans, W.N. McDicken (2000) Doppler Ultrasound - Physics, Instrumentation and Signal Processing. Wiley.
mere un fronte sempre più ripido (tangente elevata), fino al caratteristico aspetto a dente di sega (illustrato nella figura 4.15), per il quale si verifica una brusca discontinuità. Per l’analogia con quanto si osserva in condizioni d’urto36, tale onda è indicata come onda d’urto (o shock wave). A causa del maggiore assorbimento subito dalle armoniche superiori (si ricordi la dipendenza di α dalla frequenza), queste ultime tendono ad attenuarsi più rapidamente mano a mano che la perturbazione si propaga. Pertanto l’entità della distorsione causata dalla non linearità del mezzo è dipendente dalla distanza dalla sorgente, per modo che si possono definire le seguenti zone: campo vicino, nel quale il segnale non ha percorso distanza sufficiente da essere distorto; campo vicino-medio, nel quale si iniziano a generare armoniche; campo medio, ove la generazione di armoniche ha raggiunto il suo picco; campo medio-lontano, nel quale le armoniche tendono a diminuire; campo lontano, in cui le armoniche scompaiono completamente. Nella figura 4.15 è illustrata l’evoluzione di un’onda sinusoidale attraverso un mezzo non lineare e dissipativo. La dipendenza dalla distanza (e dunque dalla profondità all’interno di un organo) non è tuttavia l’unica, poiché si ha dipendenza anche dal moto della
· · · · ·
36
I cui profili temporali sono di tipo impulsivo e pertanto presentano gradienti elevatissimi.
Capitolo 4
· La propagazione degli ultrasuoni
219
sorgente, dalla frequenza e ovviamente dalle specifiche proprietà di non linearità del mezzo. A tale riguardo, è possibile raggruppare tutte queste variabili in un unico termine σ, chiamato parametro di shock, che per esempio nel caso di onda piana risulta pari a σ = βεkz
[4.73]
dove β = 1+B/2A rappresenta il parametro di non linearità, k = 2π/λ il numero d’onda, ε = u0 /c0 il numero di Mach (u0 è la velocità delle particelle in corrispondenza della sorgente). Il parametro di shock può essere inteso come una distanza normalizzata rispetto alla lunghezza d’onda λ e indica il livello di distorsione dell’onda, nel suo tragitto all’interno del mezzo. Il livello di distorsione può essere elevato sia per intrinseche non linearità del mezzo (β elevato), sia perché l’ampiezza dell’oscillazione è finita e non infinitesima (velocità u0 elevata). Nel caso ideale, già per σ = 1 la pendenza del profilo dell’onda di pressione diviene infinita e pertanto si assiste alla formazione dell’onda d’urto. Poiché la distorsione della forma d’onda è descritta dai termini di ordine superiore, nell’ipotesi di forma d’onda sinusoidale ciascun termine dell’espansione in serie di Taylor rappresenta altrettante sinusoidi di frequenza doppia, tripla eccetera, rispetto alla fondamentale. L’andamento dell’onda di pressione distorta, indicata nella figura 4.15, può essere rappresentato nei termini della serie di Fourier come sovrapposizione delle componenti armoniche; nel caso di un’onda piana si può perciò porre ∞
(
)
p = p 0 ∑ B n (σ) sin ⎡⎣n ωt − kz ⎤⎦ n=1
[4.74]
dove p0 rappresenta l’ampiezza della pressione alla sorgente e i coefficienti Bn di Fourier sono funzione del parametro di shock σ. La comparsa di armoniche superiori è rappresentabile in termini di spettro in frequenza a partire dalla frequenza fondamentale f0 (corrispondente a n = 1 nella relazione [4.74])37; si noti che il termine relativo a n = 0, corrispondente alla componente costante del segnale, non compare nella [4.74] in quanto esso è nullo, trattandosi di pressione acustica. Nella figura 4.16 si osserva che, all’aumentare del parametro di shock, le componenti armoniche vengono incrementate a scapito della fondamentale (si noti la diminuzione delle ampiezze dovuta a una ripartizione dell’energia su un numero maggiore di frequenze); ciò si verifica fino a un valore di σ prossimo a 3, per il quale lo shock è nella fase di maturità e la forma d’onda è divenuta triangolare. Continuando il proprio tragitto nel mezzo, le armoniche dell’onda di ordine superiore tendono ad attenuarsi rapidamente, sicché il se-
37
La serie di Fourier sarà trattata dettagliatamente nel capitolo 10.
220
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Figura 4.16. Distorsione di un’onda di pressione sinusoidale durante il tragitto all’interno dei tessuti biologici in funzione del parametro d’urto (distanza normalizzata alla lunghezza d’onda). (a) Emissione di un’onda ultrasonora sinusoidale alla frequenza fondamentale f0 dalla sorgente (σ = 0). (b) Distanza percorsa normalizzata σ = 1, per la quale a causa della differenza di velocità di propagazione tra la fase di rarefazione e quella di compressione, l’onda inizia a distorcersi; nello spettro in frequenza corrispondente iniziano a manifestarsi le armoniche superiori alla fondamentale f0. (c), Distanza percorsa normalizzata pari a 3, per cui si ha la massima distorsione dell’onda, che assume l’aspetto triangolare a dente di sega. (d) Distanze σ maggiori di 3 per le quali le armoniche generate subiscono la forte attenuazione del mezzo, che pertanto riduce drasticamente gli effetti della non linearità, e l’onda di pressione riassume la forma sinusoidale.
gnale pressorio torna a essere sinusoidale. Perciò, per un’onda che si propaghi in modo non lineare in un mezzo dissipativo, le perdite di energia sono maggiori, poiché essa dapprima si ripartisce su più frequenze (tanto più alte quanto più significativa è la non linearità), e successivamente, per tale motivo, è più intensamente dissipata in calore. Come accennato in precedenza, in particolare introducendo il problema della misura dell’impedenza e del coefficiente di attenuazione di un mezzo, l’impulso ultrasonoro (o pulse)38 è in realtà ottenuto come una breve sequenza di cicli sinusoidali. A conclusione di questa breve disamina sulla distorsione dell’onda per effetto delle non linearità del mezzo, nella figura 4.17 viene illustrata la distorsione che un impulso emesso da un trasduttore subisce in corrispondenza di due diverse distanze dalla superficie emittente lungo la direzione di propagazione. Nella figura 4.18a è illustrata la mappa della pressione di picco su un piano ortogonale all’asse del fascio ultrasonoro, a una data distanza dal trasduttore; l’andamento temporale della pressione è riportato nella figura 4.18b per due differenti punti all’interno del campo, uno in corrispondenza dell’asse e l’altro a 5mm da esso, al fine di evidenziare il diverso grado di distorsione subito
38 Di esso e dei motivi alla base del loro utilizzo in ambito ecotomografico si discuterà ampiamente nei capitoli successivi.
Capitolo 4
· La propagazione degli ultrasuoni
221
Figura 4.17. Distorsione dei segnali ultrasonori a opera delle non linearità del mezzo. (a,b) Forma d’onda (impulso) misurata sull’asse del fascio ultrasonoro a 15 mm dal trasduttore e corrispondente spettro in frequenza. (c,d) Forma d’onda e spettro in frequenza della pressione misurata sull’asse del fascio a una distanza di 700 mm. Si osserva come a una maggiore distorsione della forma d’onda corrisponda la presenza più marcata di armoniche nello spettro in frequenza. Modificata, con autorizzazione, da T.L. Szabo (2004) Diagnostic Ultrasound Imaging. Elsevier Academic Press. © Elsevier.
dall’impulso ultrasonoro. In prossimità dell’asse del fascio, dove è concentrata la maggior parte dell’energia acustica e il campo pressorio è caratterizzato da ampiezze finite e non infinitesime, gli effetti di non linearità sono molto più accentuati che nelle zone periferiche del fascio (la conformazione geometrica del fascio ultrasonoro sarà trattata nei capitoli successivi).
4.12.1 Applicazioni della non linearità: imaging armonico Anticipando concetti importanti, che saranno definiti più accuratamente nei capitoli successivi, occorre precisare che la non linearità del mezzo non determina solo l’effetto negativo del marcato decremento dell’impulso di ritorno. La comparsa delle armoniche, e in particolar modo della seconda, ha consentito infatti di realizzare un sostanziale miglioramento nella costruzione delle immagini nella modalità B-Mode (illustrata nel capitolo 8), per quanto riguarda sia il contrasto39 sia il potere risolutivo.
39
Il contrasto può essere definito come la differenza tra l’intensità massima e l’intensità minima rapportata al doppio dell’intensità media; per una discussione sulle possibili diverse definizioni del contrasto e sul suo significato fisico si rimanda al primo volume (par. 14.11.1).
222
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Figura 4.18. Distorsione dei segnali ultrasonori per effetto delle non linearità del mezzo: contributo dell’ampiezza non trascurabile della perturbazione. (a) Mappa delle pressioni massime all’interno di un fascio ultrasonoro corrispondente a un impulso, su un piano ortogonale all’asse di propagazione, a una distanza di 140 mm dal piano del trasduttore. (b) Andamento temporale della pressione in corrispondenza dell’asse del fascio (rosso) e a 5 mm da esso (azzurro). Sull’asse del fascio ultrasonoro, dove si ha la maggior concentrazione di energia e l’ampiezza della perturbazione è di maggior entità, l’impulso emesso risulta maggiormente distorto, mentre nelle zone periferiche, dove la perturbazione è di minor ampiezza, l’impulso risulta meno distorto. Misurazioni effettuate nel Laboratorio di Misure Meccaniche e Termiche del Dipartimento di Meccanica e Aeronautica, Facoltà di Ingegneria, Università di Roma “La Sapienza”.
Dall’analisi condotta risulta chiaro che il comportamento non lineare, cioè la comparsa di armoniche superiori, può derivare sia da caratteristiche intrinseche del mezzo, sia da perturbazioni di ampiezza elevata (figura 4.18). Il primo aspetto è inserito nell’architettura di tutti gli ecotomografi di recente costruzione che utilizzano la modalità di rappresentazione denominata THI (Tissutal harmonic imaging), alla base della quale vi è l’impiego della seconda armonica. Nel seguito verrà descritto come nella modalità B-Mode, se i mezzi attraversati manifestano comportamento lineare, dall’emissione di un segnale (monocromatico) a frequenza e ampiezza determinate, si attenda il ritorno di un eco che, con intensità diminuita per effetto dell’attenuazione (tanto più quanto più profonda è stata la penetrazione), sarà caratterizzato dalla stessa frequenza del segnale emesso40 (ftrasmesso = fricevuto). Se invece i mezzi attraversati mostrano comportamento non lineare 41, il segnale ricevuto conterrà sia la frequenza fondamentale sia le sue armoniche. Inviando verso un organo che abbia comportamento non lineare un segnale a una data frequenza, e restando in ascolto del-
40 Quanto affermato è vero solo se si considera l’invio di un segnale monocromatico, dunque in via del tutto teorica. In realtà il segnale inviato dal trasduttore è caratterizzato da una banda in frequenza, con una sua frequenza centrale ftrasmesso ; a causa dell’attenuazione differenziale a opera dei tessuti attraversati e dell’andamento con la frequenza di tale attenuazione, la banda del segnale di ritorno sarà caratterizzata da una frequenza centrale più bassa di quella inviata. 41 Si ricordi che ciò avviene per i tessuti molli a minor contenuto d’acqua.
Capitolo 4
· La propagazione degli ultrasuoni
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Figura 4.19. Presenza di armoniche in un campo ultrasonoro generato da una sonda ecografica.
le sole frequenze armoniche (eliminando dal segnale di ritorno la componente fondamentale, cioè quella trasmessa), si possono ottenere echi con ampiezze apprezzabili e immagini ad alto contrasto. Infatti il segnale armonico, essendo generato dai tessuti, compie la distanza riflettore-trasduttore una sola volta (quella di ritorno), risentendo di una minore attenuazione (nonostante l’andamento di α con la frequenza). Inoltre, i bordi dell’organo risultano ben delineati, poiché solo da esso (in linea di principio) provengono le frequenze più alte. Va detto che per questa tecnica la presenza dell’armonica porta benefici soltanto al centro dell’immagine ecografica, in quanto all’inizio della propagazione la distorsione non è ancora sufficiente a mutare la forma d’onda, mentre alle distanze più profonde, l’attenuazione filtra più armoniche di quante ne siano generate (si faccia riferimento alla figura 4.19). Questo beneficio, in alcuni casi, potrebbe essere ridotto dall’attenuazione subita dal segnale originale nel suo percorso verso il riflettore. Come sarà illustrato nei capitoli seguenti, la cosiddetta risoluzione assiale, cioè la capacità di distinguere ostacoli tra loro vicini lungo la direzione di propagazione 42, e quindi di discernere tra due echi distinti provenienti da essa, è limitata dalla lunghezza d’onda della perturbazione. In generale, due ostacoli posti 42 Per il fascio ultrasonoro un ostacolo è un’interfaccia tra due mezzi di impedenza diversa, le cui dimensioni in relazione al fascio stesso sono state discusse nei precedenti paragrafi.
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tra loro a distanza Δz lungo l’asse di propagazione generano echi che il trasduttore rileva come distinti se il segnale inviato è di breve durata e dunque (considerato il legame per il tramite della velocità c) di limitata estensione nello spazio, in particolare minore di Δz. Come ciò sia legato alla lunghezza d’onda λ della radiazione sarà oggetto del capitolo 6. Importa qui sottolineare che l’utilizzo della seconda armonica (che viene generata all’interno del tessuto oggetto d’indagine) consente di inviare un segnale di bassa frequenza (meno soggetto ad attenuazione), ottenendo tuttavia una risoluzione corrispondente a quella di un segnale di frequenza doppia (cioè di lunghezza d’onda pari alla metà)43. I vantaggi dell’imaging armonico sono molteplici. Nel capitolo 3 si è visto che i trasduttori per ecografi devono avere un’estesa banda passante (in modo da poter ricevere tutte le frequenze che caratterizzano i segnali provenienti dai vari organi44) e che ciò comporta maggiori perdite (per il corrispondente basso Q) e maggiore complessità nei componenti elettronici. L’utilizzo dell’imaging armonico può apportare un vantaggio riguardo a quest’ultimo aspetto: infatti esso consente l’impiego di un segnale a banda stretta sia in trasmissione (centrata su una bassa frequenza) sia in ricezione (centrata sulla seconda armonica); mentre la banda complessiva del trasduttore deve essere comunque ampia, l’elettronica relativa all’elaborazione del segnale deve essere più selettiva e perciò risulta tendenzialmente meno costosa. Va inoltre ricordato che la conformazione geometrica del fascio relativo alla seconda armonica è caratterizzata dalla presenza di lobi laterali ridotti (si faccia per ora riferimento al campo di pressione della figura 4.18 e, per avere un’idea iniziale della forma del fascio, alla figura 4.20, poiché tali concetti saranno ampiamente ripresi nel capitolo successivo). Questa circostanza contribuisce anch’essa al complessivo miglioramento della risoluzione e del contrasto dell’immagine ottenuta: infatti i lobi laterali non consentono di realizzare un fascio di ultrasuoni focalizzato, quindi di larghezza ben definita, e pertanto degradano la risoluzione laterale. D’altronde l’ampiezza della perturbazione in un lobo laterale risulta inferiore a quella all’interno del lobo principale e, pertanto, nei lobi laterali l’onda non subisce distorsione; costruendo l’immagine sulla base della seconda armonica si utilizzeranno solo echi provenienti da regioni di tessuto in prossimità dell’asse di propagazione. Inoltre l’estensione laterale del fascio in seconda armonica (che si forma dopo un certo cammino all’interno del tessuto non lineare) risulta la metà di quella del fascio in frequenza fondamentale e ciò migliora ulteriormente l’aspetto relativo alla riso43 Il problema è in realtà più complesso in quanto occorre osservare che, per ottenere echi non troppo deboli (dato che al segnale di seconda armonica compete meno energia), il segnale inviato per le applicazioni in seconda armonica risulta di maggiore durata, per cui la risoluzione assiale subisce un peggioramento rispetto al caso teorico. 44 Il segnale di ritorno risulta caratterizzato da un ampio spettro in frequenza sia perché già il segnale inviato non è monocromatico ma caratterizzato da una sua banda di frequenze (nel capitolo 5 sarà meglio illustrato il legame tra la banda passante e le caratteristiche del segnale trasmesso nel tempo), sia per gli assorbimenti subiti lungo il tragitto a opera degli organi attraversati, ciascuno caratterizzato da un suo proprio coefficiente di assorbimento.
Capitolo 4
· La propagazione degli ultrasuoni
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Figura 4.20. Imaging armonico: il fascio ultrasonoro proveniente dai tessuti depurato dalla componente fondamentale (il relativo andamento della pressione in funzione della distanza dall’asse di propagazione è riportato in blu) presenta, a parità di profondità nel mezzo, una sezione più stretta e lobi laterali meno pronunciati rispetto al fascio ultrasonoro trasmesso (il relativo andamento della pressione in funzione della distanza dall’asse di propagazione è riportato in rosso); ciò produce una migliore risoluzione spaziale laterale e un miglior contrasto dell’immagine. L’andamento dei profili di pressione è illustrato nel capitolo 5.
luzione laterale, per la quale si possono fare considerazioni analoghe a quelle precedentemente fatte sulla risoluzione assiale. Infine, anche gli eventuali lobi laterali del fascio riflesso sono caratterizzati da piccola ampiezza e non apportano contributo in termini di seconda armonica (vedi capitolo 5). In una seconda modalità basata sulla seconda armonica, denominata seconda armonica di contrasto, l’onda di pressione viene fatta interagire con un particolare mezzo di contrasto, costituito da microbolle gassose. In questo caso un liquido di contrasto contenente piccole bolle costituite da un guscio biocompatibile riempito di gas viene iniettato all’interno del tessuto di interesse verso il quale viene inviato un segnale ecografico. Le bolle insonificate dagli ultrasuoni, oltre a riflettere parte dell’onda e trasmettere il resto dell’energia acustica, entrano in vibrazione alla loro frequenza di risonanza, compresa tra 2 e 10 MHz. A causa dell’eccitazione ricevuta, esse danno origine a un segnale verso il ricevitore caratterizzato dalla frequenza di risonanza e da una serie di frequenze armoniche, delle quali la dominante è la seconda (che è doppia rispetto a quella del segnale inviato) e che provoca la risonanza delle bolle. Grazie alla risonanza, gli agenti di contrasto a microbolle gassose possono incrementare il segnale riflesso da 8,5 a 23 dB. Il principale vantaggio di questa tecnica è che il segnale armonico viene restituito soltanto dalle zone nelle quali è presente il mezzo di contrasto (la tecnica è utilizzata per applicazioni angiografiche); dunque, restando in ascolto delle sole frequenze armoniche, è possibile ottenere immagini ad alto contrasto e prive di interferenze.
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4.12.2 Ricostruzione dell’immagine con la tecnica di seconda armonica Con la tecnica di seconda armonica (HI, Harmonic imaging) per la ricostruzione delle immagini si utilizza solo la seconda componente armonica dei segnali ricevuti (echi). Viene infatti eliminata la frequenza dei cicli componenti l’impulso (coincidente con la frequenza di risonanza del trasduttore), presente nel segnale riflesso assieme alla sua seconda armonica, come mostrato nella figura 4.21. Anche la terza componente armonica e quelle di ordine superiore potrebbero essere utilizzate, ma ciò comporterebbe la costruzione di trasduttori con una più ampia banda passante, a fronte del fatto che le armoniche aggiunte apporterebbero livelli di energia sempre più bassi, e dunque contributi trascurabili. Per ottenere migliori prestazioni, e quindi migliore qualità dell’immagine, con la tecnica HI è necessario che nella banda di frequenze, centrata sulla fondamentale del segnale trasmesso, non siano presenti armoniche superiori, per essere certi che queste ultime siano generate solo all’interno del tessuto. Sono disponibili due metodi per l’immagine armonica: il primo si fonda sul filtraggio della componente fondamentale del segnale ricevuto, mentre il secondo si basa sul metodo dell’inversione di fase (pulse phase inversion). Il primo metodo utilizza in ricezione un filtro per eliminare dal segnale eco la componente fondamentale (come illustrato nella figura 4.22), o meglio la banda di frequenza centrata su di essa. La banda del filtro deve coincidere con la banda di frequenza di seconda armonica: ciò assicura che lo spettro relativo alla frequenza fondamentale sia totalmente eliminato. Le due bande in fre-
Figura 4.21. Imaging armonico: l’onda emessa dal trasduttore è caratterizzata da una banda di frequenze centrata attorno alla frequenza di trasmissione prescelta (in rosso); l’onda proveniente dai tessuti è caratterizzata da una serie di bande in frequenza, quella centrata sulla frequenza di trasmissione (fondamentale), che nel segnale di ritorno in figura non è rappresentata, e quelle centrate sulle armoniche superiori (in azzurro) generate all’interno dei tessuti a comportamento non lineare.
Capitolo 4
· La propagazione degli ultrasuoni
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Figura 4.22. Spettro in frequenza del segnale trasmesso in prima armonica e del segnale ricevuto in prima e seconda armonica, in rapporto alla banda passante del filtro e del trasduttore.
quenza, sia la fondamentale sia la seconda armonica, devono essere all’interno della banda passante del trasduttore e risultare abbastanza separate, in modo che sia agevole eliminare la fondamentale (per evitare la sovrapposizione tra le due si può inviare in trasmissione un segnale di maggiore durata, dunque a banda stretta, che comporta però un peggioramento della risoluzione assiale). Il difetto principale del metodo basato sul filtraggio è legato all’elevata selettività in frequenza che i filtri devono possedere, nonché alla loro risposta in fase (che deve essere tale da non distorcere il segnale). Il secondo metodo utilizza la somma tra due segnali. All’interno dei tessuti vengono inviati due impulsi di uguale ampiezza, ma sfasati tra loro di 180 gradi. I segnali ricevuti provenienti dalla zona a comportamento lineare hanno la stessa ampiezza e sono ancora in opposizione di fase, perciò la loro somma è nulla. Nella zona a comportamento non lineare i due impulsi vengono distorti e, di conseguenza, i due segnali eco non sono più in opposizione di fase, la loro somma risultando diversa da zero. Il vantaggio di tale tecnica risiede nel fatto che il segnale ottenuto è caratterizzato da un’elevata intensità, poiché è la somma di due segnali di ritorno; lo svantaggio è rappresentato dalla diminuzione della risoluzione temporale, legata all’elaborazione numerica dei due segnali e al tempo di calcolo; perciò questa tecnica è meno adatta a cogliere immagini che si susseguono rapidamente nel tempo (tipiche per esempio della cardiologia e in particolare della cardiologia infantile 45). La figura 4.23 illustra il procedimento.
45
Si possono avere in tal caso anche 180 battiti al minuto.
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Figura 4.23. Imaging armonico con inversione di fase. (a) La sovrapposizione degli echi corrispondenti all’impulso 1 e all’impulso 2 (sfasato di 180 gradi) provenienti da un tessuto a comportamento lineare produce un segnale nullo. (b) Nel caso di propagazione non lineare, i contributi delle armoniche superiori alla fondamentale fanno sì che la sovrapposizione degli echi (distorti), corrispondenti ai due impulsi in trasmissione, provenienti da un tessuto a comportamento non lineare, produca un segnale non nullo.
4.12.3 Vantaggi delle immagini ottenute con la tecnica di seconda armonica Gli echi prodotti da un impulso di bassa ampiezza non hanno una seconda componente armonica apprezzabile e, quindi, non compaiono nel sistema HI. Questa è la chiave per comprendere come questo sistema possa ridurre gli artefatti dell’immagine e migliorarne la qualità. Come si illustrerà in seguito, la scarsa chiarezza delle immagini nell’ecografia tradizionale di tipo B-Mode, è dovuta in gran parte agli echi spuri (rumore acustico) oppure generati da impulsi di bassa ampiezza, che accompagnano l’impulso principale di trasmissione (quali quelli relativi ai lobi laterali), o da fenomeni di riverbero e di diffusione multipla. Il tipico rumore di fondo (background) di un’immagine ecografica è costituito dalla presenza di echi relativi alle riflessioni di piccola ampiezza, causate da modeste variazioni di impedenza all’interno del tessuto (si ricordi quanto accennato sui fenomeni di scattering). Questi echi possono mascherare quelli fondamentali, diffondendo i contorni dei tessuti caratterizzati da una diversa impedenza acustica, nonché indebolire la risoluzione di contrasto, ovvero la capacità del sistema di rileva-
Capitolo 4
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re echi di bassa intensità, provenienti da interfacce che separano aree strutturalmente simili, e dunque con valori di impedenza acustica molto vicini. L’aspetto fondamentale della tecnica HI risiede nel fatto che gli impulsi di piccola ampiezza non subiscono un’apprezzabile distorsione e, quindi, gli echi che essi generano, poiché non possiedono contenuto armonico, vengono in gran parte eliminati dalle immagini. Pertanto in definitiva utilizzando soltanto la seconda armonica, l’immagine si forma principalmente mediante gli echi di maggiore ampiezza provenienti da strutture anatomiche che costituiscono grandi discontinuità del mezzo, per effetto sia del livello di non linearità, sia della diversità d’impedenza.
Capitolo 5 La formazione del fascio ultrasonoro
5.1 Introduzione Nei capitoli precedenti sono stati esaminati i fenomeni fisici alla base della produzione e della trasmissione di onde ultrasonore, senza alcun riferimento né alla qualità e alle dimensioni del fascio ultrasonoro (la cui definizione non è stata finora esplicitata), né agli aspetti dai quali dipendono le sue prestazioni. Tali argomenti saranno trattati nel presente capitolo, nel quale vengono posti in rilievo gli aspetti fondamentali della formazione e della modellazione del fascio ultrasonoro in previsione di un impiego clinico. Nel capitolo 3 è stato presentato un dispositivo sperimentale per lo studio della propagazione di onde sonore, nel quale la perturbazione di pressione (pressione acustica) è generata dal cono di un altoparlante; la bobina mobile, alimentata da un oscillatore con una corrente variabile sinusoidalmente nel tempo, muove l’intero cono, che si comporta perciò come uno stantuffo comprimendo e rarefacendo l’aria nella quale è immerso. Le dimensioni del cono, e quindi la sua massa, sono compatibili con oscillazioni di frequenze inferiori a circa 15÷20 kHz e, pertanto, esso non può essere impiegato come generatore di onde ultrasonore. Sostituendo al cono un elemento piezoelettrico, foggiato per esempio a forma di disco, questo, eccitato elettricamente a frequenze anche elevate (2÷10 MHz), ma sempre compatibili con le proprie dimensioni e quindi con la sua massa, si comporta analogamente al cono dell’altoparlante, oscillando meccanicamente a frequenza pari alla sua frequenza di oscillazione libera (o vicina a essa) o anche a frequenze diverse da questa, a seconda dell’eccitazione. Si consideri per esempio il disco di materiale piezoelettrico della figura 5.1 sulle cui facce siano depositati gli elettrodi sotto forma di sottili strati metallici. Se i due elettrodi sono collegati a un oscillatore e da questo alimentati con una tensione di frequenza costante, il cristallo libero di oscillare incrementa e diminuisce – in virtù dell’effetto piezoelettrico inverso – il proprio spessore t di una quantità ± Δt rispetto alla posizione di riposo, seguendo la frequenza imposta, mentre al suo interno si stabilisce un regime di onde stazionarie. In condizioni di risonanza1, o di oscillazione libera, la lunghezza d’onda λ dell’onda stazionaria risulta pari al doppio dello spessore t del cristallo:
1
Cioè con una forzante di frequenza pari alla frequenza di oscillazione libera del cristallo.
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Figura 5.1. Cristallo piezoelettrico di spessore iniziale t alimentato da un oscillatore: lo spessore dell’elemento varia tra t–Δt e t +Δt.
λ 0 = λ risonanza = 2 t
[5.1]
Infatti, affinché in oscillazione libera non si abbia interferenza distruttiva tra l’onda che viaggia in un verso e quella che viaggia in verso opposto, lo spessore del cristallo deve contenere almeno due ventri, cioè almeno una mezza lunghezza d’onda, e dunque in generale un numero intero di mezze lunghezze d’onda; pertanto si ha t=n
λ c =n 2 2f
[5.2]
avendo indicato al solito con c la velocità di propagazione del suono all’interno dell’elemento piezoelettrico e con f la sua frequenza di oscillazione, espressa in hertz (Hz), mentre n è un numero intero. A tale proposito occorre ricordare che un elemento piezoelettrico, così come qualsiasi circuito risonante, è in grado di oscillare con una certa efficienza anche per frequenze differenti dalla frequenza di risonanza f0, come si è già stabilito introducendo i concetti di risposta in frequenza, di banda passante e di fattore di qualità nel capitolo 3. Riportando in ascisse la frequenza f dell’oscillatore che fornisce l’eccitazione elettrica, si può costruire la risposta in frequenza del cristallo in termini di velocità di oscillazione meccanica normalizzata a quella massima2, che si verifica alla frequenza di oscillazione libera. Per quanto stabilito riguardo la relazione tra pressione acustica e velocità di oscillazione, tale risposta si può rappresentare in modo equivalente in termini di pressione dell’onda ultrasonora. Ancora, la risposta in frequenza è rappresentabile in termini di intensità dell’onda ultrasonora generata, come riportato nella figura 5.2, dove sono state 2
Come si ricorderà, nel capitolo 3 si è ragionato in termini di corrente.
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
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Figura 5.2. Banda passante (FWHM relativa all’intensità dell’onda ultrasonora generata) per due diversi cristalli piezoelettrici: in azzurro è riportato un cristallo con basse perdite (alto Q), mentre in rosso è tracciata la curva relativa a un cristallo con perdite maggiori (basso Q). I valori di intensità sono normalizzati al valore massimo.
tracciate le curve di risposta relative a due diversi cristalli piezoelettrici, rappresentati da due diversi circuiti, quali quelli descritti nel capitolo 3. Come si è avuto modo di sottolineare in tale capitolo, la curva più stretta è ottenuta con un circuito risonante a basse perdite, quindi caratterizzato da un minore coefficiente di smorzamento, per il quale si ottiene la risposta massima solo per frequenze poco discoste da quella di risonanza. Le larghezze di banda f2′–f1′ (curva ad alto Q) e f2–f1 (curva a basso Q) invece di _ _ fare riferimento ai punti per i quali l’ampiezza della pressione acustica è 1/√2 volte la massima, sono definite equivalentemente facendo riferimento al valore 0,5 del massimo dell’intensità, che si verifica anch’esso in corrispondenza di f0. L’intervallo di frequenze compreso tra i punti fiduciari MN e M′N′ è perciò denominato larghezza totale di banda a metà del massimo e indicato in letteratura con l’acronimo FWHM (Full Width Half Maximum). Ciò premesso, il fattore di qualità Q può essere espresso in modo equivalente dalla relazione Q=
f0 f0 = B FWHM
[5.3]
nella quale compare il rapporto FWHM/f0 , che viene indicato nella letteratura specialistica come banda frazionaria (fractional bandwith). Se per esempio la frequenza f0 è pari a 1 MHz e l’intervallo tra f1 e f2 è di 16 kHz, il parametro FWHM è pari a 16 kHz, la banda frazionaria sarà pari all’1,6 per cento e il fattore di qualità pari a 62,5.
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Il parametro FWHM non è utilizzato solo in applicazioni di tipo elettronico o nella descrizione della risposta del piezoelemento, ma è impiegato anche in casi diversi, come valutazioni numeriche relative a fasci ultrasonori focalizzati o no, una delle quali è presentata nel paragrafo 5.7. Come già accennato nel capitolo 3, il concetto di larghezza di banda (o di banda passante) è strettamente connesso alla cosiddetta risposta dinamica di un sistema – sia esso di tipo elettrico, meccanico, idraulico eccetera – e rappresenta, in sostanza, l’intervallo di frequenze del segnale di eccitazione per le quali il sistema è in grado di rispondere. In altri termini, all’interno della larghezza di banda, il sistema segue la frequenza del segnale eccitante, ma con ampiezza decrescente mano a mano che ci si allontana dalla frequenza di risonanza f0 , fino a quando, per frequenze troppo discoste da f0 , la risposta diviene nulla. La larghezza della banda passante rappresenta una caratteristica fondamentale per un cristallo piezoelettrico (e per i circuiti elettrici associati) quando viene utilizzato come trasduttore. L’esigenza di ottenere immagini ecografiche nitide richiede l’emissione da parte del cristallo trasmettitore di impulsi3 ultrasonori della durata più breve possibile (come sarà illustrato nel capitolo 6); ciò comporta che il contenuto armonico di ciascun impulso, indipendentemente dalla sua forma, sia ampio, tanto più quanto più esso è breve, come si verifica costruendone la serie di Fourier corrispondente. Se il cristallo piezoelettrico utilizzato come ricevitore (che può coincidere o meno con quello utilizzato in trasmissione) non dispone di una banda passante sufficientemente larga, cioè tale da contenere buona parte delle armoniche dell’impulso ricevuto4, questo viene distorto e quindi l’informazione necessaria per la corretta ricostruzione dell’immagine risulta perduta. Vale la regola che, per trasmettere (e ricevere) un impulso di durata temporale T senza apprezzabile distorsione, occorre una larghezza di banda almeno pari a 1/T. Tale criterio trova giustificazione nelle considerazioni seguenti. Gli impulsi brevi, cioè composti da pochi cicli (2 o 3 alla frequenza di oscillazione libera del piezoelemento5), hanno curve di inviluppo il cui andamento è pressoché gaussiano e caratterizzato da una deviazione standard σt , come mostra la figura 5.3. Se si opera la trasformata di Fourier sul predetto inviluppo (posto nel dominio del tempo), nel dominio della frequenza si ottiene ancora un inviluppo dall’andamento gaussiano, giacché la trasformata di Fourier di una funzione gaussiana è ancora una gaussiana centrata sul valore ω0. La deviazione standard σt , parametro caratterizzante nel dominio del tempo, si trasforma nella 3 Come si è detto, questo termine va inteso come “forma d’onda meccanica ottenuta come risposta del piezoelemento a un’eccitazione elettrica corrispondente a un impulso”; tale risposta meccanica consiste in un’oscillazione smorzata costituita da un numero di cicli di oscillazione tanto minore quanto maggiore è lo smorzamento. Per i dettagli riguardo la forma di tale risposta, in relazione alle modalità costruttive (in particolare all’utilizzo di strati smorzatori), si rimanda al capitolo 6. 4 Esso è l’eco corrispondente a un impulso trasmesso e perciò, sebbene giunga certamente modificato a causa del percorso all’interno dei diversi mezzi, avrà ancora un elevato contenuto in frequenza. 5 Questo aspetto verrà illustrato nel capitolo 6.
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
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Figura 5.3. Impulso gaussiano: andamento nel tempo dei cicli di oscillazione (in azzurro) e del corrispondente inviluppo. Nella figura sono riportati anche la deviazione standard σt e il periodo T–3dB corrispondente alla FWHM.
corrispondente deviazione standard σω = 1/σt nel dominio della frequenza. Ciò significa che l’intervallo di tempo T si è trasformato, sulla medesima gaussiana, nell’intervallo di frequenze 1/T. Si osserva che, mentre l’intervallo di tempo T pari a 2σt corrisponde ai punti della gaussiana per i quali si ottiene il 68 per cento del valore massimo, il parametro FWHM è riferito al 50 per cento del valore di picco in intensità dell’impulso6. Le grandezze suddette non differiscono molto e pertanto non si compie un errore significativo se ci si riferisce alla larghezza di banda FWHM con il valore 1/2σt = 1/T. In definitiva, si può concludere che un segnale impulsivo di durata T, che possa essere assimilato a una curva gaussiana, necessita di una larghezza di banda B pari a circa 1/T per essere rappresentato senza distorsioni di rilievo. Per esempio, se la frequenza f0 è pari a circa 5 MHz e la banda passante B = f2–f1 è uguale a 4 MHz; questo significa che il cristallo piezoelettrico può trasmettere senza distorsione un impulso di poco più di 1 ciclo per una durata T = 1/B pari a 0,25 μs. È evidente come all’aumentare della banda passante decresca la durata dell’impulso nel tempo e, con questa, il numero di cicli. Queste semplici considerazioni conducono subito a due importanti conclusioni: poiché per avere un impulso di breve durata (pochi cicli), la banda passante del cristallo piezoelettrico deve essere la più ampia possibile, a esso deve essere applicato un forte smorzamento; inoltre la catena elettrica di trasmissione e ricezione dell’impulso deve essere caratterizzata da una banda passante di ampiezza almeno pari a quella del cristallo piezoelettrico. 6
Hedrick et al. (1995) Ultrasound physics and instrumentation, third edition. Mosby.
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5.2 Campo sonoro generato da un cristallo piezoelettrico Un apparato ecotomografico fornisce immagini delle strutture anatomiche grazie all’interazione tra queste e l’energia trasportata dall’onda ultrasonora. La qualità delle immagini è strettamente connessa con la geometria del fascio ultrasonoro e con la sua frequenza f. Nei moderni ecotomografi il generatore di ultrasuoni, usualmente chiamato sonda o trasduttore, è un dispositivo assai complesso, frutto di un’elevata tecnologia, talché i costruttori di sonde a livello mondiale sono meno di una decina. A sua volta, un ecotomografo è anch’esso un’apparecchiatura molto complessa, che deve essere considerata come un insieme di circuiti e dispositivi costruiti a servizio della sonda. Questo capitolo è dedicato all’illustrazione dei principi fisici alla base dei criteri di dimensionamento delle sonde utilizzate in ecografia clinica, che verranno descritti nel capitolo 6; sarà pertanto privilegiato l’aspetto fisico dei fenomeni, mentre l’impiego dello strumento matematico è limitato all’essenziale utilizzando formule ben note, per la cui giustificazione analitica si rimanda ai trattati specializzati. Dapprima sarà presentato il campo sonoro prodotto da un trasduttore elementare, quindi si illustreranno i diversi componenti che devono essere aggiunti a un trasduttore elementare al fine di renderlo operativo. Queste conoscenze di base costituiscono il punto di partenza per comprendere le modalità, descritte nei capitoli successivi, attraverso le quali si forma l’immagine ecografica con carattere anatomico (presentazione B-Mode) e gli altri risultati di carattere grafico che, pur non avendo l’apparenza di immagini anatomiche, forniscono informazioni essenziali a elevato contenuto diagnostico (presentazioni A-Mode e M-Mode). Per fornire un semplice esempio di come si possa generare il campo ultrasonoro, si supponga di fissare un cristallo (quale quello della figura 5.1) su un supporto che separi il campo sonoro generato dalla faccia anteriore da quello generato dalla faccia posteriore, come mostrato nella figura 5.4. Quando viene eccitato da un oscillatore (non indicato nella figura), il cristallo è paragonabile a uno stantuffo che comprime e rarefà un gas entro un cilindro; per tale motivo la teoria di seguito illustrata è citata in letteratura come teoria del pistone cilindrico. Poiché la faccia del cristallo si muove rigidamente, si potrebbe assumere che, in corrispondenza di essa, l’onda di sovrapressione nel mezzo abbia uguale fase e ampiezza sulla sua intera superficie, cioè che l’onda longitudinale generata sia piana. In realtà tale assunzione conduce a conclusioni errate, poiché il campo sonoro che il cristallo genera nelle sue vicinanze è assai complesso a causa dei fenomeni di diffrazione in corrispondenza dei suoi bordi. Per determinare il campo di pressione generato da un pistone oscillante, è necessario premettere alcune considerazioni in merito ai fenomeni di diffrazione e interferenza, che sono presenti anche nella propagazione delle radiazioni elettromagnetiche (come quelle luminose), ma che risultano quantitati-
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Figura 5.4. Schema di generatore piezoelettrico per l’illustrazione della teoria del pistone cilindrico. dS è l’elemento infinitesimo di superficie attiva del trasduttore (sorgente elementare). La superficie elementare dS nel piano del trasduttore è individuata dalle coordinate polari ψ e σ o dalle coordinate rettangolari ξ e η. Il generico punto P nel piano dell’oggetto è individuato dalle coordinate polari ϕ e ρ o dalle coordinate rettangolari x e y. Di conseguenza, la sorgente dS è posizionata in un punto P del piano del trasduttore di coordinate (ξ, η, 0), mentre con P(x, y, z) viene descritto un punto sul piano oggetto la cui origine dista una quantità z dall’origine O del piano del trasduttore. La quantità r′ è la distanza tra la sorgente dS e il punto generico P, mentre r è la distanza di P dall’origine O del piano B del trasduttore. L’angolo θ′ è formato dal segmento r′ e dalla normale alla superficie emittente dS. L’angolo θ è formato dalle direzioni del segmento r e dall’asse z. Nel caso in cui sia la distanza del punto P dall’origine del piano oggetto, sia il diametro D del trasduttore siano molto minori della distanza tra i due piani (del trasduttore e dell’oggetto), sia r′ sia r possono essere approssimati alla distanza tra i due piani, mentre θ′ può essere approssimato da θ (vedi testo). Gli angoli α e β sono, rispettivamente, gli angoli di azimut ed elevazione per mezzo dei quali viene individuata una direzione a partire dall’origine O del piano del trasduttore.
vamente differenti nei due casi, in quanto la lunghezza d’onda del suono è assai diversa da quella della luce. Analogamente a quanto si verifica per il bordo di una lente, anche il bordo di un pistone oscillante è sede di diffrazione e ciò produce frange di interferenza. La diffrazione prodotta dal bordo viene studiata suddividendo il volume dello spazio anteriore al cristallo in due regioni chiamate campo vicino (zona di Fresnel) e campo lontano (zona di Fraunhofer). Questa suddivisione ha origine nel fatto, meglio illustrato nel seguito, che mentre nel campo sonoro in prossimità della sorgente l’intensità della perturbazione è pressoché co-
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· Ecotomografia
stante7 (poiché l’onda risulta piana), nel campo lontano l’intensità della perturbazione decresce con l’inverso del quadrato della distanza radiale r, mentre l’ampiezza decresce linearmente e l’onda si comporta come sferica (come se provenisse da una sorgente puntiforme). Al fine di comprendere come i fenomeni di diffrazione determinino dette distinte regioni dello spazio, si osservi la figura 5.5. In essa è schematicamente rappresentato il principio di Huygens-Fresnel, per il quale un campo, sia esso di pressione o elettromagnetico, prodotto da una generica sorgente, può essere ottenuto dalla sovrapposizione dei campi generati dalle sorgenti sferiche puntiformi di cui essa si può pensare composta. Nei diversi punti dello spazio, tale sovrapposizione provoca interferenza costruttiva o distruttiva; ciò dà luogo a una distribuzione della densità di energia (il cosiddetto disegno o pattern di diffrazione), che non può essere interpretata con i principi dell’ottica geometrica, cioè in termini di riflessione e rifrazione. Nella figura 5.5 è illustrato il campo prodotto da una (figura 5.5a), due (figura 5.5b) o tre (figura 5.5c) sorgenti d’onda S allineate. Ciascuna apertura circolare, idealmente puntiforme, praticata su uno schermo (baffle) teoricamente infinito e investito da un’onda piana proveniente dal semispazio posteriore, può essere considerata come una sorgente d’onda sferica S nei riguardi del semispazio anteriore. Se le aperture circolari sono due, i singoli fronti d’onda da esse originati si incontrano nei diversi punti del semispazio anteriore, dando luogo a interferenza costruttiva o distruttiva, in relazione alla differenza di distanza di ciascun punto dello spazio dalle due sorgenti. Se la differenza di cammino dei due raggi è un multiplo della lunghezza d’onda, le onde giungono in fase e si ha interferenza costruttiva, mentre se essa è un multiplo dispari della semilunghezza d’onda, le onde giungono in opposizione di fase nel punto di osservazione e si ha interferenza distruttiva. In prossimità dello schermo, la differenza di cammino percorso dai raggi per giungere in un punto P del campo dipende sia dalla distanza di P da esso sia dall’angolo di osservazione delle sorgenti 8. A distanze maggiori, la differenza di cammino tra i raggi dipende principalmente dall’angolo di osservazione e risulta pressoché indipendente dalla distanza dalle sorgenti. Poiché non è la distanza in sé a produrre l’interferenza quanto la differenza di cammino tra le onde, a grandi distanze si registra una variazione netta della luminosità9 (cioè si incontrano zone in cui si verifica interferenza costruttiva alternate a zone buie di interferenza distruttiva) muovendosi nel piano parallelo al piano delle sorgenti (cioè a parità di distanza); invece avvicinandosi o allontanandosi dal piano delle sorgenti lungo lo stesso raggio vettore (cioè a pa-
7 In realtà, per effetto dell’assorbimento del mezzo di propagazione (che è un fluido viscoso) l’intensità decresce, seppure in modo limitato, anche nel campo vicino. 8 Cioè l’angolo tra la normale allo schermo e il raggio vettore posizione tra il baricentro delle sorgenti e il punto P di osservazione. 9 Si tratta di luminosità se le sorgenti S sono luminose, oppure di intensità acustiche se le sorgenti sono sonore (o ultrasonore).
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
239
Figura 5.5. Campo di pressione prodotto da sorgenti discrete (principio di Huygens-Fresnel): (a) una sorgente, (b) due sorgenti, (c) tre sorgenti. In nero e grigio sono rappresentati i fronti d’onda (rispettivamente dei picchi positivi e di quelli negativi), in azzurro l’andamento della pressione acustica sull’asse perpendicolare al trasduttore, in rosso la curva inviluppo dei massimi.
rità di angolo di osservazione) non si registra l’alternarsi di luce e buio tipico delle frange di interferenza. Quando alle due sorgenti puntiformi si sostituisce un’apertura estesa (della quale la figura 5.5c rappresenta solo una grossolana approssimazione introdotta per chiarezza didattica, in quanto secondo il principio di HuygensFresnel tale apertura corrisponde a infinite sorgenti puntiformi poste una di fianco all’altra), il problema può essere risolto integrando il contributo di ciascuna delle sorgenti elementari dalle quali la superficie dell’apertura può essere immaginata composta. Il campo generato da questa schiera infinita di sorgenti elementari S – ciascuna delle quali oscilla con la medesima legge temporale e genera una perturbazione di pressione che si propaga nel mezzo alla velocità del suono – presenta analogie con il campo generato da tre sole sorgenti S puntiformi. Nella figura si può notare che, in prossimità dell’apertura, l’andamento dell’interferenza dipende dalle dimensioni e dalla forma dell’apertura stessa (come si evince osservando le significative differenze nei campi di pressione vicino al trasduttore relative ai tre casi della figura), mentre a grande distanza l’apertura appare come una sorgente puntiforme (si noti come il campo di pressione assuma un andamento simile per tutti e tre i casi della figura) e il campo generato decade come 1/r. Per valutare la perturbazione generata da una sorgente puntiforme, si supponga di avere una sfera di raggio medio a0 che si espande e si contrae in tut-
Fondamenti di Ingegneria Clinica
240
· Ecotomografia
te le direzioni dello spazio con la medesima velocità u(t). Il flusso del vettore velocità attraverso la superficie S della sfera10 è definito dalla legge temporale Φu(t) = u(t)4πa20. L’ampiezza di un’onda sferica che si propaga in un mezzo omogeneo e non dissipativo varia con l’inverso della distanza dalla sorgente; perciò l’andamento della perturbazione di pressione p, nel caso di un’onda progressiva, è del tipo p(r , t) =
Q(r − ct) r
[5.4]
dove con r è indicata la distanza di un generico punto dello spazio dal centro della sfera pulsante e la funzione Q(r–ct) rappresenta la soluzione generale di un’onda progressiva che si allontani alla velocità c. Applicando l’equazione di Newton e tenendo conto della relazione [5.4], si può scrivere ρ0
∂u r (r , t) ∂t
=−
∂p(r , t) ∂r
=−
∂ Q(r − ct) ∂r
r
=−
1 ∂Q(rr − ct) Q(r − ct) + r ∂r r2
[5.5]
dove ρ0 è la densità del mezzo indisturbato e ur la componente radiale della velocità in un punto del mezzo. La relazione [5.5] consente di ottenere un’espressione esplicita della funzione d’onda Q(r–ct), dalla quale è possibile derivare una formulazione più agevole per il calcolo integrale del campo di pressione p(r,t). Per fare ciò è però necessario porre attenzione ad alcune considerazioni. Innanzi tutto si osserva che il termine ∂ur(r,t)/∂t è esprimibile in termini di flusso Φu, poiché in coordinate sferiche, in particolare sulla superficie S della sorgente sferica, risulta u r (a 0 , t) = u(t) =
Φ (t)
4π a 20
[5.6]
Nella relazione [5.6] il flusso Φ appare dipendere solamente dalla variabile tempo e ciò può trovare spiegazione se si considera che l’elemento infinitesimo di superficie sferica dS, che sottende l’angolo solido dΩ, aumenta proporzionalmente al raggio r (dS = rdΩ), mentre la velocità delle particelle, e quindi la pressione acustica, sono a esso inversamente proporzionali: ur ∝ p ∝ 1/r. Pertanto il flusso dΦ = urdS non dipende dalla distanza dal trasduttore. La seconda considerazione riguarda il fatto che, se il raggio a 0 della sfera pulsante è molto minore della lunghezza d’onda della perturbazione acustica generata11 (cioè se ka 0<<1), nello sviluppo della derivata a secondo membro della relazione [5.5] il termine [ ∂ Q(r– ct)/ ∂ r] r = a0 risulta praticamente trascu-
10 Si ricordi che esso è pari al prodotto della componente del vettore normale alla superficie per l’elemento della superficie stessa. 11 È questo il caso della cosiddetta sorgente sonora semplice.
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
241
rabile rispetto al termine [Q(r– ct)/r 2] r = a0; infatti, data la natura periodica del fenomeno, la derivata della perturbazione acustica in direzione normale alla superficie della sfera [ ∂ Q(r – ct)/ ∂ r] r = a 0 presenta un campo di variazione limitato, tanto più piccolo quanto maggiore è la lunghezza d’onda rispetto alla distanza a 0. Conseguentemente la relazione [5.5] sulla superficie della sfera si approssima nella ρ0
4π a 20
dΦ (t) Q(a 0 − ct) ≅ dt a 20
[5.7]
per la quale – poiché la forma d’onda Q(r– ct1), che giunge nel punto P1 (distante r = a 0+ cΔt dalla sorgente) all’istante t1 = t + Δt, è identica alla forma d’onda Q(a 0 – ct), che all’istante precedente si verificava sulla superficie S della sfera – si può porre Q(r − ct 1 ) =
ρ dΦ(t)
4π
dt
[5.8] r =a0
Ciò significa che una variazione nel tempo della velocità della superficie della sfera oscillante provoca una perturbazione che giungerà a distanza r dalla sfera con un ritardo Δt = (r–a 0)/c. Viceversa la pressione acustica p(r,t) a distanza r dalla sfera al generico istante t si può esprimere in modo formalmente identico a quella in corrispondenza di a 0 (o nelle sue immediate vicinanze), purché il termine dΦ/dt sia valutato all’istante precedente a t pari a t–[(r–a0)/c]. Perciò è possibile riscrivere la relazione [5.5] nella forma approssimata
(
r − a0 1 ⎡ p (r, t) = Q ⎢a 0, t − r ⎢ c ⎣
) ⎤⎥ ≅ ρ ⎥⎦
⎡ dΦ (t) ⎤ S ρ ⎡ ∂u (t) ⎤ = 0⎢ r ⎥ [5.9] ⎢ ⎥ 4π r ⎣ dt ⎦ τ= t − r − a 0 4π r ⎣ ∂t ⎦ τ= t − r − a 0 0
c
c
Nel limite ka0<<1 di grande lunghezza d’onda, si può scrivere per il campo di pressione generato dalla superficie sferica di raggio a 0 che oscilli con velocità u r(t) = u 0 e jωt p (r, t) = jρ0 cu 0
a0 j ωt − kr) ka 0 e ( r
[5.10]
e, posto Φ 0 = 4 π a 02 u 0 , si ha anche p (r , t) = j ρ 0 c
Φ0 k
4π r
j ωt − kr) e(
[5.11]
Una parete rigida piana di estensione molto maggiore della lunghezza d’onda λ riflette le onde sferiche, generate da una sorgente puntiforme posta in
242
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· Ecotomografia
prossimità, in modo tale che onda incidente e onda riflessa risultano in fase; perciò essa può essere considerata come una sorgente piana di onde sferiche che, a parità di Φ0 , danno origine a un campo di pressione doppio rispetto a quello fornito dalla [5.11]. Per conoscere il campo di pressione generato da un pistone oscillante, è necessario sommare i contributi delle infinite sorgenti elementari piane, di area dS, che oscillano contemporaneamente e ortogonalmente a se stesse con velocità per esempio sinusoidale u r(t) = u 0 e jωt di ampiezza massima u0 e pulsazione ω; in altri termini, occorre calcolare l’integrale della funzione dp(r,t) fornita dalla relazione dp (r , t) = jρ0 c
u 0 k j (ωt − kr) e dS 2π r
[5.12]
nella quale si è posto dΦ0 = u0dS. La singola sorgente elementare di area dS si può cioè considerare come una sorgente puntiforme la cui onda sferica venga riflessa da una parete rigida. La relazione [5.12] può essere quindi interpretata affermando che la perturbazione generata in corrispondenza dell’elementino di superficie emittente, giunge in ciascun punto dello spazio attenuata in funzione della distanza12 r e con un ritardo τ, dipendente sia da r sia dalla velocità c del suono nel mezzo. L’integrale, noto come integrale di RayleighSommerfeld, si scrive ⎡ ρ cu k ⎤ ⎡ 1 ⎤ j ωt − kr ′) p (r ′, θ′, t) = ⎢ j 0 0 ⎥ ∫∫S ⎢ ⎥ e ( dS 2π ⎦ ⎣ r ′ ⎦ ⎣
[5.13]
dove, con riferimento alla figura 5.4, p è la pressione sonora13, r′ è la distanza tra il generico punto P14 del campo, di cui si vuole determinare il valore della pressione, e la singola areola infinitesima dS, mentre ρ0 è la densità del mezzo, c la velocità del suono nel mezzo in cui si propaga l’onda generata e k = ω /c il numero d’onda. Nell’espressione [5.13] si individuano tre fattori: il primo, portato fuori dall’integrale, rappresenta l’ampiezza della perturbazione generata dalla sorgente di area dS; il secondo porta in conto che nella propagazione l’ampiezza decresce come l’inverso della distanza; infine il terzo è l’esponenziale complesso che rappresenta la natura ondulatoria nel tempo e nello spazio del fenomeno fisico in esame. La relazione integrale [5.13] non può essere risolta in forma chiusa per tutti i punti dello spazio, ma può essere specializzata per particolari luoghi di 12 Si ricordi come questo contributo sia stato annoverato nel capitolo 3 tra le cause geometriche dell’attenuazione nel caso di onde sferiche. 13 Si ricorda che la pressione sonora, o acustica, è la sovrapressione (o depressione) rispetto alla pressione p 0 esistente in assenza della perturbazione; essa è anche detta pressione effettiva. 14 La cui posizione rispetto al centro del trasduttore è individuata, considerata la simmetria del sistema, dal vettore posizione (r,θ).
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
243
punti, per esempio per i punti del campo lungo l’asse del pistone cilindrico della figura 5.4, per i quali l’integrale può essere semplificato tenendo in considerazione la simmetria cilindrica del fenomeno fisico. In questo caso, se si indica con z l’ascissa lungo l’asse del pistone cilindrico e con a il suo raggio, la soluzione dell’integrale [5.13] risulta
(
(
)
p r ′, 0, t ≡ p (z, t) = − ρ0 cu 0e jω t e − jk
z 2 +a 2
− e − jk z
)
[5.14]
Gli esponenziali nel tempo e nello spazio contenuti nella [5.14] hanno significato differente: mentre il termine dipendente dal tempo rappresenta la propagazione dell’onda di pressione, il termine spaziale all’interno della parentesi ne descrive la configurazione geometrica, cioè rappresenta il campo di pressione sonora a un istante di tempo fissato. Il termine temporale è assimilabile alla fase dell’onda di pressione in un certo istante, quindi la sua omissione non altera il valore dell’ampiezza e della frequenza spaziale dell’onda; tale operazione equivale a effettuare una fotografia dell’onda in un determinato istante. La parte reale dell’espressione complessa [5.14] rappresenta l’andamento della pressione sonora lungo l’asse, mentre il suo modulo rappresenta l’andamento lungo l’asse dell’ampiezza massima della pressione sonora. Il modulo della perturbazione p(z) fornita dall’espressione [5.14] a un dato istante è ⎡k p(z) = ρ0cu 0 2 sin ⎢ ⎣2
( z + a − z)⎤⎥⎦ 2
2
[5.15]
Ricordando quanto stabilito nel capitolo 3, si può porre ρ0cu0 = p0 e, introducendo il rapporto adimensionale D/λ, tra il diametro del pistone D = 2a e la lunghezza d’onda della perturbazione (parametro rappresentativo della scala dei fenomeni di diffrazione che si manifestano nel campo di pressione generato), la precedente espressione può essere riscritta come 2 ⎡ ⎛ 2 ⎞⎤ z 1 ⎛ D⎞ z⎟⎥ ⎢ ⎜ − p(z) = 2p 0 sin π + ⎢ ⎜ λ 2 4 ⎜⎝ λ ⎟⎠ λ⎟ ⎥ ⎠ ⎥⎦ ⎢⎣ ⎝
[5.16]
Per punti sull’asse molto distanti dal pistone, per i quali valga z /a>>1 e sia anche z /a>>ka rispetto alla lunghezza d’onda, l’ampiezza della pressione sull’asse raggiunge il valore asintotico p(z) =
p 0 D kD π D 2 = p0 4 z 2 4 zλ
[5.17]
Nella figura 5.6 sono presentati con tratto blu continuo gli andamenti della pressione acustica lungo l’asse a un dato istante, forniti dalla relazione [5.16]
244
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· Ecotomografia
per diversi valori del parametro D/λ, mentre con tratto rosso continuo sono riportate le curve di inviluppo di tali andamenti allo stesso istante. Per istanti di tempo successivi, l’andamento della pressione sonora si modifica scorrendo verso destra (come è evidenziato dalla curva tracciata in verde della figura 5.6a), pur rimanendo sempre contenuta all’interno della curva inviluppo, rappresentante l’andamento della pressione massima. Nei tre casi riportati nella figura 5.6 è possibile individuare una prima zona, vicina alla sorgente, in cui la curva inviluppo (curva dei massimi) presenta un’alternanza di massimi e minimi15 (campo vicino), mentre da un certo punto in poi tale inviluppo assume andamento monotonicamente decrescente (campo lontano). Gli zeri e i massimi della funzione modulo [5.16] si verificano quando l’argomento della funzione seno è multiplo, rispettivamente pari e dispari, di π/2 2 ⎛ 2 ⎞ n = 2, 4, 6, ... z 1 ⎛ D⎞ z⎟ π ⎧zeri ⎜ + ⎜ ⎟ − π =n ⎨ 2 λ⎟ ⎜ λ 4 ⎝ λ⎠ 2 ⎪⎩massimii n = 1, 3, 5, ... ⎝ ⎠
[5.18]
Se dalla relazione [5.18] si ricava, per ogni massimo o minimo, il valore dell’ascissa z D2 λ − n2 4 z = 4λ n
[5.19]
si osserva che all’aumentare di n si individuano massimi o zeri sempre più vicini all’origine e cioè alla superficie del pistone. La relazione [5.19] consente di determinare il numero complessivo di zeri e di massimi della funzione [5.16] poiché, dato che z è sempre positiva, deve essere n≤
D λ
[5.20]
La medesima relazione permette inoltre di determinare a quale distanza dal pistone si verifica l’ultimo massimo, che si ha per n = 1 secondo la z=
D2 λ − 4λ 4
[5.21]
a tale valore corrisponde il luogo di separazione tra campo vicino e campo lontano (noto anche come zona di transizione) poiché, dopo tale valore massimo, la pressione decresce come 1/r. 15
Il minimo del modulo della pressione acustica è il valore nullo che si ha in assenza di perturbazione.
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
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Figura 5.6. Campo di pressione generato da un pistone cilindrico lungo l’asse z. Nei grafici sono rappresentati l’andamento della pressione sonora (in blu) e quello della pressione sonora massima (in rosso) rispettivamente per: (a) D/λ = 5, (b) D/λ = 8, (c) D/λ = 16. Il comportamento della pressione sonora a due istanti successivi è evidenziato in (a) riportando un secondo andamento (in verde).
Essendo nella maggior parte dei casi pratici il diametro D molto maggiore della lunghezza d’onda λ, la profondità del campo vicino, la cui estensione viene indicata con N, può essere espressa dalla D2 N≅ 4λ
[5.22]
Nella figura 5.6 si osserva anche come incrementando il valore di D/λ aumenti il numero dei massimi e dei minimi, come stabilito dalla relazione
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[5.20], e corrispondentemente, a parità di diametro, si abbia un allontanamento dell’ultimo massimo dalla superficie del pistone, così come espresso dalla relazione [5.22]. Per comprendere la complessità del fenomeno fisico preso in esame, si consideri il parametro D/λ e la corrispondente profondità N del campo vicino per alcuni casi di diffrazione e interferenza prodotte dal bordo di una sorgente. Per una radiazione luminosa (λ ≅ 0,5·10–6 m) e una lente di diametro 5 cm, il parametro D/λ vale circa 105, mentre nel caso di un cristallo piezoelettrico di diametro pari a 1 cm immerso in acqua (c ≅ 1500 m/s) e oscillante alla frequenza di 1 MHz esso vale circa 6,6; nel caso invece di un cono di altoparlante di diametro pari a 20 cm che oscilli in aria (c ≅ 360 m/s) alla frequenza di 5 kHz, il rapporto D/λ vale circa 3. In base alla relazione [5.22], le dimensioni del campo vicino per i tre esempi riportati risultano essere 1,25·103 m nel caso della lente, circa 1,65 cm nel caso del cristallo piezoelettrico e circa 14 cm nel caso dell’altoparlante. Da queste osservazioni si deduce che l’ascolto della musica avviene sempre in campo lontano, che le lenti ottiche sono invece utilizzate in campo vicino e, infine, che gli ultrasuoni per ecografia sono prevalentemente impiegati nella zona di separazione tra campo vicino e campo lontano. Considerando una sorgente piana, di forma qualsiasi e di estensione finita (pistone), l’andamento delle pressioni nello spazio antistante a essa risulta dipendente dall’angolo sotto il quale il pistone è visto a causa dei fenomeni di interferenza, che sono stati precedentemente posti in rilievo nel caso delle due sorgenti della figura 5.5b. Allo scopo di esaminare tale dipendenza dall’angolo di osservazione e di individuare la direzione lungo la quale è confinata la maggior parte dell’energia erogata dal pistone stesso16, è necessario risolvere l’integrale di RayleighSommerfeld, qui riportato in termini di coordinate cartesiane x e y, per la regione di osservazione (piano oggetto), e ξ e η, per il piano sul quale giace la sorgente (piano del trasduttore), posti a distanza z tra loro. La relazione valida per un trasduttore di forma qualsiasi17 è la seguente p (r ′, θ′, z) =
j
∫∫ λ S
(
)e
p 0 ξ, η,0 r′
− jk r ′
cos θ′ dξ dη
[5.23]
dove r′ = [z2 + (x – ξ)2 + (y – η)2]1/2 e θ′ = arcos (z/r′). Come è stato già affermato, la soluzione di questo integrale non esiste in forma chiusa (si ricordi che le soluzioni esatte riportate sono relative al caso particolare di punti appartenenti all’asse z); pertanto, l’integrazione della relazione [5.23] per altre regioni dello spazio presuppone alcune assunzioni con
16 Ciò sottintende che, nella successiva trattazione, si osservi il valore del campo pressorio in un istante di tempo prefissato. 17 La [5.23] deriva dalla [5.13] quando si sostituisce p a ρcu e il prodotto dξ dηcosθ′ a dS. 0 0
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
247
le conseguenti approssimazioni, che vengono qui di seguito brevemente richiamate. Con riferimento alla figura 5.4, una prima approssimazione consiste nel sostituire alla distanza r′, tra il punto P di osservazione e la singola superficie elementare dS della sorgente, la distanza r di P dal centro della sorgente stessa e nel sostituire all’angolo θ′ l’angolo θ, che r forma con l’asse di propagazione z. Ciò è lecito solo nell’ipotesi che la regione di osservazione18 del campo pressorio generato giaccia su un piano xy ortogonale all’asse z, detto appunto piano oggetto, e che essa sia caratterizzata da un’estensione molto piccola rispetto alla distanza r dalla sorgente. In altri termini, con tale approssimazione, detta approssimazione di Fresnel o di condizione parassiale, si considera il campo in punti lontani dal trasduttore e vicini all’asse di propagazione (per cui cosθ′ ≅ 1 e il termine 1/r′ può essere sostituito con 1/z fuori dall’esponenziale); ciò consente di riformulare la relazione [5.23] secondo la forma comunemente indicata nella letteratura scientifica come integrale di Fresnel j − jk z − jk e e p (x , y , z) = λz
x2 + y2 2z
∫∫S p 0 (ξ, η,0)e
− jk
xξ+ y η ξ 2 + η2 jk z dξ dη 2z e
[5.24]
che è una valida approssimazione del campo per le regioni poste a distanza dell’ordine delle decine di lunghezze d’onda dal trasduttore. Se alle precedenti ipotesi si aggiunge anche quella che la dimensione della superficie emittente sia molto piccola19 rispetto alla distanza r ≅ z dal piano di osservazione (approssimazione di Fraunhofer), il campo di pressione assume la forma j − jk z − jk e e p (x , y , z) = λz
x2 + y2 2z
(
)
∫∫S p 0 ξ, η, 0 e
jk
x ξ+ y η z
dξ dη
[5.25]
L’espressione [5.25] fornisce il valore della pressione in punti la cui distanza r ≅ z dal centro del pistone sia molto maggiore del diametro D del pistone stesso (se questo è circolare); in essa le coordinate x e y rappresentano ancora le coordinate nel piano contenente il punto di osservazione P, mentre ξ e η sono quelle nel piano che contiene il trasduttore. L’integrale doppio è esteso alla porzione S di piano occupata dal trasduttore di forma generica; poiché i punti al di fuori di essa non contribuiscono alla formazione del campo, nulla cambia se gli estremi di integrazione si estendono a tutto il piano, per cui si può scrivere:
18
Tale regione è quella costituita dall’insieme dei punti P di osservazione. Cioè se [k( ξ 2+ η 2) max]/2z << 2 π e quindi {k[(D/2) 2+(D/2) 2]}/2z << 2 π . Per il trasduttore circolare si ottiene z>>D 2/4 λ .
19
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j − jk z − jk e e p (x , y , z) = λz
x2 +y2 2z
∞
∫ p 0 (ξ, η, 0) e
⎛ x y ⎞ ξ + η⎟ j2 π ⎜ λz ⎠ ⎝ λz
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dξ dη
[5.26]
−∞
nella quale si ha p 0 ( ξ , η ,0) = ρ 0cu 0. In merito alla relazione [5.26] si possono fare alcune considerazioni. La prima si riferisce al fatto che l’integrale esteso a tutto il piano può essere interpretato come la trasformata di Fourier spaziale della funzione p0(ξ,η,0) nelle variabili x, y. Una seconda considerazione riguarda il fatto che, ancora con riferimento alla figura 5.4, si può porre x/λ z = (tgα)/λ ≅ α/λ e y/λ z = (tgβ)/λ ≅ β/λ, dove α e β sono gli angoli, detti rispettivamente di azimut e di elevazione, formati con l’asse z dalle proiezioni del raggio vettore r sul piano xz e sul piano yz. A meno del fattore 1/λ, dette proiezioni possono essere interpretate geometricamente come direzioni corrispondenti agli angoli α e β; perciò la diffrazione può essere considerata come una distribuzione dell’intensità (si ricordi che essa è proporzionale al quadrato della pressione) secondo certe direzioni angolari; la direzione individuata da α = 0 e β = 0 coincide con l’asse z del trasduttore e i massimi o i minimi di diffrazione si verificano secondo certe direzioni; si noti che la deviazione dalla direzione di ordine zero aumenta al diminuire della lunghezza d’onda λ dell’onda ultrasonora. Ciò detto, si può porre j − jk z − jk e e p (x , y , z) = λz
x2 +y2 2z
{ (
)}
ℑ p 0 ξ, η, 0
[5.27]
y , λz λz x
per cui si può affermare che nell’approssimazione di Fraunhofer di campo lontano dal trasduttore, vale a dire per z>>(ξ2+η2)max /2λ, la distribuzione del campo in corrispondenza di un piano oggetto z = costante è proporzionale alla trasformata di Fourier della distribuzione del campo sul trasduttore. Ciò vuol dire che, nota la geometria del trasduttore, è possibile stabilire la distribuzione del campo in un piano a distanza z fissata applicando l’operazione di trasformata; infatti la distribuzione del campo p0(ξ,η,0) sul trasduttore può considerarsi, analogamente a quanto accade in ottica, come il prodotto di un’onda proveniente dal semispazio posteriore (nel caso presente essa è supposta piana di ampiezza u 0) e incidente il trasduttore per una funzione di trasmittanza del trasduttore stesso, considerato come un’apertura di determinata forma. Se il trasduttore è di forma rettangolare e si estende nell’intervallo (–a,+a) lungo l’asse ξ e (–b,+b) lungo l’asse η, allora l’integrale doppio nella relazione [5.25] si può esprimere come il prodotto di due integrali, per cui risulta ⎛ x
⎞
⎛ y
⎞
− jk z − j (x 2 + y 2 ) a j2 π ⎜⎝ λ z ξ⎟⎠ b j2 π ⎜⎝ λ z η⎟⎠ 2z ρ0cu 0e p (x , y , z) = dξ ∫ −b e dη ∫ −a e λz jk
[5.28]
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
249
I due integrali nella relazione [5.28] possono scriversi come trasformate di Fourier rispetto alle variabili x/λz e y/λz di funzioni rettangolari (rispettivamente di ampiezza 2a e 2b) a
∫ −a e b
∫ −b e
j2 π
j2 π
x λz
y λz
ξ
∞
dξ = ∫ −∞ rect(ξ 2a)e
η
∞
j2 π
dη = ∫ −∞ rect(η 2b)e
x λz
j2 π
ξ
y λz
{
}
dξ = ℑ rect (ξ 2a)
η
{
x λz
}
dη = ℑ rect (η 2b)
[5.29]
y λz
nelle quali le funzioni rettangolari sono definite come ⎧rect (ξ 2a) = 1 ξ ≤ a ⎪ ⎨ ⎪⎩rect (ξ 2a) = 0 ξ > a
⎧rect (η 2b) = 1 η ≤ b ⎪ ⎨ ⎪⎩rect (η 2b) = 0 η > b
[5.30]
Si può dimostrare che la trasformata di Fourier della funzione rect(ξ/2a) è pari a 2a sinc(2a x/λ z), dove la funzione sinc(x) è definita come (sinx)/x e verrà illustrata nel seguito. Si rammenta che le soluzioni fornite dalla [5.25] sono valutate nell’ipotesi di stazionarietà, ossia indipendentemente dalla variabile temporale t; nel caso in cui si voglia individuare il campo pressorio p(x,y,z,t) di un trasduttore pulsante in istanti di tempo successivi, sarà pertanto necessario considerare anche il termine ondulatorio e– j(ωt) che compare nella relazione [5.13]. Per il trasduttore circolare di raggio a = D/2, passando a coordinate polari e operando la sostituzione, rispettivamente per il piano dell’oggetto e per il piano del trasduttore, con riferimento alla figura 5.4 si ottiene x = σ cos ψ
y = σ sin ψ
ξ = ρ cos ϕ
[5.31]
η = ρ sin ϕ
e si può porre j − jkz − j e e p (σ , ϕ, r) = λr
kσ 2 2z
a
π
∫ 0 ∫ −π e
j
2π λz
(
ρσ cos ϕ − ψ
)
(
)
p 0 ρ, ϕ, 0 ρdρ dϕ
[5.32]
La [5.32], in analogia con quanto riferito per la funzione rect, con l’introduzione della funzione circ definita dalle ⎧⎪circ (ρ/ a) = 1 ρ ≤ a ⎨ ⎩⎪circ (ρ/ a) = 0 ρ > a
[5.33]
Fondamenti di Ingegneria Clinica
250
· Ecotomografia
e, posto ψ = 0 come valore arbitrario20, diviene −j jρ cu p(σ , ϕ, r) = 0 0 e − jkz e λr
2π ⎧ ⎛ ρ ⎞ ⎡ π j λ z ρσ cos ϕ ⎤ ⎫⎪ ⎪ ∞ ⎢ dϕ⎥ dρ ⎬ [5.34] ⎨∫ 0 circ ⎜ ⎟ ρ ∫ −π e a ⎥ ⎪ ⎢ ⎠ ⎝ ⎪⎩ ⎦ ⎭ ⎣
kσ2 2z
Il termine tra parentesi graffe a secondo membro della relazione [5.34] rappresenta la trasformata di Fourier, in coordinate polari, della funzione circ(ρ/a) descrittiva della forma del trasduttore, per cui si ha −j jρ cu p(σ , ϕ, r) = 0 0 e − jk z e λr
kσ2 2z
⎡ ⎛ ρ⎞ ⎤ ℑ ⎢circ ⎜ ⎟ ⎥ ⎝ a⎠ ⎦ ⎣
[5.35] σ λz
nella quale la funzione σ/λz rappresenta una quantità legata all’angolo θ dal fatto che σ/z = sinθ. L’integrale nella variabile ϕ nella parentesi quadra della relazione [5.34] risulta pari a 2π volte la cosiddetta funzione di Bessel J0(kρσ/z) del primo tipo e ordine zero. Senza scendere in ulteriori dettagli, si può dimostrare21 infine che si ha
(
)
p σ , ϕ, r = j
ρ 0 cu 0 λr
e
− jkz
e
−j
k σ2 2z
(
⎡ J1 kσ a z 2π a 2 ⎢ ⎢⎣ kσ a z
) ⎤⎥ ⎥⎦
[5.36]
nella quale compare la funzione di Bessel J1 del primo tipo e ordine uno. Ricordando che si può porre σ = r sinθ, si ottiene
(
)
p σ , ϕ, r = j
ρ 0 cu 0
r
e
− jkz
e
−j
k σ2 2z
(
⎡ J1 ka sin θ ka 2 ⎢ ⎢⎣ ka sin θ
) ⎤⎥ ⎥⎦
[5.37]
che risulta infine, ricordando l’approssimazione r ≅ z e introducendo il termine esponenziale che tiene conto della variabilità nel tempo,
(
)
p r, θ, t = j
2
(
) ⎤⎥
⎡ 2J1 ka sin θ kae j (ωt − kr ) ⎢ r ⎢⎣ ka sin θ
ρ 0cu 0 a
⎥⎦
[5.38]
L’andamento della funzione di Bessel di primo tipo e di ordine uno J1(x), dove x = ka sinθ, che compare nelle relazioni precedenti, verrà illustrato con maggiore dettaglio nei paragrafi seguenti.
20 21
Dato che per la simmetria cilindrica non si può avere una dipendenza dall’angolo ψ. Il lettore può consultare per esempio Hecht (1987) Optics. Addison-Wesley.
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
251
Al termine del presente paragrafo, si possono trarre le seguenti fondamentali conclusioni in merito alla forma del campo sonoro prodotto da un trasduttore (sorgente) di forma generica. La prima è che in tale campo, in prossimità dell’asse, sussistono due regioni, una più vicina alla superficie emittente, caratterizzata da un’alternanza di massimi e minimi della pressione sonora massima lungo l’asse, e un’altra più lontana, caratterizzata da un’attenuazione dell’ampiezza con la distanza del tipo 1/r al pari di un’onda sferica. La seconda conclusione è che, a una distanza dal trasduttore sufficientemente grande perché valga l’approssimazione di Fraunhofer z >>D2/4λ, la distribuzione di tale campo sul piano oggetto, parallelo al piano che contiene la sorgente, è calcolabile mediante la trasformata di Fourier della forma del trasduttore stesso.
5.3 Rappresentazione di Fourier e direttività del trasduttore Scopo di questa breve digressione è illustrare le proprietà e gli utilizzi della trasformata di Fourier per quanto possibile in maniera intuitiva e senza ricorrere a relazioni complesse. Un segnale periodico può essere scomposto in una somma di un certo numero, al limite infinito, di funzioni sinusoidali semplici (seni e coseni) di opportune ampiezza e frequenza; in tal modo esso può essere caratterizzato e studiato a partire dalle funzioni sinusoidali componenti. Tale scomposizione, effettuata mediante la serie di Fourier, è costituita da una sinusoide di periodo pari a quello del segnale (la fondamentale) e da sinusoidi con frequenza doppia, tripla, quadrupla ecc. rispetto alla fondamentale (le armoniche), che danno luogo a uno spettro del segnale nel dominio della frequenza di tipo discreto (figura 5.7). Si può dimostrare che anche un segnale qualsiasi, non periodico, può essere scomposto in una somma di sinusoidi; in questo caso la somma infinita diviene un integrale, cioè una somma infinita di sinusoidi caratterizzate da frequenze infinitamente vicine le une alle altre (e non solo di sinusoidi armoniche), tanto che lo spettro del segnale nel dominio della frequenza diviene continuo. In tale contesto, la trasformata di Fourier di un segnale va intesa come la rappresentazione del contenuto in frequenza del segnale stesso. L’opportunità di scomporre un segnale in sinusoidi proviene dal fatto che la funzione sinusoidale possiede proprietà particolari che la rendono facilmente utilizzabile dal punto di vista analitico. Per esempio, può essere integrata e derivata infinite volte rimanendo immutata, eccettuato il fatto di passare da seno a coseno, o viceversa, ogni volta che si integra o deriva la funzione. Inoltre, circostanza assai più determinante, la sinusoide è la proiezione su un asse di un moto circolare che si sviluppa in un piano ed è immediato verificare come questa situazione fisica sia di notevole importanza e diffusione, basti pensare, per esempio, alle orbite planetarie. Lo sviluppo in sinusoidi costituisce uno strumento di grandissima utilità per effettuare elaborazioni su segnali anche molto complessi. Operazioni assai complicate come il filtraggio, cioè l’elimina-
252
Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
Figura 5.7. Scomposizione di un segnale nelle sue componenti armoniche. Un’onda quadra è riportata (in azzurro) assieme alle sue prime nove armoniche (specificate nella legenda); la somma delle prime cinque armoniche è rappresentata in nero, mentre in rosso è riportata la somma delle prime quaranta armoniche. All’aumentare del numero delle componenti sinusoidali utilizzate, di frequenza via via crescente, diminuisce l’errore tra il segnale ricostruito e il segnale originario.
zione selettiva dal segnale di componenti che ne disturbano l’andamento, sono eseguibili in maniera codificata e relativamente semplice operando non direttamente sul segnale, inteso come l’andamento nel tempo di una certa quantità fisica, ma sulla sua trasformata di Fourier. Se, anziché considerare l’andamento nel tempo di una certa quantità fisica, se ne vuole rappresentare la distribuzione spaziale (a un dato istante) e si ha dunque a che fare con una funzione delle coordinate spaziali anziché del tempo (per semplicità si consideri una quantità fisica che vari lungo una direzione x restando costante lungo le altre due direzioni y e z), è ancora possibile calcolare la trasformata di Fourier di questa funzione della variabile x. In questo caso la trasformata rappresenta il contenuto in frequenza spaziale della funzione di partenza e rende possibile lo studio della periodicità del valore della quantità fisica nello spazio (in questo caso lungo l’asse x). Ancora più chiaramente la trasformata consente di studiare se un certo andamento della quantità fisica in esame si ripete, per esempio, ogni 5 m oppure ogni 2 μm ecc. Se la quantità fisica è funzione di tutte e tre le coordinate spaziali x, y e z, la sua trasformata di Fourier è anch’essa una funzione tridimensionale. Essa viene così rappresentata rispetto a tre frequenze spaziali (lungo x, y e z) e il suo andamento lungo ciascuno degli assi coordinati rappresenta il contenuto in frequenza spaziale della funzione lungo ciascuna direzione nello spazio; in definitiva, è possibile conoscere quante volte nell’unità di spazio varia la quantità fisica, percorrendo gli assi x, y e z.
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
253
Il caso che qui interessa considerare è quello dell’analisi del campo di perturbazione nella direzione in cui viene inviata l’energia ultrasonora emessa da una sonda ecografica, in funzione delle sue caratteristiche. La formula esatta che descrive l’andamento del campo ultrasonoro emesso da un trasduttore (integrale di Rayleigh-Sommerfeld) mostra una dipendenza dall’estensione del trasduttore e dalla sua forma. Supposto il trasduttore giacente su un piano (per esempio il piano ξη), essa è definita mediante la cosiddetta funzione di illuminazione, o di apertura, che descrive le zone dove è presente il trasduttore nel piano ξη22. Come si è già visto, in regioni sufficientemente distanti dal piano del trasduttore, vale a dire in campo lontano, l’integrale di RayleighSommerfeld può essere approssimato, a meno di fattori moltiplicativi, dalla trasformata di Fourier della forma del trasduttore; inoltre, per una sorgente per esempio circolare, il termine H(θ) all’interno della relazione [5.38] descrittiva del campo corrispondente
(
)
⎡ 2J1 ka sin θ ⎤ H(θ) = ⎢ ⎥ ⎢⎣ ka sin θ ⎥⎦
[5.39]
corrisponde alla trasformata di Fourier del disco piano che rappresenta il trasduttore nello spazio. In altre parole, la relazione [5.39] risolve il problema della rappresentazione del fenomeno di diffrazione da foro circolare, quando ci si ponga lontano dal foro. Si è anche già stabilito che, se la sorgente è di forma rettangolare, la funzione che descrive la presenza della sorgente nel piano ξη su cui essa giace, e che compare nella relazione descrittiva in campo lontano della perturbazione generata dal trasduttore, è del tipo ⎛ ξ⎞ ⎛ μ⎞ f ( ξ, η) = rect ⎜ ⎟ rect ⎜ ⎟ ⎝ ⎠ ⎝ w⎠
[5.40]
nella quale la funzione rect(ξ/w) indica in forma analitica che la sorgente ultrasonora si estende lungo ξ per una distanza w (larghezza del piezoelemento), mentre la funzione rect(η/) descrive il fatto che l’elemento si estende per una lunghezza lungo l’asse η. La trasformata di Fourier nelle variabili x/λ z e y/λ z della funzione [5.40] è espressa dalla funzione ⎛ y ⎞ ⎛ x y⎞ ⎛ wx ⎞ F ⎜ , ⎟ = w sin c ⎜ sin c ⎜ ⎟ ⎟ ⎝ λz λz ⎠ ⎝ zλ ⎠ ⎝ zλ ⎠
[5.41]
22 Si ricordi che nel paragrafo precedente si è immaginato il trasduttore (sorgente) come un foro in uno schermo opaco che intercetti una radiazione incidente piana proveniente dal semipiano posteriore e si è impiegato il termine funzione di trasmittanza.
254
Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
che, in termini di angoli di azimut α ed elevazione β, risulta ⎛ sin β ⎞ ⎛ w sin α ⎞ ⎛ w sin α ⎞ ⎛ sin β ⎞ λ2 = F( α , β ) = sin c ⎜ c sin sin ⎜ sin ⎟ ⎜ ⎟ ⎝ λ ⎠ sin α sin β ⎝ λ ⎟⎠ ⎜⎝ λ ⎟⎠ [5.42] ⎝ λ ⎠ essendo x/z = tg α ≅ sinα e y/z = tg β ≅ sinβ, nella [5.42] si è posto, in termini della generica variabile x, sinc (x ) =
sin x x
[5.43]
Nella figura 5.8 è riportata la funzione di una variabile (in particolare del tempo t) rect(t/w) e la corrispondente trasformata w sinc(wf), in termini di frequenza temporale f espressa in hertz, al variare dell’intervallo w. La funzione F(α,β), descritta dalla relazione [5.42], indica secondo quali angoli di azimut α ed elevazione β viene diretto il campo di pressione generato dalla sonda: per tale motivo è detta funzione di direttività. Tale funzione, riportata nella figura 5.9, presenta un massimo assoluto per α = 0 e β = 0, vale a dire lungo l’asse uscente dal centro del trasduttore e ortogonale al piano di quest’ultimo, che corrisponde al cosiddetto lobo principale. L’analisi dei massimi e dei minimi relativi della funzione sinc(x) consente poi di individuare le altre direzioni in cui viene diretto il campo di pressione (lobi laterali). Per quanto riguarda il trasduttore circolare, si è già stabilito che la trasformata di Fourier della funzione circ(ρ/a), che rappresenta la forma del pistone, è la funzione [2πa2J1(kσa)]/kσa, nella quale compare la funzione di Bessel del primo tipo di ordine uno, il cui andamento sarà descritto in seguito; si accenna qui al fatto che anch’essa presenta un massimo assoluto in corrispondenza dell’asse z (θ = 0) e che anche in questo caso l’analisi dei massimi e dei mini-
Figura 5.8. Funzioni rettangolari in funzione del tempo e trasformate di Fourier nel dominio della frequenza al variare dell’intervallo di definizione.
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
255
Figura 5.9. Trasformata di Fourier bidimensionale F(α,β) della funzione rettangolare bidimensionale f(x,y) = rect(x/w)rect(y/l) nel caso di l = 2w e w = 9λ.
mi relativi consente di individuare le altre direzioni di emissione della potenza acustica. Si rammenta che un simile andamento è stato già presentato nel capitolo 4, discutendo degli effetti di non linearità; in tale ambito si è riportato, in termini di dati sperimentali, proprio il campo di pressione generato da un trasduttore circolare. Il fenomeno fisico alla base del fatto che la perturbazione si propaga in campo lontano secondo modalità descritte dalla trasformata di Fourier della forma f(ξ,η) del trasduttore è la diffrazione, per la quale l’andamento di una perturbazione ondosa (campo elettromagnetico, ultrasuoni ecc.) è modificato dalla presenza di ostacoli. Per comprendere meglio il legame tra diffrazione e analisi di Fourier, si consideri il caso di ostacoli puntiformi, disposti periodicamente nello spazio all’interno della regione in cui la perturbazione si propaga. Un classico esempio è fornito dal reticolo atomico di un solido cristallino, all’interno del quale ciascun atomo rappresenta un ostacolo puntiforme separato dagli altri da distanze costanti, su cui viene inviato un fascio di raggi X. Per semplicità si consideri il campo elettromagnetico associato ai fotoni X sotto forma di un’onda piana. La radiazione elettromagnetica che investe il cristallo, cioè un’insieme di ostacoli che si ripetono secondo rigorose periodicità spaziali, viene assorbita e riemessa da ciascun atomo; perciò il campo emergente dal cristallo è il risultato dell’interferenza tra tutte le radiazioni riemesse dagli atomi del reticolo (come è stato illustrato nel capitolo 4). Con riferimento alle sorgenti allineate ed equidistanziate della figura 5.10, si riconosce che la differenza di cammino percorso dalle radiazioni emesse da due sorgenti adiacenti e separate da una distanza d, come la sorgente i-esima e la sorgente (i+1)-esima, vale δi = ri+1–ri e che, detto θi l’angolo di osservazione (che si può porre pari a θ nel caso di distanza molto grande dalla retta del-
256
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Figura 5.10. Interferenza generata da sorgenti acustiche allineate in punti di osservazione posti a grande distanza da esse. I cammini tra le sorgenti e il punto di osservazione sono paralleli tra loro (ipotesi di campo lontano) e la differenza di cammino tra le onde sferiche elementari è determinata dall’angolo θ costante. Per alcuni valori discreti dell’angolo θi di osservazione, per esempio nelle direzioni dei raggi vettori r′i , le onde sferiche elementari giungono in fase (dando luogo a interferenza costruttiva), mentre per altri valori discreti dell’angolo θ (evidenziato nella figura) giungono in controfase (dando luogo a interferenza distruttiva), come per esempio nelle direzioni dei raggi vettori ri.
le sorgenti), si può scrivere in generale δ = dsin θ
[5.44]
la differenza di fase corrispondente è pari a kδ (con k = 2π/λ numero d’onda). Lo sfasamento risulta uguale a 2nπ per una differenza di cammino corrispondente a un numero intero di lunghezze d’onda λ, condizione per la quale le due onde interferiscono costruttivamente e si ha pertanto luminosità massima; questo caso si verifica in tutti i punti per i quali valga la relazione23 d sinθ = nλ 23 Le zone di interferenza sia costruttiva sia distruttiva si verificano solo se λd si avrebbe la condizione sinθ<1 solo per n = 0 e in tal caso l’unico massimo della luminosità si avrebbe per θ = 0 cioè esattamente di fronte alle sorgenti.
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
257
e quindi per tutti gli angoli θn ⎛ nλ ⎞ ⎝ d ⎟⎠
θ n ,max = arcsin ⎜
[5.45]
Le direzioni per le quali si verifica, invece, interferenza distruttiva sono quelle che verificano la relazione
(
)
⎡ n +1/ 2 λ⎤ ⎥ d ⎢⎣ ⎥⎦
θ n ,min = arcsin ⎢
[5.46]
Si noti come l’inverso del passo reticolare sia pari alla frequenza di ripetizione spaziale degli ostacoli, e cioè al numero di atomi per metro; da ciò deriva che le direzioni di propagazione del campo emergente dal cristallo dipendono dal contenuto in termini di frequenza spaziale dell’ostacolo. Infatti, approssimando la funzione seno con il suo argomento (come è possibile fare in campo lontano, dal momento che gli angoli sotto cui è visto il trasduttore sono piccoli) si può porre ⎛ nλ ⎞ θ n ≅ ⎜ ⎟ = nλ f ⎝ d⎠
[5.47]
nella quale i valori θn (si è omesso il pedice “max”) sono noti come ordini di diffrazione e, negli esperimenti di questo tipo effettuati con luce monocromatica (laser), si manifestano come macchie luminose su uno schermo posto in corrispondenza della regione di osservazione a distanza z dall’ostacolo. La distanza ln , tra il centro O dello schermo (corrispondente alla direzione θ0 = 0) e le macchie formate dai vari ordini di diffrazione, è ricavabile con operazioni trigonometriche ed è pari a l n = z tan θ n ≅ z θ n ≅ z sin θ n
[5.48]
dove l’approssimazione della funzione tangente con l’angolo è valida per valori piccoli di quest’ultimo. Ricordando l’espressione [5.45] fornita per θn, si ha che le distanze sul piano immagine tra i punti nei quali si verifica interferenza costruttiva e il centro dello schermo devono soddisfare la relazione l n sin θ n n ≅ = λ zλ d
[5.49]
nella quale il primo termine ha la stessa forma delle funzioni x/λz e y/λz introdotte in precedenza e può essere indicato come fn. Nello schema della figura 5.11, derivato dalla figura 5.10, è rappresentato un trasduttore (ipotizzato monodimensionale per semplicità) come idealmente
258
Fondamenti di Ingegneria Clinica
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Figura 5.11. Superficie emittente del trasduttore come insieme discreto di sorgenti. Sul piano oggetto la distribuzione delle frange di interferenza è descritta dalla trasformata di Fourier della forma del trasduttore nelle frequenze spaziali fn.
costituito da una serie di punti emettitori, posti a distanza d l’uno dall’altro; in questo caso anche l’immagine è costituita da punti equispaziati, nei quali si concentra l’energia acustica. Se si rappresenta ciascuna sorgente puntiforme, e l’immagine puntiforme corrispondente, mediante funzioni delta di Dirac, la sorgente i-esima posizionata all’ascissa θi = id risulta della forma δ(ξ–id)24, mentre la sua immagine, che secondo la relazione [5.49] è collocata in corrispondenza di angoli ξi = arcsin(iλ /d), risulta della forma δ[(sinθ /λ)–(i/d)]. Rappresentando la sorgente come la somma discreta delle sorgenti puntiformi, si ottengono i diagrammi riportati nella figura 5.12. Questo esempio ha valore del tutto generale; perciò, nel caso reale di un trasduttore di estensione finita, l’energia diffratta in corrispondenza del piano del trasduttore assume in corrispondenza del piano oggetto una distribuzione spaziale descrivibile in termini di frequenze componenti; essa è cioè la trasformata di Fourier spaziale della forma della sorgente. Si ricordi che l’integrale di Rayleigh-Sommerfeld [5.13] non è altro che la somma integrale delle infinite sorgenti puntiformi, tra loro poste a distanza infinitesima, nelle due dimensioni lungo le quali si estende il trasduttore. Nella relazione [5.13] si riconosce che il termine esponenziale di propagazione di24 Si ricordi che la funzione δ(ξ– ξ ) è diversa da zero solo in corrispondenza di ξ = ξ dove assume 0 0 ampiezza infinita (in modo tale che il suo integrale sia di valore unitario).
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
259
Figura 5.12. Sorgenti discrete e immagini corrispondenti. (a) La sorgente è rappresentata come somma infinita degli impulsi matematici relativi alle singole sorgenti puntiformi disposte sull’asse a distanza d. (b) La distribuzione del campo emergente dalle sorgenti risulta rappresentata come loro trasformata di Fourier, cioè come somma infinita degli impulsi matematici (relativi alle corrispondenti immagini discrete) collocati nel dominio delle frequenze spaziali a distanza costante pari a 1/d.
pende dal tempo e non viene quindi integrato, che il termine25 e–kr = e–2πr/λ rappresenta la fase di ciascuna perturbazione elementare in funzione del cammino acustico e, infine, che il termine 1/r rappresenta l’attenuazione geometrica di ciascuna onda sferica elementare. Si è già osservato come in campo lontano, per cui vale l’approssimazione r ≅ z, tutti e tre i termini citati possono essere portati fuori dall’integrale ottenendo in tal modo l’approssimazione di Fraunhofer [5.25]. Situando il piano oggetto in campo lontano, e considerando per semplicità la sola direzione ξ (trasduttore lineare), l’andamento della pressione p a ogni istante di tempo fissato in ciascun punto di ascissa x nel piano oggetto (omologa dell’ascissa ξ nel piano del trasduttore) risulta
p (x , z) =
je
− jk z
e
− jk
λz
x2 + y2 2z
∫ δ(ξ − id) e
2 π ⎡ xξ ⎤ j⎢ ⎥ λ ⎣z⎦
dξ = K(z, x ) e
2 π ⎡(id ) ξ ⎤ j⎢ ⎥ λ ⎣ z ⎦
[5.50]
x
dove i termini di fase fuori dall’integrale sono posti pari a K(z,x). L’espressione [5.50] rappresenta la pressione sul piano oggetto generata dall’unica sorgente elementare δ(x–id) posta sul trasduttore in corrispondenza dell’ascissa id.
5.4 Direttività del piezoelemento circolare Confrontando il campo di pressione generato da un pistone, per esempio circolare, con quello generato da una sorgente puntiforme equivalente, vale a dire
25
Si rammenti che in campo lontano, con riferimento alla figura 5.4, r′≅ r.
Fondamenti di Ingegneria Clinica
260
· Ecotomografia
una sorgente puntiforme che eroghi la medesima potenza acustica erogata dal pistone nella direzione dell’asse z (quella, individuata dall’angolo θ = 0, ove la pressione raggiunge il valore massimo), il loro rapporto si definisce fattore di direttività del pistone. Esso pertanto risulta definito secondo la ⎡ ⎛ D ⎞⎤ 2J1 ⎜ π sin θ⎟ ⎥ ⎢ p (r, θ, t) ⎡ 2J1 ka sin θ ⎤ ⎢ ⎝ λ ⎠⎥ =⎢ ⎥= ⎥ D p eq (r, t) ⎢⎣ ka sin θ ⎥⎦ ⎢ ⎢ π sin θ ⎥ λ ⎢⎣ ⎥⎦
(
)
[5.51]
che coincide con la funzione H(θ) definita nella relazione [5.39] e che in corrispondenza di θ = 0 assume valore unitario. Tale quantità adimensionale, il cui andamento è riportato nella figura 5.13a, rappresenta la diversa distribuzione della pressione rispetto a quella sferica di una sorgente puntiforme. Per rappresentare la distribuzione di energia in funzione dell’angolo θ sotto cui viene visto il pistone, si utilizza il rapporto tra l’intensità del campo generato dal pistone e quella prodotta dalla sorgente puntiforme equivalente al pistone secondo la I(r , θ, t) b(θ) = 10 log [5.52] Ieq (r , t) poiché l’intensità del campo è proporzionale al quadrato della pressione, la precedente espressione si trasforma nella b(θ) = 20 log H(θ)
[5.53]
che, rappresentata in coordinate polari, fornisce il diagramma di direttività del pistone riportato nella figura 5.13b. Il fattore di direttività, che non dipende dalla distanza r, descrive l’andamento del campo di pressione sonora con l’angolo θ sotto cui è visto il pistone, cioè l’angolo tra l’asse del piezoelemento circolare e il vettore posizione del punto di osservazione, per una determinata estensione radiale del trasduttore. Gli zeri della funzione [5.51]26 corrispondono a nodi di pressione sonora (minima energia di perturbazione) mentre i massimi corrispondono alle direzioni nelle quali viene convogliata la maggior parte dell’energia emessa dal pistone. Gli angoli θi , per i quali la funzione di Bessel si annulla, definiscono superfici nodali coniche con il vertice in r = 0 (centro del trasduttore); tra queste superfici hanno luogo i lobi di pressione, poiché, come mostrato nella figura 5.13a, tra due zeri successivi si verifica un massimo relativo della funzione.
26 Essi sono corrispondenti agli zeri della funzione di Bessel riportati nei numerosi testi di analisi matematica presenti in letteratura.
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
261
Figura 5.13. Direttività del trasduttore. (a) Fattore di direttività in funzione della variabile kasinθ. (b) Spaccato del diagramma polare di direttività relativo a rapporti λ/D e angoli θ1 pari rispettivamente a 1/16 e 4,5 gradi (caso A) a 1/8 e 9 gradi (caso B) e infine a 1/5 e 14 gradi (caso C), la griglia radiale è relativa all’angolo tra il raggio vettore posizione e l’asse z, la griglia circonferenziale si riferisce alla diminuzione dell’ampiezza di pressione rispetto al valore massimo sull’asse espressa in decibel. La scala angolare è riferita agli angoli θ.
Il primo zero della funzione di Bessel si verifica per π
D λ
sin θ1 = 3, 83
[5.54]
che consente di riconoscere come l’energia della radiazione sia confinata per la maggior parte (si ricordi che per θ = 0 si verifica il massimo assoluto) entro un lobo compreso tra gli angoli +θ1 e –θ1, dove θ1 si determina mediante la seguente relazione sin θ1 = 3, 83
λ πD
= 3, 83
λ
2a π
= 0, 61
λ
a
= 1, 22
λ
D
[5.55]
262
Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
in cui è D = 2a. Per lunghezze d’onda molto minori della dimensione diametrale del trasduttore (λ/D<<1) è lecita l’approssimazione sinθ ≅ θ e la relazione [5.55] può essere riformulata nella nota come formula di Fraunhofer θ1 ≅ 1, 22
λ
D
[5.56]
che definisce quanto sia “snello” il lobo principale di emissione dell’energia. Da essa si deduce che il lobo diviene tanto più acuto quanto maggiore è il diametro del pistone e quanto più piccola è la lunghezza d’onda λ delle radiazioni. Da ciò si può dedurre in prima approssimazione che per ottenere un fascio ultrasonoro caratterizzato da una soddisfacente direttività si devono impiegare trasduttori di grande estensione adoperati ad alta frequenza. Nella figura 5.13 sono rappresentati i lobi di radiazione per tre diversi casi A, B e C caratterizzati da tre diversi valori del rapporto λ /D e dunque dell’angolo θ1. Il secondo zero della funzione H(θ) si verifica per sinθ2 = 2,233λ /D; tra θ1 e θ2 si manifesta il primo lobo laterale, caratterizzato da un massimo relativo notevolmente minore del massimo assoluto, come si può osservare nella figura 5.13a. Si osserva ancora dalla figura come in generale l’estensione dei lobi diminuisca per piccole lunghezze d’onda (si ponga attenzione al fatto che in ascissa compare la variabile kasinθ). Nella figura 5.13b si può osservare ancora come varia l’ampiezza dei lobi secondari rispetto a quello principale; in sca-
Figura 5.14. Sezione del fascio ultrasonoro: in evidenza estensione N del campo vicino e divergenza θ del campo lontano. (a) Variazioni con il diametro D del piezoelemento a parità di frequenza. (b) Variazioni a parità di diametro D con la frequenza di oscillazione del piezoelemento.
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
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Figura 5.15. Estensione del campo vicino (curve continue) e divergenza del campo lontano (curve tratteggiate) in acqua in funzione della frequenza di oscillazione del trasduttore per vari diametri del cristallo piezoelettrico: D = 8 mm (), D = 10 mm (), D = 15 mm (), D = 20 mm ().
la logaritmica si riconosce che, al variare dell’angolo θ, i lobi secondari hanno ampiezza che è circa 20 dB inferiore rispetto al principale e tale valore aumenta con l’incremento della frequenza della radiazione. Nei paragrafi precedenti si è illustrato come un campo ultrasonoro venga generato e come esso consista di una particolare distribuzione spaziale della pressione sonora, nel volume antistante il piezoelemento, per la quale possono essere individuati due regioni. Nella prima, più vicina al piezoelemento e di estensione assiale N, l’ampiezza massima della pressione è indipendente dalla distanza, mentre nella seconda, adiacente alla prima, l’ampiezza massima della pressione varia in modo inversamente proporzionale alla distanza dal piezoelemento. Inoltre, poiché la relazione [5.56] (ricavata a partire dalle relazioni valide per il campo lontano o di Fraunhofer) descrive una superficie conica con semiapertura pari a θ1 e vertice posto al centro del trasduttore circolare, si riconosce come il fascio non diverga in campo vicino, mentre per z >N diverge secondo l’angolo θ1. Entrambe le caratteristiche, estensione del campo vicino N = D2/4λ = D2f/4c e divergenza del fascio nel campo lontano θ1 =1,22 λ/D = 1,22 c/Df, sono riportate nella figura 5.14, nella quale la suddivisione dello spazio entro cui il campo ultrasonoro esiste e si propaga, trova un’utile rappresentazione in un piano contenente l’asse z. Si osservi che, a parità di frequenza, al diminuire del diametro del cristallo diminuisce l’estensione del campo vicino e aumenta nel contempo la divergenza (figura 5.14a), mentre a parità di diametro D, all’aumentare della frequenza aumenta la profondità del campo vicino e nel contempo diminuisce la divergenza (figura 5.14b). Nella figura 5.15 sono illustrati gli andamenti dell’estensione del campo vicino e della divergenza del campo lontano in funzione del diametro del cristal-
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· Ecotomografia
Tabella 5.1. Estensione del campo vicino e divergenza del campo lontano in acqua per alcuni valori del diametro e della frequenza di oscillazione del cristallo piezoelettrico Frequenza Diametro del cristallo Estensione del campo Divergenza del campo (MHz) (mm) vicino (cm) lontano (gradi) 1 1 5 5 10 10
8 20 8 20 8 20
1,0 6,5 5,2 32,3 10,3 64,5
13,5 5,4 2,7 1,1 1,4 0,5
Tabella 5.2. Fattore di apertura kα per alcune attenuazioni della pressione massima sull’asse Attenuazione α (dB)
–3
–6
–10
–12
–∞
kα
1
1,41
1,8
2
2,44
lo e della sua frequenza di oscillazione; per disporre di qualche ordine di grandezza, la tabella 5.1 riporta alcuni dei valori con i quali il grafico è costruito. Più in generale, partendo dalle considerazioni sulla netta diminuzione di ampiezza del campo pressorio che si verifica nei lobi laterali rispetto al lobo principale, è possibile circoscrivere la regione dello spazio che può essere considerata sede del fascio ultrasonoro e rappresentare la direttività di una sorgente individuando le zone in cui l’intensità del campo risulta attenuata di 3 dB rispetto al suo valore lungo l’asse di propagazione, come mostra la figura 5.19. Con considerazioni analoghe si può definire la zona di transizione tra campo vicino e campo lontano e valutarne l’estensione. Secondo la relazione [5.22] l’estensione del campo vicino è l’ascissa z lungo l’asse di propagazione in cui la pressione raggiunge l’ultimo valore massimo e vale N = D2/4λ . Questo è uno dei possibili modi per definire la zona di transizione tra campo vicino e campo lontano; in letteratura ve ne sono altri che si differenziano a seconda di quale caratteristica del fascio ultrasonoro si considera come discriminante per individuare il confine tra i due campi. In generale, come zona di transizione viene indicato l’intervallo dell’asse z di propagazione nel quale il fascio assume un andamento divergente (campo lontano), a partire da quello “confinato” entro la proiezione dell’apertura del trasduttore (campo vicino). La figura 5.16 riporta sia il valore N = D2/4λ sia il punto dell’asse z a distanza dal trasduttore pari a D2/2λ; quest’ultimo è individuato dall’intersezione tra proiezione cilindrica del trasduttore e cono di divergenza del fascio di apertura Θ12dB. Tale cono rappresenta il luogo dei punti per i quali l’ampiezza della pressione risulta diminuita di 12 dB rispetto al valore massimo su ciascun punto dell’asse (ascissa z). Più in generale, l’apertura del cono corrispondente a un determinato valore dell’attenuazione dell’ampiezza rispetto a quella che si verifica sull’asse è espresso dalla relazione Θα = kαλ/D dove il pedice α indica l’attenuazione rispetto al valore massimo in decibel (per esempio –3 dB, –6 dB, –12 dB ecc.); i valori del cosiddetto fattore di apertura kα sono riportati nella tabella 5.2.
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· La formazione del fascio ultrasonoro
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È immediato verificare che l’attenuazione infinita si verifica per un angolo corrispondente al primo zero della funzione di direttività in campo lontano (si faccia riferimento alla relazione [5.56], per la quale il primo zero della funzione di Bessel27 individua un’apertura Θ∞ = 2,44 λ/D). Nella figura 5.16 è riportata anche la traccia, sul piano contenente l’asse del trasduttore, della superficie conica corrispondente al primo massimo relativo (con riferimento al valore assoluto) della funzione di Bessel, cioè al primo lobo laterale. Nella figura è altresì evidenziata la regione cosiddetta di campo vicino estremo, individuata dalla distanza z = 0,8D2/4λ. Dall’analisi della figura 5.16 emerge una considerazione ulteriore, di carattere geometrico; alla distanza D2/4λ, l’ampiezza del cono di divergenza del fascio è ovviamente pari alla metà di quella corrispondente alla distanza doppia D2/2λ. Questo restringimento del fascio viene detto focalizzazione apparente ed è esclusivamente dovuto al fenomeno della diffrazione; se ne ha una dimostrazione in particolare nella figura 5.16a, osservando la curva di pressione massima nel piano z = N = D2/4λ e nel piano z = 2N.
5.5 Rappresentazione del campo ultrasonoro Tramite l’impiego di algoritmi di calcolo è possibile risolvere l’integrale di Rayleigh-Sommerfield, espresso dalla relazione [5.13], sommando il contributo di ciascuna sorgente elementare componente il pistone e ottenendo così, per tutti i punti dello spazio, l’andamento spaziale e temporale della pressione generata da un pistone oscillante. Data la simmetria cilindrica del sistema, l’andamento della grandezza fisica di interesse può essere rappresentato su un piano contenente l’asse del pistone. Nella figura 5.16 sono mostrati gli andamenti della pressione massima su piani paralleli alla superficie del trasduttore, a distanze crescenti da esso, ottenuti numericamente. Si osserva la presenza di minimi e massimi relativi, tipici dei fenomeni di interferenza, assai evidenti nella regione di campo vicino. La figura 5.17 presenta l’andamento delle pressioni sonore a un istante fissato ancora su un piano contenente l’asse del trasduttore per un valore del rapporto D/λ pari a 6. Le zone più chiare sono quelle di compressione (pressioni massime), mentre le zone più scure sono quelle di espansione (pressioni minime). Come rilevato in precedenza, piuttosto che rappresentare il campo delle pressioni acustiche (variabili nel tempo) fotografato a un dato istante, come nella figura 5.17, si preferisce rappresentare il campo della pressione acustica massima, cioè l’andamento del valore massimo assunto dalla pressione in ciascun punto dello spazio durante la propagazione dell’onda. Tale superficie inviluppo dei massimi è riportata nella figura 5.18, nella quale i valori sono normalizzati rispetto al massimo assoluto che si verifica sull’asse alla distanza N = a2/λ, e a essa sono state sovrapposte alcune curve isolivello (sempre relative ai massimi delle pressioni sonore). Questo tipo di rappresentazione per-
27
Si ricorda che tale funzione definisce la direttività del trasduttore circolare.
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Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
267
Figura 5.16. Caratterizzazione del fascio ultrasonoro. (a) Profili di pressione massima, in funzione della distanza dal centro del trasduttore, su piani paralleli alla superficie emittente a varie distanze dal cristallo lungo l’asse di propagazione z; la distanza radiale su ogni piano è normalizzata con il raggio a del trasduttore, le distanze lungo l’asse di propagazione sono normalizzate rispetto all’estensione di campo vicino N = a2/λ, i valori di pressione massima sono normalizzati con il massimo della pressione sull’asse z, che si verifica in corrispondenza del piano z/N = 1. (b) Individuazione delle regioni di campo vicino e campo lontano mediante opportuni punti e angoli fiduciari su un piano contenente l’asse z; sono riportate in particolare le tracce delle superfici coniche individuate dal primo zero della funzione di Bessel (angolo Θ∞) e dal suo primo minimo relativo, nonché quella determinata dall’intersezione tra la superficie isolivello della pressione relativa a un’attenuazione di 12 dB rispetto al valore massimo sull’asse e la superficie cilindrica proiezione del trasduttore (angolo Θ12dB), quest’ultima corrispondente a una distanza sull’asse pari significativamente al doppio dell’estensione del campo vicino. (c) Andamento della pressione massima lungo l’asse z e individuazione delle zone di validità delle approssimazioni di Fresnel e Fraunhofer. (d) Immagine del fascio ultrasonoro ricavata con tecnica Schlieren (dati ottenuti da misure condotte presso il Laboratorio di Misure Meccaniche del Dipartimento di Meccanica e Aeronautica, Facoltà di Ingegneria, Università di Roma “La Sapienza”).
mette di visualizzare la dimensione laterale del fascio ultrasonoro (cioè la sua estensione su piani ortogonali all’asse z di propagazione del fascio), dalla quale dipende, come si vedrà nel capitolo successivo, il potere risolutivo laterale della sonda ecografica, che pertanto cambia nei diversi piani paralleli alla superficie emittente, cioè lungo l’asse del fascio stesso. In realtà, il campo delle pressioni massime viene solitamente presentato in forma adimensionale, normalizzando i valori in corrispondenza di ogni piano perpendicolare all’asse con il valore massimo relativo a quel piano. Poiché l’andamento delle pressioni massime nel campo vicino presenta degli zeri lungo l’asse (come illustrato nella figura 5.6), tale modalità di normalizzazione
Figura 5.17. Campo ultrasonoro generato da un trasduttore piano circolare caratterizzato da D/λ = 6. Andamento della pressione sonora su un piano perpendicolare al piano del trasduttore; nell’immagine a zone più chiare corrispondono pressioni maggiori.
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Figura 5.18. Campo ultrasonoro generato da un trasduttore piano circolare caratterizzato da D/λ = 6. Andamento della pressione sonora massima su un piano perpendicolare al piano del trasduttore e curve isolivello della pressione massima; a zone più chiare nell’immagine corrispondono pressioni maggiori; i valori di pressione sono normalizzati con il valore massimo as∼ soluto sull’asse z che si verifica alla distanza N = a2/λ . Il disegno non è in scala.
viene adottata solo per il campo lontano, mentre si è stabilito di normalizzare l’andamento delle pressioni massime in campo vicino, come riportato nella precedente figura 5.18, con il valore assunto dalla pressione massima in corrispondenza dell’asse del pistone e al valore di N del campo vicino. Nella figura 5.19 la superficie inviluppo dei massimi di pressione, resi adimensionali secondo le due diverse modalità descritte, relative a campo vicino e campo lontano, è rappresentato ancora insieme alle curve isolivello di pressione massima, anch’esse normalizzate. La dimensione laterale del fascio ultrasonoro prodotto da un cristallo circolare è descritta così non in base allo schema di massima della figura 5.14, ma in base all’andamento delle curve isolivello normalizzate; in particolare è convenzionalmente determinata dal luogo dei punti in campo lontano per i quali l’intensità sonora è pari alla metà di quella esistente sull’asse, vale a dire 28 dalla curva isolivello di pressione relativa a –3 dB (si può anche fare riferimento direttamente alla pressione sonora, considerando la curva isolivello –6 dB corrispondente a punti per i quali è la pressione sonora a essere pari alla metà di quella sull’asse). La figura 5.19 mostra come la curva di pressione relativa a –12 dB determini in campo lontano una superficie conica che interseca la superficie cilindrica avente per base il trasduttore, in corrispondenza di una distanza da questo pari a 2N (a conferma di quanto stabilito nella figura 5.16). Sono anche evidenziati gli angoli di apertura delle superfici coniche individuate dalle isolivello –6 dB e –3 dB, che in campo lontano divengono divergenti.
28
Si ricordi che la differenza di livello espressa in decibel è definita come 10 log10 del rapporto delle intensità e come 20 log10 del rapporto delle pressioni.
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Figura 5.19. Campo ultrasonoro generato da un trasduttore piano circolare caratterizzato da D/λ = 6: pressione sonora massima su un piano perpendicolare al piano del trasduttore e curve isolivello della pressione massima; a zone più chiare nell’immagine corrispondono pressioni maggiori; i valori di pressione per i punti in campo vicino (z
L’esame della figura 5.19 consente di dedurre altre due caratteristiche importanti dei fasci ultrasonori. La prima riguarda il diametro minimo del fascio29, che si realizza alla distanza N e ha valore compreso nell’intervallo 0,25D÷0,33D (se ci si riferisce alla curva a –3 dB); la seconda riguarda la regolarità del contorno del fascio (curva a –3 dB o –6 dB) a partire da una distanza dal disco pari a circa 0,75N. Queste osservazioni confermano che il fascio ultrasonoro possiede una focalizzazione naturale: cioè, a somiglianza di quanto si verifica in ottica, l’energia viene concentrata entro una zona detta fuoco; nel caso della teoria del pistone, la sua distanza dalla sorgente è pari a circa il valore N dell’estensione del campo vicino. Sempre facendo riferimento alla curva –3 dB, è possibile utilizzare lo stesso concetto che è alla base della definizione del FWHM (menzionato all’inizio di questo capitolo) e che viene in questo caso impiegato per definire la distanza del fuoco dalla superficie emittente. Il valore del FWHM 30 è legato a quello dell’apertura relativa o al suo inverso f/number (di ciò viene fornito esempio nelle pagine successive). La semilarghezza b del fascio ultrasonoro non focalizzato (quale è quello mostrato nelle figure appena presentate, prodotto alla distanza z dal pistone) si calcola secondo la relazione b = z tgθ (si faccia riferimento alla figura 5.14), che per angoli piccoli (inferiori a 15°) diviene b = z sinθ ≅ zθ. Ricordando che l’angolo di divergenza del fascio ultrasonoro, individuato in base al primo 29 Dall’osservazione della curva –6 dB è forse più evidente il suo andamento non monotono, per cui nella regione in prossimità di z = N il fascio presenta una sezione trasversale minima. 30 Jian-Yu Lu, Hehong Zou, James F. Greenleaf (1994) Biomedical Ultrasound Beam Forming. Ultrasound in Medicine and Biology, 20 (5).
270
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zero della funzione di Bessel, è θ = 1,22 λ /D, la larghezza del fascio ultrasonoro con riferimento al valore di attenuazione infinita diviene, in corrispondenza della fine del campo vicino, pari a 2b = 2,44zλ/D. L’ampiezza del fascio ultrasonoro in base alla definizione del FWHM (riferita alla pressione) è pari a 1,41zλ /D in campo lontano31, come risulta dalla tabella 5.2 per un valore di attenuazione di 6 dB, mentre diventa pari a D in campo vicino.
5.6 Focalizzazione dell’energia acustica: caratteri generali Nell’ottica geometrica il fuoco è un particolare punto dell’asse ottico ove una lente concentra i raggi luminosi che a essa pervengono paralleli tra loro da una distanza infinita32. Se i raggi provengono da una sorgente sufficientemente intensa, in quel punto vi è una concentrazione di energia così elevata da risultare in grado di bruciare ciò che si trova in esso ed è forse da questa circostanza che il termine “fuoco” trae origine; il concetto di fuoco è quindi connesso al concetto energetico di concentrazione dell’energia. Mentre nello studio dell’ottica geometrica il fuoco può interpretarsi anche a partire dalla geometria dei percorsi ottici (raggi), nel caso degli ultrasuoni è l’approccio energetico, più che quello geometrico, che interessa; perciò il fuoco viene meglio illustrato per mezzo di un indice che descriva la distribuzione dell’energia. In ambito ecotomografico è necessario disporre della maggiore quantità di energia ultrasonora, concentrata nel volume più piccolo possibile, perché da questo dipende la risoluzione spaziale del sistema, oltre che la sensibilità, come si chiarirà in seguito; si tratta cioè di munirsi di un utensile con la punta più fine possibile per riprodurre (descrivere) su un’immagine i dettagli dell’oggetto sottoposto a indagine. La possibilità di concentrare nel fuoco la maggior parte possibile dell’energia dipende dalle caratteristiche geometriche del sistema focalizzante e, poiché le dimensioni fisiche del fuoco dipendono a loro volta dalla lunghezza d’onda λ della radiazione che deve essere focalizzata (cioè il limite alla focalizzazione è fornito da tale lunghezza d’onda), la maggior parte dell’energia risulta concentrata entro un’area proporzionale al quadrato di essa. Dal punto di vista generale delle prestazioni di un qualsiasi sistema, ottico o acustico, il fuoco non è l’unico parametro di interesse. A tale proposito è più corretto prendere in considerazione la cosiddetta zona focale, cioè l’estensione spaziale entro la quale si può praticamente considerare che si manifestino le stesse proprietà del fuoco, cioè la concentrazione dell’energia entro un piccolo volume. L’estensione del fuoco, o macchia focale, su un piano normale all’asse ottico33 (asse z) è l’intervallo su tale piano nel quale la densità di energia non scende al di sotto di un prefissato valore; fuoco e macchia focale di-
31 32 33
T. Szabo (2004) Diagnostic Ultrasound Imaging. Elsevier Academic Press. Distanza infinita otticamente, cioè tale per cui i raggi pervengono tutti paralleli. Si ricorda che in ottica esso è l’asse di simmetria della lente.
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
271
pendono dalla geometria del sistema emittente e dalla lunghezza d’onda della radiazione. Per i trasduttori ultrasonori, il parametro utilizzato per descrivere tale geometria è il rapporto tra la distanza focale F e il diametro 2a dell’elemento emittente. Tale rapporto F/2a, diffusamente utilizzato anche in ottica, è chiamato f/number34 e viene indicato (solitamente) con i simboli f/ o f: . Affermare per esempio che una lente, o più generalmente un sistema emittente come nel caso in esame, ha un f/number f/4, significa che la distanza focale è pari a 4 volte il diametro effettivo D = 2a della lente, cioè quello interessato dalla radiazione emessa o ricevuta. Nell’ottica fotografica l’f/number di un obiettivo fornisce la misura della sua capacità di trasmissione della luce: minore è questo numero e maggiore è la quantità di luce raccolta e concentrata nell’immagine formata dall’obiettivo, perciò minore risulta il tempo di esposizione necessario, vale a dire il tempo di apertura dell’otturatore. Un obiettivo f/2 concentra una quantità di luce 4 volte maggiore di un obiettivo f/4 e 2 volte quella di un obiettivo f/2.8. Nelle macchine fotografiche, la sezione efficace del fascio luminoso che entra nell’obiettivo può essere variata per mezzo del diaframma posto davanti a esso che, di norma, viene calibrato in modo tale che, passando da un dato valore al successivo (per esempio da f/2 a f/2.8), l’area di passaggio della luce (a parità di distanza focale) e quindi la luce trasmessa all’obiettivo risultino dimezzate. Il significato di f/ è pertanto di natura energetica e allo stesso tempo consente di conoscere la geometria del fascio focalizzato e le caratteristiche del fuoco. Nella figura 5.20 è mostrato il cono di radiazione (in questo caso luminosa) che emerge da una lente nel caso esemplificativo di f/ pari a 1.1 (figura 5.20a) rispetto al caso di f/15 (figura 5.20b). Nel primo caso i raggi paralleli all’asse z (asse ottico della lente) che incidono sui bordi vengono deflessi verso il fuoco posto a distanza F di un angolo ψ (pari alla metà dell’angolo di apertura della lente), che è tanto maggiore quanto maggiore è il diametro della lente rispetto alla distanza focale F. Ciò significa che in un piano π ortogonale all’asse ottico, e passante per il fuoco, si raccoglie l’immagine molto nitida di un oggetto posto a distanza (teoricamente) infinita dalla lente. Se il piano π viene spostato dalla posizione focale lungo l’asse ottico, l’immagine dell’oggetto diviene sempre meno nitida (sfocata o fuori fuoco), come è evidenziato nella figura 5.20a. Si può accettare, tuttavia, di ritenere l’immagine soddisfacente dal punto di vista della nitidezza per piccoli spostamenti del piano π dal fuoco, dove la nitidezza è ottima. Si può cioè stabilire uno standard di accettabilità della riproduzione basato non su un criterio di perfezione assoluta, ma su un criterio di ragionevolmente buono, per il quale sono accettabili anche le immagini date da oggetti che giacciono leggermente avanti o dietro rispetto alla posizione di perfetta messa a fuoco dell’obiettivo, cioè le immagini che siano leggermente fuori fuoco. Quando il criterio di giudizio è quello di uno standard ragionevolmente buono (e non un
34
L’inverso di tale grandezza è detta apertura relativa.
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
Figura 5.20. Interpretazione geometrica del f/number: (a) f/number pari a f/1.1; (b) f/number pari a f/15. Il cono della radiazione luminosa ha angolo di apertura tanto maggiore (cioè i raggi luminosi subiscono a opera della lente una deflessione tanto più elevata) quanto maggiore è il rapporto D/2F = tg ψ, vale a dire quanto più è piccolo f/number. La profondità di fuoco, invece, migliora all’aumentare del f/number, cioè al diminuire dell’apertura relativa.
criterio di perfezione assoluta), le immagini verranno scartate se risultano inaccettabili dal punto di vista della nitidezza e della qualità. Se in riferimento alla figura 5.20 si accetta, con il predetto criterio di ragionevolezza, l’immagine come buona per uno spostamento del piano π tale che il fuoco divenga una macchia di determinato diametro (per esempio 0,1 mm), si osserva che tale spostamento del piano π sull’asse z è molto maggiore nel caso di f/15 che nel caso di f/1.1; a parte le formule che al riguardo vengono fornite nell’ottica fotografica, tale spostamento può essere ricavato in prima approssimazione con una costruzione geometrica. Lo spostamento del piano π – che può essere attuato fino a che, con il predetto criterio, può essere raccolta un’immagine accettabile – si chiama profondità di fuoco e viene indicata con DOF (Depth of focusing); questa è tanto maggiore quanto maggiore è il relativo f/number. Tornando all’esempio della macchina fotografica, si ricordi che per bassi f/number, corrispondenti a maggiori aperture del diaframma e a bassi tempi di esposizione, diminuisce la cosiddetta profondità di campo. L’apertura relativa non è l’unico parametro utile per caratterizzare la focalizzazione del trasduttore; infatti nella letteratura del settore si fa spesso riferimento a un altro indice, detto grado di focalizzazione (degree of focusing) e
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
273
indicato con γF , dato dal rapporto tra l’estensione del campo vicino D2/4λ (distanza di focalizzazione naturale) e la distanza focale F35 γF =
D 2 / 4λ F
[5.57]
dove la lunghezza d’onda λ è quella media della radiazione ultrasonora (si ricordi che la perturbazione non è monocromatica, bensì caratterizzata da una banda di frequenze). A parità di diametro D e lunghezza d’onda λ , il grado di focalizzazione del trasduttore è via via più ridotto all’aumentare di F, e viceversa. Come risulterà più evidente in seguito, ciò trova riscontro nella realtà fisica: laddove il fuoco venga posto in campo lontano sempre più distante dal trasduttore, gli effetti della diffrazione divengono preponderanti, rendendo la focalizzazione imposta sempre meno efficace. Per tale motivo, in alcune pubblicazioni scientifiche del settore si tende a caratterizzare la focalizzazione del campo come focalizzazione debole (per γF <6), intermedia (per 6<γF <20) oppure forte (per γF >20). Lo stesso criterio del ragionevolmente buono, introdotto precedentemente, viene utilizzato nel giudizio sulla focalizzazione di un raggio ultrasonoro36 quando il volume di confine dell’energia viene stabilito convenzionalmente oppure con curve di livello dell’intensità sonora a –3 dB o della pressione sonora a –6 dB. Il valore –3 dB è la misura del “ragionevolmente buono”, per cui si stima che la focalizzazione sia accettabile per tutti i punti dello spazio per i quali il valore dell’intensità ultrasonora è pari alla metà di quello massimo esistente lungo l’asse di propagazione z. Poiché a tale valore corrisponde il parametro FWHM, si può descrivere l’estensione laterale del fascio ultrasonoro tracciando la curva FWHM in funzione di z. L’effettiva risoluzione laterale37 è connessa alla dimensione della sezione retta della radiazione ultrasonora in direzione ortogonale all’asse di propagazione e quindi, in definitiva, proprio al valore del FWHM in corrispondenza del piano focale (a –3 dB o a –6 dB rispetto al valore massimo). La relazione tra FWHM, lunghezza d’onda λ e caratteristiche geometriche del trasduttore
35 Nel caso di trasduttore concavo, la distanza focale è sostituita dal raggio di curvatura R (non coincidente con essa) nella definizione del γF. 36 Analogamente a quanto avviene in ottica, si parla di raggio ultrasonoro quando le caratteristiche ondulatorie della radiazione possono essere considerate trascurabili. 37 I termini risoluzione laterale e potere risolutivo laterale sono utilizzati in questa sede come sinonimi, indicando la capacità del sistema di discriminare i dettagli dell’oggetto d’indagine lungo la direzione ortogonale all’asse di propagazione (si veda il par. 14.11.2 del primo volume). Nella letteratura scientifica del settore frequentemente si associa la risoluzione laterale alla distanza minima (nella direzione ortogonale all’asse di propagazione) che deve intercorrere tra due oggetti, considerati puntiformi, affinché essi siano sufficientemente “risolti” sul monitor dell’ecografo e cioè rappresentati come distinti. Va osservato che quest’ultima definizione, sia pure di pratica applicazione, coinvolge in realtà l’intero sistema ecotomografico (se non addirittura l’operatore che osserva l’immagine) e non solo la capacità di focalizzazione del fascio operata dal singolo trasduttore.
Fondamenti di Ingegneria Clinica
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· Ecotomografia
(f/number) risulta essere38, con riferimento a una curva di soglia per la pressione sonora di –6 dB, FWHM = 1, 41
λ
D
F = 1, 41 λ f /number =
1, 41 c f /number ν
[5.58]
– nella quale – ν e λ sono la frequenza e la lunghezza d’onda medie dell’impulso ultrasonoro39, nel caso di radiazione non monocromatica, e c è la velocità di propagazione del suono nel mezzo. La relazione [5.58] mostra che la FWHM diminuisce al diminuire della lunghezza d’onda λ e aumenta al diminuire dell’apertura relativa. Perciò il potere risolutivo laterale è tanto maggiore quanto più è alta la frequenza e quanto più è basso è il valore di f/number. Tuttavia, occorre tenere anche presente che l’incremento del potere risolutivo laterale comporta una diminuzione della profondità di fuoco. Infatti, per fasci ultrasonori fortemente focalizzati, la profondità di fuoco DOF si può porre pari a40
(
DOF = k ′ λ f / number
)
2
[5.59]
nella quale41 si considera k′ ≅ 7,1 per FWHM relativa a –3 dB e k′ ≅ 9,7 per FWHM relativa a –6 dB, risultando pertanto DOF ∝ FWHM. Applicando la relazione [5.58] per esempio nel caso di f/2 a 4MHz, per un fascio ultrasonoro trasmesso in acqua per cui risulta λ = 1480 ms–1/(4·106 Hz) = 0,37 mm, il FWHM nel piano focale risulta pari a 1,41·0,37·2 ≅ 1mm, ma la profondità di fuoco a –6dB calcolata con la relazione [5.59] vale 9,7·0,37·22 ≅ 14 mm. Un elevato potere risolutivo laterale, che implica un ridotto valore delle dimensioni laterali del fascio, limita la profondità di fuoco, a meno che non si possa realizzare una lunghezza focale variabile, che in effetti si realizza per via elettronica (come sarà illustrato nei capitoli successivi), ottenendo in tal modo risoluzioni elevate, con FWHM dell’ordine del millimetro, e contemporaneamente profondità di fuoco dell’ordine del centimetro. Tutto ciò premesso, le modalità attraverso le quali è possibile focalizzare un fascio ultrasonoro sono sostanzialmente tre. In particolare, si può operare mediante un piezoelemento di spessore costante e a superficie concava (cioè una porzione di sfera per la quale l’intersezione con un piano giacente sull’asse di propagazione è un cerchio), oppure per mezzo di lenti acustiche (ottenute con materiale nel quale la velocità di propagazione c sia diversa da quella nel mez-
38 J. Hunt, M. Arditi, S. Foster (1983) Ultrasound Transducers for Pulse-Echo Medical Imaging. IEEE Transactions on Biomedical Engineering, BME/30; 8. 39 Si ricorda che la trattazione svolta sin qui è basata sull’ipotesi di trasduttore piezoelettrico che oscilli sinusoidalmente alla pulsazione ω, ma essa è estendibile per il presente aspetto al caso di forme d’onda diverse, di cui si è fatto cenno all’inizio del capitolo. 40 J. Hunt, M. Arditi, S. Foster (1983) Ultrasound Transducers for pulse-Echo Medical Imaging. IEEE Transactions on Biomedical Engineering, BME/30; 8. 41 Si tornerà su tale relazione più avanti.
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
275
Figura 5.21. Elemento piezoelettrico sferico (autofocalizzante) (a) Schema e grandezze caratteristiche. (b) Foto al vero.
zo di indagine). Inoltre si possono impiegare sonde composte non da un singolo piezoelemento ma da una schiera di piezoelementi che vengono eccitati in sequenza, in modo che le radiazioni emesse in tempi diversi giungano in fase (dando luogo a interferenza costruttiva) nella zona prescelta come fuoco, che in tal modo può essere reso variabile lungo la direzione di propagazione. Nel presente capitolo vengono esaminate le prime due modalità, mentre l’impiego dell’eccitazione in sequenza di una schiera di trasduttori è oggetto del capitolo 8, nel quale saranno illustrate le sonde a schiera.
5.6.1 Metodo che utilizza la geometria del piezoelemento Il metodo che utilizza la geometria del piezoelemento concavo è detto autofocalizzante o a focalizzazione interna. Il principio sul quale si fonda è illustrato nelle figure 5.21 e 5.22.
Figura 5.22. Grandezze caratteristiche del trasduttore ultrasonoro autofocalizzante.
Fondamenti di Ingegneria Clinica
276
· Ecotomografia
L’emettitore concavo, rappresentato nella figura 5.21 insieme al parametro caratteristico h, al diametro 2a e al raggio di curvatura R, è un concentratore naturale in quanto, così foggiato, oscillando rispetto alla posizione di riposo emette onde ultrasonore che si concentrano in un fuoco F, a prescindere dagli effetti diffrattivi. Per condurre l’analisi del campo prodotto dal trasduttore sferico – se si considera la relazione analoga alla [5.14] utilizzata per il trasduttore piano e, per semplicità, si limita l’indagine all’andamento del campo lungo l’asse z – si può dimostrare42 che la relazione [5.14] diviene p (z, t) = j ρcu 0 P(z)e
j ⎡⎣ω t − k M ( z )⎤⎦
[5.60]
ove si è posto M(z)=(B+z)/2. L’approssimazione [5.60] è valida per trasduttori caratterizzati da dimensioni molto maggiori della lunghezza d’onda e molto minori del raggio di curvatura, vale a dire nei casi in cui h<
[5.61]
nella quale si è posto E (z) =
2 1− z/R
[5.62]
con B=
( z − h) + a 2
2
[5.63]
Il termine E(z) tiene conto dell’inverso della distanza R-z del punto in considerazione dal centro di curvatura del trasduttore e, quindi, della differente concentrazione del campo per il trasduttore di raggio R rispetto a uno di raggio z. Esso fornisce perciò il contributo della curvatura del trasduttore alla concentrazione di energia, in aggiunta alla focalizzazione naturale data dall’apertura del trasduttore. Giova osservare che, nel caso di R→∞ e quindi h→0, nella [5.61] l’argomento della funzione seno si riduce a quello della [5.15], valida per un trasduttore piano. 42 Per tutta la trattazione che segue si può fare riferimento a H.T. O’Neil (1949) Theory of focusing radiators. J Ac Soc Am 21; 5.
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
277
I diagrammi della figura 5.23 illustrano gli andamenti della funzione P(z) confrontati con quelli del trasduttore piano di pari apertura, per due diversi valori del raggio di curvatura R del trasduttore concavo. Essi sono importanti ai fini della progettazione di trasduttori sferici, ponendo a confronto i due parametri fondamentali: apertura 2a e raggio di curvatura R. Dall’analisi dell’andamento della pressione sull’asse derivano due importanti considerazioni. La prima è che una focalizzazione efficiente, una volta fissate la frequenza e l’apertura del trasduttore, si ottiene posizionando il centro di curvatura del trasduttore stesso entro la zona di campo vicino (come mostrato nella figura 5.23a). Infatti, come si riconosce nella figura 5.23b, il centro di curvatura posto in campo lontano implica una minore concentrazione dell’energia, che è testimoniata dal più basso livello di ampiezza massima nel fuoco rispetto al caso precedente, e una collocazione del fuoco comunque in campo vicino. Ciò significa che, dove il campo diverge a causa della diffrazione, la curvatura del trasduttore non è sufficiente per contrastare tale effetto e per concentrare l’energia in una zona ristretta. La seconda osservazione riguarda il fatto che il centro di curvatura C e il fuoco F, in cui si localizza il massimo valore del campo, non coincidono e sono tanto più distanti quanto più si tenta di focalizzare lontano dal trasduttore mediante l’incremento del raggio di curvatura (come nella figura 5.23b), risultando sempre la lunghezza focale mino-
Figura 5.23. Campo di pressione sonora relativa P(z) e inviluppo dei massimi per il trasduttore sferico di apertura 2a = 2cm a frequenza pari a 3 MHz in acqua (c = 1480 m/s). In blu sono rappresentati l’andamento del modulo di P(z) (linea continua) e dell’inviluppo E(z) (linea tratteggiata); in rosso è rappresentato l’inviluppo dei massimi per il trasduttore piano di pari apertura, per il quale la profondità di campo vicino è a2/λ = 0,2 m. La distanza z sull’asse è normalizzata con il raggio di curvatura, per cui il valore 1 sull’asse delle ascisse è relativo al centro di curvatura in corrispondenza del quale l’inviluppo E(z) diverge a infinito. In (a) il raggio di curvatura è R = 0,1 m, perciò il centro di curvatura cade all’interno della zona di transizione. In (b) il raggio R è pari a 0,3 m, dunque il centro di curvatura cade al di fuori della zona di transizione.
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· Ecotomografia
re del raggio di curvatura R. Tali circostanze si manifestano poiché, avvicinandosi al trasduttore si verifica la sovrapposizione degli effetti della focalizzazione naturale e di quella dovuta alla curvatura. Infatti, nella zona di campo vicino, i massimi della curva inviluppo |p(z)|piano relativa al trasduttore piano possono essere amplificati dal massimo della funzione E(z), mentre in campo lontano, dopo l’ultimo massimo, gli effetti della diffrazione si oppongono a quelli dovuti alla curvatura e la distanza tra fuoco e centro di curvatura aumenta indefinitamente. Nell’ipotesi kh >>1, la distanza focale F e il corrispondente valore della funzione P(z), definita dalla relazione [5.61], risultano pari a F≅R−
12 R k h + 12 2
2
Pz=F ≅ k h +
12 kh
[5.64]
Per quanto attiene alle proprietà di concentrazione dell’energia ultrasonora, si può dimostrare43 che il rapporto tra l’intensità IC della radiazione, che si raccoglie nel centro di curvatura C, e quella I0 , emessa in corrispondenza della superficie sferica, è
( )
IC = kh I0
2
[5.65]
essendo k = 2π/λ il numero d’onda e h il parametro geometrico già citato. Il rapporto IC / I0 può quindi essere scelto molto grande, poiché a parità di lunghezza d’onda esso dipende solo da h. Per disporre di un ordine di grandezza, si consideri che per una sonda avente un trasduttore piezoelettrico caratterizzato da h = 0,45 mm e frequenza centrale di circa 6 MHz si ottiene IC ≅ 11 I0. La focalizzazione interna, rispetto a quella effettuata con lenti acustiche, ha il grande vantaggio di non essere dissipativa44, oltre che mantenere costanti le prestazioni, dal momento che le caratteristiche meccaniche non variano, per l’assenza sia di usura sia di riscaldamento. Le sonde monoelemento a focalizzazione interna sono ancora utilizzate in alcune applicazioni, come esami ecografici addominali e oftalmici, durante i quali il piezoelemento compie una scansione dei distretti anatomici pilotato da un idoneo motore.
5.6.2 Focalizzazione mediante lenti acustiche Il fenomeno della rifrazione, che si verifica nel passaggio della radiazione da un mezzo a un altro, viene utilizzato per la costruzione di lenti acustiche. Ricordando quanto visto nel capitolo 4, si può richiamare il caso di un fascio ultrasonoro che si propaga in aria e attraversa la superficie di separazio43
Si può consultare, per esempio, P.N.T Wells (1977) Biomedical Ultrasonics. American Press. Infatti le lenti sottopongono a ulteriore assorbimento (mediamente di qualche decibel) tanto gli impulsi ultrasonori trasmessi quanto gli echi ricevuti. 44
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
279
Figura 5.24. Comportamento di lenti acustiche convesse e concave per diversi accoppiamenti lente-mezzo. (a, b) L’onda ultrasonora attraversa una lente in gomma di silicone (ci = 1000 m/s) e si trasmette all’interno di un tessuto biologico (ct = 1540 m/s): dunque la lente convessa in (a) è convergente e la lente concava in (b) è divergente, come avviene nel caso dell’ottica geometrica. (c, d) L’onda ultrasonora attraversa una lente in poliuretano (ci = 2000 m/s) e si trasmette nel tessuto biologico (ct = 1540 m/s): pertanto la lente convessa in (c) è divergente e la lente concava in (d) è convergente.
ne tra aria e acqua (nelle quali le velocità di propagazione del suono sono rispettivamente ci = 330 m/s e ct = 1480 m/s); in tale caso si verifica cict e quindi è θi>θt. Nella figura 5.24 si può osservare, adottando il linguaggio dell’ottica geometrica, il comportamento di lenti convergenti e divergenti al variare del materiale di cui sono costituite e in relazione al mezzo in cui sono immerse. La lente piano-convessa devia il fascio ultrasonoro verso l’asse ottico (cioè si comporta da lente convergente come farebbe nel caso di trasmissione della luce nel vuoto o in aria, per la quale tutte le lenti piano convesse sono convergenti) se la velocità di propagazione c1 del suono all’interno del materiale di cui essa è
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· Ecotomografia
costituita è minore di quella c2 all’interno del mezzo a valle di essa, ove viaggia il fascio trasmesso. È il caso c ic t per cui è θi >θt , e quindi la lente piano convessa si comporta come divergente (e l’onda trasmessa si allontana dall’asse ottico), mentre la lente piano concava si comporta come lente convergente e devia il fascio trasmesso verso l’asse ottico. Questi esempi dimostrano che, nel caso delle radiazioni ultrasonore, si possono costruire lenti convergenti o divergenti, utilizzando geometrie piano concave o piano convesse e scegliendo opportunamente i valori della velocità di propagazione dell’onda ultrasonora, e dunque il materiale di cui è costruita la lente, in relazione alla velocità nel mezzo in cui si propaga la radiazione incidente. Pertanto, a differenza di quelle ottiche, le lenti acustiche possono essere convergenti o divergenti indipendentemente dal fatto che siano concave o convesse. Le lenti acustiche per le applicazioni ultrasonore sono fabbricate in generale con materiali plastici o con gomme. Nei primi la velocità del suono è solitamente superiore a quella nell’acqua, mentre nelle gomme la velocità è di norma inferiore. In particolare, se viene scelto un materiale nel quale la velocità di propagazione è minore di quella che la radiazione ha nell’acqua (si rammenti che i tessuti biologici hanno un elevato contenuto d’acqua), le lenti acustiche si comportano come nel caso della radiazione luminosa e possono quindi avere lenti convergenti convesse, come di fatto si verifica nella costruzione di sonde a schiera di cristalli. Nel caso di trasduttori focalizzati tramite lenti acustiche, l’espressione approssimata mediante la quale si calcola l’andamento della pressione acustica sull’asse è identica a quella trattata per il trasduttore concavo, avendo cura di sostituire al raggio di curvatura R del trasduttore, il raggio equivalente R 0 =–R L /(μ–1), ove RL è il raggio della lente, μ = c tessuto /c lente è pari al rapporto tra la velocità di propagazione del suono nel tessuto biologico e quella all’interno del materiale di costruzione della lente, mentre il segno negativo si riferisce al caso di lente piano concava (cioè al caso μ <1), valendo il segno positivo per lente convessa. Pertanto, in analogia alla relazione [5.60] e con riferimento alla figura 5.22, vale la seguente espressione approssimata per l’andamento del campo pressorio lungo l’asse ⎡ 2 ⎢ p (z) = j ρ cu 0 sin ⎢k ⎣ 1 − z / R0
(z − h ) + a 2
2
2
2 ⎤ 2 ⎤ ⎡ − z ⎥ j ⎢⎢ω t − k (z−h) +a + z ⎥⎥ ⎣ ⎦ 2 ⎥⎦ e
[5.66]
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
281
Così come per il trasduttore piano, il modulo della perturbazione fornisce l’inviluppo dei massimi che si verificano in corrispondenza dei punti dell’asse per i quali l’argomento della funzione seno è pari a π/2. Senza entrare in ulteriori dettagli, si vuole qui sottolineare come l’ultimo massimo, corrispondente al fuoco F, si verifichi per ascisse di valore z
RL 0, 04 ≅ 0, 06 m = μ − 1 1540 / 900 − 1
(
)
[5.67]
Un trasduttore concavo di raggio R0 ha la stessa capacità di focalizzare di un trasduttore piano che operi con una lente acustica convessa di pari raggio (RL = R0), per la quale si abbia μ–1 = 1 (cioè per la quale ctessuto = 2clente e perciò clente = 770 m/s se si assume ctessuto = 1540 m/s). In pratica, le lenti convesse che si utilizzano nei moderni trasduttori vengono realizzate con materiali per cui clente ≅ 900 m/s e con rapporti R0/RL pari a circa 1,4. Una lente acustica per la quale clente
5.6.3 Caratteristiche geometriche del fascio focalizzato Per caratterizzare la forma e le dimensioni del fascio di ultrasuoni generato dal trasduttore concavo, è necessario introdurre una serie di schematizzazioni assai utili per lo studio e il primo dimensionamento delle sonde ultrasonore. Si osservi preliminarmente il diagramma del campo pressorio (normalizzato al massimo assoluto lungo l’asse) della figura 5.25; la maggior parte dell’energia acustica si concentra entro uno spazio delimitato da curve dal carat-
Ricordando che per il trasduttore concavo è γF = D2/4λR, mentre per la lente è γF = D2/4λR0, se si assume per i raggi di curvatura del trasduttore e della lente il comune valore RL, si ha γFconcavo = D2/4λRL e γFlente = D2(μ–1)/4λRL , il che implica γFlente<γFconcavo e Flente>Fconcavo . 46 Intendendo con ciò l’assemblato del cristallo piezoelettrico e della lente convessa. 45
282
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· Ecotomografia
Figura 5.25. Campo ultrasonoro generato da un trasduttore sferico caratterizzato da D/ λ = 6: pressione sonora massima su un piano passante per l’asse e curve isolivello della pressione massima; a zone più chiare nell’immagine corrispondono pressioni maggiori; i valori di pressione sono normalizzati con il massimo assoluto sull’asse (che si verifica in corrispondenza del fuoco F). Il disegno non è in scala e la distanza tra il fuoco e il centro di curvatura è stata amplificata.
teristico aspetto ellissoidale, che, nel caso riportato, costituiscono le isolivello a –3 dB, –6 dB, –12 dB e –20 dB, analoghe a quelle della figura 5.18. Poiché il fuoco è per definizione il punto in cui si verifica la maggiore densità di energia, e nel quale è quindi massima la pressione acustica, è utile individuare la zona focale come l’insieme dei punti dello spazio in cui l’intensità è maggiore di un valore prefissato, per esempio di quello corrispondente alla FWHM rispetto ai valori assunti sull’asse di propagazione. Ciò nella pratica si traduce nell’associare convenzionalmente al fuoco un vero e proprio volume focale, delimitato dalla superficie generata dalla rivoluzione attorno all’asse z della curva isolivello a –3 dB rispetto al valore massimo. L’osservazione delle curve isolivello riportate nella figura 5.25 consente di comprendere il motivo per cui si è soliti schematizzare il volume focale come la porzione di spazio racchiusa da un ellissoide di rotazione S il cui diametro maggiore DZ (asse di rivoluzione) giace sull’asse z. L’ellissoide è individuato dall’intersezione della superficie isolivello di riferimento (isolivello a –3 dB) con l’asse z e con gli assi x e y definenti un piano π ortogonale a esso, per cui risulta delimitato in tale piano dai diametri principali DX e DY. Si noti che la figura 5.25 illustra il caso di focalizzazione inefficiente (come si deduce dalla posizione del centro di curvatura C rispetto alla profondità di campo vicino N); nel caso di focalizzazione efficiente, e al diminuire del raggio di curvatura, il fuoco F tende a collocarsi in posizione centrale all’interno dell’ellissoide. Nella figura 5.26 è illustrato il volume focale relativo a un trasduttore concavo, del quale sono riportate le quote rappresentative.
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
283
Figura 5.26. Rappresentazione schematica del volume focale per mezzo di un ellissoide di assi D X, D Y e D Z.
La precedente schematizzazione rende immediato e agevole il calcolo del volume focale in prima approssimazione, ma va ricordato che nella realtà fisica la zona focale occupa volumi irregolari, che solo nei casi più semplici (per esempio nel caso appena descritto di trasduttori sferici) assumono la forma di ellissoidi, deformati in modo più o meno accentuato. Un ulteriore esempio è mostrato nella figura 5.27, nella quale è illustrata una ricostruzione tridimen-
Figura 5.27. Campo ultrasonoro generato da una sonda elettronica lineare caratterizzata da l/λ = 20 e da lunghezza complessiva dell’array di circa 5 cm: ricostruzione tridimensionale della zona focale a partire da mappe di pressione massima nel piano xy a varie distanze lungo l’asse z. A zone più chiare corrispondono pressioni maggiori. Sono riportate in nero le curve isolivello a –3 dB delimitanti il fuoco e le tracce del cono di divergenza e del cilindro proiezione del trasduttore. Misure condotte per mezzo di idrofono ad ago presso il Laboratorio di Misure Meccaniche della Facoltà d’Ingegneria, Università di Roma “La Sapienza”.
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· Ecotomografia
sionale della zona focale a partire da mappe di pressione ottenute sperimentalmente a varie distanze lungo l’asse di un trasduttore lineare a schiera47. Nonostante non sia possibile calcolare per via analitica l’estensione della zona focale, si può tuttavia, come mostrato nella figura 5.25, tracciarne i limiti teorici mediante la soluzione numerica dell’equazione di Rayleigh-Sommerfeld, mentre la sua individuazione sperimentale deriva da misure analoghe a quella presentata nella figura 5.27. Si può perciò ottenere comunque un’interpretazione geometrica dei punti fiduciari precedentemente introdotti osservando la figura 5.28, che si riferisce a un trasduttore autofocalizzante, nella quale sono indicati l’angolo di divergenza del fascio ultrasonoro di apertura generica Θα, utile per l’individuazione della risoluzione laterale, e le grandezze descrittive della profondità di campo. Indipendentemente dal fatto che il piezoelemento sia curvato o no, il cono di diffrazione (di apertura Θα) è tanto più piccolo quanto maggiore è il diametro D, e viceversa. Pertanto, se si vuole focalizzare efficacemente, la divergenza imposta dalla diffrazione può essere contrastata realizzando trasduttori di diametro D per quanto possibile elevato e curvando il trasduttore per far convergere in un punto l’energia associata al campo in modo che l’effetto della curvatura prevalga su quello della diffrazione. Nel caso di trasduttore autofocalizzante 48 le dimensioni trasversali del fascio nella regione focale sono individuabili graficamente dall’intersezione del cono di diffrazione di ampiezza Θα con quello individuato dalla focalizzazione geometrica imposta dalla curvatura del trasduttore; tale curvatura è caratterizzata dall’angolo di apertura Θg (che per il trasduttore piano risulta nulla) poiché, in virtù di quanto stabilito riguardo la focalizzazione efficiente, quando il raggio R di curvatura viene scelto piccolo esso tende a coincidere con la distanza focale effettiva F. Ciò è illustrato nella figura 5.28a, dove è riportato l’andamento della pressione P(Θ, z)in corrispondenza del piano focale ed è individuata l’ampiezza laterale del fascio per un valore generico di attenuazione α espresso in decibel. Dall’analisi della figura risulta evidente che l’ampiezza del fascio in corrispondenza della zona focale, e di conseguenza il potere risolutivo laterale del trasduttore, dipende essenzialmente dalla divergenza Θα prodotta dalla diffrazione; per un generico angolo fiduciario Θα si ricava da considerazioni geometriche l’ampiezza del fascio in corrispondenza del fuoco effettivo D y = D x = 2F tg
Θα
2
≅
⎛ k λ⎞ 2F Θ α = F ⎜ α ⎟ = k α λ f/number 2 ⎝ D ⎠
[5.68]
nella quale i due diametri D y e Dx si riferiscono alla soglia di attenuazione stabilita per delimitare il volume focale, che non è necessariamente pari a 3 dB. 47
Si tratta del cosiddetto linear array, che verrà illustrato nel capitolo 8. Come già specificato, si ottiene una focalizzazione efficiente ponendo il centro di curvatura del trasduttore in campo vicino; minore è il raggio di curvatura, migliore è il grado di focalizzazione e minore è la distanza tra C e il fuoco F. 48
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
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Figura 5.28. Individuazione della zona focale per un trasduttore circolare autofocalizzante di apertura 2a e raggio di curvatura R
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Con analoghe considerazioni geometriche è possibile stimare la profondità di campo, considerata come l’estensione del volume focale lungo l’asse z. Si considerino in questo caso (con riferimento alla figura 5.28b) i coni di apertura Θg e Θ12dB e si ricordi che il secondo si riferisce a un’attenuazione di 12 dB rispetto al massimo sull’asse per ogni ascissa z. La prima intersezione tra i due coni (proiettata al solito su un piano passante per l’asse) individua il punto di inizio della zona focale, posto a distanza L1dB– dal fuoco F, corrispondente a un’attenuazione rispetto a esso di 1dB, mentre la seconda intersezione individua il punto a distanza L1dB+ , che può considerarsi il punto terminale della zona focale sull’asse; essa va intesa in questo caso come l’intervallo sull’asse all’interno del quale l’attenuazione sia inferiore a 1dB rispetto al massimo assoluto nel fuoco. Se si sceglie, come soglia di attenuazione lungo l’asse, un valore di α (dB), verranno individuati i punti fiduciari a distanza Lα+ e Lα–, che possono essere messi in relazione con un cono di apertura Θ′α. Come si osserva nella figura 5.28b, in cui è riportata la profondità di campo per la soglia a 1dB e per la soglia generica ad α (dB), per tali intersezioni si può porre L α − tg
Θg
2
(
)
= F − L α − tg
Θ′α
2
L α + tg
Θg
2
(
)
= F + L α+ tg
Θ′α
2
[5.69]
mentre dal fatto che tg Θg/2 = a/F, e ricordando che per angoli piccoli (Θ′α<15°) si può porre tgΘ′α ≅ Θ′α , si deduce che è L α− ≅
Fh α Θ1′ dB 2a + h α Θ1′ dB F
L α+ ≅
Fh α Θ1′ dB 2a − h α Θ1′ dB F
[5.70]
dove figura il coefficiente hα, pari al rapporto tra le aperture Θ′α e Θ′1dB dei coni relativi a un’attenuazione lungo l’asse di α (dB) e 1 dB rispettivamente. Poiché si è già stabilito che il cono di apertura Θ12dB, sulle cui falde la pressione si è attenuata di 12 dB rispetto al valore sull’asse, è quello per il quale la pressione si attenua (rispetto al fuoco) al massimo di 1 dB lungo l’asse all’interno delle due intersezioni descritte, per cui Θ′1dB = Θ12dB, si può porre, con i valori della tabella 5.2, Θ′α = hα2λ/D e perciò la profondità di campo risulta DOF = L α − + L α + ≅
4h α λ F 2 D 2 D 4 − 4h 2α λ 2 F 2
[5.71]
Tale relazione consente di ottenere la profondità di fuoco (DOF) al variare dell’attenuazione dell’intensità lungo la direzione z di propagazione del fascio ultrasonoro; alcuni valori del coefficiente hα sono riportati nella tabella 5.3 49. 49 Per maggiori dettagli si rimanda a B. Angelsen (2000) Ultrasound Imaging I. Emantec, Trondheim, Norway.
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
287
Tabella 5.3. Coefficiente hα per diverse attenuazioni della pressione massima lungo l’asse rispetto alla pressione massima nel fuoco Attenuazione α (dB)
–1
–2
–3
–4
hα
1
1,5
1,8
2
Volendo fornire un’espressione per il calcolo approssimato della DOF in condizioni pratiche, è necessario effettuare alcune considerazioni in merito all’ordine di grandezza delle dimensioni reali e ad alcuni parametri caratteristici di una sonda ecografica, costituita da un unico piezoelemento circolare. In tale caso, valori tipici sono: a = 10 mm per l’apertura, F ≅ R = 50 mm per la distanza focale e λ = 0,3 mm per la lunghezza d’onda, corrispondente nei tessuti a una frequenza di 5 MHz. In queste condizioni si ha un valore di f/number pari a 2.5 e inoltre risulta D 4 4 h α2 λ 2 F 2
[5.72]
per cui la relazione [5.71] si può riscrivere come DOF ≅
4 h α λ F2 D
2
2
⎛ F⎞ = 4 h α λ ⎜ ⎟ = 4 h α λ f /number ⎝ D⎠
(
)
2
[5.73]
nell’esempio considerato, relativo a un’attenuazione di 3 dB, la profondità di fuoco è pari a DOF ≅ 4·1,8·0,3·(2,5)2 = 13,5 mm, valore ovviamente analogo a quello precedentemente stabilito considerando l’estensione laterale della macchia focale in termini di FWHM. Le relazioni precedenti e la figura 5.28 si riferiscono al caso di focalizzazione efficiente, nella quale il fuoco effettivo F e il centro di curvatura C coincidono. Nel caso più generale, un confronto tra i due angoli Θα e Θg , che descrivono la divergenza dovuta a diffrazione e quella dovuta a focalizzazione geometrica50, è espresso dal parametro SF , detto parametro di Fresnel, pari all’inverso del grado di focalizzazione γF e perciò pari al rapporto tra il raggio di curvatura e la profondità di campo vicino N = D 2 /4 λ , ossia SF =
R 2
D / 4λ
=
R 2λ Θ ≅ 2 12 dB D/ 2 D Θg
[5.74]
Come si osserva nella figura 5.29, per ottenere una focalizzazione efficiente deve prevalere la focalizzazione geometrica rispetto alla divergenza derivante dalla diffrazione; quindi deve essere (almeno) Θ12dB<<Θg, vale a dire SF<<1.
50 Si noti che dopo la zona focale si ha la seconda falda del cono di focalizzazione geometrica e dunque la focalizzazione si può descrivere paradossalmente anche come divergenza.
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La relazione [5.74] può essere riscritta in termini di f/number e di rapporto D/λ come SF =
f/number geometrico R 2λ =4 D/ 2 D D/ λ
[5.75]
dalla quale si nota che la scelta di considerare valori di f/number tali per cui SF >1 implica rendere Θg<Θ12dB , il che non ha senso poiché gli effetti della diffrazione prevarrebbero su quelli della focalizzazione51. Riprendendo la relazione [5.68], che più esplicitamente si riferisce all’estensione laterale della zona ad alta densità energetica, e ricordando le considerazioni svolte nell’illustrare la figura 5.23, si deduce l’impossibilità di focalizzare un fascio oltre un certo limite, dipendente dalla lunghezza d’onda, a causa del fenomeno della diffrazione. Stabilita una distanza focale desiderata, il progettista è costretto a realizzare trasduttori grandi (aumentando il diametro D), tanto più quanto più elevata è la lunghezza d’onda, e con un raggio di curvatura piccolo, tanto più piccolo quanto maggiore è la lunghezza d’onda. Un limite all’aumento della frequenza, che consentirebbe di ottenere profondità maggiori di campo vicino (zona di focalizzazione naturale) anche per trasduttori di diametro non eccessivo (e dunque di poter utilizzare trasduttori a curvatura minore, a parità di distanza focale e intensità di fuoco desiderate), è costituito dal fatto che, come già osservato, le frequenze più alte vengono attenuate dai tessuti in maggior misura, ciò comporta che quanto guadagnato dal punto di vista della diffrazione venga perduto per effetto della dissipazione. Un esempio significativo riguardo i vincoli appena illustrati è rappresentato dall’utilizzo degli ultrasuoni per diagnosi cardiologiche. In questo caso, il trasduttore deve avere un diametro non superiore a un paio di centimetri, per essere posizionato in corrispondenza di uno spazio intercostale; inoltre, dato che l’analisi cardiologica necessita di una profondità di penetrazione 52 (o profondità di massima visualizzazione) dell’ordine della decina di centimetri, la frequenza centrale dell’onda ultrasonora deve essere in genere contenuta tra 2 e 3,5 MHz, poiché frequenze maggiori non permettono la trasmissione di un fascio di energia sufficiente per tali profondità. Pertanto risulta plausibile una scelta dei parametri di progetto per cui f = 2,5 MHz, 2a = 0,02 m e F = 0,1m. Assumendo come velocità del suono nel tessuto un valore di 1500 m/s, ciò implica che i valori di f/number e di dimensione laterale teorica del fascio ultrasonoro nel fuoco risultino rispettivamente: f/number = F/2a = 0,1m/0,02 m = 5 e Dx = Dy≅ k3dB(f/number)c/f = 1·5·1500 m/s/(2,5·106 Hz) = 3 mm.
51 Ponendo attenzione alla costruzione geometrica, ciò equivarrebbe a spostare all’infinito la regione focale, poiché al crescere del f/number, Θ12dB tende a Θg e i due coni avrebbero le falde parallele o, peggio, divergenti e quindi tali da non intersecarsi mai. 52 Tale grandezza, illustrata nel capitolo 7, è legata alla distanza focale F ma non coincide con essa.
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
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Figura 5.29. Individuazione della zona focale per trasduttori circolari piano e autofocalizzante di pari apertura 2a. (a) Trasduttore circolare piano e punti fiduciari delle zone del campo: in evidenza la zona di focalizzazione naturale. (b) Esempio di focalizzazione inefficiente: il centro di curvatura C, o fuoco geometrico, è posto al di fuori del campo vicino, il che implica che il cono di focalizzazione geometrica abbia apertura Θg minore dell’angolo di diffrazione Θ12dB, perciò il fuoco effettivo F risulta distante da esso e con una minore densità di energia. (c) Fascio focalizzato efficacemente: il raggio R di curvatura, o distanza focale geometrica Fg, è minore della profondità di campo vicino N, per cui l’apertura geometrica Θg è più ampia di quella di diffrazione Θ12dB; il centro C risulta posto in prossimità del fuoco effettivo, in corrispondenza del quale si verifica una soddisfacente densità di energia. Modificata da B. Angelsen (2000) Ultrasound Imaging I. Emantec, Trondheim, Norway.
Il trasduttore descritto possiede quindi, almeno teoricamente, un potere risolutivo laterale nel fuoco pari a 3 mm, ottenuto con un f/number uguale a 5. Nel seguito sono riportati esempi di rappresentazione del campo acustico generato da un trasduttore circolare focalizzato. Analogamente al caso di trasduttore piano, il campo di pressione relativo a fascio focalizzato (in particolare mediante concavità del trasduttore) può es-
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
Figura 5.30. Campo ultrasonoro generato da un trasduttore sferico caratterizzato da D/λ = 6. (a) Pressione sonora massima su un piano perpendicolare al piano del trasduttore e passante per il suo centro, nonché curve isolivello della pressione massima. A zone più chiare nell’immagine corrispondono pressioni maggiori; sono evidenziati il fuoco F, il centro di curvatura C e i coni di divergenza; i valori di pressione per i punti più vicini al trasduttore (z
sere normalizzato non rispetto al massimo assoluto sull’asse, che si verifica nel fuoco F, ma rispetto ai massimi sull’asse p(0,z) relativi all’ascissa z. Tale campo normalizzato è riportato nella figura 5.30a, nella quale è messo a confronto con il campo relativo al trasduttore piano, già illustrato nella figura 5.19 e ripreso per chiarezza nella trattazione. Si può osservare dalla figura come il campo focalizzato presenti un massimo più spostato verso il pistone e un angolo di divergenza maggiore; ciò nonostante, in vicinanza del massimo la dimensione laterale del fascio risulta inferiore a quella determinata nel caso di
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
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Figura 5.31. Campo ultrasonoro generato da un trasduttore piano circolare. Sul piano passante per l’asse sono riportati il campo di pressione sonora e le isolivello della pressione massima normalizzate rispetto al massimo sull’asse. Sui piani perpendicolari all’asse sono riportate le mappe di pressione massima in scala di grigi, mentre l’analogo andamento in funzione della distanza dall’asse z è riportato in verde. Si ricordi la simmetria del sistema e che l’angolo θ è l’angolo tra il vettore posizione del generico punto e l’asse del pistone.
un cristallo non focalizzato. A dimostrazione del fatto che le quantità precedentemente introdotte rappresentano in modo diverso la medesima realtà fisica, nella figura 5.31 ne vengono riassunti i principali andamenti in differenti sezioni del campo ultrasonoro generato dal pistone.
5.7 Campo ultrasonoro di un piezoelemento alimentato con eccitazione pulsata A differenza di quanto esposto con riferimento a un’oscillazione sinusoidale permanente, quando la superficie del cristallo emittente oscilla in modo non continuo, ciascun punto di essa genera un numero finito di oscillazioni che si propagano nel mezzo. Pertanto, per determinare il campo di pressione generato nello spazio, non è più sufficiente considerare la differenza di cammino percorsa dalla perturbazione acustica, ma sarà necessario considerare anche i tempi con cui la perturbazione è generata, e quindi la sua presenza o meno in un punto dello spazio in un ben determinato istante. Se per esempio due sorgenti S1 e S2 , distinte e idealmente puntiformi, danno luogo contemporaneamente e in fase a due distinte onde di pressione, que-
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· Ecotomografia
Figura 5.32. Propagazione di perturbazioni intermittenti. (a) Due impulsi di Dirac giungono in fase solo in punti A appartenenti all’asse di simmetria. (b) Due pulsazioni di durata finita nel tempo (ed estensione finita nello spazio) giungono in fase in punti A appartenenti all’asse, ma interferiscono non solo in tali punti ma in un’intera zona, dando luogo a una perturbazione risultante di diversa intensità vicino all’asse.
ste interferiscono solo in corrispondenza dei punti dello spazio equidistanti dalle due sorgenti, poiché solo in tali punti si verifica il transito contemporaneo delle perturbazioni pressorie generate dalle sorgenti. Immaginando di rappresentare i fenomeni sopra descritti in un piano contenente le due sorgenti, l’interferenza tra le due perturbazioni si verifica solo in corrispondenza dell’asse di simmetria del segmento congiungente le due sorgenti, mentre in punti del piano non appartenenti a tale asse le due perturbazioni acustiche transitano in tempi diversi. Nella figura 5.32 sono illustrate le due sorgenti S1 e S2 e la corrispondente zona di interferenza. Nel caso della figura 5.32a la perturbazione acustica relativa a ciascuna sorgente è costituita da un fronte d’onda sferico ideale (cioè di spessore nullo, il che significa che la perturbazione è rappresentata da un delta di Dirac temporale che si propaga nello spazio) e l’interferenza si verifica solo in punti del piano appartenenti all’asse di simmetria tra le due sorgenti. Inoltre, l’interferenza sarà sempre costruttiva, in quanto le perturbazioni risultano essere in fase53 per ipotesi. Nella figura 5.32b è illustrato il caso più realistico in cui la perturbazione sonora generata da ciascuna sorgente è caratterizzata da uno spessore finito (è cioè rappresentata da una forma d’onda con una certa durata nel tempo, e di 53 Si ammette che anche le sorgenti S e S oscillino in fase come si verifica nel caso del pistone, che 1 2 tuttavia è ideale.
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
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conseguenza nello spazio) per cui è possibile identificare in corrispondenza dell’asse di simmetria una zona in cui il campo di pressione generato dalle due sorgenti interferisce. Le perturbazioni acustiche, per le ragioni precedentemente esposte, risulteranno in fase in alcuni punti dell’asse e più o meno sfasate in punti non appartenenti a esso, per i quali il cammino percorso dalle due onde non risulta essere il medesimo. Quanto maggiore è lo spessore (durata) della perturbazione sonora, tanto maggiori risultano le dimensioni della zona di interferenza nelle direzioni parallele e ortogonali all’asse di simmetria del sistema nel piano. La perturbazione finita nel tempo (e quindi anche nello spazio) generata da una sorgente puntiforme, che viaggia nel mezzo con velocità di propagazione c, può essere rappresentata nel piano tramite una corona circolare di spessore costante che si espande a tale velocità. Nel caso di perturbazione sonora illimitata nel tempo e nello spazio, generata da più sorgenti puntiformi, per determinare il valore risultante della pressione in un punto del piano è necessario valutare lo sfasamento di ciascuna perturbazione acustica, generata dalla corrispondente sorgente elementare, rispetto alle altre. Nel caso in esame, essendo la perturbazione finita, tale operazione di sovrapposizione degli effetti (delle singole perturbazioni) fornisce un campo risultante caratterizzato dall’intermittenza che caratterizza le sorgenti e dunque è anche necessario determinare quali, tra le perturbazioni generate dalle sorgenti elementari, stiano passando per il punto del piano considerato, all’istante considerato. Si analizzi ora il caso di tre sorgenti rappresentato nella figura 5.33; si osserva che nelle immediate vicinanze di esse le perturbazioni generate, rappre-
Figura 5.33. Campo di pressione pulsato generato da tre sorgenti puntiformi collocate lungo una retta: fronti d’onda e zone di interferenza relative a otto istanti successivi.
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· Ecotomografia
sentate tramite corone circolari, non interagiscono tra loro poiché è necessario che sia stato percorso un certo spazio (e dunque sia trascorso un certo tempo dall’istante di emissione), affinché i fronti d’onda giungano a toccarsi. Ciò determina l’assenza dei fenomeni di interferenza che sono stati sinora descritti per gli analoghi fronti d’onda sferici generati continuamente da sorgenti indefinitamente oscillanti. Le perturbazioni corrispondenti a ciascuna sorgente elementare si incontrano, dando origine a interferenza, in determinate regioni dello spazio, evidenziate nella figura 5.33. Tali zone si trovano, analogamente a quanto si verifica nel caso della figura 5.32, in corrispondenza degli assi di simmetria tra due qualsiasi delle tre sorgenti considerate. Allontanandosi dalle sorgenti, le regioni di interferenza risultano di dimensioni maggiori, poiché i fronti d’onda, di raggio crescente, danno luogo a singole zone di intersezione (interferenza) via via più estese e, inoltre, giungono a interferire con un numero maggiore di perturbazioni. Quest’ultima circostanza determina il fatto che, malgrado la singola perturbazione si attenui (con l’inverso della distanza dal singolo punto di emissione) nel suo tragitto all’interno del mezzo, l’effetto prodotto dall’interferenza costruttiva di un maggior numero di perturbazioni produce in realtà un incremento della pressione complessiva spostandosi lungo l’asse. Ciò persiste fino a una certa distanza dalle sorgenti, oltre la quale il numero limitato di sorgenti fa sì che tale effetto saturi e il fronte d’onda complessivo, assimilato a una singola onda sferica, manifesti l’usuale decadimento in ampiezza con l’inverso della distanza. A ciò si aggiungono ovviamente gli effetti dissipativi se il mezzo non è ideale. Dunque, a differenza di quanto avviene nel caso di sorgente in oscillazione permanente, per cui la perturbazione generata è presente in ogni punto dello spazio e non è possibile determinarne un inizio e una fine, le perturbazioni di durata finita (pacchetti d’onda) sono localizzate nello spazio54 (in zone differenti a ogni istante); inoltre, la coesistenza di singole perturbazioni finite determina una ancora più marcata localizzazione nello spazio dell’onda acustica in un unico fronte d’onda. Estendendo i concetti sopra esposti per sorgenti discrete alle superfici emittenti continue, si deduce che il campo sonoro prodotto da un pistone che oscilli in modo permanente differisce dal campo originato dallo stesso pistone comandato con un’oscillazione elettrica di durata finita nel tempo (impulso), alla quale esso risponde con un’oscillazione meccanica, se vengono adottati accorgimenti opportuni in termini di smorzamento (illustrati nel capitolo 6). Al limite, il caso del pistone oscillante in modo continuo può essere visto come estensione del caso del pistone pulsato, allorquando l’oscillazione di carattere finito diviene permanente e quindi continua nel tempo. Tanto più l’oscillazione compiuta dal pistone è di breve durata, tanto più corte nello spazio sono le perturbazioni generate da ciascuna sorgente ideale,
54
Ma disseminate nel campo in singoli fronti d’onda.
Capitolo 5
· La formazione del fascio ultrasonoro
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Figura 5.34. Misura del campo di pressione pulsato generato in acqua da un piezoelemento circolare caratterizzato da un rapporto D/λ pari a 20. Con riferimento alla figura 5.4, il trasduttore utilizzato per rilevare il campo ultrasonoro (idrofono55) è posizionato in corrispondenza dell’origine del piano dell’oggetto (x = 0, y = 0), a una distanza z = 110 mm dalla superficie emittente della sonda, allocata nel piano P(ξ,η) della figura 5.4. Successivamente l’idrofono viene traslato lungo l’asse x e vengono misurati gli andamenti temporali della pressione campionata in corrispondenza dei punti P(x,0,z = 110 mm). In (a) è riportato il diagramma dell’ampiezza della pressione ultrasonora misurata lungo l’asse x. L’origine dell’asse dei tempi è costituita dall’istante in cui viene emesso l’impulso dal piezoelemento e quindi la distanza a cui è posto inizialmente l’idrofono (x = 0, y = 0, z = 110 mm) viene percorsa in circa 74 μs. Successivamente, spostando l’idrofono lungo l’asse x, l’impulso ultrasonoro perviene all’idrofono con ritardi via via crescenti rispetto alla misura effettuata in x = 0. Pertanto, risulta giustificato il tipico andamento temporale della pressione che rappresenta lungo l’asse x la concavità rivolta verso i tempi crescenti. In (b) è riportato l’andamento della pressione ultrasonora in corrispondenza dell’asse x = 0. I diagrammi sono calcolati in base a dati sperimentali ottenuti presso il Laboratorio di Misure Meccaniche della Facoltà di Ingegneria, Università di Roma, “La Sapienza”.
nelle quali si suppone suddiviso il pistone stesso, e conseguentemente tanto più ridotte saranno le zone di interferenza (come mostrato nella figura 5.32a,b). In particolare, il carattere finito della perturbazione pulsata comporta che non è più possibile individuare nel semispazio antistante il pistone le due zone di campo vicino, in cui predominano i fenomeni di interferenza distruttiva, e campo lontano, in cui si ha prevalentemente interferenza costruttiva. Data la natura pulsata dell’onda di pressione, le zone sede di interferenza sono quelle equidistanti dalle sorgenti stesse, per le quali le differenze di fase tra gli impulsi sono meno evidenti e il fenomeno di interferenza è prevalentemente di tipo costruttivo. Allontanandosi dal pistone, la corona circolare che
55 Per ulteriori approfondimenti si rimanda a: P.A. Lewin (1983) Polymer Hydrophones in Biomedical Ultrasonics. Ultrasonics Symposium 822-826; G.R. Harris (1988) Hydrophone measurements in diagnostic ultrasound fields. IEEE Transactions on Ultrasonics, Ferroelectrics and Frequency Control 35; 2: 87-101.
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rappresenta la perturbazione generata da una singola sorgente elementare presenta una curvatura sempre minore e tende a interferire con un numero sempre più elevato di perturbazioni, al limite con tutte quelle generate dalle restanti infinite sorgenti elementari. Tale circostanza determina una maggiore estensione, in direzione ortogonale all’asse del pistone, della zona interessata da interferenza; inoltre, essendo possibile l’interazione con il campo prodotto da tutte le sorgenti elementari, il campo di pressione risultante da tale effetto di coesistenza approssima quello visto nel caso di pistone oscillante in modo continuo. Al limite, allontanandosi molto dalla sorgente, la perturbazione giunta a tali distanza avrà carattere pressoché sferico (analogo a quello prodotto da sorgente puntiforme). Malgrado quest’ultima affermazione possa far supporre una similitudine tra campo di pressione generato dal pistone oscillante in modo continuo e quello pulsato, occorre ricordare che, mentre il primo ha carattere permanente, ossia è presente in tutto il semispazio antistante il pistone, il secondo ha carattere impulsivo ed è limitato nel tempo e nello spazio. Malgrado presenti valori in ampiezza paragonabili a quelli determinati nei precedenti paragrafi, il campo pulsato occupa, a seconda dell’istante di tempo considerato, solo un limitato volume del semispazio antistante il pistone stesso. Poiché, come già stabilito, nel campo pulsato prevalgono i fenomeni di interferenza costruttiva, non è più possibile individuare in prossimità del pistone l’alternanza di minimi e massimi della pressione massima caratteristici del campo continuo (figura 5.6). Ciò nonostante è ancora possibile riscontrare a distanza fissata dal pistone una mappa di pressione determinata dal verificarsi di zone di interferenza distruttiva e costruttiva, caratterizzata da lobi laterali simili (ma di intensità assai minore) a quelli descritti per il caso continuo.
Figura 5.35. Andamento temporale di un impulso gaussiano.
Capitolo 5
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A conclusione delle osservazioni appena esposte, si riporta a titolo di esempio nella figura 5.34a il campo pulsato di pressione sonora, rilevato sperimentalmente nella regione di spazio antistante un trasduttore circolare, in funzione del tempo trascorso a partire dall’istante di emissione dell’impulso ultrasonoro. Nella figura 5.34b è illustrato l’andamento rilevato lungo l’asse z di propagazione per x = 0.
5.8 Rappresentazione del campo ultrasonoro pulsato Per descrivere il campo di pressione generato da un pistone oscillante in modo pulsato, è necessario determinare l’andamento della pressione in corrispondenza della superficie emittente a partire dagli spostamenti a essa imposti56. Lo spostamento è supposto sinusoidale57 e modulato da un impulso gaussiano (figura 5.35) descritto dalla seguente legge di moto − ( t − t )2
z(t) = z 0 e
2 σ 2t
e − jω t
[5.76]
Derivando nel tempo la relazione [5.76], per determinare la velocità u(t) del pistone, e procedendo in modo analogo a quanto riferito per un’oscillazione continua sinusoidale, si può porre ancora dp (r , t) ≅
ρ 0 1 ⎡ ∂u r (t) ⎤
dS ⎢ ⎥ 2 π r ⎣ ∂t ⎦ τ = t − r − a 0
[5.77]
c
e perciò ottenere, nel limite di grande lunghezza d’onda, la relazione analoga all’integrale [5.13] ⎧ 1⎪ 1 ⎡1 p(r, θ, t) = ∫∫ ⎨− + ⎢ 2π S r ′ ⎪ σ 2t ⎢⎣ σ 2t ⎩ ρ0 z 0
⎤ ⎛ r′ ⎞ ⎜⎝ t − c ⎟⎠ + jω ⎥ ⎥⎦
2⎫
⎡ 1 ⎛
r ′⎞
⎤⎛
r ′⎞
⎪ − ⎢⎣⎢2 σ 2t ⎜⎝ t − c ⎟⎠ + jω ⎥⎥⎦ ⎜⎝ t − c ⎟⎠ dS [5.78] ⎬e ⎪⎭
Anche nell’integrale [5.78] si individuano tre fattori: il primo, fuori dall’integrale, rappresenta l’ampiezza massima della perturbazione generata dall’area dS; il secondo rappresenta l’attenuazione dovuta alla propagazione su fronte d’onda sferico, per la quale l’ampiezza diminuisce con l’inverso della di-
56
P. M. Morse, K. U. Ingard (1968) Theoretical Acoustics. McGraw Hill, New York. In realtà, da quanto esposto nel capitolo 3, lo spostamento della superficie del trasduttore piezoelettrico è rappresentabile mediante la risposta impulsiva di un sistema del secondo ordine. Ciò è corretto nella misura in cui il trasduttore stesso è alimentato mediante un impulso di tensione. Pertanto l’impulso gaussiano costituisce una semplificazione che viene spesso utilizzata nelle tecniche di simulazione della propagazione del campo di pressione in regime pulsato. 57
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
Figura 5.36. Campo di pressione generato da un pistone cilindrico, caratterizzato da un rapporto D/λ = 8, che all’istante iniziale ha trasmesso quattro cicli di oscillazione a inviluppo gaussiano. Sono rappresentati gli andamenti della pressione sonora (in azzurro) e della pressione sonora massima (in rosso) per tre diversi istanti di tempo. All’inizio del fenomeno (foto 1) la zona perturbata dell’asse z è di estensione maggiore rispetto a quella relativa a istanti successivi (foto 2 e foto 3), per i quali la perturbazione, avanzando lungo l’asse, assume in punti a esso appartenenti un andamento più regolare. La linea continua blu rappresenta l’inviluppo dei massimi assoluti lungo l’asse; tali massimi si verificano ciascuno a istanti successivi e perciò tale curva è concettualmente differente da quella analoga riportata nella figura 5.6, che è in realtà l’omologa dei tre inviluppi in rosso.
stanza; infine l’esponenziale complesso rappresenta la natura ondulatoria nel tempo e nello spazio (in particolare pulsata) del fenomeno. Il coefficiente σt, rappresentativo della durata stabilita della perturbazione con inviluppo di tipo gaussiano, è funzione del numero di oscillazioni di frequenza stabilita compiute dal pistone. Anche in questa circostanza non è possibile risolvere in forma chiusa l’integrale [5.78]; pertanto si impiegano algoritmi di calcolo numerico per rappresentare l’andamento nel tempo del campo di pressione generato da un elemento piezoelettrico, posto in vibrazione meccanica da un’eccitazione elettrica di tipo impulsivo. Analogamente a quanto illustrato per l’eccitazione continua, nella figura 5.36 è riportato l’andamento, su punti appartenenti all’asse del trasduttore circolare, della pressione sonora e della pressione sonora massima per tre successivi istanti di tempo, insieme con la curva inviluppo dei massimi. Contrariamente al caso di pistone oscillante in modo permanente, la perturbazione acustica non occupa tutto lo spazio antistante il pistone (come nella figura 5.6b) ma solamente una regione più ristretta. Al crescere del numero di cicli nc che compongono l’impulso, e perciò a parità di frequenza, all’au-
Capitolo 5
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Figura 5.37. Campo di pressione pulsato generato da un pistone cilindrico caratterizzato da un rapporto D/λ = 8: andamento del massimo assoluto del modulo della pressione sonora lungo l’asse del pistone a parità di frequenza al variare del numero di cicli nc componenti l’impulso. In rosa nc = 2, in blu nc = 4, in verde, nc = 8, in rosso nc = 20
mentare della sua durata, l’andamento dei massimi assoluti si modifica come mostrato nella figura 5.37 e tende ad assumere una forma simile a quella osservata nel caso di pistone oscillante con continuità (figura 5.6b). Nella figura 5.38 è rappresentato il campo acustico su un piano passante per l’asse del pistone. A istanti successivi la perturbazione sonora si propaga da sinistra verso destra occupando regioni diverse dello spazio. Nel caso del campo pulsato si può visualizzare la regione spaziale, entro la quale ha luogo la perturbazione ultrasonora, rappresentando la funzione che
Figura 5.38. Campo ultrasonoro pulsato generato da un trasduttore circolare piano caratterizzato da un rapporto D/λ = 8; il campo di pressione è rappresentato a un istante di tempo prefissato secondo l’andamento nello spazio descritto dal termine e–jkr; a zone più chiare corrispondono pressioni maggiori.
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
Figura 5.39. Campo ultrasonoro pulsato generato da un trasduttore piano circolare caratterizzato da un rapporto D/λ = 8. (a) Massimi assoluti della pressione sonora su un piano contenente l’asse del trasduttore e curve isolivello corrispondenti; i valori di pressione sono normalizzati al massimo assoluto del campo (che si verifica sull’asse). (b) Andamento dei massimi assoluti lungo l’asse. Il disegno non è in scala.
descrive i massimi assoluti della pressione sonora in ciascun punto del piano (che, giova ricordare, si verificano in istanti differenti), normalizzati al valore massimo assoluto nell’intero campo. Tale rappresentazione consente di determinare il luogo geometrico dei punti per cui l’intensità della perturbazione sonora è pari a –3 dB, –6 dB, –12 dB, ecc., rispetto all’intensità massima nel campo, come indicato dalle isolivello nella figura 5.39. Si noti a tale proposito come trovi conferma quanto detto in precedenza: il campo pressorio nella regione di punti a distanza minore di N non presenta la caratteristica alternanza di minimi e massimi osservabile nel caso di alimentazione sinusoidale continua; perciò non è più possibile individuare, nel semispazio antistante la superficie emittente, la zona d’interferenza associata al campo vicino.
Capitolo 6 La sonda elementare
6.1 Introduzione Le prestazioni di un ecotomografo per la diagnostica clinica dipendono in massima parte dalle caratteristiche del trasduttore (sonda), tra cui fondamentali sono la sensibilità e la risoluzione. La sensibilità è una delle caratteristiche metrologiche che definiscono la qualità di uno strumento di misura ed è rappresentativa della capacità di apprezzare piccole ampiezze della grandezza oggetto della misura o sue piccole variazioni. Per l’ecotomografo non è ancora disponibile una definizione della sensibilità in quanto, in questo caso, essa riguarda non solo il trasduttore ma anche gli apparati a esso collegati. Tuttavia, se ci si riferisce solo al trasduttore, la sensibilità è legata alla sua capacità di percepire echi riflessi assai deboli e, comunque, significativamente al di fuori della fascia del rumore (figura 6.1a). In altri termini, un trasduttore molto sensibile è quello che riesce a rilevare echi molto deboli, sia perché dovuti a piccole differenze di impedenza sia perché originati a elevata profondità. A questo riguardo occorre osservare che l’ampiezza del segnale elettrico all’uscita del piezoelemento, generato dall’eco ricevuto, può essere dell’ordine di qualche decina di milionesimi dell’ampiezza dell’impulso elettrico di eccitazione; le situazioni più critiche si possono verificare nel caso dell’ecografia Doppler, dove gli echi sono estratti dalla fascia di rumore entro cui sono immersi (vedi capitolo 10). I fattori che concorrono a determinare la sensibilità di un trasduttore sono fondamentalmente la
Figura 6.1. Segnali elettrici in uscita dalla sonda. (a) Esempio di eco pienamente distinguibile dalla fascia di rumore. (b) Esempio di eco immerso nel rumore e scarsamente rilevabile.
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
geometria del fascio ultrasonoro, la larghezza di banda e l’efficienza della conversione dell’energia da elettrica a meccanica e viceversa. La geometria del fascio ultrasonoro è una caratteristica correlata alla capacità della sonda di rappresentare piccoli particolari e di risolvere i dettagli; su un piano ortogonale alla direzione di propagazione essa è massima se è minima la sezione retta del fascio ultrasonoro ed è indicata con il termine risoluzione laterale; l’altro tipo di risoluzione, detta assiale, si riferisce alla direzione di propagazione dell’onda ultrasonora1 e, dunque, a ostacoli appartenenti a piani assai vicini tra loro e ortogonali alla direzione di propagazione. Al fine di aumentare la risoluzione, il trasduttore deve fornire una radiazione la cui sezione sia delle dimensioni più piccole possibili e che rimanga per quanto possibile costante nella direzione di propagazione. Le modalità con le quali si riesce a ottenere tale geometria sono riferite nel paragrafo seguente: esse sono il frutto di compromessi progettuali, giacché molte prestazioni del trasduttore non sono contemporaneamente ottenibili al livello più elevato. La forma del fascio sonoro è anche determinante affinché il particolare di interesse dia luogo a una riflessione (eco) di intensità sufficiente per essere rilevata al di sopra della fascia di rumore, nonostante l’attenuazione subita lungo il tragitto di ritorno verso il trasduttore. L’incremento di intensità viene raggiunto concentrando l’energia del fascio, per esempio per mezzo di lenti acustiche o mediante focalizzazione di tipo elettronico (come sarà descritto nel capitolo 8). La larghezza di banda e la frequenza nominale f0 di oscillazione libera del cristallo sono altri due parametri fondamentali che condizionano l’intera progettazione del trasduttore. La necessità di ottenere un alto potere risolutivo assiale e laterale conduce alla scelta di frequenze elevate, che subiscono però un’attenuazione maggiore; di conseguenza il valore della frequenza di ricezione è minore di quello della frequenza di trasmissione2 tanto più quanto più elevato è il contenuto in frequenza del segnale; ciò porta all’impiego di sonde con diverse caratteristiche a seconda delle necessità diagnostiche. Nella pratica clinica, infatti, si utilizzano sonde da 1 a 3,5 MHz nel campo delle basse frequenze3, da 3,6 a 6 MHz nel campo delle medie frequenze e da 6 a 15 MHz nel campo delle alte frequenze. Alle citate frequenze corrispondono lunghezze d’onda comprese tra 1,5 e 0,1 mm (assumendo come mezzo di propagazione l’acqua). 1 Essendo il fascio tridimensionale, è pratica comune caratterizzare la risoluzione spaziale secondo tre componenti: la risoluzione assiale nella direzione di propagazione, la risoluzione laterale nella direzione di scansione contenuta nel piano azimutale e la risoluzione in elevazione, nella direzione ortogonale alle due precedenti e contenuta nel piano di elevazione. Nel caso di un piezoelemento circolare a superficie emisferica, la sezione retta del fascio è anch’essa circolare e pertanto non sussiste distinzione tra risoluzione laterale e risoluzione in elevazione. 2 Come già accennato nei capitoli precedenti, l’impulso ultrasonoro trasmesso è caratterizzato da una banda di frequenze centrata su una frequenza di trasmissione f0. Essendo l’attenuazione più accentuata per le alte frequenze rispetto alle basse, la banda suddetta si restringe man mano che l’impulso si propaga all’interno del mezzo; tale effetto risulta percentualmente tanto più marcato quanto maggiore è la larghezza di banda originaria. 3 La distinzione tra bassa, media e alta frequenza è del tutto convenzionale e ha, pertanto, un valore essenzialmente di carattere pratico nel linguaggio del settore.
Capitolo 6
· La sonda elementare
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Dal compromesso tra le esigenze relative al potere risolutivo, sia assiale sia laterale, e quella di raggiungere gli organi oggetto di indagine, emergono i diversi impieghi clinici. Per indagini addominali o cardiache, dove occorre rilevare echi a distanza di una decina di centimetri dall’interfaccia esterna (cioè dalla pelle del paziente sulla quale viene collocata la superficie emittente della sonda), si utilizzano le basse o medie frequenze, mentre si adoperano le alte frequenze per indagini a profondità dell’ordine di pochi centimetri (neonati o bambini, oppure per zone in prossimità della superficie corporea). L’efficienza di conversione dell’energia nel piezoelemento è un altro parametro fondamentale del trasduttore, che dipende non solo dai fenomeni di trasmissione e riflessione interni al singolo elemento, ma anche da altri fattori: innanzi tutto, l’esigenza di smorzare le oscillazioni libere dopo l’eccitazione del piezoelemento e, in secondo luogo, quella di trasmettere nel mezzo la massima energia (entro i limiti di sicurezza, sia per il paziente4 sia per la sonda). Nel seguito vengono presentati i principali fenomeni fisici dai quali dipende la sensibilità di un trasduttore per impiego clinico; in particolare si vedrà come questa possa essere misurata e come se ne possa incrementare il valore operando individualmente sui componenti fisici dai quali dipende.
6.2 La misura della sensibilità Come accennato, la sensibilità di un ecotomografo è un parametro ancora non ben definito dagli organismi internazionali che si occupano di ecografia in ambito clinico5: essa è obiettivamente di difficile definizione, nonostante sia una ben nota qualità metrologica definibile, per qualsiasi dispositivo di misura (indipendentemente dalla sua natura), come rapporto tra una grandezza fisica in uscita da esso e una grandezza fisica unitaria posta al suo ingresso. Per esempio un trasduttore di temperatura, quale una termocoppia di tipo J (ferro-costantana), ha una sensibilità (a 0 °C) di 50,4 μV °C–1, mentre una di tipo K (Chromel-Alumel) è meno sensibile, poiché questo parametro risulta pari a 39,5 μV °C–1 (a 0 °C). Ciò significa che una termocoppia J i cui connettori siano collegati a un microvoltmetro, posta prima in un bagno termostatato a 0 °C e, successivamente al raggiungimento dell’equilibrio termico, in un altro analogo alla temperatura +1 °C, fornisce allo strumento terminale una variazione di tensione di 50,4 μV. La termocoppia è un trasduttore perché fornisce in uscita una grandezza fisica (ddp) di natura diversa da quella in ingresso (temperatu4 Fino al 1991 l’AIUM (American Institute of Ultrasound in Medicine) affermava che non vi erano prove certe della sussistenza di effetti biologici sui tessuti dei mammiferi esposti a un’intensità acustica media, o I SPTA (Spatial Peak Time Averaged Intensity), dell’impulso emesso dalla radiazione ultrasonora, inferiore a 100 mW cm–2. Inoltre, dal 1992 le apparecchiature ecotomografiche in commercio devono visualizzare sul display i livelli di potenza emessi che possono raggiungere valori di 720 mW cm–2 (I SPTA). 5 Per esempio un riferimento nel settore è rappresentato dall’AIUM (American Institute of Ultrasound in Medicine - 14750, Sweitzer Lane, Suite 100 - Laurel, MD 20707) e dall’AAPM (American Association of Physicists in Medicine - College Park, MD 20740).
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
Figura 6.2. Sensibilità di una sonda per ecografia. (a) Risposta della sonda a un’eccitazione impulsiva in un caso generico. (b) Dispositivo sperimentale specifico per la misura della sensibiltà: all’interno della vasca il target S è posto alla distanza focale H; il segnale elettrico generato dalla sollecitazione meccanica dovuta agli echi ricevuti viene inviato ai successivi blocchi della catena di misura. I numeri indicano la corrispondenza del segnale nei due casi.
ra). La variazione della ddp fornita in uscita quando in ingresso vi sia un incremento unitario della grandezza da misurare definisce la sensibilità del trasduttore che è appunto di 50,4 μV °C–1. Anche il quarzo (come qualsiasi materiale piezoelettrico) è un trasduttore, poiché la grandezza in ingresso (per esempio volt/metro) e quella in uscita (newton/metro quadrato) hanno diversa natura. Come si ricorderà, nel capi-
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tolo 2 le costanti piezoelettriche sono state denominate in termini di sensibilità: nel caso dell’effetto piezoelettrico inverso si è stabilito, per esempio, che il quarzo possiede sensibilità in tensione g11 pari a d11/ε11T = 57,8·10–3 Vm/N. Quando le grandezze in entrata e in uscita dal dispositivo sono omogenee, la sensibilità si chiama amplificazione (o guadagno), se è maggiore dell’unità, e attenuazione, se si verifica il contrario. Analogamente a quanto stabilito nel capitolo 3, considerando le ampiezze della pressione acustica, anche il rapporto tra l’ampiezza del segnale in uscita e quella del segnale in ingresso, per esempio in termini di ddp, può essere misurato in decibel. Perciò se un amplificatore amplifica di 1000 volte il segnale in ingresso, ha un guadagno pari a 20 log10 (1000 /1) = 60 dB, mentre se il dispositivo attenua di 1000 volte il valore del segnale in ingresso, la sua attenuazione in decibel (invertendo l’esempio appena fatto) assume il valore di –60 dB. Dunque, se si vuole misurare la sensibilità di una sonda ecografica (non limitandosi alla sensibilità del trasduttore al suo interno), occorre stabilire quali siano le grandezze fisiche in ingresso e in uscita e farne il rapporto. Si supponga, per esempio, che in seguito all’applicazione di un impulso elettrico di 10 Vpp , il singolo elemento di un trasduttore a schiera lineare (vedi capitolo 8) produca nel fuoco della lente acustica una pressione di 50 kPa piccopicco, mentre lo stesso elemento, investito dall’eco ricevuto pari a una pressione massima di circa 5 kPa picco-picco, fornisca per effetto piezoelettrico inverso una ddp la cui ampiezza picco-picco sia pari a 30 mV 6, così come illustrato nella figura 6.2a. In un caso come questo, considerando la ddp Vi inviata dal generatore al trasduttore piezoelettrico, come grandezza di ingresso, e la ddp Vu generata dal medesimo trasduttore a seguito della ricezione dell’eco come grandezza di uscita, la sensibilità S della sonda vale in generale S = 20 log10
Vu Vi
[6.1]
Pertanto, con i valori numerici portati per esempio, la [6.1] si specializza in S = 20 log10
0,03 = − 50, 4dB 10
[6.2]
Per procedere alle misurazioni necessarie per la valutazione della sensibilità, viene di seguito descritto il metodo più utilizzato7, il cui schema sperimentale è mostrato nella figura 6.2b. 6 Per il calcolo indicativo della tensione in uscita dalla sonda è stato utilizzato un valore del g pari 33 a 19·10–3 (V m /N), tipico del materiale piezoelettrico PZT-5H. 7 Per approfondimenti: ASTM E 1065-87a Standard guide for evaluating characteristics of ultrasonic search units, in American Society for Testing and Materials (1987) Annual Book of Standards, vol. 3.3. In alternativa, si può consultare: Paul L. Carson, James A. Zagzebski (1980) Pulse Echo Ultrasound Imaging Systems: Performance Tests and Criteria General Medical Physics Committee. Ultrasound Task Group (Report n. 8, november 1980, American Association of Physicists in Medicine).
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· Ecotomografia
L’allestimento sperimentale è costituito da un generatore di impulsi, un oscilloscopio e una sonda immersa in una vasca contenente acqua distillata e degassata. Alla distanza focale del trasduttore viene posto un blocchetto di acciaio lucido, tale da poter essere considerato un corpo riflettente ideale (target o riflettore)8. In fase di trasmissione, il trasduttore viene eccitato dall’impulso 1 nella figura 6.2b ed emette un’onda ultrasonora, la quale a sua volta produce un eco all’interfaccia con il riflettore, posto alla distanza focale H dalla superficie emittente. Successivamente, durante la fase di ricezione, tale eco raggiunge la superficie sensibile della sonda, e viene trasdotto in un treno di oscillazioni elettriche smorzate 2. Questo metodo rende possibile la valutazione sperimentale, sia dell’efficienza di trasduzione elettromeccanica del piezoelemento, sia dell’efficacia del dimensionamento degli altri elementi che costituiscono la sonda e che saranno oggetto della trattazione che segue, quali gli strati di adattamento posti anteriormente (matching) e posteriormente (backing) alla sonda. Il metodo consente infine di valutare l’entità dell’inevitabile attenuazione causata dalla lente acustica.
6.3 Struttura della sonda elementare e cause di perdita di sensibilità Lo schema della composizione strutturale di un trasduttore è riportato nella figura 6.3. L’elemento centrale è costituito dal piezoelemento con i suoi elettrodi. Per effettuare l’adattamento dell’impedenza meccanica e ovviare agli inconvenienti dovuti a un’eccessiva riflettività delle interfacce frapposte tra il trasduttore e la superficie esterna (pelle) del corpo paziente, o tra il trasduttore e altre parti del dispositivo (vale a dire per favorire la trasmissione dell’energia ultrasonora), esso è inserito tra due strati di opportuno spessore e materiale, chiamati strati di accoppiamento (matching layer). A loro volta tali strati sono accoppiati con un materiale smorzatore nella parte posteriore (denominato backing) e con una lente focalizzatrice del fascio ultrasonoro nella parte anteriore. Nel seguito del paragrafo vengono illustrati i diversi aspetti sia fisici sia tecnologici di ciascun componente. Gli elementi ove si localizza la perdita di sensibilità e le relative cause possono essere identificati seguendo la strada percorsa dai segnali elettrici e da quelli ultrasonori, facendo riferimento alla figura 6.3. La prima causa di perdita risiede nel fatto che il trasduttore non riesce a trasformare tutta l’energia elettrica in ingresso in energia meccanica e viceversa; in particolare, sussiste il problema di adattamento di impedenza elettrica tra il piezoelemento e la circuiteria elettronica contenuta nell’ecotomografo. La seconda causa è dovuta all’inevitabile dissipazione elettrica: parte dell’energia dell’impulso viene dissipata come calore all’interno del piezoelemento. Una terza causa consiste nel
8 In caso di trasduttore non focalizzato, il riflettore viene posto in corrispondenza del confine tra campo vicino e campo lontano.
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· La sonda elementare
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Figura 6.3. Schema strutturale di una sonda.
fatto che l’onda ultrasonora generata, che si propaga da entrambe le facce del piezoelemento in oscillazione meccanica, è attenuata sia nella parte anteriore, per la presenza dell’adattatore di impedenza meccanica (matching layer) e della lente acustica, sia nella parte posteriore, dove è presente l’elemento dissipatore necessario a smorzare le oscillazioni libere del piezoelemento9, con il quale anche il backing deve essere adattato meccanicamente. Ne risulta quindi una dissipazione di energia nel backing, che va considerata necessaria, e una dissipazione indesiderata e ineliminabile nell’adattatore di impedenza tra il backing e la piezoceramica. Vi è poi un altro motivo di perdita dovuto al fatto che il piezoelemento oscilla anche secondo modi diversi da quello previsto (per esempio il thickness mode), che non contribuiscono alla formazione dell’onda ultrasonora utile, ma sono in ogni caso causa di dissipazione. Tutte le cause di attenuazione elencate, interne al trasduttore, agiscono tanto nella fase di trasmissione quanto in quella di ricezione. Ai fattori preceden-
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Si ricordi quanto accennato circa il fatto che lo stato oscillatorio deve essere di breve durata.
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temente considerati occorre aggiungere le cause di attenuazione esterne al trasduttore. In particolare, il mezzo entro il quale l’impulso ultrasonoro si propaga agisce come un attenuatore: si è infatti già stabilito come il tessuto molle sottoponga il fascio ultrasonoro a un’attenuazione che, in prima approssimazione, può essere valutata in 1 dB cm–1 MHz–1 e che risulta tanto maggiore quanto più alta è la frequenza di funzionamento del cristallo piezoelettrico. Inoltre, quando l’energia ultrasonora incontra all’interno del corpo un’interfaccia acustica costituita da organi che hanno diversa impedenza, non tutta l’energia viene trasmessa verso l’organo bersaglio dell’indagine, ma una parte di essa viene riflessa nel mezzo e diffusa. Infine, occorre osservare che l’onda ultrasonora tende a divergere durante il suo percorso nel mezzo di propagazione e che, pertanto, la quota parte che investe il trasduttore nel corso della riflessione è ancora minore. Da tutte queste osservazioni si deduce che, poiché nulla può essere fatto in ordine alle proprietà di attenuazione dei tessuti e al loro comportamento alle interfacce dei diversi componenti anatomici, è fondamentale ridurre al minimo tutte le perdite di energia associate agli elementi costitutivi del trasduttore e quindi rendere per quanto possibile elevata la sensibilità.
6.4 Parametri connessi con la sensibilità del trasduttore Come si è visto, i parametri da cui dipende la sensibilità del trasduttore sono numerosi. Alcuni di questi dipendono dalla costituzione e dal dimensionamento del trasduttore, altri invece sono funzione delle condizioni sperimentali esterne a esso. Vengono qui analizzati i parametri ritenuti più importanti, descritti i compromessi necessari per ottenere le migliori prestazioni e forniti i primi elementi per il dimensionamento di un trasduttore elementare, facendo riferimento a un piezoelemento di forma circolare, come quello descritto nel capitolo precedente. Occorre specificare subito che il termine dimensionamento è legato all’approfondimento del fenomeno fisico, base di qualsiasi progettazione, anche se nella pratica industriale la messa a punto di un trasduttore è per lo più frutto di anni di esperienza nel settore e di tutti quei continui aggiustamenti su base sperimentale che, nel loro insieme, contribuiscono al know-how custodito gelosamente da ogni costruttore.
6.4.1 Il piezoelemento La selezione del piezoelemento è la prima importante scelta che occorre operare. Come emerge dalle tabelle riportate nel capitolo 2, i materiali piezoelettrici sono descritti dalle costanti di trasmissione e ricezione, in particolare d33 e g33 , che rappresentano rispettivamente la capacità di trasdurre un segnale elettrico in una deformazione meccanica e di riconvertire quest’ultima ancora in un segnale elettrico. I trasduttori che operano in modo pulsato dovrebbero evidentemente essere caratterizzati da un valore elevato di entrambe le costanti; tuttavia si può notare che i piezoelementi provvisti di elevati d33 non
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necessariamente hanno un alto g33. In particolare si osserva la differenza sostanziale tra cristallo di quarzo e PZT: il primo possiede mediamente un alto valore della costante di ricezione (per esempio g11) a scapito del coefficiente di trasmissione d11 ; invece i piezoelementi artificiali (PZT), progettati per fornire un elevato coefficiente di trasmissione (fino a 250 volte superiore), consentono di ottenere una buona sensibilità anche per coefficienti di ricezione pari a circa la metà di quello del quarzo10, il che trova conferma anche nel valore più elevato del coefficiente di accoppiamento elettromeccanico k t. Va ricordato che la scelta del piezoelemento non è dettata solamente dai valori assunti dalle costanti d33 e g33 , poiché devono essere presi in considerazione altri parametri, come il fattore di qualità Q (dal quale dipende la banda passante del trasduttore), la costante dielettrica εr , l’impedenza acustica Z, la capacità statica C0. Tali parametri condizionano l’adattamento d’impedenza elettrica e meccanica, per l’interfaccia tra piezoelemento e generatore d’impulsi elettrici, da una parte, e tra piezoelemento e mezzo di propagazione, dall’altra. Per operare una scelta opportuna, altre caratteristiche rilevanti sono il fattore di accoppiamento meccanico, per esempio k33 11, fortemente dipendente dai vincoli meccanici che costituiscono l’afferraggio del piezoelemento nella struttura meccanica della sonda, e la temperatura di Curie del cristallo, che deve essere la più elevata possibile, in modo da garantire stabilità ai parametri piezoelettrici. Si osserva a tale riguardo che il successo dei materiali sintetici PZT è dovuto proprio alla possibilità di ottimizzarne le prestazioni per l’impiego in ecografia clinica operando piccole variazioni della loro composizione che consentono di individuare il piezoelemento con prestazioni ottime per un vasto campo di applicazioni. Per tale motivo la scelta del piezoelemento operata dalla quasi totalità dei costruttori di trasduttori per ecografia clinica è stata sempre orientata verso i PZT (in particolare, i soft PZT).
6.4.2 Focalizzazione: risoluzione laterale Per rappresentare un’immagine nella quale sia possibile individuare piccoli dettagli della parte anatomica oggetto dell’indagine clinica, è necessario che lo strumento impiegato per la costruzione di tale immagine possieda una sorta di utensile, le cui dimensioni fisiche siano comparabili con la dimensione del più piccolo particolare da rappresentare. L’artista che incide una moneta, raffigurando per esempio un volto, adopera uno strumento detto bulino, costituito da una punta di acciaio opportunamente foggiata, che consente di tracciare solchi tanto più sottili quanto più essa è acuminata. Analogamente lo strumento necessario per tracciare un’ecografia è il fascio ultrasonoro, la cui se10 Per ulteriori dati su tale aspetto si possono consultare, per esempio: J.W. Hunt, M. Arditi, F.S. Foster (1983) Ultrasound Transducers for Pulse-Echo Medical Imaging. IEEE Transactions on Biomedical Engineering BME-30; 8: 453-481; oppure K.K. Shung, M. Zipparo (1996) Ultrasonic transducers and arrays. IEEE Engineering in Medicine and Biology 15; 6: 20-30. 11 Ci si riferisce ai piezoelementi ceramici.
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Figura 6.4. Risoluzione laterale del fascio ultrasonoro: ostacoli posti su un piano perpendicolare all’asse di propagazione intercettati da fasci ultrasonori di differente dimensione laterale (in corrispondenza della zona focale) generati a parità di energia emessa. In (a) la dimensione laterale del fascio è minore della distanza tra gli ostacoli e questi vengono percepiti come distinti poiché non vi è sovrapposizione dei segnali di ritorno. In (b) la dimensione laterale del fascio è maggiore della distanza tra gli ostacoli e dunque essi non vengono risolti dal dispositivo ultrasonoro.
zione retta è pertanto fondamentale per determinare il dettaglio minimo visualizzabile nell’immagine diagnostica. Nella figura 6.4 vengono mostrati due fasci ultrasonori che, muovendosi sul piano azimutale XZ (effettuando cioè una scansione in tale piano), intercettano due riflettori L e L′ posti sul piano π′ ortogonale alla direzione di propagazione Z. Si osserva che il fascio di sezione retta maggiore della distanza che separa i due ostacoli investe entrambi i riflettori (figura 6.4b), che producono pertanto due echi simultanei, percepiti sovrapposti dal trasduttore in ricezione e perciò interpretati come rappresentativi di un unico ostacolo: la risoluzione laterale sul piano π′ è in tale caso insufficiente per rappresentare la realtà fisica dei due distinti riflettori. Se invece si osserva la sezione retta del fascio della figura 6.4a, si riconosce che la sua estensione è minore della distanza che separa i due riflettori; pertanto, operando una scansione sul piano azimutale XZ, tale strumento vedrebbe distinti L e L′, poiché essi produrrebbero echi temporalmente e spazialmente separati, non essendo contemporaneamente investiti dal fascio ultrasonoro, ma da esso intercettati uno dopo l’altro senza sovrapposizioni. Per ottenere la diminuzione della sezione retta del fascio si procede pertanto alla focalizzazione. Come si è visto nel precedente capitolo, indipendentemente dalla modalità utilizzata, per una focalizzazione efficiente è sempre conveniente arretrare il fuoco geometrico, in modo che esso si verifichi in campo vicino. Nella zona focale le dimensioni della sezione retta, e quindi le caratteristiche in termini di risoluzione spaziale del sistema, dipendono dalla geometria del piezoelemento e dalla frequenza degli echi ultrasonori. Piezoelementi a sezione circolare producono fasci ultrasonori essenzialmente cilin-
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Figura 6.5. Criterio per la valutazione del potere risolutivo di una sonda ultrasonora. In azzurro inviluppi dei massimi di pressione corrispondenti agli echi (supposti identici) provenienti da due oggetti puntiformi L e L′ posti nella sezione retta del fascio ultrasonoro (piano π′ della figura 6.4); in rosso inviluppo risultante p1(x)+p2(x). I due oggetti si intendono risolti se l’inviluppo risultante presenta un minimo locale a circa l’80 per cento del valore massimo.
drici e, pertanto, sono caratterizzati da una risoluzione laterale uniforme sull’intera superficie della sezione retta. Piezoelementi di sezione rettangolare, come quelli utilizzati nelle sonde a schiera di cristalli, producono fasci ultrasonori di sezione ellittica, quindi con risoluzione laterale differente nelle due direzioni ortogonali parallele agli assi principali. Tralasciando per il momento quest’ultimo caso, si tratterà qui il più semplice fascio a sezione circolare, il cui parametro di riferimento è il diametro D. Nel capitolo precedente si è mostrato che, sia nel campo continuo sia in quello pulsato, la dimensione del fascio ultrasonoro non è costante e che esiste una focalizzazione intrinseca, detta anche focalizzazione naturale. Poiché le dimensioni del cristallo devono essere scelte in funzione di molti parametri, per i quali le condizioni ottimali spesso non sono le stesse che consentono di ottenere un elevato potere risolutivo laterale, occorre provvedere a focalizzare il fascio mediante lenti acustiche o con un trasduttore concavo. In ogni caso, la focalizzazione diminuisce la sezione retta del fascio e di norma sposta il fuoco, arretrandolo rispetto all’estensione N del campo vicino; da ciò deriva però un incremento della divergenza θ. Dato che il potere risolutivo laterale consiste, in pratica, nella capacità di distinguere due punti posti vicini nel piano ortogonale all’asse di propagazione, il parametro che più lo influenza è l’intersezione del volume focale con tale piano. A questo proposito, facendo ancora riferimento al capitolo 5 (par. 5.7.3), il potere risolutivo laterale di un trasduttore focalizzato circolare è stimabile a partire dai diametri Dx e Dy dell’ellissoide focale, la cui espressione, qui riproposta per comodità di esposizione, è D y = D x = k α λ f / number
[6.3]
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dove kα è il fattore di apertura, dipendente dalle caratteristiche del fascio ultrasonoro (vedi par. 5.4), e λ è la lunghezza d’onda. Nella pratica, i due oggetti si considerano risolti (cioè individuati come distinti) se l’inviluppo dei massimi del campo di pressione, risultante dalla sovrapposizione dei singoli inviluppi p1(x) e p2(x)12, manifesta una differenza tra i massimi e il minimo locale almeno pari a circa il 20 per cento, come illustrato nella figura 6.5. Ricordando quanto stabilito nel primo volume, questa condizione si verifica finché il massimo di ciascun profilo non si sovrappone al primo minimo dell’altro.
6.4.3 Risoluzione assiale La risoluzione assiale, come quella laterale, è uno dei parametri fondamentali da cui dipende la qualità dell’immagine diagnostica: tale parametro rappresenta la capacità del sistema di rilevare come distinti due elementi riflettenti posti tra loro vicini lungo la direzione di propagazione dell’onda ultrasonora. Questi elementi allineati lungo l’asse Z (mostrati nella figura 6.6) giacciono sul piano sagittale π′′, ortogonale al piano frontale π′, dove viene valutata la risoluzione laterale. Per fissare le idee ci si può riferire a un caso pratico nel quale i due elementi sono rappresentati dalle pareti di un vaso sanguigno il cui asse giaccia su un piano ortogonale all’asse z di propagazione del fascio. Essi sono pertanto distanti tra loro di una quantità pari al diametro del vaso e il potere risolutivo assiale risulta tanto più elevato quanto più potranno essere osservate come separate le pareti del vaso sanguigno al diminuire del suo diametro. Il potere risolutivo assiale dipende da molti fattori, quali le caratteristiche del circuito che genera l’impulso di eccitazione del cristallo e quelle dei circuiti dedicati alla ricezione dell’impulso riflesso, le modalità di elaborazione del segnale ricevuto e, infine, le caratteristiche della sonda. In particolare, le caratteristiche che influenzano tale parametro nel trasduttore sono lo smorzamento dell’oscillazione meccanica del cristallo, dopo l’eccitazione elettrica, e la sua frequenza. Si è già accennato al fatto che il piezoelemento, per effetto dell’eccitazione elettrica impulsiva, oscilla alla sua frequenza di risonanza meccanica; tale oscillazione si estingue in un tempo più o meno breve in relazione sia allo smorzamento interno sia a quello che deriva dal fatto che il piezoelemento è inserito tra corpi che ne ostacolano l’oscillazione libera13, come mostrato nella figura 6.3. Nella valutazione della risoluzione assiale, assumono importanza la forma dell’inviluppo delle oscillazioni libere, il loro numero e la loro durata. Nella figura 6.7a è rappresentato l’impulso di eccitazione elettrica del piezoelemento; la figura 6.7b mostra l’eco prodotto dall’ostacolo in presenza di un forte smorzamento e la 6.7c il medesimo eco in presenza di uno smorzamento mi-
12 Nel caso di sorgente monocromatica e oggetti posti in campo lontano, si adotta il criterio di Rayleigh, già descritto nel primo volume, par. 14.11.2. 13 Come si è già visto nel capitolo 3, l’entità di tale smorzamento nel tempo t è data da un fattore e –t/τ.
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Figura 6.6. Risoluzione assiale del fascio ultrasonoro: ostacoli posti lungo l’asse di propagazione. (a) Se la distanza tra gli ostacoli è maggiore dell’estensione spaziale del pacchetto d’onda ultrasonoro, gli echi provenienti da S e S′ sono distinti nel tempo e nello spazio e gli ostacoli vengono pertanto riconosciuti come separati; in particolare, se le pareti di un vaso sono intercettate da pulse di lunghezza inferiore alla distanza tra di esse, il vaso sanguigno è interpretato come corpo cavo. (b) Se la distanza tra gli ostacoli è minore dell’estensione del pulse, gli echi si sovrappongono e il dispositivo non è in grado di risolvere i due scatteratori; in particolare, il vaso sanguigno è interpretato come un corpo pieno di spessore pari al diametro. La diversa durata dell’impulso trasmesso è ottenuta variando, a parità di potenza di eccitazione, il numero di cicli componenti.
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nore del precedente14. Nella figura 6.7d sono rappresentati l’impulso15 e le grandezze necessarie per identificarlo. Se si considera come ampiezza ancora significativa del segnale il valore corrispondente a –20 dB rispetto all’ampiezza massima, la durata dell’impulso è individuata dall’estensione temporale esistente tra la prima e l’ultima intersezione dell’impulso con la soglia –20 dB16. L’apparato sperimentale per registrare l’oscillogramma è simile a quello riportato nella figura 6.2; il risultato della misura è presentato sullo schermo di un oscilloscopio digitale che consenta la registrazione su file e quindi la stampa su carta. Alla durata temporale relativa alla parte di oscillogramma al di sopra di –20 dB di livello rispetto al massimo, corrisponde la lunghezza spaziale dell’impulso (cioè la regione interessata dalla perturbazione) durante la sua propagazione, alla velocità caratteristica del mezzo. Per esempio, dall’oscillogramma riportato nella figura 6.7, relativo a una frequenza di 5 MHz, emerge che l’impulso utile ha nei tessuti molli un’estensione spaziale di 1,5mm e una durata τ pari a circa 1 μs (1,5 mm/1540 ms–1): ciò significa che ogni elemento riflettente, la cui distanza da un altro allineato lungo la direzione di propagazione sia inferiore a 1,5 mm, non può essere risolto, a prescindere17 dalla profondità alla quale si trova. Ritornando alle figure 6.6a e 6.6b, si consideri il transito di un pulse ultrasonoro composto rispettivamente da 3 e 5 cicli utili alla frequenza di 5 MHz. Se la distanza tra gli ostacoli riflettenti S e S′ è maggiore dell’estensione dell’impulso, ciascun ostacolo dà luogo a un eco distinto, poiché prima che la perturbazione giunga in S′ essa ha terminato di sollecitare S, che non dà più luogo a riflessioni. Se invece l’estensione spaziale dell’impulso è maggiore della distanza tra gli ostacoli S e S′, gli echi provenienti dai due riflettori si sovrappongono e il trasduttore li interpreta come un unico eco. Da queste osservazioni deriva immediatamente l’importanza di produrre un impulso che sia esteso nello spazio il meno possibile, sia diminuendo il numero di cicli utili (il che può essere ottenuto attraverso un forte smorzamento), sia incrementando la frequenza del pulse ultrasonoro. Praticamente è possibile operare smorzamenti tali da ridurre l’oscillazione a 1 o 2 cicli della frequen-
14 Fatte salve le considerazioni svolte in relazione alla trasmissione nei tessuti, si può affermare che l’eco ricevuto ha la stessa forma dell’impulso trasmesso, che a sua volta ha la stessa forma di quello generato nel piezoelemento. L’eco, sotto forma di sollecitazione meccanica, genera nel piezoelemento le oscillazioni elettriche mostrate nella figura. 15 Si rammenta che con tale denominazione si è soliti indicare la risposta oscillatoria a un impulso. 16 Si ricordi che esso corrisponde a un’attenuazione dell’ampiezza di oscillazione fino a un valore pari a 1/10 dell’ampiezza massima. 17 In realtà, come si è detto nel capitolo 4, i tessuti operano da filtro selettivo sulla banda in frequenza degli echi ultrasonori, attenuando maggiormente le componenti armoniche alte rispetto a quelle basse. Ciò produce nell’eco di ritorno una traslazione (shift) della frequenza centrale, che risulta tanto più bassa, rispetto a quella dell’impulso in trasmissione, quanto maggiore è la profondità dell’ostacolo. Va comunque notato che, pur dipendendo dalla non linearità del mezzo di propagazione e dalle caratteristiche di banda del segnale in trasmissione, tale abbassamento di frequenza penalizza la risoluzione spaziale del sistema ecotomografico solo limitatamente (infatti aumenta il periodo medio dei cicli costituenti l’eco), tanto da essere spesso trascurato rispetto a fenomeni ben più marcati, come la variazione di risoluzione laterale in funzione della naturale divergenza del fascio.
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Figura 6.7. Impulso elettrico inviato al piezoelemento (a). Oscillazione prodotta da un piezoelemento smorzato fortemente (b) e debolmente (c). (d) Caratteristiche di un impulso ultrasonoro: frequenza f = 5 MHz e durata di un ciclo 1/f = 0,2 μs, lunghezza d’onda (per esempio in acqua) λ = c/f = 0,3 mm, durata convenzionale riferita a un’attenuazione di 20 dB = 1 μs, spazio occupato = 1,5 mm, numero dei cicli = 5.
za di risonanza del piezoelemento, incrementando in tal modo la risoluzione assiale; tuttavia questa scelta è penalizzata dal fatto che l’oscillazione, così fortemente smorzata, non possiede sufficiente energia per produrre, dopo la riflessione, un eco di ampiezza tale da poter essere ricevuto e amplificato al di sopra della soglia del rumore. Stabilito tale numero massimo di oscillazioni, la risoluzione assiale dipende in ultima analisi dalla frequenza di oscillazione. Va sottolineato che la frequenza dell’onda ultrasonora non influisce solo sulla risoluzione assiale, ma anche sulla capacità di penetrazione dell’impulso nel mezzo di propagazione e sulla risoluzione laterale: infatti, come già osservato, quanto più alta è la frequenza tanto minore è la divergenza del fascio ultrasonoro, il che si traduce appunto in una migliore risoluzione laterale. Purtroppo i vantaggi di una frequenza elevata sono controbilanciati dalla minore profondità di penetrazione, dato che il coefficiente di attenuazione nella maggior parte dei tessuti biologici di interesse clinico è dell’ordine di 1 dB cm–1 MHz–1. Perciò l’impiego di trasduttori in alta frequenza, cioè nell’intervallo 6÷15 MHz, consente un’elevata definizione dell’immagine laddove la penetrazione non è un parametro critico, come nel caso di indagini diagnostiche su tiroide, torace, vasi superficiali, in campo oftalmico e in applicazioni pediatriche. Trasduttori a frequenza più bassa (1÷3,5 MHz) producono immagini meno definite, ma hanno il grande vantaggio di fornire informazioni diagnostiche di grande utilità anche a profondità rilevanti18. 18 La profondità di scansione di un ecotomografo è funzione sia della sonda sia del set di impostazioni attive sulla macchina e normalmente può estendersi fino a 25 cm.
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Appare ormai chiaro che la lunghezza d’onda λ è un parametro di importanza centrale; essa infatti classifica non solo la sonda ma anche l’elettronica al suo servizio: da ciò deriva l’attenzione che occorre porre affinché la frequenza di funzionamento rimanga costante durante l’intera vita del trasduttore, dotando l’elettronica associata di controlli opportuni. La misura della frequenza centrale si ottiene con un’apparecchiatura simile a quella schematizzata nella figura 6.2, nella quale l’impulso ultrasonoro riflesso viene ricevuto dal trasduttore e inviato in questo caso a un particolare strumento, detto analizzatore di spettro, dal quale si deducono due parametri fondamentali: la f0 e la banda passante. La frequenza f0 è quella cui compete, nello spettro, la maggior parte dell’energia, mentre la banda passante rappresenta l’intervallo di frequenze cui il trasduttore risponde, cioè quelle che “passano” nel dispositivo in esame intorno alla frequenza f0. Bande passanti estese denotano la presenza di un elevato smorzamento, al quale corrisponde un basso Q. D’altra parte, è opportuno che la banda passante di una sonda, e naturalmente di tutta l’elettronica a valle, sia la più ampia possibile sostanzialmente per più motivi. Innanzitutto, per ottenere una buona risoluzione assiale sono necessari impulsi stretti, il che si traduce appunto in uno spettro in frequenza esteso. Inoltre, poiché per effetto dell’assorbimento selettivo la frequenza dell’eco è minore di quella dell’impulso trasmesso, occorre che la banda passante del trasduttore si allarghi verso l’estremo delle basse frequenze; ciò è tanto più vero quanto più la frequenza di lavoro è alta, poiché tanto più accentuato è in questo caso lo shift dovuto all’attenuazione selettiva. Un motivo ulteriore è legato alla profondità di penetrazione: una sonda utilizzata in alta frequenza, che fornisce immagini in alta risoluzione fino a una certa profondità, può comunque fornire anche informazioni relative a profondità maggiori, seppure con risoluzione degradata.
6.5 Note sulla larghezza di banda Il concetto di larghezza di banda o, ciò che è lo stesso, di risposta in frequenza di un sistema, è stato illustrato nei capitoli precedenti. Si vuole qui riprendere l’argomento per adattarlo al caso delle sonde ecografiche, puntualizzando le modalità con cui la larghezza di banda viene definita, la nomenclatura e i mezzi impiegati per la sua misura. La misura della banda passante viene di norma fornita in termini percentuali. Si valuta, per esempio, l’intervallo di frequenze intorno alla f0, per le quali l’ampiezza è inferiore al massimo di non più di 6 dB19, e lo si esprime in rapporto alla f0. Con riferimento all’ampiezza dell’onda di pressione della figura 6.8, si osserva che per la curva corrispondente all’impulso a, di maggiore du-
19 Si ricorda che il valore –3 dB è relativo alla metà dell’intensità massima, mentre –6 dB corrisponde alla metà dell’ampiezza di pressione massima.
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Figura 6.8. Pacchetti d’onda di differente durata e differente banda passante (riferita all’FWHM in termini di ampiezza), ma con medesima frequenza centrale fc = 4 MHz: in azzurro banda passante del 29 per cento, in rosso banda passante del 41 per cento.
rata, il rapporto tra l’estensione A dell’intervallo di frequenze e f0 fornisce un valore pari a circa il 29 per cento, mentre per la curva corrispondente all’impulso b, di durata minore, il calcolo fornisce B/f0 pari al 41 per cento. In generale (seguendo le norme ASTM E 1065-87a), il valore della banda passante vie-
Figura 6.9. Larghezza di banda di due differenti risposte in frequenza: (a) banda simmetrica; (b) banda asimmetrica.
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ne appunto calcolato a partire dai punti fiduciari corrispondenti a un’ampiezza pari alla metà dell’ampiezza massima, cioè in sostanza al valore FWHM in termini di ampiezza; ma è ugualmente esprimibile, seppure la scelta sia meno usuale, col valore di FWHM in termini di intensità. Si definisce quindi banda frazionaria (fractional bandwidth) la porzione della risposta in frequenza individuata da due frequenze limite fl e fu, a loro volta individuate da un valore soglia (per esempio –6 dB), rispetto al valore di picco, riferite al valore di mezzeria. Nelle figure 6.9a e 6.9b, dette fu la frequenza limite superiore (upper frequency), fl la frequenza limite inferiore (lower frequency) e fc la frequenza centrale (center frequency), ossia calcolata al centro dell’intervallo B = fu – fl , la banda frazionaria BW è definita dal rapporto tra l’intervallo B e la frequenza centrale f c secondo la BW = 100
fu − f l fc
[6.4]
per la quale nel caso della figura 6.9a, relativo a fc = (8+4)/2 = 6 MHz, si ottiene BW = 100 (8–4)/6 = 66 per cento, mentre nel caso della figura 6.9b, relativo a fc = (7,6 + 2,7)/2 = 5,2 MHz, si ha BW = 100 (7,6–2,7)/5,2 = 94 per cento. Dalla figura 6.9b appare evidente che la forma della risposta in frequenza può essere anche asimmetrica rispetto alla frequenza di picco f0 , che può non coincidere con la f c. Si ricorda ancora che la frequenza inferiore e quella superiore fl e fu sono le frequenze per le quali l’ampiezza dell’oscillazione della particella (ξ), o della corrispondente pressione sonora p (si rammenti che ξ e p variano in fase, almeno nelle approssimazioni presentate nel capitolo 3), risulta pari alla metà del corrispondente valore massimo (e quindi a un livello a –6 dB rispetto a esso). In tale caso, poiché l’intensità sonora I è funzione quadratica di ξ e p, per cui 2
2
⎛ ξ⎞ ⎛ p⎞ I ⎜⎝ ξ ⎟⎠ = ⎜⎝ p ⎟⎠ = I 0 0 0
[6.5]
l’intensità è pari al 25 per cento del valore massimo.
6.5.1 Misura della larghezza di banda Quando si desidera conoscere la larghezza di banda di un dispositivo, vale a dire la sua capacità di trasmettere, ricevere o elaborare un segnale il cui spettro abbia un certo contenuto in frequenza, il modo più semplice di procedere è quello illustrato schematicamente nella figura 6.10. In essa il dispositivo in esame è alimentato tramite un generatore di segnale sinusoidale, per il quale è possibile variare la frequenza entro i limiti della gamma di interesse; la banda, così misurata, rappresenta l’intervallo di frequenze entro cui il se-
Capitolo 6
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Figura 6.10. Schema per la determinazione della larghezza di banda di un dispositivo.
gnale, in ingresso allo strumento in esame, non subisce una distorsione apprezzabile20. Il generatore di segnali alimenta il dispositivo da valutare con segnale sinusoidale di ampiezza costante e frequenza variabile nota. Per ogni frequenza prescelta, si osserva sull’oscilloscopio qual è l’ampiezza del segnale in uscita dal dispositivo; quindi in un sistema di assi cartesiani si costruisce un grafico riportando le frequenze (ascisse) e le ampiezze corrispondenti (ordinate). Si suole dire che il dispositivo “risponde”, al variare della frequenza, secondo la curva tracciata. Occorre osservare che il segnale di prova sinusoidale può essere sostituito da un segnale impulsivo, con un contenuto in frequenza tanto più ampio quanto minore è la sua durata. In altri termini, per ottenere il grafico di risposta in frequenza di un dispositivo, si può sostituire il generatore di funzioni sinusoidali21 con un generatore di impulsi di ampiezza e durata variabile, mentre l’oscilloscopio può essere sostituito da un analizzatore di spettro, che praticamente compie l’analisi di Fourier sul segnale in uscita dallo strumento in esame. In definitiva, dal punto di vista della fisica del fenomeno, nulla è cambiato tra il metodo che utilizza l’oscillatore a frequenza variabile e quello che utilizza impulsi di durata variabile; tuttavia quest’ultimo è più rapido, analitico e fecondo di informazioni. Nello studio della larghezza di banda di un piezoelemento e dei circuiti a esso associati, si può pertanto procedere in due modi: con eccitazione per mezzo di impulso (shock), oppure con eccitazione mediante un pacchetto (burst) contenente un certo numero di cicli di un segnale sinusoidale22 (i due segnali di eccitazione sono rappresentati nella figura 6.11). 20 Come si specificherà meglio in seguito, normalmente tutti gli strumenti tendono ad attenuare in modo più o meno marcato le diverse componenti in frequenza dei segnali al proprio ingresso; pertanto il limite di tolleranza di tale distorsione (ossia la banda passante dello strumento) viene stabilito in modo convenzionale. 21 Di norma chiamato oscillatore perché capace di fornire oscillazioni elettriche di frequenza e ampiezza note, rigorosamente costanti e con trascurabile percentuale di distorsione armonica. 22 Si ricordi quanto stabilito, nel capitolo 5, in relazione alla misura dell’impedenza e del coefficiente di attenuazione.
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Figura 6.11. Segnale elettrico inviato agli elettrodi del piezoelemento: (a) impulso; (b) pacchetto d’onde di sei cicli.
Il diagramma a blocchi del dispositivo sperimentale usato per misurare la larghezza di banda di una sonda, col metodo che impiega il segnale elettrico impulsivo, è riportato nella figura 6.12 23. La sonda di cui si vuole conoscere la risposta in frequenza è immersa in una vasca, nella quale il pulse ultrasonoro conseguente al segnale elettrico viene riflesso da un target e ricevuto dalla sonda medesima, quindi inviato all’amplificatore e da esso indirizzato, tramite una porta ad apertura comandata (gate), contemporaneamente a un oscilloscopio e a un analizzatore di spettro. Il gate deve aprirsi e chiudersi, per consentire esclusivamente il passaggio del burst proveniente dal preamplificatore e consistente in un certo numero di cicli della frequenza di risonanza del piezoelemento. Il tempo Δτ , di apertura e chiusura della porta, può essere regolato anche in modo da consentire il passaggio di singoli impulsi di diversa durata; il generatore della finestra temporale di apertura (GWG, Gate width generator) ha appunto tale compito. La misura dell’ampiezza di banda col dispositivo descritto si compie come segue. Il generatore di impulsi lancia all’istante t0 un impulso verso la sonda in esame e verso una linea di ritardo (delay generator), che differisce il suo arrivo al GWG di un intervallo di tempo Δt pari a quello necessario affinché il segnale elettrico, prodotto nel frattempo dal trasduttore24, giunga all’ingresso della predetta porta. Infatti l’impulso raggiunge il gate dopo il tempo Δt (a partire da t0), che tiene conto del tempo di andata del pulse ultrasonoro, del tempo di ritorno dell’eco e del tempo di transito nel preamplificatore. Contemporaneamente pervengono al gate l’impulso elettrico che lo apre e il segnale di eco; il gate è abilitato dal GWG al passaggio dell’inviluppo dell’oscillazione in RF per un intervallo di tempo prefissato Δτ, pari alla durata dell’eco. All’uscita del gate è quindi presente il segnale di eco da esaminare, 23 Si riportano le denominazioni inglesi originali, poiché sono quelle a cui fa riferimento la normativa ASTM Designation E 1065-87a. 24 E che risulta un segnale in radiofrequenza (RF).
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Figura 6.12. Apparato sperimentale per la determinazione della risposta in frequenza di un trasduttore ultrasonoro.
che viene inviato all’amplificatore delle placchette verticali dell’oscilloscopio e che può essere rappresentato sul suo schermo, se l’asse dei tempi risulta attivato già da qualche istante prima; ciò viene realizzato per mezzo del collegamento di trigger, che consente all’impulso elettrico in uscita dalla sonda di far partire l’asse dei tempi dell’oscilloscopio prima che il segnale sia disponibile all’ingresso del gate, in modo che questo sia visibile e centrato sullo schermo.
6.5.2 Analizzatore di spettro L’analizzatore di spettro è uno strumento progettato per rappresentare graficamente l’ampiezza delle frequenze componenti il segnale entro un determinato intervallo di frequenze. Il principio di funzionamento è fondato sull’impiego di un ricevitore supereterodina25 a banda stretta e di un oscilloscopio. Con riferimento alla figura 6.13, un generatore di segnale a dente di sega (cioè 25 La conversione supereterodina è una tecnica impiegata per la ricezione, selezione e demodulazione di segnali in ampie bande di frequenza (per esempio segnali da stazioni radio), basata sulla miscelazione delle frequenze di interesse e di valore elevato, con un segnale a frequenza fissa di valore più basso per ottenere una frequenza intermedia (IF) più facilmente elaborabile.
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Figura 6.13. Schema a blocchi di un analizzatore di spettro. L’oscillatore a frequenza controllata in tensione VCO genera un segnale di test, la cui frequenza interrogante f0 varia linearmente nel tempo a partire da una frequenza iniziale fL0; il segnale in uscita dal mixer moltiplicativo è composto dalla frequenza somma e dalla frequenza differenza tra quella incognita fs e quella interrogante f0. Nel caso di mixer downconverter, l’informazione utile è trasportata dalla frequenza differenza. Un filtro detto di frequenza intermedia IF, centrato sulla frequenza fL0 di inizio rampa e caratterizzato da una banda stretta, fa passare il segnale di frequenza f0–fs solo se essa è all’interno dello stretto intervallo della banda passante del filtro IF. In ingresso al demodulatore si avrà, perciò, un segnale armonico non nullo solo negli istanti (e dunque solo per le frequenze) in cui la condizione f0–fs ≅ fL0 è verificata. Il demodulatore invia un segnale di ampiezza costante A/2 alle placchette verticali dell’oscilloscopio, mentre a quelle orizzontali il segnale proporzionale a f0–fL0 posiziona il pennello sull’asse orizzontale proprio in corrispondenza della frequenza cercata fs.
di tensione crescente linearmente nel tempo) viene collegato a un dispositivo che fornisce, in uscita, una tensione oscillante a una frequenza in ogni istante proporzionale alla tensione del dente di sega (oscillatore sweep) e di ampiezza che, senza perdita di generalità, si può assumere unitaria. Il generatore a den-
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ti di sega alimenta inoltre le placchette orizzontali di un oscilloscopio. Ne deriva che, in ciascun istante, la posizione che la traccia luminosa sullo schermo dell’oscilloscopio occupa sull’asse orizzontale è rappresentativa del valore della frequenza f0 del segnale in uscita dall’oscillatore al medesimo istante. Contemporaneamente, tale segnale di frequenza f0 , che può essere rappresentato come sin(2πf0t), viene inviato a un dispositivo miscelatore (mixer), che lo moltiplica per il segnale in radiofrequenza in uscita dal gate (figura 6.12), costituente l’eco raccolto dalla sonda e caratterizzato da varie frequenze componenti fs e da ampiezza A. Fissando l’attenzione sul caso più semplice, si può supporre che il segnale eco sia composto da un’unica armonica fs incognita e sia perciò del tipo A sin(2πfst). All’uscita del mixer è quindi rilevabile un segnale in tensione il cui contenuto in frequenza consiste della frequenza somma f0 + fs e della frequenza differenza f0 –fs che, nel caso in cui esse non siano molto diverse tra loro, è una vera e propria frequenza di battimento. Tale segnale A[cos(ω0–ωs)t – cos(ω0+ωs )]/2 è un segnale modulato, per il quale la modulante è la frequenza di battimento stessa. Essa è quella che, almeno nei casi dei cosiddetti mixer downconverter, corrisponde alla frequenza intermedia IF, assunta come la frequenza del segnale di uscita dal mixer utile ai fini dell’analisi spettrale del segnale indagato. A valle del mixer, infatti, è posto un filtro passa banda (a banda stretta) centrato su una frequenza stabilita fIF , detto appunto filtro IF; eliminata in ogni caso la componente di frequenza maggiore f0+fs, all’uscita del filtro si rende disponibile una tensione non nulla, che può essere inviata a un demodulatore, solo se la condizione f0–fs ≅ fIF è verificata, cioè se la frequenza f0–fs cade all’interno della banda suddetta. Poiché al demodulatore giunge un segnale del tipo (A/2) cos[2π(f0–fs )t], alla sua uscita è rilevabile il segnale di ampiezza costante A/2, che può essere inviato alle placchette verticali dell’oscilloscopio contemporaneamente al segnale inviato alle placchette orizzontali, proporzionale a f 0. Perciò, variando f0 nel modo precedentemente descritto, si può interrogare in termini di frequenza il segnale incognito, visualizzando per ogni frequenza la riga spettrale corrispondente. In particolare, ancora con riferimento alla figura 6.13, se la finestra di interrogazione (filtro IF) viene centrata proprio sulla frequenza fL0, scelta come inizio della rampa, usciranno dal filtro i segnali di frequenza f0–fs = fL0 , che verranno visualizzati sull’asse orizzontale dell’oscilloscopio in corrispondenza dell’ascissa fs, poiché l’origine dell’asse orizzontale (t = 0) corrisponde alla frequenza fL0 di inizio rampa e il pennello si sposta proporzionalmente a f0. Le singole fasi del procedimento di interrogazione descritto sono illustrate nella figura 6.14, nella quale si osserva come alla traslazione f0 sull’asse delle frequenze corrisponda una traslazione della frequenza f0–fs , che solo in corrispondenza del valore fL0 di centro banda del filtro (e di inizio della spazzolata) si traduce in un segnale non nullo all’oscilloscopio. Si osservi come il funzionamento del dispositivo sia indipendente dal valore della differenza f0–fs , e dunque dal verificarsi o meno del fenomeno di battimento, che è invece alla base di altri metodi di misura della frequenza.
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Figura 6.14. Fasi di individuazione della frequenza di un segnale all’interno di un analizzatore di spettro. Centrato il filtro su una frequenza stabilita fIF , la ricerca della frequenza incognita fs è effettuata con una scansione in frequenza a partire dalla frequenza iniziale fL0 = fIF , che produce una risposta non nulla quando la frequenza differenza è intercettata dal filtro. Poiché il filtro IF è a banda stretta, la frequenza somma viene scartata.
Se l’oscilloscopio è ad alta persistenza, sul monitor saranno visibili contemporaneamente tutte le righe (fs, A/2) e si avrà dunque l’intero spettro del segnale, illustrato per esempio nella figura 6.15b. L’analizzatore di spettro, quindi, non è altro che un dispositivo che compie e presenta in forma grafica l’analisi di Fourier di una forma d’onda (segnale).
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Figura 6.15. Spettri in frequenza nell’intervallo fl e fu all’uscita di un analizzatore: (a) segnale periodico costituito da una sola frequenza fs ; (b) segnale a più ampio contenuto armonico.
6.6 Il problema dell’adattamento dell’impedenza Un trasduttore piezoelettrico è sede di segnali a carattere sia meccanico sia elettrico. Dalla figura 6.3, si riconosce che tali segnali, sia in uscita dal trasduttore (trasmissione) sia in ingresso (ricezione), incontrano diversi impedimenti di carattere meccanico ed elettrico. In particolare l’onda ultrasonora deve attraversare materiali diversi, sia per uscire dal trasduttore verso i tessuti biologici da un lato, sia per essere assorbita dallo strato di smorzamento dal lato opposto. La stessa osservazione è valida per il segnale elettrico che si raccoglie sugli elettrodi e deve raggiungere l’ingresso di un amplificatore attraverso un conduttore particolare (cavo coassiale), che deve assolvere compiti diversi. Affinché la trasmissione del segnale meccanico ed elettrico sia efficace, gli ostacoli posti alla trasmissione devono essere i più lievi possibili. Le differenze di impedenza meccanica (che si manifestano alle interfacce tra i diversi corpi uniti in serie al piezoelemento e alla lente acustica) e le differenze di impedenza elettrica (che si manifestano alle interfacce tra elettrodi, conduttori elettrici e ingresso dell’amplificatore) devono cioè essere tali che i segnali vengano trasmessi e non riflessi. Solitamente ciò non è realizzabile in modo completo; occorre quindi studiare in che modo si possano adattare le diverse impedenze, per realizzare comunque le condizioni di minima riflessione. Nel seguito vengono brevemente presentate e analizzate le condizioni di adattamento delle impedenze meccaniche e di quelle elettriche.
6.6.1 Impedenza meccanica Utilizzando l’analogia elettrica, affinché l’onda ultrasonora possa compiere il tragitto dal generatore al carico senza che avvengano riflessioni all’interfaccia (in altri termini, affinché il coefficiente di trasmissione sia prossimo per
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quanto possibile all’unità), è necessario che l’impedenza Zg del generatore e quella Zc del carico siano pressoché identiche26; ciò tuttavia non si verifica nel caso cui ci si riferisce. Infatti, assumendo per il materiale piezoelettrico un valore Zg compreso nella gamma 30÷36 Mrayl (tipica degli elementi PZT), e per il carico (tessuti biologici) un valore di circa 1,5 Mrayl (pari all’impedenza dell’acqua), il coefficiente di trasmissione in termini di intensità risulta pari a tI = 4 Zg Zc /(Zg+Zc)2 ≅ 0,18, nel caso in cui si sia scelto Zg = 30 Mrayl, oppure pari a tI = 0,15 se si è scelto Zg = 36 Mrayl. In altri termini solamente il 15-18 per cento dell’intensità dell’onda ultrasonora penetra nel mezzo, mentre la rimanente parte viene riflessa tornando all’interno del trasduttore. Appare pertanto evidente la necessità di adattare l’impedenza meccanica del piezoelemento generatore a quella del carico (corpo del paziente), per migliorare il coefficiente di trasmissione. Analogo problema si pone per quanto riguarda gli altri tipi di interfaccia, come verrà illustrato nei paragrafi seguenti.
6.6.2 Adattamento dell’impedenza meccanica: matching layer Il principio su cui si basa l’adattamento di impedenza meccanica è l’introduzione tra il piezoelemento e il carico di uno strato di materiale di spessore opportuno e di impedenza Zs , intermedia tra quella del piezoelemento e quella del carico. All’interno dello strato si stabilisce un regime di onde, alimentato dal piezoelemento, dipendente dalle caratteristiche acustiche dello strato, del piezoelemento e del mezzo esterno. Con riferimento alla figura 6.16, si prendano in considerazione i tre mezzi, corrispondenti al piezoelemento, allo strato adattatore di spessore s e al carico, rispettivamente di impedenze Z1, Z2 e Z3 , per le quali valga la condizione Z1>Z2>Z3. Al tempo t 0 al confine tra il piezoelemento e lo strato (interfaccia A), l’onda ultrasonora viene in parte riflessa e in parte trasmessa allo strato di adattamento. La quota parte trasmessa percorre lo spessore s e raggiunge al tempo t1 l’interfaccia B tra lo strato e il carico, dove viene, a sua volta, in parte trasmessa al tessuto e in parte riflessa. Poiché l’impedenza dello strato è maggiore di quella dei tessuti, l’onda riflessa risulta in opposizione di fase con l’onda incidente27. Tale quota parte riflessa percorre all’indietro lo spessore s e giunge al tempo t2 all’interfaccia A, in corrispondenza della quale si verifica ancora una riflessione, questa volta in fase con l’onda retrograda proveniente dallo strato, che manifesta un ritardo complessivo rispetto all’evento iniziale dato dalla relazione c2 Δt = 2s. All’istante t2 = t 0 + Δt, le onde in corrispondenza dell’interfaccia A, che stanno penetrando all’interno dello strato, risultano pertanto: l’onda appena descritta, che ha subito le due riflessioni, e quella originariamente trasmessa, che ha già percorso lo strato s avanzando complessivamente di c2 Δt/2+c3 Δt/2. 26 Con riferimento a quanto stabilito nel capitolo 4, ciò comporta che sia nulla l’energia rinviata per riflessione. 27 Si ricordino le espressioni per i coefficienti di trasmissione e riflessione riportate nel capitolo 3 e si consideri il segno di rp.
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Tralasciando la trattazione analitica del fenomeno28, si noti che, se lo spessore s dello strato è posto pari a un quarto della lunghezza d’onda λ2, all’istante t0+Δt = t0+(λ2/2c2) le due onde progressive in corrispondenza dell’interfaccia A risultano in fase e in fase giungono al tempo t3 all’interfaccia B dopo aver percorso insieme lo spessore λ2 /4. Perciò all’interfaccia B, cioè in corrispondenza del confine matching layer-corpo del paziente, l’onda trasmessa, a partire dall’istante t0+Δt /2 = t0+(λ2 /4c2 ), è costituita dalla sola onda originaria, per l’intervallo di tempo Δt necessario all’onda relativa alle riflessioni multiple per giungere in B, e consiste invece della sovrapposizione di entrambe, a partire dall’istante t0+(λ2 /4c2 )+(λ2 /2c2); tale sovrapposizione in fase comporta un aumento dell’ampiezza dell’onda trasmessa. Quanto sin qui esposto è illustrato nella figura 6.16a, dove l’onda originaria incide lo strato adattatore nell’istante t0 e giunge all’interfaccia B all’istante t1; mentre essa prosegue per il tratto c 3 Δt /2, l’onda retrograda percorre il tratto c2 Δt /2 = λ2 /4 (istante t2 ); ripartendo dall’interfaccia A e percorrendo in avanti lo stesso tratto, essa giunge all’istante t3 all’interfaccia B con il tessuto (mentre l’onda originaria ha percorso un nuovo tratto c3 Δt /2) e vi penetra in fase con l’onda primaria, per cui nei successivi intervalli di tempo t4–t3 e t5–t4 (entrambi pari a λ2 /4c2 ) esse viaggiano in fase all’interno del corpo del paziente. Nella figura 6.16b è illustrato, in corrispondenza dell’interfaccia B, l’andamento nel tempo dell’onda pressoria (che si propaga nel corpo con velocità c3) dovuta al contributo dell’onda originaria e di quella proveniente dalle riflessioni multiple. Si può notare, oltre al già descritto fenomeno di amplificazione dell’ampiezza trasmessa, anche un allungamento29 nel tempo (e nello spazio) dell’impulso originario a causa del ritardo tra questo e le successive riflessioni. Limitandosi alla dimostrazione intuitiva appena proposta, si riporta qui la relazione30 che lega le impedenze dei materiali al coefficiente di trasmissione globale, in termini di intensità, tra un mezzo 1 e un mezzo 3, valida nel caso di spessore 2 qualsiasi del mezzo 2 interposto. Poiché la descrizione del fenomeno nel caso di incidenza obliqua è molto complessa e inoltre l’impiego pratico delle sonde per ecografia prevede in genere un’incidenza normale, si riporta solo la relazione valida per quest’ultima condizione tI 3 tI 1
28
=
(
)
4Z 3 Z1 2
(
)
2
Z 3 + Z1 cos2 k 2 2 + Z 2 + Z 3 Z1 Z 2 sin 2 k 2 2
[6.6]
In materia il lettore può consultare, per esempio, i trattati sull’ottica o sulle telecomunicazioni. Si ricordi che la durata del pulse viene valutata considerando il segnale come non nullo se l’attenuazione rispetto al valore massimo è inferiore a 20 dB. 30 Analogamente al procedimento seguito per ricavare le relazioni per una singola interfaccia (vedi capitolo 3), i vincoli da imporre in corrispondenza delle due interfacce sono anche in questo caso relativi alla continuità della pressione p e della componente perpendicolare della velocità. Per i dettagli della dimostrazione, il lettore può consultare L. Kinsler, A. Frey, A. Coppens, J. Sanders (1982) Fundamentals of Acoustics. Wiley. 29
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Figura 6.16. Adattamento di impedenza con matching layer in quarto d’onda. (a) L’impulso ultrasonoro generato dal piezoelemento (rosso) attraversa il matching layer nei vari istanti di tempo ti (i = 0, 1, 2, …, 6); all’istante t1 , quando esso raggiunge la superficie di separazione tra matching e carico, a causa della differenza d’impedenza tra essi, una quota parte viene riflessa in opposizione di fase. All’istante t2 l’onda riflessa (blu) raggiunge la superficie di separazione tra matching e piezoelemento, dove avviene una seconda riflessione che, essendo l’impedenza del PZT maggiore di quella del matching layer, risulta in fase con l’onda incidente. All’istante t3 l’onda generata dalla doppia riflessione all’interno del matching layer penetra nel carico: durante il tragitto essa ha subito un ritardo complessivo corrispondente a λ2 /2 rispetto all’onda originaria (che ha già parzialmente attraversato lo strato adattatore); pertanto le due onde risultano in fase. (b) L’impulso ultrasonoro che viaggia nel carico (verde) è ottenuto come somma dei contributi dell’onda originaria e di quella riflessa. Per semplicità di rappresentazione le forme d’onda riportate presentano λ pari a quella λ2 che la radiazione ha nel matching layer, anche se a rigore vale λ1>λ2>λ3.
nella quale k2 = 2π/λ2 è il numero d’onda all’interno del matching layer alla frequenza trasmessa. Il calcolo relativo al valore dell’impedenza Z2 , che consenta una trasmissione dell’onda dal mezzo 1 al mezzo 3 con coefficiente unitario, deriva dalla [6.6]. In particolare quando lo strato 2 è pari a un numero dispari di quarti d’onda, vale a dire pari a (2n+1)λ2 /4, la [6.6] si riduce alla seguente:
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tI 3 tI 1
=1
[6.7]
per la quale, assumendo Z2 = (Z1Z3)1/2, si ottiene la trasmissione totale dell’intensità dell’onda incidente dal generatore 1 al carico 3. Va osservato che questa condizione è meno fortunata di quanto possa apparire a prima vista, poiché è rigorosamente valida per una sola frequenza, cioè quella per cui vale f = c2/λ2, essendo c2 e λ2 rispettivamente velocità di propagazione e lunghezza d’onda nello strato adattatore. In sostanza, lo strato in quarto d’onda assume il ruolo di filtro passa-banda, potendosi in realtà affermare che la condizione [6.7] è valida per un ristretto intervallo di frequenze nell’intorno della frequenza c2 /λ2. La scelta di tale soluzione comporta perciò un restringimento della banda passante del trasduttore e un incremento della durata dell’impulso. Ciò si traduce in un incremento della sua sensibilità alla frequenza di picco a discapito del potere risolutivo assiale, che subisce un decremento. Occorre inoltre ricordare che l’assorbimento delle alte frequenze componenti l’impulso, durante il tragitto di ritorno dell’eco riflesso dall’ostacolo, peggiora ulteriormente le prestazioni della sonda. Nel caso di applicazione pratica del metodo, occorre inoltre considerare non solo la difficoltà operativa di tagliare il materiale costituente lo strato adattatore in dimensioni pari a λ2 /4, relativamente alla frequenza nominale 31, ma anche il fatto che tale strato deve essere incollato da uno o entrambi i lati: con il piezoelemento da una parte e con la lente acustica da quella opposta. Inoltre, nel caso siano presenti più strati adattatori in serie, il loro reciproco incollaggio comporta l’introduzione di uno spessore di collante, dell’ordine della decina di micrometri, caratterizzato tra l’altro da una diversa impedenza rispetto a quella degli strati adattatori presenti. Quest’ultimo aspetto determina innanzi tutto un restringimento della banda passante, poiché tutte le interfacce presenti causano riflessioni multiple e, in ultima analisi, un’attenuazione dell’onda per aumentato cammino (in particolare alle alte frequenze, che non verranno pertanto trasmesse). Per quanto riguarda la variazione dello spessore rispetto al valore nominale λ2 /4 (variazioni comunque piccole), questa implica uno spostamento della frequenza di massimo verso valori superiori o inferiori, a seconda che lo spessore complessivo del matching layer sia maggiore o uguale a quello nominale, pari a λ2/4 relativo a f0, cioè a seconda che si decida di aggiungere lo strato di collante a uno strato adattatore tagliato in λ2/4 o viceversa di mantenere lo spessore totale pari a λ2/4, rendendo lo strato effettivamente adattatore più sottile (figura 6.17). In entrambi i casi si ha un restringimento ulteriore di banda passante dovuto al fatto che, per spessori di adattamento diversi da quello nominale, il cristallo oscilla più a lungo, peggio-
31 Alle alte frequenze lo strato in λ /4 potrebbe essere troppo sottile per essere praticamente realiz2 zato. In questo caso viene costruito uno strato pari a 3λ 2/4.
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Figura 6.17. Risposta di un trasduttore piezoelettrico accoppiato a un strato adattatore di spessore λ2 /4 (nero), (λ 2 /4)–(λ 2 /20) (verde) e (λ2 /4)+(λ 2 /20) (viola). In (a) andamenti nel tempo degli echi in risposta all’impulso elettrico, in (b) corrispondenti spettri in frequenza. All’aumentare dello spessore dello strato, la frequenza di massimo f0 aumenta rispetto al valore nominale ottenuto per lo spessore in quarto d’onda, mentre avviene l’opposto al diminuire dello spessore. In entrambi i casi si ha un aumento della sensibilità alla frequenza di picco e una diminuzione della banda passante (ottenuta per esempio come FWHM). Gli andamenti sono ottenuti per un solo matching layer e alla frequenza fc = 4 MHz. Modificata, con autorizzazione, da K. Yamaguchi, H. Yagami, T. Fujii (1986) New Method of Time Domain Analysis of the Performance of Multilayered Ultrasonics Transducers. IEEE Transactions on Ultrasonics, Ferroelectrics and Frequency Control 33; 6: 669-678. © 1986 IEEE.
rando l’effetto di allungamento del pulse causato dai ritardi inerenti le riflessioni multiple (effetto comunque presente, anche in caso di spessore ottimo in quarto d’onda, come si è già avuto modo di evidenziare). Nella figura 6.17 è illustrato il comportamento oscillatorio nel tempo, e la relativa banda passante, di un piezoelemento caratterizzato da frequenza centrale fc = 4 MHz al quale è stato applicato uno strato di spessore pari, rispettivamente, a λ 2 /4, λ 2 /4–λ 2 /20 e λ 2 /4+λ 2 /20. Il grafico riporta il valore della sensibilità del cristallo Vout /Vin in decibel in funzione della frequenza. Si può notare che la sensibilità relativa agli ultimi due casi è maggiore di quella che si osserva per il valore nominale, ma che corrispondentemente la banda passante è più ristretta. Il problema dell’adattamento dell’impedenza meccanica tra sorgente vibrante e mezzo consiste, pertanto, nell’individuare le modalità mediante le quali rendere il più grande possibile il coefficiente di trasmissione, mantenendo comunque larga la banda passante. La questione è stata affrontata da molti ricercatori; in particolare è stato dimostrato, teoricamente e sperimentalmente, come sia possibile avvicinarsi a tali condizioni ponendo in serie, di fronte
Capitolo 6
· La sonda elementare
331
Tabella 6.1. Ottimizzazione dell’impedenza acustica in Mrayl dei matching layer Tipo
Z1
Z2
A B C D
4 6 10 11
2,0 3,4 4,0
Z3
1,8 2,1
Z4
S
R
1,6
39,4 39,3 38,3 38,0
3,46 2,00 1,73 1,49
Da K. Yamaguchi, H. Yagami, T. Fujii (1986) New Method of Time Domain Analysis of the Performance of Multilayered Ultrasonics Transducers. IEEE Transactions on Ultrasonics, Ferroelectrics and Frequency Control 33; 6: 669-678.
al piezoelemento, più strati adattatori (sistemi multistrato o multilayer), la cui impedenza sia decrescente dal valore massimo del PZT (30 Mrayl) al valore minimo corrispondente al carico, pari a circa 1,6 Mrayl. I risultati della formulazione teorica e dei rilievi sperimentali hanno condotto ai valori riportati nella tabella 6.1 e nella figura 6.18. Gli esperimenti sono relativi a quattro diversi casi, per i quali vengono analizzate le variazioni subite dalle forme d’onda degli echi ricevuti (si faccia riferimento a una catena di misura del tipo riportato nella figura 6.2) e la relativa banda passante di un trasduttore (le cui caratteristiche sono riportate nella didascalia della figura 6.18) al quale vengano applicati da 1 a 4 strati. Nella tabella 6.1 compaiono anche i parametri S (sensibilità) e R (risposta) scelti per valutare quantitativamente il comportamento dei multilayer e individuarne i limiti nelle applicazioni pratiche e definiti dagli autori stessi come segue. Con riferimento alla figura 6.19, nella quale è rappresentata la risposta
Figura 6.18. Risposta in frequenza di un trasduttore in PZT (area = 18,2 mm2, spessore t = 400 μm, frequenza di risonanza f0 = 4 MHz, impedenza acustica specifica = 28 Mrayl, costante dielettrica relativa εr = 2000, costante piezoelettrica h33 = 1,6·109 V/m, velocità del suono c = 3200 m/s) accoppiato agli strati di adattamento della tabella 6.1: matching layer A (nero), B (viola), C (verde), D (rosso). Modificata, con autorizzazione, da K. Yamaguchi, H. Yagami, T. Fujii (1986) New Method of Time Domain Analysis of the Performance of Multilayered Ultrasonics Transducers. IEEE Transactions on Ultrasonics, Ferroelectrics and Frequency Control 33; 6: 669-678. © 1986 IEEE.
Fondamenti di Ingegneria Clinica
332
· Ecotomografia
Figura 6.19. Risposta nel dominio del tempo di un piezoelemento in fase di ricezione dell’eco in termini di stress (in valore assoluto). S ampiezza massima, ts istante di massimo a partire dall’istante di inizio dell’eco, R dispersione dei valori attorno al valore massimo. Modificata, con autorizzazione, da K. Yamaguchi, H. Yagami, T. Fujii (1986) New Method of Time Domain Analysis of the Performance of Multilayered Ultrasonics Transducers. IEEE Transactions on Ultrasonics, Ferroelectrics and Frequency Control 33; 6: 669-678. © 1986 IEEE.
nel dominio del tempo in termini di stress (forza meccanica/superficie del piezoelemento), subito da un piezoelemento durante la fase di ricezione di un eco nella direzione di propagazione, si definisce il parametro R come ∞
R=
∫ P(t) ( t s − t ) dt 2
0
∞
[6.8]
∫ P(t) dt 0
vale a dire come la dispersione, rispetto all’oscillazione S di massima ampiezza, di tutte le oscillazioni che compongono l’eccitazione meccanica P(t) del piezoelemento in ricezione. Dall’osservazione della figura 6.19, emerge che si ha un ottimo trasferimento di energia dal trasduttore al mezzo quando si ottiene il massimo valore di S e il minimo valore di R: infatti un valore elevato di S denota la capacità della sonda di rilevare anche echi poco intensi, mentre un valore limitato di R im-
Capitolo 6
· La sonda elementare
333
plica una limitata durata dell’eco (anche se non proprio secondo il criterio basato sulla soglia dei –20 dB, precedentemente introdotto). In generale un numero di strati che consenta di minimizzare il valore di R non fornisce il valore massimo di S. Dalla tabella 6.1 risulta come, all’aumentare del numero degli strati, il valore di R diminuisca tendendo verso la condizione ideale, mentre il valore di S, sia pure diminuendo in modo meno marcato, tenda ad allontanarsene. Si osserva ancora come, al crescere del numero dei matching layer, l’impedenza acustica nella direzione del carico tenda asintoticamente al valore di quest’ultimo (Z = 1,5 Mrayl); occorre sottolineare però che il valore dell’impedenza degli strati prossimi al carico deve essere sempre più accurato. Data la grande difficoltà tecnologica nell’ottenere i valori desiderati di impedenza acustica con l’accuratezza necessaria, la pratica realizzativa odierna limita il numero degli strati generalmente a non più di tre, più spesso due. La maggior parte dei trasduttori oggi in commercio sono costruiti con uno o due matching layer e molti ricercatori hanno fornito formule che consentono l’individuazione dell’impedenza di ciascuno strato, tenendo conto sia dei problemi accennati circa lo spessore della colla, sia della necessità di garantire la banda passante più ampia possibile. A titolo esemplificativo si riportano qui alcune relazioni tra le impedenze degli strati32 che consentono di ottenere risultati migliori rispetto a quelli ottenuti per mezzo della relazione [6.7]; in particolare, per un singolo matching layer, tale relazione viene sostituita dalla Z m = 3 Z T Z 2M
[6.9]
nella quale Zm è l’impedenza dello strato adattatore, Z T l’impedenza del piezoelemento e ZM l’impedenza del carico. Nel caso di doppio matching layer, indicando con Zm1 l’impedenza del primo strato di adattamento, quello a contatto con il piezoelemento e con Zm2 quella del secondo, si ha Z m1 = 7 Z 4T Z 3M
Z m 2 = 7 Z T Z 6M
[6.10]
Si deve osservare che raramente si trova conferma della reale applicazione delle formule sopra riportate nel caso delle sonde commerciali, anche perché in molti casi lo spessore degli strati non è esattamente λ /4, sia per la presenza del collante sia perché nella fase di esecuzione dei prototipi ci si riserva di procedere a successivi aggiustamenti che consentono l’allargamento della banda passante fino a valori dell’ordine del 75 per cento e oltre. Quanto descritto ha fondamentalmente lo scopo di fornire una spiegazione fisica del fenomeno e un quadro sommario delle proposte applicative che ser-
32 C. Desilets, J. Fraser, G. Kino (1978) The Design of Efficient Broad-Band Piezoelectric Transducers. IEEE Transactions on Sonics and Ultrasonics SU-25; 3.
334
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· Ecotomografia
vano da guida per l’impostazione di massima della progettazione. Nella realtà, come chi scrive ha avuto modo di verificare mediante diverse esperienze da lui stesso condotte, ciascun costruttore detiene un proprio patrimonio di conoscenze scientifiche e tecniche (know-how), sulla base del quale realizza i trasduttori e procede poi semi empiricamente alla determinazione dei parametri costruttivi, stabiliti spesso sulla base di successivi adattamenti utilizzando materiali già disponibili in commercio.
6.7 Smorzamento delle oscillazioni del piezoelemento: backing Il problema dell’adattamento dell’impedenza meccanica si pone anche per l’onda ultrasonora che viene prodotta in corrispondenza della faccia opposta del piezoelemento e che non è destinata a penetrare nel corpo del paziente. Poiché il piezoelemento è in genere caratterizzato da un basso smorzamento strutturale, e perciò da un alto Q, se sollecitato impulsivamente fornisce oscillazioni la cui durata supera di gran lunga il numero massimo di cicli (4÷6) che consente una buona risoluzione assiale. Al fine di attenuare drasticamente le oscillazioni del cristallo, sulla faccia dell’elemento vibrante opposta a quella di emissione utile viene applicato un materiale fortemente smorzante: ciò conduce a una riduzione del fattore Q, come richiesto per ottenere un incremento della risoluzione assiale. Tale materiale è denominato backing, essendo posto sul retro del trasduttore, e assolve il delicatissimo compito di estrarre energia, in modo controllato, dalla faccia posteriore del piezoelemento cui è unito per mezzo di speciali colle. In realtà il backing, oltre ad attuare un efficace smorzamento, costituisce il supporto fisico del cristallo (o della schiera di cristalli), consentendone il collegamento meccanico con la struttura della sonda, all’interno della quale devono essere realizzati i collegamenti tra gli elettrodi e i cavi coassiali e quanto altro è previsto dalla progettazione del sistema ecotomografico. Poiché questo elemento costruttivo della sonda deve assorbire (e non riflettere) l’energia legata alle oscillazioni del cristallo, risulta conveniente che le due impedenze siano quanto più possibile vicine tra loro. Da queste considerazioni derivano le principali caratteristiche che un materiale deve possedere per essere adatto alla costruzione del backing e in particolare: la sua impedenza acustica deve essere più vicina possibile a quella del piezoelemento, per rendere massima l’energia trasmessa; inoltre deve offrire elevata attenuazione dell’onda ultrasonora, in modo da simulare per quanto possibile un mezzo semi infinito e impedire, quindi, che energia riflessa in corrispondenza della sua interfaccia posteriore torni indietro e interferisca con il piezoelemento. Esso deve infine possedere caratteristiche di rigidezza tali da costituire un robusto supporto per le schiere di cristalli nelle sonde a cortina (array). L’introduzione del backing modifica la risposta in frequenza del piezoelemento e comporta, giocoforza, una diminuzione dell’energia trasmessa al carico; ciò determina un decremento di sensibilità cui conseguono, in fase di pro-
Capitolo 6
· La sonda elementare
335
gettazione, scelte di compromesso tra la necessità di disporre di energia sufficiente per compiere analisi diagnostiche, anche dei particolari anatomici situati a maggiore profondità, e il mantenimento di una buona risoluzione assiale.
6.7.1 Composizione del backing Il backing è un materiale composito, costituito da particelle metalliche inserite in una matrice polimerica, la cui impedenza generalmente può variare da 5 a 20 Mrayl, valore vicino a quello dei PZT. In pratica alcune case costruttrici utilizzano smorzatori con impedenza nell’intervallo 7÷10 Mrayl. Di norma le particelle metalliche sono di tungsteno, mentre la matrice è costituita di resina epossidica o gomma. I materiali costruiti con questi due elementi tipici possiedono elevata densità e sono detti perciò backing pesanti (heavy backing): per avvicinarsi all’impedenza del PZT è, infatti, necessario che sia presente il 60 per cento in volume di polvere di tungsteno. Vi sono anche i cosiddetti backing leggeri, costruiti solo con resina epossidica o gomma. L’attenuazione del backing dipende dalle dimensioni dei granuli metallici, dalla loro forma e dal rapporto esistente tra le loro impedenze acustiche e quella del polimero. Un primo contributo all’attenuazione è costituito dal fatto che le particelle metalliche diffondono l’energia ultrasonora, causandone l’attenuazione per mezzo del fenomeno dello scattering, di cui si è trattato nel capitolo 4. Un altro importante contributo all’attenuazione all’interno di questi compositi è fornito dall’interazione tra il polimero e il materiale metallico con il quale viene mescolato (filler): una scarsa adesione tra i due componenti è causa di maggiore attenuazione, poiché consente alle particelle metalliche del filler di vibrare e le conseguenti perdite per attrito producono un incremento di attenuazione; viceversa, se il legame tra polimero e particelle è molto forte, queste non possono oscillare e, quindi, l’attenuazione risulta debole per mancanza di rilevanti perdite per attrito. A parità di materiali componenti, le caratteristiche smorzanti del backing dipendono anche da come sono connesse le diverse fasi del composito: ognuna di esse può essere fisicamente in contatto con se stessa lungo una, due o tre dimensioni, oppure lungo nessuna direzione (come accade per le particelle metalliche annegate nella matrice polimerica). Tale caratteristica è nota come connettività; per esempio, nel caso delle particelle sparse uniformemente all’interno della matrice, si dice che il filler è a connettività 0, poiché le particelle sono circondate dal polimero e non sono in contatto le une con le altre, mentre il polimero è a connettività 3 quando presenta interconnessioni nelle tre dimensioni dello spazio; un composito in cui il filler metallico sia costituito da cilindri (lunghi quanto lo spessore dello strato), annegati ancora in una matrice polimerica, presenta connettività 1-3. I risultati sperimentali ottenuti al variare dei polimeri, delle fasi, del filler, delle dimensioni e del numero delle sue particelle metalliche, nonché del processo di fabbricazione, consentono di ottenere prestazioni del backing che risolvono completamente il problema dello smorzamento dell’oscillazione del piezoelemento a pochi cicli.
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336
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6.7.2 Elementi di progettazione del backing L’impedenza acustica del backing è compresa tra 5 e 20 Mrayl, mentre, per quanto concerne l’attenuazione, è bene che essa sia in ogni caso la più elevata possibile. Le relazioni dalle quali si parte per una progettazione di massima di questo elemento si deducono direttamente dall’espressione dell’impedenza Z = ρc, nella quale la velocità del suono è legata al modulo di elasticità E dalla relazione (già introdotta nel capitolo 3) c = (E/ρ)1/2. L’impedenza caratteristica dell’elemento risulta perciò pari a Z = Eρ
[6.11]
nella quale le caratteristiche fisiche del materiale dipendono da quelle delle due fasi costituenti. La densità apparente ρc del composito, costituito da particelle metalliche e matrice polimerica, cresce con l’incremento percentuale in volume del filler (di densità maggiore) e risulta pari a ρc =
ρf Vf + ρp Vp
V
[6.12]
nella quale i pedici f e p indicano rispettivamente il filler e il polimero, mentre V è il volume. Per quanto concerne le proprietà elastiche del composito, a partire da quelle dei materiali componenti, sono comunemente proposti in letteratura tre modelli33 : il modello di Reuss, quello di Voigt e quello logaritmico. Il modello di Reuss si fonda sull’ipotesi di sollecitazione costante su tutto il composito, mentre quello di Voigt assume che sia costante la deformazione; le espressioni del modulo elastico del composito Ec nei due casi suddetti sono E c Re uss =
Ef Ep Vf E p + E f Vp
E c Voigt = Vf E f + Vp E p
[6.13]
nelle quali Vf e Vp indicano le percentuali in volume occupate da ciascuna fase. Il modello logaritmico, di tipo empirico, conduce a risultati intermedi tra i due modelli precedenti, come si osserva nella figura 6.20, per cui si ha ln E c = Vf ln E f + Vp ln E p
[6.14]
La rigidezza Ec del composito moltiplicata per la densità apparente ρc , entrambe in funzione della percentuale in volume dei due componenti, fornisce l’impedenza caratteristica del backing al variare della composizione. Nella figura 6.20 vengono riportate le impedenze Z ottenute al variare della frazione 33 Il lettore può consultare, per esempio, M. Grewe, T. Gururaja, T Shrout, R. Newnham (1990) Acoustic properties of Particle/Polymer Composites for Ultrasonic Transducer Backing Applications. IEEE Transactions on Ultrasonics, Ferroelectrics and Frequency Control 37; 6: 506-514.
Capitolo 6
· La sonda elementare
337
Figura 6.20. Impedenza caratteristica per backing in matrice vinilica e filler in tungsteno: variazione con la percentuale volumica del tungsteno: Voigt (nero), logaritmico (azzurro), Reuss (rosso), modulo elastico effettivo (verde). Modificata, con autorizzazione, da M. Grewe, T. Gururaja, T. Shrout, R. Newnham (1990) Acoustic properties of Particle/Polymer Composites for Ultrasonic Transducer Backing Applications. IEEE Transactions on Ultrasonics, Ferroelectrics, and Frequency Control 37; 6: 506-514. © 1990 IEEE.
in volume del filler in tungsteno (Z = 103 Mrayl, c = 5400 m /s, E = 5,65·1011N /m2) in una matrice vinilica (Z = 2,3 Mrayl, c = 2000 m/s, E = 5,0·109 N/m2) per i tre modelli di rigidezza descritti. Il modello che consente di ottenere risultati approssimati più vicini al comportamento effettivo è quello di Reuss. Dal momento che le prestazioni del backing dipendono dai parametri citati, che sono oggetto di innumerevoli combinazioni tra loro, esse possono essere valutate relativamente a: backing costituiti di solo polimero, backing costruiti con il medesimo filler al variare della fase polimerica, backing costruiti con una stessa fase polimerica al variare del filler e, infine, backing costruiti con i medesimi componenti ma mediante diversi procedimenti (al fine di produrre microstrutture con diverso grado di connettività). Alcuni risultati sperimentali, relativi al comportamento acustico (in termini di impedenza caratteristica e costante di attenuazione) per diversi tipi di matrice polimerica, sono riportati a titolo esemplificativo nella tabella 6.2. Nelle prime due colonne della tabella sono riportati i risultati sperimentali relativi a backing costituiti con solo polimero; si osserva che i diversi polimeri hanno impedenze che variano in un intervallo piuttosto ristretto (da 1,1 a 2,5 Mrayl), mentre l’intervallo entro il quale variano le attenuazioni è assai ampio (7÷139 dB/cm). I polimeri che forniscono la maggiore attenuazione – resina epossidica Eccogel 1365-80 e Dispersione-236 gomma – hanno elevata elasticità e presentano entrambi strutture assai scarsamente interconnesse nelle tre direzioni; viceversa, per esempio, il polietilene, che è dotato di una vera e propria struttura cristallina, ha un valore di attenuazione decisamente più basso e ciò conferma che i legami interni diminuiscono l’attenuazione.
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Tabella 6.2. Comportamento acustico alla frequenza di 5 MHz di smorzatori con filler in tungsteno (dimensione delle particelle < 3 μm) al variare della matrice polimerica Polimero puro Compositi Vol % Polimero Z (Mrayl) α (dB/cm) Tungsteno Z (Mrayl) α (dB/cm) Resina epossidica (Spurr) Eccogel 1365-80 epossidica Elastomeri - CA-118 Poliuretano - CA-128 Poliuretano - Estano Poliuretano Polietilene Poli-metil-metacrilato Polipropilene Poli-butilene-teraeftalato Policarbonato Dispersione-236 gomma RTV-141 gomma
2,5 2,5
19 120
19,3 ± 0,5 20,6
7,2 ± 0,1 6,5
36 ± 2 175
2,1 2,0 2,1 1,7 2,5 1,7 2,4 2,0 2,1 1,1
24 37 27 9 7 28 54 24 139 14
18,7 ± 0,5 18,7 ± 0,4 18,5 ± 0,8 18,7 ± 0,2 22,0 ± 0,2 18,8 ± 0,6 21,7 23,0 ± 0,4
6,9 ± 0,1 6,0 ± 0,2 6,6 ± 0,1 6,9 ± 0,0 9,1 ± 0,0 7,2 ± 0,2 8,9 7,8 ± 0,1
48 ± 1 94 ± 7 64 ± 0 68 ± 14 41 ± 2 38 ± 2 58 34 ± 4
Da M. Grewe, T. Gururaja, T. Shrout, R. Newnham (1990) Acoustic properties of Particle/Polymer Composites for Ultrasonic Transducer Backing Applications. IEEE Transactions on Ultrasonics, Ferroelectrics and Frequency Control 37; 6: 506-514.
Tabella 6.3. Comportamento acustico alla frequenza di 5 MHz di smorzatori con matrice polimerica in resina epossidica e filler in tungsteno al variare delle dimensioni delle particelle Filler
Impedenza sperimentale (Mrayl) *
Resina epossidica (Spurr )
100
2,5
Tungsteno
100
103
10,6 ± 0,7
4,9 ± 0,2
5,0
45 ± 8
18,8 ± 0,6
7,0 ± 0,2
6,5
40 ± 5
11,2 ± 1,2
5,1±0,4
5,1
19,6 ± 0,4
7,0 ± 0,2
6,7
47 ± 8
28,2 ± 0,6
9,7 ± 0,2
8,0
39 ± 6
9,9 ± 0,3
4,7 ± 0,2
4,9
69 ± 12
18,9 ± 0,7
6,7 ± 0,3
6,5
65 ± 8
31,9 ± 0,7
10,8 ± 0,4
8,7
42 ± 5
36,4 ± 0,9
12,8 ± 0,2
9,4
246 ± 17
40,1 ± 0,9
14,6 ± 0,7
10,2
178 ± 17
Tungsteno 1 μm
Tungsteno 3 μm
Tungsteno 5 μm
Tungsteno 50 μm
Impedenza calcolata (Mrayl)
α (dB/cm)
Volume % medio
19
*Il valore calcolato dell’impedenza è ottenuto con il modello di Reuss. Da M. Grewe, T. Gururaja, T. Shrout, R. Newnham (1990) Acoustic properties of Particle/Polymer Composites for Ultrasonic Transducer Backing Applications. IEEE Transactions on Ultrasonics, Ferroelectrics and Frequency Control 37; 6: 506-514.
Capitolo 6
· La sonda elementare
339
Va osservato tuttavia che l’adesione tra le fasi non è l’unico fattore che influenza l’attenuazione all’interno dei backing; in realtà, un ruolo predominante va attribuito al fenomeno dello scattering (che peraltro non si verifica per i polimeri puri) e alla frequenza34 (si ricordi quanto illustrato nel capitolo 4). In particolare tale influenza è strettamente correlata alle dimensioni delle particelle nel filler: i compositi con frazioni in volume vicine tra loro, presentano un’attenuazione che, per una determinata frequenza, aumenta al crescere delle dimensioni delle particelle e questo effetto sembra esaltarsi maggiormente allorquando tali dimensioni siano comparabili con la lunghezza λ dell’onda incidente, come si può verificare dai dati riportati nella tabella 6.3.
6.8 Adattamento dell’impedenza elettrica Nel caso più generale, quando un circuito è composto di più elementi dissipativi, che siano attraversati da un flusso energetico (corrente in un circuito elettrico, acqua in un circuito idraulico, onda ultrasonora che attraversa uno o più mezzi ecc.), l’entità dell’energia che può essere utilizzata dipende dall’impedenza dei diversi elementi. Il dispositivo che produce l’energia e ne determina il flusso, detto generatore, e il circuito nel quale l’energia fluisce, detto carico, sono entrambi caratterizzati dalle proprie rispettive impedenze interne Z g e Z c. Gli scopi per i quali il circuito è stato costruito si realizzano nel carico; questo può essere, per esempio, un voltmetro, che ha lo scopo di misurare una ddp, oppure un motore, il cui scopo è l’erogazione di potenza meccanica; nei due casi le relazioni che devono sussistere tra l’impedenza del generatore e quella del carico sono assai diverse. Nel primo caso, dal punto di vista ideale, occorre infatti che il carico abbia impedenza infinita affinché, non circolando corrente nel circuito, la f.e.m. del generatore sia pari alla ddp da misurare; in altri termini, in questo caso il carico non assorbe potenza e pertanto non genera caduta di potenziale (l’unica caduta di potenziale essendo quella dislocata dal generatore). Si può anche presentare un’altra condizione che realizza la medesima finalità, ossia quella per cui il generatore abbia impedenza nulla (generatore ideale di tensione) e la corrente nel circuito non produca nel generatore alcuna caduta di potenziale (interna); pur non avendo impedenza infinita, il voltmetro compie la misura correttamente anche in questo caso. Nel caso non ideale, l’impedenza del generatore non è nulla e quella del carico non è infinita. La condizione di misura della ddp sarà tanto più vicina a quella ideale, quanto più piccola risulterà l’impedenza del generatore rispetto a quella del carico; naturalmente è possibile tener conto di ciò calcolando il loro rapporto e conoscendo così l’errore sistematico che viene introdotto35. Le operazioni che si compiono al fine di realizzare le condizioni migliori per la
34 35
La maggior parte dei valori dell’impedenza risulta invece indipendente dalla frequenza. Per una trattazione più estesa il lettore può consultare il capitolo 2 del primo volume.
340
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misura della ddp fornita dal generatore sono riferite nella letteratura tecnica come adattamento dell’impedenza tra generatore e carico per assenza di distorsioni. Nel semplice caso descritto, la distorsione consiste nell’errore introdotto, poiché se non si è in condizioni ideali si misura una ddp minore, o con andamento temporale differente, rispetto a quella esistente in assenza del carico. Ciò è di semplice comprensione se si considera il caso di generatori elettrici in corrente continua, ma risulta più complesso quando la misura va effettuata su un segnale variabile nel tempo, nel quale giocano un ruolo fondamentale la frequenza o lo spettro di frequenze, che lo caratterizzano. In tale caso, la distorsione consiste nella modifica del contenuto armonico del segnale oggetto della misura fornito dal generatore. Dette Z c(f) e Zg(f) rispettivamente le impedenze del carico e del generatore in funzione della frequenza, la condizione di adattamento dell’impedenza, in caso di assenza di distorsione, si sintetizza nella relazione Z g (f ) = α Z c (f )
[6.15]
nella quale α è un fattore di scala; nel caso pratico, ci si avvicina al caso ideale tanto più quanto più piccolo è α (per esempio 10–4÷10–5), cioè tanto più quanto minore è l’impedenza del generatore rispetto a quella del carico. La relazione [6.15] si può riscrivere pertanto Z g (f ) Z c (f )
[6.16]
Nel secondo caso, ossia quando tra generatore e carico debba essere trasferita potenza (per esempio se il carico è un motore elettrico), l’adattamento richiede che le impedenze siano uguali nella parte reale e coniugate nella parte reattiva, cioè Z c (f ) = Z *g (f )
[6.17]
nella quale l’asterisco indica il coniugato del numero complesso. Ciò si giustifica come segue: considerando per ora solo le parti reali R g e R c delle impedenze di generatore e carico (ipotizzando cioè che sia presente solo la parte resistiva), la corrente che scorre nella maglia costituita dal generatore e dal carico è pari a I = V0 /(Rg+R c), avendo indicato con V0 la tensione a vuoto ai capi del generatore, cioè non connesso al carico. La potenza dissipata nel solo utilizzatore è quindi pari a Pc = R c I2 = R c [V0 /(R g+R c )]2 e si può dimostrare che tale potenza è massima se R c = Rg , cioè se generatore e carico presentano la medesima resistenza interna. È opportuno rilevare che, in tale caso, nel generatore e nel carico viene dissipata la medesima potenza Pc = R c(V0 /2Rc)2, pari alla metà della potenza totale dissipata, essendo unica la corrente trasferita tra di essi e uguali le rispettive resistenze interne. Oltre alla condizione R g = R c precedentemente espressa, se si considerano anche le componenti reattive del carico e del generatore, indicate rispettiva-
Capitolo 6
· La sonda elementare
341
mente come Xc e Xg, l’espressione della potenza dissipata nel carico può essere scritta come
Pc =
V0 2 Z c
(Z
c
+ Zg
)
2
=
( ) ⎡(R + jX ) + (R + jX )⎤ ⎣ ⎦ V0 2 R c + jX c
c
c
c
2
[6.18]
g
Se si massimizza l’espressione [6.18], ponendo a zero la derivata rispetto a una delle componenti reattive, si trovano per le reattanze corrispondenti al massimo di potenza trasferita al carico valori uguali e opposti, cioè X g = –X c. Tale condizione corrisponde a quella di risonanza del circuito, per il quale il comportamento complessivo delle impedenze è puramente resistivo e la condizione di massimo trasferimento di potenza resta Rc = Rg. Al termine di queste considerazioni è importante osservare che le due condizioni di adattamento di impedenza tra generatore e carico – trovate per il caso precedente di inserzione del voltmetro e per quest’ultimo caso di trasferimento di potenza a un carico – non possono coesistere e richiedono pertanto particolari compromessi di progettazione qualora un medesimo dispositivo debba essere utilizzato, seppure in istanti diversi, in condizioni sia di massimo trasferimento di potenza sia di massimo trasferimento di segnale. È proprio questa la situazione che si presenta nella progettazione di trasduttori piezoelettrici per impiego in ecografia clinica.
6.9 Problemi relativi all’adattamento delle impedenze elettriche per un trasduttore piezoelettrico La realizzazione pratica di un circuito per l’utilizzazione di un trasduttore piezoelettrico deve prevedere i blocchi funzionali illustrati nella figura 6.21: con il termine front-end36 si indica l’interfaccia anteriore del macchinario, posta tra la macchina-ecografo (contenente tutti gli apparati per la trasmissione, la ricezione, l’elaborazione e la presentazione del segnale) e il trasduttore (completo di cavo e connettore), che a sua volta costituisce l’interfaccia lato paziente dell’ecografo. Si riconosce innanzi tutto che, per la formazione dell’immagine ecografica, nella sonda devono verificarsi due operazioni eseguite in sequenza: l’eccitazione del piezoelemento da parte del trasmettitore contenuto nella macchina-ecografo e, successivamente, la generazione del segnale ecografico nel piezoelemento, che in questo caso funziona a sua volta da trasmettitore nei confronti della macchina-ecografo (nella quale è allocato il ricevitore). Queste due operazioni si compiono per mezzo del cavo coassiale (figura 6.22), che costituisce il supporto fisico per la connessione elettrica per i segna-
36 In realtà in letteratura si comprendono nel front-end anche i circuiti che presiedono alla formazione del fascio ultrasonoro, cioè il beam forming.
342
Fondamenti di Ingegneria Clinica
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Figura 6.21. Schema a blocchi di un circuito per l’utilizzo di un trasduttore piezoelettrico.
li di eccitazione del piezoelemento in trasmissione e per quelli da esso prodotti in risposta agli echi ricevuti. Il cavo coassiale riveste un’importanza particolare, perché assolve a compiti molto diversi nelle due fasi e, soprattutto, perché in ricezione, deve trasportare segnali anche molto deboli (dell’ordine della decina di μV), che devono essere per quanto possibile immuni dai disturbi elettromagnetici provenienti dall’esterno. Per tale motivo, il cavo deve essere schermato e la soluzione tecnologica maggiormente praticata consiste nell’utilizzare i due conduttori del cavo, uno dei quali trasporta il segnale, mentre l’altro (lo schermo) costituisce il percorso di ritorno, a bassissima impedenza, per le cariche elettriche. Per la sua struttura, il cavo coassiale è assimilabile a un condensatore cilindrico, le cui armature sono rispettivamente il conduttore interno e la calza metallica esterna e la cui capacità è fornita dalla nota espressione C=
2πε ln D / d
(
)
[6.19]
Figura 6.22. Cavo coassiale e grandezze geometriche relative al condensatore cilindrico a esso assimilabile.
Capitolo 6
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Tabella 6.4. Caratteristiche elettriche di alcune tipologie di piezoelementi; le impedenze sono relative a frequenze comprese tra 2 e 10 MHz Tipo di trasduttore
C0 (pF)
Monoelemento 1000÷2000 Multielemento 50÷700 Multielemento a matrice (2D) 3÷30
|Z| (Ω)
Superficie radiante
50÷150 300÷4000 5000÷10000
∼π/4 × 102 mm2 ∼10 mm × 0,2 mm ∼0,35 mm × 0,35 mm
nella quale ε = ε0 εr rappresenta come al solito la costante dielettrica, D il diametro del conduttore esterno e d il diametro del conduttore interno. Le capacità del cavo vengono generalmente fornite in picofarad al metro (pF/m) e sono dell’ordine di 50-100 pF/m; poiché la lunghezza del cavo è mediamente compresa tra 1,5 e 2,0 m, si può con buona approssimazione assumere una capacità complessiva di 200 pF. Dal punto di vista del modello, il cavo coassiale è rappresentabile con un circuito equivalente, comprendente un’induttanza e una resistenza in serie, nonché una capacità e una resistenza in parallelo (tutte considerate per unità di lunghezza). Confrontando i valori della lunghezza del cavo con i valori tipici della lunghezza d’onda λ, che alle frequenze maggiormente utilizzate in ecografia (2,5÷15 MHz) risulta compresa (considerando segnali sinusoidali) tra 120 e 20 m 37, si può concludere che i tratti percorsi dal segnale rispetto alla lunghezza d’onda possono ritenersi trascurabili; si possono quindi trascurare gli effetti dissipativi lungo il tragitto di andata e ritorno del segnale. Inoltre, a causa del valore relativamente limitato delle frequenze in gioco, si può ritenere pressoché nulla la reattanza induttiva; ciò consente di trattare il cavo come un conduttore, piuttosto che come una linea di trasmissione, e di schematizzarlo come una rete a due porte a parametri concentrati, in particolare rappresentati da una singola capacità valutata secondo l’espressione [6.19]. Il blocco trasduttore della figura 6.21, come già illustrato nel capitolo 3, può essere rappresentato da un circuito risonante serie con in parallelo la capacità statica C0 ; quest’ultima è un parametro molto importante poiché varia considerevolmente con le dimensioni e il tipo di piezoelemento; occorre pertanto distinguere il trasduttore costituito da un singolo elemento (trasduttore monoelemento) da quello costituito da una schiera (trasduttore multielemento o array). Seppure a titolo indicativo, nella tabella 6.4 sono riportati alcuni dati orientativi che rendono conto di tale variabilità. Le condizioni di lavoro del piezoelemento, da prendere in considerazione per la progettazione dell’adattamento di impedenza elettrica tra i vari blocchi, sono quelle di risonanza serie, per le quali, trascurando le componenti reattive, il trasduttore è rappresentabile con il parallelo tra C0 e la resistenza serie R0S, secondo il semplice schema riportato nella figura 6.23. Dalle caratteristiche della curva di risonanza in prossimità della risonanza serie38, si ottiene il 37 Si ricordi che in questo caso λ = c/f è relativa a onde elettromagnetiche che hanno una velocità di propagazione pari a c = 3·108 m/s. 38 Già ampiamente discussa nel capitolo 3.
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Figura 6.23. Circuito elettrico equivalente del piezoelemento risonante serie.
valore di R 0S corrispondente al massimo valore di corrente nel ramo serie. In tali condizioni, l’impedenza complessiva del piezoelemento risulta dalla relazione per l’impedenza del parallelo 1/Ztot = (1/R 0S)+(j2πf0S C0). Se per esempio risulta R0S = 1000 Ω e si assume un valore della frequenza pari a 2,6 MHz, nel caso di un monoelemento di capacità C 0 = 1000 pF si ottiene per il modulo dell’impedenza complessiva del piezoelemento un valore di circa 61 Ω; nel caso, invece, di un trasduttore a schiera, di capacità C0 pari a circa 50 pF, tale valore diviene circa 775 Ω. Da questo semplice esempio numerico si evince che, per una determinata variazione unitaria di capacità statica ΔC0 /C0 , si ottiene una variazione unitaria dell’impedenza complessiva ΔZ /Z dello stesso ordine di grandezza. Poiché i piezoelementi sono forniti con dimensioni che prevedono una certa tolleranza, alla quale corrisponde una tolleranza nei valori indicati di capacità statica, è necessario adottare, in sede di progettazione, alcuni accorgimenti particolari per l’adattamento elettrico al cavo coassiale, per quanto riguarda sia la fase di trasmissione sia quella di ricezione che, come si approfondirà nel seguito, prevedono specifiche differenti, risultando la ricezione l’aspetto più critico. Nella figura 6.21 è evidenziato un blocco ulteriore a valle del trasduttore e cioè il mezzo nel quale viaggia la radiazione ultrasonora; occorre infatti considerare che il piezoelemento può essere in genere rappresentato come una rete a tre porte, due delle quali (il mezzo indagato e il backing) sono acustiche, mentre la terza è quella elettrica, che offre al circuito cui è collegata un’impedenza di valore dipendente dalle condizioni di “chiusura” delle porte acustiche. Senza entrare nei dettagli relativi a tale modello39 , si ricordi che il piezoelemento in oscillazione è meccanicamente accoppiato ai due mezzi citati, ciascuno dei quali costituisce pertanto una particolare condizione al contorno (appunto la condizione di chiusura della corrispondente porta acu-
39 Si tratta del modello di Mason, in cui l’accoppiamento elettromeccanico proprio del piezoelemento è rappresentato con un opportuno trasformatore, mentre le sue condizioni di vincolo meccanico dovute all’accoppiamento con i mezzi esterni sono rappresentate da opportuni carichi elettrici equivalenti; vedi, per esempio, W.P. Mason (1948) Electromechanical Transducers and Wave Filters, second edition. Van Nostrand, Princeton, NJ.
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Figura 6.24. Schema a blocchi delle diverse parti costituenti il percorso elettrico del segnale ecografico in trasmissione (rosso) e in ricezione (azzurro).
stica). Per quanto stabilito nei capitoli 2 e 3, ciò determina la risposta elettrica dell’elemento, il cui circuito equivalente deve perciò essere inteso accoppiato a un carico. Limitando la trattazione alla porta elettrica, si faccia riferimento alla figura 6.24, nella quale sono rappresentati i luoghi di connessione tra i componenti elettrici, dove occorre realizzare l’adattamento di impedenza40. Relativamente alla trasmissione, tali connessioni sono rappresentate: dal tragitto 1-2 tra il blocco trasmettitore dell’impulso elettrico e il blocco relativo alla formazione del fascio (in particolare per quanto riguarda la deflessione e la focalizzazione elettronica), per il quale va effettuato l’adattamento dell’impedenza di uscita del trasmettitore con l’impedenza del cavo coassiale; dal tragitto 3-4 del segnale elettrico verso il trasduttore, per il quale è richiesto l’adattamento dell’impedenza del cavo coassiale a quella del piezoelemento. Per quanto riguarda la fase di ricezione, le connessioni elettriche sono rappresentate: dal tragitto 5-6 del segnale elettrico di eco dal piezoelemento, per il quale è previsto l’adattamento dell’impedenza di uscita del piezoelemento con quella del cavo coassiale; dal tragitto 7-8 verso il blocco ricevitore del segnale, per il quale va effettuato l’adattamento dell’impedenza del cavo coassiale con quella di entrata del ricevitore.
·
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40 Nella figura sono riportati dei componenti che non sono stati ancora illustrati, come i blocchi trasmettitore e ricevitore, oggetto del capitolo 7, e il blocco dedicato alla modellazione del fascio ultrasonoro, descritto nel capitolo 8.
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6.9.1 Trasmissione Il trasmettitore ricopre il ruolo specifico di sorgente di tensione e pertanto dovrebbe presentare al cavo coassiale, che trasporta tale segnale, un valore di impedenza elettrica basso rispetto a quello di ingresso del cavo stesso, secondo quanto stabilito nel paragrafo 6.8 circa la condizione che minimizza l’errore di inserzione (Z g<
41
Si faccia riferimento ai valori di frequenza e banda passante riportati relativamente alla figura 6.8.
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Figura 6.25. Sistema trasmettitore–cavo–piezoelemento alla risonanza: (a) circuito equivalente; (b) impedenze e cadute di tensione istantanee in presenza del cavo; (c) impedenze e cadute di tensione istantanee in assenza del cavo (adattamento di impedenza ideale).
pacitivi), che alimenti un piezoelemento di capacità statica C0 pari a 50 pF e resistenza alla risonanza meccanica R0S = 1000 Ω; con riferimento al circuito equivalente della figura 6.25, che rappresenta l’insieme di trasmettitore, cavo e piezoelemento, si possono fare le seguenti considerazioni. Il piezoelemento alla risonanza offre un’impedenza di circa 786 Ω (derivante dal parallelo di R0S e C0), mentre l’impedenza complessiva del parallelo tra esso e la capacità di 200 pF del cavo risulta di circa 247 Ω; il circuito della figura 6.25a si semplifica pertanto in quello della figura 6.25b. In tali condizioni si riconosce che il potenziale di alimentazione di 100 V è ripartito tra la caduta di potenziale ai capi dell’impedenza interna del generatore, pari a per 7,98 V, e quella sul piezoelemento pari a 92,02 V. Eliminando il cavo coassiale, ossia collegando il trasmettitore direttamente al piezoelemento in risonanza, si ottiene il circuito della figura 6.25c; l’incremento di impedenza rispetto al caso precedente implica una caduta di tensione ai capi del piezoelemento pari a 95,10 V e di una pari a 4,90 V al generatore. Si riconosce in definitiva che con i valori numerici forniti, assolutamente realistici, la presenza o meno del cavo coassiale produce una variazione non superiore al 4 per cento della caduta di tensione ai capi del piezoelemento, il che conferma quanto affermato circa la modesta in-
Figura 6.26. Circuito equivalente del sistema trasmettitore-piezoelemento in trasmissione.
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Figura 6.27. Rete adattatrice di impedenza tra generatore e piezoelemento.
fluenza dell’accoppiamento di impedenza per la connessione 3-4 durante la fase di trasmissione. Dalle considerazioni esposte deriva che il circuito equivalente in trasmissione può essere tracciato trascurando l’impedenza del cavo e inserendo solamente la capacità C0 in parallelo con la resistenza alla risonanza R 0S, secondo lo schema equivalente della figura 6.26. Osservando tale schema si riconosce che le condizioni illustrate sono solo esemplificative; se infatti la capacità C0 diminuisce drasticamente fino a valori dell’ordine di qualche picofarad (quali si verificano nei cristalli molto piccoli delle sonde multielemento, come riportato nella tabella 6.6), l’impedenza del piezoelemento cresce a tal punto da rendere difficile la trasmissione di potenza, poiché questa viene in gran parte riflessa sul trasmettitore. Ciò conduce alla conclusione che per l’adattamento di impedenza in trasmissione, soprattutto per cristalli di piccole dimensioni, conviene annullare la reattanza capacitiva 1/jω C0 , compensandola con un’induttanza42, in modo che la potenza del trasmettitore possa essere interamente raccolta dal piezoelemento. Un altro provvedimento che può essere assunto per l’adattamento di impedenza tra cavo e piezoelemento, certamente più costoso ma di grande efficacia, consiste nell’interporre tra cavo e piezoelemento una rete adattatrice di impedenza, secondo lo schema rappresentato della figura 6.27. Essa consiste in un circuito a quattro porte (in genere attivo43, ma anche passivo), che presenta un’impedenza Z1 pari a quella Z tr del trasmettitore e una impedenza Z2 pari a quella del piezoelemento alla risonanza. Questa soluzione viene spesso adottata nel caso di adattamento in ricezione, come viene riportato nel paragrafo che segue.
42
Tale operazione di sintonizzazione (tuning) del piezoelemento è caratterizzata da elevata complessità (coinvolgendo l’intera modalità di funzionamento del cristallo in oscillazione) e pertanto non è descritta nel presente volume. Il lettore interessato può consultare la letteratura specializzata riguardante i piezoscillatori. 43 Sono per esempio circuiti attivi (cioè dotati ciascuno di propria alimentazione) i transistor, gli amplificatori operazionali e i circuiti integrati in genere.
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Figura 6.28. Sistema piezoelemento alla risonanza-cavo-ricevitore: (a) circuito equivalente; (b)(c) impedenze e cadute di tensione corrispondenti all’assenza del cavo e al suo inserimento.
6.9.2 Ricezione Il ricevitore ha lo specifico ruolo di rilevare il debole segnale (eco) da amplificare limitando, per quanto possibile, l’introduzione di rumore; al pari di un voltmetro, esso deve essere caratterizzato da un elevato valore di impedenza di ingresso, in modo da evitare distorsione, e da una banda passante sufficientemente ampia per amplificare tutte le componenti in frequenza del segnale. Tale strumento opera nelle condizioni di massimo trasferimento di segnale e pertanto deve presentare un’impedenza di ingresso molto maggiore di quella offerta dal cavo che lo collega al piezoelemento. Inoltre, come risulta dalla figura 6.24, nella fase di ricezione il piezoelemento si comporta da generatore di segnale che vede il cavo coassiale come carico. In caso di ricezione le difficoltà sono riconducibili a diversi motivi: il segnale in uscita dal piezoelemento è molto debole (da pochi μV fino a qualche decina di mV); l’impedenza interna del piezoelemento (in questo caso il generatore) è relativamente alta; infine il cavo coassiale (in questo caso il carico) ha impedenza relativamente bassa (dell’ordine del centinaio di ohm). Data la debolezza del segnale, il problema dell’adattamento dell’impedenza tra piezoelemento e cavo è molto più stringente rispetto al caso della trasmissione. Seguendo il tragitto del segnale ecografico lungo il percorso 5-6-7-8 della figura 6.24, si ottiene lo schema equivalente riportato nella figura 6.28, nella quale il segnale in uscita dal piezoelemento è inviato alla capacità del cavo44. Con gli stessi valori numerici utilizzati nell’esempio precedente, si può procedere anche in questo caso a una valutazione quantitativa del peso assunto dalla presenza del cavo, in particolare calcolando la caduta di tensione rilevabile per effetto del suo inserimento o meno45 e confrontandola con il segnale inviato dal piezoelemento. 44
Nella figura il piezoelemento è schematizzato come un generatore di tensione. Quest’ultimo caso corrisponde a un adattamento di impedenza ideale per trasmissione di segnale con Zc>>Zg, al limite con Zc→∞ (circuito aperto). 45
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Come posto in evidenza nello schema della figura 6.28b, per un segnale di eco in uscita dal trasduttore pari per esempio a 30 mV, la tensione rilevabile direttamente dal ricevitore in assenza del cavo assume lo stesso valore, mentre in presenza del cavo (figura 6.28c) la tensione prelevabile ai suoi capi diviene pari a circa 7,47 mV; l’interposizione del cavo produce perciò una diminuzione in ampiezza del segnale utile di circa il 75 per cento, rispetto al trascurabile 4 per cento rilevato in trasmissione, il che conferma come il problema dell’adattamento di impedenza divenga critico nella fase di ricezione. Affinché la condizione Zg<
Capitolo 6
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Figura 6.29. Trasformatore ideale.
V1 = nV2
1 I1 = − I2 n
[6.20]
nelle quali n = n1/n2 è il rapporto di trasformazione, cioè il rapporto tra il numero n1 di spire dell’avvolgimento primario e quello n2 dell’avvolgimento secondario. Si ricorda che, se si suppone il secondario chiuso su una pura resistenza R, il primario vede un’impedenza pari a R n2. Se si realizza quindi l’accoppiamento, illustrato nella figura 6.30, tra un cavo e un trasduttore che alla risonanza abbia impedenza R0S , il cavo coassiale vede un’impedenza R 0S n2. Perciò, se il numero di spire dell’avvolgimento secondario è un numero opportuno n volte maggiore di quello del primario, il cavo vede l’impedenza del generatore piezoelettrico ridotta di tanto quanto occorre affinché si realizzi la condizione di massimo trasferimento di segnale con Zg<
Figura 6.30. Accoppiamento mediante trasformatore tra cavo e trasduttore in condizioni di risonanza serie.
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che a parità di sollecitazione meccanica risponde con un segnale in tensione di maggiore ampiezza (data la maggiore superficie); inoltre, nel caso di trasduttori a schiera, volendo comunque impiegare questo tipo di adattamento, dovrebbero essere superate difficoltà sia di costo sia di ingombro, poiché va previsto un trasformatore per ciascun elemento della schiera, e ciò può comportare un numero elevato di trasformatori (dell’ordine del centinaio). In definitiva, l’uso del trasformatore per l’adattamento di impedenza elettrica offre i seguenti vantaggi: semplicità di progetto e ampia libertà di scelta dei parametri ottimali, isolamento elettrico del paziente rispetto a tutti i circuiti all’interno del front-end, banda passante ampia (come prestazione tipica del trasformatore). Nel contempo si presentano tuttavia i seguenti svantaggi: costi non trascurabili, soprattutto in applicazioni con trasduttori multielemento, dimensioni spesso incompatibili per questo tipo di utilizzo, riscaldamento dell’avvolgimento a correnti più elevate (avvolgimento primario), con conseguenti difficoltà di smaltimento del calore, il che ne limita ulteriormente l’impiego nelle sonde a schiera. Adattamento per mezzo di riduzione di impedenza del piezoelemento Per ottenere condizioni ottime di trasferimento di segnale occorre, come già accennato, che il generatore abbia impedenza reale e di valore quanto più basso possibile rispetto al carico, costituito dal cavo coassiale. Una tecnica utilizzata, specialmente nei trasduttori a schiera, è fondata sulla stratificazione del singolo piezoelemento. In tale realizzazione un elemento piezoelettrico, precedentemente dimensionato per vibrare alla frequenza di risonanza desiderata, è composto da un numero N di strati sovrapposti lungo il suo spessore, ciascuno dei quali riceve individualmente un impulso elettrico di eccitazione da elettrodi opportunamente depositati, così come indicato nella figura 6.31, nella quale è illustrato il caso di N = 3. Si vedrà ora, brevemente, come l’utilizzo di trasduttori multistrato consenta di ottenere prestazioni del tutto analoghe a quelle ottenibili inserendo un trasformatore tra piezoelemento e cavo coassiale, evitando però le difficoltà derivanti dall’introduzione di componenti aggiuntivi nel corpo della sonda. Nella fase di trasmissione, osservando che gli strati piezoelettrici sono a tutti gli effetti collegati in serie dal punto di vista acustico, si rileva che la potenza acustica emessa subisce un incremento in virtù del fatto che su ciascuno degli strati viene applicato un campo elettrico E N, di ampiezza N volte maggiore rispetto al campo Et che verrebbe applicato all’intero elemento piezoelettrico in assenza di stratificazione a parità di ddp. Infatti, ricordando l’espressione per il campo elettrico interno tra le armature di un condensatore piano, si ha EN =
V = NE t t/N
[6.21]
nella quale t/N è lo spessore di ciascuno strato e EN può essere interpretato ipotizzando che al piezoelemento non stratificato di spessore t venga applicata
Capitolo 6
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Figura 6.31. Piezoelemento stratificato: (a) collegamento elettrico; (b) sezione del piezoelemento e degli elettrodi.
una differenza di potenziale N volte maggiore di quella originaria V, con un effetto in pratica equivalente a quello dell’inserimento di un trasformatore. Nella fase di ricezione le considerazioni sono analoghe a quelle già esposte nel caso dell’adattamento con trasformatore circa il compromesso tra il vantaggio della riduzione di impedenza elettrica del cristallo rispetto al cavo coassiale e lo svantaggio della diminuzione di ddp applicata ai suoi capi. L’adattamento con piezoelemento multistrato è assicurato dalla intrinseca riduzione della sua impedenza elettrica, per effetto della connessione elettrica in parallelo degli N strati, poiché la capacità statica C0 viene incrementata di un fattore N; un ulteriore fattore N di incremento è dovuto al fatto che ogni strato ha spessore N volte minore. Complessivamente, con riferimento alla figura 6.32, la capacità statica C0N di ciascuno strato vale C 0 N = Nε S
w = N2C0 t/N
[6.22]
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Figura 6.32. Accoppiamento tra cavo e piezoelemento: (a) piezoelemento monostrato; (b) piezoelemento multistrato; (c) schema dei collegamenti.
Si deduce che l’impedenza elettrica complessiva del trasduttore multistrato decresce di un fattore N2 e rende più agevole l’adattamento nei confronti del cavo coassiale che, costituendo il carico nei confronti del piezoelemento, deve avere impedenza significativamente più elevata. Dal punto di vista meccanico il funzionamento è il seguente: con riferimento alla figura 6.32a, nella quale la freccia indica la direzione di polarizzazione del piezoelemento, si può supporre che esso riduca, per esempio, il proprio spessore se all’elettrodo superiore perviene una ddp positiva rispetto a quella negativa sull’elettrodo inferiore, in modo che nel mezzo circostante si generi una depressione. Se si applica la medesima ddp ai 5 strati costituenti il multistrato (figura 6.32b), ciascuno di essi riduce il proprio spessore contemporaneamente agli altri (e similmente lo aumenta se agli elettrodi viene fornita la polarità opposta). In definitiva, l’effetto meccanico dei 5 strati risulta identico a quello del singolo piezoelemento, mentre a ciascuno di essi viene applicato un campo elettrico 5 volte maggiore essendo il loro spessore un 1/5 di quello del piezoelemento singolo. Adattamento per mezzo di rete adattatrice (tra trasduttore e cavo coassiale) Tra cavo coassiale e trasduttore si può interporre un circuito (in genere attivo) che presenti al trasduttore un’impedenza elevata, realizzando cioè la condizione di Zc>>Zg, e viceversa presenti al cavo un’impedenza bassa, realizzando anche in tal caso la condizione Zg<
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Figura 6.33. Emitter follower impiegato in sonde ecografiche per l’adattamento di impedenza. In rosso è riportato il percorso dell’impulso di alimentazione del piezoelemento proveniente dal trasmettitore mentre in azzurro è indicato il percorso seguito dal segnale ricevuto.
La rete adattatrice di impedenza, che deve tuttavia essere esclusa in fase di trasmissione, può essere realizzata mediante un transistor bipolare, in configurazione a collettore comune (EF, Emitter follower). Tale configurazione (figura 6.33) presenta infatti impedenza di ingresso alla base (b) del transistor (alla quale è inviato il segnale dal piezoelemento) di valore elevato (e dipendente dal carico R3 , ai capi del quale è prelevato il segnale da elaborare, posto a valle del cavo). Essa presenta inoltre impedenza di uscita all’emettitore (e) di valore basso (e dipendente dall’impedenza di uscita del circuito a monte connesso alla base). Infine, benché il guadagno di tensione ve /vb tra l’uscita all’emettitore e l’ingresso alla base sia unitario46, il guadagno di corrente ie /ib risulta pari a 1+β ≅ β, essendo il guadagno di corrente intrinseco ic /ib = β a partire dalla relazione costitutiva del transistor, tra corrente nel ramo collettore e corrente nel ramo base, dell’ordine del centinaio. In tal modo il transistor ha il ruolo di adattatore di impedenza e di amplificatore della debole corrente proveniente dal PZT, che è poi trasformata in un segnale in tensione prelevabile ai capi del carico R3. Nella figura 6.33 è riportato il circuito dell’emitter follower che realizza l’adattamento di impedenza tra un piezoelemento con impedenza di uscita di
46 Si definisce guadagno in tensione, nell’ambito dell’analisi dei piccoli segnali, il rapporto tra la variazione di tensione in uscita e la variazione di tensione in ingresso.
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circa 400 Ω e cavo coassiale con impedenza di ingresso di circa 200 Ω. I resistori R1 e R2 sono di polarizzazione per l’EF. Il diodo D1 è polarizzato direttamente e attivato grazie alla differenza di potenziale disponibile ai suoi capi per effetto della corrente di polarizzazione (costante) che scorre in R1 e R2. Lo switch SW connette selettivamente il trasduttore con il sistema, secondo la logica di pilotaggio prescelta per i singoli piezoelementi; quando il piezoelemento è inattivo, in R3 non scorre corrente. In fase di trasmissione l’impulso in tensione F è inviato dal trasmettitore del sistema al trasduttore attraverso lo switch SW e il cavo coassiale. Il segnale passa attraverso il diodo D5 e da qui giunge al piezoelemento, sicché viene generato un pacchetto di onde acustiche. Poiché l’impulso47 F è generalmente dell’ordine dei 100 V, mentre la tensione continua positiva VCC0 di alimentazione del transistor sul ramo collettore e quelle negative VCC1 e VCC2 di polarizzazione sono dell’ordine di pochi volt, i diodi D1 e D3 inseriti tra il PZT e la base del transistor vengono polarizzati inversamente dallo stesso impulso trasmesso e risultano dunque in interdizione; in questo modo l’impulso di tensione applicato al piezoelemento non va a interessare la base e l’emettitore dell’EF, cosicché esso non viene danneggiato nella fase di trasmissione (durante la quale risulta inattivo). I diodi D1 e D3 sono, dunque, diodi di protezione, mentre D5 è un diodo di bypass che consente l’applicazione dell’impulso al piezoelemento con perdite minime di segnale, grazie alla trascurabile resistenza interna in fase di conduzione. Al termine della fase di trasmissione i diodi D4 e D6 servono a scaricare immediatamente a massa le cariche elettriche immagazzinate nella capacità dell’elemento piezoelettrico, in modo da evitare la saturazione o, comunque, il funzionamento nella regione di non linearità del transistor nella successiva fase di ricezione, durante la quale la ddp determinata dalle cariche accumulate ai capi del PZT altererebbe il valore della tensione di polarizzazione del transistor. In fase di ricezione i pacchetti di onde acustiche ricevuti dall’elemento piezoelettrico, e da esso convertiti in segnali di tensione, entrano nell’EF dalla base; il transistor è polarizzato dalle tensioni VCC0 al ramo collettore e dalle tensioni VCC1 e VCC2 in modo che i diodi D4, D5 e D6 siano interdetti, e sia invece attivo, e percorso dalla corrente che scorre tra R1 e R2 , il diodo D1 , così come sia in conduzione, e percorso dalla corrente di emettitore dell’EF che scorre in R3 , il diodo D3 . In fase di ricezione, il transistor funziona a tutti gli effetti da emitter follower48 e la corrente di emettitore varia proporzionalmente al segnale ricevuto; i segnali tra base ed emettitore sono in fase e il segnale in corrente sull’emettitore, dopo il passaggio sul cavo, viene tramutato in segnale in tensione prelevabile ai capi della resistenza R3 e presentato al ricevitore. 47
Nel caso rappresentato nella figura 6.33 esso è positivo. La tensione sul ramo emettitore è pari a quella sul ramo base, a prescindere dal carico R 3 inserito, che regola invece la corrente sul ramo emettitore. Per dettagli sulle caratteristiche di funzionamento del transistor e sulla sua configurazione a collettore comune, il lettore può consultare i testi di elettronica applicata. 48
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La resistenza di emettitore del transistor R3 è allocata non già nel corpo del trasduttore, come il restante complesso circuitale, bensì tra il cavo coassiale e il front-end del sistema. Tale scelta si spiega come segue: a ogni istante, tra tutti i canali presenti, un selettore (switch) seleziona quello attivo, e così anche quale degli EF è attivo, posto che ve ne sia uno per canale. Poiché il ruolo di ogni EF è quello di abbassare il più possibile l’impedenza del trasduttore vista dal cavo, a tale fine è resa il più possibile ampia la corrente di emettitore che scorre in R3 , e dunque la massima ampiezza di segnale non distorta. In tal modo però la resistenza di emettitore si scalda notevolmente e il calore sviluppato in un canale si somma a quello proveniente dagli altri canali, cosicché la temperatura dell’intero circuito raggiunge immediatamente livelli elevati. Poiché gli standard industriali internazionali49 impongono che la temperatura massima raggiungibile dalla sonda a contatto con il paziente sia di 42 °C 50, risulta chiara la scelta di situare R3 all’interno della macchina ecografo, dove sono disponibili lo spazio e le condizioni ambientali necessarie per una libera e sicura dissipazione termica. In realtà, allorquando il sistema ecotomografico venga progettato per essere connesso a sonde di diverso tipo e con diverse esigenze di adattamento (il che oggi avviene per la maggior parte delle realizzazioni), conviene comunque che ciascuna di esse possa trovare alloggiamento, in maniera autonoma, nella circuiteria di adattamento interposta tra il cavo coassiale e il sistema di elaborazione del segnale: nella pratica realizzativa, tale requisito porta a inserire R3 nel connettore della sonda e a risolvere il problema dello smaltimento del calore con soluzioni alternative, diverse tra le varie case costruttrici. Possibili alternative all’utilizzo di un transistor bipolare sono i transistor a effetto di campo (FET, Field effect transistor ) o eventualmente gli amplificatori operazionali: entrambe queste scelte si prestano bene all’integrazione nel corpo del trasduttore. A tale proposito, una nota azienda costruttrice di sistemi diagnostici a ultrasuoni, che ha utilizzato le tecnologia descritta, dichiara che l’applicazione di operazionali integrati ha consentito un incremento di 14 dB del rapporto segnale-rumore (SNR), particolarmente utile nelle applicazioni Doppler, dove l’ampiezza dei segnali ricevuti è ai limiti della soglia di sensibilità dei sistemi ecografici più tradizionali.
49 Per esempio quelli fissati dall’IEC, International Electrotechnical Commission (P.O. Box 131 - 3 rue de Varembe - Geneva 1202 Switzerland). 50 Per quanto riguarda le specifiche di sicurezza, il lettore può utilmente consultare, per esempio: IEC 60601-1 ed 2.2, Medical Electrical Equipment - Part 1: General Requirements for Safety, 2004; IEC 60601-2-37 ed 1, Medical Electrical Equipment - Part 2: Particular Requirements for the Safety of Ultrasonic Medical Diagnostic and Monitoring Equipment, 2004; NCRP (National Council on Radiation Protection and Measurements) Exposure criteria for medical diagnostic ultrasound - I, Criteria based on thermal mechanisms (NCRP report No. 113), Bethesda, MD, 1992.
Capitolo 7 Un sonar diagnostico
7.1 Introduzione Nei precedenti capitoli, lo strumento fondamentale dell’ecotomografo, la sonda, è stato assimilato al bulino dell’incisore o alla penna impiegata per disegnare un’immagine. È stato stabilito quali debbano essere le sue caratteristiche, affinché essa sia adatta a una scrittura sottile (potere risolutivo), ed è stato osservato fino a quale profondità si possa estrarre un’immagine. In questo capitolo si potrà riconoscere che la sonda descritta è stata chiamata elementare a ragion veduta, poiché la costruzione delle immagini ecografiche richiede dispositivi assai più complessi. In particolare si constaterà che, per la formazione di un’immagine tomografica, è necessario prevedere l’impiego di sonde in grado di generare il moto del fascio ultrasonoro rispetto al paziente, o per mezzo del moto di uno o più piezoelementi, oppure mediante più piezoelementi fermi, ma eccitati con sequenze temporali opportune. Le modalità di funzionamento delle sonde nel caso di utilizzo di pochi piezoelementi mobili (1÷3), o di molti piezoelementi fissi (32÷192), e la qualità delle immagini corrispondenti che si ottengono, derivano da numerosi fattori, che saranno esaminati nelle pagine seguenti. In prima istanza, le immagini ecografiche possono suddividersi in due grandi categorie: quelle che forniscono l’aspetto anatomico del distretto indagato (sia statico, sia dinamico) e che, seppure con caratteri molto diversi, possono essere considerate analoghe alle immagini di tipo radiografico, e quelle di carattere esclusivamente dinamico, derivanti dall’applicazione dell’effetto Doppler, nelle quali vengono rappresentati i flussi sanguigni con le loro caratteristiche cinematiche. In questo secondo gruppo di immagini, per una migliore rappresentazione dei flussi, è generalmente impiegato anche il colore. A partire da tale prima suddivisione si può tracciare lo schema della figura 7.1, che illustra un’ulteriore suddivisione delle immagini ecografiche secondo la modalità di rappresentazione. Nel primo gruppo è stata inserita una modalità di rappresentazione dell’informazione, indicata con A-Mode (o A-Scan) e con la sigla 1D, che a rigore non è un’immagine; infatti la lettera A sta per amplitude (ampiezza), mentre la sigla 1D indica che tale rappresentazione è relativa a una sola direzione; pertanto non le può essere attribuito il carattere di immagine, la cui peculiarità è quella di rappresentare l’andamento di una grandezza fisica nelle due direzioni del piano. Tuttavia, la rappresentazione A-Mode è quella su cui è fondata la
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
Figura 7.1. Classificazione delle rappresentazioni ecografiche.
costruzione della rappresentazione a carattere più propriamente di immagine (e con aspetto di tipo radiografico), indicata con la sigla B-Mode (o B-Scan), dove la lettera B rappresenta il termine inglese brigthness, cioè brillanza. L’immagine in B-Mode è costruita mediante una serie di variazioni della brillanza, cioè mediante una scala di grigi, lungo le direzioni di scansione che compongono l’immagine stessa. Le immagini B-Mode sono immagini tomografiche del distretto corporeo indagato e possono rappresentare sia organi o apparati pressoché fermi nel loro funzionamento fisiologico (come il fegato e i reni), sia organi in movimento (come il cuore). In quest’ultimo caso, quando l’immagine ecografica rappresenta l’organo in movimento (in modo, per così dire, cinematografico), si dice che essa viene rappresentata in tempo reale e tale modalità è nota come B-Mode Real-Time o, più semplicemente, Real-Time. Dalle immagini dinamiche del B-Mode può essere estratta una particolare informazione, sotto forma non di immagine ma di tracciato, che pone in rilievo l’andamento temporale della posizione di un elemento in movimento. Per esempio, se ci si riferisce alle posizioni assunte nel tempo da uno o più lembi della valvola mitralica, la loro storia temporale può divenire un importante elemento nella diagnosi di patologie cardiache. Tale tipo di rappresentazione è nota come M-Mode, dove la lettera M sta per motion, ed è esemplificata nella figura 7.2. Il secondo gruppo di rappresentazioni ha carattere completamente diverso dal precedente. In esso si pone in rilievo il flusso del sangue all’interno di piccoli o grandi vasi, comprese le camere cardiache. Viene rappresentato per mezzo delle velocità dei globuli rossi, cui si associa un colore diverso a seconda che esse siano dirette verso il trasduttore o abbiano verso opposto. È inoltre possibile affidare al colore anche la rappresentazione del valore in modulo di tali velocità attraverso la saturazione del colore1. La mappa delle velocità viene determinata a partire dall’effetto Doppler e, di norma, viene sovrapposta all’immagine della sezione anatomica ottenuta per mezzo della tecnica BMode; si ricava in tal modo l’allocazione nel distretto anatomico rappresentato in B-Mode dei vasi, entro i quali si può valutare il flusso del sangue.
1
Si veda in proposito l’introduzione al capitolo 12.
Capitolo 7
· Un sonar diagnostico
361
Figura 7.2. Esempi di rappresentazioni ecografiche (per gentile concessione di Aloka, Philips, Siemens-Acuson).
Si distinguono due rappresentazioni a carattere fluidodinamico. La prima è chiamata F-Mode, ove la lettera F sta per flow (flusso, portata), mentre la seconda è indicata con la sigla D-Mode, ove D sta per Doppler, e riporta la distribuzione spettrale delle velocità, cioè l’andamento nel tempo di tutte le velocità dei globuli rossi nel periodo cardiaco2. La rappresentazione dello spettro è un importante indicatore diagnostico, mediante il quale si può per esempio diagnosticare un’ostruzione (stenosi) nel letto circolatorio. Un’immagine di tipo D-Mode, nella quale viene illustrato lo spettro Doppler, è riportata nella figura 7.2. Prima di concludere questa breve sintesi delle più importanti rappresentazioni ecografiche, è bene ricordare che tra queste ultime è comparsa recentemente3 (2000) la rappresentazione 3D, vale a dire una rappresentazione tridimensionale (impiegata in particolare per visualizzare il feto), che consente di osservare gli organi nelle tre dimensioni dello spazio e, dunque, da diversi punti di vista. Con alcune limitazioni, relative al tempo necessario per effettuare un’acquisizione, è possibile ottenere una mappatura 3D anche delle velocità del sangue all’interno di un volume sottoposto a scansione. Nella figura 7.2 sono riportate a titolo di esempio le immagini ecografiche corrispondenti a ciascuna delle modalità di rappresentazione descritte. Come si è anticipato, tra le diverse modalità elencate nella figura 7.1, fondamentale è quella per la quale il risultato delle elaborazioni non consiste in 2 Quantunque questa classificazione sia riportata in letteratura come inquadramento generale, nella comune pratica non viene utilizzata. 3 Tra le altre applicazioni di recente sviluppo vi sono anche l’elastografia e il Tissue Doppler Imaging.
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
un’immagine nel senso che comunemente si attribuisce a tale parola; si tratta della rappresentazione A-Mode che consiste in un grafico, del tipo di quello riportato nella figura 7.2 (o più avanti nella figura 7.29), dove compare un insieme di impulsi, di base e altezza (ampiezza) più o meno ampia, ordinati secondo l’asse dei tempi di un oscilloscopio. La rappresentazione A-Mode ha valore diagnostico relativamente limitato rispetto alle altre rappresentazioni, che costituiscono vere e proprie immagini, tuttavia è proprio su di essa che queste trovano fondamento; infatti le immagini B-Mode e real-time, cui è dedicato il prossimo capitolo, sono costruite proprio a partire dalla serie di impulsi dell’A-Mode alla cui rappresentazione e interpretazione è dedicato il presente capitolo4.
7.2 Introduzione ai sistemi pulse-echo La rappresentazione A-Mode è quella che in altri ambiti è nota con la denominazione SONAR, il sistema di telemetria che può, a buon diritto, essere considerato il genitore dell’ecotomografo5. Gli studi per il rilevamento di oggetti al di sotto della superficie marina iniziarono nel 1912, subito dopo l’affondamento del Titanic, e furono applicati per la prima volta alla localizzazione dei sommergibili nel corso della prima guerra mondiale. Il russo Constantin Chilowsky e il famoso fisico francese Paul Langevin realizzarono nel 1915 il primo dispositivo a ultrasuoni di elevata potenza destinato alla ricerca dei sommergibili tedeschi, e fu specificatamente tale strumento che costituì la base per il successivo sviluppo dei PulseEcho sonar per applicazioni mediche. In sostanza il sonar è un dispositivo che consente di stabilire a quale distanza sia posto un ostacolo rispetto a una sorgente che emette un’onda; esso si fonda sulla valutazione del tempo t necessario a un impulso ultrasonoro per compiere nell’acqua il tragitto L di andata, tra la sorgente che lo ha generato e l’ostacolo, e il medesimo tragitto L di ritorno, tra l’ostacolo che lo ha riflesso e la sorgente. Tale tempo t è perciò compreso tra due istanti, quello in cui il dispositivo piezoelettrico trasmette l’impulso, utilizzando l’effetto inverso, e quello in cui il medesimo dispositivo riceve e trasduce l’impulso riflesso per effetto diretto. Esso risulta proporzionale allo spazio 2L, cioè alla somma del percorso di andata e di quello di ritorno dell’onda, ed è inversamente proporzionale alla velocità c di propagazione del suono nel mezzo, secondo l’equazione fondamentale t=
4
2L c
[7.1]
Le immagini a carattere fluidodinamico saranno invece oggetto dei capitoli 11 e 12. Il SONAR fu anche il precursore del RADAR (RAdio Detection And Ranging, cioè rilevamento e localizzazione mediante onde radio), che utilizza le onde elettromagnetiche al posto di quelle ultrasonore. 5
Capitolo 7
· Un sonar diagnostico
363
Figura 7.3. Schema di realizzazione di un sistema pulse-echo elementare.
Il più semplice strumento che consente di misurare con grande accuratezza questo intervallo di tempo è l’oscilloscopio. Questo apparecchio, un generatore di impulsi e un amplificatore in ricezione, costituiscono nel loro insieme lo schema di base del sonar, identico a quello (illustrato nella figura 7.3) dei sistemi pulse-echo, da cui deriva direttamente l’A-Mode. Nella figura sono riportati il trasduttore T, necessario alla generazione del pacchetto d’onda ultrasonora, il generatore di impulsi, necessario all’alimentazione (eccitazione elettrica) del trasduttore, e l’oscilloscopio, sullo schermo del quale è possibile misurare il tempo trascorso tra la generazione dell’impulso e il ritorno dell’eco e nel contempo eseguire la misura della sua ampiezza (che è la grandezza visualizzata nei sistemi A-Mode). Per introdurre il principio di funzionamento dell’A-Mode, una semplice esperienza consiste nell’utilizzo di un sistema pulse-echo per misurare la distanza esistente tra la sorgente TX dell’onda ultrasonora (trasmettitore) e una parete riflettente posta di fronte a essa; in scala ridotta è l’operazione realizzata dal sonar quando la sorgente ultrasonora è posta sotto la chiglia di una nave: i pacchetti d’onda emessi (pulse) e riflessi (echo) da un ostacolo, sia esso un sommergibile o più semplicemente il fondale marino6, tornano indietro verso un elemento piezoelettrico RX (ricevitore)7 che rileva l’eco (figura 1.30). Nella figura 7.3, la situazione è riprodotta tramite il contenitore C, costruito in materiale plastico (per esempio perspex) e pieno d’acqua. Il trasduttore, che contiene entrambi i piezoelementi TX e RX, è fissato a una parete del contenitore opportunamente forata, in modo che questi siano a diretto contatto con l’acqua. Il piezoelemento TX è collegato al generatore che può fornire, gra-
6
In questo caso il sonar assume in generale il nome di ecoscandaglio. Come sarà meglio specificato nel seguito, si può utilizzare anche un solo piezoelemento che funziona alternativamente da trasmettitore e ricevitore.
7
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· Ecotomografia
Figura 7.4. Rappresentazione sullo schermo dell’oscilloscopio del segnale proveniente dall’apparato sperimentale pulse-echo della figura 7.3.
zie all’interruttore I, sia un impulso singolo, sia una sequenza di impulsi tra loro intervallati opportunamente, cioè impulsi emessi con una certa frequenza di ripetizione (PRF, Pulse Repetition Frequency), che può essere scelta dall’operatore e di cui si tratterà ampiamente nel seguito. Il piezoelemento RX è collegato alle placchette verticali dell’oscilloscopio (asse y) tramite un amplificatore a guadagno variabile. Il trigger dell’oscilloscopio, anch’esso collegato al generatore di impulsi, fa partire lo spot luminoso, che percorre a velocità costante l’asse dei tempi8 sullo schermo, in modo sincrono alla partenza dell’impulso. In queste condizioni è possibile osservare l’impulso di partenza, in corrispondenza dello zero nella scala dei tempi, e l’impulso rappresentativo dell’eco riflesso dopo il tempo t definito dalla relazione [7.1]. Si supponga di inviare un impulso singolo agendo sull’interruttore I del generatore e di rendere sincrona la partenza del dente di sega dell’oscilloscopio (lo zero della scala dei tempi) con quella dell’impulso. Tale segnale in tensione, proveniente dal generatore, eccita il piezoelemento TX che, posto in oscillazione meccanica alla sua frequenza di oscillazione propria, genera un pacchetto di onde ultrasonore, le cui caratteristiche dipendono dalle prestazioni della sonda. Questo pacchetto di onde percorre in acqua il tragitto L, tra le due pareti del contenitore, ed è riflesso dalla parete opposta pressoché totalmente, data l’elevata riflettività dell’interfaccia acqua-perspex. Il pulse riflesso, cioè l’eco, colpisce il piezoelemento RX, che genera tra i suoi elettrodi una ddp per
8 Com’è noto, ciò viene ottenuto applicando alle placchette orizzontali dell’oscilloscopio una tensione che cresce linearmente con il tempo, con un andamento in tensione a dente di sega.
Capitolo 7
· Un sonar diagnostico
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effetto diretto; il corrispondente segnale elettrico viene rappresentato sullo schermo dell’oscilloscopio a una determinata distanza dall’origine sull’asse dei tempi. Secondo le ipotesi fatte, di coincidenza tra la partenza dell’impulso di eccitazione e del dente di sega dell’oscilloscopio, sullo schermo compaiono le tracce sia dell’impulso ultrasonoro di partenza sia del suo eco9. Valutando l’intervallo di tempo tra le due tracce e conoscendo la velocità di propagazione del suono nell’acqua (pari a circa 1480 m/s a 20 °C), è possibile calcolare la distanza L tra le facce del recipiente mediante la relazione [7.1]. Se la distanza tra i due echi (misurata sull’asse orizzontale dello schermo secondo quanto illustrato nella figura 7.4) è pari a 214 μs, si ha L=
ct 1480 m /s ⋅ 214 ⋅10 −6 s = = 0,158 m ≅ 160 mm 2 2
[7.2]
come effettivamente si rileva, misurando la distanza tra le facce interne delle due pareti opposte del recipiente. Le due tracce verticali sullo schermo rappresentano, con le rispettive ampiezze, l’impulso emesso dalla sonda e quello riflesso dalla parete opposta; esse sono in realtà più complesse di quelle rappresentate nella figura 7.4 (come è posto in rilievo nella figura 7.6), sia a causa dell’attenuazione subita lungo il tragitto, sia a causa delle riflessioni multiple che hanno luogo alle diverse interfacce incontrate dall’impulso ultrasonoro. Va inoltre osservato che in corrispondenza della parete vi sono in realtà generalmente due tracce, la prima relativa all’interfaccia acqua-perspex, che genera l’eco più intenso, e la seconda relativa all’interfaccia perspex-aria. Ai fini della comprensione di questo fenomeno è conveniente schematizzare la traccia di un eco10 rappresentandolo con una sola riga verticale, anziché mediante un complesso di righe; tuttavia, è utile analizzare più dettagliatamente qualche semplice caso del fenomeno, per rendersi conto delle modificazioni subite dall’impulso ultrasonoro e delle grandezze fisiche che caratterizzano le attenuazioni e le riflessioni che si manifestano quando questo attraversa più mezzi aventi diversa impedenza.
7.2.1 Fenomeni all’interfaccia: attenuazione Come già noto, quando un impulso ultrasonoro che si propaga in un mezzo di impedenza Z1 incontra la superficie di separazione tra questo e un altro mezzo di impedenza Z2, si verificano fenomeni di riflessione e trasmissione. Sup9 In realtà sullo schermo comparirà la traccia dell’eco originato dall’interfaccia tra sonda e acqua, praticamente sovrapposto all’impulso di partenza all’origine dell’asse dei tempi, e la traccia dell’eco originato dall’interfaccia acqua-perspex in corrispondenza della parete di fondo. 10 Risulterà ormai chiaro che ogni riga è in realtà un pacchetto di oscillazioni fortemente smorzate, come è stato ampiamente discusso nei capitoli precedenti.
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poste note le impedenze Z1 e Z2, è possibile calcolare la quota parte di energia riflessa e quella di energia trasmessa, oltre che la direzione di propagazione delle rispettive onde. Negli esempi che seguono (ancora con riferimento all’esperienza descritta) si tratterà solamente il caso di incidenza normale, poiché è quanto si verifica nella pratica ecografica. I fenomeni di riflessione e trasmissione sono qui analizzati presentando separatamente quelli che si verificano all’interno dello spessore di perspex della parete, che danno luogo a un primo gruppo di echi, e quelli che hanno origine per successive riflessioni tra le due pareti opposte del contenitore. Riflessioni multiple all’interno dello spessore Con riferimento alla figura 7.5, l’impulso ultrasonoro lanciato dal trasduttore T percorre il tragitto di 160 mm in acqua per giungere in A sulla superficie del perspex, dove si divide in due frazioni. Quella riflessa dalla superficie di separazione acqua-perspex torna indietro, secondo il tragitto 1 della figura 7.5, e dopo aver percorso i 160 mm del tragitto di ritorno colpisce il trasduttore dando luogo a un primo eco. L’onda trasmessa dall’interfaccia A penetra nel perspex fino a raggiungere in B la superficie esterna della parete a contatto con l’aria. Poiché l’impedenza acustica dell’aria è pari a circa 3·10–4 volte quella dell’acqua, l’energia ultrasonora viene in questo caso pressoché totalmente riflessa e perciò l’onda, ripercorrendo a ritroso lo spessore della parete e rientrando in acqua, percorre il tragitto 2 della figura 7.5 e giunge al trasduttore, che percepisce pertanto un secondo eco. Questo risulta di ampiezza molto minore del precedente e, sull’asse orizzontale dell’oscilloscopio, dista da esso il tempo necessario per percorrere il tragitto ABC all’interno del perspex. Il pri-
Figura 7.5. Riflessioni multiple all’interno della parete del contenitore. L’onda ultrasonora lanciata dal trasduttore giunge in A alla parete opposta lungo il tragitto 1; la quota parte trasmessa all’interno della parete giunge al confine esterno di essa in B e qui è quasi integralmente riflessa per giungere di nuovo all’interfaccia con l’acqua in C; la parte trasmessa torna al trasduttore lungo il tragitto 2.
Capitolo 7
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Figura 7.6. Echi ricevuti dal trasduttore della figura 7.3 relativi all’interfaccia acqua-perspex (primo eco proveniente da A) e all’interfaccia perspex-aria (secondo eco proveniente da C); la traccia nell’origine corrisponde all’impulso inviato.
mo eco di ampiezza maggiore dista dall’istante di emissione 214 μs (come precedentemente misurato), mentre il secondo eco dista dal primo di circa 8,4 μs, come si osserva nella figura 7.6. Anche in questa circostanza, così come per la dimensione L della vasca, è possibile determinare lo spessore s della parete di perspex, a partire dalla sequenza temporale degli echi ricevuti; infatti, conoscendo la velocità di propagazione del suono nel perspex (pari a circa 2680 m/s a 20 °C)11 si ricava s=
c perspex Δ t 2
=
2680 m / s ⋅ 8, 4 ⋅10 −6 s ≅ 0, 011 m ≅ 10 mm 2
[7.3]
L’esperimento descritto, relativo al meccanismo di riflessione sulla parete di perspex, pone in rilievo la grande attenuazione subita dall’onda di pressione sonora lungo il suo tragitto in acqua da una parete all’altra, nel caso di una singola onda di ritorno. In realtà occorre considerare che l’onda retrograda riflessa, giunta al trasduttore, viene da esso nuovamente riflessa (per la quota parte ACr della figura 7.8) verso la parete di perspex dando luogo agli stessi fenomeni descritti per l’onda di pressione originaria indicata con il numero 1; essa pertanto dà origine a una terza riflessione, successivamente a una quarta e così via. Si ha cioè lo stabilirsi di un regime di riflessioni multiple, di ampiezza sempre minore, che tuttavia occorre valutare per stabilire se il loro effetto possa o meno essere trascurato nelle varie circostanze sperimentali. Nell’esempio che segue viene mostrato il procedimento per tenere conto, a ogni superficie di separazione tra due mezzi di impedenza Zi e Zt , della quota 11
Si ricordi quanto stabilito nel capitolo 4 sulla misura di tale grandezza.
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Figura 7.7. Ripartizione dell’ampiezza dell’onda di pressione tra riflessa e trasmessa in corrispondenza di una variazione dell’impedenza acustica.
Figura 7.8. Schema di calcolo dell’ampiezza degli echi generati dalle riflessioni alle due interfacce relative alla parete di perspex del contenitore.
Capitolo 7
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Tabella 7.1. Impedenza acustica e coefficiente di attenuazione alla frequenza di 1 MHz Materiale Acqua Perspex Aria Olio di ricino
α @ 1MHz (dB/cm)
Z (Mrayl) 1,5 3,2 0,0004 1,4
0,0022 2 10 0,95
parte di energia trasmessa e riflessa per ogni singola riflessione. Lo schema di calcolo è illustrato nella figura 7.7 nella quale, per ciascun fenomeno di incidenza di un’onda (rappresentato da punti geometrici analoghi al punto A della figura 7.5), sono indicate l’onda incidente pi, quella riflessa pr e quella trasmessa pt in termini di ampiezza delle pressioni acustiche. Esse sono ottenute a partire dalla condizione al contorno di continuità della pressione acustica all’interfaccia, discussa nel capitolo 4 e qui riportata pi + pr = p t
[7.4]
Nella figura 7.7 le tre ampiezze suddette sono rappresentate all’interno di un quadrato suddiviso nelle tre parti indicate rispettivamente con (1), (2) e (3), attribuendo convenzionalmente in ogni quadrato alla pressione incidente il valore unitario e alle altre i rispettivi coefficienti rp e tp. Se nella figura 7.8 si indicano con A, C ed E i quadrati relativi alle ripartizioni delle onde di pressione nei punti sulla superficie interna della parete (a contatto con l’acqua, come il punto A della figura 7.5), e con B e D quelli sulla superficie esterna della parete (a contatto con l’aria, come il punto B della figura 7.5), l’ampiezza della perturbazione ultrasonora riflessa e trasmessa viene dedotta utilizzando i valori noti dell’impedenza acustica e supponendo unitaria l’ampiezza dell’onda di pressione incidente. Infatti, con i valori riportati nella tabella 7.1, relativi all’impedenza acustica, è possibile determinare sia il coefficiente di riflessione, sia quello di trasmissione (entrambi in termini di pressione), per le interfacce acqua-perspex, perspex-acqua e perspex-aria secondo le
racqua - perspex =
Z perspex − Z acqua Z perspex + Z acqua
≅ 0, 36
rperspex -acqua = − racqua - perspex ≅ −0, 36 rperspex -aria =
Z aria − Z perspex Z aria + Z perspex
≅ −0, 9997
t acqua - perspex = t perspex -acqua = t perspex -aria =
2 Z perspex Z perspex + Z acqua 2 Z acqua Z perspex + Z acqqua
≅ 1, 36 ≅ 0, 64
2 Z aria ≅ 2, 5 ⋅10 −4 Z aria + Z perspex
[7.5]
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· Ecotomografia
Perciò l’ampiezza AAr dell’onda di pressione riflessa, che dà luogo al primo eco, e quella AAt, che invece è trasmessa all’interno del perspex, risultano rispettivamente pari a A Ar = 0, 36A A
A At = 1, 36A A
[7.6]
Quest’ultima si propaga all’interno del perspex per 10 mm di spessore e durante questo tragitto subisce un’attenuazione dell’ampiezza per effetto dell’assorbimento del perspex; pertanto l’onda giunge in B sulla seconda interfaccia con un’ampiezza AB fornita dalla − 2 dBcm AB = 10 A At
−1
MHz −1⋅5 MHz⋅1cm 20
= 0, 316 ≅ 0, 32
[7.7]
dove si è utilizzato il valore della costante di attenuazione μ = 2 dB cm–1·MHz–1, il valore dello spessore della parete ricavato precedentemente con la relazione [7.1] e la frequenza centrale dell’impulso pari a 5 MHz come stabilito per questa esperienza; dalla [7.7] si ricava perciò AB ≅ 0,32 AAt ≅ 0,32·1,36AA ≅ 0,43AA. Dato il basso valore dell’impedenza dell’aria rispetto all’impedenza del perspex e, di conseguenza, l’elevato valore del coefficiente di riflessione all’interfaccia perspex-aria, l’onda di pressione in B viene per la gran parte riflessa verso l’interno, in particolare in opposizione di fase rispetto all’impulso incidente AB , secondo la A Br = − 0, 9997 A B = − 0, 9997 ⋅ 0, 43A A ≅ − 0, 43A A
[7.8]
Anche tale quota parte riflessa, lungo il tragitto a ritroso BC all’interno del perspex, viene attenuata di una quantità pari a quella subita nel tragitto AB; pertanto l’ampiezza dell’onda di pressione che giunge nel punto C è uguale a AC ≅ 0,32 ABr ≅ –0,14 AA. Ancora una volta, in corrispondenza dell’interfaccia perspex-acqua, una quota parte ACr della perturbazione viene riflessa verso il perspex e un’altra ACt trasmessa verso l’acqua, all’interno della quale percorre il tragitto di ritorno verso la sonda. L’ampiezza ACt dell’onda di pressione che ritorna verso la sorgente, e che dà luogo al secondo eco ritardato di 8,4 μs rispetto al primo, vale
(
)
A Ct = 0, 64 A C ≅ 0, 64 ⋅ − 0,14A A ≅ − 0, 089A A
[7.9]
mentre quella che rientra nel perspex, in particolare in opposizione di fase con l’onda incidente AC , vale
(
)
A Cr = − 0, 36A C ≅ − 0, 36 ⋅ − 0,14A A ≅ 0, 05A A
[7.10]
Capitolo 7
· Un sonar diagnostico
371
Considerando ancora il tratto CD nel perspex, in esso si verifica un’attenuazione dovuta allo spessore (per la quale risulta AD = 0,32 ACr = 0,016 AA), una riflessione in corrispondenza dell’interfaccia perspex-aria (per la quale rientra nella parete una perturbazione di ampiezza ADr = –0,9997 AD ≅ –0,016 AA) e un’ulteriore attenuazione in corrispondenza del tratto DE (per la quale risulta AE = 0,32 ADr = –0,32·0,016 AA ≅ –0,0051 AA). La quota parte di perturbazione che rientra in acqua, trasmessa dall’interfaccia interna della parete, ha perciò ampiezza pari a A Et ≅ 0, 64A E ≅ −0, 0033A A
[7.11]
essa si propaga in acqua e giunge alla sonda dove dà luogo a un terzo eco, in ritardo di 8,4 μs rispetto al secondo12. Per l’attenuazione dovuta alle successive riflessioni e per quella propriamente attribuibile all’assorbimento del mezzo, il primo eco che giunge alla sonda (dopo il tempo necessario per percorrere il tragitto 2L, pari a 214 μs) ha ampiezza AAr circa 4 volte maggiore dell’ampiezza ACt del secondo, che giunge distanziato dal primo di 8,4 μs, e circa 109 volte maggiore dell’ampiezza AEt del terzo. In altri termini, l’ampiezza dell’onda, che ha interagito tre volte con la superficie interna della parete, risulta da
20 log
0, 0033A A A Et = 20 log ≅ − 41dB 0, 36A A A Ar
[7.12]
L’attenuazione rilevata sperimentalmente (si faccia riferimento al tracciato della figura 7.6) è di fatto molto maggiore di quella calcolata, per la quale occorre tener conto anche delle accuratezze con cui sono noti i valori del coefficiente di attenuazione e quelli dell’impedenza acustica nei diversi mezzi; risulta inoltre assai difficile prescindere dal contenuto in frequenza dell’impulso ultrasonoro, essendo i calcoli precedentemente svolti validi, a rigore, solo per la frequenza di 5 MHz. Infine occorre considerare anche gli effetti della diffusione che l’onda ultrasonora subisce nei diversi mezzi, in particolare nel perspex13. Riflessioni multiple nella vasca Nel paragrafo precedente è stato esaminato ciò che accade del raggio ultrasonoro che viene riflesso una prima volta, cioè dopo aver percorso il lato L del contenitore, e viene recepito dopo un tempo pari a 214 μs, una volta tornato indietro. Occorre ora analizzare ciò che accade quando tale raggio, dopo aver percorso il tragitto pari a 2L, viene riflesso dalla sorgente e, tornando verso la 12
Si ricordi che tale tempo è quello necessario a percorrere due volte lo spessore della parete. Mezzi che sono relativamente trasparenti alla radiazione luminosa, rispetto alla quale presentano pertanto una bassa diffusione, non è detto che abbiano il medesimo comportamento anche nei confronti delle perturbazioni sonore. 13
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parete opposta, dà luogo a una seconda riflessione. Infatti, dopo i primi 214 μs, la superficie sensibile della sonda riflette a sua volta una parte dell’eco proveniente dalla parete di perspex e lo rinvia verso di essa. Quindi, dando comunque luogo agli stessi fenomeni descritti per l’onda originaria (ossia riflessione e trasmissione all’interno del perspex), l’eco giunge nuovamente alla sonda dopo un tempo pari a 428 μs, come riportato nella figura 7.9. ′ del primo eco multiplo, rilevato dopo Per quanto riguarda l’ampiezza AAr 2·214 μs = 428 μs, si può considerare da un punto di vista teorico (e senza tener conto dell’assorbimento da parte dell’acqua) che a ogni riflessione sulla parete di perspex il segnale si attenui di circa 9 dB, mentre all’interfaccia con il trasduttore si può assumere che la quota parte di onda riflessa abbia ampiezza inferiore a quella incidente di circa –12 dB 14. Poiché si hanno all’interfaccia in corrispondenza della parete almeno due riflessioni, a cui si aggiunge quella in ′ del primo eco multiplo è infecorrispondenza del trasduttore, l’ampiezza AAr riore all’ampiezza dell’impulso di pressione AA di circa 30 dB ed è di almeno 30–9 = 21 dB al di sotto15 del primo eco riflesso AAr . In realtà si verifica sperimentalmente (si faccia riferimento alla figura 7.9) che l’ampiezza del primo eco multiplo è inferiore a quella calcolata, risultando pari a circa 0,05 volte l’ampiezza della prima riflessione; infatti nel precedente calcolo non si è tenuto conto né dei valori effettivi delle impedenze acustiche in gioco (soprattutto all’interfaccia trasduttore-acqua), né di ulteriori fenomeni di diffusione e diffrazione ultrasonora in corrispondenza delle superfici interessate dal tragitto del primo eco rilevato dalla sonda. Sebbene in questa circostanza l’ampiezza misurata del primo eco multiplo ′ sia trascurabile rispetto all’eco di prima riflessione AAr, vi possono essere AAr situazioni in cui ciò non si verifica e nelle quali un’ampiezza maggiormente evidente delle riflessioni multiple potrebbe rendere difficoltosa l’interpretazione dell’immagine, specialmente quando gli echi sono numerosi. La tecnica più utilizzata negli ecotomografi per limitare la presenza di echi multipli nel campo di visualizzazione consiste nel fissare la massima profondità di osservazione; ciò si realizza definendo il tempo occorrente all’eco per produrre la prima riflessione ed escludendo dal campo di visualizzazione tutte le riflessioni multiple. La massima profondità di osservazione, che negli ecotomografi è un parametro regolabile, viene in genere indicata con il termine profondità di scansione (scanning depth) o campo di vista (FOV, Field Of View) che sta appunto a significare il campo di indagine definito dalla massi14 Tale valore è giustificato dalle riflessioni interne in corrispondenza della lente e di eventuali strati di protezione del trasduttore. Si tiene conto complessivamente di questi contributi come se si trattasse di un unico elemento di impedenza acustica pari a circa 2,5 Mrayl. 15 Per chiarire il concetto, si consideri che l’ampiezza A′ del primo eco multiplo è il risultato, seguenAr done il percorso a ritroso, della riflessione sulla parete di perspex per la quale A′Ar = 0,36 A′A, della riflessione in corrispondenza del trasduttore per la quale A′A = 0,25 AAr, e della prima riflessione sulla parete per la quale era AAr = 0,36 AA. Perciò alla fine essa risulta pari a A′Ar = 0,36·0,25·AAr e dunque inferiore all’ampiezza del primo eco AAr di circa 20,9 dB. Essa è poi inferiore di circa 30 dB all’ampiezza AA del segnale inviato dato che A′Ar = 0,36·0,25·0,36 AA, nonché dell’assorbimento dovuto all’acqua.
Capitolo 7
· Un sonar diagnostico
373
Figura 7.9. Echi ricevuti dal trasduttore della figura 7.5 relativi alle riflessioni dell’onda originaria all’interfaccia acqua-perspex (primo eco proveniente da A) e perspex-aria (secondo eco proveniente da C) e alle riflessioni alle stesse interfacce dell’onda secondaria (prima riflessione multipla in acqua); la traccia nell’origine corrisponde all’impulso inviato.
ma lunghezza del tragitto compiuto in profondità dall’eco. Tale parametro viene di solito regolato assieme a un altro che permette di variare l’intensità dell’onda ultrasonora in uscita dal trasduttore, in modo che l’ampiezza dell’eco proveniente dalla massima distanza di osservazione (che nell’esempio proposto è la distanza L) sia comunque sufficiente per superare la soglia relativa alla fascia di rumore. Un’immagine analoga a quella rappresentata nella figura 7.9 – nella quale cioè siano riportate le tracce16 degli echi disposte sull’asse temporale in modo che (nota la velocità di propagazione nel mezzo) queste descrivano la disposizione spaziale delle interfacce dalle quali gli echi provengono17 – costituisce la rappresentazione ecografica A-Mode (dove, come già accennato, la lettera A sta per amplitude, vale a dire ampiezza dell’onda di pressione). La conoscenza dell’ampiezza degli echi, nonché della loro allocazione sulla scala dei tempi, è fonte di alcune informazioni diagnostiche e costituisce in ogni caso il fondamento della rappresentazione B-Mode, che sarà trattata nel prossimo capitolo.
16
In questa sede con il termine traccia si intende l’inviluppo positivo degli echi in radiofrequenza. Mentre i segnali (echi) della figura 7.4, provenienti da un sistema pulse-echo, sono presentati e visualizzati con le loro oscillazioni in RF, i segnali della figura 7.9, provenienti da un sistema A-Scan, sono riportati sullo schermo in termini di inviluppi, cioè di tracce. 17 Che sono le superfici di separazione tra materiali di diversa impedenza.
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7.2.2 Compensazione dell’assorbimento Si consideri ora il caso più complesso rappresentato nella figura 7.10, per il quale all’interno del medesimo contenitore della figura 7.3 è posto un setto S di perspex dello spessore di 10 mm, posizionato all’incirca alla mezzeria della vasca. Allo scopo di illustrare una circostanza sperimentale che riesce utile nella verifica delle prestazioni dei trasduttori meccanici, e dunque in condizioni di impiego prossime a quelle di un ecotomografo in applicazioni cliniche, il contenitore è in questo caso pieno di olio di ricino, che ha impedenza vicina a quella dell’acqua e pari a 1,4 Mrayl e una costante di attenuazione pari a 0,95 dB cm–1 MHz–1 assai prossima a quella media dei tessuti. Il problema consiste nel calcolare l’attenuazione totale subita dall’impulso ultrasonoro lanciato dal trasduttore T e, al contempo, rappresentare su un oscilloscopio la formazione degli echi sull’asse dei tempi, e dunque delle distanze. Riguardo al calcolo dell’attenuazione, occorre conoscere i coefficienti di riflessione rp e trasmissione tp tra olio di ricino e perspex e tra perspex e olio di ricino, nonché l’assorbimento dovuto al tragitto compiuto dall’onda ultrasonora in ognuno dei mezzi attraversati, che sono ricavabili, come nel caso precedente, applicando le formule fornite nel capitolo 4. I valori corrispondenti sono riportati nella tabella 7.2, in termini sia di pressione sia di intensità. Al fine di semplificare i calcoli descritti nel seguito, nella tabella 7.3 sono riportate le attenuazioni subite dal raggio ultrasonoro, esclusivamente dovute all’assorbimento, in virtù del tragitto all’interno dei mezzi attraversati, ciascuno con il suo spessore. Considerando le costanti di assorbimento μ(dB/cm·MHz) per l’olio di ricino e il perspex, ottenute a partire dai dati della tabella 7.1 nell’ipo-
Figura 7.10. Riflessioni multiple all’interno del setto intermedio e della parete del contenitore. L’onda ultrasonora lanciata dal trasduttore giunge sul setto in A; la quota parte trasmessa all’interno del setto giunge alla seconda interfaccia B, dove una parte viene riflessa e torna verso il trasduttore, per dare luogo a un secondo eco dopo l’attraversamento in C; la quota parte trasmessa giunge alla parete del contenitore in D e qui la quota parte riflessa produce il terzo eco, che torna alla sonda dopo aver attraversato il setto in E e F, mentre la parte trasmessa giunge al confine esterno in G, dove è quasi integralmente riflessa, dando luogo a un quarto eco (che giunge di nuovo all’interfaccia in H e di qui, attraverso il setto in I e F, al trasduttore).
Capitolo 7
· Un sonar diagnostico
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Tabella 7.2. Coefficienti di riflessione e trasmissione in pressione e in intensità relativi alle interfacce della figura 7.10 Coefficienti in pressione Interfaccia Olio-Perspex Perspex-Olio Perspex-Aria
trasmissione tp 1,39 0,61 0,0002
riflessione rp 0,39 –0,39 –0,9997
Coefficienti in intensità trasmissione tI 0,85 0,85 0,0006
riflessione rI 0,15 0,15 0,9994
Tabella 7.3. Attenuazione relativa agli spessori dei diversi mezzi attraversati dall’onda lungo i tragitti della figura 7.10 Attenuazione Attenuazione Mezzo in ampiezza in intensità Perspex 1 cm Olio di ricino 7,5 cm
0,32 0,0165
0,10 0,00027
tesi di legge di assorbimento lineare μ = α(f)/f, è possibile calcolare tali attenuazioni subite dall’impulso ultrasonoro (la cui frequenza centrale è di circa 5 MHz) per il passaggio attraverso 1 cm di perspex e 7,5 cm di olio di ricino che separano il setto dalla parete di fondo del contenitore, mediante la relazione μ /a dB cm A = 10 A0
−1
MHz −1 ⋅ 5MHz ⋅ spessore 20
[7.13]
dove a = 2 nel caso di attenuazione in ampiezza e a = 1 nel caso di attenuazione in termini di intensità (vedi par. 4.6). Con riferimento alla figura 7.10, indicando rispettivamente con AP e IP le ampiezze e le intensità delle onde di pressione incidenti le discontinuità in corrispondenza dei vari punti P18, e utilizzando la metodologia precedentemente esposta, è possibile dedurre l’andamento dei diversi echi rilevati dalla sonda. A tale riguardo nella figura 7.11 è illustrato il procedimento mediante uno schema grafico utile sia alla visualizzazione dei fenomeni di riflessione e di trasmissione subiti dall’impulso in corrispondenza delle variazioni di impedenza acustica, sia alla determinazione delle grandezze di interesse. In ciascun cerchio è riportato il rapporto tra l’ampiezza (o l’intensità) in ingresso e quella in uscita, rappresentativo dell’attenuazione subita dall’onda di pressione dopo aver attraversato gli spessori materiali indicati nella figura 7.11. Nei riquadri sono riportati i valori del coefficiente di trasmissione e di riflessione corrispondenti all’interfaccia tra i mezzi di impedenza acustica Zi e Zt cui il riquadro è sovrapposto. Per determinare l’ampiezza o l’intensità dell’eco, è sufficiente moltiplicare tra loro i numeri rappresentati nei riquadri e
18
Per esempio l’ampiezza AA e l’intensità IA sono quelle del pulse ultrasonoro generato dalla sonda e incidente il setto di perspex nel punto P = A.
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Figura 7.11. Schema di calcolo dell’ampiezza degli echi generati dalle riflessioni alle interfacce relative alla parete di perspex del contenitore e al setto interposto; sono evidenziate le successive attenuazioni dovute agli spessori attraversati.
cerchi colorati, posizionati lungo il percorso compiuto dall’onda ultrasonora. Nella tabella 7.4 sono riportate le ampiezze e le intensità delle onde di pressione rinviate verso la sonda, riferite sia all’ampiezza AA e all’intensità IA dell’impulso incidente in A, sia all’ampiezza AAr e all’intensità IAr del primo eco rilevato dalla sonda. In particolare si può osservare come tra le ampiezze delle onde di pressione del primo e dell’ultimo eco vi sia un fattore di circa 10–5, tale
Capitolo 7
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Tabella 7.4. Ampiezza e intensità degli echi riflessi, calcolate secondo lo schema presentato nella figura 7.11 Rispetto all’impulso incidente
Rispetto al primo eco
Eco
Pressione
Intensità
Pressione
Intensità
ECO1 (AAr) ECO2 (ACt) ECO3 (AFt) ECO4 (ALt)
0,39 AA –0,034 AA 7,82·10–6 AA –1,74·10–6 AA
0,15 IA 0,00108 IA 57,08·10–12 IA 2,75·10–12 IA
1 AAr –0,087 AAr 2,00·10–5 AAr –0,446·10–5 AAr
1 IAr 0,0072 IAr 3,8·10–10 IAr 1,83·10–11 IAr
che la differenza di livello tra le due corrisponde a un’attenuazione complessiva pari a circa 100 dB. Per costruire l’immagine A-Mode del contenitore con il setto in mezzeria, oltre a calcolarne le ampiezze, occorre anche collocare gli echi, rappresentativi delle variazioni di impedenza, sull’asse dei tempi dell’oscilloscopio. Per eseguire questa operazione, è necessario conoscere la velocità di propagazione del suono nei diversi mezzi impiegati per l’esperimento: in particolare, la velocità di propagazione nell’olio di ricino, che vale circa 1500 m/s, e quella nel perspex, pari a circa 2680 m/s. Il tempo complessivo necessario affinché ciascun eco giunga al trasduttore è quello impiegato dalla radiazione per attraversare due volte gli spessori di olio e di perspex interposti tra la sonda e il luogo origine dell’eco (discontinuità). Considerando che il primo eco ha origine a una distanza pari a 7,5 cm dalla sonda (figura 7.5) e che tale tratto è percorso all’interno dell’olio di ricino, se ne deduce che il primo eco perviene alla sonda dopo il tempo TA (figura 7.10) pari a 2
7, 5 cm = 0, 0001 s = 100 μs 1500 m / s
[7.14]
Il secondo eco ritorna alla sonda dopo aver attraversato 7,5 cm di olio di ricino e 1 cm di perspex; perciò si ricava per l’intervallo TB ⎛ 7, 5 cm 1 cm ⎞ ≅ 0, 000107 s = 107 μ s + 2⎜ ⎝ 1500 m/s 2680 m/s ⎟⎠
[7.15]
Analogamente il terzo eco giunge dopo un tempo TD di 207 μs e il quarto dopo un tempo TG di 214 μs. Tutto ciò premesso, la rappresentazione A-Mode relativa al contenitore riempito d’olio di ricino e con il setto di 1 cm di perspex in mezzeria è, nella scala dei tempi e delle ampiezze, del tipo riportato nella figura 7.12. Sullo schermo dell’oscilloscopio compaiono tracce per le quali le ampiezze sono funzione delle attenuazioni e dei coefficienti di trasmissione riportati nella figura 7.11 e i tempi sono quelli appena calcolati. L’asse orizzontale è graduato in microsecondi e su di esso sono rappresentati i tempi impiegati dalla radiazione ul-
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trasonora per compiere rispettivamente i tragitti TA, TB, TD, TG e ritorno (figura 7.10); in ordinate sono riportati i rapporti tra i valori delle ampiezze rispetto al primo eco, così come determinati nella tabella 7.4. A tale riguardo si osserva che la traccia degli ultimi echi, generati a distanze maggiori, è appena visibile (si faccia riferimento alle tracce in rosso); pertanto risulta necessario provvedere a un’amplificazione dell’ampiezza dipendente dalla distanza da cui essi provengono, al fine di poter attribuire alla diversa ampiezza degli echi il solo significato di diversità d’impedenza che ne ha determinato l’origine, eliminando il contributo dell’assorbimento. Questa azione di compensazione in guadagno in funzione del tempo – o, a parità di velocità di propagazione, in funzione della distanza – è compiuta da un particolare amplificatore, spesso indicato come TGC (Time Gain Compensator)19, il cui scopo è appunto compensare l’ampiezza dei segnali agendo sul contributo (negativo) dell’assorbimento (subito lungo il tragitto di andata e ritorno, da e verso la sonda, nei diversi mezzi attraversati) e perciò restituire alle ampiezze il valore dovuto esclusivamente all’interazione con una superficie di separazione. In altri termini, per effetto dell’introduzione del TGC, i valori delle ampiezze degli echi compensati dipendono fondamentalmente dai coefficienti di riflessione e trasmissione alle diverse interfacce. Si noti che l’ampiezza del segnale ricevuto è proporzionale all’ampiezza incidente secondo il coefficiente di riflessione, ma due segnali di eco possono, a parità di interfaccia, differire in ampiezza poiché generati mediante due differenti onde incidenti. Come si è verificato negli esempi precedenti, man mano che l’onda incontra delle discontinuità subisce un’attenuazione in ampiezza, poiché le quote parti riflesse non proseguono lungo la direzione positiva del fascio e non incidono sulle interfacce successive (perdite per riflessione). L’informazione che giunge con il segnale di eco non è dunque univocamente determinata e l’azione del TGC non elimina l’ambiguità relativa a due segnali che possono differire perché provenienti o da ostacoli di diversa natura o da ostacoli di natura simile ma posti uno dopo l’altro. Nella figura 7.12a si può osservare che, nel caso non compensato (in rosso), l’ampiezza dell’eco si riduce di due ordini di grandezza già a partire dalla seconda interfaccia a 107 μs (un particolare dell’inviluppo dell’eco è mostrato nel dettaglio A), fino a divenire circa 106 volte inferiore nella quarta e ultima interfaccia a 214 μs (dettaglio B); è possibile verificare i valori di tali ampiezze ricorrendo allo schema della figura 7.11 e alla tabella 7.4. Nel caso di compensazione ideale (in blu), le ampiezze del tracciato risultano funzione unicamente del coefficiente di riflessione dell’interfaccia che le ha generate; pertanto a parità di interfaccia tali ampiezze risultano identiche20.
19 Le modalità di funzionamento di questo particolare e importante amplificatore sono esaminate nel seguito di questo paragrafo e successivamente nel capitolo 8. 20 Nel caso specifico, essendo unitaria l’ampiezza di pressione incidente, ciascun eco è pari numericamente al coefficiente di riflessione dell’interfaccia che lo ha generato. Infatti risulta: tra perspex e olio (seconda interfaccia) |rperspex-olio| = 0,39; tra olio e perspex (terza interfaccia) rolio-perspex = 0,39; tra perspex e aria (quarta interfaccia) |rperspex-aria| = 0,9997.
Capitolo 7
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Figura 7.12. Tracciato A-Mode degli echi rilevati nel caso della vasca con setto in mezzeria della figura 7.10. In rosso traccia A-Mode senza il recupero in ampiezza operato dal TGC, in blu segnale ecografico amplificato dal TGC. (a) Tracciato ottenuto per compensazione ideale, che include tutte le cause di attenuazione, cioè sia le perdite per assorbimento, sia quelle per riflessione all’interfaccia. Per tale motivo le ampiezze visualizzate degli echi sono funzione esclusivamente dei corrispondenti coefficienti di riflessione ed è possibile calcolarne il valore facendo conto che l’ampiezza incidente su ciascuna interfaccia è sempre pari a quella emessa dalla superficie del trasduttore (nella figura è posta unitaria). (b) Compensazione reale dell’attenuazione per assorbimento per cui l’ampiezza degli echi dipende dalla differenza di impedenza tra le interfacce e in particolare dai corrispondenti coefficienti di riflessione e trasmissione. In tali condizioni ciascun valore di ampiezza va calcolato considerando che solo alla prima interfaccia l’onda di pressione incidente è uguale a quella emessa dal trasduttore. I dati delle ampiezze sono relativi alla tabella 7.4.
Nella figura 7.12b è invece rappresentato in blu il recupero effettivamente operato dal TGC, per cui la geometria della vasca con setto della figura 7.10 viene ora rappresentata compensando l’assorbimento dei mezzi attraversati dalla radiazione ultrasonora, ma non l’attenuazione dovuta alle perdite per riflessione alle diverse interfacce21: ciò che viene visualizzato dopo la compensazione operata dal TGC costituisce il tracciato A-Mode della vasca con setto interposto della figura 7.10. 21 Per esempio, per l’eco relativo al tragitto TB, l’ampiezza non compensata (dettaglio A) è in modulo pari a |ACt| = 0,034 V, mentre per effetto del TGC essa diviene |ACt| = |1·tolio-perspex·rperspex-olio·tperspex-olio| = 1·1,39·0,39·0,61 = 0,330 V dove t e r rappresentano, rispettivamente, i coefficienti di trasmissione e riflessione alle interfacce tra perspex e olio. Si rammenta che alle perdite per riflessione andrebbe aggiunto anche il contributo della diffusione (scattering), non considerato in questa sede per maggiore chiarezza di esposizione.
Fondamenti di Ingegneria Clinica
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Si consideri ora la figura 7.13, nella quale è rappresentato il caso di un’applicazione più vicina alla realtà clinica. Un impulso ultrasonoro di ampiezza unitaria è inviato a un triplo strato di materiale biologico costituito, oltre che dall’epidermide (il cui spessore è ritenuto in prima istanza trascurabile), da 1 cm di grasso, 3 cm di muscolo e infine uno strato di osso. L’impedenza acustica e la costante di attenuazione dei diversi componenti e delle relative interfacce sono riportati nella tabella 7.5; nella figura 7.13 sono rappresentate graficamente le ampiezze e le intensità dell’impulso inviato e degli echi provenienti dalle varie interfacce in funzione del tragitto compiuto, così come determinate nello schema di calcolo della figura 7.14. Al fine di valutare l’amplificazione necessaria a visualizzare l’eco proveniente dall’interfaccia più lontana, è necessario determinare l’ampiezza dell’eco generato all’interfaccia tra muscolo e osso che giunge alla sonda. Tabella 7.5. Impedenza acustica e coefficiente di attenuazione alla frequenza di 1 MHz Tessuto Grasso Muscolo Osso
Z (Mrayl) 1,3 1,65÷1,74 3,75÷7,4
α @ 1 MHz (dB/cm)
0,6 1,3÷3,3 20
Procedendo secondo la metodologia precedentemente introdotta22, e per una frequenza dell’impulso ultrasonoro pari a 1 MHz, tale ampiezza risulta pari a 0,21 AT (avendo indicato con AT l’ampiezza unitaria in corrispondenza del trasduttore). Nel caso illustrato l’attenuazione totale subita dall’onda di pressione nell’intero tragitto di andata e ritorno, da e verso la sonda, risulta di conseguenza pari a 20 log(0,21 AT /AT) ≅ –13,5 dB. Gli esempi riportati mettono in luce un’importante circostanza, che ha notevole rilievo nella progettazione degli ecotomografi e che conviene qui richiamare ancora: le cause più rilevanti di attenuazione del segnale ultrasonoro23 risiedono nella riflessione alle interfacce e nell’assorbimento da parte di ciascun mezzo attraversato. A ogni cambiamento di impedenza incontrata dal fascio ultrasonoro lungo tutto il suo percorso, dal punto di trasmissione a quello di ricezione, ha origine una riflessione. La testimonianza di questo fenomeno è rilevabile sullo schermo dell’oscilloscopio, sul quale ogni riflessione si manifesta con un guizzo della traccia in corrispondenza del luogo dove la riflessione si è verificata. Inoltre, per ogni mezzo attraversato, si verifica un assorbimento dell’onda secondo una legge esponenziale decrescente, la cui entità è sinteticamente rappresentata dal coefficiente α espresso generalmente in decibel al centimetro (dB/cm). Si assumano i valori intermedi Zmuscolo = 1,7 Mrayl, Zosso = 6,7 Mrayl e αmuscolo = 1,3 dB/cm @1 MHz. Si esclude in prima approssimazione la diffusione (scattering), la cui valutazione teorica riesce assai difficoltosa; pertanto il calcolo ha valore indicativo ed è utile per avere un ordine di grandezza. 22 23
Capitolo 7
· Un sonar diagnostico
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Figura 7.13. Attenuazione subita dall’onda ultrasonora lungo il tragitto entro tre strati di materiale biologico. Lo spessore del fascio rappresenta in (a) l’ampiezza e in (b) l’intensità dell’onda trasmessa (in rosso) e dell’eco originato all’interfaccia più lontana (in azzurro).
Figura 7.14. Schema di calcolo dell’ampiezza degli echi generati dalle riflessioni alle interfacce relative ai tre strati della figura 7.13.
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Figura 7.15. Tracciato A-Mode degli echi rilevati nel caso dei tre strati di tessuto della figura 7.13. In rosso traccia A-Mode senza il recupero operato dal TGC (ottenuti secondo lo schema della figura 7.14); in blu segnale ecografico amplificato dal TGC che compensa l’assorbimento prodotto dal tragitto nei 10 mm di grasso (primo eco) e nei 10 mm di grasso aggiunti ai 30 mm di muscolo (secondo eco).
Vale la pena di ribadire che l’informazione utile, che consente di individuare una superficie di separazione tra due mezzi, è contenuta nell’ampiezza dell’eco, poiché una marcata differenza di impedenza genera un eco di ampiezza elevata, mentre la collocazione spaziale di tale superficie è individuata grazie alla valutazione del tempo di volo. Peraltro segnali provenienti da strutture profonde potrebbero pervenire al ricevitore con ampiezza troppo esigua per poter essere estratti dalla fascia del rumore, a causa dell’attenuazione del mezzo, e ciò si tradurrebbe in perdita di informazione. Ne deriva la necessità di compensare l’attenuazione prodotta lungo il tragitto, amplificando l’ampiezza del segnale in funzione (esponenziale) della distanza. In tal modo l’ampiezza di tutti gli echi dipende solamente dalle discontinuità dell’impedenza alle superfici di separazione tra i diversi mezzi attraversati (e quindi idonea alla costruzione di un’immagine). Se tale compensazione non fosse attuata, echi prodotti per effetto di uguali coefficienti di riflessione, e che quindi dovrebbero essere rappresentati con uguale ampiezza (se generati da pari ampiezza incidente 24), apparirebbero più o meno intensi per effetto della loro provenienza da diverse distanze dal trasduttore e non fornirebbero una rappresentazione realistica della natura degli ostacoli incontrati. Se con riferimento alla figura 7.14 si considerano gli echi prodotti dalle due interfacce (grasso-muscolo e muscolo-osso), il primo ha ampiezza alla sua origine pari a 0,13 AT e giunge alla sonda con ampiezza pari a 0,11 AT, mentre il
24 Si ricordi quanto stabilito sull’ambiguità che permane relativamente al fatto che due segnali possono differire perché provenienti sia da ostacoli di diversa natura, sia da ostacoli di natura simile ma investiti da fasci di ampiezza diminuita dalle precedenti riflessioni.
Capitolo 7
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secondo, generato alla profondità di 4 cm nel punto B ha ampiezza 0,40 AT alla sua origine ma giunge alla sonda attenuato fino al valore di 0,21 AT. Poiché l’attenuazione per assorbimento segue una legge esponenziale decrescente con coefficiente di attenuazione –α , l’impiego di un’amplificazione con legge esponenziale crescente Alog25 con coefficiente di amplificazione +α consentirà di recuperare l’attenuazione media causata dall’assorbimento nei differenti tessuti, sia per l’eco proveniente dal punto A, sia per quello proveniente dal punto B. Nel caso in esame, poiché si è assunta un’attenuazione di tipo lineare26, con valore nel grasso pari a circa 0,6 dB/cm (a 1 MHz) e quella nel muscolo pari a circa 1,3 dB/cm (a 1 MHz), l’eco proveniente dal punto A viene amplificato del fattore 0 ,6
A log (1 cm) = 10
2
dB 1MHz ⋅1cm cmMHz 20
= 1,15
[7.16]
mentre l’eco proveniente dal punto B viene amplificato del fattore
A log (4 cm) = 10
2
⎞ ⎛ ⎞ ⎛ dB dB ⎜⎝ 0 ,6 cmMHz 1MHz ⋅ 1cm⎟⎠ + ⎜⎝ 1,3 cmMHz 1MHz ⋅ 3 cm⎟⎠ 20
= 2, 82
[7.17]
Si noti che nelle relazioni [7.16] e [7.17] compare in esponente il fattore due, per tener conto dell’attenuazione subita lungo tutto il tragitto, compreso quello percorso dall’onda inviata prima di incontrare l’ostacolo. Ancora con riferimento allo schema della figura 7.14, l’operazione di compensazione descritta equivale a dividere l’ampiezza dell’eco per il coefficiente di attenuazione, così come nella procedura di calcolo si era provveduto a moltiplicare27. Al termine di questa prima illustrazione numerica del recupero dell’attenuazione dovuta alla distanza, rimane confermato che l’operazione di amplificazione degli echi dipendentemente dalla distanza viene correttamente indicata con l’espressione Time Gain Compensation (TGC); la parola time si riferisce al tempo di volo, che è equivalente alla parola distanza posto che la velocità media di propagazione del suono nei tessuti biologici viene considerata costante e pari a 1540 m/s. Nel seguito del capitolo l’argomento sarà ripreso per mostrarne la pratica applicazione.
25 Il pedice “log” sta per amplificazione logaritmica, che non si riferisce al tipo di legge di amplificazione, ma è una denominazione abbastanza utilizzata nella letteratura del settore. Questa denominazione deriva dal fatto che il parametro assunto come costante caratteristica per tali amplificatori è il logaritmo del rapporto tra l’ampiezza del segnale in uscita e l’ampiezza di quello in ingresso. Una legge di effettiva amplificazione logaritmica sarà presentata più avanti, nell’ambito della discussione sulla compressione del segnale. 26 Ossia, per entrambi i tessuti l’attenuazione è espressa da una legge del tipo α(f) = μ f, con μ = α(f)/f costante di attenuazione (dB cm–1 MHz–1). 27 Infatti risulta 1/(0,93 · 0,93) ≅ 1,15 e 1/(0,93· 0,93· 0,64· 0,64) ≅ 2,82.
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7.2.3 Dinamica del segnale ecografico Nelle applicazioni cliniche la profondità massima di indagine è generalmente compresa nell’intervallo 2÷25 cm, con sonde di frequenza variabile rispettivamente da 15 a 2 MHz, in relazione alle necessità diagnostiche. Il rapporto tra l’eco di intensità massima e quello di intensità minima che giungono al trasduttore è detto dinamica del segnale ecografico e, nella maggior parte delle applicazioni, assume un valore dell’ordine di 1010 in intensità, e dunque di 105 in ampiezza, vale a dire dell’ordine di 100 dB. Una parte di questo grande divario tra il massimo e il minimo segnale è dovuta all’assorbimento da parte dei mezzi attraversati, che si può ritenere corrisponda grosso modo a 60 dB. Questa quota parte del divario può essere colmata grazie alla compensazione mediante il TGC; pertanto si può ritenere che a valle di tale amplificatore l’informazione sia contenuta entro una dinamica di circa 40 dB28; ciò significa che il rapporto tra il segnale più intenso e quello meno intenso, ai quali può essere associata informazione utile, è dell’ordine di 104 : 1. È necessario considerare il fatto che, mentre gli amplificatori elettronici sono in grado di elaborare segnali con dinamiche anche superiori a 100 dB 29, altri componenti elettronici hanno una dinamica assai limitata e tra questi si annoverano quelli destinati alla visualizzazione delle immagini, come i monitor dei televisori o dei personal computer. Poiché lo scopo finale dell’ecotomografo è proprio quello di presentare un’immagine, è della loro dinamica che occorre tenere conto, insieme a quella dell’occhio umano. Con preciso riferimento alla presentazione del segnale di tipo A-Mode, per la quale i suddetti 40 dB sono rappresentati come variazioni dell’ampiezza della traccia sull’asse verticale dell’oscilloscopio, si deve tener conto del fatto che segnali molto diversi tra loro sono ben distinguibili dall’occhio umano, mentre i limiti di acuità visiva non permettono di cogliere con certezza le differenze tra segnali di ampiezza poco differente. In altri termini, se sullo schermo dell’oscilloscopio è presente una traccia di ampiezza elevata insieme ad altre tracce di piccola ampiezza (provenienti per esempio da interfacce tra tessuti a bassa riflettività), ma non per questo poco significative dal punto di vista diagnostico, queste ultime vengono percepite come circa uguali tra loro, rispetto alla traccia molto ampia, poiché la scala sull’asse delle ordinate è la medesima30. Risulta perciò opportuno amplificare maggiormente gli echi di bassa intensità rispetto agli altri, in modo da far risaltare anche le minime differenze che intercorrono tra essi, essendo queste ultime comunque rappresentative
28 Tale valore è puramente indicativo, dato che sono state rilevate differenze non trascurabili nella dinamica delle apparecchiature ecotomografiche, sia tra le diverse aziende costruttrici, sia tra i modelli di uno stesso produttore. 29 Si osserva che attualmente (2007) più di un’azienda costruttrice dichiara di produrre apparecchi la cui dinamica supera i 180 dB. 30 È infatti necessario effettuare uno zoom del particolare (cioè una variazione locale della scala) per consentire all’occhio di valutarne le differenze.
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della diversa natura delle interfacce. La conseguenza della necessità di un’amplificazione differenziata è la compressione del segnale eco amplificato, ossia il restringimento della sua dinamica. Per tale motivo, a valle del TGC, viene posto uno stadio circuitale, detto stadio di compressione o compressore o amplificatore logaritmico. La compressione del segnale è descritta con maggior dettaglio nei paragrafi seguenti, tuttavia si ritiene comunque utile accennare fin d’ora a un altro aspetto della sua applicazione. Con riferimento alla presentazione del segnale di tipo B-Mode, che si esaminerà nel prossimo capitolo, va osservato che la visione umana ha un range, centrato sul valore di luminanza media dell’ambiente circostante (circa 20 dB), e che l’occhio si adatta, e adatta i suoi limiti, in funzione di tale valore. Ciò vuol dire che il rapporto tra il massimo e il minimo di luminanza che l’occhio può percepire31 è al massimo 100 :1; ne deriva che occorre comprimere la dinamica del segnale utile dai 40 dB di cui sopra a circa 20 dB, affinché questo possa essere rappresentato su un monitor secondo una scala di brillanza (livelli di grigio) che risulti fruibile. L’utilizzo di uno stadio di compressione, più che nel caso di tracciato A-Mode, si rende necessario nel caso di rappresentazione del segnale ecografico di tipo bidimensionale. Le diverse modalità per mezzo delle quali la brillanza dei pixel sul monitor varia, in funzione della dinamica del segnale ecografico corrispondente, saranno descritte nel capitolo 8.
7.2.4 Ostacoli in movimento Un caso particolare, ma molto importante per le applicazioni in ecotomografia cardiologica (ecocardiografia), è quello in cui il setto S di perspex della figura 7.10 è posto in movimento da un dispositivo qualsiasi; questo può essere per esempio il biellismo della figura 7.16a, che trascina S nella vasca piena d’acqua imprimendogli un moto pressoché sinusoidale, di ampiezza e frequenza note, rispetto alla posizione di riposo posta per esempio in mezzeria. Come si verifica in tutte le circostanze nelle quali si voglia ottenere che un corpo in moto venga percepito come tale dall’occhio umano, occorre presentare alla visione una sequenza di quadri nella quale ciascun quadro permanga in esposizione per un tempo inferiore a circa 0,15 s; in tal modo l’occhio percepisce solo le variazioni spaziali esistenti tra due quadri successivi, cioè il movimento, come un continuum, mentre se il tempo di esposizione è maggiore, l’occhio percepisce l’esistenza di due quadri diversi. All’interno di una macchina da ripresa cinematografica (o telecamera) una pellicola scorre avan31 Nel seguito viene utilizzata principalmente l’unità fotometrica luminanza o brillanza (brightness), intesa come intensità luminosa emessa per unità di superficie emittente ed espressa in candele al metro quadrato (cd/m2); a sua volta l’intensità luminosa è definita come I = d Φ /d Ω essendo Φ il flusso luminoso misurato in lumen (lm) e Ω l’angolo solido unitario (steradiante). Poiché un lm/steradiante definisce la candela, ne deriva che la luminanza o brillanza si esprime proprio in cd/m2. La conversione dalle grandezze radiometriche a quelle fotometriche si effettua considerando la curva di sensibilità dell’occhio in funzione della lunghezza d’onda incidente. Tale curva rappresenta l’entità della sensazione luminosa (luminosità).
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Figura 7.16. Riflessioni generate da oggetti in movimento. (a) Applicazione di un cinematismo per la movimentazione del setto di perspex nella vasca piena d’acqua. (b) Visualizzazione sullo schermo di un oscilloscopio degli echi rilevati per tre posizioni del setto. (c) Rappresentazione della relativa legge di moto del setto. L’evoluzione della posizione del setto S nel tempo, riportato nel diagramma (c), costituisce la base della visualizzazione M-Mode (vedi figura 7.2 e capitolo 8).
zando a scatti, in modo che a ogni scatto si presenti un fotogramma (quadro). Se si fanno scorrere per esempio 24 fotogrammi al secondo, ogni fotogramma è una fotografia scattata con un tempo di esposizione di (1/24)s; se si è ripreso un organo in movimento, ciascun fotogramma differisce dal successivo per il fatto che tale organo occupa nel fotogramma una diversa posizione. Quan-
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do la pellicola, una volta sviluppata, viene proiettata alla medesima cadenza, il movimento, catturato nella fase di ripresa, viene mostrato come successione di fotogrammi, ciascuno presentato all’occhio umano per un tempo di (1/24)s e cioè per 41 ms; in questo intervallo di tempo l’occhio non percepisce il passaggio da un fotogramma all’altro, ma solo la differenza di posizione che è rappresentativa dell’organo in movimento. La registrazione del movimento del setto, e dunque la sua percezione, deve avvenire rispettando le medesime regole, dove il fotogramma della pellicola è ora sostituito dalla ricezione dell’eco ultrasonoro e dal suo posizionamento sull’asse dei tempi. Se per esempio viene lanciato un numero di impulsi pari a 24 al secondo32, le corrispondenti tracce, dovute alla riflessione sul setto, vengono rappresentate sullo schermo dell’oscilloscopio sull’asse dei tempi come oscillanti su di esso con ampiezza dell’oscillazione pari alla corsa del biellismo (mentre le ampiezze delle tracce, proporzionali al coefficiente di riflessione, risultano pressoché uguali, dato il trascurabile contributo dell’attenuazione dell’acqua), così come illustrato nella figura 7.16. Si osserva che, essendo costante la velocità di propagazione dell’ultrasuono nell’acqua, l’asse dei tempi (asse x) è in realtà un asse degli spazi: su di esso si misura l’ampiezza piccopicco dell’oscillazione del setto, cioè la sua corsa. Prescindendo dalla rappresentazione A-Mode, se si applica anche alle placchette verticali un asse dei tempi (asse y), cioè una tensione variabile linearmente nel tempo, è possibile visualizzare in sequenza le diverse posizioni assunte dal setto in funzione del tempo. In altri termini si ottiene la composizione di due moti: uno rappresentato sull’asse dei tempi x ad andamento sinusoidale, come imposto dal biellismo, e l’altro rappresentato (contemporaneamente al primo) sull’asse dei tempi y (figura 7.16c) che fornisce la posizione del setto nell’istante corrispondente33 individuato sull’asse dei tempi x. Sullo schermo dell’oscilloscopio compare pertanto una traccia luminosa che è pilotata su due assi dei tempi: quello orizzontale relativo alle ampiezze, che muove la traccia sinusoidalmente tra i limiti –s/2 e +s/2, e quello verticale che, contemporaneamente, sviluppa nel tempo l’andamento delle ampiezze. Sullo schermo dell’oscilloscopio si può dunque osservare l’oscillazione del setto in tempo reale. Resta da chiarire come sia possibile trasformare l’ampiezza degli echi in corrispondenti tracce luminose che si susseguono con campionamento ogni (1/24) s = 0,041 s, e quindi con una frequenza di campionamento di 24 Hz, come in precedenza accennato: la modalità che consente questa possibilità è alla base della visualizzazione in ecotomografia di organi in movimento, che consiste nella realizzazione dei cosiddetti sistemi pulse-echo (cui si è accennato nel par. 7.2), oggetto dei paragrafi che seguono. 32 Supponendo che tale frequenza sia sufficiente a rilevare il moto correttamente, nell’ipotesi cioè che non si verifichi aliasing. 33 Si ricorda che l’approssimazione di moto sinusoidale nel meccanismo biella-manovella dipende dal rapporto tra la lunghezza della biella e il raggio r della manovella (/r>>1). Per i dettagli su tale approssimazione si rimanda ai testi di meccanica applicata.
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7.3 Sistemi pulse-echo Se ci si riferisce ancora alla figura 7.3 e si immagina di voler effettuare la misura della distanza L, occorre lanciare un impulso mediante la chiusura dell’interruttore I del generatore; il tempo entro il quale il fenomeno si esaurisce, a partire dall’istante t0 dell’azionamento del pulsante, è dell’ordine del decimo di millisecondo (in particolare 214 μs nell’esempio proposto). Se la scala dei tempi fosse calibrata per esempio a 50 μs/cm, l’intero spazio sullo schermo dell’oscilloscopio (pari di norma a 10 cm), sarebbe percorso nel tempo di (50 μs/cm)·10 cm = 500 μs e l’osservatore potrebbe al massimo intravvedere, in una specie di lampo, che il segnale di eco si è posizionato a poco meno di 214 μs·(50 μs/cm)–1 = 4,3 cm dall’origine della scala dei tempi, cui corrisponde un tempo appunto di 214 μs. Pertanto in questo caso egli non sarebbe in grado di compiere alcuna misura. La soluzione a questo problema consisteva in passato nell’utilizzo di una macchina fotografica a sviluppo istantaneo (polaroid) applicata sullo schermo del tubo a raggi catodici RC, con otturatore aperto per cui su pellicola fotografica può essere visualizzata l’intera traccia disegnata dal pennello elettronico, oppure con un oscilloscopio a memoria, che fissando l’immagine sullo schermo del tubo RC, consente di effettuare la misura del tempo di volo t = 2L/c da cui si deduce L; una fotografia dello schermo permette poi l’archiviazione del dato. Si riconosce subito che i sistemi descritti sono certamente adatti all’impiego in laboratorio, ma non per l’uso clinico corrente. Per un più agevole utilizzo pratico in campo clinico, occorre che il fenomeno sotto indagine si possa ripresentare sullo schermo dell’oscilloscopio, e dunque alla visione, identico a se stesso con un periodo più piccolo di quello che l’occhio è in grado di percepire (pari a circa 0,15 s = 6,66 Hz), come si è visto nel paragrafo precedente. Se il generatore di impulsi è progettato in modo tale da lanciare automaticamente una sequenza di impulsi con una data frequenza di ripetizione (PRF), e se a ogni impulso viene fatto ripartire il dente di sega applicato all’asse orizzontale dell’oscilloscopio, ciò che appare sullo schermo viene percepito dall’occhio come fisso, purché l’intervallo di tempo sia minore del tempo di persistenza dell’immagine sulla retina, cioè purché la frequenza di ripetizione degli impulsi PRF sia maggiore di 6,66 Hz. Questo tipo di soluzione introduce peraltro un nuovo problema. Considerando ancora il caso della figura 7.3, se ciascun impulso viene lanciato senza attendere il ritorno e la ricezione dell’eco generato dal precedente, è possibile che sullo schermo dell’oscilloscopio siano visualizzate le tracce degli echi relativi alla stessa interfaccia posta a 214 μs di tempo di volo, ma ciascuno generato da un impulso diverso, sotto forma di repliche che costituiscono perciò un esempio di artefatto. Ciò si verifica in particolare se il periodo del dente di sega (da cui deriva la scala dell’asse dei tempi) è maggiore del periodo di ripetizione degli impulsi (PRP, Pulse Repetition Period), pari a 1/PRF. Se si fa in modo che la frequenza di presentazione dei quadri sullo schermo (frame rate) sia uguale alla PRF, all’occhio viene presentata sempre una se-
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quenza di schermate identiche, ciascuna con inizio all’istante di lancio dell’impulso e termine all’istante 1/PRF in cui il pennello è arrivato a fine corsa. In tal modo l’intervallo di tempo massimo visualizzabile corrisponde al massimo tempo di volo individuabile, e dunque alla massima profondità di origine degli echi da cui è possibile ricevere segnali. In riferimento all’esempio precedente (con una scala di 50 μs/cm), se il generatore lancia ogni impulso distanziato dal precedente di un tempo pari a 500 μs, e cioè se la frequenza di ripetizione degli impulsi è pari a 1/(500·10–6s) = 2 kHz, corrispondente a 2000 impulsi al secondo (ciascuno dei quali è sincrono rispetto all’inizio dell’asse temporale dell’oscilloscopio), sullo schermo è visibile la traccia, rappresentante l’eco, ferma e posizionata alla distanza di 4,3 cm dall’origine della scala dei tempi. Se invece si fissa il valore della PRF a 1/(214·10–6s) ≅ 4,7 kHz, corrispondente a circa 4700 impulsi al secondo, sullo schermo (la cui scala dei tempi è ora pari a 21,4 μs per divisione) è visibile la traccia fissa e posizionata alla distanza di 10 cm dall’origine della scala dei tempi. Stabilito che fissare la frequenza di ripetizione dei quadri, che nella rappresentazione A-Mode è pari alla PRF, equivale a fissare l’intervallo di tempo massimo visualizzabile sullo schermo, e dunque la massima profondità da cui è possibile ricevere segnali senza ambiguità, emerge che quanto più lontano è l’ostacolo del quale devono essere rilevati gli echi, tanto più bassa deve essere tale frequenza. La relazione esistente tra distanza dell’ostacolo e frequenza di ripetizione PRF si ottiene ponendo R=
ct 2
[7.18]
nella quale R rappresenta l’iniziale della parola inglese range (che indica la distanza di osservazione) e che può essere riscritta in termini di frequenza secondo l’espressione 1 c PRF = = t 2R
[7.19]
Si noti che la posizione PRF = 1/t è quella che consente di visualizzare la traccia dell’eco come fissa sullo schermo. Posto R = 1cm e assunta la velocità c in acqua costante e pari a 1480 m/s, la relazione [7.19] fornisce per la frequenza di ripetizione degli impulsi PRF = 148 000 cm s–1/2·1cm = (148 000/2)s–1 = 74 kHz. Più in generale, se il range R è espresso in centimetri, si può porre PRF =
148 000 cm/s 148 000 −1 74 000 74 kHz Hz = = s = 2 R cm 2R R R
[7.20]
La relazione [7.20] significa che, per raccogliere echi generati a una distanza di 1 cm dalla sonda, occorre che la PRF sia di 74 kHz; per raccogliere echi che provengono da ostacoli distanti dalla sonda 2 cm, la PRF deve essere pari a 37 kHz, e così via.
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Riassumendo quanto esposto, la continua ripetizione degli impulsi, e dunque la continua ripetizione degli echi, consente di visualizzarli sullo schermo di un oscilloscopio come fissi, a patto che la frequenza di ripetizione sia maggiore di quella percepibile dall’occhio. La relazione [7.19] può essere utilizzata per il calcolo rapido della PRF, se è nota (o prevedibile) la massima distanza di osservazione, indicata nelle apparecchiature come la massima profondità misurata a partire dalla superficie corporea del paziente. Poiché l’onda ultrasonora percorre in acqua il tragitto di 1 cm in un tempo t1 pari a (1/148 000)s, cioè in 6,75 μs, occorre un tempo doppio, pari a 2t = 6,75·2 = 13,5 μs, per rivelare un ostacolo nel tessuto per ogni centimetro di profondità, cioè di distanza dell’ostacolo dalla sonda. La relazione [7.20] può perciò riscriversi come PRFmax =
1 13, 5 ⋅10 s ⋅ cm −1 ⋅ R cm −6
[7.21]
nella quale il pedice “max” significa che, per visualizzare alla profondità stabilita, il valore calcolato non deve essere superato. La PRFmax necessaria per esempio per osservare il fondo dell’occhio, che ha diametro di circa 1,7 cm, è pari a 1/(13,5·10–6s·cm–1·1,7 cm) ≅ 43,5 kHz. Da quanto riferito emerge l’importanza di un dispositivo che possa consentire la scelta di diversi valori della PRF. Ciò significa che il più semplice schema a blocchi di un apparecchio ecografico A-Mode, pur derivando dallo schema di principio della figura 7.3, è del tipo rappresentato nella figura 7.17.
Figura 7.17. Schema a blocchi di un apparecchio ecografico A-Mode. La curva inviluppo (in rosso) del segnale in RF (curva in blu) visualizzato sull’oscilloscopio, rappresenta il segnale demodulato, fornito in uscita dall’apposito blocco demodulatore non mostrato nella figura.
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Per semplicità nello schema non sono riportati il blocco relativo alla correzione dinamica dell’ampiezza del segnale (che attua la compensazione dell’attenuazione dovuta alla distanza degli ostacoli), né quello relativo alla compressione, né altri blocchi funzionali che saranno trattati in seguito. Come si può osservare nella figura, l’oscillatore (clock), impostato a frequenza pari alla PRF richiesta, genera un segnale sinusoidale a tale frequenza e lo invia contemporaneamente al generatore di impulsi, chiamato anche trasmettitore (o pulser), e alla presa trigger dell’asse dei tempi dell’oscilloscopio. All’istante t0 di applicazione dell’impulso elettrico al piezoelemento della sonda, e di contemporanea partenza dalla posizione x = 0 della traccia luminosa sull’asse dei tempi, è visibile sullo schermo l’impulso di partenza (come la traccia in corrispondenza di t = 0 nella figura 7.9). Dopo un tempo dell’ordine di qualche centinaio di nanosecondi, il generatore di impulsi invia un segnale al relé elettronico RL, che commuta la sonda dalla posizione di trasmissione TX a quella di ricezione RX, consentendo in tal modo di utilizzare lo stesso piezoelemento in trasmissione e in ricezione. Nel frattempo, sullo schermo dell’oscilloscopio la traccia luminosa percorre l’asse x a una prestabilita velocità, per cui ogni centimetro rappresenta una determinata unità di tempo34. Quando il segnale di eco generato dal trasduttore in ricezione perviene all’amplificatore verticale dell’oscilloscopio, il pennello sull’asse x ha percorso un tragitto proporzionale al tempo intercorso tra la trasmissione dell’impulso al tempo t0 e la ricezione dell’eco; perciò il segnale ricevuto viene conseguentemente rappresentato sullo schermo, come nel caso della figura 7.9, nel quale il primo eco è a 214 μs dall’istante iniziale. A tale proposito vi è da osservare che, mentre l’impulso elettrico di alimentazione ha in genere35 la forma di un esponenziale decrescente della durata di qualche nanosecondo (come è stato illustrato nel capitolo 6), l’impulso di ritorno (eco) è composto da uno o più cicli di sinusoidi smorzate alla frequenza di oscillazione libera del piezoelemento. Si ricorda che, dato che il valore di tale frequenza è dell’ordine dei megahertz (cioè quello delle onde elettromagnetiche utilizzate nelle radiotrasmissioni), essa è di solito classificata, propriamente, come radiofrequenza (RF). Il segnale di eco ha durate dell’ordine dei microsecondi e il suo andamento temporale oscillante non consente di individuare facilmente un preciso istante di inizio del fenomeno; ciò comporta l’impossibilità di una misura accurata dell’intervallo di tempo. Invece di riferirsi alle oscillazioni in RF, conviene perciò riferirsi al loro inviluppo che risulta facilmente utilizzabile. A tale fine occorre procede34 Per esempio, in una scala di 10 μs/cm ogni centimetro sull’asse x dell’oscilloscopio rappresenta un tempo di 10 μs. 35 In realtà, dato che l’impulso elettrico ideale di durata infinitesima, di cui si è fino a questo momento trattato, contiene poca energia e tende a eccitare tutti i modi di vibrazione del trasduttore, in genere si preferisce alimentare la sonda con un segnale costituito da un ciclo di onda quadra di frequenza pari a quella a cui si intende far lavorare il piezoelemento (e che è rappresentata nella figura). Tale frequenza solitamente corrisponde a quella di centro banda del trasduttore, ma può essere anche differente per trasduttori con banda sufficientemente ampia. Nel seguito viene descritta in maggiore dettaglio la modalità di generazione di una forma d’onda di questo tipo.
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re alla cosiddetta rivelazione del segnale36, che consiste appunto nell’eliminare la componente RF ad alta frequenza (portante), mediante filtraggio, e nell’assumere come utile la componente di segnale a più bassa frequenza (modulante), che è quella che costituisce l’inviluppo. La catena di misura della figura 7.17 è composta di blocchi reperibili in qualsiasi laboratorio di elettronica ed è pertanto idonea all’individuazione e quantificazione sperimentale dei fenomeni sui quali è fondata l’ecotomografia, cioè eccitazione periodica di un piezoelemento e rilevazione delle oscillazioni in risposta. Tuttavia un’apparecchiatura per impiego clinico richiede altri blocchi funzionali per esempio per portare in conto la compensazione dell’attenuazione (TGC) e per attuare la compressione del segnale, oltre ad altre operazioni che devono essere eseguite su di esso. Pertanto nel paragrafo successivo viene presentato uno schema a blocchi sufficientemente rappresentativo di un ecotomografo attuale, che operi la rappresentazione fondamentale già descritta come A-Mode o A-Scan.
7.4 Schema a blocchi di un ecotomografo A-Mode Ancora con riferimento alla figura 7.17, le parti essenziali di un ecotomografo A-Mode sono costituite dalla sonda, dal generatore di impulsi e dall’oscilloscopio. Nella medesima figura è anche rappresentato schematicamente un altro elemento fondamentale, il commutatore (relè elettronico RL), che pone in collegamento il trasduttore con il generatore di impulsi, durante la fase di trasmissione, e con l’elaboratore di segnali, durante la fase di ricezione. Nei moderni ecotomografi il dispositivo di pilotaggio del commutatore è assai complesso e assume un ruolo di particolare importanza poiché a esso sono attribuite più funzioni, strettamente connesse con le modifiche che è necessario apportare alla forma del fascio ultrasonoro (beam forming) e al suo pilotaggio (scansione), come si vedrà dettagliatamente nel seguito. Per il momento è possibile rappresentare l’ecografo come costituito da cinque blocchi: il trasduttore (o più in generale la sonda); il generatore di impulsi (o trasmettitore), spesso indicato come pulser nella terminologia anglosassone; l’elaboratore (o processore) di segnali, indicato genericamente come ricevitore; il commutatore, rappresentato da un quarto blocco chiamato temporizzatore dei segnali (sincronizzatore principale o master synchronizer); infine il monitor, che costituisce lo strumento terminale su cui è visualizzata l’immagine. Nella letteratura del settore il commutatore viene spesso indicato indifferentemente come master synchronizer o come clock, sebbene, come si chiarirà nel seguito, questi due elementi svolgano funzioni diverse nell’ambito dello stesso blocco. 36 L’operazione attuata sul segnale è identica a quella compiuta nei radioricevitori in modulazione di ampiezza quando si elimina la frequenza portante (radiofrequenza) e si utilizza solo la parte modulante, che costituisce il segnale utile. Per tale motivo la rivelazione viene spesso chiamata demodulazione (si veda il primo volume, par. 3.6.8).
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Figura 7.18. Schema a blocchi di un dispositivo elementare per il pilotaggio di un trasduttore ultrasonoro monocristallo. Il temporizzatore codifica la sequenza temporale di trasmissione-ricezione: il trigger 2 abilita il ricevitore alla ricezione dopo un certo tempo (delay) dall’eccitazione del trigger 1, per tenere conto del tempo impiegato dall’onda ultrasonora generata per giungere sull’ostacolo e dall’onda riflessa per giungere alla sonda.
Tutto ciò premesso, la logica alla base del funzionamento di un ecotomografo A-Mode è rappresentata nella figura 7.18. In essa i blocchi sono connessi tra loro da linee di colore diverso, che individuano tre funzioni; quelle di colore verde rappresentano il circuito di temporizzazione, quella di colore rosso rappresenta il percorso del segnale impulsivo destinato all’eccitazione del piezoelemento e quella di colore azzurro individua il percorso del segnale ricevuto dalla sonda e inviato al ricevitore. In linea di principio, il funzionamento di un sistema A-Mode è elementare. Poiché si tratta di un sistema pulse-echo, si lancia un impulso e si attendono gli echi corrispondenti; il temporizzatore fornisce impulsi alla frequenza di ripetizione prestabilita al trasmettitore, che, a ogni impulso di avvio (trigger) produce in uscita una forma d’onda F del tipo rappresentato nella figura 7.18. L’onda generata dal trasmettitore deve trasportare tanta energia quanta ne occorre per porre in oscillazione uno o più piezoelementi all’interno della sonda T. Questa trasmette perciò un treno di pacchetti di onde ultrasonore (impulsi), distanziati tra loro come imposto dalla PRF, che penetrano nel mezzo oggetto dell’indagine M. Gli ostacoli ivi esistenti riflettono gli ultrasuoni verso la sonda, i cui piezoelementi sono posti in condizione di ricezione. Ciascuna onda riflessa, trasdotta in segnale elettrico, viene elaborata nel ricevitore e presentata sul monitor. Il ricevitore deve essere abilitato alla ricezione dopo un determinato intervallo di tempo (ritardo o delay), che dipende dal tempo necessario per percorrere nel mezzo M il viaggio di andata dell’impulso e di ritorno del-
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Figura 7.19. Schema a blocchi di un ecografo A-Mode.
l’eco dall’ostacolo più lontano. Il temporizzatore perciò regola l’ampiezza e la collocazione della finestra temporale di ricezione, la cui origine (trigger 2) è ritardata rispetto all’istante di emissione del trigger 1 di trasmissione. Quanto sopra esposto rappresenta, in linea di principio, il funzionamento di un ecotomografo A-Mode. In realtà le operazioni da compiere entro ciascun blocco sono più numerose, e ciascuna di esse ha origine nella necessità di modificare il segnale trasmesso (e ricevuto), al fine di renderlo idoneo alla rappresentazione migliore in rapporto alle necessità diagnostiche. Nel seguito vengono sommariamente descritte le operazioni fondamentali che occorre realizzare, cui corrispondono i blocchi funzionali indicati nella figura 7.19.
7.5 Trasmettitore Il blocco trasmettitore svolge il compito fondamentale di fornire l’eccitazione elettrica al piezoelemento, affinché questo produca l’impulso ultrasonoro. Esi-
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Figura 7.20. Schema a blocchi di un trasmettitore.
stono molti lavori sperimentali relativi alle diverse forme dell’impulso di eccitazione e del corrispondente andamento della radiazione ultrasonora, rilevato mediante idrofono entro una vasca contenente acqua. I risultati ai quali si è pervenuti consentono di concludere, in sintesi, che alla più breve durata dell’impulso di eccitazione non corrisponde necessariamente la più breve durata del pacchetto ultrasonoro e che, in generale, le due durate non sono comparabili; inoltre la forma ottimale dell’impulso di eccitazione risulta quella costituita da due onde quadre poste in controfase (mostrate nella figura 7.20); tale forma è quella più utilizzata nei moderni ecotomografi, con un’ampiezza picco–picco dell’ordine di qualche decina di volt (ma può arrivare anche a più di 100 V); infine le grandezze più significative sono la corrente assorbita per generare l’impulso e la quota parte della potenza fornita dal generatore che viene trasformata in calore dalla sonda. Lo schema a blocchi di un trasmettitore, riportato nella figura 7.20, si compone essenzialmente di due sezioni. La prima è costituita da uno o due multivibratori37, che sono le sorgenti di una o due forme d’onda quadre, di idonea durata e ampiezza, cui è associata una potenza estremamente esigua e, pertanto, non sufficiente a porre il piezoelemento in oscillazione. È perciò necessario un amplificatore di potenza che, mentre amplifica la forma d’onda in tensione, fornisca anche la corrente necessaria affinché la forma d’onda in uscita (di eccitazione del piezoelemento) abbia la prefissata potenza. Poiché assolve la funzione di pilotaggio del piezoelemento, tale blocco è indicato in gergo come stadio pilota o driver. Si rammenti a tale proposito che il piezoelemento 37 Si tratta di multivibratori cosiddetti monostabili. Un multivibratore monostabile fornisce in uscita una risposta a un’eccitazione impulsiva pari a un’onda quadra (di durata vincolata al tipo di multivibratore); ciò significa che un unico stato stabile è possibile, quello di riposo, da cui esso è perturbato ma a cui tende a tornare. La risposta di un multivibratore astabile è di tipo oscillatorio (sempre relativamente a un’onda quadra), il che significa che non esiste uno stato di stabilità al quale esso tenda a riportarsi. Un multivibratore bistabile fornisce in uscita un gradino, di salita se lo stato di partenza è quello di riposo, di discesa altrimenti; ciò significa che due stati stabili sono possibili, la cui perturbazione fa passare il dispositivo dall’uno all’altro. In tale modo è possibile ottenere in uscita un’onda quadra di durata arbitraria eccitando opportunamente il multivibratore con due successivi segnali di trigger.
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Figura 7.21. Schema di principio del driver che amplifica in potenza la forma d’onda applicata al piezoelemento.
è caratterizzato, alla frequenza di funzionamento prossima a quella di risonanza, essenzialmente da un’impedenza capacitiva e che quindi lo stadio pilota deve avere caratteristiche tali da consentire un efficace trasferimento di potenza verso un carico capacitivo (vale a dire, per quanto stabilito nel capitolo 6, presentare in uscita un’impedenza induttiva, in modo da ottenere approssimativamente Z*driver = Ztrasduttore). Un semplice schema di principio del driver è presentato nella figura 7.21. Si tratta di un circuito bidirezionale formato dai MOS-FET38 M1 e M2, che vengono eccitati in sequenza prima dal trigger 1 e, dopo un intervallo di tempo pari alla durata τ dell’impulso da esso prodotto, dal trigger 2, in modo che il piezoelemento PZ sia eccitato dalla forma d’onda complessiva F, risultante dalla somma delle onde generate in rapida sequenza dai due multivibratori. I due MOS-FET si comportano come due interruttori, pilotati dall’impulso quadro generato dai multivibratori e presente sulla loro porta di ingresso (gate); la corrente che essi possono erogare al carico, quando passano allo stato conduttivo (interruttore chiuso), può arrivare fino a 2 A. Dopo essere stato eccitato dalla forma d’onda elettrica F, la cui durata è dell’ordine di qualche centinaio di nanosecondi, il piezoelemento PZ si pone in ricezione e quando viene sollecitato meccanicamente dagli echi fornisce la corrispondente differenza di potenziale, rendendola disponibile agli stadi a valle del trasduttore per la successiva amplificazione. Il tempo di commutazione dei MOS-FET è dell’ordine dei 10 ns, mentre la loro impedenza interna è dell’or-
38 Dalla dizione anglosassone Metal-Oxide-Semiconductor Field-Effect-Transistor, ossia transistor metallo-ossido-semiconduttore a effetto di campo; rimandando per i dettagli ai numerosi testi di elettronica applicata, si ricorda che, a differenza dei transistor in grado di manovrare correnti dell’ordine del milliampere, i MOS-FET sono in grado di manovrare correnti dell’ordine dell’ampere.
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dine di qualche ohm (tipicamente 5 Ω). La coppia di diodi D1 e D2, posti in circuito antiparallelo (trappola a diodi), protegge il ricevitore nella fase di trasmissione, quando sul piezoelemento è presente una tensione relativamente elevata. Ciò consente anche la commutazione tra le fasi di trasmissione e ricezione in modo automatico: per effetto della presenza di D1 e D2, il ricevitore è isolato dal trasduttore in fase di trasmissione, mentre è automaticamente in condizione di ricevere gli echi immediatamente dopo il termine di tale fase, non appena al trasduttore non è più applicata la tensione elevata e, pertanto, i diodi divengono interdetti.
7.6 Blocco attenuatore-limitatore I criteri fondamentali seguiti nella progettazione di un trasmettitore sono sostanzialmente due. Il primo è quello per il quale l’impulso deve essere ampio tanto quanto occorre affinché l’onda ultrasonora prodotta pervenga con sufficiente intensità alla massima profondità di osservazione (generalmente 39 25÷28 cm), a partire dalla quale gli echi generati devono a loro volta, nonostante l’attenuazione, disporre di intensità sufficiente per giungere al trasduttore. Il secondo criterio è imposto dai limiti di sicurezza, che non consentono all’interno del corpo umano la presenza di radiazioni ultrasonore con densità di potenza maggiore di un limite prefissato per ciascuna applicazione diagnostica40. L’insieme trasmettitore-trasduttore-ricevitore deve essere progettato in modo da produrre le migliori immagini con la minima potenza utilizzata; ciò si ottiene costruendo sonde a elevata sensibilità e amplificatori di ingresso ad alto guadagno e basso rumore, per il rilevamento della differenza di potenziale dell’eco ricevuto. Dal punto di vista della pratica clinica occorre in ogni caso porre all’uscita del trasmettitore un attenuatore che consenta di regolare la potenza necessaria non solo in ragione della profondità di indagine, ma anche delle dimensioni del paziente. Se per esempio nella medesima seduta diagnostica si passa da un paziente adulto di peso superiore alla norma a un bambino, grazie alle regolazioni suddette si potrà diminuire la potenza disponibile per adattarla alle nuove condizioni di attenuazione, considerate le modeste dimensioni del bambino rispetto a quelle dell’adulto più robusto. In questo modo è possibile ade-
39 Tale valore è inteso per i sistemi diagnostici a ultrasuoni finalizzati all’imaging di distretti addominali (B-Mode), mentre per l’A-Scan può essere diverso, da pochi centimetri in oftalmologia fino a una ventina di centimetri in ecoencefalografia. 40 A tale proposito va rilevata una circostanza singolare: negli Stati Uniti, nel 1993, la FDA (Food and Drug Administration, l’organo preposto alla vigilanza sui prodotti per utilizzo medico) ha stabilito come massima densità di potenza mediata nel tempo (ISPTA) il valore di 94 mW/cm2 per l’utilizzo in ostetricia/neonatologia; invece l’American Institute of Ultrasound in Medicine e la National Electrical Manufacturers Association (AIUM/NEMA 1992) hanno di fatto adottato uno schema di autodocumentazione delle intensità acustiche emesse (ODS, Output Display Standard), secondo il quale tale limite sarebbe di 720 mW/cm2, se l’apparecchio è dotato di una segnalazione visiva dei livelli di potenza stimati (tale argomento sarà ripreso nel capitolo 8).
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guare la potenza necessaria a diverse tipologie di pazienti mantenendola sempre al livello minimo necessario. Il comando che consente di regolare tale grandezza è in genere graduato in decibel41 (anche se alcuni apparecchi impiegano non di rado unità arbitrarie o percentuali) e viene di solito indicato nella macchina come potenza acustica in trasmissione (transmit power). In regime di ricezione il piezoelemento produce una differenza di potenziale proporzionale all’ampiezza degli echi ricevuti; questa è massima per gli echi che provengono da ostacoli vicini al trasduttore, poiché è modesta l’attenuazione da essi subita, mentre può essere molto ridotta quella relativa a echi prodotti da ostacoli posti alla massima profondità di osservazione, che limita il campo di vista (FOV). Da ciò deriva non solo che gli echi vicini non devono essere amplificati (si rammenti quanto accennato rispetto al TGC), ma che, per effetto della loro ampiezza, l’amplificatore in radiofrequenza può giungere alla saturazione. Un’attenuazione del segnale dovuto agli echi vicini, per evitare la saturazione degli amplificatori, comporterebbe un’attenuazione proporzionale anche degli echi più deboli (provenenti da maggiori distanze o da interfacce a bassa differenza di impedenza), con il grave inconveniente che questi si potrebbero confondere con il segnale di rumore. Il problema viene risolto dal blocco limitatore in uscita dalla sonda (di norma non regolato dall’utilizzatore), la cui funzione è tagliare i picchi di segnale che eccedono la fascia di ampiezza accettabile, oltre la quale andrebbero in saturazione gli amplificatori preposti alla successiva elaborazione del segnale.
7.7 Ricevitore Lo scopo fondamentale del ricevitore è raccogliere gli echi, amplificarli e presentarli, ordinati secondo l’asse temporale, sul dispositivo di visualizzazione (display), dove l’operatore valuta gli elementi diagnostici. Il segnale elettrico da amplificare è costituito da pacchetti d’onda composti da qualche ciclo di oscillazione in radiofrequenza, cioè generalmente nella gamma 2÷15 MHz; il ricevitore deve pertanto provvedere ad amplificare il segnale e manipolarlo per renderlo idoneo a essere presentato sullo schermo di un oscilloscopio o monitor di tipo televisivo, agendo in tale intervallo di frequenze. Poiché i segnali in radiofrequenza richiedono per la loro manipolazione (peraltro difficoltosa) apparecchiature e circuiti particolari, per impedire che essi vengano irradiati42, e poiché essi sono anche difficili da rappresentare, conviene operare su frequenze più basse, estraendo l’informazione non dai cicli di diversa ampiezza in alta frequenza, che compongono i pacchetti ricevuti, ma piuttosto dai loro inviluppi, mediante operazioni di rettificazione e demodulazione. Per-
41 Vale a dire che a 0 dB corrisponde il 100 per cento di potenza emessa, a –3 dB corrisponde il 50 per cento, a –6 dB il 25 per cento e così via. 42 Occorre rammentare che i circuiti che manipolano la radiofrequenza devono essere particolarmente schermati per impedire che il segnale trovi facile via di fuga, attraverso le capacità parassite che, per quanto modeste, offrono reattanza tanto più bassa quanto più elevata è la frequenza.
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tanto il ricevitore si compone di due sezioni: una prima dove viene condotta l’amplificazione del segnale in alta frequenza e una seconda dove viene eseguita la demodulazione e la successiva amplificazione in bassa frequenza; all’uscita di quest’ultimo stadio si trova il segnale video, che viene presentato al dispositivo di visualizzazione. Nella sezione in alta frequenza del ricevitore occorre condurre sul segnale una serie di operazioni; in particolare, per mezzo di uno specifico apparato (LNA, Low Noise Amplifier), viene effettuata l’amplificazione a basso rumore, che comprende anche una fase di preamplificazione di tutti gli echi ricevuti da parte del blocco dedicato (preamplificatore o preamplifier), in modo da rendere maggiormente insensibile al rumore l’elaborazione dei corrispondenti segnali RF da parte degli stadi successivi. Tale operazione è di estrema delicatezza, soprattutto se si considera l’elevata dinamica dei segnali RF in ingresso al preamplificatore (fino a 160÷180 dB nei recenti ecotomografi43). Altra operazione è la compensazione dell’attenuazione da parte del TGC. Infine viene effettuata la compressione della dinamica dei segnali amplificati, che deve essere ridotta a circa 30 dB, corrispondente a quella caratteristica del dispositivo di visualizzazione sul quale l’occhio umano osserva l’immagine.
7.7.1 Amplificazione in radiofrequenza Come si è visto, i segnali eco raccolti dal trasduttore sono inviati al ricevitore dove vengono processati per la successiva visualizzazione sul display; il primo stadio di elaborazione è in genere rappresentato dal preamplificatore. Esso deve essere posto in prossimità del piezoelemento e il suo compito è amplificare tutti gli echi a livello tale da poter essere rilevati dall’amplificatore principale e da esso ulteriormente incrementati in ampiezza. È opportuno procedere alla preamplificazione vicino alla sonda, per rendere trascurabile, per quanto possibile, il rumore successivamente introdotto da tutti i circuiti (cavi coassiali, schermature, connettori ecc.) che precedono l’amplificatore. Infatti, se così non fosse, il rumore sarebbe anch’esso amplificato e posto allo stesso livello dei segnali eco più deboli, rendendone impossibile la distinzione. Alcune soluzioni costruttive prevedono la preamplificazione in più stadi, il primo dei quali situato entro la sonda medesima; altre soluzioni curano in modo particolare la schermatura di tutto il trasduttore con specifici circuiti di massa e schermi di rame con i quali si cerca di impedire che il rumore penetri nella sonda, compatibilmente con i vincoli progettuali44 di massima ergonomia, finalizzata al miglior benessere tanto del personale medico quanto del paziente. Lo stadio di amplificazione a basso rumore segue immediatamente il preamplificatore (anch’esso a basso rumore) e costituisce uno degli elementi critici nell’intero percorso del segnale ecografico in ricezione; esso infatti riceve 43
Dati dichiarati da alcune aziende costruttrici (2007). Per questo motivo nello schema della figura 7.19 tale elemento circuitale non è esplicitato, considerandolo integrato nel blocco LNA. 44
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al suo ingresso segnali elettrici in radiofrequenza e dalla dinamica molto ampia. La dinamica di corretto funzionamento dell’amplificatore è limitata inferiormente dal rumore da esso introdotto e superiormente dal livello di saturazione45 cui possono andare incontro i suoi stadi interni, allorquando si presenti in ingresso un segnale di ampiezza elevata. Com’è noto, il guadagno G dell’amplificatore (in decibel) è definito dalla relazione G dB = 20 log10
Vout Vin
[7.22]
dove Vin è l’ampiezza del segnale in ingresso e Vout quella del segnale in uscita. Valori tipici del guadagno G del preamplificatore sono tra 14 e 20 dB, mentre come si è detto quello dello stadio di amplificazione è dell’ordine di 40÷100 dB. Se concettualmente il blocco amplificatore LNA è un dispositivo a se stante, dal punto di vista costruttivo può però essere integrato con lo stadio di amplificazione TGC, e questa è la scelta progettuale di molte case costruttrici46.
7.7.2 Amplificazione dell’attenuazione per effetto della distanza Immediatamente dopo lo stadio LNA di amplificazione a basso rumore è possibile modificare ulteriormente l’ampiezza del segnale agendo sul già citato TGC, che concettualmente può essere suddiviso in due blocchi funzionali: il primo è la regolazione complessiva del gudagno (overall gain control), mentre il secondo è la regolazione del guadagno in funzione della profondità (DGC, Depth Gain Control)47. L’overall gain control agisce su tutti i segnali eco provenienti dall’intero campo di vista, incrementandone l’ampiezza, proporzionalmente alla distanza, secondo un fattore entro certi limiti costante48: l’effetto è simile a quello
45
Indicativamente, nelle comuni modalità diagnostiche (Doppler e imaging), si può considerare un livello medio di rumore compreso tra 0,1 e 10 μV e un’ampiezza massima del segnale elettrico (preamplificato) ottenibile dalla sonda dell’ordine del centinaio di millivolt. 46 Nella letteratura tecnica del settore è infatti spesso definita amplificazione la compensazione dell’attenuazione attuata all’interno degli stadi del TGC. 47 Si avvisa il lettore che non è infrequente trovare denominazioni differenti relative ai comandi deputati all’amplificazione selettiva al variare della profondità; tra questi si ricordano: sensitivity time control (o STC), swepth gain control (o SGC), depth-varied gain e distance-attenuation compensation. Inoltre alcuni autori indicano con il termine TGC la parte di variazione dell’amplificazione con la profondità qui indicata come DGC. Si veda in proposito W. Hedrick, D. Hykes, D. Starchmann (2005) Ultrasound Physics and Instrumentation. Mosby-Year Book. 48 Come illustrato con maggior dettaglio nel seguito, ciò può essere ottenuto applicando su tutto il campo di vista una curva dei guadagni (in decibel) lineare con la profondità. Tale curva è in realtà una linea spezzata caratterizzata da una zona di saturazione inferiore (relativamente a echi originati nelle vicinanze della sonda), una zona centrale (relativamente a profondità intermedie) caratterizzata da un coefficiente angolare non nullo e una zona di saturazione superiore, relativa a profondità elevate. In tal modo vengono amplificati con guadagno costante gli echi originati molto vicino o molto lontano dal trasduttore, mentre a quelli generati nella regione intermedia viene applicata la vera compensazione con un guadagno proporzionale alla distanza.
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che si otterrebbe incrementando la potenza del trasmettitore, con la sostanziale differenza che una maggiore potenza di trasmissione aumenta l’esposizione acustica del paziente, mentre l’overall gain control incrementa la sensibilità di ricezione. Il depth gain control oltre a recuperare l’attenuazione dovuta all’assorbimento, consente di attuare un’amplificazione differente in funzione della profondità da cui proviene l’eco per adattarla al tipo di sonda utilizzata e alle necessità diagnostiche. Infatti, a parità di frequenza della radiazione ultrasonora, alcuni tessuti presentano un coefficiente di assorbimento molto più alto di altri e da ciò deriva la necessità di amplificare maggiormente e in modo selettivo gli echi che li attraversano, compensandone così l’attenuazione differenziale subita. Per comprendere meglio l’utilità del TGC, è sufficiente ricordare che l’intera dinamica del segnale ecografico in uscita dal trasduttore, posta per semplicità pari a 100 dB, è in genere suddivisibile in due parti di cui una, per esempio pari a circa 60 dB, è legata all’attenuazione con la distanza, mentre la rimanente, di circa 40 dB, è funzione dei diversi coefficienti di riflessione prodotti dalle interfacce tra i tessuti ed è pertanto quella che contiene l’informazione utile alla rappresentazione ecografica49. Il principio informatore su cui è fondato il funzionamento del TGC è quello di incrementare il guadagno dell’amplificatore in RF in sincronismo con il trascorrere del tempo impiegato dagli echi per percorrere il tragitto che li separa dal ricevitore; ne deriva che quanto più lontana è l’origine dell’eco, tanto più questo viene amplificato, come riportato schematicamente nel diagramma della figura 7.22. Come già riferito nel capitolo 4, l’andamento dell’intensità (o dell’ampiezza) dell’onda che si propaga è proporzionale a una funzione esponenziale decrescente, il cui esponente (negativo) testimonia la rapidità con la quale il mezzo dissipa la radiazione ultrasonora man mano che questa viaggia al suo interno. Si è già accennato come, utilizzando un’amplificazione variabile con la profondità secondo una funzione esponenziale positiva, sia possibile compensare l’attenuazione subita dall’eco nel tessuto; ciò in pratica si realizza scegliendo opportunamente la pendenza della rampa della figura 7.22d, il cui valore esprime l’entità della compensazione applicata per unità di distanza percorsa, e quindi per unità di tempo. In generale è pertanto possibile schematizzare l’azione del TGC con una curva di compensazione, costituita dalla linea spezzata della figura 7.23, che descrive l’entità dell’amplificazione applicata ai segnali ecografici in funzione della profondità da cui essi provengono. Nella medesima figura si osserva in particolare che la partenza della rampa di amplificazione si verifica con un ritardo (indicato con il termine delay e regolabile in parte dall’operatore) rispetto all’istante t0 di invio del trigger dal sincronizzatore al trasmettitore. Tale ritardo deve tenere conto di due fattori: il primo è legato al tempo impiegato dall’impulso ultrasonoro per raggiungere
49 Si potrà riconoscere, nel prossimo capitolo riguardante la rappresentazione B-Mode, come entro l’intervallo di questi 40 dB venga codificata la scala dei grigi per rappresentare l’immagine.
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Figura 7.22. Compensazione in guadagno dell’attenuazione (TGC). (a) Cinque riflettori uguali posti in un mezzo omogeneo (coefficiente di assorbimento costante) investiti dal fascio ultrasonoro. (b) Ampiezze dei corrispondenti segnali ecografici in assenza di compensazione. (c) Ampiezze dei segnali in presenza della compensazione in funzione della distanza dalla superficie sensibile del trasduttore. (d) Andamento rettilineo nella scala dei decibel della curva esponenziale di compensazione dell’assorbimento nel mezzo.
l’ostacolo e tornare indietro sotto forma di eco (tempo di round trip), mentre il secondo consiste nel fatto che echi generati vicino alla sonda sono più intensi e per tale motivo occorre amplificarli moderatamente, se non addirittura escluderli dall’azione del TGC. L’osservazione della figura 7.23 consente di definire il profilo di amplificazione e di valutare come si possa intervenire su di esso, in particolare mediante una regolazione a quattro punti, ossia sulla base di quattro parametri, ciascuno dei quali legato a una caratteristica della curva di compensazione. Più specificatamente, è possibile variare una curva originaria c0 operando sull’ampiezza del guadagno nella regione vicina (near gain), individuata nella figura 7.23 dal segmento AB e la cui variazione, a parità degli altri parametri, è rappresentata per esempio dalla curva c1. Tale curva risulta traslata rispetto a c0 verso guadagni più elevati, ma è troncata da un livello di soglia del guadagno, individuato dall’ordinata C1, per cui si assiste a un effetto di saturazione. Tale guadagno limite individua il far gain (cioè il guadagno stabilito per echi pro-
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Figura 7.23. Curve di guadagno del TGC in funzione della profondità di provenienza del segnale eco: regolazione a quattro punti. Da una curva di regolazione di partenza (curva c0) è possibile ottenere diverse curve di compensazione, applicando separatamente: una variazione di guadagno nella zona vicina near gain (curva c1); una variazione di guadagno nella zona lontana far gain (curva c2 ); una variazione di estensione, o ritardo, nella zona vicina (curva c3 ); una variazione del coefficiente angolare o slope rate (curva c 4 ).
venienti da regioni lontane) e costituisce la massima amplificazione ottenibile sull’intera curva di compensazione. Un esempio di come la variazione del far gain modifichi la curva originaria c0 è fornito dalla curva c2, per la quale in corrispondenza di una diminuzione del far gain risulta maggiore la zona di saturazione (dal punto C al punto C2) a spese della zona lineare. È possibile altresì agire sulla curva c 0 estendendo il guadagno di near gain anche a profondità diverse da quella iniziale, cioè applicando un ritardo che trasla l’intera curva lungo l’asse di propagazione z (per cui il parametro caratteristico di tale operazione viene indicato con il termine delay); un esempio di ciò è rappresentato dalla curva c3. Si può infine variare l’effetto di amplificazione della c 0 variando la pendenza della rampa BC, ossia i decibel al centimetro di compensazione; il parametro corrispondente viene indicato come indice di inclinazione (slope rate) e un esempio della sua variazione è rappresentato dalla curva c4 (nella quale la pendenza passa da BC a BC4). Una diversa modalità di variazione della pendenza della rampa BC (prevista di norma in tutti gli ecotomografi) è rappresentata da una variazione per zone, mediante la quale l’operatore può selezionare l’entità della compensazione da apportare agli echi provenienti da un determinato intervallo di profondità, indipendentemente dagli altri. Si può per esempio scegliere di compensare di una determinata quantità (scelta dall’operatore) solo gli echi pro-
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Figura 7.24. Curve di compensazione TGC (in azzurro) per due possibili configurazioni dei cursori; in nero sono rappresentate le curve di compensazione preliminare TGC (overall gain) cui va sommato il contributo dei cursori per la compensazione DGC. (a) Compensazione DGC pressoché lineare con la distanza. (b) Amplificazione DGC nulla per gli echi generati nella zona a distanza x e amplificazione DGC massima per quelli provenienti dalla regione a distanza y.
venienti da regioni a distanze superiori a 8 cm dalla sonda, oppure quelli provenienti da una zona a distanza compresa tra 8 e 12 cm; si può ancora decidere di amplificare solo gli echi provenienti dalla regione posta al limite del campo di vista (per esempio a una distanza massima di 24 cm) e di non amplificare tutti gli altri e così via. Questa modalità è resa possibile mediante un certo numero di potenziometri a cursore, generalmente compreso tra 6 e 11, che nel loro insieme costituiscono il già citato DGC. A titolo d’esempio, nella figura 7.24 sono mostrati 8 cursori, ciascuno dei quali compensa entro una fascia dello spessore di 3 cm, su una profondità massima di 24 cm: in particolare, il primo cursore agisce a una distanza dal trasduttore compresa tra 0 e 3 cm, il secondo agisce su una fascia compresa tra 3 e 6 cm e così via. Nell’esempio della figura 7.24 ciascun cursore, a seconda della sua posizione, compensa attenuazioni comprese tra 0 dB (cursore tutto a sinistra) e circa50 35 dB (cursore tutto a destra); a tale contributo va sommato quello dell’overall gain. Nella figura 7.24a si osserva che posizionando i cursori lungo una diagonale, si ottiene una compensazione proporzionale alla distanza, attuando un profilo di amplificazione del TGC circa rettilineo (analogo al tratto BC nella figura 7.23); nella figura 7.24b è rappresentato un profilo di compensazione dei DGC nel quale l’amplificazione è nulla per il segnale proveniente dalla distanza x, mentre è pressoché massima per il segnale proveniente dalla distanza y. Concludendo il paragrafo è opportuno rilevare che la distinzione tra DGC e overall gain non ha valenza esclusivamente didattica: nella realtà le aziende costruttrici tendono a implementare il TGC con l’ausilio di più stadi di amplifi50 I dati riportati valgono solo a titolo di esempio, giacché la progettazione e la realizzazione del TGC variano da un’azienda costruttrice all’altra.
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cazione. In particolare, una delle filosofie di progetto più diffuse consiste nello scomporre il guadagno complessivo51 in due parti, grosso modo indipendenti: la prima è in genere rappresentata dall’applicazione a tutto il campo di vista di una curva di compensazione del tipo riportato nella figura 7.23 (talora indicata come curva di pre-compensazione e riportata in nero nella figura 7.24), sulla quale si sommano successivamente i contributi di amplificazione, dovuti alla seconda parte del guadagno, relativi a ciascuno dei cursori del DGC.
7.7.3 Compressione logaritmica Tutti gli ecotomografi di recente costruzione (par. 7.1) dispongono della modalità Real-Time Color Doppler, con la quale è possibile osservare immagini anatomiche con la visione dei vasi ove, mediante la modulazione di una gamma di colori, vengono rappresentate le grandezze fluidodinamiche del sangue (vedi capitolo 12). Va peraltro osservato che i segnali Doppler sono assai più deboli di quelli che, nella modalità B-Mode, danno luogo a immagini anatomiche in scala di grigi. Ne deriva che la dinamica52 dei segnali che contribuiscono alla formazione di un’immagine color Doppler diviene molto ampia e dell’ordine di almeno 120 dB. D’altra parte l’immagine che si presenta sullo schermo televisivo deve avere una dinamica non superiore a quella dell’occhio umano, cioè al massimo (e nell’ipotesi migliore) di circa 20 dB. Da ciò deriva la necessità di effettuare una compressione della dinamica dei segnali elettrici in uscita dalla sonda che deve essere ridotta dall’originaria ampiezza (per esempio di 120 dB) ai 20-30 dB dello schermo televisivo e, infine, ai 20 dB circa dell’occhio umano. In via preliminare occorre osservare che l’operazione di compressione in genere non è associabile a un unico blocco funzionale, ma avviene già a partire dal TGC, dove, grazie alla compensazione dell’attenuazione, il range dinamico dei segnali ecografici si riduce fino a raggiungere un valore compreso di norma tra 40 e 80 dB. Successivamente la compressione viene ulteriormente implementata per mezzo di altri stadi circuitali, che nella figura 7.19 sono rappresentati in un unico blocco, contenuto nel ricevitore, solamente per convenienza espositiva53. La compressione può essere attuata in particolare da un amplificatore logaritmico (TLA, True Logarithmic Amplifier), il quale amplifica in quantità modesta 51
Intendendo il guadagno variabile su cui può agire dall’esterno l’operatore. Si ricordi che il range dinamico dell’ecotomografo è la differenza espressa in decibel tra il segnale massimo e quello minimo rilevabili a partire dal trasduttore. 53 La presenza del blocco di compressione dopo il TGC rappresenta una soluzione tecnologica dettata fondamentalmente dalla dinamica e dal numero di stadi dell’elettronica utilizzata, ma non costituisce un vincolo progettuale. Infatti è possibile trovare alcune realizzazioni (per esempio nei processori per apparecchiature portatili) dove tale stadio precede il TGC o viene addirittura in esso integrato. Si può consultare a tale proposito: W. Richard (1989) A new time-gain correction method for standard B-Mode ultrasound imaging. IEEE Transactions on Medical Imaging 8; 3: 283-285; R. Chebli, A. Kassem, M. Sawan (2001) Integrated front-end preamplifier dedicated to ultrasonic receivers. The 8th IEEE International Conference on Electronics Circuits and Systems 3:1103-1106; M. Sawan, R. Chebli, A. Kassem (2003) Integrated front-end receiver for a portable ultrasonic system. Analog Integrated Circuits and Signal Processing 36; 1-2: 57-67. 52
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Figura 7.25. Caratteristiche di ingresso-uscita per amplificatore logaritmico (curva azzurra) e lineare (curva rossa). Per piccole ampiezze di segnale in ingresso (ascissa A), il rapporto ingressouscita (guadagno) vale 1000 per l’amplificatore lineare e circa 3500 per quello logaritmico; per ampiezze maggiori del segnale di ingresso (ascissa B), il guadagno rimane costante per l’amplificatore lineare mentre si riduce a circa 1300 per l’amplificatore logaritmico. Ciò riduce la dinamica del segnale da circa 11 dB in ingresso (segmento AB) a 2,7 dB in uscita (segmento A′ B′).
i segnali ampi, mentre applica un guadagno proporzionalmente maggiore ai segnali deboli54: in particolare, tale dispositivo fornisce una tensione in uscita pari al logaritmo di quella in ingresso. Nella figura 7.25 è illustrato un esempio dell’effetto dell’amplificatore logaritmico (curva in azzurro) rispetto a quello lineare (curva in rosso). Si osserva come in presenza di segnali deboli (A) l’amplificazione sia molto maggiore che non in presenza di segnali forti (B) e, inoltre, come la dinamica compresa tra i due segnali in ingresso, rappresentata dal segmento AB, subisca all’uscita del TLA una drastica riduzione (segmento A′B′). Nel caso della presentazione A-Mode55, la compressione ha rilevanza modesta, in quanto ciò che più interessa è mettere in evidenza gli echi di maggiore
54 Va altresì osservato che la presenza dell’amplificatore logaritmico è in genere subordinata all’utilizzo di canali di ricezione di tipo analogico. A oggi, l’impiego sempre più diffuso di convertitori da analogico a digitale (ADC, Analog to Digital Converter) e della tecnologia di elaborazione del segnale digitale (DSP, Digital Signal Processing) fa sì che i costruttori tendano a digitalizzare il segnale immediatamente a valle dell’amplificazione TGC. In tali condizioni i vincoli di dinamica sono riconducibili al numero di bit dei convertitori A/D (in genere tra 10 e 16, corrispondenti a una dinamica di tali dispositivi tra 60 dB e circa 100 dB) e la compressione avviene digitalmente per mezzo di un processore dedicato, cui viene genericamente dato il nome di compressore della dinamica. 55 A tale proposito è intuibile come la compressione del segnale eco appaia molto meno critica nell’A-Mode, dove le ampiezze del segnale, trasdotte nelle successive deflessioni di un pennello elettronico, sono riportate direttamente sull’asse delle ordinate (asse Y) del tubo CRT e non convertite in livelli di brillanza. In tale situazione i vincoli legati alla rappresentazione di segnali a elevata dinamica sono direttamente correlati alla dinamica degli amplificatori delle placchette (Y) e alla scala adottata sullo schermo (volt per divisione).
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Figura 7.26. Schema di circuito di rettificazione e demodulazione e corrispondenti segnali in uscita. Il segnale oscillante in ingresso (a) viene raddrizzato dal diodo D, che permette il passaggio delle sole semionde positive, rappresentate con linea tratteggiata in (b), che caricano il condensatore CD . Durante le fasi di interdizione del diodo il condensatore si scarica dando luogo al profilo seghettato (b); questo viene eliminato dal filtro passa basso composto dalla resistenza RF e dal condensatore CF (c); il condensatore CBF provvede a eliminare la componente continua (d).
ampiezza poiché, come sarà mostrato dalle figure dei paragrafi seguenti, la diagnosi è fondata su considerazioni geometriche (per esempio la stima del grado di simmetria) riferite ai tracciati connessi all’anatomia delle strutture indagate, e non su valutazioni riferite a immagini di tipo radiografico basate su una scala di grigi.
7.7.4 Rettificazione e demodulazione Come si è visto, il segnale utile ai fini della rappresentazione degli echi è costituito dal solo inviluppo del pulse in radiofrequenza, nel quale l’informazione è peraltro racchiusa in una sola metà, in generale quella corrispondente alle ampiezze positive. Nella figura 7.26 è illustrato il procedimento di demodulazione, cioè di estrazione del segnale modulante (parte utile) a partire dal segnale portante RF, che è inutile per la rappresentazione dell’immagine. Si ricorda che l’operazione di demodulazione è identica a quella che si compie nei radioricevitori quando si elimina la portante (frequenza vettrice, ossia la RF) e si utilizza la variazione nel tempo della sua ampiezza (inviluppo o modulazione di ampiezza) o della sua frequenza (modulazione di frequenza) come grandezze rappresentative del segnale utile56. 56
In proposito si può consultare anche il primo volume, paragrafo 3.6.8.
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Con riferimento alla figura 7.26, l’impulso in RF (a) si compone di semionde positive e negative e viene inviato ai terminali p e q del circuito rappresentato. Il diodo D elimina le semionde negative e pertanto alla sua uscita è presente un segnale periodico non negativo per il quale il condensatore CD si carica a ogni ciclo di semionda positiva e, successivamente (a ogni fase di semionda negativa durante la quale a esso giunge un segnale nullo), si scarica sulla resistenza RD, dando luogo al profilo di tensione seghettato (b) all’uscita della sezione I. Nella sezione II il filtro passa basso RFCF elimina la componente in RF, pertanto alla sua uscita è presente il segnale (c), composto dall’inviluppo dei semiperiodi di RF sommato a una componente continua; questa viene eliminata dal condensatore CBF posto in serie, a valle del quale è presente il segnale utile (d) rappresentativo dell’eco.
7.7.5 Eliminazione dei disturbi A molti degli echi ricevuti spesso non è attribuibile un contributo utile all’informazione, o perché sono di intensità troppo esigua, quindi facilmente confondibili con il rumore, o perché provengono da riflessioni multiple e fenomeni di interferenza dello stesso tipo di quelli classificati come speckle. Anche echi molto intensi, ma provenienti da ostacoli molto vicini alla sonda, non contribuiscono alla formazione dell’immagine. Per tali motivi è necessario eliminare sia gli echi troppo piccoli, sia quelli troppo grandi, pervenendo in tal modo a un’utile diminuzione della dinamica. Ciò si ottiene introducendo un discriminatore di ampiezza, cioè un particolare circuito che dispone di una soglia di sensibilità, talvolta regolabile dall’operatore, e non consente l’amplificazione di tutti quei segnali la cui ampiez-
Figura 7.27. Modalità di funzionamento del discriminatore di ampiezza impiegato per la rappresentazione in A-Mode.
Capitolo 7
· Un sonar diagnostico
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Figura 7.28. Sintesi delle successive manipolazioni subite dal segnale ecografico A-Mode in ingresso al ricevitore prima di essere visualizzato sul monitor.
za sia al di fuori di un prefissato intervallo di discriminazione delimitato da due valori soglia, inferiore e superiore. Nella figura 7.27 sono rappresentate le modalità di funzionamento del discriminatore, il quale fa passare il segnale utile entro una fascia di ampiezza pari a Vmax–Vmin . Nella letteratura anglosassone il discriminatore viene indicato con il termine reject, traducibile con la parola respingere; a differenza di un filtro, che diminuisce la dinamica attraverso un restringimento della banda passante, il circuito di reject lascia inalterata la banda passante eliminando il rumore (o i picchi di tensione) attraverso il meccanismo di soglia di amplificazione, indipendentemente dalla frequenza Nella figura 7.28 sono schematizzate le successive manipolazioni principali subite dal segnale A-Mode prima di essere visualizzato sul monitor.
7.7.6 Amplificatore delle placchette verticali: asse delle ampiezze sul monitor Nel caso di presentazione A-Mode, l’amplificatore verticale Y dell’oscilloscopio è l’ultimo stadio di amplificazione a monte del sistema deflettore del tubo RC. Data la modesta sensibilità del sistema di deflessione, che è dell’ordine del millimetro per volt, esso precede l’applicazione del segnale alle placchette verticali. L’amplificatore verticale incrementa pertanto tale sensibilità57 di un fattore che può giungere fino a 104 e oltre; si tratta di un amplificatore di tensione che presenta al suo ingresso un’alta impedenza (al fine di ottenere la condizione di ottimo trasferimento di segnale Zg<
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· Ecotomografia
È necessario osservare che, mentre per i tracciati A-Mode il segnale già rivelato viene direttamente applicato al sistema di visualizzazione (che a sua volta lo inoltra allo schermo del tubo RC), per l’immagine in scala di grigi prodotta dal B-Mode, il sistema di visualizzazione è quello del raster televisivo58 e quindi il monitor è un tubo RC a deflessione elettromagnetica e quindi dello stesso tipo di quello utilizzato nella televisione a colori, ma di prestazioni più elevate. Quest’argomento sarà ripreso nel prossimo capitolo.
7.8 Dispositivo di visualizzazione (display) Nella rappresentazione A-Mode, la diagnosi viene formulata su una traccia costituita da una serie di picchi ordinati lungo l’asse dei tempi; si ricorda che in queste condizioni la dinamica del dispositivo di visualizzazione riveste un’importanza limitata, giacché non viene considerata la brillanza dei picchi, ma solo la loro distanza relativa (o al più la loro ampiezza); quindi l’informazione è contenuta principalmente in grandezze di tipo geometrico. Pertanto la dinamica del tubo RC può essere anche modesta e un qualsiasi oscilloscopio, sempre che abbia uno schermo di sufficiente ampiezza, è idoneo allo scopo. Nei casi in cui l’immagine è rappresentativa di una sezione di tipo fotografico, come si verifica nel B-Mode, le prestazioni dinamiche di brillanza dello schermo del tubo RC divengono particolarmente rilevanti, come si vedrà nel capitolo successivo.
7.9 Clock e master synchronizer Il compito fondamentale del master synchronizer è fornire a ciascun blocco del sistema trasmettitore-ricevitore-display l’ordine sequenziale delle operazioni che devono essere eseguite per ciascun impulso ultrasonoro lanciato dal trasduttore. Occorre infatti tenere presente che ogni impulso trasmesso dal trasduttore genera un certo numero di echi che, dopo aver percorso il tragitto dal luogo di origine, raggiungono il piezoelemento posto in condizione di ricezione e devono essere elaborati e presentati sul display prima che venga lanciato l’impulso successivo. Inoltre il TGC attua il proprio programma di amplificazione degli echi in relazione alla distanza da cui essi provengono ed è quindi necessario che disponga di una propria scala dei tempi, a partire dall’istante di lancio dell’impulso di eccitazione del trasmettitore (che si verifica dopo un ritardo stabilito dal master synchronizer, in funzione della frequenza PRF). Anche l’origine dei tempi sull’asse x dello schermo dell’oscilloscopio deve essere posta con il ritardo opportuno, sia rispetto al tempo di ritorno degli echi, sia rispetto al tempo di elaborazione del segnale. In altri termini, il dente di sega che dà origine alla scala dei tempi sull’oscilloscopio deve partire con un determinato ritardo, computato a iniziare dal tempo di eccitazione del trasmettitore. 58 Per una descrizione di tale modalità di rappresentazione, il lettore può consultare tra l’altro il paragrafo 16.2 del primo volume.
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· Un sonar diagnostico
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Per quanto riguarda il microprocessore (che gestisce l’assetto dell’intero dispositivo ecotomografico, tenendo anche conto di tutte le impostazioni selezionate dall’operatore), esso deve avere un proprio clock, che non può essere indipendente da quello del master synchronizer; pertanto il blocco di sincronizzazione fornisce la frequenza di clock anche alla CPU del microprocessore. Infine, nel caso di immagini B-Mode, se il sistema ecografico tratta digitalmente i segnali per la conversione del formato da polare (corrispondente al formato di scansione) a cartesiano (corrispondente al formato di visualizzazione nel raster televisivo), affinché sia possibile utilizzare un display televisivo (monitor TV), il master synchronizer deve tenere conto del posizionamento di ciascun elemento dell’immagine (pixel), che deve trovare identica collocazione nell’immagine polare e nell’immagine rettangolare. Per fare ciò occorre un’accurata valutazione dei tempi, come sarà chiarito nel prossimo capitolo. Il blocco di sincronizzazione è costituito essenzialmente da un oscillatore al quarzo di frequenza relativamente elevata (40 MHz o più), che viene ridotta (per esempio, dimezzata) al valore più rispondente alle necessità o alle prestazioni dall’elettronica (analogica e/o digitale) dell’ecotomografo. Questa frequenza comanda uno o più multivibratori la cui uscita, come è noto, è costituita da impulsi quadrati di ampiezza e durata variabili. La frequenza dei multivibratori può essere variata con continuità variando il valore di alcuni componenti passivi costituenti il loro circuito; essi pertanto costituiscono la sorgente della PRF. L’oscillatore a frequenza più elevata è propriamente chiamato clock, mentre l’insieme di multivibratori bistabili, che definiscono il ritardo con il quale vengono lanciati gli impulsi, rispettivamente al trasmettitore, al TGC e alla base dei tempi, costituiscono il corpo del master synchronizer.
7.10 Applicazioni cliniche dell’A-Mode Come si è già visto, la rappresentazione A-Mode non può considerarsi un’immagine in senso stretto, poiché in essa compaiono solo una serie di marker (o tracce) la cui collocazione rappresenta distanze a partire da un’origine corrispondente alla superficie emittente della sonda. L’impiego clinico di tale modalità è quindi limitato ai soli casi nei quali la rappresentazione di distanze consente di estrarre una diagnosi. Per tale motivo l’A-Mode è di fatto adoperato prevalentemente in oculistica e, con minore frequenza, per analisi encefalografiche. Si tratta in sostanza di indagini su strutture anatomiche a geometria semplice, dove la distribuzione spaziale degli echi generati è rappresentativa di una situazione normale o patologica. Così, per esempio, in ecoencefalografia si misura la posizione della linea media del cervello (scissura interemisferica) consentendo il rilevamento di ematomi e di tumori, come mostrato nella figura 7.29, nella quale, per semplicità di rappresentazione, non sono riportati gli echi corrispondenti a tutte le interfacce. In oftalmologia si misurano le dimensioni dell’occhio, si rileva la presenza di corpi estranei, di uno scollamento della retina, nonché di ematomi e di tumori, come illustrato nella figura 7.30. Più rara è l’applicazione in
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· Ecotomografia
ecotomografia generale, dove a partire da un’analisi fine della posizione degli echi entro una regione sospetta è possibile ricevere un aiuto diagnostico rilevando differenze esistenti (in termini di distanze tra le tracce) tra un mezzo omogeneo e uno che non lo è. Nella figura 7.29a è mostrata la rappresentazione A-Mode di una sezione trasversa della scatola cranica di un soggetto normale. Sono visibili due gruppi di echi A e B generati dalle ossa parietali destra e sinistra del teschio e dalla dura madre. A metà distanza tra A e B è presente un eco rappresentativo M della scissura di Silvio, che in condizioni non patologiche effettivamente divide il cervello in due lobi (destro e sinistro), di dimensioni praticamente uguali. Nella figura 7.29b è rappresentata una situazione patologica per la quale la presenza nella parte destra (A) di una massa neoplastica sposta verso destra la demarcazione tra i due lobi cerebrali, dando luogo a una dissimmetria per la quale non è più AM ≅ BM. Pertanto una rappresentazione A-Mode consente in questo caso di diagnosticare la presenza di una massa patologica che, peraltro, potrebbe essere costituita anche da un ematoma. Un esempio applicativo in ecooftalmologia è illustrato nella figura 7.30. L’applicazione della rappresentazione A-Mode in oculistica rimane attualmente la principale, poiché in questo campo, per ottenere una diagnosi corretta, occorre effettuare accurate misure della distanza trasduttore-superficie riflettente. In oculistica, l’accuratezza ottenibile nelle misure deriva dal fatto che l’occhio ha dimensioni di circa 20 mm e pertanto l’assorbimento è modesto anche se vengono utilizzate sonde ad alta frequenza, compresa nel campo
Figura 7.29. Esame encefalografico con visualizzazione in A-Mode. Schema rappresentativo del cervello (a) in condizioni non patologiche e (b) in condizioni patologiche, con i corrispondenti tracciati A-Mode.
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Figura 7.30. Esame oftalmografico. (a) Schema rappresentativo di un occhio normale e relativo tracciato A-Mode. (b) Illustrazione di un occhio patologico con presenza di melanoma coroidale e relativa alterazione del tracciato A-Mode.
10÷15 MHz. A queste frequenze la risoluzione assiale è dell’ordine di 0,1 mm e quella laterale è di 0,3 mm: un valore così elevato del potere risolutivo è essenziale in molti esami clinici, basti pensare alla possibilità di diagnosi, anche precoce, di distacco della retina. Occorre tuttavia rilevare che, anche nell’impiego oculistico, l’osservazione A-Mode, spesso non è sufficiente per supportare una diagnosi: occorre associare alla rappresentazione degli echi anche quella dell’immagine dell’occhio ed effettuare quindi una tomografia. Per ottenere ciò occorre costruire un’immagine vera e propria, come illustrato nel prossimo capitolo, dove sono descritti i principi sui quali è fondata la formazione di un’immagine per mezzo della scala dei grigi, a partire dalla conoscenza della rappresentazione A-Mode.
Capitolo 8 La formazione dell’immagine ecografica
8.1 Introduzione In questo capitolo saranno illustrati i principi sui quali è fondata la costruzione di un’immagine ecotomografica a partire dalla rappresentazione A-Mode. Facendo riferimento all’evoluzione storica dell’ecografia, saranno descritti i diversi stadi attraverso i quali si è passati da immagini ottenute con scansione manuale a immagini realizzate con scansione automatica, per mezzo di sonde sia meccaniche sia elettroniche. Verranno inoltre esaminate sia le modalità di costruzione di immagini statiche, cioè immagini di sistemi o apparati del corpo umano che non si muovono nel corso dell’indagine, sia quelle di costruzione (in ecotomografi Real-Time) di immagini dinamiche, vale a dire quelle che, mostrate in sequenza, rappresentano le configurazioni assunte, in istanti successivi, da organi in movimento come il cuore o parti di esso (per esempio le valvole cardiache). Saranno anche descritti i metodi mediante i quali il trasduttore mantiene a fuoco l’intera profondità di campo d’indagine (fuoco dinamico), nonché quelli che consentono di eliminare le parti del fascio ultrasonoro (lobi secondari e lobi di replica) che producono artefatti. Infine sarà descritta la modalità M-Mode, che non fornisce come elemento diagnostico un’immagine, bensì una storia temporale (cioè un tracciato nel tempo), dove sono riportate le posizioni assunte istante per istante da punti rappresentativi di organi in movimento, per esempio i lembi delle valvole cardiache. Il tracciato consente anche di ottenere in modo diretto (cioè senza dover applicare alcun algoritmo) le misure di spessore dei distretti anatomici oggetto dell’indagine (per esempio lo spessore della parete interventricolare).
8.2 Principio di funzionamento di un ecotomografo B-Mode Il principio di funzionamento alla base della formazione di un’immagine tomografica per mezzo di ultrasuoni è schematizzato nella figura 8.1. Il generatore di impulsi è munito di un tasto S, azionando il quale si produce un singolo impulso che viene inviato al piezoelemento1 della sonda Q per 1 Il piezoelemento è spesso indicato nel gergo degli specialisti anche con il termine cristallo, a prescindere dalla natura del materiale piezoelettrico impiegato (compositi ceramici). Pertanto nel seguito, laddove non venga specificato il contrario, le due definizioni saranno considerate sinonimi.
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· Ecotomografia
Figura 8.1. Schema funzionale di un ecotomografo B-Scan statico. Per ogni singola linea di vista, la sonda Q passa dalla fase di trasmissione (T) a quella di ricezione (R) mediante il commutatore C. Gli echi generati all’interno del paziente PZ sono ricevuti dal trasduttore e convertiti in segnali elettrici inviati all’asse z di un oscilloscopio (tubo RC), previa amplificazione in radiofrequenza RF e successiva demodulazione. Il pennello elettronico percorre sullo schermo, dall’alto verso il basso, ciascuna linea di vista (che si sviluppa lungo l’asse di propagazione del fascio ultrasonoro), comandato dal dente di sega inviato dal generatore di impulsi (interruttore S aperto); esso è allo stesso tempo modulato dall’asse z, sicché a ogni quota sullo schermo lo spot possiede una brillanza proporzionale all’ampiezza dell’eco corrispondente. La posizione del trasduttore Q, e quindi l’ascissa di ogni singola linea di vista, è individuata e rappresentata sul monitor per mezzo del potenziometro P, che è collegato alle placchette X dell’oscilloscopio e perciò devia il pennello luminoso proporzionalmente all’ascissa di Q; spostando manualmente Q in posizioni successive a, b, ..., n, il pennello elettronico descrive le linee di vista a-a′, b-b′, ..., n-n′, effettuando una scansione in PZ.
Capitolo 8
· La formazione dell’immagine ecografica
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mezzo del commutatore C in posizione di trasmissione T. La sonda emette un impulso ultrasonoro che penetra nel corpo del paziente PZ e, incontrando le diverse strutture anatomiche, origina i corrispondenti echi e1, e2, ..., em (nel caso della figura m è pari a otto). La sonda Q è mantenuta dall’operatore in una determinata posizione sul corpo del paziente, corrispondente per esempio alla direzione n-n′, in modo che vengano ricevuti gli echi da essa provenienti; la direzione n-n′ viene denominata linea di vista (o linea di scansione), o semplicemente vista. Analogamente a quanto stabilito per l’A-Mode, la fase di ricezione avviene subito dopo l’emissione dell’impulso, grazie alla commutazione operata dal relé elettronico RL (posizione R nella figura 8.1). Gli echi raccolti dal ricevitore, amplificati e demodulati, vengono ora inviati all’elettrodo di Wehnelt 2 del tubo a raggi catodici RC ; ciò consente di modulare l’intensità del flusso di elettroni generati dal catodo e accelerati dagli anodi focalizzatori, vale a dire del pennello elettronico che si proietta sullo schermo fosforescente del tubo, dove lascia una traccia luminosa. Se tale flusso elettronico varia in intensità, parimenti varia la brillanza3 della traccia luminosa sullo schermo del tubo, per cui si può ottenere su di esso una variazione di brillanza in dipendenza della tensione negativa applicata all’elettrodo di Wehnelt, a sua volta dipendente dall’ampiezza degli echi. Tale processo è detto modulazione dell’asse z. Contemporaneamente alla commutazione di RL dalla posizione di trasmissione a quella di ricezione, il generatore di impulsi invia una tensione, linearmente crescente con il tempo (dente di sega), alle placchette verticali (direzione y); perciò in questo caso il pennello si muove con velocità costante dall’alto verso il basso e, procedendo nel suo tragitto verso il basso, viene intensificato in brillanza proporzionalmente all’ampiezza degli echi che provengono dalla sezione anatomica del paziente. In altri termini, la sequenza dei punti più o meno luminosi memorizzati sullo schermo dell’oscilloscopio lungo la direzione y ricalca geometricamente la sequenza degli ostacoli dai quali hanno avuto origine gli echi nel corpo del paziente. Occorre ora osservare che la posizione occupata dalla sonda sul paziente, cioè l’ascissa x della generica linea di vista n-n′, è rappresentata lungo l’asse orizzontale dell’oscilloscopio dalla differenza di potenziale, applicata alle corrispondenti placchette X, prelevata tra il punto M e la presa centrale di terra del potenziometro P. Poiché la sonda è meccanicamente collegata con il cursore del potenziometro, la traccia luminosa sull’oscilloscopio si muove lungo x analogamente a come si muove la sonda sul corpo del paziente (nel piano di scansione) manovrata dall’operatore, che può per esempio portare la sonda dalla vista n-n′ a quella b-b′. Se si ripete la sequenza di operazioni descritte, azionando
2 Esso consiste in un disco forato, entro il quale passa il pennello elettronico, collegato a una sorgente di differenza di potenziale negativa rispetto al catodo; la variazione di tale ddp determina una corrispondente variazione della corrente elettronica costituente il pennello, che riesce ad attraversare il disco e dunque modula l’intensità del fascio elettronico (quando la ddp è molto negativa il pennello viene interdetto). 3 Si veda in proposito la nota 31 del capitolo 7.
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Figura 8.2. Costruzione dell’immagine ecografica B-Mode statica a partire dalla composizione di linee di vista successive lungo la superficie corporea del paziente. In ciascuna immagine sono rappresentate quattro linee di vista e le tracce luminose corrispondenti agli echi A-Scan. Le dimensioni delle tracce B-Scan sullo schermo dell’oscilloscopio sono proporzionali all’ampiezza dell’eco A-Scan (modulazione dell’asse z).
nuovamente il pulsante S, e se l’oscilloscopio ha uno schermo ad alta persistenza, sarà visibile, accanto alla precedente sequenza memorizzata n-n′, la seconda sequenza b-b′ e così via. Si può cioè realizzare una scansione eseguendo un certo numero di azioni sul tasto S, ossia si possono costruire sequenzialmente più viste una accanto all’altra, il cui insieme, memorizzato sullo schermo dell’oscilloscopio (o su pellicola fotografica), descrive il luogo dei punti luminosi rappresentativi delle discontinuità che hanno dato origine agli echi. Mentre la brillanza del punto sullo schermo è rappresentativa dell’ampiezza dell’eco, la sua posizione di coordinate x, y sullo schermo rappresenta la po-
Capitolo 8
· La formazione dell’immagine ecografica
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sizione del punto, dal quale l’eco proviene, su un piano trasversale, detto appunto piano di scansione, che interseca idealmente i confini delle strutture anatomiche secondo le linee di vista in precedenza definite (in particolare esso interseca la superficie esterna del paziente secondo una curva che è il profilo corrispondente). Una rappresentazione di questo tipo è detta B-Mode o B-Scan (dove B sta per brightness, brillanza); essendo idonea solamente alla produzione di immagini tomografiche di corpi relativamente immobili, assume il nome di B-Mode statico, o B-Scan statico. Nella figura 8.2 è schematicamente presentata la formazione dell’immagine B-Mode statica. Occorre osservare che lo schema della figura 8.1 ha carattere eminentemente didattico e ha il solo scopo di illustrare il meccanismo sul quale è fondata la costruzione dell’immagine B-Mode: si è infatti implicitamente ipotizzato, per semplicità, che la scansione avvenga solo in direzione orizzontale, cioè che la sonda si sposti parallelamente a se stessa mantenendo la quota; ciò non è manifestamente possibile, dato che per condurre efficacemente la scansione occorre seguire la superficie (non piana) costituita dalla pelle del paziente (come mostrato nella figura 8.2). È necessario dunque disporre di informazioni non solo sulle direzioni x e y, essendo queste le coordinate del centro della sonda rispetto a un punto di riferimento 4, ma anche sull’angolo θ di cui la sonda ruota, rispetto alla direzione di riferimento (per esempio la direzione orizzontale), per mantenere il contatto con il paziente. Pertanto il punto sullo schermo a partire dal quale inizia la scansione, con direzione qualsiasi, è definito dalle coordinate x, y e θ appartenenti al piano di scansione, come indicato nella figura 8.3. Ne deriva che lo schema della figura 8.1 deve essere modificato per consentire pratiche applicazioni. Inoltre, affinché queste siano possibili, è necessario eliminare la manovra di azionamento manuale del pulsante S e introdurre un automatismo che attui il meccanismo del pulse-echo con l’introduzione della PRF 5. Con la PRF attiva e trasduttore fermo si traccia sempre la medesima vista con gli echi posizionati negli stessi punti, realizzando una rappresentazione A-Scan. Se invece il trasduttore, guidato dalla mano dell’operatore, percorre la traiettoria sul corpo del paziente con velocità pressoché costante, e si ammette che la frequenza PRF sia a essa proporzionale, vengono tracciate tante linee di vista che risultano disposte nella sezione anatomica come mostrato (per esempio) nella figura 8.10; tali linee, nel loro insieme, costituiscono un’immagine, essendosi così costruita sullo schermo del tubo RC una distribuzione bidimensionale di punti più o meno brillanti. Se con particolari accorgimenti (di cui si tratterà nel seguito) l’oscilloscopio viene sosti-
4 Dal punto di vista pratico, è opportuno scegliere come origine della linea di scansione non il centro della sonda, bensì quello della superficie emittente, poiché in tale modo l’intera traccia sullo schermo contiene informazione diagnostica. Dal punto di vista didattico, tale scelta progettuale è ininfluente. 5 Per ora deputata al solo fine di automatizzare la scansione e non all’esigenza di fissare l’immagine sullo schermo (già analizzata nel capitolo 7), poiché si sta ancora ipotizzando l’impiego di un oscilloscopio a memoria.
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tuito da uno schermo televisivo, è possibile osservare una distribuzione bidimensionale di grigi 6, cioè un’immagine a carattere fotografico, che rappresenta di fatto il risultato di oltre dieci anni di ricerche. Con una singola scansione (per esempio, da sinistra a destra) o con più scansioni (cioè procedendo sullo stesso piano con più movimenti alternati da sinistra a destra e viceversa) si ottiene la stessa immagine. Applicando un trigger all’oscilloscopio a memoria, in modo che questo attui un refresh 7 a ogni scansione completa, si mantiene al livello più alto il potere risolutivo che, diversamente, peggiorerebbe a ogni passaggio della linea di vista, poiché essa sarebbe sovrapposta alla precedente. Affinché per ogni scansione l’immagine sia rigorosamente la stessa, è necessario che il trasduttore venga mantenuto sempre sullo stesso piano di scansione e che, per ogni sua posizione in tale piano, cioè per ogni linea di vista, vengano fornite sempre le medesime coordinate x, y e θ.
8.3 Geometria della scansione manuale La geometria alla base della scansione manuale può essere illustrata con riferimento alla figura 8.3. Siano PZ il corpo del paziente e S il generico organo interno oggetto dell’indagine ecotomografica. Ai fini della costruzione dell’immagine è necessario che il trasduttore percorra, a contatto con il paziente, per esempio il tratto M-M′ e che per ogni posizione intermedia, assunta come sede di una desiderata linea di vista, venga lanciato un impulso, per esempio uno per ogni centimetro di percorso. Il numero delle linee di vista contenuto nel tratto M-M′ è individuato in tal modo dalla PRF e dalla velocità con la quale il trasduttore viene trascinato sul corpo del paziente dall’operatore (velocità di scansione). Se infatti il trasduttore percorre il tratto di ascissa curvilinea Δ, relativa a M-M′, nel tempo Δt con velocità costante v = Δ/Δt, il numero di linee di vista n, legato al periodo di ripetizione degli impulsi dalla relazione n = Δt /PRP, risulta pari a Δ·PRF/v; stabilita una desiderata densità di linee di vista n/Δ, si ha che la PRF è proporzionale alla velocità di scansione (nell’ipotesi che si lanci un impulso per ciascuna linea di vista). Con il trasduttore nella posizione A, dove ha coordinate xA e yA rispetto a un riferimento esterno e un orientamento θA rispetto a una retta orizzontale, compaiono sullo schermo dell’oscilloscopio le tracce luminose a-a′ del corpo S; quando il trasduttore si trova nella posizione B, dove le sue coordinate sono xB e yB e l’orientamento è definito dall’angolo θB rispetto all’orizzontale, la corrispondente linea di vista produce sull’oscilloscopio le tracce luminose b-b′.
6 La scala che si stabilisce è in relazione al colore dei fosfori dello schermo del tubo RC: se tale colore è verde si tratta di scala di verdi, se si tratta di un tubo RC per televisori in bianco e nero si tratterà di scala di grigi propriamente detta. 7 Si tratta della cancellazione di ogni quadro appena terminata la sua tracciatura, per consentire di reiniziare la nuova tracciatura con schermo libero.
Capitolo 8
· La formazione dell’immagine ecografica
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Figura 8.3. Rappresentazione della scansione in un sistema di coordinate. Nel percorrere il tratto M-M′ sulla pelle del paziente PZ nel piano x-y di scansione, la posizione del trasduttore è individuata dalle tre variabili x, y, θ.
Dunque, mentre il trasduttore percorre la traiettoria M-M′, compare sullo schermo dell’oscilloscopio il contorno luminoso di S, come luogo dei punti a, b, a′, b′, ottenendo così un’immagine B-Scan (statica) di S interna a PZ. Per chiarire le modalità attraverso le quali ciò può essere in pratica ottenuto, viene di seguito riportato lo schema realizzativo di uno dei primi ecotomografi B-Scan (Diasonograph 1960). Un trasduttore è montato su un telaio che consente spostamenti secondo le due direzioni ortogonali x e y (figura 8.4), in modo da poter seguire il profilo curvo individuato dall’intersezione tra la superficie del paziente e il piano trasversale perpendicolare all’asse testa-piedi (piano di scansione), potendo inoltre essere ruotato in virtù della cerniera di centro O (dettaglio della figura 8.4b). Il trasduttore viene mantenuto dall’operatore a contatto con il paziente e guidato in modo da percorrere sul suo corpo un determinato tragitto, con velocità per quanto possibile costante. Costruttivamente ciò viene realizzato montando la sonda T su un manicotto M2 che può scorrere lungo la guida S2, in modo da realizzare uno spostamento secondo la direzione orizzontale x; analogamente il movimento secondo la direzione verticale y è realizzato per mezzo del manicotto M1, cui la guida S2 è solidale, che scorre nell’apposito braccio S1. All’interno dei due bracci sono posti due potenziometri lineari, i cui cursori sono solidali ai manicotti, in modo che gli spostamenti xO e yO della traccia O dell’asse della cerniera (figura 8.4a) vengano trasdotti in altrettante ddp VxO e VyO. La rotazione del trasduttore T attorno al perno O è rappresentata dall’angolo θ rispetto alla direzione orizzontale (assunta come riferimento delle rotazioni) e viene trasdotta in termini di ddp per mezzo di uno speci-
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Figura 8.4. Sistema per la generazione di coordinate. (a) Le coordinate yO e xO dello snodo O sono individuate dalle posizioni dei cursori M1 e M2 sul telaio (potenziometro lineare), mentre la rotazione θ della sonda T attorno all’asse per O è rilevata tramite il potenziometro seno/coseno; le coordinate del generico punto P appartenente a una linea di vista sono univocamente individuate dall’angolo θ e dal raggio ρ (distanza di P dal centro O′ della superficie), una volta nota la distanza OO′ = d tra lo snodo e la superficie emittente. (b) Rappresentazione della linea di vista sullo schermo di un oscilloscopio a partire dal punto corrispondente a O′ dato dalle tensioni proporzionali a θ e al tempo t di propagazione (in verde), applicate alle placchette X e Y. Sono indicati sia gli assi x e y di riferimento del telaio (in grigio), sia gli assi X e Y del sistema di riferimento relativo alle placchette dell’oscilloscopio (in rosso).
fico trasduttore (chiamato potenziometro seno/coseno) che, alimentato da una tensione v, fornisce in uscita due tensioni Vθ1 = vsinθ e Vθ2 = vcosθ. Nel corso della scansione manuale sono pertanto disponibili le ddp VxO, VyO, Vθ1 e Vθ2 necessarie per riprodurre sullo schermo di un tubo RC dell’oscilloscopio la linea di vista corrispondente a ciascun impulso ultrasonoro lanciato nel corpo del paziente. Il problema consiste quindi nel dimostrare che, per mezzo delle citate tensioni, è possibile ricalcare il tragitto compiuto dagli echi di ritorno per ogni impulso lanciato, in modo che esso sia a sua volta riportato dalla traccia luminosa sullo schermo del tubo RC. Con riferimento alla figura 8.4, si osservi che, per ciascun punto P(x,y) appartenente alla generica linea di vista OD tracciata sullo schermo, le coordinate in funzione del tempo sono:
Capitolo 8
· La formazione dell’immagine ecografica
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x (t) = x O + (ρ + d)cosθ y (t) = y O − (ρ + d)sinθ
[8.1]
in queste relazioni: xO e yO sono le coordinate della proiezione O dell’asse di rotazione del trasduttore all’istante t0 di lancio dell’impulso; ρ è il raggio vettore, in coordinate polari, rispetto alla loro origine O′ posta sulla superficie emittente delle sonde; θ è l’angolo che ρ compie con l’orizzontale; infine, d rappresenta la distanza OO′. Le coordinate xO e yO di O all’istante t0 sono rappresentate, rispettivamente, dalle ddp VxO e VyO , a esse proporzionali, in uscita dai due potenziometri lineari; il raggio vettore ρ è la distanza O′P e rappresenta il prodotto ct /2, essendo c la velocità di propagazione dell’eco ultrasonoro nel mezzo e t l’istante osservato sull’asse dell’oscilloscopio (tempo di andata e ritorno o round trip). Se le tensioni in uscita dal potenziometro seno/coseno Vθ1 = vsinθ e Vθ2 = vcosθ vengono inviate a un opportuno circuito integratore e moltiplicatore, questo fornisce in uscita le tensioni ct/2·Vθ1, d·Vθ1, ct/2·Vθ2, d·Vθ2, per cui è possibile scrivere ⎛ ct ⎞ Vx (t) = Vx O + ⎜ + d⎟ Vθ2 ⎝2 ⎠ ⎛ ct ⎞ Vy (t) = Vy O − ⎜ + d⎟ Vθ1 ⎠ ⎝2
[8.2]
Si osservi che le tensioni Vx (t) e Vy(t) della [8.2] rappresentano le coordinate del generico punto P nel sistema di assi cartesiani xy (telaio), la cui origine, indicata con 0 nella figura 8.4a, ha coordinate X0 e Y0 nel sistema di riferimento XY dell’oscilloscopio a placchette 8 (figura 8.4b). Per rappresentare le coordinate del generico punto P nel sistema di riferimento XY (oscilloscopio), Vx(t) e Vy(t) devono essere sommate, prima di essere applicate alle placchette, alle tensioni VX0 e VY0, coordinate dell’origine del telaio. Quest’ultima operazione corrisponde alla traslazione del sistema di coordinate xy del telaio in quello XY dell’oscilloscopio. Pertanto, con riferimento alla figura 8.4b, le tensioni VX(t) e VY(t) da applicare alle placchette sono ⎞ ⎛ ct VX (t) = VX 0 + Vx O + ⎜ + d⎟ Vθ 2 ⎠ ⎝2 ⎞ ⎛ ct VY (t) = VY0 − Vy O + ⎜ + d⎟ Vθ1 ⎠ ⎝2
[8.3]
dove, concordemente con il verso scelto per gli assi XY, risulta VX0<0 e VY0>0. 8
Infatti tale origine è posta al centro dello schermo del tubo RC.
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Le [8.3] possono essere riscritte come
(
)
ct Vθ 2 2
(
)
ct + Vθ1 2
VX (t) = VX 0 + Vx O + d Vθ 2 + VY (t) = VY0 − Vy O + d Vθ1
[8.4]
Se le due tensioni a primo membro delle relazioni [8.4] vengono applicate, rispettivamente, alle placchette orizzontali e a quelle verticali di un oscilloscopio, il pennello elettronico viene dapprima deflesso dalle tensioni costanti VXO′ = (VX0+VxO+dVθ2) e VYO′ = (VY0–VyO+dVθ1), che stabiliscono il punto di partenza della sua traccia sullo schermo (punto O′ della figura 8.4b). Successivamente il pennello inizia a scorrere lungo lo schermo in funzione delle componenti ct /2·Vθ2 e ct/2·Vθ1 (proporzionali, rispettivamente, a cosθ e sinθ), che costituiscono tensioni crescenti linearmente con il tempo t e deflettono ulteriormente il pennello, in modo tale che esso si muova lungo la direzione OD (di inclinazione θ), tracciando così la linea di vista, rappresentata nella figura 8.4a e visualizzata sullo schermo dell’oscilloscopio come indicato nella figura 8.4b.
8.4 Realizzazioni dei primi ecotomografi B-Scan statici Uno schema elettrico di principio in grado di realizzare i procedimenti descritti, ossia di produrre sullo schermo dell’oscilloscopio la traccia corrispondente, in posizione e direzione, al percorso della radiazione ultrasonora trasmessa dal trasduttore nel corpo del paziente, è presentato nella figura 8.5, dove è riportato lo schema originale di un brevetto dei primi anni sessanta. Esso è costituito sostanzialmente da due circuiti integrati A e B associati, rispettivamente, alle operazioni da compiere rispetto alle placchette Y e X. Il funzionamento è il seguente. Il master synchronizer lancia all’istante t0 un’onda quadra che perviene agli interruttori S1, S2 e S3, S4, aprendo i rispettivi circuiti, in modo che agli integratori A e B giungano le tensioni costanti vsinθ e vcosθ dal potenziometro seno/coseno e che i condensatori C1 e C2 inizino a caricarsi a partire dal valore iniziale 9 rispettivamente pari a VXO′ e VYO′ fornito prima dell’apertura dagli interruttori S2 e S4, che fissano la posizione dello spot all’inizio della linea di scansione. All’uscita degli integratori sono presenti due rampe di tensione (denti di sega) che, inviate alle placchette deflettrici dell’oscilloscopio, deviano il pennello elettronico, a partire dal punto di inizio stabilito da VXO′ e VYO′ , proporzionalmente alla loro pendenza. L’interruzione delle predette tensioni si verifica al termine della durata temporale Δt 9 L’apertura contemporanea degli interruttori S e S garantisce che all’uscita dell’integratore le ten3 4 sioni VXO′ e VYO′ costituiscano il termine costante, mentre la rampa riguarda solamente i termini in sinθ e cosθ.
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Figura 8.5. Schema circuitale del generatore di coordinate. I due circuiti integratori A e B generano le rampe di tensione che, amplificate dai blocchi C e D, determinano la posizione dello spot sullo schermo dell’oscilloscopio. Gli interruttori S1 e S3 , normalmente chiusi (contemporaneamente agli interruttori S4 e S2), per cui l’ingresso dell’amplificatore è normalmente a terra, vengono aperti dal master synchronizer, per cui i segnali provenienti dal potenziometro seno/coseno sono inviati ai rispettivi blocchi integratori; quando gli interruttori S4 e S2, anch’essi normalmente chiusi, per cui l’uscita degli amplificatori è normalmente al potenziale stabilito dai potenziometri lineari, vengono aperti, i due condensatori C1 e C2 iniziano a caricarsi a partire da tali valori VxO′ e VyO′ con una velocità di carica pari rispettivamente a –vsinθ e a –vcosθ (il segno negativo è arbitrario ed è qui considerato perché presente nello schema originale). I segnali in uscita, inviati alle placchette dell’oscilloscopio, determinano la posizione di partenza e il successivo movimento dello spot elettronico sullo schermo. Da Thomas G. Brown (1963) Examination by ultrasonics of bodies having a non-planar surface. United States Patent and Trademark Office 3.086.390, 23th april 1963 (http://www.uspto.gov).
dell’onda quadra prodotta dal master synchronizer; a essa corrisponde la durata della scansione della linea di vista che descrive, punto per punto, per mezzo di variazioni di brillanza (e dunque mediante una scala di grigi), le ampiezze degli echi generati dalle interfacce nel mezzo di propagazione. Un dispositivo come quello sopra descritto assume il nome di generatore di coordinate e costituisce, in un ecotomografo B-Mode, un elemento circuitale indispensabile per riprodurre sullo schermo dell’oscilloscopio una traccia corrispondente, in posizione e direzione, al cammino percorso dal raggio ultrasonoro inviato dal trasduttore sul paziente.
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Figura 8.6. Schema del pantografo impiegato per la movimentazione della sonda ecografica nei primi tomografi a ultrasuoni.
Nel periodo successivo ai primi anni settanta le apparecchiature B-Scan statiche furono perfezionate, nel senso che il sistema xy di coordinate, ottenuto grazie ai due manicotti scorrevoli sulle guide S1 e S2 della figura 8.4, venne ridotto a dimensioni modeste, grazie a un sistema articolato del tipo presentato nella figura 8.6; realizzazioni costruttive di tale sistema sono mostrate nella figura 8.7b,c. Il criterio utilizzato è il medesimo del caso precedente, avendo introdotto trasduttori seno/coseno in ogni cerniera del braccio articolato. Dallo schema si ricava la posizione del punto O ove viene fissato il trasduttore e l’inclinazione θ che esso assume. Con riferimento alla figura 8.6 si ottengono, da considerazioni di tipo geometrico, le coordinate di O come x O = L1cosα + L 2 cos(π − α − β) y O = L1sin α − L 2 sin(π − α − β)
[8.5]
δ = α +β+ γ − π
Con modalità simili a quelle precedentemente riferite si ricavano le pendenze dei due denti di sega (illustrati nella figura 8.4) da applicare alle placchette del tubo RC. Il circuito elettrico, nel caso che qui si descrive, è più complesso del precedente, poiché la frequenza di clock è proporzionale alla velocità di scansione.
Capitolo 8
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Figura 8.7. Ecotomografo B-Scan con pantografo, realizzato negli Stati Uniti da W.Wright e E. Meyers nel 1962. (a) Apparato dell’epoca; (b)(c) esempi di utilizzo in esami clinici. Da J. Woo, in http://www.ob-ultrasound.net.
Le immagini prodotte dai primi ecotomografi B-Scan statici avevano la particolarità di essere costruite in base a due soli livelli di brillanza, vale a dire senza il contributo di livelli intermedi tra buio e luce: da tale caratteristica è derivata la denominazione di bistabile. Per sviluppare strumentazione ecoto-
Figura 8.8. Immagini ecografiche relative a utero e feto: (a) immagine bistabile ottenuta mediante Diasonograph (1962); (b) immagine prodotta da un moderno ecotomografo Real-Time. Da J. Woo, in http://www.ob-ultrasound.net.
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mografica in grado di produrre immagini che si avvalessero di un’effettiva scala di grigi, cioè di un numero di livelli superiore a 2 (256 nella gran parte degli ecotomografi attuali) sono stati necessari circa otto anni di ricerche. Nella figura 8.8a è possibile osservare l’immagine bistabile di un feto prodotta da uno dei primi ecografi (1962), mentre nella figura 8.8b è riportata un’immagine a 256 livelli di grigio, ottenuta con un moderno ecotomografo.
8.5 Schema a blocchi dell’ecotomografo B -Scan Tutto ciò premesso, si può esaminare lo schema a blocchi di un’apparecchiatura tomografica con presentazione B-Scan statica, mostrato nella figura 8.9. Questo schema differisce da quello relativo all’A-Scan della figura 7.19 sostanzialmente per due aspetti: per la presenza del citato generatore di coordinate, costituito dai due bracci articolati collegati al trasduttore con uno snodo (intorno al quale esso può ruotare), e per il diverso percorso del segnale in uscita dal ricevitore, che è applicato al catodo del tubo RC per effettuare la modulazione dell’asse Z. Il generatore di coordinate pilota direttamente gli amplificatori delle placchette X e Y del tubo RC (C e D nella figura 8.5) ed è a sua volta pilotato dal master synchronizer che, analogamente a quanto si verifica nell’A-Scan, invia i propri impulsi contemporaneamente al trasmettitore e al ricevitore per garantire l’ordine sequenziale, su ciascuna linea di vista, degli echi ricevuti a partire da ogni singolo impulso inviato dal trasmettitore al piezoelemento. A tale proposito nella figura 8.10 è riportato schematicamente un esempio delle linee di vista prodotte da un sistema siffatto: ciascuna di esse è il risultato della composizione delle tensioni a dente di sega (Vx e Vy) applicate alle placchette X e Y e graficamente riportate a lato dello schermo dell’oscilloscopio rappresentato nella figura. L’aspetto confuso di tali linee, e la conseguente irregolarità delle tensioni alle placchette, è dovuto essenzialmente alla manualità dell’operatore e alle irregolarità del profilo su cui viene effettuata la scansione. L’apparecchiatura mostrata nella figura 8.7, realizzata secondo lo schema a blocchi della figura 8.9, rappresenta la configurazione minima necessaria per ottenere immagini ecotomografiche ed è stata di fatto la prima apparecchiatura posta in commercio negli anni sessanta e utilizzata a scopo clinico. La tecnologia di quel tempo prevedeva un largo impiego dei tubi elettronici, poiché i transistor erano appena entrati nell’impiego industriale e l’era dei computer era ancora lontana: non deve quindi meravigliare se l’apparecchiatura ecotomografica occupava una stanza e se il risultato dell’esame, prodotto su carta fotografica polaroid, richiedeva un tempo variabile da 4 a 20 s cui si dovevano aggiungere i tempi di sviluppo (pari a circa 50÷60 s). Risulta quindi evidente il motivo per il quale le prime rappresentazioni ecotomografiche erano di tipo statico e ben distinte da quelle, descritte nel seguito, che consentono la visione di organi in movimento in tempo reale (Real-Time). Gli inconvenienti principali delle apparecchiature B-Scan statiche, che hanno costituito la molla che ha spinto la ricerca fino a oggi, dipendono dal fatto
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Figura 8.9. Schema a blocchi di un’apparecchiatura ecotomografica con presentazione in B-Scan statico (manuale). Il segnale eco rilevato dal trasduttore (in azzurro), amplificato e demodulato negli stadi del ricevitore, viene inviato sotto forma di tensione elettrica all’asse Z dell’oscilloscopio (modulazione dell’asse Z); il pennello elettronico così modulato è pilotato dalle tensioni prodotte dal generatore di coordinate e inviate alle placchette X e Y. La terna di tensioni X, Y e Z individua la posizione e la brillanza dei punti luminosi visualizzati sul display, ciascuno corrispondente a un eco ricevuto. Gli andamenti dei denti di sega Vx e Vy riportati nella figura (relativi solo a metà schermo; vedi figura 8.10) corrispondono a un formato dell’immagine di tipo settoriale. L’impulso elettrico F e l’eco riportati in figura non sono in scala.
che l’immagine è osservabile sullo schermo di un oscilloscopio il quale, sia per le modeste dimensioni (circa 10 cm di diametro), sia per le caratteristiche dei fosfori, non consente comunque di realizzare una sufficiente gamma di scala
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Figura 8.10. Scansione B-Mode manuale: ciascuna linea di vista, numerata e riportata sullo schermo in colore rosso, è determinata dalle tensioni Vx e Vy applicate rispettivamente alle placchette X e Y. La posizione di ciascun punto su una linea di vista è fornita, istante per istante, dalla composizione dei valori di tensione Vx e Vy dei due denti di sega e le proiezioni di ciascuna linea di vista sulle direzioni x e y sono direttamente proporzionali alle ampiezze Vx e Vy dei corrispondenti denti di sega.
di grigi (circa 8-10 dB negli oscilloscopi dell’epoca). Inoltre il sistema di scansione manuale è lento, fastidioso per il paziente e consente di ottenere solo immagini statiche. Per quanto riguarda il primo problema, la soluzione fu ricercata tra le applicazioni che già a quel tempo erano specifiche per la rappresentazione di immagini in movimento, cioè la catena televisiva. In tale caso, infatti, il tubo catodico (a deflessione magnetica) è progettato per coprire approssimativamente la dinamica dell’occhio umano. Per quanto attiene al secondo problema, relativo alla scansione manuale, lo sviluppo ha seguito due indirizzi: da una parte, verso sistemi che consentissero una rapida scansione di tipo automatico, il che ha condotto all’utilizzo di piccoli motori elettrici pilotati in frequenza (step motors o motori passo-passo) o in corrente continua (DC motors); dall’altra, verso una scansione senza elementi in movimento (scansione elettronica). La sintesi della soluzione di questi due importanti problemi ha condotto all’individuazione dei principi fisici sui quali sono fondati gli ecotomografi moderni, generalmente indicati con l’espressione Real-Time, che consentono di rappresentare i fenomeni fisiologici in tempo reale (come nell’ecocardiografia), per quanto riguarda sia gli aspetti anatomici sia quelli fluidodinamici (cioè della circolazione del sangue). La soluzione è stata resa possibile dall’in-
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troduzione della tecnica digitale, la cui prima applicazione ha avuto origine dalla necessità di introdurre un convertitore di formato, che viene descritto nei paragrafi che seguono.
8.6 Problemi relativi alla visione: range dinamico Dall’osservazione della figura 8.7 appare evidente che, per registrare l’immagine sullo schermo di un oscilloscopio non a memoria, occorreva disporre di una macchina fotografica, posta di fronte allo schermo con l’otturatore aperto. L’operatore quindi, scelto il piano di scansione (come nella figura 8.7b,c), iniziava a percorrere la superficie del paziente con la sonda (monoelemento); nel corso di scansioni ripetute, nello stesso tratto e sullo stesso piano, si otteneva in corrispondenza lo spostamento della linea di scansione, che ricopiava il moto della sonda sullo schermo dell’oscilloscopio per un tempo sufficiente a scattare la foto. Il tracciamento di successive linee di scansione, disposte una accanto all’altra, delineava sullo schermo l’immagine ecografica secondo il meccanismo precedentemente illustrato (con riferimento alla figura 8.2). L’intensità del pennello luminoso del tubo RC andava scelta accuratamente in rapporto al numero di scansioni che l’operatore intendeva compiere, in modo tale che la pellicola polaroid venisse impressionata in modo uniforme. Occorre infatti osservare che, se nel corso di un esame il trasduttore assumeva più volte la medesima posizione, il pennello luminoso percorreva sullo schermo dell’oscilloscopio sempre la medesima linea di vista e, poiché la pellicola fotografica rimane impressionata dal numero totale di fotoni che l’hanno colpita, sussisteva comunque il pericolo che l’immagine finale risultasse sottoesposta (vale a dire esposta a un’intensità di base del pennello troppo bassa) o sovraesposta (esposta a un’intensità troppo alta), in gergo “bruciata”. Al fine di ottenere una buona immagine, era inoltre necessario calibrare la velocità di scansione manuale in rapporto al numero di scansioni da eseguire (e quindi alla luminosità prodotta mediamente dal pennello elettronico sullo schermo dell’oscilloscopio), tenendo in considerazione anche il tempo di persistenza del fosforo dello schermo, nonché la sensibilità della pellicola al colore della luce emessa da quest’ultimo (solitamente verde). Con un po’ di pratica si ottenevano immagini discrete, ma è evidente la delicatezza dell’intero processo diagnostico, che poteva condurre alla necessità di ripetere l’esame qualora uno dei predetti parametri non fosse stato scelto in modo corretto. Per semplificare tale procedimento, furono adottati gli oscilloscopi a memoria, nei quali lo schermo del tubo RC è munito di uno speciale strato di fosfori che consente la persistenza della traccia per alcuni minuti, ciò che permetteva di fotografare comodamente l’immagine visualizzata. Purtroppo la traccia lasciata sullo schermo a memoria dallo spot ha dimensioni pressoché doppie rispetto a quelle del normale oscilloscopio e, pertanto, presenta un minore potere risolutivo. Inoltre vi è l’altro grande svantaggio rappresentato dal fatto che i composti di fosforo ad alta persistenza forniscono una traccia la cui
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luminosità è indipendente dall’intensità del fascio elettronico che l’ha prodotta; esiste cioè un livello di soglia al di sotto del quale lo strato di fosforo a memoria non viene eccitato, e superato il quale il fosforo eccitato emette un flusso luminoso costante e indipendente dal livello di intensità dello spot. Ciò rende impossibile realizzare gradazioni di intensità luminosa; perciò l’immagine è tracciata con un solo livello di bianco e uno solo di nero (come nell’immagine bistabile della figura 8.8a). L’oscilloscopio a memoria fu poco utilizzato10 e l’unico dispositivo di visualizzazione rimase l’oscilloscopio tradizionale, che però costituiva una vera “strozzatura” rispetto alla capacità di riprodurre una gamma di grigi sufficientemente ampia per rappresentare in modo adeguato l’informazione contenuta negli echi raccolti in A-Mode (contenuto diagnostico). Al fine di ottenere un trasferimento ideale dell’informazione contenuta nelle ampiezze degli echi, occorreva dunque che a ciascuna ampiezza (o classe di ampiezze caratterizzate da valori poco diversi tra loro) corrispondesse un appropriato livello di grigio. Per rendere quantitativo questo importante concetto, occorre richiamare quanto accennato circa il range dinamico di un sistema, cioè il rapporto tra l’ampiezza (o potenza) massima e quella minima che il sistema può elaborare. Per esempio, se un amplificatore non riesce a percepire segnali elettrici inferiori a 0,01 mV e, allo stesso tempo, non riesce ad amplificare senza distorsione segnali elettrici di ampiezza maggiore di 1000 mV, il rapporto tra il massimo e il minimo ingresso vale 100 000, che in decibel corrisponde a un range dinamico di 100 dB. Come si è già riferito, l’occhio umano può trattare segnali (cioè livelli di grigio) con un range dinamico mediamente di circa11 20 dB, cosicché il rapporto tra il massimo e il minimo livello dello stimolo visivo è pari a 100, con riferimento alle intensità luminose 12, circa 10 000 volte inferiore a quello degli amplificatori elettronici. Gli schermi degli oscilloscopi presentano un range dinamico inferiore di circa 10 dB rispetto a quello dell’occhio umano; perciò la scala dei grigi dell’oscilloscopio risulta all’occhio più compressa – ovvero con un minor numero di sfumature per passare dal nero al bianco (o, più correttamente, dalla luce al buio) – di quella che esso potrebbe percepire. Per tale ragione l’immagine su oscilloscopio, riprodotta con scala più compressa risulta
10 Si ricorda a tale proposito il Diasonograph (1958), che impiegava tre oscilloscopi, uno dei quali del tipo a memoria. 11 Tale è approssimativamente la dinamica dei fotorecettori posti nella zona sensibile della retina, allorquando le condizioni ambientali di illuminazione sono quelle in cui mediamente si trova l’operatore mentre osserva il monitor dell’ecografo (per esempio, in un ambulatorio con illuminazione diffusa). Il comportamento dell’occhio è estremamente complesso e di tipo adattativo, vale a dire l’occhio si adatta di volta in volta alle condizioni di illuminazione dell’ambiente in cui si trova: ciò rende possibile la visione entro un campo di intensità luminose che complessivamente copre oltre 6 ordini di grandezza (fino a 10). Per maggiori dettagli si veda anche R.C. Gonzalez, P. Wintz (1987) Digital Image Processing, second edition. Addison-Wesley. 12 Si ricorda che il rapporto tra intensità, espresso in decibel, è 10 log(I/I ). 0
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necessariamente più contrastata, eliminando molte sfumature nelle quali è contenuta parte dell’informazione diagnostica 13. Da quanto precede emerge che, nella catena di elaborazione del segnale della figura 8.9, la dinamica viene progressivamente compressa man mano che il segnale procede verso il display, che è il blocco più importante ai fini della visione, ma anche quello che più di ogni altro la penalizza per effetto della sua bassa dinamica. Al fine di superare le limitazioni di questo dispositivo, per quanto attiene alla riproduzione di livelli intermedi, occorre pertanto incrementarne significativamente il range dinamico, portandolo a valori prossimi o superiori a quello dell’occhio umano; ciò è stato possibile grazie all’introduzione, negli anni settanta, di un dispositivo convertitore di formato, detto scan converter, che ha risolto completamente il problema.
8.6.1 Scan converter analogico L’obiettivo era dunque quello di individuare un dispositivo di visione che consentisse la maggiore dinamica possibile, cioè il più elevato rapporto tra massima e minima intensità luminosa da rendere disponibile per la visione di una qualsiasi immagine. Questo dispositivo risultò essere il tubo televisivo che è concepito appositamente per presentare immagini costruite con metodi elettronici, mentre il tubo RC dell’oscilloscopio è progettato per rappresentare andamenti y = f(t) di grandezze in funzione del tempo o, al più, andamenti y = f(x) di grandezze in funzione di un’altra grandezza. La dinamica del tubo televisivo è compresa nel campo 20÷30 dB ed è quindi ampiamente sufficiente per la presentazione di immagini all’occhio umano; occorre tuttavia considerare che, nella pratica realizzativa, tali immagini vengono costruite con scansioni che hanno una direzione obbligata, essendo infatti realizzate con righe (interlacciate o no) tracciate da sinistra a destra sempre lungo direzioni pressoché orizzontali 14. La scelta del tubo televisivo, come dispositivo di visualizzazione per l’ecotomografia, presuppone quindi l’introduzione di un apparato in grado di convertire qualsiasi tipologia di scansione in quella del formato televisivo. Infatti la scansione operata da trasduttori, sia di tipo manuale sia di tipo automatico (meccanico o elettronico), avviene tramite linee di vista che si sviluppano nella direzione di propagazione dell’onda ultrasonora a partire dalla superficie sensibile della sonda e, in virtù della molteplicità di applicazioni e di realizzazioni tecnologiche, si assiste a una gran varietà di formati relativi alla costruzione della rappresentazione diagnostica (per esempio rettangolari, settoriali ecc.), mentre l’immagine che compare sullo schermo viene comunque 13 La relazione che sussiste tra intensità luminosa incidente e brillanza percepita dall’occhio è di tipo non lineare (legge di Weber-Fechner) e coinvolge numerosi fattori, tra i quali la distribuzione spaziale con cui i livelli di grigio vengono visualizzati. La capacità dell’occhio di distinguere grigi diversi è pertanto variabile a seconda delle condizioni ambientali e del tipo di stimolo visivo. 14 Per i dettagli circa la scansione televisiva, il lettore può consultare il primo volume (par. 16.2).
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Figura 8.11. Schema funzionale di uno scan converter analogico. In fase di scrittura (interruttori posizionati su S), il pennello elettronico, modulato dal segnale B-Mode e deflesso dal generatore di coordinate, effettua una scansione della matrice dielettrica; l’immagine impressa nella matrice costituisce una sorta di negativo costituito dalle lacune positive lasciate dagli elettroni scalzati per emissione secondaria e assorbiti dalla griglia anodica. In fase di lettura (interruttori posizionati su L), il pennello elettronico, alimentato a intensità costante e deflesso secondo il formato gestito dal raster di scansione TV, percorre la matrice dielettrica; la quantità di carica residua del pennello, dopo che una parte degli elettroni che impattano sulla matrice ha neutralizzato quella positiva delle lacune, scorre sotto forma di corrente attraverso la resistenza R e produce il segnale video.
prodotta mediante la scansione televisiva15. In altri termini, un’immagine ecografica è acquisita per mezzo di più linee di vista che, nel loro insieme, possono costituire per esempio un settore circolare, perché tutte geometricamente convergenti in un punto, mentre viene ricostruita e presentata sul display mediante linee pressoché orizzontali, quali sono quelle che costituiscono il cosiddetto raster televisivo. I formati di acquisizione e presentazione sono quindi tra loro diversi e occorre stabilire regole di conversione tra i due. In definitiva lo scan converter è un dispositivo a memoria nel quale l’informazione viene scritta in un formato e letta in un altro, dove quest’ultimo è lo standard del raster televisivo.
15 Tale strumento, detto convertitore di scansione (o convertitore di formato) è in genere indicato in letteratura come scan converter.
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Nel seguito viene descritto il principio di funzionamento di uno dei primi convertitori di formato di tipo analogico, ormai da tempo sostituito dal convertitore di tipo digitale. Lo scan converter analogico è costituito da un’ampolla, generalmente di vetro (illustrata nella figura 8.11), dove è allocato il sistema di formazione e focalizzazione del pennello elettronico, nonché il sistema di deflessione costituito dalle coppie di placchette orizzontali e verticali, analogamente a quanto avviene in un tubo RC per oscilloscopio. La differenza rispetto a quest’ultimo consiste nella costruzione dell’anodo, che nello scan converter analogico è costituito da una griglia di sottili fili metallici (griglia anodica), collegata al polo positivo di una batteria in alta tensione (+at nella figura 8.11). Adiacente alla griglia anodica e a breve distanza da essa è posta, depositata su un elettrodo metallico, una matrice dielettrica di biossido di silicio di spessore pari a circa 0,7 mm, che sostanzialmente costituisce una memoria formata da una matrice di 1000 × 1000 elementi di risoluzione di biossido di silicio 16. Ciascun elemento della matrice viene colpito dal pennello elettronico che lascia una traccia di cariche elettriche positive di distribuzione spaziale di forma gaussiana e la cui dimensione può essere determinata per mezzo del FWHM, il cui valore in questo caso è dell’ordine di 0,1 mm. L’insieme di questi elementi contigui costituisce la riga tracciata dal pennello elettronico sulla matrice. Pertanto la riga, intesa come elemento componente il quadro televisivo, può immaginarsi come una schiera di punti con passo 0,1 mm. Il funzionamento, illustrato nella figura 8.11, è costituito da una fase di scrittura sulla matrice e da una successiva fase di lettura della matrice scritta. In fase di scrittura il fascio elettronico – deflesso orizzontalmente e verticalmente dalle placchette, con le medesime modalità del tubo oscilloscopico dell’apparecchiatura B-Mode della figura 8.1, e modulato in intensità dal ricevitore secondo la già citata modulazione dell’asse Z – viene accelerato dalla griglia anodica, la attraversa e colpisce la matrice di ossido di silicio, producendo l’emissione di elettroni secondari. Questi ultimi, immediatamente catturati dalla griglia anodica che si trova a potenziale maggiore dell’anodo, lasciano nella matrice dielettrica le corrispondenti lacune, ossia cariche positive, la cui distribuzione è determinata, istante per istante, dalla posizione occupata dal pennello elettronico, e la cui quantità è direttamente proporzionale all’intensità modulata dall’asse Z. In tale modo, l’immagine eco è in definitiva immagazzinata sotto forma di distribuzione bidimensionale di cariche elettriche positive della matrice, che risulta ora scritta e racchiude in sé l’informazione 17. Quando il sistema di scrittura ha terminato la scansione di un’immagine, in altri termini quando il potenziometro P della figura 8.1 ha percorso l’intera sua
16 Si osservi che questo caso si riferisce a tecniche analogiche (1973); non si può pertanto fare riferimento alla matrice di pixel che invece costituisce l’elemento fondamentale sul quale è basato il funzionamento dello scan converter digitale (vedi oltre, par. 8.8.1). 17 Analogamente a quanto succede per le lastre fotografiche, dove l’informazione prima dello sviluppo è presente sotto forma di immagine latente.
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corsa, il relè RL (figura 8.11) disinserisce il sistema di scansione B-Mode (indicato con S) e collega le placchette deviatrici al secondo sistema deflettore (indicato con L), progettato per pilotare il pennello elettronico con le modalità seguite per realizzare lo standard televisivo a 625 righe interlacciate (due campi per ogni quadro). Il medesimo pennello elettronico, che modulato in intensità lungo l’asse Z è servito per la scrittura, serve successivamente, non modulato, per la lettura. Esso infatti, guidato secondo la sequenza di pilotaggio dello standard televisivo, colpisce la matrice 18 e neutralizza, riga per riga, le cariche positive prodotte in fase di scrittura, per cui l’anodo, applicato alla parte opposta della matrice, raccoglie gli elettroni rimanenti dopo la neutralizzazione delle cariche positive; il numero di tali elettroni è pertanto il complemento a uno, rispetto a quelli costituenti il pennello incidente in fase di lettura, della distribuzione delle lacune nella matrice di silicio19. Tale corrente complementare, raccolta all’anodo, attraversa la resistenza di carico R e torna al catodo tramite l’alimentatore; la differenza di potenziale che essa genera ai capi di R è manifestamente il segnale video. Questo va a modulare l’asse Z di uno schermo TV, il cui pennello elettronico viene deflesso secondo le modalità dello standard televisivo dal medesimo circuito che contemporaneamente, nella fase di lettura, provvede alla deflessione del pennello nello scan converter. Va osservato che, poiché il pennello elettronico che legge la matrice di silicio può essere realizzato con uno spot dell’ordine di uno o due decimi di millimetro, l’immagine prodotta sia nella scrittura sia nella lettura ha elevata definizione, mentre la scala dei grigi e la sua dinamica è ora caratterizzata dalle prestazioni del sistema televisivo, in particolare dai fosfori del tubo TV a deflessione elettromagnetica. Dal punto di vista pratico le operazioni di scrittura e di lettura si svolgono non come due procedimenti consecutivi, ma riga per riga, nel senso che il pennello elettronico legge una riga e alternativamente scrive la successiva. Questa modalità di lettura-scrittura riga per riga produce sullo schermo televisivo righe nere (periodo di scrittura) e luminose (periodo di lettura); ciò implica uno sfarfallamento (flicker) fastidioso per la visione, che spiega perché lo scan converter analogico abbia avuto una vita assai breve. Altri motivi hanno comunque contribuito all’abbandono di tale dispositivo: in particolare, la velocità di scrittura intrinsecamente modesta e la necessità, essendo il sistema analogico, di frequenti rifocalizzazioni del pennello elettronico, oltre che di altre calibrazioni. Peraltro il difetto più grave è che la funzione di trasferimento della modulazione (FTM)20 dipende in misura eccessiva dal livello di contra18 Gli elettroni del pennello di lettura che colpiscono la matrice vengono accelerati moderatamente, in modo da non produrre emissione secondaria; a tale scopo, in fase di lettura la ddp tra anodo e catodo è minore di quella utilizzata per la fase di scrittura. 19 Se in fase di scrittura giungono n elettroni in un punto della matrice, n elettroni in un altro pun1 2 to (e così via), che danno origine rispettivamente a kn1 e kn2 lacune, in fase di lettura mediante un fascio di N elettroni vengono neutralizzate nell’ordine kn1 e kn2 cariche positive; pertanto si ottengono nell’ordine N–kn1 e N–kn2 elettroni rimanenti, che costituiscono un segnale video in corrente. 20 Si faccia riferimento al primo volume (par. 16.4).
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sto, determinando una significativa degradazione della nitidezza dell’immagine. Per questi motivi la conversione analogica di formato è stata presto sostituita, con successo, da quella digitale. Come si è accennato, questo tipo di conversione ha richiesto l’introduzione dei sistemi digitali negli ecotomografi analogici realizzando in tal modo il primo passo verso la loro completa digitalizzazione. L’utilizzo dello scan converter digitale comporta l’impiego di un microprocessore, necessario per il controllo e l’elaborazione dei dati che, nella fattispecie, sono gli elementi dell’immagine comunque essa venga tracciata, cioè indipendentemente dalle modalità di scansione (delle quali è stata fino a ora descritta solo quella manuale).
8.7 Problemi relativi alla scansione: aspetti generali L’introduzione dello scan converter ha permesso di sostituire lo schermo televisivo allo schermo del tubo RC e di risolvere il problema della riduzione della dinamica del segnale. Disponendo di una dinamica più che doppia rispetto al tubo RC, il tubo televisivo consente, per mezzo di una certa gamma di grigi, una buona rappresentazione di immagini in bianco e nero, nelle quali sono più facilmente evidenziati gli aspetti diagnostici. Ciò ha pertanto costituito un primo importante passo avanti della tecnologia degli ecotomografi. Il secondo grande balzo tecnologico, che ha consentito di raggiungere le elevate prestazioni degli attuali ecotomografi Real-Time, è stato rappresentato dalla sostituzione della scansione manuale con quella automatica. Nella scansione manuale il piezoelemento, fermo rispetto al suo telaio, viene mosso dalla mano dell’operatore sulla superficie del corpo del paziente; la scansione automatica, invece, consente il cambiamento di direzione del fascio ultrasonoro – e dunque il cambiamento di linea di vista indagata – in maniera rigorosamente controllata e del tutto indipendente dalla manualità dell’operatore. La scansione automatica può essere realizzata secondo due modalità: la prima consiste nell’impiego di cinematismi (figura 8.12) che consentono il movimento diretto di uno o più trasduttori intorno a un asse fissato al telaio della sonda (mentre l’operatore tiene quest’ultimo fermo rispetto al paziente); la seconda si avvale dell’attivazione in sequenza di schiere di piezoelementi (che pertanto, durante la scansione, non variano la propria posizione nello spazio), a opera di una logica di controllo. Il primo metodo viene genericamente indicato con l’espressione scansione meccanica, mentre il secondo è definito scansione elettronica21; entrambi consentono un’ulteriore modalità di funzionamento, cioè l’analisi di organi in movimento e la realizzazione di immagini dinamiche necessarie nelle indagini cardiologiche. Nel seguito di questo paragrafo sono illustrati esempi realizzativi della modalità di scansione meccanica, che continua a essere utilizzata per alcune ap21 Tale schematizzazione è valida anche per i moderni sistemi 3D, nei quali la scansione in alcuni casi è “mista” (elettronica e meccanica, elettronica e manuale), se non totalmente di tipo elettronico (trasduttori a matrice).
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plicazioni cliniche. Essa è caratterizzata dall’impiego di pochi piezoelementi (da 1 a 3) di dimensioni relativamente grandi (8÷18 mm), cui corrisponde in generale un elevato f /number, con i vantaggi già trattati nel capitolo 5, tra i quali un’elevata capacità di focalizzazione.
8.7.1 Scansione meccanica La scansione meccanica può essere attuata mediante due classi principali di cinematismi, oscillanti e rotanti. Il primo tipo può essere, per esempio, realizzato da un trasduttore con un unico piezoelemento, focalizzato con lente concava, posizionato su un supporto che viene fatto oscillare intorno a un asse fisso, in modo da spazzolare un determinato angolo, per esempio 60 gradi, con moto pendolare secondo lo schema della figura 8.12a. Il piezoelemento emette impulsi ultrasonori a una prestabilita PRF e riceve gli echi corrispondenti mentre percorre, per esempio, l’angolo + α, a partire dalla posizione oa fino alla posizione ob e ripercorrendo il medesimo angolo in direzione opposta fino a ritornare alla posizione di partenza. Il numero di linee di vista viene stabilito sia dalla PRF, sia dalla velocità angolare del trasduttore. Nella figura 8.13 è riportato uno schema di massima della scansione eseguita da un siffatto sistema e delle corrispondenti tensioni elettriche Vx e Vy , prodotte dal generatore di coordinate e inviate alle placchette del tubo RC. Rispetto al caso di scansione manuale riportato nella figura 8.10, è possibile osservare che le linee di vista coprono in maniera uniforme il campo di vista dell’oggetto e che le corrispondenti tensioni alle placchette possiedono una maggiore regolarità. Il secondo cinematismo utilizzato consiste nel fissare uno o più piezoelementi su un telaio di supporto (o tamburo), che ruota intorno a un asse con velocità angolare uniforme. L’elettronica di controllo abilita il piezoelemento
Figura 8.12. Cinematismi per la scansione meccanica: (a) scansione meccanica oscillante; (b) scansione meccanica rotante.
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Figura 8.13. Scansione meccanica per mezzo di trasduttore oscillante. Ciascuna linea di vista, riportata sullo schermo in colore rosso e numerata, è determinata dalle tensioni Vx e Vy inviate alle placchette deflettrici del tubo RC.
all’emissione degli impulsi, e alla successiva ricezione degli echi, per un determinato spazio angolare, per esempio +α, a partire dalla posizione oa fino alla posizione ob (figura 8.12b). Quindi il piezoelemento rimane inattivo mentre percorre l’angolo supplementare pari a 2π–α, ossia finché non si affaccia nuovamente lungo la direzione oa, ricominciando così il ciclo di scansione. Entrambi i sistemi devono disporre di un generatore di coordinate, che fornisca la posizione angolare del trasduttore per ogni linea di vista. La costituzione e il principio di funzionamento del generatore di coordinate sono diversi per i due sistemi: mentre per la sonda oscillante solitamente si utilizzano potenziometri, per la sonda a rotazione continua si impiegano speciali trasduttori di posizione chiamati encoder. A tale proposito, si osservi lo schema del cinematismo per sonde oscillanti riportato nella figura 8.14. Il disco D, cui è fissata una biella con eccentricità e rispetto al suo asse di rotazione (piede di manovella), ruota pilotato da un motore; durante il moto di rotazione la biella avanza e indietreggia per una corsa pari a 2e. Poiché essa è incernierata al trasduttore T nel punto S, eccentrico di d rispetto al fulcro O, T oscilla intorno a tale fulcro. Il generatore di coordinate è costituito da due potenziometri solidali alle piastrine forate R che, mosse dalla biella in virtù delle aste b1 e b2, sono poste in rotazione attorno ai rispettivi assi o′ e o′′ animando di identico moto di rotazione l’alberino di comando dei potenziometri. I conduttori elettrici di segnale, il cavo schermato uscente da T e i conduttori uscenti dai potenziometri, con il cavo di alimentazione del motore in corrente continua, sono riuniti e raccolti in un unico cavo con il relativo connettore.
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Figura 8.14. Cinematismo per sonda oscillante, con generatore di coordinate costituito da due potenziometri angolari. Il moto del disco D è trasmesso al trasduttore T per mezzo del glifo oscillante B. A sua volta, l’oscillazione di T intorno al fulcro O è trasmessa ai potenziometri angolari del generatore di coordinate R tramite le aste b1 e b2.
Il principale inconveniente di questo tipo di sonda è rappresentato dalle vibrazioni sempre presenti in un meccanismo oscillante. Uno schema di funzionamento delle sonde a rotazione continua è mostrato nella figura 8.15. Esso è meccanicamente meno complesso del precedente, anche se l’estrazione dei segnali provenienti dal trasduttore alloggiato su una testa rotante implica la presenza di contatti striscianti, oppure di un trasformatore rotante allocato entro la testa (come nelle figure 8.15b e 8.17b). In questo ultimo caso si osserva come all’uscita del trasformatore siano presenti sia i segnali RF, destinati allo stadio ricevitore, sia un segnale di riferimento (prodotto per esempio da un piccolo magnete), utile non solo per stabilire un riferimento angolare assoluto del trasduttore nello spazio, ma anche per valutare il numero di giri al minuto compiuti dal trasduttore. La sonda a rotazione continua è più bilanciata di quella oscillante, ma egualmente poco gradita agli utilizzatori per il fastidio causato dagli organi interni in movimento, che comunque producono vibrazione. Per meglio comprendere il funzionamento di una sonda meccanica a testa rotante, si faccia riferimento alla figura 8.16: tre cristalli piezoelettrici22 Pz1, Pz2, Pz3
22 Spesso i cristalli sono due: uno per l’immagine B-Mode, uno per quella Doppler, mentre il terzo posto è riempito da un corpo di massa tale da bilanciare il tamburo.
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Figura 8.15. Sonda a scansione meccanica a rotazione continua con due piezoelementi attivi. (a) Cinematismi per la trasmissione del moto: motorino passo-passo M e testa rotante G della sonda. (b) Particolari del generatore di coordinate: encoder E posto in prossimità del motorino passo-passo e avvolgimenti K del trasformatore rotante situati sulla testa del trasduttore.
Figura 8.16. Scansione mediante sonda meccanica: i tre elementi piezoelettrici PZ1, PZ2 e PZ3 ruotano solidali al supporto cilindrico S e generano le successive linee di vista all’interno del settore di interesse AB.
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sono allocati, a 120 gradi uno rispetto all’altro, su un supporto cilindrico S posto in rotazione attorno al suo asse, per esempio mediante una cinghietta dentata (mostrata nella figura 8.17), a sua volta azionata da un motore passo-passo pilotato in frequenza oppure da un motore in corrente continua. I tre piezoelementi sono alimentati per mezzo di un trasformatore rotante, il cui secondario è avvolto e solidale al supporto cilindrico, mentre il primario è fisso e solidale al telaio della sonda. Nella pratica realizzativa il supporto S dei piezoelementi ruota entro un contenitore, posto a contatto con la pelle del paziente, riempito di olio lubrificante di impedenza simile a quella dei tessuti (in genere un olio tipo Castrol23); nella figura 8.16 si osserva uno schema del supporto cilindrico dove il piezoelemento Pz1, il cui asse di emissione rappresenta la linea di vista, è orientato perpendicolarmente alla superficie corporea del paziente. Il funzionamento è il seguente. Il supporto S è posto in rotazione e ciascun piezoelemento in esso contenuto viene alimentato, a partire da una certa posizione angolare, con frequenza di eccitazione stabilita dalla PRF. L’elemento Pz1 viene per esempio24 eccitato nel corso della rotazione, mentre percorre dal punto A al punto B un arco di 60 gradi, in modo da emettere tre impulsi per grado e acquisire perciò in ricezione tre linee di vista per ogni grado di rotazione: nell’arco di 60 gradi vengono pertanto tracciate 180 linee di vista che costituiscono una prima scansione. Quando il piezoelemento abbandona l’arco AB nel punto B, dopo aver acquisito la 180-esima linea di vista, si affaccia alla finestra di osservazione il piezoelemento Pz2, che inizia a tracciare la prima delle sue successive 180 linee di vista e così via. L’insieme delle linee di vista generate da ognuno dei piezoelementi Pz1, Pz2 e Pz3 costituisce un quadro; nel caso riportato i quadri che vengono descritti sono tre per ogni giro del supporto S e, se quest’ultimo ha per esempio velocità di 600 giri al minuto, ossia 10 giri al secondo, è possibile descrivere 30 quadri al secondo, ottenendo così una cadenza superiore a quella cinematografica (24 fotogrammi al secondo). Grazie al dispositivo descritto si sono ottenuti tre importanti risultati: l’automatizzazione della scansione; la rappresentazione di fenomeni in movimento (con 30 quadri al secondo è possibile visualizzare il movimento degli organi senza che l’occhio percepisca la successione dei quadri); infine la semplicità, e quindi l’economia, della parte elettronica che deve pilotare solamente tre cristalli (tale considerazione va posta in relazione con quanto discusso nel paragrafo successivo, dove si potrà osservare che le sonde a scansione elettronica, essendo composte da decine o centinaia di piezoelementi, richiedono la costruzione di altrettanti canali di amplificazione ed elaborazione dei segnali). La prima importante applicazione della sonda a scansione meccanica è stata quella riguardante gli esami cardiologici, resi possibili dalla modesta di23
Castrol è il nome commerciale dei derivati dell’olio di ricino (in inglese castor oil). La varietà di modelli e realizzazioni tecnologiche non consente di individuare uno standard per la scansione meccanica (ciò vale anche per quella elettronica); perciò tutti i dati di seguito riportati sono da intendersi a titolo di esempio. 24
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Figura 8.17. Sonda meccanica a tre elementi. (a) Vista generale delle lenti acustiche (rosa), ciascuna corrispondente a un piezoelemento, dei cinematismi di trasmissione del moto (cinghia e ruote dentate), del motore e dell’encoder per la generazione delle coordinate spaziali. (b) Spaccato del trasformatore rotante: si osservano, per ciascun piezoelemento, gli avvolgimenti primari (fissi sullo statore) e secondari (in moto con il rotore e solidali alla testa della sonda). (c) Testa della sonda nel complesso: si individuano i supporti di S e il contenitore dell’olio (in trasparenza).
mensione radiale della testa, che può pertanto inserirsi nello spazio intercostale. Il formato dell’immagine ottenuta con questa categoria di sonde, è del tipo a settore circolare, di ampiezza angolare variabile in genere tra 60 e 90 gradi; la profondità visualizzata nell’immagine può variare, a seconda della frequenza di risonanza del piezoelemento e della PRF impostata25, da qualche
25 Si ricorda che la massima profondità da cui è possibile ricevere echi utili ai fini dell’immagine dipende dall’attenuazione subita dalla radiazione ultrasonora nel mezzo e dunque dalla frequenza di oscillazione; per tale motivo, nella pratica realizzativa i progettisti impostano il range di variazione della PRF (parametro da cui dipende in ultima analisi la profondità di scansione riportata sul display dell’ecografo) in funzione della frequenza di risonanza propria dei trasduttori impiegati.
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centimetro a una ventina di centimetri. Gli svantaggi più significativi della scansione meccanica riguardano, in particolare l’usura delle parti in rotazione26, il fastidio procurato all’operatore dalle vibrazioni e l’impossibilità di variare la posizione della zona focale all’interno del campo di vista27. Tutti questi problemi sono stati totalmente superati con l’introduzione delle sonde a scansione elettronica.
8.8 Scan converter digitale e ecotomografo Real-Time Le immagini prodotte dalle prime sonde meccaniche presentavano carenze dovute sia alle caratteristiche intrinseche del loro formato, sia alle limitate prestazioni della conversione analogica di scansione. Il formato settoriale presenta infatti una densità non uniforme delle linee di vista, che risultano più fitte in prossimità della sonda e progressivamente divergenti le une dalle altre a profondità crescenti. Lo scan converter analogico ha anch’esso difetti intrinseci, e quindi non superabili, che richiedono frequenti ricalibrazioni, limitandone l’utilizzo nella normale pratica clinica. La spinta allo sviluppo di apparecchi ecotomografici con prestazioni più elevate, in termini sia di qualità delle immagini sia di affidabilità delle caratteristiche tecnologiche, ha condotto alla soluzione della digitalizzazione del segnale in uscita della sonda che ne consente la riproposizione direttamente sullo schermo di un monitor televisivo, secondo opportune regole, trattate nel presente paragrafo28. Lo scan converter digitale (DSC, Digital Scan Converter) ha costituito nei primi anni ottanta la sostanziale e risolutiva innovazione nel campo dell’ecotomografia Real-Time, resa possibile dal grande sviluppo e dalla larga diffusione della tecnologia dei computer, conseguente alla più ampia accessibilità di prodotti commerciali dal costo relativamente contenuto, ma dalle elevate prestazioni. L’introduzione del DSC ha consentito, in particolare, la scansione automatica delle sonde elettroniche, che richiedono una complessa gestione temporale di centinaia di piezoelementi con diverse modalità. Il DSC è in tal senso diventato il cuore logico dell’intero ecotomografo Real-Time; per tale 26 Tra i maggiori inconvenienti riscontrabili si annovera in particolare la perdita di olio dalla capsula che contiene la testa rotante. 27 Infatti le sonde meccaniche per esami cardiologici montano trasduttori circolari con diametro dell’ordine del centimetro, il cui fuoco è pertanto fisso e di solito allocato tra 50 e 80 mm. Per sopperire a tale limite, le prime apparecchiature Real-Time venivano accessoriate con adattatori, che consistevano in uno spessore aggiuntivo di bassissima attenuazione (idealmente nulla), introdotto tra la superficie emittente della sonda e la pelle del paziente, il cui effetto diretto era quello di spostare il fuoco verso gli strati biologici più superficiali, in modo da consentirne la visualizzazione nelle migliori condizioni di risoluzione. 28 Si osserva che in questo caso l’unico elemento le cui prestazioni rimangono comunque eventualmente influenzate dal tempo è il tubo televisivo, o il suo equivalente (per esempio la matrice TFT nei monitor LCD); questo elemento è praticamente ineliminabile poiché, essendo l’immagine destinata all’occhio umano, che a livello macroscopico è analogico, è necessario che sia tale anche la sua interfaccia con la macchina.
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motivo si è ritenuto opportuno descrivere il funzionamento dello scan converter digitale prima di illustrare le sonde a scansione automatica elettronica. Alla base del funzionamento del DSC vi è il medesimo principio sul quale è fondato lo scan converter analogico: in entrambi i casi, infatti, si tratta di scrivere l’immagine su un determinato supporto fisico, secondo un dato formato, e quindi di leggerlo sul medesimo supporto, secondo un formato stabilito dalle modalità di descrizione dell’immagine utilizzata nel raster televisivo. La differenza sostanziale tra i due sistemi consiste fondamentalmente nel fatto che il supporto relativo al sistema analogico è costituito da una matrice di biossido di silicio con una risoluzione di 1000 × 1000 elementi, mentre nel sistema digitale il supporto è una matrice29 di n × n elementi (normalmente 512 × 512 elementi), ciascuno dei quali corrisponde a un pixel dell’immagine ed è rappresentato da un numero binario funzione dell’ampiezza30 dell’eco. In teoria il sistema analogico possiede risoluzione superiore rispetto a quello digitale (circa doppio per n = 512), poiché le dimensioni della sezione retta del pennello elettronico, che opera sulla matrice di biossido di silicio, possono raggiungere il diametro di 0,1 mm31; tuttavia tale risoluzione viene in parte peggiorata dal pennello elettronico del tubo RC in corrispondenza dello schermo TV, che presenta minore accuratezza nella deflessione (elettromagnetica) ed è caratterizzato da dimensioni della sezione retta maggiori di 0,1 mm. Perciò nella pratica realizzativa il sistema digitale (che può comunque utilizzare anche matrici di dimensioni superiori a 512 × 512) ha oggi risoluzione pari o superiore a quella a suo tempo possibile con gli scan converter analogici. Il DSC presenta anche altri vantaggi, tra i quali la produzione di immagini stabili e prive di sfarfallio, dalla possibilità di scrivere e leggere contemporaneamente (su righe diverse). Il sistema consente infine di immagazzinare un’immagine come insieme di dati elaborabili in ogni momento; da essa può quindi essere estratta, anche in momenti diversi, una grande quantità di informazioni, di carattere sia geometrico (misure morfologiche) sia diagnostico, mediante opportune modifiche che si esamineranno nei paragrafi successivi.
8.8.1 Fondamenti dello scan converter digitale Come già visto (anche se con riferimento alle sonde meccaniche), l’immagine di partenza è costituita da un insieme di viste che, complessivamente, formano il quadro. Indipendentemente dal tipo di sonda, sia essa a scansione meccanica o a scansione elettronica, ciascuna linea di vista, che si sviluppa a partire dalla sonda procedendo verso l’interno del corpo in esame, è composta da
29
È una memoria volatile di tipo RAM (Random Access Memory). Il tipo di elaborazione degli echi è adottato dalle diverse case costruttrici senza uno standard di riferimento: laddove molti utilizzano gli inviluppi degli echi, vale a dire i segnali demodulati, solo recentemente alcuni operano direttamente sugli echi in radiofrequenza, per avvalersi di informazioni utili ai fini dell’immagine (come quelle contenute nella fase). 31 Vedi p. 433 e nota 16. 30
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Figura 8.18. Conversione di formato dalla scansione polare alla rappresentazione cartesiana del raster TV. Il punto A sulla linea di vista (a) può essere riallocato nel raster TV (b) direttamente su una linea di scansione (A′) o nell’interspazio tra due linee successive (A′′); in quest’ultimo caso l’informazione originaria non viene visualizzata e, pertanto, non contribuisce alla formazione dell’immagine ecografica.
un grande numero di punti, più o meno luminosi a seconda di come sono prodotti dalla modulazione dell’asse Z, il che si traduce in una distribuzione dei grigi secondo un’opportuna scala lungo ciascuna linea. Con riferimento alla figura 8.18a, sia A un punto appartenente alla generica linea di vista inclinata di un angolo θ rispetto alla verticale passante per il centro della sonda; la posizione di A in coordinate polari è rappresentata dal modulo ρ e dall’angolo θ del vettore posizione O′A. Si consideri ora l’immagine che deve essere costruita su uno schermo sulla base di una scansione televisiva, costituita da un certo numero di righe luminose poste tra loro a piccola distanza (interlinea), e ci si ponga il problema di quale sarà la posizione, all’interno di tale immagine, del punto A trasferito dall’immagine polare. Nel processo di conversione dal formato polare della figura 8.18a proveniente dalla scansione operata dalla sonda, può accadere che A si disponga su una riga della figura 8.18b, in corrispondenza per esempio di A′, oppure che vada a occupare una posizione tra due righe successive, per esempio in corrispondenza di A′′; in questo secondo caso l’informazione costituita dalla tonalità di grigio del punto A (e quindi in sostanza dalla sua luminosità) non viene utilizzata. In altri termini, se A è un punto della griglia polare, non è detto che il risultato A′′ della conversione di A coincida con un punto della griglia rettangolare. Affinché il dato acquisito, corrispondente al punto A, venga utilizzato e l’informazione non vada perduta, si può assegnare il suo valore ai punti della griglia rettangolare immediatamente adiacenti, con varie tecniche di interpolazione. In definitiva si tratta di convertire un insieme di valori discreti, estratti dalla rappresentazione polare (griglia polare), in altri valori discreti, realizzati in coordinate rettangolari (griglia rettangolare) compatibili con i primi in una condizione nella quale l’informazione di partenza (da A) può ricollocarsi in A′′ fuori dalla griglia di arrivo, con conseguente perdita del dato.
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Figura 8.19. Scansione meccanica. (a) Rappresentazione polare. (b) Immagazzinamento del dato nella matrice polare di scansione: ciascun elemento zir rappresenta l’ampiezza dell’eco proveniente dal punto di coordinate θi, ρr nel piano di scansione, immagazzinato nella cella di memoria all’indirizzo colonna i riga r.
Con riferimento alla figura 8.19, si supponga che il trasduttore emetta un impulso lungo la generica direzione individuata dall’angolo θi all’interno di un settore circolare, nel quale le linee di vista sono in genere angolarmente equispaziate. Idealmente, per ogni impulso emesso lungo l’i-esima direzione si ricevono echi provenienti dalle discontinuità del tessuto unicamente lungo di essa32. Si supponga ora di abilitare la ricezione di tali echi ogni rΔt secondi, il che equivale a ricevere echi provenienti da una profondità pari a ρr = crΔt/2, dove c è la velocità del suono nel mezzo; in tal modo il piano della scansione viene individuato dalle coordinate polari (ρ, θ) e in esso, ai valori degli indici (i, r), corrispondono impulsi ricevuti secondo angoli θi da profondità ρr. Le proprietà acustiche del tessuto indagato vengono pertanto campionate nel settore circolare con passo angolare Δθ = (θi+1–θi) e passo radiale Δρ = (ρr+1–ρr). Il numero totale di echi acquisiti è pari al numero I di direzioni indagate per il numero R di campioni di cui è composta ogni linea di vista. Al termine di questa operazione si è ottenuta una matrice polare di scansione P di dimensioni R × I, per esempio pari a 396 livelli di profondità33 per 121 linee di vista (figura
32 In realtà la sonda possiede una sensibilità anche per direzioni diverse rispetto all’asse di propagazione, a causa dei lobi laterali della funzione di direttività (come visto nel capitolo 5). Per tale motivo è possibile che echi provenienti da direzioni diverse da quella di trasmissione (direzione del lobo principale) vengano percepiti e associati a essa; ciò conduce a una visualizzazione errata dell’interfaccia che li ha generati e costituisce un tipico esempio di artefatto (illustrato nella figura 8.51). 33 I valori sono tratti da T.A. Soup, J. Hart (1988) Ultrasonic imaging systems. The Xth IEEE Ultrasonic Symposium X: 863-871.
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8.20a). In ciascuna cella di memoria della matrice è allocato un valore numerico proporzionale all’ampiezza dell’eco ricevuto dalla posizione (ρr, θi); perciò ogni cella di memoria rappresenta un pixel polare di estensione (Δρ, Δθ). Il valore I del numero delle linee di scansione può essere calcolato mediante la relazione I≤
c 2LFR
[8.6]
nella quale L è la massima profondità indagata, mentre FR è la frequenza di ripetizione dell’immagine. L’ecotomografo infatti non può acquisire echi lungo una nuova linea di scansione prima che sia tornato l’eco dalla massima profondità L, cioè dopo un tempo pari a 2L /c. Se questo è il tempo di attesa (minimo) per l’acquisizione di una linea di vista, la frequenza di scansione (vale a dire il numero di linee di vista scandite nell’unità di tempo) risulta inferiore o al più uguale al valore massimo c /2L. Poiché l’insieme delle I linee di scansione costituisce un singolo quadro, che viene aggiornato con la frequenza FR, e dunque dopo un tempo 1/FR, il tempo 2LI/c necessario per scandire I linee di vista dovrà essere inferiore a tale tempo di refresh 1/FR. Risulta pertanto giustificata la relazione [8.6] che, applicata in pratica, assumendo per esempio c ≅ 1500 m/s, L = 20 cm e FR = 25Hz, fornisce I ≤1500 m s–1/(2·20 cm·25 Hz) = 150 linee di scansione. Al fine di modulare punto per punto la luminosità dello schermo dell’ecotomografo, secondo una scala di grigi rappresentativa delle ampiezze degli echi ricevuti, è necessario compiere un’opportuna elaborazione dei dati contenuti nella matrice P. Come già esposto a proposito del potere risolutivo dei sistemi TV 34, il pennello elettronico dello schermo dell’ecotomografo viene deflesso per tracciare un certo numero N di linee (per esempio le circa 400 linee effettive35 dello standard TV europeo), a cui è altresì possibile associare un certo numero M di colonne (poco più di 500 nello standard TV europeo). In definitiva il tracciamento dell’immagine sullo schermo avviene secondo una matrice rettangolare di rappresentazione (matrice immagine) di N × M elementi (per esempio 500 × 400), il cui valore numerico è proporzionale all’intensità luminosa dei punti sullo schermo, individuati da coordinate cartesiane (rettangolari). Per indirizzare i punti della scansione settoriale, propria della sonda ecografica, ai corrispondenti punti del quadro rettangolare, proprio della rappresentazione su un monitor televisivo, si effettua come già stabilito una conversione di coordinate. Dato che i punti sullo schermo televisivo sono più numerosi di quelli acquisiti durante la scansione, è inoltre necessario procedere a un’interpolazione per rappresentare sulla griglia rettangolare N × M i dati pre34
In proposito il lettore può consultare il primo volume (par. 16.5). Si ricorda che lo standard televisivo europeo prevede un raster di 625 righe, delle quali solo poco più di 400 sono utili ai fini dell’immagine. 35
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senti nella matrice P. In generale, il problema è direttamente riconducibile a una usuale trasformazione da coordinate polari a coordinate cartesiane, e viceversa, secondo le relazioni x = ρ cosθ ρ = x2 + y2
y = ρ sinθ ⎛ x⎞
θ = arctg ⎜ ⎟ ⎝ y⎠
[8.7] [8.8]
Esse risolvono analiticamente il problema nel caso continuo, mentre nel caso in esame, sia i punti acquisiti sul piano di scansione del trasduttore, sia quelli rappresentabili sullo schermo del monitor, sono in numero finito. Come sopra accennato, all’interno del settore di scansione vengono acquisiti R × I punti, che devono essere riprodotti mediante N × M punti rappresentabili sullo schermo, e in generale non vi è corrispondenza tra i punti acquisiti nel corso della rappresentazione polare e quelli della rappresentazione rettangolare. Infatti, con riferimento alla figura 8.20, a un punto (ρr, θi) rappresentativo dell’origine dell’eco lungo le linee di vista nel settore circolare può non corri-
Figura 8.20. Assegnazione dei pixel in coordinate rettangolari (schermo TV) a partire dai dati acquisiti lungo le linee di vista. (a) Immagine settoriale composta da I = 121 linee di scansione, ciascuna di R = 396 campioni, corrispondente alla matrice polare di scansione. (b) Reticoli relativi alla matrice polare di scansione (in rosso), di dimensione R × I, e a quella rettangolare del raster TV (in nero), composta da 480 × 640 pixel. Si osserva come a un campione della matrice polare non corrisponda necessariamente un pixel della matrice rettangolare; ciò richiede un’operazione di interpolazione per attribuire a ciascun pixel nel raster TV il livello di grigio opportuno.
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· Ecotomografia
Figura 8.21. Interpolazione lineare lungo una singola linea di vista. I valori di ampiezza z(P1k), relativi alle intersezioni P1r (dove r = 1,2,3 ecc.) della linea di vista 1 con la griglia rettangolare, vengono attribuiti mediante interpolazione dei valori z(Pir), cioè dei valori acquisiti lungo tale linea di scansione in corrispondenza dei punti indicati con le lettere A, B, C, D ed E.
Figura 8.22. Interpolazione lineare lungo una singola linea orizzontale del raster TV. I valori di ampiezza relativi ai punti di griglia rettangolare (pixel del raster televisivo), non appartenenti a una qualsiasi linea di vista, sono attribuiti mediante interpolazione dei valori corrispondenti ai punti più vicini appartenenti a due linee di vista adiacenti.
Capitolo 8
· La formazione dell’immagine ecografica
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spondere un punto (x*, y*) della griglia rettangolare relativa allo schermo televisivo e viceversa. È necessario perciò definire una logica, secondo la quale possa essere effettuata la conversione tra i due sistemi di scansione (polare e rettangolare, entrambi discreti), che consenta di stabilire quale livello di grigio z possa essere assegnato a ciascun punto della matrice di rappresentazione rettangolare 36, in funzione della posizione e dell’ampiezza degli echi nei punti della matrice polare di acquisizione. La più semplice tecnica di interpolazione è quella detta del punto più prossimo (NNIA, Nearest Neighbour Interpolation Algorithm) e consiste nell’attribuire al pixel sullo schermo il valore z del dato acquisito P (di coordinate x, y fornite dalle relazioni [8.7]) che gli sta più vicino. Come appare evidente nella figura 8.20, poiché i punti sullo schermo sono in numero maggiore rispetto ai dati acquisiti, a più punti dello schermo viene attribuito il medesimo livello di grigio e ciò conduce a delle approssimazioni manifestamente drastiche, dando origine a fenomeni di aberrazione (effetto moiré) e quindi a bassa qualità dell’immagine. Le tecniche più complesse di interpolazione usualmente utilizzate procedono concettualmente effettuando due distinti passaggi. Con riferimento alle figure 8.21 e 8.22, vengono dapprima individuate le intersezioni Pir (indicate in rosso) tra le linee di scansione della sonda e la matrice rettangolare di rappresentazione37, dove si ricorda che i pedici i e r individuano la posizione del dato nella matrice polare di scansione (figura 8.17). Per la linea di vista 1 esse sono i punti da P11 a P18, ai quali viene attribuito un valore di ampiezza mediante interpolazione a partire dai valori campionati relativi ai punti A, B, C, D ed E, come riportato nella figura 8.21, nella quale è illustrato un esempio di interpolazione lineare, che è la tecnica più semplice e rapida. La stessa operazione viene eseguita per ogni altra linea di vista, per esempio sulla linea di vista 2, relativamente alle intersezioni da P21 a P29, interpolando (per esempio linearmente) i valori dei campioni F, G, H, I e L. Successivamente vengono attribuiti i valori di grigio ai punti appartenenti a una linea del raster televisivo che non costituiscono intersezione con la linea di vista (nella figura 8.22 sono per esempio evidenziati i punti della riga 3 della matrice rettangolare, ai quali sono stati attribuiti i valori di ampiezza dell’eco Z1, Z2 e Z3). Tale attribuzione viene realizzata effettuando un’operazione di media pesata tra i valori di luminosità già attribuiti con la precedente operazione di interpolazione; in particolare i pesi sono proporzionali alle distanze dalle due linee di vista più vicine a ciascun punto Z della figura 8.22. Ancora con riferimento alla figura 8.22 si ha per esempio:
36 In teoria, a questo grado di elaborazione non è ancora possibile parlare di livelli di grigio, bensì di numeri; questi vanno peraltro considerati come rappresentativi di un’ampiezza di segnale ormai quantizzata, a valle di un’operazione di conversione da analogico a digitale. La descrizione di un’ampiezza mediante un numero finito di livelli verrà ampiamente trattata nel seguito. 37 Si osservi che nell’esempio della figura i punti B e H, appartenenti alla griglia polare (e quindi costituenti un dato acquisito), capitano esattamente su una linea di scansione televisiva.
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( ) ( ) = 0, 50 z (P ) + 0, 50 z (P ) = 0, 25 z (P ) + 0, 75 z (P )
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Z1 = 0, 75 z P15 + 0, 25 z P27 Z2 Z3
14
26
13
25
[8.9]
La tecnica descritta è dunque fondata su due distinte interpolazioni lineari: la prima viene effettuata per calcolare un livello di grigio lungo le singole linee di vista (cioè un dato numerico che va considerato rappresentativo di un’ampiezza); la seconda in direzione laterale tra due linee di vista adiacenti. In tal modo viene completamente individuato il livello di grigio da attribuire a ogni elemento della griglia cartesiana (pixel). Si consideri tuttavia che la risoluzione assiale (determinata dalla lunghezza dell’impulso) è solitamente migliore di quella laterale; la conversione di coordinate necessita, pertanto, di maggiore accuratezza di interpolazione in direzione laterale; tale esigenza viene soddisfatta utilizzando interpolazioni di ordine superiore, quale per esempio quella cubica. Si ritiene utile accennare qui brevemente a una più recente tecnica di conversione, adottata nei moderni ecotomografi, definita interpolazione bilineare. Il termine bilineare deriva dal fatto che il valore da attribuire al pixel cartesiano è ottenuto interpolando contemporaneamente, sia in direzione assiale sia
Figura 8.23. Assegnazione dell’ampiezza z al pixel P mediante interpolazione bilineare a partire da quattro valori acquisiti.
Capitolo 8
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in direzione laterale, a partire dai quattro dati acquisiti più vicini a esso; questi punti costituiscono i vertici del pixel polare nel quale è contenuto il pixel del raster televisivo (nello schema della figura 8.23 tali punti sono indicati con P1, P2, P3 e P4). Il valore Z da attribuire al pixel P viene cioè calcolato come media pesata dei valori acquisiti in corrispondenza dei quattro punti adiacenti (P1÷P4), ponendo come pesi le rispettive distanze assiali dρ e 1–dρ (normalizzate rispetto al passo assiale di griglia) e laterali dθ e 1–dθ (normalizzate rispetto al passo laterale) per ottenere la relazione generale 4
Z = s1z1 + s2 z 2 + s3 z 3 + s 4 z 4 = ∑ si z i i=1
[8.10]
Si può dimostrare che, nella combinazione lineare [8.10] dei valori zi = z(Pi), relativi ai quattro punti adiacenti (P1÷P4), i coefficienti si sono ottenuti a partire dalle distanze da P secondo le s1 = (1 − d ρ )(1 − d θ ) s2 = (1 − d ρ )d θ s3 = d ρ d θ
[8.11]
s 4 = d ρ (1 − d θ )
8.8.2 Blocchi funzionali per la costruzione dell’immagine Tornando alla doppia interpolazione lineare, uno schema di principio idoneo alla descrizione dei blocchi funzionali che realizzano la scan conversion digitale mediante interpolazione (assiale prima e laterale poi), secondo quanto descritto in precedenza, è illustrato nella figura 8.24. I blocchi funzionali sono generalmente organizzati in maniera da rendere minimo sia l’hardware impiegato, sia il tempo necessario per portare a termine la conversione di coordinate e la presentazione del dato sullo schermo. Il processo avviene come descritto di seguito. I dati acquisiti lungo ciascuna linea di vista si presentano all’ingresso del blocco di interpolazione assiale38. Questo è informato, istante per istante, dell’angolazione θ della linea e della profondità ρ del dato allo scopo di determinare le intersezioni con le diverse linee orizzontali del formato rettangolare e di procedere all’interpolazione. In pratica, con riferimento alle figure 8.21 e 8.22, l’indirizzo di ciascuna intersezione viene calcolato a partire dall’angolo θ di deflessione del fascio e dalla distanza tra due linee successive del raster televisivo.
38
Per esempio interpolazione cubica.
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Figura 8.24. Schema a blocchi dello scan converter digitale. I dati analogici in ingresso (ampiezza z dell’eco dal trasduttore e coordinate ρ e θ dal generatore di coordinate) sono relativi a linee di vista successive. Dopo essere stati digitalizzati nel blocco ADC, questi dati subiscono una prima interpolazione (interpolazione assiale); i risultati di tale operazione vengono gestiti all’interno di due memorie temporanee (buffer 1 e buffer 2), che lavorano in modo da consentire un flusso continuo e ordinato di dati, e inviati a un blocco di interpolazione laterale. I dati numerici in uscita relativi al formato x-y rettangolare – matrice rettangolare z(n,m), dove n e m sono gli indici di riga e colonna – vengono memorizzati in due memorie (matrice immagine), per poi essere processati mediante una tavola di assegnazione LUT di livelli di grigio (postprocessing) e convertiti nel blocco DAC in un segnale analogico, successivamente rappresentato sul monitor televisivo.
I valori interpolati assialmente vengono memorizzati nelle memorie temporanee (buffer) A e B. Poiché, per minimizzare il tempo di esecuzione della scan conversion, è fondamentale eseguire l’interpolazione assiale contemporaneamente a quella laterale, i dati provenienti dall’interpolazione assiale di una parte (per esempio la metà) del settore di scansione vengono scritti nella memoria A, mentre nello stesso istante vengono letti dalla memoria B, e inviati all’interpolatore laterale i dati relativi all’altra metà del settore, già interpolati assialmente durante il ciclo precedente. Alla fine di ciascun ciclo, vengono scambiati i ruoli di lettura e scrittura tra le memorie A e B e si procede all’interpolazione completa di un nuovo settore.
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L’interpolatore laterale, per esempio di tipo lineare, assegna a ciascun pixel un valore individuato in base alla media pesata [8.9] dei valori ottenuti dall’interpolatore assiale, in corrispondenza delle due linee di vista adiacenti al pixel stesso. In maniera analoga a quanto stabilito per le memorie temporanee A e B, anche i dati provenienti dall’interpolatore laterale relativi a mezzo settore vengono scritti (per esempio) nella memoria video C, mentre l’altra metà dei dati interpolati, già precedentemente scritta in D, viene inviata agli stadi successivi. Questo tipo di gestione delle memorie viene detta ping-pong a causa dell’alternarsi delle due RAM nei ruoli di lettura e scrittura. Per mezzo di una tavola di assegnazione (LUT, Look-up table) il valore numerico presente in memoria, rappresentativo dell’ampiezza dell’eco, viene convertito in un livello di grigio assegnato al corrispondente pixel39 (il cui indirizzo è anch’esso in memoria). Un convertitore da digitale ad analogico provvede infine a trasformare i dati corrispondenti a ciascun pixel in altrettanti segnali elettrici atti a pilotare il pennello elettronico del monitor TV. La necessità di effettuare in tempo reale la conversione di formati, ha trasformato la tecnica di elaborazione dei segnali attraverso la digitalizzazione introducendo, rispetto allo schema generale della figura 8.9, un nuovo importante blocco funzionale, che riguarda specificamente l’elaborazione digitale delle immagini (image processing). L’elaborazione del segnale in uscita dalle sonde, sia meccaniche sia a scansione elettronica (sonde multielemento), richiede come già visto un controllo molto accurato della tempistica di attivazione dei piezoelementi impiegati (beam forming), funzione svolta da un blocco specificamente dedicato. Queste due importanti funzioni, image processing e beam forming, richiedono che l’intero cammino percorso dal segnale, a partire dal trasduttore fino alla formazione dell’immagine sul monitor TV, sia trattato digitalmente; esse sono incluse nello schema della figura 8.25, analogo a quello della figura 8.9, i cui elementi vengono descritti nel seguito. Lo schema della figura 8.25 si compone di cinque blocchi, per ciascuno dei quali si individua un doppio percorso del segnale; con il colore blu viene indicato il percorso relativo alla formazione dell’immagine ecografica in scala di grigi, destinata alla rappresentazione B-Mode Real-Time (imaging), mentre in rosso viene indicato il percorso del segnale destinato alla rappresentazione del flusso sanguigno all’interno di arterie e vene (rappresentate nell’immagine Real-Time) e delle grandezze fluidodinamiche a esso correlate. Di questo secondo tracciato si riferirà nei capitoli 11 e 12, mentre qui viene decritta la parte relativa alla modalità di rappresentazione B-Mode Real-Time. Il primo blocco dello schema è relativo alle operazioni compiute sui segnali inviati alla sonda (in trasmissione) e su quelli da essa a sua volta inviati (in
39 Anche se dal punto di vista concettuale i valori numerici memorizzati nella matrice immagine sono diversi dai livelli di grigio, poiché i primi riguardano l’ampiezza degli echi ricevuti dal trasduttore, mentre i secondi codificano un livello di luminosità, il numero di livelli in cui il segnale eco è quantizzato dal blocco ADC e memorizzato è pari comunque al numero di livelli di grigio rappresentabili. Pertanto si può parlare di livelli di grigio già a valle dell’ADC.
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Figura 8.25. Schema a blocchi di un ecotomografo Real-Time. In azzurro è riportato il percorso del segnale B-Mode, in rosso quello relativo alla funzionalità Doppler.
ricezione); tali operazioni sono indicate come beam forming e descritte con maggiore dettaglio nei paragrafi successivi a proposito delle sonde elettroniche. I segnali in ingresso e in uscita dalla sonda sono analogici e pertanto analogici sono i componenti che procedono all’amplificazione in radiofrequenza RF mediante il TGC (Time Gain Compensator); nell’ambito dello stesso blocco questi segnali vengono convertiti in digitale. Nel caso delle sonde elettroniche, nel medesimo blocco vengono successivamente effettuate le operazioni di focalizzazione, scansione, apodizzazione e somma40. Il secondo blocco riguarda l’elaborazione del segnale relativo alla singola linea di vista, spesso denominata in letteratura come vettore. Le operazioni compiute sono quelle indicate nella figura 8.9 (e anche nella figura 7.19); nella presente descrizione la compensazione effettuata dal TGC viene attuata in analogico. La differenza sostanziale tra l’elaborazione di tipo analogico e quella di tipo digitale risiede nelle diverse modalità con le quali viene trattata la dinamica del segnale (vale a dire il range di ampiezza che caratterizza il se-
40
Il significato di tali termini verrà descritto in seguito.
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gnale dopo la compensazione della distanza) e nelle differenti modalità con cui esso viene fatto pervenire alla presentazione finale. Il segnale digitalizzato41 può essere infatti espresso in termini di livelli, poiché la matrice immagine è ora composta di elementi binari ed è caratterizzata da una profondità (depth) pari al numero di bit degli elementi (di norma la profondità è di 8 bit, il che corrisponde a 255 intervalli tra il livello 0 di minimo e il livello 255 corrispondente al massimo valore rappresentabile)42. In virtù della maggiore facilità di elaborazione, le modalità di presentazione del segnale digitalizzato non sono prefissate, ma possono essere variate a seconda delle necessità diagnostiche. L’elaborazione del segnale ecografico, infatti, implica la scelta del tipo di corrispondenza tra i decibel di dinamica residua, a valle del TGC, e i livelli di grigio visualizzati sul monitor dell’ecotomografo; nel caso di segnale digitalizzato, tale corrispondenza consiste in un’elaborazione di tipo numerico. Per quanto riguarda la compressione del segnale, nel senso di una diminuzione della sua dinamica43, viene di seguito illustrato come essa consti concettualmente di due stadi44. Nella figura 8.26 è illustrata schematicamente l’operazione di compressione attuata sul segnale, memorizzato successivamente nella matrice immagine; i valori numerici z memorizzati sono ottenuti a partire da una dinamica xMAX–xMIN di segnale eco in ingresso al primo stadio pari a 80 dB 45, per tre livelli (e tre modalità) di compressione differenti, a parità delle altre impostazioni sull’ecotomografo. La figura 8.26 si compone di due diagrammi, ciascuno contenente tre curve (a), (b) e (c) corrispondenti ai tre diversi livelli di compressione: in particolare la curva (a) si riferisce a compressione nulla, mentre le curve (b) e (c) descrivono una riduzione della dinamica. In particolare, l’ampiezza del segnale in uscita dal TGC, riportato nella parte inferiore della figura sull’asse x, viene compresso secondo le curve b e c e riportato sull’asse y (in orizzontale nella figura): l’effetto della compressione è osservabile nella saturazione delle curve b e c, che si traduce nella corrispondente diminuzione del valore massimo applicabile in ingresso, xMAX|60dB e xMAX|40dB , prima di incorrere nel fenomeno della saturazione. È questo il segnale compresso che 41 La cui elaborazione è in generale più flessibile di quella attuabile su un segnale analogico (sul quale è più complesso effettuare operazioni logiche e algebriche). 42 Si ricorda che la risoluzione di un convertitore A /D a n bit è LSB = R /(2n –1), dove LSB sta per least significant bit ed esprime il valore minimo rappresentabile, mentre R è l’intervallo di tensione che può essere convertito; se l’ingresso consentito al convertitore è del tipo 0 ÷R volt, R coincide con la tensione massima rappresentabile. 43 Spesso nella letteratura tecnica viene indicata con compressione sia l’operazione che porta a una diminuzione dell’intervallo di ampiezza del segnale, sia quella di assegnazione dei livelli di grigio (che a parità di dinamica può essere di vario genere). 44 Non necessariamente distinti nell’ambito della filosofia progettuale e non necessariamente attuati da due dispositivi separati, nell’ambito delle diverse modalità costruttive. 45 Il segnale in uscita dal TGC, che ha subito la compressione di compensazione della distanza, perviene allo stadio di compressione sotto forma digitale, per esempio rappresentato mediante 16 bit, il che vuol dire che l’intervallo di ampiezze (xMIN – xMAX) sarà contenuto nell’intervallo compreso tra R /(2n–1) e R, con n = 16.
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Figura 8.26. Compressione del segnale ecografico a valle della compensazione del TGC. Il segnale di ampiezza x (all’interno di una dinamica pari a 80 dB) in ingresso allo stadio di compressione viene modificato in un segnale di ampiezza y. Esso è successivamente adattato al formato della matrice immagine, nella quale viene archiviato. La successiva elaborazione in post-processing è deputata alla rappresentazione dei livelli di grigio sul monitor. A titolo di esempio vengono riportate tre curve relative a: (a) assenza di compressione; (b) compressione fino a 60 dB; (c) compressione fino a 40 dB. Al crescere della compressione, il medesimo intervallo Δx viene convertito in variazioni sempre più ampie di valori memorizzati nella matrice immagine Δza<Δzb<Δzc ; se a essi si fanno corrispondere livelli di grigio nell’immagine (post processing), ne deriva via via un maggior contrasto.
viene inviato al convertitore di formato DSC per l’indirizzamento e la memorizzazione nella matrice immagine (figura 8.24). Il diagramma nella parte superiore della figura mostra il legame tra tale segnale compresso y e i valori numerici z memorizzati nella matrice immagine. Poiché il numero di livelli memorizzabili nella matrice immagine è fissato (per esempio pari a 256 per una profondità di 8 bit), così come sono fissati il numero minimo zMIN e il numero massimo zMAX in essa rappresentabili, nella figura viene messo in evidenza come, all’aumentare della compressione del segnale, questo subisca un adattamento al tipo di rappresentazione nella matrice immagine, che implica non una variazione della sua dinamica finale, bensì un’amplificazione delle differenze in ampiezza. In particolare, con riferimento alla figura 8.26, si osserva come nel caso della curva (a) la piccola variazio-
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ne Δx del segnale in ingresso sia “spalmata” su un numero ridotto di toni di grigio Δza, assai vicini uno all’altro; in termini di brillanza, ciò significa che questa può variare poco, e pertanto non è possibile ottenere un “alto contrasto” che, per definizione, richiede grandi differenze di brillanza tra segnali che si discostano di poco. Viceversa, nel caso della curva (c), a una medesima variazione Δx di intensità del segnale in ingresso corrisponde una variazione Δzc di brillanza assai maggiore della precedente Δza, e in ciò consiste la definizione di “alto contrasto”. La figura 8.28 illustra con maggiore dettaglio questo procedimento. Nella pratica, l’operazione di compressione e di attribuzione dei livelli di grigio è compiuta in almeno due fasi: la prima vede la compressione attuata sul segnale precedentemente alla sua memorizzazione nella matrice immagine (ossia in pre-processing 46); la seconda consta, invece, di un’elaborazione a posteriori sui valori memorizzati in tale matrice (ossia in post-processing 47) e, in genere, viene attuata nel blocco relativo all’image processing (che è il terzo blocco dello schema della figura 8.25). In particolare, va osservato che l’operazione di compressione dipende dalla dinamica del segnale eco in ingresso (segnale x nella figura 8.26) e, quindi, dal numero di bit dei convertitori A/D utilizzati. A titolo di esempio è riportata nella tabella 8.1 la corrispondenza tra il numero di bit del convertitore e la massima dinamica del segnale eco digitalizzato rappresentabile48 nella matrice immagine. Tabella 8.1. Numero di bit nei convertitori A/D e corrispondente dinamica ideale del segnale digitalizzato Dinamica del segnale Numero di bit digitalizzato (dB) Livelli 8 48 256 10 60 1.024 12 72 4.096 16 96 65.536
A tale proposito occorre sottolineare il fatto che la dinamica del monitor è limitata a circa 30 dB; perciò l’impiego di matrici immagine con profondità superiori a 8 bit (corrispondenti in teoria a 48 dB) risulta inutile, giacché il vantaggio di disporre di un maggior numero di livelli con cui rappresentare il
46 Con il termine pre-processing sono in genere indicate, nella letteratura del settore, tutte le elaborazioni che avvengono sul segnale ecografico prima della sua memorizzazione, sotto forma numerica, nella matrice immagine. 47 Nella letteratura del settore, con il termine post-processing sono generalmente indicate tutte le elaborazioni “a posteriori” che possono essere condotte sui valori numerici memorizzati nella matrice immagine. 48 Se la dinamica RD in decibel è pari a RD = 20 log (A dB 10 MAX/AMIN), dove AMAX è l’ampiezza massima del segnale e AMIN quella minima, il segnale (digitalizzato) a valle del convertitore A/D ideale a n bit è caratterizzato da un range dinamico teorico pari a RDdB = 20log10(2n/1) = n20log10(2) = n6,0206 ≅ 6n.
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Figura 8.27. Curve di post-processing. (a) Linea spezzata per la quale si privilegia la distinzione e visualizzazione di echi deboli rispetto a quelli con più ampia dinamica. (b) Andamento a sigmoide per il quale si tende a privilegiare echi di ampiezza intermedia tra due fasce di saturazione, inferiore e superiore, corrispondenti rispettivamente a echi molto deboli e molto forti.
segnale eco è annullato dall’incapacità del display di visualizzarli correttamente; pertanto, nella pratica (con riferimento alla figura 8.26) il segnale eco x in ingresso (già digitalizzato da un ADC, per esempio a 16 bit) viene comunque convertito, indipendentemente dal livello di compressione, in un segnale z a 8 bit 49. Tornando alle operazioni illustrate all’interno del secondo blocco della figura 8.25, queste sono le stesse effettuate (e già descritte) nel caso analogico, vale a dire la demodulazione e il filtraggio del segnale; in questo caso, l’amplificazione video non viene effettuata perché il segnale deve subire ulteriori trasformazioni prima di raggiungere lo schermo. Il terzo blocco è quello relativo alla conversione di formato, di cui si è detto nel precedente paragrafo, ed è caratterizzato dalla presenza della memoria immagine contenente in forma definitiva i dati numerici relativi alla matrice immagine, così come sono stati determinati dalle operazioni di pre-processing. Il quarto blocco è quello nel quale viene elaborata l’immagine, a partire dalla matrice numerica archiviata in memoria, cioè dove ai valori rappresentativi delle ampiezze degli echi (ciascuno collocato a un determinato indirizzo nella memoria immagine) viene assegnato il livello di grigio che si vuole attribuire a ciascun pixel. La relazione può essere di qualsiasi tipo: la figura 8.27 ne illustra alcuni esempi, sotto forma di curve caratteristiche, dette curve di post-processing, che legano i livelli di ampiezza memorizzati nella matrice immagine (segnale eco compresso e digitalizzato) al livello di grigio che a 49 Nella progettazione, è frequente inserire l’operazione di conversione A/D del segnale eco immediatamente a valle del TGC. Nelle macchine di medio e basso livello la risoluzione degli ADC impiegati non è superiore a 10 bit, mentre nelle macchine di fascia alta raggiunge i 16 bit (ciò nonostante, le matrici immagine nei DSC sono in genere limitate a una profondità di 8 bit).
Capitolo 8
· La formazione dell’immagine ecografica
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Figura 8.28. Effetti del post-processing sul contrasto. Alla stessa variazione di livello nella matrice immagine, la curva (a) fornisce un più basso incremento di brillanza sul monitor rispetto alla curva (b); laddove la curva (a) consente inoltre l’assegnazione di una diversa brillanza per ciascun livello nella matrice immagine (256 livelli) in modo monotono, la curva (b) presenta un livello oltre il quale i valori numerici nella matrice immagine vengono rappresentati tutti con la stessa brillanza (saturazione).
essi si vuole attribuire50. Mediante la funzione di trasferimento del monitor, qui non riportata, i livelli di grigio attribuiti ai pixel divengono livelli di brillanza sul display. Un esempio dell’effetto di tale elaborazione è illustrato nella figura 8.28 dove, nell’ipotesi che la matrice immagine registrata in memoria abbia una profondità di 8 bit, sono riportate due curve di post-processing rettilinee, per le quali i livelli di grigio visualizzati sul display crescono proporzionalmente all’ampiezza del segnale eco digitalizzato. Tralasciando la descrizione delle modalità di attribuzione della brillanza sul monitor (tralasciando cioè di fornire un dato quantitativo sul valore di brillanza corrispondente a “nero” e su quello corrispondente a “bianco”), tale grandezza è riportata in termini di percentuale rispetto al massimo. Mentre nel caso della curva (a) a un incre-
50 Si noti che la curva sigmoide della figura 8.27b è simile a quella relativa all’annerimento (densità ottica) in funzione dell’esposizione, illustrata nel primo volume (par. 14.6). Entrambe descrivono l’andamento del livello di grigio in funzione della causa agente, che nel caso della radiologia è l’intensità della radiazione X, mentre nel caso che qui si tratta è l’ampiezza dell’eco.
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mento Δ pari a 10 livelli corrisponde una differenza di brillanza Δb′ pari a circa il 3 per cento del valore massimo, nel caso della curva (b) allo stesso incremento corrisponde una variazione di brillanza Δb″ pari a circa il 15 per cento del valore massimo. La curva (b), inoltre, presenta una soglia di saturazione per cui, oltre un determinato valore, qualsiasi valore di ampiezza nella matrice immagine è rappresentato con lo stesso livello di brillanza, e perciò sul monitor non sono più rilevabili variazioni di livello. La possibilità di cambiare la legge con cui la brillanza viene attribuita a ciascun pixel dell’immagine TV, a partire dal valore numerico del corrispondente elemento della matrice immagine, comporta grandi vantaggi per quanto attiene alla risoluzione di contrasto (come evidenziato anche nella figura 8.72). Si consideri per esempio il caso molto comune delle metastasi del fegato, che sono caratterizzate da ecogenicità51 poco diversa da quella del tessuto circostante (basso contrasto dell’oggetto). L’impiego della curva (a) per la formazione dell’immagine sullo schermo potrebbe comportare una variazione di livello di grigio, tra l’immagine del tessuto circostante sullo sfondo (background) e quella delle metastasi, non sufficiente per distinguere queste ultime; esse però saranno più evidenti se il contrasto dell’immagine viene aumentato con l’impiego della curva (b), cioè attribuendo alla medesima variazione di livello un maggiore incremento di brillanza. Le leggi di corrispondenza tra livelli di ampiezza e brillanza (livelli di grigio) dell’immagine, vengono di solito realizzate mediante look-up table, la cui funzione può estendersi anche all’implementazione di procedimenti diversi di trattamento delle immagini: per esempio operazioni di sfocatura (smoothing), di risalto dei contorni (edge enhancement), di amplificazione di particolari (zoom) eccetera. Il quarto blocco nello schema della figura 8.25 è dedicato all’elaborazione del segnale video, cioè all’agganciamento dei segnali di sincronismo (che comandano il raster televisivo) ai corrispondenti sincronismi in base ai quali opera lo scan converter. In questo blocco è presente il convertitore da digitale ad analogico (DAC), necessario affinché il segnale possa essere inviato al monitor TV, dato che sia il monitor a raggi catodici sia lo schermo a cristalli liquidi LCD sono dispositivi analogici52. Tutti i blocchi descritti, a eccezione di quello relativo alla visione dell’immagine (che ha natura analogica), sono interconnessi con il processore per la gestione del sistema. Esso è fondamentalmente costituito da ciò che nel capitolo precedente è stato indicato come master synchronizer, che provvede, in ac51
Il termine ecogenicità di un mezzo non perfettamente omogeneo si riferisce alla sua capacità di produrre echi. Se è vero che due tessuti, alla loro interfaccia, danno origine a un eco (come visto nei capitoli 3 e 4), è altresì vero che, all’interno di ciascuno di essi, le micro variazioni di impedenza dovute alla disomogeneità producono diffusi fenomeni di backscattering (speckle); perciò la possibilità di discriminare tra i due tessuti si basa sul fatto che gli echi prodotti all’interno di uno dei due differiscano sufficientemente in ampiezza da quelli prodotti nell’altro. 52 Nel secondo caso la natura discreta del supporto non va confusa con la natura analogica della grandezza fisica.
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cordo con le necessità già illustrate dello scan converter, a fornire i segnali di sincronismo affinché ogni fronte d’onda inviato (e poi ricevuto) da ogni singolo piezoelemento del trasduttore fornisca il proprio contributo alla formazione dell’immagine, secondo le modalità temporali richieste dall’impiego delle sonde multielemento. Il master synchronizer consente inoltre sia l’attuazione relativamente facile di tutte le manovre necessarie per ottenere le diverse presentazioni (A-Mode, M-Mode, Real-Time, Doppler spettrale, color Doppler ecc.), sia la registrazione e la gestione dei dati del paziente. A questo riguardo si è già osservato come nello schema della figura 8.25 compaiano due flussi per il segnale proveniente dal front-end: quello rappresentato in colore blu riguarda tutto ciò che è attinente alla formazione dell’immagine in modalità B-Mode (imaging); quello rappresentato in colore rosso riguarda i segnali Doppler, per quanto concerne sia la rappresentazione del campo fluidodinamico, sia quella relativa allo spettro delle velocità (argomenti che saranno oggetto dei capitoli successivi). Esiste infine un terzo flusso di segnali, che potremo chiamare di “servizio”, di gestione da parte del master synchronizer e del processore di sistema di tutti i blocchi. Tale flusso di segnali è indicato in colore verde. Per il momento, è sufficiente osservare che lo sdoppiamento del percorso del segnale, che permette l’elaborazione separata necessaria per la formazione di immagini sulla base del fenomeno Doppler, avviene nel secondo blocco dello schema. Il front-end (all’interno del primo blocco) gestito dal processore di sistema, consente di utilizzare la sonda in modo da ottenere sia esclusivamente sequenze immagini B-Mode, sia immagini relative al Doppler sovrapposte a quelle di tipo imaging o affiancate da informazioni relative al Doppler spettrale.
8.9 Rappresentazione M-Mode Un’importante applicazione a cavallo tra la modalità di rappresentazione BMode e le peculiarità di tracciato monodimensionale tipiche dell’A-Mode, è la rappresentazione M-Mode (dove la lettera M sta per motion), nella quale compare la variabile tempo. Nella modalità M-Mode gli echi vengono rilevati, come accade nella rappresentazione A-Mode, lungo una singola direzione (linea di vista) e vengono rappresentati sullo schermo di un oscilloscopio in funzione del tempo. La rappresentazione M-Mode consiste, quindi, nella storia temporale delle posizioni occupate da riflettori in movimento; da questo punto di vista, pertanto, può essere collocata nell’ambito della rappresentazione Real-Time. Il principio alla base del M-Mode è già stato illustrato nel capitolo precedente, dove è stato rappresentato un ostacolo mobile (in particolare un setto all’interno di una vasca, movimentato da un manovellismo), il cui moto è stato descritto in termini di corrispondente andamento dell’eco. La traccia di questo sullo schermo dell’oscilloscopio ricalca il moto reale con il quale si muove l’ostacolo, vale a dire l’andamento temporale della sua posizione. In
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Figura 8.29. Schema a blocchi di un’apparecchiatura ecotomografica con presentazione MMode. Il sistema M-Mode va considerato come un B-Mode per il quale una singola linea di vista viene visualizzata a istanti successivi, consentendo l’individuazione di parti di organi in movimento. In trasmissione il master synchronizer attiva, tramite il segnale di trigger 1, il trasmettitore (pulser), che emette un’onda quadra F di eccitazione della sonda T. La sonda in ricezione riceve gli echi e li trasduce in un treno di segnali RF, i quali, dopo l’attivazione del ricevitore mediante il segnale di trigger 2 inviato dal master synchronizer, vengono amplificati, compressi e demodulati, e poi inviati all’asse Z di un oscilloscopio, per modulare la brillanza dello spot elettronico sul display (modulazione dell’asse Z). Contemporaneamente le placchette X e Y dell’oscilloscopio vengono alimentate da due differenti rampe di tensione, corrispondenti a due basi di tempi; alla placchetta Y è presente la base dei tempi veloce, ossia quella che consente al pennello elettronico di tracciare sul monitor l’intera linea di vista B-Mode (in direzione verticale), mentre alla placchetta X è destinata la base dei tempi lenta, che consente la visualizzazione dei fenomeni interessati dalla medesima linea di vista B-Mode in istanti successivi, allocando tale linea di vista su ascisse diverse del display.
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passato, la modalità di rappresentazione M-Mode veniva spesso indicata come time-motion (TM), per specificare come quella osservata fosse la storia temporale di un organo che si muove. Lo schema a blocchi di un ecografo che funzioni in modalità M-Mode è riportato nella figura 8.29. Esso è assai simile a quello relativo alla modalità A-Mode, dal quale deriva, con due sostanziali differenze. La prima consiste nel fatto che il segnale in uscita dall’amplificatore video viene inviato a modulare l’asse Z, per cui viene visualizzato non un tracciato A-Mode, ma una linea di punti luminosi (corrispondenti ai picchi A-Mode) la cui brillanza è proporzionale all’ampiezza dell’impulso. Ciò è illustrato nella figura 8.30, nella quale il susseguirsi degli impulsi che si avrebbe in A-Mode (figura 8.30c), relativamente alla linea di vista stabilita, si trasforma nel progressivo succedersi delle relative tracce luminose in B-Mode (figura 8.30d) lungo la stessa linea di vista, che va considerata fissa. La seconda differenza consiste nel fatto che, poiché l’andamento temporale della posizione degli impulsi luminosi in B-Mode deve essere rappresentato sull’asse dei tempi dell’oscilloscopio, il pennello elettronico del tubo RC si deve spostare lungo l’asse Y – in modo proporzionale allo spostamento degli echi corrispondenti agli organi in movimento (in maniera da percorrere l’intera linea di vista) – e lungo l’asse X con la velocità di registrazione (per esempio quella della carta degli elettrocardiografi: 25÷50 mm/s), in modo che vengano tracciate le successive posizioni della linea di vista come se essa traslas-
Figura 8.30. Rappresentazione M-Mode. In (a) sezione del miocardio; in (b) tracciati M-Mode corrispondenti alla linea di vista A-B e in particolare in rosso quelli relativi ai lembi m e n della valvola mitrale; in (c) e (d) tracciati A-Mode e rappresentazione B-Mode della linea di vista A-B a un dato istante di tempo.
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se lungo il display. Ne risulta il grafico della figura 8.30b, per ottenere il quale la frequenza del dente di sega che pilota le placchette Y dell’oscilloscopio è pari alla PRF (in modo che il pennello elettronico tracci sul monitor l’intera linea di vista B-Mode in direzione verticale), mentre quella del dente di sega che pilota le placchette X (che stabilisce la finestra temporale di osservazione rappresentata sullo schermo dell’ecografo) è assai più bassa53 e consente la visualizzazione della medesima linea di vista B-Mode in istanti successivi, allocandola su ascisse progressive del display. Nello schema della figura 8.29 si rilevano pertanto due basi dei tempi, la base cosiddetta veloce (frequenza pari alla PRF) e la base cosiddetta lenta (frequenza di registrazione). Le informazioni fornite dalla rappresentazione M-Mode sono relative a ciò che accade nel tempo lungo un’unica linea di vista, corrispondente a una determinata posizione del trasduttore sul paziente; pertanto non esiste alcuna informazione riguardo punti o zone al di fuori di tale vista. La rappresentazione M-Mode, quindi, non fornisce alcuna notizia sull’anatomia dell’organo esplorato, bensì solo la storia temporale di suoi punti rappresentativi, il cui moto si svolga lungo la linea di vista scelta. Nella figura 8.30 è rappresentato schematicamente un esempio di registrazione M-Mode relativo ai lembi m e n che costituiscono la valvola mitrale; la registrazione è ottenuta ponendo il trasduttore in regione cardiaca, nello spazio esistente tra la III e la IV costola. Il fascio ultrasonoro incontra la cute e i muscoli pettorali P, pressoché fermi, e quindi la parete anteriore del cuore con il suo spessore Sa. Successivamente, il fascio attraversa il ventricolo destro e il setto intraventricolare (di spessore Si), incontra i due lembi m e n della valvola mitrale e, infine, attraversa la parete posteriore del cuore Sp. Nel corso del ciclo cardiaco i due lembi m e n della valvola compiono un’escursione tra la configurazione di apertura massima (che si verifica nel periodo di massima eiezione) e la configurazione in cui essi combaciano, allorquando il sangue racchiuso nel ventricolo viene espulso attraverso la valvola aortica (semilunare) che si apre. I luoghi delle posizioni occupate nel tempo da m e n, in ogni ciclo cardiaco, sono rappresentati nella figura 8.30b dalle due curve m–n (in colore rosso), che si allontanano e si avvicinano, fino ad avere un tratto in comune in corrispondenza della fase di chiusura della valvola (come mostrato anche nella figura 8.31a). La forma assunta dagli andamenti temporali di m e n consente di trarre importanti informazioni diagnostiche (come nella diagnosi di stenosi mitralica). Si consideri, per esempio, l’andamento temporale del lembo anteriore rappresentato nella figura 8.31 e, in particolare, la sua pendenza. L’inclinazione del tratto EF, che rappresenta la velocità di chiusura della valvola, nel caso non patologico riportato nella figura 8.31b è dell’ordine di 70 mm/s; nel caso patolo53 Per esempio, nel corso di un esame cardiologico su paziente adulto, se si considera una finestra temporale di osservazione analoga a quella rappresentata nella figura 8.32 della durata di circa 6 s (flenta = 1/6 Hz) e una PRF pari a circa 10 kHz, tale da consentire la visualizzazione di dettagli posti fino a una profondità di circa 8 cm, si ottiene un rapporto flenta/fveloce = (1/6 Hz)/(10 000 Hz) = 1/60 000.
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Figura 8.31. Moto del lembo anteriore della valvola mitralica. (a) Andamento nel tempo relativo a un soggetto sano in rapporto al ciclo cardiaco. (b) Pendenza EF in caso normale. (c) Pendenza del tratto EF in caso patologico. (d) Effetti di alcune tra le patologie più diffuse. Ripreso, con autorizzazione, da J.G. Webster ed. (1988) Encyclopedia of Medical Devices and Instrumentations. Wiley.
gico di stenosi, riportato nella figura 8.31c, la pendenza del tratto EF risulta notevolmente diminuita e ciò significa che per effetto della stenosi il sangue impiega un tempo maggiore per concludere la fase di eiezione dall’atrio verso il ventricolo. La diagnosi con l’ausilio del M-Mode, connessa alla conoscenza di andamenti temporali noti, viene effettuata sulla base di appositi atlanti dove tali andamenti sono riportati con il relativo commento diagnostico. Nella figura
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8.31d sono riportate a titolo di esempio alcune rappresentazioni grafiche tipiche, che si osservano nella diagnosi della patologia della valvola mitralica. Il tracciato M-Mode schematizzato nella figura 8.30b è riportato, al vero della situazione, nella figura 8.32 insieme con l’immagine B-Mode. In essa si riconoscono gli andamenti temporali dei lembi anteriore e posteriore della valvola mitrale e quelli di altre strutture cardiache. In particolare si osserva un fascio di tracce parallele costituenti la parete anteriore a diretto contatto con il trasduttore; il loro parallelismo testimonia che esse sono ferme nella direzione di propagazione del fascio ultrasonoro e, pertanto generano echi che impiegano sempre lo stesso tempo di round trip; tale parallelismo sfuma nella parete posteriore, denunciandone il movimento nel corso del ciclo cardiaco. Oltre agli spostamenti subiti nel tempo dai lembi della valvola mitrale, nella figura si riconosce anche il movimento della parete cardiaca posteriore. Riesce evidente come per ogni posizione del trasduttore si ottenga una diversa registrazione M-Mode, rappresentativa della vista stabilita in funzione dell’organo indagato a fini diagnostici. Le posizioni prescelte per realizzare il solo tracciato sono tutte in vista parasternale (vale a dire con il trasduttore posto nella regione vicina allo sterno), quale è quella indicata nella figura 8.30, dove in relazione alle necessità diagnostiche viene variata di poco l’angolazione del trasduttore. L’ecografia M-Mode è stata storicamente la prima a fornire indicazioni diagnostiche nel campo della cardiologia (1961); successivamente (1969), nacque l’ecografia bidimensionale (imaging in modalità B-Mode), dalle capacità diagnostiche assai superiori. La modalità M-Mode viene oggi utilizzata in misura modesta, tuttavia si rivela ancora di grande utilità quando occorre compiere misure dimensionali (spessori del setto o delle pareti, individuazione delle linee di apertura delle valvole eccetera), poiché con questa rappresentazione tali misure sono ottenibili più facilmente che con le altre. Attualmente i tracciati M-Mode vengono in generale effettuati assieme a quelli B-Mode, mantenendo il trasduttore fisso nella posizione prescelta tra quelle utilizzate per la costruzione dell’intera scansione bidimensionale; ciò si ottiene utilizzando la possibilità offerta dal B-Mode di selezionare una linea di vista (direzione) per mezzo di appositi cursori54 sullo schermo. Nella parte superiore della figura 8.32 si osserva infatti la rappresentazione B-Mode con la direzione indicata dal cursore; lungo tale direzione viene prelevato il tracciato M-Mode, riportato nella parte inferiore dell’immagine. Nelle apparecchiature Real-Time, la modalità M-Mode viene sempre utilizzata insieme a quella B-Mode per l’individuazione del sito di indagine; a ciò si aggiunge l’impiego del Doppler pulsato che consente di valutare, nel luogo prescelto, il campo fluidodinamico relativo alla circolazione del sangue. Le misure dimensionali vengono solitamente effettuate alla fine delle fasi sistoliche 54 Si tratta degli stessi cursori che consentono di specificare il cosiddetto volume campione (sample volume) e di associare al movimento dei lembi della valvola l’andamento fluidodinamico del flusso sanguigno per mezzo del Doppler pulsato.
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Figura 8.32. Rappresentazioni B-Mode e M-Mode dei lembi della valvola mitrale. (a) Rappresentazione B-Mode: sono visibili i particolari anatomici delle pareti anteriore e posteriore del miocardio, l’atrio destro e la valvola mitrale. (b) Rappresentazione M-Mode corrispondente alla linea di vista evidenziata a tratto puntinato nell’immagine B-Mode: si osserva come i tracciati corrispondenti ai lembi m e n della valvola mitrale seguano un andamento ripetitivo caratteristico, mentre le parti anatomiche ferme si manifestano nella rappresentazione diagnostica come tracce luminose orizzontali.
e diastoliche. I parametri rilevabili nel M-Mode sono quindi solo quelli geometrici: dimensioni lineari e areali della sezione retta del ventricolo sinistro, dimensioni del setto intraventricolare, spessore di parete dei ventricoli destro e sinistro e, infine, volume del ventricolo sinistro. È anche possibile ricavare, con l’ausilio di pacchetti software appositamente preparati, alcuni indicatori cardiaci, quali la variazione percentuale dell’area di diverse sezioni rette e altri parametri, relativi per esempio alla gittata cardiaca. Sono inoltre di norma misurati tutti gli aspetti geometrici dell’aorta, dell’atrio destro e sinistro, del ventricolo destro e sinistro, della valvola mitrale e tricuspide.
8.10 Scansione elettronica e sonde a schiera L’introduzione dello scan converter digitale ha consentito di superare completamente le limitazioni tipiche delle sonde meccaniche, in primo luogo quella di avere un unico fuoco fisso, determinato dalla curvatura del piezoelemento e dalla lente acustica. L’elaborazione digitale del segnale rende infatti possibile l’impiego e la gestione di un trasduttore costituito da un grande numero di elementi piezoelettrici, ciascuno dei quali è comandato singolarmente. Tale trasduttore è comunemente denominato sonda a schiera o ad array perché i singoli piezoelementi sono posti ciascuno a fianco del successivo, presentandosi appunto in una schiera (o cortina), come illustrato nella figura 8.33. La
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gestione da parte dell’elaboratore elettronico consente di eccitare ciascun cristallo della schiera indipendentemente e ciò garantisce la realizzazione, con modalità che vengono descritte nel seguito, di un f/number costante su tutto il campo di vista, in modo da ottenere una focalizzazione ottimale di carattere dinamico, sia in fase di trasmissione sia in fase di ricezione55. Nella figura 8.33a è riportata la fotografia di una delle prime sonde a schiera (messa in commercio nel 1970), composta di soli 20 piezoelementi, della quale è riportato un particolare degli elettrodi e dei conduttori di segnale nella figura 8.33b; nelle fotografie della figura 8.33c,d,e,f sono mostrati i particolari costruttivi di una recente sonda ad array curvilineo, di tipo convex. La classificazione delle sonde a schiera può essere basata su diversi criteri. Dal punto di vista costruttivo, la schiera di cristalli può svilupparsi lungo una sola dimensione, come avviene nella schiera rettilinea (linear array) o in quella curvilinea (la già citata convex array); in entrambi i casi le sonde sono dette a schiera 1D. La schiera può altresì svilupparsi su una superficie, piana o curva, come avviene per esempio nella schiera a matrice piana, rettangolare o circolare, o nelle schiere anulari, piane o curve, dette annular array. Dal punto di vista dell’attivazione dei cristalli, esse possono essere classificate come sequenziali oppure a sfasamento, intendendo con questo che l’attivazione può coinvolgere gruppi di elementi all’interno della schiera o l’intera schiera, con modalità di attivazione nel tempo (all’interno dei gruppi o dell’intera schiera), che vengono discusse nei paragrafi che seguono. Le diverse combinazioni tra la geometria della schiera e le modalità di attivazione dei piezoelementi danno origine a formati differenti dell’immagine ecografica, che saranno illustrati alla fine del capitolo. Nelle sonde a schiera più recenti si è giunti anche a 192 piezoelementi e oltre56; inoltre, i singoli piezoelementi, che in origine avevano dimensioni rilevanti, dell’ordine di 2-5 mm (come si può osservare nella figura 8.33b), sono ora miniaturizzati con dimensioni57 w × t × dell’ordine di 0,2 × 0,3 × 14 mm (figura 8.33d,e,f). Nell’ambito delle sonde a schiera è necessario operare una distinzione poiché ne esiste una particolare tipologia che utilizza ancora la scansione meccanica; essa è pertanto classificata come meccanico/elettronica, riservando alla parte elettronica la focalizzazione lungo l’asse Z di propagazione (grazie all’attivazione di più piezoelementi foggiati ad anello e allocati in un supporto concavo) e alla parte meccanica l’attuazione della scansione vera e propria nel
55 Il concetto di focalizzazione in ricezione, forse meno intuitivo di quello relativo alla focalizzazione in trasmissione, sarà illustrato più avanti. 56 In molti casi ciascuno dei piezoelementi può essere suddiviso in 2 o 3 parti (subdicing) per ridurre l’effetto dei lobi di replica; essi vengono però eccitati da un unico elettrodo (vedi figura 8.33c). 57 Si noti come in questo caso non sia lo spessore t la dimensione minima del piezoelemento, a differenza di quanto stabilito nel capitolo 2 riguardo le convenzioni adottate per la descrizione dei piezoceramici. Si è in questa sede adottata la notazione usuale nella letteratura tecnica fornita dalle case costruttrici di ecotomografi e delle sonde a essi dedicate, per la quale il termine thickness denota la dimensione del cristallo (perpendicolare agli elettrodi) lungo la quale esso oscilla parallelamente all’asse z del trasduttore.
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Figura 8.33. Sonde a schiera. (a) Sonda a scansione elettronica di tipo linear Organon Teknika (anni settanta); (b) particolare degli elettrodi e dei conduttori relativi a ciascun trasduttore piezoelettrico. (c) Moderna sonda di tipo convex (array curvilineo), della quale è visibile (grazie all’asportazione parziale della lente acustica) la schiera di piezoelementi; (d) particolare dei conduttori di segnale e degli elettrodi; (e) sezione condotta parallelamente al piano di scansione (piano azimutale); (f) particolare dei piezoelementi, degli strati di adattamento e del backing.
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piano azimutale. Per tale motivo, nel seguito sarà dapprima illustrata brevemente la teoria e l’applicazione dei trasduttori a schiera concavi a scansione meccanica pilotati elettronicamente e, successivamente, verranno illustrate teorie e applicazioni di trasduttori interamente elettronici, con scansione e focalizzazione elettroniche. Poiché la focalizzazione ottenuta per mezzo di lenti acustiche, o mediante la curvatura del trasduttore, è molto efficace, ma solo in prossimità della zona focale, in trasduttori recenti si è utilizzata la schiera di piezoelementi comunque curvata e dotata di lente acustica, per cui si aggiunge alla focalizzazione geometrica sul piano di elevazione la possibilità di variare la posizione del fuoco mediante scansione elettronica sul piano azimutale, come viene illustrato con maggior dettaglio nel seguito.
8.11 Sonde a schiera monodimensionale (linear e convex array) La possibilità di pilotare indipendentemente ciascun elemento della schiera58, consente di modellare il fascio ultrasonoro emesso dal trasduttore. Il termine modellare (nella sua connotazione relativa al plasmare e dare forma) viene sinteticamente meglio espresso dalla più volte citata dizione inglese beam forming. Il beam forming consiste essenzialmente: nella focalizzazione nel piano azimutale lungo la direzione di propagazione (in modo da ottenere un f/number costante), nella deflessione o nella traslazione del fascio ultrasonoro, nella scansione (secondo modalità differenti per immagini di tipo settoriale o rettangolare) e, infine, nella riduzione dell’effetto di disturbo prodotto dai lobi laterali. Quest’ultimo risultato è raggiunto applicando un diverso peso ai contributi di ciascun elemento attivo, con un’operazione denominata apodizzazione. Nei paragrafi che seguono sono descritti i principi teorici alla base delle principali operazioni di modellazione e direzionamento del fascio ultrasonoro. La differenza sostanziale tra le sonde meccaniche e quelle a schiera consiste appunto nelle diverse modalità mediante le quali viene ottenuta la forma del fascio: nelle sonde a schiera esso è prodotto da più piezoelementi di forma rettangolare, il che richiede particolari soluzioni per superare i problemi di focalizzazione, in genere di maggiore complessità rispetto al caso di piezoelemento singolo e di forma circolare. Nella figura 8.34 è mostrato schematicamente il fascio ultrasonoro generato da un gruppo di piezoelementi (quattro, nell’esempio della figura) appartenenti a una schiera lineare, eccitati sequenzialmente, cioè attivati ciascuno con un prestabilito ritardo rispetto al precedente. Con tale modalità è possibile anche posizionare il fuoco a distanze variabili lungo la direzione Z di propagazione, attuando la cosiddetta focalizzazione dinamica; ciò è possibile sul piano azimutale, mentre nel piano di elevazione la focalizzazione è fissa e ottenuta per mezzo di una lente acustica. 58 Nei paragrafi successivi vengono trattate le sonde a singola schiera lineari, che si sviluppano linearmente su supporto rettilineo; come già illustrato nella figura 8.33, esistono e sono diffuse sonde a schiera a sviluppo lineare su supporto curvilineo (sonde convex).
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Figura 8.34. Eccitazione sequenziale di una schiera. Il gruppo (di apertura D) dei piezoelementi attivi genera un fascio ultrasonoro il cui fuoco si trova in posizione dipendente dalla legge dei ritardi con cui gli impulsi di attivazione vengono forniti. Se a seguito del primo gruppo di piezoelementi l’eccitazione viene fornita in modo analogo a un gruppo adiacente, il fascio percorre la schiera nella direzione di azimut ed effettua la scansione.
Nella pratica realizzativa, allo scopo di incrementare l’estensione del campo vicino e diminuire la divergenza del fascio, il numero di piezoelementi attivi di ciascun gruppo è maggiore di quattro (in genere da 8 a 16); in tal modo si ottiene una buona risoluzione trasversale sul piano azimutale, lasciando alla lente il compito di realizzare per quanto possibile una focalizzazione nel piano di elevazione a elevata profondità di campo59. Nelle sonde meccaniche la scansione si effettua mediante la rotazione del piezoelemento, mentre in quelle a schiera i piezoelementi sono fissi e, pertanto, la scansione deve essere attuata tramite l’eccitazione temporizzata di ciascuno di essi, secondo sequenze diverse. Per gli array si riconoscono in particolare due modalità fondamentali di scansione, mediante le quali è possibile gestire sia l’orientamento del fascio, sia la sua focalizzazione; la prima modalità è detta sequenziale, mentre la seconda, realizzata per mezzo di uno sfasamento nell’eccitazione di ciascun piezoelemento della schiera, è detta phased array. 59
Si faccia riferimento a quanto stabilito nel capitolo 5.
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8.11.1 Scansione sequenziale Questa modalità di eccitazione temporizzata è la più semplice; ogni piezoelemento eccitato produce singolarmente un fascio ultrasonoro e riceve gli echi prodotti lungo la direzione di propagazione, che costituisce quindi una linea di vista. I piezoelementi della schiera sono attivati in modo sequenziale, singolarmente o a gruppi, così da dare luogo a una sequenza di linee di vista, realizzando un dispositivo che, dal punto di vista della produzione e raccolta degli echi, è analogo alla sonda meccanica, mentre se ne differenzia sostanzialmente per il meccanismo di attuazione della scansione. L’immagine è composta da tutte le linee di vista, prodotte individualmente dagli n elementi costituenti la schiera (o da gruppi di essi), eccitati in sequenza, e il loro insieme nell’ambito di una scansione completa costituisce un quadro. Nel caso in cui l’array sia costituito da n piezoelementi riuniti in gruppi di m, il numero di linee di vista (LS, Line of sight) per ogni quadro risulta pari a
Figura 8.35. Eccitazione sequenziale di array lineare. (a) Attivazione per singolo piezoelemento. (b) Attivazione per gruppi. (c) Fascio ultrasonoro corrispondente a una singola linea di vista sul piano di scansione (che è il piano visualizzato nell’immagine sul monitor).
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LS = n–m+1 se il gruppo scala di una posizione, vale a dire se lo spostamento (shift) del gruppo è unitario e quindi vi è un solo piezoelemento tra una linea di vista e la successiva60, come viene illustrato nella figura 8.35. Anche in questo caso, come in quello della sonda meccanica, è possibile effettuare più scansioni al secondo e il numero massimo di scansioni è determinato dal numero dei piezoelementi di cui è composta la schiera (o, più precisamente, dal numero di linee di vista di cui è composto il quadro) e dalla massima profondità che si desidera raggiungere, che implica, com’è noto, un ben determinato valore della PRF. Facendo riferimento, per esempio, a una sonda costituita da 130 piezoelementi (come quella illustrata nella figura 8.35a) eccitati sequenzialmente uno per volta, ogni quadro è costituito da 130 linee di vista. Prima di eccitare il secondo cristallo della schiera, occorre attendere che siano pervenuti al primo cristallo tutti gli echi da esso prodotti; lo stesso accade per tutti i 130 cristalli. L’intervallo di tempo τR , che occorre attendere prima di eccitare il piezoelemento successivo è determinato dalla massima profondità di scansione (che stabilisce il tempo di round trip dell’eco più lontano); per esempio, se tale profondità massima stabilita è di 15 cm e si pone la velocità del suono nei tessuti biologici pari a circa 1500 m/s, l’intervallo τR risulta 2·15 cm/1500 m s–1 = 200 μs, che corrisponde a una PRF pari a 1/τR = 5 kHz. Poiché la sequenza continua fino al 130-esimo trasduttore, l’immagine può essere scandita in un tempo di 200 μs ·130 = 26 ms; perciò la frequenza di aggiornamento del quadro FR, espressa in termini di fps (frame per second, ovvero numero di quadri al secondo61), sarà FR = 1 immagine/0,026 s ≅ 38 fps. La modalità di scansione appena descritta ha carattere eminentemente didattico perché, in realtà, il fascio ultrasonoro generato da un singolo piezoelemento di modeste dimensioni risulta molto divergente in campo lontano e ciò, com’è ormai noto, conduce a un potere risolutivo troppo modesto in gran parte dell’immagine diagnostica. Per raggiungere migliori prestazioni occorrerebbe disporre di trasduttori grandi, generando così un campo vicino più profondo e un campo lontano meno divergente; ciò si ottiene eccitando i piezoelementi a gruppi, vale a dire a n per volta (per esempio, da 4 a 8 per volta e oltre) in modo tale che, pur risultando una diminuzione delle linee di vista per ogni quadro, si perviene a un buon compromesso per quanto riguarda le dimensioni del campo vicino e la divergenza del fascio. In realtà, i piezoelementi che costituiscono il gruppo non vengono eccitati contemporaneamente ma, ai fini di una focalizzazione
60 Nelle moderne apparecchiature ecografiche la scansione mediante sonde a schiera viene implementata utilizzando tipi di sequenze diverse (anche all’interno di una medesima azienda costruttrice), per esempio variando il numero m di elementi per gruppo all’interno dello stesso frame o utilizzando salti non unitari; perciò, fissato il numero di cristalli, non esiste attualmente uno standard che stabilisca in modo chiaro e univoco il numero di linee di vista per ogni frame. 61 Il frame rate viene in genere espresso in fps (numero di quadri al secondo) oppure in hertz, risultando 1 fps = 1 Hz.
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efficace62, con leggero sfasamento gli uni rispetto agli altri, con modalità descritte nel paragrafo successivo. Ancora con riferimento alla figura 8.35, se per esempio si eccitano in sequenza i 130 elementi della schiera a gruppi di 8, si ottengono 130–8+1 = 123 linee di vista e il quadro viene scandito in un tempo pari a 200 μs ·123 = 24,6 ms risultando quindi il frame rate pari a circa 41 fps. La relazione che in generale sussiste tra frame rate, PRF e numero di linee di vista LS, di cui è costituito il singolo quadro, risulta essere FR[fps] =
PRF LS
[8.12]
che nel caso appena visto conferma FR = 5000 Hz/123 LS ≅ 41 fps. Si può osservare a questo punto che, a parità di PRF, un elevato numero di linee di vista per quadro riduce il frame rate e, di conseguenza, riduce la capacità del sistema di rilevare correttamente fenomeni dinamici63; d’altra parte, bassi valori del parametro LS accentuano la difficoltà di rilevare dettagli di dimensioni più piccole degli interspazi tra una linea di vista e la successiva, degradando il potere risolutivo trasversale. Stante il fatto che la risoluzione spaziale risulta essere un parametro di gran lunga più critico rispetto al frame rate64, la scelta è quella di costruire sonde a schiera con un grande numero di piezoelementi. Per quanto concerne il formato dell’immagine costruita con sonde elettroniche lineari, si osserva che esso può essere caratteristicamente del tipo rettangolare, con il lato parallelo alle linee di vista (e all’asse del trasduttore) di estensione dipendente dalla profondità di osservazione, e quindi in definitiva dalla PRF, e con il lato parallelo alla direzione azimutale di estensione proporzionale all’apertura della sonda (a sua volta funzione dell’estensione della schiera65). A questo proposito, si osserva che una sonda a schiera lineare con scansione sequenziale non è adatta per applicazioni cardiache; la sua apertura è infatti mediamente dell’ordine dei 5 cm, superiore allo spazio intercosta-
62 In altri termini, per ogni singola linea di vista, non ci si affida esclusivamente alla focalizzazione naturale dettata dall’apertura equivalente (prodotta dalla somma dei piezoelementi nel gruppo). 63 Alcuni autori indicano tale capacità con il termine risoluzione temporale. 64 Il frame rate è un parametro dipendente fortemente dalla capacità di elaborazione dei processori, laddove il potere risolutivo è funzione sia della tecnologia impiegata nella costruzione della sonda, sia di quella relativa alle modalità di formazione del fascio e di scansione, sia delle elaborazioni a posteriori sul segnale eco. La maggiore difficoltà tecnologica, nel raggiungimento di migliori risoluzioni spaziali e di migliori frame rate, è verificabile anche osservando le prestazioni degli ecotomografi prodotti negli ultimi 10 anni: laddove il valore del frame rate si è raddoppiato, se non addirittura triplicato (persino in apparecchi di fascia bassa o medio bassa), altrettanto non è stato conseguito per il potere risolutivo. 65 Il concetto di apertura, già illustrato nel capitolo 5 a proposito dei trasduttori circolari, trova applicazione anche per le schiere: l’apertura di un trasduttore è la superficie attiva sia nella formazione del fascio ultrasonoro in trasmissione, sia nella ricezione degli echi corrispondenti; pertanto nelle sonde ad array è determinata proprio dal numero di cristalli attivi durante la scansione.
Capitolo 8
· La formazione dell’immagine ecografica
477
Figura 8.36. Sonde a schiera impiegate per esami cardiologici. (a) Sonda con apertura eccessiva rispetto allo spazio intercostale, per cui l’immagine diagnostica subisce gli effetti delle zone d’ombra dovute alle costole. (b) Sistema ad array (in particolare phased array) di apertura ridotta, in grado di investire durante la scansione tutta la cavità cardiaca.
le attraverso il quale è possibile individuare il cuore. La figura 8.36 illustra tale problema. Nella figura 8.36a è riportata l’immagine di forma rettangolare, prodotta da una sonda a schiera lineare a scansione sequenziale, che mostra zone d’ombra per effetto delle costole; l’immagine riportata nella figura 8.36b, fornita da un trasduttore di apertura comparabile o inferiore allo spazio intercostale (cioè di circa 2 cm), è priva di tali zone di invisibilità. Da un lato è perciò necessario diminuire a circa la metà il numero di piezoelementi della schiera, dall’altro occorre disporre di un campo di vista di tipo settoriale, ossia analogo a quello formato dalle sonde meccaniche descritte nei paragrafi precedenti. Per questo motivo le prime sonde per indagini cardiologiche erano meccaniche; infatti, essendo compreso tra 15 e 20 mm, il diametro dei trasduttori montati su sonde meccaniche cardiologiche è comparabile con lo spazio intercostale; queste sonde, oltre a presentare una buona focalizzazione a profondità dell’ordine di qualche centimetro, dispongono di un campo di vista settoriale idoneo alla rappresentazione cardiaca. A ciò si aggiunge il fatto che la loro frequenza di funzionamento è dell’ordine dei 2÷3 MHz, il che rende l’attenuazio-
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
ne modesta in rapporto al range richiesto. L’introduzione della tecnica di controllo delle fasi ha consentito di ottenere la scansione delle cavità cardiache anche con le sonde a schiera lineari, di apertura adatta alle applicazioni cardiologiche, realizzando allo stesso tempo altre importanti operazioni sul fascio ultrasonoro, tra le quali la focalizzazione (fissa e variabile), nonché l’apodizzazione.
8.11.2 Scansione a sfasamento Descrivendo il principio di funzionamento della scansione sequenziale si è accennato al fatto che, al fine di realizzare una focalizzazione efficace per ogni linea di vista, i piezoelementi di ciascun gruppo vengono controllati indipendentemente l’uno dall’altro, mediante un’appropriata sequenza di attivazione. Per comprendere meglio le modalità con cui ciò avviene, occorre fare riferimento nuovamente al principio di Huygens-Fresnel, descritto nel capitolo 4, e applicarlo alla tecnologia delle sonde a schiera. Tali sonde, infatti, approssimano le condizioni di validità del principio citato, poiché realizzano la suddivisione di un unico elemento piezoelettrico oscillante in una schiera di elementi componenti, ognuno dei quali emette un’onda di pressione; in ciascun istante e in ciascun punto dello spazio, il campo di pressione è quello risultante dai contributi di tutti gli elementi della schiera. Nell’ipotesi di sorgenti elementari oscillanti tra loro in fase (vale a dire con ritardo nullo), quali quelle mostrate nel capitolo 4, il fronte d’onda complessivo della perturbazione ri-
Figura 8.37. Applicazione del principio di Huygens-Fresnel a una schiera. (a) Tutti i piezoelementi vengono alimentati contemporaneamente (differenza di fase nulla), per cui il fronte d’onda complessivo ΠF è piano. (b) L’eccitazione viene fornita in modo che tra i segnali vi sia uno sfasamento definito da legge quadratica, per cui il fronte d’onda ΠF è concavo, ossia focalizzato in un punto F (fuoco).
Capitolo 8
· La formazione dell’immagine ecografica
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Figura 8.38. Applicazione del principio di Huygens-Fresnel a una schiera. Se l’eccitazione fornita ai piezoelementi è tale che tra l’emissione di ciascuno di essi vi sia uno sfasamento definito da legge lineare, il fronte d’onda che ne deriva è piano e inclinato rispetto alla normale alla superficie emittente (steering). Nella figura sono riportati i tempi di attivazione t1, t2, t3, ..., t6 di una schiera composta da 7 elementi e la progressiva formazione del fronte d’onda.
sulta piano. Con opportuni sfasamenti nell’eccitazione delle singole sorgenti, la forma e la direzione della perturbazione può essere variata: ciò è illustrato nelle figure 8.37 e 8.38. Nella figura 8.37a è riportato il fronte d’onda piano ΠF generato dalla sovrapposizione dei fronti d’onda sferici, in fase tra loro, originati dall’attivazione contemporanea di tutti i piezoelementi. Se, al contrario, è possibile pilotare ciascuna sorgente elementare con un ritardo prestabilito rispetto alle altre, il fronte d’onda ΠF può essere curvato a piacere per ottenere nuove configurazioni, in particolare al fine di realizzare la focalizzazione. Nella figura 8.37b, si può osservare come la sovrapposizione di onde sferiche in fase tra loro (e dunque il verificarsi di interferenza costruttiva tra di esse) nel punto F, che nel trasduttore singolo veniva ottenuta per via geometrica per mezzo della curvatura del piezoelemento66, viene ora realizzata differendo gli istanti di partenza delle singole perturbazioni. Nella figura 8.38 sono illustrate le modalità con le quali si può dirigere opportunamente il fronte d’onda e dunque il fascio di ultrasuoni. La difficoltà essenziale in questa operazione di pilotaggio consiste nel far emettere a ciascun punto della superficie del trasduttore un’onda di fase stabilita (diversa da punto a punto) e finemente regolabile, essendo meccanicamente vincolati tra loro i punti sulla superficie del piezoelemento. Per chiarire meglio il concetto si consideri che, per quanto riportato nel capitolo 5, in un trasduttore con superficie di emissione sferica il fuoco F e il centro di curvatura C coincidono (con buona approssimazione), se quest’ultimo cade entro la zona di campo vicino. Ricordando quanto riportato sulla differente configurazione del campo emesso dal trasduttore a geometria sferica, rispetto a quello piano (non focalizzato), si sottolinea che, nel caso di trasduttore sferico, tutte le infinite sorgenti
66 L’obiettivo consisteva nel rendere tutti uguali i percorsi delle onde ultrasonore per giungere nel fuoco.
Fondamenti di Ingegneria Clinica
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· Ecotomografia
Figura 8.39. Ritardo di fase nell’attivazione delle sorgenti elementari, che costituiscono un trasduttore piano, per ottenere una focalizzazione nel punto C come se esso fosse curvo.
elementari sono equidistanti dal centro di curvatura C della superficie emittente, e perciò tutte le perturbazioni si incontrano in fase in C; il fronte d’onda risultante è anch’esso una superficie sferica concentrica al trasduttore. Il parametro essenziale, secondo il quale tutte le perturbazioni elementari non solo non si elidono, ma anzi si rinforzano nel punto C, è l’argomento ψ (nel seguito indicato come fase ψ) ψ=
2π f r + ϕ = 2πνr + ϕ c
[8.13]
ove ν = 1/λ è la frequenza spaziale della perturbazione 67 (che per semplicità si suppone sinusoidale), r la distanza percorsa a partire dal punto di emissione e ϕ la fase posseduta dall’onda nell’istante della sua emissione. Nell’analisi del trasduttore a pistone (circolare o rettangolare) si è ipotizzato che tutti i punti della superficie emittente oscillassero tra loro in fase; tale moto rigido della superficie si traduce in una medesima fase iniziale per tutte le onde elementari e ciò consente di considerarla nulla su tutta la superficie del trasduttore senza perdita di generalità, come nella figura 8.37a. I trasduttori a curvatura sferica, per i quali tutti i punti Q della superficie emittente oscillano in fase radialmente (figura 8.39), focalizzano il campo pressoché in C, mantenendo costante la fase ψ della perturbazione lungo il generico raggio CQ, poiché anche in tale caso si può porre nulla la fase ϕ e risulta inoltre costante il cammino percorso r. La relazione [8.13] suggerisce il sistema per controllare la fase del-
67 Si è voluto qui ricordare che in ecografia tempi e spazi sono equivalenti e che la frequenza spaziale ν è equivalente a quella temporale f e ha dimensioni (m–1).
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· La formazione dell’immagine ecografica
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le singole perturbazioni nei punti dello spazio, che consiste nel regolare opportunamente la fase iniziale ϕ con cui esse vengono emesse dal trasduttore. Con riferimento alla figura 8.39, per ottenere un campo di pressione focalizzato in C, vale a dire per far sì che tutte le perturbazioni generate dal trasduttore piano di apertura 2a giungano in C con la medesima fase (interferenza costruttiva), per la fase iniziale ϕ (x) di oscillazione di ciascun punto del trasduttore deve verificarsi
(
)
(
)
()
ψ C x , z C = 2 πν ⎡⎣rC + Δ rC x , z C ⎤⎦ + ϕ x = costante
[8.14]
nella quale zC è la coordinata sull’asse del trasduttore del punto C (non necessariamente appartenente a tale asse, come verrà illustrato in seguito). La relazione [8.14] è verificata ponendo
{
(
)}
ϕ = costante − 2πν ⎡⎣rC + ΔrC x , z C ⎤⎦
[8.15]
In altre parole occorre far emettere al trasduttore piano una perturbazione con fase iniziale ϕ (x) variabile lungo la direzione in cui si sviluppa la schiera (azimut), in modo tale da compensare la variazione di cammino ΔrC (x,z) delle onde sferiche per giungere in C. Per tale variazione ΔrC (x,z) risulta (assunta come riferimento la configurazione sferica del trasduttore monoelemento) ⎛ x⎞ rC + Δ rC x , z C = z C 2 + x 2 = z C 1 + ⎜ ⎟ ⎝ zC ⎠
(
)
2
[8.16]
e perciò, nel caso rC = zC rappresentato nella figura 8.39, 2 ⎡ ⎤ ⎛x⎞ ΔrC x , z C = z C 2 + x 2 − rC = z C ⎢ 1 + ⎜ ⎟ − 1⎥ ⎥ ⎢ ⎝ zC ⎠ ⎣ ⎦
(
)
[8.17]
La curvatura della superficie (del trasduttore sferico di riferimento), per la quale si ha un cammino aggiuntivo ΔrC(x, z), si traduce per il trasduttore piano in un anticipo δC dell’onda proveniente dal piezoelemento posto nel punto Q, a distanza x rispetto a quello collocato nell’origine O degli assi di riferimento (centro della superficie emittente dell’array), che fornisce ϕ = 2π f δC. Tale anticipo è funzione della distanza x ed è pari al rapporto ΔrC /c, tra la differenza di percorso e la velocità di propagazione dell’onda nel mezzo, secondo la
(
)
δ C x , zC = −
(
ΔrC x , z C c
)=−z
2 ⎤ ⎡ ⎢ 1 + ⎛ x ⎞ − 1⎥ ⎜⎝ z ⎟⎠ ⎥ c ⎢ C ⎦ ⎣ C
[8.18]
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482
· Ecotomografia
nella quale il segno negativo denota che l’intervallo di tempo ΔrC /c è in anticipo. Avvalendosi a questo punto dell’approssimazione di parassialità, secondo la quale, a distanze sufficientemente elevate, si può porre x /zC<<1, si può assumere 2
⎛ x⎞ 1⎛ x ⎞ 1+ ⎜ ⎟ ≅ 1+ ⎜ ⎟ 2 ⎝ zC ⎠ ⎝ zC ⎠
2
[8.19]
che trae origine dallo sviluppo in serie di Taylor troncato al primo ordine, del tipo t t2 1 + t ≅ 1 + − + 2 8
[8.20]
valido per t<<1. Sostituendo l’approssimazione [8.19] nella relazione [8.17], si può ricavare per ΔrC(x,zC) un’espressione approssimata nel piano di scansione (o azimutale) xz ⎡ 1 ⎛ x ⎞ 2 ⎤ x2 ΔrC x , z C ≅ z C ⎢1 + ⎜ ⎟ − 1⎥ = ⎢⎣ 2 ⎝ z C ⎠ ⎥⎦ 2z C
(
)
[8.21]
e perciò l’anticipo δC risulta pari a
(
)
δC x, zC = −
x2 2cz C
[8.22]
In realtà, più che di anticipo δC , nell’emissione delle onde rispetto all’istante di emissione del piezoelemento centrale in O, si parla di ritardo τC nell’emissione rispetto all’istante di origine della perturbazione relativa al piezoelemento estremale posto a distanza a dall’asse. In definitiva il punto P sulla superficie del trasduttore, posto alla quota x da O, emette la perturbazione secondo il ritardo τC fornito da68
(
)
τC x, zC =
(
a2 x2 1 − = a2 − x 2 2cz C 2cz C 2cz C
)
[8.23]
68 Si noti che l’arco di circonferenza tratteggiato nella figura 8.39 può essere interpretato come la curva degli anticipi rispetto all’istante di emissione del punto O descritta dalla relazione [8.22]; per ottenere la curva dei ritardi rispetto all’istante di emissione del punto estremale A occorre operare una traslazione della curva verso sinistra della quantità δC(a,zC).
Capitolo 8
· La formazione dell’immagine ecografica
483
Si osserva come in questo caso al centro del trasduttore (x = 0) viene applicato un ritardo pari a a2/(2czC), mentre agli estremi del trasduttore (x = ±a) il ritardo è nullo. Quanto appena illustrato riguarda focalizzazioni lungo l’asse di propagazione, come si è già avuto modo di precisare; tuttavia espressioni analoghe (sotto le medesime approssimazioni) possono essere ottenute nel caso più generale di focalizzazione in un qualsiasi punto P del piano di scansione, cioè non necessariamente appartenente all’asse Z,
(
)
δP x, x P , zP = −
(
(
Δ rP x , x P , z P
)
τP x, x P , zP =
c
)=−
(
1 x 2 − 2 xx P 2cz P
(
)
1 ⎡a 2 − x 2 − 2 x P a − x ⎤ ⎦ 2cz P ⎣
)
[8.24]
[8.25]
dove le coordinate xP e zP sono sempre riferite al centro della schiera O. Le relazioni [8.23] e [8.25] risultano identiche, tranne che per il termine lineare 2xP(x–a); esso è relativo al ritardo addizionale da applicare per ottenere l’inclinazione del fascio. Tale operazione di deflessione viene in genere indicata con il termine steering. Come risultato generale si può affermare che una curva dei ritardi lineare deflette il fascio ultrasonoro, mentre una curva quadratica sposta la focalizzazione in avanti o indietro lungo l’asse di propagazione. Quanto sopra esposto non è tecnologicamente realizzabile, essendo basato sull’ipotesi che sia possibile variare con continuità il ritardo su un numero infinito di sorgenti elementari (ipotesi del continuo), ma costituisce il punto di partenza teorico per la trattazione del pilotaggio di un numero discreto di sorgenti (i piezoelementi nelle sonde a schiera) indipendentemente dal loro numero e dalla loro collocazione su superficie piana o concava (di ciò si riferisce nei paragrafi che seguono).
8.12 Array anulari Come anticipato, l’impossibilità di pilotare un trasduttore con fasi diverse in diversi punti della sua superficie è in parte superabile suddividendolo fisicamente in un certo numero di sottoelementi meccanicamente ed elettricamente indipendenti. In tale modo si realizza una schiera (array) di piezoelementi, ciascuno dei quali contribuisce a formare il campo ultrasonoro. La realizzazione di trasduttori a schiera anulare (annular array) rappresenta il tentativo di integrare la possibilità di eseguire focalizzazioni del fascio a varie profondità (funzione non realizzabile esclusivamente per via geometrica, con i trasduttori sferici o muniti della lente acustica, ma solamente introducendo una tempistica di eccitazione differenziata) con le capacità di focaliz-
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484
· Ecotomografia
zazione proprie dei trasduttori circolari 69. Come rappresentato nella figura 8.40, i trasduttori anulari sono costituiti da un numero m di elementi concentrici (tipicamente 6), il più interno dei quali è un disco, mentre gli m–1 sono corone circolari. Per ora si considererà il trasduttore piano, cioè con tutti gli elementi della schiera complanari. Gli elementi dell’array sono isolati l’uno dall’altro ed è, pertanto, possibile pilotarli indipendentemente tramite l’applicazione di ritardi opportuni al fine di ottenere focalizzazioni equivalenti a quelle che si avrebbero con l’ausilio di lenti. Il ritardo τ, che deve essere applicato a ciascuno di essi, deriva dall’espressione [8.23], nella quale la quota x va intesa come dimensione radiale, modificata in modo da tenere conto del numero finito degli elementi; anziché variare con continuità in funzione della quota x, i ritardi imposti ai singoli piezoelementi hanno andamento discreto, descritto perciò dalla relazione
( )
τi a i , z =
a 2m − a i2 2cz C
i = 1, 2, ...,, m
[8.26]
nella quale ai è il raggio esterno dell’elemento i-esimo, am è il raggio esterno dell’intero trasduttore e zC è ancora la coordinata sull’asse di propagazione del punto C dove si desidera focalizzare. Con la tempistica di eccitazione descritta dalla relazione [8.26], le perturbazioni generate da ogni anello percorrono le distanze ri giungendo in C tutte in fase. Per simulare compiutamente la funzione svolta da una lente acustica, il trasduttore dovrebbe essere suddiviso in un numero infinito di anelli di larghezza infinitesima, ciascuno alimentato da un segnale ritardato di una quantità infinitesima dt rispetto ai segnali di eccitazione inviati agli anelli adiacenti. L’andamento discreto dei ritardi, dovuto alle dimensioni finite degli anelli, rappresenta un compromesso accettabile finché la differenza tra il ritardo applicato τi e quello ideale corrisponde a un errore di fase di circa 10 gradi 70; la dimensione radiale degli anelli viene stabilita in modo che tutti gli elementi dell’array, a partire dal disco centrale, abbiano medesima area71. Questo criterio di progetto deriva dalla necessità che elementi del trasduttore di area uguale abbiano la medesima impedenza elettrica (rappresentando quindi un medesimo carico elettrico, sia in trasmissione sia in ricezione) e, inoltre, che i campi generati da anelli di pari area siano caratterizzati dalla stessa distanza di transizione Ni tra campo vicino e campo lontano. 69
Essi sono a simmetria assiale e non presentano l’inconveniente delle sonde a schiera, per le quali la focalizzazione è attuata per via elettronica solo nel piano azimutale (sonde 1D). 70 Per maggiori approfondimenti dal punto di vista progettuale il lettore può consultare per esempio: M. Arditi et al (1981) Transient fields of concave annular arrays. Ultrason Imaging 3: 37-61; F.S. Foster et al (1989) Development of a 12 element annular array transducer for Real-Time ultrasound imaging. Ultrasound in Med & Biol 15; 7: 649-659; F.S. Foster et al (1989) A digital annular array prototype scanner for Real-Time ultrasound imaging. Ultrasound in Med. & Biol 15; 7: 661-672. 71 Il che comporta per il raggio di ciascuno degli m piezoelementi che a /a = (i/m) 1/2. i m
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· La formazione dell’immagine ecografica
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Figura 8.40. Trasduttore anulare (annular array). A sinistra, vista delle superfici emittenti; a destra, sezione diametrale; sono indicati i raggi interni ai (i = 1, 2, ..., m) di ciascun anello.
In particolare, la distanza di transizione Ni – relativa all’elemento anulare i-esimo del trasduttore e intesa come il punto in cui il campo acustico generato dall’elemento raggiunge il suo ultimo massimo – è rappresentata dalla relazione72 2
⎛ a2 a2 λ⎞ N i = ⎜ i − i−1 − ⎟ − a i2−1 λ 4⎠ ⎝λ
i = 1, 2, ..., m
[8.27]
che nel caso ai–1 = 0 (disco pieno) si riduce a quella valida per l’ascissa N dell’ultimo massimo sull’asse z del campo di pressione generato da un trasduttore circolare, riportata qui per comodità di esposizione ⎛ a 2 λ ⎞ a 2 D2 Ni = ⎜ i − ⎟ ≅ i = i ⎝ λ 4 ⎠ λ 4λ
[8.28]
Per elementi anulari (compreso il disco centrale) tutti della stessa area Ai=A si ha A = π a 2i − a i2−1 [8.29]
(
)
e ciò conduce a un medesimo valore Ni per ciascun anello pari a 2
2
⎛ a2 a2 ⎛ A λ⎞ A λ⎞ N i = ⎜ i − i−1 − ⎟ − a 2i−1 = ⎜ i − ⎟ − a i2−1 ≅ i = costante λ 4⎠ πλ ⎝ πλ 4 ⎠ ⎝λ
[8.30]
72 A essa si perviene con procedimento analogo a quello seguito nel capitolo 5 per ottenere la [5.22], svolgendo l’integrale di Rayleigh-Sommerfield, tra gli estremi ai–1 e ai, lungo l’asse di propagazione z.
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· Ecotomografia
L’approssimazione introdotta può assumersi come valida nella pratica realizzativa nella quale, considerando per esempio un tipico trasduttore per impiego cardiologico di diametro esterno pari a 20 mm composto da 6 elementi, per una frequenza pari a 2,5 MHz e posto al solito c = 1540 m/s, i termini λ/4 e a2m–1 risultano trascurabili. Per i valori considerati nell’esempio, l’estensione di campo vicino è Ni =27mm circa, sia per l’elemento centrale, sia per ciascun anello (per quello esterno risulta per esempio N6 ≅ 25 mm), a fronte di un valore N relativo all’intero trasduttore di area 6Ai , ossia allorquando tutti gli anelli vengono attivati contemporaneamente, pari a N = am2/λ = (20 mm)2/(4·0,62 mm) ≅ 162 mm. Ricordando quanto già stabilito riguardo la focalizzazione efficiente, il dimensionamento della schiera è effettuato in modo tale che si ottenga una sufficiente focalizzazione all’interno della regione stabilita dalle necessità diagnostiche, in particolare, nell’esempio proposto, tra 5 e 15 cm. Nella tabella 8.2 sono riportati i ritardi, nell’eccitazione degli elementi dell’array (ancora nel caso esemplificativo considerato), da applicare per ottenere la focalizzazione a due diverse profondità zC lungo l’asse del trasduttore Tabella 8.2. Ritardi applicati agli elementi di un array anulare piano per focalizzazione a due diverse profondità elemento i 1 (centrale) 2 3 4 5 6
τi (ns) zC = 75mm zC = 50mm 360 540 290 430 220 320 140 220 72 110 0 0
Si è fatto cenno in precedenza all’errore che si commette nel sostituire il ritardo ideale τ (x,zC), inteso come funzione continua della generica quota x, con il ritardo discreto τi assegnato all’elemento i-esimo dell’array, costante all’interno dell’elemento stesso. Tale errore εi(x,zC) = τi(ai,zC)–τ (x,zC) è riportato nella figura 8.41, sia nel caso di piezoelementi del trasduttore caratterizzati da pari superficie (di cui si è discusso), sia nel caso di elementi di uguale estensione radiale ai – a i–1 = costante. Come già stabilito, i ritardi ideali τ giacciono su un arco di circonferenza, mentre quelli τi approssimati giacciono sulla spezzata descritta dalla relazione [8.26], nella quale si è in questo caso sostituito il valore xi del raggio medio dell’anello al valore ai del raggio esterno. L’entità dell’errore introdotto con l’utilizzo dell’array è tanto maggiore quanto più ci si allontana dal centro O della schiera e quanto più si desidera focalizzare vicino al trasduttore. Per questo motivo si preferisce in genere costruire trasduttori ad array anulare dotati anche di focalizzazione geometrica, ottenuta tramite una curvatura sferica, ovviamente di tipo fisso. In tali realizzazioni i ritardi elettronici vengono uti-
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Figura 8.41. Curva dei ritardi di eccitazione in un array anulare durante la focalizzazione. (a) Sezione diametrale dell’array con curva ideale dei ritardi ΨI (in nero) e curva reale ΨR (in verde); stabilito il punto C di focalizzazione, l’errore ε che si compie sui ritardi di eccitazione in corrispondenza di ciascuna posizione x sull’array è pari alla differenza ΨI(x)–ΨR(x). (b) Diagramma dell’errore ε(x) per l’array anulare in (a) con focalizzazione in C. (c) Diagramma dell’errore ε(x) per un array anulare i cui anelli abbiano tutti medesimo spessore; in questo caso risulta evidente come ε non solo sia maggiore che nel caso di anelli di pari area, ma presenti anche sulla superficie del trasduttore un andamento più irregolare, con valori più elevati in corrispondenza della periferia: pertanto l’impiego di anelli di differente estensione radiale (ai– ai–1) migliora le prestazioni del trasduttore anche dal punto di vista delle fasi (sia in trasmissione, sia in ricezione).
lizzati per variare la lunghezza focale nell’intorno del fuoco geometrico, garantito dalla geometria del trasduttore o della lente, per cui la differenza tra i ritardi teorici e quelli realmente imposti elettronicamente si riduce. Nella figura 8.42 sono riportati gli andamenti di pressione lungo l’asse di propagazione nel caso di trasduttore a schiera anulare73 di tipo sferico (cioè focalizzato anche geometricamente), con centro di curvatura del trasduttore C posto a R = 100 mm. I grafici riguardano l’andamento del massimo del valore assoluto |p(z)| della pressione sonora per i campi generati da ciascun elemento e per quelli generati dall’intera schiera senza l’applicazione dei ritardi. Nella figura 8.43 si osserva l’effetto della focalizzazione elettronica ottenuta pilotando in tempi differenti ciascun elemento dell’array. Va sottolineato il fatto che per gli array anulari, a causa della simmetria circolare secondo cui sono disposti gli elementi, è possibile focalizzare il fascio lungo l’asse ma non defletterlo elettronicamente; è perciò necessario che il trasduttore realizzi la scansione del fascio meccanicamente con l’ausilio di apposito motore, analogamente a quanto accade per le sonde a scansione meccanica (figura 8.44). 73
Non è considerata la porzione anulare del trasduttore non attiva (presente tra un elemento e l’altro).
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
Figura 8.42. Campo di pressione sonora massima generato lungo l’asse z da un trasduttore anulare di apertura 2a = 20 mm e raggio di curvatura R = 100 mm, corrispondenti a un f/number geometrico pari a f/ = 100 /20 = 5. (a) Andamento della pressione |pi(z)| (i = 1, 2, ..., 6). (b) Andamento della pressione |ptot(z)| risultante dall’attivazione di tutti gli anelli con ritardi nulli (a titolo di confronto sono riportati anche gli andamenti |pi(z)| relativi a ciascun anello preso singolarmente).
Analogamente a quanto osservato nel capitolo 5 per il campo di pressione prodotto dal trasduttore sferico, anche nel caso di trasduttore sferico ad array anulare il fuoco è interno alla zona di transizione e la focalizzazione è efficiente se il centro di curvatura C è posto in modo che R
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· La formazione dell’immagine ecografica
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Figura 8.43. Campo di pressione sonora massima |p(z)| generato lungo l’asse z da un trasduttore anulare, di apertura 2a = 20 mm e raggio di curvatura R = 100 mm, ai cui elementi sono stati applicati ritardi al fine di focalizzare il fascio alle profondità di 30, 50, 70 e 170 mm; la focalizzazione dovuta alla curvatura del trasduttore avviene a circa 80 mm, mentre la focalizzazione elettronica consente di avvicinare la zona focale al trasduttore.
Figura 8.44. Sonda anulare a scansione meccanica (Esaote SpA). (a) Vista dei cinematismi che consentono la scansione. (b) Sonda completamente assemblata.
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Figura 8.45. Campo di pressione sonora massima |p(z)| generato lungo l’asse z da un trasduttore di apertura a = 50 mm e raggio di curvatura R = 100 mm corrispondenti a un f/number geometrico unitario. Sono mostrati i contributi dei singoli elementi (aree degli anelli uguali) e il campo prodotto da tutto il trasduttore. Si noti come l’ampiezza della pressione in corrispondenza del fuoco sia di un ordine di grandezza superiore al caso precedente; tali valori non elevati (ottenuti peraltro con un trasduttore di ampie dimensioni) non sono impiegati in ambito diagnostico.
raggio di curvatura pari a 100 mm e quindi con f/number geometrico pari a 1, il centro C 74 cade ampiamente all’interno della regione di transizione di campo vicino pari a N = a2/λ = 4032 mm. In queste condizioni, prevale l’effetto convergente imposto dalla curvatura del trasduttore, rispetto alla divergenza dovuta alla diffrazione, come si può verificare nella figura 8.45, nella quale è riportato l’andamento della pressione |p(z)| lungo l’asse dell’array, confrontato con quello relativo ai singoli anelli.
8.13 Direttività dei trasduttori a schiera (o cortina) lineare Analogamente a quanto esposto a proposito della sonda costituita da un unico piezoelemento, anche per le sonde a schiera è possibile studiare l’andamento della funzione di direttività, vale a dire individuare le regioni dello spazio entro cui viene confinata l’energia acustica generata dal trasduttore. Nel seguito viene considerato il caso di una cortina di N elementi piezoelettrici rettangolari. In linea di principio, il calcolo della funzione di direttività per una tale configurazione viene condotto in maniera del tutto analoga a quello seguito in ottica per stabilire i pattern di diffrazione relativi a un’onda piana che attraversi una schiera di fenditure rettangolari. Ricordando quanto stabilito nel capitolo 5, un trasduttore (sorgente) di geometria data può esse-
74
Si ricorda che il fuoco effettivo è quasi coincidente con il centro di curvatura se R<
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· La formazione dell’immagine ecografica
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re descritto mediante la funzione di illuminazione f(ξ,η), che rappresenta l’ampiezza della perturbazione (acustica, luminosa eccetera) nei punti dello spazio appartenenti alla superficie radiante della sorgente. Nel caso di una schiera di piezoelementi (illustrata nella figura 8.46), la funzione di illuminazione sul piano del trasduttore vale zero nello spazio tra un elemento e l’altro ed è diversa da zero in corrispondenza di ciascun piezoelemento. In generale, l’ampiezza dell’eccitazione elettrica cui è sottoposto ogni elemento può essere diversa da punto a punto nel piano xy ma, essendo gli elettrodi per quanto possibile uniformemente depositati, essa può considerarsi costante; considerando il comportamento del singolo piezoelemento come quello di un pistone, la funzione di illuminazione risulterà a sua volta costante. Assumendo che i singoli cristalli siano tra loro identici, essi forniranno la stessa risposta meccanica (ampiezza di oscillazione) se eccitati elettricamente nello stesso modo. Pertanto, nel definire la funzione di illuminazione della schiera, è possibile fare riferimento, senza perdita di generalità, a una ddp di eccitazione applicata agli elettrodi di ampiezza unitaria. Richiamando i concetti già illustrati, in una sonda ecografica la funzione di illuminazione f(ξ,η) rappresenta l’andamento della pressione sulla superficie radiante del trasduttore, mentre si definisce funzione di radiazione F(α,β)
Figura 8.46. Caratterizzazione geometrica di un array lineare. In una schiera di estensione complessiva W lungo la direzione di scansione x, ciascun piezoelemento dista da quelli adiacenti di una distanza pari a d ed è caratterizzato da larghezza w e altezza . La funzione di illuminazione, definita sul piano del trasduttore, è diversa da zero in corrispondenza di ciascun piezoelemento e vale zero nello spazio tra un elemento e l’altro.
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· Ecotomografia
quella che rappresenta l’ampiezza della pressione p(x,y,z), in un punto P(x,y,z) del campo ultrasonoro all’interno della regione di campo lontano e visto da angoli di osservazione α di azimut e β di elevazione rispetto all’asse z. Analogamente a quanto già riportato per la formazione del fascio ultrasonoro con una sonda monoelemento, si dimostra che la funzione di direttività F(α,β), valutata nell’approssimazione di campo lontano, è la trasformata di Fourier (nelle coordinate x e y definite nel capitolo 5) della funzione di illuminazione f(ξ,η). Per ogni distinta direzione di osservazione, individuata dagli angoli di azimut ed elevazione α e β, si ha perciò
{ ( )}
F(α , β) = ℑ f ξ,η
[8.31]
L’approssimazione di Fraunhofer, valida in campo lontano, consiste pertanto nel ridurre l’integrale esatto di Rayleigh-Sommerfeld in un integrale di Fourier, che per geometrie semplici del trasduttore è facilmente calcolabile. Per chiarezza, è opportuno richiamare alcune conclusioni nel caso in cui l’elemento piezoelettrico abbia superficie radiante rettangolare di dimensioni w e , rispettivamente lungo gli assi ξ e η, e supponendo che tale superficie sia interessata da oscillazioni sinusoidali di pressione di ampiezza costante a 0 dirette lungo l’asse z, si può esprimere la funzione di illuminazione come ⎛ ξ⎞ ⎛ η⎞ f monoelemento (ξ, η) = a 0rect ⎜ ⎟ ⋅ rect ⎜ ⎟ ⎝ w⎠ ⎝ ⎠
[8.32]
Figura 8.47. Apertura di un singolo trasduttore rettangolare e sua direttività in campo lontano. Sono indicati la zona di Fresnel (campo vicino) e quella di Fraunhofer (campo lontano); sono inoltre rappresentati il piano oggetto, contenente il punto di osservazione P(x,y), il piano azimutale (ϕ = 0) e il piano di elevazione (ϕ = π /2).
Capitolo 8
· La formazione dell’immagine ecografica
493
nella quale le funzioni rect(ξ/w) e rect(η/) valgono 1 per 0<ξ<w e 0<η< , e zero altrove; esse rappresentano rispettivamente rettangoli di dimensioni w e e descrivono i profili (cioè la forma) del piezoelemento sul suo piano. La trasformata di Fourier di una funzione rettangolare è la funzione sinc, per cui si ha (posto per comodità a0 = 1) ⎛ sinβ ⎞ ⎛ wsinα ⎞ F monoelemento (α ,β) = wsinc ⎜ sinc ⎜ ⎟ ⎝ λ ⎟⎠ ⎝ λ ⎠
[8.33]
Poiché la funzione di illuminazione di un trasduttore rettangolare nelle variabili ξ e η è esprimibile come il prodotto di due funzioni di una variabile, una dipendente da x e l’altra da y, è possibile separare i due contributi della funzione di illuminazione f(ξ) e f(η) nei piani individuati, rispettivamente, dagli angoli ϕ = 0 e ϕ = π/2 della figura 8.47, corrispondenti a punti del campo a distanza z individuati dalla sola elevazione β o dal solo angolo azimutale α. Si può ottenere perciò ⎛ ξ⎞ f(ξ) = rect ⎜ ⎟ ⎝ w⎠
⎛ η⎞ f(η) = rect ⎜ ⎟ ⎝ w⎠
[8.34]
per le quali ⎛ w sin α ⎞ F(α) = w sinc ⎜ ⎝ λ ⎟⎠
⎛ sin β ⎞ F(β) = sinc ⎜ ⎝ λ ⎟⎠
[8.35]
i cui andamenti, rappresentati nella figura 8.47, devono essere considerati come l’intersezione della F(α,β) (già riportata nel capitolo 5) con i piani citati. In una sonda costituita da N elementi allineati lungo la direzione azimutale (ϕ = 0) il piano di scansione è il piano ξz (o il piano xz se ci si riferisce al piano oggetto invece che al piano del trasduttore) nel quale viene effettuata la focalizzazione elettronica. Nel piano del trasduttore ξη , la funzione di illuminazione (uniforme) del singolo elemento si ripete con passo costante lungo l’asse ξ e per una larghezza pari alla dimensione totale W della schiera di piezoelementi. La funzione di illuminazione della schiera può essere espressa come ⎡ ⎛ ξ⎞ ∞ f schiera (ξ) = ⎢rect ⎜ ⎟ ⊗ ∑ δ ξ − id ⎝ w ⎠ i=1 ⎣
(
)⎤⎥rect ⎛⎜⎝ Wξ ⎞⎟⎠ ⎦
[8.36]
in cui si ricorda che il simbolo ⊗ indica l’operazione di convoluzione. L’espressione [8.36] deriva dal fatto che, come noto, la funzione impulso matematico (o delta di Dirac) δ(x) è definita come δ(x) = + ∞ per x = 0 e δ(x) = 0 per x ≠ 0 e il suo integrale tra – ∞ e + ∞ (area sottesa alla curva) è unitario. Da queste proprietà discende il fatto che la convoluzione di δ(x) con una qualsiasi funzione
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f(x) restituisce proprio la funzione f(x) e inoltre che la convoluzione di f(x) con δ(x– τ) restituisce il valore f(x– τ), vale a dire il valore della funzione f traslata nella direzione delle x positive (cioè ritardata) del valore τ. La funzione δ(ξ–id) rappresenta l’impulso matematico δ(ξ) traslato nella direzione delle ξ positive del valore id, in cui i è un intero e d la distanza tra due piezoelementi adiacenti, cioè il passo (pitch); perciò, nell’espressione [8.36], la sommatoria per i che va da 1 a ∞ rappresenta una sequenza infinita di impulsi matematici separati dalla distanza d. La convoluzione di tale sequenza con la funzione rect(ξ/w) ha l’effetto di replicare la funzione rettangolare con passo d; la moltiplicazione di questa sequenza infinita di funzioni rettangolari per il termine rect(ξ/W) fornisce una sequenza di funzioni rettangolari limitata a una larghezza W, che è la larghezza complessiva del trasduttore a schiera. In definitiva, a secondo membro dell’espressione [8.36], il primo termine tra parentesi quadre rappresenta la funzione di illuminazione del singolo elemento, il secondo termine la posizione di ciascun elemento lungo l’asse x e il termine fuori parentesi l’ampiezza dell’intera schiera. L’espressione [8.36] risulta particolarmente maneggevole dal punto di vista matematico giacché, come è noto dalle proprietà della trasformata di Fourier, una convoluzione in un dominio (spazio) corrisponde a una moltiplicazione nell’altro (frequenza). Operando la trasformata nelle variabili x e y a primo e secondo membro della [8.36], e operando lo scambio tra convoluzione e moltiplicazione, si ottiene la funzione di radiazione dell’intera schiera come ⎛ w sin α ⎞ ⎡ ∞ ⎛ sin α i ⎞ ⎤ ⎛ W sin α ⎞ Fschiera (α) = w sinc ⎜ − ⎟ ⎥ ⊗ W sinc ⎜ ∑ δ⎜ ⎢ ⎟ d⎠⎦ ⎝ λ ⎠ ⎣ i=1 ⎝ λ ⎝ λ ⎟⎠
[8.37]
la relazione [8.37] rappresenta la funzione di radiazione del generico trasduttore a schiera costituito da N elementi (che emettono in fase). Se non si ricorre all’ipotesi di parassialità, per cui α ≅ 0, la [8.37] può essere scritta anche come ⎡ ⎛ Nπ d sin α ⎞ ⎤ ⎢ sin ⎟⎠ ⎥ λ ⎛ w sin α ⎞ ⎢ ⎜⎝ ⎥cos(α) Fschiera (α) = w sinc ⎜ π d sin α ⎥ ⎝ λ ⎟⎠ ⎢ ⎥ ⎢ sin λ ⎦ ⎣
[8.38]
Il termine cos(α), spesso trascurato in letteratura, rappresenta il fatto che il campo di pressione tende a zero lungo la direzione tangente alla superficie del trasduttore75; esso è pertanto trascurabile solo in prossimità dell’asse z, ortogonalmente al trasduttore, dove α ≅ 0 e dunque cos(α) ≅ 1, mentre va tenuto in
75 Il lettore può consultare A.R. Selfridge, G.S. Kino, B.T. Khuri-Yakub (1980) A theory for the radiation pattern of a narrow-strip acoustic transducer. Applied Physics Letters 37; 1.
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· La formazione dell’immagine ecografica
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conto se si intende valutare la funzione di direttività per angoli di deflessione α, tipici delle sonde a scansione elettronica, nell’intervallo da –45 a +45 gradi. Nelle sonde monoelemento l’asse del trasduttore e quello del fascio ultrasonoro (direzione z di propagazione) coincidono; perciò l’ipotesi di parassialità implica che la direzione del lobo principale sia perpendicolare alla superficie del trasduttore. Nella trattazione della direttività delle sonde monoelemento il termine cos(α) può essere trascurato poiché, essendo tutto il trasduttore orientato meccanicamente, α è sempre pari a zero. Nel caso di trasduttori a schiera, l’angolo formato tra il generico vettore posizione OP (dove O è il centro del trasduttore) e l’asse del trasduttore non coincide con quello che OP forma con l’asse di propagazione. Valutando il campo di pressione in questo caso si nota che, man mano che l’angolo α aumenta, la schiera è sempre meno in grado di convogliare energia nella direzione corrispondente 76. Tale circostanza va tenuta in conto, poiché gli andamenti della funzione di direttività dei trasduttori sono di solito presentati in forma normalizzata rispetto al massimo e ciò potrebbe far pensare erroneamente a un comportamento del trasduttore indipendente dalla direzione prescelta per orientare il fascio. La figura 8.48 illustra i passaggi che conducono dalla funzione di radiazione di un elemento alla funzione di radiazione dell’intera schiera, utilizzando le proprietà della trasformata di Fourier; a sinistra sono riportate le funzioni nel piano del trasduttore, mentre a destra sono riportate le corrispondenti trasformate di Fourier; come già precisato, in campo lontano esse rappresentano i campi di pressione generati dalle varie geometrie radianti sul trasduttore. Come già accennato, la funzione rect(ξ/w), che rappresenta l’estensione w di un singolo elemento dell’array, viene replicata nello spazio mediante l’operazione di convoluzione con una serie infinita di impulsi matematici equispaziati con passo d, pari al passo dell’array (nel dominio della frequenza ciò corrisponde a una moltiplicazione tra la funzione di trasferimento del singolo elemento e quelle della serie di impulsi). La serie infinita di elementi così ottenuta deve essere limitata entro l’apertura totale W del trasduttore, rappresentata dalla funzione rect(ξ/W): ciò si ottiene moltiplicando la serie infinita di rettangoli per tale funzione rettangolare. Nella figura 8.49 sono riportate le rappresentazioni cartesiane della funzione di direttività della schiera e del trasduttore a elemento singolo; analogamente a quanto stabilito per il trasduttore monoelemento, i picchi evidenti nel diagramma vengono denominati lobi; quello centrale, detto lobo principale, è il più intenso e testimonia che la maggiore quantità di energia viene inviata lungo l’asse z ortogonalmente alla superficie del trasduttore. A differenza di quanto avviene nel caso di trasduttore monoelemento, la natura discreta della schiera di elementi dà origine a una serie di altri lobi, detti lobi di replica
76 Questo comportamento deriva dal fatto che per α = 90 gradi diviene nulla la proiezione della superficie emittente lungo la direzione di osservazione.
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Figura 8.48. Funzione di illuminazione e sua trasformata di Fourier (funzione di radiazione) per l’array lineare. Si riconoscono le seguenti dimensioni: W è la larghezza complessiva della schiera, w è la larghezza di ciascun elemento, d è il passo tra elementi contigui, è l’estensione degli elementi nel piano dell’elevazione, ξ e η sono le coordinate nel piano della schiera, x è l’ascissa nel piano dell’immagine (contenuta nel piano azimutale), α è il generico angolo nel piano azimutale, z′ è la distanza tra l’origine del piano del trasduttore, corrispondente al centro della schiera, e l’origine del piano immagine. Secondo queste posizioni, l’ascissa x, in corrispondenza della quale viene valutato il campo di pressione, dipende dall’angolo α: in particolare x = z sinα. Gli andamenti delle trasformate di Fourier sono rappresentati in funzione dell’argomento della funzione δ di Dirac (sinα)/λ della [8.37].
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Figura 8.49. Ampiezza normalizzata del campo di pressione in campo lontano al variare dell’angolo di azimut per un trasduttore rettangolare. (a) Schiera di 10 elementi con funzione di radiazione in cui si distinguono un lobo principale (in corrispondenza di α = 0) e 6 lobi di replica; si osservano anche i lobi laterali, di entità notevolmente inferiore ai precedenti. (b) Trasduttore monoelemento con funzione di radiazione caratterizzato da un lobo principale e dai lobi laterali.
(grating lobes), di ampiezza paragonabile a quella del lobo principale. Essi danno luogo a una sensibilità trasversale della schiera e risultano dannosissimi ai fini della formazione dell’immagine ecografica77. Con riferimento alla figura 8.50 si osserva infatti che i bersagli intercettati lungo le direzioni relative ai lobi di replica rinviano al trasduttore, lungo le stesse direzioni, gli echi corrispondenti. Questi sono rilevati dal trasduttore e interpretati dall’ecotomografo come provenienti dalla direzione del lobo principale (asse della schiera), per cui sono collocati come ostacoli sull’immagine in una posizione diversa da quella effettiva. Una volta che i bersagli vengono intercettati dal lobo principale, essi vengono correttamente interpretati dall’ecotomografo. In conclusione, il segnale elaborato dall’ecotomografo genera oggetti, che sono inesistenti nel tessuto ma presenti nell’immagine ecografica (immagine fantasma o ghost), degradandone pertanto la qualità diagnostica; ciò fa parte di tutta una categoria di fenomeni, comunemente denominati artefatti, che generano, nell’immagine ecografica, una rappresentazione non corretta delle strutture visualizzate o del loro moto. 77 I lobi di replica sono presenti sia in trasmissione, sotto forma di energia acustica immessa nel mezzo in direzione diversa da quella del lobo principale, sia in ricezione, come sensibilità della schiera a echi provenienti da direzioni differenti da quella principale.
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Figura 8.50. Generazione di immagini fantasma a opera dei lobi di replica. Gli echi generati da ciascun grating lobe durante la scansione, vengono interpretati dall’ecografo come provenienti dalla direzione del lobo principale e visualizzati nell’immagine in posizione diversa da quella reale; lo stesso oggetto intercettato dal lobo principale viene correttamente interpretato. L’immagine dell’oggetto reale risulta replicata tante volte quanti sono i lobi di replica. (a) Fascio ultrasonoro in trasmissione e oggetto reale intercettato a istanti successivi dai lobi principale e di replica. (b) Immagine risultante dalla ricezione degli echi interpretati come provenienti comunque dalla direzione principale. All’istante t1 non vengono generati echi da nessuno dei lobi e nessun oggetto viene rappresentato nell’immagine; all’istante t2 gli echi provenienti dall’oggetto in direzione parallela al primo lobo di replica vengono considerati come provenienti dalla direzione principale e, pertanto, viene prodotta una prima immagine fantasma dell’oggetto (ghost); all’istante t3 gli echi provenienti dall’oggetto lungo la direzione principale sono visualizzati correttamente; all’istante t4 viene prodotto un secondo artefatto. L’immagine risultante dalla scansione presenta tre oggetti, di cui uno solo è quello effettivamente presente nella sezione reale.
Nella figura 8.51 è rappresentata la funzione di direttività mediante un diagramma polare, analogo a quello che è stato illustrato nel capitolo 5. Il lobo principale possiede una larghezza angolare pari a Δαp = 2α1 individuata dal primo zero della funzione di radiazione. Gli zeri della funzione di radiazione [8.38] risultano
Capitolo 8
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Figura 8.51. Estensione angolare Δαp del lobo principale e direzione αi del primo lobo di replica.
Nπ d sin α n λ
= nπ
[8.39]
e perciò risulta per l’angolo α1 (misurato rispetto all’asse z) ⎛ λ ⎞ ⎝ Nd ⎟⎠
α1 = arcsin ⎜
[8.40]
l’estensione angolare del lobo principale, centrato sull’asse, può perciò essere espressa come Δα p
⎛ λ ⎞ ⎛ λ⎞ = α1 = arcsin ⎜ = arcsin ⎜ ⎟ ⎟ ⎝ W⎠ 2 ⎝ Nd ⎠
[8.41]
Dall’angolo Δαp dipende la risoluzione angolare azimutale e, quindi, il potere risolutivo laterale della sonda; infatti si possono considerare risolti due oggetti spaziati angolarmente di Δα ≥ Δαp (si ricordi che due punti sono individuati come distinti dal trasduttore se la loro distanza è superiore alla dimensione laterale del fascio); per tale motivo Δαp viene anche indicato come potere risolutivo limitato dalla diffrazione (diffraction limited resolution). Rispetto all’asse del trasduttore, ciascun lobo di replica è centrato su una direzione di angolo αi direttamente correlato alla distanza d tra gli elementi nella schiera dalla seguente relazione78:
78
Ottenuta ponendo pari a zero l’argomento del delta di Dirac nella relazione [8.37].
Fondamenti di Ingegneria Clinica
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⎛ iλ ⎞ ⎝ d ⎟⎠
α i = ± arcsin ⎜
[8.42]
nella quale i è un numero relativo che indica l’ordine del lobo di replica. La relazione [8.42] suggerisce un importante criterio di prima approssimazione per il dimensionamento dei piezoelementi in un trasduttore a schiera, che consente di limitare la presenza di artefatti indotti dai lobi di replica. Se si fa in modo che l’angolo αi sia ampio, il campo di pressione generato in corrispondenza del lobo di replica risulta trascurabile rispetto a quello del lobo principale, come è possibile ricavare dall’espressione [8.38]. Se si vuole evitare che il primo lobo di replica illumini il campo di vista quando il fascio viene deflesso elettronicamente (assumendo, perciò, ampiezza paragonabile a quella del lobo principale), la distanza angolare tra i lobi di replica deve essere maggiore del massimo angolo di deflessione, cioè della semiampiezza del settore di scansione. Si consideri per esempio di voler ottenere un’immagine settoriale di ampiezza pari a 90 gradi per una frequenza di funzionamento di 5 MHz; in corrispondenza di tale valore angolare la relazione [8.42] fornisce per il primo lobo di replica (i =1) d=
(
λ
)
sin 90° 2
=
c 1540(m / s) ⋅ 2 = 4, 356 ⋅10 −4 m ≅ 0, 43 mm 2= f 5 ⋅10 6 MHz
[8.43]
ed è questo infatti l’ordine di grandezza dello spessore del singolo piezoelemento, come si può riconoscere dalle foto della figura 8.33. Dalla relazione [8.38] si riconosce più in generale che la funzione di direttività dipende dai parametri costruttivi dell’array, vale a dire la larghezza dell’elemento w, la spaziatura d tra gli elementi e il numero N di elementi. A que-
Figura 8.52. Effetto dei parametri costruttivi sulla funzione di radiazione normalizzata dell’array. Per un trasduttore con elementi di larghezza w = 0,25 mm e passo d = 0,375 mm (w/d = 0,667), una schiera di N = 4 piezoelementi produce una funzione di radiazione normalizzata, illustrata in (a), il cui lobo principale è di estensione maggiore rispetto a quello della funzione di radiazione, illustrata in (b), relativa a una schiera composta da N = 30 elementi. Per un trasduttore di 30 elementi disposti secondo un passo d = 0,375 mm, la funzione di radiazione normalizzata, illustrata in (b), della schiera caratterizzata da un rapporto w/d = 0,667, cioè con larghezza del piezoelemento w = 0,25 mm, presenta lobi di replica di ampiezza minore, relativamente a quella massima, rispetto alla funzione di radiazione rappresentata in (c), relativa a una schiera caratterizzata da piezoelementi più piccoli (w/d = 0,107), i cui lobi di replica hanno ampiezze comparabili a quelle del lobo principale. Per un trasduttore ancora di 30 elementi di larghezza w = 0,04 mm, ma disposti con passo minore d = 0,06 mm, tale che il rapporto sia nuovamente w/d = 0,667, i lobi di replica si allontanano da quello principale come illustrato in (d). Infine (e), per un trasduttore formato da elementi di estensione w = 0,04 mm e pitch d = 0,06 mm, ma con un numero di piezoelementi N = 100, si hanno lobi laterali di ampiezza trascurabile (ciò non si verifica comunque per i lobi di replica).
Capitolo 8
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sto riguardo, nella figura 8.52 sono mostrati esempi di diagrammi di direttività ottenuti al variare di tali grandezze dimensionali. Nella figura 8.52a,b si osserva come, a parità di dimensione w del singolo cristallo e di passo d tra gli elementi, all’aumentare del numero di piezoelementi attivi nell’array si riduca la larghezza del lobo principale, migliorando così la risoluzione spaziale del sistema (oltre che la sensibilità). Dal confronto tra i diagrammi della figura 8.52b,c si osserva invece come, per ridurre l’intensità dei lobi di replica rispetto a quello del lobo principale, sia opportuno, a parità di numero N di elementi e di larghezza w, rendere minimo il pitch d; elementi molto spaziati (illustrati nella figura 8.52c) sono infatti causa di grating lobes di intensità comparabile a quella del lobo principale. Infine, confrontando le figure 8.52d e 8.52e, si verifica come al ridursi del pitch i grating lobes tendano ad allontanarsi (angolarmente) dal lobo principale, diminuendo la propria influenza sull’immagine risultante.
8.13.1 Deflessione elettronica del fascio Si è già avuto modo di affermare che un trasduttore a schiera, essendo l’intera superficie emittente suddivisa in un elevato numero di cristalli, approssima nel piano azimutale le condizioni di validità del principio di Huygens-Fresnel. Si è altresì stabilito che è possibile deflettere il fascio applicando ai segnali di eccitazione ritardi variabili secondo una legge lineare, in funzione della posizione che l’elemento piezoelettrico occupa nella schiera. Con riferimento alla figura 8.53, si può dedurre l’entità del ritardo del segnale di eccitazione inviato a ciascun piezoelemento i-esimo rispetto a quello inviato all’elemento successivo (i+1)-esimo al fine di deflettere il fascio di un angolo αd rispetto all’asse del trasduttore ossia in modo che le perturbazioni generate da ciascuna sorgente si incontrino in fase sul piano ΠF ortogonale al piano azimutale e alla direzione di propagazione desiderata. Applicando le precedenti considerazioni al caso discreto, il generico elemento i-esimo deve emettere l’onda ultrasonora con il ritardo rispetto all’elemento n-esimo attivato per primo corrispondente alla minore distanza i da percorrere per giungere al piano ΠF. I ritardi applicati ai singoli elementi risultano quindi τi =
n − i (n − i) d sin α d = c c
i = 0, … n
[8.44]
ed essi corrispondono a uno sfasamento tra due elementi consecutivi pari a ϕ = ω Δ τ = ω (τ i+1 − τ i ) = ω
d sin α d c
[8.45]
Nel caso di emissione non in fase, la relazione [8.38] che descrive la funzione di radiazione del trasduttore (nel piano di scansione) può essere riscritta,
Capitolo 8
· La formazione dell’immagine ecografica
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Figura 8.53. Deflessione elettronica a sfasamento del fascio ultrasonoro. (a) Fronte d’onda caratterizzato dalla direzione di propagazione αd generato da n piezoelementi disposti con passo d. (b) Andamento nel tempo dei segnali di eccitazione i-esimi ritardati dell’intervallo τi rispetto al segnale inviato al n-esimo elemento attivato per primo; il fronte d’onda i-esimo risulta sfasato rispetto al successivo di un ritardo costante dsin αd /c. Al variare di αd varia il ritardo imposto e si ottiene la corrispondente orientazione del fascio.
nella forma ⎡ ⎛ Nπ d ⎞⎤ ⎢ sin ⎜ λ sin α + sin α d ⎟ ⎥ ⎛ w sin α ⎞ ⎢ ⎝ ⎠⎥ cos(α) F(α) = w sinc ⎜ ⎟ ⎞ ⎥ ⎛ πd ⎝ λ ⎠⎢ ⎢ sin ⎜ λ sin α + sin α d ⎟ ⎥ ⎠ ⎦ ⎝ ⎣
(
(
)
)
[8.46]
ricordando ancora che con α si è indicato l’angolo di azimut generico in corrispondenza del quale si sta valutando il campo di pressione (rispetto all’asse del trasduttore), mentre αd rappresenta la direzione di deflessione del lobo principale generato dalla schiera di piezoelementi (angolo di steering).
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8.13.2 Focalizzazione elettronica del fascio Analogamente al caso degli array anulari, anche per gli array lineari è possibile focalizzare il campo ultrasonoro in una regione dello spazio imponendo ritardi opportuni ai segnali di eccitazione degli elementi piezoelettrici, in modo che le perturbazioni da essi generate giungano in fase nella zona focale. Data la geometria rettangolare del trasduttore, essendo gli elementi disposti lungo una singola schiera (come illustrato nella figura 8.54) e affiancati lungo la direzione azimutale, la focalizzazione elettronica può essere effettuata solo su tale piano di scansione (azimutale appunto), affidando a una lente acustica il compito di focalizzare nel piano di elevazione (fuoco fisso). Affinché si abbia interferenza costruttiva nel punto P dell’asse z a distanza r dal centro della schiera, la perturbazione proveniente dall’elemento i-esimo, considerando i = 0 per l’elemento centrale, deve percorrere una distanza pari a i = [(id)2+r2]1/2. Analogamente a quanto riportato per l’array anulare, si consideri il ritardo τi nell’eccitazione di ogni piezoelemento rispetto agli estremi della schiera τi = [(n2 d2+r2)1/2/c]–[(i2 d2+r2)1/2/c] e si proceda alle stesse approssimazioni. L’andamento dei ritardi nei segnali di eccitazione inviati ai singoli piezoelementi deriva dalla [8.23], valida per ritardi non discreti, cioè applicati con continuità sulla superficie del trasduttore e nella quale si è posto a = nd e x i = id:
(
)
τ i = n 2 − i 2 d 2 / 2cr
i = 0, … , n
[8.47]
per la quale gli elementi periferici vengono eccitati per primi (ritardo nullo) e l’elemento centrale è eccitato per ultimo. La [8.47] è relativamente semplice in
Figura 8.54. Focalizzazione elettronica del fascio ultrasonoro. La focalizzazione in un punto P del piano di scansione si ottiene eccitando i piezoelementi della schiera secondo un profilo dei ritardi τ caratterizzato da legge quadratica; il generico piezoelemento i-esimo viene eccitato con un segnale ritardato rispetto al segnale inviato al successivo della quantità (2i +1)d2/2cr.
Capitolo 8
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Figura 8.55. Focusing e steering del fascio ultrasonoro in una sonda a schiera: caratterizzazione geometrica.
quanto non vi è dipendenza dall’angolo α, poiché il punto P si trova sull’asse della schiera. In generale si possono sovrapporre le operazioni di deflessione (steering) con la focalizzazione (focusing), per cui si può focalizzare nel generico punto P di coordinate polari (r,α), riportato nella figura 8.55. La distanza D(x,r,α) dal punto P al punto Q(x,0) sulla superficie emittente della sonda è espressa dalla relazione D(x , r , α) = P(r sin α , r cos α) − Q(x , 0) = (x − r sin α)2 + (r cos α)2
[8.48]
Con ragionamenti analoghi a quelli esposti in precedenza la relazione [8.48] può essere approssimata, sotto l’ipotesi di parassialità e utilizzando lo sviluppo di Taylor per le grandezze sotto radice, per cui si ottiene D(x , r , α) ≅ r − x sin α +
x2 2r
[8.49 ]
di conseguenza il ritardo che deve essere applicato nel segnale relativo a ogni punto emittente, rispetto al piezoelemento estremale (nel verso delle x crescenti), risulta τ(x , r , α) ≅
⎤ 1 ⎡ a2 − x2 − (a − x )sin α ⎥ ⎢ c ⎣ 2r ⎦
[8.50]
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Figura 8.56. Focusing e steering del fascio ultrasonoro Π in una sonda a schiera: profili di ritardo per tre diverse profondità di focalizzazione. (a) Linea di vista perpendicolare alla superficie della schiera. (b) Inclinazione generica dell’asse del fascio.
La relazione [8.50] adattata al caso discreto della schiera costituita da un numero finito di piezoelementi fornisce τ i (x i , r , α ) ≅
⎤ 1 ⎡ x 2n − x 2i − (x n − x i )sin α ⎥ ⎢ c ⎢⎣ 2r ⎥⎦
[8.51]
nella quale è xi = id e xn = nd = a. La figura 8.56 mostra tre profili di ritardo per la costruzione di tre fuochi in fase di trasmissione e la loro variazione per due diversi orientamenti della linea di vista. Si osserva preliminarmente che l’applicazione dei ritardi può essere impiegata tanto in trasmissione quanto in ricezione; tuttavia la modalità di applicazione per queste due condizioni è sostanzialmente diversa, come diverse sono le prestazioni che si ottengono: lo scopo che si desidera raggiungere in trasmissione è rendere la profondità di fuoco più estesa possibile lungo l’intera linea di vista; invece in ricezione lo scopo è mantenere focalizzato l’eco (che ha avuto origine dalle diverse interfacce) mentre viaggia con velocità c lungo la medesima linea di vista verso la schiera posta in ricezione. Si tratta pertanto di una focalizzazione continua che viene generalmente indicata in letteratura come focalizzazione dinamica. Nel paragrafo che segue ne vengono illustrati i diversi aspetti.
8.13.3 Focalizzazione dinamica Per illustrare i meccanismi alla base della focalizzazione del fascio ultrasonoro, conviene trattare separatamente le fasi di trasmissione e di ricezione, in quanto nei due casi sono diverse le modalità di applicazione dei ritardi ai singoli piezoelementi della schiera. Trasmissione Come osservato nel capitolo 5, il fascio ultrasonoro è caratterizzato da una zona focale di determinata estensione, che generalmente impegna solamente una limitata porzione della linea di vista; se si desidera estendere tale porzio-
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Figura 8.57. Profondità di fuoco DOF: incremento mediante sovrapposizione di due zone focali F1 e F2 ottenute mediante focalizzazione dinamica.
ne, occorre disporre di più fuochi, in modo che si realizzi lungo l’intera linea di vista una dimensione laterale del fascio pressoché costante. Ciò è illustrato nella figura 8.57, dove la combinazione di due zone focali a profondità differenti produce una profondità di campo risultante incrementata. Un’osservazione preliminare, che sarà meglio chiarita nel seguito, va fatta circa il carattere dinamico della focalizzazione in trasmissione. Per ricevere echi da una determinata profondità, è necessario inviare lungo la linea di vista un impulso ultrasonoro e attendere il tempo di round trip; se all’interno dello stesso campo di vista si vuole ottenere un certo numero di fuochi a profondità differenti, è necessario generare un certo numero di fasci ultrasonori (tra loro differenti) e perciò lanciare un certo numero di impulsi, con la PRF stabilita dal campo di vista. Poiché maggiore è il numero delle zone focali che si desidera ottenere, maggiore è il numero di impulsi che devono essere inviati, e dunque il tempo richiesto per la costruzione della singola linea di vista, il numero di fuochi viene di solito limitato a cinque o sei per non diminuire eccessivamente il frame rate; pertanto la focalizzazione in trasmissione risulta necessariamente discreta, assumendo la denominazione di focalizzazione a zone multiple. La figura 8.58 mostra lo schema di principio che realizza la focalizzazione a zone multiple. La rappresentazione pone in rilievo il cammino percorso dai segnali elettrici di eccitazione inviati ai singoli cristalli per realizzare il fuoco a una determinata distanza dalla schiera. Gli impulsi generati dal centro della schiera sono emessi in ritardo rispetto a quelli emessi dalla sua periferia. Per semplicità l’esempio si riferisce a due fuochi posti su una linea di vista ortogonale alla schiera, ma il procedimento è valido per una linea di vista comunque orientata. Come si è visto, gli istanti di inizio di tutte le operazioni necessarie per realizzare un fronte d’onda più o meno curvo, cui corrispondono fuochi più o meno vicini, sono determinati dalla PRF; per ciascun segnale di trigger inviato è generato un profilo di ritardo corrispondente al fuoco desiderato79; tutta la schiera viene più volte eccitata nell’ambito della singola linea di vista, con 79 Dunque ciò che è stato sin qui indicato come impulso trasmesso (quello della PRF) corrisponde a una sequenza di impulsi, uno per ciascun elemento, distribuiti in modo da ottenere i diversi profili, come mostrato nella figura 8.58.
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Figura 8.58. Focalizzazione dinamica in trasmissione. Il segnale impulsivo emesso dal trasmettitore viene inviato ai diversi piezoelementi secondo la curva di ritardi π1 , che consente la focalizzazione in F1; dopo un tempo PRP = 1/PRF il trasmettitore emette un nuovo segnale impulsivo gestito anch’esso dalle linee di ritardo secondo una diversa curva di ritardi π2 , che consente la focalizzazione in F2. La variazione dinamica dei profili di ritardo π, tra un impulso di eccitazione e il successivo, consente di focalizzare l’energia acustica a profondità diverse del campo di vista in tempi estremamente brevi, migliorando la qualità complessiva dell’immagine diagnostica. Si ricorda che ciascuno dei diagrammi riporta la variabile tempo sull’asse delle ascisse: com’è noto, tale grandezza è dell’ordine dei millisecondi per l’intervallo temporale tra due impulsi di eccitazione successivi (1/PRF), mentre risulta dell’ordine dei nanosecondi per il ritardo di eccitazione da applicare a due piezoelementi adiacenti per realizzare i profili di ritardo π 1 e π 2.
una frequenza di ripetizione degli impulsi PRF, e a ogni impulso inviato corrisponde una diversa collocazione del fuoco (ottenuta con l’appropriato profilo di ritardo). Da ciò deriva che i fuochi in trasmissione sono necessariamente discreti, e che, quanto maggiore è il numero di fuochi (o zone focali) che si desidera realizzare su una linea di vista, tanto maggiore è il numero di impulsi che devono essere trasmessi lungo di essa e, quindi, a parità di PRF, tanto minore risulta il frame rate, cioè la frequenza con cui vengono presentate le immagini. In teoria80, raddoppiando il numero di fuochi si dimezza il frame rate, per cui conviene che il numero di fuochi generato in trasmissione sia limitato a qualche unità. Quanto esposto costituisce pertanto un limite essenziale all’utilizzo di più fuochi in trasmissione. Con riferimento alla figura 8.58, la generazione del fuoco viene realizzata come segue. All’istante t 0 viene inviato uno dei trigger di frequenza PRF, che eccita il sistema di gestione dei ritardi; questo invia i segnali di eccitazione ai piezoelementi con una prescritta legge temporale che si esaurisce in un tempo dell’ordine dei nanosecondi. Nella figura 8.58 sono riportati due diversi
80 Nella realtà la relazione che lega il numero di fuochi al frame rate non è così semplice poiché, nelle macchine attuali, intervengono sistemi di gestione dei piezoelementi a elevata complessità, che in alcune realizzazioni consentono la formazione di più fasci ultrasonori contemporaneamente lungo la direzione di azimut; ciononostante il numero di fuochi rimane comunque inversamente proporzionale alla frequenza di quadro.
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Figura 8.59. Fascio focalizzato dinamicamente in trasmissione: immagini prodotte con l’ausilio di un piano di scattering SP (scattering plane), cioè un piano costituito da particelle riflettenti di circa 0,3 mm di diametro. In (a) la contrazione dello spessore nell’immagine si verifica in corrispondenza dell’unica zona focale in trasmissione (indicata con una freccia sul lato sinistro), mentre in (b) e (c) si verifica per ciascuna delle zone focali presenti (rispettivamente in numero di 3 e 5). All’aumentare del numero di fuochi in trasmissione, il piano di scattering tende a essere rappresentato con uno spessore irregolare, dato dal susseguirsi delle zone di focalizzazione; contemporaneamente si assiste a una rapida diminuzione del frame rate (indicato in ciascuna immagine in alto a destra): da (a) a (c) il numero di fuochi passa da 1 a 5, mentre il frame rate si abbassa da 19 a 6 Hz. In rosso è indicato il limite di campo utile per ciascuna immagine (vedi par. 8.14.2).
profili Π1 e Π2, cui corrisponde la formazione dei fuochi F1 e F2 sulla linea di vista in corso di costruzione; ciò significa che in istanti successivi vengono inviati ai piezoelementi impulsi distanziati temporalmente in funzione della forma del fronte d’onda che si vuole ottenere. In particolare, alla distribuzione dei ritardi π1 corrispondono il fronte d’onda Π1 e il fuoco F1, mentre alla distribuzione dei ritardi π2, a curvatura maggiore, corrispondono il fronte d’onda Π2 e il fuoco F2, più vicino alla schiera rispetto a F1. Nelle immagini della figura 8.59 si possono osservare da uno a cinque fuochi in trasmissione. In esse è riportato l’effetto della focalizzazione dinamica sulla risoluzione laterale del sistema diagnostico: le immagini sono prodotte con l’ausilio di un piano di scattering (SP, Scattering Plane). Poiché il piano SP è perpendicolare al piano di azimut della sonda, nel caso ideale dovrebbe fornire sull’immagine una linea parallela alla direzione di propagazione e avente spessore uniforme pari a quello reale; in pratica le dimensioni finite del fascio ultrasonoro fanno sì che SP venga rappresentato con una linea di spessore variabile a seconda della risoluzione laterale del sistema diagnostico: a spessore inferiore corrisponde risoluzione laterale migliore. Ricezione Diverso è il caso della focalizzazione in ricezione, in quanto questa non avviene in modo discreto ma continuo; infatti, viene generalmente indicata in letteratura come focalizzazione dinamica (in ricezione). Nella figura 8.60 è illustra-
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Figura 8.60. Focalizzazione dinamica in ricezione. Il fronte d’onda dell’eco proveniente dal punto F è trasdotto in segnali elettrici ritardati secondo la curva mostrata nella figura, a causa della progressiva eccitazione meccanica dei singoli piezoelementi. I segnali sono gestiti dalle linee di ritardo in modo da giungere in fase al sommatore, che può perciò fornire un segnale elettrico di ampiezza massima. Nell’intervallo di tempo PRP = 1/PRF, sulla singola linea di vista, i profili di ritardo applicati alla schiera variano progressivamente la curvatura, in modo da focalizzare dal punto più lontano (curvatura minima) a quello più vicino alla sonda (curvatura massima). Si ricorda che ciascuno dei diagrammi riporta la variabile tempo sull’asse delle ascisse e tale grandezza è dell’ordine dei microsecondi, mentre i ritardi tra i segnali parziali prima del sommatore sono in genere dell’ordine dei nanosecondi. Al riguardo si osserva che lo sfasamento rappresentato tra i segnali parziali non è in scala ed è stato accentuato per motivi didattici.
to il processo di ricezione di un eco generato nella zona focale relativa a un fuoco F; il fronte d’onda sferico proveniente dai tessuti giunge per primo al cristallo 3 e per ultimo ai cristalli 1 e 5; ciò significa che il segnale elettrico inviato da ciascun cristallo (in particolare i cristalli 2, 3 e 4), in seguito alla sollecitazione meccanica corrispondente, deve essere ritardato rispetto ai cristalli 1 e 5 posti alle estremità quanto è necessario affinché tutti i segnali dovuti ai tre cristalli 1, 5 e 3 vengano presentati simultaneamente al sommatore che fornisce il segnale risultante. Infatti, poiché l’elemento riflettente è unico e posto a distanza F dal centro del trasduttore, i segnali devono giungere contemporaneamente, giacché trasportano la stessa informazione. Pertanto all’uscita del sommatore compare il segnale somma rappresentativo dell’eco che ha origine in F. Questo procedimento può essere eseguito variando con continuità i ritardi relativi a ciascun elemento, nel senso che si ha ritardo massimo per il fronte d’onda che per primo entra in contatto con la schiera (elemento centrale) e ritardi decrescenti con continuità mano a mano che il fronte d’onda curvo impegna la schiera, a partire dall’elemento centrale fino ai suoi estremi. Questa variazione dei ritardi, operata da un apposito circuito, avviene alla stessa velocità c di propagazione del suono nella materia (figura 8.60). Nei sistemi digitali avviene in tempi differiti recuperando i dati immagazzinati nella memoria del beam former (vedi figura 8.25). Per ottenere una focalizzazione dinamica efficiente, sia in trasmissione sia in ricezione, è necessario che il fuoco F sia posto entro la zona di campo vici-
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no, vale a dire che il grado di focalizzazione (degree of focusing), introdotto nel capitolo 5, sia il maggiore possibile. Ciò significa progettare trasduttori che dispongano di un basso valore di f/number, caratterizzati cioè da un grande diametro in relazione al posizionamento della zona focale e quindi dotati della massima apertura possibile. È immediato constatare come, per un trasduttore con fuoco variabile, né f/number né grado di focalizzazione sono parametri costanti; quindi il trasduttore non è caratterizzato da un potere risolutivo costante durante la scansione e la focalizzazione a differenti profondità. La progettazione di trasduttori pilotati elettronicamente, in particolare quelli a cortina lineare, presenta pertanto alcune difficoltà per quanto riguarda il soddisfacimento delle migliori condizioni di focalizzazione lungo l’intera linea di vista. Un trasduttore tipico, dotato per esempio di 200 elementi piezoelettrici, è assai più esteso nella direzione azimutale (~50 mm) che non in quella di elevazione (~6 mm); una lente focalizzatrice in elevazione consente di ottenere un solo fuoco, mentre il pilotaggio elettronico lungo l’azimut permette l’attivazione indipendente di ciascun piezoelemento e, dunque, la focalizzazione e la scansione per via elettronica; il pilotaggio elettronico consente altresì di attivare soltanto una parte di elementi contigui, in modo da variare dinamicamente anche l’apertura del trasduttore, al fine di mantenere costante f/number sia durante la fase di trasmissione, sia durante la focalizzazione dinamica in ricezione. Questa maniera di operare viene denominata apertura dinamica ed è schematizzata nella figura 8.61, dove d indica come al solito la distanza tra due piezoelementi contigui. Se si vuole per esempio realizzare un trasduttore con f/number circa pari a 3, si osserva che ciò corrisponde all’attivazione di n1 piezoelementi per una distanza focale F1, in modo che F1/n1d = F1/D1 ≅ 3, e al pilotaggio di n2 elementi nel caso di focalizzazione alla profondità F2, per ottenere ancora F2 /n2d = F2 /D2 ≅ 3.
Figura 8.61. Pilotaggio di un trasduttore a cortina lineare mediante la tecnica dell’apertura dinamica. Ai fini di una focalizzazione ottimale, solo una parte dei piezoelementi del trasduttore di apertura complessiva D viene attivata: i fuochi F1 e F2 vengono ottenuti con due diverse aperture, D1 e D2 rispettivamente, per le quali l’apertura relativa (o il suo inverso f/) è mantenuta costante. Figura non in scala.
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L’apertura dinamica consiste quindi nel variare, istante per istante, il numero dei piezoelementi attivi, mentre viene contestualmente variata la curva dei ritardi secondo quanto precedentemente esposto in merito alla focalizzazione dinamica. Indicativamente, il numero di elementi attivi varia da 5 a 15 per fuochi vicini al trasduttore, da 15 a 25 per fuochi posti al centro del campo di vista e, infine, da 15 a 40 per fuochi lontani. È opportuno, infine, ricordare che la tecnica relativa all’apertura dinamica non viene utilizzata nelle sonde phased array per utilizzo cardiologico, poiché in esse gli elementi vengono comunque tutti attivati simultaneamente. Ciò deriva dal fatto che le sonde phased array posseggono un numero minore di elementi, tipicamente la metà, e un’ampiezza D pari circa alla metà o a un terzo rispetto alle sonde lineari, in modo da poter essere posizionate in corrispondenza delle finestre intercostali; attivare volta per volta un numero minore di piezoelementi comporterebbe un valore insufficiente dell’apertura del trasduttore e del numero di piezoelementi attivi, con conseguente contrazione della zona vicina e incremento degli effetti dovuti alla diffrazione e, in primo luogo, della divergenza del fascio in campo lontano.
8.13.4 Apodizzazione Come esposto precedentemente, le dimensioni finite del trasduttore (sia esso a elemento singolo oppure a schiera) condizionano la sua direttività, vale a dire la sua capacità di trasmettere energia in una direzione preferenziale verso il mezzo indagato. Dalle dimensioni dei piezoelementi dipendono in particolare l’ampiezza e la spaziatura angolare dei lobi di replica. Se si riconsidera il caso di un trasduttore monoelemento di forma rettangolare, la sua direttività in campo lontano è descritta da due funzioni del tipo
Figura 8.62. Apodizzazione di una finestra rettangolare (trasduttore monoelemento). (a) Funzione di illuminazione del trasduttore (in rosso); funzione peso (finestra) di tipo Hanning (in azzurro). (b) Le funzioni di radiazione del trasduttore nel caso non apodizzato (in rosso) e apodizzato (in azzurro). Da un lato, l’apodizzazione ha il vantaggio di ridurre il contributo dei side lobe, dall’altro, comporta una riduzione d’intensità e un allargamento del lobo principale (con peggioramento della risoluzione spaziale laterale).
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sin(x)/x, rispettivamente nella direzione di azimut e in quella di elevazione. Se la funzione rettangolare rappresentativa dell’apertura del trasduttore viene moltiplicata per una funzione cosiddetta finestra di pesatura, che attribuendo pesi diversi alle componenti in frequenza smussi le discontinuità costituite dai bordi del trasduttore, la trasformata di Fourier, che esprime la direttività in campo lontano applicata al segnale modificato dalla finestra, si trasforma come mostrato nella figura 8.62, nella quale si riconosce la diminuzione in ampiezza dei lobi laterali. La spiegazione di ciò risiede nel fatto che eliminare le discontinuità dalla funzione rappresentativa del trasduttore significa eliminare i contributi delle frequenze elevate, che nella funzione di illuminazione danno origine ai lobi laterali. Il vantaggio ottenuto con tale artificio viene tuttavia attenuato dall’effetto di allargamento del lobo principale, con conseguente peggioramento del potere risolutivo laterale. L’eliminazione delle discontinuità ai bordi è ottenuta mediante l’impiego di una funzione che si annulla insieme alla sua derivata prima, proprio in corrispondenza dei bordi. A titolo di esempio, nella figura 8.62 la funzione di apertura del trasduttore rettangolare (di larghezza complessiva W) è moltiplicata per la funzione di apodizzazione cosiddetta di Hanning 81 del tipo a coseno rialzato, che viene definita come ⎡ ⎛ 2π ⎞ ⎤ a(ξ) = 0, 5 ⎢1 − cos ⎜ ξ ⎟ ⎥ ⎝ W ⎠⎦ ⎣
[8.52]
dove, a differenza della [8.32], in cui ogni piezoelemento viene alimentato con ampiezza a 0 costante, l’ampiezza di alimentazione a(ξ) varia lungo la direzione di scansione ξ. La tecnica di apodizzazione non può essere adottata nel caso delle sonde meccaniche, costituite da un singolo trasduttore, per il quale essa comporterebbe un’alimentazione elettrica in trasmissione con una tensione variabile nello spazio secondo la legge descritta dalla [8.52]. L’unico accorgimento che può essere adottato è quello di depositare elettrodi di area inferiore sulle due facce del piezoelemento. In tal modo, si ottiene una distribuzione del campo elettrico che consente di limitare l’emissione in corrispondenza dei bordi dell’elemento e di approssimare l’andamento [8.52]. L’apodizzazione del trasduttore monoelemento in ricezione comporterebbe invece l’assegnazione di un peso diverso (sempre secondo una legge analoga alla relazione [8.52]) al segnale eco ricevuto, in funzione della regione di piezoelemento su cui l’onda incide. Nelle sonde costituite da una schiera di elementi questa tecnica è invece direttamente applicabile. Infatti, almeno nella direzione azimutale lungo la quale si sviluppa la schiera, è possibile apodizzare la sonda in trasmissione alimentando con tensioni diverse ciascun elemento, mentre in ricezione si può asse81 Molte altre funzioni di apodizzazione, quali per esempio quelle di Hamming, Bartlett ecc., sono riportate nella letteratura specifica del settore.
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Figura 8.63. Apodizzazione in trasmissione di una sonda costituita da N = 14 elementi. A sinistra funzioni di illuminazione, a destra funzioni di radiazione (entrambe in unità arbitrarie). (a) Assenza di apodizzazione. (b) Impiego dell’apodizzazione. L’apodizzazione, a fronte di un sensibile allargamento del lobo principale, consente la drastica riduzione dei lobi laterali ma non diminuisce la perturbazione introdotta dai lobi di replica.
gnare un peso diverso a ciascun segnale ricevuto da ogni singolo elemento piezoelettrico. Con riferimento ancora alla funzione di Hanning, al fine di assegnare a ciascun elemento della schiera un peso opportuno sia in trasmissione sia in ricezione la funzione continua [8.52] viene discretizzata secondo la ⎡ ⎛ 2π ⎞ ⎤ a(ξ i ) = 0, 5 ⎢1 − cos ⎜ ξ i ⎟ ⎥ ⎝ W ⎠⎦ ⎣
[8.53]
nella quale ξi è la coordinata del centro dell’i-esimo trasduttore della schiera (per cui si può scrivere ξi = id), il cui effetto sulla funzione di apertura (e di conseguenza sulla funzione di direttività) è mostrato nella figura 8.63. Come si riconosce dall’analisi della figura 8.63, mediante questa tecnica è possibile ridurre l’influenza dei lobi laterali a scapito però del potere risolutivo laterale della sonda, dovuto all’incremento della dimensione angolare del lobo principale; si riconosce anche che essa non riduce i massimi dei lobi di replica, essendo questi ultimi dipendenti dalle dimensioni del singolo piezoelemento.
8.14 L’immagine B -Mode nei moderni ecotomografi Real-Time Le caratteristiche di un’immagine bidimensionale sono in genere riconducibili a tre grandezze fondamentali: risoluzione spaziale, contrasto e rapporto segnale rumore (SNR, Signal to Noise Ratio). Per effetto sia dell’origine del segnale
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Figura 8.64. Immagine B-Mode sul display di un ecotomografo. Oltre alla parte diagnostica, sono presenti informazioni relative alle impostazioni della macchina, all’identificativo del paziente e alla data dell’esame. Nella zona sinistra del campo di vista sono visibili oggetti speculari alla superficie di separazione del fantoccio, che rappresentano artefatti cosiddetti di specchiamento (mirroring), dovuti agli effetti delle riflessioni multiple.
ecografico, sia delle complesse elaborazioni cui esso viene sottoposto, la caratterizzazione dell’immagine B-Mode dal punto di vista delle tre grandezze menzionate richiede attenzioni particolari, poiché essa dipende in maniera considerevole dalle impostazioni della macchina nel corso dell’acquisizione e visualizzazione del dato diagnostico. Nelle pagine che seguono sono brevemente illustrati alcuni aspetti dell’immagine B-Mode, così come viene visualizzata su un moderno ecotomografo Real-Time, in relazione alle impostazioni più comuni. L’immagine B-Mode visualizzata sul display di un ecotomografo può essere generalmente suddivisa in tre sezioni 82: la sezione relativa all’immagine diagnostica, quella relativa alle informazioni sulle impostazioni e sulle grandezze fisiche a esse correlate e, infine, la sezione riguardante le informazioni sul paziente e sull’esame diagnostico. Dal punto di vista operativo tutte e tre le sezioni sono necessarie: infatti, un’immagine ottenuta con un apparecchio che non visualizzi, per esempio, le impostazioni della macchina, può risultare di difficile interpretazione da parte dell’operatore; allo stesso modo un esame risulta a tutti gli effetti privo di riferimenti in assenza dei dati relativi al paziente e della data di effettuazione.
82
Tale suddivisione è qui proposta per motivi didattici e non corrisponde a uno standard.
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Figura 8.65. Formati dell’immagine diagnostica B-Mode prodotti da diverse tipologie di sonde: (a) linear, (b) convex, (c) vector, (d) phased.
Nella figura 8.64 alcune delle informazioni citate sono poste in evidenza all’interno dell’immagine bidimensionale prodotta da un ecotomografo RealTime. Per ciò che concerne in particolare le impostazioni dell’apparecchiatura, sono visibili indicazioni relative alla profondità del campo di vista, alla frequenza nominale di funzionamento della sonda, alla potenza acustica in trasmissione, al frame rate, alla compressione della dinamica, al guadagno (overall gain) e al DGC (Depth Gain Control), al numero e alla profondità dei fuochi in trasmissione; si osservano, inoltre, informazioni relative al pre-processing, al post-processing e alla scala dei grigi (gray bar), nonché ulteriori elaborazioni sul dato diagnostico. Sul display si possono anche notare informazioni sul trasduttore (sigla identificativa) e sulla strumentazione ecotomografica (per esempio la sigla identificativa dell’ecografo, il logo ecc.); vengono inoltre riportati due parametri, riguardanti l’interazione degli ultrasuoni con la materia e relativi al rischio per l’organismo, in particolare l’indice di assorbimento con effetti meccanici (mechanical index), e quello relativo agli effetti termici (thermal index). Per quanto riguarda le informazioni sull’esame diagnostico e sul paziente, all’interno dell’immagine è riservato uno spazio per l’inserimento del tipo di esame e delle generalità del paziente; sono inoltre sempre bene in vista la data e l’ora di effettuazione dell’esame. Il numero dei parametri citati è una misura della complessità di gestione del dato diagnostico in ambito ecografico; ogni immagine è caratterizzata da un contenuto diagnostico legato sia alla patologia del paziente, sia alla configura-
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zione dei parametri impostati. Nelle macchine recenti vengono di solito messe a disposizione dell’operatore alcune configurazioni preimpostate (preset) che costituiscono le impostazioni ottimali (così come dichiarate dalla casa costruttrice) per una determinata applicazione diagnostica (generica, addominale, vascolare ecc.); ciò nonostante, la regolazione ottimale dei comandi dell’ecotomografo, con riferimento al tipo di esame da eseguire, risulta comunque complessa sia per l’operatore, sia per il tecnico specialista: questo è uno dei motivi che rende ancora oggi difficile e onerosa la valutazione delle prestazioni di tali apparecchi. L’immagine diagnostica comprende una porzione, centrale nel quadro visualizzato sul monitor dell’ecotomografo, la cui sagoma o formato dipende dal modello di sonda e anche dalle impostazioni utilizzate. Alcune tipologie di formato, prodotte rispettivamente da sonde a schiera di tipo linear, convex, vector e phased sono visualizzate nella figura 8.65. Le immagini della figura 8.65 si riferiscono a scansioni effettuate con l’ausilio di particolari “campioni”, analoghi a quelli impiegati in radiologia per la verifica delle prestazioni delle apparecchiature, denominati fantocci per ultrasuoni. Si tratta di dispositivi che generalmente contengono al proprio interno oggetti di prova (test object) dalle caratteristiche note, immersi in una matrice di materiale (background) avente proprietà di riflessione, assorbimento e diffusione degli ultrasuoni analoghe a quelle che si manifestano mediamente nei tessuti biologici. Le tipologie di test object sono numerose e impiegate per mettere in evidenza diverse caratteristiche. Si ricordano, per la loro diffusione sul mercato, i fantocci a filo (phantom PSF) nei quali sono immersi, all’interno della matrice di materiale eco-diffondente, fili di diametro inferiore alla risoluzione spaziale (ipotizzata o dichiarata dal costruttore) dell’ecotomografo83; nelle figure 8.65a e 8.65d sono riportate le immagini relative a due diversi modelli di fantoccio, con fili di diametro pari a 0,1 mm. Altre tipologie di fantocci sono quelli cosiddetti a pseudo-masse, nei quali i test objects (visibili nell’immagine della figura 8.65b) simulano cisti di differenti dimensioni, e i fantocci a contrasto, nei quali sono presenti oggetti a diverso contrasto relativamente al background (visibili per esempio nella figura 8.65c). Il criterio in base al quale il fantoccio viene impiegato è in genere la fedeltà dell’immagine visualizzata rispetto alla sezione reale dell’oggetto irradiato: quanto più tale immagine si discosta dalla realtà, tanto minore è la sua qualità. Si ricorda infine che, nonostante i fantocci per ultrasuoni consentano di ottenere informazioni preziose sul corretto funzionamento dell’ecotomografo, non esiste attualmente un vero e proprio standard al riguardo; pertanto è necessario porre grande cautela nel loro utilizzo in termini di valutazione quantitativa dei risultati della prova. 83 Ciascun filo simula un oggetto puntiforme che, investito dal fascio ultrasonoro di determinata dimensione laterale, viene da esso percorso durante la scansione; gli echi corrispondenti restituiscono come immagine un oggetto di dimensione laterale pari a quella del fascio ultrasonoro, fornendo informazioni sul potere risolutivo laterale.
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8.14.1 Formato dell’immagine Si consideri la schiera rettilinea della figura 8.35, attivata con modalità sequenziale; se i singoli gruppi di piezoelementi sono attivati con una curva di ritardo al loro interno priva del termine lineare responsabile della deflessione (o tale che la deflessione sia la stessa per tutti), essi danno origine a linee di vista tra loro parallele84 e il formato immagine che ne deriva è di tipo rettangolare (mostrato nella figura 8.66a) o parallelepipedo. Se i gruppi sono attivati in sequenza con curve di ritardo al loro interno differenziate, per cui si possono avere gradi di deflessione differenti (tipicamente si impone una deflessione nulla per i piezoelementi centrali e deflessioni via via crescenti verso la periferia), il formato che ne deriva è del tipo mostrato nella figura 8.66b e la schiera prende il nome di vector array. Come già stabilito, la sonda rettilinea può essere attivata con una curva dei ritardi complessiva che determina l’orientamento e il fuoco del fascio generato con il contributo di tutti i piezoelementi della schiera (che è in questo caso detta phased array) e il formato che ne deriva, mostrato nella figura 8.66c, è di tipo conico e presenta un vertice, poiché ogni singola linea di vista è sviluppata a partire dal centro del trasduttore. L’attivazione in sequenza (senza deflessione differenziata) di una sonda di tipo convex fornisce, data la geometria della schiera, il formato della figura 8.66d, che risulta deformato come nella figura 8.66e se si attua una deflessione non uniforme come nel caso delle sonde vector. Il formato prodotto da una sonda anulare (per esempio piana), che può essere attivata solo con modalità a sfasamento, è del tipo mostrato nella figura 8.66f ed è simile a quello relativo alla sonda convex. La deflessione del fascio è infatti ottenuta mediante la rotazione meccanica della sonda, per cui il centro della schiera percorre un arco di circonferenza attorno all’asse di rotazione; ne deriva che il vertice del formato conico (tipico della sonda phased) percorre lo stesso arco85.
8.14.2 Profondità del campo di vista Tra le informazioni di solito riportate sullo schermo dell’ecografo si trova la profondità di visualizzazione, determinata dalla PRF stabilita del sistema diagnostico. L’indicazione di un certo campo di vista visualizzato (FOV) non corrisponde necessariamente alla chiara visualizzazione dei distretti anatomici fino a tale profondità, dato che, a prescindere dal campo di osservazione impostato, il campo utile a fini diagnostici può essere inferiore o superiore, a seconda della sensibilità della sonda e dalle impostazioni dell’ecotomografo (si 84 Con la possibilità comunque che la focalizzazione sia impostata a profondità diverse tra una linea di vista e l’altra. 85 Tale arco può considerarsi la curva inviluppo delle successive posizioni del disco (o della calotta sferica) anulare durante la rotazione.
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Figura 8.66. Formati dell’immagine diagnostica B-Mode al variare della geometria del trasduttore e delle modalità di eccitazione della schiera.
ricordi anche la sua dipendenza dalla frequenza nominale del pulse). Nella figura 8.67 sono riportate due immagini ecografiche prodotte dalla medesima strumentazione diagnostica al variare del campo di vista: nella figura 8.67a gli echi diffusi sono indistinguibili dal rumore di fondo se provengono da profondità superiori a circa 150 mm (linea tratteggiata), che individua perciò il cam-
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Figura 8.67. Immagini diagnostiche relative a diversi campi di vista. (a) Tutti gli echi diffusi dal materiale ecodiffondente visualizzati provengono da profondità minori del campo di vista impostato (180 mm), essendo infatti il campo utile corrispondente pari a circa 150 mm (linea tratteggiata); si osserva la presenza di artefatti in corrispondenza delle pareti del fantoccio (mirror image artifact). (b) Il campo di vista è inferiore al campo utile.
po utile (o profondità di penetrazione); nella figura 8.67b il campo di vista è inferiore, il che comporta una maggiore frequenza di quadro (espressa in hertz nella figura) rispetto al caso precedente, grazie a una maggiore PRF.
8.14.3 Frequenza nominale di funzionamento Dove specificato, la frequenza nominale di funzionamento indica la frequenza centrale della banda alla quale la sonda sta inviando il pulse86: quanto più elevato è il valore di tale parametro, tanto maggiore è la risoluzione spaziale del sistema (assiale, laterale e in elevazione); tuttavia, allo stesso tempo, risultano maggiori anche gli effetti dell’attenuazione nel mezzo, tra i quali la riduzione del campo utile a fini diagnostici. Nella figura 8.68 sono presentate due immagini prodotte dallo stesso ecotomografo con l’ausilio di un fantoccio a fili da 0,1 mm, a due differenti frequenze nominali del trasduttore. L’immagine della figura 8.68a, relativa alla frequenza nominale più bassa, è caratterizzata da una grana meno fine e ciò è dovuto fondamentalmente alla minore risoluzione spaziale. A conferma di ciò, in ciascuna immagine i particolari delle sezioni di alcuni fili sono ingranditi; nell’immagine nella figura 8.68a lo stesso test object è rappresentato con dimensioni molto maggiori di quelle reali (oltre un ordine di grandezza), mentre nell’immagine nella figura 8.68b tale distorsione è di entità più contenuta. Va notato però che, mentre in (a) il campo utile è di circa 180 mm (infat-
86 All’interno della banda di frequenza caratteristica del trasduttore, l’operatore può scegliere tra 3 ÷ 5 (e anche più) frequenze nominali di lavoro.
Capitolo 8
· La formazione dell’immagine ecografica
521
Figura 8.68. Immagini relative a due diverse frequenze nominali del trasduttore. Le immagini sono ottenute con l’ausilio di fantocci a filo (fili di sezione circolare di materiale polimerico con diametro pari a 0,1 mm). (a) Una frequenza più bassa (2,5 MHz) comporta una peggiore risoluzione spaziale. (b) Una frequenza più alta (6 MHz) permette la visualizzazione dei test object con diametro più vicino a quello reale.
ti è possibile distinguere chiaramente dal rumore anche gli echi provenienti dalla base del fantoccio), in (b) gli echi risultano indistinguibili da quelli diffusi dal background già a una quota di circa 140 mm (linea tratteggiata nella figura 8.68b).
8.14.4 Potenza acustica in trasmissione e indici di assorbimento del mezzo La potenza acustica in trasmissione (o transmit power) tiene conto dell’energia immessa nei tessuti durante la fase di trasmissione (che viene solitamente espressa in decibel o in unità arbitrarie, per esempio in centesimi) ed è riferita alla potenza massima ritenuta ammissibile alla luce delle considerazioni che seguono. Com’è noto, solamente una piccolissima frazione di tale energia ritorna al trasduttore sotto forma di eco nella fase di ricezione, poiché il resto viene disperso e assorbito nella materia. Questo assorbimento può produrre per via diretta due tipologie di effetti87. Se le potenze acustiche sono troppo elevate, possono essere indotte nei tessuti sia la cavitazione88 (effetto meccanico) sia un incremento della temperatura (effetto termico), fenomeni entrambi dannosi. La necessità di evitarli ha condotto all’introduzione di particolari parametri in grado di fornire all’operatore un indice di potenziale pe87
A partire da tali fenomeni hanno origine effetti secondari, o più propriamente bioeffetti, come la denaturazione delle proteine e delle membrane cellulari, alterazioni cromosomiche e anomalie nei feti durante lo sviluppo. 88 Nelle fasi di pressione sonora minima può verificarsi la formazione di bolle di vapore all’interno dei liquidi presenti nell’organismo (se la pressione assoluta scende al di sotto della pressione di saturazione corrispondente alla temperatura a cui si trova il liquido). Tali bolle, durante la successiva fase di sovrappressione o perché trasportate dal flusso in cui sono immerse (può trattarsi per esempio del flusso sanguigno) verso zone a pressione più elevata, possono implodere violentemente e provocare sollecitazioni notevoli sul tessuto circostante.
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
ricolosità89 della dose impiegata per ottenere il dato diagnostico. Tra tali parametri, i più utilizzati sono l’indice meccanico MI (Mechanical index) e l’indice termico TI (Thermal index). Il MI indica l’entità del picco negativo di pressione dell’onda ultrasonora inviata al paziente e costituisce un parametro di controllo per prevenire il fenomeno della cavitazione nei liquidi all’interno dei tessuti. Esso è in particolare definito dalla relazione MI = C pr .3
f
[8.54]
nella quale C è una costante unitaria di dimensioni pari a MHz1/2 MPa–1 (il che rende MI un parametro adimensionale) e f è la frequenza del trasduttore; la grandezza pr .3 (nella quale il pedice si riferisce al valore 0,3 dBcm–1 MHz–1) è espressa dalla relazione pr .3 = pr e −α z f
[8.55]
dove pr rappresenta la pressione di picco negativo (peak rarefaction pressure), α è la costante di attenuazione per i tessuti, pari a 0,035 Npcm–1MHz–1 (vale a dire a 0,3 dB cm–1 MHz–1), e z la profondità del punto di interesse. Per un range di frequenze tra 1 e 10 MHz, nell’acqua non si osserva cavitazione se MI<0,7, mentre nei tessuti il limite massimo consentito è 1,9. Il TI indica l’incremento di temperatura massimo dovuto all’assorbimento della radiazione ultrasonora nei tessuti. Anch’esso, come il MI, è definito da un rapporto adimensionale secondo la TI = W .3 W deg
[8.56]
nella quale W.3 è la potenza acustica in situ (relativa a un’attenuazione media dei tessuti di 0,3 dB cm–1 MHz–1), mentre Wdeg è la potenza richiesta per incrementare la temperatura del tessuto di 1 °C. Tale parametro viene specializzato a seconda del tipo di tessuto, per cui si hanno l’indice termico per i tessuti molli (TIS, Soft-Tissue Thermal Index ), quello per l’osso (TIB, Bone Thermal Index ) e quello per il cranio (TIC, Cranial Thermal Index ). Negli ecotomografi commerciali il TIB è compreso tra 0,1 e 10 (scansione fetale) e in tali condizioni l’esposizione prolungata può portare a un aumento sensibile di temperatura.
89 Appare ragionevole pensare che vi sia comunque una probabilità di danno (e dunque un rischio) biologico, associata all’uso di radiazione ultrasonora a fini diagnostici, dato che essa è comunque una forma di energia. Anche se tale rischio è minimo e difficile da identificare, la pratica clinica assume un atteggiamento prudente, che si attua nel principio del conseguimento delle informazioni necessarie alla diagnosi con il minimo rischio (ALARA, As low as reasonably achievable); ciò si traduce nella minimizzazione dell’energia immessa nel paziente a parità di qualità dell’immagine diagnostica.
Capitolo 8
· La formazione dell’immagine ecografica
523
8.14.5 Frame rate Il frame rate, espresso in genere in hertz o frame per secondo (fps), pur non riguardando una caratteristica spaziale dell’immagine bidimensionale, rimane una delle grandezze maggiormente indicative della qualità dell’apparecchiatura. Infatti il Real-Time è concepito per visualizzare organi in movimento e per tale motivo, a parità di qualità dell’immagine, un più elevato frame rate testimonia prestazioni più elevate e migliore livello tecnologico. Tale grandezza non è in genere direttamente regolabile dall’operatore, ma dipende dal set di impostazioni adottato sull’ecotomografo; in particolare essa è funzione dei parametri che coinvolgono il numero di linee di scansione processate per unità di quadro e la profondità del campo di vista.
8.14.6 Compressione della dinamica Indicato in alcuni casi anche come log compression o dynamic range, tale parametro fa riferimento all’entità della compressione della dinamica e si esprime generalmente in decibel (o in unità di misura arbitrarie, per esempio in centesimi). L’operazione di compressione avviene nel pre-processing, ossia prima della memorizzazione del dato diagnostico nella matrice immagine, e non può essere totalmente esclusa dall’elaborazione del segnale eco. Per ecotomografi di alta fascia si stima attualmente il livello di compressione minimo, in modo da consentire la visualizzazione nell’immagine di un intervallo di ampiezze di circa 100 dB al massimo. Ciò significa che, in poco meno di 256 livelli di grigio 90, viene rappresentato un segnale eco la cui ampiezza varia di un fattore 105. Una compressione elevata (range dinamico ristretto) produce un’immagine dal carattere maggiormente contrastato, giacché in tali condizioni segnali di entità diversa vengono associati allo stesso livello di grigio. Nella figura 8.69 sono riportate le immagini corrispondenti a tre diversi livelli di compressione. Passando dalla compressione minima della figura 8.69a a quella massima della figura 8.69c l’immagine assume maggiore contrasto; va osservato che il grado di compressione intermedio della figura 8.69b può agevolare l’operatore nell’individuazione di particolari che, nel caso di più basso contrasto (figura 8.69a), si confonderebbero con le ombreggiature prodotte dal rumore di fondo o dallo speckle dei tessuti circostanti (si osservi, per esempio, come nella figura 8.69b siano più marcate tutte le sezioni dei test object, incluse le cisti in alto a sinistra). D’altra parte si ricorda che a una maggiore compressione della dinamica corrisponde una minore informazione diagnostica, come si riscontra nelle immagini proposte, dove alcuni dei test object visualizzati nella figura 8.69a (indicati con frecce di diverso colore) non sono più chiaramente distinguibili nella figura 8.69c.
90 Solitamente non tutti i 256 livelli di grigio vengono utilizzati a fini diagnostici: spesso gli ultimi livelli sono deputati alla grafica e alle informazioni riguardanti le impostazioni e i dati del paziente.
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Figura 8.69. Immagini relative a diversi livelli di compressione della dinamica: (a) compressione minima; (b) compressione intermedia; (c) compressione massima.
8.14.7 Guadagno (overall gain) e DGC Il guadagno, controllabile dall’operatore, è in genere visualizzato nell’immagine espresso in decibel o in unità arbitrarie. Di solito i comandi deputati alla sua regolazione sono ripartiti in due sezioni: la prima, indicata come overall gain control, consente di incrementare simultaneamente l’amplificazione del
Capitolo 8
· La formazione dell’immagine ecografica
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Figura 8.70. Livelli di amplificazione del segnale eco. La curva di guadagno complessiva è riportata sul lato destro di ciascuna immagine.
segnale eco a tutte le profondità; la seconda è costituita dai cursori del TGC (DGC) e riguarda l’ulteriore guadagno applicabile in modo differenziato a quote diverse nell’immagine. Anche se per i TGC non vengono solitamente riportati valori numerici, è possibile visualizzare a lato dell’immagine una spezzata (curva dei guadagni) che fornisce, più o meno qualitativamente, l’entità dell’amplificazione complessiva a ciascuna quota. In modo analogo, alcune macchine consentono anche un guadagno differenziato nella direzione di scansione (LGC, Lateral Gain Control) e sono in grado di visualizzare la spezzata corrispondente. Nella figura 8.70 sono riportati esempi di immagini a diverso livello di amplificazione insieme alla relativa curva dei guadagni visibile sul lato destro di ciascuna di esse. Nel caso riportato l’incremento di guadagno conduce a un vantaggio evidente, poiché consente la visualizzazione di tutti i test object della sezione del fantoccio; occorre tuttavia osservare che in genere l’aumento di tale parametro produce anche un innalzamento del rumore di fondo, il che pone dei limiti alla possibilità di estendere ulteriormente il campo utile.
8.14.8 Pre-processing Le elaborazioni in pre-processing variano da una casa costruttrice all’altra (se non addirittura da modello a modello di ecotomografo); tra le più comuni, oltre alle già citate operazioni di compressione della dinamica e di interpolazione effettuata dallo scan converter, vi sono la persistenza (persistence) e lo zoom acustico (write zoom). La persistenza consiste fondamentalmente in un’operazione di media tra immagini successive, al fine di eliminare i disturbi dovuti al rumore di fondo, che, essendo di tipo casuale a media nulla, tende così a essere ridotto. Lo zoom acustico consiste invece nell’acquisizione della matrice immagine a partire da una zona del campo di vista selezionata dall’operatore; ciò ha il vantaggio di aumentare la risoluzione in pixel dell’immagine (si tratta in effetti di un vero e proprio zoom), sia pure su una porzione di spazio limitata; va osservato che esso, lavorando in pre-processing, con-
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Figura 8.71. Immagini relative alla amplificazione (zoom acustico). (a) Selezione di un particolare sull’immagine; (b) ingrandimento della zona selezionata.
Figura 8.72. Immagini relative a diverse curve di post-processing: (a) curva di post-processing lineare; (b) curva spezzata con saturazione; (c) curva polinomiale; (d) curva sigmoide; (e) curva spezzata selettiva; (f) curva lineare invertita. In ciascuna immagine, la relazione tra i livelli memorizzati nella matrice immagine e quelli visualizzati sul monitor è riportata sia sotto forma di diagramma cartesiano, in alto a destra, sia come diversa distribuzione dei grigi, nella gray bar.
Capitolo 8
· La formazione dell’immagine ecografica
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diziona direttamente i dati memorizzati nella matrice immagine; pertanto non va confuso con l’operazione di zoom elettronico, che invece si avvale di algoritmi di interpolazione proprio su tali dati effettuata in post-processing. Nella figura 8.71 è riportato un esempio di write zoom.
8.14.9 Post-processing e barra della scala dei grigi (gray bar) Le operazioni di post-processing consistono fondamentalmente nel filtrare l’immagine in modo da esaltarne il contenuto diagnostico secondo prefissate modalità. Tra le operazioni di post processing più comuni, oltre allo zoom elettronico (read zoom) e all’esaltazione dei contorni (edge enhancement), vi è l’utilizzo di apposite mappe di grigi, ossia le già citate curve di post-processing, che legano i livelli di grigio visualizzati sul monitor a quelli memorizzati nella matrice immagine secondo prefissati algoritmi. Nella figura 8.72 sono riportati esempi di immagini ecografiche per diverse curve di post-processing (mostrate in alto a destra su ciascuna immagine), a parità delle altre impostazioni; in ciascuna di esse, al diverso post-processing corrisponde una diversa distribuzione dei grigi nella gray bar.
8.15 Conclusioni Non è possibile riassumere in poche pagine, il ventaglio assai ampio di possibilità, relativamente all’elaborazione e presentazione del segnale ecografico, offerte dall’attuale mercato. Quantunque i fondamenti fisici e le specifiche tecniche di base siano i medesimi per ogni costruttore, ciò che distingue una macchina dall’altra è la originalità della soluzione tecnologica adottata. Nel campo dell’ecotomografia, la tecnologia degli ultrasuoni ha raggiunto livelli diagnostici sorprendenti utilizzando diversi settori del sapere scientifico, dalla tecnologia dei materiali all’elettronica analogica e digitale, dalla meccanica all’informatica (comprese recenti soluzioni basate sull’utilizzo di personal computer). Un panorama così ampio e diversificato, se da un lato risulta fecondo di novità e continui aggiornamenti, dall’altro risente tuttora (2008) dell’assenza di una norma legislativa cui fare riferimento; ciò appare paradossale se si pensa che gli ecotomografi risultano essere tra le apparecchiature più diffuse e dal maggiore impatto economico nel mercato mondiale della strumentazione diagnostica per immagini.
Capitolo 9 Meccanica dei fluidi
9.1 Generalità In termini semplici un fluido è un corpo che, a differenza dei corpi solidi, non ha la capacità di resistere a una forza di taglio comunque piccola. I fluidi sono usualmente suddivisi in liquidi e aeriformi. Le differenze che si osservano tra le proprietà di solidi, liquidi e aeriformi dipendono dalla struttura molecolare e dalla natura delle forze tra le molecole. I liquidi sono caratterizzati da forze di coesione maggiori e sono perciò dotati di volume proprio; non possiedono però forma propria, che assume una definizione in virtù di azioni esterne, per esempio perché il liquido è contenuto in un recipiente. Lungo la superficie di contatto S, il liquido in quiete risponde alla forza di intensità F, con cui viene tenuto confinato, con una reazione uguale e opposta, perpendicolare alla superficie, esercitando così una pressione1 p = F/S statica. In assenza di altre forze, la pressione assume lo stesso valore in ogni punto del liquido. I liquidi sono scarsamente comprimibili, per cui anche forti variazioni di pressione non comportano apprezzabili variazioni del volume specifico, che varia poco anche con la temperatura. Al contrario, gli aeriformi sono costituiti da molecole in moto che si urtano continuamente, non possiedono un volume proprio e il loro stato dipende fortemente dalla temperatura e dalla pressione. Nel seguito saranno brevemente richiamati alcuni concetti e relazioni utili nella descrizione del moto dei fluidi, in particolare dei liquidi, ai quali è in qualche modo assimilabile il sangue. È bene sottolineare che la fluidodinamica utilizzata dagli ingegneri non specialisti di questa disciplina rappresenta solo un punto di partenza per comprendere la fenomenologia legata al moto del sangue in arterie, vene e cavità cardiache, poiché la fluidodinamica del sangue è resa complessa dal fatto che l’oggetto della misura è un “liquido” vivente. Una regione dello spazio all’interno della quale esista un fluido in moto, in virtù di forze di varia natura esercitate sulla sua massa, viene definita corrente fluida. Esempi di corrente sono i fiumi, che scorrono nel proprio letto grazie alla differenza di quota (e quindi di energia potenziale) tra monte e valle, oppure l’acqua che circola in condotti di diversa sezione retta (rettangolare, policentrica, circolare), grazie al gradiente di pressione generato dall’azione di
1
Si ricorda che l’unità di misura della pressione è pari a newton al metro quadrato (N/m2 = Pa), dove Pa è il simbolo del pascal.
530
Fondamenti di Ingegneria Clinica
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Figura 9.1. (a) Generica linea di flusso: all’istante t, in ogni punto della curva la tangente ha la direzione e il verso della velocità posseduta dalla particella che sta transitando per quel punto. (b) Esempio di rappresentazione di un campo fluidodinamico: linee di corrente intorno a un ostacolo cilindrico. (c) Tubo di flusso.
una pompa. Ogni particella fluida all’interno della corrente è dotata di velocità u. L’insieme dei vettori velocità delle diverse particelle, in un certo istante, costituisce il campo delle velocità. La curva che, in ogni determinato istante, ha in ogni punto tangente diretta come la velocità della particella fluida che in quell’istante occupa quel punto, è detta linea di flusso (o di corrente)2. Le linee di flusso sono rappresentative del campo vettoriale velocità, fornendone a ogni istante una “fotografia” della distribuzione spaziale (figura 9.1a,b); ciò accade anche per altri campi vettoriali rappresentati da linee di flusso o linee di forza. Per esempio, una minuscola massa magnetica si muove sotto l’azione delle linee di flusso del campo magnetico; similmente si rappresentano le linee di flusso di un campo elettrico sotto l’azione del quale si muove una carica elettrica. Associato al concetto di linea di flusso, vi è quello di tubo di flusso, che è la superficie ottenuta considerando tutte le linee di flusso passanti per i punti di una linea chiusa che non sia essa stessa una linea di flusso (figura 9.1c). Poiché le linee di corrente hanno ovunque la direzione della velocità, una particella appartenente alla superficie del tubo non può allontanarsene: pertanto, il fluido non può né entrare né uscire dal tubo di flusso. Qualsiasi corpo, inizialmente fermo, acquista velocità solamente se gli viene applicata una forza. Un elettrone di carica e, immerso in un campo elettrico E, si muove perché a esso è applicata una forza F = eE. In tale campo vettoriale si può definire un potenziale e, quindi, una differenza di potenziale tra due punti del campo3. La causa agente che determina il movimento dell’elettrone, per
2 Linee tangenti in ogni punto al vettore velocità sono anche la traiettoria della particella fluida e le cosiddette linee di fumo; la prima è relativa al vettore velocità che compete, a istanti successivi, alla stessa particella materiale; la seconda è relativa alle velocità possedute da particelle fluide che sono passate per un punto determinato. Quando il moto è stazionario, linee di flusso, traiettorie e linee di fumo coincidono e il loro assetto si mantiene costante. 3 Che giacciano su superfici equipotenziali e distinte; tutte le superfici equipotenziali del campo sono ortogonali alle linee di flusso.
Capitolo 9
· Meccanica dei fluidi
531
Figura 9.2. Rappresentazione del sistema circolatorio come circuito idraulico; il cuore costituisce un sistema di due pompe affiancate che, lavorando in serie, elaborano la stessa portata. Attraverso le vene cave il sangue giunge all’atrio destro ed è successivamente inviato ai polmoni dal ventricolo destro (stadio di bassa pressione) attraverso l’arteria polmonare; arricchito in ossigeno, giunge attraverso la vena polmonare all’atrio sinistro e il ventricolo sinistro provvede a inviarlo (stadio di alta pressione) all’intero organismo.
esempio tra due capi di un conduttore elettrico (che può essere considerato un tubo di flusso), è la ddp tra essi applicata; gli elettroni liberi, in moto all’interno del conduttore, costituiscono una corrente elettrica. Ciascun elemento di massa che compone una corrente liquida all’interno di un tubo (che può essere considerato anch’esso un tubo di flusso) acquista velocità u perché ai capi del tubo esiste, per esempio, una differenza di pressione, e quindi una forza risultante causa del moto. Nel caso del circuito elettrico, la ddp applicata ai capi del conduttore è una sorgente di forza elettromotrice (pompa elettrica), mentre nel caso del tubo all’interno di un circuito idraulico la differenza di pressione è generata da una pompa meccanica. Il circuito idraulico di cui si tratterà è il sistema circolatorio, i cui tubi sono vene, arterie, arteriole e capillari; il gradiente di pressione che si stabilisce al suo interno, in virtù dell’azione della pompa cuore, genera e mantiene il flusso sanguigno. Nella figura 9.2 è schematizzato il sistema circolatorio, in cui compaiono due pompe, una a bassa pressione, che provvede alla circolazione del sangue nei polmoni (piccolo circolo) e una ad alta pressione, che provvede alla circolazione nelle rimanenti parti del corpo umano (grande circolo). Le due pompe elaborano l’intera portata di sangue necessaria all’organismo. 9.2 Fluidi ideali e fluidi reali Due proprietà fisiche importanti per lo studio della dinamica dei fluidi sono la densità e la viscosità. Ricordando che i concetti della fluidodinamica sono de-
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
Figura 9.3. Forze viscose in un liquido reale: strati di liquido al di sotto di una lastra piana. La lastra è trascinata con velocità costante U dalla forza F ed è frenata dall’azione viscosa, trasmessa dagli strati di liquido sottostanti a partire dal fluido in quiete (corrente indisturbata); l’andamento delle velocità degli strati trascinati, tra il valore massimo U dello strato aderente alla lastra e il valore minimo del fluido fermo degli strati più lontani, è detto profilo di strato limite di Sakiades.
rivati a partire dall’ipotesi del continuo4, si chiama densità ρ il rapporto tra una data quantità di sostanza, espressa in termini di massa, e il volume che detta quantità occupa; se tutte le particelle che occupano il volume sono uniformemente distribuite al suo interno, il campo di densità è uniforme. La densità ha dimensioni massa/volume; nel sistema SI, si ha perciò ρ = [M/L3] = kg/m3, il cui inverso è il volume specifico (v). La viscosità è una proprietà dei fluidi reali che ha il significato di una forza di attrito. Per esempio se si trascina una lastra di area S su di una superficie liquida, la viscosità si manifesta al contatto tra lastra e liquido e all’interno del liquido stesso: se le particelle di liquido potessero scorrere le une sulle altre, senza trasmettere sforzi di taglio, la forza necessaria al trascinamento della lastra sarebbe nulla (fluido ideale). In realtà ogni strato di liquido, a partire dal primo (cioè quello a contatto con la lastra), trascina, sebbene con velocità minore, quello sottostante, dal quale è frenato. L’andamento delle velocità degli strati immediatamente sottostanti alla piastra è del tipo indicato nella figura 9.3. I vari strati di liquido S1, S2, …, Sn vengono effettivamente posti in movimento dalla lastra perché non scorrono perfettamente gli uni sugli altri. Il lavoro della forza F speso per mantenere in moto la lastra si converte in energia cinetica disordinata delle molecole del liquido e quindi, in definitiva, in calore. Questa non scorrevolezza o viscosità dei liquidi reali si chiama attrito interno
4 Le quantità fisiche associate con la materia contenuta in un volume, grande relativamente alla scala molecolare, sono considerate come uniformemente distribuite nel volume occupato e non affette dalle discontinuità della struttura microscopica; se il volume è piccolo relativamente alla scala macroscopica, le quantità fisiche sono definite localmente; esse sono cioè trattate come funzioni continue dello spazio continuo. Un tale volumetto, e la quantità di materia in esso contenuta, assume il nome di particella fluida.
Capitolo 9
· Meccanica dei fluidi
533
Tabella 9.1. Coefficiente di viscosità per alcuni fluidi a 15 °C e 1 bar Sostanza Acqua Plasma Sangue intero (ematocrito = 42%) Sangue intero (ematocrito = 50%) Aria Mercurio Alcol etilico Glicerina Olio d’oliva
Viscosità dinamica (Pa·s) 1,14·10–3 1,70·10–3 3,99·10–3 5,47·10–3 0,178·10–3 1,8·10–3 1,34·10–3 2,33 0,99·10–1
e rappresenta la resistenza che il fluido offre alle variazioni della sua forma; esso è sostanzialmente dovuto alle forze di attrazione tra molecole e tende a ristabilire l’uniformità nel campo di velocità del fluido. Si osserva che l’attrito interno è tanto più grande quanto più rapidamente diminuiscono le velocità degli strati sottostanti alla piastra, cioè quanto più elevato è il gradiente di velocità du/dn (essendo n la normale alla superficie del liquido), come sintetizzato nella seguente espressione dF = η
du dS dn
[9.1]
Il coefficiente di proporzionalità η, noto come coefficiente di viscosità dinamica5, sarà indicato nel seguito della trattazione semplicemente come viscosità del fluido. Le sue dimensioni sono dedotte dalla [9.1] e possono essere espresse sia come (kg/s·m), sia come (N·s/m2) = (Pa·s). Poiché 1 N/m2 è pari a 1 Pa, la viscosità ha unità di misura pari a 1 Pa·s. La tabella 9.1 riporta i valori della viscosità per alcune sostanze a 15 °C e 100 kPa (1 bar). Si deve tuttavia ricordare che storicamente – in onore del medico Léonard Marie Poiseuille che per primo studiò il moto del sangue nelle arterie e nelle vene, stabilendo6 l’interdipendenza tra differenza di pressione e flusso – la prima unità di misura adottata per la viscosità fu chiamata poise, definito nel sistema CGS dall’espressione 1P = s·dyne/cm2, per la quale un fluido ha viscosità pari a un poise se la forza di un dyne deve essere applicata tangenzialmente a un piano di 1cm2 per mantenere la differenza di velocità di 1 cm/s tra il piano stesso e un altro a esso parallelo e distante 1cm. Poiché il poise è un’unità troppo grande, per gli impieghi comuni si adotta il centipoise (cP)7. Il fattore di conversione tra cP e Pa·s risulta da 10–5 N·s/10–4 m2 = 0,1 N·s/m2 = 0,1Pa·s e, in definitiva, 1cP = 10–3Pa·s. Il coefficiente di viscosità cinematica è pari al rapporto η/ρ. Si veda il primo volume (par. 6.4.2). 7 Alla temperatura di 20 °C la viscosità dell’acqua è circa 1 cP, e si può prendere questo liquido come riferimento stabilendo la viscosità di altri liquidi in relazione a esso. 5 6
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Tabella 9.2. Variazione della viscosità con la temperatura per acqua pura e aria secca a 1 bar Temperatura (°C) 0 20 40 60 80 100
Viscosità dinamica (Pa·s) acqua/aria 1,787·10–3 / 1,71·10–5 1,002·10–3 / 1,81·10–5 0,654·10–3 / 1,90·10–5 0,467·10–3 / 2,00·10–5 0,355·10–3 / 2,09·10–5 0,283·10–3 / 2,18·10–5
Viscosità cinematica (m2/s) acqua/aria 1,787·10–6 / 0,132·10–4 1,004·10–6 / 0,150·10–4 0,659·10–6 / 0,169·10–4 0,475·10–6 / 0,188·10–4 0,366·10–6 / 0,209·10–4 0,295·10–6 / 0,230·10–4
Il valore della viscosità varia in funzione della temperatura; nella tabella 9.2 sono riportati per aria secca e acqua pura i valori delle viscosità corrispondenti ad alcune temperature alla pressione di 1 bar. In relazione ai diversi fenomeni fisici8 per i quali si manifesta l’attrito interno, si osservano comportamenti differenti: per un incremento di temperatura di 100 °C, per esempio, la viscosità dell’acqua diminuisce circa di un fattore 6, mentre quella dell’aria aumenta circa di un fattore 1,3. La [9.1] rappresenta una risposta di tipo lineare per piccole variazioni del gradiente di velocità. I fluidi reali manifestano comportamenti diversi e il loro moto è descritto da diverse equazioni di governo, a seconda del comportamento della viscosità per variazioni finite. La figura 9.4 riporta lo sforzo tangenziale T = dFt /dS in funzione del gradiente di velocità du/dn, che rappresenta una velocità di deformazione, altrimenti detto velocità di scorrimento o shear rate. Nel diagramma la retta 1, che passa per l’origine degli assi e il cui coefficiente angolare η (pendenza) è la viscosità, rappresenta un fluido viscoso newtoniano. Un fluido perfetto, per il quale non esiste viscosità e pertanto è nullo lo sforzo di taglio T = dFt /dS, è rappresentato dall’asse delle ascisse. L’asse verticale corrisponde a un solido elastico, per il quale lo sforzo di taglio è indipendente dalla velocità di deformazione ed è legato alla deformazione da una relazione lineare. La curva 4 definisce un fluido con comportamento intermedio tra quelli di un solido elastico e di un fluido newtoniano: per tale fluido, detto viscoplastico alla Bingham, non si ha scorrimento se la sollecitazione non raggiunge un valore critico; l’eccesso di tensione rispetto a tale valore dà luogo a un deflusso analogo a quello di un fluido newtoniano. Le curve 5 e 6 rappresentano fluidi viscosi non newtoniani. In particolare, la curva 5 identifica il comportamento pseudoplastico 9, con viscosità che diminuisce all’aumentare del gradiente di velocità, mentre la curva 6 identifica il comportamento detto dilatante, con viscosità che cresce all’aumentare del gradiente di velocità.
8 Riconducibili ai differenti legami molecolari che caratterizzano gli stati di aggregazione: nei liquidi la viscosità è dovuta alle forze di attrazione, nei gas al trasporto di quantità di moto tra strati adiacenti a opera del moto peculiare delle molecole. 9 Un particolare comportamento pseudoplastico è quello di un fluido tixotropico, per il quale la viscosità è dipendente anche dal tempo: più a lungo il fluido è sottoposto a scorrimento, più è bassa la sua viscosità; a volte i termini pseudoplastico e tixotropico sono considerati sinonimi.
Capitolo 9
· Meccanica dei fluidi
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Figura 9.4. Sforzi di taglio in funzione della velocità di deformazione: le curve rappresentano i legami costitutivi di diversi materiali.
9.3 Il “ fluido” sangue Il grafico della figura 9.4 indica che occorre fare una distinzione tra i fluidi ideali (a viscosità nulla) e gli altri tipi di fluidi. Per quanto attiene allo studio oggetto di questo libro, poiché la conoscenza della fisica e della fluidodinamica del sangue è di ausilio, per esempio, per l’interpretazione diagnostica delle immagini ecotomografiche dedotte mediante la tecnica Color Doppler, occorre occuparsi di un liquido particolare (il sangue è effettivamente un tessuto vivente) per il quale è necessario valutare le proprietà fisiche e le relazioni più adatte a descriverne il moto. Si tratta di una grande difficoltà, di fronte alla quale occorre un’altrettanto grande umiltà da parte dei tecnici nell’affrontare il problema. A tale scopo vengono di seguito fornite alcune informazioni sulle caratteristiche del fluido sangue, soprattutto allo scopo di valutare le condizioni per le quali sia lecito, di volta in volta, considerarlo come un fluido perfetto, viscoso newtoniano, viscoso non newtoniano, in relazione per esempio alla parte del sistema circolatorio che si sta considerando. Il sangue è una sospensione di cellule in un mezzo liquido, il plasma sanguigno, il quale contiene micelle, molecole e ioni. Le sue funzioni sono molteplici10 e tutte fondamentali. Tra queste viene di solito citata quella relativa alla distribuzione dell’ossigeno (O2) nei tessuti e alla rimozione da questi dell’eccesso di anidride carbonica (CO2). Le citate funzioni vengono compiute per mezzo di un gruppo di cellule specializzate11, trasportate dalla frazione liquida del sangue: gli eritrociti (globuli rossi), i leucociti (globuli bianchi) e le piastrine. Il plasma (costituito appros10 Respiratoria, nutritiva, escretoria, immunitaria, regolatrice dell’equilibrio idrico dell’organismo, di regolazione termica, della pressione osmotica, dell’equilibrio acido-base. 11 Spesso indicate nella letteratura scientifica come elementi figurati del sangue.
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Tabella 9.3. Dimensioni e concentrazioni dei principali elementi costituenti il sangue Concentrazione Dimensioni Frazione del volume (particelle/mm3) (μm) di sangue (%) Eritrociti Leucociti Piastrine
5·106 8·103 2,5·105
7,2÷22 9÷25 2÷3
45 ~0,8 ~0,2
Tabella 9.4. Densità e compressibilità dei principali elementi costituenti il sangue Eritrociti Plasma
Densità ρ (kg/m3)
Compressibilità adiabatica β (m2/N) *
1,091·103 1,021·103
3,41·10–10 4,09·10–10
* Urick J.R. (1947) A sound velocity method for determining the compressibility of finely divided substances. Journal of Applied Physics 18: 983-987.
simativamente per il 90 per cento da acqua e per il rimanente 10 per cento da proteine) rappresenta circa il 60 per cento in volume del sangue; il rimanente 40 per cento è costituito dalla parte corpuscolata, generalmente indicata con il termine ematocrito. A sua volta la parte corpuscolata è costituita per il 99 per cento dagli eritrociti e per il rimanente 1 per cento dalle piastrine e dai globuli bianchi. I globuli rossi, che contengono l’emoglobina (proteina responsabile del trasporto di O2 e CO2 ), hanno forma lenticolare biconcava, un diametro medio di 7,2 μm e uno spessore di 2,2 μm; la loro dimensione varia a seconda che si trovino nel sangue arterioso oppure in quello venoso, dove il loro diametro è maggiore di circa 0,5 μm. La misura del flusso sanguigno per mezzo degli ultrasuoni è resa possibile soprattutto dalla loro presenza, essendo il contributo dovuto ai leucociti di circa 10–3 volte inferiore e quindi difficilmente apprezzabile. Alcune caratteristiche dei componenti del sangue sono riportate nelle tabelle 9.3 e 9.4, mentre la figura 9.5 mostra l’aspetto dei globuli rossi.
Figura 9.5. Eritrociti visualizzati al microscopio elettronico a scansione (ingrandimento 11397 ×). © BSIP/Marka (Janice Carr).
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Il sangue si muove entro i condotti che costituiscono il sistema circolatorio (grande circolo e piccolo circolo), in virtù del fatto che a esso (cioè alla sua unità di volume) viene fornita energia, prodotta dall’azione pompante del cuore. Tale energia si manifesta come differenza di pressione tra due tratti qualsiasi del condotto. Come si vedrà in seguito, a parità di differenza di pressione, il flusso che si instaura dipende da molteplici fattori; la differenza di pressione massima è12 quella tra la pressione sistolica e la pressione diastolica ed è un parametro variabile dipendente anch’esso da molti fattori tra i quali, non ultimo, quello derivante dallo stato emotivo. Per quanto concerne le caratteristiche fisiche del fluido sangue, in particolare la viscosità del cosiddetto sangue intero (costituito dal plasma e dalla componente corpuscolata), si osserva che per basse velocità di deformazione il comportamento non newtoniano è tale per cui la viscosità aumenta al diminuire del gradiente di velocità (curva 5 della figura 9.4). In particolare, si può assumere che per velocità di deformazione minori di 10 s–1 sia valida la seguente relazione tra taglio e velocità di scorrimento, nota come curva di Casson T = Ty + a du / dn
[9.2]
nella quale le due costanti Ty e a rappresentano rispettivamente una tensione residua e un coefficiente noto come coefficiente di viscosità di Casson. Secondo tale relazione, il sangue comincia a scorrere solo se viene superato un valore di soglia dello sforzo di taglio, mentre per gradienti di velocità più elevati il comportamento è pressoché newtoniano. Inoltre la viscosità varia notevolmente a seconda del valore dell’ematocrito, mentre è pressoché costante per il plasma, e diminuisce al crescere della temperatura. Alcune di tali caratteristiche sono descritte nelle figure seguenti. Nella figura 9.6 sono riportati gli andamenti dello sforzo di taglio T con la velocità di deformazione in funzione dell’ematocrito; dalla figura si deduce che il comportamento non newtoniano descritto dall’equazione [9.2], che si manifesta per bassi valori dello shear rate, è essenzialmente dovuto al contributo dei globuli rossi. Nella figura 9.7 è riportato l’andamento della viscosità del sangue intero in funzione dell’ematocrito (a partire dal valore nullo corrispondente al solo plasma). Nella figura 9.8 è visibile l’andamento decrescente della viscosità all’aumentare della temperatura a parità di velocità di deformazione. La figura 9.7, in particolare, è largamente impiegata nei testi di fisiologia, poiché alcune patologie comportano importanti variazioni del numero di globuli rossi (per esempio, un drastico aumento si osserva in pazienti affetti da policitemia, mentre una riduzione può verificarsi in presenza di anemia) e questa circostanza ha un’evidente ricaduta sulla viscosità del sangue. Dal punto di vista ingegneristico, e in particolare da quello della fluidodinamica, è forse più signi12
In proposito si rinvia al primo volume (par. 6.2).
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Figura 9.6. Curve rappresentative del legame costitutivo per il sangue intero; sforzi di taglio in funzione della velocità di deformazione al variare dell’ematocrito alla temperatura di 25 °C; i dati a destra della curva tratteggiata appartengono alla regione newtoniana, quelli a sinistra alla regione non newtoniana; i dati all’interno della regione campita, corrispondenti a velocità di deformazione inferiori a 10 s–1, appartengono alla regione di validità dell’equazione [9.2]; a valori più elevati dell’ematocrito corrispondono zone più ampie di transizione tra i due regimi. Modificata, con autorizzazione, daY.C. Fung (1993) Biomechanics: Mechanical Properties of Living Tissues. Springer.
Figura 9.7. Viscosità del sangue in funzione dell’ematocrito (in rosso); la viscosità dell’acqua (in blu) e quella del plasma (in giallo), corrispondente a un ematocrito nullo, sono riportate per confronto. Il sangue umano normale corrisponde a un valore dell’ematocrito pari al 40 per cento. Modificata da Guyton and Hall (1996) Textbook of Medical Physiology. W. B. Saunders Company (con autorizzazione di Elsevier).
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Figura 9.8. Viscosità del sangue in funzione dello shear rate al variare della temperatura (ematocrito pari al 44,8 per cento). Modificata, con autorizzazione, daY.C. Fung (1993) Biomechanics: Mechanical Properties of Living Tissues. Springer.
ficativa la figura 9.6, che mostra la correlazione tra taglio e velocità di deformazione, alla base dei modelli per quanto semplificati di flusso all’interno di un vaso, come sarà chiarito nel seguito. I fenomeni alla base della reologia13 del sangue sono di varia natura. La viscosità del sangue può aumentare fino a 10 volte per effetto dell’accorpamento di globuli rossi in catene (rouleaux), la cui lunghezza aumenta al diminuire del gradiente di velocità: quanto minore è il flusso del sangue, o piuttosto quanto minore è la velocità di deformazione, tanto più i globuli rossi tendono ad aggregarsi. D’altra parte i globuli rossi sono assimilabili a goccioline (racchiuse da una membrana) molto deformabili, che tendono ad assumere una forma allungata e ad allinearsi alle linee di corrente man mano che lo shear aumenta, offrendo al moto minore resistenza. Tali effetti contrapposti sono illustrati nella figura 9.9, che riporta i valori della viscosità relativa apparente 14 di 13 La reologia è lo studio della risposta (cinematica) della materia, in termini di deformazione e velocità di deformazione, sottoposta a sollecitazione meccanica; in altri termini essa si occupa delle relazioni costitutive dei materiali nell’ambito della meccanica del continuo, al di là della teoria classica dell’elasticità e della meccanica dei fluidi newtoniani, anche a partire dalla struttura della materia a scale diverse da quella macroscopica. 14 Il termine apparente si riferisce al fatto che, indipendentemente dai vari fenomeni in gioco, si può sempre intendere la viscosità come il rapporto tra lo sforzo di taglio misurato alla parete e una velocità di deformazione caratteristica (per esempio, calcolata come rapporto tra la velocità massima e il diametro del tubo), che è quella che nelle figure di questo paragrafo è riportata come shear rate. Con riferimento a quanto verrà introdotto nel seguito, la viscosità apparente è il coefficiente che rende verificata la relazione [9.27]. Il termine relativa è riferito al fatto che i valori riportati sono in rapporto al valore della viscosità del solo plasma.
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Figura 9.9. Viscosità relativa apparente del sangue, in funzione dello shear rate per tre sospensioni diverse, contenenti tutte il 45% di globuli rossi: globuli rossi normali in plasma (NP); globuli rossi con ridotta aggregabilità (NA); globuli rossi con ridotta deformabilità (HA). Modificata, con autorizzazione, daY.C. Fung (1993) Biomechanics: Mechanical Properties of Living Tissues. Springer.
tre tipi di sospensione; la linea NP si riferisce al sangue normale, la linea NA si riferisce a una sospensione di globuli rossi in cui la tendenza all’aggregazione è stata rimossa15, mentre la linea HA è relativa a una sospensione di globuli rossi di cui si è incrementata la rigidità. La differenza tra le curve NP e NA indica l’effetto dell’aggregazione, mentre quella tra le curve NA e HA indica l’effetto della deformazione. Si può constatare come un gradiente di velocità elevato tenda a disaggregare i rouleaux16 e, allo stesso tempo, a favorire l’elongazione e l’allineamento dei globuli rossi con le linee di flusso: i due effetti concorrono a una globale diminuzione della viscosità. La figura 9.10 mostra i globuli rossi sottoposti all’azione dello sforzo di taglio, mentre la 9.11 presenta la modalità di aggregazione degli eritrociti. Come si è osservato in precedenza, le caratteristiche fisiche del sangue possono essere considerate diversamente a seconda della porzione del sistema circolatorio che si sta considerando, e ciò dipendentemente dal regime di flusso che vi si stabilisce e da un più o meno marcato gradiente di velocità che vi si instaura. È utile per esempio osservare che, per diametri inferiori a 500 μm e superiori a 4 μm circa, la viscosità apparente del sangue diminuisce al diminui-
15 Viene in questa sede omesso ogni dettaglio relativo ai procedimenti utilizzati nel trattamento del sangue a fini sperimentali, per i quali il lettore può riferirsi ai testi specialistici. 16 In presenza di un gradiente trasversale di velocità, oltre a traslare, il globulo rosso tende a ruotare, disturbando il flusso e richiedendo un dispendio di energia, rivelata dalla viscosità; il disturbo arrecato al flusso da una catena di n globuli rossi è maggiore della somma degli n disturbi che si avrebbero a causa di n particelle in sospensione.
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Figura 9.10. Effetto dell’azione tangenziale sui globuli rossi. (a) Sforzo tangenziale T = 10 N/m2. (b) Sforzo tangenziale T = 300 N/m2. Da S. Sutera, M. Mehrjardi, N. Mohandas (1975) Deformation of Erythrocytes under Shear. Blood Cells 1: 369-374 (riproduzione autorizzata).
re del calibro del vaso17. Per diametri inferiori intervengono altri fenomeni, che non vengono descritti; si accenna solo al fatto che il moto dei globuli rossi e del plasma è in questo caso meglio descritto come flusso bifase, poiché i globuli rossi si muovono in file ordinate, distanziati tra loro dal plasma: in questo caso, manifestamente, è lo stesso singolo globulo rosso a presentare la resistenza all’avanzamento; il fenomeno è sorprendente, quando si pensa che un globulo rosso riesce a “camminare” entro vasi di dimensioni inferiori alle proprie. Ricordando che la viscosità rappresenta un attrito interno che si oppone al moto del fluido, e che dunque è in contrasto con l’azione motrice del cuore, un’aumentata resistenza al moto, dovuta a fattori di diversa natura, viene spesso rappresentata come un aumento della viscosità. In questi termini, e per chiarire meglio il concetto di viscosità apparente, si può affermare per esempio che la viscosità del sangue aumenta in presenza di leucociti o eritrociti aventi dimensioni maggiori del capillare (che possono costituire un’ostruzione), o per la formazione di aggregati di leucociti che aderiscono alle pareti del vaso, o per l’azione bloccante delle piastrine, in presenza di un’emorragia sulle pareti interne di un vaso lesionato. Tali circostanze mettono in rilievo quan-
17 Poiché per effetto del campo di moto i globuli rossi tendono a migrare verso l’asse del vaso, e tale tendenza è più marcata per più marcati shear rate, la zona centrale dei vasi è caratterizzata da più elevato ematocrito e più basso shear rate, mentre la zona vicino alle pareti è costituita da uno strato di solo plasma (ematocrito circa nullo) e da un più elevato shear rate. L’effetto complessivo di questo fenomeno (effetto Fahraeus-Lindqvist) si traduce in una diminuzione della viscosità apparente, tanto più pronunciata quanto più lo spazio occupato dallo strato periferico di plasma è esteso rispetto all’intera luce del vaso, il che si verifica man mano che il diametro si riduce. Inoltre, al diminuire del diametro e a seconda della geometria delle diramazioni vascolari e dell’orientazione dei globuli rossi, alcuni di essi potranno non entrare nei microvasi, diminuendone dunque l’ematocrito.
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Figura 9.11. Rouleaux di globuli rossi. (a) Ingrandimento 800 ×. Da J. Bozzo, M.R. Hernandez, A. Del Giorgio, A. Ordinas (1996) Red blood cell aggregability is increased by aspirin and flow stress, whereas dipyridanole induces cell shape alterations: measurements by digital image analysis. Eur J Clin Invest 26: 747-754 (riproduzione autorizzata da Blackwell Publishing). (b) Ingrandimento 7766 ×. © BSIP/Marka (Janice Carr).
to sia importante che le pareti dei capillari e dei piccoli vasi siano libere da ostacoli, quali possono essere gli aggregati (placche) che si formano per eccesso di colesterolo nel sangue. Sembra opportuno sottolineare che la conoscenza delle proprietà fisiche del fluido sangue non è sufficiente, poiché ciò che è importante è la descrizione del suo moto; in particolare, una grandezza fondamentale è il flusso (o portata volumetrica)18, che permette di valutare la quantità di sangue che nell’unità di tempo perviene ai tessuti per consentirne l’irrorazione. Tale grandezza dipende, oltre che dai parametri caratteristici del fluido (reologia del sangue), dallo stato del condotto (dalla sua geometria, dalle caratteristiche superficiali delle pareti interne e dalla loro rigidità), nonché dall’azione del cuore, cioè dal regime di pressioni da esso prodotto a ogni istante. Con riferimento alla reologia, si è già osservato che, quando il diametro del capillare si avvicina all’ordine di grandezza di quello dei globuli rossi, non è più possibile parlare di sospensione uniforme di cellule in un mezzo liquido e, quindi, cadono le ipotesi sulle quali sono fondate le leggi del moto dei fluidi che saranno oggetto dei successivi paragrafi. Ciò non di meno queste leggi, relative a un fluido newtoniano, sono applicabili ai grandi vasi e sono utili per la comprensione dei fenomeni alla base della circolazione sanguigna; anche se spesso non possono essere quantitativamente applicate, esse rendono conto della ragione fisica dei comportamenti del sangue in molti distretti e consentono, pertanto, una corretta interpretazione delle immagini ecografiche fornite dal Color Doppler. Ci si è tuttavia soffermati sugli aspetti reologici del sangue per chiarire che, qualora la tensione di taglio e la velocità di scorrimento
18
Quantità di fluido, espressa in termini di volume, che nell’unità di tempo attraversa una superficie.
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non siano forniti da considerazioni di carattere puramente statico e cinematico19, esse non sono in generale note: per analizzare in dettaglio il flusso di sangue, per esempio nei punti di biforcazione delle arterie o attraverso una stenosi, è necessario risolvere le equazioni generali del moto basate su appropriate relazioni costitutive e da tali aspetti reologici non è possibile prescindere. Non è inutile chiarire a questo punto che l’interpretazione diagnostica delle immagini ecografiche non nasce dalla citata analisi dettagliata del campo di moto all’interno dell’intero sistema circolatorio o di alcune sue regioni significative20. L’immagine ecografica è piuttosto confrontata con la grande messe di immagini che costituiscono i cosiddetti atlanti, all’interno dei quali si trovano esempi di flussi normali e patologici, che formano una base di dati sempre disponibile per il medico, il quale a sua volta ha memorizzato il suo personale campione statistico nell’ambito della propria attività professionale. La valutazione degli aspetti fluidodinamici, nell’ambito della tecnica eco-Doppler, è tuttavia importante dal punto di vista ingegneristico. Come sarà ampiamente sviluppato nei capitoli che seguono, è infatti l’interazione tra il fluido in moto e il fascio ultrasonoro a fornire informazioni sul flusso sanguigno e lo studio di tale interazione può essere di ausilio nella progettazione e ideazione, nonché nella verifica e nel collaudo, dei sistemi ecotomografici. 9.4 Leggi del moto dei fluidi I parametri che descrivono il comportamento dei fluidi, come la velocità, la densità, la pressione, nonché la viscosità, non sono in generale né uniformi nello spazio né costanti nel tempo, ma possono variare da un punto all’altro e da istante a istante. Se si considera il caso nel quale queste grandezze non variano col tempo, il flusso (corrente) del fluido è detto permanente; poiché, a rigore, tutte queste grandezze possono fluttuare nel tempo, tale concetto si può ancora applicare se le loro variazioni possono essere considerate piccole e rappresentate dal loro valore medio, assunto entro un ragionevole intervallo di tempo. Nella discussione che segue, se non altrimenti indicato, si assume che il moto del fluido sia permanente e le grandezze che vi partecipano siano rappresentate dal valore medio. Le leggi che descrivono il moto di un fluido, in particolare del sangue che scorre entro condotti a sezione pressoché circolare, sono sostanzialmente le leggi di conservazione di massa, quantità di moto ed energia. La descrizione che segue è relativa alla conservazione della massa (continuità) e alla conser-
19
Come avviene per i flussi di Couette o Poiseuille, quest’ultimo descritto nel seguito. Il flusso di sangue in corrispondenza della biforcazione della carotide, per varie geometrie possibili di tale biforcazione, o il campo di moto in corrispondenza di stenosi e aneurismi, sono peraltro molto studiati, sia mediante tecniche sperimentali sia per mezzo di simulazioni numeriche. Tale studio è di ausilio nella caratterizzazione dei meccanismi alla base della formazione di placche e, in generale, dell’interazione tra flusso sanguigno e struttura dei vasi, e ha quindi comunque importanza nella pratica medica. 20
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vazione dell’energia, al fine di disporre degli strumenti minimi necessari21 alla comprensione degli aspetti fondamentali del moto del sangue.
9.4.1 Conservazione della massa e dell’energia Si consideri un tubo di flusso, attraverso il quale non può né entrare né uscire fluido e nel quale, in condizioni di moto permanente, non vi può essere accumulo o sottrazione di materia; il principio di conservazione della massa, applicato alla porzione di tubo di flusso individuata da una sezione di ingresso 1 e una sezione di uscita 2, richiede che la massa Δm che fluisce nell’interval· lo di tempo Δt attraverso queste due sezioni sia uguale; per cui, indicato con m il rapporto Δm/Δt, ingresso = m uscita m
[9.3]
Indicando con up la componente della velocità del fluido perpendicolare alla generica sezione di passaggio dA, si può scrivere che la massa in transito è pari a dm = ρ Δx dA = ρup Δt dA e si ottiene quindi per l’intera sezione = ∫ A ρ u pdA m
[9.4]
detta portata in massa attraverso la sezione A, le cui dimensioni sono MT–1, mentre è detta portata in volume la quantità q v = ∫A u p dA
[9.5]
le cui dimensioni sono L3T–1. La conservazione della massa si esprime in definitiva come
∫A ρ u pdA = costante
[9.6]
e se nella generica sezione A sono uniformi ρ e up , ciò si può porre nella forma ρAup = costante che, per fluidi a densità costante, si specializza in Aup = costante; qualora up sia diversa da punto a punto della sezione, può assumersi il valore medio di up u = ∫A u p dA / A
[9.7]
21 Per quanto riguarda una trattazione completa relativa alle equazioni di Eulero per fluidi non viscosi e alle equazioni di Navier-Stokes per fluidi viscosi, il lettore può fare riferimento a testi di base di idraulica e meccanica dei fluidi.
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e scrivere in definitiva che, per densità costante, la portata in volume qv22 in termini di velocità media vale A u = costante
[9.8]
Applicando la [9.8] tra le due sezioni 1 e 2, e supponendo che la sezione di uscita sia per esempio maggiore della sezione di ingresso, cioè A2>A1, si avrà u 2 < u1
[9.9]
Si ha cioè che, se la sezione del condotto diviene più grande, la velocità media diminuisce e viceversa. La [9.8] è assai utile dal punto di vista pratico e viene utilizzata nei calcoli emodinamici per valutare la portata in un determinato vaso, poiché attraverso la scansione B-Mode se ne individua il diametro e con la modalità Doppler se ne individua la velocità (e quindi la velocità media). Nel caso del cuore, la cui geometria è valutata nell’immagine M-Mode, si può per esempio valutare la gittata cardiaca, che è la portata uscente e immessa nell’aorta; il volume di sangue pompato a ogni ciclo cardiaco è detto gittata sistolica23. Si osserva che l’applicazione della [9.8] richiede la misura o il calcolo della – u per mezzo della [9.7]; a sua volta la [9.7] richiede la conoscenza della legge con la quale si distribuiscono le velocità up all’interno del condotto, cioè quello che viene chiamato profilo di velocità sulla sezione. A parte l’utilizzo di strumenti di misura diretta della portata24, la misura locale della velocità può essere effettuata a partire da vari e differenti principi fisici25. Nei vasi sanguigni viene utilizzato l’effetto Doppler che, con le diverse modalità descritte in questo libro, permette sia la misura della velocità media sia quella del profilo di velocità. È da porre in rilievo che assumono significato diagnostico sia la grandezza globale portata, sia la grandezza locale velocità e il suo profilo sulla sezione26. La legge di conservazione della massa tiene conto solamente di fatti cinematici, dove compaiono cioè geometria e tempo. Occorre pertanto passare
– , e se questa viene moltipliMoltiplicando qv per la densità, si ottiene la portata in massa qm = ρAu – cata per l’accelerazione di gravità g, si ha la portata in peso qp = ρ g Au , le cui dimensioni sono MLT–3. 23 La gittata cardiaca è il prodotto della gittata sistolica e della frequenza cardiaca (numero di pulsazioni al minuto) ed è di circa 5 L/min nel caso di uomo a riposo, potendo raggiungere anche i 25 L/min nel caso di sforzo fisico. 24 Per esempio a turbina o a effetto Coriolis. 25 Mediante anemometria a filo caldo o con laser Doppler, solo per citarne alcuni; nei condotti idraulici si può usare un tubo di Pitot, il cui principio di misura, così come per il Venturi, di largo impiego nelle applicazioni impiantistiche, è basato sui concetti descritti più avanti in relazione alla conservazione dell’energia. 26 Come sarà più chiaro in seguito, la presenza per esempio di una stenosi può essere diagnosticata sia valutando l’andamento della velocità media sulla sezione lungo l’asse del vaso, sia individuando le distorsioni subite dal profilo di velocità al passaggio attraverso una stenosi e a valle di essa, fino al riassestarsi di un profilo sviluppato. 22
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dalla cinematica alla dinamica e prendere in considerazione, sempre nel caso di moto stazionario, anche le forze che agiscono sulle unità di massa della materia considerata affermando in pratica che, nell’ipotesi di fluido perfetto e incomprimibile, nonché non conduttivo, l’energia di una massa fluida dm lungo la sua traiettoria si mantiene costante27. Si faccia riferimento al moto stazionario28 lungo un tubo di flusso di sezione abbastanza piccola da poter ritenere costanti su di essa le grandezze considerate. L’equazione di conservazione della massa tra le sezioni 1 (di area S1) e 2 (di area S2) si scrive dm = ρ1S1u1dt = ρ2S2u2dt. Se si applica il teorema dell’energia cinetica, si ottiene che l’incremento di energia cinetica della massa dm, nel passare dalla sezione 1 alla sezione 2, è uguale al lavoro compiuto dalle forze esterne e interne. Tale incremento risulta dm(u22 – u12)/2. Nel caso studiato, il lavoro delle forze interne è nullo, perché il fluido è supposto incomprimibile e perfetto, mentre per quanto riguarda le forze esterne, si considerano le forze di pressione (che sulla superficie laterale fanno lavoro nullo) e un campo di forza conservativo, per esempio il peso. Il lavoro compiuto dalla forza di pressione p1 S1 sulla sezione 1 è p1 S1 v1 dt e, analogamente, per la forza di pressione sulla sezione 2 il lavoro compiuto è –p2 S2 v2 dt, dove p1 e p2 sono le pressioni statiche in corrispondenza delle sezioni, rispettivamente di entrata e di uscita, e il segno è dovuto al verso delle normali interne. Il lavoro della forza di gravità, compiuto sulla massa dm nel passaggio dalla quota z1 alla quota z2 , è pari, ove si supponga l’asse verticale orientato verso l’alto, a gdm(z1–z2). Si ha in definitiva dm (u 22–u 12)/2 = (p 1S 1u 1–p 2S 2u 2)dt + (z 1–z 2)gdm e, poiché S 1u 1dt = S 2u 2dt = dm/ ρ , si ottiene p 1/ ρ +u 12 +gz 1 = p 2/ ρ +u 22+gz 2 e quindi, più generalmente p u2 + + gz = costante ρ 2
[9.10]
nella quale ciascun termine è omogeneo (cioè ha le stesse dimensioni) con un’energia per unità di massa. Moltiplicando i tre termini per ρ si ottiene 1 p + ρu 2 + ρgz = costante 2
[9.11]
dove ciascun termine è omogeneo con una pressione e, in definitiva, con un’energia per unità di volume29; infine, ponendo γ = ρg, si ottiene
27
Il principio di conservazione dell’energia viene cioè applicato a un filetto fluido. Per cui traiettoria e linea di corrente coincidono. 29 La pressione, in termini di forza/superficie, può essere espressa come newton/m2 = newton m/m3 = joule/m3. 28
Capitolo 9
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p u2 z + + = costante γ 2g
[9.12]
nella quale ogni termine ha le dimensioni di una lunghezza. La relazione [9.12] è una delle forme del teorema di Bernoulli, che prende il nome dal matematico svizzero Daniel Bernoulli, che nel 1878 pubblicò uno dei primi trattati sul moto dei fluidi. Le relazioni [9.10], [9.11] e [9.12] affermano che l’energia posseduta dalla massa dm, nel procedere attraverso le sezioni di un tubo di flusso, si mantiene costante; ciò significa che, nell’ambito del tubo di flusso, se uno dei tre termini varia, la somma dei rimanenti due deve variare in senso contrario. Per esempio, se lungo un vaso sanguigno si ha un restringimento di sezione, o per la conformazione naturale del vaso o per la presenza patologica di placche, ivi la velocità deve aumentare30 e, corrispondentemente, deve altrettanto diminuire la pressione, affinché la somma dei due termini rimanga costante (potendo trascurare la differenza di quota); in corrispondenza di una stenosi, la diminuzione di pressione aumenta il rischio di ulteriore restringimento di sezione fino alla completa occlusione del vaso. Viceversa, se in un vaso è presente un rigonfiamento (aneurisma31), la velocità a monte di esso è più alta e la pressione è minore, mentre in corrispondenza della sezione di passaggio più grande il flusso rallenta e la pressione diviene più alta. Analogamente, se in un vaso sanguigno si genera una sacca (è questa una diversa configurazione di aneurisma) che si va riempiendo di sangue, la velocità al suo interno è piccolissima (circa zero), mentre la pressione diviene massima; qualora la parete dell’arteria sia divenuta meno resistente, proprio per la formazione dell’aneurisma, questa può scoppiare poiché l’aumento di pressione favorisce l’ulteriore dilatazione del vaso. Nella figura 9.12 è riportata una tipica conformazione di un vaso stenotico; nella figura 9.13 è invece mostrata una delle possibili conformazioni di un aneurisma. Poiché ciascun termine nella [9.12] è rappresentato da una quota, cioè da una lunghezza, la somma delle tre energie è rappresentabile come la somma di tre segmenti che viene chiamata carico. Il carico è l’energia totale che compete a ogni particella dm lungo una linea di flusso, nella quale si mantiene costante. In generale, il carico è diverso per due diverse linee di flusso. La realtà fisica di quest’ultima rappresentazione risulta evidente dal fatto che, inserendo in un condotto una presa di pressione statica (cioè un tubicino di vetro trasparente perpendicolare all’asse del condotto), in esso il liquido sale fino a una quota hp, misurata a partire da tale asse, pari a p/γ. Tale quota rappresenta realmente l’energia (per unità di volume) dovuta alla pressione statica; infatti la colonnina d’acqua contenuta nel tubicino esercita sul fluido, in corri-
30
Per la conservazione della massa, rispetto al valore della velocità a monte del restringimento. Per aneurisma si intende la dilatazione patologica, di forma variabile e non reversibile, di un segmento di arteria. 31
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Figura 9.12. Esempio di stenosi di un vaso. (a) Immagine angiografica dell’arteria femorale destra. © BSIP/Marka (James Cavallini, 2005). (b) Modello del particolare: a monte del restringimento la velocità è più bassa e la pressione è maggiore, mentre in corrispondenza della stenosi si ha velocità più alta e pressione più bassa; se la pressione esercitata dai tessuti circostanti supera la pressione interna (ciò può avvenire più facilmente nel caso di vasi venosi) il processo di restringimento può degenerare.
Figura 9.13. Esempi di aneurismi in un vaso. (a) Tomografia dell’aorta addominale (aneurisma fusiforme indicato in rosso). (b) Angiogramma 3D della carotide interna intracranica (aneurisma sacculare). © BSIP/Marka (Neil Borden, 2005). (c) Modello del caso (b): la conformazione del rigonfiamento è tale per cui la velocità delle particelle fluide al suo interno è quasi nulla, mentre la pressione è molto maggiore di quella che si ha nel flusso principale lungo l’arteria; se la pressione nell’aneurisma supera il valore della pressione esercitata dai tessuti circostanti, il processo di progressivo rigonfiamento, e il conseguente indebolimento della parete del vaso, può amplificarsi fino alla rottura dell’aneurisma.
Capitolo 9
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spondenza dell’asse, una pressione p pari al rapporto tra il peso della colonna fluida e la superficie sulla quale essa insiste, cioè (esprimendo il peso come prodotto del volume per il peso specifico) p = Shpγ/S = hpγ. Si dice che la pressione p è pari a hp centimetri di colonna d’acqua32. Nel caso si ponga l’acqua in movimento ed essa acquisti la velocità u, il livello hp diminuisce di una quantità hv, rappresentativa di quanto compete all’energia cinetica, in modo da soddisfare sempre la relazione [9.12]. 9.4.2 Perdite di carico Se si considerano correnti lineari33 di fluidi ideali, per quali si possa assumere un profilo di velocità uniforme, si può estendere all’intera sezione trasversale il concetto di carico introdotto per la singola linea di flusso, che è quanto è stato implicitamente fatto nell’esempio descritto considerando un condotto. Si può perciò estendere il teorema di Bernoulli a tutta la corrente di sezione finita, introducendo per ogni sezione trasversale una quota h, un’altezza di pressione p/γ e un’altezza cinetica u2/2g, rappresentative dell’energia che compete a una particella fluida giacente sulla sezione e quindi alla sezione stessa. Nel caso dei fluidi reali, per i quali la viscosità è non nulla, si verificano le cosiddette perdite di carico, sia lungo una linea di corrente, sia con riferimento a una sezione finita di passaggio34. La dissipazione in calore di parte dell’energia meccanica è dovuta al lavoro della forza di attrito (viscoso) definita in precedenza, che è tanto più marcata quanto più il campo fluido è caratterizzato da gradienti elevati di velocità35. La figura 9.14 illustra quanto avviene nel caso reale. Supponendo un condotto orizzontale e a sezione costante (per cui z1 = z2 e u1 = u2), si osserva che l’altezza delle colonne di liquido in corrispondenza delle due sezioni differisce di una quantità X: essa è l’energia perduta lungo il tratto considerato36 ed è fisicamente una perdita di pressione statica; infatti, dovendo comunque valere la conservazione della massa, le altezze cinetiche sono uguali. Si può scrivere perciò il teorema di Bernoulli come z1 +
p1 γ
+
u 12 p u2 = z2 + 2 + 2 + X γ 2g 2g
[9.13]
da cui, per il caso della figura,
32
Ma, analogamente, essa si può esprimere in centimetri di mercurio (o di qualsiasi altro liquido). Per una loro trattazione rigorosa si rimanda ai testi di idraulica. 34 Per la quale si ha in realtà un profilo non uniforme di velocità e si fa riferimento a un’altezza cinetica media. 35 In dipendenza del regime di moto, come si vedrà più avanti. 36 Questo tipo di perdita è detta perdita di carico distribuita. 33
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Figura 9.14. Andamento delle pressioni in un tratto di condotto orizzontale (cioè senza variazioni di quota) a sezione costante (cioè senza variazioni di velocità): la diminuzione del livello di liquido tra le due sezioni è interamente dovuta alla dissipazione viscosa di energia e fornisce quindi una misura della perdita di carico.
p1 γ
=
p2 γ
+ X = costante
[9.14]
Riguardo la valutazione dell’entità delle perdite ripartite, qualche considerazione aggiuntiva verrà fornita dopo aver descritto più compiutamente i regimi di moto laminare e turbolento. Un secondo effetto della viscosità, che si manifesta sempre come una caduta di pressione tra due sezioni, si ha in dipendenza di particolari geometrie37. La figura 9.15 rappresenta le linee di corrente in corrispondenza di un restringimento di sezione e di un successivo brusco allargamento, insieme ai corrispondenti profili di velocità in vicinanza della parete del condotto. Si verifica sperimentalmente che la diminuzione di velocità, dovuta all’incremento di sezione (conservazione della massa), comporta un recupero di pressione p2 >p1 inferiore a quello stabilito dal teorema di Bernoulli. Questa perdita di carico è imputabile al cosiddetto distacco di vena in corrispondenza del brusco allargamento e alla formazione di una zona di ricircolo38 di massa fluida, sottratta al movimento generale di trasporto; i vortici innescati sottraggono energia al moto medio e la dissipano per azione della viscosità, con modalità accennate nei paragrafi seguenti. La formazione della zona di separazione della vena fluida dalla parete del condotto è dovuta al gradiente di pressione avverso39 (cioè positivo nel verso del moto), contro cui le particelle fluide si muovono e 37 Per esempio tratti di condotto convergenti o divergenti, bruschi allargamenti o restringimenti di sezione. 38 Nello spazio compreso tra la parete e la linea di corrente fino alla zona dove la vena recupera il contatto con la parete. 39 La discussione sul ruolo del gradiente di pressione sarà ripresa nel paragrafo 8.5.1.
Capitolo 9
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Figura 9.15. Perdita di carico localizzata: flusso attraverso una strizione con brusco allargamento. (a) Linee di corrente; (b) e (c) profili di velocità in prossimità della parete, rispettivamente a monte e a valle della strizione: in ascisse è riportata la velocità e in ordinate compare la distanza y dalla parete. Sulla sezione A-A il flusso è accompagnato da un gradiente di pressione negativo; sulla sezione B-B le particelle si muovono contro pressioni crescenti.
a causa del quale ha luogo l’inversione del flusso in prossimità della parete, così come mostrato nella figura 9.15. Per uno studio approfondito dei fenomeni di separazione dello strato limite40, e per una sua accurata definizione, si rimanda ai testi di fluidodinamica. Le perdite di energia imputabili a fenomeni di questo tipo sono dette perdite di carico localizzate e vengono in genere espresse come una quantità proporzionale a un’energia cinetica rappresentativa della corrente. In generale si avrà cioè un termine di perdita del tipo ζ Δu2/2g, nel quale il coefficiente di proporzionalità dipende molto dalla geometria del condotto, cioè se esso si configura curvo, convergente, ad angolo retto ecc. Per esempio nel caso della figura 9.15 (perdita di Borda), l’equazione di Bernoulli si può scrivere41 come segue ⎡⎛ A ⎞ 2 u 2 ⎤ u12 p2 u 22 + + z = + + z 2 + ⎢⎜1 − 1 ⎟ 1 ⎥ γ 2g 1 γ 2g ⎢⎣⎝ A 2 ⎠ 2g ⎥⎦
p1
[9.15]
40 Cioè della zona dove il campo di moto è modificato dalla presenza della parete, non solo in virtù della forma geometrica, ma anche per le azioni viscose da essa trasmesse. 41 Nel caso di brusco restringimento la perdita è un termine del tipo nu2 /2g dove n = 0,5 se D >2D e 2 1 2 n< 0,5 se D1<2D2 ; nel caso di condotto convergente, il termine di perdita è del tipo m(β)(u1–u2)2/2g (dove β è l’angolo di convergenza).
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dove il pedice 1 si riferisce ai valori in corrispondenza della strizione e il pedice 2 ai valori a valle. Se un condotto contiene più restringimenti o allargamenti, o curve, occorrerà per ciascuno di questi un termine ad hoc; pertanto la perdita di carico complessiva dell’intero tracciato sarà del tipo n
2 ∑ ζ iu / 2g
i=1
[9.16]
9.5 Regimi di moto È stato osservato in precedenza che si può valutare il flusso in un condotto in— a partire dalla conoscenza della distribuzione dividuando la velocità media u della velocità nella sezione retta del condotto. Tale distribuzione è diversa nei due casi fondamentali che possono presentarsi, cioè quelli di moto laminare e moto turbolento. È dunque importante comprendere le condizioni nelle quali si stabilisce un regime di moto rispetto a un altro. Poiché il regime laminare si verifica in molti distretti del circolo sanguigno, è altresì importante determinare le leggi che presiedono al calcolo del flusso e le grandezze dalle quali esso dipende. Benché meno diffuso all’interno del sistema circolatorio, un’analisi dei fondamenti fisici del moto turbolento è importante per l’interpretazione dei risultati provenienti dal Color Doppler relativi al moto nei grandi vasi o nelle cavità cardiache.
9.5.1 Moto laminare In regime di moto laminare il fluido si muove in un condotto in strati cilindrici (o lamine), teoricamente di spessore infinitesimo (figura 9.16). A partire da quello centrale, ogni strato scorre rispetto a quello successivo di diametro maggiore, senza che alcun elemento di liquido appartenente a una determinata lamina invada (per così dire) le lamine adiacenti, così come si verifica in un rotolo di carta quando si spinge con un dito la parte centrale. Lo scopo dello studio che segue è quello di conoscere la distribuzione della velocità delle particelle sulla sezione retta del condotto, ai fini del calcolo del
Figura 9.16. Moto laminare in un tubo: schematizzazione delle falde cilindriche coassiali (lamine) e profilo di velocità sulla sezione trasversale.
Capitolo 9
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553
Figura 9.17. Flusso stazionario in un lungo condotto a sezione circolare: diagramma di corpo libero dell’elemento fluido di raggio r centrato sull’asse su cui agiscono pressione e sforzi di taglio.
flusso, e quella di altre grandezze, in particolare lo sforzo tangenziale T e il già definito shear rate, dal quale dipendono le modalità di aggregazione dei globuli rossi. A tale scopo, e con riferimento alla figura 9.17, si consideri un flusso permanente e incomprimibile in cui la velocità delle particelle fluide non dipenda dalla coordinata x 42. L’elemento cilindrico di lunghezza dx e raggio r, centrato sull’asse del condotto di raggio R, è soggetto alle forze di pressione e alle forze di taglio opposte al moto. Come già stabilito in sede di definizione del coefficiente di viscosità dinamica, lo sforzo tangenziale è proporzionale tramite η al gradiente della velocità. Esso misura di quanto varia la velocità di scorrimento del fluido in direzione perpendicolare al moto e, nel caso in considerazione, assume la forma du/dr. L’equilibrio delle forze lungo l’asse (orientato nel verso del moto) viene pertanto espresso dalla π r 2 p − π r 2 (p + dp) + 2π r dx T = 0
[9.17]
da cui si ricava per la componente T del taglio (genericamente positiva o negativa) r dp T= [9.18] 2 dx Dal momento che dp/dx è costante, le forze viscose sono nulle sull’asse del condotto (r = 0) e crescono linearmente fino a un valore Tmax in corrispondenza della parete del tubo, pari a Tmax = Rdp/2dx. Poiché (r/2)dp/dx = T = ηdu/dr, la velocità di scorrimento risulta du/dr = (r/2η)dp/dx, che integrata fornisce il profilo di velocità u(r) sulla generica sezione u=
1 dp 2 r + costante 4 η dx
[9.19]
42 Il flusso si dice in questo caso sviluppato e si dimostra che, mentre la velocità è funzione solo del raggio r, la pressione p è funzione solo di x e il suo gradiente dp/dx è costante.
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Figura 9.18. Moto di Poiseuille: il profilo di velocità parabolico, riportato in (a), presenta il massimo in corrispondenza dell’asse del tubo, dove lo sforzo di taglio, riportato in (b), si annulla; la massima tensione tangenziale si verifica in corrispondenza della parete solida, dove è nulla la velocità; la portata elementare, che attraversa la sezione anulare di raggio r, è 2π volte l’areola evidenziata nella figura.
Imponendo la condizione al contorno di velocità nulla alla parete43, si ha u(r) = −
1 dp 2 2 (R − r ) 4 η dx
[9.20]
Il valore massimo di velocità si ha in corrispondenza dell’asse del condotto (r = 0), dove è nulla la forza viscosa, e esso risulta pari a umax = –(R2/4η)dp/dx. La relazione [9.20] afferma che la distribuzione delle velocità nella sezione retta del condotto è una parabola con il vertice sull’asse. Affinché si abbia u(r)>0, così come rappresentato nella figura 9.18, deve aversi per il gradiente costante di pressione, supponendo un condotto di lunghezza L
(
)
dp dx = pu − pi L < 0
[9.21]
cioè la pressione a monte pi deve essere maggiore della pressione a valle pu. Nella figura 9.18 è anche rappresentato lo sforzo di taglio. Per calcolare la portata in volume, si prenda in considerazione un anello elementare di spessore dr e raggio r, come rappresentato nella figura 9.18. La portata volumetrica elementare attraverso tale sezione anulare si scrive dqv = u(r)2πrdr e perciò è pari a –dp(R2–r2)2πrdr/4ηdx che, integrata sulla sezione, comporta q v = ∫0R q v = − π R 4 dp 8 ηdx
[9.22]
mentre per la velocità media risulta qv /πR2 = –R2dp/8ηdx.
43 Detta di non-slip alla parete, che fisicamente ha il significato di perfetta aderenza alla parete da parte della particella fluida.
Capitolo 9
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555
Riscrivendo le relazioni trovate in termini di velocità massima si ottiene dp/dx = –4ηumax /R2, che sostituita nella relazione [9.20] e nelle espressioni per portata in volume e velocità media fornisce rispettivamente ⎛ r2 ⎞ u(r) = u max ⎜1 − 2 ⎟ ⎝ R ⎠
q v = π R 2u max / 2
u = u max / 2
[9.23]
l’andamento dello shear rate risulta così pari a du/dr = –2rumax /R2, il che comporta che in corrispondenza della parete (r = R) lo shear rate e lo sforzo di taglio divengano rispettivamente du u = − 2 max dr R R
Tmax = − 2 ηu max R
[9.24]
Su un tratto di tubo di lunghezza L agisce pertanto una forza di taglio, dovuta al fluido e diretta nel verso del moto, il cui modulo è pari a
(
)
F = 4πηLu max = πR 2 p i − p u = 8 ηLq v R 2 = 8πLηu
[9.25]
Un parametro che sintetizza gli effetti dell’attrito dovuti al fluido è il cosiddetto skin friction coefficient, definito come il rapporto tra lo sforzo di taglio e la cosiddetta pressione dinamica44, che nel caso considerato si scrive Cm =
2 ηu max / R 8 η 16 = = 2 ρ Ru N Re ρu / 2
[9.26]
dove il parametro adimensionale NRe è il Numero di Reynolds, del cui ruolo si riferirà più ampiamente in seguito. La prima delle relazioni [9.23] e la seconda delle [9.24] sono espressioni di grande rilevanza ai fini delle valutazioni diagnostiche di patologie vascolari, in quanto sia valori elevati sia valori bassi dello shear stress T alle pareti dei vasi sono stati citati in letteratura come i più importanti fattori responsabili dello sviluppo dell’arteriosclerosi; la possibilità di rilevare per mezzo degli ultrasuoni i profili di velocità, con lo specifico scopo di valutare T nei vasi sanguigni, costituisce pertanto un obiettivo essenziale delle tecnologie Doppler per la diagnosi e la terapia delle patologie vascolari. La relazione [9.22] esplicita il legame tra la portata volumetrica e la causa che la produce, cioè un gradiente di pressione “favorevole” (dp/dx<0)45. Essa è nota come legge di Poiseuille ed è particolarmente utile per valutare molti –2/2. Essa è ρu Se dp/dx>0 esso è detto avverso; si è già accennato alle conseguenze sul campo di moto nell’ambito della discussione sulle perdite localizzate (vedi figura 8.20). 44 45
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aspetti della fisica del moto dei fluidi. Se si riscrive la [9.22] ponendo il termine dp/dx in termini finiti Δp/Δx, o (pu–pi)/L, come riportato nella [9.21], si ha
(
)
q v = − π R 4 8 η Δx Δp
[9.27]
Se si pone ℜ = 8η Δx/πR4, le cui dimensioni risultano essere Ns/m5, la [9.27] si può scrivere come q v = ΔP ℜ
[9.28]
Nella [9.28] ℜ assume il carattere di resistenza al moto e di opposizione al flusso (portata qv) prodotto dalla differenza di pressione Δp applicata ai due estremi del condotto, allo stesso modo di come la resistenza ℜ di un conduttore elettrico si oppone alla corrente prodotta dalla ddp ai capi del conduttore. L’espressione [9.28] ha in realtà carattere generale e vale evidentemente per ogni tipo di flusso, laminare o turbolento. La differenza sostanziale risiede nella difficoltà di valutazione e specificazione delle grandezze che determinano la resistenza al moto, che è assai maggiore nel moto turbolento, come si potrà rilevare da quanto si riferisce nel seguito. Nell’espressione relativa alla resistenza al moto, il diametro (o il raggio) compare alla quarta potenza; ciò significa che a modeste variazioni del diametro del vaso o capillare corrisponde una grande variazione del flusso. Si supponga, per esempio, di fare riferimento a tre casi di vene o arterie di diametri pari rispettivamente a 1, 2 e 4 mm, alimentati con il medesimo salto di pressione. Se la portata qv nel vaso più piccolo vale 1 cm3/min, negli altri due varrà 16 cm3/min e 256 cm3/min rispettivamente, vale a dire che una variazione del diametro con fattore 4 corrisponde a una variazione della portata con fattore 256. Questa circostanza fa riflettere sulla grande capacità del sistema nervoso di regolare il flusso sanguigno con piccole variazioni del diametro46; è altresì evidente quale sia l’importanza di mantenere prive di ostruzioni le vene e le arterie in generale e quelle del cuore in particolare, per le quali l’esistenza di un’ostruzione può annullare la circolazione in presenza di una circostanza fortemente emotiva (per esempio uno spavento). Un’importante proprietà del moto laminare, caratterizzato dal profilo di velocità parabolico, è che lo spettro delle velocità47 è rappresentato da un rettangolo, come illustrato nella figura 9.19, vale a dire che il numero di particelle fluide dotate di velocità compresa tra u e u+du è indipendente da u. Si consideri infatti l’espressione per lo shear rate per la quale du = −2ru max dr / R 2
[9.29]
46 È da ricordare che le pareti dei condotti del sistema circolatorio non sono rigide e sono possibili per esempio vasodilatazioni se l’organismo è sotto sforzo. 47 Detto anche istogramma o distribuzione delle velocità.
Capitolo 9
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Figura 9.19. Istogramma delle velocità relativo a un profilo parabolico.
e si noti che il numero di particelle relativo a tale intervallo di velocità, nell’ipotesi di densità uniforme, è proporzionale all’areola anulare dA = 2πrdr = 2πr(–R2du/2umaxr) = –πR2du/umax , nella quale si è utilizzato il differenziale du fornito dalle relazione precedente e in cui non compare la velocità u. In ogni caso nel quale si possa assumere che i globuli rossi siano uniformemente distribuiti nel flusso a profilo di velocità parabolico, si può anche affermare che, per ogni valore di velocità considerato, il numero di globuli rossi cui quel dato valore di velocità è associabile è costante.
9.5.2 Moto turbolento Un fluido che si muove in un condotto con moto turbolento è caratterizzato dal fatto che la velocità delle particelle varia in ciascun punto in grandezza e direzione, mostrando una grande irregolarità sia nello spazio sia nel tempo. Un flusso permanente si può verificare solamente in media. L’andamento temporale della velocità in un punto, tipico di un moto turbolento, è riportato nella figura 9.20. Il campo di moto non può essere precisamente predetto, poiché a partire da situazioni iniziali solo leggermente differenti, il moto evolve in modi completamente diversi. Per descrivere e predire un flusso turbolento si utilizzano perciò le sue caratteristiche statistiche.
Figura 9.20. Andamento temporale della velocità in un punto generico di un campo di moto turbolento.
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558
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Figura 9.21. Regimi di moto e loro differenti caratteristiche ottiche: (a) moto laminare con velocità tutte parallele tra loro; (b) moto turbolento con velocità parallele a tutte le direzioni.
In ciascun istante t la velocità u del fluido può essere assunta come somma u = um+u′ di una velocità media48 um e di una velocità di fluttuazione u′ che ha valore medio nullo, per cui um =
1 t+T ∫ u dt T t
0=
1 t+T ∫ u' dt T t
[9.30]
T è il periodo di osservazione, assunto molto più grande del periodo t che caratterizza la parte variabile della velocità. Il moto è caratterizzato dalla intensità turbolenta I, rapporto tra il valore efficace (o valore quadratico medio) della fluttuazione e il valore medio 0.5
⎡u '2 ⎤ ⎣ ⎦m I= um
1 ⎡u '2 ⎤ = ∫ tt+T u'2 dt ⎣ ⎦m T
[9.31]
Nel moto turbolento il flusso perde la coerenza e il carattere ordinato che si osservano nel moto laminare e diventa caotico, nel senso che le velocità locali delle particelle materiali variano in direzione e verso, fluttuando continuamente e amplificando il trasporto tra le varie zone del fluido di massa, quantità di moto ed energia49, mentre la componente media si manifesta nel moto 48 Nella scomposizione di Reynolds del campo di moto in parte media e parte fluttuante, la media è effettuata su un numero N di registrazioni analoghe a quelle della figura 10.18; sotto alcune ipotesi, che qui si assumono verificate, tale media di insieme si può sostituire con una media nel tempo. 49 I flussi turbolenti sono più efficaci nel mescolamento di due fluidi diversi o di parti di fluido a differente temperatura.
Capitolo 9
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Figura 9.22. Profilo trasversale di velocità media per un campo di moto turbolento in un tubo a sezione circolare. L’influenza della parete solida, cioè della condizione di perfetta aderenza del fluido su di essa, è concentrata in una regione ristretta detta strato limite, dove si manifesta l’intera escursione di velocità dal valore minimo al valore massimo e dove hanno luogo perciò elevate velocità di deformazione ed elevati sforzi di taglio.
di insieme di avanzamento nel condotto. Nella figura 9.21 sono rappresentati i due tipi di flusso. Nella figura 9.21a si osserva il getto d’acqua con moto laminare in uscita da un rubinetto. Esso appare trasparente come se fosse una “bacchetta” di vetro, poiché i filetti fluidi sono paralleli e mantengono la loro individualità. La distribuzione della velocità su una sezione retta è parabolica. Nella figura 9.21b, relativa al medesimo rubinetto, si osserva un flusso turbolento. La non trasparenza del getto è la manifestazione macroscopica della distribuzione caotica della velocità e del moto disordinato dei filetti fluidi. Il profilo di velocità sulla sezione (figura 9.22) è pressoché uniforme nella regione centrale, mentre in prossimità delle pareti presenta un gradiente elevato. Nella figura 9.23 è riportato un disegno di Leonardo da Vinci sulle sue osservazioni sui vortici di diverse dimensioni che caratterizzano i campi di moto turbolenti.
Figura 9.23. Strutture vorticose in un campo di moto turbolento raffigurate in un disegno di Leonardo da Vinci.
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Il coefficiente di attrito50, espresso genericamente come C m = Tparete
1 2 ρu 2
[9.32]
è fornito in tal caso da relazioni empiriche e risulta dipendente dallo stato della parete (in particolare aumenta con la rugosità); la relazione di Blasius, valida per tubi lisci, fornisce la relazione C m = 0, 0779 / N1Re/4
[9.33]
9.5.3 Numero di Reynolds Il parametro dal quale dipende l’instaurarsi di un regime laminare o turbolento in un circuito (aperto, come nel caso del rubinetto, o chiuso, come nel caso del sistema vascolare) è il numero di Reynolds NRe . Esso è il rapporto tra le forze d’inerzia e le forze viscose agenti sulle particelle fluide, e misura la loro importanza relativa all’interno di un particolare flusso. Le forze d’inerzia nascono in presenza di variazioni di velocità, in accordo con la seconda legge della dinamica Fi = –mdv/dt. Infatti si manifestano accelerazioni per particelle che seguono traiettorie non rettilinee oppure animate da moto non permanente ovvero non pienamente sviluppato. Detta U una velocità caratteristica del campo di moto e L una dimensione rappresentativa (per cui una scala temporale dei fenomeni in gioco risulta essere τ = L/U), si dimostra che l’ordine di grandezza delle forze di inerzia cosiddette convettive è fornito da un termine del tipo ρL3U/τ, mentre quello delle forze viscose51 è dato da un termine del tipo ηL2U/L; il loro rapporto è perciò N Re = ρ UL / η
[9.34]
Nel caso di un condotto, la dimensione caratteristica L è il suo diametro, mentre come velocità rappresentativa del flusso si può assumere quella media sulla sezione, così come è stato posto nella [9.26]. Le figure 9.24 e 9.25 illustrano gli esperimenti condotti da Osborne Reynolds, che per primo suggerì di correlare lo stabilirsi di differenti regimi di moto al diverso peso relativo as-
50 La turbolenza è caratterizzata da moti su scale dimensionali differenti. In una tipica rappresentazione in cascata da vortici grandi a vortici piccoli, l’energia introdotta alla scala del moto medio viene trasferita a moti che hanno luogo in regioni via via più ristrette. Alla cosiddetta scala dissipativa, interviene l’azione della viscosità, responsabile in ultimo dell’energia perduta, resa più efficace dai più elevati gradienti di velocità. Si veda anche U. Frisch (1995) Turbulence: the legacy of A.N. Kolmogorov. Cambridge University Press, Cambridge. 51 Si faccia riferimento alla relazione [9.1].
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Figura 9.24. Esperimento di Reynolds: il battente liquido h nel serbatoio di inchiostro fornisce il carico idrostatico che all’apertura del rubinetto ne garantisce il moto.
sunto da forze d’inerzia e forze viscose; nella figura 9.26 è mostrato l’apparato sperimentale utilizzato da Reynolds per visualizzare la transizione da moto laminare a moto turbolento. In una vasca contenente acqua viene inserito un tubo di vetro trasparente al cui ingresso è posto un piccolo ugello dal quale può fuoriuscire, per effetto del carico idrostatico h, un liquido colorante (inchiostro). All’altra estremità, una valvola consente di regolare l’efflusso dell’acqua grazie all’introduzione di una maggiore o minore perdita di carico, ottenuta chiudendo più o meno (rispettivamente) la luce di passaggio. L’osservazione del fluido colorato tracciante nel tubo consente di valutare l’esistenza o meno del flusso turbolento. Nella figura 9.25a si osserva che il colorante non si mischia con l’acqua: non esistono componenti di velocità mediamente diverse da quelle assiali e perciò il moto, laminare, procede per filetti fluidi paralleli. Il valore di NRe corrispondente a questa configurazione risulta essere minore di 2000. Aumentando via via la velocità dell’acqua all’interno del tubo, si osserva che il flusso inizia a perturbarsi. Il comparire di componenti di velocità normali alla direzione assiale devia i filetti fluidi e ispessisce in alcuni punti lo spazio occupato dalla corrente fluida di inchiostro, come mostrato nella figura 9.25b: le forze viscose non sono più sufficienti a inibire il miscelamento dovuto alle forze di inerzia e il valore calcolato per il numero di Reynolds di transizione, relativo a tale
Figura 9.25. Rappresentazione dell’esperimento di Reynolds: all’aumentare della velocità l’andamento dei filetti fluidi, visualizzato grazie alla traccia di inchiostro, perde il carattere ordinato; le componenti trasversali di velocità aumentano via via il trasporto di quantità di moto e amplificano il miscelamento.
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Figura 9.26. Apparato sperimentale utilizzato da Osborne Reynolds per visualizzare la transizione da moto a regime laminare a moto a regime turbolento.
condizione di efflusso52, è pari a circa 2000. Infine, incrementando ancora la velocità dell’acqua nel tubo di vetro, si osserva che la corrente, dopo un primo breve tratto, si rompe e l’inchiostro si miscela con l’acqua, colorandola pressoché uniformemente (figura 9.25c). In tale moto turbolento si ha infatti un elevato trasporto di massa in seno alla corrente fluida, come già rilevato in precedenza, poiché le velocità delle particelle assumono tutte le direzioni e le forze di inerzia non sono più inibite dall’azione smorzante delle forze viscose. In realtà, la suddivisione per la quale si realizza moto laminare per NRe<2000 e moto turbolento per NRe >2000 non è così netta, nel senso che vi è una zona di transizione tra i due regimi53. Più precisamente, si può affermare che per NRe<2000 un flusso turbolento non può persistere in un tubo diritto e a pareti lisce, mentre per NRe >10 000 il flusso è instabile e il più piccolo disturbo provocherà la transizione a regime turbolento. In dipendenza della rugosità delle pareti, della turbolenza di ingresso, della presenza di disturbi localizzati, può variare il valore di NRe di transizione: per esempio esso aumenta in un condotto convergente (cioè la transizione alla turbolenza è ritardata); invece, una geometria divergente, la presenza di curve o un’elevata rugosità delle pareti facilitano la transizione alla turbolenza (che si verificherà dunque
52 L’inizio del fenomeno, per il quale venne calcolato il numero di Reynolds di transizione, fu in realtà identificato in un secondo esperimento, con l’inizio delle oscillazioni della pressione misurata mediante un manometro differenziale posto tra l’entrata e l’uscita del tubo. 53 Per cui si possono realizzare moti laminari anche per N >2000, ma inferiori in generale a 4000, e Re moti parzialmente turbolenti (in contrapposizione ai moti permanenti turbolenti) per NRe<10 000.
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· Meccanica dei fluidi
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per NRe più bassi). Va ricordato che il numero di Reynolds, come molti altri parametri adimensionali, non è rilevante solo nello studio della fluidodinamica, cui si è accennato qui, ma anche in vari altri campi. L’esistenza della similitudine meccanica tra diversi fenomeni di flusso, sintetizzata nei numeri adimensionali, consente di studiare sperimentalmente, numericamente e anche teoricamente efflussi caratterizzati da dimensioni ed entità delle forze in gioco molto differenti.
9.6 Curve, diramazioni, lunghezze di sviluppo Nei paragrafi precedenti si è fatto riferimento a profili di velocità pienamente sviluppati, per i quali non si hanno variazioni delle grandezze lungo l’asse del condotto. Si è cioè immaginato di analizzare il flusso in tubi abbastanza lunghi da poter trascurare i fenomeni tipici delle regioni di entrata, nelle quali sono presenti effetti di bordo. L’estensione di tali regioni, lungo le quali il profilo di velocità si sviluppa fino allo stabilirsi di un assetto definitivo, dipende anch’essa dal numero di Reynolds. In particolare, la lunghezza x di sviluppo di un profilo laminare di velocità è stimata dalla relazione x = 0, 03 DN Re
[9.35]
mentre l’analoga grandezza per un profilo di velocità turbolenta risulta x = 0, 69 DN 0Re,25
[9.36]
Va ricordato che in tali zone il Δp necessario per realizzare il moto del fluido è maggiore, poiché parte dell’energia fornita è utilizzata per accelerare il fluido54 stesso. La figura 9.27 mostra la regione di sviluppo del profilo parabolico all’interno di un tubo, a partire da un profilo uniforme di velocità all’ingresso. L’importanza di tale aspetto risulta evidente se si considera per esempio il tratto ascendente dell’aorta, il cui diametro si può assumere indicativamente 55 pari a 3,1 cm; assumendo un valore del numero di Reynolds dell’ordine di 1500 e sostituendo tali valori nella relazione [9.35], relativa al caso laminare, si calcola, a partire dal profilo di velocità in uscita dalla valvola cardiaca, una lunghezza di sviluppo del profilo laminare di circa 1,4 m; ciò significa che l’intera estensione dell’aorta deve essere considerata come una regione di ingresso e non la sede di un flusso di Poiseuille pienamente sviluppato.
54 Si rifletta sulla circostanza che i termini di variazione della velocità lungo una linea di corrente costituiscono il contributo convettivo dell’accelerazione. 55 Il diametro dell’aorta è variabile in relazione all’età, al sesso, alla massa corporea, allo stato di salute ecc. dei diversi soggetti; pertanto dati più accurati possono essere trovati nei testi di fisiologia. I dati numerici riportati in questa sede sono solo indicativi e vanno considerati come esempi di massima.
564
Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
Figura 9.27. Lunghezza di sviluppo in un tubo. Un profilo di velocità, supposto uniforme in corrispondenza della sezione di ingresso, viene modificato man mano che, procedendo lungo l’asse del condotto, porzioni crescenti della luce di passaggio vengono occupate dalla regione di strato limite. Le zone dove il campo di moto è affetto dalla presenza della parete solida in virtù delle forze viscose aumentano cioè il loro spessore, fino al raggiungimento di un assetto definitivo in corrispondenza di una sezione di passaggio posta a distanza x dall’ingresso. Nel caso di moto laminare, la zona di strato limite arriva a occupare interamente la luce di passaggio e il profilo di velocità è parabolico. Tale circostanza non si verifica nel moto turbolento, per il quale la regione dove effettivamente la presenza della parete solida influisce sul profilo di velocità media è limitata alle zone limitrofe alla parete stessa (si ricordi l’andamento pressoché uniforme del profilo di velocità media nella parte più interna del condotto).
Occorre poi considerare che ogni biforcazione costituisce per il profilo di velocità a monte di essa, eventualmente pienamente sviluppato, un disturbo. Profili di velocità sviluppati potranno ristabilirsi nei rami a valle della biforcazione, per azione delle forze viscose, solo a distanze dal disturbo di lunghezza valutabile mediante la relazione appena utilizzata. Si deve ancora aggiungere che, in un vaso sanguigno, anche la presenza di curve comporta profili di velocità modificati, come è mostrato a titolo puramente esemplificativo nella figura 9.28, che presenta lo sviluppo del profilo di velocità nella regione di ingresso di un tubo a curvatura non trascurabile, per il quale l’ipotesi di pressione costante sulla sezione trasversale non può considerarsi valida56. In definitiva è difficile parlare di efflussi pienamente sviluppati, che – è utile ribadire – possono stabilirsi solo dopo lunghezze finite lungo l’asse del vaso.
9.7 Flusso nei grandi e piccoli vasi Il confronto tra la [9.33] e la [9.26] mostra che il coefficiente di attrito relativo al moto turbolento è maggiore di quello che si avrebbe in un flusso laminare caratterizzato da analogo numero di Reynolds (se tale moto fosse possibile). Analogamente, mentre per un moto laminare la relazione [9.28] tra la differenza di pressione necessaria all’instaurarsi di una data portata (cioè a
56
Per una trattazione rigorosa si rimanda il lettore ai testi di idraulica.
Capitolo 9
· Meccanica dei fluidi
565
Figura 9.28. Sviluppo del profilo di velocità in un tubo curvo. Per compensare le accelerazioni centripete esperite dalle particelle fluide lungo le rispettive traiettorie, deve svilupparsi un gradiente di pressione nella direzione del raggio di curvatura. Per il profilo di velocità uniforme in corrispondenza della sezione di ingresso, l’accelerazione centripeta determina un andamento della pressione crescente con la distanza dal centro e, di conseguenza, velocità maggiori in vicinanza della parete interna e minori verso la parete esterna, come in sezione A-A. Con lo sviluppo della regione di strato limite, che va occupando porzioni crescenti della sezione trasversale, l’assetto del profilo tende a quello parabolico, per il quale i filetti fluidi a velocità maggiore, posti nella regione centrale, sono sollecitati da una maggiore forza centrifuga: il massimo della velocità non si verifica più sull’asse del tubo, ma si colloca rispetto a esso verso l’esterno, come in sezione B-B. L’assetto non uniforme delle pressioni sulla sezione determina l’instaurarsi di componenti di velocità trasversali non nulle, cioè il sovrapporsi di cosiddetti flussi secondari, per i quali i moti risultanti sono di tipo elicoidale. Modificata, con autorizzazione, da Y.C. Fung (1996) Biomechanics: Circulation. Springer.
vincere le perdite di carico) e la portata stessa è di tipo lineare, come posto in rilievo dalla [9.27], per un moto turbolento all’interno di un condotto a elevata rugosità superficiale, tale relazione è del tipo Δp = f (qv2). Ciò vuol dire che, a parità di differenza di pressione applicata alle estremità di un condotto, la portata qv che può fluire lungo di esso è minore in regime turbolento a causa della maggiore resistenza offerta al moto. Se si considera un intervallo di tempo abbastanza lungo, corrispondente a numerosi cicli cardiaci, affinché si possa considerare il moto stazionario in termini di valori medi, e si applica l’equazione di Bernoulli tra due particolari sezioni del circuito sanguigno, precisamente in corrispondenza della valvola aortica e dell’ingresso dell’atrio destro (vena cava), si può scrivere
(
)
(
)
p1 − p2 = ρ u 22 − u12 2 + ρ g z 2 − z1 + X
[9.37]
poiché le velocità sono molto simili e le due sezioni si trovano alla stessa quota, l’equazione diviene
Fondamenti di Ingegneria Clinica
566
p valvola aortica − p vena cava = X = ℜ q v
· Ecotomografia [9.38]
dove il termine X rappresenta l’intera perdita di carico lungo uno dei milioni di circuiti (corrispondenti ai milioni di capillari presenti nel corpo umano) esistenti tra le due sezioni considerate. All’interno del corpo umano, si riconosce che il moto del sangue nelle vene e nelle arterie, in condizioni non patologiche, è nella grande maggioranza dei casi a carattere laminare, perché a esso competono perdite minori. Si può inoltre dimostrare che la configurazione e il numero delle successive biforcazioni nel sistema dei vasi sanguigni corrisponde a un’operazione di minimizzazione dell’energia spesa per il metabolismo e per la circolazione del sangue. Conviene inoltre osservare che, con riferimento alla struttura complessiva del sistema circolatorio, il sistema arteriolare e quello capillare costituiscono ciascuno resistenze idrodinamiche in parallelo; benché il singolo capillare offra una resistenza maggiore di quanto non faccia una singola arteriola, a livello del sistema capillare il sangue incontra una resistenza globale minore di quella offerta dal sistema arteriolare, vale a dire che il corpo umano è organizzato in modo da favorire la circolazione nei capillari e da consentire agevolmente l’apporto di O2 alle singole cellule (che sono decine di migliaia di miliardi). Come per un circuito elettrico, la resistenza Rtot,a offerta dal sistema arteriolare e la resistenza Rtot,c offerta dal sistema capillare siano rispettivamente 1 R tot ,a
1 Na = Ra i=1 R i
Na
=∑
1 R tot ,c
1 Nc = Rc i=1 R i Nc
=∑
[9.39]
dove Na è il numero delle arteriole e Ra la resistenza media di ciascuna di esse, mentre Nc è il numero dei capillari e Rc la resistenza media di ciascuno di essi; poiché Rc>Ra e Nc>>Na , si ha che Rc /Nc
57
A livello delle vene cave la sezione globale di passaggio è pari a circa 8 cm2.
Capitolo 9
· Meccanica dei fluidi
567
Figura 9.29. Organizzazione in parallelo del sistema microvascolare, per effetto della quale si ottiene anche l’incremento della superficie di scambio. (I valori riportati nella figura sono puramente indicativi.)
un organo produce automaticamente un aumento del flusso sanguigno a esso destinato e una contemporanea diminuzione del flusso verso altri organi. In condizioni fisiologiche, si ha moto turbolento solo in corrispondenza delle valvole cardiache. Il flusso può occasionalmente divenire turbolento nell’aorta, per esempio per un aumento di gittata cardiaca, e dunque di velocità, dovuto a esercizio fisico. Considerando la sezione di passaggio dell’aorta pari a circa 2,5 cm2 (corrispondente a un diametro di 1,78 cm) e assumendo per la viscosità e la densità del sangue valori di 4·10–3 Pa s e 1,05·103 kg/m3 rispettivamente, si calcola, per la portata di 5 L/min, una velocità media di passaggio di circa 33 cm/s e un corrispondente numero di Reynolds dell’ordine di 1500. Ricordando quanto riferito riguardo alle perdite di carico concentrate, ogni circostanza in cui si possa verificare un distacco di vena fluida, per la presenza di ostacoli o per brusche variazioni nella geometria dei vasi sanguigni, provoca il brusco passaggio da moto laminare a turbolento, con formazione di vortici e di regioni del circuito caratterizzate da elevate perdite di energia. È questo il caso, per esempio, di una condizione patologica quale una stenosi, esemplificata nella figura 9.30, che illustra come la presenza di placche aderenti alla superficie interna del vaso provochi una diminuzione della luce di passaggio; a valle della stenosi si verifica turbolenza per distacco di vena, e ciò è tanto più probabile e marcato quanto più grande è il diametro del vaso e quanto maggiore è l’aumento di velocità in corrispondenza della stenosi. Nel caso descritto, se una stenosi aortica diminuisse il lume di passaggio del sangue, per esempio, da 2,5 cm2 a 1,5 cm2, la velocità U aumenterebbe in teoria fino
568
Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
Figura 9.30. (a) Formazione di placche lipidiche sulle pareti di un vaso e diminuzione della luce di passaggio. © BSIP/Marka (VEM, 2005). (b) Immagine al microscopio di una sezione istologica di un’arteria. © BSIP/Marka (James Cavallini, 2005).
a circa 55 cm/s e ciò corrisponderebbe a un regime di transizione con un numero di Reynolds dell’ordine di 2600. In prossimità della parete, nella zona di ricircolo a valle della stenosi, il flusso sanguigno risulterebbe fortemente rallentato e ciò aumenterebbe il rischio di formazione di coaguli (trombi), che possono risultare letali se, trasportati dal sangue verso i vasi di calibro via via minore, danno luogo a un’ostruzione completa. Il passaggio da regime di flusso laminare a regime di flusso turbolento può essere auscultato: molte diagnosi cardiache sono fondate sulla percezione, tramite fonendoscopio, di rumori derivanti dal fatto che le fluttuazioni di velocità, tipiche della turbolenza, sono associate a fluttuazioni di pressione, che possono essere percepite se la loro frequenza è nell’intervallo dell’udibile.
9.8 Flusso pulsatile Si è accennato nei paragrafi precedenti al ruolo di pompa svolto dal cuore nell’ambito del circuito idraulico sistema circolatorio. Senza descriverne in dettaglio gli aspetti fisiologici e meccanici, si richiama qui il fatto che il ciclo di funzionamento di tale particolare pompa è quello tipico di una pompa volumetrica, per esempio a stantuffo, caratterizzato com’è noto da due trasformazioni a pressione costante e da due trasformazioni a volume costante. Nella figura 9.31 è riportato l’andamento della pressione e del volume all’interno del ventricolo sinistro durante un ciclo cardiaco; il lavoro esterno fornito dal muscolo cardiaco, durante ciascun ciclo, è rappresentato dall’area delimitata dalle trasformazioni (area interna al ciclo). In virtù di tale ciclo di funzionamento, il campo di pressione a valle della valvola aortica non può considerarsi stazionario, ma variabile nel tempo secondo l’andamento58 mostrato nella figura 9.32. 58 Per le considerazioni riguardanti il ruolo ammortizzante svolto dalla deformazione radiale della parete dell’aorta, si rimanda il lettore al primo volume (par. 6.2).
Capitolo 9
· Meccanica dei fluidi
569
Figura 9.31. Diagramma pressione-volume del ventricolo sinistro durante un ciclo cardiaco. La fase 1 di riempimento del ventricolo si svolge alla pressione inferiore (diastolica) pressoché costante; il punto A corrisponde all’apertura della valvola mitralica che viene chiusa nel punto B. Durante la fase 2 le valvole mitralica e aortica sono entrambe chiuse, per cui il sangue viene compresso a volume costante fino al valore massimo (pressione sistolica) in virtù dell’azione del muscolo cardiaco. Il punto C rappresenta l’apertura della valvola aortica e l’inizio della fase di eiezione del sangue verso l’aorta ascendente (trasformazione 3 isobara), che termina con la chiusura della valvola nel punto D. Il ciclo si chiude con la fase 4, che si svolge con entrambe le valvole chiuse (dunque di nuovo a volume costante) e consiste in un rilassamento del muscolo cardiaco per il quale la pressione all’interno del ventricolo è riportata al suo valore minimo. Modificata, con autorizzazione, da Y.C. Fung (1996) Biomechanics: Circulation. Springer.
Pertanto il gradiente di pressione, che compare per esempio nella formula di Poiseuille, deve essere considerato non stazionario per un determinato tratto dei vasi sanguigni. Ricordando il fatto che un flusso pulsatile può essere trattato come la combinazione di un flusso stazionario e di una serie di componenti sinusoidali, si accenna qui ai risultati di Womersley riguardo la versione sinusoidale della legge di Poiseuille. Precisamente Womersley ha dimostrato59 che la relazione [9.27] tra portata volumetrica e gradiente di pressione all’interno di un tubo di diametro D, qv = –Δp π R4/8η Δx (riscritta qui per comodità), si modifica nella seguente
(
)
4 q v = Δp sin ωt − ϕ + ε10 ′ π R M10 ′ / α 2 η Δx
[9.40]
59 Per i dettagli della trattazione si rimanda il lettore a: D.H. Evans, W.N. McDicken (2000) Doppler Ultrasound: Physics, Instrumentation and Signal Processing. Wiley.
570
Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
Figura 9.32. Andamenti della pressione durante il ciclo cardiaco. All’interno dell’atrio sinistro (linea rossa) il valore è pressoché costante e pari alla pressione diastolica. L’andamento all’interno del ventricolo sinistro è rappresentato dalla linea gialla: durante la fase I di compressione e la fase III di espansione, le due valvole cardiache (aortica VA e mitrale VM) sono entrambe chiuse. Si noti come, all’istante di apertura della valvola mitrale (istante iniziale della fase di riempimento), la pressione nell’atrio sinistro sia maggiore di quella all’interno del ventricolo e come tale valvola sia sede di una perdita di carico concentrata. La curva in colore azzurro rappresenta l’andamento all’interno dell’aorta: si noti la minore escursione della pressione tra il caratteristico valore massimo (120 mm di mercurio) e il valore minimo (80 mm di mercurio) rispetto all’escursione all’interno del “corpo pompa”, il cui compito è fornire l’intero salto di pressione tra le vene polmonari e l’aorta. Si ricordi che il salto di pressione tra la vena cava e l’ingresso al ventricolo sinistro è fornito dal ventricolo destro, che rappresenta una pompa di bassa pressione posta in serie a monte di quella di alta pressione.
dove la differenza di pressione alle estremità del tubo è Δpcos(ωt–ϕ) e il termine adimensionale M′10 /α2 e quello di fase ε′10 sono funzioni decrescenti del parametro adimensionale α = NWo, detto numero di Womersley; esso è legato al rapporto tra le forze di inerzia, dovute ad accelerazioni nel tempo (per esempio in regimi transitori o moti caratterizzati da oscillazioni), e le azioni di taglio dovute alla viscosità. Se U e ω sono una velocità e una pulsazione caratteristiche, l’ordine di grandezza delle forze di inerzia è ρD3ωU, mentre quello delle forze viscose è sempre ηU/D2 (dove si è assunto il diametro come lunghezza caratteristica); il loro rapporto definisce il numero di Womersley N 2Wo = ρωUD2 / ηU = ρωD2 / η
[9.41]
Per forze d’inerzia tendenti a 0, i due parametri M′10 /α2 e ε′10 tendono rispettivamente a 1/8 e 90 gradi e l’espressione [9.42] si riduce alla [9.27] relativa a moto stazionario. Sempre a partire dai risultati di Womersley, è stato dimostrato60 che il profilo di velocità risultante da un andamento della portata in volume del tipo qvcos(ωt–ϕ) ha la forma 60
Vedi nota 59.
Capitolo 9
· Meccanica dei fluidi
571
Figura 9.33. Andamenti di ψ e χ in funzione della distanza radiale non dimensionale per differenti valori del numero di Womersley. Da D.H. Evans, W.N. McDicken (2000) Doppler Ultrasound: Physics, Instrumentation and Signal Processing, second edition. Wiley (riproduzione autorizzata).
u(r / R) = q v ψ (α) cos ⎡⎣ωt − ϕ + χ (α)⎤⎦ π R 2
[9.42]
nella quale compaiono le due funzioni |ψ(α)| e χ(α) i cui andamenti sono riportati nella figura 9.33 come modulo e fase di una funzione ψ(α). Per ogni andamento sinusoidale che compone l’andamento temporale del gradiente di pressione, è possibile ricavare la portata in volume corrispondente e ricostruire così la forma d’onda complessiva. A sua volta, ciascuna armonica della portata in volume è legata a un profilo di velocità mediante le funzioni ψ e χ (corrispondenti al valore α di quella armonica) ed è perciò possibile ricostruire il profilo di velocità a partire dalle sue componenti. –(t), Se è noto l’andamento nel tempo della velocità media (sulla sezione) u ottenuto, per esempio, con segnale Doppler, il profilo di velocità può essere espresso come ∞
(
u(t) = u 0 + ∑ u p cos pω t − ϕ p p=1
)
[9.43]
e la forma del profilo di velocità durante una fase del ciclo cardiaco può essere calcolata sommando i contributi in velocità provenienti da ciascuna armonica, secondo la seguente relazione
Fondamenti di Ingegneria Clinica
572
· Ecotomografia
Figura 9.34. Profili di velocità per diverse portate in volume sinusoidali e per differenti numeri di Womersley. I profili, relativi alla metà di un ciclo data la simmetria del fenomeno e corrispondenti a valori della fase differenti per 30 gradi, sono normalizzati in modo da avere la velocità massima in corrispondenza di 0 gradi; in realtà si verifica che, per maggiori numeri di Womersley, cioè all’aumentare della frequenza di oscillazione della pressione, la corrispondente risposta oscillatoria del flusso è minore. Si noti come, per bassissimi valori del numero di Womersley il profilo di velocità si mantenga parabolico, mentre per forze di inerzia non trascurabili il profilo di velocità diventi via via più piatto (con un anello periferico più veloce del nucleo centrale). Da D.H. Evans, W.N. McDicken (2000) Doppler Ultrasound: Physics, Instrumentation and Signal Processing, second edition. Wiley (riproduzione autorizzata).
(
)
∞
(
u(y , t) = 2u 0 1 − y 2 + ∑ u p ψ p cos pω t − ϕ p + χ p p=1
)
[9.44]
A titolo di esempio, sono riportati nella figura 9.34 i profili di velocità calcolati per diversi valori del numero di Womersley α, per i quali si sottolineano qui due aspetti: i profili di velocità sulla sezione trasversale si modificano al variare delle fasi del ciclo e, all’aumentare della frequenza di oscillazione, assumono sempre più una configurazione piatta verso il centro della sezione. Nella figura 9.35 sono messi a confronto gli andamenti tipici della velocità all’interno dell’arteria femorale comune e della carotide comune, ottenuti applicando la [9.44] e utilizzando i valori riportati nella tabella 9.5. Quanto è stato sinora riferito è attinente a tubi con pareti rigide, che rappresentano un modello adeguato per valutare il profilo di velocità che si sviluppa all’interno delle arterie. Per quanto riguarda la pulsazione arteriosa o la velocità con la quale le forme d’onda si propagano all’interno del flusso sanguigno, si rimanda il lettore alle considerazioni svolte nel paragrafo 6.2 del primo volume e ai testi specializzati. Per quanto riguarda la transizione alla turbolenza, va detto che i flussi laminari sottoposti ad accelerazione sono più stabili di quelli stazionari e ciò
Capitolo 9
· Meccanica dei fluidi
573
Figura 9.35. Profili di velocità relativi a una frequenza cardiaca di 62 battiti al minuto (ω = 6,49rad/s), normalizzati in modo da avere il massimo in corrispondenza di 0 gradi. In (a) sono riportati i profili relativi all’arteria femorale comune (D = 8,4 mm), in (b) quelli relativi alla carotide comune (D = 6,0 mm); il valore di viscosità cinematica è pari a 0,038 St. Da D.H. Evans, W.N. McDicken (2000) Doppler Ultrasound: Physics, Instrumentation and Signal Processing, second edition. Wiley (riproduzione autorizzata).
comporta che il numero di Reynolds critico, di transizione al regime turbolento, sia maggiore; a loro volta, flussi turbolenti sottoposti a una decelerazione del flusso medio manifestano la scomparsa della turbolenza (cioè la laminarizzazione del flusso) a numeri di Reynolds minori del NRe critico. Vale la pena accennare al fatto che risultati sperimentali mostrano che, in un flusso pulsatile, il NRe critico dipende dal numero di Womersley. Infine, la regione di sviluppo del profilo di velocità per un flusso pulsatile, cioè la regione entro la quale tutti i profili pulsatili componenti abbiano raggiunto un assetto definitivo, risulta meno estesa della corrispondente regione in un flusso stazionario. Tabella 9.5. Componenti di Fourier e corrispondenti valori del parametro α per le forme d’onda relative ad arteria femorale comune e carotide comune per una frequenza cardiaca di 62 battiti per minuto Armonica 0 1 2 3 4 5 6 7 8
Frequenza – 1,03 2,05 3,08 4,10 5,13 6,15 7,18 8,21
Arteria femorale comune – – α up /u ϕp 0 – 5,5 7,7 9,5 10,9 12,2 13,4 14,5 15,5
1,00 1,89 2,49 1,28 0,32 0,27 0,32 0,28 0,01
– 32 85 156 193 133 155 195 310
α
Carotide comune – – up /u ϕp 0
– 3,9 5,5 6,8 7,8 8,7 9,6 10,3 12,4
1,00 0,33 0,24 0,24 0,12 0,11 0,13 0,06 0,04
– 74 79 121 146 147 179 233 218
Le fasi sono considerate a partire da uno zero convenzionale e la viscosità è di 0,038 St. Da D.H. Evans, W.N. McDicken (2000) Doppler Ultrasound: Physics, Instrumentation and Signal Processing, second edition. Wiley.
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· Ecotomografia
9.9 Ancora sulla reologia La prima delle relazioni [9.24], ricavata nell’ipotesi di fluido newtoniano, mostra che tale ipotesi è valida in prossimità delle pareti dei vasi sanguigni: sostituendo i valori fisiologici61, si trova che lo shear rate calcolato varia tra 100 s–1 e 2000 s–1, in grandi e piccole arterie, e tra 20 s–1 e 200 s–1,in grandi e piccole vene, e che tali valori corrispondono a una viscosità misurata del sangue intero pressoché costante, come si riconosce per esempio nella figura 9.8. Al centro del vaso, il gradiente di velocità tende a 0 e in tale regione si può dunque considerare valida una relazione del tipo di Casson. Si può cioè stabilire che, restando valida la relazione [9.18], esista un valore critico del raggio rc in cui la tensione di taglio T raggiunga il valore di soglia Ty nella relazione [9.2] e perciò (si assuma da qui in poi un gradiente di pressione favorevole, per cui dp/dx < 0) Ty = − rc dp / 2 dx
[9.45]
Se |Ty| è maggiore del valore di tensione che può instaurarsi alla parete, cioè se rc > R (ossia –dp/dx <2|Ty|/R), non può esserci flusso. Se invece rc 2|Ty|/R), la velocità è diversa da 0 e per rc
()
u r =−
1 dp 4a dx
(
)
3⎛ ⎞ 1 R − rc ⎜ R + rc ⎟ 3 ⎝ ⎠
[9.46]
e verso le pareti il profilo
()
u r =−
1 dp ⎡ 2 2 8 R −r − rc 4a dx ⎢⎣ 3
( R − r ) + 2r (R − r)⎤⎥⎦ 3
3
c
[9.47]
La portata si può esprimere come qv = −
π R 4 dp
8a dx
F(ξ)
[9.48]
dove ξ = 2Ty(–dp/dx)–1/R; la relazione [9.48] è simile alla formula di Poiseuille, ma con un fattore modificante F(ξ) 62. 61
Per i quali si rimanda comunque ai testi specializzati. Per i dettagli e per una trattazione rigorosa degli aspetti reologici del flusso sanguigno, si rimanda il lettore alla letteratura specializzata. 62
Capitolo 9
· Meccanica dei fluidi
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Figura 9.36. Flusso laminare in un lungo condotto circolare per un fluido che obbedisce alla legge di Casson: profilo di velocità. Modificata, con autorizzazione, daY.C. Fung (1993) Biomechanics: Mechanical Properties of Living Tissues. Springer.
Nella figura 9.36 è riportato il profilo di velocità descritto dalle relazioni [9.46] e [9.47]. Il legame tra il gradiente di pressione e la portata in volume (in termini della loro radice quadrata) può essere descritto dalla seguente relazione q v = π R 4 / 8a ⎡ − dp / dx − 8 pc 7 ⎤ ⎣ ⎦
[9.49]
dove pc = 2Ty /R; la relazione [9.49] è rappresentata nella figura 9.37.
Figura 9.37. Flusso laminare in un lungo condotto circolare per un fluido che obbedisce alla legge di Casson: relazione tra portata in volume e gradiente di pressione. La linea continua è relativa alla soluzione esatta, mentre quella tratteggiata è un asintoto la cui pendenza è data da tg(ψ) = (πR4/8a)1/2. Si noti la somiglianza tra l’andamento qui riportato e quello della figura 9.4 relativo a un materiale plastico alla Bingham. Modificata, con autorizzazione, daY.C. Fung (1993) Biomechanics: Mechanical Properties of Living Tissues. Springer.
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· Ecotomografia
Figura 9.38. Istogramma di velocità relativo al profilo laminare descritto dalla relazione [9.52].
Alcuni risultati sperimentali, qui non esaminati in dettaglio, riportano per flusso in venule, in corrispondenza di marcati effetti di aggregazione e a bassi shear rate, un profilo di velocità abbastanza ben descritto da un andamento del tipo ⎛ rk ⎞ u(r) = u max ⎜1 − k ⎟ ⎝ R ⎠
[9.50]
dove k>2. Per un tale profilo di velocità, considerando una distribuzione uniforme delle particelle sulla sezione, il numero di particelle animate da una velocità compresa tra u e u+du risulta essere ancora una volta proporzionale all’areola anulare sottesa alla superficie relativa alla variazione du. Considerato che la relazione tra i differenziali dr e du è in questo caso fornita da du = − u max kr k −1dr / R k
[9.51]
e ricavando r dalla relazione [9.50], si ottiene 2
2π R 2 dA = 2π rdr = ku max
−1
⎛ u ⎞k ⎜⎝1 − u ⎟⎠ du max
[9.52]
La relazione [9.52] mostra come i globuli rossi animati da velocità più elevata siano più numerosi di quelli più lenti; a titolo d’esempio, è riportato nella figura 9.38 l’istogramma delle velocità relativo al caso k = 4.
9.10 Istogrammi delle velocità Per quanto descritto nei paragrafi precedenti, il flusso sanguigno all’interno del sistema circolatorio è per la maggior parte laminare e pulsatile e può con-
Capitolo 9
· Meccanica dei fluidi
577
Figura 9.39. Profili di velocità e relativi istogrammi di distribuzione. In (a) e (b), è mostrato il caso dell’arteria femorale comune, in (c) e (d) quello della carotide comune. Il valore nullo della fase è stato arbitrariamente attribuito al picco positivo di velocità, rispetto al quale le velocità sono state rapportate. Da D.H. Evans, W.N. McDicken (2000) Doppler Ultrasound: Physics, Instrumentation and Signal Processing, second edition. Wiley (riproduzione autorizzata).
siderarsi come la sovrapposizione di una componente stazionaria e di componenti oscillatorie, che in dipendenza del numero di Womersley determineranno un assetto complessivo oscillante tra profilo parabolico e profilo piatto. Un effetto di appiattimento dei profili di velocità è altresì provocato in molti distretti del sistema circolatorio dall’interazione degli elementi figurati del sangue, in particolare dei globuli rossi. D’altro canto, gli effetti di ingresso provocati da biforcazioni, curve e restringimenti rendono larghe porzioni dei vasi interessati sede di flussi non sviluppati, caratterizzati da minori velocità massime e distribuzioni più uniformi delle velocità. Ancora, il passaggio alla turbolenza ha sul profilo di velocità media un analogo effetto uniformante. Chiarendo che non si intende in questa sede ridurre la complessità del flusso sanguigno alla contrapposizione tra profilo parabolico e profilo uniforme, si vuole tuttavia evidenziare che istogrammi corrispondenti a profili di velocità piatti saranno caratterizzati da un elevato numero di particelle fluide alle quali attribuire il valore massimo (o un valore vicino a esso), mentre istogrammi relativi a profili di velocità parabolici saranno simili a quello riportato nella figura 9.19. Per esemplificare quanto affermato, si faccia riferimento ai profili di velocità all’interno dell’arteria femorale comune e della carotide comune, cui si è accennato in precedenza, mostrati nella figura 9.39. Nell’ipotesi di campionamento uniforme, l’intensità dello spettro Doppler, in una determinata banda di frequenza (cioè per un determinato intervallo di
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· Ecotomografia
velocità), è proporzionale al volume di sangue in moto con le velocità che producono frequenze in quella banda; perciò lo spettro in frequenza del segnale Doppler dovrebbe avere la stessa forma dello spettro di velocità che si è stabilito all’interno del vaso sanguigno sotto indagine 63. Sono molti e di varia natura i fattori che contribuiscono a distorcere gli spettri di potenza e che possono limitare l’accuratezza con la quale la distribuzione di velocità in un vaso possa essere determinata. Una maggiore attenzione agli aspetti relativi all’interazione tra il fluido sangue e il fascio ultrasonoro, e ai modelli che tale interazione descrivono, sarà posta nei prossimi capitoli; in essi saranno pertanto ripresi e integrati i concetti introdotti. A conclusione del presente capitolo, si ritiene utile ripetere ancora una volta che tutte le equazioni ivi riportate devono essere intese come mezzi per fornire un orientamento sulla natura del fenomeno fluidodinamico. Come in molti altri campi della tecnologia e della scienza, la realtà è in generale diversa da quella prospettata dalle equazioni. D’altronde, come è già stato rilevato, la conoscenza dettagliata della distribuzione delle velocità nei vasi sanguigni non è alla base del processo diagnostico. L’informazione proveniente dai sistemi ecografici è piuttosto, come si vedrà in seguito, di tipo qualitativo: il diverso aspetto degli spettri in frequenza indica se nella regione indagata vi è regime di flusso laminare o turbolento; una visione pittorica di insieme è fornita dalle immagini Color Doppler, mediante le quali si possono individuare regioni di ricircolo e di inversione del moto e che forniscono una “mappa” del moto lungo i vasi sanguigni. Quanto detto fin qui è principalmente orientato a fornire un punto di partenza per la comprensione dei capitoli che seguono, riguardanti i fenomeni alla base dei sistemi ecografici, anche se, come già si è avuto modo di sottolineare, una progettazione e una valutazione attente di questi ultimi non possono prescindere dallo studio e dalla comprensione del fenomeno fluidodinamico.
63
Di ciò si tratterà nel capitolo 11.
Capitolo 10 Elaborazione del segnale Doppler
10.1 Introduzione In questo capitolo viene presentata una breve rassegna di “strumenti” analitici necessari per elaborare e analizzare, per quanto possibile, alcuni dei fenomeni legati all’interazione tra gli ultrasuoni e il campo della fluidodinamica del sangue, i cui aspetti salienti sono stati oggetto del capitolo precedente. La necessità di questi strumenti deriva fondamentalmente dal fatto che tali fenomeni sono relativamente veloci e che occorre rappresentarli in tempo reale; ciò richiede un numero molto elevato di calcoli che devono essere effettuati in tempi dell’ordine del millisecondo e risolti con riferimento a miriadi di elementi, i globuli rossi, che costituiscono i riflettori dell’onda ultrasonora. In particolare, la rappresentazione del campo fluidodinamico di un distretto anatomico relativamente esteso, per esempio il flusso sanguigno attraverso la valvola aortica nel corso del ciclo cardiaco, richiede la misura della velocità di centinaia di milioni di globuli rossi. Da ciò si evince ancor più l’importanza di utilizzare algoritmi di calcolo che richiedano il minor tempo possibile per la loro esecuzione, che peraltro nel caso specifico sono ben noti agli specialisti di telecomunicazioni e di altri settori dell’ingegneria: si tratta cioè dell’argomento generale dell’analisi dei segnali. Poiché questo testo è destinato a quanti vorranno dedicare la loro attività professionale o di studio alla strumentazione biomedica che riguarda l’importante settore dell’ecotomografia, e poiché è probabile che non tutti abbiano familiarità con questo tipo di analisi, si è ritenuto necessario richiamare i concetti alla base degli algoritmi fondamentali utilizzati nelle recenti applicazioni, evitando per quanto possibile complesse manipolazioni analitiche, privilegiando la linearità di esposizione e facendo sempre riferimento all’analisi del segnale Doppler che viene trattata nei capitoli 11 e 12. La speranza è che l’esposizione dei numerosi argomenti sia sufficientemente esauriente e scorrevole, al fine di non costringere il lettore al ricorso a testi specializzati (o meno) ove si privilegia l’ermetismo, facilmente applicabile ogni volta che si deve ricorrere a strumenti analitici.
10.2 Funzioni periodiche Una classe di funzioni che consente di rappresentare analiticamente un gran numero di fenomeni fisici è quella delle funzioni periodiche. Una funzione è
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
detta periodica se si ripete uguale a se stessa dopo un intervallo di tempo T, detto periodo della funzione. Un classico esempio è costituito dall’oscillazione di un pendolo che, com’è noto, ha periodo costante (oscillazioni isocrone) e, in assenza di attrito, anche ampiezza costante. Pertanto una funzione periodica y = f(t) reale1 può essere espressa come y = f (t) = f (t + nT)
[10.1]
con n intero positivo. Le più semplici funzioni periodiche sono le funzioni trigonometriche seno e coseno, che sono caratterizzate da un periodo di 2π: ciò significa che il loro argomento è un angolo ϕ e che dopo un giro completo di 360 gradi (corrispondenti a 2π radianti) assumono nuovamente gli stessi valori. Se l’angolo ϕ è variabile nel tempo t con legge lineare, si ha ϕ(t) = ω0t, dove ω0 è una grandezza, in questo caso costante, di seguito definita. Con queste assunzioni elementari si può scrivere f (t) = cos(ϕ) = cos(ϕ + 2π) = cos(ω 0 t) = cos(2π f 0 t)
[10.2]
Pertanto, ponendo f0 = 1/T, si ottiene ⎛ 1 ⎞ ⎡ 1 cos(2π f 0 t) = cos ⎜ 2π t⎟ = cos ⎢2π t + T ⎝ T ⎠ ⎣ T
(
)⎤⎥ = cos(2π f t + 2π) ⎦
0
[10.3]
La quantità f0 , come noto, è la frequenza della funzione espressa in hertz (Hz o cicli/secondo), cui corrisponde il periodo T (in secondi). Spesso, invece della frequenza, si considera la pulsazione ω0 = 2πf0 = 2π/T, che rappresenta il numero di volte che la fase ϕ compie una rotazione completa da 0 a 2π nell’unità di tempo. Ciò giustifica per ω l’altra denominazione spesso utilizzata di frequenza angolare. Nel seguito del capitolo queste dizioni saranno adoperate indifferentemente.
10.3 Sviluppo in serie di Fourier con funzioni sinusoidali È possibile scomporre un segnale periodico in una somma di infinite funzioni sinusoidali e cosinusoidali, aventi frequenze fn pari a quella del segnale di partenza e multiple di essa, ossia n f0 , con n intero positivo: tali componenti a frequenza multipla sono dette componenti armoniche del segnale.
1 Una funzione y = f(t) si definisce reale se y è reale per qualsiasi valore della variabile t. Una funzione (o una variabile) complessa c(t) può quindi essere costituita a partire da due funzioni (o variabili) reali f(t) e g(t), una delle quali viene moltiplicata per l’unità immaginaria j, ossia c(t) = f(t)+j g(t).
Capitolo 10
· Elaborazione del segnale Doppler
581
Quanto affermato viene espresso analiticamente mediante la serie trigonometrica di Fourier (dal nome del matematico francese Jean Baptiste Joseph de Fourier, 1768-1830). Lo sviluppo in serie di Fourier della funzione periodica f(t) ha la seguente forma
( ) + B sin (ω t) + B sin (2ω t ) …B
(
) sin (nω t )
(
)
1 y = f (t) = A 0 + A1 cos ω 0 t + A 2 cos 2ω 0 t + … A n cos nω 0 t + 2 1
0
2
0
n
[10.4]
0
dove ω0 è la pulsazione fondamentale 2 ; la [10.4] può essere scritta anche come
(
)
(
)
∞ 1 y = f (t) = A 0 + ∑ ⎡⎣A n cos nω 0 t + Bn sin nω 0 t ⎤⎦ n =1 2
[10.5]
Da quanto esposto, deriva che per calcolare la f(t) occorre conoscere il valore delle costanti A0 , An e Bn, detti coefficienti di Fourier, necessari per ricostruire il segnale f(t) a partire dalle sue componenti armoniche. A tale proposito, per comprendere il significato fisico dei coefficienti di Fourier, si osserva che An e Bn sono le ampiezze di ciascun componente cosinusoidale o sinusoidale che costituiscono la f(t), mentre il termine A0 /2 rappresenta il valore medio della f(t). In altre parole, An e Bn sono i pesi che, attribuiti alle funzioni cos(nω0t) e sin(nω0t), consentono di ottenere la f(t) di partenza. Come già accennato, A0 /2 è il peso da attribuire all’armonica di ordine zero, cioè di frequenza zero, cui corrisponde un periodo infinito: è il valore medio della f(t), molto spesso indicato come componente continua della funzione, e pertanto viene calcolato mediante le note relazioni A0 1 T 1 t0 + T 1 + T/2 = ∫ f (t)dt = ∫ f (t) dt = ∫ f (t) dt T t0 T − T/22 2 T0
[10.6]
le quali affermano che il valore medio di una funzione periodica si calcola effettuandone l’integrale esteso a un suo periodo T, comunque venga scelto l’istante iniziale t0 (figura 10.1). In maniera analoga, si può anche pensare che i coefficienti An e Bn siano le quantità nelle quali sono mediamente presenti in f(t) le funzioni cos(nω0t) e sin(nω0t): tale “presenza media” viene determinata calcolando i valori medi dei prodotti f(t)cos(nω0t) e f(t)sin(nω0t). I risultati ai quali si perviene, dopo qualche passaggio matematico, forniscono per i predetti coefficienti i valori:
2
A tale proposito si ricorda che per n = 1 si ottiene quella che in gergo viene indicata come componente fondamentale o armonica fondamentale, la cui pulsazione caratteristica è pertanto ω1 = ω0 , ossia la pulsazione fondamentale.
Fondamenti di Ingegneria Clinica
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· Ecotomografia
Figura 10.1. Punti fiduciari di una funzione (cosinusoidale) di interesse nell’analisi dei segnali oggetto del presente capitolo.
An =
2 T/ 2 ∫ f (t)cos nω 0 t dt T − T/ 2
Bn =
2 T/ 2 ∫ f (t)sin nω 0 t dt T − T/ 2
(
)
[10.7a]
(
)
[10.7b]
Se la funzione è pari3, lo sviluppo in serie deve necessariamente essere composto da sole funzioni pari e quindi contiene solamente termini in coseno (che è una funzione pari), cioè
(
∞ 1 f pari (t) = A 0 + ∑ A n cos nω 0 t n=1 2
)
[10.8]
con An dato dalla [10.7a] e Bn = 0. Se la funzione è dispari, lo sviluppo in serie deve necessariamente essere composto da sole funzioni dispari e quindi contiene solamente termini in seno (che è una funzione dispari). Per questo tipo di funzione, infatti, si può dimostrare che è An = 0; si ha quindi ∞
(
f dispari (t) = ∑ Bn sin nω 0 t n=1
3
)
[10.9]
Si ricorda che una funzione x(t) è pari se risulta x(t) = x(–t) mentre essa è dispari se x(t) = –x(–t). Qualsiasi segnale reale x(t) può essere espresso come somma di una funzione pari xP(t) (parte pari) e una dispari xD(t) (parte dispari), dove xP(t) = [x(t)+x(–t)]/2 e xD(t) = [x(t)–x(–t)]/2.
Capitolo 10
· Elaborazione del segnale Doppler
583
Figura 10.2. Esempio di una funzione pari (a) e di una funzione dispari (b).
con Bn dato dalla [10.7b] e An = 0, poiché in una funzione dispari il valore medio deve essere nullo (figura 10.2). Esistono funzioni periodiche né pari né dispari che, nel caso di funzioni sinusoidali, si possono considerare ottenute da funzioni periodiche pari (o dispari), cui sia stata aggiunta un’opportuna fase ϕ che corrisponde alla traslazione, verso destra o verso sinistra, di tutta la funzione in un piano cartesiano in cui l’ascissa rappresenta la variabile tempo. Nella figura 10.3 è mostrata una tale funzione ottenuta traslando di una quantità ϕ una funzione coseno oppure di una quantità φ una funzione seno. Quanto rappresentato nella figura 10.3 può essere analiticamente scritto nel modo seguente
(
)
cos ωt − ϕ = cos ω t cos ϕ + sin ω t sin ϕ
[10.10]
Figura 10.3. Funzione né pari né dispari. Se la funzione viene traslata di un valore di fase ϕ, si ottiene una funzione dispari (seno), se invece si trasla di un valore φ si ottiene una funzione pari (coseno).
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· Ecotomografia
Figura 10.4. Rappresentazione vettoriale dei coefficienti Cn dello sviluppo in serie di Fourier come composizione di due vettori ortogonali rispettivamente di ampiezza An e Bn.
La precedente relazione dimostra che una funzione coseno sfasata di un generico angolo ϕ, può essere rappresentata come combinazione lineare tra una funzione pari (cos ωt) e una funzione dispari (sin ωt). Lo sviluppo in serie di Fourier di una funzione che non sia né pari né dispari deve in generale contenere, per ciascuna armonica, sia i termini pari sia quelli dispari; pertanto la funzione è rappresentabile a partire da nuovi coefficienti Cn e un’opportuna fase. Per illustrare questo aspetto conviene riferirsi alla nota rappresentazione di una funzione armonica semplice mediante un vettore rotante intorno all’origine con frequenza angolare ωn = nω 0 , del quale si conosce in ogni istante la proiezione sull’asse delle ascisse. In questo caso, ogni coppia di funzioni armoniche semplici Ancos(nω0t) e Bn sin(nω0t), che compare nelle [10.8] e [10.9], risulta rappresentata in ogni istante da una coppia di vettori rotanti ortogonali, rispettivamente di modulo An e Bn, che all’istante iniziale t = 0 risultano disposti rispettivamente sull’asse x e sull’asse y. Invece di tale coppia di vettori rotanti, è possibile in ogni istante considerare il vettore risultante di ampiezza4 2Cn, dato dalla diagonale del rettangolo costruito con i vettori componenti di modulo An e Bn. Questa risultante forma in ogni istante un angolo nω 0t–ϕn, come mostrato nella figura 10.4, dalla quale segue che, per t = 0,
4 Il valore 2C per l’ampiezza di tale vettore è assunto non tanto in base a considerazioni fisiche, n quanto piuttosto per formalismo matematico; per tale motivo si avvisa il lettore che nei testi di analisi dei segnali è possibile trovare espressioni alternative.
Capitolo 10
· Elaborazione del segnale Doppler
585
A n = 2C n cos (− ϕ n ) Bn = 2C n sin (− ϕ n )
[10.11] t =0
2C n = A n2 + B2n tg (− ϕ n ) =
[10.12]
Bn An
e tenendo presente che dalla [10.5] è A n cos (nω 0 t) + B n sin (nω 0 t) =
(
= 2C n cos ϕ n cos (nω 0 t) + 2C n sin ϕ n sin(nω 0 t) = 2C n cos nω 0 t − ϕ n
)
[10.13]
si ha in definitiva ∞ ∞ ⎛ 1 1 π⎞ f (t) = A 0 + 2∑ C n cos nω 0 t − ϕ n = A 0 + 2∑ C nsin ⎜ n ω 0 t − ϕ n + ⎟ 2 2 2⎠ ⎝ n =1 n =1
(
)
[10.14]
2T con A 0 = ∫ f (t)dt T0 Pertanto, secondo la rappresentazione che utilizza i coefficienti Cn e le fasi ϕn, una generica funzione periodica (anarmonica) viene ricostruita come la somma di funzioni sinusoidali (armoniche n-esime), ciascuna opportunamente sfasata di un angolo ϕn, secondo quanto indicato nella figura 10.5, dove è rappresentato l’andamento di una funzione periodica sia nel dominio del tempo (figura 10.5a) sia in quello delle frequenze (figura 10.5b), nel quale sono presenti una componente continua (valore medio della funzione, riga in ω = 0) e tre componenti armoniche, vale a dire per ω = ω 0 , ω = 5 ω 0 e ω = 9 ω 0. Inoltre nella figura 10.5 è mostrata anche una rappresentazione tempo-frequenza del segnale: in essa si può osservare l’ampiezza 2Cn di ciascuna riga spettrale (figura 10.5b,c) Dalla figura 10.5c si deduce che la f(t) è effettivamente la somma di più termini armonici, dove l’armonica fondamentale e le componenti armoniche superiori devono essere sommate in fase affinché il profilo della f(t) sia quello fisicamente realizzato nella figura 10.5a. Se, come spesso accade, le funzioni periodiche rappresentano la propagazione di una perturbazione in un mezzo, per esempio degli ultrasuoni in un materiale, allora la funzione f(t) possiede anche una periodicità spaziale definita dalla lunghezza d’onda λ nel mezzo (vedi capitolo 3). In questo caso, essendo c la velocità di propagazione dell’onda nel mezzo, si introduce la quan-
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· Ecotomografia
tità numero d’onda k = 2π/λ, già precedentemente definita; la funzione periodica può essere riscritta come segue ⎤ ⎡ nω cos ⎢ 0 (ct − x) − ϕ n ⎥ = ⎦ ⎣ c ⎡⎛ ⎤ ⎤ ⎡⎛ 2π n f 0 ⎞ nω ⎞ = cos ⎢⎜ nω 0 t − 0 x ⎟ − ϕ n ⎥ = cos ⎢⎜ nω 0 t − x⎟ − ϕ n ⎥ = c ⎠ c ⎠ ⎣⎝ ⎣⎝ ⎦ ⎦
[10.15]
⎤ ⎡⎛ 2πn c / λ ⎞ x ⎟ − ϕ n ⎥ = cos ⎡⎣ nω 0 t − nkx − ϕ n ⎤⎦ = cos ⎢⎜ nω 0 t − c ⎠ ⎦ ⎣⎝
(
)
essendo f0 = c/λ.
Figura 10.5. Composizione armonica di un segnale periodico e sua rappresentazione spettrale. (a) Funzione periodica f(t) nel dominio del tempo. (b) Spettro corrispondente. (c) Rappresentazione della scomposizione della f(t) nel dominio della frequenza e del tempo. Le righe spettrali hanno ampiezze rispettive A 0 /2, 2C 1 , 2C 5 e 2C 9 .
Capitolo 10
· Elaborazione del segnale Doppler
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Figura 10.6. Esempi di ricostruzione di un’onda quadra a partire da un limitato numero di componenti armoniche: l’impiego di un esiguo numero di componenti (nell’esempio: 5 armoniche, a tratto rosso) produce un’evidente distorsione che male approssima la forma d’onda originaria. Al crescere del numero di armoniche (nell’esempio: 30 armoniche, in tratto azzurro), l’errore commesso nella ricostruzione del segnale si riduce.
Va sottolineato che, quando si analizza una forma d’onda mediante la serie di Fourier, non è possibile in pratica estendere la sommatoria a infiniti termini armonici: troncando la serie all’armonica di ordine N, si compie dunque un errore che può risultare più o meno trascurabile. Per rendersi conto di che cosa significhi tale errore, nella figura 10.6 viene mostrata a titolo di esempio una particolare funzione periodica, l’onda quadra, ricostruita mediante i primi 5 e i primi 30 termini dello sviluppo. Si può osservare che, in prossimità della discontinuità dell’onda quadra, l’errore nell’approssimazione è dovuto a una limitata rapidità di variazione a causa del numero limitato di componenti armoniche utilizzate per la ricostruzione del segnale. Lontano dalle discontinuità si osserva invece una minore ampiezza delle oscillazioni e, quindi, una migliore approssimazione dell’onda quadra (fenomeno di Gibbs).
10.4 Rappresentazione vettoriale mediante funzioni esponenziali complesse Lo sviluppo in serie di Fourier con funzioni sinusoidali comporta calcoli lunghi e laboriosi. Se si sostituiscono le funzioni sinusoidali con quelle esponenziali complesse, si ottengono notevoli vantaggi poiché queste ultime, com’è noto, sono invarianti rispetto alle operazioni di integrazione e derivazione (in ciò consiste la grande semplificazione nell’esecuzione dei calcoli) e consentono inoltre una suggestiva rappresentazione degli spettri di ampiezza delle componenti armoniche, introducendo la nozione di frequenza negativa, che viene illustrata nel seguito.
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Ricordando le note relazioni di Eulero, i termini della serie di Fourier nell’espressione [10.13] possono essere scritti
(
A ne jnω0t + A ne − jnω0t 2
[10.16]
− jBne jnω0t + jBne − jnω 0t 2
[10.17]
)
A n cos nω 0 t =
(
)
Bn sin nω 0 t =
Raccogliendo a fattore i termini ejnω0t ed e–jnω0t, la serie di Fourier [10.5] si specializza nella forma f (t) =
A 0 ∞ ⎛ A n − jBn jnω0t A n + jBn − jnω 0t ⎞ +∑ e + e ⎟⎠ 2 n=1 ⎜⎝ 2 2
[10.18]
Tenendo conto che
(
)
(
)
cos nω 0 t ± j sin nω 0 t = e ± jnω0t
[10.19]
nonché utilizzando le [10.7a] e [10.7b] per il calcolo dei coefficienti di Fourier, la [10.18] si trasforma nelle
(
)
(
)
(
)
(
)
cos nω 0 t − j sin nω 0 t A n − jBn 2 1 T/2 = ∫ f (t) dt = ∫ f (t)e − jnω0t dt T T − T/2 2 2 cos nω 0 t + j sin nω 0 t A n + jBn 2 1 T/2 dt = ∫ f (t)e + jnω0t dt = ∫ f (t) T T − T/2 2 2
[10.20]
Le quantità Xn =
A n − jBn 2
e
X ∗n = X − n =
A n + jBn 2
[10.21]
sono chiamate coefficienti di Fourier complessi. Esse sono quantità complesse e coniugate il cui modulo vale X n = X −n = e la cui fase varia rispettivamente come
A n 2 + Bn 2 2
[10.22]
Capitolo 10
· Elaborazione del segnale Doppler arctg(nω 0 ) =
Bn An
589
per X n
B arctg( − nω 0 ) = − n An
[10.23] per X –n = X
∗ n
D’altra parte, come si deduce dalla [10.12] e dalla [10.22], vale la seguente relazione X n ⋅ X ∗n =
2 A 2n + B 2n = X n = C 2n 4
[10.24]
Quindi i coefficienti Xn e X–n consentono una rappresentazione del segnale f(t) equivalente alla [10.14], mediante notazione complessa. In conseguenza di quanto premesso, la [10.18] può essere riscritta in funzione del solo vettore Xn f (t) =
(
A0 ∞ + ∑ X ne jnω 0t + X − ne − jnω 0t 2 n=1
)
[10.25]
Pertanto, posto X0 = A0/2 e tenuto conto delle [10.20] e [10.21], la relazione [10.25] si può scrivere ∞
f (t) = ∑ X ne jnω0t con n=−∞
Xn =
1 T/2 − jnω t ∫ f (t)e 0 dt T − T/2
[10.26]
Si rileva anche che i termini Xne+jnω0t e X–ne–jnω0t, che compaiono nella sommatoria della [10.26] (eccettuato lo zero), risultano tutti complessi; essi tuttavia sono a due a due complessi e coniugati cosicché la loro somma è una grandezza reale come d’altra parte deve essere, poiché la f(t) è una funzione reale. Si osserva inoltre che, nel piano complesso, i due termini suddetti rappresentano due vettori rotanti in senso inverso intorno all’origine O con frequenza angolare nω0t (figura 10.7). Nell’istante t = 0 i due vettori controrotanti formano con l’asse delle ascisse rispettivamente gli angoli ϕn e ϕ–n. La loro somma ha come risultante un vettore non rotante, fisso lungo l’asse reale, la cui ampiezza 2Cn, pari al doppio di quelle dei vettori componenti Xn e X–n , oscilla secondo la funzione armonica cos(nω0t). Questa circostanza consente di porre in rilievo la differenza tra lo sviluppo in serie di Fourier con funzioni esponenziali complesse rispetto a quello precedentemente descritto, mediante funzioni circolari. Allo sviluppo in esponenziali complessi corrisponde la rappresentazione mediante somma di due vettori controrotanti Xn e X–n , mentre allo sviluppo in funzioni circolari fa riscontro la rappresentazione mediante un vettore C n rotante in senso antiorario, di ampiezza doppia rispetto a quelli relativi alla rappresentazione in esponenziali complessi.
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(a)
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(b)
Figura 10.7. Rappresentazione vettoriale nel piano complesso dei coefficienti Xn della serie di Fourier. In (a) è raffigurato l’istante iniziale t = 0 (pertanto il termine di fase nωt è pari a 0), mentre in (b) è rappresentata la disposizione dei vettori in un istante successivo.
In ultimo si osserva che, nello sviluppo in esponenziali complessi, al vettore rotante in senso orario corrisponde una velocità angolare –nω0, e quindi una frequenza f = –nω 0/2π cicli al secondo, dove il segno meno tiene conto del verso di rotazione del vettore e giustifica il concetto di frequenza negativa, che altrimenti sembrerebbe privo di significato. Da quanto esposto, anche per lo sviluppo di Fourier con funzioni esponenziali complesse deriva una rappresentazione spettrale, che visualizza l’ampiezza di ciascuna delle armoniche in funzione della frequenza angolare. Accanto allo spettro delle ampiezze è necessario anche il corrispondente spettro delle fasi che visualizza il valore di ϕ. Nella figura 10.8 è riportato lo spettro di un’onda quadra centrata nell’origine: essendo questa una funzione pari, il suo
Figura 10.8. Rappresentazione degli spettri di ampiezza (b) e di fase (c) di un’onda quadra simmetrica rispetto all’origine (a).
(c)
Capitolo 10
· Elaborazione del segnale Doppler
591
sviluppo è costituito da soli coseni, come è possibile verificare nella figura suddetta, ove si osserva anche la presenza di frequenze negative, relative alle funzioni esponenziali dello sviluppo espresso dalla [10.26], valutate per n<0. In conclusione di questo paragrafo ci si vuole brevemente soffermare sui presupposti che hanno consentito di ottenere analiticamente le espressioni dei coefficienti della serie di Fourier, tanto nella rappresentazione secondo funzioni circolari, quanto nella notazione complessa. In particolare, le [10.7] e [10.20] richiedono la convergenza della serie di Fourier e questa può essere garantita da un insieme di condizioni (sufficienti), indicate come criterio di Dirichlet; in particolare: – se f(t) è continua o contiene un numero finito di discontinuità di prima specie nel periodo T; – se f(t) possiede un numero finito di minimi e massimi nel periodo T; – se f(t) è assolutamente integrabile nel periodo T, ossia risulta + T/ 2
∫ f (t) dt < ∞
− T/ 2
allora la funzione di Fourier converge al valore assunto da f(t) nei punti in cui questa è continua e alla semisomma dei limiti destro e sinistro nei punti in cui f(t) presenta le eventuali discontinuità di prima specie. Tale criterio giustifica pertanto lo sviluppo in serie di Fourier anche di funzioni evidentemente discontinue, come l’onda quadra della figura 10.8, ma la sua applicazione non è limitata al solo caso di segnali periodici: il criterio di Dirichlet può essere specializzato anche per i segnali aperiodici, stabilendo le condizioni sotto cui questi possono essere ricostruiti a partire da un certo numero di componenti armoniche. La funzione analitica che lega tali componenti al segnale aperiodico originario non è rappresentata da una serie, bensì da un integrale e costituisce l’argomento delle pagine successive.
10.5 Integrale di Fourier: sviluppo di funzioni non periodiche e di segnali impulsivi Un’importante classe di funzioni è rappresentata da quelle non periodiche (o funzioni aperiodiche). All’interno di questa classe fondamentale rientrano i fenomeni di durata finita, cioè i segnali impulsivi. Si consideri, per esempio, un evento unico del tipo di quello indicato nella figura 10.9a, tipicamente aperiodico; si può pensare che esso si sia verificato in un tempo T0 e che, con pari modalità, possa ripetersi con il medesimo periodo T0, in modo che sia possibile applicare l’analisi di Fourier a una forma d’onda che si presenti come nella figura 10.9b. Questa sorta di artificio è di grande utilità, perché consente di estendere l’analisi di Fourier, e ogni altro algoritmo fondato su questo principio, a forme d’onda comunque complesse, non periodiche, e infine anche alle forma d’onda di tipo stocastico (random).
Fondamenti di Ingegneria Clinica
592
· Ecotomografia
Figura 10.9. Esempio di segnale periodico (b) ottenuto mediante la ripetizione di un segnale impulsivo (a).
In particolare, dal punto di vista analitico, un segnale f(t) è impulsivo se è minore di infinito il risultato dell’integrale ∞
∫ f (t) dt < ∞
−∞
[10.27]
dove la [10.27] esprime il fatto che il segnale deve avere sia durata finita sia ampiezza finita; in caso contrario, l’integrale [10.27] assumerebbe valore infinito. I segnali impulsivi possono inoltre essere classificati come segnali a energia finita o, brevemente, segnali di energia, dove tale definizione è espressa analiticamente dalla ∞
2
∫ f (t) dt < ∞
−∞
[10.28]
L’impulso generato dal trasduttore ultrasonoro durante la scansione del paziente costituisce un caso particolare di tali segnali (ha infatti ampiezza e durata limitate); pertanto le note che seguono sono utili per comprendere come, pur non essendo una funzione periodica, possa anch’esso essere studiato mediante l’analisi di Fourier.
Capitolo 10
· Elaborazione del segnale Doppler
593
Figura 10.10. Passaggio al limite per ottenere un segnale impulsivo a partire da uno periodico.
Per giustificare la rappresentazione di un segnale impulsivo mediante Fourier, esso può essere immaginato come un segnale periodico il cui periodo T viene fatto tendere all’infinito. Come mostrato nella figura 10.10, allontanando tutti gli altri impulsi da quello centrale, il periodo tende a valori sempre maggiori, incrementandosi all’infinito. Contemporaneamente, la frequenza fondamentale f0 = 1/T deve necessariamente tendere a zero. Si ricordi che f0 assume il significato di intervallo tra armoniche successive nella scomposizione in serie di Fourier del segnale, ossia Δ f = (n+1)f0 –nf0 = f0 . Pertanto, se ω0 = 2πf0 tende a zero, le infinite armoniche di cui è composto il segnale, tendono a essere infinitamente vicine. Se si riscrive l’integrale per il calcolo dei coefficienti complessi di Fourier, espresso dalla [10.26], con il passaggio al limite T→∞, le righe spettrali di ampiezza |Xn|, equispaziate di un valore pari a 1/T, divengono infinitamente vicine e lo spettro assume andamento continuo. Pertanto l’ampiezza delle diverse armoniche non sarà più definita mediante coefficienti della variabile discreta nω0 , bensì con la variabile continua ω . Si ha cioè che nω0 → ω, mentre ω0 → dω. Ciò premesso, lo spettro discreto X n diviene continuo e, indicato con F(ω), assume un’espressione che si chiama integrale di Fourier o trasformata diretta di Fourier, per cui si può anche scrivere ∞
F(ω) = ∫ f (t) e − jω t dt
[10.29]
−∞
dove la pulsazione ω può assumere qualsiasi valore da –∞ a +∞. Affinché la [10.29] converga a un valore finito, una condizione sufficiente è espressa dalla [10.28], in altri termini il segnale deve possedere energia finita. In alternativa, come già accennato alla fine del paragrafo precedente, è possibile individuare un secondo criterio, costituito dal criterio di Dirichlet specializzato al caso dei segnali aperiodici, ossia:
594
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· Ecotomografia
– se, in qualunque intervallo finito di tempo, f(t) è continua o contiene un numero finito di discontinuità di prima specie, – se, in qualunque intervallo finito di tempo, f(t) possiede un numero finito di minimi e di massimi, – se f(t) è assolutamente sommabile 5, ossia risulta +∞
∫ f (t) dt < ∞
−∞
allora f(t) è rappresentabile come integrale di Fourier F(ω) e quest’ultimo converge a un valore pari alla semisomma dei limiti destro e sinistro nei punti in cui f(t) presenta le eventuali discontinuità di prima specie 6. La F(ω) è una funzione complessa, generalmente indicata come integrale o trasformata di Fourier del segnale f(t), il cui modulo |F(ω)| è detto spettro delle ampiezze, mentre il corrispondente argomento Arg[F(ω)] è detto spettro delle fasi7. Nel caso di segnali aperiodici, pertanto, si passa dall’intervallo discreto tra un’armonica e la successiva, Δω = (n+1)ω0–nω0, all’intervallo infinitesimo dω definito dal limite di Δω per ω0→0 dω = limω0 →0 Δ ω
[10.30]
Considerando il passaggio al limite [10.30], la sommatoria nella [10.26] si trasforma in un integrale ∞ ⎛ 1 T/ 2 ⎞ 1 ∞ jωt f (t) = lim T→∞ ∑ ⎜ ∫ f (t)e − jnω0t dt ⎟ e jnω0t = ∫ F(ω)e dω n=−∞ ⎝ T − T/2 2π −∞ ⎠
[10.31]
Infatti da T→∞ discende, come già osservato, un avvicinamento delle componenti armoniche; per cui, secondo la [10.30] risulta 1 Δω ω n+1 − ω n Δω dω = = = Δf = → 2π 2π 2π T 2π
5
[10.32]
Infatti il termine esponenziale presente nella [10.29] ha modulo unitario e quindi |f(t)e–jωt| = |f(t)|. Pertanto, stante la finitezza dell’integrale [10.27], anche quello espresso nella [10.29] ha valore finito. 6 In una funzione matematica una discontinuità si dice di prima specie se esistono finiti i limiti destro e sinistro, ma i due limiti sono diversi. 7 Anche in questo caso, così come nel caso della serie di Fourier (figura 10.8), gli spettri di ampiezza e fase indicano, per ciascun valore di ω, l’ampiezza e la fase della componente armonica necessaria alla ricostruzione del segnale f(t).
Capitolo 10
· Elaborazione del segnale Doppler
595
L’equazione [10.31] prende il nome di antitrasformata di Fourier o trasformata inversa e consente di riottenere la funzione del tempo f(t) a partire dal suo spettro di ampiezza, rappresentato dalla trasformata diretta di Fourier precedentemente definita dalla [10.29]. Nella figura 10.11 è mostrato un esempio relativo allo spettro di ampiezza di un’onda quadra che, al crescere del periodo, tende a diventare un impulso quadrato singolo (figura 10.11a,b,c,d). Diminuendo progressivamente l’intervallo di frequenza tra una linea dello spettro e la successiva, il diagramma assume la forma di uno spettro continuo. Al limite, quando T→ ∞, si ottiene la trasformata di Fourier di un rettangolo, che è pari a una funzione del tipo sin(ω)/ω, come mostrato nella figura 10.11e. Infatti, si consideri una funzione rettangolare di area unitaria, ampiezza 1/L e durata L. Applicando la [10.29] per questa funzione si ottiene ⎛ L⎞ L L sin ⎜ ω ⎟ ⎡ jω − jω ⎤ 2 2 ⎝ 2⎠ 1 L/ 2 1 − je + je ⎥= F(ω) = ∫ 1 ⋅ e − jωt dt = ⎢⎢ ⎥ L L − L/ 2 L ω ω ⎢⎣ ⎥⎦ 2
[10.33]
Come si riconosce nella figura 10.11e, il primo zero della funzione ottenuta si ha per ωL/2 = π, cioè per ω = 2π/L. L’intervallo centrale della [10.33], compreso tra il suo primo zero negativo e il primo zero positivo individua la larghezza del lobo principale (definito come l’intervallo di frequenza angolare tra –2π/L e +2π/L) ed è pari a 4π/L, cioè risulta tanto più ampio quanto più piccolo è L e, quindi, quanto più stretta è la funzione rettangolare. È importante segnalare che la funzione del tipo sinx/x, come quella ora dedotta dalla [10.33], viene per brevità spesso riportata in letteratura con il simbolo sinc(x). Questa è la funzione che definisce, come già riferito, la direttività dei trasduttori rettangolari. Questo importante risultato può essere utilizzato per studiare la trasformata di Fourier di un’altra funzione fondamentale, l’impulso matematico8, che rappresenta l’idealizzazione di quei fenomeni fisici di durata estremamente breve in rapporto all’intervallo di tempo durante il quale sono osservati (fenomeni impulsivi). L’impulso matematico si esprime con la notazione riportata nella figura 10.12. Esso viene rappresentato con una freccia verticale posta in corrispondenza del tempo t0 : nel caso in cui t0 sia uguale a zero, tale allocazione coincide con l’origine degli assi cartesiani. Un’interessante proprietà dell’impulso matematico risiede nel fatto che l’area da esso sottesa ha valore unitario, a giustificazione di ciò si può immaginare di ottenere l’impulso riducendo sempre più la durata L della funzione
8
Brevemente introdotto nel paragrafo 8.13 e nella figura 8.48.
596
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· Ecotomografia
Figura 10.11. Coefficienti di Fourier Xn per un’onda quadra aumentando il periodo T: (a) T = 1s; (b) T = 2s; (c) T = 4s; (d) T = 25s; (e) T→∞ .
Capitolo 10
· Elaborazione del segnale Doppler
597
Figura 10.12. Impulso matematico e sua rappresentazione. L’ampiezza del vettore rappresenta l’area dell’impulso. Sono rappresentate inoltre le proprietà di traslazione nel tempo di un intervallo t0 o t ′0 e di moltiplicazione per una costante A qualsiasi 9.
rettangolare della figura 10.11e, fino a farla tendere a zero: se si suppone che la funzione rettangolare abbia ampiezza a = 1/L, allora la sua area risulta essere pari a L (1/L) = 1. Per mantenere tale condizione nel passaggio al limite, l’altezza 1/L deve necessariamente tendere a infinito, mentre L tende a zero. Sempre con riferimento alla figura 10.11e, la trasformata di Fourier di equazione aL sin (ωL/2)/(L/2) del rettangolo largo L e alto a = 1/L ha il massimo in ωt = 0 e il primo zero in ωt = π, con t = L/2. Pertanto per L → 0 il massimo aL della trasformata di Fourier tende a 1 e, contemporaneamente, il primo zero e quelli successivi tendono tutti all’infinito: la funzione aL sin (ωL/2)/(L/2) assume quindi valore costante e pari a 1. Se ora si calcola la trasformata di Fourier dell’impulso matematico, si ottiene un valore costante pari a 1; infatti, per quanto riportato in precedenza, L/2
1 − jωt ⋅ e dt =1 L − L/2
F(ω) = limL→0 ∫
[10.34]
e ciò equivale ad affermare che la trasformata di Fourier dell’impulso matematico è pari all’area dell’impulso. Questa proprietà è stata applicata nel paragrafo 5.3 per esprimere analiticamente l’apertura di una sonda a schiera lineare.
10.6 Trasformata di Fourier discreta (DFT) Finora la trattazione ha riguardato funzioni del tempo continue, cioè funzioni y = f(t) per le quali è noto il valore y in qualsiasi istante t; tuttavia le condizioni che riguardano l’utilizzo di questa analisi si riferiscono al funzionamento degli ecotomografi, dove il segnale, costituito dagli echi ricevuti dalla sonda,
9 Per una trattazione più dettagliata delle proprietà della funzione δ(t) (impulso matematico), si rimanda ai numerosi trattati di analisi dei segnali.
598
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Figura 10.13. Campionamento di un segnale f(t) per la sua corretta ricostruzione mediante serie di Fourier. A riguardo si confronti anche con la figura 11.44c.
viene acquisito a intervalli di tempo regolari, sotto forma di campioni, e convertito in un insieme di dati numerici da un convertitore analogico/digitale (A/D). Tale conversione viene comunemente indicata con il termine digitalizzazione, o conversione analogico-digitale (conversione A/D), mentre l’acquisizione dei campioni di segnale prende il nome di campionamento. Pertanto, per essere elaborate, tutte le funzioni del tempo f(t) sono prima campionate e successivamente digitalizzate. Come prima conseguenza, il valore della f(t) è noto solo in un limitato numero di istanti all’interno del periodo T di osservazione, cioè t1, t2, t3, ..., tN , dove l’intervallo Δt = ti+1–ti (con i = 1, 2, ..., N) tra un campione e il successivo individua il periodo di campionamento (o intervallo di campionamento) della funzione e costituisce un parametro progettuale di fondamentale importanza ai fini della ricostruzione dell’intero segnale. Infatti, come si deduce dalla teoria del campionamento (teorema di Nyquist), al fine di ricostruire correttamente una componente sinusoidale di periodo T, devono essere acquisiti almeno 2 campioni per ciascun periodo: pertanto l’intervallo di campionamento Δt deve essere almeno pari a T/2 e, conseguentemente, la frequenza di campionamento fS (sampling frequency), corrispondente per definizione a 1/Δt, risulta almeno 2/T. Nel capitolo 3, trattando la risposta in frequenza dei sistemi oscillanti, si è accennato alla loro “banda passante”, intesa come l’intervallo di frequenze entro il quale il sistema eccitato da una forzante esterna risponde con oscillazioni di ampiezza ancora apprezzabile, o comunque prefissata. Similmente, si definisce banda del segnale f(t) l’intervallo che contiene le frequenze necessarie per la ricostruzione del segnale mediante la serie di Fourier oppure, se il segnale non è periodico, mediante la trasformata F(ω). Se l’intervallo di frequenze è finito, il segnale si dice limitato in banda, ma si è già osservato come tale intervallo si estenda spesso da –∞ a +∞ : in tal caso è ancora possibile una ri-
Capitolo 10
· Elaborazione del segnale Doppler
599
costruzione approssimata del segnale per mezzo di un numero limitato di componenti sinusoidali. Si consideri un segnale ricostruito mediante serie di Fourier a partire dalle sue prime k componenti armoniche (figura 10.13): per il teorema di Nyquist, il periodo di ciascuna armonica deve essere campionato almeno 2 volte e quindi, se k f0 = kω0 /2π è la frequenza massima, allora il segnale deve essere campionato almeno a frequenza 2k f0 . Ciò equivale a scegliere un intervallo di tempo Δt, tra campioni successivi, pari alla metà del periodo della frequenza più elevata, vale a dire Δt = 1/2k f0 . Pertanto, al fine di rispettare il limite di Nyquist, se il numero N di campioni, acquisiti nel periodo T della fondamentale, è almeno il doppio di un numero k di componenti armoniche, ossia risulta N≥ 2k, allora la f(t), espressa originariamente dalla [10.26], può essere correttamente approssimata dalla somma delle prime k armoniche secondo la +k
f (t) = ∑ X ne jnω0t
[10.35]
n=− k
La [10.35] può essere riscritta introducendo l’indice m relativo al campione m-esimo: infatti la funzione f(t) è valutata soltanto in un numero discreto di istanti, corrispondenti a t = mΔt = m/2k f0 = mπ/kω0 con m = 1, 2, 3, ..., N; tuttavia, essendo ω0 = 2π/T e Δt = T/N, è possibile esplicitare il termine nω0t nella relazione [10.35] come nω 0 t = n
2π mT m = 2πn T N N
[10.36]
e quindi la [10.35] diviene ⎛ T ⎞ 1 N−1 f mΔt = f ⎜ m ⎟ = ∑ X n WN ⎝ N ⎠ N n=0
(
)
( )
nm
[10.37]
avendo posto WN = e
j2 π
1 N
[10.38]
I coefficienti di Fourier Xn sono correlati ai valori campionati della f(t) da un’equazione che è la versione discretizzata dell’equazione [10.26] N −1 ⎛ T⎞ X n = ∑ f ⎜ m ⎟ WN m=0 ⎝ N⎠
( )
− nm
[10.39]
600
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L’equazione [10.39] può essere sostituita nella [10.37], o viceversa, e fornisce ovviamente un’identità. Queste due equazioni definiscono le serie di Fourier discrete a N punti e spesso vengono chiamate DFT (Discrete Fourier Transform) e rappresentano N valori della funzione reale (fisica) egualmente spaziati (vedi la [10.37]). La DFT può essere calcolata molto rapidamente se si utilizza un algoritmo numerico chiamato trasformata veloce di Fourier o FFT (Fast Fourier Transform): tale algoritmo è stato tra i primi utilizzati per calcolare lo spettro delle velocità dei globuli rossi in un determinato volume di misura nella corrente sanguigna.
10.7 Elementi di analisi dei segnali nel pre-processing Come è già emerso nel capitolo precedente, la misura della velocità occupa un posto centrale nell’analisi della fluidodinamica del sangue. È pertanto necessario analizzare l’andamento, o più correttamente, la distribuzione della velocità dei globuli rossi in un volume di misura posto all’interno del vaso sanguigno: in altri termini è necessario dedurre, nel predetto volume, lo spettro delle velocità e il suo andamento nel tempo. La stima dello spettro viene eseguita calcolando la FFT del segnale dal quale sono stati eliminati la portante in radiofrequenza del segnale eco (demodulazione) e il contributo a bassa frequenza originato dai tessuti fermi o in movimento molto più lento rispetto al flusso ematico (vedi capitolo 11). Al fine di valutare il numero N di campioni mediante il quale viene calcolata la FFT, si consideri quanto segue. Il volume di misura viene interrogato un numero di volte al secondo pari al valore della PRF 10. Affinché il calcolo dello spettro delle velocità del segnale abbia un senso fisico, esso deve essere eseguito in un intervallo di tempo entro cui le caratteristiche del flusso sanguigno non varino significativamente: in particolare, essendo di natura caotica, il segnale Doppler può essere definito soltanto mediante strumenti probabilistici; pertanto le sue proprietà statistiche non devono cambiare durante l’acquisizione dei dati per il calcolo della FFT. L’intervallo di tempo T, che può trascorrere senza che ciò avvenga, è definito per via sperimentale ed è convenzionalmente fissato a un valore inferiore o uguale a 10 ms: durante tale intervallo, supposta per esempio una PRF di 15 kHz (corrispondente a una profondità del volume di misura di circa 5 cm), possono essere acquisiti 0,01 s·15000 Hz = 150 campioni mediante i quali può essere calcolata la FFT. Il limite al numero di punti impiegati per calcolare lo spettro è rappresentato quindi dal predetto intervallo di tempo11, entro il quale il segnale può considerarsi stazionario12.
10 Si ricorda che il valore della PRF è vincolato dalla distanza R (range) dalla quale si vuole ricevere l’eco, in particolare PRF ≤ c/2R dove c è la velocità di propagazione del suono nei tessuti. 11 Si osserva che, fissato l’intervallo di tempo T = 10 ms, a una variazione della quota del volume di prova tra 1 e 25 cm corrisponde idealmente una PRF compresa tra 77 e 3 kHz, e quindi un numero di campioni compreso tra 770 e 30. 12 Il segnale si dice stazionario se alcune sue proprietà statistiche non variano nel tempo.
Capitolo 10
· Elaborazione del segnale Doppler
601
Diverso è il caso dell’indagine mediante Color Doppler, o CFI (Color Flow Imaging): infatti, essendo tale indagine bidimensionale, il limite fondamentale risiede nel tempo a disposizione per visualizzare l’area indagata. Per esempio, se l’area viene descritta mediante 50 linee di vista di scansione, a una frequenza di 15 immagini per secondo, si hanno a disposizione 1/(50·15) = 1,3 ms circa per ogni riga. Durante questo intervallo di tempo è verificata l’ipotesi di segnale stazionario; nel caso di indagine CFI, pertanto, il limite al numero di campioni su cui effettuare la stima è stabilito dal tempo a disposizione per il tracciamento di una riga di scansione. Con una PRF di 15 kHz si possono emettere quindi 1,3·10–3·15000 ≅ 20 impulsi per ogni linea di scansione, acquisendo altrettanti campioni del segnale Doppler proveniente da una certa zona. Questo numero di campioni è insufficiente per poter calcolare una stima affidabile dello spettro di velocità mediante la FFT, tuttavia esso consente di effettuare la stima della media e della varianza delle frequenze del segnale Doppler e dunque delle velocità dei riflettori. In definitiva, a causa delle limitazioni temporali imposte dalla tecnica CFI, è necessario condurre una stima delle velocità associate ai flussi emodinamici all’interno dell’area anatomica visualizzata, a partire da poco più di una decina di campioni del segnale. Tali tecniche, che per quanto riferito non possono fare uso della stima spettrale mediante FFT, possono essere classificate come segue: – stima mediante funzione di autocorrelazione; – stima nel dominio delle fasi; – stima nel dominio temporale mediante cross-correlazione. La tecnica del Color Doppler necessita pertanto di strumenti analitici che consentano la stima della media e della varianza del segnale entro un breve intervallo di tempo, disponendo peraltro di un limitato numero di campioni. A tale proposito, nei paragrafi che seguono verranno riportati gli elementi fondamentali dell’analisi dei segnali al fine di estrarre i parametri di interesse per l’applicazione della modalità Color e, in seguito, Power Doppler.
10.8 Generalità sull’analisi dei segnali: parametri fondamentali e caratteristiche dei segnali Nelle arterie e nelle vene il flusso sanguigno si manifesta con un moto che può essere rappresentato, in maniera molto semplificata, come laminare e/o turbolento, dando a queste parole il significato illustrato nel capitolo 9. In particolare si fa riferimento alle traiettorie delle particelle, che risultano più o meno complesse a seconda del tipo di ostacoli incontrati dal flusso. Si sottolinea che i modelli illustrati aiutano a “entrare” nel fenomeno, ma spesso sono lontani dalla realtà fisica: anche i moti classificati come laminari sono davvero tali solo in accurati esperimenti di laboratorio, dato che nella realtà in essi è sempre presente, seppure in misura modesta, una quota parte di moto turbolento, per cui la fisica del fenomeno è sempre diversa dai disegni “ordinati” che si trovano nei libri. Nel caso di moto del sangue, a seconda delle caratteristiche
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
del condotto ove esso si manifesta, è sempre presente un moto di insieme, rappresentato dal flusso principale, al quale si sovrappongono fluttuazioni e turbolenze che cambiano da istante a istante, sia nel tempo sia nello spazio. Il problema che ora interessa è conoscere attraverso quali mezzi sia possibile rappresentare questi complessi tipi di moto, o individuare per mezzo di quali parametri sia possibile rappresentare il moto di insieme dei riflettori contenuti in un determinato volume nel vaso sanguigno. Occorre subito chiarire che, in questa sede, parlare di moto significa più correttamente parlare di velocità delle particelle, le quali, investite da un fascio ultrasonoro, producono echi dalla frequenza lievemente diversa rispetto a quella dell’impulso incidente: come si vedrà con maggiore dettaglio nel capitolo 11, tale variazione di frequenza è rappresentativa della velocità dei riflettori, sia nel modulo sia nel verso. Da ciò deriva che all’uscita del trasduttore piezoelettrico esiste un segnale elettrico complesso quanto il moto: la trasduzione piezoelettrica consente pertanto di disporre di un segnale che contiene tutte le caratteristiche e le proprietà del moto dei riflettori nei vasi sanguigni e che, essendo di natura elettrica, consente un’analisi a valle della quale è possibile ottenere tutti gli elementi utili per trarre le necessarie conclusioni di carattere diagnostico.
10.8.1 Caratteri dei segnali Se ci si chiede cosa abbiano in comune un cartellone pubblicitario, il fischio di un arbitro e l’occhiata torva di un docente durante l’esame di un allievo non brillante, probabilmente a molti verrà in mente che ognuno di essi costituisce un “segnale”, ma ben più difficilmente si riuscirà a ricavarne una definizione generale. A tale scopo si potrebbe provvisoriamente definire il segnale come qualcosa che porta informazione da una sorgente a un ricevitore, in altri termini è un vettore dell’informazione. Le modalità con cui l’informazione è in esso contenuta sono espresse dallo stato di tale vettore e non semplicemente dalla sua variazione nel tempo o nello spazio. A tale proposito si pensi al compito scritto consegnato da uno studente al termine di un esame: anche nel caso in cui esso sia “in bianco” trasmette un’informazione, nel caso specifico un segnale che denuncia il livello di impreparazione del candidato. A questo punto appare proponibile la definizione di segnale come ente 13 nel cui stato è contenuta informazione. Analizzare un segnale significa estrarre, tutta o in parte, l’informazione in esso contenuta; a tal fine è necessario dividerlo in tutte le sue componenti: soltanto in tale modo si capisce come è fatto e si riesce a individuarne il legame con il fenomeno fisico che lo ha prodotto. I mezzi necessari per condurre tale analisi hanno natura matematica e sono diversi a seconda delle caratteristiche 13 Nel campo tecnico-scientifico, l’ente è costituito da una grandezza fisica (per esempio, differenza di potenziale elettrico, pressione, corrente o luminosità) e, tipicamente, il segnale è costituito dall’andamento nel tempo e/o nello spazio di tale grandezza.
Capitolo 10
· Elaborazione del segnale Doppler
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Figura 10.14. Esempi di segnali certi (a, b) e aleatori (c). (a) Segnale sinusoidale puro. (b) Segnale periodico composto da un numero finito di armoniche. (c) Segnale aleatorio, in cui si rileva l’assenza di qualsiasi periodicità.
del segnale, così come sono diversi gli utensili occorrenti per smontare un orologio o un motore termico di una nave. Per orientarsi nella scelta dello “strumento analitico” più idoneo, occorre conoscere quali siano le caratteristiche fondamentali del segnale sotto analisi; a questo scopo, ed esclusivamente per i limitati obiettivi che si propone questo testo, si può immaginare una prima suddivisione dei segnali in due grandi categorie: – segnali certi (o deterministici); – segnali aleatori (o stocastici). Sono certi i segnali che si sviluppano nel tempo (o nello spazio) in modo sempre prevedibile e per i quali può essere assegnata una funzione del tempo (o dello spazio) che li descrive completamente in ogni istante. Un particolare segnale certo è il segnale periodico, per il quale, noto il suo andamento entro un determinato intervallo di tempo T, si può affermare che tale comportamento si ripete identico anche per intervalli di tempo multipli di T. Tra i più semplici segnali (periodici) di tipo deterministico vi è la funzione y = Asin(ωt) (essendo A l’ampiezza), così come riportata nella figura 10.14.
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
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Si può affermare che, considerato un periodo di osservazione To sufficientemente lungo, il segnale rappresentato in figura 10.14a continuerà a svilupparsi nel tempo successivo a To, con le medesime caratteristiche presentate per t
10.8.2 Segnali impulsivi Come già riportato, un’importante applicazione dell’analisi di Fourier è la sua estensione anche a forme d’onda che non hanno carattere di periodicità (per le quali cioè non è possibile individuare un periodo T a partire dal quale la forma d’onda si ripete nel tempo con le medesime caratteristiche) e dunque ai segnali impulsivi, caratterizzati da durata finita. Essi rivestono particolare importanza in ecografia, in quanto la sonda ecografica lancia nel corpo del paziente brevi impulsi ponendosi successivamente in attesa degli echi.
Capitolo 10
· Elaborazione del segnale Doppler
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Dovendo affrontare con maggiore dettaglio l’analisi di segnali impulsivi, è opportuno richiamare alcune definizioni correlate all’energia e alla potenza associate al segnale. Segnali di potenza Si tratta generalmente di segnali di durata infinita, cui è associata un’energia infinita espressa dalla relazione ∞
∞
−∞
−∞
2
E = ∫ f (t)f (t)* dt = ∫ f (t) dt = ∞
[10.40]
Per questi segnali ha senso considerare la potenza a essi associata T2
1 * ∫ f (t)f (t) dt < ∞ T→∞ T −T 2
P = lim
[10.41]
Da quanto esposto in merito all’analisi di Fourier, deriva che i segnali periodici, essendo di durata infinita, secondo la [10.40] sono un caso particolare di segnali di potenza, e per essi può essere calcolata la serie di Fourier. Segnali di energia Sono segnali generalmente di durata finita cui è associata un’energia finita e quindi, con riferimento tanto alla [10.28] quanto all’integrale [10.40], si ha E <∞ . I segnali impulsivi sono pertanto segnali di energia e per essi ha senso parlare di integrale di Fourier o trasformata di Fourier, nel senso specificato precedentemente. L’analisi dei segnali impulsivi richiede un ulteriore chiarimento. Di norma i segnali di questo tipo vengono analizzati a partire da una loro registrazione entro un certo intervallo di tempo (periodo di osservazione), per cui la funzione è pari a zero dopo che è trascorso tale intervallo e la parte registrata è considerata come se fosse un transitorio. Da essa si individua il contenuto delle frequenze componenti mediante la trasformata di Fourier e, successivamente, dallo “spettro di frequenze” si effettua l’analisi del segnale, per attribuire al suo contenuto armonico un significato fisico. Nel caso di cui si tratta tale significato è rappresentato dal legame tra frequenze nello spettro e moto del flusso sanguigno. Il problema fondamentale delle analisi del segnale casuale o random è quello della durata della registrazione: questa, infatti, deve rappresentare un campione significativo, affinché si raggiunga la ragionevole certezza che esso sia rappresentativo di un fenomeno stazionario (ciò equivale a dire che le proprietà statistiche del campione, come valore medio, valore quadratico medio, varianza eccetera non cambiano nel tempo). Si deduce subito che si otterrebbero risultati certamente corretti se la lunghezza della registrazione, ovvero il periodo di osservazione fosse molto lungo, al limite infinito. Poiché ciò non può verificarsi, i risultati dedotti dal campione assumono una valenza statistica. In altri termini si stima la probabilità che i risultati siano corretti entro una determinata percentuale. Si dirà pertanto che i risultati ottenuti
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dal campione possono essere rappresentativi di quelli che si sarebbero ottenuti da una registrazione teoricamente infinita con una probabilità, per esempio, del 95 per cento (o maggiore).
10.8.3 Segnali aleatori Il segnale impulsivo inviato dalla sonda nella rappresentazione B-Mode è un segnale deterministico; in una certa misura è deterministico anche l’eco rimandato indietro dalla superficie di discontinuità tra due mezzi con differente impedenza acustica. Nel caso dell’indagine Doppler, invece, gli echi sono generati da una grande quantità di corpuscoli (i globuli rossi) che presentano una distribuzione caotica all’interno dei vasi e che sono animati da velocità altrettanto caotiche, particolarmente nel caso di moto turbolento: il segnale ricevuto dalla sonda è pertanto la somma di un gran numero di contributi e ha caratteristiche di aleatorietà, sono infatti aleatorie14 sia la sua ampiezza sia la sua frequenza istantanee. Durante un intervallo di tempo sufficientemente breve (T ≤ 10 ms), tuttavia, l’eco ricevuto mantiene caratteristiche in un certo modo “prevedibili”; ciò consente di quantificare parametri quali il valore atteso e l’intervallo entro il quale si cela l’effettivo valore istantaneo della velocità dei riflettori. Quindi, campionando il segnale ad andamento aleatorio durante l’intervallo di tempo T, entro cui le caratteristiche statistiche del segnale non variano, se ne possono stimare il valore atteso e la varianza. Un segnale aleatorio è definito come l’andamento temporale di una variabile aleatoria u o di una sua funzione f(u). Studiando l’andamento temporale della variabile aleatoria o di una sua funzione, è possibile in molti casi pratici estrarre importanti informazioni circa la frequenza con la quale un dato valore si manifesterà. A quest’osservazione è collegato il concetto di probabilità di un evento, che è essenzialmente sinonimo di frequenza di una data occorrenza di quell’evento all’interno di un processo fisico. Si consideri l’esempio del lancio ripetuto di un dado (figura 10.15a1): se in un grafico si riportano lungo l’asse delle ordinate il valore delle facce del dado dopo ciascun lancio e in ascisse il numero del lancio effettuato successivo al primo, si ottiene un diagramma come quello riportato nella figura 10.15a2 . Al riguardo si può rilevare che: – il valore di questa particolare variabile aleatoria è comunque compreso tra 1 e 6 e in tale intervallo può assumere solo valori interi; si tratta di una variabile aleatoria discreta (vale a dire che non esiste una faccia che riporti, per esempio, il valore 4,56);
14 In definiva, il segnale è aleatorio in quanto registrando, per esempio, un solo valore istantaneo, nulla si può affermare per caratterizzare il fenomeno fisico che lo ha generato. In altri termini, lanciando un dado una sola volta non si può affermare se questo è truccato oppure no; invece, lanciandolo un numero elevato di volte e calcolando quante volte esce in media ciascuna delle sei facce, si può verificare se il dado non è truccato (caso aleatorio) oppure se una faccia esce più frequentemente delle altre (caso deterministico).
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– l’uscita di una faccia del dado costituisce un esito (o evento 15), caratterizzato dall’essere equiprobabile rispetto all’uscita delle altre facce, vale a dire che non vi è motivo per cui su 10 000 lanci esca, per esempio, molte più volte il 4 rispetto al 3 oppure al 2, poiché tutti i risultati hanno la medesima probabilità. È possibile calcolare la media dei valori numerici delle facce uscite in ogni lancio. Con riferimento alla figura 10.15a, tale valore medio è u=
1 N ∑ u(n) ≅ 3, 5 N n=1
[10.42]
dove N è il numero totale di lanci e u(n) il valore numerico riportato sulla “faccia” del dado al lancio n-esimo. Il risultato è tanto più vicino a 3,5 quanto più elevato è N: è immediato infatti verificare che il valore 3,5 è al centro dell’intervallo di interi che va da 1 a 6. Il valore medio così calcolato non è però un numero intero e, quindi, non può in nessun modo rappresentare l’evento di uscita di una faccia del dado: a questo valore non è dunque possibile assegnare alcun significato fisico che consenta, per esempio, di prevedere l’esito di un nuovo lancio. In altri termini: nelle condizioni appena illustrate il valore atteso non è il valore più probabile; se il dado non è truccato, infatti, l’uscita di una faccia non è più probabile di quella delle altre. Tuttavia, fortunatamente vi sono altri fenomeni fisici che possono essere rappresentati per mezzo di variabili aleatorie per cui è possibile, e ha senso fisico, calcolare il valore medio e associarvi il significato di valore più probabile della variabile aleatoria, e ciò consente indubbiamente di incrementare la conoscenza del fenomeno fisico. Si consideri il caso, assai frequente in natura, nel quale il valore misurato di una variabile fisica è affetto da un errore “casuale” dovuto a un elevato numero di influenze esterne (grandezze di influenza, quali temperatura, umidità ecc.). Ponendo l’ipotesi che il risultato della misura xmis(t) in funzione del tempo sia dato dal valore x(t) assunto dalla grandezza fisica sommato a quello delle tante variabili “aleatorie” um(t) che costituiscono il disturbo, si ha una relazione del tipo M
x mis (t) = x(t) + ∑ u m (t) = x(t) + U(t)
[10.43]
m=1
Il solo disturbo U(t) è rappresentato dalla sommatoria di M variabili aleatorie um(t), per le quali si possono porre le seguenti ipotesi, peraltro spesso verificate con buona approssimazione:
15 Nel seguito della trattazione le denominazioni risultato ed esito saranno utilizzate come sinonimi per indicare il valore assunto dalla variabile aleatoria. A tale proposito si puntualizza che, nella teoria della probabilità, il termine evento viene utilizzato per individuare un gruppo di risultati dello spazio campione, dove quest’ultimo costituisce l’insieme di tutti i risultati possibili.
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– ciascuna um(t) può assumere solo i valori reali compresi tra un minimo e un massimo (per esempio da 1 a 6 per il dado); – ciascuna um(t) ha la stessa probabilità di assumere un valore qualsiasi entro tale intervallo (equiprobabilità); – ciascuna delle um(t) è indipendente (scorrelata) dalle altre. Se il numero M di variabili aleatorie um(t) è grande, al limite infinito, si dimostra16 che il disturbo complessivo U(t) è ancora una variabile aleatoria, per la quale la probabilità di assumere un dato valore piuttosto che un altro ha andamento descritto da una funzione gaussiana. Per chiarire ulteriormente il concetto appena esposto, nella figura 10.15 sono riportati, a titolo di esempio, gli andamenti di due variabili aleatorie corrispondenti a due diverse situazioni. Nella figura 10.15a1 è riportato il caso in cui un singolo giocatore (M = 1) effettua N = 10 000 lanci di dado: al tiro n-esimo corrisponde un valore u(n) della variabile aleatoria (un intero compreso tra 1 e 6). Si può quindi rappresentare l’insieme dei risultati in funzione del lancio come nella figura 10.15a2 , ossia riportando sull’asse delle ordinate tutti i valori che la variabile aleatoria può assumere (esiti possibili): tale diagramma è di difficile interpretazione ed è pertanto necessario avvalersi di una nuova rappresentazione grafica, dove siano esposte in modo più chiaro e sintetico le caratteristiche della variabile suddetta. A tal fine ci si avvale dell’istogramma delle frequenze 17 della figura 10.15a3 , dove in ascissa sono riportati, secondo una scala ordinata, tutti gli esiti possibili (esiti), mentre in ordinata il numero di volte che ciascuno di essi ricorre durante gli N lanci (occorrenze)18; in tal modo l’altezza di ciascuna barra dell’istogramma è proporzionale alla frequenza con cui il corrispondente risultato si presenta durante l’intero esperimento, ossia alla sua probabilità19. Dall’istogramma delle frequenze della figura 10.15a3 si nota come tutti gli esiti tendano a essere equiprobabili, in altre parole per ciascuno di essi si osserva con piccolo scarto la medesima frequenza, verificando le ipotesi di partenza sulla variabile aleatoria u(n).
16
La dimostrazione risiede nel ben noto teorema del limite centrale (Lyapunov). A tale diagramma viene anche attribuito il nome di istogramma delle occorrenze o istogramma delle probabilità; quest’ultima denominazione appare impropria, dato che nell’esempio proposto si riferisce alle frequenze di un numero finito N di campioni della variabile, mentre il concetto di probabilità presuppone un numero infinito di osservazioni. In altri termini, l’istogramma delle probabilità propriamente detto può essere visto come un passaggio al limite per N→∞ dell’istogramma delle frequenze in cui ciascuna barra è normalizzata rispetto a N (istogramma delle frequenze normalizzato). 18 Nell’esempio proposto, per esigenze di chiarezza, è stato scelto un numero estremamente limitato di risultati possibili: pertanto a ciascuna barra è stato fatto corrispondere un singolo valore x della variabile aleatoria (nel caso di u è x = 1, 2, ... , 6 mentre per U si ha x = 10, 11, 12, ..., 60). Si avvisa però il lettore che, in generale, le barre degli istogrammi rappresentano ciascuna un intervallo di valori (x–Δx/2, x+Δx/2) più o meno arbitrario entro cui tale variabile ricorre durante le osservazioni (ogni barra è “spessa” Δx): in queste condizioni è proprio a tale intervallo che viene associato il significato di evento, giacché esso costituisce un sottoinsieme dei risultati possibili. 19 Come si vedrà nel seguito, l’equivalenza tra “frequenza” di un evento e “probabilità” è in realtà il risultato di un passaggio al limite, che si ha quando il numero N di osservazioni sulla variabile (corrispondente al numero di lanci dell’esempio proposto) tende all’infinito. 17
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Figura 10.15. Andamenti nel tempo e istogrammi delle frequenze per due variabili aleatorie u(n) e U(n). In (a1) e (a2) la variabile aleatoria u(n) esprime il risultato di un tiro di dadi per M = 1 giocatore che effettua N = 10 000 lanci successivi (a ciascun valore sull’asse delle ascisse – numero del lancio – corrisponde un solo esito sull’asse delle ordinate), mentre in (b1) e (b2) la variabile aleatoria U(n) è data dalla somma dei risultati ottenuti contemporaneamente da M = 10 giocatori, che lanciano ciascuno un proprio dado: l’evento si ripete per N = 10 000 volte successive e il risultato è ogni volta la somma delle 10 facce uscite contemporaneamente (a ciascun valore sull’asse delle ascisse – numero del lancio – corrisponde un solo esito sull’asse delle ordinate, dato dalla somma dei dieci risultati ottenuti da ciascun dado). Negli istogrammi delle frequenze, raffigurati in (a3) e (b3), lungo le ascisse è riportato lo spazio campione (tutti gli esiti possibili della variabile aleatoria), mentre in ordinate è rappresentano il numero di volte in cui ciascun esito si manifesta, ossia le occorrenze relative a ciascun risultato.
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Quanto riportato nell’esempio precedente cambia radicalmente se, conducendo un nuovo esperimento dove i giocatori sono (per esempio) pari a M =10 (figura 10.15b1) ognuno dei quali effettua N = 10 000 lanci di dado. Il valore della variabile aleatoria U(n) al lancio n-esimo è dato dalla somma delle M singole variabili aleatorie um(n) (una per ciascun giocatore) condotta al medesimo lancio, ossia M
U(n) = ∑ u n (n) m=1
[10.44]
Infatti, in tali condizioni, già a partire dal diagramma degli esiti in funzione dei lanci (figura 10.15b2) si osserva una certa disuniformità: in particolare gli esiti si “addensano” maggiormente in una fascia di valori della variabile aleatoria U. Tale caratteristica risulta ancor più evidente se ci si riferisce all’istogramma delle frequenze della figura 10.15b3: la distribuzione dei risultati non è più uniforme (equiprobabile), come nel caso precedente, bensì assume la caratteristica forma a “campana” centrata sul valore medio, tipica della funzione gaussiana (distribuzione normale). Se l’altezza n x (corrispondente a ciascun esito x) di ognuna delle barre negli istogrammi della figura 10.15 viene normalizzata rispetto al numero complessivo di osservazioni N, l’istogramma rappresenta più propriamente la frequenza con la quale si verifica un dato risultato x sulle N prove (istogramma normalizzato delle frequenze). In particolare, se si ridefinisce come evento la circostanza per cui la variabile aleatoria U(t) – oppure U(n) – ha assunto un valore compreso in un intervallo 20 tra x–Δ x/2 e x+Δ x/2, una stima della probabilità dell’evento è fornita proprio dall’altezza n x /N della barra dell’istogramma normalizzato e viene indicata con l’espressione frequenza relativa dell’evento f(x) f(x) =
n x eventi favorevoli = N eventi possibili
[10.45]
Dagli esempi descritti e mostrati nella figura 10.15 emerge quindi un’importantissima proprietà della funzione U(t): per N>>1 (al limite ∞), la U(t) è una variabile aleatoria per cui il valore medio (pari a circa 35 nell’esempio) corrisponde anche al valore che si verifica con maggiore frequenza e quindi più probabile, nel senso specificato dalla [10.45]. A questo punto, per trattare analiticamente le funzioni di variabile aleatoria, è necessario richiamare alcuni concetti di base.
20 Ci si riferisce in questo caso generale a una variabile aleatoria f(t) come quella rappresentata nella figura 10.16. In realtà Δx rappresenta la base di ciascuna barra di un istogramma. Nel caso della figura 10.15 ciascuna barra dell’istogrammma ha ampiezza unitaria in quanto riferita a ciascuna faccia del dado (variabile discreta).
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Occorre osservare che la proprietà fondamentale delle elaborazioni statistiche è che esse hanno carattere predittivo, cioè rimangono valide anche per segnali che ancora non si sono manifestati. Vi sono due classi di grandezze statistiche che consentono l’analisi di segnali aleatori: quelle che descrivono l’ampiezza dei segnali e quelle che ne descrivono il contenuto in frequenza. Il valore medio di una variabile aleatoria discreta u(t), determinato su N misure della variabile, è per definizione 1 N ∑ u(t n ) N n=1
u(t)N =
[10.46]
A stretto rigore, il valore medio della u(t) si ottiene riducendo a zero l’intervallo di tempo tra un campione della variabile e il successivo e, contemporaneamente, estendendo a infinito la durata della prova T, si avrebbe 1 + T/2 ∫ u(t)dt T→∞ T − T/2
u(t) = lim
[10.47]
Le condizioni citate per il calcolo della [10.47] sono per evidenti motivi non realizzabili in pratica, sia perché non ha senso attendere un tempo infinito per eseguire una prova, sia perché non è possibile registrare valori infinitamente vicini nel tempo (frequenza di campionamento infinita). L’espressione [10.47] assume pertanto il significato di stima del valore medio, tanto migliore quanto maggiore è N. Un altro parametro di valore rilevante, perché direttamente riferito alla po— tenza contenuta nel segnale, è il valore quadratico medio u2(t) . Pertanto, su N valori estratti della variabile aleatoria u(t), si ha u(t)2N =
1 N ∑ u(t i )2 N i=1
[10.48]
Se la variabile u(t) è aleatoria, le grandezze citate, valore medio e valore quadratico medio, non forniscono in generale alcuna indicazione su come si presenta l’istogramma costruito a partire dalle manifestazioni della variabile u(t). In altre parole, nulla si può affermare in generale sulle distribuzioni delle ampiezze, cioè sulla probabilità che la variabile aleatoria ha di assumere un determinato valore. Si osservi che tale probabilità corrisponde alla frequenza con la quale la variabile aleatoria assume un prefissato valore, per esempio, nel corso di un esperimento durante il quale se ne effettua la misura. Per tale motivo occorre riferirsi a una stima della probabilità, piuttosto che alla probabilità, che teoricamente viene definita rispetto a un numero infinito di prove (vedi paragrafo seguente).
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10.8.4 Probabilità di un evento In generale, la probabilità P(A) di un evento A è definita come il numero di volte nA per cui in un processo fisico si verifica l’evento A, quando il numero di osservazioni N effettuate tende a infinito ⎡n ⎤ P(A) = lim ⎢ A ⎥ N→∞ N ⎣ ⎦
[10.49]
È evidente che per effettuare infinite prove si dovrebbe disporre di un tempo infinito: pertanto il valore della probabilità di un evento non è conoscibile. Nella pratica ci si limita ad acquisire un numero finito di osservazioni del fenomeno; quindi la P(A) calcolata con N finito assume il significato di stima della probabilità di un evento: in questo caso la [10.49] coincide con la [10.45] e la stima21 P(A) è tanto migliore quanto maggiore è N. Se si riconsidera l’esempio costituito dalla [10.42], il valore medio di una variabile aleatoria può essere quindi ricavato in maniera più immediata se si conosce la probabilità [10.49], ossia effettuando la somma di tutti i possibili eventi, moltiplicati per la probabilità che ciascuno di essi ha di verificarsi. Così la [10.42] diviene 6 R R ⎛n ⎞ R 1 u = ∑ x i ⎜ i ⎟ = ∑ x i f i ≅ ∑ x i pi = ∑ x i = 3, 5 i =1 i =1 i =1 6 ⎝ N ⎠ i=1
[10.50]
dove N è il numero di prove effettuate per calcolare la frequenza fi dell’evento i-esimo xi , di occorrenza ni e R il numero di eventi possibili. Nella [10.50], infine, la frequenza di ripetizione dell’evento fi = ni /N può essere sostituita con la probabilità pi , se la frequenza stessa è ricavata eseguendo un gran numero N di prove (legge dei grandi numeri). In particolare, considerando R eventi possibili e indipendenti, se P1, P2, …, PR sono le loro probabilità di verificarsi, la probabilità che in una prova si verifichi uno qualsiasi di questi eventi è, per il teorema della probabilità totale, Σi Pi ; ma, poiché il fatto che si verifichi uno qualsiasi degli eventi possibili è certo, la sua probabilità deve essere uguale a 1. Ne consegue che R
1 i =1 6 6
∑ pi = ∑ = 1
i =1
[10.51]
A conclusione di questo breve paragrafo, si può ribadire, con riferimento al risultato espresso dalla [10.50], il concetto fondamentale secondo cui è possi-
21
Dove P(A) è rappresentata dall’altezza della barra dell’istogramma descritta in precedenza.
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bile stimare le caratteristiche di un segnale aleatorio (per esempio valore medio) a partire dalla conoscenza a priori della probabilità pi , senza dover necessariamente eseguire un gran numero di prove.
10.8.5 Densità della probabilità All’evento A può in genere essere associato un numero mediante il procedimento della misurazione. Si consideri, per esempio, la misura di una ddp continua ai capi di un resistore che fornisce come risultato il valore di 5,87 mV. Come è noto in ciascun istante il valore di detta ddp è pari al prodotto della corrente I per il valore della resistenza R (legge di Ohm) più una quota parte dovuta essenzialmente al moto disordinato degli elettroni (agitazione termica), che è palesemente una variabile aleatoria. Si osservi che in genere non ha molto senso conoscere qual è la probabilità che la tensione ai capi del resistore sia, per esempio, esattamente 5,87 mV, mentre ha molto più senso conoscere qual è la probabilità che il valore dell’ultima cifra cada in un determinato intervallo (per esempio tra 5,871 e 5,875), e quindi con quale frequenza quella determinata tensione assume valori compresi tra un estremo inferiore e uno superiore. A tale riguardo conviene riferirsi a una nuova funzione detta densità della probabilità, che viene indicata con la notazione W(u). Essa è rappresentativa di un’elaborazione statistica di un segnale che fornisce informazione sulla forma d’onda ed è indipendente dal suo spettro di frequenza. È necessario preliminarmente definire la probabilità P che la grandezza u(t) sia compresa tra due specifici valori u e u+Δu, cioè P[u, u+Δu]. Al riguardo si osservi la figura 10.16, dove è rappresentato un tratto della u(t).
Figura 10.16. Schematizzazione della probabilità P come somma degli intervalli di tempo Δti durante i quali la funzione u(t) è compresa tra u e u+Δu, nell’intervallo di osservazione T.
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In particolare si riconosce che, nel tempo di osservazione T, la u(t) è compresa tra u e u+Δu negli intervalli Δti di tempo con i = 1, 2, 3, …, 6. Ciò consente di definire la probabilità P come P[u , u + Δ u] = lim T→∞
∑ Δt i
T
[10.52]
cioè la probabilità P è il limite per T→ ∞ del rapporto tra il tempo totale ∑Δti, nel quale la u(t) è compresa nell’intervallo u+Δu, e il tempo di osservazione T. Questa espressione è la traduzione in forma numerica (e quindi calcolabile) dell’espressione simbolica di probabilità di un evento [10.49]. Se ora si fa tendere Δu→0, il rapporto tra la probabilità P e l’ampiezza Δu, che tende a zero, fornisce un’indicazione di quanto sia “denso” l’andamento delle ampiezze, nel senso che se P rimane elevata anche quando Δu diviene piccolo, significa che vi sono molti valori della u(t) nell’intervallo considerato per quanto piccolo questo possa essere. Si definisce quindi la funzione di densità di probabilità con l’espressione W(u) = lim Δu→0
Δ P dP P[u ,u + Δu] = lim Δu→0 = Δu Δu du
[10.53]
Da questa definizione deriva che il prodotto W(u)du individua la probabilità che un valore u(t) si trovi nell’intervallo du. Dalla definizione emerge subito che la probabilità che u(t) sia compresa tra due determinati limiti u1 e u2 è data da u2
()
Pu ,u + Δu = ΔP = ∫ W u du u1
[10.54]
cui corrisponde l’area sottesa dalla funzione di densità di probabilità tra u1 e u2. È inoltre possibile verificare che la [10.54] valutata tra u e u+Δu riconduce alla definizione espressa mediante la [10.52]. Se l’intervallo di integrazione parte da –∞, la [10.54] assume il significato della probabilità che una variabile D(u) aleatoria assuma un valore qualsiasi minore del valore u. La funzione così ottenuta si chiama funzione di distribuzione D(u) della variabile aleatoria ed è funzione dell’estremo di integrazione u (figura 10.17d) u
D (u) = ∫ W(υ) d υ −∞
[10.55]
dove υ è la variabile di integrazione. Dato che la probabilità che una variabile aleatoria assuma un valore qualsiasi tra –∞ e +∞ deve essere unitaria (evento certo), si deve avere sempre
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+∞
∫ W(u) d u = 1
[10.56]
−∞
Da quanto affermato discende la relazione tra le funzioni di distribuzione di probabilità e densità di probabilità W(u) =
dD(u) du
[10.57]
La forma della funzione W(u), cioè il suo andamento in funzione di u, può essere qualsiasi; in particolare, come anticipato in precedenza, in molti fenomeni fisici la W(u) ha un andamento gaussiano, ovvero del tipo W(u) =
1 σ 2π
e
−
(u−u)2 2 σ2
[10.58]
Figura 10.17. Esempi di funzione di densità di probabilità (a, b, c). (a) Schematizzazione del calcolo della probabilità che ha la variabile aleatoria u di assumere un valore compreso nei vari intervalli mostrati nella figura. (b), (c) Procedimento per il calcolo della funzione di distribuzione D(u). Si osserva che, a partire dal primo estremo di integrazione posto a –∞, il secondo estremo viene spostato (a mo’ di “tendina”) e le aree così ottenute sono i valori della funzione di distribuzione indicate in (d). Siccome l’area racchiusa dalla curva rappresenta l’evento certo (probabilità pari a 1), in (d) si riconosce che la funzione di distribuzione ha un campo di variazione compreso tra 0 e 1.
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Essendo – u il valor medio e σ la deviazione standard, grandezza che viene illustrata nel seguito. Anche in questo caso occorre assumere che il fenomeno che si esamina abbia comportamento gaussiano: ciò non significa che esso sarà certamente gaussiano, ma questa assunzione ha condotto in numerose esperienze a risultati positivi; pertanto a essa si farà riferimento anche nei casi di interesse relativi alla circolazione sanguigna nei vasi. L’andamento della W(u) gaussiana è indicato nella figura 10.17. Dopo aver richiamato i concetti relativi alle funzioni che descrivono la probabilità che un evento si verifichi, è possibile definire le operazioni che consentono di calcolare praticamente i parametri che caratterizzano un dato processo aleatorio. Si definisce media d’insieme (o valore atteso) ηu di una variabile aleatoria u la seguente relazione ∞
()
η u = ∫−∞ u t W(u) du
[10.59]
Il valore atteso può essere interpretato come la media di ciascun valore che la variabile aleatoria può assumere pesato per la sua funzione di densità di probabilità, cioè pesato per la probabilità che ciascun valore di u ha di verificarsi. Si tratta di una media rispetto alla probabilità, piuttosto che rispetto al tempo 22. Nei casi in cui questi due valori coincidono, la variabile aleatoria u è rappresentativa di un processo 23 particolare, definito stazionario ed ergodico. Ciò è immediatamente verificabile nel caso del lancio ripetuto di un dado, dove l’espressione del valore atteso [10.59] si specifica nella sommatoria 1 1 1 1 1 1 ⋅1 + ⋅ 2 + ⋅ 3 + ⋅ 4 + ⋅ 5 + ⋅ 6 = 3, 5 6 6 6 6 6 6
[10.60]
dove 1/6 è il valore (costante) della probabilità di uscita di ciascuna faccia, moltiplicato per tutti i valori possibili delle facce. Come già visto, tuttavia, a questo valore non può, ovviamente, essere attribuito il significato di valore più probabile dell’uscita di una faccia piuttosto che di un’altra. Con riferimento alle figure 10.15a1,a2,a3 , il risultato della [10.60] (valore atteso) coincide con quello calcolabile eseguendo la media temporale sui valori delle facce del dado. In questo caso il processo possiede la caratteristica per cui le medie d’insieme e le medie temporali conducono allo stesso valore. Ciò
In altri termini il valore atteso ηu è anche il valore medio della variabile aleatoria stessa. Si definisce processo l’insieme di tutte le possibili realizzazioni di una variabile aleatoria. Come esempio pratico si consideri la registrazione dell’andamento di una variabile misurata da uno strumento (per esempio, la tensione ai capi di un resistore misurata con un voltmetro). La realizzazione è costituita dalla registrazione continuativa della tensione durante un unico intervallo di osservazione (singolo esperimento). Il processo è l’insieme di tutte le registrazioni della tensione effettuate a seguito di successivi esperimenti. 22
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Figura 10.18. Diverse realizzazioni di un processo aleatorio. I campioni del segnale utilizzati per il calcolo della media temporale (tratto nero) m-esima sono tutti gli um(tn) dell’m-esimo esperimento, mantenendo quindi fisso m e variando il tempo mediante l’indice n. I campioni necessari al calcolo della media d’insieme (tratto rosso) sono presi ognuno su un diverso esperimento m, ma tutti in corrispondenza del medesimo tempo tn.
emerge dall’osservazione della figura 10.18, ove il piano in colore verde (luogo dei punti in cui giacciono i valori delle medie di insieme e delle medie temporali) è parallelo agli assi dei tempi. Pertanto si ottiene l’importantissimo risultato di poter stimare parametri essenziali, quali il valore medio e il valore quadratico medio, a partire dalle medie di insieme o, viceversa, mediante il valore medio stimare la media d’insieme di una grandezza. La prima situazione è quella che si verifica per la stima della velocità media del sangue per mezzo dell’effetto Doppler. Infatti, come sarà ampiamente riferito nei capitoli 11 e 12, non è possibile rilevare con continuità la velocità del singolo gruppo di scatteratori (rouleau) all’interno del vaso sanguigno, per poterne calcolare la media temporale. Gli scatteratori vengono piuttosto interrogati con frequenza pari alla PRF e pertanto gli impulsi ultrasonori, emessi in tempi diversi verso la medesima posizione, investono rouleaux sempre diversi. Pertanto ciò che è possibile calcolare è la media d’insieme della variabile aleatoria corrispondente alla velocità del singolo rouleau, che solo nell’ipotesi di ergodicità coincide con quella temporale e quindi, nel caso specifico, con il valor medio della velocità del sangue in quel punto.
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Il risultato cui si è pervenuti è importante per i motivi che sono specificati nel seguito. Nella pratica si può definire realizzazione del processo aleatorio l’esecuzione di un esperimento i-esimo durante il quale si registrano con continuità i valori assunti dalla variabile aleatoria ui(t). Al fine di calcolare la relazione [10.47], la media temporale viene calcolata sull’evoluzione del fenomeno durante un unico “spezzone” (o m-esima realizzazione o m-esimo esperimento) del processo aleatorio. Diversamente, con riferimento alla figura 10.18, la media di insieme [10.59] si calcola registrando tanti spezzoni del processo, appartenenti a realizzazioni diverse della variabile aleatoria, eseguendo quindi più “esperimenti” successivi24. Il segnale è stazionario se la densità di probabilità non cambia scegliendo comunque l’istante tn . In pratica, gli istogrammi che si possono costruire utilizzando i campioni um(tn) sono tutti uguali rispetto al tempo. Si può affermare che il segnale è anche ergodico se le medie temporali sono tutte uguali, cioè se sono indipendenti dalla realizzazione e per di più coincidono con le medie d’insieme, calcolate come descritto. Pertanto, se per un segnale sono verificate le ipotesi di stazionarietà ed ergodicità25, allora si potranno calcolare indifferentemente il valore atteso o la media temporale, in quanto entrambi assumeranno lo stesso valore. La grande utilità di questo risultato risiede nel poter calcolare il valore atteso per mezzo di una semplice media temporale; ciò è tanto più utile per quelle variabili aleatorie per le quali al valore atteso può essere attribuito il significato di valore più probabile. Per esempio, disponendo di uno spezzone sufficientemente lungo, è possibile approssimare in maniera soddisfacente la media temporale del fenomeno, che può essere utilizzata al posto della media d’insieme. Viceversa, se si hanno a disposizione più realizzazioni del processo aleatorio (esperimenti), è naturale procedere al calcolo della media d’insieme, che può essere interpretata come media temporale. Un’importante applicazione di questa proprietà viene fornita dalla costruzione delle linee di vista del Color Doppler, nel quale numerosi siti adiacenti vengono interrogati – ciascuno da 8 a 16 volte – per mezzo degli impulsi ultrasonori, che costituiscono gli “esperimenti”. La serie di echi provenienti da ciascun volume di misura, in seguito all’invio da parte della sonda di un treno di impulsi costituito da 8-16 pacchetti di onde, corrisponde a più realizzazioni sulle quali è possibile effettuare una media di insieme utile per la valutazione delle velocità in funzione del tempo.
24 Le due scale temporali mostrate nella figura 10.18, quella dove si svolge il singolo esperimento e quella lungo la quale si calcolano le medie d’insieme, sono denominate rispettivamente “tempo veloce” e “tempo lento”. Questa denominazione è assai utile per comprendere il meccanismo di costruzione della linea di vista del Color Doppler qualora si disponga di pochi valori misurati. 25 Poiché stazionarietà ed ergodicità sono definizioni teoriche, in pratica si procede come segue. Si rileva sperimentalmente il più lungo intervallo di tempo entro cui il calcolo della media temporale e del valore atteso conducono allo stesso risultato. Successivamente si definisce l’intervallo così trovato come limite entro cui ha senso porre l’ipotesi di stazionarietà ed ergodicità del segnale e di tutti i segnali rappresentativi del medesimo fenomeno. Per esempio, per la stima della velocità del flusso sanguigno tale intervallo di tempo è stato riconosciuto pari a 10 ms.
Capitolo 10
· Elaborazione del segnale Doppler
619
Un’altra grandezza di importanza fondamentale nell’analisi statistica delle variabili aleatorie è la varianza σ2u, definita come26 ∞
(
) () 2
σ 2u = ∫ u − ηu W u du −∞
[10.61]
Il parametro σu , ottenuto dalla radice quadrata della varianza, viene detto deviazione standard e costituisce un indice di dispersione della variabile aleatoria intorno al valore atteso ηu : se σu ≅ 0, allora i valori assunti dalla variabile aleatoria sono tutti “concentrati” intorno a ηu , in corrispondenza del quale 27, di conseguenza, la densità di probabilità assume un aspetto estremamente “appuntito”. Viceversa, più elevata è la deviazione standard, maggiore è la dispersione della variabile aleatoria e, conseguentemente, la distribuzione della densità di probabilità risulta più “piatta”. In virtù delle caratteristiche appena menzionate, la rappresentazione della varianza nell’immagine CFI (vedi capitolo 12) consente di stimare il livello di turbolenza dei flussi emodinamici e, quindi, l’eventuale presenza di patologie circolatorie. Oltre al valore atteso e alla varianza è possibile ridefinire anche il valore quadratico medio, come ∞
u 2 (t) = m2u = ∫ u 2 W(u) du
[10.62]
−∞
Dalle [10.61] e [10.62] è possibile dimostrare che esiste una semplice relazione che lega la varianza σ2u al valore quadratico medio m2u , espressa sinteticamente dalla σ 2u =m 2u -η2u
[10.63]
Dalla [10.63] discende che varianza e valore quadratico medio coincidono se il valore atteso risulta nullo (processi a media nulla28).
10.9 Densità della potenza associata allo spettro di frequenze Il problema consiste nell’individuare un altro parametro, idoneo a caratterizzare un segnale casuale, che possa essere utilizzato nella rappresentazione della fluidodinamica dei vasi sanguigni. Tale parametro è associato alla possibilità di valutare la potenza del segnale f(t) e di fornire dati quantitativi: si tratta in sostanza di individuare una funzione Φ(ω) – le cui dimensioni siano watt Vedi, per esempio, J.R. Taylor (2000) Introduzione all’analisi degli errori (2a ed). Zanichelli, Bologna. Al limite, per σ = 0 la probabilità di trovare valori diversi da ηu è nulla e la variabile aleatoria “degenera” in un unico valore certo, ossia proprio il valore atteso, che a questo punto diviene una quantità costante. 28 Esempi di tali processi sono la tensione rilevabile ai capi di un resistore, per effetto dell’agitazione termica degli elettroni, e ancora il moto browniano. 26 27
Fondamenti di Ingegneria Clinica
620
· Ecotomografia
su hertz (W/Hz) – che descriva come la potenza (espressa in watt) è distribuita in funzione dello spettro in frequenza di f(t). Essendo non periodico, il segnale random può essere rappresentato dall’integrale di Fourier; quindi il suo contenuto in frequenza è rappresentabile per mezzo di uno spettro continuo. Così come la trasformata di Fourier attribuisce per ogni frequenza il valore dell’ampiezza e della fase della particolare componente sinusoidale, analogamente è possibile definire una funzione Φ(ω) detta spettro di densità di potenza: si tratta di una grandezza a carattere stazionario, che fornisce informazioni quantitative su come la potenza di un segnale aleatorio si distribuisce tra tutte le componenti armoniche che lo compongono. Nel caso di un segnale periodico, il procedimento attraverso il quale viene costruita la funzione Φ (ω) comporta la determinazione dei coefficienti di Fourier e la costruzione di uno spettro discreto, rappresentativo della potenza associata a ciascuna delle armoniche componenti. Vale a dire che se la ddp rappresentante, per esempio, la n-esima armonica Ancos(nω 0t)+Bnsin(nω 0t) (dove si ricorda che ω 0 è la pulsazione fondamentale) viene applicata al resistore di 1 Ω , la potenza istantanea che si dissipa nel resistore al tempo t vale [Ancos(nω 0t)+Bnsin(nω 0t)]2 (watt) e la potenza media nel periodo T, vale w A(n) = A 2n
1T 2 A 2n ∫ cos n ω 0 t dt = 2 T0
(
)
1T B2 w B(n) = B ∫ sin2 nω 0 t dt = n T0 2
(
2 n
)
[10.64]
mentre la potenza media associata alla n-esima armonica vale wn =
(
1 2 A n + B2n 2
)
[10.65]
Se si rammenta che nello sviluppo di Fourier, espresso con funzioni esponenziali complesse, i coefficienti An e Bn sono sostituiti dai coefficienti Xn secondo le relazioni Xn =
A n − jBn A + jBn e X ∗n = n = X −n 2 2
[10.66]
La potenza associata alla n-esima armonica può essere espressa mediante la relazione wn =
(
)
2 1 2 A − jB n A n + jB n A n + B n2 = 2 n = 2 X n X n* = 2 X n 2 2 2
[10.67]
Capitolo 10
· Elaborazione del segnale Doppler
621
Figura 10.19. Spettro di potenza di un segnale periodico (a) e andamento della densità spettrale di potenza di un segnale aleatorio (b).
Si può quindi costruire lo spettro di potenza calcolando i coefficienti Xn per le n = N armoniche ritenute significative, a partire da n = 0, per cui ω = 0 è la componente continua e wn = w0 la relativa potenza associata; successivamente, per n = 1 si ottiene la potenza associata alla pulsazione fondamentale ω 0 e così via. Si costruisce un grafico, dall’aspetto simile a quello indicato nella figura 10.19a, che viene chiamato spettro di potenza del segnale. A questo si associa la potenza cumulata totale WN , che è la somma delle potenze wn delle N armoniche componenti, compresa quella dovuta alla componente continua w0 . Ricordando quanto affermato a proposito della trasformata di Fourier per segnali non periodici, in maniera analoga si può calcolare lo spettro di potenza di un segnale non periodico, in particolare aleatorio. Si considera infatti il segnale aleatorio come un segnale periodico con periodo tendente all’infinito; pertanto la funzione Φ(ω) = limω 0→0 [wn], che corrisponde a T→ ∞, è una funzione continua della ω. La funzione Φ(ω) assume il nome di densità spettrale di potenza e ha le dimensioni di watt su radianti al secondo (W/rad/s) o watt su hertz (W/Hz) e quindi di un’energia. L’andamento della funzione continua Φ(ω) è diverso a seconda del contenuto in frequenza del segnale aleatorio analizzato e ricalca la distribuzione delle velocità del flusso in esame misurate tramite eco-Doppler. L’aspetto di tale Φ(ω) è riportato nella figura 10.19b. La densità spettrale ha significato analogo a quello illustrato di densità di probabilità: è definita infatti dall’area sottesa dallo spettro tra le frequenze di interesse. Così la potenza corrispondente all’intervallo Δω tra ω e ω + Δω vale Wω , ω+ Δω = ΔW = Φ(ω)Δ ω
( watt )
[10.68]
dunque essa è la potenza prodotta nella resistenza di 1 Ω dovuta alla frequenza angolare compresa nell’intervallo Δω, cioè è rappresentata dall’area compresa nella striscia di altezza Φ(ω) e base Δω.
Fondamenti di Ingegneria Clinica
622
· Ecotomografia
Similmente la potenza corrispondente all’intervallo di frequenze compreso tra ω1 e ω2 vale ω2
Wω1 ,ω2 = ∫ Φ(ω) d(ω) ω1
( watt )
[10.69]
L’area totale sottesa dalla curva di densità spettrale di potenza rappresenta la potenza totale associata al segnale: essa è in generale compresa tra la frequenza zero e la ωmax , che si manifesta nel flusso oggetto delle indagini, ed è pertanto rappresentata dalla relazione ω max
WTOT = ∫ Φ(ω) d(ω) 0
( watt )
[10.70]
10.10 Autocorrelazione e cross-correlazione L’autocorrelazione è una misura di quanto un segnale acquisito in un determinato istante di tempo t (che si presenta quindi con una certa configurazione) sia correlato con se stesso in istanti successivi e precedenti, assunti dopo un certo intervallo di tempo τ. La necessità di introdurre la funzione di autocorrelazione per il calcolo della velocità per mezzo dell’effetto Doppler è dovuta al fatto che occorre riconoscere se la velocità misurata e associata a un determinato rouleau (o globulo rosso), che procede nella corrente sanguigna, pos-
Figura 10.20. Schema a blocchi delle operazioni necessarie per poter ottenere sperimentalmente la funzione di autocorrelazione.
Capitolo 10
· Elaborazione del segnale Doppler
623
sa essere attribuita dopo un determinato intervallo di tempo al medesimo rouleau (o al medesimo globulo rosso). Questa sorta di “indice” di certezza è rappresentato da un’apposita funzione che consente di stabilire se la velocità del globulo rosso dopo il tempo τ è correlata a quella posseduta all’istante iniziale, cioè in definitiva se si sta inseguendo lo stesso rouleau (o lo stesso globulo rosso): tale funzione prende il nome di autocorrelazione. Intuitivamente, è immaginabile che quanto più un segnale è “caotico”, tanto più è imprevedibile la sua evoluzione temporale, e quindi non è possibile riscontrare un nesso (correlazione) tra il valore che assume in un dato istante e quello assunto dopo un qualsiasi intervallo τ, per quanto breve: si dice in tal caso che il segnale è totalmente scorrelato e che, quindi, si stanno osservando fenomeni diversi. Ciò posto, si consideri il prodotto di una funzione y*(t) e della sua replica “coniugata” e traslata di un tempo τ y * (t) ⋅ y (t + τ)
[10.71]
Si riconosce che per τ = 0 la [10.71] rappresenta il modulo al quadrato del segnale29. La funzione Ryy(τ), che si ottiene integrando la [10.71] al variare di τ , è la funzione di autocorrelazione (o integrale di autocorrelazione) e la sua determinazione sperimentale può essere realizzata a partire dallo schema a blocchi della figura 10.20, mentre la sua espressione analitica è fornita dalla ⎡ 1 + T/ 2 ⎤ R yy (τ) = lim ⎢ ∫ y * (t) ⋅ y (t + τ ) dt ⎥ = y * (t) ⋅ y (t + τ) T→∞ T − T/2 ⎣ ⎦
[10.72]
cioè, al variare di τ, la funzione di autocorrelazione è la media nel tempo del prodotto del valore istantaneo della funzione y(t) e della sua coniugata y*(t), misurate in due istanti separati da un intervallo di tempo τ. Il limite espresso dalla [10.72] esiste se il segnale y(t) è un segnale impulsivo. Dalla [10.72] si riconosce immediatamente che per τ = 0 si ottiene ⎡ 1 + T/ 2 ⎤ 2 R yy (0) = lim ⎢ ∫ y * (t) ⋅ y (t) dt ⎥ = y (t) T→∞ T − T/2 ⎣ ⎦
[10.73]
cioè la funzione di autocorrelazione Ryy(τ) valutata per τ = 0 è numericamente uguale al valore medio del modulo al quadrato del segnale e rappresenta la sua
Il prodotto tra segnali coniugati trova giustificazione nel fatto che la [10.72] valutata per τ = 0 definisce l’energia del segnale e che tale espressione deve essere reale. Per generalizzare anche a segnali complessi il concetto di energia totale, occorre quindi effettuare il prodotto tra segnali complessi e coniugati, che fornisce, com’è noto, un risultato reale pari proprio al modulo al quadrato del segnale:
29
∗
y (t) ⋅ y(t) = y(t)
2
624
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energia totale30. Il valore fornito dalla [10.73] è sempre positivo ed è il massimo della funzione Ryy(τ): ciò significa che la somiglianza (correlazione) tra un segnale e se stesso è, ovviamente, “perfetta” ed è necessariamente maggiore, o al massimo uguale31, a tutti gli altri valori assunti dalla Ryy(τ). Nella figura 10.21 è tracciato l’andamento della Ryy(τ) al variare di τ. La curva della Ryy(τ) mostra il livello di somiglianza tra i due segnali y(t) e y(t–τ), cioè mostra la somiglianza al variare di τ tra il segnale impulsivo e se stesso traslato di un tempo τ. L’impulso mostrato nella figura 10.21 ha un valore di autocorrelazione massimo per τ = 0 (come espresso dalla [10.73]), poiché la massima somiglianza si ha, chiaramente, quando il segnale si sovrappone a se stesso senza alcuna traslazione. Per gli altri valori di τ l’autocorrelazione presenta un andamento pseudoperiodico, che testimonia la circostanza per cui l’autocorrelazione ha un massimo relativo ogniqualvolta τ = T, con T pari allo pseudoperiodo del segnale. Ciò significa in pratica che nella [10.72] le funzioni periodiche y*(t) e y(t–T) sono in fase e, quindi, l’integrale del loro prodotto presenta un massimo relativo. Inoltre, dato che le oscillazioni presenti nella funzione impulsiva y(t) raggiungono un massimo e poi decrescono, anche il prodotto y*(t)·y(t–τ) ha un massimo e poi decresce come mostrato nella figura 10.21. È evidente che, se al variare di τ si avesse sempre R(τ) = 0 (eccetto nel caso di τ = 0), i due segnali non presenterebbero alcuna “somiglianza”; pertanto sarebbero completamente scorrelati tra loro, cioè sarebbero due segnali diversi. La funzione di cross-correlazione di due distinte funzioni del tempo, a somiglianza di quanto viene definito per la funzione di autocorrelazione, è fornita dall’espressione ⎡ 1 + T/ 2 ⎤ R y 1y 2 (τ) = lim ⎢ ∫ y 1 * (t) ⋅ y 2 (t + τ ) dt ⎥ = y 1 * (t) ⋅ y 2 (t + τ) T→∞ T − T/ 2 ⎣ ⎦
[10.74]
Il limite espresso dalla [10.74] esiste se almeno uno dei due segnali è un segnale impulsivo. La grandezza Ry1y2 (τ) è la misura di quanto il fenomeno descritto dalla y1(t) sia correlato al fenomeno descritto dalla y2(t), quando questi due distinti eventi sono osservati in istanti separati dall’intervallo di tempo τ. L’operazione di cross-correlazione viene fisicamente attuata seguendo il procedimento logico della relazione [10.74]. Nella figura 10.22 si mostra come l’istante temporale in cui la cross-correlazione è massima venga utilizzato per ricavare il ritardo esistente tra due segnali uguali, ma traslati uno rispetto all’altro di una quantità ignota τ′. Infatti, con riferimento alla figura 10.22, la 30 Questa affermazione è vera se il valore della [10.73] non è infinito. Se ciò si verifica, il segnale y(t) si dice segnale di energia: quanto affermato accade, per esempio, se il segnale ha durata finita ed è quindi un segnale impulsivo. 31 Nel caso di un segnale periodico, si ha un massimo ogni volta che τ è pari al periodo.
Capitolo 10
· Elaborazione del segnale Doppler
625
Figura 10.21. Esempio di autocorrelazione di un segnale impulsivo. Si osserva come il periodo T della funzione di autocorrelazione è il medesimo della funzione stessa.
cross-correlazione tra due segnali uguali è di fatto un’autocorrelazione: la cross-correlazione tra due segnali uguali ma traslati di τ′ è di conseguenza una funzione di autocorrelazione anch’essa traslata della stessa quantità τ′. Questa circostanza è immediatamente verificabile dal confronto della figura 10.21 con la figura 10.22: i due segnali uguali (o, più in generale, “simili”) da correlare possono essere, per esempio, gli echi provenienti in istanti successivi da un gruppo di globuli rossi in movimento; dallo studio della loro cross-correlazione è possibile quindi risalire ai ritardi tra di essi e quindi al moto del sangue. Questo procedimento verrà ripreso nel capitolo 12 appunto per descrivere una tecnica finalizzata alla stima, nel dominio del tempo, della velocità dei globuli rossi del sangue. Infatti, la funzione di cross-correlazione Ry1y2 (τ) viene utilizzata nella rappresentazione CFI e agisce direttamente sui segnali in radiofrequenza, cioè prima dell’operazione di demodulazione: per mezzo della Ry1y2 (τ)
Figura 10.22. Esempio di cross-correlazione tra segnali uguali ma traslati di un valore τ′ nel tempo uno rispetto all’altro.
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· Ecotomografia
viene valutato il tragitto dei globuli rossi (o meglio dei rouleau) misurando il tempo che essi impiegano (ritardo τ) nell’attraversare due volumi di misura successivi (vedi capitolo 12). Tale tempo si ottiene valutando, al variare di τ, quando è massima la Ry1y2 (τ) e da esso è possibile risalire in ultima analisi alla velocità dei riflettori. Questo metodo è indicato in letteratura con il termine time domain correlation e costituirà l’argomento delle pagine che seguono insieme alle applicazioni dell’analisi spettrale ai sistemi eco-Doppler.
Capitolo 11 Eco - Doppler
11.1 Introduzione Nel campo della clinica, l’ecotomografo rappresenta uno dei più potenti mezzi diagnostici, caratterizzato da assenza di danni collaterali per il paziente, almeno per quanto fino a oggi attestato1. Al riguardo è stato anche osservato che, seppure con diversa qualità di rappresentazione, l’ecotomografo è un ottimo sostituto dell’apparecchio radiografico, in special modo, nelle applicazioni ginecologiche, per le quali esso costituisce forse l’unico mezzo diagnostico. Va tuttavia osservato che l’impiego di mezzi di contrasto, nelle applicazioni angiografiche, cioè quelle nelle quali si rende evidente il sistema arterioso mediante l’immagine di liquidi radiopachi, rappresenta a tutt’oggi uno strumento non ancora superato, in particolare in ambito cardiologico (si veda per esempio la figura 9.15). Ciò nonostante l’angiografia pone in risalto solo gli aspetti “geometrici” morfologici (cioè tracciato, strizioni ecc.) del letto sanguigno, mentre non fornisce informazioni sulla dinamica del sangue nei vasi (arterie, vene, arteriole e capillari): in altri termini manca la “documentazione” dell’aspetto fluidodinamico, che è ricchissimo di informazioni diagnostiche relative alla fisiologia e alle patologie della circolazione del sangue. Questo importante aspetto è invece contemplato nei moderni ecotomografi che, oltre a svolgere le funzioni illustrate nei capitoli precedenti, sono in grado di riportare sullo schermo, unitamente all’immagine B-Mode, rappresentazioni grafiche che si avvalgono dell’effetto Doppler: in tale modo, è possibile osservare, sovrapposta all’immagine B-Mode, una nuova immagine, nella quale sono rappresentati tratti di vene o arterie, che compaiono colorati con diverse modalità per mostrare gli aspetti quantitativi e qualitativi del sangue che vi scorre. Occorre ricordare che, rispetto ai tomografi che utilizzano raggi X o alla risonanza magnetica nucleare (RMN), l’ecotomografo ha lo svantaggio di non raggiungere la medesima definizione nelle immagini, la cui interpretazione diagnostica risulta, pertanto, più difficoltosa. Tale limite, tuttavia, non sembra essere più di grande rilievo, sia perché i recenti sviluppi della tecnologia hanno consentito un significativo miglioramento della qualità delle immagini 1 La questione del danno associato all’utilizzo degli ultrasuoni nella diagnostica clinica è tutt’oggi aperta e riguarda complessi studi sull’interazione tra la materia biologica e la radiazione ultrasonora, ossia dei bioeffetti indotti da tale radiazione sui tessuti viventi.
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
ecotomografiche, sia perché gli specialisti del settore (ecografisti) hanno ormai maturato una notevole esperienza interpretativa, grazie alla quale è possibile abbandonare sempre più i mezzi diagnostici più costosi e, talvolta, più pericolosi. L’utilizzo dell’effetto Doppler negli ecotomografi ha condotto a diverse applicazioni, ciascuna delle quali si presta bene per il raggiungimento dei diversi scopi diagnostici. È possibile riassumere tali applicazioni fondamentalmente nei seguenti tre gruppi. – Doppler continuo, o a onda continua (Continuous Wave, di seguito indicato con l’acronimo CW), prevalentemente utilizzato nelle diagnosi vascolari, ossia per la misura della velocità nei grossi vasi. – Doppler pulsato, o a onda pulsata (Pulsed Wave, di seguito indicato con PW), utilizzato per la misura della velocità in volumi di prova localizzati a diverse profondità del distretto corporeo in esame2. – Color Doppler, o Color Flow Imaging (CFI), che consente la visualizzazione, per mezzo di una mappa di colori, della distribuzione della velocità dei globuli rossi in ampi tratti del letto arterioso o venoso. Associate al colore è possibile fornire anche informazioni sull’accuratezza della misura effettuata. Il Color Doppler consente pertanto la visualizzazione del campo fluidodinamico di un determinato tratto del sistema circolatorio, il che lo rende particolarmente utile nelle indagini cardiologiche. Nei paragrafi che seguono, dopo aver richiamato brevemente la fisica dell’effetto Doppler, vengono illustrate e citate le sue applicazioni CW e PW e le apparecchiature che ne consentono la realizzazione.
11.2 Effetto Doppler Nella fisica degli ultrasuoni l’effetto Doppler è caratterizzato dal fatto che la sorgente ultrasonora (che emette una radiazione di frequenza f0 ) e l’elemento ricevente (cioè quello che “sente” la frequenza trasmessa modificata per la presenza dell’effetto Doppler) costituiscono nel loro insieme la sonda o trasduttore, sia per le analisi con Doppler continuo (CW) sia per quelle con Doppler pulsato (PW). L’elemento riflettore, del quale si desidera misurare la velocità v per mezzo dell’effetto Doppler è costituito dal/i globulo/i rosso/i del sangue. Le condizioni di misura sono pertanto quelle illustrate nella figura 11.1 e schematizzate nella figura 11.2. Con riferimento alla figura 11.2a, si supponga che il riflettore3
2 Contrariamente a quanto accade per il CW, ciò consente una valutazione locale del campo emodinamico. 3 Nell’argomento di cui si tratta, il riflettore è costituito da un “aggregato” (rouleau) di globuli rossi (al limite è possibile considerare il rouleau come costituito da un singolo globulo). Questi aggregati costituiscono una fluttuazione della densità del sangue e quindi una variazione dell’impedenza acustica, causa del segnale retrodiffuso.
Capitolo 11
· Eco - Doppler
629
Figura 11.1. Effetto Doppler in un vaso sanguigno: sono rappresentati i trasduttori T di trasmissione e R di ricezione nella sonda nonché il flusso sanguigno di velocità v e angolo d’attacco γ (meglio definito nella figura 11.2) rispetto alla direzione di propagazione degli ultrasuoni.
Gr si muova con velocità v secondo una direzione di angolo α rispetto all’asse di propagazione del fascio trasmesso dal trasduttore TX , e di angolo β rispetto all’asse del piezoelemento ricevitore RX , entrambi inseriti nella medesima sonda4. In un determinato intervallo di tempo T0 , il numero n di lunghezze d’onda trasmesse da TX , che Gr incontra sul suo cammino, è pari alla somma del numero n1 che riceverebbe se fosse fermo, vale a dire c T0 /λ 0 , e del numero n2 dovuto al suo moto. Infatti, durante T0 , questo riflettore percorre un cammino pari a v cosα T0 nella direzione di propagazione e incontra quindi, solo per il fatto che è in movimento, un numero n2 di lunghezze d’onda pari a n2 = v cosα T0 /λ0 . Il numero totale di lunghezze d’onda incontrate nel periodo T0, è pertanto uguale a n = n1 + n 2 = c
T0 λ0
+ v cos α
T0 λ0
=
T0 λ0
(c + v cos α)
[11.1]
Dalla [11.1] discende che la frequenza effettiva ft, sperimentata da Gr avanzando con velocità v verso la sorgente, è pari al numero totale dei cicli incontrati nel tempo T0 cioè ft =
(
)
(
f n 1 c + v cos α = 0 c + v cos α = T0 λ 0 c
)
[11.2]
4 Come si vedrà in seguito tale schema corrisponde al CW Doppler (due trasduttori, uno di trasmissione e l’altro di ricezione, attivi contemporaneamente), ma le considerazioni di seguito esposte sono di validità generale e pertanto possono essere applicate anche al PW, pervenendo a risultati analoghi.
Fondamenti di Ingegneria Clinica
630
· Ecotomografia
Figura 11.2. Effetto Doppler: nella figura è schematizzata una sonda dotata di due piezoelementi, uno di trasmissione Tx e l’altro di ricezione R x (CW Doppler), inclinati in modo tale che le corrispondenti direzioni di propagazione dei fasci ultrasonori (in trasmissione e in ricezione) convergano secondo un angolo δ. (a) Il riflettore, dotato di velocità v e diretto secondo un angolo α rispetto all’asse di propagazione di Tx, si comporta da osservatore in moto (G r) rispetto a una sorgente ferma (Tx), per tale motivo sperimenta una lunghezza d’onda λ t minore di quella relativa alla radiazione incidente λ 0 (in rosso). (b) Lo stesso riflettore riportato in (a), dotato di velocità v e diretto secondo l’angolo β rispetto all’asse di propagazione di R x, si comporta da sorgente ultrasonora in moto (G s) rispetto a un osservatore fermo (R x), per tale motivo a R x giunge una lunghezza d’onda λ r (in verde) minore di quella relativa alla radiazione riflessa λ t.
Da cui deriva che la lunghezza d’onda λt “percepita” da Gr vale λt =
1 c λ0 c = = λ0 f t c + v cos α ⎛ v cos α ⎞ ⎜⎝1 + c ⎟⎠
(
)
[11.3]
La [11.2] costituisce l’espressione generale5 dell’effetto Doppler per un osservatore in movimento allorquando la sorgente sia ferma. A tale proposito, va ricordato che l’ostacolo investito dal fascio ultrasonoro (Gr nella figura 11.2a), diviene esso stesso sorgente d’ultrasuoni (Gs nella figura 11.2b), da ciò si intuisce come la λ r ricevuta dal piezoelemento ricevitore RX non solo differisca dalla λ 0, iniziale ma anche dalla λ t . Infatti, mentre emette l’onda riflessa alla frequenza ft , Gs si sposta nel periodo Tt = 1/ft di v cos β Tt , dove β è l’angolo tra v e l’asse di RX. Per questo motivo la distanza λ r, che intercorre tra due fronti d’onda successivi, corrisponde alla differenza tra lo spazio c Tt , percorso dall’onda in virtù della propria velocità di propagazione, e quello relativo al moto di Gs, che vale v cos β Tt . In altri termini la lunghezza d’onda λ r rilevata dal ricevitore RX è, nel caso proposto, più corta di quella emessa dalla sorgente TX e risulta pari a
5
Per maggiori dettagli si veda anche D. Halliday et al. (1998) Fondamenti di Fisica, 4a ed. Casa Editrice Ambrosiana.
Capitolo 11
· Eco - Doppler
631
v cos β 1− ⎛ v cos β ⎞ c λ r = cTt − v cos β Tt = Tt c − v cos β = λ t ⎜1 − = λ0 c ⎟⎠ v cos α ⎝ 1+ c
(
)
[11.4]
Esprimendo la [11.4] in termini di frequenza fr ricevuta dal trasduttore, si ottiene pertanto fr =
c λr
=
c c + v cos α = f0 c − v cosβ ⎛ v cosβ ⎞ λ t ⎜1 − ⎟ c ⎠ ⎝
[11.5]
Dalla [11.5] è possibile ricavare la variazione di frequenza fr– f0 denominata frequenza Doppler fD , o spostamento Doppler (Doppler shift) fD = fr − f0 = f0 v
cos α + cosβ c − v cosβ
[11.6]
La [11.6] può essere riscritta utilizzando le formule trigonometriche di bisezione, secondo le quali ⎛ α + β⎞ ⎛ α − β⎞ cos α + cos β = 2 cos ⎜ cos ⎜ ⎟ ⎝ 2 ⎠ ⎝ 2 ⎟⎠
[11.7]
Sostituendo pertanto la [11.7] nella [11.6], risulta fD = 2 f0
⎛ α + β⎞ ⎛ α − β⎞ v cos ⎜ cos ⎜ ⎟ c − vcosβ ⎝ 2 ⎠ ⎝ 2 ⎟⎠
[11.8]
Come accade nelle applicazioni cliniche, la velocità v dei globuli rossi è molto inferiore a quella di propagazione c (v/c ∝ 10–3), ciò fa sì che il termine v cosβ a denominatore nella [11.8] possa essere trascurato, pervenendo all’espressione approssimata fD ≅ 2 f0
⎛ α + β⎞ ⎛ α − β⎞ v cos ⎜ cos ⎜ ⎟ c ⎝ 2 ⎠ ⎝ 2 ⎟⎠
[11.9]
Nella [11.9] il prodotto dei due coseni viene in genere approssimato (vedi oltre) come cos(γ), dove γ è denominato angolo di attacco e rappresenta l’angolazione effettiva della direzione del moto, rispetto al fascio ultrasonoro. A tale proposito, nella figura 11.3 viene riportato un nomogramma che correla fD a f0 per differenti valori di γ (supposta la velocità di propagazione nel san-
632
Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
Figura 11.3. Nomogramma rappresentativo della relazione tra velocità v del riflettore, Doppler shift fD e frequenza della radiazione ultrasonora incidente f0 , al variare dell’angolo di attacco γ. I valori vengono calcolati supponendo per il sangue c = 1570 m s–1. Modificata da PNT Wells (1977) Biomedical Ultrasonics. Academic Press, London (con autorizzazione di Elsevier).
gue c = 1570 ms–1). Tale diagramma ha oggi un valore più didattico che applicativo, dato che ha consentito nei primi sistemi diagnostici di ricavare la velocità v, note la f0 , γ e la fD misurata. In basso a sinistra nella figura è riportato il metodo di calcolo, di cui si presenta di seguito un esempio di applicazione. Supponendo f0 = 5 MHz, γ = 35 gradi e fD = 1000 Hz, si segue nel diagramma a destra la linea curva a partire da f0 fino a intercettare l’ascissa corrispondente all’angolo di attacco γ, per essa si ricava un nuovo valore della frequenza sull’asse delle ordinate f0′ ≅ 4 MHz. A partire da f0′ viene tracciata una linea retta fino a intersecare la tacca corrispondente al Doppler shift fD sull’asse graduato a sinistra: tale retta interseca anche l’asse graduato delle velocità v, che nell’esempio proposto risulta essere di circa 200 mm s–1. Nella pratica quasi mai è possibile disporre dell’esatto6 valore di γ, pertanto la [11.9] viene approssimata in virtù delle dimensioni degli angoli α e β. Infat-
6
A causa delle inevitabili difficoltà di misurazione.
Capitolo 11
· Eco - Doppler
633
ti, riconoscendo nella figura 11.2 che α–β è pari all’apertura δ tra gli assi di TX e RX, la [11.9] si può riscrivere come ⎛ α + β⎞ v ⎛ δ⎞ f D = 2 f 0 cos ⎜ cos ⎜ ⎟ ⎟ ⎝ 2⎠ c ⎝ 2 ⎠
[11.10]
L’angolo δ/2 è un parametro costruttivo della sonda e dipende fondamentalmente dal tipo di applicazione cui essa è destinata: nel caso del CW Doppler, dove ci si avvale di almeno due trasduttori piezoelettrici che emettono e ricevono contemporaneamente la radiazione ultrasonora (figura 11.2), esso può variare da 1 a 15 gradi circa, mentre per il PW Doppler è nullo, essendo in quest’ultimo caso il medesimo piezoelemento utilizzato sia come trasmettitore (TX) sia come ricevitore (RX). In entrambi i casi cos(δ/2) può essere considerato unitario e quindi è possibile confondere l’angolo di attacco γ con (α+β)/2, ossia ⎧ ⎛ δ⎞ ⎪cos ⎜⎝ 2 ⎟⎠ ≅ 1 ⎪ ⎨ ⎪ α+β ⎪⎩γ = 2
[11.11]
Sostituendo le [11.11] nella [11.10] si ottiene la nota espressione che lega il Doppler shift alle caratteristiche sia della radiazione sia del moto del riflettore v f D ≅ 2 f 0 cos γ c
[11.12]
Riguardo alla [11.12] occorre fare alcune osservazioni. – I risultati ottenuti per riflettori animati da velocità v diretta verso il trasduttore sono direttamente applicabili anche a riflettori dotati di velocità –v in allontanamento da esso, purché si abbia cura di sostituire v con –v nelle equazioni corrispondenti. In particolare, si riconosce che l’espressione [11.6] non perde di generalità al variare del verso della velocità del riflettore: il Doppler shift fD risulta sempre pari alla differenza tra la frequenza ricevuta fr e quella trasmessa f0 , indipendentemente dal verso della velocità dei riflettori che lo producono. – La fD è tanto maggiore quanto maggiore è il valore di f0 . – Il fattore 2 a secondo membro della [11.12] può essere giustificato dal punto di vista fisico, oltre che matematico. Infatti il Doppler shift può essere visto come la somma di due contributi: lo shift in frequenza dell’onda incidente sul riflettore (fase di trasmissione) e quello dell’onda da esso riflessa (fase di ricezione). Essendo il moto del riflettore il medesimo in entrambi i casi (ed essendo v<
Fondamenti di Ingegneria Clinica
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· Ecotomografia
Figura 11.4. Effetto Doppler: nel caso in cui la velocità v di flusso abbia direzione differente da quella di propagazione dell’onda ultrasonora in fase di trasmissione (in rosso), la frequenza della radiazione ricevuta dalla sonda (in azzurro) corrisponde approssimativamente alla componente di v lungo la direzione dell’angolo γ (bisettrice dell’angolo di apertura tra i due trasduttori TX e RX).
– Essendo il rapporto v/c nelle comuni applicazioni cliniche dell’ordine di 10–5÷10–3, ne consegue che la frequenza Doppler fD appartiene al campo dell’udibile7. Per esempio, per v = 1 m s–1, f0 = 5 MHz e c = 1570 m s–1, la [11.12] fornisce fD ≅ 2 f0
1 v = 2 ⋅ 5 ⋅10 6 ≅ 6, 37 kHz 1570 c
[11.13]
– Tutte le misure Doppler tengono conto esclusivamente della velocità di un corpo che si avvicina o si allontana dal trasduttore. – Le assunzioni che conducono alla [11.12] equivalgono ad accettare, già a partire dal modello fisico, un errore sulla stima della velocità in genere compreso tra 0,1 e 3,5 per cento del valore effettivo. Ciò costituisce solo una prima fonte di incertezza nella velocimetria Doppler a ultrasuoni, la quale ancora oggi è soggetta a errori intrinsecamente elevati, che possono risultare superiori al 20 per cento anche in apparecchiature di tecnologia recente. Tutto ciò premesso, dalla [11.12] è possibile ottenere la velocità v dei globuli rossi individuabili entro un certo volume di osservazione
7
Si ricorda che il campo delle frequenze udibili si estende da 15-20 Hz fino a circa 20 kHz.
Capitolo 11
· Eco - Doppler
635
Figura 11.5. Doppler shift fD in funzione della velocità radiale, per diverse frequenze della sorgente; si osserva come la sensibilità cresca con la f0 .
v=
c fD 2 f 0 cos γ
[11.14]
Poiché nella pratica clinica è usuale misurare la velocità in centimetri al secondo, esprimendo fD in kilohertz, f0 in megahertz e supponendo c = 1570 m s–1, la [11.14] si trasforma nella v cm/s = 77
fD f 0 cos γ
[11.15]
Come già accennato, la frequenza Doppler fD è proporzionale a v cosγ, che rappresenta la componente (figura 11.4) della velocità delle particelle lungo la direzione di propagazione effettiva del fascio ultrasonoro ed è indicata con il termine velocità radiale: la denominazione trova giustificazione nel fatto che, se la velocità v è normale alla direzione di propagazione, tale componente è nulla e non è possibile osservare l’effetto Doppler 8. Nel grafico della figura 11.5 è riportato l’andamento di fD in funzione della velocità radiale per alcune frequenze f0 della sorgente. Si osserva come la misura di piccole velocità richieda elevati valori di f0 , a scapito della possibilità di osservazione in profondità, per effetto dell’attenuazione alle frequenze elevate. Peraltro il rilevamento di elevate velocità può essere eseguito in profondità con f0 di valore relativamente basso e con valori di γ elevati: per esempio, con γ = 60 gradi e v = 4 m s–1 (stenosi mitralica), se f0 = 2 MHz, si ha fD ≅ 5,1 kHz. 8 Nonostante l’ambiguità della dizione, tale velocità non deve essere confusa con la componente radiale del flusso sanguigno all’interno dei vasi (ossia quella lungo il raggio del vaso). Come già accennato nel capitolo 9, tale flusso si sviluppa nelle tre dimensioni e la velocimetria Doppler ne percepisce solo una parte, ossia la componente lungo l’angolo di attacco (velocità radiale).
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
Come si è visto, la frequenza Doppler fD cade nel campo delle frequenze udibili ed è quindi riproducibile attraverso altoparlanti: il segnale audio così generato viene genericamente indicato dagli specialisti del settore come segnale Doppler. Dal punto di vista applicativo non deve stupire che tale frequenza venga direttamente impiegata a livello clinico, poiché la sensazione uditiva a essa associata fornisce un’indicazione immediata relativamente al regime di moto del sangue nei vasi e consente, a un orecchio esperto, un primo orientamento diagnostico.
11.3 La misura della velocità dei globuli rossi Poiché i globuli rossi hanno dimensioni molto più piccole della lunghezza d’onda degli ultrasuoni utilizzati, la valutazione della loro velocità si fonda sui fenomeni oggetto della teoria classica sulla diffusione (Rayleigh), già presi in esame. Si ricorda che, in base a tale teoria, l’energia retrodiffusa dai globuli rossi è proporzionale alla quarta potenza della frequenza della radiazione ultrasonora entro la quale essi si muovono e alla sesta potenza del loro diametro. Per tali motivi il segnale Doppler dovuto al backscattering dei globuli rossi è molto debole e spesso comparabile con il rumore presente durante la misura9. Dal punto di vista teorico esiste la possibilità di “seguire” la traiettoria del singolo globulo rosso e di stabilirne la velocità per mezzo di strumenti matematici che si tratteranno nel seguito; tuttavia è difficile che un singolo globulo “cammini” da solo per un lungo tragitto, poiché di norma viaggia aggregato con altri globuli rossi e il livello di aggregazione10 è molto variabile, essendo in genere compreso tra 5 e 50, a seconda del valore del gradiente di velocità (shear rate). Da quanto osservato risulta che il livello di aggregazione e quindi la dimensione dei rouleaux (vedi il prossimo paragrafo) è il principale responsabile, assieme alla frequenza del fascio ultrasonoro, della potenza riflessa (backscattered power)11; ma va considerato che, a parità di numero di globuli rossi (rouleaux), ciò che conta è la loro organizzazione spaziale (structure factor o packing factor), dalla quale dipendono variazioni significative della predetta potenza. Dai brevi cenni esposti si intuisce la complessità dei fenomeni connessi alla diffusione degli ultrasuoni nel sangue: finora, infatti, questa è stata studiata per lo più con modelli matematici bidimensionali, che consentono di prevedere quantitativamente il livello della potenza riflessa in funzione di parametri fondamentali come l’entità di aggregazione, il valore dell’ematocrito, le caratteristiche del fascio ultrasonoro e dell’angolo di insonificazione.
9 Va inoltre considerato che l’attenuazione degli ultrasuoni nel sangue è relativamente bassa e approssimativamente pari a 0,15 dB/cm ·MHz1,2. 10 Intendendo con ciò il numero di globuli rossi che viaggiano insieme con la medesima velocità. 11 È stato osservato che essa può variare fino a 15 dB per frequenze inferiori a 10 MHz al variare dello shear rate. Per ulteriori approfondimenti si veda anche D.H. Evans, W.N. McDicken (2000) Doppler Ultrasound: Physics, Instrumentation and Signal Processing. Wiley.
Capitolo 11
· Eco - Doppler
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In particolare, la valutazione della potenza riflessa è stata compiuta con modelli fondati su due diverse assunzioni: la prima di queste tratta il sangue come un flusso continuo e isotropo, per il quale la sorgente della diffusione è costituita da variazioni di compressibilità e della densità di massa; la seconda considera il sangue come composto di piccoli aggregati, il cui livello di aggregazione varia fortemente con il gradiente di velocità dv/dr, essendo dr la variazione del raggio del vaso sanguigno12. Quest’ultima assunzione sembra essere più vicina alla realtà e conduce all’individuazione del coefficiente di backscattering del sangue Φbs , definito dalla potenza media retrodiffusa per steradiante e per unità di volume di fluido insonificato da un’onda piana di intensità unitaria. Nell’ipotesi ulteriormente semplificativa che l’impedenza acustica dei riflettori sia prossima a quella del plasma nel quale sono sospesi, si ha Φ bs = σ bs
H S VC
[11.16]
dove σbs è la sezione utile (backscattering cross-section) del singolo riflettore, cioè la potenza da esso diffusa, H il valore dell’ematocrito, VC il volume medio dei riflettori, da considerarsi uguali tra loro, e S il fattore di impacchettamento (packing factor). Sia σbs sia S sono funzioni della frequenza della radiazione incidente e, nell’ipotesi di diffusione di Rayleigh, σbs è proporzionale al quadrato del volume VC e, come già detto, alla quarta potenza della frequenza. La [11.16] non è di immediato utilizzo poiché – nonostante sia relativamente facile individuare σbs, H e VC quando nel modello gli eritrociti sono assimilati a sfere tra loro identiche – rimane dubbio il valore di S, che è il parametro più variabile in quanto associato ai diversi tipi di aggregazione che si possono stabilire. È pertanto necessario introdurre nell’espressione suddetta degli elementi di carattere statistico riguardanti il livello di aggregazione dei singoli eritrociti. Per tale motivo, prima di esporre la versione della [11.16] modificata, è opportuno accennare alla tipologia delle aggregazioni e ai parametri dai quali esse dipendono.
11.4 Modelli di aggregazione dei globuli rossi Le modalità fisiche attraverso le quali più globuli rossi si raggruppano formando aggregati, che in letteratura vengono chiamati rouleaux, non sono ben conosciute. Tuttavia, si ipotizza che esse dipendano da forze di adesione che si manifestano tra due globuli rossi quando essi sono sufficientemente vicini, contro le quali agiscono forze di repulsione dovute sia a effetti elettrostatici (prodotti dalle cariche negative presenti sulla superficie di ciascun globulo), sia al flusso sanguigno. In merito a tale secondo fattore, infatti, si è osservato
12 L.Y.L. Mo, R.S.C. Cobbold (1986) A stochastic model of the backscatter Doppler ultrasound from blood. IEEE Transactions on Biomedical Engineering. BME-33; 1: 20-27.
638
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· Ecotomografia
Figura 11.6. Valutazione dello stato di aggregazione del sangue in funzione dello shear rate. Da I. Fontaine, D. Savery, G. Cloutier (2002) Simulation of ultrasound backscattering by red cells aggregates: effect of shear rate and anisotropy. Biophysical Journal 82: 1696-1710 (riproduzione autorizzata).
che, se il gradiente di velocità è basso, il flusso non si oppone all’aggregazione dei globuli rossi, viceversa, se esso è elevato, ne favorisce la disaggregazione. Da ciò deriva che il parametro fondamentale da cui dipende l’aggregazione, e quindi il fattore di impacchettamento, è proprio lo shear rate dv/dr, a sua volta dipendente dal tipo di moto che si realizza nel vaso e, in ultima analisi, dal numero di Reynolds. Nella figura 11.6 sono raffigurati i risultati, dedotti da modello stocastico, per tre diversi valori dello shear rate in un’area di 180 ×180 μm2, dove i cerchietti vuoti rappresentano i globuli rossi non aggregati. In particolare le immagini sono state ottenute nella simulazione di aggregazioni di globuli rossi con ematocrito del 40 per cento, dove sono indicati a parità di dv/dr, tre diversi livelli di aggregabilità: basso, medio, alto.Si osserva come il numero delle aggregazioni diminuisca al crescere di dv/dr e come la loro entità, cioè il nume-
Capitolo 11
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ro dei globuli rossi che compongono i diversi rouleaux, cresca al diminuire di dv/dr. Infatti per valori molto bassi di dv/dr si possono individuare rouleaux composti da più di 300 globuli rossi. Dalle immagini riportate si trova conferma di quanto sia difficile tracciare l’andamento delle velocità del singolo globulo rosso mentre percorre un vaso sanguigno e, peraltro, di quanto sia indispensabile analizzare tutte le grandezze che descrivono il moto e la potenza diffusa dalla parte corpuscolare del sangue in termini di media e varianza. Per tenere conto di quanto riferito, la [11.16] si trasforma nella seguente13 Φ bs = σ b
⎛ σ2 ⎞ H S m ⎜1 + m2 ⎟ VC ⎝ m ⎠
[11.17]
dove, in aggiunta ai simboli già noti, si è indicato con m la misura della dimen– e σ la media e la deviazione standard delsione del singolo aggregato e con m m le dimensioni dei rouleaux. Per quanto attiene alla σb, cioè la backscattering cross-section del singolo eritrocita14, questa può essere espressa dalla V 2 π 2 ⎡ ⎛ ρe / ρp − 1 ⎞ ⎛ χe ⎞ ⎤ σ b = C 4 ⎢3 ⎜ ⎟ + ⎜ − 1⎟ ⎥ λ ⎢⎣ ⎝ 2ρe / ρp + 1⎠ ⎝ χ p ⎠ ⎥⎦
2
[11.18]
dove λ è la lunghezza d’onda dell’ultrasuono, mentre χp , χe , ρp e ρe sono i coefficienti di comprimibilità15 e densità rispettivamente del plasma e degli eritrociti. Sostituendo la [11.18] nella [11.17] si ottiene in definitiva 2
⎛ σ 2m ⎞ V π 2 ⎡ ⎛ ρe / ρp − 1 ⎞ ⎛ χe ⎞ ⎤ + − 1 Φ bs = C 4 ⎢3 ⎜ HS m ⎥ ⎟ ⎟ ⎜ ⎜1 + m 2 ⎟ λ ⎢⎣ ⎝ 2ρe / ρp + 1⎠ ⎝ χ p ⎠ ⎥⎦ ⎝ ⎠
[11.19]
Occorre ricordare che, a rigore, la [11.19] sarebbe applicabile solo a oggetti sferici, ma nella pratica essa costituisce un riferimento anche per altre applicazioni, tra cui gli aggregati e in special modo il sangue. Infine si rileva che la S deve essere ulteriormente specificata per tenere conto dell’angolo di insonificazione: a tale proposito occorre riferirsi ai lavori di Shung et al. (1977)16 cui il lettore è rimandato per la conoscenza dei dettagli
13 Per ulteriori approfondimenti si veda anche D.H. Evans, W.N. McDicken (2000) Doppler Ultrasound: Physics, Instrumentation and Signal Processing. Wiley. 14 Si veda a tale proposito quanto detto nel capitolo 4. 15 Per la definizione di tali coefficienti si rimanda al capitolo 3. 16 K.K. Shung et al. (1977) Angular dependence of scattering of ultrasound from blood. IEEE Trans. Biomed. Eng., BME-24: 325-331.
640
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teorici. La formula di Rschevkin17 per il calcolo della potenza P(θ) (con θ angolo di insonificazione) ricevuta dal trasduttore può essere scritta come ⎡ ⎛ ρe / ρp − 1 ⎞ ⎛χ ⎞⎤ cos θ + ⎜ e − 1⎟ ⎥ P(θ) ∝ ⎢3 ⎜ ⎟ ⎝ χ p ⎠ ⎥⎦ ⎢⎣ ⎝ 2ρe / ρp + 1⎠
2
[11.20]
Concludendo questo paragrafo è bene riflettere su come sia arduo affermare di poter misurare la velocità del sangue per mezzo dell’effetto Doppler del singolo globulo rosso: certo non è impossibile, ma è difficile seguirne la “storia” durante il suo tragitto nei vasi, mentre da solo si stacca da un rouleau per congiungersi a un altro, al variare delle condizioni di flusso pulsatile e quindi dello shear rate. Nella letteratura scientifica del settore si constata una mancanza di definizione degli “oggetti” dei quali si misura la velocità: taluni accennano al singolo globulo rosso, mentre altri riferiscono genericamente di “gruppi di globuli rossi”. La difficoltà di isolare un singolo globulo rosso e di riferirsi solo a quello per un tratto relativamente lungo di tragitto, rende necessario il ricorso a dati medi con associata la relativa varianza. Per tali motivi nel Color Doppler la rappresentazione del campo fluidodinamico è di tipo pittorico, con colori diversi attribuiti ai valori medi della velocità e allo scarto quadratico medio corrispondente. Queste osservazioni spiegano perché le diagnosi sulle grandezze di natura cinematica e geometrica, condotte in base alle condizioni fluidodinamiche del sangue entro un determinato distretto anatomico, hanno spesso un carattere più qualitativo che quantitativo; proprio per tale motivo la conoscenza della fisica del backscattering dei globuli rossi consente di attribuire la corretta importanza alle specifiche modalità mediante le quali viene effettuato l’esame Doppler. Tali modalità sono oggetto delle pagine che seguono.
11.5 Principali metodi per misurare la velocità tramite effetto Doppler Le due principali modalità che si avvalgono di ultrasuoni per misurare la velocità del sangue nei vasi sono il Doppler continuo (CW) e il Doppler pulsato (PW). Nelle apparecchiature moderne è estremamente difficile che non siano presenti entrambe, poiché grazie alle loro differenti caratteristiche forniscono, nel complesso, molte delle informazioni necessarie all’operatore per disporre di un quadro clinico esaustivo della fisiologia o della patologia circolatoria. Il metodo CW richiede una tecnologia relativamente semplice e ha la caratteristica fondamentale di raccogliere dati correlati alla velocità del sangue, senza distinzione della profondità dalla quale tali informazioni provengono. Si suole dire che non vi è risoluzione di profondità, se si eccettua la circostanza
17
Rschevkin S.N. (1963) A Course Of Lectures On The Theory Of Sound. Pergamon, Oxford (p. 374).
Capitolo 11
· Eco - Doppler
641
Figura 11.7. Aspetti a confronto del Doppler continuo (CW) e del Doppler pulsato (PW): il CW si avvale di almeno due trasduttori (TX e RX) che agiscono contemporaneamente, mentre il PW impiega un solo piezoelemento, che alternativamente irradia il mezzo (fase di trasmissione) e riceve i corrispondenti Doppler shift (fase di ricezione). Contrariamente al CW, dove l’informazione ecografica perviene da una regione di osservazione prefissata e di grande estensione, il PW consente di selezionare un volume di prova di piccole dimensioni e, quindi, di valutare la velocità del sangue localmente.
che i segnali che hanno origine in vicinanza del trasduttore, essendo meno attenuati rispetto a quelli che provengono da maggiore profondità, hanno ampiezza maggiore. Il metodo CW, pertanto, non fornisce alcuna informazione circa il “range” al quale si verificano i moti del flusso sanguigno e non consente, quindi, lo studio delle strutture profonde (cuore e organi vascolari). D’altra parte il CW non presenta alcun limite nella misurazione della velocità, indipendentemente dal suo valore massimo; ciò rappresenta un grande vantaggio poiché non può verificarsi il fenomeno dell’aliasing, che è invece tipico del metodo PW. Il PW Doppler, consente la localizzazione del volume di prova a profondità comunque scelte e quindi la misura della velocità entro una regione selezionata all’interno del corpo umano. Nella figura 11.7 viene schematizzata la modalità di misura nel PW Doppler rispetto a quella CW. La larghezza del volume di prova è pari a quella del fascio ultrasonoro, mentre la lunghezza è determinata dalla durata dell’impulso trasmesso. A fronte di questo vantaggio, occorre osservare che inviare impulsi con una determinata frequenza introduce un limite al valore massimo della velocità misurabile per effetto del fenomeno di aliasing, che si introduce ogni volta che esiste un segnale campionato. Nel PW il segnale Doppler è campionato ogni volta che si trasmette un impulso e la frequenza di campionamento fS è quindi pari alla PRF; ciò significa che, per evitare l’aliasing, la fD deve essere minore e al mas-
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· Ecotomografia
simo uguale alla metà18 di fS cioè fD ≤ fS /2 (l’argomento sarà ripreso con maggiore dettaglio nel paragrafo 11.17). Nei paragrafi che seguono vengono illustrate le prestazioni, le modalità di presentazione dei risultati della misura della velocità, nonché gli schemi a blocchi che la descrivono nelle due modalità di misura.
11.5.1 Il Doppler Continuo CW L’espressione riportata nella [11.12] esprime lo spostamento Doppler fD che deve essere inteso come variazione della frequenza trasmessa f0 di una quantità fD dipendente dalla velocità dei globuli rossi. In altri termini, la f0 deve essere considerata come frequenza portante sulla quale è inserita l’informazione utile, che è costituita dalla fD : si tratta pertanto di una modulazione di frequenza della f0 . Ciò significa che il segnale ricevuto dal piezoelemento RX può essere espresso da una relazione del tipo
{
}
sr (t) = A sin ⎡⎣2π f r (t)t ⎤⎦ = A sin 2π ⎡⎣ f 0 ± f D (t)⎤⎦ t
[11.21]
dove si è indicato con sr(t) il valore della tensione prelevata all’uscita del piezoelemento ricevitore, con A la sua ampiezza e con fr (t) la sua frequenza istantanea. Il pedice r sta a ricordare che si tratta del segnale ricevuto. In realtà, la velocità con cui si muovono i riflettori, e quindi la frequenza Doppler, non è costante ma in generale varia nel tempo, si tratta cioè di una fD (t). Tuttavia nella presente trattazione si considera per semplicità il Doppler shift fD (t) = fD costante e, al momento, unitaria e costante l’ampiezza A. Al fine di estrarre il segnale Doppler da quello ricevuto dalla sonda, è necessario demodulare quest’ultimo, moltiplicandolo per la portante (sinusoidale) a frequenza f0. Dalla [11.21], tenendo presente che è A = 1, si ottiene quindi il segnale demodulato d(t)
(
)
(
d(t) = sr (t)sin 2π f 0 t = sin ⎡⎣2π ( f 0 ± f D )t ⎤⎦ sin 2π f 0 t
)
[11.22]
Utilizzando le formule trigonometriche per lo sviluppo di termini del tipo sin(α ± β), si ottiene un’espressione19 che contiene termini sinusoidali a frequenza doppia di quella della portante e termini a frequenza pari a quella del solo segnale Doppler per cui, filtrando il segnale d(t) con un filtro passa bas-
18 Tale considerazione deriva dal teorema di Shannon sul campionamento, tenendo conto del quale è possibile ricostruire un segnale campionato. 19 Quanto qui affermato costituisce un’anticipazione delle prossime pagine, si veda a tale proposito [11.42] e [11.43].
Capitolo 11
· Eco - Doppler
643
so, vengono eliminati i termini a pulsazione 2ω0 e rimane solo il termine a pulsazione ωD = 2π fD. Si ricorda che quanto affermato è valido per fD costante, corrispondente a una velocità costante dei riflettori. In realtà, la velocità dei riflettori segue l’andamento della pressione sistolica; di conseguenza fD non è costante e, rappresentando un segnale di tipo periodico, può essere concepito, secondo Fourier, come somma di componenti sinusoidali elementari. Per semplicità, e senza perdita di generalità, si suppone che i riflettori siano animati da una velocità che segue una legge temporale v(t) = vm·sin(ωm t) = vm·sin(2π fm t), essendo fm la frequenza con la quale varia la velocità dei riflettori. Nell’ipotesi di angolo di attacco γ = 0, il Doppler shift fD (t) è pertanto f D (t) =
(
2 f0 v m sin 2π f m t c
)
[11.23]
in cui la frequenza Doppler fD(t) varia nel tempo perché varia nel tempo, con legge sinusoidale, la velocità dei riflettori. Pertanto il segnale Doppler sr(t) della [11.21] si esprime come ⎡ ⎛ 2f sr (t) = A sin ⎡⎣2π f 0 ± f D (t) t ⎤⎦ = 1⋅ sin ⎢2π ⎜ f 0 ± 0 v m sin 2π f m t c ⎣ ⎝
(
)
(
⎤ ⎡ 2 = sin ⎢ω 0 t ± ω 0 t ⋅ v msin(ω m t)⎥ c ⎦ ⎣
⎞ ⎤
)⎟⎠ t ⎥ = ⎦
[11.24]
Dall’ultimo membro della [11.24] si riconosce come il segnale sia modulato in frequenza (FM) dalla funzione vm sin(ωmt); ciò ne consente lo sviluppo in una serie di funzioni di Bessel. In particolare, è possibile esprimere una funzione sinusoidale, nella quale la frequenza varia a sua volta con legge sinusoidale, sotto forma di somma di infiniti termini di frequenza costante, secondo quanto riportato di seguito ∞
sin(α + x sin β) = ∑ J n (x ) sin(α + nβ) n=−∞
[11.25]
dove Jn sono le funzioni di Bessel di prima specie di ordine n. Pertanto lo sviluppo della [11.23] corrisponde a una specializzazione dell’equazione precedente in cui α = ω0t, x = 2 ω0t vm /c e β = ωmt. Il contenuto armonico di un segnale FM è molto complesso; pertanto non è semplice estrarne il contributo dovuto alla frequenza di Doppler shift. Inoltre l’andamento dell’ampiezza delle varie armoniche, dipendendo dai valori assunti dalla funzione di Bessel, non è lineare al variare delle caratteristiche del segnale modulante. Tuttavia, se il segnale viene acquisito ed elaborato in intervalli di tempo successivi di durata T molto minore rispetto al periodo della
644
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· Ecotomografia
modulante Tm = 1/fm (per esempio, T = 10 ms << Tm), allora fD può essere ritenuto costante20, e il segnale assume nuovamente la forma elementare della [11.21], risultando valido il procedimento di demodulazione mediante filtraggio della portante, come risulterà più evidente dalle considerazioni esposte nel successivo paragrafo.
11.6 Strumentazione di base CW con uscita acustica La più semplice apparecchiatura che realizza il CW è illustrata nello schema a blocchi della figura 11.8. Le funzioni essenziali sono svolte in tre blocchi: il primo è costituito dalla sonda, il secondo dai circuiti che elaborano il segnale di uscita da essa (signal processor) e, infine, il terzo è destinato ad accogliere i circuiti necessari per la presentazione del risultato di tale elaborazione. Nel caso più semplice, schematizzato nella figura, l’ultimo blocco è costituito da un altoparlante, ma nei modelli più complessi (esaminati in seguito) in esso sono inclusi gli elementi per la presentazione visiva su schermi TV in bianco/nero o a colori (image processing). La sonda è costituita da due piezoelementi separati (figura 11.7), che provvedono rispettivamente alla trasmissione e alla ricezione dell’onda continua contenente l’informazione Doppler. Con riferimento alla figura 11.8, l’oscillatore produce un segnale elettrico a frequenza f0 necessario ad attivare il piezoelemento trasmettitore, mentre l’onda ultrasonora, ricevuta a frequenza fr , eccita il piezoelemento ricevitore, il quale mette pertanto a disposizione una corrispondente tensione elettrica che, nel caso del segnale Doppler, è dell’ordine della decina di microvolt. Dopo la necessaria amplificazione (amplificatore RF), tale tensione viene elaborata nel blocco demodulatore, secondo il procedimento descritto nel paragrafo 11.5.2, e da essa si estrae il segnale Doppler che, occupando una banda acustica, può essere inviato a un altoparlante21. È necessario che a valle del demodulatore sia inserito uno speciale filtro, denominato filtro di parete, la cui funzione essenziale è quella di eliminare la parte di segnale Doppler di bassa (o bassissima) frequenza prodotto dal lento movimento delle pareti dei vasi sanguigni o da altre strutture anatomiche22. Se paragonati a quelli prodotti dai globuli rossi, questi segnali hanno intensità talmente elevata che renderebbe assai ardua l’amplificazione di segnali modesti e, pertanto, devono essere eliminati. Il problema è di grande rilevanza nel processamento del segnale Doppler, pertanto l’argomento sarà ripreso nel seguito con maggiore dettaglio per illustrarne la sua soluzione. 20
Per tale motivo l’intervallo di tempo T viene anche indicato come periodo di stazionarietà (o intervallo di stazionarietà) del segnale Doppler. 21 A sua volta pilotato da un amplificatore di potenza in AF (audio frequency). 22 Facendo riferimento, per esempio, a quei distretti anatomici che si muovono seguendo gli spostamenti prodotti dall’atto respiratorio.
Capitolo 11
· Eco - Doppler
645
Figura 11.8. Schema a blocchi di sistema diagnostico per CW Doppler: si riconoscono la sonda, il blocco di ricezione ed elaborazione del segnale e l’ altoparlante.
Quanto mostrato nella figura 11.8 costituisce un semplice schema di principio; una situazione più vicina alla realtà costruttiva è presentata nello schema della figura 11.9, che comprende altri blocchi essenziali per il funzionamento: in particolare vengono riportati gli elementi componenti un’apparecchiatura di un CW, con le relative forme d’onda in uscita da ciascun blocco. Nello specifico, sono mostrate le operazioni di demodulazione e filtraggio per l’estrazione del segnale Doppler, analiticamente rappresentate dalle equazioni [11.21] e [11.22] e dalle forme d’onda della figura 11.10. L’oscillazione di frequenza f0 , prodotta dall’oscillatore, amplificata dall’amplificatore di potenza in radiofrequenza, va ad alimentare il piezoelemento trasmettitore, che a sua volta la invia nel mezzo da indagare sotto forma di onda ultrasonora (1 nella figura). Il piezoelemento ricevitore viene eccitato dall’onda riflessa di frequenza fr che contiene l’informazione Doppler sr(t)(2 nella figura) che, amplificata dall’amplificatore in radiofrequenza, viene inviata al mixer ove si effettua il prodotto sr(t)·sin(2 π f0 t) con l’oscillazione trasmessa (vedi [11.22] e 3 nella figura) dando luogo alle due componenti fr + f0 e fr – f0 . Il segnale così ottenuto, successivamente “depurato” da un filtro passa basso che lascia passare solo la componente fD = fr – f0 a frequenza audio (segnale Doppler), è amplificato in potenza e inviato a un altoparlante. Il procedimento che consente di ottenere il segnale audio, a partire dalla frequenza ricevuta fr , è chiamato demodulazione, mentre l’insieme dei due circuiti, che operano rispettivamente il prodotto sr(t)·sin(2 π f0 t) e il filtraggio (che elimina la componente in radiofrequenza fr + f0 ), è indicato come demodulatore o rivelatore.
646
Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
Figura 11.9. Schema degli elementi necessari per la generazione e l’elaborazione del segnale Doppler continuo. Nella figura sono anche rappresentate le successive elaborazioni subite dal segnale (indicate con 1, 2, 3, 4).
11.7 Strumentazione con uscita su monitor (grafica) L’apparecchiatura descritta nel precedente paragrafo fornisce come unico elemento diagnostico un suono che deve essere interpretato dall’operatore, il quale, seppure esperto, non può ottenere elementi quantitativi che consentano di esprimere una diagnosi documentata. L’apparecchiatura è molto semplice e può considerarsi, sotto tutti i punti di vista, come uno stetoscopio un po’ sofisticato e, al pari di questo, non consente di conoscere: – il verso della velocità della massa fluida, cioè se essa si allontana o si avvicina al trasduttore; – il valore di tale velocità; – lo spettro delle velocità, cioè la gamma dei valori delle velocità assunte dai globuli rossi nella regione di osservazione (che consentirebbe di classificare il tipo di moto). Quest’ultima misura, in particolare, è assai ricca di informazioni diagnostiche, in quanto un modesto divario delle velocità nel campione di misura indica un moto ordinato e quindi assimilabile a un moto laminare, cioè privo di
Capitolo 11
· Eco - Doppler
647
vortici, la cui presenza invece comporta un ampio divario tra le velocità misurate e può essere, per esempio, indice di ostruzioni. Occorre pertanto modificare lo schema della figura 11.9 introducendo due blocchi funzionali: un demodulatore direzionale e un analizzatore di spettro. Il demodulatore direzionale, che sostituisce il demodulatore esistente, consente di disporre di due uscite, la prima per le velocità che hanno il verso delle particelle in avvicinamento alla sonda, la seconda per quelle che hanno il verso delle particelle in allontanamento da essa. L’analizzatore di spettro consente, invece, di osservare la distribuzione delle velocità delle singole particelle contenute nel volume di osservazione, ossia lo spettro delle velocità. A tale riguardo occorre ricordare che il flusso sanguigno è variabile secondo quanto imposto dal ciclo cardiaco; pertanto gli spettri di velocità cambiano istante per istante: ne deriva che il ciclo cardiaco viene raffigurato da una serie di spettri, ciascuno dei quali rappresenta in un determinato istante il divario delle velocità nel volume di misura, e il cui andamento temporale è di natura periodica. Come sarà spiegato nel seguito, gli spettri predetti forniscono una misura dei valori delle velocità dei globuli rossi sia in avvicinamento alla sonda, indicate nel seguito come velocità positive, sia in allontanamento, altrimenti dette velocità negative; pertanto occorrerà riportare due serie separate di spettri, a ciascuna delle quali assegnare la rappresentazione delle velocità positive e negative. Nelle pagine seguenti è illustrato il principio di funzionamento dei nuovi blocchi funzionali, nonché le modalità per mezzo delle quali è presentato il risultato delle elaborazioni operate sul segnale Doppler assieme ad alcuni aspetti quantitativi. La valutazione dello spettro delle velocità richiede comunque la conoscenza a priori del loro verso e a tale riguardo si osserva che all’uscita del demodulatore della figura 11.9 è istantaneamente presente un segnale a frequenza fD in caso di Doppler shift sia positivo (+ fD), sia negativo (– fD); pertanto la [11.21], con le ipotesi fatte di costanza dell’ampiezza A e della velocità dei riflettori, si specifica nelle
( sin ⎡⎣2π ( f
) )t ⎤⎦
sr+ (t) = A + sin ⎡⎣2π f 0 + f D t ⎤⎦ sr− (t) = A −
0 − fD
[11.26]
Nella figura 11.10 è possibile osservare due segnali in uscita dal mixer: le modulanti dei due segnali sono due velocità costanti di uguale valore ma segno opposto, ciò significa fisicamente che, secondo l’ipotesi fatta, nei due casi la velocità costante dei riflettori è uguale in modulo ma opposta. Al fine di porre in rilievo il verso della velocità corrispondente alle frequenze ± fD , i due segnali s +r (t) e s –r (t) vengono moltiplicati (o, in gergo tecnico, mixati) per la portante f0 : i risultati di tale operazione, indicati con d+(t) e d–(t) rispettivamente, sono illustrati nella figura 11.10, ove è possibile subito osservare che il segnale demodulato (in verde) presenta un andamento identico sia in caso di Doppler shift positivo (+ fD , in blu) sia negativo (– fD , in rosso), men-
Fondamenti di Ingegneria Clinica
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· Ecotomografia
Figura 11.10. Andamento del segnale Doppler demodulato (in verde) nel caso di riflettori animati da velocità costante di medesima ampiezza (unitaria), ma segno opposto. In blu e rosso sono tracciati i segnali d+(t) e d–(t) derivati dalla moltiplicazione dei segnali sr+(t) e sr–(t) per la portante sinusoidale a frequenza f0 . In entrambi i casi, a dispetto del differente segno del Doppler shift, il segnale demodulato risulta lo stesso e, in particolare, con stessa frequenza (acustica).
tre l’unica differenza risiede nella fase dei due segnali mixati23. I grafici della figura 11.10 provengono da una specificazione della figura 11.9 (3), nella quale però sono mostrati esplicitamente i casi di Doppler shift + fD e – fD . Per un’ulteriore conferma è sufficiente sviluppare l’espressione di d+(t) e d–(t)
( ) d (t) = s (t)sin(2π f t ) = A
( sin ⎡⎣2π ( f
) ( ) )t ⎤⎦sin(2π f t)
d + (t) = s r+ (t)sin 2π f 0 t = A + sin ⎡⎣2π f 0 + f D t ⎤⎦ sin 2π f 0 t −
− r
0
−
0
− fD
[11. 27]
0
Se, dopo aver effettuato i calcoli, da d+(t) e d–(t) vengono eliminati con filtri passa basso (P.B.) i termini di frequenza doppia24 2f0 , si ricavano i due segnali Doppler demodulati sD+ (t) e sD– (t), espressi rispettivamente da d + (t) −
d (t)
filtri P.B.
⇒ filtri P.B.
⇒
sD+ (t) = A +
cos(2π f D t) 2
[11.28]
cos(2π f D t) s (t) = A 2 − D
−
Dalla [11.28] si deduce che se i segnali sr+ (t) e sr–(t) ricevuti dal trasduttore hanno la medesima ampiezza, vale a dire A+ = A– = A; anche i corrispondenti
23 Infatti la tecnica di demodulazione descritta nel paragrafo precedente è sensibile solo all’ampiezza del segnale modulante e non al suo segno. 24 Il che si ottiene in pratica facendo passare i segnali d+(t) e d–(t) attraverso un banco filtri (passa basso o P.B.), come riportato nella figura 11.9.
Capitolo 11
· Eco - Doppler
649
segnali Doppler demodulati sD+ (t) e sD– (t) sono uguali, come peraltro illustrato nella figura 11.10, dove è stato posto A = 1. Appare quindi necessario introdurre nel processo di demodulazione un’informazione aggiuntiva, che consenta di recuperare il segno del Doppler shift, cioè la direzione dei riflettori. Il problema può essere risolto eseguendo la demodulazione mediante tecniche più complesse, come quella “in quadratura” che sarà trattata nel seguito. Per comprendere il funzionamento del demodulatore in quadratura, cui si è accennato, è utile richiamare alcuni concetti relativi alla rappresentazione di quantità fisiche mediante numeri complessi.
11.8 Il segnale Doppler espresso in notazione complessa Si consideri il caso in cui l’ampiezza istantanea del segnale sr(t), ricevuto dalla sonda, non sia unitaria ma dipendente dal tempo, ossia A = A(t), e inoltre che i riflettori siano animati da una medesima velocità (in modulo) ma si muovano in entrambi i versi rispetto al trasduttore. Per questo motivo, la [11.21] si modifica come segue
(
)
sr (t) = A(t) cos ⎡⎣2π f 0 ± f D t ⎤⎦ = A(t)cos ⎡⎣2π f 0 t ± ϕ (t)⎤⎦
[11.29]
cioè un segnale costituito da una frequenza portante f0 , modulato in frequenza25 da una fase variabile nel tempo ϕ(t) = 2π fDt (il Doppler shift), con un inviluppo A(t) che ne rappresenta l’ampiezza istantanea. La rappresentazione del termine Doppler in termini di fase, anziché di frequenza, è conveniente per dedurre le espressioni in notazione complessa, alle quali il presente paragrafo è dedicato. Com’è noto dalle relazioni trigonometriche, l’equazione [11.29] si può sviluppare come segue sr (t) = A(t) ⎡⎣cos(2π f 0 t) cosϕ(t) ∓ sin(2π f 0 t)sinϕ(t)⎤⎦
[11.30]
espressione che può ulteriormente essere rielaborata, al fine di far comparire gli inviluppi26 delle componenti in fase e in quadratura della portante sr (t) = A I (t)cos(2π f 0 t) ∓ A Q (t)sin(2π f 0 t)
[11.31]
in cui si è posto A I (t) = A(t)cos ϕ(t)
e
A Q (t) = A(t)sin ϕ (t)
[11.32]
25 A stretto rigore si tratta di una modulazione di fase, che costituisce un aspetto particolare della modulazione di frequenza. 26 Nella teoria dei segnali è usuale indicare col termine “inviluppo” l’andamento, variabile nel tempo, dell’ampiezza di un segnale modulato.
Fondamenti di Ingegneria Clinica
650
· Ecotomografia
Le dizioni in fase e in quadratura sono da intendere relativamente alla fase della portante. Se questa è un segnale coseno, la componente in fase è coseno mentre quella in quadratura è seno. Si ricordi che, nella rappresentazione vettoriale, una qualsiasi frequenza fD è rappresentabile mediante un vettore rotante con pulsazione ωD = 2π fD, di cui si possono considerare le componenti in fase AI e in quadratura AQ . Ricorrendo alla notazione complessa, si può concepire il segnale Doppler [11.29] ricevuto dalla sonda (quindi su portante f0 ) come la parte reale di un segnale complesso del tipo
{
}
{
sr (t) = Re ˆs(t)e jω0t = Re A(t) ⎡⎣cos ϕ(t) ± j sin ϕ(t)⎤⎦ e jω0t
{
= Re A(t)e ± jϕ (t )e jω 0t
}
}
[11.33]
dove si è posto ˆs(t) = A I (t) ± jA Q (t) = A(t) e ± jϕ(t )
[11.34]
Questi artifici analitici possono essere interpretati, considerando il segnale sr(t) ricevuto dalla sonda, come proiezione sull’asse reale (coseno) di un vettore di lunghezza istantanea A(t) (modulo), che ruota avendo fase istantanea ψ(t) (argomento) pari a ψ (t) = ω 0 t ± ϕ(t)
[11.35]
e quindi con velocità angolare istantanea ω pari a ω = ω0 ± ωD = ω0 ±
dϕ(t) dt
[11.36]
Tenendo conto della [11.35] è quindi possibile riscrivere la [11.29] come sr (t) = A(t)cos ⎡⎣ω 0 t ± ϕ(t)⎤⎦ = A(t)cos ⎡⎣ψ(t)⎤⎦
[11.37]
Il segnale sr(t) espresso dalla [11.37], dove compare soltanto il legame tra il segnale Doppler e la fase complessiva ψ(t) del vettore rotante, è rappresentato nella figura 11.11. L’ampiezza istantanea A(t) rappresenta l’inviluppo, o modulazione in ampiezza, del segnale ricevuto, fisicamente corrispondente all’ampiezza degli echi e, pertanto, al numero e al coefficiente di backscattering dei riflettori in movimento. La componente di velocità angolare ω0, legata alla frequenza del campo ultrasonoro che esplora il volume di indagine, è la portante del segnale.
Capitolo 11
· Eco - Doppler
651
Figura 11.11. Schema della rappresentazione complessa del segnale Doppler. Il vettore rotante nel piano complesso è costituito da un modulo A(t) variabile nel tempo in maniera proporzionale all’ampiezza del segnale retrodiffuso dai globuli rossi (backscattering) e quindi proporzionale al loro numero. ψ(t) è la fase istantanea complessiva, composta a sua volta da quella determinata dalla portante (ω 0 t), più ϕ(t) che è funzione della frequenza Doppler, come espresso dalla [11.37].
La componente ϕ(t) è la fase dovuta all’effetto Doppler, che deriva dalla variazione della frequenza angolare del fascio ultrasonoro, da ω 0 al nuovo valore ω, a causa della velocità dei riflettori: la frequenza Doppler fD è pertanto espressa da ± fD = ±
ωD
2π
=
1 ⎡ dϕ(t) ⎤ ± 2π ⎢⎣ dt ⎥⎦
[11.38]
In altri termini la fase ϕ(t) individua la velocità dei riflettori sia in modulo, essendo ϕ(t) proporzionale al Doppler shift fD , sia in verso, rappresentato dal suo segno. Da quanto riferito, la notazione complessa appare particolarmente idonea a descrivere analiticamente il segnale Doppler per velocità sia positive sia negative. In particolare, il segnale complesso ˆs(t) = A(t) e ± jϕ(t )
[11.39]
della [11.33] rappresenta il segnale Doppler “privato” della portante (manca infatti il termine e jω0t), detto anche in banda base: esso comprende esclusivamente i termini “modulanti” in ampiezza A(t) e in fase ϕ(t). Il processo è quindi individuato dall’ampiezza (modulo) A(t) = A I (t)2 + A Q (t)2
[11.40]
Fondamenti di Ingegneria Clinica
652
· Ecotomografia
e dalla fase ⎡ A Q (t) ⎤ ⎥ ⎣ A I (t) ⎦
ϕ(t) = tan −1 ⎢
[11.41]
In altri termini il segnale è totalmente caratterizzato a partire dalle sue componenti in fase AI(t) e in quadratura AQ(t) definite in precedenza. La figura 11.11 illustra sinteticamente tutte le grandezze precedentemente introdotte. Nel seguito viene illustrato come sia possibile ottenere le componenti in fase e in quadratura del segnale sr(t) in uscita dalla sonda. A tale scopo sono state realizzate numerose tipologie di demodulatori, tra cui si ricordano i demodulatori a banda laterale unica (single side band detector), eterodina e a detection in quadratura (di fase). Quest’ultimo è il più diffuso e utilizzato nella maggior parte delle apparecchiature ecografiche; pertanto, se ne illustra il principio di funzionamento, rinviando al paragrafo successivo per gli ulteriori dettagli relativi alla loro applicazione alla strumentazione diagnostica. Il procedimento che viene illustrato è quello attuato per mezzo della demodulazione in quadratura. Questa tecnica, nella sua forma più generale, prevede la moltiplicazione (mixaggio) del segnale ricevuto per due segnali di riferimento a frequenza della portante, ma in quadratura di fase tra loro (ossia sfasati di 90 gradi), come è mostrato nella rappresentazione schematica della figura 11.12. Nella figura 11.12a il segnale proveniente dal piezoelemento ricevitore viene dapprima amplificato e poi inviato a due demodulatori separati, che a loro volta sono alimentati ciascuno da un segnale ausiliario di riferimento, caratterizzato da una frequenza pilota che in un caso è in fase con la portante, mentre nell’altro è in quadratura. All’uscita dei due demodulatori sono presenti i segnali AId(t) e AQd(t), rappresentanti rispettivamente le componenti in fase e in quadratura del segnale in ingresso. Per comprendere come possano essere ottenute tali componenti, si faccia riferimento alla figura 11.12b, dove alle uscite 1 e 2 dei demodulatori, dopo moltiplicazione per i segnali ausiliari, si hanno i seguenti segnali: per l’uscita (1)
(
)
A(t)cos ⎡⎣2 π f 0 t ± ϕ (t)⎤⎦ cos 2 π f 0 t =
{ (
}
[11.42]
}
[11.43]
)
= A(t) cos 2 2π f 0 t cos ⎡⎣ϕ (t)⎤⎦ ∓ cos(2π f 0 t)sin(2π f 0 t)sin ⎡⎣ϕ(t)⎤⎦ per l’uscita (2)
(
)
A(t)cos ⎡⎣2π f 0 t ± ϕ (t)⎤⎦ sin 2π f 0 t =
{ (
) (
)
= A(t) sin 2π f 0 t cos 2π f 0 t cos ⎡⎣ϕ (t)⎤⎦ ∓ sin 2 (2π f 0 t)sin ⎡⎣ϕ (t)⎤⎦
Capitolo 11
· Eco - Doppler
653
Figura 11.12. Demodulazione direzionale per il segnale Doppler. (a) Schema generale: all’uscita del demodulatore sono presenti le due componenti AId(t) e AQd(t), in fase e in quadratura, del segnale in ingresso. (b) Schema a blocchi del detettore di fase in quadratura: il segnale Doppler in ingresso sr(t) viene moltiplicato in fase e in quadratura (mixaggio) per un segnale ausiliario di frequenza f0 = ω 0 /2π (canali 1 e 2). Dal filtraggio (passa basso), che elimina le componenti a frequenza 2ω 0 dei due segnali conseguenti al mixaggio, si ricavano le componenti AId(t) e AQd(t).
Sviluppando le relazioni così ottenute mediante le formule di Werner, sono stati posti in rilievo mediante un riquadro i termini il cui sviluppo dà luogo alle componenti a frequenza doppia della portante 27, che vengono eliminate dai filtri passa basso. All’uscita dei due demodulatori sono presenti, al canale 1 e al canale 2 rispettivamente, le componenti in fase e in quadratura28 demodulate, cioè 29
27 Il lettore può verificare tale affermazione, ricordando che le formule di Werner sono date dalle seguenti espressioni:
1
[
]
1
[
]
1
[
]
sin α cosβ = 2 sin( α + β) + sin( α − β) ; cosα cosβ = 2 cos(α + β ) + cos(α − β ) ; sin α sin β = − 2 cos(α + β ) − cos(α − β )
28 Per tale motivo il canale 1 viene in genere indicato come canale in fase (direct channel) e il canale 2 come canale in quadratura (quadrature channel). 29 Il doppio segno ± nelle [11.44] e [11.45] indica concordanza di segno con la fase ϕ (t) nella [11.43], viceversa per il simbolo ∓ .
Fondamenti di Ingegneria Clinica
654
A Id (t) = +
A(t) cos ϕ (t) 2
e
A Qd (t) = ∓
· Ecotomografia
A(t) sin ϕ (t) 2
[11.44]
Il detettore di fase in quadratura consente quindi di ottenere una caratterizzazione del segnale per quanto attiene al suo inviluppo in bassa frequenza (banda base): infatti, dalla rappresentazione complessa di quest’ultimo si ricavano, come riferito, sia il modulo sia la fase, utili rispettivamente per la misura dell’ampiezza e della frequenza del segnale Doppler. In particolare, dalle relazioni [11.44] può essere dedotta la [11.45], mediante la quale può essere calcolato il segno dello spostamento Doppler e, quindi, il verso della velocità ⎡ A Qd (t) ⎤ ⎥ ⎢⎣ A Id (t) ⎥⎦
ϕ (t) = tan −1 ⎢∓
[11.45]
In definitiva, per mezzo del demodulatore in quadratura è possibile ottenere segnali che consentono di estrarre tre tipi informazioni: il numero di riflettori (proporzionale all’ampiezza A espressa dalla [11.40]) che rimandano l’eco verso la sonda, il modulo e il verso della loro velocità. Le modalità con cui ciò avviene sono descritte più dettagliatamente nelle pagine che seguono.
11.9 Demodulazione direzionale: demodulatore in quadratura Al fine di estrarre l’informazione relativa al verso della velocità dei riflettori è necessario adottare uno schema di demodulazione più complesso rispetto a quello della figura 11.12b. Si consideri il caso in cui siano presenti nel volume indagato oggetti aventi velocità differenti e, in particolare, direzioni opposte. Il segnale sr(t) della [11.29], ricevuto dalla sonda, si specifica nella somma dei contributi sra(t) e srt(t) dei segnali Doppler corrispondenti ai riflettori in allontanamento (away signal) e in avvicinamento (toward signal) al trasduttore30 sr (t) = s rt (t) + sra (t) = A t cos ⎡⎣2π ( f 0 + f t )t ⎤⎦ + A a cos ⎡⎣2π ( f 0 − f a )t ⎤⎦
[11.46]
dove i simboli A e f indicano ampiezza e frequenza, mentre i pedici t e a si riferiscono ai rouleaux (o globuli rossi) rispettivamente in avvicinamento e allontanamento dal trasduttore. La [11.46] esprime in forma analitica la necessità di separare i contributi del Doppler shift: in particolare quelli relativi agli oggetti in allontanamento (ϕa = 2π fa t) e in avvicinamento (ϕt = 2π ft t) rispetto alla portante 2π f0 t: la soluzione di tale problema è realizzata dal demodulato-
30 s (t) e s (t) corrispondono rispettivamente a s–(t) e s+(t) nella [11.26], dove però le velocità dei glora rt buli rossi in avvicinamento e in allontanamento dalla sonda hanno valore differente.
Capitolo 11
· Eco - Doppler
655
Figura 11.13. Schema di principio di un demodulatore in quadratura: per un segnale Doppler sr(t) in ingresso sono indicate in rosso le componenti relative a oggetti che si allontanano dal trasduttore (Doppler shift negativo), mentre in azzurro quelle corrispondenti a oggetti che si muovono in verso opposto (Doppler shift positivo). Giova osservare che, in generale, tali componenti hanno ampiezza e frequenza diverse (vedi parr. 11.53 e 11.54). All’uscita del demodulatore si ottengono i due segnali separati sa(t) e st(t) contenenti le informazioni relative al moto dei rouleaux, rispettivamente da e verso il trasduttore.
re direzionale, in uscita dal quale (figura 11.13) si ottengono separatamente il contributo sa(t) dei rouleaux in allontanamento (canale 1) e quello st(t) dei rouleaux in avvicinamento (canale 2). Il segnale espresso dalla [11.46] viene inviato ai due canali del demodulatore, dove subisce le elaborazioni mostrate nella figura 11.13. Lungo il canale 2 (canale in quadratura) il segnale viene moltiplicato per la portante f0 sfasata di 90 gradi, per cui si ottiene π⎞ ⎛ sr (t)cos ⎜ 2π f 0 t + ⎟ = ⎝ 2⎠
{
[11.47]
}
= A t cos ⎡⎣2π ( f 0 + f t )t ⎤⎦ + A a cos ⎡⎣2π ( f 0 − f a )t ⎤⎦ ⎡⎣− sin(2π f 0 t)⎤⎦
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
656
che, dopo alcuni tediosi passaggi algebrici, fornisce all’uscita del filtro (P.B. nella figura 11.13), che elimina le componenti a 2f0 , il segnale
(
)
(
1 1 s2 PB (t) = A t sin 2π f t t − A a sin 2π f a t 2 2
)
[11.48]
Nel canale 1 (canale in fase), invece, il segnale viene moltiplicato per la portante non sfasata, per cui, analogamente alla [11.47] si ha
(
)
sr (t)cos 2π f 0 t =
{
(
} (
)
= A t cos ⎡⎣2π f 0 + f t t ⎤⎦ + A a cos ⎡⎣2π ( f 0 − f a ) t ⎤⎦ cos 2π f 0 t
)
[11.49]
il segnale nel canale 1 all’uscita del filtro è
(
)
(
1 1 s1PB (t) = A t cos 2π f t t + A a cos 2π f a t 2 2
)
[11.50]
Successivamente, come indicato nella figura 11.13, nel canale 2 il segnale s2PB(t), espresso dalla [11.48] e corrispondente a –AQd(t) nella [11.44], dopo essere stato sfasato di 90 gradi viene sommato al segnale s1PB(t) della [11.46] (equivalente a AId(t) in [11.44]). Allo stesso tempo, nel canale 1 il segnale s1PB(t), dopo essere stato sfasato di 90 gradi, viene sommato a s2PB(t). In tal modo si ottiene all’uscita del canale 2 il seguente risultato
{
}
s1PB (t) + s2 PB (t)
(
+
π 2
(
)
(
)
1 1 = A t cos 2π f t t + A a cos 2π f a t + 2 2
)
(
)
(
1 1 + A t cos 2π f t t − A a cos 2π f a t = A t cos 2π f t t 2 2
[11.51]
)
In modo del tutto analogo, nel canale 1 si effettuano le medesime operazioni e si ottiene
{s
1PB
(t)
}
+
(
π 2
(
)
(
)
1 1 + s2 PB (t) = − A t sin 2π f t t − A a sin 2π f a t + 2 2
)
(
)
(
1 1 + A t sin 2π f t t − A a sin 2π f a t = − A a sin 2π f a t 2 2
)
[11.52]
In definitiva, alle due uscite del demodulatore direzionale sono disponibili separatamente i segnali relativi ai riflettori in avvicinamento e in allontanamento, cioè:
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· Eco - Doppler
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Figura 11.14. Esempio di tracciato in uscita dal demodulatore in quadratura di un ecografo commerciale, relativo alle due componenti del segnale Doppler, corrispondenti a oggetti in allontanamento sa(t) e in avvicinamento st(t) nella direzione del trasduttore. Lo spettro di ciascuno dei due segnali viene calcolato su un periodo T da 1 a 10 ms. Nella figura si riconosce che, essendo i due segnali in quadratura l’uno rispetto all’altro, nell’istante in cui il canale in fase presenta un massimo (punto A), quello in quadratura presenta un passaggio per lo zero (punto B).
canale 1 in allontanamento dal trasduttore
(
)
[11.53]
(
)
[11.54]
sa (t) = − A a sin 2π f a t canale 2 in avvicinamento al trasduttore s t (t) = A t cos 2π f t t
A titolo di esempio si riportano nella figura 11.14 i segnali acquisiti all’uscita del demodulatore in quadratura in un ecografo commerciale. Il demodulatore direzionale è particolarmente adatto per l’attuazione della tecnica del pulsed Doppler (PW), in quanto consente di separare i Doppler shift positivi da quelli negativi e, quindi, le velocità istantanee positive da quelle negative. Dal punto di vista operativo, si osserva tuttavia che le informazioni disponibili all’uscita di tale stadio dell’apparecchiatura diagnostica risultano di difficile interpretazione: in altre parole, i segnali sa(t) e st(t) non sono adatti a fornire direttamente una rappresentazione “pittorica” in base alla quale l’operatore possa rendersi conto dei flussi sanguigni positivi e/o negativi esistenti nella zona d’interesse. A tal fine è necessario che da essi vengano estratte le informazioni relative allo spettro delle velocità presenti nel volu-
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· Ecotomografia
me di misura, ciò che è reso possibile dall’analisi in frequenza dei due segnali, come si riferisce nelle pagine che seguono.
11.10 Analisi spettrale nel CW Doppler Se si misurassero con un voltmetro registratore le tensioni sa(t) e st(t), queste avrebbero un andamento complessivamente periodico che ricalcherebbe grossolanamente le onde delle pressioni sistolica e diastolica. Va però ricordato che, anche nel caso (ideale) di moto laminare, ogni globulo rosso (o ogni rouleau) ha velocità diversa in ogni sezione del vaso; d’altra parte, se il flusso è turbolento, il moto delle singole particelle è assai disordinato e in un medesimo elemento di volume fluido è possibile reperire un grande divario di velocità, che tuttavia nel loro insieme concorrono mediamente a fare avanzare (o indietreggiare) una piccola massa di sangue. L’osservazione degli andamenti riportati nella figura 11.14 potrebbe condurre a conclusioni lontane dalla realtà del fenomeno, che è invece fondamentale in qualche modo “vedere” per dedurre una diagnosi corretta. Per esempio, se al tempo t0 si considerasse il punto A e si volesse dare un significato al valore sa(t0), si potrebbe dedurre che in quell’istante a sa(t0) corrisponde un solo valore della velocità attribuito identico all’intero volume di misura, il che manifestamente non è vero. Il ragionamento è evidentemente schematico, ma vuole mostrare che i segnali in uscita dal demodulatore, pur contenendo tutte le informazioni, non sono idonei a fornire un’immagine della realtà fisica di facile e immediata interpretazione. Occorre, quindi, che sa(t) e st(t) vengano ulteriormente elaborati per estrarre tutte le informazioni in essi contenute: in particolare, è necessario scomporre ciascuno di essi e individuarne il contenuto armonico per mezzo di un analizzatore di spettro. Si tratta cioè di costruire un grafico dove, in ogni istante31, siano rappresentate tutte le armoniche componenti i due segnali, ciascuna delle quali rappresenta la misura dello spostamento Doppler fD prodotto, teoricamente, per effetto della velocità del singolo globulo rosso. L’uscita fornita dall’analizzatore di spettro è costituita da un diagramma, risultante dalla sovrapposizione dell’analisi armonica condotta su sa(t) e st(t), di cui la figura 11.15 mostra un generico esempio. Il diagramma in uscita dall’analizzatore di spettro risulta composto di due parti, essendo il risultato dell’analisi armonica applicata simultaneamente ai due canali sa(t) e st(t): in ciascuna di esse l’asse delle ascisse riporta le frequenze di Doppler shift fD , mentre l’asse delle ordinate rappresenta le ampiezze delle armoniche componenti il segnale originario. Per tale motivo il diagramma è, a tutti gli effetti, lo spettro del segnale Doppler calcolato in un intervallo di tempo prestabilito. Tale spettro può essere “letto” nel seguente modo: durante un determinato intervallo di tempo T, per esempio 5 ms, intorno all’istante prefissato t0 della fi-
31
In realtà per ogni intervallo di tempo T entro il quale il moto si considera stazionario.
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· Eco - Doppler
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Figura 11.15. Rappresentazione degli spettri delle frequenze rilevabili in un intervallo di tempo di 5 ms nell’intorno di t0, rispettivamente per i segnali sa(t) e st(t). Tali spettri rappresentano per st(t) le velocità “positive” (dirette verso il trasduttore) e per sa(t) quelle “negative” (in allontanamento dal trasduttore).
gura 11.14, nel volume di prova sono presenti globuli rossi animati da differenti velocità, ciascuna delle quali corrisponde a una frequenza nello spettro (essendo ciascuna velocità v la causa di un differente Doppler shift fD ). In particolare, se in corrispondenza di una determinata frequenza si osserva una riga, questa indica, sull’asse delle ordinate, un’ampiezza che è proporzionale al numero di riflettori che possiedono la velocità a essa relativa. La distribuzione delle righe nello spettro equivale pertanto alla distribuzione delle velocità dei riflettori in un determinato intervallo di tempo e all’interno di una regione di spazio definita. Ciò significa che i due diagrammi della figura 11.15, originati da st(t) e sa(t), esprimono rispettivamente gli spettri di velocità positive, ossia dirette verso il trasduttore, e negative, ossia in allontanamento dal trasduttore. Naturalmente lo spettro può variare da un intervallo di tempo al successivo, cioè le righe possono mutare sia in ampiezza sia in frequenza; ciò accade normalmente in ecocardiografia, dove le condizioni di flusso sanguigno (pulsatile) cambiano da istante a istante. Occorre quindi considerare che, se fosse presentata secondo le modalità appena descritte, l’analisi spettrale non avrebbe alcuna utilità pratica ai fini diagnostici: basti pensare che, nell’esempio sopra proposto (T = 5 ms), durante un periodo di tempo di appena 1s, l’analizzatore di spettro emetterebbe ben 200 spettri! È necessario, pertanto, individuare una forma di presentazione che consenta di visualizzare e valutare rapidamente la grande mole di dati resi disponibili da questo tipo di analisi. In altri termini, il problema che si pone è rappresentare l’andamento dello spettro del segnale Doppler in funzione del tempo. A tale fine, è evidente che risulta necessario costruire un diagramma che esprima al suo interno il contenuto di tre variabili: velocità (in modulo e verso), quantità dei globuli rossi che si muovono con quella velocità (intensi-
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· Ecotomografia
Figura 11.16. Rappresentazione dello spettro Doppler CW: le righe verticali costituenti lo spettro Doppler in (a) comprendono pixel la cui posizione corrisponde a un valore di velocità e il cui livello di grigio è proporzionale al numero di particelle animate da tale velocità. In particolare ad a-a e b-b corrispondono velocità positive (ossia di particelle dirette verso il trasduttore) mentre a′-a′ e b′-b′ a velocità negative. Ciascuna riga verticale in (b) è costruita in base alla sovrapposizione dei due spettri di velocità della figura 11.15, calcolati a intervalli di tempo successivi pari al periodo T di stazionarietà (nella figura 5 ms).
Figura 11.17. Spettro Doppler corrispondente al flusso aortico (c) per due diverse condizioni: (a) flusso laminare (condizione fisiologica); (b) flusso turbolento, associato a stenosi mitralica (condizione patologica).
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tà) e tempo, vale a dire in quale istante del ciclo cardiaco quella data quantità di globuli rossi produce quel determinato spettro. Il problema si risolve costruendo un nuovo diagramma, dove sull’asse delle ascisse è posto il tempo: per ogni ascissa temporale (che rappresenta nella realtà un intervallo di tempo di 1÷10 ms) viene tracciata una riga (in realtà una striscia rettangolare), la cui altezza è proporzionale al valore massimo della velocità rilevata e la cui intensità viene codificata con una scala di grigi o di colori. La figura 11.16 chiarisce tale codifica. La i-esima riga (figura 11.16a), delle n che costituiscono l’evoluzione dello spettro (reale) nel tempo (dove è per esempio n = 200), viene modulata in intensità con scala di grigi, nel senso che ciascun pixel di cui essa è costituita ha ordinata corrispondente a una velocità, mentre il suo livello di grigio è rappresentativo del numero di globuli rossi che possiedono tale velocità. Il criterio di codificazione descritto trova largo impiego nel CW, del quale vengono riportati alcuni esempi nel paragrafo successivo.
11.10.1 Esempi di spettri ottenuti con CW La figura 11.17 mostra due registrazioni di spettri, realizzati con il CW, rappresentanti rispettivamente un flusso normale e uno patologico attraverso la valvola aortica. L’interpretazione di tali registrazioni è facilitata osservando la figura 11.16 e considerando che la riga nello spettro al vero ha uno “spessore” di circa 0,1 mm32, cui corrisponde un tempo T di analisi di 1÷10 ms. Pertanto le righe dello spettro non possono essere viste separate, ma come un continuo più o meno grigio a seconda della quantità di globuli rossi cui compete il range di velocità rappresentato. Nella figura 11.17a è riportata la registrazione di un flusso aortico laminare (a sinistra) diretto verso il trasduttore, posto in posizione soprasternale, indicato nella figura 11.17c. La scala indicata, di 0,2 ms–1 per ogni divisione, consente di dedurre che il massimo divario tra la velocità minima e quella massima è di circa 0,6 m s–1 in avvicinamento al trasduttore (parte superiore del grafico), mentre si può osservare che nella massa sanguigna che viene espulsa attraverso la valvola semilunare, sono presenti globuli rossi aventi anche velocità di verso opposto (parte inferiore del grafico), che è dell’ordine di 0,2 ms–1. Ciò non deve sorprendere, poiché il moto va considerato nel suo insieme33 e anche quando è classificato come laminare, non si può escludere che una piccola parte di glo-
32 Infatti, considerando per esempio che sul display dell’ecografo tra un ciclo e il successivo intercorrano 30 mm di spazio e in essi siano allocati 200 spettri, si ottiene una densità di righe pari a 200/30 ≅ 7 spettri/mm, cui corrisponde uno spessore di 0,15 mm per ogni spettro visualizzato cioè, al vero (cioè nella registrazione osservabile sul display) ogni “riga” della figura 11.16b è spessa circa 0,1 mm. 33 Si ricorda infatti che lo spettro CW Doppler è il risultato dei segnali corrispondenti a una vasta zona di interesse: in particolare tali segnali provengono in genere da più vasi contemporaneamente, il che produce un ampio divario delle velocità, sia in modulo sia in verso.
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buli rossi si allontani dal trasduttore. Si osserva infine che la massima velocità rilevata, di poco superiore a 1 ms–1, è fisiologica e tipica del flusso in uscita dal ventricolo sinistro che impegna l’arco aortico. Nella figura 11.17b è invece riportata una registrazione, anch’essa effettuata con trasduttore in posizione soprasternale, che rappresenta un flusso turbolento prodotto da una stenosi della valvola semilunare. Nel flusso sono presenti tutte le velocità comprese tra zero e il valore massimo, che supera i 4 ms–1, cioè circa 4 volte superiore al flusso fisiologico riportato nel caso laminare. Si osserva ancora che la scala dei grigi è praticamente composta di pixel tutti vicini al colore nero: ciò significa che la quasi totalità della massa sanguigna è animata da flusso fortemente turbolento. Questa informazione, unita al valore elevato della velocità, consente all’operatore di orientarsi verso la diagnosi di stenosi mitralica.
11.11 Filtro di parete Negli studi vascolari occorre osservare che i movimenti rilevati dalla strumentazione diagnostica possono essere causati non solo dai globuli rossi, ma anche dalle pareti dei ventricoli e dei vasi ove si sviluppa il flusso sanguigno. Tali movimenti avvengono con velocità assai modesta e a essi è, quindi, associata una bassa frequenza Doppler; tuttavia coinvolgono masse di grande entità in confronto a quella dei globuli rossi. Ne deriva che la frequenza Doppler è bassa, mentre l’intensità del segnale è molto elevata; in particolare gli echi provenienti dalle pareti tendono a sovrapporsi a quelli, assai più deboli, provenienti da basse velocità dei corpuscoli del sangue, cioè essi costituiscono un rumore di fondo molto forte che copre i segnali utili. In prima istanza questo problema viene risolto escludendo le basse frequenze con un filtro, chiamato di parete perché serve a escludere gli echi intensi e a bassa frequenza provenienti dalla parete dei vasi e/o dei ventricoli. Il filtro è variabile e può quindi
Figura 11.18. Esempio di spettro del segnale Doppler cui è applicato il filtro di parete, che esclude dalla banda del segnale Doppler ricevuto la quota relativa agli echi prodotti dalle pareti.
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Figura 11.19. Effetto del filtro di parete sull’andamento dello spettro. (a) Filtro escluso. (b) Filtro regolato per il taglio di frequenze Doppler di bassissima entità. (c) Filtro regolato per il taglio di frequenze Doppler con soglia più elevata.
tagliare frequenze a partire da diverse soglie, a seconda del vaso considerato. Un tipico spettro del segnale Doppler complesso contenente le componenti relative ai movimenti lenti delle pareti (muscolo cardiaco), nonché alle velocità dei globuli rossi nel sangue e al rumore introdotto dal ricevitore, è riportato nella figura 11.18. La figura 11.19 mostra, invece, l’efficacia del filtro di parete e la modifica che esso introduce nella registrazione dello spettro in relazione alla variazione della frequenza di taglio. L’intervallo di frequenza entro il quale il filtro agisce è solitamente compreso nel campo 25 ÷ 3200 Hz; tale intervallo è assai ampio e la scelta della frequenza di taglio richiede attenzione per evitare che vengano escluse frequenze Doppler di interesse diagnostico.
11.12 Schema a blocchi di un CW con rilevamento della direzione della velocità Sulla base di quanto esposto nelle pagine precedenti, lo schema a blocchi dello strumento ecografico a onda continua, presentato nella figura 11.9, viene modificato e completato come mostrato nella figura 11.20. Il segnale continuo f0 prodotto dall’oscillatore, amplificato in potenza, eccita il piezoelemento di trasmissione. L’amplificatore ha anche l’ufficio di compiere l’adattamento di impedenza per consentire il massimo trasferimento di potenza al piezoelemento che oscilla continuamente, emettendo così il fascio ultrasonoro. Il piezoelemento ricevitore raccoglie il segnale a frequenza fr , che
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Figura 11.20. Schema a blocchi di un sistema diagnostico Eco-Doppler CW
viene amplificato dall’amplificatore in radiofrequenza e quindi inviato al demodulatore in quadratura, dal quale, come descritto, si estraggono i due segnali sa(t) e st(t). Dopo un ulteriore stadio di amplificazione (amplificatore AF), sa(t) e st(t) attraversano il filtro di parete, che ne seleziona la banda di frequenze utile a fini diagnostici; i corrispondenti segnali in uscita vengono elaborati per consentire due diverse modalità di presentazione dei risultati, costituenti la misura della velocità del sangue nella zona di interesse. Il primo è formato da due altoparlanti che permettono l’ascolto dell’emissione acustica corrispondente al flusso di globuli rossi che si avvicinano e si allontanano dal trasduttore: essi danno luogo a suoni diversi e occorre esperienza per trarre dall’ascolto sicuri elementi diagnostici. Per tale motivo, il medesimo segnale alimenta il secondo dispositivo, rappresentato dall’analizzatore di spettro che costruisce la serie di spettri nel tempo, cui viene associata la scala dei grigi a seconda dell’intensità del segnale Doppler. Tramite uno scan converter, tale serie viene presentata su un monitor, dove appaiono quindi immagini come quelle riportate nelle figure 11.17a,b.
11.13 Doppler pulsato (PW Doppler) Come si è detto, la differenza sostanziale tra i due metodi di misura della velocità del sangue nei vasi consiste nel fatto che il CW non consente di distinguere i luoghi dai quali provengono i segnali Doppler: pertanto, esso compie un integrale di tutto ciò che si muove lungo la direzione del fascio ultrasonoro; quindi, se due arterie o due vene sono allocate su due profondità diverse rispetto alla citata direzione, il segnale Doppler prelevato fornisce una misura
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Figura 11.21. (a) Il volume di misura (gate) nel Doppler pulsato (PW) è individuato dalle distanze dal trasduttore 1 e 2 . Grazie al volume di misura, contrariamente a quanto accade per il CW (b), il PW (c) consente di distinguere la profondità di provenienza degli echi prodotti nel distretto anatomico, in questo caso esso è posizionato sulla valvola aortica.
della velocità dei globuli rossi, nei due vasi, come se provenissero da un unico sito. Il CW pertanto non consente di discriminare la profondità dalla quale provengono i segnali, o come si suole dire, non è possibile risolvere il range. Se invece si vuole conoscere quale sia la velocità del sangue nel vaso appartenente, per esempio, al primo dei due livelli in questione, occorre individuare in esso un volume di misura dalle dimensioni contenute, dal quale prelevare i segnali Doppler (figura 11.21a), in modo che tutti i segnali provenienti da luoghi esterni al prefissato volume vengano ignorati. Nella letteratura del settore, tale volume viene indicato con definizioni come gate (cancello), sample volume (SV) o più semplicemente volume di prova34. Il principio sul quale è fondata la possibilità di allocare il gate a una prefissata distanza dal piezoelemento di trasmissione e di ricezione consiste nella valutazione del tempo di volo degli ultrasuoni nel mezzo di indagine, che è di circa 13 μs/cm. Pertanto, gli echi che provengono da una determinata profondità possono essere individuati misurando il tempo di volo, cioè l’intervallo di tempo tra l’istante di emissione di un impulso e quello di ricezione dell’eco. Nella figura 11.21b,c è mostrata la differenza tra PW e CW, già illustrata nella figura 11.7. Al fine di poter selezionare volumi di misura a diverse profondità, lungo il tragitto dell’onda ultrasonora, il sistema PW emette impulsi composti di pochi35 cicli di frequenza f0 a intervalli regolari dettati dalla PRF, il cui valore è determinato dal range R al quale è posto il volume di misura desiderato rispet34 Si vuole rimarcare che la differenza sostanziale tra il CW Doppler e il PW Doppler non è basata sull’esistenza del volume di prova, giacché entrambi ne possiedono uno, bensì sulle sue dimensioni. 35 La durata dell’impulso in trasmissione è una soluzione di compromesso tra la necessità di avere risoluzioni spaziali elevate e quella di disporre di tempi sufficienti per ottenere spettri di velocità dettagliati. Di norma la durata dell’impulso in PW è generalmente superiore a 4 cicli (in media 10 cicli).
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to al piezoelemento ricevitore. L’estensione assiale del gate (volume di prova) è individuata dalla distanza 2–1, valutata sull’asse lungo il quale il suono si propaga con velocità c (figura 11.21c). Il meccanismo in base al quale è possibile compiere misure di velocità dei globuli appartenenti al solo volume di prova è illustrato qui di seguito. Al tempo t 0 il trasmettitore fornisce un impulso al piezoelemento, che – così eccitato – oscilla alla sua frequenza di risonanza f0 emettendo un corrispondente impulso ultrasonoro composto di pochi cicli, che si propaga con velocità c nella direzione definita dall’asse del trasduttore. Dopo l’intervallo di tempo t1, durante il quale il ricevitore è interdetto (figura 11.21a), l’impulso inizia ad attraversare il volume di prova, che diviene pertanto sede di segnali Doppler che si propagano verso il piezoelemento ricevitore. Quindi, se al tempo t1 il ricevitore viene abilitato alla ricezione, esso inizia a elaborare il segnale Doppler fino a quando non viene nuovamente interdetto al tempo t2, ossia dopo che tutti i segnali provenienti dal volume di misura sono giunti al trasduttore. È evidente che nessun altro impulso può essere lanciato prima che siano pervenuti gli echi prodotti dall’impulso precedente; pertanto il periodo di ripetizione degli impulsi PRP = 1/PRF è stabilito dal valore che si vuole attribuire al range R. Dal punto di vista della fisica del processo, si osserva che l’istante di abilitazione o disabilitazione del ricevitore si configura come l’apertura di un cancello (gate), che consente al segnale Doppler di iniziare il tragitto che lo separa dal trasduttore: si può dire che il gate si apre al tempo t1 e si chiude al tempo t2 (figura 11.21a). L’allocazione del volume di prova lungo l’asse di propagazione, cioè il range, è quindi fornito dalla possibilità di regolare i tempi t1 e t2, dai quali dipende sia il posizionamento del volume di prova sia la sua estensione. Allo scopo di stabilire le relazioni esistenti tra il PRF, i tempi di apertura e chiusura dei “cancelli”, anche in rapporto all’estensione temporale dell’impulso, cioè al numero di cicli dai quali esso è composto, conviene riferirsi alla figura 11.22. In particolare, la distanza tra il trasduttore e l’inizio del range del volume di prova 1 è fornito dalla c 1 = t d [11.55] 2 avendo indicato con td il tempo trascorso tra l’istante di partenza dal trasduttore dell’impulso trasmesso e l’istante in cui il ricevitore apre il gate, cioè td = t1. La distanza tra il trasduttore e il termine del volume di prova 2 è fornita da c 2 = (t d + t g − t p ) 2
[11.56]
avendo indicato con tg l’intervallo di tempo durante il quale il gate rimane aperto, cioè t g = t2–t1 , e con tp un intervallo di tempo pari alla durata dell’impulso. Ciò è giustificato dal fatto che, per il calcolo di 2 in funzione di tg , è necessario attendere che l’impulso esca completamente dal volume di prova nel-
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Figura 11.22. Volume di misura nel Doppler PW: relazioni esistenti tra PRF e i tempi di apertura e chiusura del gate in rapporto alla durata dell’impulso ultrasonoro.
la fase di trasmissione ed “entri” tutto nel trasduttore al termine della fase di ricezione. La lunghezza del volume di prova può quindi essere espressa dalla c 2 − 1 = (t g − t p ) 2
[11.57]
Occorre ora osservare che la dimensione 2 – 1 dalla quale dipende l’entità dell’energia riflessa, e quindi in generale la sensibilità del sistema diagnostico, è funzione non solo dei valori che di volta in volta assumono tg e tp , ma anche della forma dell’impulso, della “ripidità” dei fronti di salita di apertura e di chiusura del volume di prova e quindi, in definitiva, della banda passante del ricevitore. In particolare, si osserva che, se tp è maggiore di tg , l’entità dell’energia ricevuta è minore di quella che si ha per tp minore o uguale di tg , poiché in questo caso l’impulso rinvia energia riflessa per tutta la durata dell’apertura del cancello, mentre nella situazione precedente viene perduta tutta l’energia corrispondente alla quota parte di impulso che rimane al di fuori del gate. Si deve ancora osservare che la migliore scelta è in parte obbligata dalla necessità di ottenere la massima energia riflessa utile, poiché ciò ha conseguenze immediate sulla sensibilità: sebbene il caso in cui si verifica tp > tg sia evidentemente sfavorevole, ciò non significa che il caso in cui si ha tp < tg risulti certamente favorevole, poiché l’intensità del segnale Doppler non viene mantenuta a causa della maggiore possibilità di diffusione del segnale all’interno
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Figura 11.23. Lunghezza del gate in rapporto al tempo tP (a). In (b) il tempo tg è minore di tp ; in (c) il tempo tg è uguale a tp ; in (d) il tempo tg è maggiore di tp .
del volume di prova. Studi effettuati sull’argomento36 hanno dimostrato che la condizione migliore si ottiene scegliendo per tp un valore circa pari a quello del cancello, cioè tp ≅ tg ; in termini di estensione spaziale, ciò si traduce in 2– 1 circa uguale a una lunghezza dell’impulso pari a (tp /2)c.
11.13.1 Schema a blocchi del PW Lo schema a blocchi di uno strumento per la realizzazione del Doppler pulsato deriva direttamente da quello del Doppler continuo, modificato sia per consentire il posizionamento del volume di misura SV, sia per ottenere più campioni di velocità provenienti dal medesimo SV per realizzarne lo spettro. Inoltre, poiché il Doppler è PW non occorre disporre di due canali separati per trasmissione e ricezione, in quanto il medesimo piezoelemento trasmette l’impulso e, dopo il tragitto di andata al volume di prova, può essere utilizzato per raccogliere in ricezione l’eco. Ciò implica la presenza di un dispositivo che commuti il piezoelemento dalla condizione di trasmissione a quella di ricezione e viceversa37. Si supponga di voler conoscere il campo delle velocità dei globuli rossi nel volume di misura SV (posto entro un vaso sanguigno, rappresentato dal condotto di colore scuro nella figura 11.24) costituito da un cubetto di 1 cm di lato distante 3 cm dal trasduttore. Il succedersi dei fenomeni è il seguente. All’istante t0 il trasduttore lancia un impulso che viaggia alla velocità di 1540 m /s 38 ; mentre attraversa il volume di misura SV, l’impulso è riflesso verso il trasduttore (sotto forma di echi) dai globuli rossi, che hanno diverse velocità v: alcuni di essi si muovono verso il trasduttore mentre altri se ne allon-
36 T. Loupas et al. (1995) An axial velocity estimator for ultrasound blood flow imaging, based on a full evaluation of the Doppler equation by means of a two dimensional autocorrelation approach. IEEE Trans Ultrason Ferroelec Freq Contr 42: 672-688. 37 Tali commutazioni devono verificarsi con la frequenza della PRF. 38 Occorre rilevare che la velocità del suono nel sangue è pari a 1570 m/s, ma nel tessuto molle è di 1540 m/s. Poiché la differenza tra i due valori è di circa il 2 per cento, non si ritiene di attribuirle un’importanza significativa.
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Figura 11.24. Esempio delle distanze e dei corrispondenti tempi di volo (percorsi di andata e ritorno) per un volume di misura utilizzato in analisi PW Doppler posto a 3 cm dal trasduttore.
tanano, dando luogo a frequenze Doppler che, all’uscita del demodulatore in quadratura, forniscono i segnali della figura 11.14 cioè i segnali Doppler. La profondità del volume di misura rispetto al trasduttore è determinata dalla finestra temporale entro la quale il demodulatore è attivo. Per esempio, nella figura 11.24, la finestra temporale, ovvero il gate, viene aperta 39 μs dopo il lancio dell’impulso al tempo t0 , rimane aperta per 13 μs e si richiude dopo 52 μs. Ciò equivale a dire che vengono ricevute frequenze Doppler esclusivamente dal volume SV, che si estende per 1 cm ed è posto a 3 cm dalla sonda, ignorando qualsiasi altro segnale. La distanza di 3 cm è il range R, pertanto dal punto di vista pratico il posizionamento del volume di prova si ottiene applicando direttamente la [7.21], che fornisce circa 18 kHz. Come sarà meglio specificato nei paragrafi seguenti, ogni eco ricevuto con la frequenza della PRF deve essere elaborato (processato) completamente prima del lancio del successivo impulso. Tale processamento consiste essenzialmente nell’azione in cascata tra il modulatore direzionale e un particolare circuito, detto SH (da Sample and Hold, letteralmente “campionare e mantenere”), nel quale viene memorizzato il segnale Doppler relativo a ciascun impulso, per poi confrontarlo con quello relativo all’impulso successivo e registrarne la variazione. L’andamento temporale del succedersi delle variazioni del segnale Doppler, ottenute mediante il circuito SH (e opportunamente filtrate), rappresenta il segnale Doppler proveniente dal prefissato volume di misura.
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Figura 11.25. Schema a blocchi di un sistema eco-Doppler PW.
Lo schema a blocchi di un apparecchio che realizza il PW è rappresentato nella figura 11.25; per i primi tre blocchi è identico a quello del Doppler continuo della figura 11.9. La differenza rispetto a quest’ultimo consiste nella temporizzazione del demodulatore (attuata dall’operatore mediante la scelta della PRF) che, diversamente da quello utilizzato nel CW, è direzionale. Al demodulatore è collegato il circuito SH, che esegue il campionamento del segnale e, come già accennato, costruisce il segnale Doppler, cioè la variazione nel tempo delle velocità dei globuli rossi nel volume di misura SV. Per approfondire questo processo, qui sommariamente presentato, è necessario comprendere il funzionamento del circuito SH, esposto nel paragrafo seguente.
11.13.2 Circuito SH nel PW Doppler Si consideri una grandezza fisica m comunque variabile con continuità nel tempo, come nella figura 11.26. Tale grandezza può essere, per esempio, uno spezzone del segnale della figura 11.14, che all’istante t1 assume il valore A1. A1 è pertanto il valore rilevato all’uscita del demodulatore in quadratura al tempo t1. Dopo l’intervallo di tempo Δt = t2–t1, determinato dalla frequenza di campionamento prescelta, che nell’indagine PW è la PRF (intervallo che intercorre tra l’eco E1 che ha consentito il rilevamento di A1 e il successivo eco E2 39, all’istante t2), la demodulazione dell’eco ha prodotto il valore A2 . Il circuito SH, rileva (sample) il valore di m all’istante t1 e lo mantiene (hold) costante e pari 39
In altri termini Δt è pari al periodo di ripetizione degli impulsi, altrimenti detto pulse repetition period: PRP = 1/PRF.
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Figura 11.26. Principio di funzionamento del circuito di sample and hold: il segnale originario m viene campionato a istanti di tempo ti (con i = 1, 2, ..., n) prestabiliti (fase di sample). Durante ciascun intervallo Δt = ti– ti-1 il circuito di SH fornisce un’uscita costante, mantenendo il segnale al valore campionato all’istante ti (fase di hold).
ad A1 per tutto l’intervallo di tempo Δt quando viene aggiornato dal successivo impulso all’istante t2 cioè quando il valore di m assume il valore A2 e così per tutti i successivi impulsi40. Si dice che la grandezza m viene campionata (vedi capitolo 10) con la frequenza PRF e assume l’aspetto a scaletta trasformandosi in m′: m′ rappresenta pertanto il campionamento di m. Tutto ciò premesso, il procedimento mediante il quale si costruisce il segnale Doppler del volume di misura SV, può essere descritto facendo riferimento alla figura 11.27 come segue. Si sceglie la profondità (range) del SV per mezzo del valore della PRF. Vengono trasmessi, con la medesima PRF, gli impulsi e, per ciascuno di essi, vengono raccolti i corrispondenti echi. Ciò è rappresentato dalla figura 11.27a, avendo indicato con 1 il primo impulso trasmesso e con 1′ il corrispondente eco raccolto. Questo procedimento viene ripetuto per tanti impulsi (1-1′, 2-2′, ..., 100-100′) quanti sono i campioni41 di echi (e quindi di velocità) che si desidera raccogliere (per esempio 100 campioni) nel periodo T, durante il quale si ammette che il processo sia stazionario. Nella figura è T = 5 ms. Quello raccolto dagli echi è evidentemente il segnale sr(t) della [11.21], cioè quello che trasporta l’informazione Doppler contenuta nella frequenza ricevuta fr . Al fine di estrarre il valore della frequenza Doppler fD,
• •
40 Si osserva che quanto qui esposto è da intendersi in linea di principio: esistono diversi tipi di circuiti di sample and hold, che possono differire tra loro in alcuni aspetti. Per esempio, è molto diffuso un modello in cui il segnale campionato all’istante ti non è mantenuto per tutto l’intervallo di tempo Δt al livello iniziale Ai , bensì viene integrato. 41 Occorre porre attenzione al fatto che nel seguito del testo la parola campione viene utilizzata anche per indicare la ricezione di echi provenienti da ogni singolo gate.
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· Ecotomografia
è necessario compiere l’operazione di demodulazione cioè eseguire il prodotto tra la fr dell’eco e la f0 di riferimento (figura 11.27b). Si ottiene in tal modo il segnale mixato, così come rappresentato nella posizione 3 della figura 11.9. Si ha pertanto che ciascun eco 1′, 2′, ..., 100′ è rappresentato da un’espressione del tipo (figura 11.27c)
(
d(t) = sr (t)sin 2π f 0 t
)
[11.58]
La sua allocazione, cioè il valore d(t) rispetto all’ascissa temporale, rappresenta l’ampiezza (in quell’istante) del segnale Doppler e pertanto esso sarà posizionato sopra o sotto il predetto asse, seguendo l’andamento della frequenza Doppler, così come si deduce dall’osservazione delle posizioni 3 e 4 della figura 11.9. Si osserva a questo riguardo che ciascuno dei pacchetti 1′, 2′, ..., 100′ rappresenta il campionamento del segnale Doppler continuo, che in realtà è fisicamente presente nel SV e rappresentato con m nella figura 11.26, mentre l’individuazione di uno dei punti di m, come A1 nella medesima figura, rappresenta un elemento del campionamento, cioè il singolo “pacchetto”. Non è inutile ricordare che il campionamento è il risultato del fatto che l’individuazione della posizione (range) del SV può essere attuata esclusivamente introducendo il pulsed wave, cioè in realtà campionando la velocità dei globuli rossi nel medesimo SV.
•
Ciascun campione del segnale mixato della figura 11.27c contiene le componenti a frequenza f0 + fr e f0 – fr . Occorre pertanto eliminare la componente a frequenza più elevata (che non porta l’informazione utile) mediante filtraggio, ottenendo così l’andamento nel tempo di f0 – fr , ossia del valore sD(t) della velocità dei globuli rossi del SV nei diversi campioni, così come viene rappresentato nella figura 11.27d: si tratta cioè del segnale Doppler campionato, corrispondente alla grandezza m′ della figura 11.26.
•
Per costruire un segnale Doppler continuo privato delle discontinuità dovute al campionamento, cioè utilizzabile nelle successive operazioni necessarie per ottenere lo spettro delle velocità (con le stesse modalità utilizzate per il CW, vedi figura 11.14 e seguenti), il segnale della figura 11.27d viene inviato al circuito di SH, che acquisisce in sequenza nella sua memoria i valori demodulati e filtrati della velocità di ciascuno dei campioni 1′, 2′, ..., 100′ e lo mantiene costante fino al sopraggiungere del successivo valore; in sostanza, il valore 1′ rimane costante fino al sopraggiungere del valore 2′ (in generale diverso da 1′) e così via. Procedendo in tale modo, all’uscita del SH vi è un segnale discontinuo a gradini, come rappresentato nella figura 11.27e, la cui ampiezza è indicativa del numero dei globuli rossi nei sample volume 1′, 2′, ..., 100′ dove si sono prodotti gli echi.
•
Tale segnale è successivamente filtrato, cioè sono eliminate tutte le alte frequenze contenute negli “spigoli” dei gradini: ciò che rimane è l’andamento del segnale Doppler ricostruito, rappresentato nella figura 11.27f. Il segnale
Capitolo 11
· Eco - Doppler
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Figura 11.27. Funzionamento del sample and hold (SH). (a) Il segnale eco contenuto nel gate, caratterizzato da una durata tg e allocato a una distanza dal trasduttore corrispondente al tempo td , viene demodulato per mezzo di un segnale di riferimento (b) per produrre il segnale d(t) (c). Conseguentemente a un’azione di filtraggio è possibile estrarre dall’inviluppo di d(t) il segnale demodulato sD(t) (d). Questo viene “campionato” dal SH (a intervalli di tempo Δt = 1/PRF e successivamente quantizzato): l’insieme di più campioni (per esempio 100) per una durata temporale complessiva pari al tempo di stazionarietà, per esempio T = 5 ms, consente di ricavare lo spettro Doppler a partire dal segnale in uscita dal SH (e). Filtrando ulteriormente il segnale in uscita SH, si ottiene (f) il segnale Doppler demodulato s D*(t). Giova riferire che il filtraggio del segnale SH per ottenere sD*(t) è utile per poter inviare agli altoparlanti un segnale privato delle discontinuità dovute al campionamento; in questo caso l’estrazione delle frequenze Doppler è affidata all’orecchio del medico. Per quanto attiene invece all’estrazione per via numerica di tali frequenze, il calcolo della FFT viene eseguito utilizzando direttamente il segnale SH, dopo la conversione numerica per mezzo di un convertitore A/D.
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ricostruito è simile, ma non identico, a quello che si otterrebbe se si potesse idealmente estrarre il CW dal volume di prova; tuttavia l’errore che si compie è tanto più piccolo quanto maggiore è la frequenza di campionamento. Nel paragrafo 11.16 vengono descritte le modalità con le quali viene calcolata la distribuzione delle velocità dei globuli rossi nel volume di prova rappresentata dallo spettro delle velocità ottenuto mediante FFT del segnale Doppler campionato (segnale SH della figura 11.27).
11.13.3 Parametri di controllo nel PW Le apparecchiature PW offrono all’operatore la possibilità di variare i parametri che definiscono il volume di misura SV: i principali sono i seguenti. – Posizione di SV: l’operatore può situare il SV a qualsiasi profondità a partire dalla posizione iniziale definita dalla superficie della sonda a contatto con il corpo del paziente42. Di solito gli aspetti fluidodinamici indagabili con l’eco-Doppler vengono presentati insieme all’anatomia del luogo oggetto dell’indagine, ossia con l’immagine B-Mode Real-Time (sistemi in duplex scanning); ciò rende agevole il posizionamento del volume di prova ritenuto più idoneo ai fini diagnostici. – In alcune apparecchiature è anche possibile regolare la durata dell’impulso: questo è infatti un parametro molto importante nel Doppler, dove è bene sia composto da un numero di cicli di f0 maggiore che non nel caso B-Mode (da 4 a 30, come si è visto). Una maggiore lunghezza dell’impulso consente un più accurato rilevamento della velocità, anche se ciò comporta una diminuzione della PRF, cioè della risoluzione temporale. Dal punto di vista operativo, alla regolazione della durata dell’impulso corrisponde una diversa estensione di SV43. – La regolazione dell’angolo di attacco γ può essere operata solamente nelle apparecchiature duplex. L’operatore può scegliere l’angolo rispetto alla direzione del flusso che deve essere osservato, e ciò sia per individuarne meglio la direzione nel particolare distretto anatomico oggetto dell’indagine, sia per compiere l’errore più piccolo possibile nella determinazione della velocità. In genere, l’apparecchiatura opera la necessaria correzione per tenere conto dell’angolo reale del fascio ultrasonoro. Nella figura 11.28 viene mostrato in un’apparecchiatura duplex lo spettro Doppler pulsato relativo a un volume di prova di 8 mm di estensione e allocato, grazie all’ausilio dell’immagine B-Mode, a circa 8 cm di profondità. 42
Si osserva che in generale vi è una distanza minima, invero molto prossima alla superficie emittente della sonda ecografica, al di sotto della quale non è possibile allocare SV. 43 Nei sistemi diagnostici attuali il SV mediamente può variare da 1 a oltre 10 mm. Tale range ha valore indicativo, dato che le specifiche tecniche possono variare sensibilmente tra ecografi di differenti aziende costruttrici. A tale proposito è stato osservato che in alcuni ecotomografi di recente produzione è possibile ottenere per SV dimensioni minime fino a 0,5 mm e massime oltre i 25 mm.
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Figura 11.28. Esempio di spettro Doppler PW (in modalità duplex) relativo a un flusso laminare di velocità media v = 5,5 cm s–1 in un condotto di 8 mm (fantoccio Doppler a tubi di flusso). A sinistra è mostrato lo spettro Doppler con asse dei tempi in secondi e asse delle velocità in centimetri al secondo. Le impostazioni visualizzate sono relative al guadagno (DG, o Doppler gain), PRF e filtro di parete (FILTER:10). A destra immagine B-Mode corrispondente (volume di prova di 8 mm e direzione di 44 gradi).
11.14 Pulsed Doppler multigate L’applicazione del PW a un singolo volume di misura consente di valutare il valore della velocità al suo interno, ma non consente la valutazione di altri importanti parametri connessi alla misura della velocità, come la misura del flusso (per esempio la gittata cardiaca). Per estendere le applicazioni della misura della velocità, occorre quindi conoscere il profilo delle velocità che si manifesta nel vaso sanguigno, in relazione al tipo di moto che in esso si realizza (laminare, turbolento, a pistone ecc.). Questo importante problema si risolve interrogando, sulla medesima linea di vista, più volumi di misura adiacenti a profondità crescenti, per mezzo della trasmissione di uno o più impulsi, i cui echi vengono raccolti in tempi successivi, realizzando in tal modo la misura della velocità dei globuli rossi proveniente da profondità diverse (cioè da volumi di prova adiacenti e consecutivi), per mezzo della quale è possibile costruire anche il cosiddetto solido delle velocità in una determinata sezione del vaso. Il meccanismo di formazione di ciascuno degli n profili di velocità (figura 11.30a,b,c), che si costruiscono in tempi successivi, è spiegato qui di seguito. Esso è fondato sulla deduzione del segnale Doppler così come è indicato, per ciascun gate, nella figura 11.27. L’individuazione del segnale Doppler, richiede l’invio in ciascun gate di un centinaio di impulsi (tipicamente 128, ma 100 nel caso descritto nella figura), in quanto la frequenza del segnale Doppler può es-
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Figura 11.29. Sistema Doppler PW multigate applicato al profilo di velocità del sangue nel vaso. (a) Le informazioni relative al profilo di velocità vengono ottenute dagli echi provenienti da ciascuno dei gate situati all’interno del vaso. Le velocità rilevate a partire da ciascun volume di prova corrispondono alle velocità radiali vc come indicato in (b).
sere estratta soltanto dopo l’acquisizione di un numero di campioni sufficiente per individuare almeno un ciclo di detta frequenza44. Nella figura 11.29a è mostrata, per un limitato numero di gate (pari a 5), la successione degli eventi che si manifestano man mano che ogni singolo impulso (dei 100 considerati) penetra nel vaso sanguigno. Al tempo t0 il trasduttore T lancia un impulso che giunge sulla parete anteriore dell’arteria dopo aver percorso il tragitto 0 , durante il quale il ricevitore è inattivo. Dopo il percorso 0 , il ricevitore viene attivato, ossia l’impulso attraversa il gate G1 e rinvia l’eco corrispondente, che giunge al trasduttore dopo il tempo Δt1. Nel ricevitore viene confrontata la frequenza dell’impulso trasmesso con quella dell’eco ricevuto e viene dedotto il primo campione del Doppler shift (rappresentato dal primo campione in colore nella figura 11.27c). Considerato che occorrono 100 campioni per calcolare lo spettro delle velocità in corrispondenza di ciascun gate (e quindi di ciascuna profondità), la propagazione del primo impulso attraverso la sequenza dei cinque gate, produce il primo dei 100 campioni per ciascun gate. Poiché gli impulsi inviati sono 100, per ognuno dei 5 gate si otterranno 100 campioni con i quali vengono costruite le 5 FFT (spettri), relative all’andamento delle velocità alle profondità individuate da ciascun gate. Da queste FFT si può per esempio estrarre il valore massimo della velocità e pertanto estraendo tale valore per i 5 gate, si può costruire il primo profilo delle velocità così come rappresentato nella 44 Quanto affermato si traduce nella nota condizione di Nyquist, che impone l’acquisizione di almeno due campioni per ciascuna componente sinusoidale e, quindi, per ciascun valore del Doppler shift.
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Figura 11.30. (a) La variazione nel tempo dei segnali eco provenienti da ciascun gate conduce alla variazione dei corrispondenti Doppler shift. Il sistema produce pertanto un insieme di profili di velocità in funzione del tempo. (b, c) Profili di velocità ottenuti in condizioni di moto laminare e moto vario rispettivamente.
figura 11.30a. L’estrazione di questi valori massimi avviene nel medesimo tempo, in quanto l’hardware corrispondente al tipo di realizzazione 45 è costituito da tanti canali fisici per quanti sono i gate (nella fattispecie 5, nella realtà fino a un massimo di 32). Ciò significa che, trascorso il tempo di stazionarietà T, pari a circa 5 ms, il sistema invia altri 100 impulsi, con i quali, seguendo il medesimo procedimento, si calcola il secondo profilo delle velocità. In tal modo è possibile seguire l’evoluzione temporale del profilo delle velocità in corrispondenza del volume di prova, come mostrato nella figura 11.30b,c. Se con ciascuno dei profili ottenuti si calcola il solido di rivoluzione, rispetto al valore massimo della velocità del profilo, il volume del solido così ottenuto rappresenta la portata istantanea. In particolare se il moto è laminare (figura 45
J. Kisslo, D.B. Adams, R.N. Belkin (1988) Doppler Color Flow Imaging. Churchill Livingstone, New York.
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11.30b) il solido è un paraboloide di rivoluzione; diversamente è uno pseudo paraboloide, che varia il proprio volume con una sagoma che segue nei vari istanti la forma imposta dai profili (figura 11.30c). Con la costruzione dei solidi di rivoluzione estratti dai profili di velocità, è pertanto possibile conoscere il flusso sanguigno in funzione del tempo. Quanto sinora descritto non viene rappresentato in nessuna immagine e, pertanto, il risultato dell’indagine è un singolo valore corrispondente alla misura della portata istantanea. Sebbene sia poco utilizzata nei recenti apparati commerciali, questa tecnica (pulsed multigate) è stata descritta perché su di essa è fondata l’applicazione della costruzione dell’immagine Color Doppler, che è oggetto del prossimo capitolo. Un’ultima considerazione, a conclusione di questa descrizione, riguarda la necessità di disporre sempre, per la misura di velocità per mezzo dell’effetto Doppler, di un gran numero di campioni per poter applicare le regole dell’analisi statistica, che richiedono, a loro volta, un tempo di calcolo strettamente connesso all’algoritmo utilizzato. Nel caso della valutazione delle velocità di un singolo volume di prova, non esistono particolari difficoltà realizzative, che invece si manifesteranno quando il numero dei volumi di prova diviene di qualche centinaio.
11.15 Strumenti duplex Si chiama duplex un ecotomografo Doppler che combina insieme un’immagine B-Scan Real-Time con un’immagine nella quale sono rappresentati i risultati di una misura di CW o PW (o Color Doppler, si veda capitolo 12). L’immagine real-time rappresenta la sede della corrente sanguigna, con gli eventuali ostacoli riflettori fissi come placche o calcificazioni aderenti al vaso sanguigno o altre strutture anatomiche, mentre l’apparecchiatura Doppler fornisce le informazioni relative al flusso sanguigno entro un determinato volume. I due sistemi di rilevamento sono complementari, nel senso che l’immagine Real-Time viene utilizzata per localizzare in modo assai accurato la zona di indagine fluidodinamica, mentre è al tempo stesso visibile la condizione di pervietà del condotto: ciò consente una particolare accuratezza e rapidità di diagnosi. Nella figura 11.31 è rappresentata un’immagine duplex, nella quale sono chiaramente individuabili il vaso sanguigno, il volume di prova al suo interno e il relativo valore del flusso misurato in due condizioni di ampiezza del volume di prova. Nel corso della rappresentazione duplex il sistema che attua il processamento del segnale Doppler funziona in modo alternato con il sistema che fornisce le immagini B-Mode Real-Time in scala di grigi. Le modalità con le quali avviene questo continuo alternarsi di immagini Doppler e immagini BMode in scala di grigi sono spesso sotto il controllo dell’operatore in modo diretto o indiretto, nel senso che è possibile stabilire con quale frequenza viene aggiornata l’immagine B-Mode mentre viene osservata l’immagine Doppler. Questo aggiornamento è di solito compreso nel range 7÷10 immagini al se-
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Figura 11.31. Immagini duplex di un condotto percorso da fluido a velocità media costante con volume di prova (SV) di dimensioni 1 mm (a) e 3 mm (b).
condo, ma è prevista l’opzione che esclude l’aggiornamento. Ovviamente quanto maggiore è la frequenza di aggiornamento delle immagini B-Mode, tanto più accurata è l’allocazione del volume di prova nel corso delle indagini Doppler. Questa circostanza è tanto più rilevante quanto più piccoli sono i vasi oggetto dell’indagine Doppler. A conclusione di questo paragrafo occorre osservare che il tempo richiesto per le immagini Doppler può essere anche molto lungo, specialmente se il volume di prova è lontano dalla sonda e se in esso vi sono riflettori la cui velocità varia molto rapidamente nel tempo: tale circostanza pone dei limiti fisici alla frequenza di aggiornamento dell’immagine Real-Time.
11.16 L’analisi spettrale nel PW Doppler Nelle pagine precedenti è stata illustrata l’analisi spettrale nella modalità di onda continua CW. In essa il volume di misura è di grande estensione46 e per tale motivo l’aspetto della risposta spettrale è rappresentato da una distribuzione pressoché continua di righe (spettrali) la cui ampiezza massima è dipendente, istante per istante nel corso del ciclo cardiaco, dalla massima velocità rilevata (figura 11.17a,b), mentre l’ampiezza minima coincide con il valore zero poiché, tra tutti i possibili valori delle velocità, certamente esistono globuli rossi fermi (aderenti alla parete) o pressoché fermi. Nel caso del Doppler pulsato, che qui si descrive, la possibilità di posizionare un volume di prova di dimensioni ristrette in un ben determinato sito del flusso sanguigno cambia notevolmente l’aspetto della registrazione dello spettro e lo arricchisce di informazioni diagnostiche. L’analisi viene condotta sostanzialmente con le medesime modalità utilizzate nel CW, ma nel caso del PW occorre specificare con 46 Come osservato inizialmente, nel Doppler CW la zona da cui ha origine il segnale è data dall’ampia intersezione tra il campo ultrasonoro generato dal trasduttore trasmettitore e quello rilevato dal trasduttore ricevitore.
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maggiore dettaglio le condizioni sperimentali nelle quali viene prelevato il segnale Doppler nell’ambito della zona di misura (gate) all’interno del vaso: ciò è indispensabile per attribuire un chiaro significato allo spettro delle velocità, che è diverso dipendentemente dalle predette condizioni.
11.16.1 Spettro e profilo delle velocità Nel capitolo 9 è stato mostrato che, nel caso di flusso laminare, al profilo parabolico delle velocità delle particelle che scorrono in un condotto, è associato uno spettro di tipo rettangolare, cioè sono presenti tutte le velocità nel campo 0 ÷ vmax m s–1 e la velocità media è pari a vmax /2. Ciò è vero assumendo l’ipotesi che il fascio ultrasonoro investa l’intero campo fluidodinamico, in modo che possa essere rilevato l’intero campo di velocità (figura 11.32a). Si supponga ora che ciò non si verifichi e che il fascio ultrasonoro, assimilato a un raggio acustico, interessi solo una frazione dell’intera sezione utile, in modo che il segnale Doppler sia relativo solo a essa (figura 11.32b). Nella figura 11.32a si osserva che il fascio ultrasonoro interessa l’intera sezione e pertanto viene rilevato lo spettro corrispondente contenente l’intero campo delle velocità. Nella figura 11.32b, nel medesimo flusso laminare, con modalità già riferite, in ordine alla allocazione del volume di prova, il fascio ultrasonoro “preleva” invece le velocità all’interno di una piccola frazione dell’intera sezione, nella quale esse differiscono di poco; il corrispondente spettro mostrerà un andamento che si approssima alla riga singola, che si manifesterebbe solo se le velocità nel gate fossero tutte identiche. La larghezza della riga reale è tanto maggiore, quanto maggiore è il divario delle velocità nel gate. Nella figura 11.32c è riportato il fascio ultrasonoro che interessa l’intera sezione di un vaso nel quale si manifesta un moto turbolento: com’è noto in questo caso l’andamento del profilo delle velocità è generalmente piatto nella zona centrale, ma varia fortemente nella zona prossima alle pareti, ove è posto il volume di prova e la corrispondente quantità delle particelle è modesta. Ciò si traduce in uno spettro che presenta una zona con una parte grosso modo piatta, corrispondente al valore pressoché uguale del numero di particelle aventi un gran numero di velocità diverse, e un picco corrispondente al gran numero di particelle aventi velocità massima (ossia quelle che danno origine all’inizio del profilo di velocità che, più lontano dalle pareti, mostra il caratteristico aspetto “schiacciato”). Nella figura 11.32d si osserva infine che, anche nel moto turbolento, se la quota parte della sezione del volume di prova è piccola, è piccolo anche il divario delle velocità e pertanto il corrispondente spettro differisce assai poco da quello del moto laminare della figura 11.32b. Da quanto esposto deriva quindi che il profilo di velocità e lo spettro hanno aspetto assai diverso a seconda del tipo di moto e dell’ampiezza della zona sottoposta a osservazione; peraltro, se la finestra di osservazione è molto piccola, gli spettri possono avere lo stesso aspetto, anche se appartenenti a moti fluidi diversi.
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Figura 11.32. Effetto della dimensione del gate sullo spettro delle velocità rilevato da un sistema Doppler PW. (a, c) L’intero vaso contribuisce alla costruzione dello spettro delle velocità (moto laminare e moto turbolento rispettivamente). (b, d) Sono schematizzate le distorsioni cui vanno incontro rispettivamente gli spettri (a) e (c), allorquando il volume di prova coinvolga solo una parte del vaso.
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11.16.2 Modalità di rappresentazione dello spettro Poiché l’andamento dello spettro contiene i dati relativi al profilo delle velocità, da cui si deduce l’andamento del flusso nei vasi sanguigni, e poiché tale flusso è strettamente legato alle condizioni fisiche del vaso, cioè alle sue dimensioni e alla presenza di ostruzioni e/o restringimenti, è necessario riprodurre gli spettri sul monitor affinché sia visualizzato per l’operatore lo stato fisico del distretto anatomico assieme al regime fluidodinamico: la difficoltà risiede, pertanto, nel fornire tali informazioni istante per istante e in forma facilmente interpretabile. La soluzione del problema appena posto risiede ancora nell’utilizzare la scala dei grigi, vale a dire nell’assegnare a ogni frequenza del Doppler shift un pixel, il cui livello di grigio è proporzionale all’ampiezza nello spettro47, cioè al numero dei globuli rossi che hanno la stessa velocità. Per tale motivo l’insieme dei pixel allineati48 lungo l’asse delle frequenze Doppler costituisce la rappresentazione dello spettro delle velocità in un dato istante, dove ciascun pixel rappresenta una velocità e il suo livello di grigio è direttamente proporzionale al numero di particelle animate da tale velocità. Si consideri per esempio il caso di flusso laminare, lo spettro è rettangolare e assegnando una tonalità di grigio, compresa tra il valore massimo corrispondente al bianco e il valore zero corrispondente al nero, all’unico valore dell’ordinata assunto per tutte le frequenze Doppler misurate, corrisponde uno spettro delle velocità codificato da un’unica striscia bianca, come nella figura 11.33. Infatti, se per esempio si prendono in considerazione 12 pixel, che rappresentano nella loro posizione sullo schermo 12 valori della velocità49, poiché l’intensità dello spettro in corrispondenza di ciascuna di esse è costante e pari al valore massimo, cui è attribuito il colore bianco, tutta la striscia rappresentativa dello spettro, ossia la riga spettrale, apparirà bianca sullo schermo, cioè con intensità luminosa massima (assenza di nero). Si consideri ora il caso di spettro relativo a un moto turbolento della figura 11.34. Si osserva come, diversamente dalla situazione illustrata nella figura 11.33, i 12 pixel sono riportati con una scala di grigi a partire dal bianco, corrispondente al valore massimo dell’ordinata dello spettro, fino al valore grigio scuro, relativo al minimo dell’ordinata. È ora evidente che, nel caso di uno spettro qualsiasi, cioè con andamento delle ampiezze corrispondente a un
47
La codifica dell’intensità dello spettro Doppler in scala di grigi sottintende che esso può essere rappresentato solo da un numero finito di valori, tale limite è fondamentalmente dettato dal numero di bit utilizzato (in genere 8). 48 Va osservato che, secondo la teoria dei segnali, si è soliti indicare con il termine riga spettrale l’ampiezza della componente sinusoidale presente nello sviluppo in serie di Fourier del segnale e, quindi, nel suo “spettro di Fourier”. In ecografia il termine riga spettrale viene comunemente associato a ciascuna delle colonne di pixel che costituiscono lo spettro Doppler visualizzato sul monitor in funzione del tempo: in questi termini ciascuna riga è lo spettro in un determinato istante. 49 Si ricorda che ciascuna velocità è legata a un Doppler shift nello spettro e che, in particolare, i pixel allocati nella figura 11.33 corrispondono, da sinistra verso destra, a velocità via via crescenti.
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Figura 11.33. Codifica in livelli di grigio dello spettro di velocità relativo a un flusso laminare: la riga spettrale, costituita nell’esempio da 12 pixel corrispondenti a valori delle velocità crescenti da sinistra verso destra, assume un colore uniforme (bianco nel caso in cui l’ampiezza del segnale sia pari a quella massima codificata dalla scala di grigi).
Figura 11.34. Codifica in livelli di grigio dello spettro di velocità relativo a un flusso turbolento: la corrispondente riga spettrale assume gradazioni di grigio differenti a seconda dell’intensità della riga spettrale corrispondente.
complesso andamento delle velocità nel sito prescelto, corrisponde in modo equivalente una riga spettrale sul display dell’ecotomografo, dove l’andamento dei grigi, cioè il livello di grigio di ciascun pixel, è rappresentativo del numero di globuli rossi che in quel determinato istante possiedono una determinata velocità, il cui modulo è rappresentato dal valore dell’ordinata (figura 11.37 e seguenti).
11.16.3 Valutazione dello spettro relativo a un particolare sito Per descrivere con maggiore dettaglio le fasi dell’intero processo che conduce alla costruzione della singola riga dello spettro, corrispondente a ciascun intervallo T di 1÷10 m s del segnale Doppler proveniente da un determinato vo-
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Figura 11.35. Esempio di segnale Doppler PW (in azzurro) in uscita dal demodulatore.
lume di misura, conviene riferirsi alla figura 11.35, che costituisce un dettaglio della 11.27d. Il segnale Doppler della figura 11.35 (in azzurro) è uno dei campioni che viene sottoposto all’analisi spettrale FFT (nell’esempio della figura 11.27c, è il campione 1′ relativo a una certa profondità; vedi anche la figura 11.24). Si ricorda che per effettuare la suddetta elaborazione è necessario disporre del segnale per una durata di tempo T, tale che esso possa considerarsi stazionario. Questa condizione è tanto più verificata quanto più piccolo è T; ma a questa necessità si contrappone la durata del tempo di calcolo occorrente per effettuare la FFT; si deve perciò raggiungere un compromesso tra queste due esigenze: T può variare nel campo 1÷10 ms (come più volte indicato), a seconda
Figura 11.36. Esempio di spettro Doppler: le frequenze fD per cui le ampiezze sono diverse da zero corrispondono alle velocità presenti nel campione. Ciascuna ampiezza è proporzionale al numero di particelle animate dalla velocità a essa corrispondente.
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Figura 11.37. Esempio di riga utilizzata per rappresentare lo spettro PW: i pixel che la compongono rappresentano diverse velocità (ordinate in ordine crescente dal basso verso l’alto), mentre il livello di grigio assunto da ciascuno di essi è proporzionale al numero di particelle animate da tale velocità. Pertanto i pixel neri corrispondono a velocità non presenti nel campione, mentre i pixel bianchi corrispondono a velocità possedute da un gran numero di riflettori.
dalla capacità di calcolo del sistema e dall’algoritmo implementato. Appare pertanto necessario acquisire un numero di campioni tale da rendere affidabile il calcolo della FFT entro l’intervallo di osservazione T (in genere più di 100, si veda anche figura 11.27), quindi sul segnale Doppler SH compreso entro tale intervallo viene effettuata la FFT. Questa, come mostrato nella figura 11.36, è composta da un certo numero di righe (9 nell’esempio della figura). A ciascuna riga dello spettro50 della figura 11.36 corrisponde in ascissa una determinata velocità del riflettore entro il SV. Se a ogni velocità si fa corrispondere un pixel, il quale può assumere una gamma di livelli di grigio secondo la convenzione precedentemente accennata, lo spettro della figura 11.36 diviene una “singola riga”, quest’ultima può essere inserita in una nuova rappresentazione grafica (figura 11.37), dove si può rilevare l’intervallo T nel quale si manifestano nel volume SV le velocità anzidette. Nella figura 11.37 si può riconoscere che a ciascuna delle 9 righe di cui è composto lo spettro corrisponde un pixel con valore di grigio diverso da zero
50
Per semplicità ne sono rappresentate solamente 9.
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· Ecotomografia
Figura 11.38. Esempio di spettro PW nel caso di una sola velocità presente all’interno del sample volume (tutti i riflettori possiedono tale velocità).
(ossia non nero) e proporzionale all’ampiezza della riga stessa: pertanto, poiché la scala dei grigi si sviluppa per valori crescenti dal nero al bianco, a un maggiore livello di grigio corrisponde un più elevato numero di particelle animate dalla velocità a essa relativa. Si deduce che nell’intervallo di tempo T, risultante dalla somma dei contributi delle finestre temporali (analoghe a quella riportata nella figura 11.35), vi sono globuli rossi che hanno velocità compresa nell’intervallo vmax–vmin della figura 11.37, per tale motivo si suole dire che in quell’intervallo lo spettro ha larghezza vmax–vmin . Se per esempio il moto entro SV fosse composto di globuli rossi aventi tutti la medesima velocità v, lo spettro della figura 11.37 si sarebbe ridotto a un unico pixel, il cui valore di grigio corrisponde all’unico valore della velocità v, come riportato nella figura 11.38. Ciò significa che, riferendosi a un tipo di moto per il quale le linee di flusso sono parallele, se a ciascuna di queste si potesse attribuire in ogni istante un’unica velocità, l’andamento del flusso in funzione del tempo sarebbe rappresentato da una linea continua a spessore costante, che può essere immaginata come composta da tanti pixel caratterizzati da un livello di grigio diverso da zero, ciascuno facente parte di una riga spettrale (come quella riportata nella figura 11.38) corrispondente a istanti di tempo diversi. Inoltre, assegnando a ogni valore di grigio una corrispondente intensità luminosa visibile nel-
Capitolo 11
· Eco - Doppler
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Figura 11.39. Esempio di spettro Doppler in funzione del tempo, così come apparirebbe sul monitor di un sistema PW Doppler se nel sample volume tutti i riflettori fossero animati da un’unica velocità.
lo schermo, tale intensità sarebbe costante, essendo costante nel tempo il numero di particelle animate dall’unica velocità presente; in tal caso la curva rappresentativa dello spettro in funzione del tempo apparirebbe come una linea luminosa a intensità costante. Nella figura 11.39 è riportato un esempio di tale curva, il cui andamento rispecchia quello della pressione sistolica. In realtà in un moto non ideale, soprattutto se turbolento, esiste sempre una componente caotica, per la quale nel medesimo istante esistono diversi valori di velocità. L’andamento pulsatile della velocità non può quindi essere descritto con una linea continua spessa un solo pixel, come nella figura 11.39, ma deve essere rappresentato mediante una curva dal caratteristico aspetto “sfumato”, nel cui spessore appaiono numerosi pixel, ciascuno dei quali rappresenta una velocità esistente nel volume di prova. In definitiva, se si pongono in successione temporale le righe spettrali corrispondenti ai diversi intervalli Ti, nei quali è stato ricostruito il segnale Doppler in uscita dal demodulatore (figura 11.27), si ottiene un diagramma come quello della figura 11.40, che rappresenta l’andamento temporale delle velocità dei globuli rossi, racchiusi nel volume di prova SV, durante il ciclo cardiaco. Si riconosce che esso corrisponde a un andamento periodico, il cui periodo è quello corrispondente alla frequenza cardiaca, e che esistono due campi di velocità: al di sopra e al di sotto della linea dello zero. Infatti, essendo direzionale, il demodulatore riesce a distinguere il verso della velocità; pertanto esso è idoneo a rappresentare velocità positive, cioè nella direzione di avvicinamento al trasduttore, e viceversa. In definitiva la linea luminosa rappresentativa di uno spettro relativo a un solo valore di velocità, nel caso della figura 11.40 ha assunto uno spessore variabile istante per istante: in ogni istante ogni riga spettrale può estendersi a
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
Figura 11.40. Esempio di spettro Doppler PW in funzione del tempo così come si presenta sul monitor di un sistema diagnostico eco Doppler: tale spettro è dato dalla composizione istante per istante di righe spettrali analoghe a quella riportata nella figura 11.37.
diversa altezza, mentre al suo interno è variabile anche la scala di grigi e, corrispondentemente, la brillanza. L’entità dell’altezza (vmax –vmin), cioè l’estensione delle varie righe spettrali, può essere tale che il valore vmin si annulli e cioè vmin = 0: ciò significa che nel SV vi sono globuli rossi fermi. Se si definisce finestra spettrale il campo delle velocità (o dei Doppler shift) compreso tra la linea che unisce il bordo inferiore dello spessore dello spettro della figura 11.40 e l’asse dei tempi, l’ampiezza di tale finestra, rappresenta una misura del grande divario di velocità presenti nel flusso; pertanto la sparizione della finestra equivale a un moto particolarmente disordinato (turbolento), ossia contenente particelle la cui velocità varia entro la massima ampiezza dell’intervallo prevista, cioè da zero al valore di picco. Va rammentato che l’analisi spettrale è ottenuta da un processore che richiede segnali digitalizzati, ciò rende necessaria la presenza di un convertitore A/D51, che campioni a una frequenza fS pari ad almeno due volte il Doppler shift massimo fDmax che si vuole misurare senza ambiguità (così come richiesto dal teorema di Nyquist). Lo studio dettagliato delle caratteristiche del convertitore A/D necessario per effettuare il calcolo della FFT, in rapporto a quanto 51 In genere un convertitore analogico/digitale (A/D) è caratterizzato da una frequenza di campionamento fS (sampling rate) e da una risoluzione r in numero di bit. La frequenza di campionamento limita il numero di campioni in cui il segnale viene discretizzato nell’unità di tempo (per tale motivo viene di solito espressa in sample/s), mentre il numero di bit n definisce il numero di valori quantizzati in cui è ripartito l’intero range di variazione ΔV del segnale, in corrispondenza di ciascun campione. In particolare la risoluzione del convertitore (a guadagno unitario) è pari a ΔV /(2n–1).
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· Eco - Doppler
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Figura 11.41. Schema delle principali elaborazioni necessarie per ottenere lo spettro del segnale Doppler PW. L’eco ricevuto dalla sonda viene mixato e filtrato (demodulazione), successivamente viene effettuato il campionamento e tenuta (sample and hold), la conversione analogico/digitale, il calcolo dello spettro con la FFT, l’attribuzione dei livelli di grigio a ciascun pixel che compone la rappresentazione in bianco/nero dello spettro e, infine, la rappresentazione sullo schermo assieme agli spettri precedentemente calcolati.
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richiesto dal teorema di Nyquist (vedi seguito) e alla massima velocità di interesse fisiologico, esula dagli scopi del presente testo; per eventuali approfondimenti si rimanda, quindi, ai numerosi testi di teoria dei segnali. Tutto ciò premesso, la logica alla base della misura della velocità con il metodo del PW è schematizzata52 nella figura 11.41. Da quanto finora descritto deriva che lo spessore del tracciato pulsatile (vmax–vmin) del flusso sanguigno (figura 11.40) presenta diverso aspetto a seconda sia del tipo di moto (laminare, turbolento ecc.), sia dell’ampiezza del volume di prova e della sua allocazione entro il vaso sanguigno. Nella figura 11.42 sono mostrate le modifiche che subisce lo spessore del tracciato, prendendo in considerazione la direzione del fascio ultrasonoro con il posizionamento del volume di prova. Si ammette che il flusso sia variabile nel tempo con legge simile a quella che descrive la pressione sistolica nell’arco aortico, in modo che nel volume di prova si possa sperimentare un campo di velocità tra estremi prefissati. In particolare, nella figura 11.42a, viene riportato un moto laminare nel volume di prova, per tale motivo si rileva al suo interno un divario modesto tra le velocità e ciò indipendentemente dal luogo ove viene posto il gate. Le velocità misurate sono tra loro molto simili (si veda anche figura 11.31); quindi lo spettro non è allargato, ma ha finestra spettrale di ampiezza massima e praticamente coincidente con il valore istantaneo della velocità che compete alla fase del ciclo cardiaco. Nel caso rappresentato nella figura 11.42b, dove il moto è turbolento, ponendo il sample volume vicino ai bordi, la situazione cambia rispetto alla precedente, per la presenza di un elevato gradiente di velocità, in quanto le particelle molto vicine alla parete del tubo sono pressoché ferme, mentre acquistano rapidamente velocità man mano che ci si sposta radialmente verso il centro del vaso: pertanto lo spettro di velocità rilevato risulta maggiormente allargato, mentre la finestra spettrale risulta di minore ampiezza rispetto a quanto osservato nel caso della figura 11.42a. Nella figura 11.42c è presente un’ostruzione su una parte della parete del tubo: la sezione utile al passaggio del fluido diminuisce e, quindi, aumentano le velocità delle particelle, mentre in prossimità e a valle dell’ostruzione si generano moti vorticosi con possibilità di inversione del flusso. Nello spettro corrispondente si osserva come sia notevolmente incrementato il divario delle velocità presenti: la finestra spettrale ha ampiezza manifestamente ridotta. Infine, nella figura 11.42d è rappresentato il caso di un’ostruzione severa: a valle dell’ostruzione si manifestano moti vorticosi violenti, che sono anche rilevabili acusticamente (per esempio tramite stetoscopio), e il divario tra le velocità delle singole particelle nel flusso raggiunge il valore massimo. In tali condizioni il moto turbolento è rilevabile dovunque, indipendentemente dal posizionamento del volume di misura: la finestra spettrale è quindi assente. 52 Nello schema proposto, la posizione del convertitore A/D ha valenza prettamente didattica: la tecnologia delle sonde a schiera pone il processo di digitalizzazione del segnale ecografico già nel beamforming.
Capitolo 11
· Eco - Doppler
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Figura 11.42. Effetto del moto del flusso sulla finestra spettrale. (a) Al moto laminare corrisponde una velocità pressoché uniforme dei riflettori nel volume di misura, pertanto lo spettro Doppler nel tempo risulta caratterizzato da una bassa dispersione dei valori di velocità e da un’ampia finestra spettrale. A parità di dimensione del volume di prova in (b) il moto è turbolento, ciò conduce a una maggiore dispersione delle velocità misurate e alla conseguente riduzione della finestra spettrale. (c, d) Vengono schematizzati due casi di stenosi: al ridursi della sezione utile del flusso, le velocità rilevate tendono ad assumere un range di valori sempre più ampio denotato da caratteristiche turbolente, fino ad annullare la finestra spettrale.
11.17 Il fenomeno dell’aliasing La parola aliasing deriva da alias, che letteralmente significa “altrimenti”. Nelle manifestazioni dinamiche alle quali questo termine è riferito, aliasing indica il fenomeno in base al quale ciò che risulta all’osservazione deriva da un’errata interpretazione della realtà fisica, cioè viene rappresentata un’immagine che non riproduce la realtà fisica. In alcuni casi l’aliasing è evidente: basti ricordare quante volte nei film western si vedono le ruote dei carri che girano in senso opposto a quello che ci si aspetta con riferimento al senso di avanzamento. In altri casi l’esistenza dell’aliasing è meno evidente, come in alcune rappresentazioni degli spettri di frequenze nel PW, ove l’immagine può presentarsi sdoppiata rispetto alla linea di frequenza zero. Anche nel Doppler a colori (capitolo 12) possono essere visualizzati, in certe zone dell’immagine, dei colori cui non può essere associato il corretto valore della velocità, che essi rappresentano secondo una determinata scala: tale circostanza sarà ripresa e descritta nel capitolo successivo.
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· Ecotomografia
L’aliasing può manifestarsi in tutti i fenomeni dinamici dal carattere ciclico e di natura analogica, che, per essere analizzati, richiedano l’uso di un sistema di registrazione in grado di trasferirli su un apposito supporto: ciò che conduce all’aliasing è il limite fisico intrinseco del sistema di registrazione nel trasferire integralmente tutto il contenuto informativo del fenomeno originale. Nell’esempio delle ruote dei carri proposto tale limite è fornito dal tempo di persistenza dell’immagine sulla retina dell’occhio. Più in generale, se occorre riprendere e riprodurre un fenomeno periodico, caratterizzato da una singola frequenza, senza doverlo o poterlo registrare con continuità, poiché il sistema di ripresa non può essere continuo53, occorre tenere presente che si manifestano due frequenze: la prima è quella propria del fenomeno in analisi, la seconda è quella con la quale si registra il movimento continuo. Affinché non si verifichi l’aliasing, tali frequenze devono essere in un ben determinato rapporto tra loro.
11.17.1 Aliasing spaziale Un breve cenno all’aliasing spaziale è utile per introdurre l’argomento, perché pone chiaramente in relazione il numero di campioni che, per esempio, occorre catturare da un’immagine affinché il soggetto in essa contenuto possa essere riconosciuto senza ambiguità. A tale proposito si osservi nella figura 11.43 l’immagine di una rosa ottenuta al variare del numero dei campioni che la compongono, questi sono i pixel e corrispondono a una moltitudine di registrazioni, ciascuna delle quale contiene una parte dell’informazione del soggetto originale. L’immagine in livelli di grigio (8 bit) della figura 11.43a è costituita da una griglia di N × N campioni, dove N = 512, mentre nella figura 11.43b la stessa immagine viene ricavata per N = 32 e nella figura 11.43c è campionata con N = 16. Quando il numero N di campioni è modesto, come nella figura 11.43b, risulta assai difficile riconoscere a quale soggetto l’immagine si riferisca, mentre per N inferiori (figura 11.43c) ciò diviene praticamente impossibile: nell’esempio proposto è necessario portare N a 64 campioni spaziali, per riconoscere con una certa sicurezza che il soggetto dell’immagine è una rosa (figura 11.44). L’esempio riportato è di tipo “statico”; pertanto occorre riferirsi alle frequenze spaziali presenti, che sono correlate al potere risolutivo, ossia al dettaglio con cui l’immagine viene riprodotta e quindi, in definitiva, alla campionatura espressa dal valore N della dimensione della griglia. Tuttavia, l’esempio è utile perché mostra chiaramente il significato dell’aliasing, ossia l’interpretazione di un fenomeno come “altro” a causa della sua non corretta registrazione: un osservatore dotato di fantasia potrebbe dedurre che, anziché un fiore, la figura 11.43c riporti un corpo che ha preso fuoco o lo scoppio di una granata.
53 Si pensi per esempio al caso del cinema, dove si preleva un “campione” del soggetto in movimento ogni 1/24 s, oppure al sistema di ripresa televisivo, che preleva campioni ogni 1/25 s.
Capitolo 11
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Figura 11.43. Immagine a 8 bit di una rosa costruita a partire da una matrice di (a) 512 × 512 pixel, (b) 32 × 32 pixel e (c) 16 × 16 pixel.
Figura 11.44. Medesima immagine della figura 11.43 costruita a partire da una matrice di 64 × 64 pixel: per tale numero di campioni il soggetto dell’immagine è riconoscibile.
11.17.2 Aliasing temporale Situazione analoga all’aliasing spaziale, sia pur con aspetti differenti, è quella dell’aliasing temporale, nel quale campionare significa prelevare un certo numero di campioni di un soggetto a istanti di tempo successivi, per esempio le posizioni assunte nel tempo da un corpo in movimento ciclico. Il problema è quanti campioni devono essere utilizzati nel periodo T del fenomeno, affinché dalla loro conoscenza si possa ricostruire senza ambiguità il movimento del corpo nel corso dell’intero ciclo. Si supponga per esempio di voler rappresentare le oscillazioni di un pendolo di frequenza 1 Hz, registrando i campioni della sua posizione per mezzo di una macchina fotografica. Nella figura 11.45 si riporta l’andamento “reale” di tali oscillazioni in funzione del tempo (in rosso); in particolare, nella figura 11.45a si osserva che se vengono scattate 4 fotografie negli intervalli t1, t2 , t3 e t4, ciascuno corrispondente a 1 s, queste raffigureranno il pendolo sempre nella medesima posizione (nella figura sulla verticale) e non vi è possibilità di distinguere se il pendolo sia in moto oppure no. In altri termini, se si campiona il moto del pendo-
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Figura 11.45. Esempio di aliasing ottenuto fotografando a istanti di tempo successivi le posizioni assunte da un pendolo. (a) La frequenza tra uno scatto e il successivo (frequenza di campionamento fS) è pari a quella propria di oscillazione del pendolo (frequenza del segnale f D): la ricostruzione del moto (spezzata di colore verde), a partire dalle posizioni così registrate, mostra erroneamente il pendolo come se fosse fermo. (b) fS = 1,33 fD , ma il moto che viene ricostruito è ancora diverso da quello reale e presenta una frequenza di alias fa = fS–fD = 0,33 fD . Affinché sia possibile identificare senza ambiguità la frequenza reale dell’oscillazione, è necessario che sia almeno fS = 2 fD , come riportato in (c). Dal punto di vista pratico, la necessità di ricostruire con elevata accuratezza la legge del moto richiede che fS sia molto superiore a fD , in (d) è fS = 8 fD.
lo con una fotografia per ciclo, l’aliasing si manifesta nell’apparente immobilità del pendolo in una certa posizione: tale situazione può essere generalizzata, ossia quando la frequenza di registrazione fS (o frequenza di campionamento) uguaglia quella del fenomeno fD (o è pari a un suo sottomultiplo), essa è assolutamente insufficiente per registrare il comportamento dinamico di quest’ultimo su qualsiasi tipo di supporto. Nella figura 11.45b si riporta una situazione analoga alla precedente, nella quale però si è incrementata la frequenza di campionamento da 1 Hz a 1,33 Hz (1 campione ogni 3/4 di ciclo): si osserva che, in queste condizioni, è possibile ricostruire una frequenza apparente seguendo la linea in verde; in particolare, le fotografie scattate negli istanti segnati nella figura rappresentano il pendolo che oscilla con frequenza di 0,4 Hz (1 ciclo ogni 2,5 s). Anche in questo caso appare evidente che la scelta della frequenza di campionamento è inadeguata per rappresentare correttamente la dinamica del fenomeno fisico: si assiste a uno strano effetto, per il quale la frequenza di campionamento fS , pur essendo maggiore di quella propria del segnale fD , non è sufficientemente “veloce” per seguirne l’evoluzione e conduce alla registrazione di una terza frequenza falias, detta frequenza di aliasing (o semplicemente alias), minore delle prime due. Nella figura 11.45c si incrementa ancora la frequenza di campionamento fino ad assumere due campioni per ciclo, cioè 2 Hz. Si riconosce che, in tale caso, la linea spezzata “copia” bene le posizioni assunte nel tempo dal pendolo e pertanto essa rappresenta la frequenza reale del pendolo. Si conclude che, per evitare il fenomeno dell’aliasing, occorre che la frequenza di campio-
Capitolo 11
· Eco - Doppler
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namento fS sia almeno il doppio della frequenza fD del fenomeno che si deve rappresentare, ossia fS ≥ 2 fD
[11.59]
È questo il teorema di Shannon, secondo il quale è necessario campionare il segnale in esame con una frequenza fS di campionamento almeno doppia della massima frequenza in esso contenuta fD(max), per cui più propriamente si deve scrivere fS ≥ 2fD(max) oppure f D(max) ≤
fS = f Nyquist 2
[11.60]
La frequenza fS /2 è comunemente conosciuta come frequenza limite di Nyquist, in omaggio al celebre lavoro di Nyquist del 1928 sulla teoria della trasmissione di segnali telegrafici. In particolare, occorre osservare che nel caso in esame, cioè del Doppler pulsato, la frequenza fS di campionamento è la PRF, mentre il segnale di interesse è la frequenza Doppler che trasporta l’informazione della velocità dell’elemento riflettore, pertanto la [11.60] si scrive f D(max) ≤
PRF 2
[11.61]
La [11.61] indica che la massima velocità vmax di un riflettore, che può essere rilevata senza ambiguità, è limitata dalla PRF e quindi, in ultima analisi, dalla profondità dalla quale provengono i segnali Doppler, cioè dal Range R. L’espressione che lega fD alla PRF e al range può essere facilmente dedotta tenendo presente che è f D(max) = 2
v max f 0 cos γ c
[11.62]
ed essendo PRF ≥ 2 f D(max) = 4
v max f 0 cos γ c
[11.63]
risulta in definitiva v max ≤
c PRF 4 f 0 cos γ
[11.64]
Occorre inoltre ricordare che la massima PRF dipende dalla profondità R alla quale si trova il volume di prova, cui corrisponde un tempo di andata e ritorno per l’impulso trasmesso pari a 2R /c, cioè risulta PRF = c/2R che, sostituito nella [11.64], fornisce:
Fondamenti di Ingegneria Clinica
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v max ≤
c2 8 f 0 R cos γ
· Ecotomografia [11.65]
La [11.65] consente di stabilire la velocità massima rilevabile (al limite dell’aliasing) in funzione della profondità di osservazione. Per esempio, se si volesse conoscere qual è la massima velocità rilevabile in un volume di prova distante 6 cm dal trasduttore di frequenza f0 = 3,5 MHz, assumendo per c il valore di 1570 ms–1 e γ = 0 gradi, la [11.65] fornisce direttamente v max =
(1570)2 = 1, 47 m / s 8 ⋅ 3, 5 ⋅10 6 ⋅ 0, 06
[11.66]
Occorre peraltro osservare che in molte applicazioni cliniche l’aliasing costituisce un serio problema. Un esempio più aderente alla realtà è il seguente: R = 10 cm, f0 = 5 MHz e γ = 30 gradi. In questo caso la [11.65] fornisce vmax = 0,71 ms–1, valore assai modesto, che rende difficoltose le analisi in campo cardiologico, nelle quali, per esempio, ha grande interesse misurare la velocità del sangue a valle di una stenosi.
11.17.3 Aliasing negli spettri di velocità L’aliasing produce cambiamenti significativi nell’aspetto dello spettro di velocità, che riporta sull’asse delle ordinate positive le velocità dei riflettori in avvicinamento (velocità positive) e su quelle negative le velocità dei riflettori in allontanamento (velocità negative). Poiché, almeno in linea di principio, devono potersi misurare con la medesima ampiezza sia le velocità positive sia quelle negative, per quanto detto nelle pagine precedenti, è necessario stabilire un doppio campo, cioè +PRF/2 per le velocità positive e –PRF/2 per quelle negative (figura 11.46). Si intende che il segno meno non può essere riferito al valore della PRF, che è il medesimo nei due casi; esso pertanto deve essere riferito alla fase tra la frequenza di campionamento e quella del segnale Doppler
Figura 11.46. Il campo di misura delle velocità è delimitato dalla PRF. In particolare tale valore limite è +PRF/2 per le velocità positive e –PRF/2 per le velocità negative, dove il segno indica la differenza di fase (e quindi il Doppler shift), rispetto al segnale in trasmissione.
Capitolo 11
· Eco - Doppler
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Figura 11.47. Ampiezza del segnale Doppler (tratto rosso continuo) rappresentato insieme alla sua ricostruzione affetta da aliasing (tratto blu continuo). In (a) sono riportati i segnali in fase (canale I) e in quadratura (canale Q) di un generico segnale Doppler, caratterizzato da singolo Doppler shift fD = ωD /2π e schematizzabile secondo un vettore rotante in senso antiorario nel cerchio goniometrico. Quando tale segnale viene acquisito a una frequenza PRF minore di 2fD (nel caso della figura PRF = 4/3 • fD ) la sua ricostruzione risulta caratterizzata, sia nel canale I sia nel canale Q, da una frequenza fD′ diversa da quella originale e pari alla differenza |PRF– fD |. In particolare si osserva che nell’intervallo intercorrente tra gli istanti 1 e 2, rappresentati rispettivamente in (a) e (b), il vettore del segnale Doppler raggiunge la posizione finale 2 seguendo l’angolo antiorario ϕD = ωD• t = 2π• fD • 1/PRF< π ma anche secondo l’angolo orario ϕD′ = 2π• fD′• 1/PRF < π: in questa ambiguità trova espressione il fenomeno dell’aliasing. Infatti le successioni dei punti “campionati” 1, 2, 3 e 4 dei relativi segnali in fase e in quadratura, descrivono forme d’onda (tratto azzurro continuo, nelle figure b, c, d) che corrispondono a un vettore rotante in senso orario con pulsazione angolare ωD′ = 2πfD′<ωD, vale a dire un segnale caratterizzato da un Doppler shift di segno opposto a quello reale e con modulo inferiore: in tali condizioni la strumentazione visualizza una velocità positiva di modulo elevato nella parte negativa dello spettro Doppler (velocità negative).
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· Ecotomografia
Figura 11.48. Spettro delle velocità nel Doppler pulsato. In (a) lo spettro è affetto da aliasing; in (b) la parte dello spettro interessata dal fenomeno dell’aliasing viene interpretata correttamente utilizzando un campo non simmetrico rispetto allo zero delle velocità. In particolare, nella figura (b) lo spettro delle velocità è rappresentato da – 0,25 PRF a + 0,75 PRF anziché da – PRF/2 a + PRF/2, come nella figura (a). Ciò viene posto in atto traslando lo zero delle frequenze di un valore fM. In particolare si ha fd – fd′ = fM.
prodotto dal riflettore. A tale riguardo viene ricordato che fase positiva rispetto al segnale di campionamento (PRF) prodotto dall’oscillatore di riferimento indica Doppler shift positivo, cioè frequenza dell’impulso riflesso maggiore di quella di riferimento, e viceversa. Si è già riferito in precedenza che il segnale Doppler, con le sue componenti in fase (coseno) e in quadratura (seno), è rappresentato da un vettore rotante in verso antiorario: essendo antiorario anche il verso in cui il vettore rappresentativo della portante ruota a velocità angolare ω 0, la rotazione antioraria corrisponde a un Doppler shift positivo e quindi a riflettori che si avvicinano alla sorgente con velocità v = c fd /2f0 . Con riferimento alla figura 11.47, è immediato verificare che i segnali in fase e quadratura affetti da aliasing (blu tratteggiato) rappresentano invece un vettore rotante in senso orario. Gli angoli ϕd e ϕd′ sono percorsi in un tempo 1/PRF dal vettore rappresentante il segnale Doppler, rispettivamente con pulsazione ωd e ωd′, tra un istante di campionamento e il successivo; si ha pertanto ωd = ϕd • PRF e ωd′ = ϕd′ • PRF. La somma di ϕd e ϕd′ è manifestamente 2π e pertanto, dopo elementari passaggi, deriva la relazione per cui è ωd′ = (2πPRF – ωd). Quanto riferito assume il seguente significato: a causa del valore insufficiente della frequenza di campionamento (PRF/2 < ωd /2π), all’uscita del demodulatore in quadratura si prelevano segnali che rappresentano riflettori animati da una velocità negativa valias =c(2πPRF–ωd )/2ω0 anziché positiva e pari a cωd /2ω0. Per effetto dell’aliasing lo spettro di velocità, compreso nel campo ±PRF/2, viene riprodotto erroneamente come indicato nella figura 11.48a. Si riconosce che la parte superiore dello spettro, corrispondente a velocità positive elevate, viene riprodotta nella parte inferiore, come se rappresentasse dei riflettori in allontanamento, anziché in avvicinamento, rispetto al trasduttore.
Capitolo 11
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Si è già ricordato che la frequenza del segnale Doppler viene normalmente interpretata valutando il cambiamento di frequenza all’interno dell’intervallo (– PRF/2)÷(+ PRF/2); tuttavia essa può essere comunque interpretata, sempre all’interno di un intervallo di medesima estensione, ma suddiviso in modo non simmetrico, così come indicato nella figura 11.48b. Lo spostamento dell’asse delle frequenze in modo da poter variare il campo di rappresentazione degli spettri di velocità, per esempio da – 0,25 PRF/2 a + 0,75 PRF/2, anziché ± PRF/2, è possibile variando rispetto a f0 la frequenza che l’oscillatore della figura 11.9 invia al mixer. Quanto affermato può essere sinteticamente giustificato come segue, senza far ricorso a lunghe (e tediose) formule trigonometriche. Finora, per descrivere la demodulazione del segnale ricevuto, è stata utilizzata una particolare tecnica che prevede la moltiplicazione del segnale per una sinusoide avente la medesima frequenza f0 della portante. Tale tecnica è conosciuta col nome di demodulazione omodina. Se invece viene utilizzata la tecnica eterodina, che prevede la moltiplicazione (mixaggio) del segnale per una sinusoide a frequenza f0′ ≠ f0 , all’uscita del mixer (figura 11.9) si ottiene un segnale che possiede le componenti di frequenza f0′ – f0 e f0′ + f0 . Come nel caso della tecnica omodina, quest’ultima componente viene eliminata per mezzo di un filtraggio passa basso, mentre con opportuno filtraggio passa banda, viene conservata la componente a media frequenza fM = f0′ – f0 . Questa porzione del segnale all’uscita del mixer contiene ancora la componente a frequenza Doppler fd , ma non più centrata nell’origine dell’asse delle frequenze, bensì attorno alla frequenza intermedia fM . Pertanto, attesi i limiti imposti dal criterio Nyquist al campo dei Doppler shift (e quindi delle velocità) rappresentabili, mediante la traslazione di tutto lo spettro di una quantità fM è possibile “recuperare” componenti altrimenti affette dal fenomeno dell’aliasing, come mostrato nella figura 11.48. In tal modo, le componenti corrispondenti a elevati valori di velocità positive, che nella figura 11.48 eccedono il valore PRF/2 e quindi risultano “tagliate” e rappresentate erroneamente come elevate velocità negative, vengono correttamente rappresentate grazie alla traslazione in basso della scala delle frequenze (figura 11.48b).
11.18 Metodo dello zero crossing e sue applicazioni La rappresentazione grafica dell’andamento del segnale Doppler nel CW e nel PW per mezzo dell’analisi spettrale è il metodo più comune per raffigurare in real-time l’andamento orario della frequenza Doppler e, quindi, della velocità del sangue in un particolare sito di un vaso sanguigno. Ciò consente di ottenere informazioni complete sul campo fluidodinamico oggetto dello studio. Nel seguito vengono illustrati anche altri metodi che, per fornire le indicazioni diagnostiche necessarie, utilizzano in modo diverso l’analisi spettrale (per esempio Power Doppler) oppure effettuano la misura della velocità adoperando altri strumenti analitici. Conviene tuttavia in questa sede accennare a un metodo che, sebbene fondato anch’esso sull’analisi delle frequenze del segnale Doppler, non compie l’analisi del contenuto in frequenza del segnale
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Figura 11.49. Applicazione dello zero crossing per valutare la frequenza di un segnale periodico. (a) Un segnale sinusoidale a frequenza progressivamente crescente attraversa il suo valore medio (pari a zero nell’esempio) sempre più rapidamente. A ogni passaggio (zero crossing) viene prodotto un segnale di trigger (c), ottenuto dalla derivazione della corrispondente onda quadra (b). Il conteggio nell’unità di tempo dei vari segnali di trigger fornisce pertanto la frequenza di passaggio per il valor medio e può essere tradotto in un segnale a essa proporzionale (d).
Doppler con procedimenti di Fourier. Tale metodo è fondato sulla valutazione diretta della frequenza del segnale Doppler ricevuto (e quindi della velocità) contando il numero di volte che il segnale attraversa il proprio valore medio in un determinato intervallo di tempo. Infatti la conoscenza dell’intervallo di tempo che intercorre tra due successivi passaggi per lo zero consente di individuare la predetta frequenza, rendendo possibile dedurre l’andamento temporale della velocità. Il dispositivo che fornisce la frequenza di attraversamento dello zero (o del valore medio) prende il nome di cross detector. Per comprenderne il funzionamento conviene in prima istanza riferirsi a un segnale di prova semplice, per esempio sinusoidale, come quello indicato nella figura 11.49, la cui frequenza cresca linearmente nel tempo e del quale si conteggino i cicli per mezzo di trigger: in pratica si ricava un trigger per ogni ciclo e, per successive integrazioni, si ottiene un segnale la cui ampiezza è in ogni istante proporzionale alla frequenza. È stato dimostrato54 che, in generale, la frequenza individuata dal cross detector corrisponde al valore efficace fDrms (RMS) della frequenza fD contenuta nel segnale demodulato in ingresso55. Ciò costituisce una fonte di difficoltà, dato che a fini diagnostici assume particolare importanza la conoscenza della velocità media del flusso e quindi della frequenza media fDmean dello spet-
54 Il lettore può consultare, per esempio, S.O. Rice (1945) Mathematical analysis of random noise. Bell Syst Tech J 24: 46-156 e M.J. Lunt (1975) Accuracy and limitation of the ultrasonic Doppler blood velocimeter and zero crossing detector. Ultrasound Med Biol 2: 1-10. 55 Per tale motivo i sistemi che si avvalgono del metodo di zero crossing (zero crossing detectors) per la valutazione della frequenza del segnale in ingresso vengono anche detti RMS followers.
Capitolo 11
· Eco - Doppler
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Figura 11.50. Applicazione dello zero crossing per la valutazione della frequenza di Doppler shift fD . (a) È schematizzato a titolo di esempio l’andamento del segnale Doppler st(t), corrispondente al flusso nell’arco aortico così come si presenterebbe all’uscita del demodulatore in quadratura. Utilizzando il metodo di zero crossing detection, il segnale ottenuto dal conteggio istantaneo della fD restituisce la forma d’onda fisiologica.
tro Doppler. Il legame tra fDrms e fDmean dipende dalla forma del profilo delle velocità: per esempio, se il profilo è “piatto” (ossia tutte le particelle hanno la stessa velocità) tali frequenze saranno uguali mentre, per un profilo parabolico, sarà fDrms ≅ 1,15 fDmean . Da quanto riferito si deduce che, per il flusso pulsatile cardiaco, alla variazione istante per istante del profilo delle velocità corrisponde una diversa relazione tra il segnale di uscita dal cross detector e la frequenza media del segnale Doppler demodulato. Il segnale rappresentato nella figura 11.50b, dedotto dal grafico della figura 11.50a, rappresenta un ipotetico andamento del segnale Doppler: esso corrisponde all’andamento pulsatile della velocità del sangue nell’arco aortico e ricalca grossolanamente l’andamento nel tempo del segnale elettrocardiografico.
Figura 11.51. Registrazione dell’andamento delle velocità in funzione del tempo: il segnale Doppler demodulato non sempre attraversa il suo valore medio (linea di zero), ciò causa errori nella stima della velocità media condotta per mezzo della zero crossing detection.
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
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Figura 11.52. Applicazione dello zero crossing detector al PW multigate.
Il caso della figura 11.50 ha carattere didattico, nella realtà il segnale Doppler in uscita dal demodulatore è assai complesso, come riportato nella figura 11.51, dove si osserva che in alcuni tratti esso non attraversa la linea del suo valore medio (cerchiato in rosso nella figura 11.51), cioè le alte frequenze che si manifestano prima o dopo l’attraversamento della linea di “zero” (zero crossing non verificato). Tali tratti di segnale non forniscono alcun contributo al conteggio della frequenza; pertanto in questo caso la misura della velocità risulterà approssimata. Il metodo della zero crossing detection è molto semplice, ma fornisce indicazioni fortemente influenzate dal rumore; inoltre le prestazioni divengono particolarmente modeste quando la dinamica del segnale Doppler è molto ampia, come si verifica nel CW; in questo caso, infatti, occorre considerare che il flusso in prossimità delle pareti arteriose è particolarmente lento in confronto a quello che si manifesta al centro del vaso e peraltro, essendo entrambi rilevati con un fascio ultrasonoro che li comprende simultaneamente, non è possibile trattarli separatamente. Il metodo dello zero crossing comunque, in considerazione della sua semplicità e del basso costo, viene utilizzato perché la lettura viene effettuata su una registrazione – solitamente su carta – dove è possibile osservare l’andamento del flusso sanguigno; la misura, pertanto, è utile più per il rilevamento di un flusso, piuttosto che per la sua misura. Ciò nondimeno esso è suscettibile di notevoli miglioramenti, soprattutto apportando perfezionamenti al circuito di conteggio, in modo da poter associare ciascun trigger a ogni variazione di frequenza, anche se il segnale Doppler non passa per lo zero (sistema SET-RESET). Con tali perfezionamenti, che tuttavia incrementano il costo dell’apparecchiatura, il metodo viene utilizzato anche nel PW multigate, ove il detector zero crossing viene posto a valle del demodulatore in quadratura, così come indicato nella figura 11.52. Si osserva che il segnale demodulato e filtrato dai prodotti di modulazioni non essenziali, per mezzo di un primo blocco di filtri passa basso 1 e 1′, viene digitalizzato e inviato a un secondo blocco di filtri passa alto (2 e 2′ filtri digi-
Capitolo 11
· Eco - Doppler
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tali) per l’eliminazione delle componenti molto intense a bassa frequenza (clutter). Il detector zero crossing (che elabora i segnali per ciascuno dei due versi) effettua il computo della frequenza e quindi della velocità. Il segnale così ottenuto viene ulteriormente filtrato con un unico filtro passa basso 3 (con frequenza di cut-off di 6÷12 Hz) alla cui uscita è disponibile il profilo delle velocità, analogo a quello indicato nella figura 11.51. Pertanto, in conclusione, la zero crossing detection è uno strumento di analisi spettrale così come lo sono la FFT e altri metodi che saranno illustrati nel seguito; tuttavia, al contrario della FFT, lo zero crossing è comunque suscettibile di errori quando lo spettro di frequenze da rappresentare è molto ampio. Per tale motivo, nonostante la semplicità (teorica) con la quale può essere realizzato, lo zero crossing è attualmente poco utilizzato nelle apparecchiature per analisi Doppler di tipo duplex.
Capitolo 12 Color Doppler e Power Doppler
12.1 Introduzione Il Color Doppler è un metodo di costruzione di immagini fondato sull’effetto Doppler, mediante il quale è possibile ottenere una rappresentazione bidimensionale del campo della velocità dei riflettori (globuli rossi) che fluiscono nei vasi sanguigni, il cui movimento è rappresentato per mezzo del colore (figura 7.2). Sono evidenti le analogie con la rappresentazione B-Mode Real-Time che è invece un metodo di costruzione di immagini per mezzo della scala di grigi. Combinando i due tipi di immagine è possibile rilevare con facilità dettagli anatomici insieme alle informazioni sul moto fisiologico o patologico del sangue nella propria sede. Dal punto di vista della realizzazione tecnologica il campo delle velocità può essere rappresentato con due diverse modalità: la differenza sostanziale consiste nel fatto che, mentre nella rappresentazione mediante spettri di velocità (PW) le informazioni del moto del sangue vengono dedotte degli echi prodotti in un singolo volume di prova, nel caso delle immagini Color Doppler, i volumi di prova che si realizzano lungo ogni singola linea di vista sono dell’ordine delle centinaia (mediamente tra 100 e 400). Ciò comporta alcuni compromessi, con riferimento alla risoluzione spaziale e temporale dei due tipi di immagine, che di norma vengono presentate contemporaneamente su display. Questa tecnologia relativamente recente1 non solo consente la visione in tempo reale del campo fluidodinamico sovrapposto all’usuale immagine B-Mode, ma anche la misura dei parametri sia dei flussi con elevate velocità, caratteristici dei grandi vasi, sia di quelli con velocità molto modeste, che si manifestano nei piccoli e piccolissimi vasi. A questo metodo di rappresentazione sono attribuiti vari nomi commerciali, come Color Flow (CF), Color Flow Imaging (CFI) o Color Doppler (CD): si tratta in realtà di sinonimi (e come tali saranno usati nel testo), essendo tutti riferiti alla rappresentazione Doppler a colori, bidimensionale e in tempo reale, del flusso sanguigno e dei parametri che lo definiscono, inserita nella rappresentazione Real-Time B-Mode del distretto anatomico codificata in scala di grigi. Diversamente dal Doppler pulsato, il Color Doppler consente la visualizzazione bidimensionale dei flussi nel piano dell’immagine B-Mode e quindi for-
1 L’introduzione della tecnica Color Doppler in un’apparecchiatura commerciale risale ai primi anni ottanta.
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
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nisce una rappresentazione del campo fluidodinamico in quel particolare distretto anatomico. Ciò è reso possibile grazie all’elevato numero di volumi di prova disposti lungo linee di vista adiacenti. Per motivi che saranno chiariti nel seguito, è opportuno che l’insieme dei volumi di prova occupi uno spazio limitato dell’immagine in scala dei grigi, che individua sullo schermo un’area comunemente denominata regione di interesse (o ROI, Region Of Interest; vedi oltre la figura 12.2).
12.2 Generalità sull’uso del colore nei sistemi CFI Le informazioni introdotte dall’impiego del colore sono diverse da quelle fornite dal Real-Time in quanto attinenti solamente al flusso sanguigno e ai parametri che lo caratterizzano. Questi riguardano, in particolare, quattro fondamentali aspetti: – presenza del flusso sanguigno; – direzione del flusso; – velocità; – tipo di moto (laminare o turbolento). Prima di procedere con la trattazione, è opportuno premettere alcune considerazioni in merito a questi parametri. 1. La presenza del flusso è testimoniata dalla velocità dei globuli rossi, che danno luogo all’effetto Doppler. L’assenza di rilevamento di tale effetto corrisponde a velocità nulla e, quindi, ad assenza di irrorazione dei tessuti. Nel paragrafo 12.15 viene descritto come sia possibile determinare l’assenza di flusso anche nei piccoli vasi mediante l’impiego del metodo denominato Power Doppler. 2. La direzione del flusso viene codificata fondamentalmente con due colori: rosso per indicare un flusso direzionato verso il trasduttore e blu per indicare un flusso che si allontana dal trasduttore. Naturalmente si tratta di una convenzione (si potrebbe scegliere anche il contrario). Associare il colore rosso al sangue arterioso e il blu a quello venoso può essere conveniente, per esempio, nell’esame dell’arteria carotidea e della vena giugulare; ma se si studia il flusso sanguigno nel cuore non è possibile stabilire alcuna convenienza, poiché nell’attraversare le valvole il flusso può essere orientato in molte direzioni diverse e l’immagine si presenta come una sorta di mosaico con elementi rossi e blu. 3. Quando la direzione sia stata stabilita, occorre ricordare che la velocità è un vettore: pertanto, esso viene individuato quando ne siano noti, oltre che la direzione e il verso, anche il modulo, cioè il valore della velocità. Se tale modulo è codificato mediante un colore, esso viene descritto da tre grandezze: tinta, saturazione e luminanza. – La tinta (in inglese, hue) è il colore così come viene percepito dall’occhio umano. Esso è definito dalla frequenza dell’onda elettromagnetica della luce che eccita la retina. Il campo delle frequenze cui l’occhio è
Capitolo 12
· Color Doppler e Power Doppler
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Figura 12.1. Rappresentazione dei colori mediante la modulazione delle componenti di tinta, saturazione e luminanza. La freccia indica il verso lungo il quale si ha un incremento della grandezza. Per la tinta il verso della freccia indica un incremento dell’energia dei fotoni luminosi percepiti dall’occhio umano come aventi quel “colore”.
sensibile, cioè la banda passante dell’occhio umano considerato come trasduttore, è compresa tra la frequenza minima di 4·10 14 Hz, cui corrisponde il colore rosso, e la frequenza massima di 7,5·1014 Hz, cui corrisponde il violetto. Tra il rosso e il violetto è compresa la nota serie dei colori dell’arcobaleno: rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco, violetto, la cui lunghezza d’onda è compresa nell’intervallo da circa 750 nm (rosso) a circa 400 nm (violetto). Nella figura 12.1a è riportato a titolo di esempio la variazione di tinta dal rosso al violetto dovuta all’incremento di frequenza dell’onda luminosa (e, quindi, della sua energia). – La saturazione rappresenta la misura della presenza del bianco nella tinta (figura 12.1b); il colore viene definito a saturazione totale, o semplicemente saturo, se in esso è del tutto assente il bianco. Sommando al colore saturo crescenti quantità di bianco, la tinta sbiadisce: così, per esempio, il colore rosa è ottenuto a partire dal rosso saturo, sommandovi una certa percentuale di bianco. Se tale percentuale aumenta, il rosa diviene sempre più chiaro fino a definire quello che, nella comune accezione, è definito “rosa pallido” (non a caso il bianco è un colore importante nella tavolozza di un pittore!). – La luminanza rappresenta l’intensità con la quale l’occhio percepisce il colore, cioè l’intensità dello stimolo che colpisce la retina: la diminuzione di luminanza corrisponde all’aggiunta del colore nero. Per tale motivo nell’esempio riportato nella figura 12.1c, al diminuire di tale parametro, il colore viene percepito progressivamente più scuro (parte iniziale della striscia). La luminosità è la sensazione soggettiva ricevuta osservando oggetti dotati di una certa luminanza. Si comprende dunque come, nella rappresentazione Color Doppler, possano essere utilizzate varie combinazioni di tinta, saturazione e luminanza per fornire elementi quantitativi sui parametri che definiscono il flusso (figura
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Figura 12.2. Esempio di immagine CFI relativa a un condotto con strizione percorso da un flusso costante di corpuscoli riflettori immersi in un fluido simile al plasma sanguigno. Si osserva come il colore interessi solo una parte dell’immagine diagnostica, delimitata da un settore di selezione (ROI): il legame che sussiste tra tale colore e le velocità medie rilevate è espresso dalla barra di colore sulla sinistra, dove in rosso e giallo sono indicati i flussi diretti verso il trasduttore (velocità positive) mentre in blu e azzurro quelli in allontanamento (velocità negative), in verde la varianza (indice della turbolenza del flusso). L’incremento di velocità nella strizione è pertanto visualizzato con tonalità di colore più accese, dove la compresenza di tonalità rosse e azzurre indica una zona di ricircolo (vortici).
12.1), tra i quali principalmente il verso, il valore medio, la varianza del Doppler shift in ogni locazione di ogni singola linea di vista. 4. La media e la varianza sono assai utili per stabilire il divario e il verso delle velocità misurate, poiché il Doppler shift, che rappresenta il flusso all’interno di ogni volume di prova, non è il risultato della velocità di un singolo globulo rosso, ma di milioni di globuli rossi che, peraltro, anche in un flusso laminare non si muovono mai alla stessa velocità e/o nella stessa direzione definite dalla teoria. Lo strumento rileva la media di tali Doppler shift in ogni locazione e, in molti casi, visualizza anche il valore della varianza (in generale con il colore verde) che è una misura di quanto differiscono le velocità rilevate rispetto al valore medio. Essa pertanto diviene un importante indicatore dell’entità del disordine nell’interno del flusso e quindi fornisce in ultima analisi un’informazione sull’entità della turbolenza. Il tipo di moto che si manifesta in un certo volume di prova è dunque testimoniato dal valore della varianza, rappresentata dalla saturazione del colore verde (figura 12.2). Un elevato valore della varianza è indice di velocità di valore assai diverso tra loro, cioè di grande differenza tra la velocità massima (o minima) e la velocità media. Questa circostanza è tipica di moti turbolenti con presenza di vortici. L’aspetto “pittorico” di un flusso turbolento è simile, come accennato, a una sorta di mosaico di rosso, blu, giallo e azzurro, mentre un flusso laminare è caratterizzato dall’assenza di un tale mosaico e vi si osservano prevalentemente il rosso e il blu, seppure con diversi gradi di saturazione a seconda del modulo della velocità.
Capitolo 12
· Color Doppler e Power Doppler
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Figura 12.3. Schema di un fantoccio Doppler utilizzato per realizzare le immagini che illustrano il funzionamento della modalità Color Doppler 2.
Le misurazioni mostrate nella figura 12.2 e in quelle seguenti sono state effettuate utilizzando un oggetto di test (fantoccio) composto di un volume di materiale che simula le caratteristiche dei tessuti molli (v = 1490 ms–1, costante di attenuazione 0,5 dB/cm MHz), nel quale è collocato un circuito idraulico costituito da un condotto a sezione circolare entro cui viene fatto scorrere un fluido con particelle in sospensione che riproducono la riflessione degli impulsi ultrasonori della componente corpuscolata del sangue. Mediante una pompa centrifuga, il fluido circola nel condotto con una velocità media costante, regolabile dall’operatore in un campo compreso tra circa 1±0,7 cm s–1 e 90±4 cm s–1 (figura 12.3). Entro tale campo di velocità il moto del fluido è in regime laminare, salvo che in corrispondenza della strizione (figura 12.2), che viene utilizzata per produrre una regione di moto in regime turbolento.
2 Il fantoccio rappresentato è uno dei più semplici e meno costosi esistenti in commercio. Altri tipi più complessi e di elevate prestazioni hanno un costo di diverse migliaia di euro.
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12.3 Modalità di impiego del colore Come è stato già osservato, nel Color Doppler viene assegnato un determinato colore alla direzione del flusso. Nella figura 12.4 sono rappresentate due tipiche barre colore che compaiono in ogni immagine diagnostica affinché l’operatore possa disporre di un’indicazione quantitativa della velocità nel luogo anatomico rappresentato. Le barre colore sono spesso mostrate in maniera tale da codificare simultaneamente più informazioni del campo fluidodinamico. In pratica sono mostrate non soltanto la velocità media del sangue e la sua direzione, ma anche il grado di turbolenza. Le barre colore possono essere anche di tipo diverso (rispetto a quelle della figura 12.4) e contenere colori con tinte e saturazioni differenti. In generale, ciò è associato ai campi fluidodinamici rappresentati nell’immagine sul monitor. Al centro della barra vi è di solito il nero, cioè assenza di colore che sta a significare assenza di flusso. La direzione è rappresentata dai colori rosso e blu, mentre l’informazione sulla velocità è fornita dalla diversa saturazione di tali colori. Un incremento di velocità viene in genere rappresentato da colori meno
Figura 12.4. Esempi di barre colore. (a) La scala di colore associa a valori medi crescenti di velocità un crescente valore di luminanza: il colore rosso indica il sangue che si avvicina al trasduttore (velocità positive), il blu quello che se ne allontana (velocità negative). (b) La scala di colore associa a valori medi crescenti di velocità tinte diverse: dal rosso al giallo per velocità positive, dal blu all’azzurro per velocità negative. Per entrambe queste barre colore è indicato, a titolo di esempio, il colore assegnato a una velocità positiva (media) di 30 cm s–1. (c) Tipo di barra che utilizza una combinazione delle modalità (a) e (b) per visualizzare maggiori informazioni: viene utilizzata la variazione di luminanza lungo l’asse verticale per rappresentare il valore medio di velocità, mentre la variazione di tinta lungo l’asse orizzontale indica l’entità della turbolenza del flusso.
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Figura 12.5. Due esempi di rappresentazioni del campo fluidodinamico del sangue nel cuore. (a) Rappresentazione del campo fluidodinamico nel caso di normale funzionamento della valvola aortica: il flusso di sangue durante la sistole è consistente e diretto dal ventricolo sinistro verso l’aorta (colore rosso). (b) Condizione patologica di insufficienza aortica: in questo caso, durante la diastole, il sangue ha moto in direzione opposta (blu) e rientra dall’aorta nel ventricolo sinistro. La scala colore utilizzata è quella della figura 12.3b. Ripreso da: Cardiac Doppler Color Flow Imaging (Application Note). Doppler Technologies, Hewlett-Packard 1993.
saturi. Le velocità pertanto sono crescenti nel procedere dal rosso al rosa per poi continuare con l’arancione e giallo. Per velocità in allontanamento, a partire dal nero si procede verso il blu saturo e poi, per velocità crescenti, si manifestano varie sfumature fino a giungere all’azzurro. Nella figura 12.5 sono presentati alcuni esempi, con i commenti in ordine all’impiego delle diverse scale colore rappresentate con la relativa possibilità di quantificare i flussi. La quantificazione avviene tenendo conto dei valori della velocità che lo strumento assegna agli estremi della barra colore: a tali velocità corrisponde il limite Nyquist cui si è accennato nel capitolo precedente. In un certo senso, la diagnosi mediante il colore è un’arte, poiché essa non si fonda su una quantificazione numerica bensì sull’impressione pittorica suscitata dall’immagine. In tale contesto, sono ancora più fondamentali l’esperienza e l’intuito dell’operatore che conduce l’esame. La quantificazione comunque è sempre utile, sia per rendersi conto dell’entità dell’alterazione e della conseguente gravità dell’eventuale patologia, sia per disporre di dati che consentano un più agevole monitoraggio dell’evoluzione delle patologie nel tempo.
12.4 Color Doppler e angiografia È nota la modalità di esecuzione e di estrazione del contenuto diagnostico da un’immagine angiografica. Di norma per angiografia si intende la cineangiografia 3, cioè la ripresa cinematografica, effettuata con raggi X e amplificatore di brillanza, di un liquido di contrasto che, iniettato nel distretto di interesse, si diffonde trascinato dalla corrente sanguigna nel circuito in esame. Se la ripresa cinematografica, che avviene in modo sincrono con l’iniezione del liqui3
Si veda anche il paragrafo 12.6 del primo volume.
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do radiopaco, è effettuata a elevata cadenza (per esempio 75 fotogrammi al secondo) è possibile, analizzando alla moviola la pellicola sviluppata, seguire istante per istante (cioè ogni 1/75 di secondo) il manifestarsi dell’avanzamento del liquido che, essendo radiopaco, rende evidenti i contorni della cavità interessata. Le stenosi risultano molto evidenti ed è quindi possibile ottenere la misura di dimensioni longitudinali e di sezioni del distretto anatomico con buona accuratezza. Va però sottolineato che la cineangiografia, presenta alcune importanti limitazioni. Innanzitutto la tecnica è invasiva. Inoltre, essa rende evidenti solamente i bordi di una cavità, mentre rimane oscuro tutto ciò che è all’interno; in altri termini, rimangono ignote le tipologie di flusso, e quindi le diversità anatomiche. Da un certo punto di vista, la tecnica Color Doppler è paragonabile all’angiografia, nel senso che si rendono evidenti le cavità, la loro forma e il loro movimento in tempo reale (o rallentato, con l’aiuto di una registrazione realizzata mediante VHS o altro sistema), ma in questo caso la tecnica non è invasiva e in generale non è necessario iniettare un liquido di contrasto. Inoltre, mentre la cineangiografia non rileva il movimento del flusso sanguigno e tutto ciò che vi è connesso, la tecnica Color Doppler consente di rilevare il movimento dei globuli rossi nelle varie direzioni all’interno dei vasi e del cuore. Infine le informazioni dell’analisi Doppler sono ottenute e presentate in un’immagine che mostra la sezione dell’organo anatomico ponendo in rilievo i dettagli spaziali dell’anatomia in modo immediatamente riconoscibile. Quindi, in sostanza, il Color Doppler consente di avere una rappresentazione interna della “silhouette” mostrata dalla cineangiografia. L’applicazione tipica del Color Doppler è quella relativa al funzionamento delle valvole cardiache: infatti le informazioni che derivano dalla codifica del colore sovrapposte alla convenzionale Real-Time consentono di “vedere” l’andamento intracardiaco del flusso sanguigno e di collegarlo alla reale struttura anatomica dalla quale esso dipende. Per esempio, nel caso di insufficienza mitralica, la direzione del flusso è anormalmente invertita verso l’atrio sinistro nella fase sistolica: il flusso retrocesso è chiaramente individuabile, in quanto ha colore diverso da quello del flusso non patologico. Inoltre la diagnosi con il Color Doppler non dipende dalla diluizione che il liquido radiopaco subisce nel corso di una decina di battiti cardiaci. Al contrario, il Color Doppler mostra il flusso anormale per ogni ciclo cardiaco, consentendo anche di esprimere un giudizio circa la severità del difetto a partire dalla misura del volume di sangue rigurgitato. Naturalmente vi sono, com’è noto, altri metodi che consentono di valutare i difetti del flusso sanguigno nel cuore, come la tomografia assiale computerizzata, la risonanza magnetica nucleare o i metodi della medicina nucleare: ciascuno di questi ha diversità e convenienze specifiche, ma occorre comunque tenere presente che tali apparecchiature hanno un costo 10-15 volte maggiore di quello di un ecotomografo Color Doppler; inoltre, l’ecotomografo è trasportabile al letto del paziente grave, consentendo comunque l’esame, mentre ciò non si verifica per le grandi macchine.
Capitolo 12
· Color Doppler e Power Doppler
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12.5 Limitazioni del Color Doppler La grande diffusione della diagnostica vascolare per mezzo del Color Doppler è sicuramente dovuta ai vantaggi che sono offerti da tale tecnica, tra i quali fondamentale appare quello della non invasività; ciò nondimeno, occorre osservare che l’impiego di questa tecnica non è esente da alcune limitazione alle quali è opportuno accennare. La limitazione maggiore deriva dal fatto che i valori misurati vengono codificati da un colore che rappresenta comunque valori medi piuttosto che valori di picco, che non vengono mai indicati. Questi valori, che spesso sono assai utili ai fini diagnostici, devono essere ottenuti con altri metodi. Una seconda importante limitazione deriva dal fatto che le stime ottenute per mezzo del colore non tengono conto della correzione da computare per il diverso angolo γ sotto il quale il Doppler shift si manifesta. Per meglio comprendere tale affermazione si pensi a un trasduttore il cui fascio ultrasonoro intercetta un vaso sanguigno secondo lo schema riportato nella figura 12.6a.
Figura 12.6. Rappresentazione CFI delle velocità medie in un condotto in funzione dell’angolo compreso tra le linee di vista e la direzione del flusso: (a) schema; (b) esempio di un’immagine visualizzata con l’ecografo. Per un flusso costante, si osserva una variazione di tonalità del colore dipendentemente dall’angolo di insonificazione: al diminuire dell’angolo tra la linea di vista Color e la direzione di flusso, una medesima velocità viene associata a un Doppler shift maggiore e quindi rappresentata con un colore diverso. In particolare, per valori di Doppler shift molto elevati, a causa del flusso quasi parallelo alle linee di vista, si osserva il fenomeno dell’aliasing: all’estremo del condotto in basso a destra in (a) si assiste a un cambiamento del colore (da blu a rosso), come se il sangue si avvicinasse al trasduttore anziché allontanarsi da esso. Analogamente, per angoli di insonificazione crescenti, la medesima velocità produce Doppler shift progressivamente minori, fino al valore limite di 90 gradi, estremo del condotto in alto a sinistra in (a), dove il Doppler shift percepito risulta nullo e pertanto, pur in presenza di flusso, nessuna velocità viene rappresentata. I medesimi fenomeni mostrati nella schematizzazione della figura (a) sono riportati in (b), in cui si osserva come, per angoli γ del flusso prossimi a 90 gradi rispetto alle linee di vista (sul lato destro dell’immagine), il colore assuma toni sempre più scuri fino a scomparire (velocità rilevata pari a zero). Sempre in (b), in basso a sinistra, si riconosce invece il fenomeno dell’aliasing che si manifesta come cambiamento di colore da rosso (fluido in avvicinamento: rilevazione corretta) a blu (fluido in allontanamento: rilevazione errata).
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
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Si osserva che esso “vede” il flusso sanguigno con angoli variabili, dei quali il maggiore corrisponde alla porzione del vaso che ha il flusso ortogonale alla direzione di propagazione e a cui corrisponde segnale Doppler nullo. Se infatti si osserva l’immagine visualizzata dall’ecografo riportata nella figura 12.6b, dove il flusso nel condotto ha una velocità media costante, stranamente si riscontra che esso non viene rappresentato da una tinta uniforme (come ci si potrebbe aspettare), bensì appare colorato secondo tinte diverse. Infatti, per angoli di inclinazione di circa 90 gradi tra l’asse del vaso e l’asse di propagazione degli ultrasuoni non si ha colore (segnale Doppler nullo), mentre per angoli inferiori il flusso appare colorato in rosso, corrispondentemente a valori crescenti della componente di velocità lungo l’asse di propagazione. Allorquando l’inclinazione diventa inferiore all’angolo per cui la componente di velocità supera il limite imposto dalla frequenza di Nyquist, il flusso assume una tinta azzurra come se seguisse un verso di percorrenza opposto alla direzione reale (freccia bianca indicata nella figura), pertanto si manifesta il fenomeno di aliasing. Altre limitazioni derivano dalla particolare debolezza del segnale Doppler, che in alcuni casi, per esempio in presenza di placche di calcificazione all’interno delle arterie, può essere insufficiente al punto tale da segnalare assenza di flusso anche se esso è presente.
12.6 Il fondamento della costruzione dell’immagine Doppler a colori Si è osservato nel capitolo precedente che il Doppler pulsato consente di compiere la misura della velocità dei globuli rossi in un prefissato volume di prova che può essere allocato dall’operatore in un qualsiasi vaso sanguigno osservabile nell’immagine fornita dal Real-Time. Il gate è quindi unico: il risultato della misura è rappresentato dallo spettro delle velocità dedotto in tempo reale per mezzo della FFT. È stato anche illustrato come sia possibile utilizzare il Doppler pulsato multigate, cioè ottenere più valori delle velocità lungo la medesima linea di vista, per trarre informazioni sul profilo delle velocità del sangue all’interno di un vaso. Quest’ultima modalità è alla base della rappresentazione CFI delle velocità per costruire un’immagine nella quale l’informazione utile è fornita per mezzo del colore. Il Doppler a colori è una modalità di rappresentazione che consente di presentare un’immagine di una ben delimitata zona dell’intero quadro (ROI), dove viene mostrato il campo fluidodinamico del sangue per mezzo del colore. Le grandezze caratterizzanti tale campo – valore della velocità e il suo verso – sono rappresentate per mezzo della tinta, della saturazione, della luminanza, o loro combinazione, che vengono assegnate a ogni pixel di cui è costituita la ROI. La modalità di costruzione dell’immagine a colori è la medesima utilizzata per costruire un’immagine in scala dei grigi, cioè per mezzo di una scansione di linee di vista organizzata con le modalità illustrate nel capitolo 8. Nel Color Doppler, i pixel della linea di vista sono colorati, ma in questo caso sorge un problema: in qualsiasi tipo di moto che si manifesti nel sangue esi-
Capitolo 12
· Color Doppler e Power Doppler
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Tabella 12.1. Differenze tra CFI e PW Doppler Color Flow Imaging
Pulsed Wave Doppler
Visualizzazione bidimensionale del flusso sanguigno su vaste zone di osservazione
Visualizzazione dell’evoluzione dello spettro delle velocità nel tempo in un singolo sito di osservazione
Il flusso è visualizzato in termini di velocità media e varianza per ciascun gate della linea di vista color. Tali parametri sono stime, frutto di una valutazione statistica
Lo spettro rappresenta tutte le componenti di velocità presenti nel volume di misura. Tali velocità vengono ricavate dall’analisi spettrale del segnale Doppler
Il valore della velocità viene stimato in corrispondenza di ciascun pixel colorato che forma l’immagine bidimensionale del flusso
Le dimensioni del gate sono variabili a scelta dell’operatore (in genere da 1 fino a poco più di 20 mm). Il gate definisce il volume di misura entro cui è calcolato lo spettro delle velocità
Vengono inviati 3-16 impulsi per ciascuna linea di vista. Con gli echi raccolti a diverse profondità si realizza l’analisi statistica del segnale Doppler
Vengono inviati normalmente un centinaio di impulsi. Gli echi raccolti alla profondità cui è posto il gate sono usati per calcolare lo spettro per mezzo della FFT
Il dato è presentato pittoricamante: esiste un’immagine del campo fluidodinamico
Il dato è presentato numericamente come evoluzione dello spettro delle velocità: non esiste immagine
Frame rate limitato, mediamente 10Hz per le normali applicazioni
Lo spettro viene aggiornato ogni 10 ms
stono, nella limitata regione dello spazio corrispondente all’estensione del pixel, tanti valori di velocità dei globuli rossi che cambiano istante per istante, ma nella rappresentazione bidimensionale il pixel può assumere un solo colore per ogni istante, e ciò deve avvenire per tutti i pixel della ROI. Questo problema diviene particolarmente pesante nella rappresentazione di moti turbolenti, dove esiste – per ogni pixel (o ciò che è lo stesso per ogni gate) e in ogni istante – un grande divario delle velocità, mentre al pixel può essere attribuito un solo colore per tutta la durata del quadro (frame al secondo). In tale circostanza, il nodo fondamentale da sciogliere è quale colore debba essere attribuito a ciascun pixel. L’unica soluzione – o per lo meno quella fino a oggi adottata da tutti i costruttori – consiste nell’attribuire a ogni pixel un colore che sia rappresentativo, in ciascun istante, del valore medio della velocità che si manifesta in quel gate. Poiché il numero di pixel contenuti nella ROI è di qualche centinaio, è evidente che il predetto calcolo deve essere compiuto nel tempo più breve possibile. Se il calcolo dell’andamento delle velocità, da cui estrarre il valor medio, dovesse essere effettuato per mezzo della FFT (metodo PW) sarebbero necessari, per esempio, 100 campioni per ogni spettro (vedi capitolo 11). Tuttavia, nel caso discusso precedentemente, il sample volume corrispondente al gate era unico all’interno del vaso sanguigno e fisso nello spa-
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· Ecotomografia
zio. Nel caso della rappresentazione a colori i sample volume corrispondono ai gate e quindi ai pixel distribuiti nella ROI, che sono centinaia; ne deriva come stretta conseguenza che non si possono destinare 100 campioni per ogni pixel, ma un numero molto inferiore, tipicamente da 20 a 30. Da questa descrizione emergono direttamente due importanti conseguenze: 1) essendo i campioni di velocità in numero ridotto non si può parlare di calcolo bensì di stima della media; 2) per calcolare la migliore stima occorre individuare un apposito algoritmo che deve avere la caratteristica di fornire la migliore stima con pochi campioni e nel minor tempo possibile. In definitiva, il problema della rappresentazione a colori consiste nel fatto che vi è molto poco tempo da dedicare ai calcoli e quindi la risoluzione del problema risiede nella capacità e nell’ingegno con cui si possono realizzare i software più adatti. Nel seguito saranno illustrati alcuni esempi di questi algoritmi di calcolo. Nella tabella 12.1 vengono riportate in sintesi alcune delle differenze sostanziali tra CFI e PW Doppler.
12.7 Il Doppler a colori nei sistemi duplex Come emerge dalle considerazioni esposte, il problema del Color Doppler consiste nel rappresentare un quadro nel quale il colore assunto da ciascun pixel sia rappresentativo della misura della velocità di uno o più globuli rossi contenuti fisicamente nel volume a esso corrispondente. Se tale rappresentazione viene sovrapposta a quella in scala di grigi data dal B-Mode si ottiene la citata rappresentazione duplex, dove l’aspetto fluidodinamico del sangue è inserito nella topografia anatomica per fornire un quadro in tempo reale della fisiologia o della patologia del flusso sanguigno indagato. Gli echi raccolti provenienti da tutti i gate della ROI vengono processati e quindi inviati al dispositivo che assegna un colore a ciascuno di essi, a seconda della velocità e del verso posseduti dai riflettori in ciascun gate. Dallo schema riportato nella figura 12.7 emerge il procedimento seguito per costruire una linea di vista a colori: l’insieme dei pixel che la compongono, in genere uno per ciascun gate, costituisce una sorta di striscia colorata. L’insieme di più linee di vista, cioè di più strisce colorate, costituisce l’immagine a colori di un singolo quadro. L’insieme di più quadri presentati nell’unità di tempo consentono di fornire in tempo reale l’andamento della velocità del sangue nell’immagine bidimensionale B-Mode Real-Time. Nella figura 12.7a è schematicamente rappresentato il procedimento per la formazione di una singola striscia a colori corrispondente a una determinata linea di vista nel CFI. Vengono inviati un numero M di impulsi lungo una singola linea di vista; ciò significa che per la costruzione di essa la PRF insiste sulla linea di vista per M volte. Quanto maggiore è il numero M tanto migliore sarà la stima della velocità, ma corrispondentemente aumenta il tempo di calcolo e occorre quindi diminuire il numero di frame al secondo. Ne deriva che una migliore stima della velocità viene pagata con una minor risoluzione temporale, e quindi con una ridotta capacità di seguire fenomeni in rapida
Capitolo 12
· Color Doppler e Power Doppler
717
Figura 12.7. Formazione della linea di vista colore. (a) M impulsi (30 nell’esempio) sono inviati dal trasduttore lungo la medesima linea di vista. Gli M echi provenienti da ciascuna profondità vengono demodulati in quadratura e i segnali I e Q inviati al Color flow processor che attribuisce un colore a ciascuno dei pixel corrispondenti ad altrettante profondità. La striscia Color così ottenuta rappresenta il flusso verso il trasduttore (rosso). (b) Corrispondente situazione al vero del flusso in un condotto entro il quale scorre un fluido nella direzione indicata dalle frecce. (c) Condotto inserito nella struttura portante, analogamente a un vaso sanguigno nella sua sede anatomica. (d) Flusso all’interno del condotto posto in rilievo da un dato numero di linee di vista.
evoluzione. Per questo motivo il numero di frame al secondo è in generale compreso tra 8 e 15 quadri al secondo. Conviene sottolineare che, poiché il parametro dirimente è sempre il tempo, se occorre incrementare il numero dei frame/secondo, l’unica possibilità è quella di diminuire la dimensione della ROI. In conclusione, il problema della rappresentazione del Color si ricondu-
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· Ecotomografia
Figura 12.8. Schema a blocchi semplificato di un sistema CFI integrato nella rappresentazione B-Mode (duplex).
ce ai ben noti accorgimenti che ricorrono in tutti i progetti di ingegneria (dove quasi sempre l’ottimo di un qualsiasi parametro va in direzione opposta all’ottimo di un altro). Il procedimento è identico a quello trattato per l’analisi Doppler pulsato multigate del paragrafo 11.14, per il quale ogni pixel viene interrogato M volte e a partire dagli M echi per ciascun pixel, dopo la demodulazione in quadratura che consente di stabilire l’avvicinamento o allontanamento del fluido, il Color flow processor attribuisce un colore a ciascun pixel, in relazione alla stima della velocità dei globuli rossi presenti al suo interno. Nella figura 12.7b è mostrata una delle linee di vista che attraversa un condotto ove scorre un fluido in avvicinamento al trasduttore e la corrispondente striscia colore che rappresenta la stima delle velocità (rosso in questo caso). Nella figura 12.7c è rappresentata la struttura circostante al condotto così come viene restituita per mezzo dell’immagine B-Mode. Nella figura 12.7d è rappresentata la sovrapposizione dell’immagine Color con l’immagine B-Mode. L’immagine Color è ottenuta per mezzo della scansione di più linee di vista all’interno della sezione anatomica. Questa immagine è la mappa del flusso in ciascun punto del condotto (vedi anche figura 12.2). Una volta che si dispone del quadro (immagine) formato dall’insieme delle strisce colorate (figura 12.7d), per ottenere l’immagine completa – cioè quella in scala di grigi (anatomica) insieme a quella relativa al campo fluidodinamico – occorre sommare le due immagini secondo lo schema della figura 12.8. In definitiva, esprimendosi in modo schematico, un sistema Color Doppler è costituito da un tradizionale sistema Real-Time al quale è stato aggiunto un separato processore che, a partire dagli echi ricevuti dal multigate, trasforma in mappa colorata il campo fluidodinamico del sangue. Le due immagini Color e B-Mode sono quindi integrate e presentate come immagine TV su schermo a colori (figura 12.9). Al termine di questa breve presentazione del Color Doppler è opportuno riportare alcune importanti osservazioni. La costruzione della mappa delle velocità dei flussi sanguigni (in particolare nel distretto cardiaco) richiede l’analisi di un grande numero di gate. Se si
Capitolo 12
· Color Doppler e Power Doppler
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Figura 12.9. Esempio di immagine CFI: (a) rappresentazione CFI (duplex) di un fegato; (b) rappresentazione del medesimo particolare anatomico in B-Mode. Modificate da www.medison.ru/usi/eng/al .
costruisce una linea di vista con 200 gate4 e si stabilisce per esempio di formare un’immagine con 256 linee di vista, il numero totale di gate per ogni immagine è pari a 256 × 200 = 51200. La formazione dei corrispondenti segnali Doppler in tempo reale richiede pertanto un’elevata capacità di calcolo del processore: poiché, come si è visto, non vi è molto tempo da dedicare al processamento di tale mole di dati, occorre servirsi di idonei mezzi matematici e quindi nuovi algoritmi che consentano di elaborare una grande quantità di dati nel minor tempo possibile. Infatti, se si intende rappresentare, per esempio, una mappa del flusso costituita da 256 × 200 pixel, aggiornandone l’immagine 20 volte al secondo, si ha a disposizione solo 1/(51 200 ·20 Hz) ≅ 1 μs. La misura della velocità dei globuli rossi in un dato gate non è rappresentata direttamente o indirettamente da un numero, come si verifica nel pulsed Doppler, bensì da un colore. Ciò significa che l’apprezzamento dell’operatore è attuato, come già detto, su un’immagine di carattere pittorico: non si può parlare di misura accurata della (o delle) velocità in un dato sito. Non ha più rilievo l’accuratezza della misura, in quanto essa viene sostituita dall’aspetto pittorico che, nel suo insieme, fornisce all’operatore una visione sintetica dell’intero campo fluidodinamico: è soprattutto questo aspetto qualitativo che consente la diagnosi. Ne deriva che occorre dedurre un altro parametro che fornisca notizie ulteriori sulla qualità della misura: infatti ogni pixel colorato rappresenta un valore medio della velocità dei globuli rossi nel particolare sito da esso rappresentato e occorre operare altri calcoli, di carattere statistico, per fornire informazioni circa il più o meno vasto divario di velocità esistente nel sito stesso. Dovrà quindi essere disponibile un altro colore (di solito il verde) che esprima il predetto divario attraverso il parametro della varianza. La misura della velocità nei sistemi Doppler, come ormai ben noto, dipende dal Doppler shift 5 e, affinché sia disponibile una sufficiente accuratezza, è necessario che l’impulso trasmesso abbia larghezza di banda più stretta al fine di prendere in considerazione, per quanto possibile, la sola frequenza dell’eco:
4 Sia il numero dei gate sia quello delle linee di vista della mappa Color è determinato volta per volta dalle dimensioni della ROI selezionata. Per ogni linea di vista si possono avere fino a 500 pixel. 5 Come si vedrà in seguito, la stima delle velocità nel Color Doppler può essere attuata secondo diverse procedure, alcune delle quali non si basano sulla valutazione del Doppler shift.
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· Ecotomografia
Figura 12.10. Esempi di impulsi in trasmissione per ecotomografi B-Mode e per sistemi Doppler (CFI). Rispetto al B-Mode, il numero di cicli per analisi Doppler è molto superiore.
ciò si ottiene incrementando il numero dei cicli dell’impulso trasmesso rispetto a quello utilizzato per l’immagine Real-Time. Nel CFI il numero dei cicli è, al minimo, almeno doppio di quest’ultimo (figura 12.10), ma può essere assai più grande (fino a 10 volte superiore): ne risulta una migliore definizione (frequenziale) sia dell’impulso sia dell’eco, con conseguente migliore valutazione della fase tra le due frequenze6 dalla quale si estrae la misura della velocità. Si osserva che per estrarre dati di natura statistica (media, varianza ecc.) occorre disporre, per ciascun sito, del maggior numero possibile di valori della velocità e ciò determina l’esigenza di interrogare ciascuno dei 200 punti con un numero di impulsi maggiore di tre7 e comunque tale da poter rendere sufficientemente accurati i valori dei parametri statistici richiesti. È anche opportuno rilevare, infine, che la maggiore lunghezza dell’impulso utilizzato per l’indagine Color flow mapping (tipicamente 5-10 cicli) rispetto a quella B-Mode (2-3 cicli) determina un minor potere risolutivo assiale. Un’altra differenza sostanziale, della quale si è già accennato, è che l’immagine 2D viene costruita lanciando un solo impulso per ogni linea di vista, mentre l’immagine CFI richiede un numero assai maggiore di impulsi per ogni singola linea di vista Color. La contemporanea rappresentazione delle due immagini, con caratteristiche diverse di risoluzione, e il fatto che l’immagine CFI può assumere dimensioni e posizione differenti, nell’ambito dello stesso quadro, richiedono un sistema elettronico in grado sia di realizzare impulsi di diversa durata e PRF per ciascuna applicazione, sia di gestire un frame rate che si adat-
6
Vale a dire la frequenza dell’impulso in trasmissione f0 e quella dell’eco ricevuto fr . Per ulteriori approfondimenti si veda J. Kisslo, D.B. Adams, R.N. Belkin (1988) Doppler Color Flow Imaging. Churchill Livingstone, New York. 7
Capitolo 12
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721
ti di volta in volta, in modo da rendere sincrone le due rappresentazioni che contemporaneamente vengono visualizzate sullo schermo dell’ecografo8. Inoltre la macchina deve consentire scelte diverse, per decidere se in ciascun sito dello schermo, deve riferirsi ai dati relativi al B-Mode o a quelli realtivi al Color flow: tali scelte influiscono sulla sensibilità alla determinazione di basse velocità e al livello di immunità dai disturbi dovuti a movimenti (e quindi a velocità) di strutture anatomiche che accompagnano il respiro, il battito cardiaco e anche i movimenti del trasduttore. In alcune situazioni, l’operatore, nel ricercare le condizioni migliori di rappresentazione per scala di grigi e intensità del colore, può favorire per il medesimo pixel l’informazione Doppler o quella in scala di grigi, regolando la soglia del colore (si tratta del concetto di priorità, vedi par. 12.14.2). La necessità di risolvere queste difficoltà rende la macchina Color Doppler assai complessa, anche se la maggior parte dei problemi viene risolta via software, come sarà meglio illustrato nel seguito. Al termine di questo paragrafo può essere utile rendersi conto, seppure in prima approssimazione, di quanto sia più impegnativo, dal punto di vista delle elaborazioni analitiche, il CFI rispetto al convenzionale Doppler pulsato o al sistema Doppler multigate. La valutazione dell’importanza del software nella realizzazione del Color flow può essere dedotta paragonando i due sistemi, al fine di fornire qualche elemento quantitativo circa le loro differenze fondamentali, in particolare la già menzionata scarsità di tempo a disposizione per la costruzione dell’immagine Color. Nel Doppler pulsato, infatti, il tempo occorrente per ottenere una riga dello spettro è limitato solo dalla stazionarietà del segnale Doppler, cioè dal fatto che, essendo il flusso sanguigno variabile, occorre scegliere un tempo di analisi sufficientemente piccolo, rispetto alla durata del ciclo cardiaco, affinché si possa affermare che il flusso sia stazionario. Tale tempo è dell’ordine di 10 ms o meno. Questa circostanza comporta che, per un volume di prova posto, per esempio, a 50 mm dal trasduttore, occorre una PRF pari a PRF =
1.540 c = = 15.400 impulsi / s 2R 2 ⋅ 0, 05
[12.1]
Ciò significa che in 10 ms, il volume di prova viene interrogato da 154 impulsi con i quali è possibile costruire una riga dello spettro mediante FFT. Per contro, se il medesimo volume di prova viene analizzato con il CFI, supponen-
8 Spesso, a scopi diagnostici, è utile osservare la variazione di flusso in un distretto anatomico (per esempio, nel cuore) in rapporto al movimento delle sue parti (per esempio, al moto delle valvole cardiache); la mancata sincronia tra le due modalità di rappresentazione, CFI e B-Mode, può pertanto indurre errori nella formulazione della diagnosi (per esempio, osservazione di rigurgiti o insufficienze cardiache in realtà inesistenti): per tale motivo la capacità di sovrapporre correttamente l’immagine CFI su quella B-Mode e di sincronizzare i frame rate di ciascuna di esse è un indice di qualità della strumentazione diagnostica ed è valutata con un parametro noto come errore di registrazione dell’immagine Color Doppler.
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· Ecotomografia
do di volere comporre l’immagine con 64 linee di vista, a 15 immagini al secondo, si rileva che una linea viene scandita in 1/64 di secondo, mentre ogni linea di vista viene aggiornata (per valutare il movimento in Real-Time) ogni 1/15 di secondo. Si deduce che il tempo disponibile per elaborare i dati provenienti dal volume di prova è pari a 1 1 ⋅ = 1, 04 ms 64 15
[12.2]
mentre nel contempo il numero degli impulsi che vengono utilizzati in questo caso per interrogare il medesimo volume di prova è diminuito di circa 10 volte (in proporzione alla diminuzione da 10 ms a 1,04 ms), vale a dire che in circa 1 ms si dispone di soli 15 impulsi invece che di 154. Da questa circostanza derivano importanti conseguenze sia sulla progettazione dei filtri di parete sia sulla scelta degli algoritmi necessari per stimare la velocità (media) disponendo di un tempo e di un numero di campioni estremamente ridotti. Di seguito si riferisce come sia possibile porre in atto questo procedimento evitando di ricorrere al calcolo esplicito della FFT, che richiederebbe un tempo di esecuzione troppo lungo.
12.8 Tecniche di stima della velocità nell’indagine Color Doppler Poiché nell’indagine Color Doppler il tempo a disposizione non è sufficiente per effettuare mediante FFT una stima affidabile di tutto lo spettro del segnale per ciascun sito dell’area di osservazione, ci si deve necessariamente accontentare della sola stima dei parametri quali la media e la varianza delle velocità in un sito del campo di flusso. In altri termini, ciò significa che non si calcola (come per il Doppler pulsato) il numero di riflettori che possiedono una determinata velocità, ma soltanto la loro velocità media in quel sito e la dispersione delle velocità attorno al valore medio. Tali parametri potrebbero essere calcolati direttamente dallo spettro di Fourier del segnale Doppler, ma ciò richiederebbe troppo tempo. Non è pertanto un caso se, da quando è stata introdotta la tecnica del pulseecho B scanning insieme al Real-Time 2D Doppler imaging 9, sono stati proposti numerosi algoritmi per estrarre l’informazione necessaria alla formazione dell’immagine a colori a partire dal segnale Doppler: tali metodi mirano tutti a ottenere valori statistici della velocità nei diversi volumi di prova. Gli algoritmi utilizzati nelle recenti realizzazioni possono suddividersi sostanzialmente in tre tipologie. Il primo è fondato sull’individuazione della frequenza Doppler a partire dal confronto della fase tra la frequenza dell’oscillatore di riferimento e quella
9 Si veda anche C. Kasai et al. (1985) Real-time two dimensional blood flow imaging using an autocorrelation technique. IEEE Trans Sonics Utrason SU-32: 458-464.
Capitolo 12
· Color Doppler e Power Doppler
723
dell’impulso riflesso dall’ostacolo. Tale metodo viene indicato nella corrente letteratura come Phase Domain Correlation (PDC). Il secondo è fondato sulla valutazione dello spazio percorso dal riflettore e del tempo da esso impiegato per compiere il tragitto tra due gate adiacenti. Tale metodo viene indicato nella corrente letteratura come Time Domain Correlation (TDC). Il terzo metodo consiste in un approccio fondamentalmente diverso dai precedenti. Esso è fondato sulla valutazione e presentazione a colori della potenza associata al segnale Doppler, piuttosto che sulla valutazione della media degli spostamenti Doppler. Tale metodo è indicato in letteratura come Power Doppler. Nei paragrafi che seguono saranno descritti con maggiore dettaglio i tre metodi, illustrandone i fondamenti teorici e gli schemi a blocchi per mezzo dei quali vengono realizzati.
12.9 Stima mediante funzione di autocorrelazione In generale, date le proprietà matematiche della rappresentazione di un segnale nel dominio della frequenza mediante trasformata di Fourier, è spesso possibile esprimere alcune caratteristiche del segnale in entrambi i domini sotto opportune ipotesi sul tempo e sulla frequenza. Questo procedimento può avere lo scopo sia di rappresentare più compiutamente le suddette caratteristiche, sia eventualmente di individuarle con il minore dispendio di tempo e di risorse, tanto per via analitica quanto per via numerica, mediante un elaboratore. In particolare interessa qui esprimere il legame tra la funzione di autocorrelazione nel tempo di un segnale e il suo spettro di densità di potenza. Secondo il teorema di Wiener-Khinchine10 si ha, con ovvio significato dei simboli,
{ }
+∞
P(ω) = ℑ R(τ) = ∫ R(τ) e − jωτ dτ −∞
[12.3]
e
{
}
+∞
R(τ) = ℑ−1 P(ω) = ∫ P(ω)e jωτ dω −∞
[12.4]
10 Si ricorda che il teorema di Wiener-Khinchine è l’estensione del teorema di Wiener per segnali di potenza in processi stazionari ed ergodici. Si ricorda ancora che il processo è stazionario se qualsiasi traslazione temporale di una realizzazione del processo è equiprobabile. La densità di probabilità e le medie di insieme non dipendono pertanto dai singoli istanti di tempo ti in cui vengono estratti i valori della variabile aleatoria, ma solo dalle differenze ti– tk . Il processo è ergodico se vi è equivalenza tra medie d’insieme e medie temporali. In pratica la caratterizzazione di un processo mediante i parametri associati quali media, varianza, densità di probabilità, conduce agli stessi risultati sia se viene effettuata su diversi spezzoni di un’unica realizzazione del processo (media temporale), sia sul medesimo intervallo temporale di realizzazioni diverse (media d’insieme).
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· Ecotomografia
cioè lo spettro di densità di potenza è la trasformata di Fourier della funzione di autocorrelazione [12.3] e viceversa [12.4]. L’autocorrelazione, come già richiamato (capitolo 10), è una misura di quanto un segnale, in un dato istante di tempo, sia correlato con se stesso in istanti successivi e precedenti a esso presi a distanza temporale τ: pertanto una variabile aleatoria, il cui valore è totalmente indipendente da quello assunto in un istante precedente e successivo, presenta un’autocorrelazione sempre pari a zero al variare di τ, tranne che in τ = 0. Ricordando la definizione della funzione di autocorrelazione di un generico segnale continuo s(t), per il suo calcolo può essere utilizzata l’espressione seguente +∞
R(τ) = ∫ s(t) s(t + τ)∗ dt −∞
[12.5]
Lo spettro di densità di potenza P(ω) è invece la potenza per unità di contenuto in frequenza dal segnale; in particolare, se il segnale è aleatorio, essa è la probabilità che il segnale contenga potenza per unità di frequenza. Per il suo calcolo, è utile ricordare che P(ω) è definito in relazione alla trasformata di Fourier di un segnale s(t) come segue
{
P(ω) = ℑ s(t) s(t)∗
}
[12.6]
vale a dire lo spettro di potenza P(ω) è la trasformata di Fourier del modulo al quadrato del segnale. Se si considera la pulsazione ω (qui rappresentativa del Doppler shift) come una variabile aleatoria, l’andamento di P(ω) rappresenta la probabilità che il segnale in esame possieda un dato contenuto di potenza per unità di frequenza. Pertanto il valore atteso della pulsazione ω (il suo momento del primo ordine) è calcolabile con l’integrale di ω moltiplicato per la sua densità di probabilità in potenza, che è proprio P(ω) (vedi capitolo 10): +∞
ω=
∫ ω P(ω) dω
−∞ +∞
[12.7]
∫ P(ω) dω
−∞
La [12.7] fornisce il valore della frequenza angolare media, “pesata” secondo la potenza totale del segnale. La normalizzazione a denominatore è necessaria in quanto la densità di probabilità di una variabile deve avere, per definizione, valore unitario (evento certo) se integrata da –∞ a +∞. Ricordando che ω 0 = 2π f0 con f0 frequenza del segnale ultrasonoro inviato dal trasduttore, dalla [12.7] e dalla [11.12] si ricava la velocità media dei riflettori come
Capitolo 12
· Color Doppler e Power Doppler v=
725
c ω 2 ω 0 cosγ
[12.8]
Analogamente, la turbolenza del flusso è rappresentabile come scostamento dalla velocità media, cioè tramite deviazione standard σω e varianza σ2ω della variabile aleatoria ω +∞
σ = 2
2 ∫ (ω − ω) ⋅ P(ω) dω
−∞
+∞
∫ P(ω) dω
()
= ω2 − ω
2
[12.9]
−∞
La media e la varianza ottenute per mezzo delle [12.7] e [12.9] richiederebbero preventivamente il calcolo dello spettro di potenza per mezzo della FFT. Tuttavia le quantità espresse dalle [12.7] e [12.8] sono medie d’insieme della variabile aleatoria ω, quindi estratte da realizzazioni differenti della medesima variabile; pertanto, utilizzando la [12.7] e la [12.9] è possibile stimare la media temporale e lo scarto quadratico medio delle velocità del sangue, secondo il già citato teorema di Wiener-Khinchine. Giova ripetere che l’equivalenza dei risultati ottenuti mediante medie d’insieme e medie temporali (spettro di potenza o autocorrelazione) è assicurata nei limiti in cui è possibile considerare il processo come stazionario ed ergodico. Quanto appena detto equivale a effettuare una stima statistica per ciascun gate componente la linea di vista Color: è necessario, pertanto, che ogni gate venga interrogato più volte, avvalendosi dei corrispondenti echi prodotti per il calcolo delle grandezze d’interesse, quali sono per l’appunto media e varianza della velocità di flusso. È opportuno porre attenzione alla circostanza per cui ciascun eco prodotto a una data profondità (gate) è una singola realizzazione11 di una variabile aleatoria e quindi, al fine di estrarre le informazioni del flusso all’interno di un gate è necessario collezionare un certo numero di realizzazioni, cioè di echi. Nel seguito ci si riferirà pertanto al calcolo di tali stime in corrispondenza di un pixel Color (gate) dell’immagine CFI, avendo a disposizione soltanto un numero limitato (16÷30) di campioni del segnale Doppler, ciascuno dei quali è costituito dall’eco riflesso alla profondità cui è posto il pixel a seguito dell’emissione di un impulso ultrasonoro. Per ciascun gate viene prelevato il segnale Doppler analogamente a quanto visto per il PW nel paragrafo 11.13.3 (vedi figura 11.27), ma con una differenza sostanziale: il numero di campioni prelevati (ovverosia gli “spezzoni” di segnale Doppler rilevati tra un impulso e
11 La dizione “realizzazione” nel caso specifico della ricezione del segnale ecografico, è relativa all’acquisizione di echi provenienti da ogni linea di vista. Pertanto l’eco proveniente da ciascun gate assume il significato di campione del fenomeno aleatorio in oggetto (vedi cap. 10, par. 10.8.5).
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il successivo, cioè c1, c2, ..., cn della figura 11.27) è per il PW dell’ordine del centinaio, mentre per il CFI è mediamente compreso tra 8 e 30. Inoltre nel caso del CFI la durata di ciascuno spezzone (gate, pixel) è pari alla lunghezza dell’impulso lanciato dalla sonda, dell’ordine perciò di soltanto 1 μs, contro i 10 μs considerati come esempio per il PW. Ciò posto, si descrive di seguito il procedimento analitico che consente il calcolo delle [12.8] e [12.9] per la stima della media e della varianza della velocità dei globuli rossi che costituiscono il flusso, per mezzo della funzione di autocorrelazione del segnale Doppler, a sua volta stimata a partire dai campioni del segnale acquisiti. Se si opera la derivata prima e seconda rispetto al tempo della funzione di autocorrelazione, dalla [12.4] si ottengono le relazioni +∞
R (τ) = ∫ jω P(ω) e jωτ dω −∞
+∞
(τ) = ∫ − ω 2 P(ω) e jωτ dω R −∞
[12.10]
[12.11]
Pertanto, sostituendo nell’espressione [12.7] relativa alla pulsazione media, le espressioni dell’autocorrelazione e la sua derivata prima [12.4] e [12.10] valutate in τ = 0, si ottiene jω =
R (0) R (0) ⇒ ω = −j R(0) R(0)
[12.12]
Utilizzando anche la derivata seconda di R(τ) [12.11] in τ = 0, dalle sostituzioni operate nella [12.9] si ottiene la varianza (0) ⎧R (0) ⎫ R σ =⎨ ⎬ − ⎩R(0) ⎭ R(0) 2
2
[12.13]
Le predette relazioni consentono di stimare media e varianza della velocità a partire dalla funzione di autocorrelazione senza passare nel dominio delle frequenze. Successivamente, per definire la procedura per il calcolo della [12.8] e della [12.9], si consideri quanto segue. Si ponga per ipotesi che la funzione di autocorrelazione sia esprimibile come R(τ) = R(τ) e jφ(τ) = A(τ) e jφ(τ)
[12.14]
dove A(τ) = |R(τ)|, essendo un modulo, è una funzione reale pari di τ, mentre φ(τ) è una funzione reale dispari.
Capitolo 12
· Color Doppler e Power Doppler
727
Allora per la derivata prima di R(τ) risulta R (τ) = ⎡⎣A (τ) + j A(τ) φ (τ)⎤⎦ e jφ(τ)
[12.15]
che, calcolata in τ = 0, diviene 12 R (0) = j φ (0) ⎡⎣A(0) e jφ(0) ⎤⎦ = j φ (0) R(0)
[12.16]
mentre, per la derivata seconda di R(τ) in τ = 0, diviene 2 (0) (0) = − ⎡φ (0)⎤ A(0) + A R ⎣ ⎦
[12.17]
In tali condizioni è lecito approssimare alle differenze finite13 la [12.12], ottenendo per il calcolo della frequenza angolare media l’espressione ω = −j
( (
) )
Im R(T) R (0) φ (0) − φ (T) φ (T) 1 = φ (0) ≅ = = arctan R(0) T T T Re R(T)
[12.18]
dove la fase iniziale φ(0) è stata posta in modo arbitrario pari a zero, mentre con T si è indicato il periodo di campionamento del segnale Doppler, pari al tempo intercorrente tra un impulso e il successivo, cioè T = 1/PRF. La varianza σ2, può essere calcolata a partire dalla [12.13] che, tenendo conto della [12.16] e della [12.17] e avendo posto sempre φ(0) = 0, si può riscrivere come 2 2 (0) (0) (0) ⎡ j φ (0) A(0) ⎤ − ⎡⎣φ (0)⎤⎦ A(0) + A ⎧R (0) ⎫ R A − = σ =⎨ − =− [12.19] ⎬ ⎢ ⎥ A(0) A(0) ⎩R(0) ⎭ R(0) ⎣ A(00) ⎦ 2
2
Ricordando che lo sviluppo in serie di una funzione pari A(τ) è A(τ) = A(0) +
τ 2 A(0) + …
2
[12.20]
arrestando lo sviluppo ai termini del secondo ordine, si ottiene (0) ≅ 2 ⎡A(τ) − A(0)⎤ A ⎣ ⎦ τ2
[12.21]
Si osserva che, essendo A(τ) una funzione pari, la sua derivata nell’origine è nulla. Si veda a tale proposito: C. Kasai et al. (1985) Real-time two dimensional blood flow imaging using an autocorrelation technique. IEEE Trans Sonics Utrason SU-32: 458-464. 12 13
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
Se si sostituisce la [12.21] nella [12.19] e si pone τ = T, la σ 2 può pertanto essere esplicitata come ⎫ ⎧ 2 ⎡A(τ) − A(0)⎤⎦ ⎪ ⎪ 2 ⎣ 2 ⎧⎪ R(T) ⎫⎪ ⎪ ⎪ σ 2 ≅ ⎨− τ ⎬ ⎬ = 2 ⎨1 − A(0) T ⎩⎪ R(0) ⎭⎪ ⎪ ⎪ ⎪⎭τ=T ⎪⎩
[12.22]
Quanto appena esposto costituisce un metodo grazie al quale è possibile stimare media e varianza della velocità delle particelle all’interno di un singolo gate (pixel colore), calcolando soltanto la funzione di autocorrelazione (o il suo modulo o la sua fase) nell’istante iniziale τ = 0 e dopo un intervallo di tempo pari al periodo di ripetizione dell’impulso14, ossia per τ = T = 1/PRF. Giova a questo punto illustrare il significato dei calcoli che verranno presentati nel seguito. Per estrarre i valori di media e varianza della velocità in una determinata locazione lungo una linea di vista, è intuitivamente necessario correlare tra loro eventi che si svolgono nel tempo in quella determinata locazione. Pertanto, per seguire l’evoluzione nel tempo dell’andamento delle velocità nella locazione in questione (pixel), il metodo utilizzato, così come nel caso del PW, è quello di campionare15 il punto di interesse a intervalli di tempo regolari (T), ciò che viene eseguito appunto lanciando impulsi lungo la medesima linea di vista. Dopo questa premessa deve risultare chiaro che i valori che concorrono al calcolo della funzione di autocorrelazione dell’andamento del segnale proveniente da un punto a distanza zi dalla sonda, devono essere prelevati in corrispondenza di quel punto. Ciò si effettua, come è ormai noto, lanciando un impulso a un istante t 0 e raccogliendo l’eco ricevuto dopo un tempo ti = 2zi /c. La funzione che viene autocorrelata per estrarre le informazioni sul flusso a profondità zi è pertanto quella costituita dai valori assunti dal segnale ricevuto in tutti gli istanti ti + mT ed è quindi una funzione di variabile discreta, essendo m il generico impulso degli M che costituiscono il pulse packet (figura 12.11 e figura 12.19). Dal punto di vista teorico, le espressioni da cui si ricavano i valori R(T) e R(0) per il generico istante t i , all’interno di un generico gate n-esimo individuato dall’istante iniziale tn (vedi figura 12.12) lungo la linea di scansione Color16, 14 Spesso la frequenza di ripetizione degli impulsi lungo una singola linea di vista per stimare media e varianza delle velocità viene denominata pulse repetition packet (PRP), per distinguerla dalla PRF dell’immagine B-Mode. Nelle indagini Doppler pulsato (PW o CFI), infatti, si invia un pacchetto di impulsi a frequenza PRP lungo ogni linea di vista. 15 Il senso che qui si dà all’azione di campionamento non è quello cui segue una conversione A/D, bensì quello originario di rilevare l’andamento di una grandezza fisica non continuativamente, ma solo in determinati istanti di tempo e per una certa durata complessiva. La grandezza fisica campionata è l’eco proveniente da un gate lungo la linea di vista. 16 Come verrà meglio chiarito in seguito, ciò equivale implicitamente a considerare tutti i k campioni del segnale all’interno del gate come un singolo campione al tempo n-esimo (vedi figura 12.12).
Capitolo 12
· Color Doppler e Power Doppler
729
derivano dalla [12.5], nella quale tuttavia gli estremi di integrazione devono essere finiti, ovverosia t i + MT
R(T, t i ) = ∫ s(t) s∗ (t + T) dt
[12.23]
ti
t i + MT
R(0, t i ) = ∫ s(t) s∗ (t) dt
[12.24]
ti
Nelle [12.23] e [12.24] M è il numero di impulsi trasmessi nella stessa direzione, ossia il numero di realizzazioni della linea di scansione, e quindi M·T corrisponde al tempo complessivo di integrazione per il gate n-esimo lungo la linea di vista e per tutte le realizzazioni presenti. Il numero M può assumere valori compresi nell’intervallo tra 8 e 30. Si osserva inoltre che, essendo quantità finite sia l’estensione temporale del gate sia il numero M degli impulsi, gli integrali devono avere necessariamente estremi finiti.
Figura 12.11. Indici che definiscono la posizione del gate nell’ambito della linea di vista in termini di tempo (indice i) e di spazio (indice n).
730
Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
Figura 12.12. Integrazione del segnale demodulato e campionato s(t) per il calcolo dell’autocorrelazione. In (a) è rappresentato il segnale Doppler campionato, mentre in (b) è mostrato il risultato della sommatoria riportata in alto nella figura. È indicata con t l’ascissa temporale corrispondente alla profondità di generazione dell’eco lungo la linea di scansione (fast time), mentre l’asse τ indica l’ordine degli impulsi emessi (slow time). Lungo l’asse t vengono effettuate le medie temporali all’interno di ciascun gate (indicato in colore), mentre lungo l’asse τ con gli M campioni vengono effettuate le varie autocorrelazioni ad altrettante profondità. La linea tratteggiata – che attraversa i vari gate lungo l’asse dei tempi t (tempo veloce) – ricorda che entro ciascun gate vengono prelevati k = 30 campioni. Nella figura non sono rappresentati i segnali coniugati s*(t) e sint* (t), per i quali tuttavia vale una schematizzazione identica a quella qui riportata.
Capitolo 12
· Color Doppler e Power Doppler
731
Vengono ora descritte le elaborazioni che subisce il segnale per uno solo degli M impulsi, lanciati a frequenza pari alla PRF, ritenuti sufficienti per la costruzione di una linea di vista (striscia colorata). Le operazioni di cui si tratterà nel seguito vengono eseguite sul segnale demodulato in quadratura e, quindi, su segnali la cui frequenza è pari al Doppler shift fD. Per quanto attiene alla prima operazione sul segnale, si deve subito osservare che il segnale in RF viene campionato tal quale (figura 12.12, primo blocco), per esempio alla frequenza di 30 MHz. Ne deriva che ciascun contributo all’informazione è dato da campioni del segnale contigui rispetto alla direzione di propagazione e che la distanza temporale tra essi è determinata dall’inverso della frequenza di campionamento; quindi per una frequenza di campionamento di 30 MHz i campioni sono distanziati di dt = 33 ns. È quindi naturale che l’individuazione dei campioni derivanti dal predetto campionamento, man mano che essi procedono nella direzione di propagazione, avvenga conteggiando il numero di intervalli dt; ciò significa che si possono individuare i gate per mezzo di un conteggio dei campioni che vengono individuati dall’indice i. Un’altra immediata deduzione è che l’ampiezza di ciascun gate è direttamente determinata dal numero di campioni di cui si stabilisce sia costituito. Per esempio, con riferimento alla figura 12.11, considerando un impulso composto da 5 cicli a una frequenza centrale di 5 MHz, si ottiene una durata complessiva pari a 5·1/5 MHz = 5·0,2 μs = 1 μs. Se la frequenza di campionamento è pari a 30 MHz, in ogni gate trovano posto un numero k = 30 frazioni (cioè campioni) del segnale (figura 12.12). Al fine di individuare la posizione di ciascun gate, e quindi di ciascun pixel colore all’interno della linea di vista, si adopera l’indice n, mentre l’indice i è riferito al tempo (figura 12.11). Con le indicazioni della figura 12.11 è ora possibile individuare, nell’ambito di ciascun pixel n, i campioni i del segnale, che consentono di attuare le operazioni di correlazione e, quindi, di definire i termini che compaiono negli integrali riportati nelle [12.23] e [12.24]. Per applicare operativamente le [12.23] e [12.24], occorre calcolare i primi due valori della funzione di autocorrelazione R(τ) al tempo τ = 0 e τ = T, come peraltro richiesto dalle [12.18] e [12.22]: – la [12.24] consente il calcolo del valore della funzione per τ = 0; ciò corrisponde a moltiplicare entro l’integrale il valore dell’eco s(t), a profondità zi, per il suo complesso coniugato s*(t), alla medesima profondità e a seguito dell’emissione del medesimo impulso (figura 12.13, ultima riga); – diversamente, nella [12.23] l’autocorrelazione viene calcolata per τ = T, cioè il valore del complesso coniugato dell’eco s(t) a profondità zn è moltiplicato per l’eco s(t –T), proveniente dalla medesima profondità ma a seguito dell’emissione dell’impulso successivo, emesso quindi dopo un tempo T (figura 12.14, ultima riga). In conclusione, emerge chiaramente che sia la [12.23] sia la [12.24] rappresentano valori della funzione di autocorrelazione del segnale costituito dall’andamento temporale dell’eco proveniente dalla profondità z i = c ti. Occorre
732
Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
tuttavia rilevare che all’interno di ciascun gate, ai fini del calcolo dell’autocorrelazione con le [12.23] e [12.24], è sufficiente disporre di un solo valore del segnale; pertanto è naturale pensare di ottenere questo unico valore calcolando una media tra i 30 campioni del gate. La riduzione del segnale a un unico campione a quella profondità significa fondamentalmente rinunciare a parte delle informazioni ivi contenute, per dare maggior rilievo alla variazione di segnale tra i successivi impulsi tra gli M emessi complessivamente: in altri termini, è come se ai fini del calcolo venisse presa in considerazione solo una dimensione17, quella corrispondente alle M realizzazioni (slow time); per tale motivo il dispositivo che consente di implementare la procedura appena descritta viene detto autocorrelatore 1D (1D autocorrelator). Tuttavia è facile constatare che la perdita di informazione, data dalla riduzione a un unico campione all’interno del gate, è in realtà modesta; infatti, se si considera per esempio un valore massimo di fD pari a 20 kHz, e quindi un periodo di 1/20 000 s = 50 μs, se ne deduce che all’interno del singolo gate (1 μs) la variazione del segnale Doppler a frequenza fD può essere trascurata. Nel caso in cui per calcolare l’autocorrelazione vengano utilizzati tutti i k = 30 campioni nel gate, senza cioè effettuarne prima la media, l’algoritmo viene denominato autocorrelazione 2D, della quale viene fornita una sintetica spiegazione alla fine del prossimo paragrafo.
12.9.1 Aspetti pratici dell’autocorrelazione Nel paragrafo precedente sono stati illustrati i fondamenti teorici, seppure rivolti a un’applicazione pratica, della stima del valor medio e della varianza della velocità per mezzo della funzione di autocorrelazione Nel presente paragrafo vengono invece descritti gli aspetti relativi all’esecuzione pratica dell’autocorrelazione, che consistono essenzialmente nel passaggio dalla forma integrale al suo equivalente discreto, realizzato mediante una sommatoria con un certo numero di termini. La realizzazione fisica dei calcoli descritti si attua con la tecnologia dei microprocessori; il componente ove ciò si realizza è detto autocorrelatore, che si concretizza nell’utilizzo di un insieme di chip dedicati18. L’autocorrelatore, a partire dai segnali RF s(t) e s*(t), produce i due segnali “integrati” sint(ti) e sint* (ti), composti da una serie discre-
17
Come già accennato nelle pagine precedenti, una dimensione è costituita dall’ascissa temporale, che individua l’eco all’interno di ciascuna linea di vista (realizzazione) ed è il tempo veloce, mentre l’altra è relativa alle diverse realizzazioni e rappresenta il tempo lento. Infatti, come si è visto, il segnale proveniente dai distretti anatomici è acquisito dall’ecotomografo sempre sotto forma discreta; l’intervallo di tempo tra due campioni consecutivi in tempo veloce è dato dalla frequenza di campionamento fS del convertitore A/D (vedi capitolo 10), che è in genere dell’ordine di qualche decina di megahertz; l’intervallo tra due campioni consecutivi in tempo lento è invece dato dalla PRF, in genere dell’ordine di qualche kilohertz. 18 Quanto riferito consiste nella programmazione di un insieme di circuiti integrati allo scopo di prelevare dalla memoria i valori del segnale, e quindi di eseguire su di essi una sequenza prestabilita di operazioni.
Capitolo 12
· Color Doppler e Power Doppler
733
ta di valori risultanti dall’integrazione di s(t) e s*(t) su ciascun gate19. Questo passaggio corrisponde concettualmente all’eliminazione della frequenza portante f0 e, quindi, a un filtraggio passa basso. Si ha infatti che il generico gate, indicato come pixel Color nella figura 12.12, che si sviluppa nel tempo veloce a partire dal generico istante t i = t n (inizio del gate n-esimo), fino all’istante t i+k = t n+1 (fine del gate n-esimo = inizio del gate n+1-esimo)20, ove k è il numero di campioni presenti all’interno di ciascun gate. Pertanto l’operazione di media di tutti i campioni presenti all’interno di un gate può essere espressa dalla seguente relazione21 k
sint (t n + mT) = ∑ s(t i + mT)
[12.25]
i =0
In tali condizioni, per il generico gate n-esimo i campioni sint(tn + mT), presi cioè alla medesima profondità, ma sfalsati di un tempo T, vengono associati agli istanti t n , t n+T , t n+2T , ..., t n+MT, e gli integrali della funzione di autocorrelazione [12.23] e [12.24] sono sostituiti, rispettivamente, dalle sommatorie
(
M −2
)
M −2
* * ⎡ t n + m T⎤ = ∑ sint m+1 ⋅sint R(T,t n ) = ∑ sint ⎡⎣t n + (m + 1)T⎤⎦ sint ⎣ ⎦ m =0 m =0
M −1
(
)
M −1
M−1
m=0
m= 0
R(0,t n ) = ∑ sint (t n + mT) ⋅s*int t n + mT = ∑ sint m ⋅s*int m = ∑ s m m= 0
[12.26]
2
[12.27]
Come deriva dalle note regole per l’esecuzione dell’autocorrelazione di segnali costituiti da un numero M finito di campioni, per il calcolo del “lag 0” R(0,t n) si dispone di tutti gli M campioni e, quindi, la sommatoria può essere estesa da 0 a M–1, mentre per il “lag 1” R(T,t n) la traslazione nel tempo, pari a un intervallo di tempo T del segnale sint rispetto a s*int nella [12.26], lascia solo M–1 campioni sui quali effettuare il calcolo; pertanto la sommatoria può soltanto estendersi da 0 a M–2 (figura 12.13). Se, come spesso avviene, M è un numero non molto grande (8 o 16÷30), allora la [12.26] esprime uno stimatore “polarizzato” (biased) in quanto può contare solo su M–1 termini (con M esiguo). Pertanto, per correggere l’errore che ne deriva, la [12.26] viene spesso modificata come segue:
19
Dal punto di vista fisico sint (t) può essere interpretato come un segnale che fornisce la fase media del segnale s(t) nel gate, rispetto alla sinusoide utilizzata come riferimento durante la demodulazione. Se si indica con NG il numero di gate presenti nella linea di scansione e con M il numero delle sue realizzazioni (numero degli impulsi lanciati), allora risulterà un numero complessivo di campioni per s int (t) e s int* (t) pari a NG·M. 20 Questa condizione equivale a dire che partendo da un indice generico i e incrementandolo di un valore k, si passa da un gate a quello successivo. 21 Si è trascurata la presenza del fattore 1/k, in quanto è semplicemente un fattore di scala.
Fondamenti di Ingegneria Clinica
734
R(T,t n ) =
M M−2 * ∑ s int m+1 ⋅ s int m M − 1 m= 0
· Ecotomografia [12.28]
Il significato delle sommatorie è pertanto il seguente: non potendo fisicamente estendere il tempo di integrazione all’infinito, come prevederebbe la definizione analitica, l’integrale di autocorrelazione viene stimato utilizzando le M medie (temporali, ossia in tempo veloce), ottenute sommando i campioni contenuti in ogni gate con la [12.25]. Questa circostanza pratica assume un’importanza fondamentale se si considera la natura del segnale Doppler, il quale non è in realtà stazionario ed ergo-
Figura 12.13. Schema per il calcolo del “lag 0” R(0,tn) della funzione di autocorrelazione. In (a) il segnale integrato s int , ottenuto a ciascuna profondità in seguito all’emissione di ciascun impulso lungo una medesima linea di vista, viene moltiplicato per il corrispondente coniugato s*int , rappresentato in (b).
Capitolo 12
· Color Doppler e Power Doppler
735
dico, se non per brevi intervalli di tempo, tipicamente di 10 ms. Ciò significa che le proprietà del segnale (spettro di potenza, media, varianza, autocorrelazione) possono essere stimate a partire da campioni prelevati nell’intervallo di tempo entro il quale esso si mantiene stazionario ed ergodico (vedi nota 2): al di fuori di tale intervallo le stime possono condurre a errori inaccettabili,
Figura 12.14. Schema rappresentante il calcolo del “lag 1” R(T,tn) della funzione di autocorrelazione. In (a) è mostrato il segnale coniugato s*int, ottenuto a ciascuna profondità in seguito all’emissione di ciascun impulso lungo una medesima linea di vista, che viene traslato nel tempo di una quantità pari a T = 1/PRF e moltiplicato per il corrispondente s int , mostrato in (b).
736
Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
in quanto, nel frattempo, sono cambiate le caratteristiche del segnale considerato come processo aleatorio. Concludendo questo paragrafo è bene segnalare che, pur essendo stato storicamente il primo dispositivo di questo genere sviluppato in ecografia, l’autocorrelatore 1D nella sua formulazione più semplice (quella esposta nelle pagine precedenti) non è più impiegato. Sono oggi proposti22 strumenti più sofisticati che da esso derivano, tra i quali l’autocorrelatore 2D (2D autocorrelator), in cui sostanzialmente la funzione di autocorrelazione viene calcolata non sui campioni del segnale integrato s int(t) ma direttamente su s(t), cioè direttamente sui campioni rappresentati nella figura 12.12a; “2D” sta proprio a significare che, in questa versione modificata dell’autocorrelatore 1D, la valutazione di R(T) e R(0) contempla entrambe le dimensioni: fast time e slow time. Come già descritto, con il metodo tradizionale (autocorrelatore 1D) gli echi RF vengono demodulati mediante moltiplicazione con la portante f0 che, solitamente, è la frequenza centrale della sonda. Tale operazione conduce a un primo errore in quanto a causa dell’attenuazione, che nei tessuti biologici è dipendente dalla frequenza, la frequenza centrale fC degli echi ricevuti non è più f0 , ma diviene anch’essa una quantità aleatoria, mediamente centrata su valori inferiori a f0 , per la maggiore attenuazione subita dalle alte frequenze. Infatti, assumendo fC come frequenza centrale, la f0 e le frequenze Doppler (e quindi le velocità del flusso) risultano affette dalle fluttuazioni casuali della fC reale del segnale RF. Tali fluttuazioni si presentano quindi anche nel caso di flusso con velocità media costante e introducono un errore nel processo di stima. L’autocorrelatore 2D esegue invece la stima dell’autocorrelazione direttamente sul segnale RF, cioè non demodulato, evitando quindi la perdita di informazione dovuta al filtraggio passa basso e alla media dei campioni all’interno del gate. Tutti i campioni acquisiti, vengono direttamente utilizzati per la stima della velocità media e della varianza e queste vengono perciò calcolate tenendo conto delle fluttuazioni della frequenza centrale degli echi RF.
12.10 Interpretazione dell’autocorrelazione nel dominio delle fasi (Phase Domain Correlation, PDC) La stima della media e della varianza delle velocità del sangue può essere dedotta anche mediante il calcolo della fase φ del segnale Doppler. Tale deduzione è fondata sul principio secondo il quale la derivata temporale della fase è la frequenza del segnale
22 Si vedano a tale proposito le seguenti pubblicazioni: T. Loupas et al. (1995) An Axial Velocity Estimator for Ultrasound Blood Flow Imaging, Based on a Full Evaluation of the Doppler Equation by Means of a Two-Dimensional Autocorrelation Approach. IEEE Transactions on Ultrasonics, Ferroelectrics and Frequency Control 42; 4. T. Loupas et al. (1995) Experimental Evaluation of Velocity and Power Estimation for Ultrasound Blood Flow Imaging, by Means of a Two-Dimensional Autocorrelation Approach. IEEE Transactions on Ultrasonics, Ferroelectrics and Frequency Control 42; 4.
Capitolo 12
· Color Doppler e Power Doppler ω=
737
dφ dt
[12.29]
Dato che il segnale Doppler è campionato a intervalli di tempo T = 1/PRF e quindi si presenta in forma discreta, l’equazione [12.29] viene approssimata alle differenze finite, cioè ω≅
φi+1 − φi
T
[12.30]
Con riferimento alla figura 12.15, la fase del segnale Doppler nell’istante iesimo può essere espressa come l’arcotangente del rapporto tra parte reale I(i) e parte immaginaria Q(i) del segnale Doppler prelevato all’uscita del demodulatore in quadratura, come viene riportato nella figura 12.15. Per quanto attiene alla tangente della differenza di fase tra campione i e i+1 del segnale Doppler, questa può essere dedotta come segue tan(φi+1 − φi ) =
sin(φi+1 − φi ) sin φi+1 cos φi − cos φi+1 sin φi = = cos(φi+1 − φi ) cos φi+1 cos φi + sin φi+1 sin φi
Q(i + 1) I(i) − I(i + 1) Q(i) = I(i + 1) I(i) + Q(i + 1) Q(i)
[12.31]
Nella [12.31] l’ultimo passaggio si giustifica ricordando che la funzione seno è la parte immaginaria (in quadratura, Q) del vettore, mentre la funzione coseno ne costituisce la parte reale (in fase, I).
Figura 12.15. Valutazione della derivata temporale della fase φ a partire dalla scomposizione del segnale Doppler campionato s(ti) nelle componenti in fase, I(i), e in quadratura, Q(i).
Fondamenti di Ingegneria Clinica
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· Ecotomografia
Pertanto, tenendo conto della [12.31], la [12.30] viene espressa da ω≅
⎛ Q(i + 1) I(i) − I(i + 1) Q(i)⎞ arctan(tan(φi+1 − φi ) 1 = arctan ⎜ T T ⎝ I(i + 1) I(i) + Q(i + 1) Q(i)⎟⎠
[12.32]
–, nel metodo PDC, si procede come di Per il calcolo della frequenza media ω seguito illustrato. La [12.32] rappresenta la pulsazione Doppler istantanea, calcolata cioè tra un istante iniziale t e uno successivo t + T, cui corrispondono il campione i-esimo del segnale e quello (i + 1)-esimo. Si ricordi che due campioni successivi corrispondono a echi provenienti dalla medesima regione, ma acquisiti in seguito a due impulsi successivi lungo la stessa linea di vista. Secondo quanto già riferito nei capitoli precedenti, la frequenza istantanea, cui corrisponde la velocità istantanea, è una variabile aleatoria; pertanto è necessario estrarre parametri che la caratterizzino in senso statistico. Occorre ora richiamare le espressioni per il calcolo dei valori dell’autocorrelazione all’istante iniziale [12.26] e dopo un tempo T = 1/PRF [12.27]. Si osserva che il segnale Doppler s int(m) è rappresentato per mezzo del vettore della figura 12.15 all’istante tn + mT; pertanto si può sviluppare il prodotto di sint(m+1) (traslato di un periodo T = 1/PRF) per il suo complesso coniugato s*int (m). Tenendo conto che la parte reale e quella immaginaria del vettore sint(m) sono identificate rispettivamente dai segnali I e Q, a partire dalla [12.26] e dopo alcuni passaggi23, si giunge alle seguenti identità
{
M −2
(
}
)
Re ∑ sint ⎡⎣t n + (m + 1)T⎤⎦ s*int t n + mT = m =0 M
= ∑ I(i)I(i + 1) + Q(i)Q(i + 1) = Re ⎡⎣R(T,t n )⎤⎦ i =1
{
M −2
(
}
)
Im ∑ sint ⎡⎣t n + (m + 1)T⎤⎦ s*int t n + mT = m =0 M
= ∑ Q(i + 1)I(i) − I(i + 1)Q(i) = Im ⎡⎣R(T,t n )⎤⎦ i =1
23
Tali passaggi possono riassumersi nelle seguenti espressioni:
(
)
* sint ⎡⎣t n + (m + 1)T⎤⎦ sint t n + mT = sint m+1 s*int m =
= ⎡⎣Re(sint m+1 ) + j Im(sint m+1 )⎤⎦ ⎡⎣Re(sint m ) − j Im(s int m )⎤⎦ = = Re(s int m+1 ) Re(s int m ) + Im(sint m+1 ) Im(sint m ) + j ⎡⎣Im(sint m+1 ) Re(sinnt m ) − Im(s int m ) Re(s int m+1 )⎤⎦ = = I(i + 1) I(i) + Q(i + 1) Q(i) + j ⎡⎣Q(i + 1) I(i) − Q(i) I(i + 1)⎤⎦
[12.33]
Capitolo 12
· Color Doppler e Power Doppler
739
Mentre per l’autocorrelazione R(0,t n) risulta
(
)
⎡ M∑−1 s (t + mT)s * t + mT ⎤ = int n int n ⎦⎥ ⎣⎢m=0 M −1
2
M
[12.34]
= ∑ s int (t n + mT) = ∑ I(i) + Q(i) = R(0, t n ) m=0
2
2
i =1
Allora la [12.18] per il calcolo della pulsazione media può essere riscritta utilizzando la [12.33] come segue ⎛ M Q(i + 1)I(i) − I(i + 1)Q(i)⎞ ∑ Im ⎡⎣R(T, t n )⎤⎦ 1 1 ⎟ = arctaan ⎜⎜ iM=1 ω = arctan ⎟ [12.35] T Re ⎡⎣R(T, t n )⎤⎦ T ⎜⎝ ∑ I(i)I(i + 1) + Q(i)Q(i + 1)⎟⎠ i=1 Per il calcolo della varianza è invece necessario avvalersi dell’espressione [12.22], dove il modulo di R(0,t n) si ottiene direttamente dalla [12.34], mentre |R(T,t n)| deriva dalla [12.33] 2
2
R(T,t n ) = Re ⎡⎣R(T,t n )⎤⎦ + Im ⎡⎣R(T,t n )⎤⎦ = [12.36] 2
M M = ⎡⎢∑ I(i)I(i + 1) + Q(i)Q(i + 1)⎤⎥ + ⎡⎢∑ Q(i + 1)I(i) − I(i + 1)Q(i)⎤⎥ ⎦ ⎣i=1 ⎦ ⎣i=1
2
Si ottiene pertanto l’espressione esplicita della varianza come
σ2 =
2 ⎡ R(T) ⎤ ⎢1 − ⎥= T2 ⎢⎣ R(0) ⎥⎦
[12.37]
2 2 ⎤ ⎡ ⎛ M Q(i + 1)I(i) − I(i + 1)Q(i)⎞ + ⎛ M I(i)I(i + 1) + Q(i)Q(i + 1)⎞ ⎥ ⎢ ⎜⎝ ∑ ⎟⎠ ⎜⎝ ∑ ⎟⎠ 2 i=1 i=1 ⎥ = 2 ⎢1 − M ⎢ ⎥ 2 2 T ∑ I(i) + Q(i) ⎢ ⎥ i=1 ⎢⎣ ⎥⎦
Si osservi che il denominatore dell’espressione [12.37] rappresenta la potenza del segnale sint(m), come si può verificare dall’equazione [12.34], che è infatti relativa alla sommatoria estesa a tutto il segnale sint(m) del suo modulo al quadrato.
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
Le formule sono lunghe e tediose da verificare. Ciò che deve rimanere è che – e σ 2 sono tutti dedotti in seguito alle operazioni gli importanti parametri ω svolte dal demodulatore in quadratura; pertanto, a dispetto della lunghezza delle formule che lo dimostrano, sono prelevabili all’uscita del demodulatore in quadratura sotto forma di differenze di potenziale, e quindi direttamente rappresentabili su un monitor televisivo.
12.11 Stima nel dominio del tempo (Time Domain Correlation, TDC) Cross-correlazione Si è accennato che la misurazione della velocità dei globuli rossi può essere effettuata con un metodo alternativo a quello già descritto, che richiede il rilevamento della velocità a supporto dell’effetto Doppler. Questa tecnica, chiamata Time Domain Correlation (TDC) e utilizzata da alcuni costruttori, è fondata sulla misurazione dello spazio percorso da un riflettore e del tempo impiegato per percorrerlo, cioè sulla definizione di velocità. A rigore il TDC, impiegato per determinare il flusso nel Color flow, non potrebbe in realtà essere definito Color Doppler, in quanto l’effetto Doppler non viene utilizzato.
Figura 12.16. Stima della velocità v dei globuli rossi a partire dalla valutazione dell’intervallo di tempo τ intercorrente tra la ricezione degli echi ε1 e ε2 prodotti dal riflettore durante il suo moto tra le posizioni 1 e 2. L’asse Z coincide con l’asse t a meno del fattore di proporzionalità pari a c velocità di propagazione del mezzo.
Capitolo 12
· Color Doppler e Power Doppler
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Nel caso specifico l’applicazione di questo metodo richiede preliminarmente la definizione delle due grandezze, spazio e tempo, e della relazione che tra esse intercorre, in riferimento ai parametri che individuano la propagazione dell’impulso ultrasonoro nel tessuto, con riguardo alla loro cadenza secondo la PRF. Si tratta in sostanza di stimare l’intervallo di tempo Δt durante il quale il rouleau compie un determinato spostamento Δ Z nella direzione di propagazione del fascio ultrasonoro. Per giungere alla valutazione dello spostamento ΔZ, si può procedere nel modo seguente. In un dato istante iniziale il trasduttore T emette un primo impulso di ultrasuoni che investe al tempo t1 (figura 12.16) un gruppo di globuli rossi, animato da velocità v, entro il vaso sanguigno VS nella posizione 1 a distanza Z1(t1) dal trasduttore. Si ha pertanto t1 = Z1/c, con c pari alla velocità di propagazione nel mezzo. Nel medesimo istante t1 l’eco generata dai globuli rossi inizia a viaggiare verso il trasduttore, dove perviene dopo un tempo T1 = 2Z1/c rispetto all’istante di emissione dell’impulso. Tale eco, che viene indicato con ε1(t1), è parte del segnale ε1(t) che il trasduttore inizia a ricevere da tutte le profondità z non appena emette il primo impulso, a causa di tutte le differenze di impedenza incontrate durante la propagazione nel tessuto del paziente, lungo la linea di vista che include il gruppo di globuli rossi Dopo un tempo pari a 1/PRF, il trasduttore lancia un secondo impulso che incontra il gruppo di globuli rossi nella posizione 2, dopo un ritardo pari a t2 = Z2 /c + 1/PRF. Viene quindi generato un eco che torna al trasduttore dopo un tempo T2 = 2Z2 /c + 1/PRF dall’istante di emissione del primo impulso. Analogamente, l’eco ε2(t2) è parte del segnale ε2 (t) che il trasduttore inizia a ricevere non appena emette il secondo impulso. Per quanto affermato, la distanza ΔZ = Z2 – Z1, tra la posizione 2 e la posizione 1, è pari al tempo intercorso tra gli istanti t2 e t1 moltiplicato per la componente vc lungo z della velocità dei globuli rossi 24
(
)
(
)
ΔZ = t 2 − t1 v cos(γ ) = t 2 − t1 v c = ⎛ ΔZ ⎛Z v 1 1 ⎞ Z⎞ vc ≅ c + =⎜ 2 + − 1⎟ vc = ⎜ PRF ⎝ c PRF ⎟⎠ ⎝ c PRF c ⎠
[12.38]
Nella precedente relazione, γ (figura 12.16) è l’angolo formato dal vettore rappresentativo della velocità dei globuli rossi con la direzione di propagazione dell’impulso. L’approssimazione nella [12.38] è lecita, poiché il tempo impiegato dall’impulso per percorrere la distanza ΔZ è dell’ordine dei microsecondi, mentre 1/PRF è dell’ordine dei millisecondi. Pertanto il termine ΔZ/c può essere trascurato. Ciò è corretto assumendo costante nell’intervallo di tempo τ la velocità v dei globuli rossi. Tale ipotesi è lecita poiché 1/PRF è dell’ordine dei millisecondi, e quindi inferiore all’intervallo di stazionarietà del flusso sanguigno.
24
Fondamenti di Ingegneria Clinica
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· Ecotomografia
Tuttavia, la stessa distanza ΔZ può essere espressa in funzione della differenza τ dei tempi di arrivo T1 e T2 al trasduttore degli echi ε1 ed ε2 c⎛ 1 ⎞ c⎛ 1 ⎞ ΔZ = Z 2 − Z1 = ⎜ T2 − T1 − = ⎜τ − ⎟ PRF ⎠ 2 ⎝ PRF ⎟⎠ 2⎝
[12.39]
avendo posto τ = T2 – T1. Uguagliando la [12.39] e la [12.38], può essere infine calcolato il valore della velocità vc in funzione di τ e del tempo 1/PRF vc =
(
)
c τ PRF − 1 2
[12.40]
Risulta chiaro che, se la velocità vc dei globuli rossi è nulla lungo la direzione di propagazione degli ultrasuoni (γ = 90 gradi), si ha τ = 1/PRF, e quindi l’unico ritardo tra la ricezione dell’eco ε2 rispetto a ε1 è causato dall’intervallo di tempo 1/PRF tra l’emissione dei due impulsi, poiché non vi è stato alcuno spostamento dei globuli rossi lungo l’asse z durante il tempo t2 – t1. In conclusione, dalla [12.40] si riconosce che la velocità del gruppo di globuli rossi nel vaso sanguigno può essere calcolata se si misura la differenza τ dei tempi di arrivo T1 e T2 degli echi al trasduttore, essendo c, cos γ e 1/PRF tutti costanti.
12.12 Valutazione dell’intervallo di tempo τ mediante cross-correlazione La valutazione dell’intervallo di tempo τ richiede l’applicazione della tecnica di cross-correlazione nel domino del tempo, della quale è stata data la formulazione analitica (capitolo 10) e si è fornita un’applicazione nel paragrafo precedente in termini di autocorrelazione. La tecnica consiste nell’analizzare gli echi ε1 ed ε2 prodotti a seguito dell’emissione di due impulsi successivi, al fine di dedurre il tempo di ritardo τ con cui l’eco ε2(t2), prodotto dai riflettori al tempo t2 , giunge al trasduttore. Nel corso dell’intervallo di tempo t2 – t1 il riflettore si è allontanato (o avvicinato) e corrispondentemente varia il tempo τ con il quale viene rilevato l’eco ε1(T1) rispetto all’eco ε2(T2). Con riferimento al paragrafo 10.10 (e alla figura 10.22 in particolare), se si implementa la funzione di cross-correlazione ℜε1ε2 tra i due echi ε1(t) e ε2(t), si ottiene come risultato il tempo τ per il quale diviene massima la ℜε1ε2. Per stimare il tempo τ, il procedimento (proposto da Hein e altri25) consiste nel fissare una finestra di analisi F1 di lunghezza N campioni sul segnale26 ε1(t), che rappresenta il treno di echi proveniente da un’intera linea di vista dopo 25 I.A. Hein, J.T. Chen, W.K. Jenkins, W.D. O’Brien (1993) A Real-Time Ultrasound Time-Domain Correlation Blood Flowmeter: Part I - Theory and Design. IEEE Trans Ultr Ferr Freq Contr 40; 6: 768-775. 26 Si tratta cioè di segnali RF campionati.
Capitolo 12
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Figura 12.17. Rappresentazione dei segnali ε1 ed ε2, ricevuti dal trasduttore in seguito all’emissione di due impulsi successivi, lungo una medesima linea di vista. (a) Per calcolare la funzione di correlazione ℜε1ε2(s) si estrae dal segnale ε1 una finestra F1 e dal segnale ε2 una finestra F2 ciascuna di N campioni consecutivi. (b) La finestra F2 su ε2 viene fatta “scorrere” di un numero di campioni pari a s. (c) Andamento temporale della funzione di autocorrelazione: per t= τ, tale funzione ha un massimo cui corrisponde una traslazione di ε2 rispetto a ε1 pari a s campioni.
l’emissione di un primo impulso (figura 12.17). Conseguentemente alla trasmissione di un secondo impulso (distante dal primo 1/PRF secondi), il trasduttore riceve il segnale ε2(t), che contiene tutti gli echi appartenenti alla medesima linea di vista di ε1(t), ma “fotografati” a un istante successivo: anche su ε2(t) viene applicata una finestra di analisi F2 di N campioni, tramite la quale si calcola la cross-correlazione ℜε1ε2 (s) con la finestra F1 presa su ε1(t). In particolare, fissata la posizione di F1 su ε1(t), che equivale a stabilire la posizione di un eco (porzione di segnale ε1(t)) all’interno della linea di vista, viene fatta “scorrere” F2 su ε2(t) fin quando non viene individuato lo stesso eco “finestrato” in F1. Il tempo τ è individuato dal valore del numero di campioni s per cui la funzione di cross-correlazione normalizzata ℜε1ε2 (s) assume valore massimo. Il numero intero s è quindi il numero di campioni del quale bisogna traslare il segnale campionato ε2 per ottenere il valore massimo di ℜε1ε2 (s).
Fondamenti di Ingegneria Clinica
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· Ecotomografia
Il calcolo della funzione di cross-correlazione normalizzata ℜε1ε2 (s) è espresso, per segnali campionati, dalla seguente relazione N−1
ℜ ε1ε 2 (s) =
∑ ε1 (r + i) ⋅ ε 2 (r + s + i)
i= 0 N −1
2 N −1
j=0
k =0
∑ ⎡⎣ε1 (r + j)⎦⎤ ⋅ ∑ ⎡⎣ε 2 (r + s + k)⎤⎦
2
[12.41]
Si riconosce che al numeratore della [12.41] è presente la cross-correlazione tra i segnali ε1(t) ed ε2(t), espressa in forma discreta. Con riferimento alla figura 12.17 si definiscono le seguenti grandezze per mezzo delle quali si calcola il ritardo τ: – N è la lunghezza della finestra di analisi (espressa come numero di campioni acquisiti in seguito alla conversione A/D degli echi ricevuti); – i, j e k sono gli indici che individuano i campioni degli echi ε1(t) ed ε2(t) nelle finestre F1 e F2 ; – r è il campione iniziale della finestra F1 ed è quello iniziale di F2 quando a quest’ultima viene applicata una traslazione nulla (s = 0); – s è la traslazione temporale (variabile ed espresso come numero di campioni) con il quale la finestra F2 è posizionata rispetto a quella (fissa) F1. È la variabile della funzione di cross-correlazione normalizzata ℜε1ε2 (s); – r + s è il numero di campioni di segnale posti prima dell’inizio della finestra di analisi F2 su ε2(t). Al denominatore è presente un fattore di normalizzazione costituito dalla radice quadrata del prodotto delle energie contenute nei due “spezzoni” F1 e F227. Questo fattore rende ℜε1ε2 (s) ≤ 1; pertanto la funzione presenta, per una traslazione s della finestra F2 , un massimo pari a 1 quando ε2(r + s + i) è esattamente uguale a ε1(r + i). È intuitivo verificare che quest’ultima condizione si realizzerebbe idealmente se due echi estratti dai segnali ε1(t) ed ε2(t), in corrispondenza delle finestre F1 e F2, provenissero veramente da un unico riflettore che si è mosso durante l’invio di due impulsi successivi, in tal caso essi sarebbero due segnali identici traslati di un tempo τ e la ℜε1ε2 (s) sarebbe del tutto equivalente a un’autocorrelazione ℜε1ε1. In realtà echi successivi provengono da insiemi di riflettori che occupano posizioni distribuite in maniera casuale all’interno del volume di indagine, quindi il segnale ε1(t), ottenuto dagli echi ricevuti in seguito all’emissione del primo impulso, è in genere diverso dal segnale ε2(t), ottenuto in seguito all’emissione di un impulso emesso dopo un intervallo di tempo pari a 1/PRF. Tutto ciò che si può fare è, dunque, tentare di associare alle variazioni di ε1(t) 27 Si riconosce il denominatore come media geometrica delle varianze di ε (t) e ε (t), mentre il nume1 2 ratore è la covarianza di ε1(t) e ε2(t). La funzione ℜε1ε2(s) calcolata in un punto s specifico è quindi il coefficiente di correlazione tra ε1(t) e ε2(t) traslati di s campioni uno rispetto all’altro.
Capitolo 12
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Figura 12.18. Schematizzazione dell’autocorrelazione nel tempo: la proiezione della maschera, sulla quale è incisa la forma d’onda d’interesse, si sovrappone agli echi RF della linea di scansione. Laddove l’eco è identico a tale forma d’onda, nell’istante di massima sovrapposizione tra esso e la maschera, la proiezione della fenditura sullo schermo non verrà rilevata: la correlazione è massima.
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rispetto a ε2(t) gli spostamenti di tali riflettori lungo la linea di vista, per mezzo del calcolo dell’intervallo s in corrispondenza del quale la ℜε1ε2 (s) assume il valore massimo. Si può fornire una rappresentazione figurata del meccanismo di correlazione facendo riferimento alla figura 12.18, nella quale un qualsivoglia eco ε1 è scolpito nello spessore di una maschera realizzando una feritoia sagomata, in modo che un fascio di luce prodotto dalla lampada L e collimato dal condensatore C ne proietti il profilo su uno schermo S (figura 12.18a). Il flusso luminoso riflesso dallo schermo e misurato dal luxmetro M costituisce un valore di riferimento corrispondente a uno stato che viene indicato come correlazione minima per l’eco ε1. Se si immagina di “materializzare” gli echi da confrontare con quello ε1 scolpito nella maschera, con una sorta di filo di ferro il cui diametro sia pari allo spessore della feritoia, e si suppone di fare scorrere tali echi di fronte alla maschera, questi intercettano il flusso luminoso uscente da essa, in misura maggiore o minore a seconda della loro forma. Nell’istante nel quale un eco εx passando davanti alla maschera intercetta completamente il fascio luminoso, per cui sullo schermo S vi è il buio, si può affermare che l’impulso εx per cui ciò si verifica è uguale a ε1, con il quale si è costruita la feritoia nella maschera e che si è presentato davanti a essa dopo un intervallo τ , valutato tra l’istante di costituzione della feritoia nella maschera e l’istante nel quale compare il buio totale sullo schermo S: in tale situazione la correlazione è totale e si può affermare che è ℜε1εx (figura 12.18b). In generale la correlazione può essere molto elevata ma non totale: nell’esperimento ideale appena proposto ciò si traduce nell’impossibilità di osservare sullo schermo il buio completo. Nella figura 12.18c si nota che la diversità tra i profili del generico impulso εx e dell’impulso ε1 è misurata dalla quantità di luce indicata dal luxmetro M. In tali condizioni il valore misurato dal luxmetro può quindi interpretarsi come una misura del livello di correlazione: se la quantità di luce è elevata la correlazione è bassa e viceversa. Dal punto di vista del fenomeno fisico reale va osservato che il difetto di correlazione esiste sempre, poiché è difficile che il globulo rosso viaggi da solo, sia quando è sorgente dell’eco ε1, sia quando lo si ritrova dopo τ come sorgente dell’eco εx = ε1. I globuli rossi viaggiano di solito in gruppi variabili da istante a istante: perciò occorre effettuare molti “paragoni” del tipo di quelli illustrati, allo scopo di ottenere dati statistici validi per assegnare all’intervallo di tempo τ una probabilità elevata di essere il parametro corretto per rilevare la velocità dei globuli rossi.
12.13 Vantaggi del metodo di autocorrelazione nel tempo Il metodo di autocorrelazione nel tempo realizza almeno due vantaggi nei confronti di quello che stima la velocità dei globuli rossi attraverso la valutazione delle frequenze Doppler, che per ottenere risultati attendibili, richiede che vengano lanciati più impulsi nel medesimo gate.
Capitolo 12
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Il primo vantaggio consiste nel fatto che l’unico impulso trasmesso può essere più corto di quello utilizzato con il metodo Doppler, in quanto la tecnica di correlazione consente il confronto tra due echi indipendentemente dalla loro durata. Ciò permette di utilizzare impulsi di durata pari a quella utilizzata per la formazione dell’immagine, con il vantaggio di migliorare il potere risolutivo assiale rispetto al caso precedente, che richiede impulsi di lunghezza circa doppia o tripla. Il secondo vantaggio consiste nel fatto che, rispetto al metodo fondato sull’effetto Doppler, la tecnica di autocorrelazione è meno soggetta al fenomeno dell’aliasing. Infatti il TDC tollera maggiore ampiezza dell’intervallo τ di ritorno dell’eco rispetto al metodo “multigate”, che si avvale di treni di impulsi, necessari, come si è detto, per ottenere con sufficiente accuratezza la misura della velocità dei globuli rossi in ciascun gate; quindi con il metodo dell’autocorrelazione nel tempo è possibile misurare velocità di valore più elevato.
12.14 Meccanismo di formazione della linea di vista Color 12.14.1 Il treno di impulsi (pulse packet) Nei precedenti paragrafi è stato accennato che la linea di vista (striscia colorata) componente l’immagine del Color Doppler deve essere costruita da alcune centinaia di volumi di misura, all’interno dei quali vanno effettuate più misurazioni per dedurre il valore più probabile della velocità: in altri termini, non interessa più quanti globuli rossi hanno quella determinata velocità, ma piuttosto quale velocità hanno in media i globuli rossi contenuti nel volume di misura. Se si parla di valore più probabile28, occorre individuare la modalità operativa mediante la quale, nel tempo più breve possibile, si possano ottenere più misure in tutti i gate di cui è formata la linea di vista. Il problema si risolve inviando in ogni gate un numero di impulsi che, come già riferito, è generalmente compreso tra 8 e 30, in modo che ciascun gate venga interrogato da 8 a 30 volte nell’unità di tempo, deducendo da ogni “interrogazione” gli 8÷30 valori di velocità con i quali compiere le elaborazioni statistiche che consentono di individuarne il valore medio, nonché altri indici, come lo scarto quadratico medio (varianza) e momenti statistici di ordine superiore29. Il valore della velocità così ottenuto, al quale si attribuisce un determinato colore, viene quindi rappresentato da un corrispondente pixel nello schermo televisivo, come illustrato nella figura 12.7. Il meccanismo utilizzato per ottenere più valori di velocità da ogni gate è il seguente: il trasduttore invia nel tessuto onde ultrasonore a una determinata frequenza di lavoro del trasduttore f0 (per esempio 2,5, 3,5, 5 MHz) sotto for28
E la media ne è un indicatore statistico. Sebbene la media e la varianza della velocità di flusso rivestano un’importanza preponderante nella velocimetria Doppler, spesso si ricorre a ulteriori procedure statistiche per ottenere stime, di qualità più o meno elevata, di altre grandezze comunque rilevanti, come la densità spettrale di potenza. 29
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Figura 12.19. Rappresentazione del treno di impulsi per CFI.
ma di un treno di impulsi (pulse packet) o pacchetto di impulsi, secondo lo schema mostrato nella figura 12.19. L’intervallo di tempo compreso tra due impulsi successivi è determinato dalla PRP = 1/PRF, mentre il singolo ciclo di ogni impulso ha periodo T0 = 1/f0. Nella formazione dell’immagine a colori la costruzione del pacchetto di impulsi riveste particolare importanza, poiché da esso dipende il tempo che occorre attendere prima di poter passare alla successiva linea di vista. Come si è già accennato, proprio per tale motivo assume particolare rilievo l’algoritmo utilizzato per il computo dei dati necessari per fornire la stima della velocità in ciascun gate. È ora evidente che tale stima è strettamente connessa al numero degli impulsi contenuti nel pacchetto: la stima della velocità in ciascun gate sarà tanto più accurata quanto maggiore è il numero di impulsi, cioè quanto maggiore è la “dimensione” del pacchetto. Occorre tuttavia considerare che se è grande la dimensione è grande anche il tempo di analisi; pertanto, o si riduce il numero dei quadri al secondo (frame rate), o si diminuisce la densità delle linee di vista oppure si diminuisce l’estensione della parte di immagine bidimensionale sulla quale sovrapporre l’immagine Color.
12.14.2 Processo del treno di impulsi e formazione della linea di vista a colori La formazione della linea di vista nel Color Doppler è fondata sullo schema della figura 12.20. Lo schema rappresenta i blocchi essenziali che costituiscono gli stadi attraverso i quali si forma il segnale Doppler a colori, quindi rappresenta in definitiva lo schema a blocchi di un ecotomografo Color Doppler. Il procedimento su cui è fondata la costruzione della linea di vista a colori, o più semplicemente della linea di vista Color Doppler, avviene secondo una successione di operazioni, come viene descritto nel seguito. Il blocco di temporizzazione (master synchronizer), che contiene l’oscillatore da cui ha origine l’oscillazione fondamentale di frequenza angolare ω 0 = 2 π f0 , emette al tempo t 0 il primo degli 8÷30 impulsi del pacchetto che viene inviato al trasduttore tramite il pulser (trasmettitore) e il formatore del fascio ultrasonoro (beam forming). Tale pacchetto viaggia entro il tessuto e intera-
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Figura 12.20. Schema a blocchi del sistema CFI. Sono riportati in 1 i blocchi di trasmissione (pulser) e ricezione (amplificatore RF e TGC); in 2 e 3 il blocco di digitalizzazione e il demodulatore direzionale; in 4 il circuito temporizzatore per la gestione delle informazioni provenienti dai diversi gate e relative ai vari impulsi trasmessi; in 5 la sezione di analisi statistica dove vengono implementati gli algoritmi di stima per grandezze come la pulsazione angolare media, la varianza e la potenza media del segnale relativi a ciascun gate; in 6 il blocco scan converter e in 7 quello di post processing.
gendo con i riflettori produce gli echi, che amplificati in RF e compensati per la distanza dal TGC vengono inviati al demodulatore in quadratura, il quale provvede a estrarre il segnale Doppler (sa(t) e st (t)) secondo quanto già descritto nel capitolo 11. Il segnale relativo a tali echi, tuttavia, non può procedere fino a quando l’interruttore G del circuito di gating non viene chiuso. Tale chiusura si verifica quando il circuito temporizzatore, che è a conoscenza dell’istante nel quale l’impulso è partito, invia l’apposito comando; infatti, poiché è nota la velocità di propagazione nel tessuto, sulla base del conteggio del numero dei microsecondi trascorsi è possibile individuare da quale degli N cancelli proviene l’impulso. Dopo il consenso fornito dal circuito temporizzatore (chiusura dell’interruttore G), il segnale viene abilitato a proseguire nei blocchi di elaborazione del sistema (come indicato nella figura 12.20) fino a giungere alla memoria del processore dopo la conversione di formato (conversioni A/D e filtri), dove è implementato l’algoritmo di elaborazione per la stima dei parametri del –, la deviazione flusso sanguigno nel singolo gate, tra cui la pulsazione media ω standard σ e la potenza P del segnale Doppler. Successivamente, dopo aver consentito il passaggio dell’eco dovuto al primo impulso, l’interruttore G si apre e così rimane per tutto l’intervallo di tempo PRP = 1/PRF. Tale informazione è fornita sempre dal circuito di temporizzazione, che successivamente dà il via al secondo impulso del pacchetto in trasmissione, il quale, analogamente al pacchetto precedente, produce un segnale eco, che, una volta ricevuto dal trasduttore, segue le medesime elaborazioni di quello corrispondente a PRP secondi prima. Questo segnale eco viene immagazzinato nella memoria del processore come secondo valore proveniente
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dal medesimo sito del primo30. In tal modo il temporizzatore procede fino a esaurire tutti i campioni di velocità relativi al gate selezionato e conseguenti agli impulsi del pulse packet. Quindi il processore esegue i calcoli estraendo i –, σ e P da inviare allo scan converter, che a seconda del loro valore valori di ω li alloca nello schermo seguendo un procedimento analogo a quello illustrato nel paragrafo 8.4.1. Infine nel blocco del post-processing viene associato al – con il relativo gate (pixel) in esame il colore corrispondente al valore di ω scarto σ, secondo la prefissata scala. Il pixel viene quindi presentato sul display nell’allocazione prevista dallo scan converter. Il procedimento descritto consente di individuare uno solo dei pixel costituenti la linea di vista corrispondente a uno, per esempio il primo, degli N gate di cui essa è costituita. Il secondo pixel della medesima linea di vista, adiacente al primo, rappresenta i parametri interessati alla profondità corrispondente al secondo gate. Come più volte osservato, mediante la velocità di propagazione c, viene individuato il tempo che intercorre tra il lancio del primo impulso del pulse packet e l’arrivo al trasduttore del corrispondente eco, proveniente da una distanza che, essendo ora relativa al secondo degli N gate, è maggiore di quella relativa al primo gate. Tale procedimento viene ripetuto per ognuno dei gate della linea di vista, nella quale il colore di ogni pixel che –, σ e P. la compone è rappresentativo dei dati statistici ω La costruzione della linea di vista può essere illustrata anche per mezzo della figura 12.21, dove i blocchi funzionali della figura 12.20 vengono mostrati con diversa allocazione per seguire meglio la logica della formazione dei pixel colorati componenti la linea di vista. Questa ha origine dal trasduttore T che in un certo istante emette il fascio ultrasonoro, per esempio attraverso uno spazio intercostale, che investe il muscolo cardiaco e lo interessa per un tratto compreso tra le due pareti interne anteriori del ventricolo destro e sinistro figura 12.21a): ciò si ottiene abilitando il ricevitore, tramite il circuito di gating, a ricevere gli echi dopo un intervallo di tempo corrispondente al tempo di propagazione impiegato dall’impulso trasmesso a pervenire alla seconda parete del ventricolo sinistro e, quindi, dopo il tempo necessario all’eco ivi prodotto per ritornare al trasduttore. A partire dal momento di ricezione del primo eco, il segnale viene segmentato in tanti gate, a ciascuno dei quali corrisponde un pixel nello schermo TV; per esempio, se l’intervallo fisico tra un gate e il successivo è pari a 0,5 mm, l’insieme di N = 200 gate si estende per 100 mm: questa è l’estensione della parte anatomica interessata dalla linea di vista. Se questa viene ingrandita, si ottiene quanto è mostrato nella figura 12.21b, nella quale la linea di vista è segmentata nei 200 gate ed è numerata da 1 a 200. La formazione della linea di vista inizia nell’istante in cui il primo gate viene investito dal primo degli M impulsi (16 nella figura, individuati dalle lettere a, b, c, ..., r, invece dei 30 considerati nelle precedenti descrizioni) che forma30 Tale informazione è data dal conteggio del tempo intercorrente a partire dall’eco prodotto dal primo impulso, pari appunto a PRP = 1/PRF s. In pratica il gate n-esimo viene identificato da un tempo tn + m·PRP, dove m = 1, 2, ..., 30 è relativo all’impulso in trasmissione contenuto nel pulse packet.
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Figura 12.21. Schema di principio della formazione dell’immagine CFI: dai 16 impulsi trasmessi dalla sonda in (a) vengono in (b) ricavate 16 diverse tracce di segnale in radiofrequenza, relative a una singola linea di scansione: in altri termini le 16 tracce costituiscono 16 realizzazioni diverse della medesima linea di scansione, costituita da N = 200 gate. Per ogni gate si dispone pertanto di 16 campioni su cui effettuare un’analisi statistica e ricavare così le stime di frequenza angolare media – ω, varianza σ e potenza media P. Successivamente, in base ai valori di stima di – ω e σ, a ciascun gate è associato un differente colore, che tramite scan converter viene associato a un pixel sul monitor.
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no il pulse packet (come mostrato nella figura 12.19). Il corrispondente impulso demodulato, la cui ampiezza è proporzionale al valore rilevato del segnale doppler, dopo essere stato opportunamente trattato e digitalizzato, viene riportato nella memoria temporanea del processore alla prima locazione corrispondente della posizione (in orizzontale) alla cella di memoria 1,1 (prima riga, prima colonna), e cioè al primo gate. Per chiarezza esso è stato indicato con il medesimo colore dell’impulso che ha generato il corrispondente Doppler shift. Si osserva ora che l’impulso a attraversa tutti i 200 gate di cui è composta la linea di vista, a ciascuno dei quali corrisponde il primo valore del segnale Doppler. Tali valori sono rappresentati dai “guizzi” di diversa ampiezza e segno lungo la linea di vista. Successivamente, entra nel primo gate e nei successivi 199 l’impulso b, che dà luogo sulla linea di vista al secondo valore del segnale Doppler rappresentato nel medesimo colore dell’impulso. Si procede in tal modo fino al sedicesimo impulso (impulso r), che dà luogo al sedicesimo valore del segnale Doppler in ciascuno dei 200 gate. Così, per ogni gate sono stati rilevati 16 diversi valori del segnale Doppler, che vengono tutti immagazzinati nelle rispettive 200 × 16 celle di memoria temporanea del processore. Per ciascuno dei 200 gate per i quali si dispone dei 16 valori del segnale Doppler, vengono effettuate le stime di velocità (media e varianza); quindi, a seconda del risultato, viene assegnato il corrispettivo colore. L’assegnazione viene effettuata tenendo presente che per ogni gate, e perciò per ogni pixel della linea di vista, sono presenti 3 colori con le relative variazioni. Nel tradizionale schermo TV a colori è possibile utilizzare i 3 cannoni elettronici dei tre colori fondamentali e stabilire di osservare il colore seguendo il criterio: – > 0 rosso, con saturazione proporzionale al valore di ω –; – per ω – – – per ω < 0 blu, con saturazione proporzionale al valore di ω ; – σω verde (turbolenza), con saturazione proporzionale al valore di σ. I dati ottenuti vengono inviati allo scan converter e quindi al monitor a colori per la rappresentazione finale. Dalla descrizione riportata emerge l’importanza delle limitazioni che occorre imporre per la rappresentazione del Color Doppler. In particolare, considerato il lungo tempo richiesto per l’attuazione dei procedimenti statistici, è necessario limitare l’estensione e il numero delle linee di vista a colori; d’altra parte il Real-Time richiede un numero di quadri al secondo elevato, che con le attuali macchine si attesta mediamente 31 tra 8 e 12, mantenendo una buona risoluzione spaziale e utilizzando un numero consistente di linee di vista a colori per ogni quadro (per esempio 64). Concludendo il presente paragrafo può essere utile riassumere in un unico schema a blocchi quanto parzialmente riportato nella figura 8.25, nella quale sono illustrati i blocchi fondamentali che costituiscono un ecotomografo Real-Time Color. 31 Tale ordine di grandezza è assolutamente indicativo, dato che il frame rate dipende non solo dal numero delle linee di vista, ma anche dalla loro profondità e dal tipo di elaborazioni cui sono sottoposte (per esempio elaborazioni in pre-processing).
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· Color Doppler e Power Doppler
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Nella figura 12.20 è stato illustrato il meccanismo di costruzione della linea di vista a colori per mezzo dell’introduzione del sistema multigate applicato a un grande numero di gate. Nella figura 12.22 le funzioni descritte vengono specificate sinteticamente utilizzando i blocchi funzionali illustrati nel presente capitolo, ma con l’aggiunta di uno schema dei collegamenti tra i diversi blocchi allo scopo di porre in rilievo la tempistica, a opera della centrale di sincronizzazione (master synchronizer) e dello scan converter digitale, della costruzione combinata di immagini in scala di grigi, di immagini Color e di immagini dello spettro delle velocità. È possibile riconoscere 5 sezioni: (1) master synchronizer con oscillatore di riferimento a frequenza f0 e il beam forming; (2) parte relativa alla generazione dell’immagine in scala di grigi; (3) sezione di elaborazione del segnale Color Doppler; (4) sezione Doppler pulsato (PW) e continuo (CW) e, infine, (5) sezione relativa alla presentazione delle immagini Color e spettro. Per quanto attiene alla funzionalità dei blocchi descritti, è opportuno riportare qui di seguito alcune notazioni. Si osserva che la conversione A/D del segnale eco è stata posta a valle dell’amplificatore RF e del TGC in ricezione: ciò consente di operare su segnali digitali già a partire dal beam forming (digital beam forming), con tutti i vantaggi che ne conseguono; si tratta in realtà di una soluzione applicata da molti costruttori. A valle del blocco di beam forming è stato riportato uno switch, per indicare la funzionalità duplex del sistema rappresentato: infatti, la parte imaging e quella Doppler non lavorano simultaneamente, ma impegnano i canali di trasmissione e ricezione a tempi alterni32. Se il segnale ricevuto è di tipo Doppler, viene fatto passare prima attraverso il demodulatore in quadratura, dove, dopo essere stato filtrato (con LPF sono stati indicati i filtri Passa Basso o Low Pass Filter), viene scomposto nei due segnali in fase I(i) e in quadratura Q(i) (l’indice “i” sta a indicare il gate iesimo). Tali segnali possono essere elaborati per fornire lo spettro Doppler (per esempio tramite la FFT) oppure per produrre l’immagine CFI. Come è ormai noto, nel primo caso è necessario che I(i) e Q(i) vengano processati secondo le modalità illustrate nel capitolo precedente, sia per la CW sia per la PW; in particolare, per la PW vengono elaborati i campioni di I(i) e Q(i) presenti all’interno del gate selezionato e, a tal fine, il master synchronizer garantisce i tempi di apertura e chiusura del gate, per acquisire (tramite circuito Sample and Hold) e filtrare (tramite filtro passa banda BPF o Band pass filter) ciascuno di essi prima dell’analisi in frequenza (analisi spettrale). Nel caso in cui i segnali I(i) e Q(i) debbano produrre un’immagine CFI, concordemente a quanto riferito nelle pagine precedenti, dovranno prima essere elaborati da appositi filtri, che vengono generalmente indicati come delay line
32 Come si è osservato, l’impulso in trasmissione nella modalità Doppler è nettamente diverso da quello B-Mode e, dunque, altrettanto vale per gli echi in ricezione. Comunque, nelle macchine più recenti il processamento parallelo consente di gestire molto efficacemente l’alternanza delle due tipologie di segnali (Doppler e imaging), tanto da produrre immagini duplex in cui le diverse rappresentazioni diagnostiche appaiono agli occhi dell’operatore come se operassero simultaneamente.
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
Capitolo 12
· Color Doppler e Power Doppler
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Figura 12.22. Schema a blocchi di un sistema diagnostico eco Doppler CFI. Il blocco 1 rappresenta il front-end, ma viene completato con la presenza del commutatore switch per porre in rilievo la funzione di successione alternata delle immagini B-Mode e color, che vengono processate separatamente. Nel blocco 2 è rappresentato il processamento del segnale in scala di grigi, la cui uscita viene inviata allo scan converter, come peraltro si riconosce nella figura 8.25. Nel blocco 3 è riportata l’elaborazione del segnale Doppler con demodulatore direzionale e il processore necessario per il calcolo dei parametri relativi alla misura della velocità in modulo e verso. Anche in questo caso il segnale in uscita è inviato allo scan converter. Nel blocco 4 è riportato il processamento per l’estrazione del segnale Doppler dal demodulatore in quadratura e la successiva analisi spettrale. La sua rappresentazione è affidata allo scan converter, mentre la presentazione audio è inviata agli altoparlanti attraverso l’apposito processore. Infine, nel blocco 5 sono raffigurati gli elementi necessari alla presentazione delle immagini su schermo a colori con standard TV.
canceller (DLC)33, che in pratica svolgono la medesima funzione dei filtri di parete nel PW e CW, e successivamente analizzati dall’autocorrelatore, il quale provvede a estrarne le funzioni di autocorrelazione R(0) e R(T), i cui valori vengono utilizzati dallo stadio successivo per effettuare le stime di media, varianza (e potenza) delle frequenze Doppler (velocità) mediamente contenute in ciascun gate nell’intervallo di tempo considerato. Ciò che va ulteriormente sottolineato è che tutti i risultati delle elaborazioni del segnale confluiscono nello scan converter digitale, indipendentemente dal tipo di rappresentazione (sia essa solo imaging o Doppler): è in esso che le immagini prendono forma e le diverse modalità vengono “armonizzate” per fornire all’operatore un’immagine diagnostica la più esaustiva possibile. In particolare, affinché le diverse modalità diagnostiche non si disturbino l’un l’altra è necessario che vengano stabilite alcune regole, specialmente per quanto attiene alla presentazione di immagini in scala di grigi o colore. L’autocorrelatore, infatti, produce stime di tutti i pixel componenti la linea di vista Color, indipendentemente dal fatto che essi vengano percorsi o meno da flussi in moto. In questo secondo caso il colore che viene assegnato al corrispondente pixel nella ROI può essere generato da un artefatto34 e costituisce solo un disturbo per chi osserva l’immagine. Per tale motivo è necessario stabilire delle regole di precedenza (o priorità) tra i valori relativi alle due rappresentazioni diagnostiche, memorizzati in ciascuna “cella” all’interno dello scan converter: il dispositivo che effettua tale operazione, indicato come encoder di priorità (priority encoder), stabilisce, per ogni pixel della ROI, se rappresentare o meno il dato CFI sovrapposto a quello di imaging (B-Mode), basandosi su 33 La denominazione deriva dal fatto che tali filtri operano sottraendo tra loro echi provenienti dalla medesima profondità ma in seguito all’emissione di impulsi successivi: se gli echi in questione provengono da un oggetto immobile, allora il risultato sarà un segnale estremamente basso (al limite nullo); pertanto in tale condizione il filtro “cancella” gli echi di grande ampiezza generati da tessuti fermi o quasi (per esempio i tessuti molli), preservando il segnale prodotto dal flusso sanguigno. 34 In altri termini non è correlato a una misura di velocità del sangue, ma è prodotto da cause esterne al flusso, per esempio dal moto dei tessuti circostanti. L’artefatto qui proposto come esempio è molto comune nella pratica clinica e viene generalmente indicato con il nome di flash artifact.
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· Ecotomografia
una stima della probabilità che il flusso sia presente o meno nel gate corrispondente. Tale stima è in genere implementata per mezzo di algoritmi anche molto differenti tra una casa costruttrice e l’altra, tuttavia è possibile individuarne quattro tipologie fondamentali (tra le più comuni), che stabiliscono dei criteri di soglia in base ai quali assegnare la priorità a uno dei due tipi di rappresentazione diagnostica. – Soglia sulla potenza del segnale Doppler nel sample volume: se la potenza media P del segnale Doppler nel volume di misura è minore di un valore di soglia, il pixel corrispondente assume il colore del livello di grigio dettato dall’imaging, mentre il dato CFI non viene rappresentato35. – Soglia sulla velocità media del flusso nel sample volume: se la velocità media stimata nel sample volume è al di sotto di un valore di soglia, analogamente al caso precedente, l’unica informazione che viene visualizzata è quella della rappresentazione B-Mode in livelli di grigio. – Soglia sull’intensità dell’eco di imaging relativo al sample volume: se l’intensità dell’eco B-Mode è al di sopra di un valore di soglia, allora questo viene rappresentato al posto del CFI. – Soglia in base alla banda passante del segnale Doppler nel sample volume: un segnale Doppler dovuto a rumore di fondo possiede banda più larga rispetto a quello generato dal flusso sanguigno. Pertanto il criterio è basato sulla varianza dello spettro di potenza Doppler; laddove questa superi un valore di soglia, il dato CFI non viene visualizzato, a vantaggio della rappresentazione in livelli di grigio. Quanto appena riferito per la priorità, è solamente una delle tante soluzioni tecnologiche che i costruttori realizzano sulle proprie macchine per consentire all’operatore di poter compiere l’esame migliore possibile dal punto di vista delle necessità diagnostiche, peraltro assai variabili sia con riferimento alle dimensioni del paziente (neonato, bambino, adulto), sia rispetto alla patologia. Per impostare al meglio la strumentazione, l’operatore dispone di numerosi parametri, tra i quali numero ed estensione delle linee di vista, dimensioni e composizione del pacchetto di impulsi (pulse packet), elaborazioni in preprocessing e post-processing eccetera. È tuttavia evidente che la sfida tecnologica si sviluppa in due direzioni: da una parte, infatti, è di carattere matematico, e approfondisce lo studio di algoritmi che consentano di elaborare i dati attraverso il minor numero di passaggi possibile; dall’altra, è di carattere tecnologico, e consiste nell’equipaggiare l’ecotomografo con processori di grande potenza, anche utilizzando il calcolo parallelo, dovendo tuttavia contenere entro limiti accettabili le dimensioni, la massa e il costo, per consentire un’ampia diffusione di queste macchine straordinarie.
35 Tale livello di soglia può essere di volta in volta regolato dall’operatore e va in genere sotto il nome di Color Gain Control.
Capitolo 12
· Color Doppler e Power Doppler
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12.15 Power Doppler La tecnica del Color Doppler consente una rappresentazione delle velocità dei riflettori nei rispettivi vasi o cavità cardiache, per mezzo di un codice colore. In particolare la tecnica illustrata consente di porre in rilievo non solo il modulo ma anche il verso di tali velocità, cosicché si riconoscono sia i flussi che sono diretti verso il trasduttore sia quelli che se ne allontanano. È stato anche riferito come tale rappresentazione sia finalizzata non tanto all’accuratezza della misura della grandezza fisica di interesse, quanto all’aspetto complessivo del flusso, dal quale emergono gli elementi necessari alla formulazione della diagnosi, per esempio la presenza di stenosi, rivelata dai flussi vorticosi che ne sono l’effetto. Vi sono tuttavia necessità diagnostiche per le quali il verso della velocità non ha interesse, mentre risulta di maggior rilevanza constatare la presenza o l’assenza del flusso (perfusione sanguigna) e la sua entità. In questi casi, ciò che si indaga complessivamente è, quindi, la pervietà dei vasi oppure la vascolarizzazione di un ematoma o di una neoplasia, al fine di attribuire a tali elementi un valore quantitativo che ne fornisca una misura. Ciò si può porre in rilievo con il metodo noto come Power Doppler, anche se appellativi diversi (quali ultrasound angio o Color Power angio) sono utilizzati dai costruttori per designare tale metodo; tutti hanno, comunque, il medesimo significato e il medesimo fondamento fisico, che viene qui di seguito illustrato.
12.16 Costruzione e caratteri dell’immagine Power Doppler Occorre preliminarmente illustrare le differenze che caratterizzano le immagini Color Doppler da quelle Power Doppler: entrambe le rappresentazioni utilizzano il colore, ma associano a esso significati diversi. Con riferimento alla figura 12.23a si osserva il diverso significato del colore. Nel Color Doppler due segnali Doppler di diversa frequenza ma di pari ampiezza, cioè segnali che vogliono rappresentare una diversa velocità dei globuli rossi, vengono raffigurati con colori diversi; nel Power Doppler, invece, poiché hanno la medesima ampiezza, i segnali vengono rappresentati con lo stesso colore. Nella figura 12.23b, invece, sono mostrati due segnali di ampiezza diversa ma di pari frequenza: questi nell’immagine Color Doppler hanno tinte uguali, rappresentando essi la medesima velocità; nel Power Doppler invece hanno colori diversi, in quanto essendo diversa l’ampiezza è diversa anche l’energia contenuta nei due segnali. Le immagini Power Doppler derivano da un’operazione matematica a partire dalla funzione di autocorrelazione compiuta nel dominio del tempo. In virtù del teorema di Wiener-Khinchine, si può affermare che lo spettro di potenza W(ω) è la trasformata di Fourier della funzione di autocorrelazione, come espressa dalle [12.3] e [12.4], dalle quali risulta in sostanza che, una volta nota la funzione R(τ), è possibile ottenere tramite l’operazione di trasformata, il corrispondente spettro di potenza P(ω).
Fondamenti di Ingegneria Clinica
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· Ecotomografia
Ci si sofferma ora sull’analisi del segnale Doppler campionato s(tn + mT) così come realmente si presenta, cioè “corrotto” dal rumore, nel seguito indicato con ν(tn + mT), dove tn è l’istante temporale corrispondente all’ascissa n-esima lungo la linea di vista, T = 1/PRF e m = 1, 2, ..., M è l’impulso corrispondente. Il segnale da elaborare risulta dunque costituito dalla somma s(tn+mT) + ν(tn+mT), composta da un primo termine direttamente legato alla velocità dei riflettori e da un secondo termine, il rumore, che è legittimo considerare totalmente scorrelato dai fenomeni fisici di interesse. Se si riscrivono ora le espressioni [12.26] e [12.27] relative al primo e al secondo campione dell’autocorrelazione, R(0,tn) e R(T,tn), quest’ultima spesso indicata sinteticamente come R(1), si ottiene R(T, t n ) = M−2
}
[12.42]
= ∑ ⎡⎣s t n + mT + υ t n + mT ⎤⎦ ⎡⎣s* t n + mT + υ* t n + mT ⎤⎦ = m= 0
[12.43]
(
){
) (
(
)
(
)
= ∑ ⎡⎣s t n + mT + υ t n + mT ⎤⎦ s* ⎡⎣t n + m + 1 T⎤⎦ + υ* ⎡⎣t n + m + 1 T⎤⎦ = m= 0 M−2
= ∑ s m ⋅s*m+1 = R(1) m= 0
R(0, t n ) = M−1
M−1
(
) (
2
M−1
)
(
)
(
)
2
= ∑ s m + ∑ υ m = R(0) m= 0
m= 0
I risultati cui si è giunti si giustificano considerando che ogni generico campione del segnale s(tn + mT) è scorrelato da qualsiasi campione del rumore ν(tn+mT); inoltre ogni campione del rumore ν(tn+ mT) è scorrelato dagli altri ν(tn+kT) con m ≠ k, cioè il rumore che si manifesta in un generico impulso mesimo del pulse packet è verosimilmente scorrelato a quello che si manifesta in corrispondenza di qualsiasi altro impulso k-esimo. In seguito a tali circostanze, nello sviluppo delle [12.42] e [12.43], le sommatorie relative a tutti i prodotti elencati nel seguito valgono zero, attesa la mancanza di correlazione tra i vari fattori. Questi sono:
(
)
( ) s ⎡⎣t + (m + 1) T⎤⎦ ⋅ υ (t + m) T υ (t + mT) ⋅ υ ⎡⎣t + (m + 1) T⎤⎦ s t n + mT ⋅ υ* (t n + m + 1 T *
n
n
*
n
n
[12.44]
Capitolo 12
· Color Doppler e Power Doppler
759
Figura 12.23. Esempio di immagini Color e Power Doppler a confronto. (a) Due segnali di medesima ampiezza e diversa frequenza (velocità dei riflettori) vengono rappresentati con colori diversi nel CFI e con lo stesso colore nella rappresentazione Power Doppler. (b) Due segnali di diversa ampiezza e medesima frequenza (velocità dei riflettori) vengono rappresentati con colori uguali nel CFI (varia la saturazione in funzione dell’intensità del segnale) e differenti nella rappresentazione Power Doppler.
Se, come è già stato riferito, il segnale s(tn+mT) è composto da modulo e fase secondo una relazione del tipo s(t) = A·ejωt, allora il suo m-esimo campione36 è espresso come
(
)
s t n + mT = Ae jω(tn + mT)
[12.45]
di conseguenza nella [12.42] il prodotto vale
(
)
(
)
2
s ms*m+1 = s t n + mT ⋅s* ⎡⎣t n + m + 1 T⎤⎦ = A 2 e − jωT = s m e − jωT
[12.46]
quindi dalla [12.46], applicando la sommatoria, deriva M−2
M−2
m= 0
m= 0
2
(
)
2
R(T, t n ) = ∑ s ms*m+1 = ∑ s m e − jωT = M − 1 s(t n ) e − jωT
[12.47]
Se di questa espressione si considera il modulo, si ottiene la potenza del solo segnale e pertanto si può concludere con le seguenti relazioni:
36 Ossia il campione di segnale Doppler conseguente all’impulso m-esimo in trasmissione e corrispondente al gate n-esimo lungo la linea di vista (tempo tn).
Fondamenti di Ingegneria Clinica
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· Ecotomografia
M −2
R(T, t n ) = ∑ (s ms *m+1 ) = Potenza segnale m=0
M −1
2
M −1
2
R(0, t n ) = ∑ s m + ∑ υ m = Potenza segnalle + Potenza rumore m= 0
m= 0
[12.48]
[12.49]
Si osserva che nello sviluppo della [12.49], oltre alla potenza del segnale, è presente il rumore, poiché non è possibile considerarlo scorrelato con una replica esatta di se stesso; pertanto la sua potenza va sommata a quella del segnale rischiando di renderne difficile l’estrazione. Si conclude che la stima migliore della potenza del segnale Doppler è quella che si ottiene dal calcolo della |R(T,tn)|. In questa condizione fisica si manifesta la superiorità del Power Doppler, in quanto capace di rilevare flussi debolissimi. In altri termini, questa tecnica è molto più sensibile dell’indagine Color37.
12.17 Vantaggi del Power Doppler (PDI) rispetto al Color flow Da quanto riferito nelle pagine precedenti si possono dedurre due particolari proprietà della rappresentazione Power Doppler: l’assenza del fenomeno di aliasing e la sostanziale insensibilità all’angolo di insonificazione γ. In merito alla prima caratteristica, la giustificazione è fornita dal fatto che l’aliasing non influenza la potenza acustica diffusa dai globuli rossi e ricevuta dal trasduttore. Infatti, la potenza acustica è sempre una quantità positiva; pertanto il fenomeno dell’aliasing – che nel CFM riporta erroneamente un’elevata velocità, per esempio positiva, come una velocità negativa (vedi figura 11.48a) – nel CFI non ha luogo, poiché in questo caso si ha interesse nel rappresentare la potenza contenuta nel segnale e non il verso del flusso. In relazione invece all’insensibilità all’angolo di insonificazione, dal punto di vista teorico, se i globuli rossi sono assimilati a particelle sferiche di dimensioni molto inferiori alla lunghezza d’onda della radiazione incidente, la potenza acustica da essi retrodiffusa è descritta dai fenomeni di diffusione di Rayleigh: in tali condizioni essa è proporzionale38 al coefficiente di backscattering Φbs, a sua volta funzione della backscattering cross-section σbs, indipendente dall’angolo di insonificazione γ. In pratica, la potenza dell’eco restituito da un insieme di riflettori sferici non dipende dall’angolo della radiazione in-
37 Si osserva che l’ipotesi in base alla quale R(1) fornisce proprio la potenza media del segnale è che il rumore presente nel segnale sia totalmente scorrelato. Per tale motivo l’applicazione di filtri di parete (DLC nella figura 12.22), prima dell’autocorrelatore, produce una polarizzazione dello stimatore, che va quindi corretta con ulteriori filtri numerici: in pratica il filtro di parete introduce una componente “correlata” nel rumore inizialmente bianco, peggiorando così le prestazioni dell’autocorrelatore. 38 Si vedano a tale proposito i paragrafi 11.3 e 11.4; in particolare si faccia riferimento alle relazioni [11.16], [11.18] e [11.19].
Capitolo 12
· Color Doppler e Power Doppler
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cidente, mentre la componente della loro velocità lungo la direzione di insonificazione varia con esso. Quanto appena affermato può essere soggetto a un’ulteriore interpretazione: pur variando la forma dello spettro del segnale Doppler in funzione dell’angolo di insonificazione, la sua area, e quindi la potenza complessiva del segnale, rimane pressoché costante, e riesce quindi giustificata la sostanziale indipendenza dall’angolo γ. Nella realtà il coefficiente σbs è funzione dello stato di aggregazione dei globuli rossi, i quali, associati in rouleaux, possono costituire dei riflettori le cui forme e dimensioni non possono essere più descritte secondo la diffusione di Rayleigh, rendendo la potenza retrodiffusa dipendente dall’angolo γ, così come espresso dalla [11.20] nel capitolo precedente. Dal punto di vista quantitativo, studi condotti nel settore39 hanno rilevato come tale dipendenza sia limitata entro qualche decibel in un campo di variazione compreso tra 40 e 80 gradi40. In conclusione si può affermare che uno dei vantaggi della modalità Power Doppler è quello di rappresentare il flusso sanguigno indipendentemente dall’angolo di osservazione e in assenza di aliasing, sebbene questo vantaggio comporti la perdita di informazioni sulla direzione della velocità, sul suo valore e in generale sulle caratteristiche fluidodinamiche del flusso. La figura 12.24a,b mostra le differenze sostanziali tra un’immagine Color flow e una Power Doppler. In particolare nell’immagine della figura 12.24a sono illustrati alcuni aspetti tipici del Color Doppler: si riconoscono infatti le caratteristiche fluidodinamiche del flusso, individuate dalla codifica dei colori in funzione del modulo e del verso delle velocità41; si osserva inoltre come in direzione perpendicolare alla sonda, non esista flusso (zona nera), poiché l’angolo di attacco γ è prossimo a 90 gradi. Contrariamente al caso precedente, nella figura 12.24b la rappresentazione Power Doppler fornisce un’immagine per la quale il colore è unico e rappresentativo, per confronto con il campione in alto a destra, della quantità di fluido che scorre nel condotto; è quindi scomparsa l’indicazione del verso della velocità e anche la zona nera in corrispondenza della perpendicolarità della sonda rispetto al contatto. Inoltre, per esso non è possibile osservare alcuna manifestazione di aliasing, mentre nel caso del CFI in (a) tale fenomeno può essere riscontrato facilmente, per esempio impostando sulla mappa colore (Color map) un range delle velocità da visualizzare inferiore a quello effettivamente presente, come riportato nell’esempio della figura 12.25.
39 L. Allard et al. (1996) Effect of the insonification angle on the Doppler Backscattere Power under red blood cell aggregated conditions. IEEE Transactions on Ultrasonics, Ferroelectrics and Frequency Control 43; 2. 40 Pertanto si può affermare con buona approssimazione che, in tali condizioni, per i regimi di flusso mediamente presenti nel corpo umano, lo spettro del segnale Doppler, pur variando di aspetto in funzione dell’angolo di insonificazione, mantiene un’area pressoché costante. 41 In particolare, in colore rosso è riportato il flusso che si avvicina al trasduttore, mentre il valore della velocità in modulo è deducibile dal colore (e dalla sua saturazione), confrontandolo con quello campione visibile in alto a destra nell’immagine.
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Fondamenti di Ingegneria Clinica
· Ecotomografia
Figura 12.24. Esempio di immagini Color e Power Doppler a confronto per un condotto curvo (loop di figura 12.3) percorso da un flusso costante. (a) Il CFI, pur individuando verso e modulo delle velocità, mostra dipendenza dall’angolo di insonazione. (b) La rappresentazione Power Doppler, per il medesimo condotto, non manifesta aliasing o dipendenza angolare: ciò è maggiormente evidente se si osserva la parte di flusso ben visualizzata nella zona centrale dell’immagine – contrariamente che in (a) – e corrispondente ad angoli prossimi a 90 gradi rispetto alle linee di scansione.
La tecnica del PDI è relativamente giovane e non conta più di dieci anni. Essa nacque per ampliare le capacità diagnostiche del Color Doppler, soprattutto per quanto attiene alla visibilità del flusso sanguigno in piccoli vasi, come già riferito. Il raggiungimento di tale obiettivo richiederebbe di incrementare in grande misura il guadagno del segnale Doppler; ciò non è di poco conto, se si considera che incrementando il guadagno al fine di rilevare segnali molto deboli, il rumore viene anch’esso amplificato in eguale misura. Nel Power Doppler il rumore viene invece rigettato su basi statistiche che tengono conto della natura aleatoria del segnale, consentendo così di incrementare effettivamente l’ampiezza del segnale. Da questa considerazione si deduce subito che i segnali molto deboli di ampiezza vicino alla soglia del rumore, pur
Capitolo 12
· Color Doppler e Power Doppler
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Figura 12.25. Esempio di immagine CFI per un condotto curvo (loop) percorso da un flusso costante in presenza di aliasing: la comparsa del fenomeno è dovuta a una cattiva impostazione del range di velocità sulla mappa colore (tra –7,7 cm s–1 e +7,7 cm s–1, laddove il flusso possiede una velocità media superiore a 10 cm s–1).
essendo difficili da rilevare nelle immagini Color Doppler, possono essere visualizzati nel Power Doppler, perché incrementano significativamente la potenza totale. Inoltre poiché il Power Doppler, a differenza del Color Doppler, è pressoché indipendente dall’angolo di attacco γ, ne deriva che riesce molto agevolato il rilevamento di cammini tortuosi dei vasi o, addirittura, di reti di piccoli vasi. Va infine considerato un altro significativo vantaggio del Power Doppler, che si manifesta quando per la presenza di moti molto vorticosi il Doppler shift è in media pressoché nullo per la contemporanea presenza di moti positivi e negativi e quindi è pressoché nullo il valore medio della frequenza Doppler: in questo caso il Color Doppler non è in grado di garantire una corretta visualizzazione dell’andamento fluidodinamico del flusso, mentre il Power Doppler, fondato sulla misura della potenza associata al segnale, riesce a porre in rilievo la presenza del flusso.
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Wolbarst AB (1993) Physics of Radiology. Appleton and Lange, pp. 407-437.
Indice analitico
Accoppiamento elettromeccanico, 83-84, 89-91, 96-102, 106, 162, 172, 179, 309, 344, 350 Acuità, visiva, 384 Adiabatica, trasformazione, 123, 216 ALARA (As low as reasonably achievable), 522 Aliasing, 641, 691-699, 713-714, 760-763 negli spettri di velocità, 696-699 spaziale, 692-693 temporale, 693-696 A-Mode, 359-363, 373, 377-379, 382, 384-385, 389-394, 397, 406-413, 418-419, 428, 463-465 Amplificatore (vedi anche TGC), 33, 214, 324, 355, 357, 363-364, 378-385, 400, 432 a basso rumore, vedi Low noise amplifier logaritmico, 385, 405-407 RF, 399, 644-645, 663-664, 749 verticale, 409-410 Amplificazione, 91, 148-149, 305, 327, 378-385, 398-410, 524-525 in radiofrequenza, 399-400, 416, 456, 464, 644-645, 663-664, 749 Aneurisma, 543, 547-548 Angiografia, 225, 548, 627, 711-712 Angolo di attacco, 629, 631-633, 674, 761, 763 di azimut, 237, 248, 253-254, 491-492 di elevazione, 237, 248, 253-254, 491-492 di incidenza, 193-194 Anisotropia, 59, 69, 75-76 Annular array, 470, 483-490, 518-519 Antirisonanza (vedi anche Risonanza), 97 frequenza di, 167-179 Apertura del trasduttore, 238-289, 476-478, 481, 488492, 511-514 dinamica, 511-512 fattore di, 264-265, 311-312 funzione di, vedi Illuminazione, funzione di relativa, 269-274, 488, 511 Apodizzazione, 472, 512-514 Argand-Gauss, piano di, 153-155, 162-163
Armoniche componenti, 216-219, 223-226, 228, 234, 251253, 314, 340, 573, 580-581, 584-587, 590591, 593-594, 598-599, 602-605, 620-621, 643, 658 e modi di vibrazione, 77-78, 91, 96-97 fondamentale, 217-228, 581, 585, 604, 620-621 seconda, 221-229 superiori, 217-228, 585, 604 Array, vedi Sonda a schiera Artefatti, 97, 191, 228, 388, 447, 497-498, 515, 520, 755 A-Scan, vedi A-Mode Asse cristallografico, 55-57 dei tempi, vedi Oscilloscopio elettrico, 49, 51, 57, 63, 78 ottico, 57, 63-64, 84, 270-271, 279-280 polare, 49, 56, 63, 93, 95 Assegnazione, tavola di, vedi Look-up table Assorbimento, 159-160, 181, 198-208, 214-215, 370-384, 412-413 coefficiente di, 198-208, 401-402 nei tessuti biologici, 205-208, 516-517, 521522 Attenuatore, 397-398 Attenuazione, 137-138, 181-182, 198-215, 218224, 264-267, 284-287, 305-308, 334-339, 365-387, 397-405, 522 costante di, 205-208, 370, 374, 380, 383 Attrito coefficiente di, 560, 564 esterno, 113-114, 141-142 interno, 74-75, 113, 141-142, 532-534, 541 viscoso, coefficiente di, 141-142, 146-148 Autocorrelatore, 732, 736, 754-755 Autocorrelazione (vedi anche Cross-correlazione), 601, 622-626, 723-740, 742-747, 754755, 757-758 Backing, 306-307, 334-339, 471 Backscattered power, 636-637, 639-640
768 Backscattering, 191-192, 462, 636-640, 650-651 cross-section, 637-639 del sangue, coefficiente di, 637-369, 650-651 Banda base, 651-654 frazionaria, 233, 318 larghezza di, 160-162, 173, 234-235, 304, 316325, 719-720 passante, 91, 137, 158-162, 173-175, 224-227, 232-235, 316-319, 322, 329-333, 409, 707, 756 Baricentro delle cariche, 57-59, 70 Bario, 91-92 Base dei tempi, 411, 464-466 Beam forming, 392, 455-456, 472, 510, 748-749, 753 Bernoulli, teorema di, 547, 549-551, 565 Bessel, funzione di, 250, 254, 260-261, 265-267, 269-270, 643 Bistabile, immagine, 427-428, 432 B-Mode, 221-222, 228, 360-361, 397, 410-411, 415-431, 434-436, 455-456, 463-469, 514527, 627, 674-675, 678-679, 705-706, 716722, 754-756 statico, 416-419, 424-429 Bobina, di gradiente, 34-37 RF, 18, 26-31, 35-37 Boltzmann, costante di, 17, 71 statistica di, 16-17, 24-25 Born, approssimazione di, 189, 192 Brillanza, 360, 385, 410, 416-419, 424-429, 459465, 688 B-Scan, vedi B-Mode Burst, 208-210, 319-320 Campionamento, frequenza di, 387, 598, 611, 641, 670, 674, 688, 694-698, 731-732 Campo acustico (C. sonoro, C. ultrasonoro), 132, 138, 199, 223, 236-251, 253, 263, 265-269, 282283, 289-291, 295, 297-300, 483, 485, 491492, 504 delle velocità, 529-530, 668, 680, 687-688, 705 di gradiente, 35 di pressione, 123, 222, 224, 239-247, 254-255, 259-260, 277-278, 289-300, 478, 481, 485, 487-490, 494-497, 500, 503, 566
Indice analitico di vista, 372-373, 389-390, 397-398, 400, 404405, 438-439, 443-444, 470, 477, 500, 507508, 518-520 elettrico, 54-55, 59-60, 69-75, 78-83, 87, 90100, 105, 109, 131, 151, 352-354, 513 lontano, 218, 237-238, 244-248, 255-259, 262270, 277-278, 475-476, 492, 495-497, 512513 magnetico, 14-30, 34-36, 91, 152 pulsato, 296-300 utile (vedi anche Penetrazione, profondità di), 509, 518-521, 525 vicino, 218, 237-238, 244-246, 262-270, 277278, 287-289, 310-311, 475-476, 492, 510511 Canali (in fase e in quadratura), 652-658, 697 Caolino, 91 Capacità, 51-53, 69-70, 72-74, 86-88, 153, 156157, 165-167, 175-176, 179, 309, 342-350, 353, 356 Carbonio, 70-71 Carica, 14, 21, 46-55, 57-59, 65, 70, 72-74, 78, 8087, 90, 93, 164, 176, 356, 434-436 densità di, 72-74, 78 Carico, vedi Impedenza, adattamento di Casson, legge e coefficiente di, 537, 574-575 Cavitazione, 521-522 Cavo coassiale, 325, 341-357 Cedevolezza elastica, 75-76, 79-81, 88 Ceramica piezoelettrica (vedi anche PZT), 70, 83, 89, 91-109, 160, 167, 171-172, 175, 178-179 CFI (Color Flow Imaging), vedi Color Doppler Cineangiografia, vedi Angiografia Circuito antiparallelo, 397 equivalente, 165-167, 176-177, 343--349 oscillante, 149-179 risonante parallelo, 162-164 risonante serie, 150-162 risonante serie-parallelo, 169-170, 175-178 Clock, 391-392, 410-411 Color Doppler, 601, 604, 618-619, 625, 628, 705757, 761 Color flow processor (CFP), 717-718 Colori (vedi anche Saturazione e Tinta) mappa di, 628, 718-719, 761-763 scala di, 661, 706-707, 710-711, 713, 762-763 Compensazione, 374-384, 391-392, 400-405 curva di, 401-405
Indice analitico Compressibilità adiabatica (dei costituenti del sangue), 536 coefficiente di, 120-123, 129, 188 modulo di, 121, 124, 188 Compressione del segnale, 384-385, 456-459 della dinamica, 523-524 logaritmica, 405-407 Compressione ed espansione meccaniche (dei piezoelementi), 46-47, 50-51, 58-61, 83-85 Compressore, 458 Condensatore, 51-53, 69-70, 72-74, 82-83, 87, 153-155, 162-167, 176-177, 201, 342-343, 352, 353, 407-408, 424-425 Condizione parassiale (vedi Parassialità, approssimazione di) Conducibilità termica, 108, 132, 199, 204-205 Connettività, 335, 337 Contrasto, 221, 223-225, 228-229, 458-462, 523 mezzo di, 225, 627, 711-712 Convertitore analogico/digitale (A/D), 406, 457-460, 598, 673, 688-690, 732, 749, 753 di formato (di scansione), vedi Scan converter Convex array, 470-472, 483, 516-519 Corrente (vedi anche Flusso) fluida, 529-532, 543, 560-563 linea di, vedi Linea di flusso Cristallo piezoelettrico (vedi anche Piezoelemento), 45-69, 72, 75-95 Cross-correlazione, 601, 622-626, 740-746 Curie fratelli (esperimenti), 47-55 temperatura di, 92-93, 101, 309 Curvatura centro di, 276-278, 282, 287-290, 479-481, 487-490 raggio di, 273, 276-278, 280-282, 384-387, 488-490 CW Doppler (Continuos Wave Doppler), 628, 640-649, 658-664, 670-672, 679, 753-755 Decibel (definizione), 135-138 Decremento logaritmico, 147, 175 Deflessione elettronica, 345, 479, 483, 502-503, 505-506, 518-519 Deformazione del mezzo elastico, 112, 116-118, 124, 132133, 138-139, 175-176, 216-218, 308-309
769 velocità di, vedi Shear rate Degree of focusing, vedi Focalizzazione, grado di Delay generator, 320-321 Delay line canceller (DLC), 753-755 Demodulazione, 321-323, 407-408, 416-417, 428429, 463-465, 642-673, 698-703 direzionale, 646-647, 653-657, 749, 754-755 in quadratura, 652-657, 668-670, 717-718, 730-731, 740, 748-749, 753-755 Densità del backing, 335-336 del mezzo e dell’ostacolo, 117-118, 124, 132, 188-191, 209-210, 216, 240-242 del piezoelemento, 103-104, 108 spettrale di potenza, vedi Spettro di densità di potenza Dente di sega, 218-219, 321-323, 364-365, 388, 410, 416-417, 428-430, 466 Depth of focusing (DOF), vedi Profondità di fuoco Deviazione standard, 234-235, 616, 619, 725 DFT, vedi Fourier, trasformata discreta di DGC (Depth Gain Control), 400-405, 516, 524525 Dielettrica costante, 49, 69, 72-74, 83, 87-88, 100, 102103, 167, 179, 309, 342-343, 350 costante di tempo, 74, 109 Dielettrico (vedi anche Effetto dielettrico e Condensatore), 69-75, 153 Diffraction limited resolution, 499 Diffrazione, 204, 211, 236-238, 243, 246, 248, 255257, 277-278, 284, 287-289, 490, 499, 512 Diffusione, 181-192, 131, 198, 205, 228, 271-272, 636-637, 760-761 laterale, 182-184 speculare, 184-186, 192 Digital scan converter (DSC), vedi Scan converter digitale Dilatazione del mezzo elastico, 114, 120, 129, 202, 204 Dinamica compressione della, 523-524 del segnale, 384-385, 399-401, 405-410, 433, 436-437, 455-460 dell’occhio umano, 431-433 Diodo, 355-356, 396-397, 407-408 Dirac, delta di, vedi Impulso matematico
770 Direttività, 251-265, 490-514 dei trasduttori a schiera, 490-514 del piezoelemento circolare, 259-265 fattore di, 260-261 funzione di, 254-255, 447, 490-495, 498-502, 514 Dirichlet, criterio di, 591, 593-594 Discriminante, 143-146 Discriminatore di ampiezza, 408-409 Dissipazione (vedi anche Assorbimento) dielettrica, 74-75, 79, 102-103, 109, 160-162, 179, 306-307 meccanica, 75, 79, 160-162, 307 termica, 357 viscosa, 202-203, 549-550 Distacco di vena, 550-551, 567-568 Distanza di osservazione (range R), 43, 389-391, 600, 665-666, 669-674, 695 Distorsione, 216-229, 339-340 Distribuzione della variabile aleatoria, 614-615 normale, 610, 615-616 Divergenza del fascio, 262-269, 283-291, 311, 314315, 473-475, 490 D-Mode (vedi anche Doppler), 360-361 DOF, vedi Profondità di fuoco Domini ferroelettrici, 91-95 Doppler (vedi anche Eco-Doppler e Color Doppler) continuo, vedi CW Doppler effetto, 359-361, 617, 622-623, 627-636, 640642, 705-706, 740 pulsato, vedi PW Doppler segnale, vedi Segnale Doppler shift, 631-636, 641-643, 647-651, 654-659, 662-663, 668-669, 671-673, 676-677, 682683, 688, 694-699, 708, 713, 719-720, 722724, 731, 736, 752, 757, 763 spettro, 361, 577-578, 658-662, 673-675, 679691, 696-699, 701, 753 Driver, 395-396 DSC, vedi Scan converter digitale Duplex, sistemi, 674-675, 678-679, 703, 716-722, 753 Dynamic Range, vedi Dinamica, compressione Eccitazione, 74-78, 90, 98-100, 128-129, 175-177, 208-209, 231-234, 236-237, 312-315, 319321, 346, 352, 394-396
Indice analitico pulsata, 291-298 sequenziale di una schiera, 469-478, 518 Eco (vedi anche Riflessione), 85, 90-91, 182, 214215, 222-228, 301-306, 310-315, 320-321, 323, 330-333, 349-350, 363-383 Eco-Doppler, 627-703 Ecogenicità, 462 Ecotomografia confronto con sonar e radar, 42-43 confronto con TAC e RMN, 39 principi generali di funzionamento, 40-41 Edge enhancement, 462, 527 Effetto dielettrico, 79-83, 176-177 Effetto piezoelettrico, diretto, 49-54, 60, 69, 80-81, 83-90, 165, 176 inverso, 53-55, 60-62, 69, 80-81, 83-84, 86-90, 165, 175-176, 231, 305 Elastiche, costanti, 59, 62, 67, 76, 80-81, 83, 90, 95, 97 Elettrodi, 47-55, 69-72, 80-85, 92, 105, 164-165, 176, 231-232, 325, 334, 352-354, 417, 470471, 513 Elettrometro di Kelvin-Dolezalek, 47-49 Elongazione, 129 Ematocrito, 533, 536-541 Emitter follower (EF), 355-356 Emivalore, 212-213 Encoder, 439, 441, 443 di priorità, vedi Priority encoder Energia acustica (E. sonora, E. ultrasonora), 133-134, 181-182, 194, 221, 257-258, 270-291, 306308, 490, 495-497, 508 cinetica, 132-134, 138-141, 199-201, 246-249, 532, 546, 549, 551 densità di, 238-239, 288-289 potenziale, 132-134, 138-141, 199-201, 529530 riflessa, 214, 334, 356-369, 667 trasmessa, 198, 334-335, 365-369 Ergodico, processo, 616-618, 723, 725, 735 Eritrociti, vedi Globuli rossi Errore di inserzione, 339-340, 346 Esagonale, sistema, 56, 63, 75 Evento, 591, 606-616 f/number, 269, 271-274, 284-289, 438, 470, 488490, 511
Indice analitico Fantoccio a squadra, 6-7 Doppler, 674-675, 708-709 per ultrasuoni, 515-517, 520-521, 525 Far gain, 402-403 Fascia di rumore, vedi Rumore Fascio ultrasonoro, 131, 188-189, 198, 214-215, 220-225, 231-300, 309-310, 380-381, 415417, 472-479, 498-509, 518-519, 628-631, 635-636, 650-651, 680-681, 690-691, 713714, 750-751 Fast time, 730, 732, 736 Fattori di accoppiamento, 83-84, 89-91, 96, 99100, 172, 309 Fattori di qualità, 79, 158-162, 172-175, 179, 232233, 309 FET, vedi Transistor a effetto di campo FFT, vedi Fourier, trasformata veloce di FID, vedi Free induction decay Field of view, vedi Campo di vista Filler, 335-339 Filtro di parete, 644, 662-664, 675, 722, 753-755, 760 passa alto, 662, 702-703 passa banda, 322-323, 329, 699, 753 passa basso (LPF), 149, 407-408, 642, 645, 648, 653, 655-656, 662, 699, 702-703, 733, 736, 753 Finestra spettrale, 688-691 Flash artifact, vedi Artefatti Flexural mode, 76 Flicker, 436 Fluidi densità dei, 531-532, 536, 544-545 ideali, 531-535, 549 meccanica dei, 529-578 reali, 531-535, 549 newtoniani e non newtoniani, 534-539, 542, 574 velocità di deformazione (di scorrimento), vedi Shear rate viscoplastici alla Bingham, 534-535, 575 viscosi (vedi anche Viscosità), 141-142, 199, 202-204, 533-534, 544 Flusso (vedi anche Moto) linea di, vedi Linea di flusso nei grandi e piccoli vasi, 564-568 pulsatile, 568-573, 576-577, 640, 652, 687, 690, 701
771 stazionario, 553, 569, 572-573, 576-577, 721 tubo di, 530-531, 544-547, 552-555, 559-565, 569-572, 675, 690-691 F-Mode, 360-361 Focale distanza, 271-273, 277-278, 284-285, 288-289 macchia, 270-272, 287 volume, 282-286, 311 zona, 270, 282-289, 310, 444, 472, 489, 504, 506, 509-511 Focalizzazione, 103, 181, 188, 269-291, 302, 306, 309-311, 415, 434-438, 444, 470-512 a zone multiple, 507 apparente, 265 dinamica, 472, 506-512 elettronica, 302, 472, 487, 489, 493, 504-506 fissa, 444, 469, 472, 478, 504 grado di, 272-273, 287, 510-511 mediante lenti acustiche, 278-281, 302, 306, 472 naturale, 269, 276, 278, 288-289, 311, 476 Fourier analisi di, 225, 319, 324, 591-593, 600-601, 604-605 antitrasformata di, 594-595 coefficienti di, 218, 581-593, 596, 599, 620-621 doppia trasformata di, 36-38 serie trigonometrica di, 218, 234, 251, 580594, 598-600, 682 trasformata diretta (o integrale) di, 234, 248259, 492-496, 513, 591-600, 605, 620-621, 723-724, 753 trasformata discreta di (DFT), 597-600 trasformata veloce di (FFT), 600-601, 672674, 676-677, 684-685, 688-690, 714-715, 721-725, 753 FOV, vedi Campo di vista Frame rate (FR), 388-389, 448, 475-476, 507-509, 523, 715-717, 720-721, 748, 752 Fraunhofer approssimazione di, 247-248, 251, 259, 266267, 492 formula di, 262 zona di, vedi Campo lontano Free induction decay (FID), 28-36 Frequenza angolare, vedi Pulsazione cardiaca, 545, 573, 687 centrale, 159-160, 222, 278, 288, 314, 316-318, 330, 370, 374-375, 520, 731, 736
772 di ripetizione degli impulsi, vedi PRF Doppler, vedi Doppler shift fondamentale, 96-97, 219-228, 593 intermedia, 321-323, 699 istogramma delle frequenze, 608-612, 618 limiti (inferiore e superiore), 318 naturale, 89, 128, 141, 166-167 negativa, 587, 590-591 nominale, 302, 329, 516, 518-521 portante, 392, 642-644, 647-656, 698-699, 732733 Fresnel approssimazione di, 247, 267 integrale di, 247 parametro di, 287 zona di, vedi Campo vicino Front-end, 341-342, 345, 350, 357, 463, 754-755 Funzione aperiodica, 590-597, 604-605, 620-621 periodica, 579-583, 585-587, 591-594 Fuoco, vedi Focalizzazione e Profondità di fuoco FWHM (Full Width Half Maximum), 233-235, 269-270, 273-274, 282, 287, 316-318, 330, 435 Gantry, 9 Gas coefficienti di assorbimento, 205 propagazione nei, 115, 118-123, 182-184 viscosità, 534 Gate, vedi Porta ad apertura comandata oppure Volume di prova Gate width generator (GWG), 320-321 Gaussiana, funzione (vedi anche Impulso gaussiano), 234-235, 608-610, 614-616 Generatore, di coordinate, 422-425, 428-429, 434, 438-441, 454 di impulsi, 304-306, 319-320, 363-364, 388392, 415-417 di segnali sinusoidali, 318-319 Ghost, vedi Immagine fantasma Giromagnetica, costante, 17, 23, 26 Gittata cardiaca, 469, 545, 567, 675 Globuli rossi (vedi anche Rouleaux e Sangue), 535-542, 552-553, 557, 576-577, 628-642 aggregazione, 539-540, 542, 552-553, 628, 636-640, 761 velocità, vedi Sangue, velocità
Indice analitico Grating lobes, vedi Lobi di replica Guadagno (vedi anche TGC, Overall gain control, DGC e LGC), 305, 377-379, 397-406, 524-525, 762-763 curva di, 400, 402-403, 525 Grigi, scala di, 360, 385, 405, 420, 425, 428-430, 432, 436-437, 446-462, 516, 523, 526-527, 660-662, 664, 678, 682-689, 692, 705-706, 714, 716, 721, 753-756 Haüy, teoria di, 45-46 Hooke, legge di, 75-76, 78, 80-81, 85-86, 116 Hounsfield, tomografo assiale di, 12 Huygens-Fresnel, principio di, 238-239, 478479, 502 Idrogeno, 70 Illuminazione, funzione di, 253, 490-496, 512514 Image processing, 455-456, 459-462, 644 Imaging armonico, 221-229 Immagine elaborazione, vedi Image processing errore di registrazione, 721 fantasma (vedi anche Artefatti), 497-498 formato, 411, 436-437, 443-446, 453-462, 476477, 514-521, 524-527, 717-722 qualità, 226-229, 271-272, 312, 451, 497-498, 508-509, 516-517, 604, 627-628 Impedenza acustica, 103, 130-132, 134, 150-151, 181-182, 203, 208-211, 228-229, 309, adattamento di, 306-307, 309, 325-334, 339357, 331-336, 365-382, 628-637, elettrica, 93, 150-157, 162-164 meccanica, 130-131, 150-151, 175 Impulso elettrico, 89-90, 301, 304-305, 312-315, 319321, 329-330, 345, 352, 391, 429 gaussiano, 234-235, 296-298 matematico, 258-259, 292, 493-496, 595-597 meccanico, 89-90 ultrasonoro, 205, 208, 220-221, 295, 297, 308, 313-316, 320, 329-330, 362-367, 370-377, 380-381, 388-397, 401-402, 410-411, 415417, 420-423, 428, 438-439, 447, 507-509, 617-618, 666-667 Induttanza, 152-156, 158, 162-164, 343, 348, 350 Intensità acustica (I. sonora, I. ultrasonora), 130, 134-138, 187-191, 195-197, 268, 273, 318
Indice analitico Interferenza, 127-128, 182-185, 225, 236-239, 246, 255-258, 265, 292-300, 408 costruttiva, 183-184, 238-239, 256-257, 275, 294-296, 479-481, 504 distruttiva, 183, 232, 238-239, 256-257, 295296 Interpolazione, 446-455, 525-527 bilineare, 452-453 cubica, 452-453 lineare, 450-455 Isolivello, curve, 265-269, 282-283, 290-291, 300 Isteresi, 75, 94-95, 113-114, 130-131, 141-142 Langevin, funzione di, 71 Larmor, frequenza di, 21-28, 35 Lateral gain control (LGC), 525 Lente acustica, 274, 278-281, 302, 305-307, 311, 438, 443, 469, 471-473, 483-484, 486-487, 504, 511 ottica, 270-273 Lentz, legge di, 152 Limitatore, 397-398 Linea di flusso, 530, 539-540, 546-551, 686-687 di vista (o di scansione), 416-425, 428-431, 433-434, 437-442, 444-456, 463-469, 474478, 506-511, 518-519, 601, 618, 705-706, 708, 713-722, 725, 728-731, 734-735, 741743, 747-756 Linear array, 470-483, 490-514, 516-519 Lippman, dimostrazione di, 53-54 Lobo di replica, 415, 470, 495-502, 512-514 laterale, 224-225, 228, 254, 260-265, 296, 415, 447, 472, 497, 500-501, 512-514 principale, 224-225, 254, 260-265, 447, 495503, 512-514, 595 Logaritmico amplificatore, vedi Amplificatore logaritmico modello, 336-337 Log Compression, vedi Dinamica, compressione Look-up table (LUT), 454-455, 462 Low noise amplifier (LNA), 214, 399-400 Luminanza, 385, 706-707, 710, 714 Macchia focale, vedi Focale, macchia Magnetizzazione (nella RMN), 14-20, 24-32
773 Mappa di colori, vedi Colori, mappa di Master synchronizer, 392, 410-411, 424-425, 428429, 462-464, 748-749, 753-754 Matching layer, 198, 306-307, 326-333 Matrice dielettrica di biossido di silicio, 434-436, 445 immagine (M. rettangolare di rappresentazione), 448-463, 523-527 polare di scansione, 446-453 polimerica, 103, 335-339 vinilica, 336-337 Mechanical Index, 516-522 Media d’insieme, 606-607, 616-619 temporale, 616-618 Medicina nucleare, 441, 712 Mezzo elastico, 111-115, 124-130 Mirroring, 515 Mixer, 321-323, 645-648, 699 M-Mode, 360-361, 386, 463-469 Modi di vibrazione, 75-78, 91, 96-101, 108, 165, 171-172, 391 Modulazione dell’asse Z, 417-419, 428-429, 434-436, 445446, 464-465 di ampiezza, 392, 407, 649-651 di frequenza, 407, 642-643, 649-651 Mohs, scala di, 63 Molla, 114-115, 138-143, 149-150 Momento angolare intrinseco, vedi Spin di dipolo, 59, 63-67, 70-74, 92-93 magnetico, 14-17, 21-26, 30 Monoclino, sistema, 56, 75 MOS-FET, vedi Transistor a effetto di campo Moto aperiodico, 144-147 laminare, 550, 552-568, 572-578, 601-602, 646, 658, 660-662, 675-677, 680-683, 690691, 706, 708-709 oscillatorio, 76, 112, 138-142, 145-147, 165 regimi nei fluidi, 550, 552-563 stazionario, 530, 545-546, 565, 570 turbolento, 550, 552, 556-568, 572-573, 577578, 601-602, 606, 619, 658, 660-662, 680683, 687-691, 706, 708-710, 715, 725, 752 vorticoso, 550, 559-560, 567, 646, 690, 708, 757, 763
774 Multigate, 675-678, 702, 714, 718, 721, 747, 753 Multiple scattering, 189, 191, 209 Multistrato, vedi Trasduttore multistrato Multivibratore, 138, 395-396, 411 Near gain, 402-403 Neper, 200-201, 206 NNIA (Nearest Neighbour Interpolation Algorithm), 450-451 Nodo, 125-129 Nomogramma, 631-632 Non linearità, 211, 216-229, 254-255 Nyquist, teorema e limite di, 598-599, 676, 688690, 695-696, 710-711, 714 Nucleo, 14-17, 21-28 Ohm, legge di, 154-156, 613 Onda, 111-179 di pressione, 111, 181, 195-202, 204, 210, 217220, 225, 238-239, 243, 294-296, 316-317, 366-371, 373, 375-380, 478 d’urto, 218-220 fronte di, 185-187, 193-194, 217-218, 292-294, 297-298, 463, 478-480, 502-503, 507-510 incidente, 125-127, 184-189, 192-198, 241242, 326-329, 339, 368-372, 375-380, 633 longitudinale, 76, 111-124, 126-129, 210-211, 236 pacchetti di, 208-210, 294, 313, 316-320, 356, 363-365, 393, 395, 398, 618, 728, 747-749 periodica, 124-130, 203 piana, 130-131, 181-182, 184-187, 192, 200201, 219, 236-239, 490, 637 quadra, 252, 391, 395, 424-425, 464, 587, 590591, 595-597, 700 riflessa (O. retrodiffusa), 125-127, 184-189, 193-198, 241-242, 326-329, 366-375, 393, 630, 633, 654 sferica, 181, 185-187, 205, 238, 240-242, 256, 258-259, 294, 479, 481 stazionaria, 78, 90, 125-129, 231-232 trasmessa, 193-198, 280, 326-327, 366-371, 374, 381 trasversale, 76, 111-115, 126-127 Oscillatore, 76-79, 118-119, 138-149, 176, 231232, 319, 322-324, 390-391, 411, 644-646, 663-664, 698-699, 722-723, 753-754 armonico, 138, 147 elementare, 138-142
Indice analitico smorzato, 141-149 sweep, 322, 324 Oscillazione compressionale, 76-77 libera, 76-78, 89, 145-148, 155, 166, 231-235, 302-303, 307, 312, 391 velocità di, 114, 129-130 Oscilloscopio, 209-210, 304, 314, 319-324, 362366, 374, 377, 380, 384, 386-392, 398, 409410, 416-425, 428-435, 463-466 Ossigeno, 63-66, 70, 91-92 Ostacoli in movimento, 385-387 Overall gain control, 400, 404-405, 514-515, 524525 Packing factor, 636-638 Parametro di shock, 219 Parassialità, approssimazione di, 247, 482, 494495, 505 Particelle fluide, 118-134, 530-532, 547-558, 560-562, 565, 576-577 metalliche, 336-339 PDC, vedi Phase domain correlation Penetrazione, profondità di, 288, 315-316, 319320 Pennello elettronico, 322-323, 388-389, 391, 406, 416-417, 424, 429, 431-437, 445, 448, 464-466 Perdite di carico, 547-552, 561, 564-567, 570 dielettriche, vedi Dissipazione dielettrica Periodo di ripetizione degli impulsi, vedi PRP Permettività, 74-75, 78-79, 93 Persistenza, 324, 388, 418, 431-432, 525, 692 PET (Positron Emission Tomography), 44 Phase domain correlation (PDC), 723, 736-740 Phased array (vedi anche Scansione a sfasamento), 473, 477, 512, 516-519 Piano azimutale, 310, 471-473, 482-484, 492-493, 496, 502-504 del trasduttore, 222, 236, 246, 249, 258, 267269, 491, 493, 495-496 di elevazione, 472-473, 492, 504 di scansione, 417-421, 482-483, 492-493, 504 di scattering, 509 immagine, 257, 496 oggetto, 237, 246-251, 258-259, 295, 492-493
Indice analitico Piezoceramica, vedi Ceramica piezoelettrica Piezoelemento (vedi anche Cristallo piezoelettrico), 95-108, 128-129, 159-160, 164-177, 198, 231-237, 259-268, 274-278, 280-281, 287, 290-297, 308-309, 311-312, 329-330, 334, 348, 415 Piezoelettriche, costanti, 49-53, 60-62, 66-67, 74, 76, 78-89, 95-97, 101-103, 167, 304-305, 331 Piezoelettricità (vedi anche Effetto piezoelettrico), 45-109 Piroelettricità, 46, 93-94 Pistone oscillante, teoria del, 236-237, 242-247, 259-262, 265, 268-269, 290-299, 480, 491 Pitch, 494, 500-502 Pixel, 445, 448-455, 460-462, 660-662, 682-689, 692-693, 714-721, 725-726, 728-733, 747, 750-752, 755-756 Placchette, vedi Oscilloscopio Planck, costante di, 15, 17 Plasma sanguigno, 533, 535-541, 637, 639, 708 Plate mode, 97, 101 Poiseuille, legge e moto di, 533, 554-556, 569, 574 Polarizzazione, 45-46, 57-61, 65-75, 79-83, 85-86, 91-97, 100-103, 105, 109, 171-172, 354 Polietilene, 337-338 Polimero, vedi Matrice polimerica Porta ad apertura comandata (gate), 320-323 Post-processing, 458-461, 526-527, 749-750, 756 Potenza acustica in trasmissione, 397-398, 521-522 riflessa, vedi Backscattered power Potere risolutivo, vedi Risoluzione Power Doppler, 601, 706, 723, 757-763 Preamplificatore, 320-321, 399-400 Precessione, 21-24, 30-31, 37-38 Pre-processing, 459-460, 523-527, 600-601, 752, 756 Pressione acustica (P. sonora, P.ultrasonora), 87, 119123, 129-138, 188-190, 194-204, 216-222, 231-235, 239-248, 259-270, 277-278, 280, 282-287, 290-291, 295-300, 487-490 nelle correnti fluide, 87, 529-534, 537, 549556, 564-572, 574-575 PRF (Pulse Repetition Frequency), 364, 388391, 393, 410-411, 419-420, 442-444, 466, 475-476, 507-510, 600-601, 641, 665-675, 695-699, 716, 720-721, 727-728, 731-732, 735, 737-738, 741-744, 748-750, 758
775 Priority encoder, 755-756 Probabilità densità di, 613-619, 723-724 di un evento, 606, 612-616 istogramma delle, vedi Frequenza, istogramma delle stima della, 605-619, 723-724, 746, 755-756 Profondità di campo, 272, 277, 282-289, 415, 506-507 di fuoco, 272, 274, 284-287, 506-507 Propagazione (degli ultrasuoni), 181-229 asse di, 127, 222-225, 264-267, 273-274, 310313, 483-488, 629-630 nei fluidi, 118-124 nei solidi, 116-118, 124 velocità di (vedi anche Suono, velocità di propagazione del), 108, 114, 124, 129 Protone, 14-17, 20-24, 26, 31-35, 38 PRP (Pulse Repetition Period), 388, 420, 508510, 666, 670, 748-750 Pulsazione, 125, 140-141, 146-149, 152, 155, 157, 161, 164, 166, 204-205, 580, 584-585, 589590, 594-595, 621-622 Pulse, vedi Impulso ultrasonoro Pulse-echo (sistemi), 362-393, 419 Pulse packet, 728, 747-751, 756, 758 Pulse phase inversion, 226 Pulse repetition frequency, vedi PRF Pulse repetition period, vedi PRP Pulser, vedi Trasmettitore PW Doppler (Pulsed Wave Doppler), 468, 628633, 640-641, 657-658, 664-689, 695, 698699, 705, 714-716, 718, 721-722, 725-726, 728, 753-755 PZT (vedi anche Ceramica piezoelettrica), 101109, 132, 160, 175, 196, 198, 309, 328, 331, 335, 355-356 Quarzo, 49-58, 62-69, 75-78, 84-85, 132, 160, 164170, 175-177, 304-305, 309 Radar, 42-43, 362 Radiazione diffusa, 183-191 funzione di, 491-503, 512-514 incidente, 182-185, 187-191, 198, 253, 280, 630-632, 760-761 primaria, 182-189, 198 riflessa (retrodiffusa), 182, 184-185, 187-191
776 secondaria, 183-189 ultrasonora, 39-42, 184, 188, 192, 198, 213, 273, 303, 344, 379, 395, 401, 424, 443, 522, 627, 632-633, 636 Radiofrequenza (RF), segnale in, 320-325, 373, 390-392, 398-400, 407-408, 416, 440, 445, 456, 464, 600, 625, 644-645, 663-664, 731732, 736, 742, 745, 749, 753 Raggio ultrasonoro, 272, 371-372, 374, 424-425 Range dinamico, 405, 431-433, 459, 523 R, vedi Distanza di osservazione Rayleigh, diffusione di (R. scattering), 183-184, 188-192, 636-637, 760-761 Rayleigh-Sommerfeld, integrale di, 242, 247, 253, 258, 265, 284, 485, 492 Read zoom, vedi Zoom elettronico Real-Time, 360, 405, 427, 430-431, 444-445, 455456, 463, 468, 514-527, 674, 678-679, 705706, 712, 714, 716-722, 752 Realizzazione, di un processo aleatorio, 723, 725, 729, 732-733, 750-752 Reattanza, 153-154, 157-158, 166-167, 172, 343, 348, 398 Regione di interesse, vedi ROI Regolazione a quattro punti, 402-403 Reject, vedi Discriminatore di ampiezza Resina epossidica, 211, 335, 337-338 Resistenza al moto (nei fluidi), 556, 565-567 elettrica, 151-158, 162-167, 169-170, 340-341, 343-344, 347-348, 351, 355-357 Rete adattatrice, 348, 350, 354-357 Reticolo, 55-60, 63-64, 91-92, 150, 255-257 Rettificazione, 398, 407-408 Reuss, modello di, 336-338 Reynolds esperimento di, 760-762 numero di, 555, 560-564, 567-568, 572-573 Ricevitore, 208-211, 234, 341, 345, 349-350, 363, 392-393, 397-399, 417, 428-429, 629-630, 633, 642, 644-645, 665-667, 676, 750 Ricezione, 85-91, 159-160, 224, 226-227, 302, 305-310, 325, 331-332, 341-342, 344-345, 349-357, 363, 387-388, 391-394, 396-399, 416-417, 438-439, 476, 497-498, 509-514, 521, 629-630, 633, 644-645, 665-668, 740742, 749-750, 753 coefficiente di, 309
Indice analitico costante di, 308-309 Riflessione (vedi anche Eco), 114-115, 118, 126, 128-129, 131, 181-182, 184-188, 193-198, 211-215, 302-303, 314-315, 326-330, 365382, 386-387 coefficiente di, 194-198, 211, 369-371, 374379, 409 perdite per, 213-215 Riflessioni multiple, 209, 326-330, 365-374, 408, 515 Riflettività, 196-198, 214, 306, 384 Rifrazione, 181-182, 184-185, 193-194, 278-280 Riga spettrale, 323-325, 585-586, 593, 659-661, 679-688, 721 Rigidezza elastica, 78-81, 139-141, 334, 336-337 Rilassamento, 199-204 tempi di (nella RMN), 18-20, 26-34, 38-39 Risoluzione di contrasto, 228, 462 spaziale, 221, 223-228, 267, 270, 301-303, 359, 420, 431, 448, 475-476, 499, 502, 511, 515, 517, 520-521, 692, 705, 752 assiale, 223-227, 302-303, 312-316, 329, 334-335, 413, 452, 520, 720, 747 in elevazione, 302, 520 laterale, 224-225, 267-268, 273-274, 284285, 302-303, 309-312, 314-315, 413, 452, 499, 509, 512-514, 517, 520 temporale, 227, 476, 674, 716-717 Risonanza (vedi anche Antirisonanza), 111, 148179, 225, 347-349 curva di, 157-161, 343-344 frequenza di, 78, 91, 111, 156-179, 225-226, 232-234, 312, 320, 331, 352, 443-444, 666 meccanica, 78, 90, 97, 165-167, 175-176 parallelo, 91, 162-164, 166-169 serie, 91, 150-162, 164-170, 175-177, 343-344, 351 Ritardo/i, 124-125, 130-131, 201-202, 401, 403, 472-473, 478-489, 502-512, 624-626, 741-744 curva dei, 482-483, 487, 508-512, 518 Rivelazione del segnale, 391-392 RMN (Risonanza magnetica nucleare), 7-8, 1339, 627-711 RMS followers, 700 ROI (Region of Interest), 706, 708, 714-719, 755 Rouleaux (vedi anche Globuli rossi), 539-542, 617, 622-623, 625-626, 628, 636-640, 654655, 658, 741, 761 Round trip, 401-402, 423, 468, 475, 507
Indice analitico Rumore, 214, 228, 301-302, 315, 346, 349, 357, 373, 382, 398-400, 408-409, 514, 519-521, 523, 525, 636, 662-663, 702, 756, 758-760, 762-763 di fondo, 228, 519, 523, 525, 662, 756 fascia di, 301-302, 346, 373, 382 Sample and hold (SH), 669-674, 685, 689, 753-754 Sample volume, vedi Volume di prova Sangue (vedi anche Globuli rossi), 360-361, 430, 455, 466-469, 529, 531, 533, 535-545, 547, 566-569, 574-579 reologia del, 539, 542-543, 574-576 velocità del, 579, 600-602, 616-619, 622-623, 625, 627-647, 657-666, 668-669, 672, 675676, 678-683, 686-688, 690-691, 699-701, 705-706, 708-711, 714-722, 725-726, 736, 740-742, 746, 756-760 Saturazione (del colore), 360, 706-708, 710, 714, 752, 759 Scala dei tempi, vedi Oscilloscopio delle durezze, vedi Mohs, scala di di colori, vedi Colori, scala di di grigi, vedi Grigi, scala di Scan converter, 431-434 analogico, 433-437 digitale (DSC), 444-463, 749-755 Scanning depth, vedi Campo di vista Scansione, 415-431, 437-490, 516-519 a sfasamento, 470-473, 477-483, 518-519 automatica, 430, 437-490 elettronica, 430, 437, 469-490, 516-519 manuale, 420-431 meccanica, 430, 437-444, 447, 470-472, 487489 profondità di, vedi Campo di vista sequenziale, 470, 472-478, 518-519 velocità di, 420, 426, 431 Scatteratore, 183-186, 313, 617 Scattering, vedi Diffusione e Piano di scattering Schiera, vedi Sonda a schiera Segnale aleatorio, 603-604, 606-613, 620-621 certo, 603 composizione armonica del, vedi Armoniche, componenti di energia, 592, 605, 624 di potenza, 605, 723
777 impulsivo, 235, 319, 393, 508, 591-597, 604606, 620-625 stazionario, 600-601, 618 Segnale Doppler (vedi anche Doppler), 579-626, 649-654 ascolto del, 634, 636, 644-646, 663-664 campionamento del, 598-601, 641, 668-678, 688-689, 692-698, 727-728, 730-732 rappresentazione complessa del, 649-654 Sensibilità del trasduttore, 301, 303-316, 329-331, 334, 357, 635, 637-638 di carica, 84, 87 in tensione elettrica, 87-88 SH, vedi Sample and hold Shannon, teorema di, 642, 694-695 Shear mode, 76-77, 96-97 Shear rate, 534-541, 549, 552-560, 574-576, 634640, 690 Signal to noise ratio (SNR), 514 Signal processor, 644 Silicato idrato d’alluminio, vedi Caolino Silicio, 63-66 Simmetria, 55-62 asse di, 56, 63-65 centro di, 55-59, 70 piano di, 55-56 Sistema cristallografico, 56-62 Skin friction coefficient, 555 Slope rate, 403 Slow time, 730, 732, 736 Smoothing (sfocatura), 462 Smorzamento, 141-151, 155, 165-166, 171, 173175, 200, 202, 208, 233-235, 294, 303, 306307, 312-316, 325, 334-339 fattore di, 145-146, 173 SNR, vedi Signal to noise ratio Sonar, 42-43, 362-363 Sonda (vedi anche Trasduttore), 192, 197-198, 236, 280-287, 301-357, 364-365, 370-383, 416-419 a schiera (S. a cortina, S. ad array), 275, 280283, 305, 311, 334, 343, 348, 352, 455, 462463, 469-519 anulare, vedi Annular array curvilinea, vedi Convex array rettilinea, vedi Linear array a sfasamento, vedi Phased array, Scansione a sfasamento e Vector array
778 meccanica, 440-445, 472-475, 477, 513 monoelemento, 278, 343-344, 431, 495-497, 512-513 sequenziale, vedi Scansione sequenziale Speckle, 191, 408, 462, 523 Spettro analizzatore di, 316, 319, 321-325, 647, 658659, 664 continuo, 595, 620 delle velocità, 556-557, 576-578, 600-601, 646-647, 657-658, 672-674, 676, 680-683, 686-690, 696-699, 714-715, 753 di densità di potenza, 619-622, 723-725, 747, 756-757 Doppler, 577-578, 658-663, 672-675, 682-691, 697, 700-701, 722, 761 Spin, 14-26, 28-33, 35-37 Spostamento elettrico, 74, 79, 88 Stark-Einstein, relazione di, 22 Stazionarietà, periodo di, 644, 660, 673, 677, 721, 741 Steering, 479, 483, 503-506, 518-519 Stenosi, 466-467, 543, 545, 547-548, 567-568, 635, 660, 662, 690-691, 696, 712, 757 Steradiante, 385, 637 Stratigrafia, 4, 8 Strato adattatore, vedi Matching layer emivalente, vedi Emivalore limite, 532, 551, 559, 564-565 Suono, velocità di propagazione del, 132, 242, 280, 288, 336, 475, 668 Supereterodina, conversione, 321 Suscettività dielettrica, 67, 72-75, 81-82 TAC (Tomografia Assiale Computerizzata), 713, 39, 44, 712 Taglio del piezoelemento, 57, 67-69, 75-78, 165 TDC (Time Domain Correlation), 723, 740-747 Tempo costante di, 74, 109, 201-4 di volo, 209-210, 382-383, 388-389, 665, 669 lento, vedi Slow time veloce, vedi Fast time Tessuti biologici, 181-182, 191-192, 196-198, 205-208, 212-215, 217, 222-223, 280, 314315, 325-356, 383, 442, 475, 517, 521-522, 627, 706, 709, 736, 755
Indice analitico TGC (Time Gain Compensator), 378-379, 383385, 399-406, 410-411, 456-460, 525, 749, 753 Thermal Index, 516, 522 THI (Tissutal Harmonic Imaging), 222 Thickness mode, 76-78, 97-99, 101, 128-129, 307, 470 Time domain correlation, vedi TDC Time gain compensator, vedi TGC Tinta, 706-707, 710, 714 Titanio, 92 Titanato di bario, 91-93, 101-102 Tomografia assiale computerizzata, vedi TAC Tormalina, 45-46, 53, 62 Transistor a effetto di campo, 357, 396-397 bipolare, 355-357 Transmit power, vedi Potenza acustica in trasmissione Trappola a diodi, 397 Trasduttore (vedi anche Sonda e Piezoelemento), 236-240, 246-285, 288-291, 297-300 autofocalizzante, 275, 284-285, 289 circolare, 247, 249, 253-255, 259-260, 267-269, 285, 287, 289 concavo, 273-282, 472 monoelemento, 278, 343-344 multielemento, 275, 343-344, 348, 352 multistrato, 330-332, 352-354 piano circolare, 267-269, 289-291, 299-300, 480-481, 484 sferico, 275-277, 282, 290, 479-483, 486-488 Trasformatore, 344, 350-353 rotante, 440-443 Trasmettitore, 208-209, 341, 345-348, 355-356, 363, 391-397, 410-411, 428-429, 464, 508, 633, 644-645, 748-749 Trasmissione, 85-91, 192-198, 346-348, 506-509 coefficiente di, 194-198, 210-211, 369, 374379 costante di, 85 frequenza di, 226, 302 Trasmittanza, funzione di, 248-253 Triclino, sistema, 56, 75 Trigonale, sistema, 56, 63, 75 Trigger, 210, 321, 364, 390-391, 393-396, 401, 403, 420, 464, 507-508, 700, 702 Tungsteno, 335-338
779
Indice analitico Udibilità intervallo di, 634, 636 soglia di, 134-136 Valore atteso, vedi Media d’insieme Varianza, 619, 708, 715, 719, 722, 725-728, 735736, 739-740, 749-752, 755-756 Vector array, 516-519 Velocità del sangue, vedi Sangue, velocità del del suono, vedi Suono, velocità di propagazione del gradiente di, vedi Shear rate istogramma delle, vedi Spettro delle velocità profilo di, 545, 549, 552-554, 556-557, 559, 563-565, 570-577, 675-678, 680-683, 700703, 714 radiale, 635, 676 Ventre, 125-129, 232 Vibrazione, vedi Modi di vibrazione Vincolo, 126-128 Viscosità, 199, 202-205, 531-534, 537-541, 549550, 567, 574 dinamica (coefficiente di), 204, 533-534, 553
relativa apparente, 539-541 Visualizzazione, dispositivi di, 384, 398-399, 410-411, 432-433 Voigt, modello di, 336-337 Volume di prova, 628, 641, 647, 658-659, 665-681, 685691, 695-696, 705, 708, 714-723, 725, 728, 731-736, 746-756 focale, vedi Focale, volume Vortice, vedi Moto vorticoso Wehnelt, elettrodo di, 417 Wiener-Khinchine, teorema di, 723, 725, 757 Womersley, numero di, 569-573, 576-577 Write zoom, vedi Zoom acustico Young, modulo di, 78, 116-117, 120, 124, 188 Zero crossing, 699-703 Zona focale, vedi Focale, zona Zoom, 462, 525-527 acustico (write zoom), 525-527 elettronico (read zoom), 527