MARTHA GRIMES IL CIGNO DELLA MORTE (The Man With A Load Of Mischief, 1981) Avvicinatevi, mia dolce locandiera, come stat...
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MARTHA GRIMES IL CIGNO DELLA MORTE (The Man With A Load Of Mischief, 1981) Avvicinatevi, mia dolce locandiera, come state? Dove sono l'innocente Cicely, e Prudence, e Sue? E dove la vedova che qua sotto abitava? E lo stalliere che otto anni orsono cantar solea? Perché, signormio, lasciarmi morire o nella fede vivere. Dacché so a qual vostra domanda risponder prima; Poiché, da quando v'incontrai, ogni cosa stranamente si volse. Lo stalliere fu impiccato, e la vedova si rimaritò, E Prudence un bimbo davanti alla chiesa lasciò, E fuggì Cicely con la borsa d'un gentiluomo. Matthew Prior 1 Sabato, 19 dicembre Davanti al Jack and Hammer un cane abbaiava. All'interno del locale Melrose Plant, seduto vicino alla vetrina senza riuscire a vedere la strada per via del vetro lavorato, beveva un Old Peculier e leggeva Rimbaud. Il cane emise un ringhio sordo e riprese ad abbaiare, come aveva continuato a fare ininterrottamente nell'ultimo quarto d'ora. Il sole, filtrando attraverso il vetro istoriato con motivi di tulipani verdi e blu, proiettava sul tavolo disegni multicolori. Melrose si alzò per sbirciare fuori e vide, oltre l'insegna con le lettere rovesciate, accucciato nella neve, il Jack Russell della signorina Crisp, proprietaria del negozio di mobili usati di fronte. Di solito quando abbaiava il cane restava accucciato accanto alla sua porta; ma quel giorno si era avventurato dall'altra parte della strada per abbaiare furiosamente contro l'insegna del Jack and Hammer. «Vorrei richiamare la vostra attenzione, Dick, sul curioso caso del cane che abbaia in pieno giorno.» Dick Scroggs, il proprietario, smise di pulire lo specchio dietro il banco.
«Come ha detto, signore?» «Niente» rispose Melrose Plant. «Stavo soltanto parafrasando Sir Arthur.» «Sir Arthur, signore?» «Conan Doyle. Sherlock Holmes, per la precisione.» Mel bevve un sorso di birra e ricominciò a leggere Rimbaud. Aveva appena ripreso la lettura, quando fu interrotto di nuovo dall'abbaiare del cane. «Per la verità» riprese Melrose, chiudendo il libro «credevo che il cane abbaiasse di notte.» «Di notte o di giorno non fa differenza» commentò Scroggs, strofinando energicamente lo specchio. «Spero solo che quel maledetto cane la faccia finita. Mi sta facendo impazzire. Ho già i nervi a pezzi per l'omicidio Matchett.» Nonostante la statura e la mole, Dick era un tipo piuttosto nervoso. Dal giorno della morte di Piddleton era diventato ancora più diffidente e guardava con sospetto ogni forestiero che metteva piede al Jack and Hammer. Probabilmente era proprio a causa di quel delitto che a Melrose era venuto in mente Conan Doyle. L'assassinio nella vita reale non è mai intrigante quanto quelli della letteratura poliziesca; ma il caso in questione prometteva di essere interessante, tanto più che la testa della vittima era stata ripescata in un barile di birra. Il cane non concedeva tregua. Non era il tipico abbaiare di quando due cani s'incontrano, divisi da una cancellata, né era particolarmente forte; eppure infastidiva per la sua insistenza. C'era da chiedersi per quale motivo quel giorno l'animale avesse scelto di mettersi proprio davanti al Jack and Hammer per lanciare al mondo il suo messaggio canino. Dick Scroggs posò lo strofinaccio e si avvicinò alla porta a vetri affacciata su High Street, dov'era seduto Plant. L'aprì, incurante della neve. «Taci, bestiaccia» gridò «se non vuoi che ti stacchi la testa a suon di calci.» «Lasciati dire che la tua sfuriata è assai poco inglese, Dick» l'apostrofò Plant, sistemandosi gli occhiali sul naso e tornando a concentrarsi sulla lettura. Il libro di Rimbaud era il regalo che aveva fatto a se stesso per il suo quarantesimo compleanno: una vecchia edizione di Les illuminations pagata pochi soldi. In fondo se l'era meritato, pensò, chiedendosene poi il motivo. Gli strilli di Scroggs non avevano ottenuto altro scopo se non quello di
aumentare l'abbaiare del cane che, essendo finalmente riuscito ad attirare l'attenzione di qualcuno, ora pareva deciso a mantenerla. Dick Scroggs spalancò la porta e uscì per dimostrare che faceva sul serio. Plant era arrivato a buon punto nella lettura de L'infanzia, quando lo sentì gridare: «Santo cielo, venga, venga qui subito!» Guardando fuori attraverso la neve, vide la testa di Scroggs incorniciata dalla finestra. Il volto era teso e grigio come quello delle figure scolpite nel doccione, che davano all'edificio quasi l'aspetto di una chiesa. Plant andò alla porta e uscì nella neve, affondando fino alle caviglie. Raggiunse Scroggs e il piccolo Jack Russell, fermi l'uno accanto all'altro e, imitandoli, guardò in alto come facevano loro. «Dio mio!» gemette Melrose Plant nello stesso istante in cui l'orologio batteva mezzogiorno e un piccolo blocco di neve si staccava dal cornicione. Sopra l'architrave di legno, al posto della solita scultura raffigurante un fabbro che batteva le ore con il maglio, c'era un uomo in carne e ossa. «Santo cielo, è il signor Ainsley, quel tale venuto ieri sera a chiedermi una stanza!» esclamò Scroggs con una voce che non sembrava la sua. «Chissà da quanto tempo è lì?» Melrose Plant, che di solito non perdeva la calma, non riusciva neanche a parlare. Si schiarì la gola. «Difficile a dirsi. Potrebbe essere da qualche ora, forse tutta la notte.» «E nessuno l'ha visto?» «A sei metri d'altezza e con tutta questa neve, Dick...» Mentre Plant parlava, davanti ai loro piedi ne cadde un altro pezzo, che si sciolse subito al sole. «Suggerisco di andare immediatamente alla stazione di polizia a chiamare Pluck.» Non fu necessario. L'abbaiare del cane e la presenza di Plant e Scroggs impalati davanti alla loro macabra scoperta parevano aver svegliato di colpo High Street dalla sua sonnolenza e la gente era comparsa come per incanto sulle soglie dei negozi, alle finestre, per la strada e sui marciapiedi. L'agente Pluck, sbucato fuori dalla stazione di polizia, veniva verso di loro e intanto s'infilava il cappotto blu. «E pensare che stamattina la moglie si chiedeva se volesse far colazione» disse Scroggs a bassa voce. «Per quel poveraccio di Ainsley ormai non fa differenza» replicò Plant, pulendosi gli occhiali. Il Jack and Hammer aveva da un lato Trueblood, il negozio di antichità,
e dall'altro una merceria cui avevano messo il nome poco originale di The Shop. Gli articoli esposti in vetrina, cioè rocchetti di filo, presine, indumenti per neonati e altro venivano sostituiti soltanto due volte l'anno, a Pasqua e a Natale. Di fronte c'erano un piccolo garage, Jurvis, la macelleria, la botteguccia buia di un meccanico che vendeva biciclette e il negozio della signorina Crisp. Più avanti, poco prima del ponte che attraversava il fiume Piddle, si trovava la stazione di polizia di Long Piddleton. In passato qualcuno aveva avuto l'idea di verniciare la facciata del pub di blu oltremare; ma la caratteristica principale, incombente sopra la porta, restava la scultura di legno da cui il locale derivava il nome. Realizzata in legno, raffigurava un fabbro che impugnava un maglio. Quando il grande orologio sopra l'architrave batteva le ore, "Jack" alzava l'attrezzo e fingeva di colpire un oggetto immaginario. L'architrave, che si trovava a sei metri da terra, ne misurava due di lunghezza ed era largo una sessantina di centimetri, sporgeva sul marciapiede sottostante. La figura del fabbro (che ora era stata rimossa) era quasi a grandezza naturale. In origine aveva la giacca blu e i calzoni azzurri; ma con il passare degli anni la vernice si era sbiadita e scrostata in più punti. Il povero "Jack" era spesso oggetto di scherzi da parte della gente del paese, soprattutto dei ragazzi, che talora lo vestivano in modo ridicolo e a volte lo tiravano giù. Proprio come se fosse un trofeo di rugby, era anche capitato che i ragazzacci del vicino paese di Sidbury lo rubassero per dispetto e in seguito i monelli di Long Piddleton andassero a recuperarlo. In un certo senso poteva essere considerato la mascotte del paese. In occasione dell'ultimo Guy Fawkes Day, certi ragazzi si erano intrufolati nel pub mentre Dick e la moglie dormivano sodo e, passando dalla scala di servizio, si erano introdotti nello stanzino sopra l'architrave. Staccato Jack dal palo di sostegno (senza grandi sforzi, dato che le viti si erano allentate dopo essere state manomesse svariate volte nel corso degli anni) l'avevano portato al cimitero della chiesa di St. Rules e lì l'avevano sepolto. «Povero Jack!» aveva commentato la signora Withersby dalla sua postazione accanto al fuoco, davanti al Jack and Hammer. «Non ha neanche avuto una sepoltura cristiana. Non è stato sotterrato in terra consacrata, ma dall'altra parte, dove seppelliscono i cani. Questo fatto porterà grandi sventure, vedrete. Povero Jack!» Poiché le doti divinatorie della signora Withersby erano offuscate dal gin, nessuno le diede retta. Ma le disgrazie erano arrivate davvero. La notte
prima della scoperta del cadavere del signor Ainsley, era stato trovato un altro morto in una locanda a circa un chilometro da Long Piddleton; il corpo di un certo William Small. In considerazione del fatto che doveva esserci in giro un assassino, la gente del paese preferiva restare in casa, una scelta che avrebbe fatto comunque per via della neve. Da due giorni nevicava nel Northamptonshire e in tutto il nord dell'Inghilterra. Era una bella neve morbida, quella che ricopriva i tetti delle case e si ammucchiava sui davanzali delle finestre, i cui vetri, riflettendo i fuochi dei caminetti, si accendevano di suggestivi bagliori rosso dorato. Con la neve che cadeva e il fumo dei camini che s'innalzava verso il cielo, nonostante il recente omicidio Long Piddleton sembrava una cartolina natalizia. La mattina del 19 dicembre aveva finalmente smesso di nevicare e un sole caldo aveva sciolto la maggior parte della neve, rendendo più brillanti i colori delle case. High Street, giù fino al ponte, poteva essere definita bella, oppure graziosa, o quanto meno strana, a seconda dei gusti. Con tutte quelle tinte, sembrava opera di un imbianchino impazzito. Forse stanchi del colore giallino che imperversava per il Northamptonshire, gli abitanti si erano sbizzarriti, ricorrendo a colori dei gelati come il rosa fragola, il giallo limone, il verde pistacchio e persino qualche tocco di smeraldo. Con il sole alto nel cielo, la strada era luccicante e il ponte rugginoso pareva di mogano. Forse ai bambini sembrava di camminare tra due file di caramelle alla frutta verso un ponte fatto di cioccolata. In un posto del genere si stentava a credere che fosse stato commesso un omicidio. Figurarsi due. «La prego, mi racconti come sono andate le cose e le circostanze in cui è stato ritrovato il cadavere» disse il sovrintendente Charles Pratt della polizia del Northamptonshire, giunto a Long Piddleton il giorno prima. Melrose Plant lo mise al corrente degli avvenimenti, mentre l'agente Pluck diligentemente prendeva appunti. Il poliziotto locale era molto magro, ma aveva il volto roseo e paffuto; il freddo pungente ne accentuava il colorito, tanto da farlo assomigliare a una mela infilzata in un bastoncino. In compenso era un brav'uomo, anche se un po' troppo incline ai pettegolezzi. «Dunque, a quanto le risulta il signor Ainsley non era di queste parti. Così come l'altro... Come si chiamava?» Pratt consultò il suo taccuino e lo richiuse. «William Small.»
«Sì, a quanto mi risulta» ribadì Melrose Plant. Il sovrintendente Pratt inclinò la testa da un lato e piantò su Melrose gli occhi azzurri apparentemente miti, ma in realtà, a giudizio dell'interrogato, tutt'altro che innocenti. «Dunque ne deduce che i due si conoscessero tra loro, vero?» Melrose alzò un sopracciglio. «Sì, naturalmente, sovrintendente Pratt. Perché, non lo crede anche lei?» «Prenderò un whisky, Dick. Liscio, per favore.» Pratt se n'era andato, portando via con sé gli uomini del laboratorio, e perciò Melrose Plant e Dick Scroggs erano di nuovo soli al Jack and Hammer. «Versane uno anche per te, Dick.» «Non può farmi che bene. Un brutto pasticcio, vero?» Benché fossero trascorse alcune ore, Dick era ancora pallido come un panno lavato, dopo avere osservato da vicino il lavoro del medico legale e aver assistito alla rimozione del corpo avvolto in un telo di gomma. Il sovrintendente aveva assegnato a Pluck il compito di provvedere a chiudere con i sigilli la stanza della vittima, nel cui letto, l'assassino, con un tocco grottesco, aveva adagiato "Jack" il fabbro. Non c'era da meravigliarsi che Dick Scroggs tremasse ancora, mentre prendeva la moneta da 50 pence che Melrose aveva messo sul banco. Entrambi rimasero qualche istante a fissare i rispettivi bicchieri, ciascuno immerso nei propri pensieri. Soli, ma non del tutto, poiché la signora Withersby, dopo essere stata interrogata da Pratt, si era trattenuta nel pub nella speranza che Scroggs le offrisse da bere gratis e ora, seduta sul suo sgabello preferito, ammazzava il tempo sputando nel fuoco, che da cent'anni a questa parte nessuno aveva mai spento. Vedendo i soldi cambiare proprietario, la signora Withersby si alzò dallo sgabello e si avvicinò al banco trascinando i piedi, con un mozzicone di sigaretta e un filo di saliva all'angolo della bocca. Si sfilò la sigaretta dalle labbra e si asciugò la saliva con il dorso della mano. «Mi paga da bere, signore?» disse, o meglio gridò. «Certo» rispose Melrose, mettendo una sterlina sul banco. «La signora con cui ho danzato per tutta la notte a Brighton merita il meglio.» Dick stava servendole una mezza pinta di birra, ma la signora Withersby protestò. «Voglio il gin, non quest'acquetta insipida.» Chiarito il concetto,
si sedette al banco accanto al suo benefattore, con i capelli biondastri ritti sulla testa, simili alla parrucca di un clown. Controllò che Dick riempisse il bicchiere senza lesinare. «Se potesse aggiungere un pizzico di carne di talpa essiccata, sarebbe un toccasana contro la febbre.» "Carne di talpa" si chiese Melrose Plant, allibito, prendendo una sigaretta dal portasigarette d'oro. «Forse era per via della malaria che mia madre ne teneva sempre una scorta in casa. Bastava metterne un pezzetto nel gin la mattina alle nove per sentirsi in forma tutto il giorno.» "O piuttosto fuori uso fin dal mattino" pensò Melrose, porgendole il portasigarette perché si servisse. «È stata sincera con il sovrintendente Pratt, signora?» domandò. La vecchia allungò la mano deformata dall'artrite e prese due sigarette. Se ne mise una tra le labbra e ficcò l'altra nella tasca del vestito a quadretti. «Certo che sono stata sincera» rispose con voce petulante. «Sicuramente più del finocchio della porta accanto» precisò, puntando il pollice verso il negozio di antichità, del cui proprietario si diceva che avesse gusti particolari in fatto di sesso. «Non sarebbe meglio evitare certe insinuazioni?» l'apostrofò Plant, mentre la donna beveva un lungo sorso della sua speciale medicina contro la malaria. Le accese la sigaretta ed ebbe in ricompensa uno sbuffo di fumo in faccia. La signora Withersby avvicinò la testa, cosa che Plant non gradì particolarmente, dato che l'alito puzzava di gin, birra e tabacco. «E adesso c'è anche quest'assassino, che se ne va in giro a uccidere noi poveri innocenti» si lamentò. «Non si tratta certo di un uomo, mi dia retta. C'è di mezzo il demonio. Avevo capito che ci sarebbe stato un morto, fin dal giorno in cui è caduto quell'uccello dal suo camino, Dick Scroggs. Per giunta sono cinque anni che non si fa la veglia alla vigilia di San Marco. I morti cammineranno! Credete a me. I morti cammineranno!» ripeté, agitandosi nell'enfasi tanto da rischiare di cadere dallo sgabello. Si calmò di colpo, guardando il bicchiere ormai vuoto, che nessuno pareva notare. «E come sta sua zia, milord?» s'informò. «Ce ne sono poche, di donne generose come lei. Mi paga sempre da bere, così, per amicizia.» Melrose fece segno a Scroggs di riempirle di nuovo il bicchiere. «Una signora che vive semplicemente, senza darsi delle arie» riprese con rinnovato entusiasmo, ora che il suo bicchiere era di nuovo pieno «e che arriva ogni Natale con i cesti pieni di ogni ben di Dio...»
Mentre la signora Withersby continuava a sciorinare le virtù di sua zia, Melrose pagò doverosamente gin ed elogi. Stava per iniziare a mangiare le uova, quando Dick fu colto da un violento accesso di tosse, per cui la signora Withersby dichiarò di avere il rimedio giusto. «Si faccia preparare da sua moglie un pezzo di topo arrosto. Mia madre lo cucinava sempre per curare la tosse asinina.» Melrose guardò l'uovo che stava sul piatto e gli passò di colpo l'appetito. Dopo aver pagato il conto, salutò educatamente la signora Withersby, ubriacona, farmacista e oracolo del paese. 2 Domenica, 20 dicembre «Questi omicidi» disse il vicario «mi riportano alla mente il caso accaduto all'Ostrich, a Colnbrook.» Addentò la sua brioche e le briciole si sparsero sull'abito scuro. «Temo che abbiamo a che fare con un altro individuo tipo Jack lo Squartatore» replicò Lady Agatha Ardry, gustando un pezzetto di torta. «Jack lo Squartatore se la prendeva solo con le donne di dubbia moralità, cara zia» la corresse Melrose Plant. Lady Ardry finì la sua fetta di torta e si strofinò le mani. «Può darsi che quest'assassino sia un omosessuale» osservò. «Lei si è accaparrato la brioche più grossa di tutte, Denzil» disse in tono d'accusa, guardando il vicario. Fuori della finestra del vicariato una tipica pioggerella inglese velava la vista del cortile. La chiesa di St. Rules sorgeva in cima a una collinetta bassa sovrastante la piazza del paese, dalla parte opposta del ponte che delimitava l'altra estremità di High Street. La piazza era circondata da casette in stile Tudor i cui tetti, ricoperti a volte di paglia, a volte di tegole, erano l'uno a ridosso dell'altro. A Melrose non piaceva prendere il tè al vicariato, soprattutto quand'era invitata anche sua zia. La governante non ci sapeva fare in cucina. Tutto ciò che usciva dal suo forno si sarebbe rivelato utilissimo nella Battaglia d'Inghilterra, nel caso in cui le truppe fossero rimaste a corto di proiettili. Diede un'occhiata al vassoio dei dolci, nella vana speranza di trovare qualcosa di commestibile; ma tutto sembrava duro e stantio. Per quasi due ore non aveva fatto altro che stare ad ascoltare la zia e il vicario che parlavano
del duplice omicidio e nel frattempo gli era venuta una gran fame. Allungò timidamente una mano verso un biscotto. «Stava dicendo qualcosa a proposito dell'Ostrich, se non sbaglio?» domandò al vicario per dovere di cortesia. «Già» rispose Denzil Smith, grato dell'incoraggiamento che gli consentiva di riprendere il discorso. «Quando il proprietario della locanda scopriva che un cliente aveva molti soldi, gli assegnava una stanza con una botola sotto il letto.» S'interruppe per prendere una pasta dall'aspetto assai poco invitante. «Quando il malcapitato si addormentava, la botola si apriva e il poveretto precipitava in un calderone di acqua bollente.» «Sta forse insinuando che Matchett e Scroggs facciano fuori i loro clienti, signor vicario?» domandò Lady Ardry, servendosi una seconda fetta di torta. Stava lì seduta in biblioteca con le gambe accavallate, solida, squadrata e grigia come un blocco di cemento. «No di certo» replicò il vicario. «È evidente che gli omicidi sono opera di uno squilibrato» asserì Lady Ardry. Plant trovò il tono irritante, ma lasciò correre. «Che cosa te lo fa supporre, Agatha?» «E me lo domandi? Ti sembra normale issare il cadavere sull'architrave e lasciarlo in bella vista sopra il pub? Devono essere almeno sei metri da terra. Ti pare logico?» «Dev'essere stato King Kong» mormorò Melrose, annusando il biscotto come se fosse stato il turacciolo di un vino d'annata. «Ho l'impressione che lei prenda un po' troppo alla leggera questo orrendo delitto, Melrose» lo rimproverò il reverendo Denzil Smith. «Non si aspetti compassione da un tipo come Melrose» puntualizzò la zia, lasciandosi andare contro lo schienale della grande poltrona vittoriana. «Vivere tutto solo in quella casa enorme, con un'unica persona di servizio, l'ha reso ancora più asociale di quanto già non fosse.» Eppure aveva accettato l'invito ed era lì a prendere il tè e a far conversazione. Sua zia aveva la pretesa di essere creduta anche quando sosteneva le cose più assurde, pensò Melrose, addentando con circospezione il biscotto e pentendosene all'istante. «Allora?» domandò Lady Ardry. «Allora cosa?» replicò Melrose, inarcando le sopracciglia. Lady Ardry versò due dita di tè in ciascuna tazza e posò la teiera. «Pensavo che avresti avuto qualcosa di più da dire a proposito di questi omicidi,
anche in considerazione del fatto che eri da Scroggs.» Nel tono si percepiva un lieve rimprovero. «Anche se in realtà è stato Dick a trovare il cadavere, e perciò non sarai rimasto impressionato com'è capitato a me, quando sono scesa in quella cantina e ho visto il cadavere dondolare nel vuoto.» «Veramente è stata quella ragazza, la giovane Murch, a scoprire il cadavere» puntualizzò Melrose. Si passò la lingua sul palato. La crema del biscotto sapeva di metallo; ma anche se fosse stato veleno, persino quello era preferibile allo strazio di dover ascoltare Agatha. «Siete sicuri che la crema del biscotto non sia inacidita? Ha un sapore strano.» Posò il biscotto sul piattino, sperando che un boccone solo non fosse sufficiente ad avvelenarlo. «È successo un caso simile nel... Dunque, se non vado errato era il 1892. La donna, Betty Radcliffe, era la proprietaria del The Bell, a Norfolk. Credo che sia stata assassinata dal giardiniere, che era il suo amante.» Denzil Smith non era un uomo particolarmente pio, ma in compenso era curioso e ciò faceva di lui un compagno ideale per Lady Agatha Ardry. I due dipendevano l'uno dall'altra a tal punto da poter essere paragonati a due scimmioni che si spulciano a vicenda. Il vicario era a conoscenza di molte vecchie storie, accadute non soltanto in paese ma anche fuori. Guardandosi attorno, Melrose pensò che il vicariato doveva essere l'ambiente ideale per Denzil Smith. Era buio e polveroso come la frutta finta che faceva bella mostra di sé sotto la campana di vetro. Sulla mensola del camino c'era un gufo impagliato con le ali aperte. Sotto il cintz a fiori spuntavano le gambe delle tre poltrone e del divano, ridicole per la loro forma a zampa di animale. A Melrose sembrava di stare nella casa dei tre orsacchiotti della favola. Rami di clematide e di convolvolo crescevano rigogliosi lungo le finestre. Si chiese come ci si sarebbe sentiti a essere strangolati da un convolvolo. Non certo peggio che a morire soffocati per colpa di un biscotto duro come il marmo. Questo gli rammentò l'omicidio di William Small: il poveretto era stato strangolato con un filo di ferro simile a quello dei tappi delle bottiglie di champagne. Lady Ardry stava parlando dell'arrivo imminente di Scotland Yard. «La polizia di Northants ha chiesto il loro intervento; me l'ha detto Pluck. Chissà a chi affideranno il caso?» «Al vecchio Swinnerton, probabilmente» rispose Melrose con uno sbadiglio. Di colpo Lady Ardry si raddrizzò sulla sedia. Gli occhiali in cima alla testa la facevano assomigliare a un pilota di auto da corsa. «Swinnerton?»
ripeté. «Tu conosci quelli di Scotland Yard?» Melrose si pentì di aver inventato quel nome. Non c'era sempre un Swinnerton tra i funzionari di polizia? Però senza volerlo aveva fornito ad Agatha il pretesto per accanirsi sull'argomento. Siccome Melrose era nato con il titolo nobiliare, a differenza di Agatha, che l'aveva acquisito con il matrimonio, la zia era convinta che lui conoscesse tutti quanti, dal Primo ministro in giù. «Non capisco perché abbiano richiesto l'intervento di Scotland Yard, quando possono già contare su di te, Agatha» disse nel tentativo di distrarla. La zia sorrise, compiaciuta, e in segno di riconoscenza gli passò il vassoio dei dolci. «Effettivamente le trame dei miei romanzi sono fitte di situazioni intriganti, non è vero?» Da qualche tempo Long Piddleton attirava artisti e scrittori, e Lady Ardry, che viveva lì da molti anni, si era improvvisata scrittrice di gialli, avendo raccolto il testimone dopo la scomparsa della grande signora Omicidi. In realtà non sapeva che farsene del testimone, se non agitarlo in aria. Melrose non aveva mai avuto modo di leggere un suo romanzo e aveva ragione di credere che tutte le opere rimanessero incompiute. «Gli uomini di Scotland Yard vorranno parlare subito con me, naturalmente» dichiarò Agatha, dandosi un pugno sul palmo della mano. «Allora è meglio che me ne vada» replicò Melrose, cogliendo la palla al balzo per evitare di dover ascoltare per l'ennesima volta il resoconto del suo ruolo nei recenti omicidi. Dopo essersi alzato, salutò abbozzando un inchino. «Non immaginavo che l'accaduto ti lasciasse così indifferente» ribadì Agatha. «Anche se è stato Scroggs a trovare il cadavere» ripeté, risoluta a non lasciargli in quella vicenda più spazio di quanto gliene spettasse di diritto. «Per la precisione è stato un cane, un Jack Russell. Sarà sicuramente il primo a essere interrogato da Scotland Yard. Ti auguro una buona continuazione della giornata, Agatha.» Mentre il vicario l'accompagnava alla porta, la voce di Lady Ardry non gli diede tregua neanche per un istante, rincorrendolo per tutta la lunghezza del corridoio. «Le tue spiritosaggini, Melrose, sono veramente fuori luogo, trattandosi di una storia orribile come questa.» Poi, più forte: «Ma del resto da te c'era da aspettarselo.» Alzando ulteriormente la voce: «Ricordati che stasera siamo invitati a cena da Matchett. Vieni a prendermi alle nove.»
Il destino volle che prima di lasciare il vicariato Melrose dovesse rassegnarsi ad ascoltare anche le chiacchiere del vicario, che gli parlò di un delitto commesso alcuni anni prima a Cheapside, dov'era stata assassinata la cameriera di un pub. 3 Ardry End, nota alla gente del paese come la Casa Grande, era un'imponente dimora con merlature e torri. Costruita in arenaria, sfoggiava tinte che variavano dal rosato al rossastro, secondo l'angolazione del sole. La strada d'accesso, elegante quanto l'edificio medesimo, passava sopra un ponte della stessa pietra sul fiume Piddle e attraversava una vasta distesa di campi coltivati, ora ammantati di neve. La posizione di Ardry End, tra ruscelli, greggi di pecore e dolci declivi su cui cresceva copiosa la lavanda, era così suggestiva da far venire le lacrime agli occhi a Lady Agatha Ardry, soprattutto al pensiero di non essere lei la fortunata proprietaria. Che suo marito non fosse stato l'ottavo conte di Caverness, nonché dodicesimo visconte Ardry, era sempre stata la sua spina nel fianco. Purtroppo Robert non era che il fratello minore del padre di Melrose Plant. Visto che il nipote aveva praticamente rinunciato al titolo di Lord Ardry, Agatha aveva pensato bene di rispolverarlo, trasformandosi arbitrariamente in "Lady" Ardry. Lo zio di Melrose era morto all'età di cinquantanove anni in una sala da gioco, dopo aver perduto il poco denaro che gli restava. Da quel momento in poi Lady Ardry aveva tirato avanti grazie alla generosità del cognato, e questo era uno dei motivi per cui non amava particolarmente il nipote. Il padre di Melrose era stato membro attivo della Camera dei Lord e vicepresidente di un'agenzia di cambio. Al momento della sua morte era molto più ricco di quando aveva iniziato l'attività e perciò aveva disposto che alla vedova di suo fratello fosse garantita una rendita annua che le consentisse di vivere più che decorosamente. Per questa ragione, non avendo la minima speranza di diventare un giorno la fortunata proprietaria di Ardry End, Agatha gli ripeteva spesso che in casa c'era bisogno di una donna. Ai suoi ammiccamenti e alle sue velate allusioni, Melrose fingeva di credere che gli suggerisse di prendere moglie, mentre in realtà sapeva bene che questa era l'ultima soluzione auspicata dalla zia. L'ideale per lei sarebbe stato che qualche rara malattia ne provocasse la prematura scomparsa. In questo modo sarebbe entrata in possesso dell'eredità del nipote, di cui riteneva di essere l'unica parente. Per questo
motivo Agatha si teneva informata su tutto ciò che riguardava la proprietà. Per Melrose Plant era una palla al piede. Lo zio Robert l'aveva conosciuta a Milwaukee, Wisconsin, nel corso di un viaggio negli Stati Uniti. Zia Agatha era una cittadina americana, ma faceva del suo meglio per non darlo a vedere, indossando abiti di tweed, calzando scarpe comode, portando il bastone da passeggio, mangiando montagne di cetrioli e sforzandosi d'imparare l'idioma inglese. Ciò che non riusciva assolutamente a imparare erano i nomi propri. Ogni pretesto era buono per piombare all'improvviso ad Ardry End e lustrarsi la vista con le statuine di biscuit, i quadri d'autore, i ritratti, le preziose sete cinesi e i William Morris dei rivestimenti, i vetri istoriati, lo splendido giardino, i cigni e tutte le piacevolezze che offriva la grande dimora. Lady Ardry compariva a ogni ora del giorno e della notte, con il bello e il cattivo tempo, senza bisogno di essere invitata. Era irritante entrare nello studio a mezzanotte, con la pioggia che batteva contro i vetri della portafinestra e, mentre un lampo squarciava l'oscurità, vedere dall'altra parte una figura ammantata di nero. Più irritante ancora farla accomodare in casa e lasciare che si scrollasse l'acqua di dosso, sgocciolando sui tappeti persiani come un grosso cane, per poi fingere di credere che era tutta colpa di Ruthven (il maggiordomo di cui Agatha non riusciva mai a pronunciare correttamente il nome) che non le aveva aperto la porta principale. Dopodiché la zia assumeva un'aria desolata, come per dire che non aveva trovato posto alla locanda del paese, e lo guardava come se per colpa sua avesse rischiato di dormire in un fienile. Mentre pedalava di buona lena, respirando a pieni polmoni l'aria frizzante di dicembre, Melrose rifletteva sui due omicidi avvenuti a distanza di ventiquattrore l'uno dall'altro, che avevano fornito alla gente del paese un argomento di conversazione diverso dal solito: il suo stato di scapolo impenitente. In seguito ai due delitti nessuno più si azzardava a percorrere strade solitarie, come stava facendo lui in quel momento. Non che Melrose fosse un tipo particolarmente coraggioso; ma, essendo dotato di un cervello che funzionava a dovere, aveva già individuato il criterio in base al quale l'assassino sceglieva le sue vittime ed era certo di non rientrare in quella categoria. Entrambi gli omicidi erano stati commessi in una locanda e ambedue avevano una connotazione così grottesca da sfiorare l'assurdo. Qualsiasi cosa fosse, l'omicida doveva avere un'idea fissa. Si aveva l'impressione che ricavasse un malsano piacere nell'uccidere le sue vittime. Ne faceva
sfoggio come se si trattasse di qualcosa di cui vantarsi. Percorso l'ultimo tratto di strada che lo separava da Ardry End, Melrose giunse davanti al cancello, sui cui pilastri erano di guardia due leoni dorati. Zia Agatha avrebbe desiderato che tenesse alcuni cani di grande mole sempre pronti a correre incontro ai visitatori. Evidentemente da giovane l'aveva colpita la lettura de Il mastino dei Baskerville. Melrose aprì il cancello, lo richiuse e riprese a pedalare sul viale in salita, guardandosi intorno con distacco, esattamente come avrebbe fatto sua zia. Alte siepi di biancospino perfettamente potate fiancheggiavano la strada. Aveva dovuto quasi prendere a schiaffi il giardiniere per impedirgli di trasformare il giardino in una mostra permanente di arte topiaria, di cui peraltro era appassionata cultrice la sua vicina di casa, Lorraine Bicester-Strachan. Ardry End non poteva certo essere paragonata ad Hampton Court; ma il signor Peebles, cioè il giardiniere, la considerava perlomeno all'altezza di Hatsfield House, non foss'altro che per l'estensione del terreno. Ogni iniziativa di Peebles che mirasse a fare del giardino una sorta di museo riceveva l'approvazione incondizionata di Lady Ardry. Quei due avevano gli stessi gusti in fatto di giardinaggio e, se avessero potuto fare di testa loro, non avrebbero esitato, oltre che a potare le piante nelle forme più strane, anche a coltivare le specie esotiche; mentre Melrose preferiva lasciarle crescere indisturbate, soggette soltanto alle leggi della natura. Zia Agatha, che aveva un debole per i coups d'œil, probabilmente non avrebbe esitato a far costruire un Pantheon in miniatura, completo di colonne corinzie e tutto il resto, dall'altra parte del laghetto. Spalleggiata da Peebles, era già riuscita a spuntarla, ottenendo che al centro dello stagno, dove crescevano i giacinti d'acqua, fosse posta una piccola fontana. Il giardiniere vi aveva immesso proditoriamente dei pesci finti, ma Melrose l'aveva costretto a toglierli. In compenso aveva dato il suo benestare per due cigni veri e una famigliola di anitre, che ora vivevano felici nel laghetto. Erano state le sue uniche concessioni. Venne Ruthven ad aprirgli la porta. Affermare che il maggiordomo fosse un tipo di vecchio stampo era dire poco. Melrose era assolutamente convinto che avrebbe potuto fare scuola a qualsiasi domestico esistente sul suolo britannico. Lo ricordava, identico, fin dai tempi della sua fanciullezza. Poteva avere cinquant'anni, oppure cento. Da allora non era affatto cambiato. Plant l'aveva ereditato esattamente come i quadri, le azioni, le tappezzerie di casa, e da quando stavano insieme, in un'unica occasione il maggior-
domo si era alterato per colpa del padrone. Melrose aveva rinunciato al titolo nobiliare parecchi anni prima, dopo alcune sedute alla Camera dei Lord. Per il dispiacere Ruthven si era quasi ammalato. Il maggiordomo aveva appreso la triste notizia un mattino all'ora di colazione. Plant l'aveva informato della cosa con disinvoltura, usando lo stesso tono con cui gli avrebbe chiesto dell'altro pesce affumicato. "Oh, a proposito, Ruthven, d'ora in poi non dovrai più chiamarmi my lord." Il maggiordomo era rimasto come impietrito, ma ciononostante non aveva cambiato espressione. "Mi sembrava ridicolo tenermi il lavoro e anche quell'assurdo titolo nobiliare" gli aveva spiegato Melrose. Ruthven si era limitato ad assentire con il capo e a porgergli il vassoio d'argento con sopra le uova al burro circondate da succulente salsicce. "In ogni caso non mi è mai andata a genio l'idea di sedere alla Camera dei Lord. È così noioso!" A quel punto, mentre una salsiccia cadeva dalla forchetta nel piatto, il maggiordomo gli aveva chiesto il permesso di allontanarsi perché non si sentiva bene. Lady Ardry aveva appreso la notizia con sentimenti contrastanti. Il lato positivo era che a quel punto veniva a trovarsi un gradino più in alto del nipote: ora lei aveva un titolo nobiliare e lui no, cosa che le procurava una gioia incontenibile. Il male minore consisteva nel fatto che la situazione provocata da Melrose era terribilmente poco inglese. Come aveva osato buttare alle ortiche un privilegio riservato a pochi e acquisito dai suoi antenati in tanti anni di condotta impeccabile? In occasione delle rare visite da parte di lontani parenti provenienti dagli Stati Uniti, Agatha si pavoneggiava mostrando loro la casa avita e con essa il nipote, ottavo conte di Caverness e dodicesimo visconte Ardry. Il titolo nobiliare era l'unico vantaggio che avesse su di lui. Melrose non era ricchissimo, ma a dir poco benestante. Non era bello, ma era dotato di un certo innegabile fascino. Quando si toglieva gli occhiali per pulirli, si vedevano gli occhi di un verde intenso molto particolare. Non era alto, ma della statura giusta. Anche la sua professione era invidiabile: infatti occupava una cattedra alla University of London, dove insegnava letteratura francese per circa quattro mesi all'anno, ed era così brillante da riuscire a far parlare di sé nei rimanenti otto mesi. Perciò ci si poteva rivolgere a lui chiamandolo professor Melrose Plant. Soltanto a pensarci ad Agatha veniva la pelle d'oca. Il nipote era un uomo dalle molteplici identità, che poteva prendere o lasciare a suo piacimento. Ciò che più sconvolgeva Lady Ardry era il fatto che fosse troppo intelligente.
In un quarto d'ora riusciva a risolvere le parole crociate del "Times". Una volta Agatha aveva avuto la pessima idea di sfidarlo in una gara che li aveva visti impegnati in quell'attività e, avendo perso ignominiosamente, si era giustificata definendolo un passatempo da ragazzi, per cui non valeva la pena d'impegnarsi. Melrose, seduto davanti al fuoco, sospirò al pensiero che sua zia, ora che erano stati commessi quei due omicidi, avrebbe tirato fuori le sue inesistenti capacità deduttive per tentare di risolvere il caso, trascinandolo con sé nell'impresa. D'altra parte volente o nolente era già coinvolto, per il solo fatto di essersi trovato al Jack and Hammer il giorno prima. Avrebbe preferito non sentirne più parlare, ma sapeva che non era possibile perché in realtà non si fidava neppure delle capacità deduttive della polizia. 4 Lunedì, 21 dicembre Riparandosi gli occhi con la mano come per proteggersi da un sole abbagliante, l'ispettore capo Richard Jury guardò con diffidenza il sovrintendente Racer che, seduto dall'altra parte della scrivania, in ordine come sempre grazie alla sua abitudine di appioppare agli altri le pratiche da sbrigare, fumava con calma il suo sigaro e intanto giocherellava con la catena d'oro dell'orologio. Sotto l'abito di tweed confezionato dalle mani esperte di un sarto di grido, indossava una camicia di un azzurro tenue. L'ispettore Jury considerava il suo diretto superiore un elegantone che si dilettava, con risultati alquanto modesti, a fare l'investigatore. Jury non era così sprovveduto da credere che i suoi colleghi di New Scotland Yard fossero tutti uomini integerrimi e sensibili ai problemi dei cittadini, sul genere dei vigili londinesi sempre pronti, con il sorriso sulle labbra, ad aiutare i turisti in difficoltà. Anche i funzionari di grado più elevato come lui non sempre erano vestiti in modo impeccabile, quando bussavano alle porte per interrogare la gente, assicurando che si trattava di semplice routine. Non tutti erano calmi, imperturbabili, strenui e adamantini difensori della legge e dell'ordine. Lo stesso Racer non rappresentava che in minima parte quello stereotipo. Ora, con la sua aria da signorotto di campagna, probabilmente stava pensando al pranzo imminente, oppure alla sua ultima conquista, che avrebbe invitato al suo desco, lasciando a Jury e a tutti gli altri come lui il compito di risolvere i problemi.
«L'uomo è stato trovato con la testa in un barile di birra?» domandò l'ispettore con un tono incredulo, nella vana speranza che fosse semplicemente uno scherzo di cattivo gusto. Racer abbozzò un sorriso. «Mai sentito parlare del duca di Clarence?» replicò. Si divertiva a metterlo in imbarazzo e, benché i suoi tentativi non sempre andassero a segno, da vero masochista si ostinava a provarci. «Dunque la vittima sarebbe annegata in un barile di Malmsey» aggiunse Jury, tanto per dimostrare che anche lui conosceva le marche migliori. Irritato, Racer fece schioccare le dita, come se avesse a che fare con un cane. «I fatti. Sentiamo i fatti.» Jury sospirò. Essendo stato appena informato dei due omicidi commessi nel Northamptonshire, ora gli toccava ripetere tutta la storia come uno stenografo diligente. Racer ascoltava sempre con la massima attenzione, per essere certo di non lasciarsi sfuggire eventuali errori. «La prima vittima, William Small, è stata rinvenuta nella cantina del Man with a Load of Mischief. L'assassino l'ha strangolato con del filo di ferro e poi gli ha tuffato la testa in un barile di birra. Il proprietario della locanda serve nel bar quella di sua produzione.» «Oggigiorno non è facile trovarla: le industrie praticamente hanno il monopolio» l'interruppe Racer, prendendo il suo stuzzicadenti d'oro e iniziando a trafficare con i molari, dopo aver fatto segno a Jury di continuare. «La seconda vittima, Rufus Ainsley, è stata trovata al Jack and Hammer. Il corpo si trovava sopra l'architrave che sostiene l'orologio, al posto della statua raffigurante il fabbro.» Jury guardò di nuovo Racer, sempre sperando di sentirsi dire che non c'era niente di vero in quella storia; ma il sovrintendente non aprì bocca. Ciò che più indisponeva Jury era che Racer non trovava nulla di strano in quella faccenda. Come se, essendo capitata la stessa cosa al duca di Clarence, fosse normale fare una fine del genere. «A trovare il cadavere di William Small è stata Daphne Murch, una cameriera che lavora nel locale. La ragazza si è affrettata a chiamare Simon Matchett, il proprietario. Tutte le persone presenti nel pub hanno dichiarato di non conoscere la vittima. Stando al proprietario, Small era comparso per la prima volta quel giorno stesso e aveva chiesto una stanza. Questo è il primo caso. Il secondo omicidio ha avuto luogo ventiquattr'ore dopo. Il corpo di Ainsley è stato issato sull'architrave al posto della statua del fabbro...» Jury s'interruppe. Questa seconda tragica burla gli faceva venire la pelle d'oca. «Continui.»
«Il corpo della vittima sarebbe stato fatto passare attraverso uno stanzino che sta proprio sopra l'architrave. Il fatto che per diverse ore nessuno l'ha notato potrebbe dipendere dall'altezza da terra, oppure dalla neve.» Jury tacque un istante, colpito di nuovo dall'assurdità di quella storia. «Le vittime erano entrambe sconosciute a Long Piddleton, dov'erano arrivate a un giorno o due di distanza l'una dall'altra.» Un giorno o due, ripeté mentalmente Jury. Cosa stava facendo? Tirava a indovinare? Non era forse uno dei primi doveri di un poliziotto quello di essere preciso? Racer s'infilò il sigaro tra le labbra e nello stesso istante suonò l'interfono. «Sì?» rispose, afferrando il ricevitore. Era una delle ragazze che lavorava nella sezione C-4. Si era procurata la documentazione relativa ai due delitti del Northamptonshire. «Me la porti subito» intimò Racer in tono seccato. Fiona Clingmore arrivò un istante dopo. Salutato Jury con un sorriso, porse la pratica a Racer. Il suo abbigliamento era stile anni Quaranta, il genere che pareva prediligere: scarpe nere con il cinturino e il tacco alto, gonna nera aderente, camicetta di nylon a maniche lunghe, nera anch'essa. La scollatura era generosa e la gonna molto corta. Con tutto quel nero sembrava sempre in lutto. Forse piangeva la perduta verginità, pensò Jury con una punta di malizia. Notò che Racer la osservava come se volesse spogliarla con gli occhi. «Va bene, può andare» disse il sovrintendente, congedandola con un cenno perentorio. Fiona uscì dalla stanza, dopo aver rivolto un sorriso e una strizzatina d'occhio a Jury. Racer se ne accorse. «Noto con piacere che ha sempre successo con le donne» osservò in tono sarcastico. «Ma ora torniamo al lavoro.» Mise sulla scrivania alcune foto sfilate dalla cartelletta. «William Small» disse, battendo il dito sulla prima. «Ucciso approssimativamente tra le ventuno e le ventitré di giovedì 17 dicembre, a quanto ha potuto stabilire la polizia di Northants. E questo è Ainsley, ucciso dopo le diciannove del 18 dicembre, cioè ventiquattrore più tardi. Nessuno ne ha identificato i cadaveri. Conosciamo soltanto i loro nomi perché hanno firmato i registri. Small era arrivato in treno fino a Sidbury, ma non sappiamo da dove fosse partito. Pare non esistere alcun collegamento tra le due vittime e la gente del posto. Non abbiamo altro. L'assassino è sicuramente un pazzo furioso» sentenziò, iniziando a pulirsi le unghie con il temperino. «Peccato che non ci abbiano mandato a chiamare subito. Ormai la pista è fredda.»
«Così stanno le cose, purtroppo. Dovrà accontentarsi di quello che trova, ragazzo mio. Crede forse che sia sempre tutto facile? La vita di un poliziotto è irta di difficoltà. Dovrebbe saperlo, Jury.» Chiuso il temperino, Racer iniziò a pulirsi un orecchio con il mignolo. Evidentemente prima di uscire di casa non aveva avuto il tempo di far toeletta, pensò Jury con disgusto. Sapeva che Racer era contrariato all'idea di dovergli affidare il caso. Tutti quanti al Dipartimento erano convinti che il posto di sovrintendente spettasse a Jury e non a lui. Personalmente non gli importava. In fondo non gli sarebbe piaciuto essere lui il responsabile e dover ascoltare la sequela di lamentele sui vari poliziotti. Non avendo moglie né figli, si accontentava del suo modesto stipendio, più che sufficiente per le sue esigenze. Meglio evitare tante complicazioni inutili. Del resto Jury conosceva poliziotti molto più abili ed esperti di tanti pezzi grossi, e saper svolgere bene il proprio lavoro era ciò che contava veramente. «Quando devo partire?» s'informò. «Ieri.» «Abbiamo ancora il delitto di Soho da...» «Quello del ristorante cinese?» Furono interrotti dallo squillo del telefono. Racer rispose, guardò Jury e disse: «Sì, è qui da me.» Si rimise di nuovo in ascolto con un sorrisetto malizioso. «Circa un metro e ottantacinque, occhi grigio scuri, dentatura perfetta e un sorriso smagliante? Sì, è sicuramente il nostro Jury.» Si fece serio di colpo. «Le dica che la richiamerà. Adesso siamo impegnati.» Buttò giù la cornetta e si mise a giocherellare con una penna biro. «A parte il sorriso smagliante, la descrizione sarebbe perfetta anche se si riferisse a un cavallo» osservò in tono tagliente. «Posso sapere di che si tratta?» domandò Jury senza perdere la calma. «Era una delle cameriere di quel ristorante di Soho» rispose Racer, dando un'occhiata all'orologio. La telefonata doveva avergli rammentato il suo appuntamento. «Ho un impegno all'ora di pranzo» annunciò, passando la cartelletta a Jury. «Allora non le resta che partire per quel paesetto dimenticato da Dio. Si faccia accompagnare da Wiggins, che non ha niente da fare se non soffiarsi il naso.» Jury sospirò. Come al solito Racer non l'aveva neppure lasciato libero di scegliersi il compagno. Wiggins era un giovanotto prematuramente invecchiato per colpa dell'ipocondria. Abbastanza simpatico ed efficiente, però era sempre sull'orlo della catastrofe. «Partirò domattina presto, dopo essere
passato a prendere Wiggins» disse Jury. Racer stava già infilandosi la giacca, inappuntabile come il resto dell'abbigliamento. Jury si chiese brevemente dove andasse a prendere tutti i quattrini che gli occorrevano per vivere. Che fosse un poliziotto corrotto? Anche se così fosse stato, a lui non importava affatto. «Va bene, passi pure a prenderlo.» Consultò l'orologio d'oro che portava al polso. «Oggi pranzo al Savoy. Ho un appuntamento con una giovane donna» precisò con un sorrisetto lascivo, disegnando nell'aria una sagoma femminile. «Mi raccomando, Jury, si ricordi della nostra esistenza. Quando arriverà in quel paesello sperduto, faccia il piacere di telefonare per dirmi come vanno le cose.» Jury infilò il corridoio, paragonando mentalmente il grigiore di questo nuovo palazzo all'eleganza della costruzione vittoriana dove fino a qualche tempo prima aveva avuto sede Scotland Yard. Qui non c'erano di certo né mogano né marmi. Per quanto ristretto fosse lo spazio nella vecchia sede, era mille volte preferibile alla nuova sistemazione. Stava per entrare nel suo ufficio, quando vide passare Fiona Clingmore, che evidentemente era rimasta nei paraggi. Stava abbottonandosi il cappotto nero. «Allora, ispettore Jury, finalmente fuori servizio?» gli domandò in tono speranzoso. Jury sorrise, infilò una mano dentro l'ufficio e prese il cappotto dall'attaccapanni. I colleghi se n'erano già andati; perciò spense la luce e chiuse la porta. Guardando Fiona, notò che da vicino dimostrava qualche anno di più di quanto sembrasse a prima vista. In cima ai capelli biondastri portava un ridicolo cappello a forma di portapillole. «Sai chi mi ricordi, Fiona?» domandò. La giovane donna scosse la testa e rimase in trepidante attesa, forse sperando in un complimento. «Mi fai venire in mente certi vecchi film ambientati in tempo di guerra, con gli americani che approdavano a Londra e s'innamoravano delle ragazze inglesi.» Fiona sorrise. «Be', quello succedeva molto tempo prima che io nascessi.» Aveva ragione, naturalmente; ma Jury continuava ad avere l'impressione che appartenesse a un'altra epoca. Non doveva avere ancora raggiunto il traguardo dei quarant'anni, ma probabilmente non era lontana. «Credo proprio che al mio Joe non piacerebbe sentirle dire queste cose, ispettore Jury» mormorò timidamente. Parlava molto spesso del suo Joe. Nessuno l'aveva mai visto e Jury co-
minciava a sospettare che non esistesse. Forse c'era stato in passato, ma ora non più. Guardandola sorridere, a un tratto provò un senso di empatia nei suoi confronti, forse anche di solidarietà. «Senti» disse «devo fare un salto a Soho per una questione di lavoro. Visto che si tratta di un ristorante, e che non ho ancora mangiato, che ne dici di farmi compagnia? In fondo credo di essermi meritato un po' di riposo.» Fiona era visibilmente compiaciuta. Abbassò gli occhi. «Oh, non so se il mio Joe ne sarebbe contento, ma...» «Non è necessario che venga a saperlo, non ti pare?» tagliò corto Jury, strizzandole l'occhio. Era quasi mezzanotte quando Jury terminò di parlare con il proprietario del ristorante, e a quell'ora ne aveva abbastanza anche delle chiacchiere di Fiona. Quando riemerse dalla stazione della metropolitana di Angel, era stanco morto e non l'allettava di certo la prospettiva di dover prendere il treno il mattino presto per il Northamptonshire. Tentò di consolarsi pensando che forse sarebbe stato piacevole restare per qualche tempo lontano da Londra. Non aveva nessun posto dove trascorrere il Natale, se non la povera casa di una sua cugina, dei cui due figli avrebbe dovuto sopportare le angherie. Mentre passava prese al volo una delle ultime copie del "Times", la pagò buttando qualche spicciolo sulla pila dello strillone fermo all'uscita della metropolitana e si diresse verso casa. Aveva iniziato a nevicare, una neve sottile e farinosa, diversa da quella che si attaccava alle ciglia e restava per un po' sulla punta della lingua. A Jury piaceva la neve, ma non quella di Londra, buona solo a trasformarsi in fango e a rallentare il traffico nelle strade. Dopo qualche minuto la neve si fece più spessa, granulosa come lo zucchero. Si sentiva pungere il viso, mentre percorreva Islington High Street in direzione dell'Upper. Svoltò in Camden Passage, particolarmente piacevole a quell'ora della notte, con i negozi chiusi e la quiete turbata soltanto dal fruscio dei pezzetti di carta che il vento faceva svolazzare in giro. Camden Head era chiusa e le bancarelle delle antichità erano state smontate dai proprietari. Quando la merce era esposta la strada brulicava di gente e spesso Jury si divertiva a osservare i borseggiatori all'opera. Jimmy Pink, il suo preferito, che aveva un debole per Camden Passage, era così abile da riuscire a vuotare le tasche della gente senza mai farsene accorgere. Jury, dopo averlo beccato un'infinità di volte, a un certo punto gli aveva consigliato di cambiare mestiere e di
prendersi una bancarella. Sbucato fuori dal passaggio, raggiunse Charlton Place e da lì Colebrook Row, una graziosa stradina con una fila di casette dove gli sarebbe piaciuto abitare; poi percorse altre due strade e finalmente raggiunse quella in cui viveva. La maggior parte delle palazzine erano state suddivise in appartamenti. Benché il suo fosse piuttosto vecchio, ci viveva abbastanza bene, soprattutto perché di fronte c'era un piccolo parco di cui ciascun inquilino aveva la chiave. Jury abitava al secondo piano. Nella palazzina c'erano altri cinque appartamenti. A causa del suo lavoro e degli orari impossibili, gli capitava di rado di vedere i vicini; però conosceva la donna che viveva al pianterreno, la signora Wasserman. Passando davanti all'appartamento vide attraverso le tende che la luce era accesa. Evidentemente la signora Wasserman era ancora in piedi. Estate e inverno, ai lati della porta c'erano due vasi di gerani. Entrato in casa, Jury accese la luce e rimase impressionato come sempre alla vista di quel caos. Come se i ladri, dopo aver messo a soqquadro l'appartamento, fossero stati sorpresi sul fatto e costretti a svignarsela. Il disordine era causato soprattutto dai libri, che non erano più nelle librerie e sui tavoli, ma sparsi un po' ovunque. Nel vano della finestra che guardava sul parco c'era la scrivania. Jury vi posò la cartelletta prima di togliersi il cappotto, poi si sedette ed esaminò di nuovo le foto. Incredibile. La prima era stata scattata nella cantina del Man with a Load of Mischief. Benché la foto fosse scura e sgranata, si vedeva abbastanza chiaramente il corpo della vittima dalla vita in giù. Il busto era dentro il barile, mentre il resto del corpo penzolava da un lato. Per quanto si sforzasse, Jury non riusciva a capire il motivo per cui l'assassino, dopo aver strangolato la vittima, si era preso la briga di infilare il corpo nel barile. La foto del Jack and Hammer era ancora più sorprendente e grottesca. Il corpo di Rufus Ainsley, perduta la rigidità del rigor mortis, era sorretto dalla stretta sbarra di metallo a cui precedentemente era fissata la statua. Questa sbarra era stata infilata dentro la camicia e legata alla vita con una corda, che però era coperta dalla giacca abbottonata fino al collo. Sulle spalle c'erano tracce della neve che ancora non si era sciolta. Dunque, benché esposto all'aperto, il cadavere era ben camuffato. D'altronde quale miglior nascondiglio che per aria o sotto terra? La vittima era un uomo di bassa statura, uno e settanta al massimo, e perciò non doveva essere stato difficile sostituirla alla statua. Difficile stabilire quanto tempo sarebbe pas-
sato prima che a qualcuno venisse in mente di guardare in alto. Di solito la gente vede soltanto ciò che si aspetta di vedere. L'interrogativo principale restava: a che scopo? Quale motivo aveva spinto l'assassino a porre in atto un piano così complesso? Jury raccolse le foto, aprì il cassetto della scrivania e v'infilò la cartelletta, accanto a un ritratto incorniciato con il lato posteriore rivolto verso l'alto. Si era deciso a toglierlo dalla scrivania, ma non aveva avuto il coraggio di disfarsene. Da giovane non era stato particolarmente attratto dall'idea di prendere moglie, ma ora quasi rimpiangeva di non essersi sposato. In quarant'anni gli era capitato di rado di conoscere una donna speciale, e Maggie era stata una di queste. Riposta la foto nel cassetto, di nuovo a faccia in giù, stava chiudendolo a chiave quando sentì bussare alla porta. «Ispettore Jury» disse la donna tormentandosi le mani, non appena le ebbe aperto «è ancora lì. Non so cosa fare. Perché non mi lascia in pace?» «Sono appena rincasato, signora Wasserman...» «Lo so, lo so. Mi dispiace disturbarla, ma...» Allargò le braccia con aria rassegnata. Di corporatura robusta, indossava un pullover nero con una spilla di filigrana appuntata sul petto. I capelli scuri erano perfettamente lisci e raccolti in uno chignon che pareva una molla. Proprio come lei, che sembrava sul punto di scattare da un momento all'altro. Si alzò le maniche con gesti nervosi. «Scendo con lei» disse Jury. «Le scarpe sono le stesse, ispettore. Sono sicura di non sbagliare. Che cosa vuole da me? Perché non mi lascia stare? L'inferriata è abbastanza solida, secondo lei? Perché continua a tornare qui?» Lo tempestò di domande anche mentre scendevano le scale. «Ora vengo a dare un'occhiata.» «Sì, la prego» replicò la donna, coprendosi il volto con le mani come se temesse che Jury, per il solo fatto di guardare fuori dalla finestra del corridoio, mettesse in pericolo la vita di entrambi. Di fronte alla porta d'ingresso aveva una piccola finestra quasi a livello della strada. «Non c'è nessuno là fuori, signora Wasserman» disse Jury. Proprio come previsto. Accadeva ogni due mesi circa. All'inizio Jury aveva tentato di persuaderla che non c'era nessuno. La signora Wasserman trascorreva molte ore della sua vita guardando i piedi dei passanti. A un certo momento si era convinta che qualcuno l'aveva presa di mira e continuava a tornare. Era terrorizzata da quei piedi.
Dopo un certo numero di tentativi di farla ragionare, Jury si era reso conto che, invece di tranquillizzarla, negando l'esistenza di quei piedi non faceva altro che acuire la sua paura. Perciò nell'ultimo anno l'aveva aiutata a rendere la casa inespugnabile come una fortezza: inferriate, catene, catenacci, impianto d'allarme. Ciononostante, la signora Wasserman continuava a bussare alla sua porta. Ogni volta Jury prendeva provvedimenti, aggiungendo qualche diavoleria che per un po' la faceva stare tranquilla; ma dopo qualche tempo si ricominciava daccapo, benché le assicurasse che introdursi in casa sua era più difficile che rapinare una banca. A questo punto, Jury non sapeva più cosa fare. Guardò fuori dalla finestra, non vide nulla e diede una scossa all'inferriata, tanto per farla contenta. La signora Wasserman seguiva ansiosa ogni suo movimento. Jury capì di dover fare qualcosa subito, altrimenti si sarebbe giocato la sua fiducia. Prese da una tasca un dischetto metallico e glielo mostrò. «Signora Wasserman, veramente non dovrei farlo: è illegale.» Sorrise con aria complice e la donna fece altrettanto. «Ora lo applico al suo telefono.» Alzò l'apparecchio e attaccò il disco di ferro alla base. «Dunque, se qualcuno dovesse infastidirla, le basterà alzare l'apparecchio e spingere da un lato il dischetto. In questo modo farà squillare il mio telefono.» La signora Wasserman s'illuminò in volto. «Mi raccomando: lo usi solo in caso d'emergenza, perché il suono si sente anche alla Centrale e per me sarebbero guai.» Jury era certo che la signora Wasserman non ne avrebbe fatto uso. L'aggeggio serviva soltanto a rassicurarla. Così per un paio di mesi l'avrebbe lasciato in pace. Dopodiché la storia si sarebbe ripetuta per l'ennesima volta. D'altra parte la vita della signora Wasserman era così monotona che nulla poteva distoglierla dalla sua ossessione. Guardandola negli occhi e pensando alla propria grigia esistenza, a volte Jury aveva l'impressione di vedervi il riflesso di se stesso. «Oh, ispettore Jury, cosa farei senza di lei? È una vera fortuna che in questa casa abiti un poliziotto di Scotland Yard.» Si avvicinò al caminetto, che funzionava elettricamente, prese un pacchetto dalla mensola e glielo porse. «Un pensierino per Natale. Su, lo apra.» «Non so che cosa dirle. Grazie, tanto per cominciare.» Slegò il nastro e aprì la confezione. Dentro c'era un libro molto bello, un'edizione rilegata in pelle, con sovrimpressioni in oro e segnalibro di seta nera, dell'Eneide di Virgilio. «Un giorno ho visto che lo stava leggendo. Quando ci siamo incontrati
alla stazione della metropolitana di Angel, ricorda? So che è amante della lettura. Io invece non capisco le cose troppo difficili. Per me è come se fosse greco.» Jury non poté fare a meno di sorridere. «Di solito leggo le riviste e qualche romanzetto. Allora, le piace?» Sembrava molto preoccupata di avere fatto la scelta giusta. «È stupendo, signora Wasserman, davvero. Buon Natale anche a lei. Si sente più tranquilla ora?» Povera donna, pensava Jury mentre saliva le scale con il libro sotto il braccio. Con quel problema che l'assillava... quel Lui. Chissà a quale livello vedeva i Suoi Piedi? A quello dello zerbino? A quello del letto? Comunque di sicuro era meglio per lei avere a che fare con quei Piedi fermi davanti all'inferriata della sua finestra, piuttosto che vederli buttare giù a calci la porta dei ricordi. 5 Le locande inglesi si trovano invariabilmente alla confluenza di tre strade: quelle della storia, dei ricordi e dell'avventura. A chi non è mai accaduto, affacciandosi dal portico di legno di certi vecchi locali a guardare i cortili acciottolati, d'immaginare di vedere arrivare le carrozze con i cavalli scalpitanti, le frogie fumanti nelle sere d'inverno? A chi non è mai capitato di leggere la descrizione di quelle tipiche casupole lunghe e basse, con le finestre a riquadri, i pavimenti consunti, le massicce travi di sostegno e le pareti coperte di utensili di rame? Di spaziose cucine dove i quarti di bue diventavano bistecche e i prosciutti erano appesi ai soffitti? I modesti viaggiatori ospiti della locanda bevevano birra, seduti accanto al camino. Sempre affaccendata, la proprietaria impartiva ordini alle fantesche, facendole correre a destra e a manca senza un attimo di tregua. Squadre di cameriere che portavano lenzuola profumate di lavanda, sguatteri, valletti e cocchieri entravano e uscivano in continuazione dalle porte, dandosi da fare per accontentare i clienti. A volte, nelle locande più economiche, i pavimenti erano ricoperti di paglia e capitava che, per scendere a far colazione, si dovesse scavalcare gente che dormiva per terra. Poi a tavola ci si consolava, dimenticando i disagi della notte precedente, con ottimi pasticci di montone, fegato o piccione, uova affogate, grosse fette di pancetta, tartine, tè e grandi boccali di birra. Chi non ha mai immaginato di accompagnare il signor Pickwick al Blue
Lion di Muggleton, o non ha mangiato ostriche con Tom Jones al Bell nel Gloucestershire, o non ha sofferto con Keats nella locanda di Burford Bridge? Chi, tormentato dalla fame o dalla sete, non ha sognato di fermarsi in una di queste locande, con la certezza di trovare dell'ottimo formaggio, della buona birra e un ambiente confortevole con gli ottoni rilucenti, le pareti rivestite di legno, un grande fuoco acceso nel camino e l'atmosfera ideale per affogare i dispiaceri? Il Man with a Load of Mischief, una costruzione con la struttura in legno risalente al sedicesimo secolo, non faceva eccezione. Al volante della sua Bentley, Melrose Plant s'infilò nel cortile passando sotto il grande arco e fermò l'auto. Lady Ardry la considerava una delle più rappresentative locande inglesi. D'estate i muri erano completamente ricoperti di clematidi, che tentavano di trovare spazio per infiltrarsi tra le rose rampicanti. La costruzione, rivolta a sud, sorgeva in cima a una collina. A guardarla bene si aveva l'impressione che al corpo centrale fossero stati aggiunti successivamente altri blocchi alla rinfusa. Il tetto basso e spiovente, coperto di paglia, scendeva fin quasi a toccare le finestre, da cui si vedeva Long Piddleton. Quando Melrose e Lady Ardry arrivarono era già buio e quindi le finestre illuminate erano più che mai invitanti. Simon Matchett, il proprietario della locanda, non era agganciato a nessuna grande azienda produttrice di birra ed era risoluto a conservare la sua autonomia. Matchett accolse gli ospiti sulla porta e salutò Agatha con entusiasmo, liquidando Melrose con un cenno del capo e un mezzo sorriso. A Plant era decisamente antipatico. Nonostante l'apparente gentilezza, sospettava che fosse un tipo avido, un opportunista interessato soltanto ai quattrini; ma nello stesso tempo si chiedeva se per caso non fosse invidioso di lui per la fortuna che aveva con le donne, e in particolare con Vivian Rivington. Forse la disgrazia che gli era capitata in passato, una storia a proposito della sua defunta moglie e di un'altra donna, contribuiva a rendere più romantica la sua immagine, quasi come una cicatrice sulla guancia di un duellante. Il fatto risaliva a molti anni prima, così tanti che nemmeno Lady Ardry era riuscita a scoprire tutti i particolari. Nell'atrio debolmente illuminato, tappezzato di stampe e pieno di animali impagliati, zia Agatha e Simon Matchett si trattennero per qualche tempo in piedi, facendo conversazione spicciola. Melrose, intento a guardare i quadri di fronte, raffiguranti carrozze e passeggeri che entravano nel corti-
le della locanda, sfiorava con la testa il basamento di un fagiano ormai piuttosto spelacchiato. Quando Matchett e la zia s'incamminarono verso il banco del bar, ignorandolo, Melrose li seguì. Una scala, anch'essa rallegrata da una serie di stampe appese al muro, conduceva al piano superiore, dove si trovavano le stanze. A destra c'era la sala da pranzo, il cui soffitto era sostenuto da numerosi pilastri, che avevano anche la funzione di creare dei séparé. Quei pilastri incombenti davano a Melrose una spiacevole sensazione di pericolo, mentre zia Agatha trovava che il locale fosse pittoresco, così simile al refettorio di un vecchio monastero, ciò che probabilmente era stato davvero. A Melrose sembrava di stare a Stonehenge. Per fortuna a ravvivare un po' l'ambiente c'erano i tappeti orientali, i fiori freschi, le lampade con le sfere di vetro rosso sui tavoli e i piatti di lucido ottone appesi ai muri. Twig, il più vecchio dei camerieri, fingeva di essere impegnatissimo a sistemare tovaglioli nei bicchieri. Il lavoro pesante lo sbrigava Daphne Murch, la cameriera. Proprio in quel momento stava arrivando con un vassoio carico. Si avvicinò al tavolo occupato da due signore. Non c'erano molti clienti, forse a causa del recente omicidio. Twig stava strapazzando Daphne Murch. La povera ragazza, a quanto pareva, non ne combinava mai una giusta, avendo avuto persino l'ardire di trovare un cadavere in cantina. «Melrose!» lo chiamò la zia dal bar. «Che cosa fai lì imbambolato? Vuoi deciderti a venire, sì o no?» Agatha si era seduta sotto la finestra, occupando la sedia imbottita e lasciandogli la dura panca. Matchett era in piedi accanto a lei. Sui vetri si riflettevano le fiamme del monumentale camino di pietra, dove ardevano grossi ciocchi, schizzando scintille tutt'intorno. Incurante dell'inferno di fuoco che aveva vicino, un grosso cane di origini incerte dormicchiava davanti al focolare. Sentendo entrare Melrose, aprì un occhio e lo seguì con lo sguardo mentre attraversava la sala; poi si alzò e si avvicinò al loro tavolo. Chissà per quali oscuri motivi si era affezionato a lui, che invece l'aveva sempre ignorato? In quel momento, data la mole dell'animale, che gli arrivava alla vita, non era facile fingere di non accorgersi della sua presenza, tanto più che gli aveva puntato il naso contro l'ascella e spingeva forte. «Buono, Mindy» lo richiamò Matchett senza molta convinzione. Nel frattempo Twig era passato a prendere le ordinazioni. Un gin rosa per Agatha, un Martini per Melrose. La zia incrociò le braccia sul tavolo. «E ora, caro Matchett, facciamo venire Daphne Murch» disse. «Potrebbe esserle venuto in mente qualcos'altro.» Agatha aveva preso la pessima abi-
tudine di rivolgersi al prossimo usando il cognome: "Mio caro Matchett, mio caro Plant...". Una forma d'affettazione che Melrose trovava sgradevole. Nessuno più parlava in quel modo, tranne che in certi club noiosi ed esclusivi, dove il rigor mortis sembrava essere più la causa che non l'effetto della morte. Melrose sapeva che l'unico scopo di Agatha era quello d'interrogare Daphne Murch, imitando lo stile degli investigatori di Scotland Yard. «Perché non lasci in pace quella povera ragazza?» domandò, accendendosi un sigaro. «Perché vorrei cercare di chiarire questa sporca faccenda, anche se a te non importa un fico secco. E alla ragazza potrebbe essere venuto in mente qualcosa di strano.» «Cosa c'è di più strano che trovare un cadavere con la testa infilata dentro un barile di birra? Non credi che sia il massimo dell'originalità?» «Lasciamola in pace, Agatha» intervenne Matchett. «Questa faccenda l'ha già innervosita abbastanza.» Agatha aveva l'aria decisamente infelice. Era evidente che voleva assicurarsi la possibilità di raccontare la sua personale versione dei fatti, che tendeva a infiorare ogni volta di più. Daphne se non altro, forse per paura di finire in prigione, raccontava la storia sempre allo stesso modo, senza cambiare neppure una virgola. «Plant, cosa ne pensa lei di questa vicenda?» domandò Matchett mentre Twig serviva da bere. Per qualche inspiegabile motivo cercava sempre di coinvolgerlo nei loro discorsi. «Tutto sommato concordo con Oscar Wilde. Secondo lui, l'omicidio è sempre un errore e non si deve mai fare niente di cui non si possa poi parlare dopo cena.» «Quanto sei insensibile!» lo criticò Agatha. Fu interrotta da Matchett che, vedendo entrare due persone, si era alzato per andare loro incontro. «Ecco Oliver e Sheila.» Melrose vide la zia provare alcuni sorrisi, per poi decidere quale fosse il più indicato. Agatha detestava sia Oliver sia Sheila, ma faceva del suo meglio per non darlo a vedere. Melrose condivideva l'antipatia per il primo, ma non per la giovane donna. Eufemisticamente definita segretaria di Darrington, in realtà tutti sapevano che Sheila ne era l'amante. Benché fosse considerata un personaggio di secondo piano, Melrose aveva l'impressione che fosse due volte più intelligente di Darrington, E poiché Oliver non lo era affatto, come complimento non valeva granché. Ciò che Sheila osten-
tava volentieri era il suo corpo che, con il viso, costituiva un insieme molto gradevole. Benché non incarnasse l'immagine della sua donna ideale, Melrose non dubitava che piacesse a molti uomini. Un requisito essenziale per lui era uno sguardo limpido e trasparente, per esempio come quello di Vivian Rivington. Per i suoi gusti, gli occhi di Sheila erano sottolineati da un trucco troppo pesante che la rendeva quasi ridicola. Dopo essersi seduti e avere sistemato i cappotti sullo schienale della sedia, Oliver e Sheila si apprestarono a parlare dell'argomento di cui Melrose cominciava ad averne piene le tasche. «Oliver ha una sua teoria» annunciò la giovane donna. «Soltanto una?» domandò Melrose, fissando la testa di un alce sopra il bar e notando che avrebbe avuto bisogno di un restauro. «È molto ingegnosa» continuò Sheila. «Ascoltate bene.» Melrose lo lasciò parlare senza prestargli attenzione né distogliere lo sguardo dall'alce. «Tu che ne dici, Mel?» l'interrogò Sheila, dandogli di gomito. «A proposito di che?» domandò Melrose con uno sbadiglio. «Della teoria di Oliver a proposito dei due omicidi» rispose Sheila, facendo il broncio. «Non sei stato attento?» «Non faccia caso a mio nipote» disse Agatha, aggiustandosi la volpe intorno al collo. «Non ascolta mai nessuno.» Guardando la volpe, Melrose ebbe l'impressione che i suoi occhi di vetro lo guardassero implorando aiuto. Tutto sommato, l'alce e la volpe erano le uniche due cose su cui valesse la pena di concentrarsi in quel momento. Volente o nolente, non poté fare a meno di ascoltare la teoria di Oliver, che Sheila stava ripetendo apposta per lui. «Dev'essere qualcuno che ce l'ha con Long Piddleton, ritenendo che il paese gli abbia fatto dei torti, e perciò si sta vendicando.» «Non poteva limitarsi a buttare il distintivo, come ha fatto Gary Cooper?» mormorò Melrose, scrollando la cenere del sigaro. Era un appassionato dei vecchi western. Sheila lo guardò con aria perplessa e Oliver si fece serio di colpo. «Gliel'ho già detto, Sheila, non gli dia retta. Faccia finta che non ci sia» disse Agatha, ordinando un altro gin rosa. Ma Sheila non desistette. «Oliver sta scrivendo un libro, sapete? Una sorta di documentazione romanzata su questi avvenimenti.» «Quali avvenimenti?» domandò Melrose. «Questi strani omicidi, intendo.»
«Meglio non aggiungere altro Sheila» l'interruppe Darrington. «Sai che non amo parlare dei libri che sto scrivendo.» Agatha era scura in volto. A Long Piddleton Oliver era il suo maggior rivale, avendo riscosso un certo successo con la pubblicazione di alcuni romanzi gialli. Con sua grande gioia, la fama di Oliver era andata calando dall'uscita dell'ultimo libro. «Chi è stato a dire che, se voleva leggere un buon libro, doveva scriversene uno?» domandò Oliver. "Probabilmente tu" pensò Melrose, tornando a concentrarsi sulla testa dell'alce. Simon Matchett si sforzava di comportarsi da perfetto padrone di casa benché, come Melrose ben sapeva, di sprezzasse Darrington. «La sua teoria è molto interessante, Oliver» osservò. «Ma in ogni caso l'assassino dev'essere uno psicopatico.» «Be', per forza, altrimenti non si sarebbe preso la briga di ficcare la testa di una vittima in un barile di birra e di piazzare l'altra al posto della statua. Il punto è che quei due poveretti erano entrambi forestieri. Quale movente poteva avere...» «Lo dite, voi, che erano forestieri» puntualizzò Melrose, stanco di sentirli sparare congetture spacciandole per fatti. Tutti gli sguardi si puntarono su di lui come se avesse tirato fuori un serpente da una cesta. «Che vuoi dire, Mel?» chiese Sheila, posando la mano su quella di Matchett. Persino lei, che non avrebbe esitato a uccidere metà della gente del paese pur di tenersi Oliver, non era del tutto indifferente al fascino di Matchett. «Probabilmente intende dire che forse a Long Piddleton qualcuno li conosceva» replicò quest'ultimo, accendendosi un sigaro. «Allora, secondo lei chi potrebbe essere stato?» domandò. «A fare cosa?» Matchett rise. «A uccidere quelle due persone. Qualcuno del paese?» Melrose si pentì di non aver tenuto la bocca chiusa, perché ora gli toccava stare al gioco. «Lei, probabilmente» disse. La battuta raggelò i presenti, che lo guardarono a bocca aperta, fermandosi con i bicchieri a mezz'aria e le sigarette penzolanti dalle labbra. L'unico a non lasciarsi impressionare fu proprio Matchett, che scoppiò in una risata. «Magnifica teoria!» esclamò. «Forse ho ucciso Small per proteggere l'onore delle nostre gentili ospiti, minacciate da quel farabutto.»
Ancora una volta Matchett dimostrava un'abilità sorprendente nel trasformare qualsiasi insulto in un complimento. «Il tuo senso dell'umorismo è semplicemente disgustoso, Melrose» lo redarguì Agatha. «Soprattutto a stomaco vuoto, cara zia» replicò il nipote, imperterrito. 6 Martedì, 22 dicembre L'ispettore capo Richard Jury e il suo compagno, il sergente Alfred Wiggins, scesero dal treno proveniente da Londra alle quattordici e cinque in una nube di vapore. Non appena la nube si fu diradata, si materializzò la figura dell'agente Pluck della stazione di polizia del Northamptonshire. «Il sovrintendente Pratt l'aspetta a Long Piddleton» annunciò Pluck, mentre caricava la valigia nel portabagagli della Morris blu. «Mi ha incaricato di chiederle scusa per non essere venuto di persona.» «La ringrazio, agente. Avete qualche idea sul motivo che ha spinto l'assassino a portare il cadavere sull'orologio?» domandò mentre uscivano dalla stazione di Sidbury. «Evidentemente l'assassino è uno squilibrato.» «Forse.» Wiggins, seduto in silenzio sul sedile posteriore, diede un cenno di vita soffiandosi il naso. Stavano per immettersi in una rotonda dove il traffico era intasato. Senza darsi per vinto, Pluck s'infilò di prepotenza tra le auto, mandando quasi a sbattere una Mini Morris contro una Ford Cortina. Vedendo la luce blu sul tettuccio della sua auto, gli automobilisti si limitarono a protestare con un breve colpo di clacson. «Non è successo niente per un pelo» commentò Pluck, come se non fosse stata colpa sua. Imboccò Dorking Dean Road. Terminato il limite di velocità, pigiò l'acceleratore e superò un camion in curva, andando quasi a sbattere contro una Mercedes che proveniva dalla direzione opposta. Jury si era aggrappato al cruscotto con una tale forza che le nocche delle dita erano bianche. «Bella macchina, eh?» disse Pluck, raggiante. «L'ho comperata il mese scorso.» «Ma non credo che durerà fino al mese prossimo, agente, se insiste ad andare come un pazzo scatenato» osservò Jury, accendendosi una sigaretta. «Immagino che i giornalisti si siano buttati su questo caso come lupi fame-
lici.» «Sì, naturalmente. "Gli omicidi della locanda" li chiamano. La gente è terrorizzata. Tutti hanno paura di essere assassinati.» «Finché stanno alla larga dalle locande, non hanno nulla da temere» ribatté Jury. «Ha ragione, signore.» Fece una pausa. «Tanto varrebbe che scendessero e proseguissero a piedi, quei due della Vauxhall» protestò, riferendosi ai due occupanti dell'auto verde davanti alla loro, che andava a quaranta all'ora. Livido di rabbia, stavolta Pluck non si azzardò a sorpassarla per non rischiare di contrariare il suo superiore. Finalmente giunsero in vista di Long Piddleton. A sinistra, leggermente sopraelevate rispetto alla strada, apparvero le prime casette di arenaria, mentre sulla destra c'era un grande prato con delle mucche al pascolo, seguito da un'altra fila di case. Dall'altra parte della strada Jury vide uno stagno dove sguazzava un'anitra solitaria. Mentre svoltavano a sinistra, una donna stava uscendo da un edificio quasi completamente coperto di rampicanti. Stava infilandosi un Burberry e fissava la loro auto con tanta insistenza da far pensare a Jury che volesse chiedere un passaggio. «Probabilmente a Londra pensavate che qui dessimo i numeri, quando avete appreso i particolari sul ritrovamento dei due cadaveri» disse il sovrintendente Pratt. «All'inizio pensavo a una burla» ammise Jury, riprendendo a leggere la dichiarazione resa da Denzil Smith. «Cos'è questa storia a proposito di Ruby Judd?» Stando al vicario, la sua cameriera non era ancora tornata da Weatherington, dov'era andata a trovare i genitori. «Ruby Judd, sì. Non credo che abbia qualcosa a che fare con gli omicidi. La verità è che quella benedetta ragazza tende a prolungare le vacanze più del dovuto. C'è sempre qualcuno che le ronza intorno, sa com'è...» «Capisco, ma qui c'è scritto che i suoi genitori non l'hanno neanche vista. Non è ancora ricomparsa?» «Credo di no» rispose Pratt. «Avrà detto una bugia al vicario, facendogli credere che andava a casa dei suoi, mentre invece aveva tutt'altro per la mente. Non conosco la ragazza, ma...» «Io invece sì» intervenne Pluck con un sorrisetto malizioso. «Credo che il sovrintendente abbia ragione, ispettore.» «Bene» mormorò Jury, che però non era altrettanto tranquillo. La ragazza mancava da una settimana. «Che potete dirmi sul conto di Small?»
Pratt scosse la testa. «Ancora niente. Small è arrivato a Sidbury in treno e da lì ha preso l'autobus che passa da Dorking Dean Road. Il capostazione si è ricordato vagamente di lui, quando gli abbiamo mostrato la foto. Dice che è arrivato con il treno delle undici da Londra. Siccome fa molte fermate, non abbiamo idea di dove sia salito. Comunque se veniva da Londra, ispettore...» Il sovrintendente allargò le braccia in un gesto sconsolato. «E l'altro, quell'Ainsley?» «È arrivato in automobile. Siamo riusciti a risalire al tale che gliel'ha data, a Birmingham. Sa bene come vanno queste cose... Trovata l'auto, procurarsi le targhe non è difficile. Per duecento sterline, il tizio non si è fatto pregare. Comunque siamo ancora al punto di partenza. Ainsley non è sicuramente il vero nome della vittima, così come è falso l'indirizzo che gli aveva dato.» «Quindi brancoliamo ancora nel buio.» «Purtroppo sì» rispose Pratt, soffiandosi il naso. «Come lei saprà, è stato aperto un laboratorio a Weatherington. Il materiale è tutto lì, in caso possa servirle.» Jury stentava quasi a credere che, nonostante l'esperienza e i metodi scientifici impiegati dal laboratorio, non avessero cavato un ragno dal buco. «L'assassino deve pur avere lasciato qualche traccia del suo passaggio, come fili di tessuto, capelli o altro.» Pratt scosse la testa. «Sono stati trovati i capelli della cameriera e del tizio con cui Small ha bevuto qualcosa. Marshall Trueblood, se non sbaglio. Niente che possa esserci di qualche utilità. Quanto alle impronte digitali rilevate, appartengono tutte a persone che avevano dei validi motivi per entrare nelle stanze di Small e di Ainsley, come per esempio i proprietari delle due locande e le addette alle pulizie. Le uniche impronte che potrebbero rivelarsi interessanti si riferiscono a due persone che hanno cenato lì la notte in cui Small è stato ucciso. Ambedue hanno dei precedenti con la giustizia.» Pratt recuperò la cartelletta che aveva consegnato a Jury e si sistemò gli occhiali sul naso. «I nomi di queste due persone sono Marshall Trueblood, a cui le ho già accennato, e Sheila Hogg, un'attricetta di film porno.» «E di Trueblood che mi dice?» «Ha avuto dei guai per una questione di droga. Poca roba: la dava solo agli amici. Gli hanno trovato una piccola scorta nell'appartamento, nella zona di Belgravia.» Pratt aveva l'aria così stanca che Jury gli consigliò di andarsene a casa.
«Grazie, ispettore. Ho proprio bisogno di riposare un po'.» Stava ancora sfogliando i documenti della cartelletta. «Sappiamo che la firma di Small sul registro è davvero la sua perché ha firmato anche l'assegno con cui ha pagato il conto e perciò possiamo confrontarle. Invece sul registro del Jack and Hammer qualcuno potrebbe aver falsificato la firma di Ainsley.» «Non credo. È lo stesso cognome che ha usato per l'auto, non è così?» «Questo è vero, ma partivo dal presupposto che l'assassino avesse agito in modo da impedirci d'identificare le vittime.» «Non ha avuto tempo di fare nulla per l'auto, probabilmente» osservò Jury, prendendo un'altra sigaretta. «Lei che ne dice?» Pratt mise i piedi sulla scrivania. «Mettiamola così: Small parte da Londra per venire qui. Forse aveva qualche problema ed è per questo che se l'è svignata. L'assassino gli dà appuntamento in questo posto sperduto, arriva dopo di lui e lo fa fuori alla prima occasione.» «Alla stazione di Sidbury è sceso qualcun altro?» «Parecchie persone. È una pista che stiamo seguendo.» «Dunque l'assassino sarebbe venuto per Small e poi avrebbe ucciso sia lui sia Ainsley?» domandò Jury in tono scettico. Pratt alzò una mano. «Sì, mi rendo conto che ha dell'incredibile. Può darsi che l'assassino viva qui a Long Piddleton o nelle vicinanze. Saputo dell'arrivo di Small e Ainsley, si è sentito minacciato e li ha tolti di mezzo.» Jury assentì. «Questa versione mi sembra più accettabile» ammise. «È possibile che Ainsley sia passato da Long Piddleton per caso, visto che viaggiava in auto; ma Small? Nessuno, essendo di passaggio da queste parti, si sognerebbe di saltare sull'autobus a Sidbury per venire qua.» Pratt ne convenne. «Se ne potrebbe dedurre che Small conoscesse qualcuno in paese. Non può essere altrimenti. Non è certo piovuto qui per caso. Quindi è anche lecito supporre che ci fosse un collegamento tra i due.» «Lo credo anch'io, anche perché sono stati assassinati entrambi.» Dopo che Pratt se ne fu andato, Jury rimase seduto alla scrivania a leggere le dichiarazioni dei testimoni presenti quella sera al Man with a Load of Mischief. Perse la concentrazione nel momento in cui sentì aprirsi la porta dell'anticamera. Alzò la testa e vide Pluck discutere brevemente con una signora anziana, in Burberry, che insisteva per parlare con lui. Riconobbe subito la donna che aveva notato entrando in paese. «Mi perdoni» disse Pluck «questa signora è Lady Ardry.»
«Non è necessario che si scusi, sergente» disse Agatha. «L'ispettore vorrà sicuramente parlare con me.» Si rivolse a Jury. «Ispettore Swinnerton, immagino?» «Swinnerton?» No, signora. Sono Richard Jury. Desiderava vedermi? Agatha parve delusa, ma si riprese subito. «Naturalmente, ispettore, altrimenti non avrei avuto motivo di mettermi a discutere con il suo tirapiedi» rispose. «Sono qui per parlarle. Per la precisione, dovrebbe essere lei a voler parlare con me. C'è qualcuno che possa prendere nota? La smetta di sospirare, sergente Pluck. Se lei e quel funzionario della polizia di Northampton foste un po' più in gamba, non sarebbe stato necessario scomodare Scotland Yard. E ora l'ispettore vorrà sentire la mia testimonianza, suppongo.» Jury pregò Pluck di chiamare Wiggins perché prendesse appunti. Si sentiva un po' in imbarazzo, come se avesse ricevuto un rimprovero da una vecchia zia. «La prego, cominci pure, Lady Ardry.» Dopo essersi seduta, Agatha si lisciò la gonna e si schiarì la voce. «Sono stata io a trovare il cadavere, insieme con quella ragazza, Daphne Murch.» Da come pronunciava il nome, si sarebbe detto che la ragazza fosse sorda, cieca e muta. «Stavo per andare alla toeletta, quando l'ho vista salire dalla cantina urlando, bianca come un lenzuolo e completamente fuori di sé. Si è accasciata su una sedia, bofonchiando qualcosa e indicando le scale e allora ho preso la situazione in pugno, mentre tutti gli altri si agitavano inutilmente intorno a lei, nel tentativo di calmarla. Così sono scesa e ho trovato Small, in una puzza di birra nauseante...» «L'ha riconosciuto?» «Assolutamente no: aveva la testa dentro un barile. L'ho lasciato dov'era, senza toccare nulla. So come ci si comporta in questi casi. Dopo tutto, ho una certa esperienza...» Dopo essere entrato, Wiggins si sedette, mise in bocca una pillola bicolore e l'ingoiò con una sorsata di tè. «Continui, Lady Ardry» disse Jury con un sorriso. Aveva letto la testimonianza dell'anziana signora e perciò sapeva già tutto, tranne il dettaglio della crisi isterica della cameriera e dell'autocontrollo di Lady Ardry, di cui peraltro dubitava fortemente. «Poi che cos'ha fatto?» «Ho cercato di memorizzare tutti i particolari, ritenendo che potesse essere utile in seguito» rispose Agatha, raddrizzando le spalle e appoggiando il mento al pomo del bastone. «Essendo una scrittrice» aggiunse «possiedo uno spiccato spirito d'osservazione. L'uomo era piuttosto mingherlino, di-
rei, anche se non era facile stabilirlo, data la posizione in cui si trovava. È stato strangolato, vero?» domandò, portandosi le mani al collo e facendo l'atto di staccarselo dalla testa. «Aveva un vestito pied-de-poule stile allibratore, peggiorato dal fatto che puzzava di birra.» Sorrise, compiaciuta della sua descrizione. «Dopo essermi guardata intorno attentamente, sono tornata con gli altri.» «Vale a dire in sala da pranzo, vero? Se non sbaglio c'era parecchia gente. Potrebbe farmi una descrizione approssimativa dei presenti?» Era esattamente ciò che Agatha desiderava. Avvicinata la sedia alla scrivania, pescò alcuni fogli dalla borsetta. «Ho preso qualche appunto.» Si aggiustò gli occhiali sul naso. «Dunque, oltre a me e ai camerieri, cioè la Murch e Twig, una ragazzotta stupida e un vecchio rimbambito, che a mio avviso non è da prendere in considerazione come sospetto, c'era mio nipote, Melrose Plant, che abita ad Ardry End. Immagino che lei abbia sentito parlare della mia famiglia, discendente dal barone Mountardry di Swaledale, vissuto nel Seicento, e da Ardry-Plant (abbreviato in Plant, di cui mio nipote porta il nome), marchese di Ayreshire e Blythedale, visconte di Nithorwold, Ross e Cromarty. Il padre di Melrose era l'ottavo conte di Caverness, sposato con Lady Patricia-Marjorie Mountardry, seconda figlia del terzo conte di Farquhar. Suo padre era il comandante di squadriglia Clive d'Ardry De Knopf, quarto visconte di...» «Mi si stanno confondendo le idee, Lady Ardry» l'interruppe Jury. «Certo, è una genealogia importante, ma tutti quei nomi mi fanno girare la testa.» Agatha accennò di sì con il capo. «Ha ragione. Mio nipote ha ricevuto i titoli nobiliari praticamente su un vassoio d'argento, senza alzare un dito. E lui ha avuto la brillante idea di restituirli.» «Restituirli?» «Ha rinunciato. Immagino che per farlo avrà firmato qualche documento. Non so bene come vanno queste cose.» «Be', è raro che qualcuno faccia una scelta del genere. Quali ragioni ha addotto?» «Oh, sostiene che gli seccava andare a Londra e sedere alla Camera dei Lord, come avrebbe dovuto fare, lasciando la casa in balia di eventuali ladri. Mi sono offerta di badare ad Ardry End in sua assenza, ma lui ha detto... Mah, non ricordo che cosa mi abbia risposto. Di sicuro qualche stupidaggine. Fa dei discorsi talmente strampalati...» Abbassò la voce. «A volte mi viene da pensare che sia pazzo.» Agitò il bastone, come per scacciare
l'immagine del nipote. «Comunque adesso è diventato Melrose Plant, semplicemente.» «Che mi dice degli altri?» «C'erano Oliver Darrington e Sheila Hogg...» «Darrington? Il nome non mi giunge nuovo. È forse lo scrittore di romanzi gialli?» «Romanzetti, per meglio dire. Sheila, la sua segretaria, non è altro che un'arrivista che si spaccia per intellettuale e sfoggia scollature vertiginose e unghie laccate di rosso sangue. Dice di essere la sua segretaria, ma mi piacerebbe sapere quando mai si siede alla macchina per scrivere. Vive Con lui.» Agatha fece una smorfia di disprezzo. «Poi c'era Vivian Rivington, una poetessa. Un tipo un po' legnoso, insignificante, che indossa lunghi pullover e tiene sempre le mani affondate nelle tasche. Repressa sessualmente, oserei dire. Spesso le acque chete sono proprio le persone più sospette, non trova? Ha un debole per Melrose, anche se tutti dicono che sta per sposare Simon Matchett, il proprietario del Man with a Load of Mischief. Una cara persona, Simon. Pare che siano quasi fidanzati, ma io non ne sono molto convinta. Vivian non è il tipo di donna che possa piacere a Simon, e neppure a Melrose, se è per questo. Per la verità non saprei proprio a chi potrebbe piacere.» «Dov'era il signor Matchett quando lei ha trovato il corpo?» «Di sopra con gli altri. Quando la Murch è salita dalla cantina gridando, anche lui si è precipitato giù, dopo di me, naturalmente. Può intuire la sua reazione, nel trovare uno degli ospiti assassinato.» «Certo, immagino. Erano presenti altre persone?» «C'era Isabel Rivington, la sorellastra di Vivian. Ha una quindicina d'anni più di lei, ma sembra più giovane. O forse è Vivian che dimostra più della sua età. È un tipo pallido e smunto, con la faccia da topo. La vedrà. Isabel si prende cura della sorellastra fin da quando era piccola e ne amministra le proprietà; ma i soldi sono di Vivian. Ne entrerà in possesso quando avrà trent'anni o quando si sarà sposata. Non so a quanto possa ammontare...» Fece una pausa, come se sperasse che l'ispettore potesse colmare la sua lacuna. «Comunque è un'ereditiera, o almeno lo diventerà quando prenderà marito. A mio avviso farebbe meglio a sbrigarsi, non le pare? Gli uomini non sono mai attratti da quel genere di donna, se non per il denaro. Suo padre è morto in un incidente. Il padre di Vivian, intendo. Lei non ama parlarne. Credo che la disgrazia l'abbia segnata al punto da sconvolgerle la mente.»
«C'erano altre persone?» «Lorraine e Willie Bicester-Strachan. Di quei due non si può certo dire che siano una coppia ideale. Willie avrà cent'anni più della moglie ed è noioso da morire. Trascorre la maggior parte del tempo in compagnia del vicario. Leggono vecchi libri insieme e fanno lunghe dissertazioni sulla storia locale. Già, quella sera ha cenato lì anche il vicario. Francamente le dirò che, secondo me, chi indossa l'abito talare dovrebbe moderarsi un po' con il vino, anche in occasione delle feste. Non crede anche lei? Il vicario è la nostra spina nel fianco, con la sua mania di ficcare il naso dappertutto. La storia del paese è il suo hobby. Be', credo che non ci sia altro.» Si batté una mano sul ginocchio. «Oh, santo cielo, no. Come ho fatto a dimenticarmi del nostro buon antiquario, Marshall Trueblood, che tutti noi chiamiamo la cara Marsha? Un tipo particolare, che ama le camicie rosa e porta occhiali colorati.» «Capisco. Dunque, stando a quanto mi risulta, la serratura della porta della cantina è stata forzata. Per caso l'ha notato?» Agatha rifletté un istante. «Avrei dovuto» rispose, mantenendosi sul vago. Jury non insistette. «William Small è entrato in sala da pranzo quando voi eravate già seduti a tavola, vero?» «Mi pare di ricordare di averlo visto. Se non sbaglio qualcuno, forse Marshall Trueblood, gli ha offerto da bere.» «Ricorda che ora fosse?» Agatha esitava, guardando Jury come se sperasse che le suggerisse la risposta. «Non esattamente. Non avevamo ancora iniziato a mangiare, questo è certo. Quindi dovevano essere circa le nove. Avevo un terribile appetito. Come antipasto ho ordinato dei gamberetti. Non erano freschissimi ma...» «Non ha rivisto Small se non più tardi, nella cantina?» «No, nessuno di noi» Agatha si affrettò a rispondere. «Forse era salito nella sua stanza. A proposito, a un certo punto Marshall Trueblood ha insinuato che Small fosse un po' brillo...» «Forse il signor Trueblood potrà dirmi qualcosa di più preciso in merito.» Jury dubitava che la mente di Lady Ardry avesse registrato ciò che era accaduto prima del ritrovamento del cadavere. Cambiò discorso. «Che cosa può dirmi sul conto di Ainsley, l'altra vittima?» «Ah, quello!» esclamò Agatha, dando l'impressione di considerarlo di
secondaria importanza, dal momento che non era stata lei a rinvenire il corpo. «Lei si trovava al Jack and Hammer, quella sera?» «No. Ero passata nel pomeriggio a scambiare due parole con Scroggs.» «Dunque non può dirmi nulla, riguardo a questo secondo caso?» «No» ammise Agatha a malincuore. «La ringrazio, Lady Ardry» disse Jury alzandosi, mentre Wiggins chiudeva il taccuino. Pluck gli versò il tè. «La prego di perdonarmi, Lady Ardry, per non averci pensato» disse Jury. «Ne gradisce una tazza?» «Non importa» rispose Agatha, lisciandosi la gonna e piantando il bastone davanti a sé. «Non ho tempo da perdere, dopo quello che è successo. Posso sapere dove alloggia, ispettore?» «Le ho prenotato una stanza al Load of Mischief, signore» l'informò il sergente Pluck, intento ad aprire una confezione di biscotti. «Ho pensato che le avrebbe fatto piacere trovarsi sul posto.» «Vorrei parlare un attimo con lei in privato» disse Agatha, mentre Jury l'accompagnava alla porta. «Sì, certo» replicò il poliziotto, fermandosi in fondo all'anticamera. «Vorrei sapere se intende parlare di questa storia con mio nipote, Melrose Plant.» «Interrogherò tutte le persone che erano presenti quella sera.» «L'immaginavo. Tanto vale parlare chiaro. Deve sapere che tra noi due non corre buon sangue.» «Significa che probabilmente suo nipote tenterà di coinvolgerla nella faccenda?» Agatha si strinse il bastone al petto. «Coinvolgere me? Come potrebbe?» «Pensavo che...» «Se osasse fare una cosa simile, se solo provasse a stravolgere i fatti...» Non terminò la frase, limitandosi ad agitare il bastone con aria minacciosa. «A Long Piddleton tutti lo ritengono estremamente intelligente. Intelligente un corno! L'unica cosa che fa nella vita è gironzolare per l'università, dove tiene un corso di studi. Non riesce a tenersi un lavoro a tempo pieno. Soltanto perché è in grado di risolvere le parole crociate del "Times" in un quarto d'ora...» «Un quarto d'ora?» «Certo, se una persona non ha altro da fare che starsene seduto davanti al camino con una bottiglia di Porto, ha tutto il tempo di esercitarsi e di di-
ventare bravissimo. Ma gente come lei o come me, costretta a lavorare per vivere, non ha tempo da buttare via. Vede, deve sapere che Ardry End era mia di diritto. Mio marito, lo zio di Melrose, si sarebbe sicuramente aspettato un po' più di generosità da parte del nipote.» Siccome Jury non faceva commenti, Agatha lo prese per una manica, come se il gesto bastasse a farlo ragionare. «Il punto è...» «Capisco» la prevenne Jury. «Allude al fatto che suo nipote potrebbe dire delle cattiverie sul suo conto.» «Esattamente. Adesso che l'ho avvertita, saprà come regolarsi.» «Lo terrò presente.» «Lei sì che dimostra di avere la testa sulle spalle, ispettore» si complimentò Agatha, dandogli un colpetto sulla spalla con il pomo del bastone. «L'ho capito fin dal primo momento.» Detto questo, si avviò alla porta. Jury gliela tenne aperta. Mentre Wiggins beveva il tè in compagnia dell'agente Pluck, Jury uscì dalla stazione di polizia e si fermò qualche istante a guardarsi intorno, facendo scorrere lo sguardo su e giù per High Street, affascinato dalla fila di negozi dalle vetrine variopinte, benché i colori fossero attenuati dalla foschia. Quella sera il Jack and Hammer aveva chiuso presto. Facendosi schermo con le mani, Jury tentò di sbirciare dentro, ma non vide altro che le sagome indistinte dei tavoli e delle sedie. Fatto qualche passo avanti, si fermò di nuovo per guardare la trave su cui era stato issato il cadavere. In quel momento un tale uscì dal negozio d'antiquariato attiguo al pub. Ritenendo che fosse il proprietario, Jury si avvicinò. Il negozio si trovava in una piccola palazzina stile Reggenza, con graziose finestre a riquadri. A differenza della maggior parte delle case del paese, per fortuna questa non era stata imbiancata. «Sono l'ispettore Jury della squadra investigativa» si presentò il poliziotto. «Lei è il signor Trueblood, immagino?» «Esatto. L'avevo intuito, che lei è un funzionario di Scotland Yard. Non è spaventoso ciò che è accaduto?» «Vorrei rivolgerle qualche domanda, signor Trueblood.» «Venga, si accomodi. Ho appena messo il bollitore sul fuoco per preparare il tè. Si sieda, prego.» Gli indicò un divanetto, un po' troppo delicato per i gusti di Jury. Le gambe erano incurvate e impreziosite da foglie di acanto finemente intagliate.
«È georgiano» gli spiegò Trueblood, come se Jury intendesse acquistarlo. «Un pezzo davvero splendido. Non si preoccupi: è più solido di quanto possa sembrare.» Prese posto in una poltrona e posò le mani sulle ginocchia. Indossava una camicia verde acqua e aveva gli occhiali colorati, proprio come aveva detto Lady Ardry. Jury prese il pacchetto delle sigarette e si guardò intorno. Per quanto opinabili potessero essere i gusti di Trueblood in fatto di amanti, per quanto riguardava i mobili il suo buongusto era indiscutibile. La merce esposta nel negozio doveva valere almeno centomila sterline. «Signor Trueblood, lei si trovava al Man with a Load of Mischief, la sera in cui è stato commesso il primo delitto?» «Sì, ispettore» rispose l'antiquario, trasalendo. «Pensi che ho persino offerto da bere alla vittima» aggiunse, portandosi la mano alla fronte con aria drammatica, come se nel bicchiere ci fosse stata la cicuta. «Mi è stato riferito. Di cos'avete parlato?» Prima di rispondere, Trueblood prese fiato. «Soltanto del tempo» replicò. «Aveva nevicato per due giorni, poi nella notte aveva diluviato. Sa, le solite cose che si dicono per fare quattro chiacchiere.» «Small le è sembrato teso, preoccupato o qualcosa del genere?» «Al contrario, era contento.» «Contento?» «Sì, come se avesse appena ricevuto una buona notizia, oppure avesse vinto del denaro. "Sono felice perché ho avuto un colpo di fortuna, di quelli che capitano di rado" mi ha detto testualmente. Non ha dato altre spiegazioni.» «Questo è successo prima di cena, vero?» «Sì. Saranno state le otto, le otto e mezzo. Sì, infatti Lorraine, Lorraine Bicester-Strachan, mi ha praticamente strappato a forza dallo sgabello del bar per trascinarmi a tavola.» «Poi non l'ha più visto? Sembra che sia sparito dalla circolazione per oltre due ore.» «Credo che quel poveretto avesse bevuto troppo. Mi ha detto che sarebbe salito in camera sua. Aveva bevuto per due o tre ore di fila.» Dalla stanza sul retro giunse il fischio del bollitore. «Deve assolutamente farmi compagnia, ispettore. Ho un ottimo Darjeeling, e dei meravigliosi dolcetti che mi ha regalato un mio amico per Natale.» Si alzò e, senza attendere risposta, scomparve nell'altra stanza. «Un attimo e sarò di ritorno.» Jury ne approfittò per guardarsi di nuovo attorno. C'erano sedie Hepple-
white e Sheraton, scrittoi, cassettoni, tavolini da tè in legno pregiato, vetri istoriati, e un orologio in bronzo dorato con piastre di porcellana decorata, che probabilmente gli sarebbe costato, se avesse voluto acquistarlo, qualcosa come sei mesi di stipendio. Trueblood tornò con un vassoio d'argento su cui spiccavano tazze di porcellana finissima a forma di conchiglia, con il manico di un verde tenue. Jury, che non era abituato a certi lussi, esitava a prendere in mano la sua tazzina, temendo di romperla. Su un piattino c'erano dei pasticcini ricoperti di glassa. «Si trovava al Jack and Hammer quel venerdì sera?» domandò. «Sì, ho fatto una capatina verso le sei per bere un aperitivo.» «Non ha visto quell'Ainsley? Più tardi, intendo. Pare che sia arrivato verso le sette, sette e mezzo.» «No, non l'ho visto.» «Mi risulta che al Jack and Hammer ci sia una porta di servizio che non viene mai chiusa a chiave.» «È vero» ammise Trueblood, trasalendo di nuovo. «A volte io stesso passo di lì. Ah, capisco dove vuole arrivare. Si riferisce a Small, vero?» Non era ciò che Jury aveva in mente. «Guardò il soffitto.» Lei abita qua sopra? «No, ispettore. Ci sono stato per qualche tempo, ma poi ho dovuto rinunciare. Troppo rumoroso, con il pub qui a fianco.» «Perciò non ha visto né udito nulla?» «No» rispose l'antiquario, staccando la tazzina dalla bocca. «Ora dove abita?» «Ho una villetta vicino alla piazza, oltre il ponte. Si riconosce subito perché ha un muro storto.» «Prima viveva a Londra, a Chelsea, per essere preciso» continuò Jury, dando una scorsa al rapporto di Pratt. «E aveva un negozio in Jermyn Street?» «Santo cielo, voi della polizia siete sempre così bene informati!» esclamò Trueblood, battendosi una mano sulla fronte, come se la cosa lo disturbasse. «Nessuno può nascondervi nulla del proprio passato.» «Il Northamptonshire non è un luogo un po' troppo sperduto?» domandò Jury. «Per una persona come me, intende?» chiese Trueblood di rimando con un sorrisetto malizioso. Jury notò che la voce era scesa di un tono, come se il suo interlocutore si
fosse innervosito o irritato, o entrambe le cose. «Ne avevo abbastanza della città» riprese l'antiquario. «Avevo sentito dire che da queste parti vivevano molte persone agiate, tra cui artisti, scrittori, eccetera.» «Con il lavoro che fa, immagino che conosca bene la gente del posto. Che cosa sa sul conto del proprietario del Man with a Load of Mischief?» «Simon Matchett è una brava persona; ma prevedo che la sua locanda, con tutto quel mogano invaso dai tarli, cadrà a pezzi molto presto. Del resto va di moda tutto ciò che è decadente. Isabel Rivington, per esempio, l'adora. Non soltanto la locanda, ma anche il proprietario.» Gli strizzò l'occhio. «Non conosco nessuno che si accontenti facilmente quanto Isabel.» Si alzò per passargli il piatto dei pasticcini e intanto guardò fuori della finestra. «Oh, guarda chi sta arrivando, agghindata come una torta nuziale.» «Chi è?» «Lorraine Bicester-Strachan» rispose Trueblood con una smorfia. «Ecco un Luigi XV.» «Allude al suo compagno oppure a lei?» domandò Jury, asciutto. L'antiquario rise di gusto. «Bella battuta. Mi riferivo a lei, ispettore. Quella donna non saprebbe distinguere una copia da un originale. È ottusa come una capra. Per nessuna ragione al mondo vorrei essere nei panni di Willie, il marito. Nemmeno se mi offrissero in cambio un Oeben originale. Anche Lorraine stravede per Matchett e va in crisi se osa guardare Vivian Rivington. Comunque gli uomini le piacciono tutti. Tranne il sottoscritto.» Si sistemò meglio gli occhiali. «Lorraine dev'essere quasi morta per il dispiacere, quando Melrose Plant l'ha mandata al diavolo. Di lui non si può certo dire che non abbia buongusto. È uno dei miei migliori clienti. Ama soprattutto lo stile regina Anna, mentre quella pazza della zia preferisce il vittoriano. È stato a casa sua? Una cosa immonda, quell'arredamento.» «Se non ho capito male, il nipote è, o per meglio dire era, Lord Ardry.» «Non ha dell'incredibile, ispettore? Rinunciare a un titolo nobiliare non è da tutti; ma del resto Melrose è sempre stato un originale.» «E di Small non sa dirmi altro?» «Temo di no. Gli ho domandato dov'era diretto e lui mi ha risposto con una risata di essere già arrivato a destinazione. Dava l'impressione di essere il tipo che campa esclusivamente scommettendo sui cavalli.» «Interessante» mormorò Jury, posando la tazza. «Grazie per avermi dedicato il suo tempo, signor Trueblood.» Si alzò. «A proposito, per caso conosce Ruby Judd, la cameriera del vicario?» Trueblood si agitò sulla sedia, come se la domanda l'avesse messo a di-
sagio. Si alzò a sua volta. «Sì, la conosco, come chiunque altro. Una ragazza che sarebbe un eufemismo definire poco seria. Tra lei e Sheila, si fanno una bella concorrenza. Ma ora basta con le malignità» concluse Trueblood, abbozzando un sorriso. «Per quale motivo mi ha chiesto di Ruby?» «Perché è sparita dalla circolazione da circa una settimana, a quanto ho saputo.» «Non mi sorprende. Pare che abbia uomini un po' ovunque. Almeno così dicono.» «Bene. Grazie ancora.» Si guardò intorno un'ultima volta. «Ha dei pezzi davvero belli nel suo negozio. Purtroppo sono ignorante in materia. Non capisco un accidente.» «Dubito che ci sia qualcosa che lei non capisca, ispettore.» Il complimento, seppure non menzognero, era comunque studiato ad arte. Jury provò uno strano senso di empatia nei confronti di Trueblood. C'era qualcosa in lui che probabilmente attraeva tanto gli uomini quanto le donne. Anche ammesso che fosse un omosessuale, erano proprio necessari i foulard di seta, gli occhiali colorati e i gesti effeminati? Jury si fermò sulla porta. «Mi piacerebbe sapere cosa intendesse dire esattamente.» «Chi?» domandò Trueblood, perplesso. «Small. "Sono arrivato a destinazione." Quindi evidentemente era qui a Long Piddleton che intendeva fermarsi.» Trueblood scoppiò in una risata. «A chi mai potrebbe venire in mente di trasferirsi qua in pieno inverno? A uno come lui, poi, un forestiero.» «Magari non lo era affatto. Ci vediamo, signor Trueblood.» Quando Jury e Wiggins arrivarono al bar del Man with a Load of Mischief, accompagnati dall'anziano cameriere, Simon Matchett stava conversando con una donna elegante, dai capelli scuri e dall'età indefinibile. Poteva avere dai trentacinque ai cinquantacinque anni. Già mentre il proprietario si presentava, Jury non dubitò minimamente che potesse piacere alle donne. Se non avesse scoperto, leggendo il rapporto di Pratt, che Simon Matchett aveva quarantatré anni, gliene avrebbe dati dieci di meno. Capelli ondulati castano chiaro, viso quadrato, bocca sottile ma ben disegnata, aspetto gradevole, lineamenti aristocratici, occhi di un azzurro intenso e uno sguardo che conquistava sicuramente le donne, dando a ciascuna di loro l'impressione di essere l'unico oggetto della sua at-
tenzione. Quel giorno l'azzurro degli occhi era messo in risalto dalla camicia dello stesso colore, aperta sul collo e con le maniche arrotolate. Quanto alla signorina Rivington, era un tipo tutt'altro che insignificante. Indossava un abito alla moda di lana azzurra, quasi dello stesso colore degli occhi di Matchett, forse per sottolineare che erano fatti l'uno per l'altra. Al collo aveva una collana d'ambra che le arrivava fin quasi alla vita. Sullo schienale dello sgabello c'era una pelliccia di visone. Dopo averla presentata come signorina Isabel Rivington, Matchett allontanò due sgabelli dal banco per far sedere i due poliziotti. «Posso offrirvi qualcosa da bere?» domandò. Wiggins, che se ne stava impalato in disparte, chiese se fosse possibile avere qualcosa di caldo, magari una tazza di tè. Si era beccato il raffreddore. Matchett si allontanò per andare a prendere da bere. «Vorrei fare un salto da lei, se possibile» disse Jury a Isabel Rivington. «Dovrà rispondere a qualche domanda.» «Be', non vedo proprio che altro ci sia da aggiungere. Ho già detto tutto ciò che sapevo al sovrintendente di polizia che mi ha interrogata.» «Me ne rendo conto, ma potrebbe aver dimenticato qualche particolare.» «Allora, perché non m'interroga adesso?» Guardò verso la porta da cui era uscito Matchett, come se le occorresse un sostegno morale; poi tornò a squadrare Jury al di sopra del bicchiere contenente chissà quale mistura infernale. Aveva gli occhi scuri sottolineati da un ombretto color lavanda e da una dose abbondante di mascara. «Adesso ho qualche domanda da rivolgere al signor Matchett» disse Jury. Isabel Rivington posò il bicchiere e prese la pelliccia. «Ciò significa che devo andarmene, immagino?» Tornato al bar, Matchett annunciò che il cuoco stava facendo scaldare l'acqua per il tè. «Allora io me ne vado» disse Isabel Rivington, saltando giù dallo sgabello. «Ci vediamo più tardi, Simon. A meno che non vengano commessi altri omicidi» aggiunse in tono glaciale. Dopo che fu uscita, Jury chiese a Matchett di mostrargli il registro. Al 17 dicembre trovò il nome William T. Small, scritto con una grafia puerile. «È arrivato verso le tre del pomeriggio, se non ricordo male. Stavo per andare a Sidbury a comperare delle forme di formaggio, e siccome il giovedì i negozi chiudono prima, andavo di fretta.» «Le ha detto per quale motivo si è fermato qui?»
«No.» Jury ripeté i nomi di quanti si trovavano nel locale la sera del 17. «Ho dimenticato qualcuno?» «Sì, Betty Ball. È venuta a portare il dolce, verso le sei o le sette. Ha una pasticceria qui in paese. È passata dalla porta sul retro e perciò potrebbe aver notato che quella della cantina era spalancata. Ma probabilmente era ancora troppo presto.» «In ogni caso parlerò anche con lei. Wiggins!» chiamò Jury. Il sergente si era appisolato davanti al camino, proprio come il grosso cane sdraiato a pochi passi da lui. Wiggins alzò la testa di scatto e li raggiunse; poi i tre uomini andarono insieme sul retro della locanda. A destra e a sinistra della porta della cantina c'erano i bagni, contraddistinti da una figura maschile e una femminile. «Di solito la porta della cantina è chiusa a chiave?» «No. Ci capita molto spesso di dover scendere a prendere il vino o altro.» «Quindi può andarci chiunque?» «Sì, suppongo di sì» rispose Matchett, piuttosto perplesso. «Ma la serratura della porta posteriore, come ho detto alla polizia locale, è stata forzata.» Jury non fece commenti. La parte sinistra della cantina, molto spaziosa, era ingombra di casse e cianfrusaglie. A destra c'erano delle mensole divise in settori, su cui erano state sistemate file di bottiglie leggermente inclinate. La porta di comunicazione con l'esterno si trovava sul muro di fronte alle scale. Jury e Wiggins l'ispezionarono attentamente. Era una porta piccola, molto vecchia, con i cardini arrugginiti; la parte della spranga che in origine era inchiodata al montante penzolava ancora da uno dei chiodi. Dopo che Jury ebbe aperto, lui e Wiggins rimasero qualche istante a guardare i gradini di cemento coperti dalle foglie marce. Anche per una persona non particolarmente forte sarebbe stato facile forzare la serratura; ma Jury non capiva per quale motivo fosse stato necessario farlo. «Vede, ispettore, siccome la porta è rimasta a posto per tutta la giornata, mi sembra evidente che l'assassino è entrato da qui.» Jury si avvicinò alle mensole del vino. Nei corridoi tra una fila e l'altra c'erano dei grandi barili. «È questo, ispettore» l'informò Matchett. «Negli ultimi anni ho fatto qualche esperimento per produrre una birra artigianalmente, purtroppo senza risultati apprezzabili. Questo è il barile dove Daphne ha trovato il corpo penzoloni...» Matchett fece una pausa. «Qualcuno
l'ha seguito qui a Long Piddleton per ucciderlo? Aveva dei precedenti penali?» «Non abbiamo ancora raccolto abbastanza elementi sul conto di Small» rispose Jury. «Stiamo ancora indagando.» «Certo, capisco» mormorò Matchett, rimettendo il coperchio al barile vuoto. «Desidera vedere qualcos'altro qui in cantina, ispettore?» «No, non credo. Vorrei parlare con la cameriera, se è possibile.» I tre uomini tornarono al piano di sopra. Twig stava mettendo in ordine il tavolo di servizio mentre Daphne Murch sistemava le posate, quando Matchett condusse Jury in sala da pranzo. «Twig, Daphne, questo signore è l'ispettore Jury, che è venuto da Londra e vorrebbe rivolgervi qualche domanda. Faccia pure con comodo, ispettore. Può trovarmi nel bar, se ha bisogno di me.» La ragazza, impallidita di colpo, si stropicciava il grembiule. Il suo nervosismo era comprensibile. «Il signor Twig, vero?» esordì Jury. «Mi chiami pure Twig» rispose il cameriere, impettito. «E la signorina Murch? Posso chiamarla Daphne?» domandò Jury con un sorriso disarmante per tranquillizzare la ragazza, che sembrava sul punto di svenire. Daphne annuì in modo quasi impercettibile. «Sono certo che avete già detto al sovrintendente tutto ciò che sapete, ma vi spiacerebbe ripetermi alcuni particolari? Forse sarebbe meglio che ci sedessimo.» Sia Twig sia Daphne guardarono il tavolo come se sedersi fosse una cosa al di sopra delle loro possibilità. Jury prese una sedia per la ragazza, che si sedette timidamente. «Twig, quella sera lei è sceso in cantina tra le otto e mezzo e le nove. Era tutto come al solito?» «Dovevano essere le otto e mezzo, signore. Non c'era niente fuori posto, come ho già detto al signor Pratt.» «La serratura della porta non era stata forzata?» Twig si grattò la zucca. «Era sicuramente chiusa, signore. Non com'è stata trovata dopo. Ma non potrei giurare che la serratura fosse ancora sana. Mi sono scervellato molto nel tentativo di ricordare.» «Molto bene. E ora, Daphne...» La ragazza trattenne il respiro, come se fosse a scuola e un insegnante
particolarmente severo stesse per interrogarla. «Si è comportata molto bene, Daphne» disse Jury. «In circostanze come queste non è facile conservare il sangue freddo.» Era esattamente il contrario di ciò che aveva detto Lady Ardry, ma Jury non le aveva creduto neppure per un istante. Twig mugugnò. La ragazza aveva ripreso un po' del suo colorito naturale. Si rivolse al collega anziano. «C'è poco da criticare, signor Twig. Non è capitato a lei di scendere giù in cantina e vedere il corpo di quel poveraccio...» Si coprì la bocca con la mano e gli occhi le si colmarono di lacrime. «Dev'essere stata un'esperienza terribile per lei.» «Oh, davvero signore! Il corpo penzolava, mezzo dentro e mezzo fuori dal barile. Quasi non credevo ai miei occhi. All'inizio ho pensato a uno scherzo, come succede spesso la notte di Guy Fawkes. Poi ho riconosciuto il signor Small, dall'abito.» «A quel punto che cos'ha fatto?» «Sono corsa su per le scale, e non appena sono arrivata di sopra ho incontrato Lady Ardry che usciva dal cesso... Oh, mi scusi, signore.» La ragazza arrossì. «Facevo fatica a parlare, con il cuore che mi batteva così forte. Mi ha domandato cos'era successo e io le ho indicato le scale. Lei è scesa e dopo un po' l'ho sentita gridare. È tornata di sopra di corsa, urlando a squarciagola, e da quel momento in poi tutti hanno cominciato ad agitarsi, come se fossero impazziti. Io sono andata in cucina e mi sono presa la testa fra le mani.» Jury le sfiorò un braccio con la mano. «La ringrazio, Daphne. Non ho altre domande.» Mentre si alzavano, pensò che probabilmente la ragazza era l'unica persona che gli aveva detto tutta la verità senza fronzoli. Matchett si materializzò sulla porta della sala da pranzo. «Ispettore, se desidera mangiare presto, sarà pronto tra pochi minuti.» Wiggins, che sentiva uno spiffero d'aria fredda salire dalla cantina, si era seduto davanti al camino, vicino al cane. «Volentieri» rispose Jury. «Vorrei anche scambiare due parole con la cuoca.» La signora Noyes non seppe fornire alcuna informazione utile. Non aveva neppure visto il signor Small; ma si era così spaventata quando aveva saputo dell'omicidio, che Matchett aveva dovuto sudare sette camicie per convincerla a restare. Jury la ringraziò e tornò al bar, dove trovò Matchett che metteva in ordine, scartando le bottiglie vuote.
«A quanto ricorda, cos'ha fatto Small quella sera?» Matchett riempì due bicchieri di whisky e intanto rifletteva. «Ha cenato verso le sette, prima che arrivassero gli altri; poi è scomparso, probabilmente in camera sua. È riapparso verso le otto, le otto e mezzo e ha bevuto qualcosa al bar. Poi non l'ho più visto in giro, o almeno non mi pare.» «Al bar c'era anche il signor Trueblood?» «Sì, e Willie Bicester-Strachan, se non sbaglio.» «Quindi l'hanno visto tutti, o almeno dovrebbero.» «Sì, credo. Ero abbastanza indaffarato e perciò non ho fatto molto caso a che mi stava intorno.» «E non erano tutti completamente sobri, immagino. In certe situazioni è più difficile ricordare.» «Devo ammettere che avevo bevuto anch'io qualche bicchiere di troppo. Sa com'è, nei giorni di festa...» «Perciò non saprebbe dirmi se qualcuno è sceso in cantina tra le nove meno un quarto, quando Twig è andato a prendere il vino, e le undici circa, quando è scesa la signorina Murch?» «No» rispose Matchett, scuotendo la testa. «Ma c'è una cosa che non capisco, ispettore.» «E cioè?» «Dalle sue domande si direbbe che sia stato qualcuno di noi ad assassinare Small, mentre in realtà nessuno lo conosceva.» «Oppure nessuno ha ammesso di conoscerlo» lo corresse Jury. Più tardi, quando Jury entrò al Jack and Hammer, Dick Scroggs stava pulendo il banco. Dopo essersi presentato, il poliziotto gli mostrò il distintivo. Si levò subito un mormorio dalla mezza dozzina di clienti sonnacchiosi che, quasi temessero di essere arrestati all'istante, si affrettarono a calarsi i berretti sugli occhi e ad abbassare la testa sui bicchieri. «Certo, signore» mormorò Scroggs, agitando nervosamente lo straccio. «Ho saputo del suo arrivo in paese e mi aspettavo che sarebbe venuto a farmi qualche domanda.» «Ed eccomi qua, signor Scroggs. Posso vedere la stanza che occupava Ainsley?» Mentre saliva le scale sconnesse, Jury sentiva calamitati su di sé gli sguardi dei presenti. Scroggs gli spiegò che gli capitava raramente di alloggiare qualcuno in una delle sue tre stanze, dato che il Jack and Hammer era più un pub che una locanda. Ainsley era capitato lì qualche giorno prima e gli aveva chiesto una camera, senza rivelargli né da dove venisse,
né quale fosse la sua destinazione. La stanza era una sorta di scatola quadrata male illuminata e arredata alla meno peggio con un letto, uno scrittoio e una poltrona malandata. Nell'armadio non c'era nulla d'interessante. La finestra era la terza delle cinque che si aprivano sulla facciata del Jack and Hammer. Scroggs si avvicinò alla porta che stava di fronte alla finestra. «Da qui si va nella stanza attigua» disse. «Le camere sono tutte collegate tra loro. Siccome non c'erano altri ospiti, Ainsley mi aveva detto che non era necessario chiuderla a chiave.» «Quindi era possibile andare da questa stanza direttamente nello stanzino dietro l'orologio, senza bisogno di uscire nel corridoio?» «Sì, naturalmente.» «Una bella comodità per l'assassino.» Entrarono nella stanza comunicante, identica alla prima se non per la disposizione dei mobili, e da lì passarono nello stanzino che fungeva da ripostiglio, ingombro di vecchie lampade, piccoli mobili, borse e giornali vecchi. La finestra a doppio battente era bassa, e si aprì non appena Jury la spinse. Appena sotto, a non più di una trentina di centimetri, c'era la trave di legno che prima sosteneva la statua di Jack. All'assassino non era stato difficile toglierla e sostituirla con il corpo della sua vittima. «Lei ha detto al sovrintendente Pratt che Ainsley è arrivato verso le sette di sera, non è vero?» «Sì, signore.» «E poi cos'ha fatto?» Scroggs si grattò la testa. «Ha chiesto quando poteva cenare, naturalmente dopo che gli ho mostrato la stanza. Dopo mangiato si è trattenuto un po' prima di tornare in camera. A quel punto dovevano essere circa le nove.» Scroggs rifletté un attimo. «Almeno, credo che sia salito in camera sua.» «Una precisazione molto interessante, signor Scroggs» osservò Jury. «Intende dire che potrebbe essere uscito dalla porta di servizio?» «Sì, è possibile. Non da quella principale, perché altrimenti l'avrei visto passare. L'altra invece» continuò, indicando il piano di sotto «è quasi sempre aperta.» «Una volta uscito, potrebbe avere incontrato qualcuno?» Scroggs annuì. «Oppure qualcuno potrebbe essere salito in camera sua senza che io lo vedessi.»
«Chi altro c'era al Jack and Hammer?» «Un'infinità di gente, quella sera.» Dopo averci pensato un momento, snocciolò gli stessi nomi delle persone presenti al Man with a Load of Mischief, con l'eccezione di Trueblood e Lady Ardry. Non che facesse molta differenza, pensò Jury. Chiunque, come aveva ammesso lo stesso Scroggs, avrebbe potuto entrare dalla porta di servizio e infilare le scale. «Certo che è strano» mormorò Scroggs, guardando fuori dalla finestra. «Portare il cadavere là fuori, come se l'assassino volesse che tutti lo vedessero. Non ha senso.» «Così sembrerebbe, ma in realtà è passato un po' di tempo prima che qualcuno lo notasse, signor Scroggs» osservò Jury. 7 Mercoledì, 23 dicembre Il mattino seguente, quando Richard Jury si svegliò nel comodo letto a colonnine, aveva ripreso a nevicare. La finestra fu la prima cosa che vide mentre si metteva seduto e allungava una mano verso la sveglia per vedere l'ora. Le otto e un quarto. Dopo essersi riadagiato sui cuscini, era rimasto qualche minuto a guardare la neve che cadeva a grandi fiocchi e poi aveva chiuso di nuovo gli occhi. Era di ottimo umore. Chiunque altro al suo posto si sarebbe autocommiserato al pensiero di trascorrere in quel modo il Natale; ma per Jury lo scenario era perfetto: una cartolina natalizia raffigurante un paesetto coperto di neve. Sceso dal letto, si avvicinò alla finestra, l'aprì e provò un brivido di freddo. Pensò a Keats che, nella locanda di Burford Bridge, scriveva: "Belle incantevoli finestre, sulla spuma affacciate / Di perigliosi mari, in magiche terre dimenticate". Di colpo Jury fu pervaso da un'ondata di malinconia. Per non lasciarsene sopraffare, si affrettò a vestirsi e andò a bussare alla porta del sergente Wiggins. A differenza di Jury, Wiggins non era affatto ansioso d'infilarsi impermeabile e stivali per fare il giro del paese. «Mi sento come se avessi la febbre, ispettore. Volevo appunto chiederle se potevo restare ancora un po' a letto e raggiungerla più tardi.» Jury sospirò. Povero Wiggins, costretto ad andare in giro con le tasche piene di pillole e pasticche! In quello stato era più d'impaccio che d'aiuto.
«Certo, fai pure. Forse un goccio di rum nel latte caldo ti aiuterà a rimetterti in sesto.» Wiggins, simile a un pupazzo di neve sotto il cumulo delle candide lenzuola e del copriletto, trasse un sospiro di sollievo. Non era da escludere che guarisse prima, se fosse stato costretto a concentrarsi sul caso, piuttosto che sulle medicine che aveva sul comodino. Jury prese una sedia, l'avvicinò al letto e si mise a cavalcioni. «Che ne pensi, Wiggins?» domandò. Wiggins stava soffiandosi il naso. «A che proposito?» domandò. «Del caso, Wiggins. E di quella cantina.» Wiggins piegò il fazzoletto e lo tenne in mano religiosamente, come se fosse stato una reliquia. «Allude alla serratura forzata? È questo che intende?» Jury annuì e rimase in silenzio, in attesa della risposta. «Mi sembra poco probabile che qualcuno sia entrato da quella porta, non ti pare?» domandò, visto che Wiggins non si decideva a parlare. «Pratt ha detto che aveva piovuto a dirotto, la notte del 17.» Wiggins s'illuminò in volto. «Infatti la scala era piena di marciume e di sporcizia, mentre dentro era tutto pulito.» «Proprio così» convenne Jury con un sorriso. Wiggins assunse un'aria compiaciuta. «Inoltre» riprese Jury, accendendosi una sigaretta «che motivo poteva avere qualcuno che veniva da fuori d'incontrarsi con Small giù in cantina? Tanto più che per entrare doveva forzare la serratura. Non sta in piedi, non trovi?» «Se l'assassino non veniva dall'esterno, allora veniva da sopra» continuò Wiggins, indicando il soffitto. «Dev'essere uno di loro.» Jury si alzò dalla sedia. «Hai ragione, Wiggins. Adesso pensa a guarire. Avrò bisogno del tuo aiuto.» Wiggins aveva l'impressione di stare già meglio quando Jury, arrivato alla porta, si voltò per salutarlo. Dopo colazione, una colazione abbondante a base di uova, salsicce e aringhe affumicate, il tutto servito da Daphne Murch, Jury uscì nel cortile, dov'era parcheggiata l'auto della polizia. La neve, che copriva ogni cosa, aveva formato un bordo bianco intorno alla piccola fontana che serviva da abbeveratoio per gli uccelli. Sulla neve erano visibili le minuscole impronte lasciate dagli scriccioli. La prima cosa da fare era restituire a Pluck la sua preziosa Morris; dopodiché avrebbe potuto godersi tranquillamente la sua passeggiata in mezzo alla neve e approfittarne per continuare le inda-
gini. Appoggiato all'auto, in attesa che si scaldasse il motore, esaminò la piantina disegnata da Pluck, in cui erano segnate le case delle persone che doveva vedere. Decise di cominciare da Darrington, in fondo al paese. Leccò via la neve che gli si era posata sulle labbra e salì in macchina. L'inverno era la sua stagione preferita. Gli piaceva più della primavera. Amava più la pioggia del sole, la foschia più del cielo limpido e sereno. Un inguaribile romantico, ecco cos'era, pensava uscendo dal cortile. Oliver Darrington abitava dall'altra parte di Long Piddleton, verso Sidbury. Dopo che Dorking Dean Road ebbe cambiato nome, diventando High Street di Long Piddleton, con le sue case e le sue botteghe colorate, Jury vide sulla destra la chiesa di St. Rules e il vicariato, passò oltre e raggiunse la piazza del paese, dove c'era il bar-pasticceria della signorina Ball, che probabilmente in quel momento era immersa nella farina fino ai gomiti. Superato il ponte, Jury vide Marshall Trueblood dietro la sua bella vetrina e ricambiò il cenno di saluto. Il Jack and Hammer era chiuso e aveva l'aspetto triste e desolato comune a tutti i pub alle undici del mattino, cioè prima dell'orario di apertura. Jury fermò l'auto davanti alla stazione di polizia e restituì le chiavi a Pluck, che era uscito di corsa, probabilmente ansioso di controllare che la Morris non avesse subito danni. «Potrà trovarmi a casa di Darrington, se avesse bisogno di me» l'informò Jury. «Ci va a piedi, ispettore?» domandò il sergente con un sorriso divertito. «Sì. Sono rimasto rinchiuso in città per troppo tempo.» Pluck non faceva già più caso a lui, intento com'era a ispezionare l'auto per accertarsi che non vi fossero graffi. Jury s'incamminò per High Street, ammirando le case i cui colori erano resi più vividi dal sole. Arrivato in fondo, verso Sidbury Road, iniziò a cantare a voce alta, così alta che la finestra di una casa si aprì e una testa si sporse, ritraendosi subito. Jury smise di cantare e la tenda si richiuse lentamente. Consultata la piantina, scoprì che in quella villetta abitava Lady Ardry. La casa di Darrington era esattamente del genere che uno scrittore danaroso avrebbe scelto: riparata da sguardi indiscreti e in stile elisabettiano. Arretrata rispetto alla strada, era protetta da filari di frassini, salici, olmi e alte siepi.
Dunque a giudicare dalla casa, il sovrintendente Bent, personaggio fisso di una serie di romanzi fortunati, gli aveva fruttato un bel po' di quattrini. Jury aveva letto il primo, Bent sulle tracce dell'assassino. Piuttosto ben congegnato, a patto che si trovasse convincente il genere di poliziotto forte, freddo e con i nervi d'acciaio. Mentre pigiava il campanello, e ne sentiva risuonare l'eco argentina nell'anticamera, Jury sperava ardentemente che Darrington non s'identificasse con il suo personaggio ed evitasse così d'imporre a tutti i costi le sue teorie agli altri. La donna che gli aprì sarebbe stata definita appetitosa da qualsiasi uomo. Un po' sfrontata, forse, visto che era andata lei ad aprire pur indossando soltanto una vestaglia rossa, che le lasciava scoperta parte della spalla. «La signora Darrington?» domandò Jury al solo scopo di osservarne la reazione. Lesse nel suo sguardo, in rapida successione, imbarazzo, irritazione e un'ombra di amarezza. Jury sapeva per esperienza che i Darrington di questo mondo sposano raramente le donne che lavorano come modelle a Londra. Questa poi era così volgare che, persino incontrandola sulla porta del n° 10 di Downing Street, molti avrebbero pensato di trovarsi nei bassifondi. «Sono Sheila Hogg. (Si pronuncia con la O lunga.) La segretaria di Oliver Darrington. Lei è della polizia, vero? Si accomodi, prego.» Gli tenne la porta aperta, ma aveva l'aria infelice. Nonostante l'apparente cortesia, s'intuiva che era contrariata. Del resto, date le circostanze, una visita da parte della polizia non faceva piacere a nessuno. Jury la seguì nel soggiorno, togliendosi l'impermeabile mentre camminava. Era una bella stanza, con uno splendido rivestimento a pannelli di legno e due comodi divani ai lati del camino. Sheila si sedette, poi si ricordò che il poliziotto era venuto per vedere Oliver e gli chiese il permesso di assentarsi un minuto. Andò ai piedi della scala e da lì gridò al padrone di casa che era arrivata la polizia. Tornata in soggiorno, tolse dei giornali dal divano e invitò Jury a sedersi accanto a lei. Sul tavolino c'erano gli avanzi della colazione. Senza eccessivo entusiasmo, Sheila chiese a Jury se gradisse una tazza di caffè. Dopo aver rifiutato, l'ispettore ritenne opportuno andare subito al sodo, prima che a Sheila venisse in mente di parlare del tempo, in mancanza di qualcosa di meglio. «A che ora siete arrivati al Man with a Load of Mischief, lei e il signor Darrington, la sera in cui Small è stato ucciso?» La giovane donna aveva preso una sigaretta dal pacchetto che stava sul tavolino e ora aspettava che Jury gliel'accendesse. Sentita la domanda, ag-
grottò le sopracciglia. «Verso le nove, mi pare, o forse le nove e mezzo. Siamo arrivati subito dopo Marshall Trueblood.» Nel piegarsi verso Jury per farsi accendere la sigaretta, la vestaglia si aprì leggermente. Come previsto, Sheila non aveva altro addosso. «Dunque, Agatha e Melrose Plant erano già lì. D'altronde, dovunque si vada, quella donna è sempre la prima ad arrivare. Si vede che ha paura di perdersi qualcosa. Come faccia Melrose a sopportarla proprio non riesco a immaginarlo. Ha la pazienza di un santo. Chissà per quale motivo non si è sposato?» Probabilmente Sheila considerava gli uomini solo come probabili mariti. Se non per se stessa, almeno per qualcun'altra. «E lei?» domandò. «Io cosa?» «È sposato?» Una voce alle spalle di Jury gli risparmiò la seccatura di rispondere. «Oh, per amor del cielo, Sheila! Non sono affari tuoi, se l'ispettore è sposato oppure no. Sono Oliver Darrington, ispettore.» Gli tese la mano, abbronzata e curatissima. Jury si alzò e gliela strinse. Il padrone di casa, visibilmente imbarazzato, si rivolse alla compagna. «Non sarebbe il caso che ti vestissi per ricevere un funzionario di Scotland Yard, Sheila?» Seduta con le gambe piegate sotto di sé, metteva in mostra buona parte delle cosce. Spense la sigaretta e tolse le gambe dal divano. «Accidenti, Oliver, il signore è un funzionario di polizia. Non è certo tipo da scandalizzarsi. Sono come i medici, abituati a vedere di tutto. Non è forse vero, ispettore?» concluse con un sorriso malizioso. Invece di rispondere, Jury le sorrise a sua volta. Sheila poteva anche essere una poco di buono, ma Darrington era un puritano e, dovendo scegliere tra i due, preferiva lei. Provava nei confronti di Darrington la stessa antipatia avvertita per Isabel Rivington. Il padrone di casa indossava una giacca rossa, dello stesso colore dei capelli, e una camicia di seta aperta sul collo con un foulard, anche questo di seta. A un tratto Jury si sentì a disagio con la sua cravatta blu, per giunta un po' storta. Darrington poteva essere definito un bell'uomo, ma il profilo era un po' troppo greco, troppo cesellato. Sembrava una statua, freddo e insensibile come la pietra. Dopo essersi versato il caffè, disse all'ispettore le stesse cose che gli avevano raccontato gli altri, probabilmente con le medesime lacune, dal momento che tutti avevano alzato un po' troppo il gomito. L'unico particolare in più consisteva nel fatto che Matchett aveva offerto lo champagne.
«Sa, per via delle feste imminenti. A volte sa essere molto generoso.» Ciò stava a significare che generalmente non lo era affatto. «Parli di Simon, vero?» s'informò Sheila, tornando in soggiorno quasi nelle stesse condizioni di prima. Invece della vestaglia ora indossava una tuta di velluto verde ugualmente rivelatrice, grazie alla lunga cerniera che le lasciava scoperto quasi tutto il seno. Dal sorriso che le aleggiava sulle labbra a Jury parve di capire che Matchett era generoso in tutti i sensi. Comunque la principale missione di Sheila nella vita doveva essere quella di accalappiare Oliver Darrington. Quest'ultimo aveva dichiarato di non aver parlato con Small e di non aver visto nessuno scendere in cantina, oltre al vecchio cameriere. «Eravamo tutte due ubriachi fradici» disse Sheila a Jury, strizzandogli l'occhio attraverso una cortina di fumo. L'ispettore notò che aveva unghie lunghissime. Non era del tutto normale, per una segretaria. «Dunque nessuno di voi due ha visto Small, dopo che vi siete seduti a tavola?» Entrambi scossero la testa. «Veramente non ricordo di averlo visto né prima né dopo» precisò Darrington. «E Ainsley?» Scrollarono di nuovo il capo. «Ma eravate presenti, la sera in cui è stato assassinato?» «Sì. Sheila se n'è andata un po' prima di me. Avevamo avuto una piccola discussione perché avevo offerto da bere a Vivian Rivington.» Darrington sorrise, compiaciuto. Un tizzone cadde sulla griglia e continuò a bruciare indisturbato. «Non dire stupidaggini» protestò debolmente Sheila. Jury ripensò a ciò che gli aveva detto Lady Ardry, per quanto poco attendibile fosse, sui rapporti che intercorrevano tra i vari personaggi. «Mi è parso di capire che il signor Matchett sia fidanzato con la signorina Vivian Rivington» disse. Darrington si affrettò a negare e contemporaneamente Sheila confermò. «Sì, correva voce che ci fosse del tenero tra loro» balbettò Darrington. «Ma Vivian non sprecherebbe certo il suo tempo per un tipo come Matchett.» «E per chi lo sprecherebbe, tesoro?» mormorò Sheila in tono glaciale. Jury provò una punta di compassione per lei. Sheila era sicuramente superficiale, ma non stupida. Darrington invece doveva essere l'una e l'altra cosa. Strano che nei suoi romanzi avesse dato vita a un personaggio azzeccato come Bent. «Ho letto il suo libro, signor Darrington» disse. «Soltanto
il primo, per la verità.» «Bent sulle tracce dell'assassino?» suggerì l'autore. «Sì, quello è forse il migliore.» Sheila distolse lo sguardo, come se qualcosa la mettesse a disagio. Jury si chiese per quale motivo preferisse non parlare dei romanzi di Darrington. Era un particolare che valeva la pena di approfondire. I suoi colleghi l'accusavano spesso di non attenersi esclusivamente ai fatti e di lavorare troppo di fantasia. D'altronde, pur ammettendo la buona fede delle persone interrogate, com'era possibile giudicare i fatti senza tenere conto che potevano essere travisati dall'interpretazione personale? Inoltre, la maggior parte delle persone aveva qualcosa da nascondere. Era quasi un vantaggio che in questo particolare gruppo di testimoni fossero stati tutti ubriachi, o almeno così sostenevano. Se non altro sapevano che la loro memoria era offuscata. Jury si accorgeva sempre di qualsiasi variazione, per quanto impercettibile, ed era sicuramente il caso di Sheila. La causa non era Vivian Rivington: quella reazione era stata provocata da semplice gelosia. C'era sotto qualcos'altro, Jury ne era certo. Guardò Sheila e la vide fissare il vuoto. «Per caso ha una copia del suo secondo romanzo?» Gli occhi di Darrington si posarono per un attimo sulla libreria di fianco alla porta, per poi allontanarsene subito. Sheila si alzò dal divano e si avvicinò al camino, evitando lo sguardo di Jury. Buttò il mozzicone della sigaretta nel fuoco e, lasciandolo di stucco, fece il gesto di lavarsi le mani. La sindrome di Lady Macbeth. Jury la conosceva bene. «Il secondo non ha avuto lo stesso successo del primo» spiegò Darrington, senza neanche fare l'atto di alzarsi per avvicinarsi alla libreria. Jury lo fece per lui e li vide tutti in fila, nelle loro copertine colorate: la serie completa del sovrintendente Bent. «Non è questo?» domandò, sfilando un volume e notando che Darrington lanciava un'occhiata a Sheila. «Me lo presta? E magari anche il terzo? Forse posso trovare qualche suggerimento utile per il caso che devo risolvere.» «Li prenda pure» rispose Darrington con un risolino affettato. Quando Jury si congedò, tirarono entrambi un sospiro di sollievo. Mentre percorreva High Street, Jury guardò la piantina che Pluck aveva disegnato per lui, concentrandosi sulla X che indicava la casa dei Rivington. Perché mai tutta quella gente non si era raccolta in un'unica casa un quarto d'ora dopo il delitto, tutti insieme nel soggiorno a sorseggiare tran-
quillamente il tè e i domestici raccolti in cucina, invece di costringerlo a infangarsi tutto per andare di casa in casa a interrogarli, quando ormai la pista era così fredda che neanche il migliore dei segugi sarebbe più riuscito a fiutarla? Per un attimo, guardando le casette di High Street, simili a tante caramelle colorate, con la neve che luccicava sui tetti, si chiese se quella vigilia di Natale non fosse capitato in un paese di fiaba. La casa dei Rivington era una palazzina in stile Tudor, dall'altra parte del ponte, nella piazza. Arrivato in fondo al ponte, Jury si accorse che in realtà le case erano due, affiancate. Quel mattino Isabel Rivington indossava un tailleur di lana cammello e una camicetta di seta bianca, ed era elegante esattamente come il giorno prima. In ogni modo Jury preferiva Sheila Hogg, se non altro perché era più effervescente. Isabel Rivington lo faceva pensare a un piranha. Prima di andarsene, avrebbe fatto bene a controllare se aveva ancora tutte le dita delle mani. «Speravo di poter parlare anche con sua sorella Vivian» disse. «È al vicariato.» «Capisco. La sera del 17, cioè quando Small è stato assassinato, ricorda di averlo visto nel bar prima di cena?» Dopo avere invitato Jury a sedersi, Isabel prese una sigaretta da un portasigarette di porcellana e inclinò la testa verso di lui per farsela accendere. Non sembrava avere fretta di rispondere. «Se era il tizio seduto di fianco a Marshall Trueblood, allora sì, l'ho visto. Ma non l'ho guardato attentamente. C'erano molte persone al bar.» «È scesa anche lei in cantina, dopo il ritrovamento del corpo?» «No» rispose Isabel, accavallando le gambe avvolte in calze di seta, su una delle quali il fuoco proiettava una fascia dorata. «Sono piuttosto codarda, in quel genere di cose.» Jury sorrise. «Non lo siamo un po' tutti? E sua sorella è scesa?» «Vivian? Be', Vivian...» Sì strinse nelle spalle, come per dire che riteneva di pessimo gusto la sua propensione a guardare i cadaveri. «Comunque non è veramente mia sorella. Siamo sorellastre.» «È lei che amministra le sue proprietà?» «Barclay's e io, ispettore. Ma questo che c'entra con il duplice omicidio?» domandò, aspettando la risposta. Jury non le diede soddisfazione. «Ne deduco che non sia libera di decidere come spendere il denaro.» Da annoiata, l'espressione di Isabel diven-
ne irritata. «Quando entrerà in possesso dei suoi soldi?» l'incalzò Jury. Isabel scrollò la cenere della sigaretta e il pesante bracciale d'oro urtò rumorosamente contro il portacenere. «Quando avrà trent'anni» rispose. «Un po' tardi, non le pare?» «Suo padre, vale a dire il mio patrigno, era un po' maschilista. Secondo lui, le donne non sanno amministrare il denaro. Comunque avrebbe potuto entrarne in possesso quando si fosse sposata, secondo i termini del testamento. Altrimenti al compimento dei trent'anni.» «Cioè fra quanto tempo?» A giudicare dal modo in cui Isabel si guardava intorno, sfuggendo al suo sguardo, Jury si rese conto di aver toccato un tasto delicato. Qualcosa in Isabel Rivington risvegliava in lui un'istintiva e immediata antipatia. In complesso era una bella donna, ma s'intuiva in lei una mollezza, una mancanza di volontà che forse la portava ad abusare degli alcolici. La pelle era ancora compatta ed elastica e le mani curate, con le unghie laccate di un rosa spento che andava di moda, così lunghe che le punte cominciavano a incurvarsi. Le sarebbe stato quasi impossibile strangolare un uomo senza lasciargli dei graffi sulla pelle. Jury si chiese com'era possibile che la sua mente riuscisse a registrare certi dettagli anche mentre parlava d'altro. Era come se la sua mente si fosse indurita, insensibile alle tragedie umane, catturando i fatti come mosche imprigionate in un pezzo d'ambra. «Vivian compirà trent'anni tra sei mesi.» «E a quel punto entrerà in possesso del suo denaro?» Seccata, Isabel spense la sigaretta con un gesto nervoso. «Dalla sua insistenza si direbbe che mi consideri una ladra.» «Davvero?» mormorò Jury con un sorrisetto innocente. «Veramente stavo solo cercando di capire come stanno le cose.» «Ancora non capisco cosa c'entri questa storia con quei due uomini che si sono fatti ammazzare.» «Da quanto tempo vive a Long Piddleton?» «Da sei anni» rispose Isabel in tono risentito, prendendo un'altra sigaretta. «E prima dove abitava?» «A Londra.» A Long Piddleton evidentemente erano confluiti molti londinesi. «Qui è un po' diverso, non trova?» «L'avevo notato» rispose Isabel, asciutta. «Il padre di Vivian, cioè il suo patrigno, era molto ricco, vero?»
Sentendo tirare in ballo un'altra volta il discorso dei soldi, Isabel girò la testa dall'altra parte e non rispose. «È morto per un incidente, se non sbaglio. Il padre di Vivian...» «Sì, quando lei aveva sette, otto anni. Ha ricevuto un calcio da un cavallo ed è morto sul colpo.» Jury notò che Isabel non aveva affatto l'aria addolorata. «E la madre?» domandò. «È morta subito dopo il parto. La mia, circa tre anni dopo aver sposato James Rivington.» «Capisco.» Jury rimase a osservarla mentre accavallava e distendeva le gambe di continuo, scuotendo spesso la sigaretta sul portacenere con evidente nervosismo. Decise di sparare a zero. «La sua sorellastra sposerà il signor Matchett, non è vero?» Sapeva perfettamente che non era così, ma la reazione non si fece attendere: Isabel s'irrigidì di colpo, poi assunse un'aria indifferente. Jury si chiese se nei confronti di Simon Matchett nutrisse un sentimento più forte della semplice amicizia. «Chi gliel'ha detto?» domandò, sforzandosi di apparire disinvolta. Jury cambiò subito discorso. «Mi parli dell'incidente che è costato la vita a James Rivington.» Sospirò, sul punto di perdere la pazienza. «È successo un'estate, in Scozia. Ero in vacanza e odiavo quei posti, il nord della Scozia, Sutherland. Un luogo isolato e ventoso, dove non c'era nulla da fare se non contare le pietre, gli alberi e i campi d'erica. Mi sembrava terra di nessuno. Non avevamo domestici, eccetto una vecchia cuoca. A loro due piaceva il posto, a Vivian e a James. Be', lei aveva un cavallo di cui andava pazza, tra i tanti che c'erano nella stalla. Una sera Vivian e suo padre ebbero una terribile discussione, e lei si arrabbiò tanto che corse fuori al buio, saltò in groppa al cavallo e lui... James, intendo, le andò dietro. Mentre gridavano, a un certo momento, il cavallo scalciò, colpendo il padre alla testa.» «Dev'essere stata traumatica per sua sorella, così giovane, una simile disgrazia, tanto più che sul cavallo c'era lei. Vivian era una ragazzina viziata oppure aveva ricevuto una rigida educazione?» «Viziata? No, non direi. Litigava spesso con James. Credo che abbia avuto una serie di bambinaie, ma comunque il padre era severo e, come le ho già detto, piuttosto maschilista. Naturalmente Vivian ha sofferto molto, tanto da farmi sospettare che...» s'interruppe e prese la sigaretta che si era quasi consumata sul portacenere di cristallo. «Da farle sospettare che...»
Isabel esalò un sottile filo di fumo. «Che la disgrazia le abbia sconvolto la mente.» Erano le identiche parole pronunciate da Lady Ardry. «Intende dire che è una psicotica?» «No, ma semplicemente che vive da reclusa. Forse lei si chiederà per quale motivo ci siamo trasferite qui da Londra. Non è stata sicuramente una mia scelta. L'unica cosa che fa Vivian è starsene seduta a scrivere poesie.» «Non è un'occupazione così rara da far pensare che la sua mente sia sconvolta, non le pare?» «Mi piacerebbe proprio sapere per quale motivo tutti tendono a difenderla, ancora prima di averla conosciuta» osservò Isabel con un sorriso tirato. Jury non replicò. «Suo padre ha lasciato qualcosa anche a lei, nel suo testamento?» Sul volto di Isabel passò un'ombra che subito si dissolse. «Ora capisco dove vuole andare a parare. Si sta chiedendo che fine farò io, il giorno in cui Vivian entrerà in possesso dei suoi soldi. L'avverto che è completamente fuori strada, se crede che mi butterà fuori a calci.» Jury la guardò un istante senza parlare, poi prese il suo taccuino e si alzò. «La ringrazio, signorina Rivington. Ora tolgo il disturbo.» Mentre Isabel l'accompagnava alla porta, Jury pensava alla Scozia e a una frase che gli aveva detto una volta un amico a proposito della qualità della luce da quelle parti. C'era qualcosa, nel suo racconto della morte di James Rivington, che suonava piuttosto nebuloso. Jury respirò a pieni polmoni l'aria fresca e osservò le impronte lasciate dai suoi stivali sulla neve; poi guardò la bianca distesa che era la piazza del paese. Mentre attraversava la strada vide due ragazzini, un maschio e una femmina, sul ponte. Avevano all'incirca otto o nove anni e si divertivano a fare palle di neve con quella che si era accumulata sul parapetto. Era un vecchio ponte di pietra grigia con due arcate semicircolari. Passandogli accanto, Jury li salutò e si chiese come sarebbe stato avere ancora la loro età, con le guance arrossate dal freddo e i capelli bagnati ritti sulla testa. Dopo una quindicina di metri si voltò e si accorse che lo seguivano. I due ragazzini si fermarono di colpo e finsero di guardare gli alberi che fiancheggiavano High Street. Jury si voltò per tornare sui suoi passi e i due ragazzi stavano per scappare via. Allora li chiamò. Evidentemente sapevano chi era. Sforzandosi di
restare serio, Jury tirò fuori il distintivo dalla tasca e glielo mostrò. «Perché mi state pedinando?» I due bambini spalancarono gli occhi e scossero energicamente la testa. Jury si schiarì la voce. «Sto per entrare in quella pasticceria a bere un caffè» disse in tono ufficiale, indicando il negozio. «Probabilmente servono anche la cioccolata. Vorrei rivolgervi alcune domande e quindi, se volete, potete venire con me.» I due ragazzini si scambiarono un'occhiata, ciascuno dei due cercando di capire le intenzioni dell'altro; dopodiché tornarono a guardare Jury con un'espressione in cui si fondevano timore, perplessità e la tentazione di accettare. Naturalmente quest'ultima ebbe la meglio. Dopo aver fatto segno di sì con la testa, lo raggiunsero e si misero al suo fianco, uno per parte. Tutte tre insieme proseguirono verso la piazza. Il bar-pasticceria Gate House era situato in una palazzina con un portico e un piccolo arco, oltre il quale si snodava la stradina che portava alla chiesa di St. Rules. Il bar si trovava sopra il livello della strada, la pasticceria sotto. Metà della piazza era delimitata da una fila di villette in legno e piastrelle, i cui piani superiori sporgevano sul marciapiede sottostante. Dalla parte opposta c'era un'altra fila di case, dove si trovavano alcuni negozi, tra cui uno di dolciumi, una merceria e l'ufficio postale. La maggior parte delle botteghe erano dall'altra parte del ponte e soltanto queste erano riuscite a infiltrarsi nella zona meno rumorosa del paese. Jury tentò d'immaginare come fosse la piazza d'estate, tutta verde con gli alberi fronzuti. Al centro c'era un piccolo stagno con le anitre. Le vedeva da lontano che si riposavano sulla riva, con il capino ripiegato sotto le ali. Aveva ripreso a nevicare un po' più forte e la piazza, luccicante di neve ancora intatta, offriva uno spettacolo incantevole. Non c'era nessun segno, nessuna impronta che la deturpasse. Arrivato al limite della piazza, Jury si fermò, pensando che non avrebbe dato buon esempio ai due ragazzini se proprio lui, un poliziotto di Scotland Yard, che avrebbe dovuto rappresentare l'ordine e la legge, avesse attraversato il parco invece di percorrere i vialetti perimetrali. Vide con la coda dell'occhio che lo sbirciavano per vedere cos'avrebbe fatto. Evidentemente anche per loro i metodi di Scotland Yard erano, e sempre sarebbero stati, indiscutibili. Jury tossicchiò, si soffiò il naso e li guardò con aria severa, «Voi due siete capaci d'identificare le impronte, le orme lasciate sulla neve?» domandò di punto in bianco. «Ne avete viste davanti al Jack and Hammer?
Impronte strane, grandi pressappoco così?» precisò, allungando un piede e posandolo sulla neve fresca, che emise un delizioso scricchiolio. I due ragazzini osservarono la grande orma lasciata dal suo stivale, poi tornarono a guardarlo e scossero la testa. A quel punto Jury pensò bene d'insegnare loro anche qualcosa di educativo. «Sapete distinguere le orme di un uomo che corre da quelle di un uomo che cammina?» Perplessi, i due bambini scossero la testa. «Siete disposti a dare una mano a Scotland Yard in questa faccenda?» I ragazzini assentirono con entusiasmo. «Benissimo. Come ti chiami?» domandò al maschietto. «James» rispose il bambino, stringendo le labbra come se si fosse lasciato sfuggire un grande segreto. «Perfetto. E tu?» La bambina non rispose. Abbassò la testa e si mise a stropicciare l'orlo del cappotto. «Mmm... Allora significa che ti chiami James anche tu. Molto bene, James e James.» Fece una pausa, in attesa che la bambina lo correggesse. La piccola tenne la testa bassa e non parlò, ma Jury la vide sorridere quasi impercettibilmente. «Ora ascoltatemi bene. Potrebbe essere molto importante per le nostre indagini. Tu, James, devi correre più in fretta che puoi fino allo stagno e fermarti lì. Tu invece, James» continuò, mettendo una mano sulla spalla della ragazzina «devi andare fino allo stagno a passo normale, descrivendo dei piccoli cerchi mentre cammini. Ogni tanto dovrai fare un giro su te stessa.» Entrambi lo guardarono in attesa di un segnale. Quando Jury fece un cenno con la testa, il maschietto sfrecciò via alla velocità della luce, sollevando spruzzi di neve dietro di sé. La bambina iniziò a camminare lentamente, appoggiando i piedi a terra con circospezione e descrivendo di tanto in tanto cerchi sempre più larghi. Jury scelse un punto dove la neve era ancora intatta e s'incamminò a sua volta, facendo più rumore possibile. Quando raggiunse lo stagno, trovò il ragazzino senza fiato mentre la bambina, a forza di girare in tondo, non era ancora arrivata. Poco dopo si unì a loro. «Perfetto!» esclamò Jury. «E ora osservate le impronte che avete lasciato: correndo, resta soltanto la traccia della prima parte del piede, cioè la punta. E ora guardate» continuò, sfiorando con un dito una delle orme lasciate dalla bambina «quando si cammina in tondo, si tende ad appoggiare
il peso del corpo sulla parte esterna del piede.» I due ragazzini annuirono con foga. «Adesso vi faccio un indovinello» riprese Jury, incamminandosi verso il lato opposto dello stagno. Le anitre non si spaventarono e rimasero ferme nella stessa posizione, la testa ripiegata sotto le ali. «Adesso arriveremo fino alla strada stando a circa un metro di distanza l'uno dall'altro, in modo che le nostre orme rimangano separate. Andiamo!» Impiegarono un paio di minuti; poi i due ragazzini si voltarono a guardarlo. Jury si sentiva al settimo cielo, come un drogato in crisi di astinenza dopo che gli è stata iniettata una dose. Si sforzò di restare serio, mentre si voltava a guardare la neve su cui avevano camminato, che ora naturalmente non era più intatta, ma piena di solchi e segni neri. Per un attimo, guardando i bambini, si dimenticò di avere proposto l'indovinello. «Immaginiamo» disse «che in questo punto, davanti a noi, ci sia un corpo.» La bambina si rifugiò dietro di lui e gli afferrò un lembo dell'impermeabile. «Ora supponiamo che le tre persone arrivate fin qui, siano poi tornate allo stagno. Come hanno fatto per evitare di lasciare impronte che vadano in quella direzione?» Era un vecchio trucco, ma Jury dubitava che i due ragazzini lo conoscessero. Però avrebbe potuto scegliere un esempio migliore, pensò, grattandosi la testa. Per quale misteriosa ragione l'indiziato avrebbe dovuto tornare allo stagno? Comunque i bambini non conoscevano la risposta. Jury si voltò e iniziò a camminare all'indietro. «Hanno fatto così» disse. Il ragazzino scoppiò a ridere. Gli mancavano diversi denti. Anche la femmina rise, ma lei si coprì la bocca con la mano. Jury alzò un dito, come un insegnante che volesse attirare l'attenzione della classe. «Ricordatevi sempre: quando viene commesso un omicidio» i due ragazzini rabbrividirono a quelle parole «troverete sempre qualcosa di strano, qualcosa d'insolito che non dovrebbe essere lì.» Quanto avrebbe voluto che fosse vero... Però la frase suonava bene. «Vi ringrazio dell'aiuto che mi avete dato. E ora entriamo nella pasticceria.» All'angolo della finestra era appeso un cartello con la scritta: STIAMO SERVENDO LA PRIMA COLAZIONE. Salendo le scale, si sentiva il profumo dei dolci appena sfornati. Dopo che si furono tolti i cappotti, da dietro una tenda sbucò una donna anziana dall'aspetto gradevole. Jury ordinò un caffè, della cioccolata calda, un piatto di biscotti, qualche fetta di torta, pane, marmellata e panna. «Oh, molto bene!» esclamò Jury, sfregandosi le mani vicino al fuoco, dopo che la cameriera li ebbe fatti accomodare davanti al caminetto. Il ra-
gazzino rideva, decisamente euforico, mentre la bambina fissava il piano lucido del tavolo, come se vi si stesse specchiando. A Jury non importava che non parlassero. Sapeva fin dall'inizio che, una volta entrati nel locale, non si sarebbero certo messi a disquisire sui misteri dell'universo. Finalmente arrivarono il caffè e il resto. C'erano panini freschi imburrati in abbondanza, sufficienti a sfamare molte più persone di loro. I due James non si fecero certo pregare per tuffarsi su quel ben di Dio. Il ragazzino teneva un panino in una mano e una fetta di torta nell'altra e li mangiava a turno; la bambina, più timidamente, piluccava le uvette dal suo dolce, guardando Jury di sottecchi. Prima che la cameriera si allontanasse, Jury le mostrò il distintivo e chiese di poter parlare con la proprietaria, la signorina Ball. L'effetto fu drammatico: la povera donna si fece paonazza e si coprì il volto con le mani, a dimostrazione del fatto che, chi più chi meno, tutti quanti hanno la coda di paglia. «Aspetti un momento, signore» disse la cameriera, andando a ritroso verso la porta. I bambini avevano quasi vuotato il piatto della torta e Jury pensò che probabilmente avrebbero fatto indigestione; ma dopo tutto erano le feste di Natale e, a giudicare da com'erano vestiti, i ragazzini non davano l'impressione di essere ricchi tanto da ricevere tutti i dolciumi che desideravano. Jury stava versandosi un'altra tazza di caffè, quando vide entrare nella sala una donna con un grembiule legato intorno alla vita: presumibilmente la signorina Ball. Arrivò quasi di corsa, come se l'attendesse da molto tempo. «L'ispettore capo Jury di New Scotland Yard, vero?» Si alzò per stringerle la mano. «E lei è la signorina Ball, immagino?» Annuì con foga, come se trovasse entusiasmante il fatto di essere la signorina Ball. «Ero giù in cucina a preparare il dolce natalizio» disse, dopo essersi seduta al tavolo. «Ho ricevuto una montagna di ordinazioni, e siccome dopodomani è Natale...» S'interruppe per guardare meglio i ragazzini. «Sono i figli dei Double!» esclamò. «Dove li ha pescati? È qui per quei due orribili delitti, vero?» chiese senza aspettare la risposta alla prima domanda. Come vergognandosi a un tratto di essersi lasciati corrompere per un po' di cioccolata calda e qualche dolce, i due bambini si scambiarono un'occhiata e schizzarono in piedi. «Dobbiamo andare» annunciò il maschietto. «Mia madre andrà su tutte le furie.» Era un lungo discorso, considerata la scarsa loquacità di James. La bambina fissava in silenzio il piatto della tor-
ta. Prima di andarsene, si avvicinò a Jury e gli pizzicò leggermente il braccio, un modo come un altro per ringraziarlo. Poi arraffò l'ultima fetta di torta e scappò via, sulle tracce del fratello che si era già incamminato. «Non l'hanno neppure ringraziata!» esclamò Betty Ball con una smorfia. «I ragazzini d'oggi...» Jury sorrise, ritenendo piuttosto buffo il concetto di giustizia degli adulti. «Signorina Ball, mi risulta che sia andata a fare una consegna alla locanda del signor Matchett, la sera in cui è stato rinvenuto il cadavere. O meglio, nel pomeriggio.» La donna accennò di sì con la testa. «Ha fatto il giro per entrare dalla porta sul retro?» «Esatto, come faccio sempre.» «Ha notato niente fuori posto, o comunque di diverso dal solito?» La signorina Ball scosse la testa. «Anche la porta della cantina era esattamente come al solito?» «Come ho già detto al sovrintendente, non ho visto luci accese in cantina.» A un tratto smise di parlare e chiamò una certa Beatrice che, spuntata fuori da dietro la tenda a fiori, risultò essere una ragazza allampanata, che masticava gomma americana. «Svelta, figliola. Versa subito dell'altro caffè all'ispettore. Non ti pago di certo per lasciarti seduta là dietro a leggere fotoromanzi.» La ragazza si avvicinò con aria annoiata. Jury lasciò che gli riempisse la tazza; ma rifiutò, incurante della sua aria offesa, di mangiare gli altri panini che la proprietaria gli offriva. «Pioveva forte, signorina Ball? Mi è stato detto che c'era il temporale.» «Proprio così. Ero inzuppata fradicia, quando sono tornata in macchina. Ha già parlato con Melrose Plant? È una persona molto intelligente, sa?» Jury rimase ad ascoltarla mentre tesseva le lodi di Plant e, notando la luce che si era accesa nei suoi occhi, si chiese se per caso nutrisse qualche speranza di far breccia nel cuore del nobile signore. Quando Jury uscì dalla pasticceria, la neve aveva già restituito alla piazza il suo bel manto immacolato. Soltanto guardando con la massima attenzione riusciva a intravedere i segni che avevano lasciato lui e i bambini, ma sarebbero stati visibili ancora per poco. Il vento era calato e ora la neve cadeva lenta, a grossi fiocchi, come al mattino. Guardò la guglia della chiesa di St. Rules e decise di rimandare la sua visita al vicario. Una passeggiata di circa un chilometro e mezzo (tanto distavano la casa dei Bicester-Strachan e Ardry End) era proprio quello che ci voleva in quel mo-
mento. Chissà quante tracce nuove avrebbe lasciato sulla neve! Superati i confini del paese, si era già in aperta campagna. Neve e ghiaccio ricoprivano le siepi sparse intorno. Se Jury fosse stato uno scrittore, probabilmente avrebbe tessuto l'elogio delle siepi inglesi, interminabili file di tassi, biancospini e faggi rossi, che ospitano i fiori più disparati, nati dai semi sospinti dall'aratro, oltre a una grande varietà di uccelli. Sospirò e, mentre camminava in mezzo alla neve, a un certo punto vide alzarsi da terra un fagiano che, spaventato dalla sua improvvisa apparizione, si allontanò in un turbinio di verdi e marroni. Jury cominciava a sentire il freddo. Sarebbe stato piacevole, pensò, arrivare a destinazione e trovare ad attenderlo il fuoco scoppiettante nel camino e un buon bicchiere di Porto. Invece fu accolto dalla voce di Lorraine Bicester-Strachan, che gli rivolse la parola dall'alto del cavallo che stava montando. «Se è venuto per la lavatrice, le dispiacerebbe fare il giro della casa ed entrare dalla porta sul retro?» Jury aveva appena posato la mano sulla maniglia, quando udì un rumore dietro l'angolo della casa. Alzò la testa e vide il cavallo avanzare tra gli alberi. Capì subito che la signora Bicester-Strachan non l'aveva scambiato affatto per il tecnico della lavatrice, anzitutto perché non aveva l'abbigliamento adatto e poi perché era arrivato a piedi. Forse ci prendeva gusto a trattare la gente dall'alto in basso. «Sono l'ispettore Richard Jury di New Scotland Yard, signora» si presentò, toccandosi il cappello in segno di saluto. «Vorrei parlare con lei e con suo marito, se possibile.» La donna smontò da cavallo, ma si guardò bene dallo scusarsi per l'equivoco. In quel momento la porta d'ingresso si aprì e Jury si trovò di fronte un uomo con i capelli bianchi. Era alto come lui, ma lo sarebbe stato ancora di più, se con l'età le spalle non si fossero incurvate. «Oh, voglia perdonarmi per averla fatta attendere. Ma vedo che ha già incontrato mia moglie.» Prese gli occhiali a stringinaso appesi a un cordoncino che aveva intorno al collo e li inforcò. Mentre Lorraine faceva le presentazioni, un giovanotto imbacuccato in indumenti pesanti e con una sciarpa al collo sbucò dietro l'angolo della casa, prese il cavallo e lo portò via. «Ieri è venuto un certo sovrintendente Pratt, della polizia di Northampton» disse Bicester-Strachan mentre Jury si toglieva l'impermeabile.
«Già, ma anch'io vorrei rivolgervi alcune domande.» Entrarono nel salotto. L'arredamento era di buon gusto, ma anonimo e freddo, più elegante che funzionale. Mentre Lorraine Bicester-Strachan si sedeva di fronte a lui, Jury si sorprese a pensare che quel genere d'arredamento le si addiceva. La giovane donna era vestita da cavallerizza, con una giacca nera di ottimo taglio e un paio di stivali lucidissimi. Quando si tolse il cappello di velluto, Jury vide che la pettinatura era impeccabile ma un po' fuori moda, ricalcando lo stile degli anni Venti. I capelli, gonfi intorno al viso, erano raccolti in una sorta di chignon in cima alla testa. Aveva la pelle liscia come l'avorio, gli occhi neri come l'onice. Sembrava una fotomodella, affascinante ma di una bellezza glaciale. «Possiamo offrire qualcosa da bere all'ispettore, cara?» domandò Willie Bicester-Strachan. «Non credo che ai funzionari di Scotland Yard sia permesso bere in servizio» disse la moglie di rimando, versandosi uno sherry da una bottiglia di cristallo. Contrariato da quei modi scostanti, Jury ebbe la tentazione di risponderle male e si trattenne a stento; ma sapeva che l'irritazione gli si leggeva negli occhi. Se c'era una cosa che non era mai riuscito a imparare alla Detective Training School, era proprio a mascherare le emozioni. Rifiutò con un sorriso la rinnovata offerta di Bicester-Strachan mentre Lorraine, tappata la bottiglia di sherry, andava a sedersi in una poltrona di velluto rosa, portando con sé il bicchiere. Distese le gambe, incrociò i piedi e rimase in quella posizione che a Jury sembrava infantile. «Veramente sarebbe ispettore capo Jury, non è vero? Non faccia il modesto» disse, alzando il bicchiere a mo' di brindisi. «Allora lei sapeva che non ero il tecnico della lavatrice» osservò. Lorraine parve leggermente in imbarazzo, ma riacquistò subito tutta la sua arroganza. «Sì, immaginavo che fosse della polizia» ammise. «Qui le notizie circolano in fretta. Solo che non è piacevole trovarsi la polizia tra i piedi ogni momento. Il sovrintendente Pratt è stato un vero strazio.» «Mi sembra più seccata che impressionata dai recenti omicidi» disse Jury in tono d'accusa. «Cosa dovrei fare? Mettermi a piangere?» replicò la padrona di casa con un'alzata di spalle. «Ma insomma, Lorraine» la rimproverò il marito, prendendo posto in una bergère vicino al caminetto. Davanti c'era un tavolino con sopra una scacchiera. Bicester-Strachan abbassò la testa, come se stesse consideran-
do una probabile mossa. «Volevo farvi qualche domanda sulle due sere in questione, quelle del 17 e del 18.» «Le dico subito che ero così sbronza da non serbare che un ricordo confuso di quanto è accaduto» dichiarò Lorraine. «Perciò non saprebbe dirmi chi c'era nella sala da pranzo tra le ventuno e le ventitré e chi invece mancava,» «Quasi non rammento di esserci stata io.» Bicester-Strachan alzò la testa. «Io ho giocato a dama con il signor Smith, il vicario» disse. «Non so cos'abbia fatto mia moglie» aggiunse seccamente. «Io sono stata con Oliver, Oliver Darrington, e poi con Melrose Plant. Ma non per molto, perché non sopporto il suo snobismo.» «Non essere ingiusta, Lorraine» la redarguì il marito. «Se giudichi Plant uno snob, significa che non hai assolutamente capito che tipo è.» Dopo essersi riempita di nuovo il bicchiere, la padrona di casa si avvicinò al caminetto, mise una mano sulla mensola e appoggiò un piede al parafiamma, in una posa studiata. «Plant rappresenta uno dei tanti anacronismi inglesi. Se avesse un monocolo, sarebbe perfetto.» «Non sono dello stesso avviso» disse Jury. «Una persona snob difficilmente avrebbe rinunciato alla cosa più preziosa che possedesse, cioè al suo titolo nobiliare.» Bicester-Strachan ridacchiò. «Vedi che l'ispettore ha capito perfettamente, Lorraine?» La moglie non si arrese. «Melrose Plant è proprio il genere di persona capace di fare una simile rinuncia, solo per dimostrare al prossimo di essere migliore dei suoi aristocratici antenati» sentenziò. «Io invece provo una grande ammirazione per lui» disse BicesterStrachan, sorridendo alla scacchiera come se avesse di fronte Melrose Plant. «In realtà è un originale. Sa cosa mi ha detto, ispettore? Che entrando alla Camera dei Lord, ogni volta aveva l'impressione di essersi imbattuto in una colonia di pinguini.» Jury sorrise, ma Lorraine non parve trovare divertente il paragone. «Ciò dimostra soltanto che ho ragione io» insistette. Era paonazza e a Jury venne spontaneo pensare che, quando una donna si accanisce tanto contro un uomo, generalmente lo fa per ripicca, non essendo riuscita a conquistarlo. «Ricorda che ora fosse, quand'era in compagnia del signor Plant?» domandò.
«Non saprei proprio. Tutti quanti continuavano a cambiare di posto e quindi non era possibile seguire gli spostamenti di ciascuno di loro. Gli unici a non muoversi sono stati mio marito e il vicario, il reverendo Denzil Smith. Anche quello è un tipo da tenere alla larga, una vera enciclopedia ambulante di banalità. Sempre informato di ciò che accade a Long Piddleton, conosce tutte le locande sparse nei dintorni e non fa che parlare della loro storia, dei loro fantasmi e degli eventuali passaggi segreti.» «Denzil è un mio amico, Lorraine» la riprese blandamente BicesterStrachan, muovendo un pezzo sulla scacchiera. «Eravate al Jack and Hammer la sera del secondo omicidio?» «Abbiamo fatto un salto lì» rispose Lorraine. «Siamo rimasti una mezz'ora.» «Non avete avuto occasione di parlare con la vittima?» «No, naturalmente.» Fece una pausa «Dev'esserci in giro qualcuno dotato di un macabro senso dell'umorismo, non trova?» «Di solito la gente non uccide per il puro gusto di farlo. Non conosceva nessuna delle due vittime, signor Bicester-Strachan?» Scosse la testa. «Che io sappia, nessuno li aveva mai visti prima, qui a Long Piddleton» rispose. «Erano perfetti sconosciuti.» «Fino a qualche tempo fa vivevate a Londra, vero?» chiese Jury, dando una scorsa alla dichiarazione rilasciata a Pratt. «Ad Hampstead, se non sbaglio?» «Sapete molte cose sul nostro conto, ispettore» interloquì Lorraine. Qualcosa nel suo tono di voce lo fece esitare. La giovane donna ne approfittò subito. «Forse sarebbe opportuno che ci facessimo assistere da un avvocato?» domandò, ironica. «Se ritiene di averne bisogno...» replicò Jury. Lorraine Bicester-Strachan posò il bicchiere con un colpo secco e incrociò le braccia sul petto, come a volersi proteggere da un attacco contro il suo onore o il suo diritto alla riservatezza. Il marito accavallò le gambe e tornò ad allungarle, in preda a un evidente nervosismo. «Ci siamo trasferiti qui perché questo paesetto sta diventando di moda. Ci abitano scrittori e artisti di vario genere. Nessuno si sognerebbe più di andare sulle Cotswolds: per quanto delizioso, ormai è démodé. Qui posso dipingere e andare a cavallo.» Indicò con un gesto vago i pessimi quadri sparsi sulle pareti, paesaggi con alberi dai rami contorti e marine dall'acqua tumultuosa. Non riusciva neppure a cogliere l'incanto della campagna oltre la finestra di casa sua. E pensare che la stessa Long Piddleton doveva esse-
re una sorta di paradiso per qualsiasi pittore. «La vita non è un po' monotona qui, rispetto a Londra?» «Ci eravamo stancati. Purtroppo non è più la stessa. Non si può camminare per Oxford Street senza incontrare miriadi di arabi e pachistani...» «Perché non dici la verità, Lorraine?» l'interruppe Bicester-Strachan, alzando la testa dalla scacchiera. «Cosa stai blaterando, Willie?» protestò la moglie, alzando la voce in modo sospetto. «Sto parlando del vero motivo per cui ci siamo trasferiti qui. Abbiamo attraversato, o meglio, io ho attraversato un brutto periodo a Londra, ispettore. Forse l'avrà già scoperto.» Guardò Jury e sorrise senza convinzione. Lorraine si alzò di scatto. «Partiti da Londra, credevo di essermi lasciata alle spalle quella vecchia storia, i fotografi, i giornalisti e tutto il resto. Invece ecco che siamo di nuovo in ballo, per colpa di quei due omicidi.» Sembrava quasi che l'assassino avesse agito per farle un dispetto. Bicester-Strachan ignorò la sua reazione e Jury capì che, nonostante l'arroganza di Lorraine e l'atteggiamento distratto e distaccato del marito, in realtà dei due era lui il più forte. «Alcuni anni fa lavoravo a Whitehall, ispettore, al ministero della Difesa. Spero che vorrà perdonarmi se preferisco evitare di scendere in particolari...» «Per amor del cielo, Willie!» l'interruppe la moglie. «È ridicolo. Che senso ha rivangare quella vecchia storia?» Bicester-Strachan fece un gesto d'impazienza. «L'ispettore rappresenta Scotland Yard, Lorraine. Usa il cervello.» Non doveva esserne particolarmente dotata, pensò Jury. «È accaduto qualcosa, vero?» «Sì, purtroppo. L'incidente non è stato reso pubblico perché ho preferito dimettermi, per evitare altra pubblicità sgradevole. Avevo commesso... Ora mi vergogno a confessarlo... Mi ero lasciato sfuggire alcune indiscrezioni che non dovevano trapelare. Per fortuna, a mia insaputa, le informazioni erano errate.» Sorrise con aria mesta. «È anche per questo che non sono stato perseguito.» «A chi aveva passato le informazioni?» «Credo che ormai non abbia più importanza, non le pare, ispettore?» Jury non voleva tormentarlo. Era già stato abbastanza difficile per lui confessargli la sua colpa. «Non saprei, signor Bicester-Strachan» rispose. In realtà era abbastanza frequente che segreti ormai quasi dimenticati for-
nissero il movente per nuovi omicidi. Si alzò. «Ora devo andare. Vi ringrazio. È possibile che debba farvi altre domande.» Bicester-Strachan si alzò e gli strinse la mano. «È una brutta faccenda» mormorò. «Sembra possibile che in un paesetto così tranquillo... Bene, arrivederci.» «Arrivederci.» «L'accompagno» si offrì Lorraine. «Dove va ora?» gli domandò quando furono davanti alla porta. «Ad Ardry End.» «Be', allora le auguro buona fortuna. Dove alloggia?» «Al Man with a Load of Mischief. Mi risulta che la signorina Vivian Rivington sia fidanzata con il proprietario» soggiunse, spiando la reazione di Lorraine. La vide irrigidirsi di colpo, come se avesse ricevuto una frustata. «Simon Matchett e Vivian? Sciocchezze!» sbottò, ma un attimo dopo la sua espressione divenne più serena. «Gliel'ha detto Agatha, vero? Il suo scopo nella vita è tenere Vivian alla larga da Melrose Plant. Per proteggere la sua supposta eredità, immagino. Si figuri: Vivian è una donna così timida da rasentare la goffaggine.» «Bene, la ringrazio ancora, signora Bicester-Strachan.» «Mi chiami pure Lorraine.» Jury si limitò a sorridere e si volse con enorme sollievo ed entusiasmo verso la bianca distesa di neve. 8 Mentre l'ispettore Jury interrogava i Bicester-Strachan, Lady Ardry beveva la tazza di tè che Ruthven le aveva portato senza eccessivo entusiasmo. La cucina di Ardry End le aveva anche fornito dei dolcetti di cui era golosa. «Spero solo che sappia fare il suo mestiere» disse, parlando per l'appunto dell'ispettore Jury, mentre Melrose Plant si versava un bicchiere di Porto. «Non è un po' presto per gli alcolici, Melrose?» «È presto per qualsiasi cosa» replicò Melrose con uno sbadiglio, tappando la bottiglia. «Comunque mi sono premurata di dare a Jury interessanti informazioni su tutti quelli che si trovavano da Matchett giovedì sera» continuò Agatha. Si era presentata al cancello alle otto e mezzo del mattino. Melrose, che era
rimasto alzato a leggere buona parte della notte, faceva fatica a tenere gli occhi aperti. Ora l'ascoltava, per così dire, con un orecchio solo; più che sufficiente per quel genere di conversazione. I dolci sparivano dal vassoio d'argento a una velocità sorprendente. Erano delle cose obbrobriose con sopra le uvette, che a Melrose sembravano mosche morte. Ciononostante aveva dato istruzioni a Ruthven di tenerne sempre qualcuno pronto per Lady Ardry, che ci contava. Ne aveva già divorati tre e stava mettendosi in bocca il quarto. Dopodiché si pulì la bocca con il tovagliolo. «Chi hai accusato, Agatha? Oltre a me, intendo?» domandò Melrose, guardando distrattamente il fuoco. Sperava che la polizia risolvesse il caso al più presto. «Accusare te? Stai scherzando? Credi che l'onore conti così poco da non impedirmi di parlar male di te, che sei un mio parente?» «Con chi te la sei presa, allora? Forse con Oliver Darrington, che rappresenta la concorrenza? Non dev'essere piacevole avere tra i piedi un altro scrittore di romanzi gialli. Anche se devo ammettere che i suoi libri non sono certo capolavori.» La seguì con lo sguardo mentre si alzava e si avvicinava al camino per esaminare un vecchio piatto di porcellana di Derby. Lo girò per verificarne il marchio. «Sei sempre stato invidioso di lui, vero Plant?» domandò Agatha, rimettendo il piatto al suo posto. «Invidioso di Darrington?» Che cosa diavolo stava rimuginando stavolta? «Per via di Sheila Hogg. Non credere che non abbia capito.» Aveva preso in mano un bicchiere di opalina Nailsea, forse nella speranza di avere la borsa abbastanza capace da contenerlo. Come mai si era ficcata in testa che avesse delle mire su Sheila? Siccome Melrose non replicava, Agatha si voltò a guardarlo, quasi volesse carpirne i segreti. «Allora è Vivian Rivington che t'interessa?» domandò, sparando un nome a caso. Se l'avesse lasciata fare, avrebbe continuato a snocciolare nomi, certa, prima o poi, di cogliere nel segno. Melrose sbadigliò di nuovo. «Hai sbirciato il mio carnet di ballo, cara zietta?» Dopo che Agatha si fu seduta di nuovo ed ebbe sistemato secondo il suo gusto i vari soprammobili d'argento disposti sul tavolo che aveva davanti, Melrose tornò alla carica. «L'ispettore aveva una sua teoria? Riguardo agli omicidi, intendo, e non su quale di quelle affascinanti signorine intendo sposare?» «Non essere presuntuoso, mio caro Plant. Le tue faccende private non
interessano a nessuno.» Prese un posacenere di Murano e lo rigirò tra le mani, come per calcolarne il peso. «Per qualche motivo che ignoro, l'ispettore Jury sta facendo un mucchio di domande sulle persone che erano presenti quella sera. Su di noi, quindi. Non capisco proprio perché perda tempo in questo modo, mentre dovrebbe mettersi a cercare quel pazzo omicida e arrestarlo prima che ci faccia fuori tutti quanti.» «Dunque, a tuo modo di vedere, l'omicida si sarebbe intrufolato in cantina, avrebbe strangolato Small, gli avrebbe ficcato la testa nel barile di birra e sarebbe sgattaiolato fuori di nuovo?» «Ovviamente» rispose Agatha, guardandolo con aria trasecolata. «Non penserai che sia stato uno dei presenti?» «Certo.» «Santo Dio, che assurdità! L'altra sera credevo che scherzassi.» Travolta dallo stupore, tentò di consolarsi mangiando un altro dolce. Ne scelse uno ricoperto di noce di cocco grattugiata. "Che cose disgustose" pensò Melrose, mettendosi comodo in poltrona, mentre l'orologio dell'anticamera batteva la mezz'ora. Accidenti, era quasi ora di pranzo e Agatha era ancora lì. Si era riproposto da tempo di non invitarla più a mangiare a casa sua. «Allora?» Sbirciandola con gli occhi semichiusi, capì dalla sua espressione che si aspettava delle scuse, dopo che aveva accusato i cari vicini di casa. Non aveva voglia di discutere con lei. «La polizia farà luce sulla vicenda, mi auguro» disse, evasivo. Lo sperava davvero. In caso contrario, Agatha si sarebbe presentata tutte le mattine all'alba, con il pretesto di metterlo al corrente degli sviluppi della situazione. «Potrebbe esserci un'altra possibilità» riprese la cara zia, sorridendo con aria sorniona. «Quale?» domandò Melrose senza un briciolo d'interesse. «Che Small non sia stato assassinato nella locanda, ma fuori, e che l'assassino l'abbia portato dentro quand'era già morto. Doveva pur metterlo da qualche parte. In realtà Small potrebbe essere stato ucciso ovunque.» «Perché?» «Come sarebbe a dire, "perché"?» «Perché mai l'assassino avrebbe dovuto portarlo al Load of Mischief? Poteva tranquillamente lasciarlo dov'era, magari in aperta campagna, se è lì che l'ha ucciso.» Agatha guardò un pasticcino alla frutta. «Perché sapeva che, così facen-
do, avrebbe depistato la polizia, inducendola a credere che il colpevole fosse uno di noi. Esattamente come pensi tu.» Sorrise con aria di trionfo e si mise in bocca anche il pasticcino. Melrose si versò dell'altro Porto. «Se la tua teoria fosse esatta, dovremmo comunque dedurre che l'assassino è di Long Piddleton. In caso contrario, come avrebbe potuto immaginare che quella sera tutti noi avremmo cenato insieme alla locanda, in modo da poterci portare in dono il suo bel cadavere?» Mentre beveva un sorso di Porto, vide Agatha stringere gli occhi con aria combattiva. Cercava il modo di vendicarsi dello smacco subito. «E allora come spieghi il secondo omicidio? Caro Plant, l'omicida dev'essere per forza uno squilibrato, altrimenti non avrebbe piazzato il corpo di Ainsley al posto della...» Melrose si sdraiò in poltrona e chiuse gli occhi, sperando che la zia capisse l'antifona. Invece niente da fare: Agatha continuò imperterrita a seccarlo con le sue stupide teorie. «Melrose!» Spalancò gli occhi. «Ti sei addormentato di nuovo mentre ti stavo parlando, vero? E qui c'è Ruthven che ha bisogno di te.» Il maggiordomo alzò gli occhi al cielo. Da anni Agatha sbagliava nel pronunciare il suo nome. Melrose sospettava che lo facesse di proposito; ma poi pensò che probabilmente Agatha aveva davvero qualche difficoltà con i nomi inglesi. «Abbiamo un problema per l'oca da cucinare a Natale, signore» disse Ruthven. «A Martha occorrono le castagne per il ripieno, ma purtroppo non se ne trovano.» Melrose ebbe un sussulto. Peccato che Ruthven avesse tirato in ballo l'oca proprio in presenza di Agatha... «Potete provare dalla signorina Ball. Di solito da lei si trova tutto quello che gli altri non hanno.» Il maggiordomo annuì e lasciò la stanza. «Oca? Si mangia l'oca? Oh, come sono contenta!» esclamò Agatha, strofinandosi le mani e già pregustando il pranzo natalizio. In effetti l'aveva sempre invitata ogni Natale; ma quell'anno sperava di cavarsela con un tacchino e di tenersi l'oca per uno spuntino a mezzanotte, annaffiato con una bottiglia di Château Haut-Brion. «Sapresti riconoscere un tacchino da un'oca? Servito a tavola con il ripieno su un bel vassoio, intendo.»
«Cosa stai blaterando, Melrose? Certo che lo distinguerei» rispose Agatha, puntando un posacenere di Limoges. «Anche se fosse un tacchino molto magro?» «Temo che ti stiano cedendo i nervi, Melrose. Dagli occhi si direbbe che hai la febbre. Forse sarebbe meglio che Ruthven...» «Possibile che tu non abbia ancora imparato a pronunciare il suo nome nel modo corretto? Ti spiacerebbe imparare? Si dice "Riwen", non "Ruthven" "Riwen".» «Allora perché si scrive "Ruthven"? In "Riwen" non si sente il "th".» «Già che ci siamo, sarà bene che impari anche "Bicester-Strachan". Come lo pronunci tu, sembra un nome composto da venti sillabe. Si legge "Bister-Stron".» Prima che Agatha potesse replicare, Ruthven era di ritorno. «In anticamera c'è un signore di Scotland Yard che desidera vederla» annunciò. «Ispettore capo Richard Jury, si chiama.» La sintassi di Ruthven, solitamente impeccabile, stavolta lasciava a desiderare; ma un certo nervosismo era comprensibile, con la polizia in casa. «Per amor del cielo, non lasciarlo lì in piedi ad aspettare. Lady Ardry se ne stava andando» disse Melrose che, all'occorrenza, sapeva cavarsela con i tiri mancini. Aiutò la zia ad alzarsi dalla poltrona, afferrò la sua borsa con l'altra mano e s'incamminò per accompagnarla alla porta. «Il mio orologio!» protestò Agatha, divincolandosi. «Ho perduto il mio orologio.» Si liberò dalla stretta e corse a frugare tra i cuscini. Melrose sospirò. Aveva perso un altro round. Mentre Agatha lanciava cuscini in salotto, Jury aspettava nell'anticamera; un nome poco adatto a designare quello splendido salone, in cui trovava posto una grande varietà di armi medievali, tra cui spade, fucili, picche e lance, tutte appese sopra le porte ad arco di legno intarsiato. Il maggiordomo ricomparve in compagnia del padrone di casa. Jury si meravigliò, trovando Lady Ardry intenta a frugare nel salotto. Non appena lo vide, Agatha gli andò incontro con la mano tesa. «Ispettore Jury, lieta di rivederla.» Mentre le stringeva la mano, osservò il padrone di casa, fermo al centro della stanza. Alto e di bell'aspetto, indossava una vestaglia di seta con disegni Liberty ed era spettinato, come se fosse stato buttato giù dal letto troppo presto. La cosa più sorprendente in lui era lo sguardo penetrante dei suoi occhi di un incredibile verde smeraldo. «Mia zia stava per andarsene, ispettore. Sono Melrose Plant.»
Mentre gli stringeva la mano, Jury notò che Lady Ardry non sembrava affatto intenzionata a togliere il disturbo. Al contrario, sembrava che avesse messo radici nel pavimento. «Forse all'ispettore interessa avere conferma della tua testimonianza» disse. «Prima di tutto, Agatha, devo darla, e per averla probabilmente l'ispettore desidera parlare con me in privato.» Lady Ardry era visibilmente contrariata. «In privato?» ripeté. «Per quale motivo. Che hai da dirgli, che le mie orecchie non possano sentire?» Melrose la prese per un braccio, le mise la borsa sotto l'ascella e la pilotò verso la porta. «Ci vediamo domattina. Ma ti prego, non venire all'alba.» Agatha stava ancora protestando, quando le venne chiusa la porta in faccia senza complimenti. Plant si rivolse a Jury. «Mi scusi, ispettore, ma mia zia è rimasta qui tre ore e non sono ancora riuscito a far colazione. Se vuole tenermi compagnia, potremo parlare mentre mangiamo.» «Veramente io l'ho già fatta, ma le tengo compagnia volentieri.» Ruthven ricomparve, prese l'ordinazione e sparì di nuovo. Melrose Plant indicò la poltrona prima occupata da Lady Ardry. «Ha preso una stanza al Man with a Load of Mischief?» Jury annuì e prese una sigaretta da una scatola di legno laccato che Plant gli porse. «Immagino che voglia farmi qualche domanda su giovedì e venerdì sera, vero? Preferisce che mi limiti a riferirle i fatti, oppure le interessano le mie impressioni?» Jury sorrise. «Preoccupiamoci prima di tutto dei fatti, sir, se non le rincresce» rispose. «Ispettore, non credo di essere più vecchio di lei, né tanto meno più saggio. Perciò lasci perdere il "sir".» Jury arrossì, intimidito dai suoi titoli, come marchese di Ayreshire, conte di Caverness e tutto il resto. «D'accordo, signor Plant. E ora, vorrei la sua opinione sugli elementi che ho raccolto finora.» Jury ripeté l'elenco delle persone presenti a cena la sera del delitto e chiese conferma sull'apparizione e la scomparsa di Small. «Sì, è esatto, a quanto ricordo. Dovevano essere le otto o le otto e mezzo, quando Small era seduto al bar con Trueblood.» «Poi non l'ha più visto in circolazione?» Melrose scosse la testa. «No, fino a quando mia zia è salita gridando...»
«Sua zia gridava?» domandò Jury, trattenendo a stento una risata. «Strillava come un'aquila. Devono averla sentita fino a Sidbury.» Melrose studiò l'espressione dell'ispettore. «Le ha forse detto di aver conservato il controllo? Non occorre che mi risponda: sono sicuro che ha avuto la faccia tosta di raccontarle una frottola. Che potrebbe crollare il mondo, ma lei resterebbe ferma e solida come una roccia.» «Mi ha detto che invece la ragazza, Daphne Murch, era fuori di sé.» «Be', è abbastanza naturale. Tutti hanno reagito come da copione, gridando, sbarrando gli occhi e schizzando dalle sedie come molle.» «A sentir lei, si direbbe che stessero recitando.» «Ammetto di essermi domandato chi di loro stesse comportandosi in modo naturale.» Jury si fermò con la sigaretta a mezz'asta. «Dunque ritiene che il colpevole fosse uno di loro?» Melrose Plant parve sorpreso. «Mi sembra ovvio. A meno che lei non condivida la teoria di zia Agatha, secondo cui l'assassino sarebbe qualcuno stile Jack lo Squartatore, oppure un forestiero che ce l'aveva con noi e voleva vendicarsi. Tutti, alla locanda, erano convinti che l'assassino fosse entrato dalla porta della cantina.» «E lei, no?» Melrose guardò l'ispettore come se si aspettasse qualcosa di meglio da Scotland, ma fosse troppo educato per dirlo. «Quasi tutti credono che Small fosse un forestiero capitato per caso a Long Piddleton, cosa assai improbabile.» «Per quale motivo, signor Plant?» «Perché per venire fin qui ha dovuto prendere un treno e un autobus. È evidente che non era di passaggio.» Entrò il maggiordomo. «Ah, è pronta la colazione» mormorò Plant. «Ho apparecchiato in sala da pranzo, signore.» Melrose si sfregò le mani. «Grazie, Ruthven. Venga, ispettore Jury.» Sotto il soffitto a volta della sala da pranzo erano appesi i ritratti degli antenati. Il più piccolo, sulla parete in fondo, raffigurava lo stesso Melrose Plant seduto a un tavolo, con un libro aperto davanti a sé. «Un po' presuntuoso, vero, farsi fare il ritratto? È stata mia madre a insistere, prima di morire. Lei è quella vestita in nero.» Il ritratto rappresentava una bella donna con un abito di velluto nero, immortalata in una posa semplice ma austera. Accanto al suo era appeso il
ritratto di un uomo tarchiato, dal volto che ispirava simpatia; era circondato da una muta di cani da caccia. Decisamente Plant assomigliava alla madre. «Evidentemente Martha credeva che mia zia si fermasse a colazione, visto che ha preparato da mangiare per una decina di persone. Vuole favorire, ispettore Jury?» Melrose alzò le campane che coprivano i vari piatti: fegatini di pollo, uova al burro cotte alla perfezione, sogliole e pane caldo. A Jury rincresceva rifiutare, quando qualcuno in paese gli offriva da bere o da mangiare. Ma stavolta non poteva proprio accettare. «No, grazie, signor Plant, ma prendo volentieri un po' di caffè. Stava dicendomi che, secondo lei, l'assassino non si sarebbe introdotto dalla porta della cantina.» «Sono sicuro che lei la pensa come me, ispettore; ma se lo desidera, le spiego perché sono giunto a questa conclusione. Se l'assassino veniva da fuori, è illogico pensare che avesse dato appuntamento alla vittima nella locanda. Anche ammesso che si fossero messi d'accordo in tal senso, cosa abbastanza inverosimile, dobbiamo tenere conto del fatto che ha dovuto forzare la serratura per entrare, mentre Small avrebbe potuto aprirgli la porta. Direi di poter escludere che l'assassino, passando per caso davanti a quella cantina, abbia visto Small attraverso la finestra e abbia esclamato: "Toh, guarda il mio acerrimo nemico!" e infine abbia scardinato la serratura per entrare e ucciderlo.» Melrose Plant scosse la testa e versò il caffè. Jury sorrise: la teoria di Plant sull'omicidio era identica alla sua. Prese le sigarette e ne offrì una al padrone di casa, che l'accettò e l'accese. «Allora, a suo parere come sono andate le cose?» Melrose si soffermò qualche istante a guardare i ritratti, prima di rispondere. «Secondo me l'omicidio non era premeditato. L'assassino si è trovato di fronte Small all'improvviso e, nel corso della serata, gli ha dato appuntamento giù in cantina. La dinamica dell'omicidio avvalora questa ipotesi. Infatti la vittima è stata strangolata con il filo di ferro di una bottiglia di vino e poi l'assassino gli ha ficcato la testa nel barile. Sa cosa penso?» «Mi dica.» «L'omicida chiacchierava con Small e intanto stappava la bottiglia. A un tratto...» Melrose si portò le mani al collo, facendo l'atto di strangolarsi. «Dopo avere ucciso la vittima, gli ha infilato la testa nel barile proprio per dare l'impressione che il delitto fosse stato commesso in modo casuale. Oppure...» «Oppure cosa?» «Be', non è da escludere che fosse premeditato, ma non volesse sembrar-
lo. Quanto alla testa di Small infilata nel barile, e al corpo di Ainsley piazzato sull'orologio al posto della statua... Sono particolari strani, troppo strani per non avere un significato preciso.» «Ritiene che l'assassino volesse attirare la nostra attenzione sul metodo per distoglierla da qualcos'altro, forse dal movente?» «Il primo omicidio potrebbe essere stato commesso per mascherare il secondo, o viceversa.» «Per confonderci le idee, insomma» disse Jury, accettando una seconda tazza di caffè. Plant era un uomo davvero intelligente. Sperava solo che non fosse lui l'assassino. «Strano!» riprese Melrose. «Small e Ainsley erano forestieri, o almeno così sembrerebbe. Nessuno li conosceva, né si conoscevano tra di loro. Purtroppo, ispettore, ciascuno dei presenti aveva l'opportunità di uccidere, ma nessuno aveva un movente. Il caso sarebbe stato molto più facile da risolvere, se la vittima fosse uno di noi.» «Per quale motivo?» «Perché di moventi ce ne sarebbero stati in abbondanza. Se fosse stato ucciso Willie Bicester-Strachan, per esempio, si sarebbe potuto sospettare di Lorraine. Se invece fosse toccato a me, lei non avrebbe avuto che l'imbarazzo della scelta, a partire da mia zia. Per Sheila Hogg, si sarebbe potuto puntare il dito su Oliver Darrington...» «Perché mai Darrington dovrebbe desiderare la morte della signorina Hogg?» «Perché allora sarebbe libero di sposare Vivian Rivington. Per il denaro, ovviamente. Sono convinto che Sheila non esiterebbe a ricattare Oliver, se dovesse allontanarsi da lei a causa di un'altra donna. Se invece la vittima fosse zia Agatha, allora i sospetti ricadrebbero sull'intero paese.» «E se fosse stata uccisa Vivian Rivington?» Melrose lo fissò qualche istante senza parlare. «Lei che cosa ne pensa?» «Non è significativo il fatto che la signorina Rivington tra sei mesi entrerà in possesso della sua eredità? Chi avrebbe qualcosa da perdere e chi da guadagnare, nel caso in cui morisse?» «Senta, il mio era soltanto un modo di giocare. Cosa c'entra l'eredità di Viv con Ainsley e Small?» «Nulla, che io sappia. Però non sarebbe la prima volta che l'assassino uccide una serie di persone per nascondere il vero movente.» «Non capisco, ispettore.» Jury preferì lasciar perdere. «La signora Bicester-Strachan mi ha detto
che è rimasto seduto vicino a lei parte della serata, quando è stato ucciso Small.» «Effettivamente ho fatto del mio meglio per resistere; ma non era che uno stratagemma per evitare compagnie peggiori, una mossa che persino un personaggio come Rommel mi avrebbe invidiato.» Melrose prese una fetta di pane tostato dal vassoio, ne addentò un angolo e rimise il resto sul piatto. «Mi piacerebbe sapere chi ha messo in giro la voce che a noi inglesi il pane tostato piace freddo.» «La signora Bicester-Strachan pare nutrire sentimenti contrastanti nei suoi confronti.» «Le garantisco che è un eufemismo» rispose Melrose con un sospiro. «No, ispettore, le assicuro che non c'è mai stato del tenero tra me e Lorraine.» «E neppure tra lei e la signorina Rivington?» «Comincia a somigliare a mia zia, lo sa? Non capisco cosa c'entri la mia vita privata con la questione di cui ci stiamo occupando.» «Be', signor Plant, se non ficcassimo il naso nelle faccende personali della gente, non riusciremmo mai a catturare i criminali, non le pare?» Melrose alzò le mani in segno di resa. «Va bene, d'accordo. Le dirò, ispettore: benché mia zia sia convinta che tutte le donne del mondo abbiano delle mire sulla mia persona, per privarla così dell'eredità che le spetterebbe di diritto, in realtà sono ben poche le fanciulle che accetterebbero di sposarmi. Ho avuto qualche storia con alcune belle donne e ho alle spalle anche un fidanzamento, che però è stato rotto dalla signorina in questione, la quale mi accusava di essere snob e indolente e forse aveva ragione. Zia Agatha è terrorizzata all'idea che una donna possa accalappiarmi (per usare una sua espressione). Invece non interesso proprio a nessuna.» Jury non ne era affatto convinto, ma cambiò discorso. «Stando alle dichiarazioni del signor Scroggs, molti di voi erano al Jack and Hammer la sera seguente, venerdì, quando è stato assassinato Ainsley.» «Esatto. Io sono arrivato verso le otto, otto e mezzo. Erano già quasi tutti lì. Vivian era seduta vicino a me. Persino Matchett è venuto a mangiare da Scroggs. Evidentemente il suo locale non piace nemmeno a lui. Comunque anche al Jack and Hammer esiste una porta di servizio, da cui sarebbe potuto entrare chiunque.» «Quindi lei sapeva della sua esistenza?» «Certo, lo sanno tutti. Perciò non le sarà di grande utilità appurare chi c'era nel locale.»
«C'è qualcosa di vero circa la possibilità che il signor Matchett e Vivian Rivington siano fidanzati?» «Non saprei, ma spero di no.» «Per quale motivo?» «Perché Matchett non mi è simpatico. Vivian è troppo in gamba per mettersi con uno come lui. Tornando all'ipotesi che l'assassino abbia agito in modo da mascherare il vero movente, vorrei sapere se lei ritiene che possa colpire ancora.» «Preferisco evitare di fare previsioni. Comunque lei stesso ha detto che a Long Piddleton ci sarebbero molti moventi per commettere un omicidio.» «Sì, ma non dicevo veramente sul serio» rispose Melrose, voltandosi a guardare la porta, da cui provenivano voci e strani rumori. Ruthven entrò. «Mi dispiace, signore. È Lady Ardry. Insiste per...» «"Mia zia"? Due volte al giorno...» Prima che potesse terminare la frase, Agatha si catapultò nella stanza, travolgendo il povero Ruthven, che non aveva fatto in tempo a scansarsi. «È possibile che voi due siate ancora qui a mangiare con calma, mentre l'intero paese è in subbuglio?» tuonò. «Il paese è in subbuglio da diversi giorni, Agatha, Come mai sei tornata?» Lady Ardry piantò il bastone davanti a sé in un gesto di sfida. «Come mai sono tornata?» ripeté con un tono di trionfo che non avrebbe saputo nascondere, neanche se l'avesse voluto. «Sono tornata per trascinare via da tavola l'ispettore Jury. Ce n'è stato un altro.» «Di cosa?» «Un altro omicidio. Al Swan.» 9 «Non appena l'ho saputo, mi sono precipitata subito da te» disse Lady Ardry dal sedile posteriore della Bentley di Plant. Melrose aveva impiegato cinque minuti a scaldare il motore, e ora stavano sfrecciando sulla strada principale del paese, che collegava Sidbury da un lato con Dorking Dean, dalla parte opposta. Jury si sforzava di stare calmo. «Mi piacerebbe proprio sapere perché Wiggins non mi ha avvertito. Avrei guadagnato tempo, come minimo la mezz'ora che le è occorsa per tornare indietro.» Agatha guardava fuori dal finestrino e canticchiava. «Forse non sapeva
come rintracciarla» replicò. Jury si voltò. «Lei però non ha avuto difficoltà, Lady Ardry» disse, asciutto. Agatha si lisciò la gonna. «Non avevo idea che si trovasse ancora a casa di Plant, a centellinare il suo caffè.» Il Swan era una locanda di campagna a circa un chilometro e mezzo da Ardry End e a diversi chilometri da Dorking Dean. Quando arrivarono, c'erano già tre auto della polizia nel piccolo parcheggio. I curiosi si erano fermati a lato della strada. Non appena la Bentley di Plant si fu arrestata, schizzando neve tutt'intorno, Wiggins si precipitò da quella parte. «Mi dispiace molto, ispettore. Ho cercato di rintracciarla, ma...» Jury lo rassicurò, dicendogli che non era colpa sua. «Mi trovavo ad Ardry End...» «Stava facendo colazione» intervenne Agatha, scendendo faticosamente dall'auto. Pratt li raggiunse. «I ragazzi hanno già quasi finito. Può muoversi liberamente. Ora devo correre a Northampton. Il capo della polizia locale è... Be', può ben immaginarlo. Wiggins la metterà al corrente di tutto.» Con un cenno di saluto Pratt salì a bordo dell'auto che si era avvicinata. Melrose si era unito a un gruppetto di persone, trascinando con sé la recalcitrante Agatha, convinta che le indagini interrotte durante la sua assenza ora, con il suo ritorno, potessero riprendere. «Pluck» chiamò Jury «faccia allontanare quella gente. Bisogna far posto all'auto del medico legale.» Tra gli adulti c'erano dei ragazzini. Jury riconobbe i fratelli Double e li salutò da lontano. I due bambini risposero al saluto. «Dov'è il corpo, Wiggins? Chi l'ha rinvenuto?» «In giardino, ispettore. L'ha trovato la signora Willypoole, la proprietaria della locanda.» Alcuni giornalisti erano riusciti a intrufolarsi. «L'assassino è uno psicopatico, ispettore?» «Non lo so. È ciò che pensate voi, stando a quanto si legge sui giornali.» «Comunque c'è un elemento ricorrente: tutti gli omicidi sono stati commessi in una locanda.» «Quando avrete scoperto cosa significa, sappiatemelo dire» concluse Jury, passando oltre. Prima di entrare, diede un'occhiata all'insegna che il vento faceva dondo-
lare. Benché fosse scolorita, era ancora visibile il disegno di un cigno con due teste voltate in direzioni opposte; ignaro della sua deformità, si lasciava cullare dall'acqua di un ruscello. Sopra il disegno spiccava la scritta SWAN WITH TWO NECKS. «Dove andranno a pescare questi nomi?» mormorò. «Come ha detto, ispettore?» chiese Wiggins, che stava soffiandosi il naso. «Mi riferivo al nome della locanda, Wiggins. Tutto qui.» Jury spinse la porta interna del bar. Dietro il banco una donna, presumibilmente la signora Willypoole, stava bevendo un sorso di gin. Quando vide Jury accennò un sorriso, brandendo la bottiglia come se fosse stato un trofeo. «È la signora Willypoole» l'informò Wiggins, «È lei che ha trovato il cadavere.» «Sono l'ispettore Jury» si presentò, mostrandole il distintivo. Un gatto rosso che dormiva sul banco aprì un occhio e, appurato che Jury aveva le carte in regola, lo richiuse con uno sbadiglio. «Desidera qualcosa da bere?» domandò la proprietaria. Jury rifiutò. «Mi scusi, sa, ma è stato uno shock tremendo. Quando sono andata là fuori e...» Tacque di colpo e si prese la testa tra le mani. «Capisco perfettamente, signora Willypoole» la rassicurò. «Vorrei prima dare un'occhiata al giardino e poi farle qualche domanda.» Ebbe l'impressione che non avesse capito e decise, per non impressionarla, di usare un tono meno formale. «Non la biasimo di certo» riprese «ma le consiglio di andarci piano, con questa.» Indicò la bottiglia. «Avrò bisogno del suo aiuto.» Le strizzò l'occhio. La signora Willypoole posò il bicchiere. «Mi chiami pure Hetta.» Pur essendo di mezza età, conservava ancora tracce del passato splendore. Con gli anni si era appesantita e aveva i capelli tinti, ma appariva evidente che non era sempre stata così. Il portamento era ancora elegante e un fruscio di seta accompagnava i suoi movimenti. Tappò la bottiglia e disse, indicando una porta: «Il giardino è da quella parte.» Faceva molto freddo. «Mi chiedo se, con questo gelo, non aveva un posto migliore per andare a bersi una birra» osservò Wiggins, guardando il corpo steso sul tavolo di ferro. Accanto al cadavere c'era una bottiglia di birra mezza vuota.
«Probabilmente doveva incontrarsi con qualcuno.» «Davvero? E con chi?» Jury lo guardò e capì dalla sua espressione che si aspettava davvero una risposta. «Mi piacerebbe proprio saperlo. Guarda un po' cosa c'è qui.» Sotto la mano della vittima c'era un libro. Dato che i ragazzi del laboratorio avevano già terminato il loro lavoro, Jury lo prese senza preoccuparsi delle impronte. «Bent sulle tracce dell'assassino» disse, leggendo il titolo. «Del caro signor Darrington.» «Una falsa pista» commentò Wiggins. «È d'accordo, ispettore?» Jury a volte restava sbalordito da certe sue osservazioni, com'era capitato anche un minuto prima. Strano, perché in alcune occasioni Wiggins aveva dimostrato di possedere buone capacità deduttive. Forse dipendeva dalle condizioni del suo naso, a seconda se era tappato oppure no. «Non mi stupirebbe» rispose. «Ora dimmi tutto.» Wiggins prese da una tasca la sua scatola di pasticche e Jury attese pazientemente che ne scartasse una e se la mettesse in bocca. «La vittima si chiamava Jubal Creed, ispettore. Sulla patente c'è scritto che vive in una cittadina dell'East Anglia che si chiama Wigglesworth, nel Cambridgeshire. La polizia di Weatherington sta cercando di rintracciare la sua famiglia. Abbiamo trovato la sua auto nel posteggio. L'hanno portata appunto a Weatherington. Si è fermato qui ieri sera, ha cenato e stamattina ha fatto colazione. La signora Willypoole dice che è uscito in giardino verso le dieci e mezzo.» Jury annuì e si mise in ginocchio per esaminare il corpo da vicino. Il segno rosso intorno al collo, la pelle bluastra e gli occhi sporgenti sotto le palpebre la dicevano lunga sulla causa della morte. La riga rossa intorno al collo, come nel caso di Small, era stata provocata da un filo di ferro che aveva inciso l'epidermide. Non doveva esserci stata una colluttazione. «Un bel lavoretto, non c'è che dire. L'assassino ha sorpreso la vittima alle spalle e gli sono bastati pochi secondi...» Jury si alzò. «Ho chiamato il sovrintendente Racer, ispettore. Spero di aver fatto bene.» «Certo. Sarà rimasto a bocca aperta.» Wiggins sorrise. «Voleva sapere perché non gli ha telefonato lei. Gli ho detto che era impegnato.» «Se Lady Ardry non si fosse ficcata in testa di venire personalmente a darmi la notizia, saresti riuscito a rintracciarmi prima. Forse bisognerebbe ripristinare l'usanza di uccidere il messaggero latore di cattive notizie.»
«Era per la strada, in bicicletta, quando qualcuno che passava in macchina l'ha informata dell'omicidio. O almeno così dice.» Jury sbuffò. «È un alibi che possiamo smontare facilmente, Wiggins.» Il poliziotto scoppiò in una risata fragorosa, tanto che dovette ricorrere allo spray nasale per non soffocare. Il poveretto soffriva d'asma. «Prima di tutto bisogna scoprire quando e perché Creed è partito dal Cambridgeshire.» Guardò più attentamente la vittima, che aveva un braccio ripiegato sotto la testa. «Wiggins, cosa diavolo è questo?» domandò, indicando un taglio sul naso, su cui c'erano tracce di sangue. Allungata una mano, gli girò leggermente il capo. Di tagli ce n'erano due, come se qualcuno l'avesse colpito due volte con la lama di un rasoio. Quasi tutto il sangue era colato sotto. I tagli non erano profondi, ma ciononostante a Jury venne la pelle d'oca. Anche stavolta l'assassino si era divertito. Doveva essere un tipo ameno. Prima che Wiggins potesse fare commenti, la porta che dava in giardino si aprì e comparve un ometto scattante che, dopo essersi presentato come il dottor Appleby, si scusò per non essere arrivato prima. Aveva anche i vivi a cui badare, disse. «Ci risiamo di nuovo!» esclamò dopo aver esaminato il corpo velocemente ma con mano esperta. «Qualcuno l'ha strangolato da dietro. La maggior parte della pressione è stata esercitata sulla laringe. Il segno intorno al collo è stato prodotto da un filo di ferro, come nei due casi precedenti. Ottimo lavoro. È il terzo, da queste parti» concluse, guardando Jury al di sopra degli occhiali e aggrottando la fronte. «Allora è sicuro?» domandò Jury, accigliato. «Perché Londra non me l'ha comunicato?» Appleby fece una smorfia. «Dopo l'autopsia sarò in grado di dirle qualcosa di più; ma non molto, se questo caso è come gli altri due. Per il momento posso soltanto aggiungere che la vittima dev'essere morta tra le nove e l'ora in cui è stato rinvenuto il cadavere. Verso mezzogiorno, se non sbaglio.» «Sappiamo che era ancora vivo alle dieci e mezzo» l'informò Jury, offrendogli una sigaretta. Appleby accettò. «Non è possibile stabilire se l'assassino fosse un uomo oppure una donna, vero?» «Assolutamente no. Tutte tre le vittime erano tutt'altro che giganti. A parte questo, non abbiamo forse appurato che le donne sono erroneamente definite sesso debole? Però il metodo usato dall'assassino per uccidere farebbe pensare che si tratti di un uomo. Generalmente le donne preferiscono ricorrere al veleno, oppure alle pistole.»
«Non sia maschilista, dottor Appleby» disse Jury con un sorriso. «Che ne pensa dei due tagli sul naso?» «Quelli sono strani» rispose il medico, sollevando leggermente il volto della vittima. «Onestamente devo ammettere che non capisco. Comunque sono recenti. Può darsi che siano opera dell'assassino.» «Non se li è fatti di sicuro radendosi.» «Bene, ora devo scappare» disse Appleby, dando un'ultima occhiata al cadavere. «La barella e il telo di gomma saranno qui tra poco. Ci vediamo, ispettore.» Se ne andò. Jury si alzò il bavero, infilò le mani in tasca e osservò la scena del delitto. Era un giardino interno, forse ricavato da un cortile. Grande circa centocinquanta metri quadrati, era lastricato solo parzialmente, dov'erano disposti i tavoli, mentre intorno era rimasto il prato. A sinistra c'era un fabbricato un tempo occupato dalle stalle, in seguito rimodernato per far posto ai servizi. I muri di cinta sugli altri tre lati erano molti alti. «C'è qualche possibilità di passare da quella parte, Wiggins?» «No, ispettore.» Jury si voltò a guardare la locanda, le cui due ali tronche racchiudevano lo spazio lastricato dov'erano disposti i tavoli, a uno dei quali era seduto Creed. Al pianterreno c'erano due finestre, una per lato all'estremità delle due ali; ma anche se qualcuno avesse guardato fuori, non avrebbe potuto vedere la vittima perché il suo tavolo si trovava in un angolo morto. Non esistevano finestre nella parte centrale dell'edificio. La porzione lastricata del giardino era riparata da una tettoia di plexiglas, che doveva essersi rivelata provvidenziale per l'assassino, consentendogli di non lasciare tracce sulla neve. Inoltre la tettoia copriva la visuale a chi avesse voluto guardare fuori dalle finestre del primo o del secondo piano. In un posto pubblico qual era la locanda, quell'angolo di giardino offriva una certa privacy. La porta sul retro era l'unico punto pericoloso perché qualcuno avrebbe potuto aprirla. «I ragazzi hanno controllato il muro, Wiggins?» «Sì, ispettore. Pratt gli ha fatto fare un'ispezione accurata. Non ci sono impronte. Comunque nessuno, che andasse di fretta, avrebbe potuto scavalcare il muro. È troppo alto.» «Mmm... Andiamo a parlare con la signora Willypoole. C'erano altri ospiti nella locanda?» «Non durante la notte, ispettore. Verso le undici, all'ora dell'apertura, ne sono venuti due di Long Piddleton, la signorina Rivington e il signor Ma-
tchett.» Jury inarcò le sopracciglia. «Davvero? Quale delle due sorelle?» «Vivian Rivington.» «Per quale motivo sono venuti?» «Hanno mangiato qualcosa qui alla locanda.» «Hai parlato con loro?» «No, ispettore. Erano già andati via, quando siamo arrivati.» «Hai cercato di rintracciarli?» «Ho mandato Pluck ad avvertirli di mettersi a nostra disposizione per essere interrogati. Adesso sono a Long Piddleton.» Jury rimase in silenzio per qualche istante, guardandosi attorno. «Pensa anche lei quello che penso io, ispettore?» Jury trovò strano che Wiggins riflettesse. Di solito lo lasciava fare a lui. «Cosa intendi dire?» domandò. «Che questo caso ricorda la classica situazione di certi romanzi gialli, dove c'è una porta chiusa e non si capisce da che parte sia entrato l'assassino.» «Perché?» «Chiunque sia stato a uccidere Creed, non può essere venuto che dall'interno della locanda. La signora Willypoole ha detto che il signor Matchett e la signorina Rivington non si sono alzati da tavola. Per poterlo affermare, significa che non si è mai allontanata dalla sala. Dunque tutte tre hanno un alibi.» «Perfetto, Wiggins. Dunque, stando al tuo ragionamento, siccome nessuno può aver scavalcato il muro, se ne deduce che nessuno può aver commesso l'omicidio.» Wiggins sorrise, mostrando i denti. «Esatto, ispettore.» Jury sorrise a sua volta. «Solo che invece l'omicidio c'è stato. Vai a dare un'occhiata alla parte esterna del muro.» «Lei ha detto di aver trovato la vittima quando è uscita in giardino, incuriosita dal fatto che restava fuori così a lungo?» «Proprio così» confermò la signora Willypoole. «Già all'inizio mi era sembrato strano che volesse stare fuori. L'ho trovato steso su uno dei tavoli. In un primo momento ho pensato che si fosse sentito male; ma per fortuna l'istinto mi ha suggerito di non toccarlo.» Rabbrividì e chiese una sigaretta a Jury. «Era ospite della locanda?»
La proprietaria annuì. «Tengo pronte poche stanze, soprattutto d'inverno; ma lui aveva telefonato un paio di giorni fa...» «Da dove?» Si strinse nelle spalle. «Non lo so. Mi ha detto che gli occorreva una stanza per una notte, e nient'altro. Mi sono meravigliata. Voglio dire, era strano che qualcuno, al di fuori di Dorking Dean e Long Piddleton, conoscesse la mia locanda.» «Perciò sapeva che era un forestiero?» «Be', non lo conoscevo. Poteva darsi che fosse di Dorking Dean, ma allora non sarebbe stato necessario telefonare per prenotare una camera.» Jury aveva davanti il registro aperto. «Jubal Creed» lesse. «Le ha detto che lavoro faceva?» La signora Willypoole scosse la testa. «Le ha spiegato per quale motivo voleva andare fuori in giardino?» «Mi ha detto solo che voleva respirare una boccata d'aria fresca.» «Ha molti clienti di Long Piddleton?» «Parecchi. Quasi tutti sono di passaggio, diretti a Dorking Dean e oltre. Ne sono arrivati due anche stamattina, come ho detto al suo sergente...» «Allude a Simon Matchett e alla signorina Rivington?» La proprietaria accennò di sì con la testa. «Li conosce?» «Lui sì. È il proprietario del Man with a Load of Mischief.» Il suo sguardo si addolcì. «È un tipo simpatico, il signor Matchett. Anche lei è venuta diverse volte, ma la conosco poco.» «Per quale motivo sono venuti?» «Volevano fare uno spuntino veloce, con pane e formaggio.» «Che ora era?» «Verso le undici. Un po' presto per il pranzo.» «Sono venuti insieme?» «Sono "entrati" insieme, ma credo che siano arrivati ciascuno con la propria auto.» «Ha detto che erano quasi le undici?» «No, erano passate da poco. Non saprei dire esattamente, ma in ogni caso ho aperto il bar apposta per lui.» «Si sono seduti al bar a chiacchierare?» «No. Li ho serviti al tavolo là in fondo.» Indicò l'ultimo della sala. «Perciò non ha sentito nulla di quello che dicevano?» «No.» «Si sono mai alzati da tavola, l'uno o l'altra?» «No. Ne sono sicura perché non mi sono mossa da qui.»
«Per andare in giardino si può passare soltanto dalla porta sul retro del locale o dal cancello?» La signora Willypoole annuì. «Ho notato che dalle finestre non si vedono i tavoli. Si possono vedere soltanto attraverso la porta; ma immagino che, essendo inverno, fosse chiusa.» La proprietaria annuì di nuovo. «Conosce qualcuna delle persone che sto per nominare, Hetta?» Jury elencò i nomi di tutti quelli che si trovavano al Man with a Load of Mischief la sera in cui Small era stato ucciso. «Li ho visti tutti, almeno qualche volta. Anche il vicario. Forse non saprei riconoscerli, ma i nomi mi sono familiari.» «Quanto tempo si sono trattenuti il signor Matchett e la signorina Rivington?» La signora Willypoole si passò una mano sulla fronte. Aveva le unghie laccate di rosso, ma sui bordi lo smalto si era consumato. «Tre quarti d'ora, forse un'ora» rispose. In quel momento ricomparve Wiggins, raggiante. «Ho trovato, ispettore. C'è una finestra. Vuole venire a vedere?» «La ringrazio molto, Hetta» disse Jury con un sorriso. «Mi è stata di grande aiuto.» La signora Willypoole parve ricordare a un tratto che per certe cose non è mai troppo tardi. Si sistemò il pullover e si passò una mano sui capelli. «Be', lo dico sempre, che se non si riesce a mantenere il sangue freddo in determinate situazioni, è meglio lasciar perdere questo lavoro. Ne ho viste di cotte e di crude, in tanti anni. Agli uomini, poi, bisogna insegnare a tenere le mani a posto, l'ho sempre detto.» Guardò Jury e sorrise. «Ha proprio ragione. Se avessimo altre domande da farle, la disturberemo ancora.» «Ma certo, naturalmente» replicò la signora Willypoole, accentuando il sorriso. «Qua sopra c'è un gabinetto, ispettore» disse Wiggins, puntando il dito verso l'alto. «Si trovavano davanti al muro del fabbricato che un tempo fungeva da stalla.» Non è affatto difficile entrare: basta spingere la finestra. Una volta dentro, si può uscire tranquillamente dalla porta e arrivare in cortile. Jury guardò la finestra, poi abbassò gli occhi al suolo. La neve si era sciolta e la terra era dura, quindi non restavano impronte. «I ragazzi di Pratt devono aver trascurato questa parte della locanda» disse. «Mi chiedo
se...» Sentì un "psst" alle sue spalle, si guardò intorno e intravide una testa che faceva capolino dietro una quercia. «Cos'è stato, ispettore?» domandò Wiggins, alzandosi il bavero come per nascondersi da eventuali creature del bosco. «Credo di saperlo» rispose Jury, fissando la quercia. Stavolta intravide due teste, che subito si ritrassero. "Psst, psst!" «Venite fuori immediatamente!» intimò nel tono più autoritario possibile. Il trucco funzionò: infatti i fratelli Double uscirono subito allo scoperto, la bambina stropicciandosi l'orlo del cappotto. «Si può sapere che cosa fate qui fuori, James e James?» domandò, addolcendo il tono della voce. Il maschietto, che dei due aveva sempre dimostrato di essere il più coraggioso, spostò lo sguardo su Wiggins, poi tornò a guardare Jury. Il messaggio era chiaro: "Sbarazzati di lui e così potremo parlare". «Wiggins, vai a sentire se a Hetta è venuto in mente qualche altro particolare, magari grazie a un altro bicchierino di gin.» Non appena il poliziotto se ne fu andato, la bambina si mise a saltellare di gioia. «Impronte!» esclamò il maschietto in tono solenne, indicando il folto di querce oltre il muro di cinta. La sorella fissava Jury con uno sguardo pieno d'aspettativa, sicuramente ansiosa di dimostrargli che i suoi insegnamenti erano valsi a qualcosa. «Abbiamo fatto quello che ci hai insegnato, signor Jury» disse James, tirandolo per una manica. «Ci siamo messi a cercare qualcosa di strano perché tu avevi detto che, quando c'è un omicidio, c'è sempre qualcosa di diverso.» L'aveva detto davvero? si chiese Jury, seguendo i due ragazzini che non lo mollavano. Finalmente lo lasciarono andare e schizzarono avanti, tra gli alberi. Lì la neve non si era ancora sciolta. Quando Jury li ebbe raggiunti, James gli indicò l'impronta di una scarpa o uno stivale. Un po' più avanti ce n'era un'altra, perfettamente visibile sulla neve. Cinque o sei metri più in là c'era uno spiazzo, dove la terra era dura e senza neve. James puntò il dito in direzione di Dorking Dean Road, nascosta dagli alberi. «Una volta qui c'era una vecchia strada che adesso nessuno usa più» l'informò. «Serve da scorciatoia per andare a Dorking.» Erano visibili vecchie tracce di pneumatici. Jury si chinò per esaminarle
da vicino e notò che una di queste sembrava abbastanza recente. Era possibile che un'auto fosse uscita da Dorking Dean Road e si fosse fermata in quel punto. Jury si alzò. «James e James» disse, posando la mano sul berretto della bambina «siete due fenomeni.» I fratellini si scambiarono un'occhiata piena di stupore. Jury prese il portafoglio dalla tasca. «Solitamente Scotland Yard offre una ricompensa per questo genere di cose.» Diede a ciascuno dei due una sterlina. I bambini risero, felici. «Naturalmente non dovrete parlare con nessuno di questa scoperta.» I ragazzini tornarono seri di colpo e annuirono con aria solenne. «Adesso andate a casa e siate prudenti. Avrò ancora bisogno di voi in seguito.» I due fratelli s'inoltrarono tra gli alberi; ma un attimo dopo il maschietto tornò indietro e mise qualcosa nella mano di Jury. «È per te, signore. L'ho fatta io.» Detto questo, corse via di nuovo. Prima di sparire tra gli alberi, lo salutò agitando un braccio. Jury guardò il regalo: una fionda rudimentale, fatta con un pezzetto di legno e un semplice elastico. Sorrise, poi tornò indietro e cercò dei sassi tra la neve; ne raccolse qualcuno e si esercitò a colpire i tronchi degli alberi. All'età di James aveva rotto parecchi vetri della scuola, tirando da trenta metri di distanza. A un tratto ebbe paura che qualcuno lo vedesse e si affrettò a guardarsi intorno. Infilata la fionda nella tasca interna dell'impermeabile, tornò alla locanda. 10 «La terra era molto dura, ma siamo riusciti ugualmente a vedere i segni lasciati da un pneumatico» disse il sovrintendente Pratt, comodamente seduto con i piedi appoggiati alla scrivania di Pluck. «Temo che non ci saranno d'aiuto, così come non sono servite a nulla le orme rilevate sul terreno. Non c'è nessuno da queste parti che possieda quel genere di scarpe. Se è così furbo da cambiarsele per non farsi individuare, avrà sicuramente provveduto a cambiare anche le ruote della sua auto.» «Già, comunque stiamo controllandole tutte. Quel tale non poteva scegliere un posto migliore per posteggiare l'auto.» Pratt chiuse gli occhi, come se immaginasse l'auto ferma nel punto in cui aveva visto le tracce delle ruote. «Riparata dagli alberi e in leggera salita, in modo che non fosse vi-
sibile dalla strada principale.» Riaprì gli occhi e guardò Jury. «Quanto ai due tagli sul naso della vittima...» Fu interrotto da Pluck, che entrava per annunciare l'arrivo di Lady Ardry. «È stato lei a chiedere di vederla?» domandò. «O almeno così dice.» Pluck era sbigottito, come se pensasse che gli avesse dato di volta il cervello. «È vero» confermò Jury. «Quando arriveranno la signorina Rivington e il signor Matchett, pregali di aspettare qualche minuto.» Lady Ardry piombò dentro come una furia, brandendo il bastone da passeggio. Pratt si affrettò a finire il suo tè e, con la scusa che doveva andarsene, fece un cenno di saluto e si dileguò. Agatha si sedette, con il largo mantello trasbordante dalla sedia, e piantò il bastone sul pavimento, tenendolo con tutte due le mani. Il particolare più buffo erano i guanti, a cui erano state tagliate via le dita. Probabilmente se n'era rotto uno e Lady Ardry, invece di rammendare lo strappo, aveva preferito tagliarle tutte. Era visibilmente soddisfatta del fatto che Jury l'avesse mandata a chiamare. «Voleva parlarmi a proposito di Creed?» domandò. Jury rimase di stucco. «Come mai conosce il nome della vittima, Lady Ardry?» «L'ho saputo dal "banditore"» rispose con un sorrisetto maligno. «Alludo a Pluck, naturalmente. L'avevo avvertita. È andato in giro a raccontarlo a tutti.» S'interruppe, gonfiò le guance e trasse la sua conclusione. «Dunque, ispettore, a quanto pare quel maniaco omicida è ancora qui a Long Piddleton.» «Non crederà davvero che il colpevole sia un forestiero che si aggira per il paese, pronto a balzare addosso alle sue vittime?» «Santo cielo, non vorrà insinuare che l'assassino sia qualcuno che vive qui?» Sbuffò, spazientita. «Ha parlato con quel pazzo di Melrose» disse in tono d'accusa, come se pensasse che Scotland Yard si lasciasse influenzare da suo nipote. «Temo che il maniaco omicida, ammesso che esista, sia proprio uno di voi, Lady Ardry.» Agatha l'incenerì con lo sguardo. «È stata vista percorrere in bicicletta Dorking Dean Road. Che ora era?» «Dopo che ho lasciato Ardry End, ovviamente, dove lei e mio nipote perdevate tempo in ciarle.» "Idiota" doveva aver aggiunto mentalmente. «Certo, ma potrebbe essere più precisa?» domandò Jury. «Quanto tempo ha impiegato per raggiungere Dorking Dean Road dalla casa di suo nipote?»
Agatha aggrottò la fronte, nello sforzo di ricordare. «Un quarto d'ora.» «Ed è stato allora che vi ha superato una macchina?» «Quale macchina?» Jury s'impose di essere paziente. «Quella il cui conducente, a quanto mi è stato riferito, si è fermato per metterla al corrente di ciò che era accaduto al Swan.» «Ah, "quella" macchina! Perché non l'ha detto subito? Avevo già imboccato Dorking Road. Era Jurvis, il macellaio. Passando davanti alla locanda, aveva visto le auto della polizia e così si è fermato per dirmelo.» Jury fece un rapido calcolo. «Quindi a quel punto lei si trovava a meno di un chilometro dal Swan, che avrebbe potuto raggiungere in pochi minuti.» «Avrei potuto farlo, se avessi voluto; ma non sopporto quella Willypoole, sempre conciata come una donnaccia. Si vede subito che è una poco di buono.» «Intendevo semplicemente dire» l'interruppe Jury «che, uscendo da qui alle undici e mezzo, avrebbe potuto arrivare tranquillamente al Swan prima di mezzogiorno.» Tacque, in attesa che capisse dove voleva arrivare; ma non fu così. «Perché mai avrei dovuto farlo?» Jury si sforzò di restare serio. «Be', ho una buona notizia per lei.» Guardò il foglietto di carta su cui aveva calcolato i tempi. «Le dico una cosa che non rivelerei a nessun altro» continuò, abbassando la voce. Lady Ardry si sporse sulla scrivania, ansiosa di conoscere il segreto. «Ho le labbra cucite, non si preoccupi» lo rassicurò, portandosi un dito alle labbra. «C'è una persona che ha un alibi di ferro» disse Jury con un sorriso. Agatha inclinò la testa da un lato, come un grosso uccello da preda. «Sono io, naturalmente.» Jury finse di meravigliarsi. «Oh no, signora, non è a lei che mi riferivo. Per una questione di tempi, sa? No, alludevo a Melrose Plant.» Sorrise con aria di trionfo. «Gliel'ho confidato perché so che tirerà un sospiro di sollievo.» Lady Ardry aprì la bocca per parlare e la richiuse subito. Era paonazza. «Ma...» «Vede, tra le undici e mezzo e l'ora in cui è tornata ad Ardry End, suo nipote era in mia compagnia. Prima di quell'ora era con lei.» Lady Ardry armeggiò con il suo bastone, si stropicciò i guanti e a un
tratto s'illuminò in volto. «Allora, l'alibi vale anche per me!» esclamò, appoggiando il mento sulla mano e piazzando i gomiti sulla scrivania. «Temo che abbia dimenticato ciò che stavamo dicendo poco fa. Creed è stato assassinato tra le dieci e mezzo e mezzogiorno. Abbiamo stabilito a che ora lei ha lasciato Ardry End e abbiamo calcolato il tempo che ha impiegato per arrivare al Swan.» Finalmente Lady Ardry capì dove andava a parare e arrossì fino alla punta dei capelli. «È tutto, ispettore?» domandò in tono glaciale. Jury era certo che, se avesse potuto, l'avrebbe preso volentieri a bastonate. «Per il momento sì, ma si tenga a disposizione per altre eventuali domande, se non le dispiace,» Le sorrise. Non appena Lady Ardry ebbe varcato la porta. Jury si voltò, andò alla finestra che stava alle sue spalle, posò la testa sulle braccia e rise di gusto. Quasi non sentì la porta aprirsi e richiudersi alle sue spalle perché stava ancora ridendo. Fu la voce a indurlo a voltarsi. «Ispettore Jury?» Si girò con il sorriso ancora stampato sulle labbra. «Sono Vivian Rivington. Il sergente mi ha detto che potevo entrare.» L'espressione era perplessa. Jury la guardò con aria ebete, incapace di muoversi. Gli era bastato posare lo sguardo su Vivian Rivington per innamorarsene all'istante. Come previsto da Lady Ardry, Vivian indossava davvero un lungo pullover, ma non aveva le mani infilate in tasca. Stropicciava nervosamente il bordo del pullover, in un gesto molto simile a quello della piccola Double. I suoi colori erano quelli dell'autunno: marrone dorato con riflessi rossi. I capelli erano lucidi come seta, gli zigomi larghi, il volto privo di trucco, gli occhi della stessa tinta dell'ambra con pagliuzze d'oro. Ma era il suo atteggiamento a ricordargli Maggie: quell'espressione triste, che paradossalmente le conferiva una strana radiosità. Agli occhi di Jury, assolutamente carismatica. Imbarazzato, diede un colpetto di tosse, sforzandosi di tornare alla realtà. Fatto il giro della scrivania, le tese la mano, la ritrasse e la tese di nuovo. Vivian la guardò e gliela strinse con qualche esitazione, come se avesse il dubbio che potesse sparire di nuovo, lasciandola con il braccio sospeso a mezz'aria. Jury stava tentando d'iniziare a interrogarla, o almeno di dire qualcosa,
quando Wiggins fece capolino dalla porta per informarlo che era arrivato il signor Matchett. «Grazie, lo riceverò tra qualche minuto» disse Jury. «Ti dispiace fermarti e prendere appunti, Wiggins?» chiese, senza far caso all'espressione sbigottita del suo subalterno. «Signorina Rivington» esordì in tono grave, lisciandosi i capelli senza distogliere lo sguardo dalla giovane donna, come se lei fosse stata uno specchio «sono l'ispettore Jury, Richard Jury. Si accomodi, prego.» «Grazie.» Gettò un'occhiata al foglietto su cui aveva scribacchiato i tempi calcolati per gli spostamenti di Lady Ardry. Oltre ai numeri, c'erano alcuni scarabocchi in cui era possibile individuare una donna grassa con un largo mantello. Appoggiate le braccia alla scrivania, Jury assunse un'aria seria. Forse troppo, perché Vivian si voltò a guardare Wiggins che, fermo in un angolo della stanza, le sorrise in modo rassicurante. Vivian parve rilassarsi. Jury si sforzò di raddolcire la sua espressione. «Signorina Rivington, lei si trovava al Swan all'ora in cui... Poco prima che...» Avrebbe voluto sdrammatizzare, ma non sapeva come. «Che quell'uomo fosse ucciso, sì» concluse Vivian, abbassando lo sguardo. «Potrebbe dirmi il motivo per cui si trovava lì?» «Certo. Per mangiare qualcosa, e alla locanda ho incontrato il signor Matchett.» Già, Matchett. Jury si era completamente dimenticato delle voci che correvano sul loro probabile matrimonio. Avrebbe potuto chiedere conferma all'interessata, ma non ora. «Ho detto qualcosa che non va, ispettore?» «No, no di certo.» La sua espressione doveva essere davvero cupa, per averla spaventata in quel modo. Si voltò a guardare Wiggins, come se fosse lui la causa della sua aria accigliata. «Sta prendendo appunti, Wiggins?» domandò. Il poliziotto alzò la testa di scatto. «Come dice? Se sto prendendo appunti? Sì, certo.» Jury annuì e si rivolse di nuovo a Vivian Rivington. «Continui pure, signorina.» «Veramente non c'è molto da dire. Simon doveva andare a Dorking Dean e perciò ci eravamo dati appuntamento alle undici al Swan per mangiare insieme.» «Ci va spesso?»
«No, qualche volta, tanto per non stare sempre a Long Piddleton. E siccome lui doveva andare a Dorking...» Non terminò la frase. Jury si schiarì la voce. «Non ha avuto modo di vedere l'uomo che è stato ucciso?» Vivian scosse la testa. «Non si è mai alzata da tavola, mentre era al Swan?» La giovane donna scrollò di nuovo il capo. «La signora Willypoole è rimasta nella sala per tutto il tempo?» Vivian rifletté, inarcando le sopracciglia. «Non posso affermarlo con certezza, ma mi pare di sì.» «Lei e il signor Matchett ve ne siete andati verso mezzogiorno?» «Sì.» Vivian si chinò sulla scrivania e posò le mani sull'orlo. «Che cosa sta succedendo, ispettore?» Jury notò che le unghie, assolutamente prive di smalto, sembravano lucide opali. «È ciò che stiamo tentando di scoprire» replicò. La risposta suonò poco convincente alle sue stesse orecchie. «Lei è arrivata dopo il signor Matchett, o siete arrivati insieme?» «Ciascuno dei due con la propria auto, ma contemporaneamente. Quasi non riesco a credere...» Si portò una mano alla fronte, ma la tolse subito, come se il gesto le sembrasse troppo drammatico, e raddrizzò le spalle. Guardandola, Jury aveva l'impressione che fosse in eterno conflitto con se stessa. «Quel poveretto dev'essere stato assassinato mentre ero lì. Sta diventando un chiodo fisso: non riesco a togliermelo dalla mente.» Neppure Jury ci riusciva. «Si sente bene, ispettore?» domandò Vivian, preoccupata, sporgendosi verso di lui. «Forse ha lavorato troppo.» «Sto bene, grazie. Senta, avrei ancora molte domande da rivolgerle, ma prima desidero parlare con il signor Matchett.» Moriva dalla voglia di chiederle quali fossero i loro rapporti, ma si trattenne. Si rivolse a Wiggins: «Accompagni fuori la signorina Rivington e dica al signor Matchett che sarò da lui tra un minuto.» «Bene, ispettore» rispose Wiggins, alzandosi con il fazzoletto in una mano e il taccuino nell'altra. Aprì la porta per far passare Vivian che, lanciata un'ultima occhiata a Jury, si voltò e uscì. Jury si lasciò cadere sulla sedia e respirò profondamente, nel tentativo di tornare alla realtà. "Sei uno stupido" disse a se stesso. "Un perfetto imbecille." Stava ancora rimproverandosi il suo assurdo comportamento, quando Matchett entrò e si sedette.
Dopo avergli offerto una sigaretta, Jury gli rivolse le stesse domande poste a Vivian Rivington. «Ho la sgradevole sensazione che toccherà a me» disse Matchett. «Che intende dire?» «Oh, non faccia il nesci, ispettore. Il sovrintendente le avrà certo parlato di mia moglie. Quanti altri indiziati avete con un omicidio nel loro passato?» Sorrise senza convinzione. Jury ne comprendeva il motivo. «Credo che ciascuno di noi abbia alle spalle qualcosa di cui preferisce non parlare, signor Matchett.» «Ma non la morte violenta della propria moglie» replicò Simon Matchett, fissando la punta della sua sigaretta. Jury l'osservò attentamente. A differenza di Oliver Darrington, Matchett non aveva nessuna predilezione per le camicie di seta e gli abiti di sartoria. Vestiva in modo più che decoroso, ma con semplicità: blue jeans e camicia di cotone con le maniche rimboccate sui polsi. Soltanto qualcuno dotato di spirito d'osservazione come Jury poteva accorgersi che entrambi i capi d'abbigliamento erano costosi, essendo stati acquistati da Liberty's, tra i migliori di Londra. Non soltanto per il modo di vestire, ma anche nel parlare e nell'atteggiamento, Matchett era molto diverso da Darrington, a cui piaceva mettersi in mostra come un manichino. Però c'era un velo di tristezza nei suoi occhi e forse questo piaceva alle donne, inducendo ciascuna di loro a credere che soltanto lei avrebbe potuto far tornare la serenità in quello sguardo. «Per ora limitiamoci a parlare del recente omicidio, signor Matchett. C'era una ragione precisa per cui ha scelto di andare a mangiare al Swan?» «No, l'ho scelto soltanto perché è sulla strada per Dorking.» Jury gli piantò gli occhi addosso. Le coincidenze capitavano, d'accordo, ma lui non era pagato per crederci. «Sa cosa trovo strano? Che quell'uomo sia rimasto fuori in giardino per tutto quel tempo, al freddo» continuò Matchett. «Be', non è detto che sia rimasto vivo fino all'ultimo, non le pare?» replicò Jury. Matchett fece una smorfia. «È possibile che io attiri gli assassini?» «Non saprei. Lei che ne dice?» «È già la seconda volta che mi capita di trovarmi sulla scena di un delitto.» Jury notò che aveva avuto il buongusto di non nominare Vivian Rivington.
«La signora Willypoole è rimasta nella sala per tutto il tempo?» Matchett ci pensò un momento, poi fece un cenno affermativo con la testa. «Sì. Stava bevendo qualcosa e leggeva il giornale, dietro il banco del bar.» «Non ha visto nessun altro? Nessuno è uscito per andare in giardino?» «No, ne sono sicuro. Eravamo seduti proprio di fronte alla porta.» «Mi parli di sua moglie, signor Matchett. Ho letto il rapporto, naturalmente, ma vorrei che mi chiarisse un paio di particolari.» «Sì, certo. Dunque, vivevamo nel Devon ed eravamo proprietari, o meglio mia moglie era proprietaria di alcune locande. Una di queste si chiamava The Goat and Compasses, ed era lì che abitavamo. Era un locale con cortile e loggiato, come si usava una volta. Un giorno ho pensato che sarebbe stato divertente mettere in scena qualche commedia nel cortile, e così ci siamo organizzati, procurandoci il necessario: il palcoscenico e un certo numero di panche per gli spettatori. Alcuni, quando c'era tanta gente, prendevano posto nel loggiato. Dopo la prima estate abbiamo avuto un discreto successo. Di sera accendevamo i riflettori. Le ho già detto che facevo l'attore? Non ero molto bravo, ma avevo interpretato qualche piccola parte nel West End, dove avevo conosciuto Celia, mia moglie. Anche lei era un'attrice, o almeno si considerava tale. Aveva interpretato un ruolo minore in un lavoro teatrale rappresentato un'estate nel Kent. Suppongo che il padre abbia sganciato dei quattrini perché le fosse assegnato il ruolo. Era molto ricco e aveva parecchie proprietà immobiliari, tra cui le locande di cui le ho già parlato. Altre due erano nel Devon. Una si chiamava Iron Devil e l'altra Bag o'Nails. Anche dopo esserne diventata proprietaria, mia moglie ha continuato a tenere stretti i cordoni della borsa. Non nego che c'erano molti contrasti tra di noi, e dopo qualche anno avevo cominciato a odiarla. Era terribilmente possessiva, tanto che avrei voluto andarmene. Le scenate erano all'ordine del giorno, e ovviamente i domestici l'hanno riferito alla polizia.» «Perché non l'ha lasciata?» «Stavo per farlo, quando è entrata in scena Harriet Gethvyn-Owen. Una splendida donna, anche lei attrice dilettante. Con la differenza che aveva talento. Ci siamo innamorati, e a quel punto avevo una ragione in più per lasciare Celia. «Quell'estate avevamo messo in scena l'Otello. Molto ambizioso da parte mia, ma avevo sempre desiderato interpretare quel ruolo. Harriet faceva la parte di Desdemona. Celia cominciava a sospettare che ci fosse del tene-
ro tra noi due e perciò aveva ricavato un piccolo studio da uno stanzino del corridoio, proprio di fronte al palcoscenico. Il cortile interno, con sopra il loggiato che correva lungo tutto l'edificio, mi aveva dato lo spunto per organizzare gli spettacoli. Lo sapeva lei che quelle vecchie locande sono state le antesignane del teatro? Comunque l'ufficio di Celia era a pochi passi dal palcoscenico. Questo dimostra quanto fosse gelosa. La sera in cui mia moglie è stata uccisa, Daisy, la domestica, le aveva portato come al solito una bevanda calda. Meno di mezz'ora dopo la cuoca, Rose Smollett, andata a riprendere il vassoio, l'ha trovata riversa sulla scrivania. Morta.» Matchett fece un lungo tiro dalla sigaretta. «L'ufficio era stato messo a soqquadro, la cassaforte aperta. Alla fine il delitto è stato attribuito a persona ignota.» «Ma non subito?» Matchett rise con evidente amarezza. «No, non subito. Come può immaginare, ero il principale indiziato. Il movente l'avevo di sicuro. Se non mi fossi trovato sul palcoscenico nel momento in cui è stata uccisa, di sicuro sarei finito in galera. E così pure Harriet. Il caso sembrava talmente ovvio: il marito e l'amante uccidono la moglie gelosa. Ma non hanno potuto affibbiarmi la colpa perché in quel momento stavo recitando.» «Immagino che ci siano state molte persone disposte a testimoniare che l'attore in scena era lei...» «Trenta o quaranta. Non sono poche.» Stavolta Matchett sorrise in modo più convincente. «Un alibi perfetto.» Matchett spense la sigaretta e si sporse sulla scrivania. «Ispettore, in tutti gli stupidi romanzi gialli di Darrington c'è sempre qualcuno che parla di alibi perfetto, o inoppugnabile, o di ferro, e sempre con lo stesso tono sarcastico che ha usato lei adesso. A me pare invece che, se un alibi non è perfetto, allora non è un alibi. Non le sembra di dire cose un po' troppo scontate? E per giunta offensive nei miei confronti.» «Devo ammettere che ha ragione, signor Matchett.» «In ogni caso gli innocenti hanno sempre alibi perfetti, appunto perché "sono" innocenti.» «Ecco un'altra cosa che non posso negare. Comunque non intendevo fare insinuazioni.» «Non sono così fesso da crederci.» Jury lasciò correre. «Sua moglie aveva qualche nemico?» Matchett diede un'alzata di spalle. «Penso di sì. Non godeva di grande
popolarità, questo è certo; ma nessuno aveva un motivo per ucciderla.» Matchett si passò una mano sul viso, come se si sentisse molto stanco. «In seguito Harriet se n'è andata. È partita per gli Stati Uniti.» «Perché l'ha fatto? Finalmente non c'erano più ostacoli. Avreste potuto mettervi insieme, nonostante le tristi circostanze.» «Senso di colpa, credo. Senza contare tutta la pubblicità negativa. Era una persona molto sensibile, e anche piuttosto riservata.» Jury stentava a crederlo. «Comunque ha deciso di partire, sostenendo che non poteva restare con me, non con la morte di Celia sospesa come una spada di Damocle sopra le nostre teste.» Scosse il capo come per scacciare il ricordo. «Sono trascorsi sedici anni da allora. Meglio lasciar stare i cani che dormono, come si usa dire.» Guardò Jury. «Spero soltanto che le cose restino come stanno, ma comincio a dubitarne.» «Non c'è niente d'immutabile» commentò Jury con un sorriso, prendendo nota mentalmente di far spedire a Weatherington il fascicolo relativo all'omicidio di Celia Matchett. «E ora vorrei sapere» riprese, sforzandosi di assumere un tono disinvolto «se c'è qualcosa di vero sulle voci che circolano a proposito del suo fidanzamento con la signorina Rivington. Vivian, intendo.» Matchett si meravigliò della domanda. «Cosa c'entra questo con il delitto?» chiese. «Non ne ho idea. Ecco perché gliel'ho domandato.» «Be', non posso negare che c'è qualcosa tra Vivian e me.» «Qualcosa può voler dire molte cose.» «Diciamo che le ho chiesto di sposarmi, questo è vero. Ma ciò non significa che lei accetti.» «Per quale motivo non dovrebbe?» Matchett si strinse nelle spalle e sorrise. «Chi sa dire cosa passa nella mente delle donne?» mormorò, accendendosi un sigaro. A contrariare Jury non fu tanto il maschilismo implicito nella risposta, quanto il fatto che Matchett avesse osato paragonare Vivian alle altre donne. «Credo proprio che dovrebbe cercare di capire cosa passa per la mente della signorina Rivington, se intende sposarla» ribatté. Era ridicolo difendere una donna conosciuta meno di un'ora prima; ma Jury trovava l'osservazione di Matchett particolarmente irritante perché era un luogo comune, né più né meno di quello che gli era stato contestato all'inizio della conversazione.
Matchett aspirò una boccata di fumo e guardò l'ispettore socchiudendo gli occhi. «Sì, penso di sì.» Jury prese una matita e scarabocchiò qualcosa su un foglio. «È innamorato di lei, signor Matchett?» «Che domanda cinica, ispettore! Non le ho appena detto che le ho proposto di sposarmi?» replicò Matchett, fissandolo negli occhi. Jury avrebbe preferito una risposta chiara, ma non osò insistere. «La sorella della signorina Vivian è al corrente del vostro legame?» domandò invece. «Credo di sì. Penso che approvi.» Jury sapeva che Matchett non era stupido e che non mancava di sensibilità. Perciò non capiva perché mentisse. «Sarebbe dura per lei, se Vivian si sposasse» osservò. «Finché le cose restano come stanno, Isabel ha la possibilità di gestire tutto quel denaro.» «Non c'è pericolo che venga buttata fuori di casa. Vivian non farebbe mai una cosa del genere alla sorella. Isabel le vuole molto bene.» Jury non ne era affatto convinto, ma tenne il dubbio per sé. «Dunque siete arrivati al Swan with two Necks verso le undici» disse, tornando all'argomento originale. «Esatto. Il locale apre a quell'ora.» «Dov'era verso le dieci? O meglio, tra le dieci e le undici?» C'era ancora uno scarto di circa mezz'ora nell'alibi di Matchett. «A Dorking Dean, a comperare le provviste.» «A che ora è ripartito?» «Verso le undici meno un quarto. Sono capitato in un ingorgo stradale e ho perso una quindicina di minuti. Alla vigilia di Natale le strade sono sempre intasate.» «Bene. Per ora è tutto, signor Matchett. Mi terrò in contatto.» Mentre Matchett usciva, Pluck apparve sulla porta per informarlo che il signor Plant desiderava parlargli. Jury gli disse di farlo accomodare. «Credo che dovrebbe fare un salto al vicariato, ispettore» disse Melrose in tono concitato, rifiutando la sedia che Jury gli indicava. «Il vicario ha alcune informazioni che potrebbero essere determinanti. Era al Swan poco prima del nostro arrivo e ha sentito un poliziotto dire qualcosa riguardo alle condizioni del cadavere.» Jury si alzò e s'infilò l'impermeabile. «Che cosa esattamente, signor Plant?» domandò. «Il vicario ha sentito dire che la vittima aveva due tagli sul naso. Strano,
vero?» Jury pensò che la polizia avrebbe fatto bene a non divulgare certe notizie. «Sì, ha ragione, è piuttosto strano» convenne. «Comunque il vicario sa di cosa si tratta, o almeno sostiene di saperlo.» 11 «Vedete, è un'alterazione del nome originale» disse il reverendo Denzil Smith, indicando un'illustrazione del libro sulle insegne delle locande. Il volume era aperto sul tavolo, tra Jury e Plant, accanto al piatto dei sandwich e alla birra che la governante del vicario aveva portato. Guardando la figura, Jury provava una grande ammirazione per l'inventiva di cui aveva dato prova il disegnatore, immaginando un cigno con due colli opposti. «Un tempo i cigni reali venivano contrassegnati con piccole tacche sul becco» continuò il vicario. «I proprietari lo facevano per poter distinguere i propri dagli altri. Quindi in origine il nome della locanda era "Swan with two 'Nicks'", cioè con due tacche, e non "with two 'Necks'", cioè due colli. L'errore dev'essere stato commesso dall'artigiano che ha realizzato l'insegna. Probabilmente era ignorante e ha letto male il nome.» Detto questo, il vicario sorrise con aria compiaciuta, si mise comodo e prese mezzo sandwich dal piatto. «Dio santo!» esclamò Jury senza distogliere lo sguardo dalla figura. «Ecco perché l'assassino ha fatto quei due tagli sul naso di Creed.» «Si direbbe proprio di sì» confermò il vicario. «Che senso ha?» domandò Plant. «È una burla?» «No, non credo» rispose Jury, accendendosi una sigaretta. «Penso piuttosto che volesse metterci di nuovo su una falsa pista.» Il vicario, dopo essere riuscito a calamitare l'attenzione dei suoi due ospiti, non voleva perderla. «Esistono altri esempi del genere» disse. «Altri casi in cui è stato alterato il nome originale. Alla periferia di Weatherington c'è il Bull and Mouth, toro e bocca. Non indovinereste mai da cosa abbia avuto origine quel nome. L'insegna era stata pensata per commemorare la vittoria riportata nel porto di Boulogne da Enrico VIII» continuò senza dar loro il tempo di tentare d'indovinare. «La bocca stava a rappresentare l'imboccatura del porto di Boulogne. Uno dei miei preferiti è l'Elephant and Castle, elefante e castello. Sono state fatte molte congetture sull'origine del nome. Una di queste parte dal presupposto che fossero state rinvenute ossa di elefante nei pressi del castello di Eleonora d'Aquitania.
Da parte mia sarei più propenso a credere che il castello volesse rappresentare la portantina fissata sul dorso dell'elefante. Pensate, un tempo esisteva un funzionario incaricato di controllare tutte le insegne delle locande. Il suo compito era distruggere quelle che raffiguravano cinghiali blu, maiali volanti e porci con l'armatura.» Il vicario rise. «Ne dava notizia lo "Spectator", nel 1700.» Jury, che avrebbe preferito lasciar perdere il XVIII secolo per occuparsi di quello attuale, essendo grato al vicario per l'informazione che gli aveva dato, decise di assecondarlo. «Lo sapevate che è stato Hogarth a disegnare l'insegna originale del Man with a Load of Mischief? Ci sono molte locande che portano questo nome. Alcune si chiamano semplicemente Load of Mischief, altre Man Loaded with Mischief. Il nome più comune è Bells, naturalmente. Ce ne saranno almeno cinquecento sparse per l'Inghilterra. Le locande di queste parti hanno nomi molto popolari. C'è il Bull and Mouth, a cui accennavo poco fa. Di Swan with Two Necks non ne esistono molte. Ce n'è una nel Cheapside la cui insegna rappresenta un patibolo. Come il White Hart di Scole. Quell'insegna è costata ben mille sterline nel 1655. Roba da non credere! Alcune insegne sono così grandi che vanno da una parte all'altra della strada, e nel corso degli anni hanno mietuto più d'una vittima. Dalle parti di Dorking c'è il Bag o'Nails. È un nome piuttosto comune. Credo che in origine si chiamasse The Devil and the Bag o'Nails. C'è una storia piuttosto interessante...» Jury, ormai al limite della sopportazione, tentò di distogliere l'attenzione del vicario dall'etimologia dei nomi e dalle insegne che cadevano sulla testa dei passanti, per tornare a concentrarsi sul recente omicidio. «La ringrazio molto per queste delucidazioni, signor vicario» disse. «Penso proprio che, senza il suo aiuto, noi della polizia non ci saremmo mai arrivati. Ora vorrei sapere se lei si trovava al Man with a Load of Mischief giovedì sera. In caso affermativo avrei alcune domande da rivolgerle.» «Che cosa orribile!» esclamò Denzil Smith, iniziando a parlare della sera in cui era stato ucciso Small con grande abbondanza di particolari, esattamente come durante il suo lungo monologo sulle insegne delle locande. Dalle nove alle dieci aveva giocato a dama con Willie Bicester-Strachan. «È quasi incredibile che una cosa simile sia potuta accadere a Long Piddleton. E pensare che sono qui da quarantacinque anni. Quando sono arrivato ero un semplice curato. Mia moglie è morta nove anni fa, che Dio l'abbia in gloria. Per fortuna la signora Gaunt si è dimostrata in gamba e così pure
le cameriere che abbiamo avuto finora, compresa Ruby. A proposito, stavolta quella benedetta ragazza ancora non si decide a tornare.» Sembrava perplesso. «Quando è partita esattamente?» «Era mercoledì, se non sbaglio. Santo cielo, è già passata una settimana. Come vola il tempo! Mi aveva chiesto una settimana di permesso per andare a trovare i suoi a Weatherington.» «Capisco. C'è una foto di Ruby da qualche parte? Forse nella sua stanza?» «Non saprei» rispose il vicario, pensieroso. «Forse la signora Gaunt può aiutarci.» Chiamata la governante, la pregò di andare nella camera di Ruby a cercare una foto della ragazza e di portargliela se l'avesse trovata. La signora Gaunt espresse il suo malcontento emettendo degli strani suoni gutturali dalla gola, che potevano essere diretti a chiunque di loro; poi lasciò la stanza per eseguire gli ordini. «Non è molto contenta di Ruby» disse il vicario a bassa voce, come se avesse paura della governante. Dice che passa il tempo a leggere fotoromanzi e che un giorno, quando l'ha mandata a pulire in chiesa, l'ha trovata tranquillamente seduta su un banco. «Dev'essere una ragazza molto religiosa» scherzò Jury. Denzil Smith rise. «Non proprio. Stava mettendosi la lacca sulle unghie.» Dalla sua risata Jury capì che se non altro il vicario non era un bigotto. La signora Gaunt ricomparve senza fretta con due foto. «Le ho trovate infilate nello specchio» disse con una smorfia di disapprovazione, neanche fossero state pornografiche. Sbuffò e se ne andò di nuovo. Il vicario porse le due istantanee a Jury. «Non penserà che sia successo qualcosa a Ruby, vero? Potrebbe chiedere di lei a Daphne Murch. Le due ragazze erano molto amiche, avendo all'incirca la stessa età. Anzi, è stata proprio Daphne a suggerirmi di prendere Ruby.» Jury mise le foto nel portafoglio. «Non mi pare molto preoccupato, signor vicario. La ragazza faceva spesso questo genere di cose?» «Be', è capitato un paio di volte che sparisse dalla circolazione per qualche giorno. Credo che abbia un amichetto a Londra. Ruby non è una cattiva ragazza. Un po' superficiale, come quasi tutte le sue coetanee.» Jury cambiò argomento. «Lei è un buon amico del signor BicesterStrachan. So che non sarebbe disposto a tradire la sua fiducia, facendomi confidenze sul suo conto; ma se potesse mettermi al corrente dei particolari
di quella storia capitata a Londra...» Si guardò bene dal precisare che in realtà ne sapeva ben poco. Contava sulla loquacità del vicario, sperando che avesse la meglio sulla sua riservatezza, e non rimase deluso perché, dopo qualche debole protesta, Denzil Smith gli riferì tutto ciò che sapeva sull'incidente. «Bicester-Strachan era un funzionario minore del ministero della Difesa, quando vi fu una fuga di notizie: informazioni finite nelle mani sbagliate, di cui soltanto Bicester-Strachan e pochi altri erano al corrente. Non fu mai processato per questo. A quanto mi è parso di capire, non c'erano prove sufficienti a suo carico. Non ama parlarne, come può immaginare. Comunque questo spiega perché è andato in pensione così presto. Bicester-Strachan non è vecchio come sembra. Ha passato da poco la sessantina, anche se dimostra ottant'anni. È invecchiato precocemente proprio a causa di quella brutta storia.» Si appoggiò alla spalliera della sedia. «Agatha ritiene che ci fossero i comunisti dietro quella faccenda, e credo proprio che abbia ragione.» Melrose Plant, che fino a quel momento aveva ascoltato in silenzio, non poté fare a meno d'intervenire. «E mia zia come fa a saperlo?» Il vicario rifletté un istante. «Veramente non ne ho idea. Sa, sua zia è una persona così discreta...» «Discreta?» ripeté Melrose. Non gli risultava che la discrezione figurasse tra le doti di Agatha. «Stavamo facendo congetture al riguardo, e sua zia era del parere che i comunisti volessero incastrare Bicester-Strachan. Be', è abbastanza plausibile, non le pare?» «Conosce bene il signor Darrington?» domandò Jury al vicario, tentando di distogliere la sua attenzione dagli agenti segreti. «No, non direi. Non viene molto in chiesa. A Londra lavorava nel campo della pubblicità. Come sappiamo, ora scrive romanzi gialli. In certi momenti dubito che la signorina Hogg sia la sua segretaria, come lui sostiene» aggiunse con un sorrisetto divertito. «Non è il solo a dubitarne, l'assicuro» osservò Melrose. Il vicario, secondo il rapporto di Pratt, non era presente al Jack and Hammer la sera in cui Ainsley era stato ucciso. Comunque Jury l'interrogò in proposito. «Per caso venerdì sera si trovava nelle vicinanze del Jack and Hammer, signor vicario?» Denzil Smith non parve entusiasta della domanda. «No, temo di non poterla aiutare su questo punto. Strano, come nome! Sa, esiste una sola locanda che si chiama allo stesso modo e si trova ad Abinger...»
«Tornando alla questione delle tacche sul becco dei cigni» tagliò corto Jury «non molti ne sono a conoscenza. Ricorda di averne parlato con qualcuno, da queste parti?» Il vicario arrossì. «Devo ammettere che mi piace ricordare la storia delle vecchie locande. Sì, con qualcuno ne ho parlato sicuramente, ma non saprei dirle con chi. Comunque non è la prima volta che vengono commessi degli omicidi in una locanda. All'Ostrich di Colnbrook, per esempio...» Stavolta fu Melrose a interromperlo. Non aveva voglia di ascoltare per l'ennesima volta quella storia. «Credo che all'ispettore Jury la vicenda non interessi molto» disse. «Be', non penso proprio che Matchett o Scroggs abbiano qualcosa a che fare con quelle tragiche morti... Anche se sulle spalle di Matchett pesa l'ombra dell'omicidio della moglie. È spiacevole che il passato possa influire in modo negativo sul presente.» Guardò Jury, forse sperando che l'ispettore esprimesse il suo giudizio sulla questione. «Delitto passionale» riprese. «Matchett aveva un'amante...» «All'epoca la polizia è giunta alla conclusione che Matchett fosse innocente» disse Jury con un sorriso. «Però non è mai saltato fuori il colpevole» insistette Denzil Smith, che non voleva lasciar cadere l'argomento. «Non può immaginare quanti siano i casi di omicidio che finiscono per essere archiviati, signor vicario. Purtroppo noi della polizia facciamo spesso la figura degli incompetenti.» Si alzò. «La ringrazio della sua collaborazione. Ora devo andare.» Di nuovo in strada con Melrose Plant, Jury si soffermò ad ammirare la splendida finestra sul lato orientale della chiesa, composta da una vetrata a sette riquadri decorata in modo superbo. «Se desidera entrare...» mormorò Melrose. Jury scosse la testa. «È un posto troppo sacro per andare a curiosare.» Stavano guardando entrambi la torre campanaria, con le finestre molto alte per far sì che il suono si diffondesse il più possibile nell'aria. «Le piace la poesia, ispettore?» domandò Melrose. Jury annuì. «Ho visto Vivian entrare alla stazione di polizia per parlare con lei. Mi dica, che impressione le ha fatto?» Jury distolse lo sguardo dalla chiesa e abbassò gli occhi a terra. «Oh» rispose con una scrollata di spalle «mi è sembrata una persona molto grade-
vole.» La vedova di Jubal Creed arrivò alla stazione di polizia di Weatherington verso le quattro del pomeriggio e fu subito accompagnata all'obitorio dell'ospedale perché identificasse la salma del marito. Quando ne riemerse non era più pallida di quando era entrata, poiché la carnagione della signora Creed faceva pensare che la Natura avesse dimenticato di aggiungerle la tinta, lasciandola di un insignificante color écru. Quanto al fisico, non era stata più fortunata: sembrava uno spaventapasseri con addosso un vecchio abito di qualche taglia più grande della sua. Soltanto mentre forniva le generalità complete del marito, pronunciò il nome "Jubal". Tutte le altre volte, riferendosi a lui, lo chiamò "il signor Creed". Tenendosi un fazzoletto davanti alla bocca, se così si poteva definire la linea sottile che assolveva quella funzione, e guardando con occhi cisposi l'ispettore Jury, rispose alla sua domanda sull'attività del marito. «Il signor Creed era in pensione da cinque anni, ma prima prestava servizio nella polizia del Cambridgeshire, che ha lasciato senza rimpianti.» «Riteneva di aver subito dei torti?» «Altroché. Non ha mai ricevuto la promozione che gli spettava di diritto e ha terminato la sua carriera da semplice sergente a Wigglesworth. Era molto amareggiato e non potevo certo biasimarlo.» Fece una smorfia di disgusto, diretta alla polizia in genere e a Jury e Wiggins in particolare. «Signora Creed, le viene in mente nessuno che potesse desiderare la morte di suo marito?» La donna si limitò a scuotere la testa, che teneva sconsolatamente tra le mani. Jury non aveva affatto l'impressione che fosse sconvolta dal dolore. A suo avviso quel matrimonio, nella migliore delle ipotesi, non era stato che una relazione portata avanti dai due coniugi in modo civile ma senza entusiasmo. Per quanto poco conoscesse la signora Creed, non gli sembrava una donna capace di provare sentimenti profondi. «Non aveva nemici, che lei sappia?» «No. Conducevamo una vita tranquilla, il signor Creed e io.» «È possibile che si fosse creato qualche nemico nell'ambito della sua professione?» «Se anche fosse, non me l'ha mai detto.» Jury le rivolgeva quelle domande soltanto perché faceva parte della routine, ma era convinto di non cavare un ragno dal buco. Era portato a esclu-
dere che la morte di Creed fosse stata decretata per qualche macchia che ne aveva infangato il passato. Aperta una busta, ne sfilò una foto di William Small, scattata dopo che il cadavere era stato ripulito alla meglio. Ciononostante non era piacevole a vedersi. «Riconosce quest'uomo, signora Creed?» La donna diede un'occhiata alla foto, distolse subito lo sguardo e scosse la testa. «Il nome "William Small" le dice qualcosa?» Nonostante il lungo silenzio che seguì, Jury dubitava che la signora Creed stesse riflettendo. «No, non mi dice nulla» rispose. Dopo che le fu mostrata la foto di Ainsley, la stessa che era comparsa sui giornali, la sua reazione non cambiò. La guardò una seconda volta. «Aspetti un minuto. Non è forse il tizio che è stato ucciso... Anzi, non sono tutte due le foto degli uomini che sono stati assassinati in un paese dei dintorni, che si chiama... Long Piddleton, a una trentina di chilometri da qui.» La donna restò di sasso. «Non mi dirà che anche il signor Creed è stato ucciso in quel maledetto paese? Avete un serial killer che se ne va in giro libero come l'aria, e perdete tempo facendomi queste stupide domande?» Si erano fatti mandare dalla polizia del Cambridgeshire il rapporto completo sulla carriera di Creed; carriera stroncata, secondo il sovrintendente Pratt, per certi suoi traffici che gli avevano fruttato un bel po' di quattrini. «Si faceva dare la percentuale dai proprietari di alcuni garage a cui mandava veicoli da riparare. Una cosa è farsi fare uno sconto per la propria auto (anche se i suoi superiori avrebbero trovato comunque qualcosa da obiettare), oppure scroccare qualche pasto nei ristoranti (qualche volta l'ho fatto anch'io), ma Creed era esagerato: praticamente si era messo in affari e intascava un mucchio di soldi. Così era finito sul libro nero della polizia ed è stato costretto a dare le dimissioni. Abbiamo interrogato i suoi vecchi compagni, nella speranza che potessero fornirci qualche informazione, ma è stato inutile. Creed era uno zero assoluto, una vera nullità. Non sapeva fare il suo lavoro e in ogni caso non sarebbe mai riuscito a diventare ispettore. Non risulta che conoscesse Small né Ainsley. Negli ultimi tempi nessuno l'aveva più visto in giro.» Pratt, seduto con il cappotto addosso e i piedi sulla scrivania, s'interruppe per accendersi una vecchia pipa. Fallito il primo tentativo, prese un secondo fiammifero. «Il guaio è che questa storia sta mettendoci in cattiva luce. A Northampton, dove trascorro più tempo possibile, i giornalisti mi stanno addosso come lupi famelici. Buon per lei,
che almeno può starsene in pace.» Aspirò con forza e finalmente il tabacco prese fuoco. «Leggo ogni singolo foglio che passa sulla mia scrivania, eppure devo ammettere che non ho ancora capito niente di questa faccenda. Non capisco se l'assassino scelga le sue vittime a caso, oppure segua uno schema preciso.» Si grattò il mento non rasato con il bocchino della pipa. «A meno che i primi due delitti non siano stati commessi per mascherare il terzo, e fosse Creed la vittima predestinata.» «L'ho pensato anch'io. Anzi, non vorrei che la vera vittima non fosse ancora stata uccisa.» Pratt socchiuse gli occhi. «Accidenti, che bella prospettiva!» esclamò. La pipa si era spenta di nuovo. «Crede che sia qualcuno del paese?» «Non lo so, ma non lo escluderei.» «L'assassino di Small non è entrato dalla porta della cantina, questo è evidente. Ciò significa che il campo si restringe, comprendendo solo quelli che si trovavano al Man with a Load of Mischief quella sera.» «Tranne uno, direi: Melrose Plant. È vero che non ha un alibi per l'omicidio di Small e di Ainsley, ma è assurdo pensare che gli assassini siano più d'uno.» Pratt si grattò di nuovo il mento. «Quindi dovremmo essere un po' più vicini alla soluzione del caso. La prossima volta che mi telefonerà il sovrintendente Racer, gli dirò che ha fatto progressi. Scusi la domanda, ma per caso ce l'ha con lei? Mi sembra piuttosto acido, ogni volta che la nomino.» «Oh, è solo il suo modo di fare» replicò Jury. 12 Giovedì, 24 dicembre Il mattino seguente Jury sedeva alla scrivania sgangherata di Pluck mentre Wiggins, in piedi accanto a lui, guardava al di sopra della sua spalla. Stavano sfogliando il romanzo di Darrington, Bent sulle tracce dell'assassino. Il secondo libro era aperto di fianco al primo. Jury faceva scorrere il dito su una riga, poi passava al secondo libro. «C'è una grande differenza tra i due» osservò. «È uno stile completamente diverso. O meglio, il secondo sembrerebbe quasi una rozza imitazione del primo.» Wiggins scosse la testa. «Per essere sincero, non vedo la differenza. Ma naturalmente non sono uno che legge molto.»
Jury chiuse entrambi i volumi. «Secondo me non è Darrington l'autore di Bent sulle tracce dell'assassino. A mio parere ha cercato di scopiazzare, senza ottenere risultati apprezzabili. In ogni modo, chiunque abbia scritto il primo libro, ha scritto anche il terzo.» Ne sfilò uno dalla pila di quattro. «Bent si prende una vacanza» lesse a voce alta. «Sì, questi hanno la stessa mano. Ma non gli altri due. Darrington dev'essersi appropriato di due manoscritti e averli poi spacciati per suoi.» «Chi può essere stato a scriverli?» «Non ne ho idea. Comunque pone un interrogativo interessante: forse qualcuno aveva scoperto il plagio e lo ricattava.» «Small, per esempio?» domandò Wiggins. «Ma allora Ainsley e Creed cosa c'entrano?» «Potrebbero essere stati in affari insieme. La prima cosa che voglio fare è chiamare Londra, perché si mettano in contatto con l'agenzia pubblicitaria dove lavorava Darrington. È lì che potrebbe essersi appropriato dei manoscritti.» Jury si alzò e mise in tasca il pacchetto di sigarette. «Intanto vado a chiedere spiegazioni a lui personalmente. Vediamo cosa succede.» Mentre Jury s'infilava nella Morris blu, Melrose si fermò con la sua Bentley e abbassò il finestrino. «Dove sta andando, ispettore Jury?» «Da Oliver Darrington.» «Domani è Natale, lo sa? Mi piacerebbe averla ospite a casa mia.» «Accetto con piacere, circostanze permettendo.» «Bene. Sto andando a Sidbury a comperare un regalo per Agatha.» «Ha già qualcosa in mente?» «Sì, pensavo di comperare un paio di pistole con l'impugnatura di madreperla, per le occasioni eleganti.» Jury stava ancora ridendo mentre la Bentley di Melrose si allontanava. Eseguita un'inversione di marcia, si diresse verso Sidbury Road. Stavolta fu Darrington stesso ad aprire la porta. Iniziò a parlare non appena ebbe di fronte Jury. «Vorrei sapere cos'è questa storia» esordì. «Mi è stato riferito che l'uomo trovato morto al Swan aveva tra le mani una copia del mio romanzo.» Era davvero arrabbiato. Evidentemente l'aveva colpito di più la questione del libro che non il delitto in sé. «Se posso entrare, signor Darrington...» Il padrone di casa spalancò la porta e Jury vide, in salotto, Sheila Hogg
visibilmente nervosa. Dopo essere entrato, si sedette nello stesso posto del giorno prima. Oliver lo fissava come se volesse incenerirlo con lo sguardo, mentre Sheila, in piedi accanto al divano di fronte, era indaffarata a togliere dei pelucchi invisibili dallo schienale. Quel pomeriggio era completamente vestita. Indossava una tuta di seta a fiori aderente come una seconda pelle, per cui in sostanza non risultava molto più coperta del giorno prima. La parte del cervello di Jury non impegnata a trovare il modo di costringere Darrington a confessargli la verità riuscì ugualmente ad accorgersene e ad apprezzare la cosa. «Vorrei rivolgerle qualche domanda, signor Darrington.» Siccome nessuno dei due accennava a sedersi, Jury si accese con calma una sigaretta. «Come ben sa, è stato commesso un altro omicidio. Vorrei che mi dicesse dove si trovava ieri, tra le dieci e mezzogiorno.» «Qui a casa. Sheila era con me.» Jury non notò nulla nella loro espressione che potesse smentire l'affermazione; ma sapeva per esperienza che i colpevoli sono dei veri esperti nel guardare la gente negli occhi e mentire spudoratamente. «Sono venuto anche per restituirle questi» aggiunse con un sorriso, porgendogli i libri. «Sono molto interessanti, soprattutto per le differenze che ho riscontrato.» Guardò Sheila e vide che, esattamente come il giorno precedente, il discorso l'innervosiva. «Per essere sincero, ho pensato che qualcuno le abbia dato una mano a scriverli.» Il tono di Jury era così soave, che la reazione di Darrington lo lasciò esterrefatto. «Figlia di puttana!» gridò a Sheila. «Non sono stata io a dirglielo, Oliver. Davvero.» La sua collera svanì di colpo com'era venuta. Trasse un sospiro. «Be', ora che la sceneggiata è finita, tanto vale che tu gli dica tutto.» Com'era prevedibile, pensò Jury, lasciava che fosse Sheila a raccogliere i cocci. «L'autore è mio fratello» disse la giovane donna. «È morto in un incidente, mentre andava in moto. È stato solo per caso, riordinando le sue cose dopo la disgrazia, che ho trovato la lettera che gli aveva mandato Oliver riguardo al libro. Non sapevo nemmeno che Michael, mio fratello, avesse scritto un romanzo, e men che meno che volesse pubblicarlo. Credo che non lo sapesse nessuno: era un tipo molto riservato. Comunque mi sono presentata nella ditta di Oliver per tentare di far pubblicare il libro. Mi sembrava un modo carino per ricordare mio fratello. Il romanzo era finito sulla scrivania di Oliver, che è stato molto gentile e comprensivo con me. Mi ha invitato a pranzo e così abbiamo parlato del libro. Poi mi ha invitata
a cena, e ancora a pranzo, finché...» Sheila sospirò. «Finché mi sono innamorata di lui, cosa che era nelle sue intenzioni fin dal primo momento. Non è vero, caro?» concluse, lanciandogli un'occhiata gelida. Darrington fissava il suo bicchiere in silenzio. «C'era un altro manoscritto dal titolo Bent si prende una vacanza, che avevo trovato in un baule di Michael. Dopo averlo letto, Oliver l'ha definito all'altezza del primo. La tentazione era troppo forte per lui: avrebbe potuto pubblicare il primo romanzo spacciandolo per farina del suo sacco, e tenere di scorta il secondo per i tempi grami.» Sheila rise in modo forzato. «Ogni volta che Oliver scrive qualcosa, i tempi grami arrivano di sicuro.» «Grazie del complimento» ironizzò Darrington. «Prego, tesoro» replicò Sheila in tono amaro. Poi, rivolta a Jury: «Che altro posso dire? È stata una pessima idea, una cosa disgustosa...» "Bel modo di ricordare il fratello morto" pensò Jury. Sheila l'aveva fatto per amore, per amore si era lasciata coinvolgere in quell'azione disonorevole e in cambio non era riuscita nemmeno a farsi sposare. Jury provò un senso di compassione per lei. «Perciò ha tenuto il secondo manoscritto di riserva, per utilizzarlo se il suo avesse fatto fiasco?» chiese a Darrington. Oliver alzò la testa. Perlomeno aveva il buongusto di vergognarsi. «È vero» ammise. «Avevo tentato di scrivere anch'io e credevo di riuscire a combinare qualcosa di buono, ma non ce l'ho fatta. Quando è uscito il secondo romanzo, ne sono state vendute pochissime copie e la critica è stata implacabile. Così ho tirato fuori dal cassetto il secondo manoscritto di Hogg e la mia stella è tornata a brillare. Credevo che il tentativo seguente potesse andare meglio e invece...» Allargò le braccia in un gesto d'impotenza, poi si ricordò che la questione di cui stavano parlando non era il problema principale. «Un momento, ispettore. Cosa c'entra questa storia con l'uomo trovato morto stamattina?» «Non lo conosceva?» Darrington perse la calma. «Per la miseria! Certo che non lo conoscevo!» «Strano!» commentò Jury, pregustando ciò che stava per dire, felice di poter in qualche modo vendicare la bistrattata Sheila. «Eppure era un suo ammiratore: aveva il suo romanzo...» Tacque un istante, poi fece schioccare le dita, fingendo che gli fosse venuto in mente qualcosa all'improvviso. «No, forse non era un ammiratore, ma uno che la ricattava. Il ricatto è il movente di molti delitti.» Darrington schizzò in piedi. «Santo cielo, non sono stato io a ucciderlo.
Non l'ho mai visto prima...» «Come fa a saperlo, signor Darrington?» «Cosa?» «Sarebbe più corretto dire che non l'ha più visto "dopo" che è stato assassinato. Come fa a sapere di non averlo mai visto?» «Sta cercando d'incastrarmi, vero? Secondo lei, solo per il fatto che aveva il mio libro, sarei io l'assassino. Non è così?» «Per amor del cielo, Oliver» intervenne Sheila, dimostrando di avere più buonsenso di lui «l'ispettore Jury non penserà di certo che i ricattatori fossero tre. Non è vero, ispettore?» Oliver guardava ora l'uno ora l'altra, disorientato come un bambino che vede litigare i genitori e teme che sia colpa sua. A Jury sarebbe piaciuto sapere cosa diavolo avesse trovato Sheila in quell'uomo, per essersene innamorata. «Il libro è proprio l'unico particolare che deponga a suo favore» disse Jury, alzandosi e mettendo in tasca il pacchetto delle sigarette. «Sarebbe stato quanto meno azzardato da parte sua lasciare nelle mani della vittima il libro che l'avrebbe incriminato. Soltanto un uomo dotato di grande audacia, di un carattere forte e di un macabro senso dell'umorismo avrebbe potuto fare una cosa simile. E francamente in lei, signor Darrington, non vedo nessuna di queste qualità.» Sheila scoppiò in una risata. 13 Sulla strada per Sidbury, Melrose Plant sorrideva all'idea che Agatha sarebbe andata su tutte le furie, quando avrebbe scoperto che lei era ancora tra gli indiziati e lui no. Non era giusto che Melrose si fosse sottratto alle grinfie di Scotland Yard, mentre lei era ancora nei guai, dopo essersi tanto prodigata per il suo bene. Era questo che zia Agatha avrebbe pensato, probabilmente giungendo alla conclusione che era tutta colpa di Melrose. Oppure avrebbe creduto di essere vittima di una congiura messa in atto da lui e Jury. Melrose si mise comodo sul sedile della Bentley, godendosi la vista dei prati inondati dal sole che scorrevano lungo la strada e chiedendosi se per caso non avesse la stoffa del poliziotto, un lato della sua personalità rimasto latente fino a quel giorno. Per mettersi alla prova si sforzò di capire il meccanismo degli omicidi. Era possibile che soltanto una fosse la vittima
designata, mentre gli altri due erano stati uccisi per depistare le indagini? Il fatto che tutte tre le vittime fossero persone sconosciute tendeva a smentire questa ipotesi. Non aveva senso portare dei forestieri in paese per poi ucciderli. Tanto valeva togliere di mezzo qualcuno del posto. A un tratto Melrose provò un senso di colpa per il solo fatto di averlo pensato. Non era neppure da escludere che i tre delitti fossero stati perpetrati in vista di quello definitivo, come sospettava Jury. Questa eventualità gli raggelava il sangue nelle vene, perché il primo bersaglio che gli veniva in mente era Vivian Rivington. Con tutti i soldi che aveva, e tante persone che avrebbero voluto portarglieli via... Mentre faceva queste considerazioni, vide alla sua sinistra un cartello che segnalava un dosso, proprio di fronte al Cock and Bottle. Tolse il piede dall'acceleratore per non rischiare di ammaccare la marmitta sopra la stretta striscia di terra che serviva a rallentare la velocità prima della curva. A un tratto, poco prima del dosso, intravide un luccichio. Si sporse dal finestrino per guardare meglio e vide che il riflesso era provocato da qualcosa che stava sul ciglio della strada, forse un frammento di vetro. A un tratto realizzò ciò che aveva visto veramente e fece una frenata così brusca che per poco non sbatté la testa contro il parabrezza. Rimase seduto qualche secondo, sperando disperatamente di essersi sbagliato. Un anello. Ma possibile che fosse davvero attaccato a una "mano"? Sheila rideva ancora, mentre Jury s'infilava il cappello e i guanti. «Avrò ancora altre domande da rivolgere a tutte due. Adesso non ho tempo. Mi fareste una cortesia? Dovrei dare un colpo di telefono al mio sergente.» «Da questa parte» disse Darrington, indicandogli la porta dell'anticamera. Era tornato a essere sicuro di sé e lo dimostrò con la frase successiva. «Dunque, se non ho capito male, ispettore Jury, il fatto che sia stata trovata una copia del mio romanzo vicino al cadavere proverebbe la mia innocenza?» "Figlio di puttana fino all'ultimo" pensò Jury. Non si preoccupava affatto di Sheila, che probabilmente aveva perso la stima di sé per dargli la possibilità di farsi strada nella vita. Quell'idiota meritava una lezione. «Veramente intendevo dire che la presenza del libro è un elemento che gioca a suo favore, ma non basta a scagionarla completamente. Senza considerare che, d'altra parte, potrebbe essere stato un modo per farsi pubblicità: la foto della copertina di Bent sulle tracce dell'assassino sarebbe apparsa sulle
prime pagine di tutti i quotidiani e le vendite sarebbero salite alle stelle. In questa maniera, signor Darrington, avrebbe preso due piccioni con una fava: si sarebbe sbarazzato della persona che la ricattava e nello stesso tempo si sarebbe fatto pubblicità.» Darrington impallidì. «Allora vuole telefonare, ispettore?» Il caso volle che proprio in quel momento squillasse il telefono. Sheila, che a differenza di Darrington non aveva perso la testa, andò a rispondere e un attimo dopo chiamò dall'anticamera. «È per lei, ispettore.» Jury la ringraziò, andò al telefono e la seguì con lo sguardo mentre tornava in salotto, augurandole mentalmente di trovare un uomo migliore dell'attuale compagno. Benché non avesse ancora cancellato il nome di Sheila dall'elenco degli indiziati, doveva ammettere che aveva più buonsenso di Darrington. «Sono Jury» disse, poi ascoltò con stupore sempre crescente le parole di Melrose Plant. «Resti dov'è, signor Plant. La raggiungo tra dieci minuti.» Dopo aver riagganciato, compose il numero della stazione di polizia di Long Piddleton e mentre aspettava, sperò, per il bene stesso di Wiggins e Pluck, che uno dei due fosse presente. Finalmente quest'ultimo rispose e Jury gli disse di mettersi in contatto con la polizia di Weatherington e di avvertire i ragazzi del laboratorio, Appleby e tutti gli altri perché andassero immediatamente al Cock and Bottle. Era stato trovato un altro cadavere. «Subito, ispettore» lo tranquillizzò il povero Pluck, che fino a quel momento non era riuscito a pronunciare neanche una parola di senso compiuto. «Volevo dirle che qui ci sono moltissimi giornalisti che l'aspettano al varco. Sono piovuti da Londra meno di mezz'ora fa.» «Se ne freghi di loro. Per amor del cielo, non dica niente di questo nuovo delitto, altrimenti si precipiteranno tutti sulla Sidbury Road e io non riuscirò a passare.» «Stia tranquillo, ispettore. Volevo avvertirla» soggiunse, abbassando la voce «che Lady Ardry ha parlato con i giornalisti, e inoltre volevo dirle che il sovrintendente Racer ha telefonato varie volte chiedendo di lei. Sembrava di pessimo umore.» «Bene. Se dovesse chiamare ancora, gli passi Lady Ardry.» Al volante della Morris blu Jury, pur sollevando a colpi di clacson le vibrate proteste degli altri automobilisti che, essendo la vigilia di Natale, erano usciti per una tranquilla passeggiata, impiegò una ventina di minuti ad
arrivare al Cock and Bottle, a soli venti chilometri di distanza. Quando la locanda fu a meno di cinquecento metri, si portò sul margine della strada e fermò l'auto a poca distanza da un cumulo di terra coperto da una tela cerata. Saltò giù e, senza neppure curarsi di chiudere la portiera, raggiunse Melrose, che trovò in ginocchio. «Non ho neanche tentato di rimuovere la terra, prima di tutto perché è troppo dura e poi perché ho pensato che fosse meglio lasciare tutto come stava. Ho tolto soltanto un po' di pietrisco tutt'intorno.» «Ha fatto bene, signor Plant. Dal suolo sporgevano una mano e un braccio, visibile fino al gomito. Le unghie erano dipinte di rosso vivo, e intorno a un dito c'era un anello di poco valore. Jury toccò il braccio. Sembrava di ghiaccio.» «Era abbastanza evidente che, chiunque fosse sepolto qua sotto, non aveva più nessuna fretta di respirare. Perciò me la sono presa con calma, limitandomi a coprire con la tela cerata per evitare che qualche curioso si fermasse. Ho anche deviato il traffico nell'altra corsia. Probabilmente gli automobilisti mi hanno scambiato per un operaio e hanno pensato che ci fossero dei lavori in corso.» Nonostante la situazione, Jury non riuscì a trattenere un sorriso. L'abito di Plant non somigliava di certo a una tuta da lavoro. Subito dopo un'altra considerazione si fece strada nella sua mente, e cioè che la vittima si trovava proprio di fronte al Cock and Bottle. Un'altra locanda. Il particolare avrebbe fatto felici i giornalisti. «Ha fatto un ottimo lavoro» disse a Plant. «Meno male che non ha scavato. I ragazzi del laboratorio ci avrebbero messo in croce, se avesse toccato qualcosa.» Era trascorsa una decina di minuti dal suo arrivo, quando Jury udì la sirena della polizia. Per fortuna Pluck non aveva perso tempo. Weatherington si trovava dalla parte opposta di Sidbury, a una quindicina di chilometri dalla città. «Signor Plant, le spiace fare un salto alla locanda e cominciare a parlare con il proprietario? Lo conosce?» «Non molto. Più che altro l'ho ascoltato, annuendo di tanto in tanto. L'ultima volta che sono entrato nel bar, mi sono addormentato con la testa sul banco mentre mi raccontava la storia della sua vita. Che cosa devo dirgli?» Jury guardò la mano che sporgeva dal terreno, poi alzò la testa e vide l'auto della polizia svoltare la curva. «Gli dica semplicemente che sarò lì tra poco per fargli qualche domanda.»
Il dottor Appleby attese pazientemente, stringendo una sigaretta tra le dita ingiallite dalla nicotina, che il responsabile del laboratorio, un tale il cui volto sembrava scolpito nel granito, esaminasse minuziosamente ogni cosa e prendesse appunti. Sul collo della vittima erano ben visibili i segni lasciati dal filo con cui era stata strangolata. Come Jury sospettava, la vittima era Ruby Judd, la cameriera del vicario. Dopo che il fotografo della polizia ebbe terminato di riprendere il corpo da ogni angolazione, il dottor Appleby fissò l'ispettore con lo sguardo di un padre esasperato perché il figlio si è scostato troppe volte dalla retta via. Jury, che non provava mai soggezione per nessuno, abbassò la testa. «Ispettore Jury, non le pare che, se continua di questo passo, dovrò restare incollato a lei per tutto il resto della mia vita? Non faccio altro che correre a vedere le vittime dei suoi omicidi» disse, accendendo una sigaretta con il mozzicone della precedente. «Molto divertente, Appleby. Solo che l'omicidio non è "mio", ma di qualcun altro.» Con tutti i problemi che aveva, ci mancava solo di dover tenere testa a quel rompiscatole del medico legale. Sospettava che Appleby, pur mostrandosi contrariato, in realtà fosse contento di accorrere alle sue chiamate. In alternativa gli capitava soltanto di curare ragazzini con il morbillo o di ascoltare le lamentele dei supposti malati d'ulcera. «Certo, di qualcun altro» convenne Appleby, aspirando una boccata di fumo. «Il problema è: di chi? La popolazione da queste parti sta diminuendo a vista d'occhio.» Scrollò la cenere della sigaretta. Il cadavere, avvolto in un telo di plastica per evitare che potesse cadere qualcosa, era stato trasportato sull'ambulanza. L'agente incaricato di prendere le impronte digitali, un tizio con i capelli a spazzola, che masticava chewing gum e fischiettava in continuazione, aveva già fatto quel poco che poteva sul posto, e ora stava andando al vicariato per dare un'occhiata alla stanza di Ruby Judd. «Dottor Appleby, mi dica soltanto come stanno le cose, se non le dispiace.» «Esattamente come le altre tre volte. Nessuna novità.» Jury stava perdendo la pazienza. «Dottor Appleby...» Il medico sospirò. «D'accordo. Dalle condizioni del corpo, direi che è morta da tre a sette giorni fa. Non è facile stabilirlo, perché il cadavere è ben conservato, praticamente come se fosse stato in un congelatore.» Si accese un'altra sigaretta e Wiggins, che stava prendendo appunti, approfittò della breve pausa per infilarsi in bocca una pasticca per la gola. Il dottor Appleby riprese a parlare in tono cantilenante. «Causa del decesso: stran-
golamento. Stavolta l'assassino ha usato una corda, oppure un foulard o una calza da donna. Tracce di emorragia sul viso e palpebre infossate. Nessun altro segno strano, almeno a un primo esame. Ma naturalmente qui non abbiamo un patologo appena voltato l'angolo, come voi a Londra. Devo fare io l'autopsia. A proposito, niente d'interessante sul conto di Creed. Sapete già che è morto dalle dieci a mezzogiorno e non posso essere più preciso.» Dopo essersi avvicinato all'ambulanza e aver dato un'occhiata al corpo, Appleby chiuse la sua borsa e se ne andò. Su entrambi i lati della strada c'erano poliziotti intenti a rastrellare il terreno alla ricerca di eventuali indizi. Jury sperava tanto che saltasse fuori qualcosa. Chiunque fosse l'assassino, doveva averla convinta a preparare una borsa o una valigia per trascorrere un fine-settimana di passione (e se questo era il caso, l'assassino doveva essere un uomo, che tra l'altro sapeva di poter stare tranquillo per qualche giorno, dato che nessuno si sarebbe preoccupato dell'assenza della ragazza). Appleby aveva detto che non c'erano segni di abuso sessuale, ma non era in grado di capire se la ragazza fosse incinta oppure no. Se ne sarebbe potuto accertare soltanto durante l'autopsia. Purtroppo la pista era già fredda, addirittura gelata. Ma su una cosa Jury aveva visto giusto: Ruby Judd non era una forestiera. Quando finalmente riuscì ad arrivare al Cock and Bottle, Jury trovò Melrose seduto al banco con una birra davanti. Il proprietario, un certo Keeble, grasso come un bue, conversava piacevolmente asciugandosi il sudore con uno strofinaccio che aveva urgente bisogno di essere lavato. La moglie, che usciva in quel momento da una porta laterale, era un tipo freddo e compassato. Melrose porse a Jury il suo portasigarette d'oro e l'ispettore accettò volentieri. «Cosa può dirmi sul conto di quella giovane donna, signor Keeble?» «Be', come stavo appunto dicendo al sergente» rispose il proprietario, indicando Wiggins, pronto a prendere appunti sul suo taccuino «avevo visto questa Ruby solo un paio di volte nei negozi e perciò non posso esservi di grande aiuto. I lavori per costruire il dosso là fuori sono andati avanti per molto tempo e da allora il numero dei clienti è diminuito.» La moglie confermò con enfasi. «Da quanto tempo sono terminati?» Keeble rifletté qualche istante. «Se aspetta un secondo, glielo dirò con
esattezza. Sono finiti il pomeriggio del 15, un martedì. Me lo ricordo perché la sera dopo abbiamo avuto una grossa tavolata da servire ed ero contento che la strada non fosse più sottosopra.» Decise di festeggiare l'avvenimento stappandosi una birra. La moglie espresse la sua disapprovazione con una sorta di grugnito. «Uno di loro è tornato la sera stessa per finire il lavoro. Era il 15, di martedì.» Il martedì era il giorno in cui Ruby era partita, ufficialmente per andare a trovare la sua famiglia a Weatherington. Sentire parlare di cibo aveva risvegliato di colpo l'appetito di Jury. «Si potrebbe mangiare un boccone» propose. «Potrebbe prepararci qualcosa di veloce? Abbiamo fame. È d'accordo, signor Plant? E tu, Wiggins?» Annuirono entrambi. «Abbiamo solo pesce» disse la signora Keeble. Melrose fece una smorfia. «Con patatine e piselli, se non le dispiace» disse Jury. La proprietaria li guardò quasi con odio, come se le avessero portato il cadavere della ragazza nella locanda. Probabilmente stava cercando di decidere se la polizia avrebbe pagato il conto, oppure pretendeva di mangiare gratis. «Se si potesse avere una bottiglia di Bàtard-Montrachet, possibilmente del '71...» La signora Keeble lo guardò storto. «Non abbiamo vino in bottiglia» disse in tono risentito. «Questo non è il Savoy.» Melrose diede un'occhiata circolare alla sala con le sue modeste suppellettili. «Strano!» esclamò. «Avrei giurato che lo fosse.» Il signor Keeble era molto più ansioso di accontentare gli ospiti. «Vi consiglio la nostra birra, signori. Offro io» aggiunse, abbassando la voce e gettando un'occhiata alla cucina. «Molto gentile da parte sua, signor Keeble» disse Jury. Non appena gli fu servita la birra, ne bevve metà bicchiere. Melrose, allontanatosi dal bar, si era fermato sulla porta e si guardava intorno. «Il dosso non si vede da qui, ispettore. Secondo me, nemmeno dalle finestre della locanda perché le querce nascondono la visuale.» «E con questo?» «L'operaio che è venuto a finire i lavori era sicuro che nessuno poteva vederlo da qui, e neanche dalla strada.» «Intende dire che in realtà non era un operaio? Già, la terra non era più dura come prima, dopo che erano stati portati a termine i lavori. L'assassino poteva scavare tranquillamente senza destare sospetti. Poteva anche,
volendo, farsi luce con una lanterna.» «Quale posto migliore per scavare una fossa? Bastava indossare dei vecchi indumenti e mettersi un berretto, e il gioco era fatto.» «Il rischio maggiore deve averlo corso mentre trascinava il cadavere fino al dosso. Da dove veniva? Da quel querceto, probabilmente. Ma se il cadavere fosse stato coperto da un telo, allora era sicuro di farla franca, perché da lontano non c'era pericolo che qualcuno vedesse cosa stava facendo realmente.» «E se quell'uomo ha avuto il coraggio di mettere in atto un piano del genere, non avrà certo esitato a deviare il traffico nell'altra corsia, casomai qualche auto si fosse avvicinata troppo.» «Quell'uomo o "quella donna," signor Plant» puntualizzò Jury. «Non posso credere che sia stata una donna a fare una cosa del genere.» «Eppure è possibile. Anche una donna avrebbe potuto travestirsi da operaio.» «Va bene, lo ammetto.» La signora Keeble era uscita dalla cucina con un vassoio e aveva servito i piatti in tavola. Vicino a loro c'era il camino, che però non era acceso. Sul tavolo, oltre a tre piatti bianchi scheggiati, ciascuno contenente un'identica porzione di pesce, patate e piselli, c'erano soltanto le posate e i tovaglioli. Melrose diede un'occhiata al piatto, l'allontanò e pretese che il signor Keeble gli portasse la birra che aveva promesso. Jury guardava il pesce con aria sconsolata, sicuro che fosse stato fritto con burro scadente. Soltanto Wiggins mangiava di gusto. «Il vino arriverà tra un istante» scherzò Melrose. «Speriamo solo che la signora si ricordi di farlo respirare.» Wiggins ridacchiò. Jury era così poco abituato a sentirlo ridere, che in un primo momento non capì cosa stesse facendo. «A proposito, ispettore» disse, infilzando una patatina «il sovrintendente Racer voleva che lei gli telefonasse immediatamente. Gli ho detto che, da quando è arrivato, non ha avuto un attimo di tregua.» Evidentemente Wiggins si sentiva in colpa per la mattinata trascorsa a letto; comunque gli aveva fatto bene, a giudicare dall'appetito che gli era venuto. Dopo che ebbe divorato la sua porzione, lasciò che Plant e Jury trasferissero le loro nel suo piatto. La porta della locanda si aprì ed entrarono tre persone, una delle quali era il sovrintendente Pratt. Jury fiutò subito l'odore dei giornalisti e sospirò. Quelli a loro volta fiutarono immediatamente l'odore dei poliziotti e si
avvicinarono. Il fotografo iniziò subito a scattare foto dappertutto. «Immagino che lei sia l'ispettore capo Jury del Criminal Investigation Department. Io lavoro per il "Weatherington Chronicle".» Un pesce piccolo, pensò Jury con sollievo. Da ingoiare in un solo boccone. L'altro giornalista non si prese neppure la briga di presentarsi. Rimase lì impalato, con penna e taccuino pronti per l'uso. Gli rivolsero domande di routine, a cui Jury diede le risposte consuete: la polizia non aveva ancora scoperto l'identità dell'assassino, ma le indagini andavano avanti. Avrebbe potuto farselo stampare come epigrafe sulla tomba: "Le indagini vanno avanti". Entro un paio di giorni avrebbe potuto fornire notizie più precise. Uno dei due giornalisti trovò da ridire sul fatto che Jury bevesse una birra in un momento come quello. Pratt prese immediatamente le sue difese. Se avessero lavorato almeno la metà di quanto faceva l'ispettore, disse, non avrebbero trovato il tempo di rivolgergli quelle domande idiote. I tre esponenti della stampa raccolsero le loro cose e si tolsero dai piedi. Jury presentò Melrose al sovrintendente. «È stato il signor Plant a trovare il cadavere.» «Già immagino come la prenderà zia Agatha» disse Melrose. «Questa storia le rovinerà il Natale.» Poco prima che lasciassero il Cock and Bottle, Pluck li raggiunse nella locanda e con aria trionfante piazzò una borsa davanti a Jury. Era una borsa di plastica blu da quattro soldi, grande appena a sufficienza da contenere una camicia da notte e i cosmetici. In una busta di plastica trasparente c'erano boccette e vasetti. Sul fondo della borsa c'era della biancheria pulita, una camicia da notte e una camicetta, oltre a un paio di orecchini tremendamente vistosi. Jury tirò fuori gli indumenti, guardò dentro i vasetti e annusò le boccette. «Non avete trovato altro in giro?» Pluck scosse la testa. «No, ispettore. La borsa era chiusa, nascosta sotto uno strato di rametti e foglie.» «Molto bene. Vedi se riesci a scuotere un po' la famiglia della ragazza. Voglio parlare con loro questa sera stessa, ma può darsi che arrivi un po' tardi. Comunque non credo che dormiranno molto, stanotte.» «Non capisco» mormorò il vicario, che in quel momento dimostrava più della sua età. «Chi poteva avere un motivo per uccidere quella povera, innocua ragazza? Avrà avuto diciannove anni, venti al massimo.» «Ventiquattro, per l'esattezza. E forse non era così innocente come si po-
trebbe pensare. Il punto è che ora dovremo ripercorrere la pista già battuta. La sua morte getta nuova luce sui casi precedenti.» Il poliziotto che doveva rilevare le impronte digitali era al lavoro al piano di sopra, i fotografi erano venuti e se n'erano già andati, ma Jury sapeva che sarebbe stato inutile. Era sicuro che la signora Gaunt fosse molto coscienziosa nelle faccende di casa e sapeva che aveva pulito la stanza di Ruby proprio pochi giorni prima. Il poliziotto scese le scale, con la sua borsa in mano, e annunciò che non c'erano altre impronte se non quelle della governante, più quelle di un uomo, forse lasciate da Jury stesso quando aveva perquisito la stanza. L'agente doveva essere un tipo ameno, perché chiese all'ispettore se le sue impronte fossero nell'archivio della polizia. «Come le ho detto l'altra volta, ispettore» riprese il vicario «è stata Daphne Murch a mandarmi la ragazza. Mi risulta che fossero buone amiche. Se esiste qualcuno in grado di dirci per quale motivo se n'è andata, questo qualcuno non può essere che Daphne.» Denzil Smith si versò un bicchiere di Porto e l'offrì a Jury e Wiggins, che rifiutarono. Poi si mise comodo in poltrona, e Jury immaginò che stesse pensando alla morte della sua cameriera; ma si sbagliava. «Il Cock and Bottle» mormorò il vicario. «Molti ritengono che sia una storpiatura della parola cork, cioè turacciolo. Se così fosse, avrebbe una sua logica: il turacciolo e la bottiglia. Invece non è così. Anticamente cock significava "spina", vale a dire quel rubinetto da cui si mesce la birra o altre bevande. In origine l'insegna era stata pensata per reclamizzare la birra alla spina, rappresentata dalla parola cock, mentre la seconda, cioè bottle, stava a indicare che si serviva anche birra imbottigliata.» Il vicario s'interruppe e arrossì, improvvisamente vergognandosi di parlare di un argomento così frivolo in un momento del genere. «Chi avrebbe potuto immaginare che i tre delitti precedenti sarebbero stati la premessa della morte di questa povera ragazza?» mormorò. «La premessa?» ripeté Jury. «No, signor Smith, credo piuttosto che sia vero il contrario. Ruby è stata la prima vittima, non l'ultima. Naturalmente i delitti sono collegati. Le risulta che la ragazza fosse a conoscenza di qualche segreto che la persona interessata non voleva divulgare?» «Sta pensando a un ricatto?» domandò il vicario. Jury non rispose. «No. Ruby era una chiacchierona ma, per essere sincero, devo dire che non sempre stavo ad ascoltarla. So però che circolavano delle voci sul conto di Ruby e Marshall Trueblood.» «Marshall Trueblood!» esclamarono in coro Jury e Wiggins, scambian-
dosi un'occhiata. Il sergente quasi soffocava, nello sforzo di non scoppiare a ridere. «Non credo proprio, signor Smith» replicò Jury «dato che Trueblood è un omosessuale.» «Non possiamo escludere che sia bisessuale, ispettore» lo corresse il vicario, fiero di dimostrare la sua conoscenza delle cose mondane. Aveva ragione, tanto più che Trueblood ostentava troppo la propria omosessualità. «Ma non lo sa per certo, vero?» Il vicario scosse la testa. «Il giorno in cui Ruby se n'è andata, sembrava particolarmente nervosa?» Altra scrollata di capo. Jury, avendo già parlato con la signora Gaunt, da cui aveva ricevuto le stesse risposte, decise che non era il caso d'insistere. Si alzò. Wiggins chiuse il taccuino. Quando furono in strada, Jury chiese a Wiggins di precederlo a Weatherington e di preparare i Judd a ricevere la sua visita. Per quanto doloroso potesse essere per i genitori di Ruby, doveva assolutamente parlare con loro quella sera stessa. Quando Jury entrò nel bar del Man with a Load of Mischief, trovò Twig occupato ad asciugare bicchieri. Dopo essersi seduto su uno sgabello, ordinò un whisky. Vide attraverso lo specchio che oltre a lui c'era soltanto un altro cliente, una donna di mezza età china su un foglio, apparentemente il modulo di una sala corse. «Dov'è il signor Matchett, Twig?» «Sta bevendo l'aperitivo in sala da pranzo, ispettore.» Jury stava per alzarsi. «Con la signorina Vivian» aggiunse il cameriere. «Jury tornò a sedersi e fissò per qualche istante il liquido ambrato nel bicchiere. Era un poliziotto, ed era suo preciso dovere interrogare la gente.» Prese il suo bicchiere e s'incamminò verso la sala da pranzo. In un primo momento credette che non ci fosse nessuno. Il locale, illuminato soltanto dalle candele che ardevano nei globi di vetro rosso al centro dei tavoli, riflettendo guizzi di luce sui muri, era decisamente buio. Più scuro ancora l'angolo in cui si era fermato, accanto alla porta. Finalmente distinse Simon Matchett e Vivian, seminascosti dalla parete divisoria di un séparé. La giovane donna era di profilo, mentre di Matchett non si vedeva altro che una mano, ora posata sul polso di Vivian. Jury era poco distante da loro, al massimo sei metri. Fece per incamminarsi da quella parte, ma restò inchiodato sul posto e in quel momento capì il vero significato della parola "folgorazione". Matchett si era avvicinato a Vivian, aveva tolto la mano dal suo polso e
le aveva circondato le spalle con un braccio. Jury si ritrasse in una zona ancora più in ombra, preparandosi a fingere, casomai si fossero accorti della sua presenza, di essere arrivato in quel momento. Nel breve istante dopo che aveva tentato di avvicinarsi, tutte tre erano perfettamente immobili e silenziosi come in un tableau vivant. Riuscì a cogliere la conclusione di una frase di Matchett. «...dove viviamo noi, Vivian.» Jury rimase ancora immobile con il bicchiere in mano. «...non ce la faccio a restare qui, Simon, dopo tutto quello che è successo. Ora è toccato a quella poveretta di Ruby Judd.» Fece l'atto di stringersi addosso il pullover e Matchett, premuroso, l'aiutò; poi tornò a metterle il braccio intorno alle spalle. «Certo, cara. Nemmeno io. Devi partire subito. Anzi, dobbiamo andarcene tutte due. Qui ci sono troppi brutti ricordi per entrambi. Vivian, tesoro...» Le passò una mano tra i capelli. «Potremmo andare in Irlanda, Viv. Sarebbe un posto perfetto per noi. Sei mai stata a Sligo?» Vivian scosse la testa. «È lì che dobbiamo andare. È il paese ideale per te. Nonostante i continui disordini, stranamente rimane un posto tranquillo, uno dei più tranquilli al mondo.» «Vivian incrociò le braccia sul petto e lo guardò intensamente.» Mi sembri un tipo un po' troppo vivace per un posto come l'Irlanda, a meno che tu non voglia entrare a far parte dell'IRA. Matchett abbassò la mano e le sfiorò con un dito il contorno del viso. «Sciocchezze! Voglio un po' di pace esattamente come te, cara. Mi piacerebbe starmene seduto in una grande stanza con un paio di levrieri irlandesi e sentire il crepitio del fuoco nel camino. Vendendo questa locanda posso ricavare un bel gruzzolo, che mi consentirà d'investire in un'altra attività. Potrei comperare un pub, per esempio, o qualcos'altro che ci permettesse di tirare avanti.» Seguì una breve pausa. «Non credo proprio che avremo problemi di sopravvivenza.» Matchett tornò a posarle la mano sulla spalla, poi la rimise sul tavolo. «Rinuncia, Vivian. Dammi retta.» «A cosa dovrei rinunciare?» «Al denaro. Spendilo in beneficenza, regalalo a qualcuno. Non ne hai bisogno e, quanto a me, non lo voglio. Non serve ad altro che a procurare infelicità, quanto meno a noi due. Santo cielo, non vuoi neppure che gli altri
sappiano di noi, e non potremo neanche trascorrere il Natale insieme.» Vivian rise. «Oh, Simon, non fare il bambino!» Gli prese la mano tra le sue. «Sai bene che ho promesso a Melrose, un secolo fa...» «Probabilmente è l'unico uomo, tra quanti ne hai conosciuti, di cui sei certa che non è un cacciatore di dote. Se avessi soltanto la metà dei suoi soldi, sono sicuro che mi sposeresti domani mattina» disse Matchett in tono amareggiato. Mentre Jury li osservava dal suo nascondiglio, gli sembrava di assistere a una rappresentazione teatrale e non a una scena reale. «Non credere che non capisca i tuoi dubbi» stava dicendo Simon «con l'infanzia infelice che hai alle spalle. Ma francamente penso che dovresti sbarazzarti di Isabel.» «È la prima volta che ti sento parlare di lei in questi termini.» «Non ce l'ho con lei. Se dico che dovresti liberartene è soltanto perché penso che la sua presenza non faccia altro che ricordarti la disgrazia. Non escluderei neppure che lei se ne approfitti. Secondo me nutri nei suoi confronti una gratitudine eccessiva. Non devi niente a nessuno, cara. Se non vuoi sposarmi, almeno vieni a vivere con me. In questo modo avrai la certezza che non metterò mai le mani sui tuoi soldi.» Guardando Vivian, si sarebbe detto che non sapeva se ridere o piangere. «Ascolta, tesoro. Potremo comperare un vecchio castello in Irlanda. Riesci a immaginare un ambiente migliore di quello per poter scrivere in tutta tranquillità? Non ti darei nessun fastidio. Me ne andrei in giro con i cani, oppure al pub o da qualche altra parte. L'importante è averti con me. Ci pensi? L'Irlanda è il paese di Yeats. Comprerò una torre per te, proprio come ha fatto lui per la moglie. Però mi fa piacere che tu non ti chiami George, devo riconoscerlo.» Stavolta Vivian rise di gusto. «Fammi pensare ai versi che ha scritto a proposito della torre... "Eressi questa torre per mia moglie, George/E possano queste immagini restare in eterno/Quando ogni cosa in rovina tornerà."» «Belle parole!» esclamò Vivian. «Peccato che in realtà non fosse poi tanto innamorato di lei. Non era Maud Gonne il suo vero amore?» «Scusami per la gaffe» replicò Matchett. «Diciamo allora che tu mi ricordi Maud Gonne, non la povera George.» Vivian sorrise. «Come sei diplomatico!» «Maud Gonne, oppure Beatrice. O, meglio ancora, Jane Seymour. Non era lei l'unica donna che Enrico VIII ha amato veramente?» «Mi pare di sì. Comunque è stata una delle poche che non abbia ucciso.»
«Allora, se preferisci posso paragonarti a Cleopatra...» «Non ti pare di esagerare un po'?» «No, trattandosi di una donna come te. Oppure a Didone. Ah, Didone, regina di Cartagine! Ricordi le parole che ha pronunciato al suo primo incontro con Enea?» «No, mi dispiace. Vuoi metterti nei panni di Enea?» «Sì, certo. "Agnosco veteris vestigia flammae"» recitò. «Conosco i segni dell'antica fiamma» tradusse Jury, uscendo dall'ombra e posando rumorosamente il bicchiere sul tavolo. Vivian e Matchett lo guardarono a bocca aperta. «Ispettore Jury!» esclamarono all'unisono. «Scusate. Non volevo interrompervi: eravate così infervorati nel discorso.» Vivian reagì con una risatina nervosa. «Non occorre che si giustifichi. Mi sento un po' intimidita, alla presenza di due uomini colti come voi. Si accomodi, prego.» Jury prese una sedia e si accese una sigaretta. «Veramente è un verso famoso. Quale uomo potrebbe resistere a una frase del genere?» «E quale donna, ispettore?» replicò Vivian. Jury distolse lo sguardo. «È una frase stupenda.» «Purtroppo non abbiamo tempo da dedicare alla letteratura» disse Jury con un tono un po' troppo brusco. «C'è stato un altro delitto. Immagino che l'abbiate già saputo. Le notizie circolano in fretta.» Vivian abbassò lo sguardo come una ragazzina rimproverata per qualche marachella. «Ruby Judd» mormorò con un filo di voce. «Sì, Ruby Judd» ripeté l'ispettore. «Ne stavamo appunto parlando» disse Matchett. A Jury non risultava, ma non fece commenti. «Dobbiamo ancora mangiare. Vuole farci compagnia, ispettore?» «Sì, grazie.» Twig si presentò in sala da pranzo e fu spedito a prendere l'insalata. «Isabel è stata invitata dai Bicester-Strachan» spiegò Vivian. «Non mi andava di stare a casa da sola.» Fissò con espressione assorta il divisorio alle spalle di Matchett, come se vi leggesse ciò che stava per dire. «In fondo ce l'aspettavamo» osservò. «Che cosa?» domandò Jury, sorpreso. «Che Ruby Judd fosse assassinata?» «No. Semplicemente che prima o poi sarebbe toccato a qualcuno di
Long Piddleton. Non le è venuto il sospetto che gli omicidi precedenti non fossero fine a se stessi, ma fossero stati commessi per uno scopo preciso?» «Non saprei. A lei sì?» Vivian sembrava meravigliata dal suo tono acido, e del resto era comprensibile: in fondo non erano affari suoi, se aveva una relazione con Matchett. Il suo compagno stava versandole del Medoc bianco nel bicchiere. Ne offrì anche a Jury, che rifiutò. «Parla per te» disse Matchett a Vivian con un sorriso. «Credo che nessuno sia giunto alla tua conclusione. In ogni modo non capisco chi potesse avere un motivo per uccidere Ruby. Non avrei mai immaginato che qualcuno volesse farle del male.» Mentre Twig ricompariva spingendo davanti a sé il carrello delle insalate, Jury pensò che Matchett aveva idee stravaganti sulle convenienze sociali: forse riteneva che, dovendo uccidere qualcuno, tanto valeva mirare in alto, invece di prendersela con gente di poco conto. Il cameriere stava preparando l'insalata. Quando iniziò a spremere il limone sulla verdura, Matchett si alzò. «Lascia fare a me, Twig.» Prese la forchetta e il cucchiaio di legno per mescolare i condimenti. «Dov'eravate martedì scorso, di sera?» domandò Jury. Senza scomporsi minimamente, Matchett ruppe un uovo sulla lattuga, mentre Vivian appariva nervosa. «A casa, credo. Non ricordo molto bene. Simon?» Matchett era la sua memoria? «Non mi viene in mente così, di punto in bianco. No, aspetti. Se non sbaglio stiamo parlando di due giorni prima che fosse ucciso Small.» Si fermò con il cucchiaio e la forchetta a mezz'aria. «Ricordo di essere rimasto qui tutto il giorno, compresa la sera.» «E io molto probabilmente sono rimasta a casa» disse Vivian. «Se non sbaglio Oliver ha fatto un salto da me.» A Jury non sfuggì la smorfia del suo compagno. «Lei è sempre in servizio, ispettore?» domandò Matchett, aggiungendo alle verdure delle scaglie di formaggio fresco e dei crostini. «Smonterei volentieri, se l'assassino facesse altrettanto.» Matchett distribuì i piatti dell'insalata. Jury l'assaggiò e la trovò deliziosa. Non esistevano molte persone in grado di parlare di un recente omicidio, preparare contemporaneamente un'ottima insalata mista ed essere l'uomo del cuore di una donna meravigliosa come Vivian. Chiunque fosse quel Simon, non era di certo un tipo da sottovalutare.
«E ora, Daphne, mi parli di Ruby Judd.» Era passata un'ora e Jury era ancora seduto allo stesso tavolo. Matchett era andato ad accompagnare a casa Vivian Rivington. Da quando Jury l'aveva messa al corrente della morte di Ruby, Daphne aveva fatto fuori un intero pacchetto di fazzoletti di carta, a forza di piangere per l'amica. «Andavate molto d'accordo, vero? Mi risulta che sia stata lei a trovarle lavoro al vicariato.» Jury aveva pescato la fototessera da una tasca e l'aveva messa sul tavolo. Ritraeva una ragazza con i capelli lunghi e neri, graziosa ma con lo sguardo vuoto. Nell'altra foto, un'istantanea, si vedeva anche il corpo di Ruby, con il seno prosperoso ben visibile sotto il maglione attillato e gambe quasi perfette. Il viso, per metà in ombra, non era venuto bene perché, evidentemente infastidita dal sole, strizzava gli occhi. «Sì, ispettore, sono stata io» rispose Daphne, ricacciando indietro con la mano la ciocca di capelli che le ricadeva sulla fronte lucida di sudore per la tensione nervosa. Il volto era paonazzo e gli occhi gonfi di pianto. «Da quanto tempo la conosceva, Daphne?» «Oh, da molti anni. Andavamo a scuola insieme ed eravamo molto amiche. Io sono di Weatherington, sa? Quando la precedente cameriera del vicario se n'è andata per sposarsi ed è rimasta soltanto la signora Gaunt, quella vecchia strega, a mandare avanti la casa, ho chiesto al vicario se voleva un'altra ragazza, una mia amica che sapeva lavorare bene ed era rimasta disoccupata. Mi ha detto di mandargliela pure.» Daphne abbassò gli occhi. «Forse avrei dovuto pensarci meglio» aggiunse. «Ruby non era la persona più affidabile del mondo.» Detto questo, si coprì la bocca con il fazzoletto, forse pensando che non era giusto parlare male dei morti. «Cosa intende per non affidabile?» Jury notò che Twig si dava un gran daffare a lustrare i bicchieri. Era già da almeno un quarto d'ora che lo stava facendo. «Ruby aveva combinato già un paio di guai» rispose Daphne, abbassando la voce. «Di che genere?» domandò Jury, immaginando che si riferisse a problemi di sesso, dato che Daphne era arrossita di nuovo. «Era forse incinta?» domandò per aiutarla, visto che la ragazza sembrava aver perso la lingua. «Oh, no, ispettore. Almeno a quanto ne so io. Comunque non me l'ha detto. Una volta sì, era rimasta incinta. Anzi, forse più di una volta.» Da-
phne abbassò lo sguardo, come fosse stata lei e non l'amica a combinare il guaio. «Ha abortito, vero? Forse più di una volta.» Daphne annuì, dando una sbirciata a Twig, che nel frattempo si era allontanato per fermarsi qualche tavolo più avanti. «Qualche volta mi faceva pena. Che altro può fare una ragazza, se non ha nessun aiuto dalla famiglia? I suoi genitori sono bacchettoni. Non gli avrebbe mai confessato una cosa simile. Quand'era piccola la spedivano sempre a casa degli zii. Zia Rosie e zio Will, li chiamava. Era più affezionata agli zii che ai genitori. Secondo me non vedevano l'ora di sbarazzarsene.» «Quindi voi due eravate amiche intime?» Daphne si asciugò il naso. «In un certo senso sì. Ma quando mi ha fatto quelle confidenze, più che parlarmene direttamente, faceva in modo che fossi io a farle le domande.» Jury rimase colpito dalla capacità della ragazza di spiegare esattamente come stavano le cose. La maggior parte delle sue coetanee forse non avrebbe colto la sottile distinzione. «Ruby non usciva con nessuno di qui, che io sappia» continuò Daphne. «Però dai suoi discorsi si capiva che c'era più di un ragazzo...» Arrossì di nuovo. Imbarazzata, lisciò la gonna del grembiule nero. «Con cui andava a letto, intende dire?» La ragazza annuì come se la frase, uscita dalle labbra di un poliziotto, le sembrasse meno volgare. «Ruby era fatta così, sempre piuttosto misteriosa, anche quando non ce n'era motivo. Per esempio sapevo che era inutile domandarle dove aveva comperato un vestito nuovo, o una borsa, o un gioiello. Dava quasi l'impressione che ci fosse qualcuno, qui a Long Piddleton, che la mantenesse. Aveva un braccialetto d'oro che non si toglieva mai. Quante frottole mi ha raccontato, su quel braccialetto! All'inizio mi aveva detto che gliel'avevano regalato, poi di averlo trovato. Non si capiva mai se dicesse la verità. Per non parlare di come si comportava con la signora Gaunt. Devo ammettere che Ruby non faceva neanche la metà del suo dovere, quello per cui era pagata. Quando doveva pulire lo studio del vicario, cominciava a chiacchierare con lui, lo faceva parlare fingendo di essere interessata, e intanto gli spolverava con calma la scrivania senza che lui si accorgesse che la sua era tutta una messinscena. Quando doveva scopare la chiesa, si sedeva in un banco a leggere fotoromanzi o a scrivere il suo diario. Qualche volta si dipingeva persino le unghie» concluse Daphne con
una risata. «Teneva un diario?» domandò Jury. «Le è mai capitato di vederlo?» «Oh, no, ispettore. Non me l'avrebbe mai mostrato, con la sua mania di segretezza.» Jury si ripromise di dire a Wiggins d'interrogare la signora Gaunt in proposito. «Però una volta mi ha fatto uno strano discorso» riprese Daphne. «Diceva di conoscere il segreto di qualcuno che sta qui in paese.» «Sono state queste le sue esatte parole?» Daphne annuì. «Ha idea di cosa intendesse dire?» La ragazza scosse energicamente la testa, cosicché i suoi riccioli castani colpirono come tante piccole fruste la crestina inamidata che aveva in testa. «No, ispettore. La cosa m'incuriosiva molto e perciò ho insistito più di una volta perché mi spiegasse di cosa si trattava. Ma lei rideva, dicendo che non l'avrei mai immaginato. Nessuno, in paese, poteva sospettare una cosa del genere.» Jury sospirò. Trattandosi di una ragazza come Ruby Judd, sarebbe stato tutt'altro che facile separare la farina dalla crusca. Il suo "segreto" poteva celare qualsiasi cosa: dall'aver sorpreso una certa signora mentre si toglieva le mutandine davanti al lattaio a una colpa molto più grave come l'omicidio. Weatherington era una cittadina abbastanza grande: due volte Sidbury che, a sua volta, era il doppio di Long Piddleton. Equidistanti l'una dall'altra, Sidbury si trovava circa sedici chilometri a ovest di Long Piddleton, mentre a sudovest di Sidbury c'era Weatherington, dove era stato predisposto un laboratorio scientifico cui la polizia locale potesse appoggiarsi. Non mancava un piccolo ospedale, dove il dottor Appleby disponeva di una stanza per le autopsie. La cosa che più dava nell'occhio nella stazione di polizia erano i muri scrostati; d'altra parte non era stata costruita per bellezza. Jury passò davanti allo stanzino della centralinista, dove vide una donna corpulenta intenta a lavorare a maglia. Nella stanza degli interrogatori trovò l'agente di servizio chino su un registro. Sopra la sua testa c'era uno dei tanti cartelli ingialliti con la scritta VIETATO ATTENDERE. Assurdo, pensò. Chi mai poteva entrare nella stazione di polizia tanto per ammazzare il tempo? Passò davanti a una serie di schedari rigurgitanti di scartoffie. In fondo al locale c'erano delle persone indaffarate a scrivere a macchina. Sembravano
tanti giornalisti. Si avvicinò a un telefono e chiamò Appleby. «No» rispose il medico dopo che Jury gli ebbe domandato se Ruby Judd fosse incinta. «Non credo che potesse farcela, a giudicare da com'era combinata dentro. Deve aver abortito diverse volte, qualche anno fa.» In un certo senso Jury si sentì sollevato. Se la ragazza fosse stata incinta, gli sarebbe toccato passare in rassegna i vari amanti alla ricerca di quello che, pur di non sposarla, l'aveva tolta di mezzo per togliersi dai guai. Ma in questo caso la morte di Ruby Judd non avrebbe avuto nulla a che fare con gli altri delitti. Il vicario si era sbagliato di grosso: gli altri tre omicidi non erano stati la premessa alla morte di Ruby, ma piuttosto una conseguenza. «Grazie, dottor Appleby. Scusi se l'ho disturbata a quest'ora.» «Le pare tardi? Sono solo le dieci e mezzo di sera. Noi poveri ragazzi di provincia lavoriamo praticamente ventiquattr'ore su ventiquattro.» Rise di gusto e riattaccò. Jury si avvicinò a un agente. Nonostante l'ora c'era almeno una dozzina di uomini nella stazione, tutti ansiosi di entrare in scena e quindi ben felici che Jury si fosse fatto vivo. «Il sovrintendente non è qui, vero?» «No, ispettore.» «Siete riusciti a procurarvi il fascicolo sulla morte di Celia Matchett? La donna assassinata in una locanda di Dartmouth, qualche anno fa?» «Sì, ispettore. Se vuole attendere un momento, vado subito a...» «Non importa. Devo vedere i genitori di Ruby Judd. Passerò a ritirare il fascicolo quando avrò terminato.» Si rivolse a Wiggins, che stava recuperando il suo taccuino e le penne. «Hai già telefonato ai Judd?» Il sergente annuì. «Andiamo, allora.» Il signor Jack Judd e consorte abitavano nella parte nuova di Weatherington, un quartiere composto da casette di mattoni che di notte sembravano tutte uguali, e probabilmente anche di giorno. Forse erano un po' meno peggio delle case popolari che si trovavano dall'altra parte del paese, ma non molto. Weatherington vantava ben poco che valesse la pena di vedere. Rientrava in uno di quei progetti studiati per realizzare le città-giardino; poi durante la costruzione i fondi dovevano aver iniziato a scarseggiare, oppure i quattrini erano finiti nelle tasche sbagliate. Il risultato era un insieme di costruzioni in cui non predominava nessuno stile. Nel piccolo giardino buio antistante la casetta dei Judd, Jury intravedeva alcuni elementi aggiunti a scopo decorativo: presumibilmente anitre, oche e altre piacevolezze, ora parzialmente nascoste sotto la neve.
Andò ad aprirgli una donna giovane, con i lineamenti simili a quelli di Ruby, ma il viso un po' più spigoloso. Dev'essere la sorella, pensò Jury. «Sì?» gli domandò con voce nasale. Per il suo atteggiamento di fingere di non sapere chi fosse gli ricordava Lorraine Bicester-Strachan, magari senza la sua arroganza. «La signorina Judd?» chiese. La giovane donna accennò di sì con la testa, riuscendo ugualmente a tenere il naso in aria, tanto più che era lungo per natura. «Sono l'ispettore Richard Jury del CID. Questo è il sergente Wiggins.» Quest'ultimo si toccò il berretto. «Credo che le abbia telefonato per informarla del nostro arrivo.» Si scansò per lasciarli passare. Mentre entravano in casa, Jury notò che non aveva affatto l'aria disperata. Siccome non si era offerta di prendergli l'impermeabile, dopo esserselo sfilato lo posò sul corrimano della scala. «Da questa parte» disse soltanto, indicando una stanza in fondo al corridoio. Passando davanti al salotto, vide che la luce era spenta. Presumibilmente la famiglia lo usava di rado, riservandolo alle grandi occasioni. Dentro s'intravedeva uno striminzito albero di Natale con della neve finta intorno. Nel soggiorno, riscaldato da un camino elettrico e un calorifero portatile, erano riuniti i familiari, tutti con gli occhi stranamente asciutti. La signora Judd stava lavorando a maglia e continuò quasi senza alzare la testa. «È terribile pensare che ci si rompe le ossa per loro, per poi arrivare a questo risultato» disse con un tono piatto, come se parlasse della figlia di qualcun altro. Per Jury non fu facile mantenere la calma davanti a tanta indifferenza. «Non credo proprio che sua figlia volesse essere uccisa, signora Judd» replicò. «Non penso che volesse finire i suoi giorni sul ciglio di una strada.» Aveva usato di proposito quelle parole crude, come gelida era stata la reazione della donna alla notizia della morte della figlia. Il signor Judd non fece commenti, limitandosi a emettere un suono gutturale. Era uno di quegli uomini che preferiscono lasciar parlare le mogli. «Fin da quando era piccola non siamo mai riusciti a tenere a freno Ruby. L'unica persona a cui dava retta era zia Rosie, la sorella di Jack. Perciò, quando non sapevamo più come prenderla, la spedivamo nel Devon, dagli zii. Dopo che è diventata grande, era un continuo entrare e uscire dalla nostra vita, quasi come un'estranea. Mai che abbia mandato un po' di soldi, mai che abbia contribuito alle spese di casa nei periodi in cui non aveva
lavoro. Viveva sulle nostre spalle. Non come Merriweather, l'altra nostra figlia...» La signora Judd guardò con affetto la ragazza, intenta a leggere un fotoromanzo. Merriweather sorrise compiaciuta, ma tornò subito seria per dare l'impressione di essere addolorata per la morte della sorella. Stringeva in mano un fazzoletto per asciugare le lacrime che neppure si sognava di versare. «La nostra Merry non ci ha mai dato un dispiacere» riprese la signora Judd, sempre sferruzzando. «Non parlare male dei morti» la riprese il marito, in camicia e bretelle, intervenendo per la prima volta nella conversazione. «Non è da buoni cristiani.» A Jury era capitato di rado di vedere tanta indifferenza per la morte di qualcuno. Per giunta una morte violenta. A nessuno dei familiari sembravano interessare i tragici particolari dell'omicidio. Be', pazienza. In questo modo gli semplificavano le cose: non sarebbe stato necessario fare le condoglianze, né misurare le parole per non ferire ulteriormente i loro sentimenti. «Signora Judd, quand'è stata l'ultima volta che ha visto sua figlia?» Wiggins aveva preso il suo taccuino degli appunti e una scatoletta di caramelle alla liquirizia. Ne mise una in bocca e si apprestò a stenografare, mentre la signora Judd posava il lavoro a maglia e rifletteva, guardando il soffitto. «Dunque, vediamo... Oggi è giovedì. Dunque è stato il venerdì di due settimane fa. Sì, ne sono sicura perché ero andata a comperare del pesce e mi ricordo di aver chiesto a Ruby se le andava di mangiarlo.» «Ma poco fa non mi ha detto che la vedeva raramente? Invece dall'ultima volta sono passati solo quindici giorni. Ciò significa che è venuta circa una settimana prima della sua morte, dato che dev'essere stata uccisa il giorno 15.» «È vero, ma si è fermata soltanto una notte. Diceva di dover essere di ritorno il sabato perché il vicario aveva bisogno di lei.» «Per quale motivo era venuta?» La signora Judd si strinse nelle spalle. «Chi poteva saperlo, con una ragazza come Ruby? Era andata in giro a raccontare che sarebbe venuta a trovarci. L'abbiamo saputo dal poliziotto con cui abbiamo parlato questo pomeriggio. Invece era una frottola. Sarà andata con qualcuno dei suoi amichetti.» «Pare proprio di no, signora Judd» replicò Jury in tono pacato. Ma sta-
volta colse nel segno: la donna ebbe almeno la decenza di arrossire. «Sua figlia aveva molti ammiratori, vero?» «Non è difficile per una ragazza, ispettore» rispose guardandolo con intenzione, come per dire che con gli uomini bastava saperci fare. «Quando stava a casa, Ruby era sempre in giro a fare la stupida. Merriweather invece...» Ma Jury non aveva nessuna voglia di ascoltarne gli elogi. La guardò, e la ragazza finse di asciugarsi gli occhi con il fazzoletto. «Dove si trovava Ruby prima di tornare a vivere con voi?» domandò. «Cioè, qual è stato il suo ultimo lavoro?» «Era a Londra, ma non mi chieda cosa faceva. Lavorava nel negozio di un parrucchiere, diceva, ma mi pare strano perché non ha mai frequentato la scuola adatta.» «Sapreste dirmi dove abitava, o il nome di qualche sua amica a Londra? E per quale motivo è tornata a casa?» «Gliel'ho già detto: perché non aveva più i soldi per vivere come piaceva a lei» rispose la signora Judd, guardandolo come se fosse stupido. «Forse non è vero che lavorava da un parrucchiere» intervenne Merriweather. «Può darsi che i soldi li guadagnasse diversamente.» «State forse insinuando che Ruby facesse la puttana?» L'effetto fu immediato. La signora Judd arrossì fino alla punta dei capelli, Merriweather trasalì e persino il padre si mosse sulla sedia, a disagio. «È orribile dire una cosa simile sul conto di una povera ragazza morta» protestò la signora Judd, cercando un fazzoletto nella tasca del grembiule. Il marito le diede una leggera pacca sul braccio. «Mi dispiace, signora.» Jury si rivolse a Merriweather. «Poco fa ha detto che forse sua sorella guadagnava i soldi in modo diverso. È per questo che ho frainteso.» «Ruby mi ha detto soltanto che un giorno o l'altro avrebbe avuto un mucchio di soldi e si sarebbe trasferita in East Street» precisò la ragazza. «Quando gliel'ha detto?» domandò Jury. «L'ultima volta che è stata qui» rispose Merriweather, inumidendosi il dito per voltare la pagina del giornale. «Cioè venerdì scorso, come le ha detto mia madre. Non ho dato molta importanza alle sue parole, pensando che fossero le solite stupidaggini.» «Per esempio che cosa le ha detto?» «Che d'ora in poi avrei potuto comperare i miei vestiti da Liberty's, invece che nei grandi magazzini dove vendono roba scadente.»
«Non ha fatto il nome di chi avrebbe dovuto darle il denaro, né le ha detto per quale motivo?» Merriweather si limitò a scuotere la testa senza staccare gli occhi dal giornale. «Mi è stato riferito che Ruby teneva un diario. Qualcuno di voi l'ha visto?» Scossero la testa contemporaneamente. «Domani manderò un agente a perquisire la sua stanza» disse Jury. «L'hanno già fatto una volta» protestò la signora Judd. «Speravo che voi della polizia aveste il buonsenso di non importunare più del necessario i poveri genitori...» Jury dovette ingoiare il rospo, anche se una simile ipocrisia gli dava il voltastomaco. Si affrettò ad alzarsi e Wiggins fece altrettanto, dopo essersi infilato la penna in tasca. «La salma di vostra figlia vi sarà consegnata non appena avremo ricevuto il benestare» disse Jury. A questo punto la signora Judd decise di fare un po' di scena. «Oh, Jack, la nostra povera Ruby!» esclamò. «Su, cara, fatti coraggio!» Soltanto Merriweather trascurò d'interpretare la sua parte. Accompagnandoli alla porta, guardava con aria trasognata una foto di Robert Redford. Mentre tornavano a Long Piddleton, poco prima di arrivare al Cock and Bottle, Jury rallentò in corrispondenza del dosso, ora illuminato da alcune lampade, e gli parve di vedere ancora il braccio di Ruby sporgere da terra. Rabbrividì e si passò una mano tra i capelli. Un pensiero stava prendendo forma nella sua mente, qualcosa di vago che non riusciva ancora a individuare con esattezza. Stava ancora cercando di mettere a fuoco, quando fermò l'auto davanti al Man with a Load of Mischief. Quella sera Jury si addormentò con il fascicolo del caso Matchett in precario equilibrio sullo stomaco. 14 Venerdì, 25 dicembre Quando Jury si svegliò, il mattino di Natale, il fascicolo era caduto. Lo raccolse e lo sfogliò con calma, trovando la conferma di tutto ciò che gli
aveva detto Matchett. Sia lui sia la ragazza, Harriet Gethvyn-Owen, avevano un alibi: tutti gli spettatori li avevano visti sul palcoscenico. Era stata la cameriera, Daisy Trump, a portare il vassoio alla sua padrona. Celia Matchett le aveva gridato di entrare, mentre di solito il vassoio veniva lasciato accanto alla porta. Perciò Daisy aveva dichiarato che al momento del suo arrivo la signora era ancora viva. La cioccolata che le era stata servita era drogata, e la polizia non capiva per quale motivo il ladro avesse fatto una cosa del genere. Non sarebbe stato meglio aspettare che uscisse dall'ufficio? Effettivamente non aveva senso. Guardò la piantina della stanza. La scrivania di fronte alla finestra, la porta del corridoio sulla parete opposta. Piccoli quadrati contrassegnavano le sedie, la scrivania e un altro mobile. Rimise i fogli nella cartelletta. Due giorni prima aveva due casi d'omicidio da risolvere e ora, il giorno di Natale, ne aveva cinque. «Desidera dell'altro caffè, ispettore?» domandò Daphne che, ferma al suo fianco, non vedeva l'ora di smontare. «No, grazie. Ruby le ha mai detto di avere lavorato in un negozio di parrucchiere a Londra?» «Ruby? Figuriamoci! Non avrebbe mai fatto un lavoro del genere. Mi aveva detto invece che posava per... Insomma, si faceva scattare delle foto.» Jury pensò a Sheila Hogg e al suo lavoro di fotomodella a Soho e si chiese se per caso anche lei non avesse barato. Stava meditando su questa possibilità, quando squillò il telefono e Twig venne a chiamarlo. «Parla Jury.» «Sono alla stazione di Long Pidd, ispettore» l'informò Wiggins, che aveva iniziato a chiamare il paese con il nome abbreviato. In sottofondo si sentiva il fischio del bollitore che Pluck usava per preparare il tè. «Nessuna traccia del diario di Ruby né al vicariato, né a casa sua.» Wiggins s'interruppe per ringraziare Pluck, che evidentemente gli aveva portato la tazza del tè. «La signora Gaunt mi ha detto di avere visto spesso la ragazza scrivere su un quadernetto rosso scuro, ma è andata su tutte le furie quando le ho domandato se avesse mai dato un'occhiata a quello che c'era scritto.» Wiggins bevve un sorso di tè. «Mi ha detto anche di non ricordare quand'è stata l'ultima volta che ha visto Ruby scrivere su quel quaderno.» «Bene. Adesso vorrei sapere ancora un paio di cosette. La prima sul conto di Willie Bicester-Strachan. Ha lavorato al ministero della Difesa. Per-
ciò basta contattare un qualsiasi funzionario e chiedergli se è stata condotta un'indagine sul suo conto nel periodo in cui viveva a Londra. La seconda cosa da fare è controllare i necrologi per una morte accidentale avvenuta ventidue anni fa in Scozia, a Sutherland, per la precisione. Il nome è James Rivington. M'interessa soprattutto la data esatta della morte.» «D'accordo, ispettore. Buon Natale.» Dopo che ebbe riagganciato, Jury si vergognò di se stesso. Per anni aveva sottovalutato Wiggins che, salute permettendo, aveva sempre fatto fino in fondo il suo dovere. Benché si conoscessero da un sacco di tempo, non era mai riuscito a chiamarlo per nome. Ora probabilmente, con la penna e le pasticche per la tosse a portata di mano, si era già rimesso al lavoro, e non vedeva l'ora di iniziare il pranzo natalizio con Pluck e la sua famiglia. Anche Jury era ansioso di mettersi a tavola con Melrose Plant. Ma prima voleva fare un salto dai Darrington e da Marshall Trueblood. «Quella ragazza, Ruby Judd, era una terribile ficcanaso. È naturale che piacesse al vicario, chiacchierona com'era. Chissà quante cose avevano da dirsi!» Sheila Hogg era già al terzo bicchiere di gin. «Dove la incontrava di solito, Sheila?» domandò Jury. «Nei negozi. Mi ronzava sempre intorno, nella speranza che prima o poi la invitassi a casa nostra e le presentassi il Grande Scrittore.» Seduta vicino a Jury, faceva dondolare pigramente una gamba fasciata nella calza di seta. Portava un paio di scarpe di velluto nero come l'abito lungo che indossava. Mentre parlava con lui, guardava Oliver con aria desolata, nonostante la frecciata che gli aveva appena scoccato. «È mai venuta?» domandò Jury. «Sì, varie volte. Si offriva di portarmi i pacchi e poi, quand'era qui, non faceva altro che lanciare gridolini di meraviglia e sbirciare dietro le porte. Una vera ficcanaso. Be', comunque ora è morta.» «E lei, signor Darrington? Ha mai avuto a che fare con quella ragazza?» «No» rispose l'interpellato dopo una pausa più lunga del necessario. «Ne sei certo, tesoro?» domandò Sheila. «Sei proprio sicuro di non avere allungato le mani neppure una volta?» «Dio, come sei volgare, Sheila!» «Signor Darrington, per noi è molto importante sapere il più possibile sul conto di Ruby Judd. Non sa nulla che possa esserci d'aiuto? Per esempio: la ragazza le ha mai accennato a qualcuno di Long Piddleton, che per qualsiasi motivo potesse essere ricattato?»
«Non capisco di cosa diavolo stia parlando» rispose Darrington, porgendo il bicchiere a Sheila. «Dammene un altro» ordinò. «Dov'eravate voi due martedì scorso, la sera prima della cena al Man with a Load of Mischief?» Oliver abbassò la mano che stringeva il bicchiere, guardando Jury con occhi appannati dal gin o dalla paura. «Adesso penserà che sia stato io a uccidere Ruby Judd, vero?» «Devo controllare gli spostamenti di tutti quelli che si trovavano alla locanda la sera in cui è stato assassinato Small. Ovviamente i casi sono collegati tra loro.» Sheila smise di colpo di muovere la gamba. «Intende dire che è stato uno di noi? Qualcuno che quella sera si trovava al Man with a Load of Mischief?» «È possibile.» Jury spostò lo sguardo su Oliver. «Dov'eravate?» ripeté. «Insieme» rispose Darrington, vuotando il bicchiere. Proprio qui. Jury guardò Sheila, che confermò con un cenno del capo. «Ne è sicura?» insistette l'ispettore. «Molte persone non riescono a ricordare neppure cos'hanno fatto due giorni prima, se non con un grande sforzo di memoria. Stiamo parlando di una settimana fa.» Darrington non replicò. Sheila invece, con un gran sorriso in contrasto con le parole che stava per pronunciare, disse: «Mi creda, so bene quando Oliver è in casa» spostò lo sguardo su Darrington «e quando invece non c'è.» Essendo Natale, il negozio di Trueblood era chiuso. Jury andò a casa sua. La villetta, molto graziosa, si trovava nella piazza del paese. Era stata costruita in modo tale da rispettare una quercia preesistente, che sembrava quasi a cavalcioni della casa. Sul lato anteriore c'erano due finestre con i vetri romboidali. Trueblood stava finendo di farsi bello (si poteva dire altrimenti?) per andare a pranzo dai Bicester-Strachan. «Vuole venire con me, ispettore? Sarebbe un'ottima occasione per interrogarci tutti insieme. La crème de la crème di Long Pidd. Tranne Melrose Plant. Non verrebbe neanche morto a una delle festicciole organizzate da Lorraine.» Finì di annodarsi la cravatta di seta grigia. «Sono a pranzo da lui» disse Jury, guardandosi intorno alla ricerca di un posto dove sedersi; ma tutte le sedie avevano l'aria di essere così preziose e delicate da non sopportare il suo peso. Alla fine optò per un divanetto a
due posti rivestito di velluto color prugna. «Mi è parso di capire che la signora Bicester-Strachan nutra una certa simpatia per il signor Plant?» «Una certa simpatia? Una sera al Load of Mischief quasi lo violentava» rispose Trueblood, infilandosi l'estremità della cravatta nei pantaloni e sistemandosi la giacca dal taglio impeccabile. Andò a prendere una bottiglia di cristallo, due bicchieri da sherry a forma di tulipano e una ciotola contenente noci già sgusciate e servì Jury. «Immagino che avrà già saputo di Ruby Judd.» «Sì, la ragazza della fuga di mezzanotte. Mi è dispiaciuto molto.» «Veramente non la definirei affatto una "fuga di mezzanotte"» precisò Jury. «Penso piuttosto che qualcuno l'abbia sedotta. L'assassino l'avrà convinta a preparare una borsa da portare via per giustificare la sua assenza, in modo che nessuno facesse domande.» «Come quelle che sta facendo lei adesso?» domandò Trueblood, accendendo un piccolo sigaro. «Immagino che vorrà sapere dove mi trovavo la sera del delitto. Qualunque sia la sera in questione, aggiungo io, dato che non ne ho proprio idea.» «Già, ma non è questa l'unica domanda. L'altra è: che rapporti aveva con Ruby Judd?» Trueblood rimase di stucco. «Quali "rapporti"?» ripeté. «Sta scherzando, vero?» Accavallate le gambe, scosse la cenere del sigaro in un piattino di porcellana. «A questo punto mi viene da pensare che se qualcuno di Scotland Yard mi trovasse in qualche stradina di Chelsea, con un orecchino all'orecchio, mi sbatterebbe dentro senza neppure darmi il tempo di togliermi le tette finte.» A Jury andò quasi di traverso lo sherry. «Oh, non esageri, signor Trueblood.» «Mi chiami pure Marsha, come tutti gli altri.» Jury non aveva tempo da perdere in chiacchiere. «Andava o non andava a letto con Ruby Judd?» domandò senza giri di parole. «Sì.» Jury stava già per replicare, convinto che Trueblood avrebbe continuato a scherzare. La risposta lo lasciò interdetto. «Ma ci sono andato una volta sola» riprese Trueblood. «Era una discreta ragazza, ma terribilmente noiosa e senza un briciolo di cervello. Senta, caro, spero proprio che non andrà a raccontarlo in giro.» Quand'era serio, pensò Jury, era possibile che le donne lo trovassero affascinante. «Mi rovinerebbe la reputazione» continuò l'antiquario «e anche il lavoro ne risen-
tirebbe. Senza contare che ho un amico a Londra a cui si spezzerebbe il cuore, se scoprisse che gli sono stato infedele. Una simpatica sciocchina, la piccola Ruby. D'altronde cosa si può fare per divertirsi un po' in un paesino come questo, se non ci si accontenta di stare ad ascoltare le ciarle di quelle due cornacchie che sono la signorina Crisp e la signora Agatha? Probabilmente approderanno da Melrose, rovinandovi il pranzo. Oh, venga con me a casa di Lorraine. Le assicuro che si divertirà. Ci saranno molte più persone da accusare del...» «Sto solo cercando di scoprire chi è la persona, in questo paese, di cui Ruby si fidava ciecamente, tanto da rimetterci la pelle.» Trueblood sembrava perplesso. «Temo di non capire» mormorò. «Credo che ricattasse qualcuno.» «Pensa che sia io? È proprio tipico di voi poliziotti. Non fate altro che andarvene in giro nelle vostre auto, alla disperata ricerca di omosessuali a cui addossare la colpa dell'aumento della criminalità...» «Veramente non credo che sia lei» replicò Jury «ma potrei decidere di metterla per un po' al fresco, in modo da riuscire a ottenere qualche risposta.» «Ah, benissimo» disse Trueblood, abbassando il tono. «Mi sforzerò di ricordare se la ragazza ha detto qualcosa che potrebbe tornarle utile. Aveva così poco da dire che valesse la pena di ascoltare! Mi ha parlato della sua vita, o roba del genere.» «Mi dica tutto.» «Me la sono soltanto portata a letto, ispettore. Non avevo intenzione di scrivere la sua biografia e perciò ho ascoltato distrattamente.» "Era proprio destino" pensò Jury "che nessuno prestasse attenzione a Ruby Judd." «Mi ha detto che sua madre è una vecchia megera e il padre un alcolista che sta tentando di rimettersi in carreggiata. La sorella passa le sue serate davanti al televisore, sbavando sui gloriosi poliziotti americani.» Trueblood bevve un sorso di sherry e accese un altro sigaro. «Poi ci sono gli zii nel Devon, dove ha trascorso la maggior parte della sua infanzia. Mi ha parlato anche di qualche lavoro che le era capitato di fare.» «Come per esempio la fotomodella? Foto pornografiche, in realtà.» «Chi, lei? Non credo proprio. Se avesse fatto la puttana, avrebbe potuto raccattare qualche cliente, ma per le foto porno ci vuole ben altro.» «Mi sa dire dove si trovava la sera del 15 dicembre, martedì?» «Solo soletto, caro. E lei?»
«Desidera ancora un pezzo d'oca arrosto, ispettore?» Ruthven, fermo accanto a lui, avvicinò il grande vassoio d'argento su cui c'erano i resti di due uccelli, ancora decorati con ciliegie e tartufi. Jury quasi non si accorse della sua presenza, intento com'era a guardare Vivian Rivington, seduta di fronte. I capelli color ambra s'incurvavano sulle spalle, formando un piacevole contrasto con il grigio del pullover di cachemire. Sembrava una creatura sbucata fuori dalle nebbie di Dartmoor, o dalle misteriose brughiere dello Yorkshire. Se improvvisamente l'oca si fosse alzata e avesse iniziato a zampettare sul tavolo, Jury non ci avrebbe fatto caso. Isabel, la sorella di Vivian, aveva optato per i Bicester-Strachan. «Non ha molto appetito, vero ispettore?» domandò Lady Ardry. Forse se si muovesse un po' di più, come faccio io, le verrebbe fame. «Davvero, zia? E tu cosa fai?» «Indago, mio caro Plant. Non se ne può più di tutti questi omicidi, non trovi?» Spalmò del ripieno di castagne su un pezzo di pane e lo ficcò in bocca. «Be', non saprei» replicò Melrose. «Forse ce ne vorrebbe ancora uno. No, ti ringrazio, Ruthven.» «Io ne prendo ancora un po'» disse Agatha al maggiordomo. «A proposito d'indagini, tu hai un alibi, Vivian?» Jury le lanciò un'occhiataccia. Evidentemente Lady Ardry non gli aveva ancora perdonato di aver fornito un alibi a Melrose. «Veramente sono la più sprovvista, in fatto di alibi» rispose Vivian. «A parte Simon, probabilmente. Eravamo proprio al Swan, la sera in cui quell'uomo è stato ucciso.» Guardò Jury con un'espressione così infelice da costringerlo ad abbassare la testa. «Siamo tutti nella stessa barca, mia cara» riprese Agatha in tono mellifluo. «Tranne Melrose, naturalmente. È l'unico a Long Pidd ad avere un alibi.» Lo disse con una tale amarezza da far pensare che Melrose se lo fosse fabbricato con le sue mani come una banconota falsa e si rifiutasse di distribuirne le copie agli altri. Ora stava cercando di staccare un pezzo di carne dall'osso e lo faceva con grande accanimento, come se tra lei e l'oca fosse in corso un combattimento all'ultimo sangue. «Non ridacchi, ispettore» riprese. «Plant non può ancora dormire tra due guanciali. Se ben ricorda, è stato con lui soltanto dalle undici e mezzo a mezzogiorno, l'ora in cui sono tornata io.» «Ma lei è rimasta tre ore a casa sua, Lady Ardry.» Dove diavolo voleva
arrivare adesso? «Forse le dispiace che Melrose abbia un alibi?» le domandò Vivian. «Facciamo a testa o croce, zia Agatha» propose il nipote, prendendo una moneta dalla tasca. «Non fare lo stupido» lo rimproverò Lady Ardry. «Si rivolse di nuovo a Vivian.» Al contrario, mi farebbe piacere che Melrose fosse scagionato. In ogni caso alla fine la verità verrà a galla. «La verità? Quale verità?» domandò Jury. Con gesti deliberati Agatha posò la forchetta e il coltello sul piatto, per la prima volta da quando aveva iniziato a mangiare. Si prese il mento tra le mani, appoggiò i gomiti al tavolo e rispose: «Intendo soltanto dire che non sono rimasta con te per tutto il tempo. Non ricordi, Melrose, che sono andata in cucina a vedere il pudding di Natale? Martha tende a risparmiare sulla noce moscata...» Se Melrose se l'era dimenticato, Ruthven no di certo. Il maggiordomo alzò gli occhi al cielo. «Credevo che fossi semplicemente andata in bagno» replicò Melrose con un sospiro. Chiese a Ruthven di togliere i piatti. «Comunque non sei stata via molto» concluse, senza aggiungere "purtroppo", come avrebbe voluto. Jury provò una punta d'invidia vedendo Vivian posare la mano sul polso di Melrose. «Dovrebbe vergognarsi, Agatha» la rimproverò la giovane donna. «Ciascuno di noi deve fare il proprio dovere, ragazza mia, anche quando non è piacevole. Non è giusto proteggere i nostri familiari solo perché vorremmo che fossero innocenti. L'integrità morale di cui gli inglesi vanno fieri...» «Lascia perdere l'integrità morale degli inglesi, Agatha» l'interruppe Melrose. «Spiegami piuttosto come avrei fatto ad arrivare al Swan, uccidere Creed e tornare a casa nel breve lasso di tempo che tu hai passato in cucina a importunare Martha.» «Mio caro Plant, non illuderti che mi sprema le meningi per te» rispose Agatha, spalmando del burro su un biscotto. Jury rimase sconcertato. Aveva letto molti trattati sulla logica, ma sfidava chiunque a capire quella di Lady Ardry. «Comunque» riprese Agatha «visto che stiamo facendo congetture, diciamo che avresti potuto saltare nella Bentley, precipitarti...» Jury non riuscì a trattenersi oltre. «Non avrà sicuramente dimenticato, Lady Ardry» disse «che il motore dell'auto era così freddo che ci sono vo-
luti cinque minuti per scaldarlo.» Vivian Rivington gli sorrise, raggiante. Agatha, al contrario, era visibilmente delusa. «Non arrenderti, zietta» riprese Melrose. «Avrei potuto andare in bicicletta. No, quella è troppo lenta.» Rifletté un secondo. «Ah, ecco, il cavallo!» esclamò, facendo schioccare le dita. «Potrei aver sellato il vecchio Bouncer, essermi precipitato al Swan passando attraverso i campi, aver ammazzato Creed ed essere tornato indietro alla velocità della luce.» «Non credo proprio che ce l'avresti fatta, conoscendo il tuo cavallo» commentò Vivian con una risata. Melrose scosse la testa. «Già, Agatha, non c'è niente da fare: il mio alibi è inattaccabile.» Lady Ardry strinse i denti. Poco dopo arrivò Ruthven con il dessert, un magnifico pudding. Avvicinò un fiammifero alla superficie cosparsa di brandy e gli diede fuoco. Dopo che ebbe servito il dolce, versò il Madera nei bicchieri. Quando Melrose vide Agatha immersa nei suoi pensieri, probabilmente nella speranza di trovare un altro modo per distruggere il suo alibi, chiamò Ruthven. «Vedi quel pacchetto sulla mensola del camino? Prendilo e portalo a Lady Ardry, per favore.» Agatha s'illuminò in volto, mentre prendeva il regalo e apriva il pacchetto. Vivian rimase senza fiato quando vide Agatha estrarre dalla scatola un braccialetto di smeraldi e rubini che luccicavano alla luce delle candele. Lady Ardry si profuse in ringraziamenti, ma non sembrava affatto pentita di ciò che aveva detto prima. Porse il bracciale a Vivian che, dopo averlo ammirato, lo passò a sua volta a Jury. Da molti anni, cioè da quando era giovane, non gli capitava di vedere un gioiello simile, ossia da quando non si occupava più di rapine. Ora capiva il motivo per cui il colore dei rubini viene definito rosso sangue. A un tratto quel pensiero che tentava di farsi strada nella sua mente prese forma: rubini, Ruby. Ripensò al braccio della ragazza che sporgeva dalla terra. Intorno al polso non c'era nessun braccialetto. Gli tornarono all'orecchio le parole di Daphne: "Lo portava sempre. Non se lo toglieva mai". Che fine aveva fatto quel bracciale? Restituì il gioiello ad Agatha tenendo gli occhi fissi sulle gemme, ed era così intento a ripensare al polso di Ruby che quasi non udì il commento di Lady Ardry. «È grazioso, per essere un'imitazione.»
Le signore si ritirarono in salotto, lasciando Jury e Melrose davanti a un bicchiere di Porto. "Ritirarsi" non era forse la parola più adatta per Lady Ardry, che Vivian aveva faticato parecchio a "rimuovere" dalla sala da pranzo. Comunque Agatha non si era data per vinta e aveva continuato a tornare con il pretesto di recuperare prima il fazzoletto, poi un bottone e infine il bracciale, che aveva lasciato sul tavolo in un mucchietto disordinato, come se rubini e smeraldi valessero quanto una manciata di olive. «È stato molto generoso da parte sua comperarle un regalo del genere, signor Plant» disse Jury dopo che Lady Ardry se ne fu andata con il braccialetto. «Credo che ad Agatha sia sfuggito il simbolismo del verde e del rosso, i colori di Natale. Mi sembrava un'idea carina.» «Scusi la curiosità, ma lei cosa le ha regalato?» «Nulla» rispose Plant con un sorriso. «Non mi fa mai regali. Dice che sta mettendo via i soldi per comperarmene uno speciale, qualcosa che avrebbe in mente da anni. Mi piacerebbe proprio sapere di cosa si tratta. Forse un'automobile nuova, attrezzata dall'IRA.» Jury sorrise. «Vorrei parlare un po' con lei a proposito di quei delitti.» «L'ascolto.» «La cosa più strana è che l'assassino vuole dare nell'occhio. Che genere di personalità potrebbe avere un individuo simile?» «Fredda e razionale, secondo me. Può darsi che sia uno psicopatico, ma non lo dà a vedere. Comunque sono d'accordo con lei sul fatto che gli piace mettersi in mostra. Dovendo uccidere qualcuno, non sarebbe più logico incontrarsi con lui in privato piuttosto che in una locanda?» Jury sfilò dalla tasca della giacca la prima pagina del "Weatherington Chronicle". «Forse la spiegazione sta proprio qui» disse, battendo un dito sul titolo dell'articolo: CONTINUA LA SERIE DEI DEUTTI DELLE LOCANDE. C'era una descrizione dettagliata dell'omicidio di Ruby Judd, seguita da un breve accenno al caso Creed. «L'assassino segue sempre lo stesso schema. Sarebbe interessante sapere se la sua predilezione per le locande abbia un significato preciso oppure no.» Melrose Plant fece un anello di fumo. «È il genere d'interrogativo che i filosofi si pongono da secoli, ispettore. Se ciò che avviene ha un significato oppure no.» «Signor Plant, ci sono momenti in cui sono felice di non essere sua zia.» «Se continua a parlare in questo modo, presto non riuscirò più a distinguere la differenza.»
«Attento, signor Plant: potrei smantellare il suo alibi.» «Sono sicuro che non lo farà.» «E se gli assassini fossero più d'uno? Che ne dice? Il suo alibi vale solo per il caso Creed.» «Propongo di riprendere le nostre congetture. Prima di tutto bisognerebbe stabilire se l'assassino cerca qualcosa nelle locande. Potrebbe essere dell'oro nascosto da qualche parte. Oppure Matchett possiede l'insegna originale realizzata da Hogarth e non lo sa... Questo direi di escluderlo. A meno che abbia scelto le locande solo per confondere le idee agli investigatori.» «Vedo che anche lei ha preso in considerazione questa ipotesi. Talvolta ciò che si fa in un luogo pubblico passa inosservato più di quello che si fa in privato. È come quando si nasconde qualcosa mettendolo bene in evidenza. Visto che l'assassino non si cura di occultare i cadaveri, forse è il movente che vuole tenere segreto.» «Eccetto il corpo di Ruby Judd. Nel suo caso ci sono due elementi nuovi: il fatto che è stata sotterrata e che, a differenza delle vittime che l'hanno preceduta, era una del paese.» «Sono proprio queste differenze che lo rendono particolarmente interessante. Nei casi precedenti all'assassino non importava che il corpo fosse trovato subito. Nel suo caso invece ha voluto ritardare il momento del ritrovamento.» «Ma perché ucciderla?» «Forse Ruby conosceva il segreto di qualcuno qui in paese.» «E lo ricattava? Santo cielo, chi di noi può avere qualcosa da nascondere?» Jury rispose indirettamente. «Mi è parso di capire che ci fosse del tenero tra Ruby e Oliver Darrington. Già, credo proprio che la ragazza si desse molto da fare.» «Quella contadinotta cicciottella?» Melrose scosse la testa. «Certi uomini hanno gusti strani.» «Compreso Marshall Trueblood.» Melrose rischiò di far cadere la bottiglia di Porto. «Sta scherzando?» Jury sorrise. «In effetti Trueblood è un po' lo zimbello del paese.» «Personalmente ho sempre ritenuto ingiusta l'intolleranza verso razze, religioni e inclinazioni sessuali diverse. Sono cose che non si possono cambiare. Resta il fatto che Trueblood non mi piace. È così stupido che non mi meraviglierei di vederlo camminare sulle mani nella strada princi-
pale del paese.» Scosse di nuovo la testa. «E andava a letto con la ragazza?» «Una volta sola, dice lui. Ma ci sono cose nel passato di Trueblood, come del resto in quello di Darrington, che ciascuno dei due non vuole far sapere in giro. Quanto ai Bicester-Strachan...» «Opterei per Lorraine. Non esiterebbe a uccidere per proteggere la sua reputazione.» In quel momento Agatha tornò in sala da pranzo per curiosare, con la scusa che aveva bisogno di un goccio di brandy per il mal di testa. Chiese a Ruthven, che stava togliendo i piatti dalla credenza, di portarle la bottiglia. «Il mio nome si pronuncia "Rivven", signora» puntualizzò il maggiordomo. «"Rivven", come le ha spiegato molte volte il signor Plant.» «Allora perché lei lo pronuncia in un modo diverso?» «No, signora, lo pronuncio "Rivven"» insistette il maggiordomo, uscendo con il vassoio in mano. «Come puoi permettere ai domestici di parlare in questo modo?» domandò Lady Ardry al nipote. «Inoltre vorrei sapere perché hai detto quella cattiveria sul conto di Lorraine Bicester-Strachan.» Ruthven, che nel frattempo era arrivato davanti alla porta della cucina, alzò la voce per gridare: «Si pronuncia "Bister-Stron", signora. "BisterStron"!» Girò sui tacchi ed entrò in cucina. Agatha rimase a bocca aperta. Quando il maggiordomo si era avvicinato, a Melrose era sembrato di sentire un lieve odore di whisky, forse bevuto per festeggiare il Natale. «Pensa, Agatha» disse con un sorriso «persino Ruthven non ha potuto fare a meno di darti una tiratina d'orecchie.» Lady Ardry si voltò e uscì impettita dalla sala. Plant riprese il discorso interrotto al suo arrivo. «Quanto a BicesterStrachan, invece, è l'ultima persona di cui sospetterei. Quel simpatico vecchietto che passa il tempo giocando a dama...» «Ho visto altre volte simpatici vecchietti che giocano a dama fare delle cose strane» replicò Jury. «Poi c'è Simon Matchett...» «Già, parliamone un po'!» esclamò Melrose con gli occhi che facevano scintille. «Mi piacerebbe saperne di più sulla storia della moglie, soprattutto perché Vivian, quella stupida ragazza, si è lasciata incantare da un tipo come lui.» «Non le pare di essere un po' prevenuto nei suoi confronti, signor Plant?
Sarà sicuramente contrario al suo matrimonio con la signorina Rivington, immagino?» «La conosce anche lei. Crede che potrebbe funzionare?» Jury abbassò gli occhi sul piatto e non rispose alla domanda. «Non capisco perché facciano tanti misteri sul loro fidanzamento, ammesso che siano fidanzati.» «Nemmeno io» ribatté Melrose. «È stata Isabel a manovrare perché accadesse, ma giuro che non ne capisco il motivo. A maggior ragione se penso al modo in cui lo guarda. Senza contare che per lei si metterebbe male, se a intascare i quattrini non fosse Vivian al compimento dei trent'anni, ma quell'uomo. Lo trovo molto strano.» «Forse no, se...» «Se cosa?» «Niente. Cosa ne pensa a proposito dell'incidente in cui è morto il padre?» «Mi stupisce che me lo domandi, perché anch'io mi sono posto l'interrogativo. Vivian è convinta di essere stata una figlia terribile, che continuava a litigare con il padre. Sarà d'accordo con me che è difficile immaginarla così battagliera, tanto più che aveva sette, otto anni quando è morto. A detta degli psicologi, tutti cercano di rimuovere dalla mente gli episodi traumatici della propria infanzia. Vivian invece li dipinge come se fossero accaduti ieri.» Melrose esaminò la punta del sigaro e lo scosse sul portacenere. «Mi piacerebbe proprio sapere chi è stato ad aggiungere le pennellate mancanti.» «Intende dire che potrebbe essere stata Isabel a completare il quadro per lei?» «Chi altri? È l'unica parente che le è rimasta.» «Quindi non possiamo escludere che Isabel avesse un motivo per convincere Vivian che era stato un incidente. Ne consegue che potrebbe esserci qualcosa nel suo passato che non vuole lasciar trapelare.» «Non penserà che possa essere stata una donna a commettere quei delitti?» «Lei è proprio un sentimentale, signor Plant!» Jury chiese di poter fare una telefonata e Melrose raggiunse le signore in salotto. Dopo essersi scusato con Pluck per averlo disturbato durante il pranzo di Natale, Jury lo pregò di passargli Wiggins.
«Ascolta» gli disse quando venne al telefono «dopo mangiato vorrei che facessi un salto alla stazione di polizia di Dartmouth per controllare una lista di nomi. È probabile che debba metterti in contatto con la Centrale.» Gli dettò l'elenco delle persone che sedici anni prima, in qualità di ospiti o di dipendenti, si trovavano al Goat and Compasses. Il povero Wiggins non era affatto entusiasta. «Sono ventitré i nomi che mi ha dettato, ispettore» protestò. «Non tutti saranno ancora in circolazione.» «Me ne rendo conto, ma qualcuno si troverà di certo, e magari uno di loro ha buona memoria.» Jury udì un rumore secco seguito da un crocchiare. Evidentemente Wiggins stava mangiando un gambo di sedano. Il sergente l'assicurò che si sarebbe occupato quanto prima di quella lista di nomi. Entrato in salotto, Jury trovò Lady Ardry intenta ad aggiustarsi le gonne entro i confini della sedia di calamandra impreziosita da un lavoro di traforo. Immaginò la crisi di nervi che sarebbe venuta a Marshall Trueblood, se avesse potuto vedere la matrona incastrata in quel piccolo capolavoro. «Immagino che ti sia costato molto, vero?» domandò Agatha, sistemandosi meglio il braccialetto al polso. Apparentemente si era dimenticata di aver insinuato poco prima che le gemme fossero false. «Non posso dirti esattamente quanto può valere, Agatha...» «Non essere volgare, Melrose. È molto bello. Naturalmente non è antico come i gioielli di Marjorie...» «Chi è Marjorie?» s'informò Jury. «Mia madre» rispose Melrose. «Ne aveva una splendida collezione.» Puntò gli occhi verso il soffitto. «Li tengo nella torre, insieme con i corvi. Se mi dà mezza sterlina glieli mostro.» «Oh, smettila di fare lo spiritoso, mio caro Plant. Non ti si addice.» Vivian si alzò. «È stato un pranzo delizioso, Melrose» disse «ma ora devo andare...» «Santo Dio, perché?» domandò il padrone di casa, alzandosi a sua volta. «Se ti trattieni ancora un po', potresti collaborare a distruggere il mio alibi.» «Melrose!» lo rimproverò Vivian, guardandolo con severità come se fosse stato un bambino capriccioso. «Agatha ha bisogno di qualcuno che le dia una mano.» «Smettila, Melrose!» protestò Vivian. Sembrava davvero contrariata. Jury pensò che aveva il difetto di prendere tutto un po' troppo sul serio.
Non che gli omicidi non lo fossero; ma era evidente che Plant scherzava per alleggerire la tensione. Forse quella di Vivian era la tipica deformazione professionale dei poeti e dei poliziotti. No, o almeno non sempre, dal momento che lui riusciva ancora ad apprezzare il senso dell'umorismo di Plant. «Allora vai via?» domandò Lady Ardry. «Io invece devo restare ancora un po'.» «Sei arrivata qui con Vivian, cara zietta. Non la lascerai andare via da sola?» «È grande abbastanza da badare a se stessa, direi. Eventualmente l'ispettore Jury può darle un passaggio.» Melrose sorrise. «Se fossi in te cercherei di essere meno impertinente con l'ispettore» disse, appoggiandosi alla mensola del camino e disegnando anelli di fumo con la bocca. Jury aiutò Vivian a infilarsi il cappotto e Melrose li accompagnò alla porta. «Non è carino da parte sua portarsi via Vivian e lasciarmi qui Agatha» scherzò. «Non ho mai preteso di esserlo, signor Plant» disse l'ispettore di rimando. «Cosa posso offrirle, ispettore? Una bibita? O preferisce un caffè?» «Niente, grazie» rispose Jury, mettendo subito in chiaro che la sua non era una visita di cortesia. «Voglio solo rivolgerle qualche domanda.» Vivian sospirò. «Spari pure, ispettore. Non è mai fuori servizio?» «È un po' difficile, dopo quattro omicidi di fila» replicò Jury, asciutto. «Mi scusi» mormorò Vivian, massaggiandosi le braccia come se a un tratto sentisse freddo. Non era mia intenzione fare la spiritosa. È soltanto che... «Si sedette sul divano e prese la scatola delle sigarette.» Jury era seduto nella poltrona di fronte, dall'altra parte del tavolino. «Per cominciare, mi è stato detto che lei è fidanzata con Simon Matchett.» L'espressione di Vivian, mentre gli passava le sigarette, ricordava quella di un animale strappato dalla sua tana. Jury le accese la sigaretta, prima di accendersi la propria, e intanto aspettava con calma la risposta. «Sì, immagino che sia così» ammise Vivian, alzandosi. «Ho voglia di bere qualcosa. Sarei lieta che mi facesse compagnia.» «Whisky, grazie» rispose Jury, fissando la punta della sigaretta. Mentre Vivian si avvicinava alla credenza per prendere la bottiglia e i bicchieri, Jury ne approfittò per guardarsi attorno.
«Tornando a Simon» disse Vivian, porgendogli il bicchiere «a dire la verità non ho ancora deciso.» «Intende dire che non sa se vuole sposarlo?» domandò Jury. «Per quale motivo?» Ferma davanti a lui, Vivian fissava un punto sopra la sua testa. «Perché non credo di amarlo» replicò. I mobili e le suppellettili che poco prima aveva guardato senza particolare interesse a un tratto parvero risplendere come gioielli. Si schiarì la gola, nella speranza che la sua voce risultasse quasi umana. «Se non lo ama, perché dovrebbe sposarlo? Scusi se glielo chiedo» si affrettò ad aggiungere, bevendo quasi tutto il whisky in un sorso solo. Vivian, che intanto era tornata a sedersi di fronte a lui, teneva lo sguardo fisso sul bicchiere, facendolo ruotare tra le dita come una sfera di cristallo. Si strinse nelle spalle, come se lei stessa non conoscesse la risposta, «Arriva un momento in cui si è stanchi di vivere soli, e lui si prende cura di me.» Jury mise il bicchiere sul tavolino con un gesto deciso. «Non le pare un motivo stupido per sposarsi?» Vivian spalancò gli occhi. «Ma insomma, ispettore Jury! Secondo lei quali sarebbero i motivi giusti?» Jury si alzò, si avvicinò alla finestra e rimase a guardare la neve che cadeva, illuminata dalla luce di un lampione. «L'amore, la passione, al limite il sesso. Non riuscire a stare lontano da qualcuno, non riuscire a pensare ad altro!» Voltò le spalle alla finestra. «Le sembra sufficiente che un uomo si prenda cura di lei? Ha mai provato cosa significa l'amore, la passione?» Vivian non rispose subito. «Non ne sono sicura» disse finalmente «ma lei sì, immagino.» «Non è di me che stiamo parlando. A quanto ammonta la sua eredità?» «A un quarto di milione di sterline, ma non capisco cosa c'entri con il nostro discorso.» La sua voce era salita di un tono. «Le è mai venuto il sospetto che Simon Matchett potrebbe essere un cacciatore di dote?» «Certo che sì. Come qualsiasi altro uomo, del resto.» «Che cinismo! Non è detto che siano tutti uguali. Le donne come lei» disse, riandando con la mente alla foto che stava nel cassetto della sua scrivania «combinano soltanto guai. Vi rinchiudete nella vostra vulnerabilità come in un mantello e poi vi meravigliate se qualcuno ne approfitta.» «Non è cinismo, quello che ha appena descritto» ribatté Vivian, ripor-
tando la voce a un tono normale. «In compenso devo ammettere che è un'immagine abbastanza poetica.» «Lasci perdere la poesia. Conosceva bene Ruby Judd?» Vivian si portò una mano alla fronte. «Santo cielo! Parlare con lei è come cercare di afferrare un mulinello di vento. Mi gira la testa.» «Conosceva Ruby?» «Sì, certo, ma superficialmente. L'ho vista qualche volta al vicariato.» «Che ne pensava di lei?» Vedendo la sua esitazione, aggiunse: «Non si senta in dovere di parlarne bene soltanto perché è morta.» «Veramente non è che mi fosse antipatica, ma mi dava fastidio che stesse ad ascoltare quando parlavo con il vicario. Era troppo curiosa. Trovava sempre qualche pretesto per entrare. Comunque doveva essere una poco di buono. Ho sentito dire che faceva il filo a tutti gli uomini del paese. A Oliver, per esempio, e forse anche a Simon. Persino a Marshall Trueblood, per quanto possa sembrare impossibile. Melrose Plant dev'essere stato l'unico a sfuggire alle sue grinfie.» S'interruppe un istante. «Poco fa parlava di cacciatori di dote.» Abbozzò un sorriso. «Se non altro sono sicura che Melrose non lo è.» Fu il modo in cui lo disse a colpire Jury. Peccato che Vivian non avesse scelto un altro, chiunque altro, per innamorarsi. Magari Robert Redford. «Isabel detesta Melrose. Non ho mai capito perché.» La ragione era più che evidente, visto che Isabel aveva in mente Simon per lei. Restava da capire per quale motivo la sorellastra di Vivian fosse disposta a lasciare che il denaro finisse nelle mani di Matchett, su cui non aveva nessun potere, mentre non le era affatto difficile manipolare Vivian. Il sospetto che aveva iniziato a formarsi nella sua mente mentre parlava con Plant gli raggelò il sangue nelle vene. «Che differenza fa se alla sua sorellastra piace o no l'uomo che lei sceglierà come compagno?» «Nessuno le ha detto niente di mio padre?» chiese Vivian invece di rispondere alla domanda. «Jury annuì.» È stata colpa mia, sa? Ero in sella al mio cavallo quando è arrivato lui. C'era buio perché era una notte senza luna. Mio padre si è fermato dietro di me. Il cavallo si è impennato e l'ha colpito con un calcio. «S'irrigidì.» È morto sul colpo. «Mi dispiace molto» mormorò Jury. Rifletté un momento. «È successo nel nord della Scozia, se non sbaglio?» Vivian confermò. «Nelle Highlands. Sutherland.» «Eravate presenti solo voi tre, lei, suo padre e Isabel?»
«Sì, oltre alla vecchia cuoca, che ormai è morta» rispose Vivian, fissando il liquido nel bicchiere come se potesse riflettere quei volti che appartenevano al passato. «Sua sorella, o meglio la sua sorellastra, andava d'accordo con suo padre?» «Non molto. Per essere sincera credo che se la sia presa perché non ha lasciato nulla a suo nome. Nel testamento, intendo.» «Del resto perché avrebbe dovuto lasciarle qualcosa, dal momento che la conosceva da tre o quattro anni appena?» «Sì, è vero» mormorò Vivian, prendendo un'altra sigaretta. La prima si era consumata nel portacenere. Agitò una mano come per scacciare, oltre al fumo, i fantasmi del passato. «Voleva molto bene a suo padre, vero?» Vivian annuì senza alzare la testa. Jury ebbe l'impressione che stesse per piangere. «Secondo Isabel, in seguito a una discussione lei era corsa fuori ed era saltata in sella al suo cavallo. Ricorda questo particolare?» Vivian parve perplessa. «Se me lo ricordo? Sì, be', non proprio.» «Questo è ciò che le è stato detto dalla sua...» «Vedo che avete fatto comunella.» Non avevano sentito entrare Isabel. Entrambi si voltarono di scatto. Ferma sulla porta, nella penombra, aveva l'aria misteriosa ed era molto bella, ma forse un po' troppo elegante per i gusti di Jury. Indossava una tuta di velluto verde con una collana d'ambra al collo e una giacca di visone che teneva con disinvoltura su una spalla. «Come sta, ispettore Jury?» «Bene, grazie, signorina Rivington» rispose, alzandosi e abbozzando un inchino. Isabel entrò nella stanza, buttò la giacca su una sedia e si avvicinò al cassettone. «Posso farvi compagnia?» «Sì, naturalmente» rispose Vivian senza entusiasmo. Jury se ne accorse. Il debito morale nei confronti della sorellastra doveva essere per lei una sorta di palla al piede. Isabel si riempì un bicchiere, aggiunse uno schizzo di seltz, poi si avvicinò a Vivian, le passò un braccio sulle spalle e le diede una leggera stretta. Il gesto parve a Jury non tanto dettato dall'affetto, quanto da un senso di possesso. Dopo essersi abbandonata sul divano, Isabel si sistemò i cuscini dietro la schiena. «Che musi lunghi!» esclamò. «Non avete mangiato bene da Melrose? Avreste fatto meglio a venire da Lorraine.» «È stato un pranzo delizioso» ribatté Vivian con un tono piuttosto risen-
tito che piacque a Jury. «A Simon è dispiaciuto molto che tu non sia venuta.» Stavolta Vivian non fece commenti. «Purtroppo c'era anche il reverendo Denzil Smith e così abbiamo trascorso quasi tutta la serata ascoltando le sue storie sui passaggi segreti e sulle insegne delle locande. Tutti questi delitti devono avergli dato alla testa. Per il resto del tempo abbiamo parlato della povera Ruby. Che brutta fine, poveretta! Il vicario ha detto che gli avete perquisito la casa da cima a fondo, alla ricerca di un braccialetto e del diario della ragazza.» Jury non replicò. Purtroppo c'erano troppe persone in paese che avrebbero fatto meglio a risparmiare il fiato. Consultò l'orologio. «Grazie del whisky. Ora devo andare.» Vivian l'accompagnò alla porta. Mentre Jury stava avviandosi verso la Morris, lo richiamò indietro. «Aspetti un momento!» Corse in casa, ne riemerse con un libriccino in mano e glielo porse. «Non so se le piace la poesia ma, secondo me, chiunque citi Virgilio dovrebbe...» Jury guardò il libretto. Aveva la copertina rigida e di colore scuro. Al buio non riusciva a leggere il titolo. «Sì, mi piace» rispose. «Questo è opera sua?» Vivian distolse lo sguardo, imbarazzata. «Sì. È stato pubblicato tre o quattro anni fa. Non è andato a ruba, come può immaginare.» Jury taceva e perciò lei riprese a parlare. «So che non ha molto tempo per leggere, se non i rapporti della polizia. Comunque in questo libro di poesie ce ne sono poche. Non ne scrivo a fiumi. Anzi, faccio già fatica a scriverne una.» «Troverò il tempo» l'assicurò Jury. Trascorse la serata a letto, leggendo le poesie di Vivian. Non erano certo frutto della mente di una persona debole, che si lasciasse facilmente abbindolare e magari anche dissuadere dallo sposare l'uomo che amava. A un tratto gli venne il dubbio che in realtà fosse Melrose Plant a non voler sposare Vivian Rivington. Il libro gli scivolò di mano quando si addormentò, chiedendosi com'era possibile che qualcuno potesse non volere una donna come Vivian. 15 Sabato, 26 dicembre
Durante la prima colazione a base di salsicce, uova fritte e salmone affumicato, il sergente Wiggins riferì a Jury di aver chiamato Scotland Yard il giorno precedente, dopo la sua telefonata, e di aver avuto gli indirizzi di due dei dipendenti che all'epoca lavoravano al Goat and Compasses. «I loro nomi sono Daisy Trump e Will Smollett, ispettore. Sono gli unici due di cui non si siano perse le tracce. Quanto agli ospiti della locanda, finora non ne abbiamo rintracciato neanche uno. Posso telefonare a queste due persone e fissare un appuntamento.» «Sì, certo» rispose Jury, servendosi dell'altro salmone. «Sono state proprio Daisy Trump e Rose Smollett a trovare la signora Matchett morta.» «Ho preso anche qualche appunto a proposito del signor Rivington» riprese Wiggins, passandogli un foglio di carta. Jury diede una scorsa alla mezza pagina battuta a macchina e non trovò altre notizie, oltre a quelle che gli erano state fornite da Isabel e Vivian. L'unica cosa interessante era l'ora della morte, su cui Jury concentrò la sua attenzione. «Ti ringrazio, sergente. Hai fatto un ottimo lavoro. Mi rincresce di averti rovinato il pranzo di Natale.» Wiggins avrebbe rinunciato volentieri ad altri pranzi natalizi, pur di ricevere gli elogi di Jury. Sorrise, ma un attimo dopo un violento accesso di tosse gli cancellò il sorriso dalle labbra. Chiese il permesso di assentarsi un momento per andare in camera sua a prendere lo spray per la gola. «Mentre sali avverti Daphne Murch che desidero parlarle.» Daphne si presentò cinque minuti dopo, con la caffettiera in mano. «Gradisce dell'altro caffè, ispettore?» «Vorrei solo parlare con lei cinque minuti, Daphne. Si sieda.» La ragazza, che ormai si era abituata al suo ruolo di testimone principale nonché amica di Ruby Judd, obbedì all'istante. «Ci sono due cose che appartenevano a Ruby di cui non abbiamo trovato traccia, fatto che mi sembra piuttosto strano. Questi oggetti sono il suo braccialetto e il suo diario. Lei mi ha detto che non si toglieva mai il bracciale, vero?» «Così sosteneva, ed era la verità, perché infatti lo portava sempre.» «Ma non l'aveva quando l'abbiamo trovata.» «È davvero strano, soprattutto perché doveva andare da qualche parte. Voglio dire, se non se lo toglieva per pulire e spolverare, a maggior ragione avrebbe dovuto metterselo prima di partire per un viaggio, non le sembra? Può darsi che si sia rotta la chiusura. Mi ricordo che qualche tempo fa...» S'interruppe e girò la testa dall'altra parte.
«Sì?» Daphne tossicchiò. «Oh, niente di speciale, credo. È successo al vicariato. Ogni tanto ci facevamo visita a vicenda, o andavo io a trovarla, oppure veniva qui lei. Stavamo scherzando, tirandoci addosso i cuscini, quando a un certo punto Ruby è rotolata giù dal letto ed è finita sotto. Ci siamo sganasciate dal ridere. Poi, mentre cercavo di aiutarla ad alzarsi, lei mi ha stretto il polso così forte che si è aperta la chiusura del mio braccialetto e le è rimasto in mano. Abbiamo ricominciato a ridere, e intanto cercavo di farmelo restituire. Ruby è uscita da sotto il letto e ha esclamato: "Che strano!". Me lo ricordo come se fosse adesso. "È proprio strano!" Sembrava che avesse visto un fantasma, o che qualcosa l'avesse sconvolta. È rimasta seduta sul letto con il mio bracciale in mano e un'espressione curiosa. Poi, guardando il "suo" bracciale, ha detto: "Credevo di averlo trovato", come se parlasse tra sé. Continuava a scuotere la testa. Poi mi ha raccontato quella storia a proposito del segreto che conosceva sul conto di qualcuno.» «Com'era quel braccialetto?» «Niente di speciale. Un bracciale con i ciondoli. Quelli dovevano essere d'oro. O almeno lo diceva lei, ma con Ruby non si era mai sicuri di niente. Mi ricordo che uno era un piccolo cubo con dentro una sterlina. C'erano anche un cavallino e un cuore, più altri ciondoli che non ricordo.» Guardò Jury con un certo timore. «Pensa che la morte di Ruby abbia qualcosa a che vedere con quel braccialetto?» «Non mi sorprenderebbe.» Jury fermò l'auto davanti alla stazione di polizia di Long Piddleton, scese ed entrò. Stava togliendosi l'impermeabile quando squillò il telefono. Era il sergente Wiggins. «Sono riuscito a trovare Daisy Trump, ispettore. E anche gli Smollett, o meglio, un cugino che abita nella casa accanto. Smollett è via e la moglie Rosamund è morta qualche anno fa.» "Maledizione" pensò Jury. «Quanto all'altra donna, posso vederla?» «Daisy Trump? Sì. Vive a Robin Hood's Bay, nello Yorkshire.» «Portamela qui, sergente. Dunque, prima di tutto devi andare a Robin Hood's Bay. Non dovrebbero essere molte ore di viaggio. Non appena sarai di ritorno, prenota una stanza per lei. Santo cielo, ci sarà pure una locanda in tutto il Northants dove non sia stato commesso un omicidio? O le abbiamo esaurite?» Wiggins si allontanò dal telefono e Jury lo sentì confabulare con qualcu-
no. «Ci sarebbe il Bag o'Nails» lo informò quando tornò all'apparecchio. «Vicino a Dorking Dean, ispettore, a qualche chilometro dal Swan.» Jury lo sentì bere un sorso di tè. «Non è lo stesso nome di una delle locande di Matchett?» domandò Wiggins. «Sì» rispose Jury «è piuttosto comune. Prenota pure lì e, per amor del cielo, mandale un agente che non la perda di vista, in modo che non le succeda niente di male, povera donna.» «D'accordo, ispettore. Il sovrintendente Pratt vorrebbe che lei venisse a Weatherington per parlare di alcuni particolari.» Wiggins abbassò la voce, come se temesse che a Londra qualcuno potesse sentirlo. «Ha telefonato il sovrintendente Racer. Aveva un diavolo per capello. Devo dirgli qualcosa, la prossima volta che richiama?» «Certo, auguragli buon Natale da parte mia» rispose Jury. «Arrivano un po' in ritardo, ma glieli faccio di tutto cuore.» Prima di riagganciare fece in tempo a sentire la risata di Wiggins. Melrose Plant, seduto a un tavolo vicino alla finestra, stava gustando una porzione dello squisito pasticcio di vitello della signora Scroggs, quando la porta si aprì e comparve Marshall Trueblood. L'antiquario era il tipo di persona che Melrose detestava più in teoria che nella realtà. In un pomeriggio d'inverno, davanti a un boccale di buona birra, poteva rivelarsi una compagnia abbastanza piacevole. «Salve, vecchio mio. Posso farle compagnia?» chiese Trueblood, togliendosi la sciarpa di cachemire e mettendola sulla spalliera della sedia. «Si accomodi, prego» rispose Melrose, indicando la sedia davanti alla finestra. Nello stesso istante la porta si aprì di nuovo. «A questo punto conviene dare inizio alla festa, adesso che è arrivata anche Sua Eccellenza.» Ferma sulla porta, la signora Withersby si guardava intorno con aria diffidente, come se temesse che il locale avesse cambiato proprietario durante la notte e lei si trovasse improvvisamente circondata da ladri e tagliatori di gole. «Salve, Withersby» la salutò Trueblood. «Stavolta offre lei oppure io? Be', non stiamo a discutere. Lei è sempre troppo generosa» scherzò, contando le monete. Quel giorno la signora Withersby non si era messa la dentiera e quando parlava la bocca tendeva a rientrare. «Guarda chi si vede! La signorina Marsha. Oggi tocca a lei. Io ho pagato la volta scorsa, meno di una setti-
mana fa.» «Withersby, l'ultima volta che ha pagato lei, io non ero ancora nato. Cosa prende?» «Il solito» rispose la donna, occupando la sedia vicino a Melrose e iniziando subito a fargli la predica. «Non sarebbe il caso che lei cominciasse a lavorare seriamente, almeno per un giorno?» domandò. Per essere gentile, Melrose fece un cenno affermativo; poi le porse il portasigarette d'oro e contemporaneamente tirò indietro la testa per non essere investito dalla zaffata del suo alito micidiale, che puzzava di gin, aglio e chissà quali altri ingredienti ingeriti dalla signora Withersby per mantenersi in salute. «Cosa sta facendo qui, signore, in questo angolo buio in compagnia della bella Marsha? Speriamo che sua zia non venga a saperlo. Oh, grazie, cara» continuò in tono soave quando Trueblood le mise davanti il boccale di birra. «Lei è molto gentile. L'ho sempre detto. Peccato che non siano tutti generosi come lei» concluse, lanciando un'occhiataccia a Melrose. «Mi dica, Withersby» riprese Trueblood, accendendosi un sigaro «che ne pensa delle cose orribili che stanno capitando a Long Pidd? Spero che abbia collaborato con la polizia per aiutarli nelle indagini.» Avvicinò la testa e riprese, abbassando la voce: «Naturalmente non ho detto a nessuno di averla vista calarsi giù dall'architrave, quella fatidica sera.» Indicò la finestra. «Non dica scemenze. Non ha visto niente di simile.» Prese da una tasca un mozzicone di sigaretta, staccò la parte bruciata e infilò tra le labbra ciò che restava. Dopo averla accesa, soffiò il fumo in faccia a Melrose e disse con orgoglio: «Ho accoppato una moffetta, stamattina.» Trueblood, che aveva preso dalla tasca un temperino d'argento, stava pulendosi le unghie. La notizia non parve impressionarlo. «Ha accoppato una moffetta, ha detto?» La signora Withersby annuì, appoggiò con un gesto secco il bicchiere sul tavolo e alzò gli occhi al cielo. «Sì, e poi ho attaccato la carcassa al tronco di un albero.» Doveva essere una sorta di cerimonia per propiziarsi le divinità. «Mia madre accoppava sempre una moffetta, quando succedeva qualcosa di brutto. Serve a tenere lontani gli spiriti cattivi...» La porta si aprì per la terza volta ed entrò Lady Ardry, avvolta nel suo ampio mantello. «Be', mancava ancora qualcuno, a quanto pare» mormorò Melrose, men-
tre Agatha scrutava i tavoli nella semioscurità e si dirigeva verso di loro. Dovevano essere proprio un bel quadretto. «Ah, eccoti qui!» esclamò Lady Ardry. «Salve, dolcezza» la salutò Trueblood, chiudendo il temperino e mettendoselo in tasca. «Vuole sedersi qui con noi?» «Certo, accomodati» gli fece eco Melrose. «Vedi, le tue tre persone preferite si sono riunite qui per darti il benvenuto.» Si alzò per avvicinarle una sedia. La signora Withersby stava profondendosi in effusioni quando Lady Ardry, brandendo il suo bastone come una sciabola, corse il rischio di tranciarle la testa. «Devo parlare con te, Plant» disse, guardando storto gli altri due. «In privato.» Trueblood non fece neppure l'atto di alzarsi. Bevve un sorso dal suo bicchiere. «Si sieda, prego. La nostra amica, la signora Withersby, ha accoppato una moffetta.» Agatha lo guardò con l'aria di volergli dare una bastonata in testa. «Poco fa stavo appunto cercandola, signor Trueblood. Avrei dovuto immaginare che l'avrei trovata qui a gozzovigliare, invece di badare al suo negozio, che tra l'altro non ha neppure avuto l'accortezza di chiudere. Non lo sa che qualcuno potrebbe entrare e portarsi via la roba?» «Ha ragione. Lei cos'ha preso? Forza, vuoti le tasche. Sotto quel mantello potrebbe aver nascosto il mio prezioso divanetto georgiano.» Agatha lo minacciò con il bastone e Trueblood smise di stuzzicarla. «Devo dirti due parole, Plant.» Melrose sbadigliò. «Senti, perché non vieni a Torquay con noi? Avevamo deciso di passare una bella giornata tutti insieme. Sarebbe bello che venissi anche tu.» Lady Ardry batté il bastone sul tavolo. La signora Withersby schizzò in piedi, bofonchiò qualcosa e se ne andò. «Scroggs!» strillò Agatha, occupando la sedia rimasta libera. «Portami un po' di quel magnifico sherry.» La signora Withersby ricomparve immediatamente. «Se stasera non scenderà, se dall'albero non cadrà, l'incantesimo sarà spezzato e il diavolo gabbato» recitò con voce cantilenante. Prese il suo bicchiere, lo vuotò d'un fiato e lo appoggiò sul tavolo con tanta forza, che stavolta fu Lady Ardry a trasalire. «Cosa sta blaterando, buona donna?» «Gliel'avevo detto che ha ucciso una moffetta» rispose Trueblood.
«Stiamo aspettando che cada dall'albero per potercene andare a letto a dormire.» «Signor Trueblood» disse Agatha con un tono esageratamente gentile «ci sono dieci persone nel suo negozio che attendono di essere servite. Non sarebbe meglio che andasse a vedere?» Trueblood finì di bere e si alzò con calma. «Non è mai successo che ci fossero dieci persone tutte insieme nel mio negozio. Ma capisco che la mia presenza non è gradita, perciò tolgo il disturbo.» Se ne andò. «Bene, sei riuscita a far piazza pulita, Agatha. Allora, dimmi di cosa si tratta.» «Abbiamo trovato il braccialetto di Ruby Judd» annunciò Lady Ardry con aria trionfante. «Come? Chi l'ha trovato?» «Io... e Denzil Smith» aggiunse dopo una breve esitazione, da cui Melrose dedusse che in realtà doveva essere stato il vicario a trovare il braccialetto. «Hanno perquisito il vicariato da cima a fondo. Dove l'avete trovato?» Agatha non rispose subito. Probabilmente stava cercando una risposta che non la facesse sfigurare. «Non credo di poterlo rivelare» disse finalmente. «Comunque al vicariato.» «Il che significa, cara zia, che non lo sai e che è stato il reverendo Smith a trovare il bracciale. L'ha consegnato all'ispettore Jury?» «Immagino che l'abbia fatto» rispose Lady Ardry in tono mellifluo. «A patto che sia riuscito a rintracciare l'ispettore. È sempre introvabile, ogni volta che si ha bisogno di lui.» «L'hai detto a qualcun altro?» domandò Melrose, preoccupato all'idea che la notizia facesse il giro del paese. «Chi, io? Non sono così sprovveduta, ma sai bene quanto chiacchiera Denzil Smith. Torno adesso dalla casa di Lorraine e loro erano già al corrente.» Dal tono trapelava una certa irritazione. Ciò significava che era seccata di non essere arrivata per prima. «L'ispettore Jury sarà l'ultimo a saperlo» commentò Melrose con un sospiro. «Se riuscisse a restare in paese per due minuti di fila, forse potrebbe essere il primo. Sono appena andata alla stazione di polizia, ma non sono riuscita a far parlare Pluck. Praticamente ho fatto tutto quello che avrebbe dovuto fare Jury al mio posto.» Melrose ne dubitava e non poté fare a meno di domandare: «Perché,
cos'hai fatto?» «Ho interrogato sistematicamente tutti gli indiziati il cui nome figura in questo elenco.» Prese dalla tasca un foglio di carta stropicciato come una foglia di lattuga e lo porse a Melrose, chiamando di nuovo Scroggs a gran voce per ricordargli di portarle immediatamente lo sherry che aveva ordinato. «Ho cominciato dall'inizio di High Street e da lì sono andata avanti.» Melrose si sistemò gli occhiali e diede un'occhiata alla lista. C'erano due titoli: "Indiziati" e "Moventi". «Vedo che c'è spesso la parola "gelosia" sotto la voce "Moventi". Di chi mai dovrebbe essere gelosa Vivian Rivington? Quanto a Lorraine, non hai neppure messo il suo nome.» «È evidente che lei non c'entra affatto» rispose Agatha. «Ah, ecco il mio sherry.» Dick Scroggs, fermo vicino al tavolo, aspettava di essere pagato. Melrose si frugò in tasca per cercare la moneta. «A proposito, stasera siamo tutti a cena al Man with a Load of Mischief.» Melrose teneva il bicchiere in una mano e il foglio nell'altra. «Tutti chi?» domandò. «I Bicester-Strachan, Darrington con quella rossa che si porta in giro, e anche Vivian, la luce dei tuoi occhi.» Fece una pausa. «Questo pomeriggio, quando sono passata da lei, c'era Simon a casa sua» aggiunse con un sorrisetto maligno. Melrose la ignorò. «Come fai a essere sicura che Lorraine non sia colpevole?» chiese. «È di buona razza» rispose Lady Ardry. «Ecco perché.» «Al limite questo potrebbe valere per il tuo cavallo, se volessi dimostrare che non è lui l'assassino; ma non si addice a Lorraine.» Tornando a leggere l'elenco, trovò il proprio nome insieme agli altri, incastrato tra Sheila e Darrington come se l'avesse aggiunto in un secondo momento. Alla voce "Moventi" c'era un punto interrogativo. «Significa che non sei riuscita a trovare un movente per me, zia?» «All'inizio non avevo neanche messo il tuo nome» rispose Lady Ardry sbuffando. «Per via di quel maledetto alibi che tu e Jury vi siete inventati.» «Però ho notato che manca il tuo di nome.» «È ovvio, dal momento che non sono stata io a uccidere quelle persone.» «Sotto il nome di Trueblood hai scritto "Droga". Si può sapere perché?» «Trueblood è un antiquario, vero?» replicò Agatha con un sorrisetto significativo. «Non è una novità.»
«Con tutta la merce che importa dall'estero, forse anche dal Pakistan e dall'Arabia Saudita, pensi che gli sarebbe difficile nascondere l'hashish o la cocaina?» «Non ne ho idea. Come ti è venuto questo sospetto?» «È possibile che le vittime fossero... come si dice? I suoi contatti. Forse era una banda organizzata.» «Veramente Creed era un poliziotto in pensione» replicò Melrose che, nonostante tutto, voleva tentare di farla ragionare. «Appunto, Plant. Evidentemente aveva scoperto il loro giro e gli stava dando la caccia. Così Trueblood ha dovuto toglierlo di mezzo.» «E quale sarebbe stato il ruolo di Ruby Judd?» «Lei era l'intermediario.» «Tra quali persone?» «C'è "sempre" un intermediario.» Melrose lasciò correre. «Senti, bisogna informare Jury del ritrovamento del braccialetto.» Agatha finì di bere lo sherry. «Chissà, forse l'Interpol riuscirebbe a rintracciarlo» disse con una smorfia che voleva essere un sorriso. Jury, seduto al bar del Man with a Load of Mischief, aspettava Melrose Plant. Si erano dati appuntamento quel mattino per trovarsi la sera alla locanda. Jury diede un'occhiata all'orologio: 8.35. Sbadigliò. Dov'era finito Plant? Guardandosi allo specchio dietro il banco del bar, in un primo momento pensò che la sua immagine fosse distorta; poi decise che invece doveva essere esattamente come si vedeva. Si sentiva proprio stanco, dopo un pomeriggio passato con Pratt a esaminare le prove. Si sentiva particolarmente infelice quando guardava Vivian Rivington e Simon Matchett, seduti a un tavolo d'angolo. A poca distanza da loro c'erano Sheila Hogg e Oliver Darrington che, al suo arrivo, aveva trovato impegnati in una vivace discussione, mentre ora sorridevano amabilmente, parlando con Lorraine Bicester-Strachan e Isabel Rivington. Quanto a Willie Bicester-Strachan, l'aveva visto vagare per la locanda alla ricerca del vicario. Jury sentì pronunciare il suo nome e attraverso lo specchio vide Melrose Plant fermo alle sue spalle. «Sono... siamo appena arrivati. Scusi il ritardo, ma la cara zia mi ha imbottito la testa per un'ora con le sue chiacchiere, e adesso sta facendo altrettanto con Bicester-Strachan.» Si appollaiò sullo
sgabello accanto al suo. «Per caso ha visto il vicario?» «No, ma dovrebbe esserci anche lui.» Plant sembrava preoccupato. «Senta, secondo Agatha...» «Agatha può parlare da sé» l'interruppe Lady Ardry, infiltrandosi in mezzo a loro. «Un gin rosa, Melrose, per favore.» «Stranamente questa volta penso che dovrebbe ascoltare quello che ha da dirle zia Agatha, ispettore» disse Plant dopo aver ordinato da bere. Jury notò che Lady Ardry portava il braccialetto di rubini e smeraldi sopra un bel guanto di pelle e si chiese che fine avessero fatto gli altri guanti, quelli senza le dita. «Se si fosse rivolto a me, ispettore» disse Agatha, guardandolo dall'alto in basso «avrei potuto darle qualche buona idea.» «L'ascolterò ora con molto piacere, Lady Ardry» l'assicurò Jury, assumendo un'espressione contrita e augurandosi che venisse subito al dunque. Purtroppo non fu così. Prima di tutto Agatha controllò che il bottone del guanto fosse ben chiuso, poi si aggiustò il collo di volpe intorno al collo e infine si lisciò i capelli, un'operazione assolutamente inutile. Quando Melrose le mise davanti il bicchiere di gin rosa, finalmente fu pronta a parlare. «Questo pomeriggio ho fatto un salto dal vicario, dopo essere passata a casa delle sorelle Rivington. Devo dire, Melrose, che la luce dei tuoi occhi, cioè Vivian, potrebbe anche essere un pochino più ospitale. Se vuole il mio parere, ispettore...» «...gli elefanti potrebbero volare» disse Melrose, ironico. «Arriva subito al punto, Agatha.» «Non usare quel tono con me. Nel corso del mio interrogatorio ho scoperto molte cose che sicuramente interessano all'ispettore Jury.» Quest'ultimo non fiatò, imponendosi di portare pazienza. Metterle premura significava soltanto peggiorare la situazione. «In ogni modo si possono anche ignorare determinate cose, come per esempio il fatto che Trueblood è un antiquario...» «È del vicario che devi parlare, Agatha.» «Smettila d'interrompermi, Melrose. So io quello che devo dire. Dopo aver interrogato quasi tutte le persone della lista...» «Il braccialetto, Agatha.» «Ci sto arrivando.» «Allude forse al bracciale di Ruby Judd, Lady Ardry?» «È esattamente ciò che tentavo di dirle, se mio nipote non avesse continuato a interrompermi. Ho trovato il...» «Veramente è stato "lui" a trovarlo» la corresse Melrose. «L'hai ammes-
so tu stessa.» «Posso sapere "dove", Lady Ardry? L'abbiamo cercato per tutta la casa.» Agatha si guardò la punta delle scarpe. «Non ne sono sicura, ma...» «Oh, falla finita per amor del cielo! Il vicario non te l'ha detto perché temeva che lo spifferassi a tutto il paese.» «No, veramente la ragione è un'altra» protestò Agatha. «Me l'ha taciuto per non mettere in pericolo la mia vita. Santo cielo, non mi accadrà nulla di male, vero?» A Jury venne la pelle d'oca. «Quando l'ha trovato lui?» domandò. «Non lo so con precisione. Sono andata a trovarlo stamattina. Aveva cercato di mettersi in contatto con lei, ma inutilmente perché era in giro a chiacchierare e a seguire qualche falsa pista.» «Ha visto il braccialetto con i suoi occhi?» «Sì, naturalmente.» «Dov'è adesso?» «Denzil l'ha nascosto da qualche parte. In un primo momento pensava di rimetterlo dove l'aveva trovato perché gli sembrava un ottimo nascondiglio; ma non ha voluto dirmi dove.» Girò il bicchiere tra le dita. «La mia teoria su questa serie di omicidi ha a che fare con Marshall Trueblood...» «Che ha da dire su Marshall Trueblood, bellezza?» Jury non l'aveva sentito arrivare. L'antiquario sorrideva. Non sembrava affatto risentito del fatto che si parlasse male di lui. «A proposito, le consiglio di restituirmi il tagliacarte prima che mi rivolga alla polizia. Oggi è rimasta da sola nel mio negozio, ricorda?» Agatha si fece paonazza. «Come osa, signore? Non m'interessa di certo la sua merce, acquistata per quattro soldi in qualche paese arabo.» «Oh, no, non è davvero un oggetto da quattro soldi. Quel tagliacarte mi era costato quindici sterline. Perciò cerchi di restituirmelo, bellezza.» Jury si alzò per avvicinarsi al gruppo dei Bicester-Strachan. Si rivolse a Willie. «Il vicario le ha detto per caso a che ora sarebbe arrivato?» «Sì» rispose l'interpellato, prendendo l'orologio dal taschino. «Un'ora fa. Ha detto che ci avrebbe raggiunto alle otto in punto.» «Cristo!» esclamò Jury a denti stretti, tornando subito indietro. «Signor Plant, posso usare la sua Bentley?» Erano già fuori dalla porta mentre gli altri erano ancora a bocca aperta per lo stupore. 16
Il tagliacarte era infilzato nello stomaco per tutta la lunghezza della lama, fin quasi all'impugnatura d'avorio intagliato. Il corpo di Denzil Smith giaceva al centro della biblioteca, rivolto verso l'alto. La stanza era sottosopra: i cassetti e le antine aperte, i libri non più sugli scaffali, ma sparsi sul pavimento. «Non capisco» mormorò Melrose. «Ammesso che l'assassino cercasse il braccialetto, perché era così importante per lui recuperarlo, tanto da indurlo a esporsi fino a questo punto? Eppure non era un gioiello di valore. Interessava soltanto a lui, a Ruby Judd e a nessun altro.» «Non credo che cercasse soltanto il bracciale. Dev'essere venuto soprattutto per il diario. Trovato il primo, avrà pensato che il vicario avesse anche il secondo. Sarebbe stato troppo rischioso per lui lasciarlo in circolazione.» Jury fece il giro della scrivania, si sedette e, dopo aver avvolto il ricevitore in un fazzoletto, chiamò la stazione di polizia di Weatherington. Lasciò detto a Wiggins di raggiungerlo con i ragazzi del laboratorio, poi si fece passare Pluck. «Oh Dio, ispettore, un altro omicidio?» «Sì, un altro. La prima cosa che deve fare è recarsi al Man with a Load of Mischief e raccogliere le dichiarazioni di tutti, vale a dire Simon Matchett, i Bicester-Strachan, Isabel e Vivian Rivington, Sheila Hogg e Darrington. E anche di Lady Ardry. Mandi via tutti gli altri.» «Veramente non credo di poterci andare» rispose Pluck in tono lamentoso. «Per via della Morris. Sa, fa uno strano rumore, come se picchiasse in testa e perciò temo...» «Pluck» l'interruppe Jury «sarà lei a essere picchiato in testa, se non si precipita immediatamente al Load of Mischief. Casomai si faccia prestare l'auto da qualcuno, magari dalla signorina Crisp, oppure fermi qualcuno per la strada e gliela requisisca...» Il tono di Jury non ammetteva repliche. «Bene, ispettore» disse semplicemente. Dopo aver riattaccato, Jury appallottolò il foglio di carta su cui aveva disegnato una Morris che si schiantava contro un albero. Stava per gettarlo nel cestino della carta straccia, quando notò un foglio sotto un fermacarte di roccia simile a lava solidificata. Prese il foglio e lesse alcuni appunti annotati alla rinfusa, forse per un sermone. «Ascolti un po' qui» disse a Melrose che, rimasto fermo al centro della stanza, fissava il corpo della vittima. «Il vicario ha scritto delle cose strane
qui sopra: baccanali... Hirondelle... Dio ci comprende... Secondo lei cosa intendeva dire?» Plant si avvicinò alla scrivania, lesse le parole sul foglio e scosse la testa. «Questo lo prenderò io, dopo che i ragazzi del laboratorio l'avranno esaminato. Comunque non mi faccio illusioni, quanto a impronte digitali. Diede una rapida occhiata alla scrivania, passando in rassegna i vari oggetti: penne, boccetta d'inchiostro, tampone di carta assorbente e un vaso di rose appassite. Abbassato lo sguardo sui cassetti aperti, vide che erano in disordine ma non completamente sottosopra. Udirono uno stridio di gomme dietro il vicariato e attraverso i vetri della finestra videro una luce blu lampeggiante, probabilmente della polizia o di un'autoambulanza. Poco dopo sciamarono dentro gli uomini, con l'aria di averne piene le tasche di dover correre continuamente a Long Piddleton. Wiggins era con loro. Cadeva una pioggia insistente, di tanto in tanto accompagnata da un tuono a sua volta seguito da un fulmine. La notte ideale per un omicidio.» «A chi è toccato stavolta?» s'informò Appleby con un sorrisetto ironico. «Il reverendo Smith, Denzil Smith, vicario di St. Rules» rispose Jury a bassa voce, sentendosi in colpa per l'accaduto e chiedendosi se avrebbe potuto evitarlo, restando a Long Piddleton invece di andare a Weatherington. Il fotografo della polizia si era già messo al lavoro e stava riprendendo il corpo da ogni angolazione possibile. Sembrava un contorsionista. Jury si accese una sigaretta e rimase a guardare l'esperto mentre stendeva la sua polverina sulle maniglie delle porte, sulle lampade e su tutto il resto. Un agente si era piazzato vicino alla porta, un altro era salito al piano di sopra e un terzo ciondolava nella stanza, in attesa di ricevere istruzioni. Dopo che il fotografo ebbe terminato, il dottor Appleby si chinò sulla vittima. Wiggins lo raggiunse con il taccuino in mano. Il medico gli dettò i particolari relativi alla causa del decesso, le condizioni del cadavere e le caratteristiche della vittima, cioè età, statura e peso. Stimò che la morte dovesse essere avvenuta tra le sei e le otto di quella sera stessa. Basandosi solo sul rigor mortis non poteva essere più preciso. Ogni parola, ogni gesto erano terribilmente familiari, come un film visto diverse volte. Altro stridio di gomme, altre portiere che sbattevano, altre porte che si aprivano, poi entrarono gli uomini con la barella per portare via il cadavere. Rimasero in silenzio ad aspettare che Appleby terminasse il suo lavoro. Dopo un esame superficiale, il medico fece un cenno e gli uomini avvolsero il cadavere in un telo di gomma.
Quando tutti ebbero portato a termine i loro compiti in biblioteca, l'esperto delle impronte salì di sopra con un sergente. Appleby sorrise. «Stavo pensando di comperare una villetta da queste parti, per quando andrò in pensione; ma, date le circostanze, credo che non mi convenga.» Chiusa la valigetta, si avviò alla porta, ma prima di uscire si voltò a guardare Jury. «Arrivederci a presto.» «Strano senso dell'umorismo!» esclamò Melrose. Jury era tornato alla scrivania per sfogliare le carte e leggere gli appunti del vicario. Aveva notato che aveva un dito sporco d'inchiostro e infatti c'era una macchia nera sul foglio. Sentirono aprirsi e richiudersi le portiere delle auto e videro i fari forare la nebbia, poi tornò la calma. Wiggins tornò in biblioteca e si lasciò cadere sul divano, con il fazzoletto in mano. Long Piddleton stava rivelandosi micidiale per il suo raffreddore. Il rombo di un tuono e il grido di Wiggins indussero Jury a voltarsi di scatto. Vide così, illuminato da un lampo, un volto incorniciato dalla portafinestra dietro la scrivania. Balzò in piedi e si precipitò da quella parte, ma poi si fermò di colpo. «Lady Ardry! Cosa diavolo...» «Agatha!» esclamò Melrose. Lady Ardry entrò, gocciolando acqua da tutte le parti. «Non c'è bisogno che si arrabbi, ispettore. Sono venuta a vedere come andavano le cose.» Jury ne aveva abbastanza. «Wiggins, mettile le manette!» Sul viso di Agatha si dipinse in rapida successione una serie di espressioni, che andava dall'incredulità alla paura folle. Wiggins, che non aveva le manette e non le aveva mai avute, guardò Jury, non sapendo che pesci pigliare. Finalmente Lady Ardry ritrovò la voce. «Melrose, di' a questo stupido poliziotto che non può...» Plant, flemmatico, si accese una sigaretta. «Ti procurerò un buon avvocato, non preoccuparti.» Agatha stava per slanciarsi sul nipote, ma Jury la intercettò. «Va bene, per questa volta non la mettiamo dentro. Mi spieghi cos'è venuta a fare.» «A vedere come procedevano le cose, naturalmente. Non ero certo là fuori a prendere il sole.» «Se fossi nei tuoi panni non userei quel tono con l'ispettore, Agatha. Dopo tutto, sei stata l'ultima persona a vedere il vicario vivo.» Lady Ardry impallidì e ingoiò la saliva. Per quanto ci tenesse al suo ruolo di testimone, non voleva correre rischi. «Be', vi ho seguiti» disse. «Non
appena siete usciti dalla locanda, mi sono fatta prestare la bicicletta da Matchett. Vi assicuro che non è stato divertente, sotto la pioggia.» «È rimasta fuori per tutto questo tempo?» «Sono arrivata quando il dottore ha iniziato a esaminare il corpo. L'ho visto! Trafitto dal tagliacarte di Trueblood. Proprio come dicevo io.» A un tratto si ricordò che Denzil era un amico, si prese la testa tra le mani e gemette. «Ha visto il bracciale qui al vicariato, nel pomeriggio?» le domandò Jury. Agatha annuì. «Mi sento come se stessi per svenire. Forse un goccio di brandy mi farà bene.» Plant andò a prendere la bottiglia e Jury si sedette di fronte a lei. «Lady Ardry, cosa faceva il vicario mentre lei era qui?» «Parlava con me, naturalmente.» «Già» disse Jury, spazientito. «Che altro?» «Non lo so. Aspetti un minuto... Sì, stava preparando il suo sermone. Niente di speciale, come al solito. Farneticava a proposito della costruzione della chiesa.» Prese il bicchiere che Melrose le porgeva, lo vuotò a metà, si pulì poco elegantemente la bocca con il guanto nuovo e si guardò intorno con aria di sufficienza. Jury le mostrò il foglio di carta trovato sulla scrivania. «Quello che c'è scritto qua sopra potrebbe avere qualche relazione con il sermone che stava scrivendo il vicario?» chiese. Agatha prese gli occhiali, lesse il foglio e disse: «Cosa significa questa roba: "Dio ci comprende"? Non ha senso. Non sembrano parole di Denzil: sono troppo pie.» Jury piegò il foglio e lo mise nella tasca interna della giacca. «Dove ha visto il braccialetto?» domandò. «L'ha preso dal cassetto della scrivania.» «E le ha detto che intendeva rimetterlo dove l'aveva trovato, vero?» Lady Ardry fece un cenno affermativo. «Eppure abbiamo perquisito la casa da cima a fondo» mormorò Jury, scuotendo la testa. «Non può darsi che fosse in chiesa?» ipotizzò Melrose. «Santo Dio, nessuno ci aveva pensato!» esclamò Jury. «Andiamo subito a dare un'occhiata.» Poi disse a Wiggins di restare dov'era. «Attenti a non calpestare il cane» sussurrò Agatha mentre percorrevano il vialetto che portava alla chiesa.
«A non calpestare cosa?» «Be', sapete, seppelliscono sempre un cane accanto ai bambini non battezzati e ai morti suicidi. Lo fanno per evitare che escano dalla tomba.» «Interessante» osservò Jury. L'ispettore aveva la sua torcia elettrica e Plant ne aveva presa una dall'auto. La chiesa era umida, molto fredda e rischiarata soltanto dalla luce della luna che filtrava dalla finestra. Muovendo la torcia Jury illuminò le file di banchi lungo la navata. I segni rettangolari sul legno indicavano che in passato vi erano affisse le targhette con i nomi dei fedeli e che in seguito, molto democraticamente, erano state tolte. Un tempo uno di quei banchi doveva essere riservato alla famiglia Plant. Quelli più grandi erano rivestiti di panno. Gli altri erano destinati alla gente semplice, i contadini e i poveri. Siccome Agatha non aveva una torcia e non riusciva ad arraffare quella di Melrose, camminava tenendolo per la manica. A un certo momento inciampò nella passatoia e sarebbe caduta, se Melrose e Jury non fossero intervenuti per sorreggerla. «Dove diavolo sono le luci?» domandò Jury. Nessuno lo sapeva. Sopra la parete divisoria tra la navata e il coro c'era una galleria probabilmente ricostruita all'epoca della Riforma. Nella cantoria era stata ricavata una scala in muratura. Il pulpito, il più alto che Jury avesse mai visto, era, come usava nel XVIII secolo, suddiviso in tre livelli: pergamo, leggio e sedile del chierico. Una scaletta consentiva al vicario di salire sul pulpito. «Vado a vedere là sopra» disse l'ispettore, imboccando la scala. All'interno del pulpito c'era una mensola con sopra un paio di libri. Jury puntò il fascio di luce sui volumi e vide che si trattava di una copia del Nuovo Testamento e un libro di preghiere. «Trovato niente?» s'informò Melrose. Jury scosse la testa, poi notò la lampada che sporgeva dal pulpito, fissata a un braccio d'ottone. Allungò la mano per tirare la cordicella e la luce si accese, illuminando la zona circostante fin quasi all'altare. Jury scese i gradini e insieme passarono sotto l'arco del presbiterio. Lady Ardry era ancora incollata a Plant, come se temesse che l'assassino sbucasse fuori all'improvviso da una navata laterale. L'altare era stato addobbato di recente di fiori freschi per le festività. Il profumo che emanavano era intenso e dolciastro. A destra c'era una piccola sacrestia cui si accedeva da una porta del presbiterio. Jury entrò, si guardò intorno e puntò un attimo la
torcia sul calice. Incuriosito, forse com'era logico per un poliziotto, si avvicinò e tolse il pezzo di tela che lo copriva. Dentro il calice c'era un bracciale con i ciondoli. Jury prese un fazzoletto dalla tasca, lo scosse per aprirlo e infilò la mano nel calice; poi tornò verso l'altare, dove l'aspettavano gli altri. «Misericordia!» esclamò Agatha quando vide ciò che teneva nel fazzoletto. «L'ho trovato dentro il calice, pensate un po'!» Rimasero qualche istante in silenzio, guardando il braccialetto. «Strano che il vicario non l'abbia trovato domenica scorsa.» «Non c'è stata la Comunione» spiegò Lady Ardry. «Denzil se ne dimenticava spesso e comunque non avrebbe usato il calice. Diceva che non era igienico e perciò preferiva utilizzare delle piccole ciotole d'argento.» «Ritiene che sia stata Ruby a nasconderlo lì prima di partire?» domandò Melrose. «Sì. Un ottimo nascondiglio, non c'è che dire. Deve averlo fatto sparire come misura di sicurezza. Sapeva che il braccialetto era importante e che prima o poi, se non fosse tornata a riprenderselo, qualcuno l'avrebbe trovato. Per fare un ragionamento del genere doveva avere sale nella zucca.» «Personalmente ne dubito» disse Agatha. Quando fecero ritorno al Man with a Load of Mischief, un quarto d'ora dopo, Pluck era arrivato e aveva provveduto a trattenere i presenti, che però erano tutt'altro che entusiasti. Erano riuniti intorno al bar: Trueblood, Simon Matchett, i Bicester-Strachan e Vivian Rivington. Isabel invece era seduta per conto suo, con un bicchiere davanti. Sheila Hogg, disse Pluck, se n'era già andata prima del suo arrivo, con i nervi a fior di pelle per aver visto Darrington flirtare con la signora Bicester-Strachan. Jury chiese a Daphne Murch di portargli un pacchetto di sigarette e iniziò subito a leggere le dichiarazioni raccolte da Pluck. Nessuno aveva un alibi per il lasso di tempo di una o due ore precedenti l'arrivo alla locanda. Se non ricordava male, Jury aveva sentito Plant affermare che Lady Ardry era stata con lui. In questo caso Agatha doveva essere cancellata dalla lista dei sospetti. Però non gliel'avrebbe detto subito. Voleva tenerla un po' sulle spine. Quanto agli altri, chiunque di loro avrebbe potuto lasciare la locanda senza attirare l'attenzione. Bastavano pochi minuti per arrivare al vicariato, e nel cortile era un continuo andirivieni di auto. Dagli appunti di Pluck risultava che Darrington avesse accompagnato a casa Lorraine, che aveva
dimenticato di prendere il libretto degli assegni. Bella scusa! Era naturale che Sheila Hogg s'insospettisse. Jury stesso ricordava di aver visto Matchett uscire dalla sala, e un po' più tardi anche Isabel. Forse erano andati in bagno. In ogni caso doveva tenerlo presente. Quando alzò la testa dal foglio, vide che tutti si sforzavano di assumere un'aria disinvolta, ma in realtà erano piuttosto tesi. Incaricò Wiggins di andare da Sheila Hogg a raccogliere la sua dichiarazione, mentre lui avrebbe continuato a leggere gli appunti di Pluck. Fu Simon Matchett a rompere la tensione. «Questa storia mi dà la sensazione di un déjà vu» disse. «Mi sembra di essere tornato alla sera in cui eravamo tutti riuniti qui, prima che Small fosse...» Lasciò la frase in sospeso. «Ha proprio ragione, signor Matchett. Ora vorrei parlare con ciascuno di voi a quattr'occhi. Pluck, credo che il posto migliore sia il salottino davanti.» «Signor Bicester-Strachan, sono sicuro che questo è un momento molto triste per lei, che era un buon amico del vicario.» Bicester-Strachan girò la testa dall'altra parte, prese il fazzoletto e se lo rimise in tasca. «Lei e il vicario vi eravate dati appuntamento qui, se non sbaglio?» «Sì. Avremmo fatto una partita a dama dopo cena. Veramente lui non doveva mangiare qui. Sarebbe arrivato più tardi, dopo aver scritto il sermone per domani.» La sua voce s'incrinò. «Quando vi siete visti per mettervi d'accordo?» «Questo pomeriggio verso le due, se non sbaglio.» Bicester-Strachan si guardò intorno, come se cercasse qualcosa su cui concentrare l'attenzione per non pensare alla morte del vicario. «A un certo punto è uscito dalla sala, vero? È andato in strada?» «Come dice? Oh, no, sono andato solo in cortile, tanto per sgranchirmi le gambe. In certi momenti l'aria diventa irrespirabile, con tutto il fumo delle sigarette. E poi ero preoccupato per Denzil. È sempre così puntuale.» Guardò verso la porta, come se nonostante tutto sperasse ancora di veder entrare il vicario. «Ha mai visto quest'oggetto prima d'ora?» domandò Jury, mostrandogli il bracciale di Ruby Judd, che aveva lasciato sul tavolo, sopra il fazzoletto. «Bicester-Strachan scosse la testa con aria annoiata, come se gli sembrasse stupido da parte di Jury parlare di una cosa così frivola in un momento del genere.»
«Ma sapeva che il signor Smith l'ha trovato stamattina?» Bicester-Strachan aggrottò la fronte. «Non capisco di cosa stia parlando.» «Il vicario non gliel'ha detto di aver trovato il bracciale di Ruby Judd?» «Di Ruby Judd, la povera ragazza che... Sì, credo che me l'abbia detto, ma francamente non m'interessava e perciò non ci ho fatto molto caso.» Jury lo ringraziò e si scusò di averlo disturbato. In due ore soltanto Bicester-Strachan sembrava invecchiato di dieci anni. «Signor Darrington, ha dato un passaggio alla signora Bicester-Strachan perché aveva lasciato a casa il libretto degli assegni, vero?» «Sì» rispose Oliver, evitando di guardarlo negli occhi. «A cosa le serviva?» «Santo cielo, come faccio a saperlo?» «Immagino che il signor Bicester-Strachan avesse il denaro necessario per pagare la cena. Senza contare che Matchett sicuramente farebbe credito a ciascuno di voi senza problemi.» «Ispettore, non conosco il motivo per cui Lorraine voleva il libretto degli assegni.» «Riconosce quel braccialetto, signor Darrington?» «Mi sembra di ricordarlo.» Che bugiardo, pensò Jury. Impossibile che non avesse notato quel bracciale. «L'ha già visto di sicuro.» Oliver diede un'alzata di spalle e si accese una sigaretta. «È possibile.» «Al polso di Ruby Judd, forse?» «Può darsi.» «Dalla sua dichiarazione risulta che, dopo aver dato un passaggio alla signora Bicester-Strachan, è tornato a casa sua. Perché?» «Perché dovevo prendere dei soldi, ecco perché.» «A quanto pare stasera eravate tutti a corto di denaro. È sicuro di non essere entrato in casa della signora Bicester-Strachan?» «Senta, ispettore, sono stufo delle sue insinuazioni...» «E la signora non è venuta a casa sua?» «No.» «Capisco. Peccato, in un certo senso. Voglio dire che se fosse successo, adesso avreste entrambi un alibi.» Lorraine Bicester-Strachan avvicinò il più possibile la sua sedia a quella
di Jury e accavallò le gambe. Siccome la gonna che indossava era abbottonata solo sopra al ginocchio, lasciava scoperta buona parte delle cosce. «No, non l'ho mai visto» rispose quando le domandò del braccialetto. «È stato trovato sulla scena del delitto e crede forse che sia mio?» Jury si meravigliava sempre della cattiveria di certa gente. «Suo marito è molto addolorato per la morte del vicario» disse. «Dovevano essere ottimi amici.» Lorraine non fece commenti, limitandosi a scuotere la cenere della sigaretta. «Mi pare che amicizia e lealtà non siano cose che lei tenga in grande considerazione.» «Che intende dire esattamente?» «Mi riferisco alle informazioni che anni fa suo marito ha consegnato nelle mani sbagliate. Quelle mani erano le sue, vero? O almeno, lei a sua volta ha passato le informazioni alla persona sbagliata.» Lorraine rimase impassibile. «Era il suo amante, vero? Ed era anche amico di suo marito. Per salvarle la reputazione, il signor Bicester-Strachan ha sacrificato se stesso, assumendosi la responsabilità dell'accaduto. Bell'esempio di lealtà. Qualcuno lo chiama amore.» Lorraine alzò la mano per colpirlo, ma Jury le fermò il braccio a mezz'aria e la ricacciò indietro. «Meglio tornare alla storia più recente. Si annoiava questa sera, signora Bicester-Strachan? È per questo che ha invitato il signor Darrington a casa sua?» Oltre a essere furibonda, ora Lorraine era anche confusa, non sapendo cosa gli avesse detto Oliver. «E allora?» incalzò Jury, felice di averli messi entrambi alle corde. «Le ha mentito se le ha detto che sono andata con lui» disse, giocherellando con il cinturino dell'orologio. Jury sorrise. «Non ho detto questo, signora Bicester-Strachan. La mia non era che un'ipotesi.» Avrebbe voluto riderle in faccia. Si era lasciata prendere in trappola nonostante la sua presunta intelligenza. Mentre Lorraine usciva ancheggiando, immaginò lei e Oliver mentre facevano l'amore in qualche angolo buio e trovò l'idea piuttosto noiosa. Pluck gli mandò Simon Matchett. «Era di Ruby Judd» rispose Matchett senza esitare, mettendosi il sigaro in bocca. «Come fa a esserne sicuro, signor Matchett?»
«Perché la ragazza veniva qui spesso a trovare Daphne, e l'aveva sempre al polso.» Jury annuì. «È uscito da qui questa sera, diciamo tra le sei e le otto?» «Ossia vuole sapere se ho un alibi. Non è così, ispettore?» Jury ripeté la domanda. «Sono uscito soltanto un minuto a controllare l'interruttore generale della luce. Era saltato un elettrodomestico in cucina.» «A che ora?» «Verso le sette, sette e mezzo.» «Stando alla dichiarazione che ha reso a Pluck, nel pomeriggio è andato a Sidbury ed è tornato verso le sei e mezzo.» «Sì, all'incirca. I negozi chiudono alle sei e occorre mezz'ora per tornare.» «Capisco.» Negli appunti figurava il nome dell'ultimo negozio in cui era entrato. Non sarebbe stato difficile controllare se ci era andato davvero. Jury cambiò argomento. «Signor Matchett, che rapporti ci sono tra lei e Isabel Rivington?» «"Isabel"?» «Sì, proprio lei.» «Temo di non capire.» «Ha capito perfettamente. Ho l'impressione che Isabel nutra per lei un sentimento più profondo della semplice amicizia. Se ne sarà accorto, immagino.» «Senta, è finito tutto molto tempo fa» rispose Matchett dopo una breve esitazione. «Almeno da parte mia.» Jury fu colto alla sprovvista. Non aveva intuito che tra i due potesse esserci stato qualcosa in passato. Questo spiegava l'atteggiamento di Isabel nei confronti di Matchett. «Vivian è al corrente di questa vostra relazione?» chiese. «Spero proprio di no.» «Molto onesto da parte sua, signor Matchett» commentò Jury guardandolo storto. Isabel Rivington sedeva di fronte a lui, perfettamente composta. Indossava un abito marrone semplicissimo, che probabilmente le era costato un capitale. «Dove si trovava questa sera prima di venire al Load of Mischief, signorina Rivington?» domandò Jury, sporgendosi verso di lei per accenderle la
sigaretta. «L'ho già detto a Pluck.» Jury sorrise. «Lo so. Adesso lo dica a me.» «Sono andata a fare due passi in High Street. Ho guardato i negozi, poi sono tornata indietro da Sidbury Road, passando per il sentiero attraverso i campi.» «L'ha vista qualcuno?» domandò Jury. Non aveva l'impressione che Isabel amasse camminare. «In High Street credo proprio di sì, ma non in mezzo ai campi.» Mentre si sporgeva sul tavolo per scuotere la cenere, il suo sguardo si posò sul braccialetto. Non disse nulla. «Aveva già visto quel bracciale, signorina Rivington?» «No. Perché?» «Quali sono i suoi rapporti con il signor Matchett?» Il fatto che improvvisamente avesse cambiato argomento la sgomentò. «Con Simon? Che intende dire? Siamo amici, tutto qui.» Jury emise uno strano suono dalla gola per farle intendere che non le aveva creduto, poi cambiò argomento di nuovo, passando alla domanda che da due giorni moriva dalla voglia di rivolgerle. «Signorina Rivington, perché per tutti questi anni ha lasciato che Vivian vivesse nella convinzione di essere responsabile della morte di suo padre?» Isabel rimase a bocca spalancata per lo stupore. «Non capisco cosa intenda dire» replicò con voce tremula. «Suvvia, signorina Rivington. Ammesso che sia stato un incidente, sta di fatto che c'era lei in sella al cavallo, non Vivian. Non è forse vero?» «Si è ricordata? Vivian se n'è ricordata?» Jury tirò un sospiro di sollievo. Chissà, forse finalmente Isabel si sarebbe decisa a confessare la verità. Se lo augurava, dal momento che non aveva prove. «No, non se n'è ricordata» rispose. «È solo che la storia, così come la raccontavate voi due, non aveva senso. Quella di Vivian in particolare sembrava imparata a memoria. Come gliel'ha insegnata lei, presumibilmente. Amava molto suo padre e, conoscendola adesso, si stenta a credere che fosse una ragazzina ribelle. La cosa più assurda è la descrizione che ciascuna di voi due ha fatto di quella fatidica sera. Era una notte buia e senza luna, quando Vivian sarebbe uscita di casa. All'epoca aveva soltanto otto anni e, benché non si possa escludere che una ragazzina stia in piedi fino a tardi, non dobbiamo dimenticare che i fatti si sono svolti nel Sutherland. Ho un amico pittore innamorato delle Highlands. Gli piace
molto dipingere quei luoghi, non soltanto perché il paesaggio è suggestivo, ma anche per la qualità della luce. Una volta mi ha detto che, volendo, si potrebbe riuscire a leggere stando fermi all'angolo di una strada, persino a mezzanotte perché c'è ancora luce. È piuttosto improbabile che una ragazzina sia ancora pronta e vestita di tutto punto a quell'ora.» Jury prese il rapporto della polizia su James Rivington dalla cartelletta che aveva in mano. «La morte è sopravvenuta alle ventitré e cinquanta. Non capisco come mai la polizia si sia lasciata fuorviare in questo modo.» Mentre parlava si era accorto che Isabel diventava sempre più pallida. «Quindi sono giunto a due diverse conclusioni: l'incidente potrebbe essere stato provocato deliberatamente, oppure potrebbe essersi trattato di una disgrazia. Questo non saprei dirlo. In ogni caso ecco come immagino la scena: c'era lei in sella quando il cavallo ha colpito il suo patrigno con un calcio. A quel punto si è precipitata nella camera della sua sorellina, l'ha vestita in fretta e l'ha portata giù alla stalla. Probabilmente non è stato neppure necessario metterla in groppa al cavallo. È stato sufficiente inculcarle l'idea che così fosse. Nel corso degli anni è riuscita a farle credere che avesse litigato con il padre, in modo che si sentisse in colpa, solo per tenerla il più possibile in suo potere.» Jury, che di solito si asteneva dal fare commenti, stavolta non poté farne a meno. «Che azione vile, signorina Rivington! Che vergogna! Perché l'ha ucciso? Il suo testamento dev'essere stato molto deludente per lei.» Sul volto cereo spiccava la bocca di un rosso innaturale che la faceva assomigliare a un clown. «Che intende fare ora?» «Voglio scendere a patti con lei. Deve dire a Vivian...» Isabel stava per protestare, ma Jury la prevenne alzando una mano per zittirla. «Dovrà dirle almeno una parte di verità per evitare che continui a essere tormentata dai rimorsi. Le confessi che è stata lei a provocare l'incidente. Potrà giustificarsi dicendole di averle addossato la colpa perché altrimenti, se fosse stata accusata lei dell'incidente, l'avrebbero accusata di omicidio e messa in carcere. Le dirà che era terrorizzata, eccetera eccetera. Finga di piangere. Sono sicuro che se la caverà magnificamente. L'ha ingannata per vent'anni e riuscirà a farcela anche stavolta.» Sulle guance di Isabel era tornato un po' di colore, e con esso una parte della sua solita arroganza. «E se non lo facessi? Lei non può dimostrare nulla.» Jury si protese verso di lei. «Può darsi» ammise «ma non dimentichi che lei ha un ottimo movente per l'omicidio. E se non sarà lei a rivelarle come
sono andate le cose, stia tranquilla che lo farò io. Potrei anche dimenticarmi di precisare che è stato un incidente.» Isabel si alzò di scatto e uscì. «Un'altra cosa, signorina Rivington. Si ricordi che mi basta dire una parolina all'orecchio a qualcuno di Long Piddleton per rovinarla definitivamente.» Isabel si voltò. «Sarebbe una grossa mascalzonata. Nessun poliziotto decente farebbe mai una cosa simile.» «Non ho mai asserito di esserlo.» Vestita semplicemente con un abito di lana rosa, Vivian, seduta di fronte a Jury, si tormentava le mani. «Non posso crederci» mormorò. «Chi poteva desiderare di fare del male a un vecchietto innocuo come il vicario?» «Le vittime lo sono spesso» replicò Jury. «Per gli altri, ma non per l'assassino. Riconosce questo braccialetto, signorina Rivington?» Lo spinse verso di lei. «È quello che ha trovato il vicario.» «Allora ne era al corrente? Quando gliel'ha detto?» «Oggi. Nel pomeriggio. Ero passata da lui a fare quattro chiacchiere.» Jury ebbe un tuffo al cuore. «Verso che ora?» «Verso le cinque, forse anche un po' più tardi.» A un tratto si prese la testa tra le mani. «Non mi dirà che è successo ancora, che anche stavolta ero nei dintorni mentre stava per accadere...» «No, non stavo per dirle niente del genere» si affrettò a rassicurarla. Le sorrise, ma gli costò un certo sforzo. Perché diavolo non era rimasta a casa a scrivere poesie? Diede una scorsa agli appunti di Pluck. «Poi è tornata a casa?» domandò. «Dopo aver lasciato il vicariato e prima di venire qui, voglio dire.» «Sì» rispose Vivian a testa bassa, lisciandosi le pieghe della gonna. «Vuole un goccio di brandy, signorina Rivington?» le propose Jury, cercando di sbirciare la sua espressione. Dal fatto che le spalle si muovevano si sarebbe detto che stesse piangendo. Già, proprio così. D'istinto allungò una mano verso di lei, ma subito la ritrasse. Lo rattristava vederla piangere e non sapeva come fare per consolarla. Prese dalla tasca un fazzoletto pulito e glielo mise in grembo, poi si alzò, si avvicinò alla finestra e ricominciò a parlare. «Sua sorella era in casa quando è tornata?» Vivian scosse la testa senza guardarlo in faccia. «No. Isabel era uscita.»
«E la cameriera?» Vivian si soffiò il naso. «Anche lei.» Jury sospirò. "Che sfortuna!" «La ringrazio, signorina Rivington. Vuole che la faccia accompagnare a casa da qualcuno? Da Pluck?» Vivian si era alzata, ma se ne stava lì in piedi con gli occhi bassi. Scosse il capo. Nella mano sinistra stringeva ancora il suo fazzoletto e con la destra si stropicciava la gonna. Si avviò alla porta senza alzare la testa. «Signorina Rivington!» Vivian si voltò. Jury si sentiva infelice. «Complimenti per l'abito: è molto grazioso.» Si pentì subito di averlo detto. Vivian increspò le labbra in un timido sorriso. Finalmente alzò la testa e gli piantò addosso gli splendidi occhi simili a due gemme. Seria com'era, Jury temette che confessasse di aver commesso tutti quei delitti. Quando Vivian aprì la bocca per parlare, avrebbe voluto impedirglielo in un modo qualsiasi. «Ispettore Jury...» «Mi dica.» «Le restituirò il fazzoletto dopo averlo lavato.» Girò sui tacchi e uscì dalla stanza. «Se potesse, Lady Ardry non esiterebbe a mettermi in manette» disse Trueblood, sedendosi e accavallando le gambe. «È convinta che sia io il colpevole. E pensare che non ucciderei neanche una mosca. Figuriamoci se avrei potuto assassinare quel caro vecchietto.» «Quand'è stata l'ultima volta che ha visto quel tagliacarte, signor Trueblood?» «Non lo so con precisione» rispose dopo aver riflettuto un istante. «Forse un paio di giorni fa.» «Le capita spesso di lasciare il negozio incustodito?» «Quando vado a bere qualcosa da Scroggs non chiudo mai, dato che è così vicino.» «Quindi questo pomeriggio chiunque avrebbe potuto entrare e uscire senza essere visto?» «Sì, ma non vedo perché avrebbe dovuto farlo. Non esiste forse qualcosa che si chiama modus operandi, ispettore? Voglio dire, perché questa volta l'assassino avrebbe dovuto usare un coltello, mentre tutte le altre vittime sono state strangolate?» Trueblood ebbe un ripensamento. «Voglia perdonarmi se mi giudica invadente.»
«Si figuri. Vedo che lei è molto perspicace, signor Trueblood. Suppongo che la funzione del suo tagliacarte sia la medesima del libro di Darrington, lasciato a bella posta sulla scena del delitto al Swan with Two Necks. Anche quello serviva a incastrare un'altra persona.» «Dunque, oggi è venuta la signorina Ball, quella della pasticceria, per cercare di rifilarmi alcuni coltelli per il formaggio che spacciava per georgiani. Quell'illusa credeva di fregarmi, con quegli stupidi arnesi da quattro soldi.» Jury sospirò, esasperato. «Vorrei che restasse nel seminato, se non le dispiace.» «Mi scusi. Sono venuti anche due tizi di Manchester, che mi hanno riempito il negozio di polvere di carbone. Volevano acquistare qualcosa art déco, robaccia che da me non troveranno mai. È venuta anche Lorraine. Cercava Simon Matchett perché l'aveva visto passare in High Street. Non mi ricordo di altre persone.» Si accese una sigaretta rosa. «Quando si è accorto che le era sparito il coltello?» «Il tagliacarte, ispettore» lo corresse Trueblood. «Questo pomeriggio. Dopo che la cara Lady Ardry è venuta da Scroggs e ha cacciato via tutti con le sue solite belle maniere.» Jury vide Trueblood sbirciare il braccialetto e distogliere subito lo sguardo. «Dove ha preso quell'orribile bracciale? Non è forse quello di Ruby Judd?» «Allora lo riconosce?» «Certo. È veramente obbrobrioso.» Si tappò la bocca con la mano, fingendosi sconvolto. «Accidenti, temo di essermi dato la zappa sui piedi. Considerando che il povero Smith è stato infilzato con il mio tagliacarte, ormai la mia sorte è segnata.» Nonostante il tono disinvolto, si capiva che era un po' preoccupato. «La prima cosa da prendere in considerazione è il movente, signor Trueblood. C'è niente nel suo passato che vorrebbe tenere segreto?» Trueblood sbarrò gli occhi per lo stupore. «Sta scherzando, vero?» 17 Domenica, 27 dicembre Nella fredda luce dell'alba, Jury e Plant erano alla stazione di polizia di Long Piddleton. Dopo avere esaminato ancora una volta il foglio trovato
sulla scrivania del vicario, l'ispettore alzò la testa. «Se non sono appunti per un sermone, allora vorrei proprio sapere che roba è.» Melrose guardò al di sopra della sua spalla. «"Dio ci comprende"» lesse a voce alta. «Non sembrano parole del reverendo Smith. Per la prima volta nella mia vita sono d'accordo con Agatha.» «Potrebbe essere una citazione, forse dalla Bibbia.» Plant prese il foglio. «Hirondelle è una parola francese che significa rondine. Le dice nulla?» Jury scosse la testa. Rimasero cinque minuti a fissare il foglio senza parlare; poi Jury buttò la penna in un gesto di stizza. «Sarò tonto, ma proprio non ci arrivo.» Prese una sigaretta e l'accese. «La mia teoria, e non è detto che sia giusta» riprese «è che l'assassino sia passato dal vicario ufficialmente per una visita di cortesia, ma in realtà per cercare di estorcergli qualche informazione. Voleva scoprire cosa sapesse Denzil Smith. Mentre parlavano, al vicario è venuto il dubbio che la persona seduta di fronte a lui potesse essere l'assassino. Se n'è rimasto tranquillo e ha preso appunti. Non sarebbe stato meglio scrivere addirittura il suo nome? Se non l'ha fatto, significa che era conscio di essere in pericolo e sapeva che l'assassino avrebbe fatto sparire qualsiasi cosa che potesse comprometterlo. Credo che tutti noi abbiamo sottovalutato il reverendo Smith. Spero soltanto che lui non abbia sopravvalutato noi. Evidentemente sperava che capissimo ciò che all'assassino sarebbe sfuggito.» Jury aspirò una boccata di fumo e intanto continuava a riflettere. «Sì, è abbastanza verosimile. Comunque non ho niente da perdere, se parto dal presupposto che quel biglietto significa qualcosa. Se al contrario trascurassi di prendere in considerazione quest'ipotesi, potrei pagarla cara.» Si alzò per stiracchiarsi e passò il foglio a Melrose. «Ci provi lei. Visto che risolve le parole crociate del "Times" in un quarto d'ora, si cimenti con questo.» La risposta di Plant fu interrotta dallo squillo del telefono. «Ispettore Jury» esordì il sovrintendente capo Racer «dal giorno del suo arrivo sono stati commessi altri tre omicidi. Si può sapere cosa sta facendo? Villeggiatura?» Jury alzò gli occhi al cielo e iniziò a rovistare nei cassetti di Pluck nella speranza di trovare qualcosa di commestibile. Scovò un pacchetto di biscotti stantii. «Ah, sovrintendente Racer, speravo proprio che mi telefonasse.» «Immagino, Jury. Ho chiamato ogni giorno e lei non si è mai fatto sentire. E la smetta di sgranocchiarmi nelle orecchie! Potrebbe evitare di man-
giare e di bere almeno quando è al telefono, altrimenti significa che ha sbagliato mestiere; doveva fare l'oste. Questa è la goccia che fa traboccare il vaso. La raggiungo nel Northants domani a mezzogiorno. Anzi, oggi a mezzogiorno. Sa una cosa, Jury? Siamo al 27 del mese. È arrivato il 22. Non contando la giornata di oggi, la media è di due terzi di omicidio al giorno, da quando è lì.» «Sì, il calcolo è esatto, "grossomodo".» Mentre Racer lo minacciava di prendere i più severi provvedimenti, Jury si divertì a disegnare insegne di locande sulla carta assorbente di Pluck. Per le punizioni il sovrintendente si ispirava al medioevo, avendo previsto anche lo squartamento. «Mi dispiace che siano stati fatti così pochi progressi» disse Jury. «Ma vede, è già abbastanza difficile risolvere un caso di omicidio e io ne ho ben cinque per le mani.» «Ciò non significa che debba adagiarsi.» «Vede, il fatto che siamo sotto le feste di Natale purtroppo peggiora la situazione.» «Natale?» ripeté Racer, pronunciando la parola come se la sentisse per la prima volta. «Strano, vero» riprese, addolcendo il tono «che i maniaci sessuali siano in circolazione anche durante il periodo natalizio. Pensa forse che Jack lo Squartatore cessasse le sue attività in occasione del Natale?» Jury colse l'occasione al volo. «Non mi pare che abbia mai ucciso qualcuno nei giorni di festa» replicò. «Se non ricordo male.» Seguì una pausa. «Non faccia lo spiritoso, Jury.» «In effetti c'è poco da scherzare» convenne. Altra pausa. «Allora, sarò lì con il treno di mezzogiorno. Ci sarà anche Briscowe.» «Va bene, ci vediamo» disse Jury, disegnando un trenino che si scontrava contro un altro. «Guardi che non voglio alloggiare in una locanda piena di scarafaggi. Scelga la migliore della zona.» Abbassò la voce. «E si accerti che non sia una di quelle dove potrebbero tagliarmi la gola mentre dormo. Sa, visto che c'è soltanto lei a proteggermi, non mi sento molto tranquillo. Si assicuri che abbiano un menù decente e una cantina dove conservare il vino.» Tacque un istante. «Se poi a servire i clienti al bar c'è una cameriera carina, tanto di guadagnato.» "Un tipo che si accontentava facilmente" pensò Jury. «...anche se in un paesino come quello non si può certo pretendere molto. Ci vediamo dopo» concluse Racer, buttando giù il ricevitore.
«Sissignore» disse Jury quando non fu più in linea. «È un suo amico?» s'informò Melrose. «Era il sovrintendente capo Racer. Non gli piace come sto portando avanti il caso e quindi ha deciso di venire personalmente. Vorrebbe che gli prenotassi una stanza al Savoy. Comunque mi ha raccomandato di trovargli la locanda migliore del paese.» Jury sorrise con aria maliziosa. «Se vuole posso dare un colpo di telefono a Ruthven...» Jury l'interruppe scuotendo la testa e gli porse il ricevitore. «Non era Ardry End che avevo in mente» disse. Melrose si accese un sigaro, fissando Jury attraverso il fumo. «Credo di aver capito dove vuole arrivare.» Compose un numero e attese qualche istante. «Zia Agatha? Mi dispiace svegliarti così presto, ma l'ispettore Jury vorrebbe sapere se potresti fargli un grande favore...» Un'ora più tardi stavano ancora discutendo degli appunti del vicario, quando arrivarono Wiggins e Pluck con una spolverata di neve sui cappotti. «È qui» l'informò Wiggins. «Daisy Trump, ispettore.» «L'abbiamo sistemata al Bag o'Nails, a Dorking Dean. Non ha voluto sentir parlare di alloggiare altrove, e francamente non posso biasimarla. Abbiamo lasciato un agente lì con lei. Non si può mai sapere dove colpirà l'assassino la prossima volta, non le pare?» Era evidente che Pluck stava prendendoci gusto. «Chi è Daisy Trump?» domandò Plant. Wiggins stava per rispondere, ma poi pensò che forse non era il caso di divulgare certe informazioni riservate e chiuse la bocca. «Stia tranquillo» lo rassicurò Jury «il signor Plant mi sta dando una mano.» Si rivolse a Melrose: «Andiamo alla locanda?» «Vuole che venga anch'io?» «Sì, se non le dispiace. Wiggins resterà di guardia qui al fortino e Pluck guiderà la sua auto.» Quest'ultimo sorrise raggiante e batté i tacchi in segno di obbedienza. La signorina Trump, li informò la cameriera del Bag o'Nails mentre serviva il caffè, era salita un attimo a lavarsi e sarebbe arrivata subito. «La signorina Trump» disse Jury, mescolando il caffè «lavorava al Goat and Compasses. Strano nome per una locanda! Non c'è da stupirsi che sua zia non riesca a imparare certi nomi inglesi, per esempio BicesterStrachan.» «E nemmeno Ruthven» aggiunse Melrose. «Non lo pronuncia "Rivven",
come dovrebbe.» S'interruppe, fissando Jury negli occhi. «Pluck» disse a un tratto. Jury sorrise. «Veramente credo che persino sua zia lo pronunci nel modo giusto.» Ma Melrose non sorrideva. «Pluck!» tornò a ripetere senza aggiungere altro. Jury lo guardò, sbigottito. «Faccia venire subito Pluck» disse Melrose. Jury non era abituato a quel tono autoritario e perciò si affrettò a obbedire. Qualche minuto dopo era di ritorno con Pluck. «Lo ripeta ancora, Pluck!» ordinò Melrose. Aveva una strana luce negli occhi. Il povero poliziotto se ne stava lì con il berretto in mano, senza capire cosa volesse da lui. «Che cosa devo dire, signore?» «Ripeta quello che ha detto prima, quando è arrivato alla stazione di polizia insieme con Wiggins. Su, coraggio!» Pluck guardò Jury come per chiedere aiuto. «Ha detto che siete andati a prendere Daisy Trump» gli suggerì l'ispettore «e che...» S'interruppe di colpo. Melrose annuì. «Sì, e che l'avete portata...» Parlava guardando Pluck nella speranza che terminasse la frase. Il poliziotto si grattò la testa, sempre più perplesso. «Sissignore, ho detto che l'abbiamo portata al Bag o'Nails.» Melrose spostò lo sguardo su Jury, che però aveva l'aria di non capire, esattamente come Pluck. «Già, è proprio così!» esclamò Plant, ripetendo le parole a bassa voce. Se Lady Ardry fosse stata presente, avrebbe detto che ancora una volta dimostrava di non avere tutte le rotelle a posto. «Già, proprio così» tornò a ripetere Melrose. «Che stupido a non pensarci prima. Ripetilo ancora una volta, Pluck.» «Che cosa? Bag o'Nails?» «Ha sentito, ispettore? Il nome, pronunciato da Pluck, suona leggermente diverso perché lui (non si offenda, agente) tende a strascicare le parole. Capisce, ispettore? Bag o'Nails.» Jury si batté una mano sulla tempia. «Accidenti!» esclamò. «"Baccanali!"» Guardò Pluck, che ovviamente continuava a non capire. Meglio così, altrimenti la notizia avrebbe fatto il giro del paese. «Torni subito alla stazione di polizia» gli ordinò «e dica a Wiggins di restare vicino al telefono.
Probabilmente lo chiamerò fra poco.» Pluck salutò, girò sui tacchi e se ne andò. «E ora ispettore» riprese Plant «proviamo a fare la stessa operazione con il Goat and Compasses. Lo dica due o tre volte di fila.» Jury provò mentalmente un paio di volte. «"God encompasseth us": "Dio ci comprende". Matchett! È Matchett. In questo modo abbiamo trovato i nomi di due locande, ma la terza? Non ce n'è nessuna che si chiami Hirondelle.» «Certo, è naturale. Dev'essere una storpiatura del nome. Ecco perché il vicario era sicuro che avrebbe recepito il messaggio. Ci aveva parlato a lungo delle insegne delle locande. Sa, ispettore, aveva ragione lei: l'abbiamo sottovalutato. Era un uomo intelligente.» «E coraggioso. Quanti avrebbero avuto la sua presenza di spirito?» «Come si chiamava la terza locanda di Matchett?» Jury stava già sfogliando le carte che aveva portato con sé. «Goat and Compasses... E nel Devon... Eccola qui. Che mi venga un accidente!» «Qual è il nome?» «Iron Devil.» Daisy Trump, una donna sulla cinquantina, grassoccia, sembrava una palla sul punto di rimbalzare via. Non immaginava per quale motivo Scotland Yard potesse avere bisogno di lei, ma comunque sembrava considerare l'esperienza una sorta di vacanza, particolarmente gradita perché pagava lo Stato. Per l'occasione si era fatta la permanente. «Da quanto tempo vive nello Yorkshire, signorina Trump?» «Da una decina d'anni. Mi sono trasferita in casa di mio fratello quando è morta mia cognata. Che riposi in pace...» Jury l'interruppe prima che scendesse in particolari. «Sedici anni fa lavorava come cameriera nel Devon, in una locanda di proprietà del signor e della signora Matched:. A Dartmouth, per la precisione. È così, signorina Trump?» «Sì, dove è stato commesso quel terribile delitto. È per questo che mi avete fatto venire? È la signora che è stata uccisa, e non hanno mai scoperto chi sia stato a entrare nel suo studio quella sera per rubare il denaro.» «Si ricorda degli Smollett? Lei faceva la cuoca. Il marito non so che lavoro facesse.» «Quasi niente, quello scansafatiche di Will Smollett. Rose invece era la mia migliore amica. È morta, poverina.» Sfilò un fazzoletto dalla manica e
si pulì il naso. «La cara Rose! Una bravissima persona. Suo marito lavoricchiava di tanto in tanto, ma non si ammazzava certo di fatica, come del resto quel maledetto finocchio.» Jury sorrise. «Chi era quest'altro?» «Un invertito. Lui e Smollett erano molto amici.» A Jury non risultava che si parlasse di lui nel rapporto della polizia. «Come si chiamava?» domandò. «Il suo vero nome, intendo.» Daisy Trump diede un'alzata di spalle. «Andrew, mi pare. Sì, tutti lo chiamavano Ansy e perciò credo che il vero nome fosse Andrew.» «Abbiamo cercato di rintracciare il signor Smollett per vedere se ricorda qualcosa. Lei si è tenuta in contatto?» «Non dopo la morte di Rose. Sono andata al suo funerale. Abitavano alla periferia di Londra. Crystal Palace, se non sbaglio.» Chiese se fosse possibile avere un'altra tazza di tè. Jury fece segno alla cameriera di avvicinarsi al tavolo. «Crede di riuscire a ricordare gli eventi di quella sera? Mi rendo conto che è passato un mucchio di tempo, ma...» «Se me li ricordo? Magari potessi dimenticare! Pensi che ero anch'io nella lista degli indiziati. Gli investigatori mi hanno chiesto se avessi drogato la cioccolata di quella povera donna. Ho spiegato che tutte le sere la signora Matchett prendeva delle pillole per dormire, ma pare che quella sera ne avesse prese più del solito. Ero sempre io a portarle il vassoio nello studio. Poi una di noi due, Rose o io, passavamo a ritirarlo. Quella sera è andata Rose, poveraccia. Può immaginare come si è spaventata vedendo la padrona piegata sulla scrivania in quel modo. All'inizio credeva che si fosse addormentata, ma poi si è accorta che lo studio era sottosopra. Il soldi erano spariti. Non erano poi così tanti da giustificare un omicidio. Poche centinaia di sterline...» Jury l'interruppe di nuovo. «Parte della locanda, più esattamente il cortile era stato adibito a teatro, vero? Lo studio della signora Matchett si trovava a poca distanza.» «Proprio così, ispettore. Credo che volesse tenere d'occhio il marito. Mi chiedo come abbia fatto il signor Matchett a mettersi con quella ragazza, visto che la moglie non lo mollava un istante.» «Allude ad Harriet Gethvyn-Owen, vero?» «Già. Che razza di nome! Era una bella ragazza, molto più giovane di lui. Del resto anche il signor Matchett era molto più giovane della moglie. Chissà per quale motivo l'aveva sposata? Per interesse, probabilmente.»
Jury prese dalla tasca il bracciale avvolto nel fazzoletto. «L'aveva già visto prima d'ora, signorina Trump?» La donna prese il braccialetto, lo guardò attentamente e cambiò espressione di colpo. «Dove l'ha trovato, ispettore? Era della signora, potrei giurarci. Lo so per certo perché ciascuno di questi ciondoli aveva un significato preciso, anche se ignoro quale fosse. La volpe era perché le piaceva partecipare alle battute di caccia. Poi c'era questo piccolo cubo con dentro una sterlina; l'aveva vinto facendo una scommessa con il marito. Me lo ricordo perfettamente.» «Quella sera recitavano l'Otello. Il signor Matchett interpretava il ruolo del protagonista. Che parte faceva la ragazza, Harriet Gethvyn-Owen? Quella di Desdemona?» «Non ricordo il titolo. So soltanto che la storia era piuttosto torbida. Mentre passavo con il vassoio per portarlo alla signora, ho sentito il marito gridare con uno degli attori.» «E poi cos'è successo?» «Stavo per lasciare il vassoio fuori della porta, ma poi ho visto che era socchiusa. La signora Matchett mi ha chiesto se ero io e mi ha detto di lasciare il vassoio sul tavolino appena dentro lo studio. Così sono entrata.» «Dov'era la signora Matchett?» «Seduta alla scrivania, come sempre. Mi ha ringraziato e io sono uscita.» «Signorina Trump, vorrei che lei chiudesse gli occhi, ripensasse a quella sera e poi mi raccontasse come sono andate esattamente le cose.» Daisy, obbediente, chiuse gli occhi. «La signora, attraverso la porta, mi dice: "Daisy, per favore, lascia il vassoio sul tavolo vicino alla sedia". Io entro, poso il vassoio e lei mi ringrazia. Le chiedo se le occorre qualcos'altro. "No, grazie" mi risponde, sempre restando di schiena, china sui libri. Teneva lei la contabilità. Era una donna in gamba, la signora, ma molto fredda. Non come il signor Matchett, che invece era sempre gentile. Aveva molto successo con le donne, com'era naturale, essendo un bell'uomo. A lei dava fastidio. So che aveva scelto quella stanza per ricavarne lo studio proprio per tenere sempre d'occhio il marito. Non lo mollava un istante. Non ho mai conosciuto una donna più gelosa.» «Secondo lei chi può essere stato a ucciderla?» domandò Jury. «Un ladro, naturalmente» rispose senza esitare. «L'ha detto anche la polizia. Un ladro è entrato dalla finestra e si è portato via tutto.» Abbassò la voce. «Per essere sincera sospettavo di Smollett e di quel finocchio del suo amico. Secondo me erano capaci di qualsiasi cosa. Però non l'avrei detto
ad anima viva perché non volevo far soffrire Rose.» «Veramente tutti i dipendenti della locanda sono risultati innocenti.» La signorina Trump non pareva affatto convinta. «Non ha mai sospettato del marito, il signor Matchett?» «Veramente sì» rispose francamente. «Io e Rose li sentivamo spesso litigare nella stanza sopra la cucina. Lui voleva il divorzio e lei gridava come un'ossessa. La signora era fatta così. Non era disposta a rinunciare a quello che era suo. Quando è stata uccisa, mi ricordo che io e Rose abbiamo pensato: "Gli è andata bene: è riuscito a sbarazzarsene comunque". Però la polizia ha deciso che non erano stati né lui né la ragazza ad assassinare la signora. Dicevano che non si era trattato di un... Come lo chiamano i francesi?» «Crime passionnel» rispose Jury con un sorriso. «Suona bene. In ogni modo era una questione di tempi: la signora era stata uccisa tra il momento in cui le avevo portato la cioccolata e quello in cui Rose aveva scoperto il corpo. In questo modo sono riusciti a stabilire il momento esatto della morte. Quindi non potevano averla uccisa né il marito né la sua amante, dato che a quell'ora stavano recitando. La povera Rose era sconvolta.» Qualcosa era affiorato all'improvviso nella mente di Jury. Il Devon... Dartmouth si trovava nel Devon. Come aveva potuto essere così ottuso? Rose era la signora Rosamund Smollett, moglie di Will Smollett. "Andava da zia Rose e zio Will" aveva detto la madre di Ruby. Will Smollett era William Small. Nel cambiare nome non aveva dimostrato molta fantasia. Prese dalla cartelletta le foto di Small e di Ainsley e le mostrò alla signorina Trump. «Riconosce queste due persone?» «Mi pare di sì» rispose Daisy, osservando la foto di Small. «Assomiglia molto... Anzi, è proprio lui, è Will. Solo che qui non ha i baffi.» Prese la seconda foto. «Santo cielo, ma questo è il finocchio!» esclamò. «E lui, al contrario, i baffi non li aveva.» «Il suo nome non era Andrew» disse Jury «ma Ainsley. Ecco perché tutti lo chiamavano Ansy.» «Ora ricordo» disse la signorina Trump. «Il suo vero nome era Rufus Hainsley.» "Neanche lui si era spremuto molto le meningi" pensò Jury. «Dove ha preso queste foto, ispettore?» Jury non rispose. «Gli Smollett avevano una nipote che ospitavano di tanto in tanto?» chiese.
«Santo cielo, sì!» esclamò la signorina Trump, mettendosi le mani nei capelli. «Ruby la ficcanaso. Una ragazza terribile. D'altra parte era logico che fosse così, con quei genitori che la spedivano dagli zii pur di togliersela dai piedi.» Jury indicò il braccialetto. «È possibile che l'abbia rubato?» «No, non credo proprio. La signora Matchett l'aveva sempre al polso: ci teneva molto a quel bracciale, così come quasi tutte le donne alla fede nuziale. No, non è possibile che Ruby abbia potuto rubarlo. A meno che non l'abbia preso quando è morta la signora.» Daisy Trump fece ritorno nello Yorkshire, accompagnata in gran pompa dalla polizia di contea. Allontanata la tazzina del caffè ormai freddo, Jury osservò la piantina dello studio in cui si trovava Celia la sera in cui era stata uccisa. Di sicuro era stato Matchett ad assassinare la moglie e quel primo delitto era il movente dei recenti omicidi. Quindi la messinscena nello studio era stata predisposta al solo scopo d'ingannare Daisy Trump, l'unica persona in grado di testimoniare che Celia Matchett era ancora viva in quel momento, mentre invece era già morta. Jury ci avrebbe scommesso. Perciò la donna seduta alla scrivania non era la vittima, ma una controfigura. Probabilmente l'amante, Harriet Gethvyn-Owen. Spesso la gente vede ciò che si vuole che veda, e Daisy Trump si aspettava di trovare Celia seduta alla scrivania. Vista da dietro, nella penombra, con un certo abito e forse anche una parrucca, poteva sembrare lei. Restava da risolvere il problema, forse insormontabile, dell'alibi. Jury rilesse il rapporto della polizia, da cui risultava che sia Matchett sia la sua amante erano sul palcoscenico quando Celia era stata assassinata. I testimoni erano tanti, cioè tutti gli spettatori. Jury pensò al ruolo di Otello, che prevedeva un trucco pesante. Un altro attore avrebbe potuto sostituirlo, ma l'ipotesi era poco verosimile, perché in questo caso Matchett avrebbe dovuto avere un complice. Forse uno di quei tre, Ainsley, Creed o Small? Quasi sicuramente ho, prima di tutto perché non avevano il fisico di Matchett, e poi perché probabilmente nessuno dei tre sapeva recitare. Inoltre, se avesse indotto qualcuno a prendere il suo posto sul palcoscenico, che bisogno avrebbe avuto di far sostituire Celia dalla sua amante? Non trovando risposta all'interrogativo, Jury rinunciò a malincuore. Si alzò, andò alla finestra e vide Melrose Plant, di fianco alla Morris blu, intento a parlare con Pluck, che sarebbe dovuto tornare già da mezz'ora alla stazione di polizia. Jury trasse un sospiro e abbassò la finestra.
«Agente Pluck, le sarebbe di molto disturbo eseguire i miei ordini?» gridò. «L'ho già fatto, ispettore. Sono andato a Long Pidd e sono tornato indietro, pensando che avrebbe avuto bisogno dell'auto.» «Capisco. Va bene, grazie. Signor Plant, le spiace salire un momento. C'è una cosa di cui vorrei parlarle.» Melrose lo raggiunse. «Vorrei che lei riflettesse su ciò che sto per dirle» esordì Jury, dopo aver ordinato dell'altro caffè. «Sono sicuro che è stato Matchett a uccidere la moglie in quella locanda del Devon. Ma il problema è: come diavolo ha fatto?» Jury passò in rassegna i fatti di cui erano a conoscenza. «Naturalmente il mistero da chiarire è il loro alibi. Nessuno dei due poteva trovarsi con Celia all'ora in cui la polizia ha stabilito che fosse morta.» «Non è la solita prassi nei casi di omicidio, ispettore? Dopo aver ucciso la sua vittima, l'assassino nasconde il cadavere da qualche parte e la sostituisce con un'altra persona per crearsi un alibi.» Jury scosse la testa. «Non in questo caso. Celia Matchett "era ancora viva" all'ora in cui è iniziata la commedia. È stata vista da almeno cinque o sei persone. Perciò resta l'interrogativo: come faceva quell'uomo a trovarsi in due posti contemporaneamente?» Plant meditava. «Be', in un certo senso un attore si trova sempre in due luoghi contemporaneamente.» «Non la seguo.» «A che ora è incominciato lo spettacolo?» Jury sfogliò l'incartamento. «Alle venti e trenta, o pochi minuti dopo.» «E a che ora è stata vista nello studio Celia, o comunque la donna che la sostituiva?» Jury voltò pagina e fece scorrere un dito sulle righe. «Intorno alle undici meno un quarto, secondo la dichiarazione di Daisy Trump.» Melrose rimase in silenzio qualche minuto, fumando una sigaretta. «La chiave di tutto è la tragedia che avevano messo in scena, ispettore» disse finalmente. «Come, scusi? Non mi dirà che ha capito come sono andate le cose?» «Sì, ma preferisco dimostrarlo piuttosto che spiegarglielo a voce. Prima però devo fare alcuni preparativi. Chiamo subito Ruthven.» Prima che Jury potesse protestare, Melrose era già al telefono.
Mezz'ora dopo Pluck depositava Jury davanti alla stazione di polizia di Long Piddleton, dove trovò Wiggins alle prese con le gocce nasali. «Devo andare ad Ardry End, Wiggins.» «Bene, ispettore. Il sovrintendente Racer è qui, o meglio "era" qui. È andato a Weatherington con il sovrintendente Pratt.» «Non importa. Ascolta, voglio che tu vada al Man with a Load of Mischief e tenga d'occhio Matchett. Non perderlo di vista, ma cerca di non insospettirlo.» Wiggins era sconcertato. «Intende dire che sospetta di lui?» «Esatto, sergente.» Jury fu interrotto da un accesso di tosse e pregò mentalmente che Wiggins non gli avesse trasmesso qualcuno dei suoi malanni. Si soffiò il naso. «Un'altra cosa: quando tornerà il sovrintendente Racer, se nel frattempo ti sarai dimenticato dove sono andato, sta' tranquillo che non me la prenderò con te.» Wiggins sorrise. «Ho una pessima memoria, ispettore. Aspetti un momento» aggiunse, affondando una mano in tasca e traendone una scatola nuova di pasticche per la gola. «Prenda una di queste. Meglio non trascurare la tosse» concluse, felice di condividere con il suo superiore i prodotti farmaceutici di cui disponeva. Jury tentò di restituirgli la scatola. «Veramente non ne ho bisogno...» Ma Wiggins, se a volte aveva qualche incertezza sulle questioni riguardanti le procedure di polizia, su questo argomento si sentiva ferratissimo. «Mi permetto d'insistere, ispettore. Le metta in tasca.» Jury obbedì senza discutere. 18 Quando entrarono nel salotto di Ardry End, Jury si stupì di vedere Lady Ardry e Vivian Rivington. A sua volta Agatha si meravigliò di vedere lui. «Ah, eccola finalmente! Si rende conto che il sovrintendente Racer (una persona proprio antipatica, devo dire) sta cercando di mettersi in contatto con lei da quando è arrivato?» Dalla sua espressione si capiva che non riusciva a decidere se schierarsi o no dalla parte di Racer, ma in ogni caso era restia a dare a Jury ulteriori informazioni relative al suo superiore. Si rivolse al nipote. «Quando hai telefonato, Plant, ti ho chiesto dov'era e tu mi hai risposto di non averlo visto tutto il giorno.» «Mentivo.»
«Adesso dov'è il sovrintendente Racer?» s'informò Jury per sapere esattamente quali posti gli convenisse evitare. «Non ne ho idea. Gli avevo sistemato la stanza alla perfezione (quando devo fare una cosa, non mi tiro mai indietro); quell'odioso individuo è entrato, si è guardato intorno, ha girato sui tacchi e se n'è andato. Non c'è da meravigliarsi se questo paese va a rotoli...» «Mi scusi, signore» disse Ruthven, dando un colpetto di tosse per attirare l'attenzione «ma credo che il sovrintendente si sia fatto accompagnare al Man with a Load of Mischief. Credo che volesse vedere la scena del delitto.» Il maggiordomo sembrava piuttosto eccitato all'idea. «Grazie, Ruthven.» Probabilmente, più che alla scena del delitto, Racer era interessato alla cantina. Matchett aveva il vino migliore della zona e disponeva anche di un'ottima cuoca. «Martha è pronta?» domandò Plant. Il maggiordomo annuì. «Vedo che avete già fatto i preparativi che vi avevo chiesto. Bene, bene.» Jury si accorse soltanto allora che davanti alla parete in fondo al salotto c'era una tenda, come se fosse stato improvvisato un piccolo palcoscenico. La portafinestra dava sul giardino, ora ammantato di neve. Ma al posto del tavolo e delle sedie Regina Anna che solitamente stavano davanti alla finestra, ora c'era una specie di sedia a sdraio ricoperta da drappi di velluto e da cuscini in modo che potesse sembrare un letto. «Cosa sta succedendo?» domandò Jury. «Non lo chieda a me» rispose Lady Ardry, dandosi una manata sul petto. «Sarà una delle solite stupidaggini di quel pazzo di Melrose. Gli piace essere teatrale.» «Se la smette di fare tante storie, forse potremo cominciare» osservò Vivian. «Anche se francamente devo ammettere che sono curiosa anch'io.» «Non è necessario che sappiate nulla. Basta che ciascuno interpreti la sua parte. Ora, ispettore, se vuole scusarmi per qualche minuto, devo dare istruzioni al cast.» Ruthven accompagnò Jury fuori dal salotto, dandogli quasi l'impressione di essere sotto scorta. Qualche istante dopo una donna, presumibilmente Martha, la moglie di Ruthven, comparve in anticamera, lo salutò abbozzando un inchino e sparì nel salotto. Dopo una decina di minuti Plant aprì la porta e lo fece entrare. Gli indicò una sedia che stava a circa dieci metri dalla tenda. «Ora, ispettore, stiamo per rappresentare l'ultima scena dell'Otello. Io interpreterò questo ruolo, mentre Martha sarà Emilia, e Vivian sarà Desdemona.»
«Avete tutti una parte da interpretare» protestò vivacemente Agatha «mentre io devo solamente...» «Non discutere» l'interruppe Melrose. «Pensa soltanto a fare ciò che devi.» «Non vedo perché non possa fare io la parte di Desdemona. In fondo Vivian non ha...» «Senti, qui non siamo in un teatro. Stiamo solo facendo una dimostrazione per l'ispettore, che deve assolutamente vedere la scena. Adesso vai dietro quella tenda e fai come ti ho detto.» Lady Ardry obbedì a malincuore. «Non ho neanche una battuta da dire» protestò ancora. «Se ne avessi una, continueresti a ripeterla per tutto il pomeriggio» tagliò corto il nipote. Agatha gli fece le boccacce dietro le spalle, poi finalmente si decise a raggiungere gli altri dietro la tenda. Melrose si rivolse a Martha, la cuoca. «Non devi fare altro che leggere quelle poche righe. Vai tranquilla: non è difficile.» Martha arrossì fino alla punta dei capelli, come se stesse per debuttare in un vero teatro. «Finga che questa zona» disse Melrose, facendo un gesto largo con la mano «sia il palcoscenico.» Dietro la tenda c'è il letto di Desdemona. Otello ha appena terminato una scena con lei e discute con Iago della questione del fazzoletto. Vivian, o meglio Desdemona, è a letto. Vivian si adagiò con qualche difficoltà sulla sedia a sdraio. «Domani mi ucciderai. Lasciami vivere stanotte» recitò. «A questo punto Otello la soffoca.» Melrose prese un cuscino e l'avvicinò al viso di Vivian; poi voltò le spalle al letto, lasciò cadere il cuscino e tirò la tenda. Martha, ferma alla sua sinistra, aveva osservato la scena. Avanzò di qualche passo e finse di aprire una porta inesistente. Dietro la tenda si levò un gemito. «Signore! Signore! Ehi, mio signore! Mio signore!» esclamò Martha, facendo l'atto di bussare. Melrose posò lo sguardo su di lei, poi sul letto. «Chi grida? Non sei morta?» Andò da quella parte e scostò la tenda, mostrando Desdemona seminascosta tra le coperte e i cuscini. Si avvicinò e fece di nuovo il gesto di soffocarla dicendo: «Io, che sono crudele, ho pure questa misericordia di te: non posso vederti durare in questa pena.» Dal letto si levò un altro gemito. Nel frattempo Martha-Emilia stava ancora bussando. Melrose, chino sulla povera Desdemona, si raddrizzò e tirò un'altra volta la tenda. Arrivato
alla porta, finse di aprirla, lasciando entrare Martha, che lesse la sua battuta: «Mio buon signore! Devo parlarvi. Una parola!» Melrose le posò una mano sul braccio. «Basta così, Martha. Abbiamo dimostrato quello che ci interessava. A questo punto c'è stato un cambiamento, ispettore. Nella tragedia Emilia si avvicina al letto e Desdemona mormora: "Addio. Ricordami al mio caro signore". E muore. Questa battuta dev'essere stata omessa perché Desdemona» Melrose scostò le coperte «è già morta.» Agatha si raddrizzò nel letto, massaggiandosi il collo. «L'hai fatto di proposito, Plant» accusò il nipote. «Per poco non mi uccidevi davvero, stupido che non sei altro.» Nel frattempo Vivian era rientrata in casa, passando dalla portafinestra. «Caspita, Melrose. La prossima volta che vorrai assegnarmi il ruolo di Desdemona, fammi almeno prendere un cappotto. Si gela là fuori.» Jury era rimasto senza parole. Una sostituzione di persona, ecco com'erano andate le cose. Al posto dell'amante, Matchett aveva adagiato sul letto Celia, dopo averla stordita con la droga. Jury applaudì. «Abbiamo finito, signore» disse Melrose con un inchino. «Vi ringrazio.» Agatha scese dal letto aggiustandosi la sottana. «Come sarebbe a dire "finito"?» brontolò. «Dopo che ci hai fatto venire tutti qui a recitare questa farsa, non ci spieghi neppure che senso ha. Idiota!» Anche Vivian sembrava perplessa. «Davvero, Melrose, che cos'è questa storia?» "Faceva bene a domandarglielo" pensò Jury. La giovane donna non poteva immaginare che, con quella farsa, forse Melrose le aveva salvato la vita. Dopo che Plant ebbe congedato le donne, lui e Jury si sedettero davanti al fuoco con un bicchiere di whisky in mano e qualche salatino preparato da Martha al termine della recita. «Non occorreva una grande attrice per dire due parole alla cameriera» osservò Jury. «Già. Probabilmente indossava l'abito di Celia sotto il costume ed era pettinata come lei, ma in testa aveva una parrucca. Avranno fatto in modo che la stanza fosse male illuminata. Dovevano assicurarsi che qualcuno vedesse "Celia" viva durante lo spettacolo, mentre invece era già morta, lì sul palcoscenico.» Melrose si accese un sigaro. «Però, che coraggio!» esclamò Jury. «Ucciderla davanti a tutti quei te-
stimoni!» «Ritiene che l'avessero drogata prima che Matchett la trascinasse dietro le quinte?» domandò Melrose. «Doveva esserci una tenda anche dietro il letto e da lì è uscita Celia, per poi rientrare di nuovo. Quando ho chiuso la tenda, Vivian (nei panni di Harriet) è saltata giù dal letto ed è uscita dalla portafinestra, e Agatha ha preso il suo posto. Nella realtà Harriet, vestita con lo stesso costume di Celia, ha dovuto spostarla per sostituirsi a lei. Ma vedendola da una certa distanza, nascosta dalle coperte e dai cuscini, con Otello che le stava davanti, nessuno degli spettatori poteva immaginare che ci fossero due Desdemone invece di una.» «A quel punto Harriet va nello studio di Celia, si toglie il costume e la parrucca e si siede alla sua scrivania» continuò Jury. «Daisy entra e la scambia per la signora. Dopodiché Harriet deve tornare di corsa sul palcoscenico, prendere il cadavere e trascinarlo nello studio. La signora Matchett era una donna minuta e quindi non dev'essere stato troppo faticoso. Comunque la distanza non era molta. Sistemato il corpo, Harriet torna in scena. Certo che ci vuole fegato per fare una cosa del genere!» Se era un tipo così, non si capisce perché non si sia alzata dal letto di Desdemona per andare a uccidere la signora Matchett nel suo studio e poi tornare sul palcoscenico. Sarebbe stato molto più semplice. «Lei l'avrebbe fatto, se fosse stato nei suoi panni? L'amante avrebbe avuto un alibi e lei no. Doveva essere una donna dai nervi saldi, ma tutt'altro che stupida. In questo modo rischiavano entrambi nella stessa misura.» Jury diede un'alzata di spalle. «Si potrebbe anche prendere in considerazione l'ipotesi che Harriet l'abbia uccisa nello studio, se non fosse che a Long Piddleton sono stati commessi altri cinque omicidi per coprire quello di sedici anni fa. È possibile che Ruby Judd abbia trovato il braccialetto per terra, tra lo studio e il palcoscenico. Per Simon Matchett è un bel guaio. Come mai il braccialetto della moglie è al polso di Ruby Judd, sedici anni dopo? Logicamente capisce dove l'ha preso. Non può farselo restituire e teme che prima o poi la ragazza si ricordi dove l'ha trovato.» Jury si versò dell'altro whisky. «In seguito Matchett scopre che Ruby non è l'unica a conoscere il suo segreto. Forse ha spifferato tutto a zio Will per avere un consiglio e Will a sua volta ne ha parlato con il suo vecchio amico Ansy, il finocchio. Creed poteva essere un amico dell'uno o dell'altro. Non fa differenza. Sta di fatto che a quel punto entra in scena un poliziotto, pronto a intervenire se si mette male. Per Matchett dev'essere stato una sorta di gioco del domino: prima scopre che Ruby l'ha detto allo zio, poi quest'ultimo
lo informa di avere messo al corrente Hainsley e forse anche Creed. Il tempo stringe e lui non può andarsene dal paese. Essendo un attore, probabilmente non gli è stato difficile imitare la voce di Smollett e farli venire qui. Questo spiega anche il motivo per cui ha lasciato i cadaveri in vista. Non è facile sbarazzarsi di uno, figurarsi di cinque! Non poteva certo andarsene in giro per Long Pidd con una vanga in mano per sotterrare le vittime. Perciò fa esattamente il contrario: le mette in mostra, inducendoci a credere in questo modo che ci troviamo di fronte a un maniaco omicida.» «Pensa che Ruby lo ricattasse personalmente?» «Sarà stato un ricatto di tipo sessuale. Chissà, forse s'illudeva di costringerlo a sposarla. Del resto ha cercato d'incastrare ogni uomo del paese, e Matchett è il più attraente di tutti. Dove andava ogni volta che partiva, se non a qualche appuntamento? Che stupida ragazza! Però l'ultima volta non ha portato con sé il bracciale, e nemmeno il diario.» «Mi chiedo come potessero pensare, Small e i suoi amici, di ricattare uno come Matchett, che non ha molti quattrini. Ah, quanto sono stupido! Bastava che sposasse Vivian per avere tutti i soldi che voleva.» «Forse aveva promesso a Ruby di sposarla, una volta entrato in possesso del denaro. Si sarebbe sbarazzato di Vivian per stare con lei. Per un uomo con il fascino di Matchett non dev'essere difficile imbrogliare le donne. Come...» «Come chi?» «Come Isabel Rivington, per esempio.» «Che intende dire?» domandò Melrose dopo aver riflettuto un istante. «Lei stesso si chiedeva come mai Isabel, che evidentemente ha un debole per Matchett, lo spinga tra le braccia di Vivian, anche a rischio di perdere il controllo di tutti quei quattrini.» «Non vorrà insinuare che Simon e Isabel siano d'accordo, esattamente come Simon e Ruby?» «Sì, proprio così. Dubito che scopriremo mai la verità su questo punto, ma in realtà è ciò che penso.» Melrose lo guardò un attimo senza aprire bocca. «Secondo lei che fine ha fatto Harriet Gethvyn-Owen?» «Veramente credo che sia più urgente rispondere alla domanda: che fine avrebbe fatto Vivian Rivington?» I due uomini si scambiarono un'occhiata, bevvero un sorso di whisky e guardarono il fuoco nel caminetto.
19 Al volante dell'auto, Jury percorreva lentamente High Street, andando nella direzione opposta del Man with a Load of Mischief per ritardare il più possibile il suo incontro con il sovrintendente Racer. Gli venne la tentazione di fermarsi a mangiare al Jack and Hammer, ma rinunciò. Giunto all'altezza del viale che portava alla chiesa, lo imboccò e fermò l'auto, sicuro che almeno lì non correva il rischio d'incontrare Racer. Gli occorreva tempo per riflettere. La chiesa di St. Rules era umida e fredda esattamente come nelle prime ore del mattino e ora cominciava a farsi buio come l'altra volta. Seduto in uno degli ultimi banchi, Jury vedeva la luce farsi sempre più fioca. Si guardò intorno, soffermandosi sul soffitto a volta, poi sul pulpito e sulla lavagnetta su cui erano segnati i numeri degli inni che i fedeli avrebbero cantato alla prossima funzione. I libretti erano ammucchiati sul banco davanti al suo. Jury si alzò, ne prese uno, aprì al numero 186 e intonò le prime note di Avanti, soldati cristiani. Poi, sentendosi sciocco, chiuse il libretto e guardò distrattamente la copertina. I caratteri dorati che componevano la parola INNI erano sbiaditi. Il libretto, grande appena tredici centimetri per diciotto, aveva una copertina di pelle rossa. All'improvviso gli tornarono in mente le parole della signora Gaunt, o forse di Daphne. "Sono entrata e ho visto che stava scrivendo sul suo diario, un libriccino rosso." Impiegò un quarto d'ora a passare in rassegna tutti i libretti degli inni e finalmente trovò quello che cercava: un po' più grosso rispetto agli altri e di una tonalità più scura. Non era difficile individuarlo, a patto che qualcuno lo stesse cercando. Se uno dei fedeli si fosse seduto in quel banco la domenica precedente, probabilmente l'avrebbe trovato. Comunque c'erano più libretti che fedeli. Chissà se Ruby l'aveva lasciato lì di proposito, come forse aveva fatto con il braccialetto, oppure se n'era semplicemente dimenticata? Sulla copertina, al posto della parola INNI, c'era la scritta DIARIO. Sulla prima pagina, in stampatello, figurava il nome Ruby Judd. Ormai si era fatto buio e Jury aveva dovuto farsi luce con una torcia elettrica per cercare il libretto. Salì sul pulpito e orientò il braccio d'ottone della lampada in modo da illuminare le pagine. Nella prima parte del diario Ruby aveva annotato un mucchio di stupidaggini sui ragazzi di Weatherin-
gton e sugli uomini di Long Piddleton. Non parlava né di Trueblood né di Darrington. Soltanto più avanti iniziava a occuparsi di Simon Matchett e di Trueblood, di cui diceva che era un ottimo amante, mentre invece faceva la considerazione opposta sul conto di Darrington. Tra un episodio e l'altro, il discorso cadeva sempre su Matchett, di cui elogiava il fascino e soprattutto gli occhi "chiari e limpidi come l'acqua del fiume". Jury sorrise, intenerito da questa metafora della ragazza. "E pensare che Daphne ha questa fortuna" proseguiva il diario "mentre io devo stare con quella strega" (ovviamente la signora Gaunt) "e il vicario. Chissà come sarebbero contenti di sapere che me ne sto seduta qui a scrivere il mio diario, invece di pulire la chiesa! Tra l'altro la mia paga è molto inferiore a quella di Daphne, e per giunta ha la fortuna di lavorare da lui." Seguivano alcune pagine in cui descriveva i suoi incontri amorosi con Darrington, con il ragazzo che portava i giornali e con altri, e ciononostante si lamentava della vita noiosa di Long Piddleton. Jury saltò alcune pagine finché trovò quello che cercava, cioè la descrizione della lotta a colpi di cuscino con Daphne. "Mentre giocavamo sono caduta sotto il letto; lei ha allungato un braccio per aiutarmi e così ho visto il suo braccialetto, niente di speciale, un sottile filo d'oro con una croce. Così all'improvviso mi è venuta in mente una scena di tanti anni fa: anche quella volta ero sotto il letto e vedevo ciondolare un braccio con un bracciale intorno al polso." Era possibile che Ruby, curiosa com'era, si fosse infilata sotto il letto e vi fosse rimasta durante lo spettacolo? Forse era nascosta là sotto mentre Matchett uccideva Celia e non si era resa conto di quanto stava accadendo. "Poi a un tratto mi è venuto in mente di chi era il braccialetto che avevo trovato: era della signora Matchett, la donna che era stata assassinata. Cosa potrebbe significare?" Le ultime tre parole erano sottolineate. Nei due giorni successivi non aveva scritto nulla sul diario. Poi era andata in biblioteca e si era documentata sul delitto commesso al Goat and Compasses. Ora sapeva che Celia Matchett era stata uccisa nel letto e non nel suo studio. Benché all'epoca avesse soltanto sette anni, evidentemente la scena le era rimasta impressa nella mente. Dopo la sua scoperta, Ruby aveva preso l'abitudine di andare spesso al Man with a Load of Mischief nella speranza di riuscire, nonostante tutto, a sedurre Matchett. In seguito aveva formulato un piano. "Oggi ho parlato con zio Will. All'inizio mi ha detto che sono pazza perché, secondo lui, non posso ricordarmi di una cosa che è capitata quando avevo sette anni. Mi ci è voluto un sacco di tempo, ma alla fine sono riuscita a convincerlo che dev'essere stato Simon ad assassinare la moglie. O è stato lui oppure
Harriet, la ragazza di cui parlano i giornali. Adesso ricordo che mi sono spaventata da morire, vedendo quel braccio penzoloni. Non ho mai detto a nessuno del braccialetto. Avevo paura di avere dei guai." Il giorno seguente Ruby scriveva: "Zio Will mi ha richiamato per raccomandarmi di non fare niente. Dice che si metterà in contatto con un suo amico, un poliziotto. Gli ho domandato se voleva far arrestare Simon e lui è scoppiato a ridere. Così ho pensato che forse voleva estorcergli dei soldi. L'ho informato di quello che si dice in giro, cioè che Simon vorrebbe sposare quella tizia trasandata, che però è un'ereditiera piena di quattrini". Il giorno dopo: "Se lui vuole farsi dare i soldi, perché non posso chiedergli qualcosa anch'io? Così ciascuno avrebbe ciò che desidera". Jury immaginò la risata squillante di Ruby echeggiare nella chiesa, mentre scriveva quelle parole sul diario. Dopo una pausa di due o tre giorni, riprendeva: "Era sceso a prendere del vino in cantina. L'ho raggiunto e, dopo avergli messo il braccialetto davanti al naso, gli ho chiesto se si ricordasse di averlo già visto. Pensavo di sì, dal momento che si divertiva spesso a giocherellarci quando l'avevo al polso. A quel punto ho vuotato il sacco, dicendo tutto quello che sapevo. All'inizio credevo che mi picchiasse. Invece mi ha preso tra le braccia e mi ha baciato. Mi ha detto che avevo fatto male a riferirlo a mio zio e mi ha domandato se l'avessi raccontato a qualcun altro. Gli ho risposto di no, e in fondo è vero. Ormai non si può più tornare indietro, mi ha detto, aggiungendo che gli dispiaceva perché ha sempre avuto un debole per me, anche se non me l'ha mai confessato perché sono troppo giovane. Sembrava molto triste. A quel punto mi ha chiesto se accettavo di trascorrere il finesettimana con lui, per parlarne con calma. Ma io non sono stupida e così gli ho risposto che avevo capito le sue vere intenzioni: voleva semplicemente assicurarsi che non spifferassi tutto. Allora ha stappato una bottiglia di champagne e siamo rimasti un po' giù in cantina, a bere, ridere e baciarci. Adesso so che gli piaccio davvero. Devo preparare una borsa da viaggio e dire che vado a Weatherington, in modo che nessuno mi faccia domande. Mi sono ricordata che zio Will mi ha raccomandato di lasciare il braccialetto da qualche parte e di non metterlo più. Non ho niente in contrario. Tra non molto avrò al dito un grosso diamante. Ho pensato a un nascondiglio perfetto per il bracciale. Ci sarà da ridere!". Le ultime righe dicevano: "Non posso scrivere adesso. Sta arrivando qualcuno, forse la signora Gaunt. A domani, diario". A quel punto Ruby doveva averlo nascosto tra i libretti degli inni e aver
preso la scopa in mano, probabilmente con l'intenzione di riprenderlo prima di andarsene; ma poi se n'era dimenticata. "A domani, diario" erano le ultime, patetiche parole. Che ragazza sciocca! Non c'era stato un domani per Ruby Judd. Jury rimase sul pulpito a fissare le pagine bianche illuminate dal cono di luce della lampada ed era così assorto a pensare alla passione di Ruby per Simon Matchett da non far caso alla porta che si apriva e richiudeva. Nel buio non vedeva l'entrata della chiesa, ma riconobbe la voce di Matchett. «Ho visto la luce dalla strada e mi sono chiesto chi potesse esserci qui a quest'ora. Strano posto per trovare un poliziotto, il pulpito di una chiesa.» Jury lo sentì muoversi e pensò che si fosse seduto a un banco delle ultime file. «E lei, signor Matchett? Come mai in chiesa a quest'ora? I proprietari delle locande sono forse più religiosi dei poliziotti?» «No, ma di certo altrettanto curiosi.» C'era qualcosa di poco piacevole nel trovarsi a fare conversazione con una voce priva di corpo. L'unica luce era quella della lampada sul pulpito. Jury si sentiva come una preda nel mirino. «Evidentemente noi due siamo arrivati alla stessa conclusione, ispettore. Visto che il diario non era al vicariato, era abbastanza probabile che fosse in chiesa. Immagino che non sia salito là sopra per leggere le preghiere?» «Se così fosse, lei si sarebbe tirato la zappa sui piedi, non le pare?» Nella chiesa echeggiò una risata. «Oh, non faccia il finto tonto. Il suo sergente mi è stato alle costole come un cane da caccia. Non voleva mollarmi. Comunque è sano e salvo, non si preoccupi. Dorme come un angioletto vicino al fuoco. È bastato un po' di sedativo nel rum per metterlo a nanna. E ora sarà bene che mi consegni quel libretto, ispettore.» Ora Jury era certo di essere davvero nel mirino, perché in caso contrario Matchett non sarebbe stato così sicuro che gli consegnasse il diario di Ruby. «Se è armato, ispettore, butti anche la pistola. Non credo che lo sia, perché non le ho mai visto un'arma in mano, ma non si può mai sapere.» Jury non aveva nulla, avendo scoperto da tempo che era più pericoloso essere armato. Comunque non aveva senso dirlo a Matchett, che probabilmente non gli avrebbe creduto. Non gli restava che cercare una via d'uscita. Sopra il pulpito, a meno di un metro di distanza, c'era il soffitto che sovrastava il coro. «Se intende farmi fuori come credo, signor Matchett, è
proprio sicuro che nessun altro sappia che è lei il responsabile di questa catena di delitti?» Jury non aveva nessuna intenzione di tirare in ballo Plant, ma doveva guadagnare tempo. «Non creda di fregarmi, ispettore Jury. Non lo sa neppure il suo superiore, il sovrintendente Racer. Il sergente sì, ma in seguito mi occuperò anche di lui.» La distanza che lo separava dal soffitto era modesta, ma Jury non era più agile come un tempo. «Vorrebbe essere così gentile da chiarirmi un paio di punti, signor Matchett? Per quale motivo ha lasciato in bella mostra i cadaveri? Avrebbe potuto lasciare Ainsley nel suo letto e sotterrare Ruby nel bosco.» Jury sapeva che i serial killer tendono a essere presuntuosi e amano vantarsi della propria intelligenza. Doveva essere una specie di tortura compiere determinate azioni senza poter sottolineare la propria genialità. In un primo momento pensò che Matchett non avesse intenzione di rispondere alla domanda e gli parve anzi di sentire, amplificato dall'ambiente, lo scatto della sicura. Poi però ebbe conferma che non si era sbagliato nel giudicare la sua vanità. «Non vorrà farmi credere di non aver capito, ispettore, che il mio era un modo di depistare le indagini. Per coprire un rumore debole bisogna farne uno più forte. Non avevo molto tempo a disposizione per togliermi dai piedi tutta quella gente: Ruby Judd, suo zio, Ainsley e quell'amico poliziotto, Creed, tutti mi sono saltati addosso quasi contemporaneamente. Se non potevo sistemare le cose in sordina, tanto valeva fare un gran fracasso. A quel punto avreste pensato a uno psicopatico.» «All'inizio sì» ammise Jury. Sentì dei passi e capì che Matchett stava avvicinandosi. Doveva saltare, e in fretta. «Adesso tocca a me rivolgerle una domanda, ispettore. Evidentemente aveva scoperto che sono stato io a uccidere mia moglie, ma come diavolo...» «È stato stupido da parte sua partire da questo presupposto e per giunta confessare. Mi chiedevo appunto che rapporto ci fosse tra lei e la signorina Rivington.» «Quale delle due?» chiese Matchett dopo una breve esitazione. «Con la sua domanda ha già risposto alla mia» disse Jury, tentando di capire a che distanza si trovasse. «Mi dica un'altra cosa: è stato Small, anzi Smollett, a far venire qui gli altri due, oppure è stato lei?» «Sono stato io. Non mi è stato difficile imitare la sua voce, quando ho scoperto che aveva spifferato tutto ad Ainsley e a Creed. Li ho chiamati,
spacciandomi per lui, e ho detto che dovevano venire subito. Ne ho dirottato uno al Jack and Hammer e l'altro al Swan. Non potevo certo farli crepare tutti al Load of Mischief, non le pare?» «Perciò lei è andato al Swan non alle undici, ma alle dieci e mezzo e, dopo aver fermato la macchina tra gli alberi... Saprà sicuramente che abbiamo notato quella finestra e le tracce dei pneumatici sul terreno.» «Sì, certo, era ciò che volevo, dato che mi trovavo al Swan in compagnia di Vivian all'ora del delitto, quindi a un tiro di schioppo. Comunque da quella finestra sarebbe potuto passare chiunque. Non potevate sapere che ero io. Un paio di stivali di qualche misura più grandi della mia e una tuta da lavoro per essere certo di non sporcarmi hanno risolto ogni problema.» Jury voleva che continuasse a parlare. «Come ha fatto a sorprendere Creed alle spalle?» «Pensava, o meglio gli ho fatto credere, di essere un operaio che doveva riparare le tubazioni. La tuta mi è stata utile anche per questo e comunque non dimentichi che sono un attore.» «L'ho notato. Per quale motivo non ha dato appuntamento a Creed da qualche altra parte, invece di farlo venire a Long Piddleton?» «Non penso proprio che lei mi avrebbe permesso di allontanarmi molto. Quindi non avevo scelta. Inoltre cominciava a divertirmi questa storia degli omicidi nelle locande di cui parlavano tanto i giornali.» «Capisco» si limitò a commentare Jury, sempre valutando le distanze e preparandosi mentalmente a saltare. «L'omicidio diventa un'abitudine, dopo un po'?» «Forse. Ma ora devo insistere perché mi consegni quel diario, ispettore. Sia così gentile da scendere i gradini lentamente.» «Non posso fare altrimenti» rispose Jury, spegnendo la luce e abbassandosi per ripararsi dietro il pulpito mentre il primo proiettile forava il legno. Un istante dopo con un balzo si aggrappò al bordo in muratura, rimase un attimo sospeso nel vuoto e finalmente si issò sul cornicione, sfruttando tutte le sue forze e protetto dall'oscurità. La seconda pallottola finì in un punto sopra la sua testa; poi tornò il silenzio. Jury trattenne il respiro, anche se aveva la sensazione che i suoi polmoni stessero per scoppiare. Cercò di capire che tipo di arma potesse avere Matchett e quanti colpi gli fossero rimasti. Non era così stupido da sprecarli continuando a sparare al buio. Dal rumore dei passi alla sua sinistra capì che Matchett stava salendo le scale. Si abbassò e si spostò con cautela dalla parte opposta finché riuscì a raggiungere la galleria che correva sopra la parte anteriore della navata. Vi
atterrò con un salto nello stesso momento in cui Matchett arrivava in cima alla scala. Un istante dopo udì sibilare il terzo proiettile vicino all'orecchio. Tenendosi basso, avanzò per un tratto tra i banchi, poi si fermò di nuovo. Ancora silenzio. Mise una mano in tasca, prese la torcia, la mise sul bordo del parapetto e l'accese, puntando il fascio di luce verso l'estremità opposta della galleria. Lo sparo partì subito, e la torcia cadde in frantumi nella navata sottostante. Nel prendere la torcia aveva sentito sotto le dita la scatola di pasticche per la tosse che gli aveva dato Wiggins. Se solo fosse riuscito a rompere il cellophane senza che si sentisse il rumore, avrebbe potuto utilizzare una di quelle pasticche con la fionda che aveva nell'altra tasca dell'impermeabile. Benedisse mentalmente il ragazzino che gliel'aveva regalata. Finalmente riuscì a staccare una pasticca dalle altre, la piazzò contro l'elastico della fionda e mirò la finestra più vicina. Al rumore del vetro infranto fece eco un altro sparo e senza perdere tempo Jury lanciò un altro proiettile, stavolta verso la navata. A giudicare dal suono che produsse doveva aver colpito una statua di gesso, forse quella della Vergine Maria. Recitò mentalmente una preghiera. Non udì un altro sparo come aveva previsto, ma un rumore di passi giù per le scale e poi lungo la navata. Di nuovo silenzio, poi a un tratto una luce illuminò la galleria e Jury si buttò a terra. «Ammiro molto la sua tattica diversiva, ispettore» disse Matchett dal basso. «Però ha fatto male a sacrificare la sua torcia, così come io sono stato stupido a non portare la mia. E siccome ovviamente lei non è armato, mentre io lo sono ancora, non le conviene scendere adesso?» Dal momento che a Matchett non conveniva sprecare un altro proiettile, Jury pensò che forse era il caso di obbedire. Gli avrebbe sparato non appena gli fosse comparso davanti, oppure avrebbe aspettato per assicurarsi che avesse il diario in mano? C'era da sperare che aspettasse. «Vuole raggiungermi qui nella navata, ispettore? Devo assolutamente avere quel diario. Dopodiché faremo un giretto in macchina.» Jury si sentì un po' più tranquillo. Durante il tragitto in auto forse avrebbe trovato un sistema per togliersi d'impaccio. «Sto scendendo, Matchett.» Jury passò tra i banchi e si diresse verso la scala usata da Matchett per salire. Guardando in basso lo vide circa a metà della navata. Mentre passava allungò una mano verso una pila di libretti degli inni e ne prese uno al volo; poi iniziò a scendere le scale. Arrivato in basso, alzò le mani sopra la
testa, con il libretto bene in vista. «Venga a portarmelo» gli ordinò Matchett. Lo fermò quando fu a tre metri. «Così è abbastanza vicino» disse. Jury aprì leggermente le dita e il libretto cadde a terra. «Piuttosto maldestro» commentò Matchett. Jury fece l'atto di chinarsi, ben sapendo che l'altro l'avrebbe fermato. «Lasci stare, ispettore. Lo butti qui con un calcio.» Era esattamente ciò che Jury aveva sperato. Si augurava solo di avere ancora abbastanza forza nella gamba per fare ciò che aveva in mente. Allungato il piede, colpì di tacco il libretto in modo da farlo tornare indietro, cogliendo Matchett alla sprovvista. L'ultimo proiettile gli graffiò un braccio, e un istante dopo Jury si scagliò su Matchett, ricacciandolo contro il banco. Era così arrabbiato, nel trovarsi di fronte quell'assassino uscito finalmente allo scoperto, che non ebbe nessuna difficoltà a colpirlo quasi contemporaneamente e con grande efficacia prima alla mascella e poi allo stomaco. Matchett si piegò in due e cadde a terra tra due file di banchi. Jury raccolse il libretto degli inni. Il diario era ancora sul pulpito. L'aveva fatto scivolare sotto la Bibbia mentre parlava con Matchett. Guardò quel corpo immobile, chiedendosi come fosse possibile che un uomo potesse collezionare delitti con la stessa disinvoltura con cui si collezionano francobolli. «Signor Matchett, non è obbligato a parlare se non lo desidera, ma ciò che dirà potrebbe essere messo per iscritto e prodotto come prova. Ha capito?» Girò sui tacchi, andò verso l'altare e salì di nuovo sul pulpito. Accesa la luce, sollevò la Bibbia ed estrasse il diario di Ruby Judd; poi appoggiò i gomiti, assumendo una posizione simile a quella dei curati durante i sermoni, e tornò a guardare il diario che avrebbe decretato la fine di Simon Matchett. Poco dopo sentì ancora una volta aprirsi e richiudersi la porta della chiesa. Dall'oscurità dell'entrata si levò la voce petulante del sovrintendente Racer. «Vedo che finalmente ha capito qual è la sua vera vocazione» disse in tono sarcastico. Matchett fu condotto alla stazione di polizia di Weatherington. Era stato "ufficialmente" arrestato da Racer e dal suo braccio destro, l'ispettore Briscowe, che aveva accompagnato il suo superiore a Long Piddleton per risolvere il caso, come dichiarò quella sera lo stesso Racer ai giornalisti venuti da Londra, volendo far credere che il suo arrivo in paese fosse stato
determinante. «Quel mascalzone» disse Sheila Hogg a Jury mentre, verso mezzanotte, gli versava whisky come se uscisse dal rubinetto «si è preso tutto il merito, dopo che è stato lei a darsi da fare e a rischiare anche la pelle.» Gli mise il bicchiere nella mano destra. Il braccio sinistro di Jury era stato medicato e fasciato dal dottor Appleby, che per l'occasione si era rimangiato tutte le critiche che gli aveva mosso in precedenza. Un'ora dopo l'arresto di Matchett l'intera popolazione di Long Piddleton era al corrente dell'accaduto. Sicuramente merito di Pluck. Jury si era divertito molto a vederlo indaffarato a far scansare Briscowe ogni volta che questo si piazzava davanti all'obiettivo di un fotografo. Jury era stato letteralmente trascinato a casa da Sheila, che ormai lo considerava un eroe. «Comunque l'importante è che il caso sia chiuso» disse Jury. «Per il resto non fa differenza.» «Già, ringrazi il cielo che le cose siano andate così» intervenne Darrington, con la gelosia che sprizzava da tutti i pori, oltre alla solita ostilità che aveva sempre manifestato nei confronti di Jury. «Stava per prendere un granchio, addossando la colpa a me, e l'errore poteva costarle caro.» Jury inarcò le sopracciglia, fingendosi sorpreso. «No, non ho mai sospettato di lei. Credevo che l'avesse capito. Non ha abbastanza fantasia. Pensi allo stile di Matchett: se non fosse un assassino, sarebbe potuto essere un ottimo scrittore.» Sheila rise forte, in parte per la battuta di Jury e in parte per il whisky tracannato. Darrington si fece paonazzo e si alzò. «Senta, perché non si toglie dai piedi? Non ha fatto altro che rovinarmi l'esistenza da quando è arrivato, e non ha più motivo di restare.» Sheila sbatté il bicchiere sul tavolo. «Nemmeno io» disse, alzandosi a fatica e nello stesso tempo tentando di assumere una posa regale. «Oliver, anche tu sei un mascalzone. Manderò qualcuno a ritirare la mia roba.» Darrington era tornato a sedersi. «Sei ubriaca» disse, fissando il fondo del suo bicchiere. Jury allungò un braccio per fermare Sheila che gli si stava avventando contro. «Preferisco essere ubriaca piuttosto che... Piuttosto che priva di fantasia come te. Ho ragione, ispettore?» Jury si dichiarò d'accordo, poi le offrì il braccio e la scortò fuori dalla porta. «Crede che stia scherzando, ma non è così. Mi farò dare una stanza dagli
Scroggs, a meno che...» Lo sbirciò con aria speranzosa attraverso le lunghe ciglia. «Mi dispiace, cara» mormorò Jury con un sorriso. «Il Man with a Load of Mischief è fuori discussione. Non accetta altri clienti.» Mentre l'aiutava a infilarsi il cappotto, notò il suo sguardo di delusione. Le strizzò l'occhio. «Ma c'è sempre Londra che l'aspetta. Tornerà in città, vero?» «Può giurarci» rispose Sheila, ritrovando un po' del suo buonumore. Mentre si avviavano verso la Morris, Jury vide Darrington alla finestra. «Sheila, non si sarà messa in testa...» Dopo aver consegnato la giovane donna alle amorevoli cure della signora Scroggs, Jury proseguì a cuor leggero verso il Man with a Load of Mischief. Scendendo dall'auto notò che c'era la luce accesa nel bar. Trovò Daphne Murch ad aspettarlo. La ragazza si tormentava le mani, in preda al nervosismo. Jury si ricordò che aveva assistito alla scena quando erano venuti a prendere gli effetti personali di Matchett. «Non riuscivo a crederci!» esclamò Daphne, correndogli incontro. «Mi sembrava impossibile. Proprio il signor Matchett, che dava l'impressione di essere una così brava persona...» «Mi dispiace molto, Daphne. Immagino come ti senti.» Si erano seduti a un tavolo e la ragazza aveva servito il tè perché, com'è risaputo, per gli inglesi una tazza di tè è la cura che guarisce da qualsiasi malanno, dal mal di piedi agli omicidi di massa. «Così sei rimasta senza lavoro, Daphne?» La poveretta era molto depressa. «Ho degli amici ad Hampstead Heath» continuò Jury, prendendo il taccuino degli appunti. Scrisse un indirizzo su un foglio e glielo diede. «Non so se Londra ti piacerà.» Dall'espressione gli parve eccitata all'idea di trasferirsi in una grande città. «Però ti assicuro che sono persone squisite, e so che stanno cercando una cameriera.» Jury sapeva anche che avevano un giovane autista di bell'aspetto. «Se vuoi li chiamo subito, non appena sarò tornato a Londra e...» Non poté terminare la frase perché Daphne si era alzata, aveva fatto il giro del tavolo e gli aveva schioccato un grosso bacio sulla guancia per poi correre via, rossa di vergogna. 20 Lunedì, 28 dicembre
Quando Jury si svegliò, il mattino successivo, quasi non ricordava come avesse fatto a salire le scale e a infilarsi sotto le coperte. Non si era spogliato. Tutto il whisky bevuto dai Darrington, oltre al fatto che nelle ultime quarantott'ore aveva dormito pochissimo, doveva essere stato letale. Si era svegliato sentendo bussare alla porta. Al suo "avanti" Wiggins fece capolino nella stanza. «Mi dispiace svegliarla, ispettore, ma giù c'è il sovrintendente Racer. È più di un'ora che chiede di lei. Ho cercato di prendere tempo, ma adesso non so più cosa fare.» Il rimorso di Wiggins per essersi lasciato sfuggire Matchett si era attenuato soltanto quando Jury gli aveva raccontato l'uso che aveva fatto delle sue pasticche per la tosse. "Se non fosse stato per te, sergente..." Così si era consolato, sicuro di aver salvato la vita all'ispettore. Entrò nella stanza. «A dire la verità trovo vergognoso il suo modo di comportarsi. E pensare che lei non ha quasi chiuso occhio per una settimana. Lavora troppo, scusi se glielo dico. Perciò ho risposto al sovrintendente Racer che l'avrei svegliata a un'ora decente e non prima.» «Gliel'hai detto davvero?» domandò Jury, puntellandosi su un gomito e guardando Wiggins. «Sì, ispettore.» «Questo significa che hai molto più coraggio di me, Wiggins.» Il sergente se ne andò via raggiante mentre Jury iniziava a vestirsi. Aveva notato che, per la prima volta dopo tanti giorni, Wiggins non aveva avuto bisogno del fazzoletto. «Desiderava vedermi?» domandò Jury. «Vuole che mi sieda?» Il sovrintendente capo Racer era già seduto a un tavolo della sala da pranzo. Davanti a lui c'erano ancora i resti di una lauta colazione. Mentre si portava un sigaro alle labbra, un raggio di sole si rifletté sull'onice dell'anello che aveva al dito. «Sta cercando di recuperare le ore di sonno perdute, da quando è arrivato qui in campagna? Meno male che il caso è risolto, Jury. Altrimenti per lei sarebbero stati guai, gliel'assicuro.» Daphne Murch depositò la caffettiera d'argento davanti a Jury e gli sorrise, incurante del sovrintendente Racer che le guardava le gambe. «Non è un brutto articolo» commentò il capo, tornando a guardare Jury con aria critica. «Benché non approvi molte delle cose che ha fatto da quando ha iniziato a occuparsi di questo caso, comunque siamo riusciti a
risolverlo e perciò non ce l'ho con lei. Non ho mai pensato che lei fosse un cattivo poliziotto, anche se tende a dare troppa confidenza agli uomini. Non è simpatico questo rapporto che ha creato con i suoi subalterni. Deve imparare a farsi rispettare, Jury. Ma c'è dell'altro. Lei disobbedisce agli ordini. Le avevo raccomandato di chiamarmi tutti i giorni e si è guardato bene dal farlo. Le avevo detto di tenermi informato di ogni sua mossa e non l'ha fatto. Se continua di questo passo non riuscirà mai a diventare sovrintendente. Deve imparare come ci si comporta con i superiori e come ci si deve regolare con i subalterni.» La frase parve a Jury il titolo di un brutto film di guerra americano. «Bene, io torno a Londra. Lei resti qui a sistemare le ultime cose.» Gettò sul tavolo una manciata di spiccioli. Non era tirchio, questo bisognava ammetterlo. Si guardò intorno. «Non è male come locale, per essere in questo paese sperduto. Ieri sera ho mangiato bene, e anche la birra era ottima. Quella fatta artigianalmente è sempre la migliore. Se non altro al proprietario bisogna riconoscere questo merito.» "Meno male che Jack lo Squartatore non produceva birra" pensò Jury imburrando una fetta di pane. «Che c'è, Wiggins?» domandò Racer. Il sergente era spuntato improvvisamente vicino al tavolo. «Il sergente Pluck ha portato qui l'auto, signore.» «Molto bene.» Mentre Wiggins si voltava per andarsene, Racer lo richiamò indietro. «Sergente, non mi piace affatto il tono che ha usato con me stamattina.» Jury cominciava a perdere la pazienza. «Il sergente Wiggins mi ha quasi salvato la vita.» Racer alzò un sopracciglio. «Non conosce la storia di quel soldato, che è riuscito a portare a casa la pelle perché la madre gli aveva dato una Bibbia da tenere nella tasca interna della giacca?» domandò, buttando sul tavolo la scatola delle pasticche per la tosse. «Cosa c'entra questa roba?» domandò Racer con una smorfia, toccando la scatola con un dito come se fosse stato un topo morto. «Insieme con una fionda, queste pasticche mi hanno salvato la vita» ribadì Jury. Bevve un sorso di caffè e decise d'infiorare la storia. «Wiggins sapeva che non ero armato. Ha dimostrato di essere molto previdente, a mio modo di vedere.» Deliziato da quell'elogio imprevisto e forse anche immeritato, Wiggins sorrise e nello stesso tempo assunse un'aria perplessa, non sapendo come interpretare il messaggio che Jury aveva lanciato al suo superiore.
Racer spostò lo sguardo dall'uno all'altro e sbuffò. «Se non le spiace, ispettore Jury, preferirei evitare di mettere in giro la voce che Scotland Yard si difende con le fionde invece che con le armi.» Rimandando il più possibile il momento di congedarsi da Vivian Rivington, Jury si trovava alla stazione di polizia di Long Piddleton, intento a sfogliare alcune scartoffie e ad ascoltare distrattamente la discussione in corso tra Pluck e Wiggins. Il primo, un fervido sostenitore della vita di provincia, stava scorrendo le pagine del "Times" alla ricerca degli articoli di cronaca nera che parlavano di tutti gli stupri, le rapine e gli omicidi commessi nei vicoli di Londra, quando a un tratto la porta si spalancò, come sospinta da una mano invisibile, e un istante dopo apparve Lady Ardry. Dopo di lei entrò Melrose Plant, che guardò Jury con espressione contrita. Alla vista di Agatha, Pluck e Wiggins si scambiarono un'occhiata d'intesa, presero le tazze del caffè e i giornali e sparirono in un altro ufficio. Lady Ardry tese la mano e strinse con forza quella di Jury. «Bene, allora ce l'abbiamo fatta, ispettore Jury.» Evidentemente l'entusiasmo per la vittoria finale aveva dissipato i vecchi rancori. «"Ce l'abbiamo fatta", cara zia?» commentò Melrose, sedendosi in un angolo alle sue spalle e accendendosi un sigaro particolarmente profumato. Jury sorrise. «Di chiunque sia il merito, Lady Ardry, l'importante è che sia tutto finito.» «Sono venuto per invitarla a pranzo, ispettore, e ho incontrato mia zia per la strada.» «A pranzo?» ripeté Lady Ardry, avvolgendosi nel suo mantello con aria maestosa. «Ottima idea. A che ora?» «Veramente ho invitato l'ispettore, zietta.» «Dobbiamo parlare di cose più importanti del cibo» replicò Agatha con un gesto vago. Jury notò che aveva ripristinato i vecchi guanti con le dita tagliate e aveva al polso il braccialetto di smeraldi e rubini ricevuto in dono da Melrose. Chissà perché ora gli sembrava meno bello di quando l'aveva visto per la prima volta. «Non poteva essere che Matchett, vero? L'ho sempre pensato. Le persone si capiscono dagli occhi, ispettore. Quelli di Matchett, così chiari e freddi, sono gli occhi di un pazzo. Bene.» Diede una manata alla scrivania. «Posso dirle soltanto che sono contenta che ci fosse qui lei, invece di quel sovrintendente così odioso. Immagino che non le farebbe piacere, se le raccontassi come si è comportato a casa mia...»
«No, non ci farebbe piacere, Agatha» l'interruppe Melrose, che si stava avvolgendo in una nuvola di fumo, probabilmente nella speranza che lo proteggesse come un'armatura. «Certo, tu puoi anche infischiartene di tutto il resto» replicò Lady Ardry senza voltarsi «dal momento che abiti in una splendida casa e passi il tempo bevendo Porto e mangiando noci.» «Lady Ardry» interloquì Jury, rischiando sulla sua pelle «se non fosse stato per il signor Plant, non saremmo riusciti a trovare le prove per mettere Matchett dietro le sbarre.» «È molto carino da parte sua dire una cosa del genere, mio caro Jury» replicò Agatha. «Del resto l'avevo capito fin dal primo momento che lei è un uomo gentile e generoso.» A Plant andò di traverso il fumo. «Ma» continuò Lady Ardry «sappiamo bene che il merito è nostro, non di Plant e neppure di quello stupido sovrintendente, impegnato soltanto ad adocchiare tutte le ragazze del paese.» Lucidò con il guanto un paio di smeraldi del braccialetto, poi si protese sulla scrivania. «Ho saputo che ieri sera è andato al Jack and Hammer» disse a bassa voce «e ha fatto il cascamorto con Nellie Lickens.» Jury s'incuriosì. «E chi sarebbe questa Nellie Lickens?» domandò. «La figlia di Ida Lickens» rispose Lady Ardry «che ha quel negozio di cianfrusaglie. Nellie fa le pulizie da Scroggs di tanto in tanto, ma è una poco di buono e...» «Sono tutti pettegolezzi, Agatha.» «Tu non immischiarti, Plant. Certo, la mia casa non è di lusso come Ardry End, ma comunque il sovrintendente Vattelapesca non aveva il diritto di trattarmi dall'alto in basso. Figuratevi che avevo cucinato dell'anguilla in umido, la mia specialità... Plant, smettila di fare lo spiritoso... e lui ha avuto la faccia tosta di entrare in cucina e di guardare nella pentola.» «Mi dispiace che abbia dovuto disturbarsi tanto, Lady Ardry» disse Jury. «Eppure riesco sempre a fare bella figura con gli ospiti. Anzi, proprio oggi stavo pensando di aprire un Bed and Breakfast. Basta mettere il cartello sulla porta per attirare i clienti. Io me la cavo bene con questo genere di cose.» «Ottima idea» commentò Melrose attraverso una cortina di fumo. «Così la prossima serie potrà essere intitolata: Northants. Il mistero dei turisti assassinati.» «Potresti farlo anche tu, Plant. Non sarebbe male se lavorassi per guada-
gnarti da vivere.» «Mi stai consigliando di trasformare Ardry End in un Bed and Breakfast?» «Certo. Potresti guadagnare un mucchio di soldi.» Jury notò che le brillavano gli occhi. «Ventidue camere da letto! Santo cielo, perché non ci abbiamo pensato prima? Con Martha in cucina a preparare la prima colazione e la sottoscritta a badare che vada tutto liscio... Sarebbe una miniera d'oro.» «Non ho tempo» disse Melrose senza perdere la calma. «Il tempo è l'unica cosa che non ti manca» lo contraddisse Agatha. «L'università ti porta via soltanto un'ora alla settimana. Devi assolutamente trovare un'altra occupazione, Plant.» «Già fatto» ribatté Melrose. «Ho deciso di diventare uno scrittore.» Guardò Jury e ammiccò. «Anzi, ho già iniziato a scrivere il primo libro.» Lady Ardry schizzò in piedi, facendo quasi cadere la sedia. «Si può sapere cosa stai blaterando?» «Ho semplicemente detto che sto scrivendo un libro imperniato sui recenti omicidi.» «Non puoi farlo, altrimenti saremmo in due» protestò Agatha. «Te l'avevo detto che sto scrivendo un libro sull'argomento, qualcosa di simile a quello di Capote, l'americano che parla di certi delitti commessi negli Stati Uniti.» «Per amor del cielo, il nome non si pronuncia "Kaput", ma "Capote", con tre sillabe e la O lunga. Possibile che tu riesca a storpiare anche i nomi dei tuoi connazionali?» «Non importa. Ormai ho già tutta la trama in mente.» «Be', allora ti consiglio di sbrigarti, altrimenti finirò prima di te.» «Finirlo? Non credere che sia così semplice. Prima di tutto bisogna trovare un editore. Lo sappiamo bene noi, che lavoriamo tutto il giorno, quanto sia difficile entrare nell'ambiente...» «In questo caso mi comprerò un editore» disse Melrose, tenendo gli occhi fissi su Jury. «È proprio da te, Plant.» «Infatti. Ho già terminato il primo capitolo.» Lady Ardry si rivolse a Jury, come se nella sua veste di poliziotto potesse fermare quel pazzo scatenato. Jury si strinse nelle spalle. «Bene» riprese Agatha «voi due potete anche starvene qui a chiacchierare tutto il giorno, ma io devo andare avanti con il mio libro.» Nella fretta di andarsene rima-
se incastrata con il suo bastone tra la porta e lo stipite. «Se non altro ci siamo sbarazzati di lei, almeno per questo pomeriggio» disse Melrose. «Così possiamo pranzare in pace, sempre che accetti il mio invito.» Si alzò. «Con piacere.» Plant gli tese la mano e Jury si alzò. «Non dovrei dirlo, ma quasi mi dispiace che sia tutto finito» mormorò Melrose. «Capita di rado di conoscere persone che non perdano la testa quando la situazione diventa problematica.» S'infilò i guanti, si calcò il cappello sulla testa e si avviò alla porta. «Signor Plant, mi permetta una domanda. Perché ha rinunciato al titolo nobiliare?» Plant si voltò a guardarlo. «Sono disposto a dirglielo a patto che non lo racconti in giro.» Jury sorrise e annuì. «Vede, quando indossavo il mantello e mi mettevo la parrucca, assomigliavo molto a zia Agatha.» Uscì, ma un istante dopo cacciò di nuovo dentro la testa. «Veramente c'era un motivo serio. Un giorno o l'altro gliene parlerò, ispettore.» Si portò una mano al cappello per salutare e sparì. Mentre usciva dalla porta, dopo che Plant se ne fu andato, Jury sentì che Pluck e Wiggins stavano ancora discutendo. «Guarda un po' cos'è successo ieri ad Hampstead Heath» disse Pluck, battendo le nocche delle dita sulla pagina del "Telegraph". Una ragazzina di quindici anni è uscita di casa e un tale l'ha violentata. «Allontanò il giornale.» E tu sostieni che a Londra si vive bene. Bah, io non verrei ad abitarci per nessuna ragione al mondo. «Jury era già quasi fuori dalla porta, quando lo sentì esclamare:» Scherziamo! Non vorrei proprio correre il rischio di farmi ammazzare. Jury aveva appuntamento con Vivian a mezzogiorno. Ormai mancava poco, ma ciononostante continuava a rimandare. Quando vide Marshall Trueblood che lo chiamava battendo un dito sulla vetrina del suo negozio, colse l'occasione al volo per perdere ancora un po' di tempo. «Mio caro!» esclamò l'antiquario non appena Jury entrò. «Mi hanno detto che sta per partire. Non ha idea di come sono rimasto sbalordito quando ho saputo che l'assassino era Simon. Chi l'avrebbe mai detto? Un uomo così affascinante! Ha usato il mio tagliacarte per incastrarmi, quel bastardo?» «Probabilmente sì. Comunque dubito che sarebbe riuscito a cogliere il vicario di sorpresa come ha fatto con gli altri, in modo da poterlo strangolare.»
«Brutta storia. Povera Vivian! E se l'avesse sposato, mi sono chiesto.» Rabbrividì e si accese una sigaretta rosa. «Dunque è stato Matchett ad assassinare la moglie?» «Sì. Alla fine ha confessato.» Jury guardò l'orologio e si alzò. «Se le capita di venire a Londra, signor Trueblood, venga a trovarmi.» «Lo farò di sicuro, caro.» C'era una panchina sul prato e la piazza era ancora completamente bianca perché quella notte aveva nevicato di nuovo. Jury si sedette e si divertì a guardare le anitre, poi alzò gli occhi e si soffermò sulla casa delle sorelle Rivington, dalla parte opposta della piazza. Avrebbe dovuto andarci, l'aveva promesso; ma rimase seduto. A un certo momento vide aprirsi la porta e uscirne una figura imbacuccata e avvolta in una sciarpa. Camminando lasciava dietro di sé una linea perfettamente diritta. Quando arrivò vicino allo stagno, Jury si alzò. «Credevo che sarebbe venuto intorno alle undici» disse. «Ero alla finestra ad aspettarla, ho visto una persona seduta su questa panchina e ho pensato che potesse essere lei.» Jury non disse nulla. «Volevo solo ringraziarla di tutto» continuò la giovane donna. Jury aveva così freddo che quasi non riusciva a parlare. «Spero che la notizia non l'abbia sconvolta troppo, signorina Rivington» disse finalmente. «Sconvolta è una bella parola, che dimostra un interessamento sincero. No, in realtà sono rimasta colpita al pensiero di essermi circondata di persone di cui non posso fidarmi.» Si batté le spalle con le mani nel tentativo di scaldarsi. «Isabel mi ha confessato la verità sull'incidente che è costato la vita a mio padre.» Lo guardò, ma Jury non fece commenti. «Ha detto che è stato il senso di colpa a impedirle di parlare prima, ma non ne sono molto convinta. Voglio dire, è possibile che la sua coscienza abbia ripreso a funzionare di colpo, dopo tutti questi anni? In realtà è lei la sua coscienza, vero?» Vivian sorrise e Jury guardò l'erba, come se si aspettasse di vedere fiorire a un tratto le margherite. «Visto che Jury taceva, Vivian continuò:» C'è una cosa che vorrei proprio sapere. «Cioè?» chiese Jury con una voce che non sembrava la sua. «Simon e Isabel» mormorò, affondando le mani nelle tasche del cappotto e inclinando la testa da un lato, cosicché Jury non vedeva altro che il suo berretto. «Erano amanti?» Alzò la testa e lo guardò negli occhi. «Avevano intenzione di uccidermi per poi andarsene via con quello che definiscono
"il malloppo"?» Vivian sorrideva, ma le si leggeva la tristezza negli occhi. Sbarazzarsi di lei era proprio ciò che Matchett aveva in mente, Jury ne era certo. Isabel gli era servita per indurre Vivian ad avvicinarsi a lui. E ora doveva essere molto doloroso per la giovane donna immaginare il suo fidanzato e la sorella che facevano all'amore e ridevano di lei. «È così che stavano le cose?» insistette Vivian. «No» mentì Jury. «Credo che fosse attratto dai suoi soldi, ma anche da lei.» Vivian esalò il fiato, come se avesse trattenuto il respiro fino a quel momento. «Non so perché ci tenevo tanto a saperlo, adesso che è finito in prigione.» Sospirò. «Forse non dovrei dirlo» riprese «ma sono contenta di non doverlo sposare.» «Non era obbligata a farlo.» «Sì, lo so.» «In ogni modo non credo proprio che fosse l'uomo adatto a lei» osservò Jury, alzando la testa e guardando le nubi che solcavano il cielo. «Non era il suo tipo.» «Secondo lei come dovrebbe essere l'uomo adatto a me?» «Più riflessivo, forse.» Vivian non fece commenti. «Com'era quella citazione? "Agnosco..."» «"Agnosco veteris vestigia flammae." Conosco i segni dell'antica fiamma.» «Dev'essere stato un uomo formidabile.» «Chi, Enea?» «No, la vecchia fiamma, se nemmeno Enea poteva prendere il suo posto.» «Secondo me non è detto che non potesse.» «Sarebbe interessante saperlo.» Anche lei alzò la testa per guardare il cielo. «Credo che me ne andrò in Francia o, meglio ancora, in Italia.» Oppure su Marte. Rimase ancora qualche istante a guardarlo, poi gli diede la mano stringendo appena la sua. «Arrivederci e grazie di tutto. Come suona banale questa frase, come se fosse soltanto un "proforma".» "Sei un demonio con le donne" pensò Jury mentre Vivian si allontanava, disegnando sulla neve un tracciato diritto come all'andata. "Ecco perché ti saltano continuamente addosso e ti strappano i vestiti senza darti un attimo di tregua." A quella distanza, gli sembrava di vedere una bambola che en-
trava nella sua casa di bambole e chiudeva la porta alle sue spalle. Si fermò ancora a lungo a guardare le anitre, lui stesso non avrebbe saputo dire per quanto tempo. Le vedeva galleggiare nell'acqua meno fredda appena sotto i cespugli, alcune a due a due. Persino le anitre erano più brave di lui a trovarsi un compagno. Doveva andare a pranzo da Melrose. Mentre si alzava sentì un brusio alle sue spalle. Si voltò appena in tempo per intravedere una testa spuntare da un cespuglio e sparire subito. «Bene, adesso venite fuori subito» disse in tono severo. «Se mi fosse saltato in mente di usare la mia Magnum .45, a quest'ora avreste lo stomaco bucato come un colabrodo.» Qualche risolino, poi i fratelli Double gli comparvero davanti. La bambina, tenendo gli occhi bassi, disegnò un cerchio per terra con la punta del piede. «Benissimo, James e James. Perché mi stavate pedinando? Forza, vuotate il sacco!» La bambina abbassò ulteriormente la testa, come se volesse sprofondare nella neve. «Abbiamo saputo che stai per partire» rispose il fratello «e allora siamo venuti a darti questo.» Pescò dalla tasca un pacchetto piatto piuttosto malridotto, avvolto in una carta natalizia usata e legato alla meglio con un nastro che in origine probabilmente era bianco. «Un regalo? Vi ringrazio moltissimo.» Aprì il pacchetto e trovò all'interno un pezzo di cartone tagliato in modo da essere utilizzato come cornice. Dentro c'era una foto, un ritaglio di giornale con una montagna coperta di neve e in lontananza si vedeva un essere strano, una specie di King Kong un po' sfocato. Jury si grattò la testa. «È l'Abominevole Uomo delle Nevi» gli spiegò James, incontrando qualche difficoltà nel pronunciare la prima parola. «Vive in... Aspetta, come si chiama quel posto?» Guardò la sorella, sperando in un suggerimento, ma ottenne soltanto un'energica scrollata di capo. Come sempre, la bambina aveva le labbra sigillate. «Forse l'Himalaya?» «Sì, giusto. Sembra proprio lui, vero?» Jury non sapeva cosa rispondere. «È davvero bello, James» disse. «Hai ragione: sembra proprio lui.» «Guarda le impronte che lascia sul terreno. Ecco perché ho scelto questa figura: per le impronte. Pensa che disastro farebbe, se fosse qui da noi.» Si guardò intorno e vide le orme lasciate da Vivian sulla neve. «Chi è stato a
fare quel macello?» Jury sorrise e avvolse la cornice nella carta. «Il regalo che mi avete fatto l'altra volta mi ha quasi salvato la vita.» Raccontò per filo e per segno quello che era successo in chiesa e i due bambini l'ascoltarono sgranando gli occhi. «Gesù, Giuseppe e Maria!» esclamò la bambina, poi si coprì la bocca con le mani. «Sono del parere che le gentilezze vadano ricambiate» disse Jury «e pensavo che forse vi andrebbe di fare un giretto con me.» Indicò l'auto. «Magnifico!» esclamò James. «Vuoi dire con l'auto della polizia?» I due fratelli si scambiarono un'occhiata e un cenno della testa. Conferma e riconferma. Mentre li faceva salire in macchina, Jury si accorse che il suo umore era decisamente migliorato. Immaginò Ardry End luccicante sotto la neve immacolata, impreziosita da merletti di ghiaccio. Arrivato al punto in cui High Street cambiava nome per diventare Dorking Dean Road, decise di cedere alla tentazione che gli era venuta e mise in azione le sirene. 15 aprile, lettera di Melrose Plant a Richard Jury Caro Jury, è partito soltanto tre mesi fa e ora che c'è soltanto Agatha a tenermi compagnia mi sembra che siano passati tre anni. Per fortuna ha ridotto il numero delle visite, essendo convinta di gareggiare con me per vedere chi di noi due terminerà per primo il libro. Quando comincio ad averne abbastanza di lei, le dico di aver finito un altro capitolo e così torna a casa sua. A proposito di scrittori, Darrington è partito per gli Stati Uniti, dove intende scrivere il suo nuovo romanzo, una storia ambientata nell'America di qualche secolo fa. Ho saputo del plagio. Non si sarà illuso che Pluck avrebbe tenuto la bocca chiusa, spero. Sheila è stata felicissima di sbarazzarsi di Darrington. Sta pensando di scrivere tutta la loro storia per qualche giornale, e non si tirerà indietro neanche se dovesse rischiare di finire in prigione. Quella donna sa cosa significa comportarsi secondo coscienza. Lorraine invecchia di ora in ora, a forza di scapicollarsi a Londra, e minaccia di venirla a trovare. Le consiglio di chiudere a chiave la porta d'ingresso. Willie ha fatto amicizia con il nuovo vicario, molto più giovane
di quello di prima. Anche se i vicari, si sa, danno sempre l'impressione di aver bisogno di una spolverata quotidiana. Isabel se n'è andata e così pure Vivian, ma non insieme. Vivian le ha dato del denaro, facendosi promettere che sarebbe rimasta per sempre fuori dalla sua vita. Quanto a lei, si è comperata una villa a Napoli. Che ne dice di una bella vacanza? Adesso ho un cane. Stavo pensando di prenderne uno, magari un piccolo levriero, una razza che fa la sua bella figura nei ritratti di famiglia. Un pomeriggio sono andato in bicicletta al Man with a Load of Mischief, forse per ragioni sentimentali, e stavo facendo due passi vicino alle stalle, quando mi sono imbattuto in Mindy, il cane di Matchett, rimasto senza padrone. Posso capire che un uomo faccia fuori sei persone, ma abbandonare un cane è una vergogna. Comunque ho permesso a quel bestione di seguirmi fino a casa e il tragitto non finiva mai perché, come forse ricorderà, Mindy non è mai stato particolarmente veloce. Quei due strani bambini, i Double, ogni tanto vengono a trovarmi. All'improvviso si vedono spuntare due teste, poi sbucano fuori dai cespugli. Apprezzo soprattutto la ragazzina, che ha imparato la difficile arte di fare conversazione stando in silenzio. Con lei non ci si sente in dovere di spremersi le meningi per trovare risposte intelligenti. Così facciamo lunghi discorsi in cui sono io l'unico a parlare. Ora vorrei chiederle un favore. Se dovesse capitarle per le mani un altro caso (uno qualsiasi, non ho preferenze) mi piacerebbe aiutarla a risolverlo, se non ha niente in contrario. La vita qui in provincia non offre nulla di stimolante. Per ora non ho altro da raccontarle. La lettera, con l'intestazione stampata in rilievo su una carta pesante, era firmata in inchiostro nero con un unico nome: Plant. Jury infilò di nuovo il foglio nella busta, che posò sul caminetto come un messaggio lasciato per lui da qualcuno passato in sua assenza. Guardando la carta bianca, con l'indirizzo scritto in piccolo con un inchiostro nero, gli tornarono alla mente grandi spazi di neve cristallizzata con qualche orma che l'attraversava. Ora a Long Piddleton non nevicava più. Guardò fuori dalla finestra il paesaggio grigio, reso ancora più tetro dalla pioggia. Sfilato l'impermeabile dal gancio dietro la porta, uscì di casa. Jury amava anche la pioggia.
FINE