R. A. SALVATORE LA FUGA DI DRIZZT (Sojourn, 1990) A Diane, con tutto il mio amore Preludio Il mostro si muoveva pesantem...
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R. A. SALVATORE LA FUGA DI DRIZZT (Sojourn, 1990) A Diane, con tutto il mio amore Preludio Il mostro si muoveva pesantemente e goffamente lungo i silenziosi corridoi del Buio Profondo, di tanto in tanto le sue otto gambe squamose strisciavano contro la pietra. Non evitava di produrre tali suoni rimbombanti, per paura di rivelarsi. Né correva al riparo, temendo la corsa precipitosa di un altro predatore. Perfino tra i pericoli del Buio Profondo, questa creatura non conosceva altro che sicurezza, era certa di poter sconfiggere qualsiasi nemico. Il suo alito esalava un veleno mortale, i suoi artigli robusti e affilati praticavano incavi profondi nella solida pietra, e le file di denti aguzzi come lance che rivestivano le sue perfide fauci erano in grado di penetrare nella pelle più spessa, lacerandola. Ma la cosa peggiore era lo sguardo del mostro, lo sguardo di un basilisco, che poteva trasformare in solida pietra qualsiasi creatura vivente su cui si posava. Questa creatura, enorme e terribile, era tra le più grandi del suo tipo. Non conosceva la paura. Il cacciatore osservò passare il basilisco come l'aveva osservato in precedenza quello stesso giorno. Il mostro a otto gambe era un intruso in quel luogo, era giunto nel dominio del cacciatore. Quest'ultimo aveva assistito all'uccisione da parte del basilisco di molte delle sue rothe, le piccole creature simili a mucche che rifornivano la sua tavola; il mostro aveva usato l'alito avvelenato, e il resto della mandria era fuggito alla cieca lungo i tunnel infiniti, forse per non fare mai più ritorno. Il cacciatore era furioso. Ora osservava il mostro che arrancava lungo lo stretto corridoio, proprio il tragitto che il cacciatore aveva sospettato lui scegliesse. Estrasse le armi dai foderi, traendo come sempre sicurezza dal loro fine equilibrio. Il cacciatore le possedeva fin dalla fanciullezza e, anche dopo quasi trent'anni di utilizzo quasi costante, esse recavano soltanto minime tracce di usura. Ora sarebbero state nuovamente messe alla prova. Il cacciatore introdusse nuovamente le armi nei foderi e attese il suono che l'avrebbe spinto a muoversi.
Un ringhio gutturale fermò il basilisco sui suoi passi. Il mostro sbirciò con curiosità davanti a sé, anche se i suoi deboli occhi potevano distinguere appena a qualche passo di distanza. Il ringhio giunse di nuovo e il basilisco s'incurvò, in attesa che lo sfidante, la sua prossima vittima, balzasse fuori a morire. Molto più indietro, il cacciatore uscì dal proprio nascondiglio, correndo con una velocità impossibile lungo le sottili fenditure e le sporgenze presenti nelle pareti del corridoio. Avvolto nel suo mantello magico, il piwafwi, lui era invisibile contro la pietra e, con movimenti agili ed esperti, non produsse alcun rumore. Giunse con un silenzio e una rapidità impossibili. Il basilisco sentì nuovamente ringhiare davanti a sé, ma l'avversario non si era avvicinato. Il mostro impaziente si trascinò in avanti, ansioso di perpetrare l'uccisione. Quando passò sotto a una bassa volta, un impenetrabile globo di tenebre assolute gli avvolse il capo e il mostro si arrestò improvvisamente e fece un passo indietro, come il cacciatore sapeva avrebbe fatto. Allora il cacciatore gli fu addosso. Balzò dalla parete del passaggio, eseguendo tre azioni separate prima di raggiungere il proprio obiettivo. Prima effettuò un semplice incantesimo, che profilò il capo del basilisco di un colore azzurro brillante e di fiamme viola. Poi si abbassò il cappuccio sul volto, perché non aveva bisogno di usare gli occhi in battaglia, e contro un basilisco uno sguardo casuale non poteva che portarlo alla rovina. Infine, estraendo le sue scimitarre mortali, atterrò sul dorso del mostro e corse lungo le sue scaglie per raggiungere la testa. Il basilisco reagì non appena le fiamme guizzanti gli profilarono il capo. Non bruciavano, ma il loro contorno rendeva il mostro un facile obiettivo. Il basilisco si girò di scatto all'indietro, ma prima che la sua testa avesse effettuato un mezzo giro, una scimitarra gli era penetrata in un occhio. La creatura arretrò dibattendosi, cercando di raggiungere il cacciatore. Alitava le sue esalazioni malefiche e sbatteva la testa da una parte all'altra. Il cacciatore fu più svelto. Si mantenne dietro le fauci, alla larga dalla morte. La sua seconda scimitarra trovò l'altro occhio del basilisco, poi il cacciatore diede sfogo alla sua furia. Il basilisco era l'intruso; aveva ucciso le sue rothe! Un colpo selvaggio dopo l'altro percuoteva con violenza la testa corazzata del mostro, staccava via scaglie e cercava di penetrare la carne sottostante.
Il basilisco sapeva di essere in pericolo, ma credeva ancora di poter vincere. Aveva sempre vinto. Se soltanto fosse riuscito a far sì che il suo fiato velenoso raggiungesse il cacciatore furibondo. Allora il secondo nemico, un felino ringhiante, fu addosso al basilisco, dopo essersi lanciato senza paura verso le fauci profilate di fiamme. Il grosso felino si aggrappò e non fece caso ai fumi velenosi, perché si trattava di un animale magico, invulnerabile a tali attacchi. Artigli di pantera scavarono solchi profondi nelle gengive del basilisco, lasciando che il mostro bevesse il proprio sangue. Dietro all'enorme testa, il cacciatore continuava ripetutamente a colpire, cento volte e più. Selvaggiamente, con ferocia, le scimitarre penetravano nella corazza squamosa, nella carne e nel cranio, facendo precipitare il basilisco nell'oscurità della morte. Molto tempo dopo che il mostro giaceva immobile, i ritmici colpi delle scimitarre insanguinate rallentarono. Il cacciatore si tolse il cappuccio ed esaminò la massa insanguinata ai suoi piedi e le macchie di sangue caldo sulle lame. Sollevò in aria le scimitarre gocciolanti e proclamò la propria vittoria con un grido d'esultanza primordiale. Lui era il cacciatore e questo era il suo dominio! Quando ebbe espulso in quel grido tutta la propria rabbia, tuttavia, il cacciatore guardò la propria compagna e provò vergogna. Gli occhi grandi e rotondi della pantera lo giudicavano, anche se l'animale non lo faceva. Il felino era l'unico legame del cacciatore con il passato, con l'esistenza civilizzata che lui aveva conosciuto un tempo. «Vieni, Guenhwyvar», sussurrò il cacciatore mentre riponeva le scimitarre nei loro foderi. Trasse piacere dal suono delle parole mentre le pronunciava. Era l'unica voce che udiva da un decennio. Ma ora, ogni volta che parlava, le parole gli sembravano più estranee e gli giungevano con difficoltà. Avrebbe perduto anche questa capacità, come aveva perduto ogni altro aspetto della precedente esistenza? Il cacciatore temeva notevolmente questo fatto, perché senza voce non avrebbe potuto convocare la pantera. Allora sarebbe stato veramente solo. Lungo i silenziosi corridoi del Buio Profondo andavano il cacciatore e il suo felino, senza emettere un suono, senza dislocare pietrisco. Insieme erano giunti a conoscere i pericoli di questo mondo silente. Insieme avevano imparato a sopravvivere. Nonostante la vittoria, tuttavia, oggi il caccia-
tore non sorrideva. Non temeva alcun nemico, ma non sapeva più per certo se il suo coraggio provenisse dalla sicurezza di sé o dall'apatia nei confronti dell'esistenza. Forse sopravvivere non era abbastanza. Parte 1 Il cacciatore Ricordo intensamente il giorno in cui me ne andai dalla città in cui sono nato, la città della mia gente. Tutto il Buio Profondo si apriva davanti a me, una vita d'avventura, eccitante, con possibilità che mi sollevavano il cuore. Soprattutto, tuttavia, lasciai Menzoberranzan con la convinzione di poter vivere in conformità con i miei principi. Avevo Guenhwyvar al mio fianco e le scimitarre alla cintura che mi cingeva i fianchi. Stava a me determinare il mio futuro. Ma quel drow, il giovane Drizzt Do'Urden che uscì da Menzoberranzan in quel giorno fatidico, entrato da poco nel suo quarto decennio di vita, non poteva minimamente immaginare come fosse il tempo in realtà, come il suo trascorrere sembrasse rallentare quando gli attimi non venivano condivisi con altri. Nella sua esuberanza giovanile non vedeva l'ora d'affrontare i vari secoli della sua esistenza. Come si misurano i secoli quando un'unica ora sembra un giorno e un unico giorno sembra un anno? Al di là delle città del Buio Profondo c'è cibo per coloro che sanno come trovarlo e salvezza per coloro che sanno come nascondersi. Soprattutto, comunque, al di là delle brulicanti città del Buio Profondo c'è la solitudine. Man mano che diventavo una creatura dei tunnel vuoti, la sopravvivenza divenne più facile e più difficile al tempo stesso. Acquistai le abilità fisiche e l'esperienza necessarie per continuare a vivere. Potevo sconfiggere praticamente qualsiasi essere che vagasse nel territorio che mi ero scelto, ed ero sicuramente in grado di fuggire o di nascondermi dai pochi mostri che non potevo sconfiggere. Non impiegai molto tempo, tuttavia, a scoprire una nemesi che non potevo sconfiggere e da cui non potevo fuggire. Mi seguiva ovunque andassi, e a dire il vero più lontano correvo e più mi accerchiava. Il mio nemico era la solitudine, l'interminabile, incessante silenzio dei corridoi muti.
Ripensandoci dopo tanti anni mi scopro stupefatto e pieno d'orrore di fronte ai cambiamenti che ho sopportato nel corso di una simile esistenza. L'identità stessa di ogni essere pensante è definita dal linguaggio, dalla comunicazione tra quell'essere e altri che lo circondano. Senza quel collegamento ero perduto. Quando lasciai Menzoberranzan decisi che la mia vita si sarebbe basata sui principi, la mia forza si sarebbe mantenuta fedele a convinzioni inflessibili. Eppure dopo soltanto pochi mesi trascorsi da solo nel Buio Profondo, l'unico scopo della mia sopravvivenza era la mia sopravvivenza stessa. Ero divenuto una creatura guidata dall'istinto, calcolatrice e circospetta, scaltra ma non riflessiva, utilizzavo la mia mente soltanto per guidare la mia più recente uccisione. Credo che sia stata Guenhwyvar a salvarmi. La stessa compagna che mi aveva strappato da morte certa quand'ero in balia d'innumerevoli mostri mi salvò da una morte fatta di vuoto, forse meno drammatica, ma non meno fatale. Mi trovai a vivere per i momenti in cui il felino poteva camminare al mio fianco, in cui avevo un'altra creatura vivente che udiva le mie parole, per quanto fossero divenute distorte. Oltre a ogni altro valore, Guenhwyvar divenne il mio orologio marcatempo, perché sapevo che il felino poteva giungere dal Piano Astrale per mezza giornata ogni due giorni. Soltanto dopo la fine di quell'ardua prova mi sono reso conto di quanto sia stato effettivamente critico quel quarto del mio tempo. Senza Guenhwyvar non avrei trovato la determinazione a continuare. Non avrei mai conservato la forza per sopravvivere. Anche quando Guenhwyvar mi era accanto mi scoprivo a diventare sempre più ambivalente nei confronti del combattimento. Speravo segretamente che qualche abitante del Buio Profondo si rivelasse più forte di me. Il dolore del dente o dell'artiglio di un mostro poteva forse essere maggiore del vuoto e del silenzio? Non credo. Drizzt Do'Urden 1 Un dono per l'anniversario Matrona Malice Do'Urden era sulle spine sul trono di pietra nella piccola anticamera oscurata che conduceva alla grande cappella di Casa Do'Urden.
Per gli elfi scuri, che misuravano il trascorrere del tempo in decenni, questo era un giorno da segnare negli annali della casa di Malice, il decimo anniversario del conflitto segreto in corso tra la famiglia Do'Urden e Casa Hun'ett. Matrona Malice, che non mancava mai una celebrazione, aveva pronto un regalo speciale per i suoi nemici. Briza Do'Urden, la figlia maggiore di Malice, una femmina drow grande e possente, camminava ansiosamente avanti e indietro nell'anticamera, uno spettacolo per nulla insolito. «Dovrebbe essere ormai finito», brontolò dando un calcio a un piccolo sgabello a tre gambe. Questo scivolò e rotolò, perdendo un pezzo del sedile di gambo di fungo. «Pazienza, figlia mia», rispose Malice con una certa aria recriminatoria, benché condividesse i sentimenti di Briza. «Jarlaxle è un tipo scrupoloso.» Briza si volse dall'altra parte all'accenno allo spietato mercenario e si diresse verso le porte di pietra della stanza, ornatamente scolpite. A Malice non sfuggì il significato delle azioni di sua figlia. «Non approvi Jarlaxle e la sua banda», affermò senza mezzi termini la Matrona Madre. «Sono furfanti senza casa», rispose Briza con violenza, sempre senza volgersi verso la madre. «Non c'è posto a Menzoberranzan per i furfanti senza casa. Sconvolgono l'ordine naturale della nostra società. E sono maschi!» «Ci servono bene», le ricordò Malice. Briza avrebbe voluto discutere sull'estremo costo derivante dall'assunzione della banda di mercenari, ma tenne saggiamente a freno la lingua. Lei e Malice si erano trovate in disaccordo quasi continuamente dall'inizio della guerra Do'Urden-Hun'ett. «Senza Bregan D'aerthe non avremmo potuto prendere l'iniziativa contro i nostri nemici», continuò Malice. «Usare i mercenari, i furfanti senza casa, come li hai chiamati, ci consente di muovere guerra senza coinvolgere la nostra casa, senza renderla responsabile.» «Allora perché non farla finita?» chiese Briza, volgendosi di scatto verso il trono. «Uccidiamo alcuni dei soldati Hun'ett, loro ne uccidono un po' dei nostri. Ed entrambe le case continuano a reclutare rimpiazzi! Non finirà mai! Gli unici vincitori del conflitto sono i mercenari di Bregan D'aerthe e quelli di qualunque banda Matrona SiNafay Hun'ett abbia reclutato, che attingono dai forzieri di entrambe le case!» «Fai attenzione al tuo tono, figlia mia», ringhiò Malice ricordandole furiosamente il suo posto. «Ti stai rivolgendo a una Matrona Madre!»
Briza si allontanò di nuovo. «Avremmo dovuto attaccare Casa Hun'ett immediatamente, la notte in cui Zaknafein venne sacrificato», osò brontolare. «Dimentichi le azioni di tuo fratello più giovane, quella notte», rispose Malice con voce pacata. Ma la Matrona Madre si sbagliava. Se fosse vissuta un altro migliaio d'anni Briza non avrebbe dimenticato ciò che aveva fatto Drizzt la notte in cui aveva abbandonato la famiglia. Addestrato da Zaknafein, l'amante prediletto di Malice, che aveva fama d'essere il miglior maestro d'armi di tutta Menzoberranzan, Drizzt aveva raggiunto un livello d'abilità combattiva di gran lunga al di là della norma. Ma Zak aveva anche trasmesso a Drizzt gli atteggiamenti importuni e blasfemi che Lolth, Regina Ragno e divinità degli elfi scuri, non poteva tollerare. Alla fine i comportamenti sacrileghi di Drizzt avevano suscitato l'ira di Lolth e la Regina Ragno, a sua volta, ne aveva preteso la morte. Matrona Malice, colpita dalla potenzialità di Drizzt come guerriero, aveva agito con audacia in favore del figlio e aveva offerto a Lolth il cuore di Zaknafein per compensare i peccati del giovane drow. Aveva perdonato Drizzt nella speranza che, privato degli influssi di Zaknafein, lui emendasse i suoi comportamenti e sostituisse il maestro d'armi deposto. In cambio, tuttavia, l'ingrato Drizzt li aveva traditi tutti ed era fuggito nel Buio Profondo, atto che non solo aveva privato Casa Do'Urden del suo unico potenziale maestro d'armi restante, ma che aveva inoltre fatto perdere il favore di Lolth a Matrona Malice e al resto della famiglia Do'Urden. Con la fine disastrosa di tutti i suoi sforzi, Casa Do'Urden aveva perduto il suo principale maestro d'armi, il favore di Lolth e colui che Matrona Malice aveva auspicato di poter sostituire al maestro d'armi. Non era stata una buona giornata. Fortunatamente Casa Hun'ett in quello stesso giorno era incorsa in analoghe sventure, perdendo entrambi i suoi maghi nel tentativo di assassinio di Drizzt, sventato da quest'ultimo. Con entrambe le case indebolite e cadute in disgrazia presso Lolth, la guerra preannunciata era stata trasformata in una serie calcolata d'incursioni furtive. Briza non avrebbe mai dimenticato. Udendo bussare alla porta dell'anticamera, Briza e sua madre trasalirono e abbandonarono i propri ricordi privati di quel momento fatidico. La porta s'aprì ed entrò Dinin, il primogenito maschio della casa.
«Salute, Matrona Madre», disse nel modo appropriato e sprofondando in un inchino. Dinin voleva che le sue novità fossero una sorpresa, ma il largo sorriso che comparve sul suo volto rivelò ogni cosa. «Jarlaxle è ritornato!» ringhiò Malice, in tono di giubilo. Dinin si volse verso la porta aperta ed entrò il mercenario, che aspettava pazientemente in corridoio. Briza, sempre stupefatta dagli insoliti modi del furfante, scrollò il capo mentre Jarlaxle le passava accanto. Quasi ogni elfo scuro a Menzoberranzan si vestiva in modo semplice e pratico, con abiti adornati dai simboli della Regina Ragno o con flessibili armature di maglia metallica sotto alle pieghe di un magico mantello che mimetizzava, il piwafwi. Jarlaxle, arrogante e sfacciato, seguiva poche delle usanze degli abitanti di Menzoberranzan. Certamente non rientrava nella norma della società drow e si compiaceva apertamente, in modo sfrontato, delle differenze. Non indossava né un mantello né una veste, ma una cappa scintillante che mostrava tutti i colori dello spettro, sia il bagliore della luce, che nello spettro infrarosso degli occhi sensibili al calore. La magia della cappa si poteva semplicemente supporre, ma coloro che si trovavano più vicini al capo mercenario indicavano che era davvero molto valida. La tunica di Jarlaxle era priva di maniche e tagliata così corta che il suo stomaco asciutto e muscoloso risultava scoperto, in modo che tutti potessero vederlo. Teneva una benda su un occhio, anche se attenti osservatori avrebbero capito che era soltanto ornamentale, perché Jarlaxle la spostava spesso da un occhio all'altro. «Mia cara Briza», disse Jarlaxle volgendo il capo e notando lo sdegnoso interesse della somma sacerdotessa per il suo aspetto. Si volse e s'inchinò profondamente, effettuando un ampio gesto con il suo cappello a larga tesa. Questa era un'altra stranezza, tanto più che il cappello era ornato con un'eccessiva abbondanza di mostruose piume di diatryma, un gigantesco uccello del Buio Profondo. Briza s'irritò e si allontanò alla vista della testa del mercenario che si abbassava. Gli elfi drow portavano i loro folti capelli bianchi come segno del proprio rango, e ogni taglio era volto a rivelare la propria posizione e la casa d'affiliazione. Jarlaxle il furfante era assolutamente privo di capelli, e dall'angolazione di Briza la sua testa rasata sembrava una palla d'onice ben levigata. Jarlaxle rise tranquillamente per la continua disapprovazione della maggiore delle figlie Do'Urden e si volse di nuovo verso Matrona Malice, mentre i suoi numerosi gioielli tintinnavano e i suoi stivali rigidi e lucidi
producevano un tonfo a ogni passo. Briza prese nota anche di questo perché sapeva che quegli stivali e quei gioielli sembravano far rumore soltanto quando Jarlaxle lo desiderava. «È fatta?» chiese Matrona Malice ancor prima che il mercenario iniziasse a presentarle un adeguato saluto. «Mia cara Matrona Malice», rispose Jarlaxle con un sospiro addolorato, sapendo di poterla passare liscia con le informalità, alla luce delle notizie grandiose. «Dubitavate di me? In verità mi sento ferito al cuore.» Malice balzò dal trono, il pugno chiuso in segno di vittoria. «Dipree Hun'ett è morto!» proclamò. «Il primo nobile vittima della guerra!» «Dimenticate Masoj Hun'ett», osservò Briza, «assassinato da Drizzt dieci anni fa. E Zaknafein Do'Urden», dovette aggiungere, anche se avrebbe fatto meglio a evitarlo, «ucciso per nostra mano». «Zaknafein non era nobile di nascita.» Malice diresse una risata beffarda alla figlia impertinente. Ciò nonostante le parole di Briza colpirono Malice, perché quest'ultima aveva deciso di sacrificare Zaknafein al posto di Drizzt contro i consigli di Briza. Jarlaxle si schiarì la voce per sviare la tensione crescente. Il mercenario sapeva di dover portare a termine il suo compito e uscire da Casa Do'Urden il più rapidamente possibile. Sapeva già, anche se i Do'Urden non lo sapevano, che l'ora designata si stava avvicinando. «C'è la questione del mio pagamento», ricordò a Malice. «Se ne occuperà Dinin», rispose Malice agitando la mano, senza distogliere gli occhi dallo sguardo fisso e pernicioso di sua figlia. «Prenderò congedo», disse Jarlaxle, con un cenno del capo al primogenito maschio. Prima che il mercenario avesse effettuato un solo passo verso la porta, Vierna, la seconda figlia di Malice, entrò con violenza nella stanza, il suo volto brillava, acceso nello spettro infrarosso, accaldato da un'evidente eccitazione. «Maledizione», sussurrò Jarlaxle sottovoce. «Che cosa c'è?» chiese Matrona Malice. «Casa Hun'ett», gridò Vierna. «Soldati nel complesso! Veniamo attaccati!» *
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Fuori in cortile, al di là del complesso della grotta, quasi cinquecento soldati di Casa Hun'ett, ben cento più di quanti la casa possedesse secondo l'opinione generale, seguirono l'esplosione di un fulmine che attraversava i cancelli d'adamantio di Casa Do'Urden. I trecentocinquanta soldati della famiglia Do'Urden sciamarono fuori dagli ammassi di stalagmiti che fungevano loro da alloggi per contrastare l'attacco. In svantaggio numerico ma addestrate da Zaknafein, le truppe Do'Urden si schierarono in appropriate posizioni difensive, proteggendo i loro maghi e le religiose in modo che potessero lanciare i propri incantesimi. Un intero contingente di soldati Hun'ett, rafforzati da magie di volo, si lanciò dalla parete della caverna che ospitava le camere reali di Casa Do'Urden. Piccole balestre manuali scattavano assottigliando le fila della forza aerea con mortali frecce dalla punta avvelenata. Tuttavia gli invasori aerei avevano sfruttato l'effetto sorpresa e le truppe Do'Urden si trovarono ben presto in posizione precaria. *
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«Hun'ett non ha il favore di Lolth!» urlò Malice. «Non può osare un attacco aperto!» La matrona sussultò al fragore tonante di un altro e poi un altro fulmine ancora, che sembrarono confutare quanto lei aveva appena detto. «Davvero?» replicò aspramente Briza. Malice lanciò a sua figlia uno sguardo minaccioso, ma non ebbe il tempo di continuare la lite. Il normale metodo d'attacco da parte di una casa drow comprendeva l'ondata di soldati all'attacco, combinata a uno sbarramento mentale da parte delle religiose di rango più elevato della casa. Malice, tuttavia, non sentiva alcun attacco mentale, fatto che le rivelò senz'ombra di dubbio che la casa giunta ai suoi cancelli era veramente Casa Hun'ett. Le religiose di Hun'ett, prive del favore della Regina Ragno, a quanto pareva non potevano usare i poteri conferiti loro da Lolth per lanciare l'assalto mentale. Se l'avessero fatto, Malice e le sue figlie, a loro volta prive del favore della Regina Ragno, non avrebbero potuto sperare di controbattere. «Perché osano attaccare?» si chiese Malice a voce alta. Briza comprese le riflessioni della madre. «Sono veramente audaci», disse, «a sperare che i loro soldati soltanto possano eliminare ogni membro della nostra casa». Tutti i presenti nella stanza, tutti i drow di Menzober-
ranzan, sapevano che a qualsiasi casa che non riuscisse a sradicarne un'altra venivano inferte punizioni brutali e assolute. Tali attacchi non erano disapprovati, purché non si fosse colti certamente sul fatto. A quel punto entrò nell'anticamera Rizzen, l'attuale protettore di Casa Do'Urden, aveva un'espressione truce sul volto. «Siamo svantaggiati numericamente e abbiamo perso le nostre posizioni», disse. «Temo che la sconfitta sarà rapida.» Malice non volle accettare quelle brutte notizie. Diede a Rizzen un colpo che lo stese, facendolo volare nel bel mezzo della stanza, poi si volse di scatto verso Jarlaxle. «Devi convocare la tua banda!» gridò Malice rivolta al mercenario. «Presto!» «Matrona» balbettò Jarlaxle, evidentemente perplesso. «Bregan D'aerthe è un gruppo segreto. Non combattiamo in guerra aperta. Se lo facessimo potremmo invocare l'ira del consiglio dominante!» «Ti ripagherò con qualsiasi cosa tu desideri», promise la matrona disperata. «Ma il costo...» «Qualsiasi cosa tu desideri!» ringhiò nuovamente Malice. «Una tale azione...» iniziò Jarlaxle. Ancora una volta, Malice non gli lasciò esprimere le proprie ragioni. «Salva la mia casa, mercenario», ringhiò. «I tuoi profitti saranno notevoli, ma ti avverto, il costo del tuo fallimento sarà di gran lunga maggiore!» A Jarlaxle non andava d'essere minacciato, specialmente da una debole Matrona Madre a cui stava rapidamente crollando addosso il mondo intero. Ma agli orecchi del mercenario il dolce suono della parola «profitti» aveva mille volte più importanza della minaccia. Dopo dieci anni pieni di ricompense esorbitanti nel conflitto Do'Urden-Hun'ett, Jarlaxle non dubitava che Malice fosse disposta a pagare quanto promesso o che fosse in grado di farlo, né dubitava che quest'accordo si rivelasse ancora più lucroso di quello che lui aveva precedentemente stipulato con Matrona SiNafay Hun'ett nel corso di quella stessa settimana. «Come desiderate», disse a Matrona Malice con un inchino e un ampio gesto con il vistoso cappello. «Vedrò che cosa posso fare.» Un ammiccamento a Dinin fece sì che il primogenito maschio lo seguisse mentre usciva dalla stanza. Quando i due uscirono sulla terrazza che dava sul complesso Do'Urden, videro che la situazione era ancora più disperata di come Rizzen l'aveva descritta. I soldati di Casa Do'Urden, quelli ancora vivi, erano intrappolati
all'interno e intorno a uno dei vasti cumuli di stalagmiti a cui si fissava il cancello principale. Uno dei soldati volanti di Hun'ett si lasciò cadere sulla terrazza alla vista di un nobile Do'Urden, ma Dinin eliminò l'intruso con un'unica, rapidissima sequenza d'attacco. «Ben fatto», commentò Jarlaxle, indirizzando a Dinin un cenno d'approvazione. Si mosse per dare una botta sulla spalla al primogenito maschio Do'Urden, ma Dinin scivolò via, in modo che lui non potesse toccarlo. «Abbiamo altre faccende da sistemare», Dinin ricordò esplicitamente a Jarlaxle. «Chiama le tue truppe, e rapidamente, altrimenti temo che Casa Hun'ett oggi possa vincere.» «Stai tranquillo, Dinin, amico mio», rise Jarlaxle. Tirò fuori un fischietto che portava intorno al collo e vi soffiò dentro. Dinin non udì nessun suono, perché lo strumento era sintonizzato magicamente, in modo da essere udito soltanto dagli orecchi dei membri di Bregan D'aerthe. Il primogenito maschio Do'Urden osservò stupefatto mentre Jarlaxle soffiava con calma una cadenza specifica, poi osservò ancora più stupefatto mentre più di cento dei soldati di Casa Hun'ett si rivoltavano contro i propri compagni. Bregan D'aerthe doveva devozione soltanto a Bregan D'aerthe. *
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«Non potevano attaccarci», disse Malice caparbiamente, camminando avanti e indietro per la stanza. «La Regina Ragno non li avrebbe sostenuti nella loro impresa.» «Stanno vincendo senza l'aiuto della Regina Ragno», le ricordò Rizzen, rifugiandosi nell'angolo più remoto della stanza mentre pronunciava quelle parole non gradite. «Avete detto che non avrebbero mai attaccato!» ringhiò Briza contro sua madre. «Proprio come avete spiegato perché non potevamo osare attaccarli!» Briza ricordava perfettamente la conversazione, perché era stata lei a suggerire l'attacco aperto contro Casa Hun'ett. Malice l'aveva rimproverata aspramente e pubblicamente, e ora Briza aveva intenzione di ricambiare l'umiliazione. La sua voce faceva trapelare furioso sarcasmo a ogni parola che lanciava contro sua madre. «Può essere che Matrona Malice si sia sbagliata?»
La risposta di Malice fu un'occhiata furiosa, esitante tra rabbia e terrore. Briza ricambiò lo sguardo minaccioso senza ambiguità e improvvisamente la Matrona Madre di Casa Do'Urden non si sentì più così invincibile e sicura delle proprie azioni. Scattò nervosamente in avanti un attimo più tardi quando Maya, la più giovane delle figlie Do'Urden, entrò nella stanza. «Si sono aperti un varco nella casa!» esclamò Briza, aspettandosi il peggio. Afferrò la sua frusta dalle teste di serpente. «E noi non abbiamo neppure iniziato i preparativi per difenderci!» «No!» si affrettò a correggerla Maya. «Nessun nemico ha oltrepassato la terrazza. La battaglia si è risolta contro Casa Hun'ett!» «Come sapevo sarebbe successo», osservò Malice, raddrizzandosi e rivolgendosi a Briza in tono caustico. «Sciocca è la casa che si muove senza il favore di Lolth! Nonostante la sua proclamazione, tuttavia, Malice immaginava che non fosse stato soltanto il giudizio della Regina Ragno a determinare la risoluzione del combattimento in cortile. I suoi ragionamenti conducevano inevitabilmente a Jarlaxle e alla sua inaffidabile banda di furfanti.» *
*
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Jarlaxle fece un passo fuori dalla terrazza e usò le sue innate capacità drow per levitare verso il basso e raggiungere il fondo della caverna. Non vedendo alcuna necessità di entrare in una battaglia che evidentemente era sotto controllo, Dinin si appoggiò a osservare il mercenario che scendeva, prendendo in considerazione tutto ciò che era appena accaduto. Jarlaxle aveva approfittato di entrambe le parti, usandole una contro l'altra; e ancora una volta il mercenario e la sua banda erano stati gli unici veri vincitori. Bregan D'aerthe era innegabilmente privo di scrupoli ma, doveva ammettere Dinin, innegabilmente efficace. Dinin scoprì che il furfante gli piaceva. *
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«L'accusa è stata adeguatamente consegnata a Matrona Baenre?» chiese Malice a Briza quando la luce di Narbondel, l'ammasso di stalagmite magicamente riscaldato che serviva da orologio marcatempo di Menzoberranzan, iniziò la sua ascesa uniforme, contrassegnando l'alba del giorno successivo.
«La casa dominante si aspettava la visita», rispose Briza con un sorriso affettato. «Tutta la città mormora riguardo all'attacco, e a come Casa Do'Urden abbia respinto gli invasori di Casa Hun'ett.» Malice cercò inutilmente di nascondere il proprio sorriso vanitoso. Godeva dell'attenzione e della gloria che lei sapeva sarebbe stata prodigata alla sua casa. «Il consiglio dominante verrà convocato oggi stesso», proseguì Briza. «Indubbiamente con grande costernazione di Matrona SiNafay Hun'ett e dei suoi figli condannati.» Malice annuì in cenno d'assenso. Sradicare una casa rivale a Menzoberranzan era una procedura perfettamente accettabile tra i drow. Ma fallire nel tentativo, lasciare vivo anche un solo testimone di sangue nobile, che fosse in grado di presentare un'accusa, provocava il giudizio del consiglio dominante, un'ira la cui conseguenza era la distruzione assoluta. Qualcuno bussò ed entrambe si volsero verso la porta ornata della stanza. «Siete convocata, matrona», disse Rizzen entrando. «Matrona Baenre ha mandato un cocchio per voi.» Malice e Briza si scambiarono sguardi speranzosi ma nervosi. Alla punizione di Casa Hun'ett, Casa Do'Urden sarebbe salita all'ottavo grado della gerarchia cittadina, una posizione estremamente desiderabile. Soltanto alle Matrone Madri delle otto case superiori veniva accordato un seggio nel consiglio dominante della città. «Già?» chiese Briza a sua madre. Malice si limitò a scrollare le spalle in risposta e seguì Rizzen fuori dalla stanza e giù dalla terrazza della casa. Rizzen le offrì una mano per aiutarla, che lei prontamente e cocciutamente allontanò con uno schiaffo. Il suo orgoglio era evidente in ogni mossa e Malice fece un passo fuori dalla balaustra e fluttuò giù nel cortile, dove era raccolto il grosso dei suoi restanti soldati. Il disco fluttuante che brillava d'azzurro e che recava gli emblemi di Casa Baenre era sospeso proprio fuori dal distrutto cancello d'adamantio del complesso Do'Urden. Malice passò orgogliosamente tra la folla radunata; elfi scuri inciampavano l'uno sull'altro nel tentativo di tenersi lontani dal suo cammino. Lei decise che questa era la sua giornata, la giornata in cui avrebbe raggiunto il seggio nel consiglio dominante, la posizione che meritava così sommamente.
«Matrona Madre, vi accompagnerò attraverso la città», si offrì Dinin, in piedi al cancello. «Resterai qui con il resto della famiglia», lo corresse Malice. «La convocazione è per me sola.» «Come potete saperlo?» chiese Dinin, ma si rese conto di aver oltrepassato il limite dettato dal proprio rango non appena le parole gli furono uscite di bocca. Quando Malice gli rivolse il suo sguardo furioso e severo, lui era già scomparso tra la folla dei soldati. «Giusto rispetto», mormorò Malice sottovoce, e ordinò ai soldati più vicini di togliere una parte del cancello puntellato e saldato. Con un'ultima occhiata vittoriosa ai suoi sudditi, Malice uscì e sedette sul disco fluttuante. Non era la prima volta che Malice accettava un tale invito da parte di Matrona Baenre, per cui non fu minimamente sorpresa quando varie religiose di Baenre uscirono dall'ombra per circondare il disco fluttuante in una guardia protettiva. L'ultima volta che Malice aveva effettuato questo viaggio si era sentita titubante, perché non comprendeva completamente lo scopo della convocazione da parte di Baenre. Questa volta, tuttavia, Malice incrociò le braccia sul petto con aria di sfida e lasciò che gli osservatori curiosi la vedessero in tutto lo splendore della sua vittoria. Malice accettò gli sguardi fissi con orgoglio, sentendosi decisamente superiore. L'orgoglio di Malice non diminuì neppure quando il disco raggiunse la favolosa recinzione simile a una ragnatela di Casa Baenre, con le mille guardie che marciavano e le torreggianti strutture di stalagmiti e stalattiti. Ora lei faceva parte del consiglio dominante, o ne avrebbe fatto parte ben presto; non doveva più sentirsi intimidita in nessuna parte della città. O per lo meno era ciò che lei credeva. «La vostra presenza è richiesta nella cappella», la informò una delle religiose di Baenre quando il disco si fermò alla base della scalinata serpeggiante del grande edificio a cupola. Malice scese e salì i gradini di pietra levigata. Non appena fu entrata notò una figura seduta su una delle poltrone poste sulla sommità dell'altare centrale sollevato. La drow lì seduta, l'unica altra persona visibile nella cappella, a quanto pareva non aveva notato l'ingresso di Malice. Sedeva comodamente e osservava l'enorme immagine illusionistica presente in
alto, sulla cupola, passare da una forma all'altra, apparendo inizialmente come un ragno gigantesco e poi come una bella femmina drow. Mentre si avvicinava, Malice riconobbe le vesti di una Matrona Madre e diede per scontato, come aveva fatto fino a quel momento, che si trattasse di Matrona Baenre stessa che l'attendeva, la figura più potente di tutta Menzoberranzan. Malice salì la scalinata dell'altare, giungendo alle spalle della drow seduta. Senza attendere un invito, passò audacemente intorno alla figura, per salutare la Matrona Madre. Tuttavia Malice Do'Urden non incontrò la forma veneranda ed emaciata di Matrona Baenre sul palco della cappella Baenre. La Matrona Madre che si trovava lì seduta non era più vecchia di quanto potesse essere un drow, né raggrinzita e rinsecchita come un cadavere privo di sangue. A dire il vero questa drow non era più anziana di Malice, ed era decisamente minuscola. Malice la riconobbe fin troppo bene. «SiNafay!» gridò, rischiando quasi di capitombolare. «Malice», rispose l'altra con calma. Un migliaio di possibilità fastidiose passarono rapidamente nella mente di Malice. SiNafay Hun'ett si sarebbe dovuta trovare nella propria casa ormai condannata, rannicchiata e piena di paura, in attesa dell'annientamento della propria famiglia. Eppure SiNafay era lì, comodamente seduta, nelle stanze consacrate della famiglia più importante di Menzoberranzan! «Tu non dovresti trovarti in questo luogo!» protestò Malice, i pugni sottili stretti ai fianchi. Prese in considerazione le possibilità di attaccare la sua rivale lì e in quel momento, di strangolare SiNafay con le proprie mani. «Calmati, Malice», affermò con indifferenza SiNafay. «Sono qui su invito di Matrona Baenre, proprio come te.» L'accenno a Matrona Baenre e al luogo in cui si trovavano calmò considerevolmente Malice. Non si poteva agire in preda al malumore nella cappella di Casa Baenre! Malice si diresse verso l'estremità opposta del palco circolare e sedette, senza mai lasciare con lo sguardo il volto compiaciuto e sorridente di SiNafay Hun'ett. Dopo alcuni interminabili momenti di silenzio, Malice dovette esprimere ciò che pensava. «Casa Hun'ett ha attaccato la mia famiglia nella fase finale dell'oscurità di Narbondel», disse. «Ho molti testimoni di questo fatto. Non può esserci alcun dubbio!» «Nessuno», rispose SiNafay, cogliendo di sorpresa Malice dichiarandosi d'accordo con lei.
«Ammetti l'attacco?» esitò l'altra. «Certo», disse SiNafay. «Non l'ho mai negato.» «Eppure sei viva», disse Malice con aria beffarda. «Le leggi di Menzoberranzan richiedono che tu e la tua famiglia siate giustiziate.» «Giustiziate?» SiNafay rise a quel concetto assurdo. La giustizia non era mai stata niente più di una facciata e di un mezzo per mantenere una parvenza d'ordine nella caotica Menzoberranzan. «Ho agito come la Regina Ragno mi ha richiesto di fare.» «Se la Regina Ragno approvasse i tuoi metodi avresti vinto tu», arguì Malice. «Non è così», interruppe un'altra voce. Malice e SiNafay si volsero proprio nel momento in cui Matrona Baenre appariva per magia, comodamente seduta in una poltrona lontana, nella parte più remota del palco. Malice voleva urlare contro l'avvizzita Matrona Madre, sia per aver spiato la sua conversazione sia per aver apparentemente confutato i suoi reclami contro SiNafay. Tuttavia Malice era riuscita a sopravvivere ai pericoli di Menzoberranzan per cinquecento anni soprattutto perché comprendeva che cosa comportasse provocare l'ira di una matrona del rango di Baenre. «Avanzo diritto d'accusa contro Casa Hun'ett», disse con calma. «Certo», rispose Matrona Baenre. «Come avete detto, e come ha ammesso SiNafay, non ci può essere alcun dubbio.» Malice si volse con aria di trionfo verso SiNafay, ma la Matrona Madre di Casa Hun'ett continuava a sedere rilassata e per nulla preoccupata. «Allora perché lei è qui?» esclamò Malice, con un tono che era al limite di una violenza esplosiva. «SiNafay è in una posizione illegale. Lei...» «Non abbiamo discusso le vostre parole», la interruppe Matrona Baenre. «Casa Hun'ett ha attaccato e fallito. Le pene per un simile atto sono ben note e accettate, e il consiglio dominante si riunirà questo stesso giorno per fare in modo che venga fatta giustizia.» «Allora perché SiNafay si trova qui?» chiese Malice. «Dubiti della saggezza del mio attacco?» chiese SiNafay a Malice, cercando di soffocare una risatina. «Siete stati sconfitti», le ricordò Malice in tono pratico. «Questo dovrebbe Bastare a darti la risposta.» «Lolth ha chiesto l'attacco», disse Matrona Baenre. «Perché, allora, Casa Hun'ett è stata sconfitta?» chiese Malice ostinatamente. «Se la Regina Ragno...»
«Non ho detto che la Regina Ragno abbia riversato le proprie benedizioni su Casa Hun'ett», la interruppe Matrona Baenre, piuttosto adirata. Malice era sulle spine sulla poltrona, ricordò il luogo e la situazione critica in cui si trovava. «Ho detto soltanto che Lolth ha chiesto l'attacco», continuò Matrona Baenre. «Per dieci anni tutta Menzoberranzan ha sopportato lo spettacolo della vostra guerra privata. L'intrigo e l'eccitazione si sono esauriti da un pezzo, lasciate che ve lo garantisca. Era necessario decidere.» «E così è stato», dichiarò Malice, alzandosi dal proprio posto. «Casa Do'Urden si è rivelata vittoriosa, e io avanzo diritto d'accusa contro SiNafay Hun'ett e la sua famiglia!» «Siediti, Malice», disse SiNafay. «Questa faccenda non si limita al tuo diritto d'accusa.» Tuttavia Malice guardò Matrona Baenre per riceverne conferma; considerata l'attuale situazione, non poteva dubitare delle parole di SiNafay. «È fatta», le disse Matrona Baenre. «Casa Do'Urden ha vinto, e Casa Hun'ett non esisterà più.» Malice cadde nuovamente a sedere, sorridendo compiaciuta a SiNafay. Tuttavia la Matrona Madre di Casa Hun'ett continuava a non sembrare minimamente preoccupata. «Osserverò la distruzione della tua casa con grande piacere», garantì Malice alla propria rivale. Si volse verso Baenre. «Quando verrà inferta la punizione?» «È già stato fatto», rispose Matrona Baenre misteriosamente. «SiNafay è viva!» esclamò Malice. «No», la corresse la matrona avvizzita. «È viva colei che era SiNafay Hun'ett.» Ora Malice stava iniziando a capire. Casa Baenre era sempre stata opportunista. Probabilmente Matrona Baenre stava rubando le somme sacerdotesse di Casa Hun'ett per aggiungerle alla sua collezione. «Le offrirete asilo?» osò chiedere Malice. «No», rispose con voce pacata Matrona Baenre. «Quel compito toccherà a voi.» Malice spalancò gli occhi. Degli innumerevoli compiti che le erano stati affidati nel corso della sua esperienza di somma sacerdotessa di Lolth, lei non riusciva a pensarne uno che le risultasse più sgradevole. «È mia nemica! Mi chiedete di offrirle rifugio?»
«È vostra figlia», replicò Matrona Baenre. Il suo tono si addolcì e un sorriso ironico schiuse le sue labbra sottili. «La vostra figlia maggiore, ritornata da un viaggio a Ched Nasad, o da qualche altra città dei nostri simili.» «Perché state facendo questo?» chiese Malice. «Non ha precedenti!» «Questo non è del tutto corretto», rispose Matrona Baenre. Tamburellava le dita davanti a sé mentre sprofondava nuovamente nei propri pensieri, ricordando alcune delle strane conseguenze dell'infinita serie di battaglie all'interno della città drow. «In apparenza le vostre osservazioni sono corrette», continuò a spiegare a Malice. «Ma di sicuro siete sufficientemente saggia da sapere che a Menzoberranzan accadono molte cose celate da un'apparenza tranquilla. Casa Hun'ett dev'essere distrutta, questo non si può cambiare, e tutti i nobili di Casa Hun'ett devono venire massacrati. Dopo tutto è la cosa più civile da farsi.» Si fermò un attimo per assicurarsi che Malice stesse comprendendo in pieno il significato della sua affermazione successiva. «Almeno deve sembrare che vengano massacrati.» «E voi organizzerete questo?» chiese Malice. «L'ho già fatto», le garantì Matrona Baenre. «Ma qual è lo scopo?» «Quando Casa Hun'ett ha iniziato il proprio attacco contro di voi, avete invocato la Regina Ragno nelle vostre lotte?» chiese senza mezzi termini Matrona Baenre. La domanda stupì Malice e la risposta prevista la turbò notevolmente. «E quando Casa Hun'ett è stata respinta», proseguì freddamente Matrona Baenre, «avete reso grazie alla Regina Ragno? Avete invocato un'ancella di Lolth nel momento della vostra vittoria, Malice Do'Urden?» «Sono sotto processo?» esclamò Malice. «Conoscete la risposta, Matrona Baenre.» Guardò SiNafay con un senso di disagio mentre rispondeva, temendo di poter svelare valide informazioni. «Siete consapevole della mia situazione per quanto riguarda la Regina Ragno. Non oso convocare una yochlol finché non avrò visto qualche segno che indichi che ho riacquistato il favore di Lolth.» «E non hai visto alcun segno?» osservò SiNafay. «Nessuno, a parte la sconfitta della mia rivale», le ringhiò di rimando Malice.
«Quello non era un segno da parte della Regina Ragno», assicurò a entrambe Matrona Baenre. «Lolth non si è intromessa nelle vostre lotte. Lei ha preteso soltanto che vi fosse posto termine.» «È lieta del risultato?» chiese Malice senza mezzi termini. «Questo deve ancora essere determinato», rispose Matrona Baenre. «Molti anni fa, Lolth espresse chiaramente il suo desiderio che Malice Do'Urden sedesse nel consiglio dominante. A iniziare dalla prossima luce di Narbondel le cose staranno così.» Il mento di Malice si sollevò con orgoglio. «Ma rendetevi conto del vostro dilemma», la rimproverò Matrona Baenre, alzandosi e allontanandosi dalla poltrona. Malice crollò immediatamente. «Avete perduto più della metà dei vostri soldati», spiegò Baenre. «E non avete una famiglia numerosa che vi circonda e vi sostiene. Governate l'Ottava Casa della città, eppure è noto a tutti che non godete del favore della Regina Ragno. Per quanto tempo credete che Casa Do'Urden manterrà la propria posizione? Il vostro seggio nel consiglio dominante è in pericolo ancor prima che l'abbiate occupato!» Malice non poté confutare la logica dell'anziana matrona. Conoscevano entrambe le consuetudini di Menzoberranzan. Con Casa Do'Urden così evidentemente svantaggiata, qualche casa minore avrebbe ben presto approfittato dell'opportunità di migliorare la propria posizione. L'attacco da parte di Casa Hun'ett non sarebbe stata l'ultima battaglia combattuta nel complesso Do'Urden. «Perciò vi do SiNafay Hun'ett... Shi'nayne Do'Urden... una nuova figlia, una nuova somma sacerdotessa», disse Matrona Baenre. A quel punto si volse verso SiNafay per continuare la sua spiegazione, ma Malice fu distratta da una voce che la chiamava: si trattava di un messaggio telepatico. Tienila soltanto finché avrai bisogno di lei, Malice Do'Urden, diceva. Malice si guardò intorno, indovinando la fonte della comunicazione. In una visita precedente a Casa Baenre, aveva incontrato lo scorticatore mentale di Matrona Baenre, una bestia telepatica. La creatura non si vedeva da nessuna parte, ma non si era vista neppure Matrona Baenre quando Malice era entrata per la prima volta nella cappella. Malice si guardò intorno, scrutando le restanti poltrone vuote sul palco, ma i mobili di pietra non sembravano in alcun modo occupati. Un secondo messaggio telepatico non le lasciò alcun dubbio. Saprai quando sarà il momento giusto.
«...e i restanti cinquanta soldati di Casa Hun'ett», stava dicendo Matrona Baenre. «Siete d'accordo Matrona Malice?» Malice guardò SiNafay con un'espressione che avrebbe potuto essere d'accettazione o di malvagia ironia. «Sì», rispose. «Andate, allora, Shi'nayne Do'Urden», ordinò a SiNafay Matrona Baenre. «Unitevi ai vostri restanti soldati nel cortile. I miei maghi vi condurranno a Casa Do'Urden in segreto.» SiNafay lanciò uno sguardo sospettoso in direzione di Matrona Malice, poi uscì dalla grande cappella. «Capisco», disse Malice alla sua ospite quando SiNafay se ne fu andata. «Voi non capite nulla», le urlò di rimando Matrona Baenre, improvvisamente infuriata. «Ho fatto tutto quel che potevo per voi, Malice Do'Urden! Era desiderio di Lolth che sedeste nel consiglio dominante e io ho fatto in modo che le cose andassero così, anche se questo mi è costato molto.» Allora Malice capì, al di là di ogni dubbio, che Casa Baenre aveva spinto Casa Hun'ett all'azione. Malice si chiese fino a che punto fosse profonda l'influenza di Matrona Baenre. Forse l'avvizzita Matrona Madre aveva anche previsto, e forse organizzato, le azioni di Jarlaxle e dei soldati di Bregan D'aerthe, che alla fine erano stati il fattore decisivo nella battaglia. Avrebbe dovuto scoprire se quella possibilità era autentica, si ripromise Malice. Jarlaxle aveva affondato molto profondamente le avide dita nella sua borsa. «Basta», continuò Matrona Baenre. «Ora dovrete cavarvela con i vostri mezzi. Non avete trovato il favore di Lolth, e quello è l'unico sistema di sopravvivenza per voi e per Casa Do'Urden!» Il pugno di Malice afferrò così strettamente il bracciolo della sua poltrona che lei si aspettò quasi di sentire la pietra spezzarsi. Aveva sperato, con la sconfitta di Casa Hun'ett, di essersi lasciata alle spalle le azioni del proprio blasfemo figliolo più giovane. «Sapete quel che dev'essere fatto», disse Matrona Baenre. «Riparate all'offesa, Malice. Mi sono esposta per voi. Non tollererò insuccessi continui!» *
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«La sistemazione ci è stata spiegata, Matrona Madre», disse Dinin a Malice quando lei tornò al cancello d'adamantio di Casa Do'Urden. Seguì Ma-
lice attraverso il complesso e poi salì levitando accanto a lei fino alla terrazza fuori dalle stanze nobili della casa. «Tutta la famiglia è raccolta nell'anticamera», proseguì Dinin. «Anche il nuovo membro», aggiunse ammiccando. Malice non rispose al debole tentativo umoristico del figlio. Spinse rudemente da parte Dinin e attraversò con impeto il corridoio centrale, ordinando alla porta dell'anticamera di aprirsi con un'unica potente parola. La famiglia si allontanò rapidamente dalla sua traiettoria mentre lei si dirigeva al proprio trono, sul lato estremo del tavolo a forma di ragno. Essi avevano previsto un lungo incontro, per apprendere la nuova situazione che si trovavano davanti e i pericoli che avrebbero dovuto superare. Invece quel che ottennero fu una breve idea della rabbia che bruciava all'interno di Matrona Malice. Lei li guardò furiosa uno per uno, lasciando intendere a ognuno di loro al di là di ogni dubbio che non avrebbe accettato niente di meno di quanto pretendeva, e ringhiò: «Trovate Drizzt e portatemelo!». Briza iniziò a protestare, ma Malice le lanciò un'occhiata talmente fredda e minacciosa da rubarle le parole di bocca. La figlia maggiore, caparbia come la madre e sempre pronta alla lite, distolse lo sguardo. E nessun altro nell'anticamera, pur condividendo le preoccupazioni inespresse di Briza, accennò a discutere. Malice li lasciò a organizzare i particolari specifici relativi all'attuazione del compito. I dettagli non erano assolutamente importanti per Malice. L'unica parte che lei aveva intenzione di svolgere in tutto ciò era affondare il pugnale cerimoniale nel petto del suo figliolo più giovane. 2 Voci nel buio Drizzt si stiracchiò allontanando la stanchezza e si costrinse ad alzarsi in piedi. Gli sforzi della lotta contro il basilisco della notte scorsa, l'essere scivolato completamente in quello stato primordiale così necessario per la sopravvivenza, l'avevano del tutto esaurito. Tuttavia sapeva di non potersi permettere di riposare ulteriormente; la sua mandria di rothe, la riserva di cibo garantita, era disseminata nel labirinto di tunnel e andava recuperata. Drizzt si affrettò a osservare la piccola grotta difficilmente distinguibile che gli serviva da casa, assicurandosi che tutto fosse come doveva. I suoi occhi indugiarono sulla statuina d'onice della pantera. Fu colto da un pro-
fondo struggimento per la compagnia di Guenhwyvar. Nel suo agguato al basilisco, Drizzt aveva tenuto la pantera al proprio fianco per un lungo periodo, quasi tutta la notte, e Guenhwyvar doveva riposare nel Piano Astrale. Sarebbe trascorso più di un intero giorno prima che Drizzt potesse chiamare di nuovo Guenhwyvar, ormai riposata; cercare di usare la statuina prima di allora in una situazione che non fosse disperata sarebbe stato sciocco. Scrollando le spalle rassegnato, si lasciò cadere in tasca la statuina e cercò invano di allontanare la propria solitudine. Dopo una rapida ispezione della barriera di roccia che bloccava l'ingresso al corridoio principale, Drizzt si diresse al più piccolo tunnel da attraversare carponi, sul retro della grotta. Notò i graffi sulla parete accanto al tunnel, le intaccature che aveva scarabocchiato per segnare il passaggio dei giorni. Ora Drizzt ne incise un'altra, ma si rese conto che non era importante. Quante volte aveva dimenticato di effettuare il segno? Quanti giorni gli erano scivolati accanto senza che lui se ne accorgesse, tra le centinaia di graffi su quella parete? In qualche modo la cosa non sembrava più importante. Giorno e notte erano uguali e tutti i giorni erano uguali, nella vita del cacciatore. Drizzt si sollevò fino al tunnel e strisciò per molti minuti verso la debole fonte di luce all'altra estremità. Anche se normalmente la presenza della luce, risultato del bagliore di un insolito tipo di fungo, sarebbe risultata fastidiosa per gli occhi di un elfo scuro, Drizzt provò un sincero senso di sicurezza mentre passava attraverso il tunnel da percorrere carponi ed entrava nella lunga cavità. Il fondo di questa era spezzato in due livelli, quello inferiore era un letto ricoperto di muschio attraversato da un piccolo corso d'acqua, e quello superiore era un boschetto di funghi torreggianti. Drizzt si diresse verso il boschetto, benché normalmente lì non fosse il benvenuto. Sapeva che i miconidi, gli uomini fungo, uno strano incrocio tra umanoidi e funghi ombrelliformi, lo stavano osservando con ansia. Il basilisco era entrato qui nei suoi primi viaggi nella regione, e i miconidi avevano sofferto una grave perdita. Ora erano indubbiamente impauriti e pericolosi, ma Drizzt sospettava che essi sapessero anche che era stato lui a uccidere il mostro. I miconidi non erano esseri stupidi; se Drizzt manteneva le proprie armi nei foderi e non effettuava movimenti inattesi, probabilmente gli uomini fungo avrebbero accettato il suo passaggio attraverso la loro tenera radura. La parete che conduceva al piano superiore era alta più di tre metri e quasi liscia, ma Drizzt la scalò con facilità e rapidità come se essa avesse
vantato un'ampia e piatta scalinata. Un gruppo di miconidi si aprì a ventaglio intorno a lui mentre raggiungeva la sommità, alcuni erano alti soltanto la metà di Drizzt, ma la maggior parte di loro aveva una statura pari a quella del drow. Drizzt incrociò le braccia sul petto, un segnale di pace comunemente accettato nel Buio Profondo. Gli uomini fungo trovavano disgustoso l'aspetto di Drizzt, disgustoso quanto lui considerava il loro, ma avevano veramente capito che Drizzt aveva distrutto il basilisco. Per molti anni i miconidi erano vissuti accanto al drow solitario, ognuno proteggendo la camera piena di vita che fungeva da loro duplice rifugio. Un'oasi come questo luogo, con piante commestibili, un corso d'acqua ricco di pesce e una mandria di rothe, non era comune nelle grotte di pietra aride e vuote del Buio Profondo, e i predatori che vagabondavano lungo i tunnel esterni invariabilmente trovavano il modo d'entrarvi. Allora toccava agli uomini fungo e a Drizzt difendere il proprio territorio. Il più grande dei miconidi avanzò ponendosi di fronte all'elfo scuro. Drizzt non effettuò alcun movimento, comprendendo l'importanza di stabilire un'accettazione tra sé e il nuovo sovrano della colonia di uomini fungo. Tuttavia, tese i propri muscoli, preparandosi a balzare di lato se le cose non fossero andate come lui si aspettava. I miconidi eruttarono una nuvola di spore. Drizzt le studiò nella frazione di secondo che impiegarono per scendere su di lui, sapendo che i miconidi maturi erano in grado di emettere molti tipi diversi di spore, alcune decisamente pericolose. Ma Drizzt riconobbe la sfumatura di questa nuvola particolare e l'accettò completamente. Re morto. Io re, giunsero i pensieri del miconide attraverso il legame telepatico ispirato dalla nuvola di spore. Tu sei re, rispose mentalmente Drizzt. Come avrebbe voluto che questi fungoidi potessero parlare a voce alta! Come prima? Parte bassa per elfo scuro, boschetto per miconidi, rispose l'uomo fungo. D'accordo. Boschetto per miconidi! pensò nuovamente l'uomo fungo, questa volta con enfasi. Drizzt scese in silenzio lungo la parete. Aveva portato a termine la propria missione con il fungoide; né lui né il nuovo re avevano alcun desiderio di continuare l'incontro.
Allontanandosi con passo rapido, Drizzt oltrepassò con un balzo il corso d'acqua largo un metro e mezzo e si allontanò camminando sul folto tappeto di muschio. La cavità era più lunga che larga e continuava per molti metri, effettuando una lieve svolta prima di raggiungere l'uscita più larga che conduceva al labirinto tortuoso dei tunnel del Buio Profondo. Oltrepassata quella curva, Drizzt osservò nuovamente la distruzione provocata dal basilisco. Varie rothe mezze mangiate giacevano qua e là e Drizzt si sarebbe dovuto liberare di quei cadaveri prima che il loro fetore attirasse visitatori ancor più sgraditi; altre rothe erano perfettamente immobili, pietrificate dallo sguardo del temibile mostro. Proprio dinnanzi all'uscita della cavità si trovava l'ex sovrano dei miconidi, un gigante di tre metri e mezzo, che ora non era altro che una statua ornamentale. Drizzt si fermò a osservarlo. Non aveva mai imparato il nome del fungoide e non gli aveva mai dato il suo, ma supponeva per lo meno che il re fosse stato suo alleato, forse perfino suo amico. Avevano vissuto fianco a fianco per vari anni, benché si fossero incontrati di rado, ed entrambi avevano derivato un senso di sicurezza maggiore dalla semplice presenza dell'altro. Tutto considerato, comunque, Drizzt non provava alcun rimorso alla vista del suo alleato pietrificato. Nel Buio Profondo sopravvivevano soltanto i più forti e questa volta il re dei miconidi non lo era stato abbastanza. Nelle regioni selvagge del Buio Profondo, il fallimento non concedeva una seconda opportunità. Nuovamente fuori nei tunnel, Drizzt sentì che la sua rabbia iniziava ad aumentare. La accolse in pieno, concentrando i propri pensieri sul carnaio effettuato nel suo regno e accettando la rabbia come un alleato nelle regioni selvagge. Passò attraverso una serie di tunnel e girò in quello in cui aveva effettuato l'incantesimo di tenebre, la notte scorsa, quando Guenhwyvar si era raccolta, pronta a balzare sul basilisco. L'incantesimo di Drizzt era ormai sparito da tempo e, usando l'infravista, il drow riuscì a individuare varie forme che brillavano di calore sull'ammasso che si stava raffreddando e che Drizzt sapeva essere il mostro morto. La vista di quell'essere non fece che aumentare la rabbia del cacciatore. Istintivamente Drizzt afferrò l'impugnatura di una delle scimitarre. Come se fosse dotata di volontà propria, l'arma sferrò un colpo mentre Drizzt passava accanto alla testa del basilisco, disseminando disgustosamente il cervello esposto. Vari ratti di grotta ciechi presero la fuga a quel suono e Drizzt, ancora una volta senza pensare, colpì di scatto con la seconda lama
e ne bloccò uno sulla pietra. Senza neppure rallentare il passo, raccolse il ratto e lo lasciò cadere nella bisaccia. Il ritrovamento delle rothe poteva rivelarsi noioso, e il cacciatore avrebbe avuto bisogno di mangiare. Per il resto di quella giornata e metà della successiva, il cacciatore si allontanò dal proprio regno. Il ratto di grotta non era un pasto particolarmente gradevole, ma sostentò Drizzt, consentendogli di continuare e di sopravvivere. Per il cacciatore del Buio Profondo nient'altro aveva importanza. In quel secondo giorno trascorso all'esterno, il cacciatore capì di essere sul punto di riuscire a radunare un gruppo dei suoi animali perduti. Chiamò Guenhwyvar al proprio fianco e, con l'aiuto della pantera, ebbe pochi problemi a trovare le rothe. Drizzt aveva sperato che l'intera mandria fosse ancora riunita, ma in quella zona trovò soltanto una mezza dozzina d'animali. Sei erano meglio di niente, tuttavia, e Drizzt mise in azione Guenhwyvar, per radunare e spingere nuovamente le rothe verso la grotta muschiosa. Drizzt impose un'andatura inumana, sapendo che il compito sarebbe stato molto più facile e più sicuro con Guenhwyvar al suo fianco. Quando la pantera fu stanca e dovette ritornare nel piano in cui viveva, le rothe si trovavano già comodamente al pascolo nelle vicinanze del ben noto corso d'acqua. Il drow si rimise immediatamente in cammino, questa volta portando con sé due ratti morti per il viaggio. Chiamò nuovamente Guenhwyvar quando fu in grado di farlo, e congedò la pantera quando fu costretto a farlo, poi ripeté la convocazione in seguito, mentre i giorni si susseguivano senza ulteriori segni. Ma il cacciatore non si diede per vinto nella propria ricerca. Le rothe spaventate erano in grado di percorrere distanze notevoli e, nel labirinto di tunnel serpeggianti e di grotte enormi, il cacciatore sapeva che potevano passare molti altri giorni prima di poter raggiungere gli animali. Drizzt trovò il cibo dove poté, abbattendo un pipistrello con un perfetto lancio di pugnale, dopo aver gettato verso l'alto un'ingannevole gragnuola di sassolini e gettando un grosso sasso sul dorso di un gigantesco granchio del Buio Profondo. In seguito, Drizzt si stancò della ricerca e iniziò a desiderare la sicurezza della piccola grotta in cui viveva. Dubitando che le rothe, correndo alla cieca, fossero riuscite a sopravvivere così a lungo nei tunnel, così lontano dall'acqua e dal cibo, si rassegnò alla perdita della mandria e decise di ritornare a casa attraverso una strada che l'avrebbe ricondotto alla regione della grotta muschiosa da una direzione diversa.
Drizzt decise che soltanto le chiare tracce della sua mandria perduta l'avrebbero sviato dal percorso che aveva stabilito, ma mentre svoltava un angolo, avendo percorso la metà del cammino che lo separava da casa, uno strano suono attirò e catturò la sua attenzione. Drizzt premette le mani contro la pietra, sentendo le sottili, ritmiche vibrazioni. A breve distanza qualcosa colpiva la pietra in modo ritmico. Si trattava di un martellamento cadenzato. Il cacciatore sfoderò le scimitarre e avanzò furtivamente, seguendo le vibrazioni continue che lo guidavano attraverso i corridoi tortuosi. La luce tremolante di un fuoco lo spinse ad acquattarsi, ma non fuggì, attratto dalla consapevolezza della vicinanza di un essere intelligente. Era decisamente possibile che lo sconosciuto si rivelasse un pericolo ma forse, sperava Drizzt nel fondo della propria mente, poteva trattarsi di qualcosa di più. Poi Drizzt li vide, due stavano colpendo la pietra con picconi fabbricati con arte, un altro raccoglieva detriti con una carriola, e altri due stavano di guardia. Il cacciatore capì immediatamente che nei paraggi ci dovevano essere altre guardie; probabilmente era penetrato attraverso le loro difese senza neppure accorgersene. Drizzt fece appello a una delle capacità che gli derivavano dal suo passato e si alzò lentamente in aria, guidando la propria levitazione con le mani lungo la pietra. Fortunatamente il tunnel in questo punto era elevato, così il cacciatore fu in grado di osservare le creature che scavavano, in relativa sicurezza. Si trattava di esseri più piccoli di Drizzt e privi di capelli, con tozzi torsi muscolosi perfettamente adatti all'estrazione mineraria che rappresentava la vocazione della loro vita. Drizzt aveva incontrato questa razza in precedenza e aveva imparato molto al loro riguardo durante i suoi anni all'Accademia, ancora a Menzoberranzan. Si trattava di svirfnebli, gnomi del profondo, i più odiati nemici dei drow in tutto il Buio Profondo. Una volta, molto tempo prima, Drizzt aveva guidato una pattuglia drow in una battaglia contro un gruppo di svirfnebli e aveva sconfitto un elementale di terra evocato dal capo degli gnomi del profondo. Ora Drizzt ricordò quel momento e, come tutte le memorie della sua esistenza, il pensiero l'addolorò. Era stato catturato dagli gnomi del profondo, rozzamente legato e tenuto prigioniero in una cavità segreta. Gli svirfnebli non l'avevano maltrattato, anche se immaginavano, e l'avevano anche spiegato a Drizzt, che in seguito l'avrebbero ucciso. Il capo del gruppo gli aveva promesso il massimo della misericordia consentita dalla situazione.
I compagni di Drizzt, tuttavia, guidati da suo fratello Dinin, si erano precipitati nella spelonca e non avevano dimostrato alcuna pietà agli gnomi del profondo. Drizzt era riuscito a convincere suo fratello a risparmiare la vita al capo, ma Dinin, dimostrando la tipica crudeltà drow, aveva ordinato che le mani dello gnomo del profondo venissero amputate prima di liberarlo per lasciarlo ritornare a casa. Drizzt si scrollò di dosso quei ricordi angosciosi e costrinse i propri pensieri a ritornare alla situazione che aveva di fronte. Ricordò a se stesso che gli gnomi del profondo potevano rivelarsi avversari formidabili, e che era improbabile che accogliessero favorevolmente un elfo drow mentre erano impegnati nelle loro operazioni minerarie. Doveva stare all'erta. A quanto pareva i minatori avevano individuato una vena molto ricca, perché iniziarono a parlare in toni eccitati. Drizzt gradì il suono di quelle parole, anche se non comprendeva assolutamente niente dello strano linguaggio degli gnomi. Un sorriso non ispirato dalla vittoria in battaglia si fece strada per la prima volta nel giro di anni sul volto di Drizzt, mentre gli svirfnebli s'inerpicavano sulla roccia, gettando grossi pezzi nelle carriole ed esortando altri compagni vicini a raggiungerli per unirsi al divertimento. Come Drizzt aveva sospettato, più di una dozzina di svirfnebli, che lui non aveva visto in precedenza, giunsero da ogni direzione. Drizzt trovò un posto elevato su cui appoggiarsi contro la parete e osservò a lungo i minatori, molto dopo l'esaurimento del suo incantesimo di levitazione. Quando infine le loro carriole furono stracolme, gli gnomi del profondo formarono una colonna e se ne andarono. Drizzt si rese conto che in quel momento la cosa più prudente che lui poteva fare sarebbe stata quella di lasciare che si allontanassero un bel po', per poi tornare furtivamente a casa. Ma, contro la semplice logica che guidava la sua sopravvivenza, Drizzt scoprì di non poter lasciare che il suono delle voci si allontanasse con tanta facilità. Scese dalla parete elevata e si mise al passo dietro alla carovana svirfnebli, chiedendosi dove l'avrebbero condotto. Per molti giorni Drizzt seguì gli gnomi del profondo. Resistette alla tentazione di chiamare Guenhwyvar, sapendo che alla pantera avrebbe fatto comodo quel riposo prolungato. Del resto lui si sentiva soddisfatto dalla compagnia, per quanto distante, che gli facevano le chiacchiere degli gnomi del profondo. Ogni istinto metteva in guardia il cacciatore, suggerendogli di fermarsi, ma per la prima volta da moltissimo tempo, Drizzt respinse gli istinti del suo io più primitivo. Aveva bisogno di udire le voci degli
gnomi più di quanto avesse bisogno delle semplici necessità della sopravvivenza. Intorno a lui i corridoi divennero più elaborati, meno naturali, e Drizzt capì che stava avvicinandosi al luogo in cui risiedevano gli svirfnebli. Ancora una volta i potenziali pericoli s'innalzarono incombenti su di lui, e ancora una volta lui li accantonò ritenendoli secondari. Affrettò il passo e mantenne a distanza visiva la carovana di minatori, sospettando che gli svirfnebli avessero piazzato nei paraggi trappole astute. A questo punto notò che gli gnomi del profondo misuravano i propri passi, facendo attenzione a evitare certe aree. Drizzt imitò con cautela i loro movimenti e annuì astutamente tra sé, notando qua una pietra mobile e là un filo teso a terra per far scattare una trappola. Poi Drizzt si acquattò dietro a un affioramento superficiale mentre nuove voci si univano ai suoni prodotti dai minatori. Il gruppo minerario era giunto a una scalinata lunga e serpeggiante, che saliva tra due pareti di pietra assolutamente liscia e priva di fessure. Di lato alla scala c'era un'apertura dalla quale passavano appena appena le carriole e Drizzt osservò con sincera ammirazione gli gnomi minatori del profondo che trasportavano i carretti fino a questa apertura e li fissavano a una catena. Una serie di colpi sulla pietra inviarono un segnale a un operatore che non si vedeva, e la catena scricchiolò, attirando la carriola nel foro. Uno alla volta i carretti scomparvero, e anche la banda di svirfnebli si assottigliò, mentre salivano le scale. Mentre gli ultimi due gnomi legavano l'ultima carriola alla catena e battevano i colpi del segnale, Drizzt corse un rischio dettato dalla disperazione. Attese che gli gnomi del profondo volgessero le spalle e scattò verso il carretto, prendendolo proprio mentre scompariva nel basso tunnel. Drizzt comprese l'enormità della sua stupidità nel momento in cui l'ultimo gnomo del profondo, che nulla sapeva della sua presenza, collocò una pietra in fondo al passaggio, bloccandogli qualsiasi possibilità di ritirata. La catena tirò e il carretto avanzò fino a un'angolazione ripida quanto la scalinata parallela. Drizzt non poteva vedere nulla davanti a sé, perché la carriola, progettata per adattarsi perfettamente al tunnel, occupava l'intera altezza e ampiezza di quest'ultimo. Allora Drizzt notò che il carretto aveva anche delle piccole ruote laterali che ne favorivano il passaggio. Era una sensazione talmente piacevole quella di trovarsi nuovamente in presenza di tale intelligenza, ma Drizzt non poteva ignorare il pericolo che lo circondava. Gli svirfnebli non avrebbero accettato positivamente un elfo drow
intruso; era probabile che lo colpissero subito con le armi, senza nemmeno porre domande. Dopo vari minuti, il passaggio si spianò e si allargò. Lì c'era un unico svirfnebli, che stava girando senza sforzo la manovella che tirava su le carriole. Immerso nel suo compito, lo gnomo del profondo non notò la forma scura di Drizzt scattare da dietro l'ultimo carro e scivolare in silenzio attraverso la porta laterale della stanza. Drizzt udì delle voci non appena ebbe aperto la porta. Tuttavia continuò ad avanzare, non avendo altro posto dove andare, e si lasciò cadere ventre a terra su una stretta sporgenza. Alcuni gnomi del profondo, guardie e minatori, erano sotto di lui e parlavano su un pianerottolo in cima all'ampia scalinata. In quel momento erano almeno una ventina i presenti; i minatori raccontavano le storie della loro ricca scoperta. All'estremità posteriore del pianerottolo, attraverso due immense porte di pietra dai cardini di metallo e parzialmente socchiuse, Drizzt intravide la città degli svirfnebli. Il drow non riuscì a vedere che una piccola parte del luogo, e non molto bene dalla sua posizione sulla sporgenza, ma immaginò che la grotta al di là di quelle porte massicce non raggiungesse neppure minimamente le dimensioni della caverna che ospitava Menzoberranzan. Drizzt desiderò entrarvi! Desiderò saltare su e correre attraverso quelle porte, consegnarsi agli gnomi del profondo per qualunque giudizio essi ritenessero equo. Forse l'avrebbero accettato; forse avrebbero visto Drizzt Do'Urden nel suo aspetto reale. Gli svirfnebli sul pianerottolo, ridendo e chiacchierando, si diressero verso l'interno della città. Ora Drizzt doveva andare, doveva balzare su e seguirli al di là delle porte massicce. Ma il cacciatore, l'essere che era sopravvissuto un decennio nelle selvagge regioni desolate del Buio Profondo, non poté muoversi dalla sporgenza. Il cacciatore, l'essere che aveva sconfitto un basilisco e innumerevoli altri mostri di cui era popolato quel mondo pericoloso, non poté affidarsi alle speranze di una misericordia civile. Il cacciatore non comprendeva tali concetti. Le massicce porte di pietra si chiusero, e con un fragore riecheggiante si spense il momento di luce tremolante nel cuore oscurato di Drizzt. Dopo un attimo lungo e tormentato, Drizzt Do'Urden rotolò giù dalla sporgenza e si lasciò cadere sul pianerottolo alla sommità delle scale. La sua vista si offuscò improvvisamente mentre si dirigeva dalla parte opposta
rispetto alla vita brulicante presente al di là delle porte, e furono soltanto gli istinti primordiali del cacciatore a intuire la presenza di altre guardie svirfnebli. Il cacciatore balzò precipitosamente al di sopra degli stupefatti gnomi del profondo e corse nuovamente fuori nella libertà offerta dai corridoi aperti del selvaggio Buio Profondo. Quando ebbe posto una notevole distanza tra sé e la città svirfnebli, Drizzt si mise una mano in tasca ed estrasse la statuina. Un attimo più tardi, tuttavia, il drow la lasciò ricadere in tasca, rifiutando di chiamare il felino, punendosi per la debolezza dimostrata sulla sporgenza. Se fosse stato più forte sulla sporgenza accanto alle enormi porte, avrebbe potuto porre fine al suo tormento, in un modo o nell'altro. Gli istinti del cacciatore combattevano per ottenere il controllo all'interno di Drizzt mentre lui si faceva strada attraverso i passaggi che l'avrebbero riportato alla grotta rivestita di muschio. Mentre il Buio Profondo e la pressione dell'innegabile pericolo continuavano a circondarlo, quei vigili istinti primordiali presero il sopravvento, negando ulteriori pensieri di distrazione, riguardanti gli svirfnebli e la loro città. Quegli istinti primordiali erano la salvezza e la dannazione di Drizzt Do'Urden. 3 Serpenti e spade Quante settimane sono trascorse? segnalò Dinin a Briza nel tacito codice manuale dei drow. Per quante settimane abbiamo cacciato attraverso questi tunnel quel traditore di nostro fratello? L'espressione di Dinin rivelava sarcasmo mentre esprimeva a gesti i propri pensieri. Briza gli lanciò un'occhiata torva e non rispose. Questo compito tedioso le piaceva ancor meno che a Dinin. Lei era una somma sacerdotessa di Lolth e un tempo era la figlia maggiore, a cui veniva accordato un elevato posto d'onore all'interno della struttura familiare. Mai prima d'ora Briza era stata mandata a effettuare una simile caccia. Ma ora per qualche inspiegabile ragione, SiNafay Hun'ett si era aggregata alla famiglia, relegando Briza in una posizione meno importante. «Cinque? continuò Dinin, mentre la sua rabbia cresceva a ogni movimento guizzante delle dita sottili. Sei? Quanto tempo è passato, sorella? insistette. Da quanto tempo SiNaf... Shi'nayne... siede a fianco di Matrona Malice?»
Briza staccò dalla cintura la frusta dalle teste di serpente e si volse furiosa verso il fratello. Dinin si rese conto di essersi spinto troppo oltre con le sue frecciatine sarcastiche, trasse la spada in un gesto di difesa e cercò di ritrarsi, abbassando il capo. Il colpo di Briza giunse più rapidamente, sconfiggendo con facilità l'infelice tentativo di parata di Dinin, e tre delle sei teste morsero in pieno il petto e la spalla del primogenito maschio Do'Urden. Un freddo dolore si diffuse nel corpo di Dinin, provocandogli soltanto un forte intorpidimento. Lui lasciò cadere la mano con cui teneva la spada e iniziò a barcollare. La mano possente di Briza scattò in avanti e lo afferrò per la gola mentre lui perdeva i sensi, sollevandolo da terra con facilità. Poi, guardando gli altri cinque membri della spedizione di caccia che la circondavano, per assicurarsi che nessuno si stesse muovendo a favore di Dinin, Briza scaraventò rudemente il suo stordito fratello contro la parete di pietra. La somma sacerdotessa si protese pesantemente su Dinin, tenendogli una mano stretta contro la gola. «Un maschio saggio avrebbe misurato i propri gesti con maggiore cautela», ringhiò forte Briza, benché a lei e agli altri fosse stato esplicitamente ordinato da Matrona Malice di comunicare unicamente nel codice silenzioso, una volta oltrepassati i confini di Menzoberranzan. Dinin impiegò molto tempo per valutare a pieno la situazione critica in cui si trovava. Mentre il torpore si dissipava, il drow si rese conto di non poter respirare, e benché la sua mano continuasse a tenere la spada, Briza era più pesante di lui di una decina di chili e gliel'aveva bloccata contro il fianco. Fatto ancora più penoso, la mano libera della sorella teneva pronta in alto la temuta frusta di serpenti. Diversamente dalle normali fruste, quel perfido strumento aveva bisogno di poco spazio per far scattare i suoi morsi. Le teste di serpente animate potevano avvolgersi e colpire a distanza ravvicinata semplicemente, come un'estensione della volontà di chi maneggiava la frusta. «Matrona Malice non mi farebbe domande riguardo alla tua morte», sussurrò aspramente Briza. «I figli maschi hanno sempre rappresentato un problema per lei!» Dinin guardò al di là della sua grande e goffa aguzzina, verso i soldati semplici della pattuglia. «Testimoni?» rise Briza, indovinando i suoi pensieri. «Credi veramente che parleranno contro una somma sacerdotessa in favore di un semplice maschio?» Briza socchiuse gli occhi e spostò il volto direttamente al di
sopra di quello di Dinin. «Un semplice cadavere di maschio?» Ridacchiò nuovamente e liberò Dinin con aria accigliata; lui cadde in ginocchio, lottando per riacquistare il normale ritmo respiratorio. «Venite» segnalò Briza nel codice silenzioso al resto della pattuglia. Sento che il mio fratello più giovane non si trova in quest'area. Torneremo in città a fare rifornimento. Dinin osservò la schiena della sorella mentre quest'ultima effettuava i preparativi per la partenza. Lui non desiderava niente di più che infilarle la spada tra le scapole. Tuttavia Dinin era troppo furbo per effettuare una simile mossa. Briza era somma sacerdotessa della Regina Ragno da più di tre secoli e ora aveva il favore di Lolth, anche se Matrona Malice e il resto di Casa Do'Urden non l'avevano. Anche se la perfida dea non avesse vegliato su di lei, Briza era comunque un nemico formidabile, abile negli incantesimi e con quella frusta crudele sempre pronta al suo fianco. «Sorella mia», le gridò Dinin mentre lei stava allontanandosi. Briza si volse di scatto, sorpresa che lui osasse parlarle a voce alta. «Accetta le mie scuse», disse Dinin. Fece cenno agli altri soldati di continuare a muoversi, poi riprese a usare il codice manuale, in modo che i comuni cittadini non venissero a conoscenza del resto della sua conversazione con Briza. Non mi risulta gradito l'ingresso in famiglia di SiNafay Do'Urden, spiegò Dinin. Le labbra di Briza s'incresparono in uno dei suoi sorrisi tipicamente ambigui; Dinin non poté capire per certo se lei stesse rivelandosi d'accordo con lui o se lo stesse prendendo in giro. Ti ritieni abbastanza saggio da mettere in discussione le decisioni di Matrona Malice? chiese lei, con le dita. «No!» replicò Dinin con enfatici segni. Matrona Malice fa quel che deve fare, e sempre per il bene di Casa Do'Urden. Ma io non mi fido della rifugiata Hun'ett. SiNafay ha osservato la sua casa fatta a pezzi dal giudizio del consiglio dominante. Tutti i figli che le stavano molto a cuore sono stati assassinati e lo stesso vale per la maggior parte dei suoi comuni cittadini. Può forse essere veramente fedele a Casa Do'Urden dopo una tale perdita? «Sciocco maschio» gli segnalò Briza in risposta. «Le sacerdotesse capiscono che la fedeltà è dovuta soltanto a Lolth. La casa di SiNafay non esiste più. Ora lei è Shi'nayne Do'Urden, e per ordine della Regina Ragno
accetterà pienamente tutte le responsabilità che accompagnano questo nome.» «Non mi fido di lei» ribadì Dinin. «Né mi piace vedere le mie sorelle, le vere Do'Urden, costrette a farle spazio e a ritrovarsi in posizione d'inferiorità all'interno della gerarchia. Shi'nayne avrebbe dovuto occupare un posto meno importante rispetto a Maya, oppure venire annoverata tra i comuni cittadini.» Briza gli ringhiò contro, anche se era pienamente d'accordo. «Il rango di Shi'nayne all'interno della famiglia non è affar tuo. Casa Do'Urden è più forte per l'aggiunta di un'altra somma sacerdotessa. Questo è tutto ciò di cui un maschio deve preoccuparsi!» Dinin annuì in segno d'accettazione della sua logica e rimise saggiamente nel fodero la spada prima d'iniziare ad alzarsi, dato che si trovava ancora in ginocchio. A sua volta Briza si rimise alla cintura la frusta di serpenti ma continuò a osservare il pericoloso fratello con la coda dell'occhio. Ora Dinin sarebbe stato più attento nei paraggi di Briza. Sapeva che la sua sopravvivenza dipendeva dall'abilità di camminare accanto alla sorella, perché Malice avrebbe continuato a mandar fuori Briza insieme a lui in queste pattuglie di caccia. Briza era la più forte delle figlie Do'Urden, con la maggiore possibilità di trovare e catturare Drizzt. E Dinin, essendo stato capo pattuglia della città per più di un decennio, aveva più dimestichezza di chiunque altro nella casa con i tunnel esterni a Menzoberranzan. Dinin scrollò le spalle alla propria maledetta sfortuna e seguì nuovamente sua sorella lungo i tunnel che conducevano alla città. Un breve riposo, non più di un giorno, e si sarebbero messi di nuovo in marcia, ancora in cerca di preda, all'inseguimento del loro inafferrabile e pericoloso fratello, che veramente Dinin non aveva alcun desiderio di trovare. *
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La testa di Guenhwyvar si volse di scatto e la grande pantera rimase perfettamente immobile, con una zampa sollevata e pronta a muoversi. «L'hai sentito anche tu», sussurrò Drizzt stringendosi al fianco della pantera. «Vieni, amica mia. Vediamo quale nuovo nemico è entrato nel nostro territorio.» Si mossero insieme, ugualmente silenziosi, lungo corridoi che conoscevano benissimo. Improvvisamente Drizzt si arrestò e Guenhwyvar fece altrettanto, udendo echeggiare un rumore strascicato. Drizzt sapeva che
quel suono era prodotto da stivali e non da qualche mostro naturale del Buio Profondo. Il drow si diresse verso un malfermo cumulo di macerie che dall'altra parte dava su un'ampia grotta a più strati. Fu Guenhwyvar a condurlo in quel luogo, da cui potevano trovare un miglior punto d'osservazione. La pattuglia drow fu visibile soltanto alcuni attimi più tardi, si trattava di un gruppo di sette, anche se erano troppo lontani perché Drizzt ne distinguesse i particolari. Drizzt si stupì d'averli uditi così facilmente, perché ricordava i giorni in cui aveva occupato la posizione di punta in tali pattuglie. Come si era sentito solo allora, alla guida di più di una dozzina di elfi scuri, perché non emettevano un sussurro con i loro movimenti esperti e si mantenevano così ben occultati nell'ombra che perfino gli occhi acuti di Drizzt non riuscivano minimamente a localizzarli. Eppure il cacciatore che Drizzt era diventato, questo suo io primordiale e istintivo, aveva individuato il gruppo con facilità. *
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Briza si fermò improvvisamente e chiuse gli occhi, concentrandosi sulle emanazioni del suo incantesimo di localizzazione. «Di che cosa si tratta?» chiesero le dita di Dinin quando lei si volse a guardarlo. L'espressione stupefatta ed evidentemente eccitata di lei rivelò molto. «Drizzt?» sussurrò forte Dinin, incredulo. «Silenzio!» gli gridarono contro le mani di Briza. Lei si guardò intorno per prendere in esame l'ambiente che la circondava, poi fece segno alla pattuglia di seguirla fino alle ombre della parete nell'immensa grotta esposta. Allora Briza annuì in segno di conferma, sicura che la loro missione venisse finalmente portata a termine. «Puoi essere sicura che si tratti di Drizzt?» chiesero le dita di Dinin. Nella sua eccitazione, lui riusciva a malapena a mantenere una sufficiente precisione di movimenti, in modo da trasmettere i suoi pensieri. «Potrebbe trattarsi di qualche animale che si nutre di carogne...» «Sappiamo che nostro fratello è vivo» disse Briza con segni rapidi. «Matrona Malice non sarebbe più priva del favore di Lolth se le cose stessero altrimenti. E se Drizzt vive, allora possiamo supporre che possieda l'oggetto!»
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L'improvvisa mossa evasiva della pattuglia colse Drizzt di sorpresa. Non era possibile che il gruppo l'avesse visto al di sotto della copertura delle rocce sporgenti, e lui confidava nel silenzio dei propri passi e in quelli di Guenhwyvar. Tuttavia Drizzt si sentiva sicuro del fatto che la pattuglia si stesse nascondendo da lui. In tutto quest'incontro c'era qualcosa che non quadrava. Gli elfi scuri erano così lontano da Menzoberranzan. Forse si trattava soltanto della paranoia necessaria a sopravvivere nelle regioni selvagge del Buio Profondo, si disse Drizzt. Tuttavia sospettava che non fosse stato semplicemente il caso a portare questo gruppo nel suo territorio. «Vai, Guenhwy var», sussurrò al felino. «Osserva i nostri ospiti e ritorna da me.» La pantera si allontanò rapidamente attraverso le ombre che circondavano la grande grotta. Drizzt sprofondò tra i detriti, in ascolto e in attesa. Guenhwyvar ritornò da lui soltanto un minuto più tardi; anche se a Drizzt parve un'eternità. «Li conoscevi?» chiese Drizzt. Il felino graffiò la pietra con una zampa. «Della nostra vecchia pattuglia?» chiese Drizzt a voce alta. «I combattenti accanto ai quali ci muovevamo tu e io?» Guenhwyvar parve incerta e non effettuò alcun movimento definito. «Un Hun'ett, allora» disse Drizzt, pensando di aver risolto l'enigma. Casa Hun'ett era finalmente venuta a cercarlo per ripagarlo della scomparsa di Alton e Masoj, i due maghi Hun'ett che erano morti cercando di ucciderlo. O forse gli Hun'ett erano venuti in cerca di Guenhwyvar, l'oggetto magico che un tempo era appartenuto a Masoj. Quando Drizzt smise per un attimo di riflettere per studiare la reazione di Guenhwyvar, si rese conto che le sue supposizioni erano sbagliate. La pantera era indietreggiata di un passo e sembrava agitata da quel fiume di supposizioni. «Allora chi?» chiese Drizzt. Guenhwyvar arretrò sulle zampe posteriori e si mise a zampe divaricate su Drizzt, colpendo la borsa che il giovane drow portava al collo. Senza comprendere, Drizzt si sfilò l'oggetto e ne vuotò il contenuto in un palmo, rivelando alcune monete d'oro, una piccola pietra preziosa e l'emblema della sua casa, un simbolo d'argento su cui erano scolpite le iniziali di Daermon N'a'shezbaernon, Casa Do'Urden. Drizzt capì immediatamente a che cosa stesse alludendo Guenhwyvar.
«La mia famiglia», sussurrò aspramente. Guenhwyvar si ritrasse di nuovo e graffiò la pietra con una zampa, eccitata. In quel momento Drizzt fu sopraffatto da un migliaio di ricordi ma tutti, belli e brutti, lo conducevano inevitabilmente a una possibilità: Matrona Malice non aveva né perdonato, né dimenticato le sue azioni in quel giorno fatale. Drizzt aveva abbandonato lei e le consuetudini della Regina Ragno e lui conosceva fin troppo bene le abitudini di Lolth per capire che le sue azioni non avevano lasciato sua madre in una buona posizione. Drizzt guardò nuovamente nelle tenebre dell'ampia grotta. «Vieni», disse a Guenhwyvar, ansando, e corse via lungo i tunnel. La sua decisione di lasciare Menzoberranzan era stata dolorosa e incerta, e ora Drizzt non aveva alcun desiderio d'incontrare i suoi simili e di riaccendere tutti i dubbi e le paure. Lui e Guenhwyvar continuarono a correre per più di un'ora, svoltando per passaggi segreti e attraversando le sezioni più disorientate dei tunnel della zona. Drizzt conosceva a fondo la regione ed era sicuro di poter distanziare con facilità il gruppo di pattuglia. Ma quando finalmente si fermò per riprendere fiato, intuì, e gli bastò guardare Guenhwyvar per confermare i suoi sospetti, che la pattuglia era ancora sulle sue tracce, forse più vicina di prima. Allora Drizzt capì di essere seguito magicamente; non poteva esserci nessun'altra spiegazione. «Ma come?» chiese alla pantera. «Sono molto diverso dal drow che conoscevano come fratello, per aspetto o modo di pensare. Che cosa potevano sentire che fosse sufficientemente familiare e a cui potessero aggrappare i loro incantesimi magici?» Drizzt si esaminò con rapidità e inizialmente il suo sguardo si posò sulle armi d'ottima fattura. Le scimitarre erano meravigliose, ma lo stesso valeva per la maggior parte delle armi drow a Menzoberranzan. E queste lame particolari non erano neppure state realizzate in Casa Do'Urden e non avevano una forma particolarmente prediletta dalla famiglia di Drizzt. Allora si chiese se si trattasse del suo mantello. Il piwafwi era il segnale di una casa, recava la sequenza dei punti e i disegni che caratterizzavano una sola famiglia. Ma il piwafwi di Drizzt era ridotto in brandelli e strappato fino a risultare irriconoscibile e gli riusciva arduo credere che un incantesimo di localizzazione l'avrebbe riconosciuto come appartenente a Casa Do'Urden. «Appartenente a Casa Do'Urden», sussurrò intensamente Drizzt. Guardò Guenhwyvar e annuì all'improvviso, aveva la sua risposta. Si tolse di nuo-
vo la borsa che recava intorno al collo e ne estrasse il simbolo, l'emblema di Daermon N'a'shezbaernon. Creato con un incantesimo, possedeva una sua magia, un dweomer particolare di quella singola casa. Soltanto un nobile di Casa Do'Urden ne avrebbe portato uno. Drizzt pensò per un attimo, poi introdusse di nuovo il simbolo nella borsa e la fece scivolare sopra alla testa di Guenhwyvar. «Per l'inseguito è venuto il momento di trasformarsi nell'inseguitore», disse compiaciuto al grande felino. *
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«Sa di essere seguito» comunicarono rapidamente le mani di Dinin a Briza. Briza non comprovò l'affermazione con una risposta. Naturalmente Drizzt era a conoscenza dell'inseguimento; era evidente che stava cercando di sottrarsi a loro. Briza si mantenne calma. L'emblema della casa di Drizzt brillava come un evidente faro direzionale nei suoi pensieri magicamente intensificati. Briza si fermò, tuttavia, quando il gruppo giunse a una biforcazione nel corridoio. Il segnale proveniva da oltre il bivio, ma non in modo definitivo da un lato in particolare. «Sinistra», indicò Briza a tre dei soldati semplici, poi: «Destra», agli altri due. Trattenne il fratello, segnalando che lei e Dinin avrebbero conservato la loro posizione alla biforcazione per fungere da riserva a entrambi i gruppi. In alto, al di sopra della pattuglia che si divideva, incombendo nelle ombre del soffitto ricoperto di stalattiti, Drizzt sorrideva per la propria astuzia. La pattuglia poteva forse riuscire a star dietro a lui, ma non sarebbe assolutamente stata in grado di rimanere alle costole di Guenhwyvar. Il piano era stato eseguito e completato alla perfezione, perché Drizzt aveva voluto soltanto condurre avanti la pattuglia finché non si fosse trovata lontano dal suo territorio e stanca per la ricerca infruttuosa. Ma mentre Drizzt fluttuava lassù, e guardava dall'alto il fratello e la sorella maggiore, si ritrovò a desiderare intensamente qualcosa di più. Passarono ancora alcuni momenti e Drizzt fu certo che i soldati inviati si trovassero a una notevole distanza. Estrasse le scimitarre, pensando che dopo tutto un incontro con i suoi fratelli non poteva rivelarsi poi così negativo.
«Si allontana ulteriormente», disse Briza a Dinin, parlando, poiché non temeva il suono della propria voce, dato che si sentiva sicura della posizione lontana del fratello traditore. «A grande velocità.» «Drizzt è sempre stato abile nel Buio Profondo», rispose Dinin, annuendo. «Si rivelerà una preda difficile da raggiungere.» Briza rise di sottecchi. «Si stancherà molto prima della scadenza dei miei incantesimi. Lo troveremo esausto in un buco scuro.» Ma la sfrontatezza di Briza si trasformò in vuota costernazione un secondo più tardi quando una forma scura si lasciò cadere proprio tra lei e Dinin. Anche Dinin riuscì a malapena a rendersi conto di quanto fosse sconvolgente quello che era successo. Vide Drizzt soltanto per una frazione di secondo, poi i suoi occhi si annebbiarono seguendo l'arco discendente e impetuoso dell'impugnatura di una scimitarra. Dinin cadde come un sasso e si trovò la pietra liscia del pavimento premuta contro la guancia, una sensazione di cui non si rese conto. Mentre una mano si occupava del fratello, l'altra mano di Drizzt fece scattare la punta di una scimitarra alla gola di Briza, con l'intenzione di costringerla ad arrendersi. Tuttavia Briza non fu sorpresa quanto Dinin, dato che teneva sempre una mano vicina alla frusta. Danzò all'indietro, sottraendosi all'attacco di Drizzt, e sei teste di serpenti guizzarono per aria, attorcigliate e alla ricerca di un'apertura. Drizzt si volse per affrontarla in pieno, agitando le scimitarre secondo schemi per tenere a bada le vipere pronte a colpirlo. Ricordò il morso di quelle temibili fruste; come ogni maschio drow, era stato istruito molte volte con quelle, durante la sua fanciullezza. «Fratello Drizzt», disse Briza a voce alta, nella speranza che la pattuglia la sentisse e comprendesse che la stava richiamando al suo fianco. «Abbassa le armi. Le cose non devono necessariamente andare in questo modo.» Il suono di parole familiari, di parole drow, sopraffece Drizzt. Era piacevole sentirle di nuovo, ricordare che lui era più di un cacciatore che perseguiva un unico scopo, che la sua vita non era semplice sopravvivenza. «Abbassa le armi», ripeté Briza, più esplicitamente. «P-Perché siete qui?» balbettò Drizzt rivolto a lei. «Per te, naturalmente, fratello mio», rispose Briza, troppo gentilmente. «La guerra con Casa Hun'ett è terminata, finalmente e dopo molto tempo. È ora che tu venga a casa.»
Una parte di Drizzt desiderava crederle; desiderava dimenticare quei fatti della vita drow che l'avevano costretto a lasciare la sua città natale. Una parte di Drizzt voleva lasciar cadere sulla pietra le scimitarre e ritornare alla sicurezza e alla compagnia della sua vita precedente. Il sorriso di Briza era così invitante. Briza capì che la determinazione del fratello si stava affievolendo. «Vieni a casa, caro Drizzt», disse con aria incoraggiante, e le sue parole recavano i vincoli di un lieve incantesimo magico. «Abbiamo bisogno di te. Sei il maestro d'armi di Casa Do'Urden, ora.» L'improvviso cambiamento nell'espressione di Drizzt rivelò a Briza che aveva commesso un errore. Zaknafein, il mentore di Drizzt, il suo amico più caro, era stato il maestro d'armi di Casa Do'Urden, e Zaknafein era stato sacrificato alla Regina Ragno. Drizzt non avrebbe mai dimenticato quel fatto. A dire il vero in quel momento Drizzt ricordò molte altre cose, oltre alle comodità di casa sua. Ricordò ancor più chiaramente le ingiustizie della sua vita passata, la perfidia che i suoi principi non potevano proprio tollerare. «Non sareste dovuti venire», disse Drizzt, con voce simile a un ringhio. «Non dovete più tornare da questa parte!» «Caro fratello», rispose Briza, più per guadagnare tempo che per correggere il suo errore evidente. Rimase immobile, il volto raggelato in quel sorriso a doppio taglio. Drizzt guardò le labbra di Briza, che erano piene e carnose secondo i parametri drow. La sacerdotessa non pronunciava parole, ma Drizzt vedeva chiaramente che la sua bocca si stava muovendo dietro a quel sorriso raggelato. Un incantesimo! Briza era sempre stata abile in tali inganni. «Tornatene a casa!» le gridò Drizzt, e si lanciò in un attacco. Briza schivò il colpo abbassandosi con relativa facilità, perché non era volto a colpire, ma soltanto a interromperla mentre stava pronunciando l'incantesimo. «Che tu sia maledetto, Drizzt, traditore», sbottò lei; ogni parvenza di amicizia era scomparsa. «Abbassa immediatamente le armi, sotto pena di morte!» Alzò la frusta a serpenti in un'aperta minaccia.
Drizzt si piazzò solidamente, divaricando i piedi. I suoi occhi color lavanda s'incendiarono e il cacciatore che era dentro di lui uscì ad affrontare la sfida. Briza esitò, colta di sorpresa dall'improvvisa ferocia che ribolliva nel fratello. Quello in piedi davanti a lei non era un normale guerriero drow, lei lo capì al di là di ogni dubbio. Drizzt era diventato qualcosa di più, qualcosa di più formidabile. Ma Briza era una somma sacerdotessa di Lolth, vicina alla sommità della gerarchia drow. Non si sarebbe fatta spaventare e allontanare da un semplice maschio. «Arrenditi!» pretese lei. Drizzt non riuscì neppure a decifrare le parole della sorella, perché il cacciatore che stava affrontando Briza non era più Drizzt Do'Urden. Il selvaggio guerriero primitivo evocato dai ricordi di Zaknafein morto era impenetrabile da parole e bugie. Il braccio di Briza scattò, e le sei teste di vipera della frusta turbinarono, contorcendosi e intrecciandosi secondo volontà propria per trovare le migliori angolazioni da cui attaccare. Le scimitarre del cacciatore reagirono in un vortice indistinguibile. Briza non riuscì neppure minimamente a seguirne i movimenti rapidi come un lampo, e quando la sua strategia d'attacco fu terminata, lei capì soltanto che nessuna delle teste di serpente aveva trovato il bersaglio, ma che soltanto cinque delle teste restavano attaccate alla frusta. Ora Briza era infuriata quasi alla pari del suo avversario e si lanciò alla carica flagellando all'impazzata con la sua arma ormai danneggiata. Serpenti, scimitarre e sottili membra drow s'intrecciavano in un balletto mortale. Una testa morse il cacciatore sulla gamba e un'esplosione di freddo dolore iniziò a scorrergli nelle vene. Una scimitarra sconfisse un altro infido attacco, spaccando una testa nel mezzo, direttamente tra i denti. Un'altra testa morse il cacciatore. E un'altra testa ancora venne a cadere liberamente sulla pietra. Gli avversari si separarono, valutandosi reciprocamente. Dopo i primi furiosi minuti Briza aveva il fiato corto, ma il petto del cacciatore si muoveva con ritmica facilità. Briza non era stata colpita, ma Drizzt aveva preso due morsi. Tuttavia il cacciatore aveva imparato da molto tempo prima a ignorare il dolore. Era in piedi, pronto a continuare, e Briza, la cui frusta ora vantava soltanto tre teste, avanzò caparbiamente verso di lui. Esitò per una frazione
di secondo quando notò Dinin ancora in posizione prona sul pavimento, ma apparentemente sul punto di riprendere i sensi. Suo fratello poteva forse alzarsi per aiutarla? Dinin si contorse e cercò di sollevarsi, ma le sue gambe erano troppo deboli. «Che tu sia maledetto», ringhiò Briza, dirigendo il suo veleno verso Dinin, o Drizzt, non aveva importanza. Facendo appello alla forza della sua divinità Regina Ragno, la somma sacerdotessa di Lolth lanciò una sferzata con tutta la sua forza. Tre teste di serpente caddero a terra dopo un'unica parata da parte delle lame del cacciatore. «Che tu sia maledetto!» gridò nuovamente Briza, questa volta esplicitamente a Drizzt. Afferrò la mazza che recava alla cintura e vibrò un colpo terribile portando il braccio sopra alla spalla e dirigendolo alla testa dell'insolente fratello. Scimitarre incrociate colsero il colpo maldestro molto prima che trovasse il bersaglio, e il piede del cacciatore si sollevò e calciò una volta, due volte e poi una terza sul viso di Briza prima di tornare a terra. Briza vacillò all'indietro, con il sangue negli occhi e altro sangue che le scorreva liberamente dal naso. Individuò le linee della forma del fratello al di là del calore evanescente del proprio sangue e lanciò un disperato, ampio colpo a uncino. Il cacciatore pose una scimitarra a parare la mazza, volgendone la lama in modo che la mano di Briza corresse lungo il suo filo crudele, nonostante la mazza avesse mancato nettamente il proprio obiettivo. Briza urlò per la terribile sofferenza e lasciò cadere l'arma. La mazza cadde sul pavimento accanto a due delle sue dita. A quel punto Dinin si era alzato, era dietro a Drizzt, con la spada in mano. Usando tutta la propria disciplina, Briza mantenne gli occhi fissi su Drizzt, trattenendo l'attenzione di lui. Se avesse potuto distrarlo abbastanza a lungo... Il cacciatore intuì il pericolo e si volse di scatto verso Dinin. Tutto ciò che Dinin vide negli occhi color lavanda del fratello fu la propria morte. Lanciò la spada a terra e incrociò le braccia sul petto in segno di resa. Il cacciatore diede un ordine ringhioso, a malapena intelligibile, ma Dinin ne capì perfettamente il significato e corse via quanto più rapidamente poterono portarlo le sue gambe.
Briza iniziò a volgersi, con l'intenzione di seguire Dinin, ma una lama di scimitarra la bloccò, fissandosi sotto al mento di lei e costringendo la sua testa a portarsi talmente all'indietro che tutto ciò che lei riuscì a vedere fu la pietra scura del soffitto. Il dolore bruciò nelle membra del cacciatore, dolore inflitto dalla drow e dalla sua malvagia frusta. Il cacciatore voleva porre fine al dolore e alla minaccia. Questo era il suo regno! Briza pronunciò un'ultima preghiera a Lolth mentre sentiva il taglio della lama affilata come un rasoio. Ma poi, dopo l'arrivo di un istantaneo turbine nero, fu libera. Abbassò lo sguardo e vide Drizzt bloccato a terra da un'enorme pantera. Senza perdere tempo Briza scappò lungo il tunnel, inseguendo Dinin. Il cacciatore si divincolò da Guenhwyvar e balzò in piedi «Guenhwyvar!» esclamò, spingendo da parte la pantera. «Prendila! Uccidi...!» La risposta di Guenhwyvar fu quella di mettersi a sedere e di effettuare un ampio, prolungato sbadiglio. Con un movimento pigro, la pantera portò una zampa sotto al laccio della borsa che portava intorno al collo e la ruppe facendola cadere a terra. Il cacciatore bruciava di rabbia. «Che cosa stai facendo?» gridò, raccogliendo di scatto la borsa. Guenhwyvar si era forse messa contro di lui? Drizzt retrocesse di un passo, alzando esitante le scimitarre tra sé e la pantera. Guenhwyvar non si scompose, limitandosi a restare lì seduta a fissare Drizzt. Un attimo dopo lo scatto di una balestra rivelò a Drizzt l'assoluta assurdità dei suoi pensieri. La freccia l'avrebbe indubbiamente colpito se Guenhwyvar non fosse balzata a intercettarne la traiettoria. Il veleno drow non aveva alcun effetto su un felino magico. Tre combattenti drow apparvero da una parte della biforcazione, altri due dall'altra. A quel punto Drizzt abbandonò ogni pensiero di vendetta su Briza, e seguì Guenhwyvar in piena fuga lungo i corridoi serpeggianti. Senza la guida della somma sacerdotessa e della sua magia, i soldati semplici non tentarono neppure di seguirli. Molto tempo più tardi Drizzt e Guenhwyvar svoltarono in un corridoio laterale e arrestarono la propria fuga, ascoltando se si udisse qualche rumore di inseguimento. «Vieni», ordinò Drizzt, e partì lentamente, sicuro che la minaccia di Dinin e di Briza fosse stata respinta con successo. Ancora una volta Guenhwyvar si mise a sedere.
Drizzt guardò con curiosità la pantera. «Ti ho detto di venire», ringhiò. Guenhwyvar lo guardò fisso, con uno sguardo che colmò di rimorso il drow traditore. Poi il felino si alzò e avanzò lentamente verso il padrone. Drizzt annuì in segno di assenso, pensando che Guenhwyvar avesse intenzione di ubbidirgli. Si volse e si rimise in cammino, ma la pantera gli girò intorno, fermando la sua avanzata. Guenhwyvar continuò a camminare in circolo e lentamente iniziò a comparire la nebbiolina significativa. «Che cosa stai facendo?» chiese Drizzt. Guenhwyvar non rallentò. «Non ti ho congedato!» gridò Drizzt mentre la forma corporea della pantera si dissolveva. Drizzt vorticò intorno freneticamente, cercando di afferrare qualcosa. «Non ti ho congedato!» urlò nuovamente Drizzt, impotente. Guenhwyvar era scomparsa. Il cammino di ritorno alla grotta riparata di Drizzt fu lungo. Quell'ultima immagine di Guenhwyvar seguì ogni suo passo, sentiva lo sguardo degli occhi grandi e tondi del felino penetrargli nella schiena. Guenhwyvar l'aveva giudicato, se ne rendeva conto al di là di ogni dubbio. Nella sua rabbia cieca, Drizzt aveva quasi ucciso sua sorella; sicuramente avrebbe assassinato Briza se Guenhwyvar non fosse balzata su di lui. Alla fine Drizzt entrò carponi e si portò al cantuccio di pietra che costituiva la sua camera da letto. Le sue riflessioni strisciarono all'interno insieme a lui. Dieci anni prima, Drizzt aveva ucciso Masoj Hun'ett, e in quell'occasione aveva giurato di non uccidere mai più un drow. Per Drizzt la sua parola costituiva il nocciolo dei suoi principi, quegli stessi principi che l'avevano costretto a rinunciare a tanto. Drizzt sicuramente avrebbe rinunciato alla sua parola se non fosse stato per le azioni di Guenhwyvar. Dunque era forse migliore degli elfi scuri che si era lasciato alle spalle? Drizzt aveva chiaramente vinto lo scontro con i suoi fratelli ed era sicuro di poter continuare a nascondersi da Briza e da tutti gli altri nemici che Matrona Malice poteva mandare contro di lui. Ma mentre era solo in quella piccola spelonca, si rese conto di qualcosa che l'afflisse enormemente. Non poteva nascondersi da se stesso. 4 Fuga dal cacciatore
Drizzt non pensò minimamente alle proprie azioni mentre si occupava delle solite faccende quotidiane nel corso dei giorni successivi. Sapeva che sarebbe sopravvissuto. Il cacciatore non avrebbe permesso che le cose andassero diversamente. Ma il prezzo crescente di quella sopravvivenza faceva vibrare una nota profonda e dissonante nel cuore di Drizzt Do'Urden. Se i costanti rituali del giorno tenevano lontano il dolore, Drizzt si trovava privo di protezione alla fine della giornata. L'incontro con i fratelli lo ossessionava, restava nei suoi pensieri vividamente come se si ripetesse ogni notte. Inevitabilmente, Drizzt si svegliava terrorizzato e solo, sopraffatto dai mostri dei suoi sogni. Lui capiva, e tale consapevolezza accresceva la sua impotenza, che nessuna abilità nel maneggiare la spada, per quanto stupefacente, poteva sperare di sconfiggerli. Drizzt non temeva che sua madre continuasse la sua ricerca per catturarlo e punirlo, anche se sapeva al di là di ogni dubbio che lei l'avrebbe fatto certamente. Questo era il suo mondo, di gran lunga diverso dai viali serpeggianti di Menzoberranzan, con consuetudini che i drow che vivevano nella città non potevano minimamente capire. Fuori, nelle regioni selvagge, Drizzt confidava nel fatto di poter sopravvivere contro qualsiasi nemesi Matrona Malice mandasse contro di lui. Drizzt era anche riuscito a liberarsi dal senso di colpa che lo tormentava per le sue azioni contro Briza. Razionalizzò che erano stati i suoi fratelli a forzare quel pericoloso scontro, e che era stata Briza, nel tentativo di pronunciare un incantesimo, ad aver dato inizio al combattimento. Tuttavia, Drizzt si rese conto che avrebbe trascorso molti giorni alla ricerca di risposte alle domande sollevate dalle proprie azioni, riguardanti la natura del suo carattere. Si era trasformato in questo cacciatore selvaggio e spietato a causa delle aspre condizioni che gli erano state imposte? O questo cacciatore era un'espressione dell'essere che Drizzt era sempre stato? Non erano domande a cui Drizzt avrebbe risposto facilmente, ma in questo momento non erano d'importanza primaria tra i suoi pensieri. La cosa che non poteva accantonare riguardo all'incontro con i suoi fratelli, era il suono delle loro voci, la melodia delle parole che lui era in grado di capire e a cui era in grado di rispondere. In tutti i suoi ricordi di quei pochi momenti con Briza e Dinin le parole, non i colpi, si stagliavano con estrema chiarezza. Drizzt vi si avvinghiava disperatamente, ascoltandole più e più volte nella propria mente e temendo il giorno in cui sarebbero svanite. Allora, pur potendole ricordare, non le avrebbe più udite.
Sarebbe stato nuovamente solo. Drizzt tirò fuori dalla propria tasca la statuina d'onice per la prima volta da quando Guenhwyvar si era allontanata da lui. La posò sulla pietra davanti a sé e guardò i graffi che aveva segnato sulla parete per determinare quanto tempo fosse trascorso da quando aveva evocato la pantera per l'ultima volta. Immediatamente Drizzt si rese conto della futilità di quel comportamento. Quando aveva inciso un segno sulla parete per l'ultima volta? E comunque a che cosa servivano i segni? Come poteva Drizzt essere certo del suo conteggio anche se segnava diligentemente una tacca dopo ognuno dei suoi periodi di sonno? «Il tempo appartiene a quell'altro mondo», mormorò Drizzt in tono chiaramente lamentoso. Sollevò il pugnale verso la pietra in un atto volto a smentire quanto aveva proclamato lui stesso. «Che cosa importa?» chiese retoricamente Drizzt, e lasciò cadere a terra il pugnale. Il tintinnio prodotto dal metallo che colpiva la pietra trasmise un brivido lungo la spina dorsale di Drizzt, come se si trattasse di un campanello che segnalava la sua resa. Respirava a fatica. Il sudore imperlava la sua fronte d'ebano e le mani gli divennero improvvisamente fredde. Tutt'intorno ora si sentiva oppresso dalle pareti della grotta, della pietra massiccia che l'aveva riparato per anni contro i pericoli del Buio Profondo che invadevano continuamente il suo regno. Immaginava volti lascivi nelle linee delle fenditure e nelle forme delle rocce. I volti si burlavano di lui e l'irridevano, sminuendo il suo caparbio orgoglio. Si volse per fuggire ma inciampò in una pietra e cadde a terra. Così facendo si scorticò un ginocchio e strappò un altro buco nel suo piwafwi a brandelli. A Drizzt importò ben poco sia del ginocchio sia del mantello quando si volse a guardare la pietra su cui era inciampato, perché fu aggredito da un altro fatto, che lo lasciò assolutamente confuso. Il cacciatore aveva fatto un passo falso. Per la prima volta in più di un decennio, il cacciatore era incespicato! «Guenhwyvar!» gridò freneticamente Drizzt. «Vieni da me! Oh, ti prego, mia Guenhwyvar!» Non sapeva se la pantera avrebbe risposto. Dopo la loro ultima separazione per nulla amichevole, Drizzt non poteva essere sicuro che Guenhwyvar sarebbe mai più giunta al suo fianco. Drizzt si fece strada carponi verso la statuina, ogni centimetro gli parve una lotta tediosa nella debolezza della sua disperazione.
Immediatamente apparve la foschia vorticante. La pantera non avrebbe abbandonato il suo padrone, non avrebbe mantenuto una durevole condanna contro il drow che era stato suo amico. Drizzt si rilassò mentre la nebbiolina prendeva forma, fissandosi su di essa per bloccare le terribili allucinazioni che scorgeva nella pietra. Ben presto Guenhwyvar stava seduta accanto a lui, leccandosi una delle grosse zampe come se niente fosse. Drizzt fissò il proprio sguardo sugli occhi grandi e rotondi della pantera e non vi vide alcuna espressione di censura. Era semplicemente Guenhwyvar, la sua amica e la sua salvezza. Drizzt piegò le gambe sotto di sé, balzò verso il felino e avvolse il collo muscoloso in un abbraccio stretto e disperato. Guenhwyvar accettò la stretta senza reagire, agitandosi solo quel tanto sufficiente per continuare a leccarsi la zampa. Se il felino, nella sua intelligenza ultraterrena, comprese l'importanza di quell'abbraccio, non lo diede a vedere esteriormente. *
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L'irrequietezza segnò i giorni successivi di Drizzt. Continuò a muoversi, percorrendo i circuiti dei tunnel nei pressi del suo rifugio. Drizzt cercava di ricordare a se stesso che Matrona Malice lo stava cercando. Non poteva permettersi nessuna lacuna nelle sue difese. Dentro di sé, nel profondo, al di là delle razionalizzazioni, Drizzt conosceva la verità dei propri movimenti. Poteva offrire a se stesso la scusa di dover pattugliare, ma in realtà aveva preso la fuga. Scappava dalle voci e dalle pareti della sua piccola grotta. Fuggiva da Drizzt Do'Urden e si dirigeva di nuovo verso il cacciatore. Gradualmente i suoi percorsi si fecero più ampi, spesso tenendolo lontano dalla sua grotta per molti giorni di seguito. Segretamente, Drizzt sperava in un incontro con un nemico potente. Aveva bisogno di qualcosa che gli ricordasse in modo tangibile la necessità della sua esistenza primordiale, una battaglia contro qualche orrido mostro che lo riportasse a una forma di sopravvivenza puramente istintiva. Invece un giorno Drizzt trovò la vibrazione di un battito lontano sulla parete, il battito ritmico e misurato di un piccone da minatore. Drizzt si appoggiò contro la parete e prese attentamente in considerazione la prossima mossa. Sapeva dove l'avrebbe portato quel suono; si trovava negli stessi tunnel in cui aveva vagato quando era andato alla ricerca delle sue rothe perdute, gli stessi tunnel dove aveva incontrato la spedizione
mineraria degli svirfnebli alcune settimane prima. In quel momento Drizzt non poteva ammetterlo a se stesso, ma non era semplice coincidenza che lui fosse capitato di nuovo in questa regione. Il suo subconscio l'aveva portato a udire i colpi dei metalli degli svirfnebli e, più in particolare, a udire le risate e le chiacchiere dalle voci degli gnomi del profondo. Ora Drizzt, appoggiandosi pesantemente contro una parete, era veramente lacerato. Sapeva che andare a spiare i minatori svirfnebli gli avrebbe arrecato soltanto ulteriore tormento, che udendo le loro voci sarebbe divenuto ancora più vulnerabile alle fitte della solitudine. Gli gnomi del profondo sicuramente sarebbero tornati alla loro città, e ancora una volta Drizzt sarebbe rimasto solo. Ma Drizzt era venuto a sentire i colpi, e ora essi vibravano nella pietra, allettandolo con una forza d'attrazione troppo intensa per poterla ignorare. Il suo buonsenso lottò contro gli impulsi che lo attiravano verso quel suono ma aveva preso la sua decisione già quando aveva fatto i primi passi in quella regione. Si rimproverò per la propria stupidità, scrollò il capo in segno di diniego. Nonostante il suo ragionamento coscienzioso, le gambe lo portavano verso i ritmici colpi di piccone. I vigili istinti del cacciatore erano contrari alla vicinanza dei minatori già mentre Drizzt guardava giù da una sporgenza elevata, osservando il gruppo di svirfnebli. Ma Drizzt non se ne andò. Per vari giorni, per quanto riuscì a misurarli, rimase in prossimità degli gnomi minatori del profondo, cogliendo frammenti della loro conversazione ovunque poteva, osservandoli lavorare e giocare. Quando giunse il giorno inevitabile in cui i minatori iniziarono a caricare i propri vagoni, Drizzt comprese quanto fosse profonda la sua follia. Aveva dimostrato debolezza nel venire dagli gnomi del profondo; aveva negato la brutale verità della sua esistenza. Ora sarebbe dovuto ritornare al suo buco scuro e vuoto, ancora più solitario per i ricordi degli ultimi giorni. I vagoni si allontanarono dalla vista lungo i tunnel verso la città degli svirfnebli. Drizzt effettuò i primi passi di ritorno verso il suo rifugio, la grotta ricoperta di muschio con il ruscello che scorreva veloce e il boschetto di funghi controllato dai miconidi. In tutti i secoli dell'esistenza che gli restava da vivere, Drizzt Do'Urden non avrebbe più visto quel luogo. In seguito non ricordò in che punto avesse cambiato direzione; non si era trattato di una decisione consapevole. Qualcosa lo attirava, forse il rim-
bombo persistente dei vagoni pieni di minerale metallico, e soltanto quando Drizzt udì sbattere le grandi porte esterne di Blingdenstone, si rese conto delle proprie intenzioni. «Guenhwyvar», sussurrò Drizzt alla statuina, e sussultò al volume allarmante della sua voce. Tuttavia le guardie svirfnebli sull'ampia scalinata erano impegnate a conversare e Drizzt era decisamente al sicuro. La nebbiolina grigia vorticò intorno alla statuina e la pantera giunse al richiamo del padrone. Gli orecchi di Guenhwyvar si appiattirono e la pantera annusò intorno con circospezione, cercando di determinare la natura di quell'ambiente sconosciuto. Drizzt effettuò un respiro profondo e si fece forza per pronunciare quelle parole. «Volevo dirti addio, amica mia», sussurrò. Gli orecchi di Guenhwyvar si rizzarono, e le pupille degli scintillanti occhi gialli del felino si allargarono e si restrinsero di nuovo, mentre la pantera valutava rapidamente Drizzt. «Nel caso...» continuò Drizzt. «Non posso più vivere là fuori, Guenhwyvar. Temo di perdere tutto ciò che da significato all'esistenza. Temo di perdere me stesso.» Si volse a guardare le scale che salivano verso Blingdenstone. «E per me questo è più prezioso della mia vita. Puoi capirmi, Guenhwyvar? Ho bisogno di più, non posso limitarmi a sopravvivere. Ho bisogno di una vita definita non soltanto dagli istinti selvaggi della creatura che sono diventato.» Drizzt si lasciò cadere pesantemente contro la parete di pietra del corridoio. Le sue parole risultavano così logiche e semplici, eppure lui sapeva che ogni passo su per quella scala verso la città degli gnomi del profondo avrebbe costituito una prova del suo coraggio e dei suoi convincimenti. Ricordò il giorno in cui era stato sulla sporgenza fuori dalle grandi porte di Blingdenstone. Per quanto lo desiderasse, Drizzt non aveva potuto risolversi a seguire gli gnomi del profondo all'interno. Era stato colto da una paralisi totale che lo aveva colpito e tenuto stretto quando aveva voluto correre attraverso i portali e penetrare nella città degli gnomi del profondo. «Mi hai giudicato raramente, amica mia», disse Drizzt alla pantera. «E le poche volte in cui l'hai fatto è sempre stato equamente. Puoi capire, Guenhwyvar? Tra poco, nei pochi attimi che seguiranno, potremmo perderci l'un l'altro per sempre. Riesci a comprendere perché devo fare questo?» Guenhwyvar si avvicinò al fianco di Drizzt e strofinò la sua grande testa di felino contro le costole del drow.
«Amica mia», sussurrò Drizzt nell'orecchio del felino. «Torna indietro ora, prima che perda il mio coraggio. Torna nel luogo in cui vivi e spera che c'incontreremo di nuovo.» Guenhwyvar si volse ubbidientemente e si diresse verso la statuina. Questa volta a Drizzt la transizione parve troppo rapida, poi restò soltanto la statuina. Drizzt la raccolse e la esaminò. Prese nuovamente in considerazione il rischio che aveva davanti. Poi, guidato dalle stesse necessità inconsce che l'avevano portato così lontano, corse verso le scale e iniziò a salire. Sopra di lui, la conversazione degli gnomi del profondo era cessata; a quanto pareva le guardie intuivano che si stava avvicinando qualcuno o qualcosa. Ma la sorpresa delle guardie non fu minore quando un elfo drow salì fino in cima alla scalinata e sul pianerottolo davanti alle porte della loro città. Drizzt incrociò le braccia sul petto, un gesto indifeso che gli elfi drow consideravano un segnale di tregua. Drizzt poteva soltanto sperare che gli svirfnebli conoscessero quel simbolo, perché la sua semplice apparizione aveva totalmente innervosito le guardie. Cadevano l'una sull'altra, salendo alla rinfusa sul piccolo pianerottolo, alcune correndo a proteggere le porte della città, altre circondando Drizzt con un anello di punte d'armi, e altre ancora correndo freneticamente verso le scale e scendendo alcuni gradini, cercando di vedere se quest'elfo scuro fosse semplicemente il primo di un intero gruppo di guerrieri drow. Uno svirfnebli, il capo del contingente di guardie che a quanto pareva stava cercando qualche spiegazione, urlò una serie di aspre domande a Drizzt, che scrollò le spalle impotente, e la mezza dozzina di gnomi del profondo che lo circondavano effettuarono un circospetto balzo all'indietro al suo innocuo movimento. Lo svirfnebli parlò di nuovo, a voce alta, e puntò la sua lancia di ferro estremamente acuminata verso Drizzt, che non riusciva minimamente a comprendere o a rispondere alla lingua straniera. Molto lentamente e ostentatamente, fece scivolare una mano sul proprio ventre, verso l'apertura della fibbia della cintura. Le mani del capo degli gnomi del profondo strinsero convulsamente l'asta dell'arma mentre osservava ogni mossa dell'elfo scuro. Uno scatto del polso di Drizzt liberò l'apertura e le scimitarre caddero con fragore sul pavimento di pietra.
Gli svirfnebli trasalirono all'unisono, poi si ripresero rapidamente e gli si avvicinarono. A un'unica parola da parte del capo del gruppo, due delle guardie lasciarono cadere le proprie armi e iniziarono una perquisizione completa e non troppo gentile dell'intruso. Drizzt trasalì quando trovarono il pugnale che aveva tenuto nello stivale. Si diede dello stupido per aver dimenticato l'arma e per non averla rivelata apertamente dall'inizio. Un attimo più tardi, quando uno degli svirfnebli mise una mano nella tasca più profonda del piwafwi di Drizzt e tirò fuori la statuina d'onice, Drizzt trasalì ulteriormente. Istintivamente, Drizzt allungò la mano per prendere la pantera, con un'espressione implorante sul volto. Ricevette l'estremità inferiore di una lancia nella schiena per i suoi sforzi. Gli gnomi del profondo non erano una razza malvagia, ma non avevano nessun affetto per gli elfi scuri. Gli svirfnebli erano sopravvissuti per secoli nel Buio Profondo, con pochi alleati ma molti nemici, e avevano sempre considerato gli elfi drow i più temibili. Dalla fondazione dell'antica città di Blingdenstone, la maggior parte dei molti svirfnebli che erano stati uccisi nelle regioni selvagge, erano caduti infilzati dalla punta di armi drow. Ora, inspiegabilmente, uno di questi stessi elfi scuri era giunto diritto fino alle porte della loro città e aveva ceduto spontaneamente le armi. Gli gnomi del profondo legarono saldamente dietro alla schiena le mani di Drizzt, e quattro delle guardie mantennero le punte delle loro armi posate su di lui, pronte a portarle a segno al minimo movimento minaccioso di Drizzt. Il resto delle guardie ritornò dalla perlustrazione lungo la scalinata senza riferire la presenza di nessun elfo drow nelle vicinanze. Tuttavia il capo rimase sospettoso, e mise altre guardie in varie posizioni strategiche, poi fece un cenno ai due gnomi del profondo che aspettavano alle porte della città. I portali massicci si aprirono, e Drizzt venne condotto all'interno. In quel momento di paura e d'eccitazione poteva soltanto sperare di aver lasciato il cacciatore all'esterno, nelle regioni selvagge del Buio Profondo. 5 Un terribile alleato Non avendo alcuna fretta di presentarsi davanti a sua madre, sicuramente indignata, Dinin si diresse lentamente verso l'anticamera della cappella di Casa Do'Urden. Matrona Malice l'aveva fatto chiamare e lui non era in
condizione di rifiutare la convocazione. Trovò Vierna e May a nel corridoio tra le porte ornate, a loro volta titubanti. «Di che cosa si tratta?» chiese Dinin alle sorelle nel codice manuale silenzioso. Matrona Malice è rimasta tutto il giorno insieme a Briza e a Shi'nayne, risposero le mani di Vierna. A programmare un'altra spedizione di ricerca di Drizzt, disse Dinin a gesti, con scarso entusiasmo dato che non gli piaceva l'idea di essere indubbiamente incluso in tali piani. Alle due femmine non sfuggì il cipiglio sprezzante del fratello. «È stato veramente così terribile?» chiese Maya. «Briza ha voluto dire ben poco al riguardo.» «Le sue dita mozzate e la frusta strappata hanno rivelato molto,» s'intromise Vierna, e un sorriso sarcastico le attraversò il volto mentre muoveva le mani. Vierna, come ogni altro fratello di Casa Do'Urden, aveva scarso affetto per la sorella maggiore. Nessun sorriso d'intesa si allargò sul volto di Dinin mentre ricordava il proprio scontro con Drizzt. «Voi avete assistito alla perizia di nostro fratello quando viveva tra noi» risposero le mani di Dinin. «Le sue capacità sono migliorate di dieci volte negli anni che ha trascorso fuori città.» «Ma che aspetto aveva?» chiese Vierna, evidentemente incuriosita dalla capacità di sopravvivenza di Drizzt. Fin da quando la pattuglia era ritornata riferendo che Drizzt era ancora vivo, Vierna aveva segretamente sperato di rivedere il fratello più giovane. Avevano lo stesso padre, così si diceva, e Vierna provava per Drizzt più simpatia di quanto fosse saggio provare, dati i sentimenti di Malice nei riguardi del figlio più giovane. Notando la sua espressione eccitata e ricordando la propria umiliazione per mano di Drizzt, Dinin le lanciò un torvo sguardo di disapprovazione. «Non temere, cara sorella» dissero rapidamente le mani di Dinin. «Se questa volta Malice ti manderà nelle regioni selvagge, come sospetto voglia fare, vedrai tutto quel che vorrai di Drizzt, e anche di più!» Mentre terminava la frase, Dinin batté le mani tra loro per sottolineare quanto aveva detto e passò direttamente tra le due femmine, entrando nell'anticamera. «Vostro fratello ha dimenticato come si bussa», disse Matrona Malice a Briza e a Shi'nayne, in piedi al suo fianco. Rizzen, inginocchiato davanti al trono, alzò lo sguardo e si volse a guardare Dinin.
«Non ti ho dato il permesso di alzare gli occhi!» gridò Malice al protettore. Batté il pugno sul bracciolo del grande trono e Rizzen si appiattì sul ventre per la paura. Le successive parole di Malice recarono la forza di un incantesimo. «Striscia!» ordinò lei, e Rizzen avanzò carponi fino ai piedi di lei. Malice allungò la mano al maschio, continuando a guardare direttamente Dinin. Il primogenito maschio non mancò di cogliere quel che voleva trasmettergli la madre. «Bacia», disse a Rizzen, e lui si affrettò a prodigare baci sulla mano tesa. «Alzati», fu il terzo ordine dato da Malice. Rizzen si alzò quasi a metà prima che la matrona gli desse un pugno in pieno volto, facendolo accasciare sul pavimento di pietra. «Se ti muovi ti uccido», promise Malice, e Rizzen rimase a terra perfettamente immobile, senza dubitare minimamente delle sue parole. Dinin sapeva che lo spettacolo era indirizzato più a lui che a Rizzen. Senza battere ciglio Malice continuava a fissarlo. «Mi hai deluso», disse alla fine. Dinin accettò il rimprovero senza discutere, senza neppure osare respirare finché Malice non si rivolse aspramente a Briza. «E anche tu!» urlò Malice. «Avevi sei guerrieri drow bene addestrati e tu, una somma sacerdotessa, non sei riuscita a riportarmi Drizzt.» Briza aprì e chiuse le dita indebolite che Malice aveva magicamente ripristinato sulla sua mano. «Sette contro uno», sbraitò Malice, «e voi tornate qui di corsa con storie di fallimento!» «Lo prenderò io, Matrona Madre», promise Maya, prendendo posto accanto a Shi'nayne. Malice guardò Vierna, ma la seconda figlia era più riluttante ad avanzare pretese così grandiose. «Parli arditamente», disse Dinin a Maya. Immediatamente, la smorfia incredula di Malice cadde su di lui, ricordandogli aspramente che non gli era consentito parlare. Ma Briza completò prontamente il pensiero di Dinin. «Troppo arditamente», ringhiò. Lo sguardo di Malice scese analogamente su di lei, ma Briza era una somma sacerdotessa nel favore della Regina Ragno e parlare rientrava pienamente nei suoi diritti. «Voi non sapete niente di nostro fratello minore», proseguì Briza, parlando tanto a Malice quanto a Maya. «È soltanto un maschio», replicò Maya. «Io sarei...»
«Tu saresti stroncata!» urlò Briza. «Trattieni le tue stupide parole e le vuote promesse, sorella più giovane. Fuori nei tunnel, al di là di Menzoberranzan, Drizzt ti ucciderebbe senza fatica.» Malice ascoltò tutto attentamente. Aveva sentito varie volte il resoconto di Briza dell'incontro con Drizzt, e conosceva il coraggio e i poteri della figlia maggiore, abbastanza da capire che Briza non parlava falsamente. Maya si ritrasse dal confronto, non desiderando affatto entrare in contrasto con Briza. «Potresti sconfiggerlo», chiese Malice a Briza, «ora che comprendi meglio ciò che è divenuto?» In risposta Briza flette nuovamente la mano ferita. Sarebbero trascorse varie settimane prima che lei riacquistasse il pieno uso delle dita sostituite. «O tu?» chiese Malice a Dinin, interpretando il gesto intenzionale di Briza come risposta conclusiva. Dinin era sulle spine, non sapendo come rispondere all'irritabile madre. La verità poteva metterlo in disaccordo con Malice, ma una menzogna l'avrebbe sicuramente rimandato nei tunnel contro suo fratello. «Dimmi la verità!» ruggì Malice. «Sei disposto a rimetterti alla ricerca di Drizzt in modo da poter riconquistare il mio favore?» «Io...» balbettò Dinin, poi abbassò gli occhi sulla difensiva. Dinin si rese conto che Malice aveva posto un incantesimo rivelatore sulla sua risposta, in modo da capire se lui cercava di mentirle. «No», disse categoricamente. «Anche a costo di perdere il vostro favore, Matrona Madre, non desidero uscire nuovamente alla ricerca di Drizzt.» Maya, Vierna e perfino Shi'nayne trasalirono sorprese di fronte a quella risposta onesta, pensando che nulla potesse essere peggiore dell'ira di una Matrona Madre. Briza, tuttavia, annuì dichiarandosi d'accordo, perché anche lei aveva visto abbastanza di Drizzt e non desiderava vedere altro. Malice non mancò di notare il significato del gesto della figlia. «Vi chiedo perdono, Matrona Madre», proseguì Dinin, cercando disperatamente di risanare qualsiasi sentimento negativo avesse potuto suscitare. «Ho visto Drizzt in combattimento. Mi ha abbattuto facilmente, come credevo nessun nemico potesse mai fare. Ha sconfitto Briza equamente, e io non l'ho mai vista battuta! Non desidero mettermi nuovamente a caccia di mio fratello, perché temo che il risultato sarebbe unicamente quello di arrecarvi altra rabbia e di provocare ulteriori guai a Casa Do'Urden.» «Hai paura?» chiese malignamente Malice.
Dinin annuì. «E so che non farei altro che deludervi nuovamente, Matrona Madre. Nei tunnel che lui chiama casa, Drizzt va oltre le mie capacità, non posso sperare di sopraffarlo.» «Posso accettare una simile codardia in un maschio», disse freddamente Malice. Dinin, senza possibilità di rivalsa, accettò l'insulto stoicamente. «Ma tu sei una somma sacerdotessa di Lolth!» Malice rimproverò Briza con sarcasmo. «Certamente un maschio, un furfante, non andrà oltre ai poteri che la Regina Ragno ti ha dato!» «Ascoltate le parole di Dinin, mia matrona», rispose Briza. «Lolth è con te!» le gridò Shi'nayne. «Ma Drizzt va oltre la Regina Ragno», replicò aspramente Briza. «Temo che Dinin dica la verità e questo vale per tutti noi. Non possiamo catturare Drizzt in quei luoghi. Le regioni selvagge del Buio Profondo sono il suo regno, dove noi siamo soltanto stranieri.» «Allora che cosa dobbiamo fare?» brontolò Maya. Malice si appoggiò allo schienale del trono e appoggiò il mento appuntito sul palmo della mano. Aveva insistito con Dinin sotto al peso di una minaccia, eppure lui continuava a dichiarare che non sarebbe stato disposto ad avventurarsi all'inseguimento di Drizzt. Briza, ambiziosa, potente, e nel favore di Lolth anche se Casa Do'Urden e Matrona Malice non lo erano, era ritornata senza la sua preziosa frusta e priva delle dita di una mano. «Jarlaxle e la sua banda di furfanti?» propose Vierna, notando il dilemma della madre. «Bregan D'aerthe ci è stato utile per molti anni.» «Il capo dei mercenari non accetterà», rispose Malice, che già anni prima aveva cercato di assumere il soldato di ventura per l'impresa. «Ogni membro di Bregan D'aerthe si attiene alle decisioni di Jarlaxle, e tutta la ricchezza che possediamo non lo tenterà. Sospetto che Jarlaxle sia sottoposto agli stretti ordini di Matrona Baenre. Il nostro problema è Drizzt e siamo incaricati dalla Regina Ragno di rettificare questa situazione.» «Se mi ordinate di andare, lo farò», parlò Dinin. «Temo soltanto di deludervi, Matrona Madre. Non temo le lame di Drizzt, o la morte in sé se è per servirvi.» Dinin aveva letto sufficientemente bene l'umore nero di sua madre per sapere che lei non aveva alcuna intenzione di mandarlo di nuovo alla ricerca di Drizzt, e ritenne opportuno dimostrarsi tanto generoso quando non gli costava niente. «Ti ringrazio, figlio mio», gli disse Malice con un sorriso raggiante. Dinin dovette reprimere il riso quando notò che le tre sorelle lo guardavano con aria furiosa. «Ora lasciaci», continuò Malice in tono condiscendente,
eliminando l'entusiasmo di Dinin. «Abbiamo affari che non riguardano un maschio.» Dinin effettuò un inchino profondo e si diresse verso la porta. Le sue sorelle presero nota della facilità con cui Malice aveva cancellato ogni orgogliosa baldanza dal suo passo. «Ricorderò le tue parole», disse ironicamente Malice, godendosi il gioco di potere e l'applauso silenzioso. Dinin si fermò, con la mano sulla porta ornata. «Un giorno mi proverai la tua lealtà, non dubitarne.» Tutte e quattro le somme sacerdotesse risero alle spalle di Dinin mentre lui si affrettava a uscire dalla stanza. Sul pavimento, Rizzen si trovò in un dilemma decisamente pericoloso. Malice aveva mandato via Dinin, dicendo in sintesi che i maschi non avevano alcun diritto di restare nella stanza. Piantò i piedi e le dita contro la pietra, pronto a scattare via in un istante. «Sei ancora qui?» gli gridò Malice. Rizzen scattò come un fulmine verso la porta. «Aspetta!» gli gridò dietro Malice, le sue parole ancora una volta potenziate da un incantesimo magico. Rizzen si fermò all'improvviso, contrariamente al suo buonsenso e incapace di resistere al dweomer dell'incantesimo di Matrona Malice. «Non ti ho dato il permesso di muoverti!» gli urlò Malice da dietro. «Ma...» iniziò a protestare Rizzen. «Prendetelo!» ordinò Malice alle due figlie più giovani, e Vierna e Maya corsero verso Rizzen e lo afferrarono rudemente. «Mettetelo in una cella della prigione sotterranea», ordinò loro Malice. «Tenetelo vivo. Avremo bisogno di lui in seguito.» Vierna e Maya trascinarono il maschio tremante fuori dall'anticamera. Rizzen non osò opporre alcuna resistenza. «Avete un piano», disse Shi'nayne a Malice. Così come SiNafay, la Matrona Madre di Casa Hun'ett, l'acquisto più recente di Casa Do'Urden aveva imparato a vedere intenti in ogni azione. Conosceva bene i doveri di una Matrona Madre e comprendeva che l'esplosione di Malice nei confronti di Rizzen, che in effetti non aveva fatto nulla di male, aveva un fine calcolato e non era unicamente effetto d'indignazione. «Sono d'accordo con la tua valutazione», disse Malice a Briza. «Drizzt si è spinto oltre la nostra portata.»
«Secondo le parole di Matrona Baenre stessa, non dobbiamo fallire», ricordò Briza a sua madre. «Il vostro seggio nel consiglio dominante deve essere rafforzato ad ogni costo.» «Non falliremo», disse Shi'nayne a Briza, osservando continuamente Malice. Un'altra espressione contorta attraversò il volto di Malice mentre Shi'nayne continuava. «In dieci anni di battaglia contro Casa Do'Urden», disse, «sono giunta a comprendere i metodi di Matrona Malice. Vostra madre troverà un modo per prendere Drizzt». Fece una pausa, notando il largo sorriso di «sua» madre. «O forse ha già trovato un modo?» «Vedremo», disse Malice con aria soddisfatta, mentre la sua sicurezza cresceva con la dichiarazione di rispetto della sua ex rivale. «Vedremo.» *
*
*
Più di duecento cittadini comuni di Casa Do'Urden giravano disordinatamente in tondo nella grande cappella, scambiandosi pettegolezzi eccitati riguardanti l'evento imminente. Ai cittadini comuni veniva consentito di rado l'ingresso in questo luogo sacro, soltanto nelle somme festività di Lolth o in occasione della preghiera comune prima di una battaglia. Eppure tra loro non c'erano previsioni di una guerra imminente e questo non era un giorno sacro del calendario drow. Dinin Do'Urden, a sua volta ansioso ed eccitato, girava tra la folla, sistemando gli elfi scuri nelle file di posti a sedere che circondavano il palco centrale, rialzato. Essendo soltanto un maschio, Dinin non avrebbe preso parte alla cerimonia sull'altare e Matrona Malice non gli aveva detto nulla dei suoi progetti. Dagli ordini che lei gli aveva dato, tuttavia, Dinin sapeva che i risultati degli avvenimenti di questo giorno si sarebbero rivelati critici per il futuro della sua famiglia. Lui era il capo del canto liturgico; si sarebbe spostato continuamente tra l'intera congregazione, guidando i cittadini comuni nei versi appropriati da intonare alla Regina Ragno. In precedenza Dinin aveva svolto spesso questo ruolo, ma questa volta Matrona Malice l'aveva messo in guardia che se una singola voce avesse recitato in modo scorretto, lui avrebbe perso la vita. Un altro fatto ancora turbava il primogenito maschio di Casa Do'Urden. Normalmente veniva accompagnato in questi compiti nella cappella dall'altro maschio nobile della casa, l'attuale compagno di Malice. Rizzen non si era più visto dal giorno in cui l'intera famiglia si era riunita nell'anticamera. Dinin sospettava che il regno di Rizzen come protettore sarebbe presto giunto a una fine
assoluta. Non era un segreto che in altre occasioni Matrona Malice aveva offerto a Lolth alcuni dei suoi precedenti compagni. Quando tutti i cittadini comuni furono seduti, luci magiche rosse iniziarono a brillare dolcemente tutt'intorno alla stanza. L'illuminazione aumentò gradualmente, consentendo agli elfi scuri lì raccolti di modificare la vista dei loro occhi a duplice funzione e di effettuare il passaggio dallo spettro infrarosso al regno della luce. Vapori nebulosi uscirono da sotto i sedili, si diffusero lungo il pavimento e s'innalzarono in volute. Dinin guidò la folla in un basso brusio, la convocazione di Matrona Malice. Malice apparve sulla sommità del soffitto a volta della stanza, le braccia allargate e le pieghe delle vesti nere ornate di ragni che svolazzavano tutt'intorno in una brezza incantata. Lei scese lentamente, effettuando giri completi per osservare la folla e per consentire ai suoi sudditi di osservare lo splendore della loro Matrona Madre. Quando Malice si posò sul piedistallo centrale, Briza e Shi'nayne apparvero sul soffitto, fluttuando giù in modo analogo. Atterrarono e presero posto, Briza in corrispondenza del contenitore ricoperto di stoffa a lato del tavolo sacrificale a forma di ragno e Shi'nayne dietro a Matrona Malice. Malice batté le mani e il mormorio si arrestò di colpo. Otto bracieri allineati lungo il piedistallo centrale si animarono fragorosamente; la luminosità delle loro fiamme era meno dolorosa per i sensibili occhi drow, nel rosso bagliore avvolto dal fumo. «Entrate, figlie mie!» gridò Malice, e tutti si volsero verso le porte principali della cappella. Vierna e Maya entrarono sostenendo Rizzen, indolente e apparentemente drogato; i tre erano seguiti da una bara che fluttuava per aria dietro di loro. Dinin, tra gli altri, pensò che si trattasse di una strana disposizione. Poteva ipotizzare, per lo meno lo supponeva, che Rizzen dovesse venire sacrificato, ma non aveva mai sentito parlare di una bara che venisse portata all'interno durante la cerimonia. La più giovane delle figlie Do'Urden salì sul palco centrale e legò rapidamente Rizzen sul tavolo sacrificale. Shi'nayne intercettò la bara volante e la guidò in una posizione laterale, opposta a Briza. «Chiamate l'ancella!» esclamò Malice, e Dinin fece immediatamente intonare alla congregazione il canto sacro desiderato. I bracieri rumoreggiarono e le fiamme s'innalzarono ulteriormente; Malice e le altre somme sacerdotesse esortarono la folla a continuare l'evocazione con grida magi-
camente incantate e con parole chiave. Un vento improvviso si levò apparentemente dal nulla e sferzò il fumo vagante in una danza frenetica. Le fiamme degli otto bracieri si levarono all'improvviso in alto, al di sopra di Malice e degli altri, unendosi in un'esplosione furiosa al di sopra del centro della piattaforma circolare. I bracieri sbuffarono in un'esplosione unificata, lanciarono nell'evocazione quel che restava delle loro fiamme, poi queste continuarono a bruciare basse mentre le lingue di fuoco rotolavano insieme raccogliendosi in una sfera e trasformandosi in una strana colonna di fiamma. I cittadini comuni rimasero senza fiato ma continuarono a cantilenare mentre la colonna passava attraverso i vari colori dello spettro, raffreddandosi gradualmente finché le fiamme non scomparvero. Al loro posto si ergeva una creatura munita di tentacoli, più alta di un elfo drow somigliante a una candela mezza sciolta, con lineamenti facciali allungati e cadenti. L'intera folla riconobbe quell'essere, anche se pochi cittadini comuni ne avevano mai effettivamente visto uno in precedenza, tranne forse nelle illustrazioni dei libri religiosi. In quel momento tutti i presenti capirono benissimo l'importanza di questa riunione, perché nessun drow poteva ignorare il significato della presenza di una yochlol, un'ancella personale di Lolth. «Saluti, Ancella», disse Malice a voce alta. «Daermon N'a'shezbaernon è benedetta dalla vostra presenza.» La yochlol prese lungamente in esame la folla, sorpresa che Casa Do'Urden avesse organizzato una simile convocazione. Matrona Malice non aveva il favore di Lolth. Soltanto le somme sacerdotesse udirono la domanda telepatica. Perché osi chiamarmi? «Per riparare ai nostri torti!» gridò forte Malice, attirando l'intera congregazione in quel momento di tensione. «Per riguadagnare il favore della vostra Padrona, il favore che è l'unico scopo della nostra esistenza!» Malice guardò esplicitamente Dinin e lui iniziò il canto appropriato, il sommo canto di lode alla Regina Ragno. Sono lieta della tua dimostrazione, Matrona Malice, giunsero i pensieri della yochlol, questa volta diretti unicamente a Malice. Ma sai che tale raduno non può aiutarti in alcun modo nella situazione rischiosa in cui ti trovi! Questo non è che l'inizio, rispose mentalmente Malice, sicura che l'ancella potesse leggere ogni suo pensiero. La matrona trasse conforto da
quella consapevolezza, perché confidava nel fatto che i suoi desideri di riguadagnare il favore di Lolth fossero sinceri. Il mio figlio più giovane ha offeso la Regina Ragno. Lui deve pagare per le sue azioni. Le altre somme sacerdotesse, escluse dalla conversazione telepatica, si unirono al canto rivolto a Lolth. Drizzt Do'Urden è vivo, ricordò la yochlol a Malice. E non è in tua custodia. Questa situazione verrà ben presto modificata, promise Malice. Che cosa desideri da me? «Zin-carla!» gridò forte Malice. La yochlol vacillò all'indietro, momentaneamente sbigottita dall'ardire della richiesta. Malice tenne duro, decisa a fare in modo che il suo piano non fallisse. Intorno a lei le altre sacerdotesse trattenevano il fiato, rendendosi pienamente conto che il momento del trionfo o del disastro incombeva su tutti loro. Si tratta del nostro dono più grande, giunsero i pensieri della yochlol, concesso di rado anche a matrone nel favore della Regina Ragno. E tu, che non hai soddisfatto Lolth, osi chiedere Zin-carla? È giusto e opportuno, rispose Malice. Poi a voce alta, poiché aveva bisogno del sostegno della sua famiglia, lei urlò: «Che il mio figliolo più giovane sappia la follia delle sue azioni e la potenza dei nemici che si è fatto. Che mio figlio assista all'orribile gloria di Lolth rivelata, in modo che cada in ginocchio e implori perdono!» Malice tornò alla comunicazione telepatica. Soltanto allora lo spirito-spettro affonderà una spada nel suo cuore! Gli occhi della yochlol assunsero un'espressione assente mentre la creatura si ripiegava in se stessa, cercando una guida dal piano d'esistenza a cui apparteneva. Passarono molti minuti, minuti angosciosi per Matrona Malice e per tutta l'assemblea riunita e silenziosa, prima che i pensieri della yochlol tornassero. Hai il cadavere? Malice fece cenno a Maya e a Vierna e loro corsero alla bara e tolsero il coperchio di pietra. Allora Dinin capì che la bara non era stata portata per Rizzen, ma che era già occupata. Un cadavere animato ne strisciò fuori e barcollò verso Malice, ponendosi al suo fianco. Era tremendamente decomposto e molte delle sue caratteristiche erano completamente marcite, ma Dinin e la maggior parte degli altri presenti nella grande cappella lo
riconobbero immediatamente: Zaknafein Do'Urden, il leggendario maestro d'armi. Zin-carla, chiese la yochlol, in modo che il maestro d'armi che hai dato alla Regina Ragno possa correggere i torti del tuo figlio più giovane? È giusto, rispose Malice. Lei sentiva che la yochlol era soddisfatta, come aveva previsto. Zaknafein, l'istruttore di Drizzt, aveva contribuito a ispirare gli atteggiamenti blasfemi che avevano rovinato il giovane drow. A Lolth, regina del caos, piacevano le ironie, e il fatto che questo stesso Zaknafein fungesse da carnefice l'avrebbe inevitabilmente soddisfatta. Zin-carla richiede grande sacrificio, affermò la yochlol. La creatura guardò sul tavolo a forma di ragno, dove Rizzen giaceva inconsapevole di ciò che lo circondava. La yochlol parve accigliarsi, se simili creature potevano farlo, alla vista di un sacrificio così meschino. Allora la creatura si volse nuovamente verso Matrona Malice e lesse i suoi pensieri. Continua, la esortò la yochlol, improvvisamente interessata. Malice sollevò le braccia, intonando un altro canto a Lolth. Fece cenno a Shi'nayne, che si avvicinò al contenitore accanto a Briza ed estrasse il pugnale cerimoniale, l'oggetto più prezioso in possesso di Casa Do'Urden. Briza trasalì quando vide la «sorella» di recente acquisizione maneggiare l'oggetto, la cui impugnatura era costituita dal corpo di un ragno con otto zampe a forma di lama che scendevano sotto di esso. Per secoli era stato compito di Briza affondare il pugnale cerimoniale nel cuore dei sacrifici offerti alla Regina Ragno. Shi'nayne sorrise compiaciuta alla figlia maggiore mentre si allontanava, intuendo la rabbia di Briza. Raggiunse Matrona Malice al tavolo accanto a Rizzen e portò il pugnale al di sopra del cuore del protettore condannato. Malice le afferrò la mano per fermarla. «Questa volta devo essere io a farlo», spiegò Malice, con costernazione di Shi'nayne. Shi'nayne si volse a guardare dietro alle proprie spalle e vide Briza che le restituiva un sorriso dieci volte più compiaciuto. Malice attese finché il canto non fu giunto al termine e la congregazione restò assolutamente in silenzio mentre La matrona intonava da sola il canto adeguato. «Takken bres duis bres» iniziò, mentre entrambe le sue mani si stringevano sull'impugnatura dello strumento mortale. Un attimo più tardi il canto di Malice giunse a compimento e il pugnale si sollevò in alto. Tutta la casa entrò in tensione, in attesa del momento dell'estasi, l'offerta selvaggia all'infame Regina Ragno.
Il pugnale scese, ma all'improvviso Malice lo volse lateralmente e lo affondò nel cuore di Shi'nayne, Matrona SiNafay Hun'ett, la sua più odiata rivale. «No!» boccheggiò SiNafay, ma l'atto era stato compiuto. Otto lame a forma di zampe le afferrarono il cuore. SiNafay cercò di parlare, di effettuare un incantesimo di guarigione su di sé o di lanciare una maledizione su Malice, ma dalla sua bocca uscì soltanto sangue. I suoi ultimi respiri furono rantoli e lei cadde in avanti, su Rizzen. Nell'intera casa ci fu un'esplosione di grida stupefatte e gioiose mentre Malice strappava via il pugnale da sotto SiNafay Hun'ett, e il cuore della sua nemica insieme a esso. «Subdola!» urlò Briza al di sopra del tumulto, perché neppure lei era a conoscenza dei piani di Malice. Ancora una volta, Briza era la figlia maggiore di Casa Do'Urden, nuovamente nella posizione d'onore che lei agognava con tanto ardore. Subdola! fece eco la yochlol nella mente di Malice. Sappi che siamo soddisfatte! Dietro alla scena raccapricciante, il cadavere animato cadde mollemente a terra. Malice guardò l'ancella e comprese. «Mettete Zaknafein sul tavolo! Presto!» ordinò alle figlie più giovani. Loro si affannarono alla rinfusa, spostando rudemente Rizzen e SiNafay e mettendo al loro posto il corpo di Zaknafein. Anche Briza si mosse, allineando con cautela i molti barattoli di unguenti che erano stati preparati scrupolosamente per quel momento. La fama di Matrona Malice come migliore preparatrice di balsami della città sarebbe stata messa alla prova in questo sforzo. Malice guardò la yochlol. «Zin-carla?» chiese a voce alta. Non hai riacquistato il favore di Lolth! giunse la risposta telepatica, con tale forza che Malice fu spinta in ginocchio. Malice si strinse la testa, pensando che sarebbe esplosa per la crescente pressione. Gradualmente il dolore diminuì e l'abbandonò. Ma oggi hai soddisfatto la Regina Ragno, Malice Do'Urden, spiegò la yochlol. E siamo d'accordo che i tuoi piani per il figlio sacrilego sono appropriati. Zin-carla ti è concesso, ma sappi che si tratta della tua ultima possibilità, Matrona Malice Do'Urden! I tuoi timori più orribili non possono minimamente avvicinarsi alla verità delle conseguenze del fallimento! La yochlol scomparve in una sfera di fuoco esplosiva che fece tremare la cappella di Casa Do'Urden. Coloro che erano raccolti nella grande stanza
non fecero che raggiungere una maggiore frenesia di fronte alla nuda forza della perfida divinità, e Dinin li guidò nuovamente in un canto di lode a Lolth. «Dieci settimane!» giunse il grido finale dell'ancella, una voce così possente che i drow meno importanti si coprirono gli orecchi e si rannicchiarono sul pavimento. E così per dieci settimane, per settanta cicli di Narbondel, l'orologio marcatempo quotidiano di Menzoberranzan, tutta Casa Do'Urden si raccolse nella grande cappella, mentre Dinin e Rizzen guidavano i comuni cittadini in canti alla Regina Ragno, mentre Malice e le sue figlie lavoravano sul cadavere di Zaknafein con unguenti magici e combinazioni di potenti incantesimi. L'animazione di un cadavere era un semplice incantesimo per una sacerdotessa, ma Zin-carla andava di gran lunga al di là di quell'impresa. Il risultato non morto sarebbe stato chiamato spirito-spettro, uno zombi in cui erano insite le capacità che avevano caratterizzato la sua precedente esistenza e che sarebbe stato controllato dalla Matrona Madre incaricata da Lolth. Era il più prezioso dei doni di Lolth, veniva richiesto raramente e ancora più raramente concesso, perché Zin-carla, costituito dalla restituzione dello spirito al corpo, rappresentava veramente una pratica rischiosa. Soltanto tramite la pura forza di volontà della sacerdotessa che effettuava l'incantesimo, le abilità desiderate e appartenenti all'essere non morto venivano tenute separate dalle memorie e dalle emozioni non volute. Il limite della consapevolezza e del controllo rappresentava una linea molto stretta da percorrere, anche considerando la disciplina mentale richiesta da una somma sacerdotessa. Inoltre, Lolth concedeva Zin-carla soltanto per la realizzazione di compiti specifici, e un passo falso lungo quella sottile linea di disciplina avrebbe inevitabilmente avuto come risultato il fallimento. Lolth non era clemente di fronte al fallimento. 6 Blingdenstone Blingdenstone era diversa da qualsiasi altra cosa Drizzt avesse mai visto. Quando le guardie degli svirfnebli l'avevano fatto entrare attraverso le immense porte di pietra e di ferro, si era aspettato una veduta non diversa da
quella di Menzoberranzan, sebbene su scala minore. Le sue aspettative non si sarebbero potute rivelare più lontane dalla realtà. Mentre Menzoberranzan si allargava in un'unica vasta grotta, Blingdenstone era composta da una serie di cavità collegate tra loro da bassi tunnel. La grotta più grande del complesso, proprio al di là delle porte di ferro, fu la prima sezione in cui Drizzt fece il suo ingresso. Lì era contenuta la guardia della città, e la cavità era stata modellata e ideata unicamente a scopo di difesa. Decine di piani e un numero doppio di lisce scalinate salivano e scendevano, in modo che se un aggressore poteva trovarsi soltanto a tre metri da un difensore, poteva darsi che dovesse scendere di vari livelli e salirne vari altri allo scopo di giungere abbastanza vicino da colpire. Basse pareti di blocchi di pietra perfettamente adattata definivano i corridoi e serpeggiavano intorno a pareti più elevate e più spesse che potevano mantenere un esercito invasore imbottigliato per un tempo dolorosamente lungo nelle sezioni esposte della grotta. Ventine di svirfnebli correvano intorno alle proprie postazioni per confermare le voci secondo cui un elfo drow era stato portato all'interno attraverso le porte. Guardavano furtivamente Drizzt dall'alto di ogni posizione elevata, e lui non riusciva a capire se le loro espressioni significassero curiosità o indignazione. In entrambi i casi gli gnomi del profondo erano certamente preparati contro qualsiasi azione lui potesse tentare; ognuno di loro teneva strette frecce o pesanti balestre, caricate e pronte. Gli svirfnebli condussero Drizzt attraverso la cavità, su per tante scale quante ne scesero, sempre entro le passerelle definite e sempre con vari altri gnomi del profondo di guardia nelle vicinanze. Il percorso svoltava e scendeva, si risollevava rapidamente e tornava a intersecarsi molte volte con se stesso, e l'unico modo in cui Drizzt riusciva a mantenere cognizione della propria posizione era osservando la volta, che era visibile anche dai livelli più bassi della cavità. Il drow sorrideva compiaciuto dentro di sé, ma non osava mostrare un sorriso al pensiero che anche se non fossero stati presenti soldati degli gnomi del profondo, un esercito invasore probabilmente avrebbe impiegato ore nel tentativo di farsi strada attraverso quest'unica grotta. Giù, alla fine di un corridoio basso e stretto, dove gli gnomi del profondo dovettero avanzare in fila indiana e Drizzt dovette piegarsi a ogni passo, il gruppo entrò nella città vera e propria. Più ampia ma non lunga come la prima stanza, anche questa grotta era a diversi strati, benché con un numero di livelli di gran lunga inferiore. Decine di ingressi alla caverna era-
no posti lungo le pareti da tutti i lati e fuochi bruciavano in varie zone, uno spettacolo raro nel Buio Profondo, perché il combustibile non si trovava facilmente. Blingdenstone era luminosa e calda rispetto alla normalità del Buio Profondo, e comunque abbastanza accogliente. Nonostante l'evidente situazione difficile in cui si trovava, Drizzt si sentiva a proprio agio mentre osservava gli svirfnebli occuparsi tutt'intorno delle loro faccende quotidiane. Sguardi curiosi cadevano su di lui, ma non indugiavano, perché gli gnomi del profondo di Blingdenstone erano un gruppo operoso, che non aveva certo il tempo di rimanere a osservare pigramente. Ancora una volta Drizzt fu condotto lungo vie chiaramente definite. Queste nella città vera e propria non erano serpeggianti e difficili come quelle nella grotta d'ingresso. Qui le strade si stendevano lisce e diritte, e a quanto pareva conducevano tutte a un grande edificio di pietra centrale. Il capo del gruppo che scortava Drizzt corse avanti per parlare con due guardie che tenevano in mano dei picconi in questa struttura centrale. Una delle guardie entrò rapidamente, mentre l'altra teneva aperta la porta di ferro per la pattuglia e il suo prigioniero. Muovendosi con urgenza per la prima volta da quando erano entrati in città, gli svirfnebli fecero correre Drizzt attraverso una serie di corridoi serpeggianti che terminavano in una stanza circolare di non più di due metri e mezzo di diametro e con un soffitto scomodamente basso. La stanza era vuota tranne per un'unica sedia di pietra. Non appena venne fatto sedere, Drizzt comprese quale fosse lo scopo del sedile. Ceppi di ferro facevano parte della sedia, e Drizzt fu legato stretto in corrispondenza di ogni articolazione. Gli svirfnebli non furono troppo gentili, ma quando Drizzt sussultò mentre la catena attorno alla vita si sovrapponeva, pizzicandolo, uno degli gnomi del profondo si affrettò a scioglierla e a risistemarla, stretta ma opportunamente raddrizzata. Lasciarono Drizzt solo nella stanza scura e vuota. La porta di pietra si chiuse con un sordo tonfo definitivo, e Drizzt non poté udire alcun suono che provenisse da oltre la porta. Passarono le ore. Drizzt fletteva i muscoli, cercando una certa cedevolezza negli stretti ceppi. Una mano si dimenò e tirò, e soltanto il dolore dell'acciaio che penetrava nel polso lo avvertì delle proprie azioni. Stava tornando nuovamente a essere il cacciatore, che agiva per sopravvivere e desiderava soltanto fuggire.
«No!» urlò Drizzt. Tese i muscoli e li sottopose nuovamente al suo controllo razionale. Il cacciatore aveva guadagnato un simile spazio dentro di lui? Drizzt era venuto qui spontaneamente e, finora, l'incontro era proceduto meglio di quanto si fosse aspettato. Questo non era il momento per un'azione disperata, ma il cacciatore era abbastanza forte da annullare anche le decisioni razionali di Drizzt? Drizzt non trovò il tempo di rispondere a quelle domande, perché un secondo più tardi la porta di pietra venne aperta con violenza e un gruppo di sette anziani svirfnebli, a giudicare dallo straordinario numero di rughe che solcavano i loro volti, entrò e si aprì a ventaglio intorno al sedile di pietra. Drizzt capì l'evidente importanza di questo gruppo, perché mentre le guardie indossavano farsetti di cuoio ornati di anelli di mithral, questi gnomi del profondo portavano vesti di fine tessuto. Si affaccendarono intorno, ispezionando attentamente Drizzt e chiacchierando nella loro lingua incomprensibile. Uno svirfnebli sollevò l'emblema della casa di Drizzt, che era stato preso dalla borsa che portava intorno al collo, e pronunciò: «Menzoberranzan?» Drizzt annuì per quanto glielo consentisse il collare di ferro, ansioso di stabilire qualche tipo di comunicazione con gli gnomi che l'avevano catturato. Gli gnomi del profondo avevano altre intenzioni tuttavia. S'immersero nuovamente nella loro conversazione privata e ora ancora più eccitata. Questa proseguì per molti minuti, e Drizzt riuscì a capire dalle inflessioni delle loro voci che un paio degli svirfnebli erano ben poco entusiasti d'avere un elfo scuro prigioniero, proveniente dalla città dei loro nemici più prossimi e più odiati. Dai toni furiosi della discussione, Drizzt si aspettava quasi che uno di loro si volgesse da un momento all'altro per tagliargli la gola. Naturalmente le cose non andarono così; gli gnomi del profondo non erano creature precipitose né crudeli. Uno del gruppo si distaccò dagli altri e si avvicinò per affrontare direttamente Drizzt. Chiese in linguaggio stentato ma inconfondibilmente drow: «Per le pietre, elfo scuro, perché sei venuto?» Drizzt non sapeva come rispondere a quella semplice domanda. Come poteva essere in grado di spiegare i suoi anni di solitudine nel Buio Profondo? O la decisione di abbandonare il suo popolo malvagio e di vivere secondo i suoi principi?
«Amico», rispose semplicemente, e poi si agitò sulle spine, pensando che la sua risposta fosse assurda e inadeguata. Tuttavia lo svirfnebli la pensava diversamente. Si grattò il mento privo di barba e meditò profondamente sulla risposta. «Tu... tu sei venuto qui da Menzoberranzan?» chiese, arricciando il naso aquilino mentre pronunciava ogni parola. «Sì», rispose Drizzt, acquistando fiducia. Lo gnomo del profondo piegò il capo, in attesa che Drizzt estrapolasse. «Ho lasciato Menzoberranzan molti anni fa» cercò di spiegare Drizzt. I suoi occhi fissarono lontano, nel passato, mentre ricordava la vita che aveva abbandonato. «Non è mai stata la mia vera casa.» «Ma tu menti, elfo scuro!» strillò lo svirfnebli, brandendo l'emblema di Casa Do'Urden senza riuscire a comprendere le connotazioni private delle parole di Drizzt. «Ho vissuto molti anni nella città dei drow», si affrettò a rispondere lui. «Sono Drizzt Do'Urden, un tempo secondogenito maschio di Casa Do'Urden.» Guardò l'emblema che lo svirfnebli teneva in mano, in cui erano impresse le insegne della sua famiglia, e cercò di spiegare. «Daermon N'a'shezbaernon.» Lo gnomo del profondo si rivolse ai suoi compagni, che iniziarono a parlare tutti contemporaneamente. Uno di loro annuì in modo eccitato, a quanto pare riconoscendo l'antico nome della casa drow, fatto che sorprese Drizzt. Lo gnomo del profondo che aveva interrogato Drizzt tamburellò con le dita sulle proprie labbra raggrinzite, dando luogo a piccoli, fastidiosi schiocchi, mentre rifletteva sulla direzione da conferire all'interrogatorio. «Secondo tutte le nostre informazioni, Casa Do'Urden esiste ancora», notò con disinvoltura, osservando le reazioni di Drizzt. Quando Drizzt non reagì immediatamente, lo gnomo del profondo scattò con aria accusatoria contro di lui: «Tu non sei un fuoriuscito!» Drizzt si chiese come lo svirfnebli potesse saperlo. «Sono un fuoriuscito per mia scelta...» iniziò a spiegare. «Elfo scuro», rispose lo gnomo del profondo. «Tu sei qui per tua scelta, questo posso crederlo. Ma un fuoriuscito? Per le pietre, elfo scuro...», il volto dello gnomo del profondo si contorse improvvisamente e spaventosamente, «tu sei una spia!». Poi, all'improvviso, lo svirfnebli si calmò di nuovo e si rilassò tornando a un atteggiamento confortevole.
Drizzt l'osservò attentamente. Questo svirfnebli era forse esperto in questi bruschi cambiamenti d'atteggiamento, volti a far sì che un prigioniero potesse essere colto alla sprovvista? O una tale imprevedibilità era la norma per questa razza? Drizzt lottò con questo quesito per un attimo, cercando di ricordare il proprio precedente incontro con gli gnomi del profondo. Ma poi colui che l'interrogava affondò la mano in una tasca impossibilmente profonda delle sue ricche vesti ed estrasse una statuina ben nota. «Ora dimmi, e dimmi il vero, elfo scuro, e risparmiati molto tormento. Che cos'è questo?» chiese tranquillamente lo gnomo del profondo. Drizzt sentì che i suoi muscoli si contraevano di nuovo. Il cacciatore voleva chiamare Guenhwyvar, far venire la pantera in modo che potesse fare a pezzi questi vecchi svirfnebli raggrinziti. Uno di loro poteva avere le chiavi delle catene di Drizzt... allora lui sarebbe stato libero... Drizzt si scrollò dalla mente quei pensieri e allontanò il cacciatore dalla propria testa. Era consapevole di quanto fosse disperata la sua situazione e l'aveva saputo dal momento in cui aveva deciso di venire a Blingdenstone. Se gli svirfnebli l'avessero veramente creduto una spia, l'avrebbero sicuramente giustiziato. Anche se non erano certi del suo intento, potevano rischiare di mantenerlo in vita? «È stata una follia venire qui», sussurrò Drizzt sottovoce, rendendosi conto del dilemma che aveva creato in se stesso e negli gnomi. Il cacciatore cercò di ritornare nei suoi pensieri. Un'unica parola e sarebbe apparsa la pantera. «No!» gridò Drizzt per la seconda volta quel giorno, ripudiando il lato più oscuro di se stesso. Gli gnomi del profondo fecero un balzo indietro, temendo che il drow stesse effettuando un incantesimo. Una freccia ferì leggermente Drizzt sul petto, producendo uno sbuffo di gas nell'impatto. Drizzt perse i sensi mentre il gas gli riempiva le narici. Udì gli svirfnebli che si mescolavano tra loro, discutendo il suo destino nella loro lingua sconosciuta. Vide la forma di uno, soltanto un'ombra, avvicinarsi a lui e afferrargli le dita, esaminandogli le mani alla ricerca di componenti magiche. Quando i pensieri e la vista di Drizzt si furono finalmente schiariti, tutto era come prima. La statuina di onice gli fu messa davanti agli occhi. «Che cos'è questa?» gli chiese di nuovo lo stesso gnomo del profondo, stavolta un po' più insistentemente. «Una compagna», sussurrò Drizzt. «La mia unica amica.» Drizzt pensò intensamente per un lungo attimo a quel che avrebbe fatto poi. Non poteva
veramente biasimare gli svirfnebli se l'avessero ucciso, e Guenhwyvar meritava d'essere più di una semplice statuina che ornava il mantello di qualche ignaro gnomo del profondo. «Si chiama Guenhwyvar», spiegò Drizzt allo gnomo del profondo. «Chiamate la pantera e lei verrà, sarà un'alleata e un'amica. Tenetela al sicuro perché è molto preziosa e molto potente.» Lo svirfnebli guardò la statuina e poi nuovamente Drizzt, con curiosità e circospezione. Porse la statuina a uno dei suoi compagni e lo mandò fuori della stanza con essa, non fidandosi del drow. Se il drow aveva detto la verità, e lo gnomo del profondo non dubitava che lui l'avesse fatto, Drizzt aveva appena rivelato il segreto di un oggetto magico di grande valore. Fatto ancora più stupefacente, se Drizzt aveva detto la verità, poteva aver rinunciato alla sua unica possibilità di fuga. Lo svirfnebli era in vita da quasi due secoli ed era bene informato sulle consuetudini degli elfi scuri, più di qualunque altro membro del suo popolo. Quando un elfo drow agiva imprevedibilmente, come aveva sicuramente fatto questo, un simile fatto turbava profondamente lo svirfnebli. Gli elfi scuri erano crudeli e malvagi e si erano ben guadagnati questa fama, e quando un singolo drow rientrava in quello schema usuale, si poteva sistemare efficientemente e senza rimorso. Ma che cosa avrebbero potuto fare gli gnomi del profondo con un drow che mostrava in certa misura un'inaspettata moralità? Gli svirfnebli tornarono alla loro conversazione privata, ignorando completamente Drizzt. Poi se ne andarono, con l'eccezione di quello che era in grado di parlare la lingua dell'elfo scuro. «Che cosa farete?» osò chiedere Drizzt. «Il giudizio è riservato soltanto al sovrano», rispose solennemente lo gnomo del profondo. «Decreterà il tuo destino forse tra vari giorni, basandosi sulle osservazioni della sua assemblea di consiglieri, il gruppo che hai conosciuto.» Lo gnomo del profondo s'inchinò profondamente, poi guardò Drizzt negli occhi mentre si alzava e disse senza mezzi termini: «Sospetto, elfo scuro, che tu sarai giustiziato». Drizzt annuì, rassegnato alla logica che avrebbe invocato la sua morte. «Ma io credo che tu sia diverso, elfo scuro», proseguì lo gnomo del profondo. «Sospetto anche che consiglierò indulgenza, o per lo meno misericordia nell'esecuzione.» Scrollando rapidamente le spalle massicce, lo svirfnebli si volse e si diresse verso la porta.
Il tono delle parole dello gnomo del profondo fece vibrare una corda familiare in Drizzt. Un altro svirfnebli aveva parlato a Drizzt in modo analogo, con parole sorprendentemente simili, molti anni prima. «Aspetta», chiamò Drizzt. Lo svirfnebli si fermò, si volse e Drizzt rovistò nei suoi pensieri, cercando di ricordare il nome dello gnomo del profondo che lui aveva salvato in quell'occasione, tanto tempo prima. «Che cosa c'è?» chiese lo svirfnebli, spazientendosi. «Uno gnomo del profondo», farfugliò Drizzt. «Della tua città, credo. Sì, doveva essere della tua città.» «Conosci un membro del mio popolo, elfo scuro?» sollecitò lo svirfnebli, tornando al sedile di pietra. «Dimmi il suo nome.» «Non so», rispose Drizzt. «Io ero un membro di una spedizione punitiva, anni fa, forse un decennio. Abbiamo sconfitto un gruppo di svirfnebli che era venuto nella nostra regione.» Trasalì di fronte al cipiglio dello gnomo del profondo, ma continuò, sapendo che l'unico sopravvissuto svirfnebli di quello scontro avrebbe potuto costituire la sua unica speranza. «Soltanto uno gnomo del profondo è sopravvissuto, credo, e ha fatto ritorno a Blingdenstone.» «Come si chiamava questo superstite?» chiese furiosamente lo svirfnebli, le braccia incrociate strette sul petto e il pesante stivale che batteva sul pavimento di pietra. «Non ricordo», ammise Drizzt. «Perché mi dici questo?» ringhiò lo svirfnebli. «Ti avevo creduto diverso da...» «Ha perduto le mani durante la battaglia», proseguì caparbiamente Drizzt. «Ti prego, devi conoscerlo.» «Belwar?» rispose immediatamente lo svirfnebli. Il nome riaccese in Drizzt altri ricordi ancora. «Belwar Dissengulp», disse di getto il drow. «Allora è vivo! Potrebbe ricordare...» «Non dimenticherà mai quel giorno terribile, elfo scuro!» dichiarò lo svirfnebli a denti stretti, e nella sua voce era palese un'acredine furibonda. «Nessuno a Blingdenstone dimenticherà mai quel giorno terribile!» «Conducilo qui. Porta da me Belwar Dissengulp», implorò Drizzt. Lo gnomo del profondo uscì a ritroso dalla stanza, scrollando il capo alle continue sorprese riservategli da quell'elfo scuro.
La porta di pietra si chiuse sbattendo con violenza, lasciando Drizzt da solo a contemplare la sua mortalità e a spingere da parte speranze che non osava formulare. *
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«Pensavi che ti avrei abbandonato?» stava dicendo Malice a Rizzen quando Dinin entrò nell'anticamera della cappella. «Non era che una manovra per tenere a bada i sospetti di SiNafay Hun'ett.» «Grazie, Matrona Madre», rispose Rizzen sinceramente sollevato. Inchinandosi a ogni passo, lui si allontanò a ritroso dal trono di Malice. Malice si guardò intorno, osservò la famiglia riunita. «Le nostre settimane di duro lavoro sono terminate», proclamò. «Zin-carla è stato completato!» Dinin si sfregò le mani impaziente. Soltanto le femmine della famiglia avevano visto il prodotto del loro lavoro. A un cenno di Malice, Vierna si diresse verso una tenda sul lato della stanza e la tirò via. Lì si ergeva Zaknafein, il maestro d'armi, che non era più un cadavere in decomposizione, ma mostrava la vitalità che aveva posseduto in vita. Dinin vacillò all'indietro quando il maestro d'armi avanzò per porsi di fronte a Matrona Malice. «Bello come sei sempre stato, mio caro Zaknafein», disse Malice soddisfatta allo spirito-spettro. L'essere non morto non diede alcuna risposta. «E più rispettoso», aggiunse Briza, facendo ridacchiare tutte le femmine. «Questo... lui... andrà contro Drizzt?» osò chiedere Dinin, pur comprendendo pienamente di non aver alcun diritto di parlare. Malice e le altre erano troppo assorbite dallo spettacolo di Zaknafein per punire la svista del primogenito maschio. «Zaknafein impartirà la punizione che tuo fratello merita così pienamente», promise Malice, e i suoi occhi luccicarono all'idea. «Ma aspetta», disse timidamente Malice, spostando lo sguardo dallo spirito-spettro e posandolo su Rizzen. «È troppo bello per ispirare paura nel mio impudente figliolo.» Gli altri si scambiarono sguardi confusi, chiedendosi se Malice stesse cercando di placare ulteriormente Rizzen per la dura esperienza che gli aveva fatto vivere. «Vieni, marito mio», disse Malice a Rizzen. «Prendi la tua lama e sfregia il volto del tuo rivale. Ti darà soddisfazione e ispirerà terrore in Drizzt quando osserverà il suo vecchio mentore!»
Rizzen si mosse inizialmente con esitazione, poi acquistò fiducia mentre si avvicinava allo spirito-spettro. Zaknafein era perfettamente immobile, non respirava né batteva ciglio, apparentemente immemore degli avvenimenti che si svolgevano intorno a lui. Rizzen mise mano alla spada, volgendosi a guardare Malice un'ultima volta, per riceverne conferma. Malice annuì. Con un ringhio Rizzen sfoderò la sua spada e sferrò un colpo al viso di Zaknafein. Ma non riuscì ad avvicinarsi. Più rapidamente di quanto gli altri potessero immaginare, lo spiritospettro si lanciò in un'esplosione di movimento. Vennero estratte due spade che iniziarono a menar colpi, affondando e parando con precisione perfetta. La spada volò via di mano a Rizzen e, prima che il povero protettore di Casa Do'Urden potesse pronunciare una parola di protesta, una delle spade di Zaknafein gli tagliò la gola e l'altra gli affondò profondamente nel cuore. Rizzen era morto prima di cadere a terra, ma lo spirito-spettro non la fece finita con lui in modo così rapido e pulito. Le armi di Zaknafein continuarono il loro assalto, menando una decina di fendenti e affondi sul corpo di Rizzen, finché Malice, soddisfatta della dimostrazione, non gli disse di smettere. «Mi annoiava», spiegò Malice notando gli sguardi fissi dei figli. «Ho già scelto un altro protettore tra i cittadini comuni.» Tuttavia non fu la morte di Rizzen a ispirare le espressioni sgomente dei figli di Malice; a loro non importava nulla di nessuno dei compagni che la loro madre sceglieva come protettori della casa, si trattava sempre di una posizione temporanea. Erano state la velocità e l'abilità dello spirito-spettro a lasciarli senza fiato. «Eccellente com'era da vivo», notò Dinin. «Meglio!» rispose Malice. «Come guerriero Zaknafein è esattamente com'era, e ora quell'abilità di combattente occupa ogni suo pensiero. Nulla lo distrarrà dall'obiettivo prefissato. Guardatelo, figli miei. Zin-carla, il dono di Lolth.» Si volse verso Dinin e sorrise malvagiamente. «Non ho intenzione di avvicinarmi a quell'essere», disse Dinin senza fiato, pensando che la sua macabra madre potesse desiderare una seconda dimostrazione. Malice rise di lui. «Non temere, Primogenito maschio, non ho alcun motivo per danneggiarti.»
Dinin non si rilassò affatto alle parole di lei. Malice non aveva bisogno di un motivo; il corpo a pezzi di Rizzen ne era una dimostrazione fin troppo chiara. «Tu condurrai fuori lo spirito-spettro», disse Malice. «Fuori?» chiese Dinin, perplesso. «Nella regione in cui hai incontrato tuo fratello», spiegò Malice. «Devo stare accanto a quell'essere?» annaspò Dinin. «Conducilo fuori e lascialo solo», rispose Malice. «Zaknafein conosce la sua preda. È stato impregnato d'incantesimi per aiutarlo nella sua caccia.» Briza, situata lateralmente, parve preoccupata. «Che cosa c'è?» le chiese Malice, vedendo il suo cipiglio. «Non discuto la forza dello spirito-spettro, o la magia che vi avete applicato», iniziò Briza tastando il terreno, sapendo che Malice non avrebbe accettato nessun dissenso riguardo a tale questione d'importanza vitale. «Temi ancora il tuo fratello più giovane?» le chiese Malice. Briza non sapeva come rispondere. «Placa i tuoi timori, per quanto tu possa ritenerli fondati», disse Malice con calma. «Tutti voi. Zaknafein è il dono della nostra regina. Nulla in tutto il Buio Profondo lo fermerà!» Guardò il mostro non morto. «Non mi deluderai, vero, mio maestro d'armi?» Zaknafein rimase impassibile, le spade insanguinate introdotte nuovamente nei foderi, le mani sui fianchi e gli occhi che non battevano ciglio. Sembrava una statua, non respirava. Non era vivo. Ma chiunque pensasse che Zaknafein fosse inanimato non doveva fare altro che dare un'occhiata all'ammasso insanguinato e mutilato che si trovava ai piedi dello spirito-spettro e che era stato il protettore di Casa Do'Urden. Parte 2 Belwar Amicizia: la parola è giunta a significare molte cose diverse a seconda delle varie razze e culture, sia nel Buio Profondo che nella superficie dei Reami. A Menzoberranzan, l'amicizia nasce generalmente dal profitto reciproco. Finché entrambe le parti ricevono un vantaggio dall'unione, questa rimane solida. Ma la lealtà non è un principio della vita drow, e non appena un amico crede di poter ottenere di più senza l'altro, l'unione, e probabilmente la vita dell'altro, giunge rapidamente al termine.
Ho avuto pochi amici nella mia vita, e sospetto che questa resterebbe una realtà anche se dovessi vivere mille anni. Tuttavia questo fatto è ben poco lamentabile, perché coloro che mi hanno chiamato amico sono state persone di grande carattere e hanno arricchito la mia esistenza, conferendole valore. Il primo è stato Zaknafein, mio padre e mentore, che mi ha mostrato che non ero solo e che non sbagliavo a restare legato ai miei principi. Zaknafein mi ha salvato, sia dalla lama che dalla caotica, malvagia, fanatica religione che danna il mio popolo. Comunque la mia posizione era altrettanto disperata quando uno gnomo del profondo senza mani è entrato nella mia vita, uno svirfnebli che avevo salvato da morte certa, molti anni prima, sottraendolo alla lama spietata di mio fratello Dinin. Tale azione fu ripagata pienamente, perché quando lo svirfnebli e io c'incontrammo di nuovo, questa volta in balia del suo popolo, se non fosse stato per Belwar Dissengulp io sarei stato ucciso, e in verità avrei preferito la morte. Il periodo che trascorsi a Blingdenstone, la città degli gnomi del profondo, fu uno spazio incredibilmente breve nella misura dei miei anni. Ricordo bene la città di Belwar e il suo popolo, e li ricorderò sempre. La loro fu la prima società che conobbi, basata sulle forze della comunità, non sulla paranoia dell'egoistico individualismo. Insieme gli gnomi del profondo sopravvivono contro i pericoli dell'ostile Buio Profondo, faticano nei loro infiniti lavori d'estrazione mineraria, e giocano in modo difficilmente distinguibile da ogni altro aspetto delle loro ricche esistenze. Una gioia condivisa è davvero più grande. Drizzt Do'Urden 7 L'illustrissimo guardiano del cunicolo «Ti ringraziamo per essere venuto, Illustrissimo Guardiano del Cunicolo», disse uno degli gnomi del profondo raccolti fuori dalla piccola stanza in cui era racchiuso il prigioniero drow. L'intero gruppo di anziani svirfnebli s'inchinò profondamente mentre il Guardiano del Cunicolo si avvicinava. Belwar Dissengulp si ritrasse di fronte al gentile saluto. Non era mai venuto a patti con i molti allori di cui l'aveva ammantato il suo popolo da quel giorno disastroso avvenuto più di un decennio prima, quando gli elfi
drow avevano sorpreso la spedizione mineraria nei corridoi a est di Blingdenstone, vicino a Menzoberranzan. Orribilmente mutilato e quasi morto dissanguato, Belwar era ritornato zoppicando a Blingdenstone, come unico sopravvissuto della spedizione. Gli svirfnebli radunati si aprirono per Belwar, dandogli una chiara visione della stanza e del drow. Ai prigionieri legati al sedile la stanza circolare sembrava costituita da banalissima solida pietra, senza alcuna apertura a parte la pesante porta dai cardini di ferro. Tuttavia c'era un'unica finestra nella stanza, coperta sia da illusioni di vista che di suono, che consentiva agli svirfnebli che l'avevano catturato di osservare continuamente il prigioniero. Belwar studiò Drizzt per vari momenti. «È un drow», sbuffò con voce risonante il Guardiano del Cunicolo, un po' turbato. Belwar non riusciva ancora a capire perché fosse stato convocato. «Ha l'aspetto di qualsiasi altro drow.» «Il prigioniero sostiene di averti incontrato nel Buio Profondo», disse a Belwar un anziano svirfnebli. La sua voce era appena un sussurro, e lui abbassò lo sguardo sul pavimento mentre completava il pensiero. «In quel giorno di grande perdita.» Belwar trasalì di nuovo all'accenno a quel giorno. Quante volte avrebbe dovuto riviverlo? «Può darsi», disse Belwar con una vaga scrollata di spalle. «Non riesco a distinguere molto nell'aspetto degli elfi drow, e non desidero sforzarmi più di tanto!» «D'accordo», disse l'altro. «Sembrano tutti uguali.» Mentre lo gnomo del profondo parlava, Drizzt girò il capo di lato e rivolse il viso direttamente verso di loro, benché non potesse vedere o sentire niente al di là dell'illusione della pietra. «Forse puoi ricordare il suo nome, Guardiano del Cunicolo», propose un altro svirfnebli. Colui che aveva parlato si arrestò, vedendo l'improvviso interesse di Belwar per il drow. La camera circolare era priva di luce, e in tali condizioni gli occhi di una creatura che vedeva nello spettro infrarosso brillavano chiaramente. Normalmente questi occhi apparivano come punti di luce rossa, ma nel caso di Drizzt Do'Urden le cose non stavano così. Anche nello spettro infrarosso gli occhi di questo drow risultavano chiaramente color lavanda. Belwar ricordò quegli occhi.
«Magga cammara», sussurrò Belwar. «Drizzt», mormorò in risposta all'altro gnomo del profondo. «Lo conosci!» esclamarono insieme vari svirfnebli. Belwar sollevò i monconi privi di mani delle sue braccia, uno ricoperto dalla sommità di mithral di un piccone, l'altro con la testa di un martello. «Questo drow, questo Drizzt», balbettò, cercando di spiegare. «È responsabile della mia condizione!» Alcuni degli altri mormorarono preghiere per il drow condannato, pensando che il Guardiano del Cunicolo fosse infuriato al ricordo. «Allora la decisione di Re Schnicktick rimane valida», disse uno di loro. «Il drow dev'essere giustiziato immediatamente.» «Ma questo Drizzt mi salvò la vita», esclamò ad alta voce Belwar. Gli altri, increduli, si volsero verso di lui. «Drizzt non voleva che le mie mani venissero mozzate», proseguì il Guardiano del Cunicolo. «Lui propose che mi fosse consentito di ritornare a Blingdenstone. «Come esempio», disse Drizzt, «ma nonostante tutto io compresi comunque che quelle parole venivano pronunciate soltanto per placare i suoi compagni crudeli. La verità dietro a quelle parole, io la conosco e quella verità era pietà!» *
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Un'ora più tardi, un unico consigliere svirfnebli, quello che aveva parlato a Drizzt precedentemente, si recò dal prigioniero. «Il re ha deciso che tu venga giustiziato», disse senza mezzi termini lo gnomo del profondo, avvicinandosi al sedile di pietra. «Capisco», rispose Drizzt con quanta più calma poté. «Non opporrò resistenza al vostro verdetto.» Drizzt prese in considerazione i suoi ceppi per un attimo. «Anche se non potrei farlo comunque.» Lo svirfnebli si fermò e valutò l'imprevedibile prigioniero credendo pienamente nella sincerità di Drizzt. Prima di continuare, con l'intenzione di aprirsi sugli avvenimenti della giornata, Drizzt completò il suo pensiero. «Chiedo soltanto un favore», disse Drizzt. Lo svirfnebli lo lasciò terminare, incuriosito dall'insolito raziocinio drow. «La pantera», continuò Drizzt. «Scoprirai in Guenhwyvar una valida compagna e davvero una cara amica. Quando io non ci sarò più, devi fare
in modo che la pantera venga data a un padrone meritevole, magari a Belwar Dissengulp. Promettimi questo, gnomo buono, ti supplico.» Lo svirfnebli scrollò il capo privo di capelli, non per respingere la supplica di Drizzt, ma semplicemente in segno d'incredulità. «Il re, con molto rimorso, non poteva proprio affrontare i rischi di mantenerti in vita», disse gravemente. La grande bocca dello gnomo del profondo si torse verso l'alto in un sorriso mentre si affrettava ad aggiungere: «Ma la situazione è cambiata!». Drizzt piegò il capo di lato, quasi non osava sperare. «Il Guardiano del Cunicolo si ricorda di te, elfo scuro», proclamò lo svirfnebli. «L'Illustrissimo Guardiano del Cunicolo Belwar Dissengulp ha parlato in tuo favore e accetterà la responsabilità di custodirti!» «Allora... non devo morire?» «No, a meno che tu non attiri la morte su te stesso.» Drizzt riuscì a malapena a pronunciare le parole. «E mi verrà concesso di vivere tra la vostra gente? A Blingdenstone?» «Questo non è ancora stato deciso», rispose lo svirfnebli. «Belwar Dissengulp ha parlato in tuo favore, e questa è una grandissima cosa. Andrai a vivere con lui. Se la situazione si manterrà tale o subirà altri sviluppi...» lasciò la cosa sospesa a quel punto, effettuando una scrollata di spalle che non dava risposta. In seguito al suo rilascio, la passeggiata attraverso le grotte di Blingdenstone fu veramente un esercizio di speranza per il drow tormentato dall'esperienza. Drizzt vide ogni aspetto della città degli gnomi del profondo in contrasto con Menzoberranzan. Gli elfi scuri avevano modellato la grande grotta della loro città in opere d'arte scolpite, innegabilmente belle. Anche la città degli gnomi del profondo era bella, ma le sue caratteristiche rimanevano i tratti naturali della pietra. Mentre i drow si erano impossessati della grotta, lavorandola secondo i loro progetti e i loro gusti, gli svirfnebli si erano adattati alle forme naturali del complesso. Menzoberranzan era vastissima, la sua volta s'innalzava al di là della vista e Blingdenstone non poteva avvicinarsi a tali caratteristiche. La città drow era costituita da una serie di castelli appartenenti a singole famiglie, ognuno costituito da una fortezza chiusa e da una casa autonoma. Nella città degli gnomi del profondo c'era un generale senso di familiarità, come se l'intero complesso all'interno delle colossali porte di pietra e di metallo fosse un'unica struttura, un rifugio comunitario dai pericoli onnipresenti nel Buio Profondo.
Anche gli angoli della città degli svirfnebli erano diversi. Analogamente alle caratteristiche fisiche della minuscola razza, i contrafforti e i piani erano arrotondati e levigati, piacevolmente curvi. Al contrario Menzoberranzan era un luogo pieno di spigoli, aguzzo come la punta di una stalattite, un luogo di vicoli e terrazze incombenti. Drizzt pensò che le due città riflettevano le caratteristiche delle razze che ospitavano, l'una era aspra, l'altra era dolce, proprio come i lineamenti e i cuori, osò immaginare Drizzt, dei loro rispettivi abitanti. Nascosta in un angolo remoto delle cavità esterne si trovava la dimora di Belwar, una piccola struttura di pietra costruita intorno all'apertura di una grotta ancora più piccola. Diversamente dalla maggior parte delle abitazioni svirfnebli, a facciata aperta, la casa di Belwar aveva una porta d'ingresso. Una delle cinque guardie che scortavano Drizzt bussò alla porta con il manico della propria mazza. «Saluti, Illustrissimo Guardiano del Cunicolo!» esclamò. «Per ordine di Re Schnicktick abbiamo consegnato il drow.» Drizzt prese nota del tono rispettoso nella voce delle guardie. Lui aveva temuto per Belwar quel giorno, più di dieci anni prima, e si era chiesto se il fatto che Dinin avesse mozzato le mani dello gnomo del profondo non fosse più crudele che non uccidere semplicemente la sfortunata creatura. Un essere menomato non se la cavava bene nel selvaggio Buio Profondo. La porta di pietra si aprì e Belwar salutò i suoi ospiti. Immediatamente il suo sguardo si fissò a quello di Drizzt in un'occhiata che essi avevano condiviso dieci anni prima, quando si erano separati. Drizzt notò una certa gravita negli occhi del Guardiano del Cunicolo, ma il risoluto orgoglio rimaneva, anche se un po' diminuito. Drizzt non voleva guardare la mutilazione dello svirfnebli; troppi ricordi sgradevoli erano legati a quell'atto di tanto tempo prima. Ma, inevitabilmente, lo sguardo del drow scese lungo il torso a barile di Belwar, fino alle estremità delle braccia che gli pendevano lungo i fianchi. Lungi dai suoi timori, gli occhi di Drizzt si spalancarono pieni di sorpresa quando osservò le «mani» di Belwar. A destra, splendidamente adattata per coprire il moncherino del braccio, c'era l'estremità squadrata di un martello realizzato in mithral e inciso con intricati, favolosi simboli magici e disegni di un elementale di terra e di altre creature che Drizzt non conosceva. L'appendice sinistra di Belwar non era meno spettacolare. Lì lo gnomo del profondo aveva un piccone a due estremità, sempre in mithral e u-
gualmente elaborato con simboli magici e disegni, in particolare un drago che prendeva il volo attraverso la superficie piatta dell'estremità più ampia dello strumento. Drizzt poteva immaginare che le mani di Belwar fossero dotate di magia, e si rese conto che molti altri svirfnebli, sia artigiani sia maghi, avevano svolto un ruolo nel perfezionamento di quegli oggetti. «Utili», osservò Belwar, dopo aver consentito a Drizzt di studiare le sue mani di mithral per alcuni istanti. «Belle», sussurrò Drizzt in risposta, e non stava pensando soltanto al martello e al piccone. Le mani di per sé erano veramente meravigliose, ma le implicazioni della loro creazione sembravano ancora più splendide a Drizzt. Se un elfo scuro, in particolare un maschio drow, fosse ritornato strisciando fino a Menzoberranzan in uno stato di tale mutilazione, sarebbe stato respinto ed espulso dalla sua famiglia e avrebbe dovuto vagare in solitudine e impotente finché qualche schiavo o qualche altro drow non avrebbe finalmente posto fine al suo tormento. Non c'era spazio per la debolezza evidente nella cultura drow. Qui, chiaramente, gli svirfnebli avevano accettato Belwar e si erano occupati di lui nel miglior modo che conoscevano. Drizzt riportò educatamente lo sguardo agli occhi del Guardiano del Cunicolo. «Ti sei ricordato di me», disse. «Avevo temuto...» «Parleremo più tardi, Drizzt Do'Urden», lo interruppe Belwar. Usando la lingua svirfnebli, che Drizzt non conosceva, il Guardiano del Cunicolo disse alle guardie: «Se il vostro compito è completato, allora prendete congedo». «Siamo ai tuoi ordini, Illustrissimo Guardiano del Cunicolo», rispose una delle guardie. Drizzt notò il lieve brivido di Belwar all'accenno al titolo. «Il re ci ha mandati come accompagnatori e guardie, per restare al tuo fianco finché non verrà rivelata la verità riguardante questo drow.» «Andate, allora», rispose Belwar, mentre la sua voce rimbombante si alzava in tono evidentemente irato. Guardò direttamente Drizzt mentre terminava. «Conosco già la verità riguardante costui. Non corro alcun pericolo.» «Ti chiediamo perdono, Illustriss...» «Siete scusati», disse bruscamente Belwar, vedendo che le guardie avevano intenzione di discutere. «Andate. Ho garantito per costui. È affidato a me e io non lo temo affatto.» Le guardie svirfnebli effettuarono un profondo inchino e si allontanarono lentamente. Belwar fece entrare Drizzt dalla porta, poi lo fece volgere
per sottolineare maliziosamente che due delle guardie avevano assunto posizioni guardinghe accanto a strutture vicine. «Si preoccupano troppo per la mia salute», osservò seccamente in lingua drow. «Dovresti essere grato per simili attenzioni», replicò Drizzt. «Non sono privo di gratitudine!» replicò di scatto Belwar, mentre un furioso rossore gli inondava il volto. Drizzt lesse la verità dietro a quelle parole. Belwar non era ingrato, quello era vero, ma il Guardiano del Cunicolo non credeva di meritare tali gentilezze. Drizzt tenne per sé i propri sospetti, non volendo imbarazzare ulteriormente l'orgoglioso svirfnebli. L'interno della casa di Belwar era scarsamente ammobiliato con un tavolo di pietra e un unico sgabello, vari scaffali di pentole e brocche, e una cavità per il fuoco, con una griglia di ferro per cuocere. Al di là dell'ingresso sgrossato che conduceva alla stanza posteriore, quella all'interno della piccola grotta, c'era la camera da letto dello gnomo del profondo, vuota tranne per un'amaca tesa da una parete all'altra. Un'altra amaca, acquistata di recente per Drizzt, giaceva in un mucchio sul pavimento, e un farsetto di cuoio con anelli di mithral era appeso alla parete posteriore, con sotto una pila di sacchi e di borse. «La appenderemo nella stanza d'ingresso», disse Belwar, indicando con la mano a martello la seconda amaca. Drizzt si mosse per prenderla, ma Belwar lo afferrò con la mano a piccone e lo fece girare. «Più tardi», spiegò lo svirfnebli. «Prima devi dirmi perché sei venuto.» Esaminò con cura gli abiti malconci di Drizzt e il suo volto trascurato e sporco. Era evidente che il drow era stato fuori nelle regioni selvagge per un certo periodo. «E devi anche dirmi da dove sei venuto.» Drizzt si lasciò cadere sul pavimento di pietra e appoggiò la schiena contro la parete. «Sono venuto perché non avevo nessun altro posto dove andare», rispose sinceramente. «Per quanto tempo sei stato fuori dalla nostra città, Drizzt Do'Urden?» gli chiese piano Belwar. Anche nei toni più bassi la voce del massiccio gnomo del profondo risuonava con la chiarezza di una campana finemente armonizzata. Drizzt si meravigliò per la sua gamma emotiva e per il modo in cui riusciva a comunicare sincera compassione o a ispirare paura con sottili variazioni di volume. Drizzt scrollò le spalle e gettò il capo all'indietro in modo che il suo sguardo venisse diretto al soffitto. La sua mente guardava già all'indietro, lungo una strada che conduceva al passato. «Anni, ho perduto il conteggio
del tempo.» Si volse a guardare lo svirfnebli. «Il tempo ha scarso significato nei corridoi del Buio Profondo.» Dall'aspetto logoro di Drizzt, Belwar non poteva dubitare la verità delle sue parole, ma lo gnomo del profondo era comunque sorpreso. Si spostò verso il tavolo al centro della stanza e sedette su uno sgabello. Belwar aveva visto Drizzt in battaglia, una volta aveva visto il drow sconfiggere un elementale di terra, un'impresa non facile! Ma se Drizzt stava proprio dicendo il vero, se era sopravvissuto da solo per anni nelle regioni selvagge del Buio Profondo, allora il rispetto del Guardiano del Cunicolo per lui era ancora più considerevole. «Mi devi raccontare le tue avventure, Drizzt Do'Urden», lo esortò Belwar. «Desidero sapere tutto di te, in modo da poter capire meglio il tuo scopo nel venire alla città dei nemici della tua razza.» Drizzt effettuò una lunga pausa, chiedendosi dove e come iniziare. Si fidava di Belwar, non aveva altra scelta, ma non era certo che lo svirfnebli riuscisse a comprendere minimamente il dilemma che l'aveva costretto a lasciare la sicurezza di Menzoberranzan. Poteva Belwar, vivendo in una comunità di amicizia e cooperazione così evidenti, comprendere la tragedia che costituiva Menzoberranzan? Drizzt ne dubitava, ma ancora una volta, che alternativa aveva? Drizzt narrò tranquillamente a Belwar la storia dell'ultimo decennio della sua esistenza; della guerra imminente tra Casa Do'Urden e Casa Hun'ett; del suo incontro con Masoj e Alton e di come Guenhwyvar fosse diventata sua; del sacrificio di Zaknafein, mentore, padre e amico di Drizzt; e della sua conseguente decisione di abbandonare il suo popolo e la sua divinità malvagia, Lolth. Belwar si rese conto che Drizzt stava parlando della terribile dea che gli gnomi del profondo chiamavano Lolth, ma lasciò passare con calma il regionalismo. Se Belwar aveva qualche sospetto, non potendo conoscere il vero intento di Drizzt quel giorno in cui si erano incontrati molti anni prima, il Guardiano del Cunicolo giunse ben presto a credere che le sue ipotesi su questo drow fossero state accurate. Lo gnomo del profondo si ritrovò a rabbrividire e a tremare mentre Drizzt gli raccontava la sua esistenza nel Buio Profondo, il suo scontro con il basilisco e il combattimento con suo fratello e sua sorella. Ancora prima che Drizzt accennasse al motivo che l'aveva spinto a cercare gli svirfnebli, ovvero la terribile sofferenza della solitudine e la paura di perdere la propria identità nella ferocia necessaria a sopravvivere nelle regioni selvagge, Belwar aveva già intuito tutto. Quando Drizzt giunse al
racconto degli ultimi giorni della sua vita fuori da Blingdenstone, scelse le parole con cura. Il drow non era ancora giunto a patti con i sentimenti e le paure di colui che era in realtà, e non era ancora pronto a rivelare i suoi pensieri, per quanto avesse molta fiducia nel suo nuovo compagno. Il Guardiano del Cunicolo rimase seduto in silenzio e si limitò a guardare Drizzt quando il drow ebbe terminato il suo racconto. Belwar comprese il dolore della narrazione. Non sondò ulteriormente per avere altre informazioni o chiedere particolari di angoscia personale che Drizzt non aveva apertamente condiviso. «Magga cammara», sussurrò gravemente lo gnomo del profondo. Drizzt piegò il capo di lato. «Per le pietre», spiegò Belwar. «Magga cammara.» «Per le pietre davvero», ne convenne Drizzt. Seguì un lungo silenzio inquieto. «È una storia notevole», disse tranquillamente Belwar. Diede un colpetto sulla spalla a Drizzt, poi entrò nella stanza della grotta per prendere l'altra amaca. Prima che Drizzt facesse in tempo ad alzarsi per aiutarlo, Belwar sistemò l'amaca tra due ganci posti sulle pareti. «Dormi in pace, Drizzt Do'Urden», disse Belwar mentre si volgeva per ritirarsi. «Qui non hai nemici. Nessun mostro incombe dietro la pietra della mia porta.» Poi Belwar se ne andò nell'altra stanza e Drizzt fu lasciato solo nel vortice indecifrabile dei suoi pensieri e delle sue emozioni. Si sentiva inquieto, ma la sua era sicuramente una rinnovata speranza. 8 Sconosciuti Drizzt guardò fuori dalla porta aperta di Belwar e osservò le faccende quotidiane della città svirfnebli, come aveva fatto ogni giorno nelle ultime settimane. Si sentiva come se la sua vita fosse entrata in un limbo, come se tutto fosse stato posto in una condizione di stasi. Non aveva visto né sentito nulla di Guenhwyvar da quando era giunto a casa di Belwar, né aveva alcuna speranza di vedersi restituire molto presto il piwafwi o le armi e l'armatura. Drizzt accettò tutto stoicamente, immaginando che lui e Guenhwyvar stessero meglio ora di quanto non fossero stati in molti anni, e sicuro che gli svirfnebli non avrebbero danneggiato la statuina o nessuno
degli altri oggetti che lui possedeva. Il drow stava seduto e osservava, lasciando che gli avvenimenti prendessero il loro corso opportuno. Belwar oggi era uscito, una delle rare occasioni in cui il solitario Guardiano del Cunicolo lasciava la propria abitazione. Nonostante il fatto che lo gnomo del profondo e Drizzt conversassero di rado, Belwar non era il tipo che parlava semplicemente per udire la propria voce e Drizzt si rese conto di sentire la mancanza del Guardiano del Cunicolo. La loro amicizia era cresciuta, anche se non la sostanza delle loro conversazioni. Un gruppo di giovani svirfnebli passò lì davanti e gridò alcune rapide parole al drow che si trovava all'interno. Questo era accaduto molte altre volte, in particolare nei primi giorni dopo che Drizzt era entrato in città. In quelle precedenti occasioni, Drizzt era rimasto a chiedersi se fosse stato salutato o insultato. Questa volta, tuttavia, Drizzt comprese il fondamentale significato amichevole delle parole, perché Belwar si era preso la briga di insegnargli i fondamenti della lingua svirfnebli. Il Guardiano del Cunicolo ritornò ore più tardi per trovare Drizzt seduto sullo sgabello di pietra, che osservava il mondo scivolargli dinnanzi. «Dimmi, elfo scuro», chiese lo gnomo del profondo con voce cordiale, melodica, «che cosa vedi quando ci guardi? Siamo così estranei alle tue consuetudini?». «Vedo speranza», rispose Drizzt. «E vedo disperazione.» Belwar comprese. Sapeva che la società svirfnebli era più adatta ai principi del drow, ma osservare da lontano l'affaccendarsi di Blingdenstone poteva soltanto evocare ricordi dolorosi nel suo nuovo amico. «Oggi Re Schnicktick e io ci siamo incontrati», disse il Guardiano del Cunicolo. «Ti dico in verità che è molto interessato a te.» «Curioso sembrerebbe una parola più appropriata», rispose Drizzt, ma sorrise dicendolo, e Belwar si chiese quanto dolore si nascondesse dietro al sorriso. Il guardiano del cunicolo si profuse in un breve inchino di scusa, arrendendosi di fronte alla schietta onestà di Drizzt. «Curioso, allora, come preferisci. Devi sapere che tu non sei come noi siamo giunti a considerare gli elfi drow. Ti prego di non offenderti.» «No», rispose sinceramente Drizzt. «Tu e il tuo popolo mi avete dato più di quanto osassi sperare. Se fossi stato ucciso quel primo giorno in città, avrei accettato il destino senza dare la colpa agli svirfnebli.» Belwar seguì lo sguardo di Drizzt attraverso la grotta, fino al gruppo di giovani raccolti. «Dovresti andare tra loro», propose Belwar.
Drizzt lo guardò, sorpreso. Per tutto il tempo che aveva trascorso in casa di Belwar, lo svirfnebli non aveva mai suggerito niente del genere. Drizzt aveva dato per scontato di dover restare ospite del Guardiano del Cunicolo e che Belwar fosse stato incaricato personalmente di limitare i suoi movimenti. Belwar indicò la porta con un cenno del capo, ripetendo in silenzio il suggerimento. Drizzt guardò di nuovo fuori. Dalla parte opposta rispetto alla grotta, il gruppo di giovani svirfnebli, più o meno una dozzina, aveva iniziato una gara in cui sollevavano pietre piuttosto grandi sull'effigie di un basilisco, un ritratto di dimensioni reali costruito di massi e vecchie armature di maglia. Gli svirfnebli erano notevolmente abili nelle arti magiche dell'illusione, e uno di tali illusionisti aveva diretto incantesimi minori sull'immagine, per spianare i punti ruvidi e far apparire l'effigie ancora più realistica. «Elfo scuro, devi uscire qualche volta», arguì Belwar. «Per quanto tempo troverai soddisfacenti le pareti spoglie della mia dimora?» «Sono soddisfacenti per te», replicò Drizzt, un po' più aspramente di quanto non avesse voluto. Belwar annuì e si volse con lentezza a osservare la stanza. «È così», disse tranquillamente, e Drizzt vide con chiarezza il suo grande dolore. Quando Belwar si volse di nuovo verso il drow, il suo volto dai lineamenti arrotondati aveva un'espressione inconfondibilmente rassegnata. «Magga cammara, elfo scuro. Che ti serva di lezione.» «Perché?» gli chiese Drizzt. «Perché Belwar Dissengulp, l'Illustrissimo Guardiano del Cunicolo...», Belwar si ritrasse nuovamente di fronte al titolo, «resta nell'ombra, all'interno della propria porta?». La mascella di Belwar s'irrigidì e socchiuse gli occhi scuri. «Esci», disse brontolando forte. «Sei giovane, elfo scuro, e il mondo intero è dinnanzi a te. Io sono vecchio. Il mio momento è da lungo tempo trascorso.» «Non sei così vecchio», iniziò a replicare Drizzt, questa volta deciso a esortare il Guardiano del Cunicolo a rivelare che cosa lo turbasse così. Ma Belwar si limitò a volgersi e a entrare silenziosamente nella grotta che costituiva la sua stanza, tirando e chiudendo dietro di sé la coperta che aveva appeso come divisorio. Drizzt scrollò il capo e si diede un pugno sul palmo, spinto dalla frustrazione. Belwar aveva fatto così tanto per lui, inizialmente salvandolo dal giudizio del sovrano svirfnebli, poi assistendolo nelle ultime settimane e insegnandogli la lingua e le consuetudini degli gnomi del profondo. Drizzt
non era stato in grado di ricambiare il favore, benché vedesse chiaramente che Belwar era oppresso da un grande peso. Drizzt desiderò tirare da parte la coperta, andare dal Guardiano del Cunicolo e fargli esprimere i suoi tristi pensieri. Tuttavia Drizzt non poteva ancora essere così audace con il suo nuovo amico. Avrebbe trovato la chiave del dolore del Guardiano del Cunicolo in tempo, giurò, ma per il momento aveva il proprio dilemma da superare. Belwar gli aveva dato il permesso di girare per Blingdenstone! Drizzt guardò nuovamente il gruppo che si trovava dalla parte opposta della caverna. Tre di loro erano in piedi perfettamente immobili davanti all'effigie, come se fossero stati trasformati in pietra. Incuriosito, Drizzt oltrepassò la soglia e poi, prima di rendersi conto di quello che stava facendo, si trovò all'esterno, stava avvicinandosi ai giovani gnomi del profondo. Il gioco giunse al termine con l'avvicinarsi del drow, dato che gli svirfnebli erano più interessati all'incontro con l'elfo scuro di cui avevano parlato per tante settimane. Corsero verso Drizzt e lo circondarono, sussurrando incuriositi. Drizzt sentì i propri muscoli che si tendevano involontariamente mentre gli svirfnebli giungevano tutt'intorno a lui. Gli istinti primordiali del cacciatore intuirono una vulnerabilità intollerabile. Drizzt lottò duramente per sublimare il proprio alter ego, ricordando a se stesso in silenzio ma con fermezza che gli svirfnebli non erano suoi nemici. «Saluti, amico drow di Belwar Dissengulp.» Uno dei giovani si fece avanti, presentandosi. «Sono Seldig, allievo, apprendista e futuro minatore in una spedizione, tra soltanto tre anni da oggi.» Drizzt impiegò un lungo attimo per decifrare i rapidi schemi di linguaggio dello gnomo del profondo. Tuttavia comprese il significato della futura occupazione di Seldig, perché Belwar gli aveva detto che i minatori delle spedizioni, gli svirfnebli che uscivano nel Buio Profondo alla ricerca di minerali preziosi e di gemme, erano tra gli gnomi del profondo di rango più elevato in tutta la città. «Saluti, Seldig», rispose alla fine Drizzt. «Io sono Drizzt Do'Urden.» Non sapendo veramente quello che avrebbe dovuto fare a quel punto, Drizzt incrociò le braccia sul petto. Per gli elfi scuri questo era un gesto di pace, benché Drizzt non fosse sicuro che fosse universalmente accettato nel Buio Profondo.
Gli svirfnebli si guardarono reciprocamente, effettuarono a loro volta il gesto, poi sorrisero all'unisono al sospiro di sollievo di Drizzt. «Tu sei stato nel Buio Profondo, così si dice», proseguì Seldig, facendo cenno a Drizzt di seguirlo di nuovo nella zona del loro gioco. «Per molti anni», rispose Drizzt, seguendo il giovane svirfnebli. L'ego cacciatore all'interno del drow iniziò a sentirsi a disagio per la vicinanza degli gnomi del profondo che lo seguivano, ma Drizzt era pienamente in controllo della propria paranoia istintiva. Quando il gruppo giunse a fianco del basilisco che avevano costruito, Seldig sedette sulla pietra e chiese a Drizzt di raccontare loro un paio delle sue avventure. Drizzt esitò, dubitando che la propria padronanza della lingua svirfnebli sarebbe stata all'altezza di un simile compito, ma Seldig e gli altri insistettero. Infine Drizzt annuì e si alzò in piedi. Trascorse un attimo pensieroso, cercando di ricordare qualche racconto che potesse interessare i ragazzi. Il suo sguardo vagò inconsciamente alla ricerca di qualche suggerimento e si fissò sull'effigie del basilisco, intensificata dall'illusione. «Basilisco», spiegò Seldig. «Lo so», rispose Drizzt. «Ho incontrato una simile creatura.» Si volse di nuovo con naturalezza verso il gruppo e rimase sbalordito per le espressioni dei giovani svirfnebli. Seldig e i suoi compagni si erano protesi in avanti, le bocche spalancate in un'espressione che significava un misto d'intrigo, terrore e delizia. «Elfo scuro! Hai visto un basilisco?» chiese uno di loro con aria incredula. «Un vero basilisco vivente?» Drizzt sorrise quando riuscì a decifrare il loro stupore. Gli svirfnebli, diversamente dagli elfi scuri, proteggevano i membri più giovani della loro comunità. Nonostante questi gnomi del profondo probabilmente avessero la stessa età di Drizzt, erano raramente usciti da Blingdenstone, e forse mai. Alla loro età gli elfi drow avevano già trascorso anni di pattuglia nei corridoi al di fuori di Menzoberranzan. Se lo stesso fosse valso per gli gnomi del profondo, il fatto che Drizzt avesse visto un basilisco non sarebbe stato così incredibile ai loro occhi, tuttavia i formidabili mostri erano rari anche nel Buio Profondo. «Hai detto che i basilischi non esistevano!» gridò uno degli svirfnebli a un compagno, dandogli una forte spinta sulla spalla. «Non l'ho mai detto!» protestò l'altro, restituendogli il colpo. «Mio zio ne ha visto uno, una volta», s'intromise un altro.
«Tuo zio non ha visto altro che graffi sulla pietra!» rise Seldig. «Erano le tracce di un basilisco, secondo le sue parole.» Il sorriso di Drizzt si fece più ampio. I basilischi erano creature magiche, più comuni in altri piani d'esistenza. Mentre i drow, particolarmente le somme sacerdotesse, aprivano spesso i cancelli che conducevano ad altri piani, tali mostri erano ovviamente al di là della norma della vita svirfnebli. Erano pochi gli gnomi del profondo che avevano mai visto un basilisco. Drizzt ridacchiò forte. Ancora meno, indubbiamente, erano gli gnomi del profondo riusciti a ritornare vivi e a raccontare di averne visto uno! «Se tuo zio avesse seguito la traccia e avesse trovato il mostro», continuò Seldig, «ancora oggi starebbe seduto in un passaggio, trasformato in un mucchio di pietra! Ti assicuro che le rocce non raccontano simili storie!» Lo gnomo del profondo rimproverato si guardò intorno alla ricerca di qualche controprova. «Drizzt Do'Urden ne ha visto uno!» protestò. «Non è affatto ridotto a un mucchio di pietre!» Gli occhi di tutti si rivolsero nuovamente verso Drizzt. «Ne hai visto uno davvero, elfo scuro?» chiese Seldig. «Rispondi solo in verità, ti prego.» «Uno», rispose Drizzt. «E sei sfuggito prima che potesse restituirti lo sguardo?» chiese Seldig, una domanda che lui e gli altri svirfnebli considerarono retorica. «Sfuggito?» Drizzt ripeté la parola dello gnomo, incerto riguardo al suo significato. «Sfuggito... sì... corso via», spiegò Seldig. Guardò uno degli altri svirfnebli, che prontamente simulò un'espressione d'assoluto orrore, poi inciampò e si agitò freneticamente, allontanandosi di qualche passo. Gli altri gnomi del profondo applaudirono l'esibizione e Drizzt si unì alle loro risate. «Sei scappato dal basilisco prima che potesse restituirti lo sguardo», arguì Seldig. Drizzt scrollò le spalle un po' imbarazzato e Seldig immaginò che stesse omettendo qualcosa. «Non sei scappato?» «Io non potevo... scappare», spiegò Drizzt. «Il basilisco aveva invaso la mia casa e aveva ucciso molte delle mie rothe. Le case», fece una pausa, alla ricerca della giusta parola svirfnebli. «I rifugi», spiegò infine, «non si
trovano facilmente nelle regioni selvagge del Buio Profondo. Una volta trovate e rese sicure, devono essere difese a tutti i costi.» «Hai combattuto contro di esso?» giunse un'esclamazione anonima dalle ultime posizioni del gruppo di svirfnebli. «Lanciando pietre da lontano?» chiese Seldig. «Quello è il metodo comunemente accettato.» Drizzt guardò al di sopra della pila di massi che gli gnomi avevano gettato all'effigie, poi prese in considerazione la propria esile struttura. «Le mie braccia non potrebbero neppure sollevare pietre del genere.» Rise. «Allora come?» chiese Seldig. «Devi dircelo.» Ora Drizzt aveva la sua storia. Fece una pausa per alcuni attimi, raccogliendo i propri pensieri. Si rese conto che le sue capacità limitate nella nuova lingua non gli avrebbero consentito d'intessere un racconto molto intricato, perciò decise d'illustrare le proprie parole. Trovò due pali che gli svirfnebli avevano portato e spiegò che si trattava di scimitarre, poi esaminò la costruzione dell'effigie, per assicurarsi che sostenesse il suo peso. I giovani gnomi del profondo si raggrupparono ansiosamente intorno a Drizzt, mentre lui spiegava la situazione, esponendo dettagliatamente il suo incantesimo di tenebre, effettuandone effettivamente uno proprio sul capo del basilisco, e illustrando la posizione di Guenhwyvar, il suo fedele felino. Gli svirfnebli sedevano protesi in avanti, pieni di stupore a ogni parola. L'effigie parve diventare viva nelle loro menti, era un mostro sgraziato, e Drizzt, questo straniero estraneo al loro mondo, incombeva nell'ombra dietro a quell'essere. La rappresentazione drammatica stava giungendo al termine e venne il momento in cui Drizzt dovette rappresentare i propri movimenti in battaglia. Udì gli svirfnebli esclamare all'unisono quando lui balzò con leggerezza sul dorso del basilisco, avanzando con cautela verso la testa dell'essere. Drizzt si fece coinvolgere dalla loro eccitazione, e questo non fece che rendere più intensi i suoi ricordi. Divenne tutto estremamente reale. Gli gnomi del profondo si avvicinarono, pregustando un'impressionante dimostrazione di abilità nel maneggiare la spada da parte dello straordinario drow che era giunto nella loro città dalle regioni selvagge del Buio Profondo. Poi accadde qualcosa di terribile. Inizialmente Drizzt era un attore che intratteneva i suoi nuovi amici con un racconto di coraggio e di armi. Un attimo dopo, quando il drow sollevò
uno dei pali per colpire il mostro fasullo, non fu più Drizzt. Era il cacciatore, quell'essere in piedi in cima al basilisco, proprio come quel giorno nei tunnel fuori dalla grotta rivestita di muschio. I pali si conficcarono negli occhi del mostro; i pali colpirono con furore la testa di pietra. Gli svirfnebli indietreggiarono, alcuni spaventati, altri semplicemente per cautela. Il cacciatore continuava a colpire, e la pietra si scheggiava e fendeva. La lastra che fungeva da testa del mostro si spezzò e cadde, e l'elfo scuro le rotolò dietro. Il cacciatore cadde raggomitolato con precisione, si rialzò in piedi e tornò direttamente alla carica, menando colpi furiosi con i pali. Le armi di legno si spezzarono e le mani di Drizzt iniziarono a sanguinare ma lui, il cacciatore, non avrebbe ceduto. Le forti mani degli gnomi del profondo afferrarono il drow per le braccia, cercando di calmarlo. Il cacciatore si volse verso i nuovi avversari. Erano più forti di lui e due lo tenevano stretto, ma qualche abile torsione fece perdere l'equilibrio agli svirfnebli. Il cacciatore li prese a calci sulle ginocchia e si lasciò cadere sulle proprie, piroettando mentre cadeva e scagliando lontano i due svirfnebli, che rotolarono via. Il cacciatore fu immediatamente in piedi, con le scimitarre spezzate e pronte mentre un unico nemico avanzava verso di lui. Belwar non mostrava alcuna paura, teneva le braccia ben aperte, non in posizione di difesa. «Drizzt!» chiamò più e più volte. «Drizzt Do'Urden!» Il cacciatore notò il martello e il piccone dello svirfnebli e la vista delle mani di mithral evocò ricordi che lo calmarono. Improvvisamente era di nuovo Drizzt. Stordito e pieno di vergogna lasciò cadere i pali e si osservò le mani graffiate. Belwar afferrò il drow mentre quest'ultimo perdeva i sensi, lo sollevò tra le braccia e lo riportò alla sua amaca. *
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Sogni agitati invasero il sonno di Drizzt, ricordi del Buio Profondo e dell'altro io più oscuro a cui non poteva sfuggire. «Come posso spiegare?» chiese a Belwar quando il Guardiano del Cunicolo lo trovò seduto sul bordo del tavolo di pietra, più tardi, quella notte. «Come posso presentarti delle scuse?» «Non è necessario», gli disse Belwar.
Drizzt lo guardò incredulo. «Tu non capisci», iniziò il drow, chiedendosi come avrebbe mai potuto far comprendere al Guardiano del Cunicolo la profondità di quello che gli era capitato. «Hai vissuto molti anni nel Buio Profondo», disse Belwar, «sopravvivendo dove altri non avrebbero potuto.» «Ma sono veramente sopravvissuto?» si chiese Drizzt a voce alta. La mano a martello di Belwar diede un lieve colpetto sulla spalla del drow, e il Guardiano del Cunicolo sedette sul tavolo accanto a lui. Restarono lì per tutta la notte. Drizzt non disse altro e Belwar non lo forzò. Il Guardiano del Cunicolo sapeva quale fosse il suo ruolo, quella notte, doveva rappresentare un sostegno silenzioso. Nessuno dei due sapeva quante ore fossero trascorse quando la voce di Seldig giunse da dietro la porta. «Vieni, Drizzt Do'Urden», gridò il giovane gnomo del profondo. «Vieni a raccontarci altre storie del Buio Profondo.» Drizzt guardò Belwar con curiosità, chiedendosi se la richiesta facesse parte di qualche subdolo trucco o di qualche scherzo ironico. Il sorriso di Belwar dissipò quell'idea. «Magga cammara, elfo scuro», ridacchiò lo gnomo del profondo. «Non lasceranno che tu ti nasconda.» «Mandali via», insistette Drizzt. «Sei così pronto ad arrenderti?» replicò Belwar, con una netta asprezza nella voce dai toni normalmente smorzati. «Tu che sei sopravvissuto alle prove delle regioni selvagge?» «Troppo pericoloso», spiegò disperatamente Drizzt, cercando le parole. «Non posso controllare... non posso liberarmi di...» «Vai con loro, elfo scuro», disse Belwar. «Questa volta faranno maggiore attenzione.» «Questa... bestia... mi segue», cercò di spiegare Drizzt. «Forse per un po'», rispose con semplicità il Guardiano del Cunicolo. «Magga cammara, Drizzt Do'Urden! Cinque settimane non sono un periodo così lungo, non se rapportate alle tue esperienze degli ultimi dieci anni. Recupererai la tua libertà da questa... bestia.» Gli occhi color lavanda di Drizzt trovarono soltanto sincerità nelle orbite grigie di Belwar Dissengulp. «Ma solo se la cerchi», terminò il Guardiano del Cunicolo. «Vieni fuori, Drizzt Do'Urden», gridò di nuovo Seldig, da dietro la porta di pietra.
Quella volta, e ogni volta nei giorni successivi, Drizzt, e soltanto Drizzt, rispose alla chiamata. *
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Il re dei miconidi osservò l'elfo scuro aggirarsi furtivamente nel livello inferiore e ricoperto di muschio della grotta. Non era lo stesso drow che se n'era andato, il fungoide lo sapeva, ma Drizzt il loro alleato, era stato l'unico precedente contatto del re con gli elfi scuri. Ignaro del pericolo, il gigante alto tre metri e mezzo scese lentamente a intercettare lo sconosciuto. Lo spirito-spettro di Zaknafein non cercò neppure di fuggire o di nascondersi mentre l'uomo fungo animato si avvicinava. Zaknafein teneva le spade agevolmente in mano. Il re dei miconidi sbuffò una nuvola di spore, tentando una conversazione telepatica con il nuovo venuto. Ma i mostri non morti esistevano su due piani distinti e le loro menti erano impenetrabili di fronte a tali tentativi. Il corpo materiale di Zaknafein affrontava il miconide, ma la mente dello spirito-spettro era lontanissima, collegata alla sua forma corporea dalla volontà di Matrona Malice. Lo spirito-spettro percorse gli ultimi pochi metri di distanza che lo separavano dall'avversario. Il miconide sbuffò una seconda nuvola, questa di spore volte a tranquillizzare l'avversario, e questa nuvola fu ugualmente inutile. Lo spiritospettro continuò ad avanzare e il gigante sollevò le potenti braccia per abbatterlo. Zaknafein bloccò il gesto con rapidi fendenti delle sue spade affilate come rasoi, mozzando le mani del miconide. Troppo velocemente perché l'altro potesse seguire i suoi movimenti, le armi dello spirito-spettro colpirono con violenza il torso del re fungo ed aprirono profonde ferite che spinsero il fungoide all'indietro e lo fecero cadere a terra. Dal livello superiore, dozzine dei miconidi più anziani e più forti scesero in massa per salvare il loro sovrano ferito. Lo spirito-spettro li vide avvicinarsi ma non conobbe paura. Zaknafein portò a termine l'azione con il gigante, poi si volse con calma ad affrontare l'assalto. Arrivarono uomini fungo, sventagliando raffiche delle loro varie spore. Zaknafein ignorò le nuvole, nessuna delle quali poteva assolutamente danneggiarlo, e si concentrò in pieno sulle braccia che menavano colpi. I miconidi arrivarono alla carica tutt'intorno a lui. E morirono tutt'intorno a lui.
Avevano protetto il loro boschetto per innumerevoli secoli, vivendo in pace e occupandosi delle proprie faccende. Ma quando lo spirito-spettro uscì dal basso tunnel da percorrere carponi che conduceva alla piccola grotta ormai abbandonata, che un tempo era servita da casa a Drizzt, la furia di Zak non avrebbe tollerato alcuna parvenza di pace. Zaknafein corse lungo la parete fino al boschetto di funghi, frantumando tutto quello che trovò sulla sua strada. Funghi giganti ruzzolarono come alberi tagliati. Sotto, la piccola mandria di rothe, animali nervosi per natura, ruppe in una frenetica fuga precipitosa e corse fuori nei tunnel del Buio Profondo. I pochi uomini fungo restanti, avendo assistito alla forza di quest'elfo scuro, s'inerpicarono affannosamente cercando di allontanarsi mentre lui si faceva largo a mazzate. Ma i miconidi non erano creature in grado di muoversi con sveltezza, e Zaknafein li inseguì spietatamente. Il loro regno nella grotta ricoperta di muschio e il boschetto di funghi che avevano sorvegliato per così tanto tempo giunsero a una fine improvvisa e definitiva. 9 Sussurri nei tunnel La pattuglia svirfnebli si faceva strada a poco a poco lungo le svolte sinuose del tunnel accidentato e serpeggiante tenendo pronti i martelli da guerra e i picconi. Gli gnomi del profondo non erano lontani da Blingdenstone, si trovavano a meno di un giorno di distanza, ma si erano posti nelle loro tipiche formazioni di battaglia, di solito riservate al Buio Profondo inoltrato. Il tunnel puzzava di morte. Lo svirfnebli che li guidava, sapendo che il carnaio si trovava poco lontano, sbirciò con circospezione al di sopra di un masso. Folletti! gridarono i suoi sensi ai compagni, una voce distinta che gli altri svirfnebli percepirono chiaramente, dato l'alto grado di immedesimazione razziale di quel popolo. Quando i pericoli del Buio Profondo calavano sugli gnomi del profondo, essi parlavano raramente a voce alta, ritornando a un comune legame d'immedesimazione in grado di trasmettere pensieri fondamentali. Gli altri svirfnebli strinsero le loro armi e iniziarono a decifrare un piano di battaglia nell'accozzaglia eccitata delle loro comunicazioni mentali. Il
capo, ancora l'unico che avesse sbirciato al di là del masso, li arrestò con un concetto di primaria importanza. Folletti morti! Gli altri lo seguirono intorno al masso fino all'orribile scena. Una ventina di Folletti giacevano intorno, maciullati e mutilati. «Drow», sussurrò un componente della spedizione svirfnebli, dopo aver visto la precisione delle ferite e l'evidente facilità con cui le lame erano penetrate nella pelle delle sfortunate creature. Tra le razze del Buio Profondo, soltanto i drow avevano simili lame sottili e perfidamente affilate. Troppo vicino, rispose tramite l'immedesimazione un altro gnomo del profondo, dando un pugno sulla spalla a colui che aveva parlato. «Questi sono morti da un giorno e più», disse un altro a voce alta, confutando la cautela del suo compagno. «Gli elfi scuri non indugiano nella zona. Non è loro consuetudine.» «Né è loro consuetudine massacrare bande di Folletti», rispose colui che aveva insistito per comunicare in silenzio. «Non quando ci sono prigionieri da catturare!» «Sono soliti prendere prigionieri soltanto se hanno intenzione di tornare direttamente a Menzoberranzan», notò il primo. Si rivolse al capo. «Guardiano del Cunicolo Krieger, dobbiamo tornare immediatamente a Blingdenstone e riferire su questa carneficina!» «Si tratterebbe di un misero rapporto», rispose Krieger. «Folletti morti nei tunnel? Non è uno spettacolo così insolito.» «Questo non è il primo segno di attività drow nella regione», osservò l'altro. Il Guardiano del Cunicolo non poté negare la verità delle parole del compagno, né la saggezza del suggerimento. Altre due pattuglie erano tornate a Blingdenstone di recènte con storie di mostri morti, con estrema probabilità uccisi da elfi drow, che giacevano nei corridoi del Buio Profondo. «E guarda», continuò l'altro gnomo del profondo, piegandosi a raccogliere la borsa di uno dei Folletti. La aprì per rivelare una manciata di monete d'oro e d'argento. «Quale elfo scuro sarebbe così impaziente da lasciarsi alle spalle un simile bottino?» «Possiamo essere certi che sia stata opera di drow?» chiese Krieger, benché lui stesso non ne dubitasse affatto. «Forse qualche altra creatura è venuta nel nostro reame. O può darsi che qualche nemico minore, Folletti o orco, abbia trovato armi drow.» Drow! convennero subito mentalmente vari altri.
«I tagli sono rapidi e precisi», disse uno. «E non vedo nulla che indichi altre ferite al di là di quelle ricevute dai Folletti. Chi altro, se non gli elfi scuri, uccide con tale abilità?» Il Guardiano del Cunicolo Krieger si allontanò da solo un po' più in là lungo il corridoio, esaminando la pietra alla ricerca di qualche indizio che potesse spiegare tale mistero. Gli gnomi del profondo possedevano un'affinità con la roccia che andava oltre quella della maggior parte delle creature, ma le pareti di pietra di quel passaggio non dissero nulla al Guardiano del Cunicolo. I Folletti erano stati uccisi da armi, non dalle zampe artigliate di mostri, eppure i corpi non erano stati saccheggiati. Tutte le uccisioni erano limitate a una piccola area e tale fatto indicava che gli sfortunati Folletti non avevano neppure trovato il tempo per fuggire. Che venti folletti fossero abbattuti così rapidamente indicava la presenza di una pattuglia drow di una certa consistenza, e anche se gli elfi drow fossero stati soltanto una manciata, almeno uno di loro avrebbe depredato i corpi. «Cosa facciamo, Guardiano del Cunicolo?» chiese alle spalle di Krieger uno degli gnomi del profondo. «Andiamo avanti alla ricerca del giacimento di minerali di cui ci è stato riferito o torniamo a Blingdenstone per riferire su questa strage?» Krieger era un vecchio svirfnebli astuto, convinto di conoscere ogni segreto del Buio Profondo. I misteri non lo appassionavano, ma questa scena l'aveva spinto a grattarsi la testa calva senza avere la minima idea al riguardo. Ritorniamo trasmise agli altri, usando di nuovo il metodo d'immedesimazione silenziosa. Non trovò opposizione tra i suoi compagni; gli gnomi del profondo facevano sempre molta attenzione a evitare gli elfi drow ogni qualvolta era possibile. La pattuglia si sistemò prontamente in una stretta formazione difensiva e iniziò il viaggio di ritorno a casa. Levitando orizzontalmente, all'ombra delle stalattiti dell'alta volta, lo spirito-spettro di Zaknafein Do'Urden osservò la loro avanzata tenendo bene a mente il percorso. *
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Re Schnicktick si protese in avanti sul suo trono di pietra e prese attentamente in considerazione le parole del Guardiano del Cunicolo. I consiglieri di Schnicktick, seduti intorno a lui, erano altrettanto curiosi e nervo-
si, perché questo rapporto non faceva che confermare le due storie precedenti di attività drow nei tunnel orientali. «Perché Menzoberranzan sta costeggiando i nostri confini e vi sta penetrando?» chiese uno dei consiglieri quando Krieger ebbe finito. «I nostri agenti non hanno accennato ad alcun intento di guerra. Sicuramente avremmo ricevuto qualche informazione se il consiglio dominante di Menzoberranzan avesse progettato qualcosa di drammatico.» «Certo», convenne Re Schnicktick per zittire i brusii di nervosismo che si levarono non appena il consigliere ebbe pronunciato quelle bieche parole. «A tutti voi io ricordo che non sappiamo se i responsabili di queste uccisioni siano davvero elfi drow.» «Scusate, mio Sovrano», iniziò Krieger, titubante. «Sì, Guardiano del Cunicolo», rispose immediatamente Schnicktick, agitando lentamente una mano tozza davanti al proprio volto rugoso per impedire qualsiasi rimostranza. «Sei decisamente certo di quanto hai osservato. E io ti conosco sufficientemente bene per avere fiducia nei tuoi giudizi. Tuttavia finché questa pattuglia drow non verrà avvistata, io non avanzerò alcuna ipotesi.» «Allora possiamo essere d'accordo soltanto sul fatto che qualcosa di pericoloso ha invaso la nostra regione orientale», s'intromise un altro dei consiglieri. «Sì», rispose il sovrano svirfnebli. «Dobbiamo cercare di scoprire la verità su tale questione. I tunnel orientali sono perciò esclusi da ulteriori spedizioni minerarie». Schnicktick agitò nuovamente le mani per calmare i successivi mormorii. «So che è stata riferita la presenza di vene di minerali metalliferi promettenti, e le raggiungeremo non appena sarà possibile. Ma per ora, le regioni orientali, nordorientali e sudorientali sono da questo momento dichiarate percorribili esclusivamente dalla pattuglia di guerra. Le pattuglie verranno raddoppiate, sia nel numero dei gruppi sia nelle dimensioni di ognuna, il loro raggio d'azione verrà esteso fino a includere tutta la regione compresa entro una distanza di tre giorni di marcia da Blingdenstone. Questo mistero dev'essere risolto rapidamente.» «E i nostri agenti nella città drow?» chiese un consigliere. «Dovremmo effettuare un contatto?» Schnicktick tese le mani con i palmi rivolti verso l'alto. «State tranquilli» spiegò. «Terremo gli orecchi bene aperti, ma non è opportuno informare i nostri nemici del fatto che controlliamo i loro movimenti.» Non era necessario che il sovrano svirfnebli esprimesse le proprie preoccupazioni sulla
scarsa affidabilità dei loro agenti all'interno di Menzoberranzan. Gli informatori potevano accettare prontamente le gemme svirfnebli in cambio d'informazioni minori, ma se le potenze di Menzoberranzan stavano progettando qualcosa di drastico in direzione di Blingdenstone, con estrema probabilità gli agenti avrebbero fatto il doppio gioco con gli gnomi del profondo. «Se riceveremo qualsiasi rapporto insolito da Menzoberranzan», continuò il sovrano, «o se scopriremo che gli intrusi sono davvero elfi drow, allora aumenteremo le azioni della nostra rete. Fino ad allora, che le pattuglie scoprano il più possibile». Poi il re congedò il suo consiglio, preferendo restare solo nella sala del trono, a riflettere sulle sinistre novità. In precedenza, nel corso di quella stessa settimana, Schnicktick aveva saputo del selvaggio attacco di Drizzt contro l'effigie del basilisco. Ultimamente, sembrava, Re Schnicktick di Blingdenstone sentiva parlare un po' troppo delle prodezze degli elfi scuri. *
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Le pattuglie di perlustrazione svirfnebli avanzavano nei tunnel orientali. Anche i gruppi che non trovavano nulla tornavano a Blingdenstone pieni di sospetti, perché «avevano intuito un'immobilità nel Buio Profondo, che andava oltre la normale tranquillità. Finora non un solo svirfnebli era stato ferito, ma nessuno sembrava ansioso di uscire in pattuglia. C'era qualcosa di malvagio nei tunnel, lo sapevano istintivamente, qualcosa che uccideva senza motivo e senza pietà.» Una pattuglia trovò la grotta ricoperta di muschio che un tempo era servita da rifugio a Drizzt. Re Schnicktick fu rattristato quando seppe che i pacifici miconidi e il loro prezioso boschetto di funghi erano stati distrutti. Tuttavia, nonostante le interminabili ore trascorse dagli svirfnebli a vagare nei tunnel, essi non individuarono un solo nemico. Gli gnomi restarono comunque convinti che gli elfi scuri, così silenziosi e brutali, fossero coinvolti. «E ora abbiamo un drow che vive nella nostra città», ricordò al re un consigliere svirfnebli durante una delle sedute quotidiane. «Ha provocato dei fastidi?» chiese Schnicktick. «Di scarsa importanza», rispose il consigliere. «E Belwar Dissengulp, l'Illustrissimo Guardiano del Cunicolo, continua a parlare in suo favore e
lo tiene nella propria casa come ospite, non come prigioniero. Il Guardiano del Cunicolo Dissengulp non accetta guardie intorno al drow.» «Fate sorvegliare il drow», disse il re dopo un attimo di riflessione. «Ma da lontano. È evidente che Maestro Dissengulp lo ritiene un amico; se lo è, allora non è giusto che sopporti le nostre ingerenze.» «E le pattuglie?» chiese un altro consigliere, il rappresentante della grotta d'ingresso che ospitava la guardia della città. «I miei soldati iniziano a stancarsi. Non hanno visto nulla oltre a qualche segno di combattimento, non hanno sentito nulla, tranne lo strascichio dei loro piedi stanchi.» «Dobbiamo stare all'erta», gli ricordò Re Schnicktick. «Se gli elfi scuri stanno radunandosi...» «Le cose non stanno così», rispose il consigliere con fermezza. «Non abbiamo trovato alcun accampamento, né alcuna traccia di accampamenti. Questa pattuglia proveniente da Menzoberranzan, se si tratta di una pattuglia, attacca e poi si ritira in qualche rifugio che non riusciamo a localizzare, può darsi che sia ispirato magicamente.» «E se gli elfi scuri avessero veramente intenzione di attaccare Blingdenstone», s'intromise un altro, «lascerebbero così tanti segni della loro attività? La prima strage, i Folletti trovati dalla spedizione del Guardiano del Cunicolo Krieger, ha avuto luogo quasi una settimana fa, e la tragedia dei miconidi è avvenuta un po' di tempo prima. Non ho mai sentito dire che gli elfi scuri vaghino per giorni intorno a una città nemica prima di effettuare l'attacco vero e proprio e lascino tracce come Folletti straziati». Da un po' di tempo il sovrano stava seguendo le stesse linee di pensiero. Quando si svegliava ogni giorno e trovava Blingdenstone intatta, la minaccia di una guerra con Menzoberranzan sembrava più lontana. Ma benché Schnicktick traesse conforto dall'analogo ragionamento del suo consigliere, non poteva ignorare le scene raccapriccianti che i suoi soldati avevano trovato nei tunnel orientali. Qualcosa, probabilmente di natura drow, si trovava laggiù ed era troppo vicina per i suoi gusti. «Ipotizziamo che Menzoberranzan in questo momento non stia pensando di farci guerra», propose Schnicktick. «Allora perché gli elfi drow sono così vicini alla nostra porta? Perché gli elfi drow si soffermano nei tunnel orientali di Blingdenstone, così lontano da casa propria?» «Espansione?» replicò uno dei consiglieri. «Incursori ribelli?» ipotizzò un altro. Nessuna delle due possibilità sembrava molto probabile. Poi un terzo consigliere espresse con voce stridula un suggerimento, così semplice che prese gli altri alla sprovvista.
«Stanno cercando qualcosa.» Il re degli svirfnebli si lasciò cadere pesantemente sulle mani il mento dotato di fossetta, pensando di aver appena udito una possibile soluzione al rompicapo e sentendosi sciocco per non averci pensato prima. «Ma che cosa?» chiese uno dei consiglieri, che evidentemente aveva le stesse sensazioni. «Gli elfi scuri scavano raramente la roccia, devo aggiungere che non lo fanno molto bene quando ci provano, e non occorre che si spingano tanto lontano da Menzoberranzan per trovare minerali preziosi. Che cosa potrebbero cercare gli elfi scuri, così vicino a Blingdenstone?» «Qualcosa che hanno perduto», rispose il re. Immediatamente i suoi pensieri andarono al drow che era venuto a vivere tra la sua gente. La cosa parve una coincidenza eccessiva per essere ignorata. «O qualcuno», aggiunse Schnicktick, e agli altri non sfuggì a chi stesse facendo riferimento. «Forse dovremmo invitare il nostro ospite drow a sedere con noi nel consiglio?» «No», rispose il re. «Ma forse la nostra sorveglianza a distanza di Drizzt non è sufficiente. Fate pervenire a Belwar Dissengulp gli ordini che il drow deve essere controllato ogni minuto. E, Firble», disse al consigliere che gli era più vicino, «dato che abbiamo ragionevolmente concluso che non è imminente alcuna guerra con gli elfi scuri, metti in moto la rete di spionaggio. Fammi avere informazioni da Menzoberranzan, e presto. Non mi piace la prospettiva di elfi scuri che vagano intorno alla mia porta d'ingresso. Sminuisce troppo il vicinato.» Il consigliere Firble, capo del servizio segreto di Blingdenstone, annuì in segno d'assenso, benché il compito non gli risultasse gradito. Le informazioni da Menzoberranzan non venivano ottenute a buon mercato e spesso si rivelavano inganni calcolati piuttosto che verità. A Firble non piaceva avere rapporti con qualcuno o qualcosa che potesse superarlo in astuzia, e annoverava gli elfi scuri tra i primi della spregevole lista di esseri in grado di farlo. *
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Lo spirito-spettro osservò un'altra pattuglia svirfnebli farsi largo nei tunnel serpeggianti. Negli ultimi giorni la saggezza tattica dell'essere che un tempo era stato il miglior maestro d'armi di tutta Menzoberranzan aveva tenuto a freno il mostro non-morto e il suo ansioso braccio che teneva la spada. Zaknafein non capiva veramente il significato del crescente numero
di pattuglie di gnomi del profondo, ma intuiva che la sua missione sarebbe stata messa in pericolo se lui si fosse lanciato contro uno di loro. Nel migliore dei casi il suo attacco contro un nemico così organizzato avrebbe fatto scattare allarmi lungo i corridoi, allarmi che l'inafferrabile Drizzt avrebbe sicuramente sentito. Analogamente, lo spirito-spettro aveva sublimato i suoi perfidi impulsi, sfogandoli contro altre creature viventi, e non aveva lasciato alle pattuglie svirfnebli nulla da trovare negli ultimi pochi giorni, evitando volutamente conflitti con i molti abitanti della regione. La perfidia di Matrona Malice Do'Urden seguiva ogni mossa di Zaknafein, martellando incessantemente i suoi pensieri, sollecitandolo con un grande senso di vendetta. Qualsiasi uccisione effettuata da Zaknafein appagò temporaneamente la volontà insidiosa della matrona, ma la saggezza tattica dell'essere non-morto aveva il sopravvento sulle selvagge ingiunzioni di lei. Il lieve barlume che rappresentava il restante raziocinio di Zaknafein sapeva che avrebbe trovato il suo ritorno alla pace della morte, quando Drizzt Do'Urden si sarebbe unito a lui nel sonno eterno. Lo spirito-spettro tenne le sue spade nei foderi mentre osservava il passaggio degli gnomi del profondo. Poi, mentre un altro gruppo degli stanchi svirfnebli si dirigeva verso ovest, un barlume di ragionamento si risvegliò all'interno dello spiritospettro. Se questi gnomi del profondo erano così numerosi nella regione, sembrava probabile che Drizzt Do'Urden li avesse incontrati. Questa volta Zaknafein non lasciò che gli gnomi del profondo vagassero oltre la sua vista. Scese fluttuando dal nascondiglio della volta disseminata di stalattiti e si mise a seguire la pattuglia. Il nome di Blingdenstone comparve al limite della sua comprensione cosciente, un ricordo della sua vita passata. «Blingdenstone», cercò di dire a voce alta lo spirito-spettro, la prima parola che il mostro non-morto di Matrona Malice aveva cercato di pronunciare. Ma il nome risultò poco più di un ringhio indecifrabile. 10 Il rimorso di Belwar Drizzt uscì molte volte con Seldig e i suoi nuovi amici nei giorni successivi. I giovani gnomi del profondo, su consiglio di Belwar, occupavano il loro tempo con l'elfo drow in giochi calmi e discreti; non esortarono più
Drizzt a replicare le eccitanti battaglie che aveva combattuto nelle regioni selvagge. Le prime volte che Drizzt uscì, Belwar lo osservò dalla porta. Il Guardiano del Cunicolo si fidava di lui, ma comprendeva anche le prove che il drow aveva sopportato. Una vita di ferocia e di brutalità come quella che Drizzt aveva sperimentato non poteva essere cancellata così facilmente. Ben presto, tuttavia, fu evidente per Belwar e per tutti gli altri che osservavano Drizzt, che il drow si era gradevolmente stabilizzato con i giovani gnomi del profondo e costituiva una ben scarsa minaccia per qualunque svirfnebli di Blingdenstone. Anche Re Schnicktick, preoccupato per ciò che stava accadendo al di là dei confini della città, finì per convenire che ci si poteva fidare di Drizzt. «Qualcuno è venuto a farti visita», disse Belwar a Drizzt una mattina. Drizzt seguì i movimenti del Guardiano del Cunicolo verso la porta di pietra, pensando che Seldig fosse venuto a chiamarlo presto quel giorno. Quando Belwar aprì la porta, tuttavia, Drizzt ruzzolò quasi a terra per la sorpresa, perché non era stato uno svirfnebli a balzare all'interno della struttura di pietra, ma piuttosto una grande e nera sagoma felina. «Guenhwyvar!» esclamò Drizzt, accovacciandosi a terra per prendere la pantera in corsa. Guenhwyvar lo fece cadere, schiacciandolo giocosamente con una grande zampa. Quando infine Drizzt riuscì a sottrarsi alla pantera e a mettersi seduto, Belwar si diresse verso di lui e gli porse la statuina d'onice. «Sicuramente al consigliere incaricato d'esaminare la pantera... è dispiaciuto separarsene» disse il Guardiano del Cunicolo. «Ma Guenhwyvar è prima di tutto e principalmente tua amica.» Drizzt non riuscì a trovare le parole per rispondere. Ancora prima del ritorno della pantera, gli gnomi del profondo di Blingdenstone l'avevano trattato meglio di quanto meritava, o così lui credeva. Ora il fatto che gli svirfnebli gli restituissero un oggetto magico così potente, per dimostrargli assoluta fiducia, lo commosse profondamente. «Quando vorrai potrai tornare alla Casa Centrale, l'edificio in cui sei stato trattenuto quando sei venuto da noi inizialmente», proseguì Belwar, «e recuperare le tue armi e l'armatura.» Drizzt si dimostrò un po' esitante all'idea, ricordando l'incidente con il finto basilisco. Quale danno avrebbe potuto provocare quel giorno se fosse stato armato, non di pali, ma di fini scimitarre drow?
«Le terremo qui e al sicuro», disse Belwar, comprendendo l'improvvisa afflizione del suo amico. «Se ne avrai bisogno le avrai.» «Ti sono debitore», rispose Drizzt. «Sono debitore a tutta Blingdenstone.» «Noi non consideriamo l'amicizia un debito», replicò il Guardiano del Cunicolo, ammiccando. Poi lasciò Drizzt e Guenhwyvar e tornò nella stanza a grotta della sua casa, consentendo ai due cari amici di riunirsi in privato. Una bella sorpresa attendeva Seldig e gli altri giovani gnomi del profondo quel giorno, quando Drizzt uscì per unirsi a loro con Guenhwyvar al suo fianco. Vedendo il felino che giocava con gli svirfnebli, Drizzt non poté fare a meno di ricordare quel giorno tragico, un decennio prima, quando Masoj aveva usato Guenhwyvar per inseguire gli ultimi minatori di Belwar in fuga. A quanto pareva Guenhwyvar aveva allontanato completamente da sé quell'orribile ricordo, perché la pantera e i giovani gnomi del profondo si divertirono insieme per l'intera giornata. Drizzt desiderò soltanto poter allontanare con altrettanta facilità gli errori del suo passato. *
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«Illustrissimo Guardiano del Cunicolo», gridò qualcuno un paio di giorni più tardi, mentre Belwar e Drizzt stavano godendosi la colazione mattutina. Belwar si bloccò e rimase seduto perfettamente immobile; a Drizzt non sfuggì l'inaspettata nuvola di dolore che attraversò i larghi lineamenti del suo ospite. Drizzt era giunto a conoscere molto bene lo svirfnebli, e quando il lungo naso aquilino di Belwar si volgeva verso l'alto in un certo modo, segnalava inevitabilmente la sofferenza del Guardiano del Cunicolo. «Il re ha riaperto i tunnel orientali», continuò la voce. «Ci sono voci di una ricca vena di minerale metallico soltanto a un giorno di marcia. La mia spedizione sarebbe onorata se Belwar Dissengulp trovasse il modo di accompagnarci.» Un sorriso speranzoso si allargò sul volto di Drizzt, non perché pensasse di avventurarsi fuori, ma perché aveva notato che Belwar sembrava un po' troppo solitario nell'altrimenti aperta comunità svirfnebli. «Il Guardiano del Cunicolo Brickers», spiegò arcignamente Belwar a Drizzt, senza condividere minimamente il nascente entusiasmo del drow.
«Uno di coloro che vengono alla mia porta prima di ogni spedizione, chiedendomi di unirmi al viaggio.» «E tu non vai mai», arguì Drizzt. Belwar scrollò le spalle. «Una richiesta dettata dalla cortesia, nulla più», disse, mentre contraeva il naso e digrignava i grandi denti. «Non sei degno di marciare accanto a loro», aggiunse Drizzt, in tono che trasudava sarcasmo. Credeva finalmente di aver trovato la fonte della frustrazione del suo amico. Belwar scrollò le spalle ancora una volta. Drizzt lo guardò accigliato. «Ti ho visto all'opera con le mani di mithral», disse. «Non torneresti a detrimento di nessuna spedizione! A dire il vero saresti utilissimo! Perché ti affretti a considerarti menomato, quando quelli che ti circondano non la pensano così?» Belwar sbatté la mano a martello sul tavolo, provocando una notevole fenditura nella pietra. «Sono in grado di fendere la roccia più velocemente di tutti loro!» ringhiò con ferocia il Guardiano del Cunicolo. «E se dei mostri dovessero piombare su di noi...» Agitò la mano a piccone in modo minaccioso e Drizzt non dubitò che lo gnomo del profondo dal petto enorme e tondeggiante potesse usare nel migliore dei modi lo strumento. «Buona giornata, Illustrissimo Guardiano del Cunicolo», fu l'ultimo grido proveniente da. fuori dalla porta. «Come sempre rispetteremo la tua decisione ma, come sempre, lamenteremo anche la tua assenza.» Drizzt fissò Belwar con curiosità. «Perché, allora?» chiese infine. «Se sei così competente come affermano tutti, te compreso, perché resti in disparte? Conosco l'amore che gli svirfnebli hanno per tali spedizioni, tuttavia tu non sei interessato. Né parli mai delle tue avventure fuori da Blingdenstone. È la mia presenza che ti trattiene a casa? Sei costretto a vegliare su di me?» «No», rispose Belwar, mentre la sua voce rimbombante riecheggiava varie volte negli orecchi delicati di Drizzt. «Ti è stata garantita la restituzione delle armi, elfo scuro. Non dubitare della nostra fiducia.» «Però...» iniziò Drizzt, ma si fermò bruscamente, rendendosi improvvisamente conto del vero motivo che si celava sotto alla riluttanza dello gnomo del profondo. «Il combattimento», disse piano, quasi in tono di scusa. «Quel giorno terribile, più di un decennio fa.» Belwar rivolse il naso verso l'alto, e si affrettò a girarsi dalla parte opposta.
«Ti rimproveri la perdita dei tuoi simili!» continuò Drizzt, parlando più forte man mano che acquistava sicurezza nel suo ragionamento. Tuttavia il drow riusciva a malapena a credere alle parole che pronunciava. Ma quando Belwar si volse nuovamente verso di lui, gli occhi del Guardiano del Cunicolo erano cerchiati di lacrime e Drizzt capì che le sue parole avevano fatto centro. Drizzt si passò una mano sulla folta chioma bianca, senza sapere veramente come rispondere al dilemma di Belwar. Aveva guidato personalmente la spedizione drow contro il gruppo di minatori svirfnebli, e sapeva che nessuna colpa per la disgrazia poteva giustamente venir imputata su nessuno degli gnomi del profondo. Tuttavia, come poteva spiegare la cosa a Belwar? «Ricordo quel giorno fatale», iniziò Drizzt, con titubanza. «Lo ricordo intensamente, come se quel terribile momento fosse raggelato nei miei pensieri, per non affievolirsi mai.» «Non più che nei miei», sussurrò il Guardiano del Cunicolo. Drizzt annuì, d'accordo. «In ugual misura, tuttavia», disse, «perché mi trovo imprigionato nella medesima rete di rimorso che intrappola te.» Belwar lo guardò con curiosità, senza capire realmente. «Sono stato io a guidare la pattuglia drow», spiegò Drizzt. «Io ho trovato il vostro gruppo, e ho creduto erroneamente che foste saccheggiatori intenzionati a calare su Menzoberranzan.» «Se non si fosse trattato di te, allora sarebbe stato qualcun altro», rispose Belwar. «Ma nessuno avrebbe potuto guidarli bene come me», disse Drizzt. «Là fuori...», guardò verso la porta, «nelle regioni selvagge, io ero a casa. Quello era il mio regno.» Ora Belwar stava ascoltando ogni sua parola, proprio come Drizzt aveva sperato. «E sono stato io a sconfiggere l'elementale di terra», continuò sobrio Drizzt, senza impudenza. «Se non fosse stato per la mia presenza, la battaglia si sarebbe risolta in parità. Molti svirfnebli sarebbero sopravvissuti per fare ritorno a Blingdenstone.» Belwar non poté nascondere il suo sorriso. C'era un margine di verità nelle parole di Drizzt, perché lui era stato veramente un fattore determinante nel successo dell'attacco drow. Ma Belwar trovò che il tentativo di Drizzt di dissipare il suo rimorso rappresentasse una verità un po' stiracchiata.
«Non capisco come tu possa biasimare te stesso», disse Drizzt, ora sorridendo e sperando che la sua levità trasmettesse un margine di conforto al suo amico. «Con Drizzt Do'Urden a capo del gruppo drow non avete mai avuto una possibilità.» «Magga cammara! È un argomento doloroso su cui scherzare», rispose Belwar, ridacchiando suo malgrado mentre pronunciava quelle parole. «D'accordo», disse Drizzt, in tono improvvisamente serio. «Ma accantonare la tragedia in uno scherzo non è più ridicolo che vivere sommerso nel rimorso per un incidente di cui non hai colpa», si corresse rapidamente Drizzt. «La colpa grava sulle spalle di Menzoberranzan e dei suoi abitanti. È la consuetudine dei drow che ha causato la tragedia. È la malvagia esistenza che vivono ogni giorno, che ha condannato i pacifici minatori della tua spedizione.» «A un Guardiano del Cunicolo è affidata la responsabilità del suo gruppo», replicò Belwar. «Soltanto un Guardiano del Cunicolo può organizzare una spedizione. Quindi deve accettare la responsabilità della sua decisione.» «Tu hai deciso di condurre gli gnomi del profondo così vicino a Menzoberranzan?» chiese Drizzt. «Sì.» «Per tua scelta?» insistette Drizzt. Credeva di comprendere sufficientemente bene le consuetudini degli gnomi del profondo per sapere che la maggior parte delle loro decisioni importanti, se non tutte, venivano risolte democraticamente. «Senza la parola di Belwar Dissengulp la spedizione mineraria non sarebbe mai giunta in quella regione?» «Noi sapevamo del ritrovamento», spiegò Belwar. «Un ricco filone segreto di minerale metallico. Venne deciso in consiglio di rischiare l'avvicinamento a Menzoberranzan. Io ho guidato il gruppo designato.» «Se non si fosse trattato di te, allora sarebbe stato qualcun altro», disse in tono caustico Drizzt, imitando le parole che Belwar aveva pronunciato in precedenza. «Un guardiano del cunicolo deve accettare la respons...» iniziò Belwar, distogliendo il proprio sguardo da Drizzt. «Loro non ti ritengono colpevole», disse Drizzt, seguendo lo sguardo vacuo di Belwar verso la vuota porta di pietra. «Loro ti onorano e ti apprezzano.» «Hanno pietà di me!» ringhiò Belwar.
«Hai bisogno della loro pietà?» esclamò Drizzt di rimando. «Sei meno di loro? Un menomato impotente?» «Non lo sono mai stato!» «Allora esci con loro!» gli urlò dietro Drizzt. «Vedi se hanno veramente pietà di te. Io non lo credo, nel modo più assoluto, ma se le tue ipotesi si riveleranno fondate, se il tuo popolo commisera il proprio "Illustrissimo Guardiano del Cunicolo", allora dimostra loro qual è il vero Belwar Dissengulp! Se i tuoi compagni non riversano su di te né pietà né colpa, allora non essere tu stesso a porre questi due pesi sulle tue spalle!» Belwar fissò il suo amico per un lunghissimo attimo, ma non rispose. «Tutti i minatori che ti accompagnavano erano a conoscenza del rischio di avventurarsi così vicino a Menzoberranzan», gli ricordò Drizzt. Un sorriso si allargò sul volto di Drizzt. «Nessuno di loro, incluso te stesso, sapeva che Drizzt Do'Urden avrebbe guidato gli avversari drow contro di voi. Se l'aveste saputo sareste certamente rimasti a casa.» «Magga cammara», mormorò Belwar. Scrollò il capo incredulo, sia per l'atteggiamento scherzoso di Drizzt, sia per il fatto che per la prima volta in più di un decennio si sentiva meglio riguardo a quei tragici ricordi. Si alzò dal tavolo di pietra, lanciò un largo sorriso a Drizzt e si diresse verso la stanza interna della sua abitazione. «Dove stai andando?» chiese Drizzt. «A riposare», rispose il Guardiano del Cunicolo. «Gli avvenimenti di questo giorno mi hanno già stancato.» «La spedizione mineraria partirà senza di te.» Belwar si volse e lanciò un'occhiata incredula a Drizzt. Il drow si aspettava davvero che Belwar abbandonasse con tanta facilità anni di rimorso e si limitasse ad andarsene saltellando con i minatori? «Avevo pensato che Belwar Dissengulp possedesse più coraggio», gli disse Drizzt. Il cipiglio che attraversò il volto del Guardiano del Cunicolo era genuino, e Drizzt capì di aver trovato un punto debole nella corazza di autocommiserazione di Belwar. «Parli con audacia», ringhiò Belwar attraverso una smorfia. «Con audacia a un codardo», replicò Drizzt. Lo svirfnebli dalle mani di mithral avanzò con aria sinistra, mentre respirava il suo petto densamente muscoloso si sollevava in grandi ansiti. «Se non ti piace il titolo, allora gettalo via!» gli ringhiò in faccia Drizzt. «Vai con i minatori. Mostra loro la verità su Belwar Dissengulp, e imparala tu stesso!»
Belwar sbatté tra loro le mani di mithral. «Allora corri fuori a prendere le tue armi!», ordinò. Drizzt esitò. Lo stava sfidando? Si era spinto troppo oltre nel suo tentativo di scuotere il Guardiano del Cunicolo per liberarlo dai suoi legami di rimorso? «Prendi le tue armi, Drizzt Do'Urden», ringhiò nuovamente Belwar, «perché se io devo andare con i minatori, allora lo stesso vale per te!». Giubilante, Drizzt afferrò la testa dello gnomo del profondo tra le mani lunghe e sottili e sbatté piano il proprio capo contro quello di Belwar mentre i due si scambiavano sguardi fissi di profonda ammirazione e affetto. In un istante, Drizzt corse via, scattando verso la Casa Centrale per recuperare la sua cotta di maglia finemente intessuta, il suo piwafwi e le sue scimitarre. Belwar si limitò a darsi una botta in testa con la mano, incredulo, cadendo quasi a terra, e osservò lo scatto selvaggio di Drizzt fuori dalla porta d'ingresso. Si sarebbe rivelato un viaggio interessante. *
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Il Guardiano del Cunicolo Brickers accettò prontamente Belwar e Drizzt, anche se lanciò a Belwar un'occhiata curiosa riguardo alla rispettabilità del drow. Perfino l'incerto Guardiano del Cunicolo non poteva negare il valore di un elfo scuro nelle regioni selvagge del Buio Profondo, in particolare se i sussurri riguardanti attività drow nei tunnel orientali si fossero rivelati autentici. Ma la pattuglia non rilevò alcuna attività o carneficina mentre procedeva verso la regione identificata dai ricognitori. Le voci di una robusta vena di minerale metallico non erano minimamente esagerate, e i venticinque minatori della spedizione si misero al lavoro con un entusiasmo che il drow non aveva mai visto prima. Drizzt era in particolar modo lieto per Belwar, perché le mani a martello e a piccone del Guardiano del Cunicolo spaccavano la pietra con una precisione e una forza che superava quella di tutti gli altri. Belwar non impiegò molto a rendersi conto di non venir minimamente commiserato dai suoi compagni. Era un membro della spedizione, un membro illustre e non un impedimento, lui riempiva i vagoni con più minerale metallico di tutti i suoi compagni. Durante i giorni che trascorsero nei tunnel serpeggianti, Drizzt e Guenhwyvar, quando il felino era disponibile, facevano una vigile guardia in-
torno al campo. Dopo il primo giorno di estrazione mineraria, il Guardiano del Cunicolo Brickers assegnò un terzo compagno di guardia al drow e alla pantera, e Drizzt sospettò correttamente che il suo nuovo compagno svirfnebli fosse stato incaricato tanto di tenerlo d'occhio, quanto di tenere gli occhi aperti per eventuali pericoli provenienti da altrove. Con il passare del tempo, tuttavia, e man mano che il gruppo di svirfnebli si abituava al compagno dalla pelle d'ebano, Drizzt venne lasciato vagare come preferiva. Fu un viaggio privo di avvenimenti salienti e vantaggioso, proprio come piaceva agli svirfnebli, e ben presto, non avendo incontrato alcun mostro, i loro vagoni furono riempiti di minerali preziosi. Rifilandosi manate sulla schiena, con Belwar che faceva attenzione a non assestare colpi troppo forti, raccolsero l'attrezzatura, misero in fila i carretti e si diressero verso casa, un viaggio di due giorni, dato che dovevano portare i pesanti vagoni. Dopo sole poche ore di viaggio, uno dei ricognitori posti all'inizio della carovana ritornò, scuro in volto. «Che cosa c'è?» lo esortò il Guardiano del Cunicolo Brickers, sospettando che la loro buona fortuna fosse giunta al termine. «Una tribù di Folletti», rispose il ricognitore svirfnebli. «Almeno una quarantina. Si sono sistemati in una piccola grotta più avanti, a ovest e lungo un corridoio in pendenza.» Il Guardiano del Cunicolo Brickers sbatté un pugno su un vagone. Non dubitava che i suoi minatori fossero in grado di affrontare la banda di Folletti, ma non voleva problemi. Tuttavia con i pesanti vagoni che rombavano rumorosamente man mano che avanzavano, evitare i Folletti non sarebbe stata un'impresa facile. «Passa parola indietro, ci metteremo tranquilli. Se ci sarà un combattimento, che siano i Folletti a venire da noi.» «Qual è il problema?» chiese Drizzt a Belwar, mentre giungeva nella parte posteriore della carovana. Si era tenuto nella retroguardia da quando il gruppo aveva smontato il campo. «Una banda di Folletti», rispose Belwar. «Brickers dice di non dare nell'occhio, nella speranza che ci passino vicino.» «E se non lo faranno?» dovette chiedere Drizzt. Belwar sbatté le proprie mani tra loro. «Sono soltanto Folletti», mormorò biecamente, «ma io e la mia gente avremmo preferito che il sentiero fosse rimasto libero.» Drizzt fu lieto che i suoi nuovi compagni non fossero così ansiosi di combattere, neppure contro un nemico che sapevano di poter sconfiggere
facilmente. Se Drizzt avesse viaggiato con una spedizione drow, l'intera tribù di Folletti probabilmente sarebbe già stata morta o catturata. «Vieni con me», disse Drizzt a Belwar. «Ho bisogno di te per aiutare il Guardiano del Cunicolo Brickers a capirmi. Ho un piano, ma temo che la mia limitata padronanza della vostra lingua non mi consenta di spiegarne i particolari.» Belwar agganciò Drizzt con la sua mano a piccone, facendo girare l'esile drow più rudemente di quanto non avesse voluto. «Non desideriamo alcun conflitto», spiegò. «Meglio che i Folletti se ne vadano per la loro strada.» «Non desidero combattere», gli garantì Drizzt ammiccando. Soddisfatto, lo gnomo del profondo seguì Drizzt. Brickers ebbe un largo sorriso mentre Belwar traduceva il piano di Drizzt. «Varrà bene la pena di vedere le espressioni sui volti dei Folletti» rise Brickers, rivolto a Drizzt. «Vorrei accompagnarti io stesso!» «Meglio lasciarlo a me», disse Belwar. «Conosco sia la lingua dei Folletti che la drow e tu hai delle responsabilità qui, nel caso le cose non vadano come speriamo.» «Anch'io conosco la lingua dei Folletti», rispose Brickers. «E riesco a capire abbastanza bene il nostro compagno elfo scuro. Per quanto riguarda i miei doveri con la carovana, non sono così gravi come tu credi, perché oggi ci accompagna un altro Guardiano del Cunicolo.» «Uno che non vede da molti anni le regioni selvagge del Buio Profondo» gli ricordò Belwar. «Ma che è stato il migliore in tale ruolo», replicò Brickers. «La carovana è al tuo comando, Guardiano del Cunicolo Belwar. Io decido d'andare dai Folletti insieme al drow.» Drizzt aveva compreso sufficientemente le parole per capire a fondo la linea di condotta generale di Brickers. Prima che Belwar potesse discutere, Drizzt gli mise una mano sulla spalla e annuì. «Se i Folletti non cadono nella rete e noi abbiamo bisogno d'aiuto, venite al più presto», disse. Poi Brickers si tolse l'attrezzatura e le armi, e Drizzt lo condusse via. Belwar si volse con circospezione verso gli altri, non sapendo come avrebbero preso la decisione. La sua prima occhiata ai minatori della carovana gli rivelò che gli altri si trovavano compatti dietro di lui, uno per uno, in attesa e ansiosi di agire secondo i suoi ordini. Il Guardiano del Cunicolo Brickers non fu minimamente deluso dalle espressioni dei volti ruvidi e perplessi dei Folletti quando lui e Drizzt avanzarono tra loro. Uno di quegli esseri lanciò un grido e sollevò una lan-
cia con l'intenzione di sferrare un colpo, ma Drizzt, usando le sue innate capacità magiche, lasciò cadere un globo di tenebre sopra alla sua testa, accecandolo completamente. La lancia venne tirata comunque e Drizzt estrasse una scimitarra e la ruppe in due in aria, mentre passava al volo. Brickers, con le mani legate perché stava fingendosi un prigioniero in questa farsa, rimase a bocca aperta per la velocità e la facilità con cui il drow aveva abbattuto la lancia volante. Poi lo svirfnebli osservò la banda di Folletti e vide che erano rimasti altrettanto colpiti. «Un altro passo e sono morti», promise Drizzt nella lingua dei Folletti, un linguaggio gutturale di grugniti e uggiolii. Brickers giunse a capire un attimo più tardi, quando udì provenire da dietro un agitato fruscio di stivali e un lamento. Lo gnomo del profondo si volse e vide due Folletti, profilati dalle fiamme rossastre e guizzanti del fuoco fatato del drow, che fuggivano affannosamente e goffamente, più veloci che potevano. Ancora una volta lo svirfnebli guardò stupefatto il drow. Come aveva fatto Drizzt a sapere che i due ignobili Folletti erano lì dietro? Brickers, naturalmente, non poteva sapere del cacciatore, l'altro io di Drizzt Do'Urden che conferiva al drow un notevole vantaggio in simili scontri. Né il Guardiano del Cunicolo poteva sapere che in quel momento Drizzt era impegnato in un altro combattimento ancora, volto a controllare quel pericoloso alter ego. Drizzt guardò la scimitarra che aveva in mano e poi nuovamente il gruppo di Folletti. Erano pronti in almeno una quarantina, tuttavia il cacciatore invitava Drizzt ad attaccare, a colpire con forza quei mostri codardi e farli volare lungo i corridoi che conducevano fuori dalla spelonca. Un'occhiata al suo compagno svirfnebli legato, tuttavia, ricordò a Drizzt qual era stato il piano che l'aveva spinto ad avvicinarsi a quegli esseri e gli consentì di lasciare da parte il cacciatore. «Chi è il capo?» chiese nella gutturale lingua dei Folletti. Il capobanda Folletti non era così ansioso d'identificarsi di fronte a un elfo drow, ma una dozzina dei suoi subordinati, mostrando un coraggio e una lealtà tipica dei Folletti, si volsero e puntarono le loro dita tozze nella sua direzione. Non avendo altra scelta, il capo Folletti gonfiò il petto, raddrizzò le spalle ossute e avanzò per affrontare il drow. «Bruck!» disse di chiamarsi il capobanda, battendosi un pugno sul petto. «Perché siete qui?» chiese Drizzt con aria beffarda.
Bruck non sapeva proprio come rispondere a una simile domanda. Mai prima d'allora il Folletti aveva pensato di chiedere un permesso per gli spostamenti della sua tribù. «Questa regione appartiene ai drow!» ringhiò Drizzt. «Non è un posto per voi!» «La città drow è molto lontana», si lamentò Bruck, indicando dietro a Drizzt. Si trattava della direzione sbagliata rispetto a Menzoberranzan, ma Drizzt sorvolò sull'errore. «Questo è territorio svirfnebli.» «Per ora», replicò Drizzt, pungolando Brickers con l'impugnatura della sua scimitarra. «Ma il mio popolo ha deciso di rivendicare la regione come propria.» Una fiammella guizzò negli occhi color lavanda di Drizzt e un sorriso subdolo si allargò sul suo volto. «Bruck e i Folletti si opporranno a noi?» Bruck effettuò un gesto d'impotenza con le mani dalle lunghe dita. «Sparite!» pretese Drizzt. «Ora non abbiamo bisogno di schiavi, né desideriamo che il fragore rivelatore della battaglia echeggi lungo i tunnel! Considerati fortunato, Bruck. La tua tribù potrà fuggire e restare in vita... per questa volta!» Bruck si volse verso gli altri, cercando aiuto. Si trovavano davanti soltanto un elfo drow, mentre più di tre dozzine di Folletti erano pronti con le loro armi. Le circostanze erano promettenti, se non schiaccianti. «Sparite!» ordinò Drizzt, puntando la propria scimitarra verso un corridoio laterale. «Correte finché i vostri piedi non saranno troppo stanchi per sorreggervi!» Il capobanda Folletti posò le dita con aria di sfida sul pezzo di corda che sorreggeva il suo perizoma. A quel punto un fracasso risuonò intorno alla piccola grotta, tamburellando ritmicamente sulla pietra. Bruck e gli altri Folletti si guardarono intorno nervosamente e Drizzt non si lasciò sfuggire l'opportunità. «Osi sfidarci?» gridò il drow, facendo in modo che Bruck venisse delineato dalle fiamme che brillavano di rosso. «Allora che lo stupido Bruck sia il primo a morire!» Prima che Drizzt terminasse la frase, il capobanda Folletti era sparito, correndo a tutta velocità lungo il corridoio indicato da Drizzt. Giustificando la fuga come fedeltà al proprio capobanda, l'intera tribù di Folletti si lanciò in un rapido inseguimento. Il più veloce riuscì perfino a superare Bruck.
Qualche attimo più tardi Belwar e gli altri minatori svirfnebli apparvero in corrispondenza di ogni passaggio. «Ho pensato che poteste aver bisogno di un po' di sostegno», spiegò il Guardiano del Cunicolo dalle mani di mithral, battendo la mano a martello sulla pietra. «Il tuo tempismo e la tua decisione sono stati perfetti, Illustrissimo Guardiano del Cunicolo», disse Brickers al suo pari quando riuscì a smettere di ridere. «Perfetto, com'era logico aspettarsi da Belwar Dissengulp!» Poco più tardi la carovana di svirfnebli riprese il proprio cammino, l'intero gruppo era esaltato e giubilante per gli avvenimenti degli ultimi giorni. Gli gnomi del profondo si ritenevano molto astuti per il modo in cui avevano evitato i guai. L'allegria si trasformò in una festa in piena regola quando arrivarono a Blingdenstone, e bisogna dire che gli svirfnebli, benché di solito fossero un popolo serio e dedito al lavoro, organizzavano feste come qualsiasi altra razza dei Reami. Drizzt Do'Urden, nonostante le differenze fisiche che lo contraddistinguevano dagli svirfnebli, si sentì più a casa e a proprio agio di quanto non fosse mai stato in tutti i quattro decenni della sua esistenza. E Belwar Dissengulp non si tirò mai più indietro quando un altro svirfnebli si rivolgeva a lui chiamandolo «Illustrissimo Guardiano del Cunicolo.» *
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Lo spirito-spettro era confuso. Proprio quando Zaknafein aveva iniziato a credere che la sua preda fosse all'interno della città degli svirfnebli, gli incantesimi magici di cui Malice l'aveva dotato identificarono la presenza di Drizzt nei tunnel. Fortunatamente per Drizzt e per i minatori svirfnebli, lo spirito-spettro era molto lontano nel momento in cui aveva fiutato la pista. Zaknafein si fece strada di nuovo tra i tunnel, evitando le pattuglie degli gnomi del profondo. Ogni potenziale incontro evitato si rivelò una lotta per Zaknafein, perché a Menzoberranzan Matrona Malice, sul trono, stava diventando sempre più ansiosa e agitata. Malice voleva il sapore del sangue, ma Zaknafein si attenne al suo obiettivo, accorciando la distanza che lo separava da Drizzt. Ma poi, improvvisamente, la traccia sparì. *
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Bruck gemette a voce alta quando un altro elfo scuro solitario giunse vagando al suo accampamento il giorno successivo. Non furono levate lance e nessun Folletti cercò di piombare furtivamente alle spalle dell'elfo scuro. «Ce ne siamo andati come ci era stato ordinato!» si lamentò Bruck, ponendosi a capo del gruppo ancora prima di venir chiamato. Il capogruppo Folletti ora sapeva che i suoi subalterni l'avrebbero smascherato comunque. Se lo spirito-spettro riuscì a comprendere le parole del Folletti non lo diede a vedere in nessun modo. Zaknafein continuò a camminare diritto verso il capogruppo Folletti, con le spade in mano. «Ma noi...» iniziò a dire Bruck, ma il resto delle parole fuoriuscì in un gorgoglio di sangue. Zaknafein strappò via la spada dalla gola del Folletti e corse verso il resto del gruppo. I Folletti si sparsero in tutte le direzioni. Alcuni, intrappolati tra il drow impazzito e la parete di pietra, sollevarono lance rudimentali in difesa. Lo spirito-spettro li attaccò risolutamente, mozzando armi e membra a ogni fendente. Un Folletti riuscì a far penetrare la propria lancia attraverso le spade vorticanti e la punta dell'arma affondò profondamente nel fianco di Zaknafein. Il mostro non-morto non si scompose minimamente. Zak si volse verso il Folletti e lo colpì con una serie di colpi perfettamente mirati e fulminei, che gli staccarono la testa ed entrambe le braccia dal corpo. Alla fine quindici Folletti giacevano morti nella grotta e la tribù si sparpagliò, continuando a correre lungo ogni corridoio della regione. Lo spirito-spettro, coperto del sangue dei suoi nemici, uscì dalla spelonca dal corridoio opposto a quello da cui era entrato, continuando la sua ricerca frustrata dell'inafferrabile Drizzt Do'Urden. *
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Nuovamente a Menzoberranzan, nell'anticamera della cappella di Casa Do'Urden, Matrona Malice riposava, completamente esausta e momentaneamente appagata. Aveva vissuto ogni uccisione mentre Zaknafein l'effettuava, aveva sentito l'esplosione d'estasi ogni volta che la spada del suo spirito-spettro affondava in un'altra vittima. Malice spinse da parte le sue frustrazioni e la sua impazienza, la sua sicurezza era stata rinnovata dai piaceri della crudele carneficina di Zakna-
fein. L'estasi di Malice sarebbe stata finalmente sublime durante lo scontro tra lo spirito-spettro e quel traditore di suo figlio! 11 L'informatore Il Consigliere Firble di Blingdenstone entrò titubante nella piccola grotta rozzamente sbozzata, il luogo d'incontro stabilito. Un esercito di svirfnebli, compresi vari maghi con pietre in grado di convocare elementali di terra alleati, si distribuì in posizioni difensive lungo tutti i corridoi a ovest della stanza. Nonostante questo, Firble non si sentiva a proprio agio. Guardò lungo il tunnel orientale, l'unico altro ingresso della cavità, chiedendosi quali rivelazioni gli avrebbe potuto fornire quest'informatore e preoccupandosi di quanto sarebbero costate. Poi il drow effettuò il suo ingresso baldanzoso, con i tacchi degli alti stivali neri che battevano forte sulla pietra. Il suo sguardo guizzò intorno rapidamente per assicurarsi che Firble fosse l'unico svirfnebli presente nella cavità, secondo il loro solito accordo, poi avanzò verso lo gnomo del profondo, il consigliere, ed effettuò un profondo inchino. «Salute, piccolo amico dalla pingue borsa», disse il drow con una risata. Firble era sempre stupito dalla sua padronanza del linguaggio e del dialetto svirfnebli, con le perfette inflessioni e pause di uno gnomo del profondo che avesse vissuto un secolo a Blingdenstone. «Potresti esercitare una certa cautela», replicò Firble, guardandosi intorno ancora una volta in modo ansioso. «Bah», sbuffò il drow, sbattendo tra loro i duri tacchi dei suoi stivali. «Hai un esercito di gnomi del profondo combattenti e maghi alle tue spalle, e io... be', limitiamoci ad ammettere che sono a mia volta ben protetto.» «Non dubito di questo fatto, Jarlaxle», replicò Firble. «Tuttavia preferirei che i nostri affari restassero più privati e segreti possibile.» «Tutti gli affari di Bregan D'aerthe sono privati, mio caro Firble», rispose Jarlaxle, e ancora una volta effettuò un profondo inchino, descrivendo un lungo arco aggraziato con il cappello a larga tesa. «Ne ho abbastanza», disse Firble. «Portiamo a termine i nostri affari, in modo che io possa ritornare a casa mia.» «Allora chiedi», disse Jarlaxle. «C'è stato un aumento di attività drow vicino a Blingdenstone», spiegò lo gnomo del profondo.
«Davvero?» chiese Jarlaxle, sembrando sorpreso. Tuttavia il sorriso furbo del drow rivelò le sue autentiche emozioni. Questo sarebbe stato un facile guadagno per Jarlaxle, perché proprio la stessa Matrona Madre che a Menzoberranzan l'aveva recentemente assunto era indubbiamente collegata con la preoccupazione che si stava diffondendo a Blingdenstone. A Jarlaxle piacevano le coincidenze che rendevano facili i profitti. Firble conosceva fin troppo bene la tattica della finta sorpresa. «Sì», disse con determinazione. «E desideri sapere perché?» arguì Jarlaxle, continuando a mantenere un'esteriorità d'ignoranza. «Sembrerebbe prudente, dalla nostra posizione di forza», disse stizzito il consigliere, stanco del gioco infinito di Jarlaxle. Firble capì senza alcun dubbio che Jarlaxle era consapevole dell'attività drow vicino a Blingdenstone, e dello scopo che c'era dietro a essa. Jarlaxle era un furfante senza casa, normalmente una posizione rischiosa nel mondo degli elfi scuri. Tuttavia questo mercenario pieno di risorse sopravviveva e addirittura prosperava nella sua posizione di rinnegato. Il maggiore vantaggio di Jarlaxle era sempre la conoscenza, la conoscenza di ogni tumulto all'interno di Menzoberranzan e delle regioni che circondavano la città. «Quanto tempo ci vorrà?» chiese Firble. «Il mio sovrano desidera completare quest'affare il più rapidamente possibile.» «Hai il mio compenso?» chiese il drow, tendendo una mano. «Avrai il compenso quando mi porterai l'informazione», protestò Firble. «Questo è sempre stato il nostro accordo.» «È così», ne convenne Jarlaxle. «Questa volta, tuttavia, non ho bisogno di tempo per raccogliere l'informazione. Se hai le mie gemme, possiamo sistemare la questione direttamente ora.» Firble estrasse dalla cintura la borsa di gemme e le gettò al drow. «Cinquanta agate, finemente tagliate», disse con un brontolio, mai soddisfatto del prezzo. Questa volta aveva sperato di evitare di servirsi di Jarlaxle; come qualsiasi altro gnomo del profondo, Firble non si separava facilmente da tali somme. Jarlaxle guardò rapidamente dentro la borsa, poi la lasciò cadere in una tasca profonda. «Riposa tranquillo, piccolo gnomo del profondo», iniziò, «perché le forze che governano Menzoberranzan non hanno in vista nessuna azione contro la tua città. Un'unica casa drow ha un interesse nella regione, niente di più.»
«Perché?» chiese Firble dopo un attimo di silenzio. Lo svirfnebli odiava chiedere, conoscendo quale fosse l'inevitabile conseguenza. Jarlaxle tese la mano. Altre dieci agate tagliate finemente furono consegnate. «La casa cerca uno dei suoi membri», spiegò Jarlaxle. «Un rinnegato le cui azioni hanno fatto sì che la famiglia perdesse il favore della Regina Ragno.» Ancora una volta trascorsero alcuni momenti interminabili. Firble poteva immaginare con sufficiente facilità l'identità di questo drow inseguito, ma Re Schnicktick avrebbe urlato fino a far cadere il soffitto se lui non se ne fosse accertato. Tirò fuori altre dieci gemme dalla borsa che recava alla cintura. «Dimmi il nome della casa», disse. «Daermon N'a'shezbaernon», replicò Jarlaxle, lasciando cadere le gemme con disinvoltura nella tasca profonda. Firble incrociò le braccia sul petto e si accigliò. Il drow privo di scrupoli l'aveva ingannato ancora una volta. «Non il nome ancestrale!» ringhiò il consigliere, estraendo a malincuore altre dieci gemme. «Davvero, Firble», lo prese in giro Jarlaxle. «Devi imparare a essere più specifico nelle tue domande. Simili errori ti costano così tanto!» «Nomina la casa in termini che io possa comprendere», gli ordinò Firble. «E dimmi il nome del rinnegato che stanno cercando. Oggi non ti darò altro, Jarlaxle.» Jarlaxle tese la mano e sorrise per placare lo gnomo del profondo. «D'accordo», rise, più che soddisfatto del suo guadagno. «Casa Do'Urden, Ottava Casa di Menzoberranzan cerca il suo secondogenito maschio.» Il mercenario notò un lampo di riconoscimento nell'espressione di Firble. Questo piccolo incontro poteva forse fornire a Jarlaxle delle informazioni da trasformare in ulteriore profitto derivante dai forzieri di Matrona Malice? «Il suo nome è Drizzt», continuò il drow, studiando con attenzione la reazione dello svirfnebli. Astutamente, aggiunse: «Informazioni riguardanti il luogo in cui si trova sarebbero fonte di un elevato profitto a Menzoberranzan». Firble fissò a lungo il drow impudente. Aveva forse rivelato troppo quando gli era stata comunicata l'identità del ribelle? Se Jarlaxle aveva intuito che ora Drizzt si trovava nella città degli gnomi del profondo, le implicazioni potevano essere sinistre. Ora Firble si trovava in una situa-
zione imbarazzante. Doveva ammettere il suo errore e cercare di correggerlo? Ma quanto sarebbe costato a Firble comprare la promessa di silenzio di Jarlaxle? E indipendentemente dall'enormità del pagamento, Firble poteva fidarsi veramente del mercenario privo di scrupoli? «La nostra transazione è giunta al termine», annunciò Firble, confidando nel fatto che Jarlaxle non avesse immaginato abbastanza per poter mercanteggiare con Casa Do'Urden. Il consigliere si volse e si diresse verso l'uscita della grotta. Jarlaxle elogiò tra sé la decisione di Firble. Aveva sempre ritenuto il consigliere svirfnebli un degno avversario con cui trattare e ora non era deluso. Firble aveva rivelato scarse informazioni, troppo poche per riferirle a Matrona Malice, e, se lo gnomo del profondo ne aveva altre da fornire, la sua decisione di porre bruscamente fine all'incontro era saggia. Nonostante le loro differenze radicali, Jarlaxle dovette ammettere che in effetti Firble gli piaceva. «Piccolo gnomo», chiamò, diretto alla figura che si allontanava. «Ti offro un avvertimento.» Firble si volse di scatto, coprendo con la mano la borsa di gemme ormai chiusa, in un gesto difensivo. «Gratis», disse Jarlaxle con una risata e scrollando la testa calva. Ma poi l'espressione del mercenario si fece improvvisamente seria, perfino arcigna. «Se sai qualcosa di Drizzt Do'Urden», continuò Jarlaxle, «tienilo molto lontano. Lolth stessa ha incaricato Matrona Malice Do'Urden della morte di Drizzt, e Malice farà tutto quel che deve, per portare a termine il compito. Anche se Malice fallisse, altri intraprenderanno la caccia, sapendo che la morte di Do'Urden darà un enorme piacere alla Regina Ragno. È condannato, Firble, e lo sarà in ugual misura chiunque sarà così sciocco da porsi al suo fianco.» «Un inutile avvertimento», replicò Firble, cercando di mantenere calma la propria espressione. «Perché nessuno a Blingdenstone sa nulla di questo elfo scuro ribelle, e a nessuno importa. Né, ti garantisco, nessuno a Blingdenstone ha alcun desiderio di trovare il favore della Regina Ragno, la divinità degli elfi scuri!» Jarlaxle sorrise astutamente di fronte al bluff dello svirfnebli. «Naturalmente», rispose, e si tolse il cappello sontuoso con un gesto teatrale, sprofondandosi in un altro inchino. Firble si fermò un attimo a riflettere sulle parole e sull'inchino, chiedendosi nuovamente se forse non avrebbe fatto meglio a cercare di comprare il silenzio del mercenario.
Prima che lui giungesse a una decisione, tuttavia, Jarlaxle era sparito, allontanandosi con passo pesante e rumoroso nei suoi stivali rigidi. Il povero Firble rimase a riflettere. Ma la sua perplessità non aveva motivo d'esistere. Allontanandosi, Jarlaxle il mercenario ammise tra sé che il piccolo Firble gli piaceva veramente, e che non avrebbe divulgato a Matrona Malice i suoi sospetti sul luogo in cui si trovava Drizzt. A meno che, naturalmente, l'offerta non fosse semplicemente troppo allettante. Firble si limitò a restare lì in piedi a osservare la spelonca vuota per molti minuti, sbigottito e preoccupato. *
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Per Drizzt i giorni erano stati colmi d'amicizia e di divertimento. Era una specie d'eroe per i minatori svirfnebli usciti nei tunnel con lui, e la storia del suo astuto inganno contro la tribù di Folletti cresceva a ogni racconto. Ora Drizzt e Belwar uscivano spesso, e ogni qualvolta entravano in una taverna o in un luogo di ritrovo venivano salutati da grida d'esultanza e offerte di cibo e bevande gratuite. I due amici erano lieti l'uno per l'altro, perché insieme avevano trovato una posizione e una nuova tranquillità. I Guardiani del Cunicolo Brickers e Belwar erano già impegnati a organizzare un'altra spedizione mineraria. Il loro compito più impegnativo era quello di restringere la lista dei volontari, perché erano stati contattati da svirfnebli provenienti da ogni angolo della città, ansiosi di viaggiare insieme all'elfo scuro e all'illustrissimo Guardiano del Cunicolo. Quando una mattina bussarono forte e con insistenza alla porta di Belwar, sia Drizzt sia lo gnomo del profondo immaginarono che si trattasse di altre reclute venute a chiedere un posto nella spedizione. Rimasero veramente sorpresi quando trovarono ad attenderli la guardia della città, che ordinò a Drizzt, puntandogli contro una dozzina di lance, di seguirli per un'udienza con il re. Belwar parve sereno. «Una precauzione», rassicurò Drizzt, spingendo da parte il piatto della colazione a base di funghi e salsa di muschio. Belwar prese il proprio mantello dalla parete; l'attenzione di Drizzt era concentrata sulle lance, altrimenti il drow avrebbe notato i movimenti incerti e a scatti dello gnomo del profondo e non si sarebbe certo sentito rassicurato.
Il viaggio attraverso la città fu veramente rapido, con le guardie ansiose che spronavano il drow e il Guardiano del Cunicolo. A ogni passo Belwar non fece altro che minimizzare l'intera faccenda definendola una «precauzione», e in verità riuscì molto bene a mantenere un margine di calma nella propria voce dai toni morbidi. Ma entrando nella sala del trono Drizzt non si fece alcuna illusione. La sua intera esistenza era stata ricca di finali disastrosi a inizi promettenti. Re Schnicktick sedeva a disagio sul trono di pietra, mentre i consiglieri erano in piedi intorno a lui, altrettanto a disagio. Non gli piaceva questo compito che gli era stato posto sulle spalle, dato che gli svirfnebli si consideravano amici fedeli, ma alla luce delle rivelazioni del consigliere Firble, la minaccia che gravava su Blingdenstone non poteva essere ignorata. Specialmente nel caso di un elfo scuro. Drizzt e Belwar avanzarono e si posero dinnanzi al re, Drizzt curioso, benché preparato ad accettare qualsiasi esito della faccenda, ma Belwar al limite della rabbia. «Vi ringrazio per essere giunti in modo tanto sollecito», li salutò Re Schnicktick, poi si schiarì la gola e guardò i consiglieri che gli stavano intorno, per riceverne sostegno. «Ci si muove in fretta quando si hanno delle lance puntate addosso», ringhiò Belwar in tono sarcastico. Il sovrano svirfnebli si schiarì di nuovo la gola, visibilmente a disagio, era sulle spine sul trono. «La mia guardia tende a eccitarsi un po'», si scusò. «Vi prego di non sentirvi offesi.» «Nient'affatto», gli assicurò Drizzt. «È stato piacevole il periodo che hai trascorso nella nostra città?» chiese Schnicktick, riuscendo a produrre un lieve sorriso. Drizzt annuì. «Il vostro popolo è stato più cortese di quanto avrei potuto chiedere o aspettarmi»,rispose. «E tu ti sei rivelato un degno amico Drizzt Do'Urden», disse Schnicktick. «Le nostre esistenze sono state veramente arricchite dalla tua presenza.» Drizzt effettuò un profondo inchino, pieno di gratitudine per le parole gentili del sovrano svirfnebli. Ma Belwar socchiuse gli occhi e arricciò il naso adunco, stava iniziando a capire dove volesse andare a parare il re. «Purtroppo», iniziò Re Schnicktick, volgendosi a guardare in tono supplichevole i consiglieri, e non direttamente Drizzt, «si è verificata una situazione...».
«Magga cammara!» gridò Belwar, facendo trasalire tutti i presenti. «No!» Re Schnicktick e Drizzt guardarono il Guardiano del Cunicolo con aria incredula. «Avete intenzione di estrometterlo», ringhiò Belwar con aria accusatoria verso Schnicktick. «Belwar!» iniziò a protestare Drizzt. «Illustrissimo Guardiano del Cunicolo», disse severamente il sovrano svirfnebli. «Non hai il diritto d'interrompermi. Se lo farai nuovamente sarò costretto a farti uscire da questa stanza.» «Allora è vero», brontolò piano Belwar. Distolse lo sguardo. Drizzt guardò prima il re, poi Belwar, poi nuovamente il re, confuso riguardo a cosa si celasse sotto a quest'incontro. «Hai sentito parlare della presunta attività drow nei tunnel vicino ai nostri confini orientali?» chiese il re a Drizzt. Drizzt annuì. «Siamo venuti a conoscenza dello scopo di quest'attività», spiegò Schnicktick. La pausa effettuata dal sovrano svirfnebli mentre guardava per l'ennesima volta i suoi consiglieri, fece venire a Drizzt i brividi lungo la schiena. Capì al di là d'ogni ombra di dubbio che cosa stesse per succedere, ma le parole lo ferirono profondamente comunque. «Tu, Drizzt Do'Urden, sei quello scopo.» «Mia madre mi cerca», rispose senza mezzi termini Drizzt. «Ma non ti troverà!» ringhiò Belwar con aria di sfida, sia nei confronti di Schnicktick sia in quelli della madre sconosciuta del suo nuovo amico. «Non finché resterai ospite degli gnomi del profondo di Blingdenstone!» «Belwar, basta!» lo rimproverò Re Schnicktick. Tornò a guardare Drizzt, con espressione raddolcita. «Ti prego, amico Drizzt, devi capire. Non posso rischiare la guerra con Menzoberranzan.» «Capisco», lo rassicurò sinceramente Drizzt. «Raccoglierò le mie cose.» «No!» protestò Belwar. Corse verso il trono. «Siamo svirfnebli. Non lasciamo in pericolo i nostri amici!» Il Guardiano del Cunicolo corse da un consigliere all'altro, implorando giustizia. «Drizzt Do'Urden ci ha dimostrato soltanto amicizia, e noi vogliamo estrometterlo! Magga cammara! Se la nostra lealtà è così fragile, siamo forse migliori dei drow di Menzoberranzan?» «Adesso basta, Illustrissimo Guardiano del Cunicolo!» esclamò Re Schnicktick in un tono deciso che perfino l'ostinato Belwar non poté ignorare. «La nostra decisione non è stata facile, ma è definitiva! Non metterò
in pericolo Blingdenstone per un elfo scuro, indipendentemente dal fatto che si sia dimostrato un amico.» Schnicktick guardò Drizzt. «Sono veramente spiacente.» «Non siatelo», rispose Drizzt. «Voi fate soltanto il vostro dovere, come ho fatto io quel lontanissimo giorno in cui ho deciso di abbandonare il mio popolo. Ho preso quella decisione da solo, e non ho mai chiesto a nessuno approvazione o aiuto. Voi, buon sovrano svirfnebli, e il vostro popolo, mi avete restituito moltissimo di quel che avevo perso. Credetemi, non ho alcun desiderio d'attirare l'ira di Menzoberranzan contro Blingdenstone. Non mi perdonerei mai un'eventuale responsabilità in una simile tragedia. Me ne andrò dalla vostra bella città entro un'ora. E andandomene vi offro soltanto gratitudine.» Il sovrano svirfnebli fu commosso da quelle parole, ma la sua posizione rimase inflessibile. Fece cenno alle guardie d'accompagnare Drizzt, che accettò la scorta armata con un sospiro di rassegnazione. Guardò una volta Belwar, in piedi impotente accanto ai consiglieri svirfnebli, poi lasciò le sale del re. *
*
*
Un centinaio di gnomi del profondo, in particolare il Guardiano del Cunicolo Brickers e gli altri minatori dell'unica spedizione a cui Drizzt avesse preso parte, salutarono il drow mentre usciva dalle enormi porte di Blingdenstone. Belwar Dissengulp si distinse per la sua assenza; Drizzt non aveva più visto il Guardiano del Cunicolo nell'ora trascorsa da quando aveva lasciato la sala del trono. Tuttavia Drizzt fu comunque grato del commiato degli altri svirfnebli. Le loro parole gentili lo confortarono e gli diedero la forza di cui sapeva d'aver bisogno nei momenti difficili degli anni futuri. Tra tutti i ricordi che Drizzt avrebbe portato con sé da Blingdenstone, giurò di restare legato a quelle parole di commiato. Tuttavia, quando Drizzt si allontanò dall'assembramento, attraversando il pianerottolo e scendendo l'ampia scalinata, udì soltanto l'eco risonante delle enormi porte che si chiudevano rumorosamente dietro di lui. Drizzt tremò guardando nei tunnel del selvaggio Buio Profondo, chiedendosi come avrebbe mai potuto sopravvivere a ciò che l'aspettava, questa volta. Blingdenstone era stata la sua salvezza dal cacciatore; quanto tempo avrebbe impiegato quel lato più oscuro a farsi nuovamente largo e a rubare la sua identità?
Ma quale altra scelta aveva Drizzt? Era stato lui a decidere di lasciare Menzoberranzan, ed era stata la decisione giusta. Tuttavia ora che conosceva meglio le conseguenze di tale scelta, Drizzt sentì vacillare la propria determinazione. Se avesse avuto l'opportunità di rifare tutto, ora avrebbe trovato la forza di allontanarsi dalla propria vita tra la sua gente? Sperò di sì. Un rumore strisciante proveniente di lato mise all'erta Drizzt. Il drow s'acquattò ed estrasse le scimitarre, pensando che Matrona Malice avesse degli agenti che l'attendevano, immaginando che sarebbe stato espulso da Blingdenstone. Un'ombra si mosse un attimo dopo, ma non fu un assassino drow a dirigersi verso Drizzt. «Belwar!» esclamò sollevato. «Temevo che non mi avresti detto addio.» «E infatti non lo farò», rispose lo svirfnebli. Drizzt osservò il Guardiano del Cunicolo e notò che portava uno zaino carico. «No, Belwar, non posso consentire...» «Non ricordo di avere chiesto il tuo permesso», l'interruppe lo gnomo del profondo. «Ho cercato un po' d'eccitazione nel corso della mia esistenza. Ho pensato di potermi avventurare fuori per vedere che cos'ha da offrire il vasto mondo.» «Non è così grandioso come immagini», replicò arcignamente Drizzt. «Tu hai il tuo popolo, Belwar. Loro ti accettano e ti vogliono bene. Si tratta del dono più grande che tu possa immaginare.» «Sono d'accordo», rispose il Guardiano del Cunicolo. «E tu, Drizzt Do'Urden, hai il tuo amico, che ti accetta e ti vuole bene. E che ti sta accanto. Ora, abbiamo intenzione di proseguire il corso di quest'avventura o vogliamo restare qui in piedi ad aspettare che la tua perfida madre venga a distruggerci?» «Non puoi minimamente immaginare i pericoli», lo mise in guardia Drizzt, ma Belwar vide che la determinazione del drow stava già iniziando a logorarsi. Belwar sbatté tra loro le mani di mithral. «E tu, elfo scuro, non immagini minimamente con quali metodi io possa affrontare tali pericoli! Non ho intenzione di lasciarti andare da solo nelle regioni selvagge. Prendilo come un fatto compiuto, Magga cammara, e procediamo.» Drizzt scrollò le spalle impotente, osservò ancora una volta l'ostinata determinazione apertamente impressa sul volto di Belwar, e imboccò il tunnel, mentre lo gnomo del profondo si poneva al suo fianco. Questa volta, per lo meno, Drizzt aveva un compagno a cui poter parlare, un'arma contro
le intrusioni del cacciatore. Si mise la mano in tasca e toccò la statuina d'onice di Guenhwyvar. Forse, osò sperare Drizzt, loro tre non si sarebbero limitati a sopravvivere nel Buio Profondo. Per molto tempo dopo, Drizzt si chiese se non avesse agito in modo egoistico cedendo con tanta facilità a Belwar. Tutto il rimorso che provava, tuttavia, non era minimamente paragonabile al profondo senso di sollievo che Drizzt sperimentava ogni qualvolta abbassava lo sguardo al proprio fianco, sulla testa calva e ballonzolante dell'Illustrissimo Guardiano del Cunicolo. Parte 3 Amici e nemici Vivere o sopravvivere? Prima del secondo periodo che trascorsi nelle regioni selvagge del Buio Profondo, dopo il mio soggiorno a Blingdenstone, non potevo capire il significato di una domanda così semplice. Quando me n'ero andato da Menzoberranzan, pensavo che bastasse sopravvivere; pensavo di poter avere la responsabilità delle mie azioni, d'agire secondo i miei principi e che mi bastasse seguire l'unica strada che mi era rimasta aperta. L'alternativa era la sinistra realtà di Menzoberranzan e l'adesione alle perfide consuetudini che guidavano il mio popolo. Se quella era la vita, credevo, la semplice sopravvivenza sarebbe stata di gran lunga preferibile. Eppure, quella «semplice sopravvivenza» mi aveva quasi ucciso. Peggio, mi aveva quasi sottratto tutto ciò che mi era caro. Gli svirfnebli di Blingdenstone mi mostrarono un diverso sistema. La società svirfnebli, strutturata e alimentata da valori comuni e dall'unità, si rivelò l'immagine di tutto ciò che io avevo sempre sperato potesse essere Menzoberranzan. Gli svirfnebli non si limitavano semplicemente a sopravvivere. Vivevano, ridevano e lavoravano e i profitti che realizzavano venivano condivisi da tutti, come condividevano il dolore delle perdite che inevitabilmente riportavano nell'ostile mondo sotterraneo. La gioia aumenta quand'è condivisa tra amici, ma il dolore diminuisce a ogni distacco. Così è la vita. E così quando sono uscito da Blingdenstone per ritornare nelle cavità solitarie del vuoto Buio Profondo, avanzavo pieno di speranza. Al mio fianco c'era Belwar, il mio nuovo amico, e in tasca avevo la statuina magica in grado di chiamare Guenhwyvar, la mia amica fidata. Nel mio bre-
ve soggiorno con gli gnomi del profondo, avevo sperimentato la vita come avevo sempre sperato fosse, non potevo ritornare alla semplice sopravvivenza. Con i miei amici accanto, osavo credere di non doverlo fare. Drizzt Do'Urden 12 Nient'altro che luoghi selvaggi «Fatto?» chiese Drizzt a Belwar quando il Guardiano del Cunicolo tornò al suo fianco nel corridoio serpeggiante. «Il focolare è scavato», rispose Belwar, sbattendo tra loro le mani di mithral con aria trionfante, ma non troppo rumorosamente. «E ho sgualcito in un angolo il rotolo di coperte che avevamo in più. Ho strascicato gli stivali ovunque sulla pietra e ho messo la borsa che porti al collo in un luogo in cui verrà trovata facilmente. Ho anche lasciato alcune monete d'argento sotto alla coperta, immagino che non ne avrò bisogno molto presto, comunque.» Belwar riuscì a ridacchiare, ma nonostante il sacrificio Drizzt si rese conto che lo svirfnebli non si separava facilmente da oggetti di valore. «Un bell'inganno», disse Drizzt, per non farlo pensare a quanto gli era venuta a costare la cosa. «E tu, elfo scuro?» chiese Belwar. «Hai visto o sentito nulla?» «Nulla», rispose Drizzt. Indicò un corridoio laterale. «Ho mandato Guenhwyvar a effettuare un ampio giro. Se c'è qualcuno nelle vicinanze lo sapremo ben presto.» Belwar annuì. «Ottimo piano», notò. «Sistemare questo falso accampamento così lontano da Blingdenstone dovrebbe tenere la tua importuna madre lontano dalla mia gente.» «E forse porterà la mia famiglia a credere che io sia ancora in questa regione e abbia intenzione di restarvi», aggiunse Drizzt speranzoso. «Hai pensato in qualche modo alla nostra destinazione?» «Una direzione vale l'altra», affermò Belwar, alzando le mani. «Non ci sono città vicine da nessuna parte, oltre alla nostra. Almeno nessuna che io sappia.» «A ovest, allora», propose Drizzt. «Gireremo intorno a Blingdenstone e c'inoltreremo nelle regioni selvagge, lontano da Menzoberranzan.»
«Sembrerebbe una saggia decisione», ne convenne il Guardiano del Cunicolo. Belwar chiuse gli occhi e accordò i propri pensieri alle emanazioni della pietra. Come molte razze del Buio Profondo, gli svirfnebli possedevano l'abilità di riconoscere le variazioni magnetiche nella roccia, capacità che consentiva loro di valutare la direzione con la stessa precisione con cui un abitante della superficie era in grado di seguire il percorso del sole. Un attimo più tardi Belwar annuì e indicò il tunnel giusto. «A ovest», disse Belwar. «E rapidamente. Maggiore sarà la distanza che riusciremo a porre tra te e tua madre e più sicuri saremo.» Si fermò a considerare Drizzt per un lungo attimo, chiedendosi se potesse sollecitare il suo nuovo amico in modo un po' troppo profondo con la domanda successiva. «Che cosa c'è?» gli chiese Drizzt, individuando una certa apprensione. Belwar decise di rischiare, solo per vedere quale grado d'intimità avessero raggiunto lui e Drizzt. «Quando hai saputo per la prima volta che eri tu la ragione dell'attività drow nei tunnel orientali», iniziò senza mezzi termini lo gnomo del profondo, «mi è sembrato che ti cedessero un po' le ginocchia, per intenderci. Dopo tutto si tratta di tuoi familiari, elfo scuro. Sono così terribili?». La risata di Drizzt mise Belwar a suo agio, rivelando allo gnomo del profondo che non si era spinto troppo oltre con la sua insistenza. «Vieni», disse Drizzt, vedendo ritornare Guenhwyvar dal giro di ricognizione. «Se l'inganno dell'accampamento è completo, avviamoci verso la nostra nuova esistenza. Il cammino sarà sufficientemente lungo e potrò raccontarti della mia casa e della mia famiglia.» «Aspetta», disse Belwar. Mise una mano nella borsa e ne estrasse un piccolo scrigno: «Un dono da parte di Re Schnicktick», spiegò sollevando il coperchio ed estraendo una spilla luminosa la cui tenue luce bagnava l'area che li circondava. Drizzt fissò sconcertato il Guardiano del Cunicolo. «Farà di te un facile obiettivo», osservò il drow. Belwar lo corresse. «Farà di noi un facile obiettivo», osservò sbuffando maliziosamente. «Ma non temere, elfo scuro, la luce terrà a bada più nemici di quanti ne verranno attratti. Non mi piace poi tanto inciampare sulle rocce e i detriti sparsi per terra!» «Per quanto brillerà?» chiese Drizzt, e Belwar capì dal suo tono che il drow sperava si estinguesse presto.
«Il dweomer è eterno», replicò Belwar con un ampio sorriso compiaciuto. «A meno che qualche sacerdote o mago non lo annulli. Smettila di preoccuparti. Quali creature del Buio Profondo entrerebbero spontaneamente in una zona illuminata?» Drizzt scrollò le spalle e confidò nel buon senso e nell'esperienza del Guardiano del Cunicolo. «Benissimo», disse, scrollando impotente la capigliatura bianca. «Allora iniziamo il viaggio.» «Il viaggio e i racconti», rispose Belwar, mettendosi in marcia a fianco di Drizzt, con le robuste gambette che si affrettavano per tenere dietro ai passi lunghi e aggraziati del drow. Camminarono per molte ore, si fermarono a mangiare, poi camminarono ancora per molte altre. Talvolta Belwar usava la sua spilla luminosa; altre volte gli amici camminavano nell'oscurità, a seconda che percepissero o meno pericoli nell'area. Guenhwyvar era spesso nei paraggi, anche se si vedeva raramente, perché la pantera effettuava volentieri il suo compito prestabilito di ricognizione. Per un'intera settimana i compagni si fermarono soltanto quando la stanchezza o la fame li costringevano a effettuare una sosta nella marcia, perché erano ansiosi di essere il più possibile lontani da Blingdenstone e da coloro che stavano inseguendo Drizzt. Tuttavia sarebbe passata un'altra settimana intera prima che i compagni entrassero in tunnel ignoti a Belwar. Lo gnomo del profondo era stato un Guardiano del Cunicolo per quasi cinquant'anni e aveva guidato molte delle spedizioni che si erano spinte più lontano da Blingdenstone. «Questo luogo mi è noto», osservava spesso Belwar quando entravano in una caverna. «Ho riempito un vagone di ferro», diceva, oppure si trattava di mithral, o di un'incredibile quantità di altri minerali preziosi che Drizzt non aveva mai sentito nominare. E benché i lunghi racconti delle spedizioni minerarie del Guardiano del Cunicolo portassero tutti fondamentalmente nella stessa direzione, ovvero alla descrizione dei diversi modi in cui uno gnomo del profondo poteva tagliare la pietra, Drizzt ascoltava sempre con attenzione, assaporando ogni parola. Lui conosceva l'alternativa. Quando toccava a lui raccontare le proprie storie, Drizzt riferiva le proprie avventure all'Accademia di Menzoberranzan, e i molti ricordi appassionati relativi a Zaknafein e alla palestra d'addestramento. Mostrò a Belwar la doppia stoccata bassa e il modo in cui l'allievo aveva scoperto una parata per contrastare l'attacco, con sorpresa e dolore del suo mentore.
Drizzt spiegò le intricate combinazioni manuali e facciali del silenzioso codice drow e per un attimo gli venne l'idea d'insegnare il linguaggio a Belwar. Lo gnomo del profondo scoppiò prontamente in una risata sonora e rimbombante. I suoi occhi scuri guardarono Drizzt con aria incredula, e spinse il drow a osservare le estremità delle sue braccia. Con un martello e un piccone come mani, lo svirfnebli poteva difficilmente riuscire a riprodurre un numero di gesti sufficiente a non vanificare lo sforzo. Tuttavia Belwar apprezzò che Drizzt si fosse offerto d'insegnargli il codice silenzioso. L'assurdità di tutta la faccenda permise a entrambi di farsi una bella risata. Anche Guenhwyvar e lo gnomo del profondo divennero amici durante quelle prime due settimane di cammino. Spesso Belwar cadeva pesantemente addormentato soltanto per venir svegliato da un formicolio alle gambe, schiacciato sotto al peso di una pantera di duecentosessanta chili. Belwar brontolava sempre e dava dei colpetti sul posteriore a Guenhwyvar con la mano a martello, tanto che tale consuetudine divenne un gioco tra i due, ma a Belwar non dispiaceva veramente che la pantera fosse così vicina. In effetti la semplice presenza di Guenhwyvar permetteva ai due amici di addormentarsi con maggiore tranquillità, dato che il sonno lasciava sempre così vulnerabili nelle regioni selvagge. «Capisci?» sussurrò Drizzt a Guenhwyvar un giorno. Da un lato, Belwar era profondamente addormentato, disteso a pancia in su sulla pietra, con una roccia che gli fungeva da cuscino. Drizzt scrollò il capo, non poteva fare a meno di stupirsi quando osservava la piccola sagoma dello svirfnebli. Stava iniziando a sospettare che gli gnomi del profondo si spingessero un po' troppo oltre nella loro affinità con la terra. «Vai a prenderlo», suggerì al felino. Guenhwyvar si raccolse e balzò sulle gambe del Guardiano del Cunicolo. Drizzt si nascose nell'ingresso di un tunnel, a osservare. Soltanto qualche minuto più tardi Belwar si svegliò ringhiando. «Magga cammara, pantera!» brontolò lo gnomo del profondo. «Perché devi sempre dormire su di me, invece che accanto a me?» Guenhwyvar si spostò lievemente, ma in risposta emise soltanto un profondo sospiro. «Magga cammara, felino!» ruggì di nuovo Belwar. Agitò in modo frenetico le dita dei piedi, cercando inutilmente di far riprendere la circolazione sanguigna e di allontanare il formicolio che era già iniziato. «Vai via!» Il Guardiano del Cunicolo si sollevò su un gomito e fece oscillare la mano a martello verso il posteriore di Guenhwyvar.
Guenhwyvar balzò via fingendo di fuggire, prima che Belwar la toccasse. Ma proprio mentre il Guardiano del Cunicolo si rilassava, la pantera ritornò sui suoi passi, effettuò una giravolta completa e balzò su Belwar, seppellendolo e bloccandolo lungo disteso sulla pietra. Dopo alcuni momenti di lotta, Belwar riuscì a tirar fuori il viso da sotto il petto muscoloso di Guenhwyvar. «Scendi da qui sopra o dovrai subirne le conseguenze!» brontolò lo gnomo del profondo, anche se ovviamente si trattava di una minaccia priva di valore. Guenhwyvar si spostò, sistemandosi un po' più comodamente sul suo piedistallo. «Elfo scuro!» gridò Belwar quanto più forte poté. «Elfo scuro, porta via la tua pantera. Elfo scuro!» «Salve», rispose Drizzt, entrando dal tunnel come se fosse appena arrivato. «State giocando di nuovo, voi due? Avevo pensato che il mio periodo di tempo di sentinella stesse avvicinandosi alla fine.» «Il tuo tempo è passato», rispose Belwar, ma le parole dello svirfnebli vennero soffocate dalla folta pelliccia nera mentre Guenhwyvar si spostava di nuovo. Tuttavia Drizzt riuscì a vedere il lungo naso adunco di Belwar arricciarsi per l'irritazione. «Oh, no, no», disse Drizzt. «Non sono così stanco. Non mi sognerei neppure d'interrompere il vostro gioco. So che vi divertite talmente tanto entrambi.» Passò lì accanto, dando a Guenhwyvar un affettuoso buffetto sulla testa e ammiccandole maliziosamente mentre passava. «Elfo scuro!» brontolò Belwar dietro di lui, mentre questo si allontanava. Ma il drow non si fermò e Guenhwyvar, con la benedizione di Drizzt, si addormentò ben presto profondamente. *
*
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Drizzt si acquattò e rimase assolutamente immobile, consentendo ai suoi occhi di effettuare il passaggio dall'infravisione che gli consentiva di vedere il calore degli oggetti nello spettro infrarosso, alla vista normale nel regno della luce. Anche prima del completamento della trasformazione, Drizzt capì che la sua ipotesi era stata corretta. Davanti a lui, al di là di un basso passaggio a volta di creazione naturale, giungeva un bagliore rosso. Il drow mantenne la propria posizione, decidendo di fare in modo che Belwar lo raggiungesse prima di andare a indagare. Soltanto un attimo
dopo scorse il bagliore più fievole della spilla incantata dello gnomo del profondo. «Spegni la luce», sussurrò Drizzt, e il bagliore della spilla scomparve. Belwar strisciò lungo il tunnel per raggiungere il suo compagno. Anche lui vide il bagliore rosso al di là del passaggio ad arco e comprese la cautela di Drizzt. «Puoi portare la pantera?» chiese piano il Guardiano del Cunicolo. Drizzt scrollò il capo. «La magia è limitata a certi lassi di tempo. Il fatto di trovarsi nel piano materiale stanca Guenhwyvar. La pantera ha bisogno di riposare.» «Potremmo tornare da dove siamo venuti», suggerì Belwar. «Forse c'è un altro tunnel nei paraggi.» «Cinque miglia», rispose Drizzt, ripensando alla lunghezza del corridoio continuo che si erano lasciati alle spalle. «Troppo lungo.» «Allora vediamo che cosa c'è oltre», arguì il Guardiano del Cunicolo, e avanzò con audacia. A Drizzt piacque l'atteggiamento coraggioso di Belwar e si unì rapidamente a lui. Al di là della volta, per oltrepassare la quale Drizzt dovette piegarsi quasi in due, trovarono una grotta ampia ed elevata, il cui fondo e le cui pareti erano coperti da uno strato simile a muschio che emetteva la luce rossa. Drizzt si arrestò di colpo, interdetto, ma Belwar riconobbe fin troppo bene quella roba. «Baruchi!» sbottò il Guardiano del Cunicolo, mentre la parola si trasformava in una risata. Si volse verso Drizzt e non vedendo alcuna reazione al suo sorriso, spiegò: «Sputatori cremisi, elfo scuro. Sono decenni che non ne vedo una tale quantità. Sono uno spettacolo decisamente raro, sai.» Drizzt, ancora interdetto, eliminò la tensione dai propri muscoli e scrollò le spalle, poi iniziò ad avanzare. La mano a piccone di Belwar si agganciò al suo braccio, e il forte gnomo del profondo lo fece volgere bruscamente. «Sputatori cremisi», ripeté il Guardiano del Cunicolo, sottolineando esplicitamente le parole. «Magga cammara, elfo scuro, come te la sei cavata nel corso degli anni?» Belwar si volse di lato e sbatté la mano a martello contro la parete del passaggio ad arco, staccandone un pezzo di pietra di notevoli dimensioni. Lo raccolse con la parte piatta della mano a piccone e lo lanciò lungo il lato della caverna. La pietra colpì il fungo color rosso brillante con un lieve tonfo, poi si sollevò un'esplosione di fumo e di spore.
«Sputano», spiegò Belwar, «e le spore ti soffocheranno a morte! Se hai intenzione d'attraversare questo luogo, cammina con leggerezza, mio ardito e sciocco amico». Drizzt si grattò le chiome bianche e scompigliate e prese in considerazione la difficile situazione in cui si trovavano. Non aveva alcun desiderio di ripercorrere le cinque miglia lungo il tunnel, ma non aveva neppure intenzione di attraversare arrancando questo campo di morte rossa. Rimase fermo appena oltrepassato il passaggio ad arco e si guardò intorno alla ricerca di qualche soluzione. Varie pietre, un possibile passaggio, fuoriuscivano dai baruchi, e oltre si apriva un percorso di pietra libera ampia circa tre metri, che si stendeva perpendicolarmente al passaggio ad arco, attraversando l'abisso. «Possiamo effettuare il passaggio», disse a Belwar. «C'è un chiaro sentiero.» «C'è sempre in un campo di baruchi», rispose sottovoce il Guardiano del Cunicolo. Gli orecchi acuti di Drizzt colsero il commento. «Che cosa intendi?» chiese, balzando agilmente verso la prima delle pietre sollevate. «C'è un ingordone nei paraggi», spiegò lo gnomo del profondo. «O c'è stato.» «Un ingordone?» Drizzt balzò prudentemente all'indietro e tornò accanto al Guardiano del Cunicolo. «Un grosso bruco», spiegò Belwar. «Agli ingordoni piacciono i baruchi. Sono le uniche creature che non sembrano infastidite dagli sputatori cremisi.» «Quanto grosso?» «Quanto largo era il sentiero lasciato libero?» gli chiese Belwar. «Circa tre metri», rispose Drizzt, balzando nuovamente sulla prima pietra per osservarlo meglio. Belwar riflette per un attimo sulla risposta. «Un passaggio per un ingordone grosso, due per quelli normali.» Drizzt balzò nuovamente indietro, tornando a fianco del Guardiano del Cunicolo, guardandosi con cautela dietro alle spalle. «È un grosso bruco» osservò. «Ma con una bocca piccola», spiegò Belwar. «Gli ingordoni mangiano soltanto muschio e muffe, e baruchi se riescono a trovarli. Tutto sommato sono creature abbastanza pacifiche.»
Per la terza volta, Drizzt balzò sulla pietra. «C'è nient'altro che dovrei sapere prima di continuare?» chiese esasperato. Belwar scrollò il capo. Drizzt fece strada attraverso le pietre e ben presto i due compagni si trovarono nel bel mezzo del sentiero largo tre metri che attraversava la grotta e finiva su entrambi i lati con l'ingresso a un corridoio. Drizzt indicò le due direzioni, chiedendosi quale avrebbe preferito Belwar. Lo gnomo del profondo si diresse a sinistra, poi si arrestò di punto in bianco e sbirciò davanti a sé. Drizzt comprese l'esitazione di Belwar, perché anche lui sentiva le vibrazioni nella pietra sotto ai suoi piedi. «L'ingordone», disse Belwar. «Rimani tranquillo in osservazione, amico mio. Sono uno spettacolo notevole.» Drizzt fece un largo sorriso e si acquattò, ansioso di vedere la scena. Quando udì un rapido rumore strisciante dietro di sé, tuttavia, Drizzt iniziò a sospettare che qualcosa non andasse. «Dove...» iniziò a chiedere Drizzt quando si volse e vide Belwar in piena fuga verso l'altra uscita. Drizzt smise bruscamente di parlare quando un'esplosione simile al crollo di una frana esplose dall'altra parte, quella verso la quale lui stava osservando. «Uno spettacolo notevole!» udì Belwar che gridava, e non poté negare la verità delle parole dello gnomo del profondo quando apparve l'ingordone. Era enorme, più grande del basilisco ucciso da Drizzt, e sembrava un gigantesco verme grigio pallido, se non fosse stato per l'incredibile quantità di piedini che s'agitavano lungo il suo tronco massiccio. Drizzt vide che Belwar non aveva mentito, perché l'essere non aveva una gran bocca, né speroni o altre armi evidenti. Ma il gigante ora stava giungendo furiosamente diritto verso Drizzt, e quest'ultimo non riuscì a togliersi di testa l'immagine di un elfo scuro appiattito, allungato da un'estremità della caverna all'altra. Fece per prendere le scimitarre, poi si rese conto dell'assurdità di quel piano. Dove avrebbe colpito quell'essere per rallentarlo? Allargando impotente le mani, Drizzt girò sui tacchi e inseguì il Guardiano del Cunicolo in fuga. Il terreno tremava con tale violenza sotto ai piedi di Drizzt, che lui temette di rovesciarsi lateralmente e di venir distrutto dai baruchi. Ma poi Drizzt si trovò l'ingresso del tunnel proprio davanti e riuscì a vedere un passaggio laterale più piccolo, troppo piccolo per l'ingordone, appena fuori dalla grotta dei baruchi.
Sfrecciò in avanti per gli ultimi pochi passi, poi tagliò rapidamente nel piccolo tunnel, raggomitolandosi e rotolando per ridurre la propria velocità. Tuttavia rimbalzò forte contro la parete, poi l'ingordone cercò d'entrare dietro di lui, fracassandosi contro l'ingresso del tunnel e facendo cadere pezzi di pietra tutt'intorno. Quando infine la polvere scomparve, l'ingordone rimase fuori dal corridoio, mugolando un basso gemito ringhioso e, di tanto in tanto, sbattendo la testa contro la pietra. Belwar era all'interno, in piedi a qualche passo da Drizzt, le braccia dello gnomo del profondo erano incrociate sul petto e lui aveva un largo sorriso soddisfatto sul volto. «Abbastanza pacifico?» chiese Drizzt, alzandosi in piedi e scrollandosi di dosso la polvere. «Lo sono davvero», rispose Belwar annuendo. «Ma agli ingordoni piacciono i loro baruchi e non hanno intenzione di dividerli con nessuno!» «Mi hai quasi fatto schiacciare!» gli ringhiò contro Drizzt. Belwar annuì nuovamente. «Stai bene attento, elfo scuro, perché la prossima volta che spingerai la tua pantera a venire a dormire su di me, io farò sicuramente di peggio!» Drizzt lottò duramente per nascondere un sorriso. Il suo cuore pompava ancora in modo furioso per la scarica di adrenalina, ma Drizzt non serbò rancore al suo compagno. Ripensò a scontri che aveva dovuto affrontare appena pochi mesi prima, quando si trovava da solo nelle regioni selvagge. Come sarebbe stata diversa la vita con Belwar Dissengulp al suo fianco! Molto più godibile! Drizzt si volse a guardare l'ingordone furioso e ostinato. E molto più interessante! «Vieni», continuò lo svirfnebli soddisfatto, imboccando il corridoio. «Stiamo soltanto facendo infuriare ulteriormente l'ingordone, indugiando davanti a lui.» Il corridoio si restrinse ed effettuò una svolta brusca appena a qualche metro dall'ingresso. Al di là della svolta, i due amici trovarono guai ancora peggiori, perché il corridoio terminava con un semplice muro di pietra. Belwar andò subito a ispezionarlo, e toccò a Drizzt incrociare le braccia sul petto e assumere un'aria trionfante. «Ci hai portati in un luogo pericoloso, piccolo amico», disse il drow. «Abbiamo un ingordone infuriato alle spalle e siamo intrappolati in un corridoio senz'uscita!»
Premendo l'orecchio contro la pietra Belwar agitò la mano a martello verso Drizzt in un gesto volto a tranquillizzarlo. «Un semplice inconveniente», gli assicurò lo gnomo del profondo. «C'è un altro tunnel dall'altra parte, a non più di due metri.» «Due metri di pietra», gli ricordò Drizzt. Ma Belwar non parve preoccupato. «Un giorno», disse. «Forse due.» Belwar allargò ampiamente le braccia e iniziò una cantilena troppo bassa perché Drizzt potesse udirla con chiarezza, tuttavia il drow si rese conto che Belwar era impegnato a effettuare qualche genere d'incantesimo. «Bivrip!» esclamò Belwar. Non accadde nulla. Il Guardiano del Cunicolo si volse nuovamente verso Drizzt e non parve deluso. «Un giorno», proclamò di nuovo. «Che cos'hai fatto?» «Ho trasmesso un ronzio alle mie mani», rispose lo gnomo del profondo. Vedendo che Drizzt era completamente perplesso, Belwar si volse e colpì la parete con la mano a martello. Un'esplosione di scintille illuminò il piccolo corridoio, accecando Drizzt. Quando gli occhi del drow riuscirono ad adeguarsi alla raffica continua dei colpi di Belwar, lui vide che il suo amico svirfnebli aveva già frantumato vari centimetri di roccia, polverizzandoli finemente ai suoi piedi. «Magga cammara, elfo scuro», esclamò Belwar ammiccando. «Non avrai creduto che il mio popolo si sia preso la briga di realizzare per me delle mani così belle senza mettervi dentro un po' di magia, vero?» Drizzt si spostò lateralmente nel corridoio e si mise a sedere. «Sei pieno di sorprese, piccolo amico», rispose con un sospiro di capitolazione. «Lo sono davvero!» ruggì Belwar, e colpì nuovamente la pietra, facendo volare schegge in ogni direzione. Furono fuori dal corridoio cieco in un giorno, come Belwar aveva promesso, e ripartirono diretti in generale verso nord, secondo la valutazione dello gnomo del profondo. Finora la fortuna li aveva assistiti e lo sapevano entrambi, perché avevano trascorso due settimane nelle regioni selvagge e non avevano incontrato nulla di più ostile di un ingordone che proteggeva i suoi baruchi. Qualche giorno più tardi la loro fortuna cambiò. «Chiama la pantera», disse Belwar a Drizzt mentre si accovacciavano nell'ampio tunnel in cui avevano viaggiato. Drizzt non discusse la saggezza della richiesta del Guardiano del Cunicolo; non gli piaceva il bagliore
verde che si trovavano davanti, proprio come non piaceva a Belwar. Un attimo dopo una nebbiolina nera vorticò e prese forma, Guenhwyvar giunse accanto a loro. «Vado prima io», disse Drizzt. «Voi seguitemi insieme, a venti passi di distanza.» Belwar annuì e Drizzt si volse e iniziò ad allontanarsi. Drizzt quasi si aspettava la mossa di Belwar, quando la sua mano a piccone lo agganciò facendolo voltare. «Stai attento», disse Belwar. Drizzt si limitò a sorridere in risposta, commosso dalla sincerità nella voce del suo amico e pensando nuovamente quanto fosse meglio avere un compagno al suo fianco. Poi Drizzt abbandonò quei pensieri e si allontanò, lasciandosi guidare dai suoi istinti e dalla sua esperienza. Scoprì che il bagliore emanava da un buco apertosi nel fondo del corridoio. Al di là di esso il passaggio proseguiva ma svoltava bruscamente, piegandosi quasi in due e ritornando parallelamente sui propri passi. Drizzt si mise ventre a terra e sbirciò nel buco. Un altro corridoio, circa tre metri sotto di lui, correva perpendicolarmente a quello in cui lui si trovava, aprendosi un po' più in là in quella che sembrava una grande grotta. «Che cos'è?» sussurrò Belwar, giungendogli alle spalle. «Un altro corridoio che porta a una cavità», rispose Drizzt. «Il bagliore giunge da lì.» Sollevò la testa e guardò giù nell'oscurità del corridoio più elevato. «Il nostro tunnel continua», riflette Drizzt. «Possiamo prendere direttamente quello.» Belwar osservò il corridoio che avevano percorso, notando la svolta. «Si ripiega e torna indietro», riflette. «E probabilmente sbocca direttamente in quel corridoio laterale che abbiamo percorso un'ora fa.» Lo gnomo del profondo si lasciò cadere per terra e guardò nella voragine. «Che cosa può produrre un simile bagliore?» gli chiese Drizzt, immaginando facilmente che la curiosità di Belwar fosse acuta quanto la sua. «Un altro genere di muschio?» «Nessuno di cui io sia a conoscenza», rispose Belwar. «Cerchiamo di scoprirlo?» Belwar gli sorrise, poi agganciò la sua mano a piccone sulla sporgenza e scese nel buco oscillando e lasciandosi cadere giù nel tunnel inferiore. Drizzt e Guenhwyvar seguirono in silenzio, il drow con le scimitarre alla mano, assumendo di nuovo la posizione più avanzata mentre si dirigevano verso il bagliore.
Giunsero in una grotta ampia ed elevata, il cui soffitto s'innalzava molto al di sopra della loro vista e dove un lago di liquido che emanava un bagliore verde e un cattivo odore, ribolliva e sibilava sei metri sotto di loro. Dozzine di strette passerelle di pietra collegate tra loro, la cui ampiezza variava dai trenta centimetri ai tre metri, s'intersecavano sulla gola, terminando per la maggior parte in uscite che conducevano a ulteriori corridoi laterali. «Magga cammara», sussurrò lo svirfnebli sbalordito, e Drizzt condivise quel pensiero. «Sembra che il pavimento si sia disintegrato», osservò Drizzt quand'ebbe ritrovato la voce. «Corroso», rispose Belwar, indovinando la natura del liquido. Staccò con un colpo un pezzo di pietra al suo fianco e, toccando Drizzt per ottenere la sua attenzione, lo lasciò cadere nel lago verde. Il liquido sibilò come se fosse infuriato, nel punto in cui la roccia colpì la superficie, e sciolse la pietra ancora prima che affondasse scomparendo dalla vista. «Acido», spiegò Belwar. Drizzt lo guardò con curiosità. Sapeva dell'esistenza dell'acido dai giorni di addestramento trascorsi sotto la sorveglianza dei maghi di Sorcere, all'Accademia. I maghi spesso preparavano tali orribili liquidi per usarli nei loro esperimenti magici, ma Drizzt non immaginava che un acido potesse comparire naturalmente o in tali quantità. «Sarà opera di qualche mago, immagino», disse Belwar. «Un esperimento sfuggito al controllo. Probabilmente è qui da un centinaio d'anni e continua a corrodere il terreno e ad affondare un centimetro dopo l'altro.» «Ma quel che resta del pavimento sembra sufficientemente sicuro», osservò Drizzt indicando le passerelle. «E abbiamo una ventina di tunnel tra cui scegliere.» «Allora iniziamo immediatamente», disse Belwar. «Non mi piace questo posto. Siamo esposti alla luce e non vorrei intraprendere una rapida fuga lungo dei ponti così stretti... non con un lago d'acido sotto di me!» Drizzt ne convenne ed effettuò un passo esitante sulla passerella, ma Guenhwyvar gli passò rapidamente davanti. Drizzt comprese la logica della pantera e fu sentitamente d'accordo. «Guenhwyvar ci guiderà», spiegò a Belwar. «La pantera è la più pesante, ed è sufficientemente agile da balzare via nel caso che una sezione del passaggio inizi a crollare.»
Il guardiano del cunicolo non fu soddisfatto. «E se Guenhwyvar non riuscisse a mettersi in salvo?» chiese, sinceramente preoccupato. «Che cosa farà l'acido a una creatura magica?» Drizzt non era sicuro della risposta. «Guenhwyvar dovrebbe salvarsi», riflette, estraendo la statuina d'onice dalla tasca. «Io possiedo lo strumento d'ingresso al piano in cui risiede la pantera.» Guenhwyvar si trovava ormai a una dozzina di passi di distanza, la passerella sembrava sufficientemente solida e Drizzt si accinse a seguirla. «Magga cammara, prego che tu abbia ragione», udì Belwar che mormorava dietro di lui, mentre effettuava i primi passi, staccandosi dalla sporgenza. La grotta era enorme, e anche l'uscita più vicina era a quasi un centinaio di metri da loro. I tre compagni si stavano avvicinando al punto di mezzo, a dire il vero Guenhwyvar l'aveva già oltrepassato, quando udirono una strana nenia. Si fermarono e si guardarono intorno, cercando d'individuarne la provenienza. Una creatura dall'aria strana uscì da uno dei numerosi passaggi laterali. Era un bipede dalla pelle nera, con la testa di un uccello dotato di becco e il torso di un uomo, privo di penne e di ali. Entrambe le sue braccia dall'aria possente terminavano in artigli uncinati e terribili, e alle estremità delle gambe aveva piedi dotati di tre dita. Un'altra creatura avanzò da dietro di esso, e un'altra alle spalle dei tre amici. «Tuoi parenti?» chiese Belwar a Drizzt, perché le creature sembravano veramente uno strano incrocio tra un elfo scuro e un uccello. «Ne dubito», rispose Drizzt. «In tutta la mia vita non ho mai sentito parlare di tali creature.» «Morte! Morte!» ripeteva la nenia che giungeva fino ai loro orecchi; Drizzt e Belwar si guardarono intorno per vedere altri uomini uccello uscire da altri corridoi. Erano corvacci ancestrali, un'antica razza più comune nelle regioni meridionali del Buio Profondo, benché rara anche lì, e quasi sconosciuta in questa parte del mondo. I corvacci non avevano mai destato grosse preoccupazioni in nessuno dei popoli che abitavano il Buio Profondo, perché le consuetudini degli uomini uccello erano rozze e non erano molto numerosi. Tuttavia per un gruppo d'avventurieri di passaggio, uno stuolo di selvaggi corvi ancestrali significava brutti guai. «Neppure io ho mai incontrato tali creature», affermò Belwar. «Ma non credo che siano lieti di vederci.»
La nenia si trasformò in una serie di grida orripilanti mentre i corvi iniziavano a distribuirsi sulle passerelle, inizialmente camminando, ma di tanto in tanto mettendosi rapidamente a correre, mentre la loro ansia cresceva in modo evidente. «Hai torto, mio piccolo amico», osservò Drizzt. «Io credo che siano decisamente lieti del fatto che venga loro consegnata la cena.» Belwar si guardò intorno impotente. Quasi tutte le vie di fuga erano già bloccate, e loro non potevano sperare di uscirne senza combattere. «Elfo scuro, ci sono un migliaio di altri luoghi in cui preferirei combattere», disse il Guardiano del Cunicolo scrollando le spalle rassegnato e rabbrividendo mentre dava un'altra occhiata verso il basso, osservando il lago d'acido. Effettuato un profondo respiro per calmarsi, Belwar diede inizio al suo incantesimo rituale per entrare in possesso delle mani magiche. «Muoviti mentre reciti la cantilena», gli disse Drizzt, spingendolo avanti. «Avviciniamoci il più possibile a un'uscita, prima che inizi il combattimento.» Un gruppo di corvacci s'avvicinò rapidamente di lato al gruppetto, ma Guenhwyvar con un balzo possente attraversò due delle passerelle e tagliò fuori gli uomini uccello. «Bivrip!» esclamò Belwar, completando il suo incantesimo, e si volse ad affrontare il combattimento imminente. «Guenhwyvar è in grado di occuparsi di quel gruppo», lo rassicurò Drizzt, affrettando i propri passi verso la parete più vicina. Belwar capì il ragionamento del drow; un altro gruppo di nemici era uscito dal tunnel verso il quale si stavano dirigendo. La velocità del balzo di Guenhwyvar portò la pantera direttamente tra i corvi, facendone rotolare due direttamente giù dalla passerella. Gli uomini uccello urlarono orribilmente mentre cadevano verso la morte, ma i compagni restanti non parvero minimamente preoccupati dalla perdita. Sbavando e cantilenando: «Morte! Morte!», si lanciarono su Guenhwyvar con i loro artigli affilati. La pantera aveva a sua volta armi formidabili. Ogni enorme zampata strappava la vita a un corvaccio, o lo faceva capitombolare dalla passerella nel lago acido. Ma, mentre il felino continuava a ridurre le fila degli uomini uccello, gli indomiti corvacci continuavano a rispondere al combattimento, e altri correvano fuori, ansiosi di unirsi ai compagni. Dalla direzione opposta giunse un secondo gruppo e circondò Guenhwyvar.
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Belwar si pose su una sezione stretta della passerella e lasciò che la sfilza di corvi avanzasse verso di lui. Drizzt, prendendo un percorso parallelo lungo una passerella di quattro metri e mezzo a lato del suo amico, fece altrettanto, estraendo le scimitarre con una certa riluttanza. Il drow sentiva gli istinti selvaggi del cacciatore raccogliersi dentro di sé mentre la battaglia si avvicinava, e cercò di lottare con tutta la sua forza d'animo per sublimare gli impulsi selvaggi. Era Drizzt Do'Urden, non più il cacciatore, e avrebbe affrontato i nemici nel pieno controllo di ogni suo movimento. Poi i corvi furono su di lui, menando colpi sferzanti, strillando i loro canti frenetici. In quei primi secondi Drizzt si limitò a parare, mentre le parti piatte delle sue lame agivano splendidamente per sviare ogni tentativo di colpirlo. Le scimitarre roteavano e vorticavano ma il drow, rifiutando di liberare l'assassino che era dentro di lui, effettuava ben pochi progressi nel combattimento. Dopo vari minuti stava ancora affrontando il primo corvo che l'aveva attaccato. Belwar non era altrettanto frenato. Un corvo dopo l'altro si gettava verso il piccolo svirfnebli, soltanto per venir colpito e costretto a un arresto improvviso dall'esplosiva mano a martello del Guardiano del Cunicolo. La scossa elettrica e la pura forza del colpo spesso uccidevano il corvo sul posto, ma Belwar non attendeva mai il tempo sufficiente a scoprirlo. Seguendo ogni colpo di martello, la mano a piccone dello gnomo scendeva in un colpo a gancio, descrivendo un arco, spazzando via l'ultima vittima dalla passerella. Lo svirfnebli aveva fatto cadere una mezza dozzina di uomini uccello prima di avere l'opportunità di dare un'occhiata a Drizzt. Comprese immediatamente la lotta interiore che il drow stava vivendo. «Magga cammara!» urlò Belwar. «Combatti, elfo scuro, e combatti per vincere! Loro non mostreranno alcuna pietà! Non ci può essere alcuna tregua! Uccidili, abbattili, oppure loro ti uccideranno sicuramente!» Drizzt udì a malapena le parole di Belwar. I suoi occhi color lavanda erano lucidi di lacrime, anche se nonostante l'offuscamento, il ritmo quasi magico delle sue lame scattanti non rallentava. Fece perdere l'equilibrio al suo avversario e rovesciò la direzione di un affondo, colpendo alla testa l'uomo uccello con il pomo della scimitarra. Il corvo cadde come un sasso e rotolò. Sarebbe piombato giù dalla sporgenza, ma Drizzt lo raggiunse, bloccandolo.
Belwar scrollò il capo e colpì un altro avversario. Il corvo saltò all'indietro, il petto fumante e bruciacchiato dall'impatto vibrante della magica mano a martello. Il corvaccio guardò Belwar con un'espressione di vuota incredulità, ma non emise un suono, né effettuò alcun movimento, mentre il piccone lo agganciava sulla spalla e lo lanciava fuori, sul lago d'acido. *
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Guenhwyvar sconvolgeva i furiosi aggressori. Mentre i corvi si avvicinavano alla pantera da dietro, pensando d'essere sul punto di ucciderla, Guenhwyvar si accovacciò e balzò. La pantera si librò al di sopra della luce verde come se avesse preso il volo, atterrando su un'altra passerella ancora, a ben nove metri di distanza. Scivolando sulla pietra liscia, Guenhwyvar riuscì a fermarsi per un pelo prima di cadere dal ponte, dentro alla pozza di acido. I corvi si guardarono intorno sbalorditi e sorpresi per un attimo appena, poi ripresero a gridare e a gemere, e si lanciarono all'inseguimento lungo le passerelle. Un unico corvaccio, vicino al punto in cui era atterrata Guenhwyvar, corse indomito contro il felino. I denti di Guenhwyvar trovarono il suo collo in un istante e strinsero privandolo della vita. Ma mentre la pantera era così impegnata, la trappola diabolica dei corvi mostrò un'altra faccia. Da molto in alto, all'interno della grotta dall'alta volta, un corvo vide finalmente una vittima in posizione. L'uomo uccello abbracciò un pesante masso tondeggiante che si trovava accanto a lui sulla sporgenza, e si spinse all'esterno, cadendo insieme alla pietra. All'ultimo secondo Guenhwyvar vide il mostro che precipitava e si affrettò ad allontanarsi dalla sua traiettoria. Nella sua estasi suicida il corvaccio non se ne preoccupò neppure. L'uomo uccello si fracassò contro la passerella e la violenza con cui era precipitato il pesante masso, fece a pezzi lo stretto ponte. La grande pantera cercò di balzare nuovamente via, ma la pietra su cui era posata Guenhwyvar si disintegrò prima che il felino riuscisse a posizionarsi e a effettuare il balzo. Con gli artigli che graffiavano inutilmente il ponte che andava in pezzi, Guenhwyvar seguì il corvo e il suo macigno dentro al lago d'acido. Udendo le grida di giubilo degli uomini uccello dietro di sé, Belwar si volse appena in tempo per assistere alla caduta di Guenhwyvar. Drizzt non
vide, in quel momento era troppo impegnato, dato che un altro corvaccio stava sferzandolo, e quello che aveva abbattuto ai suoi piedi stava iniziando a muoversi e a riprendere i sensi. Ma per il drow non fu necessario assistere alla scena. La statuina nella tasca di Drizzt si scaldò improvvisamente, mentre volute di fumo s'innalzavano minacciose dal mantello piwafwi di Drizzt. Drizzt poteva soltanto immaginare con sufficiente facilità che cosa fosse accaduto alla sua adorata Guenhwyvar. Il drow socchiuse gli occhi, provò un bruciore improvviso e gli scesero le lacrime. Accolse favorevolmente il cacciatore. I corvi combattevano furiosamente. Il sommo onore della loro esistenza era morire in battaglia. E quelli più vicini a Drizzt Do'Urden si resero ben presto conto del fatto che era per loro imminente il momento del sommo onore. Il drow effettuò un affondo con entrambe le scimitarre, ognuna delle due trovò un occhio del corvaccio che aveva dinnanzi. Il cacciatore estrasse le lame, le fece vorticare e le affondò nell'uomo uccello che si trovava ai suoi piedi. Estrasse di scatto le scimitarre e le fece penetrare di nuovo, derivando una bieca soddisfazione dal suono prodotto dal loro agevole taglio. Poi il drow si tuffò a capofitto tra i corvacci che gli stavano davanti, le sue lame colpivano da ogni angolazione possibile. Ferito una dozzina di volte prima di poter effettuare anche un solo gesto, il primo corvo era decisamente morto prima ancora di cadere. Poi il secondo, poi il terzo. Drizzt li fece retrocedere fino a una sezione più ampia della passerella. Gli esseri si lanciarono su di lui tre alla volta. Morirono ai suoi piedi tre alla volta. «Ammazzali, elfo scuro», mormorò Belwar, vedendo che il suo amico era esploso in azione. Il corvo che stava affrontando il Guardiano del Cunicolo volse il capo per vedere che cosa avesse colto l'attenzione di Belwar. Quando si volse nuovamente fu colto in pieno volto dalla mano a martello dello gnomo del profondo. Pezzi di becco volarono in ogni direzione, e quello sfortunato corvo fu il primo della sua specie a effettuare un volo in vari millenni d'evoluzione. La sua breve escursione aerea spinse i suoi compagni lontano dallo gnomo del profondo, e il corvo atterrò, direttamente sulla schiena, a qualche metro da Belwar. Lo svirfnebli infuriato non aveva finito con questo. Corse verso di lui, facendo rotolare giù dalla passerella l'unico corvo che era riuscito a tornare indietro per intercettarlo. Quando infine raggiunse la sua vittima priva di becco, Belwar le affondò la mano a piccone profondamente nel petto. Con
quell'unico braccio muscoloso, il Guardiano del Cunicolo issò per aria il corvo morto, ed emise a sua volta un urlo terrificante. Gli altri corvi esitarono. Belwar guardò verso Drizzt e rimase sgomento. Una ventina di corvi si affollavano sull'ampia sezione della passerella in cui era posizionato il drow. Un'altra decina di uomini uccello giacevano morti ai piedi di Drizzt, il loro sangue scorreva giù dalla sporgenza e gocciolava nel lago acido con ritmici tonfi sibilanti. Ma non era la disparità numerica che Belwar temeva; con i suoi movimenti precisi e i suoi colpi misurati, Drizzt stava innegabilmente vincendo. In alto al di sopra del drow, tuttavia, un altro corvo suicida si tuffò con la sua amata roccia. Belwar credette che la vita di Drizzt fosse giunta disastrosamente al termine. Ma il cacciatore intuì il pericolo. Un corvo cercò di afferrare Drizzt. Con un lampo delle scimitarre del drow, entrambe le braccia dello strano essere vennero staccate dalle rispettive spalle. Nello stesso movimento abbagliante, Drizzt infilò di scatto nei foderi le scimitarre insanguinate e si lanciò verso l'estremità della piattaforma. Raggiunse il bordo e balzò fuori verso Belwar proprio mentre il corvo suicida a cavallo del masso si schiantava giù, portando con sé la passerella e ventine dei suoi simili dentro alla pozza d'acido. Belwar gettò il suo trofeo privo di becco contro i corvacci che lo affrontavano e si lasciò cadere in ginocchio, allungando la mano a piccone per cercare di aiutare il suo amico sospeso. Drizzt afferrò contemporaneamente la mano del Guardiano del Cunicolo e il bordo della sporgenza, sbattendo il volto contro la pietra ma trovando un appiglio. L'urto strappò il piwafwi del drow, tuttavia, e Belwar osservò impotente la statuina d'onice che rotolava fuori e piombava verso l'acido. Drizzt l'afferrò con i piedi. Belwar si mise quasi a ridere forte per quant'era futile e disperata l'intera situazione. Si volse e vide i corvacci che riprendevano la loro avanzata. «Elfo scuro, è stato indubbiamente divertente», disse lo svirfnebli a Drizzt, con aria rassegnata, ma la reazione del drow cancellò ogni facezia dal volto di Belwar, che impallidì. «Fammi oscillare!» ringhiò Drizzt, con tale intensità che Belwar obbedì prima di rendersi conto di quel che stava facendo. Drizzt si portò all'esterno, poi ritornò oscillando verso la passerella, e quando balzò sulla pietra ogni muscolo del suo corpo scattò violentemente per acquistare una spinta maggiore.
Passò direttamente intorno alla parte sottostante della passerella, arrancando e graffiando con le braccia e le gambe per riacquistare un appoggio sul ponte, dietro allo gnomo del profondo. Quando Belwar si rese conto di quello che Drizzt aveva fatto e pensò a girarsi, Drizzt aveva già estratto le scimitarre e stava sferrando un colpo sul volto del primo dei corvacci in avvicinamento. «Tieni questa», disse Drizzt all'amico, lanciandogli velocemente con il piede la statuina d'onice. Belwar afferrò l'oggetto tra le braccia e se lo infilò in tasca. Poi lo gnomo del profondo si ritrasse e si mise a osservare, ponendosi nella retroguardia, mentre Drizzt si apriva a furia di colpi un varco distruttivo verso l'uscita più vicina. Cinque minuti più tardi, con assoluto sbalordimento di Belwar, stavano correndo liberi lungo un tunnel oscuro, mentre le grida frustrate di «Morte! Morte!» svanivano rapidamente dietro di loro. 13 Un posticino da chiamare casa «Basta, Basta!» ansò rivolto a Drizzt il Guardiano del Cunicolo esausto, cercando di rallentare il compagno. «Magga cammara, elfo scuro. Li abbiamo lasciati molto indietro». Drizzt si volse di scatto verso il Guardiano del Cunicolo, le scimitarre pronte alla mano e fuochi furiosi che bruciavano ancora nei suoi occhi color lavanda. Belwar arretrò, rapido e circospetto. «Calma, amico mio», disse tranquillamente lo svirfnebli, ma nonostante stesse cercando di rassicurarlo, il Guardiano del Cunicolo tese le proprie mani di mithral davanti a sé in un gesto difensivo. «Non siamo più in pericolo». Drizzt sospirò profondamente per stabilizzarsi, poi, rendendosi conto di non aver riposto le scimitarre, le fece scivolare prontamente nei foderi. «Stai bene?» chiese Belwar, tornando al fianco di Drizzt. Il volto del drow era sudicio di sangue nel punto in cui aveva sbattuto contro la parte laterale della passerella. Drizzt annuì. «È stata la lotta», cercò di spiegare invano. «L'eccitazione. Ho dovuto lasciare andare...» «Non occorre che ti giustifichi», tagliò corto Belwar. «Hai fatto bene, elfo scuro. Più che bene. Se non fosse stato per le tue azioni noi, tutti e tre, saremmo sicuramente precipitati.»
«È tornata», gemette Drizzt, cercando le parole adatte a spiegare. «La mia parte oscura. Avevo creduto che fosse scomparsa.» «Lo è», disse il Guardiano del Cunicolo. «No», arguì Drizzt. «Quella bestia crudele che sono diventato mi ha posseduto completamente contro quegli uomini uccello. Ha guidato le mie lame, selvaggiamente e senza pietà.» «Tu hai guidato le tue lame», gli assicurò Belwar. «Ma la rabbia», replicò Drizzt. «La rabbia irrazionale. Non volevo fare altro che ucciderli e buttarli giù.» «Se questo fosse vero saremmo ancora lì», arguì lo svirfnebli. «Grazie alle tue azioni siamo fuggiti. Ci sono molti altri uomini uccello da uccidere, laggiù, eppure tu ci hai condotti fuori dalla grotta. Rabbia? Forse, ma sicuramente non si è trattato di una rabbia irrazionale. Hai fatto quel che dovevi fare, e hai fatto bene, elfo scuro. Meglio di chiunque altro in assoluto. Non scusarti, con me o con te stesso!» Drizzt si appoggiò contro la parete per riflettere su quelle parole. Fu confortato dal ragionamento dello gnomo del profondo e apprezzò gli sforzi di Belwar. Tuttavia, i brucianti fuochi di rabbia che aveva sentito divampare dentro di sé quando Guenhwyvar era caduta nel lago acido lo ossessionavano ancora, un'emozione che lo sopraffaceva a tal punto che Drizzt non era ancora giunto a patti con essa. Si chiese se l'avrebbe mai fatto. Nonostante l'agitazione, tuttavia, Drizzt si sentì confortato dalla presenza dell'amico svirfnebli. Ricordò altri incontri degli ultimi anni, battaglie che era stato costretto a combattere da solo. Allora, come ora, il cacciatore si era risvegliato dentro di lui, era affiorato in superficie e aveva guidato i colpi mortali delle sue lame. Ma questa volta c'era una differenza che Drizzt non poteva negare. Prima, quando era solo, il cacciatore non se ne andava con tanta facilità. Ora, con Belwar al suo fianco, Drizzt aveva riacquistato pienamente il controllo. Drizzt scrollò la folta capigliatura bianca, cercando di allontanare ciò che restava del cacciatore. Ora si considerava uno sciocco per il modo in cui aveva iniziato la battaglia contro gli uomini uccello, quando li aveva colpiti con la parte piatta delle lame. A quest'ora lui e Belwar si sarebbero potuti trovare ancora nella caverna, se il lato istintivo di Drizzt non fosse emerso, se lui non fosse venuto a conoscenza della caduta di Guenhwyvar. Guardò improvvisamente Belwar, ricordando ciò che aveva scatenato la sua rabbia. «La statuina!» gridò. «L'hai tu.»
Belwar estrasse l'oggetto dalla tasca. «Magga cammara!» esclamò Belwar, la sua voce dal tono arrotondato era sull'orlo del panico. «La pantera potrebbe essere ferita? Quale effetto può avere l'acido su Guenhwyvar? Può essere che la pantera sia tornata nel Piano Astrale?» Drizzt prese la statuina e la esaminò con mani tremanti, traendo conforto dal fatto che non era rovinata in alcun modo. Drizzt credeva di dover aspettare prima di chiamare Guenhwyvar; se la pantera era ferita, sicuramente sarebbe guarita meglio a riposo nel proprio piano d'esistenza. Ma il drow non poteva aspettare, voleva essere subito a conoscenza del destino di Guenhwyvar. Mise per terra la statuina, ai suoi piedi, e chiamò piano. Sia il drow che lo svirfnebli ebbero un comprensibile sospiro di sollievo quando la nebbiolina iniziò a vorticare intorno alla statua d'onice. Belwar tirò fuori la sua spilla incantata per osservare meglio il felino. Li attendeva uno spettacolo terribile. Con la consueta ubbidienza e fedeltà, Guenhwyvar giunse alla convocazione di Drizzt, ma non appena il drow vide la pantera, capì che avrebbe dovuto lasciarla in pace, in modo che potesse leccarsi le ferite. Il serico mantello nero di Guenhwyvar era bruciato ed erano più numerose le chiazze di pelle ustionata che quelle di pelliccia. Muscoli un tempo affusolati pendevano a brandelli, bruciati e staccati dall'osso, e un occhio restava chiuso e sfregiato da un'orribile cicatrice. Guenhwyvar inciampò, cercando di portarsi al fianco di Drizzt. Ma il drow Drizzt corse da lei, lasciandosi cadere in ginocchio e buttandole dolcemente le braccia intorno al grosso collo. «Guen», mormorò. «Guarirà?» chiese piano Belwar, con la voce spezzata. Drizzt scrollò il capo incerto. In verità sapeva molto poco sulla pantera, al di là delle sue capacità come compagna. In altre occasioni Drizzt aveva visto Guenhwyvar ferita, ma mai gravemente. Ora poteva soltanto sperare che le magiche proprietà extraplanari consentissero a Guenhwyvar di riprendersi completamente. «Torna a casa», disse Drizzt. «Riposa e guarisci, amica mia. Ti chiamerò tra qualche giorno.» «Forse possiamo darle qualche aiuto ora», propose Belwar. Drizzt conosceva la futilità di quel suggerimento. «Guenhwyvar guarirà meglio a riposo», spiegò mentre il felino si dissipava nuovamente nella nebbiolina. «Non possiamo fare nulla per lei, l'effetto delle nostre cure non persisterebbe nell'altro piano. Il fatto di trovarsi qui nel nostro mondo met-
te duramente alla prova l'energia della pantera. Ogni minuto le costa molto.» Guenhwyvar scomparve e restò soltanto la statuina. Drizzt la raccolse e la studiò per lunghissimo tempo prima di risolversi a lasciarsela cadere nuovamente in tasca. *
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Una spada lanciò in aria le coperte, poi sferzò e tagliò, insieme all'altra lama gemella, finché la coperta non fu altro che uno straccio a brandelli. Zaknafein abbassò lo sguardo sulle monete d'argento sul pavimento. Si trattava di un inganno evidente, ma l'accampamento e la prospettiva che Drizzt vi facesse ritorno, avevano tenuto a bada Zaknafein per vari giorni! Drizzt Do'Urden se n'era andato, e si era molto indaffarato ad annunciare la sua partenza da Blingdenstone. Lo spirito-spettro si fermò a riflettere su questo nuovo elemento d'informazione, e la necessità di pensare, di scavare all'interno dell'essere razionale che Zaknafein era stato, a un livello più che istintivo, scatenò un inevitabile conflitto tra quest'essere non-morto ma animato, e lo spirito dell'essere che teneva prigioniero. *
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Nella sua anticamera, Matrona Malice Do'Urden percepì la lotta all'interno della sua creazione. In Zin-carla, il controllo dello spirito-spettro restava responsabilità della Matrona Madre che la Regina Ragno onorava con il dono. Malice doveva lavorare sodo al compito assegnatole, doveva pronunciare una successione di canti e d'incantesimi per insinuarsi nei processi mentali dello spirito-spettro, nelle emozioni e nell'anima di Zaknafein Do'Urden. *
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Lo spirito-spettro barcollò sentendo le intrusioni della potente volontà di Malice. La lotta tra i due si rivelò impari; in appena un secondo, lo spiritospettro stava studiando la piccola cavità che Drizzt e un altro essere, probabilmente uno gnomo del profondo, avevano camuffato da accampamento. Ora erano spariti, a settimane di distanza, e si erano allontanati da Blin-
gdenstone a tutta velocità. Lo spirito-spettro riflette che probabilmente stavano allontanandosi anche da Menzoberranzan. Zaknafein uscì dalla spelonca ed entrò nel tunnel principale. Annusò da una parte, di nuovo a est verso Menzoberranzan, poi si volse e si accovacciò a terra, annusando nuovamente. Gli incantesimi d'individuazione di cui Malice aveva impregnato Zaknafein non potevano coprire simili distanze, ma le lievi sensazioni che lo spirito-spettro ricevette da quest'ispezione non fecero che confermare i suoi sospetti. Drizzt era andato a ovest. Zaknafein camminò lungo il tunnel, senza mostrare la minima zoppia derivante dalla ferita che aveva ricevuto dalla lancia di un Folletti, una ferita che avrebbe menomato un essere mortale. Lui era a più di una settimana di distanza da Drizzt, forse due, ma lo spirito-spettro non si preoccupava. La sua preda doveva dormire, doveva riposare e mangiare. La sua preda era di carne, era mortale... e debole. *
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«Di che essere si tratta?» sussurrò Drizzt a Belwar mentre osservavano lo strano bipede che riempiva dei secchi nel ruscello che scorreva veloce. Tutta l'area dei tunnel era illuminata magicamente, ma Drizzt e Belwar si sentivano abbastanza al sicuro nell'ombra proiettata da un affioramento roccioso a qualche dozzina di metri dalla figura ammantata e piegata. «Un uomo», rispose Belwar. «Umano, proveniente dalla superficie.» «È molto lontano da casa sua», osservò Drizzt. «Eppure sembra a proprio agio nell'ambiente che lo circonda. Non avrei creduto che un abitante della superficie potesse sopravvivere nel Buio Profondo. Va contro gli insegnamenti che ho ricevuto all'Accademia.» «Probabilmente è un mago», riflette Belwar. «Questo spiegherebbe la luce presente nella regione. E spiegherebbe la sua presenza qui.» Drizzt guardò lo svirfnebli con curiosità. «I maghi sono gente strana», spiegò Belwar, come se la verità fosse evidente. «I maghi umani lo sono ancor più di tutti gli altri, così ho sentito dire. I maghi drow praticano per il potere. I maghi svirfnebli praticano le arti per migliorare la pietra. Ma i maghi umani», proseguì lo gnomo del profondo, in tono d'evidente disprezzo. «Magga cammara, elfo scuro, i maghi umani sono gente completamente diversa!» «Perché mai i maghi umani praticano l'arte della magia?» chiese Drizzt.
Belwar scrollò il capo. «Credo che nessuno studioso abbia ancora scoperto la ragione», rispose in tutta sincerità. «Gli umani sono una razza strana e pericolosamente imprevedibile, è meglio lasciarli perdere.» «Ne hai conosciuto qualcuno?» «Qualcuno», rabbrividì Belwar, come se il ricordo non fosse gradevole. «Commercianti provenienti dalla superficie. Esseri orribili e arroganti. Pensano che il mondo intero sia soltanto per loro.» La voce risonante di Belwar squillò più forte di quanto Belwar stesso avrebbe voluto e la figura ammantata accanto al ruscello volse di scatto la testa in direzione dei due amici. «Venite fuori, piccoli roditori», esclamò l'umano in un linguaggio che i due compagni non potevano comprendere. Il mago ripeté la richiesta in un'altra lingua, poi in drow, quindi in altre due lingue sconosciute e in svirfnebli. Continuò per vari minuti, mentre Drizzt e Belwar si guardavano sconcertati. «È un uomo dotto», sussurrò Drizzt allo gnomo del profondo. «Ratti, probabilmente», mormorò tra sé l'umano. Si guardò intorno, cercando un sistema per attirare gli esseri invisibili che avevano prodotto il rumore, pensando che le creature potessero fornirgli un buon pasto. «Vediamo se è un amico o un nemico», sussurrò Drizzt, e fece per uscire dal nascondiglio. Belwar lo fermò e lo guardò dubbioso ma poi, senz'altra risorsa che i propri istinti, scrollò le spalle e lasciò che Drizzt si facesse vedere. «Salute, umano così lontano da casa», disse Drizzt nella sua lingua nativa, uscendo da dietro l'affioramento. Gli occhi dell'umano si spalancarono in modo isterico e lui si tirò rudemente l'incolta barba bianca. «Tu non sei un ratto!» strillò in un drow forzato ma comprensibile. «No», disse Drizzt. Si volse a guardare Belwar, che stava uscendo per raggiungerlo. «Ladri!» gridò l'umano. «Voi siete ladri venuti a rubare a casa mia, vero?» «No», ripeté Drizzt. «Andate via!» urlò l'umano, agitando le mani come avrebbe fatto un contadino per cacciare le galline. «Andate. Andate via presto, ora!» Drizzt e Belwar si scambiarono sguardi curiosi. «No», disse Drizzt per la terza volta.
«Questa è casa mia, stupido elfo scuro!» sbottò l'umano. «Vi ho forse chiesto di venire qui? Ho mandato una lettera invitandovi a raggiungermi a casa mia? O forse tu e il tuo brutto piccolo amico considerate semplicemente vostro dovere darmi il benvenuto nel vicinato!» «Attento, drow», sussurrò Belwar mentre l'umano continuava a divagare. «È sicuramente un mago, e uno instabile, perfino per gli standard umani.» «Forse sia i drow che gli gnomi del profondo hanno paura di me?» riflette l'umano, più tra sé che rivolto agli intrusi. «Sì, naturalmente. Hanno sentito che io, Brister Fendlestick, ho deciso di percorrere i corridoi del Buio Profondo e hanno unito le loro forze per proteggersi contro di me! Sì, sì, ora mi sembra tutto così chiaro e così pietoso!» «Ho già combattuto prima contro maghi», rispose Drizzt a Belwar, sottovoce. «Speriamo di poter sistemare questo senza combattere. Qualunque cosa accada, tuttavia, sappi che io non ho alcun desiderio di ritornare da dove siamo venuti.» Belwar annuì in modo deciso, manifestando il proprio consenso mentre Drizzt si volgeva di nuovo verso l'umano. «Forse possiamo semplicemente convincerlo a lasciarci passare», sussurrò Drizzt. L'umano tremò sull'orlo di un'esplosione. «Bene!» urlò improvvisamente. «Allora non andate via!» Drizzt comprese il proprio errore, era impossibile pensare di poter ragionare con costui. Il drow si fece avanti con l'intenzione d'accerchiarlo prima che il mago potesse lanciare qualche attacco. Ma l'umano aveva imparato a sopravvivere nel Buio Profondo ed era dotato d'ottimi sistemi di difesa molto prima che Drizzt e Belwar si facessero vivi, sbucando da dietro l'affioramento roccioso. Il mago agitò le mani e pronunciò un'unica parola che i due amici non riuscirono a capire. Un anello che portava al dito brillò luminosamente e liberò una piccola sfera di fuoco che si frappose per aria tra sé e gli intrusi. «Benvenuti in casa mia, allora!» urlò il mago con aria trionfante. «Giocate con questa!» Schioccò le dita e svanì. Drizzt e Belwar sentirono l'energia esplosiva raccogliersi intorno alla sfera brillante. «Corri!» gridò il Guardiano del Cunicolo, e si volse per fuggire. A Blingdenstone la maggior parte della magia era illusionistica, volta a difendersi. Ma a Menzoberranzan, dove Drizzt ne aveva imparata un po', gli incantesimi erano innegabilmente offensivi. Drizzt conosceva il sistema d'attacco del mago e sapeva che in questi corridoi stretti e bassi la fuga non sarebbe stata possibile.
«No!» gridò, e afferrò la parte posteriore del farsetto di cuoio di Belwar, trascinando con sé lo gnomo del profondo direttamente verso la sfera luminosa. Belwar sapeva di doversi fidare di Drizzt, si volse e corse di buon grado accanto al suo amico. Il Guardiano del Cunicolo comprese il piano del drow non appena i suoi occhi riuscirono a staccarsi dallo spettacolo rappresentato dalla sfera. Drizzt si stava dirigendo verso il ruscello. Gli amici si tuffarono a capofitto nell'acqua, rimbalzando e scorticandosi sulle pietre, proprio mentre la palla di fuoco esplodeva. Un attimo dopo si alzarono dall'acqua fumante, le parti posteriori dei loro abiti, quelle che non erano state immerse nell'acqua, fumavano. I due tossirono e ansimarono, perché le fiamme avevano momentaneamente rubato l'aria dalla grotta, e il calore residuo delle pietre incandescenti rischiò quasi di sopraffarli. «Umani», mormorò arcignamente Belwar. Uscì dall'acqua e si scrollò vigorosamente. Drizzt uscì accanto a lui e non poté nascondere una risata. Lo gnomo del profondo, tuttavia, non riuscì proprio a vedere il lato comico della situazione. «Il mago», ricordò esplicitamente a Drizzt. Drizzt si acquattò, guardandosi nervosamente intorno. Se ne andarono immediatamente. *
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«Casa!» proclamò Belwar un paio di giorni più tardi. I due amici guardarono giù da una stretta sporgenza verso un'ampia ed elevata caverna che ospitava un lago sotterraneo. Dietro di loro c'era una grotta costituita da tre cavità, con solo un unico piccolo ingresso, facilménte difendibile. Drizzt percorse i tre metri che lo distanziavano dall'amico e giunse sulla sporgenza superiore. «È possibile», disse esitante, «benché il mago si trovi soltanto a qualche giorno di cammino da qui.» «Dimentica l'umano», ringhiò Belwar, dando un'occhiata alla bruciatura sul suo prezioso farsetto. «E non sono così entusiasta d'avere una pozza così grande soltanto a pochi passi dalla nostra porta», continuò Drizzt. «È piena di pesce!» ribatté il Guardiano del Cunicolo. «E con muschi e piante che manterranno sazi i nostri ventri, e acqua che sembra sufficientemente pulita!» «Ma una simile oasi attirerà visitatori», riflette Drizzt. «Temo che troveremo ben poca tranquillità.»
Belwar guardò giù dalla parete ripida fino al fondo della grande grotta. «Non sarà mai un problema», disse reprimendo una risatina. «Quelli più grandi non possono venire quassù, e quelli più piccoli... be', ho visto il filo delle tue lame, e tu hai visto la forza delle mie mani. Non mi preoccuperei dei più piccoli!» A Drizzt piacque la sicurezza dello svirfnebli, e dovette convenire che non avevano trovato un altro luogo più adatto da usare come dimora. L'acqua, difficile da trovare e nella maggior parte dei casi imbevibile, era un bene prezioso nell'asciutto Buio Profondo. Con il lago e la vegetazione che lo circondava, Drizzt e Belwar non si sarebbero mai dovuti avventurare lontano per trovare da mangiare. Drizzt stava per accettare, ma poi un movimento in basso, vicino all'acqua, colse la sua attenzione e quella di Belwar. «E granchi!» disse di getto lo svirfnebli, che ovviamente ebbe una reazione ben diversa da quella del drow, alla vista di quell'animale. «Magga cammara, elfo scuro! Il miglior cibo che tu possa trovare!» Era veramente un granchio quello uscito dal lago, un gigantesco mostro a dodici zampe con tenaglie in grado di spezzare completamente in due un umano, un elfo o uno gnomo. Drizzt guardò Belwar con incredulità. «Cibo?» chiese. Il sorriso di Belwar si allargò fino a fargli arricciare il naso, mentre sbatteva tra loro le mani a martello e a piccone. Quella sera mangiarono granchio, e anche il giorno dopo, e il giorno dopo ancora e quello dopo ancora, e Drizzt fu ben presto decisamente disposto a convenire che la grotta a tre cavità accanto al lago sotterraneo costituiva un'ottima casa. *
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Lo spirito-spettro si fermò a osservare la distesa che brillava di rosso. Quand'era in vita Zaknafein Do'Urden avrebbe evitato una simile chiazza, rispettando i pericoli insiti nelle cavità che brillavano stranamente, e i muschi luminosi. Ma per lo spirito-spettro la strada era libera; Drizzt era passato di qua. Lo spirito-spettro penetrò nella rossa distesa facendosi strada faticosamente, ignorando gli sbuffi nocivi di spore mortali che s'innalzavano verso di lui a ogni passo, spore soffocanti che avrebbero ostruito i polmoni di qualsiasi sventurata creatura.
Ma Zaknafein non respirava. Poi giunse il fragore prodotto dall'ingordone che correva a proteggere il suo regno. Zaknafein s'acquattò in posizione difensiva, l'essere che un tempo era stato intuì istintivamente il pericolo. L'ingordone entrò nella macchia di muschio luminoso ma non notò alcun intruso da cacciar via. Avanzò comunque, pensando che mangiare un po' di baruchi non fosse una cattiva idea. Quando l'ingordone raggiunse il centro della spelonca, lo spirito-spettro lasciò dissipare il suo incantesimo di levitazione. Zaknafein atterrò sul dorso del mostro stringendo con forza le proprie gambe. L'ingordone si agitò e rumoreggiò vagando per tutta la grotta, ma l'equilibrio di Zaknafein non vacillò. La pelle dell'ingordone era spessa e dura, in grado di respingere qualsiasi arma, tranne le migliori, che Zaknafein possedeva. *
*
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«Che cos'è stato?» chiese un giorno Belwar, smettendo il suo lavoro alla nuova porta per bloccare l'apertura della grotta. A quanto pareva, giù alla pozza Drizzt aveva udito a sua volta dei rumori, perché aveva lasciato cadere il casco che stava usando per attingere acqua e aveva sfoderato entrambe le scimitarre. Il drow alzò una mano per zittire il Guardiano del Cunicolo, poi tornò fin sulla sporgenza per parlare a voce bassa con lo svirfnebli. Il suono, un rumore forte e secco, si udì di nuovo. «Lo conosci, elfo scuro?» chiese piano Belwar. Drizzt annuì. «Orrori uncinati», rispose, «possiedono l'udito più fine di tutto il Buio Profondo.» Drizzt tenne per sé i suoi ricordi dell'unico incontro con questo tipo di mostro. Era accaduto durante un esercizio di pattuglia, con Drizzt che guidava la sua classe dell'Accademia attraverso i tunnel che si trovavano all'esterno di Menzoberranzan. La pattuglia si era imbattuta in un gruppo di queste gigantesche creature, bipedi con esoscheletri duri come armature di piastre di metallo e con potenti becchi e artigli. La pattuglia drow, per lo più tramite le imprese di Drizzt, quel giorno li aveva annientati, ma quello che Drizzt ricordava con maggiore acutezza, era la sua convinzione che lo scontro fosse stato un esercizio ideato dai maestri dell'Accademia, i quali avevano sacrificato agli orrori uncinati un innocente bambino drow, allo scopo di ottenere un maggiore realismo.
«Scoviamoli», disse Drizzt, piano ma in modo austero. Belwar si fermò a riprendere fiato quando vide la pericolosa espressione agitata negli occhi color lavanda del drow. «Gli orrori uncinati sono rivali pericolosi», spiegò Drizzt, notando l'esitazione dello gnomo del profondo. «Non possiamo consentire loro di vagare nella regione.» Seguendo i rumori forti e secchi, Drizzt ebbe pochi problemi ad accerchiarli. Si fece strada silenziosamente fino a effettuare un'ultima svolta, con Belwar stretto al suo fianco. In una sezione più ampia del corridoio si ergeva un unico orrore uncinato, che sbatteva ritmicamente i suoi pesanti artigli contro la pietra, come un minatore svirfnebli che usasse il suo piccone. Drizzt tenne indietro Belwar, facendogli capire che sarebbe stato in grado di liquidare rapidamente il mostro se fosse riuscito a capitargli addosso furtivamente senza essere notato. Belwar si dichiarò d'accordo ma rimase pronto a raggiungerlo alla prima opportunità o necessità. L'orrore uncinato, evidentemente impegnato nel suo gioco con la parete di pietra, non udì né vide il drow furtivo che si stava avvicinando. Drizzt giunse proprio accanto al mostro, alla ricerca del modo più facile e veloce per eliminarlo. Vide soltanto un'apertura nell'esoscheletro, una fessura tra la piastra del petto della creatura e il suo ampio collo. Tuttavia infilare una lama lì dentro poteva essere un po' problematico, perché l'orrore uncinato era alto quasi tre metri. Ma il cacciatore trovò la soluzione. Giunse con forza e rapidità al ginocchio dell'orrore uncinato, cozzando con entrambe le proprie spalle e portando in alto le lame verso l'inguine della creatura. Le gambe dell'orrore uncinato si piegarono, e lui si rovesciò all'indietro sul drow. Agile come un gatto, Drizzt rotolò via e balzò in cima al mostro abbattuto, mentre la punta di entrambe le sue lame si dirigeva verso la fessura nella corazza. Avrebbe potuto finire immediatamente l'orrore uncinato; le sue scimitarre sarebbero potute scivolare facilmente attraverso le protezioni cornee. Ma Drizzt notò un'espressione che sembrava di terrore sul volto dell'orrore uncinato, un elemento che quel genere di creatura di solito non aveva. Quell'espressione costrinse il cacciatore a ritrarsi: Drizzt riprese il controllo delle sue spade, ed esitò soltanto per un secondo, abbastanza a lungo perché l'orrore uncinato, con assoluto stupore di Drizzt, dicesse in chiaro e corretto linguaggio drow: «Ti prego... non... uccidermi!».
14 Clacker Le scimitarre si staccarono lentamente dal collo dell'orrore uncinato. «Io... non come... s-sembro», cercò di spiegare il mostro nel suo linguaggio esitante. A ogni parola che pronunciava, l'orrore uncinato sembrava trovarsi maggiormente a proprio agio con la lingua. «Sono... Pech.» «Pech?» Belwar lo guardò con aria stupefatta, portandosi a fianco di Drizzt. Lo svirfnebli guardò il mostro intrappolato con comprensibile confusione. «Sei un po' grosso per essere un pech», osservò. Drizzt spostò lo sguardo dal mostro a Belwar, alla ricerca di qualche spiegazione. Il drow non aveva mai sentito quella parola. «Figli della roccia», gli spiegò Belwar. «Strane piccole creature. Sono dure come la pietra e vivono per un'unica ragione, lavorarla.» «A sentirti sembrerebbe che tu stessi parlando di uno svirfnebli», replicò Drizzt. Belwar si fermò un attimo a riflettere, non sapeva se prenderlo come un complimento o un insulto. Non riuscendo a capirlo, il Guardiano del Cunicolo continuò con una certa cautela. «Non ci sono molti pech nei paraggi, e ancora meno di somiglianti a questo!» Lanciò un'occhiata dubbiosa all'orrore uncinato, poi fece capire al drow con uno sguardo di tener pronte le scimitarre. «Pech... n-n-non più», balbettò l'orrore uncinato, nella sua voce gutturale era evidente un chiaro rimpianto. «Pech non più.» «Come ti chiami?» gli chiese Drizzt, nella speranza di trovare qualche indizio che lo conducesse alla verità. L'orrore uncinato pensò per un lungo attimo, poi scrollò la grande testa, impotente. «Pech... n-n-non più», disse nuovamente il mostro, e piegò volutamente all'indietro la testa rostrata, allargando la fessura presente nella sua corazza esoscheletro e invitando Drizzt a portare a termine il colpo. «Non riesci a ricordare il tuo nome?» chiese Drizzt, per nulla ansioso di uccidere la creatura. L'orrore uncinato non si mosse né rispose. Drizzt guardò Belwar per riceverne consiglio, ma il Guardiano del Cunicolo si limitò a scrollare le spalle impotente. «Che cos'è successo?» insistette Drizzt con il mostro. «Devi dirmi che cosa ti è successo.»
«M-m-m.» Lottò per rispondere l'orrore uncinato. «M-ma-mago. Mmago cattivo.» Essendo in certa misura a conoscenza delle consuetudini della magia e degli usi privi di scrupoli per cui spesso la usavano i professionisti, Drizzt iniziò a comprendere che cosa poteva essere successo e a credere alla strana creatura. «Un mago ti ha trasformato?» chiese, indovinando già la risposta. Lui e Belwar si scambiarono espressioni stupefatte. «Ho sentito parlare di simili incantesimi.» «Anch'io», ammise il Guardiano del Cunicolo. «Magga cammara, elfo scuro, ho visto i maghi di Blingdenstone usare una simile magia quando avevamo bisogno d'infiltrarci a...» Lo gnomo del profondo si fermò improvvisamente, ricordando il passato dell'elfo a cui si stava rivolgendo. «Menzoberranzan», terminò Drizzt ridacchiando. Belwar si schiarì la gola, un po' imbarazzato, e si rivolse nuovamente al mostro. «Un tempo eri un pech», disse, dato che desiderava udire l'intera spiegazione espressa in un pensiero chiaro, «e un certo mago ti ha trasformato in orrore uncinato.» «Vero», rispose il mostro. «Pech non più.» «Dove sono i tuoi compagni?» chiese lo svirfnebli. «Se quello che ho sentito del tuo popolo è vero, i pech non viaggiano spesso da soli.» «M-m-m-morti», disse il mostro. «Cattivo m-m-m.» «Mago umano?» suggerì Drizzt. Il grande becco si agitò in un eccitato gesto d'assenso. «Sì, u-u-uomo.» «E poi il mago ti ha abbandonato alle tue pene in veste d'orrore uncinato» disse Belwar. Lui e Drizzt si guardarono a lungo e intensamente, poi il drow si allontanò, lasciando che l'orrore uncinato si alzasse. «V-v-v-vorrei che tu mi u-u-uccidessi», disse allora il mostro, contorcendosi e alzandosi a sedere. Guardò le proprie mani artigliate con evidente disgusto. «La p-pietra, la pietra... perduta per me.» In risposta Belwar sollevò le sue mani trasformate. «Così avevo creduto anch'io un tempo», disse. «Tu sei vivo e non sei più solo. Vieni con noi al lago, dove potremo parlare ancora un po'.» L'orrore uncinato accettò immediatamente e iniziò, con notevole sforzo, a sollevare la sua massa di un quarto di tonnellata dal pavimento. Mentre l'esoscheletro della creatura strisciava rumorosamente contro la roccia, Belwar sussurrò prudentemente a Drizzt: «Tieni pronte le tue lame!» Alla fine l'orrore uncinato fu in piedi, incombeva dall'imponente altezza di tre metri, e il drow non contestò la logica di Belwar.
Per molte ore, l'orrore uncinato raccontò le sue avventure ai due amici. Stupefacente quanto la storia raccontata, era la crescente facilità con cui il mostro utilizzava il linguaggio. Questo fatto, e le descrizioni da parte del mostro della sua precedente esistenza, una vita trascorsa a colpire e a modellare la pietra con riverenza quasi sacra, convinsero ulteriormente Belwar e Drizzt della verità del suo bizzarro racconto. «È b-b-bello parlare di nuovo, anche se la lingua non è la mia», disse la creatura dopo un po'. «Sembra come se avessi t-trovato di nuovo una parte di quello che e-e-ero un tempo.» Con le proprie esperienze simili ben chiare nella mente, Drizzt capiva nel modo più assoluto ciò che provava il mostro. «Da quanto tempo sei così?» chiese Belwar. L'orrore uncinato scrollò l'enorme petto e le spalle, cozzando contro la parete. «Settimane, m-mesi», disse. «Non riesco a ricordare. Ho p-perso la cognizione del tempo.» Drizzt si prese il volto tra le mani ed emise un profondo sospiro, in piena empatia e solidarietà con la sfortunata creatura. Anche Drizzt si era sentito così perduto e solo nelle regioni selvagge. Anche lui conosceva la triste verità di un simile destino. Belwar diede un lieve colpetto al drow con la mano a martello. «E ora dove stai andando?» chiese il Guardiano del Cunicolo all'orrore uncinato. «O da dove stavi venendo?» «Inseguivo il m-m-m», rispose l'orrore uncinato, annaspando inutilmente sull'ultima parola, come se il semplice accenno al mago malvagio addolorasse enormemente la creatura. «Ma ho p-perso così tanto. Lo troverei con p-poco sforzo se fossi ancora un p-p-pech. Le pietre mi direbbero dove ccercare. Ma non posso più parlare con loro molto spesso.» Il mostro si alzò dal punto in cui era seduto, sulla pietra. «Vado», disse deciso. «Non siete al sicuro con me intorno.» «Tu resterai», disse improvvisamente Drizzt con un tono di risolutezza che non poteva essere contrastato. «Non p-posso controllare», cercò di spiegare l'orrore uncinato. «Non devi preoccuparti», disse Belwar. Indicò la soglia sulla sporgenza nella parte laterale della grotta. «Casa nostra è lassù, con una porta troppo piccola perché tu ci passi attraverso. Devi riposare quaggiù accanto al lago finché tutti noi non decideremo la migliore linea di condotta.» L'orrore uncinato era esausto e il ragionamento dello svirfnebli sembrava piuttosto sensato. Il mostro si lasciò ricadere pesantemente sulla pietra e
si raggomitolò per quanto glielo consentisse il corpo ingombrante. Drizzt e Belwar presero congedo, volgendosi a ogni passo a dare un'occhiata al loro strano, nuovo compagno. «Clacker», disse improvvisamente Belwar, fermando Drizzt accanto a sé. Con grande sforzo l'orrore uncinato rotolò su se stesso, volgendosi a osservare lo gnomo del profondo, comprendendo che la parola di Belwar era diretta a lui. «Ti chiameremo così, se non hai obiezioni», spiegò lo svirfnebli alla creatura e a Drizzt. «Clacker!» «Un nome appropriato», osservò Drizzt. «È un b-bel nome», ammise l'orrore uncinato, ma tra sé la creatura desiderò di poter ricordare il proprio nome da pech, il nome che rotolava e rotolava come un masso tondeggiante in un corridoio in pendenza e che rivolgeva preghiere alla pietra con ogni sua sillaba borbottante. «Allargheremo la porta», disse Drizzt quando lui e Belwar entrarono nel complesso di cavità all'interno della grotta. «In modo che Clacker possa entrare e riposare al sicuro accanto a noi.» «No, elfo scuro», lo distolse il Guardiano del Cunicolo. «Quello non lo faremo.» «Non è al sicuro là fuori accanto all'acqua», rispose Drizzt. «I mostri lo troveranno.» «È sufficientemente al sicuro!» sbuffò Belwar. «Quale mostro attaccherebbe di buon grado un orrore uncinato?» Belwar comprendeva la sincera preoccupazione di Drizzt, ma capiva anche il pericolo insito nella sua proposta. «Ho assistito a simili incantesimi», disse gravemente lo svirfnebli. «Vengono chiamati polimorfi. La trasformazione del corpo avviene immediatamente, ma la trasformazione della mente può richiedere tempo.» «Che cosa stai dicendo?» la voce di Drizzt era sull'orlo del panico. «Clacker è ancora un pech», rispose Belwar, «per quanto sia intrappolato nel corpo di un orrore uncinato. Ma ben presto, temo, Clacker non sarà più un pech. Diventerà un orrore uncinato, mente e corpo, e per quanto amichevoli potremmo essere, Clacker finirà per pensare a noi unicamente come a un altro pasto.» Drizzt iniziò a controbattere, ma Belwar lo zittì con un pensiero che lo fece riflettere. «Ti piacerebbe doverlo uccidere, elfo scuro?» Drizzt si volse dall'altra parte. «La sua storia mi è familiare.» «Non tanto quanto pensi», replicò Belwar. «Anch'io ero perduto», ricordò Drizzt al Guardiano del Cunicolo.
«Questo è quel che credi», rispose Belwar. «Ma quello che era essenzialmente Drizzt Do'Urden restava dentro di te, amico mio. Tu eri come dovevi essere, com'eri costretto a essere dalla situazione che avevi intorno. Questa è una situazione diversa. Clacker diventerà un orrore uncinato non soltanto nel corpo, ma nella sua essenza stessa. I suoi pensieri saranno i pensieri di un orrore uncinato e, Magga cammara, non ti restituirà la pietà che gli hai concesso, quando sarai tu a trovarti a terra.» Drizzt non poteva ritenersi soddisfatto, benché non potesse confutare la logica sincera dello gnomo del profondo. Si trasferì nella camera di sinistra del complesso, quella che aveva scelto come stanza da letto, e si lasciò cadere sull'amaca. «Povero Drizzt Do'Urden», mormorò Belwar sottovoce mentre osservava i pesanti movimenti del drow, oppresso dal dolore. «E povero il nostro amico pech, ormai condannato.» Il Guardiano del Cunicolo si recò nella propria camera e si arrampicò sull'amaca, sentendosi terribilmente abbattuto riguardo all'intera situazione, ma deciso a restare freddamente logico e pratico, nonostante il dolore che provava. Belwar capiva che Drizzt provava un'affinità per la sfortunata creatura, un legame potenzialmente fatale, fondato sul fatto che Drizzt si immedesimava nella perdita dell'io da parte di Clacker. Più tardi nel corso di quella nottata Drizzt, eccitato, scrollò lo svirfnebli dal suo sonno. «Dobbiamo aiutarlo», sussurrò aspramente il drow. Belwar si strofinò un braccio sul volto e cercò d'orientarsi. Il suo sonno era stato agitato, pieno di sogni in cui aveva gridato «Bivrip!» a voce impossibilmente alta e poi aveva dovuto uccidere il suo nuovo compagno a colpi violenti. «Dobbiamo aiutarlo!» disse ancora Drizzt, con rinnovato vigore. Belwar capì dall'aspetto disfatto del drow che Drizzt non aveva dormito, quella notte. «Non sono un mago», disse il Guardiano del Cunicolo. «Allora ne troveremo uno», brontolò Drizzt. «Troveremo l'umano che ha maledetto Clacker e lo costringeremo a rovesciare il dweomerl L'abbiamo visto presso il ruscello appena alcuni giorni fa. Non può essere così lontano!» «Uno stregone capace di una simile magia non si rivelerà un nemico facile», si affrettò a rispondere Belwar. «Hai dimenticato così rapidamente la sfera di fuoco?» Belwar guardò verso la parete, dove il suo farsetto di cuoio era appeso a un piolo; stava cercando di convincersi. «Temo che il mago
sia più forte di noi», mormorò Belwar, ma Drizzt scorse una mancanza di convinzione nell'espressione del Guardiano del Cunicolo, mentre pronunciava quelle parole. «Hai intenzione di condannare Clacker così rapidamente?» chiese Drizzt senza mezzi termini. Un ampio sorriso si allargò sul volto del drow, poiché vedeva che lo svirfnebli stava cedendo. «È questo lo stesso Belwar Dissengulp che ha accolto un drow perduto? Quell'Illustrissimo Guardiano del Cunicolo che non ha voluto abbandonare la speranza per un elfo scuro che tutti gli altri consideravano pericoloso e impossibile da aiutare?» «Vai a dormire, elfo scuro», replicò Belwar, spingendo via Drizzt con la mano a martello. «Saggio consiglio, amico mio», disse Drizzt. «E tu dormi bene. Probabilmente ci aspetta un lungo cammino.» «Magga cammara», si stizzì il taciturno svirfnebli, restando caparbiamente legato alla sua apparenza di burbera praticità. Si girò dall'altra parte, volgendo le spalle a Drizzt e ben presto iniziò a russare. Drizzt notò che ora il russare di Belwar emergeva rumorosamente da un sonno profondo e soddisfatto. *
*
*
Clacker batteva contro la parete con le mani dotate d'artigli, colpendo implacabilmente la pietra. «No, basta», sussurrò a Drizzt Belwar, innervosito. «Non qui fuori!» Drizzt si lanciò lungo il corridoio serpeggiante, raggiungendo il suono monotono. «Clacker!» chiamò piano quando vide l'orrore uncinato. L'orrore uncinato si volse ad affrontare il drow che si avvicinava, con le mani artigliate aperte, pronte e un sibilo ringhiante che gli usciva dal grande becco. Un attimo più tardi Clacker si rese conto di quello che stava facendo e si fermò bruscamente. «Perché devi continuare a battere?» gli chiese Drizzt, cercando di fingere, anche con se stesso, di non aver visto la posizione aggressiva di Clacker. «Ci troviamo nelle regioni selvagge, amico mio. Un simile baccano attirerà dei visitatori.» Il mostro gigantesco fece ciondolare la testa. «Non saresti dovuto v-vvenire fuori con m-me», disse Clacker. «Non p-p-posso... accadranno troppe cose che non posso c-controllare.»
Drizzt allungò la mano e la pose sul gomito corneo di Clacker, per confortarlo. «È stata colpa mia», disse il drow, comprendendo che cosa volesse dire l'orrore uncinato. Clacker doveva scusarsi per essersi volto pericolosamente contro Drizzt. «Non ci saremmo dovuti allontanare in direzioni diverse», continuò Drizzt, «e non mi sarei dovuto avvicinare a te così rapidamente e senza preavviso. Ora staremo tutti insieme, anche se la nostra ricerca potrà rivelarsi più lunga, e Belwar e io ti aiuteremo a conservare il controllo.» Il volto rostrato di Clacker s'illuminò. «È talmente piacevole battere la pietra», dichiarò. Clacker colpì la roccia con un artiglio, come se volesse rinfrescarsi la memoria. La sua voce e il suo sguardo si fecero lontani mentre lui pensava alla sua vita passata, quella di cui il mago l'aveva privato. Ogni singolo giorno vissuto dal pech era stato trascorso a percuotere la pietra, a modellare la pietra, a parlare con la preziosa pietra. «Tornerai a essere pech», promise Drizzt. Belwar, avvicinandosi dal tunnel, udì le parole del drow e non ne fu così certo. Erano nei tunnel da più di una settimana e non avevano trovato alcuna traccia del mago. Il Guardiano del Cunicolo trasse un certo conforto dal fatto che Clacker sembrava riconquistare parte di se stesso, strappandola al suo stato mostruoso, sembrava riacquistare un margine della propria personalità pech. Belwar aveva osservato la stessa trasformazione in Drizzt appena qualche settimana prima, e al di là delle barriere che spingevano alla sopravvivenza il cacciatore in cui Drizzt si era trasformato, Belwar aveva scoperto il suo più caro amico. Ma il Guardiano del Cunicolo fece attenzione a non dare per scontati gli stessi risultati con Clacker. Lo stato dell'orrore uncinato era il risultato di una potente magia, e neppure la più grande amicizia avrebbe potuto annullare l'operato del dweomer del mago. L'incontro con Drizzt e Belwar aveva concesso a Clacker una temporanea, e soltanto temporanea sospensione da un destino infelice e innegabile. I tre amici si spostarono nei tunnel del Buio Profondo per vari altri giorni, senza alcuna fortuna. La personalità di Clacker continuava a non deteriorarsi, ma anche Drizzt, che quando aveva lasciato il complesso della grotta presso il lago era così pieno di speranza, iniziò a sentire il peso della crescente realtà. Poi, proprio quando Drizzt e Belwar stavano per prendere in considerazione la possibilità di ritornare a casa, il gruppo giunse in una grotta di
notevoli dimensioni, ingombra di macerie provenienti da un crollo recente del soffitto. «È stato qui!» esclamò Clacker, e sollevò con disinvoltura un enorme masso tondeggiante gettandolo contro una parete lontana dove questo si frantumò in altrettanti detriti. «E stato qui!» L'orrore uncinato corse da una parte all'altra, frantumando la pietra e lanciando macigni con rabbia crescente, esplosiva. «Come puoi saperlo?» chiese Belwar, cercando di bloccare la rabbia del suo gigantesco amico. Clacker indicò il soffitto. «Ha f-fatto questo. Il m-m-m- ha fatto questo!» Drizzt e Belwar si scambiarono sguardi preoccupati. Il soffitto della grotta, che era alto circa cinque metri, era sventrato e distrutto, e nel suo centro era stato praticato un foro di notevoli dimensioni che si estendeva due volte più in alto rispetto al soffitto precedente. Se era stata la magia a causare quella devastazione, si trattava veramente di magia potente! «Il mago ha fatto questo?» gli fece eco Belwar. Lanciò ancora una volta a Drizzt quell'occhiata caparbiamente pratica che ormai era una sua caratteristica peculiare. «La sua t-torre», rispose Clacker, e corse via, da una parte all'altra della spelonca, per vedere se riusciva a capire quale uscita avesse preso il mago. Ora Drizzt e Belwar erano assolutamente interdetti e Clacker, quando finalmente si prese la briga di guardarli, si rese conto della loro confusione. «Il m-m-m...» «Mago», s'intromise impazientemente Belwar. Clacker non si offese, anzi apprezzò l'aiuto. «Il m-mago ha una t-torre», cercò di spiegare l'orrore uncinato, in preda all'eccitazione. «Una g-grande t-torre di ferro che porta con sé, ponendola ovunque gli faccia c-ccomodo.» Clacker alzò lo sguardo sul soffitto rovinato. «Anche se non ci sta sempre.» «Porta una torre?» chiese Belwar, arricciando il lungo naso. Clacker annuì eccitato, ma poi non si prese la briga di spiegare ulteriormente, perché aveva trovato le tracce del mago, una chiara impronta di stivale in un letto di muschio in un altro corridoio. Drizzt e Belwar dovettero accontentarsi della spiegazione incompleta del loro amico, perché l'inseguimento era ripreso. Drizzt prese il comando, usando tutte le arti che aveva appreso all'Accademia drow e perfezionato nel decennio che aveva trascorso da solo nel Buio Profondo. Belwar, con
l'esperienza innata di quei luoghi, che gli derivava dalla razza a cui apparteneva, e con la spilla magicamente illuminata, teneva sotto controllo la direzione che stavano seguendo e Clacker, nei momenti in cui si sentiva pienamente tornato al suo io precedente, chiedeva alle pietre di guidarlo. I tre attraversarono un'altra grotta devastata e un'altra spelonca che mostrava chiari segni della presenza della torre, benché il suo soffitto fosse sufficientemente elevato per ospitare la struttura. Alcuni giorni più tardi i tre compagni giunsero in una grotta ampia ed elevata; molto indietro rispetto a loro, accanto a un ruscello, s'innalzava l'abitazione del mago. Ancora una volta Drizzt e Belwar si guardarono reciprocamente impotenti, perché la torre si ergeva per ben nove metri ed era larga sei; inoltre le sue lisce pareti di metallo si facevano beffe dei loro piani. Gli amici presero direzioni diverse per avvicinarsi alla struttura con circospezione e furono ancora più stupefatti quando notarono che le pareti della torre erano di puro adamantio, il metallo più duro del mondo. I tre trovarono un'unica porta, piccola e che s'identificava a malapena nella perfezione della struttura della torre. Non fu necessario che la provassero per rendersi conto che era bloccata contro i visitatori non graditi. «Il m-m-m- è qui dentro», ringhiò Clacker, passando i propri artigli sulla porta, in preda alla disperazione. «Allora dovrà uscire», riflette Drizzt. «E quando lo farà, noi saremo qui ad aspettarlo.» Il piano non soddisfo il pech. Con un ruggito rombante che echeggiò per tutta la regione, Clacker gettò il suo grosso corpo contro la porta della torre, poi balzò all'indietro e la urtò di nuovo. La porta non vibrò minimamente sotto ai colpi, e fu ben presto evidente sia allo gnomo del profondo sia al drow, che il corpo di Clacker avrebbe sicuramente perduto la battaglia. Drizzt cercò invano di calmare il suo gigantesco amico, mentre Belwar si spostava lateralmente e iniziava a recitare una cantilena ben nota. Alla fine Clacker cedette, accasciandosi e singhiozzando per la spossatezza e la rabbia impotente che provava. A quel punto si cimentò Belwar, con le mani di mithral che mandavano scintille ogni qualvolta si toccavano. «Fatti da parte!» disse il Guardiano del Cunicolo. «Sono giunto troppo oltre per essere fermato da un'unica porta!» Belwar si pose proprio davanti alla porticina e vi sbatté contro la magica mano a martello con tutta la sua forza. Un lampo accecante di scintille azzurre esplose in ogni direzione. Le
braccia muscolose dello gnomo del profondo lavoravano furiosamente, grattando e colpendo, ma quando Belwar ebbe esaurito tutta la sua energia, la porta della torre mostrò soltanto un minimo graffietto e delle bruciature superficiali. Belwar sbatté le proprie mani tra loro disgustato, facendosi ricadere addosso una pioggia d'innocue scintille, e Clacker si dimostrò cordialmente d'accordo con i suoi sentimenti di frustrazione. Drizzt, tuttavia, era più arrabbiato e preoccupato dei suoi amici. Non solo la torre del mago li aveva fermati, ma il mago all'interno indubbiamente sapeva della loro presenza. Drizzt si spostò prudentemente intorno alla struttura, notando la presenza di molte feritoie. Strisciando sotto a una di esse, udì una bassa cantilena, e pur non riuscendo a distinguere le parole del mago, indovinò con sufficiente facilità l'intento dell'umano. «Correte!» urlò ai suoi compagni e poi, spinto da una disperazione assoluta, afferrò una pietra vicina e la gettò in alto dentro all'apertura della feritoia. La fortuna fu dalla parte del drow, perché il mago completò il suo incantesimo proprio mentre la roccia sbatteva contro l'apertura. Si udì il fragore di un fulmine, che frantumò la pietra e fece volare Drizzt, ripercuotendosi però sulla torre. «Maledizione! Maledizione!» fu l'urlo che si udì provenire dall'interno della torre. «Odio quando questo accade!» Belwar e Clacker corsero ad aiutare il loro amico caduto. Il drow era soltanto stordito, e si era alzato prontamente in piedi prima ancora che loro lo raggiungessero. «La pagherete cara per questo, la pagherete!» giunse un grido dall'interno. «Correte via!» gridò il Guardiano del Cunicolo, e l'orrore uncinato, sebbene fosse furioso, si dichiarò d'accordo con lui. Ma non appena Belwar guardò negli occhi color lavanda del drow, capì che Drizzt non sarebbe fuggito. Perfino Clacker si ritrasse di fronte al furore fiammeggiante che si stava addensando nello sguardo di Drizzt Do'Urden. «Magga cammara, elfo scuro, non possiamo entrare», ricordò prudentemente a Drizzt lo svirfnebli. Drizzt estrasse la statuina d'onice e la pose contro la feritoia, bloccandola con il suo corpo. «Vedremo», ringhiò, e poi chiamò Guenhwyvar. La nebbiolina scura iniziò a vorticare e si trovò convogliata in un'unica direzione obbligata mentre emanava dalla statuina. «Vi ucciderò tutti!» gridò il mago invisibile.
Il rumore successivo proveniente dall'interno della torre fu un basso ringhio di pantera, poi la voce del mago risuonò nuovamente. «Potrei sbagliarmi!» «Apri la porta!» gridò Drizzt. «Ne va della tua vita, infame mago!» «Mai!» Guenhwyvar ruggì di nuovo, poi il mago urlò e la porta si spalancò. Drizzt fece strada. Entrarono in una stanza circolare, il piano inferiore della torre. Una scala di ferro saliva lungo il suo centro fino a una botola, la via di fuga che il mago stava cercando di prendere. L'umano non l'aveva ancora raggiunta, tuttavia, e pendeva a testa in giù dalla parte inferiore della scala, con un ginocchio agganciato a un piolo. Guenhwyvar, che appariva completamente guarita dalle ferite derivanti dalla caduta nel lago acido, e che aveva nuovamente l'aspetto della più magnifica delle pantere, era seduta sull'altro lato della scala e teneva in bocca con disinvoltura il polpaccio e il piede del mago. «Entrate!» gridò il mago, allargando ampiamente le braccia e poi abbassandole per togliersi dal volto la veste che gli era scesa addosso. Fili di fumo si levarono dai restanti brandelli della veste annerita dal fulmine. «Sono Brister Fendlestick. Benvenuti nella mia umile casa!» Belwar fermò Clacker alla porta, trattenendo il suo pericoloso amico con la mano a martello, mentre Drizzt saliva a occuparsi del prigioniero. Il drow si arrestò abbastanza a lungo da poter osservare con attenzione il suo caro compagno felino, perché non aveva più chiamato Guenhwyvar dal giorno in cui aveva congedato la pantera perché potesse guarire. «Tu parli drow», osservò Drizzt, afferrando il mago per il colletto e rivoltandolo con agilità per farlo scendere e rimetterlo in piedi. Drizzt osservò l'uomo con sospetto; non aveva mai visto un umano prima dell'incontro nel corridoio presso il ruscello. Non ne rimase eccessivamente colpito. «Conosco molte lingue», rispose il mago, spazzolandosi. E poi, come se la cosa fosse estremamente importante, aggiunse: «Sono Brister Fendlestick!». «Annoveri il pech tra le tue lingue?» ringhiò Belwar dalla porta. «Il pech?» rispose il mago, pronunciando la parola con evidente disgusto. «Il pech», ringhiò Drizzt, sottolineando la risposta con lo scatto di una lama di scimitarra a un paio di centimetri dal collo del mago. Clacker fece un passo avanti, spostando con facilità sul pavimento liscio lo svirfnebli che gli bloccava la strada.
«Il mio grosso amico un tempo era un pech», spiegò Drizzt. «Dovresti saperlo.» «Pech», sbottò il mago. «Piccoli esseri inutili, e sono sempre tra i piedi.» Clacker effettuò un altro lungo passo avanti. «Sbrigati, drow», implorò Belwar, appoggiandosi inutilmente contro l'enorme orrore uncinato. «Restituiscigli la sua identità», pretese Drizzt. «Trasforma nuovamente in un pech il nostro amico. E subito.» «Bah!» sbuffò il mago. «Sta meglio com'è!» rispose l'imprevedibile umano. «Perché qualcuno dovrebbe desiderare di continuare a essere un pech?» Clacker iniziò ad ansimare forte. La forza pura del suo terzo passo fece schizzare lateralmente Belwar. «Ora, mago», lo mise in guardia Drizzt. Dalla scala, Guenhwyvar emise un ruggito lungo e affamato. «Benissimo, benissimo!» disse di getto il mago, alzando le mani, indignato. «Spregevole pech!» Estrasse un libro immenso da una tasca di gran lunga troppo piccola per poterlo contenere. Drizzt e Belwar si sorrisero reciprocamente, pensando che la vittoria fosse a portata di mano. Ma poi il mago commise un errore fatale. «Avrei dovuto ucciderlo come ho ucciso gli altri», mormorò sottovoce, così piano che neppure Drizzt, che era in piedi proprio accanto a lui, poté distinguere le parole. Ma gli orrori uncinati avevano l'udito più acuto di qualsiasi creatura del Buio Profondo. Un forte colpo dell'enorme artiglio di Clacker lanciò violentemente Belwar dalla parte opposta della stanza. Drizzt, girandosi di scatto al rumore di passi pesanti, venne gettato di lato dallo slancio del gigante che correva, e al drow scivolarono di mano le scimitarre. Il mago, lo stupido mago, bloccò l'impeto di Clacker con la scala di ferro, un colpo così violento che piegò la scala e fece volare Guenhwyvar dalla parte opposta. Quando Drizzt o Belwar si furono sufficientemente ripresi da richiamare il loro amico, non si resero conto se l'iniziale colpo schiacciante del corpo di duecento chili dell'orrore uncinato avesse ucciso il mago, ma a quel punto si trattava di una questione priva d'importanza. Clacker, con l'aiuto dei propri uncini e del becco stava squarciando e spaccando inesorabilmente, lacerando e fracassando. Di tanto in tanto giungevano un lampo
improvviso e uno sbuffo di fumo mentre si rompeva un altro dei molti oggetti magici che il mago portava addosso. Quando l'orrore uncinato ebbe sfogato la propria rabbia, si guardò intorno e vide I suoi tre compagni che lo circondavano in posizioni battagliere, ma ormai l'ammasso insanguinato ai piedi di Clacker era irriconoscibile. Belwar iniziò a dire che il mago aveva accettato di trasformare Clacker, ma non era quello il punto. Clacker cadde in ginocchio e si prese il volto tra gli artigli, credendo a malapena a ciò che aveva fatto. «Andiamocene da questo luogo», disse Drizzt, riponendo nei foderi le sue lame. «Perquisiamo l'abitazione», propose Belwar, pensando che all'interno si potessero nascondere meravigliosi tesori. Ma Drizzt non poteva restare un attimo di più. Aveva visto troppo di se stesso nella rabbia sfrenata del suo gigantesco compagno, e l'odore sgradevole dell'ammasso insanguinato lo riempì di una paura tale che non poteva tollerare. Seguito da Guenhwyvar uscì dalla torre. Belwar si avvicinò a Clacker e lo aiutò ad alzarsi in piedi, poi guidò il gigante tremante fuori dalla struttura. Ostinatamente pratico, tuttavia, il Guardiano del Cunicolo disse ai suoi compagni d'attenderlo mentre ripuliva la torre, alla ricerca di oggetti che potessero aiutarli, o della parola magica che gli avrebbe consentito di portare la torre con sé. Ma o il mago era un pover'uomo, fatto di cui Belwar dubitava, oppure aveva nascosto i suoi tesori al sicuro, forse in qualche altro piano d'esistenza, perché lo svirfnebli non trovò niente al di là di una semplice ghirba e di un paio di stivali consunti. Se la meravigliosa torre d'adamantio era guidata da una parola magica, il mago l'aveva portata con sé nella tomba. Il viaggio di ritorno a casa fu silenzioso, ognuno di loro era perduto in preoccupazioni private, rammarichi e ricordi. Non fu necessario che Drizzt e Belwar esprimessero a parole i loro timori più pressanti. Durante le conversazioni che avevano avuto con Clacker, entrambi avevano appreso a sufficienza sulla razza normalmente pacifica dei pech per sapere che l'esplosione assassina di Clacker era assolutamente estranea alla creatura che lui era stato un tempo. Ma lo gnomo del profondo e il drow dovettero ammettere in cuor loro che le azioni di Clacker non erano altrettanto estranee alla creatura in cui lui si stava rapidamente trasformando. 15
Aspre sollecitazioni «Che cosa sai?» chiese Matrona Malice a Jarlaxle, che passeggiava al suo fianco attraverso il complesso di Casa Do'Urden. Normalmente Malice non si sarebbe fatta vedere così apertamente in compagnia dell'infame mercenario, ma era preoccupata e impaziente. Le era stata riferita una certa agitazione nella gerarchia delle famiglie dominanti di Menzoberranzan, e questo non faceva presagire nulla di buono per Casa Do'Urden. «Che cosa so?» le fece eco Jarlaxle, ostentando sorpresa. Malice lo guardò con sguardo torvo, e lo stesso fece Briza, che camminava dall'altro lato dell'impudente mercenario. Jarlaxle si schiarì la voce, anche se sembrò quasi che si fosse messo a ridere. Non poteva fornire a Malice i particolari delle voci che giravano; non era così sciocco da tradire le case più potenti della città. Ma Jarlaxle poteva stuzzicare Malice con una semplice affermazione di logica che confermasse unicamente quanto lei aveva già ipotizzato. «Zin-carla, lo spiritospettro, è in azione da molto tempo.» Malice lottò per mantenere uniforme la propria respirazione, senza dare nell'occhio. Si rese conto che Jarlaxle sapeva più di quanto avrebbe detto, e il fatto che il mercenario calcolatore avesse affermato così freddamente ciò che era evidente, le rivelò che le sue paure erano giustificate. In verità lo spirito-spettro di Zaknafein stava cercando Drizzt ormai da moltissimo tempo. Non serviva ricordare a Malice che la Regina Ragno non era famosa per la sua pazienza. «Hai altro da dirmi?» chiese Malice. Jarlaxle scrollò le spalle in modo vago. «Allora sparisci da casa mia», ringhiò la Matrona Madre. Jarlaxle esitò per un momento, chiedendosi se dovesse pretendere un pagamento per le scarse informazioni fornite. Poi si sprofondò in uno dei suoi ben noti inchini, agitando ampiamente il cappello, e si volse per dirigersi verso il cancello. Sarebbe stato ripagato ben presto. Nell'anticamera della cappella della casa, un'ora più tardi, Matrona Malice si appoggiò allo schienale del trono e sguinzagliò i propri pensieri nei tunnel serpeggianti del selvaggio Buio Profondo. La sua telepatia con lo spirito-spettro era limitata, di solito un passaggio di forti emozioni, nulla di più. Ma dalle lotte interiori di Zaknafein, che in vita era stato il padre e il migliore amico di Drizzt e che ora era il suo più mortale nemico, Malice
era in grado di apprendere molto riguardo ai progressi dello spirito-spettro. Le ansie causate dalla lotta interiore di Zaknafein aumentavano inevitabilmente ogni qualvolta lo spirito-spettro si avvicinava a Drizzt. Ora, dopo l'allarmante incontro con Jarlaxle, Malice doveva sapere quali progressi avesse effettuato Zaknafein. Poco tempo dopo, i suoi sforzi furono premiati. *
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«Matrona Malice insiste nel dire che lo spirito-spettro è andato a ovest, al di là della città degli svirfnebli», spiegò Jarlaxle a Matrona Baenre. Il mercenario era andato direttamente da Casa Do'Urden al boschetto di funghi posto nell'estremità meridionale di Menzoberranzan, nel punto in cui abitavano le maggiori famiglie drow. «Lo spirito-spettro continua a seguire la pista», riflette Matrona Baenre, parlando più tra sé che all'informatore. «Ottimo.» «Ma Matrona Malice crede che Drizzt abbia un vantaggio di molti giorni, perfino settimane», proseguì Jarlaxle. «È stata lei a dirti questo?» chiese incredula Matrona Baenre, stupefatta che Malice rivelasse informazioni così pericolose. «Alcune notizie si possono raccogliere senza bisogno di parole», rispose astutamente il mercenario. «Il tono di Matrona Malice sottintendeva molto di quanto non voleva io sapessi.» Matrona Baenre annuì e chiuse gli occhi grinzosi, stanca dell'intera esperienza. Aveva contribuito a far entrare Matrona Malice nel consiglio dominante, ma ora poteva soltanto restare seduta ad aspettare per vedere se Malice sarebbe rimasta. «Dobbiamo confidare in Matrona Malice», concluse Matrona Baenre. Dalla parte opposta della stanza, rispetto a Baenre e a Jarlaxle, Elviddinvelp, lo scorticatore mentale amico di Matrona Baenre, distolse i propri pensieri dalla conversazione. Il mercenario drow aveva riferito che Drizzt si era diretto a occidente, ben lontano da Blingdenstone, e quelle notizie recavano un'importanza potenziale che non poteva essere ignorata. Lo scorticatore mentale proiettò i propri pensieri esternamente, lontano, a occidente, trasmise un chiaro avvertimento lungo i corridoi che non erano così vuoti come poteva sembrare. *
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Non appena ebbe posato lo sguardo sul lago immobile, Zaknafein capì di aver raggiunto la propria preda. Scese in basso tra gli incavi e le rocce scoscese lungo le pareti dell'ampia grotta e avanzò. Poi trovò la porta non certo naturale e il complesso della grotta che si trovava al di là di questa. Antichi sentimenti si scatenarono all'interno dello spirito-spettro, sentimenti riguardanti l'affinità che un tempo aveva vissuto con Drizzt. Nuove, selvagge emozioni si affrettarono tuttavia a sopraffare tali sentimenti, mentre Matrona Malice entrava con furia selvaggia nella mente di Zaknafein. Lo spirito-spettro fece violentemente irruzione dalla porta, con le spade sfoderate, e si fece strada all'interno del complesso spaccando tutto. Una coperta volò in aria e cadde giù a brandelli, tagliata una dozzina di volte dalle spade di Zaknafein. Quand'ebbe sfogato l'accesso di rabbia, il mostro di Matrona Malice si accovacciò, sistemandosi a esaminare la situazione. Drizzt non era a casa. Lo spirito-spettro impiegò soltanto un breve attimo per determinare che Drizzt e un compagno, o forse anche due, erano partiti dalla grotta alcuni giorni prima. Gli istinti tattici di Zaknafein gli suggerivano di porsi in attesa, perché sicuramente questo non era un accampamento fasullo com'era stato quello situato esternamente alla città degli gnomi del profondo. Sicuramente la preda di Zaknafein aveva intenzione di ritornare. Lo spirito-spettro sentiva che Matrona Malice, sul trono nella città drow, non avrebbe sopportato ritardi. Le restava poco tempo, voci pericolose stavano intensificandosi di giorno in giorno e questa volta i timori e l'impazienza di Malice le sarebbero costati cari. *
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Soltanto alcune ore dopo che Malice aveva guidato lo spirito-spettro lungo i tunnel all'inseguimento del figliolo rinnegato, Drizzt, Belwar e Clacker fecero ritorno alla grotta da una strada diversa. Drizzt intuì immediatamente che c'era qualcosa di gravemente strano. Sfoderò le lame e attraversò correndo la sporgenza, balzando su fino alla porta del complesso prima ancora che Belwar e Clacker riuscissero a porgli delle domande. Quando arrivarono alla cavità, compresero l'allarme di Drizzt. Il luogo era distrutto, le amache e le coperte erano strappate, alcune ciotole e una
piccola scatola che era stata riempita di cibi raccolti, erano frantumate e gettate in ogni angolo. Clacker, che non poteva entrare nel complesso, si staccò dalla porta e si allontanò, controllando che nessun nemico si trovasse in agguato negli angoli più remoti della grande grotta. «Magga cammara!» ruggì Belwar. «Che razza di mostro può aver fatto questo?» Drizzt sollevò una coperta e indicò i tagli netti nel tessuto. Belwar non mancò di cogliere ciò che voleva dire il drow. «Lame», disse arcignamente il Guardiano del Cunicolo. «Lame finemente realizzate.» «Le lame di un drow», concluse al suo posto Drizzt. «Siamo lontani da Menzoberranzan», gli ricordò Belwar. «Ci troviamo lontano, nelle regioni selvagge, i tuoi simili non possono sapere o vedere dove siamo.» Drizzt sapeva bene di non potersi dichiarare d'accordo con tale presupposto. Per la maggior parte della sua giovane vita, il drow aveva assistito al fanatismo che guidava le esistenze delle infami sacerdotesse di Lolth. Drizzt stesso aveva viaggiato per molte miglia fino alla superficie dei Reami, per compiere una razzia che non aveva altro scopo che quello di dare alla Regina Ragno un dolce assaggio del sangue degli elfi della superficie. «Non sottovalutare Matrona Malice», disse gravemente. «Se si tratta veramente di tua madre venuta a farti visita», ringhiò Belwar, battendo le mani tra loro, «troverà ad attenderla più di quanto si aspetti», promise lo svirfnebli, «noi tre». «Non sottovalutare Matrona Malice», ripeté Drizzt. «Quest'incontro non è stato una coincidenza e Matrona Malice sarà pronta ad affrontare tutto ciò che avremo da offrire.» «Questo non puoi saperlo», arguì Belwar, ma quando il Guardiano del Cunicolo scorse il timore sincero negli occhi color lavanda del drow, la sua voce perse ogni convinzione. Raccolsero i pochi oggetti utilizzabili rimasti e si misero in viaggio subito dopo, dirigendosi nuovamente a occidente per porre una distanza ancora maggiore tra loro e Menzoberranzan. Clacker si mise al comando, perché pochi mostri avrebbero spontaneamente bloccato la strada a un orrore uncinato. Belwar camminava nel mezzo, era il solido punto d'appoggio del gruppo, e Drizzt avanzava fluttuando silenziosamente nella retroguardia, piuttosto lontano, sentendo di dover proteggere i suoi amici nel caso che gli agenti di sua madre li raggiunges-
sero. Belwar aveva dedotto che potevano avere un buon vantaggio su chiunque avesse rovinato il loro rifugio. Se i responsabili si erano messi all'inseguimento dal complesso della grotta e avevano seguito le loro tracce fino alla torre del mago morto, sarebbero trascorsi molti giorni prima che il nemico tornasse alla grotta del lago. Drizzt non era così sicuro della validità del ragionamento del Guardiano del Cunicolo. Conosceva troppo bene sua madre. Dopo vari interminabili giorni, il gruppo giunse in una regione in cui il terreno sul fondo dei corridoi era accidentato, le pareti erano frastagliate e i soffitti pieni di stalattiti che incombevano su di loro come mostri sospesi a mezz'aria. I tre amici strinsero le fila, avevano bisogno del conforto derivante dalla reciproca compagnia. Nonostante l'attenzione che poteva attirare, Belwar estrasse la sua spilla magicamente illuminata e se l'applicò al farsetto di cuoio. Anche con quel bagliore, le ombre proiettate dalle punte acuminate non facevano che promettere pericolo. Questa regione sembrava più silenziosa rispetto alla solita immobilità del Buio Profondo. I viandanti nel mondo sotterraneo dei Regni udivano raramente i rumori prodotti da altre creature, ma qui la quiete risultava più profonda, come se tutta la vita fosse stata in qualche modo sottratta dal luogo. I passi pesanti di Clacker e il fruscio degli stivali di Belwar echeggiavano in modo snervante tra le varie superfici di pietra. Belwar fu il primo a intuire l'avvicinarsi di un pericolo. Sottili vibrazioni nella pietra rivelarono allo svirfnebli che lui e i suoi amici non erano da soli. Lo gnomo del profondo fermò Clacker con la mano a piccone, poi si volse verso Drizzt per vedere se il drow condividesse la sua inquietudine. Drizzt indicò il soffitto, poi levitò su nell'oscurità, cercando tra le molte stalattiti un punto adatto a un'imboscata. Il drow sfoderò una delle sue scimitarre mentre saliva e posò l'altra mano sulla statuina d'onice che aveva in tasca. Belwar e Clacker si sistemarono dietro a uno sperone di pietra, mentre lo gnomo del profondo mormorava il ritornello che avrebbe reso magiche le sue mani di mithral. Entrambi si sentivano meglio nella consapevolezza che il guerriero drow si trovava lassù e vegliava su di loro. Ma Drizzt non fu il solo a scegliere le stalattiti come punto adatto a un'imboscata. Non appena fu penetrato tra le pietre frastagliate e acuminate, il drow capì di non essere solo. Una forma, un po' più grande di Drizzt ma dall'aspetto evidentemente umanoide, uscì lentamente passando intorno a una vicina stalattite.
Drizzt si spinse verso di essa dando un calcio a una roccia e così facendo estrasse l'altra scimitarra. Comprese la natura del pericolo un attimo più tardi, perché la testa del suo nemico sembrava una piovra con quattro tentacoli. Drizzt non aveva mai visto prima una simile creatura, ma sapeva di che cosa si trattava, era un illithid, uno scorticatore mentale, il mostro più malvagio e più temuto di tutto il Buio Profondo. Lo scorticatore mentale colpì per primo, molto prima che Drizzt si fosse avvicinato abbastanza da poterlo colpire con la scimitarra. I tentacoli del mostro si agitarono e ondeggiarono, un cono di energia mentale si rovesciò su Drizzt. Il drow lottò, reagendo contro l'oscurità incombente con tutta la sua forza di volontà. Cercò di concentrarsi sul suo obiettivo, cercò di mettere a fuoco la propria rabbia, ma l'illithid colpì di nuovo. Apparve un altro scorticatore mentale e sparò lateralmente contro Drizzt la sua forza ottundente. Belwar e Clacker non poterono vedere nulla dello scontro, perché Drizzt si trovava troppo in alto rispetto al raggio della spilla illuminante dello gnomo del profondo. Entrambi intuirono che stava accadendo qualcosa sopra di loro, tuttavia, e il Guardiano del Cunicolo si arrischiò a chiamare il suo amico in un sussurro. «Drizzt?» La risposta giunse soltanto un attimo dopo, quando due scimitarre caddero fragorosamente sulla pietra. Belwar e Clacker si diressero sorpresi verso le armi, poi indietreggiarono. Davanti a loro l'aria luccicava e tremolava, come se si stesse aprendo una porta invisibile che conduceva a qualche altro piano d'esistenza. Un illithid vi passò attraverso, comparendo direttamente davanti agli amici stupefatti e scatenando la sua esplosione mentale prima che nessuno di loro avesse il tempo di gridare. Belwar barcollò e si accasciò a terra ma Clacker, la cui mente era già in conflitto tra l'orrore uncinato e il pech, non venne colpito così negativamente. Lo scorticatore mentale scatenò di nuovo la sua forza, ma l'orrore uncinato entrò direttamente nel cono ottundente e annientò l'illithid con un unico colpo della sua enorme mano uncinata. Clacker si guardò tutt'intorno e poi alzò lo sguardo. Altri scorticatore mentale stavano scendendo dal soffitto, due tenevano Drizzt per le caviglie. Si aprirono altre porte invisibili. In un istante un'esplosione dopo l'altra colpì Clacker da ogni angolazione, e la difesa derivante dal subbuglio interiore in cui si trovava la sua duplice personalità iniziò rapidamente a
esaurirsi. Una disperazione e un'indignazione prorompente travolsero le azioni di Clacker. In quel momento Clacker divenne unicamente un orrore uncinato, che agiva in base alla rabbia istintiva e alla ferocia della sua razza mostruosa. Ma perfino la dura corazza di un orrore uncinato si rivelò una difesa insufficiente contro le scariche continue e insidiose degli scorticatore mentale. A quel punto si trovò parzialmente immerso nell'oscurità. Sapeva di essere inginocchiato sulla pietra. Clacker continuò a trascinarsi, rifiutando di cedere, rifiutando di abbandonare la rabbia pura che lo pervadeva. Poi si abbandonò a terra, senza più pensare a Drizzt, o a Belwar, o alla rabbia. C'era soltanto oscurità. Parte 4 Impotente Ci sono stati molti momenti nella mia vita in cui mi sono sentito impotente. Si tratta forse della sofferenza più acuta che una persona possa conoscere, fondata sulla frustrazione e sulla rabbia a cui è impossibile dare sfogo. Il taglio di una spada sul braccio di un soldato in battaglia non può essere paragonato all'angoscia che prova un prigioniero allo schiocco di una frusta. Anche se la frusta non colpisce il corpo del prigioniero impotente, sicuramente penetra profondamente nella sua anima. Siamo tutti prigionieri in un momento o nell'altro delle nostre esistenze, prigionieri di noi stessi o delle aspettative di quelli che ci circondano. È un peso che tutti sopportano, che tutti detestano e a cui pochi imparano a sfuggire, io mi considero fortunato a questo proposito, perché la mia vita ha viaggiato lungo una strada di miglioramento che è avanzata piuttosto diritta. Avendo iniziato a Menzoberranzan, sotto l'inesorabile sguardo indagatore delle somme sacerdotesse della Regina Ragno, immagino che la mia situazione non potesse che migliorare. Nella mia caparbia gioventù credevo di poter stare da solo, di essere sufficientemente forte da conquistare i miei nemici con la spada e con i principi. L'arroganza mi convinceva del fatto che, per pura determinazione, potevo conquistare l'impotenza stessa. Ero un giovane caparbio e sciocco, devo ammetterlo, perché quando ora riguardo a quegli anni, vedo
chiaramente che di rado sono stato da solo e di rado son dovuto stare da solo. Ci sono sempre stati amici, sinceri e affezionati, che mi hanno prestato sostegno anche quando credevo di non volerlo, e anche quando non mi rendevo conto che lo stavano facendo. Zaknafein, Belwar, Clacker, Mooshie, Bruenor, Regis, Catti-Brie e, naturalmente, Guenhwyvar, la cara Guenhwyvar. Questi sono stati i compagni che hanno confermato i miei principi, che mi hanno dato la forza di continuare contro il mio nemico, reale o immaginario. Questi sono stati i compagni che hanno combattuto l'impotenza, la rabbia e la frustrazione. Questi sono stati gli amici che mi hanno dato la vita. Drizzt Do'Urden 16 Catene insidiose Clacker guardò giù verso la lontana estremità della grotta lunga e stretta, fino alla struttura dalle molteplici torri che fungeva da castello alla comunità illithid. Benché la sua vista fosse scarsa, l'orrore uncinato poteva distinguere le forme tozze che arrancavano intorno al castello di roccia, e poteva chiaramente udire il suono dei loro arnesi. Erano schiavi, Clacker lo sapeva, duergar, Folletti, gnomi del profondo, e varie altre razze che Clacker non conosceva e che servivano i padroni illithid che sfruttavano le loro capacità nel lavorare la pietra. Essi contribuivano al miglioramento e alla progettazione dell'enorme massa di roccia che gli scorticatore mentale avevano scelto come abitazione. Forse Belwar, così evidentemente adatto a tali imprese, era già all'opera al massiccio edificio. I pensieri fluttuarono attraverso la mente di Clacker e furono dimenticati, sostituiti dagli istinti meno complessi dell'orrore uncinato. Le scosse ottundenti dagli scorticatore mentale avevano ridotto la resistenza mentale di Clacker e l'incantesimo polimorfo del mago si era impadronito di un'altra parte di lui, tanto che non poteva neppure più rendersi conto della discrepanza. Ora le sue identità gemelle combattevano alla pari, lasciando il povero Clacker in uno stato di semplice confusione. Se avesse compreso il suo dilemma, e se avesse saputo qual era stato il destino dei suoi amici, si sarebbe considerato fortunato.
Gli scorticatore mentale sospettavano che in Clacker ci fosse più di quanto il suo corpo di orrore uncinato indicasse. La sopravvivenza della comunità illithid era basata sulla conoscenza e sulla lettura del pensiero, e benché essi non potessero penetrare nel caos che costituiva la mente di Clacker, vedevano chiaramente che i meccanismi mentali che si trovavano all'interno dell'esoscheletro erano decisamente diversi da quelli che si potevano prevedere in un semplice mostro del Buio Profondo. Gli scorticatore mentale non erano padroni stupidi, e inoltre conoscevano i pericoli derivanti dal cercare di decifrare e controllare un mostro assassino corazzato, che pesava due quintali e mezzo. Clacker era semplicemente troppo pericoloso e imprevedibile per essere tenuto in ambienti ristretti. Nella società schiavista degli illithid, tuttavia, c'era un posto per tutti. Clacker si trovava in un'isola di pietra, un lastrone di roccia di circa cinquanta metri di diametro circondato da un abisso ampio e profondo. Con lui c'erano altre creature assortite, che comprendevano una piccola mandria di rothe e vari duergar malconci, che evidentemente avevano trascorso troppo tempo sotto gli influssi degli illithid, i quali avevano loro disgregato la mente. I nani grigi stavano seduti o in piedi, con i volti assenti che fissavano nel nulla assoluto e aspettavano. Clacker giunse ben presto a capire, sarebbero finiti sulla tavola, per la cena dei loro crudeli padroni. Clacker percorreva il perimetro dell'isola, alla ricerca di qualche via di fuga, anche se la sua parte pech avrebbe riconosciuto la futilità della cosa. Soltanto un unico ponte attraversava l'abisso di protezione, un aggeggio magico e meccanico che quando non veniva usato si ritirava saldamente contro il lato opposto dell'abisso. Un gruppo di scorticatore mentale con un unico, corpulento schiavo orco, si avvicinò alla leva che controllava il ponte. Immediatamente Clacker venne assalito dalle loro suggestioni telepatiche. Un'unica possibilità d'azione penetrò nel caos dei suoi pensieri, e in quel momento lui seppe per quale scopo si trovava sull'isola. Doveva essere il pastore del gregge degli scorticatore mentale. Volevano un nano grigio e una rothe, e lo schiavo pastore si mise obbedientemente all'opera. Nessuna delle due vittime oppose alcuna resistenza. Clacker torse coscienziosamente il collo al nano grigio poi, non altrettanto coscienziosamente fracassò il cranio della rothe. Intuì che gli illithid erano soddisfatti, e quest'idea gli provocò delle strane emozioni, tra cui prevaleva un senso di appagamento.
Sollevando entrambe le creature, Clacker si diresse verso la gola per porsi di fronte al gruppo di illithid. Un illithid tirò verso di sé la leva del ponte, che gli arrivava alla vita. Clacker notò che l'azione dell'avvio veniva compiuta nella direzione opposta rispetto a lui; un fatto importante, benché in quel momento l'orrore uncinato non comprendesse esattamente perché. Il ponte di pietra e di metallo gemette, vacillò e scattò verso l'esterno, partendo dalla rupe opposta rispetto a Clacker. Si allungò verso l'isola finché non si aggrappò solidamente alla pietra ai piedi di Clacker. Vieni da me, fu l'ordine di uno degli illithid. Clacker sarebbe riuscito a opporsi all'ordine se ne avesse visto l'opportunità. Salì sul ponte, che scricchiolò notevolmente sotto alla sua mole. Alt! Lascia le vittime, fu un'altra suggestione lanciata quando l'orrore uncinato era giunto a metà strada. Lascia le vittime! gridò nuovamente la voce telepatica. E torna sulla tua isola! Clacker prese in considerazione le diverse alternative. La rabbia dell'orrore uncinato traboccava dentro di lui, e i pensieri che appartenevano al pech, afflitti dalla perdita dei suoi amici, erano completamente d'accordo. Pochi passi l'avrebbero condotto dai suoi nemici. A un ordine degli scorticatore mentale l'orco si portò all'estremità del ponte. Era un po' più alto di Clacker e largo quasi come lui, ma era inerme e non sarebbe stato in grado di fermarlo. A lato della guardia corpulenta, tuttavia, Clacker individuò una difesa più seria. L'illithid che aveva tirato la leva per attivare il ponte vi si trovava ancora accanto e con una mano, una strana appendice a quattro dita, prima la stringeva e poi la lasciava, con gesto impaziente Clacker non sarebbe riuscito ad attraversare la parte restante e a oltrepassare l'orco che lo bloccava prima che il ponte gli rotolasse via di sotto, lasciandolo cadere inevitabilmente in fondo all'abisso. Con riluttanza, l'orrore uncinato pose le vittime sul ponte e tornò all'isola di pietra. L'orco uscì immediatamente e recuperò il nano e la rothe morti per i suoi padroni. Allora l'illithid tirò la leva e, in un batter d'occhio, il ponte magico scattò all'indietro attraverso la gola, lasciando Clacker nuovamente bloccato. Mangia, ordinò uno degli illithid. Una sventurata rothe vagò accanto all'orrore uncinato mentre l'ordine inondava i suoi pensieri, e distrattamente Clacker le lasciò cadere un pesante artiglio sulla testa. Mentre gli illithid si allontanavano, Clacker sedette a mangiare, crogiolandosi nel sapore del sangue e della carne. Il suo lato di orrore uncinato
ebbe completamente la meglio durante il primitivo banchetto, ma ogni volta che Clacker si volgeva a guardare dall'altra parte della gola e lungo la stretta grotta, verso il castello degli illithid, una piccola voce pech dentro di lui esprimeva piangendo la propria preoccupazione per uno svirfnebli e un drow. *
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Di tutti gli schiavi recentemente catturati nei tunnel fuori dal castello dagli illithid, Belwar Dissengulp era il più richiesto. A parte il fattore curiosità, suscitato dalle mani di mithral dello svirfnebli, Belwar era perfettamente adatto ai due compiti più richiesti in uno schiavo illithid: l'abilità nel lavorare la pietra e quella di combattere nell'arena dei gladiatori. Durante l'asta degli schiavi degli illithid ci fu un gran trambusto quando lo gnomo del profondo fu fatto avanzare. Offerte d'oro e oggetti magici, incantesimi privati e volumi di conoscenza furono lanciati in aria con grande trasporto. Alla fine, il Guardiano del Cunicolo fu venduto a un gruppo di tre scorticatore mentale, i tre che avevano guidato la spedizione che l'aveva catturato. Belwar, naturalmente, non sapeva nulla della transazione; ancora prima che fosse completata lo gnomo del profondo venne accompagnato via, lungo un tunnel buio e stretto, e venne introdotto in una spoglia stanzetta. Poco tempo dopo tre voci riecheggiarono nella sua mente, tre uniche voci telepatiche che lo gnomo del profondo comprese e non avrebbe dimenticato: le voci dei suoi nuovi padroni. Una saracinesca di ferro s'alzò davanti a Belwar, rivelando una stanza circolare ben illuminata con pareti elevate su cui erano divise file di sedili per il pubblico. Vieni fuori, gli ordinò perentoriamente uno dei padroni, e il Guardiano del Cunicolo, che desiderava soltanto soddisfare pienamente i suoi padroni, non esitò. Quando uscì dal breve passaggio, vide che varie dozzine di scorticatore mentale si erano raccolti tutt'intorno su panchine di pietra. Quelle strane mani illithid a quattro dita indicavano in basso verso di lui da ogni direzione, e sullo sfondo di tutte c'erano gli stessi volti da piovra privi d'ogni espressione. Seguendo il legame telepatico, tuttavia, Belwar non ebbe problemi a trovare il suo padrone tra la folla: questi era impegnato a discutere probabilità e anticipi con un gruppetto.
Dalla parte opposta si aprì una saracinesca simile a quella da cui era uscito Belwar e comparve un orco enorme. Immediatamente gli occhi della creatura vagarono tra la folla alla ricerca del proprio padrone, il punto focale della sua esistenza. Quest'orco malvagio, questa bestia mi ha minacciato, mio coraggioso campione svirfnebli, poco dopo giunse l'incoraggiamento telepatico del padrone di Belwar, quando tutte le scommesse furono portate a termine. Distruggilo per me. A Belwar non fu necessaria nessuna ulteriore esortazione, né all'orco, che aveva ricevuto un messaggio analogo dal proprio padrone. I gladiatori corsero l'uno verso l'altro furiosamente, ma mentre l'orco era giovane e piuttosto stupido, Belwar era un abile veterano con una certa esperienza. Rallentò all'ultimo momento e rotolò di lato. L'orco, cercando disperatamente di dargli un calcio mentre poneva fine alla sua carica, inciampò impercettibilmente. Fu sufficiente. La mano a martello di Belwar andò a frantumare il ginocchio dell'orco con uno schianto che risuonò con la stessa forza del fulmine di un mago. L'orco barcollò in avanti piegandosi in due e Belwar diresse la sua mano a piccone contro il grasso posteriore del nemico. Mentre il mostro gigantesco inciampava lateralmente perdendo l'equilibrio, Belwar si gettò ai suoi piedi, facendolo cadere sulla pietra. Il guardiano del cunicolo si alzò in un istante, balzò sul gigante prono e si mise a corrergli addosso dirigendosi verso la testa. L'orco si riprese con sufficiente rapidità e afferrò lo svirfnebli per la parte anteriore del farsetto, ma proprio mentre il mostro stava per scagliare lontano il suo piccolo avversario pestifero, Belwar affondò profondamente la mano a piccone nel petto della creatura. Ululando di rabbia e di dolore, lo stupido orco continuò nel suo lancio, e Belwar fu scagliato via. La punta acuminata del piccone non mollò la presa e l'impeto con cui era stato lanciato lo gnomo del profondo aprì un ampio squarcio nel petto dell'orco, che si rotolò e agitò, liberandosi finalmente dalla crudele mano di mithral. Un ginocchio enorme colse Belwar nel sedere, lanciandolo contro la pietra ad alcuni metri di distanza. Il Guardiano del Cunicolo si rialzò in piedi dopo alcuni brevi rimbalzi, stordito e dolorante, ma ancora con l'unico desiderio di soddisfare il suo padrone.
Lo svirfnebli udì l'esultanza silenziosa e le grida telepatiche di ogni illithid nella stanza, ma un richiamo penetrò attraverso il frastuono mentale con precisa chiarezza. Uccidilo! ordinò il padrone di Belwar. Belwar non esitò. Ancora lungo disteso sulla schiena, l'orco si stringeva il petto, cercando invano di arrestare il flusso del suo sangue vitale. Probabilmente le ferite che aveva già riportato si sarebbero rivelate fatali, ma Belwar era lungi dall'essere soddisfatto. Quest'essere malvagio aveva minacciato il suo padrone! Il Guardiano del Cunicolo caricò direttamente verso la parte superiore della testa dell'orco, con la mano a martello tesa davanti a sé. Tre rapidi pugni ammorbidirono il cranio del mostro, poi il piccone vi affondò per il colpo mortale. L'orco condannato si contrasse selvaggiamente negli ultimi spasmi della vita, ma Belwar non provò alcuna pietà. Aveva soddisfatto il suo padrone, in quel momento per il Guardiano del Cunicolo nient'altro in tutto il mondo aveva importanza. Su tra il pubblico, l'orgoglioso padrone del campione svirfnebli raccolse quanto gli era dovuto in oro e bottiglie di pozioni. Soddisfatto al pensiero di aver fatto un affare con l'acquisto di questo schiavo, l'illithid si volse a guardare Belwar, che continuava a menar colpi sul cadavere e a maciullarlo. Pur divertendosi a osservare il nuovo campione giocare selvaggiamente, l'illithid si affrettò a inviargli un messaggio affinché cessasse. L'orco morto, dopo tutto, faceva a sua volta parte della scommessa. Non aveva senso rovinare la cena. *
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Nel cuore del castello illithid si ergeva un'enorme torre, una stalagmite gigantesca cava e scolpita per ospitare i membri più importanti di quella strana comunità. L'interno della smisurata struttura di pietra era circondato da terrazze e scalinate a spirale, e ogni livello ospitava vari scorticatore mentale. Ma era proprio la stanza più bassa, priva di elementi ornamentali e circolare, che conteneva l'essere più importante di tutti, il cervello centrale. Questo ammasso di carne privo d'ossa e pulsante misurava sei metri di diametro e legava la comunità degli scorticatore mentale in una simbiosi telepatica. Il cervello centrale rappresentava l'insieme composito della loro conoscenza, l'occhio mentale che proteggeva le loro cavità esterne e che aveva udito le grida d'allarme dell'illithid della città drow, molte miglia a
est. Per gli illithid della comunità il cervello centrale era il coordinatore della loro intera esistenza e praticamente il loro dio. Perciò soltanto a pochissimi schiavi era consentito l'accesso all'interno di questa torre speciale, prigionieri con dita sensibili e delicate che potevano massaggiare l'essere divino degli illithid e lenirlo con morbide spazzole e fluidi caldi. Drizzt Do'Urden faceva parte di questo gruppo. Il drow era inginocchiato sull'ampia passerella che circondava la stanza, allungava le mani per accarezzare la massa amorfa, sentendo ciò che le faceva piacere e ciò che la contrariava. Quando il cervello si turbava, Drizzt sentiva gli acuti formicolii e la tensione dei tessuti venati. Allora massaggiava con maggiore vigore, riportando alla serenità il suo amato padrone. Quando il cervello era soddisfatto, Drizzt era soddisfatto. Nient'altro in tutto il mondo aveva importanza; il drow ribelle aveva trovato il suo scopo nella vita. Drizzt Do'Urden era sistemato. *
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«Quella è stata una cattura estremamente proficua», disse lo scorticatore mentale nella sua voce scialba, ultraterrena. La creatura teneva in mano le pozioni che aveva vinto nell'arena. Gli altri due illithid agitarono le mani a quattro dita, professandosi d'accordo. Campione dell'arena osservò telepaticamente uno di loro. «E attrezzato per scavare», aggiunse il terzo a voce alta. Un'idea entrò nella sua mente e, di conseguenza, fu percepita dalla mente degli altri. Forse per scolpire? I tre illithid guardarono dall'altra parte della stanza, dov'era iniziato il lavoro per una nuova area da trasformare. Il primo illithid agitò le dita e gorgogliò: «Ci sarà tempo per riservare lo svirfnebli a tali umili compiti. Ora deve vincere altre pozioni per me. Una cattura estremamente proficua!» «Come tutti quelli presi nell'imboscata», disse il secondo. «L'orrore uncinato si occupa della mandria», spiegò il terzo. «E il drow si occupa del cervello», gorgogliò il primo. «L'ho notato mentre salivo nella nostra stanza. Si rivelava un ottimo massaggiatore, per il piacere del cervello e a beneficio di noi tutti.» «E c'è questo», disse il secondo, mentre uno dei suoi tentacoli scattava fuori per richiamare l'attenzione del terzo. Il terzo illithid mostrò una statuina d'onice.
Magica? si chiese il primo. Proprio così, replicò mentalmente il secondo. Collegata al Piano Astrale. Una pietra dell'entità, credo. «L'hai convocata?» chiese il primo a voce alta. Insieme, gli altri illithid strinsero le mani, il segnale degli scorticatore mentale che significava no. «Potrebbe trattarsi di un nemico pericoloso» spiegò il terzo. «Abbiamo ritenuto prudente osservare l'animale nel proprio piano prima di convocarlo.» «Saggia decisione», convenne il primo. «Quando andrete?» «Immediatamente», disse il secondo. «E tu vuoi accompagnarci?» Il primo illithid strinse i pugni, poi mostrò la bottiglia della pozione. «Profitti da vincere», spiegò. Gli altri due agitarono le dita, eccitati. Poi, mentre il loro compagno si ritirava in un'altra stanza per contare le sue vincite, loro sedettero in comode poltrone imbottitissime e si prepararono per il viaggio. Fluttuarono insieme, lasciando i loro corpi a riposare nelle poltrone. Salirono lungo il legame della statuina fino al Piano Astrale, che nel loro stato astrale essi percepivano come una cordicella d'argento. Ora si trovavano al di là della grotta dei loro compagni, al di là delle pietre e dei rumori del Piano Materiale, fluttuavano nella vasta serenità del mondo astrale. Qui c'erano pochi suoni, a parte la nenia continua del vento astrale. Qui, inoltre, non c'era alcuna struttura solida, nessuna nei termini del mondo materiale, dato che la materia veniva definita in gradazioni di luce. Gli illithid si staccarono dalla cordicella argentea della statuina mentre si avvicinavano al completamento della loro ascesa astrale. Avrebbero fatto il loro ingresso nel piano accanto all'entità della grande pantera, ma non così vicino da renderla consapevole della loro presenza. Normalmente gli illithid non erano ospiti accolti favorevolmente, dato che praticamente erano disprezzati da ogni creatura, indipendentemente dal piano in cui viaggiassero. Giunsero pienamente nel loro stato astrale senza incidenti ed ebbero scarsi problemi a individuare l'entità rappresentata dalla statuina. Guenhwyvar scattava velocemente attraverso una foresta di luce stellare all'inseguimento dell'entità dell'alce, continuando il ciclo infinito. L'alce, non meno magnifico della pantera, balzava e scattava in equilibrio perfetto e con grazia inconfondibile. L'alce e Guenhwyvar avevano rappresentato fino in fondo questa scena un milione di volte e l'avrebbero rappresentata ancora un milione di milioni di volte. Questi erano l'ordine e l'armonia che
regolavano l'esistenza della pantera, che in definitiva regolavano i piani in tutto l'universo. Alcune creature, tuttavia, come gli abitanti dei piani inferiori e come gli scorticatore mentale che ora osservavano la pantera da lontano, non potevano accettare la semplice perfezione di tale armonia e non erano in grado di capire la bellezza di questa caccia eterna. Mentre osservavano la meravigliosa pantera impegnata nella rappresentazione della propria esistenza, gli unici pensieri degli illithid si concentravano su come avrebbero potuto usare il felino nel modo più vantaggioso. 17 Un delicato equilibrio Belwar studiò attentamente il suo ultimo nemico, l'aspetto della bestia corazzata gli sembrava in qualche modo familiare. Si chiese se non fosse stato amico di una simile creatura in precedenza. Indipendentemente dai dubbi che il gladiatore svirfnebli poteva avere, questi non potevano far breccia nella consapevolezza dello gnomo del profondo, perché il padrone illithid di Belwar continuò a investirlo con il suo flusso insidioso di menzogne telepatiche. Uccidilo, mio coraggioso campione, implorava l'illithid dall'alto delle tribune. È tuo nemico, questo è assolutamente certo, e mi farà del male se tu non lo uccidi! L'orrore uncinato, molto più grande dell'amico perduto di Belwar, caricò lo svirfnebli, per nulla frenato dalla prospettiva di potersi cibare dello gnomo del profondo. Belwar si piantò sulle gambe tozze e attese il momento giusto. Mentre l'orrore uncinato si avventava su di lui, con le mani artigliate allargate per impedirgli di sottrarsi di lato, Belwar balzò direttamente in avanti, con la mano a martello tesa proprio contro il petto del mostro. Spaccature s'allargarono su tutto l'esoscheletro dell'orrore uncinato per la pura forza del colpo, e il mostro venne meno, cadendo al tempo stesso in avanti. Il volo di Belwar subì un rapido capovolgimento, perché il peso dell'orrore uncinato e il suo slancio erano di gran lunga maggiori di quelli dello svirfnebli. Lo gnomo del profondo sentì la spalla scattargli fuori dall'articolazione e anche lui quasi svenne per l'improvviso, terribile dolore. Ancora una volta i richiami del padrone illithid di Belwar prevalsero sui suoi pensieri, e anche sul dolore.
I gladiatori crollarono l'uno addosso all'altro, Belwar sepolto sotto la mole del mostro. Le dimensioni ingombranti dell'orrore uncinato gli impedirono di colpire con le mani il Guardiano del Cunicolo, ma il mostro aveva altre armi. Un rostro terribile si abbassò in direzione di Belwar. Lo gnomo del profondo riuscì a bloccarne la traiettoria con la mano a piccone, ma la testa gigantesca dell'orrore uncinato spinse comunque in avanti, torcendo all'indietro il braccio di Belwar. Il becco affamato scattò, deviando ad appena un paio di centimetri dal volto del Guardiano del Cunicolo. In tutte le tribune della grande arena, gli illithid saltavano e parlavano concitati, sia usando il sistema telepatico, che le loro voci scialbe e gorgoglianti. Dita s'agitavano in contrasto con pugni stretti, mentre gli scorticatore mentale cercavano di riscuotere prematuramente il pagamento delle scommesse. Il padrone di Belwar, temendo la perdita del suo campione, chiamò il padrone dell'orrore uncinato. Ti arrendi? chiese, cercando di far risultare sicuri i propri pensieri. L'altro illithid si volse dall'altra parte compiaciuto e sbarrò i propri ricettacoli telepatici. Il padrone di Belwar non poté far altro che osservare. L'orrore uncinato non poteva mirare più vicino; il braccio dello svirfnebli era bloccato contro la pietra al gomito, e il piccone di mithral tratteneva fermamente all'indietro il becco mortale del mostro. L'orrore uncinato ricorse a una tattica diversa, sollevando il capo e liberandolo dalla mano di Belwar in un improvviso movimento scattante. In quel momento Belwar fu salvato dalla propria intuizione di guerriero, perché l'orrore uncinato si rovesciò improvvisamente e il becco mortale affondò di nuovo. La reazione normale e la mossa di difesa prevista sarebbe stata quella di dare un forte colpo laterale alla testa del mostro con la mano a piccone. L'orrore uncinato anticipò una simile parata, e Belwar intuì in anticipo che il mostro l'avrebbe fatto. Belwar lanciò il proprio braccio davanti a sé, ma accorciò l'allungo in modo che il piccone passasse molto al di sotto del rostro dell'orrore uncinato, che stava piombando verso il basso. Nel frattempo il mostro, credendo che Belwar stesse cercando di colpirlo, fermò la discesa del suo becco esattamente come aveva previsto. Ma il piccone di mithral invertì la propria direzione molto più rapidamente di quanto avesse previsto il mostro. Il colpo rovesciato di Belwar colse l'orrore uncinato proprio dietro al becco e gli fece scattare la testa lateralmente. Poi, ignorando il dolore lancinante che gli veniva dalla spalla
ferita, Belwar piegò al gomito l'altro braccio e tirò un pugno. Non c'era forza dietro al colpo, ma in quel momento l'orrore uncinato tornò indietro e aprì il becco per mordere il volto esposto dello gnomo del profondo. Appena in tempo per scontrarsi con il martello di mithral. La mano di Belwar entrò nella bocca dell'orrore uncinato, incuneandosi molto in fondo, allargando il becco più di quanto potesse essere aperto. Il mostro si contrasse selvaggiamente, cercando di liberarsi, mentre ogni torsione improvvisa mandava ondate di dolore lungo il braccio ferito del Guardiano del Cunicolo. Belwar reagì con altrettanta furia, percuotendo ripetutamente con la mano libera la parte della testa dell'orrore uncinato. Sangue colava lungo il becco del gigante mentre il piccone penetrava. «Ti arrendi?» gridava ora con la sua voce scialba il padrone di Belwar al padrone dell'orrore uncinato. Tuttavia la domanda era ancora prematura, perché giù nell'arena l'orrore uncinato corazzato era ben lungi dall'essere sconfitto. Utilizzò un'altra arma, il suo semplice peso. Il mostro si scaraventò di petto sullo gnomo del profondo che giaceva a terra, cercando semplicemente di ucciderlo frantumandolo. «Tu ti arrendi?» rispose il padrone dell'orrore uncinato, vedendo la piega inaspettata che stavano prendendo gli avvenimenti. Il piccone di Belwar colse l'occhio dell'orrore uncinato, e il mostro ululò per il terribile dolore. Gli illithid saltavano e indicavano, agitando le dita e aprendo e chiudendo i pugni. Entrambi i padroni dei gladiatori compresero quanto avevano da perdere. Se si fosse lasciata proseguire la battaglia era probabile che i due concorrenti non sarebbero mai più stati in grado di combattere. Forse dovremmo prendere in considerazione un pareggio? propose telepaticamente il padrone di Belwar. L'altro illithid accettò prontamente. Entrambi i padroni inviarono messaggi ai loro campioni. Ci vollero vari attimi brutali per calmare la loro rabbia infiammata e porre fine alla gara ma, in seguito, le suggestioni degli illithid ebbero la meglio sui selvaggi istinti di sopravvivenza dei gladiatori. Improvvisamente, sia lo gnomo del profondo che l'orrore uncinato sentirono un'affinità l'uno per l'altro, e quando l'orrore uncinato si sollevò, pose un artiglio allo svirfnebli per aiutarlo ad alzarsi in piedi. Poco tempo dopo, Belwar sedeva sull'unica panca di pietra nella sua spoglia celletta, all'interno del tunnel che conduceva all'arena circolare. Il
braccio a martello del Guardiano del Cunicolo era divenuto completamente insensibile e un orribile livido violaceo e blu gli copriva tutta la spalla. Sarebbero trascorsi molti giorni prima che Belwar fosse in grado di competere nuovamente nell'arena, e il fatto di non essere subito in grado di soddisfare il suo padrone lo turbava profondamente. L'illithid si recò da lui per ispezionare il danno. Aveva pozioni che potevano aiutare a guarire la ferita, ma era evidente che, nonostante l'aiuto della magia, Belwar aveva bisogno di tempo per riposare. Tuttavia lo scorticatore mentale aveva intenzione di utilizzare altrimenti lo svirfnebli. Era necessario completare un angolo dei suoi appartamenti privati. Vieni, ordinò l'illithid a Belwar, e il Guardiano del Cunicolo balzò in piedi e corse fuori, restando rispettosamente un passo dietro al padrone. Un drow inginocchiato attirò l'attenzione di Belwar mentre attraversava insieme allo scorticatore mentale il livello inferiore della torre centrale. Com'era fortunato l'elfo scuro a poter toccare e dare piacere al cervello centrale della comunità! Tuttavia dopo un po' Belwar non ci pensò più, mentre saliva al terzo livello della struttura e alla serie di stanze che condividevano i suoi tre padroni. Gli altri due illithid sedevano nelle loro poltrone, immobili e apparentemente privi di vita. Il padrone di Belwar prestò scarsa attenzione allo spettacolo; sapeva che i suoi compagni erano lontani, che stavano effettuando un viaggio astrale e che i loro corpi erano assolutamente al sicuro. Lo scorticatore mentale si fermò a chiedersi, soltanto per un attimo, come se la cavassero i suoi compagni in quel piano lontano. Come a tutti gli illithid, al padrone di Belwar piaceva il viaggio astrale, ma il pragmatismo, una tipica caratteristica illithid, manteneva i pensieri della creatura su ciò di cui doveva occuparsi immediatamente. Aveva effettuato un grande investimento con l'acquisto di Belwar, un investimento che non era disposto a perdere. Lo scorticatore mentale condusse Belwar in una stanza posteriore e lo fece sedere su un insignificante tavolo di pietra. Poi improvvisamente, l'illithid bombardò Belwar di suggestioni e domande telepatiche, sondando mentre sistemava rudemente la spalla danneggiata e la fasciava. Gli scorticatore mentale erano in grado d'invadere i pensieri di una creatura con la loro scossa ottundente o con comunicazioni telepatiche, ma un illithid poteva impiegare settimane, perfino mesi, per dominare pienamente il proprio schiavo. Ogni incontro infrangeva ulteriormente la naturale resistenza
dello schiavo alle insinuazioni mentali dell'illithid, e rivelava sempre di più riguardo ai ricordi e alle emozioni dello schiavo. Il padrone di Belwar era deciso a sapere tutto su questo strano svirfnebli, sulle sue mani particolari e sugli insoliti compagni che aveva scelto. Questa volta, durante lo scambio telepatico l'illithid si concentrò sulle mani di mithral perché intuiva che Belwar non stava agendo in conformità alle proprie capacità. I pensieri dell'illithid sondarono ed esortarono, e dopo un po' penetrarono in un angolo profondo della mente di Belwar e vennero a conoscenza di una curiosa cantilena. Bivrip? chiese a Belwar. Di riflesso il Guardiano del Cunicolo sbatté le mani tra loro, poi ebbe una smorfia di dolore per il trauma provocatogli dal colpo. Le dita e i tentacoli dell'illithid si agitarono entusiasti. Aveva individuato qualcosa d'importante, lo sapeva, qualcosa che poteva rendere più forte il suo campione. Se lo scorticatore mentale consentiva a Belwar di tornare in possesso del ricordo della cantilena, tuttavia, avrebbe restituito allo svirfnebli una parte di se stesso, un ricordo cosciente dei giorni in cui non era ancora uno schiavo. L'illithid porse a Belwar un'altra pozione curativa, poi si guardò intorno per esaminare intorno le proprie mercanzie. Se Belwar avesse continuato a fare il gladiatore, avrebbe dovuto affrontare nuovamente nell'arena l'orrore uncinato; secondo le regole illithid, dopo un pareggio era necessaria una ripetizione dell'incontro. Il padrone di Belwar dubitava che lo svirfnebli sarebbe sopravvissuto a un altro combattimento contro quel campione corazzato. A meno che... *
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Dinin Do'Urden percorreva al passo sul dorso della sua lucertola la regione delle case minori di Menzoberranzan, la parte più congestionata della città. Teneva il cappuccio del suo piwafwi tirato sul volto e non portava alcun emblema che rivelasse la sua nobile origine e l'appartenenza a una casa dominante. La segretezza era alleata di Dinin, lo proteggeva sia dagli occhi vigili degli abitanti di questa parte pericolosa della città, che dalle orecchie furiose di disapprovazione di sua madre e di sua sorella. Dinin era sopravvissuto abbastanza a lungo da comprendere i pericoli della compia-
cenza. Viveva in uno stato che rasentava la paranoia; non sapeva mai quando Malice e Briza potevano osservarlo. Un gruppo di pulciorsi si scostò lentamente dalla traiettoria della lucertola al passo. L'orgoglioso primogenito maschio di Casa Do'Urden si sentì pervadere da un senso di furore di fronte ai modi superficiali degli schiavi. La mano di Dinin andò istintivamente alla frusta che portava alla cintura. Tuttavia Dinin controllò saggiamente la propria rabbia, ricordando a se stesso le possibili conseguenze dell'essere scoperto. Svoltò un altro degli angoli acuti e avanzò passando attraverso una fila di ammassi di stalagmiti collegati tra loro. «Così mi hai trovato», disse una voce familiare proveniente da dietro e lateralmente. Sorpreso e spaventato, Dinin fermò il proprio animale e rimase raggelato in sella. Sapeva che almeno una decina di piccole balestre erano puntate su di lui. Lentamente, Dinin volse il capo per osservare Jarlaxle che si avvicinava. Là fuori nell'oscurità il mercenario sembrava molto diverso dal drow estremamente cortese e condiscendente che Dinin aveva conosciuto a Casa Do'Urden. O forse era semplicemente lo spettro delle due guardie drow armate di spada che stavano ai lati di Jarlaxle e il fatto che Dinin si rendeva conto di non avere nelle vicinanze Matrona Malice a proteggerlo. «Si dovrebbe chiedere il permesso prima di entrare in casa d'altri», disse con calma Jarlaxle, ma con un sottofondo decisamente minaccioso. «È un atto di comune cortesia.» «Mi trovo all'aperto, per strada», gli ricordò Dinin. Il sorriso di Jarlaxle negava la logica. «Casa mia.» Dinin ricordò la propria posizione e quei pensieri gli ispirarono un certo coraggio. «Allora un nobile di una casa dominante dovrebbe chiedere il permesso di Jarlaxle prima di uscire dal suo cancello d'ingresso?» ringhiò il primogenito maschio. «E che ne dici di Matrona Baenre, che non entrerebbe neppure nella più piccola delle case di Menzoberranzan senza aver chiesto il permesso alla relativa Matrona Madre? Anche Matrona Baenre dovrebbe chiedere il permesso di Jarlaxle, il ribelle senza casa?» Dinin si rese conto che forse stava spingendo l'insulto un po' troppo oltre, ma il suo orgoglio pretendeva l'uso di quelle parole. Jarlaxle si rilassò visibilmente e il sorriso sul suo volto parve quasi sincero. «Così mi hai trovato», ripeté, questa volta sprofondandosi nel suo solito inchino. «Esponi il tuo scopo e facciamola finita.»
Dinin incrociò le braccia sul petto con aria bellicosa, acquistando fiducia dalle apparenti concessioni del mercenario. «Sei così sicuro che stessi cercando te?» Jarlaxle scambiò dei sogghigni con le sue due guardie. Risatine sotto i baffi provenienti da soldati invisibili, nell'ombra del vicolo, fecero perdere a Dinin buona parte della sua sicurezza. «Esponi la questione, Primogenito maschio», disse Jarlaxle più esplicitamente, «e facciamola finita.» Dinin era decisamente ansioso di completare quest'incontro il più rapidamente possibile. «Ho bisogno d'informazioni riguardanti Zin-carla», disse senza mezzi termini. «Lo spirito-spettro di Zaknafein sta percorrendo il Buio Profondo da molti giorni. Troppi, forse?» Jarlaxle socchiuse gli occhi mentre seguiva il ragionamento del primogenito maschio. «Matrona Malice ti ha mandato da me?» era al tempo stesso un'affermazione e una domanda. Dinin scrollò il capo e Jarlaxle non dubitò della sua sincerità. «Sei saggio quanto abile con la lama», disse benignamente il mercenario, sprofondando in un secondo inchino, che lì fuori, nel mondo oscuro di Jarlaxle, parve in qualche modo ambiguo. «Sono venuto di mia iniziativa», disse Dinin con fermezza. «Devo trovare alcune risposte.» «Hai paura, Primogenito maschio?» «Sono preoccupato», rispose sinceramente Dinin, ignorando il tono beffardo del mercenario. «Non faccio mai l'errore di sottovalutare i miei nemici, o i miei alleati.» Jarlaxle gli lanciò un'occhiata confusa. «So che cos'è diventato mio fratello», spiegò Dinin. «E so chi era un tempo Zaknafein.» «Ora Zaknafein è uno spirito-spettro», rispose Jarlaxle, «sottoposto al controllo di Matrona Malice.» «Sono trascorsi molti giorni», disse Dinin tranquillamente, convinto che le implicazioni delle sue parole fossero sufficientemente chiare. «Tua madre ha chiesto Zin-carla», replicò Jarlaxle un po' aspramente. «È il dono più grande di Lolth, concesso soltanto affinché la Regina Ragno venga a sua volta soddisfatta. Matrona Malice era a conoscenza del rischio quando ha richiesto Zin-carla.» Sicuramente tu capisci, Primogenito maschio, che gli spiriti-spettri vengono affidati per il completamento di un compito specifico.
«E quali sono le conseguenze del fallimento?», chiese senza mezzi termini Dinin, assumendo lo stesso atteggiamento turbato di Jarlaxle. A Dinin bastò in risposta lo sguardo fisso e incredulo del mercenario. «Quanto tempo ha Zaknafein?» chiese Dinin. Jarlaxle scrollò le spalle in modo indefinito e rispose ponendo a sua volta una domanda. «Chi può intuire i piani di Lolth?» chiese. «La Regina Ragno può essere paziente, se il profitto è sufficientemente grande da giustificare l'attesa. Il valore di Drizzt è forse tale?» Ancora una volta il mercenario scrollò le spalle. «Sta a Lolth, e a lei sola a deciderlo.» Dinin studiò Jarlaxle per un lungo istante, finché non fu certo che il mercenario non avesse più niente da offrirgli. Poi si volse verso la lucertola su cui era venuto e si abbassò sul volto la cappa del piwafwi. Quando fu risalito in sella Dinin si volse, pensando di esprimere un commento finale, ma il mercenario e le sue guardie erano spariti. *
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«Bivrip!» esclamò Belwar, completando l'incantesimo. Il Guardiano del Cunicolo batté nuovamente le mani tra loro e questa volta non trasalì, perché il dolore non era così intenso. Volarono scintille quando le mani di mithral sbatterono tra loro, e il padrone di Belwar batté le mani a quattro dita in assoluta letizia. Ora l'illithid doveva semplicemente vedere il suo gladiatore in azione. Si guardò intorno alla ricerca di un bersaglio e individuò l'angolo parzialmente scolpito. Un'intera serie d'istruzioni telepatiche ruggirono nella mente del Guardiano del Cunicolo mentre l'illithid impartiva immagini mentali del disegno e della profondità che voleva per quell'angolo. Belwar si gettò a capofitto nel lavoro. Incerto riguardo alla forza della spalla ferita, quella che guidava la mano a martello, iniziò con il piccone. La pietra esplose polverizzandosi sotto al colpo della mano incantata, e l'illithid inviò un chiaro messaggio di soddisfazione a inondare i pensieri di Belwar. Neppure l'armatura di un orrore uncinato avrebbe sopportato un simile colpo! Il padrone di Belwar rafforzò le istruzioni che aveva dato allo gnomo del profondo, poi si trasferì in una stanza adiacente a studiare. Lasciato solo al proprio lavoro, così simile ai compiti per cui aveva lavorato in tutto il suo secolo di vita, Belwar si trovò a riflettere.
Nulla in particolare attraversò i pochi pensieri coerenti del Guardiano del Cunicolo; la necessità di soddisfare il suo padrone illithid restò la guida più importante ai suoi movimenti. Per la prima volta dal momento della cattura, tuttavia, Belwar riflette. Identità? Scopo? Il canto magico che incantava le sue mani di mithral gli attraversò di nuovo la mente, divenne un punto focale della sua determinazione inconscia a distinguere attraverso la confusione creata dalle insinuazioni dei suoi aguzzini. «Bivrip!» mormorò di nuovo, e la parola scatenò un ricordo più recente, l'immagine di un elfo drow, inginocchiato a massaggiare l'essere divino della comunità illithid. «Drizzt?» mormorò Belwar sottovoce, ma il nome fu dimenticato nel colpo successivo della mano a piccone, obliterato dal continuo desiderio dello svirfnebli di soddisfare il padrone illithid. L'angolo doveva risultare perfetto. *
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Un grumo di carne s'increspò sotto la mano della pelle d'ebano e Drizzt fu sommerso da un'ondata d'ansia impartita dal cervello centrale della comunità di scorticatore mentale. L'unica risposta emotiva del drow fu di tristezza, perché non poteva sopportare di sapere addolorato il cervello. Dita sottili massaggiavano e strofinavano; Drizzt sollevò una ciotola d'acqua calda e la versò lentamente sulla pelle. Poi Drizzt fu felice, perché la pelle tornò liscia sotto al suo abile tocco, e le emozioni ansiose del cervello vennero ben presto sostituite da un allettante accenno di gratitudine. Dietro al drow inginocchiato, dall'altra parte dell'ampia passerella, due illithid osservavano la scena con aria di approvazione. Gli elfi drow si erano sempre rivelati abili in questo compito, e quest'ultimo prigioniero era uno dei migliori che avessero avuto finora. Gli illithid agitarono le dita con entusiasmo alle implicazioni di quel reciproco pensiero. Il cervello centrale aveva individuato un altro intruso drow nella lunga e stretta grotta degli illithid, un altro schiavo che avrebbe massaggiato e confortato. Così credeva il cervello centrale. Quattro illithid uscirono dalla grotta, guidati dalle immagini impartite dal cervello centrale. Un unico elfo drow era entrato nel loro regno, una facile cattura per quattro illithid.
Così credevano gli scorticatore mentale. 18 L'elemento sorpresa Lo spirito-spettro si fece strada in silenzio attraverso i corridoi accidentati e serpeggianti, viaggiando con i passi leggeri ed esperti di un veterano guerriero drow. Ma gli scorticatore mentale, guidati dal cervello centrale, avevano anticipato perfettamente la traiettoria di Zaknafein e lo stavano aspettando. Quando Zaknafein giunse accanto alla stessa sporgenza di pietra dove Belwar e Clacker erano caduti, un illithid balzò fuori verso di lui e fwoop!, fece esplodere la sua energia ottundente. Così da vicino, poche creature avrebbero potuto resistere a un colpo tanto potente, ma Zaknafein era un essere non-morto, non apparteneva a questo mondo. La prossimità della mente di Zaknafein, collegata a un altro piano d'esistenza, non poteva essere misurata in passi. Impassibili di fronte a tali attacchi mentali, le spade dello spirito-spettro affondarono direttamente, entrambe colsero lo stupefatto illithid negli occhi lattiginosi privi di pupilla. Gli altri tre scorticatore mentale scesero fluttuando dal soffitto, scatenando le proprie scosse ottundenti. Spade alla mano, Zaknafein li attendeva fiducioso, ma gli scorticatore mentale continuarono la loro discesa. Mai prima d'ora i loro attacchi mentali erano falliti; non potevano credere che quei coni d'energia inabilitante ora si rivelassero inutili. Fwoop! Gli illithid spararono una dozzina di volte, ma lo spirito-spettro non parve notarlo. Gli illithid, iniziando a preoccuparsi, cercarono di arrivare all'interno dei pensieri di Zaknafein per capire come potesse aver evitato gli effetti delle scosse. Quello che trovarono fu una barriera al di là delle loro capacità di penetrazione, una barriera che trascendeva il loro attuale piano d'esistenza. I mostri avevano assistito all'abilità nel maneggiare la spada di Zaknafein contro il loro sfortunato compagno e non avevano alcuna intenzione di scatenare una mischia con quest'abile drow. Telepaticamente si accordarono con prontezza a invertire la propria rotta. Ma erano scesi troppo in basso. A Zaknafein non importava nulla degli illithid e si sarebbe accontentato di andarsene per la sua strada. Per sfortuna degli illithid, tuttavia, gli istinti
dello spirito-spettro, e la conoscenza degli scorticatore mentale che derivava a Zaknafein dalla sua vita passata, lo condussero a una semplice conclusione. Se Drizzt aveva viaggiato da questa parte, e Zaknafein sapeva che le cose stavano proprio così, era estremamente probabile che avesse incontrato gli scorticatore mentale. Un essere non-morto poteva sconfiggerli, ma un drow mortale, seppure abile come Drizzt, si sarebbe trovato in un pietoso stato d'inferiorità. Zaknafein introdusse una spada nel fodero e balzò sulla cresta di pietra. Nel caos di un secondo rapido balzo, lo spirito-spettro afferrò per la caviglia uno degli illithid che stavano salendo. Fwoop! La creatura effettuò una nuova esplosione, ma era condannata e priva di difese di fronte alla spada di Zaknafein. Con incredibile forza, lo spirito-spettro si sollevò dritto verso l'alto, con la spada spianata. L'illithid cercò di colpire invano la lama, ma le sue mani nude non potevano sconfiggere l'intento dello spirito-spettro. La spada di Zaknafein penetrò verso l'alto nel ventre degli scorticatore mentale, nonché nel cuore e nei polmoni. Ansando e premendo sull'enorme ferita, l'illithid poté soltanto osservare impotente mentre Zaknafein trovava il proprio equilibrio e prendeva a calci nel petto lo scorticatore mentale. L'illithid morente ruzzolò lontano, a testa in giù, e andò a sbattere contro la parete, poi restò sospeso a mezz'aria anche dopo morto, mentre il suo sangue schizzava a terra sotto di lui. Il balzo di Zaknafein lo mandò a schiantarsi contro l'altro illithid fluttuante e la violenza dell'urto li portò entrambi contro l'ultimo componente del gruppo. Braccia si agitarono e tentacoli ondeggiarono selvaggiamente, alla ricerca di un appiglio sulla carne del guerriero drow. Tuttavia la lama era micidiale, e un attimo più tardi lo spirito-spettro si liberò dall'ultima delle sue vittime, effettuò a sua volta un incantesimo di levitazione e tornò fluttuando dolcemente sul pavimento di pietra. Zaknafein si allontanò camminando con calma, lasciando tre illithid morti sospesi a mezz'aria per la durata dei loro incantesimi di levitazione, e un quarto morto a terra. Lo spirito-spettro non si preoccupò di detergere il sangue dalle sue spade; si rese conto che molto presto avrebbe dovuto uccidere ancora. *
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I due scorticatore mentale continuarono a osservare l'entità della pantera. Non lo sapevano, ma Guenhwyvar era consapevole della loro presenza. Nel Piano Astrale, dove i sensi materiali come l'olfatto e il gusto non ave-
vano significato, la pantera utilizzava altri sensi estremamente acuti. Qui, Guenhwyvar cacciava tramite un senso che traduceva le emanazioni d'energia in chiare immagini mentali, e la pantera poteva distinguere prontamente tra l'aura di un alce e di un coniglio senza neppure vedere la creatura in questione. Gli illithid erano abbastanza comuni sul Piano Astrale, e Guenhwyvar riconobbe le loro emanazioni. La pantera non aveva ancora deciso se la loro presenza fosse una pura coincidenza o fosse in qualche modo collegata al fatto che Drizzt non l'aveva più chiamata da molti giorni. L'evidente interesse mostrato dagli scorticatore mentale indicava con maggiore probabilità la seconda ipotesi, un'idea estremamente allarmante per la pantera. Tuttavia, Guenhwyvar non voleva effettuare la prima mossa contro un nemico così pericoloso. La pantera continuò nelle sue abitudini quotidiane, sorvegliando al tempo stesso gli indesiderati spettatori. Guenhwyvar notò lo spostamento nelle emanazioni degli scorticatore mentale mentre le creature iniziavano una rapida discesa verso il Piano Materiale. La pantera non esitò oltre. Balzando tra le stelle, Guenhwyvar caricò gli scorticatore mentale. Impegnati nello sforzo d'iniziare il proprio viaggio di ritorno, gli illithid non reagirono finché non fu troppo tardi. La pantera si tuffò sotto a uno di loro, afferrando con le zanne luminosissime la cordicella d'argento. Il collo di Guenhwyvar si piegò e si torse, e la fune argentea si spezzò. L'impotente illithid si allontanò vagando lentamente, un reietto del Piano Astrale. L'altro scorticatore mentale, più preoccupato di salvare se stesso, ignorò gli appelli deliranti del suo compagno e continuò la propria discesa verso il tunnel planare che l'avrebbe restituito al suo corpo. L'illithid riuscì quasi a scivolare al di là della portata di Guenhwyvar, ma gli artigli della pantera l'afferrarono saldamente proprio mentre entrava nel tunnel planare. Guenhwyvar andò con lui. *
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Dalla sua isoletta di pietra, Clacker si rese conto che lo scompiglio stava crescendo in tutta la grotta lunga e stretta. Gli illithid correvano tutt'intorno, ordinando telepaticamente agli schiavi di porsi in formazioni difensive. Le sentinelle scomparvero attraverso ogni uscita, mentre altri scorticatore mentale si sollevarono in aria per sorvegliare la situazione in generale.
Clacker capì che la comunità era in preda a una crisi, e un unico pensiero logico si fece strada a forza attraverso gli spregevoli meccanismi mentali dell'orrore uncinato. Se gli scorticatore mentale iniziavano a preoccuparsi di qualche nuovo nemico, questa si poteva rivelare la sua opportunità di fuga. Il lato pech di Clacker trovò un solido equilibrio. Il problema maggiore era costituito dall'abisso, perché certamente non lo poteva attraversare con un balzo. Pensò di lanciare un nano grigio o una rothe dall'altra parte, ma una simile azione avrebbe difficilmente aiutato la sua fuga. Lo sguardo di Clacker si posò sulla leva del ponte, poi tornò ai suoi compagni sull'isola di pietra. Il ponte era stato ritirato, l'altra leva era piegata dalla parte dell'isola. Un proiettile ben mirato avrebbe potuto spingerla dalla parte opposta. Clacker sbatté tra loro gli enormi artigli, un gesto che gli ricordò Belwar, e tirò per aria un nano grigio. La sfortunata creatura si librò verso la leva, ma il lancio era corto e andò a fracassarsi contro la parete dell'abisso, per poi precipitare verso la morte. Clacker batté furiosamente il piede e si volse a cercare un altro missile. Non aveva la minima idea di come avrebbe trovato Drizzt e Belwar, e in quel momento non si fermò a preoccuparsi di loro. In quel preciso istante il problema di Clacker era uscire dall'isola che lo teneva prigioniero. Questa volta fu una giovane rothe a essere lanciata per aria. *
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L'ingresso di Zaknafein non fu caratterizzato né da scaltrezza, né da segretezza. Non temendo minimamente i principali metodi d'aggressione degli scorticatore mentale, lo spirito-spettro entrò diritto nella grotta lunga e stretta, apertamente. Un gruppo di tre illithid scese subito su di lui, scatenando raffiche ottundenti. Ancora una volta lo spirito-spettro passò attraverso l'energia mentale senza scomporsi, e i tre illithid incontrarono lo stesso destino dei quattro che avevano cercato d'opporsi a Zaknafein nei tunnel. Poi giunsero gli schiavi. Desiderando soltanto soddisfare i loro padroni, Folletti, nani grigi, orchi e altre creature caricarono l'invasore drow. Alcuni brandivano armi, ma la maggior parte aveva a disposizione soltanto le mani e i denti, e pensava di sopraffare il drow solitario sfruttando semplicemente la disparità numerica. Le spade e i piedi di Zaknafein erano troppo rapidi per tali semplici tattiche. Lo spirito-spettro danzava e sferzava, guizzando in una direzione e
poi invertendo all'improvviso il proprio moto e stroncando gli avversari più vicini. Nelle retroguardie gli illithid formarono linee difensive, riprendendo in considerazione la validità delle tattiche usate. I loro tentacoli si dimenavano selvaggiamente mentre le comunicazioni mentali avanzavano dilagando, nel tentativo di capire in qualche modo la piega inaspettata che avevano preso le cose. Non si erano fidati degli schiavi al punto di dotarli d'armi, ma mentre uno schiavo dopo l'altro cadeva sulla pietra, comprimendosi con gli artigli ferite mortali, gli scorticatore mentale iniziarono a rammaricarsi per le perdite crescenti. Tuttavia gli illithid continuavano a credere che avrebbero vinto. Dietro di loro, altri gruppi di schiavi venivano raggruppati per gettarli nella mischia. L'invasore solitario si sarebbe stancato, e la loro orda l'avrebbe annientato. Gli scorticatore mentale non potevano conoscere la verità su Zaknafein. Non potevano sapere che era un essere non-morto, un essere animato magicamente che non si sarebbe stancato e non avrebbe rallentato. *
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Belwar e il suo padrone osservarono gli scatti spasmodici di uno dei corpi degli illithid, un segno rivelatore del fatto che lo spirito ospite stava ritornando dal suo viaggio astrale. Belwar non comprese le implicazioni dei movimenti convulsi, ma sentì che il suo padrone era lieto e questo, a sua volta, gli fece piacere. Ma il padrone di Belwar era anche un po' preoccupato del fatto che stesse tornando soltanto uno dei suoi compagni, perché le convocazioni del cervello centrale avevano la somma priorità e non potevano essere ignorate. Lo scorticatore mentale osservò gli spasimi del suo compagno stabilizzarsi secondo uno schema, e poi fu ancora più confuso, perché una foschia nera apparve intorno al corpo. Nello stesso istante in cui l'illithid tornò nel Piano Materiale, il padrone di Belwar condivise telepaticamente il dolore e il terrore del compagno. Prima che il padrone di Belwar potesse iniziare a reagire, tuttavia, Guenhwyvar si materializzò sull'illithid seduto, strappandone e lacerandone il corpo. Belwar rimase agghiacciato mentre veniva percorso da un guizzo di riconoscimento. «Bivrip?» sussurrò sottovoce, e poi: «Drizzt?» e l'immagine del drow inginocchiato gli tornò chiara alla mente.
Uccidi, mio coraggioso campione! Uccidila! implorò il padrone di Belwar, ma era già troppo tardi per lo sfortunato compagno dell'illithid. Lo scorticatore mentale seduto si agitava freneticamente; i suoi tentacoli si dimenavano e afferravano il felino nel tentativo di raggiungere il cervello di Guenhwyvar. La pantera gli diede una possente zampata, un unico colpo che strappò dalle spalle la testa da piovra dell'illithid. Belwar, con le mani ancora incantate per il lavoro effettuato nell'angolo della stanza, avanzò lentamente verso la pantera, i suoi passi non erano rallentati dalla paura, ma dalla confusione. Il Guardiano del Cunicolo si volse verso il proprio padrone e chiese: «Guenhwyvar?» Lo scorticatore mentale capì di aver restituito troppo allo svirfnebli. Il ricordo dell'incantesimo aveva ispirato altre memorie pericolose nel suo schiavo. Belwar non era più affidabile. Guenhwyvar intuì l'intento dell'illithid e balzò lontano dallo scorticatore mentale morto appena un istante prima che la restante creatura lanciasse una raffica su Belwar. Guenhwyvar colpì in pieno il Guardiano nel Cunicolo, lanciandolo lungo disteso sul pavimento. Muscoli felini si flessero e si tesero mentre la pantera atterrava, Guenhwyvar si volse a un'angolazione perfetta, verso l'uscita dalla stanza. Fwoop! L'assalto degli scorticatore mentale colpì Belwar mentre cadeva, ma la confusione dello gnomo del profondo e la sua rabbia crescente si opposero all'attacco insidioso. Per quell'unico istante Belwar fu libero e rotolò in piedi, vedendo nell'illithid l'essere malvagio e perfido che era in realtà. «Vai, Guenhwyvar!» esclamò il Guardiano del Cunicolo, e il felino non ebbe bisogno d'essere esortato ulteriormente. Poiché era un essere astrale, Guenhwyvar comprendeva bene la società illithid e conosceva la chiave di ogni combattimento contro un covo di simili creature. La pantera volò contro la porta con tutto il suo peso, uscendo con irruenza sulla terrazza superiore, al di sopra della stanza contenente il cervello centrale. Il padrone di Belwar, in ansia per l'entità divina, cercò di seguire la pantera, ma grazie alla propria rabbia lo gnomo del profondo aveva riacquistato la propria forza decuplicata, e il suo braccio ferito non provò alcun dolore mentre fracassava la magica mano a martello contro la carne molliccia che costituiva la testa dell'illithid. Volarono scintille che bruciarono il volto degli scorticatore mentale, e la creatura andò nuovamente a sbattere
contro la parete, mentre i suoi occhi lattiginosi, privi di pupilla, fissavano increduli Belwar. Poi il mostro scivolò dolcemente a terra, giù nell'oscurità della morte. Dodici metri più sotto, il drow inginocchiato sentì la paura e l'indignazione del suo venerato padrone e alzò lo sguardo proprio mentre la pantera nera balzava giù. Completamente incantato dal cervello centrale, Drizzt non riconobbe in Guenhwyvar la sua precedente compagna e la più cara amica; in quel momento vide soltanto una minaccia per l'essere che amava al di sopra d'ogni altra cosa. Ma Drizzt e gli altri schiavi che massaggiavano non poterono che osservare impotenti mentre la possente pantera, con i denti scoperti e gli artigli sfoderati, si avventava nel mezzo della massa tondeggiante di carne venata che guidava la comunità illithid. 19 Mal di testa Approssimativamente centoventi illithid risiedevano all'interno del castello di pietra e intorno a questo, nella grotta lunga e stretta, e ognuno di loro sentì lo stesso mal di testa lancinante quando Guenhwyvar si tuffò nel cervello centrale della comunità. Guenhwyvar si aprì un varco attraverso la massa di carne indifesa, i grandi artigli del felino effettuarono un passaggio a morsi e a zampate attraverso la carne insanguinata. Il cervello centrale impartì emozioni d'assoluto terrore, cercando d'ispirare i suoi servitori. Comprendendo che l'aiuto non sarebbe arrivato presto, l'essere ricorse a implorare la pantera. La ferocia primordiale di Guenhwyvar, tuttavia, non consentiva intrusioni mentali. La pantera scavava selvaggiamente ed era sepolta nel viscidume zampillante. Drizzt gridò indignato e corse tutt'intorno alla passerella, cercando di trovare un modo per raggiungere la pantera. Drizzt sentiva acutamente l'angoscia del suo amato padrone e implorò che qualcuno, chiunque, facesse qualcosa. Altri schiavi saltavano e gridavano, gli scorticatore mentale correvano freneticamente intorno, ma Guenhwyvar era al centro dell'enorme massa, fuori dalla portata di qualsiasi arma usata dagli scorticatore mentale. Alcuni attimi dopo, Drizzt smise di saltare e di gridare. Si chiese dove fosse e chi fosse, e che cosa per i nove Inferni potesse mai essere questa grande massa disgustosa che gli stava davanti. Si guardò intorno sulla pas-
serella e colse analoghe espressioni confuse sui volti di vari nani duergar, di un altro elfo scuro, di due Folletti e di un pulciorso alto e terribilmente sfregiato. Gli scorticatore mentale continuavano a correre intorno, alla ricerca di qualche angolazione da cui attaccare la pantera, la minaccia primaria, e non prestavano attenzione agli schiavi stupefatti. Guenhwyvar apparve improvvisamente tra le pieghe del cervello. Il felino salì su una cresta carnosa appena per un attimo, poi scomparve nuovamente nell'ammasso insanguinato. Vari scorticatore mentale lanciarono le loro raffiche contro il bersaglio fugace, ma Guenhwyvar sparì troppo rapidamente dalla vista perché i loro coni d'energia la colpissero; tuttavia non troppo rapidamente perché Drizzt riuscisse a intravederla. «Guenhwyvar?» esclamò il drow, mentre una moltitudine di pensieri gli si affollavano di nuovo nella mente. L'ultima cosa che ricordava era che stava fluttuando verso l'alto tra le stalattiti in un corridoio accidentato, e che in alto si trovavano in agguato altre forme sinistre. Un illithid si spostò direttamente accanto al drow, troppo impegnato a seguire l'azione all'interno del cervello per rendersi conto che Drizzt non era più uno schiavo. Drizzt non aveva altre armi che il proprio corpo, ma in quel momento di rabbia pura non gl'importo molto. Balzò in alto, per aria, dietro al mostro ignaro e sferrò un calcio contro la «parte posteriore della testa di piovra dell'essere. L'illithid precipitò in avanti, sul cervello centrale e rimbalzò varie volte lungo le pieghe elastiche prima di poter trovare un appiglio.» Tutt'intorno alla passerella gli schiavi si resero conto della propria libertà. I nani grigi si unirono immediatamente a loro e abbatterono due illithid in un impeto selvaggio, prendendo a pugni le creature e pestandole con i pesanti stivali. Fwoop! Una raffica giunse lateralmente, Drizzt si volse e vide l'altro elfo scuro che barcollava stordito dal colpo. Uno scorticatore mentale corse verso il drow e lo afferrò strettamente. Quattro tentacoli afferrarono il volto dell'elfo condannato, stringendo, poi affondarono nel suo cervello. Drizzt voleva andare ad aiutare il drow, ma un secondo illithid si pose tra loro e mirò. Drizzt si tuffò lateralmente mentre risuonava un secondo attacco. Fwoop! Si alzò correndo disperatamente, cercando di frapporre più spazio tra sé e l'illithid. L'urlo dell'altro drow trattenne Drizzt per un momento, tuttavia, e lui si volse a guardare.
Linee grottesche, sporgenti, attraversavano il volto del drow, un viso contorto dall'angoscia più tremenda che Drizzt avesse mai visto. Drizzt notò uno scatto della testa dell'illithid mentre i tentacoli, affondati sotto alla pelle del drow, raggiungevano il cervello e lo succhiavano, pulsando e gonfiandosi. Il drow condannato urlò di nuovo, per l'ultima volta, poi s'afflosciò tra le braccia dell'illithid e la creatura portò a termine il suo raccapricciante banchetto. Il pulciorso sfregiato salvò inconsciamente Drizzt da un analogo destino. Fuggendo, la creatura alta due metri si frappose tra Drizzt e lo scorticatore mentale che lo inseguiva, proprio mentre l'illithid stava lanciando un'altra raffica. Il colpo intontì il pulciorso nell'attimo impiegato dall'illithid per avvicinarsi. Mentre lo scorticatore mentale raggiungeva la vittima che supponeva impotente, il pulciorso fece oscillare una delle enormi braccia e sbatté l'inseguitore contro la pietra. Altri scorticatore mentale corsero fuori sulle terrazze che davano sulla stanza circolare. Drizzt non aveva la minima idea di dove potessero essere i suoi amici, o di come sarebbe potuto fuggire, ma l'unica porta che individuò accanto alla passerella parve la sua unica possibilità. Vi si diresse immediatamente, ma questa si aprì di scatto prima che lui la raggiungesse. Drizzt finì tra le braccia di un altro illithid. *
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Se l'interno del castello di pietra era immerso nello scompiglio e nella confusione, l'esterno era nel caos. Ora nessuno schiavo caricava più Zaknafein. Il danno provocato al cervello centrale aveva liberato i servitori dalle suggestioni degli scorticatore mentale, e ora i Folletti, i nani grigi e tutti gli altri esseri cercavano soltanto di fuggire. Quelli più vicini alle uscite della grotta si precipitarono fuori; altri correvano intorno selvaggiamente, cercando di tenersi fuori dalla portata delle continue raffiche mentali degli illithid. Quasi senza pensare alle proprie azioni, Zaknafein diede un gran colpo di spada e colpì un Folletti urlante che gli stava correndo davanti. Poi lo spirito-spettro avanzò verso la creatura che stava inseguendo il Folletti. Passando attraverso un'altra raffica ottundente, Zaknafein abbatté lo scorticatore mentale. Nel castello di pietra, Drizzt aveva riacquistato la propria identità, e gli incantesimi magici di cui era impregnato lo spirito-spettro si adattarono
alle linee di pensiero del suo obiettivo. Con un ringhio gutturale, Zaknafein si diresse verso il castello, lasciandosi alle spalle una miriade di morti e feriti, sia schiavi che illithid. *
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Un'altra rothe emise un belato di sorpresa mentre veniva lanciata per aria. Tre di quegli animali vagavano zoppicando dalla parte opposta dell'abisso; una quarta aveva seguito il duergar in fondo al burrone. Questa volta, tuttavia, la mira di Clacker fu buona, e la piccola creatura simile a una mucca andò a sbattere contro la leva, spostandola all'indietro. Immediatamente, il ponte incantato si tese, fissandosi ai piedi di Clacker. L'orrore uncinato raccolse un altro nano grigio, semplicemente perché gli portasse fortuna, e iniziò ad attraversare il ponte. Era quasi arrivato a metà quando apparve il primo scorticatore mentale, stava correndo verso la leva. Clacker sapeva di non poter effettuare tutta la traversata prima che l'illithid ritraesse il ponte. Aveva soltanto un colpo. Il nano grigio, inconsapevole di ciò che lo circondava, venne sollevato al di sopra della testa dell'orrore uncinato. Clacker attese prima di effettuare il lancio e continuò ad attraversare, lasciando che l'illithid si avvicinasse il più possibile. Mentre lo scorticatore mentale allungava una mano a quattro dita verso la leva, il missile duergar si fracassò contro il suo petto, sbattendolo sulla pietra. Clacker si mise a correre, ne andava della sua vita. L'illithid si riprese e spinse la leva in avanti. Il ponte scattò all'indietro, aprendo l'abisso profondo. Un balzo finale proprio mentre il ponte di metallo e di pietra gli guizzava via sotto ai piedi mandò a sbattere Clacker contro la parete laterale dell'abisso. Tenne le braccia e le spalle sul bordo della gola e conservò una lucidità sufficiente a consentirgli di arrampicarsi rapidamente sul bordo. L'illithid tirò indietro la leva e il ponte scattò nuovamente fuori colpendo Clacker. Tuttavia l'orrore uncinato si era spostato sufficientemente di lato e la presa di Clacker fu sufficientemente forte da contrastare la forza del ponte che si avvicinava rapidamente e gli attraversava il petto corazzato, graffiandolo. L'illithid imprecò e tirò indietro la leva, poi corse ad affrontare l'orrore uncinato. Stanco e ferito, Clacker non aveva ancora iniziato a tirarsi su
quando arrivò l'illithid. Fu pervaso da ondate d'energia ottundente. La testa iniziò a ciondolargli e lui scivolò giù per vari centimetri prima che i suoi artigli trovassero un altro appiglio. L'avidità degli scorticatore mentale gli costò cara. Invece di limitarsi a colpire Clacker con una raffica e a dargli un calcio per farlo cadere dalla sporgenza, pensò di poter effettuare un rapido pasto con il cervello dell'orrore uncinato. S'inginocchiò davanti a Clacker, mentre quattro tentacoli affondavano avidamente alla ricerca di un'apertura sulla sua corazza facciale. Le duplici entità di Clacker avevano resistito agli influssi degli illithid fuori nei tunnel e anche ora l'energia mentale ottundente non ebbe che un effetto minimo. Quando la testa di piovra dell'illithid comparve proprio davanti al suo volto, sconvolse Clacker, riportandolo alla consapevolezza. Lo scatto del becco dell'orrore uncinato eliminò due dei tentacoli che lo stavano esplorando, poi una zampata disperata colse il ginocchio dell'illithid. Ossa si polverizzarono sottoposte alla stretta possente e l'illithid urlò per il dolore atroce, sia telepaticamente che nella sua scialba voce ultraterrena. Un attimo più tardi le sue urla svanirono mentre lui piombava giù nell'abisso. Un incantesimo di levitazione avrebbe potuto salvare l'illithid che cadeva, ma la realizzazione di un simile incantesimo richiedeva concentrazione e il dolore del volto lacerato e del ginocchio frantumato ritardarono tali azioni. L'illithid pensò di levitare nello stesso istante in cui la punta di una stalagmite gli penetrò nella spina dorsale. *
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La mano a martello fracassò la porta di un altro forziere di pietra. «Maledizione!» sbottò Belwar, vedendo che anche questo non conteneva altro che abiti illithid. Il Guardiano del Cunicolo era sicuro che la sua attrezzatura non fosse lontana, ma lui aveva già demolito metà della stanza dei suoi ex padroni, e lo sforzo era stato inutile. Belwar tornò nella stanza principale e si diresse verso i sedili di pietra. Tra le due poltrone individuò la statuina della pantera. La raccolse e la mise in una borsa, poi schiacciò con la mano a piccone la testa del restante illithid, il reietto astrale, quasi fosse stato spinto da un ripensamento; nella confusione, lo svirfnebli aveva quasi dimenticato che restava un altro mo-
stro. Belwar sollevò il corpo, lasciandolo cadere da parte, accasciato sul pavimento. «Magga cammara», mormorò lo svirfnebli quando guardò nuovamente la poltrona di pietra e vide il profilo di una botola nel punto in cui la creatura era stata seduta. Senza mai porre la finezza al di sopra dell'efficienza, la mano a martello di Belwar ridusse rapidamente in frantumi la porta, e al Guardiano del Cunicolo si presentò lo spettacolo gradito di zaini a lui ben noti. Belwar scrollò le spalle e seguì il corso della logica, buttando da parte l'altro illithid, quello che Guenhwyvar aveva decapitato. Il mostro privo di testa cadde lasciando libero il posto e rivelando un'altra botola. «Il drow avrà bisogno di queste», osservò Belwar quand'ebbe tolto di mezzo i pezzi di pietra frantumata, e tirò fuori una cintura con due scimitarre nei foderi. Lo gnomo del profondo si lanciò verso l'uscita e incontrò un illithid proprio sulla soglia. Per essere più precisi, la ronzante mano a martello di Belwar incontrò il petto dell'illithid. Il mostro volò all'indietro, passando rapidamente al di là della ringhiera di metallo della terrazza. Belwar corse fuori e corse lateralmente, non avendo tempo per controllare se l'illithid avesse in qualche modo afferrato un appiglio, e non avendo comunque la possibilità di fermarsi a giocare. Sentiva la confusione proveniente da sotto, gli attacchi mentali, le grida e i ringhi continui di una pantera che erano musica per gli orecchi del Guardiano del Cunicolo. *
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Con le braccia bloccate contro i fianchi dall'inaspettata, potente stretta dell'illithid, Drizzt poteva soltanto girare e muovere a scatti la testa da una parte all'altra per rallentare l'avanzata dei tentacoli. Una delle appendici fece presa, poi un'altra, e iniziarono a penetrare nella pelle color ebano del drow. Drizzt sapeva poco dell'anatomia degli scorticatore mentale, ma erano bipedi e lui si permise di effettuare alcune ipotesi al loro riguardo. Dimenandosi un po' lateralmente, in modo da non trovarsi direttamente di fronte all'orrido essere, il drow sollevò un ginocchio, colpendo con violenza la creatura all'inguine. Dall'improvviso allentarsi della presa dell'illithid e dal modo in cui i suoi occhi lattiginosi parvero spalancarsi, Drizzt immaginò
che le sue supposizioni fossero corrette. Diede un'altra ginocchiata verso l'alto, poi una terza. Drizzt si sollevò con tutta la sua forza, liberandosi dalla stretta dell'illithid indebolito. Gli ostinati tentacoli continuarono la loro ascesa lungo i lati del volto di Drizzt, tuttavia, cercando di raggiungergli il cervello. Esplosioni di dolore bruciante torturarono Drizzt e lui quasi svenne mentre il capo gli ciondolava mollemente in avanti. Ma il cacciatore non si sarebbe arreso. Quando Drizzt sollevò nuovamente lo sguardo, il fuoco nei suoi occhi color lavanda cadde sull'illithid come una maledizione fatale. Il cacciatore afferrò i tentacoli e li strappò via selvaggiamente, tirandoli verso il basso per piegare la testa dell'illithid. Il mostro lanciò la sua raffica mentale, ma l'angolazione era sbagliata e l'energia non riuscì in alcun modo a rallentare il cacciatore. Una mano di Drizzt strinse forte i tentacoli mentre l'altra infliggeva un colpo duro come il mithral con il furore del martello di un nano, sulla morbida testa del mostro. Sulla pelle carnosa si crearono lividi bluastri e neri; un occhio privo di pupilla si gonfiò e si chiuse. Un tentacolo affondò nel polso del drow; l'illithid si dibatteva convulsamente e menava colpi con le braccia, ma il cacciatore non se ne accorse. Il drow colpì ripetutamente la testa del mostro, continuò a colpire la creatura sul pavimento di pietra. Drizzt strappò via il proprio braccio dalla stretta del tentacolo, poi entrambi i suoi pugni continuarono a menare mazzate senza sosta finché gli occhi dell'illithid non si chiusero per sempre. Il rumore del metallo fece girare di scatto il drow. Sul pavimento, ad appena qualche metro di distanza, c'era qualcosa di familiare e gradito. *
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Assicuratosi che le scimitarre fossero atterrate accanto al suo amico, Belwar scese rapidamente lungo una scalinata di pietra e si lanciò alla carica contro il più vicino illithid. Il mostro si volse e gli scatenò contro la propria raffica. Belwar rispose con un urlo di pura rabbia, un urlo che bloccò parzialmente l'effetto ottundente, e lui effettuò un balzo, scontrandosi a capofitto con le ondate d'energia. Pur essendo stordito a causa dell'assalto mentale, lo gnomo del profondo andò a urtare contro l'illithid ed essi caddero su un secondo mostro salito
di corsa per aiutare il compagno. Belwar riusciva a malapena a capire dove si trovasse, ma comprendeva chiaramente che il caos di braccia e di gambe che aveva tutt'intorno non appartenevano ad amici. Le mani di mithral del Guardiano del Cunicolo sferzarono e colpirono e lui si allontanò muovendosi affannosamente lungo la seconda terrazza alla ricerca di una seconda scalinata. Quando i due illithid si furono ripresi abbastanza da reagire, il selvaggio svirfnebli se n'era andato da tempo. Belwar colse di sorpresa un altro illithid, picchiò la testa carnosa del mostro direttamente contro la parete mentre scendeva al livello successivo. Tuttavia una decina d'altri scorticatore mentale vagavano tutt'intorno a questa balconata, la maggior parte di loro difendeva le due scalinate che conducevano nella stanza inferiore della torre. Belwar effettuò una rapida deviazione, balzando in cima alla ringhiera di metallo, poi lasciandosi cadere per terra per saltare i quattro metri e mezzo che lo separavano da terra. *
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Un'esplosione d'energia ottundente investì Drizzt mentre stava per raccogliere le sue armi. Il cacciatore resistette, tuttavia, i suoi pensieri erano semplicemente troppo primitivi per una forma d'aggressione tanto sofisticata. In un unico movimento troppo rapido perché il suo ultimo avversario potesse reagire, Drizzt estrasse repentinamente una scimitarra dal fodero e si volse di scatto, sferrando un colpo con la lama verso l'alto. La scimitarra affondò per metà nella testa dello scorticatore mentale che l'inseguiva. Il cacciatore sapeva che il mostro era già morto, ma strappò via la scimitarra e diede un'ulteriore sferzata all'illithid mentre questo cadeva, senza nessun motivo particolare. Poi il drow si alzò in piedi e si mise a correre, con entrambe le lame sfoderate, una gocciolante di sangue illithid e l'altra assetata di altro sangue. Drizzt avrebbe dovuto cercare una via di fuga, per lo meno la parte che era Drizzt Do'Urden l'avrebbe cercata, ma il cacciatore voleva di più. Il suo io chiedeva vendetta sulla massa cerebrale che l'aveva reso schiavo. Allora un unico grido salvò il drow, lo portò via dalle profondità avvolgenti della sua rabbia profonda e istintiva. «Drizzt!» gridò Belwar, zoppicando verso l'amico. «Aiutami, elfo scuro! Mi sono storto una caviglia nella caduta!» Gettati improvvisamente via
tutti i pensieri di vendetta, Drizzt Do'Urden corse al fianco del suo compagno svirfnebli. L'uno sostenuto dall'altro, i due amici lasciarono la stanza circolare. Un attimo dopo Guenhwyvar, luccicante del sangue e del viscidume del cervello centrale, balzò verso di loro per raggiungerli. «Guidaci fuori», implorò Drizzt; Guenhwyvar prese di buon grado una posizione di punta. Corsero lungo corridoi serpeggianti e rozzamente sbozzati. «Questi non sono stati certo realizzati da svirfnebli», si affrettò a sottolineare Belwar, ammiccando all'amico. «Io credo che siano stati proprio loro», replicò Drizzt con scioltezza, ammiccando a sua volta. «Sottoposti alla malia di uno scorticatore mentale, intendo», si affrettò ad aggiungere. «Mai!» insistette Belwar. «Questa non potrà mai essere l'opera di uno svirfnebli, neppure se gli fosse stato fuso il cervello!» Nonostante il terribile pericolo in cui si trovavano, lo gnomo del profondo riuscì a produrre una risata di cuore, e Drizzt si unì a lui. Rumori di battaglia risuonavano dai passaggi laterali di ogni intersezione che attraversavano, i sensi acuti di Guenhwyvar li mantennero lungo la strada più libera, anche se la pantera non poteva sapere in alcun modo da che parte si trovasse l'uscita. Tuttavia qualsiasi cosa gli amici avessero la ventura di trovare, e in qualsiasi direzione potesse essere, non poteva che trattarsi di un miglioramento rispetto agli orrori che avevano lasciato. Uno scorticatore mentale balzò nel corridoio in cui si trovavano, subito dopo che Guenhwyvar ebbe attraversato un'intersezione. La creatura non aveva mai visto la pantera e stava affrontando direttamente Drizzt e Belwar. Drizzt buttò giù lo svirfnebli e si tuffò, rotolando a capofitto verso il suo avversario, aspettandosi di essere colto da una raffica ancora prima di riuscire ad avvicinarsi. Ma quando il drow uscì dalla propria posizione raggomitolata e sollevò lo sguardo, riprese a respirare ed effettuò un profondo sospiro di sollievo. Lo scorticatore mentale giaceva a faccia in giù sulla pietra, con Guenhwyvar comodamente sistemata sulla schiena. Drizzt si avvicinò al felino mentre Guenhwyvar terminava con noncuranza il suo macabro compito, e ben presto Belwar si unì a loro. «Rabbia, elfo scuro», osservò lo svirfnebli. Drizzt lo guardò incuriosito.
«Credo che la rabbia sia in grado di contrastare le loro raffiche», spiegò Belwar. «Uno mi ha preso sulle scale, ma io ero così furioso che quasi non me ne sono accorto. Forse mi sbaglio, ma...» «No», lo interruppe Drizzt, ricordando quanto poco fosse stato danneggiato, sebbene a breve distanza, quando era andato a recuperare le proprie scimitarre. Allora era stato schiavo del suo alter ego, quel lato oscuro, maniacale, che lui aveva cercato così disperatamente di lasciarsi alle spalle. L'assalto mentale dell'illithid era stato assolutamente inutile contro il cacciatore. «Non ti sbagli», assicurò Drizzt al suo amico. «La rabbia può batterli, o almeno rallentare gli effetti dei loro assalti mentali.» «Allora infuriati!» ringhiò Belwar facendo segno a Guenhwyvar, che si trovava davanti a loro. Drizzt pose nuovamente il suo braccio di sostegno sotto alla spalla del Guardiano del Cunicolo e annuì, dichiarandosi d'accordo con il suggerimento di Belwar. Tuttavia il drow si rese conto che una rabbia cieca come quella di cui stava parlando Belwar non poteva venir creata consciamente. La paura e la rabbia istintiva potevano sconfiggere gli illithid, ma Drizzt, dalle sue esperienze con il suo alter ego, sapeva che quelle erano emozioni suscitate soltanto dalla disperazione e dal panico. Il gruppetto passò attraverso vari altri corridoi, una grande stanza vuota e ancora un altro passaggio. Rallentati dallo svirfnebli zoppicante, udirono presto passi pesanti che stavano raggiungendoli da dietro. «Troppo pesanti per trattarsi di illithid», osservò Drizzt, volgendosi a guardare. «Schiavi» riflette Belwar. Fwoop! Un attacco risuonò dietro di loro. Fwoop! Fwoop! Furono raggiunti dai suoni, seguiti da vari tonfi e gemiti. «Nuovamente schiavi», disse arcignamente Drizzt. I passi che li seguivano si udirono di nuovo, questa volta erano più simili a un leggero strascichio. «Più veloci!» gridò Drizzt, e Belwar non se lo fece dire due volte. Corsero avanti, lieti che il corridoio svoltasse spesso, perché temevano che gli illithid si trovassero soltanto a pochi passi da loro. Poi giunsero in un grande salone dal soffitto elevato. Videro varie possibili uscite, ma una serie di grandi porte di ferro attirò intensamente la loro attenzione. Tra loro e le porte c'era una scala a chiocciola di ferro, e da una terrazza, in alto ma non troppo lontano, incombeva uno scorticatore mentale.
«Ci taglierà fuori!» riflette Belwar. I passi giunsero più forti da dietro. Belwar si volse a guardare con curiosità l'illithid in attesa, quando vide un ampio sorriso attraversare il volto del drow. Anche lo gnomo del profondo sorrise ampiamente. Guenhwyvar salì la scala a chiocciola in tre balzi potenti. L'illithid fuggì saggiamente lungo la terrazza e nell'ombra dei corridoi contigui. La pantera non lo inseguì, ma si tenne in quella posizione elevata, di guardia, al di sopra di Drizzt e Belwar. Sia il drow che lo svirfnebli gridarono il loro ringraziamento passando, ma il loro giubilo andò in fumo quando arrivarono alle porte. Drizzt spinse forte, ma i portali non si mossero. «Chiusi a chiave!» esclamò. «Non per molto!» ringhiò Belwar. L'incantesimo si era esaurito nelle mani di mithral dello gnomo del profondo, ma lui si lanciò alla carica comunque, battendo con la mano a martello contro il metallo. Drizzt si spostò dietro allo gnomo del profondo, mantenendosi nella retroguardia e aspettandosi che l'illithid entrasse nel salone da un momento all'altro. «Sbrigati, Belwar», implorò. Entrambe le mani di mithral lavorarono furiosamente alle porte. Gradualmente, la serratura iniziò a cedere e le porte si aprirono di appena un paio di centimetri. «Magga cammara, elfo scuro!» esclamò il Guardiano del Cunicolo. «Sono bloccate da una sbarra! Dall'altra parte!» «Dannazione!» sbottò Drizzt, e dalla parte opposta un gruppo di scorticatore mentale entrò nel salone. Belwar continuò implacabile. La sua mano a martello si fracassò ripetutamente contro la porta. Gli illithid attraversarono la scalinata e Guenhwyvar balzò in mezzo a loro, gettando a terra l'intero gruppo. In quell'orribile momento Drizzt si rese conto di non avere la statuina di onice. La mano a martello colpiva il metallo in rapida successione, allargando lo spazio tra le porte. Belwar spinse nel mezzo la mano a piccone con un movimento a montante e sollevò la sbarra dai sostegni di chiusura. Le porte si aprirono oscillando. «Vieni, presto!» urlò a Drizzt lo gnomo del profondo. Agganciò la mano a piccone sotto alla spalla del drow per trascinarlo con sé, ma Drizzt si divincolò dalla stretta. «Guenhwyvar!» esclamò Drizzt.
Fwoop! Il suono malvagio giungeva ripetutamente dalla pila di corpi. Giunse la risposta di Guenhwyvar, più simile a un gemito impotente che a un ringhio. Gli occhi color lavanda di Drizzt bruciavano di rabbia. Effettuò un unico passo indietro, per tornare verso la scalinata prima che Belwar trovasse una soluzione. «Aspetta!» gridò lo svirfnebli, e fu veramente sollevato quando Drizzt si volse ad ascoltarlo. Belwar spinse il fianco verso il drow e strappò la borsa che portava alla cintura, aprendola. «Usa questa!» Drizzt tirò fuori la statuina d'onice e la lasciò cadere ai suoi piedi. «Sparisci, Guenhwyvar!» urlò. «Torna nel luogo sicuro in cui vivi!» Drizzt e Belwar non riuscirono neppure a vedere la pantera tra la folla di illithid, ma intuirono l'improvvisa afflizione degli scorticatore mentale ancora prima che la nebbiolina nera rivelatrice comparisse intorno alla statuina d'onice. In gruppo, gli illithid si volsero verso di loro e si lanciarono alla carica. «Prendi l'altra porta!» esclamò Belwar. Drizzt aveva afferrato la statuina e stava già muovendosi in quella direzione. I portali di ferro si chiusero fragorosamente e Drizzt lavorò per rimettere a posto la sbarra di chiusura. Vari sostegni sulla parte esterna della porta si erano rotti sotto l'assalto feroce del Guardiano del Cunicolo, e la sbarra era piegata, ma Drizzt riuscì a rimetterla a posto abbastanza saldamente da rallentare gli illithid. «Gli altri schiavi sono intrappolati», osservò Drizzt. «Per lo più Folletti e nani grigi», rispose Belwar. «E Clacker?» Belwar alzò le mani in un gesto d'impotenza. «Provo compassione per tutti loro», gemette Drizzt, sinceramente inorridito alla prospettiva. «Nulla in tutto il mondo può torturare più delle strette mentali degli illithid.» «È vero, elfo scuro», sussurrò Belwar. Gli illithid sbatterono contro le porte, e Drizzt spinse dalla parte opposta, assicurando ulteriormente la chiusura. «Dove andiamo?» chiese Belwar dietro di lui, e quando Drizzt si volse a osservare la grotta lunga e stretta, lui comprese sicuramente la confusione del Guardiano del Cunicolo. Individuarono almeno una dozzina di uscite, ma tra loro e ognuna di esse correva una folla di schiavi terrorizzati o un gruppo d'illithid.
Dietro di loro giunse un altro pesante tonfo, e tra le porte si aprì una fenditura. «Vai e non discutere!» gridò Drizzt, spingendo via Belwar. Si lanciarono di gran carriera giù per un'ampia scalinata, poi uscirono percorrendo il fondo accidentato, scegliendo una direzione che li portasse il più lontano possibile dal castello. «Attento al pericolo da ogni direzione!» esclamò Belwar. «Sia schiavi che scorticatore mentale!» «Che stiano attenti loro!» replicò Drizzt, con le scimitarre spianate. Cacciò a terra un Folletti con l'impugnatura di una lama mentre questo arrancava nel suo raggio d'azione, e un attimo più tardi tagliò via i tentacoli dal volto di un illithid mentre iniziava a succhiare il cervello di un duergar catturato nuovamente. Poi un altro ex schiavo, più grande, balzò davanti a Drizzt. Il drow corse a capofitto verso di lui, ma questa volta fermò le sue scimitarre. «Clacker!» gridò Belwar dietro a Drizzt. «R-r-retro della... grotta», ansò l'orrore uncinato, borbottando parole a malapena decifrabili. «La m-m-migliore uscita.» «Fai strada», replicò Belwar in modo eccitato, riprendendo a sperare. Nulla poteva resistere a loro tre uniti. Quando il Guardiano del Cunicolo si mise al seguito del suo gigantesco amico orrore uncinato, tuttavia, notò che Drizzt non li stava seguendo. Inizialmente Belwar temette che una raffica mentale avesse colto il drow, ma quando tornò al fianco di Drizzt, si rese conto che le cose stavano altrimenti. In cima a un'altra delle molte scalinate che correvano attraverso la grotta a vari piani, un'unica figura sottile stava falciando un gruppo di schiavi e d'illithid, passando in mezzo a loro. «Per gli dei», mormorò Belwar incredulo, perché i movimenti devastanti di quest'unica figura spaventarono veramente lo gnomo del profondo. I precisi fendenti e gli avvitamenti delle lame gemelle non risultavano assolutamente spaventosi per Drizzt Do'Urden. A dire il vero, agli orecchi del giovane elfo scuro risuonavano con una familiarità che trasmetteva al suo cuore un antico dolore. Drizzt guardò Belwar con sguardo assente e pronunciò il nome dell'antico guerriero che poteva effettuare quei gesti, l'unico nome che poteva accompagnare una così magnifica abilità nel maneggiare la spada. «Zaknafein.»
20 Padre, padre mio Quante bugie gli aveva detto Matrona Malice? Quale verità poteva mai trovare Drizzt nella ragnatela d'inganni che contraddistingueva la società drow? Suo padre non era stato sacrificato alla Regina Ragno? Zaknafein era qui, che combatteva davanti a lui, maneggiando finemente le spade, come Drizzt l'aveva sempre visto fare. «Che cosa c'è?» chiese Belwar. «Il guerriero drow», fu a malapena in grado di sussurrare Drizzt. «Viene dalla tua città, elfo scuro?» chiese Belwar. «È stato mandato al tuo inseguimento?» «Viene da Menzoberranzan», rispose Drizzt. Belwar attese altre informazioni, ma Drizzt era troppo soggiogato dall'aspetto di Zak per scendere in molti particolari. «Dobbiamo andare», disse infine il Guardiano del Cunicolo. «Rapidamente», sottolineò Clacker, ritornando dai suoi amici. Ora la voce dell'orrore uncinato risultava più controllata, come se la semplice comparsa degli amici di Clacker avesse aiutato il suo lato pech a continuare la lotta interiore. «Gli scorticatore mentale stanno organizzando le loro difese. Molti schiavi sono stati abbattuti.» Drizzt si staccò dalla mano a piccone di Belwar. «No», disse con fermezza. «Non lo lascerò!» «Magga cammara, elfo scuro!» gli gridò Belwar. «Chi è?» «Zaknafein Do'Urden», gli urlò di rimando Drizzt, adeguandosi più del necessario all'ira crescente del Guardiano del Cunicolo. Tuttavia Drizzt abbassò considerevolmente il volume mentre finiva il pensiero, e quasi soffocò pronunciando le parole: «Mio padre». Belwar e Clacker si scambiarono occhiate incredule, quando si volsero Drizzt era sparito, era corso su per l'ampia scalinata. In cima a questa, lo spirito-spettro si ergeva tra un mucchio di vittime, scorticatore mentale e schiavi, che avevano avuto la grande sfortuna di trovarsi sulla sua strada. Più in là lungo il livello superiore, vari illithid erano fuggiti dal mostro non morto. Zaknafein iniziò a inseguirli, perché stavano correndo verso il castello di pietra, seguendo la traiettoria che lo spirito-spettro aveva determinato fin dall'inizio. Un migliaio di allarmi magici suonarono all'interno dello spiri-
to-spettro, tuttavia, e lo fecero volgere bruscamente e ritornare alla scalinata. Drizzt stava arrivando. Il momento dell'adempimento di Zin-carla, lo scopo dell'animazione di Zaknafein, era finalmente arrivato! «Maestro d'armi!» esclamò Drizzt, balzando allegramente per porsi a fianco di suo padre. Il drow più giovane traboccava di gioia, non rendendosi conto dell'autentica natura del mostro che si trovava davanti a lui. Quando Drizzt giunse vicino a Zak, tuttavia, intuì che qualcosa non andava. Forse fu la strana luce negli occhi dello spirito-spettro a rallentare la corsa di Drizzt. Forse fu il fatto che Zaknafein non ricambiò il suo richiamo gioioso. Un attimo dopo fu il fendente di una spada. Drizzt riuscì in qualche modo a sollevare in tempo una scimitarra per bloccarlo. Confuso, credeva ancora semplicemente che Zaknafein non l'avesse riconosciuto. «Padre!» gridò. «Sono Drizzt!» Una spada piombò davanti, mentre la seconda iniziava un ampio fendente, poi precipitava improvvisamente verso il fianco di Drizzt. Adeguandosi alla velocità dello spirito-spettro, Drizzt scese con una scimitarra per parare il primo attacco e usò l'altra per contrastare il secondo. «Chi sei?» chiese disperatamente, furiosamente Drizzt. Un turbinio di colpi lo investì in pieno. Drizzt lavorò freneticamente per tenerli a bada, ma poi Zaknafein effettuò un colpo rovesciato e riuscì ad allontanare nella stessa direzione entrambe le lame di Drizzt. La seconda spada dello spirito-spettro seguì da vicino, un colpo mirato direttamente al cuore del giovane drow, un colpo che Drizzt non poteva in alcun modo bloccare. Ancora in fondo alla scalinata, Belwar e Clacker gridarono, pensando che il loro amico fosse condannato. Tuttavia il momento della vittoria di Zaknafein venne annullato dagli istinti del cacciatore. Drizzt schizzò lateralmente davanti alla lama che piombava verso il basso, poi si torse e si abbassò sotto al mortale fendente di Zaknafein. La spada lo colse sotto alla mascella, lasciando uno squarcio doloroso. Quando Drizzt si rialzò dalla posizione raggomitolata in cui si era lanciato, e ritrovò il proprio equilibrio nonostante gli spigoli della scala, non diede segno di accusare la ferita. Mentre Drizzt affrontava nuovamente l'impostore di suo padre, fuochi furibondi bruciavano nei suoi occhi color lavanda.
L'agilità di Drizzt lasciò stupefatti anche i suoi amici, che l'avevano visto precedentemente in battaglia. Zaknafein corse subito fuori dopo aver completato la rotazione, ma Drizzt era già in piedi e pronto, prima che lo spirito-spettro lo raggiungesse. «Chi sei?» chiese nuovamente Drizzt. Questa volta nella sua voce c'era una calma mortale. «Che cosa sei?» Lo spirito-spettro ringhiò e caricò sprezzantemente. Convinto senz'ombra di dubbio che questo non fosse Zaknafein, Drizzt non mancò di approfittare del varco che s'era creato. Corse di nuovo verso la sua posizione originale, deviò lateralmente una spada e introdusse una scimitarra sfiorando l'avversario che caricava. La lama di Drizzt attraversò la sottile armatura di maglia e penetrò profondamente in un polmone di Zaknafein, una ferita che avrebbe bloccato qualsiasi avversario mortale. Ma Zaknafein non si fermò. Lo spirito-spettro non respirava e non provava dolore. Zak si volse nuovamente verso Drizzt e gli balenò un sorriso così malvagio da spingere Matrona Malice ad alzarsi ad applaudire. Ormai tornato sul gradino superiore della scalinata, Drizzt era stupefatto e sbalordito. Vide che aveva inferto a Zaknafein una ferita raccapricciante e vide, contro ogni possibilità, che il maestro d'armi continuava ad avanzare uniformemente, senza neppure battere ciglio. «Vieni via!» grido Belwar, ai piedi delle scale. Un orco si gettò sullo gnomo del profondo, ma Clacker lo bloccò e stritolò in men che non si dica la testa di quell'essere, usando una delle sue zampe artigliate. «Dobbiamo andarcene», disse Clacker a Belwar, la chiarezza della sua voce fece sì che il guerriero del cunicolo si volgesse. In quel momento critico Belwar vide chiaramente negli occhi dell'orrore uncinato che Clacker era un pech, che lo era ancora più di prima dell'incantesimo polimorfo del mago. «Le pietre mi dicono che gli illithid si stanno radunando all'interno del castello», spiegò Clacker, e lo gnomo del profondo non fu sorpreso che l'amico avesse udito le voci delle pietre. «Tra poco gli illithid si precipiteranno fuori», continuò Clacker, «e questa sarà la morte sicura di ogni schiavo rimasto nella grotta!». Belwar non ne dubitava minimamente, ma per lo svirfnebli la fedeltà era di gran lunga più importante della salvezza personale. «Non possiamo lasciare il drow», rispose a denti stretti. Clacker annuì pienamente d'accordo e si lanciò alla carica per scacciare un gruppo di nani grigi che si erano avvicinati troppo.
«Corri, elfo scuro!» esclamo Belwar. «Non abbiamo tempo!» Drizzt non udì il suo amico svirfnebli. Si concentrò sul maestro d'armi che si avvicinava, il mostro che impersonava suo padre, proprio come Zaknafein si concentrava su di lui. Di tutte le molte azioni malvagie perpetrate da Matrona Malice, nessuna, per Drizzt, era maggiore di quest'abominio. Malice in qualche modo aveva pervertito l'unica cosa che per Drizzt era stata fonte di gioia nella sua vita tra i drow. Drizzt aveva creduto che Zaknafein fosse morto, e quel pensiero era sufficientemente doloroso. Ma ora questo. Era più di quanto il giovane drow potesse sopportare. Lui voleva combattere questo mostro con tutto il suo cuore e la sua anima, e lo spiritospettro, creato unicamente per questo preciso combattimento, era pienamente d'accordo. Nessuno dei due notò l'illithid che scendeva dall'oscurità soprastante, spostato dietro a Zaknafein, sul pianerottolo. «Vieni, mostro di Matrona Malice», ringhiò Drizzt, affilando le proprie armi tra loro. «Vieni a provare le mie lame.» Zaknafein si fermò a pochi passi di distanza e il sorriso malvagio balenò nuovamente sul suo volto. Le spade si alzarono; lo spirito-spettro effettuò un altro passo. Fwoop! La raffica dell'illithid si rovesciò su entrambi. Zaknafein rimase impassibile, ma Drizzt fu colto in pieno. Si sentì immerso nell'oscurità; le sue palpebre si chiusero con pesantezza incontrastabile. Udì le scimitarre cadere sulla pietra, ma non fu in grado di capire nient'altro. Zaknafein ringhiò in segno di gioia per la vittoria, sbatté le spade tra loro e avanzò verso il drow che cadeva. Belwar urlò, ma fu il mostruoso grido di protesta di Clacker a risuonare più forte, levandosi al di sopra del fracasso di tutti i combattimenti che avevano luogo nella grotta. Tutto ciò che Clacker aveva mai conosciuto quand'era un pech, tornò a pervaderlo quando vide cadere, senza scampo, il drow che gli aveva offerto amicizia. Quell'identità pech lo travolse nuovamente, forse con più forza di quanta Clacker avesse mai sperimentato nella sua precedente esistenza. Zaknafein effettuò un affondo, vedendo la sua vittima impotente a portata di mano, ma poi andò a urtare a capofitto contro una parete di pietra comparsa dal nulla. Lo spirito-spettro balzò all'indietro, gli occhi spalanca-
ti per la frustrazione. Graffiò la parete e la percosse, ma questa era decisamente reale e solida. La pietra bloccò completamente Zaknafein, separandolo dalla scalinata e dalla sua vittima predestinata. Giù dalla scalinata Belwar volse su Clacker il suo sguardo stupefatto. Lo svirfnebli aveva sentito che alcuni pech erano in grado di far comparire pareti di pietra. «Tu hai...?» disse il Guardiano del Cunicolo, senza fiato. Il pech nel corpo d'orrore uncinato non si fermò il tempo sufficiente a rispondere. Clacker salì i gradini quattro alla volta e sollevò delicatamente Drizzt tra le sue enormi braccia. Pensò perfino a recuperare le scimitarre del drow, poi scese pesantemente le scale. «Corri!» ordinò Clacker al Guardiano del Cunicolo. «Corri, Belwar Dissengulp, è una questione di vita o di morte!» Lo gnomo del profondo, grattandosi la testa con la mano a piccone, si mise veramente a correre. Clacker aprì un ampio percorso fino all'uscita posteriore della grotta, nessuno osò ostacolare la sua carica furibonda, e il Guardiano del Cunicolo, con le corte gambe svirfnebli e una caviglia slogata, fece fatica a tenergli dietro. Nuovamente su per le scale, dietro alla parete, Zaknafein poté soltanto ipotizzare che l'illithid fluttuante, lo stesso che aveva colpito Drizzt, avesse bloccato la sua carica. Zaknafein si volse con violenza verso il mostro e urlò spinto dall'odio puro. Fwoop! Un'altra raffica. Zaknafein balzò su e mozzò entrambi i piedi dell'illithid con un unico colpo. L'illithid levitò più in alto, lanciando grida mentali d'angoscia e di sofferenza ai suoi compagni. Zaknafein non poté raggiungere l'essere, e con altri illithid che giungevano da ogni angolazione lo spirito-spettro non ebbe il tempo di effettuare il proprio incantesimo di levitazione. Ma Zaknafein riteneva che quest'illithid fosse responsabile del suo fallimento; non l'avrebbe lasciato sfuggire. Lanciò una spada con la precisione di una lancia. L'illithid abbassò lo sguardo su Zaknafein, incredulo, poi la lama affondò fino all'elsa nel suo petto e lo scorticatore mentale capì che la sua vita era giunta al termine. Altri scorticatore mentale corsero verso Zaknafein, scatenando le loro raffiche ottundenti mentre si avvicinavano. Allo spirito-spettro restava soltanto una spada, ma sgominò comunque i suoi avversari, sfogando le sue frustrazioni sulle loro orribili teste di piovra. Drizzt gli era sfuggito... per il momento.
21 Perduto e ritrovato «Che sia lodata Lolth», balbettò Matrona Malice, intuendo la lontana esaltazione del suo spirito-spettro. «Ha Drizzt in pugno!» La Matrona Madre volse di scatto lo sguardo da una parte, poi dall'altra, e le tre figlie si ritrassero di fronte alla forza primordiale delle emozioni che contorcevano il volto della madre. «Zaknafein ha trovato vostro fratello!» Maya e Vierna si sorrisero, liete che tutta questa prova potesse finalmente giungere a una conclusione. Dal momento in cui Zin-carla era stato posto in essere, i normali e necessari ritmi giornalieri di Casa Do'Urden erano praticamente cessati, e ogni giorno la loro nervosa madre si ripiegava sempre più su se stessa, assorbita dall'inseguimento dello spirito-spettro. Dalla parte opposta dell'anticamera, il sorriso di Briza avrebbe mostrato una luce diversa a chiunque si fosse preso la briga di notarlo; la sua espressione era quasi delusa. Fortunatamente per la primogenita, Matrona Malice era troppo intenta a seguire quel che stava accadendo a distanza per accorgersene. La Matrona Madre sprofondò ulteriormente nella sua trance meditativa, assaporando ogni boccone della rabbia emanata dallo spirito-spettro, nella consapevolezza che quella rabbia era diretta sul suo blasfemo figliolo. Il respiro di Malice era spezzato a causa dell'esaltazione, mentre Zaknafein e Drizzt effettuavano il loro combattimento con la spada, poi la Matrona Madre cessò quasi completamente di respirare. Qualcosa aveva fermato Zaknafein. «No!» urlò Malice, balzando sul trono decorato. Si guardò intorno, alla ricerca di qualcuno da colpire o di qualcosa da lanciare. «No!» gridò di nuovo. «Non può essere!» «Drizzt è sfuggito?» chiese Briza, cercando di non manifestare il proprio compiacimento con il tono della voce. La successiva occhiata furiosa di Malice rivelò a Briza che quel tono poteva aver rivelato fin troppo di quel che lei pensava. «Lo spirito-spettro è stato distrutto?» esclamò Maya, sinceramente angosciata.
«Non distrutto», rispose Malice, con un evidente tremore nella voce solitamente ferma. «Ma per l'ennesima volta vostro fratello ha ripreso liberamente la fuga!» «Zin-carla non ha ancora fallito», arguì Vierna, cercando di consolare la madre, che si trovava in uno stato d'esaltazione. «Lo spirito-spettro è molto vicino», aggiunse Maya, prendendo spunto da Vierna. Malice si lasciò cadere al proprio posto e si deterse il sudore dalla fronte. «Lasciatemi», ordinò alle figlie, non volendo che la osservassero in uno stato così pietoso. Zin-carla le stava rubando la vita, Malice lo sapeva, perché ogni speranza della sua esistenza dipendeva dal successo dello spirito-spettro. Quando le altre se ne furono andate, Malice accese una candela e tirò fuori un piccolo, prezioso specchio. Che essere pietoso era diventata nelle ultime settimane. Aveva a malapena mangiato, e profonde rughe di preoccupazione solcavano la sua pelle d'ebano, precedentemente liscia come il vetro. Per quanto riguardava il suo aspetto, Matrona Malice era invecchiata più nelle ultime settimane che nel secolo che le aveva precedute. «Diventerò come Matrona Baenre», sussurrò disgustata, «raggrinzita e orribile». Forse per la primissima volta nel corso della sua lunga vita, Malice iniziò a chiedersi quale fosse il valore della continua ricerca del potere e del favore della spietata Regina Ragno. Tuttavia quei pensieri scomparvero con la stessa rapidità con cui li aveva formulati. Matrona Malice si era spinta troppo oltre per poter albergare simili stupidi rimpianti. Per mezzo della sua forza e della sua devozione, Malice aveva portato la sua casa alla posizione di famiglia dominante e si era assicurata un seggio nel prestigioso consiglio dominante. Tuttavia era ancora sull'orlo della disperazione, quasi spezzata dalle tensioni degli ultimi anni. Ancora una volta si deterse il sudore dalla fronte e guardò nello specchietto. Che essere pietoso era divenuta. Ricordò a se stessa che era stato Drizzt a farle questo. Le azioni del figlio più giovane avevano fatto adirare la Regina Ragno; il suo sacrilegio aveva condotto Malice sull'orlo della rovina. «Prendilo, mio spirito-spettro», sussurrò Malice con un ghigno beffardo. In quel momento di rabbia quasi non le importava quale sarebbe stato il futuro riservatole dalla Regina Ragno.
Più di qualsiasi altra cosa al mondo, Matrona Malice Do'Urden voleva Drizzt morto. *
*
*
Corsero alla cieca attraverso i tunnel serpeggianti, sperando che nessun mostro si stagliasse all'improvviso davanti a loro. Con il pericolo così reale alle loro spalle, i tre compagni non potevano permettersi la solita cautela. Passarono ore e loro stavano ancora correndo. Belwar, più vecchio dei suoi amici e con gambette che dovevano fare due passi per ognuno di quelli di Drizzt e tre passi per ognuno di quelli di Clacker, si stancò per primo, ma questo non rallentò il gruppo. Clacker sollevò il Guardiano del Cunicolo, se lo mise in spalla e continuò a correre. Non potevano sapere quante miglia avessero percorso quando infine si fermarono a riposare per la prima volta. Drizzt, silenzioso e malinconico per tutto il viaggio, assunse una posizione di guardia all'ingresso della piccola nicchia che avevano scelto come accampamento temporaneo. Riconoscendo il profondo dolore del suo amico drow, Belwar si avvicinò per offrirgli conforto. «Non era ciò che ti aspettavi, elfo scuro?» chiese dolcemente il Guardiano del Cunicolo. Dato che non giungeva alcuna risposta, ma dato anche che Drizzt aveva bisogno di parlare, Belwar insistette. «Conoscevi il drow nella caverna. Hai detto che si trattava di tuo padre?» Drizzt si volse di scatto con un'occhiata furiosa verso lo svirfnebli, ma la sua espressione si addolcì notevolmente quando, dopo un attimo, si rese conto della preoccupazione di Belwar. «Zaknafein», spiegò Drizzt. «Zaknafein Do'Urden, mio padre e mentore. È stato lui che mi ha addestrato con la lama e che mi ha istruito per tutta la mia vita. Zaknafein era il mio unico amico a Menzoberranzan, l'unico drow che io abbia mai conosciuto, che condividesse le mie convinzioni.» «Voleva ucciderti», affermò categoricamente Belwar. Drizzt trasalì, e il Guardiano del Cunicolo si affrettò a cercare di offrirgli qualche speranza. «Forse non ti ha riconosciuto?» «Era mio padre», ripeté Drizzt, «il mio migliore amico per vent'anni.» «Perché allora, elfo scuro?» «Quello non era Zaknafein», rispose Drizzt. «Zaknafein è morto, sacrificato da mia madre alla Regina Ragno.»
«Magga cammara», sussurrò Belwar, inorridito dalla rivelazione sui genitori di Drizzt. La semplicità con cui Drizzt aveva spiegato quell'atto nefando spinse il Guardiano del Cunicolo a credere che il sacrificio di Malice non fosse così insolito nella città drow. Un brivido percorse la spina dorsale di Belwar, ma lo gnomo del profondo sublimò la propria repulsione per il bene dell'amico tormentato. «Non so ancora quale mostro Matrona Malice abbia posto nei panni di Zaknafein», proseguì Drizzt, senza neppure notare l'afflizione di Belwar. «Un nemico formidabile, qualunque cosa sia», osservò lo gnomo del profondo. Era esattamente quello che preoccupava Drizzt. Il guerriero drow contro cui aveva combattuto nella grotta degli illithid si muoveva con la precisione e lo stile inconfondibile di Zaknafein Do'Urden. La razionalità di Drizzt poteva negare che Zaknafein fosse disposto a rivoltarsi contro di lui, ma il cuore gli diceva che il mostro con cui aveva incrociato le spade era veramente suo padre. «Come si è concluso?» chiese Drizzt dopo una lunga pausa. Belwar lo guardò con curiosità. «Il combattimento», spiegò Drizzt. «Ricordo l'illithid ma nient'altro.» Belwar scrollò le spalle e guardò Clacker. «Chiedilo a lui», rispose il Guardiano del Cunicolo. «Una parete di pietra è comparsa tra te e i tuoi nemici, ma come sia arrivata lì posso soltanto immaginarlo.» Clacker udì la conversazione e si avvicinò ai suoi amici. «L'ho messa lì io», disse, con voce ancora perfettamente chiara. «Un pech ha simili poteri?» chiese Belwar. Lo gnomo del profondo conosceva di fama i poteri pech con la pietra, ma non in modo sufficientemente dettagliato da comprendere in pieno che cosa Clacker avesse fatto. «Siamo una razza pacifica», iniziò Clacker, rendendosi conto che questa poteva essere la sua unica opportunità di descrivere ai due amici la natura della sua gente. Era ancora più simile a un pech di quanto non fosse mai stato da quando era caduto vittima dell'incantesimo polimorfo, ma già sentiva che gli infimi impulsi di un orrore uncinato tornavano a insinuarsi in lui. «Desideriamo soltanto lavorare la pietra. Si tratta della nostra vocazione e del nostro amore. E dalla simbiosi con la terra traiamo un certo margine di potere. Le pietre ci parlano e ci aiutano nelle vicissitudini.» Drizzt guardò ironicamente Belwar. «Come l'elementale di terra che una volta mi hai scatenato contro.» Belwar sbuffò in una risata imbarazzata.
«No», disse gravemente Clacker, deciso a non farsi sviare. «Anche gli gnomi del profondo possono fare appello alle forze della terra, ma il loro rapporto è diverso. L'amore degli svirfnebli per la terra è soltanto una delle loro varie definizioni di felicità.» Clacker distolse lo sguardo dai suoi compagni per guardare la parete di roccia. «I pech sono fratelli della terra. Ci aiuta come noi l'aiutiamo, per affetto.» «Parli della terra come se fosse un essere senziente», osservò Drizzt, senza sarcasmo, solo per curiosità. «Lo è, elfo scuro», rispose Belwar, immaginando l'aspetto che doveva avere Clacker prima del suo incontro con il mago, «per coloro che la possono udire.» L'enorme testa dotata di becco di Clacker annuì, era d'accordo. «Gli svirfnebli possono udire il canto lontano della terra», disse. «I pech possono parlarle direttamente.» Tutto questo andava decisamente oltre la comprensione di Drizzt. Lui conosceva la sincerità delle parole dei suoi compagni, ma gli elfi drow non erano minimamente collegati alle rocce del Buio Profondo come gli svirfnebli e i pech. Tuttavia, se Drizzt aveva bisogno di prove riguardo a ciò di cui stavano parlando Belwar e Clacker, non doveva fare altro che ricordare la sua battaglia contro l'elementale di terra di Belwar, un decennio prima, o immaginare la parete che era in qualche modo comparsa dal nulla per bloccare i suoi nemici nella grotta degli illithid. «Che cosa ti dicono ora le pietre?» chiese Drizzt a Clacker. «Abbiamo distanziato i nostri nemici?» Clacker si spostò e appoggiò l'orecchio alla parete. «Ora le parole sono indistinte», disse con evidente rammarico nella voce. I due amici compresero la connotazione del suo tono. La terra non stava parlando con minore chiarezza; era l'udito di Clacker che stava iniziando a svanire, ostacolato dal ritorno imminente dell'orrore uncinato. «Non sento la presenza di altri nemici che c'inseguono», proseguì Clacker, «ma non sono così sicuro di potermi fidare dei miei orecchi.» All'improvviso ringhiò, si volse di scatto dall'altra parte e si diresse verso l'estremità più lontana della nicchia. Drizzt e Belwar si scambiarono sguardi preoccupati, poi lo seguirono. «Che cosa c'è?» osò chiedere il Guardiano del Cunicolo all'orrore uncinato, benché potesse indovinarlo con sufficiente facilità. «Sto crollando», rispose Clacker, e il ringhio che era tornato a caratterizzare la sua voce non fece che sottolineare la cosa. «Nella grotta degli
illithid ero pech, più pech di quanto non fossi mai stato prima. Ero un concentrato ristretto di pech. Ero la terra.» Belwar e Drizzt parvero non capire. «La p-p-parete», cercò di spiegare Clacker. «Innalzare una simile parete è un compito che soltanto un g-g-gruppo di anziani pech potrebbe portare a termine, e dovrebbero procedere insieme attraverso scrupolosi rituali.» Clacker si fermò e scrollò il capo violentemente, come se stesse cercando di gettare via il suo lato d'orrore uncinato. Sbatté un pesante artiglio contro la parete e si fece forza per continuare. «Eppure l'ho fatto. Mi sono trasformato nella pietra e ho semplicemente alzato la mano per bloccare i nemici di Drizzt!» «E ora se ne sta andando», disse piano Drizzt. «Il pech ti sta nuovamente sfuggendo di mano, sepolto sotto agli istinti di un orrore uncinato.» Clacker distolse lo sguardo e sbatté nuovamente un artiglio contro la parete, in risposta. Qualcosa nel movimento gli recò conforto, e lo ripeté, più e più volte, sbattendo ritmicamente come se stesse cercando di restare aggrappato a un pezzo del suo io precedente. Drizzt e Belwar uscirono dalla nicchia e tornarono nel corridoio per lasciare un po' d'intimità al loro gigantesco amico. Poco tempo dopo notarono che il battito era cessato, e Clacker sporse fuori la testa, con gli enormi occhi da uccello pieni di dolore. Le sue parole incerte fecero venire i brividi lungo la spina dorsale dei suoi amici, perché scoprirono di non poter negare la sua logica o il suo desiderio. «V-Vi prego, u-u-uccidetemi.» Parte 5 Spirito Spirito. Non possono spezzarlo e non possono privarcene. Una vittima negli spasimi della disperazione potrebbe sentire altrimenti, e certamente al «padrone» della vittima piacerebbe credere che le cose stiano così. Ma in verità lo spirito resta, talvolta sepolto ma mai completamente eliminato. Questa è la falsa presunzione di Zin-carla e il pericolo di tale animazione senziente. Ho imparato che le sacerdotesse lo rivendicano come sommo dono della Regina Ragno, la divinità che domina i drow. Io penso di no. Zin-carla può essere meglio definito come la somma menzogna di Lolth. I poteri fisici del corpo non possono essere separati dal fondamento logico della mente e delle emozioni del cuore. Sono unici e uguali, insieme
costituiscono un singolo essere. È l'armonia di questi tre elementi, corpo, mente e cuore, che noi riteniamo spirito. Quanti tiranni hanno tentato? Quanti governanti hanno cercato di ridurre i loro sudditi a semplici strumenti inespressivi di profitto e guadagno? Privano il loro popolo degli affetti, delle religioni; cercano di rubare lo spirito. Alla fine e inevitabilmente falliscono. Devo credere in questo. Se la fiamma della candela dello spirito si spegne resta soltanto la morte, e il tiranno non trova alcun guadagno in un regno disseminato di cadaveri. Ma questa fiamma dello spirito è elastica, indomabile e perennemente in lotta. In alcuni, per lo meno, sopravviverà, e questa sarà la fine del tiranno. Allora dov'era Zaknafein, mio padre, quando si è deliberatamente prefisso di distruggermi? Dov'ero io nei miei anni trascorsi da solo nelle regioni selvagge, quando il cacciatore in cui mi ero trasformato accecava il mio cuore e spesso guidava la mano con cui reggevo la spada contro i miei desideri coscienti? Ho capito che eravamo entrambi presenti, continuamente, sepolti ma mai annientati. Spirito. In ogni lingua, in tutti i Reami, sulla superficie e nel Buio Profondo, in ogni tempo e in ogni luogo, il mondo ha uno squillo di forza e di determinazione. E la forza dell'eroe, la capacità di recupero della madre e la protezione del povero. Non possono spezzarlo e non possono privarcene. Devo crederlo. Drizzt Do'Urden 22 Senza meta Il fendente fu troppo rapido perché lo schiavo Folletti gridasse di terrore. Si rovesciò in avanti, morto prima ancora di toccare terra. Zaknafein gli passò sulla schiena e proseguì; la strada che portava all'uscita posteriore della stretta grotta era aperta davanti allo spirito-spettro, appena a dieci metri di distanza. Proprio mentre il guerriero non morto passava oltre la sua ultima vittima, un gruppo d'illithid entrò nella grotta davanti a lui. Zaknafein ringhiò e
non si volse, né rallentò minimamente. La sua logica e i suoi passi erano diretti; Drizzt era passato da quest'uscita, e lui l'avrebbe seguito. Qualunque cosa si trovasse sulla sua strada sarebbe caduta sotto alla sua lama. Lasciate che costui vada per la sua strada! Giunse un grido telepatico da vari punti della grotta, proveniente da altri scorticatore mentale che avevano visto Zaknafein in azione. Non lo potete sconfiggere! Lasciate vivere il drow! Gli scorticatore mentale avevano assistito sufficientemente al gioco delle lame mortali dello spirito-spettro; più di una dozzina dei loro compagni erano già morti per mano di Zaknafein. Questo nuovo gruppo che sbarrava la strada a Zaknafein non mancò di notare l'insistenza degli appelli telepatici. Molto rapidamente gli illithid si divisero, alcuni da una parte e alcuni dall'altra, tranne uno. La razza illithid basava la sua esistenza sul pragmatismo fondato su vasti volumi di conoscenza comune. Gli scorticatore mentale consideravano imperfezioni fatali emozioni fondamentali come l'orgoglio. Tale idea si rivelò nuovamente valida in tale occasione. Fwoop! L'unico illithid colpì lo spirito-spettro con una raffica, deciso a far sì che non fosse consentito a nessuno di fuggire. Un attimo dopo, il tempo di sferrare un unico, preciso colpo di spada, Zaknafein passò sul petto dell'illithid caduto e continuò per la sua strada, uscendo nelle regioni selvagge del Buio Profondo. Nessun altro illithid effettuò alcuna mossa per fermarlo. Zaknafein si acquattò e scelse con cura la propria direzione. Drizzt aveva viaggiato lungo questo tunnel; la traccia era fresca e netta. Comunque, nel corso del suo cauto inseguimento Zaknafein si sarebbe dovuto fermare spesso a controllare la pista e lui non poteva muoversi con la stessa rapidità della sua preda predestinata. Tuttavia, diversamente da Zaknafein, Drizzt doveva riposare. *
*
*
«Fermi!» Il tono dell'ordine di Belwar non lasciava spazio alle discussioni. Drizzt e Clacker s'immobilizzarono sui loro passi, chiedendosi che cosa avesse messo improvvisamente sul chi vive il Guardiano del Cunicolo. Belwar si spostò e posò l'orecchio sulla parete di roccia. «Stivali», sussurrò, indicando verso la pietra. «Nel tunnel parallelo.»
Drizzt raggiunse l'amico alla parete e ascoltò con attenzione ma, benché i suoi sensi fossero più acuti di qualsiasi altro elfo scuro, lui non era neppure minimamente abile quanto lo gnomo del profondo nella lettura delle vibrazioni della pietra. «Quanti?» chiese. «Alcuni», rispose Belwar, ma scrollò le spalle e Drizzt capì che stava soltanto effettuando una fiduciosa approssimazione. «Sette», disse Clacker, alcuni passi più in là lungo la parete, la sua voce era chiara e sicura. «Duergar, nani grigi che come noi stanno fuggendo dagli illithid.» «Come puoi...» iniziò a chiedere Drizzt, ma si fermò, ricordando quel che gli aveva detto Clacker riguardo ai poteri dei pech. «I tunnel s'incrociano?» chiese Belwar all'orrore uncinato. «Possiamo evitare i duergar?» Clacker si rivolse alla pietra per ottenere risposta. «I tunnel si uniscono poco più avanti», rispose, «poi proseguono e convergono in un unico». «Allora se restiamo qui i nani grigi probabilmente ci passeranno accanto» riflette Belwar. Drizzt non era così sicuro del ragionamento dello gnomo del profondo. «Noi e i duergar condividiamo un nemico comune» osservò Drizzt, poi spalancò gli occhi, colto da un'idea improvvisa. «Alleati?» «Benché spesso i duergar e i drow viaggino insieme, i nani grigi solitamente non si alleano con gli svirfnebli», gli ricordò Belwar. «O con gli orrori uncinati, immagino!» «Questa situazione è lungi dall'essere usuale», si affrettò a replicare Drizzt. «Se i duergar stanno fuggendo dagli scorticatore mentale, probabilmente sono male equipaggiati e disarmati. Potrebbero accettare di buon grado una simile alleanza, a vantaggio di entrambi i gruppi.» «Non credo che saranno così amichevoli come tu immagini», replicò Belwar con un sorrisetto sarcastico sotto i baffi, «ma ammetto che questo stretto tunnel non è un'area facile da difendere, e che è certo più adatta alle dimensioni di un duergar piuttosto che alle lunghe lame di un drow e alle braccia ancora più lunghe di un orrore uncinato. Se i duergar svoltano all'incrocio e si dirigono verso di noi, può darsi che ci tocchi combattere in una zona che potrebbe favorirli.» «Allora rechiamoci nel punto in cui i tunnel si uniscono», disse Drizzt, «e vediamo come si mettono le cose.»
I tre amici giunsero ben presto in una piccola spelonca di forma ovale. Un altro tunnel, quello in cui i duergar stavano viaggiando, entrava nell'area proprio accanto al tunnel dei tre compagni, e un terzo passaggio usciva dalla parte posteriore della stanza. Gli amici attraversarono ed entrarono nell'ombra di questo tunnel più estremo, proprio mentre il rumore degli stivali echeggiava loro negli orecchi. Un attimo più tardi i sette duergar giunsero nella stanza ovale. Erano disfatti, come aveva sospettato Drizzt, ma non disarmati. Tre portavano dei randelli, un altro un pugnale, due avevano spade, e l'ultimo ostentava due grosse rocce. Drizzt trattenne i suoi amici e uscì per andare incontro agli sconosciuti. Benché nessuna delle due razze nutrisse un grande affetto per l'altra, drow e duergar spesso formavano alleanze reciprocamente vantaggiose. Drizzt immaginò che le possibilità di formare un'alleanza pacifica sarebbero state maggiori se lui fosse uscito da solo. La sua apparizione improvvisa spaventò gli stanchi nani grigi. Corsero tutt'intorno freneticamente, cercando di formare qualche posizione difensiva. Spade e randelli furono preparati per l'uso, e il nano che teneva le rocce piegò indietro il braccio, pronto a lanciarle. «Salute, duergar», disse Drizzt, nella speranza che i nani grigi comprendessero la lingua drow. Le sue mani erano posate tranquillamente sulle else delle scimitarre riposte nei foderi; sapeva di poterle estrarre con sufficiente rapidità nel caso gli servissero. «Chi sei?» chiese uno dei nani grigi che teneva la spada, in un drow esitante ma comprensibile. «Un fuggiasco come voi», rispose Drizzt, «sto scappando dalla schiavitù dei crudeli scorticatore mentale.» «Allora sai quanto andiamo di fretta», ringhiò il duergar, «perciò togliti dai piedi!» «Vi offro un'alleanza», disse Drizzt. «Sicuramente essere più numerosi non potrà che aiutarci quando giungeranno gli illithid.» «Sette vale quanto otto», rispose ostinatamente il duergar. Dietro a colui che aveva parlato, il lanciatore di rocce mosse minacciosamente il braccio. «Ma non vale quanto dieci», arguì con calma Drizzt. «Hai degli amici?» chiese il duergar, addolcendo notevolmente il proprio tono. Si guardò intorno nervosamente, alla ricerca di un possibile agguato. «Altri drow?» «Nient'affatto», rispose Drizzt.
«L'ho visto!» esclamò un altro componente del gruppo, sempre in lingua drow, prima che Drizzt potesse iniziare a spiegare. «È corso fuori con il mostro dotato di becco e lo svirfnebli.» «Uno gnomo del profondo!» Il capo dei duergar sputò ai piedi di Drizzt. «Non è un amico dei duergar o dei drow!» Drizzt sarebbe stato disposto a lasciare che l'infelice tentativo di alleanza finisse lì, con lui e i suoi amici che se ne andavano per la loro strada e i nani grigi per la propria. Ma la fama meritata dei duergar li contrassegnava come esseri per nulla pacifici, né eccessivamente intelligenti. Con gli illithid non lontani, questa banda di nani grigi non aveva bisogno di altri nemici. Una roccia venne diretta alla testa di Drizzt. Una scimitarra balenò e la deviò lateralmente, senza danno. «Bivrip!» giunse il grido del Guardiano del Cunicolo dal tunnel. Belwar e Clacker corsero fuori, per nulla sorpresi dalla piega improvvisa presa dagli avvenimenti. Nell'Accademia drow, Drizzt, come tutti gli elfi scuri, aveva trascorso mesi a imparare le consuetudini e gli stratagemmi dei nani grigi. Quell'addestramento lo salvò ora, per ché fu il primo a colpire, profilando tutti e'sette i suoi minuscoli avversari con le innocue fiamme viola del fuoco fatato. Quasi contemporaneamente, tre dei duergar scomparvero dalla vista, esercitando i loro innati talenti d'in visibilità. Tuttavia le fiamme viola restarono, delineando chiaramente i nani che scomparivano. Una seconda roccia volò in aria e andò a sbattere contro il petto di Clacker. Il mostro corazzato avrebbe sorriso di quel misero attacco, se un becco avesse potuto sorridere, e Clacker continuò la sua carica, diritto davanti a sé, in mezzo ai duergar. Il lanciatore di rocce e colui che teneva il pugnale fuggirono lontano dal raggio d'azione dell'orrore uncinato, non avendo armi che potessero in alcun modo danneggiare il gigante corazzato. Con altri nemici a portata di mano, Clacker li lasciò andare. Essi rasentarono la parete della spelonca, lanciandosi direttamente su Belwar, pensando che lo svirfnebli fosse il più facile degli obiettivi. Un colpo di piccone fermò bruscamente la loro carica. Il duergar disarmato si protese in avanti, cercando d'afferrare il braccio dello gnomo del profondo prima che potesse sferrare il colpo. Belwar anticipò il tentativo ed effettuò una parata con la mano a martello, colpendo il duergar diretta-
mente sul volto. Volarono scintille, si frantumarono ossa, e pelle grigia bruciò e crepitò. Il duergar cadde lungo disteso e iniziò a contorcersi freneticamente, stringendosi il volto massacrato. Colui che teneva il pugnale non era più così ansioso. Due duergar invisibili si lanciarono contro Drizzt. Con il profilo delle fiamme viola, Drizzt poteva distinguere in generale i loro movimenti, e aveva prudentemente contrassegnato questi due come coloro che avevano le spade. Ma Drizzt era in chiaro svantaggio, perché non poteva vedere affondi e fendenti elaborati. Arretrò, ponendo una certa distanza tra sé e i suoi compagni. Intuì un attacco e bloccò il colpo con una scimitarra, sorridendo per la sua fortuna quando udì risuonare delle armi. Il nano grigio tornò visibile appena per un attimo, per mostrare a Drizzt il suo sorriso malvagio, poi scomparve rapidamente. «Quanti pensi di poterne bloccare?» chiese compiaciuto l'altro duergar invisibile. «Più di te, immagino», rispose Drizzt, e poi toccò al drow sorridere. Il suo magico globo di tenebre assolute scese su tutti e tre i combattenti, eliminando il vantaggio dei duergar. Nell'impeto selvaggio della battaglia i vili istinti d'orrore uncinato di Clacker assunsero il pieno controllo delle sue azioni. Il gigante non comprese il significato delle sagome delineate da fiamme viola, vuote all'interno, che contrassegnavano il terzo duergar invisibile, e invece si lanciò alla carica contro i due restanti nani grigi, entrambi armati di randelli. Prima ancora che l'orrore uncinato li raggiungesse, una clava si fracassò contro il suo ginocchio, e il duergar invisibile ridacchiò giubilante. Gli altri due iniziarono a scomparire dalla vista, ma ora Clacker non prestava loro alcuna attenzione. La mazza invisibile colpì nuovamente, questa volta fracassandosi contro la coscia dell'orrore uncinato. Posseduto dagli istinti di una razza che non si era mai preoccupata di sottigliezze, l'orrore uncinato ululò e cadde in avanti, seppellendo le fiamme viola sotto al suo petto massiccio. Clacker saltò e si lasciò cadere varie volte, finché non fu sicuro che il nemico invisibile fosse stato schiacciato a morte. Ma poi una gragnuola di mazzate si riversò sulla parte posteriore della testa dell'orrore uncinato. Il duergar che teneva il pugnale non era uno sprovveduto in battaglia. I suoi attacchi giungevano in colpi misurati, che costrinsero Belwar, che
aveva armi più pesanti, a prendere l'iniziativa. Gli gnomi del profondo odiavano i duergar con la stessa intensità con cui i duergar odiavano gli gnomi del profondo, ma Belwar non era uno sciocco. Agitava il piccone soltanto per tenere a bada il suo avversario, mentre la mano a martello restava piegata all'indietro e pronta. Così il nano e lo gnomo continuarono a combattere per vari attimi senza che nessuno dei due prendesse un vantaggio sull'altro, accontentandosi entrambi di lasciare che fosse il nemico a effettuare il primo errore. Quando l'orrore uncinato gridò di dolore, Drizzt era invisibile, e Belwar fu costretto ad agire. Barcollò in avanti, fingendo d'inciampare, e avanzò vacillando, con il martello e il piccone abbassati. Il duergar comprese la sua tattica, ma non poté ignorare l'evidente apertura nella difesa dello svirfnebli. Il pugnale avanzò al di sopra del piccone, puntando direttamente alla gola di Belwar. Il guardiano del cunicolo si gettò all'indietro con uguale velocità e mentre così faceva alzò una gamba, colpendo con lo stivale il mento del duergar. Tuttavia il nano grigio continuò ad avanzare, piombando con l'arma dall'alto, mentre la punta del pugnale era diretta verso lo gnomo del profondo. Belwar alzò il piccone appena una frazione di secondo prima che l'arma seghettata trovasse la sua gola. Il Guardiano del Cunicolo riuscì ad allontanare il braccio del duergar, ma il notevole peso del nano grigio li premette l'uno contro l'altro, i loro volti erano appena a un paio di centimetri di distanza. «Adesso sei nelle mie mani!» esclamò il duergar. «Prendi questo!» gli ringhiò di rimando Belwar, e liberò la sua mano a martello quel tanto sufficiente a lanciare un pugno breve ma pesante contro le costole del duergar. Il nano grigio sbatté la fronte contro il volto di Belwar, e Belwar lo morse sul naso in risposta. I due rotolarono giù, sputando e ringhiando, e usando tutte le armi che poterono trovare. Dal rumore delle armi che risuonavano, qualsiasi osservatore esterno al di fuori del globo di tenebre di Drizzt avrebbe giurato che all'interno stessero combattendo una decina di guerrieri. Il ritmo frenetico imposto al combattimento era unicamente opera di Drizzt Do'Urden e derivava dalla sua abilità nel maneggiare la spada. In una simile situazione di combattimento alla cieca, il drow riflette che il miglior metodo di battaglia sarebbe stato di tenere tutte le lame il più lontano possibile dal suo corpo. Le sue
scimitarre caricavano instancabilmente e in perfetta armonia, sbilanciando i due nani grigi. Ogni braccio di Drizzt lavorava il proprio avversario, tenendo i nani grigi inchiodati proprio di fronte a sé. Se uno dei suoi nemici fosse riuscito a portarsi lateralmente, al suo fianco, il drow sapeva che si sarebbe trovato in guai seri. Ogni colpo di scimitarra portava un suono metallico, e ogni secondo che passava dava a Drizzt una maggiore comprensione delle capacità dei suoi avversari e delle loro strategie d'attacco. Fuori nel Buio Profondo, Drizzt aveva combattuto alla cieca molte volte, in un'occasione aveva perfino indossato un cappuccio contro un basilisco. Sopraffatti dalla pura velocità degli attacchi del drow, i duergar potevano soltanto muovere le loro spade avanti e indietro e sperare che una scimitarra non riuscisse a introdursi nel mezzo. Le lame cantavano e risuonavano mentre i due duergar paravano ed eludevano freneticamente i colpi. Poi giunse un rumore che Drizzt aveva sperato d'udire, quello di una scimitarra che affondava nella carne. Un attimo più tardi una spada risuonò contro la pietra e colui che la teneva, ferito, effettuò l'errore fatale di gridare di dolore. In quel momento l'io cacciatore di Drizzt giunse in superficie e si concentrò su quel grido, la sua scimitarra guizzò in avanti, sbattendo contro i denti del nano grigio e continuando a penetrare fino alla parte posteriore della testa. Il cacciatore si volse infuriato verso il duergar restante. Le sue lame iniziarono a vorticare senza tregua, con oscillanti movimenti circolari. Giravano intorno, poi una di esse guizzò in un improvviso affondo deciso, troppo rapidamente perché l'avversario riuscisse a bloccarla. L'arma colse il duergar nella spalla, aprendo una ferita profonda. «Mi arrendo! Mi arrendo!» esclamò il nano grigio, per sottrarsi allo stesso destino del suo compagno. Drizzt udì un'altra spada cadere per terra. «Ti prego, elfo scuro!» Alle parole del duergar il drow soffocò i suoi impulsi istintivi. «Accetto la tua resa», rispose Drizzt, e si avvicinò all'avversario, ponendo la punta della sua scimitarra sul petto del nano grigio. Insieme, uscirono dall'area buia dell'incantesimo di Drizzt. Un tormento terribile e bruciante squarciava la testa di Clacker, ogni colpo gli provocava ondate di dolore. L'orrore uncinato espresse gorgogliando un ringhio animalesco ed esplose in un movimento furioso, solle-
vandosi dal duergar schiacciato e volgendosi di scatto verso i nuovi nemici. Un duergar gli diede un'altra mazzata, ma Clacker non provava più alcun dolore. Un pesante artiglio menò un colpo attraverso il profilo viola, colpendo il cranio del duergar invisibile. Il nano grigio tornò a essere improvvisamente visibile, perché la morte, la più grande ladra in assoluto, gli aveva sottratto la concentrazione necessaria a conservare lo stato d'in visibilità. L'ultimo duergar si volse per fuggire, ma l'orrore uncinato infuriato fu più veloce. Clacker afferrò il nano grigio con un artiglio e lo sollevò. Strillando come un uccello, convulsamente, l'orrore uncinato lanciò contro la parete l'avversario invisibile. Il duergar tornò visibile, massacrato e ridotto a un mucchio informe, alla base della parete di pietra. Nessun avversario si ergeva ad affrontare l'orrore uncinato, ma la selvaggia bramosia di Clacker era lungi dall'essere saziata. In quel momento Drizzt e il duergar ferito emersero dall'oscurità, e l'orrore uncinato si lanciò alla carica. L'attenzione di Drizzt era fissa sullo spettro del combattimento di Belwar, e il drow non si rese conto dell'intento di Clacker finché il prigioniero duergar non urlò di terrore. Ma allora fu troppo tardi. Drizzt osservò la testa del suo prigioniero che tornava al volo all'interno del globo di tenebre. «Clacker!» urlò il drow in tono di protesta. Poi Drizzt abbassò la testa e si tuffò all'indietro per salvarsi la vita mentre l'altro artiglio giungeva nella sua direzione in un colpo terribile. Individuando una nuova preda nelle vicinanze, l'orrore uncinato non seguì il drow all'interno del globo. Belwar e il duergar che teneva il pugnale erano troppo impegnati nei propri combattimenti per notare che il gigante impazzito stava avvicinandosi. Clacker si chinò, raccolse tra le enormi braccia i due combattenti che stavano rotolandosi a terra e li lanciò entrambi in aria. Il duergar ebbe la sfortuna di scendere per primo, e prontamente Clacker lo lanciò con un colpo dalla parte opposta della stanza. Belwar sarebbe andato incontro a un analogo destino se due scimitarre incrociate non avessero intercettato il colpo successivo dell'orrore uncinato. La forza del gigante fece scivolare all'indietro Drizzt per alcuni metri, ma la parata limitò sufficientemente il colpo perché Belwar cadesse lì vi-
cino. Tuttavia il Guardiano del Cunicolo si fracassò pesantemente al suolo e trascorse un lungo attimo troppo stordito per reagire. «Clacker!» gridò nuovamente Drizzt, mentre un piede gigantesco veniva sollevato con l'intento evidente di schiacciare e appiattire Belwar. Utilizzando tutta la sua velocità e agilità, Drizzt si tuffò lateralmente fino a girare intorno all'orrore uncinato e a giungergli alle spalle; il drow si lasciò cadere per terra e si lanciò contro le ginocchia di Clacker, come aveva fatto in occasione del loro primo incontro. Poiché stava cercando di pestare lo svirfnebli che si trovava a terra, Clacker era già un po' sbilanciato, e Drizzt lo fece facilmente inciampare sulla pietra. In un batter d'occhio il guerriero drow balzò sul torace del mostro e introdusse la punta di una scimitarra tra le pieghe corazzate del collo di Clacker. Drizzt schivò un colpo maldestro mentre Clacker continuava a lottare. Il drow odiava quello che doveva fare, ma poi l'orrore uncinato si calmò improvvisamente e sollevò lo sguardo su di lui con sincera comprensione. «F-f-fallo...» fu la sua richiesta distorta. Drizzt, inorridito, guardò Belwar come per ottenere sostegno. Nuovamente in piedi, il Guardiano del Cunicolo si limitò a distogliere lo sguardo. «Clacker?» chiese Drizzt all'orrore uncinato. «Sei nuovamente Clacker?» Il mostro esitò, poi la testa dotata di becco annuì lievemente. Drizzt schizzò via e guardò la carneficina nella spelonca. «Andiamocene», disse. Clacker restò prono ancora un attimo, riflettendo sulle sgradevoli implicazioni del suo momento di tregua. Con la conclusione della battaglia, il suo lato appartenente all'orrore uncinato veniva meno e Clacker riacquistava la propria consapevolezza. Clacker sapeva che quegli istinti selvaggi incombevano non lontano dalla superficie, in attesa di un'altra opportunità di far presa strettamente. Quante volte il suo vacillante lato pech sarebbe stato in grado di contrastare quegli istinti? Clacker colpì la pietra, un colpo possente da cui si diramarono fenditure lungo il fondo della cavità. Nel suo imbarazzo, Clacker non guardò i suoi compagni, ma si limitò ad allontanarsi, imperversando furiosamente lungo il tunnel; ogni suo passo rimbombante cadeva come un martello su un'unghia, nel cuore di Drizzt Do'Urden. «Forse avresti dovuto finirlo, elfo scuro», suggerì Belwar, ponendosi accanto al suo amico drow.
«Mi ha salvato la vita nella grotta degli illithid», replicò aspramente Drizzt. «Ed è stato un amico fedele.» «Ha cercato di uccidere me e te», disse con severità lo gnomo del profondo. «Magga cammara.» «Sono suo amico!» ringhiò Drizzt, afferrando la spalla dello svirfnebli. «Mi chiedi di ucciderlo?» «Ti chiedo di essergli amico», replicò Belwar, e si liberò dalla stretta dirigendosi lungo il tunnel all'inseguimento di Clacker. Drizzt afferrò di nuovo la spalla del Guardiano del Cunicolo e lo fece volgere rudemente. «Non farà che peggiorare, elfo scuro», disse Belwar con calma di fronte alla faccia scura di Drizzt. «L'incantesimo del mago si consolida ogni giorno che passa. Clacker cercherà di ucciderci di nuovo, temo, e nel caso ci riesca, rendersi conto dell'atto compiuto lo distruggerà più completamente, più di quanto potrebbero mai fare le tue lame!» «Non posso ucciderlo», disse Drizzt, e non era più infuriato. «E neppure tu puoi farlo.» «Allora dobbiamo lasciarlo», rispose lo gnomo del profondo. «Dobbiamo lasciare che Clacker se ne vada liberamente nel Buio Profondo, per vivere la sua esistenza d'orrore uncinato. Diventerà sicuramente un mostro, nello spirito e nel corpo.» «No», disse Drizzt. «Non dobbiamo lasciarlo. Rappresentiamo la sua unica opportunità. Dobbiamo aiutarlo.» «Il mago è morto», gli ricordò Belwar, e lo gnomo del profondo si volse e ripartì all'inseguimento di Clacker. «Esistono altri maghi», replicò Drizzt a bassa voce, questa volta senza effettuare alcuna mossa per trattenere il Guardiano del Cunicolo. Gli occhi del drow si socchiusero e lui rimise le scimitarre nei foderi. Drizzt sapeva che cosa doveva fare, quale prezzo doveva essere pagato in nome della sua amicizia per Clacker, ma trovava il pensiero troppo orribile da accettare. C'erano davvero altri maghi nel Buio Profondo, ma gli incontri occasionali erano lungi dall'essere comuni, e i maghi in grado di dissipare lo stato polimorfo di Clacker sarebbero stati ancora meno. Tuttavia Drizzt sapeva dove si potevano trovare simili maghi. Il pensiero di ritornare nella sua terra natale ossessionò Drizzt a ogni passo che lui e i suoi compagni effettuarono quel giorno. Avendo esaminato le conseguenze della sua decisione di lasciare Menzoberranzan, Drizzt
non voleva più rivedere quel luogo, non desiderava mai più osservare quel mondo oscuro che l'aveva così tormentato. Ma se decideva di non ritornare, Drizzt sapeva che avrebbe ben presto assistito a uno spettacolo più terribile di Menzoberranzan. Avrebbe osservato Clacker, un amico che l'aveva salvato da morte certa, degenerare interamente e trasformarsi in un orrore uncinato. Belwar aveva suggerito d'abbandonare Clacker, e quella strada sembrava preferibile alla lotta che Drizzt e lo gnomo del profondo avrebbero sicuramente dovuto ingaggiare se si fossero trovati vicino a Clacker al completamento della degenerazione. Anche se Clacker si fosse trovato molto lontano, tuttavia, Drizzt sapeva che avrebbe assistito alla degenerazione. Per il resto dei suoi giorni i suoi pensieri sarebbero rimasti con Clacker, l'amico che aveva abbandonato; un altro dolore per il drow tormentato. In tutto il mondo, Drizzt non poteva pensare a nulla che desiderasse meno di osservare la vista di Menzoberranzan o di conversare con quello che un tempo era il suo popolo. Se avesse avuto possibilità di scelta, avrebbe preferito la morte piuttosto che ritornare nella città drow, ma la scelta non era così semplice. La decisione non dipendeva soltanto dai desideri personali di Drizzt. Lui aveva fondato la sua vita su principi, e quei principi ora richiedevano dedizione, pretendevano che lui ponesse le esigenze di Clacker al di sopra dei propri desideri, perché Clacker si era dimostrato suo amico e perché il concetto di autentica amicizia era di gran lunga più importante dei desideri personali. Più tardi, quando gli amici si furono accampati per un breve riposo, Belwar notò che Drizzt era impegnato in qualche conflitto interiore. Lasciando Clacker, che ancora una volta stava battendo la parete di pietra, lo svirfnebli si portò prudentemente a fianco del drow. Belwar piegò la testa di lato, con aria curiosa. «Che cosa stai pensando, elfo scuro?» Drizzt, troppo impegnato nella propria agitazione emotiva, non ricambiò lo sguardo di Belwar. «La mia terra natale vanta una scuola di stregoneria» replicò Drizzt con determinazione. Inizialmente il Guardiano del Cunicolo non capì a che cosa si stesse riferendo Drizzt, ma poi, quando il drow diede un'occhiata a Clacker, Belwar si rese conto delle implicazioni di quella semplice affermazione. «Menzoberranzan?» esclamò lo svirfnebli. «Torneresti lì, nella speranza che qualche mago elfo scuro mostri pietà al nostro amico pech?»
«Tornerei lì perché Clacker non ha alternativa», replicò irosamente Drizzt. «Allora Clacker non ha assolutamente nessuna alternativa», ruggì Belwar. «Magga cammara, elfo scuro. Menzoberranzan non sarà così pronta a darti il benvenuto!» «Forse il tuo pessimismo si rivelerà corretto», disse Drizzt. «Gli elfi scuri non sono mossi dalla pietà, sono d'accordo, ma ci possono essere altre possibilità di scelta.» «Sei ricercato», disse Belwar. Il suo tono mostrava la speranza che le sue semplici parole scuotessero il compagno drow, infondendogli un po' di buon senso. «Da Matrona Malice», replicò Drizzt. «Menzoberranzan è un luogo grande, mio piccolo amico, e la dedizione a mia madre non avrà alcun ruolo in nessun nostro incontro, a parte quelli con la mia famiglia. Ti garantisco che non ho intenzione d'incontrare nessuno che faccia parte della mia famiglia!» «E che cosa potremmo offrire noi, elfo scuro, in cambio dell'annullamento della maledizione di Clacker?» replicò sarcasticamente Belwar. «Che cosa abbiamo da offrire che qualsiasi mago elfo scuro di Menzoberranzan possa valutare?» La risposta di Drizzt iniziò con il guizzo vorticante di una scimitarra, fu sottolineata da un ben noto fuoco furente negli occhi color lavanda del drow, e terminò con una semplice affermazione che perfino il caparbio Belwar non seppe come confutare. «La vita del mago.» 23 Increspature Matrona Baenre scrutò a lungo e attentamente Malice Do'Urden, valutando con quanta intensità le tribolazioni dovute a Zin-carla fossero pesate sulla Matrona Madre. Profonde rughe di preoccupazione solcavano il volto un tempo liscio di Malice, e i suoi capelli candidi, che erano stati l'invidia della sua generazione erano, per una delle pochissime volte in cinque secoli, sfibrati e scarmigliati. Ancora più impressionanti, tuttavia, erano gli occhi di Malice, un tempo sfolgoranti e vivaci, ma ora oscurati dalla stanchezza e affondati negli incavi della sua pelle scura.
«Zaknafein l'aveva quasi preso», spiegò Malice, con voce insolitamente lamentosa. «Drizzt era in sua balia, eppure in qualche modo mio figlio è riuscito a sfuggire!» «Ma lo spirito-spettro gli è nuovamente alle costole, si trova sulle sue tracce», si affrettò ad aggiungere Malice, vedendo il cipiglio di disapprovazione di Matrona Baenre. Oltre a essere la figura più potente di tutta Menzoberranzan, l'avvizzita Matrona Madre di Casa Baenre era considerata la rappresentante personale di Lolth in città. L'approvazione di Matrona Baenre era l'approvazione di Lolth e, secondo la stessa logica, la disapprovazione di Matrona Baenre significava spessissimo disastro per una casa. «Zin-carla richiede pazienza, Matrona Malice», disse con calma Matrona Baenre. «Non è passato così tanto tempo.» Malice si rilassò un po', finché non si guardò nuovamente intorno. Odiava la cappella di Casa Baenre, così enorme e umiliante. L'intero complesso Do'Urden sarebbe potuto entrare all'interno di quella singola stanza, e se la famiglia di Malice e i suoi soldati fossero stati moltiplicati per dieci volte, non avrebbero comunque riempito le file di sedili. Direttamente al di sopra dell'altare centrale, direttamente al di sopra di Matrona Malice, incombeva l'immagine illusionistica del ragno gigantesco, che si trasformava nella figura di una bella femmina drow e poi tornava a essere un'aracnide. Sedere lì da sola con Matrona Baenre sotto quell'immagine opprimente faceva sentire Malice ancora più insignificante. Matrona Baenre intuì l'inquietudine della sua ospite e cercò di confortarla. «Vi è stato dato un grande dono», disse sinceramente. «La Regina Ragno non concederebbe Zin-carla, e non avrebbe accettato il sacrificio di SiNafay Hun'ett, una Matrona Madre, se non approvasse i vostri metodi e il vostro intento.» «È una prova», rispose con disinvoltura Malice. «Una prova che non fallirete!» replicò Matrona Baenre. «E allora quali glorie sperimenterete, Malice Do'Urden! Quando lo spirito-spettro di colui che era Zaknafein avrà completato il suo compito e il vostro figliolo rinnegato sarà morto, voi siederete onorevolmente nel consiglio dominante. Molti anni, ve lo prometto, passeranno prima che qualsiasi casa osi minacciare Casa Do'Urden. La Regina Ragno farà risplendere il proprio favore su di voi per il giusto adempimento di Zin-carla. Terrà la vostra casa in somma considerazione e vi difenderà contro le rivali.»
«E se Zin-carla fallisse?» osò chiedere Malice. «Supponiamo...» La sua voce si spense gradualmente mentre gli occhi di Matrona Baenre si spalancavano sconvolti. «Non pronunciate quelle parole!» la rimproverò Baenre. «E non pensate a simili impossibili eventualità! La paura vi svia, e solo quello potrà decretare la vostra condanna. Zin-carla è un esercizio di forza di volontà e una prova della vostra devozione alla Regina Ragno. Lo spirito-spettro è un'estensione della vostra fede e della vostra forza. Se la fiducia in voi stessa vacillerà, allora anche lo spirito-spettro di Zaknafein vacillerà nella sua ricerca!» «Non vacillerò!» tuonò Malice, le mani avvinghiate intorno ai braccioli della poltrona. «Accetto la responsabilità del sacrilegio di mio figlio, e con l'aiuto di Lolth e le sue benedizioni, infliggerò a Drizzt la giusta punizione.» Matrona Baenre tornò a rilassarsi sul trono e annuì in segno d'approvazione. Doveva sostenere Malice in quest'ardua prova, per ordine di Lolth, e conosceva abbastanza riguardo a Zin-carla per comprendere che la sicurezza e la determinazione erano due degli ingredienti primari del successo. Una Matrona Madre impegnata in Zin-carla doveva proclamare la sua fiducia in Lolth e il suo desiderio di soddisfare Lolth, spesso e sinceramente. Ora, tuttavia, Malice aveva un altro problema, una perplessità che le riusciva difficile sopportare. Era venuta a Casa Baenre di propria iniziativa, in cerca d'aiuto. «Allora, quest'altra faccenda?» suggerì Matrona Baenre, che stava rapidamente stancandosi dell'incontro. «Sono vulnerabile», spiegò Malice. «Zin-carla mi ruba l'energia e l'attenzione. Temo che un'altra casa possa cogliere l'opportunità.» «Nessuna casa ha mai attaccato una Matrona Madre impegnata in Zincarla», sottolineò Matrona Baenre, e Malice si rese conto del fatto che l'anziana drow raggrinzita parlava per esperienza. «Zin-carla è un dono raro», replicò Malice, «dato a matrone potenti con case potenti, quasi sicuramente nel favore della Regina Ragno. Chi attaccherebbe in tali circostanze? Ma Casa Do'Urden è di gran lunga diversa. Abbiamo appena sofferto le conseguenze della guerra. Nonostante l'aggiunta di alcuni dei soldati di Casa Hun'ett, siamo paralizzati. È ben noto che non ho ancora riguadagnato il favore di Lolth ma che la mia casa è l'ottava in città, ponendomi nel consiglio dominante, una posizione invidiabile.»
«I vostri timori sono infondati», la rassicurò Matrona Baenre, ma Malice s'incurvò in preda alla frustrazione nonostante quelle parole. Matrona Baenre scrollò il capo, non sapeva cosa fare. «Vedo che le mie parole da sole non possono tranquillizzarvi. La vostra attenzione deve essere su Zincarla. Cercate di comprendere, Malice Do'Urden. Non avete tempo per preoccupazioni di scarsa importanza.» «Restano comunque», disse Malice. «Allora io vi porrò fine», propose Matrona Baenre. «Tornate alla vostra casa ora, in compagnia di duecento soldati di Baenre. Il loro numero difenderà i vostri parapetti, e i miei soldati indosseranno l'emblema di Baenre. In città nessuno oserà colpire con simili alleati.» Un largo sorriso si aprì sul volto di Malice, un ghigno che addolcì le rughe di preoccupazione. Accettò il generoso dono di Matrona Baenre come un segnale che forse Lolth favoriva ancora Casa Do'Urden. «Tornate alla vostra casa e concentratevi sull'impegno immediato», continuò Matrona Baenre. «Zaknafein deve trovare nuovamente Drizzt e ucciderlo. Questo è il patto stipulato con la Regina Ragno. Ma non temete per l'ultimo fallimento dello spirito-spettro o per il tempo perduto. Alcuni giorni, o settimane, non sono molto lunghi agli occhi di Lolth. La giusta conclusione di Zin-carla è tutto ciò che importa.» «Organizzerete la mia scorta?» chiese Malice, alzandosi dalla poltrona. «Vi sta già aspettando», le garantì Matrona Baenre. Malice scese dal palco centrale sollevata e uscì attraverso le molte file della cappella gigantesca. L'enorme stanza era illuminata fiocamente, e Malice riuscì a malapena a vedere, mentre usciva, un'altra figura che si dirigeva verso il palco centrale dalla direzione opposta. Diede per scontato che si trattasse del compagno illithid di Matrona Baenre, una figura comune nella grande cappella. Se Malice avesse saputo che lo scorticatore mentale di Matrona Baenre aveva lasciato la città per adempiere a qualche faccenda privata a occidente, avrebbe fatto maggiore attenzione alla lontana figura. Le sue rughe di preoccupazione si sarebbero decuplicate. «Pietosa», notò Jarlaxle mentre saliva per sedere accanto a Matrona Baenre. «Questa non è la stessa Matrona Malice Do'Urden che conoscevo alcuni mesi fa.» «Zin-carla non viene dato a buon mercato», replicò Matrona Baenre.
«Il tributo è enorme», ne convenne Jarlaxle. Guardò direttamente Matrona Baenre, leggendo nei suoi occhi al di là della sua imminente risposta. «Fallirà?» Matrona Baenre ridacchiò forte, una risata che risuonò più simile a un respiro affannoso. «Anche la Regina Ragno potrebbe soltanto immaginare la risposta. I miei... i nostri soldati dovrebbero prestare a Matrona Malice il conforto sufficiente per completare il compito. Almeno questo è ciò che spero. Un tempo Malice Do'Urden era sommamente considerata da Lolth, lo sai. Il suo seggio nel consiglio dominante venne richiesto dalla Regina Ragno.» «Gli avvenimenti sembrano condurre all'adempimento della volontà di Lolth», rise sotto i baffi Jarlaxle, ricordando la battaglia tra Casa Do'Urden e Casa Hun'ett, in cui Bregan D'aerthe aveva svolto un ruolo di capitale importanza. Le conseguenze di quella vittoria, l'eliminazione di Casa Hun'ett, avevano conferito a Casa Do'Urden l'ottava posizione in città, e perciò avevano posto Matrona Malice nel consiglio dominante. «La fortuna arride ai prediletti», osservò Matrona Baenre. Il largo sorriso di Jarlaxle fu sostituito da uno sguardo improvvisamente serio. «E Malice... Matrona Malice», si affrettò a correggersi, notando lo sguardo immediatamente torvo di Matrona Baenre, «ora si trova nelle grazie della Regina Ragno? La fortuna arriderà a Casa Do'Urden?» «Immagino che il dono di Zin-carla abbia eliminato ogni predilezione», spiegò Matrona Baenre. «Sta a Matrona Malice e al suo spirito-spettro determinare la propria fortuna.» «O a suo figlio, l'infame Drizzt Do'Urden, distruggerla», completò Jarlaxle. «Questo giovane guerriero è proprio così forte? Perché Lolth non si è limitata a schiacciarlo?» «Lui ha abbandonato la Regina Ragno», rispose Baenre, «completamente e con tutto il suo cuore. Lolth non ha potere su Drizzt e ha deciso che è compito di Matrona Malice risolvere il problema.» «Sembrerebbe un problema piuttosto grande», ridacchiò Jarlaxle scrollando rapidamente la testa calva. Il mercenario notò immediatamente che Matrona Baenre non condivideva la sua allegria. «Davvero», rispose solennemente lei, e la sua voce strascicò la parola mentre lei sprofondava in pensieri privati. Matrona Baenre conosceva i pericoli e i possibili profitti di Zin-carla meglio di chiunque in città. Già due volte, in passato, Matrona Baenre aveva chiesto il sommo dono della Regina Ragno, e due volte aveva visto Zin-carla giungere a completamen-
to e al successo. Con la magnificenza di Casa Baenre che la circondava, Matrona Baenre non poteva dimenticare i profitti del successo di Zin-carla. Ma ogni volta che vedeva la sua immagine avvizzita riflessa in una pozza d'acqua o in uno specchio, le veniva pesantemente ricordato il pesante tributo da pagare. Jarlaxle non s'intromise nelle riflessioni della Matrona Madre. Il mercenario in quel momento stava pensando per proprio conto. In un periodo difficoltoso e confuso come questo, un abile opportunista avrebbe ricavato soltanto profitti. Secondo i calcoli di Jarlaxle, Bregan D'aerthe aveva soltanto da guadagnare dal fatto che Zin-carla fosse stato concesso a Matrona Malice. Se Malice fosse giunta al successo e avesse consolidato il suo seggio nel consiglio dominante, Jarlaxle avrebbe avuto un'altra potente alleata all'interno della città. Se lo spirito-spettro avesse fallito, portando la rovina su Casa Do'Urden, la taglia sulla testa del giovane Drizzt sarebbe di certo salita vertiginosamente a un livello allettante per la banda di mercenari. *
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Come aveva fatto in occasione del suo viaggio alla Prima Casa della città, Malice immaginò che sguardi ambiziosi stessero seguendo il suo ritorno per le strade serpeggianti di Menzoberranzan. Matrona Baenre era stata molto generosa e benigna. Partendo dal presupposto che la vecchia Matrona Madre raggrinzita fosse veramente la voce di Lolth in città, Malice riusciva a malapena a contenere il proprio sorriso. Innegabilmente, tuttavia, le paure restavano. Con quanta prontezza Matrona Baenre sarebbe giunta in aiuto di Malice se Drizzt continuava a eludere Zaknafein e se Zin-carla alla fine falliva? Allora la posizione di Malice nel consiglio dominante sarebbe divenuta inconsistente, proprio come la continuazione dell'esistenza di Casa Do'Urden. Il corteo passò davanti a Casa Fey-Branche, Nona Casa della città e molto probabilmente la maggiore minaccia per l'indebolita Casa Do'Urden. Matrona Halavin Fey-Branche stava indubbiamente osservando la processione, al di là dei cancelli d'adamantio, osservando la Matrona Madre che ora occupava l'agognato ottavo seggio nel consiglio dominante. Malice guardò Dinin e i dieci soldati di Casa Do'Urden che camminavano al suo fianco mentre lei sedeva sul magico disco fluttuante. Lei lasciò vagare il suo sguardo sui duecento soldati, guerrieri che portavano aperta-
mente l'illustre emblema di Casa Baenre, che marciavano con disciplinata precisione dietro al suo modesto gruppo. Malice si chiese che cosa potesse pensare in quel momento Matrona Halavin Fey-Branche di fronte a un simile spettacolo. Non poté contenere un sorriso. «Le nostre glorie maggiori giungeranno presto», assicurò Malice a suo figlio. Dinin, il guerriero, annuì e saggiamente le restituì l'ampio sorriso, non osando privare minimamente di quella gioia la sua volubile madre. In privato, tuttavia, Dinin non poteva ignorare i propri allarmanti sospetti che molti dei soldati di Baenre, guerrieri drow che lui non aveva mai avuto occasione di incontrare prima, sembrassero vagamente familiari. Uno di loro lanciò perfino un malizioso ammiccamento al primogenito maschio di Casa Do'Urden. Jarlaxle che effettuava il fischio magico sulla terrazza di Casa Do'Urden tornò con vivacità alla mente di Dinin. 24 Fede Non fu necessario che Drizzt e Belwar si ricordassero reciprocamente il significato del bagliore verde che appariva molto avanti lungo il tunnel. Insieme affrettarono il passo per raggiungere Clacker e metterlo in guardia, dato che lui continuava ad avvicinarsi con passi affrettati dalla curiosità. Ora l'orrore uncinato era sempre alla guida del gruppo; Clacker era semplicemente diventato troppo pericoloso perché Drizzt e Belwar gli consentissero di camminare dietro di loro. Clacker si volse bruscamente al loro improvviso avvicinarsi, agitò minacciosamente un artiglio e sibilò. «Pech», sussurrò Belwar, pronunciando la parola che usava per suscitare un ricordo nella coscienza in rapido dissolvimento del suo amico. Il gruppo si era girato verso est, verso Menzoberranzan, non appena Drizzt aveva convinto il Guardiano del Cunicolo della sua determinazione ad aiutare Clacker. Belwar, non avendo alternative, infine si era dichiarato d'accordo con il piano del drow, definendola l'unica speranza di Clacker ma, benché si fossero voltati immediatamente e avessero accelerato la marcia, ora entrambi temevano di non arrivare in tempo. Dopo il confronto con i duergar la trasformazione in Clacker era stata drammatica. L'orrore uncinato pote-
va a malapena parlare e spesso si volgeva minacciosamente verso i suoi amici. «Pech», ripeté Belwar mentre lui e Drizzt si avvicinavano al mostro ansioso. L'orrore uncinato si fermò, confuso. «Pech!» ringhiò Belwar per la terza volta, e batté la sua mano a martello contro la parete di pietra. Come se una luce di comprensione si fosse improvvisamente accesa all'interno del tumulto che costituiva la sua consapevolezza, Clacker si rilassò e lasciò cadere lungo i fianchi le sue pesanti braccia. Drizzt e Belwar guardarono oltre l'orrore uncinato, verso il bagliore verde e si scambiarono sguardi preoccupati. Si erano completamente impegnati in questa direzione e ora avevano ben poca possibilità di scelta nelle loro azioni. «Nella cavità che si trova più avanti vivono dei corvi», iniziò tranquillamente Drizzt, pronunciando ogni parola in modo lento e distinto per essere sicuro che Clacker capisse. «Dobbiamo attraversare direttamente e uscire con rapidità dall'altra parte, perché se speriamo di evitare una battaglia è meglio evitare gli indugi. Fai attenzione a dove metti i piedi. Le uniche passerelle sono strette e malsicure.» «C-C-Clac-», balbettò inutilmente l'orrore uncinato. «Clacker», lo aiutò Belwar. «A-a-a-», Clacker si fermò improvvisamente e allungò un artiglio in direzione della cavità che brillava di verde. «Clacker avanti?» disse Drizzt, incapace di sopportare gli stenti dell'orrore uncinato. «Clacker avanti», ripeté Drizzt, vedendo che la grande testa si piegava avanti e indietro in segno d'assenso. Belwar non parve così sicuro della saggezza di quel suggerimento. «Noi abbiamo già combattuto contro gli uomini uccello e abbiamo visto i loro trucchi», arguì lo svirfnebli. «Ma Clacker no.» «Le dimensioni enormi dell'orrore uncinato dovrebbero scoraggiarli», affermò Drizzt. «La semplice presenza di Clacker potrebbe consentirci di evitare un combattimento.» «Non contro i corvi, elfo scuro», disse il Guardiano del Cunicolo. «Attaccheranno qualsiasi essere, indomiti. Hai assistito alla loro frenesia, al loro spregio della morte. Neppure la tua pantera li ha scoraggiati.» «Forse hai ragione», ammise Drizzt, «ma anche se i corvi attaccheranno, hanno forse delle armi in grado d'intaccare la corazza di un orrore uncina-
to? Per quante protezioni possano avere gli uomini uccello contro i grandi artigli di Clacker, il nostro gigantesco amico le annienterà.» «Dimentichi quelli che si gettano dall'alto a cavallo dei massi», gli ricordò esplicitamente il Guardiano del Cunicolo. «Non avranno problemi ad abbattere una passerella e a trascinare giù Clacker con essa!» Clacker distolse la propria attenzione dalla conversazione e fissò la pietra delle pareti in un futile sforzo di ricatturare una parte del suo precedente io. Provò un lieve impulso d'iniziare a battere sulla pietra, ma questo non era maggiore del continuo impulso che gli diceva di dare una zampata sul volto dello svirfnebli o del drow. «Io mi occuperò degli eventuali corvi in attesa al di sopra delle passerelle», rispose Drizzt. «Tu limitati a seguire Clacker nella traversata, tieniti a una decina di passi da lui.» Belwar si volse a guardare e notò la tensione crescente nell'orrore uncinato. Il Guardiano del Cunicolo si rese conto che non potevano permettersi ritardi, perciò scrollò le spalle e spinse Clacker a muoversi, indicando il passaggio verso il bagliore verde. Clacker partì e Drizzt e Belwar lo seguirono. «La pantera?» sussurrò Belwar a Drizzt mentre svoltavano l'ultimo angolo nel tunnel. Drizzt scrollò il capo vivacemente e Belwar, ricordando l'ultimo doloroso episodio vissuto da Guenhwyvar nella spelonca dei corvi, non gli chiese altro. Drizzt diede una manata sulla spalla allo gnomo del profondo perché gli portasse fortuna e poi passò davanti a Clacker e fu il primo a entrare nella silenziosa spelonca. Con pochi semplici movimenti, il drow effettuò un incantesimo di levitazione e fluttuò silenziosamente verso l'alto. Clacker, stupefatto da questo strano luogo e dal lago d'acido che emanava luce sotto di lui, notò a malapena i movimenti di Drizzt. L'orrore uncinato rimase perfettamente immobile, guardandosi tutt'intorno nella spelonca e usando il suo acuto senso dell'udito per localizzare qualsiasi possibile nemico. «Vai», sussurrò Belwar dietro di lui. «Indugiare ci porterà al disastro!» Clacker avanzò in modo esitante, poi prese velocità e acquistò sicurezza dalla robustezza della passerella stretta e priva di sostegni. Scelse il percorso più diretto che poté discernere, benché anche questo serpeggiasse prima di raggiungere il passaggio ad arco che costituiva l'uscita, dalla parte opposta rispetto a quella da cui erano entrati.
«Non vedi niente, elfo scuro?» osò esclamare Belwar alcuni attimi più tardi, vedendo che non succedeva niente. Clacker aveva oltrepassato il punto intermedio della spelonca senza incidenti e il Guardiano del Cunicolo non poté contenere la sua ansia crescente. Nessun corvo si era fatto vedere; non si era sentito alcun suono oltre ai pesanti tonfi dei piedi di Clacker e allo strascichio dei logori stivali di Belwar. Drizzt scese nuovamente fluttuando sulla sporgenza, molto indietro rispetto ai suoi compagni. «Nulla», rispose. Il drow, come Belwar, era sospettoso per il fatto che non ci fossero corvacci ancestrali nei paraggi. Il silenzio della grotta piena d'acido era assoluto e snervante. Drizzt corse fuori verso il centro della spelonca, poi si sollevò nuovamente levitando, cercando di osservare tutte le pareti da una migliore angolazione. «Che cosa vedi?» gli chiese Belwar un attimo dopo. Drizzt abbassò lo sguardo sul Guardiano del Cunicolo e scrollò le spalle. «Assolutamente nulla.» «Magga cammara», brontolò Belwar, quasi desiderando che uscisse fuori un corvo ad attaccare. Ormai Clacker aveva quasi raggiunto l'uscita verso cui erano diretti, benché Belwar fosse rimasto indietro a parlare con Drizzt, mantenendosi vicino al centro dell'enorme stanza. Quando il Guardiano del Cunicolo si volse nuovamente verso la strada da percorrere, l'orrore uncinato era scomparso sotto all'arco dell'uscita. «Niente?» gridò Belwar a entrambi i suoi compagni. Drizzt scrollò il capo e continuò a salire. Ruotò lentamente intorno, scrutando le pareti, non riusciva a credere che non ci fossero corvi in agguato. Belwar guardò nuovamente verso l'uscita. «Dobbiamo averli fatti fuggire», mormorò tra sé, ma nonostante le proprie parole, il Guardiano del Cunicolo sapeva che le cose non stavano così. Quando lui e Drizzt erano fuggiti da quella stessa grotta un paio di settimane prima, si erano lasciati alle spalle decine di uomini uccello. Certamente il tributo di sangue di alcuni corvi morti non poteva aver fatto fuggire tutto quell'indomito clan. Per qualche ignota ragione, nessun corvo era uscito a ostacolarli. Belwar si mise in moto con passo veloce, ritenendo opportuno non interrogare la loro buona sorte. Stava per chiamare Clacker, per avere la conferma che l'orrore uncinato fosse davvero giunto sano e salvo, quando un acuto grido pieno di terrore rotolò fuori dall'uscita, seguito da un pesante schianto. Un attimo dopo, Belwar e Drizzt ebbero le loro risposte.
Lo spirito-spettro di Zaknafein Do'Urden passò sotto all'arco e uscì sulla sporgenza. «Elfo scuro!» esclamò aspramente il Guardiano del Cunicolo. Drizzt aveva già visto lo spirito-spettro e stava scendendo più rapidamente che poteva verso la passerella in corrispondenza alla parte centrale della spelonca. «Clacker!» gridò Belwar, ma non si aspettava alcuna risposta, e non ne ricevette alcuna dalle ombre al di là del passaggio ad arco. Lo spiritospettro avanzava uniformemente. «Tu, animale assassino!» imprecò il Guardiano del Cunicolo, piantando bene i piedi distanziati e battendo tra loro le mani di mithral. «Vieni fuori e avrai quel che ti spetta!» Belwar cadde in ginocchio e si concentrò nel canto rituale che rendeva magiche le sue mani, ma Drizzt lo interruppe. «No!» gridò il drow, dall'alto. «Zaknafein è qui per me, non per te. Togliti dal suo raggio d'azione!» «Era qui per Clacker?» urlò di rimando Belwar. «È un animale assassino, e io ho una faccenda da sistemare!» «Non lo conosci», replicò Drizzt, aumentando la propria velocità di discesa per raggiungere l'indomito Guardiano del Cunicolo. Drizzt sapeva che Zaknafein avrebbe raggiunto Belwar per primo, e poteva immaginare con sufficiente facilità le infauste conseguenze. «Ora fidati di me, ti prego», implorò Drizzt. «Questo guerriero drow è di gran lunga superiore alle tue capacità.» Belwar sbatté nuovamente le mani tra loro, ma non poté onestamente confutare le parole di Drizzt. Belwar aveva visto Zaknafein in battaglia soltanto una volta nella grotta degli illithid, ma i movimenti vorticanti del mostro l'avevano lasciato senza fiato. Lo gnomo del profondo arretrò di alcuni passi e svoltò imboccando una passerella laterale, alla ricerca di un'altra strada che conducesse all'uscita con la volta ad arco, in modo da accertarsi del destino di Clacker. Con Drizzt così chiaramente a portata di mano, lo spirito-spettro non fece alcun caso allo svirfnebli. Zaknafein si lanciò direttamente alla carica passando accanto alla passerella laterale e continuò per portare a termine il compito che costituiva lo scopo della sua esistenza. Belwar pensò di seguire il drow sconosciuto, avvicinandoglisi da dietro e aiutando Drizzt nel combattimento, ma da sotto al passaggio ad arco provenne un altro grido, un grido così pietoso e pieno di dolore che il Guardiano del Cunicolo non poté ignorarlo. Si fermò non appena fu torna-
to sulla passerella principale, poi guardò in entrambe le direzioni, si sentiva lacerato, non sapeva a chi dare la precedenza nella sua devozione. «Vai!» gli gridò Drizzt. «Occupati di Clacker. Questo è Zaknafein, mio padre.» A quelle parole Drizzt notò una lieve esitazione nella carica dello spirito-spettro, un'esitazione che accese in Drizzt una scintilla di comprensione. «Tuo padre? Magga cammara, elfo scuro!» protestò Belwar. «Quand'eravamo nella grotta degli illithid...» «Sono sufficientemente al sicuro», s'intromise Drizzt. Belwar non credeva assolutamente che Drizzt fosse al sicuro, ma nonostante le proteste del suo caparbio orgoglio, il Guardiano del Cunicolo si rese conto che il duello che stava per iniziare era di gran lunga al di là delle sue capacità. Sarebbe stato di scarso aiuto contro questo possente guerriero drow, e la sua presenza durante il combattimento poteva rivelarsi dannosa per il suo amico. Drizzt avrebbe avuto già abbastanza problemi senza doversi preoccupare della sicurezza di Belwar. Belwar sbatté tra loro le mani di mithral con un senso di frustrazione e corse verso il passaggio a volta e i gemiti continui dell'amico abbattuto, l'orrore uncinato. *
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Gli occhi di Matrona Malice si spalancarono e lei emise un suono così primordiale che le tre figlie, raccolte al suo fianco nell'anticamera, capirono immediatamente che lo spirito-spettro aveva trovato Drizzt. Briza diede un'occhiata alle più giovani sacerdotesse Do'Urden e le congedò. Maya ubbidì immediatamente, ma Vierna esitò. «Vai», ringhiò Briza, portando una mano sulla frusta dalle teste di serpente che recava alla cintura. «Subito.» Vierna guardò la Matrona Madre per ottenere sostegno, ma Malice era completamente perduta nello spettacolo degli avvenimenti lontani. Questo era il momento del trionfo di Zin-carla e di Matrona Malice Do'Urden; non si sarebbe fatta distrarre dai miseri battibecchi dei suoi inferiori. Allora Briza rimase sola con la madre, in piedi dietro al trono, intenta a studiare Malice con la stessa attenzione con cui Malice osservava Zaknafein. Non appena fu entrato nella piccola grotta al di là del passaggio ad arco, Belwar capì che Clacker era morto, o lo sarebbe stato molto presto. Il gi-
gantesco orrore uncinato giaceva a terra, sanguinava da un'unica ma atroce e precisa ferita che gli attraversava il collo. Belwar iniziò a volgersi, poi si rese conto di dovere per lo meno conforto al suo amico caduto. S'inginocchiò e si costrinse a osservare Clacker che passava attraverso una serie di terribili convulsioni. La morte pose fine all'incantesimo polimorfo, e Clacker tornò gradualmente al suo io precedente. Le enormi braccia artigliate tremarono e pulsarono, si contorsero ed esplosero nelle braccia lunghe e sottili, dalla pelle gialla, di un pech. Peli spuntarono attraverso la corazza che si spaccava, in corrispondenza della testa di Clacker e il grande becco si scisse in due e svanì. Anche il torace massiccio si staccò, e l'intero corpo si compresse con un rumore stridente che fece rabbrividire l'audace Guardiano del Cunicolo. L'orrore uncinato non c'era più e, nella morte, Clacker era tornato come un tempo. Era un po' più alto di Belwar, anche se assolutamente meno ampio, e i suoi lineamenti erano appiattiti e strani, con occhi privi di pupilla e il naso schiacciato. «Come ti chiamavi, amico mio?» sussurrò il Guardiano del Cunicolo, pur sapendo che Clacker non avrebbe risposto. Si piegò e prese tra le braccia la testa del pech, traendo un certo grado di conforto dalla pace che finalmente era giunta sul volto della tormentata creatura. *
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«Chi sei tu che prendi le sembianze di mio padre?» chiese Drizzt mentre lo spirito-spettro effettuava gli ultimi passi verso di lui. Il ringhio di Zaknafein fu indecifrabile, e la sua risposta giunse più chiaramente con un fendente di spada. Drizzt parò l'attacco e balzò all'indietro. «Chi sei?» chiese di nuovo. «Tu non sei mio padre!» Un ampio sorriso si allargò sul volto dello spirito-spettro. «No», rispose Zaknafein con voce malferma, una risposta dettata da un'anticamera a molte miglia di distanza. «Sono tua... madre!» Le spade attaccarono di nuovo in un turbinio accecante. Drizzt, confuso dalla risposta, affrontò la carica con altrettanta ferocia e i molti improvvisi colpi di spada contro le scimitarre risultarono come un unico suono.
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Briza osservò ogni movimento della madre. Il sudore stillava sulla fronte di Malice e i suoi pugni stretti continuavano a battere sui braccioli del trono di pietra anche dopo aver iniziato a sanguinare. Malice aveva sperato che fosse così, che il momento finale del suo trionfo brillasse chiaramente nei suoi pensieri da miglia di distanza. Lei udiva ogni parola pronunciata freneticamente da Drizzt e sentiva la sua sofferenza in modo estremamente acuto. Malice non aveva mai provato un simile piacere! Poi sentì una lieve trafittura mentre la coscienza di Zaknafein lottava contro il suo controllo. Malice spinse Zaknafein da parte con un ringhio gutturale; il cadavere animato era il suo strumento! Briza notò il ringhio improvviso della madre con un interesse non solo temporaneo. *
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Drizzt capì al di là di ogni dubbio che colui che si ergeva davanti a lui non era Zaknafein Do'Urden, eppure non poteva negare l'inconfondibile stile di combattimento del suo ex mentore. Zaknafein era lì dentro, da qualche parte, e Drizzt avrebbe dovuto raggiungerlo se sperava di ottenere qualche risposta. Il combattimento si stabilizzò ben presto in un ritmo tranquillo e misurato, in cui entrambi gli avversari effettuavano caute strategie d'attacco e prestavano una prudente attenzione al loro lieve equilibrio sulla stretta passerella. In quel momento Belwar entrò nella grotta, portando il corpo esanime di Clacker. «Uccidilo, Drizzt!» gridò il Guardiano del Cunicolo. «Magga...» Belwar si fermò ed ebbe paura quando assistette alla battaglia. Drizzt e Zaknafein sembravano intrecciarsi, le loro armi vorticavano e guizzavano, soltanto per venir allontanate dalle parate. Sembravano una cosa sola, questi due elfi scuri che Belwar aveva considerato notevolmente diversi, e quest'idea innervosì lo gnomo del profondo. In un momento di pausa durante il duello, Drizzt diede un'occhiata al Guardiano del Cunicolo e il suo sguardo si fissò sul pech morto. «Che tu sia maledetto!» sbottò con violenza, e si lanciò nuovamente a capofitto,
con affondi e fendenti delle scimitarre, contro il mostro che aveva assassinato Clacker. Lo spirito-spettro parò con facilità l'assalto stupidamente ardito, e lavorò le lame di Drizzt spingendole verso l'alto e squilibrando il giovane all'indietro. Anche questa tattica parve estremamente familiare a Drizzt, un approccio di combattimento che Zaknafein aveva usato contro di lui molte volte nei loro incontri di scherma a Menzoberranzan. Zaknafein avrebbe costretto Drizzt verso l'alto e poi sarebbe sceso improvvisamente con entrambe le spade. Nelle loro prime sfide Zaknafein aveva spesso sconfitto Drizzt con questa manovra, la doppia stoccata bassa, ma in occasione del loro ultimo incontro nella città drow, Drizzt aveva trovato la parata di risposta e aveva capovolto la situazione a sfavore del suo mentore. A questo punto Drizzt si chiese se l'avversario avrebbe continuato fino in fondo con la prevista strategia d'attacco, e si chiese anche come avrebbe reagito Zaknafein alla sua parata d'incontro. Il mostro che stava affrontando possedeva forse anche i ricordi di Zaknafein? Lo spirito-spettro continuava a tenere le lame di Drizzt alte e sulla difensiva. Poi Zaknafein effettuò un rapido passo indietro e scese basso con entrambe le lame. Drizzt abbassò le scimitarre in una «X» verso il basso, l'appropriata parata incrociata bassa che bloccava le spade all'attacco. Drizzt calciò con il piede, portandolo verso l'alto tra le else delle lame e direttamente sul volto dell'avversario. Lo spirito-spettro anticipò in qualche modo l'attacco d'incontro e si allontanò prima che lo stivale potesse toccarlo. Drizzt credette di avere una risposta, perché soltanto Zaknafein Do'Urden avrebbe potuto sapere. «Tu sei Zaknafein!» esclamò Drizzt. «Che cosa ti ha fatto Matrona Malice?» Le mani dello spirito-spettro tremarono visibilmente mentre stringevano le spade e la sua bocca si contorse come se stesse cercando di dire qualcosa. *
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«No!» urlò Malice e riprese di scatto, con violenza, il controllo del mostro, oltrepassando il delicato e pericoloso confine tra le abilità fisiche di Zaknafein e la consapevolezza dell'essere che era stato un tempo.
«Tu sei mio, spettro», urlò Malice, «e per volontà di Lolth completerai il compito!» *
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Drizzt vide l'improvvisa regressione del micidiale spirito-spettro. Le mani di Zaknafein non tremavano più e la sua bocca appariva nuovamente stretta in una smorfia sottile e determinata. «Che cos'è, elfo scuro?» chiese Belwar, confuso dallo strano scontro. Drizzt notò che lo gnomo del profondo aveva posto il corpo di Clacker su di una sporgenza e stava avvicinandosi uniformemente. Scintille volavano dalle mani di mithral di Belwar ogni qual volta esse cozzavano tra loro. «Rimani indietro!» gli gridò Drizzt. La presenza di un nemico sconosciuto poteva rovinare i piani che stavano iniziando a formularsi nella mente di Drizzt. «È Zaknafein», cercò di spiegare a Belwar. «O almeno lo è in parte!» A voce troppo bassa perché il Guardiano del Cunicolo potesse udire, Drizzt aggiunse: «E credo di sapere come fare appello a quella parte». Drizzt si produsse in un turbinio di attacchi misurati, sapeva che Zaknafein era in grado di sviarli facilmente. Non voleva distruggere il suo avversario, ma piuttosto cercava d'ispirare altri ricordi di strategie di combattimento che potessero essere note a Zaknafein. Ripercorse con Zaknafein le fasi di una tipica sessione d'addestramento, parlando continuamente proprio come lui e il maestro d'armi erano soliti fare a Menzoberranzan. Lo spirito-spettro di Malice rispose alla familiarità di Drizzt con brutalità e contrappose alle sue parole amichevoli ringhi animaleschi. Se Drizzt pensava di poter placare il suo avversario con la compiacenza si sbagliava di grosso... Le spade guizzavano verso Drizzt, in ogni direzione, alla ricerca di un varco nelle sue esperte difese. Le scimitarre eguagliavano la loro velocità e precisione, cogliendo e bloccando ogni fendente e sviando ogni affondo diretto, fino a renderlo innocuo. Una spada riuscì a guizzare all'interno e scalfì Drizzt sulle costole. La sua fine armatura trattenne la lama affilata come un rasoio, ma il peso del colpo avrebbe lasciato un livido profondo. Sbilanciato all'indietro, Drizzt vide che il suo piano non sarebbe stato facile da portare a termine. «Sei mio padre!» gridò al mostro. «Matrona Malice è la tua nemica, non io!»
Lo spirito-spettro si prese gioco di quelle parole con una risata malvagia e avanzò selvaggiamente. Fin dall'inizio del combattimento Drizzt aveva temuto questo momento, ma ora ricordò caparbiamente a se stesso che colui che gli stava davanti non era veramente suo padre. L'avventato slancio offensivo di Zaknafein aprì inevitabilmente dei varchi nelle sue difese, varchi di cui Drizzt approfittò per due volte con le scimitarre. Una lama praticò uno squarcio nel ventre dello spirito-spettro, un'altra gli tagliò profondamente la parte laterale del collo. Zaknafein si limitò a ridere di nuovo, più forte, e continuò ad avanzare. Drizzt proseguì il combattimento in preda a un totale senso di panico, la sua sicurezza vacillò. Zaknafein era quasi suo pari, e in pratica le lame di Drizzt non danneggiavano quell'essere! Si manifestò rapidamente un altro problema, perché il tempo era contro Drizzt. Non sapeva esattamente quale fosse la natura dell'essere che stava affrontando, ma sospettava che non si sarebbe stancato. Drizzt continuò con tutta la sua abilità e velocità. La disperazione lo guidò a nuove vette di abilità nel maneggiare la spada. Belwar si mosse di nuovo per unirsi a lui, ma si fermò un attimo più tardi, stupefatto dallo spettacolo. Drizzt colpì Zaknafein varie altre volte, ma lo spirito-spettro non sembrò notarlo, e mentre Drizzt accelerava il ritmo, l'intensità dello spirito-spettro aumentava per contrapporsi alla sua. Drizzt poteva a malapena credere che colui che combatteva contro di lui non fosse Zaknafein Do'Urden; riusciva a riconoscere con estrema chiarezza le mosse di suo padre, del suo precedente mentore. Nessun'altra anima poteva muovere quel corpo drow dai muscoli perfetti con tale precisione e abilità. Drizzt stava arretrando di nuovo, cedendo terreno e aspettando pazientemente le proprie opportunità. Ricordò a se stesso più e più volte che non stava affrontando Zaknafein, ma qualche mostro creato da Matrona Malice con l'unico scopo di distruggerlo. Drizzt doveva essere pronto; la sua unica possibilità di sopravvivere a questo scontro era quella di far cadere il suo avversario dalla passerella. Dato che lo spirito-spettro combatteva così bene quella possibilità sembrava però remota. La passerella effettuava una lieve svolta, e Drizzt tastò cautamente con un piede, facendolo scivolare lungo questa. Poi una roccia, proprio sotto al piede di Drizzt, si staccò dalla parte laterale della passerella. Drizzt inciampò e la sua gamba, fino al ginocchio, scivolò giù, perpendicolarmente al ponte. Zaknafein gli fu addosso in un lampo. Le spade
vorticanti mandarono ben presto Drizzt lungo disteso sulla schiena attraverso la stretta passerella, con la testa precariamente sospesa sul lago d'acido. «Drizzt!» gridò Belwar, impotente. Lo gnomo del profondo corse verso di lui, anche se non poteva sperare di arrivare in tempo o di sconfiggere l'assassino del suo amico. «Drizzt!» Forse fu il grido di quel nome, o forse fu semplicemente l'attimo dell'uccisione, ma la coscienza, che un tempo era stata di Zaknafein, in quell'istante ebbe un guizzo vitale, e il braccio della spada, pronto per un affondo assassino che Drizzt non avrebbe potuto sviare, esitò. Drizzt non attese alcuna spiegazione. Colpì verso l'esterno con l'elsa di una scimitarra, poi con l'altra, entrambe si unirono direttamente sulla mandibola di Zaknafein e spinsero all'indietro lo spirito-spettro. Drizzt fu nuovamente in piedi, ansante e zoppicante per una storta alla caviglia. «Zaknafein!» Confuso e frustrato dall'esitazione, Drizzt rivolse quel grido al proprio avversario. «Driz...» cercò di rispondere lo spirito-spettro. Poi il mostro di Malice si lanciò nuovamente verso di lui, con le spade puntate davanti a sé. Drizzt sconfisse l'attacco e guizzò via di nuovo. Riusciva a intuire la presenza di suo padre; sapeva che il vero Zaknafein era presente appena sotto alla superficie di questa creatura, ma come poteva liberarne lo spirito? Chiaramente non poteva sperare di continuare il combattimento ancora per molto. «Sei tu», sussurrò Drizzt. «Nessun altro potrebbe combattere così. Zaknafein è qui, e Zaknafein non mi ucciderà.» Poi a Drizzt venne in mente un altro pensiero, un'idea in cui non poteva fare a meno di credere. Ancora una volta, la verità delle convinzioni di Drizzt divenne la prova decisiva. Drizzt infilò le scimitarre nei loro foderi. Lo spirito-spettro ringhiò; le sue spade danzarono in aria in terribili fendenti, ma Zaknafein non lo attaccò. *
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«Uccidilo!» strillò giubilante Malice, pensando che il suo momento di vittoria fosse a portata di mano. Le immagini del combattimento, tuttavia, volarono velocemente lontano da lei, all'improvviso, e lei restò immersa nell'oscurità. Aveva ceduto troppo a Zaknafein quando Drizzt aveva acce-
lerato il ritmo del combattimento. Era stata costretta a concedere una maggiore coscienza di Zak al suo essere animato, necessitando tutte le abilità combattive di Zaknafein per sconfiggere il figliolo guerriero. Ora Malice si trovava immersa nelle tenebre, con il peso della condanna incombente sospeso in modo precario sulla testa. Si volse a guardare la figlia eccessivamente curiosa, poi sprofondò nuovamente nella propria trance, lottando per riacquistare il controllo. *
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«Drizzt», disse Zaknafein, e la parola diede una sensazione veramente splendida all'essere animato. Le spade di Zak vennero riposte nei foderi, anche se le sue mani dovevano lottare contro le pretese di Matrona Malice a ogni centimetro di movimento. Drizzt avanzò verso di lui, non desiderando altro che abbracciare suo padre, il suo migliore amico, ma Zaknafein alzò una mano per tenerlo indietro. «No», spiegò lo spirito-spettro. «Non so per quanto tempo potrò resistere. Il corpo appartiene a lei, temo», rispose Zaknafein. Dapprima Drizzt non comprese. «Allora sei...?» «Sono morto», affermò senza mezzi termini Zaknafein. «In pace, stai tranquillo. Malice ha riparato il mio corpo per i suoi ignobili obiettivi.» «Ma tu l'hai sconfitta», disse Drizzt, osando sperare. «Siamo nuovamente insieme.» «Si tratta di uno stato temporaneo, niente di più.» Come per accentuare quanto aveva detto, la mano di Zaknafein guizzò involontariamente all'elsa della sua spada. Lui ebbe una smorfia e ringhiò, lottando caparbiamente per contrastare, allentando gradualmente la sua stretta sull'arma. «Lei sta tornando, figlio mio, quella torna sempre!» «Non posso sopportare di perderti di nuovo», disse Drizzt. «Quando ti ho visto nella grotta degli illithid...» «Non hai visto me», cercò di spiegare Zaknafein. «Era lo zombi del perfido volere di Malice. Io me ne sono andato, figlio mio. Me ne sono andato da molti anni.» «Sei qui», riflette Drizzt. «Per volontà di Malice, non... per la mia.» Zaknafein ringhiò e il suo volto si contorse mentre lottava per respingere Malice appena per un attimo ancora. Tornato padrone della situazione, Zaknafein studiò il guerriero
che suo figlio era diventato. «Combatti bene», osservò. «Meglio di quanto io avessi mai immaginato. Questo è un bene, ed è un bene che tu abbia avuto il coraggio di scappare...» il volto di Zaknafein si contorse di nuovo improvvisamente, rubandogli le parole. Questa volta entrambe le sue mani andarono alle spade, e questa volta entrambe le armi furono estratte in un lampo. «No!» implorò Drizzt mentre un velo di lacrime offuscava i suoi occhi color lavanda. «Contrastala.» «Io... non posso», rispose lo spirito-spettro. «Fuggi da questo luogo, Drizzt. Fuggi fino agli stessi... confini del mondo! Malice non perdonerà mai. Lei... non si fermerà mai...» Lo spirito-spettro balzò in avanti, e Drizzt non ebbe altra scelta che estrarre le armi. Ma Zaknafein si contrasse improvvisamente prima di giungere vicino a Drizzt. «Per noi!» urlò Zaknafein con stupefacente chiarezza, un grido che squillò come una tromba di vittoria nel bagliore verde della spelonca e che echeggiò per miglia e miglia fino al cuore di Matrona Malice, come il rullo finale di un tamburo che segnalava l'inizio della condanna. Zaknafein aveva nuovamente ottenuto il controllo di sé, appena per un fugace istante, sufficiente a consentire allo spirito-spettro in corsa di cambiare direzione e di lanciarsi giù dalla passerella. 25 Conseguenze Matrona Malice non riuscì neppure a urlare il suo diniego. Un migliaio di esplosioni le martellarono il cervello quando Zaknafein si lanciò nel lago d'acido, e lei si rese conto un migliaio di volte del disastro imminente e inevitabile. Balzò dal trono di pietra, con le mani sottili che si torcevano e si chiudevano come se lei stesse cercando di trovare qualcosa di tangibile da afferrare, qualcosa che non c'era. Il suo respiro era stridente, giungeva in ansiti affaticati e ringhi privi di parole uscivano dalla sua bocca, che cercava di prendere aria. Dopo un attimo in cui lei non riuscì a calmarsi, Malice udì un suono più chiaramente dello strepito delle sue contorsioni. Dietro di lei giunse il lieve sibilo delle piccole, perfide teste di serpente della frusta di una somma sacerdotessa.
Malice si volse di scatto, e lì si ergeva Briza, il volto seriamente e decisamente severo e le sei teste di serpente viventi della sua frusta che si agitavano. «Avevo sperato che il momento del mio avvento al trono fosse a molti anni di distanza», disse con calma la figlia maggiore. «Ma voi siete debole, Malice, troppo debole per tenere insieme Casa Do'Urden nel corso delle ardue prove che seguiranno il nostro... il vostro fallimento.» Malice voleva ridere in faccia alla stupidità di sua figlia; le fruste con le teste di serpente erano doni personali della Regina Ragno e non potevano essere usate contro le Matrone Madri. Per qualche ragione, tuttavia, Malice non riuscì a trovare il coraggio o la convinzione per confutare sua figlia in quel momento. Osservò, ipnotizzata, mentre il braccio di Briza si portava lentamente all'indietro e poi scattava in avanti. Le sei teste di serpente si snodarono verso Malice. Era impossibile! Questo andava contro tutti i principi della dottrina di Lolth! Le teste dai denti velenosi avanzarono con impeto e morsero la carne di Malice, spinte da tutta la furia della Regina Ragno. Un terribile dolore bruciante pervase il corpo di Malice, scuotendola, tormentandola e lasciandola in preda a un gelido torpore. Malice vacillò sull'orlo della consapevolezza, cercando di opporsi con fermezza a sua figlia, cercando di mostrare a Briza quanto fosse futile e stupido continuare l'aggressione. La frusta a serpenti schioccò di nuovo e il pavimento si sollevò rapidamente verso l'alto per inghiottire Malice. Briza mormorò qualcosa, Malice udì, era una maledizione o un canto rivolto alla Regina Ragno. Poi giunse una terza frustata, e Malice non capì più nulla. Era morta prima del quinto colpo, ma Briza continuò a frustarla per molti minuti, sfogando la propria furia per far si che la Regina Ragno fosse certa che Casa Do'Urden avesse veramente abbandonato la propria Matrona Madre che aveva fallito, e il suo insuccesso. Quando Dinin, inaspettatamente e senza essere annunciato, fece irruzione nella stanza, Briza si era già sistemata comodamente sul trono di pietra. Il primogenito maschio diede un'occhiata al corpo malconcio della madre, poi riportò lo sguardo su Briza, scrollando il capo con incredulità, e un ampio, perspicace sorriso si allargò sul suo volto. «Che cos'hai fatto, sor... Matrona Briza?» chiese Dinin, correggendo il proprio lapsus prima che Briza potesse reagire.
«Zin-carla è fallito», ringhiò Briza guardandolo con aria furibonda. «Lolth non avrebbe più accettato Malice.» La risata di Dinin, che sembrava sarcastica, stroncò Briza. I suoi occhi si socchiusero ancora di più e lei lasciò chiaramente vedere a Dinin la propria mano che scendeva lungo l'impugnatura della frusta. «Hai scelto il momento perfetto per l'ascesa al trono», spiegò il primogenito maschio con calma, apparentemente per nulla preoccupato della possibile punizione di Briza. «Siamo sottoposti a un attacco.» «Fey-Branche?» esclamò Briza, balzando eccitata dal trono. Briza era sul trono in veste di Matrona Madre da cinque minuti e già doveva affrontare la sua prima prova. Avrebbe dimostrato il proprio valore alla Regina Ragno e avrebbe riscattato Casa Do'Urden da molti dei danni causati dagli insuccessi di Malice. «No, sorella», si affrettò a dire Dinin, senza finzioni. «Non si tratta di Casa Fey-Branche.» La fredda risposta del fratello fece sedere nuovamente Briza sul trono e deformò il suo ghigno d'eccitazione in una smorfia di puro terrore. «Baenre.» Neppure Dinin aveva più voglia di sorridere. *
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Vierna e May a guardarono fuori dalla terrazza di Casa Do'Urden verso le forze in avvicinamento al di là del cancello d'adamantio. Le sorelle non conoscevano il loro nemico, come invece lo conosceva Dinin, ma comprendevano dalle pure dimensioni della forza spiegata, che doveva essere implicata qualche grande casa. Tuttavia, Casa Do'Urden vantava duecentocinquanta soldati, molti preparati da Zaknafein stesso. Con altre duecento truppe ben addestrate e ben armate prese in prestito da Matrona Baenre, sia Vierna che Maya supponevano che le loro possibilità di successo non fossero poi così scarse. Le due sorelle si affrettarono a delineare strategie di difesa, e Maya scavalcò con una gamba il parapetto della terrazza, con l'intenzione di scendere in cortile e di trasmettere i piani ai suoi capitani. Naturalmente quando lei e Vierna si resero improvvisamente conto di avere duecento nemici già all'interno dei propri cancelli, nemici che avevano accettato in prestito da Matrona Baenre, i loro piani acquistarono uno scarso significato. May a era ancora a cavalcioni della ringhiera quando i primi soldati di Baenre salirono sulla terrazza. Vierna estrasse la frusta e gridò a Maya di
fare altrettanto. Ma Maya non si muoveva e Vierna, osservandola con maggiore attenzione, notò varie freccette che fuoriuscivano dal corpo della sorella. A quel punto la frusta dalle teste di serpente di Vierna si rivoltò contro di lei, i denti avvelenati le morsero il volto delicato. Vierna comprese immediatamente che il crollo di Casa Do'Urden era stato decretato da Lolth stessa. «Zin-carla», biascicò Vierna, rendendosi conto di quale fosse l'origine del disastro. Il sangue le offuscò la vista e un'ondata di stordimento la sopraffece mentre le tenebre le si stringevano tutt'intorno. *
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«Non può essere!» esclamò Briza. «Casa Baenre attacca? Lolth mi ha dato...» «Avevamo una possibilità!» le urlò contro Dinin. «Zaknafein era la nostra possibilità...», Dinin guardò il corpo lacerato della madre, «e lo spettro ha fallito, immagino.» Briza ringhiò e sferzò con la frusta. Dinin tuttavia si aspettava il colpo, conosceva benissimo Briza, e schizzò al di là della portata dell'arma. Briza fece un passo verso di lui. «La tua rabbia ha bisogno di altri nemici?» chiese Dinin, spade alla mano. «Esci sulla terrazza, cara sorella, dove ne troverai un migliaio che ti aspettano!» Briza urlò per la frustrazione ma si allontanò da Dinin e corse via dalla stanza, nella speranza di recuperare il salvabile da questo terribile guaio. Dinin non la seguì. Si abbassò su Matrona Malice e guardò per l'ultima volta negli occhi della tiranna che aveva dominato la sua intera esistenza. Malice era stata una figura potente, sicura e malvagia, ma come si era rivelato fragile il suo regno infranto dalle bizze di un figlio ribelle. Dinin udì una certa confusione fuori dalla stanza, nel corridoio, poi la porta dell'anticamera si aprì. Il primogenito maschio non dovette guardare per sapere che nella stanza erano entrati i nemici. Continuò a fissare la madre morta, sapendo che ben presto avrebbe condiviso lo stesso destino. Il colpo che si aspettava, tuttavia, non gli venne inferto, e dopo vari attimi atroci Dinin osò volgersi nuovamente a guardare. Jarlaxle stava comodamente seduto sul trono di pietra. «Non sei sorpreso?» chiese il mercenario, notando che l'espressione di Dinin non era cambiata.
«Bregan D'aerthe era tra le truppe di Baenre, o forse costituiva le truppe di Baenre nella loro interezza», disse con disinvoltura Dinin. Il primogenito maschio si guardò furtivamente intorno, nella stanza c'erano più o meno una decina di soldati che avevano seguito Jarlaxle all'interno. Dinin desiderò riuscire soltanto a raggiungere il capo dei mercenari prima di venir ucciso! Assistere alla morte dell'infido Jarlaxle avrebbe potuto recargli un margine di soddisfazione in questo disastro totale. «Sei un osservatore attento», gli disse Jarlaxle. «Resto del parere che tu sospettassi da sempre che la tua casa era condannata.» «Se Zin-carla falliva», rispose Dinin. «E tu sapevi che avrebbe fallito?» chiese il mercenario, quasi in modo retorico. Dinin annuì. «Dieci anni fa», iniziò, chiedendosi perché stesse dicendo tutto questo a Jarlaxle, «ho osservato Zaknafein venire sacrificato alla Regina Ragno. Raramente una casa di Menzoberranzan ha assistito a uno spreco maggiore.» «Il maestro d'armi di Casa Do'Urden aveva una fama straordinaria», s'intromise il mercenario. «Ben meritata, non dubitarne», rispose Dinin. «Poi Drizzt, mio fratello...» «Un altro possente guerriero.» Ancora una volta Dinin annuì. «Drizzt ci ha abbandonati, con la guerra alle porte. L'errore di calcolo di Matrona Malice non poteva venir ignorato. Allora ho capito che Casa Do'Urden era condannata.» «La vostra casa ha sconfitto Casa Hun'ett, un'impresa da non sottovalutare», arguì Jarlaxle. «Soltanto con l'aiuto di Bregan D'aerthe», lo corresse Dinin. «Per la maggior parte della mia vita ho osservato Casa Do'Urden, sotto la stabile guida di Matrona Malice, salire all'interno della gerarchia cittadina. Ogni anno il nostro potere e la nostra influenza crescevano. Nell'ultimo decennio, tuttavia, ho assistito a una discesa vorticosa. Ho osservato le fondamenta di Casa Do'Urden sgretolarsi. La struttura non poteva che crollare a sua volta.» «Sei saggio quanto abile con la lama», osservò il mercenario. «Te l'ho già detto, Dinin Do'Urden, e pare che io mi sia rivelato nel giusto ancora una volta.» «Se mi hai apprezzato, ti chiedo un favore», disse Dinin, alzandosi in piedi. «Concedimelo se vuoi.»
«Di ucciderti rapidamente e senza farti soffrire?» chiese Jarlaxle con un sorriso sempre più largo. Dinin annuì per la terza volta. «No», disse semplicemente Jarlaxle. Non comprendendo, Dinin estrasse in un lampo la spada e si mise in posizione. «Non ti ucciderò affatto», spiegò Jarlaxle. Dinin tenne alta la spada e studiò il volto del mercenario, alla ricerca di qualche accenno alle sue intenzioni. «Sono un nobile della casa», disse Dinin. «Un testimone dell'attacco. Nessuna eliminazione di una casa è completa se restano vivi dei nobili.» «Un testimone?» rise Jarlaxle. «Contro Casa Baenre? A che pro?» Dinin abbassò la spada. «Allora qual è il mio destino?» chiese. «Matrona Baenre mi accoglierà nella sua casa?» Il tono di Dinin mostrò che non era esaltato da una simile possibilità. «Matrona Baenre non sa che farsene dei maschi», rispose Jarlaxle. «Se qualcuna delle tue sorelle sopravvivesse, e credo che quella chiamata Vierna sia sopravvissuta, potrebbe trovare posto nella cappella di Matrona Baenre. Ma temo che la vecchia Matrona Madre rinsecchita di Casa Baenre non comprenderebbe mai il valore di un maschio come te.» «E allora?» chiese Dinin. «Io conosco il tuo valore», affermò con disinvoltura Jarlaxle. Il mercenario guidò lo sguardo di Dinin verso i larghi sorrisi d'assenso dei suoi soldati. «Bregan D'aerthe?» disse Dinin con una certa esitazione. «Io, un nobile, divenire un furfante?» Con un gesto rapidissimo, che gli occhi di Dinin non riuscirono a seguire, Jarlaxle scagliò un pugnale nel corpo ai suoi piedi. La lama affondò fino all'impugnatura nella schiena di Malice. «Un furfante o un cadavere», spiegò con indifferenza Jarlaxle. Non si trattò di una scelta molto ardua. *
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Alcuni giorni dopo, Jarlaxle e Dinin si volsero a guardare il cancello d'adamantio demolito di Casa Do'Urden. Un tempo s'innalzava così super-
bo e imponente, con le intricate sculture di ragni e i due formidabili pilastri di stalagmiti che fungevano da torri di guardia. «Con quanta rapidità è cambiato» osservò Dinin. «Vedo tutta la mia precedente esistenza davanti a me, eppure è tutto svanito.» «Dimentica quel che è successo prima» gli consigliò Jarlaxle. Il furbo gesto ammiccante del mercenario rivelò a Dinin che aveva in mente qualcosa di specifico mentre completava il pensiero. «Tranne ciò che potrebbe esserti utile in futuro.» Dinin effettuò una rapida ispezione visiva di se stesso e delle rovine. «La mia attrezzatura da battaglia?» chiese, cercando d'indovinare a che cosa alludesse Jarlaxle. «Il mio addestramento?» «Tuo fratello.» «Drizzt?» Ancora una volta quel nome maledetto giungeva a recare angoscia a Dinin! «Sembrerebbe che ci sia ancora la questione di Drizzt Do'Urden da sistemare», spiegò Jarlaxle. «È un notevole premio agli occhi della Regina Ragno.» «Drizzt?» chiese nuovamente Dinin, riuscendo a malapena a credere alle parole di Jarlaxle. «Perché sei così sorpreso?» chiese Jarlaxle. «Tuo fratello è ancora vivo, altrimenti perché Matrona Malice sarebbe stata annientata?» «Quale casa potrebbe essere interessata a lui?» chiese senza mezzi termini Dinin. «Un'altra missione per Matrona Baenre?» La risata di Jarlaxle lo fece sentire inferiore. «Bregan D'aerthe può agire senza la guida, o la borsa, di una casa riconosciuta», rispose. «Hai intenzione di metterti alle costole di mio fratello?» «Può essere la perfetta opportunità per Dinin di mostrare il suo valore alla mia famigliola», disse Jarlaxle, senza rivolgersi a nessuno in particolare. «Chi, meglio di te, potrebbe catturare il ribelle che ha determinato la caduta di Casa Do'Urden? Il valore di tuo fratello è aumentato di molto con il fallimento di Zin-carla.» «Ho visto com'è diventato Drizzt», disse Dinin. «Il costo sarà ingente.» «Le mie risorse sono illimitate», rispose compiaciuto Jarlaxle, «e nessun costo è troppo elevato se il profitto è maggiore.» L'eccentrico mercenario rimase in silenzio per un breve attimo, consentendo allo sguardo di Dinin d'indugiare sulle rovine della sua casa, un tempo superba. «No», disse improvvisamente Dinin. Jarlaxle gli rivolse uno sguardo circospetto.
«Non mi metterò sulle tracce di Drizzt», spiegò Dinin. «Tu servi Jarlaxle, il signore di Bregan D'aerthe», gli ricordò con calma il mercenario. «Come un tempo servivo Malice, la Matrona di Casa Do'Urden», replicò Dinin con altrettanta calma. «Non ho accettato di arrischiarmi nuovamente a uscire nelle regioni selvagge per mia madre...» Dinin guardò con franchezza Jarlaxle, senza temere le conseguenze. «... E non lo farò nuovamente per te.» Jarlaxle trascorse un lungo attimo a studiare il suo compagno. Normalmente il capo mercenario non avrebbe tollerato una simile insubordinazione e sfrontatezza, ma Dinin era sincero e inflessibile, al di là di ogni dubbio. Jarlaxle aveva accettato Dinin all'interno di Bregan D'aerthe perché apprezzava l'esperienza e l'abilità del primogenito maschio; ora non poteva accantonare come se niente fosse il giudizio di Dinin. «Potrei farti infliggere una morte lenta», rispose Jarlaxle, più per vedere la reazione di Dinin che per minacciarlo. Non aveva alcuna intenzione di distruggere un individuo valido come lui. «Non sarebbe peggiore della morte e del disonore che riceverei per mano di Drizzt», rispose Dinin con calma. Passò un altro lungo istante mentre Jarlaxle rifletteva sulle implicazioni delle parole di Dinin. Forse Bregan D'aerthe avrebbe dovuto rivedere i propri piani per scovare il ribelle; forse il prezzo si sarebbe rivelato troppo elevato. «Vieni, mio soldato», disse infine Jarlaxle. «Torniamo a casa nostra, nelle strade, a vedere quali avventure ci riserva il destino.» 26 Luci sulla volta Belwar corse lungo le passerelle per raggiungere il suo amico. Drizzt non osservò l'avvicinamento dello svirfnebli. Era inginocchiato sullo stretto ponte, guardava giù verso un punto del lago verde che ribolliva ancora, dopo la caduta di Zaknafein. L'acido scoppiettava e s'increspava, si vide l'elsa bruciacchiata di una spada, che poi scomparve sotto al velo verde opaco della superficie. «Era sempre lì», sussurrò Drizzt a Belwar. «Mio padre.»
«Hai corso un bel rischio, elfo scuro», rispose il Guardiano del Cunicolo. «Magga cammara! Quando hai riposto le lame ho creduto sicuramente che ti annientasse.» «Era sempre lì», ripeté Drizzt. Sollevò lo sguardo sul suo amico svirfnebli. «Me l'hai mostrato tu.» Belwar alzò il volto, confuso. «Lo spirito non può essere separato dal corpo», cercò di spiegare Drizzt. «Non in vita.» Guardò nuovamente le increspature sul lago d'acido. «E neppure in quella che non è morte. Negli anni che avevo trascorso da solo nelle regioni selvagge, avevo perduto me stesso, o così credevo. Ma tu mi hai mostrato la verità. Il cuore di Drizzt non si era mai staccato dal corpo, e perciò io sapevo che questo valeva anche per Zaknafein.» «Questa volta erano coinvolte altre forze», osservò Belwar. «Io non sarei stato così sicuro.» «Tu non conoscevi Zaknafein», replicò Drizzt. Si alzò in piedi, le lacrime che cerchiavano i suoi occhi color lavanda erano attenuate dal sorriso sincero che gli si aprì sul volto. «Io sì. È lo spirito, non sono i muscoli, a guidare le lame di un guerriero e soltanto il vero Zaknafein poteva muoversi con tale grazia. Il momento di crisi ha dato a Zaknafein la forza di resistere alla volontà di mia madre.» «E tu l'hai portato al momento di crisi», arguì Belwar. «Sconfiggere Matrona Malice o uccidere il proprio figlio.» Belwar scrollò la testa calva e arricciò il naso verso l'alto. «Magga cammara, ma tu sei coraggioso, elfo scuro.» Ammiccò rivolto a Drizzt. «O stupido.» «Nessuna delle due cose», rispose Drizzt. «Ho soltanto avuto fiducia in Zaknafein.» Guardò nuovamente il lago d'acido e non disse altro. Belwar cadde in silenzio e attese pazientemente mentre Drizzt finiva il suo elogio funebre privato. Quando infine il drow distolse lo sguardo dal lago, Belwar gli fece cenno di seguirlo e s'incamminò lungo la passerella. «Vieni», disse il Guardiano del Cunicolo, volgendosi. «Sii testimone della verità del nostro amico ucciso.» Drizzt ritenne che il pech fosse un essere dotato di bellezza, una bellezza ispirata dal sorriso pacifico che finalmente aveva trovato posto sul volto del suo tormentato amico. Lui e Belwar pronunciarono alcune parole, rivolsero alcune speranze agli dei che potevano essere in ascolto, e consegnarono Clacker al lago d'acido, pensando che fosse un destino preferibile a quello di finire nel ventre di qualche animale necrofago che vagava nei corridoi del Buio Profondo.
Drizzt e Belwar ripartirono soli, come quando inizialmente se n'erano andati dalla città degli svirfnebli, e arrivarono a Blingdenstone alcuni giorni più tardi. Le guardie ai giganteschi cancelli della città, benché ovviamente eccitate, parvero confuse al loro ritorno. Consentirono l'ingresso ai due compagni soltanto quando il Guardiano del Cunicolo promise che sarebbero andati direttamente a informare Re Schnicktick. «Questa volta ti lascerà restare, elfo scuro», disse Belwar a Drizzt. «Hai sconfitto il mostro.» Lasciò Drizzt a casa propria, giurando di tornare presto con buone notizie. Drizzt non era così sicuro di questo. L'avvertimento finale di Zaknafein sul fatto che Matrona Malice non avrebbe mai smesso di cercarlo restava chiaramente nei suoi pensieri, e lui non poteva negare la verità. Erano accadute molte cose nel periodo in cui lui e Belwar erano stati lontani da Blingdenstone, ma nessuna di queste, per quanto ne sapesse Drizzt, diminuiva la minaccia estremamente reale per la città svirfnebli. Drizzt aveva accettato d'accompagnare Belwar a Blingdenstone perché gli era sembrato un punto di partenza per il progetto che aveva deciso di realizzare. «Per quanto tempo ancora combatteremo, Matrona Malice?» chiese Drizzt alla nuda pietra, quando il Guardiano del Cunicolo se ne fu andato. Aveva bisogno di sentire le proprie riflessioni pronunciate a voce alta, per convincersi senz'ombra di dubbio che la sua decisione era stata saggia. «Nessuno dei due trae vantaggio dal conflitto, ma questa è la consuetudine dei drow, non è così?» Drizzt si lasciò ricadere su uno sgabello di pietra accanto al tavolino e riflette sulla verità delle sue parole. «M'inseguirete fino a rovinare me o voi stessa, accecata dall'odio che domina la vostra esistenza. Non ci può essere perdono a Menzoberranzan. Sarebbe contrario agli ordini dell'infame Regina Ragno.» «E questo è il Buio Profondo, il vostro mondo di tenebre e d'oscurità, ma non tutto il mondo è così, Matrona Malice, e io verificherò fino a che punto potranno spingersi le vostre perfide braccia!» Drizzt rimase seduto in silenzio per molti minuti, ricordando le sue prime lezioni all'Accademia drow. Cercò di trovare qualche indizio che lo portasse a credere che le storie sul mondo della superficie non fossero altro che menzogne. Gli inganni dei maestri dell'Accademia drow erano stati affinati nel corso dei secoli ed erano infallibilmente completi. Drizzt giunse ben presto a capire che avrebbe dovuto semplicemente fidarsi delle proprie sensazioni.
Quando Belwar ritornò, con aria torva, alcune ore più tardi, la determinazione di Drizzt era ormai inflessibile. «Cocciuto, ha il cervello come quello di un orco...» disse il Guardiano del Cunicolo, digrignando i denti mentre entrava dalla porta di pietra. Drizzt lo fermò con una risata sincera. «Non vogliono saperne di farti restare!» gli gridò contro Belwar, cercando di fargli passare l'allegria. «Ti aspettavi davvero che le cose andassero altrimenti?» gli chiese Drizzt. «Il mio combattimento non è concluso, caro Belwar. Credi che la mia famiglia possa essere Sconfitta così facilmente?» «Torneremo fuori», ringhiò Belwar, spostandosi per prendere lo sgabello accanto a Drizzt. «Il mio generoso..,» la parola trasudava sarcasmo, «sovrano ha consentito che tu resti in città per una settimana. Una sola settimana!». «Quando me ne andrò, me ne andrò da solo», lo interruppe Drizzt. Estrasse dalla borsa la statuina d'onice e prese nuovamente in considerazione le proprie parole. «Quasi da solo.» «Abbiamo già discusso su questo punto, elfo scuro. Sopravviverai meglio di prima, solo nelle regioni selvagge del Buio Profondo? Hai dimenticato il peso della solitudine?» «Non sarò nel Buio Profondo», rispose Drizzt. «Hai intenzione di ritornare in patria?» esclamò Belwar, balzando in piedi e facendo schizzare via il proprio sgabello. «No, mai!» rise Drizzt. «Non tornerò mai a Menzoberranzan, se non incatenato da Matrona Malice.» Il guardiano del cunicolo riprese il proprio sedile e vi si riaccomodò, incuriosito. «Né resterò nel Buio Profondo», spiegò Drizzt. «Questo è il mondo di Malice, più adatto al cuore oscurato di un vero drow.» Belwar iniziò a comprendere, ma non poteva credere ai suoi orecchi. «Che cosa stai dicendo?» chiese. «Dove hai intenzione di andare?» «In superficie», rispose Drizzt con voce calma. Belwar saltò nuovamente in piedi, facendo sobbalzare il suo sgabello di pietra ancora più in là. «Sono stato lassù, una volta», continuò Drizzt, imperturbabile di fronte alla reazione. Calmò lo svirfnebli con uno sguardo deciso. «Ho preso parte a un massacro drow. Soltanto le azioni dei miei compagni recano dolore ai miei ricordi di quel viaggio. Gli odori del vasto mondo e la fresca sensazione data dal vento non trasmettono spavento al mio cuore.»
«La superficie», mormorò Belwar, a testa bassa e con voce simile a un gemito. «Magga cammara. Non ho mai pensato di recarmi lì, non è posto per uno svirfnebli.» Improvvisamente Belwar diede un colpo sul tavolo e sollevò lo sguardo, con un sorriso deciso sul volto. «Ma se Drizzt ci andrà, allora Belwar sarà al suo fianco!» «Drizzt andrà da solo», rispose il drow. «Come hai appena detto, la superficie non è posto per uno svirfnebli.» «Né per un drow», aggiunse esplicitamente lo gnomo del profondo. «Io non sono mosso dalle normali aspettative dei drow», replicò Drizzt. «Il mio cuore non è il loro cuore, e la loro patria non è la mia. Quanta strada dovrò percorrere lungo i tunnel infiniti, per essere libero dall'odio della mia famiglia? E se, fuggendo da Menzoberranzan, mi accadesse di capitare in una delle grandi città degli elfi scuri, Ched Nasad o un luogo simile, anche quei drow inizieranno a perseguitarmi per soddisfare il desiderio della Regina Ragno, che attende la mia uccisione? No.» Belwar, non troverò pace sotto alle volte chiuse di questo mondo. Tu, temo, non saresti mai soddisfatto lontano dalla pietra del Buio Profondo. Il tuo posto è qui, un luogo d'onore meritato tra la tua gente. Belwar rimase seduto tranquillo per molto tempo, assimilando tutto ciò che aveva detto Drizzt. Avrebbe seguito Drizzt di buon grado se lui l'avesse desiderato, ma in realtà non voleva lasciare il Buio Profondo. Belwar non poteva sollevare alcuna argomentazione contro i desideri d'andarsene di Drizzt. Un elfo scuro sarebbe andato incontro a molte afflizioni sulla superficie, Belwar lo sapeva, ma queste sarebbero state superiori ai dolori sperimentati da Drizzt nel Buio Profondo? Belwar infilò la mano in una tasca profonda ed estrasse la spilla che emanava luce. «Prendi questa, elfo scuro», disse dolcemente, lanciandola a Drizzt, «e cerca di non dimenticarmi.» «Mai per un solo giorno in tutti i secoli futuri», promise Drizzt. «Mai una volta.» *
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La settimana trascorse fin troppo rapidamente per Belwar, che era riluttante a veder andare il suo amico. Il Guardiano del Cunicolo sapeva che non avrebbe mai più visto Drizzt, ma sapeva anche che la decisione del drow era sensata. Come amico, Belwar s'impegnò a fare in modo che Drizzt avesse le migliori opportunità di successo. Portò il drow dai miglio-
ri fornitori di viveri di Blingdenstone e pagò per le provviste di tasca propria. Poi Belwar procurò a Drizzt un dono ancora maggiore. Alcuni gnomi del profondo avevano viaggiato occasionalmente fino alla superficie, e Re Schnicktick possedeva varie copie di carte approssimative che conducevano fuori dai tunnel del Buio Profondo. «Il viaggio richiederà molte settimane», disse Belwar a Drizzt quando gli porse la pergamena arrotolata, «ma temo che non troveresti mai la strada senza questa.» Le mani di Drizzt tremavano mentre srotolava la carta. Era vero, ora osava crederlo. Stava recandosi fino alla superficie. In quel momento desiderò chiedere a Belwar di andare con lui; come poteva dire addio a un così caro amico? Ma i principi avevano spinto Drizzt molto lontano nei suoi viaggi, e i principi pretendevano che ora non fosse egoista. Il drow se ne andò da Blingdenstone il giorno dopo, promettendo a Belwar che se fosse mai tornato da quelle parti, sarebbe andato a fargli visita. Sapevano entrambi che non sarebbe mai tornato. *
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Miglia e giorni passarono privi di avvenimenti. Talvolta Drizzt teneva alta la spilla magica che Belwar gli aveva dato; talvolta camminava nella tranquilla oscurità. Forse per coincidenza o per benevolenza del destino, non incontrò mostri lungo il percorso segnato sulla carta approssimativa. Poche cose erano cambiate nel Buio Profondo, e anche se la pergamena era vecchia, addirittura antica, lui riuscì a seguire facilmente il sentiero. Poco dopo aver abbandonato l'ennesimo accampamento, trascorsi trentatré giorni dalla partenza da Blingdenstone, Drizzt sentì che l'aria si mitigava, e gli giunse la sensazione di vento freddo e di vastità che ricordava così vividamente. Estrasse dalla borsa la statuina d'onice e convocò Guenhwyvar al suo fianco. Insieme avanzarono ansiosamente, aspettandosi che il soffitto scomparisse ogni volta che giravano l'angolo. Giunsero in una piccola grotta, e l'oscurità al di là del lontano passaggio a volta non era minimamente paragonabile a quella che si lasciavano alle spalle. Drizzt trattenne il fiato e portò fuori Guenhwyvar.
Le stelle scintillavano attraverso le nuvole frastagliate del cielo notturno, la luce argentea della luna si diffondeva in un bagliore più spento sotto a una grande nuvola, e il vento ululava un canto di montagna. Drizzt si trovava in un punto elevato dei Reami, in alto, sul fianco di un'altra montagna nel mezzo di un'imponente catena montuosa. Non si preoccupò minimamente della brezza sferzante, ma rimase in piedi, assolutamente immobile, a lungo, e osservò le nuvole vaganti che gli passavano davanti nel loro lento tragitto aereo verso la luna. Guenhwyvar era accanto a lui, non giudicava, e Drizzt sapeva che la pantera non l'avrebbe abbandonato mai. FINE