MARY ROBERTS RINEHART IL NEMICO SCONOSCIUTO (Miss Pinkerton, 1932) 1 Mi pareva d'essermi appena coricata quel lunedì not...
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MARY ROBERTS RINEHART IL NEMICO SCONOSCIUTO (Miss Pinkerton, 1932) 1 Mi pareva d'essermi appena coricata quel lunedì notte, quando udii il campanello del telefono e dovetti scendere giù dal letto un'altra volta, ma guardando l'orologio mi accorsi che era già l'una e qualche minuto. Un'infermiera professionista deve naturalmente abituarsi a simili sorprese, ma io mi ero riservata proprio quella notte per rifarmi del sonno che avevo perduto. Perciò potete immaginare con che allegria presi il ricevitore. — Pronto? — Parlo con la signorina Adams? Sono l'ispettore Patton. Non avrebbe avuto bisogno di dirlo. Al primo squillo, avevo avuto il presentimento che si trattasse della polizia. Qualche altra rogna. E io, quella notte, avrei proprio voluto farne a meno. Glielo dissi chiaro e tondo. — Sentite, ispettore, ho bisogno di dormire; stanca come sono, non servirei a nulla. — Allora non avete nessun ammalato in cura, per il momento? Sapeva che spesso lavoravo diciotto ore filate e venivo poi a dormire a casa. — Ne ho avuto abbastanza, l'ultima volta — risposi un po' bruscamente: e immagino che lui deve aver sorriso. Sapeva bene a cosa alludevo. Avevo infatti assistito, per conto della polizia, la moglie di un gangster. Dovevo spiare i frequentatori della casa. Ma il gangster in questione teneva ben separati gli affari dalla famiglia e inoltre lei era la donna più gelosa che avessi mai conosciuto. E si che un'infermiera ne vede di belle! Quando assisto un malato, specie se lo faccio per conto della polizia, io ho l'aria di non interessarmi di nulla; ma quando una donna in cuffia bianca e uniforme entra in certe case, sono guai. Per i padroni di casa, naturalmente. — Questa è tutt'altra cosa — disse — e può darsi che ve la caviate in poche ore. Prendete un tassì e venite qui. Conoscete Mitchell House, in Avenue Sylvan? — La conoscono tutti. Che cosa c'è di speciale? — Ve lo dirò quando sarete qui. Vi aspetto alla farmacia sull'angolo. Quanto tempo ci metterete? — Mezz'ora circa — risposi con aria rassegnata. — Eppure speravo di
fare una bella dormita, questa notte, ispettore. — Lo speravo anch'io — replicò, e mise giù il ricevitore. Era la notte di lunedì quattordici, dello scorso settembre. Se un giorno o l'altro dovranno farmi l'autopsia, mi troveranno questa data scritta sul cuore. Tirai un lungo sospiro: guardai il mio letto, l'uniforme a cui mancavano dei bottoni buttata su una poltrona, il mio cestino da lavoro lì accanto; poi spinsi lo sguardo attraverso la porta, nel — salottino, da poco rimesso a nuovo, e guardai il canarino, nella gabbia ben coperta perché all'alba si mettesse a cantare e mi svegliasse. Svegliarmi! Potrei scrivere tutto questo con le lacrime agli occhi. Svegliarmi! Pensare che per quella notte e per altre quattro il sonno doveva essere per me una rarità come la lattuga nel Sahara. Svegliarmi! Solo la quarta notte avrei dormito così profondamente che nemmeno la tromba dell'arcangelo Gabriele mi avrebbe potuto svegliare. Finii per rassegnarmi. Scesi dal letto, tirai fuori la mia valigetta, vi gettai dentro pochi oggetti di toilette, perché per il resto ero sempre preparata, chiamai un tassi e indossai l'uniforme. I miei gesti erano meccanici, senza alcuna eccitazione, senza alcun interesse speciale. All'ultimo minuto, quando vidi nella valigetta un piccolo revolver che l'ispettore mi aveva dato quando mi ero recata in casa del gangster, lo tolsi e mi guardai intorno per trovare un posto dove nasconderlo. Non sarebbe stato bene che la mia padrona di casa lo avesse trovato, e perciò finii per cacciarlo dentro un portavasi, sotto la mia felce di Boston, che lei non si ricordava mai di innaffiare. Mi viene da ridere ripensandoci ora; ma francamente non c'era niente da ridere. Anzi, più tardi sarei voluta tornare a casa per riprendere quell'arma, ma capisco ora che in realtà non mi sarebbe servita a nulla. E ricordandomi di quei quattro giorni, mi pare che la sola volta in cui avrei forse potuto farne uso fu quando lottai come una pazza per immettere un po' d'aria nei polmoni, per tornare a respirare. Quella sera, quando chiusi la valigetta e mi appuntai la cuffia, ero di pessimo umore. Mi domandavo perché dovessi continuare a lavorare per la polizia. In un modo o nell'altro avevo già corso molti rischi e avevo perduto non poco sonno. Sentivo che non era sleale da parte mia valermi della professione per mascherare altre attività. Dopo tutto non avevo mai trascurato gli ammalati, e avevo speso ore, che avrei potuto dedicare al sonno, per aiutare la polizia a trovare il bandolo di qualche criminosa matassa.
Sapevo di essere stata utile in parecchie occasioni, in caso di furti o delitti. Quanto all'etica professionale, non mi sono mai accorta che i criminali ne avessero, nemmeno fra loro. È vero che molte volte ho avuto nostalgia del passato, dei giorni tranquilli in cui prestavo servizio diurno all'ospedale e alle sette o alle sette e mezzo l'infermiera di notte veniva a darmi il cambio, sorridendo all'ammalata. Allora ci si fermava un po' insieme nella grande anticamera, si parlava della malattia della paziente, si facevano quattro chiacchiere su quello che succedeva in ospedale, e poi via a casa. Che gioia tornare a respirare l'aria fresca e pura dopo tutti quegli odori, rivedere Dick che saltellava nella sua gabbia e non far più niente fino al giorno dopo! — Uno zuccherino, Dick? Ma poi ecco che ero entrata in relazione con l'ispettore Patton e con la "Squadra Omicidi". Per caso; ma mi resi utile fin dal principio. C'è un vantaggio per un'infermiera che si trova in una casa: può muoversi da una camera all'altra senza destare sospetti. Gli altri membri della famiglia dimenticano quasi la sua presenza. Ha apparentemente un solo compito, quello di assistere il paziente. Quanto al resto, per tutti l'infermiera è come una macchina. Quando hanno pensato ai suoi pasti e a lasciarle alcune ore di riposo perché esca a prendere una boccata d'aria, hanno pensato a tutto. Non sospettano mai che l'infermiera possa essere dotata di un cervello, che vede molte più cose di quanto si immaginano, e talora fa uso di quello che vede, come è capitato più di una volta a me. Coi malati naturalmente la cosa è diversa. Loro sono portati a considerarla come un fastidio indispensabile e un confessore; il più delle volte un fastidio. Ma quando il paziente ha avuto una notte insonne, e tutto tace, verso le tre del mattino comincia a parlare ed è allora che ho sentito confessioni da far rizzare i capelli, che avrebbero interessato molto la polizia. La natura esatta delle mie relazioni con la Omicidi non è mai stata definita. Per parte mia non ho mai avuto la pretesa di essere un'investigatrice. Ho solo due occhi che sanno guardare e che spesso possono curiosare oltre i limiti concessi alla polizia. Però non avevo alcuna voglia di servirmene quel lunedi notte. Avrei preferito tenerli chiusi per undici o dodici ore, e uscire di casa il giorno dopo per fare gli acquisti. Quasi mi vergogno ripensando alla rabbia con cui chiusi la valigetta e la portai fino al portone. Non volli aspettare che l'autista suonasse il campanello e svegliasse tutti. L'aria della notte mi diede un senso di ristoro, e mentre ero nel tassì,
cominciai ad almanaccare su quello che mi aspettava. Avevo intuito, dal tono di voce dell'ispettore, che si trattava di qualcosa di grave e cercai di ricordare quello che sapevo sugli abitanti di Mitchell House. In effetti erano soltanto due persone: la vecchia signorina Julia e suo nipote, un ragazzo di bell'aspetto, dal mento quasi a punta, caratteristico degli uomini deboli. Era il figlio di una sorella di Julia, che aveva sposato in età avanzata un buono a nulla. Avevo sentito dire che lui aveva dissipato il denaro di sua moglie e poi quello della signorina Julia, ma non so quanto di vero vi fosse in questa diceria. Comunque l'uno e l'altra erano morti da tempo e con certezza si sapeva che la vecchia signorina era povera e aveva per giunta sulle spalle il ragazzo. Apprendo molte cose nel mio girovagare di casa in casa. In una grande città come la nostra, c'è sempre una famiglia o due che predominano, e per molti anni i Mitchell erano stati una di queste. Avevo saputo che la vecchia aveva avuto dei fastidi col ragazzo; per anni lo aveva tenuto lontano per gli studi, ma lui non ne aveva affatto approfittato. Ora, da qualche mese, si trovava a casa, lavorando come poteva e quando gliene capitava la possibilità, ma per lo più faceva la vita del Michelaccio. Si chiamava Wynne, Albert Wynne, e doveva avere sui ventiquattro anni. Si sapeva che non andavano d'accordo, zia e nipote, e io, quella notte, mentre il tassì svoltava in una via solitaria dietro l'alta cancellata del palazzo, immaginavo che doveva essere scoppiato qualche guaio fra loro due. A dire la verità pensavo che il ragazzo si fosse rivoltato in un impeto d'ira contro la zia e avesse potuto farle del male. Perciò, quando il tassi si fermò davanti al cancello spalancato, che a mia memoria non era stato mai aperto, non fui affatto sorpresa nel vedere da lontano che la casa, di solito buia, era illuminata dal pianterreno al tetto. Quello che non avevo previsto era che a pochi passi dal cancello la macchina dovesse arrestarsi di colpo e l'autista dovesse gridare con voce allarmata e irosa: — Via di lì! Volete farvi uccidere? Guardai dal finestrino e vidi una ragazza in mezzo alla strada, proprio davanti a noi. — Per favore, un solo minuto — disse ansimando. — Devo parlare con chi è nella macchina, chiunque sia. — Che c'è? — feci io. La giovane corse verso di me e alla luce del lampione potei vederla bene in volto. Era bella, dimostrava circa vent'anni, indossava un leggero sopra-
bito e un berretto. Era cosi pallida da farmi quasi paura. — Che cosa è successo là dentro? — chiese senza fiato. — Qualche disgrazia? — Non so. Immagino che qualcuno sia ammalato. Io sono un'infermiera. — Ammalato? Perché allora c'è un'auto della polizia davanti al portone? — Un'auto? Francamente non ne so nulla. Perché non domandate? Mi sembra che ci sia gente là, in anticamera. Si allontanò di un passo o due e guardò verso la casa. — Non avrebbero bisogno di un'infermiera se qualcuno fosse... se qualcuno fosse morto — osservò come se pensasse ad alta voce. — Potrebbe trattarsi di un furto, non vi pare? Se avessero sentito qualche rumore sospetto... un ladro... — È possibile. Venite con me e lo sapremo. Lei si tirò indietro. — Grazie, ma io corro via. Quando vi hanno chiamato, non vi hanno detto di che cosa si trattava? — Non una parola. Sembrava riluttante a lasciarmi andare. Si fermò accanto al finestrino del tassì, ancorata alla maniglia e continuando a guardare in direzione della casa. Poi evidentemente pensò che il suo atteggiamento esigeva una spiegazione e si voltò di nuovo verso di me. — Passavo da queste parti. Ho visto tutte quelle luci e quella macchina... Spero che in realtà non sia accaduto nulla di grave. Solo che... vi rincrescerebbe se io vi telefonassi un po' più tardi? Forse vi disturberò, se starete dormendo... Guardai prima la casa, poi l'auto della polizia, e nella mia voce doveva esserci una sfumatura d'apprensione quando le risposi: — Tutto mi fa temere che non avrò modo di dormire molto. Ma voi potete dirmi il vostro nome e io lascerò detto di chiamarmi. Ebbi l'impressione che esitasse. — Non importa il nome, non vi pare? Telefonerò e voi capirete che sono io. Con queste parole mi lasciò e la vidi oltrepassare il cancello. Avevo notato, a poca distanza, prima del nostro arrivo, una piccola utilitaria, ora ero certa che le apparteneva, ma dimenticai la ragazza immediatamente, non appena il tassì, con un sussulto che quasi mi fece sobbalzare, riprese la sua corsa. La vecchia casa sorgeva davanti a me, scintillante di luci. Era sempre
stata per me oggetto di curiosità. Ora l'avrei conosciuta. Avrei conosciuto come scricchiolava e gemeva di notte, avrei visto alla luce del giorno il suo nobile aspetto decaduto, gli avanzi dei suoi passati splendori, avrei sentito la mia voce echeggiare nei corridoi e nelle stanze, gridare alla vecchia sorda nel suo letto: "Desiderate qualche cosa, signorina Julia?". Oppure: "Vi sentite più comoda così?". La vecchia Julia era sana e salva nel suo ampio letto di noce, con la Bibbia e gli occhiali sul tavolino accanto. Sana e salva, quella notte almeno. Ora posso scrivere tutto questo tranquillamente, passando le ore in attesa di uno di quei casi in cui comincio con un paziente e finisco con due. Tutte le volte che assumo uno di questi incarichi, ricordo sempre ciò che mi aveva detto l'ispettore alla fine del caso Mitchell, e faccio mille riflessioni. Ma intanto eccomi qua a raccontare questa tragedia. Ora finalmente ne ho il tempo, mentre per molti mesi non mi è stato possibile pensare al caso Mitchell, a Mitchell House o alla vecchia signorina Julia Mitchell, là nel suo letto. 2 Quando il tassi si fermò, c'erano tre o quattro uomini nell'atrio e uno di loro, un certo dottor Stewart, che io conoscevo di vista, usci di sotto il portico per venirmi incontro. — La signorina Adams, non è vero? — Sì, dottore. — La sua malata è al piano superiore, nella camera che dà verso l'esterno. C'è con lei la cuoca, e tra poco la raggiungerò anch'io. Le ho fatto un'iniezione ipodermica e si sta riprendendo. — Ha preso qualche spavento? Il medico abbassò la voce. — Suo nipote si è suicidato questa notte. — Qui? — In questa casa. Al terzo piano. Era un ometto piccolo, noto tra le infermiere e il personale ospedaliero per i modi gentili con i pazienti e per la sua irritabilità fuori servizio, caratteristica questa non tanto rara nei medici, ma spiacevole. Credo che avesse sperato di impressionarmi con quella notizia. Mi limitai ad annuire. — Vada su subito — disse con calma. Nell'atrio c'era l'ispettore, che mi diede solo un'occhiata e rivolse altrove
lo sguardo, come è solito fare quando io mi impegno a lavorare per lui. Anche il medico legale finse di non conoscermi. Fu un agente in uniforme che prese la mia valigetta e mi condusse al piano superiore. — Brutto affare, signorina — disse. — La vecchia era salita di sopra per vedere se il nipote era rientrato, e lo ha trovato là... Mentre lo seguivo, pensavo: "Se si tratta di suicidio che ci fa qui l'ispettore Patton della 'Squadra Omicidi'? È perché ha chiamato me? Bastava un'infermiera qualunque. Perché proprio io?". — In che modo si è ucciso? — chiesi. — Si è tirato un colpo di rivoltella in fronte — rispose l'agente. — Per mirare giusto, si è inginocchiato davanti allo specchio. Un caso molto triste. — Molto triste davvero — confermai, ricordando la ragazza davanti al cancello e l'espressione di terrore del suo volto. Certamente doveva aver sospettato qualcosa di simile. Più tardi mi avrebbe chiamata e io avrei dovuto dirle la verità. Mi sentivo un po' nervosa quando entrai nella stanza adiacente alla grande camera che dava verso l'esterno, da cui, mentre mi levavo il soprabito, mi arrivava l'eco di una conversazione: una voce era bassa, monotona, l'altra acuta e isterica. — Non parlate, non parlate, signorina Julia. Lui ora sta bene: è fuori da tutti i fastidi di questo mondo e al sicuro fra le braccia del Creatore. Non riuscii ad afferrare la risposta, poi sentii ancora la voce acuta. — Ve l'ho detto e ripetuto non so quante volte. È stata una disgrazia. Non ne avrebbe avuto il coraggio, lui, lo sapete bene. Quando alle otto sono entrata per preparargli il letto, ho visto che stava ripulendo la rivoltella. Evidentemente non sapevano del mio arrivo, e io preferii non entrare subito in camera da letto. Salii invece silenziosamente e in fretta al terzo piano, anche quello illuminato, e in una stanza vidi un agente che, seduto in una poltrona, leggeva il giornale. Accanto a lui, un cadavere disteso sul pavimento. Rimasi impressionata da tanta indifferenza, ma a dire il vero non c'era nulla da fare finché non fosse finita la riunione al piano terreno. Il locale era ancora pieno di vapori, come se da poco avessero scattato delle fotografie con il lampo al magnesio, e l'unica finestra era stata aperta per cambiare l'aria. Era una piccola stanza ammobiliata senza pretese, che guardava verso l'ala di servizio. Più tardi dovevo conoscere bene ogni particolare: il piccolo letto di ferro bianco, il comò antico, lo stipo accanto al caminetto. Ma in
quel momento i miei occhi rimasero fissi sul cadavere steso sul pavimento. Era indubbiamente Albert Wynne. Giaceva in una strana posizione, rannicchiato su un fianco, le ginocchia piegate e un braccio disteso. Non si vedevano armi. L'agente alzò gli occhi, posò senza tanti riguardi il giornale sul letto e mi disse: — Non entrate, signorina. Ordine dell'ispettore. Mi rincresce. — Non ho affatto l'intenzione di entrare. Avete visto la cuoca? Mi serve un po' d'acqua calda. — Non l'ho vista, signorina. Indugiai sulla soglia, continuando a fissare il cadavere. — Suppongo che non ci sia dubbio che si tratti di suicidio. — Suicidio o disgrazia, non saprei, signorina. Gli agenti che non appartenevano alla Omicidi non mi conoscevano né sapevano dei miei rapporti con la Squadra. Perciò assunsi un'aria ingenua. — È proprio terribile, eh? Non sapevo che scattassero foto dopo un suicidio e nemmeno dopo una disgrazia. — Ci sarà un'inchiesta — annunciò l'agente per tutta risposta, e riprese il giornale. La conversazione finì lì, ma destò in me il più vivo interesse. Sapevo, ora, come se avessi visto con i miei occhi, che la "Scientifica" era stata là a lavorare con i suoi guanti di gomma, i metri metallici, le lenti d'ingrandimento, l'attrezzatura per rilevare le impronte digitali. Disgrazia o suicidio, e la "Squadra Omicidi" all'opera... Non era passata di molto l'una e mezzo quando ridiscesi al secondo piano, proprio in tempo per incontrarmi col dottor Stewart, che saliva con aria affaccendata dal pianterreno. Potevo vedere dall'alto la sua testa calva e imperlata di sudore. Si fermò sul pianerottolo per asciugarsi, e prima che lui mi scorgesse ebbi il tempo di entrare nella camera della signorina Julia. La vecchia giaceva nel suo ampio, antico letto di noce, sollevata sui cuscini, e una donnetta pallida, nevrotica, che dimostrava circa cinquant'anni, le sedeva accanto tenendo fra le proprie una mano dell'anziana signorina. Quando mi vide, si alzò e fece alcuni passi indietro. — Si sta calmando, signorina — disse. — Le dovrete parlare ad alta voce, perché è sorda. Non impiegai più di un secondo a capire perché la signorina Julia fosse più calma: era entrata in coma e non aveva quasi più polso. — Dottore! Dottore! —gridai. Stewart risalì in fretta, e per qualche minuto esaminò la vecchietta. Poi ordinò un'iniezione ipodermica di nitroglicerina e per un po' rimase in pie-
di tenendo il polso della paziente e osservandola. Rimase in silenzio finché non riscontrò un percettibile miglioramento. — È curioso — disse alla fine. — È evidente che ha avuto un nuovo turbamento. Era inquieta, come il solito, con la faccia accesa e il polso rapido. Le condizioni del cuore non sono buone e c'è della sclerosi nelle arterie coronarie. Ma quando io sono sceso si era calmata. Non sapete che cosa l'abbia fatta agitare di nuovo? — Sono appena entrata, dottore. — E voi, Mary? — Non saprei, stavo appunto parlandole. — Non le avete detto nulla che la potesse turbare? La donna scosse la testa: mentre lei le parlava, la signorina Julia si era calmata, ma improvvisamente aveva gridato e si era messa a sedere sul letto. Aveva anche tentato di scendere e aveva chiesto le pantofole, ma poi, a quanto sembrava, aveva cambiato parere e si era messa giù. — Ha detto perché voleva le pantofole? — Credo che volesse tornare di sopra per vederlo. — Si è spiegata in questo senso? — No. Il dottor Stewart rimase pensieroso, senza lasciare il polso della vecchia. — Non le avete detto per caso che il ragazzo si è suicidato? — Suicidato? Perché avrei dovuto dirglielo? E poi Albert era un fifone. Non avrebbe mai avuto il coraggio di uccidersi. È stata una disgrazia. Durante tutto questo tempo lei mi guardava con occhi ostili. Sono abituata a queste accoglienze, perché tutti i domestici, specialmente i vecchi, hanno sempre un certo risentimento contro un'infermiera professionista che entra in casa. Ma ebbi l'impressione che quella donna avesse più paura che gelosia di me e che soprattutto insistesse proprio nell'affermare che si trattava di una disgrazia. — È naturale che ora sia debole e svenuta. Ne ha passate tante! E non solo questa notte — aggiunse con aria di mistero. Trascorse un po' di tempo prima che la vecchia signora si riavesse e che il medico ritenesse opportuno allontanarsi. Mi lasciò, in caso di bisogno, alcune fialette di nitrito d'amile, e mentre io lo seguivo nell'atrio mi parve piuttosto preoccupato. — È curioso che abbia avuto un simile collasso — mormorò. — È vero che lo choc è stato forte, ma si era già ripresa, e d'altra parte non nutriva poi tanta tenerezza nei confronti di quel ragazzo. A ragione, del resto. For-
se Mary le avrà detto qualcosa che l'ha impressionata. Già, le abbiamo fatto credere che si tratta di una disgrazia. Se le hanno detto che è stato o potrebbe essere stato un suicidio, la cosa si spiega. — Ma io ho sentito Mary dirle che si trattava di una disgrazia. — In tal caso... — Lasciò la frase in sospeso perché qualcuno che si trovava nell'atrio sottostante saliva ora le scale. Veniva su adagio e pesantemente, e quando fu vicino, lo riconobbi. Era l'avvocato Glenn, ben noto in città. Si fermò sul pianerottolo. — Come sta? — Non troppo bene. Meglio però di alcuni minuti fa. — Credete che io debba rimanere? — Se qualcuno deve rimanere, logicamente sarei io — disse il dottore. — Ma c'è l'infermiera. Glenn mi guardò per la prima volta. Al pari del dottore, lo conoscevo di vista. Era uno di quegli uomini dall'aspetto imponente che gravitano per natura verso la legge e diventano i depositari dei segreti delle migliori famiglie. Mi guardò e mi fece un cortese cenno del capo. — Oh, capisco! È meglio che torni a casa, allora, visto che qui non c'è nulla da fare. Per me, almeno — disse, e indicò il terzo piano. — Non vi lasceranno entrare, signor Glenn — intervenni io, ma lui non mi ascoltava. — Insomma, Stewart — esclamò — avete un'idea del motivo per cui ha fatto una cosa simile? Qualche speculazione andata male? — Con che soldi avrebbe potuto speculare? — chiese il dottore, piuttosto seccamente. — È vero. Qualche ragazza, allora? — Non chiedetelo a me. È affar vostro, indagare, non mio. Glenn sorrise leggermente e posò una mano sulla spalla del medico. — Via, David — disse. — Non prendetevela troppo. È un brutto affare, ma non vi riguarda. Scesero le scale insieme discorrendo amabilmente, e subito dopo sali l'ispettore. Mi disse di chiudere la porta della camera della signorina Julia. Il battente era accanto al letto, di fronte alla scala che conduceva al terzo piano, da dove stavano per portare giù il cadavere. Nella camera c'era ancora Mary e perciò non ebbi modo di scambiare una parola con Patton. Subito dopo sentii i passi degli agenti sul pianerottolo, e Mary diventò pallidissima. Spinta dalla curiosità, comunque, usci sul pianerottolo, dopo che il piccolo corteo era passato, e pochi minuti dopo rientrò precipitosa-
mente. — Hugh! — esclamò. — Lo hanno condotto via, signorina! — Chi è Hugh? — Mio marito. Che cosa vuole la polizia da lui? Hugh non sa nulla. Dormiva accanto a me, quando la signorina Julia si è messa a picchiare a quella porta. Cercai di calmarla. La signorina Julia pareva che dormisse e anch'io avrei voluto riposarmi un po'. Ma Mary non mi diede pace. Perché la polizia voleva Hugh? Il signor Albert si era ucciso, era là, disteso sul pavimento, con la sua rivoltella accanto, davanti al cassettone. Forse l'avrà voluto, forse no. Comunque, Hugh non ne sapeva nulla. Era quasi svenuto quando aveva visto il cadavere. Da questo sfogo isterico appresi che Hugh e Mary erano i soli domestici di casa Mitchell e che vi si trovavano da parecchi anni. Nei tempi andati, Hugh era stato il maggiordomo e Mary la cuoca. C'erano stati altri domestici, ma poi uno a uno se ne erano andati. Ora Hugh faceva di tutto, dal domestico al maggiordomo, e Mary lavorava giorno e notte fino a non poterne più. Riuscii finalmente a persuaderla ad andare a letto. Lei e Hugh occupavano due camere: un salotto e una camera da letto accanto al pianerottolo del secondo piano. In origine queste due camere erano usate dalla famiglia, e quindi erano collegate con il resto dell'appartamento mediante una porta che dava sul pianerottolo. Ma poiché questa porta adesso era tenuta chiusa e sbarrata, dovetti condurla giù da basso e aspettare in cucina finché lei ebbe tempo di salire per la scala di servizio. E fu proprio mentre me ne stavo li che mi parve di udire un lieve rumore fra i cespugli proprio di fronte alla porta della cucina. Pensai che fosse uno scherzo dei nervi o forse un cane, ma la cosa non mi piacque. Mentre ero là al buio, ebbi proprio l'impressione che qualche cosa si muovesse lungo la parete esteriore della cucina, strisciandovi contro. 3 Al pari di tutte le donne, mi sento più sicura alla luce. Più di una volta l'ispettore Patton ha cercato di convincermi che la mia è una ossessione. — Pensateci bene — mi aveva detto un giorno. — Si tratta di un residuo delle vostre superstizioni di bambina, quando avevate paura degli spiriti;
ma nella nostra professione non si ha a che fare con gli spiriti, bensì con uomini che spesso sono armati. È proprio il buio che ci vuole, e non muoversi, non parlare. Ma nessun consiglio di questo mondo mi avrebbe trattenuta dal cercare tastoni l'interruttore, per accendere la luce in quella cucina. E quando la lampada fu accesa, presi coraggio e spalancai la porta. C'era proprio qualcuno. Un grosso gatto nero entrò dignitosamente e andò ad accovacciarsi accanto alla stufa. Richiusi la porta con il chiavistello, ma la mia incertezza perdurava. Avrei potuto indicare quasi il punto preciso dove avevo sentito quel rumore; era là sulla parete, quasi all'altezza della spalla. Ma forse è solo un'impressione retrospettiva: ora so che non era il gatto e per questo penso di averlo saputo anche allora. Comunque, spensi la luce e salii le scale così di corsa che, come disse l'ispettore più tardi, parevo una freccia scoccata dall'arco. Quando, dopo essermi tolta l'uniforme, ebbi indossata la veste da camera, notai con stupore che erano soltanto le tre: mi sembrava incredibile; avevo l'impressione di essere stata in quella vecchia casa per ore e ore. La signorina Julia dormiva tranquillamente e il polso e le condizioni generali erano molto migliorate. Malgrado il recente spavento, continuai a fare con metodo i miei preparativi per il resto della notte. Ma ero sempre perplessa. Mentre mi preparavo il divano ai piedi del grande letto e disponevo tutto l'occorrente per le iniezioni nella camera attigua a quella che mi era stata assegnata, andavo rimuginando fra me. Il dottor Stewart e il signor Glenn erano convinti che Albert Wynne si fosse ucciso, volontariamente o per caso. Ma come poteva spiegarsi la presenza della "Squadra Omicidi"? Che cosa sapevano? L'ispettore era entrato con mezza dozzina di agenti, e in casa nessuno se ne era chiesto il motivo. E quel fruscio tra i cespugli. Era proprio stato il gatto? Sebbene non vi fosse vento, quella notte, la casa mi pareva piena di rumori da cima a fondo e dopo che ebbi aperto la finestra anche i mobili cominciarono a scricchiolare. Sapevo bene che questo era dovuto al cambiamento di temperatura, ma era come se una mano invisibile battesse il tempo sul vecchio comò di noce, sugli alari di ottone e perfino sullo schienale del letto sopra la mia testa. Malgrado tutto mi devo essere appisolata, perché ebbi un sussulto quando sentii battere qualcosa contro i vetri. Mi alzai, mi avvicinai con cautela alla finestra e scorsi qualcuno che dal viale lanciava sassolini verso la mia
stanza. Riconobbi il segnale; scesi giù da basso immediatamente e trovai l'ispettore sotto il portico. Non era ancora l'alba, ma io lo potei vedere vagamente alla luce di un lampione. — Come sta? Dorme? — Profondamente. Il dottore le ha dato un sonnifero. Lui si sedette su uno scalino, caricò la pipa e l'accese. — Non ci capisco proprio nulla — disse. — A quanto mi dicono, il giovane Wynne a pranzo ha mangiato di buon umore e ha trascorso il tempo fin quasi alle nove pulendo e oliando la sua pistola automatica. La cuoca è entrata nella camera di Albert alle otto, per preparargli il letto e mi ha detto di averlo visto abbastanza allegro. Poco prima delle nove, Hugh lo ha sentito uscire. Hugh e Mary sono marito e moglie. Occupano le camere accanto al pianerottolo, ma la porta è sempre chiusa con un catenaccio, dal di fuori. Il punto interessante è che Hugh, mentre leggeva il giornale, ha sentito Albert scendere le scale, poco prima delle nove. Dice anzi che il giovane scendeva fischiettando. Non possiamo mettere in dubbio la sua dichiarazione, probabilmente vera. In altre parole, se non avessimo altri indizi, sembrerebbe trattarsi di un suicidio. — Ma voi avete altri indizi? — Sì, signorina Adams. Non mi disse altro per il momento e dal suo modo di mordere il bocchino della pipa capii che c'era qualcosa che lo infastidiva. Finalmente si confidò. Fra il suo ufficio e quello del procuratore distrettuale, c'era da tempo un certo attrito e ora il procuratore si stava interessando personalmente del fatto. Aveva anche fatto una visita a Mitchell House. — Temo che voglia apparire sui giornali — affermò con disgusto — e montare tutta una storia per tagliarmi la strada. Segue la traccia di Hugh, adesso. Lascia a noi tutto il lavoro più noioso, ma quando si tratta di una famiglia molto nota, come questa... Non aggiunse altro. Ebbe un sorriso amaro, poi continuò a dirmi come erano andate le cose. Il distretto di polizia era stato avvertito per telefono, un quarto d'ora dopo la mezzanotte, e il funzionario che era arrivato sul posto aveva compiuto un'indagine preliminare e deciso che si trattava di suicidio. — Che imbecille! — disse l'ispettore. — Come si fa a parlare di suicidio, quando manca ogni traccia di polvere da sparo? Ed è la prima ora che conta, in questi casi. I primi cinque minuti, anzi, ma noi spesso non ve-
niamo informati tempestivamente. — E non c'erano tracce di polvere da sparo sul cadavere? — No. O'Brien se ne è accorto, ma dopo dieci minuti... Aveva telefonato alla centrale. Fortunatamente l'ispettore si trovava ancora in ufficio, e aveva potuto raggiungerlo alla una meno un quarto. Gli erano bastati due minuti, disse con orgoglio, per constatare che non si trattava né di suicidio né di disgrazia. Aveva chiamato per telefono i suoi uomini e poi aveva telefonato a me. — Quanto a voi — aggiunse — la cosa non è stata così facile, in quanto Stewart insisteva perché chiamassimo un'infermiera di sua conoscenza. Sì, Stewart mi aveva preceduto, ma io ho parlato con il medico legale, e questi ha fatto capire a Stewart che c'era già un'infermiera a portata di mano. Così tutto è andato bene. — Già — confermai io soprappensiero. — E si può sapere che cosa avete constatato in quei due minuti? — Il ragazzo è stato colpito in mezzo alla fronte e non si è mosso di un centimetro dopo che la pallottola lo ha trapassato. Questo è certo. Ma quando lo hanno trovato, dov'era? Davanti al cassettone, sul pavimento. Benissimo. O'Brien dapprima ha avanzato l'ipotesi che il giovane si fosse messo in piedi davanti allo specchio, con la pistola puntata in mezzo alla fronte. Ma in tal caso dove sarebbe andata a finire la pallottola? Gli avrebbe attraversato il cranio e sarebbe andata a finire nella parete sopra il letto. Invece no. La pallottola ha colpito una sporgenza del caminetto ed è rimbalzata. L'ho trovata sul pavimento. Mi misi a riflettere su quell'ipotesi. Poi osservai: — Forse non si era messo davanti allo specchio. — Forse no. Ma sarebbe dovuto essere in piedi, se si è suicidato. Non ci sono sedie davanti al cassettone, e la pallottola gli ha attraversato la testa in linea retta e ha colpito una sporgenza del camino a circa un metro e venti di distanza. Ora, Albert era alto circa un metro e sessanta: capite che cosa voglio dire? — Sarebbe potuto essere in ginocchio. — È vero. Ma chi si uccide, ha orrore di cadere, e ho visto qualcuno che prima di suicidarsi ha steso per terra una coperta o un mucchio di cuscini. La vostra ipotesi spiegherebbe perché Albert aveva le ginocchia ripiegate. Ma quello che ancora non capisco è perché non vi fossero tracce di polvere. Naturalmente lui può aver trovato un espediente per spararsi da una certa distanza, ed è possibile che poi la vecchia e i domestici ne abbiano fatto
scomparire le tracce. Ne avrebbero avuto tutto il tempo, prima di chiamare la polizia. — Pensate a una truffa ai danni di un'assicurazione? — chiesi. Mi era già capitato qualche caso del genere. — Albert aveva un'assicurazione sulla vita. Stewart, il medico di famiglia, dice di averlo visitato qualche tempo fa per due piccole polizze. Ma quale sarebbe stato il movente? Uccidersi per fare incassare un mucchio di soldi a una vecchia che ha poco da vivere e che non lo amava? Non è un'ipotesi ragionevole. È vero, non era ragionevole, e io lo sapevo; ma è incredibile come certi suicidi si fossero dati da fare per mascherare la verità e dare l'impressione che si fosse trattato di una disgrazia. Credo che in tutte le polizze d'assicurazione vi sia una clausola per cui, se l'assicurato si toglie la vita entro un anno dalla stipulazione del contratto, la polizza è nulla. — Non potrebbe essere stata una disgrazia? — chiesi. — Ecco: anzitutto il giovane, quand'era all'università, frequentava il tiro a segno e sapeva maneggiare la pistola; in secondo luogo è probabile che la disgrazia capiti quando uno sta pulendo l'arma, non due o tre ore dopo. Albert aveva ripulito la sua automatica prima di uscire di casa e aveva lasciato l'olio e gli stracci su un pezzo di carta, sul cassettone. D'altra parte, come si può credere a una disgrazia quando tutti gli indizi fanno pensare a un suicidio? La pistola sul pavimento; le ginocchia piegate come se il giovane si fosse inginocchiato davanti allo specchio; una pallottola dritta attraverso la fronte. Dico dritta. Dov'era quella pistola e dove era lui in tal caso? — Se lo chiedete a me, io non ne ho la più pallida idea — risposi pacatamente. Patton agitò la pipa. — Ecco cosa mi piace di voi — disse sorridendo. — lo posso parlare e parlare, e voi non vi formate nessuna idea. Voi vi curate solo dei fatti, non delle ipotesi. — Che cosa ne pensa il medico legale? — Pensa a una disgrazia. Stewart pensa a un suicidio. — E voi? — Per ora io penso a un delitto. Posso cambiare idea, naturalmente. Ma questo giovane era un debole e ci vuol altro che un fugace momento di depressione per commettere un suicidio con tanta freddezza e con tanta oculata preparazione per simulare una disgrazia. Veniamo alla pistola adesso;
è quella l'arma che l'ha ucciso. Ha sparato dopo che Albert l'aveva pulita e sul metallo non ci sono impronte digitali. Quindi, o lui l'ha fissata a una certa distanza dal suo corpo e ha fatto partire il colpo tirando il grilletto con un filo, o qualcuno l'ha impugnata con la mano inguantata o avvolta in un fazzoletto. — Nessuno ha sentito il colpo? — Nessuno. Ma questo non significa nulla. I domestici erano lontani, e la vecchia è sorda come un sasso. Un colpo è stato sparato, questo è certo. Stewart, che è arrivato prima del nostro agente, dice che il giovane doveva essere morto da circa un'ora. Il medico legale ritiene che la cosa sia avvenuta alle undici e un quarto circa. Ma entrambi tirano a indovinare. E anch'io. Ma, secondo me, se si tratta di un delitto, il bandolo della matassa deve trovarsi qui dentro. — Accese un fiammifero e guardò l'orologio. — Basta, il procuratore distrettuale dovrebbe andare a dormire, ora! Io tornerò e prenderò in consegna Hugh. — Il bandolo della matassa si deve trovare qui dentro? Che cosa volete dire? — chiesi. — La signorina Julia e due vecchi domestici: c'è forse qualcun altro in casa? — No, a quanto pare. E riflettete. Anche se io volessi credere che Albert si è suicidato, riuscendo a spararsi da lontano, dovrei spiegarmi due o tre cose. Perché è uscito di casa fischiettando, alle nove, se è vero, e poi è rientrato per uccidersi, alle undici e un quarto? E perché aveva nell'armadio una valigetta nuova, contenente effetti personali? Stava per mettersi in viaggio, ma non era un viaggio durante il quale avrebbe avuto bisogno di un pigiama di seta! — Fui scossa da un brivido e lui lo notò. — Farete bene a rientrare, ora, e ad andare a letto — disse gentilmente. — Avrò certo bisogno di voi, in questo imbroglio, e non vorrei che vi ammalaste proprio adesso. In mattinata vi racconterò la storia della vecchia. Ma io mi rifiutai di ritirarmi prima di averla sentita. Acconsentii solo a fare una corsa di sopra per vedere l'ammalata e buttarmi qualche cosa sulle spalle per ripararmi dal freddo. Trovai la signorina Julia tranquilla e con un polso quasi regolare. Ma sebbene tenesse gli occhi chiusi, ebbi l'impressione che lei non dormisse. Quando scesi, l'ispettore sedeva ancora sullo stesso scalino, ma in una strana posa, come se stesse ascoltando qualcosa che io non potevo sentire. Mi fece cenno con la mano di star zitta, poi balzò in piedi e scomparve lungo il fianco della casa. Passarono cinque minuti prima che ritornasse, e quando ricomparve pareva contrariato.
— Si vede che ho proprio bisogno anch'io di andare a dormire — disse. — Avrei giurato che qualcuno si fosse mosso laggiù fra i cespugli, e invece... Gli dissi che poco prima anch'io avevo avuto la stessa sensazione. Allora fece un altro giro, ma senza trovare nulla. Non si mise più a sedere: rimase in piedi, le orecchie tese. Ma non si udì più il minimo rumore. Ricordo spesso quella scena. Eravamo in due, sotto il portico; l'ispettore aveva fatto due volte il giro della casa e né io né lui sospettammo che la chiave del mistero fosse proprio a cinquanta passi da noi, mentre parlavamo. Nell'oscurità lui vi aveva messo le mani sopra, senza nemmeno accorgersene. 4 Dopo queste interruzioni, si mise a riflettere. Approfittando della mia presenza — ed è così, credo, che gli sono utile — cominciò a pensare a voce alta. — Voglio tornare ancora in quella camera, signorina Adams. No, non muovetevi. Non intendo salire lassù: voglio semplicemente ripensarci bene. Vediamo un po'. Immaginiamo che il giovane Albert sia seduto in una poltrona: dico seduto, perché la pallottola ha colpito la cappa del camino a quell'altezza circa. Aveva cominciato a svestirsi, perché una delle scarpe era slacciata. La porta, mettiamo pure, era chiusa. Lui la vede aprirsi, ma poiché la signorina Julia aveva l'abitudine di accertarsi se lui era rientrato, Albert non vi fa caso e non si alza. Ma si accorge subito che invece della signorina Julia è qualcun altro. Eppure non si alza. Badate bene; se non mi sbaglio è stato colpito mentre sedeva nella poltrona, e la poltrona si trovava in mezzo alla stanza, fra la porta e il caminetto. In questo caso, che ipotesi fareste voi? — Che lui conosceva la persona che era entrata o che non abbia avuto il tempo di alzarsi. Ebbi l'impressione che l'ispettore sorridesse un'altra volta. — Chi dice che voi non siete un'investigatrice di prim'ordine? — osservò. — Forse conosceva la persona che era entrata: questa è la cosa più probabile, se la mia ipotesi risponde al vero. Albert può essere rimasto sorpreso, e, verosimilmente, lo fu. Ma non spaventato. Era giovane e agile, e si sarebbe mosso in fretta se ve ne fosse stato motivo. Ma lui non si è mosso. Ora, fino a prova contraria, l'assassino non lo ha ucciso subito dopo
essere entrato. Anzitutto ha dovuto farsi avanti e impossessarsi di quella pistola, che si trovava probabilmente sul cassettone. Quindi deve aver fatto qualche passo verso la porta, essersi voltato improvvisamente e aver sparato. Albert non deve nemmeno aver avuto il tempo di capire che cosa gli stava accadendo. La scena, così ricostruita, aveva del raccapricciante, e provai un senso di orrore. Io ho visto la morte sotto molti aspetti, qualche volta tragici, ma l'idea di quel giovane che, sprofondato in una sedia, ignaro, stava vivendo i suoi ultimi istanti, mi impressionò terribilmente. Sul punto di morte e in atto di guardare qualcuno che conosceva! — Allora voi pensate che, se c'è stato un delitto, chiunque l'abbia commesso, ha agito senza premeditazione? — chiesi. — Se ha usato la pistola di Albert, vuol dire che non aveva portato armi con sé. — Lo sapremo con certezza domani: ma io scommetterei che ha usato la pistola di Albert. Quanto all'aver agito impulsivamente, il fatto è discutibile. Perché quella persona misteriosa si trovava nella casa a quell'ora? Se ne sapessimo il motivo, potremmo procedere. E come era entrata? Ci sono tre porte al pianterreno, e tutte e tre erano chiuse a chiave e con tanto di catenaccio. Cioè, due avevano il catenaccio; la terza, una porta laterale, che dà in cucina, era semplicemente chiusa a chiave. Quella porta dà anche alla scala di servizio, da cui si accede esclusivamente al tinello dei domestici. — Non potrebbe essere entrato da una finestra? — Ecco. Hugh afferma di aver trovato una finestra aperta. Ma io ne dubito. Sapendo che tutti gli infissi sono ben chiusi, di notte, è possibile che abbia aperto lui quella finestra, per corroborare l'ipotesi dell'assassinio. Ha avuto troppa fretta nel mostrarcela, ma noi siamo scesi e abbiamo osservato il terreno. È molle e non ci sono tracce di piedi sotto quella finestra: nulla. Perciò io sono sicuro che nessuno è entrato o uscito da quella finestra, questa notte, e che è stato Hugh ad aprirla, dopo la scoperta del cadavere. — Ma per quale motivo? — domandai sorpresa. — Ascoltate, mia cara. Se questo ragazzo era assicurato, l'ultima cosa che Hugh possa desiderare è un verdetto di suicidio. Se poi è stato Hugh a ucciderlo, ha tutto l'interesse di far credere che l'assassino è venuto da fuori. Ecco due buoni motivi. Se volete, posso citarvene altri. — Allora è stato Hugh? — Adagio. Facciamo un'altra ipotesi. Perché possa reggere, dobbiamo spiegarci in che modo uno sconosciuto possa essere entrato in casa e poi uscito attraverso tre porte chiuse a chiave, di cui due con tanto di catenac-
cio. Dobbiamo inoltre spiegarci perché l'assassino, chiunque sia, ha ucciso Albert Wynne con la sua stessa pistola, mentre sedeva in una poltrona fra la porta e il caminetto, e ha poi rimosso e disposto il cadavere in modo da far pensare a un suicidio. — Allora non è stato Hugh? — Riflettete. Perché avrebbe dovuto rimuovere il cadavere? — Ve l'ho detto: io non sono un investigatore — risposi. — Ditemelo voi. Risparmieremo tempo. Suppongo che Hugh o qualcun altro di casa possa averlo rimosso. — Perché? Per far credere a un suicidio, quando tutti in questa casa ci rimetterebbero se l'inchiesta arrivasse a tale conclusione? Sarebbe troppo assurdo. — Allora è stato l'assassino, a rimuovere il cadavere? — Si capisce. Possiamo fare solo queste due ipotesi. Se scartiamo la prima, dobbiamo per forza attenerci alla seconda, che, per ora, mi soddisfa di più. Credo che Hugh ha fatto dei tentativi per seminare gli indizi di un assassinio, ma che non ha toccato il cadavere. A quanto pare, la signorina Julia ha ordinato ai domestici di non entrare nella camera e di lasciare ogni cosa com'era. Altrimenti Hugh, nell'ansia di provare che non era un suicidio, Dio sa che cosa avrebbe fatto. È riuscito però ad aprire quella finestra della biblioteca. — Voi naturalmente avrete fatto un giro tutto intorno alla casa. — Altroché! Ho esaminato il terreno palmo per palmo — rispose sbadigliando. — Ho notato solo le punte di un tacco alto di scarpe da donna appena fuori del viale accanto all'ingresso, ma troppo distante dalla casa. Naturalmente, ne dobbiamo tener conto. Per quanto la cosa possa sembrare strana, solo allora mi ricordai della ragazza che avevo incontrato, arrivando. Glielo dissi. Ma lui mi parve meno impressionato di quanto avrei creduto. Stette un po' in silenzio prima di fare commenti. — Dobbiamo stare bene in guardia — riprese — se non vogliamo sentire altri fruscii fra i cespugli. Può darsi che questa ragazza abbia una certa importanza. Può darsi di no. Non è poi una cosa cosi eccezionale al giorno d'oggi, per una ragazza, trovarsi fuori all'una di notte, specie se ha un'automobile. Ammesso che quell'automobile le appartenesse. — Quanto a questo, lo giurerei... — Sia pure. Dio mi guardi dal mettere in dubbio una vostra idea. Ma torniamo alla ragazza. Che cosa dobbiamo pensare? Conosceva Albert;
può darsi che siano andati a divertirsi insieme qua e là; stanotte passa con la sua macchina da queste parti, e vede la casa, di solito tranquilla, illuminata da cima a fondo. Scende dall'auto, entra nel viale, vede una macchina della polizia accanto al cancello e un certo numero di agenti. Non c'è bisogno di essere investigatori per sospettare qualche cosa di straordinario: non vi pare? — Eh, no, quella sospettava di più. Sospettava proprio quello che è accaduto. Le si leggeva negli occhi. — E non ha voluto dirvi il suo nome? — No. Ha detto solo che avrebbe telefonato. Ma non lo ha fatto. — Tutto questo non significa niente. Quanto al telefonare, può darsi che non ne abbia avuto bisogno. Qui c'erano anche alcuni giornalisti, o può aver fermato il medico. Credete a me: se a quest'ora non sapesse la verità, avrebbe certo telefonato. — Ma perché non ha voluto entrare per informarsi dell'accaduto? — Questo non lo so, ma lo scoprirò più tardi. Non deve essere difficile rintracciarla. Può darsi, del resto, che volesse semplicemente evitare di essere immischiata nella faccenda, ma certo noi non possiamo trascurarla. La troveremo senza troppa fatica e le faremo fare un giretto in automobile. Prima di andarsene, mi raccontò quello che sapeva della signorina Julia, e la storia mi sembrò tragica. Era andata a letto alle dieci circa e aveva dormito profondamente fino a mezzanotte meno dieci. Quando si era svegliata, aveva guardato l'orologio sul comodino, poi si era messa a sedere sul letto. Intendeva salire di sopra per assicurarsi che Albert fosse tornato. Era una sua abitudine: dopo il controllo, scendeva per constatare se il giovane aveva chiuso bene la porta. — Qualche volta Albert rientrava un po' alticcio — spiegò a questo punto l'ispettore. Ma mentre era seduta sul letto, la vecchia aveva notato che qualcuno passava davanti alla porta della sua camera. Non aveva sentito i passi, naturalmente, ma, come tutti i sordi, lei era sensibile alle vibrazioni: ora il suo letto dinoce vibrava, come sempre quando passava qualcuno. Aveva gridato: — Albert! Sei tu, Albert? Nessuna risposta: e, col terrore che aveva dei ladri, in un primo momento non aveva avuto il coraggio di scendere dal letto. Poi si era decisa e, non sentendo altre vibrazioni, si era avvicinata alla porta, l'aveva socchiusa leggermente. Non aveva visto anima viva. Ma la porta della camera di Albert, che dava sul pianerottolo del piano superiore, era spalancata e la luce
accesa. Lo aveva chiamato ancora per nome, più forte, poi aveva calzato le pantofole, aveva indossato la veste da camera ed era salita al terzo piano. Supponeva che Albert si fosse addormentato dimenticandosi di spegnere la luce e pensava di sgridarlo per quello sciupìo. Ma, dagli ultimi gradini, aveva visto qualcosa che l'aveva fatta inorridire. Si era precipitata giù e si era messa a picchiare furiosamente alla porta dei domestici. Quella porta era chiusa da anni e aveva anche il catenaccio. Per accorrere da lei, i domestici avevano dovuto scendere dalla scala di servizio, attraversare l'atrio e risalire dalla scala padronale. La vecchia li aveva condotti su, ma non aveva avuto il coraggio di entrare. Era entrato Hugh, mentre lei e Mary erano rimaste fuori. Aveva ingiunto però a Hugh di non toccare nulla, ed era sicura che nulla era stato toccato. Il cadavere giaceva dove la polizia lo aveva poi trovato, di fronte al cassettone, con la pistola automatica a fianco. Sì, la finestra era aperta, ma eravamo al terzo piano. La signorina Julia era svenuta o aveva avuto in quel momento un attacco cardiaco, tuttavia ricordava distintamente che Hugh aveva detto che non c'erano tracce di polvere da sparo sulla ferita, e che doveva trattarsi di una disgrazia. Lei lo aveva pregato allora di telefonare ad Arthur Glenn, il suo legale, e, a quanto pare, Mary aveva chiamato anche il dottor Stewart, poiché il medico era arrivato subito dopo la polizia. Questo era tutto quanto ricordava la signorina Julia, e l'ispettore aggiunse solo di avere avuto l'impressione che la vecchia volesse credere a una disgrazia, anziché a un suicidio. Erano già passate le quattro del mattino quando Patton se ne andò con la sua macchina, a grande velocità come sempre. Lo accompagnai fino al cancello. — Ebbene, cosa devo fare? — gli chiesi prima che partisse. — Quello che fate di solito. Tenete gli occhi bene aperti. Ho raccomandato loro di non mettere piede nella camera. Voglio tornare in mattinata a ispezionarla con cura io stesso. Stava per avviare il motore quando gli chiesi: — Questo giovane, Albert, aveva una chiave? — Sì, dell'ingresso principale. — Non può essere rientrato in compagnia di qualcuno? — No, se Hugh dice la verità. E non c'è ragione perché non debba dirla. Non so che cosa darebbe per provare che Albert non era entrato da solo.
Ma ha anche detto che stava ancora nel tinello, seduto, verso le undici, quando ha sentito il giovane andare di sopra, ed è sicuro che era solo. La macchina dell'ispettore si allontanò rombando, e io rimasi sola sul viale. Era ancora scuro: solo un debolissimo primo accenno dell'alba appariva lontano nel cielo. Era buio e freddo. Rabbrividii mentre, dopo aver voltato le spalle al cancello, rientravo in casa. La signorina Julia giaceva sempre immobile nel suo grande letto di noce, la testa sollevata sui cuscini, in modo da poter respirare più facilmente, ma, non so perché, avevo sempre l'impressione che fingesse di dormire. La guardai attentamente. Sarebbe stato difficile darle un'età: dai settanta agli ottant'anni, immagino: forse più vicina agli ottanta. Si diceva che in gioventù fosse stata bellissima, ma vecchia e sciupata com'era non si vedevano più i segni della sua trascorsa bellezza. Pensavo, osservandola, che l'età deve portare solitamente un po' di pace e di conforto in compenso di ciò che ci fa perdere. Ma a quella donna non deve aver portato che dolori e disagi. Ricordavo le parole con le quali, secondo quello che mi aveva riferito l'ispettore, lei aveva concluso il suo interrogatorio. — Albert è morto e io non ne voglio parlare male. Ma se qualcuno lo ha ucciso, avrà avuto le sue buone ragioni. So quello che dico. Ed è certo che Albert non si è suicidato. Non ne avrebbe avuto il coraggio! 5 Saranno state le quattro del mattino quando potei finalmente sdraiarmi sul divano ai piedi del letto, con la speranza di prender sonno. Ma non fu facile. La signorina Julia apparentemente continuava a dormire. Tutto era quieto nella vecchia casa, ma, se non avvertivo più rumori strani, adesso avevo la sensazione che uno spettro si muovesse su e giù per le scale. Quando le cortine della finestra, mosse da un soffio di vento, mi sfiorarono la mano, provai un tale spavento che per poco non mi misi a urlare. Dopo aver dormicchiato, ma solo per poco, fui svegliata da una specie di oscillazione. Sollevai la testa, guardai sopra la spalliera, e vidi che il letto della signorina Julia era vuoto. Ero ancora impietrita dallo stupore, quando sentii la porta socchiudersi adagio e vidi l'anziana signorina rientrare leggera come una piuma. Indossava la veste da camera ed era a piedi nudi. Lo spavento doveva avermi dato una certa irritazione perché la apostrofai piuttosto bruscamente. — Sapete che non dovreste lasciare il letto, signorina Mitchell? Altri-
menti, che cosa sto qui a fare, io? Che mi abbia sentito o no, capi certamente quello che volevo dirle. — Sono scesa perché mi aveva preso un crampo a una gamba — mi spiegò con la sua voce piena e monotona. — Ma non vi preoccupate per me. Coricatevi e dormite. Sto benissimo, ora. Si avvicinò al letto, e, sebbene fosse scuro e non potessi vedere, sono sicura che aveva in mano qualche cosa che nascose furtivamente sotto il cuscino. Non volle che l'aiutassi a mettersi a letto né che le riaccomodassi le lenzuola. — Lasciatemi stare — si affrettò a dire. — Non posso sentirmi gente intorno. Non poté impedirmi però di metterle la bottiglia dell'acqua calda in fondo al letto e nel far questo sentii che aveva la pianta dei piedi sporca. Anche il polso era agitato e il respiro affannoso. Dopo essersi coricata finse di dormire fino a quando Mary mi venne a dare il cambio per la prima colazione. Ma in realtà, né io, né lei riprendemmo sonno da quel momento. E ci doveva essere del ridicolo nella nostra situazione, perché ogni tanto io sollevavo la testa cautamente per spiare da sopra la spalliera se lei era sempre a letto e la signorina Julia aveva un gran da fare a chiudere in fretta gli occhi tutte le volte che mi vedeva spuntare. Qualunque cosa avesse nascosto sotto il cuscino, non riuscii a impadronirmene perché Mary mi venne a rilevare alle otto. Scesi per la prima colazione, che mi fu servita da Hugh, il quale si presentò con gli abiti in disordine e due borse sotto gli occhi. Il lungo interrogatorio che i due domestici avevano subito dopo l'accaduto, aveva indignato Mary e umiliato Hugh. che appariva vecchio, stanco e accasciato da far pietà. — Anche voi dovete aver passato una gran brutta notte, Hugh! — C'era da aspettarselo, signorina. Evidentemente non aveva voglia di parlare e io non dissi altro. Ma, mentre sbocconcellavo il mio pane tostato e sorbivo una tazza di tè, ebbi modo di osservare lo stato di decadenza di quella casa signorile. I tappeti sfilacciati, la biancheria da tavola sdruscita, la frugalità del pasto servitomi, tutto faceva pensare a una lotta disperata per salvare le apparenze. Mary era ancora nella camera della signorina Julia quando io finii la colazione. La porta era chiusa e perciò ebbi un po' di tempo per guardarmi intorno alla luce del giorno. La parte anteriore della casa era a tre piani, quella posteriore, che comprendeva la cucina, la dispensa, e, come constatai in seguito, la lavanderia, solo a due.
La parte retrostante, ch'era stata aggiunta più tardi, era di legno, mentre il corpo principale del caseggiato era di mattoni. Le camere della servitù, che si trovavano in questa parte aggiunta, avevano la porta che dava sulla scala padronale chiusa a chiave e con un catenaccio. Si poteva salire al terzo piano solo per mezzo della scala padronale. La scala che si trovava nell'ala posteriore della casa conduceva esclusivamente alle due camere e alla stanza da bagno usata da Mary e da Hugh. C'era un lungo ingresso centrale, dal quale si accedeva alla dispensa e al quartiere della servitù, poi alla biblioteca e alla sala da pranzo. Dall'altra parte c'era la così detta "sala lunga", le cui porte erano chiuse. Nei tempi andati infatti era stata una sala famosa, con candelabri di cristallo e camini di marmo sormontati da ampie specchiere. Al secondo piano, non contando le stanze abitate da Hugh e Mary, c'erano tre camere da letto. La principale era quella della signorina Julia, e dietro di questa ce n'era un'altra più piccola e quasi priva di mobili. Si trovava sopra la biblioteca, dava sul davanti della casa e la porta dava sul corridoio del secondo piano. Infine c'era la camera più piccola, che era stata assegnata a me, con una finestra che guardava sul davanti e l'altra sul retro della casa. Il terzo piano, come potei constatare più tardi, non era molto diverso dal secondo, solo che le camere avevano il soffitto più basso. Quella mattina, tuttavia, ebbi il tempo di osservare solo il pianterreno e, mentre andavo di sopra, di esaminare la porta che dava nel quartiere della servitù. L'ispettore mi aveva detto che, delle tre porte d'entrata, la sola che non era chiusa con il catenaccio era quella che si trovava ai piedi della scala dei domestici. Era anche la sola per la quale sarebbe potuto uscire l'assassino, esclusa l'ipotesi che fosse saltato giù dalla finestra. La porta, invece, che dava nel quartiere dei domestici, e che, per mezzo della scala, portava direttamente a quella senza catenaccio, era l'unica che aveva un certo valore strategico. Ma non c'era nulla di notevole in quella porta. Era chiusa a chiave e c'era un grosso catenaccio. Nessuno sarebbe potuto passare di là e poi richiudere il catenaccio dall'altra parte. Comunque, mentre ero chinata per fare la mia ispezione, corsi il rischio di tradirmi, perché proprio in quel momento la porta della signorina Julia si aprì e comparve Mary. Finsi prontamente di allacciarmi una scarpa, ma, mentre alzavo la testa, mi accorsi che Mary, nel vedermi, era rimasta sorpresa. E quando mi passò accanto sul pianerottolo, notai qualcos'altro: te-
neva un oggetto nascosto sotto il grembiule. La seguii con lo sguardo mentre scendeva le scale: quando fu in fondo si voltò e mi guardò. Mi ripresi subito. Nella mia posizione, destare anche il minimo sospetto sarebbe stato fatale. Con la massima indifferenza entrai nella camera della signorina Julia. Fu allora che suonò il campanello esterno. Mary non rispose subito, e mi parve di sentire un certo tramestio in biblioteca, ma non ne fui ben certa. Quasi subito dopo la porta venne aperta. Era l'avvocato Glenn che, prima di andare in ufficio, era venuto a sentire come stava la signorina Julia. Scesi per tranquillizzarlo e sorpresi Mary che si sfogava contro la polizia, per il modo con cui aveva trattato Hugh, sottoponendolo a un lungo interrogatorio in centrale. Anche Glenn parve indignato. — Non è il modo di fare — disse. — Fidatevi di me, vedrò che la cosa non si ripeta, Mary, e parlerò a Hugh. Mandatemelo. Quando Mary si fu allontanata, Glenn si voltò verso di me. Era ancora irritato. — Non ci voleva che la polizia per imbrogliare le carte — disse. — Hugh è stato al servizio della signorina Mitchell per trent'anni. Non basta una prova simile? No, signori, ecco che la polizia vuol ficcarci il naso. Per cosa poi? Albert Wynne si è ucciso o è morto per una disgrazia. In un caso o nell'altro, la polizia non ha nulla a che vedere. Come sta la signorina Julia, stamani? Ha dormito? — Non credo che abbia dormito molto. Ma ha riposato. Glenn rimase in piedi, in quell'atrio che appariva così vecchio e logoro nella luce del mattino, guardandosi intorno come se ne sentisse tutto il contrasto con il suo aspetto prospero, il volto ben rasato, gli abiti ultimo grido, la bella macchina fuori nel viale. Inarcò un po' le sopracciglia. — Ha avuto una vita dura — mormorò. — Quest'ultima disgrazia non l'ha privata certo di una persona che le stesse molto a cuore, ma comunque... Ha detto qualche cosa? — A me no. — Vorremmo che lei credesse a una disgrazia. Suppongo che ve lo avranno detto. — Sì, me ne ha parlato il dottore. Glenn abbassò la voce. — Non c'è mai stata buona armonia fra Albert e la signorina Mitchell. Se ora lei pensasse che il nipote si è suicidato, temo che non gli sopravvivrebbe. Dobbiamo sperare che l'inchiesta faccia luce su questa tragedia. A questo punto sopraggiunse Hugh, e io tornai presso l'ammalata. Mi
parve che fosse accesa in volto, ma non aveva febbre. Quando le feci fare il bagno, malgrado le sue proteste perché avrebbe voluto Mary, notai che aveva le piante dei piedi pulite e questo mi sorprese. Non c'era dubbio che era uscita di camera quella mattina presto e i tappeti non erano certo puliti. Pareva che avessero assorbito tutta la polvere dei secoli! Capii che cosa era avvenuto, comunque, quando trovai nella stanza da bagno una vaschetta ancora umida. O da sola, o con l'aiuto di Mary, la vecchia aveva fatto sparire le tracce di quel suo viaggio notturno. Non aveva provato nessun crampo nella gamba. Aveva mentito, per quanto non l'avessi creduta capace. Naturalmente non feci parola di tutto ciò. Le cambiai la biancheria del letto, la camicia, e poi le dissi: — Vi sentite meglio, ora? — Molto meglio, mia cara. Noi infermiere prendiamo in simpatia i nostri ammalati, forse per il senso materno che si sveglia in noi, forse perché il nostro, più che un lavoro, è una missione apportatrice di pace. Quella mattina provai un senso di rimorso a causa del mio comportamento non proprio leale nei confronti della vecchia. Sarei voluta esserle d'aiuto, ma lei rifiutava i miei servigi. È sempre andata così. Hugh e l'avvocato Glenn erano ancora chiusi in biblioteca, quando finii il mio lavoro, ma appena uscii nel corridoio, Glenn stava andando via. Li sentii congedarsi nell'ingresso e mi parve che Hugh avesse un tono di voce più rassicurato. Mentre Glenn si avviava verso la sua automobile, vidi dalla mia camera un fotografo scattargli una foto. Anche Glenn se ne accorse, e protestò infastidito, ma l'altro sorrise e gli voltò le spalle senza badargli. Davanti alla casa c'era un continuo andirivieni di fotografi e giornalisti, ed era una fortuna che la signorina Mitchell non potesse sentire il campanello che continuò a suonare tutta la mattina. Hugh cercava di allontanarli, ma non fu possibile, e tutte le edizioni pomeridiane dei giornali uscirono con fotografie della casa. "Il famoso, vecchio palazzo Mitchell, teatro di una tragedia." Per tutta la mattina anche molti curiosi sostarono davanti al cancello, ma quando si seppe che il cadavere era stato portato via, se ne andarono tutti alla spicciolata. Quella mattina accaddero solo due cose degne di rilievo. Dopo la partenza del legale, Hugh si recò nella camera di Albert, vi rimase due o tre minuti, poi ridiscese. Non credo, da quello che riuscii a sentire, che entras-
se proprio nella camera: mi sembrò che rimanesse sulla soglia come per guardar dentro. Dopo la partenza del medico, quella mattina, feci i miei preparativi, come se avessi dovuto fermarmi in quella casa per parecchio tempo. — Questa povera donna è inferma, signorina Adams — mi aveva detto Stewart prima di uscire. — È inferma da anni, e ha bisogno di cure. Prima non aveva i mezzi, ma adesso si troverà in una situazione finanziaria migliore, a meno che l'inchiesta non concluda stupidamente che si tratta di un suicidio. — C'è di mezzo una buona assicurazione? Mi guardò attentamente. — Non conosco la cifra, ma certo è tale da indurre la compagnia assicuratrice a fare il possibile per provare che Albert si è ucciso — rispose poi. — Ma vedete bene anche voi quanto questa ipotesi sia assurda. Perché avrebbe dovuto assicurarsi e poi uccidersi, per salvare dalla miseria una vecchia che ha ormai ben poco da vivere e per la quale lui non ha mai dimostrato un affetto particolare? — La beneficiaria è lei? — Le sole polizze di cui io sono a conoscenza, sono state stipulate a suo favore. Ma anche se così non fosse, sarebbe lo stesso, perché Albert non aveva altri parenti. — Quindi voi non sapete a quanto ammonta l'assicurazione? — No. Non ho ancora telefonato all'avvocato Glenn, il legale di famiglia. Ma io non so dove diavolo Albert possa aver trovato i soldi per l'assicurazione e perché l'abbia stipulata. — Non è possibile che abbia pensato di restituire alla signorina Mitchell quello che suo padre le aveva dilapidato? — chiesi. Il medico alzò le spalle. — Voi non lo avete conosciuto! — rispose poi. La polizia aveva girato per casa tutta la mattina. Avevano ordinato ai giornalisti di non uscire dal viale e avevano ispezionato con la massima cura tutto il terreno intorno. Mentre facevo il bagno alla signorina Julia, l'ispettore Patton era entrato e aveva esaminato per l'ultima volta la camera di Albert; poi aveva ordinato a Mary di metterla in ordine. Non ebbi modo di parlargli. Un paio di volte lo vidi dalla finestra mentre, accompagnato da un agente in borghese, guardava fra i cespugli. In un certo punto, accanto alla porta laterale, si soffermò parecchio. Poi lo vidi allontanarsi di qualche metro e di là osservare la camera di Albert, misu-
rando con lo sguardo l'altezza che la separava dal tetto del retro della casa. Ma non ebbi modo di sapere se aveva scoperto qualcosa. Come ho già detto, lui evita di parlarmi in presenza di estranei, quando lo aiuto nelle indagini. Lo vedo o gli telefono solo nelle mie ore di libertà, quando posso, perché di solito resto impegnata con un'ammalata diciotto ore circa al giorno. Tentai in diverse occasioni di entrare in biblioteca, quella mattina, ma non vi riuscii, perché ogni volta che stavo per entrare, qualche imbecille di giornalista suonava il campanello, e Hugh, andando alla porta, mi attraversava la strada. Avrei scartato del tutto l'idea se subito dopo il pranzo non avessi fatto una curiosa scoperta. Mary mi aveva dato il cambio, e mentre tornavo di sopra sentii odore di bruciato. Non dissi nulla, ma notai nel caminetto alcuni fogli carbonizzati e sul comodino della vecchia, accanto agli occhiali, un blocco di carta con una matita. Questi particolari svegliarono i miei sospetti. Pensai che Mary avesse voluto comunicare qualcosa alla signorina Julia e che, non volendo alzare la voce, glielo avesse scritto sul notes. La signorina Mitchell doveva aver giudicato la notizia così importante da ordinare poi alla donna di buttare immediatamente il foglio nel fuoco. 6 Mentre, in camera mia, mettevo un po' d'ordine, la mia mente continuava a lavorare. Che cosa sapevano la signorina Julia e i due domestici di quello che era successo ad Albert quella notte? "Io propendo per un delitto" aveva detto l'ispettore. Commesso da chi?, mi domandavo io. Dalla signorina Julia? Assurdo! Da Mary? Ci pensai un momento. Aveva l'aria di quelle donne nevrasteniche che qualche volta possono diventare bigotte, qualche altra criminali. Da Hugh? Adorava la vecchia, e c'era di mezzo l'assicurazione. Eppure, quest'uomo curvato dagli anni e male in arnese non mi pareva capace di uccidere. Certo, si poteva pensare che a suo carico ci fossero movente e opportunità; condizioni, come dice l'ispettore, che sono alla base di tutti i delitti. Le condizioni della signorina Julia, quel pomeriggio, furono instabili. Era inquieta, come se si sentisse a disagio. Non mi perdeva d'occhio un istante. E quando le dissi che volevo fare una corsa a casa per prendermi
degli abiti, dato che ero venuta via in uniforme, mi sembrò felice di accogliere la mia richiesta. — Fate, fate pure — mi disse — e non abbiate premura. Quel pomeriggio non andai alla centrale di polizia. Telefonai da casa all'ispettore e lo trovai in ufficio. Ebbi l'impressione che la sua voce fos.se più grave del solito. Ascoltò con grande attenzione quello che gli riferii sull'escursione notturna della vecchia e sui pezzi di carta bruciata che avevo notato nel caminetto. — Credete che sia salita al terzo piano? — Non saprei. Certo ha girato per casa: non aveva pantofole e quando è rientrata le piante dei piedi non erano pulite. — Allora voi credete che la vecchia sia andata a prendere qualcosa, forse nella camera al terzo piano, e che l'abbia dato a Mary perché lo nascondesse? — Sì, questa è stata la mia impressione. — Non credete però che sia uscita di casa? — Veramente non ci avevo pensato: può darsi anche questo. Mi spiegò che il terreno tutto intorno alla casa era duro, tranne sotto la finestra della biblioteca. Là era stato vangato di recente, ma non vi si era notato alcun segno particolare. Invece di fronte alla lavanderia, su un tratto di terreno polveroso, quella mattina avevano scoperto un'impronta che pareva di un piede femminile. Un piede piccolo e nudo. — Come se qualcuno avesse camminato senza scarpe, solo con le calze. Può essere un particolare insignificante, naturalmente. Che scarpe calza Mary? — Porta pantofole di feltro senza tacchi. E i suoi piedi sono piccoli. — Può darsi che l'impronta sia sua. E nella biblioteca siete potuta entrare? — No. Ma, tanto, qualunque cosa vi abbia portato Mary, chissà a quest'ora che fine ha fatto. — Non avete idea di cosa possa essersi trattato? — Una cosa soffice e leggera, mi è sembrato. — Una lettera? — L'ho pensato anch'io. Ma d'altra parte voi avete ispezionato accuratamente la camera di Albert. Se lui vi avesse lasciato una lettera, voi l'avreste trovata. Patton fece una lunga pausa. — È proprio un brutto affare — disse poi. — Vi raccomando di ispezio-
nare bene la biblioteca, appena vi riesce. A proposito. Glenn, l'avvocato di famiglia, che avete visto ieri sera, si è occupato dell'assicurazione. Una bella cifra! — Quanto? — Glenn non ne è ancora sicuro, ma crede che ammonterà a circa centomila dollari! Rimasi di stucco. Come si poteva spiegare la cosa? Il giovane non aveva nulla di suo: solo di tanto in tanto aveva guadagnato qualcosa negoziando titoli o trattando automobili: ma da quando era cominciata la crisi, probabilmente non aveva intascato un soldo... Eppure si era assicurato per centomila dollari, a beneficio di una vecchia che lui non amava e che non aveva mai provato affetto per lui... — Ma per qual motivo? — Non chiedetemelo. Domandatemi qualcosa di meno astruso. Non aveva altro da dire e mi parve che fosse turbato. I periti della sezione avevano accertato che la pallottola era partita dalla pistola di Albert e che le impronte digitali, per quanto poco chiare, erano sue. Non erano state trovate altre impronte, nella camera né fuori. Prima di deporre il ricevitore, chiesi a Patton della giovane che mi aveva fermato sul viale e di cui gli avevo parlato. Mi disse che sicuramente l'avrebbero rintracciata ma che fino ad allora tutte le ricerche erano state vane. — La ritroveremo, la ritroveremo: ma io non credo che sia molto importante. Mentre mi ricordo, avete portato con voi il revolver? — No. — Meglio così. Possono andare a rovistare nelle vostre cose e non vorrei che nascessero sospetti e vi licenziassero. Ho bisogno di voi in questa faccenda. Era il suo modo di fare e io dovevo rassegnarmi. Come mi sembrò allegro il mio appartamentino dopo quella conversazione, e quanto avrei pagato per rimanervi! Il canarino cantava e la macchina da cucire era come l'avevo lasciata, insieme ad altre mille cosette che mi davano l'illusione di un'atmosfera familiare. Sedetti un po' e confesso che mi giudicai stupida a lasciarmi coinvolgere così negli affari degli altri. Dopo tutto, il mestiere dell'infermiera è abbastanza duro di per sé, e io mi prendevo anche la briga di assistere clandestinamente un ispettore di polizia nelle sue complicate operazioni. Mi guardai allo specchio. Mi sembrava di essere stanca e più vecchia della mia età. Ma quello specchio mi ricordò subito il caso Mitchell; balzai
in piedi e feci un pacco delle mie cose. È inutile, la vocazione era ed è nel mio sangue! Prima di partire, diedi un'occhiata al mio bel canarino che non cessava di cantare. — Un pezzettino di zucchero, Dick? I suoi occhiettini luccicarono come se avesse compreso. Era martedì. Albert Wynne era morto la notte del lunedì e l'inchiesta doveva aver luogo mercoledì. Quella sera il dottor Stewart, l'avvocato Glenn e l'ispettore Patton tennero una riunione nella biblioteca, ma io non ebbi modo di vedere l'ispettore, al quale, per altro, non avrei avuto nulla da dire. Alle nove la riunione era finita e il dottore venne di sopra per visitare la signorina Julia. Mi lasciò un calmante e alle dieci avevo già fatto tutti i preparativi per la notte. Era la prima volta che mi si presentava la possibilità di visitare la biblioteca, e ne approfittai. Hugh non si era fatto vivo per tutta la serata e alle dieci lui e Mary avevano chiuso le imposte ed erano andati a letto. Alle undici, prima di scendere da basso, origliai alla porta del pianerottolo. Nessun segno di vita. Come era prevedibile, le mie ricerche furono infruttuose. Non era la prima volta che facevo una perquisizione clandestina per la polizia, e devo dire che la eseguii molto bene, se si pensa che non avevo la più lontana idea di quello che cercavo. Ficcai le mani dappertutto: dietro i cuscini delle poltrone, sotto i tappeti, dietro le interminabili file di libri. Ma non trovai nulla, salvo, dietro i libri accanto alla porta, un pezzo di giornale sporco che lasciai, e fu una fortuna, dove lo avevo trovato. Dopo aver cercato in biblioteca, mi venne l'idea di ispezionare anche la "sala lunga", dall'altra parte dell'ingresso. Non credevo che Mary vi fosse entrata perché la porta, a due battenti alti, era tenuta sempre chiusa. Ma fu una certa curiosità femminile che mi spinse. Chi sa, forse mi solleticava l'idea di entrare non invitata in una sala che, nei suoi giorni migliori, era stata rigorosamente custodita. Aprii la porta e puntai tutto intorno la luce della mia lampadina. Non rimaneva più traccia dell'antico splendore. Se la biblioteca era tetra, questa sala era deprimente. Era nello stile dell'ultimo periodo vittoriano, con tappezzerie a figure, poltrone e divani coperti di stoffe pesanti, finestre nascoste da grandi panneggi. Una dava verso il retro casa, dove c'era il quartiere della servitù. Fu solo quando girai la lampadina da quella parte che vidi qualcosa che
mi fece trasalire. Non avrei mai pensato che la sala potesse essere occupata. Invece lo era. Nel vano di quella finestra, sprofondato in una poltrona, e in parte svestito, c'era Hugh che dormiva della grossa. Per quanto la cosa fosse inesplicabile, mi guardai bene dallo svegliarlo. Mi ritirai furtivamente nell'atrio e richiusi adagio la porta. Devo anche aver spento la torcia elettrica perché ricordo di essermi trovata al buio, ritta, le orecchie tese per sentire se Hugh si fosse svegliato. Non il più piccolo rumore venne dalla sala e io mi accinsi a ritornare di sopra. Mi mossi adagio, con le pantofole di gomma, nel silenzio più completo. Silenzio e oscurità. A metà scala, l'orologio dell'atrio cominciò a suonare la mezzanotte e lo stridio che fece prima di scoccare il primo tocco mi fece correre un brivido nelle vene. Ma fu solo quando arrivai sul pianerottolo che mi prese un vago spavento. Qualcosa di più nero delle tenebre si muoveva su e giù accanto alla porta. Non solo si muoveva, ma sembrava venire verso di me. Un grido acuto mi colpì le orecchie e non capii nemmeno, tanto ero terrorizzata, che era la mia voce. Devo essermi precipitata giù per le scale, perché caddi quasi nelle braccia di Hugh che, al mio grido, era accorso verso il piano di sopra. Mi afferrò e mi scosse senza tanti riguardi. — Che cosa c'è? Che cosa è successo? — C'è qualcosa sul pianerottolo. Qualcuno. Mi veniva incontro... — Non c'è nessuno là, signorina! — C'è qualcuno. Non sono stupida. Credete che mi spaventerei cosi per nulla? Vidi allora che aveva in mano un revolver di vecchio modello. Cercammo dappertutto, ma non trovammo nulla. La porta del pianerottolo era chiusa a chiave e aveva il catenaccio. La signorina Julia russava leggermente nel suo letto e Mary, da dietro la porta che dava nel quartiere della servitù, chiedeva nervosamente che cosa mai fosse successo. Hugh e io ispezionammo insieme la casa. Era chiaro che, se qualcuno fosse stato sul pianerottolo, non avrebbe potuto passarmi accanto per scendere le scale; perciò concentrammo la nostra attenzione sul terzo piano. Là c'erano due camere che davano sul davanti della casa, non occupate e con pochi mobili: una stanzetta che serviva da ripostiglio e la camera nella quale Albert era stato ucciso. Non trovammo niente di niente, nemmeno un indizio che denunciasse la recente presenza di qualcuno. Hugh continuò le ricerche anche quando io volevo abbandonarle e andarmene a letto. Aveva sempre il revolver in mano: ma non mi diede alcuna spiegazione su quel-
l'arma e nemmeno del perché si trovasse nella "sala lunga" quando io avevo gridato. Era giorno fatto quando mi addormentai. Il mio cervello aveva continuato a lavorare con inquietudine. Perché Hugh aveva passato la notte nella "sala lunga" accanto alla finestra? Che cosa sapeva, che non voleva dire, di tutto quei mistero? E chi si era trovato sul pianerottolo? Perché qualcuno c'era stato: di questo non avevo il minimo dubbio. Solo la mattina, al momento della prima colazione, Hugh mi spiegò perché si trovava nella "sala lunga" quando io avevo gridato e perché ne era uscito col revolver in mano. — Vi sarete meravigliata per la pistola — disse posando sul tavolo la tazza del tè. — Ci sono molte cose che mi sorprendono — risposi seccamente. — Non potreste spiegarmi che cosa avete visto? — Qualche cosa che rassomigliava a uno spettro. — Alto o piccolo? — Veramente ero molto eccitata — ammisi. — Era come un uomo alto ma un po' curvo. Era là e poi d'un tratto non c'era più. Non saprei come dire. Senza dubbio Hugh appariva turbato. Mi disse che quello che avevo visto doveva avere qualche rapporto con ciò che era capitato a lui. Mary allora mi raccontò gli avvenimenti. Verso le dieci e mezzo, la sera precedente, Hugh aveva spento la luce ed era andato per chiudere la finestra che guardava verso la "sala lunga", quando gli era parso di vedere qualcuno in basso, nell'angolo, appoggiato alla parete. Si era buttato addosso qualcosa, aveva preso la pistola ed era sceso per la scala di servizio. Sull'ultimo scalino si era fermato e aveva teso l'orecchio ma non aveva sentito nulla: allora era entrato nella "sala lunga" e aveva guardato fuori dalla finestra. La sala era buia e lui non poté vedere nulla di sospetto. Ma era molto stanco, poiché non aveva potuto dormire, la notte prima: si era seduto nella poltrona del vano della finestra e aveva finito per addormentarsi. Questo ii suo racconto, e quello che avevo visto io poteva esserne una conferma. Ma non credo che Mary avesse raccontato proprio "tutto". Mi sembrava che Hugh stesse sulla difensiva e di tanto in tanto guardasse sua moglie, come per darle la sua approvazione. Ebbi l'impressione che lui non avesse l'abitudine di confidarsi con Mary.
L'ispettore mi chiamò al telefono subito dopo colazione, e, come eravamo soliti fare, finsi che lui fosse un medico. — Ascoltate — disse — dovete farmi un piacere. — Dite pure, dottore. — Dovete prendere una boccata d'aria e controllare se intorno alla casa ci sono i segni di una scala a pioli. Vi spiegherò più tardi perché. Fatevi vedere questo pomeriggio. — E detto questo, attaccò il ricevitore. Eravamo d'accordo coi domestici di tenere nascosto alla vecchia Mitchell quanto era accaduto quella notte. Julia non stava bene, quella mattina. Era evidente che qualche cosa l'angustiava. Forse era in ansia per l'inchiesta imminente. Dopo tutto, povera vecchia, il verdetto avrebbe potuto significare molto per lei, e niente ormai poteva ridare vita al morto. Notai che di tanto in tanto guardava l'orologio. Non disse una parola, eccetto quando io le feci una frizione con l'alcool sulla schiena. — Che mani gentili avete, cara! Per la seconda volta provai disgusto per la parte che sostenevo: mi ero introdotta in quella casa sotto mentite spoglie e avevo talmente ingannato una povera vecchia da ispirarle perfino della gratitudine per me! Prima di avere il coraggio di andare avanti con quella frizione, dovetti fare uno sforzo su me stessa e pensare che Julia aveva, con tutta probabilità, trovato e nascosto qualche prova. Una prova importante, forse, per la quale gli investigatori dell'assicurazione avrebbero dato chissà cosa. Era mercoledì. L'inchiesta doveva cominciare alle undici del mattino, e Hugh e Mary lasciarono la casa alle dieci e mezzo. La vecchia sonnecchiava e così io ebbi l'opportunità di fare le ricerche che l'ispettore mi aveva ordinato, senza essere seguita da occhi indiscreti. Feci lentamente e con attenzione il giro della casa, cominciando dalla porta principale, girai intorno alla biblioteca, passai dietro l'ala della cucina e tornai verso la "sala lunga". Ma non trovai segni di scale a pioli. Solo accanto alla porta laterale, mentre passavo tra i cespugli, mi trovai improvvisamente faccia faccia con la giovane che mi aveva fermata sul viale la notte che Albert Wynne era stato ucciso. Stava ritta in un angolo, appoggiata alla parete e pareva spaventatissima. 7 Quando mi vide, però, parve respirare di sollievo. — Dio mio, credevo proprio che fossero tornati.
— Tornati chi? — I domestici. Ho aspettato fino a che li ho visti andare via e poi sono entrata. Mentre parlava, ebbi il tempo di osservarla e notai che, se non fosse stata così terrorizzata, sarebbe stata realmente bella. Ma ora pareva che non avesse dormito da una settimana; aveva gli occhi gonfi e di tanto in tanto mi guardava con diffidenza. — Che cosa fate qui? — le chiesi. — Sono venuta per vedere voi — rispose ancora tutta affannata. — Dopo tutto siete un'infermiera. Mi comprenderete e io ho proprio bisogno di parlare con qualcuno, altrimenti divento matta. Non si è suicidato. Qualunque sia il risultato dell'inchiesta, credete a me, non si è suicidato. — Che cosa ne sapete, voi? — Lo conoscevo troppo bene. Eravamo fidanzati. E Albert sapeva di essere in pericolo. — Quale pericolo? E da parte di chi? — Non lo so. Diceva di essere seguito. Questo spiega perché abbia pulito la pistola. Diceva che qualcuno lo voleva morto. — Ma vi avrà ben spiegato... — No, non mi ha voluto spiegare nulla. Su di lui incombeva qualche pericolo, ma non ha mai voluto parlarne. — E voi non avete avvertito la polizia? Scosse il capo. — Non vorrei essere immischiata in questa faccenda — disse. — Ma lui sapeva che cosa gli poteva capitare. E sapeva anche qualcos'altro. Una volta mi ha detto che, dopo aver tolto di mezzo lui, avrebbero cercato di fare altrettanto con me. — Ma questo è ridicolo — esclamai. — Perché avrebbero dovuto uccidere voi? E come sapete che la morte di Albert non sia dovuta a una disgrazia? Sono cose che capitano. Lei tornò a scuotere il capo. — No, no, è stato assassinato. — E mi guardò con gli occhi gonfi per il lungo piangere. — È stato assassinato e so anche da chi. Non ero più sicura di me, quando lei ebbe finito il suo racconto. Comunque, prima che lo cominciasse, con la scusa di andare a controllare se l'ammalata aveva bisogno di me, feci una cosa odiosa, ma necessaria. Telefonai alla polizia che la ragazza si trovava in casa Mitchell e che provvedessero a mandare qualcuno per seguirla quando sarebbe uscita.
La signorina Julia era tranquilla, quando mi affacciai sulla soglia della sua camera. Suppongo che sapesse che l'inchiesta doveva aver luogo quella mattina, ma non me ne fece parola. — Sto bene — disse. — Non occorre che restiate qui. Uscite pure e andate a prendere un po' d'aria. Quando tornai dalla ragazza, la trovai seduta sullo scalino, in uno stato, poveretta, da impietosire e da farmi sentire ancora più acutamente l'odiosità della mia parte. Mi raccontò la sua storia, senza mezzi termini. Lei e Albert si amavano. Ne aveva conosciuto i difetti. Era un giovane pigro e di pochi scrupoli, ma questo non aveva prodotto screzi fra loro due. Ai parenti di lei era riuscito antipatico, tanto che gli avevano proibito di mettere piede in casa. Per questo avevano dovuto vedersi fuori. Uscivano insieme, facevano delle gite in macchina. Lei aveva una piccola utilitaria. Qualche volta, invece, andavano al cinema e si accontentavano di stare seduti l'uno accanto all'altra, tenendosi per mano. Aggiunse che c'era un altro giovane che la corteggiava e che avrebbe potuto darle dei fastidi se l'avesse vista in compagnia di Albert, ragione per cui dovevano sempre darsi appuntamento in luoghi poco frequentati. — Quali fastidi? — chiesi io. — No, no, per carità — esclamò lei, arrossendo. — Non quello che immaginate voi, è ridicolo! — E per rassicurarmi, mi parlò molto bene di questo giovane che, secondo lei, non sarebbe stato capace di torcere un capello a nessuno. Poi tornò a parlare di Albert. Erano stati felici fino a un mese prima, quando improvvisamente Albert aveva cambiato umore. La primavera, lei non sapeva come, si era trovato in mano un po' di denaro e aveva giocato in borsa. I titoli erano allora molto bassi e lui aveva sperato di guadagnare. Ma durante l'estate c'era stato un crollo in borsa e questo lo aveva molto angustiato. — Ma non tanto da spingerlo a uccidersi — si affrettò ad aggiungere. — Era molto preoccupato, ma pensava che ci sarebbe stato un rialzo. No, no, non era il tipo che si disperasse per il denaro. Si trattava d'altro. Ha cominciato a comportarsi come se avesse paura di qualcosa. — Non ha detto di che cosa? — No. Tutto quello che mi ha confidato è che era seguito e che era in pericolo. — Sapeva chi lo seguiva? La ragazza esitò. — Sulle prime sospettava che fosse mio padre. Era qualcuno che aveva
un'automobile e, naturalmente, lui sapeva che la mia famiglia mi controllava o, almeno, cercava di farlo. Io ero convinta che non si trattava di mio padre, dubitavo perfino della storia dell'automobile, perché Albert mi pareva eccitato e il pedinamento poteva essere solo un'impressione. Ma una volta ho visto la macchina proprio con i miei occhi. Ci è venuta dietro un pezzo, su una strada di campagna. Ho pensato che fosse... Ma ora so che non era lui. — Avevate pensato all'altro giovane? Fece segno di sì. — Ma non era lui. Non era la sua macchina. — Mi guardò con insistenza. — Vi dico la verità. Conosco bene la sua auto e sono sicura che non era quella. — Non poteva essere la macchina dei vostri genitori? — I miei avevano cenato in casa d'amici, quella sera, e si erano trattenuti fino a tardi, giocando a bridge. Erano rientrati dopo di me. — Chi poteva essere, allora? Di chi sospettate? Si diede un'occhiata in giro prima di rispondere. — Di Hugh — fece poi — il maggiordomo della signorina Julia. — Hugh non ha un'auto. Non ci sono macchine in questa casa. — Può averne presa una a noleggio; o la signorina Julia può averla noleggiata per lui. — Ma perché? Non state per caso correndo troppo con la fantasia? — Albert è morto e questo non è uno scherzo della mia fantasia! Riflettete. I giornali dicono che si era assicurato per una somma rilevante. Dove aveva preso i soldi per farlo? E perché avrebbe dovuto farlo? Che vantaggio ne avrebbe avuto lui? E, notate bene: la vecchia era in condizioni disperate. Stavano per cacciarla fuori di casa... — Ma anche ammettendo questo... — Voi non la conoscete — continuò, alzando la voce. — Lei odiava Albert. Aveva odiato il padre di lui, per il suo matrimonio e perché aveva dissipato poi il suo patrimonio. Ed è piena d'orgoglio. È sempre stata una gran signora in questa città, e sarebbe capace di uccidere piuttosto che vedersi ridotta, lei, una Mitchell, in un ospizio! Voi l'avete vista. Forse è addolorata? Finge almeno di esserlo? Nemmeno per idea! — Se la signorina Julia era proprio in cosi cattive condizioni, come ha potuto ottenere il denaro necessario per assicurare il signor Wynne? — Non lo so. Può darsi che ne avesse Hugh. Albert era solito dire che Hugh era un uomo molto parco. Può darsi che sia riuscito a mettere da par-
te una bella sommetta. Comunque Albert si era mostrato meno depresso gli ultimi dieci giorni. Le aveva detto che stava facendo i preparativi per andare via. Insieme. Aveva in mente un piano, ma non le aveva riferito i particolari. Tutto quello che le aveva detto era di tenersi pronta a partire da un momento all'altro. — Per sposarvi, immagino? — Certo. Per chi mi prendete? Mi parve, tuttavia, che fosse meno franca su questo punto. I suoi modi erano cambiati. Pareva quasi che pesasse le parole. In tutti i modi, i fatti essenziali dovevano essere senza dubbio come li aveva raccontati. Sarebbero partiti non appena lui fosse riuscito a vendere bene i suoi titoli. Aveva investito cinquemila dollari. — Cinquemila dollari? — esclamai. — Dove aveva trovato una somma simile? Dalla signorina Julia? — La vecchia non ha mai visto cinquemila dollari in vita sua! — rispose la giovane in tono sprezzante. — No. Non so dove li abbia trovati, la primavera scorsa. A me ha detto solo che aveva avuto un colpo di fortuna. Non era mai stato molto comunicativo, del resto. Quanto a me... Ricordo di avergli chiesto se contrabbandava alcolici e lui si è messo a ridere. Mi ha rassicurata: aveva avuto a che fare coi contrabbandieri solo una volta per comperare una bottiglia di gin. Ma una settimana prima avevano preso un grande spavento. Erano in macchina su una strada di campagna, ed erano certi di non essere stati seguiti. Si erano fermati al margine della strada e lui aveva acceso una lampadina tascabile per consultare un orario ferroviario. Stavano progettando la fuga. Erano entrambi chinati in avanti, con gli occhi fissi sulla mappa, quando una macchina li aveva raggiunti e, nel sorpassarli, qualcuno aveva sparato contro di loro diversi colpi di pistola. Fortunatamente erano andati tutti a vuoto, ma il parabrezza della loro auto era esploso in mille pezzi. Da allora non erano più usciti in auto. Albert aveva riportato un forte choc. Gli tremavano le mani e diceva che non riusciva a dormire. Per due o tre giorni si limitarono a telefonarsi. — E nemmeno dopo tutto questo vi ha fornito una spiegazione? La giovane esitò. — Pensavo che forse... Ma ora so che mi sbagliavo. — Pensavate che fosse l'altro giovane? — Lo pensavo e non lo pensavo. Ero fidanzata con lui, quando ho incontrato Albert, ma lui non se l'è presa molto, quando l'ho lasciato. Però,
dopo quelle revolverate, non ho avuto più dubbi. No, no, non è assolutamente il tipo capace di ricorrere a certi sistemi. E, d'altra parte, se fosse stato lui, non avrebbe certo rischiato di uccidere anche me... Finalmente cominciò a parlare di quell'ultima notte. Si erano trovati alle nove in un piccolo cinema del quartiere. Albert era molto inquieto e le aveva detto che aveva portato con sé la pistola. Ma non aveva voluto aggiungere altro ed erano rimasti silenziosi durante tutto lo spettacolo. Quando erano usciti, lei si era accorta di non avere più la borsetta. Era tornata indietro e l'aveva trovata sotto la poltrona in cui era stata seduta. Quando aveva raggiunto il giovane, Albert aveva comperato una copia del "Globe" e stava leggendo la pagina finanziaria. — Pare proprio che tutto se ne vada al diavolo! — aveva detto. Poi aveva piegato il giornale e se l'era messo in tasca. Ma non sembrava particolarmente depresso. L'aveva presa sotto braccio e l'aveva condotta fino all'angolo, guardandosi indietro una volta o due. Sembrava più tranquillo, dopo essersi accertato che nessuno li seguiva; l'aveva messa nella sua auto, le aveva augurato la buona notte, le aveva dato un bacio e le aveva detto: — Ancora un giorno o due, e poi saremo in viaggio di nozze! — Poi si era allontanato zufolando, e quella era stata l'ultima volta che lo aveva visto. Fino a questo punto, ero certa che la giovane mi aveva detto la verità, anche se non era tutto. Ma quando arrivò al nostro incontro sul viale, allora ebbi la sensazione di alcune reticenze. Mi disse che non era andata a casa. Non era la prima volta che girava per la città sola nella sua auto. "Avevo" mi spiegò "molti pensieri per la testa." La sua famiglia non poteva sopportare Albert, eppure lei aveva acconsentito a fuggire con lui. Era andata fuori città: aveva preso una strada di campagna e a un tratto aveva forato una gomma. C'era voluto un po' di tempo prima di cambiarla, e, al ritorno, era passata davanti a casa Mitchell, e l'aveva vista tutta illuminata. Anche questa storia poteva essere vera. Le ragazze fanno cose bizzarre oggigiorno. Ma doveva aver girato un bel po' prima di forare la gomma. Erano infatti trascorse due ore. Comunque, lei era fermamente convinta che Hugh aveva assassinato Albert Wynne, col tacito consenso della vecchia ammalata. La giovane rifiutò decisamente di dirmi il suo nome e di mettersi in comunicazione con la polizia, per quanto io le dicessi che presto o tardi avrebbero saputo di lei e l'avrebbero interrogata. Alzò semplicemente le spalle.
— Perché? — osservò. — L'inchiesta dirà che si è trattato di una morte accidentale e non se ne parlerà più. — Ah, quanto a questo non ne sono sicura! — Ebbene, io sono venuta qui per dirvi quello che ritenevo necessario: se volete comunicarlo alla polizia, fate pure. Ma dite loro di lasciarmi in pace. Gli assassini sono là — concluse indicando la casa — e uccideranno anche me, se attraverserò loro la strada. Nel frattempo ebbi la conferma che il mio messaggio era pervenuto all'ispettore Patton. Quando la ragazza si alzò per andarsene, capii che tutto procedeva bene. Dall'altra parte della strada, dopo una casa a due piani, c'era una macchina col motore avviato. Ma come mi sentii mortificata e avvilita quando la giovane si voltò e mi tese la mano! — Mi ha fatto bene parlare di tutto con voi — mormorò. — Voi mi capite: non ho nessuno con cui sfogarmi. La seguii con l'occhio mentre prendeva il viale, usciva dal cancello e saliva nella sua utilitaria; e in quel momento giurai di rompere ogni mio rapporto con la polizia, una volta che quel mistero fosse stato svelato. Era una bassezza! Che cos'ero io, dopo tutto, se non una spia? Appena la macchina della ragazza si mosse, quella della polizia le tenne dietro. 8 Un'ora dopo, prima ancora del ritorno di Hugh e Mary, sentii uno strillone gridare: "Edizione straordinaria!". Uscii, comprai una copia del giornale e lessi il risultato dell'inchiesta: morte accidentale. Il dottor Stewart fu il primo ad arrivare, vispo e allegro, e fu lui che diede la notizia alla Mitchell. Io osservavo bene la vecchia, ma non notai alcun segno particolare. Julia sospirò semplicemente e chiese se i domestici erano tornati a casa. L'avvocato Glenn, che arrivò all'ora di pranzo, le spiegò il significato del verdetto e le disse che ci sarebbe stato da riscuotere una buona assicurazione. La vecchia non si mostrò sorpresa: ma mi parve un po' inquieta. — Nulla ormai può ridargli la vita — osservò Glenn — e perciò non vedo la ragione perché non si debba parlare del cambiamento che questo porterà nelle vostre condizioni. — Dovette ripetere questa frase più volte, a voce alta, e Julia, per un pezzo, non disse nulla. Finalmente si sollevò su un gomito.
— Allora io conservo la casa — disse — a prezzo però del suo sangue! — Non la metterei in questi termini, signorina Mitchell. — Ma non è così? — Via! Questo significa la sicurezza negli anni della vecchiaia. Significa che voi conservate la vostra casa, che per molti anni è stata una delle case belle della nostra città. Non è poco, mi pare. E questi sono tempi duri. Molti di noi si trovano in cattive acque! Tirò un lungo sospiro e la vecchia non lo udì, ma lo vide. — Se posso esservi d'aiuto, Arthur... — No, no, io sto bene — si affrettò a dire l'avvocato. — Spendo molto, ma guadagno anche molto. — Non certo per quello che vi do io... Glenn sorrise e si alzò, ma quando guardò la vecchia, il suo sorriso scomparve. — Una cosa questo verdetto ha di buono, signorina Julia — disse gravemente. — Deve rassicurarvi riguardo ad Albert. È stata una disgrazia. Ricordatevene e non vi crucciate oltre. Avrei voluto che la giovane avesse assistito a quella conversazione e avesse potuto vedere il volto della Mitchell. Era inconcepibile che la vecchia fingesse per me e per l'avvocato Glenn. Eppure non potevo non ricordarmi quella sua furtiva escursione della notte precedente, quando aveva cacciato qualche cosa sotto il cuscino per nasconderla al mio sguardo. Quel pomeriggio approfittai delle mie ore di libertà, e alle due e mezzo, dopo aver sistemato la Mitchell nel suo letto, feci visita all'ispettore, nel suo ufficio. — Ebbene — disse — questo è l'esito dell'inchiesta. E grazie per la telefonata. Ora sappiamo chi è la ragazza e, se occorre, possiamo rintracciarla subito. — E chi è? — Paula Brent. — Paula Brent! Sorrise per la mia sorpresa. Se i Mitchell erano stati un tempo la prima famiglia della città, ora quel posto toccava ai Brent. Con la sola differenza, naturalmente, che mentre i Mitchell non avrebbero mai permesso che la foto di uno di loro comparisse nei giornali o che un giornalista si avvicinasse a meno di un chilometro dalla loro casa, i Brent continuavano a fare parlare di sé. Capii subito tutto. Niente da meravigliarsi se la famiglia della ragazza si era opposta a un matrimonio con Albert Wynne. Ciò che mi me-
ravigliava era il fatto che non avevo riconosciuto subito la ragazza. Dovevo aver visto diverse volte la sua foto sui giornali. L'anno prima aveva debuttato in società. — Non sembra possibile. — Ecco quello che rende interessante la cosa: non c'è niente d'impossibile in questa faccenda! Verissimo: e me ne dovevo ricordare più tardi. Ascoltò con molta attenzione le confidenze che la ragazza mi aveva fatto. Di tanto in tanto mi rivolgeva qualche domanda, e prese nota del particolare del parabrezza frantumato dalle pallottole. — Sarà facile verificare — osservò. Ma, nell'insieme, mi parve meno impressionato di quanto avrei creduto. — La convocheremo qui e l'interrogheremo. Ma ho fin d'ora l'impressione che tutto si riduca a un'antipatia per la vecchia, che si è trasformata in sospetto. Comunque, abbiamo chiarito almeno un punto: la valigetta che Albert aveva preparato. Non sapevo proprio che cosa pensarne. L'ispettore trovò più interessante il particolare di Hugh addormentato nella "sala lunga". — Può darsi che lui abbia veramente visto qualcuno, come ha detto — osservò con aria pensosa. — D'altra parte è possibile che sappia più di quanto ammette. Ricordate che non abbiamo a che fare con un imbecille, beninteso, se questo è un delitto. E se si vuole accreditare l'ipotesi che l'assassinio sia stato commesso da qualcuno della casa, si capisce come si cerchi di far credere che qualcuno vi possa ancora entrare di notte. È vero che anche voi dite di aver visto... ma siete poi sicura che non sia stato uno scherzo dell'immaginazione? — Se fossi un tipo che si lascia impressionare facilmente, non farei certo quello che faccio per voi, non vi pare? — risposi un po' risentita. — Ragione per cui devo ammettere che avete proprio visto... — Sì, era là, e si muoveva su e giù... — E veniva verso di voi? — Così pareva. Vi dico che se avessi avuto in mano una pistola, avrei potuto sparargli. — E avreste fatto bene — aggiunse lui. — Ma questa è appunto la ragione per cui vi ho detto di lasciare a casa la pistola. Si abbandonò sullo schienale della poltrona e riempì la pipa. — Segni di una scala a pioli non ne avete proprio trovati? — Nessuno.
— Bene. Ora fate attenzione. Fra le tre e le quattro di martedì mattina, vale a dire tre ore dopo il delitto, se di delitto si tratta, un certo Baird, che abita nei pressi di Mitchell House, ha telefonato alla vicina stazione di polizia. Ha detto che mentre stava dando una medicina al cane, nel suo garage, aveva visto un uomo con una scala a pioli in spalla entrare nel recinto di casa Manchester, là vicino. Abbiamo subito verificato la cosa, e due agenti mandati sul posto hanno trovato appunto la scala a pioli. Non era precisamente dove era stata lasciata la notte prima, ma apparteneva indubbiamente a casa Manchester. In altre parole, qualcuno aveva portato via la scala, se ne era servito per il suo scopo e poi l'aveva rimessa a posto. — Quanto è lunga questa scala? — Abbastanza da raggiungere il tetto del retro di Mitchell House. — E di là, chiunque fosse, è salito al terzo piano. L'ispettore rise. — Già — disse poi. — Se quella finestra si trovasse sopra il tetto, potremmo spiegare la cosa. Ma è spostata di circa un metro e mezzo. Comunque l'ora è molto interessante. Noi abbiamo portato via il cadavere alle due, e io sono tornato a parlare con voi pochi minuti dopo le tre. — Allora quel fruscio che avete sentito... — È possibile: per quanto non riesca a persuadermi che, mentre me ne stavo seduto sotto il portico, qualcuno abbia potuto sistemare quella scala per fare scendere qualcun altro. E se i fatti si sono svolti proprio così, io sarei proprio un buono a nulla! — Quel fruscio lo avevo sentito mentre ero in cucina, poco prima — osservai. — Vi hanno descritto quell'uomo? — Baird dice che sembrava alto e forte, e portava la scala senza difficoltà. Ma il particolare curioso è questo, per quanto Baird possa essersi sbagliato. Lui afferma che l'uomo con la scala era in abito da sera. Non ha potuto vederlo in faccia perché portava un cappello tirato sugli occhi, ma giura che ha visto lo sparato bianco della camicia. Perché una scala a pioli? Ho guardato bene e se qualcuno è stato capace di usare quella scala per entrare nella finestra del terzo piano, vuol dire che aveva le ali. — Comunque segni di scale a pioli non ce n'erano. — Li possono aver fatti sparire, naturalmente. Feci l'atto di andarmene, ma lui non poté notarlo, perché si era alzato, si era avvicinato alla finestra e mi voltava le spalle. — Non veniamo proprio a capo di nulla — disse sempre rivolto verso la finestra. — Questa vostra ragazza fa presto a spiegare tutto. È stata la vec-
chia, con l'aiuto dei suoi domestici, per non andare a finire all'ospizio. Hugh ha noleggiato un'automobile e si è messo a seguire Albert, cosicché il giovane ha cominciato a portare una pistola per difesa personale. Che storia ha mai inventato Albert, per raccontarla alla sua fidanzata, e perché l'ha inventata? — Non è detto che non fosse vera. — È possibile, lo ammetto. Ma perché Hugh, che lo avrebbe seguito per qualche tempo, e una volta gli avrebbe anche sparato addosso, perché, dico, si sarebbe poi deciso a ucciderlo proprio in casa, in modo da farsi sospettare? Ditemelo voi, cappellino rosso. Scherzi a parte, è proprio un bel cappellino e vi sta d'incanto. — Grazie. Ho bisogno di sentirmi dire qualche parola gentile... Rise, tornò dietro la scrivania e si abbandonò sulla poltrona. — Insomma, come mi pare di avervi già detto, è un caso molto strano. Abbiamo solo due alternative: o il giovane ha finto, quella sera, per non addolorare la ragazza, e poi è andato a casa e si è ucciso, il che non mi sembra possibile se la ragazza ha detto la verità, oppure le sue apprensioni non erano infondate ed è stato ucciso. Se è stato lui a uccidersi come ha fatto? Se non è stato lui, chi è stato allora e perché e come? Questo è il bandolo che dobbiamo trovare, ma né io né tutta la "Squadra Omicidi" sappiamo, per il momento, dove mettere le mani. A che pro dobbiamo pedinare Hugh? Per seguirlo fin dal droghiere? Intanto il tempo passa e in un delitto sono i primi cento minuti che sono pericolosi per un assassino; dopo, ogni giorno che passa, è un vantaggio. Gli chiesi delle impronte digitali sulla pistola e seppi che il verdetto dell'inchiesta era basato soprattutto su quelle impronte. — Sono di Albert, non c'è dubbio — disse — appena visibili, ma sono di Albert. Naturalmente il magistrato sa, come so io, che la pistola può essere stata maneggiata con un fazzoletto oppure che l'assassino, se c'è un assassino, ha usato i guanti. Ma un suicida generalmente, prima di sparare, tormenta con la mano l'arma e vi lascia un'impronta ben definita. Nonostante tutto, vi dico francamente che se non ci fosse la circostanza, per me irrefutabile, che non si sono trovate tracce di polvere da sparo sulla ferita, crederei a un suicidio e non ci penserei più. Non gli ricordai la posizione del cadavere e il fatto che la pallottola aveva scheggiato il caminetto. Questi particolari lui li conosceva meglio di me. E non se li era dimenticati. Infatti aprì il cassetto della scrivania e prese tre fotografie.
— Studiatele bene — disse. — Può darsi che voi riusciate a vedere quello che sfugge a me. Le ho studiate tanto che adesso non le posso più guardare. Non erano piacevoli a vedersi, ma un'infermiera deve familiarizzarsi con la morte, e io mi avvicinai alla finestra e le esaminai ben bene. Una raffigurava solo il cadavere; un'altra mostrava il cadavere e il cassettone; la terza, presa dalla soglia, mostrava l'interno della camera, compreso il caminetto. Nella seconda si vedeva un punto bianco sul pavimento, fra il cadavere e il cassettone, e io lo osservai attentamente. Era un triangolino bianco di pochi centimetri. — Vedete qualcosa? — chiese l'ispettore. — No. Che cos'è questo punto bianco sul pavimento? Un difetto della lastra? — Un difetto? Si alzò e guardò anche lui attentamente la fotografia che io tenevo in mano. — Dove? — Qui, vicino al cassettone. — Pare un pezzetto di carta — disse. — Perché? — Non saprei, me lo domando anch'io. Suppongo... Quello sul cassettone non è l'"Herald"? — Sicuro. — Ma è il "Globe" che lui aveva comprato, secondo Paula Brent. Ha comprato il "Globe", per leggere la pagina finanziaria. — Questo non vuol dire che lo abbia poi portato a casa. Eppure vorrei dare un'occhiata al giornale. È possibile... — Prese la lente d'ingrandimento, osservò ancora il punto bianco, e a un tratto mi parve che trasalisse. Certo aveva visto qualcosa che gli era sfuggito a occhio nudo, perché si voltò e mi disse di scatto: — Che ne è stato di quel giornale? Non ne sapete niente, voi? — Niente. Però ricordo che lo stava leggendo il poliziotto che avete lasciato a guardia del cadavere. Allora non seppe più contenersi. — Bestia, cento volte bestia — gridò. — Me la pagherai! E io a mia volta dovrò pagarla a qualcuno! Non dovrei essere qui: il mio posto sarebbe in una stalla, in mezzo agli asini! Oh che bestia! Suppongo che la camera è stata pulita dopo la rimozione del cadavere... — È stata pulita solo il giorno dopo, quando voi avete dato l'autorizza-
zione. — Si capisce — disse l'ispettore, sempre fuori di sé. — Si capisce. Loro sapevano, dovevano averlo intuito, che diavolo! Ecco che cosa deve essere andata a prendere la vecchia. Doveva averlo saputo in qualche modo. Al diavolo Kelly! Se quel giornale fosse rimasto dove l'avevo lasciato io... Conoscevo anch'io i regolamenti e sapevo bene che nulla sarebbe dovuto essere rimosso. Eppure la "Squadra Omicidi" aveva già fatto tutti i rilevamenti del caso, quando l'agente Kelly aveva raccolto quel giornale. Anche i fotografi se n'erano andati. E il povero Kelly doveva bene ingannare il tempo: non è allegro stare seduti in compagnia di un cadavere. — Che cosa ne fanno dei giornali in casa? — domandò. — Li conservano? — Hugh li brucia. — Naturalmente! È certo che almeno quello deve averlo bruciato. E io che non ci ho fatto caso! Mi andavo scervellando per trovare il mezzo con cui avrebbe potuto uccidersi senza lasciare traccia di polvere da sparo ed ecco che il mezzo, il mezzo più semplice di questo mondo, era là. Guardate quel pezzettino di carta sul pavimento. Non vi suggerisce nulla? — No, nulla! — E, non siete la sola! Non ha suggerito nulla, quella notte, nemmeno a mezza dozzina di investigatori, il cui mestiere dovrebbe essere proprio quello di pensare a queste cose! — Adesso siete propenso a pensare che Albert Wynne si è suicidato? — Perché no? La cosa è possibilissima. E che fosse possibile, quel pezzettino di carta avrebbe dovuto farlo pensare a mezza dozzina di imbecilli, compreso il sottoscritto, che quella notte si sono comportati come se non avessero cervello. Che diavolo! Si è verificato proprio un caso simile nel New England, la scorsa primavera. Probabilmente Albert lo ha letto sui giornali e forse anche la vecchia. Prese un giornale, lo spiegò sul ripiano della scrivania, lasciandolo sporgere da una parte solo per pochi centimetri e poi vi si inginocchiò davanti. — Ora guardate bene. Io sto per uccidermi, ma mi sono assicurato per una grossa somma e voglio fare apparire che si tratti di un assassinio. Ecco come si fa. 9 Trasse di tasca la penna stilografica e me la mostrò.
— Guardate — continuò. — Questa penna è la pistola. Io sto per farmi saltare le cervella, ma non voglio lasciare tracce di polvere da sparo sulla mia pelle. Che cosa faccio? Sollevo le prime e le ultime due o tre pagine del giornale, ma solo un angolo, in modo che poi ricadano sulle altre. Capite la mia idea? — Mi pare. — Benissimo. Adesso mi sparo un colpo di pistola, ma attraverso queste pagine centrali. Facendo cosi, le tracce della polvere rimangono sul giornale, non sulla mia pelle. Dopo lo sparo, muoio e quindi lascio il giornale. Le prime e le ultime pagine cadono sulle altre. Se poi qualcuno prende il giornale e lo guarda, non si accorge di nulla. Le prime e le ultime pagine sono intatte. Io stesso ho guardato quel giornale e voi mi dite che anche Kelly lo ha letto. Eppure le pagine centrali erano state bucate da una pallottola e mostravano tracce di polvere da sparo. E c'erano tracce anche su quel pezzettino di carta, nella fotografia, che non è stato stracciato, ma portato via dal colpo. Ah, quel giovane non era sciocco, signorina Adams, e se riesco a provare la sua scaltrezza, farò risparmiare non pochi quattrini alla società assicuratrice. — Per conto mio, non ci credo — dissi con ostinazione. — Credere o non credere, le cose si presentano così. Niente di più probabile che quel pezzetto di carta non fosse più sul pavimento, quando i nostri uomini hanno fatto la perquisizione e che sia stato il primo lampo di magnesio a spostarlo. — E gli stracci per pulire la pistola e l'olio trovati sul giornale? — Tutto predisposto ad arte, per mascherare la verità! Io non potevo che scuotere la testa. — Parlate con questa ragazza — dissi. — Non credo che Albert sia andato al cinema quella sera, abbia preso il giornale, guardato la rubrica finanziaria, baciato la sua fidanzata, e poi sia tornato a casa fischiettando... se intendeva uccidersi. Non ci sarebbe senso! Mi parve un po' esitante. — Convocherò quella signorina, e vedrete che le caverò di bocca la verità. — Dirà a voi quello che ha detto a me. Può darsi che Albert si sia ucciso, ma certo non ci pensava quando ha salutato Paula. L'ha lasciata verso le undici e la Mitchell ha trovato il cadavere poco prima di mezzanotte. In meno di un'ora, quindi, sarebbe andato a casa e avrebbe cambiato umore al punto di uccidersi? E dove ha preso quella copia dell'"Herald"? Non ditemi
che si è fermato a comprarlo per farne l'uso che secondo voi ne avrebbe fatto, dal momento che aveva già in tasca il "Globe". Parlate con Paula Brent e poi cercate di scoprire chi ha messo sul cassettone quella copia dell'"Herald". Se è possibile fare in modo che un suicidio appaia un omicidio, perché non dovrebbe essere possibile il contrario? — Ma non è apparso un suicidio, ricordatelo bene! — Ma una disgrazia sì; tale è stata la conclusione dell'inchiesta. E c'è un'altra cosa, ispettore. La storia dell'inseguimento non credo che sia una fandonia. E chi gli ha tirato le revolverate quella sera in aperta campagna? Vedrete che anche questo particolare è vero. — Eh, cose simili capitano spesso di questi giorni. Io insisto nel dire che, se lui aveva l'intenzione di uccidersi e di far credere a un omicidio, avrebbe inventato proprio una storia di questo genere e l'avrebbe raccontata a qualcuno perché la riferisse. — Ma perché avrebbe voluto far credere a un omicidio? Caso mai, con quegli stracci per pulire la pistola sparsi qua e là, l'olio e tutto il resto, si potrebbe pensare che avesse voluto far credere a una disgrazia. Qui finì il nostro colloquio, e io tornai alla mia ammalata. Ma non subito. L'ispettore aveva finito con l'irritarmi. Per la prima volta le nostre deduzioni non collimavano. Non credevo affatto che Albert Wynne si fosse ucciso. Credevo al racconto, per quanto vago, di Paula Brent e tremavo al pensiero del terrìbile interrogatorio che l'aspettava. Lungo la strada mi riprese l'indecisione. Fermai un tassì e rimasi con la mano sulla maniglia, ancora esitante. Finalmente diedi all'autista l'indirizzo di casa Brent, chiusi lo sportello e mi sedetti combattuta fra indecisione, rimorsi e mille emozioni diverse. Andavo a mettere in guardia Paula. Nessuno meglio di me conosceva i metodi della polizia. Non l'avrebbero maltrattata, ma avrebbero facilmente capito che lei non diceva tutto quello che sapeva. Allora non le avrebbero dato più pace. L'avrebbero tormentata con domande su domande e avrebbero cercato di confonderla, finché, esausta, avrebbe perduto ogni forza di resistenza. La casa dei Brent si trovava a Roxdale, in periferia. Era una di quelle vecchie case coloniali che dovrebbero avere ancora adesso per sfondo filari di alberi. Sul retro e lungo il viale d'accesso, si allineavano diversi garage in pietra e legno. Paula era in casa, e non mi sorprese il fatto che la signora Brent fosse fuori, tutta dedita alle sue opere di beneficenza. Conosco questo genere di
donne che si affannano ad andare in giro e lasciano le loro figlie alla mercé delle governanti, fino all'età in cui escono da sole, e poi si meravigliano se succedono i guai. Il maggiordomo mi condusse in un ampio salotto nel quale trovai Paula. Ma, entrando, dal suo atteggiamento e dal suo modo di fare ebbi l'impressione che un momento prima lei non fosse sola, e che qualcuno era uscito da una porta mentre io entravo dall'altra. Mi parve che la ragazza stesse meglio. Lei riuscì perfino a comporre un sorriso, per quanto la mia apparizione l'avesse un po' sorpresa. — Avete scoperto subito chi sono — disse. — Ho visto più di una volta la vostra foto sui giornali, signorina Brent. — Davvero? Non ci avevo pensato. Quando le dissi che la polizia l'avrebbe probabilmente convocata per farle alcune domande, non seppe nascondere il suo turbamento e si mise a sedere, come se le tremassero le ginocchia. — Come fate a saperlo? — Questa mattina ci hanno visto insieme e io credo che poi vi abbiano seguita fino a casa. Ho ritenuto opportuno avvertirvi. La polizia ha certi modi per scovare quello che cerca... Accese una sigaretta, affettando indifferenza, ma notai che le sue dita avevano un piccolo tremito. — Dirò loro né più né meno di quello che ho detto a voi. — Se non c'è altro... — Albert è stato ucciso da qualcuno di casa, probabilmente Hugh, e la vecchia lo sa. Se la polizia ha l'intenzione di salvare la famiglia Mitchell, io mi rivolgerò alla stampa e spiattellerò tutto quanto. Di questo, se credete, potete avvertire la polizia. Ma era una semplice bravata. Non avrebbe mai fatto quello che diceva. Lo si capiva da tutto il suo atteggiamento. Era pallida e non riuscì a resistere molto. Si accasciò sul divano e scoppiò in un pianto dirotto, come se le si spezzasse il cuore. Feci del mio meglio per calmarla e da quel momento, in tutto quello che stava per succedere, mi trovai sempre, inconsapevolmente, dalla parte della ragazza, contro la polizia. E questo nonostante mi fossi accorta che, mentre il maggiordomo mi accompagnava alla porta, lei si era precipitata nella camera vicina, dove qualcuno aveva atteso che il nostro colloquio finisse, forse origliando. Julia Mitchell a cena mangiò con discreto appetito, quella sera, e anche i domestici mi parvero più sollevati. Perfino il mio pasto fu il più abbondan-
te di quelli che mi erano stati serviti fino allora e Hugh si muoveva più liberamente intorno alla tavola. Il che, tutto considerato, era più che naturale. Nessuno in casa aveva mai amato Albert Wynne, e la sua morte e il verdetto dell'inchiesta significavano per loro la bellezza di centomila dollari. Cominciai a credere anch'io che quella morte, per quanto diversa dall'interpretazione che ne dava ora l'ispettore, aveva avuto indubbiamente i suoi lati positivi. Dopo tutto, la sicurezza economica di tre persone in età avanzata non era poi una brutta cosa in cambio di un giovane che nessuno a questo mondo aveva apprezzato, salvo una ragazza che non sapeva decidersi a dimenticarlo. Fui comunque sorpresa nell'apprendere che durante la mia assenza si erano prese alcune decisioni. Me ne parlò Hugh quando mi portò la frutta. — Perdonate, signorina, ma è mio dovere informarvi che il dottor Stewart e l'avvocato Glenn rimarranno qui, questa notte. — Tutti e due? E perché? — Credono che sia prudente. L'avvocato Glenn si tratterrà fino alle due del mattino e il dottor Stewart gli darà il cambio. Non potrà venire prima perché ha un caso grave. — Ma hanno detto la ragione? — No, signorina. Perdetti la pazienza. — Via, date retta a me, Hugh. Se sapete qualche cosa è vostro dovere avvertire la polizia. Che cosa c'è? Chi c'era la notte scorsa sul pianerottolo? E chi temono che possa entrare un'altra volta questa notte? Ma lui non mi seppe dare alcuna spiegazione. I due uomini si erano incontrati in casa, quel pomeriggio, e Hugh aveva riferito loro ciò che era successo la notte precedente. Allora l'avvocato Glenn aveva deciso che era opportuno stare in guardia. — Dopo tutto, signorina — continuò Hugh — se qualcuno è entrato lunedi notte e poi ancora ieri notte, non ci sarebbe da meravigliarsi se ritentasse una terza volta. — Ma con quale scopo, Hugh? Perché qualcuno dovrebbe cercare di entrare qui, di notte? — Non ne ho la più lontana idea, signorina. Ebbi l'impressione che fosse sincero. Due o tre particolari, però, destarono la mia curiosità. Sebbene l'atmosfera generale sembrasse più serena, mi pareva che ci fosse del malumore
fra Hugh e Mary. La donna attendeva ai suoi lavori mentre Hugh preparava il vassoio per la signorina Julia. Una volta lui le rivolse la parola, ma Mary non si voltò nemmeno. Inoltre, quando mi diede il cambio perché andassi a cenare, doveva aver detto alla vecchia qualche cosa che la turbò, perché al mio ritorno il suo polso era leggermente accelerato. Quando Glenn arrivò, verso le nove, fece un giro d'ispezione per tutta la casa con una gravità quasi grottesca. Rimase a lungo in cucina con Mary, poi curiosò in tutte le stanze, perfino la cantina. Anzi, per poco non scese la scala della cantina ruzzoloni, perché proprio al primo scalino inciampò in un barattolo di vernice rossa, lo rovesciò e si imbrattò tutto quanto. Poveraccio! Lo sentii imprecare dalla camera dell'ammalata e scesi in tempo per vederlo emergere tutto cosparso di rosso, tanto che pareva insanguinato, e in preda a una rabbia folle. Si fece portare altri abiti e la casa puzzò di vernice per tutta la notte. — Come ha fatto, Mary? — Non saprei, signorina. Certo farebbe meglio a non ficcarsi in tutti i buchi della casa. Dopo questo incidente, ognuno di noi attese alle sue faccende. A quanto pare Glenn aveva portato con sé qualche pratica da esaminare, poiché alle dieci arrivò la sua segretaria privata, e fu proprio lei, Florence Lenz, a procurarci il solo momento drammatico di quel mercoledì notte. L'avevo vista quando era entrata e non mi era piaciuta molto. Si era vestita evidentemente per l'occasione e quando si fermò nell'ingresso, notai che si incipriava il naso. Alla prima occhiata inquadrai perfettamente il tipo. Era una di quelle dattilografe che non dimenticano mai che il loro principale è un uomo e che, quando si tratta di un uomo di mondo come l'avvocato Glenn, scapolo, si può sempre sperare in qualcosa, che può concretizzarsi in un elegante appartamentino o addirittura in un anello matrimoniale. Ma quella ragazza era anche un'abile segretaria e lavorarono insieme fino a mezzanotte, in biblioteca, con la porta aperta. Di tanto in tanto lui usciva, faceva il giro del pianterreno poi rientrava. Potevo sentirlo mentre dettava in tono monotono. A mezzanotte, la ragazza andò via. L'autista dell'avvocato la riaccompagnò a casa. Tre minuti più tardi, quando io stavo finalmente per mettermi a letto, sentii suonare furiosamente il campanello dell'ingresso e Glenn corse ad aprire. Fui sorpresa anch'io quando lui socchiuse la porta. Sulla soglia si vedeva
l'autista, con la segretaria in braccio, impacciato come può esserlo un uomo in simili circostanze. — Che cosa è successo? Si è fatta male? La giovane riuscì a reggersi da sola per qualche secondo, poi cadde mollemente ai piedi di Glenn. Corsi giù in vestaglia e a piedi nudi, e appena le ebbi guardato le pupille capii che non si trattava affatto di svenimento. Corsi in cucina e presi una bottiglietta d'ammoniaca. Avevo visto molti di quei pretesi svenimenti e sapevo che respirando i vapori della pungente sostanza, il soggetto ritornava in sé. Anche in quel caso l'ammoniaca fece il miracolo. Florence tossicchiò un paio di volte, e quando aprì gli occhi mi lanciò uno sguardo carico d'odio. — Sedetevi, signorina Lenz, e non fate sciocchezze — le disse Glenn. — Che cosa vi è successo? — Un uomo — rispose lei, mentre tossiva ancora per l'ammoniaca. — Un uomo mi ha buttata a terra e mi ha preso a calci. — Buttata a terra? Un'aggressione? — Mi ha buttata a terra e mi ha preso a calci. — Questo me l'avete già detto! Ma dove è successo? — Voltato l'angolo. — Quale angolo? — L'angolo della casa. Qualche cosa di vero ci doveva essere. Si vedeva un taglio al ginocchio — portava le calze arrotolate, naturalmente — e aveva un bel bernoccolo sulla testa. Glenn non le chiese altro. Uscì in fretta dalla porta e ci lasciò sole. — Che cosa orribile mi avete dato? — Vi ha rimesso in sesto. — Già, ma quasi mi uccideva. Non aveva tutti i torti, e io, presa dal rimorso, corsi in camera mia a prendere cerotto e bende. Stavo ancora fasciandole il ginocchio e lei continuava a protestare, quando Glenn rientrò. Allora lei ci raccontò l'accaduto. Si era avviata verso l'automobile, ma poi aveva voluto dare un'occhiata intorno a quel famoso palazzo Mitchell di cui aveva tanto sentito parlare. — Avevo detto a Mac, l'autista, di aspettarmi — continuò — perché volevo fare il giro della casa, ma avevo appena voltato l'angolo, che un demonio mi ha aggredita, mi ha buttata a terra e mi ha picchiata brutalmente. Potete chiedere conferma a Mac, che l'ha sentito scappare. La cosa poteva avere una certa importanza. Ci liberammo finalmente di
Florence. Chiamammo Mac, perché l'aiutasse a camminare e Glenn l'accompagnò fino all'automobile. Questo fu il solo incidente di quella notte. Quando alle due arrivò il medico per prendere il posto di Glenn, gli raccontammo l'accaduto. Ma Stewart non vi diede eccessiva importanza, e disse che probabilmente si era trattato di qualche autista che rientrava tardi e che forse si era spaventato più della ragazza stessa. Dopo che Glenn andò via, capii che Stewart non vedeva la necessità di quella veglia notturna. — Sono pronto a fare la mia parte — mi disse. — Sono abituato a perdere il sonno, se necessario. Ma che cosa si sono messi in mente Glenn e Hugh? Che qualcuno voglia portare via i vecchi mobili di questa casa? Poi si accoccolò alla meglio sul vecchio divano dell'atrio e dormi saporitamente per tutto il resto della notte. Dal mio letto improvvisato ai piedi del grande letto di noce, lo sentii russare per un pezzo, fino a quando riuscii a prendere sonno anch'io. Avevo bisogno di dormire, quella notte, e fortunatamente dormii. 10 La mattina dopo mi svegliai di buon'ora, ma mi attardai a letto pensando all'incidente del giornale e all'ipotesi dell'ispettore. Era evidente che se si trattava di un omicidio camuffato da suicidio, il particolare del giornale diventava molto importante. Supponiamo infatti che Hugh fosse stato accusato di essere l'assassino. Lui avrebbe in tal caso potuto produrre quel giornale e dimostrare che Albert si era suicidato, predisponendo tutto in modo da far credere a un omicidio o a una morte accidentale. In tal caso il giornale non poteva essere stato distrutto: doveva invece essere stato accuratamente nascosto, forse in biblioteca, dove io non lo avevo trovato, o meglio ancora nell'appartamento dei domestici. Alle sette sentii il dottor Stewart muoversi nell'atrio. Per lavarsi, si arrangiò in un vecchio lavabo di marmo situato nel sottoscala. Subito dopo uscì e, da una finestra, gli vidi fare il giro della casa. Non dovette scoprire nulla di sospetto, perché dopo aver preso una tazza di caffè, venne su a visitare la vecchia Mitchell. Era molto scettico sulla storia di Florence. — Sono certo che non l'ha aggredita nessuno — disse. — Secondo me, la ragazza, non so come si chiami, ha inciampato, è caduta, poi ha inventato la storia per Glenn, tanto per rendersi interessante. Il mio amico Glenn
non è ammogliato. Poco dopo andò via e io scesi per la colazione. Quella mattina non potei fare a meno di osservare Hugh con una specie di indignazione. Non avevo mai visto un uomo così freddo. Con mano ferma posò sul tavolo il mio vassoio, mi portò con indifferenza il prosciutto affumicato e con uguale indifferenza mi mise sotto gli occhi un giornale col titolo a grandi caratteri: "Il verdetto per Wynne: Morte accidentale". Alzai la testa per guardarlo negli occhi, ma lui voltò lo sguardo da un'altra parte. — E così, Hugh, è finita. — A quanto pare, signorina. Nessuno parlò, quando andai in cucina a prendere il vassoio per la vecchia; Mary sembrava di malumore. Che cosa sapeva Mary? Che cosa sapeva la signorina Julia? Che loro tre avessero un segreto in comune, per me era ormai fuori dubbio. Perché infatti Mary avrebbe scritto qualche cosa per la vecchia e subito dopo distrutto il foglio? Perché si era risentita con Glenn, la notte precedente? Da allora in poi, durante le veglie notturne, mi sono chiesta spesso se quella povera vecchia ha mai intuito che la sospettavo di complicità e ho pensato al prezzo che lei ha dovuto pagare per convincermi della sua innocenza. Sono contenta se non altro di ricordare che, se da allora in poi sono stata poco indulgente nei suoi confronti, ho comunque fatto il mio dovere di infermiera e, spero, qualcosa di più. Quella mattina, giovedì, Albert fu sepolto. Mi dissero che al funerale c'erano pochi, vecchi amici di famiglia e un'enorme folla di curiosi. Di tutti i presenti, tuttavia, la sola che sembrava veramente addolorata era Paula Brent, che non aveva voluto mancare alla cerimonia, senza curarsi delle conseguenze. Hugh non partecipò, ma alle dieci Mary, tutta vestita di nero, comparve sulla soglia della camera della Mitchell, e gridò alla vecchia: — Vado, signorina Julia. — Grazie, Mary. Niente altro. A mezzogiorno, l'ispettore mi telefonò per dirmi che nel pomeriggio avrebbe interrogato Paula Brent e che desiderava la mia presenza. — Dovete venire per controllare il suo racconto — mi disse — e notare se vi sono discordanze. Ora appare molto turbata, ma prima che voi veniate qui si sarà certo ripresa. Mi guardai attorno: Hugh era in cucina e Mary non era ancora tornata. Abbassai la voce.
— Avreste potuto lasciarle un po' di tempo, ispettore, dopo il turbamento di questa mattina. — Ha già avuto tre giorni — rispose lui in tono significativo, e depose il ricevitore. Quando tornai di sopra, ero molto perplessa: che cosa aveva voluto significare con quei tre giorni? Mary ritornò subito dopo e vidi che portò giù gli abiti del morto. C'erano i vestiti, le camicie, i colletti, le cravatte di Albert; quella fretta di liberarsi dei vestiti di quel povero ragazzo mi fece pena. Chiamai Mary e glielo dissi. — Perché tanta premura? Non si poteva aspettare? — È stata la signorina Julia: vuol vedere questi indumenti a uno a uno prima che vadano all'"Esercito della salvezza". Del resto, che male c'è? Quanto a lui, poveretto, non ne avrà più bisogno. Quando rientrai nella camera della signorina Julia, trovai il polso dell'ammalata non molto soddisfacente. Le somministrai un po' di digitale e la consigliai a non occuparsi degli indumenti del ragazzo, per un giorno o due. — Le vostre condizioni, signorina Julia, non vi permettono emozioni del genere — le dissi piuttosto severamente. — Se la roba rimane là anche un giorno di più, poco importa. Ma io non posso rispondere della vostra salute col medico, se voi non ubbidite agli ordini. Lei annuì. — È Mary che voleva disfarsene — disse. — È vero che non c'è premura. Non sapevo che cosa pensare di quelle affermazioni contraddittorie. Forse che le due donne intendevano esaminare insieme gli indumenti del morto? Forse avevano paura che Albert avesse lasciato qualcosa, magari una lettera che avrebbe potuto modificare o addirittura annullare il verdetto della giuria, così prezioso per loro? Di solito i suicidi lasciano una lettera. Eppure, se Albert si fosse ucciso, perché avrebbe dovuto darsi tanta pena per non far credere a un suicidio, e poi lasciare una lettera? A meno che si fosse trattato di una lettera indirizzata a lui da qualcun altro, forse da Paula. Quasi certamente la ragazza gli doveva avere scritto. La sola ipotesi che io potessi fare era che Paula gli avesse scritto, avvertendolo del pericolo che lo minacciava, e che le due donne dovessero sospettare qualcosa. Ma naturalmente questa ipotesi presupponeva che entrambe sapessero del pericolo corso da Albert e del fidanzamento con Pau-
la. Del resto io non potevo avere idee precise. Ero solo certa che Julia e Mary dovevano aver frugato negli abiti di Albert. Quando comparvi sul pianerottolo, Mary posò in fretta sulle scale un soprabito che aveva una tasca rovesciata. Naturalmente questo non provava nulla. Tutti guardano bene nelle tasche degli abiti di cui stanno per disfarsi. O poteva essere stata la polizia. Fu solo il gesto frettoloso che mi colpì. Avrei preferito farmi levare un dente piuttosto che andare dall'ispettore, quel pomeriggio. A differenza dell'ufficio del capo della polizia, che sembrava un museo di criminologia, pieno di revolver, di armi di ogni genere e perfino di un pezzo di osso umano appiccicato a un cartoncino, la stanza dell'ispettore era semplice e nuda, a parte un paio di sedie e una grossa scrivania con due telefoni. Rimasi per qualche istante con la mano sulla maniglia della porta prima di decidermi a entrare e a trovarmi faccia a faccia con Paula. Né il mio senso di disagio fu minore, quando, poco dopo, lei alzò gli occhi su di me, con un breve sorriso nervoso. — Così hanno tirato in ballo anche voi — disse. — A quanto pare. — Ebbene, spero che almeno a voi l'ispettore crederà. A me no. Pensa che Albert si sia ucciso. — Se ne fosse proprio sicuro, voi non sareste qui — osservai. E così era, infatti. L'interrogatorio era appena incominciato e mi accorsi subito che l'ispettore aveva abbandonato, almeno per il momento, l'ipotesi del suicidio. Paula sopportò la prova molto bene. Mentre la osservavo, rivolta verso la luce, come tutti coloro che venivano in quegli uffici per essere sottoposti a un interrogatorio, notai un particolare patetico: la ragazza aveva ancora l'abito e il cappellino neri che aveva indossato per il funerale. Anche l'ispettore doveva aver notato la cosa e averne provato un senso di pietà, perché la trattò con insolita gentilezza. Il racconto che Paula fece in quell'ufficio fu lo stesso, parola per parola, di quello fatto a me. Di tanto in tanto l'ispettore mi interrogava con lo sguardo, e io facevo cenno di sì. Fu solo quando, dopo aver finito il racconto, Patton cominciò a rivolgerle qualche domanda, che Paula mi parve meno sicura di sé. — Ora ditemi come mai vi trovavate davanti alla casa dei Mitchell, quella notte. Non eravate per caso stata nella camera di Albert? — Che cosa volete dire? — Nulla, signorina Brent, una semplice domanda. Non vi allarmate, non vi sospetto di averlo ucciso. So benissimo che voi non c'entrate, ma sup-
pongo che voi due abbiate litigato e che dopo la vostra partenza lui abbia deciso... Vedete bene che cosa voglio dire. — No, no, non abbiamo litigato mai. — E allora ditemi come avete trascorso le due ore intercorse dal momento in cui vi siete separata da Albert, fino a quando avete visto la casa illuminata e la macchina della polizia nel viale. — Ho fatto una passeggiata — rispose lei vagamente. — Ero così nervosa... — Per due ore? Dove? — Proprio non saprei. — Lo sapete, invece — replicò Patton, bruscamente. — Voi conoscevate molto bene questa città. Dovevate ritornare a casa. Andiamo, signorina Brent, perché non volete dirci tutta la verità? — Quello che ho fatto non ha nulla a che vedere con l'accaduto. Io non l'ho ucciso. — Dove eravate quando è accaduto quell'incidente? In quale zona? — Quale incidente? — Non è capitato qualcosa alla vostra macchina? La ragazza ricordò il particolare e mi guardò con sospetto. — Si era sgonfiata una gomma. Mi trovavo nei pressi di Norrisville. Ho impiegato un po' di tempo a cambiarla. Allora, mentre Paula era ancora confusa per la momentanea dimenticanza, Patton lanciò la bomba: — Per quale motivo siete andata a prendere la scala a pioli? La giovane sgranò gli occhi e per un momento non riuscì a parlare. — Una scala a pioli? Non so di che cosa state parlando. — Ho paura che lo sappiate bene — disse pacatamente l'ispettore. — E vi consiglio di non nascondere nulla che possa avere riferimento con l'accaduto. Voi avete preso una scala a pioli, l'avete trascinata lungo il viale, poi attraverso i cespugli del giardino dei Mitchell, lasciandovi alle spalle una bella traccia. Se volete vederla, posso mostrarvi un disegno. Paula scrollò la testa, poi si rannicchiò nella poltrona, la faccia pallida e spaventata. — Non capisco — mormorò debolmente. — Non so di che cosa state parlando. Per la verità, non lo sapevo nemmeno io. Il giorno prima l'ispettore mi aveva detto che un uomo aveva trafficato con una scala, ed ecco che ora accusava la ragazza. Ma lui aveva i suoi metodi e trascurò subito quel par-
ticolare per passare a un altro argomento. — Avete detto alla signorina Adams che i familiari di Albert, o meglio, la signorina Mitchell e i suoi domestici, non avevano simpatia per lui. — Lo odiavano. — Come fate a saperlo, voi? — Me lo aveva detto tante volte! Negli ultimi tempi le cose erano peggiorate. Da un mese a questa parte. — Peggiorate in che senso? — Era spaventato. Lo seguivano. — Questo è ridicolo. La vecchia non poteva seguire alcuno. — Qualcuno lo seguiva. Tanto è vero che lui ha cominciato a portarsi dietro la pistola. — Non vi ha mai detto chi? — Non lo sapeva nemmeno lui. Adesso sono convinta che fosse Hugh. — Perché Hugh? Non occorre che io ripeta questa parte del racconto di Paula: non differiva da quanto aveva detto a me. Aggiunse solo un particolare nuovo, e cioè che se Albert si era rifiutato di darle spiegazioni sui suoi timori e sui suoi sospetti, le aveva però detto di avere scritto una lettera per lei, in modo che se gli fosse capitato qualcosa, lei avrebbe capito. Aggiunse che quel mercoledì mattina, quando io l'avevo sorpresa nel giardino, lei si trovava là appunto per cercare di entrare in casa e trovare quella lettera. — È questa la verità? — fece l'ispettore. — Sì, la verità — ripeté Paula. — Non eravate là per vedere se la scala avesse lasciato segni, e in caso affermativo per cancellarli? — Quale scala? Tutte quelle domande evidentemente l'avevano spaventata, perché cominciò di nuovo a piangere. Protestò di non sapere niente della scala. Lo implorò di lasciarla in pace. Voleva tornare a casa. Dopo tutto lei non aveva ucciso Albert, per quanto l'ispettore parlasse e agisse come se fosse convinto del contrario. Quando fu un po' più calma, Patton le domandò: — Sapete se Albert aveva parlato con altri di quella lettera? — Sono sicura di no. L'ispettore annuì e subito dopo si alzò. — Naturalmente non siete in stato d'arresto. Sarebbe ridicolo. Ma ho bisogno di interrogarvi ancora e penserò io ad avvertire la vostra famiglia di non stare in pensiero. Prima di sera vi rimanderemo a casa. Nel frattempo
non vi mancherà nulla e vi faremo portare anche da mangiare. — Perché non interrogarmi ora? — chiese lei. — Se non fate un'imputazione precisa, voi non avete il diritto di trattenermi. — Può darsi — ammise Patton, sorridendo. — Ma certe domande non ve le posso fare ora, e dopo tutto voi e io desideriamo la stessa cosa, non è vero? Vogliamo scoprire chi ha ucciso Albert Wynne, se è stato ucciso, e perché. 11 Quando un'ispettrice di polizia venne a prendere Paula, la ragazza uscì a testa alta e con una leggera aria di sfida. Patton la seguì con lo sguardo fino a che la porta si richiuse. — Ebbene, che cosa ne pensate, signorina Adams? — Le due versioni coincidono. — Eh no! Si era dimenticata della gomma. — E questo cosa prova? La poverina era distrutta! Piuttosto, siete certo che è stata lei a trascinare quella scala a pioli? — Non ne sono affatto certo — rispose lui con calma. — Abbiamo trovato sul terreno le tracce che conducevano verso la casa dei Mitchell, ma non c'erano i segni del ritorno. Questo fa supporre che all'andata, la scala sia stata trascinata fino alla casa da qualcuno che non aveva molta forza: una donna o una ragazza. Al ritorno, invece, è stata riportata al suo posto da qualcuno che aveva forza sufficiente. E infatti, come sapete, hanno visto un uomo. — E quell'impronta, era del piede di Paula? — È una mia supposizione. Paula portava i tacchi alti e per questo si era tolta le scarpe. È una ragazza intelligente e anche se era spaventata, quella sera, non deve aver cessato per questo di servirsi del suo cervello. — Allora credete che abbia fatto scappare qualcuno dal tetto, quel lunedì notte? — Lo credo. — Chi? Patton non rispose alla mia domanda. Tirò fuori la pipa e la caricò. — Vediamo — disse finalmente. — Quando si è in dubbio fra un omicidio e un suicidio, non resta che una cosa da fare: seguire prima di tutto l'ipotesi dell'omicidio fino a quando la pista si esaurisce per mancanza di prove. Ma in questo caso vi sono molti particolari che confermano le mie
prime impressioni. Il magistrato non è venuto a conoscenza di tutto. Io non riesco a immaginare quel giovane, di fronte al cassettone, quando è stato sparato il colpo, e so che non si è mosso di un centimetro, dopo l'esplosione. Ma non vedo nemmeno la ragione di quella scala, a meno che non sia servita per fare scendere dal tetto qualcuno che non sarebbe dovuto esserci, come non doveva esserci quel tale, ieri sera, all'angolo della casa... — Come, lo sapete? — domandai, sorpresa. — So parecchie cose — disse — ma non tutto quello che vorrei sapere. Per esempio: perché quei due stupidi dilettanti hanno preso il posto della polizia? — L'idea è stata loro, non mia. Comunque, vi avevo pur detto che avevo visto qualcosa sul pianerottolo, l'altra notte, ma voi eravate così assorbito dall'ipotesi del giornale, che non vi avete fatto caso. Patton sorrise e continuò: — Be', in realtà abbiamo trascurato entrambi questo particolare. E poi, Hugh, anche se aveva paura, non ha voluto la polizia, ma ha preferito rivolgersi al dottor Stewart e a Glenn. Così ci è sfuggito qualche particolare che potrebbe essere importante. Si appoggiò allo schienale della poltrona. — Dopo aver parlato con questa ragazza — riprese — noto un particolare di cui lei ha evitato di parlarci: la sua famiglia. Paula è spaventata e non sa dire altro che in casa Mitchell tutti ce l'avevano con Albert. Ma c'erano altri che potevano avercela ancora di più. Albert era un debole, con tutti i difetti dei giovani del suo temperamento. Una bella ragazza si era innamorata di lui. Chi aveva una ragione per toglierlo di mezzo? Una ragione più valida di quella che possiamo immaginare noi? — Suppongo che vogliate alludere al signor Brent. Ma io non credo... — No? Eppure i papà talvolta fanno cose incredibili per le loro figlie. Ricordate che Albert era un cattivo soggetto. Poteva già... Basta, non corriamo troppo. Paula sembra una donna di carattere, ma ha un padre, ed è certo che questi doveva avere paura del giovane e di quello che poteva accadere. Badate: io non accuso il signor Brent. Lui entra semplicemente nel quadro generale dell'omicidio, se di omicidio si tratta. Ora torniamo a quella notte. Può darsi che Albert Wynne si sia suicidato, ma non dimentichiamo che era un debole e che tutti i deboli hanno a cuore la loro pelle. Inoltre, se Paula ha detto la verità riguardo al contegno allegro e quasi indifferente di Albert, quando si sono lasciati, dobbiamo supporre che fra le undici e la mezzanotte sia accaduto qualcosa suscettibile di mutare quel-
l'allegria in disperazione. Che cosa può aver fatto Albert in quel brevissimo intervallo, o che cosa può aver saputo? Forse che Paula lo aveva tradito? Il comportamento della ragazza non lo farebbe credere. — No, no — lo interruppi con tono convinto. — Non so se Paula sia stata innamorata di lui o semplicemente infatuata, ma avrete notato che porta ancora l'anello regalatole da Albert. — È vero, e anche un bell'anello. Mi piacerebbe sapere dove aveva trovato i soldi per comprarglielo. A proposito, la storia del parabrezza frantumato a revolverate era vera. Abbiamo trovato le prove. — Si potrebbe supporre che sia stato il signor Brent a passare accanto all'automobile e a sparare. In questo caso mi chiedo come mai non abbia pensato che poteva uccidere sua figlia. Questa mia osservazione contrariò l'ispettore, anche se si sforzò di non darlo a vedere. — Lasciamo stare quell'incidente, per il momento. Sparatorie del genere sono all'ordine del giorno del resto. Supponiamo che il padre della ragazza li abbia seguiti, li abbia visti al cinema e che quando si sono separati abbia seguito Albert. Entra in casa con lui, vengono a parole. La pistola del giovane è sul tavolo e, dopo un animato diverbio, Brent spara. Probabilmente non si trattava di un gesto premeditato, ma l'arma era lì, a portata di mano. Forse era stato quel colpo a svegliare la signorina Julia, sebbene lei stessa non se ne fosse resa conto. La vecchia apre la porta, vede luce al terzo piano e sale le scale. Brent è in trappola! Che cosa fa? Ha solo pochi minuti. Trascina il cadavere davanti al cassettone, gli piega le ginocchia e, servendosi del fazzoletto, posa la pistola sul pavimento, accanto al morto. Poi fugge per la sola strada possibile. — La finestra? — Sì, la finestra. Un uomo agile può lasciarsi andare sul tetto sottostante senza farsi male. Andiamo avanti con questa ipotesi. Paula, quando si è separata da Albert, ha visto suo padre e ha notato che lui seguiva il suo fidanzato. Ha temuto che nascesse qualche guaio. E allora che cosa fa? Li segue a distanza e rimane ansiosa, accanto al cancello. La storia della gomma che si sgonfia nei pressi di Norrisville è un'invenzione pura e semplice. Paula, ripeto, è là, vicino a Mitchell House, e non è sorda. Sente la pistolettata. Che cosa può fare? Vede accendersi le luci e capisce che la detonazione ha svegliato tutti, in casa, ma sa anche che suo padre si trova ancora là. Vede arrivare la prima macchina della polizia e poi l'automobile della centrale. Rimane là, ancora in ansia. Vede entrare voi e vi ferma, ma
da voi non può sapere nulla. Tuttavia, in un modo o nell'altro, deve pur sapere. Ecco che veniamo alla scala a pioli. Sempre seguendo la nostra ipotesi, il signor Brent è ancora sul tetto. Non può scendere e se viene scoperto, per lui è la fine. Immaginiamo che abbia visto sua figlia in basso e che le abbia fatto dei segni, che lei abbia aspettato fino a quando noi ce ne siamo andati e che abbia preso dopo la scala a pioli. Naturalmente tutto questo è una semplice congettura, ma io vi dico che quella notte deve essere successo qualcosa di simile, se Albert è stato ucciso. — E così, mercoledì mattina — continuai al suo posto — quando ha saputo che i domestici erano sotto il torchio della polizia, lei è tornata là per... — Precisamente. Per vedere se erano rimasti i segni della scala ed eventualmente cancellarli. Voi l'avete sorpresa e allora lei vi ha raccontato quella storia. Mi misi a riflettere su quella nuova ipotesi. Era molto verosimile, ma due o tre cose non mi convincevano. — Il signor Brent non è entrato in casa con Albert — conclusi alla fine — in quanto il giovane aveva cominciato a svestirsi. — Può averlo raggiunto poco dopo. — Ma in che modo sarebbe entrato? Il campanello della porta principale suona nella camera da letto dei domestici e in cucina. Li avrebbe svegliati. — Può aver chiamato Albert, da fuori, o aver gettato qualche sassolino contro la sua finestra. Voi e io sappiamo che questo è possibile. Non ero persuasa. — Albert non avrebbe lasciato entrare il signor Brent — dissi — se il racconto di Paula è vero. Avrebbe capito come poteva andare a finire. — Possiamo sempre verificare — propose Patton, dopo una breve pausa. — Faremo sapere alla famiglia che Paula è qui, e se c'è qualcosa di vero nella mia ipotesi, vedrete che Brent padre si precipiterà subito qui. A questo punto Patton mi lasciò andare, dopo avermi detto che probabilmente quella notte sarebbe tornato dai Mitchell per esaminare il tetto e il davanzale della finestra di Albert. — Se è stato un omicidio, è certo che qualcuno è rimasto sul tetto per tutto il tempo che noi abbiamo fatto i primi rilevamenti — concluse. — Ricordo che io stesso ho guardato sul tetto. Ma l'uomo, Brent o chiunque fosse, deve essersi nascosto dietro il comignolo. Certo, Paula sa chi era. Lo giurerei. Non dimenticate questo — aggiunse mentre stavo aprendo la porta. — La mia ipotesi non vale solo per Brent, ma per chiunque avesse un
certo interesse per quella ragazza. Lasciai l'ufficio alle quattro e quando arrivai a casa erano le quattro e mezzo. Lungo la strada comprai un giornale della sera e vidi che i giornalisti avevano già saputo dell'interrogatorio di Paula Brent. "Una signorina dell'alta società interrogata per il caso Mitchell", si leggeva nella pagina della cronaca. Poiché aveva appreso quella notizia dopo il verdetto del magistrato, il "Globe" aveva un po' calcato la mano. Non fui sorpresa quando nel viale vidi l'automobile del dottor Stewart, ma rimasi impressionata dalla faccia di Hugh, quando venne ad aprirmi. — Ha avuto una brutta ricaduta, signorina — disse. — Il dottore cercava appunto di voi. Salii in fretta senza togliermi la vestaglia. La vecchia Mitchell era adagiata sui cuscini e il dottore e Mary stavano chini su di lei. Stewart le teneva sotto il naso un asciugamano imbevuto di nitrito d'amile, il cui odore pungente riempiva tutta la camera. Le presi il polso e notai che era rapidissimo. La faccia appariva congestionata. Passarono dieci minuti prima che il medico togliesse l'asciugamano e lo consegnasse a me. — Credo che ora si riprenderà — disse. — Come si spiega? È successo qualcosa, Mary? — Non lo so, dottore. Era abbastanza tranquilla. A un tratto ha cominciato a respirare affannosamente e ho visto che lasciava cadere il giornale. Allora ho chiamato Hugh, che vi ha telefonato. Stewart rimase fin quasi alle sette. La signorina Julia stava meglio ma non si era ancora rimessa completamente. Era rimasta quasi tutto il tempo con gli occhi chiusi, senza parlare, ma in piena coscienza, e aveva rifiutato il mangiare. Fu solo quando il medico stava per congedarsi, che aprì gli occhi e disse: — Voglio vedere Arthur Glenn. — Non questa sera, signorina Julia. Lo vedrete domani. Lei annuì e chiuse di nuovo gli occhi. Seguii Stewart sul pianerottolo dove lui si fermò pochi minuti sopra pensiero. — Tutto questo non mi piace, signorina Adams — disse. — Mi sembra... Avete visto sul letto quella copia del "Globe"? Temo che la causa di questo nuovo turbamento sia stato un articolo su Paula Brent. La ragazza è stata trattenuta dalla polizia per essere interrogata. — Ho visto — dissi prudentemente. — Il nonno di questa ragazza, molti anni fa, era stato innamorato della
signorina Julia. Ora è morto ma quel nome deve averla colpita. Senza contare che deve averla impressionata il fatto che la polizia, anche dopo la conclusione dell'inchiesta, continua le indagini su questo caso. — Suppongo che non sia tranquilla, dottore. — Certo che non lo è, ma voglio che teniate lontano ogni sospetto dalla signorina Mitchell. È una donna anziana e ha il cuore debole, che può cedere da un momento all'altro. Non deve assolutamente avere scosse. Mentre scendeva le scale, si voltò ancora una volta e mi chiese: — Ha espresso il desiderio di fare testamento? — Con me non ne ha parlato, dottore. — Potrebbe pensarci, però. Adesso ha un bel po' di soldi. So che c'è un vecchio testamento con dei legati per Mary e Hugh. Un grosso lascito, suppongo. Ma se esprimesse il desiderio di fare un altro testamento, fatemelo sapere. Potrei indurla a lasciare qualcosa all'ospedale presso cui lavoro. Questo pensiero del dottore, che era già riuscito, in un modo o nell'altro, a raccogliere denaro per il suo ospedale, era abbastanza comprensibile, ma avrei deciso più tardi se parlargliene o meno, nel caso che la signorina avesse fatto un nuovo testamento. E per tutta quella sera mi mostrai insolitamente premurosa verso la vecchia Julia. La cosa mi aveva dato da riflettere. Dunque esistevano già legati importanti per i domestici. 12 Mentre preparavo la signorina Julia per la notte, accomodandole il letto e facendole le solite frizioni sul dorso, pensavo a molte cose. Eseguivo queste operazioni molto rapidamente, perché sapevo che doveva venire l'ispettore. E fu mentre ripiegavo quella copia del "Globe" e la mettevo via per leggerla più tardi, che mi ricordai di un certo particolare. Più di una volta mi è capitato di scervellarmi su un dato argomento, fino a sentire una tale confusione nella testa da abbandonare ogni speranza di venirne a capo, quand'ecco improvvisamente, senza alcuna apparente ragione, tutto si chiarisce. Eppure il legame c'era. Mentre mettevo a posto i cuscini dell'ammalata, mi ricordai che la vecchia aveva nascosto qualcosa. Mi ricordai anche delle ricerche da me fatte nella biblioteca per trovare quello che Mary vi aveva nascosto. In quell'occasione avevo notato che dietro una fila di libri c'e-
ra un pezzo di giornale. Adesso non vedevo l'ora di scendere e di ritrovarlo. Ma Hugh era sempre là, al pianterreno, e perciò decisi di aspettare finché tutti fossero andati a letto, o magari finché fosse arrivato l'ispettore. Una cosa ho imparato dalla polizia: non compromettere mai il successo per troppa premura. Erano le otto e Patton non era ancora arrivato, quando la signorina Julia che, contrariamente a quanto credevo, non era addormentata, mi chiese se avevo telefonato all'avvocato Glenn. — Non ancora — risposi. — Non è meglio aspettare domani mattina? Ma lei insistette. Bisognava telefonargli subito perché potesse venire il mattino seguente, con l'occorrente per redigere una dichiarazione che lei doveva fargli. Non potei fare a meno di scendere e chiamare Glenn al telefono. — Cosa vuole? — chiese. — Non ne avete idea? — Deve fare una dichiarazione. Pare che la questione della giovane Brent l'abbia turbata. — Una dichiarazione, dice? Che cosa diavolo può sapete per voler fare una dichiarazione? Non ne avete proprio idea? — No, ma da quando quella ragazza è stata interrogata, la signorina Julia si è ficcata in testa qualcosa che evidentemente, secondo lei, deve avere a che fare con questo caso. — Verrò subito — concluse. — Devo andare a teatro e mi fermerò lungo la strada. La signorina Julia fu soddisfatta della risposta. Ebbi l'impressione che fosse non solo molto turbata, ma anche sgomenta, e che si fosse decisa a fare un gesto che avrebbe volentieri evitato. Stavo in piedi accanto alla finestra per vedere se arrivava la macchina di Glenn, quando lei mi confidò, con la sua voce piatta: — Conoscevo il nonno di Paula Brent. Perché adesso devono interrogare Paula? Che cosa può sapere lei di Albert? — Non vi preoccupate — le dissi più gentilmente che potei, a voce alta. — Hanno interrogato tanti altri! — Perché, se sono convinti che si tratta di una disgrazia? — Sapete come vanno le cose. Le compagnie assicuratrici vogliono essere ben sicure, ecco tutto. — Sicure di che? Esitai, ma ero andata troppo oltre. La vecchia mi osservava e io non sapevo come eludere la domanda.
— Capisco anch'io, naturalmente, che è una cosa che non ha senso, signorina Mitchell. Vogliono essere semplicemente sicuri che lui... che la cosa insomma non sia avvenuta di proposito. — Che lui non si sia ucciso? — Già. Chiuse gli occhi e, sebbene fossimo quasi al buio, mi parve di vedere scendere delle lacrime dalle sue palpebre raggrinzite. Ma un momento dopo la vecchia sentì evidentemente ciò che io non avevo ancora avvertito, cioè le vibrazioni della pesante macchina di Glenn, giù nel viale, e allora si riscosse. — Ecco Arthur — disse. — Volete dirgli di venire su? E poi, cara, volete avere la bontà di uscire, in modo che gli possa parlare da sola? Non mi allontanai. Mi ritirai solo nella mia camera, attigua alla sua. Ma dopo le prime parole, non potei udire più nulla. A dire la verità, non cercai neppure. Da tempo avevo dichiarato apertamente all'ispettore che non ero il tipo che si mette a origliare ai buchi delle serrature. Li lasciai in pace tutt'e due, il corpulento avvocato Glenn, nel suo bell'abito da sera, con due perle nere ai polsini e una cravatta nera annodata con cura, e quella vecchia e debole creatura nel suo letto. Forse lei non si accorse che non avevo ancora chiuso la porta, quando cominciò a parlargli. — Arthur — disse — sono stata complice di una grossa cattiveria e ora voglio salvarmi l'anima. Fu allora che Glenn si avvicinò alla porta della mia camera e la chiuse con cura. Quella sera l'avvocato deve essere arrivato a teatro con molto ritardo. Il colloquio durò quasi un'ora, se si può chiamare colloquio quella specie di monotona e insistente litania che proveniva dal letto di noce e che incontrava la resistenza di Glenn: qualunque cosa la vecchia dicesse, lui vi si opponeva. Anzi, una volta o due alzò la voce, tanto che potei sentire le sue parole. — Non credo. Non importa quello che vi ha detto. Non lo credo. E un'altra volta: — Vi è capitata una grossa fortuna nel momento che ne avevate bisogno. E se ci pensate bene, era giusto che vi capitasse. Ma dubito che i suoi argomenti abbiano avuto effetto sulla vecchia. Poco prima delle nove, l'avvocato scese, andò in cucina e sentii Hugh chiamare Mary dalla scala di servizio e dirle di scendere. Evidentemente la donna si rifiutò, e poco dopo sentii Glenn sbattere la porta principale e allontanarsi
in macchina. Quando ritornai accanto alla signorina Julia, la trovai più affaticata, ma sollevata come non l'avevo mai vista da quando ero venuta da lei. — Mi sento molto meglio, mia cara — disse con calma. — Ora credo che dormirò. E dormì, infatti, per una parte di quella notte che per me doveva essere terribile. L'ispettore arrivò alle nove e mezzo, ma nell'intervallo io non ebbi alcuna possibilità di entrare in biblioteca. Hugh continuava ad aggirarsi al pianterreno, ora nella "sala lunga", ora in biblioteca. Pareva fortemente turbato, il che era spiegabile, se l'idea che mi ero fatta della dichiarazione della signorina Julia era esatta: e mentre sedevo in quella camera buia e riflettevo, mi pareva che lo fosse veramente. Mi sembrava allora di vedere le cose abbastanza chiaramente: la signorina Julia, nel mettere al sicuro quella copia dell'"Herald", dopo averla tolta dal posto dove l'aveva lasciata l'agente, trovava quel pezzo di carta sul pavimento e lo metteva tra le pagine del giornale stesso. Quasi certamente quel frammento era ancora dentro il giornale, quando Mary lo aveva preso e nascosto, ma poi era scivolato dietro i libri, senza che nessuno se ne accorgesse. Se questo era vero non c'era stato omicidio. Albert Wynne si era ucciso e la colpa della signorina Julia consisteva nell'aver taciuto quello che sapeva. "Non importa quello che vi ha detto. Non lo credo", erano state le parole di Glenn. Ora, a che cosa avrebbero potuto riferirsi queste parole, se non al fatto che la vecchia sapesse di quel modo di suicidarsi senza lasciare indizi compromettenti? E sebbene, come è poi risultato, io avessi torto in molti particolari, in questo almeno avevo ragione. Julia conosceva lo stratagemma del giornale. L'ispettore arrivò alle nove e mezzo, con un agente. Li sentii salire al terzo piano, preceduti da Hugh, e dopo un po' di tempo capii che l'agente si trovava sul tetto del retro della casa e che avevano difficoltà a farlo scendere. Senza farmi sentire, uscii sul pianerottolo e tesi l'orecchio. — Sta bene, Evans — gridava l'ispettore — andremo a prendere una scala. Feci appena in tempo a rientrare, quando l'ispettore e Hugh ridiscesero. — Ci deve ben essere qui una di quelle scale che si usano in giardino. E la voce di Hugh, calma e rispettosa: — Credo che i Manchester ne abbiano una, signore. È un po' distante,
però. — Ma potremo prenderla lo stesso. Dunque Hugh sapeva di quella scala. Sedetti sugli scalini e cercai di spiegarmi la cosa, finché, dal suono delle voci, capii che i due uomini si stavano dirigendo verso la casa dei Manchester. Allora, confusa, penetrai in biblioteca: confusa perché io e l'ispettore avevamo un'altra volta cambiato idea. Quella sera, cercando dietro i libri quel pezzo di giornale, ero convinta che Albert Wynne si era suicidato, mentre nello stesso tempo l'ispettore aveva fatto sua l'ipotesi dell'omicidio e non aspettava che una scala per provare che era esatta. Ero così assorta nelle mie ricerche che non sentii tornare gli uomini. Non mi fu facile trovare il punto dov'era quel pezzo di carta, tanto che sulle prime credetti che lo avessero portato via. Dovetti togliere dei libri e ammucchiarli sul pavimento prima di trovarlo. Bastò un'occhiata per constatare quanto mi premeva. Non solo ne riconobbi le dimensioni e la forma, ma vidi che era anche bruciato e recava tracce di polvere da sparo. L'avevo appena nascosto nella cintura del grembiule quando sentii un rumore nell'ingresso e mi trovai faccia faccia con Hugh, sulla soglia. L'espressione del suo viso mi colpì vivamente. Se mai in vita mia ho avuto la visione dell'ira mal repressa, fu quella volta. Per un po' lui non riuscì a parlare, poi con uno sforzo disse: — Che cosa state cercando, signorina? — Un libro da leggere — risposi. Nel frattempo lui aveva riacquistato il dominio di se stesso e la sua voce parve più garbata: — Se l'avete trovato, spegnete la luce. — Questo andrà bene — dissi io, prendendo un volume a caso. Solo più tardi mi accorsi che era un'astrusa trattazione tecnica sull'arte greca antica. Con il libro sotto il braccio, uscii. Non credo che i suoi occhi mi abbiano lasciato per un secondo, dal momento in cui mi trovò in biblioteca, fino a quando girai la seconda rampa della scala. Quando fui fuori vista, tesi l'orecchio, e sentii che Hugh era di nuovo uscito. Capii che, insieme a Patton, stava aiutando il malcapitato agente che era sul tetto. Poi il poliziotto e Hugh andarono a riportare la scala, e l'ispettore mi raggiunse. — Finora tutto coincide — disse in tono soddisfatto. — Qualcuno certamente è scappato da quella finestra, lunedì notte, saltando sul tetto sottostante. — Avete trovato delle impronte? — chiesi, incredula.
— Sì: non sono molto chiare, ma ci sono. Mentre pendeva dal davanzale, prima di lasciarsi andare, ha cercato di cancellarle, ma noi ne abbiamo abbastanza. Ma quando gli diedi quel pezzo di carta, parve mortificato. — Tracce di polvere da sparo, non c'è che dire. Eh, già, la vostra ipotesi può valere la mia. Perché infatti un assassino dovrebbe aver sparato attraverso un giornale? A meno che aveste ragione voi, l'altro giorno, quando avete detto che si può ideare un omicidio in modo che appaia un suicidio. E chi ci avrebbe guadagnato, in questo caso? Rimase a rigirare il pezzo di giornale fra le mani. Non si poteva dubitare che non fosse il pezzo di carta che si vedeva nella fotografia, né che fosse un angolo dell'"Herald". L'ispettore pensava che non fosse sul pavimento quando gli agenti avevano perlustrato la camera e che, bruciacchiato e lacero com'era, fosse caduto fuori in seguito allo spostamento d'aria causato dall'esplosione del lampo al magnesio. — È possibile — chiesi — che qualcuno abbia preparato un omicidio in modo che apparisse una disgrazia o un suicidio, e che qualora fosse stato sospettato, avrebbe potuto presentare questo pezzo di carta come una specie di alibi? — Sarebbe possibile se il giornale non fosse stato distrutto. Allora gli dissi che i rapporti fra Mary e Hugh da un paio di giorni erano tesi. Patton ascoltò attentamente. — Ebbene? — Ebbene, non è chiaro? La signorina Julia ha dato a Mary quel giornale e lei l'ha distrutto. Ora Hugh vede che voi tornate a fare un supplemento di indagini e il suo alibi è sfumato. Si mise a fischiettare, ma poco dopo sorrise. — E così, è stato Hugh a fuggire dalla finestra? È stato a lui che Paula Brent ha portato la scala? No, no, mia cara, non va, assolutamente non va. E continuò dicendomi che aveva deciso di rilasciare Paula Brent e che aveva appurato che il signor Brent era stato fuori città, quel lunedì. — Benissimo! Ma in conclusione, a che punto siamo? A quel punto intervenne un nuovo elemento. 13 Squillò il campanello dell'ingresso e venne introdotto un ometto un po' eccitato, che si presentò come il signor Henderson. Voleva vedere l'ispetto-
re. — Ho telefonato in centrale e mi hanno detto che voi eravate qui — disse. — Avrei bisogno di parlarvi in privato. — E mi guardò. — Possiamo parlare anche davanti a questa signora. — Ebbene, ecco qui. Ho comprato il giornale, soltanto un'ora fa, e ho letto che avete interrogato Paula Brent. Io abito vicino ai Brent, ispettore, e posso dirvi qualcosa. Non so se avrà importanza o meno. — Tutto ha importanza in un caso come questo — osservò Patton. Il racconto di Henderson fu breve e preciso. La sua casa era dietro a quella dei Brent, e i loro cortili erano attigui, separati solo da un viale, su cui sboccavano i rispettivi garage. Nella casa accanto a quella dei Brent abitava un giovane di nome Elliott. Il lunedì sera, Henderson aveva portato la sua famiglia a teatro ed era ritornato alle undici. Aveva messo la sua macchina in garage ed era rientrato, quando la moglie si era accorta di aver lasciato la borsetta nell'automobile. Per quanto infastidito, lui era ritornato in garage, entrando per la porticina che dava verso la casa. In quel momento Paula Brent entrava con la sua auto nel proprio garage, e spegneva il motore. Henderson stava cercando al buio la borsetta di sua moglie e la ragazza non poteva sospettare che lui fosse là. Ma a quanto pare, qualcuno l'aveva aspettata nel garage, o appena fuori, perché lui aveva captato l'eco di una conversazione. Una era la voce di Paula, l'altra apparteneva al giovane Elliott. Non ci potevano essere dubbi, perché aveva sentito lei chiamarlo per nome. "Dio mio, Charles Elliott. Mi avete fatto paura! Ma perché siete qui?" "Il perché lo sapete bene anche voi. Sentite, Paula, non vi pare che questa pazzia sia durata abbastanza?" "Questo riguarda me, non voi." "E la vostra famiglia? Che cosa penserebbe se sapesse quello che so io?" "Che cosa sapete voi?" Quelle parole avevano destato l'interesse di Henderson e lo avevano anche eccitato. Ma in seguito i due avevano abbassato la voce, anche se bisticciavano, e questo gli dispiaceva. Tutti nel vicinato avevano simpatia per quei ragazzi, che fino a due mesi prima avevano visto spesso insieme. Era evidente che c'era del tenero... Faceva piacere vederli insieme, entrambi giovani e belli... La lite a quanto pare era stata molto aspra, poiché alla fine Elliott aveva detto che l'avrebbe fatta finita lui una volta per sempre, che sarebbe andato
a vedere qualcuno e che avrebbe fatto i conti con lui. "Non ora" aveva detto Paula. "Sull'istante" era stata la risposta di Elliott: e si era avviato lungo il viale. Henderson era rimasto in ascolto ed era certo che il giovane non era rientrato in casa, ma aveva preso una strada laterale. — Ma aspettate un momento — concluse. — Bisogna tornare un po' indietro. Prima di lasciarla, Elliott le aveva strappato di mano qualcosa e ho sentito che si dibattevano e lei che diceva: "Dammelo! Dammelo! Hai capito?". Henderson finì qui il suo racconto e si asciugò la fronte col fazzoletto. — Ho creduto mio dovere riferirvi questi fatti — disse con tono diverso. — Quei due giovani mi sono simpatici e non credo che Charles Elliott abbia ucciso chicchessia, ma ho parlato della cosa a mia moglie, quella notte stessa, e quando questa sera lei ha visto il giornale, ha insistito perché io venissi a riferirvi tutto. — Che ora era quando Elliott è partito? — Circa le undici e un quarto, mi pare. E lei gli è andata dietro, circa dieci minuti dopo. — Ah! È uscita anche Paula? — Sì. È rimasta un po' in garage. Ho avuto l'impressione che piangesse e fosse molto turbata. Anch'io ho aspettato, perché la cosa mi interessava e non mi piaceva lasciarla là sola, così agitata. Stavo anzi pensando di andare da lei per vedere se potevo esserle utile, quando lei ha messo in moto ed è partita. — Che ora era? — Potevano essere le undici e mezzo. Ero rimasto fuori di casa molto, e mia moglie cominciava a preoccuparsi. È una benedetta donna, molto nervosa. Aveva poco da aggiungere. Non aveva sentito ritornare l'auto di Paula, ma sua moglie gli aveva detto che la ragazza era rientrata dopo le tre e mezzo. In casa c'era un orologio che batteva le ore. Era insopportabile, ma a sua moglie, che soffriva d'insonnia, piaceva, perché le teneva compagnia. Henderson se ne andò poco prima che Hugh e l'agente ritornassero, e io non ebbi quasi tempo di discutere sulla nuova svolta dell'indagine, poiché fui obbligata a ritirarmi nella camera dell'ammalata. Notai che l'ispettore appariva preoccupato. Mandò via l'agente alle undici meno un quarto circa, poi con Hugh ispezionò minutamente la casa da cima a fondo. Lo vidi fermarsi sul pianerot-
tolo e osservare la porta chiusa a chiave, con il catenaccio, che metteva nel quartiere della servitù. E si chinò pure a osservare bene gli indumenti che ancora si trovavano ammucchiati sugli scalini. Credo che notasse anche la tasca rovesciata, perché la voltò, poi fissò Hugh: ma questi era imperturbabile. Era mezzanotte quando se ne andò. La signorina Julia si era svegliata, e io scesi in cucina, alle dodici e un quarto, per riscaldarle una tazza di latte: ma devo ammettere che non mi sentivo tranquilla. Fuori tirava un forte vento e quella parte della casa sembrava più cadente di tutto il resto. Si sentivano continui scricchiolii e una volta mi parve persino che il pentolino del tè si fosse mosso sulla stufa. Se con una tazza di latte in mano fosse stato possibile fare gli scalini a tre a tre, lo avrei fatto, invece salii guardandomi alle spalle, finché raggiunsi l'ultimo scalino. Poi entrai nella camera, senza che nulla accadesse, e dopo aver bevuto il latte, la vecchia parve aver sonno. Prima di addormentarsi mi chiese se Hugh era andato a letto e mi sembrò contrariata quando le dissi di sì. — Voglio vederlo — disse. — Ho bisogno di vederlo prima che Arthur ritorni, domani mattina. Lui ha il diritto di sapere. Non diede alcuna ulteriore spiegazione e verso l'una indossai la veste da camera e preparai la branda per la notte. Dormivo da quasi un'ora quando un rumore mi svegliò. Pareva che qualcosa sbattesse da qualche parte e io guardai il quadrante luminoso del mio orologio. Erano le due e fuori le raffiche di vento infuriavano, ma la camera era assolutamente tranquilla. Poi sentii una corrente d'aria e alla luce dei lampioni stradali potei vedere vagamente che la tenda era stata spinta fuori e si agitava al vento. Fuori e non dentro. Perché? Dopo un momento di riflessione, pensai che ci poteva essere solo una spiegazione. Qualcuno, in qualche parte della casa, doveva aver aperto una porta esterna o una finestra. Mi misi a sedere sul letto e fissai la porta che dava sul pianerottolo. Se la maniglia avesse appena girato, ero pronta a lanciare un grido che avrebbe raggiunto la stazione di polizia. Ma la maniglia non si mosse e io cominciavo a respirare, quando si verificò un fatto che mi fece martellare il cuore. Qualcosa cadde nell'atrio o meglio sugli scalini che conducevano al terzo piano. Era stato un rumore sordo, seguito da un assoluto silenzio. Capii subito che cosa era stato. Qualcuno, nel salire le scale fino al terzo piano, aveva inciampato nel mucchio di indumenti lasciati là.
14 Per un momento provai l'impulso irresistibile di cacciarmi nel letto accanto alla signorina Julia e di coprirmi la testa con le lenzuola. Ma subito dopo mi trovai in mezzo alla stanza, le orecchie tese. Non sentii altri rumori, e mi avvicinai alla porta, per origliare. Non mi potevo ingannare. Qualcuno saliva furtivamente le scale. Si sentivano distintamente i passi sui vecchi scalini, e una tavola del pianerottolo scricchiolò fortemente. Un secondo dopo ero fuori della camera e cercavo a tastoni la porta che conduceva nell'appartamento della servitù. Volevo Hugh e Mary, volevo qualcuno vicino a me, e il fatto che malgrado tutto sospettassi sempre Hugh di essere l'autore del delitto, non mi parve in quel momento avere importanza. Quasi in preda al panico avanzai in mezzo a quelle terribili tenebre e mi gettai contro la porta gridando: — Hugh! Hugh! Subito dopo le forze mi mancarono e caddi a terra. Questo è tutto quanto ricordo. Quando rinvenni, giacevo supina in una stanza che prima non avevo mai visto e Mary, in veste da camera, mi spruzzava dell'acqua sul volto. Sopra di noi si udiva un rumore, come se stessero abbattendo una porta. Non vedevo Hugh. — Dove sono? — chiesi debolmente. — Nel nostro tinello — rispose Mary brevemente. — Eravate svenuta. Feci uno sforzo per sollevarmi su di un gomito e mi guardai attorno. In giardino qualcuno chiamava ad alta voce e dai piani superiori proveniva un rumore di colpi, come se cercassero di abbattere una porta. Mary si era allontanata e stava ritta sulla soglia, l'orecchio teso. Era la soglia di quella porta che dal pianerottolo dava nell'appartamento della servitù, che era sempre stata chiusa a chiave e ora era spalancata. Mary sembrava un'altra. Non avevo mai visto una donna così torturata. Quando le rivolsi la parola, lei non mi rispose. — È una porta molto robusta — disse, come se parlasse a se stessa. — In apparenza sembra fragile, ma in realtà è solida. — Chi c'è in quella camera? — chiesi. — Hugh? Questa domanda la scosse. Si voltò e mi diede una strana occhiata. — Hugh! — ripeté. — Hugh è laggiù che aiuta la polizia. Proprio in quel momento, qualcuno chiese a voce alta una scure e ve-
demmo Hugh passare davanti alla porta del tinello e scendere da basso per andare a prendere l'oggetto richiesto. Allora mi alzai ed esaminai la scena della mia recente disavventura. La porta che metteva in comunicazione il pianerottolo con l'appartamento della servitù era aperta, come ho già detto, e io potei ricostruire nella mia mente quanto era accaduto. Mi ero gettata a peso morto contro il battente e l'avevo in parte aperto. Nella caduta devo aver battuto il capo contro lo spigolo di una sedia, poiché più tardi mi accorsi di avere una scorticatura sulla fronte. Il tinello era piccolo e disadorno. In un angolo, una piccola scala scendeva nel buio, e io sapevo che conduceva sia all'uscita, sia alla finestra della "sala lunga". Abbracciai tutti questi particolari con un solo sguardo: il tinello, le scale, Mary. Mi mossi verso la porta, ma Mary si era piantata lì, di traverso. — Fareste meglio a sedervi e aspettare un minuto, signorina. Avete fatto una brutta caduta. — Lasciatemi passare, Mary. Voglio salire. Mi guardò. — È pericoloso, per voi, uscire da queste stanze. — Non dite sciocchezze, Mary. Voglio andare nella camera della signorina Julia. A malincuore, si trasse in disparte. — Non mi meraviglierei che corressero delle revolverate — disse. — Lei sarà disperata. — Lei! Chi? La domestica scosse le spalle. — Lo vedrete fra poco — si limitò a dire, e si rimise in ascolto. Che cosa attendeva? Ancora oggi sono incerta se Mary sapesse qualcosa, quella notte, o se semplicemente avesse dei sospetti. Entrai nella camera della signorina Julia. La vecchia era sveglia e teneva gli occhi fissi alla porta da cui ero entrata. — Che succede? — chiese. — Chi va su e giù per le scale? Sarebbe stato inutile nasconderle la verità. Le gridai alle orecchie che c'era la polizia e che forse aveva intrappolato un ladro al terzo piano. Il malfattore si era chiuso in una delle camere di sopra e la polizia ne stava abbattendo la porta. Ma la vecchia non tradì la più piccola emozione. — Spero che non romperanno la porta — disse. — Mio padre era così orgoglioso delle porte di questa casa! Sono tutte solide, di noce. Pregateli
di fare il meno danno possibile. Non una parola di più. La guardai trasecolata, ma lei con un semplice gesto della mano mi fece cenno di uscire. — Pregateli, per favore! Ubbidii, e passando sul mucchio di indumenti ancora accatastati sul pianerottolo, salii al terzo piano. Davanti alla porta della camera di Albert trovai l'ispettore Patton, con un agente in borghese e un tenente in uniforme, ma nessuno dei tre parve accorgersi della mia presenza. L'ispettore teneva in mano una pistola e l'agente lavorava con la scure. Ma, nel momento che io arrivavo, Patton lo fermò. — Il battente è ben solido — disse. Quindi, alzando la voce, gridò alla persona che era dentro: — Tiratevi da parte, perché faccio saltare la serratura con un colpo di rivoltella. Aspettò pochi secondi e quindi sparò. L'esplosione fece tremare la vecchia casa da cima a fondo, ma la porta si apri e i tre uomini si precipitarono dentro. Ero alle loro spalle e vidi, ritto contro la parete accanto alla testata del letto, un giovane alto, dai lineamenti belli e regolari, bianco come un cadavere ma con un debole sorriso sulle labbra. Si staccò dalla parete e ci venne incontro con passo deciso e ancora con quel bizzarro sorriso sulle labbra. — Ottima porta — disse. — Non se ne fanno più di così solide, oggigiorno. — Ottima, ma non ha resistito abbastanza per voi — disse l'ispettore frugandosi nelle tasche. — Perquisitelo, Evans. — Non sono armato. — Non è un'arma che cerco. È un mazzo di chiavi. Il giovane alzò le spalle e si sottomise docilmente alla perquisizione. I suoi oggetti personali finirono sul ripiano del cassettone: un fazzoletto con monogramma, un portasigarette d'oro, un borsellino, moneta spicciola e per ultimo un anello che racchiudeva diverse chiavi. L'ispettore prese la chiavi e il giovane sorrise ancora. — Mi rincresce, ispettore — disse. — Ma posso dirvi a cosa servono: sono le chiavi dell'ufficio, della mia automobile, di casa mia. Se volete, potete provarle. — Francamente, non mi sentirei di fare dello spirito se fossi in voi — disse l'ispettore con aria grave. — Portate giù queste chiavi, Jim. — Poi passò le chiavi all'agente, che scomparve. — Come avete fatto a entrare in questa casa?
— Può darsi che abbia trovato la porta aperta. Patton si avvicinò alla finestra. — O'Reilly — gridò — ha gettato qualcosa fuori dalla finestra, questo bel tomo? — Non ho sentito nulla, ispettore. — Bene, date un'occhiata in giro. Voglio un mazzo di chiavi. — Poi si rivolse di nuovo al giovane. — Vi dichiaro in arresto, Elliott, e voi immaginate il perché. — Per aver scassinato la porta di questa casa? — Sarà un'imputazione valida finché avremo trovato le chiavi... — E poi? — Poi vi dichiarerò in arresto per avere assassinato Albert Wynne, in questa stanza, lunedì notte. Patton tirò fuori un paio di manette. Per un attimo credetti che il ragazzo stesse per svenire, ma poi si riprese e sorrise debolmente. — Allora lo avrei ucciso io! — disse con calma. — Se l'ho ucciso, non potevo essere lontano dalla scena del delitto, non vi pare? — Non fate l'ironico, andiamo. — Non faccio nessuna ironia. Cerco solo di non piangere e di non ribellarmi. Non c'è bisogno di manette. Vengo con voi. — Non avete scelta! Rimanemmo là, in piedi, in attesa. L'agente in borghese riportò le chiavi del giovane Elliott, e disse che nessuna apriva le porte della casa. In giardino, O'Reilly cercava sotto la finestra, con una pila elettrica. Sulla soglia, Hugh pareva di pietra, e giù nella camera della signorina Julia si poteva sentire Mary che gridava alla vecchia che avevano preso il ladro. Improvvisamente il giovane perdette la sua aria di apparente indifferenza e guardò l'ispettore con occhi disperati. — Vorrei informare mia madre — disse. — Sarà meglio che glielo dica io. Non sta bene di salute e potrebbe rimanere fortemente impressionata. — È un po' tardi per pensare allo choc che potrebbe avere vostra madre — disse l'ispettore freddamente. Il giovane fece un piccolo gesto stendendo la mano con un'aria così depressa che mi commosse. Ma poi si riprese, alzò le spalle e si mise le mani in tasca. — Mi rincresce — mormorò. — Colpa mia! Posso avere una sigaretta? Non contiene altri veleni se non quello naturale della nicotina. Nessuno parlò, e lui si avvicinò al cassettone e prese il suo portasigaret-
te. In quella luce brillante, con tutti gli occhi fissi su di lui, Elliott sembrava un giovane attore che provasse la sua parte. Dopo avere acceso la sigaretta, girò lo sguardo attorno e lo fermò su di me, rimanendo pensieroso un momento. — Voi qui? — disse poi. — Non so il vostro nome. Volete telefonare per me? — A vostra madre? — No. Per mia madre ci penserò io. A Paula Brent. Voi la conoscete. Credo anzi che lei vi debba qualcosa. Se non fosse stato per voi... ma non importa. Ditele quello che è successo, ma raccomandatele di non preoccuparsi. Mi volete fare questo favore? Guardai Patton. Ma in quello stesso istante udimmo dei rumori di passi che salivano e subito dopo entravano nella stanza Evans e O'Reilly. Evans stese la mano senza parlare. Sul palmo teneva due chiavi infilate in un anello d'argento, e le mostrò al giovane Elliott. — Sono queste le chiavi che avete gettato via? — Questo dovrete dimostrarlo voi — rispose Elliott con quell'aria arrogante che non ingannava nessuno. — Queste sono le chiavi di Albert Wynne. Aprono la porta laterale e quella che dà sul pianerottolo del secondo piano. Ci sono le sue iniziali sull'anello. Come le avete avute, voi? — Questa — rispose Elliott con flemma — è una faccenda personale. 15 Erano circa le due e mezzo quando lo portarono via. Il giovane scese le scale senza alcun segno d'emozione e senza manette. Credo che l'ispettore provasse suo malgrado un certa ammirazione per il modo in cui si era comportato, anche se c'erano quattro uomini a custodirlo. Ero nell'atrio, e mentre osservavo quella processione che usciva con passi pesanti dalla porta, qualche cosa si ribellò in me. Quel ragazzo un assassino? Eppure sapevo che, per quanto concerneva la polizia, tutte le prove erano contro di lui. Lui aveva un movente, come sapevano bene Henderson e altri. Era stato innamorato di Paula Brent e probabilmente lo era ancora. L'aveva lasciata il lunedì notte col proposito di andare ad affrontare una persona ignota. Paula si era spaventata e lo aveva seguito un po' più tardi: e che la persona che lui intendeva affrontare fosse Albert Wynne, era fuori
dubbio, poiché la ragazza si era precipitata alla casa dei Mitchell. Era uno di quei casi che piacevano all'ispettore. Tutto filava a meraviglia, ora che aveva le chiavi. Il giovane Elliott, la notte del delitto, era nella camera di Albert e la vecchia Julia gli aveva tagliato inconsapevolmente la ritirata. Allora lui era uscito dalla finestra, si era aggrappato al davanzale, e si era lasciato cadere sul tetto sottostante. Ma questa non era ancora la salvezza. Doveva aver passato un brutto momento quando l'ispettore aveva diretto la luce della sua lampada sul tetto. Il ragazzo si era messo al riparo dietro i comignoli e la luce era passata da una parte e dall'altra. Non so come Paula lo avesse scoperto in quella posizione. Era andata in cerca di una scala, l'aveva trascinata sul posto e gli aveva dato modo di fuggire. Non avevo il minimo dubbio che fosse stato Charles Elliott l'uomo vestito da sera che aveva poi riportato la scala nel giardino dei Manchester. Per quanto la situazione fosse tragica, non potei fare a meno di sorridere pensando all'audacia con cui quella fuga era stata effettuata, e immaginando l'ispettore Patton seduto quietamente nel portico, la sua pipa in bocca, mentre i due giovani facevano uso della scala e poi la riportavano scrupolosamente al suo posto. Più tardi avremmo appreso che quando quella notte l'ispettore mi aveva lasciato, dopo aver sentito un rumore dietro la casa, era quasi caduto per avere inciampato nella scala buttata per terra. Ecco un'occasione nella quale la sua teoria, secondo cui bisogna lavorare all'oscuro, non aveva avuto successo! Ma io avevo saputo quel particolare più tardi, quando nuovi dolori e nuovi guai lo avevano reso relativamente poco importante. Quello che sapevo, quella notte, era che quel ragazzo che portavano via, camminava dritto verso la sedia elettrica, e non potevo sopportare dentro di me una tale prospettiva. Vedevo chiaramente quanto sarebbe avvenuto. Non era la prima volta! L'ufficio del procuratore distrettuale avrebbe imbastito l'accusa soltanto sugli elementi a carico del giovane, eliminando tutti quegli altri che avrebbero potuto discolparlo. Non si sarebbe mai parlato di quel pezzo di carta con le tracce di polvere da sparo e nemmeno di un altro particolare che mi veniva in mente mentre mi preparavo per coricarmi. Albert aveva cominciato a svestirsi quando era stato ucciso. Questo non faceva supporre che Charles Elliott fosse entrato in casa in sua compagnia. E se non era entrato in sua compagnia, come era entrato?
Era facile spiegare la sua presenza in quella casa la notte dell'arresto, se era lui l'assassino di Albert. Poteva aver preso le chiavi dalle tasche del morto. Ma la notte di lunedì, Elliott non aveva ancora quelle chiavi. Inoltre, anche ammettendo che lui avesse ucciso Albert Wynne, perché gli avrebbe poi portato via le chiavi? Che mistero era questo? E perché ora era entrato così imprudentemente proprio nella casa dalla quale, più che da ogni altra, avrebbe dovuto stare lontano? Ed era stata questa la sua prima visita? E quella sagoma che io avevo visto sul pianerottolo, la sera in cui avevo trovato Hugh addormentato nella "sala lunga"? E quell'uomo che aveva atterrato e malmenato Florence Lenz? Quella sagoma e quell'uomo, potevano essere Charles Elliott? Sedetti sul mio divano e mi presi la testa fra le mani. Mi ero formata, per la caduta, un bernoccolo grosso come un uovo, e mi sentivo il cervello confuso, ma il momento di raccogliermi e di pensare era proprio quello: sapevo che se non lo facevo, sarebbe accaduto qualcosa di terribile. La signorina Julia era sveglia ma calma, e giù da basso potevo sentire Hugh che riferiva per telefono gli avvenimenti della notte al dottor Stewart e all'avvocato Gienn. Mary non era in giro. Avevo osservato la sua faccia mentre la polizia ed Elliott si trovavano al pianterreno, e mi aveva sorpreso anche in quel momento così drammatico. Lei aveva guardato il giovane e poi aveva dato una lunga, dura occhiata a Hugh, che veniva in coda agli altri. Ma Hugh non l'aveva notata. Il punto più oscuro per me, a parte la presenza di Charles Elliott nella casa, quella notte, era la porta che dava sul pianerottolo. Inoltre bisognava controllare se lui aveva lasciato le sue impronte digitali sul davanzale della finestra. La cosa era possibile e dopo che Hugh ebbe riappeso il ricevitore e se ne fu andato a letto, inventai una scusa e andai di sopra a vedere. Ma non trovai tracce di impronte digitali sul davanzale: solo, in un angolo, c'era ancora un po' della polvere che la polizia usa per far risaltare le impronte. Mi fermai qualche minuto e osservai attentamente la piccola camera deserta. Pareva che non fosse mai stata occupata, ma ancora una volta notai qualcosa che presumibilmente era sfuggito alla polizia. Il letto era stato scostato per dieci o dodici centimetri dalla parete e non era del tutto diritto. Erano circa le tre del mattino, un'ora in cui anche le infermiere devono riposare. Ma io non potei fare a meno di curiosare intorno a quel letto. La stanza mi era odiosa: il mio comportamento non lo era meno. Tuttavia la esaminai accuratamente e, non vedendo nulla, mi rimisi a terra e mi cacciai
sotto il letto. In un'altra occasione, ricordo, avevo trovato un documento importante, nascosto sotto il letto. Quella camera mi faceva paura e la testa mi martellava. Riuscii a cacciarmi sotto, ed ero là supina quando sentii qualcosa che mi toccava l'anca. Rimasi immobile, come paralizzata, e un secondo dopo mi sentii toccare leggermente sul ginocchio. Allora scattai come una molla, sgusciai da sotto il letto e mi trovai sul pianerottolo, in un baleno. Finalmente osai guardare indietro e mi accorsi che era il gatto di Mary! Lo avrei sgozzato, tanta era la paura che mi aveva fatto! A questo punto, per rendere la storia interessante, dovrei dire che ritornai nella camera a fare nuove ricerche. Ma la verità è che non ci tornai, almeno quella notte. Un'infermiera deve imparare a fingere, e per questo mi mostrai calma quando tornai dalla signorina Julia. La vecchia era ancora sveglia. Per quanto avesse ascoltato con calma la storia del ladro, non ero sicura che vi avesse prestato fede, e mi sono sempre domandata se quella notte non avesse intuito la verità. Sapeva di essere in pericolo? Come lo sapeva? I miei sospetti furono avallati da una richiesta che lei mi fece più tardi. Avevo appena finito di farle la solita frizione di alcool, dopo tutto quello che era successo al terzo piano, quando improvvisamente lei disse: — Ho bisogno di vedere il pastore, domani, signorina Adams. — Va bene, signorina Julia. — Voglio fare anzitutto una dichiarazione. Poi voglio parlargli. Mary sa chi è. Potete chiederglielo. — Una dichiarazione? Non potete aspettare di essere un po' più forte? — Può darsi che non riacquisti mai le mie forze — disse con voce smorzata. E aggiunse, come per rassicurarmi: — Dopo tutto io sono vecchia, mia cara, e tutti gli anni che vivo sono anni che prendo a prestito. Le diedi la risposta che si dà sempre in casi simili: dissi che non era vero, che anzi andava migliorando e così via. Ma il mio pensiero era fisso su una cosa sola. Lei voleva fare una dichiarazione, una dichiarazione formale e firmata. Con questo assillo, col mio bernoccolo in fronte e il mio mal di testa, andai più tardi a distendermi sul divano. Che dichiarazione voleva fare, la signorina Julia? Una dichiarazione che avrebbe aggravato la posizione di Charles Elliott? Che cosa aveva visto quella notte, quando aveva salito le scale? Che cosa aveva detto all'avvocato Glenn perché questi le rispondesse: "Non lo credo. Non importa quello che vi ha detto. Non lo credo"?
Avevo pensato che queste parole si riferissero ad Albert, ma forse non era cosi. E se la signorina Julia, quando salì al terzo piano, quella notte, avesse trovato in camera Charles Elliott? E se tutto il tempo che lei era rimasta stesa sul suo letto, e io sul divano ai suoi piedi, lei avesse saputo che il giovane era sul tetto? E se quella corsa al terzo piano, mentre io dormivo, avesse avuto lo scopo di accertare se lui fosse ancora là o se fosse riuscito a fuggire? Forse tutti quei giorni, la vecchia era rimasta nel suo letto, in possesso di un'informazione che aveva nascosto. E ora stava per confessare e mandare quel ragazzo alla sedia elettrica. Tutto questo per salvarsi l'anima. Il legale prima e ora il pastore, e quel povero ragazzo offerto in sacrificio. Mi sentivo rabbrividire. Ero persuasa di essere nel vero, ma si fece giorno prima che avessi ideato un piano che mi desse qualche speranza. Eppure c'erano delle possibilità di riuscita. Dopo tutto, era stato presumibilmente per lo sdegno provato in seguito all'interrogatorio di Paula Brent, che la vecchia si era decisa a fare quella dichiarazione. Evidentemente non aveva mai dimenticato l'amore nutrito un giorno per il nonno di Paula. Ora il mio piano consisteva semplicemente nel chiamare Paula prima che arrivasse il legale, in modo che scongiurasse la vecchia di conservare il silenzio. Credo ora che il mio piano sarebbe riuscito, se fossi stata capace di spiegare bene la situazione a Paula, quando le telefonai. Ma quello fu uno dei tragici insuccessi della mia carriera. La giovane capì quello che volevo dirle. Accettò di venire. Ma, eccitata com'era e terrorizzata per la notizia dell'arresto di Charles Elliott, sbagliò l'ora. Le avevo detto di venire alle nove e lei arrivò alle dieci. Un'ora troppo tardi. 16 Spero che il destino non mi riserbi più una mattina come quella di venerdì diciotto settembre. Il primo contrattempo fu l'arrivo dell'ispettore Patton, un po' inorgoglito dal successo e, cosa rara in lui, incline alla loquacità. Erano le otto e mezzo, e Paula doveva venire alle nove. Evidentemente, per lui il caso era ormai risolto, tanto che, senza usare le solite cautele, mi chiamò in biblioteca e chiuse la porta. — Mi sembrate sfinita — osservò, guardandomi bene. — Avrete biso-
gno di un po' di riposo, dopo queste giornate. Ma credo che ormai ne siamo a capo. — Naturalmente! — dissi con amarezza. — Lo sapevo bene! Che cosa può importare a voi se Elliott sia o non sia colpevole? L'importante è aver trovato una soluzione. Ecco quello che vi si chiede. Non è così? — Siete proprio come tutte le donne. Perché un uomo ha una bella faccia, non volete credere che sia una canaglia. — Ma non posso nemmeno credere che sia un imbecille. Per quale ragione sarebbe tornato qui ieri sera? Perché vi è ritornato forse anche la sera prima? Ditemelo voi. Perché? — Che cosa importa? Non mi interessa sapere quello che è avvenuto ieri sera o la sera prima ancora. L'importante è sapere quello che è accaduto la notte di lunedì, e questo ormai lo sappiamo. — Eppure — protestai — la mia opinione è che le cose non sono andate come ora si crede. Voi avete trovato una soluzione del mistero, ma avete trascurato molti altri indizi che possono fornirvene un'altra. Perché Charles Elliott avrebbe sparato quel colpo attraverso il giornale? Patton sorrise. — Chi ha detto che l'abbia fatto? Quel pezzo di giornale fa parte di un numero dell'"Herald" della settimana prima. Lo guardai meravigliata. — Della settimana prima? — I nostri agenti l'hanno accertato. Non vi può essere dubbio in proposito, e quanto alle ragioni per cui quell'individuo è ritornato in questa casa, voi le conoscete benissimo. — Per cancellare le impronte digitali sul davanzale della finestra? — Sì; visto che lo sapete? Sedette nella poltrona e tirò fuori la pipa. Provai un senso di disperazione. Capivo che ora mi avrebbe ricostruito la storia a modo suo e non potevo vincere la mia impazienza, perché, fino a quando lui rimaneva sul posto, io non potevo introdurre Paula Brent nella camera della signorina Julia. Ed era inutile che io protestassi che avevo da fare. Quando gli dissi che l'ammalata aveva bisogno di me, lui chiamò Hugh e lo pregò di mandare Mary accanto al letto dell'inferma. Poi continuò a parlare con calma. In altre circostanze l'avrei ascoltato con molto interesse, ma ora continuavo a tenere gli occhi fissi sul viale in attesa dell'arrivo di Paula, pur seguendo il filo del discorso. Anzitutto l'ispettore mi spiegò quello che per me era ancora un mistero, e cioè come e per quale ragione lui aveva fatto
circondare la casa, e aveva così sorpreso Charles Elliott. Dopo quella veglia da dilettanti fatta da Glenn e da Stewart, lui aveva deciso di lasciare un suo agente di guardia alla casa. Nello stesso tempo, dopo le dichiarazioni di Henderson, aveva fatto sorvegliare il giovane Elliott. — Vi ho tenuto nascosto qualcosa che sapevo da un giorno o due — aggiunse, guardandomi. — Non era il caso di darvi altre preoccupazioni. Quel catenaccio alla porta tra l'appartamento della servitù e il pianerottolo non serviva a molto. In realtà non serviva a nulla. Era stato accuratamente segato, cosicché era sempre al suo posto, ma in realtà non funzionava. Per un po' ha ingannato anche me. Pareva che fosse perfettamente a posto. D'altra parte, non c'era la chiave per aprire la porta e constatare il trucco. Perciò si capisce che se qualcuno avesse avuto le chiavi di quella porta e della porta laterale esterna, sarebbe potuto entrare e uscire a piacimento. Così doveva fare Albert Wynne. Nonostante i controlli della vecchia Julia, lui poteva andare e venire senza essere scoperto, purché naturalmente i domestici fossero a letto. — Hugh sapeva di questo falso catenaccio? — Dice di no. — E gli credete? — Sono convinto che Hugh era impressionato e meravigliato come tutti gli altri, per quella misteriosa persona che di notte entrava in casa. Ma quella porta col catenaccio segato aveva avuto la sua parte in quella che lui definiva la scoperta della verità sul misterioso delitto. — L'individuo doveva entrare in un modo o nell'altro — disse. — È entrato lunedi notte e ha commesso il delitto. Martedì notte ha tentato di entrare, ma voi lo avete spaventato. Naturalmente è riuscito a fuggire attraverso la porta del pianerottolo. La stessa cosa ha fatto mercoledì notte, quando ha buttato a terra la segretaria dell'avvocato Glenn. È tornato anche ieri notte. Non è difficile spiegare come Elliott sia entrato queste ultime tre notti. Evidentemente aveva preso le chiavi di Albert, dopo averlo ucciso. Ma come ha fatto a entrare la prima notte? Ecco il punto inesplicabile. — Non ve l'ha detto? — No. — Mi meraviglio! — feci con una punta di quel sarcasmo che lui non poteva sopportare. — Voi vi battete ancora per il vostro biondino — osservò l'ispettore. — Questo accade quando una donna si impegola in casi del genere. La donna si lascia sempre sviare dalle emozioni.
— Si impegola? Volete dire che vi sono stata trascinata, e nessuno lo sa meglio di voi. Non insistette e tornò alla storia della notte precedente. Dopo la dichiarazione del signor Henderson, lui aveva incaricato della cosa un suo agente ed era ritornato alla centrale. Spesso vi resta a dormire quando, come quella notte, pensa che possa verificarsi qualcosa di nuovo. Così fu infatti. All'una e mezzo l'agente che sorvegliava la casa di Elliott aveva visto il giovane uscire furtivamente dal retro, senza prendere la macchina. Lo aveva seguito fino a casa Mitchell, dove aveva avvertito il poliziotto nascosto fra i cespugli. Quindi si era precipitato al più vicino posto telefonico e aveva chiamato la centrale. Quando arrivarono l'ispettore ed Evans, il giovane Elliott era già entrato in casa per la porta laterale, che loro trovarono aperta. Avevano condotto con loro un tenente in uniforme, che sulle prime era rimasto fuori a fare la guardia con O'Reilly, in vista di una possibile fuga. L'ispettore ed Evans erano entrati da quella porta, camminando in punta di piedi, e avevano appena raggiunto l'ultimo scalino, quando furono colpiti da un terribile grido che si era levato nell'oscurità. Allora erano entrati nel tinello dei domestici e non si erano mossi. — Eravate stata voi a gridare — disse l'ispettore — e la sola ragione per cui io non mi voltai e non ridiscesi quella scala fu perché Evans era dietro di me! Mi avevano trovato inquadrandomi nel cono di luce delle loro pile e sulle prime aveva creduto che fossi stata uccisa. — Ho passato un momento veramente terribile — concluse l'ispettore sorridendo tristemente. — Credevo proprio che foste stata colpita. Non vi nascondo che per un istante ho temuto di aver perso la mia assistente più preziosa. Comunque, il vostro grido aveva svegliato tutti, ed Elliott era stato messo sull'avviso. Ma questa volta non poteva cavarsela. Avrebbe potuto ancora tentare di saltare sul tetto, ma non c'era la sua piccola amica ad aiutarlo, questa volta, e probabilmente lui aveva visto da basso i nostri agenti. Che cosa ha fatto, allora? Si è chiuso a chiave nella camera e ha aspettato. Non aveva nulla da guadagnare restando lì, ma non ha saputo fare altro. Con la conseguenza che ha aggravato la sua posizione. — Ma non può darsi che abbia voluto guadagnare tempo per trovare quello che cercava? — insinuai. — Suppongo che voi non ci abbiate neanche pensato. — Le impronte digitali sul davanzale? Avrebbe avuto il tempo per farlo.
— Ma non lo ha fatto. Non le ha nemmeno toccate. Non è così? Patton aggrottò la fronte e mi guardò. — È vero, non le ha toccate, ora che mi ci fate pensare. Ma in realtà non ne aveva bisogno. Mentre si trovava là, penzoloni, avrebbe avuto il tempo per farlo... Ma che cosa volete dire, esattamente? — Voglio dire che Elliott era là per cercare qualcosa — risposi. — Ma non impronte digitali, a meno che non fossero sotto il letto. — Sotto il letto? Che assurdità! — E allora perché il letto è stato spostato dalla parete? O forse voi non vi siete accorto di questo particolare? Balzò in piedi e mi guardò fisso. — Toccato! — ammise. — No, francamente, non me n'ero accorto. Io sono un poliziotto da strapazzo, e voi la sola autentica investigatrice. Voglio andare di sopra e dare un'occhiata. — Ma si trattenne ancora con me. — Che cosa pensate di questo mistero? — chiese poi. — Vedo bene che vi siete fatta un'idea che non coincide con la mia. — No. In un primo tempo voi credevate che si trattasse di un suicidio mentre io credevo che si trattasse di un omicidio. Ricordate? Ora voi giurereste che si tratta di un omicidio e... — E che ho messo le mani sull'omicida. Ne sono convinto. Ebbene? — Io invece cerco ancora di spiegarmi perché quel pezzo di carta portava tracce di polvere da sparo. E mi domando se dopo tutto Paula Brent non creda che Albert abbia lasciato una lettera per dichiarare che si uccideva e abbia mandato Elliott a cercarla. Aveva perduto molto denaro? — Tutto quello che aveva. Ma questo non era un motivo sufficiente per suicidarsi. — Allora ci deve essere una spiegazione a quel pericolo di cui lui parlava sempre. — Ma siete certa che esistesse un tale pericolo? Non vi sembra probabile che la ragazza abbia inventato questa storia più tardi per salvare il giovane Elliott? — Albert portava con sé una pistola. Non era la prima volta, lunedì notte, che la portava. — Che ne sapete se non la portava anche prima? È sempre il racconto della ragazza, questo. — D'accordo — ammisi. — Spiegatemi allora dove aveva trovato il denaro per farsi un'assicurazione così grossa e inoltre per speculare in borsa. Queste sono le cose che voi avete trascurato di considerare. Siete arrivato a
una conclusione senza tener conto di tutto questo. E che cosa farete ora di quel giovane? Non rispose, perché in quel momento squillò il telefono. Era il procuratore distrettuale e Patton dovette andare immediatamente da lui. Quando lo rividi era troppo tardi. La seconda tragedia era avvenuta. 17 Dopo la partenza di Patton, gettai un ultimo sguardo disperato fuori, ma Paula non si vedeva ancora. Perciò salii dalla signorina Julia. Con mia grande sorpresa, Mary non c'era. Vi trovai Hugh. Era la prima volta che lo vedevo in quella camera. Non avevo mai visto un uomo così turbato e in preda all'ira. Era in piedi, vicino al letto, e la signorina Julia stava parlando con la sua voce monotona. La porta era aperta; quando lui mi sentì arrivare, fece un gesto come per raccomandare prudenza, e la vecchia tacque. Hugh usci senza dire una parola, e subito dopo lo sentii parlare nell'ingresso con l'avvocato Glenn. Era ancora eccitato, ed evidentemente Glenn lo stava calmando. Comunque, Hugh salì poco dopo per dirmi che l'avvocato mi attendeva in biblioteca. Scesi di nuovo e con mia sorpresa trovai nell'ingresso la segretaria: stava incipriandosi il naso davanti allo specchio, e mi sorrise. — Non vi sentite debole? — mi gridò. — Debole? Perché? — Vorrei far provare a voi quei sali di ammoniaca, tanto per cambiare! — Auguratevi sempre, nel caso doveste sentirvi male, di aver vicino a voi un'infermiera — le risposi, e mi avviai verso la biblioteca. Glenn era là, lindo e fin troppo ricercato nel vestire, come il solito, ma anche nervoso. Passeggiava avanti e indietro nel locale. — È una brutta faccenda, signorina Adams — disse appena entrai. — Bruttissima, davvero. — La signorina Julia sa dell'arresto di Elliott? — Non ancora. — Tanto meglio. Teneteglielo nascosto più che potete e dite a Mary di non portarle i giornali. Posso fidarmi di Hugh, ma non di Mary. — Fece un altro giro per la stanza, mentre io rimanevo in piedi, in attesa. — A dire il vero, signorina Adams, ritengo che la vecchia sappia già che quel ragazzo è colpevole. Me lo ha lasciato capire ieri sera. — E allora perché tenerle nascosto l'arresto? — domandai. — Dopo tut-
to, se sa già... Glenn esitò. — A voi lo posso dire. Ha intenzione di fare una dichiarazione, questa mattina. Ma forse voi lo sapete già. — Infatti! — Bene, questa dichiarazione dovrebbe essere il più possibile obiettiva. La signorina Julia ha visto qualcosa, lunedì scorso, ed è questo che vuole dire. — Lei ha visto Charles Elliott, immagino, non è vero, signor Glenn? — Questo lo dirà lei — replicò lui seccamente. — La questione è che, a torto o a ragione, lei pensa che non le resta molto da vivere, e desidera fare la sua dichiarazione prima di andarsene. In realtà, sarebbe stato meglio chiudere il documento nella mia cassaforte e servirsene solo in caso di errore giudiziario. Questo arresto cambia le cose. Ma è bene che lei non lo sappia. — È meglio che lei non faccia affatto la dichiarazione — affermai. A quel punto, per la preoccupazione che Paula non arrivasse in tempo, per la tensione cui ero sottoposta e per la mancanza di sonno, scoppiai in lacrime. Lo sentivo parlare, ma non potevo frenarmi. Diceva che la faccenda era ormai in mano alla polizia, che tutti sapevano che Charles Elliott era da anni innamorato di Paula e che era geloso. Quando salì al piano superiore, io stavo ancora piangendo, e quell'idiota di Florence stava sulla soglia a fissarmi con occhi pieni di malizia. — Vedo che l'avvocato non è riuscito a consolare il vostro dolore — disse in tono ironico. — Oh, per amor di Dio, state zitta — esplosi, e uscii sotto il portico, per prendere una boccata d'aria e per togliermi dai piedi quell'oca. Paula stava arrivando in quel momento. Era pallida e sconvolta, e dovetti trascinarla dietro l'angolo della casa, perché Florence stava curiosando dall'ingresso. Avevo intenzione di rimproverare la giovane Brent e di dirle che cosa mi era costato il suo ritardo: ma uno sguardo mi bastò a trattenermi, e in ogni modo era troppo tardi. Paula mi guardava fuori di sé con occhi che non avevo mai visto in vita mia, e si aggrappava a me, disperatamente. — L'ispettore è qui? — domandò. — Ho qualcosa da dirgli. Sono tutti pazzi, laggiù? — L'hanno trovato qui, in casa. — C'è l'ispettore? Non perdiamo tempo. Ditemelo!
— Lo ha convocato il procuratore distrettuale. E ora ascoltatemi, Paula. Cercate di stare calma. Non c'è fretta. Abbiamo un mucchio di tempo. Quello che volete dire all'ispettore può aspettare. — No, invece. Perché devono trattenere in stato d'arresto Charles Elliott, mentre dovrei esserci io? — Non parlate in questo modo. Sapete bene di non aver ucciso Albert Wynne. — Sono stata io a mettere Charles in questo pasticcio — disse in tono concitato. — Devo tirarlo fuori. Ascoltatemi, signorina Adams. Sono stata io a dargli le chiavi che aveva ieri sera. Erano mie. — Gliele avete date voi? — Non mi guardate in quel modo. Non mi importa che cosa pensiate di me. Gliele ho date ieri perché potesse prendere qualcosa che io avevo lasciato in quella stanza. Non è facile indispormi, ma Paula c'era riuscita. Più di chiunque altro sono al corrente delle abitudini libere e spregiudicate della nuova generazione, e ho sempre ritenuto che libertà e spregiudicatezza sono una questione di costumi, non di moralità. — Che cosa avevate lasciato in quella camera? — La mia borsetta. — Quando? Esitò e mi guardò sospettosa. — È meglio che parli con l'ispettore. — Per peggiorare le cose! — esclamai. — Io vi sono amica, almeno. Vi avverto che l'ispettore non lo è. Nessun poliziotto lo è. Quando avete dato quelle chiavi a Charles? — Non vedo perché... — Ascoltatemi — dissi brutalmente. — Volete mandarlo sulla sedia elettrica? Se andate alla polizia a dire che Charles Elliott aveva quelle chiavi, lunedì notte, per lui è la fine! Paula impallidì e sospirò profondamente. — Vi parlo per il suo bene — ripresi. — Loro sanno una quantità di cose che voi non immaginate. Sanno della scala e di chi l'ha presa. Forse non possono provarlo, ma cercheranno di farlo. E sanno che Charles Elliott era geloso di Albert, e che Albert e Charles hanno bisticciato, lunedì notte. Che bisogno c'è di peggiorare le cose parlando di quelle chiavi, finché non sia venuto il momento, e danneggiare pubblicamente la vostra reputazione?
La giovane alzò la testa. — Non ho fatto nulla di cui debba vergognarmi — disse. — E vi ho detto solo una parte della verità. Charles Elliott è venuto qui, la scorsa notte, per incarico mio. — Per prendere la vostra borsetta? Non dite sciocchezze. — Per prendere qualcosa. Mi voltai e feci il gesto di andarmene. — Bene, bene — dissi. — Ho fatto tutto quello che potevo per voi. È meglio che andiate alla centrale. Ci penseranno loro a farvi cantare. Io ho molto da fare. Ma Paula mi corse dietro e mi afferrò per un braccio. — Ascoltate — disse. — Volevo parlare con qualcuno e so che voi mi siete amica. Non era una borsetta. Era una lettera. Vi ho già detto che c'era una lettera. — Voi dovreste dirmi qualcosa di più — replicai. — Vi ripeto semplicemente che se sapete qualcosa che possa aiutare Charles Elliott a venir fuori da quest'impiccio, sarò ben contenta di esserne informate e di aiutarvi, nei limiti delle mie possibilità. Altrimenti ritorno alla mia ammalata. Di che lettera si tratta e dov'è? Sarebbe meglio dirlo chiaramente. — Ve lo dirò — riprese Paula con voce esausta. — Possiamo sederci da qualche parte? Non dormo né mangio da giorni. Si vedeva, poverina. Trovai una vecchia panca in un angolo appartato del giardino, e là Paula cominciò a dirmi tutto ciò che sapeva. Non era molto e appariva, a dire il vero, un po' fantastico. Il resto lo sapevo già. Negli ultimi mesi Albert era impegolato in qualche affare sospetto. Lei supponeva che vi fosse coinvolto anche Hugh, ma non ne era certa. Comunque non si trattava di contrabbando di alcolici. Non le era balenato il dubbio che Hugh o altri non agisse sinceramente con Albert, e che lui potesse essere in pericolo di vita. Solo dopo le revolverate sparate contro di loro, Albert cominciò a parlare di fuggire insieme. Lei capì allora che il giovane aveva paura e cercò di sapere da lui il perché e chi lo perseguitasse. Ma Albert non aveva voluto dirglielo. E qui ritornò in ballo la lettera. "Scriverò tutto in una lettera e la lascerò per te" le aveva detto. "Così, se qualcuno mi ucciderà, tu potrai denunciare il colpevole." Albert aveva detto questo con un sorriso, ma lei ci aveva pensato di continuo, e ora sosteneva che quella lettera doveva saltar fuori. — Cercate di capire — concluse. — Io non avrei voluto averla solo do-
po la morte di Albert, ma se lui aveva scritto quella lettera, e Hugh o qualcun altro ne era a conoscenza, ogni persecuzione sarebbe cessata. L'idea non era priva di fondamento, ed era evidente che Albert l'aveva maturata dopo lunga riflessione. Non si erano verificati più incidenti, dopo quella prima sparatoria; e quella sera, lunedì, lui era allegro. "Ho messo giù tutto, tesoro" le aveva detto. "Ma credo che tutto vada bene. Presto ce ne andremo di qui. Appena il mercato sarà favorevole." Aveva promesso di darle la lettera il giorno dopo, e lei doveva depositarla in una cassetta presso una banca. Nel frattempo, lui l'aveva nascosta in un luogo sicuro; secondo Paula, in camera sua. Tutto questo appariva come l'esaltazione di una mente immatura che cerchi di impressionare una ragazza romantica, sfruttando i suoi timori e il suo senso del drammatico. Ma c'è qualcosa di teatrale in tutti i delitti insoluti, e dopo tutto bisognava spiegare quel colpo di pistola. Mi venne in mente quello che l'ispettore mi aveva detto quando avevo lavorato con lui la prima volta: "Indagare attorno a un delitto è un'incognita, come lavorare in una fonderia: non bisogna mai sedersi su niente, prima di avervi sputato su. Può scottare". Ma il punto essenziale era che dopo lunedì sera, prima Paula e poi Charles Elliott avevano tentato di trovare quella lettera e non c'erano riusciti. — Allora — dissi — era questa la lettera che Charles Elliott cercava ieri sera? — Si, l'avevo cercata già io, una volta, ma voi eravate venuta su per le scale. Ve ne ricorderete. Avete gridato. Se me né ricordavo! . — E nient'altro? Solo una lettera? Mi pareva meno sicura, quando rispose: — Che cos'altro vi poteva essere? — E non è stata trovata? Scosse la testa. — Non credo — disse — che sia qui. Credo che loro l'abbiano trovata e distrutta. Capii ancora una volta che Paula intendeva alludere alla gente di casa. 18 Mentre il vento mi faceva svolazzare la vestaglia, ebbi un momento di dubbio. Mai prima di allora avevo agito contro l'ispettore Patton, e mi sentivo a disagio. Ma in fin dei conti l'ispettore voleva fatti, e se questa ragaz-
za offriva il mezzo per appurare certi fatti, mi sembrava mio dovere darle ascolto. Ma ero convinta che Paula, per l'ennesima volta, non mi aveva detto tutta la verità. Se non fosse stato perché la lettera non si era trovata, avrei sospettato che lei l'avesse messa in quella stanza dopo il delitto. Certa com'era che qualcuno della casa aveva ucciso Albert, Paula poteva essere arrivata al punto da creare una prova falsa. Ma la lettera era stata trovata, e in quella stanza. Ero sicura che la vecchia Julia Mitchell in quel momento stava riconciliandosi col suo Dio e segnando la condanna a morte di Charles Elliott. Paula mi scosse, toccandomi un braccio. — Sentite — disse — perché non mi fate entrare nella camera di Albert? — Lo farei, se voi foste stata sincera come vi avevo chiesto. Arrossì leggermente. — Vi ho detto tutto quello che potevo — ribatté. — Vi do la mia parola, signorina Adams, e vi mostrerò tutto quello che riuscirò a trovare. E voi lo potrete dire alla polizia. — Allora voi sapete dov'è la lettera? O dov'era? — Credo, non ne sono certa. — Perché non la lasciate cercare a me? Paula ebbe un gesto di impazienza. — Perché? — domandò. — Io ho avuto fiducia in voi e credo che voi mi siate amica. Ma è questione di vita o di morte, e dopo tutto voi siete qui al loro servizio. — Il suo tono era leggermente cambiato. — Non ve ne pentireste. Ve lo assicuro. Acconsentii, alla fine, con la sgradevole sensazione che Paula potesse essere stata pedinata e che l'ispettore poteva scaraventarmi addosso uno dei suoi rari accessi di collera, quando avesse scoperto tutto. La giovane mi seguì fino all'ingresso, dove con mia grande sorpresa non trovai nessuno. Florence Lenz era sparita e non c'era traccia di Hugh. Mary stava lavando i pavimenti. Mi voltai e feci un cenno a Paula, che sgusciò dentro, guardandosi nervosamente attorno. Tutto rimase tranquillo finché raggiungemmo il pianerottolo. La porta della signorina Julia era ancora chiusa e a noi arrivava il debole e monotono suono della sua voce. Ma appena ebbi raggiunto la porta della mia camera, attigua a quella della signorina Julia, sentii il pesante passo di Hugh, nel pianerottolo superiore. Veniva dal terzo piano. Tutte e due ci fermammo pietrificate. Poi afferrai Paula, la spinsi nella
mia camera e la seguii. Quando chiusi la porta, Hugh era sulle scale. Mi fermai un momento, tenendo una mano sul pomello della maniglia, e confesso che il cuore mi batteva almeno a centocinquanta al minuto. Hugh non si fermò. Credetti che esitasse davanti alla porta della signorina Julia; invece proseguì e io aspettai finché non lo sentii arrivare al pianterreno. Florence stava davanti alla toeletta, guardando Paula con occhi pieni di curiosità. Si era appena incipriata il naso e teneva ancora in mano il piumino. — La signorina Brent, non è vero? — Proprio lei — risposi io seccamente. — Questa signorina ha bisogno di parlarmi. Se potete lasciarmi la mia camera, per qualche minuto, mi farete un piacere. Ma la segretaria era refrattaria al sarcasmo e forse non mi sentì nemmeno. Sulla sua faccia c'era un lieve sorriso ambiguo, mentre il suo sguardo squadrava Paula dalla testa ai piedi. — Sono Florence Lenz — disse. — Forse avete sentito parlare di me. Queste parole erano piene di sottintesi, e io lo capii. Anche Paula capì; si raddrizzò e rispose all'altra, occhiata per occhiata. — Può darsi. Ma c'è qualche ragione? — Un mucchio di ragioni e voi lo sapete benissimo — rimbeccò Florence, arrossendo sotto lo strato di cipria. Ma fece uno sforzo per riprendersi. — L'avvocato Glenn mi ha pregata di aspettarlo qui, mentre parla con la vecchia. Io ho qualifica di notariato e la vecchia deve firmare qualcosa. — E, sempre rigida e dura, fissò di nuovo Paula e poi me. — Sta facendo testamento, non è vero? È piena di quattrini, ora. Anche questa era una frecciata per Paula. Le sue parole non avevano significato per me, ma un significato c'era. Lo sapevo, o meglio, lo sentivo. E sentivo anche che per qualche ragione a me ignota, Paula stava per perdere le forze. Era esangue e irrigidita. Aprii la porta, ma se Hugh era sparito, adesso c'era Mary. Stava apparentemente rimuovendo quegli abiti che sin dalla notte precedente erano ammucchiati sul pianerottolo. Era vicina alla porta della signorina Julia e sebbene avesse le braccia cariche, ero certa che stesse origliando. Quando mi vide, si mosse, e io aspettai finché si avviò verso il pianterreno. A metà scala guardò in su, e io cominciai a riflettere su questo suo atteggiamento. Continuai a guardarla, mentre lei fissava me. Forse tutto questo lo immagino adesso. Forse, quando rievoco qualche avvenimento della mia carriera, ricordo certi incidenti e attribuisco loro un
valore che in quel momento non avevano. Mentre Mary guardava indietro, inciampò nel lembo di un vestito e per poco non cadde. Paula Brent era ancora certamente in camera mia, glaciale e irrigidita, mentre Florence stava facendosi le labbra e la guardava dallo specchio. Gettai a Paula un rapido sguardo e le indicai il pianerottolo. — Parleremo in un altro momento, signorina Brent — le dissi. — Se non vi importa aspettare, potremmo vederci più tardi. Chiusi la porta e prima di tornare indietro mi assicurai che lei avesse raggiunto il terzo piano. Diedi un'occhiata alla toletta e la vidi tutta coperta di cipria; così pure la cassetta dei miei strumenti e del mio corredo per le iniezioni. Mentre rimettevo in ordine, feci capire a Florence che cosa pensavo di lei, ma avrei potuto rimproverare una delle vecchie incisioni sulle pareti e avrei ottenuto lo stesso risultato. Lei non mi sentì neppure. — Ah, non c'è nessun motivo particolare per cui io debba conoscerla! — ripeté. — Invece vi dico che c'è. E vi dirò anche che è ben padrona dei suoi nervi, se osa girare attorno a questa casa! Solo l'aprirsi della porta di comunicazione mi salvò da un impeto di rabbia e dalla voglia di strozzarla. Era Glenn, che sembrò sollevato nel trovarmi là. — Venite, signorina Adams — disse — e anche voi, signorina Lenz. Ho bisogno di voi come testimoni per la firma. Sembrava turbato, e vidi che teneva in mano una carta. Con mia sorpresa, trovai nella camera anche Hugh. La signorina Julia, con gli occhi chiusi, giaceva riversa sui guanciali e io vidi che Florence, bene incipriata, stava guardandola con un'espressione di avido interesse. I suoi occhi cominciarono a girare per la camera, e non le sfuggì alcun particolare di quella dignitosa decadenza e di quella cenciosa nobiltà. L'avvocato Glenn si era avvicinato al letto. — Ci avete pensato bene, signorina Julia? — le domandò. La vecchia intuì più che sentire e scosse la testa. — Devo compiere il mio dovere, Arthur, mi spiace, ma ho detto la verità; e ora lasciatemi firmare. Glenn si voltò verso di noi. Hugh non si era mosso. — Ho letto questa dichiarazione alla signorina Mitchell, che l'ha riconosciuta esatta, ma mentre desidera firmarla davanti a testimoni, preferisce mantenere segreto il contenuto, almeno per il momento. Va bene? — e così dicendo guardò l'ammalata.
— Va bene, Arthur. Noi quattro rimanemmo in piedi, mentre la vecchia firmava con la sua scrittura incerta che conservava ancora qualche traccia di distinzione: "Julia Mitchell". Poi lei stessa prese la carta, la piegò in modo che fosse visibile solo la firma e io e Hugh scrivemmo i nostri nomi sull'angolo opposto. Notai che la mano di Hugh tremava. Alla fine Florence appose il sigillo notarile e Glenn mise accuratamente il foglio nella sua piccola borsa e ritornò vicino al letto. — Ritengo che vi rendiate conto dell'importanza del vostro gesto, signorina Julia, e che cosa significhi questo per diverse persone. La vecchia annuì. — So che cosa volevate fare, Arthur, ma io non ho molto da vivere e devo rimediare a un'ingiustizia. Mi parve che guardasse Hugh, ma questi non disse niente e uscì, seguito immediatamente da Glenn e da Florence. Nel frattempo mi ero quasi del tutto dimenticata di Paula. Il polso della signorina Julia era debolissimo. La vecchia sembrava esaurita, quasi in coma. Non lo era ancora però quando telefonai al dottor Stewart e andai nella stanza a prendere i sali di ammoniaca, senza pensare affatto a Paula, che trovai là, fuori di sé. — Non posso uscire — esclamò. — Hugh sta scopando l'atrio. — Avete trovato qualche cosa? Lei scosse la testa in modo sconsolato. — L'hanno trovata loro — disse. — E se la vecchia lo sa, le auguro che muoia presto... Non accennò affatto a Florence. Ritornai accanto alla signorina Julia. A Paula non avevo detto niente della scena che si era svolta, e non intendevo dirglielo. Avevo l'impressione che se la dichiarazione della vecchia accusava Charles Elliott, Paula lo avrebbe saputo fin troppo presto; malgrado tutto, mi pareva più affezionata a Charles di quanto lei stessa pensasse. La morte di Albert l'aveva inorridita più che addolorata, e quel suo romanzetto o infatuazione o che altro fosse, era già quasi svanito quando il giovane era morto. Non vidi più Paula fino a sera; quando il dottor Stewart arrivò e io tornai in camera mia per prendere la siringa, la giovane se n'era andata. Tutto questo accadeva venerdì mattina, diciotto settembre; Albert Wynne era morto da quasi quattro giorni e Charles Elliott era in stato di arresto dalla sera precedente. Dall'assenza di giornalisti alla porta e nel giar-
dino, arguivo che l'interesse della stampa adesso era calamitato dalla centrale di polizia, ma appena Glenn se ne andò, verso le undici, vidi due giovani in abiti da lavoro sporchi di colore, che portavano in giardino una lunga scala, e andai alla finestra posteriore della mia stanza per vederli mentre giravano dietro la casa. Erano piuttosto affaccendati, ma evidentemente avevano dimenticato i loro colori. Appoggiarono la scala contro il muro, non lontano dalla finestra, e si arrampicarono sul tetto. La mia pazienza si esaurì presto e, dopo aver preso una scopa nel pianerottolo, diedi un forte spintone alla scala, che cadde con fragore. Feci in tempo a vedere che quei due giornalisti guardavano sconsolatamente giù dalla grondaia, parlottando tra loro. Più tardi seppi che erano rimasti sul tetto ben cinque ore prima di decidersi a chiamare aiuto! Il tetto era di lamiera zincata e la giornata era caldissima! Non pensai più a loro. Più tardi comparve qualche altro giornalista, e i due gli chiesero aiuto. Ma si trattava di gente inviata da altri giornali, che ritenne opportuno lasciare la concorrenza fuori gioco. Fu la polizia, alla fine, che li trasse d'impaccio, quando stavano correndo il pericolo di rimanere là tutta la notte. Talvolta penso a loro, su quel tetto, mentre dentro la casa si stava svolgendo la tragedia; probabilmente videro arrivare la macchina del medico legale, e l'andirivieni di tante persone, furiosi di assistere all'inizio di una nuova fase di quella vicenda, senza poter far nulla. Tuttavia ebbero una parte molto importante nel chiarimento di quel mistero. Quando si arrivò all'epilogo, fu come se avessimo messo insieme i pezzi di un mosaico e quei due avessero trovato la chiave del disegno. L'avvocato Glenn non aveva lasciato la casa prima delle undici, ed erano probabilmente quasi le dodici quando arrivò il dottore. Patton era stato raggiunto da una telefonata mentre era a colazione. Arrivò verso le dodici e mezzo. Non so l'ora esatta in cui Paula Brent lasciò la casa. Stewart aveva ordinato per la signorina Julia una puntura di nitroglicerina e rimase con lei tenendole il polso, mentre io andavo in cucina per far bollire la siringa. Mary assistette all'operazione. Sterilizzai la siringa e tornai in camera mia a prendere il tubetto di pastiglie. Non ci fu errore. Ricordo che guardai l'etichetta del tubetto, prima di far cadere la pastiglia nello scodellino, dove cominciò a sciogliersi. Ricor-
do tutto questo, come ricordo di aver stretto fra le dita un po' di carne avvizzita del vecchio braccio della signorina Julia e di averla sentita trasalire sotto la puntura dell'ago. Ricordo anche che il dottor Stewart le teneva ancora il polso fra le dita e che io mi davo da fare per riordinare la stanza secondo il mio solito; che poi andai nella stanza da bagno, dove lavai l'ago e la siringa, che disinfettai con alcool. Fu allora che il dottore mi chiamò. La signorina Julia sembrava strana: era diventata rigida e aveva dei sussulti. Il dottore era curvo su di lei. — Che cosa c'è? State male? Lei non rispose e lui la guardava imbarazzato. — Che cosa le avete dato? — mi domandò. — La solita dose di nitroglicerina, dottore. Apparentemente soddisfatto della risposta, Stewart prese una sedia e si sedette accanto al letto. Dopo dieci minuti circa i sussulti cessarono, ma la malata appariva ancora piuttosto rigida e perciò il dottore ordinò un'altra iniezione. Tra le due punture trascorse un intervallo di quasi mezz'ora. Quando feci la seconda iniezione, potei sentire quella strana rigidità; ma avevo già visto dei casi di angina e certi malati irrigidirsi sotto il dolore. Ripetei tutto il procedimento di prima, andai nella stanza da bagno, lavai la siringa, rimisi tutto a posto ed ero nella mia stanza quando udii il dottore chiamarmi di nuovo e questa volta ad alta voce. Accorsi e vidi la signorina Julia dibattersi nel letto in preda alle convulsioni. Ho rivissuto diverse volte quei pochi minuti. Li ho anche sognati. Il dottor Stewart che osserva la vecchia, mentre questa si dibatte, contorcendosi e sussultando, e sul viso incosciente appare quel terribile sogghigno sardonico che quasi subito si compone nella maschera della morte. Non ricordo quanto durasse tutto questo. Il tempo non conta in una simile situazione. Quando il sogghigno incominciò a smorzarsi, guardai il dottore e nello stesso momento l'ammalata ebbe un estremo sussulto, poi si abbandonò. Il dottore la fissò, poi guardò me. — È morta! Per amor di Dio, che cosa le avete dato? 19 Guardavo la morta, rigida e allibita. Pareva che anche il mio cuore e la mia mente si fossero fermati. — Scuotetevi, svegliatevi! È morta, vi dico! Che cosa c'era in quell'inie-
zione? — Quello che voi avete ordinato. Potete controllare il tubetto. Me lo avete dato voi, lunedì notte. — Portatemi qui la siringa. — L'ho lavata, dottore. — Allora portatemi il tubetto, portatemi tutto. Gli tremavano le mani mentre esaminava queste cose, ma fece tutto scrupolosamente. Non c'era molto: la solita morfina, ma in un tubetto ancora intatto, le fiale di nitrito di amile, il cotone idrofilo, l'alcool e la nitroglicerina. Il dottore si fece cadere su una mano una pastiglia e la mise alle labbra. Qualunque cosa si aspettasse di scoprire, evidentemente fu deluso. Io ero terribilmente spaventata come mai in vita mia. Non ebbi neppure il tempo di sentire pietà per la morta: ogni mia fibra era concentrata nell'istinto dell'autodifesa. — Le ho dato esattamente quello che mi avete ordinato. — Come posso saperlo, io? È morta, e la nitroglicerina non dà spasimi come quelli. — Avete visto che prima ho controllato il tubetto. Io non ho mai fatto uno sbaglio in tutta la mia vita. — Sbaglio o... qualcos'altro. — Mio Dio, dottore! Che cosa credete che le abbia dato? Perché avrei avuto interesse a ucciderla? Non mi rispose, mi venne vicino e notai che la sua fronte era imperlata di sudore. Si asciugò con il fazzoletto. — Sentite, signorina Adams — disse. — Credo che questa poveretta sia stata avvelenata. Non so perché né da chi. Non faccio accuse. Non sono neppure certo del fatto, ma credo che sia stata avvelenata con qualche alcaloide. — Di che genere? — Stricnina — rispose cupamente. — Questa è la mia supposizione e anche la vostra. — Non so che cosa intendiate dire — replicai prontamente. — Non c'è stricnina in quella cassetta. — Adesso non più. — Intascò il fazzoletto, fece il giro del letto e mi guardò di nuovo in faccia. — Preferisco non dire niente finché non ci sarà qui là polizia. Restate qui, per favore, fino al loro arrivo. Cercai di ridere, allora. — Arrestarmi! Non vorrete dire questo, dottore.
— Voglio proprio dire questo. E — aggiunse più lentamente — comincio a domandarmi se dopo tutto Hugh non aveva ragione. — Che c'entra Hugh in tutto questo? — Non si è fidato di voi fin dal primo momento. Potrete raccontare la storia a modo vostro alla polizia, quando verrà, ma io dirò questo. Non capisco bene che cosa ci facciate voi qui. Non vi ho scelto io. Ma Hugh ha sospettato da molto tempo che voi siete qui per qualche motivo speciale. Vi ha trovata dove non avevate niente da fare, e voleva mandarvi via. Ha insistito perché lo facessi io. — Vorrei che l'aveste fatto — dissi amaramente. — Sarei stata ben contenta di andarmene. — D'accordo. La siringa la tengo io, se non vi dispiace. Siete stata molto svelta a lavarla! Si mise la scatola in tasca, prese anche il tubetto con le compresse e si incamminò verso la porta. Sulla soglia esitò. La sua intenzione era abbastanza chiara. Voleva chiudermi dentro, ma non osava. Io stavo in mezzo alla stanza in atteggiamento di sfida. — Se fate questo, dottore — dissi in tono deciso — chiamerò aiuto dalla finestra. Uscì e, malgrado quella vecchia e calma figura esanime sul letto, sbatté la porta dietro di sé. Potei sentirlo correre giù per le scale e subito dopo parlare ad alta voce al telefono. Cercava di mettersi in comunicazione con l'ispettore, ma evidentemente questi era ancora chiuso nell'ufficio del procuratore distrettuale. Allora chiamò il medico legale. Nel frattempo l'angoscia mi aveva abbandonato. Ritornai vicino al letto e guardai la quieta figura che vi giaceva. La morte aveva cancellato dal viso della signorina Julia quel terribile ghigno, cosicché adesso lei sembrava più giovane e tranquilla. Le accuse del dottore non mi facevano paura, ma provavo un vero rammarico per il modo in cui la povera vecchia era morta. Forse non ne avrebbe avuto più per molto tempo, come lei stessa aveva detto la sera prima; ma, poco o molto, aveva il diritto di vivere. E per di più non aveva potuto vedere il pastore. Ero stordita, naturalmente, e non mi mossi neppure quando la porta si aprì ed entrò Mary. Lei non piangeva e il suo viso era quasi livido. Senza badare a me, si mise dall'altra parte del letto, e dopo aver guardato il cadavere fece nell'aria il segno della croce. Solo dopo mi rivolse la parola. — Hugh si sente male, signorina. Gli ho detto che venivo a chiamarvi. — Avreste fatto meglio a chiamare il dottore, Mary. Lui vuole che io re-
sti qui. La donna mi guardò. — Che bisogno c'è, ora? — domandò. — È finita, non è vero? — Temo che sia finito tutto. Mary uscì e io la seguii sul pianerottolo. Nell'atrio, a pianterreno, il dottore camminava su e giù a testa bassa. Mi sentì e mi disse in tono scortese di non toccare niente. Allora Mary gli disse di Hugh e si avviarono insieme verso la cucina. Credo che fossero le dodici e mezzo quando il medico legale arrivò. Nel frattempo, non avendo niente da fare, ebbi il tempo di riflettere. Guardavo la signorina Julia che giaceva così tranquillamente sul suo letto, e provai un senso di amarezza quando pensai che, dato che doveva morire, era un vero peccato che non se ne fosse andata prima di aver firmato la condanna a morte di Charles Elliott; poiché si trattava di questo, lo capivo. E ora Glenn avrebbe prodotto subito il documento. Fu soltanto allora che incominciai a vedere una possibile connessione tra l'assassinio, se di assassinio si trattava, della signorina Julia e quella confessione. Forse si era cercato di evitare che lei facesse quelle dichiarazioni? Forse qualcuno, che aveva avuto libero accesso alla mia cassetta di medicazioni, aveva sostituito i medicinali per ucciderla, affinché essa non firmasse? Stavo vicino alla finestra, attorcigliando con le dita il cordone della tenda, e mi sforzavo di capirci qualcosa. Chi aveva manomesso la mia cassetta, di recente, poiché avevo già fatto più di un'iniezione con pastiglie dello stesso tubetto con risultati perfettamente normali? Hugh e Mary, naturalmente, ma anche il dottore, quella mattina, mentre ero andata a sterilizzare la siringa. E Florence. Fermai il pensiero su quest'ultima. Aveva finto tutto quel tempo? Era veramente la persona petulante e piuttosto sgradevole che voleva fare apparire? O c'era qualcos'altro, dietro quei modi frivoli? Aveva conosciuto Albert Wynne? Aveva qualche motivo per mettere fuori causa Julia Mitchell? Perché era venuta in camera mia? Si era fermata proprio vicino alla mia cassetta, che era coperta dalla cipria di cui si era servita. Non poteva darsi che la cipria fosse tutta una scusa, e che Florence avesse aperto la cassetta e introdotto qualcosa nel tubetto di nitroglicerina, dopo essersi accertata che io ero fuori? Io e Paula eravamo rimaste sulle scale più di un minuto o due prima di congedarci. Che cosa di più verosimile che Florence avesse dato un colpo di piumino, spargendo nell'eccitazione del momento la cipria
dappertutto? Ma ancora una volta tutto questo era semplicemente una diversione alla quale noi tutti ricorriamo quando abbiamo bisogno di difendere noi stessi da qualche pensiero insopportabile. Con le mie congetture pensai a Paula Brent. La ragazza odiava la signorina Julia ed era convinta che la vecchia fosse in qualche modo coinvolta nella morte di Albert. Non poteva darsi che la storia della lettera fosse un'invenzione e che Paula avesse deciso che prima di parlare bisognava sbarazzarsi della signorina Julia, la quale sapeva qualcosa di compromettente per Charles Elliott? Lei conosceva il dottor Stewart, e anche Glenn. Non poteva darsi che il dottore le avesse detto che bisognava sostenere la signorina Julia con la nitroglicerina? O che l'avvocato le avesse rivelato che la vecchia sapeva qualcosa e che avrebbe finito, presto o tardi, per parlare? Dopo quella piccola scena fra le due giovani, io ero ritornata nella mia stanza. C'era fra loro una profonda e segreta antipatia, e io ebbi l'impressione che, sebbene non si fossero mai incontrate prima, si conoscessero; e ancora una volta la mia mente tornò ad Albert Wynne. Il medico legale arrivò mentre io ero ancora alla finestra. Lo vidi arrivare nella sua piccola utilitaria lucidissima e uscirne, svelto come il solito. Ho spesso pensato che la macchina lucida e quel suo abito ricercato fossero per lui una specie di difesa contro un mestiere spesso macabro. Era seguito da un individuo alto e sottile, un chimico della centrale. Il dottor Stewart li condusse di sopra e il medico legale sembrava piuttosto contrariato che l'ispettore Patton non fosse là. — Che cosa vi fa pensare che fosse veleno? — domandò. — Cos'altro poteva essere? La signorina Julia era debole, ma non moribonda. Poi le sono state fatte due iniezioni. Siccome aveva reagito molto male alla prima, ne ho ordinato un'altra. — Dopo quanto tempo? — Dopo mezz'ora. La seconda le diede la convulsione. Il "risus sardonicus" era molto accentuato e non credo che l'angina possa procurarlo. Il chimico non aveva detto nulla. Prese accuratamente la siringa e i tubetti, li avvolse in una busta e mi guardò. Mi conosceva, ma non lo lasciò capire. — Lavata, credo. — Parlava sempre con voce strascicante, che ora sembrava più accentuata del solito. — Perfettamente, con alcool. — Che cosa pensate di questo?
Il dottor Stewart lanciò un'occhiata furiosa. — È affare della polizia, non è vero? — Oh, non so. Dopo tutto, questa signorina ha fornito il necessario, e dovrebbe saperne qualcosa, se c'è qualcosa da sapere. — Penso che probabilmente è stata avvelenata — dissi tranquillamente. — Non so come, ma credo di potere affermare che qualunque cosa sia stata introdotta nel tubetto della nitroglicerina, e chiunque l'abbia introdotta, il fatto è accaduto tra le dodici e le dodici e trenta. Mi ero già servita prima delle pastiglie, e non era accaduto niente. Il chimico prese il tubetto, servendosi di un fazzoletto e, come Stewart, mise una pastiglia sulla mano e la portò alla lingua. — Non c'è stricnina, qui — disse. — Ma andiamo avanti, dottore. — Che cosa vi occorre? — chiesi. — Non molto, qualche asciugamano. Tutto il resto c'è. Non starò a raccontare i particolari di ciò che seguì. Siccome la stricnina colpisce i centri nervosi, i due estrassero del liquido spinale e del sangue dalla giugulare. Mentre il medico legale si preparava ad andarsene, il chimico girava per la stanza, fischiettando. Il dottor Stewart, inconsciamente, lo guardava senza simpatia. — Che strano caso! — disse il chimico. — Hanno appena messo al sicuro un assassino ed ecco saltarne fuori un altro! — Se si tratta di un omicidio — ribatté il medico legale, prendendo la sua borsetta. — Voi pensate sempre ai delitti e li vedete dappertutto. Non sono ancora certo che quel povero diavolo di sopra non si sia ucciso, lunedì notte, anche se pare che abbia inscenato qualcosa. Non si può mai dire. Poi se ne andarono, quasi allegri, e mentre scendevano le scale, sentii che si mettevano d'accordo per andare a colazione insieme. L'uomo magro e alto ritornò per dire che vi sarebbe stato un primo rapporto la sera, e che poteva essere lungo. In realtà si trattava di una semplice scusa. Infatti si chinò in avanti e disse a voce bassa: — State in guardia, signorina Adams. Quando entrano in ballo i veleni, non si sa mai dove si va a finire. Mentre il dottor Stewart era ancora giù con loro, e io stavo pulendo il tappeto di gomma nella stanza da bagno, sentii un rumore nella camera della signorina Julia. Mi avvicinai alla porta e vidi Hugh inginocchiato accanto al letto. Le sue spalle erano scosse da sussulti. Quando notò la mia presenza, si alzò e uscì, ma sembrava malfermo nel camminare. Era improvvisamente diventato un vecchio stanco e debole.
20 Se ne erano andati tutti quando arrivò l'ispettore. Patton disse che la sua macchina non aveva più bisogno di essere guidata, perché ormai prendeva da sola la strada di casa Mitchell. — Il medico legale è già stato qui? — domandò. — Bene, questo si chiama far presto! Benissimo, Hugh. Andatevene e aspettate da qualche parte. Quanto a voi, signorina Adams, pensate alla camera di sopra. Non lasciate entrare nessuno. E ora, dottor Stewart, andiamo in biblioteca a parlare di tutta questa faccenda. — Non permetto che la signorina Adams si occupi della camera di sopra — intervenne il dottore con aria feroce. Nel frattempo Hugh se n'era andato e l'ispettore mi sorrise, battendomi la mano sulla spalla. — Conosco questa signorina, dottore. Possiamo fidarci assolutamente di lei. Non corriamo alcun pericolo, in ogni modo. Non sono altrettanto sicuro che non ne corra lei! Affermazione fortuita, che qualche ora dopo dovevo ricordare con grande amarezza. Ma l'ispettore non sorrideva quando, mezz'ora dopo, salì solo al piano superiore ed entrò nella camera della signorina Julia. Chiuse la porta dietro di sé. — Ho mandato via Stewart — disse. — È un imbecille, un solenne imbecille! Ma è sconvolto. Ho l'impressione che sperasse in un nuovo testamento, prima che la vecchia morisse, e ora è finita. Non prendetevela. Mi guardava con una certa aria di protezione e mentre si avvicinava al letto, fissava la figura appiattita sulle lenzuola. — La vita à una strana faccenda, signorina Adams — disse — ma la morte è ancora più strana. Prendete per esempio questa povera vecchia. Chi poteva aver interesse a disfarsene dal momento che era come se non esistesse più? Non ne aveva più per molto, del resto. — Certo. Ma ora almeno aveva molti soldi. — Precisamente. Aveva preso un po' di quattrini, stava per fare una vita più comoda e senza preoccupazioni, ed ecco che qualcuno pensa a sbarazzarsi di lei e ci riesce. — Ora è morta — precisai. — Non possiamo più farci niente, e voi ammetterete che Charles Elliott non ha nulla a che vedere con questa faccen-
da. Suppongo che sia ancora sotto chiave. — C'è e ci starà. — Non avrà certo parlato! — Parla molto, ma non dice niente. Lo avete sentito, ieri sera. — Tirò fuori la pipa, ma dopo un'occhiata al letto la mise fra i denti, vuota e spenta. — Sapete — riprese — ne ho visti di delitti in vita mia, ma questo mi appassiona proprio. Abbiamo messo al sicuro l'individuo sospetto ed ecco cosa capita ancora... I miei nervi avevano certo cominciato a cedere, perché mi sfuggì una risata isterica. — Forse è stato lui a commettere anche questo — dissi, mentre Patton mi guardava attentamente. — Forse era lui che ieri sera andava su e giù per le scale e che ha introdotto una pastiglia o due nel tubetto. Perché fermarsi a un solo delitto? Ci avrà preso gusto. — Avete bisogno di riposo e di bromuro — ribatté lui. — È un po' di isterismo, il vostro. Se invece volete far dello spirito, per carità, smettetela. Ne ho sentito abbastanza in centrale, da quel biondino, che fa bene a ridere ora, perché non ne avrà per molto. — Ne siete certo, ispettore? — Certissimo. — Come eravate certo che Albert si era suicidato, dopo aver visto quel pezzo di carta. — Che c'entra questo, ora? Ve l'ho già spiegato. — Ma c'erano le tracce della polvere da sparo, non è vero? — Sicuro. Ma evidentemente questo non ha più importanza. Anche la scala portata qui ieri sera da Paula Brent serve per potare gli alberi, ma lei non se ne è servita per questo scopo. A quel punto avrei potuto dirgli che sul tetto c'erano due uomini che avevano portato una scala, ma non per verniciare le grondaie! Mi trattenni, tuttavia, perché lo vedevo molto turbato dalla piega degli avvenimenti. Si allontanò dal letto e girò per la stanza. Quando riprese a parlare, aveva assunto di nuovo il solito tono professionale. — Non vale la pena perdere tempo per discutere su questo delitto — disse. — Noi possiamo mutare opinione, ma possiamo anche vedere molte cose, in due. Certo voi la pensate come il dottore. È veleno, vero? — Credo, ispettore. — E non avete idea sul come sia entrato qui? — Posso fare una mezza dozzina di ipotesi, ma senza poter dimostrare
niente. — Fatemi vedere dove tenevate quella cassetta. Lo condussi nell'altra stanza, e lui si guardò in giro. Poi apri la porta che dava nel pianerottolo e guardò fuori. — Immagino che nessuno potesse entrare qui. Tenevate la porta chiusa a chiave? — No. Conosco i suoi metodi. Patton preferisce formarsi un'opinione propria e perciò io non mi feci avanti. Lui diede un'occhiata rapida alla toletta, poi al mio viso. — Chi ha adoperato la cipria? Voi non siete truccata. Allora capii che, come avevo temuto, era venuto il momento di parlargli della dichiarazione della signorina Julia. Ritornammo nella camera della morta e là, davanti a quel vecchio e magro corpo irrigidito, gli raccontai tutto. Gli parlai dell'articolo del giornale su Paula Brent e dell'impressione che aveva fatto sulla signorina Julia: della chiamata dell'avvocato Glenn, della lunga conversazione che la vecchia aveva avuto con lui, delle sue successive proteste, della presenza di Hugh accanto al letto della signorina Julia, fin dalla mattina presto, prima della venuta di Glenn, e del suo atteggiamento risentito. — Ma lei era decisa a fare quella dichiarazione — aggiunsi. — Aveva qualcosa sulla coscienza, si sentiva colpevole e aveva bisogno di scriverla. Poi ha fatto chiamare il pastore. L'ispettore alzò gli occhi. — Come mai? Aveva forse intuito che stesse per capitarle qualche guaio? — Non credo. — E questa dichiarazione ce l'ha Glenn, ora? — L'ha portata via con sé, dopo che Hugh e io l'abbiamo firmata e che la segretaria di Glenn, la signorina Lenz, ha apposto il sigillo notarile. La ragazza aveva detto di essere abilitata a farlo. La signorina Julia non desiderava che la dichiarazione fosse resa pubblica, ma, come Glenn ha detto e la vecchia ha confermato, quel foglio sarebbe stato usato solo in caso di errore giudiziario. Forse pensava a Paula Brent. — Voi non l'avete letta, certo! — No. La vecchia ha ripiegato il foglio in modo che nessuno di noi potesse leggerne il contenuto.
— Un grave errore giudiziario, eh? Che cosa avrà voluto dire? Vorrei vedere Glenn e dare un'occhiata al documento. Mi lasciò e scese a telefonare. Sentii che domandava di Florence o dell'avvocato Glenn, ma erano entrambi a colazione e Glenn nel pomeriggio doveva andare in tribunale. L'ispettore tornò di sopra di pessimo umore, dopo aver lasciato detto che voleva vedere l'uno o l'altra e che li aspettava al più presto possibile in casa Mitchell. Poi andò in cucina dove scambiò qualche parola con Mary, e infine ritornò con una faccia risoluta. Capii che era accaduto qualcosa, perché rimase per un momento a guardarmi freddamente. — Quanti hanno potuto entrare nella vostra stanza e avvicinarsi alla vostra cassetta, questa mattina? — domandò. — Il dottore, la signorina Lenz, Hugh e Mary, immagino. Solo loro? — Non prendete quel tono con me, ispettore. — Perché non mi avete detto che Paula Brent è stata qui, stamattina? E che è venuta di sopra? — Ve l'ha sicuramente detto Mary. — Allora, è venuta di sopra? No, Mary non lo sa, ma l'ha vista uscire. Sentite, signorina Adams. Non importa se non siamo dello stesso parere su questa faccenda, ma quello che importa è che voi decidiate se lavorare per me o per Paula Brent. — Quella ragazza non ha assolutamente avvelenato la signorina Julia Mitchell, ispettore. — È venuta nella stanza? — Si, ma c'era anche Florence Lenz. Soltanto dopo aver detto questo, mi resi conto che invece Paula era stata nella stanza più tardi, e sola. Ma lui non mi diede il tempo di continuare. Avvampò per la collera e appoggiando la mano sul bracciolo della poltrona, replicò: — Se un agente avesse fatto una cosa simile, lo farei licenziare. — Poi, vedendo la mia faccia, cambiò tono. — Che fandonia vi ha raccontato per farvi commettere una simile sciocchezza e tenermela poi nascosta? — Una fandonia alla quale ho creduto e credo ancora. E, visto che siamo ai licenziamenti, vi saluto. Ne ho fin sopra i capelli. Se non fossi una perfetta imbecille, sarei a casa mia, in questo momento! Questo lo calmò e stette pazientemente ad ascoltarmi, mentre gli riferivo il racconto che Paula Brent mi aveva fatto, qualche ora prima. Dopo un po' di esitazione, gli dissi che le chiavi che avevano fatto incriminare Charles
Elliott erano in realtà di Paula, ma non gli dissi che Charles le aveva avute lunedì sera. Perché? Sotto giuramento l'avrei detto, ma allora no. — Allora è andata nella stanza di Albert! — esclamò. — Ma lasciamo correre. Una cosa è certa, e cioè che se Elliott aveva quelle chiavi, stanotte, le aveva anche lunedì sera. Credo le avesse già quando il nostro amico Henderson ha sorpreso la sua conversazione con Paula. Ma lo sapremo presto. Tirò fuori la pipa, ma dopo uno sguardo al letto, la mise via di nuovo. — Lo sapremo presto — ripeté. — Ma questa mattina è un altro paio di maniche. Da quello che posso capire, sei persone sono entrate in camera vostra nelle ultime dodici ore: Mary, Hugh, Glenn, Paula Brent, Florence e il dottor Stewart. Hugh e Mary erano devoti alla vecchia padrona. Glenn non voleva che si facesse quella dichiarazione, ma pensate come sono gli uomini del suo stampo. Lui prenderà le parti di un giovane come Charles Elliott anche contro la legge. Se siete convinta che gli avvocati rispettano la legge, vi sbagliate. E ora vediamo il dottor Stewart. Che motivo aveva, lui? Stando a quello che mi avete raccontato, aveva delle buone speranze. — Ieri sera mi ha chiesto del testamento. — È abbastanza naturale, questo. La signorina Julia ha lasciato un bel gruzzolo e lui sapeva che non le restava molto da vivere. — Mi ha detto che c'era un vecchio testamento e che c'erano dei legati per Hugh e Mary. — Cosa, precisamente? — chiese Patton, con improvviso interesse. — Non me lo ha detto. — Vorrei vedere quel testamento. — Fece una nota sul libriccino che porta sempre con sé. — Per Hugh e Mary? — Così ha detto Stewart. — Bene, andiamo avanti. E quella Florence Lenz? A quanto pare non vi è simpatica. — No. — Perché? — Conosco il tipo e non mi piace — risposi seccamente. — Anzitutto mena per il naso l'avvocato Glenn. Poi, ha simulato uno svenimento, quella sera che si è spaventata in giardino. Non avrebbe ingannato nessuno e in ogni modo non certo me. L'ispettore cominciò a fischiettare sommessamente, come spesso fa quando riflette, poi sprofondò ancora di più nella poltrona. — Certo — disse alla fine — il veleno è un metodo femminile. La don-
na non è abbastanza forte per usare il coltello, che per di più imbratta. Odia il sangue. Nella maggior parte dei casi ha paura delle armi da fuoco; il veleno è una cosa diversa, è adatto alla sua mentalità. Ma non penso che voi vogliate coinvolgere Florence. — Non ne sono certa. Penso che lei odi Paula Brent, ma non so il perché. Gli raccontai allora l'incontro delle due ragazze, quella mattina, e lui ascoltò attentamente. — Era Florence che investiva l'altra? — Sì. Ma Paula lo ha capito e le ha risposto a tono. Guardò l'orologio. — Florence sarà qui fra poco. Sarebbe interessante sapere se conosceva Albert o questo Elliott. In tal caso... — Cambiò argomento. — E Mary? Prendeva un composto a base di stricnina, per il cuore, ammesso che si tratti di stricnina. Ma per bocca, non in pastiglie per iniezioni. È una donna strana, religiosa sino al fanatismo, secondo il dottore, e nevrotica. Ma abbastanza equilibrata. — È Mary che ha pulito la mia stanza, questa mattina. — Anche voi probabilmente avete fatto toletta in quella stanza, ma questo non vuol dire che voi abbiate ucciso quella povera vecchia, non è vero? No, certo. Prendiamo le cose con calma, signorina Adams, e vediamo come si può arrivare a questo secondo delitto. Poiché penso che si tratti di un omicidio. Che cosa fa chi ha commesso un delitto? La prima preoccupazione è quella di scappare e di non lasciare prove dietro di sé. La seconda è di proteggere questa fuga. Vale a dire che i timori dell'assassino non si riferiscono a quello che sa e che può spiegare, ma a quello che può emergere dopo. Sta sveglio di notte e ci pensa, si preoccupa delle persone e delle cose alle quali non ha pensato prima e che possono rovinarlo. Esaminiamo ora questo caso. Qui si può vedere se avete ragione. Albert Wynne è stato ucciso lunedì sera e noi crediamo di avere in mano l'assassino. Julia nasconde qualcosa e finalmente si decide a fare una dichiarazione. Naturalmente è qualcosa che può danneggiare l'assassino e perciò la vecchia deve essere soppressa, o quanto meno deve essere messa in condizioni di non poter confermare la dichiarazione al processo. Perciò viene avvelenata. — Mi guardò. — Darei non so che cosa — aggiunse — per sapere quante persone sapevano in precedenza che la vecchia stava per fare quella dichiarazione. Florence lo sapeva? — Credeva che si trattasse di testamento, almeno finché l'avvocato
Glenn non gliene ha parlato. — Hugh lo sapeva e probabilmente anche Mary. Ma forse no. Ho l'impressione che marito e moglie non comunichino molto. — Può darsi che lo sapesse. L'ho sorpresa che origliava alla porta, questa mattina. — Il dottore lo sapeva? — Non credo. Ma in questo momento penso a una cosa. Non credo che due iniezioni di stricnina, nelle dosi da me usate, possano uccidere o avere gravi conseguenze per una persona normale. Sono state letali per la signorina Julia, a causa del suo stato di salute. Si drizzò e mi guardò fisso. — Non era una dose mortale di per se stessa? — Io non comprerei punture di stricnina in dosi mortali, a meno che non mi occorressero per un cavallo! Ora voglio chiedervi una cosa. Paula Brent sostiene che nella camera di Albert c'è una lettera e che se non l'hanno presa ci deve essere ancora. Avete perquisito quella camera, con la convinzione che ci fosse nascosto qualcosa? — Certo, e voi lo sapete. — Perquisitela di nuovo — insistei con un'ostinazione isterica. — Cercate su per il camino, staccate le piastrelle del pavimento, guardate bene in quel letto. Vi ripeto che c'era qualcos'altro. Può darsi che non ci sia più, ma c'era. E credo che se si trovasse, si avrebbe la spiegazione di questi delitti. In quel momento squillò il campanello dell'ingresso e Hugh annunciò Florence Lenz. 21 Non assistei al colloquio dell'ispettore con Florence, ma potei sentire la voce della ragazza mentre, a pianterreno, stava spiegando che aveva visto l'avvocato Glenn, e che questi sarebbe venuto appena libero. Dalla piccola sosta, immaginai che si era fermata come il solito davanti allo specchio, per darsi un po' di cipria. Questo dovette irritare l'ispettore, perché sentii la sua voce dura e tagliente. — Andiamo, andiamo, signorina Lenz. Questo non è un istituto di bellezza. Florence entrò, o almeno così mi parve, e la porta venne chiusa. Per una mezz'ora non ebbi nient'altro da fare se non annoiarmi. Patton aveva detto di non toccare niente nella stanza, ed evidentemente la stampa
non era ancora stata avvertita. Ma la notizia non tardò a trapelare, perché guardando fuori della finestra, vidi la solita automobile superare il cancello, e uscirne il solito giovanotto dal fare cortese e affaccendato. Andò ad aprire Hugh, e mentre attraversava l'ingresso lo chiamai sommessamente per dirgli di riferire al giornalista soltanto la notizia della morte e l'ora. Dovevano già essere le due o poco più. Non avevo ancora fatto colazione e Mary doveva essersi chiusa in camera sua. Ma subito dopo comparve Hugh con qualche biscotto e del latte. Non guardò il letto. — Mia moglie non sta bene, signorina — disse — mi spiace. Verrà per preparare il pranzo. — E il giornalista, Hugh? — Ho fatto come mi avete suggerito voi, signorina. Mi guardava con occhi impenetrabili, anche alla viva luce del giorno. Era invecchiato e improvvisamente abbattuto, ma impenetrabile. Per una specie di impulso, lo seguii mentre stava per uscire e gli misi una mano sulla spalla. — Se ne è andata, Hugh — sussurrai. — Forse non voleva andarsene così presto... ma se ne è andata. Perché non dite tutto quello che sapete? Vi sentireste meglio, dopo, e la signora lo avrebbe desiderato, forse. — Ha parlato la padrona, signorina — rispose duramente. — Ha detto tutto questa mattina. Subito dopo l'ispettore mi chiamò giù. Florence si premeva gli occhi col fazzoletto, mentre Patton aveva una faccia seria, ma non scortese. — Credo che abbiamo trovato il bandolo della matassa, signorina Adams. Questa ragazza è stata fidanzata con Albert Wynne, o almeno così pretende lei. — Lo sono stata — interruppe Florence, ma l'ispettore l'invitò a tacere con un cenno della mano. — Questo fidanzamento è stato rotto lo scorso marzo e da allora lei non ha più visto Albert, ma sapeva che era sempre con Paula. Ecco spiegato il suo atteggiamento verso la signorina Brent, questa mattina. Era venuta qui con Glenn, per autenticare quello che lei credeva il testamento, e ha aspettato qui da basso finché non l'hanno chiamata; poi si è dovuto aggiungere evidentemente qualche cosa alla dichiarazione della signorina Julia e lei è rimasta sul pianerottolo. Poi è andata in camera vostra, per incipriarsi, e si trovava là quando voi siete entrata con Paula Brent. Quest'ultima ha lasciato la stanza subito dopo. La signorina Lenz poi è entrata insieme a voi nella grande stanza da letto per sigillare la dichiarazione, ma quando è uscita
per ritornare in ufficio con l'avvocato Glenn, ha aperto la porta che dà nel pianerottolo superiore e dice di aver visto di nuovo la signorina Brent, che stava andando in camera vostra. — È vero, ispettore — confessai. — L'ho trovata là, infatti. Paula veniva dal terzo piano, ma siccome c'era qualcuno a pianterreno non ha potuto uscire. Non voleva essere vista. — Perché non me lo avete detto prima? — Perché è assurdo sospettare Paula Brent capace di avvelenare qualcuno. Quella strega scoppiò allora in una risata sfacciata. L'avrei uccisa. — Come sapete che Paula è andata al terzo piano? — Lo so — risposi con una certa amarezza. — È tutta la settimana che tenta di andarci, e voi lo sapete, ispettore. — È una donna fedele, vero? — disse Florence con sarcasmo. — Io ho finito, ispettore. Addio. Statemi bene. Patton la lasciò andare senza una parola. Mentre stavo pensando a come giustificarmi, arrivò l'auto di Glenn e questo mi salvò per il momento, sebbene dal modo in cui l'ispettore mi disse che potevo andarmene, mi rendessi conto che la sua fede in me era molto scossa. Glenn indugiò un po' e io sapevo che cosa questo volesse dire. Ero decisa a tirarmi fuori da quella faccenda e da quella casa; accorata e bisognosa di riposo, desideravo tornare al mio appartamento e rivedere gli occhi di Dick mentre andavo a prendergli lo zuccherino. Volevo anche dormire ventiquattr'ore filate. Quando Patton venne di sopra, io stavo facendo la valigia per andarmene e mi ero già messo il cappello, sebbene indossassi ancora la vestaglia. L'impulso di andarmene non era che un presentimento; lo so adesso. Ero disgustata e stanca. Non c'erano dubbi che Charles Elliott sarebbe finito sulla sedia elettrica, e non ero certa che Paula Brent non lo seguisse. Sentii Glenn andarsene e l'ispettore salire col passo pesante di un uomo stanco. Quando entrò nella mia stanza, pensai che, come Hugh, sembrava più vecchio. Si sedette senza dire niente, tirò fuori la pipa e l'accese. — Ci sono cattive notizie? — domandai. — Dipende dal punto di vista. Qualcosa è stato chiarito, sebbene non tutto. Immagino che voi vorreste vedere il documento. Si tolse il foglio di tasca e me lo passò: lo riconobbi subito. L'accurata scrittura di Glenn, la firma mia e di Hugh in un angolo e, sotto, il sigillo di Florence.
— Vedete — concluse Patton — che la prima parte del racconto è sostanzialmente la conferma di quanto aveva già riferito la signorina Julia. Soltanto la fine è differente. Lessi dal principio alla fine, col batticuore. Era evidente che la vecchia aveva dettato parole sue, sebbene qua e là trapelasse lo stile legale. "Io, Julia Mitchell, sana di mente e nel pieno possesso delle mie facoltà, desidero fare la seguente dichiarazione, che affermo essere la verità e nient'altro che la verità. Dico questo rendendomi conto che quanto prima mi troverò al cospetto del Creatore. "La mia precedente deposizione alla polizia era vera fino a un certo punto. È vero che la sera di lunedì, quattordici settembre, sono stata svegliata a mezzanotte meno dieci circa da qualcuno che era passato davanti alla mia camera e ho guardato l'orologio. È vero che io allora mi sono preparata a salire, per vedere se mio nipote fosse tornato e che mentre scendevo dal letto ho sentito, dalle vibrazioni del pavimento, che qualcuno passava nel pianerottolo. È vero che, dopo avere oltrepassato la soglia della mia camera e vedendo la luce accesa nella sua camera, l'ho chiamato, ma non ho ricevuto risposta. Ed è anche vero che allora mi sono infilata la vestaglia, le pantofole e sono salita per spegnere la luce". Qui finiva quello stile un po' convenzionale e la signorina Julia continuava il racconto in tono più sciolto. Era arrivata a metà scala, nel punto in cui la sua testa veniva a trovarsi un po' al di sopra del livello del pavimento della stanza di Albert e poteva perciò vedere direttamente l'interno del locale. Con orrore, scorse il nipote steso sul pavimento, in mezzo alla stanza, immobile. Quello che seguì, secondo quella dichiarazione, doveva aver prodotto in lei l'effetto di un film tragico proiettato in un tunnel dell'orrore. Non sentiva niente, naturalmente, e il vano della porta della stanza illuminata doveva essere come un palcoscenico. Da un punto che non poteva vedere, ma che corrispondeva all'armadio o al letto, vide un uomo avvicinarsi al corpo inanimato e curvarsi su di esso: un giovane dai capelli biondi e ben vestito. Con orrore lo vide trascinare verso la toeletta quello che ora capiva essere il cadavere di Albert, curvarsi di nuovo, ripiegargli le gambe e lasciare accanto a lui una pistola.
Fino a quel momento le era sfuggita l'importanza di ciò che vedeva, ma, mentre quell'uomo stava sempre curvo, lei riprese animo e si mise a gridare. L'individuo si voltò verso di lei e poi d'un balzo raggiunse la finestra. Non era certa se fosse fuggito di là o no: siccome però lei era scesa per chiamare i domestici, l'intruso non poté passarle davanti. Perciò era convinta che se ne fosse andato per il tetto. Sebbene avesse risconosciuto il colpevole, non ne parlò né a Hugh né a Mary, quando accorsero. Hugh credette in un primo momento che si trattasse di suicidio, disse che in questo caso certe polizze di assicurazione stipulate da Albert avrebbero avuto valore, e suggeri di allontanare il cadavere dal mobile. Ma lei non lo aveva permesso ed era ritornata sulle scale con Mary, che le teneva sotto il naso dei sali di ammoniaca. Ma non era stata capace di arrivare fino alla sua stanza. Hugh scoprì che non c'erano tracce di polvere da sparo attorno alla ferita e chiese a lei se si trattava di delitto o di morte accidentale. Dopo qualche particolare senza importanza la signorina Julia entrava in una difesa strana e quasi incredibile della propria condotta. Affermava di aver dato ad Albert una casa e di che vivere, e di esserne stata ripagata con una nera ingratitudine. Non voleva con questo dire di non aver provato dolore per la sua morte e di ritenere che il mondo avesse perduto poco. Ammetteva di essersi preoccupata parecchio, quella sera, della situazione in cui lei veniva a trovarsi. Non c'era mai stato uno scandalo simile nella famiglia Mitchell. C'erano stati degli errori, ma se ora Albert era stato ucciso, lei era convinta che vi dovevano essere delle buone ragioni. Lei temeva la pubblicità, quel mettere in mostra i panni sporchi (la frase è mia) che avrebbe gettato la vergogna sul suo vecchio incontaminato nome, ed era disposta a tutto per evitare lo scandalo. C'era poi un'altra ragione. Lei aveva adottato il ragazzo, che apparteneva a una buona famiglia, e si era fidanzato con Paula Brent, nipote di un suo vecchio amico. Qui si interrompeva per dire che non sapeva quando e dove Hugh avesse aperto una finestra al pianterreno. Aveva saputo più tardi che avevano trovato una finestra aperta e credeva che Hugh lo avesse fatto per provare che non si trattava di suicidio. Era sempre stato un domestico fedele e sapeva che c'era di mezzo un'assicurazione. Lei non sapeva quando Hugh avesse telefonato alla polizia. Lei stessa aveva chiamato per telefono l'avvocato Glenn, che era arrivato poco dopo la polizia, ma non aveva avuto modo di
parlargli, quella sera. Mary aveva chiamato il dottor Stewart, che l'aveva fatta mettere a letto. Poi ritornava al suo racconto. Era molto tardi, quel lunedì notte, quasi mattina, quando le venne in mente che quell'uomo era forse ancora sul tetto, nell'impossibilità di fuggire. Fino a quel momento si era sentita salva; Mary le aveva riferito che la polizia propendeva per il suicidio o per la morte accidentale; piuttosto per una disgrazia. Ma se l'uomo era ancora sul tetto, poteva venire scoperto. Perciò si alzò, salì al terzo piano, si sporse dalla finestra e lo chiamò, ma l'altro doveva essere fuggito, perché non rispose. Era Charles Elliott. 22 C'era dell'altro, ma niente di importante. Tutta la settimana, era evidente, la signorina Julia aveva lottato contro un crescente rimorso. Credeva nella Bibbia e nella sua legge: occhio per occhio, dente per dente. Aveva ceduto al proprio orgoglio e al sentimento per un vecchio amico, e si era opposta alla legge, la legge di Dio e degli uomini. Quando aveva appreso che Albert aveva stipulato una forte assicurazione e che la sua morte sollevava lei dalle gravi preoccupazioni economiche, aveva cominciato a vedere da che parte fosse il suo dovere. Lei non poteva approfittare dell'assassinio né proteggere l'assassino. E quando aveva appreso dal giornale che si tirava in causa Paula Brent, aveva deciso di fare quello che avrebbe dovuto fare subito. Questo era il grave documento che Hugh e io avevamo firmato e che significava la sedia elettrica per quel bel ragazzo che ci aveva guardato dall'alto in basso nella camera di Albert. Seguivano la firma tremante della signorina Julia, quella incerta di Hugh e la mia. Rimasi immobile, con quella carta fra le mani, senza guardare a niente. Dunque Paula sapeva che la signorina Julia aveva visto Charles nella stanza e che con una parola poteva rovinarlo. E Florence aveva detto alla polizia che Paula era ritornata nella mia stanza quella mattina e che c'era rimasta, da sola. L'ispettore Patton mi stava osservando con un'espressione strana. — Non pretendo di avere indovinato che la vecchia avesse visto Elliott nella stanza, ma posso dire di aver visto giusto quando affermavo che Paula Brent sapeva molto di più di quanto sostenesse. E voi, invece, che cosa
fate? Dimenticate il vostro dovere e rivelate a Paula che la signorina Mitchell sta per confessare! E vi dirò qualcosa che forse non sapete. Paula è innamorata del giovane Elliott. Forse non lo sa neppure lei stessa, ma è così. È innamorata e disperata. — Come ha saputo che io somministravo alla vecchia la nitroglicerina? — Non è difficile, mi pare. Forse gliel'avete detto voi; mi pare che le abbiate detto tante cose! O forse è stato il dottor Stewart, che è anche medico di casa Brent. O forse è entrata in camera vostra, mercoledì notte, e ha visto la cassetta delle medicazioni. Potrebbe anche darsi che fosse venuta in casa per questo. È una semplice ipotesi, la mia. — Ma da allora io ho fatto una mezza dozzina di iniezioni. — Ebbene, Paula può aver visto che cosa adoperavate. C'erano due tubetti: uno di morfina, che non era stato aperto, l'altro di nitroglicerina. E penso anche che Paula Brent sapesse delle condizioni del cuore della signorina Julia, e quello che poteva sopportare o no! Ma io ricordavo qualche altra cosa. — Ascoltate, ispettore — dissi molto seriamente. — Non si può comperare stricnina in pastiglie solubili dosate in modo che costituiscano una dose velenosa. Se quelle due iniezioni hanno ucciso la signorina Julia è stato per le condizioni del suo cuore. Chiunque ha sostituito quelle pastiglie, doveva sapere tutto questo. Credete che una ragazza come Paula Brent possa aver saputo una cosa simile? — Voi siete sicura per quanto riguarda le dosi. — Chiedete conferma al dottor Stewart. Tacque per qualche minuto. Evidentemente rifletteva su quanto gli avevo detto. Quindi si alzò, si avvicinò al cassettone e lo esaminò attentamente. C'erano il mio pettine e la mia spazzola d'argento, il vassoio, vuoto e inutile, la mia scatola della cipria. Sempre con le spalle voltate, riprese a parlare. — Immagino che voi non vi sareste accorta se il tubetto fosse stato toccato. — Era un tubetto intatto. Lo avevo aperto, ma non lo avevo usato. — Un tubetto intatto? Allora se vi sono state introdotte due pastiglie, due altre devono essere state tolte. — Certamente. A questo non avevo pensato. Allora si guardò intorno. Si accedeva nella stanza da bagno, come nella maggior parte delle vecchie case, dal pianerottolo. Guardò il tappeto, si chinò a esaminare la polvere che Florence vi aveva sparso sopra, constatò
che era semplicemente cipria, e quindi, rialzandosi, diede un'occhiata alla finestra che dava sul viale della casa e che era aperta. — Quella finestra è rimasta aperta tutta la mattina? — Sì. — Mostratemi una di quelle pastiglie. — Le ha portate via un chimico del laboratorio. Mormorò qualcosa e, senza dire altro, uscì e scese le scale. Guardai il mio orologio e dovetti accostarlo all'orecchio per accertarmi che non si fosse fermato. Erano appena passate le quattro e mi pareva di essere vissuta un secolo da quella mattina fino ad allora. La casa era silenziosa. Un silenzio di morte. Non c'era segno di Mary o di Hugh: da quella finestra che dava sul retro, potevo vedere il gatto nero di Mary che si avvicinava cautamente attraverso l'erba. Quando mi affacciai, capii che cosa lo attraeva. L'ispettore stava muovendo la scala a pioli dal punto in cui io l'avevo fatta cadere e domandava ad alta voce come mai si trovava lì. Era stata una brutta giornata, e ora diveniva anche peggiore. Evidentemente dovevano sentirsi un po' inquieti anche i due giovani sul tetto, perché non si sporsero a guardare mentre Patton era di loro sotto. L'ispettore buttò da una parte la scala, poi cominciò a esaminare il terreno con cura minuziosa, mettendosi in ginocchio e appoggiando le mani a terra. Appariva straordinariamente concentrato e io tirai per la prima volta il fiato quando lo vidi raccogliere un oggetto microscopico, tenerlo un momento nel palmo della mano e quindi introdurlo in uno di quei tubetti di vetro che contengono di solitole compresse medicinali. Quando mi allontanai dalla finestra, ero ormai convinta di una cosa: la signorina Julia era stata assassinata, deliberatamente e con abilità. Patton non trovò l'altra pastiglia. O gli bastò averne trovata una. Lo sentii rientrare e salire le scale. Ma non mi diede alcuna spiegazione. Passò davanti alla porta della mia camera, come se io non ci fossi stata, e muovendosi con la rigidità di cui solo lui è capace in certi frangenti, salì al terzo piano ed entrò nella camera di Albert. Dieci minuti più tardi tornò da me. — Mi potete procurare un martello — disse — uno di quelli che hanno all'estremità opposta un estrattore? — C'è un cassetto pieno di ferri nella dispensa. Ma ci sarà Hugh. — Allora non muovetevi. — Si guardò in giro per la camera. — Avete almeno una lima o un paio di forbici? Avevo e l'una e l'altra e gliele diedi.
— Sono le mie migliori forbici chirurgiche — gli dissi. — Non me le rompete. — Mio Dio! — disse. — Che persona piena di contraddizioni! Vi mantenete calma davanti al delitto e alla morte, ma vi preoccupate che non vi rompano le forbici. Toglietevi quel cappello e non siate ridicola! E se Hugh dovesse salire, pregatelo di cercare qualcosa al pianterreno: quello che diavolo vuole, purché se ne stia fuori dei piedi. Era molto eccitato. Lo si vedeva. Solo in casi del genere si permette di scherzare così. Eccitato e felice nello stesso tempo, come un cane che ha seguito per un pezzo la pista sbagliata e ha finalmente trovato quella buona. — Dite la verità, avete trovato qualcosa sotto la finestra. — È vero — ammise séccamente. — Ho trovato che una donna dal cuore di pietra ha lasciato due giornalisti su un tetto di lamiera rovente e che è solo per grazia della Provvidenza se, dando sfogo alla sua personale malinconia, non ha distrutto una preziosa testimonianza. Mi sorrise, poi facendo gli scalini a quattro per volta andò di sopra. Vi rimase per circa un quarto d'ora. Ouindi lo sentii ridiscendere, mentre il passo pesante di Hugh saliva le scale. Si incontrarono proprio davanti alla porta di camera mia, ma né l'uno né l'altro parvero accorgersi della mia presenza. Mi parve di vedere Hugh fermarsi e alzare lo sguardo, e l'ispettore muovere verso di lui, duro e implacabile. Ma fu Hugh il primo a parlare: — Volevo chiedere dei funerali. Suppongo che possiamo fare senz'altro tutte le pratiche. — Perché no? — Lo sapete meglio di me, signore. Se lei è morta di morte naturale, perché è venuto il medico legale? Ma voi non credete che sia morta di morte naturale e non lo credo nemmeno io. — Quindi non seppe più reggere e cominciò a piangere col singhiozzo angoscioso dei vecchi. Continuò a piangere e a parlare: — Sono stato io a ucciderla, signor ispettore. Io ho fatto di tutto per lei e... l'ho uccisa! — Calmatevi, Hugh — disse Patton bruscamente. — Voi non confessate un delitto "a me", non è vero? Ma Hugh si limitò a scuotere la testa, e avrebbe voluto continuare. L'ispettore lo prese per le spalle. — Perché non dite tutta la verità, Hugh? — esclamò. — A che giova ora? Lei è morta.
— Non ho nulla da dire, signor ispettore. — Voi avete già detto qualcosa, o troppo o troppo poco. — Devo pensare a mia moglie, signor ispettore. Se mi succede qualche cosa, che ne sarà di lei? — Che cosa sarà di voi? — chiese rudemente Patton. — So dell'assicurazione e del timore che la morte di Albert potesse essere attribuita a un suicidio. So che voi volevate rimuovere il cadavere per questo motivo. Capisco le vostre preoccupazioni meglio di quanto voi non supponete. E so molte altre cose. Per esempio, perché la signorina Julia si è alzata dal letto, quella notte, ed è ritornata nella camera di Albert. — Ve lo ha detto lei, signor ispettore? — Sì. — È stata colpa mia se non l'ha fatto prima, signore. Patton accennò di sì, con la testa. Teneva ancora le mani sulle spalle di Hugh. — Non è tempo che diciate quello che sapete, Hugh? Che cosa aspettate? A che serve nascondere, ormai? Se avete paura, io farò in modo di proteggervi. — Proteggermi? Non potreste proteggermi "lei", signore! — Ma io vi dico che so tutto! E allora? Hugh non rispose: si afferrò alla ringhiera delle scale, si piegò e cadde svenuto al suolo. Ci volle un po' prima che si riprendesse, per essere condotto alla centrale e sottoposto a un interrogatorio. Fino al momento in cui lasciò la casa, si rifiutò ostinatamente di parlare e per tutto quel tempo l'ispettore non fece altro che camminare su e giù per l'ingresso. Io mi recai da Mary per raccontarle l'accaduto, ma ci volle del tempo prima che mi aprisse e mi lasciasse entrare. Non era a letto. Era stata seduta presso la finestra ed era completamente vestita. Era pallidissima e, per farmi aprire, avevo dovuto assicurarle che ero sola. Il che non le aveva tolto ogni sospetto. Lei, infatti, aveva continuato a guardare sopra le mie spalle verso il salottino. — Dov'è? — chiese. — In camera mia, Mary. Allora, per la prima volta, non si contenne più e si mise a piangere. L'accompagnai da Hugh e lei si chinò e gli toccò la fronte con la mano indurita dal lavoro. — Te l'avevo detto! Te l'avevo detto! — mormorò. — Ma tu sei un be-
nedetto uomo ostinato! Hugh aprì gli occhi e la guardò. Mi accorsi allora che, qualunque cosa li avesse separati, c'era un forte legame fra loro due: il legame degli anni, delle abitudini e forse qualcosa di più. Le prese la mano e disse: — Mia povera Mary! Poveretta! Fu allora che l'ispettore ordinò che i due giovani sul tetto fossero lasciati liberi. Ma prima che partissero, li vidi parlare a lungo con Patton. Uno di loro aveva in mano una cosa: l'ispettore la prese e la guardò. Non potei vedere che cosa fosse. 23 I giornalisti se n'erano appena andati quando suonò il campanello dell'ingresso. Non era una novità, quel pomeriggio. I vicini, i Manchester e i Baird, avevano già appreso la notizia per mezzo delle loro donne di servizio, ed erano venuti a porgere le loro condoglianze e i loro servizi. Dovetti penare per impedire che la signora Manchester si installasse in casa, quel pomeriggio. — Qui ci dovrebbe essere una donna — disse guardandomi coi suoi occhi sporgenti. — Ci siamo io e Mary. — Mary! — ripeté con aria sprezzante. Adesso, quando aprii la porta, mi aspettavo un giornalista o un'altra vicina di casa. Era invece il signor Henderson. Anche lui aveva saputo della morte della signorina Julia. Si tolse il cappello ed entrò in punta di piedi, come si fa quando si entra in una casa dove c'è un morto. Parlò anche a bassa voce. — L'ispettore Patton è qui? — chiese quasi bisbigliando. — Sono stato alla centrale e mi hanno detto che è qui. In quello stesso istante Patton emerse dall'ombra e si fece avanti. — Sono qui, Henderson. Posso esservi utile? — Non vorrei incomodarvi in un momento come questo, ma mia moglie ha insistito perché vi parlassi. Forse potete uscire e concedermi qualche minuto... — Parlate pure qui, senza paura. — Ecco, vi dirò... — esordì, girando il cappello nelle mani, poi parve esitare. — Non piace nemmeno a me ripetere certe chiacchiere. Il mio mot-
to è: vivi e lascia vivere. Ma mia moglie pare fatta apposta per ricevere le confidenze della gente. Voi non credereste quante storie le vengono a raccontare. Recentemente ne ha sentito una che riguarda Paula Brent. La nostra cuoca, a quanto pare, è amica del maggiordomo dei Brent e ha sentito cose che, secondo mia moglie, voi dovreste sapere. Potevano essere cose importanti o semplici chiacchiere di cucina. Dopo che Henderson se ne fu andato, l'ispettore disse: — Ho idea che quell'ometto e sua moglie abbiano tenuto d'occhio le due case di fronte alla loro, dal giorno in cui è avvenuto l'assassinio di Albert! Spogliato di tutte le giustificazioni superflue, ecco il racconto del signor Henderson. Secondo il maggiordomo, circa un mese prima, Paula Brent era stata invitata in una casa di amici. Mentre lei era fuori casa, i suoi genitori avevano tentato di mettersi in comunicazione con lei, ma avevano saputo che Paula non era nel posto in cui aveva detto di essere stata invitata. Quando era rincasata, in macchina, c'era stata una terribile scenata. Suo padre era montato su tutte le furie. Tra l'altro le aveva detto: "Se scopro chi è quell'uomo, lo uccido!". Paula piangeva e così pure la madre. A quanto pare, quella notte la chiusero nella sua camera, e ve la tennero per due giorni. Ai domestici fu detto che era ammalata, ma nessuno mise piede nella stanza, eccetto la madre, quando le portava da mangiare. Ma la ragazza aveva mangiato poco o nulla: i piatti erano tornati giù come erano saliti. — Io non ci tenevo a riferirvi questo — aveva detto Henderson all'ispettore — ma poi ho creduto che fosse mio dovere di buon cittadino. — A questo punto tirò un lungo sospiro. — Il signor Brent è un buon amico e un buon vicino. Facciamo entrambi parte del consiglio scolastico. Mia moglie pensa che, se il signor Brent ha avuto qualche implicazione in questa faccenda, è anche giustificato. Ma ora ha saputo della morte della signorina Julia, e con Charles Elliott in prigione e tutto il resto... Patton gli rivolse un'occhiata poco indulgente. — Queste sono le chiacchiere che si fanno in giro! Henderson aprì le braccia. — Cosa volete, ispettore, non si può impedire alla gente di chiacchierare. Mia moglie ha saputo che la signorina Julia è morta e ha telefonato a casa dei Brent. Ha risposto Paula e mia moglie dice che la ragazza ha detto solo "Pronto?", poi ha riattaccato il ricevitore. Mia moglie è stata un po'
sorpresa della cosa. — Che cosa si dice della morte della signorina Julia? — Non ho sentito bene, ma il dottor Stewart è stato dalla signora Brent, questo pomeriggio, e pare che il maggiordomo abbia sentito qualche cosa. — Cosa? — Ecco, pare che il medico non creda che si tratti di morte naturale. — Al diavolo il dottore! — disse Patton, seccato. — E per quale motivo, in nome di Dio, il signor Brent avrebbe voluto disfarsi della signorina Julia Mitchell? Henderson tossì. — Ecco, l'idea di mia moglie è che... Supponete che la vecchia abbia trovato in quella stanza, quella notte, Paula Brent e Charles Elliott... — ... e il padre di Paula. Un esercito, addirittura! Henderson tornò ad aprire le braccia. — Per conto mio non ci credo, ispettore. Io vi riferisco solo le chiacchiere del vicinato. — Ebbene, tornate a casa e raccomandate a tutti di tenere il becco chiuso. Non ho più bisogno di nessuno, in questa faccenda. In caso contrario, vi farò convocare. L'ometto sgattaiolò via e Patton rimase pensieroso, dopo aver richiuso la porta alle sue spalle. Non riaprì più bocca fino a che non fummo di nuovo in biblioteca. — È curioso — incominciò mentre caricava la pipa — come il pubblico reclami una vittima. Brent non era nemmeno in città, lunedì notte. Fece due o tre passi per la stanza, poi si fermò e mi chiese: — Che cosa ne pensate di tutto questo? — Penso che con la morte della signorina Julia la difesa abbia perso un testimonio importante, su cui qualcuno faceva molto affidamento. — Un testimonio di difesa? Questo è interessante. E perché? — La vecchia non pretendeva di aver visto chi aveva sparato. Tutto quello che lei aveva visto era il cadavere nella stanza. — Ha visto Charles Elliott rimuovere il cadavere. — Come fate a esserne certo? Continuava a fissarmi. — E che pensate delle chiacchiere di Henderson? Supponete che il giovane Elliott abbia saputo di quella scappata di un mese fa, lunedì notte... — Be', io non so nulla delle nuove leve, e grazie a Dio non mi atteggio a censore. Ma non crederò mai e poi mai che Charles Elliott è colpevole di
questo delitto! Si fermò e si tolse la pipa di bocca. — Siete una donna ostinata — disse — ma avete anche un certo buon senso, nonostante il vostro debole per i giovani biondi. Voglio ammettere che certe cose non mi convincono. Quella vecchia è stata avvelenata. Non ho bisogno di attendere il rapporto del laboratorio per saperlo. — Avete trovato le pastiglie? — Una. Ma basta. Se non aveste rovesciato quella scala, le avrei trovate probabilmente tutte e due. — Questo dovrebbe bastare per far rimettere in libertà Charles Elliott — dissi con un senso di sollievo. Ma lui tirò due o tre boccate di fumo e seguì il corso dei suoi pensieri. — Ora abbiamo due assassini. Il primo è compito delle assise: nessun dubbio in proposito. Il procuratore distrettuale ha il giovane Elliott in una botte con su inchiodato il coperchio. Il suo atto d'accusa è certo. Io non voglio errori giudiziari, ma non c'è dubbio che, se il nostro amico Henderson viene citato come teste e racconta ciò che ha sentito e visto lunedì notte, la posizione di Charles Elliott si fa troppo brutta. Quello che lui ha strappato a Paula Brent quella notte, era probabilmente la borsetta con le chiavi di questa casa. Comunque ho pensato e ripensato tutta la notte e non ci vedo ancora chiaro. Un uomo preso dal furore della gelosia commette un delitto passionale. Vuole uccidere e uccide. Non fa tanti calcoli; non spara tenendo la mano avvolta in un fazzoletto per non lasciare le impronte digitali sul calcio della pistola; non dispone tutte le cose in modo da far credere a un suicidio. Anzitutto non c'è il tempo. Un colpo di pistola non è come una coltellata. Fa rumore. Poi abbiamo la dichiarazione della signorina Julia: lui ha rimosso il cadavere. Può darsi che voi abbiate ragione e che la vecchia se lo sia soltanto immaginato. Ma questo non basterà a salvare Elliott dalla sedia elettrica. — C'è un'altra cosa, ispettore. Come poteva Elliott sapere che il colpo non era stato sentito? È possibile che lui sapesse della sordità della signorina Julia, ma i domestici? Io non credo che lui sia mai stato in questa casa, prima. Chiunque ha sparato quel colpo, ha corso il rischio, pensando che non sarebbe stato udito, oppure era certo che non sarebbe stato udito. — Volete alludere a Hugh? — Hugh sapeva. O almeno adesso sa. Non l'ho perso di vista, tutta la settimana. Patton assentì e continuò a fumare in silenzio.
— Che cosa sapete di questa Florence Lenz? — chiese. — Sarebbe importante scoprire, per esempio, se Florence era al corrente del fatto che Paula Brent aveva sposato Albert Wynne. — Che? — gridai. — Sposato Wynne? — Sì, sposato — rispose lui gravemente. — Paula ha mantenuto abbastanza bene il segreto, ma il matrimonio è avvenuto durante quella scappatella di cui ci ha parlato Henderson. È un peccato che non potremo vedere la faccia del signor Henderson quando verrà a saperlo! Sì, Paula lo aveva sposato, e la ragione per cui ha cercato di entrare in questa casa è che cercava il suo certificato di matrimonio, poveretta. Temo che anche prima che Albert venisse ucciso, Paula avesse l'impressione che quel matrimonio era stato un errore. Ma le cose stanno come vi ho detto, e, se lo volete sapere, quella è la ragione per cui aveva queste chiavi. — Ma perché entrare in casa di nascosto per quel certificato? Non capisco. Non aveva certo bisogno di un certificato per provare il suo matrimonio! — Ci ho pensato, e la sola spiegazione che ne darei è che devono essersi sposati di notte, forse in qualche luogo lontano, scelto da Albert, e che la ragazza doveva essere in uno stato di agitazione e di spavento tali da non ricordare nemmeno dove era stato celebrato il matrimonio. — Dove lo avete trovato? Il certificato, voglio dire. Suppongo che lo avete trovato. — L'ho trovato, infatti, e, a proposito, vi debbo un paio di forbici chirurgiche. Era nella traversa della testa del letto. Ce l'aveva ficcato Albert. Mi sono voluti tempo e fatica per tirarlo fuori. — E non c'era una lettera? — chiesi. — C'era anche una lettera, ma non dice molto. Ve ne parlerò dopo. Adesso continuiamo con Paula. Se quella ragazza avesse agito normalmente, avrebbe detto subito tutto. Ma pochi di noi agiscono normalmente quando sono spaventati, e lei era spaventatissima. Anzitutto, non credeva che il giovane Elliott avesse ucciso Albert, ma non ne era ben sicura. Non ne è sicura nemmeno ora. Lei ha solo la parola di Charles. Inoltre si sentiva colpevole agli occhi dei suoi. Qualunque fosse la ragione per cui Wynne voleva tenere segreto quel matrimonio, quando lui è morto Paula voleva il certificato di matrimonio per mostrarlo ai suoi. Ma è sempre così: chi è nei guai, crede sempre di aver contro la polizia. Noi avremmo trovato chi li ha sposati: ma lei non ci ha detto nulla, e ora è nei guai. Martedì notte entra in questa casa, spaventandovi a morte. Si spaventa anche lei. Mercoledì con-
fessa tutto a Charles Elliott e allora lui tenta di entrare qui, ma si imbatte in Florence e deve fuggire. Finalmente ci riesce giovedì e noi lo sorprendiamo. Lui può essere colpevole del delitto o può essere innocente come un bambino. Per ora, comunque, lo abbiamo sotto chiave. — Ma la lettera! — dissi con impazienza. — Non dice nulla? Non rivela nulla? — Si e no. Non voglio andare troppo in là per ora. Mi basterà dirvi questo. Tutto ha avuto origine da una truffa alle assicurazioni. Lui, Albert, doveva stipulare una forte assicurazione sulla vita. Alla sua età il premio non è alto: l'idea era di fingere una morte per affogamento. Questo all'inizio era il suo piano. Aveva bisogno di una somma in contanti per effettuarlo: tanto per andare via e iniziare in qualche luogo una nuova vita. L'ha chiesta a Hugh e questi, in un primo momento, gliel'ha rifiutata. Poi ha acconsentito, penso, per due ragioni: la vecchia avrebbe avuto di che vivere e ne sarebbe derivato un vantaggio, in seguito, a lui e Mary. Hugh gli dà i soldi, suoi risparmi o prendendoli a prestito. Albert, in sostanza, aveva paura di Hugh: aveva sospeso il suo piano e Hugh non ne era contento. La signorina Julia stava per perdere la casa. Il giovane aveva già avuto il denaro e con questo aveva speculato in borsa. Ma aveva perduto e non voleva "morire" fino a che non avesse recuperato la perdita e qualcosa di più. Perché in quell'epoca aveva incontrato Paula Brent e se ne era innamorato. Vedete come sono andate le cose? Il giovane continua a posticipare la data della sua pretesa morte per affogamento. Passa l'estate, cioè la stagione propizia per una simile finzione, e lui non fa niente. Non solo: ma si è innamorato ed ha tutta l'aria di volere abbandonare l'idea della finta morte. Hugh comincia a sorvegliarlo. Sa che esce spesso di notte con questa ragazza. Per di più, lui la può sposare! Il che rovinerebbe tutto il piano: sua moglie diverrebbe l'erede, non la vecchia. Questa è la ragione per cui il giovane ha nascosto il certificato e ha fatto giurare a Paula il segreto, per quanto io dubiti che Paula fosse al corrente del piano. E nessuna meraviglia che lui fosse allegro, quell'ultima notte! Avrebbe potuto effettuare il trucco dell'annegamento, come prima, ma il danaro l'avrebbe incassato Paula. Allora avrebbero potuto imbarcarsi per l'America del sud o per l'Europa e vivere felici per tutto il resto della loro vita. Solo che lui ha indugiato un giorno o due di troppo. — E Hugh lo ha assassinato? — Non ho detto questo. — Patton si alzò e scosse la cenere della pipa. — Se Glenn viene qui tra un'ora o giù di lì, ditegli per favore di telefonarmi. Io porto Hugh in centrale. E ora ecco un'ultima cosa su cui potete ri-
flettere. Supponete che Florence Lenz sapesse del piano di Albert e si aspettasse di sposarlo per dividerne i profitti. Una supposizione interessante, no? Comunque non mi disse nulla di quello che i due giornalisti avevano trovato sul tetto. 24 Quando andai nuovamente di sopra, gli addetti delle pompe funebri si erano messi all'opera nella camera della signorina Julia e subito dopo mi chiamarono per vederla. Ogni traccia di malattia e di turbamento era sparita e la vecchia giaceva, simile a un'antica statua di marmo, nel suo ampio letto di noce. Avevano disposto le luci in un modo che io rimasi sorpresa: era ritornata la grande dama, maestosa e quasi bella. Non era difficile credere che un tempo fosse stata una bellezza e che il nonno di Paula Brent ne fosse stato pazzamente innamorato. Glenn arrivò alle cinque e io gli diedi il biglietto dell'ispettore. L'avvocato lo chiamò subito al telefono e gli sentii dire che nella cassetta di sicurezza che la signorina Julia teneva presso una banca c'era qualcosa, e che avrebbe provveduto in mattinata. Hugh non era ritornato e io ero contenta che in casa vi fosse qualcuno, oltre Mary, stranamente assorta in meditazioni, nella sua cucina. I giornali del pomeriggio avevano dato la notizia della morte della signorina Julia e quasi immediatamente aveva cominciato ad arrivare gente, in gran numero e con la dignità delle persone attempate, alcune delle quali lasciavano semplicemente il loro biglietto da visita, altre entravano. Alcuni arrivarono in automobile, ma di tanto in tanto si vedeva una vecchia carrozza, usata solo per le grandi occasioni e guidata da un cocchiere altrettanto antiquato, con una livrea logora. Entravano con movimenti cauti, come si fa in simili occasioni, i vecchi signori appoggiati al bastone, le vecchie dame con un fruscio d'altri tempi, tutti fra il triste e l'allarmato, poiché la morte di quella signora era per la maggior parte di loro il preannuncio che non avevano più molto da vivere e che presto avrebbe avuto luogo per loro lo stesso convegno dignitoso. Quasi nessuno chiese di vedere la vecchia Julia. Fui sorpresa di scorgere Henderson, fra i visitatori. Era in compagnia. Salì e si fermò accanto al letto. Osservò qualche minuto di silenzio. — L'ho conosciuta quand'ero ragazzo — spiegò poi in uno scatto. —
Dicono che era diventata di carattere difficile, ma allora non lo era. Ed era anche bella. Uscì in punta di piedi, facendo scricchiolare le scarpe, e quando fu fuori, gettò di sfuggita un'occhiata alle scale del terzo piano. — Peccato che non se ne sia andata prima che "la cosa" avvenisse. Rimasi sorpresa di vedergli le lacrime agli occhi mentre scendeva le scale. Da allora ho spesso pensato a lui, a quell'ometto che aveva trovato la sua parte di romanzo nella signorina Julia e in Paula Brent, e che viveva la sua vita scolorita con quella che lui sempre nominava come "sua moglie". Non era ancora finita, con lui. Prima che l'oblìo lo riavvolgesse, dovevo rivederlo, in circostanze strane e tragiche. Con una certa sorpresa vidi che Hugh era ritornato e che serviva il pranzo. Glenn gli prestava poca attenzione, apparentemente assorto nei suoi pensieri. Tuttavia, durante una pausa del servizio, parlò di lui: — È molto giù, invecchiato, non vi pare? — Molto — ammisi. — Che cosa vuole da lui la polizia, insomma? — aggiunse in tono irritato. — Spero che non lo sospetteranno per quanto è accaduto oggi. Se pure è successo qualcosa! — Voi non lo pensate? — Penso che Stewart è un po' eccitabile. Dopo tutto la povera Julia aveva l'angina da molto tempo. Era condannata ad andarsene presto ed era molto debole a mezzogiorno, quando l'ho lasciata. In quel momento Hugh rientrò e Glenn non disse altro. Subito dopo trillò il telefono e risposi io. Era l'ispettore Patton. — La signorina Adams? — Sì, "dottore". — Niente da fare col nostro uomo. Non parla. Ma ho l'impressione che cercherà di parlare con qualcuno: sa o sospetta qualcosa. Oppure può darsi che torni qui. Anzi, è più che probabile. E voi tenetevi pronta per le otto e mezzo; condurrò Elliott. — Benissimo, dottore. Domani probabilmente sarò libera — arrischiai io. — Forse no, signorina Adams! — mi disse con un tono che, dato l'uomo, poteva dirsi gaio. E attaccò il ricevitore. Terminammo il pranzo in un relativo silenzio. A dire il vero, fu un pranzo insignificante, servito alla meglio, perché cominciavano ad arrivare gli inevitabili fiori e Hugh doveva andare a ricevere scatole, firmare ricevute,
per poi ritornare in dispensa. Prima che avessimo finito, entrò il dottor Stewart, con aria grave e piena di sussiego. Attese finché Hugh non ebbe lasciato la stanza, prima di dire quello per cui evidentemente era venuto. — Ho avuto il referto. — Ebbene? — Sembra proprio veleno. Forse preferirete ascoltarmi in un altro momento, Glenn. — Che cosa vi fa credere che ci sarà un "altro momento"? Sospettavo vi fosse un po' d'attrito fra loro, ma il dottore non la finiva più col suo "risus sardonicus" e con gli altri sintomi, mentre Hugh accorreva ancora alla porta. La faccia di Glenn dimostrava disappunto. Alla fine si alzò, posando il tovagliolo. — Per amor di Dio Stewart! — esclamò. — Ne ho abbastanza di questi discorsi. Non sono un medico, io. Tenetevi la vostra erudizione per i poliziotti, che ci si ingrassano in mezzo a queste cose. E se ne andò. Incontrò Hugh nell'ingresso e si fermò un momento per parlargli; poi, ancora irritato, uscì. Il dottore lo seguì con lo sguardo, sorridendo. — Nervi! — commentò. — Ma veramente non so perché lo critico. Anch'io sono un po' scombussolato, e lui ha un bel peso sulle spalle! — Quale peso? — domandai. — Ho saputo per caso che Paula Brent lo ha visto nel pomeriggio e gli ha chiesto di difendere Elliott. Il giovane ha già i suoi avvocati, ma Paula vuole che l'assista anche lui. Glenn non è penalista, ma lei non è sciocca. Glenn, e prima di lui suo padre, sono stati intimi dei Mitchell per cinquant'anni. Può essere una mossa astuta. Il dottore uscì subito dopo e Hugh lo seguì sotto il portico, dove si fermarono a chiacchierare brevemente finché il dottore se ne andò. Potevano essere le sette e mezzo. Mi domandai allora se quel sommesso colloquio sulla veranda non fosse il tentativo, previsto dall'ispettore, di dare l'imbeccata a qualcuno. Ma le ultime parole del dottore, che io afferrai per caso, suonarono abbastanza chiare e rassicuranti. Parlava da una certa distanza, a voce alta: — Pensateci, in ogni modo, Hugh. Non abbiamo bisogno di altri guai. — Forse avete ragione, dottore. Uscii anch'io sotto il portico, dopo che Stewart se ne fu andato, e vi rimasi un po'. L'aria settembrina era fresca e pungente e ricordo che respirai
profondamente per riempirmene i polmoni e aiutarmi a chiarire le idee. Per quanto ci pensassi su, non riuscivo a mettere insieme in modo coerente tutti gli elementi. Cercavo di capire come c'entrasse Florence Lenz, ma non vi riuscivo. La ritenevo capace di mettere il veleno in quel tubetto, come un Borgia, ma non potevo capire le ragioni per cui poteva averlo fatto. Sarebbe anche stata capace di uccidere Albert Wynne, ma perché? Era rimasta piuttosto fredda, quella notte, quando Charles Elliott si era precipitato contro di lei, sebbene lei avesse finto di svenire. Florence conosceva Albert e poteva anche avere appreso da lui il trucco di sparare attraverso un giornale. Ma di nuovo, perché? Ero ancora là, alla luce che proveniva dall'ingresso, quando Hugh svoltò l'angolo della casa e si fermò vicino a me. — Signorina — disse. — Vi sarei grato se voleste dare un'occhiata a mia moglie. È molto nervosa, questa sera. — Va bene. — E... se si decidesse a darvi qualcosa, signorina, vi prego di metterlo via accuratamente. — Darmi qualcosa, Hugh? Che cosa? — Ve lo dirà lei stessa. Ma è meglio non parlargliene. Potrebbe aversela a male. Lasciate che lo faccia lei. Se non lo fa... Così dicendo fece un piccolo gesto di saluto, poi si mise il cappello e si allontanò lungo il viale. Non lo avrei più rivisto. Sembra strano, ora, a pensarci: rivederlo nella mia mente, mentre la luce dell'ingresso illumina i suoi capelli bianchi e il suo vecchio viso, vederlo scendere per il viale e sapere che si incamminava, come Albert, come la signorina Julia, verso la morte. È stato assassinato? Credo che non lo sapremo mai. Ma dalla direzione che aveva preso, si poteva dedurre che si fosse avviato verso la centrale di polizia. Ed è facile capire perché qualcuno aveva deciso che lui non vi arrivasse mai. Penso talvolta che quella sera ebbi una specie di presentimento, perché mi accorsi che ero scossa da brividi. Mi ero già voltata per rientrare, quando sentii la voce di Paula Brent. Era in mezzo ai cespugli in fondo al portico e parlava a voce bassa. — Non entrate. Ho bisogno di parlarvi. Chiudete la porta. — Hugh è uscito. — L'ho visto. Ma sua moglie è ancora là, non è vero? Chiusi la porta e mi avvicinai a Paula. Anche al buio potevo vedere che
era eccitata. — Sentite — bisbigliò. — Corre voce che la signorina Julia sia stata avvelenata. È vero? Credete che sia vero? — Si sospetta — risposi cautamente. — Questo mette fuori causa Charles, non è vero? — Non è ancora detto, Paula, ma certamente le cose si mettono meglio. — Ditemi come è avvenuto, e poi anch'io vi dirò qualcosa. La Lenz c'entra in qualche modo? Era nella vostra stanza, se ricordate. E c'era della cipria sulla cassetta dei medicinali: proprio sotto il naso di Florence. — Non saprei. Certo, Florence potrebbe entrarci: ma sarà vero? Ecco il punto. Allora Paula snocciolò le sue notizie. — Mi è venuta in mente una cosa. Ma perché vengo a dirlo proprio a voi? Non lo so; forse perché non ho nessun altro. Non posso confidarmi con i miei, che ritengono Charles colpevole e non vorrebbero parlarne. Avete visto la Lenz, questa mattina, come mi ha guardato? — Sì, ho notato — mi limitai a dire. — Non l'avevo mai vista, prima, ma ho capito chi era appena ho sentito il suo nome. Era un'amica di Albert. Erano stati intimi amici finché lui ha incontrato me. Poi tra loro tutto è finito e giurerei che lei non ha digerito la scelta di Albert. Certo, potevo immaginare che Florence non fosse rimasta molto soddisfatta, e cominciai a domandarmi se Paula era venuta per confessarmi il suo matrimonio e dirmi che Florence ne era stata informata. Invece si trattava di tutt'altro argomento, forse più importante ancora. Lunedì sera, come lei aveva già detto prima, aveva incontrato Albert davanti al cinema ed erano entrati insieme. La sala era buia e Paula non aveva fatto caso a chi le sedesse vicino. Quando era uscita, si era accorta che aveva dimenticato la borsetta ed era tornata a cercarla. Era sotto la sua poltrona. L'aveva raccolta ed era uscita di nuovo. Albert stava leggendo un giornale e intanto lei aveva guardato dentro la borsetta, per vedere se vi fosse ancora il denaro. C'era, ma le due chiavi di casa Mitchell, che lei portava sempre con sé, erano scomparse. Mentre parlava delle chiavi, mi guardava con aria di sfida, ma io finsi di non rilevarlo. — Non c'erano più — ripeté. — Le avevo, quella sera, ma non c'erano più. Ma il fatto più importante era che, mentre loro due erano fermi là, dalla sala era uscita la signorina Lenz. Albert non l'aveva vista. Era alquanto
contrariato per il fatto delle chiavi. Aveva tolto dalla tasca le sue, le aveva infilate in un anello marcato con le sue iniziali, e le aveva date a Paula. Erano le chiavi che Charles Elliott, chiuso in trappola al piano di sopra, giovedì sera, aveva gettato dalla finestra. — Siete certa che fosse Florence? — Certissima. Quando eravamo di sopra, mi sono accorta di averla già vista in qualche parte e non da molto. Me ne sono ricordata questa sera. — E siete certa che quelle chiavi erano nella borsetta? — Per forza! Non potevo lasciarle a casa! — Nessuno a casa vostra può averle trovate e prese prima che voi usciste? Paula rifletté e mi parve che si trovasse a disagio. Ma subito dopo respinse l'idea. Nessuno a casa sapeva che lei aveva quelle chiavi. No, erano state rubate nella sala cinematografica e chi le aveva prese sapeva che c'erano e aveva fatto scivolare la borsetta dalle sue ginocchia. — Non avete notato chi vi era vicino? — Era buio, naturalmente. Non potevo riconoscere nessuno. Ma lei c'era, e vicino, anche. Forse accanto a me. Come posso saperlo? — Perché non andate in centrale e non riferite tutto all'ispettore Patton? — le domandai. — Dopo tutto, se quella sera qualcun altro aveva le chiavi di questa casa, e Charles Elliott non le aveva, chiunque fosse, uomo o donna, è dovuto entrare qui, non vi pare? Lei scosse la testa. — Ma è entrato anche lui — disse con aria sconsolata — e lo hanno saputo da me. Abbiamo bisticciato, quella sera, e lui mi ha preso la borsetta con dentro le chiavi. Sapeva che c'erano. Ecco perché l'ho seguito e perché ho messo là la scala a pioli. Sapevo che sarebbe entrato in casa. Ma se anche qualcun altro aveva le chiavi... Capite? Quest'altro c'è andato prima, ed è quello che Charles sostiene. Sostiene che Albert era morto quando lui è entrato nella stanza. Morto da poco. — E allora perché ha rimosso il cadavere? — Non lo ha mai rimosso. Chi vi ha detto questo? Lui ha sentito qualcuno salire le scale e si è calato subito dalla finestra, sul tetto. — La signorina Julia ha fatto una dichiarazione, prima di morire, Paula. Sostiene che lo ha visto rimuovere il cadavere. — Ha mentito! — gridò rabbiosamente la giovane. — Non lo ha visto. Quando Charles ha trovato Albert, era di fronte al cassettone, con la pistola per terra accanto a lui, e c'era qualche macchia d'olio e degli stracci, su un
giornale sulla toletta. Come se lui avesse appena pulito la pistola. Charles ha pensato che fosse accaduta una disgrazia, ma non aveva voglia di essere colto sul posto. Sapeva come sarebbe andata a finire e perciò è rimasto nascosto dietro il comignolo, sul tetto, finché la polizia non se n'è andata. In quel momento una macchina della polizia imboccò il viale. 25 Fra le altre stranezze di quella notte di incubo, oltre alla faccia in piena luce di Hugh, all'espressione spettrale di Paula e alla sua voce appassionata, in fondo al portico c'è il ricordo di quella macchina della polizia; di Evans che ne esce per primo, seguito da Charles Elliott e dall'ispettore Patton. Mi pare ancora di sentire il tono ansante di Paula e di vedere quel giovane, con un polso stretto dalla manetta tenuta da Evans, davanti alla casa; mi pare ancora di vedere l'espressione del suo viso cambiarsi da una specie di pazienza rassegnata in una viva gioia, quando la giovane si precipitò verso di lui. — Charles! Charles! — Mi spiace, amore, non ho che un braccio. L'altro è impegnato. Mi pare ancora di vedere Paula appoggiargli la testa sulla spalla e i due poliziotti guardarli con aria severa e imbarazzata nello stesso tempo. Li lasciarono tuttavia un momento abbracciati e permisero che lei gridasse subito dopo tutta la pena del suo cuore. Charles Elliott cercò a modo suo di farle coraggio. — Adesso tocca a me — disse. — Tu starai zitta e lascerai piangere "me". Senti, piagnucolona! Non ti dispiacerebbe andare in macchina e portarmi qualche biscotto e una tazza di caffè decente? Ma la sua voce era fioca e lui si stringeva di più alla ragazza, vedendo che il suo buon umore non faceva effetto. — Ora basta — sospirò. — Questa gente non è più sicura come prima; altrimenti perché mi avrebbero fatto uscire dal mio caldo stambugio per portarmi in questo posto così freddo? Capisci, cara? Questi custodi della legge tremano, ora, perché sanno di avere imboccato la strada sbagliata. Non è vero che tremate, ispettore? — Ho i brividi — confermò amabilmente Patton. Questo contegno assurdo rese Paula più ferma. Alzò lo sguardo verso Charles Elliott e sorrise.
Nessuno fino allora aveva prestato la minima attenzione a me. — Non siete il solo ad avere i brividi — intervenni. Solo allora l'ispettore mi guardò e mi venne vicino. — E Hugh? — È uscito. — Lo pensavo. Ma ormai lo tengo, e saprò presto dov'è andato. Quando gli riferii la conversazione riguardante Mary, prima che Hugh uscisse, si mise a fischiettare sommessamente. — E che cosa poteva essere? — domandò. — Una pistola? Un flacone di stricnina? — Forse quello che lei ha nascosto per la signorina Julia. Il giornale ne è la prova. — Le cose allora si complicano, ed è ora di controllare gli alibi di tutti. — È quello che penso. Ma posso sbagliarmi. — Non vi sbagliate spesso, signorina Adams! — commentò lui ritornando verso il prigioniero. Seguì allora uno di quegli esperimenti drammatici, che i funzionari di polizia spesso mettono in scena, aiutati dall'immaginazione. Charles Elliott era stato condotto in casa Mitchell per ripetere il più fedelmente possibile tutti i movimenti che aveva fatto nella casa e nel giardino il lunedì sera. Evidentemente aveva già ammesso che era stato lì, e aveva acconsentito alla ricostruzione dei fatti. L'ispettore ed Evans erano così assorti in quel piccolo dramma, che ritengo non si accorgessero neppure della presenza mia e di Paula. Di tanto in tanto Patton faceva una domanda, ma in genere la scena si svolgeva in silenzio, tranne quando il giovane forniva le sue spiegazioni. Charles li condusse prima fino alla strada e di là si diresse verso la casa vicina. — Ho lasciato il tassì qui all'angolo — spiegò — e ho girato da questa parte. Tornò indietro un centinaio di metri e si fermò. Di là la casa appariva poco più di un'ombra e lui l'osservava. — Ero già stato qui, una notte, con Paula — fece osservare. — La porta laterale è da quella parte. Poi si avviò tra i cespugli, sempre trascinando Evans per la manetta, e dopo avere attraversato il prato, si fermò di nuovo. — Ecco dove mi sono fermato, quando ho visto che qualcuno usciva dalla porta laterale, come ho già detto. Era buio, come adesso, per questo
non avrei saputo dire se era uomo o donna. — E quella persona è andata verso la parte posteriore della casa? — Sì. L'ispettore stava ancora guardando verso la porta laterale. — Sentite, Elliott — disse. — Certo, avrete fatto qualche supposizione su quella persona: come mai a quell'ora usciva così di soppiatto da quella porta? Dovete aver fatto molte ipotesi in proposito, se il vostro racconto è esatto. Mi parve che il giovane Elliott esitasse. — Vi dirò — rispose — che cosa ho pensato. Io non ho visto chi era. Ma allora avrei scommesso che si trattasse di Hugh o del dottor Stewart. Sapevo che la signorina Julia era ammalata di cuore. Tutti lo sapevano. — Ma non potevate vedere il dottore andare verso la cucina, vero? — Non vedevo la sua macchina e poteva darsi che dovesse visitare qualche vicino di casa e prendesse una scorciatoia. Non ci sono siepi. No, non è cosi. Perché avrebbe dovuto uccidere Wynne? È quello che continuo sempre a domandarmi. — Va bene. Lasciamo perdere. Ci dirigemmo verso la casa e davanti all'entrata Charles si fermò. — Da questa parte era facile entrare. Avevo le chiavi di Paula, come vi ho già spiegato, e ho aperto il portone; ma mi sono trovato negli impicci quando sono arrivato in cima alla scala posteriore. Potevo sentire Hugh russare e perciò, con un'altra chiave, ho cercato di aprire la porta di quella stanza. Per fare questo ho acceso un fiammifero e ho visto che ero sul pianerottolo del secondo piano. Salimmo e lui ripeté tutti i movimenti che aveva fatto quella notte. Mary era ancora in cucina, e non sospettava niente. Sul pianerottolo del secondo piano, Elliott si fermò e sorrise debolmente. — Mi sono fermato qui — disse. — Fino a quel momento avevo agito spensieratamente, ma allora ho cominciato a capire che la mia intrusione aveva tutta l'aria di uno scasso. Devo dire che avrei potuto ucciderlo, a questo punto, se avessi avuto una pistola. Ma ho cominciato a rendermi conto che stavo commettendo una follia. La luce era accesa, e lui continuò a salire. A metà scala del terzo piano si fermò di nuovo. — Se qualcuno va di sopra e accende la luce, capirete meglio — suggerì. — Mi trovavo qui quando l'ho visto per la prima volta. L'ispettore salì e noi lo aspettammo sulle scale. Nella semioscurità, vidi
Charles allungare la mano libera e cercare a tastoni quella di Paula. I due ragazzi rimasero così finché si accese la luce. — Ero qui — disse poi Elliott. — Mi sono fermato e ho guardato nella stanza: in un primo momento ho pensato che Albert stesse cercando qualcosa sotto il cassettone. Ma la sua posizione era strana, e quando ho visto che non si muoveva, ho capito che era accaduto qualcosa di grave. Ho provato l'impulso di fuggire! Ma non l'ho fatto. Poteva essere svenuto, o anche ubriaco fradicio; decisi di dargli un'occhiata da vicino. Nella stanza, ripeté i gesti che aveva fatto; si era chinato sul cadavere, ma non l'aveva toccato. Aveva visto la ferita e aveva capito subito che Albert era morto. — Da quanto tempo? — chiese l'ispettore. — Era ancora caldo? Non era ancora rigido? — Non lo so. Poteva darsi che fosse un tranello. Non l'ho toccato, vi ho detto. Ho pensato di metterlo sul letto, ma poi mi sono ricordato che in casi del genere non bisogna toccare niente. — Ma vi siete alzato e avete guardato il letto? — Non mi pare. Ero ancora chinato quando ho sentito qualcuno salire le scale. Ho pensato di andarmene. Sapevo del tetto e posso mostrarvi come ho fatto, se volete. — E poi fuggire approfittando della scala a pioli? No. Come posso sapere se qualche complice non vi ha preparato un'altra scala a pioli? Era uno scherzo e noi lo prendemmo per tale: tutte le battute di spirito che potevano sollevare il morale, in quel tenebroso affare, erano bene accette. Ma subito l'ispettore diventò laconico e proseguì con il sopralluogo. — Quanto tempo eravate rimasto in quel cespuglio? — Soltanto il tempo di orientarmi. — E non avete sentito un colpo di pistola? — Può darsi, ma non vi ho fatto caso. — E non avete messo in relazione quello che avevate scoperto con l'individuo che avevate visto prima? Elliott esitò. — Preferirei non rispondere. — Avanti, Charles. Diglielo — suggerì inaspettatamente Paula. — Come facevo a capire che non era Paula? — disse lui lentamente. — Lo so ora che non poteva essere lei, ma voi capite che cosa voglio dire. Allora non sapevo che erano sposati, ma sapevo che non poteva vederlo a casa sua, e perciò lei veniva qui.
— Non l'avevate appena lasciata? — Charles doveva andare a cercare un tassì — interruppe risolutamente Paula. — Io potevo essere arrivata qui prima di lui, e lui lo sapeva. Non è vero, Charles? — Paula poteva aver fischiato o aver fatto qualche altro segnale. Vorrei spiegarmi meglio. Non pensavo che lei l'avesse ucciso, cercate di capirmi. Non pensavo che qualcuno lo avesse ucciso, me se lei gli aveva detto qualcosa... — Cioè che io amavo te e non lui — si intromise Paula con energia. — Bene, capite che cosa significa questo, ispettore. Io volevo soltanto che lei non fosse implicata in questa faccenda. Ecco tutto. E, naturalmente, non ero certo che fosse Paula. — Poi aggiunse, rivolgendosi alla ragazza: — Ma lo sai anche tu che Wynne aveva sempre in ballo una donna o due. Era fatto così. L'ispettore mi lanciò un'occhiata. — Sta bene — disse. — E ora passiamo alla faccenda della scala a pioli. Avrò bisogno anche di voi, signorina Brent. Ma non poterono mai risolvere la questione della scala. Quando arrivarono sulla parte anteriore della casa, mentre passavano davanti alla camera dove giaceva la signorina Julia, circondata di fiori, trovarono un funzionario di polizia con una lettera per l'ispettore. Patton si voltò verso di me, con viso serio. — Date questa notizia a Mary, con tutta la cautela possibile — disse. — Il vecchio è stato investito non lontano da qui ed è morto mentre lo portavano all'ospedale. 26 Quella notte rimane per me il più orribile dei miei ricordi. Quando diedi la notizia a Mary, la donna ebbe un collasso. Il cadavere di Hugh era ancora nella camera mortuaria dell'ospedale; ed era inutile chiederle che cosa desiderasse fare. Verso le dieci avevo telefonato al medico, che le somministrò un calmante, ma quando se ne fu andato, mi sentii terribilmente sola. Nella stanza della signorina Julia era accesa una debole luce e tutta la casa era pervasa dal morbido odore dei fiori. Avevo aperto la porta del pianerottolo, per potere andare di tanto in tanto a vedere Mary e mi sedetti in quella che ormai consideravo la mia camera.
Ero molto stanca. Era il venerdì notte, e nel complesso da lunedì avevo dormito poco o niente. Ma, come avviene in simili casi, ero troppo stanca per dormire. Ancora vestita, mi gettai sul letto, ma, invece di riposare, la mente incominciò a formulare ipotesi su ipotesi. Ancora una volta cercai di ricostruire ciò che era accaduto nella stanza del terzo piano, lunedì notte, ma con lo stesso insuccesso. Immaginavo di vedere Albert entrare dalla porta principale, abbastanza di buon umore. Probabilmente aveva ancora in tasca il "Globe". Lo vedevo poi mentre nella sua stanza si preparava a svestirsi, prendeva la pistola e la posava, insieme al giornale, sul cassettone. Vedevo anche qualcuno entrare nella stanza, ma non poteva essere Charles Elliott, altrimenti Albert non sarebbe rimasto a sedere tranquillo, ma sarebbe certo balzato in piedi, si sarebbe allarmato, avrebbe afferrato la pistola. Invece non si era alzato. Aveva guardato in su, forse, mentre si stava slacciando le scarpe. Non si era certamente allarmato, sebbene fosse sorpreso. Era rimasto a sedere forse per qualche tempo, c'era stato uno scambio di parole, mentre l'assassino, con qualche pretesto, tirava fuori il fazzoletto o teneva in mano i guanti e intanto teneva d'occhio la pistola sul cassettone, ma Albert non si aspettava di essere ucciso. Aveva guardato in su e aveva ricevuto una palla in fronte, forse prima di rendersi conto che era in pericolo. Le mie congetture si fermavano qui. Credevo al racconto di Paula e di Charles Elliott, e cioè che Albert era già morto quando Charles era entrato in quella stanza. Ma niente spiegava come mai il "Globe" fosse stato sostituito dall'"Herald", né come mai quel pezzo di giornale recasse tracce di polvere da sparo, e fosse vecchio di una settimana. E tutto questo non poteva mettersi in relazione con una tentata truffa alle società assicuratrici. Tornai con la mente alla dichiarazione della signorina Julia. Forse Charles, eccitato com'era, si era avviato verso il letto, forse la vecchia lo aveva visto venire avanti, come aveva detto, e poi chinarsi sul cadavere, ma aveva anche dichiarato e sottoscritto che lui l'aveva rimosso e trascinato sul pavimento. Aveva veramente visto o l'aveva solo immaginato, più tardi? Alle undici fui svegliata da uno squillo di campanello, e scesi con passo stanco le scale. Mi pareva di aver fatto un milione di corse su e giù, tanto le mie gambe erano pesanti. Mi aspettavo che fosse qualche giornalista, invece era Patton, con un'espressione ancora più grave di quanto le circostanze non paressero richiedere. Si fermò nell'ingresso e si chiuse la porta alle spalle. — Avete la vostra pistola? — mi domandò.
— Mi avevate detto di non portarla. — Bene. Ve ne ho portata una io — disse, posando l'arma sul tavolo vicino a me. — Dovete solo togliere la sicura prima di sparare. — Non ne ho bisogno — risposi. — Voglio solo andare a casa e dormire per un mese di seguito. — Non ne avrete certo l'occasione, se non terrete una pistola a portata di mano, in questa casa — ribatté lui cupamente. — Non voglio spaventarvi, ma io vi ho chiamato qui e sono responsabile della vostra sicurezza. Non voglio che facciate la fine di Hugh. — Hugh? — ripetei, incredula. — Sì, è stato assassinato, investito apposta e ucciso mentre attraversava la strada, nei pressi di casa Manchester. Un nostro agente ha assistito alla scena, ma non è riuscito a fermare l'auto investitrice né a prendere il numero di targa. — Assassinato! — È morto, in ogni modo. Mi guardò e dovette notare che ero molto pallida. Mi mise la mano su una spalla. — Siete una donna coraggiosa, signorina Adams — disse — e certo non vorrete abbandonarci ora. Neppure noi vogliamo abbandonarvi, ricordatelo. E ora vado di sopra a parlare con Mary. Rimase nella camera della donna per qualche minuto, poi lo sentii muoversi nel retro della casa. Si fermò a lavarsi le mani nel lavabo dell'ingresso e stava asciugandosi quando ritornò da me, in biblioteca. Prima di parlarmi, mi fece sedere in una comoda poltrona. — Mettetevi comoda e ascoltatemi — disse. — Credo che la faccenda sia ormai a buon punto e io ho abbozzato un piano per risolvere tutto. Ma vi posso già anticipare qualcosa. Prima si pensava a un suicidio. Ma non c'erano tracce di un colpo tirato a bruciapelo. Le possibilità erano due. Questo giovane aveva un'assicurazione sulla vita per una forte somma, e sapeva che la vecchia Julia si trovava in condizioni economiche disperate. Poteva naturalmente trattarsi di morte accidentale, ma Albert non stava pulendo la pistola quando è accaduto il fatto. L'aveva pulita prima, tra le otto e le nove. "Inoltre si può sempre seminare qualche indizio per mascherare un suicidio e confondere le idee agli inquirenti. E quel giornale è stato messo là probabilmente per portarci completamente fuori strada, se per caso lo avessimo aperto. Infatti io l'ho raccolto e l'ho guardato, ma, come sapete, la
prima e l'ultima pagina erano intatte, nessuna traccia di pallottola. Solo quando avete trovato in biblioteca quel pezzo di giornale ho cominciato a propendere per l'ipotesi del suicidio. Ma anche allora ero perplesso. Quel frammento apparteneva a un giornale di una settimana prima e secondo ogni probabilità sarebbe dovuto provenire da un numero del 'Globe'. Invece no: era stato strappato da un numero dell''Herald'. "Poteva essere un buon indizio oppure no. Solo ora posso formulare un'ipotesi esatta. Ho avuto quel giornale da Mary, che lo ha tenuto nascosto tutta la settimana senza parlarne con Hugh, ma ha detto a me dove potevo trovarlo." Lo tolse di tasca e me lo diede. Era proprio come l'aveva descritto quel giorno. Chiuso, appariva normale, ma quando lo si apriva, mostrava parte del foro di una pallottola e tracce di polvere e di bruciacchiatura. Un angolo era strappato, ma l'ispettore estrasse dalla sua borsa il frammento di carta e ve lo adattò. — Ora noi dobbiamo pensare questo — continuò. — La signorina Julia ha confessato parte dei fatti, ma non tutto. Lei aveva visto il giornale e Mary ha ammesso che Albert le aveva parlato di quel trucco. La vecchia ha preso il giornale, quella notte, e lo ha dato a Mary perché lo nascondesse senza farne parola con nessuno, nemmeno con Hugh. Suppongo che, mentre era a letto, si sia improvvisamente ricordata di quel giornale sul cassettone, e abbia avuto un istante di tentazione. Può darsi che Mary le abbia detto, quella notte, che c'era un'assicurazione considerevole sulla vita di Albert. Mary aveva modo di sapere cose che apparentemente avrebbe dovuto ignorare. Per esempio, sapeva come la pensava la signorina Julia, a proposito dell'assicurazione: lei era povera e le compagnie assicuratrici sono ricche. E d'altra parte non poteva far rivivere quel ragazzo. — Non credo che sia così. Non credo che si sarebbe abbassata a un simile compromesso. Approfittare della morte del nipote... — obiettai. — Tuttavia è quello che ha fatto. E c'è quel nostro pezzo di giornale. — Si è suicidato, allora! — Chi ha detto che si è suicidato? Dico solo che quella notte la signorina Julia credeva che Albert si fosse suicidato. Ma dopo le nostre indagini ha cominciato a dubitarne. Aveva visto Elliott fuggire, ma lo conosceva. Non poteva venirle in mente che un giovane che lei conosceva potesse uccidere. La signorina Julia sapeva benissimo chi era suo nipote e che si era fidanzato con Paula. Disgrazia, suicidio, ma non delitto. In un primo momento, almeno.
— Ma è arrivata ugualmente alla conclusione del delitto — lo interruppi con una certa amarezza. — Certo. Come voi e me. Ma lasciatemi proseguire. Ho fretta. — E guardò l'orologio. — E ora considerate l'altro aspetto della faccenda. C'è una prova esplicita di colpevolezza contro Charles Elliott. Era geloso. Più ancora, ossessionato. Aveva seguito Paula e sapeva che veniva qui, la notte. La cosa non gli andava giù, perché sapeva che Albert Wynne era un cattivo soggetto. Ora, lasciando da parte la faccenda dell'assicurazione, è per lo meno concepibile che Elliott potesse avere ucciso Wynne. Paula ci ha raccontato che Albert era perseguitato e che portava con sé una pistola. Ma si è trascurato un particolare o due; anzitutto quello del giornale. Non è concepibile che Elliott abbia ucciso Wynne ricorrendo all'espediente che sappiamo. E se, per qualche ragione, lo ha fatto, perché il giornale era di una settimana prima? — Volete dire che il gesto era premeditato? — Proprio cosi. Voi avete detto una cosa esatta, oggi, quando eravamo nella dispensa: un omicidio può benissimo essere commesso in modo da apparire suicidio. La sola ipotesi che possa concordare con la presenza di questo giornale nella stanza di Albert è che l'omicidio dovesse apparire una disgrazia, e che in caso contrario vi potesse essere un alibi. Però il giornale era sparito: Mary lo aveva preso e nascosto in un vaso, nella dispensa. Lo guardai con occhi sbarrati. — È stato Hugh, allora? — Non è stato Hugh. Posso solo dirvi che se alcuni accertamenti che ho predisposto procedono bene, come spero, potrei essere in grado di rivelarvi il nome del colpevole domani in mattinata. E se ne andò. Ancora oggi, quando ripenso a quei momenti di suspense, non riesco a perdonare quel suo atteggiamento. Poteva dirmi qualche particolare, darmi qualche indizio. Doveva avere fiducia in me, che avevo lavorato tanto per lui. Ma non mi disse neppure che aveva dato le disposizioni necessarie per proteggermi. Dovette avere un attimo di dubbio prima di uscire, perché si soffermò nell'ingresso, mi guardò, poi guardò le scale alle mie spalle. — Buona notte — mi disse. — Non andate troppo in giro e tenete la pistola a portata di mano. Quando ebbi chiuso la porta, con il catenaccio, provai di nuovo quello strano piccolo brivido di paura.
La casa sembrava frequentata dai fantasmi, quella sera. Si sentivano strani scricchiolii, dappertutto, e nell'aria aleggiava quel pesante odore dei fiori che dalla camera della signorina Julia si diffondeva negli altri locali. Era penetrato perfino nella stanza di Mary. Presi la pistola, quando andai di sopra, ma mi accorsi subito che quell'arma non poteva essermi di nessuna utilità contro i fantasmi con cui la mia mente continuava a popolare quelle vecchie stanze: la signorina Julia, Albert e ora anche Hugh. Solo Mary era rimasta, immersa nel sonno pesante dei narcotici e della spossatezza. A mezzanotte e mezzo tornai a vederla, ma era tranquilla. La vista di una persona viva e reale mi rasserenava un po' ed ero più calma e quasi sollevata quando la lasciai. Sollevata! Come mi pare strano, ora! Poiché fu proprio quella visita a Mary che fece precipitare la situazione. Il suo gatto dormiva sul letto e io lo presi per portarlo nell'ingresso. Forse è una superstizione, ma non mi piacciono i gatti in giro quando ci sono morti, e io avevo l'intenzione di metterlo fuori. Sul pianerottolo invece l'animale mi sfuggì e scappò su per le scale, verso il terzo piano. Mi ripugnava l'idea di inseguirlo, ma alla fine decisi, e dopo avere acceso la luce sul pianerottolo, cominciai a salire le scale. — Qui, Tom! Vieni, Tom! Nel silenzio della casa la mia voce risuonava cavernosa e non avevo voglia di seguire il gatto nella camera di Albert. Ma avevo cominciato e volevo andare fino in fondo. La stanza era debolmente illuminata dalla luce del pianerottolo sottostante e perciò potei dirigermi verso il cassettone, per accendere la lampada che lo sovrastava. Potevo vederla luccicare debolmente, ma improvvisamente non la vidi più. La porta si era chiusa silenziosamente dietro di me! Ero paralizzata dal terrore. Rimasi immobile, il braccio alzato verso la lampada, certa che nella stanza c'era qualcuno. Eppure niente si muoveva. Si udivano soltanto i soliti scricchiolii delle imposte, da cui penetrava il vento autunnale. Ma poi mi accorsi che gli scricchiolii si avvicinavano a me. Voltavo la schiena al letto, ma sentivo quei sinistri rumori sempre più vicini. E proprio mentre stavo per aprire bocca e gridare, sentii due mani serrarmi la gola. 27
Chiunque fosse, quelle mani erano prodigiosamente forti. Mi sentii perduta. Anche adesso, talvolta, mi sveglio di notte grondante di un sudore caldo, e mi pare di sentire ancora quel terribile sforzo per respirare, e cerco di liberarmi da quelle dita implacabili. In un primo momento non credevo che la cosa stesse capitando a me. Non era possibile che si cercasse di uccidermi. Poi mi resi conto che era così e che stavo per morire. Me ne ricordo benissimo, e ricordo anche quando cominciai a perdere conoscenza. Mi si piegavano le ginocchia, poi non potei più reggermi. Sentii che barcollavo, cedevo. Alla fine dovetti perdere i sensi. Ritornai in me molto lentamente. Provavo ancora difficoltà a respirare, sentivo la gola gonfia e non potevo girare la testa. Quando riuscii a immettere un po' d'aria nei polmoni mi parve di non provare sollievo. Stentavo a respirare e potevo sentire il mio rantolo affannoso. Provai a muovermi, ma non ci riuscii. La testa mi scoppiava e mi sembrava di essere rannicchiata in uno spazio stretto. Allungai una mano e tastando al buio, sentii una parete, tutto attorno a me. Ci volle del tempo, stordita com'ero, prima che mi rendessi conto che non si trattava di pareti, ma di battenti di legno. Finalmente realizzai che ero chiusa in un armadio e che l'aria era molto viziata. Ero così tesa nello sforzo di respirare, dovuto parzialmente al gonfiore della gola, che passarono parecchi minuti prima che cercassi di prendere una decisione. Allora tentai di chiamare aiuto, ma dalla gola mi uscì solo un suono rauco che non poteva certamente essere sentito fuori da quella stanza. Mi sentivo soffocare e avevo i crampi alle gambe. Cercai di alzarmi, ma ero troppo debole. Comunque la mente cominciava a schiarirsi e intuii che il mio misterioso aggressore doveva avermi chiuso nell'armadio della stanza di Albert. Provai a tempestare di pugni le ante, ma quello spaventoso silenzio continuava. Alla fine sentii un rumore, molto lontano. Poteva essere niente, ma poteva anche essere qualcuno che salisse le scale. E infatti era proprio così. Chiunque fosse, veniva su molto adagio e di tanto in tanto sembrava fermarsi. Le scale scricchiolavano, e anche la ringhiera, come se qualcuno vi si appoggiasse. Improvvisamente pensai che poteva essere l'assassino che tornava indietro e fui presa da un terrore tale che ancora oggi, quando ci penso, mi vengono i brividi. I passi arrivarono finalmente al terzo piano, sempre con quella strana e-
sitazione, e mi parve che lo sconosciuto si fermasse un'eternità sulla soglia, come un corridore giunto alla meta. Poi si decise a entrare. Notai che si trattava di un uomo, claudicante. Potevo sentire un respiro affannoso che si avvicinava sempre di più all'armadio. Dopo un momento di attesa, la chiave cominciò a girare nella toppa. Ripenso con stupore a tutto questo. Fu una specie di pentimento? Una decisione improvvisa di lasciarmi una probabilità prima che morissi soffocata? Non posso crederlo. Ma so che quando sentii girare la chiave, tentai di gridare, ma senza esito. Comunque accadde qualcos'altro. Non so quale forza mi venne in quel momento. Ho soltanto una vaga reminiscenza di quei terribili istanti. Improvvisamente riuscii ad alzarmi. Ricordo che appena la chiave girò nella toppa, io spinsi con un frenetico impeto di disperazione le ante, che si spalancarono, urtando evidentemente chi stava fuori. L'urto fu violento, perché nell'oscurità captai una specie di grugnito, e una pesante caduta, poi silenzio. Mi catapultai fuori dalla stanza, giù per le scale, e mi trovai davanti alla canna di una pistola impugnata dall'ispettore Patton. — Nella stanza di Albert! — gridai con voce rauca. — Presto! Nella stanza di Albert! Poi persi i sensi, quasi nello stesso punto dove era svenuto, quel giorno stesso, il povero Hugh. Quando ripresi conoscenza, mi trovavo nel letto della mia cameretta. L'ispettore mi stava accanto, e da fuori veniva un rumore di passi strascicati. Patton, con la fronte aggrottata, chiuse in fretta la porta del vestibolo, ma io capii benissimo che cosa significasse quello strascicare di passi. Era il cauto trasporto di una barella. Quando l'ispettore tornò vicino al letto, feci per digli qualcosa. — Non sforzatevi a parlare. Come vi sentite? Bene? Accennai di sì. — Ghiaccio — sussurrai. — Ghiaccio per la gola. È gonfia. Capii allora che dietro la porta c'era un agente, perché l'ispettore lo mandò a prendere un po' di ghiaccio tritato, poi mi guardò con aria grave. — Ho molto da fare — disse — ma non voglio andarmene senza dirvi che vi devo parecchio, comprese le più grandi scuse della mia vita! Dobbiamo ringraziare Dio, cara signorina Adams, che le cose non siano andate peggio. — Chi era quell'uomo? — bisbigliai. Avevo ancora le labbra gonfie e la lingua grossa e pesante. Quando lui mi disse più tardi che sibilavo come un
pentolino da tè, aveva proprio ragione. L'agente scelse quel momento per entrare frettolosamente con un piatto di ghiaccio tritato e simultaneamente si udì il trillo del telefono. Qualcuno rispose, poi chiamò Patton. — Vogliono voi, ispettore, e pare abbiano fretta. — Chi è? — Un certo Henderson. Patton corse fuori dalla stanza e lo sentii scendere a volo le scale. Lasciai il letto e andai sul pianerottolo. Ero ancora debole e malferma sulle gambe, così mi afferrai alla ringhiera per guardare giù. Vidi l'ispettore al telefono. La porta dell'ingresso era aperta e sotto il portico c'era gente e un automezzo lucido e scuro: l'ambulanza della polizia. L'ispettore gridava al telefono: — Che c'è, Henderson? Stette un momento in ascolto. — Da quanto tempo? Un'ora fa o di più? Mio Dio! Sfondate una finestra ed entrate! Vengo subito! Diede alcuni ordini e vedendomi sulla scala mi chiese: — Come vi sentite ora? Abbastanza forte per fare una corsa? Non avrete bisogno di parlare! Accennai di sì e stavo per voltarmi, per andarmi a vestire, quando lui mi chiamò di nuovo: — Venite così, non abbiamo tempo da perdere! E si diresse verso l'uscita. Lo raggiunsi più in fretta che potei e non ebbi il tempo di chiudere la portiera dell'auto che il motore ruggì e la macchina schizzò via. Non avevo mai viaggiato a una velocità simile e spero di non ripetere più una simile esperienza. Un agente in motocicletta, saltato fuori da non so dove, ci precedeva con la sirena spiegata. Volavamo in mezzo al traffico, cogliendo soltanto come un lampo lo sguardo attonito dei pedoni. In tutto quel tempo, l'ispettore parlò soltanto una volta. — Si tratta di Paula Brent — disse senza guardarmi. — Si trova nel garage, chiusa dentro; così dice Henderson, che non riesce a comunicare con lei. Con mia grande sorpresa, constatai che potevo parlare, per quanto fiocamente. — Chiusa dentro! Che abbia cercato di uccidersi? — Credo piuttosto — rispose lui lentamente — che qualcuno abbia cercato di sopprimerla. E possiamo ringraziare il bravo Henderson se il tenta-
tivo è fallito. Non conosco ancora i particolari. — In che modo? — Ossido di carbonio, a quanto pare. Ma il garage è grande e c'è solo la probabilità... Si interruppe, mentre entravamo nel viale dietro la casa dei Brent. Non incontrammo difficoltà a trovare ciò che cercavamo. A metà isolato c'era un garage privato, illuminato a giorno, e dentro un piccolo gruppo di persone chinate su qualcosa che giaceva sul pavimento. Ancora prima che noi uscissimo dalla macchina, qualcuno si staccò dal gruppo e io riconobbi subito Henderson. — Abbiamo chiamato una lettiga, ispettore. Dovrebbe arrivare a minuti. — È ancora viva? — Sì. — Dio sia lodato! Chi è quella gente? — I genitori di Paula e mia moglie. C'è anche il guardiano notturno, ma è appena arrivato. È mia moglie che ha mandato a chiamare la lettiga. Mi parve di sentire un certo orgoglio nelle sue parole. Scesi dalla macchina ed entrai nel garage. Paula Brent era distesa sul pavimento di cemento, e respirava debolmente. 28 Era allungata dietro la sua piccola utilitaria, e mentre tutti si davano da fare intorno a lei, potei notare una quantità di utensili sparsi sul pavimento, come se la giovane fosse stata sorpresa mentre stava lavorando. Mi chinai e l'osservai attentamente, ma avevo poca pratica di casi d'asfissia e non sapevo che cosa fare. In attesa che la lettiga arrivasse, suggerii la respirazione artificiale. Se ne incaricò l'agente motociclista, perché io ero ancora troppo debole. A un tratto vidi l'ispettore chino su di me. — Nessun segno sul corpo? È stata colpita? — Non ne sono certa: ha un'ammaccatura dietro la testa, ma può essersela procurata nel cadere. Patton si staccò dal gruppo e si mise a curiosare in giro per il garage. C'erano frammenti di vetro sul davanzale della finestra per la quale era passato Henderson, ma era tutto. Lo vidi parlare con Henderson, e subito dopo prendere una lampadina tascabile e andare nel viale. Quando ritornò, sempre con il piccolo Henderson alle calcagna, teneva nel fazzoletto una piccola chiave, che avvolse accuratamente e mise in tasca.
Se prima avevo avuto qualche dubbio che quella notte si fosse tentato di assassinare Paula Brent, ora era scomparso. La ragazza si era chiusa in quel garage e aveva cercato la morte. Ben presto arrivò l'ambulanza e io scortai Paula al St. Luke Hospital. Vi avevo lavorato e il portiere di notte mi conosceva bene. — Pare che siate finita in un bel pasticcio, signorina Adams — mi disse. — È proprio un pasticcio, John! — confermai. — Se c'è ancora qualcuno in cucina, vorrei un buon caffè. Promise di provvedere e io seguii l'ispettore nella sala del "Pronto soccorso". C'erano cinque o sei medici attorno al lettino, equipaggiato con le bombole di ossigeno. Potei appena gettare uno sguardo a Paula, che giaceva ora tranquilla. Poi il gruppo si richiuse su di lei e qualcuno mi portò il caffè. Ci affaccendammo attorno alla giovane tutto il resto della notte ed era l'alba quando Paula venne dichiarata fuori pericolo. L'ispettore era scomparso appena la ragazza aveva cominciato a migliorare, ma ritornò subito dopo l'alba, e rimase a camminare su e giù per il corridoio, finché non gli permisero di vederla. Allora fece uscire tutti dalla stanza, salvo me, si sedette accanto al letto e cominciò a interrogarla con molta dolcezza, come se avesse a che fare con un bambino. Ma Paula sapeva molto poco. Dopo il sopralluogo a Mitchell House, intendeva tornare a casa, come le aveva ordinato l'ispettore. Si sentiva felice ed eccitata, perché si riteneva certa che ormai la polizia stesse per liberare Charles Elliott. Aveva parlato all'ispettore di Florence, e delle chiavi, e sperava molto in questo. Ma non era tornata subito a casa. Prima aveva fatto un lungo giro. Alle undici e mezzo, aveva messo la macchina in garage e quando aveva spento il motore, aveva sentito dei passi nel viale. Questo non l'aveva preoccupata, e quando stava per chiudere la porta del garage, era entrato un uomo. Alla debole luce che proveniva dall'esterno, lei aveva visto che quell'uomo portava un fazzoletto scuro sulla parte inferiore del viso. Si era spaventata e aveva cercato di raggiungere la piccola porta interna che dava direttamente in casa. Doveva essere stato allora che l'altro l'aveva buttata a terra, ma lei non ricordava più nulla fino al suo risveglio all'ospedale. Era tutto quello che sapeva, ma l'immancabile Henderson, che stava aspettando fuori, poté colmare alcune lacune del suo racconto. Come l'ispettore Patton aveva detto il giorno prima, con l'arresto di Charles Elliott e la parte che l'ometto vi aveva avuto, Henderson si era trovato immischiato
nel dramma più sensazionale della sua vita. Comunque, dalla notte in cui aveva sentito Paula e Charles bisticciare nel viale, lui aveva provato una specie di avido interesse per la vicenda dei due giovani. Quel venerdì sera aveva sentito Paula uscire con la sua macchina, verso le otto e mezzo, e quando, dopo le dieci, la ragazza non era ancora rientrata, lui aveva cominciato a stare in pensiero. — Io non ho figli — spiegò — e ho sempre amato molto Paula... e anche Charles Elliott — si affrettò ad aggiungere. Alle undici ne aveva parlato a sua moglie, che però non aveva altrettanta simpatia per Paula e perciò gli aveva detto di andarsene a letto e di non inquietarsi per quella ragazza, come per una figlia. Lui non aveva replicato ed era andato a letto; ma era rimasto sveglio e in ascolto. Alle undici e mezzo o a mezzanotte meno un quarto, aveva sentito il rombo della macchina della giovane e subito dopo il cigolìo dei battenti del garage. Ora che si era messo l'animo in pace, poteva addormentarsi, ma cinque minuti dopo aveva sentito di nuovo il rombo del motore. Si era alzato e aveva guardato fuori. Il garage era buio, ma il motore seguitava ad andare, e su di giri. Avrebbe voluto subito andare a controllare, ma sua moglie si era indignata e lui si era rannicchiato di nuovo sotto le coltri. — Si direbbe che se ne intenda molto di automobili — gli aveva detto la moglie. — Se vuol provare il motore, si arrangi. — Ma non c'è luce. — Come fai a saperlo? Forse adopera una lampada portatile. Dormi, ora. Invece lui non era riuscito a prendere sonno ed era forse l'una meno un quarto quando sua moglie si era addormentata. Per tutto quel tempo aveva sentito il brontolio monotono del motore, che improvvisamente si era arrestato. Lui era corso alla finestra, preoccupato. Dal suo posto di osservazione avrebbe potuto vedere Paula uscire dal garage. C'era luce davanti alla casa dei Brent, e si poteva benissimo vedere. Ma la ragazza non era uscita. Lui aveva atteso forse per un quarto d'ora, poi si era vestito ed era sceso cautamente per le scale, con una paura matta che sua moglie si svegliasse e lo vedesse uscire. — Sapete come sono le donne — osservò rivolgendosi all'ispettore. Aveva trovato le porte del garage chiuse a chiave, sia quella verso il viale sia quella più piccola verso la casa. Il locale era buio e silenzioso. Quella strana sensazione che fosse successo qualche guaio persisteva in lui, e alla fine era tornato in casa e aveva preso una lampada tascabile. Mentre la stava cercando a tastoni, sua moglie si era svegliata e lui si era
scusato dicendo di aver sentito dei rumori in fondo alla scala e che aveva paura che fossero i ladri. Non era una scusa valida e la donna aveva cercato di trattenerlo, ma lui era uscito ugualmente, facendo valere le sue ragioni con un coraggio che ancora adesso lo meravigliava. Aveva attraversato il viale, fino a una finestra laterale del garage. Da lì aveva potuto vedere una persona stesa sul pavimento dietro la macchina. Allora, tornato in casa, aveva telefonato prima alla centrale di polizia, poi a casa Mitchell. Quanto all'arresto del motore, all'una meno un quarto, probabilmente era finita la benzina. Appresi soltanto più tardi la maggior parte di questo racconto. Mi trovavo ancora con Paula, quando l'ispettore ricominciò a interrogarla. In quel momento la ragazza stava meglio, sebbene fosse ancora molto pallida. — Volete dirmi che cosa avete fatto ieri, Paula? — le domandò. — Un breve resoconto di tutta la giornata, il più breve possibile. Tutto considerato, la sua giornata era stata piuttosto piena. Era cominciata con la mia telefonata e con il suo sbaglio dell'ora. Era arrivata a casa Mitchell alle dieci, troppo tardi per vedere la signorina Julia, e mi aveva pregata di farla salire nella stanza di Albert. — Tutto questo lo so. Ho trovato il certificato, Paula. È al sicuro. La giovane arrossì debolmente ma continuò. Aveva conosciuto Florence Lenz, in camera mia. Florence era stata sgarbata con lei, cosicché quando era uscita da quella casa, era in preda a un vivo turbamento. Dopo colazione, una certa signora Henderson, una donna terribile che tiranneggiava quel povero diavolo di suo marito, aveva telefonato che la signorina Julia era morta. Non era una donna da passar sopra a una cattiva notizia, e a Paula sembrava ancora di sentire la sua voce. Quella notizia l'aveva spaventata. Se la dichiarazione della signorina Julia era pericolosa per Charles Elliott, non c'era ora più modo di smentirla. Non era molto tardi quando il dottor Stewart aveva fatto visita a sua madre, e da lui aveva appreso che si sospettava di un avvelenamento. — Ma se si tratta di avvelenamento, dottore — aveva detto — non è una prova a favore di Charles? Non potranno incolpare lui anche di questo. Erano solo loro due nella biblioteca, in quel momento, e lei aveva cominciato a raccontare a Stewart parte di quello che sapeva. Mentre parlava, per la prima volta si era presentata alla sua mente l'idea che, poiché era sposata con Albert, aveva diritto a riscuotere l'assicurazione, e che se avesse avuto quel denaro avrebbe potuto pagare un avvocato.
Dopo la partenza del dottore, lei aveva telefonato ad Arthur Glenn, ma questi si trovava ancora in tribunale. Lei era andata al suo ufficio e lo aveva aspettato fino al suo ritorno, poco dopo le quattro. Aveva pensato a lui perché era stato l'avvocato della signorina Julia e, prima ancora, di suo padre. Se Glenn si fosse unito all'avvocato di Charles, voleva dire che lo riteneva veramente innocente. Mentre lo stava aspettando, aveva avuto tutto il tempo di osservare Florence che stava scrivendo a macchina in un'altra stanza. Ed era stato allora che lei si era ricordata dove l'aveva incontrata prima: l'aveva vista uscire dal cinema, quel lunedì sera, e aveva notato il suo sguardo freddo. 29 Per quanto possa sembrare strano, i tentativi fatti quella notte per salvare Paula Brent mi fecero pensare poco o niente a quello che era accaduto a me qualche ora prima. Ma ora, in quella sala d'ospedale, io non desideravo che dormire. La curiosità era morta in me. Mentre parlavo, la mia testa ciondolava sul petto, e quando più tardi mi caricarono in macchina e mi portarono a casa mia, dormii lungo tutta la strada, come mi disse in seguito l'ispettore. Ma Patton non lasciò subito Paula quando la ragazza ebbe finito il suo racconto. Si alzò, aprì la porta e fece segno a qualcuno. Un momento dopo Charles Elliott era nella stanza, chino sul letto di Paula. Quando cinque minuti dopo entrai nella cameretta per cercare qualcosa, lo vidi in ginocchio accanto al letto, con un braccio su di lei. Piangeva. Ma io non ero quasi più in grado di rilevare niente. L'ispettore mi accompagnò fino alla sua macchina e poi, come ho detto, dormii per tutto il tragitto. Ricordo che uscii dall'auto e mi trascinai su per le scale, fino al salotto. Ho un vago ricordo di Dick che saltellava vivacemente. Poi mi gettai sul letto e mi svegliai solo quando sentii un sommesso rumore di stoviglie. Era la mia padrona di casa che portava un servizio per due. — Eccovi la colazione, cara — disse allegramente. — Anche per il signore. Sembrate uno straccio — aggiunse poi fermandosi a guardarmi. — Deve essere stato un gran brutto affare. Allora cominciai a ridere e continuai finché Patton mi mise sotto il naso una tazza di caffè e severamente mi disse di bere e di smetterla. — Smetterla! — osservai in tono isterico. — Ho smesso. Non ne posso più.
Non fece caso alle mie parole e, mentre sorbivo il caffè, lui andò a parlare col canarino. — Ebbene, Dick — diceva — la tua padrona è di cattivo umore e per un po' non ci saranno zuccherini per nessuno dei due. Non possiamo nemmeno darle torto, dobbiamo ammetterlo. A parte il suo carattere, è una brava persona e mi piace. Sì, mi piace. — Piantatela con queste sciocchezze — dissi in tono duro. — E parlatemi invece di ieri sera. — È una storia lunga. Ho bisogno di mangiare, prima. — Se la pistola che mi avevate dato non fosse stata nel portafiori... — Nel portafiori! — ripeté. — Dio mio! Allora, fra un boccone e l'altro, cominciò il suo racconto. — Premetto che devo parte della soluzione di questi due delitti e forse tre, a voi. Senza saperlo, avete contribuito molto alle indagini, quando ieri avete piantato quei due poveri diavoli sul tetto. E io vi ho ricompensata facendovi correre il rischio di morire strozzata, anche se noi eravamo là, fuori della casa, per sorvegliare le entrate. Sapevamo che il nostro misterioso individuo aveva le chiavi della porta laterale e che con ogni probabilità se ne sarebbe servito. Ma ancora non sapevamo che una finestra era stata lasciata aperta di proposito. Quando ce ne siamo accorti, era troppo tardi. Ma andiamo con ordine. Siete già al corrente di tutto quello che ho fatto fino alle quattro o alle cinque di ieri pomeriggio. Sapete dell'assicurazione e che Albert Wynne non ha mai realizzato il piano che gli attribuivamo. Avete visto la confessione della signorina Julia e sapete che quel foglio comprometteva in modo definitivo Charles Elliott. E sapete anche che la povera vecchia è stata assassinata. Charles Elliott non poteva aver commesso anche questo delitto e, come vi ho detto ieri, dopo avervi mostrato quella confessione, dal racconto della vecchia sono emersi particolari importanti. Che cosa si doveva pensare riguardo al giornale? Perché non se ne parlava nella dichiarazione? Questo mi ha spinto a riflettere. "Che donna era Julia Mitchell? Una donna onesta, non è vero? E tutta la settimana, distesa sul letto, si era tormentata per quello che aveva fatto. Finalmente ha detto di voler fare quella dichiarazione per riferire ciò che lei aveva visto nella camera di Albert, quella notte. Era tutto quello che aveva da dire, ma era decisa a dirlo. Tuttavia, quando ieri sera Mary mi ha consegnato quel giornale, mi sono convinto di quello che già sospettavo: che cioè lei non aveva detto tutto ciò che sapeva. Non aveva parlato del giornale. Perché?
"Ma lasciamo per un momento la sera di lunedì e veniamo a ieri. La signorina era stata avvelenata. Me ne sono convinto quando ho trovato quella pastiglia in giardino. E i nostri esperti lo hanno confermato, trovando, nel fare la necroscopia, un po' di stricnina. Ma devo dire, per quanto sia di cattivo gusto, che se il suo assassino l'avesse lasciata vivere ancora un po', credo che Charles Elliott sarebbe finito sulla sedia elettrica. "La signorina Julia era debole, aveva dei disturbi cardiaci, e non so se sarebbe arrivata al processo. "A questo punto ci viene in aiuto la particolare psicologia di qualunque assassino intelligente. Nessun omicida si accontenta di lasciare le cose come stanno e questa è probabilmente la ragione per cui tutti ritornano sulla scena del delitto. Il nostro assassino era preoccupato; stava sveglio di notte a pensare se aveva cancellato tutte le sue impronte. Era terrorizzato da questo pensiero. Dio solo sa se l'inferno c'è o no, ma un assassino non ne ha bisogno: lo ha già sulla terra. "Vi ricordo che la signorina Julia non aveva accennato al giornale nella sua dichiarazione. "Ritorniamo all'ipotesi primitiva. Sono propenso a pensare che Albert avesse architettato quel piano. Era assicurato per cinquemila dollari con una società e per altri cinquemila con un'altra. "Aveva intenzione di andarsene e di fare vita nuova. La Lenz doveva andare con lui e per quel che posso saperne, l'idea deve essere venuta a lei." — È il tipo capacissimo di ideare situazioni del genere — ammisi. — E ora viene il bello. Lei era convinta che Hugh potesse abboccare. Ma la somma originale non era tanto ingente: sufficiente per pagare Albert, i debiti della signorina Julia e lasciare qualcosa ai domestici. Una delle cose più strane è stato lo stupore di Hugh quando ha saputo che erano in ballo centomila dollari. Credo che si sia spaventato. "Sospettavo di questa tentata truffa ai danni dell'assicurazione, ma soltanto oggi ho appreso che Florence era stata amica di Albert prima che lui incontrasse Paula, verso l'inizio della primavera. Il complotto era anteriore. Che c'entrasse in qualche modo Florence Lenz, non c'era dubbio, ma non capivo come. C'erano poi altri particolari da chiarire. Avevo guardato la camera di Albert, ma senza convinzione, come ben sapete. C'era una spiegazione per quelle visite notturne in casa Mitchell e per il ritorno di Charles Elliott il giovedì notte. "Poi c'è stata la richiesta degli abiti di Albert da parte di Mary e della si-
gnorina Julia, e in un primo momento ho creduto che interessassero anche a Hugh. Perché? Hugh potevo capirlo. Paula aveva detto che Albert aveva minacciato di lasciare una lettera affinché, qualora gli fosse capitato qualcosa, lei potesse portarla alla polizia. Hugh cercava quella lettera. Ma Mary e la vecchia, che cosa cercavano? "Era facile immaginarlo. La signorina Julia credeva che il nipote si fosse suicidato e riteneva che tutti i suicidi lascino delle lettere. Dov'era appunto quella di Albert? "Mi seguite, vero? Bene. La signorina ha fatto tutto quello che ha potuto ma si sente colpevole. Ha salvato la casa dei Mitchell e l'onore dei Mitchell, ma è una povera peccatrice, che presto si troverà al cospetto di Dio. Non può resistere. Dice a Hugh che vuole confessarsi, chiama Arthur Glenn. E invece non confessa tutto. "Ora torniamo all'avvelenamento. Perché la vecchia è stata tolta di mezzo? Lei aveva fatto la sua parte. Quand'ecco nel pomeriggio, tra le quattro e le cinque, quei due giornalisti, che voi avevate lasciato sul tetto, venirmi a consegnare qualcosa, e io incomincio a vederci chiaro." Si fermò e bevve un'altra tazza di caffè. — Ritorniamo ora alle persone implicate in questo affare. Hugh non fumava. Albert fumava continuamente sigarette, ma due uomini in relazione con lui fumavano sigari. E quei giovanotti avevano trovato un sigaro quasi intero di buona marca. Vi ricordo che la stampa ha saputo tutti i particolari di questo affare, grazie all'opera del procuratore distrettuale! — Sorrise con una smorfia. — Gran parte dei giornalisti, specialmente i più giovani, non avevano mai creduto che Charles Elliott fosse colpevole e, in ogni caso, Elliott fumava sigarette. "Ma dovevo assicurarmi. Dovevo essere certo che Evans, il mio agente, non avesse fumato il sigaro, la notte che lo avevo mandato sul tetto. Aveva fumato, ma un sigaro ordinario, e l'aveva ancora in bocca quando è sceso dalla scala. "Quel sigaro era sotto uno strato di foglie, nella grondaia, e ci era sfuggito. Ma uno di quei giornalisti, un certo Davidson, sporgendosi fuori per vedere che cosa stavo facendo, quando ho spostato la scala, lo ha scoperto. Ho portato quel sigaro al laboratorio, dove una specie di Sherlock Holmes specialista in ceneri di tabacco e cose simili ha stabilito che era rimasto esposto all'aria tre o quattro giorni. Non sapeva quando né come io l'avessi avuto, ma quello era il suo verdetto. "Per me è stata una rivelazione. Potevo ipotizzare, adesso, che nella
messa in scena di lunedì notte, nella stanza di Albert Wynne, c'entrasse l'accensione di quel sigaro, forse per dissimulare la pistola. "Chi fumava sigari? Soltanto due uomini, e voi sapete chi sono." — L'avvocato Glenn e il dottor Stewart. — Precisamente. Ora bisognava sapere chi dei due si sarebbe avvantaggiato con la morte della signorina Julia, o per meglio dire, con il suo testamento. Ricordate che la modesta assicurazione originale era salita a centomila dollari. E anche dopo che Albert avesse incassato i suoi diecimila dollari e i domestici i loro cinquemila ciascuno, ne sarebbero rimasti ancora ottantamila. In altre parole, la signorina Julia aveva probabilmente fatto quel testamento quando aveva un piccolo capitale, e sarebbe rimasto tutto ad Albert, a parte i legati. Ma la vecchia doveva considerare anche la possibilità che lui morisse prima di lei. Ed è quello che ha fatto, nominando erede, nell'eventualità della premorienza di Albert, il suo avvocato: Glenn. — È stato quando ha fatto telefonare a Glenn? — Sì. L'avvocato mi aveva detto che il testamento era in banca e che sarebbe andato a prenderlo quella stessa mattina. — Finì di bere il caffè e mi guardò. — E ora entrate in ballo voi. Avevate detto che chiunque ieri avesse messo nel tubetto quelle dosi di stricnina, doveva sapere che erano fatali solo date le condizioni della signorina Julia. E questo era anche il parere del dottore. Ma io ho saputo per caso che Arthur Glenn aveva recentemente difeso un imputato in un processo per un caso simile. Quindi aveva dovuto apprendere certe cognizioni di tossicologia. "Quando la notte scorsa ho preparato la trappola, ero certo che vi sarebbe cascato uno di quei due; non sapevo ancora, ma intuivo che Florence Lenz non era estranea alla faccenda. Lei conosceva Stewart e gli teneva l'amministrazione. Conosceva Glenn. E voi le avevate detto, ieri pomeriggio, che Paula aveva cercato di andare di sopra per impadronirsi di una lettera. Voi non la stavate osservando, in quel momento, ma io ero là, e l'ho vista diventare di fuoco. "Ma ieri pomeriggio è accaduto qualcos'altro. Paula aveva detto ad entrambi che si era sposata con Albert Wynne. Io non lo avevo intuito, altrimenti l'avrei fatta sorvegliare. Ma l'assassino ha pensato bene di toglierla di mezzo prima che divulgasse quella notizia. E possibilmente anche Hugh. Quando Florence e Albert hanno rotto il fidanzamento, è quasi certo che Florence ha cessato di essere l'intermediaria e Hugh ha preso il suo posto. Infatti è stato Hugh a dare ad Albert il denaro per pagare i premi dell'assicurazione.
"È chiaro che Albert non sapeva la provenienza di questi soldi. Può averlo sospettato, ma dubito che lo sapesse di sicuro fino a che non ha ricevuto quella visita, lunedì notte. Lui conosceva la persona, perciò non si è allarmato. Era l'uomo che fumava il sigaro. "Non mi raccapezzavo. Non capivo chi fosse dei due finché stanotte non sono accorso nella stanza al terzo piano e non l'ho trovato dove voi lo avevate fatto cadere, dopo averlo colpito con le ante dell'armadio." — Ed era...? — Arthur Glenn — disse l'ispettore laconicamente. — Aveva giocato in borsa e si trovava in una situazione disperata. È vissuto nell'incubo tutta questa settimana. La signorina Julia non ha mai dettato la dichiarazione che voi avete firmato. Nell'originale non ha accennato mai a Charles Elliott, ma ha ammesso di sapere dello stratagemma del giornale, e che aveva preso il foglio e aveva pregato Mary di nasconderlo. "Ma Glenn aveva avuto un presentimento di ciò che stava per accadere e aveva preparato un altro foglio, che ha sostituito all'originale, prima che voi firmaste. La vecchia non si è accorta della sostituzione, ma naturalmente doveva essere tolta di mezzo. Ma non so ancora se è stato Glenn a sostituire quelle pastiglie o se è stata Florence." — È stata lei — dissi con convinzione. Patton si alzò e si sgranchì i muscoli. — Anch'io lo penso — rispose. — Una cosa è certa: Glenn era andato in quella casa, lunedì notte, per avere una spiegazione con Albert e per ucciderlo, se era il caso. Può darsi che Florence abbia preso le chiavi dalla borsetta di Paula per puro caso, ma potrebbe esserci altro. Lei non era più innamorata di Albert, ma probabilmente era gelosa. Per conto mio, non ho il minimo dubbio. Lei sapeva che Paula aveva le chiavi, e da questo al prendergliele... "In ogni modo, quella notte Glenn portò con sé una pistola, insieme alla chiavi di Paula, e aveva in tasca quel giornale già preparato col foro della pallottola e il resto. Se vi fosse stato un verdetto di morte accidentale, se la sarebbe cavata senz'altro. Se la giuria avesse propeso per l'omicidio, e lui fosse stato coinvolto, avrebbe potuto riferirsi a quel giornale e salvarsi. "Ha lasciato sul posto il giornale, ma non ha avuto bisogno di servirsi della sua pistola, perché sul cassettone c'era quella di Albert. Deve essersi messo i guanti o ha adoperato il fazzoletto. In ogni modo, non ha lasciato impronte. Non ha avuto difficoltà a entrare né a uscire. Probabilmente Florence gli aveva parlato del trucco del catenaccio segato della porta sul pia-
nerottolo, e si muoveva leggermente, per essere un uomo pesante. "Ma ecco l'imponderabile! La vecchia manda all'aria il suo alibi! E noi sospettiamo un omicidio! Inoltre Mary ha nascosto il giornale, e a Hugh ha detto che lo ha bruciato! Qualunque cosa gli riservi l'al di là, Glenn ha avuto quaggiù la sua parte d'inferno. Non solo. Florence ha condotto Glenn dove ha voluto. Dubito che vi sia qualcosa che lei non sappia o non intuisca; lo teneva incatenato e credo che lui la odiasse. È mia convinzione che se Glenn confessa, la tirerà dentro, in pieno!" Credo di avere sbadigliato, perché Patton si alzò. — Bene, vi devo molto, signorina Adams, e tra l'altro vi devo concedere un po' di riposo. Sbadigliai di nuovo. Non potevo tenere gli occhi aperti. — Ho bisogno di riposare una settimana senza interruzione, e intendo cominciare subito. Lui sorrise e prese il cappello, ma mentre si avviava verso la porta guardò il canarino. — Dick, tu conosci la tua padrona meglio di me. Ma a buon intenditor, poche parole... Che cosa ne pensi tu? — Non dite sciocchezze — ribattei vivacemente. — Volevo dire che per una settimana non voglio più sentir parlare di indagini. — La tua padrona sa che vi sarebbe un caso su misura per lei, Dick, e per tutta la vita — replicò. — Ma è una giovane dal cuore duro, che non pensa al suo bene. — Si voltò e mi sorrise. — Devo andare. Devo vedere il procuratore distrettuale per dirgli che credevamo di pescare un pesciolino e abbiamo pescato una balena. Poi andrò a comperare e "manderò", non consegnerò, un paio di forbici da chirurgo. Così è la vita di un poliziotto! — Aprì la porta e si fermò con la mano sulla maniglia. — Quando vorrete occuparvi di un nuovo caso, sappiatemelo dire, signorina Adams. — Quale caso? — domandai sospettosa. — Un caso complicato e difficile, che comporta una condanna a morte, prigione e tutto quello che volete — rispose. Poi chiuse la porta e si avviò per le scale, fischiettando sommessamente. FINE